Hoenn's Crisis

di Andy Black
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Primo - Adunata ***
Capitolo 3: *** Capitolo Secondo - Velluto ***
Capitolo 4: *** Capitolo Terzo - Inique ***
Capitolo 5: *** Capitolo Quarto - Sergio Leone ***
Capitolo 6: *** Capitolo Quinto - Zenzero ***
Capitolo 7: *** Capitolo Sesto - Carboni Ardenti ***
Capitolo 8: *** Capitolo Settimo - Cenere, Polvere e Sudore ***
Capitolo 9: *** Capitolo Ottavo - Giù ***
Capitolo 10: *** Capitolo Nono - Rododendro ***
Capitolo 11: *** Capitolo Decimo - Toh, chi si vede! ***
Capitolo 12: *** Capitolo Undicesimo - Volt ***
Capitolo 13: *** Capitolo Dodicesimo - Over The Top ***
Capitolo 14: *** Capitolo Tredicesimo - Marina ***
Capitolo 15: *** Capitolo Quattordicesimo - Fiamme spente in meno di un istante ***
Capitolo 16: *** Capitolo Quindicesimo pt.1 - Gli Sconosciuti Venuti Dalla Tempesta ***
Capitolo 17: *** Capitolo Quindicesimo pt.2 - Gli Sconosciuti venuti dalla tempesta ***
Capitolo 18: *** Capitolo Sedicesimo - Esci da questo corpo ***
Capitolo 19: *** Capitolo Diciassettesimo - Ray ***
Capitolo 20: *** Capitolo Diciottesimo pt.1 - Lo scrigno blu ***
Capitolo 21: *** Capitolo Diciottesimo pt.2 - Lo scrigno blu ***
Capitolo 22: *** Capitolo Diciannovesimo - Nell'attesa del momento adatto ad un attacco a sorpresa la miglior difesa è la difesa ***
Capitolo 23: *** Capitolo Ventesimo - Pulse ***
Capitolo 24: *** Capitolo Ventunesimo - Cani Sciolti ***
Capitolo 25: *** Capitolo Ventiduesimo - Hoenn's Crisis ***
Capitolo 26: *** Capitolo Ventitreesimo - Tra l'incudine ed il Martello ***
Capitolo 27: *** Capitolo Ventiquattresimo - Welcome to the next level ***
Capitolo 28: *** Capitolo Venticinquesimo - Take Care ***
Capitolo 29: *** Capitolo Ventiseiesimo pt. 1 - Attica ***
Capitolo 30: *** Capitolo Ventiseiesimo pt. 2 - Attica ***
Capitolo 31: *** Capitolo Ventiseiesimo pt. 3 - Attica ***
Capitolo 32: *** Capitolo Ventiseiesimo pt. 4 - Attica ***
Capitolo 33: *** Capitolo Ventiseiesimo pt. 5 - Attica ***
Capitolo 34: *** Capitolo Ventisettesimo - Si rompono gli specchi ***
Capitolo 35: *** Capitolo Ventottesimo - Ob-la-dì Ob-la-dà ***
Capitolo 36: *** Capitolo Ventinovesimo - Piccola Bottega degli Orrori ***
Capitolo 37: *** Capitolo Trentesimo - Algoritmi ***
Capitolo 38: *** Capitolo Trentunesimo - Alto Calibro ***
Capitolo 39: *** Capitolo Trentaduesimo pt. 1 - Dobermann ***
Capitolo 40: *** Capitolo Trentaduesimo pt. 2 - Dobermann ***
Capitolo 41: *** Capitolo Trentatreesimo - Usually it doesn't rain ***
Capitolo 42: *** Capitolo Trentaquattresimo - Pushin' Thru ***
Capitolo 43: *** Capitolo Trentacinquesimo pt. 1 - Prayers ***
Capitolo 44: *** Capitolo Trentacinquesimo pt. 2 - Prayers ***
Capitolo 45: *** Capitolo Trentacinquesimo pt. 3 - Prayers ***
Capitolo 46: *** Capitolo Trentacinquesimo pt. 4 - Prayers ***
Capitolo 47: *** Capitolo Trentaseiesimo - Femmina Omega ***
Capitolo 48: *** Capitolo Trentasettesimo - In&Out in Five Minutes ***
Capitolo 49: *** Capitolo Trentottesimo - Maschio Alfa ***
Capitolo 50: *** Capitolo Trentanovesimo - Sogni uccisi da chi non li ha mai avuti ***
Capitolo 51: *** Capitolo Quarantesimo pt. 1 - Teste di Cuoio ***
Capitolo 52: *** Capitolo Quarantesimo pt. 2 - Teste di Cuoio ***
Capitolo 53: *** Capitolo Quarantunesimo - The Rumble in the Jungle ***
Capitolo 54: *** Capitolo Quarantaduesimo - Mia sorella ***
Capitolo 55: *** Capitolo Quaratatreesimo - Time Out ***
Capitolo 56: *** Capitolo Quarantaquattresimo - Museruole ***
Capitolo 57: *** Capitolo Quarantacinquesimo - Harmonia ***
Capitolo 58: *** Capitolo Quarantaseiesimo - Sperantia ***
Capitolo 59: *** Capitolo Quarantasettesimo - Beatitudo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Universo X

Presto o tardi non sarai più quel che eri...


 
"Avanti! Veloce, dobbiamo andare!”.
Due voci, quattro gambe, i polmoni che bruciavano; i respiri della ragazza diventavano sempre più pesanti ma venivano annullati dal rumore della pioggia, che cadeva come bombe sulla terra rossa, inesorabile e spietata.
C’è a chi la pioggia piace; indubbiamente altera i sentimenti e le sensazioni, e quello scorrere continuo fa sì che i pensieri cadano con essa, attaccati al vetro di chissà quale metropolitana.
La pioggia è buona.
La pioggia serve.
Inoltre è un ottimo pretesto per rimanere a casa, sotto alle coperte, magari a bere una cioccolata calda e a leggere un buon libro.
Ma essere al caldo e all’asciutto non esula dal fatto che stia comunque piovendo.
E che magari qualcuno, lì fuori, corre.
“Ci stanno raggiungendo!” urlava ancora lei, terrorizzata ed ansimante.
L’affanno li stava possedendo, penetrando in ogni singolo movimento e respiro che emettevano; l’aria fredda di dicembre bruciava nei loro polmoni, sverginati solo da quella sigaretta sporadica che entrambi fumavano di tanto in tanto.
“Ruby, andiamo! Dobbiamo scappare!”.
Il ragazzo alzò gli occhi verso Sapphire, che correva a perdifiato, affondando il passo in un numero indefinito di pozzanghere.
O forse era un’unica, infinita macchia d’acqua che durava da ormai un paio di chilometri, non lo sapeva.
L’acqua schizzava ovunque, alzata dalle caviglie rapide di Sapphire ed atterrando direttamente sui pantaloni di Ruby, che in un’altra situazione avrebbe urlato all’eresia ed al complotto astrale.
Dalla paura che aveva in corpo, però, non sembrava essere preso dai pantaloni sporchi di fanghiglia.
“Dobbiamo metterci in salvo!” urlò nuovamente la ragazza, superando la strettoia che portava al Deserto di Hoenn. Virarono verso destra, in direzione del Cammino Ardente.
“Forse lì non ci troveranno!” continuò ancora, lei. Lui non parlava, non ci riusciva, sperava soltanto che i polmoni non collassassero durante quella maratona che gli parve essere infinita.
Davanti a lui guardava Sapphire: i capelli bagnati, totalmente fradici i suoi vestiti e linee nere sul viso. Sì, pioveva, ma probabilmente quelle gocce d’acqua sul suo viso non erano dovute soltanto alla pioggia.
Stava piangendo, la ragazza. Aveva paura.
“Ruby...” piagnucolò poi superando degli arbusti, ripari improvvisati per la pioggia utilizzati da piccoli Numel.
“Sono dietro di noi!” esordì dopo chilometri Ruby, voltandosi e vedendo gli Houndoom che li raggiungevano. Dietro i cani soltanto quelle figure scure, che non accennavano a rallentare.
“Ma chi sono?!” urlò l’altra.
“Che importa?! Non si tratta più di fare una lotta, qui! Questi vogliono ammazzarci!”.
Sapphire continuava a piangere, Ruby nascose che aveva tanta voglia di emularla.
“Forse dobbiamo dividerci!” fece quella.
“Non se ne parla! Non permetterò che ti facciano qualcosa!”.
Entrarono nel Cammino Ardente e continuarono a correre. E lì avrebbero dovuto correre per forza, o le loro suole si sarebbero sciolte a contatto con l’alto calore del pavimento della grotta.
“Dai! Ci siamo quasi, l’uscita è lì! Poi saremo vicini a Ciclamipoli!” Ruby pareva speranzoso ma tutto sommato capiva che le speranze di uscirne in salvo erano basse.
Sapphire correva ancora, boccheggiava; lui non sapeva quanto ancora la ragazza avrebbe potuto continuare a macinare metri, sotto le suole cotte dai passi e dalla grotta.
Ruby era distrutto, oltre al bruciore nei polmoni, per via del forte freddo, si era aggiunto il bruciore agli occhi causato dalla cenere del vulcano.
“Sapphire... io non ce la faccio più...” tossì quello, rallentando.
Lo sguardo blu della ragazza lo investì, e quando si rese conto che il ragazzo stesse per rallentare gli afferrò la mano e lo tirò. Ciò gli bastò come incentivo per ritornare a spingere sull’acceleratore.
Non dovevano farsi prendere.
 Dovevano arrivare alla fine di quel percorso, non potevano vincere i cattivi.
Non dovevano vincere, i cattivi.
“L’uscita!” urlò la ragazza, imbucando l’arco naturale della grotta che li portò poco fuori i dirupi scoscesi di Cuordilava. La pioggia prese di nuovo a battere sulle loro teste.
Era una pioggia marrone, sporcata dalla cenere del vulcano, che trasformò in poco tempo i volti dei due in maschere lorde di paura ed ansia.
Gli Houndoom continuavano indefessi l’inseguimento, senza sentirsi minimamente turbati dalla pioggia.
“Ruby! Dai, giriamo l’angolo! C’è la casa della famiglia Vinci!” urlò lei, con le lacrime che ormai si confondevano con la pioggia.
“Cosa?!” esclamò l’altro, che sentiva il cuore scoppiargli nel petto. Pareva quasi che il suo cervello pulsasse a tempo, tanto che le tempie si muovevano ai lati della sua testa.
“Andiamo!” lo tirò lei. Ma l’acqua a terra era tanta e Ruby perse l’equilibrio.
“No!” urlò la ragazza. Uno dei due Houndoom gli si avvicinò, avventandosi con le fauci aperte sulla gamba del ragazzo.
“Oddio, no!” urlò terrorizzato quello, piangendo quelle che credeva essere le sue ultime lacrime. Ma Sapphire aveva una marcia in più, e riuscì a salvarlo.
“Ruby!” urlò infatti, tirandolo per mano e facendo sì che le mandibole di Houndoom si chiudessero violentemente sul nulla. Ruby ebbe il tempo di tirargli una pedata sul muso e, trainato dalla ragazza, si risollevò e riprese a correre.
I cani però avevano assottigliato la distanza: un paio di metri divideva i ragazzi dagli inseguitori.
Sapphire piangeva abbondantemente, singhiozzando, e sciogliendo ulteriormente quello che restava del suo mascara. “Non ce la faccio più!” urlava lei. Ruby sentiva ridere alle sue spalle, mentre gli Houndoom continuavano ad abbaiare.
“Dobbiamo farcela! Non abbandonarmi ora!”.
Le nuvole nere nel cielo cantavano, aprendo i boccaporti ed aumentando la portata di quello che s’apprestava a diventare il più violento temporale degli ultimi quarant’anni abbattutosi su Hoenn. La pioggia s’infrangeva su di loro fredda ed incandescente allo stesso tempo.
Ruby stringeva i denti ma ormai si era lasciato andare al pianto. Non aveva belle sensazioni e la cicatrice sulla testa gli bruciava. Guardava la gonnellina di Sapphire, un tempo bianca, ora sporca di sangue e fango. La camicetta, dello stesso colore, era strappata in più punti e le mani e le ginocchia della bella erano lividi e sanguinanti. Le scarpe affondavano nelle pozzanghere d’acqua e fango, spingevano fuori l’acqua, prepotenti, si appropriavano dello spazio a loro disposizione, allontanando il tempo di qualche secondo ciò che era di troppo..
“Non ce la faremo...” piangeva lui, terrorizzato.
“Corri, dannato!” urlava a sua volta la ragazza, tirandolo per mano. Dietro l’ultima fila d’alberi videro l’agognata meta.
“La casa della famiglia Vinci! Avanti, Ruby, non demordere!”.
“Non ce la faccio più! Mi fanno male i polmoni!” tossiva l’altro, con le gambe che urlavano perdono e l’acido lattico a castigare i muscoli.
“Un piccolo sforzo ancora!”.
Sapphire era sempre stata più coraggiosa di lui, Ruby lo sapeva.
E sapeva anche che si sarebbero salvati, ed avrebbero riso fieramente anche di quella situazione.
I buoni vincono sempre. I buoni sono i buoni ed il male non è buono, quindi non vince mai.
Gli Houndoom annusavano praticamente le caviglie dei ragazzi ma ormai quelli erano fuori la porta della casa. Le luci erano accese, ed un fumo nero fuoriusciva dal comignolo sul tetto, battuto incessantemente dalla pioggia incandescente.
Sapphire saltò i tre scalini e cominciò a battere i pugni sulla porta.
“Aiuto! Aiutateci! Aprite!” pianse disperata.
Ruby la raggiunse, la emulò per un secondo esatto, ma poi si girò. Gli Houndoom erano arrivati da loro, e ringhiavano. Ancora le risate di quei due uomini d’ombra.
Anzi no. Una di loro era una donna.
Ruby si voltò, e fece da scudo alla ragazza, allargando le braccia. A lei non sarebbe dovuto succedere nulla.
“Chi siete?” domandò stremato, ansimando.
Un Houndoom abbaiò.
La foschia alzata dalla pioggia celava i volti delle due ombre, che ormai avevano rallentato: il loro passo adesso era decisamente più calmo.
“Ma perché non apre nessuno?!” urlava Sapphire, continuando a battere i pugni sulla porta.
“Chi siete?!” ribadì Ruby, stavolta più forte. Levò il cappello e lo gettò per terra: l’acqua lo aveva inzuppato e lo aveva trasformato in un peso d’un quintale.
“Chi siamo? Beh, non ci conosci...” disse la prima di quelle ombre, la donna. La sua voce era suadente. La silhouette era lunga e sottile. Quella affianco era alta pressoché uguale, ma più doppia. Non troppo.
“...ma sai da dove veniamo” fece, proprio quest’ultima, con voce di uomo.
Sapphire a quel punto si girò, sporgendosi e stringendo il corpo di Ruby. Era spaventata.
L’acqua cadeva pesante sulle loro teste, gocciolando dalla grondaia.
La foschia alla fine rimase alle spalle di quelle due figure losche e tetre, che si manifestarono allo sguardo dei due Dexholders.
Ruby spalancò gli occhi.
L’uomo, prima della donna; fu lui il primo a definirsi alla vista vermiglia del ragazzo che, anche se traboccante di lacrime e pioggia, aveva messo tutto a fuoco.
Il tizio era alto, una montagna di muscoli. In testa il cappuccio del Team Magma, quello che aveva già visto svariati anni prima, ma con una differenza: era nero. La divisa infatti non assomigliava a quella canonica, quella di 10 anni prima. Una felpa nera ed attillata, con il cappuccio dello stesso colore, senza orecchie, mostrava con orgoglio il simbolo del Team Magma, giusto al centro, colorato di rosso. Le gambe erano fasciate da un pantalone nero molto aderente ed ai piedi un paio di stivaloni militari.
Ruby le notava queste cose.
Il volto invece era quello di un fotomodello: dal cappuccio calato si intravedevano dei ciuffi biondi, spettinati. Gli occhi verdi, come smeraldi illuminati, davano luce a quel volto solido. Naso dritto, labbra carnose.
Se fosse stata una donna se ne sarebbe innamorato di colpo.
E poi la foschia rivelò anche l’altra figura in ombra, la donna.
 
“...”
 
Ruby spalancò la bocca. Stessa felpa del ragazzo, la zip lasciata a metà, da cui s’intravedeva il seno di quella ragazza alta e snella. Stessi pantaloni attillati, stessi stivali neri, cosce toniche. Il cappuccio rimaneva alzato, ma i capelli scuri, mossi, né ricci né lisci, fuoriuscivano ai lati. Il ciuffo era ben pettinato sugli occhi, che erano dello stesso colore del ragazzo.
Era incredibilmente bella.
“Che... che volete da noi?” chiese brevemente Ruby, cercando di farsi sentire sopra il rumore dei cani e della pioggia, non riuscendo a produrre più di un sussurro.
“Vi vogliamo fuori dai piedi” disse quello losco e bello.
“Che cosa volete ancora da Hoenn?! Max è morto! Finitela e lasciateci stare!” urlò Sapphire, stringendo le mani al petto di Ruby.
Lui guardava concentrato la donna che aveva di fronte. Sentiva la pressione delle mani di Sapphire sul suo petto, si sentiva stringere forte sul cuore sperando che non gli fosse successo niente quel giorno.
Ma poi sentì la stretta diventare sempre più debole, fino ad avvertire le mani della ragazza scivolare in basso, fino all’addome, e poi ancora lasciare la presa.
Ruby avvertì che fosse caduta, esanime.
“Sapphire!” urlò, terrorizzato.
Ma neanche il tempo di girarsi che un fazzoletto si poggiò sulla sua bocca. Quell’odore era troppo forte, tanto da spingerlo a chiudere gli occhi. Le gambe non gli davano più la forza per sorreggerlo e lo costrinsero ad abbandonarsi per terra, accanto a Sapphire. Prima di perdere proprio conoscenza però gli occhi riuscì ad aprirli.
La porta di casa Vinci era aperta. Ed una voce riempì le sue orecchie.
 
Disse:
 
 “Ottimo. Ora nessuno potrà fermarci...”

 
Da qui in poi siete dentro casa mia:
Salve a tutti! Questa è la seconda long della saga Courage. Ringrazio tutti quelli che hanno recensito.
Un appunto: si chiama Hoenn's CrYsis, con la y, per una sorta di tributo al videogioco. Detto ciò grazie a tutti.

- AB

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Capitolo 2
*** Capitolo Primo - Adunata ***


Adunata
 
 

Dormire, dolce dormire.
Stanca, si infilava nel letto, ed aspettava soltanto che le batterie si ricaricassero. Niente di meglio che rimanere tra lenzuola e piumoni, sapendo che fuori faceva freddo, e che presto sarebbe potuto nevicare.
Si stava bene lì. Sotto quelle coperte, morbide e calde, profumate di fresco e di pulito. Accoglienti come solo le coperte del proprio letto sanno essere.
Perché mai svegliarsi? A chi importava che fuori ci fosse il sole?
A chi importava che ci fossero cose importanti da fare?
Ma soprattutto, a chi importava di quel fastidiosissimo rumore, di quel bip ripetuto, prodotto dalla sveglia, che aveva cominciato a martellarle i timpani, lottando contro la sua forza di volontà?
Esattamente, forza di volontà.
Crystal era una ragazza ligia al dovere, che faceva ciò che c’era da fare, piena di responsabilità che portava in alto con onore.
Col tempo il suo nome era stato associato al Pokédex, alle avventure incredibile che era riuscita ad affrontare.
Ciononostante la lotta più ardua rimaneva aprire gli occhi la mattina.
La radiosveglia si accese all’improvviso, come faceva sempre, finendo col far spaventare la ragazza.
Aprì gli occhi lentamente, Crystal, mentre le orecchie prendevano contatto con la realtà.


“...nale orario, buongiorno... problemi nella... gione di... enn... intervento dei Dex... solver... situazione...”


La bocca era impastata, forse un po’ d’acqua le avrebbe fatto sparire quel saporaccio amaro, metallico, dalla lingua.
Poi si fece coraggio e, senza nemmeno prestare ascolto a quello che la radiosveglia dicesse, la spense: tanto si parlava sempre delle stesse cose, ormai vigeva un clima di pace e tranquillità da così tanto tempo, che l’ansia per il domani avevano tutti dimenticato cosa fosse.
Aprì gli occhi, combattendo contro l’impulso di strizzarli, dopo il primo contatto con la luce tuttavia ne uscì sconfitte: le parve d’essere accoltellata alle pupille.
Poco a poco ridusse quella cecità ad una piccola pallina gialla che vedeva solo in alto a destra ma che mano a mano scompariva. Sbadigliò, stirando ogni muscolo del proprio corpo, quindi si alzò. La terrorizzava non riuscire a vedere nulla.
Lei doveva controllare tutto, guardare, capire, decidere.
Il buio era un salto nel vuoto, una totale disponibilità ad avere fiducia nel fato.
Cosa che non possedeva naturalmente; e tali cose o si avevano oppure non si avevano.
Si guardò allo specchio e pensò che quei capelli fossero diventati davvero lunghi; sospirò, immaginando i rimorsi che avrebbe avuto tagliandoli.
Era strana la situazione: voleva accorciare ma se poi lo avesse fatto si sarebbe sentita in colpa. Immaginava che facesse parte dell’essere donna sentirsi in quel modo.
Aprì la cassettiera di quella stanza ordinatissima, ne prese degli intimi e poi si diresse verso il bagno, molto silenziosamente.
Sì, perché non voleva correre il rischio che Gold, o Silver, s’accorgessero di lei e la vedessero in quello stato: non era esattamente presentabile.
Rimase un attimo zitta ed immobile per sentire se in casa ci fosse qualche rumore rivelatore.
“...”.
Niente, solo il suo respiro appesantito dalla voglia di calamitarsi di nuovo nel letto.
Buttò un occhio nella stanza di Silver: la camera era ordinata e pulita. La finestra era aperta, ed un sentore di legna bruciata filtrava dall’esterno. Pensò, come ogni giorno, che quello avrebbe potuto personalizzare meglio la sua stanza ma il fulvo prediligeva quello stile spartano, molto povero.
O forse era semplicemente poco interessato a personalizzare la sua stanza.
Lui era sempre educato e gentile ma aveva poca attitudine ad ammorbidire le cose, a colorare il grigio che la sua serietà ed il suo passato s’erano lasciati dietro.
Come quando gli aveva chiesto d’addobbare l’albero di Natale, proprio un anno prima: era così impacciato ed indeciso sul da farsi che anche il solo gesto di poggiare una pallina di vetro colorato sui rami dell’abete lo smarrivano completamente.
E l’albero di Natale era una cosa abbastanza facile da fare: insomma, prendi la pallina, mettila sull’albero, ripeti finché o palline o spazio sono terminati.
Poi pensò che quello usasse la stanza soltanto per dormire e per studiare. Infatti numerosi tomi di scienza medica erano impilati ordinatamente sulla scrivania di mogano sotto la sua finestra.
Che stesse studiando per diventare infermiere?
Scosse quel pensiero via dalla mente e continuò a camminare, contenta di non aver incrociato quegli occhi color argento in quel momento; sì, perché tutti i momenti imbarazzanti che le capitavano, avvenivano sempre quando c’era Silver davanti. Ripensava per esempio a quella volta che lei inciampò, proprio davanti a lui, con la cesta dei panni sporchi. Un reggiseno andò a finire sulla sua scarpa.
Ora, fosse stato Gold si sarebbe appropriato di quell’oggetto per fare chissà quale tipo di macumba, invece Silver si limitò ad arrossire e glielo porse gentilmente, senza dire una parola.
Crystal sbuffò, continuando la sua passeggiata lemme nel corridoio. Pochi metri dopo la porta di Silver c’era quella di Gold.
E quello era tutt’altro paio di maniche: la ragazza giurava ci fosse stato un letto, in quella camera, ma sotto quell’enorme cumulo di vestiti lei non era in grado di vedere più niente. Camicie sgualcite erano state gettate per terra, paia di calzini dalla stagionatura avanzata fermentavano, cominciando a moltiplicarsi tra di loro.
Lì regnava il caos.
E guai a chiunque si azzardasse a mettere a posto quel disordine. Crystal si ritrovò Gold a muso duro per essere entrata nella sua stanza quando lui non c’era.
“Tu non ci sei mai! Pensavo ti avrebbe fatto piacere un po’ d’ordine!”.
“Adesso non trovo più niente!”.
“Uff... vai a fare qualcosa di buono e guarda come ti ripagano...”.
Però poi ci rifletteva meglio, e credeva di volergli davvero bene. Senza le sue pensate da testa calda non sarebbe stato tutto lo stesso.
Sospirò e si chiuse in bagno.
Doccia veloce quindi si spazzolò i capelli, eliminando i nodi che di notte si formano per un contratto firmato col diavolo anni prima, dopodiché li legò come aveva sempre fatto, con i codini a destra e sinistra.
Il volto era più maturo, era una giovane donna, e come tale gli altri dovevano vederla. Gli occhi però erano sempre spensierati, di un azzurro così chiaro che sembravano quasi trasparenti: come il cristallo.
Finì di lavarsi e si vestì, calze e gonna a balze, ballerine ai piedi, maglioncino caldo e camice bianco da lavoro.
Era pronta per uscire di casa.
 
Chiuse la porta alle sue spalle, camminando lentamente lungo la stradina che portava verso il laboratorio del Professor Elm.
Una volta lì, suonò il campanello, infilando le mani nelle tasche del camice e giocherellando con la Pokéball di Meganee. Sentiva dei passi che si avvicinavano lemmi alla porta, quindi qualcuno aprì.
Era proprio Elm.
"Salve, Professore" sorrise Crystal. Il tempo stava cambiando e le nuvole all'orizzonte facevano la fila per sovrastare il cielo sulle loro teste.
"Giao Grys. Gome zdai zdabaddina?" rispose quello, con voce compressa e naso tappato.
Erano passati gli anni ma lui non era cambiato. Sempre molto magro ed alto, quando Gold lo vedeva puntualmente gli dava una manata sulla spalla facendogli cadere gli occhiali dal volto, poi gli ripeteva di mangiare di più.
Quella mattina gli occhi erano spenti e la pelle si mostrava pallida; sembrava una mummia senza bende.
"Zanto gielo... il ravvreddore dod bi da bage...".
Crys sorrise. "Le preparo un tè caldo..." fece, premurosamente.
E fu così che la ragazza entrò nell'osservatorio di Borgo Foglianova; vigeva un ordine rigoroso lì dentro.
Diversi ricercatori si stavano occupando di svariate ricerche, ognuno davanti ai propri grafici, i propri schermi.
"Bariz..." fece Elm, cercando di richiamare l'attenzione di una ricercatrice dai capelli castani e lunghi, con gli occhiali sulla punta del naso. Senza neanche attestare che quella avesse alzato gli occhi in sua direzione si avviò verso la sua scrivania, aspettandosi che quella lo seguisse.
"Maris..." sorrise Chris. "Il Professor Elm ti sta chiamando"
Quella alzò lo sguardo cristallino dai fogli che stava analizzando con attenzione e lo puntò sulla sua interlocutrice. "Oi Crys".
"Ciao. Ti cerca Elm" disse la Dexholder, sorridendo alla collega.
"Oh... ok. È che ero molto concentrata su queste ricerche"
"Bariz! Ghe gi vai angora lì? Biedi gui e guarda!" urlava il Professore.
Maris sorrise leggermente, guardò la sua collega e si avvicinò alla scrivania di Elm.
"Anghe du, Ghris. Biedi gui" aggiunse.
Arrivata lì, Crys poggiò gli occhi sulla scrivania ordinatissima dell’uomo. Elm aveva un problema, con l’ordine. Anzi, aveva un problema col disordine: tutto doveva essere maniacalmente sistemato e regolare; niente poteva essere al di fuori della sua posizione. Pile di fogli erano ordinatamente incolonnate, sistemate per data.
"Guardade guezdi rabbordi ghe Gennaro bi ha redaddo ieri. Le bagghe ghe abbiabo del giardido zdanno greggendo a dizbizura grazie al duovo verdilizzadde"
"Eh?!" chiese Crys, confusa.
Maris sorrise, spostandosi un ciuffo dagli occhi. "Si vede che non ci hai a che fare per molto tempo al giorno. Dice di guardare i rapporti redatti da Gennaro, l'altro assistente, che spiegano come le bacche che abbiamo in giardino stiano crescendo a dismisura grazie al nuovo fertilizzante"
Crys allora sorrise ed annuì, tornando a guardare il Professore.
"È zorbreddedde!" esclamò nuovamente.
"Già" sorrise ancora Maris. "E pensare che è tutto naturale, senza additivi chimici!".
"Infatti. Era per questo che abbiamo analizzato il succo di bacca degli Shuckle. Sono ottimi per fertilizzare il terreno" aggiunse la moretta.
"Berfeddo. Ora bai del giardido e breddi doda di duddo giò ghe bedi".
Crys sorrise ancora. "Mi spiace molto, ma non ho capito...".
"Baris... aiudabi".
"Dice di andare fuori in giardino e prendere nota di tutto ciò che vedi".
"Grazie Maris. Vado subito" sorrise quella. Dopodiché si lasciò alle spalle Elm e la collega e prese una cartellina rigida.
Aprì la porta del laboratorio e si trovò fuori al giardino: nonostante fosse inverno inoltrato le bacche crescevano a dismisura. Il verdeggiare degli alberi e dell’erba faceva così tanto contrasto col cielo marmoreo che non le sembrava vero di non avere ancora le scarpe bagnate dalla pioggia.
Gli alberelli erano schierati ordinatamente in fila ed i Pokémon erano lasciati liberi nell’enorme giardino; di tanto in tanto Chris osservava qualche esemplare di Caterpie sugli alberi, o qualche Pineco molto socievole.
Un Aipom le saltò sulla testa.
“Ciao piccolo! Vuoi giocare?” sorrise lei.
Quello balzò sulle spalle della giovane, quindi prese a saltellare felice.
“Dovrebbe essere un sì... vai Meganee!” urlò, tirando la Pokéball del suo esemplare di Meganium dalla tasca del camice.
Meganee era femmina. Molto bella ed elegante, gli enormi petali che aveva al collo profumavano davvero tanto; l’odore che sprigionavano riempì quasi subito le narici della sua Allenatrice, sostituendo quello dell’erba umida del mattino.
Aipom saltò al collo di Meganium e, mentre i due cominciavano a giocare, Crystal si avvicinò al primo albero.
“Baccapesca, qui. Benissimo” fece, cominciando a scribacchiare dati sul foglio che la cartellina rigida sosteneva.
Il profumo di quella era quasi più forte di quello dei fiori del suo Pokémon.
Quasi.
“Meganee, Aipom, assaggiate questa Baccapesca e fatemi sapere” fece.
Il verdetto fu positivo.
“I... Pokémon... del giardino... apprezzano... le bacche...” segnò sul foglio.
Controllò quasi ogni albero, ma poi la pioggia intervenne, facendole notare quanto fosse meglio tornare dentro, all’asciutto.
E così fece.
Si sedette alla scrivania e sospirò; la sua giornata era questa: sveglia, osservazione, elaborazione dei dati e pausa. Poi lavoro teorico fino alle 18, quando Elm scioglieva i loro guinzagli e li salutava, per poi ritrovarsi il giorno dopo di nuovo lì, e cominciare con quel loop fino allo sfinimento.
Vivevano per raggiungere il sabato, i ragazzi.
Avrebbe tanto voluto fare come Gold, Crystal. Le piaceva il fatto che non si fosse legato a nessun tipo di mestiere, e che sua madre gli concedesse di poter girare il mondo senza fare nulla di preciso.
“Chissà in quale altra avventura stramba si è cacciato...” pensò.
Fatto stava che non lo vedeva da troppo tempo e quel giorno, tornando a casa dal laboratorio, non fece differenza: Gold non c’era.
Ma nemmeno Silver, e la cosa un po’ le puzzava.
“Dove diamine è Silver?”
 
Il sudore gli incollava i capelli alla fronte. O forse era la pioggia, Silver non sapeva dirlo.
Ansimava, preso dalla stanchezza dell’allenamento a cui si stava sottoponendo. Abituato com’era a sopravvivere in solitudine e in mezzo alla natura, aveva imparato a conoscere e, soprattutto, a riconoscere ogni mutamento del tempo, per questo si era preparato indossando un’aderente maglia impermeabile. L’interno era in un pile leggero, l’esterno, nero, quasi plastificato. Riscaldava in modo improponibile, ma lo lasciava altrettanto asciutto.
In mano teneva un bastone accuratamente levigato e davanti a lui stava il suo Weavile, per nulla infastidito dal temporale che si era appena scatenato.
Spostò di nuovo una delle ciocche di capelli, ostinatamente decisa a stendersi davanti ai suoi occhi. La foschia che s’alzava rendeva la sua figura quasi evanescente nel grigiore della giornata. L’unica nota che lo faceva spiccare nel paesaggio erano i suoi capelli, rossi come fiamme vive, poco più lunghi delle spalle. Li teneva legati in un semplice codino lungo qualche centimetro, alto sulla testa. La tranquillità del percorso 27, diviso dal mare da Borgo Foglianova, gli permetteva di allenarsi senza intralcio alcuno.
Rialzò il bastone verso Weavile, il Pokémon sfoderò a sua volta gli affilati artigli lanciandosi all’assalto, ma lui schivò basso l’attacco, lasciando che quello gli passasse sopra e gli finisse alle spalle, dopodiché si voltò, rapido, caricando con il bastone il Pokémon Lamartigli, che parò il colpo incrociando entrambe le zampe sopra la sua testa. Era il sesto round d’allenamento della giornata, iniziata la mattina a un’ora dall’alba. Il cielo era ancora scuro e Silver si era visto costretto a muoversi più silenziosamente del solito per prepararsi ed uscire. Gold era sparito da giorni ma Chris c’era, ed il fulvo aveva notato quanto leggero il suo sonno fosse di solito. Per questo si era lavato nel silenzio assoluto e si era permesso di respirare con tranquillità solo quando si era trovato fuori dalla portata dell’orecchio della ragazza.
Quindi aveva iniziato ad allenarsi.
Ininterrottamente.
Dopo il quarto round una pausa fu obbligatoria, e il cibo che si erano portati, rovistando casualmente nel frigo, era sparito nei loro stomaci; poi avevano ripreso, ed era arrivata la pioggia.
“Ultimi due round, Weavile, non abbassare la guardia”.
La sua voce era calma, senza traccia della stanchezza che invece sentiva in braccia e gambe. Tentò un altro affondo, che Weavile evitò spingendosi indietro ma che colpirono gli artigli del Pokémon e che incisero il legno della sua scadente arma. Approfittando della distanza ravvicinata fece mulinare il ramo, spingendo il Pokémon Buio a qualche metro indietro.
Rapido, corse contro il Pokémon; questi aspettò l’ultimo istante per spostarsi e colpire verso le gambe. Per quanto fosse un allenamento e nessuno dei due intendesse ferire seriamente l’altro, gli artigli del Pokémon squarciarono il tessuto dei pantaloni, lasciando sottili scie rosse al suo passaggio. Non avrebbe potuto comunque affondare ulteriormente, il giovane dagli occhi che parevano argento liquido si era già spostato, rotolando su un fianco e posizionandosi con un ginocchio a terra, il bastone davanti a sé.
Weavile si bloccò, guardando gli artigli con aria spiaciuta. Silver si rialzò sospirando.
“Per oggi può bastare... Devo cambiare pantaloni. E farli rammendare”.
Caricò il peso sulla gamba, nessun problema. Passò una mano sulla cresta del Pokémon.
“Tutto a posto. Siamo stati bravi”.
Allenarsi coi pesi alle caviglie, in corsa era ovviamente necessario ma si rivelava inutile se non si sapevano coordinare le proprie capacità motorie e sfruttare i risultati che ne derivavano; per questo, almeno ogni tre giorni, era doveroso un simile allenamento.
Fece rientrare il Pokémon nella sfera, avvicinandosi alla riva del tratto di mare che lo divideva da Borgo Foglianova. Per qualche istante osservò la furia degli elementi, fulmini lontani e nuvole che s’illuminavano di viola, rendendo il mare un’informe massa grigia dalle mille tonalità. Poi prese la sfera di Feraligatr, facendo uscire il gigantesco Pokémon Mascellone, che si beò per qualche istante della pioggia che lo bagnava.
“Ho bisogno di un passaggio” disse, sorridendo.
Mentre il rettile si chinava ad osservarlo, annuì contento, entrando in acqua e lasciando che il ragazzo, ormai quasi un uomo, gli salisse sulla groppa.
Fu una traghettata di qualche minuto, che il ragazzo fece immergendo i piedi nudi nell’acqua, in modo che i lievi tagli fossero disinfettati dal sale. Quando tutto finì si rimise le scarpe e si avviò verso casa, quando il Pokégear squillò. Per un attimo pensò fosse Crystal che lo cercava, ma il numero che vide lo sorprese.
Con la testa lentamente inclinata ed ormai più zuppo di quanto potesse sospettare di essere, Silver rispose alla chiamata del Professor Samuel Oak.
 
Chris era stesa sul divano, col telecomando in mano, premendo compulsivamente sul tasto per cambiare canale, dato che non trasmettevano assolutamente nulla di più stimolante del solito talk show con le star del cinema di Unima. Sbuffò e mentre si guardava attorno: era tutto così fermo, così grigio. Il cielo, proprio fuori dalla finestra che aveva a pochi metri, era sporco di nuvole grigie che, rancorose e piene di sé, gettavano acqua su ciò che sovrastavano. Fuori era cominciata una lunga tempesta, ma in tv il meteo aveva detto che non sarebbe durata più di un paio di giorni. Johto era un ottimo posto per vivere anche per quel motivo: il tempo era quasi sempre bello, perché il vento che soffiava dal mare allontanava le nuvole nere e dense.
Quel giorno però si dovette accontentare di starsene in casa, al buio. Forse era meglio accendere la piantana che avevano comprato e disposto accanto alla televisione. Eseguì, vide la luce inondare l'ambiente.
Per un momento si sentì più calda.
Pensò che forse avrebbe potuto accendere il camino, quindi prese qualche ceppo dalla legnaia piccolina che Silver aveva costruito, proprio di fianco alla porta d’ingresso, e lo piazzò nel caminetto.
"Un fiammifero ed un po' di carta...". Era quello che le serviva.
Infilò di nuovo le scarpe, dato che quando stava sul divano sentiva quell'impulso necessario di alzare i piedi e metterli tra i cuscini, specialmente quando faceva così freddo. Dopodiché si diresse in cucina.
La carta era a portata di mano, spesso i tre, o meglio lei e Silver, lasciavano foglietti volanti per comunicare qualcosa da fare. Gold no, lui in quella casa era solo un ospite con privilegi.
Come un fantasma, pensò Crystal. Ma un fantasma parecchio carino.
Le mancava. Non riusciva a capacitarsi del fatto che il ragazzo fosse cresciuto. Certo era ancora un bambinone, un immaturo che trovava tante, troppe difficoltà a fare la persona seria. Tuttavia, era pur vero che se non fosse stato così non gli avrebbe voluto così tanto bene.
Sospirò, accorgendosi di divagare fin troppo, andò vicino ai fornelli e prese un accendino, pazienza per i fiammiferi, non li trovava.
Tornò nel soggiorno e tolse di nuovo le scarpe, ponendole accanto al divano ordinatamente, l'una accanto all'altra, quindi fece ciò che era in suo potere per accendere quel fuoco, riuscendoci, anche con moderata soddisfazione.
Le piaceva il camino; il calore che fuoriusciva dall'apertura in muratura le scaldava il volto, donando alla pelle chiara della ragazza una patina arancione.
Quello scoppiettava, e Chris si sedette sul tappeto, per poter godere in pieno di tutto quel calore.
Adorava quel tappeto, era parecchio morbido, poi si allungò sul divano per prendere il telecomando.
"Magari un telegiornale..." disse tra sé e sé. Girò, e vide delle immagini molto particolari: una cronista, che in sovrimpressione era presentata dalla grafica come Tea, era ripresa durante una violenta tempesta di vento. Non sapeva dove si trovasse.
 
“...Proseguono nella regione di Hoenn lo sciame di violenti terremoti. La sequenza sismica di natura sconosciuta che si è abbattuto sulla regione è di crescente intensità, tanto che la città di Ciclamipoli è stata in larga misura evacuata e la palestra chiusa. Altri disagi si riscontrano nel villaggio d’Orocea, dove il livello del mare si sta pericolosamente alzando. Per maggiori dettagli vi rimandiamo allo speciale...”
 
"Dannazione..." sospirò la ragazza. Le era difficile pensare che le persone, ormai nel 2014, fossero costrette dalla natura a vivere in quel modo.
"Questo accade perché la Terra si riprende ciò che gli abbiamo rubato" fece Silver, alle sue spalle.
Lei si girò di scatto e lo vide. Il ragazzo era totalmente fradicio. Crys indugiò un po’ sulla sua figura: i capelli erano cresciuti leggermente e lei faticava ad abituarsi al codino che il ragazzo portava, nel tentativo di trovare la voglia di andare a tagliarli. Si era offerta lei stessa di farlo, una volta, ma quello aveva rifiutato, toccandosi i capelli e abbassando lo sguardo. Gli occhi erano piccoli, come strette fessure da cui un barlume argentato inviava lo sguardo a Chris, che lo riceveva nelle sue iridi cristalline.
"Ciao... Sei tornato" osservò lei, alzandosi dal tappeto. Lui le si avvicinò e le diede un bacio sulla guancia.
"Ciao Crys... Mi ha chiamato il Professor Oak. Dobbiamo assolutamente andare ad Hoenn".
"Hoenn?!" esclamò quella, sorpresa.
Intanto il cellulare squillò. Era sicuramente Elm, che aveva dimenticato di dirle qualcosa, sbadato com’era. Si sarebbe dovuta impegnare a capire le sue parole da raffreddato e, se da vicino si era dimostrata un'impresa intendere ciò che volesse dirle, al telefono sarebbe stato davvero impossibile.
"Un momento" fece lei, andando a prendere il cellulare dalla tasca del camice, sull'appendiabiti. I piedi scalzi producevano uno strano rumore sul cotto delle piastrelle, che le parevano freddissime in confronto al tappeto morbido e caldo davanti al camino. Difatti prese il telefono e tornò davanti al fuoco, di fronte a Silver.
Lui la guardava mentre scorreva il dito sullo schermo per rispondere."Pronto?" chiese.
"Crystal? Sono il Professor Oak".
La ragazza spalancò gli occhi, e mise in vivavoce. "Salve... salve Professor Oak. Che posso fare per lei?".
"Ho già avvertito Silver, di questa cosa. Purtroppo ad Hoenn stanno succedendo cose molto difficili da fronteggiare e le normali forze dell'ordine non riescono a controllare determinate faccende".
“Non ci sono Ruby e Sapphire, lì?”.
“Sono totalmente spariti e la cosa è abbastanza preoccupante. Inoltre, aggiungendo questa faccenda ai danni provocati dai terremoti...”.
"I terremoti, già... ma sarebbe difficile riuscire a gestirli appieno... non vedo come sopperire a tale problema del resto...".
"Catturando il Pokémon che li causa per esempio".
"Pokémon? Non starà mica parlando di...".
"Groudon" s'inserì Silver. La ragazza lo guardò.
"Silver è lì?" chiese Oak. "Meglio, ti potrà spiegare le cose con un po' più di criterio, dato che adesso sono molto indaffarato; stiamo cercando di aiutare la gente e tra pochi minuti comincerà una riunione con il consiglio della Lega Pokémon di Hoenn. Stiamo cercando di arginare i problemi, di aiutare la gente e gli sfollati. I primi terremoti non sono stati tanto distruttivi quanto quelli che Groudon ha provocato durante la sua ultima veglia, e quindi possiamo ancora aiutare qualcuno".
"Beh... mi farò spiegare tutto da... da Silver".
"Andate ad Olivinopoli e presentate la vostra Scheda Allenatore. Sono stati già avvertiti di tutto, un aliscafo vi porterà qui. Hoenn è parecchio lontana, ci vorrà una notte di navigazione. Speriamo che il vostro arrivo non sia tardivo: qui c'é gente che ha bisogno di voi".
"Ci conti, Professor Oak. A presto".
Poi attaccò e guardò Silver negli occhi. "A presto..." ripeté, racchiudendo le parole in un sospiro. Lui rimase in silenzio, il volto riflessivo come sempre, le labbra contratte.
"Puoi spiegarmi meglio, per favore?" gli domandò Crys. La voce della ragazza rimbombò nella casa, silenziosa tranne che per qualche schioppo del fuoco nel camino.
Silver andò verso la cucina, zitto, aprì l’anta di un mobile e prese un bicchiere, che riempì d’acqua. “Dobbiamo andare a Hoenn. Tu devi catturare Groudon” sospirò quello.
“Eh?! Io?! E perché?! Non ci sono Ruby e Sapphire lì? E Rald?! Dov’è Emerald?!” esclamò, improvvisamente nervosa. Non era il tipo a cui piacevano i cambiamenti radicali.
“I Dexholders di Hoenn sembrano essere spariti. Non si sa che fine abbiano fatto. L’unica cosa che sappiamo è che le scie sismiche sono provocate da un Pokémon potentissimo, e l’indiziato numero uno non può che essere Groudon”.
“Indubbiamente...” sospirò Crystal.
“Oak ci ha contattati perché c’è in ballo la vita delle persone, e tu sei una maestra della cattura... Conosci bene tutte le tecniche per far sì che la Pokéball non oscilli troppo quando cerchi di terminarne una”.
La voce di Silver graffiava fredda quel silenzio ed entrava sinuosa in lei. “Dobbiamo andare, allora” disse la ragazza, tirando le somme.
Lui annuì, ma vedeva una traccia di timore all’interno del suo sguardo.
“E Gold? Dovremmo avvertirlo!” esclamò poi la moretta.
“Il Professor Oak ha provato a mettersi in contatto con lui ma non ci è riuscito”.
“Beh” sorrise leggermente Crystal. Prese l’ennesimo foglio di carta ed una penna.
 
                                “Siamo ad Hoenn. DEVI raggiungerci
            Crys.<3"                     
 
Accanto al nome tracciò la sagoma di un cuoricino.
“Credo che questo lo dovrà leggere per forza” disse, aprendo il frigorifero e piazzandolo su di un pacco di Wurstel.
“Direi di sì” sorrise Silver.
 
Crystal entrò in stanza e, dopo essersi spogliata e lavata, si preparò. Indossò una maglietta lunga a righe beige e marroni orizzontali. Le andava parecchio bene.
Sotto aveva un pantaloncino marrone. Le calze carezzavano la sua pelle e terminavano in un paio di stivali dello stesso colore dei calzoncini. I capelli acconciati con i classici codini, forse un po’ più lunghi del normale, ai lati della testa.
Un po’ di mascara, un po’ di lucidalabbra, quindi preparò la borsa e raggiunse Silver in salone. Lui stava rimuginando a bassa voce. Sul divano, il fulvo aveva le sue sei Pokéball.
“Che fai?” domandò lei, curiosa.
“Scelgo i tre Pokémon da portare con noi”.
“Tre?! E gli altri?!”.
“Oak mi ha spiegato che dobbiamo portare soltanto tre tra i nostri Pokémon, dato che agiremo sotto copertura”.
“Come mai?”
“Perché stiamo per catturare Groudon, un Pokémon leggendario, che ingolosirebbe persone pericolose”.
“Parli del Team Magma e del Team Idro?”.
Quello annuì.
“Ma i loro capi sono morti, o sbaglio?” chiese poi, osservando le braci spente nel camino: probabilmente era stato Silver a smuoverle.
“Il problema non sono le persone, Chris. In casi particolari, i problemi sono le idee che queste persone portano a spasso. Le idee che li utilizzano come contenitori”.
Lei annuì. “Qualcuno potrebbe essere più fanatico di loro, in effetti”.
“Già. Perciò è meglio non mostrare i nostri Pokémon originali, ma portarne qualcuno solo per evenienza. Cattureremo qualche esemplare locale e lo alleneremo per bene. Questo desterà meno sospetti. Inoltre ci farà bene tornare sugli scudi” chiuse quello, con un sorriso.
“Beh... dovrò cautelarmi...” rispose Crystal. Poggiò sull’isola centrale della cucina le sei Pokéball.
“Meganee... Hitmonee...e Xatee. Perfetto. Mi spiace per gli altri, però...” borbottò. E così Crystal decise di portare con sé Meganium, Hitmonlee ed il suo Xatu.
“Non pensare in questo modo. Hai bisogno di loro, quindi fatteli bastare. Io porterò Feraligatr, Weavile ed Honchkrow. Corro a fare le valigie. E...” il ragazzo si bloccò un attimo, toccandosi nuovamente i capelli. “Puoi aiutarmi a sistemarli?” chiese infine con lo sguardo basso.
 
Fu così che i due si imbarcarono sulla MN GIULIA. Il tempo fuori era pessimo, ma all’orizzonte le nuvole si erano diradate, donando ai due ragazzi un lieve stralcio di tramonto.
Crystal era stanca, seduta accanto al compagno di viaggio. Poggiava i piedi sul sedile di fronte, poche persone raggiungevano Hoenn dopo le notizie del telegiornale, con la conseguenza che la motonave fosse quasi deserta.
Silver rimaneva a braccia conserte, guardava il mare davanti a sé mentre lo sguardo si rimpiccioliva. S’era cambiato d’abito, il nero aveva abbandonato il suo guardaroba facendo largo ad un più luminoso grigio. Pantaloni comodi e felpa con zip, che lasciava intravedere una maglia candida. I capelli erano adesso accorciati di qualche centimetro, fino a sfiorare le spalle, nel taglio che lo aveva sempre caratterizzato. Il suo naso coglieva la fragranza dolce e delicata di Crystal. Lentamente quella poggiò la testa sulla spalla del ragazzo e si addormentò.
Lui sorrise. Era stanca, lei lavorava e faceva tanto in casa. La stimava molto e, per quanto gli costasse ammettere di provare delle emozioni e delle preferenze, la ragazza gli piaceva. Poggiò la testa sulla sua e si lasciò cullare dall’incedere della nave tra le onde.
Verso qualcosa che andava oltre l’orizzonte.

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Capitolo 3
*** Capitolo Secondo - Velluto ***


Velluto



 
L
a motonave percorreva a velocità sostenuta il mare vasto che divideva Johto da Hoenn. La sera era scesa e sia Crystal che Silver si erano svegliati dal loro riposo statico, sulle panche di poppa.
Oak aveva affittato una cabina soltanto e la cosa metteva parecchio in imbarazzo la ragazza, che avrebbe dovuto condividere degli spazi privati che lei reputava vitali con il ragazzo dai capelli rossi.
Camminavano lungo il corridoio della M/N GIULIA.
Nei giorni che precedevano il Natale non c'era quasi nessuno che prendeva quella tratta, eccezion fatta per quelle persone che lavoravano a Johto ma che avevano i loro affetti ad Hoenn.
Silver aveva adorato Johto e soprattutto Amarantopoli, ancor di più in autunno; le foglie d'acero arrossivano, proprio come i suoi capelli, e lentamente si adagiavano sul pavimento mattonellato di quella città.
Apprezzava più di tutto il fatto che essa non fosse attraversata da veicoli a motore. Ci tenevano tutti che Amarantopoli mantenesse quell'aura mistica che l'avvolgeva da tanti anni.
"Siamo praticamente soli su questa nave! Perché ci hanno dato una stanza così in fondo?" chiese Crystal.
Silver fece spallucce. "Non ne ho idea. Noi abbiamo la 208".
"208! Eccola lì!" esclamò l’altra.
I due si avvicinarono alla porta, inserirono la chiave magnetica nel lettore e per magia la serratura scattò. Crystal abbassò la maniglia e fece gli onori di casa.
Due grandi oblò illuminavano la cabina, proprio sulla parete di fronte alla porta. Sulla sinistra un piccolo fornellino a gas dominava la parete ed accanto c'era una porta, che conduceva al bagno. Dalla parte opposta invece c'era un piccolo armadietto e, attaccato, il letto matrimoniale che avrebbero condiviso.
"È quasi ora di cena. Cucino qualcosa?" chiese il giovane, suscitando il sorriso nella ragazza, che si limitò ad annuire.
Gettarono gli zaini sul letto e, mentre la ragazza andò in bagno, Silver si prodigò ai fornelli. Non che Crystal non ci sapesse fare, ma di solito a casa cucinava lui. Era più bravo.
Silver sorrise, quindi sgusciò qualche gamberetto e tagliò una zucchina a rondelle, mettendo a sfumare con un po' di vino. "Non so quanto tempo ci metteremo con questa potenza di fuoco" storse le labbra lui.
Crystal uscì dal bagno con le mani ancora umidicce. Le asciugò sui pantaloni. "Se avessi Arckee con me non avremmo problemi in tal senso".
"Già" sorrise di nuovo il rosso. Arckee era l'esemplare di Arcanine di Crystal.
 Mangiarono, dopodiché Silver si stese sul letto a leggere un libro. L’altra invece  si concesse una passeggiata sul ponte. Il mare era calmo, mentre il freddo pungeva. Hoenn non era nemmeno visibile.
Sì, era sera, ergo, anche se fosse stata a pochi chilometri, non sarebbe stato possibile urlare terra! però erano ancora troppo lontani.
La motonave aveva aumentato i nodi con cui si muoveva sulla superficie nera dell'acqua e lei ne approfittò per appoggiarsi al parapetto, cercando di bucare con lo sguardo quella tavola scura, riuscendo a mettere a fuoco soltanto la scia bianca di spuma che la nave aveva creato con il suo passaggio. Neanche più Johto era visibile. Si trovavano giusto al centro del tragitto, in quella situazione in cui semmai avessero voluto tornare indietro si sarebbero trovati a ponderare ragionamenti sulla maggior vicinanza dell'obiettivo piuttosto che il punto di partenza.
Era uscita dalla stanza, perché con molta sincerità aveva vergogna. Non stava mai così tanto tempo a contatto con Silver, di solito mangiavano, poi lui lavava i pavimenti e lei i piatti, o inversamente quando lei glielo chiedeva, e spariva, andando a leggere qualche libro, quasi sicuramente sul tetto ma non ne era sicura. Lui era molto paziente con lei; non le diceva mai di no, se poteva accontentarla lo faceva.
Forse quell’imbarazzo dipendeva anche dal fatto che la maggior parte del tempo Crys lo passasse con Gold.
Questi di fatto faceva sempre tardi, e lei e Silver lo aspettavano per mangiare. Dopo cena lui si alzava, sparecchiando, ma solo dopo aver ricevuto una dura tirata d'orecchie da uno dei due, e quindi si gettava sul divano, con una gamba sul bracciolo e la testa affondata nei cuscini, mentre guardava Scrubs o altre Sit-com del genere.
Gold adorava ridere. Ed anche Crystal di tanto in tanto aveva bisogno di farlo quindi, dopo aver adempiuto alle sue mansioni, si sedeva composta vicino a lui che, puntualmente, la tirava a sé e la stringeva.
Dopo l'iniziale tentativo di non scomporsi, il ragazzo la tirava con più forza, e lei sorrideva, perdendosi tra le sue braccia.
Si risvegliò dai suoi pensieri, con uno strano sorriso sulle labbra.
Quel manigoldo le mancava.
E dannazione, se soltanto avesse saputo dove fosse...
"Meglio tornare in cabina... è tardi" disse a se stessa, come promemoria. I piccoli passi si susseguirono l'uno dopo l'altro, fino a raggiungere la propria stanza. Girò la maniglia, Silver era in pantaloncini e maglietta corta a leggere un libro.
Crystal cercò di leggerne il titolo, ma la luce della lampada l’abbagliò, impedendole il tutto.
"Elogio della follia. Erasmo da Rotterdam" sorrise lui, che aveva capito le intenzioni dal suo sguardo.
"Di che parla?" fece, levando la giacca da dosso; la temperatura era gradevolmente calda anche senza di essa.
"Elogio... alla follia...".
"Ah... scusa" sorrise l’altra, imbarazzata.
"Di niente".
"Vado a cambiarmi, e... e poi vengo a letto" disse, ancor più imbarazzata.
Sospirò quindi si voltò, prendendo lo zaino. Avrebbe dovuto cambiarsi, ma non avrebbe mai tirato fuori un suo reggiseno davanti a Silver, nonostante fosse strasicura che quello non le avrebbe detto niente; forse sarebbe arrossito timido, ma niente di più.
E quindi giù di doccia e sotto con il pigiama, che null'altro era che un maglione voluminoso con cappuccio. Andò in stanza con la spazzola in mano ed i capelli sciolti.
Silver alzò lo sguardo, non la vedeva mai senza quei codini ai lati della testa. Gli occhi del ragazzo si illuminarono per un attimo ed un piccolo sorriso gli apparve sul volto.
"Che c'è?" chiese lei, dolcemente, ignorando volutamente lo sguardo di lui che si soffermò per un momento sulle sue gambe nude.
"Sembri un'altra persona con i capelli sciolti".
"Non me ne parlare... Devo pettinarli".
"Vuoi un aiuto?".
Lei sorrise.
 
E fu così che Silver passò l'ultima mezz'ora della sua giornata a spazzolare i capelli della ragazza con gli occhi dal colore del cristallo.
Poi si abbatterono entrambi, l'uno rivolto verso l’altra.
Fu il calore a svegliare Crystal, quel mattino. Faceva caldo, davvero troppo, troppo caldo.
Eppure erano quasi sotto Natale, ed il freddo avrebbe dovuto congelare tutto al di fuori di quegli oblò.
Aprì gli occhi dolcemente ed il solito raggio di sole carezzò la sua guancia e la baciò delicatamente.
La solida schiena di Silver era davanti ai suoi occhi. Dopo essersi girato, era rimasto immobile tutta la notte per paura di toccarla, e la cosa la fece sorridere.
Poi arrossì violentemente quando si accorse che il maglione le era salito ai livelli dell'ombelico, lasciandola praticamente in slip.
E nemmeno di quelli sexy.
Pensò di essere stata fortunata a svegliarsi per prima. Si alzò, i capelli erano nuovamente un ammasso informe. Abbassò il maglione ed andò in bagno.
Fu lo scatto della serratura a far aprire gli occhi a Silver. Silenzioso come sempre, sbadigliò, ed allungò gli arti al massimo. Poi si alzò e si avviò alla porta, bussando con le nocche.
"Hey...".
Sentì il rumore dell'acqua che si chiuse. Poi un lieve strascico e dei passi in un paio di ciabatte. La serratura del bagno si riaprì, e la testa di Crys uscì fuori.
"Sì?".
"Ci vuole molto?".
"Direi di sì".
Lui portò le mani ai fianchi e sospirò. "Ecco cosa si prova a vivere da soli con una donna".
 
E poi il calore continuò ad aumentare. I due erano pronti e si trovarono sul ponte, con gli zaini in spalla.
"Quella è Hoenn..." disse il ragazzo, puntando il dito a prua.
"Stiamo navigando ad una velocità altissima" convenne Crystal.
"Già".
"Nonostante il vento in faccia fa davvero molto caldo... siamo vicini al Natale, non dovrebbe nevicare?" domandò quella, detergendosi il sudore della fronte con la manica della giacca.
Silver fece spallucce, sedendosi e nascondendo magistralmente l'impazienza di baciare terra. Crys invece si perse nei suoi pensieri e, mentre guardavano il cielo limpido, osservò i Wingull planare svogliati verso le banchine di Porto Alghepoli.
Qualche altro minuto e i due scesero.
"Ce l'abbiamo fatta" sorrise lei. Silver abbozzò un mezzo sorriso, quindi si guardò attorno, stringendo la spallina dello zaino. Porto Alghepoli era una località portuale, come suggeriva il nome. Si divideva in due parti: una residenziale ed una portuale.
Alti palazzi erano abbracciati da un'alta collina alle loro spalle, dato che era costruita in una valle: quella zona era parecchio pianeggiante, tanto che qualche chilometro più lontano erano in grado di vedere una grossa montagna scura, avvolta dalla foschia.
"C'è la spiaggia" sorrise di nuovo Crystal, puntandola con l'indice. Silver osservò il luogo indicato e notò una baia, con della sabbia aurea e morbida a costeggiare un mare blu cobalto, tranquillo come una tavola.
Molte conchiglie erano adagiate su di essa, in maniera tanto ordinata che pareva  fosse venuto qualcuno apposta a sistemarle in quel modo.
Fecero qualche passo nel porto, sulla banchina di cemento armato che dava la sensazione di essere parecchio solido, lui davanti e lei che lo seguiva.
"Silver e Crystal, vero?" sentirono. La voce di un uomo penetrò nelle loro teste in maniera molto sottile.
Il ragazzo si girò. "Lei chi è?".
"Sono il Capitan Remo, l'autorità navale della regione di Hoenn... Voi siete gli specialisti che il Professor Oak ha chiamato, vero?"
Crystal annuì.
"Non dovevate essere tre?" chiese l'uomo. I ragazzi notarono una maniacale cura nell'aspetto di quello, e la simmetria per ogni elemento del suo vestiario. Aveva due taschini sul suo camice, uno a destra ed uno a sinistra. In ognuno c'erano ordinatamente due penne, una blu e una nera, ed un blocchetto per prendere appunti. L'attenzione si spostò poi sugli occhiali, che anche se molto sottili e sobri, parevano enormi sul volto smagrito di quello.
"Lo saremo a breve... spero. In ogni caso, che succede?" chiese la ragazza.
"Il Professor Oak si è riservato l'onere di spiegarvi tutto. Si trova all'interno della galleria d'arte, proprio accanto al centro commerciale".
Silver lo salutò con una stretta di mano ed assieme alla ragazza s'incamminò verso la meta.
"Che strano tipo..." fece lei. Lui non rispose, concentrato solo sulla meta. Attraversarono una piazza mattonellata. Il posto era parecchio carino e suggestivo, piccole casupole con il tetto a cono si ergevano l'una accanto all'altra, formando file ordinate che assomigliavano ai tasti bianchi d’un pianoforte.
Salirono una scalinata parecchio ampia, con gradini ampi e ben puliti, ed arrivarono nella parte alta della città, da dove si poteva godere di un panorama meraviglioso.
Lentamente si avviarono verso la galleria, un edificio enorme, alto almeno cinque piani, presumibilmente tutti riempiti di sculture e dipinti.
Varcarono la soglia dell'edificio, la porta che lo divideva dalla città era di un cristallo satinato molto elegante. Subito Crystal notò che le luci fossero molto basse, tranne che per alcuni punti, dove potenti fari splendevano su varie opere d'arte. Saggiò l'interesse di Silver per l'arte, dato che, non appena messo piede in quel posto, si fiondò dinnanzi ad una scultura molto alta.
"Rocco Petri" lesse ad alta voce. Crystal lo raggiunse, guardando quel pezzo di marmo alto più di due metri con proporzioni perfettamente bilanciate.
L'artista aveva tirato fuori da un blocco di marmo di Carrara quell’uomo nell’atto di allungare il mantello in avanti; questo era ben drappeggiato, non pareva fosse di marmo.
Sembrava vero.
"È un eroe di patria..." Silver rispose ad una probabile domanda immaginaria che Crys non aveva avuto il coraggio di fargli, per non sembrare ignorante o inopportuna. "...ha combattuto diverso tempo addietro contro una grande minaccia".
Crys annuì ma subito qualcuno interruppe il tutto.
"Ragazzi... che gioia, siete arrivati. State bene?".
La voce era calda, raschiata, tipica di chi è più in là con l'età; i due l'avevano riconosciuta immediatamente.
"Professor Oak" sorrise Crystal, stringendogli la mano. Silver fece altrettanto, con faccia seria.
La più grande autorità in fatto di Pokémon sostava davanti a loro. Indosso sempre il solito camice, sotto pantaloni beige e maglietta rossa, una ventiquattr'ore in mano ed un Borsalino del colore dei pantaloni sulla testa, a coprire capelli che anno dopo anno diventano sempre più canuti. Dopo le moine e le presentazioni iniziali, i tre presero a camminare.
"Qui siamo sicuri che nessuno ci senta. Il proprietario è una persona di fiducia... inoltre crede che gli apparecchi elettronici abbiano un brutto effetto sulle opere antiche. E qui ci sono delle tavole parecchio vecchie; quindi niente telecamere".
Silver annuì, capendo il discorso: Oak non voleva che orecchie indiscrete sentissero ciò che stava per dire.
I talloni delle scarpe classiche del più anziano producevano un tonfo sordo e strascicato, che si ripeteva ad ogni passo. Terminò quando i tre si fermarono davanti ad un grande dipinto, datato almeno centocinquanta anni prima.
"Uao..." rimase sbalordita Crys.
Il dipinto ritraeva la lotta suprema. Era a conoscenza della grande battaglia di Hoenn: Kyogre contro Groudon, il mare contro la terra; i dettagli erano perfetti, pareva che i due Pokémon fossero proprio davanti a loro.
"I terremoti che si sono verificati in questi giorni sono sicuramente dovuti a Groudon, il Pokémon rosso che vedete nel dipinto. Ha le sembianze di un sauropode e porta in sé il terribile potere del controllare i continenti. Può causare terremoti e l'espansione della terraferma, anche se di solito si limita al primo punto. L'equilibrio che c'è adesso tra mare e terra è importante, e bisogna che rimanga lo stesso, altrimenti potrebbero succedere catastrofi non indifferenti... Voi siete qui, e parlo maggiormente con te, Crystal, perché c'è bisogno che Groudon venga tenuto sotto controllo ed eventualmente catturato: tu sei una maestra della cattura. L'intera regione di Hoenn ti chiede aiuto".
"Ed io sono ben disposta a dare una mano... tuttavia non saprei come fare" disse lei. Silver notò quanto femminile fosse la sua voce.
"Purtroppo Groudon si muove sottoterra e per riuscire a trovare le sue tracce dobbiamo basarci su quello che succede in superficie"
"Ottimo..." sospirò Silver.
"E per quanto riguarda i Pokémon?" domandò l’altra.
"Già... Abbiamo portato tre Pokémon dai nostri team per evenienza ma si era parlato anche di avere dei Pokémon di Hoenn, per non dare nell'occhio" accompagnò il fulvo.
"Certo, ho qui in borsa ciò che vi serve. Li ho scelti io, in base alle vostre capacità di Allenatori. Ecco perché per te, Crys, ho pensato fosse perfetto questo esemplare di Marshtomp". Oak infilò la mano nella sua ventiquattr'ore e ne tirò fuori una Sub Ball, una sfera azzurra con delle variazioni di colore bianche. La lasciò cadere nelle mani di Crys, che l'accolse con il sorriso sulle labbra.
"È un Pokémon al secondo stadio evolutivo. La sua ultima evoluzione, Swampert, è molto potente, ecco perché te l'ho dato. Ho pensato che i Pokémon al primo stadio avrebbero rallentato il processo di crescita e, semmai aveste bisogno di Pokémon forti, sareste rimasti indietro, anche se sappiamo bene che lo stadio evolutivo non intacca la forza del Pokémon. Ho visto Caterpie molto più forti di Butterfree".
"Sono le potenzialità che cambiano" aggiunse la ragazza.
"Bravissima, vedo che stai prendendo molto seriamente il tuo lavoro da Elm. Come sta il ragazzone?".
"Influenzato" rispose quella, dondolando la testa a destra e a sinistra.
Oak parve annuire. "Di questi periodi... Comunque... Silver, per te ho un esemplare di Grovyle. È un Pokémon di tipo erba, molto veloce, la cui ultima evoluzione, Sceptile, massimizza tale statistica. Tu ti basi su dei team molto veloci, no?".
Quello annuì.
Poggiò una Premier Ball sul suo palmo. Era una sfera bianca col bordino rosso.
"Bene, ragazzi... non vi resta che andare ed indagare. Cercate di intercettare Groudon e di catturarlo. Una volta catturato lo porterete a me, che assieme ad Adriano ed al Professor Birch ci cureremo di liberarlo in natura, pacificamente, e di controllarlo in maniera migliore".
"Sarebbe meglio che a controllare Groudon fosse un Allenatore equilibrato" disse Silver.
"Cosa c'entra l'equilibrio del team, adesso?" domandò Crystal, voltandosi verso di lui.
"Parlavo della testa dell'Allenatore. Qualcuno di capace, tutto d’un pezzo"
"Valuteremo meglio la questione... Intanto dobbiamo andare in albergo a posare le vostre cose e..."
"Professor Oak!" si sentì urlare dall'ingresso. Una piccola bambina cercava di svincolarsi dalla presa di due guardie di sorveglianza armate, cercando di entrare.
"Paula! Lasciatela stare, sta con me!" urlò il Professor Oak.
"Non ha pagato l'ingresso!" fece uno di quelli.
"E lasciami!" si divincolò la bimba, aggiustandosi poi le spalline dell'abitino rosa. "Ha detto il papà che devi tornare subito da lui. È importantissimo".
Oak vide Crystal e Silver scambiarsi un'occhiata fugace, quindi annuì.
"Andiamo".
 
I tre, accompagnati da Paula, raggiunsero casa del Capitan Remo.
"Oh, eccoti Paula, ottimo lavoro... Oak, è successo di nuovo. Ora che i ragazzi sono qui, dobbiamo agire" fece, lisciandosi i baffi con l’indice.
"Dove?" domandò l’altro.
"Cascate Meteora. Fortissimo terremoto, probabilmente la grotta delle cascate è crollata totalmente. Ho provato a sentire Lanette, ma la linea telefonica è interrotta in tutta la parte ovest di Hoenn. Devono ripristinare il servizio dalla centralina a nord del deserto. A quanto pare è stato il sisma più forte fino ad ora, da quando l’attività sismica è ripresa".
Silver annuì. Non era mai stato ad Hoenn, ma sulla nave aveva avuto modo e tempo di poter studiare bene la mappa del posto, imparando quali fossero le città più popolate e le zone più a rischio.
"Loro sono i ragazzi di cui ti ho parlato, Remo" disse Oak.
"Lo so, li ho conosciuti allo sbarco".
"Come arriveremo lì?" domandò invece Crystal, guardando entrambi negli occhi.
"Alice ci aiuterà; è la Capopalestra di Forestopoli, allena Pokémon volanti" rispose a sua volta il più anziano. Tirò fuori dalla valigetta uno strano apparecchio giallo e blu. Poi premette un tasto e quello si aprì.
"Sembra un Pokédex" osservò Crystal.
"No... è un Pokénav, mia cara. È un apparecchio che qui ad Hoenn è molto richiesto, soprattutto perché le arene delle virtù qui spopolano. Servono a capire molte cose riguardo la natura dei Pokémon. Ma è soprattutto utile per segnare promemoria e contattare altre persone... ecco che chiamo Alice... Pronto? Alice? Sono Oak".
Attivò il sistema vivavoce. Tutti sentirono una donna parlare in modo elegante e dolce. La comunicazione rendeva le sue parole ovattate, leggermente disturbate, tuttavia compresero chiaramente ciò che diceva.
"Professor Oak, sono quasi arrivata”.
"Ottimo" rispose lui. La comunicazione s'interruppe. "Usciamo..." fece poi. "Grazie Remo".
"Di niente... Ragazzi..." si rivolse infine a Silver e Crystal. "...siamo nelle vostre mani. Fatelo per loro" indicò Paula, mettendole una mano sulla testa.
I ragazzi annuirono ed uscirono. Oak sembrava teso.
"Alice è uno dei Capipalestra più forti qui ad Hoenn; fortunatamente Forestopoli non è stata colpita da terremoti ed altri cataclismi ma la città è stata evacuata lo stesso, perché gli abitanti di quella città vivono..."
"Vivono sugli alberi... maestose sequoie che da anni danno dimore alle persone di quella città. In caso di frane e smottamenti Forestopoli sarà la città più sicura... in quanto le radici compattano il terreno. Ma i terremoti potrebbero raderla al suolo, e cadere da simili altezze per un uomo può significare solo la morte" fece il fulvo.
"Ottima analisi, Silver" si congratulò Oak.
E poi dal cielo si avvicinò un'ombra. Volava su di una nuvola.
"È un Pokémon?" chiese Crystal. Oak sorrise ma non rispose, attendendo impaziente che Alice toccasse finalmente terra.
Quando fu davanti a loro, si presentò tendendo la mano a Silver e alla ragazza. "Alice, Capopalestra di Forestopoli” fece.
"Silver".
"Crystal".
"Siete voi i ragazzi che Oak ha scelto?" chiese, cercando conferma negli occhi del Professore.
Tutti e tre i presenti annuirono.
La Capopalestra si rivolse direttamente al più anziano. “Non dovevano essere tre?”.
Crystal sospirò, pensando ancora a Gold. Dove diamine era andato?
"Sì, ma per alcuni problemi Gold ci raggiungerà successivamente" rispose proprio lei.
"Ottimo. Allora da adesso farete capo a me; le Cascate Meteora sono state colte da un forte sisma. C'è bisogno di agire immediatamente. Purtroppo sto ancora gestendo l'evacuazione dell’area periferica di Forestopoli, quindi vi lascerò il mio Altaria. Una volta arrivati lì lui ritornerà indietro".
Silver annuì. "Perfetto. Grazie, Alice; andiamo Crys". Prese per mano la ragazza e salirono sul Pokémon di Alice: Era un grosso volatile azzurro, dalla pelle blu. Le ali erano morbide, soffici; sembravano vere e proprie nuvole.
Crys si avvicinò al volto del Pokémon Canterino e lo carezzò. Cercò di instaurare un legame di fiducia con lui fin da subito e ci riuscì, dato che sembrò che Altaria fosse contento.
“Bene... Andiamo...” ripeté Silver.
Altaria si abbassò, allargando le ali, per fornire ai due più superficie d’appoggio possibile, dopodiché bastò un battito d’ali ed Altaria spiccò il volo con forza. Crys non riuscì a trattenere un grido, e strinse Silver, che era davanti a lei in assetto basso, per diminuire l’attrito con l’aria.
Le mani della ragazza stringevano forte la vita del rosso e forse, nascondendolo anche a se stessa, voleva che al posto di Silver ci fosse Gold, con cui non si sarebbe sentita così in imbarazzo.
Tuttavia trasalì quando il figlio di Giovanni le carezzò la mano morbida.
 
Ci misero un paio d’ore ad attraversare Hoenn in orizzontale. La linea che avevano seguito era praticamente un segmento dritto, senza spezzare la rotta. Avevano visto Forestopoli, ed una lunghissima fila di persone che si incamminava verso est. In quel momento era la parte ovest della regione ad essere stata colpita maggiormente dai cataclismi.
Da lontano Silver riuscì a riconoscere Ciclamipoli, ma erano troppo lontani per mettere a fuoco qualcosa. Inoltre avevano sorvolato una landa polverosa, affiancata da un monte altissimo.
“È il Monte Camino. È un vulcano” fece alla ragazza.
Subito dopo raggiunsero una cittadina molto piccola, raccolta ai piedi di un’altra catena montuosa, ma Silver non riuscì a dirvi nulla a riguardo.
Qualche casa era crollata, le più vecchie s’intende. I terremoti avevano colpito quella zona in sciami ma non in grosse proporzioni. Tuttavia una ventina di chilometri a sud ovest, la montagna era franata.
“Sono queste, le cascate...” sospirò Silver, notando la distruzione che la natura aveva imposto a se stessa. Tutto attorno era pieno di macerie, completamente deserto.
Un nastro delimitava l’ingresso alla grotta delle Cascate Meteora ed impediva virtualmente alle persone di entrarvi.
Altaria era atterrato poco vicino ad un cumulo di detriti; al di sotto di questi una coda lunga ed affusolata si muoveva leggermente.
“È un Pokémon...” osservò Crystal, con la voce scossa. Silver la guardò tirare il Pokédex fuori dalla borsa e puntarlo verso quella coda.
Quello lo riconobbe come Seviper. “È ferito... Si muove ancora...”.
“Potrebbe anche essere morto. I rettili di solito continuano ad avere spasmi muscolari anche dopo aver perso la vita”.
“No!” urlò lei, facendo alzare in volo qualche esemplare di Swablu. Prese una Pokéball e la poggiò sullo sfortunato Seviper, che non oppose alcuna resistenza alla cattura. “Andremo al centro Pokémon più vicino e vedremo cosa fare di lui. Intanto proseguiamo...”.
“Vai Grovyle!” disse Silver, facendo uscire il suo nuovo compagno dalla sfera.
 Era un rettile, molto somigliante ad un geco. Stava su due zampe ed aveva una grande foglia sulla testa, mentre delle fronde taglienti spuntavano dalle braccia, verdi come il resto del corpo.
“Grovyle... Grovyle... Le tue mosse dovrebbero essere... queste” fece, controllando a sua volta sull’enciclopedia Pokémon tascabile.
“Che fai?” domandò Crystal, incuriosita.
“Dopo tutti questi terremoti i Pokémon saranno impazziti. Scatteranno come delle molle. È molto meglio che ci cauteliamo. Anche tu hai un Pokémon d’acqua, no?”
“Marshtomp?” chiese nuovamente.
“Già”.
“Esci fuori!” disse, tirando davanti a sé la Sub ball. Vi uscì una sorta di salamandra blu. La sua pelle era lucida e di un colore molto particolare, che si avvicinava al verde acqua.
“Che carino che sei” sorrise lei, carezzandole la testa. Quello sorrise. “Ti chiamerò Marshee!”.
“Addentriamoci...” tuonò il fulvo.

Oltrepassarono i cumuli di detriti ed il nastro a bande giallo e nero, quindi entrarono nella grotta. Crystal si guardò attorno, pensando al fatto che quello dovesse essere stato un ambiente enorme prima del disastro.
“Guarda lì” disse Silver, indicando un punto in cui la volta di pietra era crollata, deviando il corso della cascata. S’intravedeva il cielo cristallino di Hoenn.
“È incredibile...” sospirò lei, a bocca aperta.
“Già, Crys, lo è. Groudon è stato qui sotto poche ore fa. È probabile che sia ancora qui”.
“Come dovremmo fare a trovarlo?”.
“È... è possibile che l’epicentro del sisma abbia fatto collassare il terreno...”
“Quindi un fosso nel terreno...”
“Quindi un fosso nel terreno” ripetè più risoluto Silver.
E poi Grovyle fece un enorme balzo, andando alle spalle di Silver. Quello si girò prontamente e notò che un enorme Pokémon, somigliante ad una roccia a forma di luna, stava per attaccarlo con uno Psicoraggio.
“Ma che?!” esclamò Crys, con gli occhi trasparenti spalancati.“È un Pokémon. Ne ho sentito parlare, è un Lunatone, un Pokémon di tipo Psico. Non conosco alla perfezione i Pokémon di Hoenn, ma...”.
“Ma cosa?! Non lavori con Elm?!” s’alterò leggermente il fulvo.
“Sì, ma mi occupo di bacche, e di poco altro che riguarda i Pokémon! Di certo non faccio classificazioni!”.
“Dannazione, Grovyle! Evita il colpo!” ordinò.
L’onda psichica sorpassò il Pokémon d’erba. Anche Silver la scansò, e la vide rimbalzare sulle pareti della grotta per poi disperdersi. “Ottimo, ora attento al suo attacco Azione, quindi replica prontamente con un attacco Fendifoglia!”.
“Marshee, aiutalo! Vai con Pistolacqua!” diede manforte Crys.
L’attacco Azione affondò su Grovyle, che fu colpito in pieno. Da terra, però, drizzò le foglie che aveva sull’avambraccio ed attaccò l’avversario, che indietreggiò di un paio di metri. Subito dopo arrivò l’attacco di Marshtomp, che lo mise fuori combattimento.
“Dannazione...” sospirò poi Crystal, mettendo una mano ai fianchi.
“Qui è troppo calmo. Se ci fosse ancora Groudon, i Pokémon sarebbero letteralmente impazziti. Invece si sono calmati. Il terremoto qui è stato soltanto il frutto del suo passaggio sotto le cascate, smuovendo le fondamenta che mantenevano la grotta e la volta. Probabilmente è diretto da qualche altra parte...”.
“È meglio uscire da qui...” avvertì irrequieta Crystal.
“Già. Potrebbe crollare tutto da un momento all’altro”.
E così i nostri eroi uscirono dalla grotta, senza accorgersi minimamente dei due individui vestiti di nero al di sopra della grande roccia alle loro spalle.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo Terzo - Inique ***


Inique
 


I
ragazzi erano appena usciti dalle cascate meteora ed il sole si era leggermente abbassato. La sera stava per avvicinarsi e loro erano fuori alla grotta franata da poco.
“Lì c’è una casa” notò Crystal.
“Già...”.
“Proviamo a vedere se hanno bisogno di aiuto... In fondo è davvero vicina alla grotta, potrebbe aver subito danni”.
Era una casetta non molto grande, un po’ anonima, dal tetto verde, interamente costruita in legno. Pochi metri dietro c’era un piccolo fiumiciattolo e, a qualche passo di distanza, degli alberi di Baccapesca avevano piantato le radici.
Crys riconobbe quanto quel posto fosse fertile per la crescita di tali alberi da frutto.
Si avvicinarono alla casa e, dopo aver bussato, sentirono dei passi raggiungerli.
La porta si aprì, ed i due scorsero una donna ad accoglierli.
Non era molto alta, tuttavia era magra. Il volto era solido, gli zigomi ben definiti, come le labbra. Sulla punta del naso altezzoso vi stavano un paio di lenti molto spesse che non nascondevano il colore corvino dei suoi occhi. La bandana che portava sulla fronte malcelava il rosso dei suoi capelli, che si intersecava in due trecce pendenti ai lati della testa.
Vestiva abbastanza casual, per stare comoda, un vestito verde, lungo, sopra ad una maglietta nera ed un paio di pantacollant dello stesso colore.
“Salve” disse la donna, confusa. “Posso fare qualcosa per voi?”.
Appoggiata allo stipite, la padrona di casa non riusciva a celare il grosso disordine che il terremoto probabilmente aveva sparso in casa sua.
“Salve” sorrise Silver, toccandosi la sciarpa dello stesso colore degli occhi. “Io e la mia fidanzata stavamo facendo un giro da queste parti. Non è che per caso conosce ciò che è successo alle cascate? Noi siamo di Johto, ed abbiamo fatto un viaggio per vedere Hoenn e il resto ma... ma è crollato tutto, qui...” fece lui, stringendo la mano a Crystal, che non poté fare a meno di arrossire.
“Oh... beh... Ci sono stati dei violenti terremoti, ed uno ha colpito proprio questa zona”.
“Ecco perché casa sua è tutta sottosopra” rispose la Dexholder.
“In realtà casa mia non ha risentito quasi per niente dell’attività sismica... Posso offrirvi qualcosa?”.
“... volentieri...” Crystal arrossì, imbarazzata per la gaffe. Entrarono in casa.
“Comunque io sono Sil... van, e lei è Christine...” tentennò per un momento il ragazzo, spostandosi un ciuffo vermiglio dagli occhi.
“Lanette, molto piacere. Va bene un succo di frutta?”.
“Hey, aspetta... Hai detto Lanette?!” esclamò Crystal. Scambiò poi uno sguardo con Silver.
“Sì, perché? Mi conoscete per il sistema di memoria Pokémon, vero?”.
“No... in realtà è stato il Professor Oak a nominarti... prima”.
“Conoscete Oak di persona?” si bloccò lei, all’improvviso, fissando i due forestieri.
“Direi di sì”.
“Come?”.
“Beh, siccome conosci Oak non abbiamo motivo di mentirti. Noi siamo Dexholders di Johto e stiamo indagando su questi terremoti. La nostra missione è catturare Groudon” disse Crystal, seria.
“Oh... Quindi siete voi i due ragazzi prescelti dalla commissione e dal Professor Oak”.
“Commissione?”.
“Sì... Beh, la Lega di Hoenn possiede una commissione che prende le decisioni più importanti in caso di eventi gravi, proprio come questo. Assieme alla massima autorità nel mondo Pokémon hanno deciso di chiamare voi. Silver e Crystal, giusto?”.
“Già”.
Poi Lanette rise. “Silvan e Christine... Che fantasia... Beh, spero accettiate lo stesso il succo di frutta”.
Silver sorrise, e si guardò attorno. C’era un disordine assurdo: fogli, e libri sparsi per terra e su svariate mensole e credenze; quattro tavoli ricoperti di marchingegni elettronici e computer schiacciavano su di un pavimento fatto di assi di legno un tappeto all’apparenza pregiato.
“Come mai avete accettato?” chiese poi.
Crystal guardò Silver e si caricò della responsabilità di ciò che stava per dire.
“Beh, Lanette... Non tutti hanno un rapporto buono con i Pokémon come noi. Siamo in grado di andare oltre le apparenze, di non guardare solo alla potenza dei nostri amici, ma di caricarli attraverso sentimenti quali l’orgoglio, o l’amicizia. Ecco... È per questo che siamo Allenatori: li alleniamo a spingere fuori il meglio di loro”.
“E perché non qualcun altro?”.
“Credo perché possediamo il Pokédex. Questo ci rende in un certo senso speciali, ma non ci giurerei. Bisognerebbe chiederlo al Professor Oak”.
“Già... A proposito, dovrei contattarlo per dirgli che siete passati... Ma la linea è bloccata. Dovrei andare a fare una riparazione ad un cavo che si è spezzato. Che ne dite di accompagnarmi?”.
“Certamente!” esclamò Crystal.
 
E così i tre si recarono sul posto. Per la strada, che dovettero percorrere a piedi, Silver decise che fosse il caso di allenare il proprio Grovyle, quindi lo chiamò fuori dalla sfera.
Crystal invece non fu dello stesso parere, anzi. Le importava più stare attenta a dove mettesse i piedi, dato che i suoi stivali affondavano quasi totalmente nella cenere del Monte Camino.
“Qui è sempre così?” chiese a Lanette.
“Sì, di solito qui la cenere cade come neve dalla cima del vulcano. Il Monte Camino è attivo da parecchi anni ormai, e spesso erutta, creando nuovi crateri sui suoi versanti scoscesi. Brunifoglia è nata così: dopo una grande eruzione, il terreno fu reso fertile dall’enorme quantità di cenere che si riversò dal vulcano, e così, anni dopo, si è formata una comunità basata sull’agricoltura di vari prodotti. Da lì in poi Brunifoglia è diventata un paese”.
“Guarda un po’ tu...” sorrise l’altra.
“Già... Ma temiamo che Groudon possa distruggere tutti i piccoli nuclei limitrofi al vulcano... Non è stato saggio costruirvi delle città così vicine”.
“Potrebbe far eruttare il vulcano?!” si stupì Crystal.
“Potrebbe fare di peggio pure: potrebbe distruggerci tutti. Può controllare la terra a suo piacimento, i continenti si muovono quando lo fa lui, e si riserva il lusso di decidere quando un vulcano debba eruttare”.
“Interessante...” sospirò l’altra, a metà tra il fascino ed il turbamento.
“Potremmo parlarne più tardi, se vuoi...” faceva Lanette, trascinandosi addosso un pesante cavo d’acciaio, mentre aveva chiesto a Silver la gentilezza di portare la cassetta con gli attrezzi necessari per la riparazione.
“Cosa avrebbe spinto Groudon a svegliarsi?” chiese proprio il ragazzo. Lanette si girò e lo guardò.
“Nessuno lo sa. Tuttavia c’è chi pensa che si svegli quando sta per accadere qualcosa di grave... Sai, i Pokémon hanno un istinto molto forte e queste cose le sentono”.
Silver sospirò, non trovando alcuna soddisfazione nella risposta della donna.
E dopo aver lottato almeno una ventina di volte contro qualche Spinda ed uno Skarmoy, Grovyle e Silver videro Lanette esultare.
“È quello il palo da riparare! Forza, diamoci da fare!”.
Lei si avviò avanti e poi prese una sfera. “Vai, Tropius!”.
Un enorme dinosauro ricoperto da foglie di banano si accostò alla donna, abbassando il collo fino al terreno per avere una carezza, che ottenne immediatamente; dopodiché la donna salì sulla sua testa. “Solleva!” ordinò.
Crystal sussultò quando la vide arrivare a più di sei metri d’altezza. Un cavo era praticamente spezzato, e andava sostituito.
“Il lavoro qui mi porterà via un’oretta... sono da sola. Perché non andate a farvi un giro, o vi allenate?” urlò, aggrappata al palo di legno.
Silver le fece segno di sì ed assieme alla ragazza si allontanò.
Camminavano lentamente, ed osservavano da lontano il deserto di Hoenn; era un posto particolare, Crystal rimase subito affascinata dal modo in cui l’erba pulita e verde di quella regione lasciasse il posto alla sabbia fine e dorata.
“Meglio non entrare qui” osservò lei.
“Già, forse è meglio. Che vogliamo fare?”.
“Non lo so... potremmo fare un giro o...”.
“Vuoi lottare?” propose il fulvo, sorridente.
“Una lotta?! Perché vuoi lottare con me?” si avvilì la bella.
“Non voglio di certo fare del male a te o al tuo Pokémon, Crys. Voglio solo fare un po’ di allenamento”.
“Beh...” tentennò quella.
”Suvvia...” sorrise lui, dolcemente. Non notò minimamente il fatto che Crystal fosse diventata paonazza in volto.
“O-okay...”.
“Perfetto. Allora cominciamo!”
Il vento si stava alzando, il Natale era vicino ed il caldo era esagerato per quei periodi; qualche granello di sabbia lasciava il terreno per volare verso i ragazzi. Crys abbassò lo sguardo per proteggere gli occhi dal vento assalitore, quindi mise mano alla Pokéball.
“Vai Marshee!”. La sua voce tremava e si allontanava nel vento.
“Grovyle, scelgo te!”.
Il Pokémon d’erba stava basso sulle quattro zampe, mentre Marshtomp era dritto. L’espressione sul volto del Pokémon d’acqua era gioviale, pareva quasi non avesse capito che si trovasse in una lotta.
“Grovyle, cominciamo! Vai con Fendifoglia!”.
La mente di Crys elaborò velocemente i dati necessari: Fendifoglia, mossa d’erba, Marshtomp acqua terra, superefficace. Evitare.
“Marshee! Vai con Fossa!”.
E mentre Grovyle si avvicinava con la velocità di un ninja, pronto ad affondare le foglie taglienti sul suo avambraccio nel corpo dell’avversario, questi si tuffò a capofitto nel terreno, e sparì.
“Grovyle... dobbiamo sentire bene ciò che sta per succedere. Lui ti colpirà, proprio da sotto. Quindi noi ci difenderemo: spargi del sonnifero attorno a te”.
“Dannato Silver! Marshtomp, esci, e quindi vai con Pantanobomba!” esclamò contrariata Crystal.
Quello sbucò da lontano, saltò in alto e fece partire dalla sua bocca una sfera grossa e voluminosa, ricca di fango; l’obiettivo era proprio Grovyle.
“Agilità!” urlò Silver al proprio Pokémon. Lo vide poi evitare agevolmente l’attacco, sorpreso della tenacia e della bravura di Crystal. Al contrario di lei.
Lo guardava, era tranquillo, dritto nel suo cappotto nero con la sciarpa argentea avvolta attorno al collo. I capelli si muovevano in corrispondenza del vento, le mani erano in tasca.
Proprio l’esatto contrario della ragazza, che in quel momento avrebbe reagito con un calcio rotante se qualcuno le avesse toccato una spalla da dietro. Era lievemente flessa in avanti, le code che aveva accanto alla testa si spostavano ad ogni movimento del collo. I denti stretti, i pugni pure, la tensione che aveva addosso era tantissima.
Silver la guardò, inarcando un sopracciglio: il vento spingeva la maglietta lunga della ragazza contro il suo corpo, delineandone le forme, quelle che adocchiava di tanto in tanto quando fuggiva timida dal bagno alla sua stanza avvolta in un lungo asciugamano bianco. Dal basso verso l’alto il suo sguardo la attraversava lascivo, carezzandola con le iride argentee. Le gambe, lunghe ed affusolate, fasciate da un paio di calze nere, si inspessivano in prossimità delle cosce per poi sparire sotto i pantaloncini. La curva dei suoi fianchi si rimpolpava ulteriormente per poi affinarsi al punto vita; di nuovo morbide curve adornavano il corpo della ragazza in corrispondenza dei seni, e qui Silver badò bene a non stare a fissare per troppo tempo. Infine la linea si assottigliava di più sul collo scoperto.
Lo sguardo si poggiò sulle labbra e vi si perse totalmente, in un caleidoscopio di pensieri più o meno nobili.
Era attratto da quella ragazza, Silver, non riusciva a nasconderlo a se stesso. Era così perso nei suoi pensieri che non la sentì nemmeno mentre impartì un ordine al suo Marshtomp.
“Vai con Riduttore, Marshee!”.
Quest’ultimo non era veloce come l’avversario ma era decisamente più forte negli attacchi fisici, e si gettò con tutta la forza che possedeva contro il corpo di Grovyle, facendolo ruzzolare qualche metro indietro.
Silver si riprese da quello stato di adorazione e cercò di reagire.
“Vai con Attacco Rapido!” urlò.
Marshtomp stava indietreggiando, non si aspettava minimamente la contromossa dell’avversario, soprattutto così diretta; d’improvviso fu colpito da un attacco fisico molto veloce e si ritrovò per terra.
“Marshee! Stai bene?!” urlò Crystal, preoccupata. Silver sorrise, notando la dolcezza di quella.
“Sta bene. Grovyle, cerchiamo di finirla con un Tagliofuria!”.
Quello si gettò sull’avversario, cominciando a fendere con le lame taglienti poste sulle braccia la sua pelle viscida.
“No, Marshee! Vai con Pistolacqua!”.
Ancora steso, da terra, Marshtomp lasciò partire un grande flusso d’acqua che però Grovyle evitò con velocità.
“Di nuovo Tagliofuria!”.
Ed ancora Grovyle attaccò il Pokémon d’acqua, stavolta con maggiore intensità.
“Pazienza!” urlò Crystal.
“Dannazione! Attacca con più forza!”
Il Pokémon Legnogeco colpì sempre più forte l’avversario. Marshtomp tuttavia sembrava in grado di subire altri colpi.
“Pazienza ancora!”.
”Abbattiamolo!” urlò ancora Silver. Aveva perso la sua compostezza e adesso pareva molto preso dallo scontro.
“Pazienza!” ordinò ancora quella, stringendo i denti e mantenendo un’espressione corrucciata sul volto.
E stavolta l’attacco di Silver colpì davvero forte, tanto che le urla di Marshtomp riecheggiarono; si era alzata un’enorme nube di sabbia: senza accorgersene lo scontro si era spostato nel deserto.
“Ora!” urlò Crystal e Marshtomp riapparve dalla nuvola dorata, con un alone rosso attorno, per sfogare tutti gli attacchi che aveva subito: macchie rosse di varie forme e dimensioni si staccarono dal corpo del Pokémon e si abbatterono su Grovyle.
“No!!” urlò Silver, sorpreso. Crystal sorrise invece, fiera che la sua strategia fosse funzionata. “Ora che Grovyle è fuori combattimento possiamo andare...” fece, sorniona.
“Grovyle non è fuori combattimento...”.
”Cosa?!” esclamò lei.
“Rimonta” disse a bassa voce Silver.
“Puoi ripetere? Non ho capito”.
”Non serve che ripeta”.
Grovyle si alzò dalla sabbia, pieno di lividi, e si gettò su Marshtomp; questo fu sorpreso dal contropiede e finì colpito con forza immane. Ricadde infine davanti ai piedi di Crystal, quasi esanime.
“Ed ora Attacco Rapido!” ordinò Silver.
E di nuovo Grovyle caricò Marshtomp, che rimase accasciato. Crystal lo fece rientrare nella sfera.
“Non... non capisco” faceva, con la faccia confusa.
”Non c’è bisogno che tu capisca. Grovyle è un Pokémon d’erba, e in quanto tale trae energia dal sole. E con questo sole, beh...” allontanò la sciarpa dalla gola; “...può garantirsi il recupero d’un po’ d’energia. Il tuo attacco, in compenso, era fortissimo. E quindi Rimonta mi ha garantito che i punti salute dei nostri Pokémon fossero portati allo stesso livello. Quindi ho voluto spiazzarti con Attacco Rapido. Per quanto la tua fosse un’ottima strategia, basata sulla resistenza e la sopportazione, devi pensare a tutto...”.
”Già... per esempio come siamo finiti nel deserto...” fece inquietata la ragazza.
Silver abbassò lo sguardo e quindi spalancò gli occhi, di quel grigio puro, quando si rese conto che i suoi stivali affondavano nella sabbia.
“Io non mi sono mai mosso dal mio posto...” impallidì.
“Beh, ammetto di essermi un po’ agitata durante l’incontro... ma il deserto era a qualche metro da noi! Ora ci siamo dentro per almeno una ventina di metri!”.
“La desertificazione... Groudon sta cominciando a riappropriarsi di tutto...”.
“Dobbiamo assolutamente fare qualcosa!” s’allarmava Crystal.
”Cominciamo con l’avvertire Lanette... magari ha finito di riparare il cavo”.
 
Ed in effetti il cavo era stato riparato. Lanette stava scendendo dal collo di Tropius e sorrise nel vedere arrivare i due Dexholder.
“Perfetto. Ora le comunicazioni tra l’est e l’ovest di Hoenn dovrebbero essere riprese senza problemi” fece, con le mani ai fianchi.
Ed in effetti era vero. Dalla sua tasca un rumore molto forte attirò l’attenzione di tutti.
“Dovrei cambiare suoneria, sì” sorrise Lanette, tirando fuori dalla tasca uno strano apparecchio.
“Che cos’è?”. La voce di Crystal attestava tutta la sua curiosità.
“È un Holovox. Viene utilizzato per comunicazioni ad alto potenziale; trasmette l’immagine olografica dell’interlocutore a chi ascolta”.
”Eh?!” chiese l’altra.
“Crys, è una sorta d’apparecchio cellulare che ti permette di vedere le persone con cui parli” spiegò Silver.
“Me l’ha portato mia sorella Colette da Kalos. Lì è molto commercializzato”.
“Perfetto, allora potrai comunicare alle autorità il fatto che il deserto si stia spostando verso di noi” rimbeccò Crystal.
“Cosa?!” esclamò Lanette.
“Pensa a rispondere per il momento, poi scenderemo nei dettagli” tagliò corto il ragazzo dai capelli fulvi.
Lanette annuì, armeggiando con lo strumento. Da lì uscì la silhouette di un ragazzo. Nonostante i colori dell’Holovox appartenessero ad una scala di azzurri, era intuibile il castano dei capelli di quello; troppo scuro per essere un biondo ma troppo chiaro per appartenere ad un corvino.
“Lanette, finalmente riesco a contattarti! Ma quanto tempo ti ci vuole per rispondermi!” iniziò lo sconosciuto con aria agitata.
Fu Crystal la prima a riconoscerlo.
“Bill!” urlò sorpresa. Erano passati anni da quando si erano visti l’ultima volta. Un periodo infelice peraltro, in cui avevano corso dietro a Jirachi per la salvezza degli altri Dexholder e di Kanto. E di Silver. Crystal non lo avrebbe mai ammesso apertamente ma per lei fu soprattutto il ragazzo dagli occhi d’argento la causa del suo impegno.
“Uh!?” squittì quello. “Questa voce... Crys, sei tu? Non sei nel campo visivo dell’Holovox... Aspetta, come mai sei con Lanette?!”.
Crystal scambiò un’occhiata con Silver.
“Lunga storia... Come mai sei così agitato?”.
Bill sospirò. “Ho sentito cosa sta succedendo ad Hoenn...” iniziò l’informatico “... e ieri sono stato contattato da un amico in una regione lontana... In realtà non così tanto lontana da dove ti trovi tu adesso. Oh ragazzi, non può essere vero, non potete nemmeno immaginare, cioè, nemmeno io lo potevo immaginare quindi figuriamoci voi che non ne sapevate nulla”.
“Bill” lo bloccò Lanette con aria minacciosa “Parla”.
“Eh? Oh, sì”. Quello riprese fiato preparandosi al discorso “Allora... Crystal, Silver, voi due dovreste avere ben presente Arceus, non è così? Ecco... Come dicevo sono stato contattato da questo ragazzo, il Campione di una regione lontana da me ma vicina a voi, che mi ha chiesto di parlare con Mr. Fuji riguardo una questione della massima urgenza. Dopo essere riuscito a metterli in contatto ho assistito alla loro chiamata: parlavano di una leggenda, una leggenda che profetizzava la fine del mondo”. Riprese fiato, la sua voce tendeva un po’ ad incrinarsi per lo stress ed il nervoso, quasi come se lui stesso trovasse tutto ciò ridicolo, ma non potesse negarne la realtà.
I due Dexholder e Lanette si scambiarono occhiate cariche d’ansia.
“Continua, Bill...” esordì Silver nella telefonata, con gli occhi argentei puntati sul piccolo ologramma.
“Oh?! non siete sole? Va bene, comunque... La leggenda inizia mille anni fa, con il classico “c’era una volta”, in questa storia si stava combattendo una guerra ai piedi di un monte, e al di sopra di esso si trovava un tempio popolato da giovani vergini. Fra queste ve n’era una in particolare: il suo nome era Prima, ed era la fanciulla più cara ad Arceus, oltre che suo oracolo. Beh, torniamo comunque alla guerra sotto il tempio, lì si scontravano i protettori di Arceus, i Templari, ed un’altra fazione, definita come gli Ingiusti. L’obiettivo di quest’ultimi era quello di appropriarsi del Cristallo di Arceus, che poteva essere usato per comunicare con lui... oltre che per evocarlo, ecco. La guerra era assai combattuta e ad Arceus questo non piaceva, ed un po’ lo capisco, insomma, morti, sangue, Pokémon che combattevano per uccidere... non è una bella cosa, chiariamolo e poi...”.
“Bill” lo riprese paziente Lanette. “Non stiamo capendo niente...”.
“Scusami... Cercherò di continuare mantenendo una linea più... lineare. Insomma, Arceus non era per niente contento quindi comunicò alla ragazza di cui parlavo prima, Prima appunto, che la guerra dovesse cessare e che i Pokémon non fossero armi; diede un ultimatum di mille anni, piuttosto lungo a dire il vero, durante il quale ogni lotta avrebbe dovuto fermarsi. Il  messaggio come intuirete non è stato rispettato e i mille anni sono scaduti...” fece una pausa, cercando il coraggio di pronunciare l’ultima frase “...quindi la nostra condanna è stata firmata. Arceus ha iniziato a distruggere tutto, per questo Groudon si sta risvegliando. Arceus lo sta usando per compiere le sue profezie. Hoenn non è la sola ad essere colpita... Il mondo sta per essere distrutto” concluse turbato. La sua figura pareva rimpicciolita, incurvata sotto il peso di quella verità.
I tre si guardarono di nuovo, i volti più pallidi della cenere che li circondava, poi Crys prese parola.
“Bill... È tutto... vero? È tutto vero quello che ci hai detto?”.
Quello annuì senza rispondere. Si passò una mano fra i capelli riccioluti, dando l’impressione di un bambino, piegato e spaventato.
Il silenzio si era impadronito del quartetto, prima che Silver riprendesse la conversazione.
“Quanto tempo abbiamo?” disse con voce atona.
“Mah... Nella leggenda non si parla di una tempistica precisa, dice Mr. Fuji. Ma è chiaro che questo sarà il nostro ultimo Natale. Ove mai ci arrivassimo”.
Crystal sentì il cuore stringersi. Oltre alla paura che provava per la missione ora anche le parole di Bill la preoccupavano. Si era sempre mostrato un ragazzo allegro, forse molto, troppo ingenuo, ma sempre ottimista e pronto a vedere il lato positivo delle cose. Invece quello che aveva davanti non era che un’ombra del ragazzo incontrato ai tempi del suo arruolamento come Dexholder.
“Non preoccuparti” fece Crystal decisa, prendendo l’Holovox dalle mani di Lanette e guardando Bill negli occhi. “La nostra missione è catturare Groudon. Ce la faremo. Lo fermeremo, dopodiché Arceus non avrà modo di scatenare terremoti... Fermeremo la profezia”.
Fissò Silver, lui le annuì.
Il fallimento era diventato un’opzione da non poter minimamente contemplare, tuttavia Crystal s’avvitò attorno al pensiero che se al suo fianco in quel momento ci fosse stato Gold sarebbe stato tutto più semplice.
 
La conversazione durò qualche altro minuto, dove si scambiarono reciproche informazioni sulla situazione delle regioni. Sinnoh era rimasta illibata mentre a Kanto il trio d’ uccelli leggendari seminava il panico.
Lanette chiuse la conversazione, tornando verso la sua abitazione scortata dai due ragazzi. “La situazione è peggiore di quanto credessimo” mormorò con aria assorta.
I due annuirono ma non dissero nulla. Ognuno valutava la situazione, ipotizzando piani da proporre all’altro per sistemare la faccenda, vedendo come poter bilanciare le proprie squadre e che Pokémon sarebbero stati utili per la causa. Valutarono le varie opzioni anche su quanto avevano visto del suolo della regione, vedendo quali luoghi sarebbero stati migliore per tendere un’imboscata ai due leggendari.
“Parlavate della desertificazione?” la ragazza di Hoenn decise di vivacizzare il discorso.
“Non c’è molto da dire, in realtà... Ma la situazione è pessima, anche se dopo questa telefonata il pessimo diventa decisamente relativo” fece Silver.
“Non so quanto sarà durato il nostro allenamento, ma solo durante la nostra sfida, la zona desertica sarà avanzata di una decina di metri. Sicuramente anche il vento sarà stato complice, ma...” Crystal lasciò le ultime parole in sospeso. Era chiaro quali fossero ma a volte ci si illude che non dire le cose basti a non renderle del tutto reali.
“Capisco... Ne informerò la Commissione Pokémon, anche se penso che fermare Groudon sarà l’unico modo per sistemare le cose definitivamente” annuì convinta.
Alla fine raggiunsero la piccola, disordinata, casa della ragazza.
“Entrate, già che ci siamo c’è qualcosa che voglio consegnarvi”.
Mentre i due si capacitavano del disordine, sovrano indiscusso dell’appartamento, Lanette spostava scatoloni pieni di parti di computer, cavi e altri oggetti non identificati sulla cui identità i ragazzi non vollero indagare, dopo poco ne riemerse con tre Holovox.
“Questi sono per voi, aspettate che li preparo”.
Armeggiò un po’, un apparecchio per volta, collegandolo al proprio computer e scaricandovi alcuni dati.
“Bene, adesso dovrebbero essere pronti. Mi pare di aver capito che sareste dovuti essere in tre... Beh, quando vi ricongiungerete col membro mancante, consegnateglielo. In ognuno degli Holovox sono segnati i numeri degli altri, di casa mia, del professor Oak e, vista la situazione, anche di Bill. Non si sa mai, magari riascoltare la profezia potrebbe esservi di qualche utilità oppure potreste semplicemente chiamarlo per ottenere informazioni di altro genere” si prese il mento fra il pollice e l’indice, mentre ticchettava sul bancone ed osservava gli apparecchi.
“Vorrei poter fare altro, quindi non esitate a chiamarmi, per qualunque aiuto possiate richiedermi” disse alzandosi e consegnandogli gli oggetti. Chris si prese in carica il compito di custodire quello di Gold.
“In realtà c’è qualcos’altro che potresti fare” le disse Silver. “Abbiamo bisogno di un posto dove passare la notte, saprai senza dubbio meglio di noi a chi rivolgerci. L’importante è che sia un posto dove non facciano domande su chi siamo e dove dobbiamo andare”.
Lanette annuì, pensando ai vari luoghi che offrivano un letto ed un tetto nei paraggi. Poi sorrise sorniona.
“Ho in mente il posto giusto per voi.” scribacchiò qualcosa su un foglio. “Mi auguro che siate pronti a recitare nuovamente la parte dei fidanzatini, perché quasi tutte le camere lì sono matrimoniali. La vecchia Cherry non fa domande e anche se le diceste la verità se ne dimenticherebbe dopo dieci minuti, quindi non credo sia una minaccia”.
Crystal prese in mano il pezzetto di carta, leggendo segnato il nome della locanda nei pressi del Percorso 111.
“Ti siamo grati di tutto, Lanette. Conta su di noi, sistemeremo la situazione al più presto” le fecero i Dexholder, lasciandola sola e un poco sconsolata, in una stanza piena di macchine.
 
E così la giornata finì. Crys e Silver erano nell’ostello della vecchia Cherry, in quella camera buia e polverosa. Una sola lampadina manteneva le tenebre accorpate tra di loro, come fossero bestie impaurite dal fuoco. Le ombre proiettate dai ragazzi erano schiacciate sul muro, l’una sull’altra, tanto che era diventato difficile distinguere a chi appartenesse l’una e a chi l’altra.
Il letto era uno solo: un matrimoniale, ma ormai ci erano ampiamente abituati.
La stanza era ben chiusa e le doghe verticali in legno, inchiodate alle pareti, creavano un'atmosfera particolare; sembrava fossero in una baita.
Cherry era andata a dormire da un pezzo ormai, mentre Crys si stava sciogliendo i capelli, come faceva ogni volta prima di coricarsi. Si sedette sul letto, accanto al ragazzo.
“È stata una giornata piuttosto piena...” fece poi, cercando di archiviare quel silenzio imbarazzante.
“Direi di sì. Alla fine il tuo Seviper come sta?”.
“Non l’ho fatto ancora controllare”.
“Qui vicino c’è un paese. E purtroppo è sotto le pendici del Monte Camino. Tuttavia c’è un Centro Pokémon” disse il ragazzo, già steso con le mani dietro la testa.
“Allora lo porterò lì”.
“Già, dovresti...”.
Ancora quel silenzio. Odiava quel silenzio, Crystal; Silver invece ci sguazzava come se non ci fosse stato un domani e quella cosa la infastidiva terribilmente.
“È carino qui...” la voce della ragazza sembrò sincera.
“Infatti”.
“Chissà quando arriverà Gold”.
“Quel ragazzo è inaffidabile...”.
“Lascialo stare... cerca di capire che non ha tutte le nostre responsabilità”.
“Io non ho responsabilità, anche io penso ad allenarmi; tuttavia io e lui non siamo uguali e mai lo saremo. È solo una questione di attitudine: lui è semplicemente irresponsabile, strafottente ed immaturo”.
“Parli come se lo odiassi...” s’adombrò Crystal.
“Non lo odio, sia ben chiaro. È una brava persona, è molto simpatico ed anche un buon amico. Tuttavia non apprezzo alcune scelte che fa”.
“Questo significa che siete diversi”.
Silver fece spallucce ed annuì quindi levò la maglietta. Girato di spalle non vide che Crystal fissava la sua schiena ed i suoi muscoli ben definiti.
Arrossì, la ragazza, voltandosi immediatamente.
“Vuoi andare in bagno prima tu?” propose Silver.
“Ehm... forse è meglio”.
Ne uscì con l’abbigliamento da notte, una camicetta color pesca e forse un po’ troppo corta. Sorrise a se stessa quando notò che Silver, dopo averla squadrata per bene, inarcò il sopracciglio destro.
“Il bagno è libero ora”.
Il ragazzo annuì, quindi si alzò ed andò in bagno, con le palpitazioni.
Alla fine però ognuno si addormentò sul proprio lato del letto. Crystal era pregna di voglia di qualcosa che non conosceva alla perfezione. Non era niente di fisico, quello le era ben chiaro.
Tuttavia aveva voglia di un contatto, e voleva averlo con Silver.
Non era sesso. Non voleva che lui la sovrastasse, che la stringesse, che la tenesse premuta contro quel materasso.
Ma voleva toccarlo. Voleva sentire la sua pelle sotto le sue mani.
O i suoi piedi. Allungò la gamba fino a toccare con le dita dei piedi la caviglia del ragazzo. Lo percepì, Silver si era irrigidito appena l’aveva toccato.
Rimasero così, però. Per tutta la notte, e intanto la sua mente continuò a vagare.
 
Il mattino arrivò senza che se ne accorgesse, ma quando allungò la mano per cercare Silver, altre dita si intrecciarono alle sue. Crystal aprì prima un occhio, poi un altro. La figura slanciata che sedeva sul letto accanto a lei non era del rosso, ma di Gold.
“Gold! Sei qui?!” scattò quella, sedendosi sul letto “Quando sei arrivato? Dov’è Silver?”.
“Oh, quindi l’unica cosa che ti interessa sapere adesso, dopo avermi visto, è dov’è Silver... bene” replicò l’altro, prendendola in giro.
“Oh, smettila” le fece lei, sulla difensiva.
“No che non la smetto” disse quello stendendosi su di lei e stringendola. Le gambe intrecciate, mentre la premeva con vigore sul materasso. Crystal pensò che quel corpo, così tangibile, sarebbe dovuto pesare su di lei; l’unica cosa in grado di sentire era il calore del suo corpo.
“Gold...” sussurrò il suo nome stringendolo a sua volta. Il mondo era spaventoso, terremoti e incendi sembravano dominare la regione di Hoenn e lei si sentiva spaventata; ma adesso Gold l’abbracciava, lavandole via di dosso paura e inquietudini, e tutto sembrava andare meglio.
“Sei cambiata, Crys...” le disse il ragazzo mentre la stringeva. “Eri così gracilina, così... petulante” le disse dandole un buffetto sulla guancia.
“Sono solo una persona ligia al dovere” rispose.
“Già” le disse quello, guardandola negli occhi. “Ed è quello che più mi piace di te”.
La baciò senza darle possibilità di replica. I loro due corpi erano sempre più stretti, mentre la mano di Gold si spostava dalle spalle al seno, prima carezzandone lievemente la linea, poi afferrandolo con vigore.
Crystal inarcò la schiena, gemendo, senza sapere se provasse dolore o piacere.

Forse entrambe.
La mano di Gold scese ancora, arrivando al bordo della sua camicetta e tirandola su, mostrando il corpo seminudo che copriva.
Ovunque la sua mano passasse, Crystal sentiva la propria pelle bruciare. Si strinse con forza ad una sua spalla, artigliando le lenzuola con l’altra mano.
Balbettava il suo nome, scossa da tremiti che mai aveva sentito prima, mentre l’altra mano del ragazzo si muoveva dal suo seno fino a poco più in basso, sfiorandole la linea della pancia ed ancora più giù.
Quando arrivò al suo sesso la ragazza gemette con più violenza, afferrandosi con forza quasi animale al ragazzo e stringendolo a sé.
La maglia di lui era sparita, lasciando il posto al suo petto nudo. Crys lo artigliò con tutta la forza che aveva in corpo, mentre sentiva il ragazzo carezzarla dove più voleva in quel momento, quindi premette le labbra contro le sue, baciandolo con ardore.
Il pensiero di Silver nella stanza era totalmente svanito, come il ricordo della profezia di Arceus e della cattura di Groudon. Il corpo del ragazzo ed il fuoco che sentiva crescerle nel corpo erano le uniche cose che le importassero in quel momento. Quando l’altro si liberò degli indumenti restanti le sembrò che qualcosa le scuotesse. Ma non le importava. La sensazione che provava era talmente bella da imporle di ignorare tutto il resto.
Il tempo sembrava dilatarsi, eppure allo stesso tempo Crystal sentiva che stava accadendo tutto troppo in fretta.
Lo voleva, lo desiderava. E stava per averlo.
La sensazione che ebbe quando entrò dentro di lei la scosse. Improvvisamente tutto attorno a lei si faceva confuso, irregolare. Tutto tremava, ed un boato immenso si apriva sotto di lei, finché non aprì davvero gli occhi.

 
E così si svegliò, quando alle 6 e 17 un terremoto colpiva il percorso 111.
Silver dormiva ancora ma l’incredibile prontezza di riflessi lo fece saltare dal sonno, pronto per ogni evenienza.
S’accorse di ciò che succedeva e tirò a sé Crystal, che si svegliò dal sonno urlando.
“Che succede?!” urlò quella.
Silver però non le rispose, sovrastandola con il corpo e tenendola sotto di lui. La terra si muoveva, entrambi sentivano che qualcosa crollasse. E poi Silver urlò, sentendo qualcosa sbattere sulla sua schiena.
“Dannazione...” strinse i denti, prendendo le coperte e tirandosele sulla testa, per evitare che polvere e detriti li colpissero direttamente.
“Silver?! Stai bene?!” urlò lei.
Crystal cercò di farsi quanto più piccola possibile sotto il corpo del ragazzo; si voltò velocemente, per guardarlo: Il viso era contrito e tratteneva il dolore
“Tutto... tutto a posto...”.
“È un terremoto...” fece stupita.

E poi la terra finì di tremare. Silver si lasciò cadere accanto alla ragazza, le loro gambe intrecciate, la coperta sulle loro teste.
“Come stai?” chiese Crystal, girando il volto verso di lui. Era a pochi centimetri dalle sue labbra.
“Sto bene. Dobbiamo andare via da qui però. Tra poco arriverà la scossa di assestamento”.
Quella annuì ed alzò la coperta, osservando una grossa doga di legno, che come tante altre si era staccata dal muro, proprio sulla schiena di Silver.
“Hai preso una brutta botta”.
“Non c’è tempo ora. Fuori di qui” disse il fulvo, alzandosi.
Presero i vestiti ed uscirono fuori dalla stanza; la casa era totalmente distrutta. Silver aprì la porta della stanza di Cherry, trovando il soffitto completamente crollato sul letto. La mano di Cherry usciva fuori da quel cumulo tumultuoso di intonaci e detriti, esanime; la vecchia era morta.
Silver piegò l’angolo della bocca in una smorfia di dolore, e poi si voltò, abbandonandosi alle spalle la casa. Aveva in mano gli zaini, mentre Crystal, con quella camicetta provocante che svolazzava ad ogni colpo di vento, portava i vestiti che avevano poggiato sulla sedia la sera prima.
Due cose scandalizzarono i ragazzi:
  • 1. Il Monte Camino, e soprattutto la sua sommità, era illuminato da una scia incandescente che si stava riversando su di un piccolo paesino.
  • 2. Erano in mezzo al deserto.


 

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Capitolo 5
*** Capitolo Quarto - Sergio Leone ***


Sergio Leone




I volti dei ragazzi erano vitrei ed immobili, quasi troppo leggeri paragonati ai loro stati d’animo. Pareva una normale domenica pomeriggio, quando ci si sente quell’apatia addosso, inspiegabile peraltro, che attacca infima e silenziosa.
"Porca puttana..." si lasciò scappare Silver, nonostante non fosse avvezzo all'uso di simili sfaccettature linguistiche. Quello che vedeva però cancellava ogni regola.
Crystal si ritrovò a guardare lo spettacolo che la natura gli stava offrendo con la bocca spalancata: niente poteva superare il Monte Camino che eruttava.
E tutto sembrava così... esagerato.
Era quella la parola giusta, esagerato, perché i vulcani sono un mix letale di aggressività e potenza, spesso risvegliati da un terremoto, già distruttivo di per sé.
Se i due ragazzi avessero dovuto descrivere la situazione ad un conoscente, probabilmente avrebbero detto che una colonna grigia, enorme, di gas, lapilli e detriti tufacei si era alzata di almeno cinque chilometri nel cielo, confondendosi con i colori del mattino che stava per svegliarsi.
Dopodiché due cose erano accadute:
Nel versante nord del vulcano, ovvero verso Brunifoglia, si stava verificando un lahar, ovvero una colata di acqua e detriti ad alta cementificazione, che stava per invadere il percorso che divideva il piccolo insediamento ed il deserto, che a sua volta ormai avanzava senza sosta e nel quale affondavano i piedi anche Silver e Crystal;
E poi l'enorme colata lavica che si tuffava direttamente tra le braccia di Cuordilava.


"Dannazione! Silver! Qualcuno potrebbe aver bisogno d'aiuto!" urlò lei, allarmando l’altro. Inutile dirlo, non ce n’era nemmeno bisogno, presero a correre, gareggiando contro quella coperta incandescente che aveva del tutto ricoperto il Passo Selvaggio.
Salirono una rampa di gradoni di marmo bianco, sembravano essere stati costruiti da poco, quindi si ritrovarono nel paesino.
La gente urlava e scappava, in preda ad una disperazione folle e senza domani. Nessuno sapeva come contrastare quella cosa, nessuno sapeva come sconfiggere la lava, che lentamente stava inghiottendo case e costruzioni vicine, persone e Pokémon.
Gli alberi alle spalle del Centro Pokémon prendevano fuoco rapidamente e crollavano l'uno dopo l'altro, come tessere d’un ordinatissimo e congegnato domino. Un paio di questi impattarono contro il tetto dell'edificio, distruggendolo.
Silver fu colpito da dozzine di spallate date da persone che fuggivano dalla città usando l'unica uscita accessibile, ovvero la stessa scalinata che avevano adoperato loro per entrare lì.
Tutti fuggivano ma una persona rimaneva ferma e direzionava la gente, attirando la loro attenzione. Era una ragazza dalla straordinaria bellezza, che pochi secondi dopo trasalì violentemente, correndo in direzione dell’ultima casa della fila. Vi entrò, cosciente che dopo pochi minuti sarebbe stata sicuramente invasa da materiale lavico incandescente.
"Che diamine fa quella tipa?" domandò Crystal, protetta dal corpo di Silver dalla moltitudine di persone che scappavano da Cuordilava.
Il ragazzo impallidì, sgranando gli occhi. La sua mente aveva già capito cosa stesse per succedere: la lava era troppo veloce, se quella ragazza non fosse uscita immediatamente il suo destino sarebbe stato fin troppo ovvio. Allora si fece avanti, prendendo la sfera di Honchkrow dalla cintura e tenendola in mano, per evenienza.
"Dove vai?!" urlò Crystal.
"Quella ragazza finirà per ammazzarsi!".
E poi un’enorme esplosione, probabilmente causata da qualche serbatoio del gas, riempì le loro orecchie. Una grande fiammata avvolse tutto, tanto forte da far lacrimare gli occhi.
"Maledizione! Silver, attento!" strinse i denti Crystal.
Il fulvo strinse occhi e denti e, dopo aver attestato che la sua pellaccia fosse ancora integra si avviò velocemente verso la casa in cui era entrata la ragazza, probabilmente una delle ultime ad essere rimaste in piedi.
Crystal doveva fare qualcosa, ma in quel momento si sentiva così piccola da non riuscire a ragionare con lucidità: l'enormità e soprattutto la gravità di ciò che le stava succedendo attorno la inibivano.
Era colta dallo stesso panico che durante i sogni non le permetteva di reagire, scappare, picchiare chi le si opponeva contro.
"Silver!" fu capace di urlare di nuovo, ma quando lo vide sparire in quella casa non sapeva se avvicinarsi e stare col ragazzo o rimanere lì ed essere sicura di salvarsi la pelle.
Impulsiva, prese a correre, sentendo forte sulle cosce scoperte, per via della mise notturna che aveva scelto e che non era ancora stata in grado di cambiare, il calore della lava che si avvicinava.
Spinse di più sui polpacci, doveva andare ad aiutare Silver, ad aiutare quella ragazza, e soprattutto farlo in fretta.
La casetta, a cui restava un minuto di vita ancora prima di rimanere sommersa e cementificata per sempre dal materiale piroclastico, era un bilivello molto carino con pareti in tufo e porte e finestre in legno massiccio.
L'uscio era spalancato mentre un televisore mostrava le immagini di una ripresa dall'alto fatta in elicottero del Monte Camino che eruttava.
 
"...una vera catastrofe ha provocato la distruzione delle intere zone limitrofe al Monte Camino! Su Brunifoglia si è abbattuta una pioggia di tufo e granito che ha abbattuto case ed ucciso persone, mentre su Cuordilava si sta stendendo una colata di lava che ha già distrutto interamente il Passo Selvaggio!".
 
La casa era disordinata, Crystal stava cercando di orientarsi ma cartoni della pizza e bottiglie di plastica vuote erano riversate per terra e, generalmente, con quel disordine non riusciva a focalizzare tutto. Due poltrone erano davanti un vecchio televisore Mivar degli anni novanta, una di queste era girata sottosopra, e pareva non avere uno dei piedi d'appoggio.
Sentiva le voci dei ragazzi.
"Tu chi sei?!" urlava una voce di donna; probabilmente era la stessa ragazza che avevano visto un minuto prima. In sottofondo le lacrime di una bambina coprivano le urla ed i lamenti della gente che scappava dal paese.
"Mi chiamo Silver, e sono qui per aiutarti!" sentì ancora.
"Dobbiamo andare via!".
"Concordo!".
Scesero le scale velocemente, Silver con ancora indosso il pigiama, mentre l'altra ragazza teneva in braccio una bambina che urlava disperata.
Appena gli occhi del ragazzo s'incrociarono con quelli di Crystal si spalancarono.
"E tu che ci fai qui?!"
"Ero preoccupata per te!" urlò l’altra.
"Dannazione, tra meno di venti secondi questa casa sarà inghiottita dalla lava! Saresti dovuta rimanere al salvo!".
Prese per mano la ragazza sconosciuta, quindi fece lo stesso con Crystal e le tirò fuori da quell'abitazione. A meno di tre metri la lava stava avvicinandosi con leziosità, tuttavia la costanza della sua discesa era la migliore delle dimostrazioni di forza.
I tre corsero a perdifiato verso est, percorrendo la strada principale perpendicolarmente alla discesa rosso incandescente.
"Devo salvare Jarica!" urlò la ragazza sconosciuta, baciando la testa della bambina che portava in braccio. Silver scontrò il suo sguardo con gli occhi di quel rosso acceso della ragazza.
Un ciuffo di capelli color magenta spuntava dal fagotto che sosteneva e intanto incalzava quella musica di sottofondo composta di archi e pianoforti che esisteva solo nelle loro teste ed andava in crescendo, a denotare l'avvicinamento della tovaglia purpurea bollente.
"Ha una bambina!" esclamò Crystal, e Silver annuì. Lanciò in aria la Pokéball con Honchkrow, ed il corvo cominciò a sbattere le ali.
"Salva la ragazza e la bambina!" urlò.
Honchkrow volò velocemente davanti a quella e la fece salire in groppa, per portarla in salvo, oltre la scalinata.
"Bene... almeno loro sono salve" disse il ragazzo.
"E noi?!" correva Crystal; guardò negli occhi Silver che non disse nulla, spingendo ancora sulle gambe. Pochi centimetri e la lava li avrebbe inghiottiti, intrappolati, uccisi.
No, non poteva essere così.
Si guardarono attorno, cercando un modo per scampare a quella disgrazia.
"Xatee!" esclamò poi lei, prendendo la sfera dalla borsa. Il Pokémon volante, che assomigliava tanto ad un totem, capì immediatamente la situazione.
"Teletrasportaci al sicuro!".
E così i tre scomparirono dal luogo, per riapparire proprio davanti ad Honchkrow.
 
"Come stai?" chiese Crystal. Vedeva quella ragazza bellissima, forse davvero troppo per un paesino piccolo come Cuordilava, che cullava quel fagotto. La bambina, Jarica le parve si chiamasse, piangeva a squarciagola mentre quella la dondolava tra le braccia.
"No, Jari, no... non è successo niente... stiamo bene... è questo quello che conta".
Silver sembrava aver ripreso la calma ma aveva capito che i suoi vestiti fossero più comodi del pigiama e soprattutto che correre senza scarpe vicino alla lava non avrebbe mai fatto parte dei suoi interessi.
Gli dolevano i piedi. Crys invece rimase imbambolata a guardare la ragazza.
Era prepotentemente attraente. Aveva il fisico da modella di intimo, quelle che vedeva sui cataloghi che le arrivavano per posta. Indossava in quel momento un giubbino di jeans e dei pantaloni cargo, molto larghi addosso a lei. Il top nero che indossava sotto a stento limitava la sua avvenenza.
I lineamenti del volto, invece, erano delicati e dolci. Labbra carnose stavano sotto un delizioso nasino alla francese, mentre gli occhi, rossi come fanali, puntavano il viso paonazzo di Jarica. A coronare la femminilità poderosa di quella donna ci avevano pensato i capelli. Ciuffo rosso davanti agli occhi, coda alta e capelli liberi di andare dove volevano.
Fatta bene.
"Comunque sto bene... grazie di tutto. Mi chiamo Fiammetta, e sono.. ero la Capopalestra di Cuordilava" disse, con un sospiro alla fine.
"Quindi fai parte della Lega?" chiese Silver.
"Certo..." disse, baciando la testa alla bimba. "Immagino che non siate semplicemente due persone caritatevoli".
"Spiegati meglio".
"In Associazione sapevamo che sarebbero arrivati due Dexholder da Johto. Siete voi, giusto? Lo riconosco dall'accento"
Crystal le tese la mano. "Crystal".
"Silver" fece altrettanto l'altro.
Attorno decine e decine di persone rimanevano ferme, a piangere dell'accaduto.
"Fiammetta!" si disperò un ragazzo, che pareva molto giovane. "C'era mio padre in casa! Mio padre!".
Lei non poté far altro che abbassare gli occhi.
"Tu dovevi fare qualcosa per fermare questa catastrofe!".
"Già!" urlò un altro. “Tuo nonno ci sarebbe riuscito!”.
Le voci della gente si accavallavano tra di loro, riempiendo di responsabilità quella ragazza che non sembrava avere parecchi anni in più dei due forestieri.
"Dovevi prevedere quello che sarebbe successo!" urlava una donna.
"Non hai protetto la tua città!" rincarò la dose il ragazzo che aveva esordito.
Lei strinse Jarica ancora più forte, usandola come scudo contro tutte le brutte parole che venivano usati come sassi atti a lapidarla. Abbassò la testa, sospirando ed ingoiando punte di metallo, con un dolore che la fece oltremodo sussultare. Crys fu in grado di vedere i suoi occhi riempirsi di lacrime, al che raccolse l'ascia e prese a difenderla.
"Ma che diamine vi salta in testa?!".
Una persona, un uomo di quarant'anni circa o poco più, si fece portavoce di tutta la popolazione di Cuordilava superstite, e prese parola.
"Cosa ci dovrebbe saltare in testa?! Noi siamo una piccola comunità radicata nelle tradizioni. Io sono nato a Cuordilava, sono cresciuto a Cuordilava, e per poco non ci morivo... non posso dire lo stesso per mia moglie e per i miei due figli!".
"Io ho lasciato lì mio nonno..." rispose Fiammetta.
"Non lo metto in dubbio, Fiammetta, la questione è che noi ci siamo affidati a te, perché in quanto Capopalestra sei l'autorità della nostra società! Tu ci dovevi proteggere!".
"Ma come diamine poteva fare a fermare un'eruzione vulcanica?! Ma vi rendete conto di ciò che dite?!"
Crystal strinse la donna alle spalle, poggiando la testa sulla sua, come per dimostrargli empatia. Fu Silver allora a prendere parola.
"Non potete responsabilizzare solo lei. Purtroppo siamo esseri umani ed abbiamo dei limiti più o meno labili. Non sappiamo fermare le eruzioni vulcaniche e diamo spesso la colpa agli altri per aver deciso di abitare sotto un vulcano...".
"Ma che diamine c'entra?!" urlò quell'altro, non riuscendo più a trattenere rabbia e nervosismo e cercando di colpire Silver con un pugno, che andò tuttavia a vuoto. Il rosso rimase calmo.
"Perché hai cercato di colpirmi?" chiese poi, lentamente.
"Perché tu non capisci! Pensi... pensi che io voglia scaricare su Fiammetta la responsabilità di tutto mentre..." le lacrime assorbirono il suo volto.
"Mentre cosa?" chiese la diretta interessata.
"Mentre...".
"Mentre?".
E poi si abbandonò alla disperazione. Due donne lo strinsero in un abbraccio e lo portarono via, mentre una terza si avvicinò alla Capopalestra. Non aveva alcuna intenzione di addossarle colpe, lo si vedeva dal volto.
"Leslie... ciao..." la salutò Fiammetta
"Signorina Moore...".
"Chiamami Fiammetta, te l'ho detto mille volte".
"Mi dia Jarica. Lei ha sicuramente tanto da fare". Fiammetta guardò la bimba e poi la consegnò tra le braccia della sua tata. Quella teneva gli occhi spalancati, e poggiò la testa sulla spalla di quella donna tracagnotta, vestita di grigio.
“Ma cosa...” Crystal alzò il naso al cielo; Fiammetta seguì il suo sguardo e Silver guardò il suo volto, conscio del fatto che lei non prestasse attenzione all’ostinazione con il quale il ragazzo la fissava.
Fu poi Fiammetta a prendere parola. “Qualcuno sta usando la funivia...”.
“Chi sta salendo sopra al vulcano, in un momento del genere?” chiese Silver.
La bella Capopalestra all’improvviso spalancò gli occhi, trasalendo, e si fiondò correndo verso il medesimo impianto, che tramite l’energia geotermica funzionava costantemente.
“Accompagnatemi!” urlò poi. Crystal e Silver si avvicinarono correndo alla ragazza, ed insieme presero la funivia, per salire verso il cratere centrale del vulcano.
 
Crystal era al centro tra i due. Guardò giù, i suoi piedi erano martoriati da tagli e lividure. Indossava ancora quella camicetta da notte.
“Che notte...” sospirò Fiammetta. “Voi dormivate durante la scossa di terremoto?”.
“A dire il vero sì” rispose l’altra. Silver conservava le parole.
“Dove?”.
“Nell’ostello di Cherry... poco fuori il paese”.
“Sì... ho capito...” La stanchezza e lo shock erano le prime cose che trasparivano sulle gote svilite ma perennemente rosse della ragazza.
“Eri già sveglia tu invece. Come mai?” le domandò Silver.
“Beh... è il mio compleanno oggi, fai un po’ tu... stavo festeggiando in Palestra, con tanti amici e... e poi è successo il fattaccio! Dannazione!” urlò, con un impeto di rabbia.
“Le persone che erano nella palestra sono morte?”.
“Sono ancora in Palestra... sai, essendo Capopalestra di tipo fuoco, ho dovuto costruire un posto che resistesse ad alte temperature. A dimostrazione di ciò, ci sono delle vasche di lava in ufficio” sorrise poi, definendo ufficio lo scannatoio dove i suoi sfidanti uscivano sconfitti la maggior parte delle volte. Tossì, e poi riprese di nuovo parola. “Tuttavia la colata di lava cementificherà e le persone all’interno della Palestra rimarranno bloccate finché i soccorsi non arriveranno. Ho già telefonato le autorità della Lega, è partito un elicottero da Porto Alghepoli per i soccorsi”.
“Speriamo riescano a sopravvivere” disse Crystal.
“Ce la faranno. Ho scorte di cibo e d’acqua a sufficienza”.
Ma poi s’adombrò. Il suo pensiero andò a Jarica, e alle persone che erano morte, compreso suo nonno. L’aveva cresciuta, quell’uomo, l’aveva modellata fino a diventare un’Allenatrice provetta, tanto che era diventata Capopalestra quando lui aveva abdicato per l’età troppo avanzata. Aveva superato le iniziali botte di sfiducia, che avevano minato alla sua autostima in maniera massiccia con l’allenamento e l’esperienza.
Da più giovane non era stata abbastanza esperta per fronteggiare il Team Magma, che guarda caso puntava al risveglio del vulcano. Tuttavia con lei c’era anche Sapphire e, anche con qualche piccolo colpo di fortuna, erano riuscite a risolvere la situazione. Le conseguenze di quella situazione, con Max ed Ivan che si erano cocciutamente voluti scontrare per dividersi il territorio di Hoenn, l’avevano spinta a dare sempre meglio. E dopo vari anni, la palestra di Cuordilava era diventata una delle più difficili da sconfiggere; dedizione ed allenamento, tanto sacrificio, e soprattutto amor proprio, Fiammetta aveva abbandonato lo stile di vita dissoluto che portava avanti prima dei vent’anni, mettendo la testa a posto e pensando a crescere solo sua sorella Jarica.
Con il tempo era migliorata. Come il buon vino.
Vedeva Crystal mettere le mani tra le cosce, per cercare di racimolare un po’ di calore, senza sapere che nella sua testa stava cercando solo il momento giusto per infilarsi i vestiti, cosa che fece non appena scesi da quella funivia. Una piccola superficie era calpestabile sulla vetta del Monte Camino, nonostante un po’ di neve sciolta e diverse chiazze d’acqua. Una parte era totalmente franata e piena di fango mentre non accennava a ridursi il carico dell’eruzione: la lava continua a scendere verso il paese, ormai quasi totalmente sommerso.
“Una nuova Pompei...” disse tra sé e sé Fiammetta, non appena toccò il terreno nero con le sue scarpe.
Poi abbassò lo sguardo e focalizzò la concentrazione su di una M stilizzata al centro di un’orma di stivale.
Sgranò gli occhi, l’aveva riconosciuta. “Magma...”.
“Cosa?!”.
Prese a correre, facendo attenzione a non inciampare, e si ritrovò sul versante nord ovest del vulcano, dove un altro cratere si era aperto e stava riversando materiale magmatico sulla foresta che divideva Brunifoglia da Cuordilava. Crystal e Silver ebbero difficoltà nel vederla partire, dato l’enorme quantità di vapore e gas, a cui Fiammetta era abituata. D’un tratto non la videro più.
 
La Capopalestra si guardava attorno. Il nulla assoluto, il cielo pittato di grigio ed il sole rapito dalle nuvole.
E poi c’era una persona.
“Team Magma!” urlò Fiammetta.
Quello dapprima s’irrigidì. Successivamente Fiammetta lo sentì sorridere, e lo vide voltarsi con estrema lentezza.
Spalancò gli occhi quando poté mettere a fuoco il suo viso. Era un ragazzo molto bello, dagli occhi di un verde luminoso. Era del Team Magma, lo sapeva, ma indossava una nuova divisa, più stretta ed aderente, nera.
Con una M fiammante sul petto.
Il cappuccio in testa, con quel caldo, sembrava qualcosa di surreale, eppure non sembrava sudato.
Si avvicinò alla ragazza con lentezza, ipnotizzando il suo sguardo e costringendola a fissarlo negli occhi. Sorrideva, quello, battendo le mani.
“Bravissima, Fiammetta. La bellissima Capopalestra di Cuordilava...”.
L’uomo portò due dita a sollevare il mento della ragazza, che sembrava paralizzata.
“...la bellissima Capopalestra di Cuordilava” ripeté.
E poi l’adrenalina prese a scorrere nelle vene della ragazza e le permise di uscire da quel guscio di marmo che si era creata: spostò con forza la mano dell’uomo dal suo volto e lo spinse così forte da farlo cadere per terra.
“Non toccarmi!” urlò.
Quello sorrise e si rialzò, puntellandosi sulle mani. Dopodiché levò la polvere dal pantalone nero ed alzò lo sguardo verso di lei.
“Adoro il tuo temperamento...” sorrideva ancora.
“Dimmi chi sei!”.
“Non importa chi sono. Importa soltanto che adesso il vulcano stia eruttando e stia restituendo ai Pokémon ciò che gli umani hanno rubato. La natura alla fine si riprenderà tutto ciò che le è stato sottratto”.
“Sottratto?! Ma di che cosa stai parlando?!”.
Quello sorrise ancora. La cosa fece innervosire non poco la Capopalestra.
“Il processo evolutivo degli uomini li ha spinti ad abbattere enormi aree dominate da alberi, a crearsi comodità distruggendo fiumi e laghi, a tagliare montagne in due per permettere alle loro automobili di passarvi attraverso, sconvolgendo ecosistemi e temperature, inquinando il nostro bellissimo pianeta... Sai, Fiammetta... esistono sicuramente altri pianeti su cui ci sono le caratteristiche giuste per la vita. Sarebbe strano il contrario, dato che l’universo è infinito. Tuttavia sono solo cose che ipotizziamo”.
“Non vedo il nesso” fece la donna, impaziente e contrariata.
“Io sì. Quello che di cui ho parlato prima fa parte soltanto di un ampio ventaglio di teorie. Cosa succederebbe se in realtà questi pianeti fossero tutti disabitati?”
“Saremmo gli unici...”.
“Esatto. La Terra sarebbe l’unico pianeta a possedere la vita nel proprio ventre. E voi la state distruggendo...”.
“Anche tu sei un essere umano. Anche tu la stai distruggendo”.
“Noi del Team Magma non siamo come voi. Anni fa Max provò a risvegliare Groudon, e ci riuscì, senza però controllarlo del tutto. E poi vennero quei... mocciosi... e lo fermarono...”
“Forse non hai presente tutta la storia: Max era un esaltato”.
“Esaltato, visionario. Lo era anche Galileo, per i suoi contemporanei”.
“Basta con questi discorsi! Dov’è Groudon?!”.
Quello sorrise ancora e Fiammetta non riuscì a controllare un impeto d’ira, colpendolo al volto con un dritto.
O almeno provandoci, dato che quello bloccò il pugno nella sua mano.
“Basta così con la violenza fisica”.
“Rispondimi, stronzo!”.
“Groudon è sotto Hoenn, e viaggia dove noi gli diciamo di andare”.
“Smettetela allora!” urlò con tutta se stessa stavolta, dando una traccia ai Dexholder di Johto per raggiungerla.
“Fiammetta!” si preoccupò Crystal non appena la vide. La raggiunsero. “Tutto bene?”.
“Sì... Adesso do una lezione a questo cretino e poi ci dirà dove si trova Groudon”.
“Lascia fare a me” s’inserì Silver.
“No! Questa è una cosa personale!”.
Ed ancora il tipo sorrise. “Credo di essere innamorato di te”.
“E lasciami!” fece la ragazza, tirando indietro il pugno, ancora stretto nella mano dell’altro.
“Vuoi lottare?!” si sorprese quello.
“Certo! Se vinco io mi dici dov’è Groudon!”.
“E se vinco io?”.
“Che vuoi da me?!”.
Quello sorrise, squadrandola da capo a piede, con occhi lussuriosi. “Verrai con me”.
“No! Fiammetta, non dire stupidaggini!” urlò Crystal.
“Ok! Lottiamo!” la snobbò la rossa, mettendo mano alle Pokéball.
 
Lo spazio era poco, un perimetro di pochi metri quadrati. Ma bastava per lottare.
“Vai, Ninetales!” urlò Fiammetta. Un bellissimo esemplare del Pokémon Volpe entrò in campo. Sembrava essere a suo agio lì, in mezzo alla lava ed alla cenere; le sue nove code si muovevano sinuosamente.
“Oh... Credo che manderò in campo Zoroark”.
Un altro Pokémon volpe entrò in campo.
Ninetales ringhiava, sincronizzando il proprio umore con quello della sua Allenatrice. Zoroark invece guardava fisso Fiammetta, con una calma quasi irreale.
“Ci accontenteremo di un match uno contro uno... non ho intenzione di far durare questo scontro troppo a lungo.” proclamò l’uomo. “Zoroark, iniziamo con uno Sbigoattacco”.
La volpe nera attaccò ed un flash oscuro si avventò Su Ninetales.
“Calmamente, Ninetales!”.
La risposta della Capopalestra permise al Pokémon di salvarsi dall’attacco, lasciandola concentrare per aumentare le sue capacità. La zona si stava man mano scaldando e qualche timido raggio di sole tagliava la coltre di cenere, ma era ancora troppo debole.
“Siccità, eh? Stai sfruttando la potenza dell’abilità di Groudon per rafforzare quella del tuo Pokémon... ma non basterà, lo sai” fece lui.
Fiammetta lo sapeva. Digrignava lievemente i denti bianchi ma si rendeva conto che quell’uomo avesse ragione. Non aveva mosse efficaci contro quel Pokémon, e l’aumento delle statistiche, oltre che ad evitare l’attacco era servito a compensare parte di quella mancanza.
Orgoglio.
“Ninetales, non perdiamo tempo, facciamogli vedere che i Pokémon di un Capopalestra non vanno sottovalutati! Introforza!”.
La volpe stese le sue bellissime code e su ognuna di quelle si formò una sfera d’energia. Con uno schiocco rapido delle code si staccarono, schiantandosi contro Zoroark e facendolo notevolmente indietreggiare, indolenzito.
Stavolta toccò all’uomo stringere i denti.
“Ottima mossa, signorina”. Guardò il suo Pokémon che si rimetteva in piedi. “Zoroark, andiamo con Urtoscuro!”.
“Non ci riuscirai, Protezione, Ninetales!”.
L’attacco di tipo buio s’infranse su una patina traslucida, lasciando il Pokémon totalmente incolume.
“Che te ne pare?” fece Fiammetta; il bel viso mostrava ancora le tracce della sua rabbia.
Quello tacque, valutando la situazione: Fiammetta era forte. Ben più di quanto si aspettasse. In più, nonostante fosse in preda alla furia, le sue mosse risultavano frutto di una calma fin troppo glaciale per il carattere vulcanico che portava con fierezza in giro.
Lentamente, il membro del Team Magma portò le mani all’altezza del petto, facendole un lento applauso.
“Sono piacevolmente colpito. Devo ammettere che non ti ritenevo tanto forte quanto bella. Invece hai tutta la mia ammirazione per essere riuscita a cambiare l’opinione che ho di te”.
Quella strinse i pugni, vedendo gli occhi dell’uomo carezzare bramosi la sua figura per intero.
“Se ti stai prendendo gioco di me sappi che non resterai impunito. Ninetales, torniamo all’attacco, Solarraggio!”.
La volpe dorata caricò l’attacco, spalancando le fauci e caricando energie. Una carica che avrebbe impiegato diversi secondi per avvenire, si concluse in pochi istanti, date le condizioni meteorologiche, scagliando l’attacco addosso alla volpe nera. Eppure, nonostante l’attacco sembrasse andato a segno, quando la polvere si diradò mostrò il nulla. Ninetales scosse il capo, cercando tracce del nemico nei dintorni, senza trovarlo.
“Il momento è arrivato. Rinnovo i miei complimenti per aver resistito in modo tanto stoico ma non posso ritardare oltre la conclusione di questo scontro. Nottesferza, Zoroark”.
Dal nulla la volpe apparve, rivelando l’illusione che aveva creato. Il colpo prese in pieno Ninetales, scaraventandola ai piedi della sua allenatrice. Il pelo era macchiato di cenere e terra, oltre che da alcuni tagli che la caduta sui sassi aveva procurato. Fiammetta guardò Andy con gli occhi sbarrati. Quando era successo? Quando l’illusione si era sovrapposta alla realtà? Non riusciva a capirlo, eppure, la sua sconfitta come conclusione di quell’insensato scontro le pesava come un macigno sulle gracili spalle.
“Ora dovrai venire con me” sorrise soddisfatto quello, con gli smeraldi nelle iridi che rilucevano alla luce del sole; lo avrebbero fatto ancora per poco, la cenere avrebbe di nuovo sovrastato tutto pochi minuti dopo.
Fiammetta strinse i denti e cadde, affondando le ginocchia nella cenere, piegandole verso l’interno. Era diventata minuscola all’improvviso, abbassando la testa verso il terreno nero, bagnandolo con lacrime amare.
Sotto gli occhi spaventati di Crystal e Silver, l’uomo andò verso di lei e si accovacciò, puntellandosi sulle caviglie. Gli occhi verdi sembrarono forti abbastanza da alzarle la testa. Lo sguardo della donna si perse nel suo.
“Andiamo...” disse.
Lui le tese la mano, e lei alzò il volto. Troppe emozioni tutte in una volta, troppo tempo senza dormire ed un sempre più alto bisogno di stabilità mentale le avevano dipinto quella maschera di cera sul volto; una maschera che tutto diceva tranne che sono tranquilla, andrà tutto bene. La preoccupazione, era quella che traspariva prepotente sul suo viso.
E fu quando lei andò ad unire la sua mano con quella dell’uomo misterioso che anche Silver comprese la disperazione della ragazza.
“Sparisci! Adesso!” corse verso di lui, spintonandolo. Quello si sbilanciò, cadendo per la seconda volta nella cenere.
“I patti sono patti” disse il membro del Team Magma rialzandosi.
“Ed io vado contro i patti!” ringhiò prepotente il fulvo.
Crystal rimase scioccata, vedendo il ragazzo frapporsi tra una Fiammetta irriconoscibile e quel losco individuo.
“Tsk... Non pensare di averla vinta. Ora devo andare... ma tornerò, e mi prenderò Fiammetta, il mio premio”.
“La prossima volta dovresti prendertela con me. Non finirà nello stesso modo”.
“Vedremo” fece quello, indietreggiando fino al crepaccio e lasciandosi cadere. Poco dopo uno Swellow dalle lunghe ali lo portava via, volando verso l’angolo di luce che il sole aveva conquistato oltre le nubi.
 
“Come stai?” le chiese dolcemente Crystal. Fiammetta era rimasta immobile, con quella mano allungata verso il nulla. Aveva perso, di nuovo, e stavolta la sconfitta le bruciava come una marchiatura a fuoco.
Doveva proteggere Cuordilava e non l’aveva fatto.
Doveva proteggere la sua gente e non l’aveva fatto.
Doveva proteggere il vulcano e non l’aveva fatto.
Almeno avesse protetto se stessa, puro istinto di autoconservazione, e nemmeno in quello era riuscita.
Era una Capopalestra e di nuovo, per la seconda volta, nel momento in cui avrebbe dovuto dimostrare il suo ardore, la sua tenacia, la sua forza, era venuta meno.
Se non ci fosse stato Silver probabilmente ora starebbe volando su di uno Swellow chissà per dove. Rabbrividì.
Il corpo del suo Ninetales, esausto accanto ad un rivolo di lava che si faceva largo attraverso la cenere nera, attestava il suo fallimento come allenatrice.
Si sentiva persa. Si sentiva sconfitta, dalla situazione, dalla vita.
Era inutile continuare a fare la Capopalestra. Alla fine si sarebbe ritrovata sempre così: a piangere, con le ginocchia immerse nella cenere, che nient’altro era che la sua forza.
Bruciata in un lampo, e fiamme spente in meno di un istante. Rimaneva solo il braciere lavico che mostrava chiazze di un rosso vivo, le lacrime che pendevano dal suo viso e le adornavano a mo’ di gioielli.
 

 

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Capitolo 6
*** Capitolo Quinto - Zenzero ***


Zenzero


Fu la pioggia, unita a quel calore umido e fastidioso, a mimetizzare sul volto di Fiammetta le lacrime. Gocce fredde impattavano sul viso ancora sporco di cenere della ragazza esplodendo in mille frammenti incandescenti, trasformandole il trucco attorno agli occhi in colate di lava nera.
“Andiamo via da qui” propose Silver, aiutando Fiammetta ad alzarsi dal suolo, immersa nella cenere com’era. Usarono la funivia.
Crystal sospirò, mentre vedeva la folla diventare poco a poco sempre più grande in base ai metri che percorrevano su quel trabiccolo ricoperto di polvere scura. Guardò Fiammetta, immobile, silenziosa, solo il torace che si ampliava ad ogni profondo respiro, il quale le ricordava malignamente che fosse viva e che forse non fosse tanto meglio. Rigettò con vergogna quel pensiero e sbuffò.
Codarda. Una codarda, era soltanto quello.
Il volto era rimasto per tutto il tempo impietrito, immobile, dal cui mento delicato cadeva ritmicamente una goccia nera di lacrime miste a mascara.
Si voltò per un attimo, giusto il tempo di guardare Silver; lui guardava a sua volta Crystal, con quegli occhi argentei in grado di riflettere la luce della luna. Lo vide leccarsi un labbro e poi sospirare, prima di poggiare una mano sul ginocchio della ragazza.
Alla fine scesero. Affondarono i piedi in una grande pozzanghera e videro un gruppo massiccio di persone avvicinarsi.
“Che è successo?” chiese un uomo sui trent’anni, barba rada e capelli lunghi alle spalle.
“Niente, Chaz. Niente di che…” disse Fiammetta trattenendo le lacrime ed il dolore, come se una mano piena di spine le stesse stringendo il cuore. Dopodiché si dileguò dagli sguardi delle persone, lasciando che Silver interloquisse con loro, tuttavia Crys la seguì.
“Hey… la finisci? Che hai?” le chiese quest’ultima poggiandole una mano sulla spalla.
“Che dovrei avere?! Non dovevo perdere, Crystal...”.
“Lo so che non dovevi perdere ma purtroppo è andata così”.
“Avrei dovuto lasciar combattere uno di voi... Doveva lottare Silver...” piangeva lei.
“Non dire così. Probabilmente avrei perso anche io contro quel Pokémon. Quello era un ottimo Allenatore ed il suo Pokémon era ben allenato”.
“Mi sono ostinata a voler difendere Cuordilava! A mantenere lo scudo e la spada contemporaneamente! Con la conseguenza che lo scudo mi è caduto su di un piede e la spada si è spezzata...” strinse i denti, con il volto contrito. Il sapore del sangue in bocca si faceva sempre più forte.
“Non dire così...” Crystal la strinse in un abbraccio, quindi poggiò la testa sulla sua. “Pensa a loro... Poveri...”.
Fiammetta alzò lo sguardo e vide tantissime persone, ormai tutte senza una casa. Molti di loro avevano perso un parente, qualcuno non ne aveva più, altri avevano smarrito la speranza. C’era chi non aveva più la voglia di vivere, e che veniva bagnato da quella pioggia che sembrava pesare quintali sulle loro teste, costringendoli a piegarle verso il basso.
Silver si avvicinò e le vide abbracciate, mentre la sua amica rincuorava l’altra. Inarcò leggermente l’angolo destro della bocca, a mo’ di sorriso, perché gli piaceva il fatto che la ragazza avesse un buon cuore. E nel suo sguardo preoccupato vedeva gli occhi di una brava persona, di una buona madre.
I loro sguardi si toccarono per un attimo, si carezzarono come facevano il sole e la luna prima di lasciarsi il cielo a vicenda, quindi Fiammetta tossì e li costrinse a svegliarsi da quel momento idilliaco, nelle loro teste.
Jarica piangeva e quando vide la sorella maggiore si dimenò dalle braccia della tata che pazientemente cercava di calmarla; non appena quella la mise a terra corse verso di lei.
"Piccola..." sorrise amaramente la Capopalestra, stringendola al petto dopo essersi accovacciata verso di lei.
Leslie, la tata, le raggiunse con passo spedito. "Che è successo?! Perché sei scura in viso?" chiese.
"Niente... Niente di che... ma vorrei dire una cosa, a tutta la gente di Cuordilava che c'è qui..."
Il silenzio si stese su quelli e li coprì.
"Io spero che questa situazione per la nostra città possa migliorare. Perché viviamo da sempre sotto il Monte Camino, radicati nelle tradizioni. Tuttavia io adesso mi vedo costretta a dover abbandonare il mio ruolo di Capopalestra di Cuordilava".
Il crepitio della pioggia fu coperto dal velo di stupore che la gente aveva manifestato. Fiammetta si alzò, carezzando i capelli di Jarica che spingeva la testa contro la sua coscia. Vedeva quella gente, la sua gente, in preda a sentimenti contrastanti.
Alcuni erano dispiaciuti dal fatto che la ragazza avesse preso la decisione di allontanarsi dalla carica che la sua famiglia ricopriva da generazioni. La famiglia Moore consegnava la medaglia Fiamma da almeno sei generazioni e con Fiammetta si era interrotto quel ciclo, enorme, che sarebbe dovuto terminare tra le mani di Jarica, una volta cresciuta.
Tuttavia qualcuno non rivedeva nelle capacità di Fiammetta quelle di suo nonno, predecessore che aveva garantito tranquillità e soprattutto stabilità alla piccola cittadina, ed in un certo senso si sentivano sollevati. Poi pensarono che la Palestra e l’intera città non esistessero più e che quindi non aveva molto senso gioire del fatto che la rossa avesse abdicato.
"Ora come ora tutta Hoenn ha bisogno di trovare la pace. Questi terremoti sono causati da fenomeni del tutto naturali. Prima o poi finiranno. Però bisogna saper aspettare, e sopra ogni cosa, rimanere vivi".
E mentì sapendo di mentire. Era inutile allarmare quelle persone, già avevano avuto un brusco risveglio. Silver annuì impercettibilmente allo sguardo incredulo di Crystal. Era perfettamente d’accordo con la linea guida che stava seguendo la bella ragazza di Cuordilava.
La pioggia ormai batteva radente e raffreddava le bollenti carni della donna, che in quel preciso momento levò il giubbino di jeans e lo piazzò sulla testa dai capelli color magenta della piccola Jarica.
Quelle persone sostavano imbambolate, come se qualcuno avesse messo in pausa le loro vite, attendevano che qualcosa accadesse. La pioggia trasformava in fango quello strano miscuglio di terreno purpureo e cenere ed i piedi della gente lasciavano orme disperate di resistenza, aggrappati ad una boa non ancorata nell’oceano degli eventi.
Avevano solo quella pioggia sulle loro teste, che diventava nera per via della cenere che ancora cadeva, ed i ricordi di una vita felice. Il vento veniva incanalato sul fianco della montagna e spostava le fronde d'erba alta, che si inclinava verso destra.
 
"Fiammetta!" si sentì urlare, poi. La voce veniva dall'alto, ed un grido, un verso di un Pokémon, spinse tutti quanti ad alzare la testa verso il cielo, a pulire il viso dalle lacrime.
"Alice..." sospirò Crystal, che ancora non si era resa conto dei minuti passati mentre stringeva la sua piccola mano in quella di Silver.
La Capopalestra scese dal suo Altaria, le cui ali candide si stavano sporcando di nero, quindi si avvicinò a Fiammetta.
"Ragazzi..." fece. "Come state?".
Silver si guardò attorno, facendo attenzione che nessuno lo sentisse, quindi parlò. “Fiammetta ha lottato contro un membro del Team Magma... ha perso in malo modo e per questo motivo è scossa”.
Alice spalancò gli occhi, cercando il modo di capire cosa stesse per succedere di lì a poco nella sua vita.
“Team Magma” ripeté, con lo sguardo perso.
Crystal annuì.
La Capopalestra di Forestopoli girò lo sguardo verso il volto impallidito di Fiammetta, che continuava a proteggere Jarica da parole e pioggia sporca, quindi sospirò. L’insicurezza che aveva addosso in quel momento era pesante.
“Fiammetta” la chiamò.
Quella si girò lentamente, e poi si avvicinò. “Come va?”.
Si limitò a scuotere la testa, la rossa.
“Credo che tu debba accompagnare Crystal e Silver durante quest’operazione. C’è bisogno di qualche componente della Lega di Hoenn che ci informi immediatamente di tutta la situazione in tempo reale. Avevamo pensato a te. Ormai a Cuordilava non hai molto altro da fare”.
Lo sguardo di Fiammetta non ardeva più: sembrava il bozzolo abbandonato di una crisalide.
“Non credo sia una buona idea. Intralcerei soltanto il loro cammino”. La voce della ragazza era spenta, lottava contro il pianto.
“Non intralcerai nulla. A loro serve una guida per il territorio e a te... Beh, a te serve un modo per andare avanti”.
“E poi ho Jarica... Come dovrei fare?”.
“Jarica potrà stare tranquillamente con Leslie. Verrà con noi a Porto Alghepoli... come tutte queste persone del resto. L’ovest della regione è diventato pericoloso”.
“Verrà con te Jarica?” domandò, come se non avesse capito bene la prima parte del discorso di Alice.
“Si. Se servirà starà nel mio appartamento con Leslie”.
“Sarei molto più sicura”.
“Hoenn ha bisogno di te! Non abbatterti se perdi un incontro!” la scosse quella, col sorriso, malcelando la sua preoccupazione. Fiammetta parve aver recepito il messaggio ed annuì, quindi Alice si voltò verso le persone che, sorprese dalla sua presenza, emettevano chiacchiericci fastidiosi e stupiti.
“Il mio consiglio è di dirigerci verso Porto Alghepoli e successivamente prendere una nave per Verdeazzupoli. Lì, le scosse non sono state minimamente avvertite”.
La folla era divisa. C’era chi non voleva abbandonare il luogo dove era nata, cresciuta e quasi morta, e poi c’era chi non guardava in faccia a nulla se non al fatto che fosse già un miracolo che fossero ancora vivi.
“Andiamo!” si sentiva urlare.
“Non posso...”.
“Dobbiamo andare!”.
Il vociare confuso della gente alimentava l’enorme mal di testa che Fiammetta stava maturando in quei minuti.
Troppe emozioni, troppa paura, troppa delusione.
Alice si voltò di nuovo verso i ragazzi, con la sua solita grazia, e sorrise all’ormai Ex Capopalestra.
“Mi raccomando...”.
Fiammetta annuì, meno convinta di quanto pensasse, cercando un modo per scampare dalla pioggia e dagli sguardi, dal fastidio che entrambi le provocavano.
Poi, la Capopalestra di Forestopoli si voltò verso Crystal e Silver.
“Ragazzi... vi auguro che tutto vada per il meglio...”.
“Ce lo auguriamo anche noi” sospirò Silver.
“Bene. Ora andate”.
 
E fu così che una folla enorme cominciò l’esodo verso Alghepoli, la città dove i due di Johto erano sbarcati. Gli elicotteri dei soccorsi stavano cercando di liberare le persone intrappolate nella palestra e di recuperare il recuperabile.
“Dove andiamo ora?” chiese la castana, mentre si sistemava sotto ad un ombrello, stretta a Silver.
“Credo sia meglio recuperare un po’ di sonno” fece il ragazzo. Fiammetta li seguiva silenziosa, quindi si affacciò verso i due. “Forse potremmo entrare in casa Vinci”.
“Cosa?” domandò Crystal.
“Sì. È una grossa villa situata proprio a nord di Ciclamipoli. È disabitata da diversi anni”.
“Una grossa villa disabitata? Come mai non ci vive nessuno?”.
“Beh... è una lunga storia. Da quando ho memoria, la famiglia Vinci ha sfornato sempre Allenatori di classe e forza difficile da comparare. E poi il loro primogenito è diventato il Campione in una regione lontana, quindi si sono trasferiti lì tutti assieme, lasciando abbandonata la loro villa”.
Ancora pochi passi e la videro: immersa nella natura c’era una villa con particolari in legno, porticato con colonnine senza entasi e infissi molto vecchi. Le napoletane erano aperte e la vernice su molte di esse era andata via.
Fiammetta fece strada, salendo le scale del porticato e trovandosi davanti alla porta. Sembrava più serena. Con l’indice puntuto spinse la porta, che si aprì con un cigolio sinistro.
“È aperta”.
Crystal guardò Silver e sospirò. Non era propriamente entusiasta di entrare in quella casa abbandonata, e non per via dei Pokémon spettro o dei fantasmi, quanto per le persone che avrebbero potuto abitarla e vandalizzarla dopo la partenza dei proprietari. Poteva esserci qualche malintenzionato, ecco perché prese la sfera di Marshtomp in mano.
“Vado prima io” disse il rosso, fermando le due ragazze tenendole per le spalle, quindi avanzò. La luce filtrava qua e là da finestre mezze aperte e buchi nel soffitto. Silver gettò un passo sul pavimento consunto fatto di assi di legno, quindi sentì lo stesso scricchiolio, preoccupandosi.
“Non mi piace la situazione, qui...”.
Fiammetta non sembrava tanto spaventata. Si guardò attorno, studiando bene il tutto. Era una casa molto vecchia, costruita con lo stile delle ville padronali dei primi anni settanta. Solida strutturalmente, e questo spiegava il motivo per cui non era crollata sotto gli effetti del terremoto, necessitava tuttavia di un po’ di manutenzione.
L’ingresso si stendeva in un ampio salone: un divano ed un paio di poltroncine erano stati coperti da un lenzuolo polveroso, proprio alla loro destra, dove probabilmente prima era adibita un’area per la visione di film ed altro.
Un tappeto circolare, verde con barocchismi gialli, era piazzato proprio davanti ai ragazzi e precedeva, proprio di fronte a loro, la scala che portava al piano superiore in cui la metà degli scalini, sempre in legno, risultavano spezzati al centro. Accanto vi era una porta socchiusa.
Sulla sinistra invece c’erano vari oggetti, piccoli e grandi, sotto diversi lenzuoli. Era da lì che si raggiungeva la cucina e la zona adibita a sala pranzo.
“Totalmente abbandonata...” osservò Crystal, grattandosi il mento.
Silver annuì e mise il piede sul tappeto, e tutto d’un tratto la porta d’ingresso si chiuse, provocando un gran rumore.
“Dannazione!” urlò Crys, preoccupata, mentre cercava, invano, di aprire la porta con il pomello rotondo. “Non ce la faccio!”.
“Sì... avevo sentito del fatto che un fantasma abitasse questa casa ma io sinceramente non ho mai creduto a queste cose” osservò Fiammetta.
Crystal sospirò, tornando seria. “Dobbiamo trovare un’altra uscita...”.
“Ragazzi, potremmo anche riposarci qui e poi andare via...” sorrise Fiammetta.
Silver e Crystal la fissarono accigliati.
“Scherzavo! Ma sono stanca!”.
L’espressione dei due rimase pressoché identica.
“Ok, andiamo...”.
Si avvicinarono al divano guardandosi attorno. Silver lo guardò per bene, poi fece uscire dalla sfera Grovyle. “Qui c’è qualcuno”.
“Cosa te lo fa pensare?” chiese Fiammetta.
“Il lenzuolo... quello sul divano, guardalo. Non ha polvere come gli altri sulle poltrone. È stato alzato poco tempo fa”.
Crystal tirò quanta più aria possibile prima di poggiare la mano sul tessuto candido. Sentiva dentro di sé l’ansia di ciò che stesse per fare. Sapeva ci fosse qualcosa lì sotto, lo sentiva a pelle. I tre rimasero in silenzio e Crys fu in grado di contare quattro respiri. Qualcosa lì sotto viveva.
Ora lo vedeva: il telo si muoveva.
Fiammetta sembrava avvezza a quelle scene e guardava curiosa il tutto come se fosse al cinema.
“C’è qualcosa lì...” Silver respirava con la bocca, sentendo il cuore esplodergli nel petto. Incrociò lo sguardo con Crystal ed annuì impercettibilmente, quindi la ragazza tirò via il telo.
Fu tutta questione d’un attimo, prima ancora che il lenzuolo cadesse a terra una macchia bianca e rossa s’avventò su di loro.
“Cazzo!” urlò Fiammetta abbassandosi velocemente. Crystal fu l’obiettivo dell’attacco di quell’essere.
“Grovyle!” urlò però Silver e quello colpì reattivamente l’oggetto non identificato facendolo sbandare, mancando Crystal per pochi centimetri.
Quella rimase immobile, con gli occhi sbarrati e la bocca schiusa. “Che cosa...”.
Poi voltarono tutti lo sguardo verso l’aggressore.
“È uno... uno Zangoose” fece sorpresa Fiammetta.
“E che cos’è?” la voce di Silver rimbombò sulle mura consunte della villa.
Crystal lo guardò, ricollegando l’immagine che aveva davanti con l’oggetto di studio di qualche mese prima.
Aveva letto che fossero dei Pokémon di media corporatura, nemici giurati dei Seviper. Forse aveva sentito l’odore dell’enorme Zannaserpe che aveva salvato dalla frane alle Cascate Meteora il giorno prima.
Lo osservò meglio, mentre stringeva i denti e cercava di recuperare dopo la botta: il pelo era bianco, candido, con alcune parti di un rosso vivo. Gli occhi erano enormi, spalancati, i denti aguzzi. Dalle mani fuoriuscivano enormi artigli, all’apparenza taglienti come poco altro; tuttavia non aveva voglia di provare sulla propria pelle se l’apparenza ingannasse davvero. “È il Pokémon Mangusta. È molto pericoloso se si entra nel suo territorio. Dobbiamo stare attenti soprattutto agli artigli” spiegò l’aiutante di Elm.
“Stai bene?” chiese Fiammetta, alzandosi.
“Sì, tutto a posto”.
Zangoose si mise in piedi, malconcio e pieno di rabbia.
“Probabilmente aveva scelto questa casa come suo rifugio... Grovyle, dobbiamo sconfiggerlo. Vai con Fendifoglia”.
Grovyle attaccò velocemente con i lunghi fendenti che aveva sugli avambracci, mancando nettamente l’avversario che, veloce, si spostò sul lato, per poi colpirlo con l’attacco Lacerazione sul volto. Grovyle diede un urlo immane mentre una lunga linea rossa si andò a formare sul suo viso.
“Grovyle non arrenderti, vai con Sonnifero ed addormentiamolo!”.
Quello invece attaccò con Riduttore, in preda alla rabbia per il graffio sulla guancia.
“Hey! Ti ho detto di addormentarlo! Che diamine fai?!”.
Grovyle gettò per terra Zangoose, e lo sovrastò con il fisico, per poi cominciare a colpirlo in volto con ripetuti attacchi Fendifoglia.
“Fermati, Grovyle!”.
Quello ruggiva iracondo mentre Zangoose cercava il modo di pararsi dai colpi, incrociando invano gli artigli davanti al volto. Le sue urla di dolore toccavano gli animi dei presenti e mosse qualcosa intorno a loro. Era l’angoscia probabilmente.
“Fermati, dannazione! Torna nella sfera!” urlò Silver, nervoso. Guardò la sfera.
“Che temperamento…” osservò invece Crystal.
Poi fu il turno di Fiammetta. “È possibile che non ti rispetti perché è un Pokémon scambiato, e non hai alcuna medaglia di Hoenn. Forse…” cercò nella tasca del suo giubbino di jeans. “… ho dei duplicati delle medaglie che avrei dovuto consegnare nelle sfide di oggi. Li avevo già preparati. Prendeteli voi… Soprattutto tu, Silver. Il tuo Grovyle ha un bel caratterino, non puoi permetterti di non controllarlo, potrebbe fare danni come questo…”. Fiammetta puntava il dito contro lo Zangoose dolorante e sanguinolento che avevano davanti.
I ragazzi annuirono e ringraziarono, posando le medaglie nello zaino.
Fu in quell’esatto momento che a Fiammetta venne lo strano istinto di aggiustarsi i capelli.
Sì, perché sembrava che qualcuno glieli stesse spostando. La sua acconciatura classica, con i capelli alti sulla testa, le pareva si stesse spettinando.
“Ma che diamine…”
E poi spalancò la bocca non appena toccò del tessuto. C’era qualcosa sulla sua testa. Alzò gli occhi verso Crystal, lei era immobile a guardare in alto, con la bocca aperta e gli occhi immobili e terrorizzati. Teneva in mano la Pokéball di Marshtomp, ma le cadde con un tonfo sordo.
“Porco…” fece Crystal.
“Scappa!” urlò Silver, tirando la ragazza per la mano. La Pokéball per terra, i due fuggivano e Fiammetta si vide costretta ad alzare la testa e girarsi, perché voleva capire.
Un drappo volava. Un drappo scuro, con due buchi luminosi sulla sommità. Erano occhi.
“Cielo!”.
Si gettò velocemente per terra, mentre vedeva gli occhi dell’oggetto illuminarsi d’azzurro. I quadri sulle pareti presero a dondolare a destra e a sinistra e la porta che conduceva al piano di sopra a sbattere.
“È uno Shuppet!” esclamò la rossa.
“Scappa!” urlava Silver mentre stringeva Crys tra le braccia.
Fu il tempo di rendersi conto che attorno a quello Shuppet si erano alzati almeno altri trenta esemplari dello stesso Pokémon che capì di essere sotto attacco; li vedeva, si muovevano lentamente verso di lei con gli occhi illuminati.
E lei in quei momenti non riusciva a muoversi: la paura la bloccava, non le permetteva di restare tranquilla e la metteva in condizione di pericolo.
“Forza!” urlava Silver, ed intanto tutto prendeva a muoversi e a tremare attorno a lei. La cosa non migliorava affatto la situazione e costrinse Silver a lasciare per un momento la presa da Crystal per avvicinarsi a Fiammetta.
“Avanti!” urlò, afferrandola per i fianchi e sollevandola di peso.
Quel gesto bastò per farla tornare alla realtà; diede un urlo sovraumano e rimase immobile mentre Silver la tirava fino a raggiungere Crystal davanti alla scalinata che portava al piano superiore.
“Andiamo sopra!” fece il ragazzo.
“Gli scalini sono rotti! Non facciamoci male!” rispose invece la ragazza di Johto.
“Ce ne faremo una ragione!”.
Gli Shuppet cominciarono ad attaccare con Palla Ombra ed i tre non poterono più tergiversare, saltando gli enormi buchi all’interno dei gradini di legno marcio. Gli Shuppet li inseguivano su per la scalinata e, quando i tre videro il piano superiore dietro una porta chiusa, Silver non esitò a sfondarla con una spallata.
Atterrò su morbida moquette rossa, un po’ polverosa forse. Non ebbe tuttavia modo di apprezzarne la qualità poiché, non appena le due ragazze varcarono la soglia, si prese la responsabilità di sprangarla con una sedia sotto la maniglia.
Sudava, lui, il caldo umido di quella regione lo stava costringendo a levare il cappotto e riporlo piegato nello zaino.
Gli occhi delle ragazze erano spalancati; in particolare Fiammetta, sembrava la più scossa tra le due, con le labbra che tremavano dal nervoso.
“Ho… ho… ho la-lasciato…” Crystal cercava di dire qualcosa al ragazzo ma Silver in quel momento stava pensando a recuperare l’ossigeno necessario per evitare di stramazzare. Anche la ragazza era piegata sulle ginocchia, cercando di riprendere fiato.
“Cosa…?” domandò Fiammetta.
“Ho… ho lasciato cadere… cadere per sbaglio… la ball… la ball di Marshee…”.
“Cioè?! Cioè la sfera di Marshtomp è giù ora?!” esclamò Silver.
Quella annuì, con lo sguardo preoccupato.
“Beh… Da lì dovremmo uscire… Aspettiamo che la situazione si calmi, e poi userò Blaziken per uscire da lì” osservò Fiammetta.

Non appena ripresero fiato la curiosità li spinse a guardarsi attorno. Sulle loro teste c’era il tetto. I lampadari erano normali pezzi di ferro, e non Pokémon; non c’erano lenzuoli né altro, solo tre ampie stanze ed un bagno.
La prima stanza era sulla destra, subito accanto alla porta sprangata da Silver.
Fiammetta vi entrò curiosa. Era una stanza piena di polvere, dove aveva sicuramente vissuto un anziano: il letto era ben fatto, il copriletto su di esso vedeva disegnate fantasie orientaleggianti blu e dorate. Una vecchia scrivania stava accanto alla porta.
La ragazza vi si avvicinò ed esaminò tutto: ritagli di giornale in cui veniva acclamato Campione un ragazzo dal volto smagrito ed i capelli lunghi e rossicci, datata qualche anno prima.
“Adamanta…” lesse lei. C’erano anche altri ritagli, che parlavano della catastrofe di Hoenn, sventata da Ruby e Sapphire. Fiammetta si sedette per analizzare meglio quei ritagli. In uno c’era chiara una foto di Groudon, che lottava contro Kyogre.
Un quarto ritaglio ritraeva la foto frontale di una ragazza molto carina e giovane, con su scritto scomparsa. Aveva i capelli castani, ondulati, e gli occhi verdi. Belle labbra, naso femmineo e sorriso pulito. Nell’articolo di spalla c’era scritto che la ragazza risultava scomparsa dal quindici agosto di otto anni prima.
In un altro ritaglio c’era la Devon S.P.A. il cui tetto era crollato. Un altro vedeva l’inondazione a Porto Alghepoli, e sotto i ritagli c’era una foto.
“È quella ragazza...” sussurrò Fiammetta. Ed era davvero, ma davvero bella. Occhi verdi, sorriso sincero, pulito, e capelli raccolti in una coda di cavallo. Era una Kombat-girl, difatti indossava delle striminzite tute da allenamento. L’occhio della ragazza si poggiò sul corpo di quella, tonico, e sul tatuaggio che fuoriusciva dal bordo dei pantaloncini aderenti: una Z stilizzata, tatuata tra l’inguine e la base della coscia. Girò la fotografia per leggerne la data di stampa, attestando che fosse stata sviluppata proprio otto anni prima.
Era la stessa ragazza del ritaglio del giornale.
Alzò gli occhi, c’era un’agenda in pelle molto vecchia.
La sfogliò, trovandoci numeri di telefono in quantità. Scorse rapidamente i nomi, non conosceva nessuna di quelle persone, quindi la posò.
Infine vide delle fotografie consunte in cornici d’epoca.
Una bella donna, del tutto somigliante alla Kombat-girl, era vestita con un boa di piume, e sorrideva tranquilla mentre alle sue spalle s’illuminava la scritta “P O K E W O O D”.
Sembrava che la stessa persona avesse viaggiato nel tempo per scattare la stessa fotografia.
Accanto altre foto. La stessa donna accanto ad un uomo bellissimo, entrambi a cavallo di un Rapidash dalle fiamme bianche, e poi ancora lei con in grembo un neonato. La donna indossava un pigiama, e dal contesto Fiammetta fu in grado di capire che fosse stata scattata al momento del parto.
L’ultima fotografia era di qualità migliore. La donna, era in grado di riconoscerla, era anziana, mentre attorno a lei c’era una famiglia intera. Ai suoi piedi una piccola bambina, non avrà avuto più di sei anni, con gli occhi verdi spalancati, davvero molto somigliante a lei, e alla donna più giovane che le teneva la mano.
Fiammetta capì che quella con il tatuaggio con la Z e la bambina dovessero essere la stessa persona mentre la neonata nella foto post parto fosse sua madre. Infine concluse che la donna del Pokéwood non fosse altro che la nonna di quella Kombat-girl. Riguardò ancora la foto risalente ad otto anni prima poi, assieme ai ritagli, la mise all’interno di un borsello che aveva trovato lì, totalmente vuoto.
 
Crystal invece entrò nella stanza successiva. Sicuramente era appartenuta a dei giovani, a testimonianza di ciò due letti a castello ed una mensola piena di libri e peluche. Uno Zigzagoon scappò a nascondersi sotto una cassettiera, che la ragazza aprì.
Il primo cassetto era vuoto.
Il secondo conteneva delle magliette, tutte bianche. Cercando tra di esse, Crystal, scorse una lettera.
 
E ok, questo è uno sfogo bello e buono. Qualcosa che niente e nessuno mi costringerà mai a rivelare ai componenti della mia famiglia. Alla mia famiglia perfetta, alla mia famiglia irriducibile. Vinci. Tutto porta a pensare che Vinci sia un cognome importante, qui ad Hoenn, ed in parte è così. Sono nata con il peso delle aspettative addosso. I nonni erano degli attori, mia madre una dottoressa famosa, il mio papà un uomo d’affari. E adesso Hugh è partito per conquistare la Lega di Hoenn, con i suoi Pokémon. E sicuramente ci riuscirà, perché mio fratello maggiore riesce a fare tutto. Qui tutti riescono a fare tutto con una tale semplicità che quasi mi sembra impossibile tenere il loro passo. Sto studiando ardentemente tutte le discipline che serviranno a farmi diventare un’ottima coordinatrice Pokémon, ed oltre che su Maite sto lavorando duramente anche su me stessa, come mi ha suggerito la nonna Harriett: non sto mangiando, sto correndo e facendo tanta, forse troppa attività fisica. Proprio ora che scrivo mi fanno male le spalle e gli addominali. Forse sarebbe meglio sparire, andare via. Non voglio essere perfetta, non voglio che gli altri si aspettino qualcosa di impossibile da me, perché sono sicura che non sarei in grado di far felice nessuno…”
 
Crystal sospirò, e poggiò la lettera al suo posto. Aprì l’ultimo cassetto, ed accanto a qualche moneta ci trovò un’altra lettera.
 
Sono un po’ felice, e di questa cosa mi sento in colpa. Sì, perché Hugh è stato sonoramente sconfitto dal Campione, Rocco. Non ha visto nemmeno due dei suoi sei Pokémon, è bastato il suo Metagross a sconfiggerlo. La cosa un po’ mi fa piacere perché vuol dire che da adesso ci si aspetterà di più da Hugh e la pressione sarà divisa in parti uguali sulle nostre teste. Il papà si è molto arrabbiato, dicendo che lui fosse la vergogna della famiglia, composta tutta da grandi allenatori, ed ha preso me come esempio per mostrargli l’impegno necessario. Mi sono sentita fiera e soddisfatta…
 
:::
 
Scrivo qui, la carta è finita, ma avevo ancora bisogno di sfogarmi. La mamma ha scoperto che il papà la tradiva da anni con un’altra donna. Ieri sera si sono chiusi in stanza ed hanno preso ad urlare. Lei diceva che lui aveva dei figli, delle responsabilità, e che non sarebbe dovuto andare con nessuna puttana che volesse prosciugargli il conto in banca. Papà parlava poco, d’altronde aveva torto. Tuttavia le diceva di non urlare e la cosa la faceva infuriare ancor di più.
Alla fine l’unica cosa che ho capito è che la perfezione che la mia famiglia cerca di dare a vedere è tutta una facciata.
È così importante per noi l’opinione altrui che vogliamo unicamente che tutti ci guardino ammirati, spaventati, come se fossimo irraggiungibili.
Proprio per questo, la settimana prossima andremo via da Hoenn, e ci trasferiremo ad Adamanta, un’isola abbastanza distante da queste zone... lì Hugh potrà ricominciare gli allenamenti e la mamma ed il papà mantenere una situazione finta e felice, in modo che tutti possano tornare a sbavare dietro la falsa distanza che il mio cognome crea con gli altri.
Vinci. Un nome, un’attitudine. Resta il fatto che forse un Vinci che perde rimanga comunque un Vinci. La cosa è strana.
Il punto è che non voglio partire. Io voglio stare qui, non conosco Adamanta, non voglio allontanarmi. Qui ho le mie amiche, le mie conoscenze. Qui c’è anche il ragazzo che amo... So che ho solo sedici anni, ma vorrei tanto poter fare qualcosa per far sì che la mia vita non sia condizionata dalle scelte altrui...”
 
Chris sospirò, e guardò la scrivania. Un enorme tomo sulla cura dei Pokémon tramite bacche era aperto sulla pagina riguardante la Baccaloquat. Si sedette, sfogliando alcune pagine.
Il libro era consunto, mangiato dal tempo e dall’usura.
Di tanto in tanto vi erano dei cuori, con dentro delle iniziali. Z + M.
E poi, sotto il pesante tomo c’era un altro foglio, scritto a mano.
 
Ciao nonna.
Immagino che questa mia lettera adesso ti addolori tantissimo, e lo capirei se un giorno, vedendomi, tu non volessi più parlarmi per quello che sto per fare, ma purtroppo è così: sono andata via. Non ho la costanza per essere una Vinci, non ho la voglia di essere perfetta e soprattutto ho la necessità di stare tranquilla. Voi tra un po’ partirete per Adamanta e tu sarai sempre con me, nel mio cuore, tuttavia rimarrò qui a seguire quello che la vita ha deciso per me.
Sempre con te, tua nipote.”
 
