Asfissia

di LeMuseInquietanti
(/viewuser.php?uid=29512)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** balia ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Non so bene cosa siano queste pagine.
Semplicemente le scrivo quando ho bisogno di respirare.
L'asfissia è il male del secolo.
Questa è la storia di Una qualunque. Spero vi piaccia
Asfissia
1- I need Oxygen




E questa deve essere l’ultima volta.
Lo dici, mentre versi la birra fino all’ultima goccia, con gli occhi assetati che seguono la caduta della spuma, dal fondo al collo rozzo della bottiglia. L’incarto sembra corroso, spostato da un lato e le mani si appiccicano al vetro. Ripensi allo zucchero filato di quelle giornate al circo con i tuoi genitori, quando eri bambina e andava sempre tutto bene, era come trovarsi perennemente in un campo di grano d’estate a correre a piedi nudi cercando i papaveri nascosti negli angoli meno probabili.
Ma quella è una bottiglia vuota, cazzo, e potresti collegarla ai campi d’oro forse per quel color piscio, puoi vederci lo zucchero filato o quanto preferisci, ma resta il fatto che tu e solo tu te la sia scolata tra una risata generale ed occhiate imbarazzate in giro.
Deve essere l’ultima volta, ripeti, mentre avvicini il bicchiere alla bocca. Hai le labbra tumide. Sembri una sgualdrina. Ma no, sei solo una stupida che beve senza un motivo preciso. Per dimenticare la vita che non hai mai avuto il coraggio di vivere forse.
Perché non hai niente di meglio da fare, probabile.
Perché indossi dei tacchi che ti stanno lentamente deformando i piedi inacidendoti il carattere, questo è ancora più vero.
<< L’hai finita tutta. Sei una vera stronza! >> replica qualcuno vicino a te.
Già. Ha colpito in pieno. Bevi perché sei stronza.
Guardi chi ti ha rivolto il complimento. << grazie >> sussurri.
Era proprio quello che volevi sentirti dire.
Il tuo telefonino non squilla e la cosa ti urta.
Forse bevi perché nessuno ti pensa.
O forse bevi perché non ti pensa nessuno in particolare.
Aria, hai bisogno di aria.
Lo blateri forse a bassa voce, nessuno si accorge del momento in cui abbandoni il locale, pericolante sui tacchi alti che ti ostini a portare, prendendo in giro te stessa e la colonna vertebrale che già rischia ogni giorno visto il tempo passato mezza china su banchi e scrivanie di ogni sorta. Ma il sabato se non porti i tacchi, se non ti trucchi, se non sorridi, qualcosa non va bene.
Il sabato è d’obbligo travestirsi, portare legata al collo la lunga catena che lo raccorda al macigno per terra.
Il tuo buon senso lascialo a casa, con gli occhiali sempre appannati.
Porta con te solo il rossetto, per imbrattare i tuoi finti sorrisi di sangue.
E se si inceppa la macchina, se una sera vorresti abbandonare in un angolo gli orpelli e giocare pulito, ti diranno che hai qualche problema.
Sei giovane non puoi conoscere il dolore.
Sei giovane, il peggior male che puoi aver provato è vedere un ragazzo ignorarti.

Ma quando hai un’anima che pare essere appartenuta a Giacomo Leopardi è difficile resistere all’impulso di dare fuoco a chiunque dica simili cazzate.
L’illusione del benessere, che specchio per le allodole.
Tu hai quel vortice dentro, oscuro, buio, tempestoso, e solo tu puoi comprendere fino in fondo cosa significhi.
Spiegarlo a parole, o in un messaggio non farebbe altro che sminuirlo e ridicolizzarlo.
Per questo te lo tieni, bevendoci su.
Fumandoci su.
E camminando, con i tuoi passi sbilenchi su trampoli chilometrici percorri le stradine del paese abbarbicato in un mondo che la malaria appestava ancora prima che venissero le leggi divine a maledirlo e inabissarlo, passeggi canticchiando l’ennesima canzone che gli altri definiscono orrenda e che a te fa impazzire letteralmente.
Perché sputtana il mondo bastardo in cui sei relegata.
Il mondo da cui potresti sfuggire, facendola finita.
Ma a che pro, per finire in un posto maledettamente peggiore o uguale di questo?
Sei ipocrita e spaventata dalla tua ombra, ma stai bene quando senti altri interpretare il tuo malessere.
Come al solito stai asfissiando, hai bisogno di ossigeno.
E non è perché sei brilla che lo fai.
Perché hai bisogno di ossigeno, per non morire.
Schiacci i tasti sul telefono nemmeno guardi le tue dita scorrere sulla tastiera luminosa.
Attendi, portandoti all’orecchio quel dannato aggeggio meccanico.
Gli squilli sovrastano il silenzio.
Pensi che fa freddo e che presto arriverà Natale.
E ti danno fastidio le scarpe di vernice vorresti gridare.
No, vuoi urlare perché stai male, non sono le scarpe.
Non solo almeno.
Asfissia.
Dolore.
<< pronto? >>
I tuoi occhi che si velano subito di lacrime.
La voce, ne sei certa, uscirà rotta dal pianto.
Ma perché rendersi ridicola.
Stringi i denti.
Senti il cuore battere.
<< Dalia, sei tu? >>
Il tuo silenzio eloquente.
Ti tremano le mani.
Respiri piano, i polmoni non collaborano.
Le labbra sembrano appiccicarsi.
<< Pronto? >>
<< ho fatto il numero senza volerlo. Scusami >> sussurri. Non lasci trasparire quello che stai provando dentro. Un trapano che fa balzare il tuo sangue da capo a piedi. Emorragia interna. Rischi di brutto. Ma non ti interessa.
Chiudi la chiamata, non vorresti.
E resti per un tempo indefinito a boccheggiare, con il cellulare sul petto.
Il display che rimanda in eterno quella chiamata infame.
Non dovevi proprio provarci.
Stupida ragazzina idiota.
Un po’ di ossigeno per un mare di anidride carbonica.
La respiri tutta, sperando di avere pace.
Ma è stupido illudersi quando sai già di star sognando.



