That fragile, little thing we call us

di Papillon_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte prima ***
Capitolo 2: *** Parte seconda ***
Capitolo 3: *** Parte terza ***



Capitolo 1
*** Parte prima ***


That fragile, little thing we call “us”

 

Blaine strinse forte le braccia attorno al proprio corpo – non c'era niente più da custodire in quel corpo vuoto, niente di niente, era tutto scivolato fuori insieme alla lacrime ma al contempo era come se ogni tipo di dolore si fosse annidato nel cuore. E lì sepolto. E poi come marcito. Non riusciva a liberarsene, come se si fosse impossessato di ogni piccolissima parte dei suoi nervi pulsanti.

Qualcuno gli mise una mano sulla spalla mentre la bara spariva sotto terra, ornata di rose bianche in grandi mazzi.

Aveva smesso di vedere. Aveva smesso di vedere ormai da metà funzione, ormai, quando il Sacerdote aveva elencato i motivi per cui Ryan andava ricordato. E Blaine si era lasciato andare. Aveva lasciato un respiro e chiuso forte gli occhi e desiderato che finisse ma al contempo avrebbe voluto che durasse per sempre, perché il dolore era l'unica cosa che gli ricordava che la sua vita andava avanti.

Come Ryan avrebbe voluto.

 

Sanno di fresco le tue labbra.”, sussurrò Ryan vicino al suo viso, prima di sorridere leggermente. Blaine gli cinse i fianchi con le mani, mordicchiandosi il labbro inferiore.

Forse dovrei baciarti ancora un pochino, allora.”, borbottò in risposta. E poi risero. Risero come due stupidi, come se il tempo non potesse portare loro via niente – e si baciarono ancora, e ancora, e ancora. E Blaine per un attimo dimenticò il sapore della sconfitta.

Fammi capire un po'. Siamo felici noi, giusto?”, chiese Ryan a quel punto, una ciocca di capelli dorata che scendeva ribelle sulla fronte. Blaine alzò un sopracciglio.

Mi pare di sì.”, ridacchiò. “Perchè?”

Non lo so. Stavo solo pensando, sai.”, soffiò appena Ryan, lasciandosi scappare una risata leggera. Le sue dita grandi e callose premevano sulla pelle dei fianchi di Blaine, e Blaine non potè fare a meno di notare che tremavano un pochino. “Perchè non mi sposi, signor Anderson?”

Blaine tentò di deglutire. Tentò di dire o fare qualcosa, qualsiasi cosa, ma tutto ciò che riusciva ad immaginare era il suo primo bacio con Ryan, quando entrambi erano adolescenti e dell'amore sapevano poco ma credevano di sapere tutto, e poi la loro prima volta, e poi la prima litigata, i mesi di lontananza, il periodo in cui si erano lasciati e quel giorno di pioggia in cui avevano fatto pace, e semplicemente poi sbattè le palpebre e disse: “Voglio farlo.”

...ma?”

Nessun ma.”, borbottò Blaine. “E' che non pensavo pensassi che fossimo pronti.”

Nessuno è pronto, Blaine.”, sussurrò Ryan, baciandogli piano uno zigomo. “Però io- io voglio renderti felice. Voglio poter indicarti tra la folla e dire che sei mio marito. Dimmi che tu non lo vuoi fare e la smetterò di rendermi ridicolo.”

Non sei ridicolo.”, soffiò Blaine. “E ti voglio sposare. Certo che voglio farlo.”

 

Sam gli si avvicinò con la moglie accanto. Avevano le dita intrecciate e lei non riusciva a smettere di piangere, e Blaine vedeva quanto Sam si impegnasse per starle vicino; il modo in cui tendeva le mani verso di lei, o le sorrideva per farla sentire meglio, per esempio. Tutte cose che Blaine aveva in passato. Tutte cose che non avrebbe avuto mai più.

Sam lo strinse forte. Forte come quella volta in cui Ryan lo aveva lasciato perché era convinto di essersi preso una sbandata per un ragazzo che aveva conosciuto in una grande città. Forte come quella volta in cui Blaine era scoppiato a piangere tra le sue braccia dicendogli che lui e Ryan avevano fatto pace. Ancora più forte del giorno del suo matrimonio, quando Blaine ricordava a malapena come si faceva a respirare.

“Ti giuro che mi dispiace.”, disse tra i suoi ricci. E Blaine lo sapeva. Lo sapeva e basta, tra amici quelle cose si sapevano e si comprendevano. “Dimmi cosa posso fare.”

Non poteva fare niente, però. Non poteva strappare il cuore di Blaine dal suo petto e impedirgli di soffrire, per esempio; non poteva curare ogni nervo teso e pulsante che sanguinava nel suo corpo. Sam non poteva, Blaine non poteva, nessuno poteva. Erano inermi, finiti. Smembrati.

“Vivi.”, mormorò Blaine nella sua spalla. “Compra tanti fiori a Mercedes e dille che la ami almeno due volte al giorno. Fa' l'amore con lei e imprimiti tutto dentro, Sam – sogna in grande e rincorrili quei sogni. Diventa padre. Non fermarti mai. Questo puoi fare, Sam.”

Fa' quello che non posso più fare io.

 

Lo vuoi togliere quel broncio?”, chiese Ryan, cingendo il corpo di Blaine da dietro e pressandogli sul collo scoperto un singolo bacio. Blaine fece per scivolare via dalla sua presa.

Guarda che sto benissimo.”

Mi vorresti sbranare.”

Beh, non è esattamente il giorno più bello della mia vita, Ry.”, borbottò Blaine. “Mio marito mi sta dicendo che non potrà essere con me il giorno del nostro secondo anniversario di nozze perché è in missione. Ottimo. Sono felicissimo. Chi sta meglio di me?”

Ryan alzò gli occhi al cielo. “Tesoro, se potessi scegliere resterei qui. Lo sai.”

Non mi sembra di saperlo più.”

Lo sai invece.”, insistè Ryan. “Sapevi che stavi per sposare un militare quando hai detto sì, o sbaglio?”

Lo sapevo.”, borbottò Blaine a bassa voce. “Ma alle feste avevi promesso di non mancare.”

E non mancherò, io...ti chiamerò Blaine. Troverò un modo per- per farti sentire che ci sono. Non farmi sentire in colpa. Per favore.”

Blaine alzò per l'ennesima volta gli occhi al cielo e fece qualche passo verso Ryan, facendosi più piccolo tra le sue braccia. “Ti odio.”

Ehy!”, lo rimproverò Ryan dolcemente, accarezzandogli la schiena.

Ti odio perché ti amo, scemo.”

Ryan ridacchiò “Ti amo anch'io. E mi dispiace da morire. Festeggeremo quando torno, ti porterò in quel posticino che ti piace tanto.”

Blaine sorrise piano lì, al sicuro tra le sue braccia. “Mi mancherai. Quanto starai via?”

Due mesi e mezzo. Massimo tre.”

Blaine lo strinse un po' più forte. “Vedi di stare attento.”

Sto sempre attento.”

 

Pam era sempre riuscita a trovare le parole giuste per consolare il proprio figlio – ma quel giorno non ne trovò nemmeno una, e si rese conto che sì, a volte può succedere. Di non essere abbastanza, di non sentirsi una buona mamma. Di vedere il proprio figlio andare a pezzi davanti ai tuoi occhi senza poter far nulla a riguardo.

“Puoi stare da me quanto vuoi.”, gli disse, abbracciandolo per l'ennesima volta. Blaine era sempre stato piccolo, ma in quei mesi lo era diventato sempre di più. Le sue guance tonde erano quasi scomparse e le sue braccia toniche erano ormai diventate secche. Blaine era sempre in grado di stringerla forte, però.

I suoi occhi erano ancora lucidi quando si staccò da lei. “Ho b-bisogno di qualche mese. Un paio, forse tre...n-non lo so. P-pagherò parte dell'affitto-”

“Tesoro.”, insistè Pam, passandogli una mano tra i capelli. “Tutto il tempo che vuoi.”

Blaine sembrò cedere, a quel punto. “Okay. Grazie.”

 

Come, vuoi rinnovare il contratto?”

E' un mese in più, Blaine. Non è così tanto.”

Dall'altra parte del telefono Blaine sentiva chiaramente il rumore degli spari delle esercitazioni. “...avevi promesso che-”

Lo so che avevo promesso. Ma Blaine, qui...non lo so, non tira una buona aria. Non posso tornare adesso.”

Blaine si morse forte il labbro inferiore. “Mi manchi.”

Blaine...”

D-da morire, io...ti penso sempre. Ogni notte mi addormento coi tuoi vestiti, e solo...ti voglio qui. Ti voglio sentire, ho bisogno di mio marito.”

Anch'io ho bisogno di te.”, soffiò Ryan. “Anch'io ho bisogno di te. Solo perché non lo dico spesso non vuol dire che non sia vero, Blaine.”

Entrambi sospirarono.

L'ultimo mese. Dopo mi dimetto, te lo giuro. Dammi un altro mese.”

Blaine sorrise appena. “Davvero?”

Davvero.”

Okay.”, borbottò Blaine. “Quando- quando dovresti tornare?”

La prima o la seconda settimana di Settembre, ma ti farò sapere.”

Spero la prima.”, borbottò Blaine. “Così ti vedrò prima possibile.”

Allora se riesco chiederò il permesso per la prima.”, mormorò Ryan. “Ti amo, Blaine.”

Ti amo anch'io.”

 

“E' stata colpa mia.”, sussurrò Blaine quel pomeriggio, quando ormai tutti gli ospiti se n'erano andati e lui era rimasto nel salotto da solo con sua madre. Pam si voltò verso di lui, le due tazze di tè caldo in mano.

“Tesoro.”, lo chiamò dolcemente. “Cosa dici?”

“Io gli ho chiesto di tornare prima, mamma.”, borbottò Blaine, passandosi una mano tra i capelli. “Continuo a pensare che è morto per colpa mia, che era su quel dannato aereo per colpa mia, che è rimasto coinvolto in quell'incidente per colpa mia-”

“Ehy, basta. Basta.”, disse dolcemente Pam, raccogliendo Blaine tra le braccia, lasciando le tazze di tè su un tavolino lì di lato. “Non è colpa tua, tesoro. Non dirlo mai più- non puoi davvero pensare che sia colpa tua.”

Blaine singhiozzò forte tra le sue braccia, sentendo il petto lacerarsi, proprio come se mille lame lo stessero colpendo. “Sono così arrabbiato.”, disse in un lamento. “Sarebbe dovuto tornare da me, lo aveva promesso, lui me lo aveva promesso e invece- no, cazzo, lui doveva sempre fare l'eroe, doveva sempre salvare persone e alla fine guarda cosa gli è successo-”

“Blaine, shhh.”, cercava di calmarlo sua madre. Ma Blaine era come un fiume in piena.

“Volevamo una famiglia. Eravamo- eravamo pronti, stavamo per firmare tutte le dannate carte per trovare un modo di diventare papà. E cambiare casa. Con un dannato giardino, e magari io avrei trovato un posto fisso e invece-”, un singhiozzo, e Blaine si fece ancora più piccolo. “Lo odio. Lo odio perché se n'è andato e così ha distrutto anche me, che cosa dovrei farmene adesso della mia vita, non la voglio, non-”

Pam smise di ascoltare e iniziò a piangere insieme a suo figlio. Non perché fosse debole, o perché non riusciva a calmarlo. Ma semplicemente perché spesso il miglior modo di comprendere il dolore di un'altra persona è prenderlo e farlo proprio, soffrendo insieme a lei.

 

Blaine accarezzò piano una delle foto più recenti che aveva di Ryan.

Avevi promesso.”, disse, ma una foto non poteva rispondere. Come un corpo freddo. Niente di niente.

Avevi promesso, Ry.”, disse di nuovo, lasciandosi cadere a terra e cominciando a piangere. La cornetta del telefono era ancora lì che penzolava vicino a lui – da lontano, l'eco del notiziario che davano alla tv con le immagini dell'incidente aereo.

Lì dentro c'era il suo Ryan.

Lì dentro c'era l'amore che lo aveva salvato da giovane, e a nessuno importava. Nessuno poteva fare niente.

Blaine gridò, e poi si spense, e ogni volta riprendeva conoscenza ed era anche peggio perché ricordava, così ricominciava tutto da capo: ogni nervo esplodeva di dolore che lo invadeva e lui, lentamente, ricominciava a morire.

.





 

.





 

.

Da dove cominciare per spiegare la nascita di questa roba qui? Uhm, non ne ho idea. Ma davvero, è nata dal nulla, e non so nemmeno se potrà piacervi, ma se avete voglia, datele una possibilità. Dal prossimo capitolo arriva anche Kurt, naturalmente ;)
Non è mia abitudine spoilerare i finali delle mie storie quindi non lo farò. Ma, perché c'è un ma. Cercate di fidarvi di me. Avvertimenti (se si possono chiamare così):
-Angst. Perché con me ci va a braccetto ormai.
-A un certo punto ci sarà una scena di tradimento (di nuovo, fidatevi). Ehy, notizia del secolo, non si fa! Con questo non voglio dire che io sia d'accordo con le persone tradiscano! Penso che comunque sarà tutto chiaro quando accadrà.
-Triangolo amoroso...? Non saprei. È meglio che però lo dica, perché ci sarà un momento dove effettivamente i sentimenti di una persona saranno divisi e contrastanti, quindi è giusto mettercelo. Ma di nuovo, abbiate fiducia in me.
Eccoci qui. Fatemi sapere se avete voglia di seguirmi anche in questa avventura. I capitoli sono tre in tutto, quindi avremo altri due aggiornamenti. Se come storia vi ispira fatemelo sapere e io vi do il resto, okaaaay? No a parte gli scherzi, credo che arriveranno a breve.
Un bacio,

Je <3

 

Alle ragazze della Sevensome, perché credono in me. E un po' di più a Paola, perché non so se si ricorda, ma era una delle poche che questa storia la voleva. <3 Spero di non deludere le tue aspettative.

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Capitolo 2
*** Parte seconda ***


Due anni dopo

 

Kurt raccolse con la palettina un po' di gelato al limone e lo cosparse con attenzione sul cono di biscotto che aveva preparato. Quando questo fu pronto, lo porse alla bambina che c'era al di là del bancone, sorridendo appena. “Ecco qui, piccola.”, le disse, e lei lo ringraziò e gli lasciò qualche moneta, dicendogli che i suoi gelati erano i migliori del mondo.

Kurt si mordicchiò il labbro inferiore e gettò un'occhiata veloce verso l'orologio: ormai era quasi arrivata l'ora di chiusura. Brittany comparve dal laboratorio con un grembiulino viola allacciato attorno alla vita, i capelli sparati verso l'alto in una coda disordinata e il naso leggermente sporco di bianco.

Kurt rise leggermente, gettando verso di lei un piccolo panno e recuperandone un altro dal bancone, e poi cominciarono a pulire insieme.

Era una vita semplice, quella di Kurt Hummel. Un ragazzo di ventitré anni con tanti sogni nel cassetto e un sorriso dolce e semplice, di quelli che solo le persone che hanno sofferto sanno dare. Era cresciuto in Ohio, ma dopo il liceo si era trasferito nei pressi di New York per seguire la NYADA: si era anche laureato con il massimo dei voti, ma durante il suo percorso universitario nessuno gli aveva detto che in realtà Broadway non avrebbe mai cercato qualcuno come lui, un controtenore. Era quasi impossibile. Kurt aveva ricevuto così tante porte in faccia che ormai era stanco anche solo di sentir nominare la parola musical: per quello, e anche per motivi famigliari, un anno prima aveva acquistato quel monolocale abbandonato nei pressi del centro di Lima, dove era tornato. Aveva deciso di aprire una gelateria insieme a Brittany, una sua vecchia amica del liceo. Insieme formavano una bella squadra - e il gelato, a differenza della vita, non ti tradiva mai e ti faceva sentire meglio.

Kurt notò che fuori il tempo cominciava a farsi più brutto: per evitare che i tavolini che aveva sistemato all'aperto si bagnassero si precipitò fuori e cominciò a trascinarli dentro uno ad uno, e proprio mentre stava per andare a recuperare l'ultima sedia, come tutti i giorni all'orario di chiusura, davanti alla sua gelateria passò il ragazzo con i capelli ricci e lo sguardo triste.

Probabilmente non era un modo molto adeguato di chiamare qualcuno, ma Kurt non aveva la più pallida idea di quale fosse il nome di quel giovane uomo; sapeva solo che aveva i capelli ricci e, per le poche volte che si era soffermato ad osservarlo - le guance che gli diventavano inevitabilmente rosse - gli era sembrato che avesse uno sguardo triste. Nonostante passasse davanti alla gelateria praticamente tutti i giorni, Kurt non lo aveva mai visto entrare, o per lo meno fermarsi per dare un'occhiata alle vetrine, cosa che lo deludeva particolarmente.

Era imbarazzante, e Kurt lo sapeva. Insomma, avere una cotta per un ragazzo a cui non aveva mai parlato era molto più che imbarazzante – a ventitrè anni una persona dovrebbe essere capace di andare da qualcuno ed ottenere ciò che vuole, eppure Kurt non aveva mai trovato il coraggio di rincorrerlo e chiedergli semplicemente come si chiamava, che cosa faceva di bello nella vita, o perché avesse quello sguardo triste.

Forse era quella la condanna degli artisti – vivere attraverso qualcosa, ma non vivere davvero per paura di sbagliare o scottarsi. E Kurt per ora stava bene così: ad osservare quell'uomo da lontano, dal suo piccolo angolino di lavoro, dove tutto era più semplice e facile da controllare.

 

***

 

Un mercoledì mattina, quel ragazzo comparve inspiegabilmente prima del solito e si sedette sulla panchina esattamente di fronte alla gelateria.

Kurt ce la mise davvero tutta a non distrarsi continuamente; cercava di concentrarsi sui bambini e dava il loro il gelato, scherzava e rideva, ma i suoi occhi scivolavano continuamente al di là della strada, a cercare quel ragazzo con le gambe incrociate sopra la panchina che ogni tanto leggeva, ogni tanto si perdeva ad osservare il cielo.

“Kurt.”, mormorò Brittany a un certo punto. “...Kurt, tutto il gelato ti sta cadendo sulla mano.”

Kurt si scostò all'improvviso. “Oh, merda.”, imprecò, notando che buona parte del gelato che avrebbe dovuto dare alla bambina di fronte a lui si era sciolto finendo sulla sua mano, mentre lui fissava – probabilmente con la bocca aperta e con tanto di occhi a cuore – quel ragazzo. Si affrettò a sistemare il disastro e per farsi perdonare regalò alla bimba il gelato che aveva ordinato.

Quando lei uscì, Kurt sentì Brittany ridacchiare.

“Sei così maldestro.”, borbottò. “Santana dice che è l'amore a renderti così.”

“Santana deve smetterla di dire certe cose.”, sbuffò Kurt, mentre puliva alcune macchie che gli erano sfuggite. “N-non sono innamorato.”

“Continui a fissare quel ragazzo, Kurt.”, disse Brittany in tono ovvio. “Tipo...tutti i giorni.”

“Solo perché quel ragazzo passa di qui tutti i giorni.”, si difese Kurt. “E- uhm, ho notato che è triste, e mi chiedo cosa possa essergli successo.”

“Santana dice che ci rendiamo conto di cosa provano gli altri solo quando ci interessano.”, pigolò Brittany. “Quel ragazzo ti piace, è ufficiale!”

“Brittany, smettila!”, la rimproverò Kurt. “E' dall'altra parte della strada, potrebbe sentirci.”

Brittany si coprì la bocca con entrambe le mani, borbottando un piccolo e dolce “Oh, scusa.”. Kurt alzò gli occhi al cielo, ma inevitabilmente il suo sguardo rincorse sempre quel ragazzo. Avrebbe dato qualsiasi cosa per sapere almeno il suo nome.

“Perchè non provi almeno a parlargli?”, mormorò Brittany, dandogli un colpetto con la spalla. “Se non provi non lo saprai mai.”

Kurt sospirò leggermente. “Non lo so. Per paura, credo.”

“Paura di cosa?”

“Di un rifiuto.”, soffiò Kurt. “Non lo so, mi hai visto Brittany? Sono un ragazzo come tanti, io...non appartengo alla categoria di persone che ti colpisce. Non sono capace, mi...mi renderei ridicolo.”

Brittany sembrava triste. “E vuoi stare qui a guardarlo da lontano tutta la vita?”

Kurt si leccò le labbra. “No.”, sussurrò appena, cercandolo di nuovo con gli occhi. Gli venne da sorridere, il cuore che batteva appena più veloce.

Brittany a quel punto si illuminò, avvicinandosi al bancone dei gelati. “Mi è venuta un'idea, Kurt!”, esclamò, tirando fuori la paletta. “Perchè non gli prepari un gelato?”

Okay, molto spesso l'ingenuità di Brittany era a dir poco disarmante. Kurt alzò un sopracciglio.

“Ma sì! Il gelato piace a tutti, no? Non la trovo così una brutta idea.”

“Fammi capire.”, borbottò Kurt. “M-mi presento da lui e gli offro un gelato? Così, senza conoscerlo?”

“Che c'è di strano?”, chiese Brittany. “Se qualcuno lo facesse con me io- io credo che lo adorerei! Santana mi dice sempre che una persona va sempre corteggiata e fatta sentire speciale. Io credo che il gelato faccia entrambe le cose.”

Kurt ridacchiò, a quel punto, sentendosi un pochino più leggero. C'erano almeno un milione di motivi per non ascoltare Brittany: primo, la maggior parte delle cose le diceva senza pensare; secondo, non era così ovvio che qualcuno accettasse un gelato da uno sconosciuto. Ma per qualche strano motivo, una dolce trepidazione cominciò a nascere alla bocca dello stomaco di Kurt. Si avvicinò al bancone, portando con sé una coppetta da due gusti.

“Secondo te che cosa gli piace?”, chiese piano, osservando tutti i gusti che avevano.

“Uhm...”, sussurrò Brittany, grattandosi la nuca. “Mi sembra una persona seria. Forse, visto che è una persona seria, dovresti proporgli dei gusti seri.”

Kurt era perplesso. “Esistono gusti seri?”

“Credo di sì.”, mormorò Brittany. “Il latte è un gusto serio, e anche la nocciola. Invece il limone no, e nemmeno la fragola, perché di solito è come se- scoppiettassero sulla lingua.”

Kurt ridacchiò. “Io stavo pensando che, visto che magari è una persona seria, avrebbe bisogno di gelati che invece non lo sono.”, mormorò. “Una cosa come il cioccolato. E il biscotto.”

“Vedi?”, chiese Brittany dolcemente. “Non è così difficile.”

Kurt si mise a preparare il gelato per quel ragazzo, le guance rosse e il cuore che batteva forte. “Secondo te è una follia?”, domandò. “Voglio dire, forse- forse non è una grande idea.”

Brittany sembrò pensarci su, con quella semplicità mischiata a saggezza che spesso hanno solo i bambini. “Se tre anni fa Santana non fosse venuta a cercarmi, ora non staremmo parlando di matrimonio.”, disse semplicemente. “Forse nemmeno a lei sembrava una buona idea, ma alla fine lo ha fatto, e per fortuna che lo ha fatto. Se non ci vai, non saprai mai che gusti di gelato gli piacciono.”

Kurt a quel punto rise. E poi annuì, convincendosi che la maggior parte delle volte Brittany aveva ragione.

 

Il sole gli scaldava dolcemente le spalle, mentre camminava a testa alta verso quella panchina. Grazie a qualche buona stella quel ragazzo non alzò mai il volto, e così ben presto Kurt si trovò di fronte a lui, la gola secca e il gelato tra le mani. Strinse forte le palpebre, inspirò – e solo dopo trovò il coraggio di parlare.

“Ciao.”, esordì semplicemente con un piccolo sorriso. Gli occhi dell'altro furono quasi immediatamente nei suoi – erano ambra. O forse oro. O forse verdi. Kurt non riusciva a dirlo.

“Ciao.”, rispose il ragazzo, accennando un sorriso che si intrappolò nell'angolo destro della sua bocca. Kurt deglutì

“Uhm...i-io- so che sembra strano, ma ho pensato che potesse farti piacere, uhm...ricevere questo.”, disse piano. Gli porse la coppetta coi gelati. “Li stavo finendo, ed era un peccato buttarli via.”, una bugia, ma a quel punto Kurt sperò di essere abbastanza convincente. Quel ragazzo osservò prima la coppetta e poi di nuovo Kurt, un vago luccichio che inondava i suoi occhi perennemente tristi.

“Oh.”, soffiò appena. “N-non so cosa dire.”

Kurt si mordicchiò il labbro inferiore. “Devi solo dire di sì, se il gelato ti piace.”, sussurrò appena. “Uhm...io e la mia collega ci siamo messi a discutere su quali gusti sarebbero potuti piacerti, e lei pensava a dei gusti seri, visto che sei una persona seria-”

“Esistono gusti di gelato seri?”

Kurt ridacchiò, facendo ridere anche lui. “A quanto pare sì.”, mormorò. “Ma io ho pensato di portarti dei gusti un po'...più allegri, se si può dire così. Cioccolato e biscotto. S-spero davvero possano piacerti, io- non è mia intenzione disturbarti, e se per qualche ragione dovessi essere- oh mio dio, non ci avevo pensato! Potresti essere allergico e io mi sono presentato qui con-”

Ma a quel punto Kurt si fermò, perché quel ragazzo stava – stava ridendo. Stava ridendo di gusto, il petto che si muoveva insieme a tutto il suo corpo e gli occhi chiusi, i riccioli neri che ballavano dolcemente sulla sua fronte.

E wow, aveva così una bella risata.

Anche Kurt si ritrovò a sorridere. “Ho, uhm...detto qualcosa che non va?”

“No- no. Davvero, no.”, si affrettò a rispondere lui. “E' solo- era da tanto che non incontravo qualcuno che- che fosse così...così vivo, credo. Hai cominciato a parlare tutto veloce e solo- mi hai fatto ridere, tutto qui.”

Kurt sentì le proprie guance inondarsi di rosso. “Mi dispiace.”

“Non dispiacerti.”, soffiò lui. “Ti prego- non dispiacerti mai di strappare un sorriso alle persone, è la cosa più bella che potresti fare.”

Kurt si mordicchiò il labbro inferiore, distogliendo lo sguardo.

“Comunque non so come tu facessi a saperlo, ma il cioccolato è il mio gusto di gelato preferito.”

Kurt sentì il suo cuore riempirsi di orgoglio. “Intuito, credo.”, sussurrò, porgendogli la coppetta. Il ragazzo l'accettò volentieri, affondandoci dentro il cucchiaio per mescolarlo leggermente.