Crystal stava quasi per scoppiare in lacrime.
Quella era la stanza di una ragazza frustrata, che voleva semplicemente riuscire a levarsi da dosso il peso di un cognome scomodo, davvero molto.
Non si era mai trovata in quella situazione ma non doveva essere bello sentirsi sempre sotto pressione.
Sospirò e conservò le tre lettere nella sua borsa per poi curiosare e guardare a zonzo nei cassetti della scrivania.
 
Silver fu invece attirato dalla luce che entrava dalla finestra spalancata della stanza da letto in fondo, di fronte al bagno.
Ebbe giusto il tempo di guardare il comò nero, pieno di foto di una giovane donna con un abito da sposa, col neomarito a stringerla. Due esemplari perfetti di razza umana. Lei in particolare era molto bella, con i capelli neri arricciati e nascosti dal velo di chiffon. Il vestito di raso, bianco naturalmente, le metteva in risalto il fisico snello. Il seno elegante era impreziosito da una scollatura carezzata di pizzo e da una collana formata da una catena e due anelli d’oro. Parevano fedi nuziali.
Fu il tempo di vedere un leggero movimento, provocato da uno Spinarak che Silver se ne accorse.
“Porca puttana!” urlò.
Un enorme Exploud stava dormendo, proprio lì. Era davvero grosso.
La bocca spalancata, stranamente, non emetteva alcun rumore. Il problema fu l’esclamazione che si accorse di aver espulso in maniera involontaria, poiché fu quella a svegliare l’Exploud, che appena sveglio pareva assai iracondo.
Fu giusto il tempo che i loro sguardi s’incrociassero che quello aprì la mastodontica bocca e produsse un frastuono tale da far cadere Silver per terra.
 
Fiammetta e Crystal sentirono prima l’imprecazione quindi l’enorme frastuono, e si convinsero ad andare in corridoio. Poi videro Silver che usciva claudicando sui quattro arti, dapprima in ginocchio, poi in piedi ma solo per ricadere qualche metro dopo. Respirò in fretta e si rimise in piedi.
“Corri!” fece, dando un calcio alla sedia che sprangava la porta, aprendola.
“Ma che dici?! Silver, perché fuggi?!”.
E poi l’enorme Exploud uscì rabbioso dalla stanza da letto, urlando la sua furia verso i tre avventori.
“Un Exploud, dannazione!” esclamò Fiammetta, mettendo le dita nelle orecchie.
Silver poi le tirò ancora per i polsi, a scendere la ripida scalinata. Exploud si precipitò a rincorrerli, entrando di misura nel corridoio della scalinata ma andando a sfondare gli scalini al suo passaggio, dato l’evidente peso.
Rimaneva intrappolato lì, urlando ancor di più, utilizzando l’attacco Baraonda.
Crystal ed i ragazzi fuggivano scendendo le scale a quattro alla volta, evitando i fossi nei gradini, e quando si ritrovarono di nuovo nel salotto Crys fu in grado di vedere la sfera di Marshee giusto al centro della stanza.
“Devo prenderla”. Tirò via il polso dalla stretta di Silver e si accasciò velocemente per raccoglierla, quando gli Shuppet si gettarono nuovamente su di lei.
“Dannazione! Quando riusciremo ad andare via?!” urlò la mora.
Fiammetta sospirò e vide Silver prendere una sfera. “Weavile! Nottesferza!”.
Fu il Pokémon Lamartigli, con incredibile perizia, a sconfiggere con un solo colpo più di trenta avversari.
E poi si sentì un ruggito stridulo. Lo Zangoose sconfitto ora era abbastanza in forze per attaccare l’allenatore che l’aveva messo fuori combattimento prima.
Silver era troppo preso dagli Shuppet per rendersene conto e Zangoose aveva già tirato fuori gli artigli, pronto a colpire al volto con un balzo.
Crystal spalancò gli occhi. “No! Marshee, vai con Riduttore!”
Riuscì a far uscire tempestivamente il Pokémon Fango Pesce, che caricò nel fianco l’avversario, spedendolo parecchi metri indietro.
Fiammetta li guardava mentre entrambi, col fiatone, facevano rientrare i propri Pokémon nelle rispettive sfere. Erano incredibili e la cosa la sconvolse. Entrambi lavoravano per l’altro, entrambi volevano che l’altro non avesse problemi, che non si facesse male, ed ognuno si fidava così tanto dell’altro che quasi parevano sapere a memoria tutto ciò che avrebbe fatto.
“Credo che adesso tocchi a me” fece poi la rossa, e tirò fuori Blaziken, che con uno Stramontante sfondò la porta, inondando di luce l’ingresso di casa Vinci.
“Possiamo andare” sorrise.
“Altro che riposarci un po’…” fece lascivo Silver, prendendo per mano Crystal ed uscendo fuori, all’aria aperta.
 

 
 

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Capitolo 7
*** Capitolo Sesto - Carboni Ardenti ***


Carboni Ardenti


La pioggia era sparita dal cielo, qualcuno aveva chiuso i rubinetti. Era rimasti soltanto dei batuffoli grigi di polvere ad occupare il piano celeste del cielo.
Dalla casa della famiglia Vinci a Ciclamipoli il percorso fu quasi troppo tranquillo, specialmente se paragonato alla prima parte della mattinata. Insomma, terremoti, vulcani, fantasmi, bestie indiavolate e tutto il resto. In quel momento si limitavano a camminare boccheggiando, mentre i loro volti ostentavano sonno e fame.
Il trio camminava costeggiando la strada; ogni tanto un’auto si muoveva in una direzione o in quella opposta. Le macchine erano cariche di valigie, segno che la gente preferiva andarsene, spesso senza nemmeno sapere dove.
Qualcuno, tra i più audaci, usava scooter carichi di pacchi, scatole e valigie, il tutto impilato in un ordine fin troppo precario.
Era quello il dolore dell’esodo.
Andare via, sì, ma per dove?
Per trovare cosa?
Per vivere come?
Prendi le tue cose, quelle più importanti, e vai via. Non sarà la tua televisione a salvarti, quindi lasciala lì. Afferra il necessario, non dimenticare di farlo sembrare un gioco, altrimenti i tuoi figli se ne risentiranno, e parti; vai via, e creati una nuova vita, dove nessuno sa chi sei, cosa sarai e soprattutto chi eri.
Forse l’esodo è un modo per cancellare i propri errori e ripartire da zero.
Ma a quale prezzo?
Una volta arrivati nella metropoli la stanchezza che avevano addosso diede loro l’impressione di aver viaggiato per interi giorni. Il Centro Pokémon, o meglio, il centro accoglienza che si era creato all’esterno dell’edificio era stracolmo di persone. Non era saggio stare all’interno di una qualsivoglia costruzione che sarebbe potuto crollare alla prima scossa, effettivamente.
Ciclamipoli non era stata particolarmente devastata ma quasi nessuno si fidava a restare dentro le abitazioni. La notizia di ciò che era accaduto alle Cascate Meteora e nel resto della regione avevano convinto a prendersi una lunga vacanza chi poteva farlo, andando il più lontano possibile.
Ma la notizia che era giunta da poco aveva avvilito anche le persone meno abbienti, costringendole a lasciare i raduni di sicurezza che erano stati organizzati da Walter per abbandonare la città, pregando e sperando nella fortuna.
Giunti nel presidio medico i ragazzi vennero fatti accomodare nella tenda principale, dove si trovava il macchinario adibito alla cura dei Pokémon. Fu Crystal la prima a staccarsi dal trio per poter affidare il Seviper che aveva catturato alle cure dell’infermiera. Il Pokémon Zannaserpe riposava quieto dentro la sua sfera. Lì le condizioni si erano mantenute stabili ma una ferita grave avrebbe potuto lasciare il segno, magari in modo indelebile.
“Che ha?”.
“Beh, è stato traumatizzato da una forte frana; ha riportato delle escoriazioni e delle ferite a livello osseo, e sicuramente qualche costa  si è fratturata... basterà un po’ di riposo e tornerà come nuovo. È davvero un bell’esemplare, complimenti”.
“No, non sono l’Allenatrice. L’ho catturato solo per curarlo. Lo rimetterò in libertà”.
“Capisco. Beh, adesso faremo una radiografia per vedere quante coste siano realmente rotte e se a livello vertebrale è tutto a posto. In caso contrario procederemo con l’immobilizzazione e la somministrazione di medicine”.
“Ok” sorrise la ragazza, carezzando la pelle squamosa dell’enorme Pokémon, precedentemente steso su di un tavolo.
 
Silver e Fiammetta, invece, erano rimasti a riposare, qualche metro accanto al macchinario. Tutti i loro Pokémon avevano bisogno di essere affidati alle cure dell’infermiera, prima però dovevano pensare a mettere qualcosa sotto i denti.
Fiammetta non aveva avuto il tempo necessario nemmeno a cambiarsi i vestiti della sera prima, mentre i due ragazzi contavano su una pacifica sveglia da Cheryl e sulla possibilità di prendere lì qualcosa da mangiare.
Ovviamente prima che il terremoto distruggesse tutto.
Il punto di raccolta era locato a Ciclanova, poco fuori la città, quindi chi non aveva intenzione di restare in casa era andato lì. Al centro medico però si erano comunque organizzati, dando beni di prima necessità gratuiti ai civili, visto che nei negozi i prezzi erano già diventati insostenibili.
Silver si abbandonò su di una poltroncina, Fiammetta sul divanetto.
Tutto il mobilio del Centro Pokémon era stato trasferito nei tendoni, quindi le sedute non mancavano.
Il ragazzo si passò una mano sulla fronte; era Dicembre ma faceva veramente troppo caldo. Abbandonò la testa all’indietro, poggiandola sullo schienale.
Ma non andava bene, c’era da fare, e quindi si alzò, prendendo con sé i propri Pokémon e quelli di Fiammetta. Avrebbe pensato lui a farli curare, lasciando alla ragazza il tempo di recuperare un po’ di sonno. Lei, diversamente da loro, non si era potuta concedere nemmeno quelle poche ore di riposo.
Raggiunse Crystal, ancora intenta ad osservare l’infermiera che sistemava le ferite di Seviper.
“Come sta?” abbozzò il ragazzo.
Quella si voltò, sbattendo gli occhi un paio di volte per darsi una svegliata; evidentemente star fermi ad osservare l’enorme vipera le stava facendo tornare il sonno mancato.
“... bene” disse, sbadigliando. “Le ferite sono profonde, ma con le giuste cure non avrà problemi ad essere rimesso in libertà. Tu?”.
“Oh, Fiammetta credo stia per crollare, quindi meglio che sfruttiamo il momento per far ricaricare a tutti le batterie. Onestamente volevo sapere se ci fosse da dare una mano in giro, altrimenti finirei per abbattermi anch’io.” sorrise, cercando di rassicurare la ragazza.
“Guarda che non sarebbe mica una cosa negativa, sai? Sei stanco, siamo stanchi tutti. Questo tour de force non è detto ci sia d’aiuto”. Premurosa, lei.
“A noi no, sicuramente. Ma potrebbe esserlo per qualcun altro” concluse il ragazzo, avviandosi al bancone con le sfere in mano.
Crystal non sapeva cosa pensare: era sempre stato ligio al dovere, e la sua rigidità d’intenti l’aveva sicuramente portato a sacrificare diverse ore di sonno pur di raggiungere i suoi scopi.
Ciò però non poteva far altro che accrescere la preoccupazione della moretta: a Silver non pareva interessasse.
Scosse la testa, riportando lo sguardo sul Seviper, ancora incosciente. Il lungo corpo era stato avvolto in bende bianche ed un Chansey si affaccendava attorno a lui, controllando man mano le sue condizioni. Appurato per l’ennesima volta che il suo aiuto lì sarebbe stato meno che marginale, la ragazza decise di alzarsi e di raggiungere le poltroncine dove Fiammetta riposava.
 
Passarono le successive tre ore al centro medico. Silver aveva messo in atto il suo piano d’aiuto, spostando scatoloni rimasti nel vecchio edificio pericolante del Centro Pokémon verso l’esterno, dove c’era più bisogno di derrate alimentari ed altro, ma c’era effettivamente ben poco da fare. Alla fine, al risveglio della Capopalestra dormiente, i tre decisero di muoversi. Crystal lasciò volutamente Seviper sotto le cure amorevoli dell’infermiera, specificandogli di liberarlo una volta in grado di poter sopravvivere autonomamente nella natura.
“C’è una pensione Pokémon sulla strada di Mentania” fece da guida la rossa. “Possiamo dirigerci lì a controllare le cose... Inoltre, se necessario, ci sarà più spazio, nel caso vogliate testare nuovamente la situazione dei vostri Pokémon… Anche se vi ho dato la mia medaglia non è detto che sia sufficiente, e scoprirlo in combattimento potrebbe rivelarsi una mossa troppo rischiosa. Magari fate un po’ di allenamento… Io potrei pure preparare qualcosa da mangiare...”.
Silver strinse i denti e la sfera di Grovyle contemporaneamente. Fiammetta aveva ragione, in un combattimento il suo handicap poteva rivelarsi fatale. Il supporto del Pokémon Legnogeco sarebbe stato veramente preziosissimo, con la sua rapidità e le mosse di tipo Erba.
Il cammino non era affatto lungo, coprirono la distanza fra la città e la pensione in meno di mezz’ora, ma la trovarono deserta.
“Effettivamente era una coppia anziana” ammise Fiammetta.“Forse alla prima scossa hanno intuito cosa stesse succedendo e se ne sono andati”.
Diedero un’occhiata in giro. La porta dell’abitazione era chiusa e dopo un unico tentativo decisero che non valesse la pena persistere nei loro tentativi.
Poi una voce li fece sobbalzare.
“Se stavate cercando la coppia Mackenzie devo avvisarvi che si sono trasferiti circa una settimana fa”.
Si girarono di scatto, quasi tutti con una mano sulle sfere, mentre osservavano il vuoto nella zona circostante.
“Calmi, calmi. Ecco, vedete, metto le mani bene in vista, non ho intenzione di fare nulla” la voce aveva un tono quasi divertito ed i tre osservarono a fondo la sua proprietaria: era una ragazza, poteva avere vent’anni circa ma il suo viso aveva ancora tracce della rotondità infantile. Lenti trasparenti nascondevano occhi azzurri dal taglio delicato mentre i capelli biondi erano acconciati in un taglio maschile, corti.
Tuttavia quella pettinatura le calzava a pennello, risaltandole il volto ed il lungo collo, che convogliava lo sguardo sull’eleganza della scollatura esigua. Indossava una semplice camicia bianca, una giacca beige e un paio di jeans, concludendo con un paio di ballerine, beige come la giacca.
Era bella, anche se sembrava voler fare di tutto per restare nella sobrietà. Crystal apprezzò l’estrema eleganza che ostentava.
“Scusatemi, non volevo spaventarvi... Il mio nome è Christine e sono una giornalista di HChannel, l’emittente televisiva principale di Hoenn”.
Fece un cenno di saluto con la testa, levando gli occhiali che inserì nella tasca della camicetta.
I ragazzi si scambiarono uno sguardo. Silver e Crystal erano tesi: una giornalista era la peggiore delle ipotesi possibili nell’ordine dei loro piani.
“Io sono Fiammetta, loro sono due miei amici... Come mai da queste parti?”.
La bionda portò per un istante lo sguardo sui due, inclinando la testa, come chiedendosi il perché della mancata presentazione, poi sorrise e si sistemò un ciuffetto corto dietro l’orecchio destro.
“So chi sei, era da te che stavo venendo” iniziò. “Dopo ciò che è accaduto a Cuordilava, la nostra televisione non poteva non fare un’intervista alla Capopalestra che ha rinunciato al suo ruolo pur di placare gli animi della città”. Il suo sguardo si era fatto di un azzurro vivo, brillante.
“Beh…” Fiammetta sembrava interdetta.
“Lo ammetto, all’inizio ero riluttante a seguire la vicenda, con tutto il rispetto, ma la ritenevo degna di un rotocalco di cronaca rosa, eppure... mano a mano che ci pensavo quest’idea si è radicata con più forza in me. Sei addirittura salita sullo stesso vulcano per assicurarti la sicurezza della tua gente ma buona parte di quei vecchi bigotti non hanno riconosciuto i tuoi sforzi. Tu però non ti sei arresa e pur di placare gli animi, pur di evitare la follia che avrebbe portato il gruppo alla distruzione, hai sacrificato te stessa, il simbolo della città e della tua famiglia. Il tuo ruolo di Capopalestra. Non dire niente... Potrebbe anche non essere andata così, ma questo è quello che i telespettatori vorranno sentire. Potrai riscattarti e diventare un’eroina, come una fenice che anziché far rinascere se stessa ridà la vita tutto ciò che ha attorno… Che ne dici?”.
Più parlava più il suo tono si faceva sognante. Involontariamente si era avvicinata alla ragazza, fino a prenderle le mani.
Fiammetta era esterrefatta. Non capiva come una simile interpretazione degli avvenimenti potesse essere saltata fuori, ma una parte di lei trovava quel racconto estremamente affascinante.
“Ehm... io, veramente...” titubò.
“Vedi” la ragazza la interruppe, posandole un dito sulle labbra. “So che sei confusa, spaesata ed indecisa, ma pensaci: questa è la miglior storia che potrà essere raccontata a riguardo, persino i cittadini di Cuordilava che non ti avevano molto a genio, dopo averla sentita, piangeranno commossi. Oggi è il tuo compleanno se non erro, quindi fatti questo regalo: accetta di parlare con me. Racconteremo al grande pubblico una storia tale da ispirarne un film. Il Pokéwood di Unima resterà allibito di fronte al grido di una giovane eroina della vita reale!” esclamò quella, con un pelo d’entusiasmo di troppo.
“Forse sta correndo un po’ troppo...”. Fiammetta arricciò le labbra, riuscendo, se possibile, ad apparire ancora più affascinante.
“Forse sì ma ha importanza? La storia è scritta dai vincitori, Fiammetta, ed ora ti viene data la possibilità di prendere in mano la penna”. Sorrise, con le labbra piene di malizia. “Non credere che sia una disperata, sia chiaro... Avrei anche un altro articolo, su alcuni vaneggiamenti riguardo la rinascita di uno dei team che portò Hoenn al collasso anni fa… Ma una notizia come quella non la vorrebbe leggere nessuno. In un periodo di crisi come questo sono gli eroi che servono, non altri nemici”.
I due Dexholder sbarrarono gli occhi, mentre Fiammetta si era già avventata sulla ragazza.
“C-cosa hai detto? Uno dei team... Dimmi tutto ciò che sai!”. Christine sorrise, mentre la rossa la scuoteva per le spalle.
 “Tu parli con me, ed io parlo con te... Mi sembra uno scambio equo di informazioni”.
La trattativa andò avanti per qualche altro minuto ancora, quando alla fine Fiammetta chinò la testa. Si poggiarono tutti sulla staccionata e l’intervista iniziò.
“L’eruzione… parliamo di qualche attimo prima. Che stavi facendo?”.
“Beh, stavo festeggiando il mio compleanno… ero in palestra, con i miei allievi, gli altri Allenatori ed alcuni cari…”.
“I soccorsi sono arrivati, per la cronaca. Li hanno tirati fuori sani e salvi”.
“Sono felice” fece lei, mascherando stanchezza e voglia di tranquillità dietro un sorriso finto.
“Beh… insomma, dal tuo punto di vista… come è successo tutto?”. Christine puntava un registratore verso le labbra rosee della ragazza, molto concentrata sulle sue parole.
“Ero nella palestra, e… insomma… la… la terra è tremata. Molti dormivano… cioè, era mattino inoltrato, ma alcuni di noi erano svegli. Io facevo la spola tra casa mia e la palestra, per vedere come stesse Jarica, mia sorella minore”.
“E quindi ti trovavi fuori quando il vulcano ha eruttato?”.
“Sì. E lo ha fatto con una velocità impressionante. Non mi aspettavo avvenisse tutto così presto, tant’è vero che è bastato il tempo di correre in casa a salvare Jarica che la lava stava per investire casa mia”.
“A quel punto…” disse la giornalista, con fare allusivo, ruotando il polso e di conseguenza la mano, come per tirare fuori le parole alla ragazza riagganciando un mulinello.
“A quel punto siamo corsi fuori ed in men che non si dica Cuordilava già non esisteva più. Quindi…”.
Fiammetta tentennò per un momento. Non doveva assolutamente menzionare dell’uomo del Team Magma.
“… quindi cosa, Fiammetta Moore?”.
“Quindi… quindi sono salita sul vulcano per vedere la situazione dall’alto… e…”.
“E..?”.
Crystal notò lo sguardo perso di Fiammetta mentre cercava qualche scusa in un archivio immaginario in alto a destra nel suo sguardo, quindi decise di aiutarla.
“E tutto era distrutto…” entrò in tackle la ragazza di Johto.
“Oh… tutto?” Christine si voltò verso di lei, fissandola con superficialità.
“Già. Tutto” riprese Fiammetta.
“Beh… ok. E quando hai capito di non voler essere più la Capopalestra di Cuordilava?”.
Fiammetta si morse un labbro e sospirò. “Sarebbe stato inutile essere Capopalestra di un posto che non esiste più… Tutto sommato riesco a rispondere alla tua domanda: sono in grado di dire che ho preso coscienza di ciò quando mi sono resa conto di non esser riuscita a difendere il mio popolo dal vulcano”.
Christine annuì, quindi sospirò e spense il registratore.
“Ora tocca a me… Non prendete tutto per oro colato, sia chiaro. Ho informazioni, verificate, ma potrebbero essere anche il parto della mente di qualche mitomane”.
Tirò fuori dal taschino della giacca un taccuino, con matita allegata, che appuntò sull’orecchio. Dopodiché prese a scorrere le informazioni confuse che la sua mano aveva segnato.
 “Allora, allora, allora... Tutto inizia verso il 7 o 8 dicembre. Due famiglie segnalano la scomparsa di alcuni ragazzi e uno dei due è il figlio del Capopalestra Norman, il prodigio delle gare Pokémon chiamato Ruby. L’altra è la sua fidanzata, figlia del professor Birch e sua Assistente nelle ricerche, Sapphire. Se non erro ha la medaglia della tua città, quindi suppongo vi conosciate”.
A Fiammetta parve d’inghiottire un grumo di sabbia.
 
Sapphire? È davvero scomparsa? Lei e Ruby hanno salvato Hoenn, non possono essere svaniti nel nulla.


“Ma… ma questo che c’entra con il Team Magma?”.
“Un testimone, non so quanto affidabile, dice che erano arrivati di corsa a Villa Vinci, ma che alcuni uomini in nero, con un segno sul petto, hanno teso loro un agguato, dopodiché se ne sono andati portandoli via. Il testimone ovviamente è restato anonimo e non sappiamo se le sue parole siano vere, ma i tempi corrispondono con le denunce delle famiglie, quindi ci siamo sentiti di escludere la fuga amorosa... Anche perché non so se i due siano realmente fidanzati... come detto, due fidanzati scomparsi fanno più audience rispetto a due ragazzi che si conoscevano in modo imprecisato”.
Riprese fiato, girando pagina, controllando di nuovo la precedente e poi la successiva, restando infine sulla centrale. Quindi mostrò alcune fotografie che aveva nella tasca della giacca.
“Ecco alcune foto scattate da vedute aeree dei terremoti, mostrano quasi sempre degli uomini vestiti di nero nei paraggi. Molte immagini sono talmente sfocate che è difficile dire se siano davvero persone o sterpaglie, ma il mio sesto senso di giornalista suggerisce che siano proprio degli uomini in nero. Come i rapitori dei due ragazzi”. Sembrava soddisfatta della sua interpretazione, da come gonfiava d’orgoglio il petto.
“Io... non vi farò altre domande. Ma per caso anche voi due siete del comitato di Hoenn? Il vostro accento, per quanto poco abbiate parlato, lo nega, ma voi sapete qualcosa di tutto questo, giusto? Non vi chiedo informazioni, non adesso. Voglio proporvi un affare: io vi passo ogni informazione reperibile sugli uomini in nero che tanto vi interessano, voi, a fine storia, date a me, Christine, l’assoluta esclusività del servizio. Vi intervisterò, vi filmerò e vi manderò in diretta nazionale sul salvataggio della regione. Equo, no? Gloria per entrambi e informazioni extra a voi. Per voi è una vittoria comunque la si metta, giusto?”.
Denti bianchissimi apparvero nuovamente, nel sorriso che i due stavano imparando a riconoscere come quello di una leonessa davanti ad una gazzella azzoppata.
“Non penso sia il caso…” fece Silver, conscio del fatto che non dovevano attirare attenzioni sulla loro missione e rimanere nell’ombra.
“Oh beh, nel caso cambiaste idea mi farò risentire... qualcosa mi dice che ci rincontreremo presto” sorrise entusiasta lei. E poi una voce roca li fece trasalire.
“Fiammetta! Dannazione, che ci fate qui?!”.
Risata. 
Crystal  spalancò gli occhi, cercando di capire come mai una persona anziana fosse così felice di vedere Fiammetta, in primo luogo.
E poi come facesse a tenere indosso un maglione con quel caldo.
Era abbastanza rotondetto. Mostrava un sorriso con ogni probabilità posticcio, nascosto da una barba bianca, simile a quella dei primi Babbo Natale nelle pubblicità della Coca Cola degli anni 50.
I pochi capelli che aveva erano dritti in testa. Sembrava un tipo elettrico.
“Walter! Sei tu, mi hai fatto prendere un colpo!” esclamò Fiammetta, salutando con una stretta di mano la giornalista che se ne stava andando.
“Sei viva fortunatamente! L’eruzione si è vista persino da qui!”.
“Sì… io sono viva. Anche grazie a loro” e puntò poi la stessa mano verso i due ragazzi silenziosi. “Te li presento, Silver e Crystal, il gruppo di rinforzo proveniente da Hoenn”.
Walter spalancò i piccoli occhi e quindi sospirò. “Quindi siete in incognito?”.
Silver annuì.
“Oh beh… Non c’è problema” sorrise ancora quello, mimando il gesto di una zip che si chiude sulle sue labbra.
“Ottimo” fece Fiammetta, riprendendo a camminare verso Mentania.
La strada che stavano percorrendo era totalmente deserta. Solitamente era frequentata, e pure abbastanza, da Allenatori ed Allevatori Pokémon, tutta gente con la voglia di confrontare le proprie abilità con i Pokémon. In quel momento invece era tutto deserto, solo alberi e zone erbose sovrastati dal cielo.
Piccole aiuole di fiori erano state recintate con assi di legno ben dipinte, di un marrone chiaro che ben si accostava con quello della corteccia dei cipressi e col verde dei piccoli arbusti cespugliosi che quelli proteggevano amorevolmente sulle proprie radici, come padri con figli inesperti.
“Lui comunque è Walter. È il Capopalestra di Ciclamipoli”.
“Piacere” dissero in coro i due forestieri.
“Temete che Groudon possa essere qui in città?” chiese poi Walter, preoccupandosi leggermente. “Sapete, Ciclamipoli è praticamente il generatore dell’ovest di Hoenn… Se succede qualcosa manderemmo tutti nel panico”.
Risata.
Crystal si caricò della responsabilità di ciò che avrebbe detto, anticipando tutti con un respiro profondo. “In realtà per ora stiamo andando a tentoni. È molto difficile per noi cercare di scovare Groudon: viaggia praticamente a pochi chilometri dal mantello, quindi assai in basso… È un po’ complicato”.
“Lo immagino” annuì serio Walter, ricordando sulla sua pelle la forza incredibile di Groudon e Kyogre quando, anni prima, fu lui a dover mettere mani su cuore e Pokéball per cercare di fermare il Team Idro e Team Magma. “E perché vi dirigete a Mentania?”.
Silver fece spallucce, silenzioso come sempre.
“I terremoti si sono sentiti un po’ ovunque qui ad ovest. Qualcuno potrebbe aver bisogno di aiuto”.
Il vecchio annuì e li salutò. Dopo una decina di minuti di cammino Mentania era alle porte. Il paesino non era molto grande, anzi, il contrario. Mentania era un piccolo villaggio costruito davvero con buon gusto. Tante piccole casette il legno con finestre ad oblò e tetti verdi spuntavano dal terreno come funghi. Il paese era nato nella valle tra le due conformazioni rocciose che si univano al centro di Hoenn, subito prima del deserto, ovvero il Monte Camino ed il massiccio nel quale era scavato il tunnel Menferro, e questo aveva contribuito a rendere famosa Mentania per via del fatto che lì l’aria fosse fresca e le acqua dei ruscelli che la costeggiavano limpide, lontana dallo smog delle grandi città.
Qualcosa però non andava.
Gli effetti dell’eruzione vulcanica si erano sentiti anche lì. Una seppur piccola ma distruttiva quantità di lava si era riversata da un cratere appena creato su di un paio di abitazioni, che bruciavano di fiamme ardenti. Queste poche case, adiacenti alla parete rocciosa, erano state investite dal flusso piroclastico. Fortunatamente la gran parte delle case erano state costruite sull’altro versante della città, e questo le aveva salvate, dato che se non ci fosse stato un enorme cratere proprio al centro del villaggio, come un gigantesco scarico per la lava, quel fiume rosso le avrebbe raggiunte.
 
“… ma cosa cazzo…” Fiammetta si avvicinò a quell’enorme buco scuro che si era creato tra le maglie della pavimentazione a mattonelle di Mentania. La gente mormorava, il fatto che Fiammetta e Walter, famosi personaggi che facevano capo alla Lega Pokémon, fossero venuti nella loro città preoccupava un po’ tutti.
Crystal si avvicinò al cratere enorme e sospirò.
“Questa è una depressione del terreno” sentì poi. La voce era solida ed apparteneva ad un uomo, in piedi proprio dall’altra parte dell’enorme buco.
“Strano che ci sia una depressione proprio al centro di un paese, no?” gli chiese Silver.
“Rocco!” esclamò sorridente Fiammetta, che parve subito tranquillizzata. Silver notò l’eccitazione negli occhi della rossa ma anche lo sguardo indagatore di Crystal: sembrava affascinata dall’aspetto e dall’ostentazione delle conoscenze in materia dell’uomo.
Lo guardò meglio: era alto. Molto alto. Snello, la camicia che indossava lasciava poco all’immaginazione, fasciando perfettamente bicipiti e pettorali. Manteneva tra le mani una giacca nera, alzandola dietro la schiena. Era molto elegante.
Passò a squadrarlo meglio. Era un uomo dai capelli insolitamente grigi ma con il volto di un poco più che trentenne. Gli occhi erano cristallini, proprio come quelli della ragazza dell’orfanotrofio che lo accompagnava in quell’avventura. Il naso puntuto sovrastava un paio di labbra grosse e rosee.
“Tu sei quello della statua” sorrise Crystal.
Quello sorrise, lanciando in aria una sfera da cui fuoriuscì un Metagross grigio. Saltò su di lui, tenendosi bene in equilibrio mentre il Pokémon attraversava l’enorme fossato levitando, quindi li raggiunse.
“Ebbene sì, sono quello della statua. Rocco Petri” fece, con evidente sarcasmo.
Lei sorrise nuovamente e gli strinse la mano, lui fece altrettanto, fissandola negli occhi.
Fiammetta invece si abbandonò letteralmente tra le sue braccia, poggiando la testa sui duri pettorali.
“Rocco! Dannazione, meno male che ci sei!” fece. Scaricò da dosso tutta l’ansia che aveva anche se agli occhi di Crystal sembrò atteggiarsi soltanto come una civettuola.
Difatti Rocco arrossì violentemente, dandole delle pacche sulle spalle con un ritmo parecchio irregolare, turbato com’era.
Silver si chiese proprio in quel momento cosa avesse di tanto eccezionale quel tipo. Naturalmente oltre a quel Metagross cromatico.
“Ok, basta Fiammetta... Che ci fate qui?”.
“Siamo in cerca di Groudon” rispose Chris, inclinando leggermente la testa.
“Oh... Beh, è difficile... ma avanti avete il bandolo della matassa”.
“Come?”.
“Già. Questa depressione nel terreno è stata creata proprio dal passaggio di Groudon. Probabilmente il terreno qui non era perfettamente ammassato, ed il suo passaggio ha creato una frana del terreno”.
“Dici che dobbiamo scendere qui giù? Sarà profondo centinaia di metri!” esclamò Silver.
“Ma sicuramente vi porterà in uno dei tunnel scavato da Groudon durante il suo passaggio”.
il fulvo costretto ad accettare l’assioma come valido. Avrebbero raggiunto Groudon più facilmente muovendosi nel suo elemento.
“E tu che ci fai qui?” gli domandò Walter.
“Cerco di aiutare. Qualcuno potrebbe avere bisogno di aiuto”.
“Fai bene” entrò in tackle Fiammetta, mostrandogli il suo sorriso. Rocco si voltò, snobbandola, e Silver si chiese come riuscisse a non notare l’attrazione manifestata da Fiammetta nei suoi confronti. Quella ragazza era bellissima ma lui preferiva non accostarvisi troppo, ed il motivo non lo conosceva.
Forse era gay.
Ma Fiammetta, con quel fisico prorompente e quel fare gagliardo, poteva facilmente disordinare i pensieri di chiunque. Soffocò quindi una risatina da dodicenne e guardò Crystal. “Andiamo?” chiese.
“Certo, non hai sentito quello che ha detto Rocco?”.
“E allora bando alle ciance, scendiamo qui sotto”.
“Forse è meglio che Rocco ci accompagni” disse ancora Fiammetta.
Quindi un urlo enorme si levò dalla montagna alle loro spalle e due esemplari di Aerodactyl si levarono al cielo.
“Santo cielo!” esclamò Walter, divertito, con le mani in tasca.
“Vorrei accompagnarvi, ma quei Pokémon potrebbero essere pericolosi. Questi terremoti hanno una brutta influenza su degli esseri aggressivi ed istintivi come lo sono alcuni Pokémon. Quei due Aerodactyl potrebbero creare problemi, meglio neutralizzarli”.
“Ci vorrebbe un Pokémon Ranger...” ragionò Walter.
“Beh, poi ci penseremo. È stato un piacere conoscervi, ma ora devo andare”.
Fece un salto all’indietro senza neanche vedere, e Metagross era lì, pronto a sorreggerlo.
“A presto” disse, e poi sparì velocemente verso i suoi obiettivi.
I quattro rimasero lì, a guardarlo.
“Non ti è passata la cotta, eh?” chiese Walter alla ragazza nata sotto al vulcano.
“Non credo proprio...” arrossì sorridendo.
“Fiammetta, è il caso di andare secondo me” s’intromise Silver.
“Ah, già! Ma aspettate! Walter, non è che per favore potresti lasciarmi due medaglie della tua Palestra? Possiedono dei Pokémon di Hoenn, consegnati loro dal Professor Oak in persona ed uno di loro ha mostrato segni di disobbedienza... Non so quanto durerà questo con solo la mia medaglia”.
“Abbastanza” rise lui, sempre con le mani in tasca. Quando poi le tirò fuori stringeva due pezzettini di ferro, colorati di giallo.
“Ecco a voi la Medaglia Dinamo, conferitavi dal membro più bello della Lega Pokémon” sorrise, posandole nei palmi dei due, che ricambiarono il divertimento.
“Grazie” dissero.
“Bene. Ora è il caso di andare”.
 
Walter alla fine si allontanò, fischiettando Part Time Lover di Steve Wonder mentre i tre si ritrovavano davanti a quell’enorme buco nero al centro di Mentania.
“Dovremmo calarci con una fune” pensò Crystal, ad alta voce.
“Abbiamo dei Pokémon” sospirò Silver, prendendo la sfera di Honchkrow.
“Anche io ho un Pokémon volante...” sorrise Fiammetta, prendendo una sfera e tirandola in aria. I due di Johto rimasero con i nasi alzati fino a che non furono in grado di vedere un enorme esemplare di Talonflame.
“Cavolo! È davvero maestoso!” si sorprese Crystal.
“È un esemplare enorme, già“ sorrise Fiammetta, mentre lo vedeva volare. “Tu puoi andare con Honchkrow mentre io e Chris potremmo scendere con lui”.
“Andata”.
E fu così che i tre scesero nell’enorme tunnel verticale di Mentania.
 

 
 

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Capitolo 8
*** Capitolo Settimo - Cenere, Polvere e Sudore ***


Cenere, Polvere e Sudore



Silver stringeva forte le piume del suo Honchkrow mentre, in caduta verticale, era costretto a tenere gli occhi chiusi per via del vento. I lunghi capelli rossi erano proiettati verso l’alto, come anche la sciarpa grigia che aveva attorno al collo.
Scendeva, cercando di arrivare verso la fine del baratro, senza però capire quando avrebbe toccato il fondo. Pensava, forse in maniera eccessiva.
Già, perché forse quella situazione di Groudon e del Team Magma era fin troppo grande per loro due, anche con l’aiuto di Fiammetta, che per altro gli era sembrata soltanto un graziosissimo involucro per un’Allenatrice acerba ancora incapace di reagire agli stimoli forti della vita.
Inoltre pensava che Crystal gli piacesse, e pure tanto. Avrebbe voluto riposarsi un po’, fermare quelle situazioni frenetiche e passare un po’ di tempo con lei, stesi su di un prato.
Mentre si chiedeva dove quello si trovasse, pensava che Gold fosse uno stupido,  e pensava anche che Rocco Petri non fosse poi così bello e forte come tutti credevano. Certo, aveva una statua ed era ancora vivo, ma non era nulla di eccezionale.
 E poi pensava che quella gola non terminasse mai.
 
E invece finì. La luce era davvero flebile e non si riusciva a distinguere nulla di ciò che avevano attorno. Il cielo sulle loro teste era un anello molto lontano, una luna bianca con lo sfondo di un cielo nuvoloso quanto bastava.
“Ci siamo” fece Silver, appena mise i piedi sul terreno morbido e friabile. Si guardò attorno, non riuscendo a mettere a fuoco praticamente nulla se non piccoli rivoli di lava che ancora doveva solidificarsi.
Fiammetta e Crystal atterrarono qualche secondo dopo. Balzarono atleticamente giù da Talonflame, avvicinandosi al fulvo.
“Ora... ora siamo qui” fece Fiammetta. “Che dobbiamo fare?”.
“Beh, cominciamo col seguire una pista, poi ci organizzeremo di conseguenza” rispose un po’ acidamente il ragazzo, levando la sciarpa ed infilandola nella tasca della giacca, lasciandone pendere un lembo. Il caldo era forte lì e Fiammetta sembrava a proprio agio.
“Groudon è vicino” sorrise quella, mentre le prime gocce di sudore le si creavano sulla fronte, intrappolate poi dalle sopracciglia sottili.
“Sei pronta, Crys?” chiese Silver, vedendola poi annuire ed afferrare una sfera.
“Intanto potremmo cominciare con l’illuminare un po’ la zona, che dite?”
Fiammetta prese una sfera e tirò fuori un esemplare di Torkoal. “Ravviva un po’ la zona, dai”. Il carapace di Torkoal, frammentato come formato da diverse placche rocciose, presentava delle trame tra le varie pezze; trame che si illuminarono di un rosso vivo al comando della ex Capopalestra.
Tutto attorno a loro prese sembianze rossastre, dando ai ragazzi l’opportunità di scrutare meglio l’ambiente che li circondava: erano in un ampio spiazzale ed il calore era davvero forte. Il terreno sotto i loro piedi era friabile, secco, ed in alcuni punti pareva nero di carbone, bruciato da qualcosa. La cosa li mise di buon umore, dato che quello non poteva significare altro che Groudon fosse passato da lì.
Il problema ora era solo davanti ai loro occhi: Torkoal avanzava verso la parete che aveva davanti.
“Ci sono... ci sono tre grotte” osservò Crystal. “Li ha creati sicuramente Groudon”.
Per terra le sue orme parevano stampe. “Sono grandissime” si ravvide Silver.
“È un Pokémon davvero enorme” rispose Fiammetta, sospirando ed avanzando verso Torkoal.
Il problema era diventato scegliere quale passaggio prendere. Insieme decisero di non volersi dividere dato che Torkoal era uno solo: due su tre si sarebbero ritrovati al buio.
Ergo, rimasero tutti assieme.
Presero per prima la via centrale e cominciarono a percorrerla.
Silver si guardava attorno, cercando di capire quante probabilità la volta della grotta avesse avuto di crollargli addosso. Sembrava solida, ma non potevano stare tranquilli.
“Il calore aumenta” osservò Fiammetta. “Vuol dire che ci stiamo avvicinando a Groudon”.
“Può anche essere che ci stiamo avvicinando ad una camera magmatica... Non dimenticare che siamo a parecchi chilometri sottoterra” fece invece Silver. Crystal annuì, continuando a camminare. La prima cosa che la ragazza notò fu la grandezza di quell’antro. Era davvero alto, e ciò poteva essere spiegato dalle enormi dimensioni di Groudon. Per terra c’erano le sue grandi orme, ed una linea continua, giustificata dal trascinamento della coda puntuta in più parti.
Era un vuotissimo antro, che a meno di cento metri sarebbe finito con una parete frontale, ed un ammasso di terreno franato.
“Qui non c’è nulla” fece Fiammetta, dispiaciuta, mentre la luce del suo Torkoal donava al suo splendido viso un rossore innaturale.
“Torniamo indietro...” sospirò Silver, voltandosi, quando il pavimento prese a tremare. Non era forte, era qualcosa di circoscritto;
“Non è un terremoto” ragionò Crystal. Poi capì. “Groudon! È qui sotto!” urlò, avvicinandosi a Silver e brandendogli il polso.
Le vibrazioni cessarono qualche secondo dopo e mano a mano che l’oggetto che avevano localizzato si muoveva verso l’uscita della galleria, alcune parti del pavimento collassavano, creando dei piccoli fossi, abbastanza profondi.
Fu un secondo di tranquillità di troppo, quello che aveva concesso loro di unire i loro respiri, quello che aveva scandito il passaggio della lancetta da una tacca all’altra nei loro orologi, a far credere che fosse tutto finito; bastò un passo di Silver che qualcosa si alzò dal terreno, emettendo un ruggito rabbioso. Crystal non riuscì a trattenere un urlo di sorpresa, mentre Fiammetta strinse forte  il labbro inferiore tra i denti, con gli occhi sbarrati.
Era un Golem, quello che si stava scrollando da dosso il terreno; fissava con occhi rossi e dilatati il gruppo di ragazzi.
“Grovyle!”.
“Marshee!”.
I due Pokémon si ritrovarono davanti un avversario di molto più forte.
“Attenzione ragazzi... non deve usare Terremoto... Non sappiamo come faccia a mantenersi in piedi questa grotta...” allertò Fiammetta.
“Sì, hai ragione!” esclamò Crystal. “Marshee, dobbiamo immobilizzarlo, vai con Pantanobomba!”.
L’attacco esplose sull’avversario, che si ritirò nel guscio qualche attimo prima dell’impatto.
“Tranquilla Crys. Cerchiamo di paralizzarlo, Grovyle!”.
Sfruttando l’ampia agilità, quello corse verso l’avversario, lasciando cadere delle spore. Golem non sembrò sentire gli effetti di nessuno degli attacchi, quindi prese ad usare l’attacco Rotolamento, dirigendosi verso Fiammetta.
Crystal le diede una manata, spostandola violentemente. “Via da qui, Fiammetta. Silver, distrailo!”.
“Ok!”.
Grovyle gli si parò davanti e lo guardò, con un cenno d’intesa.
“Usa Fendifoglia!”.
Quello saltò agilmente sul carapace di roccia dell’avversario e vi affondò un grosso colpo.
“Ancora Silver! Intanto: Marshee, usa Fossa per scavare una grossa buca!”.
Fiammetta rimase impressionata dall’unità d’intenti dei due, ancora una volta. L’uno lavorava per l’altra, per lo stesso obiettivo.
“Grovyle, ancora! Fendifoglia!”.
E mentre l’attacco andava a segno, Silver si girò, per guardare Marshtomp e la sua buca. Crystal annuì.
“Ottimo, ora tocca a me! Marshee, subito Idropulsar!”.
Onde d’acqua si abbatterono sull’avversario, ancora chiuso nel guscio, stoppando il suo rotolamento.
“Grovyle, tocca a noi! Riempi questo fosso di sonnifero!”.
“Cosa?!” esclamò Fiammetta.
“Lascia fare a noi… Ora Crys!”.
“Ok” rispose quella. “Marshee, fermati!”.
Golem ruggì forte, quindi indietreggiò di un passo per poi lanciarsi forte per terra, in un nuovo attacco Rotolamento.
“Bene, Marshee, corri verso il fossato!”.
Il Pokémon eseguì ma non sembrava essere totalmente a suo agio nel movimento fuori dall’acqua, tant’era vero che Golem, nonostante la lentezza dovuta ai colpi subiti, s’avvicinò pericolosamente al suo obiettivo.
“Dannazione, Marshee! Corri!”.
Quello non riusciva a fare di più. Non aveva dei piedi adatti alla corsa.
“Cavolo! Marshtomp!”.
Golem premeva sull’acceleratore, e nel momento in cui erano tutti sicuri che non si sarebbe salvato, Marshtomp fece un salto in avanti, illuminandosi.
“Non... Non è possibile! Si sta evolvendo!” urlò Crystal, a metà tra l’estasi e la sorpresa. La silhouette di Marshee s’ingrossò, fino a raddoppiare in termini di volume. Gli arti si allungarono, la coda divenne lunga, aprendosi a raggiera, ed un paio di pinne spuntarono sulle sue braccia.
Marshtomp era diventato uno Swampert.
“Come è possibile che già si sia evoluto?!” esclamò Fiammetta, incredula.
“Con Crystal ha molto feeling. I due sono sulla stessa lunghezza d’onda” spiegò Silver. “Inoltre la situazione richiedeva uno sforzo maggiore in termini d’esperienza, da parte di Marshtomp, che probabilmente, sotto pressione, ha deciso di voler dare il meglio di sé. Ecco perché si è evoluto”.
“Benissimo Marshee! Corri verso il fosso e saltalo!”.
Golem continuava a rotolare ma Swampert era nettamente più veloce, data l’enorme energia che le sue gambe gli conferivano assieme allo slancio. A grandi balzi raggiunse il fossato, lo saltò agilmente e si ritrovò a guardare la scena, accanto a Grovyle e Silver.
Golem, noncurante del fossato, continuò a rotolare, fino a caderci dentro. Era abbastanza profondo da non permettergli di uscire immediatamente, il che favorì l’effetto soporifero delle spore; Golem si addormentò ed il silenzio ricadde quasi tombale sui tre.
“Bravissimi” sorrise Fiammetta.
“Bravi i Pokémon” aggiunse Crystal, carezzando la testa di Swampert. “Sei incredibile!”.
“Ora torniamo indietro” fece cupo il ragazzo, facendo tornare Grovyle nella sfera.
 
E così i ragazzi tornarono nell’atrio dove erano atterrati con i loro Pokémon.
“Abbiamo appena utilizzato la via centrale. Ed ora? Sinistra o destra?” chiese Crystal.
“Sinistra”. La voce di Fiammetta rimbombò lungo le tre gallerie, che risuonarono con un rumore cieco e sinistro. “Sì, sento che ci stiamo avvicinando a Groudon”.
Fu lei stessa a muovere i primi passi nella seconda galleria prescelta, preceduta da Torkoal e seguita dai ragazzi, che intanto si guardavano attorno.
Quest’altra grotta era ancor più strana della prima: meno lineare e più frastagliata, le pareti erano colme di nicchie, come se qualcuno vi avesse scavato dentro.
Silver, curioso com’era, non poté non avvicinarsi ad una di queste pareti. Toccò con le mani la roccia e della polvere rossastra gli si attaccò alle dita.
“Qualcuno ha volutamente scavato qui dentro... Ha sgretolato la parete, come se cercasse qualcosa”.
Fiammetta annuì, sapendo i motivi di tutto. “Beh, queste rocce possono diventare molto calde” e contemporaneamente si deterse il sudore dalla fronte, dato che il calore aumentava sempre di più. “Con l’alto calore e la pressione si creano i cristalli. Qualcuno starà cercando qualche rubino... o degli zaffiri per esempio”.
Crystal guardò Silver, serio come sempre, mentre si mordeva leggermente il labbro inferiore, nuovamente.
“C’è qualcosa da quella parte” osservò poi lui, puntando il dito davanti. Le ragazze finirono di parlare tra di loro ed acuirono l’udito.
Crystal parlò. “È come... come se qualcosa di metallo stesse sbattendo contro qualcos’altro”.
“Già. Proprio come una piccozza”.
Crystal guardò Fiammetta, ed annuirono entrambe, aumentando il passo per raggiungere la fonte di quel tintinnio. I loro respiri combattevano contro il forte calore per fluire dalle narici.
I loro piedi lasciavano impronte nella sabbia rossastra di cui era formato il pavimento, alzando aloni fumosi che scomparivano dopo pochi istanti.
Fiammetta scorse un’ombra scura muoversi a ritmo con i tintinnii quindi si leccò le labbra, portando in bocca una gocciolina galeotta di sudore.
“Hey, tu! Chi sei?!” urlò.
La sagoma si bloccò di colpo, poggiando la piccozza per terra ed alzando le mani con fare colpevole.
“Io... Io...”.
Si avvicinarono e le maglie incandescenti di Torkoal illuminarono il suo viso: era un ragazzo piuttosto magro, con la barba nera e le basette molto lunghe, ben curate. I capelli erano corti, dello stesso colore della barba. Mostrava una muscolatura nella norma sotto una divisa celeste. C’era il simbolo dell’omega sul suo cuore, e sull’elmetto con torcia che portava in testa.
“Chi sei?” chiese ancora la ex Capopalestra di Cuordilava, fissandolo negli occhi.
“I-io sono... Ma che sta succedendo?!”.
“Lo sto chiedendo a te. Chi sei?”.
Il giovane sembrava altamente intimorito dalla figura di Fiammetta. “Veramente... io...” deglutì un boccone di puntine di metallo. “Io... sono un minatore...”.
“Con questa divisa?!” si avvicinò Fiammetta, puntandogli l’indice sul petto. “Sei del Team Magma?!”.
Quello sbatté la schiena contro la parete alle sue spalle. Proprio in quel momento Crystal scorse un pezzo di pietra nero tra i rimasugli degli scavi.
“No! No! Assolutamente no! Sono qui per trovare... Trovare delle pietre!”.
Il suo volto si perse per un momento negli occhi ardenti di Fiammetta, scivolando sulle morbide labbra per atterrare sull’ombelico scoperto di quella.
“Che pietre staresti cercando?”.
“Una... una pietra nera... di scarso valore. Si trova a queste profondità, ed ho pensato che, siccome c’era questo fossato, sarei potuto venire qui...”.
“E se è di scarso valore, che ci dovresti fare con questa pietra? E dimmi come ti chiami, altrimenti ti arrostisco davvero!” l’indice puntuto di Fiammetta si fermò sotto il mento barbuto del ragazzo.
“Mi chiamo J-Jason... E quella pietra piace molto a mia moglie... Vorrei metterla sull’anello che voglio regalarle”.
“È tua moglie e ancora le devi regalare l’anello?”.
“Sono povero”.
“In ogni caso non puoi stare qui” tuonò la rossa.
“Ma io devo cercare quella pietra!”.
“Sì, ma non lo puoi fare qui. In queste grotte sta girando Groudon. Un terremoto e a tua moglie regali una lapide con su scritto il tuo nome”.
“Non... non preoccupatevi” sorrise lui, stringendo gli occhi. “Io so cavarmela”.
“Io invece credo che tu debba andare via da qui. Forza!” urlò Fiammetta tirandolo per la pettorina della divisa.
“Ma aspetta! La mia roba!”.
Fiammetta scortò il ragazzo fuori, facendolo risalire in superficie, ed intanto Silver e Crystal non si mossero. Torkoal era rimasto con loro, e gli permetteva di vedere ciò che c’era attorno.
Erano rimasti in quella stanza, guardandosi attorno. La parete della montagna era pena di buchi, e per terra, ammassate ai loro piedi, vi erano numerose montagnole di polvere. Crystal si avvicinò al mucchietto che aveva adocchiato precedentemente e, sotto gli occhi incuriositi di Silver, vi affondò le dita dentro. Un attimo dopo ne estrasse quella pietra, nera come la pece, calda come il fuoco.
“Cercava questa”.
Silver la prese dalle mani morbide della ragazza e la squadrò, alzandola all’altezza degli occhi. Una piccola fiammella viveva all’interno di quel minerale nero.
“Wow...”.
Restituì la pietra alla ragazza e sospirò. Presero la piccozza e ritornarono sui propri passi, dato che quella stanza terminava con un grosso muro di roccia.
 
“Eccovi qui...” Fece Fiammetta, seduta sul pavimento, al buio.
“Ok. Non ci resta che andare nell’ultima stanza” rispose Silver, con la piccozza in mano.
“Già. Il tizio mi ha fatto un po’ di problemi, voleva assolutamente rimanere qui a cercare quella pietra nera”.
Non sapeva bene il motivo per cui non riferì nulla a riguardo del ritrovamento, ma Crystal preferì stare zitta; di certo Silver non avrebbe aperto bocca. Non lo faceva già normalmente, non avrebbe cominciato quel giorno.
I tre presero a camminare, sentendo mano a mano il calore aumentare.
Fiammetta sorrise. “È quella giusta”.
Le pareti della terza ed ultima galleria erano strette. Strettissime, davvero troppo strette. Camminavano come egiziani attraverso quel passaggio claustrofobico. Torkoal non riusciva a passare agevolmente lì, e quindi Fiammetta fu costretta a riporlo nella sua sfera. Poco avanti qualche scintilla si alzava dal pavimento sabbioso, andando a scontrarsi contro il soffitto della grotta. Una marea di scintille illuminavano a giorno tutto il passaggio.
“Cielo...” Crystal restò a bocca aperta, strabiliata da quel fenomeno.
“È incredibile...” sorrise Fiammetta. “Perché ci sono queste stelle qui sotto? Cosa sono?”.
“Non lo so” rispose serioso Silver, passando a fatica avanti. Le scintille emanavano calore, aumentando la temperatura ulteriormente. Crystal stava cominciando a risentire della pressione della situazione, e dell’alta temperatura. La tensione crescente non aiutava, e mentre Fiammetta scivolava sinuosamente tra le pareti strette alcune stelline si abbassarono e morirono, spegnendosi, sostituite subito da calde e luminose sorelle.
Incredibile davvero pensò Fiammetta. Non avrebbe mai pensato di potersi trovare in una situazione del genere. Sapeva però che quello sarebbe potuto essere benissimo un effetto di Groudon.
Lui era vicino, lo sentiva a pelle. Sapeva che presto o tardi avrebbe visto la sua rossa corazza, dura come il diamante.
I loro respiri ed i fruscii provocati dalle scintille sul soffitto erano gli unici rumori, uniti ai loro corpi che sfregavano lentamente le calde rocce ignee del passaggio.
Arrivati ad un certo punto le pareti si erano allargate all’improvviso; una camera enorme, larga una decina di metri quadrati almeno, si apriva dal corridoio stretto ed illuminato.
Stavolta due linee diritte, orizzontale, sulle pareti, fungevano da illuminazione. Erano soltanto due strisce di fuoco che terminavano alla fine della stanza, dove un corridoio di dimensioni, stavolta, regolari, proseguivano il percorso verso le profondità della terra.
Crystal guardò affascinata il fuoco. Qualcosa la ipnotizzò a tal punto da non rendersi conto che davanti a lei non ci fosse null’altro che l'ennesimo enorme fossato, e quindi inciampò, cadendo nel vuoto.
 
“Diamine! Aiutatemi!” urlò Crys, afferrando il bordo del precipizio con una mano.
“Cazzo!” esclamarono contemporaneamente Fiammetta e Silver, precipitandosi verso di lei.
“Afferriamola per le mani!” urlava la prima.
“Attenta a non cadere!”.
Crys era paralizzata, la terribile sensazione che sarebbe caduta le stava mangiando lo stomaco ed i polmoni. “Aiutatemi!”.
“Subito, Crys! Un momento!”.
Le mani della ragazza strinsero quelle dei suoi amici che, ben puntellati per terra, tiravano su.
Le mani di Silver, afferrarono quelle della ragazza. I suoi occhi scorsero il volto della bella, impaurito, quasi pietrificato. La paura di cadere fu enorme ed in lei qualcosa stava nascendo: la paura e la voglia di vivere, assieme alla sua rabbia, stavano fiorendo, facendo nascere un germoglio.
La forza dei ragazzi l’aiutarono ad uscire da quella situazione. L’adrenalina che scorreva nelle vene di Silver gli concesse di tirarla con così tanta forza da cadere di schiena sul pavimento della grotta.
E di far atterrare Crystal proprio su di lui.
Le loro labbra erano proprio a pochi centimetri, tremavano per la paura. I loro respiri erano brevi e irregolari, quasi come se respirassero una volta ciascuno, passandosi quel filo d’aria che fluiva lieve tra le loro bocche.
I loro occhi si guardavano. Cristallini quelli della prima, Silver riusciva a penetrare le sue iridi, leggendo la sua essenza, la sua purezza; la sua anima candida.
Era affascinato da quello sguardo.
“Andiamo” fece Fiammetta, senza accorgersi di aver interrotto un bacio.
I due si rimisero in piedi e si ripulirono i vestiti dalla polvere.
“Ok... Il corridoio continua, e dobbiamo superare questo enorme fossato” ragionò Silver.
“Meganee!” urlò Crystal. Il Pokémon uscì dalla sfera e tutto d’un tratto s’espanse il profumo forte dei petali che il Pokémon Erbe possedeva attorno al collo.
“Meganee, legaci attorno alla vita con le tue liane e portaci dall’altra parte”.
Passarono prima Crystal e Fiammetta, quindi Silver. L’Allenatrice fece rientrare il suo Pokémon nella sfera ed avanzò.
Il corridoio si stringeva di nuovo ma non era quello a preoccuparli: dal fondo della camminata provenivano rumori strani, rumori strascicati, come se fossero quelli dell’interno di uno stomaco. Qualcosa ribolliva, proprio come una pozione in un calderone.
Qualcosa viveva, alla fine di quel corridoio.
Torkoal fece qualche passo avanti e, mentre Crystal si sorprendeva del fatto che sotto i loro piedi la terra fosse letteralmente bruciata, Silver notò un’enorme orma. E poi un’altra.
“È qui”.
Fiammetta sorrise. Avrebbero finalmente catturato Groudon, e tutto sarebbe finito. Si sarebbe cominciata la ricostruzione dell’ovest di Hoenn, di nuovo tutto alla normalità.
Confidava nell’abilità di Crystal nella cattura.
Alla fine del corridoio Torkoal divenne totalmente inutile. Una luce folgorante illuminava d’arancione il tutto.
Silver sentiva un calore insopportabile. “Questo è magma”.
“Già...” sorrise Fiammetta. “Siamo terribilmente vicini”.
Il rosso arrivò alla fine della stradina scavata nelle rocce, quindi si affacciò.
“Attenzione, è un nuovo fossato. Ma stavolta si vede perfettamente cosa c’è...”.
Crystal e Fiammetta lo raggiunsero, affiancandolo e guardando giù: un lago rosso emanava un calore immane; fumi ad alte temperature lasciavano quell’ammasso liquido salendo fino ai volti dei ragazzi, riempiendogli le narici con l’odore forte dello zolfo.
“Abbiamo raggiunto una camera magmatica” fece l’esperta del fuoco.
Nessuna delle due seppe il vero motivo per cui Silver, incuriosito, prese la piccozza che aveva raccolto precedentemente e la gettò nel magma.
Stava di fatto che quella atterrò con un tonfo sordo. Una fiammella anticipò un ricciolo di fumo nero, che aveva con ogni probabilità liquefatto il metallo dell’attrezzo, sostituendolo con delle bolle di gas che salivano verso la superficie.
“Perché lo hai fatto?” chiese Crystal, osservandolo. Le gocce di sudore sulla sua fronte attestavano l’enorme calore che c’era lì dentro. Silver alzò leggermente il mento, come ad indicare quello che stava accadendo.
“Che dovrebbe succedere?!”.
 
Già. Cosa?
 
Il livello del magma cominciò lentamente a salire. Fiammetta spalancò gli occhi, poi spalancò letteralmente la bocca quando, dal magma, riuscì a vedere la forma puntuta del viso di Groudon, con le fauci spalancate.
Era incredibile vederlo, quasi pensò fosse tutto frutto delle allucinazioni date dai gas che stavano inalando.
Crystal rimase paralizzata mentre il volto di Silver era granitico, concentrato. Mano a mano che Groudon si avvicinava il calore aumentava; cominciavano a crearsi scintille nell’aria, proprio come quelle che avevano visto precedentemente, nel corridoio claustrofobico.
La corazza di Groudon era formata da varie placche rosse, ora ricoperte quasi interamente dal magma incandescente. Gli occhi e le parti che dividevano le varie placche del suo corpo erano illuminate di luce bianca, accecante.
Non sapevano se avere più paura del fatto che quell’enorme Pokémon si stesse avvicinando a loro oppure se essere più sorpresi dall’averlo trovato.
“Cazzo...” la voce di Fiammetta si ridusse ad un flebile soffio in cui lingua e denti incrinavano l’aria proveniente dai suoi polmoni.
Groudon ruggì, allargando le braccia possenti. Sembrava fluttuare sul magma, il cui livello aumentava sempre più velocemente.
Quando il volto di Groudon, l’enorme volto di Groudon, fu a meno di tre metri dai tre ragazzi, sentirono un ruggito ancor più ruggì ancor violento, facendo cadere i tre per terra.
“Maledizione!” urlò Fiammetta, rimettendosi velocemente in piedi.
“Non gli è piaciuta la piccozza...” osservò sorridendo Silver, con una leggerezza inaspettata.
“Dobbiamo catturarlo!”.
Crystal si voltò di scatto. “Che cosa vorresti fare?! Gli effetti dei suoi attacchi potrebbero distruggere tutto, qui, ed ammazzarci!”.
“Non ti basta lanciare la Poké Ball?!”.
“Dannazione, Fiammetta! È un Pokémon leggendario! Non posso catturarlo così, schioccando le dita! La cattura potrebbe fallire, e allora lui sicuramente ci attaccherebbe!”.
La rossa annuì, mentre fissava gli occhi illuminati di Groudon.
“... Dobbiamo fuggire...” fece Silver.
L’enorme Pokémon ruggì ancora, ma stavolta il livello del magma salì così velocemente da costringere i ragazzi a fare qualche passo indietro.
“Sta usando Eruzione!” urlò Crystal.
“Cosa?!”.
“Eruzione! Questo fossato gigantesco diventerà un vulcano! E noi siamo letteralmente fregati se non scappiamo via!”.
L’ultimo ruggito del Pokémon sancì l’inizio dell’enorme attacco, e dopo un’esplosione violenta il magma si riversò viscoso e denso contro di loro. A nulla servì cominciare a correre, dato che dopo pochi metri c’era l’altro fossato, quello bypassato grazie a Meganee.
“I Pokémon volanti!” urlò Crystal.
Fiammetta tirò in aria la sfera di Talonflame, Silver quella di Honchkrow, e cominciarono a volare oltre l’enorme buco, che il magma, veloce oltre ogni immaginazione, riempì subito, continuando l’inseguimento dei ragazzi.
“Il corridoio stretto delle stelle! Come facciamo?!” urlò Crystal.
“Honchkrow, vai con Palla Ombra!”.
Un’enorme sfera di energia oscura distrusse una parte della parete, facendola franare, ma creando abbastanza spazio per il volo rapido dei due Pokémon.
L’unico peccato fu il fatto che il magma stesse per inghiottire quelle stelle meravigliose.
Avrebbero conservato il ricordo nella loro memoria. Ovviamente morte permettendo.
Il magma continuava la sua corsa, ed il piccolo vantaggio che si erano creati divenne praticamente nullo quando a pochi metri da loro la massa bollente stava per bruciare i Pokémon volanti vivi.
Con loro sopra.
“Dobbiamo aumentare la velocità!” urlò Fiammetta.
“Forza!” ribadì Silver.
Uscirono dalla galleria ed imboccarono la salita verticale; vedevano il cielo su di loro, Mentania tutto attorno.
“Volate, dannazione! Volate!” urlava Fiammetta, appiattendosi quanto più era possibile su Talonflame, cercando di non perdere l’equilibrio.
Crystal strinse forte la donna davanti a lei, mentre vedeva Silver ed il suo Pokémon davanti a loro.
“Ci siamo quasi!” urlava quello.
La salita verticale era più o meno alla fine, ma il magma continuava la sua risalita, il suo inseguimento, riempiendo gli animi dei tre di panico e terrore.
La voglia di vivere era troppa.
“Forza!” urlava Fiammetta.
“Avanti!” rincarava Crystal.
 
Thomas Marlow, Tommy per gli amici e mamma e papà, era un ragazzino di dodici anni, e viveva a Mentania da praticamente tutta la sua vita.
Tommy era un ragazzino di dodici anni, molto curioso.
Tommy era un ragazzino di dodici anni, molto curioso, che aveva appena visto un enorme fosso fuori casa sua.
E va da sé che se vedi un fosso enorme, proprio fuori casa tua, tu ti ci affacci.
Tommy immaginava mille cose: sperava di poter vedere un lago, un lago sotterraneo, limpido ed enorme, nel quale fare meravigliosi tuffi con i suoi amici, proprio in estate, quando la temperatura si alza ed il sole batte forte sui tetti verdi di Mentania.
Tuttavia era parecchio sicuro del fatto che il fondo di quell’enorme fossato non si vedesse. Aveva dodici anni, ed aveva visto parecchi film dell’orrore; sapeva che se avesse visto all’interno del fossato enorme qualche mostro immondo vi sarebbe uscito e l’avrebbe trascinato giù con sé.
Lui però era già un Allenatore. Aveva il suo Volbeat con sé, avrebbe potuto fronteggiare qualunque avversario.
Il suo Volbeat era forte.
Con lui riusciva a sconfiggere tutti i suoi amici. Tranne Jay Jackson, che con il suo Combusken finiva sempre per arrostire il suo Pokémon.
Odiava Jay Jackson, così pieno di sé. Se la tirava tanto solo perché aveva un anno in più. Alla fine Tommy sapeva bene che sotto quella facciata da duro ci fosse un bambinone viziato.
Un bambinone viziato che non aveva nemmeno il coraggio di guardare nell’enorme fossato.
“Beh, io ci riesco!” gli disse Tommy, con spocchia e convinzione.
“Non credo proprio!”.
“Guardami!”.
E fu così che il piccolo Tommy si avvicinò al bordo frastagliato del fosso, e vi guardò giù.
Due figure si muovevano verso lui, portandosi dietro una scia di luce rossa.
“Due mostri!” urlò il giovane, gettandosi per terra, ed indietreggiando il più velocemente possibile, con i fondelli sul pavimento d’erba bruciata dal freddo e dalla neve di Mentania di qualche settimana prima.
“Lo sapevo che eri un fifone! E sei anche un bugiardo!” urlava Jay Jackson.
“Non è vero!” urlò piangendo Tommy, scappando via e chiudendosi in casa.
Jay Jackson ghignò. Non avrebbe mai avuto il coraggio di andare ad appurare l’esistenza dei mostri, sapeva quanto Tommy fosse un bugiardo.
Poi le sue orecchie si riempirono di qualcosa. Gorgoglii strani e voci trascinate, lontane.
“Dai!” sentiva.
“Forza! Manca poco!”.
Jay spalancò gli occhi. “Aveva ragione...” sussurrò, immobile. Poi si voltò, correndo verso casa sua.
Fu proprio il momento in cui la porta della casa del giovane sbatté sullo stipite che, come due fulmini, Talonflame e Honchkrow si fiondarono nel vasto cielo di Hoenn, seguiti dalla colata lavica, che con forza esplose verso l’alto, per poi riatterrare nello stesso fossato.
Zero danni, zero morti. Solo un fossato pieno di lava al centro della città.
Un monumento particolare.
 

 
 

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Capitolo 9
*** Capitolo Ottavo - Giù ***


Giù


Il corpo tonico di Silver si immerse nell’acqua bollente. Aveva davvero bisogno di rilassarsi e di levarsi da dosso cenere, polvere e sudore dopo quella mattinata fin troppo impegnativa.
Era seduto nella vasca del centro Pokémon, totalmente nudo, i capelli erano legati sulla testa con un codino. Un ciuffo, quella dannata ciocca ribelle, gli ricadeva davanti agli occhi, già appannati dal vapore che si sollevava dall’acqua nella vasca; dopo i primi tre tentativi di tenerlo fermo desistette.
Il calore dell’acqua massaggiava i muscoli intorpiditi, stanchi, e rilassavano il sistema nervoso, ultimamente troppo sollecitato. Come fosse stato un riflesso spontaneo, il suo dito disegnava cerchi delicati sulla superficie dell’acqua.
Forse fu proprio quel calore a fargli desiderare una vasca più stretta, ed un corpo da toccare, proprio di fronte a sé.
Voleva il corpo di Crystal lì di fronte, e non per soddisfare i bisogni carnali, quanto per godere di quella vista.
Gli piaceva, non poteva negarlo e, sebbene avesse intimato a se stesso più volte di non distrarsi, di rimanere concentrato, trattenere i battiti di quel “coso” che aveva nel petto gli risultava difficile.
Stanco e stressato, doveva andare avanti, limitare tutti i comportamenti ambigui che il suo cuore magnetico avrebbe avuto vedendo il ferro temperato della bellezza di Crystal.
Si sollevò con le braccia sui bordi della vasca ed una piccola pioggia di gocce limpide scivolò giù dal suo corpo. Uscì e prese ad asciugarsi.
“Silver! Hai fatto?” chiedeva proprio Crys, fuori alla porta, seduta a rigirarsi i pollici.
Fu questione di pochi secondi, il rosso uscì con l’accappatoio aperto, i boxer in vista ed ancora i capelli alzati.
“Tutto tuo...” fece, andando via.
Crystal sorrise, grata di potersi levare da dosso la fatica con una bella doccia. Sarebbe stata più rapida di Silver, poco ma sicuro. Lui aveva fatto un bagno, probabilmente non riusciva a gestire bene quel genere di stress.
Una volta entrata, chiuse a chiave la porta. Era da sola, quindi sfilò i vestiti da dosso e li pose in una busta: erano da lavare, e lo avrebbe fatto al primo specchio d’acqua dolce, a mano, come le avevano insegnato da piccola.
Si rese conto solo allora della grande quantità di vapore nell’aria. C’era solo una luce in quel piccolo bagno, grazie ad una lampadina fluorescente compatta proprio sopra lo specchio. La fissò per un attimo per poi rendersi conto di una cosa: si avvicinò proprio allo specchio, i suoi piedi calpestavano le mattonelle bianche chiazzate dall’acqua caduta probabilmente dal corpo di Silver, ma non ci pensò.
L’unica cosa che contava in quel momento, e che probabilmente era la causa del suo sorriso, era quel cuore disegnato sulla condensa del vetro.
 
Il gruppo si rimise in marcia. Con l’aiuto di Pokémon molto potenti e l’intervento tempestivo di Walter e Rocco, la popolazione di Mentania riuscì ad arginare l’afflusso di lava dall’enorme cratere.
“Conviene andare avanti. L’eruzione di Groudon potrebbe aver creato dei danni anche al paese accanto” fece Fiammetta.
“Ciclamipoli?! No, Walter ha detto che è stato tutto tranquillo lì” le rispose Crystal.
“No, intendo Ferrugipoli. Ci si arriva passando per il Tunnel Menferro, che è proprio lì” indicò la rossa.
Silver fu il primo a muovere i passi verso quel posto. Il bagno lo aveva decisamente rilassato.
Avrebbero dovuto far presto ad attraversare il tunnel, dato che il sole stava per timbrare il cartellino e ritirarsi nei suoi alloggi; si sarebbero accampati all’esterno della grotta, sicuramente, se non ce l’avessero fatta ma a quanto aveva spiegato poi Fiammetta il tunnel non era molto lungo, indi per cui affondarono i piedi nel buio iniziale dell’antro per poi rendersi conto che varie lampade irroravano di luce debole e giallastra il circondario.
I terremoti avevano dato qualche problema al sistema elettrico dato che, contemporaneamente, tutte le lampadine davano segnali d’intermittenza.
Il tunnel Menferro era un posto particolare. La pietra di quella grotta era porosa, di uno strano colore tendente al grigio - verde e le pareti avevano dei piccoli cunicoli che fungevano da tana per tanti esemplari di Whismur.
Fiammetta alzò il cappuccio del giubbino di jeans: non voleva che qualche Zubat impazzito le si impigliasse tra i capelli. Il suo sguardo scrutava curioso ed intimorito il soffitto della grotta, dove stormi di pipistrelli a testa in giù sostavano quieti e sonnecchianti.
“Proseguendo dritto arriveremo a Ferrugipoli”.
Crystal annuì. Si era cambiata. Ora un vestito a fascia le adornava il busto, mettendone in risalto il seno. Il colore era il solito rosso che spesso portava nel suo vestiario. Caldo, ma non troppo vivace, quasi lievemente sbiadito. Sotto di quello, un paio di leggins grigio scuro le proteggeva le gambe da possibili graffi. Il tutto era completato da un paio di scarpe da trekking dello stesso grigio, dalla spessa suola resistente al calore.
Silver sembrava apprezzare molto, la squadrava da capo a piedi senza riuscire a trattenere il sorriso quando lei non lo guardava.
Fiammetta aveva informato i ragazzi del fatto che la grotta fosse attraversata frequentemente da avventurieri e semplici pendolari, che lavoravano a Ferrugipoli nelle grandi aziende d’estrazione nella cava, o alla Devon S.P.A.
E camminarono per diversi minuti, attenti a dove poggiavano ogni passo, timorosi e vogliosi di riprenderlo subito con loro, quando Crystal scrutò qualcosa.
“Ma... ma quelli chi sono?” domandò, più a se stessa che agli altri.
“Come dici?” chiese a sua volta Silver, distratto dai vari avventurieri che si scambiavano pareri sulla strumentazione da scalata più efficace.
“Ci sono due persone proprio lì... in mezzo al percorso”.
Fiammetta strinse le palpebre per mettere meglio a fuoco: due persone, vestiti neri, un macchinario enorme tra di loro.
“Team Magma!” urlò, correndo verso di loro. L’impulsività della ragazza lasciò i due Dexholder perplessi, dando loro giusto il tempo di far sedimentare quella coppia di parole. Poi la seguirono e Silver la raggiunse per prima.
“Che volete adesso?! E cos’è questa macchina?!” urlava la Fiammetta, gesticolando vistosamente.
I due si voltarono immediatamente, e sorrisero.
Il primo era sicuramente il tizio che aveva sfidato sulla cima del Monte Camino. Sorrideva, la dentatura era ben disposta lungo le labbra. Le braccia erano invece incrociate sui pettorali ed i capelli nascosti dal cappuccio, eccezion fatta per il ciuffo biondo che fuoriusciva, sempre sull’occhio sinistro.
La seconda era una ragazza, magra, capelli scuri, con un braccio steso lungo il fianco ed uno che premeva contro l’anca, piegato.
“Rispondete!” urlò Fiammetta. “Cos’è quella macchina?!”.
“Questa?” chiese quello, carezzandola. “Questa è una macchina ad ultrasuoni”.
“Una macchina ad ultrasuoni?! Cosa credete di fare con quella?!”.
“Sapete… Voi mi avete stufato. E tu, non dimenticare che sei mia” puntò lo sguardo sulla rossa.
L’altra girò il volto, quasi disgustata, e lo spintonò leggermente. “E così la Capopalestra è tua...”. La voce di quella era calda e suadente.
“Già. Ha perso contro di me e adesso me la porterò via”.
Silver pensò che quel teatrino fosse già abbastanza inopportuno senza la dichiarazione di relativo possesso di Fiammetta. Fece un passo avanti, spostando la rossa e ponendosi davanti a lei.
“Ora basta” digrignò i denti.
Il biondo sorrise. “Tu... tu sei quello con problemi nel controllare la rabbia”.
“Appunto”.
“Silenzioso”.
“Andate via”.
La ragazza sorrise, dopo una sorta di sbuffo, e guardò il compagno. “Dice che dovremmo andare via”.
“Non hanno capito nulla” rispose di contro lui.
La mora fece un passo avanti. “L’eruzione causata al di sotto di Mentania ha fatto sprofondare Groudon in uno stato di quiete. E a noi questo non piace”.
“Andate via, o saranno guai. Sarete arrestati!” s’irritò Crystal.
“Arrestati?!” intervenne il ragazzo, ridendo di gusto, manifestando superiorità. “E a che pro? Rinchiudere un uomo in una gabbia è come ammazzare un leone. Orgoglio e libertà che vanno via. Chi si permette di fare una cosa del genere non conosce democrazia né uguaglianza. Meno ancora giustizia”.
“Quindi sarebbe giusto far morire milioni di persone per i vostri scopi loschi, esatto?”.
“Sarcasmo portami via... Tizia con i... codini...” si pronunciò la bella nemica, quasi deridendola. “Finché fai parte di una giustizia imperfetta, umana, fallace, non conoscerai mai la verità universale. La giustizia vera e propria è quella che impone agli altri di esser tutti uguali. Non esiste ricco né povero al di fuori delle mura amiche”.
Crystal pensò che non avesse tutti i torti. Fosse stata una politica avrebbe riscosso molto successo. Purtroppo era una terrorista.
La differenza era labile, avrebbe voluto sorridere di quella cosa.
Chiaramente non era il momento.
“Esistono anche modi e modi: se vuoi cambiare il mondo non puoi pensarlo di fare tutto in una volta”.
“Io non posso perder tempo; mentre io e te stiamo parlando, qui, adesso, un uomo sta catturando un Pokémon. Un altro lo sta rinchiudendo in una gabbia, lo sta vendendo. Qualcun altro sta uccidendo una specie intera, che forse nemmeno conosciamo. Altri stanno distruggendo le loro case, le foreste, i mari. Le montagne... Dimmi, tizia con i codini, questa è giustizia?”.
Silver guardò la ragazza e s’intromise. “Non si tratta più di Pokémon, ora. Ora si tratta di milioni di vite umane. Voi siete degli assassini. E dovete andare via”
“Dannazione, smettila di volerci cacciare. Non ce ne andremo” rispose la mora. Dopo aver pronunciato quelle parole, il suo collega sorrise soddisfatto. “Ben detto”
“Vi sfido” fece Silver, con sgomento da parte di Crystal. Sapeva che alla fine sarebbero giunti a quel punto ma sperava di rimediare con la diplomazia.
“Lascialo a me” sorrise di contro il biondo.
“Ok Andy. Fai tu”.
 
Feraligatr vide Zoroark apparire in campo. Non gli bastò molto per capire che avrebbe dovuto abbatterlo.
“Mi pareva di averti visto con un negatissimo Grovyle” sorrise quello.
“Feraligatr, Troppoforte” si limitò a dire Silver, puntando con decisione l’indice contro il Pokémon.
L’alligatore si gettò a capofitto sull’avversario, pronto a sottometterlo con colpi casuali, ma il repentino intervento di Andy lo costrinse ad attestare quanto il suo avversario fosse veloce.
“Salta, ed andiamo... Vediamo quali sono le paure di Feraligatr” sorrise quello.
All’improvviso tutti alzarono gli occhi al cielo. Erano in mezzo ad una tempesta di fulmini. Uno cadde veloce vicino all’alligatore azzurro, tanto da farlo ruggire.
“Feraligatr, calmo” strinse i denti Silver. “È tutta un’illusione”.
I fulmini cadevano, con cadenze irregolari ma tutti molto vicini a Silver ed al suo Pokémon. Crystal rimase scioccata da quello che vedeva.
E ad un certo punto anche Silver fu costretto ad aprire la bocca.
Uno Zapdos ruggì all’improvviso, dall’alto del cielo.
Feraligatr allargò le braccia, urlando. Aveva davvero paura. “È Zoroark! È tutta un’illusione! Fermati!”.
“Zapdos, perché non lo attacchiamo con Fulmine!” chiese Andy, con una poca contestualizzata gentilezza.
“Feraligatr, cazzo...”.
“Devi colpirlo!” urlò poi Crystal, dalle retrovie. “Quando lo fai l’illusione svanisce!”.
“Sentito Feraligatr?!”.
A parole pareva tanto semplice. Combattere contro le proprie paure, però, non era assolutamente facile. I buoni guardavano lo sguardo timoroso del Pokémon Mascellone volteggiare sulle ali di quello Zapdos che si stava preparando a colpire.
“Feraligatr!” urlò Silver.
Fu il momento di vedere quella saetta biancastra lasciare quell’ammasso di nuvole e dirigersi proprio verso di lui, che quello rinsavì. Rotolò a sinistra, e si mise sulle quattro zampe,sfruttandole per avere maggiore rapidità e stabilità.
“Usa Idropompa!”.
Una possente colonna d’acqua partì dalla bocca del Pokémon, trapassando l’avversario letteralmente.
“Esageriamo! Tuono!” rise Andy notando l’agitazione di Feraligatr e riempiendo i padiglioni auricolari con le urla di Silver che cercava di calmarlo.
 
“L’ha totalmente attraversato. L’attacco di Silver non ha avuto alcun effetto” osservò sgomenta Fiammetta. Ormai non si rendeva più conto di cosa fosse apparenza e cosa realtà.
“Non è successo nulla...” ragionò Crystal. “E... e poi la macchina ad ultrasuoni è sparita. Ed anche la ragazza... dove sono loro?”.
“È un’illusione, lo sai”.
“Sì, so che è un’illusione. La questione è che voglio sapere dove sono!” s’irritò nuovamente.
“Perché?!”.
E all’improvviso capì.
“Silver! Zoroark non è Zapdos! Quella è solo una proiezione mentale!”
Il rosso si girò. “Feraligatr, non preoccuparti di Zapdos, ma usa lo stesso Idrondata!”.
Feraligatr aveva appena evitato l’ennesimo attacco elettrico e, nonostante avesse dei seri dubbi sul fatto che il suo attacco fosse potuto andare a buon fine data l’altezza dell’obiettivo, eseguì in silenzio.
Un’onda dall’altezza e dalla potenza tremenda si espanse tutt’attorno a lui.
“No, Zoroark! Evitalo!” urlò Andy. Si sentì soltanto il verso del Pokémon Mutevolpe sofferente.
“L’attacco è andato a buon segno!” urlò Fiammetta, felice.
D’improvviso, proprio come un castello di carte dopo una forte folata di vento, l’impalcatura delle paure di Feraligatr si sgretolò, fino a mostrare nuovamente il Tunnel Menferro, con Andy e la sua avvenente collega.
I loro piedi affondavano in una fanghiglia verdognola. Zoroark vi era immerso, steso di spalle.
“Approfittiamone: vai con Colpo” fece Silver, vedendo poi il suo Pokémon gettarsi a capofitto contro l’avversario; bastò poco, un paio di pugni ben assestati per mandare fuori combattimento Zoroark e chiudere quella sfida.
“Bravissimo Feraligatr” continuò il fulvo, asettico, facendolo rientrare nella sfera. “Ora che hai avuto la tua lezione vai via”.
Gli occhi di tutti furono puntati su Andy.
“Sparisci!” urlò Crystal, sanguigna come non mai.
Gli occhi verdi di Andy si alzarono verso Silver. “Tu... tu forse non capisci...”.
“Probabilmente è così. Andate via”.
“L’equilibrio del mondo come oggi lo conosciamo è stato dato da innumerevoli disastri. Terremoti, estinzioni di massa, glaciazioni, desertificazioni. Il clima mitiga le nostre anime, la natura ci mette a disposizione il fabbisogno per andare avanti ogni giorno... Tuttavia distruggiamo tutto, come un cattivo ospite”.
“Andate via” ripetè di nuovo lui.
“Come vuoi” sorrise la moretta accanto a lui, dando un pugno sul pulsante d’accensione della macchina ad ultrasuoni, per poi cominciare a camminare verso di loro. Silver rimase sconcertato, quasi immobile, nel vedere la lucina rossa della macchina lampeggiare.
Andy si avvicinò a Fiammetta, impietrita, le mise una mano sul fianco destro e la strinse a sé, per poi assaporare il suo odore. Le diede un bacio sul collo, e quindi prese a correre assieme alla sua collega verso l’uscita della grotta, per Mentania.
Fiammetta tremava, le mani non riuscivano a stare ferme, le labbra neppure.
“Ha... ha attivato la macchina, vero?” chiese Crystal.
Silver annuì, guardandosi attorno. Quando un boato riempì le loro orecchie, tutti si guardarono attorno. La terra cominciò a tremare violentemente e la volta del Tunnel Menferro cominciò a precipitare gradualmente, dalla fine verso l’inizio.
“Cazzo!” urlò Fiammetta, prendendo Crys per mano e cominciando a correre. I tre correvano, mentre dietro di loro nuvole di polvere e grida si levavano verso l’alto. Pokémon ed esseri umani rimanevano schiacciati dal soffitto della grotta.
Le enormi rocce cadevano davvero troppo vicine per far sì che i ragazzi potessero allentare la presa e correre con più rilassatezza. Erano costretti a premere sull’acceleratore al massimo, fino a quando non imboccarono l’uscita per Ferrugipoli.
Atterrarono sull’erba morbida del percorso che divideva il Tunnel Menferro da Ferrugipoli. Il primo non esisteva più.
Fiammetta piangeva per l’adrenalina. Per la seconda volta in due giorni stava per morire.
“Andiamo avanti...”.
“Dovremmo... avvertire... dovremmo avvertire Alice” fece Fiammetta, prendendo il suo Holovox dalla borsa, tremando per il nervoso.
 
La chiamata fu breve, il tono funereo.
Il pianto delle persone scampate per miracolo al disastro, quelle che avevano perso qualcuno lì sotto, e poi le mani sanguinanti e scorticate dai massi, le unghie saltate, tutto ciò si diffondeva nell’aria; era un suono soffocato, perché il dolore troppo grande non sempre trova le parole per esprimersi.
Alice ascoltò in silenzio il racconto di Fiammetta. Il bel volto, dai lineamenti gentili, era incupito, le labbra strette, mentre i denti mordevano il labbro inferiore.
“Faremo in modo di sgombrare il tunnel... e di recuperare i corpi. Mi dispiace che dobbiate assistere a tutto questo”. La sua voce usciva deformata dalle casse dello strumento. “Ma non dovete mollare. Fatelo, per impedire che altre tragedie come questa si ripetano”.
I tre si guardarono, annuendo. Dopo la promessa che Alice avrebbe avvisato Petra del loro arrivo, la comunicazione fu chiusa.
Silver si avvicinò ad un uomo, ormai quasi in catalessi, piangeva, totalmente immobile. “Lei è lì sotto...” disse, guardando i massi l’uno sull’altro e le mani e le gambe che uscivano di tanto in tanto, sgorgando rosso sangue.
Silver ingoiò saliva, sentendo nonostante tutto la bocca arida.
Non aveva parole o discorsi preparati per momenti del genere. Non c’erano consolazioni, scuse o incoraggiamenti. Ciò che era perso non poteva tornare e si portava dietro la speranza che le cose avessero potuto continuare anche senza. Perché in quel momento il mondo perdeva il suo centro gravitazionale, il sole brillava un po’ meno e tutto sembrava opaco, quasi graffiato. Sgretolato come fosse fatto di sabbia durante una tempesta di vento.
Spazzato via.
Il Dexholder lo alzò quasi di peso e Crystal e Fiammetta accorsero ad aiutarlo, poco prima dell’arrivo dei soccorsi, quindi una coppia di infermieri si sostituì ai tre. L’uomo rimase in stato catatonico per tutto il tempo, fino a quando le porte dell’ambulanza si chiusero dietro di lui. Senza accorgersene, in quel momento, Crys sospirò di sollievo.
Ciò che era successo l’aveva scossa ma gli occhi di quell’uomo, così vuoti, la spaventarono.
“Dobbiamo muoverci, Ferrugipoli è vicina” mormorò Fiammetta, prendendo la guida del gruppo.
Gli altri due ragazzi si limitarono ad annuire ed a seguirla.
 
La città era in fermento.
Il crollo del tunnel era stato notato in tutta la città e tutti si stavano mobilitando per andare a dare un’occhiata, più curiosi che volenterosi di dare una mano. I ragazzi s’incamminavano verso la Palestra, dove avrebbero incontrato Petra.
Era tutto così strano: succedeva ogni sorta di tragedia tutt’intorno a loro ma non gli era concesso fermarsi.
Stoppare il cammino in quella circostanza, anche solo per piangere i morti, per dispiacersi di ciò che stava accadendo, sarebbe stata la rovina di tutto.
Per loro non esisteva un lusso simile. Nessuno sarebbe venuto a tirarli su se si fossero abbandonati ai sentimenti. Ragionare di pancia non avrebbe aiutato in alcun modo, né loro, né il resto di Hoenn.
Per questo Fiammetta camminava a testa alta, imprimendosi tutto nella mente; ci sarebbe stato tempo per versare lacrime, avrebbe pianto la sua Cuordilava, le persone che non ce l’avevano fatta e gli affetti che aveva perso.
Ed era lo stesso motivo per cui Crys ricacciava indietro le lacrime, stringendo nelle mani la Pokéball di Swampee e quella di Meganee.
Anche Silver si concentrava unicamente sulla meta successiva, cancellando dalla propria mente le urla ed i pianti delle persone schiacciate dalle rocce.
Intanto i mormorii crescevano, sembravano circondarli: alcuni avevano riconosciuto Fiammetta e la indicavano bisbigliando, i più sollevati di vederla, di sapere che un’altra Capopalestra, per quanto non effettiva, fosse lì con loro. La città sembrava quasi più sicura.
“C’è un’aria parecchio pesante” mormorò Silver, quasi incapace di tenere per sé quel commento.
“Il Tunnel Menferro era importante. Ferrugipoli è una bella città, una città ricca, con la sede della Devon SpA... ma è in una posizione scomoda per i commerci. Nonostante sia sul mare non ha un gran porto, in più le mancano tutti i collegamenti con il centro della regione. Quando fu creato il tunnel tutti ne furono felici, era una ventata d’aria.” si fermò, guardando attorno la gente che camminava per le strade, o le innumerevoli case rimaste inabitate dall’inizio dei terremoti. “Ora sembra che stia per diventare una metropoli fantasma...”.
La sua voce calò di tono. Era spaventoso quello che stava accadendo, e come era successo a Ciclamipoli e Ferrugipoli era chiaro che sarebbe accaduto anche nel resto della regione. Sarebbe diventata una terra fantasma, la terra di nessuno. Ed il team Magma non avrebbe nemmeno dovuto lottare.

“Qui nessuno abbandona nulla!”.


La voce riscosse Fiammetta, che alzò lo sguardo stupita: Petra era ferma dinnanzi a lei; le braccia sottili erano fasciate da una camicia bianca ed erano tenute conserte, quasi a proteggere il petto.
“Questa città non morirà, dovessi sopportarne il peso da sola sulle spalle”.
Il tono era deciso e non sembrava poter ammettere repliche, nemmeno fosse arrivato Arceus in persona a reclamare.
“Petra...”.
“Alice mi ha chiamata. So quello che è successo e cosa vi serve. Seguitemi” Petra si guardava attorno, osservando chiunque camminasse per strada, quasi sospettasse che il nemico potesse averli seguiti fin lì.
Dopo alcuni istanti arrivarono in Palestra. L’edificio, alto poco meno di quello della Devon, era stato ristrutturato abbastanza recentemente. Sede dell’università locale, l’atrio era in comune fra i due enti e la Palestra era separata dalla sede degli studi da un ampio corridoio centrale. Esso terminava davanti ad una massiccia porta di legno. Oltre quella s’apriva la Palestra davanti agli occhi dei visitatori. E degli sfidanti, naturalmente.
Il campo di battaglia era disseminato da rocce dalle varie forme dimensioni, non crollate da pareti e soffitto, ed i muri erano ricoperti da innumerevoli bassorilievi che narravano su una parete la storia di Groudon, dall’altra quella di Kyogre, fino a congiungersi nel muro frontale nella loro lotta. Una piccola porta laterale portava poi allo studio privato della Capopalestra, dove teneva custodite le medaglie ed i documenti relativi ai vari incontri.
Crystal e Silver rimasero stupefatti.
L’ambiente era talmente prezioso da sembrare quasi profana l’idea di combattervi all’interno.
Petra rimase in silenzio per un po’, lasciando che i due si meravigliassero più a lungo di quello che lei stessa considerava quasi un tempio personale. Dopodiché parlò: “Come vi ho detto poco fa, sono stata contattata da Alice. Mi ha parlato del risveglio di Groudon, dicendomi che probabilmente dietro tutto questo c’è il Team Magma”.
Lei ricordava quel gruppo di terroristi; era stata sconfitta da Rossella durante il recupero di Groudon e non l’aveva mai dimenticato. Non si riteneva una persona vendicativa, quanto amante della perfezione, e quella sua perfezione era stata brutalmente distrutta dagli inganni di quella donna.
Aveva combattuto tenendo degli innocenti in ostaggio. Petra aveva osservato i suoi Pokémon venire sconfitti senza poter muovere un muscolo ma con il sapore del sangue in bocca per come si era morsa le labbra, pur di non urlare.
“Non nascondo che tutto ciò mi preoccupa. Una parte di me vorrebbe seguirvi ma il mio compito devo svolgerlo qui, nella mia città. Avete già visto il clima che si respira, è così da giorni ed il crollo del Tunnel non ha fatto che peggiorare il tutto. Purtroppo non posso minimamente muovermi da qui”.
Il suo tono era calmo, ma si capiva che non fosse disposta a discutere.
Fiammetta invece aveva abbandonato la propria città, quelle parole glielo fecero notare, facendole mordere le labbra.
“Non c’è bisogno che tu venga con noi, è la nostra missione dopotutto” iniziò Crystal “... ma... abbiamo comunque un favore da chiederti. Abbiamo bisogno della tua medaglia, Petra. I Pokémon che abbiamo ottenuto qui ad Hoenn potrebbero non ubbidirci, ed in momenti critici questo può fare la differenza”.
Petra abbassò un attimo lo sguardo, in riflessione. Fiammetta la fissava tanto intensamente da pensare che potesse trafiggerla con il solo sguardo.
Petra era intelligente, Petra era forte, Petra era famosa ed aveva fascino. In più Petra aveva una magnifica palestra, e la manteneva con orgoglio e dedizione.
Si sentiva inferiore.
Si chiedeva cosa avrebbe fatto Petra se una catastrofe si fosse abbattuta su Ferrugipoli. Si rispose immediatamente: avrebbe salvato tutti, di sicuro. Avrebbe portato tutti in un luogo esente da pericolo e nessuno l’avrebbe odiata, nessuno l’avrebbe ritenuta un’incapace; Avrebbe salvato la città, i suoi abitanti. E la sua posizione in carica.
Poi Petra alzò lo sguardo.
“Non posso” furono le sue uniche parole.
I tre impallidirono, quasi non avessero sentito bene le parole della donna.
“Come sarebbe a dire non puoi?!” le fece Crystal, trattenendo la rabbia. “Ne abbiamo bisogno per proteggere la regione, i suoi abitanti, sconfiggere il Team Magma e catturare Groudon!”.
La donna sostenne il suo sguardo senza batter ciglio.
“Non posso. Noi Capipalestra abbiamo il dovere di consegnare le medaglie solo a chi riteniamo degno di possederle. Non vi ho mai visti, non vi ho mai affrontati e non ho la più pallida garanzia delle vostre abilità. L’unica campana che ho sentito è stata Alice, ma non mi basta” fece.
Silver sospirò, vedendo Crystal lasciar partire le braccia verso l’aria, come se stesse prendendosela con il cielo.
“Volete la mia medaglia? Dovrete conquistarla sul campo. Sconfiggetemi e dimostratemi di esserne degni”. Nessuna inflessione, nessuna emozione.
Forse, dentro di sé, Petra avrebbe voluto aiutarli, pensò Fiammetta, ma era una Capopalestra e tutti sapevano che la sua rigidezza sulle regole fosse categorica.
“È solo un’inutile perdita di tempo” sbuffò Silver, seguendo Petra che era diretta al campo di battaglia.
“Allora iniziamo subito, manda in campo il tuo Pokémon e diamo il via alla sfida”.
Silver strinse i denti. Non aveva mai lottato in palestra prima di quel momento. Non si sentiva a suo agio.
Aveva bisogno di quella medaglia. Lui più di tutti: Grovyle non gli ubbidiva, non sempre, soprattutto nei momenti meno opportuni. Non poteva rischiare. Lui aveva sempre creato un legame stabile con i suoi Pokémon, li aveva sempre allenati.
Alla perfezione.
Ma Grovyle era un caso disperato: non lo ascoltava e ignorava i suoi sforzi.
Per quel motivo la medaglia era essenziale.
Ma chi mandare in campo? Honchkrow era debole agli attacchi roccia, così come Weavile. Le uniche due scelte logiche erano Feraligatr, stanco per lo scontro precedente, e il Grovyle che non gli ubbidiva.
“La lotta sarà uno contro uno. Si andrà avanti finché uno dei due Pokémon non cadrà a terra esausto. Visto che Fiammetta, nonostante non sia più una Capopalestra, è ancora membro della Lega Pokémon, arbitrerà l’incontro. Non sono ovviamente permesse sostituzioni ed è vietato l’uso di strumenti oltre quelli che il Pokémon stesso possiede. Tutto chiaro?”.
Silver si limitò ad annuire.
Mandare in campo Grovyle era un azzardo troppo grande, perciò prese la sfera di Feraligatr.
“So che sei stanco” sussurrò alla sfera “ma ho davvero bisogno che tu vinca questa sfida...”.
Una volta sceso in campo, il Pokémon Mascellone prese nuovamente la posizione di combattimento.
“Bene, il mio Pokémon sarà Probopass”.
Il Pokémon Bussola fece il suo ingresso. I tre mini-nasi roteavano velocemente attorno al suo corpo, fungendo contemporaneamente da strumento offensivo e difensivo.
Fiammetta prese posto a metà del campo, osservando i due Pokémon e dando inizio allo scontro.
“Muoviamoci, iniziamo con Idropompa!” urlò il fulvo.
L’alligatore azzurro allargò le mascelle e sparò un getto d’acqua dalla potenza inaudita sull’avversario, che rimase immobile.
“Difenditi con Protezione, Probopass, poi attacca con Scarica!”.
Il getto d’acqua si abbatté sulle difese impenetrabili del Pokémon e appena si estinse arrivò la scarica elettrica. Sembrava espandersi in modo omogeneo per tutto il campo, senza dare chance di fuga all’avversario.
“Non così facilmente, Fossa, Feraligatr!”.
L’ordine perentorio del ragazzo fu perfetto. Nascosto sotto il terreno del campo Feraligatr era protetto dagli attacchi, ed allo stesso tempo, un attacco di terra sarebbe stato devastante per il nemico.
“Pensi che non fossi pronta ad una mossa simile? Vai con Magnetascesa”
La voce calma di Petra diede istruzioni al suo Pokémon che, sfruttando il magnetismo prodotto dal suo corpo, si sollevò in aria.
Silver si stava spazientendo. Probopass, nonostante il peso, fluttuava leggero a pochi metri da terra, vanificando la sua strategia.
“Esci fuori, Feraligatr, ora!”.
Il Pokémon scavò fuori dalla terra, osservando la situazione con astio.
Quello fu probabilmente il suo più grande colpo di fortuna. Essere uscito, s’intende.
Infatti, fu in quell’istante che la terra tremò di nuovo.
 
Scosse, prima deboli, poi sempre più insistenti, continue e ritmiche. Battevano come passi durante una marcia.
Quel ruggito sinistro stava facendo a far tremare la terra.
Groudon era stato risvegliato e stava vagando per la zona sotto Ferrugipoli.
C’era paura, c’erano le grida, c’era il pianto di chi non sapeva cosa fare.
Nella palestra la situazione era diversa. I due sfidanti avevano messo mano alle Pokéball e fatto rientrare i due dal campo di battaglia.
“Usciamo, immediatamente!”. La voce di Petra sovrastò il boato della terra. I ragazzi la videro dirigersi nell’ufficio.
“Dove stai andando?” Fiammetta voleva correrle incontro e contemporaneamente voleva scappare, ma non sapendo cosa fare restò ferma. “Dobbiamo muoverci!” le urlò poi.
“Devo prendere le medaglie e altri documenti, voi muovetevi!”
Silver non se lo fece ripetere una seconda volta, afferrò la rossa Capopalestra per il braccio, trascinandola con sé. Crys li aspettava sotto lo stipite della porta, di nuovo spaventata.
L’ingresso fu percorso in un soffio mentre Petra, fogli e scatola delle medaglie in mano, era distanziata di una decina di metri.
Passo dopo passo quella seguiva le loro orme, i neri pantaloni a sigaretta che completavano il suo abbigliamento già impolverati per la terra che si era alzata dal campo di battaglia, frusciavano ad ogni passo. Petra si ritrovò per un istante ad odiare quel rumore, così sottile, così delicato. Si chiedeva come facesse a sentirlo in quel frastuono. C’erano urla in giro. L’università era deserta per la pausa natalizia e per i terremoti, ma sentiva urla, pianti ovunque. Doveva uscire, doveva vedere cosa stesse accadendo, doveva proteggere la sua gente.
Poi dal soffitto cominciò a nevicare polvere, si crearono delle crepe. Petra continuò a percorrere quei metri, così incredibilmente dilatatisi in chilometri, che la separavano dal cielo azzurro al di fuori dell’edificio.
Voleva veramente rivederlo, il cielo.
E anche Rudi. Oh, quando improvvisamente si ritrovò a pensare che Rudi le mancasse, pensò che con i suoi Pokémon di tipo Lotta avrebbe potuto sistemare tutto.
Poi il soffittò crollò.
C’era tanta polvere nell’aria. Così tanta che Petra non riusciva nemmeno più a distinguere le schiene degli altri ragazzi.
Loro erano sicuramente fuori, pensò, le correvano tanto davanti e non avevano nulla che li intralciasse nella corsa.
Però per un momento si chiese perché sentisse tutto quel peso addosso. Perché sentiva gli occhi inumidirsi? Non sentiva più le gambe e provava un forte bruciore alla schiena.
E poi un dolore fortissimo vicino lo stomaco; abbassò lo sguardo per osservare: s’era trovata improvvisamente distesa, sotto un grosso cumulo di rocce. Non riusciva a vedere nulla.
Le lacrime aumentavano, e lei continuava a pensare che sarebbe andato tutto bene, perché effettivamente il cielo voleva davvero rivederlo, ma più di tutto voleva rivedere Rudi. Perché voleva poterlo passare con lui il resto della vita, voleva vederlo invecchiare accanto a sé, mentre faceva surf.
Spesso le diceva che avrebbe dovuto essere più elastica, a volte, ma lui l’amava proprio perché fosse fatta così.
Infine venne il buio e Petra smise di pensare a Rudi.
Petra smise di pensare. 

Fuori, la corsa, i palazzi e le macerie.
Crystal sapeva che Groudon fosse lì, era vicino, e doveva catturarlo.
“Sarà ad una ventina di metri sottoterra...” ansimava Fiammetta, cercando di buttar fuori la pesantezza nei suoi polmoni, continuando a correre.
C’erano detriti in terra, e più di una volta Silver l’aveva presa al volo mentre cadeva.
Si fermarono vicini ad una fontana, dove l’acqua zampillava incontrollata. I ragazzi guardarono attorno.
“Dov’è Petra?” domandò Crystal.
Silver fece cenno di no con la testa, mani ai fianchi e respiro pesante di chi era scampato per l’ennesima volta ad una tragedia.
“Lei era troppo indietro”.

Fiammetta respirava a fatica. Aveva inalato troppa polvere durante la fuga, e adesso si sciacquava il viso nel getto della fontana.
Petra non poteva essere morta. Petra era più brava, più forte di lei.
Petra avrebbe sostenuto la sua città fino alla fine. Ma la città crollava e solo il palazzo della Devon, forte delle migliori tecnologia antioscillatorie, sembrava resistere.
Era caduta in ginocchio, e si sentiva gli occhi umidi.
È... andata? Se l’avessi trascinata via ce l’avrebbe fatta? Oppure sarei morta anch’io?
 Pensava a tutto, pensava a niente. La sua mente era piena e vuota contemporaneamente.
Respirava incontrollatamente, presa dal panico.
Si rese conto solo dopo alcuni istanti dell’abbraccio di Crystal.
“Va tutto bene, va tutto bene. Non fermiamoci... Per favore rimettiti in piedi”. Piangeva anche lei. Non si era resa conto di essere caduta in ginocchio.
Silver era in piedi vicino a loro. Gli occhi scrutavano la città distrutta.
“Non c’è tempo per i pianti, non è ancora tramontato il sole, e sotto quelle macerie c’è gente che ha bisogno di noi” disse senza esprimere alcuna emozione.
“Muoviamoci. Dobbiamo muoverci tutti” ribadì, con lo stesso tono.
Fermarsi non era concesso e dovevano tirare la gente fuori dalle macerie.
Continuarono per alcune ore, aiutando i superstiti, affiancando i soccorsi, dopodiché, stanchi e psicologicamente distrutti, si avviarono verso la loro meta successiva, il Bosco Petalo sulla strada per Petalipoli.
 

 
 

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Capitolo 10
*** Capitolo Nono - Rododendro ***


Rododendro

 
I
l silenzio tra i ragazzi era così fastidioso da assordarli, e nonostante ognuno cercasse un modo per abbattere quel muro trasparente, dietro il quale stavano tutti zitti e intrappolati, nessuno riusciva a proferire parola.
La voce di Petra rimbombava ancora nelle loro teste; avevano visto il suo corpo ghiacciarsi e la sua anima elevarsi verso l’altro, evaporando come acqua nel deserto, ed il freddo aumentava.
Crystal sospirò, stringendosi nelle spalle. La notte stava per scendere e quello che realmente voleva era stare un po' tranquilla e rilassata. Squadrò i suoi compagni: Silver era stanco, il suo corpo parlava chiaro. Di tanto in tanto si fermava, stiracchiando i muscoli; sentiva male alla schiena e si massaggiava il collo con le dita guantate. Gli occhi erano spenti, stanchi, tanto quanto quelli di Fiammetta, che con le mani nelle tasche camminava per forza d'inerzia. Erano appena usciti da Ferrugipoli, la carcassa distrutta di quella città strideva e piangeva sotto il ferro dei macchinari dei soccorsi.
Qualcuno era sopravvissuto, certo, ma la stragrande maggioranza era rimasta sotto cumuli di ferro e cemento armato, mentre i loro occhi piangevano sangue sulle schegge di vetro delle finestre, sbriciolatesi in milioni di pezzi.
"È tardi..." sospirò Silver, fermandosi, sulle rive di un lago. Il sole era appena tramontato ma una debole luce risplendeva ancora sulle superfici dell'acqua, superando prepotentemente le creste degli alberi del Bosco Petalo. Le acque chete del lago sembravano rivestite di mercurio e riflettevano i volti stanchi dei ragazzi. Barboach e Magikarp nuotavano placidi ed ignari dell'apocalisse che stava prendendo forma.
"Ci accampiamo qui?" chiese Fiammetta, prendendo a chiudere i bottoni del giubbino. Crystal vide Silver annuire, quindi si sedette sulle rive del lago, finendo per stendersi e vedere l'azzurro del cielo chiudere battenti e dare appuntamento al mattino dopo.
Fu così che la ex Capopalestra prese a montare la tenda ed a radunare un po' di legna, che i suoi Pokémon avrebbero prontamente trasformato in un fuoco.
Crystal invece raggiunse il ragazzo, e gli si sedette accanto.
"Hey...".
"Perché la gente è cattiva?" chiese quello, affondando le dita tra i ciuffi d'erba ed il fango. "Perché non si può stare bene?".
"Silver...".
"La gente non vuole capire. La gente si fa gli affari propri, anche se questi possono danneggiare gli altri. Quei due, poi...".
"Mi sembra di averla già vista, quella, comunque".
"La mora?".
"Già. Ha una bellezza che non dimentichi".
Il cielo divenne scuro senza che nessuno dei due se ne accorgesse. Il padrone della sera accese le stelle, piccoli puntini bianchi, macchie imperfette sulla tavola del pittore. Fiammetta aveva anche acceso il fuoco e per la troppa stanchezza si era infilata nella tenda, dove riposava.
I due erano rimasti a guardare le stelle, a contarle, elencando i motivi per cui non avrebbero potuto abbandonare tutto e scappare via, dove la vita li avrebbe corrosi poco alla volta e sarebbero invecchiati sulla veranda della propria casa immersa nella natura.
"Per vita delle persone..." sospirò Silver.
"Per non far vincere i cattivi".
"Per andare avanti".
"Per conoscere persone" rispondeva Crystal.
Silver girò il voltò, sorridendo e guardandola negli occhi. "Non ho tutta questa voglia di conoscere gente".
"Beh, viaggiare significa anche questo". La ragazza continuava a fissare il cielo, cosciente del fatto che gli occhi argentei di Silver la stavano carezzando. ”Conoscere, imparare... apprendere. Il viaggio significa anche questo, nonostante il mio sia avvenuto tanto tempo fa".
"Io non ho fatto un viaggio con i Pokémon. Solo... Come chiamarli? Interventi?".
Crystal sorrise. "Già, il nome è adatto".
"Ti vedo tranquilla".
"Un po' lo sono. Cioè, non troppo. Però ora come ora mi sono calmata... Mi sto abituando al fatto che vedremo morire altre persone. Abbiamo contro Arceus, non per niente. Fortunatamente non sono tutti leggendari i Pokémon che ci si parano contro...".
"Molti di loro sono vittime".
"Vedi Seviper... o i Whismur nel Tunnel Menferro".
"Sì, lo so" rispose infine, guardandola negli occhi celesti.
E quella sostenne lo sguardo, rapita da quei due pozzi argentei; precipitava nel subconscio di quello, tra laghi di dolore ed alte vette d'aspirazione ed ammirazione. L'educazione del ragazzo, il suo essere introverso e nel contempo determinato: tutto era nei suoi occhi.
Quei due occhi che diventavano mano a mano più grandi, e che si chiusero proprio qualche istante prima che le loro labbra si incontrassero, dando vita ad un bacio.

Il primo pensiero di Crystal in quel momento fu che non fosse tutto ben chiaro. Saggiò le labbra morbide di Silver, leccandogliele, succhiandogliele, in un bacio appassionato. Stesi sul fianco, ognuno dalla sua parte, s’univano tramite quel gesto, stringendosi e poi respingendosi, giocando con la voglia d’essere umani, di poter prendere il proprio compito un po’ in giro, ventenni che non erano altro.
Le loro labbra si stuzzicavano a vicenda, gli occhi stretti, le mani religiosamente al proprio posto, e la fantasia che vagava.
Non servì a nulla il fuoco acceso da Fiammetta, si fecero bastare quel bacio interminabile, ed i loro corpi si riscaldarono.
E mentre nella testa di Silver risuonava l'eco di un “finalmente sei mia”, sentiva impellente il bisogno di avvicinarsi a lei, ma poi si fermò: temeva d’essere rifiutato. Temeva di non vedere ricambiata quella pulsione così intima e privata. Per lui era necessario toccare le labbra di Crystal con le sue, cibandosi dei suoi baci.
E poi alla fine il cuore magnetico della ragazza attirò quello d'argento del fulvo. Il suo seno si poggiò sul petto di Silver, sovrastandolo fisicamente.
"Silver..." fece quella baciandolo come se stesse mordendo le sue labbra. Il suo respiro ansimante, pesante, si poggiava sulle gote del ragazzo, le cui mani invasero il corpo che lo stava cavalcando.
"Crys...".
"Dovremmo stare calmi... più calmi" diceva quella, mentre con passione lo baciava. Difatti a nulla valsero le parole della bella dagli occhi di cristallo; le mani di Silver le scandagliarono la schiena, indugiando sul sedere tondo e morbido.
"Silver..." ripeté.
Quello strinse tra le mani il fondoschiena di Crystal e prese a baciarle il collo. Sentiva la ragazza diventare sempre più malleabile, come burro attraversato da una lama calda.
"Silver. Fermati" protestò lei. Gli occhi del ragazzo si aprirono, scrutando i suoi. Per quei cinque minuti d'infinito tutto s'era bloccato.
"Crys..." fece, respirando con la bocca.
"Sil... Dobbiamo calmarci. Non è né il luogo né il contesto adatto per una cosa del genere. Dovremmo concludere la situazione qua...".
Poi Crystal gli scese da dosso, rimanendo inginocchiata accanto a lui. Il ragazzo portò automaticamente le mani alla fronte, e si sedette. Prese a legarsi i capelli, perdendo luminosità nello sguardo. Si stava adombrando, e la cosa fece sorridere la ragazza.
"Non fraintendere, mi è piaciuto. Vorrei però stare più tranquilla mentalmente. Insomma, oggi abbiamo visto morire migliaia di persone... Chissà domani cosa succederà... Dobbiamo rimanere concentrati".
Un angolo della bocca del ragazzo si mosse. "Hai ragione" fece.
Infine misero dei marshmallow su dei bastoncini, cenarono e si addormentarono, l'uno vicino all'altra, mano nella mano.

Il mattino seguente, Fiammetta fu la prima a svegliarsi. Aprì dolcemente gli occhi, carezzati dal sole. La temperatura si era decisamente alzata rispetto alla sera precedente. Voltò il viso verso i ragazzi e sorrise. I due stavano dormendo stretti, abbracciati. Come due cucchiai.
Silver dietro di lei, un braccio sotto la testa di Crys ed un altro a stringerla, sotto i seni. La nuca della ragazza era sotto l’incavo del collo del rosso, abbandonata su di un cuscino di fortuna (un sacco con i loro vestiti dentro) che entrambi condividevano.
A loro a quanto pareva non importava del caldo, anche se la coperta che avevano posto su di loro prima di andare a dormire adesso toccava le, unite, intrecciate.
Quei due erano una sola cosa e questo fece sorridere di nuovo Fiammetta. Prese i vestiti ed uscì fuori.
Le rive del lago che avevano davanti erano come al solito tranquille. Piccoli rigetti creati dalla corrente spingevano rivoletti ed ondine poco oltre la riva.
A Fiammetta non dispiacque avvicinarsi al lago,  ed affondare i piedi nelle acque ghiacciate.
Piccoli brividi, la superficie era leggermente increspata dal vento, ma riuscì lo stesso a scorgere sullo specchio argentato la figura di quella donna bellissima quale era diventata.
I capelli erano sciolti, li avrebbe legati poi. Le piacevano di più. Inoltre era più pratico tenerli in quel modo.
Guardò il suo viso, stropicciato dalle ore di sonno e malmenato da quella sveglia non del tutto richiesta. Indossava una maglietta scollata in cui i seni rimanevano compressi. No, avrebbe dovuto cambiarsi immediatamente. Giusto il tempo di sciacquarsi la faccia, inginocchiandosi nell’acqua bassa e fredda. Si sporse in avanti, mettendosi a carponi, afferrando generose quantità d’acqua con le mani e portandole al viso.
Poi si rialzò, asciugandosi il volto e, affondando i piedi nell’erba morbida, raggiunse il bosco, dove si spogliò e si vestì nell’incavo del tronco morto di un albero.

Crystal aprì gli occhi prima di Silver; Fiammetta non c’era più, in compenso il calore era tornato. Silver era dietro di lei e stringeva il corpo contro il suo.
Stando attenta a non svegliarlo, alzò il braccio del ragazzo ed uscì dalla dolce presa. Rimase poi seduta ad un metro da lui, a guardarlo: il volto del ragazzo era rilassato. Il sole traspariva attraverso il tessuto della tenda finendogli dritto in faccia, illuminandola.
I capelli erano legati alti dietro la testa, col codino. I tratti delicati del suo volto lo rendevano meno minaccioso di quanto in realtà sarebbe potuto essere. Sì, perché quel ragazzo (e se n’era resa conto parecchi anni prima) era stato addestrato per far del male. Il suo cervello era sempre in continuo movimento e la stanchezza sul suo corpo era più che motivata.
Poi guardò le sue mani, strette in pugni così chiusi che quasi pareva gli scoppiassero le vene. Qualcosa lo turbava.
Sorrise, e pensò che forse, se ci fosse stato Gold, la pressione su di lui sarebbe stata molto minore; insomma, Gold era un Allenatore capacissimo e in quella situazione sarebbe stato una manna scesa dal cielo.
L’Holovox poi suonò, facendo spalancare repentinamente gli occhi Silver, che a quanto pareva era più sveglio  di quanto lei pensasse.
Crystal rispose velocemente, quel trillo isterico che Lanette aveva impostato come suoneria era parecchio fastidioso. “Si?” chiese lei, dopo aver risposto.
La figura di Alice si espanse lentamente nella tenda. Interferenze azzurre si creavano a ripetizione, partendo dalla base dell’immagine fino a perdersi verso l’alto.
“Alice... Ciao”.
“Buongiorno. Appena svegli?”.
“Già. Tra un po’ ci metteremo in marcia”.
“Ragazzi vi raccomando la massima attenzione: stanotte Groudon è passato sotto il Bosco Petalo ed i Pokémon sono caduti in uno stato di irrequietezza totale. Stamattina un ragazzino era andato a cogliere dei funghi e, dopo essersi smarrito, è stato attaccato dai Pokémon del posto. Siete vicini al bosco?” domandò poi.
“Sì” annuì Crystal.
“Sono stati già allertati dei Ranger, stanno venendo qui”.
“Ranger?”.
“Sì, da Oblivia”.
“Perfetto”.
“Uno è partito stanotte mentre l’altra partirà nelle prossime ore. Tra qualche ora avrete manforte”.
“Ottimo, Alice”.
Poi l’espressione del volto della Capopalestra mutò. “Abbiamo la prima stima delle vittime di Ferrugipoli... sono morte molte decine di migliaia di persone. E Petra... anche Petra. E Fiammetta dov’è?!” s’allarmò, non vedendola.
“Non era qui quando mi sono svegliata, ma tranquilla, prima d’addormentarci era con noi” rispose Crystal, sentendo l’ansia instillatale da Alice correrle nel petto.
“Trovatela subito e recatevi al Bosco Petalo. C’è bisogno di voi, immediatamente”.
La comunicazione si interrusse, e Crystal sospirò. Si girò verso Silver, che la fissava.
“Andiamo” fece Silver, scattando in piedi.

I ragazzi si erano prontamente vestiti. Qualche minuto dopo Fiammetta uscì dal bosco con indosso la sua maglietta nera ed i pantaloni cargo. I capelli erano sciolti ed arruffati, molto lunghi.
Crystal provò un momento di gelosia nei confronti di quella. Già, perché era bella, di una bellezza senza pari. Ma ciò che più voleva di lei era il fatto che non le importasse di com’era fatta, pareva ignara di ciò, quasi vivesse in un corpo che non le apparteneva.
“Dov’eri?” chiese la ragazza, allungandole la spazzola. Quella l’afferrò.
“Sono andata a fare una passeggiata, non riuscivo a dormire... Già svegli? Che vogliamo mangiare? Ci sono tanti alberi di bacche qui”.
“Non c’è tempo” fece Silver.
Crystal poi prese parola. “Ha chiamato Alice. Un ragazzino in cerca di funghi è rimasto ostaggio dei Pokémon nel Bosco Petalo” la voce di Crystal si era abbassata di alcuni toni. “E... Petra non ce l’ha fatta”.
Fiammetta abbassò lo sguardo, costernata. Avevano la stessa età, le due, ed erano abbastanza legate. Petra era diventata un faro per la Fiammetta dei primi anni.
“Facciamo presto, prima che quel ragazzino finisca nei guai sul serio” disse poi.
Posarono tutto, Fiammetta finì di pettinarsi i capelli alla bene e meglio e li legò, quindi entrarono nel Bosco Petalo.
Quello era un luogo labirintico, in pendenza, in cui l’ingresso nord era più in alto rispetto quello a sud. Crystal girò la testa tutto attorno. Una volta entrati nella massa d’alberi che avevano di fronte, il cielo scompariva. Il sole diventava un piccolo intruso catturato dalle braccia di rami, con le sue dita di fogliame, per poi riapparire in piccoli punti, come colonne di luce che mantenevano il soffitto alberato.
Silver si guardò attorno, concentrato; le parole di Alice lo avevano messo in guardia dai Pokémon selvatici.
Eppure non si vedeva nulla. Il bosco si snodava su di una collina scoscesa. Ramoscelli, funghi più o meno velenosi e fili d’erba misti a corteccia d’albero formavano il pavimento su cui i tre mettevano i piedi. E ad ogni passo uno scricchiolio li localizzava. Il fatto di non avere a disposizione l’effetto sorpresa, ma anzi, di attirare i Pokémon, lo innervosiva. “Grovyle...” fece, sussurrando il nome del Pokémon che mandò davanti a lui. “In guardia”.
Crystal vedeva ampi banchi d’erba alta, nei quali fili enormi, verdi e gialli, assieme ad alte ortiche, si univano ai bellissimi fiori selvatici. Alzò gli occhi e vide un branco di Beautifly volare verso sud, scendendo verso l’uscita.
Due Dustox volteggiavano in aria, creando spettacolari coreografie, mentre sui rami degli alberi si trascinavano lemmi dei Wurmple. La natura si stava risvegliando.
“Un Taillow...” fece sorridente Fiammetta, come una bambina, puntando con l’indice il ramo di un albero. Il Pokémon Rondinella si stava pulendo le ali con il becco. “Quello è un Pokémon molto tenace. Vive in gruppi numerosi, ma non vedo gli altri esemplari... e siamo fortunati. Di solito sono Pokémon molto territoriali”.
“Già” sorrise Crystal, che dal canto suo li aveva studiati con Elm. “È insolito che questi Pokémon stiano da soli”.
“Meglio lasciar perdere ed allontanarci” sentenziò Silver, continuando a camminare, preceduto da Grovyle. Quello si muoveva sinuosamente, con gli occhi spalancati e le percezioni attive. E poi Fiammetta lo vide.

Due enormi alberi, i cui tronchi erano distanti un paio di metri, incrociavano le chiome, creando un arco naturale da cui pendevano fronde di foglie e fiori bianchi. Fiammetta aveva la bocca spalancata, incredula. In quella che sembrava una camera a parte, con tanto di pareti fatte di alte siepi di alloro profumato, la vita brulicava. Vari Wurmple si muovevano in maniera perpetua, veloce, continua, lasciando pochi scampoli di sottobosco liberi. Dal soffitto di rami e foglie pendevano Cascoon e Silcoon, cullati dal vento e le pareti erano ricche di stranissimi fiori, grandi e colorati. Fiori bianchi, blu. Fiori viola, fiori verdi. Fiori gialli e addirittura strani fiori trasparenti. Parevano grandi rododendri.
La cosa che però scioccava i ragazzi era quell'enorme bozzolo, lungo circa quanto un bambino, che ondeggiava nello stesso modo dei Cascoon e dei Silcoon.
"Quello... quello è..." Crystal sussurrò le parole dentro di sé, gettandole fuori dalla bocca e lasciandole cadere sulle labbra.
"Santo cielo!" esclamò Fiammetta. Silver si limitò solo a tenere occhi e bocca spalancati, mantenendo la minor distanza possibile da Grovyle. Quell'esercito di Wurmple si bloccò, fissando i ragazzi, nello stesso modo in cui i ragazzi fissavano loro.
"Sono stati..." sussurrò ancora Crystal, puntando il dito contro i Pokémon e vedendo quel fagotto di fili bianchi traslucidi che si contorceva.
"Ai... u...to..." si sentiva dal bozzolo. La voce del ragazzino era compressa, come se avesse la bocca piena di qualcosa.
"Ti salveremo!" urlò Fiammetta, facendo un passo in avanti e scatenando l'inferno:
tutti i Wurmple si voltarono verso Fiammetta, emettendo uno verso stridulo e acuto. La rossa fermò la propria avanzata, alzando repentinamente lo sguardo: tutti quei fiori colorati si erano rivelati essere ali. Ali di Pokémon.
Masquerain, Dustox, Beautifly e Ninjask si staccarono dalle pareti di quella stanza, e cominciarono a volare in un vortice composto da ronzii e battiti d'ali; c'era anche uno Shedinja.
"Diamine!" urlò Fiammetta, indietreggiando.
"Grovyle!" fece Silver, facendo un passo indietro. Il Pokémon strinse i denti, ma fondamentalmente si bloccò, a fissare quei Pokémon insetto dare vita ad un mostro mentale. "Grovyle! Forza!".
Quello però non si mosse, impaurito dal moto armonioso degli innumerevoli avversari.
"Devi avere fiducia in me, Grovyle! Vedi Feraligatr! Anche lui aveva paura, ma si fidava di me! Tu devi credere in quel che dico!".
Grovyle si voltò, guardandolo negli occhi, con i denti stretti attorno alla lingua biforcuta.
"Tu devi credere in me!".
Il volto di Grovyle s'incupì. Non ci riusciva, non ce la faceva. Non era nella sua natura.
"La medaglia!" urlò Fiammetta. "Non avete avuto la medaglia di Petra! Non ti obbedirà!".
"Lo so già..." sospirò lui, facendolo rientrare nella sua sfera con enorme rammarico.
"Ora tocca a me!" urlò Fiammetta. "Vai Blaziken! Dobbiamo sconfiggere questi Pokémon e mantenere vivo il ragazzino!".
"Monlee! Aiuta!" urlò Crystal.
"Weavile, collabora!" concluse con grinta ritrovata Silver. Il Pokémon del ragazzo uscì fuori e si guardò attorno. "Dobbiamo sconfiggere quello Shedinja, per prima cosa!” Vai con Geloraggio!".
"Monlee, tieniti pronto!" rimbeccò Crystal.
Il raggio congelante attraversò quell’insieme di corpi volanti, raggiungendo in pieno Shedinja, andando immediatamente fuori combattimento.
"Magidifesa!" esclamò Crystal. "L'attacco va a segno solo se superefficace".
"Blaziken, lo abbiamo imparato tempo fa! Vai con Turbofuoco!".
Blaziken annuì, strinse i pugni e dal suo corpo uscì una spirale di fiamme, che cominciò a girare attorno al bozzolo centrale, quello con il ragazzino.
Le fiamme presero a bruciare le ali dei tanti avversari volanti, che si accasciavano al suolo semisfiniti, e mentre le fiamme consumavano l'ossigeno presente in quel posto, un fumo bianco si levava al soffitto di foglie, inondando i Cascoon ed i Silcoon di quel mare candido e tossico. Quelli, per risposta, lasciarono cadere una moltitudine di fili di seta, rendendo azzeccaticci i corpi dei ragazzi.
"Oh porca!" esclamò Fiammetta.
"Monlee! Stacca il bozzolo grande e portiamolo velocemente fuori!".
Il Pokémon Lotta balzò rapidamente verso l'obiettivo; con la sua forza non gli ci volle molto per staccare il bozzolo col ragazzino. Lo slancio gli consentì di rimbalzare con le gambe elastiche sul tronco di un albero, per poi rimbalzare indietro, con il ragazzino sulle spalle.
"Dobbiamo andare via da qui, adesso!".
Ma avevano dimenticato i Wurmple. Tra le carcasse dei Pokémon sconfitti apparivano una moltitudine di bruchi rosati. Tutti, contemporaneamente, presero a sputare i loro fili adesivi sui ragazzi ed i loro Pokémon. Più di mille Wurmple presero a tessere tele resistentissime attorno alle caviglie dei Pokémon e degli Allenatori.
"Cavolo!" fece Fiammetta, inciampando e cadendo per terra. Pochi attimi dopo i Wurmple erano addosso a lei, sulle sue gambe, sulle sue braccia, sulla sua pancia.
"Aiuto!" urlò lei.
Silver e Crystal erano nella stessa condizione.
"Silver!" lo chiamò quest’ultima.
"Stai calma, Crys! Stai tranquilla! Mi basta... mi basta arrivare alle... alle Pokéball" faceva lui, con sforzo. Il suo piano era quello di prendere Honchkrow, che avrebbe attaccato i vari Wurmple.
"Blaziken!" urlò Fiammetta, con le lacrime agli occhi. "Liberaci, presto!".
Anche Blaziken era del tutto legato ma d'improvviso i fili che lo stringevano, racchiudendolo in un bozzolo, si incenerirono.
"Veloce!".
Un mare di fiamme inondò la stanza nel bosco, bruciando i piccoli Wurmple e liberando tutti.
Durò il tempo di un respiro. I Pokémon per terra giacevano esanimi mentre le ali di qualche Beautifly fumavano di nero.
Tutti erano in silenzio. Tutti erano fermi, zitti, in attesa che qualcos'altro succedesse, ma dopo dieci secondi circa i ragazzi si decisero a tirar fuori ansie e paure, con un sospiro.
"Liberiamo il ragazzino" fece infine Crystal.

"Weavile" sussurrò Silver, schioccando le dita. Quello fece un saltello, balzando sul bozzolo, così tanto rinforzato dai Wurmple che non era bruciato totalmente. Il Pokémon di Silver usò un chirurgico attacco Lacerazione, partorendo finalmente il bambino. Quello aveva gli occhi spalancati, rapito totalmente dal panico. Prese una forte boccata d’aria. Le lacrime sul suo viso scendevano copiose e chissà per quanto tempo lo avevano fatto.
“Come stai?” gli chiese il fulvo.
Quello si limitava a piangere, nascondendo il volto dietro le mani, a porre una barriera tra gli occhi di candida innocenza ed il mondo.
Crystal gli si avvicinò. “Stai tranquillo. Ora è tutto a posto. Siamo qui noi”.
Quello liberò il volto dalle sbarre della prigione che le sue dita avevano creato e strinse la ragazza in un abbraccio liberatorio.
“Grazie… grazie mille” piangeva lui. Fiammetta sorrise, era un ragazzino così carino. “Come ti chiami?” gli chiese.
“Sono Curtis”.
Fiammetta vide Crystal sorridere e stringerlo ancora. Curtis era un ragazzino di colore, non molto alto, magro, con gli occhi color del ghiaccio ed i capelli rasati. Non avrà avuto più di sette anni. “Stai bene?”.
“Ho avuto tanta paura”.
“Tranquillo, piccolo, è finita. Dove abiti?”.
“A Petalipoli”.
Fu così che i tre ragazzi ed il bimbo uscirono dal bosco. Lui ringraziò e corse ad abbracciare sua madre mamma, che lo aspettava in lacrime.
E poi un urlo li destò.

“Vai, Styler!”.

Si voltarono tutti, e videro una sorta di trottola intenta a girare attorno ad uno stormo di Taillow. Stavano beccando con furia un piccolo Poochyena, che abbaiava e ringhiava contro gli avversari, cercando di morderli, inutilmente.
Poco lontano dal gruppo in zuffa c’era un Pokémon Ranger. Indossava una divisa azzurra, con un gilet bianco.
Una sciarpa gialla, avvolta attorno al collo, svolazzava nella brezza marina.
La trottola girava con così tanta velocità, comandata dai movimenti del Ranger, che i ragazzi ebbero difficoltà nel seguirne i movimenti.
“Cattura completata” disse quello. Ritirò a sé la trottola e all’improvviso i Taillow si calmarono.
Crystal gli si avvicinò. “Sei il... sei il Pokémon Ranger? Quello che viene da Oblivia, no?”. Lui si girò, fissandola, e lei si perse per un attimo nel suo sguardo, parecchio sveglio, che le ricordava Gold. Un Pichu, con un ukulele, saltò sulle sue spalle e suonò una melodia gioiosa.
“Quant’è carino!” esclamò Fiammetta, spaventando il piccolo Pokémon.
“Martino” sorrise ancora quello. ”E se lei è Fiammetta, immagino tu sia Crystal. Oppure è il contrario?”.
“No, Crystal sono io” rispose la moretta.
Gli offrì la mano e quella la strinse, squadrandolo per bene. Era un ragazzo magro, abbastanza alto. Il viso era solido, non si rasava da un paio di giorni a giudicare dall’accenno di barba, molto rada. Gli occhi color nocciola ben s’accostavano con i capelli, dello stesso colore, alzati in un ciuffo sopra la testa.
“Potevi arrivare qualche minuto fa...” sospirò Silver.
“E tu sei Silver. Ho sentito tanto parlare di te. Manca lo spaccone, a quanto vedo”.
“Spaccone?!” chiese Crystal.
“Gold. Dov’è?”.
“Non lo sappiamo...” rispose Silver.
“Tipico degli spacconi. Quando le cose si fanno serie, lui sparisce”.
Crystal sembrava infastidita da quelle parole. “Come lo conosci?”.
“Ho studiato i vostri dossier prima di avventurarmi per Hoenn. Siete riusciti a catturare Groudon?”.
Fiammetta sorrise. “Parli come se ti riferissi di andare a prendere una birra ad un pub... Stiamo parlando di Groudon”.
Silver annuì, e poi vide quel Poochyena. Si stava leccando le ferite, era parecchio malconcio. Martino si accorse dell’attenzione data al Pokémon.
“Se non ci fossi stato io, probabilmente lo avrebbero ammazzato”.
“È messo male” osservò il fulvo. Si inginocchiò davanti a lui e gli carezzò la testa. Quello lasciò fare. Silver prese una Pokéball e la adagiò lentamente sulla sua testa, catturandolo.
“Lo farò curare e lo terrò con me. È un bel Pokémon”.
“Già”.

Arrivati a Petalipoli, proprio fuori al Centro Pokémon, due ragazzi stavano consegnando derrate alimentari agli sfollati. Alcuni palazzi di quel paesino erano crollati. Pochi morti, qualche ferito, le persone avevano paura di tornare nelle loro case. La struttura mobile da cui gli scatoloni venivano presi era un vecchio Ducato bianco. A darli, invece, c'erano un maschio ed una femmina, il primo sulla trentina, la seconda non aveva più di venticinque anni.
La ragazza era bellissima. Castana, alta, snella, sembrava un'attrice.
"Stella Evans?" chiese Fiammetta, guardandola. Quella si girò, e sorrise.
"Ciao".
Le labbra morbide rimasero piegate in quel sorriso per più di dieci secondi.
"Ti ho vista nell'ultimo film del Pokéwood" fece quella di Cuordilava.
Stella annuì. "Sono io. Ma rappresento la Lega Pokémon di Adamanta in questo momento, dato che sono Capopalestra a Timea".
"Adamanta?" chiese Martino, curioso.
"Sì. È un'isola, poco lontana da Hoenn".
"Ne ho sentito parlare. E tu? Tu chi sei?".
Il ragazzo girò lentamente il volto verso il gruppo. Era serio, e di una bellezza maschia. Naso dritto, barba incolta e capelli leggermente lunghi, scuri, tirati sulla testa con un codino. Carnagione olivastra, occhi scuri. Il ragazzo si manteneva in forma e nonostante non fosse un adone per la mancanza di qualche centimetro, aveva un corpo tonico. Sulle braccia c'erano parecchie cicatrici.
"Robert Cavendish" rispose con voce da basso. "Capopalestra di Palladia, Adamanta".
"Sei un soldato?" sorrise Fiammetta.
Stella fece altrettanto. "No, non preoccuparti. È solamente asociale".
"Avete bisogno di una mano?" domandò Crystal.
"Volentieri!" esclamò quella di Timea.
"Un momento" stoppò Silver. "Vado a curare Poochyena e torno".
 

 
 

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Capitolo 11
*** Capitolo Decimo - Toh, chi si vede! ***


Toh, chi si vede!
 

Stella e Robbie se n’erano andati, ringraziando di cuore i giovani per l’aiuto dato. “Il nostro lavoro qui è finito” aveva detto la ragazza, fiera del lavoro fatto.
“Grazie per il vostro lavoro, a nome della Lega Pokémon di Hoenn” fece Fiammetta, stringendo le mani ad entrambi.
Martino si guardava attorno, scrutando bene Petalipoli nel vespro, arrossita da un sole acceso in via di tramontare, almeno per quel giorno. Tante piccole casette nascevano sulle rive di due laghetti naturali; la zona ne era totalmente sparsa. Edifici principali e case padronali più grandi erano disposte sul versante nord ed alcune erano totalmente crollate. La via centrale, mattonellata, era circondata da ampi ciuffi d’erba.
La zona sud era invece la parte residenziale. Martino comprese che sarebbe impazzito nel vivere in un posto come quello: fin troppo tranquillo. Apprezzava i momenti piatti, ma in quel posto era tutto troppo calmo. La stanchezza stava cominciando a farsi sentire ma Pichu prese a suonare una bella melodia col suo Ukulele, ravvivando gli animi di tutti.
“Dov’è Silver?” chiese poi Crystal, mentre salutava con la mano i due forestieri che si accingevano ad andare via.
“L’ho visto andare verso la spiaggia. Lascialo stare... ha detto di voler stare un po’ da solo” rispose Fiammetta.
Crystal si inibì, quindi guardò l’orologio e si chiese dove dannazione fosse Gold in quel momento.
 
Aveva levato le scarpe. Non voleva andare sulla sabbia e ritrovarsi dopo una spiaggia all’interno delle sue Fred Perry.
Non amava il mare. Gli dava fastidio sentire la pelle azzeccaticcia per via della salsedine, e la sabbia tra le dita dei piedi.
Era un tipo da piscina. O da montagna, insomma... Il mare preferiva guardarlo da lontano. Quella volta però gli fece bene andare verso la distesa rosea, colorata di dolce dal sol morente.
“Fuori...” fece sospirando, affondando i piedi nella sabbia asciutta e fredda.
Grovyle e Poochyena si presentarono davanti a lui.
La situazione fu particolare: Grovyle non riuscì a sostenere lo sguardo di Silver, e lo abbassò subito; era un Pokémon orgoglioso e l’essersi fatto prendere dalla paura gli aveva decisamente abbattuto l’umore. Rimase a capo chino.
Poochyena invece guardò dapprima schivo il suo Allenatore. Silver spostò lo sguardo da Grovyle al nuovo arrivato e gli sorrise, porgendogli una piccola bacca. Quello spalancò gli occhi ed ingenuamente, convinto da quello zuccherino, si avvicinò alla mano del fulvo. Con il muso toccò il palmo del ragazzo e quindi brandì tra i denti il frutto. Silver sorrise e carezzò la testa del Pokémon, per poi sollevarlo dalla pancia, posandolo sulle sue gambe. Notò che fosse una femmina, dal pelo piuttosto lunghetto.
La carezzò ancora, con calma e perizia, ottenendo un contatto con quel Pokémon; tutto questo sotto gli occhi mortificati di Grovyle.
Alzò lo sguardo, fissandolo: non si era mosso di un millimetro, né aveva cambiato il suo atteggiamento.
“Grovyle” fece. Il Pokémon alzò il viso e vide la mano del suo Allenatore contenente una Baccarancia. Più indietro il suo sorriso comprensivo.
“Posso capire la tua paura. Tutti abbiamo paura di qualcosa”. Grovyle prese la bacca, infilandola in bocca. “Anche Feraligatr ha avuto paura. E capirai che lui è molto più esperto di te. Questo che ti fa capire?”.
Gli occhi di Grovyle guardavano quelli di Silver, dolci, come il suo sorriso. Comprensivi.
“Questo ti fa capire che non importa quanto forte tu sia, o a che stadio sia arrivata la tua evoluzione. Tu avrai sempre paura di qualcosa. Tutti hanno paura di qualcosa... anche io ne ho...”
Grovyle fu attratto dal discorso. Non parlavano la stessa lingua ma capiva ciò che gli veniva detto.
“Sai Grovyle... Anche io ho paura. Ho paura di fallire... e di rimanere da solo”. Guardò il mare, affondando una mano nella sabbia e tirandola su. Il vento disperse la discesa di quella che sembrava una clessidra di pochi secondi.
Silver ripensò alle ultime parole, ma poi sorrise. “In realtà sto combattendo quest’ultima paura. Con Crystal...” arrossì, divenendo più paonazzo di quanto in realtà sarebbe potuto sembrare. “... Sto bene con lei, ed i suoi atteggiamenti mi fanno ben sperare per il futuro. Magari quando questa vicenda finirà... Ma non è il caso di parlare di questo ora; Poochyena, Grovyle, ora fate parte del mio team. E voi vi dovete fidare di me, come io mi fido di voi”.
Grovyle si sedette accanto a lui, e tutti e tre presero a fissare il mare.
 
I passi si facevano stanchi.
Vivere una vita piena di avventure probabilmente lo avrebbe fatto morire almeno dieci anni prima. Certo, sarebbe morto con soddisfazione.
In fondo non gli interessava vivere gli ultimi dieci anni della sua vita chiuso in un ospizio. No, meglio morire d’infarto durante una maratona di quindici ore di sesso.
Sorrise pensandoci, Gold.
In quel momento, però, più di ogni altra cosa, avrebbe apprezzato un po’ di riposo; il Monte Argento era freddo. Dopo la sua battaglia contro Red l’unica cosa da fare era prendersi un paio di giorni di pausa. Quindi aveva spento il Pokégear e si era recato ad Ebanopoli, per un paio di giorni di relax nelle acque termali, per calmare corpo e mente e per provare a dimenticare il viso deluso di Yellow. Quella ragazza, la sua semplicità e quella bellezza essenziale lo avevano decisamente indisposto verso il resto del mondo.
Poco tempo e sarebbe uscita dalla sua mente, ne era sicuro.
Era finalmente arrivato il momento di tornare a casa; Borgofoglianova era molto silenziosa, quel giorno. Casa sua, quella che condivideva con Silver e Crystal, era totalmente al buio. Sapeva che Crystal sarebbe tornata a casa di lì a poco, dato l’orario, mentre quel bacchettone di Silver, così come soleva definirlo, si stava sicuramente allenando da qualche parte, nei suoi “posti segreti”.
Salì gli scalini del pianerottolo di casa sua rimanendo ad indugiare per un attimo nella sua borsa, nel tentativo di trovare le chiavi. Le gettava sempre alla rinfusa e poi, quando gli servivano, non le trovava mai. Levò il cappello, mantenendolo con la visiera tra i denti. Cercava con le dita tra un mare di strumenti inutili ed utili, quando il Pokégear squillò.
Sbuffò, sempre col cappello in bocca, quindi lasciò perdere la ricerca delle chiavi per poter rispondere.
“Pronto” disse, con voce atona e stanca, lasciando cadere il cappello per terra.
“Gold?”. L’interlocutore era maschile.
“Chi sei?”.
“Green”.
Gold guardò bene il numero del Pokégear. Non lo riconosceva. “Ho dimenticato qualcosa a casa tua...” sospirò. Prima di salire sul Monte Argento, Gold era stato a Biancavilla, ospitato proprio dal ragazzo.
“Non hai dimenticato nulla ma non importerebbe adesso. Credo sia più importante che tu ora mi ascolti”.
“Che succede?” chiese poi serio il ragazzo, sentendo la voce di Green ricca di preoccupazione.
“Qualche giorno fa Articuno si è risvegliato, attaccando Fucsiapoli con i suoi potenti attacchi di ghiaccio. Con l’aiuto di Blue sono riuscito a fermarlo. Poi è stata la volta di Moltres...”.
“L’uccellone di fuoco?”.
“Sì, la leggendaria fenice”.
“Sì, so chi è. È che si è alzato in volo proprio mentre stavamo lottando io e Red”.
“Poi mi racconterai com’è andata. In ogni caso un vasto incendio causato dal Pokémon ha colpito proprio ieri il Bosco Smeraldo, ferendo ed uccidendo Pokémon e persone”.
“Manca Zapdos...”.
“Esattamente” sospirò Green. “Zapdos si è svegliato circa sei ora fa. Ora è a Lavandonia”.
“Per Arceus, non dire il nome di quel posto che mi si accappona la pelle... Cosa vorresti esattamente da me?”.
“Mi serve l’aiuto di un Allenatore capace per sconfiggere Zapdos e riportare la pace a Kanto”
“Conta su di me, sto venendo”.
“Ti aspetto a Biancavilla”.
“Parto subito”.
Quindi... la questione era molto semplice, e si basava tutta sulle coincidenze e sul tempo: se la telefonata fosse avvenuta appena dieci minuti dopo, Gold sarebbe entrato in casa ed avrebbe letto il biglietto lasciatogli da Crystal, che gli intimava di raggiungerla subito ad Hoenn. Invece non indugiò nemmeno un secondo, lasciò perdere la ricerca delle chiavi, chiamò Togebo e si gettò a capofitto sul Pokémon, destinazione Biancavilla.
La città degli eroi.
 
“Hey... Sil”.
Il fulvo sentì la voce di Crystal e si voltò. Grovyle riposava steso qualche metro più in là e Poochyena stava dormendo sulle gambe del ragazzo mentre una mano passava sistematicamente nel suo pelo
“Crys” sorrise lui, con una mano sul Pokémon ed una puntellata nella sabbia.
“Ti vedo felice” si accomodò di fianco a lui.
“Felice è una parola grossa...”.
“Prima sembravi strano”.
“Lo so. Il tumulto di cose che ci sta succedendo mi sta destabilizzando”.
“Eppure bisogna resistere. Molta gente è morta e se non cattureremo Groudon al più presto succederà ancora”.
“Lo so bene”.
Erano l’uno di fianco all’altro, sulla sabbia fresca ed il mare che danzava per loro, e lui le prese la mano. Lei sorrise ed arrossì, guardandolo.
“È strano”.
“Lo so, Crys. Non ho idea del motivo per cui io abbia... Hai capito no?” sorrise.
Quella annuì. In effetti era strana la situazione. I due avevano vissuto assieme per anni, nel totale silenzio delle proprie emozioni. Era bastato, si faceva per dire, cambiare regione, lontana centinaia e centinaia di chilometri, per far sì che lui le entrasse nel cuore.
E viceversa.
“Martino e Fiammetta stanno parlando con Norman” fece la ragazza.
“Chi sarebbe?”.
“Il Capopalestra di Petalipoli. Inoltre è il padre di Ruby”.
“Oh... Ottimo...”.
“Non ho avuto voglia di entrare e parlare con lui. C’è anche sua moglie nella Palestra”.
Intanto il sole era sceso totalmente oltre la linea dell’orizzonte e la luce della luna cominciava ad invadere il cielo.
 
“Atterra qui, Togebo!” urlò Gold, cercando di tenersi il cappello senza essere disarcionato.
Biancavilla non era cambiata da quando era stato lì, a casa di Green. Le solite casette, di cui due o tre in riva al mare, ghiaia nei vialetti ed erba ben tagliata nei giardini. A pochi metri c’erano la casa natale di Blue, quella di Green e la casa della madre di Red. Gold ci atterrò proprio davanti. Il buio era già sceso nella valle dove la città era sorta, ed il ragazzo pensò proprio al Campione imbattuto della Lega di Kanto e Johto.


Red... pensò.

Era un Allenatore formidabile; univa la strategia ad una potenza incredibile espressa dai sei Pokémon che portava nella cintura. La grinta che aveva, la voglia di vincere, l’unione d’intenti con i Pokémon che allenava... Tutto lo spingeva ad essere la leggenda tanto decantata che era diventato.
A Gold bruciava aver perso contro di lui ma tutto sommato era un risultato veritiero. . Insomma... Red di Biancavilla, il Campione. Quello dalla vita privata strana, con quel rapporto d’amore malsano con Yellow, che aveva portato occhidorati ad ascoltare il dolore della bionda, portandolo ad infatuarsi poco a poco di lei.
 
Che stupido che sono...
 
La sconfitta con Red gli fece capire che aveva bisogno di riposo. E così andò ad Ebanopoli, a passare qualche giorno nelle terme. Neppure il tempo di tornare che Green, lo stesso Green che in quel momento aspettava con le mani nelle tasche del camice sulla cima della collina dell’Osservatorio, lo aveva telefonato.
“Gold!” fece quello, agitando la mano nel buio. Un minuto dopo i due si stavano stringendo la mano.
“Hey, Oak... Che si dice?”.
“Dobbiamo andare immediatamente a Lavandonia” rispose quello, serio.
“Lavandonia, diamine...”.
Green sorrise a mezza bocca, entrando nell’osservatorio. Scaffali a parete erano ricchi di libri, molti redatti stesso dal Professor Oak. Altri erano stati stesi da Elm, altri ancora da tal Rowan.
In fondo macchinari tecnologici e fotografie si contendevano la sala con una grande finestra ed un enorme tavolo.
Margi stava leggendo un grosso tomo con gli occhiali sulla punta del naso ed una matita tra le labbra. I capelli erano legati con una bacchetta e tenuti alti. Sensuale.
“Ma ciao...” sorrise Gold, pronto per l’abbordaggio.
“Smettila e ascolta me adesso. Abbiamo bisogno della massima concentrazione possibile per...”.
“Un momento, Blue dov’è?!”.
Margi alzò gli occhi per poi riabbassarli velocemente, presa dalla lettura.
“Si trova a Lavandonia adesso, e cerca di combattere contro Zapdos”.
“Non nominare quel posto, ti prego!”.
Green levò il camice e lo gettò sul tavolo, accanto a sua sorella, quindi prese una sacca e la mise in spalla.
“Non la nominerò più. Tra poco la vedrai”.
Gold lo seguiva mentre il primo camminava frettolosamente per l’Osservatorio.
“Mi raccomando, Margi” fece, aprendo la porta. Non la guardò nemmeno, ma piazzò una Pokéball tra le mani di Gold.
La sorella alzò la mano in segno di saluto, pur sapendo che non sarebbe nemmeno stata vista. Poi la porta sbatté, lasciandola da sola.
“Ciao fratellino...”.

“Allora, è molto semplice: Lavandonia...”.
“Non dirlo, ho detto” s’alterò leggermente Gold, guardandosi attorno, con la pelle accapponata.
“Manco fosse Voldemort...”.
“Non devi dire neanche quello!”.
Green s’arrabbiò. “Smettila di fare il ragazzino, Gold! C’è in ballo la vita di tante persone!”.
Quello si scusò con un gesto del capo, quindi con le mani gli fece segno di andare avanti.
“Lavandonia è sotto i fulmini! Blue è sotto i fulmini! Combatte contro Zapdos ed ha bisogno di riposare!”. Green prese a camminare, scendendo la collina del promontorio.
“Due domande” fece l’altro, seguendo il passo lungo del ragazzo. “La prima è: da quanto tempo lotta?”.
“Sono cinque ore e mezza che fronteggia ininterrottamente Zapdos”.
Gold alzò un sopracciglio. “Gagliarda la sorella... Beh, la seconda domanda: che cazzo ci dovrei fare con questa Pokéball?”.
Green sorrise quasi impercettibilmente. “È Pidgeot. Ti porterà in volo a Lav...” poi il suo sguardo incrociò quello di Gold. “... Lì”.
“Ma ho Togebo. Non serve”.
“Senti. Togekiss ha volato fino a qui, è stanco. Inoltre Charizard non potrebbe portare due persone adulte addosso. S’affaticherebbe troppo”.
“Ok, ok. Andiamo a Lavandonia” concluse il moro, cacciando fuori Pidgeot dalla sfera. Green lo emulò, facendo lo stesso con Charizard.
“Hai detto Lavandonia...” puntualizzò poi.
“Io posso”.
 
Fiammetta sospirò. Le toccava, Norman era un suo collega, almeno prima che lei desse le dimissioni, e Ruby, suo figlio, era stato rapito.
Norman però questo non lo sapeva ed era toccata a lei la responsabilità di spiegare all’uomo che il figlio fosse tra le mani del Team Magma, assieme a Sapphire Birch. Sanguigno com’era avrebbe messo a ferro e fuoco tutta Hoenn, o quello che ne rimaneva.
Accompagnata da Martino, bussò con le nocche alla porta della Palestra. Sospirò, aspettando che qualcuno andasse ad aprire.
La totalità delle Palestre, tranne quella di Petalipoli, aveva subito un cambiamento strutturale e tecnologico nel tempo. Durante gli anni, Norman si era impuntato contro questo processo di cambiamento, tant’era vero che le porte automatiche lì non c’erano.
Quello che aveva davanti era solo un portone blindato, che nascondeva rimpianti e parole non dette di un padre troppo duro e severo.
La porta s’aprì; Caroline, la madre di Ruby, aveva il volto funereo.
“Fia-Fiammetta... Non ti aspettavo...” fece, leggermente sorpresa dalla presenza della ragazza. Quella, una bellissima cinquantenne per altro, fissava con gli occhi chiari la ragazza mentre le rughe attraversavano inquiete ed impietose la sua pelle, un tempo diafana, ora macchiata dai segni del tempo. I capelli castani, tinti, erano acconciati alla meno peggio.
“Ero nei paraggi. Lui è Martino, un Pokémon Ranger. Assieme a lui stiamo cercando di catturare Groudon”.
“Salve signora” chinò il capo il giovane.
“Norman dov’è?” chiese poi la ragazza di Cuordilava.
“Nel suo studio. Non esce da due giorni, senza mangiare... Sta rinchiuso lì e vuole che nessuno lo disturbi”.
“Posso incontrarlo?”.
Carol guardò Fiammetta, e la limpidezza dei suoi occhi. Poi annuì, abbozzando un sorriso. “Gli farà bene stare a contatto con te”.
La donna lasciò entrare i due, e poi chiuse la porta. La Palestra si sviluppava in una sequenza di stanze, fino a raggiungere quella di Norman. Tuttavia varcarono una soglia sulla cui porta c’era scritto “RISERVATO”, subito sulla sinistra. Martino asciugò le mani sui pantaloni, immaginando di doverla stringere a Norman.
Quando entrarono nella stanza, l’uomo era in silenzio, li fissava con lo sguardo vacuo.
Il suo studio personale sostanzialmente era in una stanzetta, composto da varie fotografie, una scrivania, una libreria, una bacheca, un armadietto in legno ed un televisore. Norman manteneva tra le mani il telecomando, mentre faceva zapping tra i vari telegiornali.
“Tesoro... Fiammetta ti è venuta a trovare” fece Caroline.
“La vedo. Grazie” tuonò quello, con la voce dura di chi aveva avuto il cuore strappato dal petto.
Sua moglie annuì in fretta quindi si dileguò, lasciando i due soli con il marito.
Fu imbarazzante quella sequenza di secondi silenziosi, palleggiandosi il senso del dovere della prima parola.
Battuta iniziale all’impacciatissima Fiammetta. “Come va?”.
L’uomo sorrise, sarcasticamente.
“Come dovrei stare?”.
“Domanda un po’ sciocca in effetti...” osservò Martino.
“E questo chi è?” chiese con sufficienza il Capopalestra di Petalipoli.
“Martino, da Oblivia. Sono un Ranger”.
“Ah... Bene... Non solo il mondo sta finendo, non solo mio figlio è scomparso, ora mi ritrovo davanti anche uno stupido Ranger!” borbottò lui.
“Ma che diamine vuole questo?!” chiese il ragazzo a Fiammetta.
“Lascialo perdere, Martì. Anzi, vai e lasciami un po’ da sola con lui”.
Dopo un secondo lungo un’ora, Martino annuì ed uscì, sbattendo la porta.
“Ranger... Che gente...” borbottò ancora l’uomo.
“Non trattarlo male, Norman, è qui per aiutarci”.
“Dov’è Ruby?” tagliò corto lui.
Fiammetta spalancò gli occhi, colta alla sprovvista. “Io... io non...”.
“Non tornava mai a casa ed io non lo vedevo da mesi... ma non passava un giorno, e dico un giorno soltanto, in cui non chiamava la madre. Sono due settimane che non si fa sentire...” i suoi occhi, già piccoli, si strinsero, diventando due linee sormontate da un rivolo sapido, che cadde dalle sue palpebre, fiancheggiando lo zigomo. Poi l’uomo urlò quando in televisione passarono le immagini di suo figlio, con Sapphire, in alcune riprese dall’alto; erano in compagnia di quattro persone vestite di nero.
“Santo cielo!”. Il telecomando che aveva tra le mani venne scaraventato sul muro accanto alla ragazza, trasformandosi in un milione di pezzi di plastica neri.
Fiammetta non riuscì a trattenere un urlo. “Norman, cazzo! Calmati!”.
Quello guardò contrito la ragazza. I capelli sulla sua testa, di solito ben pettinati a formare quel casco di capelli corvino, erano disordinati. Il volto era squassato dal passaggio molesto della fame e dell’insonnia, con le labbra violacee e gli occhi scavati, che acuminavano ancor di più gli zigomi barbuti.
Le iridi ardevano.
“Calmarmi?! E perché mai?! Dove sta andando mio figlio?! Con chi è?!” urlò contro la rossa.
“Team Magma...”.
“Devo andare subito!” fece, alzandosi e gettando la poltrona sul quale sedeva contro la libreria, facendo cadere alcuni pesanti tomi.
“Norman, calmo!“.
Quello sbatté gli occhi un paio di volte, guardando il volto spaventato di Fiammetta. Poi mutò espressione in viso.
“Scusami... Non volevo reagire così”.
Fiammetta sospirò. “Voglio aiutarti a trovare Ruby”.
“Anche Sapphire non si trova più...”.
Lei sospirò ancora quindi annuì.
“Farò mille ricerche e riuscirò a capire dove li tengono nascosti. Magari sarò fortunato e ci riuscirò oggi stesso” disse tra sé e sé, ragionando sulla cosa, con la mano a carezzarsi il mento.
“Magari sì. Magari sarai fortunato”.
Norman annuì di nuovo. “Devo partire”. Si guardò attorno ed aprì l’armadietto in legno. Sette scaffali, ognuno dei quali conteneva sei pedicelli, a mantenere altrettante Pokéball.
Prese le prime sei, probabilmente i Pokémon da guerra, e al sol pensiero di tale definizione Fiammetta sorrise di nascosto. Poi uscì dalla stanza. Si sentì cigolare la porta blindata, e poi il rumore della stessa, sbattuta dall’uomo.
“Norman!” urlava Caroline, facendo un paio di passi verso la finestra. L’uomo però non si girava. La donna mutò la propria espressione, non riuscendo più a trattenere il pianto, quindi si voltò verso la giovane. “Ma che gli hai detto?!”.
Fiammetta fece spallucce, portando le mani ai fianchi, sospirando. Quindi si voltò.
Guardò la scrivania dell’uomo.
L’aggirò per poi aprire tutti cassetti. Carol la guardava sconvolta. “Cosa fai?!”.
“Tranquilla, Carol... Mi servono...”. Si morse la lingua, cercando con la mano qualcosa che non poteva vedere. Alzò gli occhi al cielo, e quindi sorrise. “Eccole!”.
Tirò fuori due medaglie. “Mi servono queste”.
“Ma...”.
“Tranquilla”.
“Ok...” fece lei, acquietandosi. Fiammetta le si avvicinò e la strinse in un abbraccio compassionevole, poi recuperò Martino, seduto su di una sedia a fissare le foto nella sala d’aspetto, e infine uscì.
 
Gold volava su Pidgeot. L’enorme volatile con i suoi battiti d’ala solcava il cielo ampio e scuro. Stavano sorvolando proprio in quel momento Zafferanopoli. Da lontano erano in grado di vedere densi ammassi di nuvole accumularsi nei pressi di un’enorme ed alta costruzione.
“La Torre Pokémon...” sussurrò Gold. Era già a conoscenza del fatto che non fosse più un cimitero, e che da qualche anno a quella parte fosse diventato un centro di trasmissione radiofonica, tuttavia era scettico riguardo la pulizia spirituale presente in quel posto. Fortemente convinto dell’esistenza dei fantasmi, credeva nella loro rabbia repressa. Ora, senza casa, quelli avrebbero vagato senza meta né pace per l’eternità. E Lavandonia era il posto dove mangiare anime corrotte.
Il ragazzo rabbrividì mentre si sistemava il cappellino sulla testa; le mani, invece affondavano nel piumaggio morbido e delicato del Pokémon di Green.
Quest’ultimo viaggiava poco dietro il suo amico, sul suo Charizard. Ogni battito d’ali emetteva uno strano schiocco, con conseguente movimento d’aria. Il crepitio si perdeva espandendosi nel vuoto del cielo serale.
Abbassò la testa, guardando Zafferanopoli. I terremoti che stavano colpendo le varie regioni, oltre agli attacchi dei tre uccelli leggendari, avevano messo le persone in allerta. Nessuno calpestava le mattonelle ben disposte tra le strade della città gialla. Il vento soffiava forte, l’aria costringeva Gold a chiudere gli occhi e a mantenere il cappello con una mano, mentre con l’altra si teneva forte a Pidgeot.
Le nuvole nere su Lavandonia s’impastavano tra di loro, formando un banco denso e scuro dal quale ritmicamente vari fulmini scaricavano l’energia fino al pavimento.
Poi un urlo animale li fece tremare.
“Zapdos...” sussurrò Green, preoccupato per Blue.
“Dobbiamo fare presto!” urlò Gold, voltandosi e perdendo il cappello, subito afferrato dall’amico che lo seguiva. Green annuì, quindi sospirò.
Un enorme uccello giallo volteggiava attorno alle grandi antenne della Torre Radio di Lavandonia. Le ali erano ispide, il becco puntuto e lungo. I fulmini si scagliavano sul suolo, raggiunti qualche secondo dopo da rombi incredibili di tuono.
Arrivarono lì pochi minuti dopo. Blue stringeva i denti ma aveva evidenti ferite ed ustioni provocate dagli attacchi del Pokémon.
“Siete arrivati, finalmente...” sussurrò, col sorriso sulle labbra, poggiata ad una parete, sfatta e stanca.
 

 
 

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Capitolo 12
*** Capitolo Undicesimo - Volt ***


Volt


Enormi folate di vento spazzavano le vie deserte di Lavandonia. Fogli di giornale e qualche bicchiere di plastica si ammassavano lungo le stradine ripide, rimbalzando sui sampietrini della pavimentazione.
Piccole casette color lilla dai tetti viola nascevano come funghi nel sottobosco.
Gold rimase stupito di veder tutte le abitazioni sprangate, con le finestre chiuse e le luci spente.
Quella sembrava una città fantasma.
Zapdos era lì, nel cielo, e manteneva alta quota raggiungendo le parabole della Torre Radio di Lavandonia, la vecchia Torre Pokémon che tanti problemi creava a Gold. L’enorme edificio era totalmente nero e risaltava di poco sul cielo grigio scuro di quel giorno; quello si illuminava ciclicamente ogni pochi secondi per il passaggio di qualche fulmine.
Lo sguardo di Green non era per niente interessato al leggendario Pokémon Elettrico.
No, lui cercava Blue.
“Blue! Dove sei?! Blue!”.
I suoi occhi erano alla disperata ricerca di un qualche segnale divino che non attestasse la morte della donna che amava.
“Green!” sentì urlare quello, riconducendo lo sguardo verso l’ultima casa alla sua destra, prima dell’inizio dei pontili.
Un fulmine cadde a pochi metri da Gold, che rimaneva affascinato a guardare la bestia che avrebbe dovuto fronteggiare.
La potenza che esprimeva Zapdos non aveva pari.
“Perché fai questo?” si chiese mentre lo vedeva urlare rabbioso, lasciando cadere un fulmine proprio davanti a lui. Per un momento la sua vista rimase appannata, come se una marea di flash l’avessero sorpreso appena aperti gli occhi.
Tutto bianco.
Solo Bianco.
 
Green raggiunse velocemente Blue, tirandola a sé, preoccupato. Quella strinse i denti, aveva parecchie ustioni sul corpo, probabilmente Zapdos era stato molto vicino al colpirla, quel pomeriggio.
Lui, amorevole, adagiò delicatamente la testa della ragazza sul suo petto, carezzandole i capelli e baciandole la fronte. La ragazza aveva il battito accelerato e tremava. Non riuscì a trattenere quelle lacrime galeotte, macchiando di mascara la camicia del giovane. Si voltò per un momento, per guardare Gold, ipnotizzato dall’armonioso sbattere d’ali del Pokémon, quindi tornò a guardare la donna.
Le alzò il mento e le pulì lo sguardo blu dagli aloni neri. Quella deglutì un pugno di chiodi, quindi schiuse le labbra ed esalò un respiro.
“Sei ferita? Come stai?” chiese il ragazzo.
Blue fece in tempo ad annuire, chiudendo gli occhi velocemente, per poi tornare a guardare lo sguardo smeraldino del ragazzo. La vista della ragazza si posò per un secondo sulla barba di tre giorni che il suo uomo si stava facendo crescere, per mancanza di tempo più che per voglia di seguire particolari mode alla Dan Bilzerian.
“Rispondi: hai ferite?”.
“No, Green. Solo q-qualche ustione sulla gamba e sul braccio destro...”.
“Sei stata colpita da un fulmine?”.
“No… Almeno non direttamente. Blasty mi ha protetta col suo corpo, ma ora… Beh, ora sta malissimo” singhiozzò la ragazza.
“Hai fatto abbastanza per oggi. Sono ore che stai lottando qui”.
“Non ho più Pokémon utilizzabili” fece lei, sporgendosi da dietro il muro che li proteggeva. Vedeva Gold, immobile. “Ma che fa?”.
“Non ne ho idea. Si staranno studiando. Ora però vai a casa”.
Un nuovo fulmine si abbatté su Lavandonia, stavolta poco lontano dai due ragazzi. Blue strinse per un attimo Green, quindi calmò i muscoli.
“Va bene… ma non ho Pokémon per poter volare via”.
“Gold!” urlò il ragazzo. Alla voce di Green, Zapdos rispose con un grido, coperto parzialmente verso la fine, quando un terribile tuono fece tremare i loro timpani e suonare gli antifurti delle automobili parcheggiate vicino ai marciapiedi.
Il primo rimase immobile, continuando a fissare l’ira funesta di Zapdos.
“Gold, cazzo! Gold!” urlò ancora Green, provocando l’ennesimo scatto di rabbia da parte del Pokémon che, in quanto più pericoloso tra i tre, aveva il diritto di decidere chi potesse urlare e chi no.
Il ragazzo dagli occhi dorati si girò, e con uno sguardo chiese cosa Green volesse da lui.
“Dammi la sfera di Pidgeot!” urlò ancora. Un altro tuono si espanse nei loro padiglioni auricolari.
Gold vedeva Green urlare e gesticolare, mentre Blue piangeva. Il fischio divenne sempre più flebile, fino a sentire il rumore della pioggia che cominciava a battere sui ciottoli violacei del pavimento.
“La sfera, Gold! La sfera di Pidgeot!”.
Gold si svegliò all’improvviso; riassorbì quello strano attacco di curiosità misto a panico, quindi lanciò la sfera a Green, prima di rendersi conto che un enorme fulmine sarebbe partito da qualche secondo a quella parte.
Saltò di lato, fece una capriola, e corse verso i ragazzi.
“Dannazione, ma sei matto?!” chiese Blue, a denti stretti.
“Decisamente. Come stai?”.
“Sono stata meglio... Mi raccomando, attenti alla sua potenza elettrica”.
Green annuì, quindi saltò, facendo comparire Charizard sotto di sé. “Vai via!” urlò. Salì su Charizard e prese a volare ad una distanza relativamente sicura.
Sì, relativamente. Di fronte aveva sempre uno Zapdos, uno dei Pokémon più potenti dell’intero creato.
Il Pokémon rimase a guardare per pochi secondi prima che la sua ira scaturisse e fulminasse giù, in impeti elettrici.
“Gold! Aiutami da terra!”.
“Posso salire anche su Togebo!” fece quello.
“Da terra puoi controllare più Pokémon!”.
“Ma è meglio in aria!” urlò, chiamando Togekiss. L’idea della battaglia aerea lo eccitava al parossismo.
“Ascoltami, per una benedetta volta!”.
“Ti ho mai deluso?” chiese sornione quello.
“Finiscila di fare il cocciuto e...” Zapdos attaccò con un Fulmine diretto verso di lui. Charizard virò verso destra finendo quasi per sbilanciare il suo Allenatore. “...e ascoltami, cazzo!” si alterò nel finale.
“Togebo, avanti! Forzasfera!”.
Il Pokémon alato allargò le ali per poi rilasciare un forte attacco. La sfera azzurra si abbatté dietro la schiena di Zapdos, facendogli perdere quota.
Quello si girò, virando con le enormi ali gialle, ruggendo. Le strade vuote amplificarono il suo grido, che penetrò forte e vivo nelle teste dei due giovani.
“Gold!” urlò Green, vedendo il Pokémon avversario scatenare la sua ira verso il cocciutissimo compagno.
“Ora ci divertiamo” sorrise Gold, stringendosi a Togebo. Zapdos prese ad inseguirlo, e mentre scappava, lanciava enormi fulmini contro il suo avversario.
“Charizard, Fuocobomba!” urlò Green. Un enorme attacco di fuoco si scagliò contro il suo avversario che tuttavia rimase concentrato sul suo obiettivo, mentre urlava al cielo.
Un tuono scese dalle nuvole, mancando il ragazzo dagli occhi dorati davvero di poco.
Quello, con il sorriso stampato sul volto, carezzava lentamente il dorso di Togekiss, abbassato quanto più potesse sul corpo di quello per non creare attrito e favorire l’aerodinamicità.
Zapdos, rabbioso, continuava con l’inseguimento, e mentre cercava di tenersi ad una quota abbastanza alta per non colpire i tetti dei palazzi, Gold decise di contrattaccare. Si alzò in piedi sul suo Pokémon, quindi sorrise.
“Togebo, vai a sinistra!” urlò.
Prima che il suo Pokémon potesse cominciare la virata, Gold si gettò a destra, cadendo giù.
Zapdos dapprima fu confuso, non sapeva dove andare, contro chi sfogare la propria ira. L’istinto gli disse che il problema fosse Togekiss, quindi partì al suo inseguimento.
“Ottimo!” esclamò Gold, in caduta libera. Prese poi la sfera di Togekiss e lo fece rientrare. Zapdos rimase per un lungo istante da solo, cercando di capire cosa stesse succedendo, quando il Charizard di Green lo colpì con un attacco Lanciafiamme.
“Grande Green!”.
“Tu pensa a non morire. Mi servi intero” fece a voce leggermente alta quello.
Gold annuì, facendo comparire Togebo sotto il suo corpo. L’atterraggio fu morbido, e Zapdos era lontano.
“Ora attacchiamolo da qui! Eterelama!”.
Grossi fendenti d’aria colpivano a ripetizione il Pokémon leggendario, dandogli difficoltà nel muoversi, innalzando la sua ira ad un livello inarrivabile. Urlò di nuovo, stavolta più forte, e formò una grandissima sfera d’energia elettrica davanti a sé. Il colore era di un giallo vivido, con una miriade di scintille che increspavano la sua superficie.
“Gold! È Falcecannone!” urlò Green, terrorizzato.
L’altro invece sospirò. La stanchezza si stava facendo davvero sentire. Inoltre c’era un dannatissimo Zapdos che lo stava per uccidere, e quella cosa lo stressava.
Sì, solo leggermente, sia ben chiaro.
“Uff...”.
“Gold! Levati da lì!”.
“Cosa diamine stai aspettando?! Attaccalo!”.
“Ma cosa!?”.
Green era confuso. Falcecannone stava per ammazzarlo, colpendo lui ed il suo Pokémon e lui rimaneva impassibile ad impartire ordini.
“Avanti, Gold!”.
“Dannazione, fai presto! Questo mi uccide!”.
Green sbuffò. “Charizard, Lanciafiamme!”.
Il Pokémon di tipo Fuoco rilasciò una quantità disumana di calore addosso al malcapitato Zapdos che, concentrato a prendere la mira su Gold non si accorse di nulla. Colpito dalle fiamme, il Pokémon Elettrico perse rapidamente quota, schiantandosi sulle mattonelle di Lavandonia.
“Ottimo lavoro!”.
Green capì. Lui stava distraendo Zapdos, per fare in modo che potesse attaccarlo facilmente.
“Scendi da lì adesso e fammi stare tranquillo!” urlò Green. Quello annuì e con un balzo di almeno tre metri atterrò a poca distanza dall’uccello leggendario.
“Zapdos, sto per farti incontrare il Pokémon che mi è stato consegnato appena sono partito per il mio viaggio. Vai Exbo!”.
Una scia luminosa andò a formare la sagoma indistinta di quello che subito dopo Green capì essere un Typhlosion.
Exbo era un esemplare di Typhlosion davvero bello. Alto, muscoloso, il suo pelo era lucido ed i denti belli aguzzi. Lo sguardo concentrato sull’avversario.
Sullo sfondo di quelle nuvole che si illuminavano c’era Green sul suo Charizard.
“Mettiamo fine a questa cosa, vai con Fuocobomba!” urlò il ragazzo con il cappellino.
“Anche tu Charizard!”.
Zapdos diede un urlo agghiacciante, prima di spalancare le ali. Una quantità enorme di fulmini caddero dalle nuvole, illuminando la scena e rendendola immortale per un attimo.
L’uccello si rimise in volo, ma gli attacchi dei due Pokémon avversari s’intercettarono prima di colpirlo, esplodendo come fuochi d’artificio che illuminarono il volto di Zapdos. Impaurito quello lasciò cadere un Tuono, che colpì in pieno Typhlosion.
“No! Exbo!” urlò Gold.
Il Pokémon era rimasto steso per terra. Il corpo ustionato, il sangue che usciva dal pelo e dalla bocca sottoforma di un rivoletto.
Il suo Allenatore corse da lui, e vi si inginocchiò.
“Curalo!” urlò Green, quando all’improvviso decise che il momento fosse arrivato. Si alzò all’in piedi sul dorso del suo Pokémon e alzò le maniche della camicia, mostrando un bracciale. Un piccolo scatto, fatto con la mano destra, e Charizard prese ad illuminarsi.
“Ma che...?” Gold guardava stupito, a bocca aperta.
La fisionomia di Charizard cambiava. Le sue ali si allungavano, le ossa del cranio si modificavano, le braccia si aprivano sul polso a creare delle frange, delle piccole ali.
“Cosa diamine è successo?!” chiese Gold, urlando. Exbo intanto tossì, e riportò Gold alla realtà. Prese dalla sua borsa una Ricarica Totale e la somministrò al suo Pokémon.
Charizard intanto, illuminato ancora come se si stesse evolvendo, fu avvolto da una grande sfera di fuoco, che dopo un ruggito rabbioso scomparve.
Green era ancora intonso sul dorso di quel nuovo Pokémon.
“Fammi scendere a terra” sussurrò al suo Mega Charizard. Si strinse forte al suo collo, chiuse gli occhi e strinse i denti costatando che la velocità di volo del suo Pokémon fosse triplicata.
Appena si avvicinò al terreno, le ali di Charizard alzarono grossi cumuli di polvere.
Gold proteggeva il suo sguardo con la mano, mentre il cappello volava via, spazzato dalla furia del vento. Green si fermò davanti a lui.
“Curalo” fece.
“Sì, aspetto che faccia effetto. Ma quello che diamine è?!”.
“Charizard” rispose velocemente Green, tenendo sotto controllo Zapdos.
“Quello non è un Charizard…” fece Gold, con sufficienza. “Quello sembra un Charizard, ma è una bestia molto più forte. Dov’è andato a finire il tuo Pokémon?”.
“Si chiama Megaevoluzione. Charizard è passato ad un grado superiore”.
“Quindi può evolversi oltre? Anche Exbo può farlo?”.
“No, Gold, lascia che ti spieghi” disse, mentre Charizard volava a tutta velocità contro Zapdos, lottando consapevolmente, sapendo già cosa fare.
“Spiega, avanti!”.
“Lasciami parlare”.
“Avanti… Parla!”.
“Allora…” sbuffò Green. “… Alcuni Pokémon sono in grado di passare ad un livello successivo tramite la reazione che possono più o meno avere con pietre particolari; nuovi elementi, scoperti a Kalos anni fa. Alcuni esperimenti sono stati fatti, ed hanno appurato che alcuni Pokémon reagiscano con questi particolari materiali, traendone energia”.
Un’esplosione enorme fece voltare il capo ad entrambi, rapidamente. Una bomba luminosa di scintille risplendeva attorno alle fauci di Charizard mentre Zapdos indietreggiava.
“Fuocobomba” spiegò Green. “In ogni caso, Charizard è uno dei Pokémon in grado di mutare il proprio DNA in base agli effetti della Charizardite”.
“Charizardite… È così che si chiama?”.
“Esatto”.
“E quindi devo trovare la Typhlosion… ite?”.
“Apparentemente. Ma non sappiamo ancora della sua esistenza”.
Exbo si risollevò dal terreno. Zapdos continuava a volteggiare, irradiando di fulmini orizzontali il cielo, che veloci colpivano il terreno. Charizard era in grado di evitare con rapidità gli attacchi elettrici del Pokémon, sempre più nervoso, sempre più arrabbiato.
“Rhyperior!” urlò Green. L’enorme esemplare comparve in campo. “Tieniti pronto!”.
“Exbo, mi raccomando, stai pronto anche tu. Sai cosa dobbiamo fare”.
Il Pokémon di Gold si rannicchiò per terra, quindi chiuse gli occhi. Gold lo caricava, incitandolo, mentre con lo sguardo fissava Charizard volteggiare sotto le nuvole nere.
I tetti delle case erano parecchio al di sotto di loro, tranne quello della Torre Radio, che imperava su tutte le abitazioni, superata solo dalle creste del massiccio che ospitava il Tunnel Roccioso.
“Charizard, cerca di volargli attorno, creando una circonferenza!”.
Quello prese a volteggiare attorno all’asse dell’avversario, che prese a sbattere rapidamente le ali, utilizzando un attacco Raffica per allontanare l’aggressore.
Un po’ confuso, Zapdos cercava di calmarsi e concentrarsi.
“Attacca con…” Green prese ad urlare i comandi quando Zapdos diede un urlo enorme, afferrando con le zampe il collo e la coda di Charizard, stringendo con forza. Il Pokémon di Green gemette.
“No!” fece il Ricercatore dagli occhi verdi, mentre un attacco Tuono partì dalla nuvola enorme sopra le loro teste per colpire Charizard.
“Cazzo…” sussurrò Gold, incredulo.
“Rhyperior, sei pronto?!” chiese l’altro.
Zapdos volò rapidamente verso il tetto della Torre Radio, adagiando l’avversario accanto ad una grande antenna parabolica.
Con il becco prese a colpire ripetutamente l’avversario, che urlava strazianti versi. Perforbecco lo stava distruggendo.
“Devastomasso!” fece poi Green. Rhyperior aveva caricato sulla propria coda un grande scoglio preso dal litorale lì vicino, quindi lo lanciò con potenza e velocità impressionante.
Quello andò a colpire Zapdos in pieno costringendolo a lasciare la presa da Charizard e a crollare quasi esanime al pavimento di Lavandonia.
Gold guardò Exbo, quindi Green.
Quello sospirò. "Mi spiace che Charizard sia stato ferito in quel modo, ma ho dovuto sacrificarlo per la causa. Lo farò curare".
"Già... ma Zapdos sta per rialzarsi" sospirò Gold, sfatto. Green spalancò gli occhi, a fissare l'uccello che si rimetteva in piedi. Stava utilizzando Trespolo, mossa che gli avrebbe fatto recuperare più energia, ma che lo rendeva estremamente vulnerabile.
"Ma come... ?" Green non riusciva a crederci. Rhyperior era sfinito dopo il suo attacco, aveva utilizzato un quantitativo considerevole di forza ed energia per lanciare l'enorme scoglio contro Zapdos, e quello era ancora vivo.
Si voltò a guardare Gold, mentre un soffio di vento spostò una colonna di polvere. Lui stava muovendo dei passi poco decisi verso il suo berretto, ribaltato davanti ad Exbo, ancora con gli occhi chiusi ed in posizione d'attacco.
Il ragazzo ribaltò il cappello sul piede e lo tirò su alzando velocemente la gamba. Lo afferrò prontamente e lo mise in testa, dapprima con la visiera in avanti.
Si voltò verso Green, e poi guardò Zapdos.
Sospirò e sorrise, girò il berretto ed urlò a Typhlosion. "Incendio!"
 
Typhlosion spalancò gli occhi, del tutto rossi. La corona di fiamme attorno al suo collo divampò forte, ed il calore aumentò enormemente. Un urlo fortissimo fece eco lungo tutta la valle, rimbalzando sulle pareti del massiccio alle spalle della città.
Fece uno scatto portandosi davanti a Gold quindi fissò per un momento gli occhi di Zapdos, che si vide investito dal fuoco.
 
Green riaprì gli occhi, il forte calore lo stava facendo lacrimare.
Si sentiva solo il rumore della pioggia che cominciava a cadere serrata, più fitta. L'odore della pioggia entrò nelle sue narici, ed il suo primo pensiero andò a Charizard. Lo fece rientrare nella sfera, poi fece lo stesso con Rhyperior. Era tutto finito, Kanto era salva.
Una finestra si spalancò, due testoline bionde spuntarono fuori e sorrisero.
L'enorme uccello giallo dormiva.
"Gold... Ce l'abbiamo fatta" fece l’altro.
Il ragazzo sorrise, facendo rientrare Exbo nella sfera. "Già".
"Ora penso a portare Zapdos in un posto sicuro. Puoi andare via da Lavand... Ops, scusami" ghignò il castano.
"Tranquillo. Qui con Zapdos me la vedo io. Tu corri da Blue".
Green sorrise ed annuì. "Grazie. Di tutto".
 
