Il sorriso scarlatto

di Applepagly
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La ventola ***
Capitolo 2: *** Acqua tiepida ***
Capitolo 3: *** La bestia ***
Capitolo 4: *** Ossessioni ***
Capitolo 5: *** Maschere ***
Capitolo 6: *** Simili ***
Capitolo 7: *** L'inizio della fine ***
Capitolo 8: *** Il ricordo ***
Capitolo 9: *** La goccia che fa traboccare ogni vaso ***
Capitolo 10: *** Tratto caratteristico ***
Capitolo 11: *** Movimentata routine ***
Capitolo 12: *** Loud ***
Capitolo 13: *** Premonition ***
Capitolo 14: *** Lacrime salate ***
Capitolo 15: *** Acido ***
Capitolo 16: *** Bacio rubato ***
Capitolo 17: *** Buio ***
Capitolo 18: *** Numero 091 ***
Capitolo 19: *** Numero 102 ***
Capitolo 20: *** Gesti ***
Capitolo 21: *** Fuga ***
Capitolo 22: *** Rancori dal passato ***
Capitolo 23: *** La speranza è sempre l'ultima a morire ***
Capitolo 24: *** La volpe ***



Capitolo 1
*** La ventola ***


 La ventola
 
 
  E' il mio progetto. Quando sarai grande, sarà compito tuo, portarlo avanti.
 
  Spesso ci si sente in debito con coloro che ci vengono in contro; potremmo considerare i nostri genitori come i nostri creditori, dal momento che ci fanno la gentilezza di metterci al mondo. Alcuni avvertono questo "favore" con un profondo disagio.
  La ragazza si chinò sulla lapide. Non era credente, se ne infischiava di tutti quei dogmi e quelle dottrine patetici; eppure giunse le mani in preghiera. Non era mai stata capace di legarsi affettivamente a qualcuno, tantomeno all'uomo che quel giorno era andata a salutare, nella sua dimora silenziosa; eppure sapeva di dovergli molto, in tutti i sensi.
- Sto adempiendo a ciò che desideravi e per cui mi istruisti, professore. Veglia su di me, e stendi il tuo braccio su ogni mia azione.- sussurrò nell'aria. Dal giorno in cui era morto, gli aveva rivolto sempre la stessa supplica, come un fedele invocherebbe il suo dio. E non è forse la devozione verso una qualsiasi esistenza, a renderla padrone del mondo di ognuno di noi?
Lui l'aveva accolta nonostante il suo passato, l'aveva aiutata a crescere; l'aveva resa quel che era e per questo, per lei, era stato il centro della sua giovinezza.
  - Sei di nuovo qui?- la sbeffeggiò il ragazzo che, da un anno a quella parte, la seguiva in ogni dove. Ecco un altro che non ne capisce niente...
Quegli le andò incontro, con la sua tipica andatura, l'andatura di chi è giovane e forte e crede di essere il re del mondo. - Ti stanno cercando in sede.- le disse semplicemente, tornando poi indietro. Lei rimase lì ancora per una manciata di minuti, in silenzio.
Ti prometto che non ti deluderò, professore.
 