“Sono Blaine.”, disse, prima di portarsi una enorme cucchiaiata di cioccolato alle labbra. Kurt cercò di non fissarle troppo e sbattè più volte le palpebre.

“Io sono Kurt.”

Blaine gli sorrise dolcemente. “Vuoi sederti qui?”, chiese in un sussurro, indicandogli la parte di panchina vuota. Kurt non se lo fece ripetere due volte e la occupò, portandosi le ginocchia al petto.

“Sai- ti vedo tutti i giorni, Blaine.”, esordì Kurt, sperando che dopo quella frase Blaine non pensasse che fosse uno stalker. Lo vide sorridere appena.

“Uhm, sì, passo da qui tutti i giorni infatti. Faccio l'insegnate, rimango a scuola fino a tardi per preparare i corsi e aiutare alcuni ragazzi con le materie di sostegno.”

Kurt annuì, pensando che fosse davvero molto pesante rimanere al lavoro fino a quell'ora e svegliarsi così presto, circondato sempre dai libri.

“E' un bel lavoro.”

“Mi dà soddisfazioni, sì.”, confermò Blaine, leccando parte del cucchiaio. Kurt deglutì, respirando piano e poi abbassando la testa per non far vedere che era arrossito. “Anch'io ti vedo tutti i giorni.”

Il cuore di Kurt fece qualcosa di strano. “Mi- mi vedi?”

“Sì, uhm- quando passo davanti alla gelateria ti vedo sempre.”, sussurrò Blaine. Kurt voleva quasi gettarsi per terra e gridare di gioia perché non poteva credere che Blaine prima di quel giorno lo avesse notato. Pensava di essere invisibile ai suoi occhi. “Mi piace vedere i sorrisi dei bambini quando uscivano dalla tua gelateria. Sembravano davvero contenti.”

“Non sei mai entrato, però.”

Blaine gli regalò un sorriso triste. “Già. Non lo so il perché. Un po' mi dispiace, ci saremmo potuti conoscere prima.”

Kurt si mordicchiò il labbro inferiore. “Beh, a quanto pare non siamo riusciti a scappare per sempre. Alla fine ci siamo incontrati.”

“Sì.”, sussurrò Blaine. “Se qualcosa deve succedere succede, certo.”

Kurt forse si rese conto solo in quel momento quanto esattamente quel ragazzo fosse – spento; c'era una velatura di malinconia che aleggiava attorno al suo corpo e che era penetrata nei suoi occhi, e lo si vedeva in ogni gesto, in ogni movimento, persino nel modo in cui sorrideva, come se si dovesse concentrare per farlo completamente. Kurt osservò Blaine e vide le crepe; le vide fuori e dentro il suo animo, e capì che, nonostante fosse o comunque sembrasse così giovane, alle spalle doveva avere una storia molto buia, e per qualche motivo sentiva il bisogno di conoscerla, e magari provare a far scomparire quei buchi.

“Allora.”, sussurrò a un certo punto Blaine. “Regali gelati a chiunque passa, eh?”

Kurt arrossì. “N-no, io, uhm-”, cercò di spiegare, sorridendo appena. “C'è un motivo per cui l'ho dato a te.”

Blaine ruotò il capo verso di lui. “E posso saperlo questo motivo?”

Blaine lo guardava attentamente, gli occhi enormi e le ciglia lunghissime che sbattevano come ali di farfalla. “Hai gli occhi tristi.”, mormorò Kurt, dandosi dello stupido subito dopo. Blaine assimilò la notizia con calma; non si accigliò, non disse nulla immediatamente, rimase semplicemente lì a contemplare Kurt mentre il gelato iniziava inesorabilmente a sciogliersi.

“Ho gli occhi tristi.”, ripetè Blaine, sorridendo in modo malinconico. “Succede, sai, quando la vita non è propriamente giusta con te.”

“Mi dispiace tanto, Blaine-”, rantolò Kurt, sentendosi in imbarazzo. “Non sentirti obbligato a dirmi niente. Non volevo essere inappropriato, devi scusarmi-”

“Non scusarti.”, sussurrò Blaine. “Io- mi va bene che gli altri vedano il mio dolore. Voglio dire, c'è, è lì, non posso farci niente. Non mi arrabbio di certo perché tu lo hai visto. Anzi, vuol dire che sei una persona che percepisce tante cose.”

Kurt strinse le sue ginocchia più forte. “Sei piuttosto unico.”

Blaine alzò un sopracciglio verso di lui, sembrando sorpreso.

“Voglio dire- la maggior parte della gente avrebbe cercato di nasconderlo, il proprio dolore. Tu invece- non ci hai nemmeno provato, perché probabilmente è talmente tuo che non hai paura che gli altri possano rovinarlo o portartelo via. È lì, è una parte di te, e tu ci convivi. E io penso che tu debba essere molto forte per farlo.”

Blaine sorrise, a quel punto – un sorriso lento e dolce, che smosse qualcosa nel petto di Kurt.

Non fu l'ultimo della serata. Ce ne furono molti altri, poi; e Kurt e Blaine nemmeno si accorsero che il cielo si stava facendo sempre più buio, almeno finchè Brittany non uscì per chiamare Kurt e dirgli che ormai era ora di chiudere, e Kurt raccolse dalle mani di Blaine la coppetta di carta, e gli sorrise un'ultima volta con la promessa che si sarebbero rivisti il giorno dopo.

 

***

 

In realtà non si videro il giorno dopo soltanto.

Ma quello dopo. E quello dopo ancora. E ogni nuovo giorno, come tante piccole gemme da mettere insieme e collezionare in un susseguirsi di momenti e piccoli sorrisi.

Blaine andava a trovare Kurt praticamente tutti i giorni, intrufolandosi nella sua piccola gelateria e rimanendo lì a parlare fino a orario di chiusura; c'erano dei giorni in cui parlavano così tanto che Blaine si dimenticava di prendere il gelato, altri in cui Kurt insisteva perché lo prendesse in modo che assaggiasse sempre gusti nuovi.

La malinconia dentro gli occhi di Blaine a volte era talmente viva e pulsante che Kurt si spaventava e sentiva il bisogno quasi viscerale di scavalcare il bancone ed abbracciarlo; a volte invece era lieve, così lieve che Blaine sembrava un'altra persona – o forse era proprio in quei momenti in cui era solo sé stesso.

Kurt si sentiva osservato mentre serviva i bambini; Blaine teneva gli occhi puntati su di lui come per studiarlo, sorridendogli dalle poltrone e di tanto in tanto ridacchiando alle sue battute. Un giorno in negozio arrivò un bambino che stava piangendo e Kurt per farlo stare meglio gli regalò un gelato, e poi lasciò Brittany per accompagnarlo a cercare la sua mamma che a quanto pare si era allontanata.

Quando Kurt era tornato in negozio con un lieve sorriso sulle labbra, dicendo che finalmente ora quel bambino era al sicuro, Blaine aveva cercato i suoi occhi e lo aveva bloccato sul posto, Kurt che sentiva di poter morire da un momento all'altro.

“Sei sorprendente.”, gli aveva detto in un sussurro, e in quel momento, proprio in quel momento, negli occhi di Blaine c'era solo pura, semplice verità e nient'altro.

 

***

 

Durante uno dei suoi giorni liberi, Kurt si dedicò a uno degli hobby che aveva cercato di sviluppare fin da piccolo: il disegno. Non era bravo come lo era nel cantare, ma era qualcosa che lo rilassava e lo faceva stare meglio. Si diresse a un ponte che c'era vicino alla sua gelateria; scavalcò con le gambe il cornicione e si mise a disegnare un piccolo uccellino che c'era a pochi metri da lui. Improvvisamente, forse perché si era spaventato, l'uccellino si spostò dalla vista di Kurt e questo fu costretto a mettersi in piedi per guardarlo meglio – le punte delle sue scarpe sfioravano il limite del cornicione, davanti a sé il vuoto.

“Kurt.”, disse a un certo punto una voce dietro di lui. “Kurt ti prego- qualsiasi cosa ti stia passando per la testa, la possiamo risolvere.”

Kurt a quel punto ruotò il capo, la fronte aggrottata. Trovò Blaine a qualche metro da sé, le braccia leggermente tese in avanti verso di lui.

“Blaine...?”, chiese titubante. Blaine spalancò gli occhi.

“Ti prego ascoltami- so che a volte tutto può sembrare orribile. Ma non- non puoi gettarti via così. Scendi di lì.”

Se ne avesse avuto la forza, Kurt sarebbe scoppiato a ridere. Si limitò a passarsi una mano tra i capelli, sorridendo appena. “Blaine, ma che dici? Guarda che non voglio buttarmi giù! Sto semplicemente disegnando un gabbiano che c'è proprio qui.”

Blaine non si mosse, però. Rimase a guardarlo con gli occhi sbarrati e una tremenda paura negli occhi. “Kurt, scendi di lì, okay?”

“Che c'è, soffri di vertigini?”, chiese Kurt in un sussurro, addolcendosi. “Va tutto bene, ti giuro che sto bene okay? Guarda.”, disse Kurt, cominciando a camminare senza sforzo sul cornicione. Blaine fece un balzo in avanti.

“Cazzo- Kurt, non fare così. Scendi di lì, mi fai preoccupare.”

Kurt alzò gli occhi al cielo. “Blaine, dai, dammi solo un paio di minuti che finisco questo disegno-”

“Vuoi scendere di lì o devo venire a prenderti io?”, quasi gridò Blaine. E a quel punto Kurt si spaventò: Blaine non aveva mai alzato la voce con lui, mai, non era il tipo. Era dolce e sensibile e gentile, e non urlava mai. Kurt si strinse le braccia attorno al corpo e con un balzo tornò giù dal cornicione, e senza poter dire o fare niente si ritrovò le sue braccia attorno ai fianchi che lo aiutavano a rimanere in equilibrio.

“Stavo solo cercando di disegnare, Blaine-”

“Ma non capisci che non è un fottuto scherzo? Che non devi giocare con la tua vita?”, urlò nuovamente, questa volta ancora più vicino al suo viso. “Saresti potuto scivolare, okay? E se io non fossi arrivato in tempo?”

Le labbra di Kurt tremavano leggermente. Blaine lo teneva stretto per le braccia, le sue dita impresse sui suoi avambracci, probabilmente destinate a lasciargli dei segni. Kurt cercò i suoi occhi, sentendo i propri pizzicare. “P-perchè stai urlando, Blaine?”

Blaine sembrò risvegliarsi solo in quel momento – lasciò andare Kurt con un movimento repentino, staccandosi da lui e passandosi una mano tra i ricci, cercando di respirare per mantenere il controllo.

“I-io-”, soffiò Blaine a quel punto, mordendosi il labbro inferiore. “M-mi dispiace Kurt, mi dispiace- non avrei dovuto gridare.”, sussurrò. Kurt non lo aveva mai visto così devastato. “Solo- n-non farlo più. Me lo prometti?”

Kurt non sapeva cosa dire. Aprì la bocca per dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma non uscì proprio niente. Vide Blaine voltarsi e camminare lontano senza aspettare la sua risposta, mentre lui era rimasto lì, su quel ponte con l'album di disegno in mano, a tremare come una piccola foglia, senza capire che cosa era appena successo.

 

***

 

Per qualche strana ragione, quella stessa sera Kurt si mise a cercare l'indirizzo di Blaine sulla rubrica. Non aveva la più pallida idea di come avrebbe fatto a trovarlo visto che comunque non conosceva il suo cognome, ma aveva la speranza nel petto di poter risolvere ogni cosa con lui e aveva tutte le intenzioni di andare fino in fondo.

Verso tardo pomeriggio, dopo qualche tazza di caffè e immerso da liste di nomi ed indirizzi, Kurt stava per arrendersi, quando improvvisamente gli venne in mente che Blaine durante il loro primo incontro aveva detto lui che era un insegnate e lavorava alla scuola vicino alla gelateria. Non ci pensò nemmeno per un secondo: prese le chiavi della sua auto e guidò fino alla scuola primaria che era esattamente a un paio di chilometri dal suo posto di lavoro. Parcheggiò più vicino possibile, notando che dal portone stavano uscendo diversi bambini – probabilmente quelli che venivano seguiti nelle ore di recupero – ma non c'era traccia di Blaine. Nell'attesa, si rese conto che lì vicino c'era un minuscolo negozio di fiori e di nuovo, senza porsi troppe domande, Kurt entrò e chiese alla giovane commessa un mazzo di rose gialle e rosse. Non tutti i gesti avevano bisogno di una spiegazione, e Kurt voleva solo far capire a Blaine che gli dispiaceva molto per quello che era successo, che probabilmente aveva detto o fatto qualcosa che aveva urtato Blaine, e che non aveva alcuna intenzione di perderlo ora che si erano appena trovati.

Blaine uscì quando il sole era quasi completamente tramontato; teneva sotto braccio alcuni libri che avevano l'aria di essere molto pesanti, indossava degli abiti semplici e un paio di occhiali da vista – era trasandato ma dolcemente quotidiano, e il respiro di Kurt gli si fermò un attimo nella gola, prima che cominciasse a camminare verso di lui.

Quando Blaine lo vide i suoi occhi si allargarono leggermente e scivolarono sul mazzo di rose. Un piccolo sorriso sghembo si impadronì del suo volto, e le sue mani scattarono veloci tra i ricci e poi a sistemare gli occhiali sul naso che erano leggermente scivolati giù.

“Sono per te.”, disse piano Kurt, porgendogli il mazzo con delicatezza. Blaine lo prese con un gesto deciso; portò il mazzo di fiori al naso e rimase ad annusarlo a lungo, come se volesse imprimersi il loro profumo nell'anima.

“Ti ho detto tutte quelle cose e ho alzato la voce.”, sussurrò Blaine. “...e tu mi porti un mazzo di rose?”

Kurt si leccò le labbra distrattamente. “Io- uhm...volevo solo scusarmi. Anche se non capisco che cosa sia successo.”

“Non devi scusarti.”, disse immediatamente Blaine, avvicinandosi a lui con qualche passo. “Sono io ad aver sbagliato, dovrei scusarmi io.”

Kurt sorrise appena, avvolgendo il proprio corpo tra le braccia. “E' così strano.”, ammise in uno sbuffo.

“Cosa?”

“Il fatto che ti ho appena conosciuto, ma per qualche strana ragione oggi, quando ti ho visto andare via- ha fatto male.”

Gli occhi di Blaine erano enormi e luminosi. “Non volevo ferirti. Solo...mi sono spaventato a morte, non volevo ti accadesse niente.”

“Okay.”, sussurrò Kurt. “Non riuscivo a capire.”

“Di solito non lascio che le persone mi capiscano.”, soffiò Blaine immediatamente. “Ma...c'è un motivo per cui mi sono comportato così, credo. Anche se questo non rende il gesto meno sbagliato.”

“Non ce l'ho con te.”, disse piano Kurt. “Solo- per qualche strano motivo, mi spaventa l'idea di perderti, anche se non posso perderti, perché non sei mio.”, gli spiegò con calma. “Eppure anche adesso, l'unica cosa che vorrei è che tu mi dicessi che- che tra di noi è tutto a posto. Anche se non c'è nessun noi.”

Blaine lo osservava con un dolce sorriso sul volto. Si avvicinò a lui ancora di più, cercando una mano di Kurt con la propria e intrecciando le loro dita insieme. “C'è un noi.”, lo corresse con voce roca. “E' molto piccolo ancora, e lo so, ma- c'è un motivo se io osservavo te da lontano ogni singolo giorno, e tu lo facevi con me. Ci deve essere un motivo.”

Kurt sentì il proprio cuore scivolare fino alle caviglie e fu costretto a chiudere gli occhi per un singolo istante, cercando di assimilare le parole di Blaine.

“E quindi cosa succede?”, chiese Kurt a quel punto, la voce quasi impercettibile.

“Succede che ti chiedo scusa per come ti ho trattato oggi. E mi- mi dispiace di aver combinato un casino, ma la verità è che- è così tanto che non faccio avvicinare qualcuno a me, Kurt, che spesso mi dimentico di come si fa. Ma sì, per qualche strana ragione, anch'io ho paura di perderti. Di perdere quel piccolo noi.”

Kurt sbattè le palpebre diverse volte, prima di immergere i propri occhi in quelli di Blaine. “La prima volta che ci siamo visti mi hai detto che la vita non è stata tanto giusta con te.”, mormorò. Blaine annuì, così Kurt decise di continuare. “Sai, non è stato propriamente giusta nemmeno con me, quindi forse siamo solo- qualcosa di frastagliato, di rotto. Però in qualche modo- forse insieme possiamo funzionare.”

Blaine gli sorrise piano e lentamente. “Possiamo.”

Kurt ricambiò il sorriso. “Blaine?”

“Mmmh?”

“Ti va di dirmi i modi in cui la vita ti ha spezzato?”

 

Circa un'ora dopo stavano passeggiando per le minuscole e deserte vie di Lima. Blaine gli aveva raccontato della sua infanzia e della sua adolescenza, parlandogli della sua famiglia; suo padre lo aveva lasciato da molto tempo, era morto quando Blaine ancora andava al liceo, quando ormai era divorziato da sua madre da diverso tempo. Aveva un fratello che non si fermava mai e viaggiava per il mondo alla ricerca di qualcosa che, secondo Blaine, non sapeva nemmeno di volere.

Kurt gli disse di essere orfano di madre, ma di avere un padre che si era preso cura di lui e che gli aveva dato tutto l'amore di cui aveva bisogno. Gli disse di essersi laureato alla NYADA, ma dopo un repentino peggioramento della salute di suo padre a causa di un tumore benigno che gli avevano diagnosticato, Kurt aveva preso la decisione di tornare a Lima e di aprire lì la piccola gelateria. Suo padre ora stava bene, ma si sentiva decisamente meglio lì, a Lima, dove prendendo la macchina poteva raggiungerlo in pochi minuti, piuttosto che in un grande città a sentire la sua mancanza. New York gli mancava, e lo disse anche a Blaine. Blaine dal canto suo gli disse che c'era stato solo una volta, e che uno dei suoi più grandi desideri era quello di andare ad abitarci.

“Allora.”, disse a un certo punto Blaine, avvicinandosi a lui in modo che le loro spalle si sfiorassero. “Storie passate?”

Kurt arrossì immediatamente dopo aver sentito quella domanda. Cercò di ridacchiare per smorzare un po' la tensione, ma la verità era che per via di storie Kurt ci sapeva fare proprio come se la cavava un cucciolo di pinguino. Alzò gli occhi verso il volto di Blaine, ma non rimase a guardarlo a lungo, divorato dall'imbarazzo.

“Uhm- beh...ho avuto un ragazzo per qualche mese, al college.”, borbottò, passandosi una mano tra i capelli. “E davvero, vorrei potertene parlare bene perché dicono spesso che le prime storie non si scordano mai, ma per me non è stata un'esperienza piacevole. È durata una cosa come un paio di mesi. Lui era veramente preso da me, ed era...era carino, davvero. Un po' imbarazzante, quando mi faceva le serenate davanti ai suoi amici.”

A quel punto Blaine scoppiò a ridere.

“...l'ho lasciato io. Non perché non mi trovassi bene con lui, solo...mi sembrava di prenderlo in giro. Non pensavo quasi mai a lui, lo vedevo per inerzia. Mi piaceva la sua compagnia, ma mi resi conto presto che lo stavo facendo per non stare da solo.”

“Non era quello giusto.”, disse semplicemente Blaine, cercando i suoi occhi. Kurt sentì il cuore nella gola.

“Non era quello giusto.”, confermò, sorridendo appena. Fecero qualche altro passo, poi, dopo un bel respiro, Kurt trovò il coraggio di fare la stessa domanda a Blaine.

“E tu?”

Blaine a quel punto si incupì. Fu come se improvvisamente una bolla lo avesse avvolto completamente, impadronendosi dei suoi occhi e dei suoi movimenti. Sorrise appena, un accenno di sorriso in realtà.

“Sono stato sposato.”, disse semplicemente. Kurt continuò a camminare solo perché anche Blaine lo stava facendo, ma improvvisamente era come se tutto il mondo stesse andando al contrario. “Per quasi tre anni. Lui è- è morto in un incidente due di anni fa.”

Il cuore di Kurt perse qualche battito. Sentì la testa più leggera, come se improvvisamente non riuscisse più a stare in piedi con le proprie forze, e si sentì in dovere di fermarsi, costringendo anche Blaine a fare lo stesso. Blaine lo guardava da sotto le ciglia scure, un velo di lacrime che gli sporcava gli occhi.

“M-ma...”, soffiò Kurt, separando appena le labbra. “Ma come...Blaine-”

“Non ti preoccupare.”, sussurrò Blaine dolcemente, interrompendolo. “N-non devi dire niente. So quanto sia difficile avere a che fare con il dolore degli altri. Io...non mi sento miserabile, se devo essere sincero- mi rendo conto che per quanto ho potuto ho avuto tre anni con Ryan- s-si chiamava Ryan, sai.”, balbettò. “S-siamo stati felici, te lo garantisco, poi però è rimasto coinvolto i-in un incidente e- beh, non sono cose che puoi prevedere, no?”, chiese Blaine, passandosi una mano tra i capelli, maledicendosi per il fatto che la sua voce si stesse incrinando. Cercò di sorridere in mezzo a quel disastro. “D-devi scusarmi, penso sempre che sia facile parlare di lui ma-”

Kurt lo inglobò in un abbraccio, sollevando entrambe le braccia per poter immergere una mano nei ricci di Blaine e per ancorarsi con l'altra alla sua schiena. Appoggiò la fronte al suo collo, stringendosi forte a lui e chiudendo forte gli occhi, e Blaine – Blaine aveva sentito così tanti Mi dispiace nella sua vita, così inutili e vuoti di cui non si faceva niente, e invece ora un ragazzo che aveva conosciuto da poco lo stava stringendo dandogli tutto, ogni piccola cosa. E valeva molto di più delle frasi fatte e dei sorrisi di circostanza, e proprio per quello Blaine si ritrovò a stringerlo a sua volta, facendosi piccolo piccolo contro di lui e immergendo il capo nell'incavo del suo collo, lì dove spesso la pelle sapeva di casa e di dolore.

“Blaine, mi dispiace.”, soffiò quasi impercettibilmente Kurt, stringendolo appena di più. Blaine poteva sentirlo tremare con sé. “Non potevo immaginare- mi dispiace.”

E Blaine sentiva quanto realmente gli dispiacesse, sentiva il tremolio del suo cuore e percepiva il modo in cui le dita erano strette attorno al suo corpo per non lasciare che Blaine cedesse e si spezzasse. Sentiva la sua voce, e anche le sue lacrime. E gli credeva.

Rimasero abbracciati così per molto tempo, in mezzo a quel sentiero deserto di Lima illuminato dal bagliore di alcuni lampioni che c'erano sulla strada. Non seppero dire quanto tempo dopo Kurt si staccò da Blaine per guardarlo negli occhi – e c'era così tanto da dire ma al contempo non c'erano parole da usare, e così si arresero e lasciarono parlare le loro anime.

“Ti- ti va di ascoltarmi, Kurt?”, chiese Blaine a quel punto, abbozzando un piccolo sorriso. Kurt arricciò le labbra in risposta, e avrebbe tanto voluto dirgli che era lì, che era lì e non se ne sarebbe andato, che poteva dirgli tutto, e che non era più solo.

“Certo che puoi.”

 

Erano seduti al Lima Bean, uno di fronte all'altro; Kurt aveva ordinato due cappuccini per entrambi che ora si stavano raffreddando tra le loro dita, e Blaine non faceva altro che spostare lo sguardo da lui a quella tazza fumante, le guance rosse e le ciglia umide di pianto.

Cominciò a raccontare sovrastando il chiacchiericcio di quel posto, stringendo la ceramica della tazza tra le mani e senza staccare gli occhi da quello strano groviglio di dita.

“Ci conoscemmo l'ultimo anno di Liceo.”, disse con un sorriso dolce, l'ombra di quello che gli aveva lasciato il passato. “Io fino al quarto andai alla Dalton Accademy, e avevo intenzione di diplomarmi lì, ma poi mio padre morì e per mia madre fu impossibile continuare a pagarmi la retta, così fui costretto a trasferirmi al liceo pubblico di Westerville.”, spiegò lentamente. “Ryan era all'ultimo anno come me, lui- beh, penso che lo avresti notato subito anche tu. Era così genuino e naturale, lui- se ne fregava di quello che la gente aveva da dire. Era dichiaratamente gay, pronto a schierarsi contro chiunque se lo fave sentire inferiore per questo. Si candidò come rappresentante di istituto, e ci conoscemmo durante la campagna elettorale. Lui un giorno semplicemente si presentò e mi disse che mi voleva come suo vice. Scoprì solo dopo che anch'io ero gay. Non ero esattamente il tipo che andava a sbandierarlo ai quattro venti.”, disse Blaine, sorridendo di nuovo. “Ci vedevamo tutti i giorni, e ti lascio immaginare. Dopo pochi mesi eravamo insieme, ed io- ero felice. Lo ero davvero. Avevo perso tutto quell'ultimo anno: mio padre e i miei amici non c'erano più, mia madre era sempre via di casa, e poi improvvisamente era arrivato Ryan, ed era come se la mia vita potesse essere di nuovo colorata.”

Kurt annuì, il cuore che nel petto batteva come mille cuori nel vedere quanto Blaine fosse stato incredibilmente forte.

“...terminato l'ultimo anno ci trasferimmo a New York. I primi mesi furono perfetti, poi...beh, arrivarono le prime litigate, i primi veri problemi. Ci lasciammo anche per qualche mese, un giorno che Ryan era tornato al nostro appartamento per dirmi che si era preso una cotta per un ragazzo più grande. Ero devastato, io- lo amavo davvero tantissimo, e non riuscivo a crederci che stesse gettando via tutto per qualcuno che era arrivato dal nulla. La loro storia durò pochissimo, lui...tornò da me poco prima che cominciasse il terzo anno di college. Ci volle del tempo per tornare ad essere come prima, per fidarmi di nuovo di lui, ma riuscimmo a farla funzionare, e quella stessa estate mi disse che voleva chiedere a mia madre il permesso di sposarmi.”

Kurt spalancò appena gli occhi, a quel punto.

“Noi...noi ci amavamo davvero tanto, Kurt. So che può sembrare strano dopo quello che ti ho detto, ma a volte per trovare una persona hai bisogno di perderla, e quei mesi per noi furono davvero importanti per capire che non volevamo nessun altro al nostro fianco. Nessuno. Con questa consapevolezza, ci sposammo l'estate subito dopo la laurea.”