La luce bianca dei neon rimbalzava contro il pavimento di linoleum dell'ospedale.
Quella notte, oltre ai ronzii delle lampade, che emanavano quella luce così fredda quanto fastidiosa, solo il rumore dei passi di Green rimbombava lungo il corridoio numero 4 dell’ala Ovest dell’ospedale di Azzurropoli.
La struttura, praticamente nuova, era frequentata per la maggior parte da anziani in punto di morte ed ubriachi lerci in attesa di una lavanda gastrica.
Tanto fu vero che il primario si sorprese nel vedere quella bella ragazza qual era Blue stesa sul lettino della camera 5C.
Ustioni gravi e meno gravi al braccio, al fianco ed alla gamba sinistra. I brividi di freddo la stavano investendo come un tir quando il Ricercatore dagli occhi verdi entrò nella sua stanza.
Aveva il lavaggio attaccato al braccio, quello sano, mentre bende bianche dall’odore pungente di menta e qualcos’altro le erano state applicate attorno alle parti interessate.
“Blue...” fece lui, con gli occhi quasi chiusi per il sonno; ed era chiaro, erano le tre del mattino. A nulla era valso il tentativo della guardia notturna e delle infermiere di non farlo entrare, lui cacciò il foderino che dimostrava il fatto che fosse un Professore ed un Ricercatore, a mo’ di distintivo, e tutti fecero un passo indietro.
La ragazza era coricata nel suo letto, immobile, con gli occhi semichiusi, mentre alla televisione davano una replica di una vecchia puntata di Saturday Night’s Live. Curioso, era mercoledì.
Vedendo che non dava segni di vita, il ragazzo si avvicinò a quella e le poggiò delicatamente le labbra sulla bocca.
Era morbida, ed i loro nasi si incastravano perfettamente. Avrebbe voluto che quella rispondesse al bacio, anche solo uno schiocco delle labbra, molto debole. E invece nulla, solo silenzio, ed un bip che si ripeteva ritmicamente ogni pochi secondi, oltre al solito ronzio dei neon nel corridoio.
Allora cambiò strategia.
In cuor suo gli dispiaceva svegliarla, ma voleva che lei sapesse di averlo accanto in quel momento. Allora prese la mano, quella con il lavaggio, molto delicatamente, e la mise tra le sue.
Gli occhi di mare di quella si schiusero leggermente, pure le labbra.
Fu il tempo di prendere coscienza di quanto fosse dolce quello che il sorriso, mai bello come in quel momento, le fiorì in viso.
“Amore...” fece lei, con voce compressa dal sonno e dalla posizione stesa.
“Blue. Sono qui”.
“Come stai?” chiese lei, con voce compressa.
“Che domande... Tu piuttosto... tu come stai?”.
“Ho freddo”. Effetti collaterali di brutte ustioni.
Green sorrise, lasciando brevemente la mano della ragazza per carezzarle il capo. Quindi le riafferrò con delicatezza le dita lunghe ed affusolate per poi dirle: “Ti riscaldo io”.
 

 

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Capitolo 13
*** Capitolo Dodicesimo - Over The Top ***


Over The Top


Era tarda notte, quasi l’alba, quando Gold era atterrato a Borgofoglianova.
Vedeva poco più lontani Red e Yellow, abbracciati su di una panchina mentre si baciavano con passione. Stava cercando di capire il motivo per cui quei due fossero lì proprio a quell’ora ma poi sorrise, romantico, pensando che magari fossero lì da parecchio tempo, tanto da aver perso la cognizione di ciò che succedeva all’esterno.
I baci sono i ponti che collegano le anime delle persone, diceva sua madre.
Quel lungo bacio era terminato, giusto per un attimo, e Gold vide Yellow sorridere, mentre i lampioni gialli illuminavano il suo volto.
Lui sospirò, celando bene la sua invidia: Yellow gli piaceva e non poco. Forse però andava bene così, voleva che la ragazza fosse felice.
In quel momento voleva solo farsi una doccia veloce e poi sfasciarsi sul letto, per dormire a bocca spalancata.
Riprese le chiavi di casa dallo zaino e le infilò nella serratura, che scattò subito. L’uscio si aprì lentamente, con un cigolio.
Pensò al fatto che Silver avrebbe dovuto mettere un po’ d’olio ai cardini, poi sbatté la porta, noncurante dell’ora tarda e lasciò cadere lo zaino per terra, accanto all’ingresso.
Accese la luce della piantana, ad illuminare il tutto. Prima di lavarsi, e soprattutto di dormire, ciò che occorreva davvero era mangiare qualcosa: il suo stomaco stava sventolando bandiera bianca.
Si avvicinò al frigorifero, e fu allora che vide un biglietto.
“Crystal...” sussurrò lui, prendendolo. Non fece in tempo a collegare i grafemi con il loro effettivo significato che il Pokégear squillò.
“Ma che vogliono da me a quest’ora?! Pronto!” fece, rispondendo ruvido.
 “Gold, diamine, ma dove sei stato in questi giorni?!”.
“Professor Oak, salve. La sento allarmato, che succede?”.
“Devi assolutamente raggiungere Silver e Crystal ad Hoenn! Sta per scoppiare l’apocalisse!”.
Gold non ebbe nemmeno il tempo di rispondere un che?! oppure un cosa è successo? che Oak già aveva attaccato.
“Arrivederci, Professor Oak...” sospirò lui. Lesse il biglietto di Crystal.
 
“Siamo ad Hoenn. DEVI raggiungerci
Crys.<3"

 
Sconfisse la sua voglia di andare a dormire, aprì il frigorifero ed infilò un pezzo di formaggio e qualche wurstel in bocca, quindi doccia e si cambiò, indossando un berretto con logo Adidas, a foglia dorata, come i suoi occhi. Nero e dorato era anche il giubbino, con il medesimo logo. Infilò poi una comoda tuta con il cavallo slabbrato, ed infine un paio di L.A. Trainer.
Era il testimonial perfetto. Si sedette sul letto per stringere i lacci e poi si stese. Il suo letto era comodo.
Poi una palpebra si chiuse, seguita dall'altra.
 
La notte era passata da poco ed il sole era appena sorto con i suoi deboli raggi. Nuvole grigie si accumulavano come batuffoli di polvere in un angolo del cielo.
Silver era già operativo. Decise di arrotolare il giaccone e metterlo nello zaino, il calore era parecchio alto nonostante il Natale li avrebbe raggiunti in pochi giorni.
Uscirono dal Centro Pokémon dove avevano dormito; la stanza dove si trovavano i ragazzi non era molto grande: tre file di letti a castello, a tre piani, occupavano le pareti. Crystal dormiva nel letto centrale, Silver al terzo e Fiammetta al primo.
Martino invece russava a tutto spiano, con una canottiera bianca ed i pantaloncini che usava per dormire, coperto solo da un lenzuolo; il resto delle coperte era finito ai suoi piedi.
Quella notte era stata particolarmente calda, difatti la fronte di Fiammetta era sudata. La ragazza, che già emanava calore normalmente, sembrava irradiare di caldi raggi tutto ciò che la circondava.
Silver strinse per bene i lacci quindi si avvicinò al letto di Crystal. Dormiva delicatamente, poggiando la testa sul cuscino; i capelli, spettinati, avevano assunto una strana forma che al ragazzo strappò un sorriso.
La mano andò a carezzarle la guancia, poi più giù, al collo, fermandosi poco prima dei seni. Il respiro della ragazza si spezzettò e le sue labbra si schiusero leggermente.
Silver vi poggiò sopra un bacio e la vide sorridere.
“Buongiorno...” fece lei, con la voce compressa dal sonno e ancora gli occhi chiusi.
“Ciao. Dormito bene?”.
“Più o meno... Il letto è scomodo. Il sole è sorto?”.
“Sì, già da un po’ ormai. Dobbiamo andare”.
Gli occhi della ragazza si aprirono quindi tese ogni singolo muscolo, sbadigliando e provocando la risata nell'altro. Martino emise un verso simile ad un muggito, mentre Fiammetta colpì col pugno le gambe del ragazzo. “E finiscila di fare casino, sto dormendo...”.
“Fiammetta, è tardi, dobbiamo andare” la avvertì Silver.
“Già?” chiese lei, passandosi una mano tra i capelli. Aprì gli occhi, se li stropicciò ed infine sbadigliò.
“Esatto”.
Martino muggì di nuovo.
“E svegliati!” gli urlò il fulvo.
“Fanculo, Silver! Fanculo tu e la tua sveglia dell’alba!” fece il ragazzo, alzandosi di scatto e saltando giù dal letto.
 
Si prepararono e lasciarono il Centro Pokémon. Silver e Poochyena avevano approfittato del passaggio da Petalipoli a Solarosa per fare un po' di allenamento.
Crystal guardava affascinata quel ragazzo e soprattutto il modo di porsi con i Pokémon. Sembrava una persona fredde e distaccata ma quando aveva a che fare con il suo team era solare ed affabile.
La cosa la fece sorridere. Al contempo pensò a quel bacio, e al fatto che in quel momento fosse molto attratta da lui.
Di tanto in tanto lui si girava a guardarla, cercando di non farsi vedere, abbozzando un sorriso malcelato, infine tornava a fare quello che doveva fare.
Ma che tristezza nei suoi occhi. Da piccolo aveva sofferto tanto e questa cosa la si ritrovava nel suo sguardo di ghiaccio.
“Poochyena, ora facciamo una gara” faceva, sorridendo.
Sorrise anche Fiammetta. “Mi piace il suo metodo di allenamento".
"Gli piacciono più i Pokémon che gli umani" punzecchiò invece Martino.
"Chiamalo stupido..." Fiammetta lo guardò con sufficienza.
"Che intendi?!".
Fiammetta s'accigliò e lo guardò, incenerendolo con lo sguardo. "Intendo che è meglio se stai zitto. Sei qui per aiutare e stai dando solo fastidio".
"Fastidio?! Guarda che io sono venuto qui sotto richiesta della Commissione Pokémon! Mi hanno voluto qui! Mica come te che..."
"COME ME COSA?!" urlò furibonda Fiammetta, andando a muso duro contro il ragazzo.
"Hey, finitela" s'inserì Crystal, mettendosi tra i due. "Fiammetta, cerca di calmarti. E tu, Martino, non infierire".
"È stata lei a cominciare!" borbottò il Ranger.
"Non fare il bambino e andiamo".
"Non sono un bambino... Manco fossi Gold..."
"Ma che diamine hai contro Gold?!" fece Crystal, all'improvviso, sorprendendo sia l'uno che l'altra.
"Ma che avete oggi entrambe?! Il ciclo sincronizzato?!".
"Non ho il ciclo!" urlò Fiammetta, dandogli uno spintone, seguita a ruota da Crystal. Martino si sentì sopraffatto.
"Ok. Scusatemi". Alzò le mani in segno di resa, abbassando il capo. Mentre Fiammetta si accontentò di colpirlo sulla testa con una manata, Crystal rimase lì in attesa.
"Sto ancora aspettando una risposta, Martino. Perché parli male di Gold?".
"Fatti miei" s’incupì quello, abbassando lo sguardo.
Crys inclinò il capo e fissò il castano, che non riuscì a sostenere il peso di quello sguardo, abbassando gli occhi.
"Parla, Martino".
"Non mi è simpatico. Tutto qui".
"Ma come puoi dirlo?! Non lo conosci nemmeno!".
"Questo lo credi tu".
"Lo conosci?".
"Senti, ora basta" fece, per poi superare la ragazza e raggiungere Fiammetta.
Crystal si voltò e lo guardò. Solarosa non era assai lontana e presto sarebbero arrivati anche ad Albanova, per scoprire qualcosa in più su Ruby e Sapphire.
Rimuginò sui pensieri che aveva lasciato sedimentare e sospirò: Martino non aveva tutti i torti a porsi in maniera negativa nei confronti di Gold.
Stando alle parole di Bill il mondo stava per finire in un apocalisse distruttiva, Groudon stava affogando nella lava le persone di Hoenn, senza contare i terremoti e tutto il resto, e quello ancora non si manifestava.
Lei aveva sempre giustificato i suoi comportamenti infantili ed ogni tipo di stupidaggine che il ragazzo combinasse, in quel momento però si era resa conto che avesse superato ogni limite: non era possibile dover contare su di una persona così inaffidabile. Il Professor Oak aveva sbagliato ampiamente ad affidargli la responsabilità di un progetto importante come il Pokédex, non lo avrebbe meritato mai se non fosse stato così ostinato e testardo in ogni cosa che faceva.
Perchè alla fine lei lo sapeva: l'ostinazione era la chiave per il successo.
Se Gold non riusciva ad entrare dalla porta provava dalla finestra.
Altrimenti avrebbe provato a prendere a testate il muro. E ne era certa, più che certa, che prima o poi lo avrebbe sfondato.
 
Solarosa era praticamente rimasta intonsa tranne che per qualche crepa nelle pareti delle casette. Quel paesino era totalmente immerso nella natura, una perla tra le macchie del bosco. Appurato che nulla fosse successo lì, e che la vita delle persone fosse stata scossa soltanto da una paura preventiva, i quattro si avviarono verso Albanova.
Il percorso per raggiungerla non era molto lungo.
Erano così vicini quei paesi da sembrare siamesi, solo qualche centinaio di metri di strada sterrata li divideva dall'essere un grande paesino.
Albanova poi, era ancor più piccola di Solarosa. Quattro casette, uno stagno ed il grande Laboratorio del Professor Birch.
Era lì che c’era parecchio movimento.
“Che succede?” chiese Fiammetta, avvicinandosi al mucchio di gente che accerchiava l’ingresso di casa Birch. Un ragazzino si voltò, quindi spalancò gli occhi.
“Ma tu sei... sei Fiammetta Moore! La Capopalestra di Cuordilava!”
Silver vide la gente riversare la propria attenzione addosso alla bella rossa, lasciando scoperto l’uscio. Qualcosa era successo lì, era quello il centro dell’attenzione.
Almeno prima che Fiammetta facesse la propria apparizione.
Crystal e Silver scivolarono controcorrente, attraversando la fiumana e dopo mille spallate raggiunsero il loro obiettivo.
Birch era disteso per terra, sullo zerbino, svenuto. Due Ricercatrici, probabilmente gemelle o almeno del tutto somiglianti tra di loro, cercavano di rianimarlo.
“Roselia!” chiamò il suo Pokémon una di quelle. Occhiali sul naso, capigliatura a maschietto, tagliati molto corti con riporto a destra. Il camice nascondeva il suo corpo androgino. Chiamò fuori un bellissimo esemplare di Roselia, dai boccioli aperti e profumati. Quella prese a scuotere i suoi arti superiori, dotati di due bellissime rose e quindi rimasero tutti in attesa, mentre il vociare per via della presenza di Fiammetta non si attenuava.
“Si sta riprendendo” disse l’altra ricercatrice.
“Già” fece Crystal, avvicinandosi. S’inginocchiò ed in effetti fu in grado di vedere i sottili occhi dietro le palpebre cigolanti ed indurite dal tempo dell’uomo.
“Si sta risvegliando”.
“Come mai è svenuto?” chiese Silver alla proprietaria di Roselia.
Quella sospirò e fece rientrare il Pokémon nella sfera. “Beh... Da quando Sapphire, sua figlia, non ritorna più a casa, lui è stato colto da attacchi di panico. Sapete, Hoenn è stata totalmente investita da fenomeni sismici e quant’altro e lui teme che il fatto che non si faccia più sentire dipenda da... da qualcosa di brutto, ecco”.
“Quindi... non... Lui non sa?” chiese Crystal. Silver si voltò velocemente verso di lei, e le tirò un’occhiata.
“Non sa cosa?!” esclamò Birch, che resuscitò immediatamente a quelle parole.
“Che... Silver, vuoi dirglielo tu?!” fece Chris, in seria difficoltà.
“Sì, io... Beh, Sapphire è... è a Johto! Quindi è lontana da Hoenn e dai terremoti!” sorrise falsamente il fulvo.
“Joh-Johto?! E che ci fa lì?!”. Birch aveva la voce piuttosto roca. Ultimamente s’era lasciato parecchio andare, e la barba s’era allungata di parecchio.
“Lei... Beh...” Silver guardò con astio Crystal per averlo messo in quella situazione. Alché intervenne Martino.
“Silver, che succede?”.
“Stavo spiegando proprio adesso perché Sapphire è a Johto”.
“Ah. Beh, tranquillo, ci penso io. Sapphire sta aiutando Gold a Johto in un’operazione delicata per...”.
“Per il trasporto di alcune tavole criptate...” aggiunse Crystal.
“Scoperte nelle Rovine d’Alfa!” concluse il rosso.
“Già. Proprio così” sorrise infine il Ranger.
“Oh. Quindi sta bene?”. Birch si rialzò da terra, aiutato dalle sue Assistenti.
“Certo che sta bene. Tra qualche settimana verrà qui...”.
Il Professore sospirò. “Ne siete sicuri? Avrebbe potuto avvertire!”.
Crystal scorse nelle sue parole una debolezza unica, che gli fecero pietà e tanta pena.
“Certo che ne siamo sicuro” disse personalmente. “Sapphire tornerà a casa, sana e salva. Parola mia”.
 

 
 

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Capitolo 14
*** Capitolo Tredicesimo - Marina ***


Marina


Era pieno pomeriggio, ma il sole era ormai tramontato da un pezzo. Le lampade esterne erano accese ed il brusio che proveniva dal boschetto appena fuori il paese riempiva le orecchie di Gold.
Si era addormentato di colpo, vestito, ed era rimasto immobile, steso sulla schiena. Aprì gli occhi, mentre i lampioni illuminavano il suo volto di luce gialla. Lo stomaco brontolava.
"... Porca puttana..." sussurrò, rimettendosi in piedi. Le gambe si stavano abituando a reggere il suo peso, quando lo stomaco fece un'altra chiamata. L'orologio a parete segnava chiaramente come le 17 fossero passate già da sei minuti.
17:06.
"Cazzo! Hoenn! Oak! Crystal!" scattò repentinamente in avanti, correndo velocemente. Aprì il frigo, prese l'ennesimo wurstel e poi si catapultò fuori, sbattendo la porta.
Sette passi, fatti tutti di corsa, e poi lanciò la sfera di Togebo in aria.
"Olivinopoli, e pure in fretta!"
Il battito delle ali del Pokémon volante producevano uno schiocco nell’aria non indifferente, anche se il rumore del vento riempiva le orecchie del ragazzo.
Avventure, tante avventure. Poco tempo per fermarsi, per rilassarsi un po’, e lo stress che, nonostante tutte le melliflue pause, cresceva esponenzialmente.
Non riusciva a fermarsi. La sua vita era un viaggio continuo, di vento tra i capelli, di acqua tra le dita dei piedi, di vestiti bagnati, di urla, di sorrisi, di denti e pugni chiusi.
Di strategie, di piani, di doveri.
Di donne.
Amava le donne. E non nel senso tradizionale della frase, con il quale s’inquadra un individuo maschio eterosessuale piuttosto preso da una o più relazione interpersonali fisiche ed emozionali con un altro individuo del sesso opposto.
No, assolutamente no. Lui le donne le venerava, le adorava, le stimava per la loro bellezza. Sorrideva per via dei loro sguardi, dei loro movimenti, delle loro occhiatacce. Sorrideva anche per via dei loro sorrisi.
Senza nemmeno parlare dei privilegi che otteneva una volta entrato nelle loro grazie.
Dopo tre ore di volo, in cui avevano sorvolato Fiorpescopoli, Azalina e parte di Fiordoropoli, era atterrato ad Olivinopoli.
Da lontano il grande faro illuminava costantemente il mare con sprazzi di luce. La M/N GIULIA era attraccata al molo nove, ed orde impazzite di persone si spintonavano a vicenda con l’intento di prendere i posti migliori.
“Scendiamo qui” fece Gold a Togebo, e lo vide abbassare la quota d’altitudine con delicatezza. Mentre ciò avveniva però uno Staraptor tagliò loro la strada, scendendo in picchiata alla massima velocità.
“Ma che cavolo fai?!” urlò Gold, dall’alto del suo Pokémon. Mise bene a fuoco l'enorme Pokémon Volante e vide che qualcuno lo stava conducendo.
Una macchia blu. Solo quello era riuscito a mettere a fuoco Gold.
"Inseguilo!"
Togekiss scese in picchiata, e velocemente raggiunse lo Staraptor che stava ormai frenando la propria discesa. Quello era un esemplare imponente di Pokémon. Il piumaggio, lucido ma scuro allo stesso tempo, dimostrava le molteplici attenzioni che il suo allenatore gli prestava. L'apertura alare era abnorme.
Quello era un Pokémon fuori dal comune.
Quando Togekiss lo raggiunse, Gold mise meglio a fuoco il volto del pilota avversario. Era una ragazza.
I capelli castani erano portati indietro dal vento. Magra, molto magra, la ragazza aveva la carnagione olivastra, abbronzata (cosa un po' insolita a dicembre) e le labbra belle rosa; di tanto in tanto le umettava con la lingua dato che il vento che prendeva in faccia durante il volo grandi quantità d'aria. Proprio per questo motivo indossava un paio di pratici occhialini da aeronauta.
Gold gettò un occhio anche all'abbigliamento di quella. Pantaloncini corti, con quel freddo, a tenere scoperte le gambe snelle, e sopra una maglietta bianca con gilet rosso.
Arrivarono a terra, toccando le mattonelle bianche di Olivinopoli. Gold era furibondo.
"Dannazione, cocca, ma che ti dice la testa?!"
Quella si girò, dapprincipio inarcando le sopracciglia, poi curvandole. "Guidi come una femminuccia!"
Gold guardò per un momento Togebo e respirò per un paio di volte, calmo. "Se non fossi una donna ti prenderei a testate sulle gengive"
"La vuoi finire di parlare?! Sembri la versione bianca di Lil Wayne così vestito"
"Stai parlando dei miei vestiti?! Tu sembri appena uscita da Tron!"
La ragazza spalancò gli occhi e poi abbassò lo sguardo sul vestiario. "Questa è la divisa ufficiale dei Ranger di Oblivia" fece, con meno arroganza. "Io almeno ho un lavoro e qualcosa da fare! Tu sei un nullafacente sicuramente!"
Gold non riuscì a nascondere un ghigno. "Tsk. Tu hai questo?" fece, e cacciò il Pokédex dalla tracolla che aveva sulle spalle.
"Sei un Dexholder... Beh, tu hai questo?" chiese, mostrando lo Styler di cattura.
"A casa ne ho almeno tre che non uso..."
"Ma sicuramente non saranno avanzati tecnologicamente come questo"
Gold stava ringhiando senza accorgersene. Un Pokémon Ranger ostinato e cocciuto gli stava facendo venir voglia di far provare qualche attacco a Togebo. Ma poi lasciò perdere. "Lasciami in pace..." sussurrò, facendo rientrare il Pokémon alato nella sua sfera. Ripose il Pokédex e chiuse la tracolla, cominciando a dirigersi verso la zona portuale. Le luci sul lungomare illuminavano praticamente tutti i pontili, gran parte dei quali erano vuoti. La M/N GIULIA aspettava maestosa attraccata al molo numero nove, mentre la fila al botteghino sembrava non terminare mai.
La fila... Gold odiava la fila. Doveva per forza essere costretto a farlo, tipo quando Silver era pesantemente ammalato, e Crystal doveva badare a lui.
“Vai a prendere le medicine in farmacia” gli diceva la ragazza.
“Ma c’è fila!”
“Silver sta male! Che m’interessa della fila?!”
E così il ragazzo passava ore ed ore ad aspettare il suo turno, tra due vecchiette, una davanti ed una indietro, che gareggiavano su quale delle due l’osteoporosi si fosse accanita di più.
In quel momento era distratto, Gold. Il rumore del mare ed il pensiero che Silver e Crystal sarebbero potuti essere in pericolo lo rendevano piuttosto teso.
“Comunque mi chiamo Marina...” fece una voce di ragazza alle sue spalle. Il giovane si girò, quindi rivide il Ranger di prima.
“Gold...” rispose, girandosi ed alzando le cuffiette alle orecchie. Marina sbuffò, e lo colpì con uno schiaffo alla spalla sinistra.
“Sei anche maleducato, vero?”
“Che caspita vuoi da me?” chiese quello, con calma surreale.
“Il Professor Oak mi ha dato mandato di partire per Hoenn... e mi ha avvertito che anche tu avresti dovuto navigare con me verso l’isola”
“E che dovresti fare tu, precisamente, ad Hoenn?” levò una cuffietta, mentre 50 Cent pompava Pilot in quell’altra.
“Sicuramente ho molta più utilità di te. Devo placare i Pokémon selvatici”
“Con il tuo anellino?” ghignò lui.
“Il mio anellino ti potrebbe mandare al manicomio...”
“Oh, beh... Sicuramente” sorrise Gold, mostrando la dentatura smagliante. Il solito pervertito che non era altro.
“... Ma... Non in quel senso! Sei proprio un maiale!”
Sospirò dopo una risata, il ragazzo, quindi rialzò la cuffia. Pilot era appena finita e cominciava Sing About Me di Kendrick Lamar. Quella canzone lo rilassava parecchio.
La fila era più scorrevole di quello che credeva. Dopo pochi minuti mancavano tre persone, poi sarebbe toccato a lui. Intanto si perdeva tra le note, cercando di stendere un freestyle tra quelle note, con pessimo esito.
Non era un rapper. Tuttavia qualche incastro di rime gli usciva, e si esaltava parecchio quando accadeva.
Quando finalmente toccò a lui, fu in grado di mettere a fuoco il viso dell’operatore del servizio navale che gli avrebbe venduto i biglietti per la partenza per Hoenn. I capelli pettinati da una parte erano castani, e le occhiaie spesse e profonde. Gli occhi si erano ridotti a due fessure, diventando totalmente inespressivi. Si stringeva nella sciarpa di lana mentre la sua carnagione bianca lattiginosa quasi si confondeva con lo sfondo del muro alle sue spalle.
“Per dove?” domandò solo.
Marina lo spostò di peso, mettendosi davanti a lui. Quello spalancò gli occhi: quella pulce lo stava infastidendo oltremodo. Convinto a riprendersi il suo posto le si avvicinò minaccioso.
“Senti, Puffetta, non so con chi tu abbia avuto a che fare dove vivi ma qui ti posso assicurare che le tipe come te le...”
Marina sbuffò, tendendo la mano verso la bocca del ragazzo. Afferrò le labbra con le dita, chiudendole come se avesse utilizzato delle mollette, quindi respirò velocemente, pressata dallo sguardo ansiogeno dell’operatore.
“Due per Hoenn, sola andata...”
“Alghepoli o Selcepoli?” chiese quello, flemmatico.
“È uguale”
“Selcepoli è finito”
“Mi dia Alghepoli” inarcò il sopracciglio Marina. Gold spalancò gli occhi. Quella stava prendendo il biglietto anche per lui. Forse era il caso di calmarsi. Fece un passo indietro e si risistemò i vestiti, stendendoli per bene sul corpo asciutto.
Dopo aver pagato, Marina gli si avvicinò e gli porse il biglietto.
“Fai presto! Dobbiamo salire!”
“Sì, Puffetta, adesso salgo”
Caricò lo zaino in spalla e salì sul pontile della Motonave.

Mangiò qualcosa sul ponte, seduto a guardare il mare in un’alquanto improbabile stato di quiete, mentre Marina camminava a zonzo qui e lì, esplorando la piccola navetta. Viaggiavano da abbastanza tempo, e ormai il buio era assurdo. Solo le lampadine sul ponte illuminavano un po’ attorno, ma per il resto si trovavano in mare aperto, sulla prua di quella motonave, e non riusciva a capire se fossero più vicini ad Hoenn o a Johto.
Gold continuava a sentire musica, con il vento che lo investiva sul volto e lo faceva lacrimare. Si chiedeva per quale dannatissimo motivo fosse dicembre ed avesse caldo.
“A dicembre fa freddo” disse, tra sé e sé.
“E oggi fa caldo”
“Marina, non sei obbligata a rispondere ad ogni cosa che dico”
“Oh, fidati. Odio i gradassi come te”
“Non so cosa c'entri... in ogni caso non mi conosci neppure”
“Infatti...” storse il labbro quella, sedendosi vicino a lui. Le loro cabine erano attigue, Oak ne aveva prese due stavolta.
In caso contrario Gold avrebbe dormito sul pavimento con tutte le probabilità, ma si sarebbe svegliato nel cuore della notte per aprire la valigia della ragazza ed odorare le sue mutandine.
Invece ognuno sarebbe stato sul proprio letto, nella propria stanza. Tuttavia erano soli, a guardare il mare mentre il faro di chissà che posto si illuminava a sprazzi, avvertendoli di come gli scogli fossero duri.
“Io vado a dormire...” fece Marina, stufa di litigare ma anche dello strano silenzio dell’allenatore, rinchiuso nelle sue cuffiette. Staraptor era poggiato alla ringhiera, e riposava, immobile, con gli occhi chiusi.
Gold continuava a fissare dritto.
“Ho detto che vado a dormire!” fece, dandogli uno spintone.
Gold spalancò gli occhi, riempiendoli di rabbia. Scattò all’in piedi e la bruciò con lo sguardo.
“Ma che diamine vuoi?!” urlò, facendo svegliare Staraptor che, d’istinto, attaccò con alcune beccate il ragazzo.
Risultato?
Marina rideva e Gold urlava alla ragazza di far fermare quel pollo troppo cresciuto.

Un cerotto sul braccio. Alla fine si era ridotto tutto a quello, il dannatissimo Staraptor continuava a dormire sulla ringhiera, ma di tanto in tanto apriva un occhio e fissava Gold, temendo vendette trasversali.
Staccò le cuffiette e stese le gambe. Il calore non accennava a diminuire, ed il suo orologio gli mostrava quanto fosse chiaramente tardi.
Il ragazzo non brillava di simpatia. L’utopia della tranquillità non lo affascinava, tuttavia avrebbe voluto saggiarne il sapore, bagnarvi le labbra e leccarvi le gocce.
Alla fine non aveva bisogno di sedentarietà, non necessitava di routine.
Il suo volto si stava scavando, e intanto le occhiaie sul suo viso sembravano tatuate.
Si chiedeva che piega stava prendendo la sua vita. Più di vent’anni, molti dei quali passati a fare il ragazzino, senza responsabilità né voglia di migliorare.
Senza voglia di crescere.
Lui era un eterno bambino. La cosa non lo disturbava né lo rendeva fiero, ma era stanco delle tirate d’orecchi dei suoi coinquilini. Vedeva i suoi amici crescere, e lui si ostinava a rimanere com’era. Forse era sbagliato, ma non si voleva arrovellare più di tanto. Tuttavia la cosa lo disturbava un po’ ed il fatto che la cosa lo disturbasse lo... disturbava.
Perché stava pensando così tanto?
Perché stava ancora lì? Perché stava così? Perché non era ancora andato a dormire?
Si alzò, sbuffando, lui non poteva essere malinconico. Non esisteva che il suo muso si protendesse poco oltre il normale alloggio che i suoi genitori avevano progettato quando era ancora un girino.
Infilò le cuffiette in tasca ed andò un po’ a zonzo, passeggiando. Il rumore del mare cullava i suoi pensieri, che viaggiavano dalla paura del futuro fino al fatto che Marina tutto sommato malaccio non fosse.
Antipatica ed ingestibile.
Ma non malaccio.
Arrivò a poppa e la cosa gli strappò un sorriso.
La luna illuminava tutto, bella, bianca e vivida, quasi incandescente per il calore che c’era, e che per altro costrinse Gold a levare il berretto dalla testa. Passò una mano tra i capelli umidi, ed una sagoma ombrata apparve davanti ai suoi occhi.
Era poggiata sulla punta della ringhiera sulla prua. Era abbastanza voluminosa, ma sembrava leggera, quasi ondeggiasse in corrispondenza col vento.
“Che diamine... che diamine sei?” chiese quello, incuriosito. Il suo istinto lo chiamava, gli urlava a pieni polmoni che quello era un Pokémon. Prese il Pokédex, e lo puntò verso l’ombra.

 


 

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Capitolo 15
*** Capitolo Quattordicesimo - Fiamme spente in meno di un istante ***


Fiamme spente in meno di un istante


Birch ospitò i ragazzi per la notte a casa sua. Non era una reggia, certo, ma aveva una stanza degli ospiti abbastanza ampia, in cui non trovò alcun problema a trovare quattro posti per i suoi ospiti.
C'erano un letto matrimoniale ed un piccolo materasso ad una piazza. Poi aveva risolto con un materasso delle stesse dimensioni di quest'ultimo, messo ai piedi del letto grande.
"Tu dormi lì" indicò con manifesta superiorità Fiammetta a Martino, puntando l'indice verso il materasso al piano terra.
"Solo perché sono un gentiluomo..."
Birch era nella stanza con i ragazzi. Pareva visibilmente più tranquillo, dopo l'exploit della mattina in cui s'era lasciato andare per l'ennesima volta alle sue emozioni, svenendo lungo la soglia del suo laboratorio. "Scusatemi se è poco".
Crystal sorrise. "Non si preoccupi. Abbiamo dormito in posti peggiori!"
Silver annuì.
"Oh, bene. Allora sistematevi qui tutto il tempo che volete. Chiederò a mia moglie di preparare qualche specialità del posto che non avete mai assaggiato. Domani per pranzo vi porterò in una trattoria qui vicino e..."
"La ringrazio. Ma resteremo qui solo per la notte, dobbiamo raggiungere Forestopoli."
"Oh, bene. In ogni caso potete chiedere a me per qualsiasi cosa"
"Certo." sorrise Crystal. Birch poi annuì ed uscì dalla stanza. Quella era abbastanza scarna, impersonale, caratterizzata da quei due letti, un'armadio piccolo ed una cassettiera sistemata al di sotto della finestra.
"Allora mi sistemo a terra..." sospirò Martino, gettando il suo piccolo zaino sul materasso.
"Non fai pietà a nessuno." rispose Fiammetta, entrando nel bagno in stanza.
Silver la guardò sparire oltre l'uscio, quindi osservò il letto. L'avrebbe diviso con Crystal e la cosa lo entusiasmava. Incontrò il suo sguardo mentre osservava ciò che aveva attorno, e sorrise.
Gli piaceva proprio tanto.
Le si avvicinò e le prese la mano, facendola sussultare.
"Come stai?" le chiese.
"Tutto bene."
"Sei stanca?"
"Parecchio. Birch non sa nulla di Sapphire, e sinceramente non sarò io a dirgli che non sappiamo dove diamine sia... però mi spiace."
Silver sorrise, ammorbidito dalla dolcezza di quella, quindi la strinse.
Chris appoggiò la testa al suo petto, fissando per un momento la luna.
E le nuvole in lontananza.

Le stesse nuvole stavano rivestende il cielo sulla M/N GIULIA.
Gold guardava fisso il Pokédex.

"Si dice che arrivi trasportato dai gelidi venti invernali. SHIFTRY è da sempre un temuto guardiano delle foreste, dove vive lontano dal mondo e dagli uomini. "

"Shiftry... Vivi nelle foreste. Che diamine ci fai qui in mezzo al mare?!"
Accese la torcia del Pokédex, illuminando il Pokémon.
Gli occhi gialli riflettevano la luce giallastra, mentre la grossa peluria bianca, che lo rendeva simile ad un saggio eremita delle montagne, danzava in balia del vento.
Il suo corpo era fatto interamente in legno.
"Sei... sei volato via?"
Gold si avvicinò lentamente a lui. Quello gli puntò gli occhi addosso. Quegli occhi dorati come i suoi.
Erano a pochi metri di distanza. La tensione nell'aria era tangibile, densa, si muoveva come fumo, danzava come alghe nella corrente del mare sotto di loro.
"Perchè sei qui?"
Un tuono riempì le loro orecchie. Shiftry guardò intimorito il cielo, invogliando Gold nel fare lo stesso. Nuvole nere imbandivano la tavola del cielo, ma venature gialle di luce le attraversavano nervose. Un grosso temporale stava arrivando da lontano.
Le onde cominciavano ad alzarsi e a far ballare la nave.
"Gold..." la voce di Marina era squassata dal sonno. Lui si girò, e la vide con un pigiama lungo e delle pantofole grigie.
"Sembri mia nonna con quel pigiama."
"Sei il solito maleducato... Che ci fai ancora qui? È tardi."
"Volevo fare una passeggiata ed ho incontrato questo Shiftry. Non ne avevo mai visto uno prima."
"È un po' insolito trovarne un in mezzo al mare."
"Insolito, già. Come la tua capigliatura..." ghignò lui.
"La vuoi smettere?! Stavo dormendo!"
"Sì, come vuoi..."
E poi l'ennesimo tuono fece sussultare di nuovo Shiftry, che emise un verso lamentoso.
"Ha paura, Gold." fece il Ranger.
"Beh... mi spiace."
"Catturalo."
"Catturarlo? Non..."
"Eddai, non fare lo stupido! Il mio Styler è nella cabina... Catturalo e domani lo liberiamo."
Gold si perse per un momento nello sguardo di Marina, quindi annuì.
"Una volta tanto ti devo dare ragione. Questa è la cosa giusta da fare."
Tese la mano verso di lui, lentamente. Shiftry guardava gli occhi dorati di Gold, quindi la sua mano.
"Avanti, Shiftry!"
"Sembra una cattiva persona, ma in realtà è un bamboccione." fece Marina, piena di sonno.
"Smettila, sei l'antisesso conciata così, non puoi esprimerti." sorrise ancora Gold.
"Ma la finisci?!"
"Forse domani. Andiamo Shiftry. Ho sonno. Starai con me e domani ti libererò, come ha detto prima Nonna Gertrude qui presente."
"Sei uno stronzo!" sbraitò Marina, voltando le spalle e andando via.
Sorrise ancora, il ragazzo con l'oro negli occhi. Alla fine un movimento delle braccia dotate di enormi ventagli del Pokémon lo fece sussultare. Avvicinò a lui quelle foglie, e sentì Gold carezzarle delicatamente.
Prese poi una Pokéball e la adagiò delicatamente sulla sua testa, fino a vederlo scomparire in una nuvola rossa.
"Buonanotte. Ora è tardi davvero."

Crystal si svegliò nel cuore della notte. Il buio la faceva da padrone, ma la luce che veniva dai lampione dell'illuminazione stradale donava un vago chiarore giallastro al soffitto.
I led rossi della radiosveglia segnavano chiaramente che fossero le 4 : 33. Aveva sonno, ma non riusciva a dormire.
Quella sera il caldo li aveva abbandonati. Forse la pioggia che avrebbe ricoperto di acqua le ferite di quella regione avrebbe rinfrescato anche i loro spiriti.
Gli occhi aperti nel buio ed il respiro che si poggiava lentamente nei suoi polmoni facevano sedimentare nella mente pensieri e dubbi.
Sì, forse sarebbe dovuto andare avanti con la ricerca di Groudon e l'aiuto alle persone colpite dai cataclismi che quello aveva creato. Ma non mancava molto alla totale distruzione di Hoenn.
Dove sarebbe andata a parare?
Ripensò lentamente al fatto che aveva avuto Groudon proprio davanti a lei. Non sarebbe riuscito a catturarlo in quelle condizioni, aveva giustamente pensato prima a salvare la pelle e poi a catturare quel Pokémon.
Era andata praticamente nella tana dell'orso.
Sospirò, quasi sbuffò, girandosi sul fianco destro. Silver dormiva. Il ragazzo aveva il sonno molto leggero. Si accorgeva di qualsiasi cambiamento avvenisse attorno a lui anche mentre dormiva, costringendolo a svegliarsi in continuazione durante la notte.
Però era bello. Quei tratti così delicati erano riconducibili sicuramente a sua madre, anche se nessuno sapeva chi fosse, levando il padre e l'equipe di persone che l'avevano messo al mondo.
La sua infanzia era stata difficilissima. Era stato cresciuto con educazione e convinzioni sbagliate, quindi la sua chiusura mentale verso il mondo era più che giustificata.
Di una bellezza disarmante, il fulvo, teneva durante quel sonno le labbra leggermente aperte. Un filo d'aria veniva soffiata via. Le braccia toniche si allungavano verso l'altra parte del letto, a toccarla: le stringeva la mano, le poggiava una mano calda sulla coscia.
Cosa che la faceva sentire a disagio, quest'ultima, ma che non la contrariava del tutto. I capelli erano legati sulla testa, esponevano il suo viso allo sguardo della bella ragazza dai capelli scuri e dallo sguardo cristallino. Si voltò leggermente dall'altra parte.
Fiammetta dormiva scoperta, dando le spalle a tutti e poggiando la fronte contro il muro. Aveva caldo. Il nuovo pigiama che aveva comprato a Petalipoli le stava d'incanto, nonostante fosse fuori luogo come un Husky alle Hawaii. Era un pigiama estivo, con le bretelle, con braccia e gambe da fuori.
Almeno era della sua taglia e non rischiava di far sanguinare Martino dal naso semmai si fosse svegliato prima di lei.
Spostava ripetutamente una ciocca di capelli dal viso, che ostinata ritornava sempre nello stesso punto.
Crystal si accorse dell'effettiva bellezza di quella donna, sorridendo mentre pensava al suo temperamento. Era prezioso averla con loro durante quel viaggio.
Più andava avanti coi pensieri però, più si rendeva conto che il tempo passava, ed i numeri su quella radiosveglia s'inseguivano come in una gara motociclistica. Tuttavia  i suoi pensieri frenavano male e finivano con lo schiantarsi.
L'uno dietro l'altro.
Si alzò, lasciando la mano di Silver, che prontamente aprì gli occhi.
"Dove vai?" domandò, con la voce compressa ed impastata.
"In bagno. Tranquillo, dormi."
"..." poi stese gli di nuovo le gambe, affondando la testa nel guanciale morbido.
Chris scavalcò Martino, che russava con cadenze regolari di tre secondi, soffocando il suo respiro sotto le coperte pesanti, ed aprì la porta lentamente.
Il pavimento in parquet e le sue assi scricchiolavano sotto i passi leggeri.
Andò in bagno e sciacquò la faccia, conscia del fatto che non sarebbe servito a prender sonno. Troppi pensieri, nella sua testa c'era Groudon, c'erano le urla delle persone, c'era Petra, c'era Gold.
C'era Birch.
Sua figlia era sparita ed una bugia era servita a calmarlo.
Ma che sarebbe successo se avesse risposto onestamente?

"No, Professor Birch. Sua figlia è stata rapita dal Team Magma e non sappiamo dove possa essere in questo momento..."
"..." infarto in atto.

Mentì a fin di bene. Ma cosa c'entrava Sapphire, ed anche Ruby, in quella situazione?
Sapphire. Quella ragazza era un peperino, la ricordava bene.
Aprì la porta ed uscì dal bagno. Il silenzio era tagliato unicamente dal breve russare di Martino, in lontananza, quando decise di aprire la porta di fronte a lei.

S A P P H I R E

C'era scritto così sulla porta, con lettere in rilievo, in legno, colorate di blu. Crystal allungò la mano e spinse la porta, che si aprì con un cigolio sinistro. Una ventata d'aria fredda le raggiunse il volto.
Mosse un passo sul parquet della stanza, che scricchiolò di nuovo. L'odore in quella stanza le era familiare: era lo stesso che sentiva ogni qual volta abbracciava la ragazza che aveva vissuto e dormito in quella camera per tanti anni.
Chiuse la porta, e premette un interruttore. Un grosso bulbo centrale inondò di luce l'ambiente.
La stanza era grande, e l'effetto veniva acuito dall'arredamento scarno che quella aveva deciso di adottare.
Davanti aveva un letto, perfettamente rifatto. Le coperte erano estive, Sapphire non dormiva lì da parecchio tempo. Il copriletto era azzurro.
Calpestò il tappeto rotondo dello stesso colore al centro della stanza, sul quale una bambola di Pichu stava, bella dritta.
Accanto alla porta c'erano in fila un televisore a schermo piatto abbastanza grande, sul quale un velo di polvere si era posato. Sopra di esso c'era un orologio blu, e, accanto, una mappa della regione di Hoenn.
Tuttavia le curiosità maggiori furono riscosse dalla scrivania della ragazza.
Si avvicinò, Crystal, e guardò. C'erano due foto incorniciate, entrambe con Ruby. In una erano vestiti elegantemente. Lui era in frac, lei indossava un abito blu.
Quel colore ricorreva spesso.
L'altra foto invece li vedeva su di una spiaggia a prendere il sole. La cicatrice di Ruby sulla fronte risaltava al forte sole, che aveva donato alla foto un'aura biancastra.
"Si amavano..." sussurrò, mentre vide i fogli che, ordinati ed impilati, facevano da protagonisti accanto al pc.
Erano ricerche. Annuì, comprendendo. Era la figlia di un ricercatore, e proprio come lei e Green Oak, stava conducendo degli studi.
"Clima..." sussurrò ancora, leggendo di sfuggita.
Accese il pc e vi si sedette davanti. Mentre attendeva il caricamento delle impostazioni, si permise di dare un'occhiata alle ricerche.



 
"Il clima della regione di Hoenn è parecchio mutevole. A distanza di pochi chilometri

ci sono zone colpite da tremende tempeste di sabbia, come il deserto, perennemente

attaccato da venti angusti in grado di provocare ingenti danni, e zone in cui la

pioggia termina per poche ore al giorno, come nei percorsi antecedenti e seguenti la

città di Forestopoli.

Ciò dipende sicuramente anche dalla presenza prolungata dei leggendari Pokémon della

nostra regione, ovvero Groudon e Kyogre..."



"Quindi Groudon e Kyogre avrebbero modificato il flusso climatico solo in quelle tre zone?"
"Che c'è?" sentì poi. Si voltò all'improvviso, con il cuore in gola.
Silver era lì, e la guardava. I capelli ancora legati, ed il volto stanco. Il fisico asciutto ma ben definito sotto quella canottiera stretta aveva catturato lo sguardo trasparente di Crystal. Non riusciva a nascondere la sua ammirazione nel vederlo in quel modo, e Silver sorrise apposta.
"Che c'è?" ripetè.
"Non riuscivo a dormire e... Sapevi che Sapphire stava studiando il clima della regione di Hoenn?"
Silver fece segno di no.
"È tutto scritto qui e..." poi il desktop si illuminò, dopo il caricamento dei dati. Decine e decine di cartelle, tutte indicizzate ed organizzate. La cartella svago era in basso a sinistra, ma non si permise di aprirla. Se non altro era ampiamente distratta da un file audio al centro dello schermo.
"E questo cos'è?"
Inserì un paio di cuffiette all'interno del pc e ne diede una a Silver.
L'audio cominciò con un suono graffiante e disturbato. Si misero in silenzio all'ascolto:

"Pronto?". La voce era femminile. Quella sola parola diede l'idea ai due ascoltatori di appartenere ad una donna conturbante.
"Miriam... Sono Andy..."
"Dimmi che porti buone nuove."
"Zoe si è convinta. Ha lasciato la famiglia". Crystal aveva già sentito quella voce.
"Ottimo. Abbiamo proprio bisogno di lei."
"L'ho convinta... È valsa la pena fingersi suo amico durante tutto questo mese"
"In effetti ci serviva proprio lei. Mi costa ammetterlo, ma la sua abilità nelle lotte e la conoscenza della termodinamica ci sono utilissime... Inoltre non è stato un gran problema per te fingerti attratto da lei..."
"... Cosa intendi?"
"Niente, lascia perdere. Ora dobbiamo solo aspettare che la profezia di Arceus si compia e che Groudon si svegli"
"Certo Miriam. Oh, Zoe, ciao! No, parlo con mia madre! A presto mamma!"

La comunicazione s'interruppe, lasciando i due in silenzio, pieni di domande. Si scambiarono uno sguardo prima di levarsi le cuffie.
"Perchè Sapphire aveva questa comunicazione sul pc?" chiese Crystal.
"Non ne ho idea."
"Aveva scoperto che in realtà Zoe, quella ragazza del Team Magma, è stata ingannata da Andy, il ragazzo che voleva rapire Fiammetta, e... e questa Miriam."
"La cosa più importante è che Sapphire abbia scoperto che questi sapessero della profezia di Arceus."
"Hanno aspettato che Groudon si svegliasse per cominciare il tutto."
"Ma cosa vogliono?! Bah! È meglio andare a dormire, ci ragioneremo meglio domani."
"Hai ragione."
"Andiamo."
Silver si alzò, e tese la mano verso la ragazza. Quella chiuse lo schermo del pc e si alzò, cominciando a camminare in avanti. Tuttavia si sentì stoppata.
Silver stringeva la sua mano e non la lasciava andare, ben saldo a terra. Nei suoi occhi argentei c'era il riflesso della ragazza. Lui la tirò a sé.
"Silver..."
Arrivarono a pochi centimetri l'uno dall'altro, ed il calore avvampò all'interno di entrambi.
Proprio come quella sera, proprio come nella tenda, proprio in quel modo.
Il primo bacio che si diedero volò via forte, come tirato dalle labbra ad entrambi, ed insoddisfatti se ne diedero un altro, e poi un altro ancora. La mano di Silver andò a carezzarle l'orecchio e poi il collo, scendendo verso il seno, stringendolo.
D'altro canto Crystal non rimase a guardare, e poggiò la mano su quegli addominali duri e ben definiti.
La temperatura continuava ad alzarsi, entrambi si nutrivano di loro stessi, mangiandosi, leccandosi, assorbendo quelle toccate sui loro corpi che si andavano a sistemare sistematicamente nelle loro anime.
"Sil... non...". La voce di Crystal era squassata dal desiderio, e nonostante la sua testa dicesse di finire lì quell'incontro ravvicinato con il ragazzo che le stava facendo perdere la testa, il suo corpo non lo accettava.
"Basta aspettare."
Lui la baciava sul collo, lei gli stringeva le natiche, e non appena la schiena della ragazza saggiò le pareti alle sue spalle alzò la gamba sinistra, a cingere la vita del ragazzo che con tanto ardore le stava donando piacere e desiderio.
"Non qui..." faceva lei, ma le sue parole parevano avevre il significato diametralmente opposto a quello dei suoi gesti.
"Ora..."
Fu tutto un attimo. Appoggiata a quella parete, il corpo del ragazzo era spinto contro il suo. Entrambi avevano quella strana voglia in testa. La mano di Silver andò a carezzare la coscia della ragazza e poi più in fondo, dove la gonna della camicina da notte copriva tutto.
Si sentì toccare sugli slip, lei, poi alzò il collo. Silver la sollevò più in alto, poi le baciò il collo ed un seno, che galeotto sfuggì dalla parte superiore del suo abbigliamento.
Erano entrambi pronti.
Ma un allarme suonò non appena lei sentì il bordo delle mutandine spostarsi.
"Silver... fermati!" esclamò, spingendolo ancora al petto. Lei atterrò dolce sul pavimento, mentre il ragazzo sospirò, un metro più in là.
"Cazzo..." faceva, ansimando pesantemente, quasi avesse fatto di corsa una scalinata per mille volte.
"Non è il caso, già ne abbiamo parlato..."
"Io... io credo invece che sia il caso. Entrambi vogliamo. Entrambi stiamo sempre a tanto per arrivarci"
"Dobbiamo pensare a questa situazione. Non diamoci altre complicazioni"
"Come vuoi" disse, e poi uscì dalla stanza, sparendo e lasciando sola Crystal, seminuda e sfatta, con il desiderio a pomparle il sangue nel petto e la testa pesante.
Il sonno la stava prendendo.
Spense la luce e lasciò tutto come aveva trovato quindi tornò nella stanza dove i ragazzi dormivano. Silver era al suo posto, con gli occhi chiusi e le braccia incrociate sotto al petto.
Crystal tornò nel letto, il ragazzo le dava le spalle ed era immobile, coperto dai vari strati di piumoni. Emanava parecchio calore, la sfogata che avevano avuto era servita a riscaldare il sangue ad entrambi.
Tuttavia i piedi della ragazza rimanevano gelati. Li avvicinò a quelli del ragazzo, aspettandosi una reazione, un movimento.
Invece niente.
Freddo.

Il mattino aveva l'oro in bocca.
In quel caso però non si vedeva.
La nebbia era ovunque, la nebbia era tutto. Niente si definiva oltre i due metri. Marina e Gold erano pronti e vestiti, e raggiunsero poppa.
La pioggia cadeva forte su di loro, e fece nascere grandi dubbi nei ragazzi.
"Ma può piovere mentre c'è la nebbia?" chiese Gold.
"Sì. È inusuale, molto raro. Però è possibile"
"Hoenn non ci ha accolto bene"

 

 

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Capitolo 16
*** Capitolo Quindicesimo pt.1 - Gli Sconosciuti Venuti Dalla Tempesta ***


Gli sconosciuti venuti dalla tempesta


Erano le otto del mattino e nel nuovo palazzo di vetro a Bluruvia stava cominciando l'ultimo giorno di lavoro prima delle vacanze natalizie.
Gail era nuova, lì. Lavorava da settembre nell'ufficio al trentaseiesimo piano, dove si occupava della vendita e dell'adattamento di impianti di Green Energy, un settore in continuo sviluppo. Si occupava di pannelli fotovoltaici, sistemi radianti e pale eoliche.
Hoenn era perfetta per quel tipo di segmento del mercato, dato che la natura non era stata modificata totalmente dalla mano umana. Inoltre il clima molto caldo permetteva alle tecnologie a pannelli fotovoltaici e solari di esprimere tutte le loro funzionalità.
Proprio quel giorno Gail aspettava in sede un potenziale cliente di Ciclamipoli, proprietario di un parco residenziale alla periferia sud della città.
Avrebbe piazzato un numero incredibile di pannelli, Gail, e sarebbe stata invitata dal capo in persona nel suo ufficio per ricevere le congratulazioni dopo la firma del contratto.
Se la passava bene, Gail.
Le piaceva il suo lavoro. Aveva un bell'ufficio, e lavorare a Bluruvia non le dispiaceva, anzi.
Quel palazzo sorgeva in pieno centro e nonostante il paese non fosse molto grande, il sindaco, di comune accordo con il Capopalestra Rudi, aveva approvato un piano per lo sviluppo economico dell'isola.
Con l'aiuto di imprenditori ed investitori provenienti da Kanto, tutta gente in giacca e cravatta con una "R" rossa stampata sul taschino della giacca, erano riusciti a costruire un grattacielo enorme al centro del paese. Diverse società avevano scelto l'isola, ed in particolare il suddetto palazzo, come sede per le proprie società. Ogni piano conteneva vari uffici, e questo stava smuovendo l'economia di Bluruvia.
Questo edificio, poi, era stato costruito con minuzia e precisione ed era a prova di forti raffiche di vento. La tecnologia utilizzata per l'impianto delle fondamenta nel terreno dell'isola, adatto ad una simile costruzione, aveva permessodi rendere il suddetto immune alle oscillazioni ed alle inondazioni. Era caratterizzato, appunto, da una quantità innumerevole di finestre, tutte in vetro azzurro rinfozato, il che aveva gli aveva procurato il nome di Palazzo di cristallo.
Le ampie finestre donavano una splendida vista del golfo di Bluruvia.
Gail l'adorava.
Tuttavia quel giorno le nuvole erano aggressive e lasciavano cadere acqua in abbondanza; avrebbe lasciato l'ufficio la sera stessa, correndo come una forsennata per evitare di inzupparsi troppo e tornare abbastanza asciutta a casa, dove il suo fidanzato Ron l'avrebbe aspettata con una coperta calda.
Calda come il suo abbraccio.

La tempesta si stava scagliando forte su Porto Alghepoli, come se le nuvole repellessero quelle infime gocce di pioggia e le cacciassero via, non degne di stare lì in alto con loro.
La nebbia era stesa morbida ovunque, diradata leggermente solo da quegli spilli congelati che si ammassavano in pozzanghere nere sulla pavimentazione mattonellata della città.
Il freddo aveva fatto finalmente fatto suo quel posto, scacciando via il caldo insolito del giorno precedente.
"Cielo..." inarcò un sopracciglio Gold, avvicinandosi alla balaustra di poppa. La M/N GIULIA stava attraccando nella zona portuale della città, ma lui, assieme a Marina, al suo fianco, non era in grado di vedere assolutamente nulla che non fosse la luce intermittente del faro.
"Ma sono le otto del mattino?" chiese la ragazza, guardando l'orologio ed accertandosi delle proprie parole. Pareva fossero le sette di sera, il sole era nascosto da cirri e nembi stratificati, ed il freddo era forte.
Il loro respiro si trasformava in fumo, e volava verso l'alto, trafitto da quegli aghi d'acqua gelata. Gold alzò il cappuccio, quando sentirono il rumore dell'ancora frantumare la superficie nervosa dell'acqua nera di quel mattino.
"Che diamine sta succedendo, Marina?"
"Non ne ho idea"
All'improvviso una sirena molto forte espanse il proprio rumore nel raggio di chilometri e chilometri.
"Qualcosa di grosso! Sicuramente qualcosa di grosso!"
"Calmati, Lil Wayne"

Cinque minuti dopo i due scesero dalla motonave, poggiando i piedi sulle mattonelle dure e grige di Porto Alghepoli. La pioggia batteva radente sui tetti delle case e sulle auto parcheggiate, seguendo rivoli armoniosi che terminavano nei tombini. Tutto era grigio.
La sirena continuava a suonare incessante, ed intanto la gente scappava impanicata.
"La pioggia..." provò a darsi una spiegazione Gold, non convincendo né se stesso né Marina.
"Qualcosa non va, qui... Scusi!"
Marina afferrò per un braccio una signora che si affrettava verso la sua casetta. La pioggia pareva pesare chili, costringendoli ad abbassare il capo.
"Signora! Che succede?!"
"Sono gli uomini! Gli sconosciuti venuti dalla tempesta!"
Gold spalancò gli occhi, prendendo a camminare. "Vieni!" fece alla ragazza, che lasciò andare la signora verso la sua meta.
"Dove andiamo?!" urlò lei.
"Chi sono questi tizi?!"
"Non lo so!"
"Non parlavo con te!"
"Sì che parlavi con me!"
Gold si fermò, bloccando la ragazza per le spalle e fissandola dritta negli occhi.
"Senti. Io non sopporto te e tu non sopporti me. Ora però dobbiamo capire perchè questa gente fugge e se c'è qualcuno che non sta bene, ed ho bisogno di te. Chiaro?"
Lo sguardo penetrante di Gold lasciò Marina basita. La ragazza si limitò ad annuire.
"Benissimo! Ora andiamo!". Gold le diede un buffetto sulla guancia, quindi la prese per mano e la tirò con sé.
La visibilità era minima, la pioggia radente e quella nebbia fumosa trasformava tutto in sagome scure.
"Non vedo niente!" fece lui.
Marina abbassò gli occhialoni, ottenendo una visuale più nitida senza dover chiudere gli occhi ogni due secondi.
"Ci sono... ci sono persone ovunque... Molti scappano, ci sono molti bambini e donne. E poi... e poi quei tizi strani"
"Strani?! Che tizi?! Che tizi strani?!"
"Sono degli uomini vestiti uguali. Indossano jeans attillati e bandane. Ci sono anche delle donne tra di loro"
Il rumore di una vetrina che si fracassava si sentì alla loro sinistra.
"Che cazzo è stato?!" urlò Gold, partendo in corsa verso la fonte di quel rumore. Il palazzo che avevano davanti era enorme, ma appariva loro solo come una grande macchia nera in quella tela ingrigita dalla pioggia e dalle nuvole.
Le scarpe di Gold calpestarono cocci di vetro frantumato. "È qui!" fece Marina, puntando il dito verso un'altra macchia scura.
La gente correva loro attorno e, mentre Gold si avvicinava solo e sospettoso, lentamente, verso il suo obiettivo, si rendeva conto della debolezza della gente, del fatto che seppur dotata di tutta la sicurezza possibile ed immaginabile, di loro poteva dire solo che fossero sopravvissuti cinque minuti a testa in quell'enorme calderone che era la vita.
Ognuno crede di essere speciale, crede di andare avanti con le proprie forze, sentendosi tra l'altro una divinità per vittorie quotidiane frivole e al limite dell'utilità.
La macchia scura era a due metri da lui, quando concluse che le persone non erano altro che stupide fomiche nel giardino di qualcuno.
Vive fino a che quel qualcuno non avrebbe deciso di ammazzarle.
"È lui..." sospirò Marina, alle sue spalle.
"Hey! Che diamine sta succedendo?! Dimmi chi sei!" urlò quello dagli occhi d'oro alla sagoma.
Dalla nebbia si sentì una risata di uomo.
"Chi sono?"
Quella voce era dura e penetrante, entrava all'interno del corpo dell'interlocutore e non lo abbandonava più. La sua sagoma si delineava nei fumi di nebbia, fino a che il suo sguardo celeste, pungente, penetrante come la sua voce, tagliò il grigio nell'aria come un coltello ben affilato.
Gold piantò i piedi ben in terra, mentre con una mano cercava di contenere il corpo di Marina che non essendo un'allenatrice era provvista del solo Staraptor per combattere, ma in quel luogo la cosa non era fattibile. Troppa nebbia e poca visibilità.
Schermò con il suo corpo la ragazza, Gold, quindi strinse i denti. Lo analizzò. Quel tipo era una statua, un adone greco, probabilmente pezzi di marmo ancora gli ricoprivano le fasce muscolari, perchè la perfezione che dimostrava non era umana e non lo era mai stata.
Nel suo sguardo vi erano sicurezza ed una dose infinita di tranquillità. Le palpebre erano aperte quanto bastava per mostrare le iridi azzurre, di quell'azzurro vivo, come il mare senza quel cielo grigio.
Era altissimo, le spalle molto larghe, la vita stretta. Le braccia e le gambe erano muscolose, e le mani grandi.
Portava i capelli rasati, ma s'intravedeva un'onda rossiccia di colore su quei corti spilli che gli crescevano sulla testa. Anche la sua barba era dello stesso colore, poco definita sulla faccia, corta, a non coprire le labbra carnose ed il naso lungo e dritto.
Indossava una canottiera bianca, molto attillata, che poco lasciava all'immaginazione. Un paio di jeans blu erano stretti sulle sue cosce e larghi sui polpacci, dove un paio di scarpe antinfortunistiche nere terminavano di coprire il suo corpo.
Un lungo cappotto nero era aperto, a mostrare un enorme teschio sul suo petto. In mano aveva una mazza ferrata.
"Chi sei?" ripetè Gold, con voce ferma.
"Occhi dorati, è importante sapere chi sono?"
Gold digrignò i denti. "Certo! Voglio sapere il nome di quello a cui sto per rompere il culo!"
"Come siamo sboccati... C'è una signora alle tue spalle, vedi di contenerti"
"Insegnami tu le buone maniere... Ah, non sei la persona più indicata, dato che stai devastando una città. Dimmi perchè Porto Alghepoli sta per essere distrutta dalle vostre armi"
Marina vide quello alzare la mazza e guardarne la punta di ferro. Del sangue la macchiava, e la cosa la fece impaurire. "Perchè questa città era nostra. Ed ora ce la riprenderemo"
"Chi sei?!" urlò Gold, con rabbia. Prese la sfera di Shiftry e gli fece fare la sua comparsa nella tempesta.
"Mi chiamo Xander, e sono un Idrotenente. E sì, se non lo avessi capito, Porto Alghepoli è sotto attacco" fece, con voce calma e profonda.
"Questo è ancora da vedere"
"Perchè state facendo questo?!" esclamò Marina.
"Perchè?! Ma perchè il grande evento si sta per compiere. Il mondo così come lo conosciamo sta per finire, e noi del Team Idro siamo gli unici in grado di donare al nuovo ordine venturo l'aspetto che merita. Il mare farà la sua comparsa, vincerà contro la terraferma, invaderà i cuori della gente"
"Ma..."
"La crisi è qui. Inutile nascondersi dietro a mezzi sorrisi e a mezze verità, sta per accadere qualcosa di grandioso; un grande cambiamento, e come in ogni grande cambiamento c'è sempre chi avrà la peggio. E qui qualcuno morirà"
"Tu morirai. Shiftry, attaccalo con... Un momento, non conosco alcuna mossa di Shiftry!" si crucciò il ragazzo, facendo sospirare Marina e ridere Xander.
"Io non posso morire, e non sarai tu ad ammazzarmi. Non sarà un ragazzino che non ha mai avuto un sogno ad uccidere il mio"
"Stai facendo del male a queste persone!"
"Qui non c'è niente e nessuno a cui valga la pena riservare un trattamento speciale. Sono tutti fiori di cartapesta, senza importanza. Sono cresciuti nel fango di questo mondo, inutile miscuglio di sofferenza e sacrifici, senza un ideale più alto. Ebbene, basta così"
"Vaneggi"
"No!" esclamò all'improvviso, con una scintilla viva nei suoi occhi cristallini. "No! Non vaneggio! La mia determinazione non proviene da un semplice pensiero folle. L'umanità fa schifo. Ed il Team Idro la ripulirà. Partendo proprio da voi due"
"Tu non pulirai proprio niente, coccobello"
"Non mi capisci. Non potresti mai capirmi. Sei proprio come questa massa di cani infami, incapaci ed impauriti, non in grado di reagire al nuovo, al buono, sempre radicati nell'antico e nella tradizione. Brutta notizia per te, Adidas. Il mondo sta cambiando. Proprio ora"
E poi improvvisamente con quella mazza ferrata sferrò un colpo veloce verso il suo avversario, che si abbassò repentinamente.
"Marina, cazzo, scappa!"
"Io non... io non scappo!" fece, guardandosi attorno. "Shiftry, aiutalo!"
Quello si alzò in aria maestoso, librandosi aggrazziato nella corrente, fino a sparire nella nebbia. Dopo alcuni secondi però ritornò forte, in picchiata, portando con sé una fortissima folata di vento, che spostò da quel posto le nuvole e la pioggia, con il solo scopo di far indietreggiare di qualche passo l'aggressore.
"Devo difendermi... Aibo!"
Ambipom scese in campo.
"Bel topolino... non basterà però contro di me". Xander gettò la mazza all'interno della vetrina che stava distruggendo, terminando il suo lavoro, quindi mise mano a delle sfere totalmente nere con una venatura blu. "Vuoi lottare?"
"Certo che voglio lottare!" rispose Gold, grintoso.
"Vai, Crawdaunt!"
L'enorme crostaceo guardava furente l'avversario, mentre con la coda provocava un rumore sinistro, come di ossa che si spezzavano. Le grandi chele si aprivano e si chiudevano, bramose di afferrare una delle code provviste di dita del primate.
"Aibo. Dobbiamo farcela"
Xander sorrise alle parole del Dexholder, pensando fossero davvero patetiche, ed esprimendo le sue impressioni con brevi movimenti del volto.
Sbuffò e schioccò le dita, quindi Crawdaunt si gettò a capofitto contro l'avversario.
"Ambipom! Il tizio vuole giocare, divertiamoci! Doppioteam!"
Diverse copie di Ampipom si disposero a cerchio attorno al crostaceo, che affondò il colpo a vuoto, facendo dissolvere quell'ologramma.
"Doppio Smash!" urlò Gold.
"Protezione!"
Il comando dell'Idrotenente arrivò pochi secondi prima che Ambipom, agilmente, si elevasse con un salto, pronto a colpire con una delle sue code. L'attacco si abbatté sul carapace avversario, diventato incredibilmente duro per l'occasione.
Ambimpom atterrò a pochi metri da Crawdaunt.
"Vai con Martellata!" urlò Xander.
Crawdaunt si girò immediatamente, e dandosi uno slancio colpì con un montante tremendo Ambipom, proprio sulla testa. Quello fu abbattuto al suolo, proprio lì vicino.
"Bloccalo a terra" ghignò Xander.
Crawdaunt colpì con Geloraggio il suo avversario, impedendogli di muoversi. Gli occhi del primate erano chiusi, la potenza dell'attacco del crostaceo fu tale da averlo messo facilmente fuori combattimento.
Xander sorrise, avvicinandosi al suo Pokémon. Aveva di nuovo la mazza ferrata in mano e la batteva contro il palmo, foderato in un guanto di pelle.
"Ecco come finisce... Bravissimo, Crawdaunt, rientra"
Gold rimase scioccato da quella scena. Non avrebbe mai potuto credere che Xander avesse potuto colpire Aibo con quell'arma rudimentale.
"Gold..." lo chiamò Marina, mentre vedeva quell'uomo avvicinarsi minaccioso, con il sorriso da deviato.
"Hai perso, stupido impertinente. Ora pagherai per la tua maleducazione" sussurrò Xander.
Gold spalancò gli occhi, la bocca li seguì. Stava davvero per accadere.
La pioggia riprese a battere debole, mentre i venti si calmarono.
"Gold" lo chiamò ancora Marina, spintonandolo, cercando di farlo svegliare.
Xander alzò sulla testa la mazza, guardando con occhi vividi e accesi. Nella sua testa dolci note, nei suoi gesti una tranquillità disumana. Aibo stava a terra esanime.
Stava per accadere.
"Porca puttana, Gold! Vuoi fare qualcosa?!" Marina urlò come una forsennata, afferrando la sfera di Aibo dalle mani del suo allenatore e spingendolo via.
"Ritorna!" fece poi.
Proprio un secondo dopo, non appena Aibo scomparve e rientrò nella sua sfera, Xander abbassò velocemente la mazza, frantumando il ghiaccio sporco, che esplose in mille pezzi scintillanti.
"No!" urlò Xander, voltandosi verso la coppia e prendendo ad avvicinarsi minaccioso.
Gold si risvegliò dal suo stato di trance, e si rese conto del fatto che l'Idrotenente avesse in mano una rudimentale arma medievale. "Cazzo! Marina!"
"Scappa!" urlò quest'ultima, tirando per mano il ragazzo. Cominciò la fuga per le strade di Porto Alghepoli.
Xander li inseguiva. "Fermatevi! È inutile correre, tanto vi prenderò!"
"Tu sei un pazzo omicida!"
"Prendeteli!" urlò. D'un tratto orde di persone, uomini e donne, vestiti a metà tra il marinaio ed il pirata cominciarono a porsi tra loro ed un eventuale libertà.
"Staraptor! Scacciabruma!" urlò Marina, stringendo sempre la mano di Gold. Si guardò un attimo attorno, prima di veder scomparire la nebbia. Ora era tutto più nitido, più definito.
C'erano più o meno trenta persone che si avvicinavano minacciose a loro mentre intanto Xander continuava ad agitare la sua arma, pronto ad usarla. "Acciuffateli!"
"Non acciufferete proprio niente!" urlò Gold.
Tre reclute del Team Idro si gettarono a capofitto contro i due ragazzi.
Erano praticamente identici, ma sembravano il lungo, il corto ed il pacioccone. Indossavano dei jeans aderenti alle cosce ed una canottiera bianca e blu a righe orizzontali. Una bandana blu, con il simbolo del Team Idro, completava il loro abbigliamento.
Il più lungo di loro faceva roteare una catena nella mano destra.
"Dove credete di andare?!" urlò il corto, che stava al centro.
"Levatevi dal cazzo!" rispose a tono Gold, lasciando la mano di Marina e sferrando un calcio sul volto di quello dopo un breve salto. La recluta si ritrovò K.O. in un colpo solo, mentre sangue rosso e denso fluiva rapido dalle sue narici e dalla bocca.
La cosa lasciò di stucco gli altri due, che rimasero sconvolti, sorpresi da quell'offensiva. Xander li sorpassò, continuando ad inseguirli.
Marina e Gold presero a salire una ripida scalinata, passando alla parte alta della città. Poi il Ranger vide qualcosa muoversi proprio accanto ad un muro e si fermò.
Gold continuava a correre, ma vedendo la ragazza fermarsi stoppò subito la marcia.
"Che cazzo stai facendo?! Quel tipo ci massacrerà!"
"Stai zitto! Vai, Styler!"
Marina lasciò partire una trottola, velocissima, che prese a roteare attorno ad uno spazio vuoto.
"Porca puttana, Marina! Quello ci fracassa il cervello e tu stai qui a giocare col Bey Blade?!"
"Ma che Bey Blade?! Cattura completata!"
"Completata?! Hai catturato l'aria, Marina! Quella che c'è nel tuo cervello!"
"Zitto, stupido saprofita!"
Xander si stava per abbattere sui due, alzò la mazza sulla testa, pronto a colpire. Gold capì che non c'era più niente da fare, erano stati presi. Si mise dinnanzi a Marina alzando l'avanbraccio destro a proteggere il volto, anche se sapeva che a poco sarebbe valso, quindi aspettò il colpo. Ma la voce di Marina lo distrasse.
"Usa Barriera!"
D'improvviso un'aura azzurra comparve davanti a loro, e si compattò a formare una sorta di schermo protettivo.
Xander abbattè quel colpo di forza immane sulla barriera, che non si mosse d'un centimetro né si frantumò.
Gold spalancò gli occhi. Marina sorrise leggermente, quindi incrociò lo sguardo aureo del ragazzo. "Ma che cazz... ?". La pioggia continuava a scendere, alzando nelle narici quel profumo di muschio ed umido.
"Kecleon. Era lì, vicino quel muro" rispose.
Gold prese il Pokédex e lo puntò verso il muro.
"Lì non c'è niente"
"Infatti è accanto a te..."
Gold osservò meglio. Proprio di fianco a lui la luce rimbalzava in modo differente su ogni cosa, come se l'aria lì avesse avuto una forma e fosse stata irregolare. E poi c'erano delle linee rosse, particolari, zigzagate ed incorporee che fluttuavano libere.
Decise quindi che il Pokédex avrebbe dovuto dargli maggiori spiegazioni.

"Cambia colore per mimetizzarsi e sorprendere la preda. Il disegno sulla pancia rimane sempre visibile. "


"Uhm... Questo Pokémon è quindi può cambiare la tonalità del colore della pelle. Forte"
"Ora pensa a liberare quest'area nel caso ci fossero altri manigoldi. Sistemali e poi trova un posto in cui stare e barricarci. Non possiamo volare nel centro della tempesta"
Xander continuava ad attaccare la barriera con la mazza, invano. Urlava come un forsennato, sputando rabbia che mai avrebbe pensato di vedere qualche minuto prima. Quel ragazzo sembrava pacato, posato.
Invece era solo uno psicopatico.
Cominciò a prendere a spallate la barriera, per sfondarla, abbattendosi su di essa.
Marina si voltò.
"Sei ancora qui?!"
Gold sospirò, quindi si girò. Erano verso la fine di un promontorio, e soltanto tre edifici erano ubicati lì.
Due di questi erano due duplex, casette bilivello. Erano tuttavia sprangate dall'interno, bloccate con assi e chiodi.
E poi c'era la galleria d'arte.
Da lì provenivano diversi rumori; vetri s'infrangevano e persone urlavano.
Gold si avvicinò alla porta automatica, che si spalancò, invitandolo ad entrare.
Il suo primo pensiero, non appena vide quell'edificio totalmente invaso da tirapiedi del Team in blu fu che era felice che lì non piovesse, in modo da poter utilizzare Exbo, il suo Typhlosion, senza incappare in rischi inutili.
Mosse passi bagnati fino a raggiungere la reception. Sporgendosi vide una donna con un vestito viola che piangeva in posizione fetale. Gente che urlava ed uno strano chiecchiericcio sostituirono il ronzio dei neon nelle orecchie.
"E tu, vestito come un fighetto, chi cazzo saresti?!" esclamò un tizio, uno di quelli che giocava con i cattivi. Era di corporatura ed altezza normale, occhi azzurri, la bandana a nascondere le stempiature. La barba era nera e folta.
"Vai via..."
Quello rispose con una sonora risata. "Rispondimi, avanti. Sei un Belieber?"
"Cazzo, no! Ascolto Guru e Premiere da una vita, non puoi dirmi una cosa del genere!"
"Chi?!"
"Oh cielo..." fece Gold, portando la mano alla fronte. "Guru e Premiere. Gangstarr"
Lo sguardo dello sconosciuto si perdeva nel vuoto.
"Porca... Ascolta!"
Levò le cuffie dal collo e le mise sulle orecchie del tipo. Next Time era in riproduzione.
"Ah... Rap. No, non mi piace questo genere"
E intanto nella sua testa apparve l'immagine di Marina massacrata da Xander. "Beh, mi spiace. Dammi le cuffie"
Il barbuto gliele consegnò, quindi vide Gold metterle al collo. "Appena ti risvegli ti consiglio di ascoltarli, davvero. Ti apriranno la mente"
"Appena mi risveglio?!"
Fu quello il momento in cui Gold lo colpì con un pugno al muso, mandandolo fuori combattimento.
Le nocche gli dolevano, intanto si voltò attorno. Lì c'era un casino assurdo: una quantità enorme di cocci di vetro e di terracotta, probabilmente provenienti da qualche vaso in esposizione, erano riversati a terra. Cavernicoli vestiti come uomini moderni battevano con le loro clave tutto ciò che fosse più alto di trenta centimetri e fosse intero.
"Ne hai fatto fuori uno... Te ne mancano solo altri tredici"
Una voce femminile lo fece voltare.
Era bionda, e anche se aveva i capelli corti, in un acconciatura maschile, era molto bella. I lineamenti erano delicati, e gli occhi azzurri ben si accostavano alle lentiggini che le corpivano il naso.
Il trucco era nero e marcato, e le labbra ben truccate. La pelle diafana risaltava con il blu dell'abbigliamento di quella.
Non era una recluta, dato che non vestiva come loro. Non aveva cappelli o bandane, i suoi capelli erano spettinati in una sorta di caos organizzato.
Indossava lo stesso soprabito di Xander, ma era chiuso. Del resto del suo abbigliamento s'intravedevano solamente gli stivaloni antinfortunistici, proprio come quelli del folle che continuava a martellare la Barriera di Kecleon.
"E tu chi diamine saresti?!"
"Mi chiamo Christine, e sono un Tenente di un'organizzazione atta a portare Hoenn sotto i livelli del mare"

 

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Capitolo 17
*** Capitolo Quindicesimo pt.2 - Gli Sconosciuti venuti dalla tempesta ***


Previously, on Hoenn's Crysis

"Ah... Rap. No, non mi piace questo genere"
E intanto nella sua testa apparve l'immagine di Marina massacrata da Xander. "Beh, mi spiace. Dammi le cuffie"
Il barbuto gliele consegnò, quindi vide Gold metterle al collo. "Appena ti risvegli ti consiglio di ascoltarli, davvero. Ti apriranno la mente"
"Appena mi risveglio?!"
Fu quello il momento in cui Gold lo colpì con un pugno al muso, mandandolo fuori combattimento.
Le nocche gli dolevano, intanto si voltò attorno. Lì c'era un casino assurdo: una quantità enorme di cocci di vetro e di terracotta, probabilmente provenienti da qualche vaso in esposizione, erano riversati a terra. Cavernicoli vestiti come uomini moderni battevano con le loro clave tutto ciò che fosse più alto di trenta centimetri e fosse intero.
"Ne hai fatto fuori uno... Te ne mancano solo altri tredici"
Una voce femminile lo fece voltare.
Era bionda, e anche se aveva i capelli corti, in un acconciatura maschile, era molto bella. I lineamenti erano delicati, e gli occhi azzurri ben si accostavano alle lentiggini che le corpivano il naso.
Il trucco era nero e marcato, e le labbra ben truccate. La pelle diafana risaltava con il blu dell'abbigliamento di quella.
Non era una recluta, dato che non vestiva come loro. Non aveva cappelli o bandane, i suoi capelli erano spettinati in una sorta di caos organizzato.
Indossava lo stesso soprabito di Xander, ma era chiuso. Del resto del suo abbigliamento s'intravedevano solamente gli stivaloni antinfortunistici, proprio come quelli del folle che continuava a martellare la Barriera di Kecleon.
"E tu chi diamine saresti?!"
"Mi chiamo Christine, e sono un Tenente di un'organizzazione atta a portare Hoenn sotto i livelli del mare"





 



Gli sconosciuti venuti dalla tempesta pt.2
 


"Team Idro, vero?"
"Hai indovinato"
"Ho vinto un bacino?" sorrise sornione Gold.
"Certo. Sulla bua che sto per farti"
Dalle mani delicate e sottili di Christine pendeva una catena bella pesante. Anelli di acciaio si abbracciavano tra di loro. La ragazza cominciò a farla roteare davanti a lei.
"Hey, calmina, bionda. Perchè siete tutti fissati con il sangue e con il fare fuori le persone?!"
"Perchè gli umani vivono a discapito del mare. Lo inquinano, lo utilizzano come divertimento, come strada, ammazzano i suoi abitanti e l'intero ecosistema. Il mare vive, proprio come me"
"E me"
"Non per molto ancora"
"Davvero hai intenzione di uccidere un ragazzo con degli occhi così belli?"
"Direi di sì"
"... Umpf. Devo sgomberare l'aria. Andiamo con l'ennesima lotta Pokémon. Se vincerò tu ed i tuoi scagnozzi vestiti come pillole del viagra con la maglia del Celtic di Glasgow sparirete da questo museo. Altrimenti... Altrimenti... Altrimenti che vuoi da me?!"
La catena continuava a roteare, e intanto le note di Next Time continuavano a fuoriuscire deboli dalle cuffie che aveva al collo.
"Io ti ammazzerò. Ma prima ti legherò e ti torturerò. Ti strapperò tutte le dita con le tenaglie, e poi te le farò mangiare" sorrise.
"Ma voi siete matti, ma veramente, oh! Ma che cartoni animati guardavate da bambini?! Quel tizio fuori mi stava per frantumare le ossa, tu vuoi farmi mangiare le dita. Voi avete un problema serio!"
Christine sorrise. "Probabile!" urlò poi, lanciando la catena verso l'avversario.
"No" rispose Gold, a bassa voce.
D'improvviso uscì Exbo. Le fiamme sul suo corpo erano caldissime. "Extrasenso!"
Gli occhi di Exbo diventarono totalmente bianchi, opachi, ed una patina dello stesso colore prese a rivestire il contorno del suo corpo. La catena volava velocemente verso di lui, ma all'improvviso si stoppò. Anch'essa fu rivestita da quella patina bianca, prima di ritrovarsi adagiata per terra. Christine fissava con lo sguardo vispo e crucciato l'avversario, mentre Gold ghignava, fissandola negli occhi.
"Avanti, puttanella"
"Adesso ti spacco la testa. Ma combattiamo se è questo che vuoi! Vai Banette!"
"E questa bambolina sarebbe un Pokémon?! Qui ad Hoenn siete matti..."
"Divertiti con noi, allora. Fuocofatuo!"
"Stai davvero provando a scottare un Pokémon che può raggiungere le temperature di un'eruzione vulcanica, cara? Allora è proprio vero quello che si dice sulle bionde..."
Una fiamma lenta, di un blu vivo, come se fosse quella del gas dei fornelli, cercò di raggiungere Typhlosion. D'improvviso accelerò.
"Scansati, dai!" urlò quello. Il Pokémon eseguì, ma la fiamma non si estinse e colpì Gold alla spalla.
"Porca puttana!" urlò.
"Bionde stupide, eh?" sorrise l'altra, incrociando le braccia.
"Di sicuro tu sei un po' troia"
"Finiscila con queste parole. Banette, usa Maledizione"
Gold vide Banette aprire le braccia. Uno spillone da balia entrò nel suo petto. La scena aveva dell'assurdo. Sembrava quasi godere, Banette, di quello che stava accadendo, gli occhi erano spiritati, di quel fucsia che andava scemando nel bianco fino ad incontrare le iridi nere e spente.
Poi il bruciore alla spalla aumentò, fino a che non strappò al ragazzo un urlo.
"Dannazione!" strinse i denti Gold. "Usa subito Ombrartigli!"
Exbo era pieno di energie, e si avventò forte sul suo avversario. La sua mano emanava strane scie viola e nere, come se avesse messo delle palline d'inchiostro nell'acqua. Le unghie ben aguzze misero a segno un colpo dalla violenza inaudita. Il corpo di Banette si dissolse nel mentre, ma l'urlo che sentirono ed il danno subito erano reali.
Banette si disciolse e poi sparì, rientrando nella sfera.
"Perfetto, occhiodorato, hai vinto..."
E poi un dolore inaudito al petto si aggiunse a quello alla spalla.
"Che... che cosa hai..."
Non riusciva più a stare in piedi, e fu costretto ad inginocchiarsi con la gamba destra, mentre la mano sinistra si puntellava per terra. Dalla bocca fuoriusciva un rivolo di sangue.
Christine si avvicinò lentamente, quindi si accovacciò accanto a lui.
"Noi bionde saremo anche stupide... Ma tu, caro mio..." si rialzò, quindi gli diede un calcio in pieno petto, con quegli stivaloni. "Tu sei maledetto..."
 Gold ricadde steso sulla schiena, mentre il dolore alla spalla si alternava a quello al petto. Christine si avvicinò di nuovo, mettendosi a cavalcioni su di lui. Si abbassò e gli baciò il petto, all'altezza del cuore. "È qui la bua?"
Infine tossì, sputando ancora sangue, prima che i suoi occhi si chiudessero.
 
Marina stringeva i denti, mentre vedeva la furia di Xander abbattersi nuovamente contro la barriera alzata da Kecleon. Il Pokémon si trovava in seria difficoltà, non riusciva più a mantenere la concentrazione per  tenere alzato quel muro d'energia.
Il Ranger lo aveva capito, e si guardava attorno. Non c'erano altri Pokémon da poter sottoporre alla cattura con Styler, era difficile che qualche esemplare si avvicinasse ai centri abitati.
Analizzò la situazione. Aveva solo Staraptor con sé, ma quel tipo aveva una mazza ferrata. Si voltò indietro, aspettando quel testone di Gold, sperando apparisse portando qualche buona notizia, ma niente.
Si voltò ancora verso Xander. La furia omicida nei suoi occhi era vivida e ricca. Sicuramente avrebbe provato ad ammazzare anche lei, con quella mazza.
Avrebbe potuto volare via con Staraptor, ma in questo modo avrebbe lasciato Gold da solo, e per quanto avesse provato piacere fisico e mentale nel vedere il folle del Team Idro mentre gli fracassava cranio e rotule, non lo avrebbe lasciato lì, non era nella sua natura.
Poi il fattaccio. Un buco, in basso a sinistra. Nella barriera di Kecleon.
"Sta per finire..." sussurrò lei. Si voltò ancora, e vide uscire dalla porta del grande edificio una ragazza, con una decina di scagnozzi.
Xander si fermò per un momento, e la osservò. "Christine!" urlò.
Quella si avvicinò minacciosa, facendo roteare la catena d'acciaio tra le mani.
"Oh, mamma..." Marina cominciò a sentirsi persa.
Xander riprese parola. "Hai trovato per caso un ragazzo con gli occhi dorati?"
"Sì. È svenuto, per terra, nella galleria"
"No! Gold!" urlò Marina, prendendo a correre verso di lui. Xander sospirò e diede un'ultima botta alla Barriera, che poi scomparve. Marina ebbe il buon senso di accorgersene e premere il tasto di rilascio dello Styler. Kecleon scomparve, ma lei non ci pensò, cercando di attraversare quel mare di avversari.
Christine lanciò la catena alle caviglie della ragazza, facendo presa, quindi tirò, facendola cadere.
Xander si avvicinò, battendo la mazza sul palmo, quindi sorrise. Vide gli occhi di Marina riempirsi di lacrime.
"Finalmente sei mia"
"Per-perchè? Dimmi solo perchè..." fece la ragazza, mentre una traccia di trucco sciolto si allungava sul suo viso seguendo la fuga di una lacrima cocente.
"Perchè Hoenn deve capire. E voi siete testimoni."
"Di che?"
"Testimoni della grandezza. Il nostro progetto non si limita a distruggere una città portuale, no. Noi aspettiamo che si manifesti in tutta la sua forza"
"Chi?"
"Il mare"
E poi dal nulla apparve un uomo, alle loro spalle. Indossava una camicia color verde acqua e dei pantaloni viola. Un grosso mantello bianco svolazzava sollecitato dal vento. Gli occhi dei cattivi si spalancarono d'improvviso, stupiti ed impauriti.
Quell'uomo lo conoscevano.
Quell'uomo era il Campione della Lega.
Quello era Adriano.
"Siete un po' troppi per prendervela solo con quella ragazza" sorrise.
Tutti si voltarono immediatamente e Xander sorrise. "Tsk. Adriano, il Campione della Lega Pokémon. C'era da aspettarselo"
Quello si avvicinò minaccioso.
"Forza Milotic. Ed anche tu, Gyarados" I due Pokémon si presentarono in campo. Il Pokémon Atroce ruggì iracondo.
"Quindi il Team Idro è di nuovo sulle scene. Questo vuol dire che..."
"Sai bene cosa vuol dire..."
 
Bluruvia, mezz'ora più tardi.
Gail era seduta alla sua scrivania. Il cielo si rivoltava, le nuvole grigie si rimestavano, dando vita ad un miscuglio bianco e nero, arrabbiato, pregno d'ira.
La pioggia batteva radente lungo tutta la superficie dell'isola, mentre il mare s'agitava inquieto.
S'alzò, la donna. Adorava vedere il mare agitato. Era una cosa che la rendeva affascinata e quieta allo stesso tempo.
Doveva finire i piani trimestrali, lo sapeva, ma un po' di pausa non aveva mai ucciso nessunno. Con la sua tazza tra le mani, con su scritto "Baddest Bitch Ever" osservava la vita di Bluruvia andare avanti monotona.
Non c'era nessuno per le strade. Già, la pioggia.
O quell'onda enorme che si stava per abbattere su Bluruvia.
"Oh... Dannazione...". La tazza le cadde dalle mani, sporcando di caffè la moquette blu. Ma non sarebbe importato a nessuno, tanto più nessuno l'aveva vista. L'ottanta per cento delle persone presenti in quel palazzo guardavano alla finestra mentre il mare si alzava in posizione eretta, pronto ad abbracciare l'isola di Bluruvia.
La furia distruttiva della natura si abbatteva sulla città, a pochi metri dal palazzo.
Gli ingegneri erano sicuri: nulla avrebbe potuto abbattere quella struttura. Era stata costruita nel migliore dei modi, utilizzando i materiali migliori presenti sul mercato, coadiuvati dalla migliore tecnologia messa a disposizione dalle società più competenti.
Forse fu questo a lasciare Gail più tranquilla del normale, nonostante fosse visibilmente sconvolta.
L'onda si abbattè su Bluruvia, non risparmiando nemmeno il palazzo. L'onda, dalle dimensioni ginormiche, ribaltò automibili, sfasciò case e negozi, piccoli palazzi di vecchia costruzione.
Sradicò alberi da frutto dai loro giardini e palme dalle spiaggie. Ricoprì quasi per intero la Grotta Pietrosa, lasciando intonso solo il cucuzzolo del massiccio.
Inoltre ricoprì interamente il palazzo, donando ai terrorizzati operai degli uffici un attimo di smarrimento nei fondali blu, senza sabbia né conchiglie, ma con strade e segnali e vie e staccionate.
"Gail!" urlò Ren, il suo capufficio, entrando nella stanza tutto preoccupato.
Lei non lo ascoltava.
Lei guardava solo quell'enorme occhio che si muoveva lentamente in avanti proprio fuori dalle finestre del palazzo, trascinando un'ombra blu scuro dopo il suo passaggio.
 
"Kyogre è di nuovo sveglio" osservò il Campione.
"E presto ci impossesseremo di lui. Ora che Porto Alghepoli è sotto il nostro controllo non permetteremo a nessuno lo sbarco. La baia poco oltre la spiaggia è stata interamente presa sotto la nostra ala protettiva. Solo chi ha il permesso non sarà affondato dai Wailord" fece Xander, lasciando cadere la mazza ferrata per errore. Si chinò a riprenderla, quindi osservò negli occhi la paura di Marina.
"Dalle tue parole capisco che non è ancora sotto il vostro controllo"
"Dobbiamo ancora impossessarci della Sfera Rossa, se è questo ciò che intendi... Ma presto sarà nelle nostre mani"
Erano tutti distratti, nessuno si curava di Marina. Christine manteneva in maniera blanda la catena con cui le aveva legato la caviglia. Gli occhi della ragazza erano in modalità sopravvivenza, le lacrime colavano dall'orlo delle palpebre copiose, sciogliendole il trucco.
Fece un rapido check-up dell'arto inferiore colpito, muovendo leggermente la caviglia ed appurando che tutto funzionasse alla perfezione.
Alzò per un attimo gli occhi al cielo, e vide che le nuvole continuavano ad addensarsi e a lasciar cadere pioggia fredda.
Doveva rischiare.
Portò i mignoli alla bocca e fischiò. Contemporaneamente tirò forte la caviglia. Christine lasciò la presa, rimanendo sgomenta dalla situazione.
"Che diamine..."
Marina doveva liberarsi. "Staraptor, aiuto!"
Quello si fiondò come un vandalo su Christine, prendendo a colpirla ripetutamente con un attacco Zuffa.
Non ci volle molto, Marina si liberò dalla catena e scappò nel vicolo accanto, salì sul cassonetto dell'immondizia e si arrampicò sul tetto.
"Staraptor, andiamo via da qui!"
Il Pokémon Volante si staccò dal suo obiettivo per poi volare diretto verso l'alto. Marina saltò sul suo dorso ed andò via, oltre le nuvole.
 
Xander guardò la sua collega sorpreso. "Te la sei lasciata sfuggire!"
Christine era a terra, dopo l'agguato del Pokémon. Si rimise in piedi, un po' confusa.
"Mi ha colto di sorpresa!"
"Era un ostaggio perfetto!"
Adriano guardava sgomento. Quei ragazzi erano veramente dei folli.
"Dovete lasciare Porto Alghepoli. Adesso. Della brava gente, persone innocenti, sono state costrette a barricarsi in casa"
"Nessuno può interferire con i nostri piani di conquista"
Poi il cellulare di Adriano squillò.
"Pronto... Come?! Rudi come sta?! No!" urlò alla fine l'uomo.
Xander guardava sorridente l'avversario. Attaccò e rimise il cellulare in tasca.
"Kyogre si è svegliato. Ha ucciso migliaia di persone sommergendo interamente Bluruvia. Da oggi, quell'isola non esiste più"
Xander partì con una grossa risata.
"Dovete andare via! Ora! Gyarados!"
"Ti piacciono i Gyarados?"
"Milotic, pensa agli scagnozzi, anche a costo di ammazzarli, non importa. Ma a te ci penserà il mio Gyarados"
"Lottiamo!" esclamò Xander. Prese una sfera dalla sua cintura e la lanciò. Un Gyarados rosso ne uscì.
Fu così che i due Pokémon, che differivano soltanto per dimensioni e colore, dato che quello di Xander oltre ad essere cromatico era anche più alto.
"Forza Gyarados! Mostriamogli la potenza del Campione!" urlò Adriano, puntando il dito contro l'avversario. Gyarados ruggì forte, quindi si gettò a capofitto nella lotta. I due presero ad intrecciare i corpi serpentiformi, nel tentativo di decretare chi dei due fosse il maschio alfa. Una prova di forza che lasciò sorpreso Xander: nonostante il suo Gyarados fosse più grosso, quello di Adriano pareva avere una marcia in più.
Fu proprio il Campione della Lega di Hoenn a voler cominciare l'offensiva. "Morso!"
Il suo Pokémon spalancò le fauci e le richiuse sul collo dell'avversario, che emise un grido sinistro in cui rabbia e dolore erano misti come acqua e sabbia sul bagnasciuga.
"Ottimo! Stringi!"
"Non demordere Gyarados!" urlò Xander. "Vai subito con Ira di Drago!"
La mossa era sensata. La mossa sfruttava la rabbia che Gyarados in quel momento stava provando. Già in generale i Gyarados sono dei Pokémon irritabilissimi. Non esistono Gyarados che non siano arrabbiati. La frustrazione di aver vissuto un'intera vita come un Magikarp, essere bollato sempre come una preda alla mercee dei predatori, denigrato come Pokémon inutile, accresceva nei Pokémon stessi rabbia e convinzioni differenti e contrastanti.
Esse si manifestano con tutta la cattiveria possibile nel momento in cui sopraggiunge l'evoluzione. Nel momento in cui, quindi, quelle piccole ed inutili carpe diventano serpenti marini alti quanto palazzi.
La mossa Ira di Drago era quella più azzeccata, dunque. Quel maestoso Gyarados rosso prese ad urlare. La sua rabbia, unita al dolore che provava per via del morso cominciò a far scorrere in lui adrenalina pura.
La sua ira fece infittire la pioggia, tanto che i due allenatori che si contendevano quella sfida non vedevano altro che ombre e sagome vagamente colorate.
Gyarados, quello rosso, dopo l'ennesimo urlo si gettò per terra, facendo cadere a sua volta anche l'avversario. Infine si rialzò rapidamente, emettendo dalla bocca una sfera di energia incandescente, vivida, sopra cui diverse venature nerastre si andavano diffondendo come scosse d'energia elettrica.
"Gyarados, resisti!" urlò Adriano.
La sfera partì, colpendo il Pokémon del Campione in pieno volto. Il sangue fuoriusciva dalle narici e dalla bocca, ma anche in lui prese a crescere l'ira.
Si rimise velocemente in piedi, quindi guardò Adriano.
"Geloraggio!" urlò quello.
Un raggio d'energia congelata partì dalla bocca del Pokémon, colpendo alla base del corpo l'avversario. Ci fu un principio di congelamento, il Gyarados rosso non riusciva a muovere la parte inferiore del corpo.
Adriano guardò lo stupore negli occhi di Xander, quindi sorrise.
"Ora terminiamolo! Colpo!"
Insaguinato ed iracondo, il Gyarados di Adriano si gettò a capofitto prendendo a colpire col volto, con la testa, mordendo, il pover avversario.
Una serie di urli si levarono in alto nella pioggia, prima che Adriano facesse rientrare il suo Pokémon. Xander guardava esterrefatto.
"Non..."
"Invece sì, Team Idro. Ora andate via e liberate la città. Milotic, fermo."
Questo infatti stava per colpire mortalmente una recluta. Lo sgherro si alzò e fuggì via, zoppicando, imitato poco dopo da altre persone.
Porto Alghepoli era libera.
 
Le porte del museo si aprirono, e Marina vi entrò rapidamente dentro. Fu sollevata dal non sentire più la pioggia battere sulla sua testa.
Tutto attorno c'era un gran casino.
Opere distrutte, tele bucate, pareti abbattute ed un rapper per terra.
"Gold!" esclamò, correndo verso di lui. Il volto era disteso, gli occhi chiusi, la bocca invece no, semiaperta.
Lo afferrò per le spalle, cominciando a scuoterlo. "Gold!" lo chiamava. "Gold! Gold!"
D'improvviso il suo voltò si contrì in una smorfia di dolore. "Dio mio..."
"Gold!"
"Male..."
"Ti fa male?! Cosa ti fa male?!"
"Male..."
"Cosa, Gold?! Cosa?!"
"Detto..."
"Non mi hai detto niente, avanti!"
"Maledetto!" urlò il ragazzo, tossendo e sputando sangue sulla divisa di quella. Marina abbassò gli occhi e guardò il liquido rosso colarle all'altezza dei seni.
Adriano fece il proprio ingresso nel museo. Il volto era cereo, mentre i suoi passi decurtavano decisi la distanza con i due. "Come stai?"
"Io sto bene. Ma lui no, sputa sangue"
"Hai visto cosa gli è successo?"
"No... Ha urlato solo la parola Maledetto per poi sputare sangue... Non so cosa sia successo". Marina sospirava mentre parlava, e con il lembo di un fazzoletto puliva il sangue dalla bocca del ragazzo, che stringeva occhi e denti mentre affondava le mani nel giubbino all'altezza del petto, come se volesse staccarsi il cuore.
"È vittima dell'attacco Maledizione. Torno subito". Si allontanò, avvicinandosi alla porta. Guardava fuori mentre cercava un numero nella rubrica del suo cellulare. "Eccoti qui... Pronto? Ciao Ester, sono Adriano..."
"Vedrai che andrà tutto bene, Gold. Tu pensa solo a riposare ora"

 

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Capitolo 18
*** Capitolo Sedicesimo - Esci da questo corpo ***


Esci da questo corpo


"Se il buongiorno si vede dal mattino torniamo a dormire... Ci sveglieremo quando questo tempaccio sarà andato via" fece Martino, sospirando con la fronte poggiata al vetro della finestra. Albanova era macchiata da pozzanghere nere, che riflettevano il colore di quelle nuvole iraconde.
Fiammetta gli si avvicinò, spostandolo delicatamente, sovrappensiero.
"Già. Il tempo non è buono. Chris, dov'è Silver?"
"Non lo so". La voce di Crystal era compressa. Era seduta sul letto, con le spalle poggiate allo schienale rivestito e le gambe piegate al petto.
"Tutto bene?"
"Non ho riposato al meglio. Sono stanca..."
"Beh, mi spiace. Oggi ci avvieremo verso Ciclamipoli, per poi avvicinarci a Forestopoli. Magari Alice ha notizie di Groudon"
"Basta contattarla con l'Holovox. Andare fino a Forestopoli per fare una domanda è da folli. Non siamo più nel medioevo. Semplifica, sorella" intervenne in gamba tesa Martino.
"Tu zitto"
"Ha ragione" appoggiò l'altra. "La chiameremo dopo"
Erano le nove, quella mattina se l'erano presa comoda, aspettando con calma che spiovesse, ma sarebbero dovuti essere in marcia già da un paio d'ore. Ristagnavano al buio, immobili, piccoli pipistrelli impotenti in quella grotta, mentre un rumore di passi sul parquet lucido della casa di Birch li raggiunse.
La porta si aprì, Silver entrò, accendendo la luce.
"Bluruvia è sott'acqua. Non esiste più."
"Eh?!" esclamò Fiammetta. Sul palcoscenico del suo volto terrore e sorpresa si dividevano la platea. "E Rudi?! Come sta Rudi?!"
"Non ho idea di chi sia"
"È il Capopalestra di Bluruvia! Insomma!"
"Fiammetta, non lo so."
Gli occhi vermigli della donna si riempirono di calde lacrime. Crystal si alzò dal letto, avvicinandosi a lei e stringendola in un abbraccio.
"Forza. Vedrai che starà bene"
Martino fissava Silver. Il suo volto era solido, nessuna emozione traspariva da quegli occhi argentei. I pugni erano chiusi e le braccia conserte davanti al petto, in una sorta di chiusura al mondo.
"Dovremmo andare."
"Dobbiamo andare a Bluruvia! Dobbiamo controllare che Rudi sia vivo!" urlava Fiammetta.
"Bluruvia non esiste più, Fiammetta. Perderemo solo tempo, che dovremmo sfruttare per catturare Groudon."
"È stato Groudon a causare l'affondamento dell'isola?" chiese Crystal. Tutti gli sguardi erano puntati come riflettori su Silver.
"L'isola non è affondata. Un'onda anomala l'ha sommersa. Pochi sopravvissuti, tutti i presenti nel Palazzo di Cristallo"
"Che cos'è il Palazzo di Cristallo?" domandò l'altra ragazza di Johto. Fiammetta si prese la libertà di rispondere, cercando di calmare il pianto ed il singhiozzo.
"I-Il Pa-palazzo di Cri-stallo è... è un enorme... un enorme palazzo pieno di vetrate"
"Si trova a Bluruvia?"
Silver annuì. "Hanno già mandato i soccorsi per liberare quelle persone."
"Un problema in meno"
"Non proprio" fece Martino. "Ora c'è un'incognita. Un'onda anomala, qui ad Hoenn può essere provocata da più cause. Una di queste è sicuramente Groudon. Insomma, un terremoto nelle zone marine causerebbe la subduzione e la conseguente sovrapposizione delle placche oceaniche su cui la regione, di natura vulcanica, si appoggia. Ciò sposterebbe una grande quantità d'acqua in diverse direzioni, creando appunto un'onda anomala."
Crystal annuì, sorpresa. "Non ti facevo così preparato su queste cose"
"Sono un Ranger e so il fatto mio. La questione è che ad Hoenn dorme Kyogre, il potentissimo rivale di Groudon."
Silver sospirò, poi prese parola. "Ha ragione. Lui controlla i mari. Non vorrei che l'assidua attività di Groudon possa aver compromesso il riposo di Kyogre. Dovremmo catturare due Pokémon in quel caso"
"Non riusciamo a prendere Groudon, figurarsi Kyogre"
Birch entrò in stanza. Il suo sguardo era contemporaneamente stanco e scosso. Guardò subito Fiammetta, sedutasi sul suo letto.
"Rudi non si trova." esordì.
Fiammetta strinse i pugni ed abbassò il capo. Si morse un labbro, così forte che le sembrò quasi di non sentire più il dolore. Dallo zigomo destro cadde una lacrima, quindi un sospiro le pulì l'animo.
"Bene. Questo deve servirci da monito e carburante. Dobbiamo far presto, o altre persone moriranno."
"Dovreste cercare di attirare Groudon"
"E Kyogre" aggiunse Martino.
"Sì" annuì Birch. "Probabilmente quella è opera sua. In ogni caso dovete fare in modo che vengano da voi"
"Cosa potremmo fare?" chiese Crystal.
"Beh, so che Sapphire utilizzò delle particolari sfere per controllarli. Magari potreste fare lo stesso"
"Dove si trovano?"
"Non lo so. Ma anche nel caso le troviate mantenete la calma. Bisogna fare attenzione, sono pericolose"
"Urge mettersi in contatto con Alice" concluse Fiammetta.
 
"Come sta?" domandò Marina, a braccia conserte. La sciarpa era ben stretta attorno al collo, baciandone la pelle con la sua morbidezza. Il suo sguardo si abbassò preoccupato su Gold, steso nel letto di quella piccola stanza. Un lettino ad una piazza stava tra due finestre. Sulla sinistra c’era il comodino, quindi di fronte un grande armadio.
A destra, sulla parete, c’era una scrivania. Ester vi era seduta silenziosa, dando le spalle ai presenti mentre armeggiava con pozioni e strani miscugli da strega.
Marina non riusciva a non pensare all’accaduto. Fuori pioveva ancora, ma il suo respiro era secco ed arido, come se stesse per esalare gli ultimi fiati della sua vita, anche se fin troppo bene.
Negli occhi ancora lo sguardo sadico e pazzo di Xander.
Nella tranquillità che dimostrava riusciva lo stesso a diventare totalmente folle, e questa cosa la turbava. Se era riuscito a celare così bene la rabbia, probabilmente lo avrebbe potuto fare chiunque.
Rivalutò il mondo per quel che era: uno sporco, lurido, putrido antro, in cui viviamo come pipistrelli vampiri, pronti a scattare sulla preda non appena essa entri in casa nostra per errore.
L’umanità e le sue beghe.
Il suo sguardo era ancora fisso su Gold. Era stato liberato dalla felpa nera, ed ora il freddo dicembrino svegliatosi quella mattina gli poggiava direttamente su petto e torace.
I capelli erano spettinati, come sempre, forse un po’ di più. Non riusciva a respirare con regolarità, difatti il suo volto pareva contrito e di tanto in tanto acute fitte di dolore lo costringevano a stringere pugni e denti nonostante la totale incoscienza.
“Soffre” osservò il Ranger.
“È stato vittima di un attacco Maledizione” sospirò il Superquattro, voltandosi per un istante.
Ester era una donna piccolina, di poco oltre il metro e sessanta. Aveva qualche anno sopra i trenta, ma il suo viso era quello di una diciottenne. La carnagione olivastra mal si accostava a quel temporale grigio. Era dicembre, e in inverno indossava maglioncini a collo alto e pantaloni aderenti. Quel giorno il pezzo di sopra era un comodo maglioncino di lana azzurro appoggiato sulla sua pelle morbida.
Nonostante la capigliatura a maschietto era parecchio femminile. I capelli neri erano spettinati, alti sulla testa, che mettevano in risalto collo e volto, ma in particolare i due grandi occhi, di quel blu così profondo.
Ester si voltò di nuovo a lavorare su polveri particolari e piante violacee, e Adriano sospirò, seduto su di una sedia accanto alla porta, di fronte al letto.
“Di solito gli attacchi dei Pokémon sono diretti verso altri Pokémon. Questo però no…” sbuffò il Campione della Lega. “Sono scorretti e senza regole, e ce ne siamo accorti da come hanno ridotto Porto Alghepoli”
“Io sono accorsa subito qui quando ho saputo che la mia città era sotto attacco” spiegò Ester. “Ma quando sono arrivata era già tutto finito, tutto fermo. Avevate già sgomberato la zona”.
“La questione è che è un attacco premeditato!” esclamò a metà tra la rabbia e la sorpresa Adriano. “Non è una mossa che puoi evitare; Gold non è stato colpito per errore, era lui il destinatario. E questa cosa ci fa capire chi abbiamo di fronte”
“Lo so. Purtroppo non è la prima volta che vedo una cosa del genere…”
“Tra quanto tempo è pronto questo rimedio, Ester?” domandò Marina, sedutasi ai piedi del letto, delicatamente, per non dare fastidio al ragazzo.
“Pochi minuti ancora”
“In tal caso scusatemi qualche minuto…”
“Prego” sorrise Adriano.
Marina aprì la porta della stanzetta e si ritrovò in un piccolo corridoio, con le mura ricoperte di carta da parati a tematiche floreali, ingiallita e spenta. I lampadari polverosi donavano una luce bassa, che creava ombre e dubbi nella testa di chi calpestava la morbida moquette sul pavimento.
Marina puntò l’Holovox verso il volto, quindi premette un tasto; pochi secondi dopo la figura di un altro Ranger apparve in ologramma.
“Qui Pokémon Ranger Martino” sentì dall’altra parte.
“Sono Marina”
“Aspetta, il segnale è disturbato. La pioggia modifica la tua immagine”
“Io ti vedo”
“Ok. Anche io. Sei arrivata ad Hoenn?”
“Sì, sono a Porto Alghepoli, ma probabilmente dovrò starci ancora, forse un giorno”
“Che è successo?”
“Uno strano gruppo di persone ha attaccato Porto Alghepoli utilizzando armi e Pokémon”
“Addirittura armi?!”
“Sì, ma armi bianche… Siamo intervenuti io e Gold e…”
“Gold?! Sei con Gold?!” esclamò Martino, contrariato.
“Sì, l’ho beccato al Porto di Olivinopoli”
“E non l’hai ammazzato?!”
Marina sorrise. “Ero quasi riuscito a disarcionarlo da Togebo, ma…”
“E che cavolo sarebbe un Togebo?!”
“Il suo Togekiss”
“Che razza di nome è?!”
“Comunque non volevo fargli del male…”
“Sei stata troppo buona… Almeno gli hai ricordato quello che ti ha fatto?!”
“Zitto, testone! Andiamo avanti, ci sono cose più importanti!”
“Cambiamo discorso, va’… Come mai dovrai sostare un giorno in più a Porto Alghepoli?”
“Gold è stato maledetto da uno di quei brutti ceffi e ora si trova in un letto, sofferente”
“Maledizione, eh? Meglio… Anche se attaccare un umano con dei Pokémon è scorretto assai… Si direbbe opera di uno dei due guastafeste…”
“Li avete incontrati?!”
“Io no, ma Silver e Crystal sì ed anche Fiammetta. In ogni caso sembrano l’ebola… Non ti si staccano più da dosso finché non li debelli”
“Sei con i due Dexholder?”
“Già. Con me c’è anche Fiammetta Moore, ex Capopalestra di Cuordilava”
“Dove siete?”
“Siamo appena usciti da casa del Professor Birch”
“E dove sta?!”
“Albanova…”
“Bene… siamo dalla parte opposta di Hoenn…”


“Che succede?” chiese Crystal, mentre cercava di evitare le pozzanghere profonde e nere createsi per via della pioggia di quel mattino.
Non era un vero e proprio acquazzone, era piuttosto quella pioggerella fine, fredda. La temperatura era scesa parecchio quel giorno. Silver camminava silenzioso in avanti, avvolto nella sua sciarpa, con il giaccone ben chiuso.
“Martino! Chi è?!” chiese ancora la ragazza.
“Lei è Marina, l’altro Ranger che doveva raggiungere Hoenn”
“Ciao Marina”
“Sì, ciao Crystal, piacere. In ogni caso Gold sta per essere medicato da Ester, ma non so se ci saranno tempi di recupero più o meno brevi, quindi il giorno che ho menzionato prima è relativo e poco indicativo”
“Medicato?! Gold?! È con te?!” esclamò forte la ragazza. Silver si fermò, girandosi verso la ragazza. Poochyena, che camminava accanto all'allenatore, prese ad annusare in giro.
"Sì... Diciamo che non sta molto bene..."
"Che ha?!"
"Crystal, calmati... Niente di che, se ne sta occupando Marina, tu stai tranquilla" fece Martino. "Beh, ora è il caso di chiudere il collegamento. Noi raggiungeremo Ciclamipoli entro stasera"
"Ottimo. Mi farò viva non appena Gold si sveglierà"
"Cosa?! Che succede a Gold?! Perché dorme?!"
"Ciao Marina, ciao...". Martino concluse il collegamento e poi guardò accigliato Chris. "Ma che diamine ti prende?!"
Silver s'inserì velenoso. "Non lo vedi? Si preoccupa per Gold. Teme che senza di lui non riusciremmo a fermare Groudon"
Crystal rimase sgomenta, giusto un attimo, prima di esplodere rabbiosa. "Ma che ti dice la testa?! Sei anche geloso?! Gold è un nostro amico! È importante per me sapere che stia bene!"
Silver avrebbe voluto investirla con parole al vetriolo, ma si limitò a sospirare e a ringhiargli contro nella sua testa. Quel sentimento che provava nei suoi confronti, quella voglia di starle accanto, era tutto svanito nel nulla, come il respiro fumoso di una giornata d’inverno.
 
Ester si alzò dalla sedia ed andò verso il letto.
Marina era seduta accanto a lui, mentre gli stringeva la mano e gli premeva una pezza umida sulla fronte.
Gold si era risvegliato, era cosciente.
“Porco mondo, Marina... Che mi hai fatto?” chiese non appena sveglio, suscitando in lei il sorriso.
“La prossima volta impari a dire che sono l’antisesso”
“Stronza...” ghignò lui, tossendo, per poi sputare sangue ed urlare di dolore.
Poi si era calmato, ma lo stesso il dolore atroce che lo martoriava lo stava portando all’autodistruzione.
“È pronto” annunciò Ester.
Adriano era davanti alla finestra con le mani dietro la schiena, congiunte. Guardava dritto, guardava davanti, mentre la pioggia aveva ripreso a battere radente sul suolo dilaniato dal sangue e dai vetri rotti di Porto Alghepoli. Alle parole di Ester si voltò, per assistere.
“Gold, allora...”
Il ragazzo aprì gli occhi lentamente, quindi vide la sua interlocutrice e sorrise come un ebete.
“Paradiso?”
“No, Gold, io sono Ester, Superquattro della Lega di Hoenn, e tu stai per morire”
“Ah, ottimo...”
“Sei stato colpito da un attacco Maledizione” fece Marina.
“Per levare da te questa maledizione dovrò applicare una pressione al tuo torace, che risulterà dolorosa. Tu non mollare però”
“Io non mollo mai...”
“Buono a sapersi. Marina, bloccagli i piedi”
Gold spalancò gli occhi. Vide Marina sedersi letteralmente sulle sue gambe, rendendogli impossibile il movimento.
“Pesi” fece quello.
“Smettila”.
“Adriano” lo chiamò Ester. “Bloccagli le spalle”.
L’uomo sospirò, dando un ultimo e trascinato sguardo alla città, per poi porre le sue grandi mani sulle spalle del ragazzo.
Ester poi gli salì a cavalcioni sullo stomaco, facendolo sorridere. “Hey... Non ci conosciamo nemmeno...”. La sua voce era flebile, breve, quasi inesistente.
“Dobbiamo fare presto. Mi raccomando ragazzi. Gold...” Ester prese uno straccio che aveva preparato precedentemente e lo mise in bocca al ragazzo. “... mordi questo”.
Pose una mano al centro del torace del giovane, quindi vi pose l’altra mano sopra ed esercitò una leggera pressione. Gold strinse i denti e gli occhi. Il dolore era forte.
“Bene. Pronto?!”
Ester premette forte sul suo petto ed il dolore si espanse per tutto il corpo. Gli occhi del ragazzo si spalancarono e le braccia presero a tremare. Il suo istinto primordiale fu quello di prendere Ester e sbatterla contro la parete di fronte, ma Adriano gli bloccava le spalle. Avrebbe scalciato, ma Marina gli impediva di fare anche quello.
“Forza, Gold!” urlò Ester, strappandogli il canovaccio da bocca. Il ragazzo prese ad urlare con tutte le forze che gli rimanevano.
“Tieni la bocca aperta!”
Gold ascoltò la donna, e poco a poco vide del fumo nero addensarsi e fuoriuscire da lui.
“Ecco qua... Forza”
La pressione sul petto diventava sempre più forte e, dal punto di vista di Gold, dolorosa. Quel fumo nero saliva in aria e si addensava sul soffitto, cercando spazio per salire.
Il ragazzo era solo dannatamente spaventato; ormai non urlava neppure. Guardava con terrore ciò che stava uscendo dal suo corpo, mentre il dolore gli pulsava nelle tempie.
“Si... si sente proprio una massa... Si muove qui, nel tuo petto”
“Levala!” urlava lui.
“Non parlare!”
“Gold, ascolta Ester” faceva Adriano, spingendogli le spalle contro il materasso.
In quel momento sentiva come se stesse vomitando l’anima. Certo, un’anima malvagia. Tirava con sé la paura del giovane e tanto dolore. Gold si sentiva come paralizzato, stava per esplodere, per arrivare al limite, il suo cuore stava per scoppiare.
E poi Ester sospirò.
“Ecco fatto”. La donna scese dal suo corpo, quindi fece cenno agli altri due di lasciarlo andare. Marina subito prese il canovaccio che il ragazzo stringeva tra i denti e pulì il sangue che era uscito a rivoli dalle sue labbra.
“Come stai?” chiese lei.
Gold non rispondeva, si limitava solo ad ansimare con gli occhi spalancati.
Ester raggiunse poco dopo il ragazzo, e gli pose un sacchetto piccolino di velluto sul petto con una cordicella.
“Fanne una collana, Gold, e tienila sempre con te. Purtroppo lo spirito che ti ha maledetto non è totalmente uscito dal tuo corpo, ma è nettamente più debole. Il composto che c’è qui ti permetterà di catturarlo e bloccarlo. Mi raccomando, non permettere mai che il sacchetto si rompa o che si apra. In tal caso lo spirito uscirà fuori e nessuno sa come agirà”.
Gold si calmò. Marina gli passò la cordicella attorno al collo per poi preparargli fare un nodo; la collana era sul suo petto.
Adriano sospirò, sollevato. Vide Ester far uscire il suo Shuppet nella stanza, che prontamente andò a divorare quel fumo nero e cattivo.
 
Poochyena abbaiava. Erano a metà strada tra Albanova e Solarosa. La natura tutt’intorno era rigogliosa e dalle foglie degli alberi pendevano le gocce di pioggia catturate dalla mano verde del bosco.
Fiammetta camminava davanti agli altri; era silenziosa come non mai. Nella sua testa vorticavano i pensieri sulla morte di un caro amico, su tutta la situazione e sul fatto che solo la fiammella di una candela, molto ma molto corta, stesse alimentando e riscaldando la sua speranza di salvare Hoenn, per evitare altri spargimenti di sangue. Voleva solo rimanere a rimestarsi nei suoi pensieri, impastata nel dolore. Già Petra, poi Rudi. Erano andati via.
Quei due si amavano.
Poi con una capriola mentale la sua testa la portò ad analizzare la composizione di quel gruppo che si era andato a creare.
C’era Crystal, che era il fulcro centrale di tutto. Lei aveva le capacità per catturare Groudon e la preparazione per farlo. La ragazza di Johto sembrava molto ligia al dovere ma sembrava sorpresa e deliziata dai luoghi di Hoenn, sebbene parzialmente distrutti. La natura di Hoenn, così forte e rigogliosa la faceva stare bene.
Poi c’era Silver, il tenebroso e silenzioso ragazzo dai capelli fulvi. Era stato lui a salvare lei e Jarica, la sua piccola sorellina, dalla colata lavica del Monte Camino, a Cuordilava. Era forte, agile, intelligente, astuto. Quel giorno però sembrava parecchio turbato da qualcosa, anche se non era in grado di capire cosa fosse. Senza Silver non avrebbero avuto un giusto scudo dagli attacchi del Team Magma.
C’era anche quel testone di Martino. Certo, infantile e quant’altro ma il ragazzo ci sapeva fare con lo Styler, lo aveva dimostrato nell’occasione del Bosco Petalo, quando salvarono il piccolo Curtis dalle grinfie dei Pokémon Coleottero. La Lega di Hoenn aveva contattato l’Associazione Ranger di Oblivia chiedendo due specialisti; se lui era uno dei due un motivo ci doveva essere.
Infine c’era lei. Era una Capopalestra. Aveva un forte temperamento e motivazioni da vendere; la sua testa era dura come non molte, ed il fatto che suo nonno fosse stato un grande Capopalestra le dava ancora più stimoli a fare meglio.
Tuttavia non era una delle allenatrici più eccelse presenti nella Lega di Hoenn, ed il suo fare competitivo le faceva pesare altamente questa cosa.
Lei soffriva per questo e intanto le voci su di lei si susseguivano come fari sull’autostrada.
“Non la vedi? È buona per le passerelle, non per le Palestre”
“Sicuramente l’avrà data a Rocco o a qualche altro componente della Lega per stare lì”
“Quella deve ringraziare soltanto che suo nonno l’abbia raccomandata per la sua successione. Ha avuto un calcio così forte che le fa ancora male il sedere”
Tutto condito da risa di scherno. Lei non era assolutamente tipo da abbattersi e, levando la corruzione sessuale, tutte quelle accuse infondate si rivelavano essere tarli nella sua testa.
Si chiedeva se effettivamente non fosse stata dov’era stata per via di suo nonno, o del suo aspetto.
Fu Poochyena a risvegliarla da quelle turbe mentali. Abbaiava troppo concitatamente per essere ignorato.
"Poochyena, che c'è?" chiese la rossa, guardandosi attorno.
Silver si voltò dopo l'ultima e fulminante occhiata rancorosa a Crystal, quindi spalancò gli occhi.
Il terreno stava gradualmente cedendo in una frana spaventosa. La depressione del pavimento boschivo interessava tutta la zona dove i ragazzi camminavano, colpendo poveri ed ignari alberi, lì da Dio solo sapeva quanto tempo, che si ritrovavano a cadere in quella voragine.
"Che succede?!" esclamò Crystal.
"È Groudon! È pochi metri qui sotto!” Martino analizzò velocemente la situazione.
“Poochyena, rientra!” fece invece Silver.
Pochi secondi dopo un forte terremoto scosse il terreno sotto i loro piedi. Fiammetta cadde per terra, ma alla vista delle creste rossicce che cominciavano a fuoriuscire dal cratere ai loro piedi cominciò ad indietreggiare velocemente. Il calore aumentò velocemente, magma incandescente e gas sulfurei si facevano largo verso l’alto, mentre le gocce di pioggia si trasformavano in vapore acqueo a pochi metri dalla grossa depressione nel terreno.
Il magma era denso, ed i gas cercavano di farsi strada attraverso di esso formando enormi bolle che, una volta scoppiate, rilasciavano fumi dall’odore pungente.
Tuttavia la loro attenzione fu catturata da un evento particolare.
Proprio davanti a loro, Groudon stava emergendo dagli abissi della terra.

 

 

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Capitolo 19
*** Capitolo Diciassettesimo - Ray ***


Ray


Groudon ruggiva forte, mentre la pioggia provava inutilmente a cadergli addosso; il calore che emanava trasformava in vapore fumoso le gocce impertinenti.
Fiammetta, inciampata pochi attimi prima di vedere la terra partorire quell’enorme Pokémon, era minuscola a confronto. Groudon sovrastava il gruppo di ragazzi, mentre urlava con rabbia. Gli alberi della foresta prendevano lentamente fuoco sotto la pioggia ed il cielo s’ingrigiva sempre di più, mentre il freddo prendeva a coprire tutto con il soffio dei suoi venti.
“Fiammetta!” urlò Martino, correndo verso la ragazza e tirandola indietro per le braccia. Quella si mise subito all’in piedi, e mise le mani alle sfere.
“Talonflame! Vai!” urlò poi.
Lei non era una fallita. Lei non era lì per caso.
Lei era forte.
Enormemente forte.
“Vuoi sconfiggere Groudon con il tuo Talonflame?!” esclamò Crystal.
“No. Tu devi catturarlo. Hai pronte le sfere? Quelle giuste...”
“Giuste?!”
“L’altra volta avevi delle Pokéball” spiegò Silver, glaciale.
“Ho trenta Ultraball con me, adesso”
“Suppongo bastino” chiuse Fiammetta il discorso. Il suo sguardo scivolò poi veloce su Groudon.
Il leggendario Pokémon Continente ruggiva mentre ai suoi piedi una grossa colata lavica sovrastava il prato boschivo. Le sue gambe erano per metà affondate all’interno del materiale piroclastico. Le venature che normalmente erano nerastre ora pulsavano di luce gialla e viva, mentre gli occhi si riempivano di rabbia.
“Come mai è uscito proprio qui?! Perché ci sta attaccando?!” chiese Crystal, guardando Martino.
“Non ne ho idea. Probabilmente è solo un caso... Un'altra ipotesi è la territorialità; forse crede che questo posto sia suo, d’altronde è sempre un Pokémon, mosso dall’istinto...”
Fiammetta respirò, mentre il suo Talonflame sbatteva le ali velocemente davanti a lei.
“Comincia con l’alzarti in volo! Attento ai suoi attacchi!”
Talonflame partì rapido verso l’alto, lasciando una scia calda al suo passaggio.
“Oppure...” continuava Martino. “Oppure gli è stato comandato di attaccarci. Non vedo altre spiegazioni”
“Che stai dicendo?!” fece Silver.
“Quello che ho detto. Groudon potrebbe appartenere a qualcuno. O potrebbe essere attratto da qualcosa che possediamo, da qualche Pokémon”
“Cavoli...”
Groudon mosse un passo verso l’esterno del cratere. La sua testa puntuta mirava verso il basso, verso i ragazzi. I suoi passi risuonavano sinistri nell’eco del bosco, dove già da qualche minuto stormi di Taillow e Dustox si allontanavano verso l’alto, combattendo la paura della pioggia.
“Non gli interessa lottare con te...” sospirò Martino, riferendosi a Fiammetta.
“A me sì! Talonflame, vai con Baldeali!”
In un attimo Talonflame salì in aria, per poi scendere in picchiata con violenza incredibile. Una scia rossastra lo seguiva come una coda; andò a colpire l’avversario sulla testa. Questo, per quanto immenso e enorme rispetto al piccolo Talonflame, sembrò infastidito. Alzò un braccio, e con i suoi grandi artigli provò a sferrare un colpo verso il ben più agile volatile, mancandolo.
Quello sembrava parecchio stanco, dopo aver sferrato il potente colpo. Questo, tuttavia, non sembrò aver provocato danni ingenti.
La pioggia all’improvviso smise. Le nuvole velocemente furono rimpiazzate da un sole caldo.
“Siccità...” spiegò Fiammetta, che già aveva visto quelle scene dato che le aveva vissute già sulla propria pelle.
“Talonflame, vai con Lanciafiamme!”
E fu così che mentre Groudon agitava goffo e lento le braccia artigliate per colpire l’avversario, quello lo colpiva con un getto di fiamme incandescenti, al volto.
Non sembrò esserne particolarmente infastidito.
“Serve manforte! Blaziken! Torkoal!”
E fu così che i due Pokémon scesero nel campo di battaglia. Torkoal fece lemme due passi in avanti.
“Muro di fumo!” urlò la rossa. “E tu, Blaziken, usa velocemente uno Stramontante, cercando di mirare al volto!”
Entrambi eseguirono le mosse. La combinazione fu ottima: prima un grosso muro di fumo si abbatté sull’avversario, trasformando tutto ciò che aveva davanti in sagome grigiastre e nere.
Groudon ruggiva e si agitava.
“Tu Talonflame, attaccalo ripetutamente!”
Da quella distesa densa e fumosa si aprì improvvisamente un varco, da cui sbucò furente Blaziken, che colpì con un colpo forte al mento del Pokémon. Groudon fu costretto ad alzare la testa verso l’alto, anche se di poco, quindi ruggì di nuovo, invocando una forte tempesta di sabbia.
“Terrempesta...” osservò Crystal, spaesata. L’enorme ombra di Groudon copriva il sottobosco ed i suoi tesori.
“Crystal! Forza!” urlò Fiammetta, intimandole di cominciare con il processo di cattura.
Quella annuì ed estrasse una Ultraball dallo zaino. Cercava di trovare il punto in cui la forza vitale di Groudon si accumulava. Sapeva benissimo che ogni Pokémon accumulasse la sua energia vitale in un punto preciso, ricordava perfettamente quando catturò Lugia.
"Silver!" urlò al ragazzo, mentre vedeva Groudon agitare le braccia come Godzilla, nel tentativo di colpire Talonflame. "Qual è il punto in cui si concentrano le energie vitali, in Groudon?"
Silver s’attivò subito, dimenticando all’istante il fiele con cui era stato avvelenato in quelle ore, e prese a guardare Groudon con attenzione.
L’enorme corpo, grosso e muscoloso, vedeva convergere tutta la propria energia vitale in un punto preciso.
“Sul muso. Proprio dove le sue creste convergono. È quello il punto”
“Ottimo!”
Groudon prese a camminare di nuovo in avanti, costringendo Fiammetta a spostarsi.
“Blaziken... Cavolo! Sembra non sentire alcun attacco! Usa ancora Stramontante!”
Blaziken eseguì di nuovo, puntellandosi sulle zampe posteriori prima di sferrare un grosso salto e colpire sul volto il suo avversario, ma Groudon lo sentì appena.
“Non vuole lottare con te Fiammetta!” urlò Martino.
“Ma io sì! Vedrete! Lo vedrete tutti! Talonflame, usa Doppioteam! Torkoal, vai con Eruzione!”
“Non gli farai niente! Non lo spingerai nemmeno a lottare così!”
Intanto pochi passi indietro Crystal stava prendendo la Ultraball dal suo zaino. Silver la guardava, ma non riusciva a staccare gli occhi da dosso a Groudon; la sua maestosità imponeva al ragazzo di ammirarlo in tutto e per tutto.
“Hai fatto?!” urlò il fulvo alla Catcher.
“Sì, quasi...”
Stringeva tra le mani la Ultraball, mentre fissava ardentemente il punto su cui mirare.
“Bene...”
Un altro passo ancora, e poi una spazzata con l’enorme coda, Groudon colpì Martino e Fiammetta, facendoli letteralmente volare per più di cinque metri. Martino atterrò bene, rotolando sul fianco. Assorbì bene il colpo e si rimise in piedi. Ma Fiammetta pareva aver battuto la testa durante il brusco atterraggio.
“Fiammetta!” fece il ragazzo, andandosi a sincerare delle sue condizioni. Solo un grosso graffio sulla fronte, e la perdita di conoscenza.
“Crystal! Fai presto! Fiammetta è svenuta!”
Groudon avanzò l’ennesimo passo.
“Crystal! Forza!”
Un leggero fischio si espanse tutt’intorno, ma nessuno ci fece caso.
Groudon era proprio davanti a lei, e la fissava minaccioso. Silver le corse accanto.
“Feraligatr! Poochyena!” chiamò entrambi i Pokémon. “Poochyena, stai a guardare! Ma tu, Feraligatr, usa Idropompa!”
Il Pokémon del ragazzo direzionò un’impressionante mole d’acqua sul suo petto, che lo costrinse a piegarsi in avanti. La testa era a quattro metri da Crystal.
“Ora!”
“Si!”. Crystal prese la sfera e la lasciò cadere, quindi la calciò violentemente. Alle spalle di Groudon, Martino teneva la mano di Fiammetta mentre guardava ciò che accadeva. La sfera veniva lanciata ad alta velocità verso il volto sofferente di Groudon, e Feraligatr emetteva un grosso pilastro d’acqua.
Crystal vedeva quella scena al rallentatore: la sfera si avvicinava, sempre di più. Già sentiva in bocca il sapore del successo. Aveva praticamente catturato Groudon, la traiettoria della sfera era perfetta.
Ma poi una macchia nera s’interpose tra di loro, intercettò la Ultraball e si fermò, a pochi centimetri di distanza da Groudon.
L’attacco di Feraligatr fu più che potente, e costrinse Groudon alla fuga. Scavò un fossato e vi si immerse.
Rimasero tutti immobili nel loro silenzio, a fissarsi tra di loro per capire la situazione fino in fondo.
Groudon non era stato catturato.
Una macchia nera aveva impedito la cattura.
Lui era fuggito.
“Ma...” Martino guardava il tutto da dietro. Un grosso uccello sbatteva le ali, librandosi in volo. Su di lui una ragazza.
Vestita di rosso.
“Zoe!” esclamò Crystal, seria.
“Santo...” Silver cercava di stare calmo mentre stringeva i pugni così forte che le sue braccia cominciarono a tremare.
La ragazza sorrideva, soddisfatta da ciò che aveva evitato: non avrebbe potuto permettere che Groudon, il loro obiettivo principale, finisse nelle mani dei tanto decantati buoni.
Saltò giù da Swellow con agilità ed eleganza, atterrando sulle gambe.
Le sue bellissime gambe.
Martino guardava affascinato la ragazza alle spalle.
“Chi è lei?” chiese a se stesso, dato che Fiammetta sembrava ancora lungi dal poter comprendere pienamente qualcosa. Tuttavia si stava risvegliando, anche se molto lentamente.
“Non potevo permettere che ve ne andaste con Groudon. Lui è il fulcro della nostra operazione. Noi viviamo per lui. Soccomberanno i mari e la terra trionferà, dando più equilibrio e spazio a Pokémon terrestri ed esseri umani!” esclamò entusiasta lei.
Silver la guardava, negli occhi vividi. Umettò le labbra, morse quell’inferiore, poi sorrise.
Era bella e dannata.
Si avvicinò lentamente verso Silver, quindi gli carezzò il voltò. Lui rimase impietrito, poi si ravvide e spostò la testa, spostando con violenza la mano della donna.
"Che cattivone!" esclamò, sorridente.
"Dov'è Andy?" chiese il fulvo, con voce ferma.
"Andy ora ha da fare. Ma presto verrà a concludere quello che ha cominciato con te..." poi si girò, guardando Fiammetta. "... e con quella sgualdrina inutile"
Crystal era in balia delle emozioni. Prima la sorpresa, quando Groudon era uscito dal nulla, la paura, quando lo vedeva avanzare verso di lei, la rabbia, quando vide la Pokéball intercettata da Zoe.
Tutte queste sensazioni, vivide nella stessa sfera emozionale, tutte queste situazioni nel suo corpo gracile. Era troppo per lei.
I nervi presero a pulsarle nelle tempie, i denti si strinsero, lei li digrignò.
"Perché non ci lasci in pace?!" prese ad urlare. "Con questo comportamento infantile, stupido, state ammazzando un sacco di persone!"
"Tu non capisci, lurida sgualdrina..." sorrise la corvina. Le nuvole grigie ripresero ad addensarsi sulle loro teste. "... Il mondo sarebbe un posto migliore se solo fossimo noi a gestire il tutto"
"Come mi hai chiamata?!". Crystal strinse i pugni mentre sentiva un'onda d'odio rimbombare sulle pareti del suo corpo, sentendo all'interno un fremito.
"Lurida..."
E poi tutto nero nel suo sguardo. L'odio la stava accecando davvero. Qualcosa di totalmente insolito ed irrazionale stava prendendo possesso del suo corpo, la stava manovrando, muovendo i fili della sua anima con mani sporca di fuliggine, sporcandola.
"Swampert!" fece, mentre le sue pupille diventarono totalmente nere. Il Pokémon di Crystal scese in campo, ben concentrato e basso sulle zampe.
"Colpiscila! Usa Fanghiglia!"
Silver si voltò d'improvviso, sorpreso da quel moto d'ira del tutto inaspettato e fuori luogo nei panni della ragazza. "Ma che fai?!"
Swampert parve interdetto per un attimo.
"Attacca subito!". La sua voce prese una nota storta, più baritonale e quasi demoniaca.
Swampert non poté far altro che ubbidire: un'onda di fanghiglia marrone si alzò forte e si diresse verso Zoe. Questa dal canto suo non si scompose per niente.
"Swellow" urlò quella. Poi saltò, facendo un enorme capriola all'indietro, per poi ritrovarsi sul suo dorso, mentre, dondolando dolcemente al battito delle ali, affondava le dita nelle piume scure e morbide. La grossa massa d'acqua e fango passò inoffensiva sotto di loro, andando a fermarsi pochi metri prima di Martino e Fiammetta.
"Che scorretta, la sgualdrina... Swellow, facciamole capire chi comanda qui. Vai con Aeroassalto!"
Poi Zoe saltò, e con un'altra capriola si ritrovò sul ramo in alto di un ulivo del bosco.
Crystal la guardava furente, poi si focalizzò sul Pokémon uccello che si avventò contro Swampert.
"Non farti colpire! Riattacca con Codacciaio!"
Swellow si avvicinò forte e veloce, pronto ad affondare gli artigli puntuti nella carne del Pokémon di Crystal, d'improvviso però quello si voltò, colpendo con la coda a ventaglio il suo avversario.
Swellow, colpito al volto, emise un verso di dolore prima di schiantarsi nel fango.
"Swellow... caro Swellow..."
"Aveste almeno un po' di fantasia... Avete tutti gli stessi Pokémon. Sconfiggervi non sarà un problema"
"Swellow, usa Trespolo" disse poi Zoe, seria, dopo esser scesa dal ramo.
"Perché ti fermi?! Paura?!"
"Io non ho paura di te. Sei tu che hai paura di te stessa"

Crystal si fermò.
SEI TU CHE HAI PAURA DI TE STESSA.

Quelle parole presero a rimbombare nella sua testa e come un'eco si espansero nel suo corpo, proprio come una goccia che cade dal soffitto di una grotta.
Nel profondo della sua anima.
Paura. Paura. Paura.
Lei aveva paura. Paura delle scelte, paura delle conseguenze, ma anche delle cause.
Paura del domani, paura che il suo ieri si frammentasse, come cristallo, come i suoi occhi, ora tutti neri, mangiati dalla rabbia.
Paura che nulla si fosse concretizzato nella sua vita; che tutto ciò che aveva costruito null'altro fosse che un castello di carta sotto le fiere raffiche del vento.
Era davvero così insipida la sua vita?
Era davvero così piena di limiti?
Perchè non era in grado di superare le transenne che le si ponevano davanti?
Un giorno Silver, l'altro Groudon e ancora la sua incapacità di catturarlo.
La paura.
Forse era quella che paralizzava le sue volontà, le sue capacità.
Lei poteva.
Lei sapeva come fare.
E allora, diamine, perché non lo faceva?

"Che hai?!" chiedeva Silver, mentre la stringeva alle spalle.
Urlava, Crystal, e non se ne accorgeva. Teneva i pugni chiusi con forza, tanto che le unghie le si infilarono nei palmi, facendoli sanguinare; piccole gocce vermiglie presero a cadere lente.
I suoi occhi non vedevano più niente.
"Non vedo!" esclamò.
"Che succede?! Crystal!" Silver continuava a scuoterla per le spalle, impotente e confuso.
"Non vedo niente!"
Lei stringeva gli occhi, mentre Zoe rideva divertita dalla situazione.
Silver le carezzò il volto a calmarla, anche se inutilmente, quindi con l'indice le aprì una palpebra: nero tetro, nero totale. Buio profondo ma vivo.
Sussultò il ragazzo.
"Cosa?!" esclamava Crystal, ignara.
"Niente... calmati ora. Dobbiamo andare a chiedere aiuto"
"Che succede?!" urlò la ragazza. Le sue lacrime sgorgavano scure sul volto diafano.
"Stai tranquilla"
Martino guardava spaventato la scena. Avrebbe voluto far qualcosa, ma non c'erano Pokémon selvatici da poter sfruttare, dato che la comparsa di Groudon aveva fatto rintanare e fuggire tutti i debolissimi Pokémon del percorso tra Albanova e Solarosa.
E poi sentì quell'urlo.
"Dannazione!" la voce di Zoe si fece largo.
Silver e Martino si voltarono velocemente, vedendo Fiammetta avventarsi con rabbia sul Magmatenente. Seduta sulla sua schiena, la giovane di Cuordilava stava prendendo letteralmente a pugni e schiaffi la rivale.
"Fiammetta!" esclamò Martino.
"Che succede?!" ripeté ancora Crystal, inutilmente.
“Fiammetta sta picchiando Zoe…” rispose Silver. Vide poi Martino avventarsi contro la sua amica, cercando di fermarla.
“Stronza!” Fiammetta non riusciva a districarsi dalla presa del Ranger, che a sua volta dovette faticare per riuscire a tenerla stretta a sé.
Zoe si rialzò da terra, quindi si ricompose. “Beh… Per ora finisce qui. Ma mi vendicherò, Fiammetta.”
Salì sul suo Swellow e volò via.

“Sì, Professor Birch… all’improvviso non vedevo più niente.”
Crystal era seduta su di una sedia del laboratorio, con le mani lungo i braccioli di pelle. La vista le era tornata. Aveva un’aria sconvolta, con linee nere lungo tutto il viso e ferite nei palmi delle mani. Aveva stretto così tanto la bocca che le dolevano i denti; stessa cosa valeva per i pugni.
“Non mi capacito di come possa essere successa una cosa del genere.” Birch cercava di spiegare ciò che era successo.
“Cateratte?” chiese quella, mentre il padre di Sapphire puntava una pila nei suoi occhi, per controllare che le pupille si dilatassero correttamente.
“No, Crystal. Qui funziona tutto a dovere.”
“Aveva gli occhi totalmente neri” spiegò Silver, in piedi, davanti alla finestra. “Sta cominciando a piovere forte”
“Speriamo sia una tempesta.” fece Martino. Fiammetta lo guardò accigliata. “Altrimenti sarebbe Kyogre” spiegò poi.
“In ogni caso ora ci vedi?” chiese Birch.
“Sì… La questione è che ho provato tantissima rabbia dentro… È come se qualcosa mi controllasse, come se qualcun altro avesse preso le mie sembianze ed il mio corpo ed io fossi rimasta spettatrice. Ma ero furibonda”
“La rabbia ti ha accecato” scherzò Martino. “In ogni caso, Crystal non è la sola ad aver bisogno di una visitina…”
“Già, Fiammetta, come stai?”
“Se solo fossi un medico, la visitina te la farei io…” sorrise Martino, suscitando le risa anche in Silver e Crystal.
“Smettila, stupido… Comunque sto bene, grazie Professor Birch”
“Ha battuto la testa” fece il Ranger.
“Sì, ma niente di grave”
“Sarebbe meglio che rimaneste qui sott’osservazione… Non sono un medico, ma almeno il presidio sanitario di Albanova non è lontano, sarebbe più sicuro.” Poi sorrise. “Ma so che non riuscirei a tenervi qui. Mi raccomando. E, ove mai abbiate notizie di mia figlia, contattatemi.”
“Certo Professor Birch” disse Silver. I ragazzi salutarono e si rimisero in viaggio.

La pioggia scendeva fitta, a collegare cielo e mare ancor meglio di quanto quel giorno facesse l’orizzonte; difatti le nuvole si rimestavano rabbiose, sopra, mentre nel mare le onde attuavano la loro danza frenetica.
Entrambi però parevano neri.
Forti rombi di tuono si avvertivano nelle vicinanze, ma Ester e Adriano parevano non curarsene.
Seduti all'interno dell'auto volante di Adriano, sorvolavano le acque impetuose, riempiendo l'abitacolo di sospiri.
"Rudi è lì..." fece Ester, sbuffando.
Adriano la guardò, quindi lasciò la presa dal cambio e poggiò la mano sulla sua.
"Facciamoci forza."
Aspettarono un elicottero. Adriano si tuffò personalmente per sistemare il corpo del giovane allenatore spirato sulla barella di soccorso, quindi lo vide andare via, trascinato esanime fino a che l'elicottero non diventò una macchia argentea nel cielo scuro.

 

 

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Capitolo 20
*** Capitolo Diciottesimo pt.1 - Lo scrigno blu ***


Lo Scrigno Blu



L'odore dell'erba bagnata penetrava nel naso di Gold, inondandogli i polmoni di aria fresca.
Il respiro che usciva fuori era inquinato da qualcosa di caldo e malvagio, il probabile residuo dell'attacco Maledizione che aveva subito.
Non aveva voglia di scherzare né di ridere, anche perché in quel momento l'aria era piuttosto pesante.
Affondava le Adidas nell'erba, sentiva i piedi bagnarsi ad ogni passo, mentre la pioggia cadeva inesorabile su di loro. Il fruscio dei loro movimenti tra quei fili verdi raggiungeva le loro orecchie in maniera sorda, senza distrarli dal loro obiettivo.
Ogni tanto il vento soffiava sui loro corpi bagnati, pungendoli con brividi di freddo e ricordandogli che pochi giorni dopo sarebbe arrivato il Natale.
Marina camminava silenziosa accanto a lui, concentrata.
"Dobbiamo raggiungere Forestopoli." Aveva fatto, appena abbandonata casa di Ester.
"Conosci la strada?"
"Certo."
"Allora guida tu."
E fu così che i due presero a viaggiare verso la città costruita nei tronchi.
Marina camminava davanti, le gambe sottili avanzavano coraggiose nell'erba alta. Gold osservava la sua figura, tanto esile quanto sicura e veloce.
Ancheggiava elegantemente e manco se ne rendeva conto mentre girava il collo in direzione delle praterie aperte.
In lontananza un cartello spiegava che il Pokémon Safari era chiuso per motivi tecnici; i terremoti erano la causa più che ovvia per spiegare quel fatto.
“Cos'è quello?” chiese Gold.
“Quello?” Marina puntò il dito verso la grande montagna che avevano davanti prima di vedere il moro annuire. “Quello è il Monte Pira. Un enorme cimitero.”
“È un cimitero o una montagna?”
“Entrambi...”
“Qui ad Hoenn hanno tanto spazio... Avrebbero potuto lasciare la montagna a fare la montagna, e creare un cimitero da qualche parte, in qualche città buia e tetra...”
“Dovresti stare lontano dai cimiteri... Quel ciondolo imprigiona i... i fantasmi, credo...”
“Non dire assurdità.” Gold le diede una spintarella alla testa.
“Non so come facciano Silver e Crystal a sopportarti.”
“Non solo mi sopportano; loro mi adorano. Letteralmente.”
“A proposito... Ho parlato con loro, mentre... mentre eri... ecco...”
“Morto?”
“Non sei morto.”
“Oh, certo che sono morto. Ad un certo punto un branco di angeli biondi sono venuti a prendermi. Avevano tette enormi e...”
“Sai pensare solo a quello?”
“Aspetta... Hai detto che hai parlato con Crystal e Silver?!”
“In realtà ho parlato col mio collega, Martino... ma Crystal si è immischiata nella discussione, preoccupata per te.”
“Potrei...” all'improvviso il ragazzo si adombrò.
“Cosa?”
“Potrei... potrei chiamarla? Ho provato prima, ma qui i Pokégear sembrano non andare...”
“A Johto magari quella cosa avrebbe funzionato, dieci anni fa... oggi si usa l'Holovox.”
“Holocosa?!”
“Ecco. Tieni...”
Marina consegnò l'Holovox a Gold, e sorrise, impostando la chiamata per Martino.
Una luce blu s'eresse davanti a loro, lasciando il ragazzo interdetto. Quindi un rumore intermittente precedette l'improvvisa trasmissione.
Gold guardò con interesse la figura di Martino, che fissò l'interlocutore con altrettanto stupore, aspettandosi la collega.
“E tu chi saresti?” chiese Gold, con tono arrogante.
“Tu mi chiami e mi chiedi chi sono? Perchè hai l'Holovox di Marina, Gold? L'hai rubato?”
“Io non sono un ladro.”
“Ne parliamo dopo... Che diamine vuoi?”
Gold sospirò e poi guardò Marina. “Chi cazzo è questo nano blu? È un puffo?”
Marina sorrise. “La comunicazione dell'Holovox rende tutto azzurro, non è un puffo. Lui è Martino, il mio collega.”
“Che nome da checca.”
“Fanculo teppista!” esclamò quello dall'altra parte della linea.
“Fanculo tu! Voglio parlare con Crystal!”
“Uff... Chris! C'è qualcuno per te in comunicazione Holovox!”
Strani rumori di fondo si alternarono, mentre l'immagine trasmessa pareva disturbata.
Almeno fin quando il volto delicato di Crystal si presentò davanti ai suoi occhi.
Marina vide Gold sorridere con sincerità. I suoi occhi presero una linea più dolce.
“Hey...” fece lui.
“Ciao... Stai bene?”. La voce di Crystal era delicata e liscia, come una sciarpa di seta.
“Mai stato meglio. Lo sai... Sono una roccia.” Fece tronfio quello.
“Mi fa piacere. Mi hanno detto che sei stato colpito da un Pokémon.”
“Niente che la mia pellaccia dura non possa sopportare, lo sai bene... Ti trovo meravigliosamente. Aristarco de Ebetis dov’è?”
“Chi?!”
“Silver...”
“È... qui.”
“Passamelo.” sorrise entusiasta Gold.
“Non penso che ora... ecco...”
“Chris... Tutto bene?”
“Sì, sì, tutto a posto.”
“E allora?”
“E allora niente. Dove siete?”
“Monte Pira. La montagna cimitero. Una frana e tutte le salme cadono giù.”
Crystal sorrise. “Che brutta scena. Sei sempre il solito.”
“Perché dovrei cambiare? Allora ci vediamo a Forestopoli?”
“Sì... Noi siamo poco fuori Porto Selcepoli”
“Non ho la minima idea di dove sia.”
“Non ne avevo dubbi. Comunque siamo abbastanza lontani. Qualche giorno di cammino, forse meno se ci impegniamo.”
“Chi è il tizio che ha risposto?”
“Martino? È un Pokémon Ranger. Ci sta aiutando.”
“Trovato Groudon?”
“Non ne parliamo...” E poi in sottofondo si sentì la voce di Silver chiedere con chi parlasse.
“Devo andare!” esclamò agitando il braccio.
Gold rimase stranito, poi sbuffò e sorrise.
“Fa freddo.” Osservò Marina.
“Non c’entra niente ora.”
“Ci sta piovendo addosso, un po’ c’entra. Siamo fermi da troppo. Avanziamo?”
Gold alzò la testa; il cielo era tutt'altro che terso in quel momento e la pioggia continuava a scendere, creando piccole pozzanghere negli sporadici punti in cui l'erba alta non sovrastava il terreno. Piccoli crepitii venivano prodotti dalla caduta delle gocce, fredde sulla pelle come spilli congelati.
In quel concerto dove la pioggia era la sola compositrice e cantante, un urlo improvviso si espanse tutt'intorno, riverberando nell'eco in lungo ed in largo.
Gold si girò rapido verso la ragazza, quindi alzò il volto: la pioggia baciava il suo viso e gli costringeva a chiudere le pepite che aveva al posto degli occhi ma fu più che sicuro che quell'urlo, femminile, provenisse dalla sommità della montagna.
“Dobbiamo andare a vedere cos'è successo!” esclamò, prendendo a correre velocemente verso il molo poco lontano da lì.
Marina annuì, sospirando. Quel ragazzo era troppo vulcanico per i suoi ritmi.
“Aspettami!”
 
Porto Selcepoli non esisteva più. La grossa onda non aveva risparmiato la città di mare.
Fiammetta, che era l’unica ad aver vissuto quelle città più degli altri, guardava la scena impietosita. Si trovavano al bivio che portava al Percorso 103, proprio davanti la Quizzoteca, che però era crollata in seguito a qualche terremoto: il tetto era collassato ed una grossa trave in legno era in bella vista.
Pochi metri davanti a loro il mare si tuffava sull’erba, la stessa che calpestavano loro. L’orizzonte si era esteso, la foresta che avevano attorno era stata affondata e solo le cime degli alberi più alti facevano compagnia a ciò che restava dei palazzi della città e del faro, crollato per una metà. Si riuscivano a vedere nidi di Pelipper costruiti proprio nella sala della lampada, ormai distrutta dall’impatto con un’enorme onda di rimando.
Fiammetta sospirò, portando una mano al fianco. Abbassò la testa, sconfitta nuovamente da quelle situazioni e poi si voltò, riprendendo a camminare.
Il rumore del mare, quello delle onde e dei Pokémon d’acqua, la brezza che avanzava dal mare aperto, tutto sottolineava quel colpevole silenzio da parte dei ragazzi.
Corpi morti danzavano armoniosamente sulla superficie dell’acqua. Molti altri, ed i giovani ne erano consapevoli, erano stati divorati dagli Sharpedo e dagli Huntail, oppure erano rimasti intrappolati in quello scrigno azzurro, guardando la luce del sole avvicendarsi con il chiarore della luna.
“Fiammetta...” Crystal le corse dietro, mettendole una mano sulla spalla. Quella si fermò.
“Che c’è?”
“Che succede?”
Si girò, mostrando il viso impallidito. Umettò le labbra prima di parlare quindi deglutì quella che gli parve essere sabbia e polvere di ferro.
“Quando ero piccola, venivo spesso in vacanza qui... Porto Selcepoli e Cuordilava non erano così distanti...”
“Ora sono sommersi rispettivamente dal mare e dalla lava” puntualizzò Martino, ottenendo un’occhiata totalmente neutra da parte dell’ex Capopalestra.
“... Mio nonno portava me e mia madre in un ostello poco lontano dal mare. Da dov’era allora almeno... E ricordo che c’era un grosso mercato... proprio lì.” Fece, prima di alzare l’indice puntuto verso una zona indefinita accanto al campanile, battuto dalle onde. “... proprio lì c’era un grande mercato. Alle prime luci dell’alba mio nonno mi svegliava, e scendevamo nella piazza del paese. C’erano parecchie persone per la strada a quell’ora. Nonostante fosse estate faceva fresco, e quindi mettevo sempre uno scalda cuore bianco, di filo. Lo ricordo come fosse ieri... Alcuni Pokémon correvano tra le casse che i marinai scaricavano dalle grandi navi che attraccavano al porto. Ricordo il fumo nero dei loro sfiati. Camminavamo su quelle mattonelle, le ricordo ancora bene, come se fosse stato ieri: erano di pietra, e dei cerchi concentrici venivano attraversati da due linee verticali.”
“Servono a scolare l’acqua” aggiunse Silver.
“Già. Il mercato era poco lontano dal porto. C’erano persone di tutti i tipi. Ricordo che un giorno un ladruncolo, un ragazzino o poco più, mi rubò la Pokéball di quello che allora era il mio Numel. Piansi tantissimo e lui, mosso a pietà, me la restituì e mi chiese scusa. E poi c’erano i mercanti...”
Crystal annuiva, vide Fiammetta sedersi su di una roccia, ignara del tempo che scorreva inesorabile. La cosa la colmava d’ansia, la infastidiva.
“...i mercanti erano tutti altissimi. Ricordo uno che vendeva le bambole... Il nonno scelse per me la bambola di un Torchic, e da allora mi impegnai a diventare un’Allenatrice di Pokémon di tipo Fuoco, proprio come lui. In ogni caso rimasi affascinata dai mercanti che preparavano il riso con il pesce... i Magikarp pescati venivano cucinati sulla griglia... gli Octillery pure. Una signora faceva delle polpettine con il riso ed un tentacolo, ed io ne andavo matta. Chiedevo alla mamma di cucinarmele anche a casa, ma non riusciva mai nel farle così buone...”
Silver sospirò quindi vide Fiammetta abbassare il volto, incrociando le dita davanti ad esso, una maschera la proteggeva dal mondo. Ammirava la sua caparbietà, il suo spirito di sopravvivenza. Già il fatto che fosse sopravvissuta all’eruzione del Monte Camino la diceva lunga. Rabbrividì pensando a quando si era fiondata in casa a salvare Jarica, la sua piccola sorellina.
La sua forza d’anima non l’aveva abbandonata nemmeno quando aveva deposto le medaglie ed il tesserino della Lega, ed aveva abdicato dal posto di Capopalestra di Cuordilava. Le sue sicurezze venivano a mancare lentamente sotto i suoi piedi, distrutte dai terremoti mentali e pratici che avvenivano.
Cuordilava, che era il suo presente, era stata sommersa dalla lava. Porto Selcepoli invece era il suo passato, e non c’era speranza di poter recuperare nulla che non fosse sulla cima del faro, dove invano il meccanismo continuava a girare, senza alcuna lampada.
Tuttavia lottava per il suo futuro. La tenacia era la sua forza.
Meritava. Meritava tanto.
Le si avvicinò e le tese la mano. Quella lo guardò, gli occhi nascosti dalle mani, quindi scoprì il volto ed afferrò la presa. Lui la fece alzare e poi l’abbracciò.
“Si sistemerà tutto. L’importante è chiudere questa situazione. Andiamo a Forestopoli ed incontriamo Gold con l’altro Ranger...”
“Marina” puntualizzò Martino.
“Sicuramente l’unione farà la forza.” Concluse il fulvo.
 
“Marina... Hai detto di chiamarti Marina, vero? Beh, non avrei mai preso l’iniziativa di scendere in mare con questo tempo se una bella giovane come te non me l’avesse chiesto.”
La voce di Marius, ex soldato del Reggimento Miraggio, storica unità di Marina di Hoenn, era roca. Graffiava il respiro sulla gola, faceva quasi rabbrividire, ma contando ch’era quasi sulla settantina gli venivano giustificate un po’ di cosette.
Come ad esempio la sua ammirazione per le belle ragazze.
“La ringrazio, signor Marius”
Gold sedeva, scomposto come sempre, su di una panca inchiodata al ponte della “Latias”, una piccola imbarcazione in legno, a motore, con posto sottocoperta e stiva. Marina era in piedi accanto al capitano della barca, che stringeva con forza il timone. La ragazza era costretta a mantenersi forte ai pali di sorreggimento. Difatti il mare era agitatissimo e costringeva l’imbarcazione a profonde oscillazioni.
“Ma non dirlo nemmeno per scherzo. Le belle ragazze come te devono sempre avere qualcuno su cui far affidamento.”
Gold, alle loro spalle, gli faceva il verso, sorridendo nel notare il profondo imbarazzo della ragazza. Fissò per un attimo il vecchio; era strano: aveva le spalle larghe, forti di un passato glorioso di chi ha sudato e si è dato da fare. La sua pancia era gonfia, una sfera quasi perfetta che si trovava sotto la camicia a righe azzurra e blu, macchiata qui e lì da aloni gialli, più o meno carichi.
Gli occhi azzurri risaltavano sotto le folte sopracciglia candide.
Bianca era pure la lunga barba, come anche i pochi capelli che gli rimanevano, tirati all’indietro ed acconciati con del gel.
“La ringrazio ancora. Senza di lei sarebbe stato difficile raggiungere il l’ingresso del Monte Pira”  
“Non cantiamo vittoria così in fretta. Le acque attorno al Monte Pira sono ricche di forti correnti e mulinelli... Ma io e la mia Latias abbiamo attraversato questi mari così tante volte che sappiamo tutte le manovre da fare.”
“Lei è un marinaio esperto.”
“Già. Ma ora sta cominciando a piovere più forte ed il mare è in burrasca. Vai a sederti vicino al tuo amico, lì. E mantenetevi bene.”
Marina eseguì, mentre vedeva il cielo sporcato da nuvole nere e furiose, cariche d’acqua. Gold guardava silenziosamente il sacchettino che aveva al collo.
“Forse è meglio che lo metti nella maglietta. Non devi rischiare di perderlo.” Fece Marina.
“Già. Forse è meglio. Come stai?” Gold girò il volto lentamente dopo aver ascoltato il consiglio. Un piccolo rigonfiamento ora si trovava proprio sul suo cuore.
“Sto bene… Ma sono preoccupata per quell’urlo che abbiamo sentito.”
“Non c’era metodo più veloce per salire lì. Non salirò più su di un Pokémon Volante durante una tempesta. Credo.”
Marina sorrise. “Lo hai già fatto?”
“Sì. L’altro ieri, contro Zapdos.”
Marina annuì, sorridendo. “Wow…”
“Modestamente, Green non sarebbe mai riuscito a salvare Lavandonia senza il mio aiuto.”
“Immagino…”
“Non mi credi?!”
“Certo che ti credo.”
Gold sorrise. “Non sei malaccio, sai?”
“Tu invece sei il peggiore” inarcò un sopracciglio lei.
“Sei in gamba. Ho sempre creduto che i Ranger non fossero altro che la serie B della Federazione Pokémon.”
“Rispetto a quale standard, prego?”
“Gli allenatori, ovviamente.”
“Dalle nostre parti gli allenatori non sono ben visti. Intrappolare i Pokémon nelle sfere è crudele.”
“Questi Pokémon intrappolati, come dici tu, sono dei campioni.”
“Immagino…” sorrise lei.
“Non puoi fare un paragone, in nessun modo. Questi non sono strumenti per il mio successo personale. Insieme abbiamo intrapreso un viaggio! Loro sono miei amici! Tu invece devi prendere ogni giorno un Pokémon nuovo...”
“Proprio come fai tu con le ragazze”
“Io sono il Ranger delle sgrille.” Rise Gold.
“Cosa diamine sarebbe una sgrilla?!”
“Una tipa.”
“Una... tipa...” Annuiva avvilita Marina.
“Smettila. Non capisco perché ti stia così antipatico. Io sono simpatico a tutti.”
“I cretini non mi stanno simpatici.”
“Quindi non ti sta simpatico nemmeno quel Ranger che mi ha risposto, giusto? Quello era un vero cretino.”
“Non mi sta antipatico. Lui è un Ranger, e nessun Ranger è cretino.”
“Voi due siete la classica eccezione che conferma la regola, suppongo.”
“Fanculo.” S’imbronciò la ragazza, sconfitta. Gold sorrise e la tirò a sé, e la strinse in un abbraccio.
La pioggia continuava a cadere tutt’attorno a loro, e mentre Marius cantava una strana canzone su di un mostro marino che inghiottiva le navi, gli occhi di Marina si chiusero dolcemente.
Gold sentiva il respiro della ragazza diventare più pesante, poco a poco, mentre adagiava il volto sul suo petto.
Marius si girò, li vide e sorrise, facendogli l’occhiolino. Gold sorrise. “Vecchio marpione...”
“Come?” chiese Marina, con voce compressa e gli occhi ancora chiusi.
“Niente. Hai sonno?”
“No... Riposo gli occhi...”
E poi un altro urlo si espanse forte dalla vetta del Monte Pira.
Marina spalancò gli occhi, velocemente. Marius si voltò a guardare i ragazzi, Gold era già in piedi, sotto la pioggia, cercando di guardare per bene cosa stesse succedendo lì.
“Vedo una luce rossa.” Fece.
Marina si alzò, seguendolo lentamente. Abbassò gli occhialini sul volto e mise a fuoco.
“Marius, le chiedo la gentilezza di accelerare un po’. Sta succedendo qualcosa lì sopra, qualcuno è in pericolo.”
“Ma così facendo metteremmo in pericolo noi... Dobbiamo viaggiare lentamente altrimenti i mulinelli ci inghiottiranno.”
“Porca puttana!” urlò Gold, tirando un pugno alla balaustra, producendo un tonfo sordo. “Lì qualcosa o qualcuno sta facendo del male a delle persone!”
“... Beh... Suppongo che possa provarci...” sussurrò più a se stesso che agli altri due il vecchio marinaio. Andò verso il timone e lo afferrò con decisione, quindi sospirò.
“Possiamo farcela, piccola mia.” Alzò una leva ed il motore prese a lavorare con più giri; di conseguenza l’imbarcazione accelerò. Gold guardò Marina per un attimo, prima di voltarsi a guardare il mare in burrasca: il volto della ragazza era contrito, teso; la determinazione nei suoi occhi, però, la teneva viva.
In quel momento avrebbe voluto starsene un po’ al caldo, per i fatti propri a giocare. Magari giocare un po’ a GTA oppure a parlare un po’ con Yellow. C’era da fare quel che si doveva fare, e questa responsabilità, che lui aveva preso più come una sfida che altro, lo stava caricando.
Avrebbe saputo cosa stava succedendo sulla cima del Monte Pira.
Tuttavia sarebbe stato utile conoscere anche cosa fosse quell’ombra gigantesca sotto la barca.
 
 


 
 

 

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Capitolo 21
*** Capitolo Diciottesimo pt.2 - Lo scrigno blu ***


Previously, on Hoenn's Crysis
Un urlo si espanse forte dalla vetta del Monte Pira.
Marina spalancò gli occhi, velocemente. Marius si voltò a guardare i ragazzi, Gold era già in piedi, sotto la pioggia, cercando di guardare per bene cosa stesse succedendo lì.
“Vedo una luce rossa.” Fece.
Marina si alzò, seguendolo lentamente. Abbassò gli occhialini sul volto e mise a fuoco.
“Marius, le chiedo la gentilezza di accelerare un po’. Sta succedendo qualcosa lì sopra, qualcuno è in pericolo.”
“Ma così facendo metteremmo in pericolo noi... Dobbiamo viaggiare lentamente altrimenti i mulinelli ci inghiottiranno.”
“Porca puttana!” urlò Gold, tirando un pugno alla balaustra, producendo un tonfo sordo. “Lì qualcosa o qualcuno sta facendo del male a delle persone!”
“... Beh... Suppongo che possa provarci...” sussurrò più a se stesso che agli altri due il vecchio marinaio. Andò verso il timone e lo afferrò con decisione, quindi sospirò.
“Possiamo farcela, piccola mia.” Alzò una leva ed il motore prese a lavorare con più giri; di conseguenza l’imbarcazione accelerò. Gold guardò Marina per un attimo, prima di voltarsi a guardare il mare in burrasca: il volto della ragazza era contrito, teso; la determinazione nei suoi occhi, però, la teneva viva.
In quel momento avrebbe voluto starsene un po’ al caldo, per i fatti propri a giocare. Magari giocare un po’ a GTA oppure a parlare un po’ con Yellow. C’era da fare quel che si doveva fare, e questa responsabilità, che lui aveva preso più come una sfida che altro, lo stava caricando.
Avrebbe saputo cosa stava succedendo sulla cima del Monte Pira.
Tuttavia sarebbe stato utile conoscere anche cosa fosse quell’ombra gigantesca sotto la barca.

 



 


Lo scrigno blu


La Latias continuava a navigare nel mare malvagio che collegava il Monte Pira al nord della regione. La distesa nera rimestava le proprie acque, le impastava con forza, infrangeva le proprie onde contro la chiglia della barca sulla quale il Capitano Marius teneva gli occhi bene aperti. Passò una mano tra i pochi capelli che gli rimanevano, ne saggiò con le dita l’umidità e la salsedine, quindi riafferrò con forza il timone, virando a destra.
Evitarono un grosso mulinello, proprio davanti a loro. Marina afferrò con forza il braccio di Gold, che dal canto suo si manteneva ai parapetti d’acciaio dell’imbarcazione.
“Attenti!” urlò Marius. “Ci sono i mulinelli.”
“Me ne sono accorto.” Rimbeccò Gold, guardando concentrato la cima del Monte Pira, con sfondo il cielo nero e furioso, in cui nuvole leggermente più chiare davano il sentore delle venature biancastre del marmo.
In effetti il cielo pareva una tavola di marmo dalle cui nuvole venivano piante lacrime fredde e pesanti.
D’improvviso un’esplosione ed il conseguente rombo attirò l’attenzione dei due, mentre Marius e la sua Latias combattevano contro i mulinelli in quel violento braccio di ferro.
“Che diamine succede lì sopra?!” urlava Marina, cercando di far prevalere la sua voce sui rumori della pioggia e del mare.
“Non ne ho idea, ma lo voglio sapere! Non si può fare più presto?!” urlò poi al timoniere.
Quello si girava e lo guardava. “Questa è una barca, non un aereo.”
Marina avrebbe sorriso se la sua mente non fosse stata assalita da mille cose. Si affacciò velocemente dalla balaustra, il vento soffiava nei capelli e la pioggia la colpiva sul volto; la sciarpa che aveva al collo svolazzava come una bandiera.
I mulinelli vorticavano iracondi, inghiottivano tutto ciò che attiravano a sé, catturavano e facevano suoi piccoli Pokémon e pezzi di legno, pezzi di scarto di navi distrutte in quelle zone.
La barca sorpassava agile i primi ostacoli ed il mare continuava ad ingrossarsi. Ad un certo punto abbandonò totalmente la superficie dell’acqua, facendo un volto di qualche metro, per poi riatterrare schizzando tutt’intorno.
“Non so se ce la faremo...” disse Marius, asciugandosi il volto dall’acqua.
Marina fissava le acque tetre, qualcosa di buio si muoveva sotto la superficie scura.
“Gold...” lo chiamò lei.
“Che vuoi?” chiedeva quello, sempre più assorto nel fissare la cima del Monte Pira.
“Vieni qui”
“Aspetta...”
“No, devi venire”
“Ma ci senti?! Ti ho detto che devi aspettare!”
“Gold, cavolo! Corri qui!”
Marina lo afferrò per il cappuccio del giubbino e lo tirò a sé. Lo spinse con la testa verso le balaustre. “Guarda!”
Gold cercò di divincolarsi dalla presa, quando poi si accorse del fatto. “Ma... ma quello cos'è?!”
“Appunto!”
In quel momento due grandi colonne d'acqua si elevarono dal centro di due grandi mulinelli che avevano dribblato pochi attimi prima. Gold e Marina si voltarono velocemente.
“Cazzo!” esclamò lui.
Quei pilastri d'acqua nera salivano veloci verso il cielo, gocce opache ricadevano tutt'intorno. Marius si voltò stranito: non aveva mai visto una cosa del genere.
“Ragazzi! Attenti!”
Altre due colonne d'acqua si alzarono da altrettanti mulinelli ai lati della barca.
“Che succede?!” urlò Marina, stringendo i pugni. Sentiva la stretta di Gold sul suo avambraccio. Fu il tempo di scambiarsi uno sguardo che un ultimo, grande pilastro, costrinse Marius a gettare l'ancora per frenare: erano totalmente circondati.
“Gold! Cosa succede?!” fece ancora il Ranger.
“Non lo so, Marina! Cos'è quell'ombra?!”
“Ombra?!” si sorprese Marius. Si avvicinò velocemente alle ringhiere e si affacciò: il mare era scuro ma qualcosa di più scuro navigava sotto di loro, elegante, trascinando dietro di se mille code.
La barca prese a dondolare forte a destra e sinistra finendo quasi per far finire fuori bordo il marinaio e i due ragazzi.
Marina strinse la mano di Gold che intanto si manteneva forte alle ringhiere; Marius non fu così fortunato invece, e finì con la schiena contro il ferro delle balaustre, dando un forte urlo.
“Marius!” fece Marina.
Pochi secondi dopo le oscillazioni si erano calmate, a riempire le loro orecchie c’era soltanto lo scroscio dell’acqua che cadeva su di loro, creata dalle colonne provenienti dai mulinelli.
Se si fossero trovati in una situazione più tranquilla sarebbero restati più sbalorditi e meno spaventati da tutto quello.
La barca tornò a galleggiare normalmente, mentre la pioggia fitta riduceva sempre di più la visibilità.
“Stai bene?” chiese Gold alla ragazza.
Quella annuì, fissandolo negli occhi. Il volto del moro era contrito, gli occhi preoccupati e stanchi. Stringeva pugni e denti; Marina intuì fosse per i rimasugli di quell’anima sporca all’interno del suo corpo, e non sbagliava: il dolore cominciava a manifestarsi.
“Io sto bene. Ma tu?”
“Mai stato meglio...” tossì poi.
“Certamente... Siediti”
“Ti ho detto che sto bene”
“Sono stanca di litigare con te! Fai come ti dico per una benedetta volta!”
Ci fu solo silenzio per un attimo. Gold fissava l’iperprotettiva Marina in maniera superficiale, mentre quest’ultima cercava di essere quanto più autoritaria possibile.
Solo con lo sguardo.
Quel silenzio, che poi silenzio non era, era disturbato soltanto dall’acqua che cadeva inesorabile sulle loro teste. Gold strinse forte la balaustra verniciata di bianco, sulle quali macchie di ruggine cominciavano a farsi largo.
“Andiamo...” fece Marina. La sua voce era dolce, calma stavolta.
 
Ma qualcos’altro doveva andare storto.
 
Improvvisamente due enormi tentacoli grigi uscirono dall’acqua e si abbatterono sul ponte dove c’erano i ragazzi: le balaustre in ferro si piegarono come bastoncini di legno, le assi del ponte si sgretolarono immediatamente, e due enormi squarci distrussero la Latias in meno di due secondi.
In quel momento il primo pensiero di Gold fu di preservare la propria sopravvivenza. Strinse forte il sacchettino che aveva al collo, non voleva perderlo per alcun motivo al mondo, quindi tirò a sé Marina e morse le labbra. Entrambi si fecero quanto più piccoli possibile, venendo mancati per pochi metri dai fendenti che venivano dal mare.
Marius non era stato altrettanto fortunato. Dove stava seduto lui ormai c’era soltanto un grande vuoto.
La barca prese ad affondare lentamente e intanto i tentacoli, che erano ritornati nel mare grigio e nero, uscirono di nuovo allo scoperto, stavolta accompagnati dal suo possessore: un enorme Tentacruel, più grande della barca e anche di parecchio, emerse dalle acque torbide.
L’acqua si tingeva di rosso a pochi metri da lui, mentre Gold e Marina si agitavano. Si alzarono presto, mentre la porzione su cui sostavano colava a picco.
“Marius...” sussurrò Marina, cercando invano di trattenere le lacrime. Non serviva però: la pioggia le camuffava, solo lei sulla sua pelle fredda poteva saggiarne il calore sulle guance e infine sulle labbra.
“È un... un Pokémon...” fece Gold, sbalordito. Non aveva mai visto un Tentacruel di quelle dimensioni. Con un solo attacco era riuscito a distruggere una barca intera.
“Dobbiamo spostarci da qui!” fece poi. Afferrò Marina per mano, ed intanto un grosso tuono risuonò tutt’intorno. “Togekiss!”
“Che vuoi fare?! C’è una tempesta in atto!”
“Non possiamo rischiare di cadere in acqua. Hai visto con quei tentacoli cos’è in grado di fare...”
“Ma...”
“Chiama Staraptor!”
“Ok!”
Gold saltò su Togekiss e volò velocemente in alto, mentre Marina attese qualche secondo in più prima di salire in groppa a Staraptor ed affondare le dita nelle piume bagnate.
“Mi spiace farti volare in questa situazione... Ma vedrai che andrà tutto bene”
Le zampe di Staraptor lasciarono il ponte pochi secondi prima che questo venisse sommerso dalle acque del mare.
“Shiftry!” urlò Gold, che cominciava a volare attorno a Tentacruel. Marina si teneva a distanza e studiava la situazione. Lo Styler di cattura avrebbe avuto non pochi problemi con un Pokémon del genere. Cercare di controllare un Pokémon così grande non era semplice.
Si fermò. Aspettava, studiava la situazione.
Shiftry intanto uscì dalla sfera. Tentacruel fissò lo sguardo torvo su di lui, quindi lanciò un attacco Acido contro l’avversario.
“Evitalo velocemente!” fece Gold, urlando per farsi sentire. “Togekiss, cominciamo ad indebolirlo. Finché è impegnato nella lotta contro Shiftry è più vulnerabile. Vai con Forzasfera!”
L’energia incanalata da Togekiss fuoriuscì sottoforma di una sfera azzurra, dall’alta temperatura, e colpì l’avversario su una delle due celle rosse che aveva sulla testa.
Tentacruel emise uno strano verso, a dimostrazione del dolore che provava, poi si voltò verso Gold.
“Shiftry! Usa Congiura!”
Shiftry fluttuava sfruttando i forti venti che aveva creato sbattendo i lunghi ventagli di foglie. Per un attimo arrivò più in alto che poteva, poi chiuse gli occhi, e lentamente li riaprì: stava potenziando le sue abilità tralasciando le correnti, motivo per cui stava precipitando verso il mare.
Marina guardava la scena stupita a distanza di sicurezza. Si chiedeva come facesse Gold a controllare così tanti Pokémon contemporaneamente. Lo vedeva, con una mano si stringeva a Togekiss mentre con l’altra teneva spinto il sacchetto al petto. Sul suo volto c’era tanta determinazione, i suoi occhi mettevano a fuoco tutte le centinaia di tentacoli che provavano a disarcionarlo.
“Forza, ora! Vai con Verdebufera, Shiftry!”
Ad un metro dal mare il Pokémon di Gold portò velocemente i ventagli sotto il suo corpo, alzando grosse onde. Il vento era ancora più forte, Shiftry sfruttò le correnti ascensionali e ritornò in alto, distanziandosi di molto dall’avversario. Dopodiché allungò le braccia a ventaglio e le alzò verso l’alto. Prese a vorticare rapidamente ed il vento aumentò sempre di più. Foglie e ramoscelli apparvero dal corpo del Pokémon e si avventarono in quel vortice, cominciando a formarne materialmente le pareti.
Tentacruel emetteva continuamente versi di dolore, mentre l’attacco continuava ad aumentare di mole. La potenza era straordinaria, lo stesso Gold era stupito della potenza di quello Shiftry.
“Marina! Tra poco!” urlò.
“Cosa?!”
“Tra poco!”
“Cosa tra poco?!”
“Dannata Ranger! Vi fanno con lo stampo, senza un neurone! Shiftry, intensifica! E tu, Marina, usa quel cazzo di Styler!”
“Eh?! Oh, ok!”
“Non credevo fossi anche tu un mio Pokémon...” sussurrò il ragazzo, Marina tuttavia non sentì le sue parole; salì all’in piedi sul dorso di Staraptor e cominciò a prendere la mira.
Shiftry stava creando un vortice verde attorno al mostro marino che si dimenava, intanto fogliame vario e grossi pezzi di legno lo percuotevano. Lanciava i tentacoli qui e lì, si lamentava, rispondeva con grossi attacchi Idropompa, nel tentativo di abbattere la barriera creata da Shiftry.
Gold stava in attesa, contemplando la scena compiaciuto. Il mare tutt’intorno si agitava ancora di più, il vento richiamava tanta acqua nel vortice e appesantiva tutti i colpi. Gold incrociò il suo sguardo, l’ira traboccava come lacrime dai suoi occhi; quello aveva capito: quel ragazzo dai capelli dorati era la causa di quel vortice.
Rilasciò un urlo ad alta frequenza e lanciò un grosso tentacolo verso il suo obiettivo, che attraversò quella barriera e colpì con forza Togekiss, per poi avvinghiare Gold. Strinse con forza, Marina vedeva Gold urlare.
“Cazzo!”
“Gold!”
“Muoviti!”
Togekiss tentennava, e precipitava verso il basso. Da quell’altezza l’impatto con l’acqua sarebbe stato fatale. Gold, le cui braccia erano strette nella morsa lungo i fianchi, riuscì a prendere la sfera di Togekiss e a farlo rientrare.
Altre esplosioni si avvicendavano sulla cima del Monte Pira. Gold stringeva i denti, doveva riuscire a liberarsi. Stringeva nella mano la sfera di Togekiss e sentiva il proprio corpo trascinato in tutte le direzioni, mentre la paura si faceva largo nel suo petto. Strinse i denti, cercando di non perdere la presa dalla sfera, umida per via della pioggia, purtroppo invano. Un forte scossone gli fece perdere la presa, facendo terminare la sfera in acqua.
“No! Togekiss!”
Tentacruel continuava a percuotere Gold.
“Porca puttana, Marina! Che ti ho fatto di male?!”
Avrebbe risposto con poi ne parliamo se non fosse stata scossa così profondamente. Tutta quella situazione la turbava. Non riusciva a sbloccarsi, era terrorizzata dal fatto che una sua scelta avrebbe potuto modificare il corso degli eventi.
Era paralizzata.
Guardava Gold venire sballottato a destra e a manca, e poi a testa sotto.
“No!” urlò lui, quando vide che il sacchettino datogli da Ester stava sfilandosi dal suo collo; il cordino stava scivolando lentamente e, superato il naso, si abbandonò ad una caduta libera.
“Gold! No! Vai Styler!”
Gold prese ad urlare. Il dolore stava cominciando a stringere il suo corpo in una morsa gradualmente più stretta. Stringeva gli occhi, soffriva.
Marina lo vedeva, le lacrime nei suoi occhi sgorgavano copiose e le labbra furono colte da tremiti spontanei.
Anche le mani avrebbero cominciato a tremare se solo non si fosse concentrata con tutta se stessa: Diresse dapprima lo Styler sulla superficie dell’acqua e, stando ben attenta a non farlo affondare, prese a disegnare una traiettorie ampia e circolare. Tentacruel continuava a dimenarsi e a soffocare Gold con la sua stretta, mentre le pareti di vento, acqua ed erba create da Shiftry imprigionavano il grande Pokémon Medusa.
Lo Styler continuava a vorticare attorno al grande Tentacruel.
“Forza!” faceva la ragazza. La sfera di Togekiss galleggiava lucida tra le onde, ben visibile, mentre il sacchettino era ormai perso nelle profondità degli abissi.
Marina controllò il dispositivo di lancio che stava analizzando la potenza di quel Pokémon, e rimase sbalordita. Era al livello 89, e, secondo l’analisi, servivano altri ventotto giri di Styler.
Muoveva con l’antenna dello Styler, mentre l’ansia le faceva scoppiare il petto.
Ancora lo sguardo giù, ventiquattro giri.
La pioggia batteva e Gold urlava sempre più forte. Un altro giro di Styler era stato completato.
“Aiutami, Marina!” urlava il ragazzo, con aria disperata.
“Sono qui! Sono qui!”
Gold urlava forte. Il dolore lo stava distruggendo.
Diciassette giri.
Tentacruel non accennava a voler lasciare la presa. Grossi rami lo percuotevano e foglie taglienti gli si conficcavano nel morbido corpo. Si dimenava, mentre trascinava Gold in aria qui e lì.
Quindici giri.
Il cuore di Marina batteva veloce, una gran cassa che esplodeva nel suo petto. Tuttavia il suo braccio era fermo. Il sudore si univa alla pioggia sul suo volto. I capelli erano del tutto fradici, i suoi vestiti pure. Gli occhi non si chiudevano, la pioggia batteva sul naso e sulle guance ed il respiro quasi si era fermato.
In totale apnea mancavano dieci giri.
Poi nove.
Poi otto.
Nella testa di Marina c’era Marius, il suo sorriso. Aveva visto un uomo morire e la cosa la sconvolgeva. Non era abituata a tutta quella violenza.
Cinque giri.
Un fulmine enorme si abbatté sulla cima del Monte Pira, illuminando tutto di bianco, per un momento.
Tre giri.
Successivamente il suono raggiunse la luce: un grande tuono fece vibrare le corde della sua anima.
Un giro.
Un solo giro.
Lo Styler ormai viaggiava come un treno, tagliava la superficie dell’acqua ed attraversava con forza le onde nere. L’anello alla fine si chiuse. Gli occhi di Marina si spalancarono, lo Styler lampeggiava.
“Cattura... cattura completata...”
“Marina!” urlava Gold.
“Ho... ho fatto!”
“Shiftry, basta così! E per favore, fammi mettere giù!”
Marina sorrise. Si accovacciò sul dorso di Staraptor, le cui piume erano tutte bagnate, e sospirò. “Portalo qua...”
Il tentacolo del Pokémon lo trascinò velocemente verso il Ranger. Adagiò il Breeder su Staraptor, totalmente fradicio e dolorante.
“Marina... Togekiss...” tossì Occhidorati. “E se... e se puoi...” tossì ancora. “... il sacchetto.”
 “Certo! Tentacruel, porta qui quella sfera e cerca il sacchetto che Gold teneva al collo!”
Tentacruel s’immerse velocemente, come un sottomarino, e ne uscì tre minuti dopo, elevandosi sui forti tentacoli fino a raggiungere Staraptor. Poggiò sui palmi tesi di Marina la sfera ed il sacchettino, quindi s’immerse di nuovo.
“Ora vai...” spense lo Styler, Marina. S’avventò su Gold poggiandogli la sfera nella mano e legandogli di nuovo il sacchetto al collo.
“Ora come va?” chiese poi, preoccupata.
“Spero meglio. Ho solo tanto sonno.”
“Non sono nemmeno le quattro del pomeriggio.”
“Il mio sonno non ha orario.”
L’ennesima esplosione dalla cima del Monte Pira li fece sobbalzare.
Marina e Gold si scambiarono uno sguardo, poi entrambi sospirarono.
“Il sonno aspetterà...”