Continua. Credo che ne scriverò altre.
Respiro liberamente sempre meno.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** balia ***




Balia



Detestava vivere in una campana di vetro.
L’unica ignara dei complotti che fuori il mondo progettava era lei.
Si pettinava con vigore di fronte allo specchio cercando di non pensarci.
Attendeva che giungesse l’ora stabilita, l’ora in cui avrebbe potuto anche lei sentirsi un tantino utile.
Anche se la sua parte non era quella dell’eroina, né della principessa da salvare. Era una dannata nutrice. Come quella vecchia gigantesca che accompagnava nelle sue scorribande la povera Giulietta, il donnone di cui si fa beffe Mercuzio e a cui tutti leccano il culo per raggiungere il proprio scopo. Era un manichino, una macchinetta fotografica usa e getta per di più una malsana autolesionista. Ormai aveva accettato quel ruolo di consigliera, e credeva che nella vita avrebbe seguitato a interpretare sempre e solo quello.
Che poi, dare opinioni non era il suo forte.
Non le esponeva mai, era una stupida omologata al sistema che ottenebra nel silenzio ogni disdetta, e le disfatte dei porci potenti, e le sconfitte dei poveri illusi.
Non aveva il coraggio per dar alito a quello che le riempiva l’animo.
Poteva solo pettinarsi e pensare.
Aveva le lacrime aggrappate alle ciglia.
Il cellulare squillava nel frattempo, e i Nirvana si struggevano chiedendo ad una ragazza di non mentire e di dire dove aveva dormito la notte passata.
Aveva la testa pregna di quelle parole, e quasi non si stupì di vedere quel numero che ora la cercava.
Adesso che non avrebbe saputo cosa dire, che avrebbe tentato di liquidarlo con una frase scarna.
Voleva che il mondo si tramutasse in una statua di sale, solo allora avrebbe potuto respirare un attimo liberamente.
Aveva bisogno di fumare, i suoi occhi già appannati dalle lacrime si stavano colmando di rabbia.
Le chiamate continuavano a susseguirsi, lei voleva solo che la vibrazione scemasse e non tornasse più.
Essere tranquilla con il suo maledetto dolore.
Sporcarsi con le parole false di quelle persone era la peggiore macchia del pulito.
E lei non voleva imbrattarsi.
Meglio non rispondere, venire accusata di indolenza, o di temere il confronto.
Meglio il silenzio che la certezza comunque.
Un messaggio.
Questo lo devi aprire per forza.
Non puoi ignorare qualcosa che si spiaccica sul tuo schermo. Non quando volente o nolente dovrai rispondervi. Magari di persona.
Tremi all’idea.
E così schiacci sul pulsante verde, e aspetti quei pochi secondi in cui il panico si mescola alla curiosità e alla rabbia. Rabbia perché quella curiosità ansiosa che ti preme sul petto non dovrebbe esistere.
Ma c’è.
Leggi con la sensazione di essere una maledetta stronza. Illusa di certo.

Sta andando tutto male. Tremo.

Come se la cosa potesse interessarti.
In effetti non sei indifferente alla notizia, ma dovresti.
Invece comandi al tuo cellulare scassato di aprire una pagina per rispondere e chiedi altre informazioni.
Che ti faranno male.
Che permetteranno all’interlocutore di scaricare su di te la sua rabbia.
Che ti faranno male.
Che gli faranno bene.
Che ti faranno restare una notte sveglia.
A sentire il dolore penetrare dentro, sfondando vene, arterie e valvole unidirezionali.
In circolo nel sangue, maledetto veleno moderno.
I Nirvana gridano ancora e tu come un’idiota rispondi.
Dove sei stato la notte scorsa e cosa hai fatto.
Dimmelo, anzi no, anzi dillo.
Dillo perché comunque non dovrebbe interessarmi, ma sono una deficiente patentata e sono abituata a farmi male e ad assorbire il dolore.
Sono la balia, ed oggi devo occuparmi di te.
Assorbire come una spugna il tuo dolore.
Dove poi io lo scaricherò non è un tuo problema, vero?
No, non lo è.
Nessuno si interessa delle balie, ottenuta un po’ di pace.
Nemmeno le balie si interessano delle altre balie.
Nessuno si interessa di te.



Volevo ringraziare chi ha commentato il primo, bah chiamiamolo così, capitolo.
The Corpse Bride e PiccolaBlack.
Grazie.
Mi è difficile rispondere alle recensioni. Perchè già, questa storia non è che una trasposizione appena esagerata dei miei pensieri.
Quante di noi si sono sentite solo osservatrici distanti anni luce dalla vita?
In questo periodo mi sento spesso così.
O forse, da sempre vivo un siffatto periodo.
<3 Baci, Marie

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=313713