Kurt si rigirò la tazza tra le mani. “Cosa- cosa gli è successo?”

Blaine a quel punto si morse il labbro inferiore, scrollando le spalle leggermente. “Poco prima di sposarci mi disse che voleva arruolarsi per diventare militare. Lo amavo troppo per lasciarlo per una sciocchezza del genere, così gli dissi che per me andava bene, anche se dentro di me ero- devastato. Quello del militare è un lavoro così pericoloso, e non riuscivo a immaginare una vita in cui ero perennemente preoccupato per lui. I primi tempi cercai di resistere. Stava via mesi interi, io ero sempre solo. Quando potevamo sentirci al telefono piangevo quasi sempre. Poi c'erano i momenti in cui tornava, e quelli- dio, ero così felice. Era un amore così: mi dava tutto e poi lo trascinava via, lasciandomi vuoto.”

Kurt vide quanto tutto quello stesse facendo male a Blaine. Si sporse leggermente, raccogliendo una sua mano.

“L-lui...v-voleva dimettersi. Mi aveva promesso che lo avrebbe fatto. Cominciavamo a parlare di trasferirci in un appartamento più grande, volevamo una famiglia. Doveva tornare la prima settimana di Settembre, e invece-”, un sussulto, e Blaine strinse forte le palpebre. “N-non tornò più. Incidente aereo. Non trovarono più nessun corpo. Se n'era andato- così. Non mi aveva lasciato niente. Persino la sua bara era vuota.”

“Blaine.”, sussurrò piano Kurt, avvicinandosi a lui il più possibile. “Fermati, puoi fermarti se vuoi-”

“Lo sai la cosa che più mi ha fatto male?”, chiese Blaine in un sussurro, cercando i suoi occhi. “Che è stata colpa mia.”, ringhiò, come se tutta la rabbia che sentiva non riuscisse più a contenerla. “E' stata colpa mia, lui- lui sarebbe dovuto tornare la settimana dopo, io gli ho chiesto di tornare prima e quello stupido aereo è finito in mezzo a quella stupida tempesta e-”

“Blaine, no.”, sussurrò piano Kurt, raccogliendo entrambe le sue mani. “Non farti questo- non puoi dire questo.”

“Mi sembra di avercelo messo io su quell'aereo, Kurt.”, borbottò Blaine, calde lacrime che scendevano copiosamente dai suoi occhi. “Io gli ho chiesto di tornare, io. Io l'ho praticamente ucciso-”

“Blaine.”, soffiò Kurt, il fiato incastrato nella gola. Allungò le mani per avvolgere il suo viso, impedendogli di continuare oltre. “Non dire così. Non osare mai più dire una cosa del genere- non pensarlo nemmeno.”

Blaine a quel punto si rannicchiò vicino al corpo di Kurt con un sospiro tremolante, lasciando che il castano riempisse i suoi vuoti e avvolgesse il suo corpo come poteva, immergendo una mano tra i suoi capelli e permettendogli di appoggiare il viso alla sua spalla.

“Lui doveva tornare.”, soffiò Blaine poi, le labbra che vibravano contro il collo di Kurt. “Doveva tornare, e non è tornato per colpa mia. Perché io volevo qualche stupida manciata di ore in più.”

Kurt lo strinse un pochino più forte, immergendo la punta del naso tra i suoi capelli. “Non dire così, Blaine.”, sussurrò. “Sono sicuro che anche lui volesse quelle ore in più, esattamente come le volevi tu. Stava tornando da te, e sono certo che non aveva esitato, perché quelle ore lui le voleva.”, continuò piano. Mosse la mano per appoggiare due singole dita sotto il mento di Blaine, permettendo ai loro sguardi di incontrarsi. “Le avrei volute anch'io, Blaine.”

Blaine sbattè le palpebre un paio di volte, a quel punto, perché era quasi certo che la creatura che lo stava tenendo tra le braccia non fosse reale – non era reale il fatto che qualcuno lo cullasse come aveva fatto Kurt, non poteva essere reale che qualcuno avesse dentro di sé tutta quella forza e quella grazia, e che sapesse mescolarle per tenerti in vita. Blaine si perse a osservare i dettagli del suo viso, le piccole lentiggini che si vedevano solo da lì che gli cospargevano il naso, gli occhi lucidi e le ciglia chiare, e pensò che un ragazzo del genere meritava solo bellezza dalla vita, bellezza e coraggio, perché qualcuno con un cuore così enorme non poteva conoscere il buio, o gli sbagli, o la tristezza.

Per tutto quel tempo Blaine aveva sempre avuto paura di avvicinarsi a qualcuno, di provare di nuovo, di sentire la vita scorrere nelle vene. Ma per la prima volta dopo anni, vedere Kurt e il colore dei suoi occhi gli faceva venire voglia di provare tutto da capo - di spezzarsi, ancora e ancora, tutto da capo. Non gli faceva più paura.

Per la prima volta dopo la morte di Ryan, Blaine smise di sentirsi in colpa per qualche istante. Per la prima volta dopo la morte di Ryan, sentì il cuore battere per qualcosa che non fosse dolore. E per quello si aggrappò al corpo di Kurt, forte, perché non poteva impedire che quella luce gli scivolasse via dalle dita, non ancora.

 

***

 

Le stelle erano piccoli puntini che allagavano il cielo che li sovrastava mentre camminavano per tornare verso la macchina Kurt, e Blaine per tutto il tragitto non aveva fatto altro che perdersi nelle parole che quel giovane uomo gli diceva, nella sfumatura della sua voce, nella dolce curva che le sue labbra assumevano quando rideva e scherzava. Blaine non aveva mai davvero creduto che il tempo potesse dare seconde opportunità – il dolore, quello vero, ti si insinuava dentro e a volte aveva la capacità da toglierti la voglia, e Blaine credeva davvero di non poterla trovare più. Ma stare tra le braccia di Kurt – essere protetto da qualcuno che non fosse sé stesso era stata una tortura. E Kurt sembrava così ignaro di essere al centro dell'attenzione – così forte e bello e irraggiungibile e incredibilmente bello, quasi come un'entità inafferrabile – e Blaine lo voleva afferrare.

Riportarlo sulla terra e tenerlo con sé.

“E' da quando abbiamo lasciato il Lima Bean che mi guardi in modo strano.”, soffiò Kurt, dandogli una leggera spallata. Blaine non riusciva a smettere di guardare i suoi occhi.

“Non è vero.”, mormorò. “Ti guardo e basta.”

“Mi guardi e basta.”

“E' facile guardare le cose belle.”

Blaine non aveva notato con quanta facilità Kurt arrossisse, ed era qualcosa di nuovo e che faceva pungere qualcosa di inaspettato nel suo petto. Far ridere le persone, farle sentire speciali. Era qualcosa che credeva di aver dimenticato.

“Sai, non- non avevo mai detto a nessuno di Ryan.”, disse piano Blaine, continuando a camminare. Non voleva che la conversazione si concentrasse solo su quello, ma aveva bisogno che Kurt gli credesse. “Poi arrivi tu.”

Kurt ebbe la presunzione di sentirsi privilegiato. “Sono contento che lo hai fatto. Sembri- sembri proprio quel tipo di persona che tenta di nascondere il proprio dolore per dimostrare agli altri che sta bene, sai? Ma a me puoi dirlo, Blaine. Non devi fingere.”

“No?”

“Mai.”, soffiò Kurt. “Se c'è qualcosa su cui non devi fingere è il dolore.”

Blaine voleva dirgli che era d'accordo, voleva dirgli un'infinità di cose, in realtà, ma erano arrivati alla macchina troppo presto e adesso entrambi avrebbero cercato di capire il modo più consono di salutarsi e Blaine non voleva lasciarlo andare, non così, non adesso. Voleva almeno altre mille passeggiate, e voleva quel sorriso, quelle mani appoggiate alle spalle.

Kurt si voltò verso di lui per cercare qualsiasi cosa da dire, il viso concentrato in un dolce sorriso che sapeva di Ci vedremo presto, vero? “Allora, uhm- penso che andrò-”

“Posso rivederti?”, chiese Blaine a quel punto, avvicinandosi a lui con un gesto repentino ma lento, e Kurt si ritrovò a spalancare gli occhi di sorpresa.

“Certo. Certo, ci vediamo sempre, Blaine-”

“Al Lima Bean-”, sussurrò Blaine, mordicchiandosi piano il labbro inferiore. “C'era qualcosa che volevo dirti mentre mi stavi stringendo. Ma non ci sono riuscito.”

Kurt annuì.

“Dopo Ryan, io- non c'è più stato nessuno, Kurt.”

“Va bene così.”

“Dici davvero?”, borbottò Blaine. “Perchè la maggior parte delle volte mi sembra di essere- non lo so, un adolescente alla sua prima cotta, che non ha la più pallida idea di cosa fare e come farlo. E mi sento così- così piccolo, io-”

“Non lo sei.”, soffiò appena Kurt. “Non penso a quello quando sto con te- è l'ultima cosa a cui penso, io vedo solo quest'uomo incredibilmente forte che ha voglia di ricominciare.”

“Sono davvero imbranato, Kurt.”

“Non m'importa.”, borbottò Kurt, sbuffando una risatina. “Siamo in due.”

“Tu sei incredibile.”, lo corresse Blaine, annullando la loro insignificante distanza e prendendo il volto di Kurt tra le mani. Le loro fronti si scontrarono dolcemente e Kurt si sentì – soffocare, quasi soffocare. Separò le labbra per immagazzinare più aria che poteva e chiuse gli occhi, le mani che tremavano infossate nella giacca di Blaine.

“Stiamo-”, soffiò appena. “Stiamo correndo troppo, non credi?”

“N-non lo so.”, rispose semplicemente Blaine, la voce che traboccava di sincerità. “Io non- non lo so, ti giuro che non lo so, è come se non potessi decidere quando tu mi sei vicino.”, sussurrò vicino alle sue labbra. “Solo- sono abbastanza adulto e ho sofferto abbastanza nella vita da capire che tu sei qualcosa di diverso, Kurt, e sei qualcosa che voglio tenermi stretto. Non ti permetto di andare via.”

“N-non voglio andarmene.”, disse Kurt. “Solo- non hai paura?”

“Da morire.”, disse di rimando Blaine, accarezzandogli piano i capelli. “Ma era- era un'intera vita che non provavo certe cose e ora sono qui- e mi sembra di rinascere, Kurt.”, ammise chiudendo gli occhi. “Ecco cosa mi fai.”

C'era un filo a separarli, un filo d'aria insignificante e inesistente eppure nessuno dei due si avvicinò per colmarlo, e così Blaine si limitò a lasciare le sue labbra sulla guancia di Kurt, respirandolo, facendo proprio il suo profumo e lasciando che gli penetrasse nella pelle, sotto la carne dove c'erano i muscoli e i nervi e il sangue scorreva, lì al centro della vita.

“Ma non così.”, disse infine. “Esci- esci con me, va bene? Una cena, questa volta. Qualcosa di importante, ti porto- ti porto in un posto speciale, ti piacerà, lo prometto.”

A Kurt brillavano gli occhi. “Un appuntamento?”

“Sì.”, disse fermamente Blaine, ed era così felice che era intossicante, quasi, tutto grazie a quel ragazzo giovane e speciale. “Hai ragione- non dobbiamo per forza correre. Non correremo, lo prometto.”

Kurt annuì lentamente e si perse ancora un po' in quegli occhi fatti d'oro – e si chiese il momento esatto in cui la sua vita era definitivamente cambiata così drasticamente, ma tra le braccia di Blaine, in quell'istante, non riusciva proprio a capirlo.

 

***

 

Quel venerdì sera, Blaine guidò fino all'appartamento 6a di una via abbastanza lontana dal centro di Lima, quella che Kurt gli aveva pazientemente indicato in un foglio spiegazzato di un vecchio taccuino. Parcheggiò fuori dal vialetto e andò all'ultimo piano, e quando arrivò di fronte alla sua porta gli bastò suonare diverse volte, prima che qualcuno gli aprisse.

“S-sono impresentabile e terribilmente in ritardo.”, esordì Kurt dall'altra parte della porta. “Aspettami in salotto, fa' come se fossi a casa tua- giuro che ci metto poco.”

L'ultima cosa che rimase a Blaine fu la scia del suo profumo. Entrò e lo vide sparire su per le spalle, e l'unica cosa che potè veder fu un scorcio del suo corpo slanciato, avvolto da vestiti non ancora sistemati.

Blaine si guardò intorno, sfiorando e immergendosi in quello che poteva definire come il mondo di Kurt. C'erano piccole e grandi cose che gli appartenevano e che lo facevano il giovane uomo che Blaine aveva conosciuto – e c'erano aspetti nuovi di lui, tutti da scoprire, come una passione sfrenata per Vogue (a giudicare dalle innumerevoli riviste sui comodini) e dei libbriccini che parlavano di musica.

Esattamente diciassette minuti dopo, Blaine sentì dei passi provenire dalle scale e si voltò dalla poltrona sulla quale si era seduto – Kurt lo guardava dall'alto, un completo semplice che fasciava il suo corpo longilineo in un modo quasi perfetto, la giacca che cadeva mollemente sulla spalla, tenuta su con due dita.

“Wow.”, bisbigliò Blaine, le labbra che gli si curvavano in un sorriso.

Kurt rise, cercando di nascondere il rossore presente sulle sue guance. “Non è nulla di che.”, borbottò, scendendo piano piano, come se volesse farsi assaporare. Kurt non aveva paura di essere guardato; non c'era malizia in quei gesti, però, solo pura e semplice grazia, e voglia di piacere, ma nel senso più naturale del termine.

Fu Kurt a sporgersi per dargli un bacio sulla guancia, e Blaine chiuse gli occhi, facendo finta per un attimo che quel tocco potesse durare più di una manciata di secondi. Quando si staccarono, il volto di Kurt era arricciato da una smorfia felice.

“Allora.”, esordì. “Dove mi porti?”

Blaine gli porse la mano, e Kurt l'accettò senza un minimo di esitazione.

“Vedrai.”

 

C'erano tavolini elegantemente apparecchiati all'aperto e lucine dappertutto, e Kurt per un attimo si chiese se i vestiti che aveva scelto fossero minimamente abbastanza per un posto del genere – un posto in cui c'era un'orchestra, e i camerieri vestiti di tutto punto, diversi tipi di posate. Blaine sembrava assolutamente tranquillo, nel suo sorriso indossato con disarmante complicità. A volte Kurt aveva quasi paura del modo in cui Blaine sorrideva, a maggior ragione perché sapeva quanto avesse sofferto. I sorrisi delle persone che hanno sofferto sono quelli veri, quelli non celati, liberi da qualsiasi costrizione. Blaine sorrideva perché voleva.

“Rilassati.”, gli sussurro vicino all'orecchio, prima che furono sistemati in un tavolino al centro dell'enorme terrazza che dava su un piccolo lago lì a Lima. “Sembri teso.”

“Questo posto dà l'idea di costare una fortuna.”, disse semplicemente Kurt, raccogliendo la carta del menù. C'erano pesci di cui non aveva mai sentito il nome.

Blaine sorrise, un sorriso piccolo che voleva dire Non è qualcosa di cui voglio che ti preoccupi – e poi Kurt pensò al modo in cui si stava comportando, pensò a come lo avesse visto a suo agio, e per la prima volta si chiese se Blaine avesse scelto quel posto perché magari era stato importante per lui e Ryan e-

“E' la prima volta che vengo qui.”, sussurrò Blaine, come se avesse capito le sue preoccupazioni. “Il proprietario- lui è un amico abbastanza intimo di mio fratello, si chiama Noah Puckerman. È un personaggio piuttosto unico, dovresti conoscerlo.”

Kurt lasciò andare l'aria che non sapeva di star trattenendo. Scelsero il menù di quella notte, poi Blaine gli raccolse una mano tra le sue.

“Allora.”, soffiò. “Bellissime le stelle questa notte, non è vero?”

 

C'era qualcosa di estremamente intimo nel guardare uno specchio d'acqua quando si faceva buio. Kurt aveva sempre pensato che quando l'acqua diventava scura come la pece nascondesse qualcosa di orribile, e che solo i più coraggiosi avevano la forza di guardarla. Lui con Blaine lo stava facendo: ai piedi di quel laghetto, dopo un magnifica cena, rannicchiati vicini su una panchina poco illuminata, i loro occhi scivolavano tra l'acqua e le stelle sopra di loro.

Blaine lo teneva vicino come non lo aveva tenuto vicino nessun uomo prima di lui, e lo guardava in un modo dolce e aperto che faceva contorcere qualcosa di enorme nello stomaco di Kurt. Si era tolto la giacca e l'aveva posata sulle sue spalle esili senza dire niente e Kurt gli era infinitamente grato, perché nonostante fosse ancora estate, Settembre si stava avvicinando, e l'aria di sera era più pungente.

C'era una vena – una piccola vena sul collo di Blaine, invitante e calda che spuntava fuori dal colletto della sua camicia, e Kurt non riusciva a staccarle gli occhi di dosso quella sera. Si chiese come potesse essere sfiorarla con le dita e con le labbra, che suoni avrebbe fatto Blaine se lo avesse fatto. Se fosse stato un pochino più audace, Kurt si sarebbe sporto e l'avrebbe baciato come fanno gli amanti – ma Kurt non era capace, era un novellino, e Blaine un uomo, un uomo che per di più era stato sposato, e-

“I tuoi pensieri sono rumorosi.”, borbottò Blaine, facendolo ridacchiare.

“No, uhm- solo- guardavo le stelle.”, cercò di giustificarsi Kurt. Blaine gli fece passare le dita attorno ai fianchi, e Kurt si sentì autorizzato a lasciare andare la testa contro la sua spalla – lì dove il suo profumo era netto e pungente e Blaine, solo Blaine.

“Sai- ripenso spesso alle cose che ti ho detto giorni fa.”

“Non sono più arrabbiato, Blaine.”

“No, lo so, l'ho capito.”, soffiò Blaine. “Io volevo solo che sapessi- non lo faccio apposta. Credo sia successo perchè- meccanismo di difesa, suppongo? Ho già perso tanto, non voglio perdere ancora qualcosa.”

“Lo avevo capito.”, mormorò Kurt. “Dopo che mi hai detto di Ryan avevo capito tutto.”

Kurt si fece ancora più piccolo contro il suo corpo, e Blaine lo strinse più forte.

“Non devi avere paura di lui.”, soffiò tra i suoi capelli. “Di parlare di lui, o qualsiasi cosa. È passata.”

“Mi sembra sempre di- invaderti, non lo so.”, si scusò Kurt. “E' come se fossi un intruso. Come se stessi sbirciando la tua vecchia vita da una porta troppo grande.”

“Io non voglio che sbirci. Io voglio che tu sappia tutto, Kurt.”

I loro occhi si trovarono a quel punto, ambra dorata in un oceano di certezze mischiate e vulnerabilità – Blaine sollevò una mano e avvolse la guancia di Kurt, gli sorrise dolcemente.

“Ti voglio nella mia vita, Kurt.”

“Okay.”

“Ma non credo- non credo mi basti più vederti da lontano, desiderarti da lontano.”

Kurt deglutì, l'iride quasi scomparsa per via del buio e lo stupore. “O-okay.”

“Se volessi di più, Kurt?”, sussurrò Blaine. “Se volessi di più, tu cosa diresti?”

“Direi di sì.”, mormorò Kurt, e non ci pensò minimamente. “Mille volte sì.”

“Allora devi- credo che tu debba fare qualcosa, capisci Kurt? Devi farlo tu però, perché io- io ho come l'impressione di non riuscirci, come- è come se mi fossi dimenticato. Ho dimenticato come si fa.”

Kurt fece scivolare il proprio sguardo dalle labbra piene e morbide di Blaine ai suoi occhi, e poi ancora, e di nuovo, fino a quando i suoi occhi avevano tracciato ogni singolo contorno del suo viso – e poi sorrise appena, una linea leggermente sollevata.

“Ti insegno io.”, mormorò semplicemente, quasi senza fiato, prima di far incontrare le loro labbra. Si baciarono a bocca chiusa, sotto la luce fioca dei lampioni, e tutto ancora era fragile e complicato tra di loro, senza sapere nulla del futuro, o di cosa avrebbero fatto il giorno dopo. Ma non smisero. Rimasero a baciarsi per ore intere, e smisero di essere timidi e innocenti e Blaine avvolse il volto di Kurt completamente per tenerlo fermo e sforzare la sua bocca con la lingua e e Kurt ridacchiò nella sua bocca, aggrappandosi alla sua camicia leggera, tremando di paura e di emozione.

Perchè quello era ciò che Blaine era. Emozione.

 

Blaine, nella stanza da letto del suo appartamento piccolo e buio, spogliò Kurt come se fosse qualcosa di estremamente prezioso e speciale. E fragile. Un miscuglio che lo faceva impazzire e che gli faceva ribollire il sangue per quanto lo voleva – voleva quel giovane uomo, nonostante avesse paura che non fosse abbastanza volere qualcuno per sistemare il proprio cuore, nonostante Kurt fosse dannatamente giovane e lui vivesse con il cuore spezzato, ma Kurt quel cuore lo aveva preso tra le dita e lo aveva tenuto al sicuro per quanto possibile, e per la prima volta dopo anni – dopo anni, un'infinità di ore e di minuti – Blaine cominciava a credere che l'amore in una persona poteva rinascere, se lo volevi.

Kurt lo baciava come se avesse paura di perderlo.

Lo baciava come se lo volesse tenere al sicuro.

Lo baciava come se volesse afferrare con le dita ogni fibra del suo cuore e ricomporla, proprio come si fa con le fondamenta di una casa. Lo baciò e lo baciò e lo baciò ancora, e si attaccò alla piccola vena che aveva appena sopra la linea arcuata che portava alla spalla, facendolo ansimare di piacere e stupore insieme.

Si concessero di fare tutto con calma. Si sdraiarono sul letto e si spogliarono, concedendo ai propri occhi di venerare il corpo dell'altro accompagnati dalle loro mani – e c'erano frasi piccole e frastagliate, e si infrangevano sulla pelle del petto, o del viso, del collo o dei fianchi.

“Sei bellissimo.”

“Non so come ho fatto a trovarti.”

“Promettimi che quest'adesso è per sempre.”

E Blaine lo teneva saldo al letto sotto di lui, premendo le mani sulla sua schiena e baciandolo a lungo, imparando di nuovo come si faceva a baciare e abituandosi alle labbra di Kurt – si modellò a quel corpo, e fu quasi sopraffatto dalla paura che provò nel realizzare che sembravano costruiti per combaciare. Blaine sembrava stato plasmato per scomparire tra quelle cosce, le loro mani per trovarsi e colmare i vuoti formati dalle dita.

Kurt ansimava e inarcava la schiena e sussurrava il suo nome in continuazione, e fu più o meno quando Blaine gli tolse i boxer che cominciò ad agitarsi, insistendo per mettersi a sedere.

“Blaine, c'è una cosa che devo dirti.”, borbottò, cercando i suoi occhi enormi. Blaine si leccò le labbra, senza smettere di osservarlo.

“Non ho mai- sì insomma, è la prima volta che...”

Blaine annuì, perché semplicemente lo sapeva. Gli baciò una guancia, gli chiese se volesse che continuassero.

“E' solo- so che ho ventitré anni, okay Blaine? E che sono grande, e che è assurdo che magari non l'abbia ancora fatto, è solo che non ho mai trovato nessuno, capisci? Poi arrivi tu, e improvvisamente- improvvisamente aspettare non ha più senso.”

Blaine lo baciò, piano e lentamente, permettendo a Kurt di perdersi. Disegnò cerchi sul suo stomaco e sulle sue guance, poi Kurt lo baciò un pochino più forte – e aprì gli occhi.

“Voglio davvero fare l'amore con te.”, soffiò lui. “Ma ho paura.”

“Anch'io sono terrorizzato.”, ammise Blaine. “Ma entrambi avremo qualcosa di insegnare all'altro.”

Lasciarono scivolare i loro corpi l'uno addosso all'altro fino al momento in cui la frizione fu troppo bella troppo perfetta troppo troppo troppo da sopportare e allora Blaine allungò le dita verso il comodino e prese un preservativo e il lubrificante e li gettò verso Kurt, sorridendo appena. Si sporse verso il suo orecchio, lo leccò in parte.

“Voglio che sia tu a farlo con me.”

Blaine percepì il corpo di Kurt tendersi come un arco contro il suo, i suoi occhi cerulei che si riempivano di incertezze ma al contempo di cieca aspettativa e allora si mossero insieme, Blaine che ora era sotto Kurt con le gambe aperte, Kurt che tremava sopra di lui.

“Io-”, farfugliò, accarezzandogli le guance. “Blaine, io-”

“Va tutto bene.”, gli promise Blaine, prendendogli il volto tra le mani. “Con calma.”

“Con calma.”, ripetè Kurt, baciandolo sulla fronte, sulla tempia, vicino alla bocca. E poi lo preparò con cura, ascoltando i suoi gemiti e imparando a conoscere il suo corpo, vedendolo tendersi per lui, sentendosi potente come mai in vita sua. E poi si perse, infilando il suo membro nell'apertura di Blaine e cominciando a muoversi come in apnea, dentro e fuori dentro e fuori dentro e fuori, a un ritmo cadenzato e straziante, piano, per farlo durare il più possibile, Blaine che tremava e si aggrappava al suo corpo come se stesse annegando.

E piano piano il piacere si annidò in ogni parte del loro corpo e i loro movimenti smisero di essere cadenzati e gentili e li portarono alla deriva, ed entrambi vennero con dei suoni sgraziati che abbandonarono le loro gole e poi Kurt si accasciò su Blaine, lasciandosi cullare dal tepore del dopo orgasmo.

Blaine gli accarezzava i capelli e gli sussurrava continuamente grazie all'orecchio – grazie di avermi trovato, grazie per essere stato qui, grazie perché mi hai salvato da una vita senza senso.

E Kurt voleva dirglielo. Fare quella follia perché aveva senso ora che avevano fatto l'amore; c'erano quelle parole attorcigliate lì sulla sua lingua – Ti amo ti amo ti amo è presto lo so ma ti amo e non sono mai stato sicuro di niente ma di questo sono sicuro - ma sapeva che era terribilmente presto e che Kurt non sapeva nulla di quel sentimento, quindi spinse via tutto ripetendosi che non era arrivato il tempo. Non ancora.

Ebbe l'impressione che Blaine gli avesse detto “Un giorno non avrai paura di lasciarti andare”, ma Kurt era già quasi completamente addormentato, troppo disinibito per capire se si trattasse di un sogno o di realtà.