 

 
 
 
 

 

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Capitolo 22
*** Capitolo Diciannovesimo - Nell'attesa del momento adatto ad un attacco a sorpresa la miglior difesa è la difesa ***


Nell'attesa del momento adatto ad un attacco a sorpresa la miglior difesa è la difesa



Marina e Gold misero piede sulla terra ferma. La pioggia non accennava a diminuire ma ai due interessava soltanto arrivare sulla cima del Monte Pira, dove esplosioni e grida si avvicendavano come pagine di un romanzo.
Sorpassarono un grande arco in pietra, sul quale era scolpita un frase in caratteri cubitali:

« post extremum spiritum pervenent ad coeli portas »

Gold vi si fermò davanti cercando di capire.
“È latino...” osservò lui.
“Già” annuì l’altra. “Significa letteralmente: dopo l’ultimo respiro sono giunti alle porte del cielo”.
“Sa molto di cimitero...”.
“Il Monte Pira è un cimitero, Gold, te l’ho già detto...”.
Il ragazzo la guardò. “Se la finisci di fare la vecchia bisbetica entriamo...”.
Attraversarono l’arco e pochi passi dopo entrarono nella montagna. L’intero cimitero era stato costruito in grandi gallerie all’interno della montagna stessa. Deboli luci bianche fuoriuscivano dalla roccia scavata e rimbalzavano sul pavimento di marmo, lucido e scivoloso. All’interno il silenzio era maestoso.
Il lungo corridoio terminò, immettendo in una sala: grandi lapidi murarie vedevano nomi di uomini anziani, talvolta alternati da quello di qualche giovane se non da quello di un Pokémon.
Un odore pungente riempì le loro narici.
Altre lapidi stavano ben ordinate in fila nel pavimento. E su molte di esse c’erano cadaveri che perdevano ancora sangue.
Strano, pensò Gold. I cadaveri stanno nelle tombe, non sulle tombe.
Marina rimase esterrefatta. Non era abituata a tutta quella violenza.
Corpi di anziane signore sostavano esanimi sulle tombe dei loro mariti; le foto in bianco e nero fissavano i cadaveri con una pace surreale nello sguardo.
Gold mosse passi leggeri che risuonarono cavernosi e profondi nel silenzio di quel posto; il rumore dell’acqua che avevano assorbito le scarpe si liberava in maniera fastidiosa.
“Non... non ci credo... Che diamine è successo qui?!”.
Marina aguzzò l’udito: c’era uno strano rumore e proveniva dal retro di una grande lapide in fondo alla sala. La ragazza si fece largo, cercando un posto dove poggiare i piedi senza calpestare niente che poche ore prima ancora poteva respirare.
Affondava le suole nel sangue scuro, sporco, quasi nero. Passava avanti però, diretta verso la grande lapide di tal Sir Stelios Goodwin, più imponente delle altre. La nascita dell’uomo era datata alla fine ottocento, la morte intorno ai primi vent’anni del novecento.

“Ad un uomo che ha sacrificato la propria vita per il bene altrui”
 
Questo c’era scritto, Marina non ci fece caso però.
L'unica cosa che esisteva in quel momento nella sua testa era comprendere la causa di quel rumore: quello era un respiro. Qualcuno era vivo, ma oltre la lapide c’era soltanto il muro.
Si voltò, dietro la distesa di corpi esanimi Gold analizzava la situazione in silenzio.
Tuttavia nessuno oltre loro due possedeva la facoltà di respirare. Fu quello il momento in cui a Marina venne un’illuminazione: si voltò verso la grande lapide e si mise accanto ad essa. Tra il marmo ed il muro c’era una quarantina di centimetri, in cui un ragazzino stava seduto, in silenzio, con gli occhi spalancati, i denti che battevano e le gambe trattenute a stento dalle braccia tremanti.
Aveva il volto imbrattato di sangue, che gocciolava dal mento e finiva sulla sua maglietta, un tempo bianca, ora rossa come tutto il resto.
“Hey... E tu che ci fai qui?” chiese dolcemente Marina, accovacciandosi.
“...” quello non rispondeva, stava in silenzio con gli occhi sbarrati, guardava dritto, come se la ragazza non esistesse.
“Piccolo...”. Marina si permise di allungare la mano e di girargli il volto delicatamente. Quello, dopo un’iniziale resistenza, cedette, e la guardò. Gli occhi azzurri erano pieni di lacrime; le labbra, il mento, tutto tremava per il pianto. “Io sono Marina... Come ti chiami?”.
“...Christopher...”.
“Ciao Christopher... Qui c’è un bel casino... Sai chi ha fatto tutto questo?”.
“I pirati...”.
“Pir-pirati! Gold!” urlò a bassa voce lei, come per non offendere la sacralità del posto.
“Che vuoi?!” rispose quello, nello stesso modo.
“Vieni qui!”.
Gold si avvicinò lentamente, i piedi sguazzavano nelle chiazze di sangue. Appena vide il ragazzino si spaventò. “Oddio!” urlò.
“Lui è Christopher”.
“Lui mi ha fatto morire e resuscitare, proprio adesso!”
“Ha detto che tutto questo è opera dei pirati!” sbraitò lei, per far terminare quello sproloquio.
“E scommetto che il loro Capitan Uncino è Xander... Dove sono i pirati, Christopher?”
Il ragazzino tremante si limitò ad alzare l’indice verso l’alto.
“Sono sopra” concluse Marina. Si alzò, carezzando la testa del piccolo. “Tu rimani qui. Gold, dobbiamo raggiungere la cima”.
“Non ci volevi tu per capirlo. Andiamo”.

Uscirono all’esterno dell’edificio, cominciando a salire verso l’alto: camminavano sotto la pioggia, attraversando zone in cui l’erba era parecchio alta. Le tombe erano ben disposte sul terreno, come fossero parte integrante di una scacchiera. Molte di queste erano segnate dal tempo, a malapena si riusciva a leggere il nome del defunto. Talune erano ricoperte da muschio verde e vivo, altre erano andate via via sgretolandosi, lasciando detriti e frammenti sulla lastra di copertura della bara. Vari Pokémon fluttuavano nell’aria fumosa che circolava lì attorno, la nebbia in quel punto pareva essere un effetto speciale di qualche scena horror.
Gold camminava davanti, vedeva nel grigio diffuso della foschia vari Duskull e Shuppet che si avvicinavano lentamente. La cosa non lo spaventava, sapeva che il sacchetto che teneva al petto aveva il potere di attirare gli spiriti.
Era un’occasione da sfruttare, Marina li catturò con pochi giri di Styler.
In quel momento nel buio trasparivano due figure scure, gli occhi dorati di Gold e quelli blu e rossi dei vari Pokémon e di Marina. Il Ranger seguiva Gold, il quale anticipava tutti, soldato in avanscoperta in quel luogo sconosciuto e impervio, a strapiombo sul mare. L’acqua cadeva su di loro impietosa, bagnando anche i cadaveri sporadici che di tanto in tanto si trovavano distesi sull’erba e sulle lapidi, trascinando il sangue dei loro corpi nei rivoli d’acqua che scendevano la montagna.

Altra esplosione.

I Pokémon Spettro che Marina aveva catturato con lo Styler si agitarono.
Poi delle voci soffuse.
“Sono vicini...” sussurrò Gold. Portò la mano alla sfera di Exbo e camminò lentamente avanti.
Due sagome scure si scontravano, diventavano una sola macchia nera sulla tela grigia della nebbia, si disunivano ancora.
Mano a mano che si avvicinavano sentivano le loro voci. Erano due uomini.
Urlavano, si sforzavano.
“Si stanno battendo...” disse Marina, a bassa voce. “Stiamo bassi”.
I ragazzi si abbassarono, nascondendosi dietro una lapide. L’erba alta nascondeva un Vulpix, impaurito dalla pioggia. Marina sospirò, e lo tirò a sé, aprendo la zip della giacchetta corta e facendolo entrare.
“È una femmina”.
Gold le lanciò un'occhiataccia. “Che diamine stai facendo?”.
“Sono un Ranger. Questo Vulpix è spaventato da quei due tipi e non può trovare un posto dove ripararsi dalla pioggia”.
“Stiamo per buttarci in una mischia, praticamente. Voleranno fiamme, pugni ed altro”.
“Fiamme?!”.
“A Exbo piacciono ben cotti...”.
“Non posso lasciarla qui. Va contro i miei principi... Avanti, è un cucciolo...”.
“Dannazione... Facciamo presto, effetto sorpresa”.
“Perfetto”. Marina portò le punte del pollice e dell’indice alla bocca e fischiò. “Staraptor! Scacciabruma!”
Le grida si bloccarono, le macchie nere indistinte che le producevano pure. Dall’alto apparve la sagoma di Staraptor che, dopo un forte grido, prese a sbattere le ali con veemenza, fino a scacciare la nebbia e a rivelare i due misteriosi duellanti.
Uno dei due era un pirata, sì, con bandana blu sul capo e maglia a righe. I pantaloni aderenti terminavano nei grossi stivaloni neri. Stringeva forte i pugni, dal suo naso fuoriusciva un filo di sangue.
Contro di lui però c’era un tizio che non aveva mai visto. Indossava un cappuccio in testa, bello ampio, quindi non riusciva a decifrarne i lineamenti se non per quel naso lungo e le labbra pronunciate. La felpa che indossava era nera e stretta, con una grossa M rubiconda, proprio sul petto.
“Voi del Team Idro dovete essere fermati!” urlava quello, la voce compressa per lo sforzo, mentre cercava di colpire con un potente pugno l’avversario, distratto dall’apparizione di Staraptor.
“Exbo, usa Attacco Rapido!” esclamò poi Gold, rivelandosi e puntando il dito contro il pirata.
Typhlosion uscì dalla sua sfera e rilasciò una grande fiammata, diretta proprio contro l’avversario in blu.
Quello fu distratto dal Pokémon, e fu colpito duramente al volto dall’avversario.
“Fermo, Exbo!” urlò il giovane. Vedeva sorridere l’uomo con la M rossa sulla divisa.
“Bravissimo, ragazzo. Ti ha mandato Igor?”
“Non so chi diamine sia Igor... Devo distruggere i pirati e Xander!”
“Ottima idea”.
“Andiamo insieme allora! Come ti chiami?”
“Facciamo che te lo dico dopo...” fece quello, camminando velocemente.
Gold fece rientrare Typhlosion nella sfera e prese a camminare lentamente dietro il tipo che aveva appena conosciuto. Stavano bassi, camminavano silenziosi, seguiti qualche metro dopo da Marina, che manteneva il suo Vulpix tra i seni piccoli con la mano destra.
“Stai basso...” fece lo sconosciuto con un gesto della mano.
Nascosti da alti ciuffi d’erba bagnata, i tre assistettero ad uno scontro alquanto singolare: due donne, molto belle, con le stesse divise dei due che si malmenavano prima, stavano tenendo una battaglia.
Gold spalancò gli occhi quando riconobbe Christine, l’Idrotenente che l’aveva quasi condotto alla morte. Un brivido percorse la sua schiena per l’intera lunghezza, costringendolo a chiudere gli occhi e a ricordare la brutalità di quei momenti in cui la sua anima stava combattendo per il dominio del suo corpo contro lo spirito maledetto di qualcun altro.
Sembrava essere parecchio a proprio agio sotto la pioggia battente, i capelli biondi erano bagnati come se fosse appena uscita da una piscina. Gli occhi azzurri risaltavano nel grigiore più che totale di quella giornata che definirla uggiosa era poco.
La sfera che aveva in mano era con ogni probabilità quella del Sableye che aveva davanti. Il Pokémon guardava affascinato l’avversario che aveva di fronte, un Medicham pronto ad attaccare.
La sua allenatrice aveva la stessa divisa del tizio con la M rossa.
A lei sta decisamente meglio, pensò Gold, sorridendo.
Già, perché fisicamente quella ragazza era fantastica. Gambe lunghe erano fasciate da pantaloni neri, aderenti e terminavano in un paio di stivali di pelle nera.
“Ci incontriamo di nuovo, Christine” sorrise quest’ultima. Il suo volto era tirato per lo stress ma la determinazione nei suoi occhi la teneva viva nonostante quella pioggia volesse spegnere ogni cosa. Il suo sorriso era sicuro, anche le sue labbra risaltavano rubre nel grigiore di quella giornata maledetta.
“Zoe... Finiamola di incontrarci sempre in queste situazioni spiacevoli...”.
“Già. Sotto la pioggia mi si arricciano i capelli, poi”.
“Mi sa che il problema non si porrà... Te li straccio tutti e risolviamo, che ne dici?”
“Hai già assaggiato un mio calcio dritto in faccia. Ne vuoi ancora?”
“Sableye, Sgomento!”
Il Pokémon Spettro sparì.
“Medicham, attento! Individua!”
“Ora!” esclamò Christine, quasi contemporaneamente.
Sableye apparì all’improvviso davanti al volto di Medicham che però rimase concentrato ed in totale silenzio.
“Non ha funzionato, vero? Beh, ci rifaremo, caro Sableye! Magari lanciando una bella maledizione contro l’allenatrice di quel patetico Medicham...”.
Gold spalancò gli occhi e strinse forte pugni e denti. Marina mise una mano sulla spalla del ragazzo, che si voltò e la guardò negli occhi.
Un semplice assenso, un cenno del capo, a far capire che stesse bene; tanto bastò per tranquillizzare la ragazza.
Tuttavia Gold ribolliva in un brodo di rabbia ed acqua piovana che poco aveva a che fare con i suoi sapori insiti. Poco ci mancava infatti che quello si alzasse e colpisse quella strega.
“Medicham, forza, usa Tuonopugno!”.
Il Pokémon caricò indietro il braccio, che si riempì di scintille, immerso in una luce giallastra d'energia, quindi lo scaricò dritto sul volto di Sableye, che ruzzolò parecchi metri indietro. Il suo corpo fu percorso da un brivido, quindi il Pokémon produsse un lamentio sinistro e continuato.
“È stato paralizzato!” esclamò soddisfatta il Magmatenente. “Ora terminiamolo con un attacco Tuono!” esclamò quella, puntando Christine con l'indice.
L'attacco fu bastevole per mettere fuori combattimento il malcapitato Pokémon Spettro. Christine digrignò i denti e vide Zoe, ancora con l'indice puntato verso di lei, mimare il gesto di uno sparo di pistola, abbassando il pollice.
“Fuori gioco, mia cara. Per quanto ti possa piacere l'idea di lanciarmi maledizioni o simili ti devi accontentare di questo!” esclamò la bella ragazza dai capelli scuri, sorridente, tendendo al ghigno.
“Questo è solo l'ennesimo atto della nostra tragedia. Cioè, della tua tragedia” sorrise sorniona Christine, facendo rientrare nella sfera il suo Pokémon.
Gold vide l'uomo con la M sul petto fare cenno di avanzare; i tre si alzarono, scoprendo la propria posizione.
Le due si voltarono repentine per scrutare gli avventori, tuttavia solo sul volto di Zoe comparve un po' di sollievo, misto a curiosità per via di quei due sconosciuti.
Christine invece li aveva riconosciuti, e guardava con occhi spalancati gli avventori.
“Che c'è?! Ti ricordi di me?!” urlò Gold, avvicinandosi minaccioso. La ragazza sembrava paralizzata dalla sua visione. Tutto si aspettava tranne di rivedere quel ragazzo.
“Come... come hai fatto?!”.
“Come ho fatto?!” urlò lui a due metri da lei, continuando a camminare con foga. Si avvicinava minaccioso, con furia i suoi passi atterravano nell'erba bagnata.
La bionda leccò via una goccia di pioggia dalle labbra, mentre gli enormi occhi azzurri si perdevano in quel tripudio di fiamme dorate che si avvicinava maestoso.
Gold strinse i denti, poi l'afferrò per il colletto della divisa e la tirò a sé, così vicina al suo viso che quasi poteva sentire il calore del suo alito. L'impeto e la forza del ragazzo costrinse Christine ad alzarsi sulle punte, ad avvicinare il suo corpo a quello dell'aggressore. Con una mano spinse leggermente sul petto di quello, per lasciare qualche centimetro.
“Tu! Lurida troia! Cosa mi hai fatto?!” gli urlò con fervore quello. Zoe guardò la scena stranita, sicuro che quello avrebbe malmenato la sua nemesi. Al contrario Marina sperava di non assistere ad una scena simile: un uomo che picchia una donna non ha più la facoltà di essere definito come tale.
“I-io...”
“Parla! Dannazione a te!”. Tirò con ancor più forza la ragazza verso l'alto che quasi le punte dei suoi piedi lasciarono il terreno, per poi sbatterla con rabbia lontano.
Quella atterrò sui suoi piedi per poi indietreggiare velocemente ed inciampare nell'erba bagnata.
Gold le si avvicinò ancora, stavolta rimanendo ad un metro da lei. Infilò le mani nel maglione e tirò fuori il sacchetto datogli da Ester.
“Dentro di me ho il male adesso! E questo sacchetto mi sta dando la morte!”
Christine continuava a farfugliare.
Fu solo l'ennesima esplosione che costrinse Gold e gli altri a voltarsi verso nord: la cima era a pochi metri, e tutto preannunciava che quelle esplosioni erano solo gli effetti di una sanguinosissima battaglia.

 
 

 

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Capitolo 23
*** Capitolo Ventesimo - Pulse ***


Pulse



Marina era seriamente provata. Necessitava di riposo, di quello buono, di quello di qualità. Anche perché era lì solamente da poche ore ed Hoenn l’aveva già sopraffatta con i suoi problemi. La pioggia e la nebbia, anche la natura le si era messa contro.
Naturalmente oltre che quella manica di pirati di basso rango, violenti e potenzialmente psicopatici.
La vetta del Monte Pira era a praticamente una scalinata di distanza. Christine giaceva per terra, ad un paio di metri dal gruppo dei “buoni”, formato dai due vestiti di scuro, quelli con la M rossa per intenderci, e da Gold e Marina. Guardava Gold con occhi sbarrati, come se avesse visto un fantasma.
“Tu dovresti essere morto...” fece. Forse si mise anche il freddo, ma era chiaro che il suo labbro tremasse involontariamente.
Il ragazzo dagli occhi dorati, che aveva spostato la sua attenzione verso gli avvenimenti della cima del cimitero, girò di nuovo la faccia, in direzione della bionda.
“Se solo fossi una donna... adesso ti avrei ucciso...”.
Marina prese il polso del ragazzo, tirandolo indietro. Videro poi Christine mettersi in piedi, molto lentamente.
“I-io... Come hai fatto?”.
“Ester, te lo ripeto. Lei mi ha dato questo sacchetto...”.
“Non ti servirà a nulla chiedere i motivi e le cause, brutta battona” fece poi tranquilla Zoe, avvicinandosi minacciosa.
“Stai lontana!” urlò furibonda Christine, impaurita e disarmata. Le sue Pokéball erano nel cinturone, perso chissà dove nell’erba alta dopo il trattamento speciale di Gold.
“Non aver paura” ghignò la mora.
“Stai lontana!” le lacrime continuavano a sgorgare dagli occhi della bionda, quasi mostrava i canini durante le sue urla.
A nulla valsero però quelle urla. La forte Zoe le si avventò addosso, tirandole un calcio basso che la fece cadere di nuovo per terra. Subito dopo le si gettò addosso, bloccandole un braccio dietro la schiena e spingendole in volto nell’erba bagnata.
“Ti sei messa di nuovo davanti ai nostri piedi, carina... grave errore!”. Zoe colpì con un pugno il capo della ragazza, con il risultato che perse conoscenza quasi subito.
“Un problema in meno” sentenziò poi, sotto gli occhi sconvolti di Gold e Marina. “Frank, prendila sulle spalle e portala su. Ora tocca a Xander!” ringhiò alla fine.
“Esattamente!” la seguì Gold cominciando a correre verso la grande scalinata che divideva la Vetta dal resto della montagna.
“Mi piace lo spirito di questo ragazzo! Andiamo!”.
Marina era preoccupata. Stringeva il piccolo Vulpix con il braccio mentre cercava di donargli un po’ del suo calore corporeo. Non voleva assolutamente catturarlo, lo avrebbe rilasciato in libertà, come avrebbe fatto sicuramente con tutti i Pokémon Spettro che la seguivano, acciuffati con lo Styler in precedenza.
Gli scalini erano di pietra opaca grigia che con il tempo aveva finito per ingiallirsi. Rivoli d’acqua scendevano lemmi verso il basso, perdendosi ai lati, negli spiazzi erbosi.
Zoe raggiunse velocemente Gold, adeguando il passo. “Come ti chiami e che rango sei? Non ti ho mai visto prima”.
“Sono qui per distruggere Xander e Christine. E poi di che rango stai parlando?”.
“Uhm... Sai chi è Ivan?”.
“Ho detto di no” chiuse lui, determinato.
“Stai calmo, altrimenti fai la fine della biondina”.
Gold non rispose, continuando a salire con velocità gli scalini, mosso dalla voglia di conoscere cosa celassero tutte le urla e le esplosioni.
Zoe lo guardava curiosa, annotando mentalmente tutti i dettagli di quel viso duro e spigoloso.
Per prima cosa segnò quegli occhi dorati, due vere lanterne nel buio stralunato di quella mattina.
E poi le labbra carnose. Aveva i capelli neri e bagnati, al di sotto del cappuccio e del new era ed era alto e magro.
Aveva il fisico adatto per diventare una recluta, senza contare la determinazione che stava dimostrando di avere.
“Che ti hanno fatto, Xander e Christine?”.
Lui si voltò per un momento e la guardò, fermandosi. Abbassò la zip di qualche centimetro e tirò giù il collo della maglietta, mostrando parte del petto: venature nere si muovevano come dita lunghe e sottili di una grande mano sul suo petto.
“Christine mi ha fatto questo... E mi fa male. Xander invece vuole ammazzare e fare del male, e queste cose non mi piacciono”.
“Sei un... eroe?” chiese allora, curiosa, la ragazza dai capelli neri.
Gold la squadrò ancora meglio, sorridendole. “Eroe? Se vuoi chiamarmi così fallo pure. In fondo voglio solo che la gente stia bene e combatto per loro”.
“Quindi loro che vogliono sommergere la terra sono...”.
“Sono il male, figlia di Bruce Lee”.
“Come, prego?”.
“Hai fatto dei watatà yoooo tàààà incredibili contro quella battona blu, devi per forza essere la figlia di Bruce Lee”.
Zoe sorrise, quindi aumentò il passo. L’orizzonte era scuro, proprio come il cielo sulle loro teste, quel cielo che piangeva.
Delle voci cominciavano a raggiungerli, attirando la loro attenzione.
“Eccoli” si limitò a dire Zoe. Fu questione di due secondi, si fermò, si voltò indietro per attestare a quanta distanza fosse Frank assieme alla ragazza che non conosceva, quella che manteneva quel piccolo esemplare di Vulpix.
Gold salì gli ultimi due scalini, abbeverandosi della vista della vetta.
 
Il pavimento della vetta era rivestito con delle mattonelle di marmo, in cui piccole pozze d’acqua si erano formate a causa della pioggia battente. Macchie d’erba crescevano lungo la superficie di rivestimento, spaccando la pietra, in quel momento calpestata da due persone.
Uno dei due era Xander, il pirata. In mano una Ultraball da cui ritmicamente cadeva qualche goccia di pioggia che gli si poggiava sulle mani e scivolava verso il basso, per poi tuffarsi in una delle tante pozzanghere.
Manteneva quello sguardo da folle, gli occhi spalancati ed il ghigno malefico. Davanti a lui un esemplare stupendo di Crawdaunt apriva e chiudeva le pinze freneticamente, cercando di intimorire il suo avversario, un Houndoom dalle lunghe corna e dai canini in vista.
Ringhiava quest’ultimo, pronto a recepire repentinamente il primo ordine che passasse nella testa del suo allenatore; questo, vestito nello stesso modo di Zoe e di Frank, sostava lì, a braccia conserte. Il volto delicato era tranquillo, quasi sorridente. Dal cappuccio fuoriusciva qualche ciuffo biondo.
Gold lo vide voltarsi in direzione degli avventori. Sorrise a Zoe.
Lei lo raggiunse e lo strinse alla vita, dandogli un bacio sulle labbra, dolce e leggero, ad occhi chiusi.
“Come siete carini tu e la tua stupida puttanella! Ma vi farò ingoiare le ossa dei vostri Pokémon! È una promessa!” urlò Xander.
“Andy...” sospirò Zoe, guardando poi l’avversario.
“Con Christine?”.
Frank poggiò in quel momento il corpo della bionda svenuta su di un morbido cumulo d’erba bagnata, sotto gli occhi dei Magmatenenti. Il biondo guardò Xander, e sorrise delicatamente, limitandosi a piegare un lembo delle labbra.
“Il prossimo sarai tu...”.
“Che cazzo dici?! Sarai tu ad essere annientato! Crawdaunt, voglio che tu lo distrugga con Martellata!”.
“Houndoom, sul lato!”.
L’attacco dell’enorme crostaceo si schiantò per terra, alzando acqua e terreno, mentre il canide rotolò verso destra.
Gold osservò per un attimo la battaglia prima che un altro dettaglio rapisse la sua attenzione: tre metri oltre i contendenti c’era un altare in pietra, che malcelava una coppia di anziani.
Lui manteneva una sfera blu, lei una sfera rossa. Il vecchietto non era più alto di un metro e settanta, i capelli radi, bianchi come la barba che, al contrario, era rigogliosa e lunga. La pelle del viso cadeva pesante verso il basso, gli occhi erano piccoli, nascosti dietro un paio di spesse lenti da vista. La signora, invece, aveva una lunga treccia candida, il naso piccolo e schiacciato e gli occhi azzurri. Entrambi erano nascosti a meno di un metro dal precipizio.
Gold però non capiva bene cosa stesse succedendo.
“Houndoom, usa Ripicca!” esclamò fiero Andy. Il Pokémon Buio - Fuoco lanciò un’aura nera verso l’avversario, che l’assorbì come una spugna per poi subirne i danni emettendo uno strano verso, accovacciandosi sul prato.
“Crawdaunt, rialzati! Dobbiamo massacrarli! Forza con Idropompa!”
Il crostaceo eseguì l’ordine, rimettendosi subito in piedi utilizzando la coda ossuta per mantenere l’equilibrio; successivamente dalla sua bocca partì forte e veloce una colonna d’acqua che colpì in pieno l’avversario.
“Houndoom!”.
“Proviamo ancora ad utilizzare Martellata!”.
Crawdaunt si gettò veloce sulla preda, ma Andy fu più rapido a dare il suo ordine. “Schiva ancora! A destra!”.
Eseguito alla perfezione: ancora Houndoom che rotola verso destra, ancora Crawdaunt che infrange l’acqua delle pozzanghere, colpendo con violenza il terreno.
“Con l’altra chela spazza!”.
“Salta ancora!”.
Gold rimase sbalordito dalla reattività del Pokémon di Andy: saltò velocemente, portandosi alle spalle dell’avversario.
“Ora vai con Fulmindenti!”.
In quel momento la coda di Crawdaunt sbatteva per terra, proprio davanti al muso di Houndoom, e non gli ci volle molto per attaccarlo proprio lì. Crawdaunt si voltò poi, velocemente, ma fu quando Xander afferrò un grosso sasso e lo lanciò contro la testa del Pokémon avversario che gli venne automatico aprire la grossa chela ed infilare la testa di Houndoom dentro.
“Proprio ciò che volevo! Ghigliottina!”.
La chela si chiuse con forza, accompagnata da un rumore di ossa rotte. Il sangue che uscì dal collo di Houndoom, rosso vermiglio, andò a diluirsi nell’acqua sporca della pioggia stagnante sul marmo, riducendosi in piccoli rivoletti che scendevano lungo il pendio ad ovest della montagna. La testa del Pokémon giaceva pochi centimetri accanto al corpo morto.
“Houndoom!” urlò sbalordito Andy, correndo verso i resti del suo Pokémon. “No! Xander, grande figlio di puttana! La pagherai con la vita!”. S’accasciò verso ciò che rimaneva del Pokémon
Gold assistette basito alla scena, un po’ come tutti. Nessuno si aspettava che un allenatore, malvagio o meno che fosse, potesse ordinare la morte di un Pokémon avversario per semplice fame di potere.
“Tu sei uno psicopatico! Hai ammazzato un Pokémon, Xander!” esclamò Gold
Marina osservava il tutto silenziosamente. La cosa l’aveva letteralmente scioccata, ogni volta che si ritrovava davanti a quell’uomo doveva somministrarsi dosi di violenza senza senso in quel contesto, in maniera esagerata. Aveva già visto Pokémon morire, ma quell’esecuzione era la prima volta che gli si parava davanti agli occhi. Le venne automatico stringere Vulpix ancora più forte, per proteggerla.
Xander si voltò verso Gold, come se non lo avesse mai visto. Poi inarcò leggermente un sopracciglio e sospirò. “Sei ancora vivo, stupido sacco di merda?! Christine avrebbe dovuto farti fuori stamattina!”.
“Duro a morire, la mia vita vale più di quella degli altri e difficilmente la perdo”.
“Ora non mi interessa ammazzare te! Ora mi interessano loro...” disse, voltando la testa verso i due anziani.
Immediatamente dalla scalinata apparvero decine di uomini, tutti vestiti come Xander e Christine, che ancora giaceva per terra. Accerchiarono chiunque non avesse la divisa del Team Idro, pronti a riempirli di manganellate.
“Appena in tempo” ghignò Xander.
“Dobbiamo andare via!” urlò Zoe, tirando Andy per il braccio. Il biondo continuava a guardare impotente il corpo del suo Pokémon, mentre decine di guardie stavano per avvicinarsi con il lecito intento di spaccargli le ossa del cranio. Fu un attimo, guardò Zoe ed interpretò le sue parole, quindi guardò Xander. “Ti ucciderò”.
Poi assieme a Zoe e Frank saltarono nel vuoto, per vederli infine volare lontani verso l’orizzonte buio sui loro Swellow.
“Voglio che dieci di voi inseguano quelle persone e tornino solo quando i loro colli e le loro teste non saranno più uniti. Altri cinque di voi si devono occupare di trasportare Christine alla base... Zoe, quella lurida stronza, l’ha conciata per le feste poverina. E gli altri mantengano quei due fermi e...”.
Marina s’attivò prima ancora di Gold.
“Il primo che osa avvicinarsi se la vedrà con tutti questi Pokémon Spettro”.
“E con le suole delle mie L.A. Trainer!” aggiunse il corvino.
Tuttavia un manico di coraggiosi si avvicinò lentamente verso il Dexholder ed il Ranger, titubando. Xander ghignò soddisfatto. Mosse pochi passi verso il centro, calciando con forza i resti del corpo di Houndoom, sporcando di sangue gli stivali.
Non sembrava interessargli. Salì poi gli ultimi scalini che lo divideva dai due anziani, fermandosi davanti all’altare.
I due anziani si nascondevano dietro il suo marmo ingiallito, nel vano tentativo di proteggere le sfere.
Xander prese una mazza di ferro che aveva legata alla schiena e con forza colpì l’ara quattro volte, sufficienti per distruggerlo. I suoi occhi erano spiritati, mostrava i canini ed una rabbia senza eguali mentre s’accaniva. Acqua e sudore si univano sulla sua fronte e scivolavano giù, tuffandosi infine dal mento.
Quando concluse l’ennesimo scempio della giornata si rese conto di non avere più barriere tra sé ed i vecchietti.
“Ora, datemi le sfere” fece calmo.
La donna era ormai in preda ad una crisi di pianto, mentre l’uomo cercava di mantenere invano la calma.
“N-no...” fece quello. La voce graffiata ed incerta per via della paura e della stanchezza ebbero soltanto l’effetto di far sorridere Xander.
“Voi dovete consegnarmi le sfere, oppure Kyogre distruggerà tutto fino a quando non incontrerà Groudon. E voi sapete cosa succederà quando Kyogre e Groudon si incontreranno di nuovo, vero?”.
“Preferisco che quei due s’incontrino piuttosto che consegnarti le sfere per il controllo dei leggendari”.
“Ma perché è così difficile questo lavoro?! Noi amiamo il mare, l’umanità deve essere cancellata! E per fare questo è Kyogre ciò di cui abbiamo bisogno!”.
Una lacrima scese sulla guancia rugosa del vetusto anziano.
Xander alzò con la mano destra la pesante mazza di ferro, quindi inarcò il sopracciglio.
“Preferisci davvero che ti spacchi le ossa piuttosto che consegnarmi la sfera che custodisci gelosamente?”.
Il vecchio titubò. “Dimmi un solo motivo per cui dovrei darti la sfera senza poi pentirmene”.
“In effetti moriresti lo stesso”.
Detto ciò abbassò con violenza la mazza, spaccando il cranio del vecchio come se fosse legno marcio. La moglie, pochi centimetri dietro le sue spalle, emise l’ennesimo urlo. Gold lo riconobbe, stringendo i denti per limitare le parole; quell’urlo era fratello agli altri che aveva sentito.
Il corpo del vecchio ora giaceva ai piedi di Xander. La Sfera Rossa, precedentemente stretta nelle mani di quello, adesso rotolava lentamente in direzione degli stivaloni di Xander. Lui, sempre col sorriso largo, si piegò un attimo per raccoglierla e la mise in un sacchetto di velluto che legò alla cintura.
Il suo sguardo poi si alzò verso la donna anziana. Stessa luce sanguinaria nelle pupille, stesso sorriso ampio.
“Non è possibile...” sussurrò Marina, guardando tutta la scena, attenta che gli scagnozzi in blu non si avvicinassero troppo. A quelle parole, l’istinto d’autoconservazione di Gold svanì. Si svincolò dal gruppone con uno scatto repentino, saltò i due gradini che immettevano nella zona dell’altare e, pronto a colpire, effettuò un gran balzo, quando venne letteralmente placcato da un armadio con le gambe. Questo intercettò Gold tuffandosi su di lui e sbattendolo, nell’atterraggio, contro le mattonelle di marmo. Prese quindi a colpirlo con pugni sul volto e sul petto.
“No! Gold!” Marina fece per muoversi e subito tre scagnozzi gli si gettarono addosso. “Duskull, Shuppet! Usate Malosguardo!”.
I due Pokémon illuminarono i loro occhi, ipnotizzando i tirapiedi. Altri due Shuppet e tre Duskull la seguivano, ma un’altra manica di cattivi le si parò davanti.
“Staraptor! Aiutaci!”.
Dal nulla apparve il Pokémon Uccello, che si gettò veloce sugli avversari, mettendone a terra un paio.
“Che diamine...” Xander fu per un attimo distratto dal baccano e si girò, sorpreso. Il suo pupillo, Boner, stava prendendo a pugni il ragazzo fastidioso mentre una ragazza magrissima stava tenendo testa a più di quindici scagnozzi. Guardò per un attimo il volto contrito di Boner che, prima di dare un pugno sul volto all’avversario ne riceveva uno altrettanto forte. Aveva il volto squadrato, i capelli neri corti, tenuti su con un codino alto.
“Lui è a terra, Boner! La minaccia è lei! La minaccia è la donna!” urlò furibondo. Poi si voltò, sospirando. “Le donne sono sempre la minaccia... Ma andiamo avanti. Signora...” Xander porse semplicemente il palmo alla signora. Lei lo guardò titubante, con il volto pesante distrutto dal pianto. Il singhiozzo s’alternava ai suoi ansimi.
“Perché?” chiese, con un filo di voce.
“Perché? Signora, al giorno d’oggi non si può sempre stare fermi e restare neutrali. Oggi bisogna schierarsi. Già, perché è in corso una guerra, la terra contro il mare. Le moderne tecnologie sono in grado di sfruttare la potenza di Pokémon come Kyogre e Groudon per aumentare la superficie terrestre. O per diminuirla... Innalzando il livello del mare possiamo garantire un habitat maggiore e più sicuro per tutti i Pokémon acquatici. Lei sa che noi tutti deriviamo dal mare?”
La signora schiuse le labbra, sottili e macchiate dal tempo, mentre pioggia e lacrime s’incanalavano nei solchi rugosi intagliati sul suo viso.
“Da organismi pluricellulari ad esseri umani. Noi siamo nati nell’acqua ed è lì che dovremo tornare! Dobbiamo riunirci al nostro elemento. Maggiore sarà il mare e maggiore dovrà essere il nostro spirito d’adattamento, atto a creare una nuova forma di vita! Saremo gli uomini del domani, se mi consegna la Sfera Blu!” esclamò Xander, con l’ambizione ed il desiderio a muovere la sua voce, a spalancargli gli occhi, proiettori azzurri di una realtà che avrebbe voluto realizzare.
“Ma c’è anche chi non è pronto al cambiamento e cerca di ostacolare il progredire della razza umana. Immagini che bello a creare città sottomarine, ad esplorare fondali bui e celati ancora dal mistero... Immagini quanti tesori potremmo trovare. Chi qui, sulla terraferma, era considerato uno straccione, un poveraccio, potrà provare a rivalutare la propria esistenza, potrebbe arricchirsi. Lo scenario è idilliaco, la prego, ne convenga, ma c’è qualcuno che vi attenta. E lei deve decidere se stare dalla nostra parte o da quella dei cattivi...”
La donna stringeva al petto la Sfera Blu con entrambe le mani, aprendo e chiudendo compulsivamente le palpebre. Il respiro era irregolare, il debole cuore pareva scoppiarle nel petto.
“È con me? O...” Xander si voltò verso Gold, puntando la mazza contro di lui. “...o con loro?”
Le labbra della donna tremavano ma sembrava che il discorso del ragazzo avesse attutito il pianto.
“Non gliela consegni!” urlò Marina. “Non gli dia la sfera!”
“Non le dia ascolto! Mi dia la sfera!”
La signora si vide convinta dalle minacce dell’uomo, alto e forte, e gli poggiò delicatamente la sfera tra le mani.
“No!” esclamò Marina. “Gold! Fa qualcosa!”. Marina poggiò delicatamente Vulpix sull’erba, quindi si guardò attorno, valutando le opzioni.
“Marina...” sussurrò quello, alzandosi lentamente, confuso ed ammaccato per la scazzottata. “Non... non...”
“Gold!”
“... È lì...” disse il giovane, prima di svenire nuovamente. Puntò il dito verso sud. Lo sguardo di Marina fu trascinato dal ragazzo al suo dito, infine al sacchetto che avrebbe dovuto portare al collo a pochi metri di distanza, poggiato sull’erba morbida.
“Gold! Pokémon, aiutatemi!” fece, riferendosi ai tipi Spettro che aveva attorno. Quelli s’avventarono sui manigoldi restanti che, vedendosi assaliti, presero ad urlare terrorizzati. Gli scagnozzi che erano un po’ più indietro fecero scendere in campo i propri Pokémon. Marina vide un paio di Crawdaunt, degli Zigzagoon ed un Linoone.
Marina s’avventò sul sacchetto; era in grado di vedere scie nere attorno ad esse, alcune provenivano dal corpo morto di Houndoom. Corse velocemente verso Gold e glielo poggiò sul petto. Intanto Xander rideva.
“Sì! La Sfera Blu è nelle mie mani!”. Sghignazzava proprio come un ossesso, tanto che la vecchietta si stupì di quanto potesse esser bipolare quel ragazzo. I suoi occhi, che per un momento erano stati vestiti di una calma convinzione, data dall’obbligo di convincimento che stava tessendo in quel momento all’interno della coscienza della signora anziana.
C’era riuscito, poteva tornare ad essere la piaga che era stata nell’ultima ora.
“Grazie Signora” fece, spingendo lo sguardo dalla sfera alla donna. “Ora non mi serve più”.
Bastò una spinta, debole peraltro, e la signora perse l’equilibrio, inciampando e cadendo giù dal pendio.
Marina strinse i denti, li digrignò, mancava poco che ringhiasse, intanto l’urlo della donna si protrasse per qualche secondo, prima di spegnersi in mare.
“Ed ora... ora che la Sfera Blu è nelle mie mani...” la alzò verso il cielo, la pioggia batteva forte ed i fulmini completavano quel concerto d’armonia naturale. “Ora il piano del Team Idro potrà compiersi! Forza Kyogre!” urlò. La Sfera Blu s’illuminò inondando di luce la vetta. Le grida di Xander erano a metà tra il dolore e la gioia, con quella stranissima sfumatura di pazzia.
La sfera era entrata nel suo corpo, assorbita inizialmente dalla sua mano. Xander sentiva quello strano potere attraversargli il corpo, come se scariche d’energia lo colpissero dall’interno più e più volte.
Le sue mani, poi, le sue braccia, tutto il suo corpo fu rivestito da simboli tribali blu. I suoi occhi si riempirono dello stesso colore.
“Dannazione...” faceva in lacrime Marina, spingendo il sacchetto sul petto di Gold, cercando di imitare i gesti fatti da Ester. Il corpo del ragazzo era colpito da saltuarie fitte che lo facevano tremare; i nervi sul collo e sulle braccia erano in bella vista, le tempie pulsavano.
“ORA, KYOGRE, CERCHIAMO GROUDON ED AMMAZZIAMOLO!”
Un tuono si abbattè a pochi metri dagli scagnozzi, ancora alle prese con i Pokémon Spettro.
“Ora andiamo” concluse Xander, tirando fuori la Pokéball di quello che si rivelò essere un Braviary.
Tutti quanti lo imitarono, chi con dei Golbat, chi con dei Pelipper, ed in breve la cima del Monte Pira ospitava solamente Gold, Marina ed il piccolo e lamentoso Vulpix.
“Gold... Forza! Lo so che mi senti! Dobbiamo andare ad acciuffare Xander! Ha la Sfera Blu!”   
“... Mar... Marina...” sussurrò lui, con i denti stretti.
“Cavolo!”.
La ragazza prese lo zaino di Gold e lo aprì. Dapprima cercò qualcosa che avesse potuto stabilizzare le sue condizioni, ma dopo aver trovato soltanto strumenti per Pokémon ed una rivista hot con ragazze nude capì che non avrebbe potuto fare più nulla lì; avrebbe dovuto raggiungere un centro medico, ed il più vicino era quello di Forestopoli, se non si contava quello di Porto Alghepoli che era stata distrutta dalla follia omicida dei pazzi in blu. Infilò Vulpix lì dentro e chiuse la zip.
E poi la terrà cominciò a tremare, e la pioggia riempì le crepe che si andavano a creare nel pavimento. Lastroni di roccia si staccavano dalla parete scoscesa della montagna, tuffandosi nel ripido pendio. Il mare accoglieva ciò che la montagna gettava, lo accarezzava nel suo abbraccio voluttuoso, lo raffreddava con le sue gelide acque e lo celava al mondo non appena esso toccava il fondale.
“La montagna crolla! Gold!”. Marina s’avventò sul ragazzo, alzandolo con forza. Il ragazzo a stento si teneva sulle gambe.
“...rina...” faceva, con la testa che gli ballonzolava in avanti, oscillando a destra e a sinistra.
“Non c’è tempo!”.
Una grande crepa nel terreno si muoveva: la cima si era spaccata a metà ed una gran parte della parete stava ora crollando.
Con i due sopra.
“Gold! Salta!”
Marina prese lo slancio, tirò quindi per mano Gold, ed insieme si tuffarono.
Mancava poco, il mare non era poi così lontano, quattro secondi, forse anche di meno, ed avrebbero toccato la superficie dell’acqua.
Ma sarebbero sopravvissuti?
 

 
 
 

 

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Capitolo 24
*** Capitolo Ventunesimo - Cani Sciolti ***


Cani Sciolti



Il sole quel mattino batteva prepotente su Ciclamipoli. Martino si guardava attorno, mentre quella città fantasma stentava a dare segni di vita.
“È ora di pranzo... eppure qui non c’è nessuno”.
Silver lo raggiunse poco dopo. “Sono scappati tutti verso Forestopoli. Credono di essere al sicuro lì”.
“Secondo quale fondamento scientifico?”.
“Non ne ho la più pallida idea e non mi interessa”.
“Solare come un fiore di campo, tu...”.
Fiammetta e Crystal si avvicinarono ai due, proprio davanti al tendone del Centro Pokémon, e si guardarono attorno. Ciclamipoli era ancora in piedi, seppure totalmente svuotata dalla vita dei suoi cittadini, più che giustamente impauriti da una possibile catastrofe.
Avevano camminato parecchio quel mattino, ma dovevano assolutamente raggiungere quanto prima Forestopoli.
“Perché siamo di nuovo a Ciclamipoli?” chiese Fiammetta, con le mani ai fianchi.
“Beh, ci si passa per andare a Forestopoli. Lì dobbiamo incontrare Gold e Marina. Inoltre così ho l’occasione per vedere come sta quel Seviper che ho salvato vicino Brunifoglia”.
“Hai salvato un Seviper?” domandò Martino.
“Sì. Era sotto un grande cumulo di rocce”.
“Bravissima” sorrise il Ranger, guardandosi ancora attorno. Il sole era nascosto dietro alle nuvole, ma faceva ancora parecchio caldo per quel periodo dell’anno. La via era letteralmente sgombra, qualche automobile era parcheggiata qui e lì, molte avevano i vetri sfondati.
Lo sciacallaggio era diventato un problema in quella città. Dopo la loro ultima visita s’era completato lo svuotamento della metropoli, in cui erano rimasti soltanto barboni e persone troppo povere per andare via. Subito dopo erano andate convergere in città particolari tipologie di persone che avevano vandalizzato il tutto, derubato gli scheletri delle case e cominciato a terrorizzare i pochi abitanti autoctoni rimasti.
Molti di questi, arrivati per lo più sulle loro motociclette, erano andati ad abitare abusivamente le palazzine della zona residenziale ad ovest della città.
I ragazzi camminavano lungo il viale che immetteva dalla Pista Ciclabile fino al centro di Ciclamipoli, naturalmente deserto.
O forse no.
Una forte folata di vento preannunciò quello che sembrava essere un gran temporale; esso si stava avvicinando da est, dalle zone del Monte Pira, ombra indefinita in lontananza. Per via del vento alcune ante sbatterono, facendo voltare repentinamente Fiammetta.
“Stai tranquilla” disse calmo Martino. “Avviamoci al Centro Pokémon. È proprio in fondo a questa strada”.
I due si avviarono avanti, parlando del rispettivo passato, mentre Crystal e Silver rimasero soli, quattro o cinque passi indietro.
La ragazza guardò brevemente il viso di Silver: impassibile, gli occhi erano ben aperti, a fissare ogni possibile movimento. I capelli erano smossi ad ogni singolo soffio di vento, portandosi verso il volto, all’altezza delle labbra.
La ragazza sospirò, quindi infilò il braccio sotto al suo e poggiò la testa sulla sua spalla.
“Oi...” gli fece poi.
“Che c’è?”.
“Perché sei ancora arrabbiato con me?”.
“Non sono arrabbiato con te...” sbuffò il ragazzo. “È che stavamo per catturare Groudon e poi è venuta quella ragazza”.
“Non dire bugie, ti conosco e so anche che è per quella situazione...”.
“Se lo sai allora è inutile che domandi”.
“Allora è vero”. Crystal storse le labbra.
“Cosa?”.
“Che sei arrabbiato con me”.
“Che vuoi che ti dica? Che sono felice per il fatto che tu mi abbia lasciato appeso in quel modo?”.
“Non ti ho lasciato appeso! Io...”.
“Come ti pare...”.
“Ti ho chiesto di aspettare, tutto qua”.
Silver non riuscì a celare il sorriso. “Non ha senso...”.
“Cosa non ha senso?!” si crucciò lei.
Lui si girò e la guardò, nei suoi occhi limpidi. “Non ha senso aspettare se entrambi... insomma...”.
“Hai ragione... Ma non voglio che sia soltanto una cosa fisica...”.
“Beh... Nemmeno io...”.
“Perciò vorrei aspettare...”.
“Hai ragione”.
Crystal sorrise e si allungò sulle punte, baciandogli una guancia. Lui seguì il suo sorriso e si girò, dandole un bacio sulle labbra.
Martino si voltò per un attimo, quindi si girò davanti repentino.
“... Si stanno baciando...”.
Fiammetta sorrise, continuando a macinare metri su metri, aggiungendo vari passi a quelli che già aveva poggiato sul suolo. “Lasciali stare”.
“Dovremmo adeguarci a loro, di questo passo” fece annuendo il Ranger. Repentina fu la risata di Fiammetta, che spintonò Martino.
“Sono anticonformista”.
 
Marina in quel momento aveva mille pensieri.
Primo tra tutti era quello di preservare la sua vita, dato che era in picchiata verso lo scrigno blu, attorno al Monte Pira. La cima stava crollando alle sue spalle, si stava lasciando andare anch’essa verso il mare, seguendo i ragazzi. Se Gold e Marina non avessero preso gli scogli al di sotto della montagna probabilmente sarebbero stati schiacciati dai massi e dai grossi faldoni di roccia che crollavano a causa del terremoto.
Il secondo pensiero andava a Gold, quel maledetto bamboccione oppure quel bamboccione maledetto, non faceva differenza. Se ne stava esanime e sofferente mentre precipitava dalla scogliera. Non avrebbe dovuto perdere di nuovo il sacchetto che lo proteggeva dalla macumba, altrimenti sarebbero stati guai davvero. Inoltre doveva preservare anche la sua di vita, e questa le sembrava la cosa più complicata.
Terza cosa, c’era il piccolo Vulpix. Probabilmente sarebbe andato fuori combattimento una volta immerso in quel grande quantitativo d’acqua a quella velocità, ma era il problema minore, protetto nello zaino di Gold.
Il vento attraversava i loro capelli, Gold aveva perso il berretto durante la picchiata e presentava la solita capigliatura spettinata.
“Dannata mammoletta! Svegliati!” urlava Marina, stringendo la mano del ragazzo dagli occhi d’oro.
L’impatto con l’acqua sarebbe stato tremendo se non avessero attuato la giusta posizione. Tirò il corpo di Gold a sé e gli si avvinghiò addosso. Gli dispose le mani in alto, sulla testa e pregò Arceus che tutto andasse per il verso giusto, quindi, a pochi metri dall’acqua, si dispose nello stesso modo.
E poi successe.
I loro corpi infransero la superficie dell’acqua, normalmente trasparente, quel giorno nera per via del cielo riflesso, dello stesso colore. Un altro tuono ricadde da qualche parte, ma Marina in quel momento era intenta a riprendere coscienza dopo il piccolo shock del contatto con l’acqua gelata.
Gold... Dov’è Gold?
Spalancò gli occhi e mosse le braccia. Niente le doleva, era tutto a posto.
Nel buio più che totale, in quel silenzio disturbato soltanto dalla pioggia che si abbatteva come una sassaiola sull’acqua, Marina scorgeva figure scure che si muovevano rapidamente.
Doveva trovare Gold.
Poi un luccichio dorato attirò la sua attenzione. Un debole raggio di luce si riflesse negli occhi del ragazzo, incosciente.
Gold. Devo salvare Gold.
Poi si voltò. La borsa affondava e con essa il piccolo Vulpix. Ora era in seria difficoltà.
Che fare? Chi salvare?
Gold. Devo salvare Gold. Era questo che continuava a ripeterle il suo subconscio, mentre la sua volontà era quella di non lasciarsi morti sulla coscienza.
L’ossigeno stava finendo, i polmoni bruciavano e intanto la pioggia colpiva la superficie sulla sua testa come proiettili.
Ma un altro rumore stava riempiendo lentamente la massa densa d’acqua che li circondava: il canto di una sirena.
La sua coda brillava di mille colori ed il corpo lungo e affusolato attraversava l’acqua marina con estrema facilità.
Milotic...
Marina controllò lo stato dello Styler, distrutto dall’impatto con l’acqua, con il risultato che non poteva catturarlo.
Tu ci devi salvare la vita.
Lo sguardo rapidamente ballava da un punto all’altro, da Milotic alla superficie, venti metri più in alto.
Aveva bisogno di respirare, necessitava di ossigeno, Marina, ma doveva salvare Gold e Vulpix. Poi
Milotic si voltò immediatamente verso il Ranger, nuotando veloce verso di lei. Sembrava aver capito le intenzioni della ragazza e le passò accanto, permettendole di afferrare il collo lungo ed affusolato.
Lo zaino scendeva sempre più a picco, verso le acque nere; piccole bollicine lo abbandonavano, salendo verso l’alto.
Se nel mare non ci fosse stata acqua ma vento, le sue lacrime sarebbero state strappate dalle lunghe ciglia davanti quegli occhi color nocciola. Era contro la sua natura lasciar qualcuno a morire.
Non poteva.
Strinse il collo di Milotic, a pochi metri dalla superficie ed indicò la lontana figura dello zaino che sprofondava negli abissi. Milotic sembrò non curarsene, si avvicinò a Gold e vide Marina lasciare la presa. Afferrò Gold per la felpa e prese a nuotare verso l’alto, molto ma molto lentamente, rallentata dal peso del ragazzo e dai vestiti bagnati che sembravano opporsi alla risalita.
I polmoni bruciavano, gli occhi anche ma doveva arrivare in alto, dove la pioggia avrebbe colpito le loro teste.
Gold pesava; era zavorra che riusciva lentamente a portare verso la superficie, ma non abbastanza quanto le bastava.
Restavano ancora una decina di metri, forse meno, le forze continuavano a disperdersi ed i polmoni sembravano esplodere. Davanti agli occhi solo quel blu scuro, così sfumato nel nero, e le bollicine che provenivano dalle bocche dei due.
Sentiva il canto di Milotic, secondo solo al battito incessante del suo cuore, le rimbombava nei padiglioni auricolari e nelle tempie e ad un certo punto gli occhi si chiusero e la bocca si aprì.
Solo il canto di Milotic e poi più niente, lo scrigno blu era sparito quando i suoi occhi si erano chiusi.
 
“Infermiera...”.
“Crystal, giusto?”.
I ragazzi erano entrati nella tenda medica al di fuori del centro medico. Lì due Fantallenatori sostavano in silenzio, guardando con attenzione tutto ciò che accadeva.
Martino li guardava fisso, l’infermiera aveva notato la cosa.
“Sono due allenatori professionisti. Sono dei volontari che vogliono preservare la sicurezza della zona est della città. Da quando c’è stato l’esodo, qui a Ciclamipoli lo sciacallaggio ed il vandalismo sono cresciuti a dismisura...”.
“Sono allenatori?” chiese Silver.
L’infermiera annuì. “In ogni caso siete passati qui per il Seviper, giusto?”.
Crystal sorrise e fece cenno di sì, alché la donna in camice si voltò, prese una sfera e la poggiò con delicatezza sul bancone di legno che la divideva dai ragazzi.
“Ecco qui. Era conciato parecchio male ma ora sta benone. Ha bisogno di strisciare e di fare esercizio, quindi fatelo stare il più tempo possibile fuori dalla sfera”.
“Quindi dovremo girare con questo pitone attorno?!” esclamò Fiammetta.
“Ah, ok, grazie!” sorrise Crystal, brandendo la sfera dal banco. Fece per voltarsi e vide Fiammetta parlare con i due Fantallenatori.
“Dei vandali stanno dando problemi?” chiese.
“Sì... La notte scorsa sono entrati nell’edificio vuoto dell’infermeria ed hanno strappato persino i cavi dal muro...”.
“Santo cielo... Devono essere fermati!” s’allarmò la rossa.
“Beh, sono giorni che ci stiamo provando, ma...”.
“Ci riusciremo! Andiamo Martino!” fece, prendendo per mano il Ranger e trascinandolo fuori.
“Che temperamento!” sorrise leggermente l’infermiera.
“Beh... Noi andiamo”. Crystal ringraziò ed uscì fuori.
Una volta che Silver ebbe attraversato la soglia vide Crystal far uscire Seviper dalla sfera ed avvicinarvisi.
“Ciao...” fece. Carezzò la pelle squamosa dell’enorme Pokémon. Questo guardava attentamente la sua allenatrice, con la lingua che pendeva dalle fauci.
Silver sorrise e guardò Martino e Fiammetta allontanarsi. Infilò le mani in tasca e si poggiò al muro di un palazzo pericolante a qualche passo dalla ragazza. La vedeva carezzare il Pokémon con amore, sorridere, le labbra rosee e tese a mostrare quel sorriso candido. Gli occhi celesti erano illuminati dalla vista del Pokémon mentre qualche capello le cadeva davanti allo sguardo e lei lo spostava con quelle mani piccole e sottili.
“Sei bella...”
Lei si voltò sorridente, quindi arrossì ed abbassò lo sguardo.
 
Martino era fin troppo rilassato: fischiettava tranquillo con le mani in tasca mentre calciava un ciottolo in avanti.
Fiammetta era irritata.
“La finisci?!”.
“Che c’è?!”.
“Basta fischiare”.
“Uff... A te non va mai bene niente! Piuttosto, i tuoi Pokémon sono pronti?”.
“Certo che sono pronti!” esclamò energica Fiammetta.
Il cielo era ormai di un grigio uniforme. Le nuvole non erano nemmeno definite, sembrava che quell’ammasso d’ovatta sporca potesse crollare di lì a poco.
“Come sei diventata Capopalestra?” chiese poi il Ranger.
Fiammetta lo guardò sorpresa, non aspettandosi questa domanda.
“Nonno... Lui era Capopalestra di Cuordilava prima di me. Poi è diventato vecchio e stanco. Mi guardò negli occhi e, prendendomi per mano mi disse che rivedeva in me la scintilla che aveva cominciato a bruciargli nel cuore. Fu una cosa bellissima per me”.
“Wow...”.
“Già, wow, Martino. Mi sono sentita al settimo cielo. Ma ero troppo giovane e l’inesperienza portò le persone di Cuordilava a non impazzire di gioia per me; questo naturalmente non mi aiutò. Poi successe quel fattaccio con il Team Idro, anni fa, e la cosa mi aiutò un po’, a livello d’autostima. Da lì ho cominciato a costruire ciò che sono oggi, ma spesso ricado in quella bara di depressione che... Bah, meglio non pensarci!” terminò facendo un gesto con la mano, come se spingesse lontano i cattivi pensieri.
Le prima gocce di pioggia presero a cadere sulle loro teste. Ciclamipoli era praticamente diventata grigia.
Accumularono pochi passi, l’uno dietro l’altro, quindi uno scricchiolio sinistro li fece voltare. Un vociare sommesso si sentiva in lontananza ed aumentava gradualmente.
Quando i due si girarono di nuovo si trovarono davanti, con estrema sorpresa, un branco di teppisti.
Tra uomini e donne, erano più di quindici gli aggressori.
Martino si guardò attorno. Nessun movimento, guardò il volto di Fiammetta, più stupito che altro. Mosse un passo avanti, poi si voltò indietro, cercando di scrutare, inutilmente Silver e Crystal.
Erano soli e tra i due solo la rossa possedeva dei Pokémon.
Un giovane avanzò smargiasso verso i due, con un ghigno sul volto.
Indossava pantaloni e giubbino di pelle, grossi stivaloni neri ed una maglietta bianca con su disegnato il logo dei Van Halen. Il volto era magro, gli occhi scavati con grosse occhiaie e portava una strana capigliatura: una cresta in stile moicano, color verde acqua.
Ghignava. “Cielo... Sei un Ranger?” disse sorridente, in maniera derisoria.
Fiammetta guardò Martino per un momento ed inarcò un sopracciglio, vogliosa di vedere come avrebbe reagito. Piazzò intanto una mano su di una Pokéball.
“Già. E voi siete i vandali che stanno distruggendo tutto?”.
“Non stiamo distruggendo nulla. Noi stiamo conquistando Ciclamipoli”.
Martino sorrise. “E così saresti un conquistatore?!”.
“Esatto, mettiamola così. E a me piace l’aggeggino che hai al polso, il tuo Styler. Me lo fai provare?”.
 “Sì, e dopo ti do anche tutti i soldi che ho, che ne pensi?” fece sorridendo, guardando Fiammetta. Ritornò a fissare la schiera che aveva di fronte e sospirò. “Hai un po’ di sale in zucca?”.
“Io sì, ma ho dubbi su di te. Perché non mi fai vedere?” chiese quello in nero.
“E me lo chiedi senza nemmeno avermi portato fuori una volta? Gli uomini di oggi hanno perso lo spirito d’iniziativa con le donne, è proprio vero: non sanno più corteggiare”. Sorrise e si voltò verso Fiammetta. “Tutta colpa vostra e di questa fame che avete! Saltate addosso agli uomini e nessuno sa più come fare quando si trovano davanti una signora per bene come me!”. Urlò stizzito e diede una spinta ad una Fiammetta divertita e sorridente.
“Hai voglia di scherzare, contanelli?!” urlò quello.
“Hai ragione, ciccio, perdonami... Come ti chiami?”.
“Io sono Mohawk, generale dei Sevii Bikers!”.
“Siete militarizzati?!”.
Mohawk sorrise, guardando una ragazza vestita in maniera fin troppo succinta per quei periodi. Aveva i capelli fucsia, i piercing alle orecchie ed al naso e masticava una gomma con il volto indifferente. “Sentito, Sonrisa, crede di prenderci per il culo... Beh. Vediamo un po’ cosa ne pensi se ti faccio conoscere il mio amico Exploud!”.
Davanti a lui si presentò quest’enorme esemplare: la bocca era spalancata, l’alito pestilenziale. Gli occhi erano enormi, rossi, mentre dalla sua testa spuntavano enormi escrescenze tubolari.
“Sentiamo se la musica adesso cambia!” rimbeccò di nuovo.
Martino si voltò per un attimo, cercando disperatamente qualche Pokémon da catturare con lo Styler, ma invano. Fiammetta lo vide e gli mise una mano sulla spalla.
“Lascia fare a me”.
Fece un passo avanti, lentamente. Gli occhi di tutti quei metallari le si erano puntati addosso.
“È Fiammetta!” urlò qualcuno dalle retrovie.
Mohawk sorrise, voltandosi per un momento, poi tornò a squadrare la donna che aveva davanti.
“Bene, allora vincerò la mia prima medaglia in palestra!” urlò, partendo a ridere in modo sguaiato, seguito a ruota dai suoi scagnozzi.
Fiammetta abbassò per un momento lo sguardo. Doveva riuscire a vincere quella sfida, non avrebbe potuto permettersi uno sconfitta.
“Ce la farai...” disse Martino.
“Sì! Vai Camerupt!”.

 

Angolo di un autore ubriaco la maggior parte delle volte:
Neanche oggi sono ciucco. Ma stasera birretta in compagnia (perché non sono né uno sbirro né una spia) e cerchiamo di dimenticare questo brutto freddo.
Niente, volevo semplicemente ringraziare tutte le persone che hanno letto e recensito questa storia fino ad ora e volevo comunicare che è su EFP il primo progetto dei Soulwriters, The Artist: Painted Pictures, una long abbastanza corta (sette, otto capitoli), scritta da me e Vespus.
Già è stato pubblicato il prologo (che vede per altro la presenza di alcuni personaggi che chi ha letto questa storia conosce bene) mentre il 7 dicembre uscirà il primo effettivo (e mielosissimo) primo capitolo, quindi fatemi sapere cosa ne pensate.
Ringrazio per l'attenzione, continuate a seguirci su questi canali!
Andy

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Capitolo 25
*** Capitolo Ventiduesimo - Hoenn's Crisis ***


Hoenn's Crisis



Il sole stava tornando a risplendere in quel di Porto Alghepoli, e deboli raggi di luce calda donarono un po’ di sollievo a Marina. Aprì gli occhi lentamente e piccoli arcobaleni si deformarono davanti alle sue iridi fino a svanire nel nulla. Il cielo non era terso ma le nuvole nere erano lontane.
Solo qualche cirro ovattato era rimasta ostinato a sporcare il cielo, tuttavia il sole era freddo, come l’aria che adesso baciava la sua pelle.
Davanti aveva la distesa marina, ancora le onde facevano la voce grossa ma in maniera assolutamente minore rispetto a poche ore prima.
I suoi vestiti erano totalmente fradici, i suoi capelli anche.
Gold...
Il respiro accelerò talmente tanto che i polmoni parvero scoppiarle nel petto. Si portò immediatamente in posizione seduta, affondando le mani nella sabbia bagnata.
“Gold!” urlò con voce roca. Tossì un paio di volte per far scendere quel groppone così scomodo e pungente, pareva un bolo di puntine metalliche e sassolini il suo.
 “Stai calma, Marina... Gold sta bene...”. Marina conosceva quella voce, ma non riusciva a capire a chi appartenesse. Si voltò a destra, e non c’era nessuno, poi si voltò a sinistra e la situazione era uguale.
“Sono qui, Ranger...” fece di nuovo la voce. Marina si voltò e vide Adriano alle sue spalle.
Marina fu stupita e ricollegò quel Milotic alla persona che aveva avanti.
“A-Adriano... Sei stato tu a salvarci?”.
“Già...” fece con viso sornione l’uomo, avvolto nel suo mantello bianco, proprio come un principe. “Vi lascio due minuti da soli e cercate addirittura di uccidervi... Voi dovreste essere la speranza per le persone di Hoenn...”.
“Gold dov’è?!” si alzò lentamente in piedi, con ancora tutta la sabbia bagnata attaccata alla schiena, alle cosce e ai polpacci.
“È a Porto Alghepoli... Nel Centro Medico”.
“Santo cielo... Sta bene?!”.
“Sì, ha solo un paio di dita della mano rotte... Niente di che, già ha provato a levarsi le fasciature”.
Marina sorrise. “Sempre il solito... Quindi sta bene?”.
“Sì. Lanette stava monitorando la situazione con il satellite ed ha visto interamente la scena dell’omicidio dei due anziani”.
“Quel vichingo ha preso le sfere...” sospirò la ragazza, a testa bassa.
“Sì, lo so, me lo ha detto. Tuttavia la storia si sta ripetendo, nuovamente. Ruby e Sapphire però non ci sono”.
“Beh, non li conosco... Non saprei esprimermi e... Ma aspetta! Il mio Styler è totalmente distrutto!” fece lei, alzando con rabbia il braccio destro. Pezzi grossi di plastica e metallo penzolavano attaccati alla scheda madre attraverso i connettori a fascia.
“Ora è inutilizzabile! Ed io sono totalmente inutile qui!” si lamentò lei.
“Non sai ripararlo?” chiese lui portando la mano al mento, in una posa totalmente plastica.  
“Saprei anche farlo, ma necessito degli attrezzi adatti! E quelli ce li ha Martino!”.
“L’altro Ranger. In questo momento è a Ciclamipoli”.
“Oh... Ancora?! Dovevamo vederci a Forestopoli!”.
“Beh, se ha detto così sarà così. Ora perdonami, ma devo scappare, cose improrogabili. Continuate a fare il vostro lavoro”.
“Sicuramente Adriano. Grazie per quello che hai fatto, ti dobbiamo la vita”.
“Tranquilla e vai da Gold”.
“Subito!” fece lei, andando verso il Capopalestra di Ceneride e stringendogli la mano.
 
“Exploud, usa Granvoce!” urlò Mohawk, puntando l’indice verso il Camerupt avversario.
Fiammetta e Martino cercarono invano di chiudere le orecchie con le mani ma il forte attacco del Pokémon Fragore li colpì lo stesso.
Come del resto colpì Camerupt, che si lamentò per il dolore. Fiammetta quindi sorrise, abbassando le mani dal capo, e prese a fare cenno di no con la testa.
“Mi aspettavo più forza a dire il vero. Non vi siete resi conto che avete davanti un’ex Capopalestra?!”.
“Beh, non eri niente di che, come Capopalestra...”.
Fiammetta sorrise di nuovo. “E secondo te quanto può interessarmi l’opinione di un moscerino come te?! So quanto valgo, e adesso te lo dimostrerò! Camerupt! Usa Terremoto!”
Martino sospirò, quindi prese in braccio il suo piccolo Pichu e fece qualche passo indietro.
Camerupt bramì, quindi la terra prese a tremare ed una grande spaccatura si formò, attaccando minacciosamente il Pokémon avversario.
Exploud vide la terra davanti a sé spaccarsi, aprirsi in una grande e tetra voragine. Dovette gettarsi sulla destra, ma cadde malamente, mostrando il fianco a Fiammetta.
“Ottimo! Vai con Lanciafiamme!”.
Camerupt spalancò occhi e fauci, riempiendo quest'ultima di caldo e rosso fuoco. Proprio come un lanciafiamme, l'attacco del Pokémon Eruzione si abbatté con forza e velocità impressionante, schiantandosi su Exploud. Gli occhi di Mohawk si colorarono di un caldo arancione mentre osservavano il debole tentativo di difesa da parte del suo Pokémon di difendersi, per poi essere sovrastato dalla forza di Camerupt.
Exploud ruzzolò per terra, per alcuni metri verso il suo allenatore.
"Ottimo Camerupt!" urlò entusiasta Fiammetta, stringendo il pugno destro.
Mohawk osservò il suo Exploud poggiarsi sui pugni e rimettersi lentamente in piedi.
"Forza! Portiamo questa lotta su di un altro livello! Forza con Sgomento!".
Il Pokémon Fragore respirò forte, riempiendo i polmoni ed emettendo un rumore sinistro dai suoi cannoni, poi sparì ed infine riapparve davanti all'avversario, facendolo sussultare.
"Ottimo, perfetto Exploud! Ora vediamo che resistenza ha il tuo Pokémon, a livello fisico! Usa Gigaimpatto!".
Exploud caricò il corpo di tutta la sua energia, i suoi piedi quasi affondarono nel terreno per la veemenza e la forza e subito dopo si schiantò contro Camerupt, abbattendolo.
"No! Camerupt!".
Il Pokémon di Fiammetta bramiva dolorante, steso su di un lato, mentre Exploud ansimava, senza energie: il colpo effettuato aveva prosciugato per un attimo le sue energie. Lei sapeva che doveva utilizzare una strategia vincente, quindi analizzò il suo Pokémon: Fuoco e Terra, il fuoco dentro di lui, la terra sotto il suo corpo.
Bastava poco.
Basta poco...
"Exploud, ce l'abbiamo quasi fatta! Basta poco!" urlò Mohawk, stretto nel suo giubbino di pelle.
"No! È a noi che basta poco! Camerupt, forza, usa Crescita!".
Camerupt si rimise in piedi quindi concentrò le proprie energie per accrescere il proprio corpo.
"Ottimo, ora vai con Ricciolscudo!" continuò la bella rossa, incrociando per un attimo lo sguardo preoccupato di Martino. "Stai tranquillo...".
"Devi attaccarlo! Non vedi che non riesce a muoversi!" esclamava quello.
"Beh, non è più così! Il mio Exploud ha una grande capacità di ripresa, ed ora è di nuovo in piedi!" rise Mohawk sguaiatamente.
Il suo Pokémon era provato ma riusciva a rialzarsi, nonostante lo facesse in maniera davvero lenta.
"Sfruttiamo la sua lentezza, Camerupt! Usa Maledizione!".
Exploud s'era alzato intanto e ciò riempì di sicurezza Mohawk, che non si curò della strana e misteriosa energia che stava riempiendo Camerupt. Un alone viola lasciava il suo corpo.
"Ottimo Exploud! Finiamolo! Corposcontro!".
Exploud sospirò, emettendo di nuovo quel rumore strano, si caricò sulle ginocchia e si lanciò, mettendo in avanti la spalla.
"Stai pronto, Camerupt! Usa Resistenza!" urlò Fiammetta, piena di grinta.
Camerupt abbassò il capo, ingobbendosi ulteriormente, quindi strinse tutti i muscoli del corpo non appena il suo avversario impattò contro di lui; la potenza dello schianto fece scivolare il Pokémon Eruzione quasi un metro indietro mentre stringeva gli occhi e i denti.
Spalancò poi gli occhi, attendendo l'ordine di Fiammetta, che non tardò ad arrivare.
"Camerupt! Vai con Eruzione!".
L'ennesimo bramito, l'ultimo di quella lotta, si alzò alto nella periferia di Ciclamipoli. L'assetto era basso, il Pokémon aveva la testa vicinissima al terreno bruciato dal Lanciafiamme lanciato precedentemente, e le gambe posteriori tese al massimo, in modo che i due vulcani che aveva sulla schiena fossero puntati sull'avversario. La luce che emanavano era forte, il calore anche, gli occhi erano diventati specchi rossi in cui Exploud rifletteva il volto preoccupato.
Sarà stato un sesto senso, insito nei Pokémon in generale, ma il Pokémon Fragore l'aveva capito.
Sarebbe stata dura resistere a quell'attacco.
Lava a sbuffi venne lanciata fuori, ceneri bollenti e nere si alzarono al cielo, oscurando il già debole sole, e lapilli incandescenti di varie dimensioni si riversarono contro il Pokémon avversario e la folta schiera di nemici, che scappò lontano.
Il rumore dell'eruzione s'avvicinò ad un boato sordo, che rimbombò forte in lungo e in largo. Fiammetta fu sicura che esso fosse stato udito anche da lontano.
L'attacco colpì in maniera brusca Exploud, che ricadde senza più energie davanti al suo allenatore.
Fiammetta aveva vinto. L'enorme boato portò tutti a percepire uno strano crepitio nelle orecchie, una sorta di fischio fastidioso che svanì pochi secondi dopo.
"Ora hai capito con chi avete a che fare?! Andate via da Ciclamipoli!" urlò Fiammetta.
Mohawk fece rientrare Exploud nella sfera, stringendo i denti.
"Hai vinto... Ma non ti libererai di noi così facilmente! Andiamo via!" fece quell'altro sovrastando con la voce la donna.
"Noi non andremo da nessuna parte!" si sentì, ancora più forte.
Fiammetta guardò Martino preoccupata: tra gli sgherri si stava facendo spazio qualcuno che sembrava avere nessuna buona intenzione.
 
L'acqua pulì dal suo corpo il sale ed il sangue ed il dolore e la stanchezza, attraversandola per tutta la sua lunghezza, carezzandole le curve ancora acerbe, o forse soltanto non sviluppate, terminando nello scarico.
Marina, chiusa nella fumosa cabina doccia del Centro Pokémon, aveva appena finito di fare la doccia.
Chiuse l'acqua con ancora gli occhi chiusi, per il fastidio che l'acqua insaponata le dava agli occhi, poi li strinse ed aprì la porta scorrevole della cabina; vi uscì, seguita dal vapore caldo ed amico, per poi avvolgersi in un soffice asciugamani bianco.
La sua pelle calda era baciata dai baci pungenti della temperatura che si tuffava giù.
I bagni dei Centri Pokémon erano tutti uguali, solite mattonelle bianche per terra, vernice azzurra alle pareti. Sanitari, vasca, doccia ed uno specchio.
Vi si pose davanti e con la mano pulì la condensa, per rendersi conto della figura dagli occhi scavati e stanchi che aveva di fronte.
Sospirò, avvolse l'asciugamano attorno ai seni e ne prese un altro, con cui cominciò ad asciugare superficialmente i capelli.
Era davvero provata. Non erano passate nemmeno dodici ore, forse l'orologio aveva funzionato per sei ore prima che lei si ritrovasse in quel bagno a rimuginare sulla situazione.
A loro servivano le sfere, che adesso erano in mano a quel folle. Inoltre il suo Styler era inutilizzabile e ciò stava a significare che, fino a che non avesse incontrato Martino, il quale possedeva gli attrezzi per ripararlo, dovesse fare affidamento sul suo compagno di viaggio, sull'umoralissimo e maledetto Gold.
Maledetto per forza di cose, s'intendeva; nonostante tramite quella convivenza forzata, cominciata appena ventiquattr'ore prima, si fosse leggermente affezionata a lui, viveva addosso sentimenti contrastanti. Le cicatrici del passato le bruciavano la pelle ed i ricordi presero a riaffiorare con una prepotenza quasi unica, spostando ogni qualsivoglia spunto mentale si fosse sedimentato.
Ricordava ancora quegli occhi, le lacrime del ragazzo, tutti i bicchieri fracassati.
L'asciugamani cadde, sotto il seno candido ancora deturpava il suo corpo quel segno, quell'anatema, che era costretta a portarsi per sempre addosso.
Rialzò il telo, finì di asciugarsi ed infilò un pantaloncino ed un reggiseno sportivo per poi uscire dal bagno della stanza in cui Gold era stato ricoverato temporaneamente.
Era scarna, qualche macchinario spento era stipato nell'angolo accanto al letto. Questo aveva un materasso parecchio sottile, con coperte e lenzuola bianche.
Un cassetto di metallo, un armadio dello stesso stile e tende bianche davanti alla finestra.
Davanti ad essa c'era Gold, in piedi, scalzo e senza maglietta.
"Hey... Sei vivo" sorrise Marina. Quello voltò prima il capo, annuendo serio, poi il corpo seguì la testa.
"Sì, sono vivo e sto bene".
Il sacchetto pendeva sul suo petto, in cui una grossa croce violacea sembrava pulsare, con la volontà di uscire fuori.
"E questa cos'è?" fece, avvicinandosi lentamente. Lui era silenzioso, con lo sguardo stanco, la vedeva avvicinarsi, con gli occhi spalancati ed i capelli bagnati. Allungò le dita delicate, fino a toccare leggermente il suo petto: la croce era fredda, il sangue sembrava evitare quel punto.
"Fa male?".
"Ora no. Il sacchetto mi sta aiutando, suppongo".
La ragazza alzò gli occhi, passando dal guardare il fisico asciutto di Gold ai suoi occhi dorati. I capelli erano tirati indietro ed avevano preso una strana piega.
"Come stai?".
"Ho detto che sto bene...".
"Scusami, non ti alterare".
"Non mi sto alterando..." disse il ragazzo, facendo qualche passo indietro. Lei abbassò la mano, ancora alzata verso il petto di quello, e fece qualche passo indietro.
"Sei strano... Non hai voglia di scherzare o di prendermi in giro".
"Non è il momento. Anzi, dovrei ringraziarti, per quello che hai fatto sul Monte Pira: Adriano mi ha detto tutto".
"Già, Adriano. A proposito... Dov'è?".
"Aveva da fare, è andato via".
Poi calò un silenzio imbarazzante. Marina infilò una maglietta e si sedette sul letto di Gold, tirando i piedi sul materasso.
"Ho paura" disse Gold.
Marina si voltò repentina e lo guardò. "Che significa? Che significa che hai paura?".
"Ho paura che mi succeda qualcosa, Marina".
"Non sembri tu..." esternò quella, alzando un sopracciglio.
"Già, e la cosa mi sconvolge. Questa croce, questa che ho qui sul petto... Quella donna mi ha lanciato una maledizione, ed io non so come far andare via questa cosa...".
Marina sorrise e si alzò di nuovo. Gli prese la mano, combattendo contro l'odio represso che aveva nei suoi confronti, e gliela strinse. "Non avere paura...".
"Pare facile. E comunque non sei tenuta ad essere gentile con me".
"Infatti non lo faccio perché sono tenuta; lo faccio perché non ti ho mai visto in questo stato... Appena ti ho incontrato, ieri, mi è sembrato che avessi in mano la capacità di far saltare in aria il mondo...".
Gold sorrise. "In effetti sembrava così anche a me".
"Ed ora invece ti spaventi".
"Sembrerà strano, ma anche io sono un essere umano".
"Brutta razza, quella".
Entrambi risero. Marina vide gli occhi di Gold riempirsi di calore.
"Marina?".
"Che c'è?".
"Sei magra. Sei troppo magra. Se ti mettessi davanti ad una lampada potrei farti una radiografia".
La ragazza inarcò un sopracciglio. "Forse ti preferivo prima, quando non eri stronzo".
 
Adriano s'accomodò nella sua poltroncina di pelle blu, accavallando le gambe. Il buio in quella stanza era tanto, e soltanto piccoli faretti a campana illuminavano scampoli del tavolo con sopra fotografie e documenti.
Alice era in piedi, davanti ad un grande telo su cui probabilmente sarebbero stati proiettati dati ed immagini, mentre seduti al tavolo c’erano tutti i Capopalestra di Hoenn.
Più o meno tutti... Petra e Rudi erano morti, Fiammetta aveva abbandonato la barca e Normann non si era presentato. Lì presenziavano soltanto gli stessi Alice e Adriano, Tell, con sua sorella Pat e Walter.
Inoltre verso l’estremità più lontana del tavolo vi erano i Superquattro e, a capotavola, il Campione Rocco.
“Allora... Ci siamo tutti, credo...” fece quella, sbuffando e levando il casco da aviatrice che possedeva. Lo poggiò sul tavolo e fissò per un momento Adriano.
“Fa sempre più caldo, ma poi fa subito freddo... Questa situazione è strana da gestire. Groudon e Kyogre si sono risvegliati, di nuovo, ma prima non era così” si lasciò andare ad un piccolo spunto che non aveva studiato nel programma di quella riunione straordinaria. Tornò quindi a guardare un punto indefinito, molto vicino alla testa di Rocco, anche se lei non poteva vederlo perché abbagliata dalla luce del proiettore.
“Allora, cerchiamo di fare un quadro completo della situazione” disse, prendendo un telecomando. Cliccò, ed apparve una fotografia dall’alto di Albanova.
“Qui, tranne qualche cedimento strutturale di alcuni vecchi edifici non è successo nulla. Mi preoccupa di più il crollo di molti alberi del bosco e la formazione del grosso cratere da cui è uscito Groudon”.
Clic.
“Solarosa. Qui nulla di nuovo, sembra essere stata graziata”.
Clic.
“Petalipoli ha risentito di qualche terremoto, i più forti, c’è stato il crollo di qualche palazzina datata verso la metà del secolo scorso... Normann oggi non è presente, e nessuno ne sa il motivo” puntualizzò.
Clic.
“Ferruggipoli è stata totalmente rasa al suolo. L’attività sismica ha portato al crollo del tunnel Menferro e dell’Università, e di conseguenza alla morte di Petra, pace all’anima sua”.
Clic.
“Bluruvia non esiste più. È stata totalmente sommersa da una grande onda e da un improvviso innalzamento delle acque. Il corpo di Rudi è stato ritrovato esanime”.
Clic.
“Porto Selcepoli ha risentito degli stessi effetti di Bluruvia. Niente più”.
Clic.
“Ciclamipoli è stata in parte graziata. L’attività sismica ha fatto cedere qualche vecchio edificio, ma il problema sta nel grande esodo che ha colpito la città, e la conseguente convergenza di persone... ehm... difficili”.
Clic.
“Mentania ha un grande cratere al centro del paese, assai pericoloso perché ricolmo di magma. È praticamente un vulcano”.
Clic.
“Cuordilava è stata sommersa totalmente dall’eruzione del Monte Camino. In quest’ultimo si sono aperti diversi nuovi crateri. Mi spiace come Fiammetta non sia riuscita a gestire la situazione, ma non era facile”.
“Quella è un’incapace” sorrise Fosco.
“Zitto” tuonò il Campione, gettando un’occhiata d’argento nella direzione di quello.
“Sì... Poi... Brunifoglia. Sommersa dalla colata lavica e dalla pioggia di tufo. Le Cascate Meteora sono totalmente distrutte”.
Clic. Il proiettore si spense, e le luci si accesero.
Adriano guardò serio negli occhi di Alice.
“La parte insulare di Hoenn, se si leva Bluruvia, è ancora integra. Sembra che Groudon e Kyogre siano concentrati sulla parte ovest della regione. A distruggere l’est, invece, ci stanno pensando il Team Idro ed il Team Magma”.
“Di nuovo?!” esclamò Walter, inarcando un sopracciglio e battendo un pugno sul tavolo. “Non muoiono mai?!”.
“Già, non muoiono mai, Walter. Porto Alghepoli è stata dilaniata dal Team Idro, in maniera piuttosto radicale. Il Team Magma si è, come dire, limitato ad annullare ogni effetto della cattura di Groudon da parte dei Dexholders di Johto”.
“Quelli sono totalmente incapaci...” sbuffò di nuovo il Superquattro di tipo Buio.
“Fosco...” lo riprese nuovamente Rocco.
“Hanno aspettato che i tempi fossero maturi per appropriarsi delle sfere, ovvero hanno aspettato il risveglio di Kyogre, per poterlo controllare senza rischiare che la manipolazione non avvenisse. Hanno portato Groudon tramite un marchingegno verso la parte sudovest di Hoenn per farlo entrare nel territorio di Kyogre. Non si hanno più notizie di nuovi avvenimenti riguardanti questi due team e...”
“Non è così”. Il silenzio si abbassò velocemente. “Purtroppo ho delle notizie”.
Tutti si voltarono verso Adriano.
“Sono cose di poche ore fa, la coppia di anziani che proteggevano le due sfere è stata uccisa. C’è stato un duro scontro tra Team Idro e Team Magma sulla cima del Monte Pira, che ha coinvolto anche uno dei tre Dexholders arrivati da Johto, ed un Ranger di Oblivia. Sono salvi per miracolo. A quanto pare il Team Magma è molto più riflessivo, guidato sicuramente da una persona intelligente, piena d’ingegno”.
Alice ascoltava attenta, fissando le labbra dell’uomo, passando ai suoi occhi, tornando alle labbra e ripetendosi di dover rimanere concentrata.
“Il Team Idro invece è composto da pazzi squilibrati. È stato uno dei tenenti della formazione Idro ad aver ammazzato i vecchietti. Sono stati loro ad aver distrutto Porto Alghepoli. Ed ora sono loro ad avere entrambe le sfere, sia la rossa che la blu”.
Il silenzio calò per un momento, riempiendo d’angoscia i loro stomaci.
“Siamo di nuovo in balia di queste persone?” chiese Pat, cercando nel fratello appoggio.
E poi Drake sbatté forte i pugni sul tavolo; l’eco riverberò per parecchi secondi. “No! Non è così che si ragiona! Noi non siamo in balia di queste persone! Sono loro che se la dovranno vedere con noi! Di nuovo!”.
Ognuno prese a dire la sua al vicino di sedia creando chiacchiericcio inutile e fastidioso, quando Alice si schiarì la gola, zittendo magicamente tutti gli altri.
“Credo che bisogna agire prima che accada l’irreparabile. Ed i Dexholders in questo senso ci aiuteranno”.
Fosco sospirò. “Non penso che questi ragazzi riescano nell’impresa, di nuovo. Con Ruby e Sapphire siamo stati fortunati, ma è la competenza ciò che cerchiamo”.
“Fosco, Crystal è una ricercatrice specializzata nelle catture dei Pokémon, Silver è un fortissimo allenatore, e Gold ha la il carattere e la verve che servono a maturare un rapporto d’acciaio con i suoi Pokémon, rendendolo speciale. Non dimenticare che è stato il Professor Samuel Oak a consegnare loro i Pokédex, che sappiamo essere oggettini non da niente...” puntualizzò Alice.
“Bene, se proprio vogliamo parlare di loro, mi sto chiedendo per quale motivo i tuoi tre qualificatissimi ragazzi non hanno risolto ancora l’intera situazione. Siamo rimasti ad Iridopoli, io, Drake e Frida, quando in realtà, assieme ad Ester, saremmo i più qualificati per riportare le cose alla normalità!”.
“Non funziona così, e lo sai bene. Ognuno ha una zona su cui mantenere il controllo, e voi Superquattro siete destinati a supervisionare su Iridopoli”.
“Ma la gente soffre e sta male anche lontano da Iridopoli!”.
“Ognuno ha il proprio ruolo”.
“Ma probabilmente non tutti se lo meritano! Vedi Fiammetta!”.
Rocco guardava stupito la scena, sempre imbevuto nella sua glaciale calma.
“Vedo Fiammetta, che adesso sta lottando con Crystal e gli altri ragazzi!” finalmente esclamò stizzita Alice.
“Non è così che deve funzionare! Noi Superquattro siamo più forti di qualsiasi allenatore, levando Rocco, che è il Campione. Siamo quindi anche più forti di qualsiasi Capopalestra!”.
“Fosco...” Frida cercava di placare i bollenti spiriti dell’uomo.
“Non rimarrò qui a guardare come tutto va a puttane, Frida!” si alzò ed uscì fuori, sbattendo la porta con violenza, lasciando una stanza in cui prese ad aleggiare forte sgomento.
“Come dobbiamo agire?” chiese poi la stessa Frida, sfregando le mani nei guanti bianchi, fissando Alice.
“Qui... qui non posso mettere bocca. Qui tocca a Rocco parlare. Il Campione è lui”.
Tutti i volti si spostarono da destra a sinistra.
“Beh, i Dexholders stanno lavorando sodo per riuscire nella cattura dei leggendari. Il problema qui è che non c’è soltanto un ostacolo: noi non dobbiamo dimenticare che tutto ciò è nato per via di una profezia di Arceus ad Adamanta, un’isola parecchio distante da Hoenn...”.
“Non vedo cosa c’entri...” puntualizzò Drake. “Vuoi che andiamo lì a salvare la gente di Adamanta?!”.
“No, non voglio questo. Voglio che capiate che la cosa è probabilmente estesa anche all’esterno di Hoenn. C’è da stare attentissimi, è Arceus ad aver aizzato Groudon contro di noi”.
Silenzio.
“Ognuno continuerà ad occuparsi della sua zona, ad eccezione mia, di Adriano, che è coperto da Rodolfo e che quindi può dare una mano, e di Alice, che è la coordinatrice del gruppo. Mi sembra tutto chiaro, no?”.
Tutti annuirono.
“Bene, riunione aggiornata. Fate del vostro meglio”.
 

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Capitolo 26
*** Capitolo Ventitreesimo - Tra l'incudine ed il Martello ***


Tra l'incudine ed il martello



“Sicuro che stai bene?”.
“Sì, Marina, te l’ho detto, sto una meraviglia”.
“Ed il sacchetto?”.
“Il sacchetto è sul mio petto”.
“E la croce viola che si è formata?”.
“Un momento... Il rompiscatole sono io, qui. Che diamine stai facendo?!”.
“Non sto facendo niente, è che mi hai fatto prendere una paura assurda”.
“Oh, mammina...”.
“Ma smettila, cretino!”.
Marina spintonò Gold, che rispose con un ampio sorriso. “Eddai, scherzavo...”.
Pioveva di nuovo, ma dalle parti di Forestopoli pioveva sempre. Erano passati davanti al Monte Pira, al corpo monco di quello che era il Monte Pira; entrambi rivissero addosso quelle sensazioni di paura, di smarrimento, quel vuoto nello stomaco prima, durante e dopo il salto.
Erano ancora vivi però.
“Sicuro che stai bene?”. La voce di Marina veniva sovrastata dalla pioggia che scendeva giù forte, e in ogni caso uno sguardo scocciato di Gold fu bastevole per estinguerla.
“E Vulpix?” chiese lei, all’improvviso.
Gold si fermò, mentre la pioggia cadeva inesorabile sulle loro teste.
“Vulpix...”.
“Era nella borsa” aggiunse Marina.
Il volto del ragazzo si abbassò. “La borsa è caduta in acqua, ed il Milotic di Adriano l’ha recuperata dopo diversi secondi... Inoltre il Pokémon era di tipo Fuoco e... beh, era un cucciolo”.
Marina spalancò gli occhi, ed una piccola lacrima s’incastrò tra le sue ciglia.
“Che vuoi dire?”.
“Che... Beh...”.
La lacrima scappò, si tuffò sul viso della ragazza, quindi Gold allungò il braccio verso di lei.
“No!” esclamò lei, raggiungendo con una lentezza quasi dolorosa la mano del ragazzo. Non poteva concepire la morte di un Pokémon, non riusciva a credere che fosse davvero affogato, intrappolato nello zaino in cui lei stessa l’aveva rinchiuso.
E poi Gold sorrise, lasciando cadere nel palmo della mano della ragazza una sfera.
Marina non capì, in quel momento il suo cervello andò in crash, con conseguente riavvio di sistema.
“Che cos’è?”.
“Il tuo Vulpix, Ranger da strapazzo...”.
Marina strinse la sfera, incredula, non riuscendo a comprendere ancora per bene ciò che stava succedendo. Fece uscire dalla sfera il Pokémon, attestando effettivamente che il suo contenuto fosse quel Vulpix.
“Cosa...”.
“Tutta fortuna, non credere... Durante la caduta, probabilmente ha urtato quelle Pokéball e si è lasciato catturare”.
“Ma io non...”.
“Cosa tu non?!”.
“Una cosa alla volta, aspetta”. Poggiò nelle mani di Gold la sfera. Lui era tutto sorridente, felice di aver sorpreso la ragazza così inaspettatamente, a maggior ragione perché la sua interpretazione della finta morte del cucciolo era stata davvero convincente.
Marina prese un respiro, quindi alzò lo sguardo verso di lui.
“Ma sei totalmente fuso?!” urlò, dandogli una forte spinta che lo fece cadere nell’alta erba bagnata.
“Marina!”.
“Marina un corno! Mi hai fatto prendere una paura terribile che fosse successo qualcosa a questo cucciolo di Vulpix e poi te ne esci con questa cosa!”
“Ma dai, volevo farti uno scherzo! Avrei potuto fare di peggio!”
“E poi questo non è il mio Vulpix. Io non l’ho catturato. Io non catturo i Pokémon”.
Gold si alzò, cercando di darsi una pulita. I suoi pantaloni, aderenti fino al limite della resistenza umana, erano totalmente fradici. “Questo è tutto ciò che hai dal momento in cui il tuo Styler è rotto”.
“Ma io...”.
“Niente ma. Ed ora andiamo... Se reagisci così quando ti fanno una sorpresa immagino cosa farai quando qualche folle masochista ti chiederà di sposarlo”.
 
Dopo aver udito l’enorme boato derivato dall’attacco Eruzione di Camerupt, Silver e Crystal, seguita dal suo Seviper, si erano precipitati verso la parte ovest della città, dove Martino e Fiammetta si erano diretti qualche decina di minuti prima.
“Che sta succedendo?” si chiese preoccupata la ragazza, stretta nella sua giacca a vento.
“Sembrava l’attacco di un Pokémon”.
“Già, è vero... Fiammetta!”.
“Sì, sicuramente starà avendo uno scontro con i vandali”.
“Dannazione! È incredibile che la gente possa speculare in qualsiasi modo su queste cose! Invece di aiutarci a catturare Groudon!”.
“E Kyogre, Chris...”.
“Sì, anche Kyogre”.
Silver sospirò, sentendosi leggermente a disagio per via del grosso rettile che gli strisciava alle spalle. Poi si voltò e scattò una piccola istantanea del volto preoccupato e concentrato di Crystal: anche in quella situazione, in cui la mente era sotto stress e la voglia di tranquillità imperava tiranna, Silver riusciva a bearsi delle gote rosee e delle bellissime labbra della ragazza.
Si voltò in avanti, scorsero le figure di Martino e Fiammetta.
“Eccoli lì” fece il ragazzo.
Qualche decina di metri avanti il Ranger era abbastanza preoccupato: la grande schiera che si contrapponeva a lui ed a Fiammetta si stava lentamente aprendo a metà, facendo passare una figura.
Era un uomo, alto, parecchio muscoloso, sembrava un armadio. Indossava una felpa grigia, di quel grigio chiaro, con in testa il cappuccio.
Il volto era abbassato, i pugni stretti; quell’uomo emanava potenza.
“E tu chi sei?” chiese Fiammetta.
Il vociare delle decine di persone che sostavano in silenzio svanì veloce, e solo i passi dell’uomo risuonavano pesanti mentre calpestavano il terreno sotto i suoi piedi.
“Io sono Grey, il leader dei Sevii Bikers”. La testa dell’uomo era ancora bassa, ancora non si scorgeva il viso dell’uomo. La sua voce era profonda e di tonalità molto bassa.
“Non mi interessa chi siete” tuonò Fiammetta. “Voi dovete abbandonare questa città”.
Grey rimase in silenzio, immobile. Mohawk e gli altri attendevano una sua qualsiasi mossa.
“Noi siamo qui per uno scopo” disse l’uomo.
“Vandalizzare e spaventare dei poveri sventurati?!”.
“No. Stiamo cercando la Lacrima di Giratina”.
“E che diamine sarebbe?!” esclamò Martino.
“Non credo siano vostri problemi. Dopo controlli approfonditi qui a Ciclamipoli non siamo riusciti a trovare nulla, perciò ce ne andremo. Ma semmai vi trovassimo sulla nostra strada nuovamente mi occuperò personalmente di spezzarvi braccia e gambe”.
"Ma... Grey!" urlò la ragazza accanto a Mohawk.
"Tranquilla Sonrisa, fate come vi dico. A Ciclamipoli ed a Mentania non c'è alcuna traccia della Lacrima di Giratina".
"O-ok" fece la ragazza dai capelli fucsia. Poi si voltò, assieme a tutti gli altri e si avviarono verso le decine di motociclette di alta cilindrata, che si accesero all'unisono con un rombo molto forte.
Poi infilarono i caschi e, uno ad uno, tutti dietro Grey, si diressero fuori CIclamipoli.
Tra cappe di fumi di scappamento e polvere, Fiammetta e Martino si sentirono chiamare.
"Ragazzi!". Era la voce di Crystal.
I due si voltarono, vedendo arrivare i ragazzi di Johto. "Chi erano quelli?!" chiese curiosa la ragazza dagli occhi del colore del cristallo.
"Era un gruppo di bikers" rispose Fiammetta. "Al contrario di ciò che pensiamo non erano qui per vandalizzare Ciclamipoli, quanto per cercare un oggetto strano..."
"L'hanno chiamata Lacrima di Giratina..." aggiunse l'altro.
"E cosa sarebbe?" domandò Silver, più serio che mai.
"Non ce l'hanno voluto spiegare. Fiammetta ha dovuto combattere contro uno di loro, poi è venuto il loro capo, ci ha minacciato un po' ed ha finito per andarsene.
Tutti annuirono, avevano capito. Un attimo di silenzio li vestì d'imbarazzo.
"Vogliamo per cortesia raggiungere Forestopoli? Gold sarà lì già da un pezzo!" fece Crystal, ricevendo di richiamo uno sguardo da parte di Silver.
"Aspetterà".
 
La pioggia continuava a scendere forte.
"Siamo quasi arrivati a Forestopoli, Gold".
"Qui piove sempre...".
Gold e Marina proseguivano il loro avvicinamento verso la città degli alberi, avanzando a grandi passi nell'erba alta.
"Di Groudon ancora nessun segno..." sospirò Marina, stringendo nel petto il piccolo Vulpix, chiuso nel giubbino.
"E lo so... In compenso abbiamo già incontrato i portatori di dita negli orifizi posteriori. Quelli rossi e quelli blu; Sembra una partita di calciobalilla".
Marina sorrise. "Stupido".
"Quel team Idro... Quelli sono totalmente squilibrati...".
"Basano tutto sulla forza bruta a quanto pare. Sul dolore".
"Invece quelli rossi, quelli buoni...".
"Tu credi che siano buoni?".
"Assolutamente! Non hai visto che andavano contro Christine e Xander?!".
"Oh, sì, certo che l'ho visto. Ma potrebbero avere obiettivi comuni, e combattere tra di loro. Potrebbero anche essere meno cattivi, ecco. Ma... Beh, ecco. Non bisogna fidarsi di nessuno".
"Potrebbe essere. Ciò che conta, adesso, è arrivare a Forestopoli ed incontrare Crystal e Silver".
"E Martino".
"Sì, il puffo blu...".
"Lascialo stare, il mio fratellino" sorrise lei. "È... un tipino".
"Non mi piace".
"Sembra essere reciproco".
"Alla fine lo conquisterò. Io conquisto tutti. Ho conquistato anche te".
"Non hai conquistato proprio niente...".
Gold sorrise e la strinse. "Tu sei rimasta ammaliata dalla mia forza e dalla mia bellezza, non dire cacchiate...".
"Appunto. Non dire cacchiate".
"Non dico cacchiate. All'inizio mi odiavi".
"Ti odio ancora, sostanzialmente... È che vederti mentre soffrivi... mi ha fatto strano".
"Oh, che dolce la mia mammina...".
Lui le baciò la fronte e la sentì sospirare.
"Che c'è?".
"Davvero non ricordi nulla?".
Lui si fermò, guardandola negli occhi, mentre la pioggia continuava a cadere sulle loro teste.
"Cosa dovrei ricordare?".
"Gold... Non ti ricordi la mia faccia?".
"Non mi ricordo assolutamente nulla! Di cosa parli?!".
"Parlo di...".
Vulpix guaì, interrompendo Marina.
"Ha fame" fece lei. Si guardò attorno, si avvicinò ad un albero di Baccamela, ne strappò un frutto e lo avvicinò al muso puntuto del cucciolo. Quello prese a morderlo lentamente.
"Sei bravissima nel capire i Pokémon".
"Fosse così semplice anche per gli umani...".
"In realtà non ci vuole molto... Basta soltanto osservare".
"Che cosa?".
"I gesti... Gli sguardi, le parole... Tutto lascia trapelare uno stralcio di... Di anima".
"Anima?".
"La vera essenza delle persone è l'anima".
"Ma che diamine ti sta succedendo?!".
"Non mi sta succedendo niente, puffa baldracca".
Marina sbuffò. "Ma perché ogni volta che sembri una persona più equilibrata te ne esci con un'offesa?!".
"Perché altrimenti potresti credere che sono una personcina a modo...".
Lei rise. "Non c'è assolutamente pericolo".
"Bah. Andiamo avanti".
S'incamminarono di nuovo, passando davanti al Grottino solare. Dovevano attraversare solo il ponte, pochi altri metri e si sarebbero trovati davanti i grandi alberi di Forestopoli.
“Qui fa particolarmente caldo...” sospirò Gold, allargando con un dito il colletto della felpa.
“Hai ragione. E quello chi è?!”.
Un ragazzo, alto, dai capelli biondi e ben pettinati da una parte, urlava contro un Absol.
“Smettila di abbaiare in questo modo, Absol!” faceva, mentre la pioggia continuava a battere.
Marina si avvicinò al Pokémon bianco, carezzandogli il pelo morbido.
“Che succede?” chiese, tuffandosi per un attimo negli azzurrissimi occhi dell’estraneo.
“Non ne ho idea!” rispose quello. “Sta abbaiando da due minuti e non vuole farmi proseguire”.
“Beh, gli Absol non devono essere sottovalutati... Hanno la capacità di predire le catastrofi”.
“Non ne ho idea... Comunque io sono Raymond, Raymond Vernon, e sono uno Scoprirovine”.
“Cosa?!” esclamò Gold, interessato. “Ci sono delle rovine da queste parti?!”.
“Così si dice. Sembra che uno dei tre golem di Hoenn viva in una strana grotta da queste parti”.
Gold guardava con occhi e bocca spalancata, carico di meraviglia.
“Si chiama Registeel” aggiunse Raymond “Ed io sto andando alla sua ricerca perché vorrei catturar...”.
 
Ma poi la terra tremò.
Forte, molto forte.
Davvero molto forte, come non aveva mai tremato; nemmeno sul Monte Pira il sisma fu violento in quel modo. Anche la pioggia aumentò molto, tanto da annullare totalmente la visibilità.
 
“Siamo sull’epicentro esatto!” urlò Marina.
La pioggia si abbatteva su di loro in maniera quasi apocalittica, non riuscivano più a vedere nulla. Le loro orecchie erano riempiti dal crepitio dell’acqua che cadeva dal cielo, dal grande rombo che proveniva da sotto i loro piedi e da Absol, che continuava ad abbaiare.
La terra sotto i piedi dei ragazzi si aprì lentamente ed una grande crepa si presentò agli occhi dei tre.
“Marina!” urlava Gold, non riuscendo più a vedere la ragazza.
“Gold!”.
“Stai bene?!”.
“Sì!” urlò lei, facendo un passo verso di lui, che le afferrò la mano.
Absol abbaiava ancora e intanto Raymond cercava di tirarlo a sé.
“Smettila, forza!”.
Saggiamente capì che doveva farlo rientrare nella sfera, riponendola nella cintura.
Fu allora che Marina e Gold videro quelle enormi ombre levarsi dalla foresta alle spalle dello Scoprirovine, e volare su in alto.
Fecero entrambi due passi indietro, spaventati per via di quelle entità misteriose che si alzavano verso l’alto.
“Cosa sono?!” urlava Marina, levando i capelli bagnati davanti allo sguardo.
Gold si mordeva il labbro superiore, in maniera inconscia. Sapeva che lo stress lo stava sfibrando. Cercò nelle tasche e trovò il Pokédex.
“Che vuoi fare?!”.
“Voglio vedere che Pokémon sono!”.
Puntò l’oggetto contro quelle ombre e pochi secondi dopo il responso fu sotto i suoi occhi.
“Tropius...”.
L’immagine che Gold vedeva era quella di un grosso dinosauro avvolto da foglie di banano, dotati di ali. Erano altissimi e molto grossi, Pokémon imponenti che in quel momento stavano decollando dalla foresta davanti ai giovani.
E poi accadde: Raymond era di spalle e non si accorgeva di nulla, la pioggia continuava a bersagliarlo in quella sassaiola d’acqua, e soltanto il rumore degli alberi che si sradicavano si alternava ai deboli crepitii delle parole dei due che avevano davanti.
Un grande Tropius spiegò le ali, abbattendo una grossa sequoia; questa, già provata dai movimenti dei Tropius dettati dal panico, finì per sradicarsi, portandosi appresso altri alberi più piccoli, crollati sotto il suo peso.
Tutti addosso a Raymond.
I due si guardarono in faccia, inebetiti dalla situazione, bloccati, senza sapere che fare, mentre la pioggia si abbatteva su di loro inesorabile.
Un grido di Altaria li raggiunse.
 

 
 
 

 

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Capitolo 27
*** Capitolo Ventiquattresimo - Welcome to the next level ***


Welcome to the next level



“Ora è tutto a posto, ragazzi” fece Alice, mentre gettava un grosso ceppo di legno nel camino. Quello rispose scoppiettando, quasi avesse ringraziato la Capopalestra di Forestopoli. La luce del fuoco dorava i volti dei due ragazzi che, dal canto loro, lo fissavano ipnotizzati.
“Non state così vicini... Vi si seccheranno le palpebre”.
“Giusto...” sospirò Marina, abbassando lo sguardo. “È stato terribile”.
“Tu sei il Ranger, giusto?”.
Marina annuì, alzando un momento la testa per guardare Alice in volto: i suoi occhi color pervinca erano ben aperti, la fissavano e le infondevano contemporaneamente fiducia e coraggio. Sbatté velocemente le palpebre, prima di passare a Gold.
“E tu? Sei l’altro Dexholder, quello che non è arrivato in tempo. Dov’eri?”.
“Salvavo Lavandonia...” fece quello, serio. Marina guardò anche lui, triste e sfatto, bagnato. Stanco.
“Quando siete arrivati?”.
“Stamattina. Ma sembrano dodici anni”.
“Posso capire benissimo... Avete già incontrato... Adriano, vero?” chiese, arrossendo lievemente.
“Sì” rispose la ragazza. “Ci ha aiutati quando siamo scesi dal Monte Pira”.
“Scesi... Ci siamo buttati giù; dici piuttosto che ci ha aiutati quando abbiamo provato a suicidarci... Che per altro non ero nemmeno cosciente, quindi è tentato omicidio...”.
“Hai tanta voglia di parlare” notò superficialmente Alice, voltandosi e sciogliendo i lunghi capelli color lilla.
Sbuffò. “C’è poco da scherzare però” aggiunse.
Gold guardò in alto, fissando l’interno della casa di Alice. Era costruita in un albero cavo, una sequoia davvero alta, forse la più alta della città. Tutto era in legno, mobili, pareti, pavimenti, soffitta, tutto. Piccole finestre erano scavate all’interno del tronco esterno dell’albero, inondando di luce l’interno.
“Credi che mi piaccia questa situazione? E poi tu chi sei, non ti sei nemmeno presentata!”.
Quella si voltò lentamente, incredula delle parole che aveva udito. Poggiò il codino sul tavolo che aveva accanto e si avvicinò a Gold.
“Tu sei a casa mia, vicino al mio camino, avvolto in una mia coperta e, nonostante tutto, hai anche la faccia tosta di chiedermi cose del genere... Avevano ragione sul tuo conto”.
Gold se ne uscì con una leggera risata di scherno, più a se stesso che ad Alice, come per dire guarda, la tua reputazione ti precede, ma mai qualcosa di buono.
Marina sentì di voler prendere le sue parti, almeno una volta nella sua vita.
“Scusalo, è un po’ scosso. Del resto abbiamo visto morire quell’uomo davanti ai nostri occhi... È stata così improvvisa come cosa, non siamo riusciti nemmeno a reagire... Quando ci siamo ripresi da quello shock era ormai troppo tardi...”.
“Immagino” fece Alice, voltandosi. I lunghi capelli le ricaddero davanti agli occhi e fu costretta con le mani a spostarli. “Notizie degli altri?”.
“Dovevamo incontrarci qui a Forestopoli”.
“Allora è meglio spostarci in Palestra”.
 
Crystal camminava spedita, trascinando i piedi nell’erba alta. Avevano quasi terminato l’attraversamento del Percorso 119, a poca distanza si vedeva un grande edificio illuminato.
“Come stai?” le chiese Martino, affiancandola.
“Beh...” affannava lei, alzando in alto le gambe per poter avanzare passi faticosi e sudati. “... diciamo che sono stata meglio... Ciò che conta però è catturare i leggendari prima che facciano altre vittime”.
“Come hai imparato a catturare i Pokémon in questo modo?”.
“Beh, si tratta di tanto tempo fa... Ero una bimba, con il mio Smoochum, e desideravo allenarmi nella cattura. Ricordo ancora...” sorrise “... ero sul Monte Scodella, a Johto. E mentre mi allenavo saltò fuori un enorme Arcanine, che mi fece cadere e perdere conoscenza: mi spezzò entrambe le braccia. Allora decisi di continuare il mio allenamento, e conobbi tanti altri Pokémon che, come me, erano stati attaccati da quell'Arcanine. Li catturai, utilizzando i piedi...".
"Ecco come hai fatto... E poi? Come andò a finire con quell'Arcanine?".
"Archie? Lo catturai. Era ferito, perciò reagiva così. Ma quella cosa mi servì tanto".
Marino sorrise ed annuì.
"Ad occhio e croce, dovremmo essere vicini... Quello è l'osservatorio meteo e meno di un chilometro dopo c'è Forestopoli" fece Fiammetta.
Silver annuì quindi fece dei passi avanti raggiungendo Crystal. Martino lo vide arrivare ed intercedette il passo, raggiungendo l'ex Capopalestra pochi passi più indietro.
"Crys..." fece il ragazzo.
"Che c'è?".
"Cerchiamo di cogliere l'occasione al volo, la prossima volta... Con Groudon, intendo".
Crystal annuì, mordendosi il labbro inferiore. Rifletteva piena di rammarico, Groudon era ad un passo dall'essere catturato.
"Certo. Mi chiedo Gold come stia".
"Non lo so. Sicuramente starà benone... ha la pellaccia dura".
"Lo so... Ma... Non sono sicura che viaggiare da solo gli abbia fatto bene... Ma poi, che diamine! Perché mi sto comportando così! Lui è un Dexholder, ha fatto quello che ha fatto e mi devo fidare di lui, assolutamente!".
Silver annuì, sbuffando. Non era felice del fatto che Gold apparisse in ogni discorso.
Superarono l'osservatorio, il grande edificio pieno di vetrate che nasceva nel cuore della foresta, e quindi attraversarono un grande ponte fatto di assi di legno.
Questo pareva molto solido, scavalcava il fiume, sempre generoso di acque gelide e cristalline, e portava direttamente all'ingresso della città.
 
"Benvenuti a Forestopoli!"
 
Era così che recitava un grande cartellone; spuntava dalle piante come un fungo e veniva assalito da piante rampicanti e Pokémon Insetto, quasi nascosto dai rami più bassi dei grandi alberi.
Il nome non lasciava tanto spazio all'immaginazione. Forestopoli era la città della foresta. Anzi, la città nella foresta.
O forse sulla foresta. Crystal guardava impressionata quello spettacolo, enormi alberi abitati da persone, interi condomini a più di venti metri da terra, grosse sequoie collegate tra di loro tramite pontili di corda.
Tutt'intorno la foresta, con i suoi rumori sinistri, vegliava sulla popolazione.
La città era sovrappopolata: dopo l'emigrazione di massa dalle altre città verso il polmone di Hoenn, migliaia di persone si erano ritrovate sotto la pioggia perenne della città. I prati enormi erano invasi, centinaia, forse migliaia di ombrelli erano aperti a proteggere intere famiglie.
Un bamino, dall'alto dei pontili, puntava con l'indice verso il basso, urlando al padre di guardare.
"Sembrano tanti funghi! Anzi, tanti fiori, di tutti i colori!".
"Florian, entra dentro".
Il piccolo sbuffò e sparì, oltre l'uscio di legno.
Il Centro Pokémon, naturalmente, era sovraffollato: la coda partiva da lontano, si perdeva nel mare di persone prima della distesa d'alberi della foresta.
Martino sorrideva, con gli occhi spalancati, carico di meraviglia. "Questo posto è un paradiso! Umani e Pokémon vivono in completa sintonia!".
"C'è troppa umidità..." sospirò Fiammetta. "Non potrei mai vivere qui".
"Dobbiamo raggiungere Gold". La fermezza di Crystal fece stupire la stessa ex Capopalestra, che l'aveva sempre vista dolce e calma.
Certo, togliendo il momento in cui aveva dato addosso a Zoe, fisicamente.
"La palestra è lì!" aggiunse, mentre nugoli di persone discutevano sommessamente del terremoto di quella mattina.
 
"Quindi c'è bisogno di sedare di nuovo questi due grandi gruppi, Rocco. Sì, Gold mi ha appena detto di aver combattuto contro il Team Idro, mentre l'altro collettivo è stato fronteggiato più volte dal Team Magma... Sì, abbiamo già varato la linea d'azione che... Fosco... sì, lo so. Non ho idea di quello che possa succedere, ma giustamente i ragazzi stanno cercando un ago in un pagliaio, ritrovandosi più di una volta in situazioni scomode che non gli competevano.".
Alice parlava telefonicamente con qualcuno. Di tanto in tanto l'Holovox non andava, avrebbe dovuto sostituirlo ma non le pareva il momento di pensare a quale modello di Holovox avesse. Tanto ne uscivano di nuovi ogni settimana. Si voltò non appena sentì il rumore della porta della palestra che si apriva.
"Rocco... ci sentiamo dopo" e chiuse la comunicazione.
"È permesso?" fece Fiammetta, totalmente bagnata. Alzò gli occhi in alto, e si guardò attorno, prima di focalizzare l'attenzione e lo sguardo su Alice, proprio davanti a lei.
"Fiammetta! Stai bene, per Arceus, che sollievo..." sospirò lei, correndo verso l'altra per accoglierla in un abbraccio.
"Sì, è tutto a posto". Fiammetta arrossì leggermente, e guardò Alice: il volto era scavato dalla stanchezza.
Seguirono Martino, Crystal e poi Silver.
"Ragazzi, ben arrivati. Venite, fate una doccia calda e prendete un po' di caffé. Di là ci sono gli altri due, il Dexholder ed il Ranger senza Styler".
"Senza Styler?!" esclamò Martino.
Alice fece strada. "Sì... Hanno passato diverse peripezie da stamattina e si sono ritrovati a saltare da una montagna... lo Styler è andato rotto, ma loro stanno benone. Ora sono di là a cambiarsi, si stanno mettendo qualcosa di asciutto. Dovreste farlo anche voi".
Gli altri annuirono e seguirono la Capopalestra, che aprì una porta accanto al campo di battaglia, che immetteva in un lungo corridoio buio. Per terra il pavimento di linoleum rifletteva la poca luce che proveniva dalle loro spalle.
Crystal sorrise quando sentì la voce di Gold provenire da dietro una porta.
"Eccolo" sorrise, senza rendersi conto del fatto che Silver avesse sbuffato di nuovo.
Alice si fermò davanti all'unica porta da cui la luce scappava da sotto la soglia. "Sono qui. Cambiatevi e poi ci vediamo di là" puntò il dito contro l'ultima porta del corridoio.
"Perfetto" sorrise Fiammetta.
Crystal mise una mano sulla maniglia e spalancò la porta; la luce inondò i loro volti e poi lo vide: Gold era lì.
Era senza maglietta, con una grande croce viola sul petto, i capelli bagnati; stava parlando con l'altra ragazza, quella che con tutta probabilità era il Ranger. Quella con il fisico tonico seppure un po' acerbo ed un cucciolo di Vulpix sulle gambe.
"Gold!" esclamò lei, correndo ad abbracciarlo. Lui si voltò immediatamente e rise, prendendo Crystal in braccio e facendola girare sollevata.
"Chris! Tesoro, che bello rivederti!". La girandola si fermò e lui la mise a terra, per poi vederla abbracciare il ragazzo, poggiando la testa sul suo petto, terribilmente vicina al sacchetto.
"Sei tutta bagnata... cambiati. Oh, e c'è anche Silver... Cos'è questo muso, non sei felice di vedermi?!".
Crystal lasciò la presa dal ragazzo che si mosse per andare a stringere la mano al fulvo.
"Felicissimo... Sono stanco, non pensarci". Lo sguardo di Silver sembrava parecchio assente, come se fosse arrabbiato, ma Gold non se ne rendeva conto.
"Immagino! E Crystal! Allora, che mi dici?!".
"Io sto bene... più o meno... Ma tu?! Che hai qui in petto?!".
Le dita puntute della ragazza toccarono leggermente la superficie violacea della croce che stava crescendo nel suo petto.
"Santo cielo, Gold..." svilì lei, prima ancora che il ragazzo potesse rispondere.
"Che dita fredde, santo cielo! Questa croce è... Non riesco a spiegare bene cos'è... So solo che se levo questo sacchetto rischio di morire. Marina, aiutami a spiegarmi" sorrise poi.
La ragazza era rimasta in silenzio per tutto il tempo nonostante Martino fosse corso da lei ad abbracciarla. Avevano chiarito la questione dello Styler e adesso lei guardava ciò che succedeva.
"Beh... In pratica gli è stata lanciata una maledizione. Ester gli ha dato una sorta di cura, che è presente in quel sacchetto, ma appena lo leva comincia a soffrire".
"Che c'è in quel sacchetto?" domandò curioso Silver.
"Non lo so, sinceramente. Ester ha usato varie erbe particolari... Servono ad attirare gli spettri e le anime malvagie...".
"Già" annuì con una smorfia in volto Gold. "Sul Monte Pira sembravo una calamita per Pokémon".
"Wow... E la croce?" domandò poi Crystal.
"Non lo so, sinceramente. Quando l'ho visto a petto nudo l'altro giorno non ce l'aveva, mi sono preoccupata molto anche io".
"Sì, ha ragione. Ci stavamo vestendo dopo l'ennesimo acquazzone. Ma questo Ranger chi è? Ho l'impressione di averlo già visto da qualche parte".
Marina sentì suonare un campanello d'allarme nella sua testa. "Ehm...".
"Mi hai visto già eh? Grandissimo fesso, è normale! Io e te abbiamo passato sei mesi a...". Martino s'accese all'improvviso.
"Martino, stai calmo e non creiamo problemi".
"Ah, ecco! Tu sei il puffo azzurro della comunicazione!" S'avvicinò minaccioso poi. "Fesso sarai tu!".
Silver si mise subito in mezzo. "Non cominciamo subito. Appena ti vediamo dai spettacolo!".
"Ringrazia solo che c'è il mio amico Silver qui, a levarti dalle mie mani!".
Martino lo guardavacon le braccia incrociate ed un sopracciglio alzato. "Sei uno sbruffone...".
Gold si guardò attorno quindi ritornò alla carica, urlando. "Ti ammazzo!".
"Stai fermo!" urlò Crystal, che lo tirò indietro per le spalle.  "Stai fermo, calmati... Finitela entrambi". La ragazza dagli occhi di cristallo lo guardò mentre portava le mani ai fianchi e calmava i bollenti spiriti. Le spalle del ragazzo si erano allargate leggermente. Passò avanti, per guardarlo in volto.
Gli occhi erano bassi, ma il bagliore di quella pagliuzza dorata viveva come un tizzone ardente. Si mordeva un labbro ed i capelli neri finivano davanti allo sguardo.
Era tuttavia affascinata da quella X nera sul suo petto. La curiosità la portò a toccarla ancora.
E Silver vide la donna che amava mentre toccava il petto di quello che si era manifestato a lui come la sua nemesi.
Uscì fuori senza farsi notare.
Poi Gold si rese conto che ci fosse anche un'altra persona nella stanza. E che quella persona era sostanzialmente una ragazza bellissima.
"E tu chi saresti?!" esclamò poi il ragazzo.
Quella se lo vide apparire davanti all'improvviso e fece un passo indietro. "Io sono Fiammetta Moore, Capopa... Ex Capopalestra di Cuordilava".
"Sei davvero una bomba!".
Fiammetta sorrise imbarazzata quindi fece un passo indietro, assai a disagio.
"Guardalo" fece Crystal, infastidita. "Lo sapevo che appena l'avresti vista ti saresti fiondato su di lei".
"Crystal, questa ragazza è di una bellezza disarmante, non potevo non dire qualcosa...".
"Già... proprio per questi comportamenti Marina ha passato quello che ha passato..." bofonchiò Martino, sistemandosi la giacchetta.
"Silenzio" lo chiuse Marina, che infilò la maglietta e la giacca per poi seguire gli altri che erano appena usciti.
 
Erano tutti seduti ad un tavolo circolare, tutti in silenzio.
Autostrade di sguardi si snodavano su diversi livelli; sospiri di dispiacere ed occhiate di curiosità avevano riempito la stanza.
Martino guardava sua sorella Marina: aveva sofferto tanto in passato per via di quel ragazzo dai comportamenti così frivoli, non era felice del fatto che fosse rimasta per tutto quel tempo con Gold; se le cicatrici sul corpo di Marina si erano chiuse, quelle nell'animo di Martino erano ancora vive e bruciavano.
Marina guardava invece Silver: quel ragazzo era strano. Troppo silenzioso, troppo chiuso eppure i suoi occhi glaciali rivelavano rabbia, tanta rabbia. E la sua rabbia era dirottata dal suo sguardo al volto di Crystal.
Quest'ultima fissava Gold, con un tantino di soddisfazione nel viso. Le faceva fin troppo piacere aver rincontrato quel vecchio amico e le aveva fatto specie toccare il suo petto, marchiato da quella croce violacea. Sinceramente si sarebbe aspettata un po' più d'attenzioni dal ragazzo. Poi pensò al fatto che la cosa avrebbe potuto dare fastidio a Silver, ed incontrò il suo sguardo, giusto per un attimo, prima di abbassarlo colpevole verso il tavolo.
Alzò però di nuovo lo sguardo verso quegli occhi dorati. E quelli, non c'era da sorprendersi guardava Fiammetta.
Ed i pensieri di Gold erano più che ovvi. La stava guardando, era vestita ma l'immaginava nuda. E sorrideva come un ebete.
Fiammetta invece fissava Martino. Non riusciva a capire il motivo di quella rabbia nei confronti di Gold. Ma le era bastato un momento per capire che tipo di persona fosse: Gold era la primadonna.
E Alice era a capotavola.
"Allora ragazzi, cominciamo".
 

Angolo di un autore ubriaco la maggior parte delle volte:
ma tra qualche ora sarà Capodanno, il veglione mi aspetta e passerò inosservato. Ebbeh, volevo nuovamente rinnovare gli auguri a tutti ed avvisarvi, laddove siate interessati, che tra qualche giorno esce fuori la long del collettivo Soulwriters. In questi giorni abbiamo lavorato tutti per rimettere le cose a posto dopo che per alcuni problemi intestini sono stati cancellati i Frammenti di Astolfo: ebbene, sono stati riscritti e pubblicati con l'account del Team, domani uscirà il mio frammento, su cui ho passato tanto tempo. Se volete passate per un commentino.
Ringrazio tutti coloro che stanno leggendo questa storia, infine, grazie davvero, siete il combustibile che manda avanti la mia fantasia. A presto.

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Capitolo 28
*** Capitolo Venticinquesimo - Take Care ***


Take Care

 
 
“È semplice, quasi semplicissimo, direi” cominciò Alice, seduta sulla sua poltrona. Fissava negli occhi i ragazzi e sospirava: li vedeva così acerbi ed immaturi talvolta che non riusciva a capacitarsi di come tali menti avessero potuto già una volta affrontare grossi pericoli.
Del resto non erano ancora morti, fu costretta quindi a ravvedersi. Prese un attimo di respiro e continuò la sua frase. “Groudon e Kyogre sono stati svegliati da Arceus. Ed ora chi vuole controllarli riesce effettivamente a far valere il proprio comando su di loro, tramite la Sfera Blu e la Sfera Rossa. Noi dobbiamo riuscire nell’intento di sgominare le due bande e catturare i Pokémon e poi…”.
Il telefono squillò.
 
Il sole era tramontato da pochi minuti ad Orocea e la luce violacea cadenzava un tono di tranquillità, cullato dal moto ondoso e dal suo canto.
Bridgette guardava negli occhi il suo fidanzato Donald mentre, entrambi in piedi sulle passerelle di legno, si scambiavano gli ultimi baci prima di rincasare.
Bridgette adorava Donald, ed adorava il modo con cui lui adorava il mare.
Lui invece adorava il mare. Ma amava anche baciare le labbra della sua fidanzata. A sedici anni, poi, i due si comportavano con una dolcezza disarmante, tanto che tutti li avevano soprannominati la coppietta.
Ogni giorno, sia con la pioggia che col sole, sia col vento che con l’afa, entrambi si ritrovavano sull’ultima palafitta, quella a nord ovest, e passavano il tempo a fissare l’orizzonte ed a fantasticare sul loro futuro.
“Diventerò un marinaio e solcherò i mari”.
“Ed io ti aspetterò” sorrideva lei, dolcemente.
Quel giorno il meteo era particolarmente volubile, cambiava come si rigirava nel vento una leggera e morbida piuma.
E poi il mare s’incrinò. Donald spalancò gli occhi, cercando di capire ciò che stesse succedendo e quando vide una coperta di nuvoloni neri rincorrere l’altra parte del cielo si preoccupò. Il mare si stava ingrossando, e questo poteva comportare un problema.
“Entriamo dentro...” fece lui.
“Tranquillo, amore. È solo un temporale”.
Il mare s’ingrossò sempre più velocemente, e d’improvviso dalla superficie apparve enorme il muso di un Pokémon, pronto a rituffarsi velocemente nelle profondità marine.
Bastò un nulla, Donald fu in grado di vedere due grandi occhi rossi, la sua pelle blu, liscia e lucida e poi le due grandi zampe anteriori dotate di artigli quadrati, che infransero la superficie del mare e vi si tuffarono dentro.
Il livello del mare dapprima aumentò leggermente, difatti il mare raggiunse i loro piedi, poi una grande onda anomala comparve all’orizzonte.
“Donnie...” fece lei, stringendolo. Lui sospirò ed abbassò gli occhi.
“Bridgette...”.
 
“Ok, va bene... Va bene, poi... Si fa per dire, ma non va bene per nulla. Anzi, va parecchio male. Do la comunicazione, a dopo”.
Alice chiuse la conversazione telefonica e guardò i ragazzi che, silenziosi, attendevano l’esito.
“Orocea... Orocea è stata spazzata via da una violenta onda anomala. Nessun superstite...”.
“Dobbiamo fare presto...” sospirò Crystal, con lo sguardo spento.
“Infatti. E non per mettervi fretta, ma alla base sono pervenute delle registrazioni di un enorme Pokémon marino che ha causato queste onde semplicemente tuffandosi in mare...”.
“Kyogre” fece serio Silver.
“Porca... Kyogre?! Non era Groudon il problema?!” esclamò Gold.
“I cambiamenti che Groudon ha apportato alla morfologia di Hoenn hanno risvegliato anche Kyogre...”. Silver si caricò della responsabilità di spiegargli il tutto.
“E come diamine si fa adesso?”.
“Ruby e Sapphire hanno fermato i due qualche anno fa”.
“Ah, allora è semplice! Basta che ci aiutino e tutto si mette a posto!” fece entusiasticamente quello dagli occhi d’oro. Martino fece una smorfia di disprezzo prima di voltare la faccia verso il muro; Marina lo colpì con una leggera gomitata, per farlo ritornare serio.
“Ruby e Sapphire sono dispersi. L’osservatorio meteo ci ha appena inviato i dati relativi alla situazione climatica... Sappiamo che entrambi si portano appresso rispettivamente tanto sole e nuvole cariche di pioggia; Kyogre è in pieno oceano, avendo superato da poco Orocea, ora è diretto verso la zona della Torre Lotta, ma suppongo che stia cercando Groudon, che si trova qualche miglio a nord di Verdeazzupoli ed è diretto proprio lì. È la migliore possibilità che avete per catturarlo, in quanto Kyogre ancora non sarà vicino, e non rischierete di ritrovarvi nello scontro” chiuse Alice.
Fiammetta si alzò, stretta nel giubbino di pelle che aveva infilato qualche minuto prima, e si voltò, davanti gli occhi di tutti; Gold cercò di attirare la sua attenzione: “Bellezza, ferma! Dove vai?!”.
La rossa si girò, con gli occhi ardenti e le mani lunghe sui fianchi. “Hai sentito Alice, no? Dobbiamo andare a Verdeazzupoli”.
“Tra meno di due ore Groudon sarà lì” fece seria la Capopalestra. “Purtroppo non mi posso allontanare da qui, dato che devo dirigere la situazione qui a Forestopoli, che è critica; tuttavia potrete contattarmi tramite Holovox”.
I ragazzi si alzarono tutti e, proprio mentre si avviavano alla porta, Alice mise una mano sulla spalla di Crystal, guardandola apprensivamente.
“Siamo tutti nelle tue mani, ragazza. Devi riuscire a prenderli. Voglio darti questa”.
Crystal la vide poggiarle sul palmo una Pokéball piena di graffi.
“È il mio Altaria. Può servirti, può esserti utile”.
“Ma io... Non me la sento di prenderti quello che reputi il Pokémon più importante”.
“Ora serve più a te che a me”.
La giovane sorrise e poi l’afferrò. “Grazie” fece. “Appena tutto sarà finito te lo riporterò sano e salvo”.
Lei sorrise e la strinse in un caldo abbraccio. “Ne sono più che sicura. Ora vai; il mondo ti sta aspettando”.
E mentre camminava sentiva addosso il peso delle parole di Alice: per quanto silenziosa e tranquilla fosse non avrebbe dovuto farsi abbattere dalle sue responsabilità.
Avrebbe dovuto catturare Groudon, e pure Kyogre.
Avrebbe dovuto fermare quelle catastrofi. Avrebbe dovuto sconfiggere i malvagi.
Con la sfera tra le mani guardava il suo futuro, come una chiromante, e si vedeva in cima al mondo.
“Ce la farò!” esclamò con grinta.
 
Fu così che i ragazzi si ritrovarono in volo verso l’isola. Non era saggio utilizzare il mare, come mezzo di trasporto, anche perché non avrebbero potuto minimamente salvarsi in caso di onda anomala;
Martino e Marina volavano su Staraptor, che intanto aveva avuto l’opportunità di riposarsi un po’.
Crystal e Silver volavano su Honchkrow e Fiammetta sul suo Talonflame mentre ad aprire la fila via era Gold sul suo Togekiss.
L’aria congelata che arrivava sul volto dei ragazzi li costrinse a tenere la testa abbassata.
Silver sentiva Crystal stringerlo sul petto e poggiare la testa sulla sua schiena.
“Hey...” gli disse, stanco.
“Sil... Che c’è?”.
“È arrivato Gold...”.
“Lo so bene. È qui davanti a noi...”. La voce della ragazza era molto stanca. Le loro giornate erano totalmente passate correndo e marciando in luoghi impervi; Crystal doveva riposare, non poteva permettere che le mancasse la lucidità, nel momento clou.
“Sembri eccitato dal vederlo...”.
“Stai insinuando qualcosa?”.
Silver rimase in silenzio, sentendo il vento tagliargli la faccia e quella strana voglia di urlare.
Si limitò a stringere i pugni, doveva rimanere concentrato. Osservava Martino, cercando di capire a cosa si fosse riferito precedentemente; che segreto nascondeva Marina? E Gold poi, cosa c’entrava? Lui non sembrava ricordare nulla.
Si voltò per un momento, vedendo la testa di Crystal poggiata contro la sua spalla, con gli occhi chiusi e sorrise. La sua pelle era candida ma diventava rosea sulle guance. Sullo sfondo c’era Porto Alghepoli, piccola e lontana, mentre davanti vedeva Gold virare leggermente, per affiancarsi a Fiammetta.
Quella lo guardò, bassa sul suo Talonflame, quindi rispose ad un cenno del capo. Gold la vedeva, conturbato, a cavalcioni sul suo Pokémon. Vedeva il suo corpo, fasciato dal giubbino di pelle nera, ed i pantaloni a carezzarle le gambe, piegate leggermente, a mettere in evidenza il fondoschiena. I capelli flagellavano il vento, parevano fiamme di una fiaccola.
Bellissima.
“Hey...” fece lui, cercando di avvicinarsi quanto più possibile con il suo Togekiss.
Lei si girò, tuffò la scintilla del suo sguardo negli occhi di quello, campo di grano dorato, ed in lui accese il sorriso.
“Ciao” rispose fredda.
Gold inarcò le sopracciglia e sospirò. Sapeva che sarebbe stato difficile.
“E così eri la Capopalestra di una città?”.
Fiammetta storse le labbra, mordendo poi quello inferiore, abbassando lo sguardo. Gold aveva toccato un nervo scoperto ed il ragazzo stesso se ne accorse.
“Cosa succede?”.
“Niente. La mia città non esiste più...”.
“Per questo non sei più la Capopalestra?”.
“No. E non mi sembrano affari tuoi”.
“Come sei scorbutica!” sorrise Gold. Marina, dall’altra parte della formazione, sospirò sentendo le sue parole, nonostante il vento facesse parecchia ostruzione uditiva.
“In realtà lo sono solo con te... Non mi sembri affidabile come persona”.
Gold rise, quindi guardò Crystal, semiaddormentata sulla spalla di Silver. La cosa lo turbò leggermente e non riuscì mai a capire il perché. Tornò ad osservare Fiammetta, che lo guardava fisso.
“Sbagli ampiamente” aggiunse lui. “Se sono qui è perché ci si può fidare di me”.
“Ecco perché sei venuto con dei giorni di ritardo”.
“Hey! Ero a Kanto a fermare Zapdos, non a farmi la sauna nelle terme di Ebanopoli!”.
“Anche a Cuordilava c’erano”.
“Peccato non poterle più vedere... Mi ci avresti accompagnato?”.
“No”.
Gold sorrise. “Ho capito, sei frigida”.
Fiammetta fece altrettanto. “Mi chiamo Fiammetta ed ho il fuoco che arde. Non posso essere frigida...”.
“C’è sempre un’eccezione, cara mia. E quella sei tu. Andiamo avanti, Togebo...”. Ed il Pokémon accelerò, tornando alla testa del gruppo, proprio davanti a Silver.
Lui sospirò, ed abbassò la quota improvvisamente, facendo svegliare Crystal. “Hey! Che succede?!”.
“Niente, stai tranquilla...”.
“Ho sentito un sobbalzo”.
“Vuoto d’aria, tutto normale, stai tranquilla... Honchkrow, accelera” fece lui poi.
Crystal si girò lentamente, vedendo Marino e Martina, e conseguentemente Fiammetta al loro fianco, rimanere sempre più indietro mentre su di loro l’ombra di Togebo eclissò per un attimo il sole pallido.
“Perché corri?!” fece.
Gold li vide partire velocemente in avanti, quindi sorrise. “Vuoi tirare, eh? Togebo! Facciamogli vedere come ci siamo allenati!”
Gold si appiattì sul dorso del suo Pokémon e quello si gettò a capofitto all’inseguimento di Honchkrow, stringendo i denti ed affondando le mani nel folto piumaggio del suo Pokémon.
Erano più leggeri, chiaramente, e Togebo era anche più forte fisicamente. Ciò gli permise di raggiungere il fulvo con estrema velocità.
“Honchkrow, più veloce!” urlò Silver, stringendosi nelle spalle e cercando di abbassarsi.
“Ma... Silver!”. Crystal cinse il ragazzo alla vita, impaurita. Poi sospirò ed abbandonò la presa dal ragazzo, per poi afferrare la ball di Altaria.
“Non mi piace questa cosa!” urlò ancora, un po’ perché il vento copriva la sua voce ed un po’ perché era arrabbiata, quindi fece uscire il Pokémon di Alice e vi si tuffò sopra, affondando nella morbidezza delle sue piume.
Quella carezzò la schiena del Pokémon e guardò i due ragazzi cominciare ad accelerare verso l’orizzonte illuminato, almeno fino a quando il suo sguardo riuscì a garantirle visuale.
 
Honchkrow contro Togekiss, Gold contro Silver.
Il vento attraversava le piume dei Pokémon ed i capelli dei ragazzi.
Silver era concentrato, con lo sguardo serio. Entrambi avevano l’assetto basso, quasi stesi di pancia sul proprio Pokémon; l’unica differenza tra i due era il grande sorriso di Gold, quasi divertito da quella gara.
“Vuoi tirare?” chiese lui, sorridendo.
“Andiamo”.
La serietà del fulvo contrastava in maniera massiva con il sorriso e la voglia di divertimento di quello dagli occhi dorati, tanto che quest’ultimo se ne accorse e non perse occasione per farglielo notare.
“Hey, che faccia che hai...”.
“È la mia faccia” chiuse.
“Sembri arrabbiato con me...”.
“Sembra così, in effetti”.
“Come posso averti fatto qualcosa se sono appena arrivato?!” esclamò sorpreso quello.
“Crystal” disse, quasi sussurrandolo al vento.
“Che c’entra Crystal adesso, testarossa?!”.
“Sono innamorato di lei”.
“E questo avrebbe attinenza con me per...?”.
“Lei ti guarda in quel modo”.
“Quale modo?!” esclamò Gold.
“Lei ti guarda come io guardo lei”.
Gold rimase in silenzio, nel tentativo di comprendere meglio le parole del ragazzo che volava spedito accanto a lui sul suo Pokémon.
“Guarda che io non...”.
“Non mi interessa che tu abbia o meno interesse nei suoi confronti... Mi interessa che lei non ne abbia nei tuoi”.
“Che diamine vorresti allora?” disse l’altro con tono neutro, lontanamente interrogativo.
Silver si girò a guardarlo, mentre il sole risplendeva nel pieno della sua discesa nel cielo; il mare era arancione ma il freddo era sensibilmente aumentato. Il rumore delle onde veniva nascosto dal vento che soffiava.
“E che vorresti fare adesso?”. Mai come quella volta la voce di Gold sembrava incerta: temeva davvero le ripercussione del suo amico, e non per via delle sue reazioni o di una possibile scazzottata; cercava di analizzare la situazione; quando una cosa gli pareva logica e quando anche il resto sembrava lo fosse, mancava sempre un piccolo frammento, un dato del tutto irrazionale, mai scrutato nell’animo di Silver.
No, quale irrazionalità? Silver era la ragione fatta persona; mai un passo senza pensare alle conseguenze.
Ed ora sfrecciavano ad alta velocità nel cielo. Il mare si stava increspando, urlando, pareva reclamarli nel suo freddo abbraccio.
Correvano sulle ali del loro coraggio e alla fine Gold si vide sorpassato; non poté far altro che sorridere ed urlare a Togekiss di spingere ancora di più; recuperò, erano spalla contro spalla, riuscivano a sentire i propri respiri in maniera tanto chiara.
“Cederai” fece Silver, concentrato, mentre all’orizzonte Verdeazzupoli cominciava a diventare una lontana ombra ambrata.

Marina e Martino volavano tranquilli, fissando in maniera disinteressata l’orizzonte e ciò che la vista permetteva loro di ricondurre alle figure di Silver e Gold, quando entrambi furono attratti da quella grande macchia di colore che si avviava perpendicolarmente a loro, qualche miglio avanti.
Entrambi stavano capendo ciò che stava per succedere; Marina mise una mano sulla spalla di suo fratello e lo fece girare. Lui annuì e quindi si abbassò su Staraptor, seguito da Marina a ruota.
“Forza!” fece lui. “Staraptor, più in fretta che puoi! Raggiungiamo Silver e Gold!”.
Staraptor accelerò in maniera impressionante, facendo sobbalzare Crystal e Fiammetta, rimaste a velocità sostenuta. Si guardarono, le due, non capendo.
Entrambe poi fecero una smorfia per manifestare la loro estraneità alla situazione, e diedero ordine ai loro Pokémon di seguire il duo di Ranger, nonostante fosse più spedito e determinato.
I due, infatti, si erano totalmente abbassati, l’uno sull’altra, cercando di annullare l’attrito con l’aria per aumentare l’aerodinamicità e, conseguentemente, andare più veloce.
“Forza Staraptor!” urlava Martino, mentre Marina si guardava il polso nudo: il suo Styler era ridotto a tanti pezzi di metallo, stipati nello zaino, che Martino avrebbe dovuto riparare durante la notte; ciò la faceva sentire totalmente inutile e quindi avrebbe dovuto coordinare da lontano la situazione, assieme alla sapienza ed all’abilità di Martino.
Come delle frecce, tagliavano l’aria in maniera decisa, Staraptor pareva un velivolo Stealth, veloce e silenzioso, diretto sul suo obiettivo, senza se e senza ma.
“È uno stormo...” osservò Marina.
“Sono Wingull. E Pelliper” rimbeccò l’altro.
“Si troveranno in mezzo alla colonna di Pokémon! Gold!” Marina urlò, cercando, invano, di attirare l’attenzione del ragazzo.
“Smettila...”.
“Si farà del male!” urlò ancora Marina, quasi stupita, giustificando il suo gesto.
Martino sorrise, mentre si avvicinavano inesorabilmente al loro obiettivo. “Nonostante quello che le sue azioni hanno provocato tu vuoi lo stesso che non soffra... Sei poco furba, sorella. Il mondo, le persone come te, le mangia a colazione”.
“Se c’è una cosa che so, è che non bisogna commettere gli errori che commettono gli altri. Se Gold si fosse comportato diversamente probabilmente adesso non avrei patito quelle sofferenze... Ma lo stesso so che non bisogna comportarsi come chi sbaglia, quando si riceve un torto. Io sono meglio di lui”.
“Sbagli. Ma la vita è tua, quindi fai tu...”.
“Già! Farò io! Gold! Attento allo stormo!”. La voce di Marina tuttavia era come un tratto di matita sulla grafite nera della lavagna, e sia quello che Silver non riuscirono minimamente ad ascoltarla.
Infatti continuavano a volare fendendo l’aria con strafottenza e cattiveria.
Le piume di Honchkrow di tanto in tanto si staccavano dalle sue ali, cullandosi dolcemente durante la discesa nel mare, finché non si adagiavano lentamente.
“Wingull...” realizzò poi Silver.
“Cazzo!” fece l’altro.
“Wingull!”
“Togebo, scendi!” urlava Gold, ma a tale velocità nulla era semplice. Difatti Togekiss non riuscì a virare, trovandosi in netta traiettoria con lo stormo di Pelliper e di Wingull. Entrambi i Pokémon frenarono, impauriti.
Era la fine. Silver si abbassò, cercando di appiattirsi sul dorso del suo Pokémon, chiudendo gli occhi e tenendo pronta la sfera di Feraligatr, per una qualsiasi evenienza nel caso fosse sopravvissuto con l’incredibile impatto con l’acqua. Gold non riusciva a non guardare quel treno alato bianco e blu ed affondò le dita tra le piume del suo Pokémon, digrignando i denti.
Silver lo aveva spinto in quella gara; Silver lo aveva portato a morire. Quasi, non ancora, pochi metri erano rimasti tra lui ed il suo destino; ma poi qualcosa di strano accadde.
I Pelliper, ed anche i Wingull s’intende, da soli, abbassarono la propria quota; taluni la alzarono.
“Ma che...” le parole di Silver risuonarono nella sua testa, rimbombarono come rintocchi di una campana rotta e volarono via come sabbia soffiata dal vento.
Gold vedeva quello spettacolo, esterrefatto: I Pokémon li evitavano, cambiavano quota, li scavalcavano e loro rimanevano fermi, sani e salvi. Più in alto, alzando lo sguardo, un anello di luce brillava e li sovrastava; lo seguì, con lo sguardo stanco ed abbagliato dal sole. Girava attorno ai Pokémon, pochi metri davanti a lui.
“Spostatevi, cazzo!” urlava Martino, stringendo i denti, disegnando col suo Styler enormi cerchi concentrici e luminosi nel cielo.
“Forza, Gold!” urlava Marina.
Il ragazzo si girò, e li vide, entrambi a cavalcioni sullo Staraptor con cui aveva avuto più di un problema. Martino girava lo Styler ad una velocità impressionante, manipolando temporaneamente le volontà dello stormo di volatili, facendogli per un attimo cambiare quota.
“Li... Li sta catturando con lo Styler...” sussurrò Silver, con gli occhi spalancati.
“Spostatevi!” ripeté Marina.
“Silver! Porco di un Gold, spostatevi da lì!”
Entrambi si ravvidero e realizzarono immediatamente quindi annuirono.
“Veloci!”.
“Avanti!” urlarono entrambi, all’unisono, avanzando con i Pokémon quel tanto che bastava per permettere al Ranger di ritirare lo Styler e di far passare lo stormo oltre i due Dexholders.
A Marino bruciavano le braccia; dovette disegnare cerchi così ampi che quella trentina che eseguì gli avevano letteralmente fatto del male fisico.
“Bravo, Martino...” sorrise sua sorella, dandogli una pacca sulla spalla, felice.
“L’ho fatto per Silver, sia ben chiaro. Gold per me è morto e sepolto da sei anni”.
“Ti ho chiesto di finirla”.
“Sai bene come la penso e non smetterò adesso di farlo, a maggior ragione adesso che ce l’ho davanti”.
Marina sospirò e lo strinse alla vita. Quella storia sarebbe stata una spina nel fianco per tutti.
 
Silver e Gold si trovavano a meno di un metro.
Gli occhi giudicatori di Gold stavano vestendo di rabbia il rosso, che si ritrovò a fissarlo come per chiedere spiegazioni.
L’altro rispose subito.
“Che diamine t’è preso?! T’è dato di volta il cervello?!”.
Silver sospirò e voltò lo sguardo. Non voleva avere nulla a che fare con lui. Crystal e Fiammetta li raggiunsero, quindi si ritrovarono a volare tutti insieme verso Verdeazzupoli; l’isola, che si avvicinava sempre di più, faceva scudo al sole, schermando i suoi raggi che, galeotti, fuggivano per vie diverse, donando una cornice dorata a quel cumulo di case dai tetti colorati, miste a spiagge dalla candida sabbia e a percorsi in terra battuta che attraversavano l’erba verde ed umida.
“Siamo quasi arrivati” annuiva convinta Crystal. Si trovavano a circa settanta metri dal suolo, e videro tutto: la terra si aprì come fosse acqua, e Groudon vi uscì con una facilità immane. Urlava, ruggiva, enorme com’era non ebbe alcun problema, con un agile colpo di coda, a frantumare case ed altre costruzioni.
“Eccolo!” esclamò la ragazza. “È Groudon! Altaria, forza!”.
Il Pokémon di Alice puntò in picchiata verso il basso, tra lo stupore e la sorpresa degli altri specialisti, pronta a fare sul serio.
Subito preparò le sfere dei suoi Pokémon, e chiuse un’Ultraball vuota nel palmo della mano destra.
Altaria atterrò velocemente, alzando foglie e polvere dal pavimento della città: a Verdeazzupoli le persone urlavano e scappavano mentre l’enorme Groudon imperversava.
“Forza! Sevee, Marshee! E anche Meganee! Cominciate con l’attaccarlo da lontano!”.
Gold e Silver scesero velocemente accanto a lei, saltando agilmente dal proprio Pokémon. Entrambi le misero la mano sulla spalla, il fulvo sulla sinistra ed il moro su quella destra; la ragazza si voltò dapprima a sinistra e poi a destra, quindi annuirono tutti e tre all’unisono.
“Forza, Pokémon!” urlò Silver, tirando le sfere di Grovyle e Poochyena, assieme a quella di Feraligatr e di Weavile, lasciando riposare Honchkrow. Gold stesso mandò in campo Shiftry, assieme ad Exbo, il suo Typhlosion e ad Aibo, il suo Ambipom; Togebo era rimasto nella sua sfera.
“Avanti!” fece quella, con la testa alzata verso l’obiettivo e lo sguardo concentrato. Aveva riempito gli occhi di grinta, strinse i denti e puntò l’indice contro il Pokémon avversario.
“All’attacco!” aggiunsero contemporaneamente Gold e Silver, l’uno con tanta grinta e l’altra con la solita seriosità.
“Non così in fretta” sentirono alle proprie spalle i ragazzi.
Si voltarono, velocemente, e incrociarono lo sguardo con un ragazzo biondo ed una giovane donna dai capelli lunghi e lisci, del colore della pece.
La M risplendeva rossa fiammante sulle loro divise.
“Magma...” ringhiò Crystal.
Gli occhi di Gold si riempirono di speranza, quelli di Silver d’odio.
“Ancora voi?!” urlò quest’ultimo, rabbioso.
“Dovete distrarli mentre cerco di catturare Groudon, ragazzi” fece Crystal, guardando velocemente entrambi.
“Tranquilla” rispose il fulvo.
“Distrarre?! Ma perché?! Ci stanno aiutando! I nemici sono quelli in blu! Quelli che mi hanno fatto questo!” esclamò, aprendo la zip della felpa ed abbassando il collo della maglietta, slabbrandolo, mostrando parte della croce viola ed il sacchetto.
“I blu?! Quali blu?!” chiese poi Crystal, afferrando il ragazzo per la spalla e tirandolo, per farlo voltare. Per un attimo indugiò sulla croce viola, storcendo le labbra.
“I blu! I pirati! Quelli con le bandane!”.
Fiammetta ed i due Ranger misero piede sul suolo. Marina vide Zoe e sorrise. “Oh, bene, sono qui a darci una mano!”.
Martino e Fiammetta si guardarono e si focalizzarono su di lei. “Ma che stai dicendo?!”.
“Marina!” urlò Gold poi. Lei si voltò e lo guardò.
“Che vuoi?”.
“Chi sono i cattivi?”.
“I pirati! Il Team Idro!”.
Fiammetta guardò Martino e sospirò. “Siamo caduti dalla padella nella brace... Il Team Idro è ugualmente una spina nel fianco al Team Magma! Sono entrambi dei terroristi ambientali!”.
“Cosa diamine stanno dicendo questi, Marina?!”.
“Lei, quella ragazza” fece lei, puntando l’indice verso il volto divertito di Zoe “... Lei ci ha aiutati. Quel ragazzo ha visto il suo Pokémon morire, perché ha combattuto contro il folle... Quello delle sfere...”.
“Xander! Così si chiamava!” urlò Gold.
“Gold, stupido ottuso! Abbiamo a che fare con due gruppi terroristici!” Fiammetta gli si avvicinò e lo afferrò per la testa: una mano sulla tempia destra ed una sulla sinistra, poi poggiò la fronte sulla sua.
“Loro sono i cattivi! I buoni siamo noi! I buoni siamo solo noi!”.
Gli occhi rossi di Fiammetta si specchiarono nei piatti dorati del ragazzo di Borgo Foglianova.
“Hai capito?!”.
Lui annuì quindi guardò il duo, che sorrideva.
Groudon ruggì forte, facendo voltare Crystal.
“Devo catturarlo! Ragazzi forza!”.
“Sì!” annuì Silver.
Andy guardò Zoe, passionalmente, si strinsero la mano e mandarono in campo i propri Pokémon.
Andy non aveva più Houndoom, ma al suo posto in campo c’era un grosso Magmortar ed un Mightyena, affiancati dal Medicham di Zoe, e dal suo Arcanine.
“Forza!”.
E cominciarono a lottare. Senza accorgersi che qualcuno li guardava dall’alto.

 

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Capitolo 29
*** Capitolo Ventiseiesimo pt. 1 - Attica ***


Attica pt. 1


“Marshee!” urlò Crystal, stringendo i pugni. Il suo Swampert subito partì all’attacco, con convinzione. “Usa subito Idrondata! Raffreddiamo la situazione! Meganee, tu usa Parassiseme ed attenta alla lava!”
Fu così, parecchio veloce. Data l’elevata esperienza, fu il Pokémon d’erba ad attaccare per primo, spargendo migliaia di semi addosso al Pokémon Continente, che lentamente cominciarono a drenare dal suo corpo energia vitale.
Groudon ringhiò, ma non sembrava assai colpito dalla mossa; la sua forza pareva senza limiti, anche quando la grande ondata provocata dall’attacco di Swampert gli si abbatté addosso.
“Non demordiamo! Sevee, pronto con l’attacco Nube!”.
Seviper emise dalle fauci un gas denso e grigio, che puzzava di marciò; Groudon non riusciva a localizzare gli avversari e perciò si vide costretto a colpire alla cieca per difendersi: enormi palle di materiale piroclastico incandescente cominciarono a piovere dal cielo, esplodendo al contatto con il terreno in mille piccoli pezzi, proprio come granate a frammentazione.
“No! Attenti! Cerchiamo di inibire questo pericolo, Marshee! Usa Idrondata un’altra volta e cerchiamo di alzare il livello dell’acqua, anche se di poco”. Il ragionamento filava: se le bombe di Groudon si fossero raffreddate non avrebbero recato alcun danno.
“Megaree, usa Foglielama! Dai che tra poco concluderemo la lotta con la cattura!”.
 
“Zoe... Crystal sta lottando contro Groudon. Dobbiamo sbarazzarci di questi due cretini” sussurrò Andy, guardando i volti determinati dei due.
“Tranquillo, amore mio... Non ci vorrà molto per mettere fuori gioco questi fessi. Medicham! Lottiamo e mettiamo subito K.O. quei debolissimi Pokémon! Usa Calcinvolo su Poochyena!”.
Gold guardò Silver ed annuì ad un suo sguardo.
“Vai, Grovyle!” urlò il fulvo, vedendo sparire nella nebbia il Pokémon.
“Ambipom!” fece contemporaneamente Gold. “Vai con Lancio!”. Gli posò poi dei sassi tra le dita della coda; sassi che vennero prontamente scagliati contro il Pokémon della ragazza.
Colpito in pieno, questo rovinò duramente per terra.
“Bene, Shiftry, usa Congiura!” sussurrò poi quello dagli occhi dorati.
“Ora, Grovyle. Vai con Aeroassalto!” urlò Silver; dall’alto comparve il Pokémon Legnogeco, che attaccò Medicham e lo mise fuori combattimento.
Silver guardò Gold, a braccia conserte e con un piccolo sorriso. “Ed io che pensavo che voleste aiutarci... Peccato per te, un fiorellino così bello e delicato appartiene ad un gruppo terrorista...”.
Zoe digrignò i denti e guardò Andy. “Perché non mi hai dato supporto?!”.
“La loro abilità di lotta fianco a fianco è impressionante. Adesso li conceremo per le feste, amore”.
“Bah, Arcanine, diamogli fuoco!” fece, rabbiosa. “Lanciafiamme!” urlò. Il Pokémon spalancò le fauci e creò l’inferno in terra, mentre il cielo s’imbruniva e le prime stelle facevano la loro comparsa nel palcoscenico della notte.
 
Fiammetta ed i due Ranger erano andati intanto all’interno del centro abitato; dopotutto era sempre avvenuto un terremoto e qualcuno sarebbe potuto essere in difficoltà.
Forti di queste convinzioni si avviarono verso il centro, dal punto di atterraggio, ovvero la spiaggia. Salirono una piccola scalinata e percorso un viale totalmente deserto, che solo un vento assai caldo spazzava a tratti.
Sentirono delle urla e cominciarono a correre in direzione di esse, passando dapprima davanti alle abitazioni che guardavano il mare, sognanti anche se con quell’espressione fissa, e poi entrarono in uno stretto vicolo che, probabilmente, li avrebbe portati al centro del paese, nella piazza.
Un crollo, in lontananza alzò tanta polvere, oltre ad emettere un sinistro rumore di mattoni fracassati, accompagnati da altre urla. Questo fece rallentare i ragazzi, che cominciarono ad adottare un passo più cauto.
Martino si guardò attorno; lanciò lo Styler e catturò velocemente uno Spinarak. Si trovavano in un vicoletto assai piccolo, tra due palazzi che probabilmente erano stati graziati dalla furia della terra. Le mura di questi, gialle, tufacee, parevano assai vecchie. Pochi passi davanti a loro un uomo ubriaco era steso per tutta la larghezza del vicolo, piegando il collo poggiato al muro.
“Attenzione...” fece Fiammetta, che lo sorpassò agilmente; venne la volta di Marina, che poggiò il piede proprio dove l’aveva messo Fiammetta qualche attimo prima, e che vide la propria caviglia afferrata da quell’uomo. Strabuzzò gli occhi, Marina strillò per lo spavento.
“Lasciami! Santo cielo, lasciami!”.
Martino strinse pugni e denti e scaricò un violentissimo calcio dritto sul volto dell’uomo, che espresse dolore e lamento per poi mollare la presa.
“Andiamo, presto” disse poi il Ranger.
Avanzarono gli ultimi passi, e videro una scena devastante: l’intero centro cittadino era crollato totalmente, riversando in strada mattoni e calcinacci come se fossero intestini dei palazzi. Il caos regnava, le persone si muovevano come vespe imbizzarrite, in tutte le direzioni, rendendo impossibile ai tre concentrarsi sulla totalità di loro.
Analizzarono quindi la situazione poco alla volta: sulla sinistra c’era una madre con il corpo esanime di una bambina mora, con due codini ai lati della testa ed il volto sporco di sangue. Era inginocchiata in una pozza vermiglia ed urlava perché al cielo. Più davanti un bambino di colore, dai capelli ispidi e ricci, rimaneva immobile, in totale contrasto con le altre centinaia di persone.
C’erano persone che scavavano a mani nude nelle macerie, martoriandosele, tagliandosi e piangendo per il dolore; non quello alle mani. No, piangeva per il dolore che portavano nel cuore.
E poco bastò a Fiammetta ad immaginare la paura di un padre che scavava con vigore tra i sassi di calcestruzzo, stringendo i denti, pregando Arceus, con ancora una piccola fiammella di speranza viva. E quando la stessa Fiammetta vide il volto dell’uomo non appena, alzando un grosso pezzo di intonaco, ebbe appurato che quella mano, quella piccola mano che aveva liberato, apparteneva a suo figlio gli si annodarono stomaco e gola.
“Dobbiamo aiutare...”.
Un’altra esplosione coinvolse un palazzo assai antico alla fine della piazza, crollando su di un mucchio di persone.
Ormai la fontana al centro della piazza avrebbe dovuto emettere soltanto sangue.
Martino e Marina sciolsero i ranghi, cominciando ad aiutare. Il primo prese una vanga da terra e cominciò a scavare con grinta e rabbia, impaurito da ciò che avrebbe potuto trovare al di sotto delle macerie, mentre Marina cominciò a radunare le persone ancora vive, sporche di sangue, magari non loro, e di cemento.
Fiammetta camminava lentamente, quasi sconvolta da quell’orrore; vedeva rivoli di sangue camminare lungo le canaline dell’acqua e terminare nelle grate dei tombini, dove l’acqua gorgogliava.
“Tell e Pat... Loro potranno aiutarci...” disse tra sé e sé, accelerando il passo verso la palestra. Essa era al di sopra del promontorio ovest, a nord della città; lì accanto abitava anche Rocco, ma trovarlo in casa era assai improbabile, con quel po’ di cose da fare che c’erano per tutta Hoenn. Avanzò con passo celere fino alla salita del promontorio, dove prese a correre. L’ennesima esplosione, la gente che urlava e, in lontananza, il rumore delle onde che s’infrangevano sulla parete frastagliata dell’isola.
Un ragazzo dagli occhi rossi e dai capelli biondi, con un cappuccio nero alto sulla testa scappò velocemente da lì, con il volto più vitreo, bravo a non trasparire alcuna emozione. Salì gli ultimi metri e si accorse di ciò che stava succedendo lì: l’esplosione aveva fatto crollare l’intera palestra di Verdeazzupoli; Tell e Pat erano al di sotto delle macerie.
“No!” urlò lei, tirando fuori Blaziken dalla sfera. Cominciarono a sollevare le macerie a mani nude pure loro.
“Non potete essere morti anche voi! Siete troppo piccoli per morire!” urlava in lacrime la focosa donna di Cuordilava, lasciando che Blaziken sollevasse i pezzi più grossi e pesanti.
Sentì un colpo di tosse, poi, verso sinistra. Aveva riconosciuto il tono della voce.
“È Pat! Blaziken, è viva ancora!” urlò. Precipitosamente si gettò verso la fonte del rumore, cominciando a scavare, fino a che non tocco, erroneamente, una mano, ricoperta dalla polvere.
Spalancò gli occhi, già pieni di lacrime; la mano era stesa sul dorso, immobile.
Fiammetta poggiò delicatamente l’indice puntuto nel palmo di quella mano insanguinata e polverosa; se l’avesse sentita fredda avrebbe pianto tutte le lacrime che aveva in corpo.
“Pat...” fece lei, al limite. Una lacrima attraversò veloce la sua guancia e fu catturata dalla sua lingua: era salata, e nonostante fosse prettamente acqua le asciugò la bocca.
Poi il mignolo della mano si mosse e un altro colpo di tosse fu attutito dalla grande quantità di macerie e calcinacci.
Fiammetta osservò poi come la mano si muovesse e, successivamente, come stringesse il dito che le toccava il centro del palmo.
“Pat! È viva! Forza, Blaziken!” fece, prendendo a scavare con ancora più forza. Dopo pochi secondi riuscirono a mostrare la testa della ragazza, soltanto impolverata.
“Fiammetta!” esclamò, inspirando grandi quantità d’aria.
“Sei viva! Sei viva!”.
“Fai presto! Non resisto più!”.
 
“Crys! A che punto sei?!” urlò poi Gold, mentre combatteva alacremente il Team Magma affianco a Silver.
“Tu non pensare a me! Non riesco a prendere la mira, è ancora troppo in forze!”.
Andy sospirò e guardò i suoi Pokémon. “Mightiena, vai con Sgranocchio su Ambipom!” urlò quello, vedendo poi il suo velocissimo Pokémon chiudere tra le mascelle il braccio destro del Pokémon. “E tu, Magmortar, colpisci con Vampata Grovyle e Poochyena. Che Pokémon deboli e patetici”.
“Shiftry!” urlò prontamente Gold. “Non devi far attaccare Magmortar! Hai usato Congiura, sei più veloce e più forte. Quindi ora devi bloccarlo fisicamente! Vai subito con Finta!” urlò quello dagli occhi dorati. Il suo Pokémon, veloce come il vento, scomparve e riapparve in un secondo, proprio davanti agli occhi di Magmortar; fece per colpirlo con il ventaglio a destra, quindi attaccò con quello di sinistra, facendo indietreggiare l’imponente Pokémon di fuoco.
“Non penserai che saranno dei ventagli di foglie ed uno spaventapasseri di legno ad intimidirci. Magmortar, Vampata!”.
“Anche tu, Arcanine!” urlò Zoe.
Gold sorrise e diede il via alla sua strategia. “Tutti giù nelle fosse!” fece.
Andy e Zoe ebbero un attimo di sorpresa; I loro obiettivi dichiarati erano Poochyena e Grovyle dato che, essendo più deboli, sarebbe stato facile metterli fuori combattimento. Intanto Gold aveva pensato ad una strategia difensiva altamente efficace, ordinando ad Ambipom di scavare una grossa trincea per quando i Pokémon dei cattivi avesse scatenato l’inferno.
Quindi saltarono tutti dentro e le fiamme, le caldissime fiamme, attraversarono longitudinalmente il campo di battaglia. Silver guardò i suoi Pokémon quindi quelli di Gold, non riuscendo a trattenere un lieve sorriso. Certo, lo odiava con tutto il cuore per quello che stava succedendo con Crystal ma non poteva non riconoscere che l’intesa in battaglia tra i due era veramente fuori dal comune.
Abbassò gli occhi, Grovyle e Poochyena lo guardavano in attesa di ordini, con sguardo attento.
Il fulvo sorrise e guardò avanti.
Non appena la sfuriata di fiamme scomparve, Andy e Zoe videro il campo di battaglia totalmente vuoto; si guardarono sgomenti.
“Dove sono andati a finire?!”
“Vai Aibo, come sappiamo io e te! Ed anche tu, Shiftry, esci fuori!” urlò Gold.
“Seguitelo!” impose Silver.
I tre Pokémon balzarono fuori e con aggressività si gettarono a capofitto contro i due avversari.
“Su Magmortar!” urlò Silver.
“Mightyena, intercetta il Poochyena con Riduttore!” fece Andy, dritto e con le braccia incrociate.
“Arcanine, subito Lanciafiamme su Grovyle!” urlò l’altra.
Contemporaneamente, Mightyena ed Arcanine cominciarono il proprio contrattacco: il Pokémon Fuoco si abbassò sulle zampe, focalizzando la propria concentrazione sull’obiettivo; poi, come un cannone carico, fece fuoco.
La potenza scatenata dal Pokémon fu enorme e colse di sorpresa Grovyle, travolto dal Lanciafiamme.
Mightyena invece caricava con cattiveria il piccolo Poochyena di Silver, abbassando la testa, pronto per impattarlo. Quello frenò, impaurito, guardando il suo Allenatore negli occhi; guardò poi Grovyle, travolto dalle fiamme e guaì impaurito.
“Ora!” urlò poi Gold. Shiftry colpì con un forte attacco Ripicca su Arcanine, facendolo ruzzolare parecchi metri indietro, arrivando fin quasi sulla spiaggia.
Quell’ora di Gold, però, ebbe anche un altro effetto: Aibo uscì da sotto terra e sferrò un forte pugno sotto la pancia di  Mightyena. Dapprima quello si alzò in aria, poi rovinò duramente per terra.
“Ottimo. Poochyena, Azione su Mightyena e l’abbiamo messo fuori gioco”.
E lo fece; l’attacco non fu effettuato con grande potenza, tuttavia fu bastevole per permettere al Pokémon di evolversi, durante la lotta.
“Guardalo...” sorrise Gold.
Il muso, le zampe, il corpo, tutto diventò più grande. Poochyena era diventato un Mightyena.
“Ottimo lavoro! Ora sotto!” urlò Silver, con grinta.
 
“E Tell? Dov’è tuo fratello?” chiese Fiammetta, ripulendo la Capopalestra di Verdeazzupoli dalla polvere delle macerie. Quella si era rimessa in piedi, il tempo di capire di essere ancora viva, per poi voltarsi costernata verso la sua Palestra.
O almeno quello che ne rimaneva.
Fiammetta la vide chiudere gli occhi ed abbassare la testa.
Starà cercando di comunicare telepaticamente con lui, pensò la rossa, guardando il volto di quella, sempre più concentrato, più rappreso. La vedeva, era cresciuta, era finalmente diventata una donna. Aveva quasi diciott’anni, ormai nei suoi occhi era sparita quella luce infantile e sognante di bambina, sostituita dallo specchio di un animo che aveva visto tante cose.
La pelle di quella ragazza era sempre stata pallida, al contrario dei capelli corvini, lunghi e lisci, che da pochi anni a quella parte aveva cominciato ad acconciare in una treccia lunga e curata. Gli occhi erano sempre ben truccati anche se quella volta il pianto aveva creato un dipinto nero di disperazione sul suo viso.
“Tell... è morto...” sussurrò Pat, mordendosi le labbra nel vano tentativo di trattenere il pianto.
Vano, appunto.
Le lacrime, le sue lacrime, quelle calde e nere lacrime, scivolarono agili sulla guancia, formando un canale candido nel nero sbiadito che aveva attorno agli occhi scuri.
Fiammetta si avvicinò, per stringerla, accogliendola tra le sue braccia.
“Fiammetta... Perché?!” domandò poi, lasciandosi andare alla disperazione.
La rossa capiva. Capiva quanto fosse difficile perdere qualcuno, capiva quanto potesse essere difficile ritrovare le convinzioni così, a bruciapelo. Eppure lei ci era riuscita.
Quella che era stata definita come la Capopalestra più inutile ed insulsa di tutta la regione di Hoenn era riuscita a sopravvivere alle catastrofi. Anzi, le combatteva.
Pat, assieme a suo fratello Tell, era micidiale con i Pokémon. Tutto ciò veniva coadiuvato anche dai poteri psichici che i due possedevano.
“Perché è così e basta, Pat. Non è giusto, lo so benissimo: Tell era un ragazzo, era giovane, era capace. Arceus se l’è preso con sé e questo non è giusto; ma sono morte anche centinaia di migliaia di persone, meno capaci. Civili. Bambini. Nessuno in questa situazione meritava di morire, eppure è successo”.
“Era mio fratello, Fiammetta! Mio fratello!” urlò lei, emettendo lamenti quasi dolorosi .
“Lo so. So benissimo che fosse tuo fratello”.
“Ed ora? Ed ora è sotto un cumulo di pietre!” fece puntando il dito verso le macerie.
“Almeno tiriamolo fuori da lì...”.
“Non serve più a nulla, Fiammetta” sospirò Pat. “Non sento più la sua energia vitale. Tell è morto”.
“Blaziken” disse poi al Pokémon. “Cercalo e tiralo fuori. Che poi tu come ti sei salvata?”.
“Ho concentrato la mia energia per crearmi una sorta di scudo con la forza psichica. Sono stanchissima”.
“Immagino...”. Fiammetta sospirò e la vide sedersi, mentre tratteneva a stento le lacrime. Le labbra di quella tremavano in maniera inconsapevole.
Si sedettero entrambe sull’erba. Fiammetta sapeva che avrebbe dovuto sbrigarsi, anche perché c’erano continue scosse d’assestamento, condite da forti esplosioni.
“Cos’è che esplode?” domandò la rossa.
“Non ne ho idea...”.
“Dobbiamo dare una mano. Lo sai, vero?”.
“Sì. Ma...”.
“Non prenderla come una giustificazione. Conosci bene il carattere di Tell e sai che non accetterebbe mai questa tua apatia... C’è gente che sta morendo, lì fuori. Il sangue sgorga nei tombini”.
“Hai ragione”. Sospirò.
Blaziken alzò un grosso masso quindi emise il proprio verso nel tentativo di attirare l’attenzione verso di sé.
“Girati e non guardare” fece Fiammetta.
Il Pokémon Vampe alzò il corpo morto e sfregiato di Tell, grondante di sangue.
“Non guardare. È tuo fratello”.

 
Angolo di un autore ubriaco la maggior parte delle volte:
Bel capitoletto, insomma, questo. Niente, scrivo l'angolo autore per dire che questo capitolo sarà con ogni probabilità diviso in tre o più parti, essendo pregno di avvenimenti. Non volevo ridurre la quantità di parole e neppure creare un megacapitolo illeggibile, quindi questo. Inoltre ringrazio tutti quelli che leggono la storia o che almeno ci hanno provato. Grazie per tutto, a presto.
Andy
 
 
 

 

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Capitolo 30
*** Capitolo Ventiseiesimo pt. 2 - Attica ***


Previously, on Hoenn's Crysis
Blaziken alzò un grosso masso quindi emise il proprio verso nel tentativo di attirare l’attenzione verso di sé.
“Girati e non guardare” fece Fiammetta.
Il Pokémon Vampe alzò il corpo morto e sfregiato di Tell, grondante di sangue.
“Non guardare. È tuo fratello”.





Attica pt 2



Martino e Marina erano nella piazza principale di Verdeazzupoli. Piovevano lacrime lì, quel giorno.
La ragazza era indaffarata; cercava di aiutare quante più persone potesse, ma quel calore non aiutava per nulla. Levò il gilet, infilandolo nel piccolo zaino che indossava, quindi corse immediatamente da una donna urlante.
“Signora... Che succede?!” chiese lei, allarmata. Gli occhi color nocciola della donna erano lucidi, le lacrime risplendevano sulle rime degli occhi e sulle ciglia, si abbandonavano poi sulle guance paffute. Marina sospirò, analizzando la persona che aveva davanti: una donna grande, sulla cinquantina, con i capelli biondi e spettinati, acconciati in quello che qualche minuto prima doveva essere un caschetto. Il naso era aquilino e nel complesso non era una bella donna, anche se al Ranger non interessava nulla.
“Signora!” la prese per le spalle, scuotendola. “Che succede?!”.
Quella guardò la ragazza, non riuscendo a capire, già confusa per via delle urla e del caos che aveva attorno.
“Mi chiamo Marina, sono un Ranger e voglio aiutarla”.
“Mia... mia figlia! Mia figlia è in cantina! Mia figlia Sofia è in cantina!”.
“Dove?!” esclamò celere la più giovane.
“Nella cantina di quel palazzo! È crollato e lei era giù in cantina!”.
“Sa dirmi se è viva o morta?”.
“No! Non so niente! Non sento la sua voce!”.
Marina si voltò, e vide il palazzo: la metà superiore era totalmente crollata e tutt'intorno giacevano inermi le macerie. Scavalcò grossi pezzi d'intonaco e calcestruzzo, facendo attenzione a non inciampare sui grandi calcinacci sparsi per
terra quindi, senza toccare la porta, entrò nell'androne.
La polvere era posata sugli scalini di marmo del palazzo. Un po' di pulviscolo si sollevava, passandole davanti al naso.
Analizzò la situazione: le scale che portavano verso l'alto, le inutili scale che portavano verso l'alto, erano bloccate dalle macerie. Qualcuno sotto quelle macerie ci era morto dato che una mano insanguinata pendeva esanime; il resto del corpo di quella persona era totalmente sotterrata dalle mura crollate.
Doveva stare attenta. Doveva stare terribilmente attenta. Avrebbe potuto sfruttare qualsiasi cosa avesse trovato per strada, compreso i Pokémon.
"Non ho lo Styler..." ricordò poi. Aveva soltanto Vulpix, quel cucciolo.
"Me lo farò bastare..." sussurrò poi, prendendo lentamente le scale che andavano verso il piano di sotto.
Quanto più scendeva tanto più diventava buio. Si avvicinò all'interruttore della luce e provò ad abbassarlo, sperando realmente di vedere illuminato il suo volto dai vecchi bulbi a filamento di quell'antico palazzone.
"Niente..." sospirò. La luce che la seguiva alle spalle, proveniente dall'androne del palazzo, era poca.
Plic.
Camminava lentamente, sempre più lentamente. Poi toccò qualcosa con il piede, percependo di averlo fatto rotolare alcuni metri più in avanti.
Plic.
Era una mazza. Una mazza di legno. Cercò a tentoni con il piede prima di scivolare su qualcosa di viscido, riuscendo tuttavia a non cadere per terra.
"Dannazione!" esclamò.
Trovò con il piede la mazza e l'afferrò.
Plic. Plic. Plic.
Era tutto nero; non vedeva, i suoi occhi brancolavano nel buio nel lontano tentativo di percepire qualcosa. Malgrado questo però, gli altri quattro sensi si acuirono.
Plic.
Sentiva un lontano sgocciolio, come se fossero in una grotta e l'acqua, filtrata dalle stalagtiti scendesse in un lago sotterraneo.
Plic.
C'era uno strano odore lì. Odore pungente, che non aveva sentito spesso.
Plic.
"Devo vederci chiaro... Vulpix, aiutami" fece. Il Pokémon guaì.
"Sono qui" fece lei, sentendolo strusciarsi contro la sua gamba. "Ora... ora, se fossi così gentile da... da accendermi questo bastone... Ecco, te lo porgo".
Plic.
Vulpix guaì ancora.
"Scusami! Non volevo colpirti! Per favore, usa una mossa di fuoco per accendere una fiammella su questo bastone".
Una scintilla, illuminò per poco quel posto.
Plic.
"Meglio. Forza".
Vulpix riaccese il fuoco, attaccando con un bel flusso incandescente, rendendo luminoso lo spazio per qualche secondo in più.
Alla fine riuscì ad accendere l'estremità anteriore di quel bastone, creandosi una torcia.
E scoprendosi in una vera e propria trappola.
Un’automobile era incastrata a metà nel solaio.
Plic.
Il serbatoio era con ogni probabilità bucato.
Plic.
“Santo cielo...” disse Marina, guardando Vulpix e la torcia che aveva in mano: piccole gocce di benzina defluivano fuori dall’automobile. Avevano creato un rivoletto che si estendeva in lungo verso l’uscita del palazzo; proprio dov’era entrata il Ranger.
“Qui c’è benzina. E con ogni probabilità salteremo in aria se non stiamo attenti”.
E sì, in quel momento rimpianse Oblivia e la sua relativa calma, dove gli allenatori erano pochi e venivano denigrati e dove i terroristi ambientali non erano così...
“Stronzi”.
Plic.
Quella goccia che cadeva, così ritmicamente, le fracassava i timpani; stava diventando insostenibile e l’adrenalina e la paura di commettere un errore grave, un errore grave e divampante.
Plic.
Lei avanzò, guardandosi attorno. A destra e a sinistra c'erano tante saracinesca chiuse, tanti garage che la guardavano, riempiendola ulteriormente d'ansia.
Vulpix avanzava al passo, impaurita. Evitava agilmente le chiazze di benzina che ristagnavano sul pavimento polveroso e poi alzò la testa quando si trovò sotto la macchina.
"Non aspettare lì sotto, che se la macchina cade siamo rovinati... Sofia!" la chiamò poi.
Allungò le orecchie, nel vano tentativo di ascoltare una risposta.
Vano: inutile.
Non rispondeva, Sofia.
Plic.
"Andiamo!" fece lei. Accelerò il passo, sempre attenta a non inciampare. Doveva fare presto, il fragile palazzo non avrebbe sorretto un'ulteriore scossa d'assestamento.
Avanzò ancora, la torcia dorava il suo volto. Le zampette di Vulpix, con quelle unghiette, ticchettavano ad ognuno degli elegantissimi passi che quella faceva.
Il corridoio si snodava a destra e a sinistra, in un bivio.
Marina analizzò la situazione, quindi abbassò la testa e vide un piccolo berretto rosa.
Spalancò gli occhi, si chinò sulle ginocchia e raccolse il piccolo copricapo di lana.
Vulpix guaì ancora e Marina la guardò. "E tu? Tu sapresti dirmi se la proprietaria di questo cappello è a destra o a sinistra?".
Un ultimo guaito anticipò l'ennesimo plic. Marina la vide muovere le orecchie mentre aguzzava l'udito, quindi le avvicinò al naso il cappello.
Il Pokémon emise il suo verso e scappò verso sinistra, incurante della benzina sparsa per terra; Marina la seguì, correndole dietro.
"Forza! Potrebbe essere tardi!".
Le saracinesche continuavano a susseguirsi monotone quando Vulpix si fermò davanti all'ultima. Era chiusa.
"Vulpix, sei sicura?" chiese il Ranger, scettico. "Insomma, la saracinesca è chiusa... Come avrebbe potuto fare Sofia ad entrare qui dentro?".
Vulpix guaì nuovamente e batté la zampetta sul ferro dipinto della porta del garage.
"Sei sicura davvero?"
Vulpix attaccò con Azione la saracinesca e Marina la sentì vibrare nei suoi binari.
"Non è chiusa..." ragionò ad alta voce. Abbassò lo sguardo, notando che non ci fosse alcun catenaccio a tener chiusa la serranda.
Si abbassò sulle ginocchia e la sollevò di poco, con enorme stupore. "Si alza!".
Alla fine la alzò tutta, venendo poi investita da una grande quantità di polvere. Una parte delle pareti era crollata, rovinando sul pavimento di cemento.
Vulpix scattò subito in avanti, sporcando ulteriormente le zampe imbrattate di benzina. Saltò su di un grosso pezzo di cemento staccato dalla parete e poi vi scese, scavalcandolo. Quindi prese a guaire, cercando di richiamare l'attenzione di Marina.
"Cosa?! Che succede?!" chiese. Balzò poi oltre gli ostacoli ed i calcinacci per ritrovarsi alle spalle del Pokémon Volpe.
Vi era un Linoone, con i denti stretti e lo sguardo sofferente, mentre cercava di sorreggere il grosso peso sulla schiena.
Sotto il suo corpo c'era una bambina di quattro anni. Era sicura che si trattasse di Sofia.
"Eccola!" urlò lei.
Linoone dapprima ruggì nei confronti di Marina, poi sembrò comunicare con Vulpix e subito cercò di farsi da parte per permettere al Ranger di tirare via la ragazzina, svenuta. Poi urlò dolorante, cercando di farsi da parte.
Inutilmente.
Il grande pezzo di muro lo schiacciò; le sue zampe non erano riuscite a sopportare il peso continuato che lo premeva verso il pavimento. Lui però doveva salvare Sofia, quella piccola bambina che si trovava nel posto sbagliato al momento più sbagliato che ci potesse essere.
Ed è questo l'incredibile. Niente succede per caso e forse è vero. Ma quanto più è complicata una cosa tanto più ti succederà.
Guardò il Pokémon con le lacrime agli occhi, con ancora la fiaccola che le dorava il volto; il suo viso pareva una di quelle maschere dei faraoni egizi.
Un rivoletto di sangue andò a tuffarsi nell'orma di polvere e benzina delle zampe di Vulpix e delle scarpe di Marina, imbastardendosi, impastando ancor di più quel miscuglio brunastro.
"Ciao, Pokémon coraggioso" sussurrò lei, avviandosi fuori. Era pur sempre una bambina di quattro anni, tuttavia portarla in braccio senza farla bruciare dall'enorme torcia che portava nella mano destra e soprattutto senza far cadere nessuno delle due cose; naturalmente Sofia si sarebbe fatta male cadendo.
E poi, beh... Se fosse caduta la torcia sarebbero totalmente saltati per aria, con tutta la benzina che c'era per terra.
Camminò a fatica. Non poteva nemmeno poggiare la torcia da qualche parte; se fosse caduta avrebbe velocemente raggiunto le migliaia di morti, strappate alla vita come da un braccio forte e violento.
Plic.
Quel dannato rumore continuava ad espandersi, a rimbombare lungo le pareti umide e talvolta piene di muschio e muffa di quella cantina. La torcia illuminava tutt’attorno e Marina doveva stare attenta. La piccola bimba respirava lentamente, ancora viva; la cosa diede un minimo di speranza al Ranger.
“Almeno il sacrificio di quel Linoone non è stato vano”.
Vulpix zampettava velocemente in avanti, calpestando noncurante le chiazze di benzina che, mano a mano ci si avvicinava all’automobile incastrata nel soffitto, diventavano sempre più larghe. L’odore che ne derivava era nauseabondo. A qualcuno l’odore della benzina piaceva, non a lei.
Troppo forte come odore; troppo forte per quel naso così delicato.
Marina doveva stare ancora più attenta, perché la benzina era viscida. Scivolare con la torcia in mano e la piccola Sofia in braccio le sarebbe costata la vita ed un peso enorme sulla coscienza.
Secondaria come cosa, l’ultima; da morta non avrebbe avuto alcun peso sulla coscienza dato che non avrebbe avuto più coscienza.
Plic.
Non ci doveva pensare, a quel maledettissimo rumore. Non doveva dar peso all’ansia che, con l’incedere di ogni passo, aumentava nel suo corpo, lungi dall’essere maturo e ricolmo d’esperienze.
Un metro ancora, ancora un futile e misero metro, dopodiché sarebbe stata sotto l’automobile pericolante.
Doveva pensare.
Plic. Plic. Plic.
“Uff...”.
Ci riprovò.
Plic.
Plic. Plic.
Gneeee.
Marina alzò gli occhi di poco, vedendo la macchina dondolare.
“Cazzo!” esclamò.
Gneeee.
Aumentò il passo, cercando di allontanarsi quanto più velocemente possibile da lì. Affondò il piede nell’ennesima chiazza di benzina ma perse l’equilibrio.
“Cavolo!” strillò. La sua voce apparve deformata, quasi mostruosa, nel momento in cui rimbalzò sulle pareti della cantina, perdendosi chissà dove e risultando trascinata.
Si ritrovava distesa per terra, con la torcia alzata verso l’alto e la piccola Sofia stretta sul petto.
Gneeee.
Plic. Plic.
La macchina adesso traballava vistosamente nel suo piccolo binario che le consentiva di non precipitare giù. Polvere e piccoli pezzi d’intonaco e cemento crollavano frettolosi sul volto della giovane.
Vulpix le si avvicinò e prese per il collo della maglietta la piccola Sofia, cominciando a tirarla via. Marina avrebbe anche sorriso se solo non fosse stato per il fatto che adesso la macchina che aveva a pochi metri dalla testa non si fosse mossa più forte, con uno scatto pauroso.
“Cazzo!” urlò Marina. Lo sapeva quand’era il momento. E quello era proprio ciò che temeva.
La macchina stava per crollare, per rovinarle addosso.
“No!” urlò lei, spingendo forte la ragazzina verso Vulpix, facendola finire un paio di metri più lontana; appoggiò il ginocchio per terra e con il piede destro si diede slancio, tuffandosi via.
Plic.
 
Boom.
 
Marina era ancora in volo, in attesa di atterrare sul cemento duro e freddo di quella cantinola quando, rumorosamente, la macchina si schiantò dal soffitto.
Marina ruzzolò qualche metro più avanti.
E la torcia le sfuggì di mano.
 
Il calore aumentò in maniera esponenziale, da buio che era quel posto d’improvviso s’illuminò a giorno.
Strisce di fuoco dividevano il pavimento in sezioni bollenti e strette; Marina fu costretta a prendere la piccola bimba bionda in braccio e a stringerla ancora più forte. Era ancora incosciente.
“Tranquilla piccolina” fece lei, con le lacrime agli occhi. “Tranquilla. Riusciremo a cavarcela”.
Vulpix guardava affascinato le fiamme che si alzavano dal pavimento: blu alla radice, rosso all’apice.
Rosso come il sangue.
Rosso come il fuoco. Fumo nero e tossico si alzava in alto e toccava il soffitto, cercando invano di spingerlo in alto e defluendo per forza di cose nel grande buco da cui la macchina era caduta.
Marina si abbassò. Non sentiva più alcun plic, nessun altro rumore che non fosse quello del fuoco che divampava.
Il fuoco si avvicinava minaccioso, sempre di più, bramando i vestiti di Marina, inzaccherati di carburante.
Doveva ragionare, adesso doveva farlo davvero.
Senza il plic era più semplice. Era il fuoco, effettivamente, a complicare un po’ la situazione.
Quel fuoco, sinuoso nei suoi movimenti, lenti, quasi stanchi, proiettava la sua luce sulle mura. Ebbe persino il pensiero di vedere dove Vulpix si fosse cacciato, concludendo con la cocente delusione sul fatto che, a differenza sua, il volpino avrebbe vissuto in un ambiente così caldo.
Così tanto caldo.
Tuttavia non lo vedeva più, mentre il fuoco si muoveva verso di lei.
Sentì il suo guaito lontano, poi lo sentì sempre più vicino, sempre più vicino. Sempre più vicino, fino a che non vide la sua ombra distorta proiettata su quelle mura da imbiancare.
“Vulpix!” urlò lei, tossendo poco dopo per via del forte odore.
Il Pokémon guaì di nuovo ed intanto la testolina bionda di Sofia si mosse.
“No! No! Non avere paura, sono venuta a portarti dalla tua mamma!” esclamò Marina, allarmandosi quasi più per la bambina che per l’incendio.
“Chi sei tu? E perché c’è il fuoco?”. La voce della bimba era delicata, piccola. Tanto piccola.
“Stai tranquilla e non ci faremo male”.
E Vulpix continuava a guaire.
 
Dall’alto del promontorio ad ovest, Fiammetta e Pat avevano deciso di muoversi e di fare qualcosa.
Si affacciarono, poggiando le pance fredde e vuote sulle balaustre di ferro battuto.
Guardarono in città, Pat doveva farlo per responsabilità.
Fiammetta comprendeva il senso di protezione che quella ragazza, quella quasi donna, provava nei confronti dei suoi cittadini; era lo stesso sentimento che aveva provato quando, malgrado i suoi sforzi, Cuordilava andò distrutta.
“Metteremo tutto a posto, vedrai” cercò di incoraggiarla. Lei si stringeva nella spalle. Un sospiro gettò fuori una grande quantità d’ansia ma, proprio come il mare sul bagnasciuga, ritornò indietro, più forte di prima.
La piazza, la piazza della sua città, quella dove era cresciuta correndo per i vicoli della città. Ricordava quando, nel giorno del mercato,  
I suoi occhi neri rimestavano le immagini che la memoria le sottoponeva, unendole tra di loro, facendole muovere, come una vecchia cinepresa.
Pat riusciva a vedere la sua città; riusciva a vedere la piazza principale.
Riusciva a vedere tanti uomini vestiti di nero.
“Ma che diamine succede?” chiese con una calma quasi irreale.
Fiammetta strinse lo sguardo, focalizzando, mettendo a fuoco.
“Quello è il Team Magma!”.
“Dannazione...” sospirò Pat. Si sentiva sull’orlo del baratro. Le pareva di camminare su di un sottile filo di nylon, in un giorno di tempesta.
Stava per cadere.
“Non demordere! Dobbiamo fronteggiarli!”.
“Sono troppi per noi”.
Fiammetta scosse Pat con determinazione, quindi prese ad urlare. “Reagisci, cazzo! La tua gente è sotto attacco!”.
“Ma cosa vuoi che faccia?!” rispose a tono la più giovane. “Che dovrei fare?!”.
“Senti, finisci di essere così disfattista!”
“Da sole non riusciremo mai a fermare quest’attacco!”.
Fiammetta annuì velocemente, con quegli occhi vispi che si ritrovava, quindi sorrise. “Ecco perché abbiamo bisogno di Rocco Petri”.

 

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Capitolo 31
*** Capitolo Ventiseiesimo pt. 3 - Attica ***


Previously, on Hoenn's Crysis

Doveva ragionare, adesso doveva farlo davvero.
Senza il plic era più semplice. Era il fuoco, effettivamente, a complicare un po’ la situazione.
Quel fuoco, sinuoso nei suoi movimenti, lenti, quasi stanchi, proiettava la sua luce sulle mura. Ebbe persino il pensiero di vedere dove Vulpix si fosse cacciato, concludendo con la cocente delusione sul fatto che, a differenza sua, il volpino avrebbe vissuto in un ambiente così caldo.
Così tanto caldo.
Tuttavia non lo vedeva più, mentre il fuoco si muoveva verso di lei.
Sentì il suo guaito lontano, poi lo sentì sempre più vicino, sempre più vicino. Sempre più vicino, fino a che non vide la sua ombra distorta proiettata su quelle mura da imbiancare.
“Vulpix!” urlò lei, tossendo poco dopo per via del forte odore.
Il Pokémon guaì di nuovo ed intanto la testolina bionda di Sofia si mosse.
“No! No! Non avere paura, sono venuta a portarti dalla tua mamma!” esclamò Marina, allarmandosi quasi più per la bambina che per l’incendio.
“Chi sei tu? E perché c’è il fuoco?”. La voce della bimba era delicata, piccola. Tanto piccola.
“Stai tranquilla e non ci faremo male”.
E Vulpix continuava a guaire.

Fiammetta strinse lo sguardo, focalizzando, mettendo a fuoco.
“Quello è il Team Magma!”.
“Dannazione...” sospirò Pat. Si sentiva sull’orlo del baratro. Le pareva di camminare su di un sottile filo di nylon, in un giorno di tempesta.
Stava per cadere.
“Non demordere! Dobbiamo fronteggiarli!”.
“Sono troppi per noi”.
Fiammetta scosse Pat con determinazione, quindi prese ad urlare. “Reagisci, cazzo! La tua gente è sotto attacco!”.
“Ma cosa vuoi che faccia?!” rispose a tono la più giovane. “Che dovrei fare?!”.
“Senti, finisci di essere così disfattista!”
“Da sole non riusciremo mai a fermare quest’attacco!”.
Fiammetta annuì velocemente, con quegli occhi vispi che si ritrovava, quindi sorrise. “Ecco perché abbiamo bisogno di Rocco Petri”.

 


Attica pt. 3


“Vulpix! Dove sei?!” tossì Marina.
La sua voce si perdeva fumosa nella bruciante e divampante situazione in cui si trovava; sentiva il suo Pokémon guaire. Non era assai rumoroso, quasi temeva di dar fastidio al fuoco, Vulpix, con la sua voce.
“Marina!” udì poi. Era la voce di suo fratello.
Il cuore della ragazza batteva, pompava sangue nelle vene veloce come le ruote di una locomotiva. I polmoni le facevano male e tuttavia continuava a stringere Sofia al petto.
“Martino! Siamo qui!”.
“Siamo?!” urlò stupito lui.
“C’è una bimba con me!”.
“Oh porco... Aspetta lì!”.
“Fai presto!” esclamò disperata la ragazza. “Non si respira più!” fece, tossendo.
Il fuoco continuava a divampare; Marina si perse per un attimo all’interno delle trame incandescenti delle fiamme, rivivendo un momento della sua vita: era bambina ed era inverno. Oblivia era un’isola molto calda quindi non aveva mai visto la neve. Tuttavia in inverno faceva molto freddo.
E suo padre aveva costruito un grande camino angolare; era nel salotto, lo ricordava, proprio davanti ai divani. Lei e Martino si sedevano davanti ad esso, ricordava ancora il sorriso di beatitudine che avevano sui volti mentre, cullati dalle fiamme, un po’ di Jazz usciva dallo stereo. Giocavano, quei due.
Giocavano sempre.
Ed era strano, perché entrambi non si erano mai sopportati granché. Martino era così prepotente, e lei da piccola era saccente e perfettina.
Crescendo, davanti a quel camino, tutti gli inverni, avevano stretto il loro rapporto.
Ma anche se non l’avessero fatto un granché bene, Martino sarebbe lo stesso corso in soccorso di sua sorella.
Sollevava una grossa porta di legno, che prima era appoggiata ad un muro, staccata dai cardini.
“Attenta, sorella!”.
“Presto!”.
E nel sibilare del fuoco la porta crollò dritta, verticale, sovrastando una porzione di quel grande rogo, creando un breve passaggio, solo per poco.
“Forza!”
La porta era distesa sulle fiamme e con ogni probabilità la faccia di sotto bruciava. Le fiamme salivano da destra e da sinistra; una piccola vampa usciva anche dal buco della serratura.
“Marina! La porta non durerà per sempre!”.
Vulpix guaì, come per ridestarla; il pianto di Sofia non faceva altro che caricarle pressione addosso.
Alla fine si risvegliò da quello stato di trance e mosse passi lenti ma decisi. Il fuoco accompagnava il Ranger e la bimba verso la luce che arrivava dalla tromba delle scale.
“Sì. Devo fare piano”.
“No! Devi fare presto!” urlava Martino. Era a metà della porta, e si bloccò.


Quel fuoco non le ricordava solo il camino.
 
La cicatrice che aveva sotto al seno, sul costato, bruciava.
Bruciava tanto. Terribilmente.
Era poco più che un’adolescente quando successe ma ricordava tutto alla perfezione. Uno dei primi appuntamenti galanti, la rapina, l’esplosione, rumore del cristallo che s’infrangeva.
La fuga, e poi il sangue che sporcava il suo abito bianco.
Per una quattordicenne il primo appuntamento con un ragazzo era un’altra cosa.
Ma le fiamme c’erano, dopo quell’esplosione, erano alte ed erano uguali a quelle che in quel momento bruciavano il già esiguo ossigeno della cantina.
“Marina!” fece Martino; il ragazzo ritirò ogni riserbo e prese Sofia in braccio, strappandola dalle braccia della sorella. Le afferrò quindi la mano e la tirò a sé, pochi attimi prima che il fuoco inghiottisse la porta, quell’improvvisato ponte che li divideva.
 
Pat e Fiammetta corsero velocemente verso la parte est del promontorio. La casa di Rocco era un’elegante villetta su due piani. Una grande cancellata divideva un perimetro rettangolare fatto di siepi. Tuttavia Rocco era il Campione e quel cancello non veniva mai chiuso, tanto che non era strano vedere bambini che giocavano con la palla e si rincorrevano lungo i grossi prati.
Di tanto in tanto c’erano anche coppiette che passeggiavano.
Quel giorno era, logicamente vuoto.
Fiammetta entrò seguendo Pat che, essendo della zona, aveva percorso quel viottolo fatto di breccia tantissime volte.
Allontanò i pensieri del passato quando, vicino alla grande fontana sulla destra, lei e Pat giocavano; anzi, mosse dei passi ancora più veloci per ritrovarsi proprio davanti l’enorme casa del Campione.
La Capopalestra di Verdeazzupoli si fermò sullo zerbino, facendo bloccare anche Fiammetta.
“Che succede?”.
“Rocco è dentro”.
“Che ne sai? Bussa, no?”.
Pat guardò Fiammetta con sufficienza, alzando un sopracciglio.
“Ah, vero, scusa” rettificò la rossa. “Beh, se è dentro entriamo, no?”.
“No. Non è solo. C’è qualcuno con una grande disparità tra yin e yang”.
Fiammetta non era stupida ma non capiva. “Spiegati meglio”.
“Questa persona... è una donna... sembra totalmente amorale. È...”.
“Malvagia” concluse quella di Cuordilava.
“Esattamente”.
Fiammetta però era spinta dalla curiosità e appoggiò l’orecchio alla porta, nel segreto tentativo di sentire qualcosa; non appena toccò la porta, essa si aprì silenziosamente.
Pat la guardò entrare immediatamente, circospetta, e decise di seguirla.
Se c’era un aggettivo con cui avrebbero potuto definire l’arredamento della casa di Rocco Petri, quello era sicuramente minimalista. Tutto aveva un ordine particolare lì, oggetti dal dubbio gusto artistico erano disposti soli e nudi su piedistalli dai colori freddi, fatti per lo più di plastiche dure o di ferro.
Fiammetta sentì la voce di Rocco, con quella strana nota preoccupata. Pat le fece segno di seguirla e di non fare rumore; s’appostarono dietro l’uscio dell’enorme salone.
Vedevano tutto da lì.
Il grande ambiente era piuttosto freddo e nonostante la luce del vespro fosse di quell’arancione caldo che spesso scalda il cuore gli spessi vetri la limitavano, costringendo il proprietario ad accendere lampade e piantane.
Rocco era spalle al muro; una donna dal lungo abito rosso, invece, gli puntava un grosso coltello alla gola. Il volto di Rocco era granitico, i suoi occhi argentei fissavano quelli della donna.
Pat e Fiammetta riuscivano solo a vedere le spalle e la lunga e fluente chioma rossa della donna, con quei capelli mossi; grappoli di boccoli le si poggiavano sulle spalle.
“Rocco... Non voglio più ripetertelo. Devi starne fuori...” disse. La voce di quella era maliziosa, liscia come il marmo e calda come una folata di caldo scirocco.
Il Campione, che la guardava dritta negli occhi purpurei, sorrise leggermente.
“Sai che cosa stai facendo, vero?”.
La donna sorrise a sua volta. “Certo che lo so... Altrimenti ora non sarei qui a puntare una lama affilata come un rasoio al collo del mio adorato Campione di Hoenn”.
“Dimmi solo perché”.
Poi ci fu una breve pausa. Rocco guardò vacillare il suo sguardo amarantino.
“Miriam, abbassa questo coltello, prima che uno di noi due si faccia male”.
“Non trattarmi come se ti sentissi superiore a me. Tu in fondo che cosa sei?”.
“Sono il Campione di una dannatissima regione. Regione che tu ed Igor state bersagliando. Perché qui? Perché alla mia gente?”.
Miriam sorrise ed abbassò il coltello, allungando la mano verso il petto tonico dell’uomo. Rocco sentiva la sua mano calda sui pettorali. Seguì con lo sguardo il suo braccio, con quella pelle diafana e quei tre nei vicino la spalla. Il vestito rosso, lungo e fluente, risaltava i fianchi morbidi ed il decolleté ampio.
Quella donna non era alta e prorompente, dalle forme generose. E con una luce strana negli occhi.
“Che stai guardando?” chiese, quasi sorridente, Miriam.
“Non hai freddo così?”.
La donna lasciò libero il suo sorriso e fissò dritto negli occhi l’uomo, tornando a puntare la fredda lama sul suo collo.
“No, Rocco. Non ho freddo. Il mio sangue è bollente”.
“Come quello di tuo padre del resto...”.
“Mio padre...” dovette abortire un sorriso triste, quella. Abbassò il volto, premendo la lama affilatissima contro il collo dell’uomo. “Dare più opportunità agli umani e ad i Pokémon della terraferma. Questo era il sogno di mio padre. Ed Ivan, quel vigliacco menefreghista, quel traditore... Beh... Ivan l’ha ammazzato. Io ero poco più che una bambina quando mia madre mi disse che mio padre era morto”.
“Non è questo il modo per ricordare tuo padre... Stanno morendo milioni di persone”.
“Non abbiamo ancora fatto niente, è tutto merito di Groudon. Noi non lo stiamo controllando, noi non stiamo facendo niente. È stato Arceus ad averlo svegliato. Il resto è nato dalla coscienza del Pokémon in questione”.
“E allora perché mi chiedi di stare fuori dalla faccenda? Perché, dopo tutto quello che abbiamo passato assieme, mi stai puntando un coltello alla gola?”.
“Stai zitto. Non sei nella condizione di fare domande”.
Rocco sorrise, continuando a fissarla dritta negli occhi, di quel rosso rubino che aveva visto solo nelle iridi di Fiammetta.
“È inutile continuare a minacciarmi... So che non mi farai del male...”.
Miriam sorrise ed inarcò un sopracciglio. Spostò i capelli dalla faccia e premette il coltello con discreta forza, lasciando una sottile linea di sangue sul collo del Campione.
“Brucia?” chiese poi, con quella strana suadenza, unita agli occhi maliziosi che aveva.
“Tu sei pazza...”.
“Non appena Groudon e Kyogre cominceranno il proprio scontro, e vincerà, beh... È semplice poi, anche per uno un po’ tonto come te... Purtroppo hai dei Pokémon troppo potenti e delle capacità ottimali... peccato che sei dalla parte sbagliata. In ogni caso il sogno di mio padre si avvererà, e decine di reclute del Team Magma stanno invadendo l’isola, tenendo la popolazione sotto scacco, almeno fino a quando la situazione non si sarà stabilizzata. Tu non potrai fare nulla”.
“Hai invaso Verdeazzupoli?! Sei matta?!” s’alterò lui.
“Non posso permettere che qualcuno ti consenta di uscire da qui. Sei un pericolo per la nostra organizzazione”.
“Hai invaso Verdeazzupoli!” urlò lui, prendendo il braccio della donna, che però abilmente passò il coltello all’alta mano, poggiandolo sulla guancia.
“Vuoi che la lama entri anche nel tuo volto?”.
Rocco si sentiva impotente. Poi vide Pat e Fiammetta, proprio dietro la testa di Miriam ed ammutolì.
Miriam le avrebbe sicuramente sovrastate: aveva un coltello e grandi conoscenze di krav maga, oltre a potentissimi Pokémon.
“Mi serve soltanto per preservare la buona riuscita del piano: non ho nulla da guadagnare con questa sporca isola ma ho bisogno che tu sia sotto controllo. E non voglio farti male. Almeno non troppo”.
“Le tue reclute...”.
Miriam lo interruppe subito. “Le mie reclute sono già disposte ad ogni angolo, adesso. Fuori casa tua ce ne sono trenta; appena uscirò io entreranno loro. Volevo un po’...” piccola pausa. “Un po’ di privacy, ecco” sorrise allegramente.
“Tu sei pazza...” la voce di Rocco scappò tra i denti che digrignava con forza.
“Forse lo sono. Ma non appena conquisteremo la Sfera Rossa niente ci fermerà! Ed il sogno di mio padre verrà realizzato!”.
La mano libera della donna danzò sul basso ventre dell’uomo; non toccava nulla oltre la cintura in quanto era interessata proprio a quella. La staccò, vedendo cadere le Pokéball e la cinghia sul duro pavimento di marmo.
“Senza di queste sarai innocuo...”.
Pat guardò repentinamente Fiammetta, tirandola poi per mano e correndo a nascondersi dietro un grande pilastro, proprio davanti alla porta d’ingresso.
I corpi delle due aderivano così tanto che quasi potevano sentire il battito del cuore dell’altro.
“Che succede?” chiese a voce bassissima la rossa.
Pat aveva gli occhi pieni di paura ed il respiro gravoso. Mise un dito sulle labbra di Fiammetta.
La porta d’ingresso si aprì ed una grossa recluta, alta quasi due metri e piena di muscoli, entrò nell’atrio.
“Chi è lì?!” chiese Miriam, mentre teneva sempre d’occhio Rocco, totalmente immobile.
“Lady Magma Miriam, mi scusi, ma c’è stato qualcosa che deve vedere assolutamente”.
La voce di quell’omone era piuttosto cavernosa e fece venire i brividi a Fiammetta, che poi capì tutto: Pat aveva avuto una visione dove aveva visto l’ingresso di quel gigante.
Non si spiegava però perché in quel momento stesse piangendo, la Capopalestra dell’isola.
“Non vedi che sono impegnata?!” chiese Miriam, alterata. Il coltello rimaneva sempre premuto contro la sua guancia e quasi bruciava sulla pelle candida del Campione.
“È davvero importante, Lady Magma Miriam”.
Lo sguardo della donna s’incrinò quindi sbuffò. Tirò Rocco a sé e lo baciò velocemente, poi buttò il coltello per terra e levò i tacchi altissimi.
La recluta la guardò stranito. La vide poi spingere Rocco al muro con forza e colpirlo con un calcio violento al volto, facendogli perdere conoscenza.
Il respiro diventò più marcato quando si girò a vedere la recluta stupita.
“Che hai da guardare? Legalo con le corde delle tende ed assicurati che non faccia nulla di male, altrimenti ti spezzo la colonna vertebrale”.
Si avvicinò al volto di Rocco, fissandolo per qualche secondo. Sbuffò e diede un calcio alla cintola con le Pokéball, allontanandole da lui, poi si sedette e, dopo le infinite raccomandazioni alla recluta, uscì fuori.
 
Pat e Fiammetta si guardarono vari secondi negli occhi.
Dovevano salvare Rocco e portare a casa la pelle. La cosa più strana era che fossero, stranamente, più intimorita da quella che veniva chiamata Lady Magma Miriam piuttosto che dalla recluta gigantiforme che in quel momento scrutava Rocco con una Pokéball tra le mani.
L’ansia ormai scorreva nel loro sangue e si era impossessata dei muscoli e dei nervi; Pat vedeva Fiammetta tremare.
Lentamente l’adrenalina sarebbe scorsa nelle loro arterie raggiungendo anche i capillari più piccoli, rendendole più coraggiose.
E con il cuore più grande.
Uscirono dal proprio nascondiglio in silenzio e Pat fermò Fiammetta con la mano; chiuse gli occhi e visualizzò.
 
È di spalle.
 
Fiammetta sentì la voce di Pat, ma non la vide parlare. Per un attimo si spaventò, previa comprendere che Pat fosse speciale. Annuì, sensibilmente scossa, quindi entrarono nella stanza.
Rocco giaceva esanime a terra mentre una linea di sangue, sottile ma ben visibile sulla pelle pallida dell’uomo, catturava l’attenzione delle due, seppur per poco.
L’uomo grande era di spalle, proprio davanti a loro.
 
Miriam non era il tipo di donna che quando camminava per strada passava inosservata.
Aveva la malizia radicata fin nell’animo.
Un grosso nugolo di persone (che poi chiamarlo ancora nugolo era riduttivo in quanto si avvicinava ad essere più una folla che un nugolo) si era riunita attorno a qualcosa.
“Sta arrivando Miriam” sussurrò qualcuno; tutti la guardarono, quindi la folta schiera si aprì, lasciandola entrare.
Raggiunse il centro nevralgico, la donna, quindi vide ciò che tutti erano intenti ad osservare: Fosco, uno dei membri dei Superquattro, era per terra; aveva il volto emaciato e graffi sulle braccia, probabilmente era stato pestato.
“È entrato qui con la pretesa di volerci rompere il culo, come ha detto lui” disse un altro.
“Insomma” sorrise Miriam. “Vi siete soltanto difesi”.
“Già”.
“Il problema grosso è che se Fosco è qui vuol dire che l’organizzazione ci ha localizzati già... Rocco l’ho messo io fuori gioco, dentro; Fosco è qui per terra... Mancano Terrie, Frida e Drake. State attenti, soprattutto a quest’ultimo: possiede potenti Pokémon di tipo Drago”.
“Ok. Come dobbiamo agire, adesso?”.
“Beh, legate per bene Fosco e portiamolo con noi alla base assieme agli altri. Poi vedremo come agire”.
“Ok, Miriam”.

Martina e Marino salirono dal sottoscala, dove c’era la cantina, ed affannavano; i loro visi venivano gradualmente illuminati dalla luce naturale del sole che stava abbandonando quella giornata così pesante.
Già vedevano il portoncino del palazzo, poi sentirono un forte sibilo. Si fermarono e si guardarono.
“Un fulmine?!” domandò quella, sgomenta.
Martino fece spallucce e salì gli ultimi gradini, arrivando sul pianerottolo; sua sorella ancora tossiva.
Poi lo sguardo del ragazzo si focalizzò sulle esplosioni che stavano avvenendo oltre il doppio portoncino blindato.
Si fermò.
“Che diamine succede là fuori?” chiese poi, parlando più con se stesso che con Marina.
Un ultima, forte esplosione riverberò tutt’attorno; l’onda d’urto colpì così forte i loro petti da costringerli ad abbassarsi, per paura che quell’ormai disastrato palazzo venisse giù.
La porta d’improvviso si spalancò, facendoli sobbalzare nuovamente, e videro entrare un uomo insanguinato e tremante.
Indietreggiava velocemente, terrorizzato e, dopo aver sbattuto la porta, si lasciò cadere per terra. I polmoni inspiravano grandi quantità d’aria che non sembrava mai bastevole per farlo calmare. Gli occhi erano spiritati di sangue; si soffermarono sui due Ranger.
“E voi due chi siete?!” esclamò quello, impaurito. “Non vorrete mettermi le catene come stanno facendo quelli lì fuori?!”.
L’uomo prese a piangere e intanto i due fratelli si scambiarono uno sguardo.
“Che diamine sta succedendo?”.
Martino alzò gli occhi in alto, vedendo lo Spinarak che aveva catturato circa un’ora prima attaccato al soffitto. Si avvicinarono alla porta, lei la aprì leggermente: qualcosa stava andando in fiamme.
Qualcosa di molto grosso.
Centinaia di persone vestite in nero urlavano parole incomprensibili per via del sibilo del fuoco.
“Ancora fiamme...” Marina inghiottì le sue parole in maniera dolorosa, come se contenessero tante puntine.
Martino guardava ciò che accadeva: quelli vestiti in nero, quelli con la M rossa sul petto ed il cappuccio alzato, il Team Magma, come si facevano chiamare, loro stavano dilaniando quel posto. Distruggevano tutto, ammanettavano donne e uomini con violenza, li percuotevano.
“Diamoci da fare...” sospirò poi.
Quella giornata non sarebbe finita molto presto.

 
Anche se con ritardo, ciao Pino.
 

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Capitolo 32
*** Capitolo Ventiseiesimo pt. 4 - Attica ***


Previously, on Hoenn's Crysis

Centinaia di persone vestite in nero urlavano parole incomprensibili per via del sibilo del fuoco.
“Ancora fiamme...” Marina inghiottì le sue parole in maniera dolorosa, come se contenessero tante puntine.
Martino guardava ciò che accadeva: quelli vestiti in nero, quelli con la M rossa sul petto ed il cappuccio alzato, il Team Magma, come si facevano chiamare, loro stavano dilaniando quel posto. Distruggevano tutto, ammanettavano donne e uomini con violenza, li percuotevano.
“Diamoci da fare...” sospirò poi.
Quella giornata non sarebbe finita molto presto

Lentamente l’adrenalina sarebbe scorsa nelle loro arterie raggiungendo anche i capillari più piccoli, rendendole più coraggiose.
E con il cuore più grande.
Uscirono dal proprio nascondiglio in silenzio e Pat fermò Fiammetta con la mano; chiuse gli occhi e visualizzò.
 
È di spalle.
 
Fiammetta sentì la voce di Pat, ma non la vide parlare. Per un attimo si spaventò, previa comprendere che Pat fosse speciale. Annuì, sensibilmente scossa, quindi entrarono nella stanza.
Rocco giaceva esanime a terra mentre una linea di sangue, sottile ma ben visibile sulla pelle pallida dell’uomo, catturava l’attenzione delle due, seppur per poco.
L’uomo grande era di spalle, proprio davanti a loro.



Attica pt.4

Houndoom ed Arcanine in gran quantità ringhiavano contro la popolazione di Verdeazzupoli; i Pokémon, come cani da pastore, costringevano le persone verso la parte est della piazza dove venivano ammanettati e trasportati via da grandi quantità di reclute.
“Cosa diamine stanno facendo?!” esclamò Marina, camminando lentamente, appena uscita dal palazzo in fiamme.
La piccola Sonia si guardava attorno senza vedere la sua mamma; dopo essere stata salvata da Marina, in quello scantinato austero ed impregnato di benzina, si aspettava di trovare la sua mamma. Tuttavia, in quella matassa di persone che si muovevano impazzite come elettroni, la sua mamma non c’era.
“La troveremo, Sonia, stai tranquilla” ripeteva Marina, accovacciata sulle ginocchia per poterla guardare negli occhi.
Intanto le urla si espandevano ed il sangue si spargeva. Martino guardò la piccola, pensando che degli occhi così innocenti non avrebbe mai dovuto essere sottoposti a quella cruenta manifestazione di superiorità da parte di quei terroristi prepotenti.
“Dobbiamo varare una linea d’azione, Marina”.
“Già”.
Marina si guardò intorno, cercando un posto sicuro per far nascondere la bambina. Purtroppo quel caos non la favoriva e gli spunti erano pochi.
“Tell e Pat, Marina. Lei può andare da Tell e Pat. Anche se non li conosco credo siano dalla nostra parte” s’inserì Martino, trovando repentino la soluzione.
“Ok. La porterò da loro” annuì l’altra.
“Purtroppo non abbiamo modo di poter fronteggiare tutte queste persone così, da soli e con un solo Styler. Abbiamo bisogno dei Dexholder e di Fiammetta”.
“Ok. La palestra si trova sul promontorio, che per altro è anche il posto dove si è recata Fiammetta”.
“Vai da loro e fai attenzione. Io raggiungerò i ragazzi... Spero abbiano catturato Groudon”.
“Lo spero anch’io” sospirò Marina. Poi prese per mano la piccola e voltò l’angolo dietro al palazzo, cercando di sparire dalla visuale delle persone.
Martino fece lo stesso, prendendo a correre verso la parte sud della piazza, lontano dagli sguardi delle emme rosse.
 
Pat e Fiammetta si guardarono negli occhi per l’ennesima volta, almeno prima di trovare il coraggio di agire. Miriam, il capo del Team Magma, ancora non si vedeva; era fuori e Fiammetta aveva intuito che Pat sapesse per cosa fosse uscita.
Uscirono fuori dal proprio nascondiglio e si avvicinarono al manigoldo.
Era di spalle, era enorme; indossava quella grande felpa nera e a trovarselo davanti pareva fosse diventato buio. La schiena vasta e ben estesa era coperta solo in prossimità del collo da capelli castani e ricci. La vita era stretta ed i muscoli ricoprivano più in basso il fondoschiena e le potenti gambe.
Entrambe non avrebbero potuto mai potuto avere la meglio contro quell’armadio a quattro ante in uno scontro fisico.
Dovevano usare la testa e nessuno riusciva a farlo meglio di Pat: chiuse per un attimo gli occhi, sospirò e poi li riaprì. Parevano ricoperti da una patina luminosa celeste.
Fiammetta guardava in silenzio, nascondendo con difficoltà quella sensazione di paura e di inquietudine che provava. Vide Rocco sollevarsi da terra, esanime; Pat s’impegnò, tanto che i piedi del Campione abbandonarono il pavimento lentamente.
Rocco fluttuava, ed i nodi delle corde che il mastodontico ciclope aveva utilizzato per legarlo si erano sciolti.
“Ma che...” l’omone indietreggiò lentamente.
La testa di Rocco ciondolava a destra e a sinistra, così come gli arti, almeno fino a che Pat lo stabilizzò in aria. Il capo si alzò, il mento si sollevava lentamente e la bocca si schiudeva.
Toccò poi agli occhi, totalmente identici a quelli di Pat.
Fiammetta capì che di lì a poco avrebbe dovuto agire, nonostante quell’incessante voglia fuggire via, lontana da tutte quelle responsabilità e soprattutto da Pat, che la inquietava al massimo.
Mise mano alle Pokéball ed attese.
La bocca di Rocco si aprì ancora di più, emettendo un rumore gutturale, parecchio cavernoso ed innaturale. Poi lo sentì parlare.
Vai via” udì Fiammetta. La voce non era quella di Rocco, bensì sembrava quella di un essere mostruoso, profonda e penetrante.
La recluta indietreggiò ancora, sgomento. Il suo volto era impietrito ed incredulo. “Che vuoi da me?!”.
Voglio la tua anima, Travis”.
“Come sai il mio nome?!” urlò quello.
Noi demoni sappiamo tutto”.
“D-demoni?! Tu non sei Rocco, il Campione di Hoenn!”. Travis indietreggiò ancora e cominciò a farlo con più foga quando vide il padrone di casa, o quello che reputava tale, prendere ad avvicinarsi a lui, fluttuando.
Inciampò sulla poltrona, poi si rialzò e fece per girarsi, quando il suo sguardo s’imbatte negli occhi fiammeggianti dell’ex Capopalestra di Cuordilava.
“Blaziken!” urlò lei. “Colpiscilo al volto!”.
Il Pokémon Vampe eseguì con un violento calcio, efficace al massimo, che lo fece ricadere per terra fuori combattimento.
“Ottimo!” esclamò Fiammetta. “Blaziken, ora abbiamo bisogno di te! Solleva quel... Travis e nascondilo in quel ripostiglio...” fece, indicando una porta semiaperta con scope ed altri accessori simili.
Pat trasalì violentemente, spalancando la bocca e riempiendo i polmoni, come se fosse stata in apnea per tutto il tempo. Tossì, cercando di abbassare i toni. Il volto di Fiammetta s’incrinò quando vide un piccolo rivoletto di sangue baciare le labbra della psichica e colare lentamente, in un rivoletto gentile.
“Fiammetta... dobbiamo fare... dobbiamo fare presto”.
“Ma che hai?!” s’impressionò la rossa, andandole vicino. Le spostò il ciuffo che le copriva il volto, almeno dopo aver controllato che nessuno stesse entrando.
“Sono stanca, Fiammetta... Non è facile utilizzare poteri telecinetici di questa portata per così tanto tempo...”. La rossa la strinse in un abbraccio consolatorio, quindi ragionò per un momento sul da farsi; Blaziken aveva appena finito di celare il corpo incosciente di Travis nello sgabuzzino ed era di ritorno.
“Prendi Rocco sulle spalle ed andiamo via. Cerca di non farlo troppo male”. Proprio mentre il grande Pokémon Fuoco – Lotta si caricava il Campione addosso, un rumore di tacchi si espanse con l’eco in tutta il salone; prontamente si voltarono, comprendendo di avere di fronte quella donna.
Miriam.
“Ecco dov’era Fiammetta Moore...” sorrise, sempre suadente. I suoi occhi brillavano, riflettevano la poca luce che filtrava dalle opache vetrate della casa. “Non ti trovavamo. Insomma, i due guastafeste di Almia sono giù, in piazza, i tre di Johto sono sulla spiaggia... Mancava soltanto la Capopalestra bella e stupida”.
Fiammetta inarcò un sopracciglio e strinse i pugni, ringhiandole quasi contro. “Non sono più una Capopalestra”.
“Questo vuol dire che sei una civile. Ed i civili stanno per essere tutti rinchiusi nel Centro Spaziale. Insomma, è abbastanza grande per contenere tutta la popolazione. Poi ci sono nozioni sullo spazio. Lo trovo interessante; non trovi che sia stata magnanima?”.
Fiammetta trattenne a stento una risata, fissando i due rubini che aveva quella al posto delle iridi: occhi rossi, proprio come i suoi. La vide spostare i capelli dal volto con una veloce scossa del capo.
“Ridi?” chiese.
“A quanto pare...”.
“Ti farò passare la voglia di ridere. E riderò io. Prima di tutto però dobbiamo ritrovare la Sfera Rossa...”.
“Che fine ha fatto la Sfera Rossa?” domandò Pat, silenziosa fino a quel momento.
“Strano... Con quei poteri da mostro che ti ritrovi dovresti saperlo... Comunque ora sono entrambe nelle mani del Team Idro. Ancora per poco, però. Sono scesa in campo io, adesso. Igor non avrà speranze”.
“Chi diamine è Igor?!” esclamò poi Fiammetta, sorpresa.
“Questo non è il momento adatto per fare una chiacchierata piacevole; noto con dispiacere che con te c’è un Blaziken con il mio Rocco sulle spalle. Cosa credete di fare?!”.
“Fiammetta. Fai un passo indietro” sospirò la Capopalestra di Verdeazzupoli.
“Che diamine vorresti fare?!” esclamò Miriam, prendendo a correre verso le due, minacciosamente. Era assai veloce nonostante l’impedimento dei tacchi.
“Pat... Che vuoi fare?!” chiese preoccupata Fiammetta, a bassa voce.
Chiuse gli occhi e li riaprì in rapida sequenza, quattro o cinque volte, quindi la moretta schioccò le dita, attivando il teletrasporto, che le portò presso il Centro Pokémon del paese.
Miriam frenò d’istinto, prima di schiantarsi contro il muro. Quindi urlò in preda alla rabbia. Avevano rapito l’uomo che stava rapendo e la cosa non le piaceva.
“Cercate immediatamente quelle due puttane!”.
 
“E tu dove credi di andare?!”.
Marina stringeva la mano della piccola Sofia mentre camminava lungo la stradina esterna, sterrata e dissestata, che portava alla cima della collina, sul promontorio ovest, dove viveva Rocco, e dove per altro c’era la Palestra di Verdeazzupoli.
“Hey! Mi senti?! Ti ho chiesto dove credi di andare?!” sentì urlare di nuovo. Ammise a se stessa che aveva sperato fino all’ultimo che non si stesse riferendo a lei. Impietrita, riuscì a scattare un’istantanea del paesaggio. Era ormai quasi sera, e quel primo, drammatico giorno ad Hoenn non si decideva a voler migliorare; il mare danzava placido con le onde che accarezzavano le pareti dello strapiombo per poi ritirarsi, in un movimento cadenzato e ritmico.
Non appena si voltò vide in faccia chi la stava chiamando. Era una donna, in carne. Vestiva con la divisa, fastidiosamente aderente per quelle forme così morbide, e da cui era ovviamente infastidita.
“Sì... Ti sento...”.
“Ragiona. Possiamo lottare, oppure puoi seguirmi senza fare storie. Hai una bambina con te”.
La voce della donna penetrò gelida nelle sue ossa, mettendo in moto il ragionamento: non poteva rischiare che Sofia si facesse del male; tuttavia non voleva che le mettessero le manette e la rinchiudessero da qualche parte, assieme ad altre centinaia di persone.
Guardò per bene quella donna, Marina, vedendone i corti e scuri capelli nascosti dal cappuccio della felpa nera. Riuscì a distinguere il color nocciola dei suoi occhi nonostante la luce fosse diminuita di parecchio.
Voltò poi a guardare l’espressione di paura della piccola Sofia, ed intanto da lontano riusciva a vedere l’enorme Groudon e poi lava che fuoriusciva dalla spiaggia, unendosi in un abbraccio mistico con il mare.
Che doveva fare? Insomma, avrebbe potuto prendere per mano la piccola Sofia, voltarsi e scappare verso nord, salendo la stradina sterrata verso il promontorio e, una volta lì, chiedere aiuto a Tell e Pat. O a Rocco. Pensò che fosse un Campione piuttosto assente, dal momento in cui la sua città veniva distrutta e lui pensava a rinchiudersi in casa; ammesso che fosse in casa sua. In ogni caso era una via percorribile, o almeno lo sarebbe stato se non avesse portato con sé quella piccola bimba, che per altro era l’unico motivo per cui stava salendo verso la parte in alto dell’isola. E se la bambina fosse inciampata? Si sarebbe fatta male; sarebbe potuta finire nelle mani di quella recluta che, anche se più lenta e grossa di Marina, non sembrava tanto magnanima nel caso di sgarro.
Aveva, come seconda opzione, l’opportunità di lottare: il suo Vulpix contro chissà quali mostri contenevano quelle sfere aggrappate saldamente alla sua cintura. Fuori discussione, non lo prese nemmeno in considerazione.
Alla fine capì che se voleva che Sofia non rischiasse alcunché doveva per forza consegnarsi.
Era la cosa giusta da fare. Abbassò lo sguardo e storse le labbra, combattuta fino all’ultimo momento, quello in cui le manette scattarono sui suoi polsi.
“Ora andiamo. Il Centro Spaziale vi sta aspettando” grufolò quella.
 
“Sta usando Eruzione! Seviper, allontanati e tu, Marshee, usa Idropompa, per raffreddare la temperatura!” urlò Crystal, poco convinta, ritirando dalla lotta Meganee: quell’atmosfera stava diventando cocente per il suo Pokémon di tipo Erba. Decise quindi di dargli un cambio.
Un cambio di un certo spessore.
“Vai Altaria!”.
Il Pokémon Drago sbatté un paio di volte le ali e si presentò in campo. Seviper ormai quasi affiancava la sua allenatrice, mentre Swampert, che Crystal chiamava ancora erroneamente Marshee, riversava una grande quantità d’acqua nel campo di battaglia, finendo per inondare anche quello di Gold e Silver.
I due videro l’acqua fino alle caviglie e si voltarono giusto un attimo per vedere cosa accadesse.
Si guardarono di nuovo, come in un cenno d’intesa, per avanzare con la strategia successiva da mettere in atto.
La situazione era, per i Dexholders, di netto vantaggio: Arcanine e Magmortar dovevano fronteggiare Ambipom e Shiftry da parte di quello dagli occhi dorati e Mightyena e Grovyle da parte del fulvo.
Zoe era preoccupata ma Andy sorrideva tranquillo e la cosa rese calma anche lei. Il biondo si voltò a guardarla ed allargò il sorriso.
"Non demordiamo, insieme possiamo arrivare ovunque. Tu hai le potenzialità per arrivare ovunque". La voce di Andy era dolce ed infondeva fiducia alla giovane che non poté fare altro che sorridere al suo ragazzo e guardare avanti, pronta per l'ennesima sfida.
Avevano due Pokémon ben allenati mentre i loro avversari quattro scarti della natura; Zoe ne era convinta. Ammirava tuttavia l'empatia che quelli avevano con i propri Pokémon, oltre all'intesa meravigliosa che c'era tra quei due.
Occhi d'oro ed occhi d'argento, quasi pareva si completassero l'un con l'altro. Vedeva i loro sguardi, vedeva i loro movimenti; comprendeva il loro fine ultimo: vincere. Erano determinati e così diversi tra di loro che, se fossero stati un uomo ed una donna probabilmente si sarebbero amati, per forza di cose.
Poi ci rifletté: potevano amarsi anche essendo due uomini. Ma poi ricordò a se stessa gli sguardi che il fulvo aveva dato alla ragazza che stava combattendo contro Groudon; lui la amava. Gli saltò agli occhi anche lo sguardo lussurioso che il moretto aveva dato a Fiammetta.
Cancellò il pensiero che entrambi fossero omosessuali ed andò avanti con la battaglia.
"Arcanine, concentriamoci!" urlò.
Un ultimo sguardo ad Andy, un cenno d'intesa,  poi partirono con l'attacco.
"Ruotafuoco, Arcanine, su Grovyle!".
"No!" esclamò Silver, ragionando sulle possibili opzioni da poter adottare per ribaltare la situazione. Intanto Arcanine era diventato un giavellotto di fuoco impazzito, rotolava su se stesso, raggiungendo velocemente Grovyle.
"Tieniti pronto..." Andy guardava il suo Magmortar, focalizzato sull'obiettivo.
"La trincea! Gettati nella trincea che ha scavato Ambipom prima quando ha usato Fossa!".
Grovyle recepì l'ordine e guardò il fossato scavato da Aibo qualche minuto prima. Doveva entrare lì dentro, e doveva farlo prima che Arcanine lo attaccasse.
E quindi cominciò a correre, era rapido ma forse Arcanine lo era di più; Le striature del suo pelo, nero sull'arancione, la coda gialla, il muso arrossato per via di quelle fiamme, tanto gradite al Pokémon di Zoe e tanto temute da quello di Silver.
La distanza tra i due diminuiva sempre di più, a due metri c'era la salvezza ma Arcanine accelerava sempre di più.
Nessuno dei quattro contendenti era in grado di pensare ad altro: Gold avrebbe potuto evitare l'eventuale brutta fine del Pokémon di Silver facendo intervenire Aibo oppure Shiftry. Anche Silver avrebbe potuto chiamare Mightyena per intervenire in qualche modo ma in quel momento i suoi occhi erano sulla foglia del Pokémon Legnogeco che, come una bandiera, veniva percossa dalla brezza marina qua e là sulla testa del rettile.
C'erano quasi: entrambi erano alla stessa distanza, ormai Grovyle aveva abbandonato il suolo con un salto, pronto ad avventarsi nella sua tana di sicurezza. Arcanine, invece, pareva avesse accelerato; aveva inoltre aumentato il flusso di fiamme che lo ricopriva.
"Forza!" urlò Silver, con il volto contrito ed i denti stretti. Aveva sinceramente paura che potesse succedere qualcosa di sbagliato, qualche incidente di percorso che avrebbe potuto pregiudicare l'esito della battaglia, considerando anche che due Pokémon di tipo Fuoco contro due di tipo Erba erano assolutamente avvantaggiati, senza contare che il livello di esperienza di Mightyena andava di poco oltre alle trenta unità in quel momento e che Gold non aveva un legame così viscerale con Shiftry. Era tutto così in bilico e la cosa quasi lo infastidiva: non gli piacevano le cose insicure; troppe cose erano state insicure nella sua vita, voleva soltanto crescere quel fiore che portava dentro la sua anima, come ognuno del resto, magari con l'aiuto di Crystal.
Tutto in un attimo, il tempo di un respiro troppo veloce, di un soffio di vento. Fu il tempo che Grovyle si svincolasse dalla sua paura di non farcela, acquistando fiducia e fiondandosi nella trincea, atterrando magistralmente.
Arcanine mancò il bersaglio e finì per rotolare in avanti, oltre l'obiettivo.
"Ottimo Grovyle! Ottimo davvero!" urlò Silver. Cercò un attimo lo sguardo di Gold, cercando compiacimento nei suoi occhi, trovandoci solo preoccupazione.
Tracciò una proiezione che partivano da quei dischi aurei, cercando la causa della sua attenzione.
Ciò che vide lo costrinse a spalancare la bocca: Magmortar aveva appena lanciato un'enorme quantità di fuoco dall'enorme cannone che aveva sull'arto destro, diretto proprio nella trincea.
Proprio su Grovyle.
"No!" urlò subito Silver. "Mightyena! Riduttore!" fece poi, con rabbia, rassegnato sulla tremenda sorte capitata a Grovyle, che prontamente rientrò nella sfera.
Mightyena colpì in pieno addome Magmortar, facendolo indietreggiare di un metro, senza farlo cadere.
"Arcanine, colpisci MIghtyena!"urlò Zoe.
"Ora basta! Aibo e Shiftry, vediamo di fargli capire come funziona!" s'inserì invece Gold. I due Pokémon partirono contemporaneamente; il primo su Magmortar ed il secondo su Arcanine.
Il Pokémon di Andy caricò in alto in braccio e poi lo abbassò con forza, pronto a colpire sulla schiena Mightyena.
Il fendente avrebbe probabilmente mandato fuori combattimento il Pokémon Buio se non fosse stato per le code dotate di mani di Ambipom, a fermare con grinta l'attacco.
"Mightyena, forza, ancora Riduttore!" urlò di nuovo Silver.
Arcanine era pronto con un nuovo attacco Ruotafuoco, rotolando in direzione dell'ultimo Pokémon di Silver. Shiftry s'inserì.
"Usa Tifone!” urlò Gold.
Bastarono pochi movimenti dei ventagli che aveva al posto degli arti per scatenare un inferno d’acqua e vento su Arcanine.
Quello ringhiò, iracondo, abbassò la testa e lasciò scappare dai lati della bocca due sbuffi di fiamme. Zoe lo guardò affascinata, mentre Shiftry continuava a gettare tempesta sul suo Pokémon, dall’alto.
“Pensi di potercela fare?” sussurrò al suo Pokémon. Lo fece a bassa voce, e con quella distanza dubitava che il suo Pokémon sentisse tuttavia Arcanine spostò repentino lo sguardo su di lei, girandosi in bocca una fiamma calda e densa.
“Arcanine! Fuocobomba!” urlò Zoe, puntando il dito contro Shiftry.
Gold rimase basito e vide il Pokémon di tipo fuoco attaccare coraggiosamente, contro il forte vento. Nonostante questo, la grande fiammata partì dalla sua bocca attraversando pioggia e vento con forza e potenza, schiantandosi infine contro l’avversario, che cadde per terra con un enorme tonfo.
“Shiftry!” esclamò Gold, correndo verso di lui. Il suo corpo ancora fumava. “Ti sei comportato in maniera assurda. Bravissimo. Sei un Pokémon davvero forte!” sorrise, facendolo entrare nella sfera.
Si voltò poi verso Crystal.
“Tesoro, dimmi che hai fatto... Questi qui sono forti”.
“Gold, sto catturando Groudon, non un Pokémon qualunque!” s’irritò lei, tornando a guardare avanti. Lo stava decisamente indebolendo; era convinta di poter farcela.
Stavolta la fiducia fluiva in lei in maniera limpida e scorrevole ed i movimenti sincronizzati dei suoi Pokémon soddisfacevano in pieno la sua mania di controllo su ogni cosa: ogni singolo pezzo, ogni elemento si muoveva come doveva, come piccole rotelline che facevano funzionare il meccanismo. Attacchi a ripetizione non davano l’opportunità a Groudon di ribattere; talvolta rispondeva soltanto con potenti attacchi speciali, provenienti dal sottosuolo, molto pericolosi.
“Marshee!” urlò poi “Ce l’abbiamo quasi fatta! Usa Idropompa!”.
Il Pokémon Acqua-Terra si gettò a capofitto nell’attacco, demolendo con la sua potenza l’enorme avversario. Aveva colto nel segno, e Crystal sorrise nell’appurarlo: Groudon era pronto per essere catturato.
Lo avevano stressato con quella strenua resistenza ai suoi attacchi, lo avevano gradualmente indebolito, lo avevano più volte visto perdere smalto, fino a quel momento.
“Ora... ora è il momento” sorrise Crystal, prendendo una Ultraball dal suo zaino. La guardò e sospirò.
“E sbrigati!” esclamò impaziente Gold, guardandola di sottecchi, mentre ordinava ad Aibo di rialzarsi dopo un forte attacco Fulmine da parte di Magmortar.
Zoe guardava la scena impanicata: stavano per perdere Groudon. Diede ad Andy un piccolo sguardo, che annuì col volto contrito. Quella vide poi Crystal, lanciare la ball, proprio al centro della testa del Pokémon, piegato in basso dal dolore.
“Vai, Ultraball!” urlò, calciando la sfera con forza e determinazione; quella percorse come una saetta lo spazio che la divideva, così piccola e fragile, da quel mostro gigante.
Ogni volta che vedeva un Pokémon grande come quello entrare all’interno di una Pokéball si straniva sempre.
“No!” urlò Zoe. Mosse un passo in avanti, ma Silver in breve corse verso di lei e la fermò, stringendole forte i polsi. “Non puoi andare” chiuse, brevemente.
Andy vide la sfera oscillare irrequieta mentre quel ragazzo fulvo toccava la sua Zoe. La rabbia si distribuì nel suo corpo uniformemente, quindi partì verso di loro e spintonò il ragazzo.
“Non toccarla mai più!” gli urlò. Zoe si voltò, sconvolta; nonostante tutto non era abituata alla violenza fisica.
Gold vide la zuffa e si mise in mezzo, correndo a spingere a sua volta Andy, facendolo cadere con i fondelli sulla sabbia.
“Non toccare il mio amico!”.
Silver si voltò verso di lui, nuovamente in preda a sentimenti contrastanti, e sospirò, voltandosi per un attimo. Un attimo così veloce, che gli consentì di vedere Crystal calarsi per prendere la sfera con Groudon, tutta sorridente.
“Ce l’abbiamo fatta!” esclamò il fulvo, voltandosi nuovamente. Mightyena gli si avvicinò, festante. “Non ha più senso combattere” aggiunse quello dagli occhi d’argento, facendo ritornare il suo Pokémon nella sfera. Sorrise e vide Crystal alzare al cielo Groudon, con una mano.
E poi vide Zoe, sfuggita al loro controllo, che con un forte balzo le strappò dalla presa la Ultraball.
“Non può finire così!” urlò, aprendo la sfera e facendolo nuovamente uscire.
“No! Groudon, fermo!” s’alterò Chris, voltandosi a guardare Silver e Gold.
In quel momento visse qualcosa di familiare: una cosa che aveva provato proprio poche ore prima, quando stava per catturare precedentemente Groudon, qualche chilometro fuori Albanova: era la furia. La furia cieca, la voglia di spaccare tutto, di aprire il cranio alla mora che aveva di fronte.
Eppure era strano. Prima di quell’avvenimento non le era mai capitato di provare tutta quella rabbia.
Vide Groudon uscire nuovamente dalla sfera, guardare Crystal e quindi Zoe. Anche Crystal fissava la donna tuttavia quando la vide gettare il guscio vuoto della sfera del Pokémon e calpestarla con forza, con la suola di gomma dura dello stivale, mandandola in frantumi, non riuscì a trattenersi: le mani presero a tremare lentamente. Poi dovette serrare i pugni, mentre le lacrime si avvicendavano sul palcoscenico dei suoi occhi, come tante provinanti di Broadway scartate alla prima nota storta. Strinse i denti, cercando di mantenere all’interno del suo corpo quella voce che le imponeva di ribellarsi alla forma, all’educazione. Alla calma.
 
No!”
 
L’urlo di Crystal squarciò il silenzio relativo della spiaggia di Verdeazzupoli, tagliato soltanto dal brusio continuato del mare. Zoe la vide correre in sua direzione, con gli occhi furenti, i denti stretti e le vene del collo in evidenza.
“Tu! Lurida troia!” urlò Crystal, dimezzando sempre più velocemente la distanza tra lei ed il suo obiettivo. Gold si girò immediatamente al pronunciare di quelle parole da parte della ragazza, sorpreso: non avevano mai fatto parte del suo vocabolario simili terminologie.
Crystal caricò un forte calcio, e lo scagliò con tutta la forza e la rabbia che aveva in corpo, mancando Zoe di pochi centimetri dopo che lei aveva celermente calcolato la traiettoria.
“Ennò! Stavolta non verrò colpita!”
Crystal spalancava sempre di più gli occhi, piccoli cristalli che stavano arrossandosi, con quelle vene che parevano esplodere accanto alle iridi celesti.
“Devi finirla di creare questi problemi!” urlò ancor più iraconda Crystal; ormai il suo pianto fluiva, e continuò a farlo non appena vide Groudon immergersi con facilità nella sabbia, e sparire.
“No!” s’inginocchiò poi, sconfitta.
Zoe indietreggiò nuovamente e guardò Andy. “Dobbiamo andare su” fece.
Quello annuì. “Ci rincontreremo presto!” urlò a Gold e Silver, prima che facessero la propria comparsa sulla spiaggia Fiammetta e Pat.
“Che succede?!” esclamò preoccupatissima la rossa, correndo verso Crystal, inginocchiata nella sabbia, con le mani sul volto, in lacrime.
“Di nuovo, Fiammetta... Non ci vedo più, di nuovo!”.
Quella giornata non accennava a voler terminare. Gold e Silver corsero verso di lei, sollevandola velocemente; Silver poi la strinse a sé, forte. “Stai tranquilla e non preoccuparti. Andrà tutto bene. Ora dobbiamo andare a cercare un posto sicuro per te” disse.
“Già” sospirò Fiammetta, guardandosi attorno: il campo di battaglia era stato letteralmente devastato da quella lotta ed un po’ se ne dispiaceva. Si voltò a guardare Pat, accanto al suo Blaziken, e cercò di fare il possibile per non cadere nello sconforto più che totale a quella vista. I magma erano ancora lì. O meglio, Zoe era ancora lì.
Non vedeva più Andy.
Voltò ancor più velocemente il collo, dall’altra parte, ma Andy non c’era. Ed Andy era pericoloso.
Era pericoloso, proprio perché sentì all’improvviso un braccio cingerle la vita e sollevarla in aria.
“Che caz... No!” urlò poi, alzando gli occhi verso l’alto, girando un po’ il capo, vedendo proprio il Magma Tenente in groppa ad un Aerodactyl nell'atto di afferrarla e portarsela via.
“No!” urlò lei.
“Te l’ho detto che saresti venuta con me alla fine” disse con tono pacato quello, stringendo forte il corpo della donna di Cuordilava.
“Lasciami andare! No! Gold! Aiutami!” urlò Fiammetta, vedendo la Pokéball vuota di Blaziken che aveva tra le mani cadere nella sabbia; fissava negli occhi un Gold sorpreso e quasi inebetito.
Un Gold che, prima di rendersi conto cosa stesse succedendo, aveva già visto sparire i suoi nemici, oltre le nuvole.

 

 

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Capitolo 33
*** Capitolo Ventiseiesimo pt. 5 - Attica ***


Previously, on Hoenn's Crysis
Quella giornata non accennava a voler terminare. Gold e Silver corsero verso di lei, sollevandola velocemente; Silver poi la strinse a sé, forte. “Stai tranquilla e non preoccuparti. Andrà tutto bene. Ora dobbiamo andare a cercare un posto sicuro per te” disse.
“Già” sospirò Fiammetta, guardandosi attorno: il campo di battaglia era stato letteralmente devastato da quella lotta ed un po’ se ne dispiaceva. Si voltò a guardare Pat, accanto al suo Blaziken, e cercò di fare il possibile per non cadere nello sconforto più che totale a quella vista. I magma erano ancora lì. O meglio, Zoe era ancora lì.
Non vedeva più Andy.
Voltò ancor più velocemente il collo, dall’altra parte, ma Andy non c’era. Ed Andy era pericoloso.
Era pericoloso, proprio perché sentì all’improvviso un braccio cingerle la vita e sollevarla in aria.
“Che caz... No!” urlò poi, alzando gli occhi verso l’alto, girando un po’ il capo, vedendo proprio il Magma Tenente in groppa ad un Aerodactyl nell'atto di afferrarla e portarsela via.
“No!” urlò lei.
“Te l’ho detto che saresti venuta con me alla fine” disse con tono pacato quello, stringendo forte il corpo della donna di Cuordilava.
“Lasciami andare! No! Gold! Aiutami!” urlò Fiammetta, vedendo la Pokéball vuota di Blaziken che aveva tra le mani cadere nella sabbia; fissava negli occhi un Gold sorpreso e quasi inebetito.
Un Gold che, prima di rendersi conto cosa stesse succedendo, aveva già visto sparire i suoi nemici, oltre le nuvole.



Attica pt. 5



“La troverò...” sussurrò a se stesso Gold, con i pugni chiusi ed il volto schifato da quello che aveva visto. “Io la troverò. È una promessa che faccio a Fiammetta stessa”.
Intanto non riusciva a levarsi dalla testa l’immagine pietosa della donna che, rapita dai nemici, allungava la mano verso di lui, chiamando lui, cercando il suo aiuto.
Il più vicino era, Gold. Il più vicino.
Non usciva dai suoi pensieri lo sguardo terrorizzato di Fiammetta, con quelle fiamme ardenti che aveva al posto delle iridi ed il sudore sulla fronte. E le labbra rosee ed i capelli spettinati.
Contrì il volto, devastato dalle emozioni che provava; dovette ammettere a se stesso di aver faticato ad abortire la voglia di piangere, in quella determinata circostanza.
Non poteva disperarsi, non poteva piangere. Doveva assolutamente fare qualcosa.
Poi vide Martino arrivare sulla spiaggia. “Che diamine succede?! Non ditemi che avete perso?!” fece.
“Martino, non è il caso” sospirò Silver, stringendo ancora Crystal, in preda al panico.
“Che è successo?!” domandò a Gold, avvicinandosi a lui dopo esser sceso in spiaggia.
“Avevamo catturato Groudon ma loro ci hanno rubato la sfera e lo hanno liberato”.
Martino rimase basito. Si grattò la testa con l’indice e poi sospirò. “Che senso ha? Non miravano a Groudon anche loro? Perché liberarlo?”.
“Hanno rapito Fiammetta!” tuonò poi Gold. “Ed io non ho fatto nulla! Io non ho fatto nulla per evitare che ciò accadesse! Sono rimasto fermo come una statua, vedendo quel coglione portarla via! Lei ha urlato il mio nome...”.
Martino fece una smorfia strana sul volto, facendo no con la testa, come a dire lo sapevo, quindi si girò di spalle e vide una ragazza dagli occhi celesti, con una treccia spettinata, accanto ad un Blaziken che portava il corpo esanime di qualcuno sulle spalle, proprio sopra la scalinata che dava al paese.
“E lei chi è?” domandò poi. “Chi sei?!” le urlò.
Pat cominciò a scendere le scale, lentamente, accompagnata da Blaziken. Si avvicinò ai quattro, col volto in lacrime, poi abbassò il capo. “Io sono Pat, Capopalestra di... di Verdeazzupoli” fece. “Questo è il Blaziken di Fiammetta e questo sulle sue spalle è Rocco Petri. Veniamo dalla collina ad ovest di Verdeazzupoli”.
La voce della ragazza era delicata, come anche il suo volto, nonostante le lacrime avesse segnato piste profonde e nere sulle sue guance, per via del trucco.
“Quello è Rocco?!” esclamò Gold.
“Sì” confermò poi Silver. “Lo abbiamo incontrato a Mentania”.
“E Marina e Sofia dove sono?!” urlò preoccupato suo fratello.
Gold si voltò immediatamente verso di lui. “Che è successo a Marina?!”.
“Ha salvato una ragazzina dalle fiamme e stava andando verso la sua Palestra!” puntò il dito contro la ragazza.
Quella ebbe un sussultò, singhiozzò e strinse i pugni, col volto pronto per essere devastato nuovamente dal pianto. “La Palestra non c’è più, è distrutta. Mio fratello è morto...”.
“Porca puttana! E Marina ora dov’è?!” esclamò nuovamente suo fratello.
“Non ho idea di chi sia”.
“Staraptor! Andiamo!” urlò infine. Si sentì il grido del grande Pokémon provenire dall’alto, poi lo videro scendere giù in picchiata che, senza nemmeno fermarsi, prelevò al volo Martino e andò via.
Gold avanzò di qualche passo e raccolse la Pokéball che Fiammetta aveva perso prima di esser persa di vista.
“Tu sei Pat?” le chiese poi, avvicinandola. La vide annuire.
“Io sono Gold, da Borgofoglianova, Johto. Faremo tutto il possibile per trovare i responsabili...”.
Silver sembrò sorpreso di ascoltare quelle parole da parte di occhidorati.
“Già. Ma ora dobbiamo agire: in città ci sono centinaia di Reclute Magma che stanno chiudendo la popolazione nel Centro Spaziale” rispose la Capopalestra di tipo Psico, asciugandosi le lacrime.
“Ora abbiamo due impedimenti, però: Crystal non ci vede e Rocco Petri è inutilizzabile” fece Silver. “Pat, dovresti accompagnarli a Forestopoli, da Alice” aggiunse.
“Io non abbandono la mia gente. Hanno bisogno di me”.
Gold annuì. “Ha ragione. Silver, vai tu a Forestopoli e porta con te Crystal e Rocco, almeno finché lei non si riprende. Poi tornate qui. Io starò con...” cincischiò, non ricordando il nome della ragazza.
“...Pat” fece lei.
“Pat, e libereremo Marina e la piccola Sofia, oltre alle altre persone”.
“No, Gold, non se ne parla, non posso rischiare che...”
“Senti! È stata una giornata di merda! Fai come ti dico, cazzo, prima che ti rompa la faccia con un pugno”.
Silver lo fissò, silenzioso ma ostile. Il leone era lui, il capo, il maschio alfa. Non doveva farsi mancare di rispetto in questo modo. “Sil, per favore” pianse poi Crystal.
E alle parole della ragazza non poté fare altro che annuire e sospirare. “Ok. Andiamo”.
Caricò Rocco su Altaria, aiutato da Blaziken, ed assieme a Crystal, si adagiò leggero sul suo Honchkrow quindi sparì, oltre l’orizzonte.
“Bene, ora siamo solo noi tre” disse Gold. Pat annuì e vide Gold puntare la sfera di Blaziken verso il diretto interessato, che vi rientrò.
“Ora invece siamo in due” sospirò Pat.
“... a ballare l’hully gully...”.

Martino volava veloce, basso sul suo Pokémon. Non voleva gettare occhi in basso, verso la piazza, perché sapeva che avrebbe visto qualcosa che l’avrebbe distolto dal suo obiettivo principale: doveva trovare Marina.
Virò verso ovest, costeggiando la stradina che saliva verso il promontorio, dato che sua sorella, assieme alla piccola Sofia, avevano percorso proprio quella strada. Arrivarono fin sopra, fino in cima, dove le macerie della Palestra di Verdeazzupoli sostavano quiete e sfatte sulle loro fondamenta. Diversi metri accanto vi era quella che interpretò essere Villa Petri, così sfarzosa e piena di giardini.
E di Reclute Magma.
“Cazzo!” esclamò Martino; Staraptor si fermò, sbattendo le ali per non perdere quota. Videro la folla che accerchiava qualcosa, steso sul prato.
No, era qualcuno. Era una persona. Abbassò gli occhialini sulla fronte ed ingrandì l’immagine, tirando un sospiro di sollievo: era un uomo, quello accerchiato sull’erba.
“Non è Marina. Non è Marina” si ripeté, per convincere se stesso a calmarsi. “Questo vuol dire che se è arrivata qui ha visto la situazione ed è fuggita, è tornata indietro. E siccome in piazza non può stare, e nemmeno al Centro Spaziale... Dove cazzo è finita?! Staraptor, torniamo indietro!”.
Il Pokémon lanciò un grido e si voltò, ripercorrendo la stessa strada all’inverso.
Quando Martino vide un recluta appostata all’interno di un vicolo spalancò gli occhi.
“È stata catturata!”.

Marina era nel Centro Spaziale, l’enorme edificio creato a Verdeazzupoli dove astronauti e cosmologi lavoravano in simbiosi per scoprire i misteri dell’universo.
La piccola Sofia le teneva la mano, guardando il volto contrito del Ranger.
“Dov’è la mia mamma?”.
Marina alzò la testa, avvilendosi per la gran quantità di gente rinchiusa lì, senza né cibo né acqua.
“La troviamo la mamma, la troviamo... Permesso!” chiese, spintonando le persone adiacenti, per farsi un po’ di spazio e raggiungere la grande scalinata che dava sul balconcino. Lì sopra qualcuno sembrava urlare, spazientito.
“Non è possibile questa cosa! Nessuno può tenerci prigionieri in questo modo!”
Un nugolo di recluta si avvicinò, con Pokémon al cospetto, cercando di intimorire la folla.
“Zitti! Tutti! Qui le regole le facciamo noi! Non dovrete creare alcun problema e nessuno si farà male!” fece il portavoce di quelli, un uomo alto e prestante, dai lunghi e mossi capelli neri.
“Non avete alcun diritto di tenerci qui!” urlò quello più attivo, in cima alla scalinata. Quello si avvicinò a lui, facendosi spazio tra la folla e fermandosi prima dei gradini, accanto a Marina.
“Voi non avete alcun diritto invece. Siete prigionieri. Vediamo se ti entra nella zucca ciò che sto dicendo... Se tu e questi altri moscerini starete buoni, tra qualche giorno, forse, vi libereremo. Altrimenti cominceremo ad uccidere venti persone ogni ora, senza distinzioni di età e di sesso”.
Marina deglutì tante piccole puntine di metallo, timorosa. Si sentiva fragile in quel momento, esposta. E si sentiva in questo modo per se stessa e per la piccola Sofia, che si nascondeva dietro le sue gambe.
“Perché state facendo questo?!” urlò ancora, quello che ormai si era fatto rappresentante e portavoce del popolo imprigionato. “La nostra gente sta subendo questa situazione più di chiunque altro! Abbiamo perso le nostre case e...” incrociò lo sguardo con Marina. Quello era un ragazzo dai capelli cortissimi, con un ciuffo un po’ più lunghetto davanti, sulla fronte. Il castano non era altissimo, di corporatura normale e dagli occhi color nocciola, accesi come torce nella notte. La barba era folta sul suo viso e gli coprivano le efelidi, rimasugli di una gioventù non così tanto lontano. “... e... e abbiamo visto i nostri familiari morire. Questa è mancanza di rispetto, oltre che una chiara manifestazione di superiorità armata da parte vostra. Qui non tutti hanno i Pokémon!” riprese grinta dopo un attimo di tentennamento.
La Recluta Magma fece un ulteriore passo avanti, avvicinandosi così tanto a Marina che quasi avrebbe potuto toccarle il braccio muovendo soltanto la mano.
“Forse non è chiaro...” sorrise l’omone. “Adesso vedrai cosa succede”.
Gli occhi di quell’uomo malvagio incontrarono quelli limpidi e cristallini di Marina.
“Non osare!” urlò quello.
Afferrò Marina per il braccio, ed in quel momento penetrò una lama d’ansia e paura nel suo corpo. Si bloccò, quando in realtà avrebbe voluto reagire in maniera veemente, difendendosi. Sentiva la mano ruvida e calda di quello stringerla. Sentiva la mano di quell’uomo annullarla.
E poi accadde che con quella stretta lui la tirò via. Il suo obiettivo non era Marina.
No.
Il suo obiettivo era la piccola Sofia.
La afferrò per i capelli, tirandola a sé, quindi le prese il braccio e la tirò in aria, con una facilità quasi imbarazzante.
“Ecco. Lei sarà la prima” pronunciò il moro, afferrando con entrambe le braccia il piccolo avambraccio di Sofia, che intanto piangeva e si dimenava.

E lo spezzò.

“No! Lurido pezzo di merda!” urlò quello, dalla cima della scalinata, tuffandosi con rabbia verso il nemico, saltando una dozzina di scalini, forse di più.
Facendo partire l’insorgenza.

C’era solo caos, solo persone che urlavano e che cadevano per terra, vive e ferite, talvolta morte. I Magma ordinavano ai propri Pokémon, grossi e feroci, di attaccare direttamente chiunque non appartenesse alle emme rosse, scatenando urla di rabbia e disapprovazione, oltre a quelle di dolore e disperazione.
Marina era stata scaraventata per terra, a qualche metro, ed aveva assistito a tutta la scena con orrore: il braccio di Sofia ciondolava morto mentre lei, inginocchiata e disperata, piena di lacrime, urlava al cielo, chiedendo i motivi di cotanta ingiustizia.
Il Ranger le si avvicinò repentina e la strinse al corpo, baciandole la fronte.
“Va tutto bene, non preoccuparti. Aggiusteremo tutto” fece, abbracciandola al petto nuovamente.
“Sofia!” esclamò una voce, sbucata dal nulla. Sua madre, sfatta e distrutta, totalmente in lacrime, con la frangetta aperta e sporca di sangue. Si abbassò e la strinse a sé.
Marina fece spazio alla madre e sospirò.
“Mamma è qui” faceva. “Mamma è vicino a te; metteremo a posto il braccio e cacceremo i cattivi dalla città. Anzi, andremo via, dove ci sono tante persone buone. Dove tutti ti ameranno, Sophy... Dove tutti ti ameranno...”. La madre piangeva calde lacrime, squassava il suo cuore e cercava di mantenere salda la mente. Non poteva avere un crollo.
Alzò lo sguardo sporco verso Marina ed abbassò il capo. “Noi ti saremo per sempre riconoscenti”.
“Si figuri. Ma ora dobbiamo uscire di qua”.

Gold e Pat entrarono in piazza, pochi minuti prima dell’effettivo passaggio dal pomeriggio alla sera. I lampioni erano tutti crollati per strada; oltre ad un lieve bagliore, Verdeazzupoli era piombata nell’oscurità. Per terra erano in grado di osservare macerie e polvere, sangue e cadaveri, Pokémon ed umani morti.
Tutto era morto, tutto era fermo tranne le foglie, sospinte debolmente dal vento.
“Sono nel Centro Spaziale. Sono tutti lì, ma non dobbiamo passare davanti al promontorio ad ovest, altrimenti Miriam ci attaccherà con le sue mosse di kung-fu” disse Pat, sospirando.
“E chi diamine sarebbe?!”.
“Il capo del Team Magma” sospirò poi.
“Oh, finalmente! Allora vado da lei e le asfalterò il sedere a calci, assieme al Blaziken di Fiammetta... Poverina...” si rammaricò. Notò poi che Pat sorrise.
“Sei buffo. Ed anche molto immaturo”.
“Perché dici questo?” s’incuriosì Gold, camminando verso la parte est dell’isola assieme alla Capopalestra.
“Perché è stata Miriam, con un solo potente calcio, a mettere fuori combattimento Rocco. Tu che speranze avresti?!”.
“Io sono più forte di qualsiasi Campione. I miei Pokémon sono fantastici”.
“Un giorno ti sfiderò...”.
“Non vedo l’ora” sorrise.
Attimo di pausa.
“Finiscila di pensare a me in quel modo” disse poi, sorridendo a sua volta.
Gold svilì. “E tu che ne sai?”
“Capopalestra di tipo Psico. So anche da che parte pende il sacchetto che porti a mo’ di ciondolo, nascosto sotto la tua felpa”.
“E tu che ne sai?!” ripeté, non facendolo apposta.
“Te l’ho già detto. Sei buffo”.
“E tu mi hai già detto questo”. Gold sospirò, guardando il cielo ormai scuro. Era intrigato dalla diciassettenne e da quegli occhi così profondi. Sembravano celare grossi misteri, e conoscenze al di fuori dei normali parametri.
“Attento” disse poi, fermandolo, con una mano sul costato. E a Gold il costato faceva male. “Scusa” fece ancora, tirandolo in un vicoletto.
“Che succede?!” si preoccupò lui, a bassa voce.
“Miriam sta venendo verso di noi”.
“Cosa?!”
“Miriam è a pochi metri da noi”. Lo sguardo di Pat vagò attorno, disorientato, per poi fermarsi come l’ago di una bussola quando puntava il nord. “È proprio lì” puntò il dito lei.
Pochi attimi dopo ne uscì la donna. Gold spalancò gli occhi nel notare l’abbondanza della donna.
“Fai schifo...” sospirò Pat.
“Silenzio, che ci sente...”.
Gold osservava ogni dettaglio che gli si presentava davanti, carezzandolo con lo sguardo. Lunghi capelli rossi incorniciavano il volto definito da morbide linee di quella, il collo lungo manteneva la testa, alzata, a pronunciare le labbra, rosse, truccate. E poi quel vestito, rosso come le labbra, come i capelli, come i suoi occhi, che si appoggiava ruvido sulla delicatezza del suo corpo, abbondante nelle forme, generoso nelle curve.
E poi le gambe, lunghe, che terminavano su un paio di decolleté con cinturino alla caviglia.
Parlava in comunicazione Holovox.
“Andy, ciao. Dimmi che le cose stanno andando bene per favore” diceva. La voce era calda e suadente. La comunicazione, dall’altra parte, vedeva il Magmatenente contro cui si erano scontrati, con quei capelli biondi che fuoriuscivano dal cappuccio.
“La specialista era riuscita a catturare Groudon, ma Zoe le ha rubato la sfera e lo abbiamo liberato”.
“Ottimo lavoro. Dove si sta dirigendo?” adesso.
“Groudon è a venti chilometri sotto la crosta terrestre, e si dirige a sud ovest di Verdeazzupoli”.
“Sta raggiungendo l’Antro Abissale” sorrise Miriam.
“Raggiungerà presto l’Archeoforma. Sconfiggeremo Kyogre ed il Team Idro. Inoltre abbiamo levato di mezzo Fiammetta”.
“Oh, finalmente ce l’hai fatta” bofonchiò la donna, quasi infastidita.
“L’ho dovuta rapire”.
“Vedi di non fare troppo la persona espansiva con lei. Sai bene che sono gelosa. Già mi infastidisce la presenza di Zoe, e sai anche questo” sbuffò lei, voltando l’angolo in direzione della grande strada che percorrevano in precedenza Gold e Pat, che intanto ascoltavano tutto.
“Amore mio, sai bene che Zoe ci serviva per le sue abilità. È solo una farsa. Non appena tutto questo sarà finito farà la stessa fine che faremo fare a Ruby e Sapphire. E a Fiammetta”.
Miriam sentì ridere Andy e rise a sua volta. “Così mi piaci, tesoro”.
“Ho visto che con Rocco non è andato tutto a buon fine... Era sulla spiaggia con Pat e Fiammetta”.
“Già. Dovremo fare presto” annuì Miriam.
“Stiamo monitorando Groudon. Appena riuscirà ad effettuare l’Archeorisveglio concluderemo il nostro piano”.
“Proprio come voleva papà...” sospirò la donna.
“Ed invece, la reclusione nel Centro Spaziale per la popolazione del luogo?”.
“Un fallimento anche quello. Ma ora tutti sanno di cosa è capace il Team Magma”.
“Bene così. Ti aspetto al quartier generale. Ora sta tornando Zoe...”
“Ciao, amore” disse addolcita la donna.
“Ciao, tesoro”.
Pat guardava Gold con la bocca spalancata, mentre la donna si allontanava dal loro campo visivo.
“Lei... lei sta con il biondo... Quello che sta con Zoe...” non si capacitava lui. Pat annuiva.
“Ha detto che la reclusione è stata un fallimento. Probabilmente la popolazione dell’isola è nuovamente libera”.
Gold si voltò e guardò la moretta sorridere, leggermente tranquillizzata.
“Metteremo tutto a posto, comunque... Intendo il fatto di tuo fratello, e di questa situazione. Ho già in mente come fare...” disse il ragazzo, mettendosi in marcia, salendo velocemente la salita verso il promontorio est, dove c’era il Centro Spaziale.
“E come?!”.
Gold sorrise e la guardò nuovamente. “Tu non eri quella che sa tutto?”.
“Oh, ma dai!”.
“Vedrai...”.
Le persone cominciavano a defluire verso la discesa, molte delle quali sporche di sangue e bisognose di cure.
E Pat, che in cuor suo sapeva già tutto, vedeva preoccupazione negli occhi di Gold. Vedeva tutto, sapeva che era il nome Marina a rimbalzargli impazzito nella testa.
Arrivarono in cima alla salita e lì la quantità di gente era enorme. Sembravano tante piccole formiche impazzite, senza una meta specifica.
L’importante era fuggire dalla minaccia, qualsiasi essa fosse stata.
Gold si voltò verso la sua compagna provvisoria d’avventura e le prese le mani.
“Con le tue capacità, ed il tuo... woosh... riesci a dirmi di preciso dov’è Marina?!”.
Pat annuì e chiuse gli occhi, riaprendoli d’improvviso.
“La roccia bianca. Marina è seduta sulla roccia bianca”.
“E dov’è?! Dov’è questa roccia bianca?!” s’allarmò Gold.
Pat puntò l’unghia mangiucchiata dell’indice proprio davanti a lei. “In quella direzione”.
“Ottimo!” sorrise, baciandogli la guancia. Gold mosse due o tre passi veloci in direzione del marasma di persone: sembravano tante piccole onde che s’infrangevano su altre onde più grandi, e così via. Tuttavia si voltò e guardò la ragazza, magra e pallida, con la treccia spelacchiata corvina.
“Hey... Grazie, Pat. Sei davvero forte”.
Quella arrossì, abbassando leggermente lo sguardo. “Grazie a te per quello che fai qui ad Hoenn”.
“Mi piaci tanto. Come persona, intendo. Sei buona” fece, fissandola negli occhi cristallini. “Perché non vieni con noi? Il tuo aiuto sarebbe fondamentale”.
“L’ho già detto, la mia gente ha bisogno di me”.
Gold sorrise nuovamente e poi annuì. “Ciao amica”.
Lei sorrise, poi si voltò e sparì.

L’insorgenza che si era creata all’interno del Centro Spaziale non aveva lasciato scampo a nessuna delle sessantasette Reclute armate con Pokémon aggressivi e maltrattati, calpestati dalla folla al suo interno. Molte persone erano morte, molte altre erano rimaste ferite.
Tuttavia la coscienza comune era rimasta alta, sempre. Il popolo di Verdeazzupoli aveva avuto tanta dignità, in quel nefasto ventuno dicembre: aveva combattuto contro una chimera, contro persone non pacifiche, contro chi voleva creare il male dal bene.
Il popolo di Verdeazzupoli, in gabbia come un topo su cui si fanno gli esperimenti, quelli con gli occhi rossi ed il pelo bianco, messo alle strette. Una bambina ed il suo braccio, vittima infima rispetto alle quasi trecento vite umane sprecate, perse e calpestate, ammazzate, bruciate e mutilate, percosse. Anime stuprate dalla rabbia e dalla cattiveria.
Dalla diversità.
Il ragazzo sulla scalinata, tale David Lancer, morì sotto gli attacchi di due Arcanine e poi fu calpestato dalla sua gente; tuttavia donò a gli altri la coscienza di alzare la testa, di dividere il cattivo dal buono. Fece capire agli altri che, se proprio volevano essere un gregge di pecore, senza pensiero né cervello, avrebbero dovuto viaggiare nella direzione giusta.
Il suo cadavere giacque lì per terra e fu l’ultimo ad essere raccolto.
Il suolo di Verdeazzupoli avrebbe dovuto assorbire tutto da quel giovane, in modo da ricordare per sempre quell’avvenimento, dove i pochi si ribellano e vincono contro i molti, e poi il contrario.
Una rivolta che per la storia di Hoenn sarebbe passata alla storia.
La rivolta di Verdeazzupoli.
Proprio come la rivolta di Attica.

 

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Capitolo 34
*** Capitolo Ventisettesimo - Si rompono gli specchi ***


Si rompono gli specchi



“Finalmente è arrivata la fine di questa giornata di merda...” sospirò Gold. Assieme a Marina e Martino era entrato negli spogliatoi della Palestra di Forestopoli. Levò il giacchetto e poi la maglietta, sospirando.
Si guardò attorno, ignorando il fastidiosissimo ronzio dei neon. Mattonelle bianche per terra e sulle pareti riflettevano la luce opaca e fredda che proveniva dalle plafoniere.
Appese i vestiti e levò anche le scarpe, sorprendendosi di come Martino fosse già nudo e sotto il getto caldo della doccia. Marina era alla panca accanto, senza gilet ed occhialoni; i capelli le erano caduti davanti al volto più di una volta e fu costretta a tenerseli con la mano per evitare ulteriori fastidi.
“Vero, Gold. È stata una giornata parecchio pesante”. Il ragazzo la vide levare via la maglietta, rimanendo soltanto con il reggiseno sportivo, oltre ai pantaloncini.
“Sicuramente domani sarà peggio. E lo sarà sempre di più finché non renderemo i sederi di quelle persone come degli scolapasta”.
Marina sorrise.
“Ho avuto paura per te, prima” aggiunse il ragazzo.
Lei abbassò gli occhi, nella testa ancora l’immagine truce del Magma che spezzava il braccio della piccola Sofia in più parti.
“Ho avuto paura anche io... Martino!” lo chiamò poi.
“Che c’è?” domandò lui. La sua voce attraversò il muro d’acqua che scendeva dal telefono della doccia.
“Devi ripararmi lo Styler! Ce l’ho nella borsa!”.
“Hai ragione. Sarà la prima cosa che farò, non appena esco da qui dentro”.
“Senza Styler non so come muovermi ma a dire il vero... con Vulpix, bene o male, sono riuscita a districarmi dal palazzo...”.
“Palazzo? Quale palazzo?” domandò poi quello dagli occhi d’oro..
“Il palazzo in fiamme di oggi”.
Gold la fissò stupito. “Sembra quasi che la mia giornata sia stata noiosa in confronto alla tua” sorrise, suscitando il sorriso anche in lei.
“Sicuramente sarà stato così”.
“Il Team Magma è composto da elementi forti. Lottare contro di loro è stato stimolante”.
“Immagino”. Marina sfilò anche i pantaloni, ignorando gli occhi curiosi di Gold
“E poi hanno rapito Fiammetta...” abbassò infine lo sguardo, spostandolo dalle gambe toniche della ragazza.
“La troveremo” lei gli mise una mano sulla spalla sinistra, con sul volto un sorriso morbido, quasi materno. “Stai tranquillo”.
“Lei guardava me! Ha urlato il mio nome! Voleva che io la prendessi, la aiutassi! Voleva che la salvassi! E invece sono rimasto come un cretino, così, fermo e zitto, aspettando che il mondo mi crollasse addosso”.
Marina si avviò verso la doccia e nascose le parole del ragazzo con il getto dell’acqua; nello scarico caddero sangue, cenere e sudore, oltre a tutta la paura che aveva posseduto il suo corpo e si era insediata nelle sue carni.
 
Gold camminava accanto ai due Ranger nel corridoio lungo e buio della palestra, dove ogni passo rimbombava con forza. Alice aveva assegnato al gruppo di specialisti una stanza abbastanza ampia, in cui c’erano già Silver e Crystal.
Martino aprì la porta e trovò Silver, seduto sul lettino della ragazza, mentre le sistemava le coperte. Il ragazzo aveva i capelli alzati in una coda e gli occhi molto stanchi, mentre indossava una maglietta a mezze maniche color porpora.
“Hey, Silver. Come sta Crys?” domandò Gold, avvicinandosi a lui e poggiandogli una mano sulla spalla.
“Sta meglio. Prima si è svegliata, ma è molto stanca. Questa cosa è parecchio strana e sta cominciando a succedere spesso”.
“Ha già perso la vista altre volte?”.
“Sì, un’altra volta di preciso, stamattina, nella lotta contro Groudon”.
“Wow... Anche voi avete avuto una giornata niente male... Notizie di Fiammetta?”.
Silver scosse la testa. “Dovremo andare a cercare anche lei. Domani vedremo come agire, diretti da Alice.
Gold sospirò e si sedette accanto al ragazzo. Vide che prese la mano di Crystal, velocemente.
“Quante attenzioni...” osservò quello dagli occhi d’oro, spostandosi il ciuffo dal volto. Si voltò un momento, vedendo Martino mettersi nel suo letto, seguito a ruota da Marina, poi ritornò a fissare lo sguardo contrito di Silver.
“Io mi sono innamorato di lei”.
Gold sorrise leggermente e spalancò gli occhi. “Oh”. E magari sapeva che avrebbe potuto, magari dovuto, dire di più. Tuttavia fu l’unica parola, che più che una parola era una sillaba, ad avere un minimo di senso, o almeno l’unica che avrebbe potuto pronunciare senza sembrare un ebete.
“Ti sorprende questa cosa?” chiese poi, il fulvo.
Oro e argento s’incontrarono in quello sguardo, in quello scontro prezioso dove l’uno entrava nell’altro. La mano di Gold si poggiò sulla coscia di Crystal, sotto le coperte, un po’ per caso, un po’ per provocazione.
“No. Crystal è una ragazza bellissima, con la testa a posto... Capisco benissimo”.
“Mi sono già dichiarato”.
“Meglio. State assieme?”.
“Praticamente”.
Gold sorrise. “È un sì?”.
“Come se lo fosse”.
“Sai, mi sembri ostile in questo periodo”.
“Forse è così”.
Gold sorrise e continuò a fissare il ragazzo che aveva di fronte. Si mordeva le labbra; gli occhi stretti, quelle piccole fessure argentee, lo fissavano e proiettavano su di lui una luce inquietante. Si studiavano, come predatore e preda, senza specificare chi fosse l’uno e chi fosse l’altro.
Forse erano entrambi predatori, o forse entrambi prede di qualcosa di più grande di loro.
Di più profondo.
“A me non interessa Crystal” chiuse subito il moro, sospirando. Gli occhi di Silver si spostarono sulla mano che aveva sulla coscia della bella addormentata.
“Levala” fece poi.
“Non darmi ordini”.
Silver sospirò e prese la mano di Gold, stringendola con forza, spostandola da dove sostava.
“Fa’ come ti dico”.
“Non toccarmi!” urlò Gold, ritirando violentemente la mano.
“Stai lontano da lei”. In controtendenza, Silver rimase freddo e distaccato e, nonostante tutto, non smetteva di guardarlo fisso negli occhi.
“Io sto dove voglio”.
“Vai a buttare le tue mani da un’altra parte. Lei è troppo preziosa per stare con un cavernicolo come te”.
Gold sospirò e si alzò, alzando le mani in aria, avvicinandosi alla finestra. Marina e Martino guardavano quella scena con attenzione, pronti ad intervenire.
“Hai paura del cavernicolo. Hai paura che il cavernicolo rubi la ragazza alla fighetta, vero?!”.
I due fratelli si fermarono a guardare il volto di Silver, che si alzò lentamente. Gold lo scrutava, sorridente.
“Finalmente hai deciso di fare l’uomo eh?! Fatti sotto!” diceva quello, con le spalle piegate verso il basso e le braccia aperte, come se stesse per parare un calcio di rigore.
“Io potrei tranquillamente ammazzarti”.
“Hey, calmiamo i toni” fece Martino, alzandosi dal letto. Marina fece lo stesso, avvicinandosi a Silver poi si girò verso il fratello, che intanto continuava a parlare. “Non è il caso di litigare. Voi due siete sempre in competizione e state sempre a compararvi, sempre a sfidarvi a chi piscia più lontano”.
“Vincerei io...” pronunciò Gold tra i denti. Martino lo guardò, cercando di bruciarlo con lo sguardo.
“L’importante qui non è chi è meglio tra voi due, ma chi tra voi due farà finire per primo quest’onda di morte e distruzione che ha investito questa gente. Voi Allenatori...”.
Non riuscì a nascondere un sorriso, il ragazzo.
“Voi Allenatori non sapete cosa significa mettersi a totale e completa disposizione delle persone, agire per il bene comune e non. Voi viaggiate, avete i vostri scopi, i vostri obiettivi... Cose a lungo termine, insomma. Noi ringraziamo il cielo se ogni sera riusciamo a vedere il letto, a riposarci. Ognuno di noi qui ha rischiato la vita oggi, anche più di una volta, e questo è sicuro. Noi lo facciamo ogni giorno”.
“Questo che significa?” domandò Gold fissando Silver che, silenzioso, stava a sentire ciò che il Ranger avesse da dire.
“Significa che state sbagliando il modo di porvi. Non è una parata, una sfilata di moda, questa. Non è il palcoscenico per scegliere la più grande superstar dei Pokémon o l’Allenatore più forte. Assolutamente no. Siamo qui per altro. Dobbiamo fare altro. Non dovreste distrarre Crystal, lei ha già fin troppi problemi con questa strana cecità ed il fatto che ogni volta che riusciamo a trovarci Groudon davanti viene quella stronza con i capelli neri a rovinarci tutto”.
“A me Crystal non interessa. Credevo che Silver fosse un amico, un compagno. Invece dubita di me, pensa che io possa fargli del male dopo tanti anni passati nella stessa casa, dove io mi sono sempre fidato di lui. Dormi con il coltello sotto il cuscino ora?! Hai paura che ti faccia del male, stanotte?!”. La voce di Gold rimbombò impazzita tra le pareti di quella stanza, raggiungendo le teste dei tre. “Io non sono interessato a nulla di nulla. Voglio soltanto andarmene a casa mia. E appena tornerò a Borgofoglianova farò le valigie e lascerò la casa dove viviamo tutti e tre, in modo che quei due consumino la propria storia d’amore. Tuttavia non voglio che pronuncino più il mio nome”.
Silver fissava Gold con sempre meno determinazione; Marina era davanti a lui, che gli poneva una mano davanti al petto, spaventata da una possibile reazione fisica.
La porta poi si aprì, le luci si accesero. Rocco Petri era con la camicia aperta ed i capelli spettinati, parecchio sfatto.
“Dannazione, ragazzi, è notte ormai. È successo qualcosa di grave?”.
Marina guardò il volto solido e gli occhi vitrei dell’uomo, quindi lottò con tutta se stessa per non guardargli addominali e pettorali, fallendo miseramente.
“Non è successo niente, Rocco” fece poi, proprio lei. “Tu come stai? Mi hanno detto che se stato colpito violentemente”.
Rocco storse le labbra e guardò in alto. “Fosse la prima volta che Miriam mi colpisce in questo modo...”.
Tutti si voltarono verso di lui ma fu nuovamente Marina a mettere in calce il dubbio che tartassava le menti di tutti. “Miriam?! Aspetta, a quanto ho capito è il capo del Team Magma! Hai familiarizzato col nemico?!”.
Rocco la guardò e sorrise. “No. Almeno non era un nemico quando familiarizzai con lei. Come ti chiami?” chiese il Campione, sedendosi sul primo letto che aveva di fronte.
“Marina...” rispose lei, arrossendo con violenza. “Mi chiamo Marina”.
“Marina, che bel nome. Io conosco Miriam da parecchi anni, siamo cresciuti assieme. Lei viveva a Cuordilava, assieme alla famiglia. Quando mio padre aprì la Devon fu costretto a viaggiare in lungo ed in largo per Hoenn, ed io lo seguivo in tutti i suoi viaggi, assieme ai miei Pokémon. Ricordo che ad ogni viaggio che facevo, riuscivo a portare a casa almeno una roccia nuova. Ho la passione, per la geologia” sorrise quello. Poi continuò: “Lì c’era questa ragazzina, io la ricordo ancora come se fosse ieri. Ricordo i suoi occhi buoni e puliti, ed il candore della sua pelle. Ricordo i suoi capelli, sempre legati”.
Silver guardava il volto di Rocco; raccontava del suo passato con sul volto un’espressione di pace quasi irreale. Ricordava con piacere il suo passato.
“Era lei. Era Miriam. Ed era una ragazzina in piena adolescenza che lottava con i Pokémon, al centro del paese. Cuordilava era molto più piccola, anni fa, e tutti la conoscevano: Miriam sfidava la gente nella piazza, con in palio poche monete. Era molto povera, ed era stata adottata da una vecchietta, una veterana che aveva passato sul Monte Camino gran parte della sua vita. Inutile dire che la sua forza d’animo e la sua storia mi avvicinarono a lei in maniera viscerale, tanto che me ne innamorai”.
“Wow. E lei?”.
“E lei anche. Passai due anni a Cuordilava, ricordo ancora Fiammetta, quando era più piccola. Non abbiamo troppi anni di differenza, ma la ricordo perché una volta rimasi così tanto a fissarla che Miriam mi tirò un pugno sul braccio”.
“Ebbeh” sorrise Martino. “Non passa inosservata, Fiammetta”.
“No” lo imitò Rocco. “Decisamente. Ci innamorammo, io e Miriam. Fu qualcosa di bellissimo con lei, imparai cosa volesse dire essere vivo. Poi la donna che la adottò morì; in punto di spegnersi le diede una lettera, dove le diceva che suo padre in realtà fosse Max, il Capo del Team Magma. Lei diventò un’altra, a quel punto”.
“In che senso?” domandò Gold.
Rocco si voltò e lo guardò. “Nel senso che cambio modo di essere. Cominciò col diventare paranoica e perse quella leggerezza che l’aveva sempre contraddistinta. E poi un giorno le comunicai del mio progetto di scalata alla Lega Pokémon. Le chiesi di partire con me e decise di non voler abbandonare la sua città, in quanto convinta che suo padre prima o poi sarebbe venuta a cercarla”.
“Non lo fece mai...” sospirò poi Marina, vedendo Rocco annuire.
“Già. E poi lei trovò suo padre non appena successe quello... quello che è successo, anni fa, durante il precedente risveglio dei leggendari. Da allora non l’ho più vista. Almeno fino ad oggi”.
“Wow...” sospirò Gold.
“Ora però è meglio che andiate a dormire”.
 
Rocco chiuse la porta e spense le luci; il buio s’appropriò di ogni cosa ed intanto i respiri dei ragazzi, tutti nei propri letti, divennero mano a mano più grevi.
Martino era girato sul fianco sinistro. Guardava sua sorella, le palpebre chiuse ed i capelli legati con due forcine ai lati della testa; aveva avuto una giornata infuocata, comprendeva che fosse così stanca.
Aveva le sembianze di sua madre, non poté non ammetterlo. Abbozzò un sorriso, continuando a guardarla. Ricordava quando quel viso era maltrattato dalle lacrime, dalla disperazione.
Lui era in casa, leggeva un libro riguardo l’evoluzione dei Pokémon, non avrebbe potuto dimenticare. Tutto, ogni particolare era così vivido che poteva vederlo davanti agli occhi.
 
Il fuoco del camino scoppiettava quell’inverno, e lo faceva molto spesso. Oblivia era stata colpita da un freddo terribile e la sua popolazione, non essendo abituata a climi così rigidi, era dovuta correre ai ripari. E quindi ognuno si era dotato di legna per i propri camini, o di stufe a gas.
Casa sua era parecchio grande, tre piani che i due condividevano con i genitori e Bessie, il loro Herdier. Martino adorava il salone, leggere davanti al camino che scoppiettava lo rilassava parecchio. Anche quella sera non fece testo.
Le scarpe alzate sul poggiapiedi e le luci soffuse, il libro in mano e la grande coperta a quadri sulle gambe, tutto era perfetto.
Saggiò inizialmente con le dita la superficie smaltata della copertina del libro, scritto dal Professor Samuel Oak ed illustrata da tal Dylan Cooper. Una volta aperto il libro, odorò le pagine, adorando il caratteristico profumo di un libro vergine, mai sfogliato da nessuno.
“L’evoluzione dei Pokémon è legata a diversi fattori...” sospirò, leggendo le prime righe. La pioggia cominciò a battere leggera sui vetri, come a voler entrare educatamente, bussando alle finestre.
Anche il vento si alzò, soffiando via le foglie ormai cadute dagli alberi spogli.
E tutto lasciava intendere che Martino, quella sera, sarebbe stato nelle grazie di Arceus, contando che i suoi genitori non erano in casa e che sua sorella aveva un appuntamento galante quella sera.
Era piccola lei. Forse nemmeno tanto, però lui non credeva che alla sua età fosse possibile avere una relazione sentimentale.
Meno ancora una semplice avventura, anche perché lui era geloso ed era già tanto che avesse lasciato che sua sorella minore, Marina, uscisse con un ragazzo. Lo aveva visto parecchie volte, aveva la sua stessa età ed era un Allenatore di Johto.
“Uno dei fattori che può influenzare l’evoluzione è l’esperienza. Arrivato ad un certo quantitativo di competenze acquisite, il Pokémon adegua il suo corpo, cambiando forma. Uhm... Proprio come te, Bessie” fece, guardando l’Herdier appallottolato sul tappeto, davanti al camino.
Lo sguardo si spostava inutilmente dall’ambiente al libro, cercando di non fissare l’orologio, invano:
aspettava l’orario giusto che servisse da pretesto per uscire ed andare a cercarla.
“I Pokémon possono cominciare il processo d’evoluzione anche se esposti alle particolari radiazioni emanate da misteriosi minerali, come Pietra Idrica, Pietra Foglia e Pietra Focaia”.
Sospirò e guardò avanti, verso il caminetto, quindi sentì qualcosa battere sul vetro.
Pensò fosse la pioggia, o il vento, reo di aver spinto un ramo contro la finestra.
Poi un soffio strascicato, quasi come se il vento stesse urlando il suo nome.
“M.. ti.. n... o”.
Ebbe un brivido. Un tuono riverberò forte lì vicino, costringendolo a girarsi con un gesto inconsulto.
Una macchia di sangue, una mano trascinata in basso sul vetro; fu quello a farlo alzare immediatamente. Bessie prese ad abbaiare.
“Che cazzo succede?!” fece, timoroso.
“M.. ti.. n... o” sentì nuovamente.
“Chi mi chiama?!” urlò lui, gettando il libro sul divano. “Bessie, vieni con me” sussurrò, avvicinandosi lentamente alla finestra, come se stesse scendendo nella cantina di Amytiville Horror.
“Aiutami...” riuscì a sentire, più forte. La voce era compressa ma era quella di Marina. Si avvicinò di più, col cuore in gola che batteva forte e pompava sangue; gli occhi spalancati faticavano a chiudersi, per non perdersi alcun particolare.
Aprì la vetrata, Martino, ed uscì sul balcone: Marina era distesa a terra, in una pozza di sangue, con gli occhi semischiusi ed il vestitino bianco bruciacchiato.
“Marina! Marina! Aiutatemi!” prese ad urlare.
 
Ricordò la sua voce perdersi nella sera di Oblivia. Marina aveva una profonda ferita al costato, ed aveva rischiato un collasso polmonare.
Ma ora stava bene, dopo aver sofferto tanto. Ora era viva, ed aiutava a far star bene la gente; regalava loro una speranza.

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Capitolo 35
*** Capitolo Ventottesimo - Ob-la-dì Ob-la-dà ***


Ob-la-dì Ob-la-dà
 


“Ora dovrebbe funzionare alla perfezione” sospirò Martino, levandosi i grossi occhialoni per le saldature. Porse a sua sorella lo Styler, che saltellò festante.
“Oh, grazie fratello! Che dura che è stata senza lo Styler!”.
Era poco più tardi delle otto del mattino ed il sole faceva a cazzotti con un cielo che tendeva ad ingrigirsi.
Gold era alla finestra della stanza, con la testa appoggiata al vetro e gli occhi chiusi, diviso tra il sonno ed il rimorso per Fiammetta. Sentiva con crescente fastidio le parole di Crystal e Silver, seduti sul letto della ragazza.
“Sei stato tutta la notte qui a guardarmi?” chiese lei, con una nota dolce nella voce.
“Sì” aveva risposto l’altro.
Gold fece una smorfia ed immaginò i volti dei due, durante quelle effusioni romantiche che gli facevano venire il voltastomaco.
Si voltò, vedendo i due fratelli e la coppietta, ognuno per conto proprio. Tossì, Gold, e tutti si voltarono a guardarlo.
“Non credete sia ora di andare?”. La voce del ragazzo col sacchetto al collo fece voltare tutti e quattro i ragazzi. Crystal sorrise, passando da stesa a seduta, mettendo i piedi a terra.
“Che bello poter rivedere di nuovo il tuo volto, Gold”.
“Sei piuttosto affettuosa...” sospirò il ragazzo.
“Beh...” Crystal si alzò e sospirò, prendendo ad infilarsi i pantaloni. “Ti voglio bene... Sono contenta di vederti per questo”.
“Non ti ho mai vista così incazzata” rispose immediatamente Gold, incrociando le braccia e le gambe, appoggiato alla finestra.
“Neanche io così freddo. È successo qualcosa che non so?”.
Gold guardò Silver per pochi istanti, scontrandosi contro quella barriera argentea ed impenetrabile, quindi sospirò e si mosse, uscendo dalla stanza.
“Che ho detto?!” esclamò Crystal, guardando il fulvo che, per tutta risposta, le fece spallucce.
“Vado a vedere che ha” si mosse Marina, seguendo il moro.
 
Rocco camminava per il lungo corridoio della Palestra di Forestopoli, silenzioso e concentrato. Negli occhi viveva ancora il cocente attimo in cui Miriam lo aveva messo con le spalle al muro; i suoi passi si susseguivano monotoni ma sicuri, certi che uno avrebbe seguito l’altro, e rimbombavano in quel passeggio desolato e silente.
Gli occhi di Miriam, rossi come fiamme vive e furenti, avevano bruciato la pelle diafana del ragazzo. Attratto da quello sguardo, da quelle labbra.
Da quel corpo, così caldo, accoglieva i suoi abbracci con un amore fuori dal comune, che non aveva trovato mai da nessuna parte.
Spalle al muro e lama puntata al collo, deglutire era diventato difficile.
Scrollò dalla mente quel pensiero e sospirò, poi bussò alla porta dell’ufficio della Capopalestra Alice.
“Avanti” sentì.
Aprì con garbo la porta, i cui cardini cigolarono leggermente. La luce dei neon inondò il viso di Rocco; il Campione entrò e vide che accanto ad Alice c’era un’altra persona.
“Rocco, sei sveglio finalmente”.
Riconosceva quella voce, e non era certamente quella di Alice. No, quella era la voce di un uomo; quella era la voce di Adriano.
Alice era seduta col volto contrito dietro la sua scrivania mentre il Capopalestra di Ceneride e Campione temporaneo di Hoenn, almeno prima di restituire il mantello simbolico al proprietario, si era accomodato sulle sedie davanti al tavolo.
Adriano era serio, batté la mano sulla pelle della sedia che aveva accanto, intimandogli di sedersi.
Rocco lo fece, quindi accavallò le gambe.
“Che ci fai qui?” domandò proprio il Campione, guardando l’uomo.
“Beh, anche se non avrei dovuto distogliere Alice dalle sue mansioni, qui nella sua città, mi sono ritrovato ad aver bisogno del suo aiuto. E del tuo, naturalmente”.
“Perché?”.
Adriano guardò nuovamente Alice, quindi i suoi occhi color acquamarina s’infransero nello sguardo di freddo metallo del Campione.
“Kyogre”.
“So che è sveglio. Rudi è morto per via di Kyogre”.
“Kyogre è tornato nella grotta dei tempi”.
Rocco rimase basito; spostò gli occhi verso Alice, che confermò annuendo. Prese poi la parola:
“Dice il vero, Rocco. Anche se non avremo motivo di dubitare di Adriano. Sta di fatto che adesso dovremmo andare tutti a Ceneride”.
“Il Team Idro vorrà sicuramente impossessarsi di Kyogre” continuò Rocco.
Adriano fece segno di no con la testa, sistemandosi sulla sedia e vedendo il rampollo della famiglia Petri ; il rumore dei piedi della sedia sul pavimento fece rabbrividire Alice. “Non è così. Loro già controllano Kyogre. Ed anche Groudon, ipoteticamente. Loro hanno le sfere”.
“Quindi non vedo cosa c’entri Ceneride” riattaccò Alice, come a riprendere un discorso che i due avevano già affrontato.
“Ceneride è il luogo, mia cara. Ceneride è il luogo dove tutto è cominciato e dove tutto finisce, ogni volta. Kyogre è già lì, e sta aspettando che Groudon lo raggiunga, per l’ennesimo atto di questa lotta millenaria. Ceneride sarà per l’ennesima volta il palcoscenico di questo cruento spettacolo, e la mia gente sarà nuovamente in pericolo, dopo pochi anni. Dobbiamo riuscire a limitare i danni. Dobbiamo raggruppare i Capipalestra rimasti, ed anche i Superquattro, oltre a te, Rocco, che sei il Campione. Inoltre gli specialisti sono molto abili, e ci daranno una mano a fronteggiare il Team Idro ed il Team Magma. Loro vivono una guerra tra di loro e non si rendono conto di tutto il male che fanno. E rinascono, ogni santa volta rinascono, come una fenice dalle proprie ceneri”.
Rocco si alzò di scatto. “È ora di farla finita”.
 
“Hey, ma che ti è preso?!”.
Marina si avvicinò lentamente a Gold, che intanto si stava chiudendo la zip.
“Dobbiamo andare, forza” fece lui, guardandola soltanto un attimo.
“Non mi hai risposto. Ti ha dato fastidio vedere Silver e Crystal così vicini?”.
“No, non è questo... È... è il comportamento di Silver che non mi va giù per niente. È da quando l’ho incontrato ieri che mi vede come una minaccia e questa cosa non... Non mi va a genio! Per niente!”.
Marina vide il volto del ragazzo appuntirsi sempre di più. Tuttavia i suoi occhi erano sempre accesi, impossibili da spegnere.
“Prova a capirlo... C’è un tale tumulto che praticamente è quasi impossibile riuscire a ragionare a mente fredda”.
“Ma perché fa così?! Mi vede come una minaccia e non mi piace questa cosa!” urlò Gold, tirando un forte pugno nel muro, che riverberò con l’eco fino in fondo alla stanza.
“Forse sa qualcosa che non sai”.
“Che dovrebbe sapere, scusa?! Quando eravamo a casa era mio amico ed ora vuole uccidermi?! Per cosa poi?!”.
“Stai calmo...” fece Marina, prendendogli la testa con le mani fredde. I loro occhi erano così vicini in quel momento che i loro sguardi non potevano cogliere altro. Gold schiuse le labbra e vide Marina poggiare la fronte contro la sua.
“Non puoi permetterti di innervosirti. Abbiamo una missione, un compito molto importante, e dobbiamo fare il massimo. Sgombera la mente e torna di là, quando tornerai a Johto avrai tutto il tempo di questo mondo per portare avanti le tue faide e fare il broncio”.
Gold, ancora con la fronte su quella della ragazza, sospirò. “Hai ragione” fece, dandole un bacio proprio dove prima la sua testa premeva, e poi le diede un abbraccio, che lasciò sconvolta la ragazza.
“Hey, chi sei tu e dov’è finito quello zuccone irritante?!”.
Gold sorrise di nuovo.
“È qui. E non ti abituare, piccola pustolina anoressica”.
Nonostante l’insulto, Marina sorrise. “Eccoti qui. Ora andiamo”.
 
Quando Gold e Marina aprirono la porta della stanza dove i ragazzi dormivano, vi trovarono Alice, assieme a Rocco e ad Adriano.
La porta, come di consueto, cigolò, facendo voltare tutti i presenti. Alice annuì vedendoli arrivare: “Ora siamo tutti qui, perfetto. Allora, come stavo anticipando ai ragazzi che erano già qui, c’è la necessità di trovare al più presto la Sfera Rossa e, soprattutto, la Sfera Blu”.
“Come mai c’è maggiore necessità di trovare Kyogre adesso?” chiese Crystal, naturalmente accanto a Silver.
“Adesso Kyogre è nella Grotta dei Tempi, a Ceneride” entrò in tackle Adriano. “Ed un semplice battito del suo cuore potrebbe distruggere l’intera isola; il suo potere è devastante”.
Gold annuì.
“Il Team Idro dov’è adesso?” domandò Martino.
“Questo ve lo posso dire io” fece Rocco, muovendosi dalla parete dove sostava silenzioso. “Kyogre è in grado di provocare forti tempeste ed è questo il punto. Ora che è nascosto nella Grotta dei Tempi è in una sorta di sonno spirituale, che lo caricherà prima dello scontro monumentale con Groudon. Il fatto che sia in questo stato di trance, però, limita il suo potere e quindi pulisce il cielo da un’eventuale traccia di tempesta. Questo fa perdere la trebisonda al Team Idro, che non riesce più a localizzarlo”.
“E quindi? Non risponde alla domanda” rispose prontamente Martino, grattandosi il mento.
“Quindi necessitano di mezzi più potenti per vedere dove le nuvole si stanno accumulando, pronte per esplodere in una grande tempesta non appena comincerà lo scontro. E per questo saranno sicuramente interessati al Centro Meteorologico appena fuori città: lì ci sono tutte le attrezzature per visionare al meglio la situazione meteo. Saranno sicuramente lì. Ed ora conviene varare un piano d’azione”.
“Già” s’inserì Alice. “Adesso con Rocco ed Adriano andremo a Ceneride, ed i Ranger verranno con noi”.
“Credo sia utile che venga anche Crystal. Nel remoto caso in cui vi sia l’opportunità di catturare Kyogre” fece quello dagli occhi verde acqua.
Tutti convennero che fosse la cosa giusta. Tutti, tranne Silver.
“Ma lei è un’ottima Allenatrice! Potrebbe darci una mano nelle lotte contro il Team Idro!”.
Gold si voltò e sorrise. “Dì piuttosto che vuoi stare con lei...”.
“Ragazzi, non litigate come se foste all’asilo. Ed ora andate”.
 
Gold e Silver avevano attraversato la parte terminale della folta foresta che divideva Forestopoli al Centro Meteo: esso sorgeva in una depressione del terreno, nascosta dalle alte fronde di banano e da altre piante altissime. Nonostante camminassero da una ventina di minuti assieme, nessuno dei due aveva proferito parola.
Solo Gold, che di tanto in tanto si lasciava andare ad un accalorato “Ob-la-dì – Ob-la-dà”, rompeva quel sottofondo fatto di pioggia e di rumori sinistri che provenivano dalle viscere della foresta.
Silver camminava avanti, guardingo e silenzioso: talmente stava attento pareva che i suoi passi non poggiassero nemmeno sul fogliame secco e sui rametti spezzati; un vero e proprio Ninja.
E poi veniva Gold, che fastidioso come sempre, tossiva, cantava, fischiava e si lamentava dell’umidità.
A pochi metri dal Centro Meteo, Silver non resistette più e si girò verso di lui.
“Senti, vedi di finirla. Non ti sopporto più”.
Gold lo snobbò e continuò a camminare, superandolo e continuando a cantare il successo dei Beatles.
“Dannazione... Ma a te non piaceva il rap?!”.
Gold sorrise, quindi lo guardò audace. “A me piace il rap”.
“Già, lo ricordo bene. A te piace la più infima tra la musica, con quelle canzoni piene di rumori e parole non classificate...”.
“Wow, hai messo sette parole di fila. Il logopedista sta facendo miracoli”.
E quando Silver si rendeva conto di essere preso per il culo non riusciva a parlare più. Si richiuse a riccio e spostò i capelli dal volto una volta per tutta, decidendo di legarli nella solita coda alta.
Passò avanti al moro e lo sentì ridere. “Almeno potevi chiedere a Crystal di farti una bella treccina. Almeno così assomiglieresti a Lara Croft...”.
“Smetti di rompere le palle, Gold. Prima che ti metta le mani addosso”.
Gold sorrise ancora, poi riprese a cantare fastidiosamente, ma fu bruscamente interrotto da Silver.
“Zitto, siamo arrivati e lì ci sono delle reclute del Team Idro, credo. Sono le loro divise quelle?” chiese il fulvo al moro, non avendoli mai incrociati prima sul proprio cammino.
“Già...” tuonò Gold, diventando serio tutto all’improvviso. Entrambi si abbassarono dietro un cespuglio, vedendo camminare grandi quantità di reclute azzurre.
“Dobbiamo entrare lì dentro...” sospirò Gold.
“Non dobbiamo farci scoprire, altrimenti siamo morti. Allora, l’obiettivo è la Sfera Blu e...”
“Lo so io qual è l’obiettivo. Entriamo, spacchiamo culi ed usciamo. Fine”.
Silver portò una mano alla fronte e sbuffò. “Dannazione, Gold. Una volta tanto fai come ti dico...”.
“Oh, ma io faccio come mi dici. Per esempio ieri sera, quando volevi fare a cazzotti per via di Crys”.
Il rosso sentì lo sguardo inquisitore dell’altro mentre lo scrutava. “Ne parliamo dopo...”.
“Già, è meglio. Per ora è meglio entrare da quella finestra aperta” indicò quello dagli occhi d’oro, puntando il dito ad una finestra al secondo piano.
“E come vorresti salire lì sopra?!”
“Beh...”. Entrambi alzarono gli occhi, vedendo un grosso albero che si snodava con i suoi rami in lungo ed in largo.
 
Una mazza ferrata roteava nella mano sadica di Xander, e si abbatté subito contro un primo armadio raccoglitore, spaccando in due la porta.
“Ditemi dove sta!” urlò, mentre dalle sue spalle fluiva veloce un gran numero di reclute, il cui compito era immobilizzare gli studiosi che c’erano lì.
“Rinchiudiamoli tutti in una stanza!” urlò poi il folle, spaccando un tavolo che portava una gran quantità di appunti.
“Forza!” urlò, per poi voltarsi verso Christine. Lei lo guardava con il solito sguardo superficiale che la caratterizzava.
“Non esagerare” gli aveva detto fuori dal Centro, prima di cominciare con la missione, e lui si era mantenuto. Delle volte, Christine pensava che il cervello di Xander fosse una noce, piccolo e coperto da un guscio che ne impediva i collegamenti con il mondo esterno, che limitava la suggestione. Era quasi sempre silenzioso, chiuso nella sua armatura di silenzio che all’inizio poteva sembrare un ragazzone timido, silenzioso, addirittura pensieroso.
Poi lo ritrovava in missione con una mazza in mano, ad urlare parolacce e ad ammazzare persone senza nemmeno pensare a quello che faceva; non era il fatto che ammazzasse persone ad infastidirla, sapeva che per lavorare in quell’organizzazione gli scrupoli dovevano essere lontani ricordi d’infanzia, difatti Igor ci teneva che la mente fosse sgombera da ripensamenti e rimorsi durante un potenziale scontro.
Tutte le reclute, i generali, i tenenti, il capo stesso, nel Team Idro, erano degli assassini senza scrupoli. E nel caso di Xander senza ragione: la sua mazza fu proiettata a distruggere le mattonelle per terra, che si frantumarono come fossero vetro.
“Il piano come procede?” domandò Christine, con i suoi corti capelli biondi e gli occhi spalancati.
Quello si fermò, prendendo respiro; la ragazza vide il suo vasto torace espandersi dopo la compressione che aveva caratterizzato il colpo al pavimento. “Procede. Adesso li terrorizziamo per bene, per far capire che noi non devono fare scherzi, intanto tu portati un paio di reclute appresso e perlustra ogni stanza dell’edificio. Dove li stanno portando?”.
“In una stanza, al secondo piano”.
“Bene. Appena capiranno qual è il gioco a cui giochiamo ne sceglieremo un paio e li minacceremo per sapere dove si nasconde Kyogre”.
“Ok, basta che facciamo in fretta. Ho saputo che il Team Magma ha nuovamente sventato la cattura di Groudon. Ora non sappiamo dove sia diretto però...”.
“Sì, va beh. Ora...”. Xander fracassò una vetrina piena di rocce strane, dai colori particolari. “Vai a fare il tuo dovere! Avete sentito, luridi sacchi di merda?! È inutile che vi nascondete, altrimenti questo sarà il rumore dei vostri crani!”.
E poi un’esplosione fece voltare Xander e Christine repentinamente.
 
Andy e Zoe erano lì, fermi ed immobili, le Pokéball in mano ed i cappucci in testa, con quella loro posa plastica ed il fumo che si espandeva veloce e vorace dalle loro spalle.

 

 
 

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Capitolo 36
*** Capitolo Ventinovesimo - Piccola Bottega degli Orrori ***


Piccola Bottega degli orrori


“I guastafeste con i cappucci!” urlò Xander, digrignando i denti e voltandosi. Puntò la sua mazza contro il cranio di Andy, quasi come se lo stesse condannando.
“Dateci la Sfera Rossa e nessuno si farà male” fece il ragazzo, con quello sguardo cristallino immerso nell’ombra del suo volto.
“Non vi consegnerò mai la Sfera Rossa! Voi lascerete qui le penne!”.
Xander si voltò per un attimo verso Christine, che annuì e tornò a guardare dritto in avanti. Non appena Xander partì urlando, con la mazza ferrata alta sulla testa, pronto ad usarla, Christine indietreggiò velocemente prendendo la sfera di Banette.
“Forza!” urlò Zoe. Andy fece proprio come la bionda della fazione opposta, indietreggiando lentamente e vedendo la moretta scattare.
“Muori, lurida!” urlò Xander, scagliando il proprio colpo sulla testa di Zoe. Quella però, che prima di diventare un’ecoterrorista era un Combat Girl, schivò con una facilità quasi impressionante il colpo del vichingo rossastro dai capelli rasati e si avvitò in aria, scaricando su di lui un forte calcio, destinato al fianco.
Andò a segno forte e senza sbavature, facendo sbilanciare Xander, caduto poco dopo sui fondelli.
Zoe si ritrovò piegata per terra, sulle gambe, attenta all’uomo che aveva steso.
“Banette, vai con Palla Ombra sulla ragazza” pronunciò a bassa voce la Idrotenente, vedendo poi il suo Pokémon attaccare l’avversaria in maniera diretta.
“Che brutto vizio...” sospirò Andy, vedendo Zoe accorgersi appena del fatto che la donna l’avesse attaccata. Si voltò ed i suoi occhi, pieni di paura, videro un’altra grande sfera nera abbattersi sull’attacco di Banette; questo fu respinto ed andò a schiantarsi contro la parete, alzando ancora fumo e polvere.
“Sei scorretta, sorella. Come sempre” fece Andy.
Quella strinse i denti e vide un grande esemplare di Dusknoir fluttuare davanti a loro. Zoe si rimise in piedi, quasi contemporaneamente lo fece Xander.
“Ti piace il combattimento, eh?!” fece quello, lanciando un fendente laterale, che avrebbe sicuramente colpito la ragazza se lei non si fosse appiattita per terra, in una posa che assomigliava a quella dell’uomo ragno. Subito dopo colpì alle caviglie il ragazzo, facendolo cadere nuovamente per terra.
“Sei ancora convinto?” chiese lei, rialzandosi velocemente e tornando accanto al Magmatenente biondo. Prese la sfera e mandò in campo il suo Arcanine.
“Forza! Usa Lanciafiamme su Banette!”
Il forte flusso di fuoco fuoriuscì direttamente dalle fauci del canide per abbattersi proprio contro il Pokémon di Christine, che cadde per terra, lamentoso. Xander s’alzò subito in piedi e prese la sua sfera, quella con Kingler, mandandolo in campo.
“Forza! Usa immediatamente Idropompa!”.
Il flusso di fuoco fu sostituito da una forte colonna d’acqua, che andò a schiantarsi contro Arcanine, il quale ruzzolò malamente diversi metri indietro.
Toccava ad Andy e lui sapeva cosa fare. “Dusknoir! Divinazione!”.
Xander e Christine si guardarono, capendo immediatamente che le cose si sarebbero messe male.
“Xander, io vado! Tienili a bada quanto più possibile!” urlò poi Christine, sparendo dietro una coltre di polvere e fumo.
 
“Devi cantare questa canzone anche mentre ci arrampichiamo?!” esclamò Silver, cercando un appoggio per il piede destro; il banano su cui stavano salendo era parecchio alto e superava di gran lunga i tre piani del Centro Meteo, tuttavia era parecchio scivoloso ed alcuni rami erano sottili e si spezzavano non appena vi venisse poggiato il peso sopra.
“Ti lamenti troppo a mio avviso...” sospirò Gold, fischiettando il motivetto.
“Tu invece dai fastidio con ogni movimento che fai...”.
“Sembri un ragazzino di sei anni. Smettila di lamentarti e fai presto a salire, che qui si scivola”.
Silver sbuffò. “Appunto, si scivola...”.
“Un ninja come te sarebbe dovuto essere in cima già da un pezzo”. Gold lo punzecchiava e sorrideva.
Silver si limitò a sbuffare e a fare un ultimo sforzo, fino a salire verso il ramo più alto che vedesse.
“Uno alla volta...” disse il ragazzo, avanzando lentamente, avvicinandosi alla finestra. “Non credo ci regga entrambi”.
“Sfonda la finestra...”
“La finestra è aperta, zuccone...” sbuffò ancora Silver. “Ma... Aspetta... C’è una donna del Team Idro. È appena entrata!”.
“Una donna del Team Idro?!” tuonò Gold. “È bionda?!”.
“Sì, è bionda”.
“È quella... Non voglio essere volgare...”.
“Sarebbe la prima volta”.
“Tutti facciamo progressi”.
Aguzzarono l’udito e sentirono per bene ciò che stava succedendo.
 
Christine spalancò la porta della sala conferenza 4A. Il ronzio dei neon era più rumoroso della somma dei respiri impauriti dei quasi venti scienziati, uomini e donne, rinchiusi tra le pareti di quell’ufficio.
La bionda sbuffò e chiuse la porta alle sue spalle, girando la chiave all’interno della serratura; si voltò verso le persone in camice bianco che la guardavano terrorizzati.
“Io vi ucciderò” esordì lei, battendo un paio di volte le palpebre, tendoni di un palcoscenico che andava a coprire il vero spettacolo: i suoi occhi chiari, che fissavano il terrore, talvolta le lacrime, sui volti onesti ed innocenti dei metereologi.
“Io vi ucciderò” ripeté. “Ma potremmo anche evitare spargimenti di sangue”.
Gli occhi dei venti studiosi erano inevitabilmente proiettati su di lei.
“Ecco, ad una prima occhiata può sembrare che abbiate di fronte dei terroristi ambientali, senza alcuno scrupolo. E forse è anche così, ma io non sono come le reclute qui fuori. Oddio, forse sono anche più pericolosa del tizio con la mazza ferrata che sta sfasciando tutto di là, ma io, come dire, uso altri mezzi...”.
Dalla sua ombra uscì Banette, con il suo sorriso sinistro.
“Vai...” sospirò Christine, vedendo il suo Pokémon fluttuare in avanti, come sospinto dalle onde tra gli studiosi. Li guardava in faccia e sembrava emettere un risolino sinistro, agghiacciante.
Quando Albert Mello, trentasettenne originario di Kalos e laureato in meteorologia nella non troppo lontana regione di Adamanta, vide quel Banette fermarsi proprio davanti a lui, un brivido di paura gli attraversò la schiena per l’intera lunghezza; quel fremito di paura penetrò nel suo corpo, possedendolo, controllandolo, riducendosi ad un respiro lungo, un alito di vita denso e fumoso, sparito non appena la manina di pezza del Pokémon puntò il petto dello studioso.
Banette sembrò miagolare, gli occhi di Christine si riempirono di curiosità e seguirono il movimento del suo Pokémon, proprio quando si tuffò all’interno dell’ombra dell’uomo.
Quello non riuscì a trattenere un urlo, sentendo come al suo interno un fuoco che cominciava a bruciare ogni organo, in maniera sadica e violenta. Tutti gli studiosi che aveva al suo fianco avevano fatto un passo indietro ed osservavano terrorizzati la scena, timorosi d’intervenire.
Albert Mello s’inginocchiò, sentendo le forze che lo abbandonavano; gli occhiali caddero dal suo naso ed una lente si frantumò non appena toccò terra.
Sentiva urla, urla che non c’erano, e piangeva perché non riusciva a muoversi. Inoltre un fischio insopportabile gli stava picconando le tempie come il più ligio dei minatori.
Christine inclinò leggermente la testa ed analizzò uno ad uno i volti degli studiosi, abbeverandosi della loro paura.
“Banette, credo tu abbia fatto, non indugiare oltre...”. La voce della donna, così piccola e delicata, come lei del resto, faceva un contrasto assurdo con la cattiveria delle azioni che stava per compiere.
Sorrise quando vide uscire Banette dall’ombra della povera vittima che aveva designato. Quella risatina inquietante tornò a leggera a danzare sui nervi dei presenti, tesi come corde d’arpa.
Il Pokémon fluttuò pigro fino alla sua Allenatrice; Christine annuì e vide gli occhi di Banette illuminarsi, di un rosso vivo e bruciante. Dopodiché la donna aprì delicatamente la cerniera che teneva chiusa la bocca del Pokémon. Infilò la mano al suo interno, affondandola in profondità e sospirando.
“Sapete... Qui dentro è gelido”. Ritrasse il braccio e vi tirò fuori una bambolina di pezza, senza volto, solo braccia e gambe, ed una grossa testa bianca.
“Bene. Chiudiamo qui... Non voglio sapere cos’altro potrebbe uscire da qui dentro...”. La zip venne richiusa, ed il Pokémon prese a fluttuare libero e festoso, mentre Christine frugava tra le tasche, fino a trovare una scatolina di metallo.
“Ecco. Ora vi spiego come funziona il corpo umano...” disse, mentre aprì la scatolina; ne estrasse un grosso spillone e lo infilò con una facilità disarmante nel braccio della bambola.
Un urlo di dolore s’espanse nella camera e fece sobbalzare Gold e Silver, appesi ancora come scimmie al grosso banano.
“Dobbiamo intervenire, Silver!” esclamò Gold, stringendo i pugni rabbioso. Il fatto che fosse stato colpito da una maledizione da Christine lo collegava automaticamente al povero studioso che adesso si manteneva il braccio destro, in preda alla follia ed al dolore lancinante.
“Quella... Quella è la giornalista...” Silver spalancò gli occhi. Ricordò di averla incontrata qualche giorno prima, poco fuori Ciclamipoli. Voleva scambiare informazioni con Fiammetta ma in quel momento Silver capì a che losco gioco stesse partecipando la bionda: li aveva depistati e strumentalizzati, utilizzandoli come mezzo per combattere il Team Magma.
“Dannazione, Gold. Quella donna è...”.
“Quella donna è una stronza! È lei che mi ha lanciato la maledizione!”.
Silver e Gold si scambiarono uno sguardo e poi tornarono a fissare in avanti.
 
“Ecco, per gli arti funziona così. Ma potrei anche cominciare a giocare con il torace, o con la testa” sorrideva sadica la bionda, umettandosi le labbra con la punta della lingua.
Carezzava la testa della bambola con la punta dello spillo e sulla testa di Albert Mello si formava una linea rossa di sangue bollente, che prese a scendere lentamente fino a ricoprirgli il volto.
“Sapete dov’è il cuore?” domandò lei.
Con lo spillo, leggermente, punzecchiò la zona dove si sarebbe dovuto trovare il muscolo cardiaco; sorrise nel vedere il camice dell’uomo colorarsi di rosso rubino.
Albert, sempre in preda ai dolori, vedeva i volti attoniti pieni di impotenza dei suoi colleghi.
“Ecco. Ora lo infilo qui, nel petto, in fondo e lui...”. Christine alzò gli occhi e vide l’uomo stramazzare per terra. “... e lui muore. Questo potrebbe succedere ad ognuno di voi, e magari nemmeno così rapidamente, se uno, uno soltanto di voi, decidesse di non aiutarmi. Voglio sapere dove si trova Kyogre in questo momento”.
Tutti sostavano silenziosi attorno al corpo di Albert Mello, ridotto ormai ad un sacco inutile di sangue ed organi.
“Banette...” sbuffò Christine, dopo nemmeno un secondo, cercando di annullare le urla e le esplosioni provocate dal combattimento tra Xander ed i due Magmatenenti. “Banette, vieni qui...”.
Il Pokémon fluttuò lemme verso di lei e tutti videro nuovamente Christine aprire la zip che aveva al posto della bocca.
“Ne sta prendendo un’altra” sussultava qualcuno nella folla. La bionda sfilò con massima delicatezza gli spilli dalla bambolina, riponendoli tutti nella scatolina che conservava nelle tasche, quindi gettò la bambola di pezza nella bocca del Pokémon Spettro. Due secondi dopo la ritirò fuori, ed aveva precise sembianze: quella bambolina aveva i capelli lunghi e neri, gli occhiali disegnati sul volto ed un neo sulla guancia destra.
“No!” si sentì esclamare dalla folla. “Non farmi del male! Ti aiuterò!”.
Tutti si voltarono, nello stupore generale, e videro avanzare Carla Doyle, una giovane metereologa dai lunghi capelli neri, con gli occhiali sul naso ed un neo sulla guancia destra.
“Ti aiuterò... ma libera questa persone e non farmi del male”. La giovane donna aveva il volto contrito e le lacrime a formarvi sopra lunghi canali neri, sporcati dal mascara ormai sciolto.
Christine riposò la bambola all’interno del suo Pokémon e chiuse la zip, poi si avvicinò a Carla Doyle e le afferrò una lunga ciocca corvina, tirandola con forza e costringendola ad abbassarsi.
“Ora vieni con me! Voi rimarrete qui finché non sarà tutto finito. Il mio Banette rimarrà di guardia qui, per evitare che facciate colpi di testa”.
Tirando la metereologa per i capelli uscì fuori e sbatté la porta, chiudendola poco dopo a chiave dall’esterno.
 
“Andiamo” sospirò Silver. “Dobbiamo entrare dalla finestra che abbiamo davanti ma non possiamo sfondarla, altrimenti ci sentirebbero”.
“Levati e lascia fare a me...”fece Gold, muovendosi con meno agilità di quanto pensasse su quel doppio ramo di banano.
Arrivato nei pressi della finestra, il ragazzo si limitò a picchiettare l’indice contro la finestra un paio di volte; un uomo anziano e stempiato, con dei doppi occhiali schiacciati sul volto,  si voltò.
Il moro gli fece segno di venire verso di lui, con la mano, e quello si guardò attorno.
“Io?” chiese quello. La voce dell’uomo fu attutita dal vetro, che divideva l’interno della stanza dai due Dexholders sul ramo di banano.
Gold annuì e gli fece nuovamente cenno di avvicinarsi.
L’uomo scosse la testa, facendo segno di no, facendo sorridere Silver.
“Dobbiamo romperla” ripeté.
“Non rompo niente, io. Lui aprirà la finestra di sua spontanea volontà!”.
“Beh...” sospirò Silver. “Affermare che tu non rompa niente mi sembra un po’ esagerato...”.
“Zitto, cretino. E tu! Vieni!”.
L’anziano continuava a fare cenno di no con la testa e Gold sbuffava. “Vieni qui ed apri! Sono con te!” continuava ad esclamare il ragazzo di Johto, aggiungendo alle parole gesti sguaiati con le mani, che parvero sortire l’effetto desiderato.
L’uomo anziano puntò prima l’indice sul suo petto e poi indicò il ragazzo con cui parlava e, quando lo vide annuire, corse ad aprire la finestra.
“Finalmente!” esclamò Gold, saltando all’interno dell’edificio, facendo vibrare leggermente il ramo di banano.
“Ma chi siete voi?!” chiese ampiamente preoccupato l’uomo anziano, facendo qualche passo indietro, evitando d’inciampare nella salma di Albert Mello.
“Noi siamo i buoni” fece Silver, atterrando agilmente sulle mattonelle bianche che andavano a comporre il pavimento della sala riunioni.
“Ed io sono più buono di lui. Allora, voglio che adesso vi leviate tutti davanti, mettendovi in quell’angolo lì. Ora io ed il mio amico (ma nemmeno tanto) Silver faremo saltare la serratura della porta, e vi faremo uscire”.
“C’è un Banette, qui!” urlò terrorizzata una dottoressa, scappando immediatamente verso il punto indicato da Gold.
“A lui ci penso io. Grov... No, vai Weavile!” urlò Silver.
Il Pokémon Lamartigli uscì in campo e guardò con massima concentrazione il suo avversario.
“Dobbiamo abbatterlo e mettere in sicurezza il posto. Gold, intanto usa Grovyle per aprire la porta!”.
E così fecero; mentre Weavile colpiva con fendenti e rasoiate Banette, Grovyle, tramite le sue liane, riuscì a far cadere la chiave dalla serratura, all’esterno e velocemente a raccoglierla con la sua foglia. Nel mentre il suo sguardo incrociò quello di Silver, giusto per un attimo, e poi fissò Weavile, che metteva definitivamente fuori gioco con un attacco Nottesferza l’avversario.
 
“Forza! Non abbiamo tutto questo tempo!” urlò Christine, colpendo con forza la testa della dottoressa Carla Doyle, che aveva deciso di prendere con sé. Puntava un enorme spillone dietro il suo collo e sembrava bruciare come fosse un marchio a fuoco sulla pelle candida della donna.
Quella urlava e piangeva. Il suo viso veniva illuminato dai LED degli schermi e qualche lacrima cadeva sulle sue dita, che battevano freneticamente sulla tastiera.
“Devi trovare Kyogre!” aggiunse poi Christine, voltandosi un attimo. Era in una grande stanza, illuminata da diverse plafoniere, ognuna dei quali con due neon all’interno.
Vento freddo entrava dietro la postazione di un tale, Alfred Brehnmann si chiamava, che aveva lasciato la finestra aperta. Proprio davanti alla sua scrivania una pila di fogli era rovinata sul pavimento, spargendosi disordinatamente, come cocci infranti di un vaso.
“Ecco...” disse Carla Doyle, tirando su con il naso. Picchiettò l’unghia ben curata sul monitor dell’apparecchio, mostrando un addensamento sulla parte destra. “Qui. Kyogre è probabilmente in questa zona” disse muovendo le mani sulla grande tempesta.
“Kyogre è già a Ceneride” sorrise Christine. “L’Archeorisveglio sta per avvenire! Groudon sarà sconfitto e le terre saranno sommerse dal mare! Il Team Idro dominerà!”
La dottoressa alzò gli occhi verso la bionda. “Ora lasciami andare...”.
Christine chiuse gli occhi e sospirò. “Non posso lasciarti andare. Consoci il nostro piano ormai”.
E la calma glaciale delle sue parole, la freddezza dei suoi occhi e la rapidità di movimento con cui infilò in fondo al suo collo l’enorme spillone quasi sembrarono surreali; le mani della dottoressa tremarono, si portarono dietro al suo collo per toccare, per sentire il metallo freddo, gelato, ed al contempo il sangue caldo che sgorgava dalla ferita che sapientemente la donna aveva allargato con la sua sottile arma.
Carla Doyle morì qualche secondo dopo, sbattendo la testa sui computer sul quale una grossa macchia verde copriva l’azzurro del mare di Hoenn.
Christine pulì le mani, sporcate dal sangue innocente della donna che aveva ammazzato, utilizzando proprio il suo camice; si ricompose ed uscì nel corridoio, dove vide il suo Banette stremato, senza forze, qualche metro davanti a lei.
“Cosa è successo?!” chiese tra sé e sé.
 
“Hai perso” proclamava Andy, avvicinandosi lentamente al suo avversario, inginocchiato per terra, accanto al suo Kingler.
“Ed ora...” continuò il Magmatenente. “Se non ricordo male tu hai ammazzato il mio Houndoom...”.
Xander alzò gli occhi verso il suo avversario, col volto sfatto e gli occhi stanchi. Aveva perso la bandana ed in quel momento la sua testa, coperta di peluria rossiccia e sottile, era scoperta.
E Zoe aveva il desiderio di fracassargli qualcosa sul cranio; magari proprio la mazza ferrata che quel vichingo soleva portarsi dietro.
Rosso, il suo sangue sarebbe sceso sul suo volto e lui avrebbe perso conoscenza, forse sarebbe morto. E gli sarebbe andata davvero bene, considerato il fatto che probabilmente Zoe non avrebbe mollato il colpo finché non avrebbe tolto alla testa dell’uomo la facoltà di essere chiamata in quel modo.
“Ed ora il tuo Kingler è davanti a te, fuori combattimento. Proprio come lo era il mio Houndoom. O meglio, prima che il mio Pokémon fosse decapitato...” ed Andy ci tenne a dare peso a quella parola. “... Beh... Era cosciente. Sveglio, vivo. Vedeva tutto; vedeva il tuo Kingler e vedeva anche te, grande testa di cazzo. Forse ora dovremmo vendicarci. Che ne pensi, Zoe?”.
Xander guardava il suo Kingler, e ricordò di quando fosse un Krabby, catturato sulla spiaggia. All’epoca era un bambino dai capelli rossi, spettinati, arruffati sulla fronte, magrolino e con le lentiggini sul naso. Guardava il suo Kingler e rivedeva se stesso da piccolo, con le sue paure, le sue insicurezza. Ricordava le estati passati ad Olivinopoli, la città di sua nonna, i tuffi dagli scogli. Ricordava quel giorno in cui incontrò quel gruppo di ragazzi, che prendeva il sole; certo, lui era più grande, aveva circa diciassette anni, e ricordava due gemelli, molto rumorosi, che facevano gare di tuffi e di resistenza in apnea. Inoltre c’era una bellissima ragazza dai capelli rossi in acqua.
Ricordava in più una ragazza asiatica a prendere il sole sulle rocce, assieme ad un biondino assai timido, tuffatosi solo tramite le richieste della rossa.
Cindy, gli pareva si chiamasse così.
Ripensò a se stesso, alle sue parole, alle sue azioni: era cambiato. Forse era quel Kingler, solo quel Pokémon, a rappresentare la mano tesa che afferrava, proveniente dal suo passato; un punto d’unione tra quello che era prima di diventare uno spietato assassino e dopo aver completato quel processo che lo aveva reso immondizia.
Kingler era il suo passato. Forse era il suo unico amico.
“No. Ti prego, non ucciderlo...” lo pregò, chinando in basso il capo.
Zoe guardò immediatamente Andy, lo stupore le aveva spalancato gli occhi. Annuirono entrambi, contemporaneamente.
“Lo farò. O forse no. Dipende da te. Voglio la Sfera Blu”.
Xander alzò il capo lentamente, con il volto coperto di lacrime.
“Fai presto, bastardo” lo intimò Zoe, afferrandolo per il collo.
Xander strinse gli occhi ed il suo volto visse una vera e propria metamorfosi. Il dolore passò tutto attraverso il suo corpo e gli occhi si spalancarono, spiritati, quasi stesse per cominciare a piangere sangue; la bocca si aprì, a mostrare i denti che si digrignavano. Le tempie pulsavano forti, parevano in grado di scoppiare da un momento all’altro.
E poi dalla mano destra dell’uomo rotolò via la Sfera Blu; Zoe la stoppò col piede.
“Viene dal tuo corpo. Dovremmo disinfettarla per bene allora...”.
Xander si lasciò cadere per terra proprio nel momento in cui Gold e Silver uscirono nel corridoio.
“Sono loro!” esclamò il fulvo, puntando il dito contro di loro.
“Che diamine succede?!” urlò alle loro spalle Christine.
“Ancora tu!” s’arrabbiò Gold, fissandola negli occhi. Quella aggrottò la fronte, dribblando i ragazzi e raggiungendo il suo compagno. Si accovacciò, aiutandolo ad alzarsi; lui si sosteneva alla bionda, passandole un braccio dietro la schiena.
Lo sguardo della donna incrociò quella del biondo.
“Andy... Sparisci”.
“Sangue del mio sangue” rispose quello, sorridendo. “Non capisco e mai capirò. Ma sono tue scelte”.
Gold e Silver si guardarono velocemente, in quell’attimo di confusione. “Ma che diamine?! Dateci subito le sfere prima che...” minacciò Gold, agitando per aria il pugno.
“Ora ce ne andiamo!” urlò Zoe, lanciando per aria una sfera fumogena. Pochi secondi dopo né la coppia in blu né quella in rosso era più presente davanti ai loro occhi.
 

 

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Capitolo 37
*** Capitolo Trentesimo - Algoritmi ***


Algoritmi



Gold e Silver erano rimasti soli all’interno del corridoio del Centro Meteo alla periferia di Forestopoli. Che chiamarla periferia era quasi un’esagerazione dato che si trovava nel pieno della foresta.
I due si guardarono per un attimo e sospirarono. Silver abbassò il capo e portò le mani ai fianchi, maledicendo tutta quella situazione.
“Avremmo dovuto gestirla meglio...” sospirò il fulvo, con una strana smorfia in volto.
Gold batteva i pugni contro il muro urlando frasi blasfeme con naturalezza quasi eccessiva, dopodiché tossì ed imbrattò di sangue la parete.
“Gold...”. Silver rimase interdetto, avvicinandosi al ragazzo. Quello lo allontanava allungando la mano.
“Sto bene, stai tranquillo...”.
“Che ti prende?”.
Gold lo guardò dritto negli occhi per poi abbassare lo sguardo. “La croce viola sul mio petto si sta allargando... Sento le mie cellule morire, e poi sento qualcos’altro al loro posto; è strano da spiegare”.
“Immagino”.
“Devo andare a Porto Alghepoli. Devo mostrare ad Ester quello che mi sta succedendo”.
I due si guardarono nuovamente.
“Tu vai da Crystal, che ne hai bisogno... Io vado a casa della Superquattro e vedo se può fare qualcosa con questa roba...”.
Silver storse il labbro, ed insieme s’avviarono all’esterno dell’edificio.
“Hai paura?” domandò il fulvo, alzando gli occhi verso il cielo. Aveva ripreso a piovere, lì, e l’acqua filtrava attraverso i rami e le lunghe foglie di banano.
“Dannazione. Quanta acqua...” sospirò Gold, alzando il cappuccio sulla testa.
“Non hai risposto, Gold”.
L’altro si voltò immediatamente a fissarlo, spazientito. “Secondo te non ho paura?! Diamine, di questo passo assomiglierò a Marilyn Manson tra un paio di settimane!”.
Silver sorrise, poi si voltò immediatamente, sentendo una presenza nella foresta, oltre la loro.
Non erano Pokémon, quelli in genere erano spaventati dagli uomini.
No, quello era un fruscio persistente, e poco dopo si era trasformato in rumore d’acqua.
In sottofondo c’era lo scroscio di una cascata e nonostante questo era in grado di distinguere i diversi rumori.
Si voltò immediatamente e tirò a sé Gold, nascondendosi dietro un grosso pilastro di cemento del Centro Meteo.
“Zitto” fece lui, mettendo Gold spalle alla colonna. Lui aderì al suo corpo e si sporse leggermente verso l’esterno, per guardare.
Gold spalancò gli occhi, tirando quanto più possibile il capo indietro e fissandolo negli occhi.
“Silver... sono eterosessuale e non mi piaci. E poi sei troppo vicino a me con il tuo... coso... non osare pensare a Crystal in questo momento”.
Silver sbuffò e tornò a nascondersi.
“Allora, la situazione è questa: lì c’è un tizio vestito di blu che cammina nel fiume come nulla fosse”.
“Sotto la pioggia?! Che sta facendo, singin in the rain?!”.
“Non lo so, zuccone, ma è la nostra occasione per ottenere informazioni e...”.
E poi sentirono la sua voce.
 
“Fatevi avanti” disse.
 
Gold e Silver spalancarono entrambi gli occhi, fissandosi stupiti.
“Ci ha sentiti!” esclamò Gold, a bassa voce.
 
“Forza. Uscite allo scoperto, non vi farò nulla di male...” aggiunse l’uomo.
 
Altro sguardo, Silver poi annuì ed uscì fuori dal suo nascondiglio. Gold sbuffò, si stirò i vestiti addosso con la mano ed avanzò fino a raggiungere il fulvo, che si era fermato a circa venti metri dall’uomo.
Nonostante la luce penetrasse a sprazzi, l’uomo, di spalle, era ben visibile nelle acque limpide del fiume; qualche metro davanti a lui scrosciava una fragorosa cascata, sotto la quale goccioline sottili si alzavano in una nuvola fumosa. L’uomo aveva larghe spalle chiuse in un lungo cappotto di pelle nera. L’acqua gli arrivava all’altezza dei polpacci e passava oltre.
Pioveva ma sembrava non essere turbato minimamente dalla cosa, anzi. Gli piaceva.
I ragazzi si avvicinarono lentamente all’uomo, che aveva la testa coperta con una bandana blu, e rimasero per qualche secondo in silenzio.
Silenzio che fu rispettato solo da Silver, ad un certo punto. Gold non riuscì a starsene zitto.
“Hey! Sono qui adesso! Girati, no?!”.
Silver lo impietrì con lo sguardo e sospirò, poi si mise in guardia non appena vide che le richieste di Gold furono esaudite: il volto dell’uomo pareva tranquillo, felice.
Sorrideva, lui, mentre con la mano lenta andava a levare la bandana, gettandola nel fiume; quello, avaro, la trascinò con sé fino a che non riuscirono più a vederla.
“Ora l’acqua tocca la mia testa. Non c’è niente di più bello, ragazzi...” sorrise quello.
Aveva il volto spigoloso, con mento possente e zigomi ben definiti. Il naso era largo, le labbra pure. L’acqua stava spingendo i capelli neri e lucidi verso il volto olivastro, fino a coprire la vista dei due occhi scuri.
Gold guardò Silver e richiamò la sua attenzione con un hey. “Ma lo sa quel tizio che ha i piedi nell’acqua?” disse.
“Mi sa di sì, Gold”.
“Ora glielo dico. Hey tizio! Hai i piedi nell’acqua!” urlò il moro, facendo alzare in volo stormi di Swellow.
Lo videro entrambi sorridere e muovere passi decisi nell’acqua. Questa pareva che si aprisse durante il suo passaggio, sembrava proprio che fosse controllata dall’uomo.
“Chi sei?” gli domandò Silver, fissandolo dritto negli occhi.
“Igor, per servirvi. Sono il Generale del Team Idro... Il capo, se vogliamo metterla così”.
“Allora tu comandi i manigoldi!” urlò Gold, puntandogli il dito contro. Sentiva la rabbia ribollirgli in petto ed un forte desiderio di avere a portata di mano la mazza ferrata di Xander.
“Manigoldi, che brutta parola...” sorrise quello, mostrando una dentatura perfetta.
“Non ha torto” interruppe Silver. “Siete dei terroristi ambientali e state minando alle vite della gente di Hoenn. Non c’è nulla che lei possa dire per discolparsi”.
Gold squadrò duro Silver e gli urlò contro. “Che fai?! Gli dai anche del lei?! Questa è feccia umana!”.
Silver alzò gli occhi al cielo e mise la mano sulla sfera di Weavile.
“Ragazzi. È solo questione di numeri... numeri e nient’altro”.
La voce dell’uomo era profonda, di quelle che si sedimentano lentamente nella mente, continuando a rimbombare nei timpani senza fermarsi.
“Eh?! Numeri?”.
“Numeri. In fondo è semplice: questa società verrà privata di quello che ha preso e non è riuscita a restituire. L’uomo ha sempre afferrato e messo in tasca, ha sfruttato la natura ed i Pokémon in maniera poco arbitraria, impropria e disomogenea, ha razziato e saccheggiato. Ha rovinato il mare e se noi siamo qui, a parlare, è solo grazie al mare. Quindi è semplice matematica: se dai niente per niente avrai sempre e solo niente”.
“Ma è la natura ad essere arbitraria; voi, invece, vi appropriate di un diritto che non dovrebbe per niente appartenervi” scagliò la freccia Silver, guardando il volto sorridente di Igor.
“Siete voi che siete dalla parte sbagliata. I Porti di Hoenn sono stati costruiti abbattendo gran parte delle zone costiere, spingendo il mare più indietro. Agli uomini non bastava tutta la terra a messa a disposizione, no. Hanno dovuto scacciare il mare più lontano, come se fosse una minaccia. Ma facendo così si sono comportati come iene, ammazzando Pokémon e distruggendo le loro case. Alla fine è così, non siete uomini ma animali, con i vostri punti deboli ed i vostri stupidi bisogni. Se c’è davvero una cosa importante nelle vostre insulse vite è non perdere la partita del mercoledì sera oppure il cinema il sabato; di certo non pensiamo al fatto che con i nostri comportamenti stiamo distruggendo il mare. Vi rendete conto di quanto sia bella l’acqua?”.
“Non farmi questo discorso! Non so come me lo abbiano risparmiato i due fetenti che hanno provato ad uccidermi in tutti i modi” fece Gold sbuffando.
“L’acqua è vita. L’acqua è ovunque. Anche dentro di te”.
“Sono andato in bagno prima di uscire” ribatté scontroso il moro, facendo ridere l’uomo che aveva di fronte.
“Sei simpatico e spigliato. Come ti chiami, ragazzo?”.
“Non t’interessa. Ora dicci dove sono diretti i tuoi uomini oppure...”.
“Non essere ridicolo con le tue minacce. Tu sei esattamente come tutti gli altri: guardi e passi, il problema non è tuo, lo scarichi a qualcun altro. Tu vuoi solo battere cassa, lasciando le persone come noi a preoccuparsi dei problemi di tutti quanti”.
Silenzio.
“Voi ci costringete ad abbassare la testa!” urlò d’improvviso poi, dopo un discorso prolisso e lineare. “Ormai è tutta scena” continuava. “Io sono in grado di vedere la realtà. Anche la Lega, con la sua sensibilizzazione e le belle chiacchiere allegate, non sono null’altro che aria fritta. Qui è tutta una fregatura. Ma perché non analizziamo un po’ la situazione?! Conta un po’, Occhidorati” fece l’affascinantissimo uomo stretto nel suo elegante soprabito.
“Conta quanta gente punta tutto su questa storia; gente come me, come quelli che sono convinti che l’equilibrio della natura debba essere rispettato e che, anzi, debba essere riportato ai grandi fasti dell’antichità, quando l’uomo non aveva nessun’abilità se non quella esprimersi in fonemi strazianti. In più conta quanta gente era arrivata a tanto così dal risolvere la questione ed è stata spinta fuori traiettoria, fuorviata da qualcuno di più potente. Conta invece quelli che sperano che la situazione non degeneri e che giunga la soluzione come un miraggio a riportare tutto a posto. Occhidorati, conta quanta gente vuole effettivamente che tutto ciò accada”.
Gold sbatteva gli occhi confuso mentre l’uomo davanti a lui rimaneva calmo e tranquillo e continuava ad esprimersi.
“Capirai quindi che è tutto organizzato. Capirai che tutto debba essere così. Quindi tutto ciò che i grandi capi della Lega dicono non serve a nulla se non a fuorviare la gente: recitano. Quindi puoi contare anche le battute sul copione e, se vuoi passare dall’altra parte della staccionata, impararle a memoria. Ma sappi che nella tua società contano solo due cose: nome e reputazione. Qua conta solo nome e reputazione”.
“Non vedo cosa c’entri” ribatté ancora Silver.
“Puoi dire quello che ti pare, ma la natura non scherza con noi. Groudon, Kyogre... Loro non sanno nemmeno che tu esista, Capellirossi, quindi non crucciarti più di tanto. Loro sono l’unico modo per restituire alla natura ciò che ci ha prestato. Abbiamo perso il controllo di questa cosa, e fosse la prima volta... No, non lo è. Noi siamo clandestini, un effetto collaterale di questo mondo”.
Spostò poi lo sguardo.
“Quest’ammasso di cemento, il Centro Meteo” disse, puntandovi il dito contro “non dovrebbe nemmeno esistere”.
“Intanto vi è servito!” urlò Silver.
“Era fondamentale per il nostro fine ultimo, scoprire dove si trovasse il Pokémon Oceano. Ma asserire che questo edificio mi servisse come servirebbe a voi ed alla vostra società è inutile. Noi siamo più forti di voi, ma fuori siamo uguali, e se succede un disastro cadremo tutti, come tessere del domino”.
“Che disastro potrebbe accadere?! Perché non ti spieghi e la fai finita?!” urlò anche Gold, irritato al massimo.
“Sempre numeri, caro mio. Tutto dipende variabili e costanti, da algoritmi indecifrabili che ogni giorno con il variare delle nostre scelte muta”.
Gold e Silver si guardarono.
“Contiamo ancora, giovanotti. Contiamo tutte le volte che ci volevano far passare una cosa per buona; contiamo anche tutte le volte che ci sono riusciti, e l’abbiamo scordato, perché non siamo importanti. Conta quante volte ci hanno detto che è importante partecipare e non vincere quando sappiamo che è solo fiato sprecato e conta solo il risultato. Ci riempiono di queste frasi buoniste quando in realtà l’unica cosa che vogliono è allontanarci dal pensiero di poter cambiare le cose. Per loro non puoi, non devi arrivare in alto. Per loro non devi cambiare nulla. Ecco perché bisogna imparare a fare una distinzione: nella vita importa solo chi sa contare. E c’è una grande differenza tra chi ha i numeri e chi le calcolatrici”.
“Parla in maniera troppo metaforica per i miei gusti” sospirò Gold, guardando il compaesano.
“Basta con questa commedia. Non sono tutti numeri. Lei sta uccidendo migliaia di persone” ribatté l’altro.
“Purtroppo è un effetto collaterale da tenere in conto dal momento che si deve contaminare l’ordine delle cose”.
“Ora basta! Shiftry, Togebo!”. Gold tirò fuori dalla sfera i suoi Pokémon, più rabbioso che mai.
“Non combatto contro di voi, non ne siete degni. In più ora non mi serve lottare contro di voi. Ma siete abbastanza ostinati e suppongo che ci rivedremo”.
Dalla sua mano cadde una sfera azzurra con un simbolo dorato, una alfa in decalcomania sulla plastica dura di essa, e nel fiume apparve l’enorme figura di un Gyarados, in preda all’ira.
Il capo dell’enorme Pokémon scese verso il basso, permettendo all’uomo di salirvi in groppa con un agile salto.
“Voi siete soltanto l’ennesimo ostacolo che si sta mettendo sulla nostra strada, ma ci occuperemo anche di voi, dopo aver pensato ai Superquattro. Ci rivedremo” ripeté quello, e poi i ragazzi videro il Pokémon andare verso l’alto, come se volasse.
“Ma... Ma che...” Gold era rimasto esterrefatto.
“Un nuovo nemico, Gold. E questo sa fare bene i conti”.

 
Angolo di un autore ubriaco la maggior parte delle volte:
Ecco qua. Reputo questo uno dei capitoli più importanti di tutti, tanto è grande la citazione alla canzone Algoritmi di Kaos One; questo capitolo è praticamente una Song-fic, anche se ho riadattato il testo per le tematiche che mi servivano, mentre quelli della canzone trattava della scena rap anni 90 - inizi 2000. Ebbeh, niente. Inoltre vorrei informarvi (non ricordo se già l'ho fatto), che a questo indirizzo, a chiunque interessi, potrete trovare il prologo di Hoenn's Crysis disegnato da Black Lady della pagina Facebook "Svignettiamo". I prossimi capitoli del fumetto verranno pubblicati unicamente sulla pagina (mentre sul blog ci sarà solo la copertina col link di Download) quindi sosteniamo questa ragazza che davvero merita!
Detto ciò mi dileguo, ho parlato già troppo.

- Andy Quellolì

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Capitolo 38
*** Capitolo Trentunesimo - Alto Calibro ***


Alto calibro



“Sì, Crystal, siamo a Porto Alghepoli. Abbiamo incontrato Igor, il Generale del Team Idro e ci ha fatto un discorso molto filosofico sulle loro intenzioni” sospirava Silver mentre, seduto sul divano nel salotto di Ester, aveva in mano l’Holovox. Crystal appariva bluette agli occhi del fulvo, che riusciva lo stesso a vedere negli occhi puri di quella preoccupazione ed al contempo determinazione.
“Gold come sta?” chiedeva quella, mentre un’interferenza attraversò velocemente l’ologramma della sua figura.
“Penso bene. È mezz’ora che è chiuso in una stanza con Ester. Ho preferito rimanere qui fuori e contattarti”.
“Che dolce...” sorrise lei. “E invece tu? Come stai?”.
“Mah... Sono stato meglio”.
“Siamo vicini alla soluzione, ne sono sicura! Tra qualche minuto partiremo per Ceneride e cattureremo Groudon!”.
Silver annuì, passando una mano nei lunghi capelli rossi. “Sicuramente ce la farai. Ci vedremo lì, sicuramente e...”.
Ester aprì la porta ed uscì nel grande salone, arredato in maniera classica. Camminava leggermente sul suo parquet in noce, quasi sembrava si muovesse come i suoi Pokémon, fluttuando, evitando di emettere qualsiasi rumore.
Silver la guardò e salutò Crystal, interrompendo la conversazione. Si alzò e la guardò negli occhi.
“La situazione è più grave del previsto. Ci vorrebbe più riposo, meno stress, ma capisco che questo contesto sia  impegnativo per lui”.
“Basterebbe il semplice riposo per fargli passare quello che gli sta capitando?!” chiese esterrefatto Silver, avvicinandosi a lei.
Ester sorrise. “No. Il riposo diminuirebbe la velocità di espansione di quella macchia”.
“A proposito... cos’è?”.
Ester guardò per un momento le nuvole nere al di fuori della sua finestra, credendo che quei giorni così uggiosi e pesanti non passassero più. “Come le cellule si ammalano formando tumori, così anche l’anima viene inquinata. E purtroppo non c’è modo di pulirla definitivamente, o almeno, io non la conosco”.
Dei passi si fecero largo ed Ester e Silver si voltarono.
Gold a petto nudo guardava entrambi col volto affranto; Silver fissava l’enorme croce sul petto che intanto si era ingrandita. Né la Superquattro di Hoenn né tantomeno il ragazzo dai capelli rossi vollero esprimersi in alcun modo dopo aver visto il viso di Gold, che fece una sola, unica e semplice domanda.
“Ester... Non puoi fare nulla quindi?”.
Silver non aveva mai sentito la voce del ragazzo con quell’accezione pietosa. Provava compassione per lui e, nonostante vivesse in lui un mostro ricolmo di rabbia e rancore ogni qualvolta il moro nominasse Crystal, compatire un amico era la cosa peggiore per lui.
La donna si voltò stanca, battendo le palpebre con lentezza e condendo il tutto con un sospiro denso di fatica e paura. “No. Posso cambiare le erbe nel tuo sacchetto, aggiungerci qualche frammento di cristallo... ma ciò vorrebbe dire che dovrei levartelo dal collo e nella situazione in cui sei adesso proveresti un dolore atroce...”.
“Addirittura?” chiese il diretto interessato, abbassando la testa e guardando il contenitore e quello strano fumo nero che vi si addensava all’interno.
“Non basta questo?” aggiunse.
“A quanto pare no. A quanto pare chi ti ha fatto questa maledizione è davvero preparato”.
“Quella biondina... Così giovane e già così... stronza...” disse lui, tra i denti stretti.
Silver storse il labbro, rendendosi conto di quanto fosse strano che anche Ester, una specialista dei Pokémon Spettro, fosse impotente contro le capacità di una donna giovane come Christine.
Ragionò e capì che se le abilità e le volontà di queste persone, di questi geni, fossero stati messi al servizio del bene comune, il mondo sarebbe stato un mondo migliore.
Si sorprese di aver fatto un pensiero del genere e lo cacciò via dalla mente, tornando a guardare Ester che si umettava le labbra, concentrata sull’imperiosa croce viola sul petto di Gold.
“Non saprei che altro fare, ora come ora... È tutto complicato, capitemi. Sto cercando di mantenere Porto Alghepoli al sicuro ma è difficile con tutti questi cataclismi...”.
“Arceus, ti prego, fai finire tutto questo” sussurrò il fulvo, prima di sbuffare stanco.
“Che ha detto Crystal?” chiese poi Gold, mentre si rivestiva.
“Niente. Chiedeva notizie di Fiammetta e più in generale sulla missione”.
Il ragazzo uscì dalla stanza con la zip della giacca aperta. Spostò i capelli con la mano, cercando di trovare un ordine nel disordine, puro caos organizzato che dall’interno della sua testa attraversava il cranio.
“Beh? Le hai detto che troverò al più presto Fiammetta e la porterò in salvo?” sorrise, ottimista come sempre.
Ester sorrise di cuore sentendo quelle parole: reputò Gold come un giovane pieno di buone qualità. La ragazza andò a riempire un bicchiere d’acqua e ne offrì uno anche ai due.
Silver declinò l’offerta, Gold l’accettò.
 
“Carina Ester, vero?” chiedeva il moro di Borgofoglianova, i cui occhi fissavano la superficie increspata del mare che riuscivano a vedere dal promontorio ovest di Porto Alghepoli. Silver guardava la vita e la rabbia che esprimeva quel tesoro grigio dai fondali sabbiosi; si dimenava, il mare, trascinava le sue onde qui e lì, sospinto dal vento capriccioso e dai moti che avevano voglia di giocare. Sulla battigia si tuffavano onde scure e stanche che, lente, si asciugavano e ritornavano sotto le proprie coperte, lasciando solchi con unghie di schiuma.
“Hey! Mi rispondi?! Ah, non puoi, scusa, dimenticavo! Crystal s’arrabbierebbe!” lo schernì Gold.
Silver si girò e lo bruciò con lo sguardo, almeno prima che quello dagli occhi d’oro non sorridesse e prendesse a guardare avanti. Il bicchiere di vetro che gli aveva dato Ester conteneva fresca acqua limpida che il moro sorseggiava a piccoli sorsi, come fosse un whiskey parecchio invecchiato, con qualche chicco di caffè, o in alternativo, delle placchette di cioccolato fondente.
Non sembrava per niente turbato dal fatto che una strana maledizione gli stesse mangiando l’anima, anzi, pareva molto rilassato.
“Ed ora? Qual è la prossima mossa, Generale Aristarco?”.
“Ti  ho detto mille volte di non chiamarmi così”.
“Aristarco de Ebetis, è un nome fantastico per te. Proprio azzeccato, oserei dire”.
Silver sbuffò nuovamente e con gli occhi pesanti voltò lo sguardo dall’altra parte, infilando le mani fredde in tasca. Avrebbe voluto rompergli il muso con un pugno. Sì, e poi qualche calcio sui denti, giusto per gradire.
“Oh cazzo...” sentì sussurrare poi. Il fulvo si voltò e vide Gold con gli occhi spalancati ed una strana smorfia preoccupata sul viso.
“Che succede?” chiese Silver, con la sua solita flemma, ma Gold era già partito a correre verso sud, con il bicchiere d’acqua stretto nella mano destra, il cui contenuto strabordava ad ogni passo.
Dopo una cinquantina di metri si fermò ed urlò.
Magma!”.
Silver guardò interdetto la scena: Gold tirò indietro la mano con il bicchiere e la lanciò come poche volte aveva fatto Babe Ruth, cogliendo sul volto una stupitissima recluta del Team Magma.
“Che diamine...” Silver cominciò ad avvicinarsi di corsa verso il suo compagno d’avventura che si era avventato come un avvoltoio sulla preda.
“Parla! Dove...”.
Pugno.
“... Avete...”.
Pugno.
“Rinchiuso”.
Pugno.
“Fiammetta!”
Pugno di chiusura e tentativo di dimenarsi poi abortito dalla presa di Silver.
“Calmati, stupido! Se lo ammazzi non ci dirà più niente!” esclamò proprio quest’ultimo, afferrando Gold per la testa, poggiando i pollici sulle tempie del ragazzo e facendo aderire le proprie fronti.
“Lasciami!” fece leggermente più calmo il moro, divincolandosi. Si avvicinò nuovamente al giovane ragazzo vestito di nero, con quella M fiammante sul petto, e si accovacciò.
“Allora Ciccio, ho una gran voglia... Ma che voglia, un gran bisogno, ecco, di tirarti un calcio in faccia. E diciamo che dopo qualche cazzotto sei ridotto male, ma male male male. Ecco perché tu adesso ti alzerai e mi condurrai da Fiammetta Moore”.
La Recluta aveva poco più di vent’anni ad occhio e croce, ed il suo viso era totalmente sporco di sangue, fluito abbondante dal naso.
“Hey, hai sentito che ha detto il pazzo qui?!” esclamò Silver, col suo solito tono neutro, a braccia conserte, dietro le spalle di Gold. “Devi dirigerci verso Fiammetta Moore”.
Tuttavia gli occhi del giovane uomo sembravano sempre più persi.
“Silver, amico mio... Questo non capisce”.
“Sarà straniero”.
“Probabile” sorrise Gold. “O forse vuole solo i miei calci sui denti, perché è un lurido masochista, terrorista e rapitore di Capopalestra formose e presto in debito con il sottoscritto”.
“Dannazione, Gold... Una volta tanto che stavamo facendo le cose per bene...” Silver storse le labbra e portò le mani ai fianchi.
“Non so fare il poliziotto cattivo, lo sai” sorrise l’altro allargando il compasso delle labbra quanto più possibile. “Capisci ciò che dico?” chiese poi alla Recluta, che annuì silenziosa.
“Benissimo. Vuoi un calcio sui denti?”.
La risposta fu ovviamente un no, espresso scuotendo la testa.
“Sai vero che se io non ti do il calcio sui denti tu mi aiuterai, giusto?”.
Annuì stentatamente, la Recluta. Ma tanto bastò a Gold per permettergli di afferrarlo con forza per il collo del maglione e sollevarlo con forza in piedi.
“Dove dobbiamo andare?” chiese Silver, avvicinandosi ulteriormente.
La Recluta parlò per la prima volta dopo l’assalto subito. Alzò un dito tremante verso ovest e scandì lentamente le sue parole.
“S-siamo... s-siamo in una grotta. P-poco d-dopo Forestopoli”.
“Andiamo!” esclamò il più impulsivo dei due, tirandolo per il braccio sottile, trascinandolo con forza.
 
“Crystal”.
La voce di Silver era disturbata dal vento e la ragazza vedeva l’immagine del ragazzo distorta.
“Non si vede un granché...” sospirò lei, imbracciando lo zaino.
“Siamo in cammino. Gold ha malmenato una Recluta del Team Magma e adesso ci sta conducendo verso la loro base”.
“Gold ha fatto a botte?!”.
Silver sospirò. “Sì... Gold ha fatto a botte...”.
Marina, che era accanto a Crystal, vide l’immagine del ragazzo e guardò in volto la ragazza, sorridendole quasi in maniera derisoria.
Silver vide Crystal voltare un attimo il viso verso sinistra, incuriosita, quindi riprese la conversazione.
“Ok, Silver, vi raggiungiamo. Dove si trova il posto?”.
Silver sospirò nuovamente e alzò gli occhi, distogliendoli dalla comunicazione olografica.
“La Recluta dice poco dopo Forestopoli”.
“La conosco!” sentì urlare a qualche metro dalla donna dagli occhi di Cristallo: era la voce di Alice, che intanto passò nervosamente alle spalle della ragazza.
Un’altra interferenza tagliò in due il voltò di Crystal che sorrise dolcemente al ragazzo, prima di interrompere la comunicazione.
“Dobbiamo andare assolutamente lì!” urlava Alice, spalancando la porta della palestra ed uscendo fuori, affondando i piedi nell’erba umida; a Forestopoli pioveva quasi sempre, tuttavia la coltre di rami e foglie, che faceva da tetto ed impediva ai cittadini di quella città intagliata negli alberi di vedere il cielo e le stelle, servivano anche da grondaia. Adriano le corse vicino, afferrandole il braccio destro mentre quella cercava di salire la scala di corda che l’avrebbe portata verso il ponte principale della città.
“Fermati” fece, con quella voce calda ed avvolgente. Alice si voltò prontamente, perdendosi per un attimo in quegli occhi del colore del mare. Ricordò per un attimo quei brevi momenti che aveva passato stretta tra le sue braccia, quando quella mano carezzava la sua pelle.
“Adriano... Dobbiamo andare subito...”. Gli occhi di Alice erano diventati grossi laghi profondi in cui il Capopalestra di tipo Acqua affondava senza alcuna speranza di affiorare nuovamente in superficie. Ma a lui piaceva, ed un piccolo sorriso nacque spontaneo ed innocente sul suo volto.
“Non c’è tempo. Ceneride è in pericolo, e sai bene che Ceneride va protetta”.
“La Grotta dei Tempi...” aggiunse Rocco, che li raggiunse lentamente. “Non possiamo permettere che qualcuno vi metta piede altrimenti saremo tutti in serio pericolo”.
Alice sbuffò e saltò giù dal quarto piolo, atterrando con eleganza e leggiadria, quindi si avvicinò ai due.
“No, ragazzi, ormai è già tutto pregiudicato! Dobbiamo riuscire ad evitare il peggio per la nostra gente! In più Fiammetta è pur sempre una Capopalestra e può darci una mano”.
“Anche Fosco è stato rapito dal Team Magma, Alice, ma non dobbiamo perdere la calma. Non possiamo farlo”.
Adriano guardò prima il suo amico fraterno negli occhi e poi si tuffò in uno sguardo languido fissando Alice. “So che per te è difficile, ma... Hey, se il Professor Oak ha inviato qui ad Hoenn questi ragazzi vuol dire che sono abili. Potranno benissimo andare alla base Magma, ricongiungersi con gli altri due ed espugnarla”.
“Si tratta di Fiammetta, Adriano! Quella ragazza è troppo giovane per...”.
“Alice” tuonò Rocco. “L’hai detto tu, poco fa: lei è una Capopalestra, e resisterà. Ci sono migliaia di persone che stanno rischiando la propria vita e noi non possiamo dare differenti importanze alle vite della gente; quella di Fiammetta è preziosa come quella della nipote di Adriano, come quella di mio padre, come quella della signora che vive su quell’albero e così via. Crystal” disse poi, voltandosi verso i ragazzi. “Da questo momento ci dividiamo. Hai la responsabilità della missione; mi raccomando. E voi, Ranger, coadiuvatela”.
“Certo!” esclamarono grintosi i due fratelli.
“Ottimo. Alice, dobbiamo andare ora”.
E fu così che un Pelipper, un grosso Swellow cromatico ed uno Skarmory si levarono da Forestopoli, bucando la volta fogliata.
  
Fiammetta aprì lentamente gli occhi. Le sembrava di aver dormito per settimane, a testa in giù e con le mani legate; in realtà non erano passate nemmeno ventiquattr’ore dal momento in cui Andy l’aveva cinta per la vita, tirandola via con sé, nel cielo che precedeva il buio della sera.
Provò a muovere le mani, le dita c’erano ancora tutte, o almeno così le sembrava.
Fu costretta a richiudere gli occhi non appena la luce dei neon ronzanti provarono a pungere le fiammeggianti iridi della rossa, come spilli infuocati.
Schiuse le labbra con una fatica immane e mosse il piede destro. Si era appena resa conto del fatto che avesse i capelli sciolti, e molti le erano finite davanti agli occhi, dandole fastidio e procurandole solletico al naso. Abbassò la testa quanto più potesse e si guardò: era ancora vestita totalmente.
Quello non era un maniaco. Oppure era un maniaco silenzioso, dato che non si era accorta di nulla da quando, in volo verso un posto sconosciuto, era stata colpita e messa fuori combattimento.
“Sei sveglia...”.
Fiammetta alzò la testa e combatté contro l’istinto di chiudere gli occhi, fissando in volto Andy, il Magmatenente. Era seduto in maniera scomposta su di una sedia in legno consunta. Non aveva indosso il maglione scuro, quello con la emme rossa sul petto, era rimasto invece solo con una maglietta intima bianca. I capelli erano spettinati e quegli occhi verdi fissavano la Capopalestra in tutta la sua fragilità.
“Do... ve mi hai... portata...” chiese Fiammetta, con la bocca impastata. Deglutì con estrema difficoltà, riconoscendosi davvero spossata.
“Sei nella nostra base. Sei incatenata alla parete” fece Andy.
“La...sciami”.
Andy sorrise. “Io non ho alcun bisogno di tenerti qui, piccola mia. Cioè, mi piacerebbe davvero tanto poter fare cose con te che non potrei fare ma Zoe dopo ucciderebbe me e te, e non è il caso”.
“Perché... io?” chiese poi.
“Il progetto iniziale era quello di levare da mezzo chiunque avesse minato alla sicurezza dell’operazione. Tu, gli altri Capipalestra... I Superquattro, il Campione. Beh, avere a che fare con i Superquattro è davvero complicato, tranne che per Fosco che è stato un po’... Come dire? Pollo? Me lo concederà” sorrise il biondo, girando il volto verso sinistra.
Fiammetta seguì il suo sguardo, e vide un Fosco malmenato ed incatenato, ancora incosciente, legato con catene in acciaio arrugginito; il volto era emaciato e livido, ed il suo corpo si manteneva unicamente grazie alle catene, totalmente tese in avanti. Sangue scuro come la notte colava in una feritoia nel pavimento, di mattonelle bianche spesso spaccate e sporche. Tuttavia quel candore mal si accostava alla copertura in pietra del muro.
“Fosco...” sospirò Fiammetta.
“Ecco...” Andy si alzò e raggiunse il Superquattro; Fosco pareva essere spento e a niente valsero le urla sconnesse della rossa quando il cattivo gli alzò il volto, quello non si svegliava.
“È inutile urlare qui...” e dopo aver pronunciato quelle parole, il biondo colpì con un violento schiaffo il volto dello specialista di tipo Buio.
“No...” cominciò a piangere la donna.
Andy si avvicinò a lei, baciando le sue forme con gli occhi ed cominciando ad accarezzarle il volto.
Fu quello il momento in cui gli occhi di Fiammetta si svuotarono totalmente, cominciando a proiettare un film nella sua mente.
 
Era piccola, davvero piccola, e le immagini si susseguivano l’un l’altra tra di loro, sfocate e poco definite. Ricordava una luce rossa, calda. Poi vide il fuoco, e ancora vide Torkoal. Ricordava sua madre e suo e poi ricordò il volto di suo nonno mentre, nella Palestra, lottava ed allenava i suoi Pokémon. Gli aveva chiesto di imparare, di insegnarle come essere forte, e con Torkoal aveva iniziato il duro allenamento. Aveva vissuto sul Passo Selvaggio, il fianco della montagna che collegava Cuordilava alla cima del Monte Camino, da sola, per una settimana. Lì aveva continuato ad allenarsi e si era convinta a superare le proprie paure; entrò nel Cammino Ardente e portò a termine l’obiettivo che si era prefissata, ovvero catturare un altro Pokémon.
Così fu, al suo team si unì uno Slugma, e poi un altro ancora. E poi il nonno cominciò a renderla parte della palestra, dandole il ruolo di Allenatore Ostacolo nella Palestra durante le sfide ufficiali. Si era resa conto che, con suo nonno alle spalle, era diventata più sicura, più forte.
Fu per quel motivo che suo nonno le consegnò le chiavi della Palestra, rendendola automaticamente la Capopalestra più giovane di tutta Hoenn, almeno fino a che non furono nominati, qualche anno dopo, Tell e Pat. Le cose in palestra andavano, certo, non nel migliore dei modi, ma lei vedeva spesso i suoi avversari crollare. E quando suo nonno andò via cominciò il suo calvario: non credeva di esser diventata responsabile di tutte quelle persone, di tutte quelle vite.
Non ci riusciva, non ne era capace. Non sapeva come fare.
E poi successe che il Team Idro la rapirono, assieme a Sapphire Birch, e la chiusero in una cabina della funivia che serviva per salire sul Monte Camino, riempiendola d’acqua.
Provando ad ucciderla.
Lei, in quel momento, si era sentita una vera e propria nullità; totalmente inutile, totalmente vulnerabile, incapace di proteggere nessuna di quelle persone che, dopo l’eruzione avvenuta qualche anno dopo, appena qualche minuto prima di conoscere Crystal e Silver, cominciarono a dubitare di lei, del suo nome.
Lo stesso nome di suo nonno.
Non poteva permettere che il nome di suo nonno fosse compromesso. Ne andava del suo onore.
Fu così che decise di partire, per tornare protagonista, come quando c’era lui alle sue spalle ad aiutarla, a mostrarle la retta via.
Prese la scelta di partire con gli specialisti, di diventare la soluzione di un grosso problema, di abbandonare Cuordilava.
Ma di tornare più forte di prima.
Doveva essere forte.
Doveva smettere di piangere e cominciare a prendersi le proprie responsabilità.
 