 

***

 

Il mattino dopo, pallidi raggi di sole accarezzavano la pelle di Kurt. La sua schiena era esposta e tesa, la linea netta del corpo che usciva fuori dalle lenzuola attorcigliate attorno al suo bacino e poi giù, nelle gambe. Mosse le dita nello spazio attorno a lui, con leggerezza e attenzione, e non trovando niente si svegliò quasi subito, sollevandosi con un colpo di reni.

I suoi occhi erano ancora piccoli e poco abituati alla luce, ma era certo di essere solo. “Blaine?”, chiamò cautamente, rigirandosi tra le coperte e passandosi una mano tra i capelli sfatti. “Blaine?”, disse più forte, cercando la sua figura appena dopo la porta che dava sul corridoio, la stessa porta che la notte prima avevano chiuso con calma per lasciare il resto del mondo fuori da quella stanza. “B-Blaine?”, quasi urlò per farsi sentire, un certa ansia che cominciava ad attanagliarli il petto, e proprio mentre Kurt stava scivolando fuori dal letto, Blaine comparse sulla soglia con addosso una camicia aperta sul davanti e un paio di boxer, i riccioli scuri e morbidi che gli ricadevano un po' dappertutto, e un vassoio colmo di cibo tra le mani.

“Ehy, buongiorno.”, sussurrò dolcemente, gli occhi che brillavano di qualcosa di non detto che fece contorcere lo stomaco di Kurt. Si ritrovò a sorridere a sua volta, ingoiando il groppo che gli era nato nella gola.

“Ehy.”, soffiò. “Pensavo- non ti vedevo qui, e ho pensato-”

“Che me ne fossi andato?”, borbottò Blaine, camminando verso il letto lentamente e sedendosi, appoggiando il vassoio di lato, così da poter essere vicino a Kurt. “E' il mio appartamento, non posso andarmene.”

“Sì, uhm- lo so.”, borbottò Kurt, le gote che gli si tingevano di puro imbarazzo, mentre Blaine lo guardava con gli stessi occhi che gli aveva riservato mentre facevano l'amore. Lasciò che si avvicinasse e che facesse passare un braccio attorno alla sua vita e lo attirò a sé, baciandolo piano e languidamente, modellando le loro bocche insieme, come in un miscuglio di colori, e Kurt gemette perché a parte il lenzuolo era completamente nudo ancora da quella notte, e Blaine stava disegnando cerchi irregolari sulla parte bassa della sua schiena, i nervi a fior di pelle.

“B-Blaine-”, tentò di dire Kurt, quando Blaine abbandonò le sue labbra per dedicarsi alla mascella e alla parte più esposta della gola, lì dove spuntavano piccoli marchi delle ore precedenti. “Questa notte- uhm- è-è stato perfetto. Voglio dire- uhm, non esiste la perfezione, credo-”, farfugliò, prima che Blaine lo baciasse piano sulle labbra, tenendogli la testa ferma. “M-ma quello che è successo stanotte è ciò che più ci va vicino, per me.”

Blaine gli sorrise e lo baciò più a fondo, le sue mani che cominciavano a muoversi per inglobarlo in una stretta e Kurt sospirò quando la pelle dei loro corpi entrò in contatto, la stoffa della camicia di Blaine che era l'unico, stupido impedimento.

“Ti voglio ancora.”, sussurrò Blaine sulla pelle arrossata delle sue labbra, muovendo le mani sul suo stomaco e con le dita di una sola raggiungendo il suo membro già teso. “Così tanto, non hai idea.”

Kurt non riuscì a controllare il rantolo che scappò via dalle sue labbra, che si infranse sulle labbra rosse e tumide e violate di Blaine da quella notte. Con una spinta Blaine si si distese sopra di lui, senza mai smettere di muovere le dita, strappando a Kurt gemiti e mugolii di apprezzamento.

“Dovremmo-”, soffiò Kurt, immergendo una mano tra i suoi ricci. “Dovremmo fare colazione, Blaine-”

Blaine ridacchiò, baciandolo piano sul naso. “Non la stiamo già facendo?”, chiese con un ghigno largo e disinibito, prima di spostare la bocca su uno dei suoi capezzoli, avvolgendolo languidamente. Kurt gettò la testa all'indietro con un grido soffocato, inarcando la schiena e non vedendo altro che bianco bianco bianco attraverso le palpebre chiuse.

“C-credevo a-avessi fame.”, borbottò. Non sapeva nemmeno perché riuscisse a parlare, ma gli sembrava un buon quesito da porre a Blaine.

“Infatti ce l'ho. Fame, così tanta fame, non hai idea.”, Blaine rispose con voce roca e dolce, spostandosi sempre di più verso il basso, lasciando una scia bagnata con la punta della lingua. “Di te.”

Kurt lasciò che accadesse, stringendo forte i pugni attorno ai riccioli soffici di Blaine e per un attimo dimenticandosi il suo nome, da dove provenisse, tutto ciò che credeva fosse una certezza nella sua vita – perché Blaine gli portò via tutto. La sua bocca era calda e bagnata e dolce ed esperta e profonda e – Kurt si sentì sopraffatto perché ogni cosa stava cambiando nella sua vita, e forse era tutto quello ciò che aveva aspettato, quel brivido, quell'emozione che lo travolgeva e lo risucchiava.

 

Blaine si era mosso così lentamente dentro di lui che Kurt aveva creduto che si fossero addormentati in certi punti, semplicemente – scivolati in un sonno profondo e piacevole, insieme, carne nella carne, con Blaine che gli sfiorava i capelli con il naso e lo baciava con la lingua e poi gli diceva che si sentiva sopraffatto, che non credeva di poter provare ancora, che Kurt lo aveva salvato.

Kurt non credeva di essere abbastanza forte da salvarlo. Non riusciva a capire nemmeno come avesse fatto, ma dal modo in cui Blaine lo guardava non sembrava mentire, e allora provò a crederci, chiudendo gli occhi e annegando. Impresse le dita nella schiena di Blaine, probabilmente lasciandogli i segni delle unghie, e poi si mosse, si mosse veloce contro di lui per sentirlo tutto, per dargli e volere tutto, ogni piccola cosa.

E Blaine gliela diede senza riserve.

Quando finì Blaine venne guardandolo negli occhi – e non ci furono parole per minuti interi, solo due corpi che tentavano di riprendere fiato uno addosso altro. E poi Blaine si sporse e lo baciò, separandogli le labbra stanche con la lingua, e fu lento, lento lento lento, e Kurt ebbe l'impressione di precipitare nel buio.

Quando Blaine si staccò, Kurt alzò le dita e premette il pollice contro il suo labbro inferiore, facendo scorrere il suo sguardo tra le sue labbra e gli occhi che narravano mille storie diverse e tutte dolorose, ma in ogni caso quello che era appena successo sembrava un finale perfetto.

E Kurt era davvero sul punto di dirglielo, dire quelle due piccole fragili enormi immense parole-

“Dimmelo.”, soffiò Blaine, senza distogliere lo sguardo. “Kurt- dimmelo. Non avere paura.”

Kurt si mordicchiò il labbro inferiore e gli concesse un sorriso appagato, si sollevò per baciargli una guancia e morderla piano, l'eco di un desiderio viscerale. “E' troppo presto, Blaine. N-non so sono pronto. E se lo sei anche tu.”

Blaine annuì semplicemente, come se avesse già capito tutto da tempo. “Ma un giorno lo saremo, vero?”

Kurt immerse il volto nell'incavo della sua spalla. “Sì. S-sì, lo saremo. Lo spero tanto. Sì.

 

***

 

A Kurt piaceva sbirciare nella vecchia vita di Blaine, perché se Blaine era la persona che era adesso, l'uomo di cui si stava perdutamente e irrimediabilmente innamorando, era grazie a quello, il suo passato.

Quindi la sera a volte aspettava che si addormentasse sul divano per sgusciare via dalla sua stretta e così andare alla ricerca di foto vecchie e consunte, di un Blaine liceale e felice, o un po' più piccolo, quando le sue guance erano ancora morbide e tonde. Esaminò le foto della sua famiglia, imparò i lineamenti di sua madre – una donna bellissima – e lo rivide nel volto di suo padre.

Una sera Blaine era letteralmente crollato sul divano, rannicchiandosi con il volto schiacciato sul bracciolo dopo aver corretto un'infinità di compiti – Kurt gli aveva sfilato gli occhiali con cautela e poi si era avvicinato a un cassetto che c'era lì in salotto, un cassetto che Kurt non aveva ancora aperto, in quei mesi in cui lui e Blaine avevano creato qualcosa.

Si imbattè in diverse foto in cui c'era Ryan insieme a Blaine. Kurt – Kurt sapeva del loro amore, aveva in un certo senso sentito l'amore di Blaine per quell'uomo attraverso di sé, amandolo, ma vederli – vederli era diverso, era ammettere che quella vita fra di loro fosse realmente esistita. E Kurt – non era geloso, non poteva essere geloso di qualcosa che non aveva potuto controllare, di un Blaine che non era suo, ma vederlo lì, immortalato nel giorno del suo matrimonio con il sorriso più bello e sincero che gli avesse mai visto fece male al livello del petto, e francamente Kurt non aveva la più pallida idea di come controllare quella sensazione.

La mano che gli strinse la spalla e che poi gli accarezzò la schiena fu totalmente inaspettata e così sussultò, ritrovandosi poi tra le braccia di Blaine, che lo stava stringendo, lì messo in ginocchio.

“Eravate così felici.”, soffiò Kurt.

“Sì. Lo eravamo.”

Kurt ripose le foto nell'enorme cassetto che aveva davanti, rifiutandosi di osservarne altre. Gli sembrava di violare qualcosa di sacro, come se stesse disperatamente cercando di vedere e capire qualcosa che era dietro una porta chiusa.

“A volte-”, esordì, schiacciandosi verso il corpo di Blaine, appoggiando la testa al suo collo, lì immerso dalle sue spalle. “A volte ho così tanta paura che mi divora, Blaine.”

Lui gli baciò i capelli. “Di cosa, splendore?”

Blaine aveva preso l'abitudine di chiamarlo splendore, perché diceva che non era solo bello, era splendido, di più, di più, sempre e solo di più.

“Di non essere all'altezza.”

Kurt sentì il corpo di Blaine irrigidirsi. “All'altezza di cosa?”

Kurt giocherellava con le proprie dita, torturandosele. “Blaine, tu- sei stato sposato. Io non ho mai avuto una storia seria- e forse non lo vedi, ma questa cosa è terrificante, per me. Mi sveglio ogni mattina tra le tue braccia, e ogni mattina mi chiedo perché stia funzionando, perché tu abbia scelto me. E ogni mattina non riesco a darmi una risposta.”, soffiò. “Non so se sono all'altezza, Blaine.”

A quel punto Blaine gli avvolse lentamente il volto tra le mani, ruotandolo in modo che potessero guardarsi negli occhi. “Kurt, io non voglio che tu sia all'altezza di nessuno.”, sussurrò. “Io voglio che tu sia tu. Non devi superare nessuna aspettativa, tu- tu non sei abbastanza. Tu sei tutto. Sei tutto e molto di più, e non ti ho scelto perché volevo che fossi all'altezza di qualcuno. Ti ho scelto perché sei tu. Tu, Kurt, solo tu, non voglio nient'altro.”

Blaine gli baciò la punta del naso, il centro della fronte, una lacrima che era scivolata giù, sullo zigomo.

“Mi hai salvato la vita, lo sai questo? Riesci a capirlo? Non ne hai idea, vero, di quello che hai fatto per me.”, un bacio a bocca aperta sulla guancia. “Non ne hai idea.”

Kurt si schiacciò contro di lui ancora di più, praticamente scomparendo nel suo corpo, quasi come Blaine lo dovesse inglobare, e a conti fatti lo inglobò con le braccia, baciandolo e facendo scomparire i suoi dubbi. Tenendolo stretto e vicino.

“Kurt?”, lo chiamò Blaine, il viso immerso nel suo collo liscio e pallido e illibato e bollente. “Io sto cominciando ad amarti.”, sussurrò Blaine, e fu un suono leggero e così piccolo e fragile che Kurt pensò di poterne morire. “E non credo di riuscire più a fermarmi, adesso.”

Kurt espirò ogni briciola di fiato e strinse forte Blaine a sé, schiacciando le mani sulla sua schiena, sperando di poter scomparire. “Io credo di aver cominciato ad amarti dall'inizio Blaine.”, ammise, le labbra che sfioravano i suoi vestiti. “Va bene lo stesso?”

Blaine gli baciò un orecchio, poi le sue dita superarono il maglioncino di Kurt per infilarci sotto le dita, e tutto smise di avere senso. “Non lasciarmi, okay? Non mi lasciare mai.”, gli disse piano Blaine, baciandolo con possesso e forza, quella forza che hanno le persone che amano tanto, e che pensano sia normale fare l'amore sul tappeto vicino a un cassetto di ricordi dimenticati, per demolire i demoni e cancellare le paure e colmare i vuoti che le altre persone lasciano per noi.

 

***

 

I momenti li collezionavano tutti in un album di fotografie – a forza di sfogliarlo gli angoli delle pagine si erano ingiallite ed erano un po' consunte, ma loro lo amavano, perché conteneva perle di vita che potevano tenere con loro per sempre.

Mille foto di loro appena svegli la mattina, Kurt coi capelli sfatti e la maglia del pigiama che scivolava giù dalla spalla spigolosa, oppure ancora, Blaine che gli baciava una guancia durante una gita, le loro dita intrecciate, le dita ossute dei piedi immersi in un giardino. E ancora, e ancora, e ancora, finchè i mesi passarono e la loro vita si consolidò ancora di più.

Ci fu il momento in cui si dissero ti amo senza riserve – Blaine aveva preparato a Kurt una sorpresa, portandolo a New York e facendogli vedere un appartamento appena fuori città. Gli aveva tenuto una mano sugli occhi durante i primi momenti, poi lo aveva lasciato andare e Kurt – Kurt semplicemente era a corto di fiato e si era aggrappato a lui, facendosi piccolo piccolo contro il suo corpo.

“Blaine-”

“E' per noi.”, lo aveva interrotto Blaine, baciandogli un angolo di mento. “Se lo vuoi.”

“Mi stai chiedendo di trasferirmi qui a New York con te? La città che praticamente sogno da una vita? Certo che lo voglio, Blaine.”, sussurrò Kurt, cercando le sue labbra per un breve attimo. Blaine sorrise appena, trascinando via con un pollice una lacrima che era caduta sulla sua guancia. Si guardarono a lungo senza dire nulla, momenti e momenti di mille cose non dette che scorrevano tra di loro, e Blaine sembrava sereno, così sereno, era cambiato così tanto dall'uomo triste che Kurt vedeva ogni giorno di fronte alla sua gelateria, e poi-

“Ti amo.”, soffiò Blaine, accarezzando piano le sue guance. “Ti amo davvero tanto, Kurt.”

Gli occhi di Kurt si spalancarono e si riempirono di lacrime, e Kurt per un breve attimo pensò di essere sul punto di cedere – c'era comunque Blaine a sostenerlo, tenendogli il corpo con le braccia al livello dei fianchi.

“Ti amo anch'io.”, disse semplicemente Kurt di rimando, perché era così dal primo momento, da quando si erano parlati in quel lontano giorno di fine estate con quel gelato che si scioglieva e le guance arrossate, o forse anche prima - qualcosa di primitivo.

Lasciarono che quell'amore accadesse. Lasciarono che li consumasse – e che li portasse in salvo.

Kurt si aggrappò a Blaine e baciò le sue labbra con forza – le labbra di Blaine sapevano di sogni, e un po' di lacrime, e un po' di quel sapore dolce amaro che sa di conquista. E lo amava. Kurt lo amava con ogni piccola fibra del suo corpo, e si promise che avrebbe fatto di tutto per proteggere quell'uomo e tenerlo vicino.

 

***

 

Un anno e mezzo prima, un uomo senza nome passava regolarmente davanti alla gelateria di Kurt Hummel – un uomo che aveva un sorriso spezzato e a metà, di quelli dolci ma che potrebbero essere più grandi.

Un anno e mezzo prima, Kurt dava il suo cuore ormai inerme a quello stesso uomo, che un nome ce l'aveva – un nome dal suono dolce, Blaine. Blaine Anderson, quasi trent'anni, bello come solo le persone semplici possono essere, rotto in mille modi diversi, fragile come vetro eppure forte come un uragano.

Un anno e mezzo dopo, Kurt lavorava da Vogue.com, a New York, in un appartamentino che distava a diversi chilometri dal centro con un forno a microonde che non si rompeva ogni settimana – e con quello stesso uomo, con Blaine, che gli aveva insegnato che la vita è piena di sorprese se noi siamo abbastanza pronti a lasciarci sorprendere.

Kurt quel pomeriggio stava lavorando insieme ad Isabelle – Isabelle Wright, quella Isabelle Wright, una delle più famose icone dello stile americano, sua musa e fata madrina – ad una nuovissima serie di capi primaverili. L'inverno ormai stava quasi finendo e Isabelle aveva avuto la folle idea di lanciare la moda dello strappo – era convintissima che ormai dovesse ritornare il jeans strappato, il pantalone nero strappato, ogni cosa strappata, ecco, e Kurt voleva solo renderla felice e dirle di sì, soprattutto ora che stava per diventare zia.

Kurt camminò velocemente verso il suo ufficio con in mano un paio di caffè – le dita praticamente gli bollivano per il calore che la tazza da trasporto emanava, ma il sorriso che gli concesse Isabelle gli fece dimenticare tutta la fatica di quel periodo.

“Hai i jeans strappati.”, disse Isabelle con un largo ghigno, osservandolo da capo ai piedi. “Mi rendi fiera di te.”

Kurt ridacchiò, posando il lunghissimo di Isabelle sulla sua scrivania e andandole dietro per dare un'occhiata i modelli che stava osservando. Parlarono a lungo di colori e forme e novità che avrebbero lanciato a breve, finchè il ticchettio familiare dell'orologio accanto a loro li avvisò che era quasi l'una e mezza e, come da copione, la giovane assistente di Isabelle entrò nell'ufficio dopo due brevi colpi di nocche contro la porta, cercando con i suoi occhietti timidi quelli di Kurt.

“M-mi scusi, signor Hummel.”, lo chiamò con voce dolce. “Giù c'è il signor Anderson che la sta aspettando.”

Il volto di Kurt si illuminò – letteralmente, quando sentì che come tutti i giorni Blaine, dopo aver terminato le sue lezioni a una scuola elementare lì vicino era passato a prenderlo per concedere loro un breve pranzo insieme. Kurt si abbassò per lasciare un bacio sulla guancia di Isabelle – recuperò il suo trench dall'attaccapanni li accanto e iniziò a correre verso la porta.

“Scappo.”, borbottò, un sorriso enorme che gli increspava le labbra.

“Qualcuno è impaziente, vedo.”, lo punzecchiò Isabelle, prima di immergere nuovamente la punta delle sue dita smaltate di rosso nelle mille e mille riviste che aveva davanti. Kurt non la stava più guardando, però – con grazie e velocità si lasciò alle spalle il suo ufficio e chiamò l'ascensore per andare al piano terra e, quando lo raggiunse, trovò Blaine a qualche passo da lui, bello come sempre con il suo giaccone scuro invernale, un pezzetto di camicia variopinta che fuggiva appena da dove si intravedeva il collo, e poi i suoi occhiali enormi da lavoro, un po' storti sul naso e pendenti verso destra – dettaglio che lo faceva sembrare ancora più adorabile agli occhi di Kurt.

“Ehy.”, sussurrò Blaine, prima che Kurt senza dire nulla si gettasse tra le sue braccia avvolgendo il suo volto tra le mani e baciandolo, baciandolo lentamente, con trasporto, dandogli tutto quello che poteva dargli.

“Ciao.”, soffiò a bacio finito, probabilmente sembrando irrimediabilmente e infinitamente stupido.

“Mi sei mancato.”, borbottò Blaine, spostandosi per lasciargli un bacio sulla guancia. Afferrò una sua mano saldamente e lo trascinò fuori, nelle vie di New York, cominciando a parlare senza sosta di quello che aveva insegnato ai suoi alunni quel mattino, con quegli enormi e pieni di sogni che Kurt amava con ogni fibra del suo essere, e quell'aria impacciata ma dolce e in qualche modo protettiva.

Erano scivolati in quella dolce routine, da quando si erano trasferiti a New York – la città che non dorme mai, e che in qualche modo sembrava rispecchiare perfettamente ciò che entrambi amavano fare. Avevano i loro lavori stabili, Kurt come consulente di Isabelle e Blaine come insegnante di inglese e musica in quella scuola elementare; di sera spesso andavano a teatro o a passeggiare per Central Park o incontravano amici che avevano conosciuto – spesso però si bastavano, e rimanevano a casa cucinando lentamente e e guardando qualche film che ormai recitavano a memoria, per poi sgattaiolare in camera e tenersi stretti per la notte, o sussurrarsi promesse mentre facevano l'amore – lento, forte, intossicante. Era in quei momenti che Kurt sentiva di essere vivo davvero – quando Blaine entrava dentro di lui e gli prendeva il viso tra le mani e gli diceva che lo amava come se fosse un segreto che andava tenuto lontano dal mondo, e Kurt annegava, andava giù, in un posto che non conosceva, ancora e ancora, fino a scomparire, esistendo solo per e grazie a Blaine.

Blaine aveva perso l'ombra amara che inondava i suoi occhi i primissimi giorni che si erano incontrati, facendo diventare tutto quello un semplice e lontano ricordo – Kurt tentava ancora di sbirciare nella sua vecchia vita, senza la paura di non essere abbastanza, perché per qualche strana ragione su sette miliardi di persone Blaine aveva deciso di amare lui e di proteggere lui, di tenerlo stretto nelle notti di pioggia e di ascoltarlo quando tutto diventava buio – per qualche strano motivo, Blaine in quel momento stava stringendo la sua mano, e lo stava guardando come se fosse la cosa più bella dell'universo.

E Blaine era – così genuino, e così tutto. Con i suoi occhiali sporchi e la voglia di insegnare e gli spartiti che completava per darli poi ai bambini – Perchè Kurt, vedi, a volte non ti dicono che in realtà nel mestiere dell'insegnante sono molte di più le cose che impari, e non che insegni, fidati di me.

Ed era il loro piccolo angolino di universo perfetto – un universo che era bel lontano dall'essere perfetto perché aveva strappato via una madre da Kurt e un padre e un marito a Blaine, ma che per qualche motivo ora stava agendo per dare loro una seconda e meritata opportunità.

Mangiarono da McDonald's – Kurt una semplice insalata e Blaine quanti più panini poteva ingurgitare, e risero, risero raccontandosi dei loro sogni e delle loro paure come il primo giorno, e poi Blaine insistè per riaccompagnare Kurt da Vogue, e per farlo passarono davanti a una gioielleria, e l'occhio di Blaine cadde sul luccichio di una piccola fede illuminata da un pallido raggio di quel sole fioco d'inverno.

“Non stancarti troppo, okay?”, mormorò, prima di attirare Kurt a sé e baciarlo dolcemente. “Conserva un po' di forze per me stasera.”

Kurt arrossì nel vedere il sorriso disinibito di Blaine, e lo baciò di nuovo. “Nemmeno tu. Non voglio che ti venga il mal di testa, come quando correggi troppi compiti.”

“Promesso.”, sussurrò Blaine, stringendo Kurt prima di lasciarlo andare via. Il luccichio della fede era ancora lì, brillante, come un promemoria.

Sei tutto ciò che voglio.

Quello di cui ho bisogno.

Ti ho cercato da una vita – non voglio aspettare ancora.

Credo che sia arrivato il momento di vivere di nuovo.

Voglio farlo insieme a te.

Costruiamo un per sempre – il nostro.

Tu – tu mi hai salvato la vita, Kurt.

“Ti amo, okay Kurt?”, mormorò Blaine vicino al suo orecchio, cautamente. Kurt tremò appena tra le sue braccia, facendosi ancora più piccolo contro di lui.

“Anch'io ti amo.”, gli disse semplicemente. Si staccò e gli accarezzò una guancia lentamente, gli occhi luminosi, così tanto che il luccichio della fede in confronto era quasi buio. “Ti preparo qualcosa di buono stasera, va bene?”

E poi Blaine lo vide scivolare via, veloce e tagliente e netto e reale, e quel giovane uomo era suo, solo suo, per qualche ragione lo amava nonostante Blaine fosse stato rotto – un uomo perduto che aveva trovato la sua strada, un uomo strappato che aveva trovato la sua colla.

Senza pensarci un attimo di più, entrò in quel negozio di gioielli con un piccolo sorriso sul volto.

Un'ora dopo, Blaine prese il treno che lo avrebbe portato in Ohio, dal padre di Kurt.

 

***

 

Blaine doveva ancora fare l'abitudine alla tremenda somiglianza degli occhi di Burt a quelli dell'uomo di cui era innamorato – il colore era estremamente simile, c'era forza una sottile somiglianza, probabilmente dovuta all'età, all'esperienza e alla saggezza. Cose che Kurt avrebbe ottenuto con il tempo, magari insieme a lui.

“Ehy, Blaine!”, lo salutò sulla soglia. “Ma che sorpresa, io non- Kurt non ci ha detto niente!”

Blaine scomparì nel suo abbraccio. “E' stata un'improvvisata, nemmeno Kurt sa niente.”, borbottò Blaine, guadagnandosi da Burt un'occhiata perplessa.

“Vuoi dire- uhm- lui non è con te?”, chiese Burt lasciandolo entrare in casa, e camminando poi fino alla cucina.

“No.”, sussurrò semplicemente Blaine. “Lui sta lavorando, ecco- io speravo di poter parlare con lei. È importante.”

“Mi stai spaventando, Anderson.”

Il sorriso di Burt smorzò la tensione e lo fece ridere un po'. Blaine si lasciò cadere sulla sedia più vicina – due ore di treno non erano l'ideale, ma le aveva fatte più che volentieri per essere lì. Cercò gli occhi di Burt direttamente, leccandosi le labbra e sentendo il cuore battere furiosamente nel petto.

“Sarò breve e andrò dritto al punto, signor Hummel.”, iniziò, la voce che tradiva una vena di emozione. “Sono...sono innamorato di suo figlio. Infinitamente. Io...francamente non credevo di poter trovare di nuovo l'amore, dopo che Ryan mi ha lasciato, come sa. Era qualcosa che non avevo messo in conto, e invece è successo, e...ho lasciato che accadesse. Certe cose non hanno un inizio o una fine, succedono e basta, e tu devi lasciarti- trascinare, credo. Ecco, Burt, suo figlio mi ha trascinato. E voglio che continui a farlo per il resto dei miei giorni.”