“Io sono una Capopalestra” disse, con tono fermo, fissando dritta negli occhi il suo avversario.
“È proprio per questo che ti tengo qui. Anche se sei la meno abile c’è sempre un motivo se distribuivi medaglie a Cuordilava” sorrise Andy, a pochi centimetri dal suo volto.
“Liberami immediatamente”.
“Non posso. Anche se vorrei tanto” sorrise ancora lui carezzandole il viso con il dorso della mano. Questa scese lentamente, saggiando il calore del collo di quella ed un po’ più giù, poco prima dei seni.
“Uccidimi allora”.
“Non ti farò del male...” gli occhi di Andy si spalancarono, ma il suo sorriso continuava a vivere fiero sul volto. “Io non ti farò nulla. Non potrei mai fare nulla ad una donna bella come te”.
“Beh, se non mi uccidi allora sarai nei guai”.
Andy abbassò il volto, mantenendo sempre il sorriso stampato, quindi diventò improvvisamente serio; i suoi occhi furono accesi da una scintilla di follia pura.
L’uomo afferrò per il collo la donna e la tirò a sé, stringendo. Gli occhi di Fiammetta si spalancarono, le catene tintinnavano in base al movimento della donna.
“Tu non sei nelle condizioni di decidere!” ringhiò quello, poggiando la fronte contro quella della bella, sentendo il respiro frammentato di quella venire esalato a fatica. “Sei incatenata al muro, accanto a te c’è un uomo praticamente quasi morto”.
“Non fa differenza. Crystal e gli altri verranno qui e ti romperanno le ossa. Soprattutto Gold” sorrise poi.
“Smettila!” urlò poi Andy, la cui voce rimbombò per alcuni secondi tra le pareti della stanza, prima di disperdersi. Tuttavia riverberava ancora nella testa della rossa, faticando a sedimentarsi.
“Come perdi la calma facilmente...” ed un sorriso le apparve sul volto. “Non sembravi così accorato quando ti ho incontrato sul Monte Camino, anzi... parevi posato. Calmo, con tutto sotto controllo”.
“È ancora tutto sotto controllo! Tutto!” urlava quello, con gli occhi spalancati.
“Non controlli più i nervi! Come puoi dire una cosa del genere?!”
“È incredibile come tu, che sei sottomessa a me in questo momento, ti possa permettere di parlare in simili toni! Potrei ammazzarti anche adesso!”. Le tempie del biondo pulsavano, irradiando sangue al cervello e dandogli una strana espressione sul volto; pareva un toro durante una corrida.
“Fallo! Avanti!” lo schernì lei, ridendogli in faccia.
Fu quello il momento in cui Andy le diede un violento ceffone sulla guancia destra. Questo rimbombò nelle orecchie dei presenti, ridestando un debolissimo Fosco, che aprì gli occhi e provò a muovere le labbra, incrostate di sangue rappreso.
“... F... er... mo...” provò a dire, con voce codarda e fuggiasca.
Andy si voltò come se avesse visto un fantasma e gli si avvicinò lentamente: sotto gli occhi spalancati di Fiammetta gli afferrò la nuca con la mano destra ed il mento con quella sinistra, facendogli ruotare rapidamente la testa, spezzandogli il collo.
Fosco era morto.
“No!” urlò Fiammetta. E fu un urlò lungo, profondo, pieno di terrore ed angoscia.
Andy sorrideva compiaciuto. “È questo che voglio. Voglio la tua paura”.
Si avvicinò poi a Fiammetta, un rivolo di sangue rubino colava dalla sua bocca dove il sapore metallico del liquido ematico era diventato l’unica stimolo al gusto che provava; la lingua rimestava saliva e sangue, che continuava ad accumularsi.
L’uomo era a pochi centimetri dal volto di Fiammetta, sentiva l’odore dolce e delicato della pelle di quella e le si avvicinò al collo, baciandolo delicatamente. La donna era paralizzata.
Sentì la lingua dell’uomo trascinarsi leggermente verso l’alto e poi lo vide a meno di dieci centimetri dal suo volto.
“Potresti unirti a noi...” fece quello, tornando ad esprimersi con parole allusive che si trascinavano dietro intere situazioni.
Fiammetta lo guardava negli occhi e si decise: sputò un grosso grumo di sangue e saliva sul volto dell’uomo e poi s’espanse subito il rumore invadente di un allarme in sottofondo.
“Sono qui...” sorrise lei.
Andy aveva gli occhi spalancati e terrore e stupore si erano uniti nel suo volto, lordato dallo sputo dell’ex Capopalestra, creando un’espressione unica.
“Te l’avevo detto che sarebbero venuti a romperti le ossa”.
 
“Crystal... Siete arrivati finalmente” fece Silver, seduto nell’erba alta, in modo da non farsi individuare dalle eventuali Reclute del Team Magma.
La Catcher ed i due Ranger si abbassarono repentini, avvicinandosi a Silver, e pure a Gold, che intanto malmenava la povera Recluta, in cerca di ulteriori informazioni.
Silver accolse Crystal in un abbraccio e la strinse forte a sé, inebriandosi del suo profumo pungente.
Marina e Martino si guardarono e poi allungarono la vista verso l’ingresso del Grottino Solare.
Era lì che tenevano Fiammetta, ne erano tutti sicuri.

 

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Capitolo 39
*** Capitolo Trentaduesimo pt. 1 - Dobermann ***


Dobermann pt. 1
 


C’erano tutti.
Nascosti nell’erba alta i tre Dexholders, assieme a Martino e Marina, stavano varando la strategia da adottare mentre sullo sfondo si stagliava misterioso il Grottino Solare.
“Fiammetta è lì dentro?” chiese Martino a Gold, puntando l’indice verso l’ingresso del piccolo antro. Gold lo guardò sorridendo ed annuì.
“La salverò. Potete starne certi” sorrise sornione quello dagli occhi d’oro.
“Come agiremo?” domandò Crystal.
“Io e Gold agiremo da diversivo, e lotteremo probabilmente contro i Magmatenenti...”
“Quella coppia di fotomodelli...” bofonchiò Gold, interrompendo Silver, che dal canto suo parve non accorgersi della voce del moro e continuò a parlare.
“Crys, cercherai Fiammetta assieme a Martino e Marina”. Si voltò poi verso la ragazza di Borgo Foglianova. “I Ranger ti daranno supporto”.
“Ottimo” rispose Martino.
Passarono pochi minuti, il tempo che gli Allenatori si preparassero e quelli dotati di Styler acquisissero qualche Pokémon selvatico, dopodiché partirono.
Legarono saldamente ad un albero la Recluta malmenata a Porto Alghepoli, ormai stordito, e scesero verso la riva del piccolo laghetto che precedeva l’ingresso del Grottino Solare.
“Feraligatr...” fece Silver, facendo uscire il Pokémon Mascellone proprio davanti a lui; quello s’immerse nell’acqua, rimanendo con il solo dorso di poco fuori la superficie. Il fulvo salì sulla sua schiena e si voltò, aspettando che Gold salisse.
“Allora? Fai presto” fece il primo.
Quello dagli occhi dorati sorrideva, intanto cercava una Pokéball nella sua cintura.
“Scusami... Faccio da me. Vai Walrein!”.
Un grande esemplare del Pokémon Spaccagelo si presentò davanti agli occhi dei ragazzi: era davvero enorme, più grande dei pochi Walrein che avevano visto in vita loro; aveva una folta peluria ai lati della bocca, dalla quale fuoriuscivano due zanne lunghe ed appuntite. Il suo respiro sembrava congelasse la parte posteriore dei due grandi denti, ricoprendoli di un sottile stato di ghiaccio. Si voltò e guardò negli occhi Gold, che gli sorrise.
“Adriano mi ha avvicinato, stamattina. Mi ha chiesto quali Pokémon d’Acqua avessi con me, adesso, e gli ho risposto che ancora dovevo ottenerne uno. Allora mi ha sorriso e mi ha prestato questo Pokémon incredibile!” disse Gold, sornione.
“Wow...” sorrise Marina, meravigliata.
Videro Walrein immergersi proprio come Feraligatr, e Gold vi salì sul dorso emulando Silver.
“Ora andate” sorrise il moro.
“State attenti” tuonò invece l’altro.
E fu così che i Pokémon cominciarono a muoversi placidamente, con lo scopo di raggiungere l’altra sponda del laghetto; le acque si mossero lente e stanche, sbuffando in piccoli rivoletti che si riversavano sulla superficie scura dell’acqua, che rifletteva il cielo nuvoloso.
“Hey...” fece Gold al fulvo. “Mi spiace per... Insomma...”.
Silver si voltò repentino, guardandolo negli occhi, limitandosi ad abbassare lo sguardo ed a sospirare. “Stai zitto. Dobbiamo risolvere prima la situazione Fiammetta. Dopodiché parleremo di Crystal e di tutto il resto”.
“Che c’è da dire, scusa?! A me non interessa Crystal!”.
“Ma tu interessi a lei” fece, puntandogli quegli occhi glaciali addosso, freddi come un inverno polare.
“Cosa stai dicendo, Silver?”.
Il fulvo sospirò e tornò a guardare avanti. “Due Reclute Magma, Gold. Sono uscite dal Grottino”.
“No! Voglio prima risolvere la questione e...”
“Non voglio risolvere nulla, adesso! C’è da fare! Fiammetta è in pericolo ed io...”.
“Sei un coglione! Non t’interessa di far funzionare questa cosa, no! A te interessa soltanto entrare nelle grazie di Crystal! Io voglio rimanere tuo amico ed appianare le divergenze!”.
Il rumore dei Pokémon che tagliavano la superficie dell’acqua mentre praticavano l’attacco Surf era parecchio rilassante, ma i nervi erano a fior di pelle.
“Ma non lo capisci?! Non capisci cosa significa per me?! Ho passato la vita da solo, cresciuto in mezzo ad altri orfani! Hanno razziato la mia infanzia, mi hanno insegnato che ad essere brave persone ci si rimette sempre! Ho scoperto che mio padre è l’uomo peggiore di questo mondo e l’unica che mi è stata vicino è stata Blue, che reputo mia sorella! E poi ho incontrato voi, ho incontrato lei... Gold, lei. Crystal ha fatto breccia nel muro che ho creato per difendermi dal mondo! Lei è passata oltre! Lei è andata oltre il muro, oltre l’apparenza! Lei mi sta salvando, mi sta venendo a prendere! Non ho alcuna intenzione di perdere il mio treno, Gold! Non posso perderlo!”.
Parlava, Silver, agitava i pugni, accorato come non era mai stato. Gold solo in quel momento capì la sofferenza che provava nel cuore quel ragazzo: quello di Crystal non era un capriccio. Per lui era l’ancora di salvezza da quel mondo infame, la maniera per riscattarsi.
Perché non l’avrebbe mai potuto penetrare oltre il muro che aveva creato. Silver era solo, aveva vissuto come un bambino solo, aveva prodotto delle spine dalle sue sofferenze, spine avvelenate e colme d’odio, aveva ridotto drasticamente la sua volontà di parlare, di esprimersi; l’importante era pensare, parlare con se stesso, dentro la sua mente, capire ciò che volesse.
E quando aveva incontrato lei, Silver aveva capito che non voleva più essere solo.
Aveva capito che voleva essere salvato.
Gold girò lo sguardo indietro, vedendo tutt’attorno a lui la roccia che rivestiva quell’anello di pietra, quella depressione del pavimento naturale; infine si focalizzò su Crystal, sul suo sorriso grintoso, sui suoi occhi puri e cristallini. Crystal era strana.
Già, perché non era una bellezza prorompente come Blue, né aveva le caratteristiche della bella che non sapeva di esserlo, come Yellow. Crystal non si basava sulla bellezza per colpire, no. Lei volava come una farfalla e pungeva come una vespa. Ed era dotata di una bontà unica.
Bontà che catturava le prede, attirandole come fosse miele.
Crystal aveva punto Silver e, da quel momento, il fulvo aveva preteso di essere redento.
Era proprio la ragazza dagli occhi di cristallo che gli avrebbe donato le chiavi per la pace della sua anima. Silver era convinto che Crystal gli avrebbe donato la pace.
Gold lo sapeva. Aveva testato tramite la sua vicinanza la dolcezza con quella donna ma prima di quel momento non l’aveva mai reputata una donna con cui crescere.
Si accorse che Crystal fosse effettivamente una donna; si accorse che fosse una bella donna.
Si accorse di volerla, proprio come la voleva Silver.
“Oh... cazzo”.
 
“Ok! Ragazzi, è il momento di darci da fare. Lì ci sono già due Reclute, combatteranno contro Gold e Silver e noi intanto ci intrufoleremo dentro di soppiatto. Tutto chiaro?”
Crystal aveva disegnato in aria delle linee immaginarie che avrebbero fatto da matrici e gli occhi dei due Ranger le seguivano attenti.
“Ok, quindi massima attenzione” annuì Marina, guardando suo fratello.
Martino si girò, vedendo il piccolo Pichu Ukulele, il suo compagno fedele di avventura, con il volto contrito. Lasciò scappare un sorriso, carezzò sulla testa il piccolo Pokémon prima di offrirgli il braccio come ponte, permettendogli di salire sulla sua testa.
“Chiama Staraptor” disse poi alla sorella, che annuì decisa e schioccò le dita; tanto bastò al Pokémon Rapace per cadere in picchiata dal cielo, passando dall’essere un piccolo puntino al grande pennuto scuro.
Le due Reclute avevano cominciato ad inveire contro Gold e Silver, attirando l’attenzione dei tre.
“Dobbiamo sbrigarci” tuonò Crystal, prendendo la sfera di Altaria.
 
Silver e Gold sembravano due persone differenti una volta messo piede sulla riva della zona adiacente all’ingresso del Grottino Solare.
Due Reclute fissavano in cagnesco gli ultimi arrivati, pronti a lottare coi coltelli tra i denti pur di proteggere la loro base.
“Chi siete voi?! Non potete stare qui!” ringhiò quello a sinistra, guardando negli occhi prima Silver e poi Gold. I loro volti erano totalmente inespressivi, vuoti di ogni emozione.
Entrambi sospirarono per poi lasciarsi superare dai propri Pokémon; Walrein e Feraligatr s’interposero tra le due fazioni contendenti.
“Volete lottare?!” urlò l’altra Recluta, stupita.
Gold sbuffò. “Sì. Oppure levatevi dalle palle, è una giornataccia”.
I due Magma, che già erano ostili, non sembrarono gradire il tono di voce del ragazzo, quindi misero mano alle sfere, tirando in ballo un Golbat ed un Mightyena.
“Sempre gli stessi Pokémon...” sospirò quello con gli occhi d’oro. “Perché sempre gli stessi?”.
“Golbat!” urlò la prima delle due Reclute. “Usa Attacco d’ala su Feraligatr!”
Il pipistrello si gettò a capofitto nell’attacco, planando dall’alto della sua quota fino in basso, vicino al Pokémon Mascellone, pronto a sferzarlo con le sue ali sottili e taglienti.
“Fulmindenti” si limitò a pronunciare Silver, e tutti videro Feraligatr che, dopo un balzo agile, spalancò le fauci elettrificate, chiudendole con forza sul corpo del Pokémon avversario; Golbat terminò inevitabilmente K.O. con un tonfo sordo.
“No! Golbat! La pagherai cara!” ringhiò la recluta, stringendo pugni e denti, ignaro del fatto che in quel momento, alle sue spalle, tre individui provenienti da altre regioni si stavano intrufolando nella base segreta.
“Direi che tocca a me” disse Gold annoiato, dopo una smorfia che esprimeva boria. “Walrein, vai con Raggiaurora...”.
Il Pokémon di Adriano ruggì forte quindi una luce dai colori dell’aurora boreale illuminò le fauci dell’enorme tricheco. Gold era in grado di sentire il potere che possedeva quella creatura, e tutta la forza che imprimeva nello scagliare un attacco fortissimo contro il Mightyena avversario che, sotto preciso ordine del suo Allenatore, rotolò verso destra, evitando l’attacco.
“Troppoforte” disse infine Silver al suo Feraligatr, con quella flemma quasi stressante.
Fu una sequenza di calci, pugni e morsi a mettere fuori combattimento il Pokémon avversario.
I Dexholders di Johto fecero rientrare silenziosamente i propri Pokémon nelle rispettive sfere, spostando con due spallate le Reclute sconfitte.
“Levati da mezzo...” sussurrò Silver, camminando dritto.
“Sì... Via dai coglioni...” rincarò quell’altro.
Entrarono quindi nel grottino solare, ed una grossa sirena prese ad urlare.
 
“Ok. Ci sono un casino di stanze qui dentro, Marina. Io e te non possiamo dividerci, tu non sei ancora pienamente in forze dopo ieri e...”.
Martino guardava le due ragazze che, appiattite contro il muro che avevano alle spalle, si fissavano attorno inquiete. Le pareti erano state rivestite con pannelli isolanti grigi, decorati con fantasie a righe. I pavimenti erano invece formati da mattonelle bianche che riflettevano la luce calda dei grandi cappelloni appesi al soffitto, scavato nella roccia viva.
Ognuna delle lampade era collegata alla precedente ed alla seguente tramite un cavo nero; in alcuni punti esso cadeva più pesante, mentre in altri era ben teso. L’odore di umido disturbava molto, i giovani dovettero concentrarsi profondamente sul proprio obiettivo per non pensare a quel fastidio.
I ragazzi sembravano parecchio carichi, Marina in primis che, dopo aver ascoltato le parole del fratello, lo aveva schernito.
“Questa ragazza ancora non pienamente in forze è in grado di prenderti a pugni sul muso! Forza un po’!”
“Ok, allora, abbiamo un grande corridoio con porte a destra e a sinistra. Fiammetta potrebbe essere in ognuna di queste” Martino puntava con l’indice le porte rosse che parevano incastonate nelle pareti. Crystal sbuffò e si guardò attorno circospetta per poi obiettare.
“Non possiamo aprire tutte le porte così, Martino. Potremmo trovare dei nemici; io me la potrei cavare, sono un’Allenatrice del resto. Ma voi possedete soltanto dei Pokémon catturati con lo Styler. È differente. Dobbiamo stare parecchio attenti”.
“Certo” annuì il ragazzo, fissando la schiera di Pokémon che aveva alle spalle: c’era un Linoone, un Keckleon ed un Surskit. Marina invece veniva seguita da un Marill e da un Seedot.
Non era tanto, lo sapeva. Non era semplice.
“Beh allora...”
E la sirena cominciò a suonare forte, dolorosamente.
“Che succede?!” urlò Crystal, senza il timore di essere sentita da qualcuno.
“Silver e Gold! Avranno battuto le Reclute, sarà partito l’allarme!” replicò a tono Marina. Varie Reclute uscirono da una porta abbastanza isolata verso la fine del corridoio.
“Cazzo!” esclamò Crystal, aprendo la prima porta a disposizione e sparendovi all’interno, seguita dai Ranger.
Era buio e stretto, entrando avevano urtato qualcosa ma per la fretta e la paura non avevano capito cosa fosse. Sentivano soltanto i propri sospiri in quel momento, e la rumorosissima sirena che sembrava squarciare le mura col suo potentissimo suono.
“Intrusi!” sentirono all’esterno della stanza. “Ci sono intrusi!”.
“Ragazzi...” chiedeva Marina. “Dove siamo...”.
“Dietro ci sono degli scaffali...” saggiò Martino, con le mani.
“Aspettate” concluse l’ultima dei tre. Allungò le mani nel buio, cercando la parete, trovandola ad un passo più lontano da lei; non le era mai piaciuto brancolare nel buio più totale. Non appena le sue mani toccarono l’intonaco della parete, di quelli umidi, che lasciavano l’alone bianco sulle dita e sui vestiti quando li toccavi, andò alla ricerca dell’interruttore. Interruttore che trovò appena dopo.
La lampadina a fluorescenza s’accese ed il filamento in tungsteno diventò incandescente, illuminando di luce gialla i volti spaventati dei tre, all’interno di quello stanzino per le scope, con quelle tre divise del Team Magma appese alle rispettive grucce.
 
“Ancora...” sospirò Silver, prendendo la sfera di Mightyena e mettendolo in campo.
Quattro reclute agguerrite si pararono di fronte ai due di Johto. Quelli si guardarono per un momento, silenziosi. Lo sguardo di Gold era diventato determinato, tutto all’improvviso.
Quello di Silver invece era ancora vuoto, inespressivo di nulla che non fosse rabbia.
“Ok, Blaziken! Vediamo se Fiammetta ti ha preparato anche a questo!”. Fu così che Gold mandò in campo il Pokémon Vampe.
Poi quello dagli occhi d’oro si voltò verso quello dagli occhi d’argento e lo vide mettere in campo anche Grovyle.
“Questa è la volta buona, Grovyle”.
Grovyle rimaneva a fissare avanti, avvicinato subito da Mightyena che, con assetto basso, prese a ringhiare immediatamente.
Di fronte si trovarono quattro Golbat.
“Attaccate!” urlarono all’unisono Gold e Silver, che in due mosse riuscirono facilmente a mettere fuori combattimento gli avversari.
“Levatevi davanti...” ringhiò quello dai capelli rossi, con lo sguardo basso e la voce ferma.
“No! Non entrerete mai nella base!” s’oppose uno degli sconfitti, l’unico che non si era dato alla fuga.
“Mightyena...”
Il canide prese a ringhiare e poi abbaiò, dando addosso alla sfortunata Recluta, terrorizzata dal Pokémon.
“Via dalle palle” fece Gold, dandogli una spallata maldestra mentre gli passava accanto, nel gesto di superarlo. Pochi secondi dopo anche Silver fece lo stesso, lasciando l’uomo con la emme rossa sul petto da solo, a fissare l’esterno del Grottino Solare.
 
Tre nuove Reclute giravano nettamente più tranquille all’interno della base del Team Magma.
“Ora possiamo anche dividerci” fece Crystal, aprendo la prima porta a disposizione. Era vuota, due sedie l’una di fronte all’altra.
“Sì ma fate attenzione. Siamo comunque nel covo del nemico”.
Crystal prese ad aprire le porte del corridoio 1. Esso era perpendicolare al corridoio 2 ed al corridoio 3, incrociandosi in un crocevia che portava a tre vie separate. Martino sarebbe andata nel corridoio 2, Marina nel 3.
Crystal intanto apriva tutte le porte che vedeva, in alcune trovando delle Reclute che, appena la vedevano, si mettevano sull’attenti. “Riposo soldato” diceva la ragazza. “Dobbiamo evacuare l’edificio”.
“Sì!” esclamavano quelli, che passavano sistematicamente davanti a Gold e Silver, straniti dal fatto che quelli non li sfidassero.
Poi Crystal aprì la porta 18 del corridoio, quasi alla fine. Era buio lì ma c’era un odore terribile, come di sangue rappreso. Non si fece prendere dal panico, lei, e cercò con la mano l’interruttore sulla parete destra.
In genere è accanto alla porta...
Ma niente. La parete di destra non aveva interruttori. Allora provò su quella di sinistra e fece Bingo; tre neon ronzanti illuminarono la stanza, lasciando Crystal nello sgomento più che totale: quella stanza era totalmente vuota, se non per un tavolo di legno consunto, come consunta era la sedia sgangherata che a pochi metri era stata rovesciata per terra.
Le mattonelle polverose erano bianche, ma il sangue aveva cominciato a sporcarle mano a mano che si avvicinavano ai due corpi appesi alle catene, fissate sul muro interamente scavato nella roccia.
Fosco a sinistra, morto. Fiammetta a destra, con gli occhi spalancati.
 
Marina e Martino avevano aperto praticamente quasi tutte la porte, evitando con cura quelle dove era possibile trovarvi i Magmatenenti se non i Generali. Erano porte con vetro trasparente o satinato, più eleganti di quelle che avevano aperto in legno marcito.
“Qui non c’è nulla. Non c’è traccia di Fiammetta” fece Martino, incontratosi con la sorella nel crocevia tra i corridoi.
“Già”.
E poi l’ultima porta del Corridoio 1 cigolò, facendoli voltare immediatamente. Andy e Zoe erano usciti da lì; si accorsero immediatamente dei due e sorrisero.
“Ma questi non sono quei due che...” Zoe li squadrò meglio mentre negli occhi di Martino e Marina il terrore si faceva largo a spallate, annullando ogni altra emozione, ogni altra espressione sui loro visi abbronzati.
“Già. Ma qui fuori ci sono quei due guastafeste” rispose Andy, allungando il collo, cercando di localizzare Gold e Silver.
“Oh, avviati. Qui ci metterò meno di cinque minuti...”.
“Ci conto” fece lui, baciandola sulle labbra.
Zoe accolse con dolcezza quel bacio ma poi qualcosa sembrò infastidirla.
“Hai addosso l’odore di quella zoccola, Andy”.
“A chi ti riferisci?” fece quello, facendo un passo indietro.
“Fiammetta”.
“Sarà il suo sangue. Le ho spaccato il labbro”.
“No. Hai il suo odore addosso. Quell’odore dolciastro”.
Andy fece spallucce, indietreggiò e s’incamminò verso l’uscita.
Zoe sospirò e poi si voltò nuovamente verso quei due.
“Siete riusciti ad entrare allora...” lei parlava più tra sé e sé che con i propri interlocutori che, dal canto loro, sembravano essere quasi paralizzati. Martino e Marina conoscevano la potenza di quella ragazza, in grado di mettere in difficoltà anche Crystal e Silver.
Martino però doveva reagire e lo sapeva; non poteva permettere alle emozioni di sovrastarlo in quel modo, anche perché doveva proteggere sua sorella.
“Lasciaci andare via” fece lui, con voce meno incerta di quello che pensasse.
Questa frase però ebbe solo l’effetto di scatenare il riso in Zoe. “No. Voi non uscirete più da qui dentro. Mi basterà il mio Arcanine” disse, sorridente.
Il Pokémon fuoriuscì dalla sua sfera; agli occhi di Marina sembrava ancora più grande di quanto non sembrasse.
“Ti ripeto... lasciaci andare. C’è ancora una speranza per Hoenn e siamo noi. Ma dobbiamo andare via”.
“Saremo noi a costituire il nuovo ordine. Anzi, eviteremo che quei folli deturpino la nostra bella terra, sfruttando Groudon ed il suo potere”.
“Lasciaci. Andare” ripeté Martino, telegrafico. Fu quello il momento in cui sua sorella si stufò di quella situazione.
“No! Vuole combattere! Ebbene, combattiamo pure!”.
Martino si girò sconvolto e fissò il viso di sua sorella, determinato e grintoso.
“Ma che diamine stai dicendo, Mari?! Non siamo Allenatori”.
“Forza! Andate!” urlò Marina, ed i suoi Pokémon si schierarono davanti a lei, così minuscoli davanti alle fauci infuocate dell’Arcanine di una Zoe sogghignante.
“Hai fegato, bella mia, devo ammetterlo. Ma alla fine di questa battaglia puzzerai di carne bruciata...” disse il Magmatenente, diventando seria all’improvviso.
“Andate! Keckleon, rompi con Breccia le mattonelle sotto i vostri piedi e tu, Linoone, usa Fossa!”.
Marina sorrise guardò suo fratello. “Non credevo conoscessi queste mosse...”.
“La vicinanza a Silver mi ha fatto nascere un istinto particolare”.
“Beh...” il sorriso della ragazza si allargò ancora di più. “Gold è migliore di Silver, ed io sono migliore di te! Surskit, Marill, Pistolacqua!”.
Zoe sorrise; vedeva quelle deboli mosse avventarsi sul suo potentissimo Arcanine, che reagiva con noncuranza. “Bene, ora tocca a me! Vai con Lanciafiamme!” urlò la mora, puntando il dito contro gli avversari.
Le fauci del Pokémon Leggenda si illuminarono d’improvviso, ed il calore al suo interno vi esplose come una bomba ad orologeria, espellendo immediatamente una potenza immane.
“No!” urlò Martino.
“Forza Keckleon! Sei in grado di creare una barriera! So che puoi, un Keckleon lo ha fatto anche durante lo scontro con il Team Idro a Porto Alghepoli!”. Marina ricordava il momento in cui l’energia del Pokémon confluì tutta in un solo punto; la barriera che creò servì a rallentare l’attacco di Xander.
Keckleon abbassò il volto, poi lo rialzò e tutti videro l’enorme getto infuocato abbattersi contro una forza misteriosa; il fuoco li avvolse letteralmente ma non provocò alcun danno, alcuna bruciatura.
“Ottimo Keckleon, tu sarai il nostro baluardo difensivo!” esclamò Martino.
“Linoone!” urlò poi sua sorella e, non appena le fiamme terminarono e la barriera calò, il Pokémon Sfrecciante fuoriuscì dal pavimento e colpì dal basso il grande Arcanine; questo guaì e fece qualche passo indietro.
“Dannazione” ringhiò Zoe. “Qui ci vuole qualcosa di più radicale! Innanzitutto occupiamoci della preda più vicina! Usa Sgranocchio su Linoone!”.
Rapido, il canide spalancò le fauci e le chiuse con foga sul corpo di quello che una volta era uno Zigzagoon. Aprì le fauci, poi le richiuse, con ancora più foga e lo fece due , tre, quattro volte, prima di sputare il corpo esanime e deturpato di Linoone.
“Ottimo” pronunciò lei, mentre vedeva saliva e sangue colare dai lati della bocca del suo Arcanine. “Fuori uno” continuò.
“No! Povero Pokémon! Seedot, usa Forzasegreta!”.
E Zoe prese a ricordare.
 
Sua nonna era seduta a leggere un libro, nel giardino. Solitamente Zoe si allenava in completa solitudine ma quando sua nonna usciva col suo libro ed un bicchiere di the freddo lei si fermava e la raggiungeva, per un attimo di riposo.
Zoe, assieme a Meditite e Growlithe si sedevano nell’erba, proprio davanti alla sedia pieghevole della donna. La più giovane ricordava perfettamente le scarpe che sua nonna aveva su quel giorno, di un pervinca lucido abbinato all’ampia gonna ed al cappello a tesa larghissima. Le assomigliava in tutto e per tutto e questa cosa le aveva rese unite, legate quanto più possibile.
“Cosa mi insegni oggi, nonna?” domandava Zoe, con una voce molto più dolce ed infantile.
“Oggi parliamo di una mossa che può essere appresa da tutti i Pokémon”.
“Eh?! Tutti i Pokémon?!”.
“Già. Si chiama Forzasegreta...”.
“Wow...”. Sul viso di Zoe si era espanso stupore come una macchia di vino rosso su di una tovaglia bianca.
“Già. I Pokémon che utilizzano la mossa Forzasegreta riescono a sfruttare l’energia dell’ambiente che li circonda; per esempio, qui, in un giardino come questo, un Pokémon userebbe una mossa simile ad un Pugnospine, che avvelenerebbe l’avversario”.
“A-avvelenerebbe?! Cioè, anche se non è un Pokémon di tipo Veleno?”.
“Esatto. Questo perché i Pokémon e l’ambiente che ci circonda hanno una grande interconnessione”.
“Anche Growlithe potrebbe dare un pugno ed avvelenare il suo avversario quindi, usando questa mossa?”.
“Beh, darebbe una zampata, ma ecco, sì. Ci sarebbe la probabilità di avvelenare il tuo avversario”.
“Non è sicuro?!”.

“Niente è sicuro, nipotina mia. Niente”.
“E se la usassi nel deserto?!” chiese poi la più giovane, curiosa.
La nonna sorrise. “Il Pokémon utilizzerebbe una mossa simile a Colpodifango, e di conseguenza ci sarebbero ottime probabilità di ridurre la precisione dell’avversario”.
“E invece se lo usassi nel mare?!”.
“Beh...” prese una pausa e sorseggiò il suo the. “... in tal caso useresti una mossa simile al Surf, ed abbasseresti l’attacco dell’avversario”.
“E... e se io lo utilizzassi in un edificio? Chessò, dentro, in casa?”.
 
“In quel determinato caso... in quel determinato caso sarebbe una mossa fisica, come Forza, e allora provocherebbe... sì, provocherebbe”
 
“Paralisi! Arcanine, indietro!” Zoe aveva fatto un rapido brainstorming e ricordò della discussione. Conosceva le potenzialità di quella mossa e doveva evitarla in tutti i modi.
Seedot partì veloce, come forse non era mai stato, e sferrò il suo attaccò, mancando il bersaglio di pochi centimetri.
“Colpiscilo!” urlò poi Zoe; Arcanine aveva l’avversario proprio davanti. I due corpi andavano nella stessa direzione e lei, che conosceva bene le forze fisiche che avevano a che fare con un corpo in movimento, sapeva che non avrebbe potuto utilizzare una mossa fisica in quel momento.
“Ora! Lanciafiamme!” ordinò.
“No!” esclamò Marina. Vide il fuoco avvolgere il corpo del piccolo Pokémon e quello che ne rimase dopo non era nient’altro che la sua carcassa fumante.
“Cavolo!” esclamò Martino. “Di questo passo non ci vorrà molto prima che...”. Stringeva i denti lui, non voleva dirla quella parola. Tuttavia ci pensò Zoe.
“Soccombiate. Esatto. Non ci vorrà molto! Extrarapido!” urlò poi, ed il Pokémon partì così veloce che nessuno fu in grado di vederlo colpire Marill.
“Keckleon!” lo chiamò Martino, ma fu troppo tardi. Con una grande zampata anche il debolissimo Surskit fu messo fuorigioco.
“Ora rimane solo quella lucertola schifosa...” sussurrò Zoe. “Vai con Fuocobomba! Subito!”.
Arcanine chiuse gli occhi e in un momento accadde di tutto.
Le fiamme si riversarono sul povero Pokémon e appena le vide, Martino si gettò su sua sorella, ruzzolando metri e metri indietro, nel tentativo estremo di non venir bruciati dalla mossa.
L’attacco stava per uscire dalla bocca di Arcanine quando si sentì qualcuno urlare.
“No!”.
La voce era matura, forte.
Era la voce di un uomo.
La voce di un padre a cui avevano sottratto suo figlio.
 

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Capitolo 40
*** Capitolo Trentaduesimo pt. 2 - Dobermann ***


Previously, on Hoenn's Crysis
“Ora rimane solo quella lucertola schifosa...” sussurrò Zoe. “Vai con Fuocobomba! Subito!”.
Arcanine chiuse gli occhi e in un momento accadde di tutto.
Le fiamme si riversarono sul povero Pokémon e appena le vide, Martino si gettò su sua sorella, ruzzolando metri e metri indietro, nel tentativo estremo di non venir bruciati dalla mossa.
L’attacco stava per uscire dalla bocca di Arcanine quando si sentì qualcuno urlare.
“No!”.
La voce era matura, forte.
Era la voce di un uomo.
La voce di un padre a cui avevano sottratto suo figlio.





Dobermann pt. 2
 


“Ed ecco che ritroviamo il rompipalle con la divisa da emo...”. Gold si fermò, portando le mani alla vita, come se fosse stanco dopo una lunga corsa. Avanzava con passo spedito e sicuro, il Magmatenente. I suoi stivaloni neri, sporchi di terreno sulle punte e sulla suola bombata, lasciavano orme rossastre di sangue rappreso.
“Andy...” ringhiò Silver. E ringhiò proprio perché contro Andy aveva un contenzioso aperto: non era riuscito a vedere ancora sul suo volto la sconfitta. Non aveva ancora stampato il marchio della sua soddisfazione sul petto di quell’uomo e questa cosa lo rendeva una nemesi, oltre che un rivale.
“Ecco che i due bambocci di Johto sono venuti a rompere le uova fin dentro il paniere”.
La voce dell’uomo era come sempre fredda e dura. Aveva maturato la consapevolezza di possedere la Sfera Rossa nel suo corpo, di riuscire a controllare il potere che ne derivava, di poter conseguentemente controllare Groudon.
“Che siete venuti a fare adesso? Non vi sopporto più” fece quello.
Gold rise di gusto ma fu Silver a parlare. “Guarda che è reciproco. Dobbiamo chiudere questa faccenda una volta per tutte”.
“Non puoi chiudere la faccenda una volta per tutte. Devi renderti conto che sei più debole”. Andy sfidava a parole Silver, con fare da guascone.
“Voglio proprio vedere. Gold, stanne fuori. Questo qui è mio”.
Andy sorrideva, e fece cadere in campo una sfera. Magmortar ne uscì fuori, più forte di prima.
“Ok. Ti farò assaggiare la vera potenza!”
Magmortar vide apparire di fronte a sé Weavile.
Gold guardò stranito l’Allenatore dai capelli rossi e tornò a fissare il Pokémon. Era piccolo ed a livello di combinazione tra tipi era altamente svantaggiato. “Che diamine ti salta in mente?!”.
“Tu fatti da parte” fece, lanciandogli un’occhiataccia.
“Burbero, lui...”.
Andy intanto sorrideva, mentre teneva le braccia incrociate.
Il corridoio era abbastanza stretto, e la cosa poteva essere uno svantaggio per Magmortar, almeno nello scontro fisico. Gli sarebbe bastato aprire il fuoco per annullare il grosso ingombro che rappresentava.
Weavile avrebbe invece potuto sfruttare l’agilità e lo spazio che, seppur piccolo, gli consentiva di manovrare con relativa facilità.
“Cominciamo!” urlarono entrambi.
“Magmortar! Forza, usa Lanciafiamme!” urlò Andy, col sorriso stampato sul volto.
“Schiva” si limitò a sussurrare l’avversario. Il piccolo Weavile calcolò in un attimo tutte le possibili alternative da poter adottare ma il getto infuocato era così ampio che non lasciava angoli ciechi.
Andy rideva di gusto nel vedere il povero Pokémon confuso e smarrito.
“Non ha scampo, Silver!” urlò Gold.
“Zitti!” rispondeva. Era cresciuto con quel piccolo Sneasel, un Pokémon freddo e solo, silenzioso, che viveva nei ghiacci, con le zampe nella neve gelida. Il freddo che aveva avvertito attorno a lui, a Silver era sembrato lo stesso che gli graffiava le guance rosee quando, da piccolino, non aveva nient’altro che la curiosità di vedere il mondo oltre le scure pareti del misterioso posto in cui stava assieme agli altri orfani.
Erano cresciuti assieme. Erano diventati forti assieme.
Erano diventati grandi.
“Ora!” urlò Silver.
Weavile diede un colpo fortissimo al pavimento, sfondandolo con i suoi artigli; creò una nicchia che gli consentì di proteggersi dal forte attacco di fuoco.
“Sigilla la nicchia con un Geloraggio! Continualo!” urlò Silver.
Weavile si gettò a capofitto nella piccola apertura e, con il viso rivolto alle fiamme, cominciò a lanciare un raggio congelato. La temperatura si abbassò rapidamente nella nicchietta, ma il fuoco scioglieva il ghiaccio e lo tramutava in acqua; essa si riversò lemme sotto i piedi dei contendenti.
 
“Mio figlio! Dimmi dov’è mio figlio, immediatamente!” urlava Norman, alle spalle di Zoe.
La ragazza si voltò rapidamente, cercando di capire velocemente ciò che stava succedendo.
“Aeroassalto!” urlò subito il Capopalestra di Petalipoli ed uno Slaking davvero grosso parve cadere dal soffitto, ubbidendo ai comandi del suo Allenatore.
Arcanine non riuscì a schivare l’attacco e si ritrovò sottomesso al Pokémon Pigrone.
“Beh, Norman. Ti ho sconfitto già una volta, e mi desti la tua medaglia. Ora non sarà per niente un problema! Arcanine, usa Lanciafiamme!”.
“Questa usa sempre Lanciafiamme!” esclamò Martino.
Norman rimase fermo e silenzioso mentre il suo Pokémon veniva attaccato dall’Arcanine avversario. “Mi ricordo di te. Tu sei la figlia più piccola di Grant ed Eloise. Tu sei una Vinci. In ogni caso qui non ho i Pokémon che uso in Palestra”.
Intanto una voce li disturbò: “Hey! Non fai nulla per schivare l’attacco?!” chiese Marina, stranita.
Norman sospirò ed incrociò le braccia. “No. Questo Pokémon ha una strana peculiarità: nonostante l’enorme forza fisica e la grande resistenza agli attacchi, i suoi attacchi sono limitati dal suo istinto. È pur sempre un enorme bradipo”.
“Oh... Ma questo vuol dire che almeno un turno su due Slaking verrà colpito!” ribatté il Ranger donna.
“No...” sospirò Martino.
“Cosa?!”.
“Vedrai...” chiuse sibillino quello.
“Ora, Slaking, usa Corposcontro!” esclamò imperioso Norman, vedendo il suo Pokémon caricarsi sulle grosse ginocchia per poi gettarsi con forza contro l’avversario.
 
“Paralisi...”
 
“Schivalo Arcanine! Rotola verso sinistra!” urlò grintosa Zoe, stringendo i pugni. Sentiva forte il rumore del fuoco di Magmortar espulso dal cannone che aveva al posto del braccio ed intanto Arcanine si svincolava dall’attacco dello Slaking avversario; esso sbatteva contro una parete, sfondandola ed alzando polvere.
“Attenta ora...” fece Martino alla sorella.
“Arcanine!” urlò Zoe. “Ruotafuoco!”
Arcanine si ricoprì improvvisamente di fuoco e prese a rotolare in direzione del Pokémon avversario.
“Kecleon!” urlò Martino, e tanto bastò al Pokémon per schierarsi davanti al Pokémon di Norman usando una barriera d’energia.
“Ottimo lavoro...” sussurrò il Capopalestra di Petalipoli.
Arcanine rotolava ad oltranza, cercando di sfondare quel muro d’energia, ma invano.
“Slaking, Megapugno!” urlò Norman. Il Pokémon si sollevò e caricò il braccio destro.
Colpì con tale forza da sollevare l’enorme cane e farlo sbattere sul soffitto, spezzando il filo elettrico sul quale erano attaccate le lampade; d’improvviso la zona nel quale combattevano rimase totalmente al buio.
“Porco Giuda!” urlò Martino.
“State tranquilli” cercò di calmarli invece Norman. Sembrava più calmo, freddo, razionale mentre lottava. “Ora non ci serve altro che un altro colpo e tutto finirà. Stiamo per vincere”.
“Non credo proprio! Doppioteam Arcanine!”
Il Pokémon Leggenda moltiplicò i propri corpi, creando varie illusioni ad accerchiare Slaking e Kecleon.  “Ora usa Extrarapido!”.
“Alza la tua barriera, Kecleon!” urlava Martino, nervoso. A nulla valsero però gli ordini del Ranger: Arcanine si gettò a capofitto con la sua velocissima mossa e colpì con forza Kecleon.
“Bravissimo Arcanine!”.
Il Pokémon Mutacolore sbatté contro la parete, fuori combattimento.
“No! Pichu!” urlò ancora Martino, mettendo per la prima volta in pericolo l’incolumità del piccolo Pokémon Topolino. Quello, che era sempre stato sulla spalla del Ranger, saltò giù per terra e girò il suo ukulele sulla schiena, almeno prima di far partire un attacco Fulmine che colpì in pieno tutti gli Arcanine; Le copie svanirono e quello originale si girò inferocito verso il Pokémon.
“Non toccare quel Pichu! Slaking, usa Megapugno!” ordinò Norman ed ancora il grande Pokémon caricò il colpo per rilasciarlo, ma Arcanine fu più veloce.
“Extrarapido! Ora!”
Arcanine attaccò con foga e colpì il Pokémon Pigrone, che indietreggiò e ricadde, per poi rialzarsi lentamente.
“Ancora, Arcanine, ancora Extrarapido! Tanto non si difenderà!”.
E così avvenne: l’attacco fisico di Arcanine fu così rapido da creare problemi anche agli Allenatori ed ai Ranger nel visualizzare il tutto.
Il Pokémon di Norman ruzzolò indietro, rialzandosi nuovamente.
“Ora tocca a me! Slaking! Gigaimpatto!”. La voce di Norman rimbombò fredda sulle pareti del corridoio buio.
“Doppioteam ancora, Arcanine!” urlava Zoe.
“So qual è il vero Arcanine! Quello a destra!”.
E così Slaking si sollevò in aria e si abbatté sul Pokémon del Magmatenente.
Ma si schiantò per terra, alzando una gran quantità di polvere ed altro.
“Slaking!” urlò Norman, a metà tra il terrore e la sorpresa.
“Arcanine, terminiamoli col Lanciafiamme più potente che riesci a fare!”.
E poi fu solo fuoco, negli occhi di Norman.
 
“Swampee, Geloraggio sulle catene!” ordinò Crystal. Fiammetta era davanti ai suoi occhi con il terrore negli occhi spalancati.
“Liberami, Crystal! Dobbiamo aiutare i ragazzi!”
“Se la stanno cavando sicuramente, Fiammetta, non preoccuparti. Non ti agitare. Swampee, Codacciaio, ancora sulle catene!”.
Il Pokémon si voltò e l’enorme coda a ventaglio s’abbatté con forza sugli anelli ghiacciati che stringevano i polsi della bella rossa; s’infransero come fossero fatti di cristallo e tintinnarono sul pavimento poco prima che Fiammetta vi cadesse. Crystal s’avventò su di lei e le diede un po’ d’acqua, permettendole di levare dalla bocca l’orribile sapore di sangue che si era formato.
Dai polsi pendevano gli anelli enormi delle catene, sbattevano sulle sue cosce.
“Stai bene?” chiedeva la ragazza di Johto, spostandole una ciocca dal volto. I loro sguardi s’incontrarono, Fiammetta poi annuì.
“Certo, sono tutta intera”.
“L’importante è questo. I tuoi Pokémon sono sul tavolo lì, vero?”.
“Già...”.
Crystal s’accigliò. “Hey... Ora sei salva, stiamo mettendo a posto la situazione... Non dovresti essere così triste. Che è successo?”.
“Fosco. Andy l’ha ammazzato. Gli ha spezzato il collo”.
Crystal abbassò il capo e in un attimo s’accorpò tutte le paure e le sofferenze di Fiammetta: vedere qualcuno che conoscevi appeso a delle catene e senza vita ti cambia.
“Fatti forza. La popolazione di Hoenn ha bisogno di noi...” le disse poi, poggiandole una mano sulla spalla. Fiammetta si girò verso la ragazza ed annuì. Insieme recuperarono le Pokéball della ragazza, poggiate sul tavolo della stanza e poi fecero per uscire, quando Fiammetta si bloccò improvvisamente.
“Che succede?!” esclamò Crystal, sorpresa dello stop della ragazza.
Fiammetta si voltò verso Fosco, poi guardò la parete accanto all’uomo e s’accigliò. “È che... Beh, sono stata varie ora in questa stanza e la curiosità mi ha divorata: voglio sapere cosa c’è dietro la porta su quella parete” disse la ragazza, puntando l’indice sporco di sangue e polvere verso la maniglia d’ottone di quel vecchio portoncino. Era d’acciaio ma le chiavi erano state lasciate erroneamente nella serratura, facilitandone l’apertura.
“Aspetta...” fece Crystal, preoccupata. Swampert la seguiva rapido. “Dobbiamo stare attente”.
“Crystal... Non siamo delle stupide. Abbiamo i nostri Pokémon con noi e sinceramente io non ho paura di queste persone. Per la mia gente sono pronta anche a morire!”.
Crystal sorrise ed annuì, poi una serie di rumori elettronici le fece voltare verso est.
“Che diamine è stato?!” esclamò la rossa.
Crystal fece spallucce, quindi coraggiosamente si mosse verso la porta misteriosa ed abbassò la maniglia, ma invano.
“La serratura è bloccata” disse, dopo un sospiro.
“Gira la chiave nella serratura” suggerì l’altra. Crystal eseguì.
Una mandata, due mandate, tre mandate, quattro mandate.
La porta si aprì, rivelando il buio più che totale.
Si sentiva un bip continuo, insistente come di macchinari medici in funzione.
“Accendiamo la luce” suggerì ancora Fiammetta, cercando sulla parete sinistra l’interruttore. “Dove diamine sta?!” esclamò poi quella.
“No, Fiammetta. In questo covo gli interruttori sono montati al contrario”.
“Eh?!”.
“Sì. Sono sull’altra parete. Sono sulla mia parete... Aspetta... Ecco” fece infine Crystal premendo l’interruttore.
Le luci si accesero, ben sedici neon illuminarono la grande sala che si prospettò davanti ai loro occhi: era lunga e molto ampia, e vari macchinari medici stavano monitorando battiti cardiaci e funzioni vitali di pazienti stesi all’interno di lettini da ospedale.
“Ma...” Crystal si avvicinò rapida, calpestando le mattonelle bianche, lucide e scivolose. Fiammetta corse dietro di lei, con lo sguardo incredulo.
Tre lettini pieni, quattro vuoti.
“Ma... ma... Non ci posso credere...” faceva la rossa. “Non è possibile...”.

“Non ti servirà a nulla il tuo inutile ghiaccio! Si scioglierà, e ti scioglierai anche tu di fronte alle nostre ambizioni!” urlava Andy, puntando il dito contro Silver, il contendente della sfida.
Furono dieci i secondi. Le fiamme bruciavano calde, si fermavano a meno di un metro dai suoi occhi; sentiva la guance bruciare, il corpo prendere calore rapidamente ed intanto vedeva l’acqua formarsi sotto i suoi piedi.
“Penso possa bastare...” sorrise Andy.
Alla fine dell’attacco Lanciafiamme, emerse Weavile dalla piccola pozzanghera.
“Attacco Rapido e poi Lacerazione” disse il fulvo.
Gold vide Weavile scattare con una tale velocità che quasi dubitò di averlo visto nella posizione di partenza; colpì velocemente l’avversario che fu costretto ad indietreggiare di qualche passo, quindi i suoi artigli affilati affondarono nel corpo bollente di Magmortar.
“Magmortar, Pirolancio!” urlò iracondo Andy. Il suo Pokémon alzò il cannone che aveva al posto del braccio e lo puntò contro Weavile.
“Indietro!” urlò Silver.
Nell’acqua sotto le zampe di Weavile s’ammassò una grande massa di materiale piroclastico. Il Pokémon era riuscito a schivare l’attacco principale ma una volta toccato il pavimento, l’attacco di Magmortar esplose, lanciando detriti nell’immediate vicinanze; detriti incandescenti, che colpirono Weavile sul petto.
“L’ha colpito!” ghignò Andy, stringendo gli occhi verdi fino a farli diventare due fessure.
“Cazzo... Gettati nell’acqua, Weavile”.
“Non servirà. Magmortar Tuonopugno!”
“Qui ti volevo!” sorrise Silver, mentre il colpo di Magmortar partiva, potente più che mai. “Ora!” urlò poi.
Weavile si diede un forte slancio con la schiena, alzandosi in aria di quasi un metro e picchettando la parete con le unghie aguzze, in modo da riuscire a rimanere in equilibrio senza atterrare; anche Silver balzò rapido indietro, ritrovandosi un paio di metri.
Magmortar attaccò e poco dopo ricadde esanime per terra, in preda agli spasmi.
“Cielo...” sussurrò Andy. “Che cretinata...”. Si era reso conto dell’enorme errore.
“L’acqua...” disse Gold, a bassa voce.
“Ti sei messo fuori combattimento da solo” sorrideva Silver, facendo rientrare il suo Pokémon nella sfera. Essendo le zampe di Magmortar interamente sommerse dall’acqua, creata dal ghiaccio sciolto di Weavile, il Tuonopugno si propagò nell’acqua, fino a raggiungere proprio il mandante dell’attacco.
Ancora increduli i tre, sentirono poi un’esplosione enorme provenire poi dal fondo del corridoio, dove la luce non c’era.
“Che sta succedendo lì?! Crystal!” esclamò Gold, preoccupato, facendo girare immediatamente Silver. Fu il cigolio di una porta a pochi metri di distanza a farli voltare tutti e tre, contemporaneamente. Spalancato l’uscio, una donna dai capelli rossi e dallo sguardo fermo si presentò davanti a loro. Gold spalancò gli occhi ed impietrì: era la stessa donna che aveva visto a Verdeazzupoli il giorno prima.
“Miriam!” esclamò Andy, sorpreso.
“Dobbiamo andare via da qui, tesoro” fece quella.
“Zoe è ancora di là!”.
“Fuggirà anche lei, in qualche modo. Dobbiamo andare ora, Ceneride ci aspetta e noi siamo sotto attacco”.
La donna lanciò la sfera di un Salamence, sul quale velocemente salirono entrambi, e sui cui sfrecciarono via, verso l’uscita, lasciando immobili Gold e Silver, oltre al piccolo Weavile naturalmente, ancora aggrappato alla parete.
 
Crystal e Fiammetta erano rimaste immobili all’interno della sala nascosta dalla grande porta d’acciaio. I bip trapanavano imperterriti le loro tempie, con una costanza fuori dal normale.
“Cosa diamine... Fiammetta?”. Crystal si avvicinò al primo lettino sulla sinistra, tirando giù il lenzuolo bianco, che ormai aveva preso la forma del volto della persona che copriva; esso si alzava e si abbassava in corrispondenza del torace di quella figura misteriosa.
“È Ruby...”. Fiammetta pronunciò sconvolta quelle parole, ed intanto scrutava meglio il ragazzo liberato dalla prigione del lenzuolo candido. Gli occhi erano chiusi ed intanto un grosso tubo di plastica bianco gli era stato infilato in bocca.
“L’hanno intubato...” osservò Crystal. S’avvicinò al macchinario per la respirazione automatica, vedendo il meccanismo a fisarmonica chiudersi ed aprirsi a ritmi regolari. Il monitor dell’elettrocardiogramma dava risultati abbastanza confortanti: Ruby non era morto, il suo cuore batteva con frequenza ottimale.
“Sta bene... Ma è stato intubato” ripeté l’Assistente del Professor Elm, scrutando meglio in volto il figlio di Norman: gli occhi erano chiusi, pareva che il ragazzo stesse dormendo stanco dopo una giornata lunga ed estenuante; poco sopra l’occhio destro, una grande cicatrice gli deturpava la fronte.
“Ricordo d’infanzia” diceva lui, quando qualcuno gli chiedeva cosa gli fosse successo, e sorrideva nel raccontarlo. Crystal sospirò, poggiando una mano sulla spalla nuda del ragazzo.
Era fredda.
“Per tutto questo tempo Ruby è stato qui...” sussurrò Fiammetta, incredula.
Un secondo monitor mostrava battiti regolari per un altro lettino, quello accanto a quello di Ruby. Era il lettino centrale, e sembrava contenere una persona decisamente più piccola.
Il respiratore a fisarmonica continuava a lavorare col suo gioco di saliscendi, e funzionava dato che il torace della seconda figura si comprimeva e si espandeva al di sotto del lenzuolo.
“È Sapphire...” disse Crystal, prima ancora di levare il telo bianco.
“No” la fermò l’altra. “Sapphire non è così piccola”.
Un altro bip si frappose tra le due ragazze, prima che la mora tirasse via il lenzuolo, mostrando il piccolo Emerald, intubato come Ruby, attaccato agli stessi macchinari; i capelli del ragazzino erano morbidi fili biondi sparsi a raggiera sul cuscino in lattice, la cui federa era ingiallita.
“Rald!” esclamò Crystal, fiondandosi sul corpo del giovane. Gli carezzò la guancia e sospirò nel ricordare le vicende che avevano passato assieme, nel tentativo di fermare Guile Hideout dalla distruzione. Ricordi, ancora ricordi, fiumi di immagini che si susseguivano, crollavano poi via come un castello di carte in una tempesta di vento, oppure sotto i colpi di un bimbo capriccioso ed abbastanza stupido dal non saper apprezzare la bellezza e la compostezza del lavoro e dell’impegno altrui. Che poi è un po’ la morale della vita: vivere per vedere le cose, soffrire per esse, sabotarle anche e poi pentirsene; perché l’uomo è un animale strano, prima butta il sasso e poi nasconde il palmo dietro la schiena, impaurito dalle conseguenze.
Troppo sanguigno, troppo impulsivo.
Al punto di mandare in coma farmacologico due ragazzi con meno di venticinque anni per il gusto di poterlo fare.
“Il terzo lenzuolo...” Fiammetta guardò Crystal.
“L’elettrocardiogramma è piatto, Fiammetta”. Crystal fissava il macchinario che segnava i battiti cardiaci, ma sul monitor la linea era dritta ed il bip era formato da una bi e da un’infinità di i, che si susseguivano proprio come i ricordi di Crystal.
E quelli di Fiammetta, certo. Lei spalancò gli occhi, fissando meglio in volto la Dexholder di Johto.
“Che diamine dici?!” esclamò quella. La rossa raggiunse il terzo lettino velocemente e tirò via il lenzuolo: Sapphire Birch dormiva distesa, seminuda. Una canottiera bianca nascondeva le sue nudità ed i capelli erano ben pettinati; il tubo di plastica le entrava in bocca, le sue labbra morbide saggiavano la superficie ruvida della tubazione, ma l’aria entrava nei polmoni inutilmente, perché il suo torace non si muoveva più.
“Sapphire!” esclamò disperata Fiammetta, inginocchiandosi al suo capezzale.

 

Da qui in poi siete dentro casa mia.
E ciò significa che qui parla la parte più buzzurra di Andy Black. La solita, no?
Insomma, disturbo il vostro "finalmente sto cazzo di capitolo è finito" per far risaltare una piccola shipping che ho scritto, che riguarda proprio Gold e Marina, ancora inedita nel Fandom, che ho chiamato Hot Summer Shipping.
È piccolina, niente di che, più che una ship è un graffietto... ora vado.

 

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Capitolo 41
*** Capitolo Trentatreesimo - Usually it doesn't rain ***


Usually it doesn't rain



Quella notte il cielo aveva crepato la propria superficie opalina, con quelle striatura grigie all’interno del nero della volta, ed una gran quantità di pioggia era scesa. Gocce insolenti s’infrangevano contro i vetri delle finestre, cercando di non scivolare, per guardare all’interno delle case.
I macchinari dell’ospedale di Porto Alghepoli emettevano lo stesso bip dei monitor per la sorveglianza del battito cardiaco, all’interno del Grottino Solare. La stanza 13C era stranamente affollata, ma molti dei visitatori avevano il permesso per entrare praticamente ovunque; difatti Rocco, Adriano ed Alice, assieme a Fiammetta che ancora godeva della notorietà di Capopalestra, erano in piedi accanto al letto di Norman.
L’uomo era fasciato in spesse bende candide, come candide erano le lenzuola che coprivano il suo corpo, fino al busto.
Crystal, seduta in un angolo, guardava quelle lenzuola ed intanto nella sua mente vedeva il corpo di Sapphire immobile; il suo torace immobile, le labbra violacee, la pelle pallida.
 
Era una di noi. Con il Pokédex e tutto il resto. Sì, era più piccola, ma era comunque come me, come Silver, come Gold. Come Ruby. Era speciale.
Del resto Oak ci ha scelti tutti perché siamo speciali.
Ma lei... Beh, lei aveva un contatto con la natura che nessuno di noi qui possiede; un’empatia unica con la terra e con il cielo, un amore per tutte le forme di vita.
Così libera, così selvaggia.
Così innamorata dell’uomo che le è sopravvissuta. Sapphire e morta e Ruby è qui. E se Arceus vuole si risveglierà. Sapphire...
I suoi occhi blu non vedranno più questo mondo.
 
La testa di Crystal viaggiava nelle convinzioni e nel cordoglio; sguazzava nel dolore. Il suo cuore stava perdendo ogni speranza, sentendosi cadere giù, sempre più giù, sempre più in basso.
Sapphire non era in quella stanza. Norman era sotto la parete destra mentre Ruby ed Emerald erano sotto quella sinistra.
Gold e Silver erano usciti a prendere una boccata d’aria, raggiungendo Martino e Marina, e lei era l’unica rappresentante degli Specialisti a presenziare nella stanza d’ospedale.
 
Ancora neon bianchi. Ancora questo ronzio.
 
Pensava, Crystal, trovava analogie riguardo ogni cosa. Non erano passati tanti giorni da quando era sbarcata ad Hoenn, ma ne aveva abbastanza. Sentiva sulla sua testa il peso della responsabilità, le pendeva sul collo come la spada di Damocle; ed il crine che lo sospendeva in aria stava per spezzarsi. Crystal aveva molte vite da salvare sulla coscienza, una grande responsabilità. Lei aveva accettato con grinta, ma non riusciva a fare più di quello che poteva e Ruby ed Emerald ne erano la testimonianza: stavano giocando con qualcosa di più grande di loro.
Le bastò ripensare il volto di Sapphire ad abbassare lo sguardo, incupendosi.
Si girò verso Emerald, il cui volto era pallido e scavato.
Era diventato grande, finalmente, anche se era rimasto sempre piuttosto bassino per la sua età.
Alice le si avvicinò. “Sta bene. Ha detto il dottore che si riprenderanno entrambi in fretta. È Norman il problema...”.
Gli occhi delle due donne si spostarono sul padre di Ruby. Sbatteva con lentezza gli occhi ma per via della grande quantità d’anestetico non era per niente lucido.
“Non è questo... Forse avremmo bisogno di aiuto...” sospirò Crystal.
“Sai benissimo che tutto il mondo sta combattendo contro i cataclismi. A Johto i Capipalestra stanno tenendo tutto sotto controllo, grazie anche ai Superquattro, ma qui abbiamo a che fare con Pokémon più potenti e situazioni più difficili. Hoenn è un’isola e quindi è più vulnerabile. Ma Oak ha scelto voi ed io di Oak mi fido”.
Crystal sembrava impassibile, almeno prima che Alice le mettesse una mano sulla spalla, sorridendo. Gli occhi erano chiusi ed i capelli spettinati ma il fascino di quella donna era vivido e tangibile.
“Io, Adriano, Rocco... Il Professor Oak e tutta la gente di Hoenn... Tutti quanti, contiamo sul tuo aiuto e sulle tue abilità. Sei l’unica in grado di catturare i leggendari di Hoenn senza causare effetti collaterali. Groudon e Kyogre devono combattere il meno possibile, altrimenti distruggeranno tutto e noi sappiamo che sei la chiave per la nostra salvezza”.
Crystal spalancò gli occhi, stupita.
“Tu, assieme agli altri ragazzi, sei stata caricata di una responsabilità enorme, ed è più che normale avere delle difficoltà”.
“Sapphire è morta...” ribatté prontamente, con voce triste.
Alice la guardò e storse le labbra. “Non è colpa tua”.
“Invece sì! Invece è colpa mia!” urlò, facendo voltare Rocco, Adriano e Fiammetta. “Se fossi stata più rapida nel capire dove si nascondesse il covo del Team Magma forse avrei potuto trovarli prima e salvare Sapphire. Invece sono stata poco reattiva, e quella cretina ha bloccato più di una volta la cattura di Groudon! Non sono adatta per queste cose!”.
Rocco sospirò e fece un passo avanti. “Ogni guerra ha le sue vittime, Crystal. Sapphire ha pagato un prezzo assai caro, ma come vedi nessuno se la passa un granché bene”. Lo sguardo di cristallo della Dexholder s’infranse negli occhi grigi e solidi del Campione di Hoenn. Si voltarono verso Norman. “Questa è una delle persone più posate ed equilibrate. Gli è bastato non avere più notizie di suo figlio, in questa dannatissima circostanza, per perdere il senno. Ed ora, adesso che è mezzo rintontito, secondo te non sta soffrendo? Davanti ai suoi occhi c’è suo figlio; Ruby è stato intubato artigianalmente da qualcuno che si spacciava per medico, ed è stato fortunato. Sapphire è morta proprio perché non è stata trattata bene durante quest’operazione, Crystal. Ma ormai è inutile guardare al passato, piangerci addosso non farà altro che peggiorare la situazione”.
Crystal lo vide sorridere leggermente, cercando di infondergli fiducia. Fu Adriano, infine, a fare un passo avanti.
“Ora noi tutti non dobbiamo permettere che cose del genere accadano di nuovo. Dobbiamo fermare questa situazione”.
Crystal sentì la forza di quella gente attraversare la barriera di sguardi che aveva alzato, andando a colmare quell’enorme vuoto.
“Noi siamo con te. Ma tu... tu sei con noi?” chiese Fiammetta, dietro a tutti.
La ragazza di Johto lasciò scappare una lacrima e si morse il labbro inferiore. “Sì. Io sono con voi”.
 
Silver era seduto con le mani in tasca, e dormiva sulle sedie della sala d’aspetto dell’ospedale.
Aveva poggiato la testa contro il muro alle sue spalle e rapidamente il sonno era venuto a chiudere i suoi occhi, appesantendogli il respiro.
Martino invece camminava lentamente per il corridoio, almeno prima di fermarsi vicino la finestra, fissando il temporale imperversare.
Nei suoi occhi girava in loop sempre la stessa scena: Arcanine spalancava le fauci, una scintilla venne seguita da un’enorme onda di fuoco. La stessa onda che pochi attimi dopo investì Slaking e Norman, ritrovati sette secondi dopo con i vestiti bruciati addosso e le ustioni di terzo grado ad impossessarsi dei tessuti corporei. Era riuscito a spostarsi velocemente, come anche il piccolo Pichu, tirando via Marina di lì, nascondendosi dietro la parete del corridoio accanto.
Non avrebbe dimenticato il volto di Marina, in quel momento, con gli occhi spalancati per la paura, la bocca schiusa ed il respiro mozzato.
Poi tutto cominciava daccapo, dopo aver visto il corpo di Norman e Zoe che fuggiva in groppa ad Arcanine.
“Hey, Puffoblù... Che hai?” domandò Gold, seduto scomposto di fronte a Silver, con le gambe allungate e la testa contro lo schiena della sedia di plastica.
“Che dovrei avere? Stavo morendo...” rispose in maniera ovvia lui, senza nemmeno voltarsi.
Gold sorrise e guardò Marina, in piedi fuori alla porta di Norman. “Beh, ci ho fatto l’abitudine...”.
“Oh beh, tu sarai abituatissimo” punse Martino. “C’è parecchia gente che vuole ucciderti, effettivamente”.
Gold sorrise nuovamente e poi sospirò. “So già dove vuole andare a parare il tuo discorso, evitamelo”.
“Farò come dici”.
“Mi chiedo se ci fosse armonia prima che io arrivassi. Cioè, tu, Fiammetta e i due piccioni...”.
“Probabilmente se tu non fossi arrivato sarebbe stato meglio” sorrise Marina. “Ma senza il tuo aiuto la situazione sarebbe assai peggiore”.
La ragazza annuì e lentamente s’avviò verso il ragazzo dagli occhi d’oro, sedendosi accanto a lui. Poggiò poi la testa sul braccio di quello, che la guardò e le sorrise leggermente. “Che hai? Non ti ho mai vista così affettuosa, non farmi preoccupare”.
“Sono stanca, Gold... Lasciami stare”.
Gold l’abbracciò, stringendola a sé, e poi vide gli occhi di Silver spalancati verso di lui.
“Buongiorno, principessa” gli disse il moro, facendo sorridere Marina.
“Non rompere le palle, Gold” ringhiò quello.
“Strike due. Martino, tu?”.
“Devi semplicemente stare zitto. E smetti di stare così attaccato a mia sorella”.
“Tu e questa cozza di tua sorella... Che dovrei volere da lei?”.
“Sei un coglione...” sospirò lui, voltandosi nuovamente verso la finestra.
“Ed ecco che con lo strike tre il campione raggiunge vertici massimi di odiosità! La folla va in delirio!”.
“Lasciatelo perdere, ragazzi. È lo sclero serale...” sospirò Silver, con le braccia incrociate. La porta si aprì all’improvviso e ne uscì una Fiammetta stanca e livida.
“Gold, posso parlarti?”.
“Sì, però strike quattro non esiste” fece il ragazzo, facendo sbuffare i tre presenti.
“Eh?!” Fiammetta non capiva.
“Non preoccuparti”. Il ragazzo si alzò e seguì la rossa nel corridoio accanto. Lentamente si sederono su di un paio di sedie, Fiammetta con le spalle sullo schienale, Gold piegato in avanti, con i gomiti sulle ginocchia e le mani in testa. Il ragazzo sbadigliò, poi la guardò negli occhi.
“Che c’è?” domandò.
“Io volevo ringraziarti. Ho parlato con Crystal e mi ha detto che da quando sono stata rapita non ti sei dato pace... Mi ha detto che ti sei parecchio innervosito”.
“Beh... Io e te non ci conosciamo molto, anzi, non so proprio chi tu sia, tranne che una bellissima donna di un’altra regione. Ma sei dalla parte dei buoni e per questo dovevo salvarti. E poi non posso lasciare un fiore come te tra le mani di quei cretini”.
Fiammetta sorrise. “Capisco il ragionamento”.
“Insomma! Se ti avessi salvata ti saresti sicuramente innamorata di me...” sorrise il  moro.
“Giustamente. Proprio come i cavalieri. Beh, no, non volevo parlarti di questo, comunque...”.
“Ah no? E cosa volevi?” domandò curioso il ragazzo, fissandola dritta negli occhi e facendo una fatica immane a non spostarli da lì.
“In realtà vorrei parlarti di due situazioni. La prima riguarda il mio Blaziken...”.
“Ah sì! Certo, non preoccuparti, tieni!” Gold s’alzò in piedi, staccando velocemente la sfera di Blaziken dalla cintura e ponendola nelle mani calde della donna.
“Ecco io...” Fiammetta fu bruscamente interrotta.
“Quando Andy ti ha preso, questa ti è caduta. Mi è sembrato giusto utilizzarlo, almeno fino a quando non ti avessi rincontrata”.
Fiammetta sorrise. “Eri così sicuro di rivedermi?”.
“Hey, mi hai fatto muovere in prima linea! Era più che ovvio che ti avrei rincontrata!”.
La rossa rise di gusto. “Sei una forza della natura. Ma comunque non voglio che tu te ne separi; a quanto pare lo sai utilizzare molto meglio di me, e ne hai bisogno”.
La donna di Cuordilava ripose di nuovo la sfera nelle mani di Gold e sorrise. “Mi raccomando. Trattalo bene”. Il moro la fissava, scattando con la Polaroid dei pensieri un’istantanea dell’espressione di Fiammetta: era stanca, molto stanca, e sinceramente provata per via del rapimento subito a suo danno. Aveva sciolto i capelli per un attimo e decine di ciocche rubine erano scese davanti ai suoi occhi, arrivando fino al mento, e ancora più giù; altre si adagiavano morbide sui seni della ragazza, coperti dal giubbino che aveva indosso. Umettava il labbro inferiore con la lingua mentre lo sguardo perso nel vuoto veniva coperto dai capelli, che poco dopo raccolse nella sua classica acconciatura. Gli occhi dorati del ragazzo si strinsero durante quel sorriso dolce e sincero che diede a Fiammetta. Riattaccò la sfera alla cintura ed abbassò il capo. “Grazie”.
“Di nulla. Non farmene pentire”.
“Non succederà”.
“Siediti, non ho ancora finito” disse poi. Gold s’accigliò e s’accomodò nuovamente. “Avevo due cose da dirti”.
“Ok...” titubò l’altro.
“Riguarda Silver. Dovete mantenere l’armonia”.
Gold sorrise, quasi schernendo la donna. Lui la vide mordersi le labbra. “Fiammetta... Non c’è più armonia e mai ci sarà. Vogliamo la stessa cosa”.
“Si vede”.
“Cosa?!” esclamò Gold, stupito da ciò che Fiammetta gli aveva detto.
“Mi sono accorta di come guardi Crystal. Ed è lo stesso modo in cui la guarda Silver. Io non m’intrometto nei fatti vostri, sia chiaro, una volta che tutta questa storia è finita potrete scannarvi come meglio vi pare, ma adesso... Beh, avete un potenziale incredibile come Allenatori di Pokémon, mi spazzereste via in pochi secondi se lottassimo contro. Quindi concentratevi, per favore; Hoenn ha bisogno di voi”.
“Io non ho nulla contro Silver” s’incupì Gold, guardando in basso, verso le scarpe di Fiammetta, sporcate dal fango.
“Sicuramente sarà come dici, ma a te piace Crystal e lei guarda te mentre stringe la mano a Silver...”.
“Guarda me?!” si sorprese nuovamente il moro.
“No! Non intendo dire che guarda te, ma che...”.
“Scusa, che intendi dire?! Se dici che guarda me, cos’altro può significare?!”.
Fiammetta sbuffò. “Non lo so. Ma non devi rovinare la loro storia... Inoltre stai facendo soffrire Marina con questo atteggiamento”.
“Marina?! Che cazzo c’entra Marina adesso?!”.
“Non te ne sei proprio reso conto, eh?” chiese Fiammetta. E poi Gold si sentì chiamare.
Era la voce di Crystal. La ragazza di Johto girò l’angolo lentamente guardando prima Fiammetta e poi il ragazzo.
“Crystal...” Gold deglutì un malloppo denso come la lava e la fissò negli occhi, temendo che avesse sentito tutto.
“Gold, perché sei qui da solo con Fiammetta?”.
“Perversioni nostre. Cosa c’è?”.
“Vogliono parlarci”.
“Chi?” domandò poi, ma Crystal gli fece segno con la testa di andare di là, chiudendo a qualsiasi possibilità di rispondere ad altre domande.
 Gold si voltò e guardò Fiammetta, facendo spallucce. Lei sorrise dolcemente e fece un cenno col capo. “Vai... e non fare stupidaggini...”.
“Tsk... Come se ne fossi capace...”.
 
Voltato l’angolo, Gold si trovò Silver e Crystal girati di spalle. Un uomo dallo strano accento francofono parlava lentamente. Forse furono lo scarpe a scricchiolare con troppa foga, provocando uno stridio rabbrividente, ma Crystal si voltò parecchi metri prima che il moro vedesse chi avesse quella particolare parlata, e sorrise.
“Eccoti. Siamo tutti qui” fece la ragazza, andandolo a prendere per mano. Gold la strinse forte e non riuscì a nascondere a se stesso il dispiacere che provò quando la ragazza lasciò la sua mano.
Si disposero a semicerchio davanti ad un uomo, schermandolo coi loro corpi. Questo era seduto elegantemente su di una delle sedie della sala d’aspetto. Indossava un lungo camice candido, che aveva lasciato aperto; s’intravedevano, al di sotto di esso, una camicia di lino blu, ben stirata sul suo corpo sottile e longilineo, e dei pantaloni neri che mettevano in risalto i polpacci.
Indossava infine un paio di scarpe in pelle marrone.
“Salve” lo salutò Gold, vedendo il volto di quello aprirsi per un sorriso. Aveva i capelli abbastanza lunghi, ma non troppo, spettinati in un disordine ordinato sulla sua testa regolare. I suoi occhi erano piccole pozze color acquamarina sul suo viso. Un filo di barba veniva curato in maniera minuziosa.
“Buonasera... Che poi dovrei dire buonanotte, ma insomma. Io sono il Professor Augustine Platan e vengo da Kalos, una regione non molto lontana da questa. Mi ha contattato il Professor Samuel Oak, asserendo al fatto che avreste potuto avere bisogno di alcuni strumenti particolarmente rari, qui da voi”.
“Strumenti?!” esclamò Gold, sorpreso e curioso.
“Già. Tu dovresti essere Gold, quello più allegro. Se non erro tu dovresti avere un Blaziken...”.
“Sì, me l’ha dato Fiammetta... Ma lei che ne sa?”.
“Non preoccuparti... Porgimi il braccio”.
Gold s’accigliò e guardò i compagni. “Ma che vuole questo?!”.
“Gold!” esclamò Crystal. “Non fare il maleducato come sempre e porgi quel maledetto braccio!”.
“Animale...” sospirò Silver, sbuffando.
“Ma... Dannazione! Mi spieghi perché dovrei darle il mio braccio!” urlò il moro, irritato.
Platan rise di gusto ed annuì. “E va bene, a te lo darò dopo”.
“So cosa vuoi darmi! Ma io non sono come te! Niente da obiettare contro i gay ma io non...”.
“Gold!” esclamarono stavolta entrambi Silver e Crystal, sgomenti, mentre il Professor Platan continuava a ridere.
“No, caro mio” diceva. “Non sono gay. Conosco il piacere di stare accanto ad una bella donna. Ma proseguiamo. Crystal, giusto? E dovresti avere Swampert. Mi porgi il braccio?”.
“Certo!” disse irritata col ragazzo dagli occhi d’oro, fissandolo profondamente accigliata mentre portava in avanti il braccio destro. D’improvviso sentì le mani fredde del Professore di Kalos che toccavano la sua mano, e stringeva qualcosa attorno al suo polso. Lei si girò a guardare: era un braccialetto con una pietra al centro, dalle strane sfumature azzurre ed arancioni.
“E tu, Silver se non erro dovresti possedere uno Sceptile...”.
“Beh... Sì” mentì lui.
“Perfetto. Porgi il braccio” disse Platan, annuendo.
Pochi attimi dopo sul polso di Silver vi era un braccialetto con una pietra dalle sfumature verdi e rosa.
Platan guardò Gold che intanto era rimasto accigliato. “Non lo vuoi?”.
“Le tue manette? No”.
“Allora vuol dire che ti darò una dimostrazione pratica del loro potere. Crystal, per favore, potresti far uscire dalla sfera il tuo Swampert?”.
La ragazza annuì, fece un passo indietro e mandò in campo il suo Pokémon. La coda a ventaglio si aprì immediatamente, non appena il Pokémon vide la luce.
“Ok, ottimo” diceva Platan. “Ora fate un paio di passi indietro”.
“Eh! Addirittura?! Che deve succedere di così eclatante?! Esploderà?!” chiedeva scettico Gold, mentre inconsciamente seguiva assieme agli altri due il consiglio dell’uomo.
“Crystal, ora premi quella pietra che è al centro del bracciale”.
E lei lo fece.
L’attenzione si spostò magneticamente su Swampert che s’illuminò di tutto punto, come se si stesse evolvendo nuovamente.
“Ma... Ma com’è possibile?! Swampert è già al terzo stadio evolutivo!”.
Gli arti superiori di Swampert si allungarono di molto, i suoi pugni presero volume, diventando enormi. Anche le creste sulla testa del Pokémon si allungarono.
“Queste pietre sono anabolizzanti?!” esclamò in una domanda stentata Gold. Porse poi il braccio senza nemmeno guardare Augustine Platan. “Voglio che Blaziken diventi Hulk”.
Ma poi nella sua mente soggiunsero i ricordi: “Quello strano Charizard di Green... È forse grazie ad una di queste pietre, vero, che diventava un missile terra – aria? Sì! Le aveva chiamate...”
“Megapietre” fece Platan, chiudendo il  bracciale attorno al polso di Gold. “Si chiamano Megapietre”.
“Sì! Sono queste!” esclamava Gold.
“Non appena il legame con il proprio Pokémon diventa intenso, un unico filo legato dalla fiducia, dall’amicizia, da simili scopi... Beh, la megaevoluzione sarà il modo per passare al livello successivo”. Platan si alzò all’in piedi e tirò indietro una ciocca di capelli poi sorrise quando il suo Holovox cominciò a suonare.
“È Aura Aralia... Devo rispondere. Buona serata, ragazzi” sorrise lui, alzandosi e dileguandosi, lasciando i tre a guardarsi interdetti.
 
A Silver non importava del fatto che piovesse. Non gli era mai interessato della pioggia e sinceramente la vedeva come una benedizione.
Riusciva a pulire gli animi più sporchi, bastava soltanto starvi sotto, a capo chino.
I capelli erano ormai bagnati, i suoi vestiti fradici e la pietra di quel bracciale brillava di luce propria nel buio della sera.
Camminava per Porto Alghepoli, Silver, cosciente del fatto che avrebbe dovuto dormire, il giorno dopo sarebbe stato decisivo per ristabilire l’ordine.
In più era anche passata la mezzanotte, ergo era la vigilia di Natale. Pensava ad un regalo per Crystal e poi al fatto che casa sua fosse totalmente spoglia d’addobbi.
“Ma che diamine mi frulla in testa...” sussurrò, con le mani in tasca. Dalle punte dei capelli, grosse gocce di pioggia lentamente si tuffavano giù, finendo spesso sulle sue scarpe.
Effettivamente i suoi pensieri erano fuori luogo.
Doveva pensare ad Hoenn. Doveva pensare alla gente, ai poveri sfollati, ai leggendari, ad Arceus. Al Team Idro, al Team Magma.
Al dannatissimo Grovyle che non si evolveva. Era forse il suo approccio il problema?
La piazza era totalmente deserta, erano le 02:06 del mattino ed i lampioni inondavano di luce dorata il tutto.
Color oro, come Gold, come il suo nome, come i suoi occhi. Come i suoi maledettissimi occhi che guardavano Crystal.
“Basta...” sussurrò a se stesso. “Concentrazione...”.
“E lo so. È dura...” disse qualcuno alle sue spalle.
Silver si voltò immediatamente, attestando che a seguirlo non fosse altri che Rocco Petri, il Campione di Hoenn.
“Hey...” fece il più giovane tra i due, fermandosi al centro della piazza che stava attraversando; l’acqua scivolava lieve tra le fughe delle mattonelle, incanalandosi nei pozzetti e nei tombini, in cui scrosciava. “Piove parecchio stanotte, eh?”.
“Già. Il tempo qui ad Hoenn è un vero problema...”.
“Strano. Di solito qui non piove...” sorrise il più grande tra i due, alzando gli occhi al cielo e sorridendo; gocce d’acqua gelida baciarono il suo volto marmoreo e candido.
“Che ci fai qui?” domandò Silver, riprendendo a camminare, venendo seguito a sua volta dall’uomo. “Insomma, piove”.
“Sì, Silver, piove. Finiamo di ripeterlo, poi sembra che ci manchi qualche rotella...”.
“A me sembra sia così...”.
“Che hai?” tagliò lui, netto.
Silver si voltò a guardarlo mentre con il suo sguardo di ghiaccio bucava ogni possibile tentativo di schermarsi.
“Sono distratto. Penso sia quello”.
“E cosa ti distrae?”.
Il volto sorridente di Crystal apparve improvviso davanti ai suoi occhi, proiettato dalla sua mente.
Silver si limitò a rispondere alla domanda facendo spallucce.
“C’entra una donna? È per caso Fiammetta?” domandò Rocco.
Silver sorrise. “No. Non è lei”.
“Beh, è davvero difficile avere a che fare con quella donna. Ha un carattere... di fuoco, ecco, calza a pennello. Ed è facile rimanere scottati da lei”.
“Sei innamorato di Fiammetta?”.
Rocco sospirò ed assunse una strana smorfia.
“Ne sono attratto, più che altro. Ho amato soltanto una volta in vita mia e non è finita bene...”.
Silver parve apatico. Si limitava a respirare ed a catturare con la lingua le gocce di pioggia che raggiungevano le sue labbra
“È di Cuordilava anche lei. Le donne lì le fanno tutte con lo stampo”.
“Non solo lì, Rocco...”.
Risero entrambi.
“Non si fanno queste battute. Le donne sono fiori, mentre noi siamo inutili fili d’erba”.
Silver annuì, calciando con naturalezza un ciottolo che andò a finire in una pozzanghera.
“Non è Fiammetta. Non penso sia la ragazza Ranger, dato che ha occhi solo per Gold... Credo sia Crystal allora il problema...”.
Ed il sospiro colpevole di Silver attestò il tutto.
“Non penso che in questo momento una cosa del genere debba necessariamente prevaricare la vostra missione, no?” riattaccò il Campione, fissando le finestre con le luci accese nella palazzina B2 subito al di sotto del promontorio ovest.
“Assolutamente, Rocco”.
Il Campione annuì, sperando che il messaggio fosse stato recepito. Tuttavia, in quei pochi giorni aveva imparato a conoscere Silver, il silenzioso Silver; Quei sospiri che emetteva sistematicamente cadevano pesanti davanti a loro passi.
“E allora? Lei ti piace?”.
Altro silenzio. Fu allora che il più adulto mise una mano sulla spalla del fulvo e lo fermò. Entrambi si bloccarono. “Silver... Tu hai le potenzialità per diventare il miglior Allenatore di sempre: strategia, abilità, legame... L’empatia che hai con i tuoi Pokémon è unica. A modo tuo sei speciale, e ciò non può fare altro che spingerti ad essere importante per questa missione”.
“Lo so”.
“Ora però ti senti perso, non sai più chi sei e questo non va bene. Perché questa sfiducia la sentono anche i Pokémon. E tu devi essere in grado di affrontare qualsiasi situazione. Se il problema è Crystal devi soltanto risolverlo. Vai da lei, prendila per mano e chiedile di aprire il suo cuore. E se sarà vuoto, beh, non avere rimpianti e guarda avanti. Io sono la prova vivente che i mali del cuore prima o poi passano. Lasciano ferite profonde e spesso riaffogherai nei tuoi stessi ricordi. Ma sappi che sei il miglior Allenatore di Pokémon che abbia mai visto. Ed è per questo che... Beh... Tieni...” fece lui, staccando una Pokéball dalla sua cintura e dandola al fulvo.
“Che... che cosa?!”.
“Questo è il mio Metagross, Silver. La tua squadra è composta da cinque Pokémon e con questo diventeranno sei”. Gli occhi di Rocco rifletterono il sorriso sincero del ragazzo di Johto. L’acqua bagnava la testa ed i vestiti del Campione che intanto sorrideva tranquillo.
Silver provò a ribattere. “Sì, ma tu...”.
“Io me la posso sempre cavare. Sono pur sempre il Campione di Hoenn...”.
“Rocco, non...”.
“Silver...” fece l’uomo, quasi spazientito. Prese una piccola pausa e poi allungò nuovamente la mano con la sfera. “Prendi questa Pokéball”.
Gli occhi argentei del ragazzo di Johto fissarono la superficie rossa della sfera e poi la sua mano incontrò per un breve momento quella di Rocco nel momento del passaggio.
“Grazie...” fece lui. “Ma è solo un prestito”.
“Perfetto. Mi raccomando. Dovremo affrontare una grande sfida. Ora è meglio che andiamo a dormire”.
 
La pioggia continuava a cadere fitta e Rocco si allontanava calmo e tranquillo, sparendo oltre l’angolo di un vicolo.
Silver era rimasto da solo, con quella Pokéball in mano. Decise che fosse meglio metterla via, e la ripose nella cintura.
Poi però la sua mano indugiò su di un’altra sfera, quella di Grovyle.
Fece uscire il Pokémon, che subito coprì il proprio volto con la foglia che aveva sulla testa.
Silver abbassò lo sguardo, prendendo la zampa del Pokémon, sorridendogli.
“Sì, so che sta piovendo oggi, e forse pioverà anche domani. E potrà piovere per tutta la nostra vita, Grovyle... Ma io sono con te. Anche sotto l’acquazzone più forte di sempre, io sono sempre con te. Per questa grande sfida ti vorrò al mio fianco... Tu ci sarai?”.
Gli occhi di Grovyle rimasero spalancati mentre le parole di Silver si sedimentavano lente e fumose sul fondo della mente del Pokémon.
Quello annuì lentamente, facendo sorridere il fulvo.
“Ora nessuno ci potrà più battere. Io e te contro il mondo, Grovyle. Contro il mondo!”.

 

 
 

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Capitolo 42
*** Capitolo Trentaquattresimo - Pushin' Thru ***


Pushin' Thru



“Sta per succedere!” esclamò agitata Alice, entrando nel dormitorio dei ragazzi ed accendendo le luci. Erano le 06:42 del mattino ed i primi bagliori dell’alba ancora stentavano a mostrarsi, nascoste dall’orizzonte marino della baia di Porto Alghepoli. I Ranger saltarono dal sonno, pronti ed operativi, già vestiti.
Crystal si sollevò dal letto con un tantino d’ansia, poi si calmò e guardò accanto a lei, cercando Silver; lo aveva sentito entrare in stanza e fare una doccia calda, poi si era infilato nel letto e l’aveva stretta per qualche minuto, prima di rigirarsi dall’altra parte ed abbandonarsi al solito sonno silenzioso.
Tutto il contrario di Gold che, nonostante fosse entrata Alice a svegliarli, russava ancora sonoramente.
Crystal si alzò ed andò verso di lui, toccandogli la spalla.
“Gold... Gold, sveglia”.
Marina sorrise, leggermente divertita.
“Gold. Gold, andiamo... Che hai da ridere, Marina?” domandò poi la Catcher, voltando il viso verso la ragazza.
“Beh, ci vivi assieme eppure non sai come svegliarlo...”.
“Non ci ho mai provato, a dire il vero... Quando esco la mattina è presto e lui dorme ancora profondamente. E quando torno la sera invece è già sveglio... alcune volte”.
Marina sospirò e si avvicinò al letto, inginocchiandosi sul materasso del ragazzo, che cigolò in maniera sinistra; prese fiato ed afferrò il ragazzo per le spalle.
“Gold, dannazione, svegliati!”.
Gli occhi di quello si spalancarono immediatamente, ancora arrossati e leggermente storti tra di loro.
Marina gli diede un bacio in fronte ed uno schiaffetto sulla guancia.
“Sta per succedere” ripeté poi le parole di Alice, tirandolo per mano e sollevandolo.
 
Alice uscì dalla stanza e camminò velocemente verso la stanza in cui si stavano preparando Adriano, Rocco e Fiammetta.
Spalancò la porta e la chiusa, sospirando, a testa bassa.
“Ragazzi, è un disastro... Mi ha appena contattata Lanette via Holovox... Iridopoli è stata distrutta... Sembra sia stato un attacco ben mirato per mettere Rocco ed i Superquattro fuori gioco...” fece la Capopalestra di Forestopoli, sbuffando.
“Non sapevano che io fossi qui...” ragionò il Campione, alzandosi in piedi ed avvicinandosi alla donna, mettendole una mano sulla spalla.
“Un terremoto...” osservò poi Fiammetta, stringendo i lacci alle scarpe. “Sarà il Team Magma. Sarà Miriam...”.
“Sicuramente” sospirò quello dai capelli grigi.
“Non è tutto” interruppe Adriano. “Lanette ci ha anche informati che Ciclamipoli è stata ufficialmente raggiunta dalle sabbie del deserto, proprio questa notte... È stata sommersa interamente”.
“Questa storia deve finire!” urlò Fiammetta, con espressione sconvolta in viso. Si alzò in piedi ed uscì fuori, furibonda.
I tre si guardarono, annuendo.
Tutti e tre pronunciarono due semplici parole. “Ha ragione”.
 
Gold e Crystal camminavano una decina di passi indietro da Martino e Marina, uscendo dall’ospedale dove avevano pernottato tramite gentile concessione del Primario.
“Hey...” le fece lui. “Come stai?”.
Crystal si voltò a guardarlo, con gli occhi stanchi. Spostò un ciuffo dalla fronte e lo portò ai lati della testa. “Ho sonno. E paura, Gold, come sempre. E tu?”.
Quello sorrise. “Sono carico! Fermeremo tutto! Ritorneremo a casa, insieme”.
“Già...”. Crystal si voltò a guardare sospettosa il ragazzo.
“Cos’è quella faccia, codine?”.
“Codine?!”.
“Sì... Per le... code... Comunque?! Mi rispondi?!” esclamò il ragazzo.
Crystal non riuscì a sorridere e sbuffò. “Non sei mai così gentile con me...”.
“Voglio cominciare ad esserlo...”.
“E perché mai?”.
“Perché tu... Beh...”. E mai come quella volta Gold capì che le parole che tanto facilmente espelleva dalla bocca non erano altro che fonemi espulsi così, a casaccio. Nel momento adatto non riusciva a trovare le parole.
 
Eppure è così semplice. Crystal, mi piaci. Non ci vuole molto. Crystal, mi piaci e voglio stare con te. Già. Crystal, mi piaci e voglio stare con te, non scegliere l’altro. E poi aggiungerei riferimenti più precisi, come: Crystal, mi piaci e voglio stare con te, non scegliere l’altro che è una persona chiusa in se stessa. Sì, così mi piace. Forse però dovrei motivare.
Crystal, mi... Aspè, com’era? Mi... mi piaci e... Crystal, mi piaci e? Dannazione! Ho una memoria a breve termine proprio di merda!
 
“Gold! Mi senti?!” esclamava Crystal, mentre un primo ed insolente raggio di sole faceva la sua comparsa sul loro passeggio, illuminando di viva luce un piccolo Taillow che dormiva sul ramo di un albero.
“Eh?! Sì! Sì, ti sento!”.
“Ok... E quindi che ne pensi?”.
“Che ne penso di cosa?”.
Crystal sbuffò e alzò gli occhi al cielo. “Ti ho detto che probabilmente io e Silver apriremo una relazione più stabile, e poi ti ho chiesto un parere...”.
Gli occhi di Gold si spalancarono velocemente, mostrando tutte le venatura nerastre all’interno dell’iride dorata. Balbettò qualche frase senza senso, almeno prima di fermarsi e prendere un respiro.
“Hey, ma che hai?! Il gatto ti ha mangiato la lingua?” chiedeva lei.
“N-no. No, è che... Tu non puoi stare con Silver”.
“E perché mai?!”.
“Lui... l-lui non è...”.
Crystal stava perdendo la pazienza. “Gold! Cosa?!”.
“A lui piace Fiammetta! Ecco, l’ho detto!” urlò infine.
“Io piaccio a chi?!” si sentì chiedere alle spalle il moro. Voltandosi, entrambi scoprirono che era proprio la voce di Fiammetta ad essere stata ascoltata pochi attimi prima. S’avvicinò ai due con passo svelto, prima di rallentare una volta raggiunti. “Che stavi dicendo? A chi piacerei?”.
Crystal era rimasta con un palmo di naso alla dichiarazione di Gold e guardò subito Fiammetta con occhi ardenti, irati.
“A... a Silver... Tu... tu piaceresti a Silver...” deglutì amaro Gold, vedendo gli occhi di Fiammetta diventare due bocche di fuoco. Proiettili partirono dalle sue iridi rosse e penetrarono in quelle auree del moro, uccidendolo con uno sguardo.
“Non è vero” diceva Fiammetta, senza staccare il contatto visivo dagli occhi di Gold. “Lui è solo un cretino a cui piace scherzare sempre”.
“È... è vero, Gold?”.
Fiammetta s’accigliò ulteriormente e poi fissò il viso sconvolto di Crystal: vedeva dolore nei suoi occhi. Mordeva il labbro inferiore, cercando conforto nelle parole di Fiammetta.
“Non preoccuparti, Crys. È tutto a posto...” cercò di rincuorarla.
La ragazza di Johto guardò Gold e sospirò, per poi avanzare il passo, fino a sparire oltre un edificio.
Gold sbuffò e portò le mani ai fianchi, abbassando il capo.
Fiammetta gli si parò davanti, con il suo giacchetto di pelle nera chiuso fino ai seni ed i capelli ben legati nella coda. Spostò il ciuffo dagli occhi e prese Gold per il collo della t-shirt, tirandolo a sé.
“Ieri ti ho avvertito. Non turbare emotivamente nessuno. Kyogre ha raggiunto Ceneride, e ciò vuol dire che oggi dovremo affrontare una difficile quanto potenzialmente mortale battaglia. Quindi concentrati...” sospirò lei, poggiando la fronte contro quella del ragazzo.
“Fiammetta...” sospirava Gold, così vicino alle labbra di quella che avrebbe anche provato a baciarla, se non avesse avuto una paura folle della reazione della rossa.
“Datti un freno. Hai delle responsabilità”.
“Non è così semplice”.
“La vuoi solo perché adesso sta con Silver! Ci hai vissuto assieme per anni senza degnarla di uno sguardo!”.
“Lei non sta con Silver!” urlava lui, accorato.
“Ma finiscila! Arrenditi!”.
“Perché dovrei?! Una volta tanto che i miei intenti con una ragazza sono buoni!”.
“È solo Silver... È solo Silver...” chiuse Fiammetta, staccando la fronte da quella del ragazzo. “Ora dobbiamo darci da fare...” fece, dandogli un paio di schiaffetti sulla guancia ed avanzando. Pochi metri davanti a lui, Crystal e Silver si tenevano per mano, camminando verso la piazza. E lui era rimasto lì, da solo.
 
“Ragazzi... Siamo tutti qui?” domandò Adriano. Il suo sguardo carezzo i volti dei giovani, e poi anche oltre, accertandosi che Rocco ed Alice fossero lì.
“Stiamo per partire... Ceneride è praticamente una comunità costruita all’interno di un cratere vulcanico spento. La parte civile è situata sulle pendici interne ed al centro di esse si trova la Grotta dei Tempi, dove Groudon sta riposando. L’accesso alla grotta è uno, protetto da potenti guardiani che però sono stati messi abilmente fuori gioco...”.
“Che cosa è successo?” domandò Martino, a braccia conserte.
“Il Team Magma ha attaccato stanotte Ceneride, invadendo il posto con centinaia di reclute... Rodolfo è stato catturato stamattina, dopo una lotta di quattro ore contro i Magmatenenti. Ora si sono impossessati totalmente di Groudon...”.
“Prima possedevano una macchina per controllare il Pokémon” fece Silver. “Riuscivano a dirottarlo per creare terremoti. Forse avranno potenziato il macchinario per riuscire a controllarlo. Insomma... È arrivato da solo alla Grotta dei Tempi...”.
“È arrivato lì per un motivo specifico, Silver. Non è stato controllato. Nessun macchinario potrebbe controllare per molto un Pokémon dalla simile potenza...” sospirò Rocco, con le mani nelle tasche e lo sguardo vitreo.
Alice guardò Fiammetta. “Sei pronta?” le chiese.
“Certo”.
“Dobbiamo varare una linea d’azione” concluse Martino, fissando Gold negli occhi.
 
E lo fecero. Si stavano dirigendo via cielo verso l’isola di Ceneride. Silver volava sul Metagross che Rocco gli aveva dato, assieme a Gold. Marina e Martino erano su Staraptor, Alice su di uno dei suoi Altaria. Adriano e Rocco, assieme a Fiammetta, erano sull’altro Metagross del Campione, quello cromatico. Crystal invece volava sull’Altaria che gli era stato consegnato da Alice qualche giorno prima, ed apriva le fila. Erano tutti divisi secondo le mansioni che avrebbero dovuto avere: Crystal si sarebbe dovuta occupare unicamente della cattura di Groudon e di Kyogre, con Gold e Silver a fare da scudo contro le reclute ed i Generali. Alice sarebbe stata in alto, a monitorare il tutto e ad intervenire ove mai ve ne fosse il bisogno. Martino e Marina sarebbero stati al servizio della popolazione in difficoltà mentre Fiammetta, Adriano e Rocco si sarebbero occupati Miriam, Lady Magma.
“È lei il fulcro di tutto. Lei è il Generale ed è da lei che partono gli ordini. In più è terribilmente forte, sia al livello di combattimento che come Allenatrice Pokémon” disse Rocco, in piedi con gli altri
“Sembra che tu la conosca molto bene” rispose Adriano, mentre il suo mantello bianco svolazzava sospinto dal vento.
“Oh” sorrise Fiammetta. “La conosce bene eccome... Quando ero più piccola, una decina d’anni fa, lei era la più bella del mio paese”.
“È di Cuordilava?” domandò l’uomo dal color acquamarina.
“Sì. Aveva un temperamento incredibile. Un po’ come Fiammetta, ma più forte, meno sensibile...” riprese Rocco.
“Un maschiaccio in pratica” sorrise Adriano.
“Per niente... Era dotata di una femminilità unica. Mi innamorai di lei irreversibilmente e, ancora oggi, se ci penso, mi salta il cuore in gola...”.
Rocco ricordava con un sorriso gli anni passati mentre Fiammetta scrutava il suo viso.
“Sai, Rocco. È strano, ma non ti conosco come vorrei”.
Adriano e Rocco si scambiarono uno sguardo, per poi fissare la rossa.
“Vorresti conoscermi?”.
“Sì. Vorrei conoscerti meglio. Sembravi una persona così fredda e invece esce fuori che anche un pezzo d’acciaio come te s’è innamorato”.
Rocco sorrise ancora e tornò a guardare dritto. “Ho sofferto molto per via di Miriam...”.
Fiammetta scambiò uno sguardo con Adriano, poi tornò a guardare il cielo.
 
“Stanotte, in ospedale...”. Martino cercò di guardare in viso sua sorella che stava alle sue spalle, ma poi tornò a fissare le nuvole che aveva davanti. “Quando ti sei messa sotto il braccio di Gold...”.
“Sì?” domandò Marina, distogliendo lo sguardo dalla nuca del fratello. L’ala destra di Staraptor batteva ogni tanto, sfruttando le forti correnti ascensionali, probabilmente anche la sinistra ma lei non la vedeva.
“Ti piace, vero?”.
Marina sorrise, anzi stridette come il gesso su di una lavagna, e poi colpì Martino dietro la schiena. “Ma che sei, scemo?!”.
“Riesci ad arrivare ad una nota più alta?”.
“Se ci provo sì...”.
“Comunque non mi hai risposto” sospirò il ragazzo, sistemandosi meglio la mascherina davanti agli occhi.
“Che dovrei dirti, Martino?! Che mi piace?! Che sono attratta da lui?! Che è un bel ragazzo?! Ma tu, poi, come fai a preoccuparti di una cosa del genere in questo momento?!”.
“Mi importa che tu stia bene. Gold è una testa di cazzo”.
“Non è vero” tuonò Marina, zittendo il fratello. “È un bravo ragazzo... Con quegli atteggiamenti che ha cerca nasconde la parte marcia della sua vita”.
“Nasconde la parte marcia?! Io solo quella riesco a vedere!”.
Marina sospirò. “Smettila di parlare così. Sta combattendo con noi una battaglia difficile ed ha già un piede in una fossa. Per via di quella maledizione, ecco”.
A sospirare stavolta fu Martino.
“Ormai sei grande... Solo... stai attenta. Conosco i tipi come lui e...”.
“Non lo conosci affatto”.
“Sì che lo conosco! E lo conosci anche tu!” urlò Martino, stringendo i pugni. “Tu non ricordi quella volta che ti ho raccolto fuori casa! Io avevo le mani sporche del tuo sangue! Per via di quel coglione!” sfogò tutta la sua rabbia agitando le mani in aria ed urlando. Si voltò poi, cercando di fissare gli occhi della sorella, bassi nel loro sconforto. La mano destra della ragazza premeva sul torace, sotto i ceni, dove quella cicatrice a tratti bruciava ancora.
“Non... non è stata colpa sua...”.
“Lo è stata invece! Doveva stare con te! Doveva proteggerti! Non doveva fare il coglione!”.
“Ma lui come poteva saperlo?!”.
“Non cambierò mai idea, Marina...”.
Alché la castana esplose. “Tu non hai alcun diritto di porre divieti o altro! Sono maggiorenne e vaccinata e tu sei sempre qui a mettere bocca!”.
“Io mi preoccupo per te!” urlava Marino, a pochi centimetri dalla faccia della sorella.
“Nessuno te lo ha chiesto!”.
E la voce di Marina si perse tra le nuvole.
Martino voltò nuovamente il viso e sentì sbuffare sua sorella. “Non voglio vederti stare male. Ho avuto paura di perderti...” fece, combattendo contro l’istinto di piangere, perché gli uomini non possono piangere. Loro sono forti e non possono mostrarsi vulnerabili.
“Io credo di essermi innamorata di lui, Martino...”.
E come una pugnalata dietro la schiena, quelle parole lo attraversarono da parte a parte. Entrarono tra le scapole, affondarono il colpo, girarono il coltello nella piaga e fu estratto pieno di sangue e pensieri.
“Ok...”.
“Non voglio che tu ci vada d’accordo o altro, né niente, anche perché lui mi vede come la donna più brutta del mondo e pensa a Crystal. In più passa Fiammetta davanti e tutto diventa più complicato...”.
E qui Martino sorrise, amaramente. “Abbiamo altro a cui pensare adesso”.
“Già...” sospirò la ragazza. “Altro”.

 

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Capitolo 43
*** Capitolo Trentacinquesimo pt. 1 - Prayers ***


Prayers pt. 1



Ceneride era semideserta.
E non solo perché la gente ancora doveva svegliarsi. D’altronde era la Vigilia di Natale e non tutti lavoravano. I bambini erano ancora nelle loro case, ignari di tutta la situazione, ancora nei loro letti. Solo Ted Winckler, sette anni e lentiggini sul naso, era affacciato alla finestra, con aria sbalordita.
Tante persone dalle divise nere e con in petto una emme rossa giravano con aria arcigna per le strade dell’isola.
Erano ovunque.
Giravano con accanto grossi e potenti Pokémon, vari Houndoom, Arcanine e Magmar, ma anche altri Pokémon. C’era grande movimento nella zona centrale dell’isola, vicino la Grotta dei Tempi. Lì, la maggior parte di quegli individui si era disposta come a formare una grande barriera nera, per non far passare nessuno.
Forse era stanco. Sì, forse era soltanto il sonno che alle sette di mattina era ancora tanto, difatti vide Pokémon e persone volare, atterrando proprio davanti la Palestra di Adriano.
Si rimise sotto le coperte e si riaddormentò.
 
“Sono là!” urlò Gold, fissando uomini in nero che sostavano mastodontici davanti l’ingresso della palestra.
A tre metri dal suolo, il moro saltò dal Metagross di Silver, piazzando un diretto destro sulla mascella di quello a sinistra.
Metagross atterrò pesantemente, lasciando solchi profondi sotto i suoi arti metallici e Silver  atterrò elegantemente, mano alla cintura e Pokéball in mano.
“Dov’è Andy?” domandò il fulvo con calma, fissando negli occhi l’avversario che Gold ancora doveva abbattere.
“Rispondi!” urlò quest’ultimo, massaggiandosi le nocche.
La Recluta indietreggiò lentamente, aprendo la porta della Palestra e sparendovi all’interno.
Gold guardò Silver ed annuì, vedendo poi atterrare tutti gli altri a pochi metri da loro.
“Dividiamoci!” urlò Fiammetta, spostando una ciocca dei suoi lunghi capelli dal volto.
Proprio in quel momento una grossa scossa di terremoto ridestò gli animi dei ragazzi; alle 7:49 del 24 dicembre la terra tremò, in maniera esagerata.
“Questo è Groudon!” esclamò Crystal, fissando Alice con grinta.
“Ed è nella Grotta dei tempi. Dividiamoci! Dobbiamo cercare di liberare la palestra, probabilmente lo stanno utilizzando come quartier generale. Silver e Gold, questo sta a voi...” disse Alice, che avrebbe osservato la situazione dall’alto, per poi intervenire prontamente in caso di necessità.
E poi un’altra potente scossa smosse le fondamenta dell’isola. Improvvisamente il cielo s’annuvolò e la pioggia prese a scendere rabbiosa. L’acqua del lago sul quale Ceneride si specchiava cominciò ad incrinarsi, e subito quaranta Gyarados infuriati fecero la propria comparsa.
Erano selvatici, alti come torri, iracondi ed aggressivi.
“Dannazione...” sospirò Fiammetta, che di quei Pokémon aveva sempre avuto paura. S’avvicinò inconsciamente a Rocco, prendendole il braccio, facendo aderire il suo corpo a quello del Campione.
“Martino! Marina! Questi sono per voi!” urlò Adriano, voltandosi rapidamente. “Intanto io, Fiammetta e Rocco ci recheremo nella Grotta dei Tempi. Buona fortuna, ragazzi!”.
Gold guardò Crystal annuire e sorridergli, poi abbassò lo sguardo e si voltò, seguendo Silver nella palestra, sbattendo la porta.
 
I due Ranger erano rimasti davanti ai grandi Gyarados.
“Sono più di quaranta...” diceva Martino, totalmente immobile, mentre la pioggia li bagnava dall’alto, inesorabile. Il ragazzo abbassò gli occhialoni e non si perse d’animo, mentre un grosso tuono cadde dal cielo, disperdendosi oltre la corona delle pendici vulcaniche.
“Dobbiamo... dobbiamo. Dobbiamo?” chiese poi a sua sorella.
“Che razza di domanda è?! Certo che dobbiamo! Forza un po’!” fece Marina, abbassando a sua volta gli occhialoni e chiamando Staraptor con un fischio.
“Giro io. Tu distraili in volo” fece al fratello.
“Marina. Stai attenta a tutto”.
“Cazzo, vai!” urlò, spingendo il fratello. “Pichu, resta con me!”.
Martino salì sul Pokémon Volante e partì verso il cielo; gocce congelate s’infrangevano sul suo viso, baciavano la sua pelle e bagnavano i suoi capelli. Il ragazzo stringeva le braccia attorno al collo di Staraptor, carezzando le morbide piume corvine del Pokémon, sospirando.
S’avvio verso il lago, dove gli enormi Gyarados stavano ruggendo e sparando colonne d’acqua in aria, che ricadevano giù assieme alla pioggia, imbastardite.
“Ecco...” sospirò Martino, annuendo.
“Dobbiamo cominciare col catturarne uno! In questo modo potrò avvicinarmi di più!” urlò sua sorella. Pichu salì sulla sua spalla e lei cominciò a carezzare lo Styler.
“Ce la faremo, Pichu. Sicuramente ce la faremo” sorrise audacemente. Vedeva Martino fare slalom tra quegli enormi esseri marini; con quegli occhialini abbassati pareva un aviatore. Intanto bombe d’acqua e tentativi di abbattimento venivano effettuati dai Gyarados infuriati, sfiorando per pochi metri l’agilissimo Staraptor. Martino vedeva raggiungersi rapidamente da attacchi di ogni tipo. Era a quindici metri dalla superficie del lago; cadere da lì significava morire.
“Staraptor, dobbiamo isolare lentamente un esemplare, e catturarlo” disse il castano, piegando sulla sinistra per evitare che uno dei Gyarados lo colpisse con l’Ira di Drago.
Poi, più distante, un esemplare più piccolo sembrava isolato. Più piccolo significava meno di quindici metri, ma rimaneva lo stesso un palazzo di sette piani.
“Staraptor, attacchiamolo da lontano!” fece, concentrato. Abbassò lentamente lo sguardo, vedendo un attacco Idropompa diretto verso di lui.
“Porca puttana, Staraptor!” fece quello, virando verso destra. Accelerò velocemente e poi vide il Pokémon utilizzare Eterelama. L’attacco prese di sorpresa il Gyarados, che tentennò qualche secondo, il tempo giusto per permettere a Martino di utilizzare il suo Styler.
Lo Styler girò sei volte attorno al frastornato Gyarados, almeno prima che l’acquisizione fosse completata.
“Ecco fatto! Raggiungi Marina sulla sponda del lago!”.
 
Silver e Gold si chiusero la porta alle spalle e subito misero mano alle Pokéball. Blaziken per Gold, Grovyle per Silver, avanzavano tutti e quattro con l’orecchio lungo, guardandosi attorno.
L’interno della palestra era stato devastato, con intere pareti demolite e pavimenti sfondati.
Qualche tubatura doveva essere stata distrutta, difatti l’acqua era stata riversata sul pavimento e si era congelata a contatto con il sistema di raffreddamento delle mattonelle, il sistema originario di raggiungimento del Capopalestra creato da Adriano.
“Attento...” sussurrò Silver, vedendo crepe enormi nel pavimento. “Giù c’è un altro piano, e adesso dobbiamo indagare su cosa stia succedendo qui. Andrò di sotto e tu controllerai qui”.
Gold annuì e vide i suoi occhi di ghiaccio sparire dietro il sipario delle palpebre. Subito dopo Silver saltò giù.
Fu invece Gold ad avanzare lentamente. Non era sicuro di camminare su quel pavimento, gli pareva di attraversare un ponte fatto di fogli di carta bagnati. Poggiò piano il piede sul pavimento sporco di fanghiglia, data dalla polvere di cemento e dall’acqua delle tubazioni, e vi stabilizzò il peso.
“Uff... Un altro passo. Almeno fino alla piazzola...” diceva, senza rendersene conto, quando il soffitto sulla sua testa crollò, dando spazio ad una grossa lingua di fuoco.
Un uomo, una statua, alta e massiccia e dalle grandi leve era apparso. Capelli neri, lunghi, ricci, cappuccio nero sulla testa ed un grande esemplare di Infernape davanti a lui.
“E tu chi saresti?!” esclamò Gold, indietreggiando lentamente.
Quello sorrise, mostrando quei denti bianchi e splendenti. Possedeva una muscolatura davvero sviluppata, rendendolo ancora più grosso di quello che non fosse già. La sua mascella era imponente, le sue braccia belle doppie, le sue mani parevano giganti-
“Io sono Ottavio. Sono un Magmatenente”.
“Un altro?! Non c’erano soltanto quei due modelli?!”.
Ottavio rise, schernendo Gold e facendolo irritare. “Già. Ma non hanno la mia sostanza...”.
“Infatti. Qui sembrano essere tutti bellissimi; tu invece sei un... obbrobrio? Cioè... Guardati!”.
Ottavio guardò fisso il suo avversario, affondandolo con i suoi occhi neri.
“Sei sempre così dispersivo?”.
Gold inarcò un sopracciglio. “Non capisco a cosa tu ti riferisca, Hulk”.
“Non sei in grado di fissare dritto il tuo obiettivo. Ma io sì! Vai, Infernape, colpisci!”.
Ottavio puntò il dito contro Gold, che saltò un paio di volte indietro, non curandosi del pavimento fradicio e pericolante.
“Blaziken!” urlò quello, vedendo il suo Pokémon saltare balzare velocemente avanti.
Infernape era partito con il pugno destro tirato indietro, pronto a colpire. La sua chioma si librava velocemente verso le sue spalle.
Blaziken invece lo intercettò velocemente in avanti.
“Calciardente!” urlò Gold, con grinta.
Il Pokémon di Fiammetta era rapido, e fece partire un calcio infuocato in direzione del volto dell’avversario, che però era ancor più rapido.
Si svincolò dall’attacco, abbassandosi rapidamente.
“Infernape, vai con Zuffa!”.
“No!” urlò Gold, vedendo il proprio Pokémon esposto, nel tentativo di recuperare la posizione dopo il calcio sferrato ai danni dell’avversario.
Fu così che Infernape ebbe la porta spalancata per colpire con molteplici pugni e calci, dati in maniera disordinata, il proprio avversario. Blaziken ricadde per terra, crollando nel pavimento franato.
“No! Blaziken!” urlò Gold, fissando la crepa nel pavimento allargarsi. Ottavio rideva, spostando una delle ciocche ricce e corvine dal suo volto.
“Tu non sei adatto a quello che vuoi fare. Il tuo posto è in mezzo ai fighetti figli di papà”.
Gold rise amaramente. “Magari potessi definirmi figlio di papà. Io non so chi è mio padre”.
“Non crederai di volermi fare pena?”.
Gold scosse la testa. “No. Non ho bisogno di farti pena. Però... Beh, se ho mantenuto la testa alta fino ad ora con una tale cicatrice nel cuore, non sarai di certo tu a farmela abbassare”.
 
Silver camminava nei sotterranei della Palestra di Adriano, con l’acqua fino ai polpacci e la visibilità ridotta. I neon che erano attaccati al muro davano luce sporca ad intermittenza, lasciando parecchio spazio tra un’interferenza e l’altra, rimanendo spesso spenti.
Gold lo sfotteva, chiamandolo Il Ninja per le sue qualità sensoriali: l’udito sensibile, unito all’acuta vista che aveva ed al rapido sistema di ragionamento e reazione che possedeva, lo rendevano un ottimo combattente. Inoltre era agile, senza contare che aveva dei Pokémon fortissimi.
Silver avanzava, segnando in un taccuino tutti i particolari che poteva raccogliere. Sentiva gocciolare sulla sua sinistra, riconducendo la cosa ad una perdita. Sentiva i suoi passi avanzare, trascinati all’interno dell’acqua, sentiva anche quelli di Grovyle che gli era qualche passo indietro, e poi vedeva una rampa di scale ghiacciata a venti metri da lui: doveva raggiungerla e proseguire, nel tentativo di trovare Rodolfo.
I neon illuminarono tutto per brevi istanti, per poi far sprofondare tutto nuovamente nel buio più che totale.
“Un po’ più avanti potremmo finalmente uscire da questo lago, Grovyle” disse al suo Pokémon, che rispose con un cenno che Silver non poté vedere ma che percepì.
E poi si sentì una grossa esplosione al piano di sopra, che fece sospirare il fulvo. “Che diamine... Gold i guai se li cerca proprio...”.
I neon illuminarono di nuovo tutto, e stavolta per un secondo in più, che gli consentì di guardare oltre la scala: del fumo di condensa si alzava da una tubazione, ma non riuscì a capire da dove provenisse perché le luci si spensero nuovamente.
“No!” sentì urlare dal piano di sopra, quindi Silver si bloccò.
“Sta succedendo qualcosa a Gold...” sussurrò tra sé e sé, quando poi una grossa crepa nel soffitto lasciò cadere detriti di cemento ed acqua grigia, assieme al corpo malconcio di Blaziken.
Le luci si accesero nuovamente, vedendo il corpo di Blaziken totalmente sommerso d’acqua.
“No! Grovyle, dobbiamo aiutarlo!” fece Silver, voltandosi improvvisamente e sparendo poi nel buio, circostante, attorno al fascio di luce che proveniva dal foro nel soffitto.
Grovyle si gettò a capofitto sul Pokémon, sollevandolo. Era un tantino malconcio.
Silver lo guardò e subito prese una Ricarica Totale dal suo zaino, usandola sul Pokémon Vampe, quindi allungò l’udito, sentendo le parole di Gold.
 
“Magari potessi definirmi figlio di papà. Io non so chi è mio padre” diceva quello.
 
Silver abbassò lo sguardo, comprendendo i sentimenti che in quel momento attraversavano il corpo del suo compagno di sventura. Pure lui aveva vissuto per tanti anni con la consapevolezza di essere un orfano, senza sapere chi fossero i genitori che l’avevano messo al mondo. Aveva passato la sua infanzia in un orfanotrofio, e poi era stato prelevato da Maschera di Ghiaccio. Aveva legato con Blue, l’essere più materno che avesse a disposizione, era stato addestrato a rubare, a lottare.
Ad uccidere.
Per un uomo che non aveva mai nemmeno visto in faccia.
Silver era fuggito, ed in quel momento, con l’acqua fino alle ginocchia e gli occhi bassi, ricordò perfettamente il momento in cui incrociò lo sguardo di Gold per la prima volta.
Anche lui, come tutti gli altri del resto, lo avevano definito sbagliato.
Silver era stato frainteso nelle sue intenzioni ma a lui non interessava. Il suo obiettivo era un altro, e lo dimostrò col tempo, quando, contro Lugia, aveva unito i propri intenti con Gold.
Lo odiava in quel momento, lo avrebbe ammazzato. Rubava sguardi e parole a Crystal, e questo gli provocava un dolore nello stomaco, un fastidio, un bruciore unico.
“... se ho mantenuto la testa alta fino ad ora con una tale cicatrice nel cuore, non sarai di certo tu a farmela abbassare”. Sentì ancora Gold parlare con il proprio avversario, mentre Blaziken si stava rimettendo in sesto. Nonostante il fastidio che in quel momento provava per Gold, non avrebbe mai potuto cancellare l’affetto che provava nei suoi confronti. Così differenti, così simili.
Silver vide per la prima volta suo padre quando aveva tredici anni, e fino a quel momento lo aveva reputato il suo peggior nemico.
Lo aveva visto in faccia, odiato, mandato a fanculo e tuttavia quando scoprì di essere suo figlio rimase impietrito.
Aveva fatto di tutto, suo padre, Giovanni, per cercarlo.
Per poterlo riabbracciare.
Silver non sapeva se Gold avrebbe scoperto mai chi fosse realmente suo padre, e se lo immaginava sognatore, a pensarlo Campione di qualche Lega lontana, magari nei ghiacci perenni, rinchiuso nel suo cappotto nero e lungo, con gli occhi dorati ed il suo stesso carisma.
 
Non sarai di certo tu a farmela abbassare, la testa.
 
Quelle parole risuonavano nella scatola cranica di Silver come se due persone con la stessa voce di Gold gliele urlassero forte, uno a destra ed un altro a sinistra.
Gold era determinato, e nonostante ciò non si era chiuso in se stesso.
Era una testa di cazzo e su quello nessuno avrebbe potuto obiettare, ma il suo sorriso sfrontato ed i suoi occhi bene aperti non erano altro che parte di una maschera.
Proprio come quella che era costretto ad indossare Silver da bambino.
Nascondere il suo volto dietro una maschera di felicità, celare il dolore dietro un sorriso.
Bisogna essere forti per questo.
Riempire le proprie mancanze con le relazioni umane.
Bisogna saper reagire per fare queste cose.
Silver si era appena reso conto del fatto che Gold lottasse da molto più tempo di lui, e che necessitasse davvero di qualcuno accanto.
“Vai, Blaziken. Aiuta Gold”.
 
“Invece la testa te la staccherò a forza! La potenza del Team Magma è incommensurabile. Espanderemo la terra, creeremo nuovi habitat per umani e Pokémon ed abbatteremo chiunque si opporrà a noi!” urlava Ottavio, stringendo i pugni.
“Ma non riesci a capire che un mondo senza mare equivale alla morte?! Ci arrivo anche io che sono una zappetta!”.
Il Magmatenente sorrise e puntò il dito contro il suo avversario.
“Il tuo tentativo di fermare il Team Magma finisce qui. Infernape, usa Lanciafiamme su di lui!”.
Gold spalancò gli occhi e vide gli occhi di Ottavio illuminati da fiamme e brama assassina.
Infernape saltò davanti a lui e spalancò le fauci; un paio di zanne lunghe ed acuminate lasciarono spazio ad un’incandescente onda di fuoco, direzionata verso l’oro degli occhi del Breeder.
 
Addio mondo crudele.
 
“Vai Blaziken. Aiuta Gold” sentì, e poi vide una figura alta e forte stagliarsi contro le fiamme, allargando braccia e gambe, ruggendo con vigore.
Gold cercò di proteggere il torace ed il viso con le braccia, voltandosi dall’altra parte, sapendo che ormai la sua vita era finita: sarebbe morto, avrebbe lasciato sua madre da sola nella sua grande casa senza permetterle più di telefonargli arrabbiata perché non si facesse mai vedere dalle sue parti; le avrebbe lasciato l’incombenza pratica di dover raggiungere il cimitero più vicino e lasciargli fiori colorati, crisantemi odorosi, sotto l’ombra del cipresso.
La sua fantasia vagò, almeno prima di vedere quell’ombra crocifiggersi al suo posto.
Le fiamme sparirono qualche bollente secondo dopo, l’aria ritornò della normale temperatura e la figura che si era erta a difesa dell’Allenatore fu ricondotta proprio al suo Blaziken.
“Hey... Sei tu” sorrise Gold, totalmente incolume. Il corpo di Blaziken era rimasto diritto, totalmente indifferente alla forza del fuoco che era stata scagliata da Infernape.
Il giovane dagli occhi d’oro si rimise in piedi lentamente, quasi più incredulo di Ottavio. Questi, di fatti, già pregustava la vittoria.
“Il tuo Blaziken non è ancora fuori combattimento...” ringhiò lui, stringendo i pugni ed arretrando di qualche passo.
 
Marina vide arrivare un grande Gyarados.
Certo, non era tra i più grandi che in quel momento imperversavano nello specchio d’acqua scura ma era comunque qualcosa da cui partire.
“Scusami, Gyarados... Puoi abbassarti, così posso salire?” chiese, sentendo ruggire il Pokémon Atroce durante la sua manovra di abbassamento. Marina salì su quel palazzo con le branchie, seguita a ruota da Pichu Ukulele, mentre la pioggia aveva tinto l’aria attorno di un bianco fumoso; la superficie del lago sembrava esser colpita da milioni di bombe, almeno distante dai Gyarados, dove altrimenti pareva fosse un maremoto a distribuire quelle acque nere e profonde. Il cielo era sparito dietro strati e strati di nuvole ed il sole probabilmente era nascosto lì dietro, da qualche parte.
Alzò gli occhi per un attimo, quelle due gemme color nocciola, così vivide che sembravano pulsare, guardando suo fratello Martino schivare un grosso attacco Idropompa, che colpì in volto proprio uno dei Gyarados più vicini a Marina. Quello perse l’equilibrio, tentennando per la potenza del colpo.
“È l’occasione! Vai Styler!”.
Furono uno, due, tre, quattro giri, poi un quinto e ancora un sesto, e lo Styler confermò come la cattura fosse avvenuta.
“Ottimo! Fuori un altro! Proseguiamo! Non abbiamo tempo da perdere!”.

 

 

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Capitolo 44
*** Capitolo Trentacinquesimo pt. 2 - Prayers ***


Previously, on Hoenn's Crysis
 
Marina vide arrivare un grande Gyarados.
Certo, non era tra i più grandi che in quel momento imperversavano nello specchio d’acqua scura ma era comunque qualcosa da cui partire.
“Scusami, Gyarados... Puoi abbassarti, così posso salire?” chiese, sentendo ruggire il Pokémon Atroce durante la sua manovra di abbassamento. Marina salì su quel palazzo con le branchie, seguita a ruota da Pichu Ukulele, mentre la pioggia aveva tinto l’aria attorno di un bianco fumoso; la superficie del lago sembrava esser colpita da milioni di bombe, almeno distante dai Gyarados, dove altrimenti pareva fosse un maremoto a distribuire quelle acque nere e profonde. Il cielo era sparito dietro strati e strati di nuvole ed il sole probabilmente era nascosto lì dietro, da qualche parte.
Alzò gli occhi per un attimo, quelle due gemme color nocciola, così vivide che sembravano pulsare, guardando suo fratello Martino schivare un grosso attacco Idropompa, che colpì in volto proprio uno dei Gyarados più vicini a Marina. Quello perse l’equilibrio, tentennando per la potenza del colpo.
“È l’occasione! Vai Styler!”.
Furono uno, due, tre, quattro giri, poi un quinto e ancora un sesto, e lo Styler confermò come la cattura fosse avvenuta.
“Ottimo! Fuori un altro! Proseguiamo! Non abbiamo tempo da perdere!”.



Prayers pt 2


Adriano avanzava con passo svelto lungo le scalinate scavate nella pietra della sua città; Ceneride era il luogo dov’era cresciuto, dove da bambino era diventato un uomo.
Dove aveva cominciato ad apprezzare la bellezza dell’acqua, le sue sfumature. La sua trasparenza.
L’acqua era limpida, lo specchio della verità: nell’acqua non ci si può nascondere, non ci si può celare dietro a nulla; la trasparenza ti spoglia.
Ed una volta uscito dall’acqua sei bagnato, come se una volta emerso da quel liquido ti fossi trascinato la consapevolezza di essere pulito.
L’acqua era verità. Per questo Adriano l’amava.
Poi però pensava al Team Idro e capiva che l’acqua poteva anche essere sporcata. Sporcata di nera pece, di fango marrone.
Di sangue rosso e vivo, sgorgante da corpi innocenti e colpevoli.
E ricordava, Adriano, quando da piccolo correva su quelle scale assieme ai suoi amici, e vedeva le gerbere in fiore nelle fioriere di quelle abitazioni così caratteristiche.
Correva, saliva le scale e poi si fermava.
 
“Hey, Adriano, forza! Vediamo chi arriva per primo alla Grotta!”.
“No, Mirton, sai che non dobbiamo andare lì! Tua nonna non te l’ha mai detto?!”.

“Io non vivo qui, posso sempre dire che non sapevo che quel posto fosse proibito a noi bambini”.
“Ma io a Ceneride ci abito e se succede qualcosa mia madre mi mette in punizione... Mica sono qui in vacanza come te... E poi non sono solo i bambini a non potersi avvicinare alla grotta. Nemmeno gli adulti possono”.
“E chi può entrarci?”.

“Solo il Capopalestra ed il Campione possono entrare lì. Ed i guardiani”.
“Wow! Non ti piacerebbe diventare un guardiano?”.

“No, Mirton. Sarebbe noioso. Sai che noia a stare tutta la giornata lì a fissare il vuoto...”.
“Io voglio diventare Capopalestra, Adriano”.

“Anche io”.
“Io sarò più forte di te”.
“Non credo proprio!”.

“Un giorno c’incontreremo! Ed ora vediamo chi è che arriva per prima al Centro Pokémon!”.   
   
E per primo c’arrivò Mirton, lo ricordava bene.
Agile lo era, Adriano, ma Mirton era un portento. Pensava che forse avrebbe potuto dare una grande mano alla loro causa, se solo non si fosse trovato in quel di Unima.
“Hey...” sussurrò Rocco, con la sua voce fredda. I loro sguardi s’incrociarono muti e comprensivi, come se parlassero tra di loro senza farsi capire.
“Che c’è, Rocco?”.
“Sei preoccupato?” domandò poi, dandogli una pacca sulla spalla.
Adriano sospirò. “Questa volta non è come l’altra...”.
“L’altra eravamo messi peggio” rispose Rocco.
“Avevamo Ruby e Sapphire”.
“Sì, ma Gold e Silver sono nettamente più preparati, senza contare che Crystal è in grado di catturare qualsiasi Pokémon con alta precisione. Sarà semplice”.
Adriano vedeva il Campione camminare stringendo i pugni, mentre qualche passo indietro Fiammetta stava camminando a testa alta. “Andrà tutto bene” ripeteva, quasi spasmodicamente, facendo girare più volte Rocco verso di lei, costringendolo a sorridere.
“Siete troppo tesi. Se affronterete questa situazione in questo modo andrà male sicuramente”.
“Rocco...” sbuffò la donna di Cuordilava. “Ci stiamo giocando la vita di Hoenn. Non riesco a capire come faccia tu a stare calmo”.
Il Campione si fermò, rimanendo a meno di trenta centimetri dal volto della bella rossa, e le mise una mano sulla spalla. Crystal, qualche metro dietro di loro, spalancò gli occhi, non aspettandosi quello stop improvviso.
“Io credo in ciò che c’è di buono, Fiammetta. E so che la medaglia ha due facce. Nessuno ha mai stabilito che debba per forza uscire testa, oppure croce. È il caso che decide”.
“Non comprendo, Rocco...” si grattò la testa, lei, confusa.
“Chi ha stabilito che debba andare male?”.
“Arceus e la sua profezia” rispose brevemente.
“Beh. Noi oggi saremo più forti di Arceus”.
 
“Blaziken! Baldeali!” urlò Gold, con nuova speranza all’interno degli occhi dorati. Levò il New – era dalla testa e sistemò i capelli, almeno prima di puntare il dito contro l’Infernape avversario.
“Infernape, attento! Usa Tuonopugno!”.
“No! Non farai nulla!”. La grinta nella voce di Gold fu così forte da immettere nuova forza nei muscoli del Pokémon prestatogli da Fiammetta: quello accelerò, raggiungendo una velocità incredibile ed abbattendosi con foga contro l’avversario, creando un boato che costrinse Ottavio, l’Allenatore avversario, a spalancare gli occhi.
“Che diamine...” fece il Magmatenente, impressionato.
Infernape era per terra, steso supino e con il respiro trascinato.
Ottavio sgranò per bene gli occhi, quindi digrignò i denti, rabbioso. “Infernape! In piedi!”.
“È tutto inutile, Hercules!”.
Blaziken si rimetteva in piedi assai faticosamente, con un braccio praticamente fuori uso. Gold lo guardò, scambiò con lui un cenno d’intesa, e lo vide rimettersi in piedi.
“Blaziken! Non dobbiamo permettergli nemmeno di alzarsi! Usa subito Calciardente su di lui!”.
“Infernape!” urlò Ottavio, vedendo Blaziken saltare verso l’alto il Pokémon; la sua gamba si ricoprì di fuoco e, dopo una capriola, portò velocemente la gamba verso l’alto. Stava per abbattersi sul suo Infernape con una foga pazzesca, con rabbia e voglia di rivalsa.
“Ora! Focalcolpo!” urlò il Magmatenente.
Infernape stava concentrando tutta la sua energia nel palmo della sua mano destra. Non appena Blaziken si trovò a portata di pugno, il primate sferrò un pugno ben concentrato in pieno petto dell’avversario; quello fu sbattuto parecchi metri indietro dal colpo, preciso e forte.
“No! Blaziken!” strillò Gold. Il Pokémon sbatté sul muro alle sue spalle, fortunatamente senza provocare crolli. S’accasciò per terra, dolorante, ma ancora non demorse e si alzò.
“Attendiamo...” sussurrò Gold, basso sulle gambe, proprio come Blaziken.
Ottavio non capiva la strategia di Gold, si limitava a buttare attacchi su attacchi, ma alla posa statica dell’Allenatore di Johto s’incuriosì.
“Non capisco perché vi stiate ostinando a combatterci. Noi siamo gli eroi”.
“Ehm... Hercules... Non dire puttanate...” sorrise Gold.
“Mi chiamo Ottavio, te l’ho detto prima. E poi noi stiamo tentando di salvaguardare la terraferma e tutti gli umani ed i Pokémon che convivono in quegli habitat. Con l’espansione del mare la vita cesserà di esistere o sarà comunque un diritto per pochi...”
Gold fissava l’uomo dritto negli occhi, trovando abbastanza convincente il suo discorso: effettivamente se il Team Magma non ci fosse stato, tutto sarebbe stato sommerso dalle azzurre acque marine dell’oceano che circondava Hoenn.
Ottavio tossì, poi continuò il suo discorso. “Invece saremo noi a rubare spazio al mare, prosciugandolo e creando ancora più habitat per Pokémon e persone! Il nostro credo è questo!”.
Gold inarcò un sopracciglio, indossando un’espressione strana in volto.
“Hey, Hercules... Non sono propriamente un genio, ma capisco anche io che questo piano è di una stupidaggine assoluta. Bisogna mantenere l’equilibrio” disse, digrignando poi i denti durante una fitta dolorosissima al petto.
“Io non starò qui a vedere il nostro sogno venir sommerso. Io lotterò per il mio sogno!” urlò Ottavio. “Infernape, usa Sottomissione!”.
Gold spalancò gli occhi; questi rilucettero abbaglianti in quel corridoio semibuio ed incantarono per un attimo il Magmatenente. Fu risvegliato solo dalle urla di Gold.
“Cazzo!”.
Fu così che il velocissimo Infernape si gettò su Blaziken, pressando le spalle del Pokémon con le ginocchia cominciando a colpirlo in volto con i pugni infiammati.
 Blaziken incassava ruggendo ed urlando.
“Liberati!” fece Gold, nuovamente.
“Non ci riuscirà! Ammazzalo, Infernape! Ammazzalo!” urlava furente e folle l’uomo dai lunghi e ricci capelli neri.
Infernape sembrava avesse due braci al posto degli occhi e continuava a colpire con foga il volto del suo avversario, rendendolo livido e sanguinante.
“Io credo in te! Dobbiamo riuscirci! Non possiamo perdere, Blaziken!”.
Forse fu quella grinta a permettere al Pokémon di liberare una spalla dal blocco di Infernape. Gold spalancò gli occhi, sorpreso e felice, e strinse i pugni. “Stramontante!”.
Blaziken lasciò partire un destro spaventosamente forte, che colpì in volto il suo avversario; questi sentì improvvisamente le forza venirgli meno e ricadde indietro, finendo sul pavimento con un tonfo sordo.
“Abbiamo vinto! Grande Blaziken!” urlò Gold, facendo rientrare nella sfera il proprio Pokémon. Ottavio invece guardava col volto schifato il suo Pokémon, facendo segno di no con la testa.
“Tu non capisci...”.
Gold sorrise nuovamente, sfidandolo. “Io capisco benissimo. Siete voi che non capite. Il meglio che possiate fare per gli esseri umani ed i Pokémon è smettere di creare problemi!”.
Infernape ritornò nella sfera ed Ottavio rimase immobile, coprendo con le sue spalle larghe il resto del corridoio.
Una forte scossa fece nuovamente tremare le pareti e fece agitare Gold, accentuando il dolore al petto. “Cazzo... Che male...” disse il ragazzo, piegandosi in due e tossendo, sputando poi sangue caldo e tendente al brunastro.
Ottavio, dal suo canto, parve non scomporsi minimamente. Strinse i pugni e chiuse gli occhi per un istante. Avanzò un passo, deciso e parecchio meccanico, come se fosse un automa a muoverlo, e poi ne seguì un altro.
Gold era inginocchiato, vedeva Ottavio avvicinarsi e sperava vivamente fosse per sorpassarlo ed andare via.
Invece i piedi dell’uomo si fermarono proprio davanti a lui. Gold pulì il sangue che gli colava dai lati della faccia con la manica della felpa, noncurante del fatto di sporcarla. Alzò poi gli occhi, incontrando la figura statuaria davanti al volto, cercando di scrutare nella penombra del suo viso lo sguardo maniacale che gli aveva rapito l’espressione.
“Tu non andrai oltre”.
 
Martino volava imperterrito sul suo Staraptor, maledicendo la pioggia, i Gyarados ed il giorno in cui aveva deciso diventare un Pokémon Ranger. Guardò Marina, ricordandosi il giorno in cui lei aveva deciso di voler diventare un Pokémon Ranger. Due anni ci vollero, anni in cui Martino tornava a casa e le spiegava di come avesse passato la giornata nella natura, assieme a Pokémon che aveva salvato da grandi incendi o da pericolosissime frane.
Lei lo ascoltava, seduta per terra a gambe incrociate, braccia a picchetto dietro il suo corpo, a sostenerla e occhi spalancati.
Gli occhi di sua sorella li ricordava alla perfezione: le sopracciglia erano arcuate, per aumentare ulteriormente il volume dello sguardo, di quelle due pietre color nocciola.
Il giorno in cui diventò anche lei un Pokémon Ranger, Raimondo, l’Area Ranger, non ebbe dubbi nel metterla in coppia con suo fratello. Entrambi diventarono il duo d’elite dell’Associazione Ranger nella regione d’Oblivia e questo migliorò ulteriormente il rapporto tra i due; in particolar modo aumentò l’ammirazione di Marina nei confronti dell’operato del fratello. Aumentò di pari passo anche la proiettività di Martino, soprattutto perché il fattaccio era già successo.
E adesso entrambi erano nella stessa situazioni di nove anni prima, quando lei aveva cominciato: Martino volteggiava in aria, cercando di salvare la pelle e distrarre una quantità di Gyarados al limite della verosimiglianza, carico di preoccupazioni per la pellaccia dura di sua sorella che, dal suo canto, poteva soltanto guardare alle gesta di suo fratello con sbalordimento ed ammirazione.
“Non dobbiamo fare in modo che Martino rimanga esposto per così tanto tempo! Dobbiamo fare presto!” urlava.
Aveva intanto acquisito altri sei Gyarados con l’utilizzo dello Styler, che la seguivano imperterriti. Sapeva di esser molto vicina al limite d’acquisizione del suo Styler, e sapeva che la situazione era particolarmente difficile, ma doveva in qualche modo riuscire a superare quell’ostacolo. Sapeva anche che i Gyarados fossero Pokémon molto iracondi e soprattutto potenti, in grado di provocare molti danni; l’azione diversiva di Marino stava impedendo ai Pokémon Atroce di attaccare abitazioni e civili.
Un’altra potente scossa di terremoto fece franare la parte destra dell’isola ed infuriare i Gyarados che cominciarono ad attaccare con Ira di Drago, anche tra di loro.
“Porco...” e stava diventando blasfemo, Martino, pensando ad Arceus ed ai suoi capricci che sembravano cozzare con la voglia del ragazzo di tornarsene nella sua bell’isoletta.
E poi un Gyarados si staccò dal gruppo, andando verso sua sorella.
“Che diavolo...?”.
Marina avanzava a 70 nodi, stringendosi ad uno dei corni del Gyarados che la stava trasportando; i capelli della ragazza erano portati indietro dall’enorme vento, ma erano bagnati per via del temporale che si stava abbattendo su di loro.
E poi vide un grande Gyarados che si stava scagliando con forza verso di loro.
“Aiutatemi, per favore!” urlò agli altri enormi Pokémon che aveva acquisito, vedendoli immediatamente stagliarsi davanti a lei. Lo sguardo di Marina si spostò un attimo verso Pichu, ansimante e stanco dopo l’ultimo, ennesimo attacco fatto contro quegli avversari tanto più grandi di lui.
Anche lui meritava una pausa.
“Dobbiamo indietreggiare un po’... Lasciamo che a fronteggiare l’avversario per ora siano i Pokémon che abbiamo acquisito...” fece lei, cercando di pensare ad una strategia.
Una strategia molto complicata. I Gyarados in acqua erano molto più avvantaggiati di lei, ergo le serviva qualcosa di rapido ed efficace. Guardò per un’ultima volta Martino, vedendo poi uno dei suoi Gyarados ricadere esanime lateralmente, schiantandosi contro lo specchio acquatico in cui si trovava ed alzando una grande quantità d’acqua.
Martino aveva inviato lo Styler, e la pioggia continuava a cadere. Stava acquisendo qualche Gyarados, fortunatamente aveva già cominciato a disfarsi in questo modo dei nemici. Un altro dei suoi baluardi difensivi ricadde in avanti, senza forze, mostrandole il mostruosissimo avversario che avevano davanti: era parecchio più grande degli altri Gyarados. Sicuramente era più grosso dei suoi.
Lo vide ruggire e spalancare le enormi fauci: ognuno degli enormi e acuminati canini erano ricoperti da bava e sangue secco. Gli occhi del Pokémon erano iracondi e rossi, pieni di rabbia.
Martina lo vide gettarsi a capofitto contro un altro dei baluardi che si era posta davanti con una violenza immane, colpendolo ripetutamente con la testa.
“Un... un attacco Colpo...” disse lei, tra due sospiri, con gli occhi spalancati e la bocca semischiusa.
Il grande Gyarados si abbatteva a capofitto sul corpo del suo simile, molto più piccolo. Un colpo lo diede sul capo di quello, sfondandogli mascella e parte del cranio. Un urlo di dolore si levò in alto nel cielo buio che sovrastava Ceneride.
Un altro colpo fu incassato sempre nello stesso punto, ammazzando immediatamente il povero e malcapitato Gyarados, che ricadde senza vita verso sinistra, abbattendo un altro esemplare, che poco dopo scappo in basso, nelle profondità del lago.
Il corpo morto del povero Gyarados rimase a galleggiare brandito dalle onde agitate del lago, ma quel leviatano non aveva ancora soddisfatto la sua sete di sangue e si gettò nuovamente sul torace lungo e serpentiforme di quel contenitore di organi senza vita, spaccandolo a metà nel suo centro.
Ne risalì, sporco del sangue derivato da quella follia fratricida.
Marina non aveva mai visto una situazione simile: la rabbia di un Pokémon simile era davvero smisurata. Aveva smembrato senza pietà un suo simile, cominciando ad attaccare il prossimo obiettivo.
E lentamente li aveva sconfitti tutti; Marina li aveva visti crollare come torri di carte al primo soffio di vento. Ora si avvicinava all’ultimo Gyarados, quello con in groppa Marina. Lo sguardo sanguinario ed assassino peggiorava ulteriormente quella sensazione di pericolo ed ansia che era stata provocata dai pezzi di carne e sangue che colavano dalle fauci di quel palazzo azzurro con le branchie.
Ruggiva, quello, gridava; si lamentava, ed il cielo sembrava ascoltarlo, cercando di lenire le sue ferite dell’anima con la pioggia fitta e torrenziale.
Poi, all’improvviso, si gettò contro Marina ed il suo Gyarados, di molto più piccolo.
“Dannazione! Pichu!” urlò Marina, ragionando in fretta. Il piccolo roditore, con l’ukulele azzurro a tracolla, fece un balzo notevole, portandosi ad un paio di metri da Marina, e lasciò partire un forte attacco Fulmine dalle sacche nelle sue guance. Investì completamente il Gyarados avversario, provocandogli spasmi dolorosi.
Martino da lontano vide l’enorme luce luminosa provocata dall’attacco di Pichu e si stupì: non aveva mai visto il suo Pichu emanare tanta energia in un attacco. La bestia soffriva l’attacco, il dolore della scarica elettrica, gli spasmi muscolari sembravano essere infiniti e poi spalancò gli occhi, riprendendo il controllo del suo corpo; Pichu era ancora in aria quando il grande serpente marino si liberò dall’attacco. Offeso dal fendente elettrico del piccolo topolino sparò un’enorme sfera infuocata, colma di rabbia e risentimento.
“Ira... di... Ira di drago” ragionò Marina, vedendo Pichu venir colpito e sparire all’interno di una grossa esplosione, almeno prima di ricadere esanime sulla terra ferma, quasi trenta metri dopo.
Marina era sguarnita. Doveva ragionare.
Non avrebbe potuto lanciare lo Styler, con la foga di quel Gyarados sarebbe stato distrutto in un niente. Ed in quel momento era la sua unica arma.
Non avrebbe nemmeno potuto combattere, dato che non era un’Allenatrice, e saltare in acqua era fuori discussione dato che non sarebbe riuscita a nuotare più velocemente di quel mostro.
Alzò gli occhi, giusto per un secondo, cercando e trovando lo sguardo preoccupato del fratello, poi l’ennesimo urlo di quel Pokémon gigantesco attestò l’inizio della sua offensiva.
Si scagliò veloce contro di lei, contro il suo Gyarados, con le fauci spalancati, probabilmente mirando ad utilizzare nuovamente l’attacco Colpo.
“Sono fritta...”.
Era pronta a saltare, era l’unica possibilità di sopravvivere. Un altro salto, un altro grande salto, forse le sarebbe andata lo stesso bene.
Caricò il peso sulle gambe e cercò di aprire velocemente lo zaino, per tentare di salvare lo Styler infilandovelo dentro, ma poi vide una grande massa argentea esplodere sul viso del Gyarados avversario, lasciando Marina totalmente esterrefatta.
 
Una goccia d’acqua continuava a perdere da qualche tubazione.
Gold ricevette un forte calcio dritto nel costato ed il dolore divenne così intenso da sembrare quello di un milione di spilli conficcati nelle pupille.
Il ragazzo urlò, poi gemette e si piegò ulteriormente in due, tossendo e sputando sangue, che prese a colargli dalla guancia.
“Tu non fermerai i piani di rivoluzione del Team Magma. Nessuno può fermarli. Né tu, né tantomeno il Team Idro. Attueremo il nostro piano e grazie al controllo di Groudon lo faremo oggi stesso. Il processo di Archeorisveglio è praticamente ultimato, ancora poco e uscirà dalla Grotta dei Tempi, ed Andy lo controllerà con la Sfera Rossa”.
Gold tossì ancora, provando incredibile dolore all’addome ed al costato. I respiri sembrarono essere faticosissimi ed i suoi occhi parvero luci abbaglianti nascoste da due feritoie sottili.
“Non... non ci riuscirete...”.
Ottavio si abbassò ed afferrò per il collo Gold, sollevandolo da terra di trenta centimetri. Sembrava possedere una forza senza eguali.
“Ci riusciremo eccome” rispose l’uomo, regolando con forza la stretta attorno alla gola del ragazzo. Gold tossiva, cercando di liberarsi dalla presa, ma inutilmente: le dita attorno al suo collo erano serrate con così tanta forza da non lasciargli alcuna speranza di fare in modo che quello mollasse la presa, anche costringendolo piegandogli le dita.
L’aria intanto non passava, e la testa pareva scoppiasse.
E poi la mano di Gold, lottatrice per la libertà del proprietario, almeno fino a quel momento, desistette e ricadde quasi morta, lungo il suo fianco.
“Voglio sentirti pregare per la tua vita” tuonò l’uomo, vedendo le mani di Gold indebolirsi.
 Ottavio sorrise, osservando come gli occhi dorati del ragazzo spegnersi lentamente, come se qualcuno avesse giustamente calato il palcoscenico alla fine di un’opera.
 


 
 
 

 

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Capitolo 45
*** Capitolo Trentacinquesimo pt. 3 - Prayers ***


Previously, on Hoenn's Crysis


Una goccia d’acqua continuava a perdere da qualche tubazione.
Gold ricevette un forte calcio dritto nel costato ed il dolore divenne così intenso da sembrare quello di un milione di spilli conficcati nelle pupille.
Il ragazzo urlò, poi gemette e si piegò ulteriormente in due, tossendo e sputando sangue, che prese a colargli dalla guancia.
“Tu non fermerai i piani di rivoluzione del Team Magma. Nessuno può fermarli. Né tu, né tantomeno il Team Idro. Attueremo il nostro piano e grazie al controllo di Groudon lo faremo oggi stesso. Il processo di Archeorisveglio è praticamente ultimato, ancora poco e uscirà dalla Grotta dei Tempi, ed Andy lo controllerà con la Sfera Rossa”.
Gold tossì ancora, provando incredibile dolore all’addome ed al costato. I respiri sembrarono essere faticosissimi ed i suoi occhi parvero luci abbaglianti nascoste da due feritoie sottili.
“Non... non ci riuscirete...”.
Ottavio si abbassò ed afferrò per il collo Gold, sollevandolo da terra di trenta centimetri. Sembrava possedere una forza senza eguali.
“Ci riusciremo eccome” rispose l’uomo, regolando con forza la stretta attorno alla gola del ragazzo. Gold tossiva, cercando di liberarsi dalla presa, ma inutilmente: le dita attorno al suo collo erano serrate con così tanta forza da non lasciargli alcuna speranza di fare in modo che quello mollasse la presa, anche costringendolo piegandogli le dita.
L’aria intanto non passava, e la testa pareva scoppiasse.
E poi la mano di Gold, lottatrice per la libertà del proprietario, almeno fino a quel momento, desistette e ricadde quasi morta, lungo il suo fianco.
“Voglio sentirti pregare per la tua vita” tuonò l’uomo, vedendo le mani di Gold indebolirsi.
 Ottavio sorrise, osservando come gli occhi dorati del ragazzo spegnersi lentamente, come se qualcuno avesse giustamente calato il palcoscenico alla fine di un’opera.

Prayers pt. 3
 


G
yarados fu spinto in acqua da una potentissima sfera di energia argentea, proveniente dal cielo. La luce che emanava veniva riflessa sul volto bagnato dall’acqua di Marina.
Ci fu la deflagrazione e poi il silenzio: i Gyarados zitti, nessun grido, nessun ruggito, soltanto le onde del bacino di Ceneride che s’agitavano qua e là, e la pioggia che sembrava lanciare minuscole ed acuminate frecce dalle nuvole.
Questi i minuscoli ed impercettibili rumori a riempire la loro mente per quegli interminabili tre secondi che quell’enorme Gyarados impiegò per abbattersi sulla superficie del lago, alzando grandi onde.
Martino guardò la scena da lontano, quasi rimanendo incantato da quella scena, senza comprenderne il motivo.
Forse fu la monumentalità del momento, forse semplicemente la maestosità perduta di quel Gyarados gigante, colpito da quell’oggetto misterioso.
Poi il Ranger guardò il volto spaesato della sorella, almeno prima che il ruggito di uno degli altri Gyarados non lo risvegliasse.
“Forza!” urlò Martino ai Pokémon che aveva catturato con lo Styler. “Attaccate!”. La rabbia nella voce del Ranger risuonò per tutta la valle di Ceneride, facendo eco e venendo a contatto col profondo dell’animo di sua sorella, ancora in piedi sul Pokémon che aveva acquisito:
 
Martino ci mette impegno nel proteggere la gente. Martino ci mette vita. Per la vita degli altri.
 
Un urlo proveniva dall’alto, dove la pioggia cadeva ancor più fitta; Marina alzò gli occhi per vedere cosa avesse causato la temporanea sconfitta di quel Gyarados feroce, ma l’acqua s’abbatteva forte sui suoi occhialini, fitta, non permettendole di mettere a fuoco nulla.
“Oh, dannazione...” sospirò. Aveva voglia di un bel bagno caldo, Marina, di una tazza di tè ai frutti rossi e poi di una serata passata a vedere Grey’s Anatomy mentre suo fratello si lamentava perché voleva guardare Breaking Bad.
Invece si ritrovava ad essere un pelino vicino alla morte, o almeno più di quanto avrebbe voluto, sotto la pioggia battente e con i capelli ed i vestiti fradici.
Il Gyarados si rialzò ruggente, ancor più iracondo se possibile; l’acqua che cadeva dal suo corpo pareva mitragliata in acqua da un plotone d’esecuzione. Il suo volto era ferito e sanguinante su tutto il lato destro, provocato da quel misterioso fenomeno argenteo. Ancora sangue colava dall’orbita dell’occhio offeso, ormai chiuso e livido, e dalla guancia, scendendo verso il basso e gocciolando dal mento ossuto, sporcando il canino inferiore destro. Immaginava, Marina, un Pokémon senza autocontrollo, senza un briciolo di cervello per poter ragionare, senza alcun freno e limite, così grande e così potente... così arrabbiato. Il sapore del suo stesso sangue non avrebbe fatto altro che raddoppiare il lui quella terribile furia omicida.
Gyarados spalancò le fauci, nella sua bocca cominciò a formarsi una luce bianca.
“Iper Raggio...” osservò la ragazza, con lo sguardo spento. Era molto più morta di quel che pensasse, se n’era appena resa conto.
E Martino non poteva fare nulla. Erano rimasti pochi altri Gyarados, attorno alla gran quantità di cadaveri che si era formata, squassando la superficie cristallina del lago nella baia di Ceneride. Il sangue aveva riempito lo specchio d’acqua, ed ora tutti quei Pokémon giganteschi lottavano nel loro stesso sangue, che si rigettava a riva con le onde.
Vide la luce nella bocca del leviatano, vide il volto di sua sorella e capì che quello dovesse essere un attacco Iperraggio.
“Marina!” urlò disperato, troppo lontano, troppo impotente ed infelice. “Vai via di lì! Spostati!”.
Ma era lontana, sua sorella, ed il rumore della pioggia, quello dei Gyarados, assieme al cuore che le batteva così forte nel petto, non le permise di sentire nulla che non fosse il suo respiro.
“Marina!” urlò ancora più forte, ancora più rabbioso, con le lacrime agli occhi. Ed i ricordi ripresero a fluire.
 
“Marina! Marina! Aiutatemi!” prese ad urlare Marino. Non avrebbe mai potuto dimenticare quella scena, la paura improvvisa che lo investì, la sensazione di vuoto che gli si era creata sotto i piedi ed il baratro in cui cadeva; tutto fermo, tutto immobile, tutto giù e loro lì, lei morente faccia a terra, il sangue a terra che usciva dal suo costato ed il suo vestitino, poche ore prima bianco, poi diventato rosso. Rosso sangue.
Gli occhi della ragazza erano semischiusi, come anche la bocca. Sentiva nel respiro della ragazza una pesantezza che non aveva mai ascoltato prima. Tuttavia era la debolezza nel suo sguardo che lo preoccupava.
“Mart... iuto...” farfugliava lei.
Il cuore batteva nel petto di suo fratello come un martello pneumatico, pareva quasi volesse uscire fuori, andare via, lasciare il suo corpo.
Subito s’inginocchiò, incurante d’aver affondato le gambe nel sangue che continuava ad uscire copioso dal corpo della ragazza. La girò, facendola stendere sulla schiena e vedendola tossire; un rivoletto di sangue prese a colare sulla sua guancia bronzea.
Ragionò così in fretta che quasi si stupì. Era solo, doveva agire velocemente, e la prima cosa da fare era portare Marina in ospedale. Oppure chiamare l’ambulanza.
Sì, decise che fosse la cosa migliore da fare. Prese il Pokénav ed effettuò la chiamata.
“Pronto! Aiutatemi! Mia sorella sta perdendo sangue dal torace! Sì, perde molto sangue!”.
Gli avevano detto di stare calmo e tenere la situazione sotto controllo, un’ambulanza stava arrivando immediatamente. Gli avevano anche detto di cominciare col primo soccorso. Gli avevano chiesto cosa vedesse.
E sinceramente non c’era null’altro che una fontana di sangue che riversava ampie quantità di sangue all’esterno del corpo. E poi qualcosa di lucido.
“C’è... c’è... un grosso pezzo di vetro... C’è un grosso pezzo di vetro conficcato nel profondo della ferita!” urlò piangendo il giovane, tenendo la testa della ragazza alzata, ancora debolmente lucida.
“Che devo fare?!”.
Gli venne spiegato che non avrebbe dovuto toccare minimamente il corpo estraneo presente nel corpo di sua sorella e che avrebbe dovuto detergere il sangue, pulire la ferita nei limiti del possibile con qualcosa di pulito e fare attenzione che la ferita non s’infettasse.
Doveva agire in fretta, posò per terra il Pokénav, mettendolo in modalità vivavoce. Cercò con lo sguardo un panno ma l’unico sotto mano era uno straccio buttato nel terreno. Una voce nella sua testa ripeté un paio di volte “Escherichia Coli”, poi riportò alla mente le parole della donna con cui stava parlando al Pokénav, che le spiegava come la ferita non dovesse infettarsi.
Marina tossì ancora, sentì la voce della donna che gli diceva di stare tranquillo e poi sospirò forte.
Stracciò il vestito sulla pancia della sorella, per avere una visuale migliore della situazione. Poi l’illuminazione: stracciò la manica della sua camicia con rabbia e paura e poi prese a tamponare la ferita. La camicia era bianca, proprio come il vestitino della sorella, ma non aveva le bruciature, e subito divenne rosso rubino.
“Marina, stai calma” piangeva lui, mordendosi le labbra e guardando il volto di sua sorella, sempre più sofferente, sempre più stanco. “Stanno arrivando i soccorsi! Tu non addormentarti e rimani con me!”.
“Sono... stanca...” disse lei, tossendo ancora sangue.
Martino inorridì. “No! Non provare ad addormentarti, brutta stupida! Non provare a lasciarmi da solo, non te lo perdonerò mai!”.
Passarono sei minuti. Sei minuti interminabili, sei minuti passati a tamponare la ferita. Il sangue fuoriusciva in maniera sempre minore ma la pozza sotto le ginocchia del ragazzo s’era allargata. Marina aveva quasi chiuso gli occhi ed il suo respiro pareva pesasse una tonnellata, tanto che il solo esalare un fiato sembrava essere una fatica immane per la ragazza.
Ed allo scoccare del sesto minuto sentì le sirene dell’ambulanza irrompere per strada. Ancora venti secondi, apparvero due infermieri che, velocemente, presero in braccio Marina per caricarla su di una barella. Martino piangeva, intanto stringeva la mano della sorella e le parlava, cercando di tenerla sveglia.
Arrivarono all’ambulanza.

“Devo salire” fece scosso, con la manica della camicia strappata e le mani e le ginocchia sporche di sangue.
“Le condizioni sono critiche. Farebbe meglio ad andare in ospedale ed aspettare notizie lì”.
“Io non posso lasciarla da sola!”.
L’infermiere accettò suo malgrado di farlo presenziare sull’ambulanza. Non che diede fastidio, anzi, Martino rimase silenzioso, a guardare gli occhi chiusi di spenti di sua sorella, prima che la addormentassero ed intubassero.
Arrivarono all’ospedale in un lampo. Scesero velocemente dall’ambulanza, ed entrarono nel grosso edificio. Oblivia era molto efficiente in fatto di sanità, difatti tutto pareva funzionare perfettamente lì. Due infermieri guidavano la barella velocemente, e Marino li seguiva.
“Starà bene mia sorella?! La curerete?!” domandò nervosamente.
L’infermiere si guardava attorno, urlando ordini ai tirocinanti. Si girò per un attimo e guardò Martino. “La situazione è parecchio grave”.
“Grave quanto?!” stava per piangere nuovamente il ragazzo.

“Abbastanza. Dai controlli effettuati sull’ambulanza sembra che la ragazza sia stata miracolata: il frammento di vetro non ha reciso i polmoni né alcun organo vitale limitrofo. Tuttavia ha perso una quantità incredibile di sangue ed ha riscontrato ustioni di secondo grado su alcune parti della cute”.
“Quindi?!”.
“Quindi adesso è un codice rosso, dovrà essere operata per l’estrazione del frammento di vetro e le dovrà essere inserito in circolo una buona quantità di sangue. Mi può dire il suo gruppo sanguigno?”.

“B negativo” sospirò lui.
“Molto raro. Ha dei parenti che possiedono lo stesso gruppo sanguigno? Chessò, i genitori della ragazza...” fece l’uomo con la divisa verde, spingendo il lettino.
“No. Loro non sono compatibili con lei. Lo sono io”.

“Lei è un donatore di sangue?”.
“Lo posso diventare”.
“Bene, le faremo avere i moduli nell’eventualità non dovessimo disporre di sangue di ricambio. Ora si sieda qui e si rilassi. Ci vorrà del tempo” fece l’uomo sparendo oltre una gialla con un segnale di divieto sopra. Martino fece per seguirlo, sbraitando parole che si schiantarono sulla superficie della porta di divisione dell’ospedale, oltre il quale Marina era sparita.
Almeno prima che un’infermiera gli si avventasse contro dicendogli che non poteva proseguire oltre. Martino fu costretto a mettere le mani sporche di sangue ai fianchi e ad abbassare la testa. Il braccio destro, scoperto e senza manica, si lasciò cadere debole lungo il lato del suo corpo, ormai al limite della sopportazione nervosa. Aveva lasciato il Pokénav sul pavimento della veranda, quindi andò in centralino, chiedendo di poter effettuare una telefonata.
“Mamma...”.
 
Ed avvertì i genitori.

Ed allora, proprio come in quel momento, Martino sentì la voglia di unire le mani e guardare il cielo. Di pregare Arceus, per salvare Marina.
Per salvarla di nuovo.
 
Gold stava lottando con tutta la forza che gli era rimasta, cercando di liberare il collo dalla presa inesorabile di Ottavio. L’uomo, dai lunghi capelli neri e gli occhi scuri, fissava con rabbia il ragazzo di Johto, stringendo sempre di più la morsa, chiudendo i cancelli al suo respiro.
E poi sorrise, quando vide le braccia di Gold cadere inermi al suo fianco.
Niente, Gold non respirava più, non sentiva più il suo fiato; soltanto lo sgocciolio rompeva il silenzio di quel posto.
“Sei feccia, ragazzo” disse l’imponente uomo. Lasciò cadere il corpo vuoto di Gold per terra, che si accasciò debole ed innaturale. “Nient’altro che feccia”.
E poi qualcosa accadde.
Ottavio lo sentiva, sapeva benissimo che le cose non potessero essere così semplici. L’ennesima scossa di terremoto fece tremare ulteriormente le pareti, ma a franare leggermente fu soltanto il pavimento, allargando ulteriormente il fossato che si era formato precedentemente.
Fu proprio da lì che apparvero Silver e Grovyle, saltando con agilità in avanti.
Il ragazzo aveva il volto basso. Alzò leggermente gli occhi, per incrociare lo sguardo stupito di Ottavio, quindi si perse sul corpo di Gold. Il fulvo ascoltava, il suo udito era sopraffino e tutti suoi sensi acuiti, tant’è vero che riuscì a vedere un debole movimento del torace del ragazzo dagli occhi d’oro.
Respirava ancora. Non era morto.
“Bene. Grovyle, occupati di Gold” disse Silver. Ma pareva che qualcosa non andasse. No, Grovyle non voleva lasciare il campo di battaglia; non voleva abbandonare Silver.
Doveva rimanere lì.
“Grovyle... tu...”.
Lo sguardo del rettile era fisso e serio. Non aveva alcuna intenzione di cambiare idea, anzi, dalle foglie sui suoi polsi fuoriuscirono minacciose due liane.
“Vuoi combattere. Bene, mi sembra giusto”.
Ottavio sorrise. “Sembra strano che il tuo Pokémon ti disobbedisca in questo modo... Cos’è, rosso, non hai tutte le medaglie?”.
Silver sorrise e guardò sott’occhio il suo Pokémon. “No. Non ho tutte le medaglie. In effetti mi mancano quattro medaglie, qui ad Hoenn. Ma sottovalutare un Dexholder in questo modo è veramente da stupidi”.
“Osi darmi dello stupido?!” esclamò divertito Ottavio. “I miei Pokémon mi rispettano! Mi temono! Sanno che tra me e loro, chi comanda sono io!” urlò poi.
“Ciò non fa di te un bravo Allenatore. E ad essere forti sono i tuoi Pokémon, perché tu non sai sfruttarne le capacità. Dall’odio nasce soltanto altro odio, te lo dico per esperienza”.
“Lottiamo” si pronunciò infine il malvagio.
In campo nuovamente Infernape. Ottavio lo sapeva: nonostante la stanchezza del suo Pokémon, la differenza di livello e la differenza tra tipi incidevano assai.
“Infernape!” mandò in campo Ottavio.
Grovyle fissava concentrato il suo avversario e cercava di captare ogni piccola alterazione del luogo campo di battaglia: le goccioline che cadevano dai tubi che pendevano dal soffitto, la luce che faceva contatto e poi l’acqua che cadeva nel grande fosso che c’era nel pavimento, finendo giù. “Grovyle... attento” lo avvertì Silver, vedendo il sorriso folle sul volto di Ottavio.
“Infernape! Distruggiamolo! Bruciamo l’erba secca con un Fuocobomba!” fece quello e vide poi quel malconcio Infernape balzare in aria e gettare sull’avversario una sagoma di fuoco con la forma di un uomo. Viaggiava incandescente, questa, luminosa e velocissima.
“Grovyle! Non dobbiamo farci colpire!” comandò Silver. “Schiva a sinistra!”.
Il Pokémon Legnogeco fece come ordinato, ed Ottavio vide svincolarsi Grovyle sulla sinistra e Silver sulla destra; l’attacco andò a schiantarsi con una parete, che crollò poco dopo, inondando di luce il lungo corridoio.
“Grovyle, dobbiamo attaccare da lontano. La precisione di quel Pokémon non è ottimale, e quindi non dobbiamo permettergli di avvicinarsi! Spargi attorno a te delle spore velenifere. Se si avvicina a noi è fottuto...”.
E così fece il Pokémon. L’aria che circondava Grovyle aveva una parvenza violacea, come se una pellicola sottile e colorata dividesse  i due contendenti.
“Non pensare che sia questo a mettermi in difficoltà” ghignò il malvagio. “Infernape passerà di lì senza problemi! Ruotafuoco!”.
Non si preoccupò del veleno, Ottavio, e vide sfrecciare il suo Pokémon come uno pneumatico infiammato, abbattendo il muro di spore e gettandosi su Grovyle con foga, gridando inferocito.
Silver analizzò velocemente la situazione e tutto parve quasi rallentare, all’improvviso.
E poi vide tutto tracciato nella sua testa: linee, semirette da seguire e direttrici da percorrere; tutta fisica, semplice movimenti da effettuare in un dato momento.
“Salta!” ordinò. Il Pokémon fece proprio come detto, e vide passare l’avversario sotto le sue zampe. Atterrò poi proprio al centro del corridoio, tra Silver ed Ottavio.
Infernape, invece, andò a schiantarsi con violenza contro una parete. E dall’impatto provocato, una piccola crepa si trasformò in una grande crepa, e s’allargò sempre di più, seguendo una linea distorta che portava al soffitto.
E che lo fece crollare. Proprio sopra Grovyle.
 
“Dragobolide!” sentirono urlare all’improvviso i due Ranger.
L’ennesima sfera argentata impattò contro quell’enorme Gyarados, che indietreggiò di parecchi metri per il colpo.
Marina non riuscì ad attribuire la paternità di quella voce a nessuno, almeno senza guardare in alto, direzione da dove effettivamente era partito quell’attacco, anche perché la pioggia continuava a scendere ingrata sulle loro teste e sul viso della ragazza.
Martino però era più lontano, e riuscì a intravedere ali di cotone su di un volatile celeste ed una donna su di esso, con il copricapo da aviatore in testa e gli occhialini abbassati sul volto.
Lunghe ciocche color lilla erano pregne d’acqua, ma la grinta di quella donna sembrava non avere pari.
Il grande Gyarados ripartì alla carica, con Colpo, tuffandosi letteralmente contro il Pokémon su cui Marina stazionava, senza riuscire a comprendere chi avesse realmente osato colpirlo con un attacco di quella lena.
“Attenta, Marina!” urlò la figura misteriosa, che si avvicinò velocemente verso di lei, in picchiata. Il Ranger sgranò meglio gli occhi, all’interno dei suoi occhialini, quindi fu in grado di mettere bene a fuoco l’immagine che le si era presentata davanti.
“Alice!” esclamò la giovane, guardandola.
“Salta!” urlò invece la Capopalestra di Forestopoli, avvicinandosi ad altissima velocità.
Il leviatano s’avvicinava con velocità e furia omicida, col volto interamente insanguinato e la rabbia negli occhi; il suo verso esprimeva morte.
Alice virò velocemente verso sinistra, con le ali di Altaria che si tesero come le ali di un aeroplano in discesa. Passò ad un metro dalla testa del Gyarados che Marina aveva acquisito con lo Styler ed allungò la mano verso la giovane, che tese la sua, col volto pieno di paura.
Le loro dita s’accarezzarono, poi i palmi si strinsero e quindi le mani si serrarono l’un l’altra.
Alice serrò le cosce contro i fianchi di Altaria e tirò forte Marina, che, a sei metri da terra, seguita da Pichu Ukulele, spicco l’ennesimo salto.
Martino seguiva sul dorso del suo Staraptor la scena, terrorizzato, impietrito, lontano quaranta metri; e probabilmente il suo cuore si sarebbe fermato se avesse continuato a guardare, sennonché un grande attacco Idropompa lo riportò immediatamente a prestare attenzione alla sua missione.
Difatti fu il piede di Marina a cedere, disgraziato, a non fare forza durante il salto, costringendola ad un debole balzo, non bastevole a piazzarla alle spalle di Alice. Furono proprio le loro mani gli ultimi ponti di collegamento tra le due.
“No!” urlava Marina, mentre cercava di aggrapparsi a qualcosa per evitare di cadere nelle acque insanguinate ed agitate. Alice la stringeva, più che potesse, con tutta la forza che aveva in corpo, ma poi sentì l’attrito tra le dita diminuire, le braccia bruciare ed il timore crescere esponenzialmente all’interno del suo petto.
Come un rimorso, ecco.
Il rimorso di non essere riusciti a tirare su la persona che si stava cercando di salvare; le dita persero ogni contatto, gli occhi di Marina si spalancarono repentinamente, abbinati ad un urlo sconvolto e preoccupato, colmo di paura.
Alice la vedeva cadere, verso il basso, sempre più veloce, e poi capì che doveva agire in fretta: infatti, se Marina fosse finita in quelle torbide acque rubine, il leviatano si sarebbe gettato impietoso su di lei.
Ed in acqua, i Gyarados erano in vantaggio.
In aria no. In aria lo era Alice, col suo Altaria.
E allora veloce, incurante della, pioggia, del vento e del Gyarados assassino che voleva sbranare tutto, Alice prese coraggio e si gettò in picchiata, veloce ed intrepido.
Altaria s’avvitò per prendere velocità, scendeva più veloce della pioggia che avevano sulla testa, ed il voltò d’Alice s’incupì nel fissare quello di Marina.
La paura, sul suo volto, null’altro.
“Acceleriamo, diamine!” urlò la Capopalestra, con le lacrime agli occhi.
Altaria sembrò mettere il turbo, accelerò ancora di più e la superficie dell’acqua s’avvicinava sempre di più. Marina piangeva, con le mani rivolte verso l’alto e gli occhi spalancati.
E la loro distanza diminuì, fino a quando Altaria addirittura la superò e Alice la cinse al petto; virata veloce e Marina si ritrovò dietro Alice, seduta e tremante.
 
Ottavio rideva quasi compulsivamente, rigonfiando il petto e riempiendolo d’ego. Era felice, aveva messo sotto torchio il suo avversario, quel ragazzo dai capelli rossi legati sulla testa, ed il suo Pokémon.
Grovyle stava sotto le macerie crollate dal tetto, dolorante e ferito nell’orgoglio.
Infernape affannava, visibilmente provato dalla doppia lotta.
“Bene. Adesso farai la stessa fine del tuo amichetto...”.
Silver inarcò un sopracciglio. “Non credo proprio”.
Ottavio si scagliò con furia contro l’avversario, caricando il pugno destro indietro e rilasciandolo rabbioso.
Silver, più rapido, schivò verso destra e vide passare l’avversario di fianco, quindi lo colpì con un grande calcio, dietro la schiena.
Ottavio atterrò con un tonfò sordo, scivolando di un paio di metri avanti.
“Non ha senso lottare. Ora sparisci da qui e dimmi dov’è Rodolfo” fece Silver.
Il Magmatenente si alzò lentamente, con la divisa nera e bagnata.  “Infernape!” urlò poi, e dalle spalle del fulvo apparve il Pokémon Fiamma, bloccando le braccia e la testa di Silver.
Ottavio ghignò e si avvicinò con passo deciso.
“Vediamo se incassi bene” sorrise.
Un pugno, e poi un altro, entrambi nello stomaco, entrambi dati con vigore.
Silver spalancò gli occhi, gemendo ad ognuno dei due colpi.
“Lasciatemi!” urlò poi con grinta, cercando inutilmente di liberarsi dalla presa del Pokémon di Ottavio.
“Zitto” tuonò l’uomo, colpendolo ancora. Guardò per terra e prese un grosso frammento di vetro appuntito e lo passò sul volto diafano di Silver; dapprima lo accarezzò, poi affondò nella guancia, segnando una linea rossa.
“Potrei pugnalarti. Già... potrei farlo”.
Ottavio rideva, con quel sorriso splendente e quel ghigno fastidioso, quindi caricò indietro il braccio col frammentò e fece per portarlo avanti, quando si sentì trattenuto.
Il Magmatenente spalancò gli occhi e si voltò repentino: il suo polso era stato trattenuto da qualcosa.
Guardò meglio, era una liana. Silver sorrideva mentre il sangue gli colava sulla guancia.
La luce s’attaccò velocemente, mostrando il volto di Grovyle dolorante ma ancor di più, rancoroso e furibondo: dal braccio che era rimasto libero era partita una liana che aveva bloccato l’attacco del cattivo.
“La differenza tra i miei Pokémon ed i tuoi” attaccò Silver. “... beh, la differenza è che loro vivono per me ed io per loro. Tu ed il tuo scimmione siete soltanto due individui parecchio confusi... Grovyle, grazie” annuì, non controllando una lacrima che lentamente prese a cadergli sul viso. Forse fu proprio quella lacrima a dargli forza e coraggio, e così diede un forte strattone ad Infernape, che, non aspettandosi la reazione, mollò la presa con facilità.
“Forza Grovyle!” urlò Silver e fu così che il corpo del Pokémon s’illuminò, cambiando dimensione. Il suo Allenatore spalancò gli occhi e schiuse la bocca, incredulo.
“Finalmente...” sospirò poi, sbuffando e tirando fuori un peso dall’animo che occupava spazio e dava fastidio. Le braccia di Grovyle s’allungarono, il suo torace divenne doppio e muscoloso ed il suo collo più lungo. Le macerie che lo ricoprivano si spostarono in corrispondenza ad ogni suo movimento, tant’è vero che un’innata energia venne sprigionata dal suo corpo non appena si rimise in piedi con vigore. La grande coda spazzò il pavimento, lanciando in aria detriti e calcinacci. Infine urlò, come se fosse stato liberato da un peso non indifferente.
“Sceptile...” sorrise Silver. “Bene! Vediamo un po’ che sai fare!” gli urlò, facendosi da parte.
Partì veloce verso di lui, schierandovisi davanti, a volerlo proteggere.
“Sei velocissimo... Proprio come ha detto il Professor Oak. Bene! Colpiamo Infernape con Attacco Rapido!” esclamò con grinta il fulvo, stringendo il codino sulla sua testa e fissando ogni sfumatura di quel momento, assaporandone ogni attimo con lo sguardo.
Il grande rettile si gettò a capofitto contro il primate di tipo Fuoco, non dandogli la possibilità di difendersi. La sua velocità era incredibile.
“Non finirà così!” ringhiò Ottavio, spostando una ciocca corvina dal volto. “Infernape, Fuocobomba!”. Poi tossì.
Il suo Pokémon caricò l’attacco e tirò il capo indietro, pronto per rilasciare il suo colpo, che in effetti partì. Nuovamente, la sagoma infuocata si dirigeva verso Silver e Sceptile ma, come avevano fatto precedentemente, la dribblarono entrambi con agilità, uno a destra e l’altro a sinistra.
“Bene! Concludiamola, Sceptile! Nottesferza!”.
E fu così che una lama di vento buia colpì in pieno torace Infernape. Esso, ormai esausto, s’accasciò per terra, chiudendo lentamente gli occhi.
Ottavio continuava a tossire, inginocchiato per terra, sempre più violentemente. Dalla sua bocca apparvero tracce di sangue.
Tossì nuovamente, con le lacrime agli occhi per via dello sforzo, poi si piegò ulteriormente, poggiando la fronte a terra; i capelli ondulati si poggiarono in una pozza d’acqua e polvere, mentre forti attacchi di tosse lo stavano tormentando.
“Che...” e poi tossì. “Che tu sia maledetto...”. Tossì per l’ultima volta e vomitò grandi quantità di sangue, per poi chiudere gli occhi e spegnersi per sempre.
Silver guardò Sceptile e vi si avvicinò, ben attento a stare lontano dalla carcassa di Ottavio.
“Ottimo lavoro... Se quando eri un Grovyle hai emesso spore tanto tossiche da uccidere un uomo, ho solo paura di immaginare cosa tu sia capace di fare adesso”.
Si gettarono a capofitto su Gold, poi, esaminando per bene la situazione.
“Respira” s’accertò il fulvo, con sollievo: il torace s’espandeva e si comprimeva, ed anche dalle sue narici fuoriusciva un fiato caldo e regolare. “Ha soltanto perso coscienza. Sceptile, fagli odorare qualcuno dei tuoi aromi, per fargli riprendere conoscenza”.
Ed il Pokémon così fece: detto fatto, Gold aprì debolmente gli occhi dorati e respiro un paio di volte a pieni polmoni; il volto di Silver fu la prima cosa che vide.
“Stai bene?” domandò quest’ultimo.
“Principessa... mi ha salvato lei?”.
Silver sbuffò. “Forse era meglio lasciarti svenuto...”.
Il moro si rimise in piedi sorridente, girando attorno al corpo morto di Ottavio, guardando poi Silver con sospetto. “Ma che hai combinato?!”.
“Io nulla”.
“E poi, un attimo... Sceptile s’è evoluto! Haha! Vecchio lucertolone, ero certo del fatto che saresti diventato una bestiaccia verde ed enorme!” sorrise Gold.
“Ora silenzio e proseguiamo. Dobbiamo trovare Rodolfo... potrebbe darci informazioni importanti” spense i toni Silver.
Passarono avanti, continuando a camminare e portandosi verso l’interno dell’edificio, e ancora più in fondo, sempre più dentro, arrivando all’altare dove di solito il Capopalestra stazionava aspettando gli sfidanti.
Rodolfo era steso sul pavimento, faccia a terra, con i capelli impastati con sangue e polvere di cemento. Una grossa macchia rossa si espandeva dal suo corpo, colava sugli scalini e si mischiava alle pozze d’acqua sporca.
Diventata ancora più sporca.
 
“Dobbiamo catturarlo” disse Alice, concentrata sul proprio obiettivo. “Altrimenti si rialzerà sempre. I Gyarados sono i Pokémon dell’orgoglio”.
“Lo so” rispose Marina, stringendo la Capopalestra in vita. “Diventare forti Gyarados essendo in precedenza dei deboli Magikarp deve dare motivo d’orgoglio. In questo caso però c’è una rabbia immane”.
“È il maschio alfa, Marina, e questo è il suo territorio. E non si fermerà fino a quando non ci vedrà morti. Inoltre nessuno garantisce che non se la prenderà con la città, una volta che ci ha fatti fuori.
“Ho una Pokéball...” disse timida.
Alice si voltò leggermente a guardarla, mentre Altaria virava verso est per poi ritornare in rotta per il prossimo attacco. “Non sei un Ranger, tu?”.
“Ho rubato una Pokéball a Gold, quando non mi vedeva...”.
“Benissimo” sorrise Alice, a denti stretti. La pioggia continuava ad imperversare ed intanto il Gyarados lottava contro l’ultimo esemplare che Marina aveva acquisito, che cadde esanime e senza vita in poco meno di un paio di minuti. Il volto del leviatano era letteralmente sfigurato e perdeva grandi quantità di sangue.
“Si sta indebolendo. Altaria, Dragobolide!” fece Alice, vedendo il proprio Pokémon caricare al suo interno l’energia e trasformarla in qualcosa di tangibile ed esplosivo: nuovamente, una sfera argentata partì veemente dalla bocca del Pokémon Canterino, fino ad esplodere con forza sul corpo del grande Gyarados. Barcollò ed urlò per il dolore.
Alice capì che quello fosse il momento giusto.
“Forza! Catturalo, Marina!” esclamò.
Il Ranger era a più di dieci metri d’altezza, e quel Gyarados aveva tutta l’intenzione di cadere verso lo specchio d’acqua sotto di loro, alzando un grande numero di onde. Quindi difficoltà, problemi che si sommavano ai molti che già stavano affrontando.
“Vai! Marina, forza!” la incitò nuovamente Alice, e fu quello il momento in cui il Ranger si alzò in piedi su di Altaria e si lanciò con coraggio nel baratro. Il vento e la pioggia la colpivano con insistenza ma la sua missione era una ed una soltanto: catturare quel Gyarados. Con la Pokéball ben stretta nella mano destra, aspettò il momento giusto e lanciò la sfera.
Non seppe dire con precisione di aver catturato quel Pokémon fino a che non risalì in superficie, bagnata d’acqua salmastra e sangue di Pokémon. Alice volò velocemente verso di lei, afferrando la sfera con una mano e Marina con un’altra, poi volò velocemente verso la riva.
“Stai bene?!” chiese la Capopalestra alla ragazza, totalmente fradicia, forse più di prima. Annuì, Marina, sospirando e tirando fuori un grosso peso dall’animo.
Pochi secondi dopo raggiunse la spiaggia Martino, saltando immediatamente giù da Staraptor. Aveva rilasciato sedici Gyarados qualche attimo prima, che si erano immersi nelle zone più profonde di quello strano specchio d’acqua.
Corse verso sua sorella, prendendola per le spalle e scuotendola leggermente, come a testare il corretto funzionamento di ogni sua funzione vitale. “Sei tutta intera?!” chiese, preoccupatissimo, scrutando il sorriso sul suo volto, ancora leggermente scosso.
“Sto bene... tranquillo. Piuttosto, la situazione è sotto controllo?”.
Martino annuì. “Sì. Tutto a posto... Ma... ma lo sentite questo rumore?”.
Era un trascinamento, qualcosa di strano e fastidioso, lamentoso. Alice, assieme ai Ranger, si voltò verso la superficie finalmente calma dello specchio d’acqua e notarono qualcosa di strano: al centro qualcosa muoveva l’acqua.
“Cos’è?” domandò Marina.
“Non lo so” rispose suo fratello. “Sta’ indietro...”.
Dall’acqua fuoriuscirono delle persone, lentamente, camminando con passi regolari e decisi. Erano persone vestite di bianco e azzurro. Con le bandane in testa.
“Il Team Idro!” esclamò Alice, salendo velocemente su Altaria. “Attenti, ragazzi”.
Dietro di loro, una grande quantità d’acqua s’alzò all’improvviso, mostrando ciò che lo scrigno blu celava: era enorme, del colore del mare o forse più scuro.
E gli occhi erano enormi fari gialli su di uno sfondo nero. Le orbite erano ben aperte, ma più di ogni altra cosa, sul suo corpo, risaltavano linee rosse di luce pulsante, che splendevano forti.
Il volto di Alice esprimeva appieno la paura che provava.
“Kyogre” fece. “Quello è Kyogre”.


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Capitolo 46
*** Capitolo Trentacinquesimo pt. 4 - Prayers ***


Previously, on Hoenn's Crysis
“Il Team Idro!” esclamò Alice, salendo velocemente su Altaria. “Attenti, ragazzi”.
Dietro di loro, una grande quantità d’acqua s’alzò all’improvviso, mostrando ciò che lo scrigno blu celava: era enorme, del colore del mare o forse più scuro.
E gli occhi erano enormi fari gialli su di uno sfondo nero. Le orbite erano ben aperte, ma più di ogni altra cosa, sul suo corpo, risaltavano linee rosse di luce pulsante, che splendevano forti.
Il volto di Alice esprimeva appieno la paura che provava.
“Kyogre” fece. “Quello è Kyogre”.




 
 


Prayers pt. 4



La grotta dei tempi era un buio antro dentro il quale si snodavano decine e decine di stradine, creando un vero e proprio labirinto. Al suo interno, ogni tre metri, vi erano accese delle torce ad olio, che stranamente producevano un fuoco dalle sfumature azzurre.
Non appena Crystal le vide rimase un tantino turbata. Erano forse dei gas a creare quella strana tonalità di colore nelle fiamme?
Lei, assieme a Fiammetta, camminava qualche passo più indietro, nell’evenienza d’incappare in Groudon in maniera inaspettata e darle il tempo di prepararsi per la cattura, lasciando Rocco ed Adriano, rispettivamente Campione e Vicecampione, ad affrontare la minaccia venuta dal centro della terra.
Fiammetta guardava con gli occhi bene aperti ogni cosa, assorbendo nella sua mente tutto ciò che si muovesse, ma oltre alla danza sinuosa delle fiammelle cerulee ed ai brevi voli dei Golbat non registrava nulla. Guardava Rocco, che camminava davanti, e che a sua volta muoveva passi sicuri mentre con le mani carezzava la Pokéball di Armaldo, che in quell’ambiente gli sarebbe stato veramente d’aiuto. Immaginava, il Campione, già studiava possibili strategie d’attacco per i suoi devastanti Pokémon. Era teso, ma non come Adriano, che avanzava con passi molto incerti.
“Che hai?” gli chiese proprio Rocco. Adriano lo guardò e gli rivolse un sorriso dolce, dopo aver abbassato la testa. “Non ho nulla, ragazzi. Ho già provato sulla mia pelle la potenza di Groudon e Kyogre. E anche dopo, quando abbiamo sventato tutto, l’ultima volta, mi sono portato dietro gli strascichi di questo disastro. Troppo da fare, troppo da sistemare, da mettere a posto. Proprio quando era riuscito a dichiararsi ad Alice. “Niente, Rocco. Sono soltanto teso”.
“Hai detto nulla...” sbuffò Fiammetta, qualche passo di troppo indietro.
“Devi rilassarti. Guarda Crystal” la indicò Rocco. “Lei è qui e nemmeno sa dove si trova. Noi già siamo stati qui, più di una volta. Tu sei già stato qui, ancor più volte di me. Cos’hai paura di trovare?”.
Voltarono l’angolo, Adriano sapeva benissimo quale fosse la camera d’incubazione di Groudon e la stava raggiungendo con velocità. Mano a mano che si avvicinavano al punto designato aumentava sempre di più il calore ed i Golbat e gli altri Pokémon che abitavano la grotta diminuivano di frequenza.
“Non so dove mi trovo” ribatté Crystal. “Ma so che c’è bisogno di me. In questo momento sarei dovuta essere al laboratorio a studiare bacche, come ho sempre fatto da tre anni a questa parte, Rocco. Sono qui, però, e farò di tutto per aiutare Hoenn e la sua gente”.
Fiammetta vide gli occhi della moretta riflettere la danza del fuoco blu alle pareti. Stringeva i pugni ed aveva un’espressione contrita in volto: era parecchio concentrata.
“Dovresti rilassarti...” le suggerì la Ex Capopalestra di Cuordilava, proseguendo ed avvicinandosi a Rocco.
“Non mi posso rilassare, Fiammetta. Dobbiamo essere preparati, stavolta. E dobbiamo intercettare assolutamente chiunque si ponga tra me e Groudon...”.
“Ha ragione” tuonò Rocco. “Ti daremo tutto il supporto di cui necessiti”.
E poi risate e rumore di passi si susseguirono finché le fiammelle azzurre proiettarono sulle pareti le ombre di Andy e di Zoe.
I cappucci sulle loro teste erano abbassati per via del forte caldo. Zoe aveva legato i capelli in una coda alta, come soleva fare quando era una Combat – Girl e teneva in mano una Pokéball.
“Cielo, ancora voi?!” esclamò Fiammetta, innervositasi improvvisamente.
“Potrei dire la stessa cosa, rossa. Non dimenticarti che tu mi appartieni” tuonò Andy, seguito dall’espressione schifata della ragazza che gli stava accanto.
“E perché ti apparterrebbe?” domandò Rocco, guardando Fiammetta negli occhi per un momento.
“Perché abbiamo stabilito così prima di un incontro. Ed ha perso”.
“Le persone non sono oggetti” s’inserì Adriano. “E te lo dimostrerò. Lottiamo”.
Andy sorrise e mise mano ad una sfera. “Ottimo, aspettavo questo”.
“Vai Swampert!” urlò poi Crystal, mettendo in campo il suo Pokémon.
“Crystal, questa è la mia battaglia” le rispose Adriano.
“No. Questa non è la tua battaglia... questa è la nostra battaglia. Ed io devo mettere finalmente fuori gioco questi ceffi”.
Zoe sorrise, vedendo il suo uomo mettere in campo il suo Honchkrow. “Non c’è problema” terminò la donna, mandando in campo il suo Umbreon. “Facciamo due contro due. Che te ne pare, Adriano?”.
Gli occhi color acquamarina dell’uomo rimbalzarono sulla figura della donna e si abbassarono ai suoi piedi.
Sospirò e prese una Pokéball. “Starmie” disse, lasciando cadere la sfera dalla sua mano con eleganza.
“Diamoci da fare”.
Rocco guardò Fiammetta e fece un passo indietro, a raggiungerla. Allargò il braccio, toccandole la pancia, e continuò ad indietreggiare.
“Defilati” disse l’uomo dagli occhi d’acciaio e dal cuore freddo. Guardava la bella con la coda dell’occhio muovendosi lentamente, ballando uno strano tango con la donna, fino a che non sparirono oltre la parete naturale della grotta.
Spalle al muro e cuore che batteva, la mano del Campione era ancora sulla pancia bollente di Fiammetta.
“E ora?” chiese quella, respirando lentamente.
“E ora dobbiamo raggiungere Groudon”.
“Da soli?!” esclamò, tenendo basso il volume, mentre sentiva nella sala attigua, Crystal ed Adriano urlare ordini ai propri Pokémon.
“Certo. Siamo solo io e te, qui. E poi siamo rispettivamente il Campione di Hoenn e la Capopalestra di Cuordilava, non per niente, eh”.
Fiammetta sospirò e guardò la mano dell’uomo sostare ancora in prossimità del suo ombelico. “Puoi lasciarmi”.
“Oh!” arrossì lui. “Scusami”. Pochi secondi dopo ed il colorito della sua pelle tornò pallido, giusto in tempo per rimettersi in marcia.
“Conosci la grotta?” domandò la ragazza, vedendo Rocco muoversi con passo troppo spedito.
“Hey... Non correre...” fece lei. Rocco sorrise e senza nemmeno girarsi le tese la mano sinistra.
Fiammetta l’afferrò ed il Campione la strattonò con forza, portandola avanti di qualche passo, costringendola a raggiungerlo.
“Non avere paura. Fidati delle tue capacità” disse Petri.
E forse Fiammetta non riuscì a nascondere le guance rosse, imbarazzata per tutto quel contatto con quell’uomo che tanto le piaceva, fin da ragazzina.
“Ragionavo” disse poi, lui. “Groudon e Kyogre non posso essere lasciati liberi. I terroristi ambientali potrebbero sfruttarli nuovamente per i propri scopi... no. Dovremmo catturarli definitivamente e non reintrodurli in natura”.
“Crystal è qui per questo”.
“Oak ne parla un gran bene...”.
Fiammetta annuì. “Già. Ha un dono. In realtà lei ha già catturato Groudon, quando mi rapirono. Ma fu Zoe, la ragazza che abbiamo visto prima, a liberarlo”.
“Che senso avrebbe liberare un Pokémon che vuoi catturare?” si domandò il Campione.
“Già... Non ha molto senso”.
Voltarono l’angolo e la prima cosa che saltò all’occhio ai ragazzi fu la luce emessa dal lago di lava. I gas sulfurei fuoriuscivano dalla sua superficie, creando dense bolle che andavano a scoppiare, rilasciando nell’aria diossido di zolfo che bruciava pochi secondi dopo.
Fiammetta sentiva il rumore che quel lago emetteva, molto simile all’acqua che bolliva. E più vi si avvicinavano più l’aria diventava calda.
Rocco sudava, la sua fronte era imperlata di gocce salate e cristalline.
Fiammetta era invece a suo agio con quel calore.
Tutta l’arcata della grotta era collassata per la pressione dei gas, e si era formato un cratere abbastanza ampio da permettere la fuoriuscita degli stessi.
E poi c’era quella donna, dai lunghi capelli rossi e dalle labbra pronunciate.
“Te lo spiego io il senso...” fece, con quel tono di voce lascivo e malizioso.
 
Adriano guardò Crystal, concentrata sulla lotta. Pochi turni e come sempre Zoe ed Andy avevano dimostrato di avere una sinergia in battaglia incredibile.
“Non preoccuparti, Crystal. Adesso facciamo vedere a queste persone come si combatte. Starmie, abbattiamo Honchkrow. Comete” fece, garbato come sempre, spostando un ciuffo di capelli dal volto.
Fu per la prima volta dopo un paio di turni, il Team Magma passava dalla fase offensiva a quella difensiva. Piccole sfere d’energia partirono dal cristallo centrale della grossa stella marina violacea, cominciando un’opera d’inseguimento verso Honchkrow.
“Atterra e fatti colpire, Honchkrow. Non riusciremo ad evitare questa mossa”.
“Saggia osservazione” annuì Adriano.
Così fece: Honchkrow si gettò in picchiata, allargò le ali, rallentando la discesa, quindi cercò di proteggersi con le ali.
Zoe scambiò un cenno con Andy e dispose la sua strategia. “Stridio!” ordinò al suo Umbreon. Il canide si abbassò sulle quattro zampe e spalancò le fauci, producendo latrati ad una frequenza altissima. Swampert e Starmie s’inibirono per un momento, abbassando la guardia.
“Honchkrow, vai con Neropulsar!” esclamò. “Su Starmie!”.
Adriano sorrise.
“Difficile che riesca a colpirmi. Starmie è particolarmente agile” disse, tra sé e sé. “Schiva!” ordinò poi, vedendo la sfera nera abbattersi sul pavimento della grotta, dopo una tremenda virata della stella marina.
“Swampee! Ci sei?!” urlava Crystal, vedendo il suo Pokémon ancora particolarmente risentito dall’attacco sonoro di Umbreon.
“Lascia stare, sarà il prossimo, attaccherà al prossimo turno” tuonò Adriano. “Starmie, usa Idropulsar” fece poi, vedendo il suo Pokémon scattare davanti e lasciar partire sollecitazioni sonore all’interno dei colpi acquatici che lanciava. Umbreon sembrò particolarmente stordito dall’attacco, mentre Honchkrow lo evitò salendo di quota.
“Forza!” urlò Andy. “Attacco d’ala su Swampert!”.
Honchkrow piegò leggermente l’ala destra e virò in picchiata verso il Pokémon di Crystal.
“Usa Idropompa!” urlò Crystal, impreparata. La tensione che aveva in corpo era fin troppo palpabile e tutti la vedevano, quasi imbranata com’era. Sentiva il peso delle responsabilità, dei nemici che aveva di fronte. Sentiva il peso, troppo leggero, della sfera che avrebbe dovuto contenere Groudon, una volta catturato.
E poi Silver, e Gold, pensava a loro, sperando che nessuno dei due si fosse fatto male.
Fu quando vide l’imprecisione di Swampert che si rese conto di come le sue insicurezze si fossero trasmesse al suo Pokémon.
Forte. Doveva essere forte, e se lo stava ripetendo per l’ennesima volta.
“Dannazione! Swampee, proviamo questo giochetto!” urlò la ragazza. Allungò l’avambraccio destro e sospirò, fino a toccare quella pietra azzurra ed arancione incastonata nel bracciale.
Adriano spalancò gli occhi e vide Swampert mutare forma per un’ultima, ulteriore evoluzione.
“La Megaevoluzione” disse, come un soffio tra i denti.
Il corpo del Pokémon Fangopesce s’illuminò, ricoperto improvvisamente da luce ed energia, e si rivelò infine agli occhi dei quattro contendenti: enorme. Swampert era diventato molto più alto, ed aveva aumentato la sua capacità muscolare di oltre il doppio.
“Cazzo...” si stupì l’avversario, col cappuccio alto sulla testa. Guardò Honchkrow ed analizzò velocemente  la situazione.
“Andy...” lo chiamò Zoe. “Che dobbiamo fare?”.
“Swampee! So che riuscirai ad usare Idropompa, stavolta. Contro Umbreon!”.
L’enorme Pokémon piazzò i possenti arti superiori per terra, come a piantare i pugni sul suolo per trarne stabilità, quindi spalancò la bocca ed un’enorme colonna d’acqua s’abbatté velocemente contro il Pokémon di Zoe, mettendolo fuori combattimento in un colpo solo.
“Ottimo così!” esclamò sorridente Crystal, mentre la Magmatenente ed il suo uomo facevano rientrare i Pokémon nelle proprie sfere, scappando verso destra.
“Scappano!” urlò Adriano. “Inseguiamoli!”.
 
“Miriam” si bloccò Rocco, allargando nuovamente il braccio verso destra, a fermare il passo di Fiammetta. La più giovane riconobbe subito la donna e fece un passo indietro, memore delle sue capacità.
“Zoe ha liberato Groudon perché questo doveva continuare ad assorbire energia naturale. Ciò gli avrebbe permesso di reagire positivamente all’esposizione alla sfera rossa. L’Archeorisveglio ci garantirà maggiore potenza rispetto a Kyogre”.
“Che cos’è l’Archeorisveglio?!” domandò Fiammetta, con gli occhi spalancati.
Miriam s’avvicinò lentamente, lasciando sei metri tra di loro. Rocco la fissava notando il suo solito sorriso disinteressato, ravvivato dal colore rubino del suo rossetto. I suoi occhi risaltavano come fari nella notte, rossi come quelli di Fiammetta.
Aveva cambiato la propria mise, probabilmente in vista dello scontro epico che avrebbe dovuto sostenere: adesso un paio di grossi stivaloni in gomma avevano sostituito gli alti e scomodi tacchi che portava a Verdeazzupoli ed una tuta aderente nera a collo alto. I fianchi venivano abbracciati da un cinturone con sei Ultraball ed un grosso coltello militare tattico.
“Fiammetta Moore... Bella come il sole. Come quand’eri piccola, del resto...”.
“Rispondimi!” urlò la ragazza, ricevendo un’occhiataccia da Rocco, ancora con il braccio teso a mo’ di sbarra.
“Modera i toni, o ti farò fare un bagnetto nel lago qui dietro...”.
“Rispondimi” ripeté Fiammetta, con meno foga.
“L’Archeorisveglio è il processo di regressione fisica e potenziale che trasforma Groudon in ciò che era milioni di anni fa. Sarà molto più grande, e più potente. In più... Beh, però, perché rovinarvi la sorpresa?” sorrideva Miriam, sempre calma.
“Dannazione! Sparisci da Hoenn prima che io...”.
“Prima che tu... cosa?” domandò Miriam, curiosa ed improvvisamente seria. “La piccola del villaggio...” sorrise poi. “Mi ricordo perfettamente di te. Abbiamo sette anni di differenza, del resto, e quando nascesti tuo nonno proclamò festa cittadina. Incredibile... Tu, per un giorno, hai bloccato Cuordilava. Sei diventata una donna, alla fine”.
“Capita anche alle migliori...” bofonchiò l’altra.
“Già. Beh, ricordo benissimo anche quando diventasti definitivamente un’adolescente. Avevi gli occhi di tutti puntati addosso, con quel fisico che ti ritrovavi e quegli occhi da cerbiatta”.
Fiammetta non riuscì a trattenere un sorriso di scherno. “Sei patetica”.
“Oh, forse lo sono. Rocco stravedeva per te già quando eri piccola ed io ero gelosa” sorrise ancora. “Gelosa di una ragazzina... Beh, ma ora stai con lui, no? Alla fine ti ha presa”.
“Non sto con lei” tuonò Rocco, e la sua voce fredda rimbombò tra le pareti dell’antro.
“Ah, no? Beh, poco importa. Ciò che importa è che il piano di mio padre verrà portato a termine”.
“Tuo padre era un folle” disse lui, vedendo gli occhi di Miriam spalancarsi increduli. Rocco fece un passo avanti, staccando Fiammetta ed abbassando finalmente il braccio destro.
“Mio... mio padre era un eroe! E tu non l’hai mai capito!”. La voce di Miriam s’espanse così forte nella grotta da risuonare per parecchi secondi. Sul suo volto cominciarono a scendere due rivoli di lacrime.
Rocco chiuse le palpebre e prese la forza per parlare, combattendo contro il suo istinto: avrebbe sicuramente perso il controllo, altrimenti.
“Tuo padre ha distrutto le mie città e ucciso la mia gente. Tuo padre ha ucciso anche me, e tu lo sai. E adesso tu vuoi fare come lui”.
“Io devo distruggere il Team Idro, Rocco! Quelli ci sommergeranno!” urlava lei, accorata.
“Il mare ci serve, Miriam. Non possiamo prescindere dal nostro fragile equilibrio”.
“Ma non capisci?! Mio padre aveva già visto tutto...” si calmò lei, voltandosi e tornando nei pressi dell’incandescente pozza di lava. “Aveva capito che per il bene degli umani e dei Pokémon, dovremmo allargare i nostri orizzonti. Vi rendete conto che gli esseri umani continuano ad aumentare, sul nostro pianeta? E secondo te, queste persone dove andranno a vivere?! In acqua?! Nel tuo prezioso mare?! No, Rocco caro, loro distruggeranno foreste, abbatteranno montagne e devasteranno gli habitat naturali di centinaia di specie Pokémon. In questo modo si estingueranno, e tutto il sistema sul quale la nostra società è sviluppata andrà lentamente a rotoli. Tu sarai il Campione di una Lega che non vedrà più sfidanti, lei la Capopalestra di una città sovraffollata che avrà distrutto ettari di bosco e che si allargherà nel deserto per ovviare la mancanza di spazio. Tutto andrà a rotoli”.
Lo sguardo forte di Miriam si abbatté su quello di Fiammetta, leggermente meno determinato.
“Fiammetta, tu dovresti capirlo. Mantenere l’orgoglio di Cuordilava, le tue origini” fece.
La ragazza sbatté gli occhi un paio di volte, poi schifata calò lo sguardo.
“Non ucciderei mai delle povere persone innocenti”.
Miriam rise. “Ingenuotta che sei... Chiamala pure... selezione naturale”.
“Non ti permetterò di creare quell’abominio che stai progettando. Hoenn ha bisogno del mare!” Fiammetta s’era arrabbiata, ed anche parecchio. Ideologia, diverbi, scontri inutili. Alla fine vinceva chi alzava di più la voce e non chi avesse più ragioni dalla propria parte. Anche perché, di ragioni, ognuno ha le proprie.
Rocco si voltò verso la ex Capopalestra e la prese per le spalle, fissandola dritta negli occhi.
“Devi stare calma. Bisogna trattare Miriam alla stregua di un militare con grandi capacità”.
“Ma che diamine dici?! È soltanto una Jessica Rabbit senza le rotelle!”.
“Quella donna mi ha dato un calcio in bocca dopo un semplice salto. Fidati se ti dico che so di ciò che parlo: Miriam è pericolosa”.
“Allora?!” esclamò lei, impaziente, mani al fianco. “Avete finito di scambiarvi le ultime dichiarazioni?”.
“Dichiarazioni di cosa, precisamente?” domandò Fiammetta, snobbando totalmente ciò che aveva detto Rocco.
“D’amore, no? Insomma, si vede. Tu stravedi per il mio piccolo Rocco” sorrise Miriam. “Oh, che bei momenti che abbiamo passato assieme. Ma, va da sé, tutto cambia”.
“Tu sei cambiata. Io sono sempre rimasto lo stesso” s’intromise il Campione, dopo un sospiro.  “Ma puoi ancora dimostrare di non essere la terrorista che vuoi sembrare. Finisci questa farsa, combattiamo il Team Idro e torna a casa con me”.
Miriam e Fiammetta alzarono entrambe un sopracciglio. “Quelle cose fanno parte del passato. Ora è mio padre, l’unico uomo che possa avere influenza su di me”.
“Tuo padre era un folle!” urlò Rocco, spazientito. Fiammetta si sorprese, non l’aveva mai visto in quel modo.
“Non ti consentirò più di parlare in questo modo di mio padre” tuonò lei, decise.
“Apri gli occhi! Sei diventata ciò che sei solo con le tue forze! Dov’è finita la ragazzina che lottava per qualche spicciolo, nella piazza di Cuordilava?! Dov’è finita quella giovane donna che si prendeva cura della donna che l’ha allevata, forgiata in un bagno d’umiltà?! Dove sei andata a finire, Miriam?!”.
Gli occhi della donna si abbassarono mentre il calore cominciava a diventare insopportabile, per Rocco. “Quella ragazza è sparita quando ha scoperto di non essere più sola, al mondo...”.
“Sei sola lo stesso! Renditi conto di tutto ciò! Cosa dovrebbe essere cambiato?! Ora sei più sola di quanto tu non creda!”.
“Perché?! Perché mai dici questo?!” strillò lei, con le lacrime agli occhi.
“Perché prima avevi me! Ed io ero disposto a tenerti al mio fianco, per sempre!”.
“Per fare cosa, Rocco?! Per seguire i tuoi stupidi sogni?! Per diventare la donna del Campione di Hoenn?! A me cosa interessava dei tuoi sogni?! Eri un estraneo, come tutti del resto! Ma papà no! Lui aveva un sogno ben preciso! Lui voleva che le persone ed i Pokémon vivessero in simbiosi ed il suo desiderio è cresciuto in me, nonostante la sua morte! Perché sono sua figlia!”.
Ormai era diventato un fiume in piena, Miriam, piangendo ed urlando, perdendo il controllo. “Tu non sai cosa significhi vivere da soli la propria esistenza!” continuò. “Non hai idea di cosa significhi passare la notte con la fame a tormentarti ed il desiderio continuo e costante di conoscere chi ti abbia messa al mondo! Tu hai sempre avuto tuo padre dietro le spalle, l’hai sempre seguito nei tuoi viaggi! Nei tuoi inutilissimi viaggi!” urlò lei.
A Fiammetta batteva il cuore. Non si aspettava tanto trasporto.
“Ma ora basta! Adesso vedrete cosa voleva fare mio padre!” urlò infine, stringendo gli occhi ed i pugni, rabbiosa col mondo.
 
 

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Capitolo 47
*** Capitolo Trentaseiesimo - Femmina Omega ***


Femmina Omega



Fiammetta e Rocco avevano Miriam, il capo del nuovo Team Magma, a pochi metri. Dietro di lei, una grossa pozza di lava incandescente ribolliva per via dei gas sulfurei.
L’atmosfera era frenetica, la temperatura incandescente.
Rocco guardava quella che un tempo era la sua giovane donna con gli occhi di chi era stato offeso mortalmente, con il viso puntuto e le palpebre strette sulle pupille grigie. Era un passo avanti a Fiammetta, che malcelava la sua paura.
E Miriam sorrideva, nel vedere come lui la proteggesse.
“Devo dirvelo, ahimè: state davvero bene assieme. Siete effettivamente una bella coppia”.
“Non siamo una coppia, te lo ripeto” disse Rocco, stanco.
“A me sembra gelosa” sorrise l’altra.
Miriam guardò Fiammetta con un ghigno isterico ed annuì leggermente.
“Sì. Un po’ m’infastidisce. Però mi ripeto, Rocco è il passato. Ora addirittura vuole mettersi tra me ed il mio sogno... Non lo posso accettare”. La voce di Miriam era diventata sottile, liscia come il velluto.
“Non è il tuo sogno” tuonò improvviso l’unico uomo lì. “Era il sogno di tuo padre!”.
“Tanto mi basta, Rocco. Non sapevo cosa fosse un sogno prima di sapere di non essere sola”.
Ferito nel profondo, lui abbassò la testa.
 
“Hey... Che hai?” domandava Miriam, con i capelli rossi ben legati nella coda che soleva portare, alta sulla testa. Seduti con le gambe a penzoloni su di uno strapiombo sul Monte Camino, Rocco e la ragazza passavano spesso i propri pomeriggi immersi nella natura.
Il giovane Rocco indossava quasi sempre magliette grigie, o blu, o verdi, che richiamassero anche lontanamente il colore dei suoi occhi. E poi quei grossi scarponi da trekking, tutti consumati sulle punte, marroni, come i suoi pantaloni. Il volto del ragazzo aveva lineamenti gentili ed i capelli, lunghetti, gli carezzavano le spalle quando voltava il viso. Fissava lo sguardo color rubino di Miriam, la sua pelle chiara, con le efelidi che le tempestavano le guancie ed il piccolo naso, cesellato con cura da mani pregevoli. Il fisico era poco più che acerbo, accenni di quello che sarebbe diventata alcuni anni dopo. I lunghi capelli danzavano ad ogni soffio di vento ed alcuni riccioli si arrampicavano sul collo della ragazza, avventurosi, per poi sfinirsi a metà strada e ricrollare giù.
“Mi senti?!” chiedeva irritata, lei. “Ti ho chiesto che hai!”.
Rocco si svegliò dall’ipnosi indotta dal sorriso di quella e fissò i suoi occhi. “Niente, Miry”.
“Ti sei incantato mentre mi guardavi”.
“No” arrossì rapidamente lui. “Stavo riposando gli occhi. Sai, quando trovi quella posizione in cui sembra che tutto si fermi, e tu ti rilassi, così, all’improvviso”.
“Mi sorprende sentirti pronunciare tutte queste parole in una sola frase. Sei nervoso. Che hai?”.
“Ma niente... tranquilla. Niente”.
Miriam allora sorrise, tirò il ragazzo per le spalle e gli salì a cavalcioni. Gli spinse il petto contro la dura roccia su cui sedevano e sorrise. “Ora parli, altrimenti non andiamo più via di qui!”.
Rocco sorrise, ancora più paonazzo, e soffiò via una ciocca di capelli dagli occhi, guardando dritto avanti a sé: il cielo era azzurro, qualche nuvola sporcava di bianco quella tavolozza cerulea, ma in basso riusciva a vedere la fronte ben proporzionata di quella.
“Hey! Guardami!” esclamò lei, sporgendosi in avanti ed entrando nel campo visivo del ragazzo.
Lo vide ridere. “Dammi tregua, santo cielo”.
“No! Finché non mi dici che hai non mi scollo da qui”.
“Per me puoi rimanere lì tutto il tempo che vuoi. È un segreto...”.

E magari a lei bastava aprire gli occhi e leggere i segni, i messaggi, per capire che in realtà il segreto non era altro che lui fosse innamorato di lei. Lo avrebbe scoperto qualche mese dopo, quando lui le rovinò addosso, facendola cadere. Lei rise, lui pure, e poi si baciarono.
Tuttavia in quel momento la situazione non era abbastanza matura.
“A te piace qualcuno!” la buttò lei, così, facendo inavvertitamente centro al primo tentativo.
“No! Ma sei matta?!”.
“Non dirmi cazzate, Petri! A te piace qualcuno!”.
“Non è così!” urlava Rocco, cercando, invano, di liberarsi dalla presa della ragazza. Era sempre stata così rude e grezza nell’animo, ma pur sempre molto femminile, con quel collo lungo e la maglietta leggermente corta, che le scopriva l’ombelico, impreziosito da un neo che aveva sulla sinistra.
“Secondo me è Fiammetta! Non può che essere lei! Dannazione, quella è poco più che una bambina! Ti piace la nipote del Capopalestra?!”.
“Cosa?!” esclamò stupito lui.

“Dimmi la verità!”.
Ragionò, lui, comprendendo quanto non fosse effettivamente simpatico essere messo sotto torchio da quella ragazza. Ma a lui piaceva sentirla addosso, e le cosce di quella che gli cingevano la vita lo caricavano d’adrenalina e scariche ormonali che, a sedici anni, erano perfettamente comprensibili. Decise di mentire, per la sua incolumità.
“Mi hai scoperto, Miry...”.
“E così ti piace quella bimba?!” si stupì lei, scandalizzata. “Ma potrebbe essere la tua sorellina!”.
“Anche tu potresti essere la mia sorellina...”.
“Per pochi mesi di differenza! Finiscila di rimarcare il fatto che tu sia di novembre ed io di luglio dell’anno dopo! E poi è più facile che una della mia età diventi la tua fidanzata, piuttosto che una ragazzina di dieci anni come lei... Tuttavia devo ammetterlo: è piuttosto graziosa...”.

“Ma non è proprio quello che pensi... cioè, mi è capitato un paio di volte di pensare che fosse una ragazzina carina. Non sono un pedofilo...”.
“Esageri sempre, Petri” disse, smontando dal corpo del ragazzo. Si stese accanto a lui, guardando la corsa delle nuvole.
“Quella sembra un Numel...” fece lei, puntando l’indice verso l’alto. Poi lasciò cadere la mano sul petto del ragazzo, volontariamente, ridendo per il sussulto di quello.
“La solita violenta...” fece lui, sospirando.
“Sei una femminuccia”.
“Non è così. È che non voglio farti del male”.
“Non riusciresti a farmi del male nemmeno se ci provassi” sorrise lei. Il ragazzo inarcò un sopracciglio, quindi inseguì la piega delle sue labbra, imitando la sua risata, seppur con tonalità più bassa.

Fu Rocco poi a scrutare il cielo. “Wow!” esclamò lui. “Quella nuvola assomiglia ad un Charizard!”.
“E che cos’è?!” chiese lei, voltandosi di scatto verso di lui.
“È un Pokémon. Sembra un grosso drago”.
“Come Salamence?”.
“Più o meno. Sputa fuoco”.
“Anche Salamence può farlo”.
“Lo so”.
“E come sai com’è fatto un Chorizo?”
“Chorizo?! Charizard vorrai dire... Il Chorizo è una pietanza d’origine ispanica. Comunque è grazie ai miei viaggio, Miry...”.
“Petri ed i suoi viaggi. Dovrebbero farne un libro”.

“Già”.
“Deve essere bello viaggiare...” disse lei, portando entrambe le mani dietro la testa, emettendo un lungo sospirò che le liberò la cassa toracica dall’ansia che puntualmente le cresceva nel petto.
“Sì. Beh, non così tanto. Viaggio da praticamente tutta la mia vita... È dura non potersi mai stabilire da qualche parte e dover salutare gli amici, una volta arrivato il momento dell’ennesima partenza...”. Stavolta il sospiro lo tirò Rocco, voltando il viso verso lei, fissandola negli occhi.
Era davvero molto carina.
“Te ne andrai anche da qui?” chiese lei, con un tono di preoccupazione nella voce.
“Forse. Forse sì. Potrei seguire mio padre oppure partire per il mio viaggio”.
“Partire?! Nuovamente?! Ma ci lasceremmo lo stesso...”.
“In realtà vorrei potermi stabilire da qualche parte. Segretamente è il mio sogno...”.
“Il tuo sogno è rimanere in un posto per tutta la vita?!” esclamò sorpresa lei, partendo poi in una risata. Rocco sbuffò e girò la testa dall’altra parte, mentre le nuvole lentamente s’addensavano all’orizzonte.

“Non fare così... Scusa se ho urtato la tua sensibilità, Cindy...” sorrise Miriam, provocando nuovamente le risa in Rocco, che tornò a guardarla. “Quando sei nei tuoi giorni sei intrattabile, cara mia”.
“È dura dover abbandonare tutti i tuoi amici. A Ceneride ho sofferto tantissimo...”.
“Sei stato addirittura a Ceneride?!” esclamò lei, sorpresa.

Rocco annuì. “Certo. Lì ho conosciuto una coppia di ragazzi molto simpatici. Adriano e Milton. Quest’ultimo era lì in vacanza”.
“A Ceneride c’è il mare, vero?” chiese Miriam, voltandosi di fianco verso il ragazzo.

Rocco annuì nuovamente, per poi ritrattare. “Beh, non è propriamente mare. È più un lago”.
“Oh... wow. Rimango sempre affascinata dai tuoi racconti...” sorrise lei, allungando una mano bollente verso il petto del ragazzo. Sentiva il cuore pulsare impazzito sotto le sue dita, lei. Ogni battito era sempre più forte, esplodeva con vigore, pareva che il muscolo volesse uscire dal petto.
“Sarebbe bello poter avere una casa tutta mia, Miry. Dove poter tornare a casa la sera. Magari ad aspettarmi ci potrebbe essere la mia fidanzata...”
“La tua Fiammettina piccolina...” disse lei, in tono di scherno.

“Già” sorrise. “Sarebbe fantastico...”.
Passarono due minuti, durante il quale Miriam cercò un argomento convincente con cui aprire il discorso. Lo trovò e diede una manata sul braccio del ragazzo, per attirare la sua attenzione.
“Sai... anche io ho un sogno...”.
“Tutti hanno almeno un sogno” disse Rocco, voltandosi sul lato a sua volta, poggiando la fronte contro la sua.
“Vorrei andare via da qui, viaggiare come fai tu. Esplorare, allenare i miei Pokémon. Un giorno sarei grande e mi fermerei, ma ora il mio desiderio di lasciare questo paesino di merda non può essere definito con dei semplici aggettivi...”.
“Non lo puoi quantificare” aggiunse Rocco.

“Sei sempre la solita secchia, Rococò. Non ti smentisci mai”.
Sorrisero entrambi.
“Potremmo partire insieme. Ed un giorno fermarci” propose lui, fissando il suo riflesso negli occhi purpurei della giovane.
Lei fece un sorriso dolce e mansueto, che mai si era accostato a quegli occhi tristi che aveva in quel momento. Abbassò lo sguardo ed umettò le labbra, lasciando fuggire un sorriso, quasi a schernire se stessa.
“Magari, Petri. Non posso lasciare la vecchia da sola... Se combatto tutto il giorno e mi alleno è per portare a casa un pezzo di pane da poter mangiare con lei...”.
“Volendo potrei chiedere a mio padre di trovarle una sistemazione...”.
“La vecchia è un po’ particolare... non lascerebbe mai la sua casa qui, nel Passo Selvaggio, per andare a vivere in città. E poi come camperebbe?!”.
“Come campava prima che ti allevasse?”.

“Non me l’ha mai detto. Però tutto ciò che so lo devo a lei e non posso lasciarla da sola. Ma credimi, sarebbe un sogno, il mio sogno, poterti seguire in un viaggio e magari, una volta stanchi, fermarci insieme. Io, tu e Fiammetta, sia ben chiaro” sorrise lei.
“E smettila!” esclamava lui, per poi cedere alle risate.
 
“Tu avevi dei sogni. Eccome se ne avevi...” sospirò il Campione, alzando lo sguardo.
Miriam gli si avvicinò nuovamente, in quella danza sinuosa che compieva tra i nemici e la pozza di lava, proprio come un’ape operaia.
Forse no. Forse lei era l’ape regina.
Rocco la vide avanzare lentamente, e di conseguenza lui indietreggiava; due, tre passi, ma poi si fermò. Miriam invece continuava ad andare avanti, fino a raggiungerlo. Lo fissò negli occhi, inclinando la testa verso sinistra. Fiammetta fissava spaventata la scena, timorosa di qualche colpo proibito che mettesse Rocco fuori combattimento e la lasciasse da sola con quella tigre dai denti a sciabola.
Invece lei rimase ferma, a scrutare l’interno dell’animo del Campione, utilizzando l’unica porta per passarvi: gli occhi.
“Tu pensi ancora che io sia la ragazza che sorrideva sempre? La ragazza che lottava per pochi spiccioli? Quella che doveva pensare alla vecchia?”.
Rocco scosse la testa, silenzioso.
“Infatti non è così. In realtà non sono mai stata sola, fino a quando Evelyn non è morta. Quell’anziana donna ha fatto tanto per me. E quando morì mi lasciò in eredità una semplice lettera. La lettera di mio padre Max. Avevo nuovamente qualcuno, anche se in realtà non potevo arrivare a lui”.
“Non c’entra nulla, tu volevi partire con me, io lo ricordo”.
Miriam sorrise ancora. “Sei nervoso. Parli tanto”.
“Certo che sono nervoso! Tu vuoi ammazzarci tutti!” urlava lui, spingendola per le spalle, facendola indietreggiare di un paio di passi. Rocco quindi si spostò verso sinistra, tornando a schermare Fiammetta col suo corpo.
“Non potrai mai capire, Rocco. Ma se adesso ve ne andate da qui, io vi lascerò sopravvivere”.
 
E poi ci fu l’ennesimo tremendo terremoto.
Fiammetta guardò in alto, le pareti dell’antro ballavano ma rimanevano salde tra di loro.
Era stanca di sentir tremare sotto i piedi.
“È pronto!” urlava Miriam, esaltata. “Groudon è finalmente pronto a scontrarsi contro Kyogre!”. Stringeva i pugni e sorrideva, lei, elettrizzata.
“Ammirate...” disse lei, voltandosi per guardare in prima persona lo spettacolo. “Ammirate Groudon!” urlò poi, e dall’enorme lago di lava sbuco fuori la prima delle tre creste che il Pokémon aveva in testa.
Rocco indietreggiò allargando le braccia e spalancando la bocca. Fiammetta si sporgeva incredula verso destra, per poter vedere quel terribile, fantastico avvenimento.
Era grande, quel Pokémon, gigantesco. Salì ancora, tutta la testa ad un certo punto arrivò ad essere al di fuori della pozza di lava, e poi le braccia, ed il torace. La coda si mosse con violenza, con quei tre spunzoni artigliati che aveva all’estremità terminale di essa, spostando una gran quantità di materiale incandescente, che ristagnò sul pavimento dell’antro, bruciandolo. Le striature nere al di sopra della sua corazza parevano profonde.
“Ora niente più potrà fermare i nostri piani! Mio padre sarà vendicato, ed Igor sarà sconfitto!”.
“Miriam! Ti scongiuro! Hai ancora la possibilità di fermare tutto questo! Non possiamo perdere il controllo in questo modo, e tu lo sai! Moriranno migliaia di persone per via dei tuoi capricci!” urlò nuovamente Rocco.
“Non sono capricci!” fece quella. “Questo è il primo passo per il riassetto! Il nuovo ordine! Il prosciugamento degli oceani creerà nuovi spazi da bonificare, per la vita di milioni di esseri umani e Pokémon!”.
“Ed ai Pokémon del mare non pensi?!”.
Miriam sorrise. “C’è sempre qualche vittima, nelle grandi manovre di cambiamento. Il più debole  deve far posto al più forte”.
E fu così che Fiammetta esplose.
“Cazzo! Lascia perdere tutta questa manfrina e aiutaci a sconfiggere il Team Idro, piuttosto che metterti contro di noi! Lascia perdere Kyogre, tutto finirà e poi potrai tornare a vivere sulle montagne!”.
Miriam incrinò lo sguardo, contrariata dalle parole della ex Capopalestra.
“Tu stai parlando un po’ troppo, per i miei gusti...”.
“Io parlo quanto cazzo mi pare!”.
Rocco si voltò furibondo. “Dannazione... Fiammetta, ti ho detto di non provocarla!”.
La rossa guardò il Campione con uno sguardo disinteressato e poi tornò a puntare gli occhi sulla donna che aveva di fronte.
Era una gara, ormai, a chi delle due avrebbe sostenuto quello sguardo per più tempo, senza abbassare gli occhi, senza tentennare.
E poi una Recluta entrò nell’antro, tutta trapelata. Affannava vistosamente e, una volta fermatosi dalla sua corsa, s’abbassò sulle ginocchia.
“Lady Magma Miriam, signora, è apparso Kyogre!” disse, con voce nasale e gli occhi talmente spalancati da sembrare in procinto di uscire dalle orbite.
Tutti si voltarono repentini verso di lui, ancora più sconvolti di quanto quello non fossero precedentemente. Gli occhi della maitresse si illuminarono di gioia e determinazione ed il sorriso sulle sue splendide labbra s’allargò.
“Bene! È tutto pronto!”
“Ti prego! Puoi ancora fare la scelta giusta!” esclamò Rocco, cercando di recuperare quel po’ d’umanità che ricordava nel suo cuore.
Ma sentiva come se il suo cuore si fosse seccato e fosse caduto, come un frutto marcio.
Fiammetta poggiò una mano sulla spalla destra di Rocco, stringendola con le dita, sporche di terreno e fuliggine, reclamando la sua attenzione.
“Ora basta pregare questa folle. Dobbiamo agire”.
Forse fu la prima volta che lo sguardo coraggioso di Fiammetta riuscì a penetrare il muro del freddo acciaio che ricopriva le iridi grigiastre del Campione. Ci riuscì a tal punto che quello fu costretto ad abbassare lo sguardo, sconfitto dall’evidenza e provato dal fatto che ormai la donna che aveva amato era soltanto un vecchio ricordo: Miriam era lo scheletro di quell’essere che aveva davanti, ma questo non aveva il suo cuore, grande e generoso.
Convenne che Fiammetta avesse ragione ed in quel momento vide correre Zoe ed Andy verso di lei. Il ragazzo le si avvicinò, guardando il volto soddisfatto della rossa, quindi alzò gli occhi alle sue spalle, mentre Groudon sostava immobile e gli ultimi residui di lava colavano dal suo corpo imponente.
“È emerso” osservò quello.
Miriam annuì, sorridendo. “È il momento”.
“Devo darti la sfera?” domandò il giovane uomo, che aveva completamente ripreso fiato. Guardava gli occhi della donna, più grande di lui, più esperta di lui, sentendosene accalorato. Lei allungò la mano nella sua direzione legandosi ai suoi occhi come se nient’altro stesse accadendo.
Rocco lo vedeva: era lo stesso sguardo. Quello sguardo che annullava tutto ciò che non fosse focalizzato, che rendeva inutile tutto ciò che non fosse messo a fuoco.
Lo stesso sguardo che aveva quando lui amava lei e lei amava lui.
Andy alzò il braccio, unendo la mano con quello della donna, toccando le sue dita calde, senza mai staccare i suoi occhi verdi da quelli della donna. Dopodiché, una grossa scarica d’energia pervase il corpo del ragazzo, costringendolo a stringere i denti; le vene sulle tempie presero a pulsare e la sua carnagione olivastra divenne più rosea, come se il sangue al di sotto della sua pelle corresse ad alta velocità.
“Ecco!” urlò lui, con enormi versi di sforzo.
Fiammetta fissò con sgomento la scena: tra le mani di Miriam ed Andy apparve la Sfera rossa, incandescente. Si stupì di come il ragazzo fosse riuscito a controllarla con tanta maestria; ricordò che Ruby e Sapphire furono costretti ad allenarsi separatamente, in un luogo tranquillo e lontano dallo scontro, e comunque furono molto in difficoltà nell’adattarsi alla grande potenza che le due sfere erano riuscite a sprigionare all’interno del loro corpo.
“Forse perché erano dei ragazzini...” sospirò lei, vedendo come la sfera fosse assorbita dalle mani di Miriam, che continuava a mantenere lo sguardo fisso negli occhi di Andy.
Zoe era pochi metri indietro e guardava il languore che esprimevano l’un l’altro con quel contatto visivo. Gelosa, girò lo sguardo dall’altra parte, fissando la maestosità di Groudon, almeno fin quando Miriam non fu più in grado di trattenere i propri istinti, emettendo un urlo poderoso che riempì la volta della grotta.
La Sfera Rossa era entrata totalmente nel corpo della donna, e lei adesso sentiva questo nuovo, grande potere che le pervadeva i muscoli, inquinandole il sangue di quella strana forza sovraumana. Sulla sua fronte apparvero quelle linee che Rocco e Fiammetta già avevano visto sul corpo di Max: Un cerchio, abbastanza ampio, lasciava partire venature di un rosso vivo, elettrico, che attraversava la palpebra e terminava nella parte bassa della guancia.
Le iridi erano sparite, diventando dapprima nere, per poi illuminarsi dello stesso rosso che le caratterizzava la pelle.
“Ecco qui...” sorrise lei. “È il momento di andare, Groudon”.
“Sta attenta...” le sussurrò Andy, storcendo le labbra.
L’ennesimo poderoso terremoto fece tremare le pareti della grotta, aprendo grosse crepe all’interno della volta; massi di differente grandezza caddero dalla cima del soffitto in pietra, schiantandosi contro la sabbia nera che calpestavano Rocco e Fiammetta, assieme ai cattivi.
Quest’ultima s’avvicinò ancor di più a Rocco, d’istinto, cercando riparo.
“Dobbiamo andare via di qui. La battaglia con Kyogre si terrà all’esterno e con ogni probabilità la volta crollerà” disse Rocco, guardando negli occhi Fiammetta.
 
Zoe si avvicinò ad Andy, durante il terremoto, guardando in alto.
“Hey...” fece lei, stranita. Incrociò lo sguardo smeraldino del fidanzato, almeno per un istante, per poi focalizzarsi su di un grosso masso crollato dalla volta. “Tutto bene?”.
“Sì. Il non possedere più quella sfera è un sollievo. Ora sono più tranquillo e libero...”.
“Cos’erano quegli sguardi, Andy?”.
Il ragazzo si voltò perplesso verso Zoe, che manteneva il volto imperturbabile. Scrutava i suoi occhi, lei, vedendoli tentennare, barcollare pericolosamente sul filo della verità. Le palpebre li coprirono, e lei sospirò.
“Allora?” sollecitò la ragazza, alla fine del terremoto.
Miriam salì su Groudon ed entrambi lo videro immergersi nella grossa pozza di lava, rimanendo stupiti del fatto che lei non morisse durante quell’operazione.
“Dobbiamo andare!” urlò Rocco, e Andy lo vide prendere una sfera e cacciarne uno Skarmory, sul quale salì assieme a Fiammetta. Volarono poi verso l’alto, in direzione del buco nella volta, sparendo oltre le sue pareti.
Erano rimasti da soli.
“Mi puoi rispondere?” chiese Zoe, visibilmente turbata.
“Ti sei impressionata, tesoro. Non c’è nulla che ti debba far preoccupare, credimi”.
“Quel lungo sguardo che vi siete dati... quando le hai chiesto di fare attenzione... A te importa di lei”.
“Certo che m’importa di lei. Dovrebbe importare anche a te”.
“Non dico questo. Tu... tu eri trasportato da tutto ciò. Tu non mi hai mai guardata come guardavi lei. Ed era lo stesso modo in cui mio nonno guardava mia nonna”.
“Non so a cosa tu ti stia riferendo. Ma suppongo che sia il momento di agire. Groudon è sveglio e dobbiamo andare via di qui. La volta crollerà sicuramente tra qualche minuto”.
“Già...” disse lei, girando la testa. Non era convinta dalla situazione. Prese la sfera del suo Swellow e vi salì sopra, quindi s’avvio verso l’uscita in alto, seguita venti secondo dopo dai suoi scagnozzi.

 

 
 

 

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Capitolo 48
*** Capitolo Trentasettesimo - In&Out in Five Minutes ***


In&Out in Five Minutes



“Come stai, Marina?!” si fiondò Martino su di lei, prendendole il viso bagnato tra le mani e stringendolo. Gli occhi della Ranger erano spalancati.
“Sto bene, cazzo, ma quello è Kyogre! Non preoccuparti di me, adesso!” fece, con voce compressa. Si rimise in piedi, poiché era inginocchiata, e vide Alice immobile.
“Ragazzi... dannazione, cosa dobbiamo fare ora?” chiedeva, cercando di calcolare una strategia giusta, nel minor tempo possibile. Avrebbe voluto cominciare un’offensiva dall’alto, ma non avrebbe mai potuto lasciare Marina e Martino da soli. Certo, quest’ultimo aveva il suo Staraptor, ma dubitava che con su due persone avesse potuto creare minacce rapide dal cielo.
Avrebbe dovuto lasciare Marina per terra, Martino, ma vista la situazione era fuori luogo che lui facesse una cosa del genere. Per di più era sicura che il problema non se lo sarebbe minimamente posto.
La Capopalestra di Forestopoli alzò nuovamente lo sguardo, mentre il vento soffiava indietro i capelli bagnati dalla pioggia della donna.
E poi vedeva il muso di Kyogre, fuori dall’acqua, e le sue creste blu. I suoi occhi giallastri erano grandissimi, fissavano Ceneride con fermezza, puntando la Grotta dei Tempi.
Dove stava Adriano.
“Alice” tuonò una voce profonda. Pochi secondi dopo ed i tre si accorsero che, sulla testa di Kyogre, stava avanzando una figura; era abbastanza lontana e la pioggia lo celava meglio che potesse. “Mi aspettavo di vederti viva. In fondo hai un temperamento ed un senso della responsabilità encomiabile”.
L’uomo si fermò nel punto più alto della testa del leggendario Pokémon su cui stava in piedi, quindi incrociò le braccia.
“E tu chi diamine saresti?!” domandò quella, urlando.
“Io sono Igor; sono il capo del Team Idro”.
“Diavolo...” disse tra i denti quella. Si voltò in direzione di Martino, e poi allungò lo sguardo, verso la Palestra. “Martino...” disse lei, a bassa voce.
Quello alzò la testa ed ascoltò.
“Entra nella Palestra di Ceneride e corri a chiamare Gold e Silver. Qui avremo bisogno d’aiuto”.
“Subito” disse e poi lasciò sua sorella da sola, prima di avviarsi assieme a Pichu Ukulele in direzione dell’obiettivo.
Le parole di Alice furono infine rivolte verso Marina.
“Non preoccuparti di nulla. Ora devi semplicemente alzarti e stare vicina a me”.
Eseguì immediatamente, avvicinandosi a lei ancora grondante d’acqua sporca di sangue. I cappelli le erano totalmente schiacciati in testa e, senza rendersene conto, li ravvivò passandoci una mano attraverso.
“Che devo fare?” chiese poi.
“Ora, cara mia, io e te dovremmo difendere Ceneride. Almeno finché qualcuno non verrà ad aiutarci”. Il volto di Alice era marmoreo, teso al limite mentre, con gli occhi color pervinca fissava il volto di Igor. Pareva strano, come se avesse qualcosa dipinto sul volto.
Non ci pensò più di molto e tornò a guardare Marina. Sembrava scossa dal pensiero di doversi battere con tutte quelle persone, da sola, senza nemmeno Martino accanto.
“Che faremo? Attaccheremo dall’alto?” chiedeva la più giovane, vedendo il suo Staraptor fermo, in attesa di ordini.
Alice si voltò alle sue spalle, solo per pochi secondi, fissando la Grotta dei Tempi, e sospirando. Sbuffò poi, quindi tornò a guardare verso Kyogre.
“No, Marina. Ci sono centinaia di Reclute il cui unico scopo è quello di entrare nella culla ancestrale di Ceneride e sconfiggere Groudon; Adriano è lì dentro, e a queste bestie poco importerà se lì dentro troveranno i Magma oppure i nostri: li uccideranno in ogni caso. Rocco, Fiammetta e Crystal... Adriano... saranno in grande difficoltà se si trovassero schiacciati tra il Team Idro ed il Team Magma. E se si alleassero per levare da mezzo il terzo incomodo, ovvero noi, per poi vedersela tra di loro”.
Marina guardo per un attimo il volto statico di Alice, i suoi occhi lucidi ed i capelli bagnati che gocciolavano; nei suoi occhi c’era solo un’immagine, nella sua testa solo un pensiero. Le sue labbra si mossero inconsciamente a formare un nome:


...A D R I A N O...
Alice non avrebbe mai permesso che qualcuno gli facesse del male. Era l’affetto che provava nei suoi confronti, l’amore che nutriva il suo cuore d’aviatrice. Amava volare, ma toccare terra per lei significava andare da Adriano e stare con lui. Anche se c’avevano provato, anche se già sapeva che sarebbe stata male perché lui aveva da fare, e lei pure, e che si sarebbero visti poco, e che ogni occasione per litigare l’avrebbero colta come una sorsata d’acqua al centro del deserto.
No, poco importava, tutto ciò era solamente qualcosa di effimero e superficiale, e la Capopalestra se n’era resa conto: lei amava Adriano e non voleva perderlo.
Ed avrebbe lottato con tutta se stessa, costringendo gli avversari ad ammazzare il suo corpo già morto, più di una volta se necessario, pur di donare un solo secondo in più all’uomo del suo cuore, permettendogli di salvarsi.
“Non possiamo attaccarli dal cielo: combatteremmo contro pochi di loro, e molti avanzerebbero, arrivando alla grotta. Distruggerebbero quel che resta di Ceneride, mutilando l’importantissima identità di quest’isola. Per Hoenn, questo posto è importantissimo”.
“Quindi?” domandò una confusissima e bagnata Marina.
“Quindi rimarremo qui, io e te, a combattere contro di loro”.
“Ma che diamine dici?! Come faremo?! Cioè, tu hai dei Pokémon, ma io?! Quelli mi faranno a pezzi!” urlò la Ranger, puntando il dito contro le Reclute Idro e portando il volto vicino a quello dell’interlocutrice. “Noi abbiamo bisogno di Gold! Di Silver e Gold! Loro sanno gestire queste situazioni!”.
“È per questo che ho mandato Martino a recuperarli. Ma intanto dobbiamo avere fede su noi stesse. E poi anche tu hai dei Pokémon: hai Staraptor, e Vulpix. Senza contare quel Gyarados che abbiamo appena catturato”.
“Ma che diamine stai dicendo?! Quello è più esausto di me!”.
“I Pokémon si curano, ed io ho gli strumenti adatti per farlo. Ma tu devi assicurarmi che mi aiuterai” disse lei. “Ora, Ceneride è nelle nostre mani”.
Fu uno sguardo, quello che si scambiarono Alice e Marina, che le connesse in maniera profonda, collegando i propri animi per un momento. La Ranger comprese il sentimento di profonda inquietudine che provava la Capopalestra, la paura di non rivedere l’uomo che amava.
Si voltò, guardando la porta della Palestra di Ceneride, quindi abbassò gli occhi.
“Ti aiuterò. Questa è la sfera di Gyarados” fece, ponendola tra le mani della donna. Si mise davanti a lei, vedendo Staraptor alzarsi in volo.
Ascoltava la voce di Alice che, cercando nel suo piccolo strumentario, scorreva distrattamente tra Pozioni e Revitalizzanti. Non si voltò a guardare nemmeno quando sentì la Capopalestra aprì la sfera del Gyarados gigante, udendo i versi rabbiosi del leviatano; l’ombra del Pokémon s’espanse veloce sulla spiaggia di sassi dove si trovavano e fu ricoperta rapida dalla pioggia.
Non fece nulla che non fosse brandire la sfera di Vulpix e metterlo in gioco.
Il Pokémon vide davanti a sé una folta schiera di uomini dai pantaloni blu, stretti e dalle magliette a righe orizzontali. Bandane con un simbolo stilizzato, disegnato con ossa e simile ad un’alfa, coprivano i loro capi dalle intemperie.
Erano centinaia di teste, forse migliaia, non riusciva a scorgerle tutte; dietro di loro c’era Kyogre, che stava fermo, come una montagna che si ergeva dalle acque profonde di quel lago. Sulla sua testa Igor sembrava una virgola minuta, un’escrescenza inutile.
“Ecco” sentì poi Alice, che le aveva posto la mano sulla spalla destra. Marina si girò e la vide sorridente; la Capopalestra le consegnò la sfera del suo Gyarados, e la invitò con lo sguardo ad osservare la salute perfetta del suo Gyarados.
“Ottimo” fece la più giovane, con l’ansia che le spingeva tra stomaco e polmoni, come se qualcuno premesse dall’interno del suo sottile corpo.
“Dannazione, andiamo!” urlò lei. Staraptor non se lo fece ripetere, selvatico com’era non necessitava nemmeno di ordini. Sapeva che doveva abbattere l’obiettivo, e tanto gli bastava. Vulpix invece, cucciolo com’era, necessitava di ordini. Anche Gyarados, siccome era stato catturato.
“Non avere paura. Siamo più forti. Il sistema di reclutamento di questi Team non è così selezionatore come dovrebbe essere: chiunque si presenti diventa utile alla causa. Sono tanti numeri zero. Noi siamo due cento” le disse Alice, tirando fuori due sfere.
“Beh... facciamo io uno zero e tu un mille...” sussurrò, più a se stessa che all’altra, che non poté non sorridere.
“Lo facciamo per Adriano. E per Gold, che dici?”.
Marina si voltò veloce verso di quella, con gli occhi spalancati. Silenziosa, attese spiegazioni.
“Tu sei esattamente come me: non riusciamo a nascondere certe cose. Vai Swellow! Altaria!” urlò poi, tirando in campo i suoi due Pokémon.
La pioggia non li favoriva affatto, anzi, avevano le stesse difficoltà di Staraptor, ma essendo stati cresciuti ed allenati a Forestopoli, dove la pioggia non dava tregua alla popolazione degli alberi, avevano sviluppato una sorta di resistenza.
“Forza!” urlarono entrambe, non appena le prime quattro Reclute toccarono con i piedi la battigia sassosa.
 
“Dove diamine li trovo, adesso?” si chiedeva Martino. Aveva appena oltrepassato la soglia della Palestra ed un tanfo di rancido gli si gettò in faccia.
Tossì, lui, affondando i piedi in una pozza d’acqua e polvere. Pichu era sulla sua spalla e tutto sembrava pericolante.
“Devo fare presto” fece, vedendo il pavimento crollato, proprio ad una decina di passi davanti a lui. A destra vide le scale che servivano a collegare alla parte sotterranea della Palestra.
Doveva capire velocemente se per trovare Gold e Silver avesse dovuto scendere al piano di sotto oppure continuare per quel corridoio disastrato.
Guardò Pichu per un momento, e l’impronta di Silver che si avviava verso i sotterranei lo convinse a seguire quella via.
Scese le scale velocemente, immergendosi nel buio più che totale; qualche secondo dopo, ad immergersi furono le sue caviglie. Urlò un porca puttana nella sua testa, per paura di destare qualche minaccia dal suo riposo, quindi trascinò i piedi in quell’acqua nera che, mano a mano che avanzava, sembrava unirsi al soffitto in un’unica cappa buia, assalente ed asfissiante.
Mano a mano che Martino avanzava il livello dell’acqua saliva e raggiungeva i polpacci. L’acqua era fredda, ed in alcuni punti toccava qualcosa con le gambe che gli faceva drizzare i peli sul collo.
Si sentiva inquieto, voleva scappare da lì.
Nel buio ci poteva essere tutto: mostri inimmaginabili, Pokémon sconosciuti, volanti oppure acquatici; ci poteva essere uno dei Magma, un assassino.
Probabilmente quello l’avrebbe riconosciuto e colpito, fatto affogare in quell’acqua tanto nera e torbida.
Teneva gli occhi più aperti che poteva, acuì l’udito, ascoltando dei mormorii distanti ed irregolari, che non riusciva a ricollocare sottoforma di frasi sensate.
Fece un altro, ultimo passo, prima di fermarsi completamente, in attesa che qualcosa succedesse: dopo quel passo, infatti, Martino non vide più nulla. Si voltò, distante c’era la scala con cui era sceso lì giù, illuminata male da qualche neon superstite.
“Pichu... ci sei ancora?” domandò il ragazzo, sentendo il Pokémon muoversi lentamente sulla sua spalla. Squittì, attestando la sua presenza.
Analizzò rapidamente la situazione. Tornare indietro non era logico, dato che era già a metà percorso. E poi aveva visto quelle orme dall’ingresso scendere lì sotto, ed anche sulle scale. Il problema era quell’acqua nera, che nascondeva qualcosa che nessuno sapeva.
E poi vide un buco nel solaio ad una decina di metri in avanti, che riempiva di luce quella zona.
Decise che fosse saggio raggiungerla, magari muovere quelle acque sporche, per cercare un elemento da poter utilizzare come arma.
Magari qualche Pokémon, da poter catturare con lo Styler.
Avanzò ancora, pensando che avrebbe potuto far usare una mossa elettrica a Pichu Ukulele, in modo da illuminare per qualche istante il lungo corridoio che stava percorrendo e capire il da farsi.
Tuttavia era immerso nell’acqua fino alle ginocchia, una mossa elettrica probabilmente lo avrebbe fatto passare a miglior vita, in quel contesto.
No, doveva proseguire al buio, almeno fino a quel buco nel solaio.
“Dannazione...” sussurrò, tra i denti stretti. “Quel cazzo di Gold, con le sue manie di protagonismo. Proprio in questo buco ignobile si doveva andare a buttare? E Silver, poi, subito a seguirlo. Raimondo lo diceva sempre: gli Allenatori sono una brutta razza; tutti impettiti, le medaglie, le catture, i Pokémon da sconfiggere... E poi nascono il Team Idro ed Il Team Magma che vogliono distruggere tutto. Non sarebbe meglio per queste persone trovare un lavoro normale, mangiare, dormire e scopare in santa pace?! No! Devono rovinare la vita a quest’individuo qui!” esclamò in quella sorta di sfogo, puntando gli indici verso il suo volto indaffarato.
“Gold!” urlò poi, poco prima di raggiungere la parte d’acqua illuminata dal piano di sopra.
Si guardò i piedi, o quantomeno ci provò, non riuscendo a penetrare nelle torbide acque che gli abbracciavano le gambe.
Guardò per un attimo il volto di Pichu sulla sua spalla, contrito e concentrato.
“Tranquillo, tra poco andremo via da qui... Li troveremo ed usciremo fuori”.
Il fatto che bestie come Groudon e Kyogre fossero libere di distruggere tutto non facevano altro che aumentare l’ansia del ragazzo.
Bastava un sospiro di quei due Pokémon e quella Palestra, già mezza sfasciata dai terremoti, sarebbe stata distrutta.
Avanzò ancora, e l’acqua continuava a salire di livello, arrivando al bacino. Si muoveva ormai con difficoltà, cercando di proseguire quanto più velocemente possibile. Toccò qualcosa nell’acqua; qualcosa di pesante ed immobile.
Spalancò gli occhi ed allungò la mano fin dove poté; brancolava letteralmente nel buio, quando, con stupore e paura, toccò quella cosa: era una testa.
“Ca...” inspirò profondamente, scioccato. “...zzo” affannò poi. Il cuore batteva nel petto, forte, la mano tremava nel carezzare i capelli bagnati su quella nuca. Scese con la mano, disteso galleggiava l’intero cadavere di qualcuno.
Poteva essere Gold. O Silver. E se fosse stato Gold, sua sorella sarebbe morta per la seconda volta nella sua vita.
Riportò la mano sulla nuca che sentiva, carezzando quei capelli ed attestando con profondo terrore che fossero corti. E a meno che Silver non fosse capitato sotto le mani di un barbiere nell’ultima ventina di minuti, quello poteva essere soltanto Gold.
Cercò a tentoni la mano di quell’individuo che individuo più non era, la trovò e poi si gettò con foga indietro, verso quella torcia involontaria che partiva dal solaio.
Vi arrivò qualche secondo dopo, con sforzi immani e lamentosi, trascinandosi dietro quel corpo galleggiante che dopo pochi metri s’inabissò, per poi riaffiorare nuovamente.
Giunse dove voleva, Martino, sembrava che sul palcoscenico l’unica luce puntasse su di lui, quindi lo afferrò per i capelli, che già vedeva essere neri, e voltò il capo di quello, per guardarlo in faccia.
“E questo chi cazzo è?!” esclamò, impanicato.
Non lo conosceva, Wilbur Jones si chiamava ed era uno degli apprendisti che si allenava nella Palestra di Ceneride. Rigettò sollevato il corpo nelle acque nere e portò le mani ai fianchi.
“Gold!” urlò. “Gold!”.
 
Si sentì chiamare, quello dagli occhi dorati. Portò lo sguardo stanco verso il compagno e si fermò.
“Era Martino?” domandò poi.
“Non ho sentito niente” rispose Silver, continuando a camminare. Gold gli era poggiato addosso, facendo forza sulla spalla del fulvo per camminare. Lo scontro con Ottavio lo aveva letteralmente indebolito, e per quei pochi secondi che il suo cervello era rimasto senza ossigeno, mentre il malvagio gli stringeva quelle due enormi mani al collo risultarono bastevoli a fargli necessitare un minimo d’assistenza, almeno per quei primi minuti.
“No, ti assicuro, era Martino. L’ho sentito con le mie orecchie”.
Silver sbuffò. “Due minuti fa stavi morendo ed ora senti le voci. Non mi sorprende che tu senta qualcuno che ti chiami. Sarà Arceus, o qualche arcangelo”.
“Non è il momento di fare i simpatici. Anche perché non ci riesci. Ho sentito realmente qualcuno che mi chiamava!”.
“Non può essere Martino! Lui è fuori a monitorare la situazione!”.
“Ma...”
E poi un violento terremoto, che i ragazzi non sapevano essere stato provocato da Groudon nella Grotta dei Tempi, scosse ulteriormente le fondamenta.
“Che succede?!” esclamò Gold, ridestatosi improvvisamente e dritto sulle sue gambe.
“Un terremoto!” esclamò Silver, spingendo il ragazzo sotto le pareti e pressandolo, cercando di diminuire il proprio volume.
Gold spalancò gli occhi, quelli di Silver erano chiusi ed i denti stretti e quando il terremoto finì, il moro spinse l’altro.
“Che cavolo stai facendo?! Staccati da dosso. Crystal è da sola!” esclamò poi, d’improvviso, quello.
“Già. Ma se la caverà. Lei è parecchio in gamba” rispose il fulvo, staccando il petto da quello del ragazzo.
Gold barcollò, avanzando qualche passo verso l’uscita; erano passi cauti, sapeva che sarebbe sopraggiunta una scossa d’assestamento. Sapeva anche che erano proprio quelle che spesso causavano il crollo degli edifici.
“Non permetterti più di buttarti addosso a me in questo modo. Non mi piaci in quel senso”.
“Stai tranquillo” sospirò Silver. “Il sentimento è reciproco. Volevo soltanto salvarti. Di nuovo”.
“Ora per qualche intervento sul gong ti senti Superman...” sbuffò Gold.
Poi la scossa d’assestamento li costrinse nuovamente a gettarsi contro il muro.
“Cazzo, come odio i terremoti. Appena trovo Groudon lo prendo a calci in bocca!” urlò iracondo il moro, vedendo poi il soffitto alla fine del corridoio crollare.
“Cavolo!” esclamò Silver, facendo un passo in avanti. Polvere di cemento si alzò nella confusione e poi un rombo assai sinistro fu seguito dallo schianto di qualcosa all’interno della grossa piscina d’acqua che si trovava nei sotterranei.
“È il pavimento! Sta crollando il pavimento!” urlò ancora il rosso, prendendo a correre, tirando per il braccio un malmesso Gold.
Fecero quattro, cinque passi stentati, poi videro un’enorme crepa aprirsi nel pavimento. Partiva da lontano ma si dirigeva velocemente verso di loro.
“Qui cade tutto! Dobbiamo andare via!” fece Silver.
“Gambe di merda! Funzionate!” urlava l’altro, lasciando improvvisamente la presa dal ragazzo che lo sosteneva e facendo dei passi in equilibrio precario, prima di cadere.
“Testa di cazzo!” urlò Silver, afferrandolo per le spalle e sollevandolo. Lo caricò sulle spalle e fece per correre, ma la crepa avanzava con grande velocità e lui era troppo lento.
 
“Porco... Qui crolla tutto!” esclamò Martino, facendo un paio di passi indietro. La foga e la paura lo travolsero, investendolo immediatamente. Vide la luce che mano a mano avvolgeva tutto, ed i calcinacci che cadevano dal solaio affondavano nell’acqua nera e possessiva, che tutto prendeva e che manteneva strette le gambe del Ranger, rendendo difficoltoso ogni suo passo.
E poi sentì qualcuno inveire sui terremoti, al piano di sopra.
“Gold!” esclamò, spalancando gli occhi color nocciola, che riflessero la poca luce che prendeva ad aumentare.
Urla di diversi Zubat e Golbat si levarono nel corridoio disastrato, dopodiché i Pokémon stessi si manifestarono, prendendo a volare nelle direzioni più disparate.
Martino agì d’istinto: prese lo Styler ed acquisì velocemente un paio di Golbat.
“Prendetemi e voliamo sopra! Dobbiamo salvare Gold e Silver!” gli ordinò. I Golbat afferrarono con le zampe il Ranger, che vi si aggrappò famelico. Pichu si mantenne alla sciarpa rossa del ragazzo, che vide i due Golbat attraversare la grossa breccia nel soffitto.
Martino strinse gli occhi durante il passaggio dal sotterraneo al pian terreno, finendo anche per urtare contro un pezzo di pavimento, spaccandolo e destabilizzando il volo dei Pokémon, che però si rimisero in rotta lentamente.
Le gambe del ragazzo ciondolarono per poco a destra e sinistra, poi le ritirò, per diminuire l’attrito ed aumentare la velocità. Pochi passi dopo vide Silver che correva, con Gold sulle spalle.
“Cavoli, eravate qui allora!” esclamò il ragazzo. Silver si voltò, vedendolo arrivare; osservò come il Ranger allargò le braccia e comprese immediatamente.
Lasciò scendere Gold, che lo fissò con sguardo stupito.
“Che diamine succede, adesso?” chiese quello.
Silver puntò col braccio Martino, mentre col volto girato dall’altra parte faceva uscire dalla sfera Honchkrow.
“Che fai?!” urlò Martino.
“Ci sono le spore!” urlò quell’altro.
“Ah, è vero!” annuì presto Gold.
Martino s’avvicinava velocemente intanto.
“Honchkrow, velocissimo! Devi andare ad usare Raffica dove c’è il corpo di Ottavio e di quell’Infernape!” ordinò il fulvo e, contemporaneamente, alzò il braccio.
Martino s’allungò velocemente ed afferrò entrambe le mani dei Deholders, sollevandoli da terra e producendo uno sforzo immane.
“Cazzo! Quanto pesate!” urlò tra i denti stretti il Ranger, mentre il battito d’ali dei Pokémon Pipistrello lo assordava.
Honchkrow, intanto, volava alla velocità di un missile verso l’uscita. E quando vi arrivò prese a sbattere le ali in maniera quasi compulsiva; alzò grandi quantità di polvere, calcinacci e solidi di fango, che si accumularono ai lati, sotto le pareti.
I Golbat seguirono subito dopo, volando spediti. Silver si voltò ed ebbe il tempo di far rientrare il suo Pokémon nella sfera, quindi guardò avanti: c’era la porta di cristallo della palestra.
“Silver! Vai!” urlò Gold, che ancora sentiva quello strano formicolio nelle gambe.
“Sì!” esclamò l’altro. Martino gli diede lo slancio e lui si gettò diretto sull’obbiettivo, infrangendo con un colpo da karateka il vetro, ruzzolando fuori.
Martino calcolò la distanza e rilasciò lo Styler, facendo in modo che i Golbat volassero liberi al di fuori della Palestra. Questi lasciarono la presa.
“Gold, attento!” esclamò il Ranger, lasciando la presa dal ragazzo che ancora stava trattenendo e calcolando l’atterraggio, che finì in modo perfetto.
La stessa cosa non si poté dire per Gold, che si ritrovò con la faccia nel terreno.
Sputò con disgusto, stufo di quella situazione. Cercò di non concentrarsi sul formicolio alle gambe, quindi alzò la testa e vide Marina, mentre dava ordini a dei Pokémon.
Si mise a sedere con calma, cercando di capire per bene ciò che stava succedendo.
Vide Vulpix, il Vulpix che avevano salvato sul Monte Pira, andare totalmente fuori combattimento, dopo l’attacco massivo di un Poliwhirl.
Poi vide Alice che le urlava di stare calma, e lei che annuiva e guardava un Gyarados gigante.
Sta combattendo, gli suggerì la sua mente.
E poi vide lo sguardo di Marina che tornò lascivo sul corpo esausto del piccolo Vulpix.
Lei non è un’Allenatrice, ma sta combattendo lo stesso.
 
“Gold!” urlò poi Silver, risvegliandolo.
“Sì...” fece, rimettendosi in piedi lentamente; il ciondolo che aveva al collo era uscito dalla maglietta, prendendo a penzolare davanti al suo naso. Trovò l’equilibrio e poi mosse leggeri passi, prima d’inciampare.
Marina si voltò improvvisamente vedendo Silver corrergli vicino, per sostenerlo.
Incurante di tutto, lasciò Alice da sola.
“Dove vai?!” esclamò sgomenta la Capopalestra.
La Ranger non si curò di nulla, vedendo soltanto Gold. “Che hai?!” gli urlò, prendendolo e liberando di fatto Silver. “Puoi andare” gli disse poi. “A lui ci penso io”.
Gold sorrise e vide brillare i suoi occhi nel buio di quel mattino.
“Stai bene?!” gli chiese poi, colma d’ansia.
“Sì, sto bene. Ho solo problemi a stare in piedi”.
“Che è successo?!” s’allarmò lei, abbassando lo sguardo verso il basso, cercando ferite o altro.
“Niente, non è il momento. Ora dobbiamo combattere!”.
“S-sì” fece lei, scuotendo la testa e fissando dritto.
Poi Gold scorse qualcosa che lo sconvolse, costringendolo a spalancare le auree iridi.
“Quello...”.
“Sì, Gold”.
“Quello lì...” tentennò il giovane, trattenendo il respiro.
“Quello è Kyogre” concluse lei, mentre la pioggia continuava a cadere su di loro, senza pietà.

 

 
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 49
*** Capitolo Trentottesimo - Maschio Alfa ***


Maschio Alfa



Kyogre imperava sulla baia di Ceneride, sotto gli occhi attoniti di Gold.
“Che... che cavolo, Marina! Quello è Kyogre!” faceva quello, appoggiato su di lei.
“So che è Kyogre, zuccone! E non ti buttare così, sei pesante!”.
“E... Oddio, non mi dirai che quello è Igor!” sgranò gli occhi lui, mentre il Pichu di Martino attaccò con un Fulmine un avversario.
“Sì. Si è presentato prima”.
“Quello è il Capo del Team Idro!” esclamò ancora, tossendo e sputando sangue, condendo tutto con versi di lamento.
Marina s’impressionò. “Stai bene?!”.
“Sì, tutto regolare. Ma fanculo queste gambe! Io devo andare da lui e costringerlo a calci a smetterla!”.
Alice, che lottava contro le Reclute Idro, s’intromise. “Gold, non fare idiozie! Quello è un terrorista e controlla Kyogre!”.
“Non m’interessa!” urlò lui, lanciò in aria la Pokéball di Togebo e si gettò su di lui.
“Gold!” gridò Marina. “Non fare il cretino, Gold! Oh, cavolo! Staraptor!” fischiò lei, con entrambe le dita. Il Pokémon, che assieme al Gyarados di Marina stava lottando contro i Pokémon degli avversari, si voltò immediatamente e fece in modo che la ragazza salisse su di lui, gettandosi all’inseguimento.
La pioggia continuava a bersagliarli, e più correvano e più pareva piovesse più forte.
“Gold! Fermati!” urlò lei, non appena Staraptor e Togekiss si appaiarono. Gold stringeva i denti, rabbioso, guardando poi per pochi secondi la Ranger con sufficienza.
E Marina odiava quello sguardo. Era come se Gold non la reputasse in grado di capire, e la cosa la stava mandando di matto. Poi guardò Kyogre, davanti a lei, e capì che doveva fermare a tutti i costi Gold.
“Vira!” urlò a Staraptor, che si piegò verso destra, colpendo Togekiss in volo e costringendo Gold a stringere al collo il suo Pokémon.
Gli occhi del ragazzo continuavano a mantenere quella nota di superiorità nei riguardi della ragazza. In più, vi si aggiunse anche un tono stupito, relativo all’attacco aereo avvenuto qualche secondo prima.
“Vuoi ammazzarmi?” chiese con una calma quasi irreale e che non gli apparteneva minimamente.
“No che non voglio ammazzarti, testa vuota! Ma devi capire che sarà quella la fine che finirai per fare se affronterai Igor senza nessuno che ti copra le spalle!”.
“Sono benissimo in grado di sconfiggere quel cretino senza l’aiuto di nessuno. E semmai morissi, sarebbe meglio”.
Marina spalancò gli occhi. Non l’aveva mai visto così rinunciatario. “Ma che diamine dici?! Proprio tu, con queste parole!”.
“Marina... non riesco a camminare ed ormai l’unico sapore che sento in bocca è quello del sangue... ho una maledizione che mi sta consumando dall’interno; la mia pelle sta diventando lentamente violacea. E di fare il mirtillo umano non ne ho proprio voglia” fece, sarcastico, mentre il vento di crociera gli gettava in faccia pioggia rancorosa.
“Non riesco a credere tu possa pensare che la tua vita non abbia più il valore che aveva qualche giorno fa perché adesso sei acciaccato”.
“Acciaccato?! Sono moribondo!”.
“Tu?! Tu non moriresti nemmeno se ti staccassi il cuore dal petto!”.
Gold sorrise ed intanto si avvicinavano a Kyogre.
“Beh, se non tieni alla tua vita, allora dovrò proteggerti io”.
Gold piegò il sorriso, rattristendosi leggermente e pronunciando le labbra.
Marina lo fissava dal fondo dei doppi occhialini. “Che cos’è questa faccia?!”.
“Niente. Torna indietro” fece poi, accelerando il volo, ormai quasi in prossimità di Kyogre e di Igor.
Marina rimase attonita, da sola, per poi stringere i denti, incaponendosi contro il fato e contro il ragazzo. “No! Non torno indietro. Se devi farti uccidere, lo farai con me accanto!”.
Staraptor accelerò, affiancandosi nuovamente a Togekiss. Il rumore delle loro ali che sbattevano era quasi assordante.
“Non voglio che tu muoia. E non morirò nemmeno io”.
“Sarà meglio per te!” esclamò, prima di rallentare definitivamente ed atterrare, sul capo di Kyogre.
Marina saltò giù da Staraptor, mentre Gold rimase su Togebo, incapacitato nel tenersi in piedi nonostante il formicolio fosse leggermente diminuito.
Igor li guardava, totalmente immobile, con le braccia incrociate, il peso perfettamente bilanciato su entrambi i piedi.
Pioveva ma, come la volta precedente, a lui non interessava. Aveva la pelle olivastra, come quella di Ivan, ed i suoi stessi capelli neri, però più lunghi, tirati indietro sulla testa.
La barba, scura ed irsuta, era tenuta ordinata sul suo volto; le grosse labbra si schiusero e qualche goccia di pioggia vi ci posò sopra.
“Siete arrivati fin qui” disse poi, con le braccia conserte. Mosse un passo in avanti, con le sue lunghe gambe.
Marina lo guardava, ipnotizzata.
“Sono sorpreso” concluse quello. Gold, ancora su Togebo, stava accanto a Marina.
“E di che ti sorprendi? Avevi dubbi?”.
“Dubbi? No, era messo in conto. Tutto questo è stato messo in contro, Gold”.
“Come sai il mio nome?!” esclamò il moro, stupito.
Igor inarcò un sopracciglio e sospirò.
 “Secondo te affronterei un nemico senza prima informarmi su tutto quello che potrebbe fare per arrecarmi danno? È stato questo l’errore di mio padre, ab illo tempore: tutta irruenza, tutta voglia di fare e zero calcoli. E non va bene”.
“Tuo padre?!” chiese Marina, incuriosita e spaventata.
“Già. Io sono il figlio di Ivan, il creatore del grande Team Idro. Quando per un pelo il nostro piano stava per riuscire. Avevo solo dieci anni, ma già vedevo dove sbagliasse, mio padre”.
“Ovvero?” chiese Gold, affondando le dita tra le morbide piume del suo Pokémon.
“Lui aveva i mezzi per fare quello che voleva ma non l’autocontrollo necessario a controllare tutto: insomma...” prese a contare con le dita delle mani. “... doveva badare a se stesso, alla sua famiglia... ad un intero gruppo di persone, alla salute del team... poi Kyogre. In più doveva tenere d’occhio Max ed il Team Magma. No” sorrise poi. “No, Gold. No, Marina”.
La Ranger spalancò gli occhi, stupendosi del fatto che conoscesse anche il suo nome.
Igor continuò. “Mio padre era un uomo troppo piccolo per fare quello che voleva; era un uomo forte, ma non così tanto da poter sovrastare l’organizzazione mentale di Max. Dal suo canto, Max non era un uomo forte; a lui mancava la motivazione di mio padre, la grinta... Beh, io sono forte come mio padre ed intelligente come Max”.
“Proprio come Miriam” ribatté Gold, sorridendo e facendo sorridere a sua volta l’uomo.
“Miriam morirà. E con lei tutti quanti non meritino di far parte del nuovo ordine”.
“Eh?!” esclamò Marina.
“Vedrete... Il mondo come voi lo conoscete sarà semplicemente un ricordo. Più spazio ai Pokémon d’acqua, e poi scorci spettacolari dalle nostre città subacquee”.
Gold rise. “Tu sei davvero matto. Forse è perché sei figlio di uno più matto di te. Hai davvero parlato di città subaquee?!”.
“Aquamarea è stata costruita, e le nostre famiglie sono già rintanate lì. Per quando Kyogre sommergerà tutto, s’intende” disse quello, guardando Marina con interesse. “Tu sembri spaventata” fece poi.
“T-ti... ti sbagli!” esclamò incerta quella. Sentì la mano di Gold afferrarle la spalla ossuta.
“Stai tranquilla” le sussurrò.
Marina annuì e tornò a puntare gli occhi sul nemico: vide l’acqua che scendeva dalla sua fronte, scivolandogli sulle labbra e poi sul mento; cadeva sotto forma di gocce sul petto di quello, fasciato da una muta celeste, e poi più giù, sulle cosce muscolose.
“Hey, non t’incantare troppo” fece Gold, infastidito.
Marina scosse la testa e tornò a concentrarsi.
“Beh, con il potere di Kyogre riusciremo finalmente a realizzare il mio sogno. Sommergeremo le terre emerse ed utilizzeremo gli ampi fondali marini come nuovo habitat. Uomini e Pokémon d’elite coabiteranno in un luogo d’elite. E lì non è quello più anziano, o il più ricco, ad avere maggior diritti. Lì comanderò io, e deciderò io chi morirà qui e chi invece sopravvivrà con me, sott’acqua”.
“Ora mi sono scocciato!” urlò Gold. “Togebo, usa Forzasfera!”.
Igor non si scompose ma schivò l’attacco del Pokémon dell’avversario con agilità.
“Mi sembra un po’ esagerata come reazione. In fondo non ho ancora fatto nulla di male” sorrise Igor, tornando ad incrociare le braccia.
“Tu! Hai distrutto una città! Porto Alghepoli è stata messa sotto torchio dai tuoi scimpanzé, da quel vichingo folle e da quella strega di una puttana!”.
Igor sorrise. “Me l’ha detto che non hai preso bene il suo... commiato di benvenuto”.
“Direi proprio di no!” esclamò il ragazzo, sputando sangue sugli stivali lucidi dell’uomo.
“Tutto ciò che vogliamo è che questo problema che assale Hoenn finisca. Aiutaci a combattere il Team Magma, avrai dei vantaggi da ciò. Dopodiché sciogli il tuo team e  ritirati nella tua città subacquea o quello che è” fece Marina. “Ma evita questa sanguinolenta guerra perché...”.
Igor la interruppe, passando oltre con lo sguardo.
“Reclute Magma. Sono scese in campo”.
“O porca... Dannazione, come siete stupidi!” esclamò Gold, stringendo gli occhi.
“Non ho più tempo da perdere con voi. Xander! Christine!” urlò poi, facendo spalancare gli occhi ai due.
“È tempo di andare al punto prestabilito” fece poi Igor, battendo le ciglia. Bastò quello, e sul suo corpo si ricoprì di venature azzurre.
“Sta controllando la sfera blu...” osservò Gold. E poi da un Pelipper ed un Glalie apparvero i due scagnozzi. Christine stava in piedi sul Pokémon Tuttomuso, con le braccia incrociate. Sul Pokémon Alacquatico, invece, Xander stava basso sul dorso del volatile.
“Prendetelo” fece Igor, prima che palpebre rilucessero dello stesso bagliore celeste che attraversava tramite ampie strisce la sua pelle ambrata.
Partirono quindi all’inseguimento.
“Dobbiamo tornare a terra!” urlò Marina, salendo su Staraptor, pochi attimi prima che Kyogre cominciasse con l’immersione, alzando una grande quantità d’acqua. Togebo e Gold girarono la schiena agli inseguitori e partirono verso la riva ad est, proprio davanti al centro Pokémon: avrebbero tenuto lì la propria battaglia.
 
Non appena Kyogre s’immerse, il livello dell’acqua aumentò repentino, costringendo Martino, Silver ed Alice ad indietreggiare.
“Dannazione...” strinse i denti il fulvo. Combatteva contro una Recluta che aveva mandato in campo un Tentacruel. “Weavile, usa Lacerazione!” urlò quello, prima di vedere il suo piccolo Pokémon avventarsi sull’avversario e fenderlo con un grande colpo, proprio al centro della fronte, mandandolo fuori combattimento.
“Attento!” urlò Alice, mentre vedeva il Gorebyss di un nemico avventarsi contro il Weavile di Silver.
“Pichu!” urlò Martino, che attaccò l’avversario, in pieno volo, pronto a trafiggere il Pokémon di tipo Buio – Ghiaccio con il suo muso sottile. Il piccolo topo elettrico balzò da terra e lasciò partire una forte scarica elettrica.
Gorebyss fu colpito in pieno, stramazzando nell’acqua bassa, continuando ad avere spasmi per diversi secondi.
“Non finiscono mai...” disse Martino, tra i denti.
“Odio tutto in questo momento!” esclamò Silver. E poi vide la gran parte delle reclute che stavano affrontando spostare il proprio baricentro verso la parte ovest della baia.
“Ma... dove vanno?” domandò Alice.
Silver fece rientrare Weavile nella sfera e guardò verso destra, non riuscendo a scorgere nulla oltre la figura di Alice.
“Non lo so” rispose. “Ma c’è qualcosa che deve aver attirato la loro attenzione”.
“L’ingresso alla Grotta dei Tempi è dopo la scalinata che stiamo proteggendo...” osservò la Capopalestra. “Se non vanno lì, allora dove si stanno dirigendo?”.
Martino spalancò gli occhi. “Cazzo...”.
Alice e Silver si voltarono repentinamente verso di lui. “Che succede?!” domandò la donna.
“Magma...” rispose il Ranger. Solo due sillabe riuscirono, nella mente di Silver, a collegare tutti gli avvenimenti. L’odio e la rivalità tra i due team terroristici stava portando Idro e Magma a combattere tra di loro.
“Si leveranno da mezzo da soli...” fece Alice.
“Ma Crystal dov’è?!” esclamò d’improvviso il fulvo.
“Già!” aggiunse Martino. “E Marina?! Stava seguendo Gold!”.
“Li ho visti muoversi verso il Centro Pokémon, nella parte est della baia” rispose Silver.
“Devo andare” disse fine il Ranger, raccogliendo Pichu e correndo in direzione della sorella.
Silver ed Alice si compattarono, guardandosi per un momento.
“Che dobbiamo fare?” domandò il ragazzo.
“Di là c’è Gold...” analizzò lei, portando le mani lungo i fianchi. “E poi i Ranger... Sembriamo abbastanza coperti... Magari dovremmo andare a vedere se durante lo scontro tra le Reclute possa succedere qualcosa di rilevante”.
“Mi preoccupa Crystal, a dire il vero”.
“Lei è in gamba, Silver. Lo hai detto tu stesso. E poi è con Adriano”.
Il fulvo sospirò e guardò in basso. Alice salì sul suo Altaria e volò verso ovest, seguito poco dopo dal ragazzo, in groppa al suo Honchkrow.
 
Gold si voltò velocemente sul suo Togebo. Ne aveva fatte di battaglie aeree su quel Pokémon, riflettendoci. Xander si gettò a capofitto sul ragazzo col suo Pelipper, stringendolo con le spalle al muro. Gold si voltò, dietro aveva la parete rocciosa del pendio est e davanti un folle con un una spranga in mano.
“Ma dove l’hai presa?!” esclamò Gold, sgomento.
Xander ghignò e si scagliò contro il ragazzo, caricando il colpo.
“Togebo! In picchiata!” urlò il moro, vedendo poi l’Idrotenente colpire la montagna che aveva di fronte.
“Cazzo! Per poco! Dobbiamo contrattaccare! Vira verso l’alto!” ordinò al suo Pokémon. Passò dalla picchiata alla salita rapida, mentre Pelipper riprendeva quota e stabilità.
“Stanno arrivando...” ragionò il malvagio. “Idropompa!”.
Il pellicano lasciò partire una potente colonna d’acqua, diretta proprio verso Gold ed il suo Togekiss; questi, dal canto loro, videro arrivare l’attacco e quando l’Allenatore ebbe modo di ragionare sul da farsi capì che a poco sarebbe valso qualsiasi movimento laterale: Xander stava già preparando un altro attacco Idropompa, che gorgogliava nel capiente becco di Pelipper, scagliandolo ovunque Togebo si fosse scansato.
“Attraverso, Togebo!” urlò Gold. “Usa Extrarapido!”.
Il Pokémon del Dexholder, proprio come un missile, accelerò verso l’alto; il suo Allenatore, ancora su di lui, cercò di appiattirsi quanto più possibile, per evitare l’attrito e l’attacco del Pokémon avversario.
“Che cosa sta facendo quel pazzo?!” domandò Xander, vedendolo poi sbucare dalla parte terminale dell’attacco, totalmente infradiciato. “Attacca ancora!” fece poi.
“Togebo, schiva a sinistra e poi Forzasfera!” urlò grintoso Gold.
Xander era impreparato, persino Marina da terra riuscì a vedere lo sgomento sul volto del nemico. Christine era appena arrivata sulla spiaggia di sabbia bianca e sottile di cui era composta la parte est della costa di Ceneride.
 “E così mi ritrovo contro di te...” sospirò l’altra Idrotenente, saltando giù dal suo Glalie, ponendosi al suo fianco.
Marina vide Staraptor alzarsi rapidamente in volo, stabilizzandosi pochi metri sopra di lei.
Sbatté gli occhi un paio di volte, la Ranger, poi intravide la sagome del Gyarados gigante alle spalle di Christine, dentro che usciva dal mare trafiggendolo con la sua figura.
Doveva utilizzarlo; poteva farlo.
Guardò Glalie, e considerando la combinazione tra tipi, il suo Vulpix avrebbe potuto fargli comodo; tuttavia quel Pokémon era esausto, e poteva contare unicamente su Staraptor, debole contro gli attacchi di tipo Ghiaccio, e sul suo Gyarados, in avvicinamento.
Doveva utilizzare una strategia intelligente, creare un diversivo ed attaccare alle spalle con Gyarados.
“Staraptor! Usa... Raffica!” esclamò, confusa ed indecisa. Il Pokémon eseguì, guardando prima la Ranger e poi gli avversari.
Marina vide il vento alzarsi ed un cumulo di sabbia che si scagliava contro Glalie e Christine. Quella rimaneva immobile, mentre la Ranger fu costretta a mantenere gli occhialini stretti alla testa, mentre ciocche castane e ribelli si dimenavano sospinte dal vento.
Gyarados si avvicinava, incredibilmente silenzioso, mentre creste d’onde s’infrangevano sulla battigia candida della spiaggia.
“Che vorresti fare con questo venticello?” schernì Christine. “Glalie... usa subito Geloraggio. Su Staraptor” precisò infine, facendo saltare in mente il fatto che per quelle persone non fosse abbastanza scorretto attaccare gli Allenatori.
Il Pokémon Tuttomuso si gettò in avanti, con quel ghigno assai sinistro che si ritrovava, facendo rimbalzare tra i suoi denti squadrati cristalli di ghiaccio che mano a mano s’addensavano tra di loro.
“Vai” ordinò calma Christine, ed il Pokémon scagliò il colpo.
“Staraptor, schiva e vola in alto!”.
Così fece. Quel raggio congelante per poco non colpiva l’ala destra del Pokémon di Marina, quindi alzò la sua quota. Mentalmente, Marina pretendeva che Christine ordinasse a Glalie di seguirlo e di attaccarlo di nuovo. Quindi, Gyarados sarebbe entrato in gioco, mettendo fuori gioco Christine.
“Glalie! Geloraggio su quella puttanella rinsecchita” ordinò la biondina, battendo le palpebre un paio di volte.
Marina, invece, le palpebre le spalancò, incredula. E quindi stessa procedura: Glalie produsse cristalli congelanti nella sua bocca, li ammassò e fece partire il colpo.
Devo schivarlo pensò Marina.
Lo vide arrivare dritto, centrale, e probabilmente l’avrebbe colpita all’altezza dell’addome. La circonferenza dell’attacco era parecchio ampia. S’avvicinava ad alta velocità.
Destra? Sinistra? Non c’era alcun modo di schivare quel colpo senza essere colpiti? Gyarados era ancora troppo lontano, e le sue sole forze non erano bastevoli per fare quello che avrebbe voluto.
Il cuore batteva forte, non si rendeva conto, Marina, di quanto ferma fosse in quel momento. Avrebbe dovuto correre, valutare una possibilità di schivata, ma niente di tutto ciò attraversò i suoi pensieri in quel momento.
Era immobile. Immobile e terrorizzata.
E mentre aspettava la fine, sentì qualcuno urlare dal cielo.
“Iperraggio!” fece quella voce, e dall’alto una fascio d’energia luminosa si pose tra la Ranger ed il Geloraggio, deviando l’attacco e lasciando Marina miracolosamente incolume.
Spalancò gli occhi, la Ranger, e vide Gold che, inseguito da Xander, cercava di destabilizzare il volo di Pelipper con frequenti cambi di quota.
“Gold!” esclamò lei, tutta sorpresa. Christine non fu felice di vedere deviato il suo attacco, quindi digrignò i denti.
“Maledetto!” urlò, e mai ebbe più ragione: i battiti del cuore di Gold cominciarono a diventare sempre più lenti, ed il sacchetto ormai emanava un alone viola parecchio sinistro.
Il ragazzo di Borgo Foglianova spalancò gli occhi, portando una mano sul cuore e puntellandolo con le punte delle dita. Tossì, il suo sangue, di quel rosso scuro, quasi nero, insudiciò le candide piume di Togekiss.
“Pelipper, Sfoghenergia!” urlò Xander, che precedentemente aveva utilizzato Accumulo; ebbene, il Pokémon pellicano rilasciò un’onda azzurra d’energia accumulata che non lasciò scampo a Togebo, che, colpito, precipitò, impossibilitato a recuperare la quota iniziale.
“Gold! No!” urlò Marina, impotente nel vederlo precipitare per terra.
Quello sentiva il vento sferzargli i capelli, pensando al New Era che avevo irrimediabilmente smarrito. Non ricordava nemmeno quando.
La spiaggia si avvicinava a velocità terribile e mentre il suo cuore mancava un battito su tre, lui ebbe modo di guardare il volto preoccupato di Marina, e poi lo sguardo maligno di Christine.
“To...gebo... Ti prego... P-proteggimi...” tossì ancora, accasciandosi sul suo Pokémon e chiudendo gli occhi più forte che poteva.
Passò le mani tra le piume sporche di sangue e bagnate del Togekiss ed aspettò l’impatto.
Martino arrivò di corsa, giusto in tempo per osservare l’impatto: Togekiss allargò le ali, per rallentare la caduta, quindi le alzò totalmente, per evitare che il suo Allenatore, successivamente all’impatto venisse sbalzato via.
 
Togekiss si schiantò con un tonfo sordo sulla sabbia bianca. Sabbia bianca ormai sporca di sangue.
 

Da qui in poi siete dentro casa mia:
detto ciò, con orgoglio comunico l'apertura della pagina Facebook dedicata a Pokémon Courage. La trovate nel link. Grazie =)

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Capitolo 50
*** Capitolo Trentanovesimo - Sogni uccisi da chi non li ha mai avuti ***


Sogni uccisi da chi non li ha mai avuti



Sul Metagross di Rocco, Fiammetta ed il Campione viaggiavano a tutta velocità, seguiti qualche metro indietro da Crystal ed Adriano sull’Altaria che Alice aveva dato alla Dexholders.
I due gruppi inseguivano Andy e Zoe, che fuggivano davanti a tutta velocità sui propri Swellow.
“Dobbiamo prenderli!” urlava Crystal, bassa sul dorso di Altaria. Adriano la imitava, mentre l’uscita s’avvicinava rapidamente e quando furono fuori la Grotta dei Tempi nemmeno se ne accorsero.
“Dividiamoci!” urlò Andy.
“No!” ribatté Zoe, seguendo il ragazzo verso ovest, in direzione dello scontro tra le Reclute Idro e quelle Magma.
“È cominciata...” osservò Andy, virando verso destra. “Zoe, dobbiamo tenere a bada Rocco e Fiammetta! Dobbiamo dividerci! Sono più di noi!”.
“Fanculo! Lotteremo insieme, come abbiamo sempre fatto!”. Lo Swellow di Zoe virò a sua volta verso destra.
“Stanno litigando” osservò Fiammetta, che stringeva Rocco da dietro per evitare di perdere l’equilibrio. Il profumo di quell’uomo era penetrante, dolce e pungente. I capelli di Fiammetta erano portati indietro dal vento, mentre il Metagross cromatico del Campione sfrecciava fluttuando su Ceneride, inseguendo i Magmatenenti.
“Già”.
Piccola pausa, Fiammetta sospirò. “Non ti da fastidio se mi reggo, vero?”.
“Se ti aiuta a non cadere giù fai pure”.
Fiammetta sorrise leggermente, per poi tornare seria. “Grazie”.
“Figurati”.
Altra pausa, altro sospiro. “Se Miriam mi vedesse così probabilmente mi ammazzerebbe”.
“Lo farebbe lo stesso, suppongo. Non le sei mai stata simpatica...”.
Rocco voltò lo sguardo, sentendo Fiammetta poggiare la fronte sulla sua nuca.
“Quando finirà questa brutta storia mi prenderò una bella vacanza...”.
“Ne hai bisogno” sorrise leggermente Rocco. “Ora però rimaniamo concentrati”.
Metagross accelerò verso i due avversari, ed intanto ciocche rosse della ragazza volarono davanti agli occhi del Campione. Lui spostò i capelli e sospirò.
“Scusa...”.
“Tranquilla” la rassicurò lui, poco prima che Adriano e Crystal, dal dorso dell’Altaria di Alice, li affiancassero.
Adriano manteneva il cappello con la mano destra, cingendo Crystal per l’addome con l’altro braccio. “Rocco!” urlava lui.
Il Campione si voltò repentino, affondando i suoi occhi duri nelle pozze color acquamarina dell’amico. “Che c’è?”.
“È inutile che restiate qui per quest’inseguimento; Saremo io e Crystal ad occuparci di loro”.
Fiammetta guardò Rocco abbassare per un attimo lo sguardo.
“Hai ragione” fece.
“Andate a vedere se Alice e Silver hanno bisogno di un aiuto!” esclamò invece Crystal, virando leggermente a sinistra.
Pochi secondi dopo il Metagross del Campione virò e tornò indietro, lasciando Crystal ed Adriano nuovamente soli contro la coppia di Magmatenenti.
 
Infine raggiunsero Andy e Zoe, ormai fermatisi su di un’ampia terrazza dalle mattonelle bianche, lucenti sotto la pioggia battente.
“Dovete arrendervi” proclamò Adriano, saltando giù da Altaria. Prese una sfera dalla sua cintura e mandò in campo il Pokémon che conteneva.
Un Cloyster, dalle valve color blu scuro fissava serioso Andy,
 
 
“Zoroark!” urlò Andy, stringendo i denti. Il biondo, col cappuccio in testa, vide il suo Pokémon apparire dall’ombra.
“Metagross, attento” fece Rocco, concentrato e con gli occhi ben aperti. Crystal gli si avvicinò, vedendo lo Zoroark pronto ad attaccare con le sue illusioni.
“Stai attento!” fece la ragazza dagli occhi celesti. “Quel Pokémon è potentissimo!”.
“Tu devi farti gli affari tuoi!” urlò invece Zoe, avventandosi su di lei come una leonessa sulla preda, spintonandola.
Crystal spalancò lo sguardo, vedendola arrivare nuovamente con il pugno teso indietro, pronta a scagliare il colpo.
E poi vide un ciottolo per terra; senza pensarci due volte caricò il piede e lo calciò.
Questo, con violenza, raggiunse il volto di Zoe, stoppando il suo tentativo d’attacco. La pietra la colpì in fronte con forza, ferendola.
Crystal fece giusto in tempo a puntellare nuovamente i piedi a terra e prendere la sfera di Seviper, per mandarlo in campo.
L’enorme Pokémon Veleno strisciò attorno a Crystal; lei carezzò la sua pelle squamosa, fino a che non si pose tra lei e l’avversaria.
“Sei un’Allenatrice. Nonostante tu sia così scorretta non posso permetterti di farmi più male di quanto non me ne stia facendo questa situazione”.
Zoe tamponò con la manica la ferita aperta sulla fronte, quindi levò il cappuccio, prostrando la testa alla pioggia.
“Il nostro piano non può fallire!” urlò, tirando in campo una sfera.
Uno Zangoose dalle unghie affilate spalancò gli occhi e mostrò i denti al suo avversario.
“Affascinante” sorrise Crystal. Era a conoscenza della grande rivalità tra Seviper e Zangoose. Il Pokémon Zannaserpe fece vibrare la lingua biforcuta, carezzando i lunghi canini e fissando l’avversario che incrociava gli artigli, affilandoseli per bene.
“Ora mi hai stufata! Zangoose, usa Forbice X!” urlò concentrata la sgherra del Team Magma, stringendo i pugni. Contemporaneamente Zoroark si abbatté con forza e velocità contro il Cloyster di Adriano, che si chiuse subito tra le sue valve.
Adriano guardò negli occhi dell’avversario e sorrise, sornione. “La difesa di Cloyster è il suo vanto...”.
“È un Pokémon inutile; come il suo Allenatore, del resto! Zoroark, usa Sfuriate! Sfondiamo quel guscio!”.
“Non ci riuscirai” disse Adriano, con una calma irreale in quella situazione. I suoi occhi si perdevano nel buio dello sfondo di Ceneride, mentre le urla delle Reclute arrivavano alle sue spalle come lamenti sinistri e cupi. “Il guscio di Cloyster è fatto di uno dei materiali più resistenti che l’uomo conosce”.
Andy vedeva il Pokémon che controllava attaccare con foga immane il guscio impenetrabile dell’avversario. Zoroark colpiva, ancora, ancora e ancora, fermandosi soltanto quando Adriano diede ordine a Cloyster di usare Rapigiro.
Il Pokémon Bivalve prese a roteare rapidamente sul proprio asse, respingendo l’ultimo attacco di Zoroark ed arrecandogli parecchio danno.
“Attacca” sospirò Adriano, molto più serio di quel che credeva.
Cloyster si gettò contro Zoroark, che evitò il colpo agevolmente.
Adriano sospirò. “Siamo troppo lenti, forse”.
“Beh, non è sconvolgente, il fatto...” punse Andy. “Zoroark, Nottesferza!”.
“Difendiamoci ancora, Cloyster” disse e le valve del suo Pokémon si serrarono repentine, lasciando incolume la sua anima nera.
“Dobbiamo attaccare” proclamò il Capopalestra di quell’Isola. “Gettaguscio! Poi vai con Gelolancia!”.
Andy storse la testa, leggermente, cercando di capire la strategia del suo avversario; pulì l’acqua dal volto, detergendoselo con la manica della felpa, e vide Cloyster abbandonare le valve e fuoriuscire dal proprio guscio: era soltanto l’anima interna del Pokémon, quella più profonda e nascosta. Pareva un Gastly ma senza quell’aura gassosa che lo circondava.
Era così strano che sia Andy che Zoroark si dimenticarono di difendersi, rimanendo a fissare quella cosa così strana e folle da non riuscire a reagire.
Difatti Cloyster formò delle lance congelate dalla bocca, e le lanciò contro il Pokémon Mutevolpe, colpendolo duramente.
Andy fu come risvegliato da un sonno lungo e sereno quando vide il suo Pokémon sbattere per terra dolorante.
“Facciamola finita, Zoroark, giochiamo un po’ con lui!” gli urlò il Magmatenente, facendo sorridere Zoe, che intanto sentiva la conversazione mentre lottava con Crystal.
Adriano vide la pioggia diventare densa, sempre più densa, fino a far sparire tutto ciò che aveva attorno: non più Cloyster e Zoroark, non più Andy di fronte a lui e nemmeno Crystal e Zoe, a dieci metri accanto. Niente più mattonelle.
Solo pioggia.
Che poi era acqua, e lui viveva l’acqua come nessuno. L’acqua era vita, scivolava sulla sua pelle, rinfrescava le calde carni che, in quasi tutta Hoenn, tendevano a surriscaldarsi per quel clima fin troppo sbarazzino e tropicale.
Forse era per quello che l’uomo dagli occhi verde acqua girava spesso per Forestopoli:
 
Lì pioveva, spesso e volentieri per ore, senza dare mai tregua. Le piante, gli alberi della zona crescevano, davano ossigeno ed i polmoni di Adriano si riempivano d’aria fresca e pulita.
Era giovane, ricordava i palmi delle sue mani lisci e la corporatura esile che lo aveva caratterizzato, almeno finché non si rese conto di esser diventato un uomo.
Quella era la prima volta che andava in quella città e la trovò affascinante. Al posto degli alti grattacieli vi erano mogani ed ebani dalle alte chiome, che lottavano spalla contro spalla per guardare l’insediamento dall’alto verso il basso, ed abbeverarsi di un po’ di luce.
I loro tronchi erano stati cesellati dalle mani di artisti, disegnando sulla corteccia, tramite intagliature dall’alto valore artistico che rappresentavano la grande battaglia tra il sole e la pioggia avvenuta secoli, millenni prima.
E poi vi erano ampi ingressi, da cui le persone entravano.
“Sono case” sentì dire il ragazzo, annuendo stupito, pronunciando il labbro inferiore per poi sorridere.
“Incredibile” fece Adriano, voltandosi ma non vedendo nessuno.
“Sono qui” disse quella voce, delicata e femminile, proveniente dall’alto. Adriano alzò il volto e vide una ragazzina di qualche anno più piccola, mingherlina e con i capelli color lilla legati in una lunga treccia, che le penzolava dalla parte destra del collo. Era seduta su di una ramo, non troppo alto ma nemmeno troppo basso, con un Taillow poggiato sulla spalla.
“È incredibile questo posto...” fece lui, mentre la pioggia lo ricopriva interamente. Sorrideva, lei, specchiandosi dall’alto nella limpidezza delle iridi del giovane.
“Per me non è nulla di speciale. È la mia città da quando sono nata”.
“Sei mai stata fuori da questo posto? È tutto così... diverso. Tutto posticcio, più duro. Qui tutto sembra così irreale che quasi non pare credibile. Questo posto sembra... finto”.
La ragazza fece spallucce, sorridente. Adriano la fissò meglio: il suo viso, nonostante il sorriso, era serio, poco disteso.
“Vivi in un luogo meraviglioso”.
“Grazie” fece infine lei. “Sali qui. Dall’alto tutto si vede meglio”.
Adriano fissò l’albero, capacitandosi di come avesse fatto quella ragazza così gracile, sottile, ad arrampicarsi attraverso i rami stretti di quel mogano perfetto.
“Forza” fece lei, sorridendo nuovamente, battendo la mano sul ramo su cui era seduta. “Ti aspetto qui”.
E così fece, Adriano. Un po’ alla volta s’arrampicò sulla dura e nodosa corteccia dell’alto albero, fino a raggiungere il ramo, stentando a trovare una posizione sicura.
La ragazza sorrideva.
“Eccomi” fece quello, leggermente sudato. La ragazza gli tese la mano e lui la strinse.
“Sono Alice” disse.
“Adriano, piacere”.
 
Quel ricordo era così vivido che quasi vedeva la scena davanti agli occhi. Alice stava proprio davanti a lui, così piccola e magra, con il naso all’insù e la treccia di quello strano color lilla.
Tirava le labbra dentro, le mordeva leggermente, fissandolo dritto negli occhi, perdendosi in quelle profonde pozze color verde acqua. La vide arrossire violentemente, ancora la mano stretta alla sua dopo la presentazione.
Lui aveva capito dal suo sguardo che nel suo futuro vi sarebbe stata la grandezza. Ancora guardava i suoi occhi vividi, rilucevano il verde della natura che li circondava e quel Taillow sulle spalle aveva cominciato a battere le ali.
E le batteva forte, così forte che quasi pareva impazzito. Lui non ricordava quella scena, anzi, lui quel giorno le scompigliò i capelli sulla fronte, ottenendo un pugno sul braccio ed una nuova amica.
Quel Taillow stava invece battendo le ali, con forza, tanto da costringere Alice a mantenersi al ramo sotto le sue gambe.
“Fermo!” urlava Alice, smanacciando in aria e cercando di allontanare il suo Pokémon, ma inutilmente.
Adriano avrebbe voluto alzare le braccia e colpire con una manata il Taillow, ma non riusciva a muoversi. Era focalizzato soltanto sulla scena e, impotente, rimaneva a guardare come la forza sovraumana di quella piccola rondinella sollevasse Alice dal ramo su cui erano seduti e la trascinasse in alto, portandola via.
Aprì la bocca Adriano, ma le sue parole risuonarono soltanto come note stonate.
E poi il buio.
 
Crystal vide Adriano crollare per terra e poco dopo un attacco di Zoroark costrinse anche il suo Cloyster alla disfatta.
“No!” fece quella, mentre Seviper e Zangoose si battevano con forza.
La Dexholder prese la sfera di Altaria, facendo uscire il Pokémon. La pioggia bagnava il suo volto disperato mentre il Pokémon si materializzava davanti ai suoi occhi.
“Alice e Silver!” urlò, fissando il Pokémon e poi la battaglia che stava avendo con Zoe. “Corri a chiamare Alice e Silver!”.
Altaria si mise in volto, mentre Zoroark s’immise nello scontro tra Zangoose e Seviper, colpendo il rettile e facendolo ruzzolare un metro di lato. Pochi secondi dopo, Andy s’avvicinò a Zoe, baciandole la testa.
Le sussurrò qualcosa che Crystal non riuscì a sentire, e Zoe lo guardò, impassibile, per poi tornare a fissare gli occhi sulla Dexholder.
Seviper recuperò velocemente, ripiazzandosi alcuni metri davanti a Crystal, mentre accanto a Zangoose si affiancava il Pokémon di Andy, minaccioso.
“Vogliamo rendere le cose più interessanti anche per la ragazza dagli occhi di ghiaccio?” domandò il Magmatenente, prendendo l’iniziativa.
“Vuoi usare le illusioni anche con lei?” domandò a sua volta Zoe, girandosi repentina. “Voglio divertirmi un po’ con lei...”.
“Come vuoi” rispose infine il ragazzo.
Crystal mise subito mano alla Pokéball di Swampert e lo chiamò in campo. Quello uscì, nella sua forma normale, e la sua Allenatrice non ci pensò due volte prima di farlo trasformare in MegaSwampert, toccando leggermente la Megapietra sul suo braccialetto. Il suo corpo diventò più grosso e muscoloso, e la sua ombra s’impose sotto i suoi piedi, allargandosi.
“Bene, ora siamo pari!” urlò la ragazza, con la rabbia che lentamente cresceva in corpo. “Swampert, vai con Martelpugno!” urlò, puntando il dito contro Zoroark. “Seviper, Fossa su Zangoose!”.
Andy e Zoe elaborarono velocemente una strategia: nel caso di Swampert, doveva essere messa in atto una rapida schivata, in modo da non lasciare spazio all’avversario di sferrare colpi decisivi. In questo modo, poi, avrebbe lasciato il fianco scoperto, e lui avrebbe contrattaccato con una mossa dal sicuro esito positivo.
Quando faceva questi ragionamenti, Andy, vedeva il mondo rallentare, diventare sempre più lento, fino a poi registrarne una grande accelerazione nel momento in cui acquisiva coscienza.
“Schiva a sinistra!” urlò il Magmatenente, vedendo sfilare Zoroark di lato. Swampert aveva il pugno proteso, ma ad un certo punto si fermò, cambiando direzione e dirigendosi verso Zangoose, colpendolo violentemente, facendolo accasciare dolorante sulle sue gambe.
Sia Zoe che Andy spalancarono gli occhi, sorpresi, e quando capirono quello che stava succedendo, Crystal prese la parola.
“Fuori!” fece, vedendo Seviper fuoriuscire dal pavimento mattonellato, proprio alle spalle di Zoroark, ignaro. “Attacca!” urlò infine, vedendo le fauci velenifere del Pokémon Zannaserpe chiudersi sulla spalla dell’avversario.
Urlò quello, in maniera agghiacciante, mentre un rivolo violaceo scivolava dal foro provocato dal morso di Seviper sulla spalla dello stesso.
“Dannazione, sì!” urlò felice Crystal.
“Zangoose, devi liberare Zoroark!” urlò Zoe; pochi secondi dopo, il suo Pokémon si rialzò, attaccando con Lacerazione Seviper, ormai avvitato sul corpo di Zoroark che continuava ad urlare dolorante.
“Swampert, usa Pazienza!”.
Andy spalancò gli occhi. “Dobbiamo colpire Swampert! Non possiamo lasciargli sfogare l’energia che sta accumulando! Attacca lui!”.
“No!” rispose repentina Zoe. “Zoroark sta soffrendo e sta per essere avvelenato” e proprio mentre disse quella frase, il Pokémon Mutevolpe si accasciò sulle ginocchia, favorito dal peso di Seviper che gli stava avvinghiato addosso ed intanto Zangoose continuava a colpire l’avversario, che usava la coda tagliente e velenifera come alabarda, incrociando gli artigli del Pokémon.
“Forza!” urlava Andy a Zoe. “Devi bloccare Mega Swampert, altrimenti qui è finita!”.
“Potrai farlo tu quando libererò Zoroark da Seviper!”.
“Usa nuovamente Pazienza!” faceva Crystal, contenta dell’andazzo.
“Non fare la cretina ed ascoltami!” urlava Andy, visibilmente irritato dalla faccenda.
“È per averti ascoltato che sono qui! Zangoose, vai con Zuffa!”.
Il Pokémon mangusta si gettò a capofitto su di Zoroark, cercando di liberarlo da Seviper.
“Non mollare!” urlava Crystal, al Pokémon Zannaserpe, che intanto affondava sempre più in profondità i canini affilati e veleniferi.
Zoroark si protesse quanto più gli fosse possibile per non finire sotto i colpi di Zangoose, che provocò, con il suo attacco, enormi danni a Seviper. Tuttavia, esso rimase attaccato al Pokémon Mutevolpe con tutta la grinta che possedeva.
“Dannazione! Mightyena!” urlò poi Andy, mandando in campo l’altro Pokémon. “Attacca Swampert con Attacco Rapido!”.
E fu così che il Pokémon di Andy si gettò  con le fauci spalancati ed i denti che grondavano di bava verso MegaSwampert, ancora immobile, meditabondo.
Crystal sospirò, vedendo i due turni di accumulo dell’energia mandati alle ortiche quando l’attacco di Mightyena andò a fondo, facendo indietreggiare il suo Pokémon.
“Dannazione!” urlò, vedendo poi il corpo di Seviper ruzzolare senza più forze un paio di metri alle spalle di Zoroark, dilaniato dagli artigli di Zangoose.
Troppo da gestire, troppo a cui pensare: Seviper, Swampert, Adriano, la situazione.
Poi un grande terremoto fece fermare tutti.
 
Tutti.
 
Reclute che lottavano, indipendentemente dal fatto che avessero la bandana o il cappuccio, Tenenti in blu o in rosso, fautori del bene, semplici vittime di quella situazione; tutti si fermarono a guardare il mare, dove Kyogre s’apprestò ad emergere.
Videro il mare agitarsi, iracondo, ribattersi sulle coste insanguinate di Ceneride, inghiottendo decine di Reclute ed arrivando a formare altissime onde. Esse arrivarono anche a raggiungere la parti più alte dell’isola, invadendo con terribile violenza terrazze e case, ritirando poi con se detriti di vetro e calcinacci.
Il terremoto non accennava a diminuire, anzi, continuava a dilagare.
Fu Rocco il primo ad accorgersi che qualcosa non andasse, proprio nel bel mezzo della baia di Ceneride: l’acqua prese dapprima a bollire e mano a mano quella zona si riempì di vapore.
Trenta metri davanti, Igor, su Kyogre, fissava concentrato.
Avevano capito tutti, ormai.
“Fiammetta...” chiamò Rocco.
La donna guardava incredula ciò che succedeva, stringendosi forte al petto del Campione per evitare di perdere la presa e cadere dal Metagross cromatico.
Sentiva il cuore dell’uomo che batteva sotto le sue dita. Lo fissò per un attimo, capendo benissimo ciò che cercava di nascondere.
 
Ha paura. Proprio come me.
 
“Rocco...” rispose lei, in quei due secondi che gli erano parsi anni.
“Sta succedendo. Di nuovo”.
Fiammetta lo aveva già visto. Lei sapeva che quello che stava per succedere non era buono.
“Lo vedo” concluse la rossa, che in cuor suo sperava ancora di poter fermare la situazione prima che degenerasse.
Le creste di Groudon, di quel rosso rubino, furono le prime cose a fuoriuscire dalla superficie dell’acqua.
Miriam poco dopo apparve sul muso  del Pokémon, con la sua enorme testa a fare da sfondo e quegli occhi pieni d’ira, che fissavano il nemico di sempre.
La pioggia divenne vapore, poi le nuvole s’aprirono e successe qualcosa di parecchio strano: metà del cielo su Ceneride, la metà che sotto comprendeva anche Groudon, fu irradiata da un sole forte e persistente, caldo, che illuminò immediatamente il volto del Capo del Team Magma.
Le nuvole s’addensavano, si ammassavano l’una sull’altra e prendevano corpo, scaricando ancora più pioggia, accompagnata da rombi di tuono violenti e rumorosi.
Metà Ceneride era sotto la pioggia, mentre l’altra metà veniva asciugata da raggi di sole caldi e prepotenti.

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Capitolo 51
*** Capitolo Quarantesimo pt. 1 - Teste di Cuoio ***


Teste di cuoio



“Adriano!” urlò Alice, in preda al panico. Corse prontamente accanto a lui, gettandosi con foga sul suo corpo esanime.
“Crystal! È morto?!” gridò ancora, voltandosi con gli occhi spalancati verso la ragazza. Le lacrime segnavano il suo viso e lo sconforto e la paura stavano stringendo i gelidi artigli sul suo cuore d’aviatrice.
Crystal non sapeva se Adriano fosse morto, e rispose alzando le spalle, col volto scosso e la bocca schiusa. Aveva paura.
“Che succede?!” urlò poi Silver, raggiungendo di corsa la terrazza, totalmente fradicio probabilmente per via delle onde provocate da Kyogre. Si focalizzò prima su Alice, che piangeva, piegata sulle ginocchia col corpo di Adriano accanto. La vide abbassarsi, poggiare l’orecchio sulla sua bocca e premere una mano sul costato.
“Respira!” urlò, terrorizzata.
“Crystal!” la chiamò Silver. “La situazione?”.
“Adriano... ha perso conoscenza” fece, ansimando vistosamente, cercare di bloccare le lacrime.
Silver le si avvicinò, stringendo i denti. Andy aveva appena fatto rientrare Zoroark nella sfera.
“Mi occupo io di lui” disse il fulvo. Si alzò i capelli nel codino per evitare che, bagnati com’erano, gli si posassero davanti allo sguardo, quindi prese la sfera di Sceptile.
“Respira...” ripeté di nuovo Alice, deglutendo saliva tagliente e piena di paura.
“Devi portarlo via da qui” fece Silver, prendendo il controllo della situazione. Vide Andy schierare Mightyena davanti a lui, poi sentì Zoe urlare qualche ordine a Zangoose.
La lotta stava per cominciare, proprio quando Alice, con immensa difficoltà, caricò Adriano su di Altaria e volò via.
 
Poco dopo.
“Di nuovo qui...” sospirò Andy, infastidito. Silver rimase concentrato, vedendo Mightyena ringhiargli contro.
“Finché non ti vedrò fuori gioco non sarò soddisfatto”.
“Siamo in due. Ceneride però è ai nostri piedi, ormai!” rise lui, soddisfatto, con gli occhi spalancati e mostrando i denti bianchi.
“Avete distrutto tutto, come dei folli. Il sudore delle persone, i loro affetti... tutto è stato spazzato via. Non mi pare che il vostro progetto di ampliare la terra, in questo modo, stia facendo del bene a qualcuno...”.
Andy sbuffò dopo una risata, guardò Zoe, indaffarata nella lotta contro Crystal e poi sorrise.
“Dobbiamo spostarci di qui” e prese a correre indietro, verso la scalinata alle sue spalle.
“Hey! Dove credi di andare?! Torna subito qui!”.
Silver lo inseguì, mentre Sceptile lo affiancava. Salirono rapidamente gli scalini e si ritrovarono su di un’altra terrazza, più in alto e più ampia.
Andy passeggiò fino ad arrivare ad una distanza ragionevole da Silver, mentre Mightyena lo seguiva ancora.
“Che cosa c’è? Perché siamo saliti qui?!” gli urlò contro Silver, voltandosi ad accertarsi dell’integrità di Crystal e della sua salute.
“Qui c’è più spazio. Non voglio interferenze, durante la lotta che ti ucciderà”.
Silver non aveva nemmeno più il volto nascosto dai capelli, e la rabbia che provava veniva espressa in tutto il bagliore dei suoi occhi d’argento. “Cosa diamine ci fai qui? A cosa serve tutta questa situazione?” domandò il fulvo, sentendo Groudon ruggire intensamente.
La cosa lo fece rabbrividire.
“Questa situazione?” Andy sorrise, quasi schernendo l’avversario. “Ho la possibilità di conquistare il mondo, stupido sciocco. Perché mai dovrei tirarmi indietro. Soldi, fama, ricchezze... una donna meravigliosa come Miriam... Tutto questo grazie a Groudon ed il controllo che avremo di lui”.
“Ma... ma tu sei fidanzato con Zoe... Che c’entra Miriam?”.
Andy partì con una delle risate più grasse mai fatte, aprendo poi gli occhi smeraldini. “Zoe?! Lei è soltanto uno strumento, per il Team Magma. Ma devo ammettere che fingere di stare con quella ragazzina è stato particolarmente divertente. A letto è una furia...”.
“Hai costretto una ragazza con delle capacità assurde a seguirti in questo piano folle... con l’inganno per altro. Tu mi fai schifo” tuonò Silver, incrociando le braccia.
“Ho fatto tutto questo proprio per le sue capacità. Zoe è una Vinci, ed è abituata a delle pressioni che i comuni mortali non riuscirebbero a sostenere. Inoltre è una combattente eccezionale, con le sue arti marziali e con i Pokémon. Miriam l’adocchiò, qualche mese prima che tutto questo cominciasse”.
“Non ti senti sporco? Ingannare una donna soltanto per raggiungere i tuoi scopi...”.
“Uccidere un uomo è una bassezza più grande che tradire la fiducia di una donna”.
“Tu non te le meriti, le palle che porti” tuonò il ragazzo, facendo cenno di no con la testa, schifato.
Ciò provocò soltanto il sorriso nel Magmatenente. “Io ti ucciderò. Il tuo sangue macchierà queste mattonelle per sempre”.
“Avanti. Vieni ad uccidermi” lo sfidò il ragazzo, con le braccia larghe.
“E allora bene così. Mightyena! Cominciamo con Sgranocchio!” urlò quello, vedendo il suo rapidissimo Pokémon allargare le fauci ed addentare il braccio di Sceptile.
“Colpiscilo con Fendifoglia prima che fugga via!” ribatté l’altro, prima che il Pokémon d’erba, col braccio libero dalle fauci in continua apertura e chiusura sull’avambraccio destro, colpisse con forza e precisione l’avversario. Le fronde taglienti lacerarono il pelo del Pokémon Morso ed arrivarono al corpo, vedendo caldo e rosso sangue colare sul suo pelo.
“Ancora!” fece Silver, urlando, e Sceptile caricò nuovamente il braccio.
“Lascia!” urlò Andy, digrignando i denti ed accertandosi che il suo Pokémon indietreggiasse di qualche metro. Il colpo di Sceptile andò quindi a vuoto, lasciandogli scoperto il fianco sinistro, e ordinandogli di attaccare con Riduttore.
Mightyena caricò sulle zampe e si prestò ad un tackle massivo, dritto nel fianco dell’avversario.
Sceptile stava per terra, dolorante.
“Forza! Ce la dobbiamo fare!” urlò Silver, con grinta e determinazione. Sceptile in cuor suo non voleva demordere e si sollevò.
“Bravissimo!” esclamò il fulvo. “Ora usiamo Verdebufera!”. Sceptile si lanciò con grinta verso l’avversario e quindi scosse con rabbia la coda. Il vento s’alzò minaccioso e, unito alla pioggia torrenziale che cadeva, le foglie si unirono in un’unica spirale offensiva, che colpirono Mightyena in molteplici punti. Il Pokémon di Andy si abbassò quanto più possibile per evitare i colpi, ma a nulla valsero i suoi sforzi.
“Bene! Possiamo concludere! Usa Schianto!”.
“No, Mightyena!” urlò Andy, vedendo Sceptile avvicinarsi con velocità.
 
Qualche istante prima.
Le mani di Gold affondarono nella sabbia, sporche di sangue. Arrancò lentamente, qualche passo in avanti. Xander si gettò a capofitto nella lotta contro Martino e Marina e così fu Christine a posare i propri stivaloni a pochi metri da lui.
Entrambi non si curavano del grosso terremoto che stava sconvolgendo l’isola, né tantomeno della grande onda che si avvicinava alle coste occidentali della baia, lontano da loro.
Gold tossì, sputando saliva e sangue; sentì l’Idrotenente sorridere ed alzò lentamente il volto. La vedeva, sorniona, accanto al suo Glalie, mentre il sole prendeva a brillare alle sue spalle.
“Sei a terra, finalmente. Come quelli della tua specie: gli scarafaggi...”
Gold tossì ancora, cercando di gettare uno sguardo a Marina: era con suo fratello, mentre si prospettava un duplice incontro tra Pokémon ed Allenatori, nel tentativo ovvio di Xander di abbattere Marino con la sua mazza ferrata.
“Ci hai dato un fastidio immane, Gold. E nonostante la maledizione continui a sopravvivere”.
Il ragazzo sorrise, con un rivolo di sangue che scendeva dall’angolo della bocca. “Mia... mia madre... mi ha insegnato a... rimanere attaccato alla vita... con le unghie e con... i denti...” disse lui, con la solita faccia di bronzo e quegli occhi d’oro.
“Beh. Vorrà dire che dovrò fare qualcosa di drastico” disse, prendendo la sfera di Banette e facendolo uscire. Groudon stava uscendo dal mare, Gold lo vedeva, ma in quel momento era impegnato a contare quanti battiti gli fossero rimasti prima di tirare le cuoia.
“Banette, vieni qui...” fece lei, vedendo quell’inquietantissimo Pokémon fluttuargli accanto.
Aprì la cerniera che gli serrava le labbra e ne prese un lungo ago, uno spillone d’acciaio lungo una trentina di centimetri.
Inarcò il sopracciglio destro, sorridendo, leccando la punta metallica e poi pungendosi il dito.
Si avvicinò ancor di più a Gold e si accasciò sulle ginocchia.
“Lontana da me, con... con gli aghi…” fece quella.
“Hai paura delle punturine?” sorrise quella, carezzando la punta del naso di Gold con il dito che perdeva sangue.
“Per... versa, come cosa... Che vuoi farmi?”.
“Ti sto per maledire definitivamente, Gold. Stai per avere iniettato nel tuo corpo il sangue di una strega”.
“Di una zoccola, vorrai dire...”.
Christine sorrise, per poi tornare seria. “È un peccato, perché hai un faccino così adorabile. Saresti stato davvero un buon passatempo. Ma è ora che il tuo cuore esploda...”
“Lasciami stare...” disse il ragazzo, sforzandosi sulle braccia per indietreggiare.
“Dove credi di andare?” chiese la biondina, mentre il sole nascondeva agli occhi dorati di Gold i particolari del volto di quella, mostrandogli solo la sagoma scura controluce.
“Ti... ti ho detto... di lasciarmi stare...”.
Gold indietreggiava, guadagnando un paio di metri, sotto gli occhi superiori di Christine.
Marina urlò, facendo voltare immediatamente il ragazzo.
“Che cosa c’è?! Hai paura per quella stupida Ranger? Morirà, come te del resto”.
“Non provate a toccarla, oppure io...”.
“Tu cosa?!” rise Christine. “Tu sei più morto che vivo. E tra poco cancelleremo la seconda opzione”. L’Idrotenente si alzò e rapidamente punse la guancia del ragazzo, facendolo urlare leggermente. Banette, che era scomparso, tornò a fluttuargli attorno. Christine fece un paio di passi indietro, ancor più sorridente e felice. Due grandi Gyarados presero a lottare alle spalle della bionda, distraendo per un attimo quello dagli occhi dorati.
“Gold!” urlò. “Questa è la tua fine!”.
La cerniera di Banette venne aperta di nuovo e quella gettò lo spillone all’interno della sua bocca. Poi allargò le braccia e in maniera del tutto naturale pronunciò una frase stranissima:
 
“Iov otnat etalrap am iuq ottut é omref”
 
Gli occhi della biondina divennero improvvisamente neri, e lacrime dello stesso colore rigarono l’ovale della donna.
Gold sentì il cuore scoppiargli ed il dolore farlo suo, possederlo totalmente. Una morsa piena di spine lo stava stringendo, si sentiva una zanzara intrappolata da una possente mano.
Il suo corpo si stava chiudendo.
Lui stava per morire.
Tossì, sputando sangue e cominciando ad urlare dal dolore.
 
Ancora prima, circa qualche minuto.
“Gold!” aveva urlato Marina, non appena lo vide precipitare sulla spiaggia.
“Marina!” la chiamò suo fratello, avvicinandosi velocemente. “Stai bene?!”.
“Sì, sto bene!” rispondeva quella, urlando. “Ma Gold è caduto! Sta male!”.
Christine, che era davanti a lei, prese a ridere.
“Non ho mai visto un Allenatore fuggire dalla propria sfida...”.
“Sta’ zitta” tuonò Martino.
La risata sadica di Xander risuonò proprio in quel momento, quando il sole prese a splendere improvviso, trovando uno spiraglio tra le dense nuvole grigie.
“Che diamine?!” urlò la ragazza, vedendo l’Idrotenente in picchiata sul suo Pelliper, con la mazza ferrata tra le mani pronta per sferrare un fendente.
“Cavolo! Marina!” urlò il ragazzo, prendendo la sorella per il braccio e tirandola via.
La ragazza focalizzò l’attenzione sul problema e poi guardò nuovamente Gold. La spranga però la preoccupava un tantino in più, e quindi prese a correre col fratello verso una zona più lontana alle loro spalle. Xander lasciò andare il colpo, diretto alla nuca di Marina, quando il Gyarados della ragazza attaccò con un Idropompa assai potente, diretta verso il Pelliper con su Xander, che fu colpito di striscio, facendo cadere l’uomo.
Ringhiò, quello, passando una mano tra i radi capelli rossicci mentre si rimetteva in piedi, affondando i piedi nella sabbia.
“Che diamine è quello?!” urlava.
“Bravo, Gyarados!” fece Marina.
“Ah, è così?!” sorrideva quello. “Bene, facciamo compagnia al tuo Gyarados! Vai!” urlò quello, mettendo in campo un grande, enorme Gyarados, forse anche più di quello di Marina.
“Attacca!” urlarono contemporaneamente Marina e Xander, vedendo quei due grattacieli flettersi e partire, con le mascelle spalancate.
 
Contemporaneamente, dall’altra parte dell’isola.
Zangoose era praticamente esausto; poggiava le zampe artigliate sulle mattonelle per rialzarsi.
“Io non perderò!” urlava Zoe, totalmente focalizzata sull’avversaria. Prese un’altra sfera dalla cintura e mandò in campo il suo Medicham.
“Ora ti faccio vedere come si usa la Megaevoluzione!” disse. Crystal la fissava sbalordita ed irritata: non voleva che mettesse in campo un altro Pokémon.
“Che diavolo fai?! Perché non ti arrendi?!” urlava la ragazza di Johto, stringendo i pugni iraconda.
“Non posso perdere! Andy cosa penserà di me?! I nostri obiettivi, il nostro futuro...”.
Crystal vide il lato più umano di quella ragazza, che fino a quel momento aveva creduto una zoccola. La sofferenza, la solitudine, la paura, tutto traspariva attraverso i suoi occhi vitrei.
“Io ho... Zoe... Tu sei una Vinci?” domandò poi, vedendo l’interlocutrice spalancare gli occhi. Digrignò i denti, mostrando i canini, furibonda ed impaurita contemporaneamente.
“E tu che ne sai?!” urlò.
“Siamo stati a casa tua, qualche giorno fa...”.
“Quella casa è abbandonata da anni, ormai. La mia famiglia è sparita e non esiste più nessun Vinci ad Hoenn”.
“Sbagliato. Ci sei tu”.
Quella con la emme rossa sul petto spalancò gli occhi nuovamente. Era fragile in quel momento, però allontanò ogni pensiero sulla debolezza rapidamente, urlando.
“Ti faccio vedere che può fare una Vinci! Vai, Medicham! Megaevolvi!”.
Allargò la collottola della felpa e ne prese un ciondolo, tirandolo fuori: la Megapietra, proprio come quella che portava al bracciale Crystal, era incastonata in un ciondolo dorato.
“Questo è l’unico ricordo che voglio portarmi della mia famiglia!”
Toccò la pietra bianca e rossa e Medicham s’illuminò, diventando una macchia di luce nel buio diffuso sotto le nuvole di Ceneride. Allargò le braccia, il Pokémon, trasformandosi definitivamente.
“Non è lottando contro di me che ti farai accettare da Andy! Lui non ti ha mai voluta! Ti hanno usata!” urlava Crystal, vedendo Swampert pronto a difenderla dall’avversario.
“Tu non sai nulla! Attaccala!” urlava lei, con le lacrime agli occhi.
Medicham, ormai Megaevoluto, partì rapidissimo, sferrando un calcio diretto al petto di MegaSwampert.
“Chiudi!” fece Crystal, semipiegata sulle ginocchia e concentrata.
Swampert incrociò le possenti braccia, intercettando l’attacco di Zoe. Medicham si diede lo slancio e tornò indietro, pronto a ricevere altri ordini.
“Io sono stata a casa di Sapphire Birch, pochi giorni fa”.
“Sapphire Birch non è altro che il nome di una salma!”.
“Lo so...” abbassò di poco lo sguardo Crystal, addolorata. “Lei ha lottato come noi per fermarvi”.
“Aveva già intuito, assieme a quell’effemminato del suo fidanzato il nostro piano...”.
“Vi seguiva già da tempo... A casa sua, sul suo pc...”.
“Che cosa?!” urlava lei. Ormai non riusciva più a trattenere la crisi di pianto che le stava rigando il viso, segnando solchi profondi e scuri sulle guance, cancellati poco dopo dalla pioggia.
“Un’intercettazione telefonica tra Miriam ed Andy. Era tutto un piano per sfruttarti. Quei due stanno assieme da tanto tempo”.
Gli occhi di Zoe si spalancarono e le forze cominciarono ad abbandonarla ma, incredibilmente, riuscì a stare in piedi, fissando l’avversaria.
Tutto diventò buio ai suoi occhi, e poi la sua immagine davanti, come se fosse di fronte ad uno specchio, s’infranse in milioni di piccoli pezzi, accumulandosi ai suoi piedi. Polvere, quella era rimasta, assieme a ricordi di lontane volontà ed una flebile speranza, sottoforma di una lucina lontana, che voleva che Crystal mentisse.
“Tu... tu menti...” faceva lei.
“No! Te lo assicuro! Io ho letto le lettere che hai scritto a tua nonna, i tuoi sfoghi, e ti capisco! La pressione che avevi addosso, solamente per il cognome che porti, era qualcosa di insostenibile per una ragazzina... E poi i paragoni con tuo fratello... vivevi una situazione impietosa... Sei fuggita”.
“Lo so che sono fuggita! E sono stata costretta per anni a sopravvivere con i pochi soldi che avevo conservato!”.
“Hai lavorato da qualche parte?”.
“Sì... in un forno a Ferruggipoli, dove erano in pochi a conoscermi. Ho lavorato per anni prima di riuscire a mettere qualcosa da parte, per partire ed andare via, viaggiare per Hoenn e mettere in pratica i miei allenamenti da Kombat – Girl...”.
“Anche io ho cominciato a lavorare da piccola, posso comprendere”.
“Ma quando ho incontrato Andy tutto è diventato più limpido. All’inizio lo vedevo, così bello, così irraggiungibile... Lui mi ha parlato, ha scelto tra tutte proprio me...”.
“E non è strano?! Credimi, Zoe, non ho alcun interesse a distruggere la tua storia d’amore! Ma dobbiamo salvare questa situazione! Groudon e Kyogre già sono usciti fuori!”.
“Ma Andy! Lui crede tantissimo a questo progetto!” piangeva lei.
“Tu uccideresti migliaia di persone soltanto perché Andy crede ad un progetto?! Avanti, ma ti senti?! Non hai visto gli sguardi che aveva per Miriam, la premura nei suoi confronti?!”.
“Era... era...” s’inginocchiò d’improvviso, perdendo le forze ed abbandonandosi in un pianto disperato.
Crystal capì che quello dovesse essere il momento per dare l’affondo finale. “Lui si è avvicinato a te perché sapeva chi eri, e lo sapeva pure Miriam. E ti dirò di più, nemmeno a lei importa così tanto di lui... Miriam ha preso in giro anche Andy, facendolo innamorare, ma poi si sbarazzerà di voi non appena avrà ottenuto quello che vuole: un luogo senza acqua, dove moriremo tutti”.
“È vero...” sospirò lei, portando le mani al volto.
“E stai combattendo contro di noi, che vogliamo mettere le cose a posto!” urlò, irritata.
“Scusa...” piangeva lei. Se n’era resa conto, era tutto un piano architettato dall’inizio per fare in modo che lei facesse parte del Team Magma. La freddezza di Andy non era caratteriale, una cosa portata dal suo modo di essere, così bello e tenebroso. No, lui era così freddo con lei, dai semplici baci ai momenti d’intimità più pura, dove facevano l’amore, se amore lo poteva chiamare, proprio perché lei non gli interessava.
Doveva semplicemente farla innamorare e scoparsela per il bene del piano.
“Io... ucciderò Miriam...” sussurrò, aprendo gli occhi e guardando Groudon, lontano al centro della baia.
 
Un minuto prima.
Stava per schiantarsi su di Mightyena, Sceptile.
“No, Mightyena!” urlava Andy, osservando la coda del Pokémon di Silver schiantarsi con forza sul suo Pokémon. “Rotola!” fece poi, e Mightyena racimolò le forze per poter schivare l’attacco con una rapida virata a destra.
“Non perderemo!” esclamò Silver. “Attaccalo!”
“Mightyena... Forza con Riduttore!” urlò Andy.
Colpito in pieno, brutto colpo, Sceptile barcollò e cadde per terra, prendendosi un attimo per recuperare le forze.
“Tu non sai nulla! Attaccala!” sentirono Zoe urlare, dalla terrazza in basso.
Silver capì che doveva sfruttare appieno l’ambiente che si trovava attorno, perché la semplice forza di Sceptile non bastava. Si guardava attorno, cercando di trovare una scappatoia. La grande velocità di Sceptile doveva essere la chiave ma la poca energia che gli rimaneva era un deterrente. Guardò il suo Pokémon, sanguinava dalla bocca e probabilmente un altro paio di colpi lo avrebbero sicuramente messo K.O. e questo non sarebbe stato ciò che voleva.
Andy sogghignava. “Stai per perdere. Dopo ti ucciderò... ed io e Miriam governeremo questo mondo”.
“E Zoe? Davvero non hai provato nulla per lei, in tutto questo tempo?”.
Andy rimase col volto glaciale, fissava dritto, le labbra a formare una linea dritta e serrata.
“Zoe è una debole... ma è stata il tramite per tutto questo... la sua agilità, la sua abilità con i Pokémon... I Vinci sono davvero una famiglia di un livello superiore...”.
“L’hai usata fino ad ora?”.
“Era il nostro scopo fin dall’inizio. Tutto ciò che abbiamo fatto è stato per permettere a Miriam, adesso, di controllare Groudon e sconfiggere Igor. Tutto quanto è fatto per permettere a noi di avere in mano il potere”.
“Il potere?”.
“Già. A me non interessa nulla degli ideali che Miriam ha ereditato da suo padre Max. Io voglio soltanto ricchezza, fama... Voglio la paura negli occhi di chi mi guarda. Diventerò il Re di Hoenn e lentamente conquisteremo le altre regioni, controllando il mondo intero!” prese a ridere Andy.
Silver abbassò per un attimo lo sguardo. Anche suo padre aveva quegli scopi così bassi?
Forse no. Forse non era capace di cose così basse, nonostante tutto ciò che aveva avuto il coraggio di fare. Ciò che era chiaro, però, era che non avrebbe potuto lasciare il via libera ad Andy e Miriam per schiavizzare Hoenn e renderla una landa arida e desolata.
“Sceptile!” esclamò Silver, correndo verso le scale, seguito rapidamente dal suo Pokémon.
Andy sorrise. “Dove credi di andare?!” e prese ad inseguirlo, mentre Mightyena abbaiava rumorosamente, alle loro calcagna.
Silver saltò sulla balaustra di marmo e saltò giù, atterrando a pochi metri da Zoe, inginocchiata, con le mani al volto.
Non riuscì a nascondere una punta di soddisfazione per quella scena.
 
Cinque secondi dopo.
 
Lentamente, Groudon aveva terminato la sua uscita dall’acqua, creando un ampio isolotto su cui dominare il mare. Kyogre invece sostava immobile, in attesa che Igor gli impartisse qualche ordine.
“Che cosa credi di fare?” domandò quello, serio. “Sei nel mio elemento. Non riuscirai ad importi”.
Miriam prese a ridere con prepotenza. “Prosciugherò il tuo elemento partendo proprio da qui! E quell’orca maledetta rimarrà con la pancia sul fondale!”.
“Non riuscirai a fare nulla di tutto ciò”.
Gli sguardi che si scambiavano quei due erano fautori di quei cataclismi, e la rabbia che bruciava nei loro petti, che aveva fatto di loro degli omicidi, non si conteneva più.
“Io ti ucciderò, Miriam. Fosse l’ultima cosa che faccio” sussurrò l’uomo, guardando gli occhi purpurei della donna.
“Groudon!” urlò lei, all’improvviso. “Spacchiamo la terra sotto di lui! Andiamo con Eruzione!”.

 
Da qui in poi siete dentro casa mia:

Comunicazione di servizio! Intanto vi ringrazio, come sempre, per leggere e recensire i capitoli di questa lunghissima storia, mio profondo orgoglio. In più volevo avvertirvi che domani pubblicherò una storia interattiva, che potrete seguire in maniera migliore (decidendo di conseguenza cosa Gold, protagonista della vicenda, debba fare una volta sbarcato a Sinnoh, regione che non ha mai esplorato) sulla pagina Facebook di Pokémon Courage.
Vi ringrazio per l'attenzione, buone cose.

- Andy

 

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Capitolo 52
*** Capitolo Quarantesimo pt. 2 - Teste di Cuoio ***


Previously on Hoenn's Crysis
Lentamente, Groudon aveva terminato la sua uscita dall’acqua, creando un ampio isolotto su cui dominare il mare. Kyogre invece sostava immobile, in attesa che Igor gli impartisse qualche ordine.
“Che cosa credi di fare?” domandò quello, serio. “Sei nel mio elemento. Non riuscirai ad importi”.
Miriam prese a ridere con prepotenza. “Prosciugherò il tuo elemento partendo proprio da qui! E quell’orca maledetta rimarrà con la pancia sul fondale!”.
“Non riuscirai a fare nulla di tutto ciò”.
Gli sguardi che si scambiavano quei due erano fautori di quei cataclismi, e la rabbia che bruciava nei loro petti, che aveva fatto di loro degli omicidi, non si conteneva più.
“Io ti ucciderò, Miriam. Fosse l’ultima cosa che faccio” sussurrò l’uomo, guardando gli occhi purpurei della donna.
“Groudon!” urlò lei, all’improvviso. “Spacchiamo la terra sotto di lui! Andiamo con Eruzione!”.



 

Teste di cuoio pt.2


Poco prima.
 
Alice era atterrata sulla parte alta dell’isola. Lì c’era una piccola casetta, dalle pareti bianche e le finestrelle rivestite con legno marrone, come il tetto.
Da lì su era in grado di vedere benissimo quel che succedeva in mezzo al mare, e Groudon che era totalmente fuori dall’acqua, su di un atollo solitario; il mare era agitatissimo tutt’intorno a lui ma pareva fosse spaventato dalla sua potenza, andando a ruotare attorno all’isolotto per poi proseguire verso la costa su cui due grandi Gyarados si scontravano in una danza omicida.
Adriano restava esanime sulla schiena di Altaria mentre la Capopalestra di Forestopoli saltò giù dal Pokémon.
Ricordava benissimo quella terrazza, quella casetta e quella notte che vi aveva passato, appena sei anni prima.
Abbassò la testa e bussò con le nocche alla dura porta di legno massiccio dell’abitazione.
Si voltò nuovamente, lei, mentre la pioggia non accennava a diminuire sopra la sua testa; e la cosa era strana, perché appena sette metri alla sua destra il sole era carico di calore.
Bussò nuovamente, stavolta con più nervosismo, arrivando a prendere a pugni la porta senza rendersene conto.
“Lenora! Apri! Veloce, sono Alice!”
Solo il rumore della pioggia, oltre quello del respiro di Alice, ed il resto era un insieme di emozioni e sentimenti contrastanti tra di loro, dove la paura la faceva da padrone.
“A-Alice?” sentì domandare la donna dai capelli color lilla.
“Lenora! Ho Adriano qui con me! Apri!” batté ancora i pugni sulla porta la donna.
“Corro!” urlò quell’altra, dietro l’uscio che si aprì pochi secondi dopo, cigolando.
Lenora era la sorella di Adriano, e le somigliava in tutto e per tutto. Gli occhi del colore del mare limpido, la carnagione chiara ed i capelli di quella strana tonalità celeste, oltre al fisico mingherlino; la donna, in particolare, li aveva spesso acconciati in una lunga treccia.
“Come sta?!” chiese immediatamente quella, guardando dietro le spalle di Alice cercando di fissare suo fratello e rimanendo scandalizzata alla vista di Groudon e Kyogre.
“Dobbiamo fare presto...” fece Alice, afferrandole il polso e tirandola verso Altaria. Adriano era esanime, tra le morbide ali del Pokémon.
“Cielo!” urlò Lenora, ed il suo viso mutò in un’espressione di terrore mista a dolore.
“È vivo, non preoccuparti. Ha avuto soltanto un brutto shock... Dobbiamo portarlo dentro”.
Insieme, quindi, aiutata dai Pokémon, afferrarono l’uomo per le spalle e le caviglie e lo portarono dentro casa.
Questa era molto piccola e semplice, arredata con elementi in legno in stile vecchia baita.
Lo portarono nell’unica stanza da letto che avevano, mentre con sforzo si facevano spazio tra i mobili caduti per via del terremoto, che aveva costretto la donna a dover accendere diverse candele per l’appartamento, dato che l’energia elettrica non arrivava più.
La stanza comprendeva un armadio di legno massiccio ed una coppia di lettini ad una piazza.
Su quello sotto la finestra vi era Orthilla, con il volto squassato dalle lacrime, pallido ed impaurito; era avvolta in una coperta marrone, infeltrita.
“Zio...” disse, sconvolta.
“Tranquilla” le intimò Alice, poggiando Adriano sul letto, con l’aiuto di Lenora. Alice prese fiato per un attimo, mentre la sorella dell’uomo, assieme a sua figlia, s’avvicinarono a stringerlo e a dargli calore.
“È morto?!” domandò Orthilla, con le lacrime a rigarle il viso.
“No” disse Alice. “Prendetevi cura di lui. Io ora devo andare a risolvere questa brutta situazione...”.
“Stai attenta... Non morire” fece la più grande tra i tre, mentre guardava suo fratello.
“Ancora deve nascere qualcuno che possa uccidermi” fece, voltando le spalle.
Orthilla aveva il respiro irregolare, aveva paura; sobbalzò quando sentì la porta di casa sua sbattere.
 
E poi...
 
“Attaccalo!” urlò Silver, vedendo Mightyena ruzzolare indietro.
Saliva l’ansia, la pressione aumentava sempre di più e la rabbia veniva covata all’interno dei loro cuori; Silver, in particolare, s’abbeverava degli sguardi dell’avversario per accrescere la propria determinazione.
Era odiandolo che lo rispettava, ed era rispettandolo in quel modo che doveva necessariamente dare il meglio di se stesso.
“Mightyena, attaccalo al collo con Sgranocchio!” urlò Andy, furibondo.
Il Pokémon si gettò con le mascelle spalancate, avvinghiandosi al collo di Sceptile, affondando i denti nella morbida carne.
“No! Sceptile!” urlò Silver, senza aspettarsi quella contromossa.
“Forza!” ribatteva invece Crystal, lì presente assieme a Zoe ad assistere allo scontro tra i due uomini.
“Sbranalo!” sorrise avvinto dallo scenario di una sua possibile vittoria.
Sceptile si abbassò, spinto dalla forza del Pokémon di Andy, che dal canto suo lo tirava sempre più giù, fino a farlo stendere per terra.
Silver lo sentiva, sapeva che in quel modo Sceptile non avrebbe resistito; difatti sangue verdastro prese a scorrere lungo le mattonelle della terrazza.
Devo farlo.
Nella sua testa tutto veniva ricondotto al suo polso, che portava il braccialetto con la Megapietra del suo Pokémon, portatagli dal Professor Platan.
Vai...
E sfiorò col dito la pietra, vedendo improvvisamente il suo Pokémon illuminarsi. La coda s’allungò, le spalle s’allargarono; Sceptile divenne più grosso.
Si alzò all’in piedi che ancora brillava per via della Megaevoluzione e Mightyena era ancora appeso al suo collo.
Lo stupore negli occhi di Silver e Crystal era rilevante, l’unica emozione che riusciva a trasparire in quel momento. La luce pian piano sparì, lasciando spazio alla figura slanciata di MegaSceptile, pronto a lottare, pregno di nuova linfa vitale.
“Ottimo! Ora vai con Fendifoglia!” urlò il fulvo, stringendo i denti. Le taglienti fronde ai lati dei suoi polsi lacerarono nuovamente il collo di Mightyena, lasciandolo allo stremo delle forze.
Andy sentiva il sangue nelle sue tempie che pompava, come se il cuore si fosse spostato nella sua testa. Da lì sentiva ogni battito, vedendo tutto al rallentatore, pioggia compresa; Silver guardava Crystal, che sostava pochi metri avanti a Zoe con lo sguardo apprensivo. E poi c’era Zoe, con la faccia che aveva quando l’aveva conosciuta: persa, spaesata. Smarrita, come se non possedesse nulla di tangibile se non rimpianti.
Stava perdendo, vedeva chiaramente Mightyena che lentamente perdeva coscienza mentre MegaSceptile era pronto ad attaccare nuovamente non appena il suo Allenatore glielo avesse ordinato.
Il battito del suo cuore lo ridestò, la pioggia prese a scendere nuovamente alla solita velocità e la rabbia di star assistendo alla dipartita dei suoi sogni e dei suoi desideri lo sfibrava mentalmente. La soluzione c’era, lo sapeva, ma non la trovava.
Era importante per lui che Silver e Crystal fossero spazzati via come foglie nel vento; un problema in meno da gestire. Dopodiché si sarebbe occupato degli Idrotenenti e poi avrebbe fatto il possibile per spalleggiare Miriam. Avrebbero ammazzato Ivan e prosciugato il mare.
Il nuovo ordine si sarebbe stabilito subito dopo, ed avrebbero cominciato a costruire nuove grandi fortezze, sfruttando umani e Pokémon; nei suoi occhi splendeva la brama di poter diventare il re di quel nuovo mondo.
Sentiva già sotto le sue dita la morbida pelle delle cosce di Miriam, e, ironia della sorte, sarebbe stata proprio Zoe a permettergli di voltarle le spalle. Sì, aveva capito la chiave.
“Zoe!” urlò. “Forza, abbattiamo il nostro avversario!”.
Accorato, Andy, si voltò velocemente verso la donna, con ancora lo sguardo vitreo, vuoto, fisso sul mare alle spalle di Crystal.
“Zoe!” urlò.
“Sceptile, forza, usa...”.
“Fai presto! Svegliati, dannata puttana!” urlò quello, avvicinandosi a lei e spingendola a terra.
“Lasciala stare!” fece poi Silver, avventandosi su di quello. Zoe guardava terrorizzata la scena da terra, mentre Andy lasciava partire un pugno dritto sul muso di Silver, abbattendolo.
Ed in Crystal crebbe la rabbia. Nuovamente, quella sensazione strana, ricca di paura e di potenza incontrollata che le scorreva nelle vene, simile ad adrenalina ma più forte.
Come se fosse benzina e nel suo cuore una piccola scintilla avesse fatto prendere fuoco a tutto.
E lei non lo sapeva, non lo sapeva nessuno, ma quella pietra nera che aveva raccolto qualche giorno prima prese a brillare, e più lei si arrabbiava e più la pietra riluceva nel suo zaino.
La furia della donna fu repentina e, non appena Silver toccò il pavimento, avendo incassato il possente destro del Magmatenente, gli si scagliò addosso, urlando come un’ossessa.
“Tu la pagherai!” sbraitò lei, e prese a ringhiare, proprio come un animale feroce. Un grande salto colse inaspettato il Magmatenente, che si voltò verso di lei, pronto a ricevere un enorme calcio in pieno volto.
Andy ricadde per terra due metri dietro mentre Zoe e Silver spalancarono gli occhi.
“Non farai più del male a nessuno!” urlò Crystal, avventandoglisi contro. E la differenza fisica tra i due, davvero tangibile, era la cosa che più aveva lasciato sconvolto il fulvo.
Forse era quella che giustificava lo stupore che provava, assieme a Zoe, nel vedere il biondo finire K.O. con un solo calcio dritto in volto.
Crystal gli si gettò a cavalcioni addosso, prendendo a colpirlo con una raffica di pugni, senza fermarsi mai, condendo tutto con grida di rabbia.
“A nessuno!” ripeteva lei, non fermandosi nemmeno quando i primi schizzi di sangue presero ad imbrattargli la maglietta.
Silver e Zoe le si avventarono addosso, cercando di fermarla. “Calmati! Così lo ammazzi!” urlò il fulvo, prendendola per le braccia; le ritrasse immediatamente: erano bollenti.
Zoe se n’era resa conto a sua volta. “Il sangue le sta bruciando nelle vene...” osservò.
“Già. Beh, forza e coraggio!” esclamò buttandosi su di lei, ignorando l’incandescenza della sua pelle e tenendola premuta contro il pavimento in pietra battuto dalla pioggia.
“Ce l’abbiamo fatta!” urlava Silver. “È tutto finito! È tutto a posto! Abbiamo vinto e lui ha perso! Sto bene! Sto bene!”.
Crystal aveva gli occhi spalancati mentre affannava vistosamente, cercando di inspirare quanta più aria possibile.
“Stai... stai bene?” domandò, fissandolo dritto negli occhi.
I palmi delle mani del ragazzo, a premere le mani insanguinate della moretta sul terreno, il suo corpo a premere quello tonico e bollente di Crystal sul pavimento bagnato, le gambe a intrecciarsi tra di loro. “Calmati. Sto bene... Solo un graffio”.
Il volto di Crystal, prima furibondo, s’incrinò, riempiendosi di lacrime. “Sei solo l’ultima persona a cui il Team Magma ha fatto del male... Miriam. Miriam la deve pagare”.
“E la pagherà” s’inserì Zoe.
 
I due Gyarados s’attaccavano con furia omicida, intrecciando i corpi serpentiformi e muscolosi a formare una lunga catena di squame azzurre e sangue.
Marina guardava inorridita la scena, mentre Xander, il suo avversario, sorrideva ad ogni colpo che i due s’infliggevano. Come se fosse una sorta di combattimento tra cani, ma in proporzioni enormemente sballate: ogni singolo movimento di quei due enormi Pokémon sfaldava parte della spiaggia, alzando ampi sbuffi di sabbia.
“Ranger! Che speranza hai! Donna e pure Ranger! Con i Pokémon non avete alcuna speranza!”.
Fiammetta s’avvicinò a Martino, fissando inorridita i Gyarados. “Ma che diamine dice, questo cretino?”.
“Maschilista...” sospirò, ipnotizzato dalla scena che aveva davanti agli occhi.
“Adesso gli faccio vedere io! Talonflame!” urlò lei, concentrata sull’avversario. Il suo Pokémon entrò in campo, rinvigorito dai raggi solari che investivano quella parte dell’isola.
“Dobbiamo dare fastidio a Xander! Mi raccomando, non toccare il Gyarados di Marina!”.
Quello s’avviò come una furia contro il suo avversario. Martino si voltò, cercando di fare una rapida ricostruzione degli eventi.
“Scusa, ma tu che ci fai qui?”.
“Lunga storia”.
“E Rocco?”.
“Sta dando qualche Pozione ai suoi Pokémon. Ha intenzione di dirigersi verso il centro del problema”.
Martino si voltò verso di lei, incredulo. “Vuoi dire che vuole attaccare direttamente Igor e Miriam?!”.
“Già. Invece Gold? Come se la sta cavando?”.
“Gold sta... Credo bene... È lì, davanti...”.
“Ma sta strisciando per terra!”.
Martino sospirò, cercando di tirare fuori dallo stomaco quel demone d’ansia che stava covando da ormai un bel po’ di tempo. “Dobbiamo dividerci, ma non lascio da sola mia sorella”.
“Io sto lottando qui. Tu dovresti andare ad aiutare Gold!” gli urlò Fiammetta, spintonandolo. Il buon senso lo investì e, dopo aver annuito in maniera poco convinta, prese a correre verso il ragazzo dagli occhi dorati.
Marina, dal canto suo, vide il Talonflame di Fiammetta avventarsi contro il volto del Gyarados avversario, con gli artigli, e poi suo fratello che scappava, qualche metro affianco.
“Dove vai?!” gli urlò, terrorizzata. Non avrebbe mai potuto riuscire a sconfiggere un avversario della cattiveria e della preparazione di quello che stava fronteggiando, almeno non senza il sostegno morale di suo fratello. Fratello che in quel momento scappava in avanti.
Passò sotto gli occhi di Xander che, sorridente, allargò il braccio che manteneva la mazza ferrata.
“Dove credi di andare?” chiese quello. Gli occhi di Martino si spalancarono. Vide il braccio dell’uomo caricare il colpo e quindi, subito dopo, rilasciarlo.
“Dannazione!” fece quello, gettandosi per terra e schivando il colpo. Sferrò poi, dal basso, un potente calcio alle caviglie dell’uomo, che a sua volta lo evitò saltandolo con agilità.
“Non puoi fare nulla contro di me!”.
“Martino!” urlava Marina da dietro ma Fiammetta la interruppe.
“Dobbiamo approfittare di questa distrazione, Marina! Dobbiamo abbattere quel Gyarados! Talonflame, punta agli occhi!”.
E così fece. Marina tuttavia rimaneva preoccupata. “È mio fratello, Fiammetta! Non posso fare finta di nulla!”.
“Migliaia di persone, Marina! Migliaia di persone possono essere salvate, soltanto se rimani concentrata! Adesso!”.
Talonflame attaccò repentino il volto del Gyarados avversario, affondando gli artigli puntuti delle zampe all’interno degli occhi del Pokémon, facendolo urlare dal dolore. Lacrime di sangue presero a rigare il suo viso e poi più giù, seguendo la forma longilinea e muscolosa del suo corpo squamoso.
“Ora, Marina! Devi colpirlo!”.
“Come?! Non conosco nemmeno una mossa di questo dannatissimo Pokémon! Io non sono un’Allenatrice!”.
“Colpo” tuonò Rocco Petri, alle loro spalle. “Usa Colpo, subito”.
La sua voce rimbombò fredda e dura in quella situazione così problematica ma per Marina e Fiammetta fu come un’ancora di salvezza.
L’uomo si avvicinò a Fiammetta e rimase a guardare la scena.
“Colpo!” urlò Marina, con meno convinzione di quanta effettivamente fosse necessaria in quel momento; il suo leviatano spalancò le fauci, approfittando del momento di distrazione dell’Allenatore avversario, ancora impegnato a lottare corpo a corpo con Martino, e quindi ruggì possentemente.
Martino non si rese conto di ciò che stesse succedendo e, sinceramente, gli interessava soltanto evitare che quella mazza di ferro gli sfondasse il cranio.
“Non scapperai per sempre!” urlava Xander, attaccando a ripetizione.
“Pichu!” urlò Martino, vedendolo saltare poi dalla sua spalla e scaricare un attacco Ondashock sul malvagio che, dolorante, s’inginocchiò.
“Ottimo!” sorrise Martino, rimettendosi in piedi. Xander, con la testa abbassata, mento a contatto col petto, allargò il sorriso. “Non basta...” disse, dopo un sospirò lungo; la sua carne era interamente ustionata ma la sua forza d’animo gli imponeva di non sedersi, di non fermarsi.
Quindi si rialzò, allargando nuovamente la mazza ferrata, pronta ad essere sferrata nuovamente.
Fu proprio il ruggito di uno dei Gyarados a farlo girare. E quando si rese conto che non fosse il suo a sferrare ripetuti attacchi Colpo mentre il Talonflame di Fiammetta dilaniava gli occhi del Pokémon, si rese conto di essersi lasciato incastrare.
E poi, proprio durante un forte attacco Eruzione che aprì il mare sotto il corpo possente di Kyogre, il suo Gyarados finì fuori combattimento, se non in maniera peggiore, perdendo le forze e crollando sfinito.
Proprio su di lui; l’impatto fu tremendo.
Fu così che morì Xander.
 
“Soffri!” urlava Christine, alzando il ciuffo biondo dalla vista cristallina; gli occhi spalancati ed i canini in bella mostra, proprio come se fosse un lupo intento a ringhiare, facevano di lei qualcosa di molto vicino ad una pazza psicopatica.
“Non... non è già abbastanza?!” urlò Gold, prima di lasciarsi andare ad uno strillo a pieni polmoni. Sentiva il sangue dentro di lui ribollire.
Era stufo, la vedeva ridere ed intanto era in grado di sentire il sacchetto che aveva al di sotto -della maglia riempirsi, muoversi come se avesse vita propria.
Ricordava le parole di Ester, la funzione di quel ciondolo fatto in casa era null’altro che attirare gli  spiriti malvagi che lo attaccavano e, anche se non aveva fatto sempre effetto, ponendo spesso in dubbio la sua utilità, adesso si rendeva conto che tutto il male che gli veniva gettato addosso pareva confluisse nel sacchetto, imprigionato, si muoveva e si contorceva nel tentativo di uscire fuori, di addentare l’anima pura di Gold e cibarsene.
E nonostante ciò il dolore era immane.
E Gold era stanco; stanco di quel male insopportabile che lo consumava da dentro, rodendogli ogni volontà lentamente, lasciandolo stanco e moribondo.
La voglia di reagire, le energie a disposizione, tutto era praticamente finito tra le braccia di Christine che, sorniona, rideva malignamente nel veder morire in maniera lenta il suo nemico.
“Io... ti odio...” fece il ragazzo.
“Farai la fine del tuo Pokémon...” disse quella. “Morirai come il tuo Togekiss”.
Gold prese un ultimo, fatidico respiro, prima di dare l’ultima spallata alla sorte e puntellare per terra le ginocchia. Il male al petto trangugiava le sue energie ma ugualmente riuscì, con un abile colpo di reni, a mettersi in piedi. Pareva un morto vivente.
“Stai per morire, Gold. Non sforzarti. Quali sono le tue ultime parole?”.
Il ragazzo alzò lo sguardo, con le lacrime che gli rigavano il volto ed il mento sporco di sangue. Gocciolava sulle sue scarpe, il suo sangue, così caldo e vivo.
Le sue ultime parole probabilmente sarebbero state qualcosa di epico. Gold era il tipo di persona che sapeva che sarebbe morto in una situazione parecchio scomoda.
Sapeva che non sarebbe mai potuto morire in seguito all’ingerimento di qualche sostanza tossica, oppure d’infarto, nel sonno, spegnendosi serenamente.
No, Gold aveva una visione della vita molto distorta dalla realtà; vivere, per lui, non significava permettere al cuore di battere, mettendo in moto tutte le funzioni vitali. L’esistenza per lui doveva essere condita da medaglie dorate, come lui, eventi che, una volta portati alla memoria, evocassero il sorriso.
Aveva ripensato quindi alle sue ultime parole talmente di quelle volte da averne perso il conto.
 
Probabilmente la mia esistenza non è stata condita da grandi vittorie personali. Già, perché, effettivamente, sono cresciuto solo, senza mio padre e soltanto con la convinzione di essere solo. Ed essendo solo sono solo ed unico, e questo, senza alcun dubbio, mi ha fatto peccare di superbia. E magari avrei potuto innamorarmi prima, magari di una bella ragazza con tutte le cose a posto, buona e brillante e non necessariamente di una maggiorata.
In più avrei potuto fare molto di più per i miei amici, aiutandoli nelle cose basilari in casa, come pulire, cucinare, invece di farmi servire e riverire.
Spesso me ne esco con frasi sboccate al limite dell’educazione e questo mi fa pentire spesso, perché mia madre non mi ha mai dato questo cattivo esempio.
E l’unica cosa che oggi porto con me è la consapevolezza di aver trovato nei miei Pokémon gli amici perfetti, i compagni supremi che mi hanno accompagnato in mille avventure.
Ho visto posti, conosciuto persone, fatto l’amore con tantissime donne. E questo è l’importante.
Ho vissuto.
Ma, levando mio padre, l’unico mio grande rimpianto è l’esser rimasto solo per una vita intera mentre avrei potuto tenere accanto a me la controparte della mia vita.
 
Sì. Queste sarebbero state le sue parole, cariche d’amore ed apprensione, di sentimento, di redenzione.
Invece, barcollante, si limitò a staccare con un ultimo violento strattone il sacchetto che aveva al collo ed a stringerlo tra le mani.
“Muori, puttana!” urlò, lanciandolo verso la donna.
Una grande, violenta esplosione, un tonfo sordo e magniloquente che vide confluire nel corpo di Christine tutti quei fumi neri terrificanti.
La donna prese ad urlare, pochi secondi dopo, e, contemporaneamente con Gold, entrambi s’accasciarono a terra, mentre il corpo di Gold veniva sopraffatto dal dolore e dalla malignità che gli era stata attaccata addosso.
 
“Gold!” urlò Marina correndo velocemente da lui. Affondava i piedi nella sabbia, con le lacrime agli occhi. Appena fu a portata gli si gettò addosso, fulminea, raccogliendo la testa e poggiandosela sulle gambe.
“Gold...” piangeva lei, e le lacrime le rigavano il viso, pendendo dal mento e cadendo sul volto del giovane. “Non puoi andartene... Non puoi lasciarci soli! Brutta testa di cazzo, non puoi morire adesso!”.
Piccoli fremiti nelle labbra del ragazzo la ridestarono dal dolore immenso che provava, mentre il sole cocente batteva sulle loro teste.
Gli occhi del ragazzo si aprirono lentamente, poi uno si chiuse, lasciando soltanto il gemello, non più tanto lucido, a fissare la sagoma della ragazza che lo sorreggeva sulle sue gambe.
Marina, quegli occhi spenti, non li aveva mai visti.
Gold, invece, ebbe la forza di dire quelle che davvero riteneva le sue ultime parole; sentiva che stava per spegnersi.
“Se... se tu sei... un...” respiro profondo. “... un angelo... allora... il paradiso ha davvero motivo... di chiamarsi paradiso...”.
Marina spalancò gli occhi e vide il moro sorridere debolmente.
“P-perché dici queste cose?!” s’allarmò.
“Marina... io... sento che... che sto per andare...”.
Come una coltellata rovente nel petto, Marina si lasciò andare ad un pianto dolorosissimo, denso d’emozioni, carico d’odio verso il mondo.
“Non puoi morire!” fece lei, abbassando la fronte, a poggiarla sulla sua. “Non è il tuo momento! Non puoi lasciarmi qui da sola!”.
“Mari... fa’ il tuo... dovere...”.
“Non ti lascerò morire!” urlò, dritto sul suo volto. I loro occhi erano così vicini da riuscire a specchiarsi gli uni negli altri, e le lacrime della ragazza colavano fin sugli zigomi di lei per poi gocciolare pesante su quelli di Gold. Fu una cosa così intima che nessuno dei due si accorse che Martino, Fiammetta e Rocco erano accorsi alle sue spalle.
“Volevo... dirti... grazie...”.
“E per cosa?! Tu stai morendo e vorresti ringraziarmi?!”.
“Da quando... abbiamo messo piede in questa... cazzo di regio... regione... tu... mi hai protetto... Hai anche provato... ad uccidermi” tossì poi lui. “... ma poi mi ha protetto... come se fossi tuo figlio...”.
“Ciò perché sei importante per me... io... io...”.
“Marina, sta per finire...” disse tutto d’un fiato.
“No! Ti prego! Non andare!” pianse lei. Lui sorrise dolcemente, stanco e dolorante, con quel macigno che gli premeva il cuore. Gli occhi di lui si chiusero lentamente, mentre la bocca si schiudeva.
Marina si era resa conto. Gold stava esalando gli ultimi respiri.
“Levatevi davanti!” si sentì urlare alla fine. Voce di donna.
Pat si fece avanti a spallate tra Rocco e Fiammetta e poggiò le mani sul petto di Gold.
Kyogre intanto si preparava alla contromossa, con grandi ondate che si dirigevano verso la spiaggetta.
“Bene...” tuonò Martino. “Tutto adesso doveva accadere...”.
 

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Capitolo 53
*** Capitolo Quarantunesimo - The Rumble in the Jungle ***


The Rumble in the Jungle



“Vediamo se posso fare qualcosa...” disse Pat, poggiando le mani sul petto di Gold. Marina era rimasta immobile, con la testa di Gold poggiata sulle ginocchia.
Da qualche secondo era diventato insopportabile, il caldo. I ragazzi sudavano, sbuffando e cacciando fuori l’ansia immensa portata dallo scontro di quei due titani sullo sfondo.
“Ci uccideranno se non facciamo qualcosa...” bofonchiò Martino. Fiammetta si voltò, guardando il corpo di quell’enorme Gyarados che schiacciava quello del suo Allenatore, la mano destra a mostrarsi al mondo, a raccogliere quel sole arido e duro e a stringerlo nel palmo, probabilmente l’unica parte del corpo di Xander ad essere rimasta integra.
“Adesso ce ne occupiamo, Martino...” fece Rocco, guardando per bene la scena di Kyogre che alzava una gran quantità d’acqua, pronta ad abbattersi su Groudon.
“Dobbiamo andare via di qui!” esclamò invece Fiammetta.
“Già, dovete andare via di qui e non distrarmi!” tuonò infine Pat. Marina era ancora ferma, guardava le mani di quella notando il debole saliscendi del torace di Gold.
“Respira?” domandò, ingenuamente.
Pat annuì. “Sto cercando di isolare le componenti oscure e di raggrupparle, per poi farle uscire tutte assieme. Ma ora ti devo chiedere di allontanarti: devo alzare un campo di  forza attorno a me e lui e...”.
“L’onda!” urlò Martino. “Sta arrivando!”.
Una grande quantità d’acqua s’era alzata attorno a Kyogre, abbattendosi con forza contro Groudon. Quello spalancò le zampe anteriori, mostrando il petto, e dopo un grande ruggito dall’acqua sorse in maniera incredibilmente veloce un cuneo di pietra dalle dimensioni abnormi su cui l’attacco avversario si abbatté.
Le onde, deviate dalla contromossa adottata da Miriam, cominciarono a direzionarsi verso la costa.
“Dobbiamo spostarci da qui, immediatamente!” urlò Fiammetta, avvicinandosi a Gold ed abbassandosi verso di lui, tirandogli la mano. Marina spalancò gli occhi e reagì improvvisamente, spintonando la donna di Cuordilava e facendola finire con i fondelli nella sabbia bollente.
“Ma sei scema?!” urlò il Ranger. “Ti ha detto di non toccarlo e di allontanarti! Lascia stare Gold!”.
Fiammetta rimase sconvolta dalla reazione di Marina, pregna di un’aggressività che non le era mai appartenuta. “Che diamine ti prende?!” le urlò poi.
Martino intervenne immediatamente, tirando sua sorella e portandola via.
“Che diamine ti prende, Marina?!”.
“Pat ha chiaramente detto a tutti di allontanarsi da lì! Non può prenderlo e tirarlo! Già sta male, ed è vivo per miracolo!”.
“Ha detto a tutti di allontanarsi da lì, Marina. Tu eri compresa”.
“Stai zitto! Io devo proteggerlo!” urlava lei, in preda ad una crisi di pianto.
E Martino ne aveva avuto abbastanza. La afferrò per le spalle, stringendo e scuotendola con vigore.
“Tu sei qui per una missione! Dobbiamo fermare quei due!” urlò il fratello, puntando il dito contro Groudon e Kyogre senza nemmeno guardarli.
Quella fissò gli occhi energici del fratello e fece per annuire, quando abbassò lo sguardo.
“Ok...” fece quella.
“Ora andiamo” la tirò lui, dirigendosi verso il gruppo di persone, sempre più in ansia per l’arrivo della gigantesca onda anomala. Tutti in ansia, tranne Pat.
“Dobbiamo andare, stupida!” le urlava Fiammetta, vedendola sbuffare.
Pat la guardò e sospirò, mentre ancora le sue mani, illuminate da una strana patina di colore azzurro, esercitavano pressione sul petto di Gold.
Alice atterrò, seguita poco dopo da Silver, Crystal e Zoe, sul suo Swellow.
“Hey, il nemico!” urlò Fiammetta, confusa. “Ma adesso non importa! C’è da fermare quell’onda gigante! Avanti, Ranger, fate qualcosa!” urlava, sempre più nervosa.
“Come diamine dovremmo fermare un’onda gigante?! Siamo Ranger, non dighe!” fece Martino, visibilmente scosso.
“Ma che diamine succede?!” urlò poi Silver, vedendo il corpo di Gold steso in terra, riverso in una pozza di sangue.
“È quasi morto” tuonò Rocco, guardando l’uomo dagli occhi argentei dritto negli occhi.
Crystal spalancò lo sguardo, ancora col fiatone per via dello sfogo energico avvenuto qualche minuto prima. “Quasi morto?! Ma che diamine vai farneticando?!”.
Poi si voltò, guardando il corpo ormai spento di Togekiss, cercando di fare una deduzione logica.
“Non può esser morto cadendo da Togebo... Non è possibile”.
Ma poi lo sguardo vagò su Christine, ustionata e dalla pelle ormai nera per via degli spiriti che s’erano impossessati di lei.
“Ha combattuto contro di lei?”.
“Si” concluse Marina.
“Dobbiamo darci una mossa!” urlava Fiammetta, con l’onda a circa dieci metri.
“Ora non c’è tempo per fuggire!” osservò Alice, pronta a mettere le mani alle Pokéball.
E poi Pat perse la pazienza.
“Dannazione! Ma come diamine ve lo devo dire che dovete lasciarmi concentrare?! Non posso rimanere a curare Gold se mi state tra i piedi!”
“Pat, non potrai curare nessuno se l’onda ci travolge!”.
“Non ci travolgerà!” fece nervosa, alzando poi un semplice braccio. Senza nemmeno guardare, rimanendo concentrata su Gold, rivestì tutta la zona in cui i ragazzi stavano della stessa luce azzurra che ricopriva le sue mani.
“La solita scriteriata” sorrise Rocco, vedendo poi l’onda abbattersi su di loro, lasciandoli totalmente incolumi.
Pat non risentì minimamente dell’evento, continuava a guardare Gold, verso il basso.
L’acqua, intorno a loro, si muoveva frenetica, come se qualcuno la tirasse indietro e poi la respingesse in avanti.
Non penetrò la barriera d’energia di Pat e riuscì a proteggere tutti quelli che conteneva.
“Ecco qui...” disse poi.
Un minuto dopo circa, quando il mare s’era ormai riappropriato della propria acqua, Pat ridusse la barriera soltanto per lei ed il suo protetto.
“Ora andate e salvate Hoenn” disse.
“E Gold?” domandò Crystal.
“Non può venire. Deve fare i compiti”.
 
Pochi secondi dopo si ritrovarono tutti su qualche metro accanto, guardando Kyogre e Groudon, decidendo la strategia.
“Beh, in genere quei due creano una barriera d’energia così potente, quando lottano, che non è possibile penetrarla, almeno non senza l’aiuto dei tre Golem. Ma ora non c’è tempo per catturarli, dobbiamo trovare una soluzione alternativa” disse Rocco.
“Dobbiamo prima accertarci che la barriera sia realmente presente. In quel caso ci porremo il problema di trovare una soluzione alternativa” gli rispose Alice, vedendo Groudon formare spuntoni di roccia appuntiti che uscivano dal fondale marino, diretti l’avversario che, solerte, li evitava tutti, dirigendosi verso nord, in direzione dei ragazzi.
“Dobbiamo fare in fretta!” urlò Fiammetta.
“Allora andremo io, tu ed Alice a verificare!” le urlò Rocco, quasi spazientito.
“E noi?!” domandò Silver.
“Voi tenetevi pronti. Tutto sta per diventare incandescente”
E così i tre salirono sui loro Pokémon, cercando di avvicinarsi quanto più era possibile a Miriam ed Igor.
 
I due, intanto, vivevano ciò che stava succedendo come il coronamento della propria esistenza.
“Morirai, Igor! Ti ucciderò!” urlava iraconda Miriam, al limite della razionalità. Si manteneva in equilibrio sulle alte creste  di Groudon, ancora intonso nella sua barriera di calore: l’acqua non poteva avvicinarsi a lui, evaporando appena raggiungeva i tre metri di vicinanza.
“Devo riuscire a batterti!” urlava ancora. La rossa, con i capelli tirati indietro dal caldo vento. La pelle dura di Groudon era incandescente ma lei era abituata a ben altre temperature; sentiva in lei la responsabilità dei sogni di milioni di persone. Sarebbe stata venerata come un’eroina, come la salvatrice dell’umanità da quello che avrebbe definito l’uomo del mare. Avrebbe portato in trionfo la sua gente ed avrebbe coperto di gloria la buonanima di suo padre, ormai andato, ormai bruciato tra le fiamme bianche del paradiso degli incompresi.
Avrebbe schiacciato gli oppressori, avrebbe costruito un regno enorme, centellinando l’acqua e vendendola cara, come fosse oro.
A tempo debito avrebbe ammazzato Zoe, e poi anche Andy.
Così convinto, così innamorato di lei, delle sue parole.
Lei avrebbe vinto tutto, avrebbe battuto cassa e minacciato Rocco di morte se non avesse accettato di diventare il re senza potere di un regno immenso, che l’avrebbe vista come unica stella a brillare in un cielo buio. Buio come la notte profonda, come la mancanza di tutto.
Buio come il cuore di chi non ama, di chi non sogna.
“Groudon! Inseguiamo Kyogre con delle lance di roccia! Il mare non è altro che un’insulsa macchia sulla nostra tela!”.
Il Pokémon Continente si gettò a capofitto in un inseguimento del suo avversario; a sua volta, Igor, manteneva un perfetto equilibrio sulla testa di Kyogre.
Ammise a se stesso che Miriam lo stesse mettendo in difficoltà assai maggiori rispetto a quello che si aspettava. Ragionando, notti prima dello scontro che stava tenendo, aveva compreso la maggior forza e potenza del suo Pokémon che, con mosse di tipo Acqua, era in grado di mettere in difficoltà in maniera massiva Groudon. Ma il contrattacco del Pokémon controllato dalla donna coi capelli rossi e la M sul petto era stato repentino, controllando la terra al di sotto dell’acqua. Aveva capito, lui, doveva portare lo scontro su di un fondale maggiormente profondo, in modo da avere qualche secondo di vantaggio per contrattaccare.
Intanto gli spuntoni venivano fuori dal fondo del mare creando sequenze di colonne acuminate.
“Divertiamoci anche noi e contrattacchiamo. Pallagelo” sorrise Ivan, mentre l’acqua gli scivolava addosso, carezzando i pettorali tonici e ancora più giù, fino a terminare sulla punta dei suoi stivaloni neri.
Kyogre ascoltò il Capo del Team Idro, prendendo a formare enormi palle di ghiaccio; esse partirono velocemente verso Groudon, e la cosa sconvolse Miriam, in quanto non si scioglievano con l’azione del grande calore che la presenza di Groudon comportava naturalmente.
“Alziamo delle barriere!” urlò la donna, ed il Pokémon che la teneva in piedi formò delle doppie lastre di roccia viva, su cui le sfere di ghiaccio parevano detonare ed esplodere in milioni di piccoli cristalli.
“Ancora!” urlava Ivan, e così partirono altri attacchi di Kyogre.
“Il mio muro di pietra è indistruttibile!” urlava lei.
“Anche la più piccola goccia può spaccare una montagna!” ribatté convinto quello.
Difatti, dopo la prima, la seconda sfera, la terza e la quarta penetrarono nel muro di pietra, sfondandolo e lanciando in aria detriti d’ogni tipo.
“Ancora, Groudon!” fece quella, sorridente, accogliendo la sfida dell’uomo che aveva di fronte.
E così, le ultime due sfere finirono sulla seconda parete difensiva creata da Groudon.
“Non va ancora, Igor. Mi spiace” ancora sorridente.
Lui fece spallucce. “Ancora” s’intestardì quello, lontanamente da quello che era sempre stato il suo modo di fare.
“Fai come ti pare! I miei muri ti fermeranno sempre!”
“Kyogre!” urlò poi lui, con voce possente. “Di più!”.
E quindi non quattro, ma quindici sfere furono create e gettate contro l’avversario. Miriam spalancò gli occhi ed urlò la sua mossa.
“Lanciafiamme!” fece, ed una grande mole di fuoco fu totalmente sparata dalla sua bocca, tramutando le sfere di ghiaccio in masse d’acqua in ebollizione.
“Non puoi nulla!” fece Miriam, piena di sé. “Adesso cuociamo questa balena!”.
“È un’orca, troglodita!”
D’improvviso la temperatura dell’acqua prese a salire vorticosamente, tant’è vero che alcune bolle presero a venire a galla.
“Vuoi bollirmi?” sorrise Igor, passando una mano tra i capelli corvini. “E allora passiamo alla contromossa... Kyogre! Facciamo vedere a questa sporca donna come la grandezza dell’antichità e dei tuoi fasti la sommergerà! Mostra la tua forma perduta!” urlò l’uomo, e vide Kyogre immergersi in quella brodaglia bollente, mentre Miriam fissava a braccia conserte ciò che succedeva. Igor sparì lentamente nel buio del mare che lo circondava, illuminando le striature sul suo corpo, e poco dopo l’intera sagoma di Kyogre, sommersa interamente, cominciò a brillare.
“Ci divertiremo...” sorrise la rossa.
 