Burt aveva un'espressione serissima, la linea delle labbra netta e orizzontale.

“Credo...credo di aver conosciuto abbastanza dolore nella mia vita da riconoscere la felicità quando la vedo, e- e questa per me è felicità, signor Hummel. Suo figlio mi ha salvato la vita, in un modo che temo lui non riesca a comprendere. Ma lo ha fatto. Lo fa ogni giorno, quando mi protegge e lascia che io lo protegga. Quindi, signor Hummel, io...”, un respiro profondo, e gli occhi di Blaine scivolarono un po' ovunque prima di ritrovare quelli di Burt. “Voglio chiederle ufficialmente il permesso di chiedere a Kurt di sposarmi.”

Gli occhi di Burt si allargarono di poco, ma non troppo, perché infondo non era poi così stupito. Insomma, il ragazzo di cui il suo unico figlio era perdutamente innamorato improvvisamente si presenta alla sua porta dopo ore di viaggio: Burt non era molto intelligente, ma nemmeno stupido.

“So che pensa che Kurt sia molto giovane.”, borbottò Blaine. “Uhm- ma la nostra convivenza sta andando benissimo. Ecco- certo, a volte litighiamo, Kurt è davvero testardo e io sono un- un disastro in casa, lascio le cose dappertutto e a volte suono fino a tardi e lo tengo sveglio e lui lo odia ma-”

“Blaine.”, lo fermò Burt, un leggero sorriso sul volto. “Per me va bene.”

Blaine deglutì, senza fiato. “Cos- davvero? Voglio dire- sul serio- davvero?”

Burt ci mise del tempo a rispondere, raccogliendo tutte le forze che aveva in corpo. “Quando Elizabeth mi ha lasciato, anch'io credevo di non poter più provare quello che avevo provato per lei per un'altra persona. Il dolore era così forte- mi sentivo come- anestetizzato, come se non fossi più in grado di provare nulla. Improvvisamente è arrivata Carole, però.”

Blaine si rendeva conto solo in quel momento quanto esattamente lui e Burt fossero similari.

“...e sai, forse è come dici tu. Certe cose non hanno un inizio e una fine, succedono e basta, ma menomale che succedono. Non sarei nulla oggi come oggi se non avessi lei.”

Blaine non si preoccupò di nascondere le lacrime che erano nate nei suoi occhi – leggere e reali, e le lasciò cadere, e sorrise, sorrise come un pazzo, perché amava Kurt più della sua stessa vita, ed era pronto a dimostrarglielo nel modo più completo che conosceva.

Si lasciò abbracciare da Burt.

Si diede il tempo di una settimana per preparare tutto – poi avrebbe chiesto a Kurt di essere suo per sempre.

 

***

 

Blaine non poteva sapere che la sua vita stava per cambiare di nuovo.

Blaine non poteva sapere che certe cose succedono anche nella vita reale, e non solo nei romanzi che leggeva di tanto in tanto o nei film che amava guardare con Kurt.

Quattro giorni dopo quel viaggio a Lima, Blaine stava facendo lezione durante la terza ora di inglese nella sua seconda preferita la classe in cui i bambini facevano sempre i compiti e non urlavano mai, rispettandolo e apprezzando le sue canzoni.

Stava disegnando la pancia tonda di una D, quando la segretaria gli disse di recarsi nell'ufficio della preside. Gli dissero che alcune persone lo stavano aspettando, gli dissero che era urgente e che non c'erano problemi, poteva lasciare la classe scoperta per un po'. Blaine corse per i corridoi praticamente senza fiato, continuando a chiedere alla ragazza che lo aveva cercato se Kurt stesse bene, ma lei diceva continuamente che quelle persone non le avevano riferito nulla, solo che era urgente.

Blaine aveva le dita che tremavano quando aprì la porta, il volto sereno di Kurt di quel mattino stampato nelle retine, e la sua testa che lo bombardava di parole come Ti prego fa che stia bene Ti prego non posso perderlo Ti prego non lui-

Blaine aprì la porta, ad attenderlo due uomini in divisa militare e una dottoressa con gli occhi color del ghiaccio, i capelli giallo grano e un sorriso comprensivo.

“Signor Anderson, sarebbe così gentile da seguirci in ospedale? E' successa una cosa- è un caso molto...molto delicato, e raro, e non credo che questo sia il luogo più consono per parlarne.”

Blaine sentiva le proprie dita tremare. “K-Kurt sta male? Ha avuto un incidente, ha-”

“Mi scusi, Kurt chi è?”, chiese in un sussurro la dottoressa.

“Il mio compagno.”, rispose automaticamente Blaine. Perplessità e dubbio scoppiarono nel suo petto come una bomba ad orologeria, perché se non era per Kurt non riusciva a capire perché fossero venuti a cercarlo.

“Non siamo qui per Kurt.”, disse semplicemente lei, quel sorriso dolce che era molto di più, studiato per essere un'ancora. “Ci segua in ospedale, okay?”

“Voglio sapere perché.”, Blaine alzò la voce, non capendo nemmeno perché lo stava facendo. “Sto lavorando- non potete piombare qui come se niente fosse e farmi spaventare a morte-”

“Blaine.”, l'uso del nome era perfettamente consapevole, voluto. Un tentativo forzato di avvicinarsi a lui. “Si tratta di suo marito.”

Il sangue di Blaine si congelò. Fissò gli occhi della dottoressa – gli uomini dietro di lei, finalmente la loro divisa acquistava un senso. “M-mio marito?”

“Ryan James Forbes, giusto?”, indagò lei.

“S-sì.”, borbottò Blaine, stringendo forte le palpebre, come per scacciare via un brutto sogno. “Sì, ma non capisco, mio marito è morto in un incidente più di due anni fa-”

“Per questo deve seguirci in ospedale, signor Anderson.”, lo interruppe la dottoressa, avvicinandosi cautamente e cercando i suoi occhi. “So che è difficile crederlo, e so anche che è brutale dirlo così, ma in tutta la mia vita non ho mai incontrato un caso di questo tipo, e mi deve perdonare se sarò inadeguata, ma credo che abbia tutto il diritto di saperlo.”

Blaine non riusciva più a respirare, proprio come se improvvisamente la sua cassa toracica si stesse disintegrando e comprimendo nel suo stesso corpo.

“Sapere cosa?”, chiese in un soffio quasi inudibile.

“Ryan è vivo, Blaine.”, rispose la dottoressa. “C'è stato un errore, in realtà non è mai morto in quell'incidente.”

.





 

.





 

.

Credo che la storia sia decisamente più delineata, ora. Scusatemi se vi ho fatto aspettare così tanto.
A breve, la terza ed ultima parte.
Un grazie speciale a tutti coloro che sono passati!

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Capitolo 3
*** Parte terza ***


Terza parte


Se c'era una cosa di cui Blaine era sempre stato assolutamente certo in tutta la sua vita – anche da bambino, e poi dopo, fin quando il suo corpo aveva lasciato spazio a quello di un adulto – è che le persone non tornano in vita. Le persone muoiono, e lasciano un fottuto buco al posto del petto quando se ne vanno, perché dopo quel momento ogni volta che avrai bisogno di loro non ci saranno più, non importa quanto il bisogno sia ardente e reale. Una volta morte, le persone spariscono. Un soffio. Come cenere.

Quando Blaine riaprì gli occhi non riuscì a riconoscere immediatamente il posto in cui era stato portato – riconobbe però il tintinnio di un suono metallico, un leggero fastidio al livello della tenera carne del braccio destro, un forte mal di testa. I muri attorno a lui erano bianchi e spogli, c'erano dei vocii che arrivavano attraverso il muro accanto a lui.

Blaine ora ricordava. Ricordava di aver negato fino all'inverosimile che quello che la dottoressa – Emily, aveva finalmente scoperto il suo nome – gli aveva detto, urlando e gemendo e probabilmente iniziando a piangere a un certo punto – e poi si era accasciato a terra, lasciandosi andare completamente.

Deglutì, un gusto amaro che scendeva lungo la gola, giù fino al suo stomaco lacerato.

Ryan è vivo.

Strinse forte gli occhi e i pugni, ispirando piano. Era in una stanza piccola, probabilmente una di quelle che usavano per i pazienti poco gravi. Avevano intenzione di rimetterlo presto, così avrebbe potuto-

Dio. Non era possibile che quello che Emily gli aveva detto fosse vero. Aveva pianto per settimane per quell'uomo, giorni, ore, mucchietti di secondi mentre si accartocciava sul pavimento e diventava inutile e inutile e inutile. Aveva visto la sua bara scendere e scomparire oltre il terreno, aveva visto le rose posarsi sul legno, le lacrime che le seguivano. Era morto dentro, le sue forze gli erano state risucchiate via e ora come se niente fosse-

Proprio in quel momento, il suono di una porta che si apriva lo distrasse. Fu Emily ad entrare, sorridendogli dolcemente e avvicinandosi a lui.

“Sei svenuto.”

Blaine non rispose.

“E' una diretta conseguenza dello shock, abbiamo agito portandoti qui e facendoti riposare, dandoti una flebo. Dormivi da un paio d'ore, ormai.”

Blaine distolse lo sguardo, Emily staccò la sua flebo applicandogli un cerotto.

“Signor Anderson, non ho davvero la minima idea di come si può sentire lei adesso.”, sussurrò Emily, affondando le dita nella stoffa di quel letto. Dimostrando che oltre che infermiera, era anche una donna. Umana, fragile. “Io non posso dirle cosa fare, ma se c'è una cosa che so per certo è che di seconde opportunità non ne vedo dare molte. Qui le vite ci scivolano via ogni giorno.”

Blaine annuì.

“Ryan...lui è a due stanze da qui, la sta aspettando. Credo che abbiate molto di cui parlare.”

Emily a quel punto si allontanò, ma a metà strada dalla porta, Blaine si sentì in dovere di fargli una domanda.

“Lei cosa farebbe?”, sussurrò Blaine. Si sentiva stanco, piccolo, inerme. Senza protezione.

“Io non credo nei miracoli, signor Anderson.”, borbottò lei semplicemente, ruotando il capo di poco. “Ma quando succedono queste cose, persino le donne di scienza come me devono fermarsi a riflettere.”

Blaine si rese conto che quella non era una risposta, perché le risposte Blaine le doveva trovare dentro il suo cuore, non altrove.

Scese dal letto, come un fantasma senza meta. Le sue dita tremavano forte, come il resto del suo corpo.

Quando uscì dalla porta, non andò a sinistra come gli aveva indicato Emily.

Cercò Kurt.

 

***

 

Non sapeva nemmeno perché avesse sentivo il bisogno di farlo. Forse paura, forse perché non era minimamente pronto – forse perché vedere Ryan con i suoi occhi avrebbe significato ammettere che tutto quello era reale, e che stava succedendo.

Trovò Kurt in casa, rannicchiato sul divano, immerso in un mondo di coperte. Quando Blaine entrò nel loro appartamento Kurt sgusciò fuori da quel nido e si precipitò da lui.

“Blaine, dei-”, imprecò, gettandosi tra le sue braccia. “Mi hai spaventato a morte- a scuola non sapevano niente, solo che eri stato portato via da qualcuno- hai idea di come mi sia sentito? Ti ho- ti ho cercato ovunque, non sapevo più dove sbattere la testa-”

Blaine lo baciò. Senza senso. Posò le labbra sull'angolo della sua bocca, senza nemmeno centrarle nella loro pienezza, e poi ancora, e ancora, e sempre più forte, fino a sentire dolore, e fino a che Kurt gemette di sorpresa e dovette aggrapparsi a lui per non cadere. Blaine lo zittì e mosse le dita sulle sue natiche, stringendo forte e lasciando i segni, con molta probabilità – e Kurt mugolò nella sua bocca e si lasciò trascinare via.

“Blaine-”, soffiò, fiato caldo sulle sue guance. “Dio, Blaine-”

“Facciamo l'amore.”, ringhiò Blaine. Non era una richiesta dolce, non c'era niente di docile in quelle parole, solo ordine e cieco desiderio e Fammi dimenticare tutto – e Kurt rantolò quando una mano di Blaine si insinuò nei suoi pantaloni, scavalcando strati di vestiti e aggrappandosi al suo membro, muovendo le dita con velocità, senza dolcezza. Senza grazia. Puro sesso.

“Blaine-”, ansimò Kurt, gettando la testa all'indietro e trovandosi presto schiacciato contro un tavolo, mentre Blaine lavorava sul suo membro ormai non più morbido. Era tutto così inaspettato, e duro, e netto eppure- eppure sembrava che Blaine lo volesse quasi disperatamente, e Kurt si lasciò toccare, lasciando che suoni soffici abbandonassero la sua gola.

Blaine seppellì la testa nel suo collo e cominciò a leccare e succhiare la sua pelle, strappando suoni indecenti dalle labbra di Kurt. Raggiunse le sue labbra, spingendo la sua lingua all'interno della sua bocca e leccando il suo palato, Kurt che gemeva senza sosta. Blaine prese un pezzetto della sua lingua tra le labbra, succhiandola voracemente, un pugno saldo attorno ai capelli sulla nuca di Kurt.

Lo fece venire. Gli strappò via l'orgasmo, anzi, muovendo la mano su di lui come se l'universo dipendesse da quel gesto, sentendo vita scorrere nelle vene e il cuore pompare sangue – il corpicino di Kurt crollò sul suo, la sua testa poggiata alla spalla di Blaine, le dita conficcate nella sua schiena.

“Toccami.”, ringhiò Blaine, leccando le sue labbra e poi spostandosi per mordicchiargli il lobo. “Fallo forte, forte e veloce, forte e veloce, ne ho così bisogno-”

Kurt non capiva. Non capiva quello strano bisogno di Blaine, quei gesti netti e così appaganti eppure senza amore, e di nuovo non capì, quando Blaine afferrò una sua mano e la portò sul cavallo dei propri pantaloni, cominciando a muoverla e gemendo disperato.

“Toccami.”, chiese di nuovo, cercando le labbra di Kurt e baciandole con foga, senza concentrazione. “Ti prego, ti prego-”

E finalmente, Kurt la vide. Una lacrima che era scesa dagli occhi di Blaine, lì al centro della sua guancia destra, che tradiva tutto quel suo cieco bisogno. Con le forze che gli erano rimaste, Kurt sollevò una mano e la trascinò via, baciando poi quello stesso punto, imponendo a Blaine di fermarsi.

“Blaine.”, soffiò. “Blaine, stai piangendo. Tremi- che cosa c'è?”

Blaine smise di muovere la mano di Kurt sopra il proprio membro, la linea delle sue labbra si arcuò verso il basso. Nuove lacrime caddero dai suoi occhi, e Kurt avvolse il suo volto tra le mani.

“Amore mio-”

“Non chiamarmi così.”

Il cuore di Kurt si sgretolò, quando vide Blaine scoppiare a piangere. Inerme, piccolo, sconfitto, eppure bellissimo, lì tra le sue braccia, al buio di quella notte.

“Blaine, dimmi cosa c'è.”

“Non mi vorrai più.”, Blaine disse tra le lacrime e i singhiozzi, aggrappandosi a lui come se Blaine fosse una stella e Kurt un pezzo di cielo. “E non posso perderti, non posso, non posso, non posso-”

Non poteva.

Kurt iniziò a piangere senza motivo – o forse perché infondo già aveva capito tutto. Improvvisamente si rese conto del perché innamorarsi faceva così paura: perché l'amore poteva anche distruggere, ed era esattamente quello che Blaine gli stava facendo. Lo stava distruggendo.

E improvvisamente il dolore delle canzoni, delle frasi che leggeva di tanto in tanto sui libri – tutto divenne senza senso, ovattato, perché quello che stava provando lui era il dolore vero. Viscerale, eterno. Gli spaccava il cuore.

Strinse Blaine per tutta la notte, lasciando che piangesse tra le sue esili braccia e piangendo con lui a volte, il suo stomaco ancora nudo e sporco del suo stesso seme.

Alle prime ore del mattino, fu Blaine a baciargli piano le labbra, piccolo e sfinito.

“Voglio dirti tutto.”

 

E glielo disse.

Gli disse che Ryan era vivo.

Che per qualche strana ragione, la sera prima non era riuscito a vederlo, ma che si era sentito in dovere di cercare lui.

Kurt si sentiva – era difficile dire come si sentiva. Incredulo, ma non era abbastanza. Spezzato. Dilaniato, ecco, forse quello era meglio. Eppure stringeva Blaine lo stesso, tenendo insieme i suoi pezzi.

Immerse le labbra nei suoi riccioli scuri che attutirono parte dei suoi singhiozzi, e rimasero immobili fino a quando pallidi raggi di sole cominciarono a illuminare di ambra il loro appartamento.

“Voglio che tu lo veda.”, disse a un certo punto Kurt. Blaine lo strinse forte, ancora più forte, come se volesse scomparire nel suo corpo.

“Kurt-”

“Lo devi vedere.”, soffiò Kurt, accarezzandogli i ricci all'indietro, come se fosse un bambino da cullare. “Tutto questo non- non ha senso, eppure sta succedendo e io-”, Kurt deglutì, piano, la sua gola nel movimento si scontrò con la tempia di Blaine. “Sei stato suo. Non posso impedirti di vederlo.”

“Adesso però sono tuo.”, pigolò Blaine. Come una promessa. Kurt non ce la fece a sorridere, o a vedere quelle parole come fonte di speranza, come qualcosa di possibile.

Kurt gli baciò i capelli. “Parlaci. Prova- prova a fare chiarezza. Io...io non so cosa succederà. Ma dopo averci parlato mi troverai qui, okay?”

Blaine ruotò il capo per averlo di fronte, il labbro inferiore che tremava, gli occhi enormi e pieni di lacrime, completamente indifeso nonostante fosse tra le braccia dell'uomo che lo aveva protetto.

“Ti amo.”, sussurrò Blaine. Ed era sbagliato, così sbagliato, eppure scelse di dire quello perché lo voleva, e perché gli sembrava l'unica cosa che andasse bene in quel momento. Kurt si morse forte le labbra per impedire a un singhiozzo di uscire.

“L-lo so.”, ammise, baciandogli la fronte e pressando i loro corpi insieme. “Ti giuro che lo so.”

 

***

 

Blaine a stento riconobbe se stesso quando lanciò un'occhiata allo specchio che c'era nell'ascensore che avrebbe dovuto portarlo al terzo piano dell'ospedale. Non sapeva dove fosse Ryan, ma era certo che l'unica persona che potesse sapere qualcosa fosse Emily, quindi andò in cerca di lei.

La dottoressa gli disse con un sorriso stanco – probabilmente dovuto a tutte le ore di lavoro – che quella notte Ryan aveva deciso di spostarsi nella stanza di un albergo vicino, lasciandogli un foglietto con scritto l'indirizzo per Blaine, in caso fosse venuto a cercarlo. Blaine lo raccolse con mani tremanti e lasciò Emily alle sue visite mattutine.

L'indirizzo portava in un albergo che non doveva avere più che un paio di stelle. Cercò la sua stanza continuando a fare dei respiri profondi, obbligandosi a rimanere vigile e non dare di matto. Si sentiva come in apnea – probabilmente il suo corpo e la sua mente dovevano ancora realizzare quello che a breve sarebbe successo. Esattamente come il suo cuore – Ryan era vivo, vivo, un cuore pulsante. Non più morto, non più terra, o bara, qualcosa di scomparso.

Bussò alla porta di legno scuro con le nocche un paio di volte, dei colpi deboli. Questa si aprì quasi immediatamente dopo, ma non comparve nessuno dietro la soglia, così Blaine si sentì in dovere di spingerla per entrare dentro la stanza. C'era buio – l'unica fonte di luce proveniva dalla finestra che quella stanza aveva, ma era piccola e ricoperta di tende di colore scuro, e fuori il sole era troppo debole ancora per illuminare la stanza a sufficienza.

Ryan era lì, di lato, appena di fianco alla finestra, la sua figura leggermente illuminata ai bordi. Un fantasma, una visione, e Blaine i primi mesi dopo la sua morte lo aveva sognato così tanto che poteva benissimo credere che quello fosse un sogno e non qualcosa di reale.

Era invecchiato un po', ma non in un modo drastico – c'erano dei piccoli segni ai lati della sua bocca e dei suoi occhi, al livello dello guance.

Sei come un fantasma.

Blaine tentò di dire qualcosa, qualsiasi cosa per infrangere il silenzio e cercare di capire cosa fosse quel disastro, ma non riuscì a dire nulla, nulla che fosse abbastanza, nulla che nella sua testa avesse senso. Tutto in quella vita ora era senza senso.

E' come se nemmeno potessi toccarti.

E improvvisamente – tutto quello che aveva provato in quegli anni, il senso di mancanza, di colpa verso se stesso, il vuoto di una perdita che lo aveva lacerato, la rabbia di una promessa non mantenuta- in un attimo ogni cosa sembrava insignificante, e Ryan era lì, davanti a sé, un corpo caldo e reale, e non più un ricordo sbiadito, non più una foto su una tomba fredda.

“Blaine.”, soffiò Ryan, un angolo della bocca che saliva verso l'alto, semplice e netto e bellissimo, e Blaine presto si trovò tra le sue braccia, a piangere come un disperato, le mani che si appoggiavano alle sue spalle senza premere, e – è tutto così sbagliato sbagliato sbagliato, tu non dovresti essere qui e invece sei qui e mi distrugge-

“Va tutto bene Blaine, sono qui adesso.”, sussurrò Ryan vicino al suo orecchio, accarezzandogli la schiena in un modo che non aveva mai usato. C'era incertezza nei suoi gesti ma anche quel desiderio che fa quasi male e Blaine poteva sentirlo – perché Ryan non era mai stato il tipo da coccole, o rassicurazioni, o tenerezza. Ryan se lo voleva rassicurare lo prendeva da parte e ci parlava, e lo baciava con impeto. Blaine percepì i suoi sforzi, e si sentì sporco, così sporco, nonostante sapesse che lui era suo marito e che c'era ancora un vincolo tra di loro e-

Ryan si staccò leggermente e prese il suo volto tra le mani, gli occhi verdi che brillavano di scoperta e vita vita vita, e con un movimento fluido si sporse verso di lui, chiudendo gli occhi. Blaine percepì il suo respiro, il proprio mozzarsi nella gola e il cuore trascinarsi giù alle caviglie, e con due mani ferme lo spinse via.

“N-no, io-”, sussurrò, sconvolto, passandosi una mano tra i capelli. “N-non posso, non-”

“Okay.”, soffiò Ryan di rimando, cercando di avvicinarsi ancora. “E' okay, lo so che è uno shock, Blaine, è solo che- s-sono qui, va bene? Sono reale, non stai sognando, e mi sei- mi sei mancato da morire, da morire-”

“Non ti azzardare.”, disse Blaine in un soffio quasi inudibile. Ryan spalancò gli occhi, visibilmente ferito. “N-non ti azzardare- a mettere il nostro dolore sullo stesso livello.”, sbuffò Blaine, quasi senza fiato. “Ti- ti sono mancato? Ma davvero? Hai idea di come sia stato vivere quasi cinque anni della mia vita con la consapevolezza che tu eri morto, Ryan? Ne hai idea? No, non sai un cazzo di queste cose, non sai niente. Non sai come ci si sente a svegliarsi nel cuore della notte e ricevere una telefonata in cui ti dicono che tuo marito ha avuto un incidente e che non trovano più il corpo. Non- non sai com'è guardarsi allo specchio la mattina, sapendo che dentro sei- sei morto, morto, un cadavere, che non vali niente. Non sai com'è organizzare il funerale della persona che ami, e guardare in faccia i tuoi amici-”

“Blaine-”

“No!”, gridò Blaine. “Cinque anni, Ryan. Cinque fottuti anni, io- io ho dovuto riprendere in mano la polvere di cui ero fatto e rimettermi in piedi senza di te, svegliandomi in un letto vuoto ogni giorno, ogni fottuto giorno- non ero più nessuno, non sapevo nemmeno più che cazzo fosse diventata la mia vita. Cinque anni, hai idea? E poi tu te ne torni indietro come se niente fosse-”

“Blaine, devi ascoltarmi-”

“Dove cazzo sei stato per questi cinque anni?”, urlò Blaine, spingendolo via, lontano, verso la finestra. Ryan aveva il labbro inferiore perennemente schiacciato tra i denti, e tremava visibilmente. Si passò una mano tra i capelli biondi, leggermente più lunghi ai lati, a coprirgli quasi le orecchie.

“Io- va bene che tu sia arrabbiato, lo capisco.”

“Vaffanculo.”, sibilò Blaine, spingendolo di nuovo, e di nuovo ancora. “Devi- devi sparire, mi hai capito, devi- devi sparire-”

Ryan gli bloccò entrambi i polsi questa volta, e Blaine spalancò gli occhi per il leggero dolore, ma doveva aspettarselo da un ragazzo che era stato un militare. Si ritrovò schiacciato contro il petto di Ryan, e poi si mossero, si mossero finchè non caddero sul letto più vicino, e Ryan era davvero tanto vicino al suo viso, ma non lo baciò. Gli sorrise, un sorriso piccolo che andava al di là di tutto, gli accarezzò una guancia.

“Adesso mi ascolti.”, disse fermamente. “Dammi un'ora, e poi deciderai se lasciarmi qui e farmi diventare solo un ricordo, o decidere se ne valgo ancora la pena.”

Blaine deglutì, lacrime bollenti che solcavano le sue guance. Respirò a fondo, e alla fine di tutto annuì.

 

Erano seduti l'uno di fronte all'altro sul letto, Ryan che disegnava cerchi sulle lenzuola sotto di lui, i calzini bianchi bucherellati, mentre quelli di Blaine troppo colorati per appartenere a una persona che ormai andava per i trent'anni. Non lo guardava mai negli occhi. Non che avesse paura, ma perché era troppo, troppo; quegli occhi avevano popolato i suoi sogni troppo a lungo, e ora averli lì era – destabilizzante. Forse di più.

“L'incidente ci fu davvero. Sulle coste a nord-ovest dell'Africa, vicino a un villaggio di tremila anime. Ci furono un sacco di vittime e moltissimi feriti, e i corpi di molti soldati furono dispersi. Io- io non ricordo quasi nulla, pochissimi particolari. Alcune donne di un villaggio a qualche chilometro dall'incidente mi dissero che mi avevano trovato ai piedi del fiume. Rimasi...rimasi nelle loro cure per mesi, lì- dovresti sapere che non hanno medicinali, o per lo meno non abbastanza forti da agire in fretta. Ero molto grave, ma per qualche inspiegabile ragione riuscii a stare sempre meglio. Quando...quando riacquistai completamente conoscenza, mi chiesero chi fossi, e io...io non seppi rispondere.”

Blaine si leccò le labbra, stringendo il proprio petto tra le braccia.

“Avevo...avevo perso la memoria, Blaine. Non ricordavo più chi ero, da dove provenivo. Facevo solo questi incubi terrificanti dell'incidente, e in qualche modo sapevo esprimermi in inglese, ma non era abbastanza per le persone del posto per aiutarmi. Così rimasi nel villaggio. Mi costruii una vita- aiutavo i bambini con le provviste, le donne del villaggio con i malati. Capii che nella mia vita precedente dovevo essere stato qualcuno a cui piaceva aiutare la gente, così iniziai a lavorare per gli ospedali che hanno là. E poi, piano piano...sono tornati dei ricordi. È qualcosa di graduale, ed è difficile da spiegare. Ma improvvisamente ricordavo il mio nome, alcuni dettagli della mia vita precedente, della mia famiglia. E poi di te. Finalmente mi ricordai di te. Dall'incidente erano passati un paio di anni, ormai. Feci tutto il possibile per spostarmi da quel villaggio, cercando il modo di tornare qui. Non fu affatto facile. Trovai delle imbarcazioni clandestine che mi portarono in Europa, lì mi rimisi in sesto, facendomi aiutare da dei vecchi amici. Nell'ultimo anno sono rimasto nei pressi di Parigi, lì hanno università specializzata nella perdita di memoria e nello studio del cervello. Mi aiutarono tantissimo. Non appena sono riuscito a rimettermi in piedi, sono tornato qui.”

C'erano tante, troppe cose che Blaine non capiva. Strinse il lenzuolo sotto di sé.

“Anche qui ce le hanno le università specializzate nella memoria.”, borbottò con rabbia. “I tuoi amici non potevano aiutarti a tornare qui?”

Ryan deglutì. “B-Blaine, io- capisco che per te sia difficile capire, ma ero- ero così spaventato, e destabilizzato, avevo un sacco di vuoti e il pensiero di tornare qui ed essere vulnerabile mi terrorizzava-”

“Certo, perché infatti tu devi essere sempre forte, non devi avere punti deboli.”, ringhiò Blaine. “E un telefono? Un dannato telefono i tuoi amici non te lo potevano prestare?”

“Blaine-”

“Sarei venuto a cercarti!”, gridò finalmente Blaine. “Dio- avrei preso il primo aereo e sarei venuto a Parigi, a Praga, in Russia- in qualsiasi cazzo di posto, non lo capisci? Mi hai- mi hai escluso, hai fatto la cosa peggiore che potessi farmi-”

“Avevo paura.”, mormorò Ryan a quel punto, conficcando i propri occhi in quelli di Blaine. “Avevo paura di tornare.”, disse piano, per far sì che Blaine assimilasse le parole. “Avevo paura che una volta tornato le cose sarebbero state diverse. Che ti avessi già perso. Di averti ferito troppo. Continuavo a ripetermi che tu ora stavi cercando di rimetterti in sesto, costruirti una vita nuova, e io non potevo piombare dal nulla rimettendo tutto in discussione. Forse sono stato egoista, forse no. Non so come si comporta la gente in questi casi, Blaine, visto che comunque non succede tutti i giorni che qualcuno riesca a sopravvivere per miracolo.”

“Hai sbagliato.”, gli disse Blaine in un sussurro. “Hai sbagliato a credere che fossi così debole. Tu- tu hai sempre sbagliato a ritenermi così debole. So essere forte invece, Ryan.”

“Lo so.”, borbottò Ryan, e il suo viso si contrasse in una smorfia di puro dolore. “Ti giuro che lo so- è solo...sai che odio aver paura, e improvvisamente ne avevo tantissima, e non- non me la sono sentito di tornare finchè era di nuovo tutto a posto.”, mormorò. Poi si avvicinò cautamente, raccogliendo le dita di Blaine. “Ma adesso sono a posto, Blaine.”

Blaine cercò i suoi occhi, Ryan alzò una mano per posarla attorno alla sua guancia.

“Blaine.”, soffiò Ryan. Solo quello, un soffio, una tacita richiesta. “Io- cristo, lo so che non c'è niente di facile in quello che sta succedendo. So che pensavi fossi morto, e che questo deve essere- deve essere così terrificante per te. Io lo capisco.”, mormorò. “Ma- pensa a quanto ci siamo amati, Blaine. Ed era- era tutto finito, invece ora- ora non lo è più. Può ricominciare. Non subito, e non saremo mai come prima, saremo diversi, ma- è un miracolo questo, Blaine, un autentico miracolo, che ci venga concesso di rivivere il nostro amore, pensaci.”

Blaine stava tremando come una piccola foglia mossa dal vento. Distolse lo sguardo, incapace di sostenere quello di Ryan.

“Ti amo.”, gli disse lui, senza paura. “Sei ciò che mi ha tenuto in vita nei mesi in cui credevo di aver perso tutto, il motivo per cui sono tornato. Ti amo ancora, e- e so che dietro tutti quegli strati di rabbia anche tu senti ancora qualcosa per me. Lo so che è così.”

Blaine strinse forte le palpebre. KurtKurtKurtKurtKurt-

E Blaine- certo che provava ancora qualcosa, e si sentiva così meschino, così sporco e inerme e inutile, perché fino al giorno prima era così innamorato di Kurt che pensava di non avere confini ed era pronto a cominciare la sua vita con lui ma Ryan – lui era il marito di quell'uomo, legato a lui da un vincolo indissolubile, e adesso era vivo, non più un ricordo. Era lì che lo stringeva.

Ryan scostò un ricciolo ribelle dalla sua fronte e si sporse di nuovo – questa volte le loro labbra si sfiorarono appena e Blaine non si mosse, tremò, incapace di fare altro. Poi ricordò di quel mattino, del corpo di Kurt pressato contro il suo, delle sue labbra calde, del suo sorriso che lo aveva salvato, e si tirò indietro.

“Ho conosciuto un'altra persona.”, disse, inspirando bruscamente e passandosi entrambe le mani tra i ricci. Ryan aprì la bocca per dire qualcosa, ma non uscì niente; Blaine vide il suo entusiasmo spegnersi, gli occhi velarsi di puro, immenso dolore. “L-lui- stiamo costruendo una nuova vita. E so che due anni possono sembrarti pochi, Ryan, ma- lui mi ha salvato. E non sto scherzando. Mi ha salvato da me stesso, mi ha fatto amare ancora, mi ha dato tutto quello che pensavo non potesse più essermi dato. Non- non posso lasciarlo. Non so nemmeno come si fa- non riesco a immaginarmi-”, un rantolo, e Ryan si alzò dal letto con un movimento lento. “Non riesco più a immaginarmi senza di lui.”

Ryan camminò avanti e indietro con passi lunghi, i capelli scarmigliati e il corpo longilineo scosso da leggeri tremori.

“Come si chiama?”

“Kurt.”, Blaine respirò. “Si chiama Kurt.”

“Lo ami?”

La domanda arrivò inaspettata, e Blaine guardò Ryan negli occhi senza riuscire a rispondere. Avrebbe voluto strapparsi il cuore in quel momento per far capire a Ryan quanto esattamente fosse incasinato – ma se c'era qualcosa di cui era certo, erano i sentimenti che provava per Kurt.

“Non c'è bisogno che tu dica niente.”, soffiò alla fine Ryan. “Si capisce dai tuoi occhi.”

Blaine distolse lo sguardo, una lacrima calda cadde sulle sue ginocchia.

“Sai, non- non mi aspettavo di tornare qui e gridarti amore eterno. Lo so che in cinque anni le cose cambiano, Blaine, e sapevo che una cosa del genere poteva capitare. E va bene, voglio dire- sono così felice che tu sia andato avanti, lo sono davvero.”

Ryan tornò a sedersi, gli occhi limpidi e pieni di luce, e Blaine seppe che non stava mentendo.

“Però- non credo di essere pronto a rinunciare a te. A noi. E penso che anche tu abbia bisogno di capire cosa vuoi. Per quanto ami quel ragazzo, Blaine, devi- riflettere sul fatto che potrebbe cambiare tutto, perché adesso io sono qui. Sarò sempre qui.”, disse in un sussurro, accarezzando un pezzo di mento di Blaine con le nocche. Il ricciolo chiuse gli occhi – cercò di concentrarsi sul tocco, di farlo suo, di non sentirsi tremendamente in colpa. Si mordicchiò il labbro inferiore e fece un passo indietro, le braccia intrecciate attorno al proprio stomaco.

“Tu sei sempre stato disposto ad aspettarmi, Blaine. Quando- quando facevo il militare, non avevi idea se sarei tornato, eppure rimanevi ad aspettarmi. Lo hai fatto anche quando non ti davo alcuna garanzia. Lo hai fatto anche l'ultima volta, poi, quando non sono più tornato.”

Blaine annuì, quasi senza forze.

“Tocca a me ad aspettarti questa volta.”, soffiò Ryan, un piccolo sorriso che sapeva di promesse. “E lo farò Blaine; lo farò per tutto il tempo di cui hai bisogno.”

Blaine conficcò gli occhi nei suoi. “Potrei non tornare.”

“Ti aspetterei comunque.”, mormorò Ryan. “E andrebbe bene lo stesso. Ne avresti tutto il diritto.”

Blaine aveva bisogno di uscire da quella stanza – c'era troppo buio, troppo silenzio, un silenzio quasi assordante – voleva respirare aria limpida e pulita e non dover pensare a niente. Si limitò a fare ancora qualche passo indietro.

“Blaine.”, lo chiamò Ryan, la voce bassa eppure limpida. “Io- io lo so che- Kurt è davvero importante per te.”

Blaine alzò lo sguardo, prese un respiro profondo. “Come?”

“Perchè so quanto mi amavi.”, disse semplicemente Ryan, sorridendo appena. “E se non mi stai scegliendo, se- se hai bisogno di tempo, vuol dire che lui per te ha fatto veramente tanto. E- p-per quanto ci volessimo bene, per quanto la nostra storia fosse- abbastanza, probabilmente non è quello di cui hai bisogno adesso.”

Blaine si mordicchiò cautamente il labbro inferiore, sperando che quel parziale dolore gli impedisse di ricominciare a piangere. Si voltò dando a Ryan le spalle, pronto per lasciare quella stanza.

“Non sono più il Blaine di cui ti eri innamorato, Ryan.”, sussurrò Blaine, prendendo in mano la maniglia della porta. “In questi quattro anni sono cambiato tanto quanto lo si fa in una vita intera.”

Ryan si morse forte il labbro inferiore. “Forse.”, soffiò. Un sorriso triste invase le sue labbra. “però mi sei- mi sei mancato, Blaine.”

Anche Blaine, in qualche modo, si ritrovò a sorridergli.

“Anche tu.”, disse piano. “Anche tu.”

 

***

 

Quando Blaine tornò al loro appartamento – era ancora loro, dopotutto? Poteva ancora considerare Kurt suo, poteva ancora considerarsi di Kurt? - trovò il salotto illuminato dal sole del primo pomeriggio, vuoto e spoglio e che profumava di caffè. Si passò una mano tra i capelli e andò in camera – sul letto, Kurt era rannicchiato in posizione fetale, le braccia raggruppate davanti a sé, la testa immersa nel cuscino di Blaine.

E Blaine – Blaine si sentì così enormemente colpevole, in quel momento; perché anche se non era colpa di nessuno che Ryan era di nuovo vivo, e anzi era un miracolo, l'ultima cosa che nella vita voleva fare era ferire quella creatura che lo aveva tenuto al sicuro per tutto quel tempo. Il suo cuore si sgretolò in un milione di pezzi – eppure camminò lo stesso, si mise dietro di lui e lo strinse forte, accorgendosi che stava piangendo in silenzio dai piccoli spasmi che il suo corpo aveva. Lasciò che piangesse tra le sue braccia; immerse la testa nel suo collo e inspirò il suo profumo, gli trascinò via i capelli dalla fronte, gli baciò la punta spigolosa della spalla. Kurt a un certo punto si ritrasse, il viso contratto in una smorfia di dolore e le spalle che si muovevano a scatti per i singhiozzi.

“Ci hai-”, iniziò, asciugandosi le lacrime con la punta delle maniche della felpa. “Ci hai fatto l'amore?”, chiese, cercando di respirare per mantenere un minimo di dignità. Blaine spalancò gli occhi.

“Cos- Kurt-”

“Sei stato via tantissimo.”, sussurrò Kurt. E la sua non era un'accusa, solo- una domanda, una sconfitta, una costatazione, un modo per dirgli che era distrutto dentro ma che probabilmente se lo aspettava che qualcosa sarebbe successo. E quello fu ciò che gli fece più male di qualsiasi cosa.

“No.”, soffiò Blaine, diretto e deciso, avvicinandosi al corpo accartocciato di Kurt e prendendogli il viso tra le mani. “Come puoi pensare- no. Kurt, no, mai- non ti farei mai una cosa del genere.”

Kurt tirò su col naso e immerse la testa nelle proprie ginocchia, facendosi ancora più piccolo di quanto non fosse. Blaine strinse dolcemente un pugno attorno ai suoi capelli, disegnò con l'altra mano cerchi distratti sulla sua schiena, come se fosse improvvisamente diventato un pittore e Kurt la sua tela, il dolore tra di loro i colori, i pennelli, tutto ciò che si poteva usare per tracciare sentimenti.

“Abbiamo parlato.”, disse piano Blaine, squarciando il silenzio. “Non sapevo- non sapevo nemmeno cosa dirgli, e poi sono arrabbiato, così arrabbiato-”, rantolò. “E non facevo altro che pensare a te, a quanto mi sentissi un mostro perché non voglio farti questo, non voglio, ti giuro che non voglio, io- io voglio solo che tu rimanga fuori da tutto questo-”

“Non puoi tirarmi fuori da tutto questo, Blaine.”, sussurrò Kurt, alzando appena la testa. “Ti amo. Per quanto cerchi di proteggermi, una cosa del genere riguarda anche me. Riguarda noi- tutto ciò che noi siamo.”

Respirarono a lungo, rimanendo in silenzio. Blaine a un certo punto appoggiò la fronte ai capelli di Kurt, due corpi accartocciati e pressati l'uno contro l'altro.

“Io credo che dobbiamo lasciarci, Blaine.”

Blaine si congelò. “No.”, disse immediatamente, sollevando la testa e incontrando gli occhi umidi di Kurt. “No- ti prego no. Non posso- non posso perdere anche te. Non- non facciamoci questo, va bene? Non lasciarmi. P-per favore Kurt, non lasciarmi, non lasciarmi non lasciarmi non lasciarmi non-”

Fu Blaine a lasciarsi scappare un singhiozzo questa volta, e Kurt si aggrappò così saldamente con le dita al suo maglioncino da farsi venire le nocche bianche. “Io non voglio lasciarti, Blaine.”, sussurrò, un soffio che era quasi inudibile. “Ma cosa- cosa posso fare? Devo- devo lasciarti andare, perché è questo che credo si debba fare in questi casi, no? Non posso tenerti legato a me- hai bisogno di capire delle cose, e non puoi farlo se continuiamo a stare insieme.”

Blaine si aggrappò al suo maglione, al livello del petto. “Non puoi- ti prego Kurt, non puoi-”

“Guardami negli occhi e dimmi che non provi niente per lui, Blaine.”, soffiò Kurt. C'era – tanta di quella serenità su quel volto, serenità e tempesta e buio e paura, e Blaine si sentì gelare il sangue nelle vene perché capì che Kurt lo conosceva in un modo in cui probabilmente non si conosceva nemmeno lui stesso, perché sapeva vedere oltre. Kurt sapeva. E Blaine-

Blaine immerse il volto nella sua spalla, scoppiando a piangere, perché non ci riusciva a dire che non provava niente, e si odiava. Si odiava davvero, profondamente, in un modo in cui non credeva fosse possibile.

“Shhhh.”, mormorò immediatamente Kurt, immergendo la mano tra i suoi ricci e tenendoselo vicino. “Blaine, shhhh, va bene. Va tutto bene, voi- voi siete stati sposati, lo hai amato così tanto, non- non era finita tra di voi. Non è colpa tua.”, gli disse dolcemente, la voce incrinata dal pianto.

“Mi dispiace.”, ansimò Blaine tra i singhiozzi, stringendo Kurt ancora di più. “Mi dispiace mi dispiace mi dispiace-”

Fu una cantilena che durò per un tempo infinito, e Kurt si abituò a quelle parole come ci sia abitua al suono e all'odore della pioggia. Continuò ad accarezzargli i capelli, diventando una roccia quando lui stesso aveva bisogno di aiuto per non sgretolarsi, ma capendo che in fondo il più fragile dei due in quel momento era Blaine: Blaine aveva la vita sconvolta, ora; Blaine aveva ricostruito i propri pezzi per rivederli cadere uno ad uno, insieme a tutti i suoi sforzi.

Quando finalmente si fu calmato, Kurt gli lasciò un bacio piccolo tra i capelli, poi sulla tempia, lì dove poteva sentire il sangue scorrere veloce.

“Non ce la faccio senza di te.”

“Sì che ce la fai.”, disse semplicemente Kurt. Non cercò i suoi occhi, tenne solo una mano all'altezza del suo cuore. “Io- prenditi tutto il tempo che vuoi, va bene? Io sono forte, Blaine, ce la faccio. Voglio solo che tu capisca quello che stai cercando. E se-”, un respiro profondo, e Blaine si staccò da lui per poterlo guardare, “E se dovessi scegliere lui, io- io ti capirei. Ti capirei, Blaine.”

Blaine sollevò le mani, immerse le dita tra i suoi capelli, avvolgendogli le guance con dolcezza.

“Tu mi hai salvato la vita.”, gli disse, immergendosi nei suoi occhi d'oceano. “Mi hai ridato il respiro.”

Kurt tentò di sorridere. “L-lo so.”, disse di rimando, e lo sapeva davvero. Ma non era abbastanza. “Però lui- lui ti ha avuto in modo che- io non ti ho avuto così Blaine. Non ho avuto di te ciò che ha avuto lui.”

Blaine gli accarezzò le labbra sottili con la punta del pollice. “Non sei mai stato la sostituzione di nessuno.”, gli ripeté forse per la millesima volta, ma voleva che Kurt lo sapesse. Che quelle parole gli si imprimessero sulla pelle con la forza di un inchiostro indelebile. “Ti ho amato perché sei tu. Ti amo perché sei tu. E non- non so se riesco a smettere.”

Kurt sbattè le palpebre una singola volta, una calda lacrima cadde e scivolò sulla sua guancia. “Non smettere allora. Così almeno io non sembrerò- non sembrerò stupido perché non riesco a smettere di amarti.”

“Dio, non sei stupido. Non lo sei.”, sussurrò Blaine, prima di appoggiare la fronte alla sua e chiudendo gli occhi. Voleva baciarlo- non sapeva perché con Kurt quello fosse più semplice, non sapeva perché con lui non si sentiva in colpa, o almeno non così tanto come succedeva con Ryan. Si sentiva a casa dal momento in cui aveva varcato quella soglia – e voleva solo stringere Kurt, tenere al sicuro Kurt, dargli ogni cosa che poteva dargli.

“N-non baciarmi.”, soffiò Kurt. Sembrava davvero poco convinto del suo ordine, con le guance rosse e le labbra semi-aperte, piene e vogliose di essere riempite. “Se lo fai- non credo che saremo in grado di fermarci, e non voglio- non voglio che succeda nulla. Non finchè tu non avrai deciso.”

Blaine annuì estremamente piano. “Va bene.”, acconsentì. E come non avrebbe baciato Kurt, promise a sé stesso che finchè non avesse preso una decisione non avrebbe baciato nemmeno Ryan, per rispetto nei confronti di entrambi.

Blaine strinse le dita attorno alle ciocche dei capelli di Kurt e si sollevò per lasciargli un bacio sulla fronte; fu lungo, atteso e destabilizzante, come se Blaine lo stesse adorando.

Poi si staccarono – e Blaine rimase rannicchiato nel letto, mentre osservava Kurt raccogliere le sue cose e andare via.

 

***

 

“Dove andrai?”

Le dita di Kurt tremavano attorno alla maniglia dell'enorme trolley, i suoi occhi erano ancora umidi di pianto e la punta del suo naso era arrossata.

Era mozzafiato – e Blaine avrebbe tenuto il ricordo di quella sua fragilità per sempre, perché a volte amare Kurt era bello quando lui era forte, ma altre volte diventava ancora più bello, quando doveva essere Blaine quello forte tra i due.

“A Lima, credo.”, disse Kurt. “Da mio padre, uhm- la mia stanza è sempre là ad aspettarmi.”

Blaine respirò a fondo.

“Posso chiamarti ogni tanto?”

Kurt cercò i suoi occhi per una frazione di secondo. “Sì.”, sussurrò. “Sì, sarebbe meraviglioso sentirti.”

Blaine lo vide incamminarsi verso il corridoio che portava alla cucina. Sentiva di non avere più forze in corpo.

“Kurt?”

“Sì?”

Kurt non si voltò, così Blaine parlò alla sua schiena. “Non avrei mai voluto questo per te.”

 

***

 

Kurt fece come aveva detto a Blaine, tornò a casa da suo padre. La consapevolezza di ciò che era successo lo colpì come un fulmine solo dopo, mentre stava compiendo il viaggio.

Aveva perso Blaine.

Lui non aveva ancora scelto, ma Kurt era praticamente certo che con il tempo Blaine si sarebbe reso conto che quello che lui e Ryan avevano riavuto consisteva in un autentico miracolo, e che non era qualcosa che poteva farsi scivolare via dalle dita. Blaine aveva amato Ryan, Kurt lo sapeva, lo aveva visto e compreso, e non poteva competere con un amore così grande. Blaine aveva dei doveri essendo sposato e Kurt - lui era solo un ragazzo perdutamente innamorato che adesso stava perdendo tutto, persino sé stesso.

Non disse nulla a Burt. Si presentò a casa, gli occhi velati di lacrime e il corpo stanco e sconfitto - per qualche ragione suo padre sembrò aver capito tutto e lo prese tra le braccia, lasciando che si sfogasse. Quando Kurt non ebbe più lacrime da versare cercò gli occhi di Burt e si morse il labbro, il cuore che era polvere.

"L'ho perso, papà.", disse in un soffio strozzato. "L'ho perso per sempre."

 

***

 

Burt osservava Kurt da lontano - e gli sembrava di vivere con un fantasma.

Suo figlio era lì, certo che era lì, vivo e presente, eppure aveva la stessa consistenza di un'entità senza corpo. Mangiava a malapena, si sforzava di parlare di tanto in tanto, ma era come se si lasciasse scorrere la vita lontano dalla sua pelle. Come se tutto gli stesse scivolando addosso.

Un giorno lo vide rannicchiato sul divano, la coperta addosso così grande fino a farlo scomparire, lasciando che diventasse un piccolo puntino in quel groviglio di stoffe. Guardava fuori dalla finestra con occhi distanti e persi, il blu al loro interno che aveva lasciato spazio a un colore più freddo, come il ghiaccio con le crepe.

Era devastato.

“Kurt-”

“Non dire niente.”, soffiò Kurt. “Non c'è niente che tu possa dire per farmi stare meglio.”

Burt decise di appoggiarsi al bracciolo del divano. Rimase in silenzio come suo figlio gli aveva suggerito, perché sapeva che tra di loro doveva andare così: a volte le parole non servivano a niente, e Kurt aveva solo bisogno di sentirlo vicino, per avere l'impressione che andasse tutto bene. Che fosse tutto a posto.

“Cosa dovrei fare?”, soffiò a un certo punto. Sembrava senza forze.

“Lo hai lasciato andare.”, rispose automaticamente Burt. “E' stata la cosa giusta da fare, anche se era la più difficile.”

“Davvero credi che sia giusto?”, chiese in un sussurro Kurt, cercando i suoi occhi. “Perchè io continuo a pensarci e- sinceramente non so se ho fatto la cosa giusta. Perchè le persone che si amano dovrebbero stare insieme, no? E invece io ora non sto insieme a lui, l'ho lasciato andare, e mi sembra di avere un buco al posto del cuore-”

“Figliolo.”, lo fermò Burt, allungando una mano per artigliare una sua spalla. Kurt si morse forte il labbro inferiore e alzò una mano a sua volta per aggrapparsi a quella di suo padre come se ne dipendesse. Chiuse gli occhi.

“Tu che avresti fatto?”

“Come?”

“Che avresti fatto.”, soffiò Kurt. “Se fosse tornata la mamma.”

Burt lasciò andare il fiato a quel punto – non credeva che suo figlio potesse fare lui una domanda del genere. Il suo cuore si strinse in una morsa che gli impedì di respirare. Aveva amato Elizabeth come si ama una sola persona nella vita; in quel modo pieno e senza riserve e totalizzante che gli aveva permesso di essere l'uomo che era nato per essere. Ma l'aveva amata in passato, e ora aveva Carole, una nuova vita, una nuova quotidianità, dei nuovi sogni.

“Sono quei tipi di domande che non hanno una risposta, Kurt.”

“No. Tutte le domande hanno risposta. Hai solo paura di dirmelo, perché non vuoi che soffra.”

Burt sospirò, stringendo la presa sulla spalla di Kurt. “Non credo sia una questione di scelta, figliolo.”, ammise, pensando alle proprie parole con cautela. “Amavo tua madre e la amo ancora oggi, ma non amo lei più di quanto ami Carole. Sono due amori diversi, ma questo non vuol dire che sia pronto a rinunciare a uno dei due.”

“Quindi Blaine cosa dovrebbe fare?”, chiese Kurt in un sussurro strozzato. “Amarci entrambi?”

“Io credo che sia quello che stia facendo, Kurt. Per quanto destabilizzante, è quello che succederebbe anche a me, se la mamma tornasse.”, confessò Burt. “Francamente, non so se riuscirei a scegliere, Kurt. Sono quelle cose che non dovrebbero succedere nella vita, okay? Ma...”, a quel punto Burt prese un bel respiro. “Mi sembra che tu stia dando per scontato che Blaine ti lascerà.”

Kurt immerse la testa nelle ginocchia. “Non...non credo mi ami quanto ha amato lui.”

“Io credo che ti sbagli.”, disse semplicemente Burt. “E lo dimostra il fatto che ti ha chiesto del tempo, e non ti ha abbandonato. Forse sottovaluti quello che hai fatto per lui, figliolo.”