Rocco s’avvicinava velocemente, sul suo Skarmory, mentre Kyogre s’immergeva.
“E adesso che sta facendo?” chiese, a voce bassa.
“Dove va?!” urlò Alice, in assetto basso su Altaria.
“Si sta immergendo!” osservò poi Fiammetta, su Talonflame, accanto alla destra di Rocco.
Lui continuò a volare dritto, quando poi lo vide riemergere.
Frenarono tutti, per vedere ciò che succedeva.
“Non può essere...” sospirò Rocco, portando le mani al volto.
“Che succede?!” esclamò la rossa, impanicata.
“Ho capito cosa intendi” s’intromise Alice. “Adriano mi ha raccontato spesso questa storia... Sua nonna la raccontava a lui e Lenora quando erano bambini. Diceva che nell’antichità Hoenn è stata plasmata dall’enorme guerra di due Pokémon... uno controllava i continenti ed uno gli oceani... erano giganteschi. Enormi, davvero, nulla a che vedere con le dimensioni già esagerate di Groudon e Kyogre...”.
“E chi erano questi due Pokémon?!” domandò Fiammetta.
“Groudon e Kyogre...” rispose Rocco.
“Ma... non capisco...”.
“Le loro forme preistoriche sono enormi. E temo che Kyogre, adesso, stia per raggiungere nuovamente quel potere...”.
Kyogre emerse dall’acqua pochi secondi dopo, enorme, con ancora una patina di luce a rivestire la superficie della sua pelle. Aveva striature luminose su tutto il corpo e dimensioni triplicate; su di lui, Igor pareva un puntino.
“Forse potremmo...” Fiammetta prese a ragionare. “Potremmo provare ad attaccare Groudon... essendo più piccolo dell’altro dovremmo avere più probabilità di successo...”.
“Non dire assurdità... parliamo sempre di Groudon... Dobbiamo stare sempre più attenti. Attendiamo qualche secondo, sto elaborando una strategia” concluse Rocco, mentre la risata di Igor risuonava tra le onde scure e bersagliate dalla pioggia.
 
Miriam vedeva le nuvole allargarsi sempre di più, accompagnate da tuoni fragorosi e fulmini che illuminavano il cielo nero.
Sovrastava il sole, Kyogre, lo annullava, e lentamente congelava la superficie del mare.
“Ti distruggerò, stupida cavernicola!” urlò Igor, accompagnando tutto con una risata sinistra.
“Indietreggia!” urlò la donna a Groudon. Quello faceva diversi passi indietro, creando una passerella di roccia, battuta dal mare.
Il ghiaccio avanzava con velocità, raggiungendo il Pokémon ed arrivando al suo isolotto, minacciandolo sempre di più.
“Sciogli il ghiaccio!” urlò Miriam, vedendo poi Groudon utilizzare un grande attacco Lanciafiamme sul giaccio che si formava tutt’intorno.
Ma non si scioglieva.
“Che diamine succede?!” urlò quella, crucciata, tirando indietro i capelli fulvi dal volto.
“Succede che la potenza di ArcheoKyogre è troppo per il tuo rettile!”.
“Sai!” urlò lei. “A questo gioco possiamo giocare in due!”.
Allargò le braccia, lei, ed urlò, quasi stesse partorendo qualcosa di maligno in quel momento. Gli occhi s’illuminarono di rosso, mentre il sangue prese ad uscire dalle orbite.
“Groudon!” urlò lei. “Mostra la tua antica potenza!”
Il Pokémon s’illuminò, pareva volesse evolvere, mutare. D’improvviso la nitidezza sparì, divenne una grossa, enorme macchia di luce che prese a mutare in dimensioni e forma; la coda s’allungava, gli arti pure, le unghie, affilate, presero ad aumentare di lunghezza.
E poi la luce sparì, mostrando ArcheoGroudon.
“Non potrai fermarmi, ora!” rise lei. “Abisso!” ordinò.
Ed il mare si spaccò in mezzo, mentre le nuvole ed il ghiaccio abbandonavano la metà campo del Pokémon Continente. La crepa enorme s’allungava, il mare vi cadeva in mezzo e vi spariva.
“Appena ti colpirà...” rideva sguaiatamente Miriam, ormai fuori controllo. “Kyogre sarà morto! Ed anche tu! Cadrete nell’abisso!”.
Lava incandescente prese a sgorgare dalla fessura, con l’acqua che cascava accanto, facendo raffreddare il materiale lavico, fino a che il colpo non infierì su Kyogre.
“Nell’abisso!” ripeté follemente la rossa, mentre il Pokémon Oceano faceva per crollare.
“No!” urlava Igor. “Non perderò contro di te! Purogelo!” fece, e poi il suo Pokémon congelò interamente tutto ciò che lo circondava, anche la lava, costruendo una doppia patina ghiacciata con la lava che scorreva sotto.
“È incredibile...” sorrideva l’uomo, che aveva fermato la sua caduta nel baratro con schegge di ghiaccio ai lati. Il Pokémon poi emise una grande quantità d’acqua, fino a colmare l’abisso e ritornare al livello dell’avversario.
 
“Rayquaza...” osservò Fiammetta.
Alice e Rocco si voltarono immediatamente a guardarla.
“È l’unico modo per destabilizzare quest’equilibrio distruttivo che hanno creato Igor e Miriam”.
“È vero” osservò la donna.
“Dovremmo mandare Silver e Crystal a catturare Rayquaza...” rifletté ad alta voce Rocco.
“Non credo” ribatté quella di Forestopoli. “Lottare contro Rayquaza, per una complicatissima e sicuramente sanguinosissima cattura sarà dura, una maratona di lotta che potrebbe durare ore. Noi tutti conosciamo il potere di Rayquaza... Dopo non sarebbero in grado di combattere contro uno tra Groudon e Kyogre, ammesso che ci siamo anche noi a combattere... Con Gold in queste condizioni, poi, credo che la soluzione migliore sia mandare Martino e Marina”.
Fiammetta e Rocco si voltarono verso Alice.
“Acquisire Rayquaza con lo Styler?” domandò la rossa, sciogliendo i capelli per un piccolo istante, prima di legarli nuovamente.
“È da folli, Alice...” fece Rocco, voltandosi verso la spiaggia: la barriera d’energia ancora proteggeva Gold e Pat, mentre Silver, Zoe e Crystal, con i Ranger, aspettavano ordini.
“D’altronde... Dobbiamo rischiare, Rocco. Non possiamo permettere che questi due distruggano Hoenn. Nel peggiore dei casi sappiamo entrambi che non si limiteranno a questa regione...”.
“Bene... Andiamo a parlare con loro”.
 
“Non è morto, Martino! Togebo sta bene!” fece Marina, abbassata sulle ginocchia, vedendo il torace del Pokémon muoversi.
“Bene?! Ha fatto un volo di cinquanta metri e si è schiantato!”
“Respira” ribatté la ragazza. “Lo rimetterò in sesto con gli strumenti!” disse poi, alzandosi velocemente e correndo verso Pat.
“Stai lontana!” urlò lei, senza staccare gli occhi di dosso a Gold.
“Sì, ok! Ma mi serve lo zaino di Gold!”.
Pat allungò il braccio destro, afferrò la spallina dello zaino del ragazzo e lo lanciò alla ragazza. Quella, con le ginocchia nella sabbia, lo aprì. L’odore era di stantio ed umido; alla rinfusa, vi erano diverse Pozioni e Revitalizzanti, tre Pokéball ed un vecchio catalogo di intimo su cui probabilmente il moro si era divertito parecchio. Con la faccia schifata rivoltò il contenuto dello zaino e vi raggruppò tutti gli strumenti utili a curare Togebo. E poi cadde un vecchio album di fotografie, di pelle marrone, consunta. Sapeva che non avrebbe dovuto, ma lo stesso poggiò l’album sulle ginocchia.
E le si aprì un mondo.
La prima foto era parecchio consunta, vedeva vecchia donna, dai soffici capelli bianchi, molto magra e col vestito a fiori mentre abbracciava un ragazzino esile, dalla folta chioma corvina e gli occhi aurei.
“Gold...” sorrise lei. Era con sua nonna, mentre abbracciava un piccolo Aipom festante. Erano seduti su di una poltrona, sullo sfondo una ragazza con i capelli biondi e gli occhi dorati.
“E questa chi è?” domandò poi. Girò la pagina, la foto che analizzò sembrava essere stata scattata pochi minuti dopo quella che aveva appena terminato di guardare: Gold, sorridente e con una finestrella tra i denti, in braccio ad una prosperosa donna bionda, dagli occhi castani ed i capelli biondi, corti, acconciati in un elegante caschetto.
“Questa è sua madre. Sorridono nello stesso modo” osservò, sorprendendosi a sorridere a sua volta. La donna era alta, dai grossi seni e dalle lunghe cosce. Aveva finalmente capito dove era nata in Gold l’ossessione per le valchirie.
E poi voltò ancora pagina, vedendo infine un uomo alto, dal volto serio e gli occhi dorati. I capelli neri, ben pettinati, avevano una vertigine sulla parte centrale del cranio.
Proprio come Gold.
“Proprio... proprio come Gold...” rifletté lui. In braccio aveva il bambino presente in tutte le fotografie, che lo guardava sorridente ed affascinato, mentre Aipom penzolava a testa in giù, appeso con la coda alla caviglia del ragazzo.
“Questo... questo è suo padre...”.
“Marina!” urlò poi suo fratello, ridestandola. Rimise tutto dentro allo zaino, prendendo soltanto le Pozioni ed i Revitalizzanti a grosse manciate, lasciandone cadere un paio per sbaglio. S’avvicino a Togekiss, e prese a curarlo.
“Non preoccuparti” fece. “Io ti farò sentire meglio. Non morirai. Né tu, né quel testone di Gold... Io vi salverò entrambi...” ed intanto spruzzava lozioni e unguenti spray sul corpo del Pokémon, che poco a poco si riprese.
Solo qualche graffio ed una gran quantità di piume perse, ma Togebo era praticamente come nuovo, pronto a combattere.
“Ok! Ci sono!”.
“Ragazzi” tuonò Rocco, atterrando sulla spiaggia proprio in quel momento. Tutti si radunarono attorno a lui, mentre Fiammetta ed Alice si accodarono al Campione.
“C’è bisogno di voi Ranger. Dovrete raggiungere la Torre dei Cieli; dovrete catturare Rayquaza”.          
                                                                  

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Capitolo 54
*** Capitolo Quarantaduesimo - Mia sorella ***


Mia Sorella



Volavano l’uno accanto all’altro, Martino e Marina, silenziosi e concentrati.
Il mare vedeva due correnti, una calda ed una più fredda, che si scontravano giusto sotto di loro, creando una linea di schiuma.
“Densità diverse...” disse Martino, su Staraptor. “Non si mischiano... Guarda, una è più chiara ed una più scura...”.
“Già... Che cosa incredibile” rispose disinteressata sua sorella. Carezzava il folto piumaggio di Togebo, mentre s’allontanavano da Ceneride.
“Quel Pokémon aveva un piede nella fossa. L’hai salvato...”.
“Già. Avrei potuto fare di meglio. Magari avrei potuto evitare che Gold non stramazzasse al suolo...”.
“Non è colpa tua. Christine era un osso duro e...”.
“Lo so benissimo...”.
“E allora che vuoi? Non fare così?”.
Marina si voltò, col sorriso amaro in volto. “Non puoi capire...”.
Quello abbassò lo sguardo verso il suo Pokémon, mentre sospirava. Sperava, sognava che quella storia finisse il più presto possibile. Avrebbe tanto voluto abbandonare quella regione disastrata, dove tutto gli ricordava le difficoltà ed i fallimenti che aveva vissuto assieme ai suoi compagni di missione, fino a quel momento.
Probabilmente avrebbe richiesto a Raimondo l’opportunità di farsi un bel mese nel Residence Aqua, in totale solitudine. Ne aveva bisogno, per ricaricare le batterie, per ritornare più forte, più motivato e concentrato.
Sì, il suo era un lavoro che stressava. Avere a che fare con la morte tutti i giorni era pesante, specialmente quando il suo intervento poteva salvare la vita di qualcuno; un minimo errore significava perdere tutto.
Martino, come anche gli altri Ranger, dovevano rimanere concentrati, e vedere sua sorella così profondamente turbata.
Per lui, che era cresciuto così a contatto con lei e che aveva vissuto la sofferenza di quella, era difficile doverla vedere con lo sguardo perso, intento a vagare tra le nuvole ed i pensieri.
Mentre tutto attorno a lui esplodeva, mentre il potere infinito di quei due Pokémon imperversava, lui doveva stare calmo e tranquillo, assicurandosi che anche sua sorella stesse serena.
Ma la cosa non poteva funzionare se lei era così tesa.
La guardò, con ancora le lacrima appuntate alle lunghe ciglia, nonostante la maschera per il volo scesa e poggiata sulle guance.
“Hey...” disse poi, combattendo contro quel demone che s’era impossessato del suo corpo in quel momento, iniettando negatività come non mai.
Quella era così assorta tra i suoi pensieri da non esser riuscita a sentire la voce del fratello. Lui la richiamò.
“Mari...”.
Quella si voltò lentamente, in faccia i segni della stanchezza. “Marti”
“Comunque mi spiace per la discussione che abbiamo avuto prima. Se tu credi che possa farti star bene, lotta per averlo”.
Quella batté due volte le palpebre e poi tornò a guardare dritto. “Se Pat riuscirà a farlo stare meglio ci proverò...”.
“Tu sei una guerriera. Hai passato tante brutte cose, anche per via di Gold e...”.
“Non è stata propriamente colpa di Gold, Martino, e lo sappiamo entrambi”.
“Doveva rimanerti vicino, invece di fare l’eroe!” urlò, scontrandosi poi con lo sguardo liquido della sorella. “Ok, scusami, lasciamo perdere. È che mi preoccupo per te...”.
“Non voglio che tu lo faccia. Non te l’ho chiesto”.
Martino sorrise. “Non lo faccio perché me l’ha chiesto qualcuno. Tu sei la mia famiglia e non voglio vederti ancora ricoperta di sangue...”.
Attimo di silenzio.
“Faceva schifo, vero?” domandò lei, sorridendo leggermente e provocando le risa del fratello.
“Non ci ho pensato, a dire il vero. M’interessava che tu non morissi”.
“E se non moriremo adesso, contro Rayquaza, non lo faremo più...”
“Già. Dobbiamo stare attenti...”.
Marina abbassò gli occhi e intanto la Torre dei Cieli diventò un’ombra all’orizzonte.
“Forza” fece Martino. Ci siamo quasi”.
 
Il cuore di Marina batteva forte, forse anche troppo, sotto quella cicatrice che deturpava il suo petto. L’isolotto sul quale s’ergeva la grande torre era battuto da acque tranquille, forse perché circondato da ampi e duri scogli neri. Sulla sommità della torre, molto, molto in alto, nuvole nere giravano intorno all’occhio del ciclone, che fissava attento tutto ciò che sovrastava.
La Torre imperava sulla terraferma, altissima ed austera.
“Ha un’aria davvero sinistra” fece Marina, toccandosi il petto, disturbata. Togekiss rientrò nella sfera e Martino le si avvicinò.
“Che hai?” domandò.
“Niente. Un po’ d’ansia, credo... d’altronde Rayquaza non sarà semplice da catturare...”.
“Dobbiamo riuscire ad acquisire quanti più Pokémon possibili... Per indebolire Rayquaza e potenziare le opzioni di Styler...”.
“Credo dovremmo utilizzare la nostra arma segreta, con un Pokémon di questa portata...”.
“Vedremo...”.
I due s’avviarono verso l’ingresso dell’altissimo edificio, salendo una scalinata in pietra assai malmessa, erosa dal tempo e dalla salsedine. La porta, in pietra anch’essa, cigolò sugli enormi cardini una volta che Martino vi poggiò la mano sopra.
Essa si aprì, rivelando sull’uscio la presenza di una figura.
“Chi siete?” domandò con voce di donna, quella. Non era assai alta e non potevano vederle il volto, in quanto vestita con una lunga tunica marrone con cappuccio.
“E questa chi diamine è?!” esclamò Martino, guardando sua sorella.
“Ehm... Siamo due Pokémon Ranger. Siamo venuti per Rayquaza...” rispose invece Marina, vedendo la donna ghignare sotto il suo cappuccio.
“Nessuno è autorizzato a vedere il grande Pokémon drago” tuonò sicura quella.
“Veniamo qui per fermare Groudon e Kyogre! Non siamo Allenatori e non ci interessa catturare il Pokémon. Una volta finita questa faccenda, libereremo il Pokémon e tornerà qui, se vorrà...”.
Il silenzio s’appropriò della situazione, lasciando soltanto il mare ed il lamentio del vento ad essere uditi.
“Sto leggendo i vostri cuori...” disse quella, sempre celata dai suoi abiti. “In te...” continuò, indicando Marina. “... in te vedo la voglia di correre ed un grande vuoto. In te vedo l’apertura al perdono. Tu hai un cuore puro” fece. Poi si voltò verso Martino.
“Ma tu... Tu sei combattuto. Il tuo cuore è sporco, nonostante il tuo animo sia chiaramente candido come la neve”.
Martino abbassò lo sguardo, poi sua sorella lo guardò.
“Ma che diamine stai passando?!”.
“Nulla. Ma siamo leggermente di fretta, dobbiamo andare”.
Il guardiano della Torre era immobile, schierato a barriera davanti a loro.
“Saranno buoni, i tuoi intenti?”.
“Sono qui per salvare questa dannatissima regione da due folli! Certo che i miei intenti sono buoni!”.
“Allora passate pure” disse la donna misteriosa, facendosi da parte. I Ranger entrarono e si guardarono attorno, mentre la porta si richiuse cigolando sinistramente, sbattendo con forza sul proprio assetto pochi secondi dopo.
Tutt’intorno sembrava esser morto e decaduto; protagonista di quel posto era l’ampia scalinata in marmo, di cui molti scalini parevano esser duramente lesionati e spaccati, se non mancanti.
“Facciamo attenzione...” disse Martino, accendendo una torcia, strumento facente parte del kit che portava sempre con sé. Banette e Claydol spaventati s’apprestavano a fuggire dal fascio di luce che il Ranger puntava contro le assi di legno malmesse delle pareti e dei pavimenti.
“Che brutto posto...” sospirò Marina. Prese a salire lentamente le scale, timorosa che ogni suo passo potesse determinare la fine dei suoi giorni.
“Attenta” ripeté suo fratello, anticipandola in ogni mossa.
“Ho capito, devo stare attenta” sospirò infastidita quella.
“E stai pronta con lo Styler, che c’è bisogno di acquisire Pokémon...”
E così camminarono lungo la spirale di scalini della Torre dei Cieli, acquisendo un paio di Altaria, un Claydol ed un Banette. Martino stava per lanciare lo Styler anche contro un bell’esemplare di Absol, ma non era riuscito nell’intento di acquisire il Pokémon.
Si voltava, il ragazzo, di tanto in tanto, intento a guardare il volto di sua sorella. Sembrava abbastanza tranquilla, nonostante continuasse a massaggiarsi stomaco e petto.
Teneva molto a lei, e stare in quella pericolosissima situazione aumentava l’ansia che quello provava, intingendolo la sua anima in una paura cieca.
Lui poteva lottare per lui, per la sua stessa misera e povera vita; non gli interessava più di tanto quello che gli sarebbe accaduto.
Invece Marina aveva già avuto la sua dose di dolore e nulla avrebbe dovuto farle ancora del male. Sentiva ancora nel naso l’odore del suo sangue, e la sensazione di sporco che provava quando, prima di lavarsi mani e faccia, i suoi vestiti ne erano interamente. Ricordava la scena, in ospedale.
 
Batteva nervosamente il piede per terra, Martino, nervoso, per ogni ticchettio che l’orologio a parete emetteva.
Aspettò che sua madre e suo padre fossero arrivati, li liquidò con un semplice “questo è il suo sangue, la stanno operando”, mostrando i vestiti, ed andò a casa, a levarsi di dosso quegli stracci  e a farsi una doccia.
E rifletté, rifletté tanto.
Come poteva una semplice uscita serale rivelarsi così fatale? Cosa era successo al ristorante di fronte casa?
Fu proprio questa curiosità a portarlo verso il locale. Già da lontano si potevano vedere orde di gente a fare muro, a coprire la visuale. Poco più in alto, si addensava del fumo nero, che poi si librava verso il cielo. Si fece largo a spallate verso il centro nevralgico, spintonando persone lamentose ma meno nervose di lui che, appena vedevano il sangue sui suoi vestiti, ammutolivano ed aprivano strada.
Bande a righe bianche e rosse delimitavano l’area tutt’intorno al ristorante “Tarantino” di chiara matrice italiana. Le aspettative sull’italiano si bloccavano al nome, perché il menù non aveva molte pretese. Inoltre il proprietario, tal Michele Tarantino, un vero italiano proveniente dalla Puglia, non sembrava un tipo affidabile. Le vetrate del locale erano state distrutte totalmente e la porta sfondata.
Un ragazzo stava seduto con una coperta attorno alle spalle, mentre un agente della polizia lo interrogava.
“Machamp... tre Machamp ed  un Darmanitan...” diceva.
“È stato un attacco di Pokémon? Erano imbizzarriti?” chiedeva l’agente.
“N-no... è stato un Allenatore a comandare loro di distruggere tutto...”.

Martino aveva effettivamente gettato un occhio nel locale, totalmente distrutto e devastato dal fuoco.
“Infine... ha dato ordine al Darmanitan di bruciare tutto...”.
“Sono questioni particolari, che da noi si verificano poco spesso. Tarantino è un esponente mafioso e questo era un avvertimento; probabilmente non aveva adempiuto ai propri doveri... Brutta storia” concluse l’agente, chiudendo il blocchetto degli appunti.
“Marina era qui... con quel ragazzo di Johto...” sospirò Martino, dopo aver visto il poliziotto allontanarsi.
“Gold, si chiamava. Si chiamava Gold” ricordò.
 
Attese, ed attese anche tanto, e vide l’uomo con la coperta sulle spalle, incredibilmente incolume, lasciare la zona del ristorante ed avviarsi verso casa.
Martino lo rincorse. “Hey!” urlava. “Scusi!”.
Quello si voltò, impressionato dalla mise del ragazzo, sempre sporco di sangue. “Sì?”.
“Chiedo scusa. C’era una ragazza, dentro il locale. Mia sorella, Marina”.
“Ehm...”. Quello pareva confuso.

“Sì, so che è difficile ricordare o altro, ma faccia uno sforzo. Adesso Marina è in fin di vita, e voglio sapere come sono andate le cose. Cerchi di riportare alla mente, la prego...”.
L’uomo sospirò. “Almeno dimmi qualcosa che possa aiutarmi”.
“Aveva... aveva un vestito bianco... Era con un ragazzo”.
“C’erano due ragazze col vestito bianco. Entrambe erano assieme ad un ragazzo”.
“Marina era... È. Marina è castana ed ha gli occhi color nocciola. E la voce squillante. Lei è molto magra, minuta. Il suo vestitino è stato bruciacchiato dalle fiamme ed una grossa scheggia di vetro le ha trafitto il torace” disse Martino, abbassando addolorato il volto.
“Ah!” esclamò lui. “Quella ragazzina! Certo, certo! Era con un ragazzo dagli occhi d’oro”.
“Un ragazzo... un ragazzo dagli occhi d’oro?”.
“Sì. Urlava parecchio”.
“Urlava?!” esclamò accorato il castano.
“Non urlava contro la ragazza. Aveva proprio un tono alto di voce. Sembrava stessero passando una bella serata...”.

“E poi?! Perché non l’ha protetta?!” urlò poi, prendendo l’uomo per le spalle.
Quello s’impressionò spingendo il ragazzo via e sbraitando parole con un senso compiuto, senza che Martino le comprendesse pienamente.
 
E poi Marina si riprese, lentamente. Il rapporto con suo fratello andò sempre a stringersi, sempre di più, fino a diventare l’uno indispensabile per l’altro.
Migliaia di avventure condivise somatizzate in un sorriso stentato. Avevano salito migliaia di scale, le gambe facevano male ma non mancavano ancora tanti piani alla cima ed il senso del dovere che provavano entrambi li spingeva a dare sempre di più.
“Quando arriveremo?” domandò Martino, tra sé e sé, seguito da Claydol. Quel Pokémon lo inquietava e non poco.
“Non lo so, Marti... ma non manca ancora molto” gli rispose, alzando la testa e guardando la tromba delle scale che lentamente s’assottigliava.
L’ottantacinquesimo piano era stato finalmente raggiunto. Era parecchio disastrato, con il crollo di un’ampia parte della parete. Ampie travi di legno erano cadute dalla volta del soffitto, parecchio sopra, incastrandosi tra la parete ed il pavimento.
Calcinacci e pezzi di muro crollati dall’alto avevano sfondato il pavimento di legno, altri ancora si erano accumulati sulla destra del corridoio. Banette pareva inquieto, passandovi accanto.
“Che ha?” domandò Marina, fissandolo.
Banette ondeggiava attorno al mucchio di calcinacci, ed intanto i due Ranger s’avvicinarono.
“Qui è morto qualcuno...” le rispose. Si piegò sulle ginocchia accanto ad un cappello bianco , ormai ingiallito dal tempo e lo alzò. Intagliato nel legno vi era inciso qualcosa:
 
EMILY WHITE, COMPAGNA MIA. TUO, ZACK.
 
I volti dei ragazzi si portarono automaticamente verso il basso. Poi lentamente ripresero il cammino, fino a raggiungere la porta che portava sul tetto della torre. Era uguale in tutto e per tutto a quella che avevano attraversato all’ingresso. Marina la spinse, e proprio come quella sotto a tutto cigolò, aprendosi con lentezza; una piccola vela di luce invase il buio dell’ultimo piano, disturbando e non poco Claydol.
Uscirono fuori, ed il vento e la pioggia battevano potenti sul soffitto della torre.
Martino aveva gli occhi alzati verso l’alto, e l’ombra enorme proiettata sul pavimento confermava lo stupore che il Ranger provava. “Porca di quella...”.
Marina lo imitava. “Dillo...”.
“Puttana. Porca di quella...”.
“Puttana...” sospirò la ragazza.
Rayquaza fissava con gli occhi spalancati e sanguinari gli avventori. Altaria s’alzò in volo, rimanendo vicino a Marina.
“È veramente enorme. Cioè, grande. Credo sia il Pokémon più epico che abbia mai visto...” diceva Martino, che ormai non batteva le palpebre da quasi mezzo minuto.
Ed a ragione, peraltro. L’enorme Pokémon Drago pareva galleggiare su se stesso, muovendo con grazia (innaturale per la sua mole) la parte posteriore del suo corpo. Il cielo s’oscurava ancor di più alle sue spalle, il vento s’alzava, i tuoni riempivano le loro orecchie mentre flash improvvisi venivano creati dai fulmini, luminosi e potenti. Fili d’energia s’allargavano dal suo corpo, muovendosi come sott’acqua. E poi le braccia, piccole, corte rispetto al lungo corpo serpentiforme, si muovevano verso di loro; Marina guardava le mani artigliate di quello e dopo fu rapita dagli occhi rossi del Pokémon. Ai lati della testa vi erano due enormi zanne, verdi come lui. Il suo corpo s’illuminava in determinati punti, pulsavano i suoi centri d’energia, battevano come un cuore.
Magniloquente.
Quello prese a ruggire, ed intanto il vento spazzava la superficie del tetto ed i fulmini illuminavano lo sfondo nero. Marina fece inconsapevolmente qualche passo indietro, sempre affiancata da Altaria, a cui si era aggiunto Staraptor. Il cuore pareva esploderle nel petto, non aveva mai avuto così tanta paura.
Martino invece sentì l’adrenalina correre veloce nel sangue; era quello il momento in cui doveva agire.
“Forza!” urlò, e Banette e Claydol lo seguirono subito. Calcolò rapidamente una strategia, il Ranger, e capì che doveva cominciare con un’offensiva leggera, per testare la difesa del Pokémon e la sua aggressività, anche se aveva l’impressione di non dover scherzare con il fuoco.
“Pichu!” urlò quindi, vedendo il piccolo topino giallo alzarsi con un balzo verso l’alto e lasciar partire una grande scossa, proprio dalle nuvole grigie su nel cielo, che colpì in pieno Rayquaza.
Pichu era ben allenato, ma la potenza del suo attacco non scalfì minimamente la coriacea resistenza del dragone color smeraldo.
Si liberò dell’energia elettrica che lo avvolgeva con un semplice ruggito, e dopo dal cielo fece cadere sfere d’energia, fendenti di luce che s’abbattevano velocemente su tutto.
“Che diamine è?!” urlava Marina, arretrando verso l’interno.
“Comete!” urlava suo fratello, facendo slalom tra le colonne di luce che cadevano per terra.
“Fermalo!”.
“Tu dammi una mano, baldracca!” urlò tra i denti quello.
“Subito!” esclamò la ragazza. “Altaria, aiutaci!”.
Il Pokémon con le ali di cotone s’alzò in volo e lasciò partire un forte Dragobolide, che colpì in pieno volto il gigante verde.
“L’hai preso!” esultò Martino, lasciando partire lo Styler.
Uno, due, tre giri, ma un abile colpo di coda del Pokémon mandò alle ortiche il tentativo d’acquisizione.
Martino urlò, vedendo il suo Styler danneggiarsi.
“Non possiamo permettere che Rayquaza si liberi di nuovo!” fece Martino, controllando lo stato di salute del suo apparecchio di cattura. “Lo distruggerà con un altro attacco del genere”.
“Procediamo con doppia cattura, allora” rispose sua sorella. Marina lanciò lo Styler, vedendo poi suo fratello mandare in avanti Claydol.
“Forza!”.
Il Pokémon Terra – Psico lanciò un grande attacco Psicoraggio contro l’avversario, che non parve subire tanto il colpo, ma che permise a Marina d’effettuare ben sedici giri di Styler.
Purtroppo si rese conto del fatto che fossero soltanto la punta dell’iceberg: Rayquaza avrebbe necessitato di centinaia, forse migliaia di giri di Styler.
“Parti!” urlò poi la ragazza, intimando il fratello di lasciar andare il suo Styler ed unirsi al processo di cattura; in quel modo avrebbero attutito i danni alle proprie macchine d’acquisizione.
“Certo! Vai!”.
I giri erano rapidamente arrivati a cinquanta, l’icona di cattura velocemente si riempiva, ma arrivati ai settanta giri ancora stentava a raggiungere il quarto di riempimento.
Claydol finì con l’attacco, lasciando il Pokémon Stratosfera libero di contrattaccare.
“È già Megaevoluto, Marina, attenta!” urlò il ragazzo.
“Vuol dire che conosce Ascesa del Drago...”.
I due si guardarono, e poi Rayquaza prese ad urlare con furia e rabbia incontrollata, lasciando partire dalla bocca fiamme viola e verdi, che si abbatterono sul già tormentato e devastato tetto della torre; questo cedette in diversi punti, minando alla stabilità del pavimento e creando crateri enormi.
“Dovremmo... O no?” domandò la ragazza cercando di mettersi al riparo dagli attacchi di Rayquaza.
“Beh, non so, Marina. Ascesa del Drago è una mossa potentissima che costringerebbe Rayquaza ad utilizzare un sacco d’energia... Ma anche quest’Oltraggio non scherza...”.
“Se usasse Ascesa del Drago sarebbe molto più semplice catturarlo!”.
“Ma i nostri Styler non riuscirebbero a sopportare un attacco del genere... E rischieremmo di certo di morire...”.
Marina sentiva il fiato corto e l’ansia che le spingeva nel petto una negatività mai provata. Il cuore batteva forte, troppo e questa cosa le sembrava insolita.
“Dobbiamo rischiare!”
“C’è ancora Banette! Non andare di fretta!”.
Marina sbuffò e si mise ad elaborare una strategia.  “Rompe l’anello di cattura dello Styler con la coda, nel tentativo di colpirci. Se entrassimo nel cerchio di cattura non attaccherebbe l’anello e saremmo più liberi di catturarlo”.
“Attenta alla seconda ondata dell’attacco Oltraggio!” urlò quello, vedendo poi Rayquaza lasciar cadere bombe d’energia a ripetizione, come a liberarsi della cattiveria di cui era colmo il suo animo.
Molti di questi attacchi fecero altri fossi sul pavimento, facendo crollare interamente il soffitto della Torre dei Cieli.
“Cazzo!” urlò poi Martino, saltando velocemente su Staraptor ed afferrando al volo Pichu, correndo a salvare Marina che intanto precipitava nella tromba delle scale della torre.
Martino scese in picchiata, appiattendosi quanto più potesse per avvicinarsi a quella.
“Più forte!” urlava al suo Pokémon.
Ma poi sua sorella fece qualcosa che lo sconvolse: mise la mano nella borsa, con la paura negli occhi, ed afferrò la sfera di Togebo, su cui si ritrovò qualche secondo dopo, terminando di fatto la discesa verso la morte.
Staraptor frenò improvvisamente ed intanto Marina respirava ad ampi polmoni, sconvolta.
“Stai bene?!” gli urlò nuovamente suo fratello.
Quella prese qualche secondo prima di rispondere. “Sì. Sì, credo di sì. Dobbiamo tornare sopra...”.
E così si misero a risalire velocemente per la tromba delle scale, evitando pezzi di tetto e calcinacci che crollavano dal soffitto. Rayquaza li fissava inviperito e li attaccò nuovamente, con un forte Lanciafiamme.
“Destra” urlò poi Marina a Togebo, che flesse leggermente l’ala per ritrovarsi qualche metro accanto alla colonna di fuoco. Continuavano a salire, calore costante ed insopportabile, quel fuoco scintillava ed illuminava tutt’intorno, spaventando i Pokémon che si nascondevano sui vari piani.
“Sali!” urlava dall’altra parte Martino, che intanto raggiunse sua sorella.
“Lancia lo Styler!” fece lei. “Io controllerò Banette e Togebo...”.
“Come un’Allenatrice...”.
Giunsero finalmente all’esterno, ancora sporchi di polvere e cemento, un po’ di sangue sul volto e qualche graffio a cui non pensavano; Rayquaza aveva ormai smesso di attaccare, vedendo i due Styler partire da destra e sinistra.
“Andrò io all’interno!” fece Martino. “Vai Banette!” urlò poi, e l’ultimo Pokémon che avevano acquisito lì si gettò.
“Fuocofatuo!” urlò Marina. Martino si voltò compiaciuto e sorrise
 vedendo il Pokémon lanciare quell’ostinata fiamma blu che, per quanto Rayquaza si fosse dimenato, l’avrebbe sempre raggiunto.
E così fu. L’urlo di Rayquaza fu terribile, e scottato decise di prendersela contro il primo individuo su di uno Staraptor che avrebbe incontrato.
Un colpo di coda ben piazzato ebbe l’effetto di destabilizzare Staraptor, che però si rimise in piedi, stabile, mentre lo Styler di Marina ancora girava attorno a Rayquaza.
“Trenta!” urlava lei.
Martino alzò la quota, arrivando verso le braccia del Pokémon; una zampata fu evitata magistralmente.
“Quaranta!”.
“Fa’ presto!” urlava Martino, evitando un secondo attacco.
“Pare facile!”.
“Questo qui sta perdendo la pazienza!”
“Cinquanta! Sto facendo più in fretta che posso, ma è difficile!”
“Se fossimo in due...” provò a parlare Martino.
“Zitto e sta’ lì a prendere le mazzate!”.
Martino volteggiò, salendo verso l’alto. La pioggia continuava a battere radente e Rayquaza attaccò con un nuovo Lanciafiamme il suo avversario, stavolta molto vicino all’obiettivo.
“Parli... parli facile, tu!” urlava quello.
“Settanta! Forza un po’ e non lamentarti. Se vuoi facciamo a cambio!”.
“Tu zitta e cucina!” disse, e Pichu si permise un nuovo attacco Fulmine, cercando d’interrompere la linea offensiva dell’enorme dragone.
“Non serve a nulla l’elettricità!” urlava Marina, mentre vedeva i numeri di volteggi dello Styler salire a settantasei. Il cuore ancora bruciava ed il fiato diventava sempre più corto; ne aveva avuto abbastanza della pioggia.
“Che diamine! Hai fatto?!” urlava Martino, quando poi un movimento della lunga coda del Pokémon interruppe l’anello di cattura, facendo saltare l’acquisizione.
Marina urlò per via del danneggiamento dello Styler.
“S’è rotto?!” domandò preoccupato Martino, scendendo in picchiata e passando sotto il Pokémon per poi salire alle sue spalle.
“No... Ma hai ragione... due colpi di fila di questo Pokémon e lo Styler si può pure buttare... Temo che da sola non ce la farò. Dovremo acquisirlo assieme!” gli urlò infine.
Martino sbuffò, con Rayquaza che si girò e spalancò le fauci, lanciando l’ennesimo Lanciafiamme che si perse nel vento e nella pioggia.
“Beh!” fece quello. “Come vedi sono un po’ impegnato!”.
Martino era davanti e Rayquaza era dietro di lui, ad inseguirlo, molto più veloce di Staraptor.
“Tra poco vi colpirà!”.
“Tranquilla...” sussurrò il Ranger, scendendo rapidamente in picchiata e facendo andare a vuoto l’attacco del dragone verde.
Marina lo raggiunse e cercò nei suoi occhi una soluzione a quel dilemma. Erano in due e non erano abbastanza.
“Forse dovremmo...” Marina affannava, stanca, con la mano sul petto. “Ma che diamine mi prende?!”.
“Hai paura, Mari, ed è normale. Ma non demordere! Sarà nos...”
 
I due spalancarono gli occhi.
 
“Che...” Martino vedeva Rayquaza illuminarsi di verde, allargando le esili ed ossute braccia verso l’esterno; i fili d’energia che pendevano dal suo corpo s’irrigidirono e si posero in posizione verticale non appena Rayquaza prese a salire in alto, verso la Stratosfera, dove generalmente soleva passare il suo tempo.
“Dove cazzo va?!” esclamò il ragazzo.
“Ascesa del Drago!” urlò Marina, stringendo l’impugnatura dello Styler.
Martino si voltò, col volto terrorizzato, tentennando per un attimo. “Dobbiamo... no?”.
“Evochiamoli!”.
Martino prese lo Styler e sospirò, quindi cominciò a tracciare un grafema, proprio come Marina.
“Latios!” urlò lui.
“Latias!” disse invece sua sorella, e pochi secondi dopo apparvero i due Pokémon Eoni, volteggiando nel cielo roboante.
I due Ranger saltarono sui Pokémon che si avvicinarono tra di loro repentini.
“Che facciamo ora?” urlava lei, mentre Latias rimaneva bloccata sulla stessa quota.
“Ora siamo molto più rapidi di Rayquaza!”.
“Sta arrivando!” Marina puntò il dito verso l’alto, dove una luce verde viaggiava a velocità folle.
“Non penso che riusciremo ad evitare il colpo!” urlò Marina, muovendosi in avanti, impanicata; anche Latias sembrava irrequieta.
“Tranquilla! Riusciremo a... Marina! Non muoverti così!”.
Invece lo fece. Rayquaza la vide, puntandola, snobbando Martino su Latios e dirigendo verso di lei l’Ascesa del Drago.
“Marina!” urlò Martino, dirigendosi veloce verso di lei, ma Latias era veloce quasi quanto Latios e si muoveva velocemente verso nord. “Fermati!”.
Rayquaza ruggì un’ultima, fortissima volta, ed un raggio di luce smeraldina si diresse lampante verso la Ranger.
“No!” gridò Martino, con le lacrime agli occhi.
E forse fu Latias a rendersi conto per prima del fatto che il colpo che avrebbe subito di lì a poco non sarebbe stato parecchio semplice da evitare.
E ancora forse, fu  proprio Latias a voler proteggere Marina, schermandola dal grosso attacco ed Rayquaza. Ma lei si girò, guardando le ali di Latias chiudersi prima della grande esplosione.
Ed il suo cuore parve scoppiare, ed i suoi occhi si spalancarono, prima di chiudersi lentamente.
Latias si schianto su di una piccola parte di pavimento che era resistita al precedente colpo subito.
“Marina!” urlava Martino, piangendo, raggiungendo sua sorella in sella a Latios. Il dolore che provava in quel momento era così tangibile, così reale che riusciva a vederlo davanti agli occhi, mentre sanguinava accanto a sua sorella.
“Marina...” disse, saltando velocemente da Latios e raccogliendo il fragile corpo leggero della castana. Le lacrime scendevano rapide sulle guance di Martino, sui solchi già scavati dalla pioggia nella polvere e nel sangue che gli ricoprivano il volto.
La mano destra della ragazza era stretta sul petto, le unghie corte a stringere il gilet, proprio sul cuore.
Respirava, forse. Forse non era tardi. Doveva salvarla assolutamente, Hoenn sarebbe potuta anche crollare a picco, in quel momento. Poi alzò gli occhi, Rayquaza ansimava vistosamente, piegato su se stesso.
Doveva catturarlo; poggiò Marina su Latios e vi salì, quindi, ancora in preda al pianto, lanciò lo Styler.
Dieci giri del cursore.
Venti.
Quaranta.
I respiri si susseguivano tutti anonimi, incapaci di donare sollievo alle membra del castano.
Sessanta.
Ottanta giri.
Centodieci.
La pioggia lo bersagliava con furore quasi omicida, come se ognuna di quelle piccole gocce fosse in realtà una punizione del cielo, per lui, per sua sorella, per le loro piccole vite.
Centocinquanta.
Duecento.
Trecento.
Il tempo ormai passava, Rayquaza cercava con debolezza di intercettare la linea dello Styler con la coda, conscio del fatto che fosse quella luce il vero nemico, ma Martino spostava il cursore in modo da allargare l’anello d’acquisizione.
Dopo quattrocentoventisette giri di Styler, il bracciale aveva segnato che la cattura fosse stata effettuata.
Martino piangeva copiosamente, correndo poi da sua sorella e prendendola in braccio, stringendo il bacino ossuto tra le mani e poggiando la testa di quella dietro al suo collo. Corse poi verso il Pokémon Drago e vi salì sopra.
La stringeva, la tirava a sé, mentre il Pokémon Stratosfera spariva oltre le nuvole.

 

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Capitolo 55
*** Capitolo Quaratatreesimo - Time Out ***


Time Out



Sulla spiaggia, nella baia di Ceneride, i ragazzi continuavano a scrutare il cielo.
“La Torre dei Cieli è lì” diceva Rocco, puntando il dito verso sud est. Molti guardarono la punta del suo dito invece del luogo indicato ma poco importava, anche perché da lì non era visibile.
Zoe osservava con orrore crescente la scena di lotta di Groudon e Kyogre, inorridita, come anche gli altri che affondavano i piedi nella sabbia candida. Fiammetta le stava a debita distanza; quella tipa non le piaceva e non riusciva a nasconderlo, stazionando sempre accanto al Campione.
Silver era poco lontano da Pat, ed anche Crystal riusciva a vederla mentre litigava con Gold.
“Uffa... E fammi uscire!” esclamava, battendo i pugni sulla parete d’energia che li conteneva entrambi.
Pat, con la treccia lunga che carezzava il collo e scendeva dietro le spalle, guardava con pazienza il moro, ormai quasi ripresosi completamente.
“Gold, calmati... Non ti sei ancora ripreso” faceva quella, sospirando.
Gold batteva i pugni sul muro trasparente, stringendo i denti, con foga. “Qui c’è bisogno di me! E Togebo dov’è?!” diceva, girandosi continuamente.
“L’ha preso Marina” rispose quella, calma e concentrata. Gold stava ancora steso di spalle sulla sabbia, cercando di uscire da quella bolla d’energia. Stava provando a scavare per poter uscire, facendo sorridere Pat.
“Ma perché non capisci che morirai se non stai fermo?”.
Gold sbuffò. “Prima o poi dovrò morire...”.
“Cerca di non morirmi sotto le mani”.
Un attimo di silenzio.
“E perché Marina avrebbe preso il mio Togekiss?!” urlò poi, d’improvviso.
“È andata a prendere Rayquaza, con suo fratello...”.
Gold spalancò gli occhi, a mostrare incredulità.
“E cos’è un Rayquaza?!”.
Pat sorrise nuovamente.
“Tu mi sei simpatico, sai?”.
“Tu invece mi stai tenendo prigioniero qui dentro. E non stiamo facendo niente buono... se... se capisci cosa intendo...”.
“Parla per te. Sto espellendo gran parte della tua maledizione, in questo momento...”.
“Ah, davvero? Pensavo stessi semplicemente poggiando le mani sui miei addominali; mi chiedevo quando avresti alzato la maglietta, in effetti...”.
Pat sorrise ancora.
“Sei carina” attaccò il moro. “Se non stessi cercando di far colpo su Fiammetta e Crystal da quando sono arrivato, probabilmente accetterei le tue avances. Magari potrei poggiare le mie, di mani, su di te...”.
“Zitto. Se mio fratello ti sentisse...” sospirò triste lei.
“Ah. Già. Mi spiace tanto per quella situazione...”.
Pat sorrise amaramente ed abbassò lo sguardo. Gold lo incrociò per un piccolo frangente, riconoscendo il dolore e lo smarrimento di chi si sente solo, condizione che svuota il cuore.
E ragionò, capendo che Tell e Pat fossero gemelli, con quello strano rapporto che solo quelli creavano tra di loro, sempre assieme, sempre legati con quel filo indissolubile di fiducia ed amore.
“Non preoccuparti...” fece lei.
“So cosa voglia dire perdere una persona a te cara... Non voglio più passare una situazione del genere...”.
Pat incrociò lo sguardo di Gold ed annuì, facendo poi un sorriso di circostanza, di quelli imbarazzati che sostituiscono parole inutili di riempimento.
 
Zoe era in piedi di fronte al mare in burrasca. Combattuta nel suo cuore, il suo istinto la portava a guardare Miriam, ormai dilaniata dal potere che Groudon le stava conferendo. La odiava.
Ed anche a ragione.
Era passata dall’avere tutto e decidere di lasciarlo, quando viveva con la sua famiglia, in cambio di leggerezza e dignità. Poi aveva visto il suo cuore arricchirsi quando aveva incontrato Andy, e tutto le era sembrato più magico ed importante. Quando le aveva spiegato cosa significasse la “emme” che indossavano sul petto lei aveva titubato e non poco, ma le parevano fossero ideali eroici, detti in quel modo.
 
“Il Team Idro vuole sommergere il mondo. Noi dobbiamo salvare tutti”.
 
Pareva che Andy fosse un eroe, che facesse parte di una setta di eletti per la protezione di Hoenn, con un costume rosso, i capelli biondi, gli occhi verdi ed un sorriso triste e splendente.
Lei aveva davvero perso la propria vita, per la seconda volta, quando aveva deciso di porgerla in mano a lui.
E poi lui l’aveva stritolata, frantumandola in decine di pezzi taglienti, riversi adesso sulla sabbia che calpestava, sulla battigia davanti a lei, nel mare nero agitato.
Miriam era una puttana, lei lo sapeva.
Rifletté nuovamente, comprendendo come fosse stata usata fin dal primo minuto: Andy non era arrivato a lei per sbaglio, quello non era stato un vero colpo di fulmine e l’unico amore provato in quella pseudorelazione era unilaterale.
Andy aveva già tutto in mente, come anche Miriam.
Zoe lasciò cadere un paio di lacrime, ricordando il volto dell’uomo che aveva tagliato il suo cuore in due per entrarvi.
Lui voleva semplicemente asciugare il mare e relegare le forme di vita esistenti ad un limbo di morte e distruzione, controllando la poca acqua rimasta e centellinandola.
Avrebbero costruito un mondo nuovo, migliore – secondo la loro opinione – in cui lui era il re e lei la regina.
In cui Zoe sarebbe stata soltanto una comparsa.
Sospirò, era il peso del suo cognome ad aver attirato quella bestia da lui. Le sue abilità, ecco.
Pensò a tutte le cose brutte che aveva fatto, pentendosene immediatamente.
E poi una mano si spinse sulla sua bocca mentre la lama affilata di un coltello premeva sulla carotide. Riuscì giusto ad emettere un urlo, in modo da far girare Silver e Crystal.
“Andy!” urlò il fulvo, avvicinandosi lentamente, vedendo indietreggiare la coppia vestita in rosso con ancor più lentezza.
“Fermo!” urlava quello, col volto emaciato e sporco di sangue. “Non ti muovere oppure la ammazzo, qui, davanti a tutti!”.
“Posa quel coltello! Ora non puoi fare più niente! Devono vedersela loro!” Silver puntò il dito verso la coppia di leggendari che ancora lottava, senza lesinare alcun colpo.
“Non funziona così...” diceva, zoppicando mentre camminava indietro. “Zoe è motivata più di voi nel distruggerci, adesso”.
Crystal raggiunse Silver, impressionata dalla scena, e guardò per bene gli occhi dell’ex sgherra del Team Magma; spalancati, impauriti, timorosi della lama che premeva sul suo collo.
“Lasciala stare” diceva poi, cercando di trasmettere calma. Guardava il viso livido di Andy, stupendosi del modo in cui l’avesse ridotto.
Quella furia cieca, inspiegabile, non le aveva ancora tolto lo sguardo e la cosa la rincuorava, anche perché non era stato parecchio semplice abituarsi all'idea di non poter più vedere la luce del sole, i colori.
E Silver, accanto a lei.
"Andy, ora è una questione che non riguarda più te..." diceva quello.
"Certo che riguarda me! È della mia vita che si parla, qui! Sarò il re del mondo!" urlava, ormai rapito dalla follia, spingendo il coltello contro il collo della donna, seriamente spaventata.
Gli occhi del biondo, malcelavano sete di potere e squilibrio.
La voglia di vedere caldo sangue, rosso sangue, colargli sulle mani e venire asciugato dalle sabbie candide di Ceneride.
Lo sguardo di Zoe era impaurito, fisso in quello di Crystal. La ragazza di Johto vide poi un'inspiegabile vena di consapevolezza e sicurezza sul volto dell'ex nemico, e quindi la vide dare una gomitata in pieno costato all'uomo che la minacciava.
Andy parve non scomporsi più di tanto, ma sorrise, afferrando la Combat Girl per l'avambraccio e spingendola per terra, sedendovisi sulla schiena e continuando a premere il coltello affilato sul collo di Zoe.
Spingeva con l'altra mano la faccia della donna nella sabbia, immobilizzandola completamente.
"Non devi muoverti!" urlò, seguendo il tutto con una risata folle, mentre Rocco e Fiammetta s'avvicinavano impressionati.
 
"Gold! Devi stare fermo, ho detto!" faceva Pat, spingendo il moro per terra.
"Non posso, Pat! Quel coglione sta per uccidere la ragazza!".
"Adesso ti uccido io, se non la smetti".
 
"Che dobbiamo fare?!" urlò Crystal, portando le mani larghe, come a mostrare totale innocenza e collaborazione.
Silver si voltò esagitato verso di lei, con gli occhi spalancati.
"Non vorrai scendere a patti con questo terrorista?!".
"Dobbiamo salvare Zoe, Sil... Se c'è qualche modo di uscire da questa situazione dobbiamo farlo. Bisogna vagliare ogni ipotesi..." sussurrò a bassa voce.
"Non sono d'accordo. Ha sempre Zoe come ostaggio".
"Allora?!" urlò ancora Crystal, sempre con le braccia larghe. "Che cosa vuoi in cambio di Zoe?".
Andy sorrise leggermente, poi allargò sempre di più il taglio delle labbra, trasformando l'espressione in una risata. I denti dell'arcata inferiore erano ricoperti di sangue grumoso.
"Fiammetta" rispose, tornando poi serio.
L'interessata spalancò gli occhi. Le ritornarono in mente le terribili scene in cui quel folle la teneva legata al muro, con le catene, mentre passava con la lingua sul suo collo, mentre le carezzava il seno.
Zoe, la sua nemica, la causa principale di tutti i fallimenti delle catture di Crystal, era più morta che viva in quel momento.
Non voleva assolutamente sottrarsi alle sue responsabilità ma non aveva più voglia di vivere quell'incubo.
Silver e Crystal si voltarono verso di lei. La ragazza annuiva leggermente, come a trasmetterle calma e sicurezza, sottintendendo che avrebbero messo tutto a posto. Lo sguardo di Silver, invece, era rimasto glaciale ed impenetrabile.
Rocco invece aveva la testa bassa, mentre stringeva i denti.
"Ok..." sospirò poi la rossa, avvicinandosi.
"No!" urlò il Campione, improvvisamente svegliatosi da quello stato di paralisi cosciente.
"Non preoccuparti..." sorrise la donna, continuando a camminare lentamente verso di il pazzo. Quello s'alzò, stringendo sempre il coltello sulla carotide della donna che teneva come ostaggio, e quando Fiammetta si ritrovò ad un metro da lei fu libero di gettare per terra Zoe, totalmente in lacrime, e di afferrare il braccio destro della donna di Cuordilava, per poi tirarlo a sé.
Lui pregustava lo stupro che avrebbe messo in atto qualche ora dopo, ai danni di quella. L'avrebbe colpita con tanta forza sul volto da farle sanguinare le gengive, per poi leccare quei rivoli di sangue rubino, che trovava deliziosi e proibiti. Avrebbe morso la sua carne, l'avrebbe resa livida, e poi l'avrebbe usata come un inutile contenitore. Alla fine l'avrebbe ammazzata ed avrebbe dato fuoco al suo corpo.
Ma qualcosa non andò come previsto.
Già, perché fu proprio durante quel pensiero che la ragazza lasciò partire un diretto sul volto di quello, tanto forte quanto efficace, che gli fece perdere i sensi.
Andy cadde sulla sabbia, perdendo la presa dal coltello a serramanico e chiudendo gli occhi.
Zoe si alzò repentina, afferrò il coltello e, totalmente coperta di lacrime, lo piantò nel petto del biondo.
"Muori, bastardo!" faceva, accasciandosi poi su di lui, tormentata dai rimorsi e dal pianto.
Fiammetta era rimasta immobile, sgomenta alla scena che le era scorsa davanti agli occhi.
"Zoe..." disse poi, sotto voce, prima che Rocco corresse da lei e la stringesse.
La rossa spalancò gli occhi, sorpresa.
"Non fare più l'incosciente...".
 
"Quindi un Rayquaza è un drago verde?" domandava Gold, sedato per l'ennesima volta dalle parole di Pat.
"Sì... un enorme drago verde...".
"Uhm... Verde, dici?".
"Sì" ripeté la moretta, saggiando nuovamente il petto del ragazzo con le sue dita.
"Bene, lì ce n'è uno" fece, puntando il dito.
Pat si voltò rapida e sorrise.
 
"Stanno arrivando!" urlò Fiammetta, stretta nell'abbraccio di Rocco. Rayquaza atterrò lentamente, facendo scendere Martino con stretta in grembo Marina, proprio accanto a Pat e Gold.
Quest'ultimo spalancò gli occhi e si alzò.
"Marina! Che è successo?!" fece, battendo i pugni contro il muro d'energia che Pat aveva alzato su di loro.
"Martino! Non l'hai protetta! E tu, Pat! Fammi uscire da qui dentro, porca puttana!" diceva, battendo i pugni contro la barriera, con rabbia incontrollata.
Martino poggiò sulla sabbia il corpo di Marina; il volto del ragazzo era serio, serissimo.
"Pat! Liberami!" urlava Gold, continuando nel tentativo inutile di sfondare la barriera d'energia. Quella stringeva i denti, cercando di continuare lo stesso il suo lavoro.
Martino s'avvicinò alla donna con la treccia e la guardò, con gli occhi pieni di lacrime.
"Fammi uscire!" continuava Gold, sferrando un ultimo, ennesimo colpo alla barriera, prima di creare un varco. Uscì fuori, nuovamente in preda ai dolori, gettandosi sul corpo di Marina.
"È morta?! L'hai fatta morire?!" urlava, gettandosi su di lei. In pochi secondi stampò nella sua mente l'espressione totalmente vuota sul suo viso, i rivoli di lacrime secchi sulle sue guance, quello di sangue ai lati della bocca con le labbra screpolate, i capelli sporchi di fango.
"Marina..." disse, pronunciando le labbra e trattenendo le lacrime. Martino sostava davanti ai due con lo sguardo addolorato.
"Rayquaza l'ha colpita, prima della cattura..." disse. "Non ho potuto fare niente. S'è allontanata ed io...".
Gold guardò un'ultima volta Marina prima di alzarsi e correre verso suo fratello, colpendolo con un pugno nello stomaco.
"Gold!" urlò Pat, alzandosi velocemente. "Tu l'hai fatta ridurre così!" disse, mentre Pat cercava, col corpo di schermare Martino, piegato su se stesso e dolorante.
"Fermati!" diceva la ragazza.
"Non so se sia morta..." fece il Ranger, sospirando. Gold ormai piangeva, ed urlava al mondo. Si voltò verso Rayquaza, che ancora fluttuava silenzioso alle loro spalle.
"Pat! Aiutala, ti prego!".
"Se è morta non c'è nulla da fare..." disse lei.
Gold abbassò la testa e Pat lo lasciò, andando verso di lei. S'inginocchiò, affondando nella sabbia, e mise la mano sul cuore della ragazza.
"Lei... lei ha avuto problemi al cuore?" disse poi, al fratello.
Martino piangeva a testa bassa, proprio come Gold; si limitò ad annuire.
"E tu, sapendo che aveva problemi del genere, non le stavi attaccato al culo?! Sei un pezzo di merda!" urlava Gold.
Martino alzò la testa, furibondo. "Quei problemi del genere li hai creati tu! Sei stato tu a lasciarla da sola, quando successe tutto quel casino!".
Gold spalancò gli occhi, non capendo.
"Ma che diamine dici, con quella bocca?".
"Dico che era con te quando il pezzo di vetro le ha trafitto il petto, lacerando parti del cuore! È viva per miracolo!".
Occhidoro continuava a non capire.
"Che c'è?! Ora non dici nulla?!"
"È un infarto... È viva, però..." sospirò Pat, facendo voltare entrambi ed illuminando i suoi occhi di quella strana luce azzurra. Ricoprì nuovamente se stessa con la barriera d'energia e cominciò a lavorare su Marina.
"Starà bene..." sospirò Martino. "Ma tu! Tu non puoi accusarmi di nulla!".
"Martino, prendi un Oki e calmati, prima che ti riempia di calci! Sei in preda al delirio!".
"Ah, sì?! E dimmi, Gold, hai mai sofferto d'amnesia?!".
Il moro fece cenno di no.
"Quindi ricorderai d'esser stato ad Oblivia!".
Gold sbatté un paio di volte gli occhi e pronunciò le labbra. "Sì... dieci anni fa, circa. Ero un ragazzino e...".
"Ed una sera uscisti con mia sorella!".
"Ma non è vero! Lo ricorderei altrimenti! L'unica ragazza con cui sono uscito era..." e poi si bloccò. Cercò di ricollegare i ricordi e di fare un confronto. Ricordava il vestito bianco, e poi i capelli castani. Ricordava le belle labbra e le gambe magre. E poi ricordava la sua voce.
"Era lei..." rimase shoccato.
"Sì! Era mia sorella!".
"Ma io non le ho fatto niente!".
"Quando quei Pokémon attaccarono il ristorante tu non eri lì a proteggerla!".
"Certamente! Ero all'inseguimento dei malfattori!".
"Saresti dovuto rimanere con lei, cazzo!" urlò ancor di più Martino, ricambiando il pugno nella pancia ricevuto qualche minuto prima. Gold si piegò su se stesso, sputando sangue.
"Il fuoco dei Pokémon ha provocato una grande esplosione, ed un pezzo di vetro è rimasto conficcato nel corpo di mia sorella! Nel suo cuore!".
"Non...".
"Ora basta" tuonò Rocco. S'avvicinò e si frappose tra i due, dividendoli. "Gold, come ti senti?".
"Una schifezza" rispose, pulendosi dal sangue.
"Meraviglioso. Ci servirà anche il tuo aiuto. Martino, Rayquaza è sotto controllo".
Il Ranger annuì.
"Ok. Solo tu puoi fermare questa battaglia. Dopodiché proveremo a lottare contro di loro a gruppi di tre: Gold, Silver e Crystal da una parte ed io, Fiammetta ed Alice dall'altra. Voi vi occuperete di Kyogre".
"Forse sarebbe meglio Groudon, lo conosciamo meglio..." subentrò Silver alle spalle.
"Neanche per sogno. Miriam ed io abbiamo un conto in sospeso".
 
Igor sentiva il potere fuoriuscire da ogni poro del suo corpo. Corpo troppo umano, troppo limitato per gestire quella potenza infinita; sanguinava dalle orbite, dal naso, dalla bocca.
Le unghie stavano cadendo, anche i denti. Gli occhi erano scavati profondamente e solchi nerastri rendevano ancor più inumane le fattezze del suo viso.
"Kyogre! Usa Geloraggio!" diceva, mentre la pioggia lo investiva interamente, evaporando al contatto con la sua pelle.
Anche Miriam non sembrava essere messa meglio: perdeva capelli a ciocche mentre il colorito della sua pelle s'avvicinava al rosso rubino. Anche i suoi occhi piangevano sangue, che si accumulava nelle profonde occhiaie.
"No! Groudon! Usa Lanciafiamme!".
E fu così che una grande quantità d'acqua incandescente si riversò nel mare.
Entrambi furono colpiti da qualcosa che li fece sbalzare, quasi disarcionandoli dai due giganti leggendari. Miriam si voltò verso sinistra e vide Mega Rayquaza pronto a colpire altre decine di volte che centinaia di bombe luminose.
"Groudon, attento!" urlò quella, vedendo il suo Pokémon venir colpito altre volte. Anche Kyogre non fu risparmiato, ma Igor non s'allarmò più di tanto.
"Miriam" la chiamò.
Quella si voltò e lo fissò, inviperita. "Che diamine vuoi?".
"Qui rischiamo che i nostri piani vadano a finire in malora. Dovremmo necessariamente unire le forze".
Annuì, la rossa, quindi punto il dito verso Rayquaza. "Usa Abisso!".
Martino era stretto ad uno di quei luminosissimi fili che pendevano dal corpo di Rayquaza, sulla sua testa, cercando di non cadere e di rimanere il più basso possibile. Vide l'aria congelarsi rapidamente, rarefarsi e colpire tutto. Una mossa terribilmente efficace contro il suo Pokémon.
"Attacca Kyogre con Iper raggio!" urlò quello, ed il suo Pokémon eseguì con così tanta perizia da bloccare l'attacco Purogelo, facendolo fallire.
"Meraviglioso".
Ma la terra sotto di lui si spaccò in un abisso profondissimo, dentro il quale l'acqua congelata creata da Kyogre si riversava con voracità.
"Non dobbiamo cadere nemmeno lì dentro. Stai bene, Rayquaza?" domandò poi.
Quello annuì e schivò un forte attacco di Groudon.
"A sinistra" disse infatti Martino, evitando di dare il fianco a Kyogre.
"Ed ora Extrarapido su Groudon!" urlò.
Un tackle incredibile, diretto sul volto, le dimensioni di Rayquaza, assieme all'alta velocità utilizzata costrinsero Groudon ad indietreggiare, inciampando e finendo in acqua.
"Ottimo!" urlò Martino.
"È il momento!" urlò Rocco, scagliandosi sul suo Metagross contro Miriam, ormai finita in acqua. Dietro di lui seguivano Alice su Altaria e Fiammetta, più lenta, su Talonflame.
Miriam tornò a galla, salendo nuovamente su Groudon. Kyogre invece attaccò con forza Rayquaza, mentre da dietro partirono Silver e Crystal, pronti all'attacco.
 
Gold era rimasto sulla spiaggia, con Pat e Marina. Guardava la Ranger, semisvenuta.
"Starà bene?" domandò poi.
"Farò il massimo".
"Fai tutto quello che è in tuo potere. Se è necessario prendi da me quello che serve".
"Le servirebbe il cuore..." sorrise Pat, sentendosi poi fissare. Lei alzò gli occhi e lo vide che vagliava l'ipotesi.
"È fuori discussione che io faccia una cosa del genere, Gold. Farò in modo da far riprendere il cuore e renderlo stabile fino alla fine di tutto questo; fine che non arriverà mai, se non aiuti i tuoi amici".
"Hai ragione" sospirò quello. "Tu hai sempre ragione. Diventerai il mio medico personale, sappilo".
"Quanto ti servirebbe non lo sai..." sorrise lei. "Ora vai".
"Sì. È che non trovo il mio zaino..." disse, infilandosi nuovamente la maglietta.
Pat alzò una mano, senza nemmeno guardare, e lo zaino prese a fluttuare.
"Oh, ok. Grazie" fece, grattandosi la testa con un ampio sorriso sul volto. Afferrò la cinghia ed aprì a zip. Infilò il braccio dentro, fino al gomito, con il volto corrucciato.
"Magari avessi la tua capacità di trovare le cose" disse, sovrappensiero, mentre Pat sorrideva.
E poi il suo volto s'illuminò; tirò fuori una Pokéball, stringendola con bramosia.
"Ottimo! Ora andiamo!".
 
Silver e Crystal capirono che attaccare Kyogre non dovesse essere particolarmente semplice, e questo per un paio di motivazioni che entrambi trovarono più che valide:
la prima, sicuramente, era rappresentata dal fatto che stessero per combattere contro uno dei Pokémon più forti mai esistiti sulla Terra;
la seconda era che combattevano nel suo elemento, il mare. Ed anche se non erano propriamente in mare, perché erano in volo su Honchkrow, lo strapotere del Pokémon sarebbe stato sicuramente avvalorato da questo aspetto.
In più vi era l'aspetto psicologico: Silver e Crystal erano soli a combattere contro una divinità fatta Pokémon.
"Feraligatr! Metagross!" chiamò Silver, vedendo poi la ragazza mandare in acqua Swampert.
"Dobbiamo farcela!" urlava lei, caricando Swampee. "Attacchiamolo con Fanghiglia!".
"Metagross, Psichico! Feraligatr, vai con Fulmindenti!".
Gli attacchi s'abbatterono tutti su Kyogre, con Igor che intanto era voltato verso Rayquaza. Inorridì nel vedere quei piccoli Pokémon fare gioco forza per attaccarli e quasi sorrise.
"Ma cosa credete di fare?! Kyogre, Idrondata!".
"Attenzione, Metagross!" urlò Silver, conscio del fatto che i due starter di Johto e Hoenn se la sarebbero cavata con poco.
"Usa Surf!" urlò poi Crystal, vedendo Swampert cavalcare la grande onda che arrivava, arrivando addirittura all'altezza dell'occhio destro del Pokémon re degli oceani.
Si gettò su di lui, pochi metri accanto a Igor, e colpì con un potente pugno il capo del Pokémon, anche se inutilmente.
"Metagross!" urlò Silver. "Segui Swampee con Feraligatr!".
E così il Pokémon prestatogli da Rocco usò i suoi poteri psichici per far fluttuare Feraligatr e portarlo accanto a Swampert.
"Non funziona così! Attacchiamo quel Metagross, Kyogre!" ordinò Igor.
E poi Rayquaza lo colpì con un attacco Iper raggio, facendolo vacillare.
"Dannato Ranger!" urlò Igor. Il duro attacco subito aveva aperto una grossa ferita sul capo del Pokémon.
"Feraligatr! Codacciaio sulla ferita!".
"Sì, anche tu, Swampee! Vai con Codacciaio!".
Entrambi i Pokémon colpirono il punto sensibile di Kyogre, che s'immerse per cercare di eludere i successivi attacchi.
"Metagross! Psicoraggio!" urlò Silver.
Ed il colpo fu tanto preciso che il lamento del Pokémon risuonò per tutta Ceneride, costringendolo a fuoriuscire dalle profondità marine, sempre seguito dai due Pokémon d'acqua.
"Kyogre, dobbiamo sbarazzarci di loro!" urlava Igor, ravvivando i capelli con la mano.
La pioggia scendeva fitta ed aiutava Swampee, più veloce. Tuttavia l'attacco Bora che subirono fu molto forte, e non riuscirono a schivarlo.
Anche Metagross ne risentì parecchio, abbassando la quota di volo, venendo poi colpito da un forte attacco Idropompa.
"No! Metagross!"
"È troppo grande. Non riusciremo a sconfiggerlo in questo modo!" esclamò Crys.
"Non disperate!" sentirono urlare Gold dall'alto. La sagoma di Togebo era ombrata, frapposta tra i giovani ed il sole, ma poi, dopo un attimo, capirono che quell'ampia apertura alare non era di quel Pokémon.
"Zapdos! Usa Tuono!" urlò il moro e poco dopo dalle nuvole cadde un grande fulmine, seguito da un rombo terribilmente rumoroso; andò a segno, colpendo Kyogre con forza.
"Zapdos!" urlò Igor, incredulo. "Colpiscilo con Geloraggio!".
Gli attacchi del Pokémon si levarono al cielo, costringendo Gold a tenere gli occhi bene aperti. "Schiviamoli!" urlò e quindi partì uno slalom tra colonne di ghiaccio.
"Come diamine ha fatto a catturare Zapdos?!" esclamò Silver.
"Quel ragazzo ne sa una più del diavolo" sorrise l'altra.
Anche l'ultimo attacco fu schivato e, a pochi metri da Kyogre, Gold urlò la sua direttiva.
"Perforbecco, sulla ferita che ha sul capo!".
Igor vide raggiungersi dal Pokémon ad una velocità immane e comprese che quel colpo sarebbe stato davvero forte.
Poi un forte rumore proveniente da Groudon lo fece girare.
 

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Capitolo 56
*** Capitolo Quarantaquattresimo - Museruole ***


Museruole



L’attacco a Groudon stava dando i propri frutti.
Rayquaza distribuiva colpi gratuiti e casuali agli avversari, mentre Rocco partiva l’attacco.
“Cometapugno! Sul muso!” urlava quello, saltando sul suo Skarmory e lasciando partire il suo Pokémon per l’attacco. E fu forte, molto forte.
Tanto forte da sbilanciare il Pokémon, facendolo indietreggiare; Miriam s’abbassò, toccando con le mani le creste incandescenti del Pokémon che controllava; non sentiva più il dolore, il suo corpo era diventato soltanto un contenitore d’organi e potere, d’adrenalina e sangue, che ormai fluiva fuori dagli occhi e dalle mani, e dal naso.
“Groudon, Eruzione!” urlò.
Ceneride tremò nuovamente e grosse nuvole di vapore s’alzarono dal mare della baia. Pochi secondi dopo grossi sbuffi di lava furono emessi da pezzi di terra ferma che si crearono, proprio sotto i ragazzi. Così, sui proprio Pokémon volanti, quelli furono costretti a schivare colonne di lava dalla temperatura estrema.
Il materiale piroclastico e la lava si sparsero come pallini sparati da una bombarda, confusamente, colpendo Gold e Zapdos.
“Cazzo! Stai bene, uccello giallo?! Non mi abbandonare adesso!”
Rocco lo vide rimettersi in volo e quindi attaccò nuovamente con Metagross.
“Psicoraggio!” urlò.
Il Pokémon Ferrarto lasciò partire l’attacco psichico, che fece vacillare Groudon, e che sbilanciò nuovamente Miriam.
“Dragobolide!” urlò Alice, a bordo del suo Altaria. Il Pokémon Canterino attaccò con una sfera d’energia argentata, velocissima e caldissima, molto luminosa, che andò a colpire Groudon proprio sotto il muso; Miriam perse l’equilibrio e cadde, urlando, verso la caletta di mare dietro di lei.
Ma fu Fiammetta che la intercettò in tempo, con le taglientissime zampe di Talonflame.
“Troia” disse semplicemente, gettandosi a capofitto verso il mare e lasciandola schiantarsi contro la superficie dell’acqua.
Fiammetta sorrideva sorniona, senza riuscire a vedere, alle sue spalle, Groudon, pronto a colpirla con un forte pugno.
Miriam rideva, cominciando a sollevarsi dal mare tramite un piedistallo di roccia che continuava a crescere sotto i suoi piedi.
“Fiammetta!” urlò Rocco, preoccupat0.
Prese a volare verso di lei, ma Miriam, controllando Groudon, riuscì ad alzare una grande parete di roccia alle sue spalle, facendola schiantare lì.
Il colpo fu duro, e lei perse conoscenza per pochi secondi, bastevoli a farla risvegliare con manette a polsi e caviglie, interamente fatti di roccia.
Urlava lei, mentre Rocco ed Alice si avvicinavano per salvarla, più lentamente di Groudon che s’avviava verso di lei.
“Aiuto!” urlò quella, vedendo Talonflame galleggiare sull’acqua; il suo Pokémon era morto. Cercava in tutti i odi di liberarsi, utilizzando quanto più forza riuscisse a mettere in corpo, ma niente.
Per l'ennesima volta in quell'avventura, Fiammetta era in trappola.
Batteva il suo cuore come un martello pneumatico, mentre i grandi occhi luminosi di Groudon la puntavano con decisione. Il respiro si faceva corto, non bastava ai suoi polmoni, la bocca si spalancava e quel caldo, che era diventato insopportabile, cominciava a bruciarle la pelle, ormai abituata al calore.
"Fiammetta!" urlava Rocco.
Miriam, dall'alto del suo piedistallo, riuscì a creare altre colonne di pietra, cosicché potesse camminarvi sopra ed avanzare a passo, lentamente.
Camminava con una flemma strana, ben abbinata al ghigno che aveva sul volto; le braccia lungo i fianchi danzavano lemmi e stanche, creando un breve arco, avanti ed indietro.
Alice invece volava a tutta velocità sul suo Altaria; concentrata, assetto basso, volava verso Fiammetta, cercando d'affiancare Rocco ed il suo volo, spediti a razzo verso l'ex Capopalestra.
"Dannazione, Altaria! Prova a bloccare Groudon!".
Il Drago provò ad utilizzare un attacco Dragospiro sul volto del Pokémon Continente ma non sortì alcun effetto; il lontano obiettivo di Alice era paralizzarlo.
Ma in quel momento stava accadendo di tutto, e sommando i battiti dei loro cuori avrebbero potuto assordare anche il più insensibile degli uomini.
 
"Zapdos! Forza!" urlava Gold, sputando denso sangue rubino e stringendosi il petto, mostrando i denti sporchi di quel rosso acceso.
Il leggendario si gettò a capofitto all'attacco, schivando gli attacchi prepotenti di Kyogre mentre Silver e Crystal cercavano in qualche modo di indebolire l'avversario tramite iniziative laterali.
Il tentativo non manifestato di Gold era quello di perdurare con gli attacchi fisici e diretti: il Perforbecco del suo Pokémon sarebbe stato devastante in tal senso, a maggior ragione per via della ferita aperta e sgorgante sangue sulla fronte dell'avversario.
Tuttavia dovette frenare il proprio attacco per via dei ripetuti tentativi, tramite Idropompa e Geloraggio, di abbatterlo.
"Non possiamo rischiare di andare troppo vicino... un altro attacco Purogelo e siamo letteralmente fregati..." digrignò i denti il ragazzo, mentre la pioggia, che colpiva soltanto la metà dell'isola ad ovest, lo aveva interamente inzuppato. Le sue dita stringevano il petto, sembravano aver afferrato il cuore nella propria morsa.
"Tuono!" urlò, quasi in un lamento, mentre cercava il modo per strappare quel muscolo involontario dal torace e rimanere lo stesso vivo, lo stesso attivo.
Guardò gli occhi di Crystal illuminarsi totalmente, mentre la luce del fulmine sceso dalle nuvole inondava il viso di tutti.
Colpì in pieno Kyogre, Silver non riuscì a non esultare.
"Lacerazione sulla ferita!" urlò poi a Feraligatr il ragazzo, conscio di dover scavare pazientemente come una carie sulla spaccatura.
E vide il nervo: Kyogre ruggì prepotentemente, guaì poi di dolore e s'immerse, sparendo come un sottomarino nazista oltre la superficie ormai rossa della baia.
Il mare era agitato ed intanto Gold s'era gettato verso Groudon, cercando di liberare Fiammetta.
"Dove diamine va?!" urlò Silver, guardandolo. Sentiva le braccia si Crystal stringerli con forza il torace, mentre il respiro, accanto al suo orecchio, si faceva sempre più breve.
"Non temere..." le disse, voltandosi ed incrociando quegli occhi limpidi.
"Sì" annuì lei, per poi tenere d'occhio Swampee. "Attento!" gli urlò.
"Già, attenti" s'aggiunse al coro l'altro, poggiando le dita tra le piume scure di Honchkrow. "Da dove diamine salirà, adesso?".
Quattro secondi di semplice silenzio, disturbato soltanto dalla pioggia, quindi Crystal strinse il bicipite del ragazzo. "È lì!" urlò, vedendo risalire ad alta velocità dagli abissi bui una luce accecante.
"Sì, quello è Kyogre! Feraligatr, rientra!" disse, cercando di proteggere il suo Pokémon.
"Ottima idea! Swampee, dentro! Cerchiamo di diminuire i danni" osservò la moretta, tenendo salda la sfera nella mano destra.
"Pronta?!" domandò quello, stringendo bene le mani attorno al collo di Honchkrow. La sentì annuire, il suo respiro quasi sparì, diventando una flebile linea di fiato.
Sentì la testa poggiarsi alla sua schiena, e lei lo sentiva il suo respiro, sentiva i polmoni lavorare, il cuore che batteva.
Cinse la sua vita quanto più potesse, stringendo gli occhi e sperando nel meglio.
Non vide la scena, lei, ma Silver non volle privarsi di quella visione magica: ArcheoKyogre che usciva dall'acqua, tagliando il mare in miliardi di piccoli pezzi, su cui s'infrangeva la pioggia inesorabile, che tutto giudicava dall'alto delle nuvole.
Ivan perdeva copioso sangue dalle orbite e dal naso, il volto pareva visibilmente smagrito mentre i capelli, bagnati, venivano mossi dal vento.
"Pallagelo!" urlò quello.
Silver spalancò gli occhi, guardando Rayquaza, giusto per un momento, prima di sentire le mani di Crystal stringere sul suo petto.
 
"Fiammetta!" urlò Gold, volando velocemente verso la ragazza. Groudon le si avvicinava così velocemente che intanto il calore stava velocemente scottando la loro pelle.
"Aiutami!" piangeva lei, con gli occhi spalancati, cercando di forzare le manette di roccia appese alla parete a strapiombo nel mare.
"Perforbecco!" urlò il moro, vedendo poi l'Altaria di Alice illuminarsi integralmente, cambiando di forma e volume, aumentando il piumaggio.
Zapdos spezzò le manette di pietra con la forza del becco, lasciando cadere Fiammetta verso il basso, dove il mare s'incontrava con le rocce appuntite ed assassine create da Miriam.
"Aiuto!" urlava lei, mentre precipitava in giù; il vento fendeva le sue carni, il sole le bruciava, gli occhi di Rocco le guardavano andare a fondo.
"Miriam!" urlava lui, conscio del fatto che Altaria ed Alice si fossero catapultati nel recuperarla.
"Attento!" urlava Gold al Campione, mentre avanzava in direzione della maligna, pronta a sfogare la rabbia di Groudon su di lui. Non era convinto, quello dagli occhi d'oro.
Forse per quell'impulsività così lontana dai modus facendi di Rocco, forse per le lacrime che forti fuoriuscivano dai suoi occhi, sintomo ovvio delle emozioni contrastanti, della lotta tra sentimenti che combattevano tra testa e cuore dell'uomo.
Forse fu per quello; e, naturalmente, anche per la rabbia contro il quale aveva urlato il nome della nemica.
Rocco era diventato finalmente umano, aveva perso la sua posatezza, la sua razionalità, a favore del sangue che gli scorreva nelle vene, caldo, bollente.
Incandescente come il sole che si abbatteva su di loro.
Alice pure sembrava preoccupata per Rocco. Aveva recuperato repentinamente Fiammetta dalla caduta verticale verso il baratro, mentre l'acqua continuava ancora a cadere nella grande voragine nella superficie creata dall'attacco Abisso del Pokémon Continente.
"Stai bene?" domandò quella di Forestopoli, ansimando.
Quell'altra aveva la bocca spalancata, cercando di far entrare quanta più aria possibile all'interno dei polmoni, cercando di raffreddare il sangue. Annuì, deglutendo un boccone tanto amaro quanto ricco di sangue.
Consapevolmente, si girò verso le sue spalle, rimirando la grande parete uscita dal nulla. Alzò lo sguardo verso Gold, vedendolo sparato in direzione di Rocco, una ventina di metri in avanti, pronto a colpire Groudon.
"Rendiamo tutto più interessante!" urlava la donna, sorridente. Non ci fu nemmeno bisogno di urlare un ordine, lei e Groudon vivevano in simbiosi, l'uno per l'altro, e ciò portò il Pokémon a creare enormi spuntoni di roccia atti a ricoprire la baia in tutta la zona che il sauropode controllava.
Gold guardava quella donna, dapprima parecchio attraente, ora smagrita e spenta, con gli occhi rotondi come biglie di vetro inespressive;  il suo corpo continuava a deteriorarsi, perdendo di massa. Altre ciocche di capelli continuavano a cadere dalla sua testa mentre il volto si contraeva in una smorfia di consapevolezza: Miriam sapeva di avere un grande potere e la cosa la rendeva ancora più entusiasta. Vedeva Rocco che si avvicinava, mentre digrignava i denti e si abbassava sul suo Pokémon.
Erano parecchio vicini.
"Groudon, intercettali!" urlava lei.
"Cometapugno!" ordinò invece Rocco. Vedeva Miriam, proprio alle spalle di Groudon, concentrata col suo ghigno malefico sul Pokémon che controllava, lanciando poi uno sguardo malizioso al Campione, pronto a coglierlo come una sfida. Rocco premette sul bracciale che portava e Metagross, intento a caricare il pugno diretto a Groudon, cominciò a mutare forma, tramite il processo di Megaevoluzione.
Fu così che il Cometapugno del MegaMetagross cromatico dell'uomo si schiantò sul volto di Groudon, infliggendo ingenti danni.
Ma fu Rocco che scommise, decidendo di afferrare con le proprie mani la situazione: saltò, poco prima dell'attacco del suo Pokémon, in direzione di Miriam, e della colonna di pietra sulla quale si poggiava.
 
Silver sentì la voce di Fiammetta che urlava, almeno prima di prendere a concentrarsi sull'attacco Pallagelo di Kyogre.
"Colpiscili!" urlava Igor, dal dorso del leggendario Pokémon, vedendo sfere ghiacciate partire verso l'alto, in direzione dell'Honchkrow che portava i due Dexholder di Johto.
"Devi schivarli!" ordinò Silver, sentendo il respiro di Crystal diventare sempre più breve, fino a sparire: le sfere ghiacciate s'avvicinavano ad alta velocità e la paura di venir colpiti le riempiva lo stomaco di un'acre terrore nero.
Honchkrow virò dapprima a destra, poi a sinistra, evitando le prime due.
"Ancora!" rideva sguaiatamente Igor, totalmente immerso nella brodaglia rosso sangue delle sue ambizioni.
"Silver!" urlava Crystal, stringendo ancora il fulvo al petto, cercando in qualche modo di guardare Kyogre, valutando una sua possibile cattura; tuttavia la pioggia cadeva inesorabile e fitta, ostacolandola nel tentativo di mettere a fuoco.
Soltanto Igor riluceva di quella strana luce bianca, come anche tutto il corpo di Kyogre.
Crystal non riusciva a guardare bene, a valutare lo stato di forza del Pokémon. Forse avrebbero dovuto avvicinarsi, ma enormi sfere di ghiaccio li raggiungevano e la loro potenza li avrebbe sterminati in un nulla. Silver controllava il suo Pokémon come fosse un aviatore esperto.
"Fletti a destra e..."
Honchkrow eseguì repentinamente, senza nemmeno che l'Allenatore terminasse di parlare, virando di quarantacinque gradi l'angolo ed evitando l'oggetto in arrivo.
"Ottimo! Ora attacchiamolo con Palla Ombra!".
Crystal non era sicurissima del fatto che attaccare quel Pokémon fosse un'ottima idea; probabilmente avrebbe puntato ad Igor, lo avrebbe indebolito e poi avrebbe stabilito il da farsi.
Stringeva il petto di Silver intanto, sentendo il cuore correre come ruote di una locomotiva. S'appiattirono sul volatile quando un attacco Idropompa s'alzò al cielo, cercando di colpirli.
"Attento!" urlò lei, stringendo ancor di più il ragazzo.
"Vira!" urlò il fulvo al suo Pokémon, riuscendo ad eludere l'attacco per pochi metri quando un altro forte colpo d'Idropompa li colse impreparati alle spalle, facendo perdere quota ad Honchkrow, disarcionando i due ragazzi, in caduta verticale verso il mare arrabbiato.
 
Il colpo di Metagross fu imponente, riuscendo a far vacillare quel tanto che bastasse Groudon per permettergli di sferrare un secondo attacco, in grado di fargli perdere l'equilibrio. Groudon cadde sulla terraferma, quella che aveva creato sotto i suoi piedi con i suoi incredibili poteri. Miriam rimase spiazzata, e lo fu ancor di più quando Rocco le rovinò addosso, sovrastandola col corpo.
Erano vicini, lui su di lei, le gambe di quella pressate dalle sue, i polsi spinti a terra dalle mani rabbiose del Campione e gli occhi uniti da un solo sguardo rabbioso, colmo di rabbia, di risentimento vivido e tangibile.
"Ferma tutto questo!" urlò lui, vedendola poi sorridere, mentre una lacrima di sangue lasciava le sue orbite e cadeva al lato della testa.
In tutta risposta, Miriam sputò un grosso grumo di sangue sul volto di Rocco, condendo il tutto con una risata divertita.
"Non puoi darmi ordini!" urlò lei, diventando improvvisamente rossa in volto; la sua pelle divenne incandescente, costringendo Rocco a staccarsi repentinamente da lei.
Contemporaneamente Groudon si rialzò. La colonna sul quale Miriam e l'uomo stavano era davvero piccola, e Rocco non riusciva a starle lontano quanto volesse in realtà. Miriam allungò la mano, un tizzone ardente con cinque dita, ormai senz'unghie. Le dita si ritirarono, la mano rimase allungata verso il corpo dell'uomo, che guardava con la coda dell'occhio gli spuntoni fuoriuscire dalla superficie del mare, bramosi di sangue.
"Rocco!" urlava Fiammetta, vedendo poi l'indice di Miriam puntare verso il suo petto.
"Stai calma" le disse Alice. "Se la caverà. E nel caso cadesse lo prenderemo noi, al volo".
Miriam sorrise, non appena udì la voce della donna di Cuordilava.
"Senti come urla per te. Pensa tu sia un eroe" disse.
"Non sono nulla. E nemmeno tu. Terminiamo questa distruzione enorme e cerchiamo di mettere tutto a posto. C'è ancora un modo per uscirne". La voce di Rocco risuonò greve mentre lo sfrigolio della pelle di Miriam aumentava. La donna rise, alle parole dell'altro.
"E come, Rocco? Con il bene? Che si ottiene, con il bene?".
Lo sguardo sanguigno della donna riuscì a bucare la barriera d'acciaio dell'uomo, costringendolo ad abbassare lo sguardo. "Te lo dico io, quello che si ottiene! Nulla!" urlava lei. "Non otterrai mai nulla seguendo le regole! Sarai sempre un numero, schedato, un nome negli archivi di qualcuno! Non otterrai mai nulla!".
Rocco tornò a guardarla.
"No, Rocco. Fin quando lottavo per andare avanti non riuscivo nemmeno a portare il piatto sulla tavola! Sarei morta!".
"Non saresti morta...".
"Mi avresti salvata tu?!" chiese, quasi schernendolo con una risata.
Lui annuì, più serio di sempre, vedendo mutare il suo sorriso in una risata. "Non hai idea della sciocchezza che hai detto! Non si vive d'amore, caro mio. E le mie ambizioni sarebbero state schiacciate dalle tue, che dovevi diventare Campione. Ti rendi conto, per una donna come me, come sarebbe stato difficile vivere dietro le tue spalle?".
Silenzio.
"Eravamo ragazzi, e ci amavamo come potevano fare due ragazzi. Ma io non ero soltanto quella poveraccia che sfidava i passanti per qualche spicciolo, Ro'. No, ero la figlia di Maximilian, Max, il Capo del Team Magma, e non lo sapevo. Nel mio destino c'era ben altro che acqua di fonte e pane raffermo una volta al giorno. Nel mio destino c'era ben altro che le costole in vista, e le gambe al freddo ed i vestiti stracciati! Nella mia vita doveva esserci questo!" urlò lei, sentendo poi ruggire Groudon, con cui era entrata in completa sintonia, tanto da condividere gli stessi sentimenti.
Un forte terremoto fece tremare nuovamente Ceneride ed anche il pilastro di roccia su cui camminavano, spezzandolo nel mezzo, facendoli cadere.
Rocco vide gli spuntoni avvicinarsi velocemente, mentre Miriam fu raccolta velocemente da Groudon con la sua zampa artigliata.
"Rocco!" urlò Fiammetta, ma non ci fu nemmeno il tempo per Alice di comprendere ciò che stava accedendo che Gold, su Zapdos, si concesse una picchiata mozzafiato; raccolse Rocco repentinamente, prima che si schiantasse sugli spuntoni.
Il Campione ansimava vistosamente, la sua pelle bruciava mentre i suoi occhi rimanevano spalancati.
"Tutto bene, polsini d'acciaio?" chiese quello dagli occhi dorati.
"Fiammetta come sta?".
Gold sorrise, stringendo le dita attorno al proprio cuore. "Sicuramente meglio di me" disse, allungando il collo in direzione della spiaggia: sotto la cupola d'energia azzurra vi erano sempre Pat e Marina.
Martino, intanto, aveva lasciato partire un forte attacco Oltraggio contro Groudon, essenziale per permettere ai ragazzi di rifiatare qualche secondo e pensare ad una strategia efficace.
Si riunirono tutti, per un breve istante.
Alice prese parola: "Se fossimo tutti assieme a lottare contro Groudon, probabilmente avremo più possibilità di sconfiggerlo".
"Dobbiamo riuscire a sfruttare di più Rayquaza. Quella è la chiave di volta" fece in un sussurro Fiammetta, alle sue spalle.
"In effetti avremmo più campo libero. Martino!" urlò Gold, verso il Ranger. Quello, una minuscola virgola sulla testa del Pokémon tipo Drago, vide il Dexholder fare segno con la mano di aumentare la quantità degli attacchi.
Ma fu proprio in quel momento che il Ranger vide Silver e Crystal cadere in mare.
 
"Crystal!" urlò il rosso, lottando contro le onde, appena riemerso dalle tenebre buie e profonde, battute dalla pioggia torrenziale.
Non la vedeva. Non vedeva nulla attorno a lui, se non una profonda foschia e l'ombra illuminata di Kyogre, gigantesca, intenta a sovrastarlo.
"Cazzo!" esclamò, vedendo poi Igor farsi avanti nella nebbia. Rideva sguaiatamente, abbeverandosi nell'eccesso e nel potere.
"Kyogre, congeliamolo!" urlò quello. "Purogelo!"
Silver spalancò gli occhi, li alzò verso Martino e vide che gli attacchi di Rayquaza fossero rivolti a Groudon, oltre il grande muro che Miriam aveva eretto, quindi capì che non aveva nessun'altra opzione: doveva immergersi per evitare il congelamento. E lo fece con le lacrime agli occhi, reputandosi un codardo d'infimo 0rdine per non esser riuscito a trovare Crystal, per metterla in salvo.
Pianse, il fulvo, senza riuscire a trovare la forza per tornare indietro, sentendo l'acqua cristallizzarsi.
Doveva scendere più in basso, lui, altrimenti sarebbe rimasto ghiacciato nella calotta di nuova creazione. Prese la sfera di Feraligatr e si attaccò a lui, scendendo quanto più giù riuscisse ad arrivare, toccando perfino il fondale sabbioso con i piedi.
Lì era tutto buio, la poca luce arrivava dall'alto ed i polmoni bruciavano; aveva qualche minuto ancora d'autonomia, forse qualcosina in più, ma avrebbe dovuto trovare immediatamente il modo di prendere ossigeno da qualsiasi fonte. Il muro s'ergeva ad una ventina di metri da lui, e sapeva che dietro quella parete di roccia vi fosse acqua liquida, oltre che spuntoni mortali. Vagliò per un attimo la possibilità di riuscire a sfondarlo, ma poi capì che nel ghiaccio fosse nettamente più semplice aprire un varco, quindi rimase lì. Cercò di guardarsi attorno, sentendo ancora l'acqua congelare, cercando con gli occhi il corpo di Crystal, un segno di vita, una possibile risorsa.
O anche una minaccia.
Ed intanto l'aria nel suo corpo cominciava a salire verso l'alto, tante piccole bolle, l'una la sorella dell'altra, bruciando nei polmoni prima di lasciare il corpo del fulvo.
Guardò Feraligatr con gli occhi pieni di panico, mentre una grande boato rimbombò persino lì sotto. Un grande rumore vicino al muro attestò che qualcosa stesse succedendo nella zona di Groudon ed il terrore che potesse essere implicata Crystal accrebbe in lui la necessità di uscire da lì.
Afferrò nuovamente le creste del Pokémon che velocemente nuotò verso l'alto; l'acqua era fredda come null'altro, la sua carnagione, già lontana dall'essere simile al colore olivastro, perse altre tonalità di rosa, avvicinandosi pericolosamente al bianco pallido della neve. Le labbra anche cambiarono colore, raggiungendo il violaceo.
Pezzi di ghiaccio erano messi lì, l'acqua diventava sempre più fredda e pesante mentre la luce lentamente s'appropriava di tutto. Lo scricchiolio del ghiaccio era terminato, a favore del ticchettio insistente della pioggia che batteva sulla tavola congelata che tutto aveva ricoperto.
I polmoni continuavano a bruciare e tutto era diventato più ovattato. Stava per perdere i sensi, lo sentiva, ma poi un rumore lo costrinse a voltarsi alla sua destra: un grosso MegaSharpedo si avvicinava ad alta velocità, seguita da un'altra figura, dal corpo illuminato ed un'alfa bianca sul petto.

 
Da qui in poi siete dentro casa mia;

- 3. Pokémon Courage

 

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Capitolo 57
*** Capitolo Quarantacinquesimo - Harmonia ***


Harmonia



Crystal stava cadendo verso il nero del mare cattivo quando il Metagross di Silver riuscì a fermarla a mezz'aria tramite i suoi poteri psichici. S'avviò verso di lei repentino, poggiandola con delicatezza sulla superficie piatta della sua testa.
La pioggia, dal lato comandato da Kyogre, continuava a scendere senza sosta, rendendo quella vigilia di Natale parecchio fredda.
La foschia abbassava di parecchio la visibilità, costringendo Crystal a fare un rapido reboot prima di rendersi conto di non essere caduta in acqua.
"Che diamine è successo..." domandò lei, prima di capire che tutto ciò che la circondasse fosse totalmente congelato.
Probabilmente lo shock, ma solo dopo pochi istanti si rese conto del fatto che Metagross stesse proteggendo lei e se stesso tramite i suoi poteri psichici.
"Simili a quelli di Pat" convenne da sola, a bassa voce.
In quel momento un insieme infinito di sensazioni, dal senso di responsabilità alla paura per se stessa, dalla rabbia per gli avvenimenti al terrore per quello che potesse esser successo a Silver, le inondò lo stomaco, dandole la nausea.
Troppe sollecitazioni, troppi pensieri, troppe cose dello stesso peso sullo stesso fragilissimo filo di cotone, che altro non aspettava per spezzarsi, rimanendo diviso e lontano.
Scrutava, o almeno provava a farlo, nella foschia, cercando un segno di vita del fulvo, un suo Pokémon. Anche Honchkrow era sparito, e nessun rumore, oltre allo scricchiolio del ghiaccio che si stava formando sulla superficie del mare, occupava il suo udito. Tirò fuori dalle tasche l'Holovox, cercando in tutti i modi d'accenderlo, ma era zuppo d'acqua e quindi inutilizzabile.
Sentiva il panico crescere nel suo petto, un miscuglio indefinito di sensazioni, d'emozioni, e poi si rese conto dell'abbagliante luminosità di Kyogre, che sostava immobile al centro della baia.
Forse era il momento per incontrare Igor e sconfiggerlo. Quello doveva essere il modo più semplice per battere quel Pokémon leggendario dai poteri così incredibili.
"Metagross... cerchiamo di avvicinarci quanto più possiamo a Kyogre. Alle spalle..." ordinò al Pokémon di Silver e quindi sparì, per riapparire a due metri dall'infinita distesa blu della sua schiena.
Faceva freddo, Crystal sentiva le mani perdere rapidamente sensibilità e quindi le portò alla bocca, alitando caldo respiro sulle dita, inutilmente.
Scrutò l'orizzonte, foschia ovunque e nessuna traccia di Igor, quindi decise di scendere coi propri piedi sulla schiena di Kyogre.
Avanzò lentamente, mano alla Pokéball di Monlee e Metagross che li seguiva alle spalle, attentissimo.
"Igor non c'è..." disse, lentamente, aspettandosi un agguato  da un momento all'altro e muovendo per questo passi cauti ed incerti.
La nebbia era così densa da non permetterle di guardare oltre i due metri. Una ragazza così precisa e maniacale come lei, con il feticismo per il controllo su tutto ciò che le circondava, viveva un incubo.
E camminò, camminò tanto.
Almeno finché non arrivò alla grande ferita che Kyogre aveva sulla fronte.
Grondava sangue, fluido e rosso come un rubino, mentre le striature luminose che aveva sul corpo s'accendevano ad intermittenza, affievolendosi senza mai spegnersi completamente.
Sentiva il freddo salire dal corpo del Pokémon e distribuirsi tutt'intorno. Ma era sola, e la cosa la inquietava.
"Dove diamine sei, Silver?".
 
Il respiro mancava, ormai, da un minuto e trentasette secondi.
Trentotto.
Trentanove.
Quel grosso Sharpedo s'avvicinava a tutta velocità e la cosa lo preoccupava in maniera sostanziale, dato che alle sue spalle vedeva Igor muoversi con agilità anfibia incredibile.
S'impanicò, alcune piccole bolle lasciarono il suo corpo e si schiantarono contro la spessa lastra di ghiaccio. Capì che non dovesse agitarsi, altrimenti avrebbe speso quei pochi secondi di fiato che gli rimanevano, con conseguenze letali.
Doveva affrontare Igor e poi sfondare la lastra di ghiaccio, ed in meno d'un minuto.
Calcolò che combattesse con due veri e propri squali, agili nel proprio elemento, e la cosa gli diede già una nota di svantaggio.
Inoltre MegaSharpedo era molto veloce. Difatti, in meno di tre secondi aveva già le fauci aperte in direzione di Feraligatr.
Era sott'acqua, non poteva urlare alcun ordine e la cosa lo costrinse a toccare con la mano la spalla del Pokémon, per farlo voltare.
Bastò uno sguardo, ai due. Una sorta di hai via libera, non devi farti ammazzare in nessun modo. Anzi. Attaccalo finché non si muove più.
Avrebbe voluto comunicargli che lui avrebbe pensato ad Igor, ma gli parve inutile, sostanzialmente. I Pokémon non erano malvagi come gli esseri umani, non capivano determinate dinamiche e le cose cattive del mondo, come essere catturati e perdere la libertà, diventavano cose dettate dal fato.
Feraligatr si gettò a capofitto contro Sharpedo, usando Lacerazione sulla sua pelle, ruvida come carta vetrata: gli artigli affondarono il colpo velocemente, lasciando una scia di sangue scuro, una nuvola che si diradò salendo verso l'alto.
Feraligatr era così ben allenato che Silver era sicuro riuscisse a vincere quello scontro.
Doveva occuparsi di Igor; solo in quel modo sarebbe riuscito a fermare tutto.
Lo guardava, i suoi occhi rilucevano facendo rimbalzare la luce, come se fosse un gatto. La sua fisionomia era totalmente cambiata: in acqua la sua pelle sembrava più tirata, gli occhi avevano perso il proprio colore, diventando semplicemente delle pozze nere senza iridi. I capelli vagavano come fossero vivi, come serpenti.
S'avvicinò a Silver, Igor, noncurante della lotta in atto tra i due Pokémon; sorrideva, vedendo il volto di Silver perder colore. Era attratto dalle labbra emaciate del ragazzo, lo sguardo cadeva sempre lì.
Come avesse un motore alle spalle, accelerò ed allargò le braccia. Caricò il pugno, pronto a scagliarlo nello stomaco del ragazzo. Quello sarebbe riuscito a scansarlo con facilità immane se non fosse stato in acqua. Lì tutto era ovattato e più lento: i rumori, i movimenti.
Ma i pensieri viaggiavano veloci e l'ossigeno era sceso quasi a zero. Doveva sconfiggerlo immediatamente.
Valutò la strategia più ovvia ed aspettò che ritornasse all'attacco.
Igor, infatti, partorì delle lame dagli avambracci, protuberanze taglientissime fatte d'osso. Con i polsi rivolti verso l'esterno, s'avviò come un missile verso l'obiettivo.
Silver sapeva che in meno di due secondi sarebbe arrivato da lui.
La scintilla di un pensiero illuminò il suo sguardo, Igor arrivò con i polsi rivolti a lui, puntandogli contro gli spuntoni appuntiti che fuoriuscivano dalla sua pelle pallida, quasi grigiastra.
L'adrenalina scorreva nel suo sangue così velocemente che tutto prese a rallentare. Nelle tempie sentiva i battiti accelerati del cuore mentre i polmoni reclamavano ossigeno e gridavano per il dolore mentre i suoi occhi anticipavano i movimenti del Capo del Team Idro.
Attaccherà da destra pensò, vedendo effettivamente il colpo veloce partire da lì. Cercò di evitare l'attacco il più velocemente possibile mentre percepiva Feraligatr che attaccava Sharpedo con successo.
Scartò di lato, il fulvo, non riuscendo tuttavia ad uscire indenne dall'agguato, ferendosi con gli artigli dell'uomo - se uomo poteva essere chiamato - e cominciando a perdere sangue.
Fu proprio l'odore del sangue a distrarre Sharpedo, che subì un ultimo, pesante attacco al viso, cadendo vittima di un terrificante attacco Codacciaio.
Silver s'attaccò ad Igor, passando alle sue spalle, lasciando una scia rossa come i suoi capelli e stringendo il collo col braccio.
La sua mente volò, aprendo un bagaglio che aveva volutamente deciso di stipare nella soffitta dei ricordi malandati: quelli della sua infanzia.
 
La maschera di Silver era decisamente grande e non calzava a pennello. Almeno non come quella degli altri suoi fratelli. Non era sicurissimo del fatto che fossero fratelli e ad un certo punto gli sovvennero dei dubbi pure sulla definizione di fratelli.
Ecco, forse loro erano compagni.
Anche perché, se fossero stati tutti suoi fratelli, lui avrebbe visto ognuno dei loro volti. Invece no.
Erano pochi, quell'inverno, ma all'inizio erano molti di più. C'erano i fratelli più grandi, quelli che aiutavano Maschera di Ghiaccio nelle faccende importanti.
Loro erano autorizzati anche ad uscire, fuori, oltre le grandi mura grigio scuro della fortezza.
Quel venerdì era rimasto particolarmente male per il fatto di aver dovuto effettuare un'altra di quelle sessione di allenamento che sostenevano quotidianamente; generalmente Maschera di Ghiaccio li lasciava liberi di scorazzare per il castello.
In quei casi lui andava da Blue, la ragazzina più grande, e passavano il tempo assieme, giocando a rincorrersi.
In più, assieme a Blue, che quel pomeriggio uggioso era proprio di canto a lui, avevano trovato un nascondiglio perfetto.
Già, proprio al di sotto della brandina della ragazza vi erano alcuni mattoni malmessi e lei aveva cominciato a scavare nella roccia, creando una piccola insenatura grande abbastanza per entrambi.
Quella era la loro fortezza; lì erano addirittura riusciti a levarsi le maschere, ed a guardarsi negli occhi.
Blue aveva gli occhi del colore del cielo, azzurri e profondi.
Non aveva mai visto il cielo, pensava in quel momento, se non attraverso il filtro dei vetri polverosi della fortezza. Lei era molto carina, con i capelli lunghi sulle spalle e sulla fronte, ed il sorriso splendente.
Era più grande, lei, ma ogni volta che la vedeva Silver sorrideva e sognava di vedere il cielo assieme a lei, mano nella mano.
Ammise a se stesso che un po' le piacesse, Blue. Ed anche lei sorrise come aveva fatto lui, quando Silver smontò la grande maschera dal suo viso smagrito, impreziosito dai due dischi d'argento con cui esplorava il mondo.
Spesso rimanevano immobili, nel loro nascondiglio, a guardarsi negli occhi, nel totale silenzio. Lei aveva una bella voce, a lui piaceva.
Ma Maschera di Ghiaccio li aveva battezzati come fratelli, e sapeva che due fratelli non potevano fidanzarsi tra di loro, innamorarsi o altro.
Sarebbero nate cose sconvenienti. Già. I fratelli erano soltanto parte della Famiglia, e la Famiglia doveva essere come un carrarmato, una scatola che conteneva tutto e tutti, che proteggeva e che doveva essere protetta.
Quel pomeriggio era lì, Silver, assieme a Blue, a qualche metro sulla sua sinistra, ed altri tre ragazzini. Uno era bassino, con i capelli violacei. Due ragazzi più grandi osservavano la sessione0 mentre Maschera di Ghiaccio sedeva su di un grande trono, in silenzio.
Una delle sorelle più grandi, si chiamava Karen, si avvicinò al centro dell'arena, dove un grande telo nascondeva qualcosa che si muoveva. La donna, dai lunghi capelli color turchese, ondulati, sistemò meglio la maschera dal sorriso sbieco e poi levò il lenzuolo.
Quattro ragazzini piangevano, bendati e legati. La voce della donna risuonò nell'ampia sala, piena solo di loro.
"Questi ragazzi hanno provato a scappare da qui. Hanno provato a disonorare la famiglia, a danneggiare noi. Volevano farci del male...".
La voce della donna rimbombava per le pareti scure mentre un tuono risuonò prepotente.
"E chi vuole farci del male viene eliminato. Vogliamo però cogliere l'occasione per insegnarvi come mettere fuorigioco i nemici".
Silver si voltò verso Blue ma lei continuava a guardare dritto.
"Tu" disse poi, puntando il dito contro uno dei suoi fratelli. "Sarai il primo. Vieni qui".
Karen mostrò al ragazzino in che modo afferrare il collo di quello. Le mani fragili di quello toccarono la pelle pallida mentre la vittima cercava di svincolarsi dagli stretti nodi che lo tenevano stretto alla sedia.
"Ora gira velocemente. Sentirai il rumore delle ossa che si rompono".
Il ragazzino eseguì freddamente, lo schiocco arrivò e la testa del ragazzino s'accasciò sul suo petto.
Silver rimase inorridito; guardò Blue ma lei era immobile, continuando a fissare dritto attraverso la sua maschera. I ragazzini legati, a cui sarebbe capitata la stessa sorta, piangevano disperati.
"Tu" disse poi Karen, puntando il dito contro Blue. "Sarai la seconda. Vieni qui".
I passi mossi dalla più piccola lasciarono solchi incolmabili. Silver non riusciva a credere che la sua amica, quella dagli occhi color del cielo, sarebbe riuscita ad ammazzare un ragazzino, con le sue mani.
Invece quella posizionò le mani sottili sul collo del ragazzino moro, bendato ed imbavagliato, poi tirò veloce ed eseguì la manovra.
Lasciò andare le mani ed il collo rimase a penzolare come una corda al vento, prima di trovare pace e pendere verso sinistra. Blue tornò rapidamente al suo posto, sotto lo sguardo terrorizzato di Silver.
"Tu" si pronunciò nuovamente Karen, puntando il proprio indice proprio contro di lui. "Sarai il terzo. Vieni qui" fece.
Doveva andare, lui lo sapeva, ma tutto era avverso: aveva paura, il sole era lontano e la pioggia continuava a battere. Aveva reputato tutti come suoi fratelli, gente che era cresciuta con lui.
Per un bambino, portatore sano di vita, donare la morte era una condanna. S'avvicinò con più paura in corpo di quanto in realtà potesse averne, con le mani magre e tremanti.
"Il collo" disse Karen, carezzando la sua chioma rossa. Silver aveva negli occhi la scena di Blue che, immobile e fredda come il ghiaccio aveva eseguito la manovra omicida con la decisione d'un killer. E la emulò, non riuscendo a trattenere le lacrime al di sotto della sua maschera, unico stanzino buio nel quale nascondere le proprie emozioni dal mondo.
 
I polmoni continuavano a bruciare, ma fu tutto rapidissimo: afferrò con la mano destra il mento dell'uomo e con la sinistra la nuca e girò rapidamente la testa di Igor.
Sott'acqua lo schiocco rimbombò sordo, il corpo dell’uomo perse ogni forza, gli occhi tornarono normali e si spensero, abbandonando la scintilla, la pelle si ritirò e la fisionomia tornò umana. Dal suo petto fuoriuscì la Sfera Blu, che lentamente s'adagiò tra le mani sporche di Silver.
Metà di quell'ignobile storia era finita: il corpo di Igor salì vuoto verso l'alto, adagiandosi sul ghiaccio spesso.
Silver stava per perdere tutte le forze. Si riservò un po' d'energia per agitare le braccia e chiamare Feraligatr. Quello, che aveva sconfitto agilmente MegaSharpedo, nuoto velocemente verso di lui e lo brandì, prendendo a salire verso l'alto.
Silver vedeva sempre meno, mentre la luce aumentava e l'adrenalina terminava il suo effetto, rilasciando una dose di sonno e stanchezza nel suo corpo. Un'altra coppia di bollicine lasciarono le labbra violacee del rosso.
Feraligatr prese ad attaccare con le zampe, i denti, la coda, il ghiaccio doppio, raschiando strati doppi, ampi, avvicinandosi sempre di più alla superficie.
L'acqua era congelata, passava lenta tra le dita di Silver fino a quando l'ultima cosa che riuscì a vedere fu il volto di Crystal, oltre quel freddo muro.
Poi chiuse gli occhi: l'ossigeno era finito.
 
Crystal guardava l’enorme figura di Kyogre, totalmente immobile.
Aveva paura che Igor spuntasse all’improvviso da qualche parte, tra gli scogli ghiacciati e gli aliti condensati che s’alzavano dalla sua bocca.
Muoveva passi leggeri sulla superficie ghiacciata del mare. Cercava di stare quanto più attenta potesse, per non inciampare e farsi del male.
Monlee camminava accanto a lei, silenzioso e guardingo, mentre le esplosioni al di là del muro attiravano la propria attenzione in maniera massiva.
“Non c’è, Igor. Sono sola con Kyogre…”.
E questa era l’occasione giusta, pensò. Doveva assolutamente catturare Kyogre e mettere fine alla metà di tutti quei problemi. Il solo Hitmonlee, però, non era bastevole ad indebolire alla goccia il Pokémon leggendario
Per farlo aveva bisogno d’un altro leggendario.
Alzò gli occhi al cielo: attraverso la nebbia, i fili luminosi di MegaRayquaza fluttuavano lemmi attraverso gli aliti di vento.
“Martino!” urlò lei, alzando le mani al cielo e cercando d’attirare la sua attenzione. “Martino!” ripeté nuovamente, agitando le braccia.
Quello abbassò gli occhi e la vide rivolgersi a lui.
“Che c’è?!” urlò, analizzando la situazione e cercando la chiave di volta per la mossa successiva.
“Attacca Kyogre!”.
“Cosa?!” rispose lui, non avendo colto le parole della moretta.
“Colpisci Kyogre! Attaccalo!”.
“Kyogre?! Ma è immobile! Groudon sta combinando un casino, di là!”.
“Non m’importa, fai e basta!”.
“Ma...”.
“Martino! Attacca Kyogre!” ringhiò Crystal, quasi stremata. Il Ranger sbuffò e punto il dito contro il Pokémon azzurro, vedendo poi un forte attacco Iper Raggio colpire l’obbiettivo.
Vi fu una forte esplosione, e Kyogre parve risentito della cosa.
“Ora!” urlò Crystal. “Vai, Ultraball!”. Lanciò la sfera in aria e la colpì con i piedi; la traiettoria che prese fu incredibile, riuscendo a colpire il Pokémon sul muso, proprio dove aveva mirato.
“Lì c’è il centro delle tue energie vitali, Kyogre… ora rilasciale...”. L’ansia cresceva nel suo petto a dismisura, lievitava e spingeva i polmoni in avanti.
Era quasi doloroso, gli occhi cristallini della bella puntarono la figura mastodontica del Pokémon, che poco a poco ridusse la propria taglia per entrare all’interno della sfera.
 
Un movimento della sfera.
 
Milioni di persone erano morte, annegate tra le strade delle proprie città, affogate all’interno delle proprie automobili, delle proprie abitazioni. Città intere, come Bluruvia e Porto Selcepoli erano state trasformate da Kyogre in grossi acquari silenziosi, nel profondo blu dell’oceano.
Aveva visto migliaia di corpi a galla, senza vita, senza futuro e senza più parole da dire.
Il sangue che si riversava sulle coste nuove, create dall’onda gigante, macchiava l’erba ed il terreno, le case, le scarpe di chi guardava in lacrime l’orizzonte, ogni giorno un po’ più ampio.
E quando, tra la spuma delle onde, apparivano delle scarpine taglia 28 coi lacci inzaccherati di rosso, beh, era proprio in quel momento che si chiedeva il reale significato del concetto di giustizia divina.
Non capiva dove fosse giusto che una divinità ammazzasse un bambino, più bambini, per gli errori commessi da qualcuno mille anni prima.
Pensò che probabilmente, se fosse stata Arceus, con poteri straordinari e forza oltre ogni limite di razionalità, sarebbe stata in grado di punire soltanto i più meritevoli del suo trattamento.
Inondare un’intera città significava uccidere.
Proprio come uccidevano gli umani.
 
Due movimenti della sfera.
 
Arceus quindi si metteva al loro stesso livello, perdeva lo smalto divino che aveva sul pelo lucido e si macchiava del sangue di inutili vittime, che, di quella situazione, avevano soltanto dovuto pagare lo scotto.
Non era colpa di quel bambino, se respirava e vedeva con gli occhi stupiti un mondo che ormai crollava sotto tutti i punti di vista.
Erano passati venti secondi, a lei sembrarono un’eternità.
Kyogre era ormai nella Ultraball e non si dimenava più; si rese conto dell’avvenimento e raccolse velocemente la sfera del Pokémon. Le pareva scottasse.
La pioggia sparì rapidamente, come se una manata forte avesse diradato le nuvole arrabbiate, mitigando il loro bisogno di una carezza, lasciando soltanto il forte sole di Groudon a sovrastare tutto.
Pose il Pokémon catturato nel suo zaino e continuò a guardarsi attorno. Monlee era accanto a lei, ma mancava qualcosa.
Mancava qualcuno.
Non riusciva a scorgere la chioma rossa di Silver; i ghiacci non accennavano ad assottigliarsi nonostante il grande calore riscaldasse la calotta congelata.
Le nuvole impazzite, difatti, erano sparite dopo la cattura del Pokémon re degli oceani, come scacciate da una mano dura ed amorevole, in grado di soddisfare il loro bisogno di una carezza.
Il sole di Groudon, forte e tiranno, prese a scottare la pelle diafana della donna.
“Silver!” urlava lei, mentre vedeva Rayquaza e Martino oltrepassare il muro e lasciare da sola la Catcher. La nebbia non si diradava nonostante il sole la penetrasse come coltello in un panetto di burro, e le camminava con rabbia e rapidità, non riuscendo ad ascoltare nessuna risposta alla sua chiamata.
Poi sentì dei tonfi sordi.
E la cosa era strana. Non capiva da dove potessero venire quei rumori così gutturali e bassi. Cercò d’avvicinarsi alla fonte del rumore ed anche quando vi fu proprio dentro, non riusciva a capire.
Poi però abbassò gli occhi: sotto lo spesso strato di ghiaccio si stavano spegnendo gli occhi d’argento di Silver.
Quelli cristallini della ragazza, invece, si spalancarono. Silver era sotto al ghiaccio, e non sapeva nemmeno da quanto. Aveva visto il ragazzo perdere i sensi.
Il panico prese in mano il suo cuore, il suo cervello, i suoi polmoni ed ognuna delle fasce muscolari della ragazza, permettendole solo di espellere una sapida lacrima.
Ma poi si svegliò da quel coma cosciente, capendo che se non avesse fatto qualcosa Silver sarebbe morto.
Si riattivò.
“Silver!” urlò, cominciando a prendere a calci la doppia lastra di ghiaccio. Lei sapeva di doverlo salvare, e sapeva di poterci riuscire: il pesante allenamento fatto sul Monte Scodella, anni prima, le aveva conferito una grande forza nelle gambe.
Fu quello il motivo per cui continuava a pestare il ghiaccio con i piedi, sfiancandosi e piangendo impotente, mentre il corpo del ragazzo prendeva a scendere giù.
“No! Silver!”.
E poi un’altra pestata, una crepa si formò e le capì che doveva battere lì, proprio come una carie fa sul dente.
Una pestata, tre, cinque pestate, la crepa era ormai diventata una grande voragine; lei vi si tuffò.
L’acqua era incredibilmente fredda, i muscoli s’erano irrigiditi e sentiva le dita delle mani e dei piedi perdere rapidamente sensibilità.
A lei però non importava, lei nuotava soltanto verso il basso, verso il fondale totalmente nero, dove la capigliatura di Silver si scuriva sempre di più.
Fece uno sforzo, non sapeva da quanto tempo il cervello del ragazzo non ricevesse ossigeno, quindi accelerò, nuotando ancora di più verso il basso.
E poi afferrò la sua mano, ancor più congelata di quanto s’aspettasse. Tirò, tirò su, e nuotò più velocemente di quanto avesse potuto fare in realtà.
L’adrenalina, certamente lei.
I polmoni bruciavano ed il panico e la paura s’erano uniti in un miscuglio omogeneo nella sua testa. Temeva di tirare la mano di un uomo ormai morto e la cosa la squassava dentro.
Lentamente la spaccatura nel ghiaccio s’avvicinava, l’acqua era molto più chiara su di lei, a soli tre metri.
Poche bollicine lasciarono la sua bocca e l’anticiparono, quando, le loro due teste irruppero tra i ghiacci creati da Kyogre.

 

 

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Capitolo 58
*** Capitolo Quarantaseiesimo - Sperantia ***


Sperantia



Oltre il grande muro le nuvole erano sparite. Fiammetta guardò il cielo limpido e sorrise.
“Ce l’ha fatta, ragazzi! Crystal ce l’ha fatta!” urlava.
“Ottimo... Ora diamoci da fare anche noi...” diceva Alice. Guardò a distanza la casa della sorella di Adriano, dove lei ed Orthilla si stavano prendendo cura dell’uomo che aveva fatto breccia nel suo cuore.
Quel giorno lei era diventata il difensore di Ceneride, aveva preso le sue veci. Dietro gli occhialoni da aviatrice, però, si nascondevano due occhi smarriti, nonostante tutto l’orgoglio che dimostrassero.
Miriam l’aveva trasformata in una donna ferita, ferendo l’uomo che amava.
E quindi Miriam avrebbe dovuto pagare la sua esuberanza, e la pena sarebbe stata alacre.
Si gettò sul suo Altaria velocemente contro l’avversario, planando all’altezza del suo volto: gli occhi di ArcheoGroudon ormai erano schermati da quella che sembrava energia plasmatica. Le enormi dimensione del Pokémon non avevano intaccato la velocità ed avevano incrementato la potenza: quel Pokémon era una macchina da guerra.
“Per la cattura necessitiamo di Crystal” fece Rocco.
“Non è vero” disse invece Fiammetta, che era salita sul suo Metagross, mentre il Campione volava sullo Skarmory che possedeva. “Tutti possiamo catturare Groudon...”.
“Lei però può farlo al primo colpo e...”
“Rocco, la rossa tettona ha ragione” disse Gold, sul dorso di Zapdos. “Inoltre ci conviene stare accanto ad Alice. Non le farei affrontare Miriam tutta sola...”.
Le tre teste dei ragazzi si voltarono verso sinistra, fissando le ali di Altaria battere lentamente, permettendo alla sua Allenatrice di mantenere la quota.
 
“Miriam...” fece quella. La donna scese dalla testa del Pokémon leggendario per salire sul palmo della sua mano. Quello tese il braccio, avvicinando le due donne.
“Vuoi parlare con me, Alice?” domandò lei, sorridendo, mentre un rivolo di sangue ai lati della bocca veniva riavviato.
“Stai morendo, te ne rendi conto?” osservò quella di Forestopoli. Per tutta risposta Miriam sorrise.
“No. Ora sono così potente che niente può battermi, né tantomeno uccidermi. E non ce la farai nemmeno tu”.
“Tu hai pugnalato il mio cuore senza pietà. Tu ed i tuoi scagnozzi siete stati capaci di distruggere un’intera regione e di uccidere migliaia di...” e poi Alice sorrise, amaramente. “Ma del resto, a te non importa nulla... Se non siamo stati capaci di farti cambiare idea precedentemente non lo farai di certo ora, che la tua meta sembra così vicina...”.
“La mia meta non sembra vicina. La mia metà è vicina. E tu sei solo l’ennesimo futile ostacolo che mi divide dal mio obiettivo... I sogni di mio padre prenderanno finalmente vita!”.
Alice sorrise nuovamente. “Tuo padre?! Parli ancora di tuo padre?! Ti ha messa al mondo, probabilmente ha ucciso tua madre e ti ha abbandonata tra i monti. Non sono nemmeno sicura del fatto che sperasse di rincontrarti un giorno. Probabilmente non sapeva nemmeno se saresti sopravvissuta”.
Gli occhi di Miriam si riempirono di collera. Afferrò Alice per il collo, stringendolo con forza: le sue mani erano incandescenti e scavavano profondi solchi nella morbida pelle della donna.
“Tu, lurido verme che non sei altro, non osare parlare di mio padre!” urlò poi.
Alice aveva gli occhi spalancati dietro gli occhialoni, sentendo la propria pelle come squagliarsi al contatto con le dita ossute e bollenti della donna.
“Non hai idea di quello che ho passato, ma se mi ha abbandonata è stato per proteggermi! Temeva qualche ripercussione contro la sua famiglia!”.
Alice aveva difficoltà a parlare, con la gola compressa.
“Tu... tu non vuoi perd... perdere... perdere la speranza... vero? Tu... tu vuoi che... che sia così”.
“È così! E non si tratta di speranza! Si tratta di oggettiva realtà! Mio padre mi ha salvato la vita, abbandonandomi!”.
La piega delle labbra di Alice si curvò nuovamente, scatenando l’ira funesta di Miriam che strinse ancor di più le dita attorno al collo di quella.
“Ferma!” urlò Fiammetta, colpendola con lo Psicoraggio di Metagross.
Miriam non si scompose, anzi, rimase impassibile. Mollò la presa attorno al collo di Alice, poi tossì, tossì sangue, e si voltò verso la donna che era alla sua destra.
“Tu! Stai per finire la tua esistenza!” urlò, scagliandosi contro di lei.
Alice aveva gli occhi spalancati ed intanto cercava di riprendere quanto più fiato possibile, massaggiandosi il collo indolenzito e scottato.
Vedeva Fiammetta evitare i rapidi colpi di Miriam. Sentiva urlare quest’ultima.
“Tu hai preso a me ciò che avevo di più caro!” disse Miriam.
“Rocco?! Rocco è ciò che avevi di più caro?! Allora non avresti dovuto abbandonarlo!”.
Miriam digrignò i denti, con gli occhi della furia, e sferrò un violento gancio al volto della rossa di Cuordilava, che lo evitò indietreggiando. Groudon si muoveva in corrispondenza delle esigenze della donna, avanzando quando colpiva, indietreggiando quando doveva evitare d’incassare un colpo.
“Metagross, Cometapugno!” urlava Fiammetta, vedendo il Pokémon di Rocco caricare il colpo e scagliarlo contro la donna, inutilmente però: quella lo evitò.
Poi la vide saltare, atterrando proprio su Metagross.
Miriam e Fiammetta erano nuovamente a pochi centimetri di distanza.
“Io ho dovuto seguire la mia strada. Ho scelto me. Se avessi pensato agli altri, prima di pensare a me stessa, probabilmente sarei morta a quattro anni nel Passo Selvaggio. E lui avrebbe dovuto seguirmi”.
“Seguirti dove?!” esclamò Fiammetta. “Tu sei una terrorista!”.
“No! Io sono soltanto una brava figlia!” sorrise, sferrando un diretto contro il muso della ragazza che aveva di fronte. La più giovane prese a sanguinare dal naso.
“Brava figlia... Figlia di troia...” sputò Fiammetta.
“Non c’è nulla che tu possa fare. Hai preso il mio scarto, ed anche se mi costa ammetterlo, mi ha fatto del male vedervi così vicini. Sappi che tu sei soltanto la mia brutta copia”.
Gli occhi di Fiammetta ormai erano alti. Aveva cambiato tanto della sua personalità, in quei giorni, ed uno sguardo del genere, prima d’incontrare i Dexholder di Johto, non avrebbe saputo sostenerlo.
“Sei stata tu a prendere la cosa più cara che avevo. Tu hai preso la mia città, l’hai distrutta. Hai ucciso le mie persone”. Fiammetta poi urlò: “Miriam! Io sono qui per prendermi la mia rivincita. Tutta Cuordilava si vendicherà, assieme a me!”.
Un violento ceffone risuonò sulla guancia destra della più cattiva. I suoi occhi erano spalancati e furenti.
“La pagherai!” urlò, e tutti gli spuntoni che erano nati dal mare crebbero a dismisura, salendo e andando a minacciare anche i ragazzi sui Pokémon volanti.
Rocco guardò Gold.
“Dobbiamo intervenire!” urlò, partendo sul suo Skarmory, seguito repentino da Gold. Questi si abbassò su Zapdos per aumentare l’aerodinamicità del duo ed accelerare maggiormente. Miriam fece un salto, pronta a colpire al collo la sua avversario, quando sentì le mani di qualcuno afferrarle le spalle e stopparla.
“Nonostante mi spiaccia molto mettere fine a quest’incontro di boxe tra modelle d’intimo, per altro rosse, e a me le rosse fanno sempre quel certo effetto, quello particolare, è meglio che calmi i bollenti spiriti” disse proprio quello dagli occhi dorati.
“Siete tutti qui?!” domandò Miriam, vedendo Rocco avvicinarsi velocemente.
“No. Marina è lì ed è colpa tua” fece il ragazzo, stringendo le mani sul suo braccio destro, cercando d’immobilizzarla. Poi le ritirò velocemente.
“Cazzo!” urlava. “Scotti!”.
Quella si voltò verso Gold, adesso infuriata con lui. Fiammetta la vide distratta e la colpì con un grande calcio al volto, scarnificandole la guancia. Il sangue colò su tutto il suo corpo ma quella sembrava non aver sentito il dolore.
Colpì sul viso Gold con un pugno, rompendogli il naso e facendolo urlare. Con un calcio ben assestato, invece, fece cadere Fiammetta sui fondelli.
“Mi hai rotto il naso, zoccolaccia!” urlava Gold, mentre il dolore al petto lo mordeva, brandendolo con i canini appuntiti senza lasciarlo andare.
“Scusami” rispose quella, di spalle. Guardava Fiammetta, l’oggetto della sua ira.
“Dragobolide!” sentì poi dalle retrovie: Alice, dal suo Altaria, stava attaccando direttamente Miriam. Quella vide arrivare l’attacco e lo schivò, colpendo nuovamente Gold sul naso con un pugno e Fiammetta con un calcio sul torace.
“Non riuscirete a fermarmi! Groudon, usa Lanciafiamme!” esclamò il Capo del Team Magma.
Gold spalancò gli occhi, terrorizzato, vedendo il sauropode voltarsi solerte verso di loro e spalancare le fauci. La scintilla fece divampare un grosso flusso di fiamme, sparato ad alta velocità e temperatura, proprio addosso ai ragazzi.
Miriam, dal canto suo, rimase totalmente immobile, beatificata dal fuoco e dall’incandescenza dell’attacco del suo Pokémon.
I ragazzi, invece, rimasero terrorizzati.
“No!” urlò Gold che intanto era caduto accanto alla Ex Capopalestra di Cuordilava, guardando Alice proprio davanti alle fiamme. Altaria fu colpito, ma sembrò riuscire a resistere a quel colpo. Fiammetta e Gold, invece, erano sul Metagross di Rocco, che intanto s’avvicinava in picchiata verso Groudon. Il ragazzo di Johto si allungò quanto più possibile per afferrare il polso di Fiammetta e tirarla sé: la strinse, così forte da farle male alle costole, ormai lesionate dal colpo preciso e diretto di Miriam. La cinse con le braccia, spingendole la testa contro il suo petto, quindi si lasciò cadere indietro.
“Gold!” urlò lei.
“Zapdos!” fece quello, serio. Pochi secondi dopo le piume ispide del leggendario uccello del tuono erano a contatto diretto con la schiena di lui. Fiammetta poggiava la testa sul cuore del ragazzo, pareva battesse all’impazzata, come fosse parte integrante delle batterie di una base trap. Lui continuava a stringere i denti e gli occhi, mentre il dolore lo mangiava. Guardava le proprie dita, diventate ormai violacee.
Fiammetta alzò la testa e lo guardò. “Tu sei un pazzo...” disse.
Gold vide Metagross atterrare abbattuto sugli spuntoni di roccia, messo fuori gioco dall’attacco del Pokémon.
Ma in quel momento, il vero e proprio colpaccio stava cercando di farlo Rocco.
 
Volava sul suo Skarmory, il Campione, basso, carezzava la superficie molto calda della corazza del Pokémon, riscaldata da quel sole tiranno, e si avvicinava così velocemente da tenere gli occhi aperti con difficoltà.
Groudon era davanti a lui, emetteva fuoco in un violento getto, diretto verso i ragazzi.
Vide Alice schermata da Altaria e Gold che afferrava Fiammetta; saltò un battito quando comprese che la donna fosse in pericolo, ma la velocità di pensiero di Gold gli donò un attimo d’ossigeno.
Groudon era enorme, nella sua forma antica. Molto più grande del normale, gigantesco. Il Pokémon più grande che avesse mai visto, forse anche più del Rayquaza che intanto ristabiliva le proprie forze.
Si voltò, Rocco, guardando Martino fare cenno di attendere qualche secondo. Quel Ranger aveva aiutato tantissimo Hoenn e la loro causa, tutta la sua gente doveva essergli riconoscente.
Raggiunse Groudon, il calore accanto a lui continuava ad aumentare, non pareva minimamente fosse la vigilia di Natale.
“Iperraggio!” urlò inviperito l’uomo, puntando il volto di Groudon. Il Pokémon Volante caricò il colpo ed inflisse un danno consistente sulla guancia coriacea dell’avversario.
“Gold!” urlò poi, vedendolo arrivare, con Fiammetta stretta alla sua vita.
“Subito!” sorrise quello, aggiustandosi il ciuffo fradicio. Gli occhi d’oro puntarono la guancia ferita del Pokémon. Fiammetta stringeva sempre di più attorno alla vita del ragazzo, terrorizzata.
“Dove cazzo vai?!” urlava quella, con gli occhi spalancati ed il cuore che batteva nel petto come un metronomo impazzito.
“Perforbecco!” ordinò con grinta.
E lì tutti sentirono Fiammetta urlare terrorizzata, stringendo al massimo le palpebre e le braccia al torace di Gold, noncurante della sua fragilità e del dolore che imperava nel suo corpo.
Lo sguardo di Gold, invece, era ben spalancato, concentrato.
Determinato.
Guardava Groudon con i denti in vista, un leggero ghigno sul volto, una mano stretta a quella di Fiammetta, sul petto che faceva male, ed un’altra tra le piume appuntite di Zapdos.
Sì, pungevano, ma lui in quel momento il dolore lo aveva assorbito nella forma più intensa possibile; il pizzico delle piume di Zapdos erano equivalenti a mettere la mano sotto l’acqua bollente della doccia quando sia ha i piedi in una vasca di lava.
Ecco, più o meno lui si sentiva così: mezzo morto.
 
Tanto vale morire dopo aver salvato Hoenn, pensava. E probabilmente aveva ragione.
Zapdos si gettò con forza leggendaria contro Groudon ed il suo becco andò ad infierire sul viso del Pokémon, che indietreggiò ed inciampò sulla coda, franando sugli spuntoni che aveva il mare aveva partorito.
Li distrusse tutti. Tutti tranne uno.
Miriam era in piedi sull’ennesimo pilastro di roccia, spuntato dal mare. Le punte delle sue dita perdevano gocce di sangue, come un rubinetto mal regolato.
Piccole pozze rubine s’erano formate attorno ai suoi stivali ed altrettanto piccoli rivoli colavano giù, sul corpo del pilastro, tuffandosi nel mare appena rinato.
Rocco le si avvicinò, proprio di fronte.
Skarmory batteva ancora le ali, Rocco e Miriam si fissavano.
Era incredibile come, tramite soltanto i loro sguardi, fosse presente tant’astio da poter intendere tranquillamente con le loro facce ciò che le loro bocche non dicevano.
Ed era altrettanto incredibile come due persone che tanto s’erano amate ora s’odiassero a quel modo.
“Levati da mezzo” ringhiò lei, lasciando andare il labbro dalla stretta dei denti.
Lui fece segno di no.
Non si capiva se fosse più resistente lo sguardo d’acciaio dell’uomo oppure se fosse così magnetico quello della donna.
Lui non riusciva a staccarle gli occhi di dosso, non riusciva a lasciar andare via quello sguardo, e sapeva che anche se avesse provato a farlo, a guardare altrove, alle sue labbra, al suo corpo, alla devastazione alle sue spalle, quegli occhi sarebbero rimasti lì, severi e giudicatori.
“Non posso” le rispose poi, Rocco.
Quella gli guardò le labbra, in un attimo d’infinito, poi carezzò con lo sguardo la linea del suo viso, fino ad arrivare nuovamente agli occhi.
A lei batteva il cuore, e la cosa le sembrava strana. In lui leggeva dispiacere e timore.
Lui aveva paura di lei.
Nella sua mente i ricordi si rimestarono, una semplice immagine ne uscì fuori, e fu pianta con le sue lacrime bollenti:
 
Quello era uno dei momenti in cui non c’era bisogno di dire nulla.
La pioggia scrosciava al di fuori delle finestre, i tuoni rombavano e l’aria fredda cristallizzava tutto, rendendo l’ambiente immobile.
Miriam odiava la pioggia. Ed odiava anche l’inverno.
Questo perché soffriva il freddo come poche persone al mondo; nonostante il suo sangue caldo attraversasse le sue vene rapidamente, scaldando qualsiasi cosa fosse a contatto con lei, aveva freddo.
Ed ecco che Rocco s’era presentato con una cioccolata calda ed una pesante trapunta. Lei era seduta sul divano, coi calzoncini ai polpacci e la canottiera, con le gambe tirate sul divano di pelle.
Il ragazzo sorrideva nel vederla ipnotizzata dalla luce del camino.
C’era uno strano legame tra lei ed il fuoco.
Le poggiò la cioccolata tra le mani, vedendola sorridere sinceramente, e poi le si sedette accanto, stendendo su di loro la coperta.
Miriam s’appiattì contro di lui, sorseggiando la cioccolata.
Entrambi si limitavano soltanto a respirare, forse lui in più la stringeva, ma limarono ogni movimento al minimo indispensabile, forse per la magia del momento o per paura che quella sensazione di calma, di beatitudine, smettesse di riempire i loro cuori.
Quel giorno, come ogni giorno tra l’altro, Rocco era andato a Cuordilava per incontrare Miriam; nuvole di tempesta stazionavano su Brunifoglia, nascoste dal Monte Camino e la sua vetta fumante, quindi il sole, nella città del Signor Moore, splendeva rigoglioso e caldo.
Proprio come piaceva alla signorina che, vedendo Rocco Petri arrivare, gli corse incontro, salutandolo con un bacio sulle labbra.
Lui doveva consegnare delle rocce appena trovate sulla sommità del vulcano a suo padre, a Ferrugipoli, e le aveva chiesto di accompagnarlo.
Quindi attraversarono il deserto, lui le diede i suoi occhialoni e si coprì la faccia con la maglietta, facendosi guidare da lei, almeno fino a raggiungere Ciclamipoli. E poi, da lì, fu una piacevole passeggiata fino alla Devon, dove consegnò ciò che doveva al padre.
Miriam entrava in quei grandi palazzi sempre con grande timore reverenziale, inquietata e piena d’imbarazzo: tutti erano in giacca e cravatta, le camicie abbottonate al collo, le ventiquattr’ore pesanti; le donne poi, nei loro tailleur, le loro camicette s’aprivano su seni prosperosi tirati su da push-up in grado di fare miracoli. Lei non aveva mai avuto un reggiseno, ed era vestita con abiti vecchi e consunti. Vedeva quelle donne, con quelle acconciature profumate, ed i capelli sempre perfettamente lisci, mentre la sua coda di cavallo ormai era storia vecchia.
Inoltre tutti la guardavano, perché Rocco era il figlio del capo e lei entrava sempre col ragazzo in quei palazzi.
Ma questa situazione c’entrava poco: usciti da lì si resero conto che Brunifoglia aveva tirato le nuvole a Ferrugipoli, con un lancio fluido, unico e diretto.
E quindi diluviava.
“Come torno a casa?!” urlava lei, mentre il rumore della pioggia copriva la sua voce.
“Tranquilla! Andiamo da me!”
Corsero verso la magione Petri, un’elegantissima villa a nord della città. Attraversarono un ampia cancellata di ferro battuto che dava nell’enorme e curatissimo giardino.
Mentre scappava, con la testa coperta dalle mani, Miriam riuscì a vedere una grossa fontana sulla sinistra che sgorgava acqua limpida sullo sfondo nero del cielo furioso.
Rocco la tirò su per la scalinata che portava al grande ingresso, con portone blindato rivestito di legno d’ebano all’interno d’un arco fatto di marmo pregiato di Carrara, in Italia.
Entrarono, lui sorrideva, lei no. Odiava la pioggia.
“Eccoci arrivati” sorrise Rocco. Non era la prima volta che Miriam entrava in casa Petri, tuttavia la testardaggine della bella giovane lo costringeva a doverla riaccompagnare a Cuordilava a fine giornata, anche in tarda notte, perché lei non voleva rimanere lì.
Si giustificava dicendo che non avrebbe potuto lasciare da sola la vecchia che l’aspettava a casa, ma la realtà era che si sentiva a disagio lì.
Quella notte, però, non poteva tornare a casa.
“Maledizione ad Hoenn ed alle sue piogge tropicali!” sbottò lei, davanti al camino, poco prima che Rocco la raggiungesse e la rifocillasse.
E così lui accese il televisore e  Miriam prese il telecomando in mano per la prima volta nella sua vita; non era la prima volta che guardava un televisore, nei centri Pokémon ce n’erano a decine, ma la vecchia signora con cui viveva non era propensa all’utilizzo d’apparecchiature così costose e tecnologiche e quindi fu particolarmente tenera la scena in cui lui le insegnava ad usare il telecomando.
Guardarono “La Ricerca della Felicità” in televisione, giocarono a Pokkén e poi tornarono sotto le coperte, addormentandosi distesi sul lungo divano, davanti al camino, l’uno abbracciato all’altra.
Fu quando, per un improvviso crepitio del camino, entrambi si svegliarono, che il loro amore si tramutò in qualcosa di più fisico.
Fu lì che Rocco entrò per la prima volta nel corpo di una donna, in quello della sua donna, ed anche lei provò l’amore del suo uomo senza mai averlo fatto prima.
Fu magico e doloroso. Traumatico ma romantico, come ogni prima volta che si rispetti.
Ma fu ciò che accadde dopo che Miriam accarezzò, nascose sotto il palmo e rubò, portandolo sempre con se: Rocco la fece distendere al suo fianco e lei gli diede le spalle, aderendo al petto del ragazzo. Lui le sciolse i capelli, e le carezzò la testa per tutta la notte, ripetendole che non fosse sola e quanto lui l’amasse.
 
Il flashback di Miriam sparì d’improvviso, come se la pellicola che stava trasmettendo la sua mente si fosse bruciata d’improvviso. Davanti a lei ancora Rocco, dietro di lui ancora Groudon che combatteva contro Alice, Gold e Fiammetta.
Fiammetta; Rocco voleva l'altra in quel momento e la cosa la fece irritare e non poco. Ma poi lo guardò meglio negli occhi ed il dolore che provava era così forte da superare tutto.
Miriam capì che Rocco stesse soffrendo.
Tentennò per un momento, il suo cuore saltò un battito, il suo respiro si fermò.
Le importava davvero così tanto di quello che pensasse Rocco?
Avevano rilevanza i suoi sentimenti, in quel momento?
Lui era immobile ma due grosse lacrime lasciarono gli occhi d’acciaio dell’uomo, penetrando in quella rigida armatura e tuffandosi oltre l’ostacolo, scivolando lente lungo le guance.
“Rocco...” ripeté lei, turbata dalla vista dell’uomo in lacrime. “Spostati...” disse.
Lui strinse gli occhi ed i denti, chiuse i pugni e fece cenno di no, ostinatamente.
“Non posso” disse, disturbato dal pianto.
“Non voglio che tu muoia...” fece, prendendo a piangere, e la cosa stupì entrambi. Miriam era tornata umana, finalmente.
“Allora scusami” disse, non riuscendo più a trattenere quel malessere ed abbandonandosi ad un pianto corrosivo. Lei non capiva il motivo per cui lui si scusasse, ma lo vide lentamente alzare la mano, allungandola verso di lei.
Il pilastro sul quale i due ragazzi stavano, stretti peraltro, era tornato ad essere battuto dalle onde impetuose.
 
“Per cosa?” chiese poi Miriam.
 
In quel momento Rocco avrebbe voluto accoltellarsi, tagliarsi i polsi, la testa, il torace.
Avrebbe voluto strapparsi il cuore dal petto e gettarlo via, lontano.
Tanto non gli serviva.
Aveva capito che Miriam si fosse ammorbidita, lo vedeva dal suo sguardo e dal fatto che, mentre lui allungava la mano verso di lei, quella rimaneva ferma ed immobile, aspettando ben disposta il suo contatto.
Lei realizzò soltanto dopo.
 
Lui poggiò i polpastrelli sul suo cuore, la pelle della donna era incandescente.
 
La spinse.
 
E la spinta fu così leggera che quasi si sorprese di vedere la donna muoversi di conseguenza, indietro. Gli occhi di Miriam si spalancarono, cadde giù dal pilastro, con le lacrime che, più leggere, venivano lasciate indietro, timide spettatrici della morte cruenta della donna: trafitta nel cuore.
 
Già, nel cuore. Trafitta dall’unico, ultimo spuntone che lei stessa aveva creato e che era rimasto superstite dalla forza distruttiva di Groudon.
Gli occhi della donna rimasero aperti, la bocca spalancata sgorgava sangue; l’enorme squarcio nel torace aveva partorito una punta di roccia affilata, totalmente insanguinata.
“Per... ché...” domandò infine, prima che la scintilla nei suoi occhi si spense. Dalla sua schiena ricadde la Sfera Rossa, che atterrò nell’acqua del mare, da cui si pulì del sangue.
 
Miriam era morta.
 
Rocco l’aveva uccisa.
No.
Rocco l’aveva assassinata.
 
Il Campione era rimasto immobile, totalmente in silenzio, impaurito da ogni possibile movimento che avrebbe potuto effettuare per paura di poter incrociare la vista del corpo di Miriam, ormai ridotto a sacco di sangue, pochi, ed organi.
Si voltò lentamente, cercando di pensare ad altro, dall’alto di quel pilastro.
Groudon era crollato in acqua, alzando grandi quantità d’acqua.
 
“Vai! È crollato!” urlava Alice.
Fiammetta era rimasta immobile da quando, sedici secondi prima, s’era voltata verso Rocco, temendo per la sua incolumità: aveva visto tutto.
Aveva visto il suo uomo spingere giù dal pilastro di roccia Miriam, l’aveva vista morire ed aveva visto la Sfera Rossa galleggiare in acqua.
Realizzò che avrebbe dovuto recuperarla immediatamente, quindi saltò giù da Zapdos, da quasi cento metri d’altezza, atterrando nella gelida acqua del mare.
Senza uccidersi, incredibilmente.
Nuotò e recuperò lo strumento, rimanendo a guardare la scena successiva.
Difatti, Gold aveva tra le mani stretta un Ultraball.
“Vai!” urlò Alice. “Prima che si riprenda!”.
“Qui ci vuole Crystal...” sussurrò a se stesso il moro. Poi guardò indietro Rocco sul pilastro, Fiammetta in acqua, Marina e Pat ancora sulla spiaggia. Martino era oltre il muro, pensò che Rayquaza probabilmente stesse aiutando contro Kyogre, ma ciò che più contava era che in quel momento aveva capito che avrebbe dovuto catturare Groudon, da solo.
“Lanciala!” ribadì Alice.
Si voltò nuovamente, Gold, mai così insicuro; guardo Marina alzare la mano verso l’alto.
Era viva.
Lui sorrise e fece quello che avrebbe dovuto fare quasi un minuto prima.
“Vai, Ultraball!” urlò, lanciando la sfera dal dorso di Zapdos.
L’enorme massa di Groudon sparì all’interno della sfera, lasciando un vuoto visivo non indifferente. Strinse le dita intorno al cuore, come se fosse costretto da filo spinato, si sentiva così debole che stava per mollare lì.
Vide la sfera ricadere nell’acqua; prese a ballare, dondolando lentamente a destra e sinistra.
Parve passare mezz’ora, ma i rintocchi totali alla fine furono sempre e comunque tre, e intanto il dolore aveva deciso di voler prendere capo e coda della situazione e tirare: stava per perdere i sensi e quando la sfera si fermò, cullata poi soltanto dal dolce intercedere delle onde, un incudine gli cadde dai polmoni ai piedi.
Via all’ansia ed alla paura, s’abbandonò al dolore ed i suoi occhi si chiusero lentamente.
 
 
 
 
“Ce l’ha fatta!” urlò Alice, con le lacrime agli occhi.
 
 
 
 
 
“Abbiamo salvato Hoenn! Gold ha catturato Groudon!”.
 

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Capitolo 59
*** Capitolo Quarantasettesimo - Beatitudo ***


Beatitudo



Il sole stava calando ed il silenzio era rotto soltanto dallo scroscio dell’acqua. Nonostante le Cascate Meteora fossero andate totalmente distrutte, niente aveva deviato il corso dell’acqua, che aveva scavato un percorso nella roccia e sfociava all’esterno della grotta.
Crystal camminava nel silenzio più che totale, mentre superava la casa di Lanette.
Lei lavorava al computer, parlava animatamente all’Holovox, Colette le rispondeva a tono nell’ologramma.
Si fermò, proprio davanti allo spiazzale della casa della donna, dove diversi ciuffi d’erba alta si schiantavano contro la parete rocciosa del passeggio che avrebbe dovuto portare alla montagna.
Crystal levò lo zainetto e ne prese una Pokéball, quella di Seviper.
Lo fece uscire.
“Bene...” sorrise, con una calma nel cuore che quasi le pareva estranea. “Ti catturai perché eri proprio malconcio... Ora però stai bene, quindi sei libero di tornare nel tuo habitat”.
Lo vide strisciare via con rapidità ma riuscì a carezzargli la pelle squamosa prima che sparisse.
E poi s’accorse che qualcuno la osservasse. Ancora.
Si voltò, c’era Zoe.
Non sapeva se sorriderle o meno.
“Crystal...” esordì. Quella ripose la sfera, ormai vuota, ed incrociò le braccia. “Scusa. Scusa per tutto”.
La ragazza dagli occhi limpidi sospirò ed abbassò lo sguardo.
“Se avessi fatto meglio i tuoi calcoli non saremmo arrivati a distruggere tutto...”.
“Lo so. Ora che farai?”.
Crystal fece spallucce. “Immagino che tornerò a casa mia, e mi prenderò qualche giorno di ferie...”.
Zoe sorrise, passando una mano sulla coscia. Nonostante il freddo in arrivo aveva voluto lo stesso uscire in shorts; la Z tatuata sulla coscia aveva dato a Crystal una grossa conferma.
“Ho qualcosa per te” fece proprio questa. Riprese lo zaino e ne cacciò tutte le lettere che aveva preso a casa sua, poco più d’una settimana prima.
Zoe impallidì.
“Oh... Queste...”.
“Siamo stati nella villa dei Vinci senza sapere che fosse casa tua... Queste parole mi hanno realmente toccato. Hai sofferto tanto...”.
Zoe prese quei fogli di carta ormai ingialliti dal tempo, parevano sgretolarsi ad ogni passaggio delle dita; li guardò, li lesse, se li girò per le mani.
“Io...”. Le lacrime scendevano quasi dolorosamente, come a bruciare le guance al proprio passaggio. “Vivere in un posto come... come casa mia...”. Respirò profondamente. “Non è semplice dover erigere un muro, ed aggiungere ogni giorno trenta file di mattoni. Casa mia era costituita da persone con mura altissime, ma troppo sottili; al primo soffio di vento venivano scoperti gli altarini, ciò che quel muro celava e... e non era mai bello...”.
“Mi rendo conto”.
“Mi manca mia nonna” pianse lei, bagnando le sue lettere con le lacrime.
Crystal non poté fare altro che sostare in silenzio. Aspettò che si riprendesse da quella crisi di pianto e poi le fece una domanda: “Tu invece che farai?”.
Zoe fissò con gli occhi verdi ma arrossati Crystal e tirò su con il naso.
“Andrò... andrò ad Adamanta, andrò dalla mia famiglia. Non posso più stare ad Hoenn, dopo quello che ho fatto...”.
“Rivedrai tua nonna...”.
Zoe non le disse che sua nonna era morta pochi mesi dopo la sua fuga di casa. Si limitò ad annuire e s’avvicinò a Crystal, tendendole la mano.
“Tu sei un osso durissimo” le disse infine.
Crystal le strinse la mano, sorridendo. “Per fortuna è così. Per fortuna è così...”.
 
 -
 
Bip.
 
Bip.
 
Bip.
 
Si sta svegliando...”.
 
 
Coma. La parola è strana, anche perché soltanto quattro lettere messe in fila una dietro l’altra non riescono a descrivere in toto la complessità di quanto voglia esprimere la parola stessa.
Il significato insito, lo smarrimento.
Gold era rimasto in coma per un quattro giorni, dopo gli avvenimenti di Ceneride, ed aveva più volte sentito la voce dei suoi amici e dei propri cari che  incitavano la sua sveglia, spaventati e speranzosi.
Lui sentiva tutto ma non riusciva a fare nulla; vedeva se stesso all’interno della sua testa, riusciva a muoversi, riusciva a sentire tutto, ma il suo corpo non rispondeva effettivamente alla sua volontà.
Aveva sentito la voce di Marina quando, pochi giorni prima, s’era ritrovata per la prima volta accanto a lui.
 
“Hey, Capriccio... come stai? Spero bene. So che non puoi rispondermi ma spero tu possa ascoltare le mie parole... Mi spiace tanto che quello che è successo tu l’abbia dovuto affrontare da solo... Io ero lì per guardarti le spalle, per aiutarti nel tuo lavoro e invece ti ho lasciato da solo. Scusami davvero tanto. E comunque... Quando ti svegli? No, perché vogliamo organizzare una cena tutti assieme. Almeno quelli che sono rimasti in vita, ecco. E poi mi devi un’ulteriore cena, in un ristorantino italiano. Senza vestiti dell’Adidas, per cortesia, sembri il loro testimonial.
No, invece credo che in giacca e camicia staresti molto bene... Io ho già comprato un vestitino corto, bianco, come quello di quella... di quella sera lì, ecco. Spero ti piaccia”.
 
Avrebbe voluto risponderle, in maniera sarcastica e pungente, com’era solito fare. Poi la immaginò abbassare lo sguardo sconsolata e lui avrebbe sorriso, sfottendola.
Allora lei sarebbe arrossita, irritata come faceva in genere. E probabilmente lui l’avrebbe baciata.
Ma non lì. Non in un letto d’ospedale.
 
Aveva sentito anche la voce di Silver, proprio qualche ora prima.
 
“Hey, Gold. Sei in coma. È una cosa molto brutta, e mi spiace molto. Per tutto: per Hoenn, per Crystal e per le cazzate che abbiamo commesso. Non riuscirei mai ad ammetterlo se fossi ad occhi aperti ma per me sei come un fratello”.
 
Poi lui gli aveva poggiato una mano sulla spalla e gli aveva carezzato la guancia, prima di andare via. Del resto non era mai stato un tipo di molte parole, e quelle poche bastavano.
Anche Crystal gli si avvicinò. Fu addirittura la prima che lo andò a trovare. Ricordava che pianse quasi subito, vedendolo.
 
“Hey, Gold... mi spiace che tu stia così. Non ci lascerai però, lo so, tu sei forte. Hai catturato Groudon, come avrei fatto io. Stai lottando contro la maledizione, il coma... tutto assieme. Oh, Gold, maledetto! Sempre a farmi preoccupare, a farmi stare male! Scombinato e dannato anche quando dormi! Spero che almeno tu ti stia riposando, perché a noi il sonno ce l’hai totalmente levato!”.
 
La risposta era sì, Gold cercò anche di risponderle, senza riuscire a muovere le labbra.
Capì che il coma fosse un momento per riposare la mente e ragionare sull’operato della propria vita. Capì che probabilmente, fin da piccolo, era stato costretto a nascondere dietro una maschera d’arroganza il dolore per la scomparsa di suo padre.
Forse, proprio per quella perdita, era riuscito a legare ancora di più al suo cuore il resto della sua famiglia, soprattutto sua madre.
Adorava sua madre, lui. La donna più bella di tutto il mondo, diceva.
E poi la partenza alla ricerca del ladro al laboratorio, che si scoprì essere Silver, divenuto infine uno dei suoi migliori amici. Dopo Crystal aveva fatto il suo ingresso. All’inizio sembrava una ragazza come tante ma poi il suo fascino lo aveva colpito, costringendolo a combattere contro l’istinto per non guardarla. Già, perché altrimenti avrebbe dovuto incrociare le spade con Silver.
E per lui, per il suo amico, capì di poter fare una rinuncia. Che poi, forse, ci avrebbe guadagnato: Marina era davvero carina, a lui piaceva tanto. Forse avrebbe messo la testa a posto.
E poi aveva cominciato a contare tutte le cicatrici sulla propria pelle, tutte le volte che la sua testa era stata fasciata, tutto il sangue che aveva perso.
Maschera di Ghiaccio e l’incontro coi più grandi, quelli di Kanto.
Ed ancora, il Monte Argento. Lì faceva freddo, e Red aveva imparato a non demordere; lui era il migliore, lo sapeva già da prima che quello lo sconfiggesse. E quella gli sembrò essere la conferma dei suoi pensieri.
Ma arrivò con così tanta consapevolezza in più dei suoi mezzi che catturare Zapdos, appena sceso dalla vetta, diventò quasi uno scherzo.
E poi Hoenn, Fiammetta, Team Idro e Team Magma.
Groudon, Kyogre.
E quel drago verde enorme, di cui non ricordava il nome.
E Rocco, certo. Assieme ad Alice ed Adriano.
L’acqua alle caviglie nella Palestra di Ceneride, e tutte le persone morte.
I terremoti.
Senza dimenticare la puttana bionda e la maledizione. Con quel sacchetto inutile.
Inutile ‘sta ceppa, senza sarebbe morto, pensò.
Odiava Hoenn, s’era reso conto di ciò.
Però, qualche centesimo di secondo prima che chiudesse gli occhi, distrutto dal dolore, in groppa a Zapdos, vedendo la Ultraball chiudersi attorno a Groudon e sancire la fine di tutta quella battaglia, beh, proprio lì assaporò la felicità.
La beatitudine nel suo petto, nella sua anima.
Forse era stato quella sensazione che provava nel petto, di totale elasticità, abbandono a se stessi, a dargli una tregua da quell’irrigidimento che viveva da tutta la vita.
E poi decise di svegliarsi.
 
“... sì ti dico, si sta svegliando!” fece la voce di una ragazza.
Lentamente le iridi auree del giovane attraversarono un caleidoscopio di lacrime, mettendo a fuoco con difficoltà l’immagine di Marina, sorridente ed in lacrime.
“È sveglio” disse, carezzandogli la guancia. Si fece poi da parte, mostrando al ragazzo la figura di sua madre, con gli occhi pieni di lacrime. La donna era sfatta, i suoi capelli, in genere acconciati in maniera sempre più strana e particolare, con tre ciocche a creare altrettanti archi mantenuti dritti tramite forcine, erano spettinati lasciati cadere sulle spalle. Gli occhi della donna sgorgavano lacrime nere, per via dei residui del trucco sciolto, formando rivoli neri sulle guance ormai consumate dai suoi cinquant’anni.
Si gettò su di lui, poggiando la testa sul suo petto e stringendolo alle spalle; il dolore della maledizione, quello al petto, era ancora presente anche se mitigato dagli antidolorifici.
“Ti sei svegliato, finalmente!” fece lei, sollevandosi poi.
“S...” diceva, le corde vocali non funzionavano da un po’ di tempo quindi bevve un po’ d’acqua.
Meglio, però annuì, non parlò.
Il suo volto era stanco e provato, nonostante la grande dormita. Ma stava bene, si sentiva veramente bene.
“Dov’è Marina?” domandò il ragazzo, con la voce roca. La madre sorrise ed annuì con gli occhi leggermente semichiusi, facendosi da parte. La ragazza era seduta silenziosa con lo sguardo squassato dal pianto.
“Ciao, Capriccio...” disse lei, alzandosi e andando lentamente verso di lui. L’elettrocardiogramma continuava a diffondere quel fastidioso bip nelle retrovie ma lui non ci faceva più caso da quando i suoi occhi erano affondati in quelli di Marina.
“Come stai?” le domandò.
Quella sorrise, abbandonandosi al pianto commosso che stava cercando di trattenere su, dove nessuno poteva vederla.
Ma non ci riuscì, lei era fatta così.
“Perché piangi e ridi contemporaneamente, donna... Voi siete pazze...” disse poi il ragazzo, rivolto alla madre.
“Gold, è commossa, lasciala stare” lo rimbeccò quella.
Marina riprese parola. “Rido perché tra i due quello in un letto d’ospedale sei tu; però sei tu che chiedi a me come sto, e la cosa è... è così vera... perché tu sei così...”.
Gold sorrise debolmente, cercando di mettersi a sedere, stringendo velocemente denti ed occhi per il forte dolore.
“Cazzo...”.
“Gold...” rimproverò la madre.
“Scusa. Ma sono ancora maledetto?”.
“Già” annuì Marina. “A proposito...” si rivolse alla più adulta. Quella guardò la ragazza ed annuì, avvicinandosi alla porta ed aprendola. “Puoi entrare” fece a qualcuno.
Pochi secondi dopo quella fece spazio ad una figura più alta, esile.
“Angelo...” disse lui. “Vecchio spaventapasseri...” tossì poi, stringendo di nuovo i denti per il dolore. “Esorcizzami, porca puttana!”.
“Gold!” esclamò di nuovo la madre, imbarazzata.
Angelo sorrideva. “Tranquilla, Gold è così, ho imparato a conoscerlo” disse, con flemma unica. Indossava la solita fascia viola, a coprire la fronte e la frangetta bionda, mentre una calda sciarpa era avvolta attorno al collo. Gli occhi dell’uomo, violacei anch’essi, si poggiarono sul volto del ragazzo.
“Sei pallidissimo” disse.
“Parla per te” rispose l’altro, tossendo.
“Vorrei per favore che le signore s’accomodino fuori... non sarà una cosa breve né carina da vedere... anzi, potrebbe essere pericolosa” fece, tirando fuori un’ampolla e poggiandola sul tavolino accanto al letto.
Marina e la madre di Gold uscirono ed Angelo cacciò fuori gli spiriti dal corpo del ragazzo, intrappolandoli lì dentro. Qualche giorno dopo Gold era a casa di sua madre, solamente per prevenzione, e si preparava, vestendo camicia bianca e scarpa nera, lucida. Completo scuro, quello delle grandi occasioni e botta di profumo.
Pettinò i capelli, senza esagerare, tanto non sarebbe mai riuscire a domare quella chioma; era perfetto, davanti allo specchio si fissava per bene: le sue cicatrici interiori erano nascoste dalla cravatta dorata che gli fasciava il collo e si appoggiava proprio dove, qualche giorno prima, una maledizione terribile premeva per uscire fuori.
In quel momento, però, il suo cuore era pulito, e tanto bastava.
Fece per uscire di casa, con la madre che lo guardava sorridente con la coda dell’occhio, pensando che fosse tremendamente somigliante a suo padre vestito in quel modo. Tuttavia il ragazzo aveva l’aria di star dimenticando qualcosa.
“Le Pokéball ce le ho... i soldi sono qui... il Pokégear è al suo posto... ah!” esclamò poi, prendendo le cuffiette e l’mp3 dal mobile.
Mise su “The Message” di Dr. Dre e partì, in groppa a Togebo, raggiungendo Amarantopoli.
 
Lì Marina aveva trovato un albergo parecchio carino, non costava nemmeno eccessivamente. E poi Amarantopoli innevata le piaceva da matti. Gold le fece una chiamata con l’Holovox e lei rispose quasi immediatamente.
“Sei in ritardo!” esclamò il suo ologramma.
“Scendi...”.
Guardò le sue scarpe e pensò di non esser mai stato così elegante in vita sua. Pensò pure che le mattonelle di Amarantopoli fossero davvero belle, anche se qua e là qualche chiazza di neve nascondeva la pavimentazione.
Angelo attraversò la strada, salutandolo con un cenno del capo; portava sottobraccio una donna dai capelli rossi, parecchio carina ma dal sorriso triste.
Lui ricambiò il sorriso e poi fece spallucce, non cercando risposte a cui non fosse realmente interessato.
Poi la porta dell’albergo s’aprì e Marina ne uscì, con il suo vestitino bianco, che ricadeva morbido al ginocchio. Indossava un coprispalle nero e dei tacchi abbinati parecchio alti e scomodi.
Era bellissima vestita in quel modo. I capelli, inoltre, erano stati stirati finemente, e ricadevano precisi sulle spalle, con quella sorta di caschetto castano che a lui piaceva tanto.
Perché a lui lei piaceva.
Ma non poteva dirlo così apertamente, o Marina sarebbe diventata insopportabilmente superba e provocatoria.
Meglio così, pensò lui. Le si avvicinò e le diede un bacio sulle labbra, dolce e lungo, gustando il suo sapore ed affondando nel suo profumo.
“Sei meravigliosa” disse poi.
“Grazie. Anche tu, ma le cuffiette rovinano il quadro generale...”.
“Dovevo abbinarle al vestito, forse.” rispose lui. “È comunque Dr. Dre va bene su tutto”.
“No” sbuffò lei, mettendosi sotto il suo braccio. “Quello è il grigio”.
“No, anche Dre”.
Passarono una serata tranquilla, poi la riaccompagnò in albergo. E due settimane dopo lei si era trasferita a Borgo Foglianova, per vivere con lui, nella grande casa che divideva con Silver e Crystal.
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“Hey, Rocco... È permesso?” domandò Fiammetta, avvolta in una calda sciarpa di lana grigia. Verdeazzupoli si stava lentamente riprendendo dalle ferite inflitte dai terroristi ambientali e stava lentamente riprendendo il proprio corso.
“Sì, Fiammetta! Vieni pure” sentì la rossa, non capendo da quale sala provenisse la sua voce. Apparve poi il Campione da sinistra, dove un grande tavolo era occupato dai rappresentanti della lega rimasti in vita.
Erano rimasti veramente in pochi.
Fiammetta sorrise all’uomo, baciandolo appassionatamente una volta che lui la raggiunse.
“Come stai?” domandò quello.
“Bene. Fa molto freddo, fuori...”.
“Farò alzare i riscaldamenti” disse lui, cingendole la vita col braccio e spingendola in avanti.
Camminarono verso la sala; al tavolo erano presenti Alice, Adriano, Pat, Ruby ed Emerald. Le due sedie vuote erano per i due in piedi. S’accomodarono.
“Dovremmo essere tutti...” storse le labbra Ruby,  grattandosi la guancia con sguardo basso. Fiammetta comprendeva ciò che provava, aveva perso Sapphire e s’era fatto rubare tutto ciò che era importante in poco tempo.
“Ruby farà le veci di Norman, che è ancora in ospedale. Emerald invece è qui come insider...” disse Alice.
“Ok” annuì Fiammetta. “Ciao, ragazzi”.
“Benissimo. È successa una cosa” fece proprio l’aviatrice, alzandosi.
“Che è successo?” domandò Pat.
“Beh... come sapete Jirachi è un potentissimo Pokémon che si risveglia soltanto al passaggio di una particolare cometa, la Cometa Millennium...”.
“Ricordo...” sospirò Ruby, col sopracciglio alzato.
“L’orbita della cometa è praticamente interminabile, tant’è vero che essa è visibile soltanto ogni mille anni. Ma è successa una cosa, negli scorsi mesi”.
“Ovvero?” domandò Fiammetta.
“Un grosso corpo celeste, molto più grande e magneticamente potente della cometa, ha attraversato la sua orbita, sbalzandola e deviandola. La cometa passerà nuovamente davanti la Terra tra sette settimane. E noi dobbiamo catturare Jirachi giusto in tempo per permetterci d’esprimere un desiderio”.
Adriano annuiva concentrato mentre Rocco rimaneva impassibile.
“Beh, abbiamo proposto d’inviare una rappresentativa della Lega di Hoenn per la sua cattura. Ovvero Fiammetta e Pat”.
La ragazza di Cuordilava spalancò gli occhi, sorpresa. “Cosa?! Io?!”.
Rocco le poggiò una mano sulla spalla. “Già, ho spinto io perché tu avessi questo compito; durante l’operazione di liberazione di Hoenn, nei giorni scorsi, sei stata una risorsa preziosissima. Tu, assieme alle grandi abilità di Pat, sarete una squadra perfetta per la cattura di Jirachi”.
“Ma non è meglio chiamare Crystal per una cattura? Insomma, lei è la Catcher ed io...”.
“Fiammetta” fece Rocco, calmo. “Noi tutti abbiamo fede in te ed in Pat. Siamo sicuri che riuscirete a catturare Jirachi, per esprimere il desiderio di mettere le cose a posto qui ad Hoenn”.
“Riporteremo in vita Sapphire” disse Ruby, guardando Emerald.
Poi fu Adriano a prendere parola. “Rald vi spiegherà tutte le modalità per trovarlo”
“Lui vive è in letargo e si sveglia soltanto durante il  passaggio della cometa; quando accadrà, dovremo essere pronti”.
Adriano annuì, quindi sciolsero la riunione. Adesso il passato di Hoenn era più tangibile, ed era tra le mani calde di Fiammetta.
E quella magiche di Pat, naturalmente.
Ma questa è un’altra storia.
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Dopo la grande lotta, Martino aveva liberato Rayquaza, rimanendo affascinato e sconvolto dentro quando lo vide bucare gli strati dell’atmosfera per sparire oltre le nuvole di zucchero filato.
Non sapeva se lo avrebbe rivisto, in futuro.
Salutò Rocco e soprattutto Fiammetta, bagnando per l’ultima volta lo sguardo con quel corpo così ben scolpito e quindi prese la prima nave che lo portasse ad Oblivia.
Quando arrivò, senza Marina che era andata ad Amarantopoli per accertarsi della salute di Gold, si sentì un po’ spaesato.
Forse però doveva andare così. Doveva staccare il cordone ombelicale da sua sorella, lasciarla vivere la sua vita e permetterle di commettere i suoi errori.
In fondo era una ragazza responsabile, se non si aveva a che fare con enormi draghi leggendari smeraldini. Pat inoltre sembrò averla curata a dovere con i suoi poteri, ma s’accertò lo stesso che, una volta arrivata nella città dell’autunno, lei si facesse visitare da un medico.
Lo fece: il cuore era stato sottoposto a grave stress ma qualche settimana di riposo e sarebbe ripreso tutto a scorrere come sempre.
 
“Niente avventure scapestrate, quando Gold si sveglierà!” la ammonì, prim’ancora che quella pensasse di poter fare una cosa del genere.
Lei abbassò il capo, spostando le labbra in una smorfia strana e dispiaciuta.
“Tu credi che si sveglierà?” domandò, con la voce più dolce che avesse potuto fare. Martino sorrise dolcemente e la strinse.
“Certo che si sveglierà. Quel saraceno ha nove vite, lo sai...”.
“Ho paura che non riapra più gli occhi... Pat non ha potuto fare nulla per il suo coma...”.
Martino poi sospirò, lasciandola dalla stretta affettuosa. “Pat non è un dottore, ed avete beneficiato dei suoi poteri fin troppo. E poi ha anche perso suo fratello da pochissimo tempo, forse è meglio rivolgersi ad un ospedale...”.
Marina sbuffò, capendo che contasse poco: se Gold non fosse stato pronto a svegliarsi non lo avrebbe fatto.
 
Si lasciarono a Forestopoli, la città meno distrutta da quella situazione terribile, poi le loro strade si divisero e lui tornò a casa.
Sì, certo, giusto il tempo di una doccia, per poi tornare alla base dei Ranger.
Le porte automatiche s’aprirono e lui immerse il volto nell’aria riscaldata dalle macchine a pompa di calore dell’impianto.
Si guardò attorno, Clelia rispondeva alle telefonate d’emergenza che riceveva, mentre due Ranger novelli erano lì ad aspettare direttive.
Raimondo, il Caporanger, era invece nel suo ufficio; poco spesso c’entrava, da quando avevano trasferito la base operativa da casa sua in un edificio adibito soltanto alla supervisione Ranger lui era sempre in giro.
Martino s’avvicinò alla porta e bussò sul montante di legno.
Raimondo, con gli occhiali sul naso, leggeva un report sul pc scrollando lentamente col mouse. Quando vide Martino spalancò gli occhi, come se avesse davanti un fantasma.
“Sei vivo!” esclamò, sorridente. S’alzò in piedi e strinse la mano al giovane, che sorrise un po’ imbarazzato. Raimondo lo fece accomodare, felice.
Ma la sua felicità sparì repentina quando s’accorse d’una mancanza.
“E Marina dov’è?!”.
Martino inarcò un sopracciglio. “Johto...” rispose.
“Ma sta bene?”.
Lui annuì.
“Oh, ok...”.
“Mi sono preso la responsabilità di darle un permesso abbastanza lungo, Raimondo. Ha rischiato di morire parecchie volte, e tu sai che...”.
“Sì, Martino, la sua salute, certo. Hai fatto bene”.
“È stato un inferno, lì...” disse poi il Ranger più giovane, sprofondando con le spalle nella comoda poltroncina di pelle blu.
“Immagino. Assolutamente... Ho sentito Rocco Petri, Campione e Capo della Lega di Hoenn, e si è congratulato con voi e con me per la vostra incredibile preparazione. Senza di voi, ha detto, non sarebbero mai riusciti a sbrogliare quella tremenda matassa... Ma dimmi: è stato davvero così terribile lì?”.
Lui abbassò la testa per un attimo, con il collo incavata nelle spalle, quindi sospirò triste. “No. È stato peggio. Ho visto persone morire davanti ai miei occhi. Ho visto palazzi crollare, isole interamente sommerse e Pokémon feriti ed impauriti. Ho visto gente che sciacallava nelle case rimaste vuote, ed ho visto uomini uccidere altri uomini. Ho visto un uomo che, senza alcuno sdegno, alcun rimorso, ha spezzato il braccio di una bambina di quattro anni. Ho visto interi eserciti di persone essere comandati da un uomo, da una donna. Ho visto queste due persone perdere la propria testa, diventare dei mostri. Ho visto Groudon e Kyogre, ho visto Rayquaza. Lì ho visto mia sorella più morta che viva. Secondo te è stato terribile o disumano?”.
Raimondo rimase in silenzio, con le mani conserte sotto il mento ed i gomiti puntellati sulla scrivania.
“Hai bisogno di riposo” concluse quello.
“Già” rimbeccò Martino. “Ho bisogno di riposo...”.
 
 -
 
Toc - toc.
Qualche coppia di passi anticipò il cigolio dei cardini; Maris sorrise alla vista di Crystal e l’accolse abbracciandola.
“Hey... Come va?” chiese la Dexholder, senza camice ma con un voluminoso maglione di lana ed i capelli stranamente legati in una coda alta, corta. Era parecchio carina così.
Portava una valigetta nella mano sinistra ed un pacchetto regalo nella mano destra.
“Tutto a posto. Fortunatamente stai bene...”.
Eggià...” sorrise stanca quella. Maris le fece spazio.
“Stavamo per chiudere l’ambulatorio, oggi è il trentuno dicembre e ci aspettano per il cenone”.
“Lo so, Maris”.
“Sei stanca...” sorrise quella.
“Non hai nemmeno idea di quanta voglia abbia di farmi un bel bagno rilassante...”.
“Green Oak ed il Professor Elm ti aspettano di là”.
Crystal annuì e scivolò oltre l’ingresso per poi arrivare nell’ufficio del suo capo. Lì tutto era ordinato e catalogato maniacalmente. Green Oak era poggiato sulla scrivania, con le mani in tasca ed un maglioncino bianco aderente a coste.
 Sorrise nel vederla arrivare; Crystal poggiò la valigetta sulla scrivania e ricevette l’abbraccio del castano, oltre ad un bacio decisamente troppo affettuoso sulla guancia.
“Come è andata?” domandò quello.
“È andata... Ora ho solo voglia di riposarmi”.
Green annuì, tornando serio.
“Comunque auguri a tutti per il Natale” fece la ragazza, alzando la valigetta ed abbandonandosi sulla sedia, cercando di mantenere crismi d’eleganza e posatezza.
“Auguri anche a te” esordì Elm. “Ma immagino che per far venire qui Green da Biancavilla devi avere un motivo un po’ più importante degli auguri di Natale, vero?”.
Lei annuì e mise la valigetta sulle ginocchia.
“Ho perso la vista tre volte. Sono diventata un animale, soffocando totalmente il mio lato razionale. Ho acquistato una forza che non avrei mai avuto se non mi fossi arrabbiata toccando... questa” fece, aprendo la valigetta. La pietra nera era incastonata all’interno di un foglio di gommapiuma.
“Che diamine è?!” chiese Green, allungando la mano. Elm gli bloccò il polso.
“Non hai sentito che ha detto? È pericolosa, quella pietra...”.
Green puntò gli smeraldi sul Professore, poi li riportò sul cristallo.
“Che diamine è?” ripeté.
Crystal schiarì la voce. “Io l’ho chiamata Pietra della disperazione, perché ogni qualvolta mi sentivo arrabbiata o, per l’appunto, disperata, perdevo ogni controllo. Sfruttava ogni mio muscolo, ogni mia motivazione. Sono diventata cieca tre volte per via di questo cristallo. Dei manigoldi che la cercavano l’hanno chiamata Lacrima di Giratina, forse in dipendenza dal fatto che quel Pokémon sia la divinità del caos. L’ho presa ad un uomo che la cercava appositamente”.
“Questo è uno strumento potentissimo” disse Green.
“Già. Ecco perché voglio che tu lo analizzi e lo tenga al sicuro”.
Crystal chiuse la valigetta, con ancora il pacco regalo tra le mani, poi diede la ventiquattr’ore a Green e si alzò.
“Ed ora, se permettete, vado a casa mia”.
“Certo” annuì Elm. “Riposati”.
Green guardò la ragazza uscire, poi abbassò gli occhi nuovamente sulla valigetta, annuendo quando Crystal salutò Maris e chiuse la porta.
 
Ormai le era rimasto solo il pacchetto tra le mani, e camminava lentamente, fino a raggiungere casa sua. Dalle finestre veniva proiettata una calda luce arancione, ed una musica calma e tranquilla: note dolci d’un piano magistralmente suonato vagavano nell’aria fredda dell’ultimo giorno di quell’anno.
Aveva le chiavi in tasca, lei, ma, contrariamente a quanto avrebbe fatto se non fosse stata così stressata mentalmente, decise di bussare il campanello: due rintocchi semplici, e poi dei passi.
Silver aprì la porta, con un maglione a strisce orizzontali grigie ed amaranto ed i pantaloni sporchi di polvere sulle ginocchia. Aveva attorno al collo una ghirlanda e due palline dorate tra le mani.
Anche lui aveva i capelli legati verso l’alto.
Quando i loro occhi s’incontrarono, Crystal sembrò potersi sciogliere da un momento all’altro; lui aveva perso la sua seriosità, anzi, sembrava felice, tranquillo. Le fece spazio e la fece entrare, chiudendo la porta.
Fuori faceva parecchio freddo, invece in casa, complici le fiamme del camino, l’aria era parecchio calda e confortevole.
“Ho messo su un po’ di quella musica che piace a Gold durante le feste...  E sto cercando di addobbare l’albero. Ma non prendertela con me se è venuto male: è la prima volta che lo faccio”.
Crystal sorrise, chiudendo la porta e fissando le fiamme del fuoco, asciugando il freddo che aveva nell’animo.
Voltò la testa verso l’albero; non era il migliore che avesse mai visto, ma l’impegno c’era.
“In genere lo fai tu... A te vengono meglio queste cose...” anticipò il fulvo.
“È perfetto”.
“Gentile. Fin troppo. Ed anche bugiarda” sorrise.
“Gold è tornato?” domandò quella, levando gli stivali e rimanendo in calzini. S’avvicinò al divano e vi poggiò il pacco sopra, quindi prese un paio di palline e si mise ad addobbare l’albero.
“No” rispose, senza irritarsi. “Ma ha chiamato prima. Ha detto che sarebbe rimasto ad Amarantopoli per qualche giorno, visto che Marina sta lì, con l’albergo”.
“Uhm, ok. È per te”.
Silver si guardò attorno, aspettando silenziosamente delle spiegazioni.
Spiegazioni che arrivarono fulminee.
“Il pacco, il regalo. È per te”.
Lui sorrise. “Grazie, non dovevi. Io per te non ho ancora comprato nulla e...”.
“Non preoccuparti. Aprilo” disse, voltandosi e guardando come un ragazzo grande e grosso potesse tornare bambino semplicemente scartando un regalo di Natale; la curiosità nei suoi occhi fece sorridere la moretta, che non riuscì a trattenere un fremito quando, una volta aperto il pacco, il fulvo non ci trovò nulla.
“È... è vuoto?” chiese quello, guardando con occhi confusi la scatola.
“Sì...” annuì lei, pazientemente. Poi lo fece sedere sul divano, con ancora la scatola vuota tra le mani e si accomodò di fianco a lui.
 
 
“Perché in questa scatola avrei voluto mettere cose che non ho la possibilità di trovare, in forma materiale: avrei voluto mettere la gratitudine, per avermi seguita passo dopo passo, mano nella mano in quest’avventura... Avrei voluto mettere l’affetto che provo per te, incredibilmente denso e forte. Avrei voluto mettere in quella scatola un tuo sguardo, per farti rendere conto di quanto bello sia quando mi guardi, ed anche un tuo bacio, perché è la cosa più dolce del mondo. Avrei voluto mettere qui dentro la sensazione di protezione e calore che mi da un tuo abbraccio. Avrei voluto farti vedere quello che vedevo io, quello che provavo io, quando ad Hoenn t’ho visto esanime, sotto il ghiaccio. Ma purtroppo non posso, perché non so dartele, queste cose. Quello che però ti posso assicurare è che io, di te, mi sono innamorata. E fidati, non ti lascerò andare mai, mai più”.



Bacio.
 
 
 

Da qui in poi siete dentro casa mia;
La storia si conclude così. Hoenn's Crysis è durata un anno e mezza ed oggi è finalmente conclusa. Lieto fine, nonostante abbia giocato con i feels di mezzo fandom (o almeno, la metà dei lettori di questa storia, che sono molto meno di mezzo fandom) ho preferito dare un lieto fine.
Non posso negare di essermi divertito parecchio a scrivere questa storia ed il senso di vuoto che sto provando ora non sarà colmabile, almeno fino a quando non aprirò una nuova storia.
E la aprirò questa nuova storia, lo sto scrivendo un po' ovunque ma adesso la cosa è ufficiale. La prossima fan fiction che scriverò si chiamerò The Sinful's Recall e sarà ambientata ad Adamanta. La redarrò non appena finirò di riscrivere Back to The Origins per aggiornare lo stile (cosa che tra l'altro sto già facendo per Hoenn's Crysis, nei primi capitoli già si nota il cambio di registro stilistico, spero). La nuova storia non uscirà, probabilmente prima di marzo ma intanto sul profilo verranno pubblicate due storie di meno di dieci capitoli: una vede Fiammetta e Pat a catturare Jirachi per riparare a tutto il casino che ho fatto, un po' come la Damage Control della Marvel. L'altro, presumibilmente il primo che vedrà la luce, sarà Ferriswheel puro.
E quindi nulla. Ringrazio come sempre tutte le persone che hanno recensito e soprattutto letto le mie storie, il numero tutt'oggi m'impressiona e mi rende fiero dell'impegno che sto mettendo nel progetto. Non chiuderò la storia fin quando non sarà pronto ogni capitolo del fumetto che Black Lady sta ancora disegnando.

Ancora grazie.


Andrew Christopher Black



 

 
 
 

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