Kurt tentò di prendere un bel respiro, stringendo forte le braccia attorno alle proprie ginocchia.

“Il pensiero che tua madre possa tornare è così bello che mi toglie il respiro, Kurt.”, spiegò Burt a quel punto. “Ma non per questo credo che sarei pronto a rinunciare a quello che Carole ha portato nella mia vita. Lei mi ha salvato, so che tu lo sai.”

“Stai cercando di dirmi che sceglieresti lei e non la mamma?”, gli chiese Kurt. Non era un'accusa, era solo pura e semplice curiosità.

“Sto dicendo che ora come ora sono completamente diverso dall'uomo che ha sposato tua madre.”, disse semplicemente Burt. “E l'ho amata, certo che l'ho amata, e l'amerò sempre. Ma Carole è il mio presente adesso, e ha riempito dei vuoti che non credevo potessero essere più colmati.”

Kurt smise di fare domande, semplicemente perché ne aveva così tante nella testa che non aveva il tempo e lo spazio per porle tutte. Tenne la mano di suo padre stretta tra le sue e appoggiò la tempia alla sua gamba, chiudendo gli occhi e lasciando che qualche lacrima bollente scivolasse sulle sue guance.

 

***

 

Blaine e Ryan cominciarono a vedere uno psicologo e una terapista di coppia, sotto consiglio della dottoressa Emily. La loro nuova vita consisteva nel vedersi almeno un'ora al giorno circondati da medici e da strizzacervelli che facevano loro un milione di domande.

C'era anche il tempo ritagliato per stare soli, e quello era il momento della giornata che Blaine aspettava con più ansia e che temeva. Perché stare con Ryan era – un sogno, era ancora un sogno, e Blaine aveva il terrore di potersi svegliare e non ritrovarlo più. Passeggiavano per il parco, ascoltavano musica, parlavano di qualsiasi cosa ricordassero o venisse loro in mente. Una volta provarono a dipingere, e Blaine insistè perché Ryan tenesse quel disegno.

Ryan aveva provato a baciarlo, anche più di una volta. Ryan era sempre attento e premuroso con lui, avvolgeva le sue guance con dolcezza e gli diceva Mi manchi da morire, e Blaine lo sapeva, e sentiva quella mancanza di rimando, ma era qualcosa di sporco e sbagliato, e non riusciva a lasciarsi andare.

Con il passare delle settimane gli strati di rabbia cominciarono a svanire e Blaine lo sentì, forte e puro, il sentimento che una volta aveva provato per lui. Lo amava. Lo accettò prima con lacrime e urla nel cuore della notte, poi cominciò a convivere con il pensiero, ne parlò con i dottori, lo disse a Ryan.

Si chiese per la prima volta in tutta la sua vita se si potesse essere innamorati di due persone contemporaneamente. Si chiese se, soprattutto, se il suo corpo avrebbe potuto sopportarlo. Era come se in qualche modo si stesse ribellando: visto che Blaine era così piccolo e provava due sentimenti così grandi, spesso si ritrovava privo di forte sul letto, sfinito dal pianto.

Ogni giorno prendeva in mano il telefono e digitava il numero di Kurt – ogni giorno non trovava il coraggio di premere il pulsante verde e ascoltare la sua voce, lasciarsi andare, distruggersi – Mi manchi mi manchi mi manchi, più di quanto riesco a dirti, più di quanto credi.

Ryan era vicino, una continua tentazione, un corpo caldo e consistente che poteva tenerlo in pezzi se lo voleva. Eppure Blaine non lo voleva, era quello il problema. Guardava le sue labbra e si rendeva conto che sì, le voleva baciare, e si sarebbe lasciato baciare, se Ryan si fosse spinto oltre – ma non le agognava, no. Sarebbe stato solo un mezzo per colmare i vuoti.

Intanto, il telefono era quasi sempre spento tra le sue dita – e quelle stesse dita tremavano senza interruzioni.

“Puoi chiamarlo, se vuoi.”, una sera gli disse Ryan, di ritorno da una passeggiata. Stavano per salutarsi per la notte, e praticamente non avevano mai parlato quella sera, si erano limitati a camminare fianco a fianco, ascoltare i rumori della città e la confusione dei loro pensieri.

“Ryan-”

“Ascolta, Blaine.”, soffiò lui. “Rivoglio la nostra vita. Più di quanto riesca a dirti- ma questo non sei tu, non sei tu, e per la prima volta da quando sono tornato mi sto rendendo conto di quanto davvero tu sia diverso. Non posso aspettarmi che quello che c'è tra di noi sia uguale a quello che c'era un tempo. Non sei quel ragazzino che ho conquistato al liceo – sei questo uomo, adesso, pieno di sogni e di ambizioni, e io mi sto comportando con te come se fossimo ancora dei diciassettenni.”

“Cosa c'entra Kurt con tutto questo?”

Ryan sorrise appena. “C'entra che lui fa parte di questa tua vita più di quanto faccia io. Se non lo stai chiamando per non ferire me, beh- smettila, Blaine. Mi ferisci di più se fai così, se fingi che non ti manchi. Quando so che ti manca.”

Blaine si morse il labbro inferiore, si passò una mano tra i ricci. “Io-”, rantolò, non sapendo cosa dire. “Tempo fa non avrei mai guardato altri uomini, per me c'eri solo tu. È solo che- tu te n'eri andato Ryan, te n'eri andato, e io non credevo di potermi innamorare di nuovo. E ci ho provato, non è che non ci ho provato, ma in ogni uomo vedevo te ed era inutile, e poi-”

Ryan sorrise appena, comprensivo. “Poi è arrivato Kurt.”

Blaine sentì il proprio stomaco contorcersi. “S-sì.”, soffiò, e gli venne da sorridere, e si sentì un idiota ma dio, anche solo pensare a Kurt lo faceva sorridere. “Sì, è arrivato lui.”

Ryan annuì, forte. “Va bene.”, mormorò. “Davvero Blaine, va bene.”

Dai suoi occhi, Blaine capì che non andava bene per niente. Si lasciò baciare sulla guancia, e poi vide quell'uomo sparire nella notte, prima di correre su al suo appartamento. Non appena si chiuse la porta alle spalle, afferrò il cellulare dalla tasca, i polmoni che improvvisamente sembravano più liberi.

 

Kurt rispose al telefono senza guardare chi fosse a cercarlo, gli occhi che pizzicavano e la pelle intorpidita dalla stanchezza.

“Pronto?”

Dall’altra parte un semplice soffio sfocato, un sussurro all’anima di pura e naturale gioia. “Kurt.”

Kurt si bloccò di colpo, il cellulare che quasi gli cadeva dalle dita che avevano iniziato a tremare. “B-Blaine?”

“Sono io.”, rispose semplicemente Blaine, quasi senza fiato. Si lasciò cadere lungo la parete del muro dietro di lui, le labbra che tremavano. “Sono qui.”

Kurt si morse il labbro inferiore per impedire a un piccolo singhiozzo di fuoriuscire. Abbassò la testa, coprendo i propri occhi con una mano e cercando di regolarizzare il respiro. “N-non credevo, non…non mi aspettavo più che mi chiamassi.”

“Mi dispiace.”, soffiò Blaine sulla cornetta. “Mi dispiace da morire, io- credevo di riuscire a mantenere le distanze e mi ero promesso di non cercarti più perché magari sarebbe stato tutto più difficile.”

Kurt capì. Senza nemmeno il bisogno di vedere gli occhi di Blaine – capì. Capì perché non lo aveva più cercato, perché per lui in quelle settimane era completamente sparito – non poteva andarsene ma comunque tenere un piede nella sua parte.

“Ma mi manchi.”

Kurt chiuse gli occhi di scatto, accartocciandosi sul divano dietro di lui, raccogliendo una coperta con la mano libera e avvolgendosela intorno, quasi scomparendo.

“Anche…”, Kurt dovette prendere un bel respiro, perché gli sembrava improvvisamente che tutto il fiato che aveva in corpo fosse svanito. “Anche tu mi manchi.”

Blaine poteva vederlo piangere, anche se a conti fatti non lo vedeva. Non davanti i suoi occhi almeno, ma Kurt era bloccato nella sua mente, costantemente tatuato sulle sue retine.

“Va…va tutto bene?”, chiese Kurt a un certo punto. “Stai bene?”

“Non lo so.”, ammise piano Blaine. Non aveva tempo per le bugie. “Io e Ryan stiamo…stiamo cercando di capire delle cose. Vediamo tanti medici, cerchiamo di parlare tanto, sai- di noi, del passato.”

Kurt annuì, anche se nessuno poteva vederlo.

“E’ che non mi sembra di vivere la mia vita, Kurt.”, ammise piano Blaine, passandosi una mano tra i ricci. “Voglio dire- mi sembra di essere bloccato in una dimensione fantasma, e di non poterne più uscire.”

Kurt avvolse il proprio petto con le braccia, come per proteggersi. “Andrà…andrà tutto bene, Blaine. In qualche modo si sistemerà tutto.”

“E tu?”

“Io cosa?”

“Tu…tu ti sistemerai?”

Kurt inspirò, forte. “Io-“, rantolò, cercando le parole giuste. “Te l’ho detto Blaine, io sono forte.”

“Certo che lo sei.”, confermò Blaine, la voce densa di miele. “Ma a volte le persone più forti sono quelle che soffrono di più. E che infondo, in un punto che non mostrano a nessuno, sono le più vulnerabili.”

Kurt deglutì. “Siamo fragili, Blaine.”, sospirò. “Tutti lo siamo, alcuni più di altri. E io…io sto solo cercando di tenere uniti i pezzi.”

“Voglio solo che tu sappia che-“, Blaine si bloccò, accarezzandosi piano le labbra con la punta del pollice. “Che puoi mostrarmi la tua vulnerabilità. Non succederebbe niente.”

No, non succederebbe niente, ma non sei qui, non sei qui, dove io ho bisogno di te, sei lontano, sono vuoto, così vuoto-

Kurt non avrebbe voluto che Blaine sentisse il suo singhiozzo, e nemmeno che lo ascoltasse piangere, ma fu quello che effettivamente accadde.

“Kurt-“

“E’ che n-non ero pronto a perderti, Blaine.”, soffiò Kurt, cercando di prendere un bel respiro per calmarsi. “Non ero- non credo lo sarò mai. E forse non sto lottando abbastanza, eppure tutto di me mi grida che è stata la cosa giusta lasciarti scegliere, ma se alla fine ti perdessi io-“ ormai Kurt era senza inibizioni, e non aveva nulla da perdere. “Io credo che ne morirei.”

Anche Blaine pianse – piangere era il modo di parlare di dolore senza bisogno di parole.

“Dio, Kurt, tu- tu non hai idea di quanto io mi odi.”, disse semplicemente Blaine. E lo intendeva davvero, non fingeva, non voleva farsi compatire. “E passo i minuti a pensare a te e a sentirmi in colpa nei confronti di Ryan; e quando penso che dovrei scegliere lui perché comunque siamo sposati e io ho fatto una promessa mi sento morire perché ci sei tu, e sono- sono egoista, Kurt, così egoista, perché tu dovresti essere libero e felice e innocente e io te la sto rubando tutta, l’innocenza.”

Kurt ruotò le dita in mezzo ai propri capelli, sforzandoli e probabilmente spezzando qualche ciocca.

Blaine.”, soffiò Kurt, solo quello. “Blaine Blaine Blaine Blaine.”

“Non so cosa devo fare.”

Kurt chiuse gli occhi. “Hai…hai ancora tempo, Blaine.”, ammise piano. “Io sono qui- ti ho aspettato per ventitré anni. Posso aspettare qualche mese ancora.”

Blaine si mise una mano sul cuore, ascoltando il battito frenetico di quell’organo che pompava sangue. “Sei vita, Kurt Hummel.”, sussurrò. “E io non ti merito.”

“Lascia decidere a me cosa merito.”, disse immediatamente Kurt. Blaine trovò la forza di sorridere.

“Qualunque cosa accada-“, soffiò, cercando di non piangere, “Quello che abbiamo avuto, Kurt; l’amore che abbiamo provato, quello non si cancella, non se ne andrà mai via. Sarà sempre una delle cose più autentiche e pure che la vita mi ha regalato.”

“Te lo giuro, Blaine.”, sussurrò lui. “Niente lo cancellerà.”

Si presero dei secondi per metabolizzare, ascoltando i respiri dell’altro.

“Posso chiamarti ogni tanto?”, chiese Blaine a un certo punto. “Solo…solo per sentire la tua voce.”

“Ogni volta che vuoi.”, disse di rimando Kurt, sorridendo appena. “Ti amo, Blaine Anderson.”

Kurt sentì chiaramente il sospiro di Blaine. “Kurt-“

“Non dire niente.”, mormorò Kurt. “Non c’è bisogno che tu dica niente, non adesso.”, continuò. E poi mise giù il telefono, senza sapere che Blaine dall’altra parte si era fatto piccolo piccolo contro il muro della sua cucina, il buio che lo invadeva.

Anche io ti amo, anche io ti amo, sempre, sempre, non smetto, non riesco a smettere-

 

***

 

Kurt scarabocchiava un foglio bianco con una matita – fiori e farfalle e nuvole e croci e cuori spezzati e occhi senza luce.

“Era venuto a chiedermi il permesso di sposarti.”

Kurt alzò lo sguardo, sembrando un bambino appena venuto al mondo, da proteggere e nutrire.

“Non so se questo cambi qualcosa.”, borbottò Burt. “Ma volevo dirtelo, perché lui non lo farà, non vuole ferirti ancora di più. Ma io non credo che sia qualcosa che può ferirti.”

Kurt tornò a osservare il foglio sotto le sue mani – tracciò con la punta del pollice le linee di contorno dei suoi disegni. Accartocciò le dita, distruggendo il foglio e tutte le speranze che conteneva – strappando strappando strappando, riducendo a brandelli.

“Infatti, non mi ferisce.”, soffiò appena. “Mi distrugge.”

 

***

 

Blaine guardava la TV, i capelli sparsi sul cuscino del divano e un bicchiere di latte svuotato a metà sul tavolino vicino a lui. Ryan comparve sulla soglia, i piedi nudi che sembravano fatti di conchiglia in confronto al legno scuro del pavimento.

In mano aveva una foto.

“Capisco perché lo ami.”, disse semplicemente, ruotando la foto per farla vedere a Blaine. L’avevano scattata al parco qualche giorno dopo essersi trasferiti lì a New York – seduti su una panchina, Blaine cingeva i fianchi di Kurt che rideva senza alcuna preoccupazione, le guance rosse per aver appena conquistato un pezzo di futuro, gli occhi rivolti verso quelli di Blaine, devoti, persi ed innamorati.

Blaine non ebbe il coraggio di rispondere, perché qualsiasi cosa avrebbe detto avrebbe finito per ferire Ryan. E in cuor suo sapeva che il suo sorriso e quello di Kurt, in quella foto, lo ferivano abbastanza.

 

***

 

Kurt non aveva idea che certi tipi di ferite potessero strapparti via il respiro, o la carne, lacerandola come denti che mordono.

Se ne rese conto solo dopo.

Quel pomeriggio Carole non era in casa, e Kurt era rannicchiato nel suo letto al piano di sotto, un singolo auricolare nelle orecchie mentre cercava di finire il modello che intendeva spedire a Isabelle entro quella settimana. Improvvisamente dal piano di sopra udì un tonfo; lasciò scivolare l'auricolare e andò su con calma, avvolgendosi attorno alle spalle l'enorme felpa che stava indossando.

“Papà?”, chiamò a quel punto, una volta salito al piano di sopra. Non vedeva nessuno, la casa era vuota; c'era un profumo di cannella e spezie che Kurt aveva imparato ad associare dall'arrivo di Carole. “Papà?”, ripetè più piano, in qualche modo cominciando ad essere preoccupato. Suo padre doveva essere lì, di solito guardava qualche partita alla TV, si concedeva una birra sul divano.

Quando Kurt arrivò in cucina il suo cuore smise di battere – e capì che per quanto pensiamo di aver paura, c'è sempre un modo di averne di più.

“Papà!”, gridò, quando vide Burt disteso per terra, privo di sensi; vicino alla sua mano sinistra c'era un bicchiere di acqua rovesciato rotto in diversi pezzi che formavano un tappeto intorno alle sue dita. Gli raccolse la testa con le mani. “Papà- ti prego svegliati.”, quasi urlò, scrollandolo leggermente. Burt non accennava a svegliarsi, e improvvisamente Kurt fu preso dal panico di non essere arrivato in tempo, di averlo perso – dio no non posso perdere anche te non posso non posso-

Fece il poco che la paura gli concesse di fare. Raccolse il cellulare dalla tasca dei jeans e chiamò un'ambulanza, singhiozzando sbraitando e sputando ordini, accarezzando lievemente la testa calva di suo padre, il cuore che batteva all'impazzata.

Se c'era qualcosa che Kurt Hummel aveva imparato era che la vita non era giusta – arrivava e prendeva tutto ciò che avevi senza chiedere il permesso, e a te rimaneva solo la polvere, il buio, il vuoto.

 

***

 

Ryan stava smangiucchiando i bordi della sua pizza, un leggero sorriso che gli invadeva il volto. “Era da una vita che non mangiavamo una pizza insieme.”

Blaine annuì, abbozzando un sorriso. Dopo diversa insistenza da parte dei medici, Blaine si era convinto ad andare nell'appartamento di Ryan per una cena. Non era la prima volta che si trovavano da soli in un luogo così intimo, ma era in assoluto la prima volta che lo facevano per una cena. Sapeva che Ryan non lo avrebbe costretto a fare niente – Blaine per primo non riusciva nemmeno a pensare a quella parte della loro vita, ormai – ma era sera, la notte era alle porte, e la pizza era sempre stato un po' il loro cibo, e si erano messi a parlare dei loro appuntamenti, di quello che provavano. Non che Blaine avesse bisogno di ricordare. Tutto ciò che aveva vissuto con Ryan era reale e sotto la pelle, non poteva sradicarlo, eppure-

Ogni volta che Ryan cercava la sua mano, Blaine sentiva il proprio corpo irrigidirsi. Non era una sensazione sgradevole – aveva bramato la pelle di Ryan, un tempo, e ne riconosceva il tocco, ma in qualche modo era qualcosa di diverso. Non sbagliato. Forse solo non completo come un tempo. Francamente Blaine non capiva, e la maggior parte delle volte, vista l'esitazione di Blaine, Ryan ritraeva la mano.

Ci furono sorrisi, palpebre che sbattevano veloci. Blaine pensò tutto il tempo a cosa stesse facendo Kurt mentre lui era lì, a cercare di costruire la sua vecchia vita. Ryan lasciò cadere i piatti sul lavandino, raccolse il volto di Blaine con le mani.

“E' importante che stiamo facendo questo.”, gli disse semplicemente. “Che siamo qui, stasera. Che ci stiamo provando.”

Blaine annuì appena, tentando l'abbozzo di un sorriso. Ryan si morse le labbra, sbattè piano gli occhi un paio di volte, e Blaine lo aveva amato abbastanza da sapere che si comportava così i momenti prima di baciarlo.

Blaine ci provò a sentire qualcosa – ci provò davvero, con tutto il cuore, ma l'unica cosa su cui riusciva a concentrarsi era il senso di colpa, i palmi delle mani che sudavano, il cuore che batteva nelle tempie, e poi-

Il suo telefono cominciò a suonare. Costantemente, una melodia che li distrasse entrambi e fece spostare bruscamente Blaine, che prese il suo telefono tra le dita e accettò la chiamata senza preoccuparsi di chi fosse.

“Pronto?”

“Blaine?”, un rantolo disperato, e poi qualche singhiozzo. Il cuore di Blaine gli precipitò nello stomaco.

“K-Kurt?”, soffiò Blaine, la voce intrisa di preoccupazione. “Kurt, cosa-”

“M-mi dispiace Blaine, ti giuro che mi dispiace, so che non dovrei chiamarti per questo e che tu stai- stiamo cercando di- è solo che non sapevo cosa fare-”

“Shhhh.”, soffiò Blaine. E improvvisamente Ryan non esisteva più. C'era solo Kurt, Kurt, solo Kurt che tremava, Kurt che piangeva, dall'altra della cornetta. “Shhh, respira, cerca di dirmi cosa c'è.”

“M-mio padre.”, sospirò appena Kurt a quel punto. “Ha avuto una ricaduta- n-non sanno se ce la farà.”

Blaine si passò una mano tra i capelli, lasciandola immersa tra i ricci, a tirarli talmente forte che temeva di strapparli.

“Blaine io-”, Kurt non era disperato. Era al di là del pianto. “N-non so cosa devo fare- mi sento così perso ed inutile, Blaine-”

Blaine non ebbe bisogno di ascoltare altro. Si voltò dalla parte di Ryan, il telefono ancora a mezz'aria, gli occhi spalancati.

“Devo andare.”, disse semplicemente, specchiandosi negli occhi di Ryan. Lui aggrottò la fronte – tentò di avvicinarsi e allungare una mano.

“Ma Blaine-”, mormorò, sembrando confuso e devastato e sconfitto. “Avevi detto- questa cena era importante-”

“Non posso.”, disse Blaine, la voce decisa e ferma. “Devo andare da lui, Ryan.”

Blaine si chiuse la porta alle spalle a quel punto, cominciando a correre giù per le scale. Attaccò il telefono all'orecchio, le lacrime che spingevano per uscire. “Splendore, ci sei? Sono qui. Promettimi che cercherai di essere forte. Io sto arrivando.”

 

***

 

Le dita di Kurt tremavano ancora attorno al cellulare, gli occhi che ormai avevano versato così tante lacrime da essere chiusi senza sforzo. Temeva di aver capito male. Non poteva essere che Blaine stesse venendo da lui, non adesso, non ora che stava cercando di ricostruire la sua vita insieme a Ryan-

Sentì dei passi alla fine del corridoio, alzò lo sguardo. Blaine era proprio lì, vestito semplicemente e i capelli bagnati di ciò che probabilmente era pioggia, occhi spalancati di chi ha tentato di dormire ma non ci è riuscito.

Kurt credeva di non avere più lacrime da versare, ma quando vide Blaine dovette ricredersi. Le lasciò scorrere, e lasciò che le sue gambe si muovessero per portarlo da lui – e Blaine corse, corse corse e corse ancora, finchè non aprì leggermente le braccia e ci accolse dentro Kurt, immergendo una mano tra i suoi capelli, e inglobandolo nonostante Kurt fosse più alto di lui.

“Shhh, va bene, va tutto bene.”, gli promise Blaine, disegnando ampi cerchi sulla sua schiena con la punta delle dita. “Ci sono io adesso.”, sussurrò piano, lì tra i suoi capelli. Kurt singhiozzava con le mani accartocciate attorno alla sua maglietta, il viso incastrato all'incavo della sua spalla.

Ripeteva il suo nome. Non faceva altro, solo quello, quel BlaineBlaineBlaineBlaine che sembrava un'antica melodia imparata a memoria, un ringraziamento fragile e speciale. Blaine lo portò dove c'erano le sedie in corridoio, e gli permise di rannicchiarsi vicino al suo corpo, tenendo il suo corpo saldamente, come se ne fosse diventando il collante.

Tremò quando si rese conto di come il suo corpo reagisse dopo essere tornato da Kurt. La realizzazione di essergli vicino e di poterlo proteggere fu così forte da destabilizzarlo; si sentiva stranamente a casa, senza paure, senza rimpianti, l'eco della colpa di aver lasciato Ryan che finalmente sbiadiva, perché in quel momento era lì il posto in cui doveva essere, nel presente, con Kurt, a custodire il suo corpo in pezzi e promettergli di rimetterlo a posto. Kurt aveva bisogno di lui. E meravigliosamente, senza fragilità, anche Blaine aveva bisogno di Kurt.

Gli baciò la fronte, i capelli, una tempia. Vide gli sforzi di Kurt di calmarsi tra le sue braccia e lui non gli fece alcuna pressione, semplicemente lo tenne stretto, lo tenne in vita. Gli pulì gli occhi e il naso con la punta della manica del maglioncino – Kurt odiava sentirsi sporco, e Blaine lo sapeva. Il castano accennò un piccolo sorriso per quello. Cercò i suoi occhi, si morse il labbro inferiore.

“Sei qui.”

“Certo che sono qui.”, mormorò Blaine. “Non potevo lasciarti per nulla al mondo.”

Kurt tirò su con il naso. “Mi sei mancato da morire, lo sai?”

Blaine gli accarezzò le guance con calma. Voleva baciarlo, baciarlo senza senso finchè entrambi non avrebbero chiesto basta, ma si limitò ad appoggiare le labbra alla sua fronte. Come per proteggerlo. “Mi sei mancato anche tu. Ogni minuto di ogni giorno.”

Blaine lo abbracciò stretto, appoggiando il mento alla sua testa e respirando piano, cullandolo e basta. Probabilmente passarono minuti, forse ore, e Kurt finalmente smise di piangere, finchè un'infermiera uscì e disse loro che Burt aveva avuto il principio di un infarto, e che per ora potevano solo sperare che si svegliasse al più presto. Kurt praticamente cadde nelle braccia di Blaine, smettendo di provare ad essere forte. Era stanco di essere forte, così stanco, voleva essere debole, voleva spezzarsi, voleva che tutto lo abbandonasse.

“Non posso perdere anche lui, Blaine.”, soffiò Kurt, abbracciandolo di nuovo. “Non posso perdere anche lui.”

Blaine non potè fare a meno di sentirsi lì, presente in una delle tante cose che aveva perso Kurt – e per la prima volta in ventisette anni di vita, trovò semplice odiarsi.

 

Nonostante Kurt avesse insistito per rimanere in ospedale, Blaine riuscì a convincerlo e riportarlo a casa, dove avrebbe potuto riposare. Era così diverso dal ragazzo spensierato che aveva conosciuto due anni prima – c'era tutta quella vita nel Kurt Hummel di due anni prima. Eppure, Blaine vedeva quella parte vulnerabile e non riusciva a stargli lontano, anzi – gli veniva voglia di asciugare le sue lacrime, accarezzare la sua pelle, tenerlo fra le braccia.

Gli preparò qualcosa di veloce con quello che trovò in frigo, standogli vicino e accarezzandogli i capelli. Kurt protestò per buona parte della cena, lamentandosi di non avere fame, ma Blaine non aveva alcuna intenzione di cedere.

Lasciò che poi andasse a farsi una doccia, e duranti quei minuti si premurò di sistemare la cucina, spazzando via i pezzi di vetro che erano rimasti sparsi dal bicchiere di latte che era caduto, cancellando ogni macchia. Voleva che Kurt non ci pensasse. Voleva tenerlo al sicuro da tutto quel dolore.

Quando Kurt ebbe finito di lavarsi uscì dal bagno con un'enorme felpa addosso che gli arrivava a metà coscia, grigia con le scritte verdi, probabilmente del suo liceo o del suo college. A Blaine venne da sorridere, lì sulle scale che portavano giù in camera sua. Scese a piccoli passi, rimase di fronte a Kurt, che cautamente raccolse una delle sue mani.

“Puoi dormire con me?”, chiese in un sussurro, gli occhi rossi di pianto. “Non voglio che succeda nulla, è solo-”

“Shhh. È tutto okay.”, disse semplicemente Blaine, stringendogli le dita più forte.

“Non voglio stare solo.”

“Non sei solo.”, mormorò Blaine, trascinandolo verso il letto. Trascinò via le coperte e permise a Kurt di rannicchiarsi contro di lui – improvvisamente i ricordi delle loro serate insieme vennero alla luce uno ad uno, prepotentemente, facendoli rabbrividire.

“So che ho sbagliato a chiamarti.”, disse Kurt a un certo punto. Le loro gambe si intrecciarono in un groviglio, Blaine pressò le proprie mani sulla sua schiena. “E' che non facevo altro che pensare- non avevo nessun altro, e-”

“Kurt.”, Blaine sussurrò il suo nome sulla pelle della sua fronte. “Io voglio esserci per te.”

Kurt si fece ancora più piccolo contro il suo corpo. Sapeva che Blaine stava rinunciando a dei momenti preziosi con Ryan per stare con lui, ma senza suo padre francamente non sapeva cosa fare. Gli sembrava di non riuscire nemmeno più a immagazzinare ossigeno.

“Riposa, adesso.”, sussurrò appena Blaine, accarezzandogli i capelli. “Ti sveglio io se ci sono novità.”

Kurt chiuse gli occhi, e nel giro di qualche minuto si addormentò tra le braccia di Blaine.

 

Alle prima luci dell'alba il telefono accanto al comodino iniziò a suonare, e Kurt sussultò tra le braccia di Blaine, mettendosi a sedere e non trovando la forza di muoversi. Blaine si sedette insieme a lui, cingendogli la vita e sperando di infonderli un po' di forza.

“Non-”, rantolò Kurt. “Non ci riesco, non-”

“Rispondo io.”, disse a quel punto Blaine, allungando una mano verso il telefono. Rispose con un tono deciso, Kurt che tremava tra le sue braccia, cercando di capire ogni piccolo movimento del suo volto.

Gettò il telefono in un punto lontano quando la telefonata terminò.

“B-Blaine?”

“Era l'ospedale.”, soffiò appena Blaine. Le sue mani si infransero contro le guance di Kurt, delicate, quasi impercettibili. “Tuo padre è sveglio.”

 

Blaine non lasciò solo Kurt comunque, dopo.

Lo accompagnò all'ospedale e si assicurò che mangiasse qualcosa, parlò con le infermiere e fece le domande che Kurt aveva paura di fare. Lo tenne stretto ancora un po', prima che fosse dato loro il permesso di entrare.

E anche allora, Kurt allungò la mano verso di lui e gli chiese di non lasciarlo solo.

Quando Burt li vide entrare insieme pensò che quello fosse una medicina molto più adatta ed efficace di quelle che stavano cercando di fargli prendere da quella mattina.

 

***

 

Quando Blaine riportò Kurt a casa lasciò che si sedette al tavolo della cucina con un lungo bicchiere di latte caldo tra le mani, gli occhi rossi e le labbra piegate in un sorriso che sapeva di battaglie vinte. Blaine andò a prendere una coperta, gliela avvolse attorno alle spalle. Kurt gli sorrise, grato, stringendo appena più forte le dita al bicchiere. Pensava che Blaine andasse in salotto, o che gli dicesse che a breve sarebbe tornato a New York – ma non fece nulla di tutto questo.

Si piegò in avanti, e mentre ancora Kurt era seduto pressò un bacio sulle sue labbra.

Fu – inaspettato, quello di certo. Kurt spalancò gli occhi ma poi li chiuse di scatto, muovendo le labbra contro quelle di Blaine e aprendole pianissimo per accogliere la sua lingua morbida e calda, assaporandolo, rendendo proprio ciò che aveva perso. Kurt alzò una mano sulla sua guancia per trascinarlo più vicino, la schiena che inevitabilmente si spingeva in avanti per avere più contatto, più tutto. Poi Blaine si staccò, gli occhi semi-chiusi e il fiato corto.

“Avevamo detto che-”, soffiò Kurt, “Non ci saremmo dovuti baciare finchè tu-”

“Ho bisogno di te.”, disse Blaine, e sembrava una supplica, qualcosa di intimo eppure troppo grande. “Non capisci quanto bisogno ho di te-”

In qualche modo, Kurt si ritrovò a trascinare Blaine sul suo grembo, in modo che entrambi fossero seduti sulla sedia. Le mani vagavano sotto i maglioncini e l'ingombrante coperta che Blaine aveva poggiato sulle spalle di Kurt, ma Blaine riuscì comunque a scoprirgli l'inguine e insinuare una mano tra le varie stoffe dei suoi vestiti, toccando la sua lunghezza.

“Blaine-”, ansimò Kurt, spingendo il bacino in avanti, nel suo pugno, “Dio, anch'io ho bisogno di te- non ne hai idea-”

Blaine lo interruppe con un bacio sporco, erotico; tutto lingue e denti e spietatezza, eppure era attento, così attento a far sentire Kurt amato e sicuro e protetto, accarezzandogli la pelle là dove arrivava, e bramando le sue labbra. Gli avvolse le guance con entrambe le mani, ruotò il bacino in avanti pigramente, piagnucolando nella sua bocca.

“Lascia che ti ami.”, soffiò Blaine a quel punto. Kurt produsse un suono che era a metà tra un piagnucolio e un rantolo di piacere. “Dimentichiamo il mondo per un attimo. Vivimi. Voglio che esistiamo solo noi.”

E c'era tanta di quella vita negli occhi di Blaine – tanta di quella sincerità, c'era tutto; Blaine era lì per lui, solo per lui, era tornato per colmare i vuoti, c'erano solo loro in quel momento, Ryan non esisteva più, il passato non esisteva più, l'episodio di suo padre era svanito.

“Noi.”, soffiò per un motivo imprecisato, eppure si impresse lì, sul cuore di Blaine. “Solo noi.”

 

Blaine pensava di potere annegare dentro Kurt – perdersi nel suo corpo, sentendosi completamente avvolto da lui, come se ogni loro piccola particella si stesse riunendo insieme, pelle contro pelle. Kurt ansimava e gli stringeva i capelli la pelle le spalle i bicipiti – chiamando il suo nome, solo quello, spingendo i talloni nel fondo della sua schiena e sentendolo dentro, pieno, solo lui, solo loro. Tutto era Blaine – Blaine era tutto, e Kurt si limitava a chiudere gli occhi e lasciarsi trascinare via perché non aveva scelta.

Blaine si muoveva tra le sue cosce accarezzandogli il collo con la punta della lingua, sussurrando parole che nemmeno sapeva di conoscere, melodie che perdevano significato tra i gemiti, e Kurt esponeva tutta la lunghezza della gola e si lasciava venerare, inarcando la schiena rischiando di spezzarsi, immergendo le mani nei suoi riccioli e di tanto in tanto cedendo e piangendo piano, sempre silenziosamente, perché l'amore si fa quando non si può più contenere tra due corpi e si ha bisogno di unirsi; ma Kurt non credeva di poterlo fare, non più.

A volte si cercavano con gli occhi – Blaine metteva la sua mano sopra il cuore di Kurt, il punto in cui batteva quell'organo, e si muoveva, si muoveva, si muoveva senza senso, e Kurt non credeva di poter dare tutto quello a una persona. Non credeva di poter dare tutta quella parte di sé stesso a Blaine – senza Blaine non gli sembrava di esistere. E probabilmente era così.

“Mi dispiace.”, soffiò Blaine a un certo punto, inglobando con la lingua un pezzetto del suo lobo. “Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace-”

E Kurt chiuse gli occhi, perché sapeva che c'era un intero mondo dietro quei Mi dispiace – Voglio dirti ti amo ma non posso, vorrei lasciare Ryan ed essere qui con te ma non posso perché ho fatto una promessa, vorrei sconfiggere ogni briciola di fragilità e darti la forza necessaria per arrivare a domani, e il giorno dopo, e quello dopo ancora; vorrei colmare i vuoti per il resto della mia vita.

Persero la condizione del tempo e dello spazio, e Kurt si sentiva così di Blaine che a un certo punto non riusciva più a capire dove finisse il proprio corpo e dove cominciasse il suo – la sua pelle sapeva di Blaine, le sue labbra avevano il sapore di Blaine, gli occhi avevano il miele impressi nella retina.

Kurt si addormentò respirando la sua pelle, le dita che vagavano sulla sua schiena nuda, perdendosi in percorsi lunghissimi e senza fine. Blaine gli baciò le labbra, le palpebre chiuse, ogni centimetro del suo viso, realizzando con un piccolo sorriso che dopo quello che sembrava troppo tempo, si sentiva a casa.

 

***

 

Quando Kurt il mattino dopo si svegliò - la pelle che sapeva ancora dell'odore di quella notte e le coperte intrecciate alle gambe - non trovò nessuno nel letto con lui.

Forse doveva aspettarselo. Doveva aspettarsi che dopo aver fatto l'amore, dopo aver ceduto, Blaine sarebbe scappato via. Non avrebbero dovuto farlo – Kurt non avrebbe dovuto lasciare che accadesse, visto che si erano fatti una promessa.

I suoi occhi si riempirono di lacrime. Indossò la stessa felpa del giorno prima, quella lunga, quella che a Blaine piaceva tanto. Corse su per le scale, il cuore che batteva frenetico nel suo petto.

Si passò una mano tra i capelli mentre raggiungeva la cucina, i singhiozzi che uscivano già incontrollati sconquassandogli il petto-

E poi lo vide, lì nascosto in un angolino del salotto, mentre aiutava Carole a spostare una poltrona.

“Blaine-”

“Ehy, splendore.”, sussurrò appena Blaine, sorridendogli ampiamente. “Scusa se sono andato via, Carole aveva bisogno di una mano con la poltrona preferita di tuo padre-”

Kurt non lo lasciò finire. Si gettò tra le braccia, immergendo la testa nell'incavo del suo collo e scoppiando a piangere – superato il momento di stupore iniziale, Blaine lo avvolse a sua volta con delicatezza, quasi come se si potesse spezzare.

“Kurt, ehy-”

“Mi hai spaventato a morte.”, ansimò Kurt, intrecciando le dita ai suoi ricci. “Pensavo- pensavo mi avessi lasciato qui, capisci? Non c'eri più- e credevo ti fossi pentito-”

Blaine superò la felpa con le dita, perché aveva bisogno di sentire la pelle bollente di Kurt, la sua consistenza, come per sentirlo vivo. “Mai.”, disse semplicemente. “Non potrei mai pentirmi di noi.”

Kurt si staccò appena, senza trovare il coraggio di guardare i suoi occhi. “Resti?”

“Resto.”, gli disse Blaine. Kurt sapeva che non era un per sempre, non un qualcosa di definitivo, ma era qualcosa di piccolo, qualcosa di loro.

E Kurt se lo fece bastare.

 

***

 

Kurt rimase stupito soprattutto per quello che successe dopo – i momenti che non era riuscito a immaginare quando aveva visto Blaine in ospedale solo per lui, per esempio. Non era riuscito a figurarsi Blaine che sarebbe rimasto, per esempio; Blaine che lo stringeva nei pomeriggi bui, o che lo accompagnava da suo padre e rimaneva a parlarci insieme, lì con le spalle appoggiate alla porta e il sorriso enorme da cui era impossibile distogliere lo sguardo. Burt era comprensivo e non faceva domande – osservava il sorriso piccolo di suo figlio e le sue dita intrecciate a quelle forti di Blaine, e dentro di sé aveva già capito, non aveva bisogno di spiegazioni.

Cercarono di rimanere lontani – lontani quanto i loro corpi potessero loro concedere. Non volevano cedere ancora, perchè entrambi sapevano che non era giusto per nessuno – eppure nelle notti buie, quelle in cui Blaine partiva con l'idea di dormire sul divano, alla fine sgattaiolava sempre nella sua stanza al piano di sotto e lo stringeva forte da dietro, immergendo la testa nelle linee della sua schiena, lì dove c'era l'angolo delle scapole e si udiva il lieve battito del suo cuore, e a volte Kurt piangeva, piangeva, piangeva piano e Blaine sussurrava “Resisti” o “Sei forte” e “Sono qui, proprio qui, dove il tuo cuore batte.”

Un mattino Blaine rimase fuori dalla stanza d'ospedale di Burt per prendere dei caffè per lui e Kurt – e quando tornò indietro percorrendo il corridoio sentì appena la voce di Kurt che parlava con suo padre e decise di rimanere fuori, immobile, le spalle attaccate alla porta, il respiro calmo. Gli sembrava di sbirciare qualcosa di segreto da dietro l'armadio, ma non poteva fare a meno di rimanere lì.

“...E' come se mi stessi sgretolando.

“Devi dirglielo, Kurt.”, diceva Burt. “Solo così capirà.”

“Ma ho paura.”, sussurrò Kurt. “Ho paura che se gli dico che non ce la faccio più lui se ne andrà, mi lascerà qui. Sceglierà Ryan e io- io non voglio scoprire che persona sono senza di lui.”

Blaine chiuse gli occhi, sentendo la pelle del viso bruciare.

“Kurt, io non credo che si tratti di scegliere.”, disse chiaramente Burt a quel punto. “Non si è mai trattato di una scelta. Si tratta di Blaine, di cosa ha bisogno in questo momento, di come è cambiato. Si tratta di vedere dentro di sé e capire a cosa siamo disposti a rinunciare e a cosa no. E poi, ragazzo mio-”, mormorò Burt. “Blaine è qui adesso. Potrebbe essere dovunque, ma è qui. E questa io credo che sia già una scelta.”

Blaine si lasciò scivolare lungo la parete della porta di legno sottile, sentendo i piccoli e strascicati singhiozzi di Kurt, i suoi respiri spezzati. Si martoriò delicatamente il labbro inferiore con i denti, avvolgendosi il corpo con le braccia.

Adesso sapeva cosa fare.

Non poteva più ferire Kurt così, né Ryan, né se stesso.

 

 

***

 

Kurt era fragile e stanco e l'ombra di sé stesso quando tornò a casa. Blaine era sul divano, la coperta che pigra si era intrecciata alle sue gambe. Senza dire nulla, Kurt si distese davanti a lui; Blaine lo strinse da dietro, poggiando il mento alla sua spalla e baciandogli una tempia, disegnando piccoli cerchi con le dita sul suo stomaco.

Restarono così a lungo, poi Blaine immerse il naso tra i suoi capelli di seta – Kurt sapeva di fresco, menta e maschio; e lì, sotto la pelle e l'anima, anche un po' di lui.

“Ho sentito oggi, quando parlavi con tuo padre.”

Kurt si irrigidì tra le sue braccia.

“Ti sto sgretolando con le mie stesse mani, Kurt.”, soffiò piano Blaine. “Non posso più. Mi odierai; finirai per odiarmi, più di quanto io non faccia già con me stesso.”

Kurt sospirò. “Non potrei mai odiarti.”

Blaine gli baciò il centro del collo. “Lo farai. Ma te lo impedirò, Kurt- io- lasciami ancora un po' di tempo, va bene? Ci sono delle cose che devo sistemare. Poi sarà tutto finito. Te lo prometto.”

Kurt si accartocciò sul suo stesso corpo e Blaine lo seguì, tenendolo stretto, non lasciandolo mai andare.

“Ti prego non-”, rantolò Kurt. “”Non andartene Blaine, sento che non ce la faccio questa volta-”

“Dammi ancora un po'. Ti prometto che sarà tutto finito.”, Blaine gli passo una mano tra i capelli, gli bacio una tempia, come se fosse un bambino da cullare. “Fidati di me.”

Kurt strinse forte gli occhi, sperando che il mondo potesse scomparire. Io di te mi fido. Non so se mi fido di me, però-

 

***

 

Blaine se ne andò quella stessa notte, e prima di scomparire lasciò che le sue labbra indugiassero sulla fronte di Kurt – che a sua volta si aggrappò ai suoi ricci, sussurrando implorazioni, parole senza senso, il suo nome a ripetizione.

Tempo. Era quella la chiave – Kurt gli avrebbe lasciato del tempo.

Se avesse potuto gli avrebbe dato molto più del tempo – sarebbe andato oltre, dandogli la vita.

 

***

 

Ryan, quando Blaine tornò, non fece domande. Non pretese nulla, gli regalò un enorme sorriso, e lo portò al parco a passeggiare, gli chiese come stava il papà di Kurt.

Si sedettero su una panchina, i corpi vicini per il freddo più che per bisogno, gli occhi che scivolavano ovunque tranne che sul viso dell'altro.

“Blaine, lo sai che così non può funzionare.”

Blaine abbassò il capo, immergendo gli occhi sulle sue gambe.

“Voglio dire- lo sai che ti amo, quanto ti ho amato. E sono disposto a farlo ancora. Credo che sarei disposto a farlo per tutta la mia vita, ma tu- sei solo vento, Blaine. Non sei qui con me, anche quando effettivamente il tuo corpo c'è.”

Blaine chiuse gli occhi, poi.

“Scivoli via.”

“Lo so.”, non riuscì a trovare altro da dire. Poi prese un bel respiro, stringendo forte le braccia attorno al proprio petto. “Io ci ho provato, Ryan.”

“Non so se tu ci abbia provato abbastanza.”

“Ci ho provato davvero.”, sussurrò Blaine. “Ma forse è quello l'errore, non doveva essere una prova, avrebbe dovuto funzionare e basta. Perché era così tra di noi una volta, funzionava e basta.”, disse Blaine, respirando piano. “Io credo che l'errore più grande sia stato pensare che poteva tornare tutto come prima, Ryan. Siamo cambiati- siamo così diversi da quei due ragazzini del liceo che avevano deciso di sposarsi. Siamo adulti adesso, abbiamo una vita piena di dolore alle spalle. Cose del genere ti segnano.”

Ryan annuì, a quel punto.

“Pensavo davvero di poter ricostruire il passato, Ryan.”, soffiò Blaine. “Ma non puoi ricostruire qualcosa che hai perso. Ti fai solo del male, e rischi di perdere di vista ciò per cui ha lottato così tanto: il presente.”

C'era un vento freddo quel mattino, che scompigliava i capelli. Il parco in cui erano era praticamente vuoto; c'erano solo le loro voci a riempire il silenzio.

“Kurt è il mio presente, Ryan.”, sussurrò Blaine. “E non si tratta di scelte, non si tratta di capire chi amo di più. Si tratta di guardarmi dentro, e di capire di chi ho bisogno davvero. C'è una lista di motivi praticamente infinita che potrei elencarti, ma ancora non riuscirei a farti capire perché Kurt riesca a farmi sentire nel modo in cui mi fa sentire, o come sento che sia giusto stare insieme a lui. Questo non cancella quello che ho vissuto con te. E forse è questo ciò che mi spaventava di più: rinunciare a quello che tu sei stato per me. Ma non devo rinunciarci, tu sarai sempre lì. Ma...non è il tuo corpo che cerco la notte, Ryan, o il tuo nome che pronuncio sulle labbra, quando ho bisogno di qualcuno. Kurt mi ha insegnato ad amare di nuovo, anche se credevo non ci fosse più nulla da insegnarmi sull'amore.”

Ryan lo aveva osservato per tutto il tempo – sorrideva semplicemente, un angolo della bocca alzato.

“Quando sei andato da lui, dopo la telefonata – io avevo già capito quale sarebbe stata la tua decisione. Avevo solo paura di dirlo ad alta voce, così ho aspettato. Ma si vedeva dai tuoi occhi. Kurt riesce a darti qualcosa che io non comprendo nemmeno.”

“Ryan-”

“No, ma va bene così.”, Ryan sembrava sereno, mentre diceva quelle cose. “Ho sbagliato, abbiamo sbagliato entrambi. Ho sottovalutato quello che questo ragazzo ha fatto per te, ma penso che alla fine, sai- gli sono molto grato. Ti ha salvato la vita. C'è stato quando io invece avevo troppa paura per combattere per te. E tu- tu meriti qualcuno così al tuo fianco.”

Blaine voleva dirgli che Kurt era troppo per qualsiasi universo – ma si trattenne.

Ryan sembrava aver capito tutto. Scacciò con un pollice una lacrima che era scesa, poi prese Blaine tra le braccia per un po', sperando che quel tocco rimanesse suo per sempre. Blaine sapeva che non l'avrebbe mai dimenticato.

“Blaine?”

“Mmmh?”

“Esaudiresti un mio piccolo desiderio, prima di andartene?”

Blaine gli sorrise appena. Non c'era malizia negli occhi di Ryan, solo puro e semplice amore, devozione, rispetto per l'uomo che aveva sposato e ammirato per tutti quegli anni.

“Mi daresti un ultimo bacio?”

Blaine alzò un angolino della bocca. Ryan era – e sarebbe sempre stato – il ragazzo incontrato per caso in una cittadina sperduta nel nulla, che lo aveva trovato in mezzo a mille altri e lo aveva amato con cura, trascinandolo via dalle ingiustizie. Quello che gli aveva chiesto di sposarlo spudoratamente, e lo aveva reso felice con gesti semplici e quotidiani.

Ma era Passato. E Blaine lo avrebbe lasciato andare.

Proprio per quello posò le labbra sulle sue un'ultima volta. Di nuovo, non c'era niente di languido in quel gesto – una tacita promessa sigillata con le labbra, un addio che sapeva di promesse mantenute, e il desiderio che entrambi potessero finalmente essere felici, senza il bisogno dell'altro.

Quando si staccarono avevano entrambi gli occhi lucidi, un mondo intero alle loro spalle.

Blaine era pronto a cercare Kurt.

Ma Blaine non poteva sapere che Kurt aveva visto tutto.

 

***

 

Kurt spazzò via l'ennesima lacrima con la punta della felpa che aveva addosso, controllando dallo specchietto retrovisore che non ci fosse nessuno. Aveva bisogno di un posto isolato, un posto lontano da tutto e da tutti, perché voleva stare da solo con i suoi pensieri.

Poco dopo aver sentito la porta chiudersi, Kurt aveva seguito Blaine con il primo autobus che era partito dalla sua via. Non aveva fatto in tempo a prendere il suo stesso volo, così aveva aspettato il treno successivo. Una volta che era arrivato a New York non aveva avuto la più pallida idea di dove cercarlo – era andato nel suo appartamento ma non c'era nessuno, ed era stato in quel momento che aveva capito che poteva essere da Ryan. Era passato davanti a un parco che entrambi conoscevano, e lì li aveva visti, seduti vicini e con le guance rosse, e poi, innocente ma deciso, il loro bacio.

Credeva che un cuore rotto non potesse sgretolarsi ancora di più, ma si era sbagliato. Non era riuscito a vedere oltre, era semplicemente scappato a chiamare un taxi, ordinando poi al conducente che lo portasse dove voleva andare.

Era una distesa in cui andava spesso quando voleva disegnare, con un ponte che nasceva sopra un fiume ghiacciato. C'era neve dappertutto, sopra una distesa di piccole crepe e foglie secche.

Kurt salì piano sul parapetto, proprio come faceva sempre quando doveva disegnare. Sorrise leggermente, lacrime bollenti che scendevano dai suoi occhi – allargò le braccia, pensando che sarebbe stato facile volare. Come era stato facile innamorarsi di Blaine.

E proprio come a un uccellino a cui vengono strappate le ali, Kurt non sarebbe riuscito a volare mai più.

L'aria gelida gli sferzava la pelle, gli scompigliava i capelli. Almeno ci aveva provato. Aveva amato qualcuno con tutto il suo cuore, gli aveva dato ogni goccia del sangue che scorreva nelle sue vene, ogni battito, tutto tutto tutto. E gli avrebbe dato di più.

Sollevò un piede, chiuse gli occhi. Forse volare non sarebbe stato così difficile.

Improvvisamente, due braccia calde lo avvolsero da dietro, trascinandolo giù dal cornicione, stringendolo forte.

“Non ti azzardare-”, diceva forte una voce, spazzandogli via i capelli dalla fronte. “Non ti azzardare a pensare che non vale la pena combattere, Kurt. Che diamine stavi facendo, eh? Vuoi farmi spaventare a morte-”

“Blaine.”, soffiò Kurt, finalmente mettendo a fuoco quell'uomo. Immerse una mano tra i suoi ricci. “Sei tu.”

Blaine sbuffò una risata. “Sono io, sono io, sono qui.”, sussurrò lui. “Mi sono spaventato a morte- che cosa stavi facendo?”

“Volevo vedere se potevo volare.”, soffiò Kurt. “Era una bella sensazione.”

“E' tutto finito, amore mio.”, disse Blaine a quel punto, baciandogli la fronte, come se non avesse bisogno di altre parole per capire tutto. “E' finita, sei con me adesso.”

“Ma hai scelto lui.”, sussurrò Kurt. “Ho visto che baciavi lui-”

“Era un addio.”, disse semplicemente Blaine, accarezzandogli una guancia. “E mi dispiace di averti fatto questo, ma- ho intenzione di darti ogni piccola cosa ora, Kurt. Prima di tutto, il mio cuore.”

Lo baciò sulla guancia.

“La mia vita.”

Poi sulla punta del naso.

“La mia anima.”

Il labbro superiore.

“Il mio corpo.”

Poi lo baciò completamente, lì in mezzo al ghiaccio e alla neve, due corpi rannicchiati e tremanti.

“Perchè io?”, chiese Kurt a quel punto, piangendo senza sosta. Blaine sorrise.

“Certe cose non hanno un inizio e una fine, succedono e basta.”, spiegò Blaine. “Tu sei il mio presente, Kurt Hummel, e più di ogni altra cosa voglio che diventi il mio futuro.”, sospirò vicino alle sue labbra. “Voglio quella fragile, piccola cosa che chiamiamo noi. Per sempre.”

Kurt alzò un braccio, percorse con le dita il profilo delle sue sopracciglia. “Noi.”, soffiò. “Per sempre.”

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Visto che valeva la pena fidarsi di me? *la guardano tutti malissimo*
Un grazie grande quanto tutto il mondo a chi mi ha seguito. Fatemi sapere cosa ne pensate, okay? Io aspetto <3
Un enorme bacio,
Je <3

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