  Avevano faticato tanto, per trovare quell'impiego.
Era un periodo difficile e, sebbene fossero passati cinque anni dal peggio, la crisi economica non accennava a diminuire. Insomma, il pianeta si era ritrovato, da un giorno con l'altro, a non essere più munito di alcun tipo di energia; il Mako era sparito dalla circolazione e le diverse associazioni che se ne occupavano, prima tra tutte la Shinra, erano fallite. Naturalmente, questo aveva comportato il mastodontico aumento del numero di disoccupati, tra cui vi era anche il giovane Carter.
  - Il numero sedici di Mogustreet... ah, eccolo là!- esclamò, scendendo dalla bicicletta che lo accompagnava; prestò attenzione ai numerosi pacchi impilati nel cestino. Era il quattro luglio e già c'era un'afa micidiale.
Ormai esausto, appoggiò il mezzo alla parete di un'abitazione e si sedette in terra. Sorrise alla vista di una lucertolina spaparanzata sul muretto accanto, felice che almeno qualcuno potesse godersi il sole. Avrei dovuto prendere con me la borraccia..., si rabbuiò, asciugandosi la fronte imperlata di sudore. Solo alzandosi, si accorse del piccolo bar che si ergeva di fronte, la sua manna dal cielo.
Noncurante della bici, delle consegne e delle ramanzine che si sarebbe sorbito per aver ciondolato sul lavoro, si precipitò sulla soglia del 7th Heaven. V'entrò. - Ehm... sa-salve...- balbettò. - E' permesso?
  Il locale non era molto grande, ma si rivelò piuttosto accogliente e Carter ringraziò che ci fosse una ventola, ma scoprì non funzionasse se non in pochi, fortunati, istanti. Dietro al bancone stava di spalle una figura; canticchiava. - Scusi, è permesso?
Finalmente, la donna si accorse di lui, voltandosi e regalando un bellissimo sorriso al giovane. - Oh, ma certo, accomodati pure!- gli indicò un tavolino. - Cosa posso servirti?
- Acqua. Fredda, anzi, freddissima. Anzi, potrei avere anche un po' di ghiaccio?- domandò, con la stessa espressione che avrebbe avuto un bambino chiedendo un giocattolo.
Lei continuò a sorridere. - Ma certo! Immagino - afferrò un bicchiere - che tu sia molto assetato... là fuori fa un caldo insopportabile. Tieni, - glielo porse. - offre la casa!
Il ragazzo ringraziò e quasi si strozzò, quando bevve tutto d'un sorso; lei scoppiò a ridere. - Dimmi: che cosa ci fai, qui in giro?- chiese, tra una risata e l'altra. Carter pensò che fosse davvero bella; ma c'era qualcosa, nei suoi occhi vermigli, che tradiva tutta la sua ilarità. Parevano rassegnati. - Io? Sono un fattorino, signora. Lavoro per l'impresa di consegne Strife, e oggi avevo dei pacchi da port...
  Si diede dello stupido. Come aveva potuto fregarsene delle consegne? - Accidenti, ho lasciato tutto alla mercé del primo malcapitato!- si mise le mani tra i capelli. Il fatto era che si temeva sempre di venir licenziati, quando si parlava con il signor Strife. Non era un tipo burbero, al contrario; erano proprio la sua calma apparente e i suoi occhi pacati - e oltremodo frigidi, vuoi per il colore, vuoi perché fossero da zotico- a tradire la sua meschinità. O forse lui e gli altri impiegati si erano sempre immaginati tutto.
- Mi scusi, - si affrettò quindi. - ma devo proprio andare. Grazie ancora!- salutò, montando sulla bici e lasciando perplessa la donna. Che ragazzo energico..., si ritrovò a pensare. Alla sua età io...
- Ma che dico, non sono certo vecchia!- pensò a voce alta. Già, vecchia non lo era, ma stava iniziando a sentirsi sempre più debole e temeva che, se non avesse fatto qualcosa, in breve tempo... - Vorrei un bicchiere d'acqua tiepida, grazie.
  Assorta nei suoi pensieri, Tifa esaudì la richiesta del nuovo cliente. - Accidenti, Tiffany; che faccia da pesce lesso, hai!- commentò.
- Eh...?- si ridestò, e finalmente si accorse di... - Alexandra!
In quel momento, la ventola ebbe un moto d'orgoglio. Forse, come pensò Tifa in quel momento, le cose iniziavano a girare per il verso giusto.
Forse.
 
 
Noticine:)
Beh, almeno per me, le cose iniziano a girare per il verso giusto, ma mai dire mai, ehm...
Salve a tutti quanti, e (ri)benvenuti, vi ricordate di me?
Sono tornata, sì, e ho mantenuto la promessa, perché le promesse si mantengono; questa è la nuova versione della mia precedente long, Save me from the deep red, che forse qualcuno ricorderà per la scarsa frequenza con cui veniva aggiornata... Come avevo promesso, la pubblicazione riprende, seppure con qualche (molte) modifica. Il primo capitolo è uno di quelli che ho cambiato di meno, ma la trama resta uguale;)
Dunque, dunque; stando al calendario, oggi è domenica, perciò gli aggiornamenti saranno ogni domenica, salvo variazioni che comunicherò. Per ora posso solo chiedervi cosa ne pensiate, sperando che questa long vi piaccia un pochino più della precedente; e ora vi saluto.
Ci vediamo domenica prossima, ciao!
TheSeventhHeaven

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Capitolo 2
*** Acqua tiepida ***


 
Acqua tiepida
 
 
  - Grazie e arrivederci!- salutò. Quella era l'ultima consegna della giornata.
Montò sulla bicicletta e pedalò come un forsennato verso l'ufficio del signor Strife, pregustando già la sua libertà. Ora devo solo correre a prendere il flauto e gli spartiti e poi vado, rise tra sé e sé.
  Peccato che Cloud fosse di tutt'altra idea.
- Hai fatto tardi; come mai?- domandò lui, a dire il vero poco interessato alla risposta. Carter lo trovò stranamente seduto alla sua scrivania, dedito a compilare alcune scartoffie. Non sapeva proprio come avrebbe dovuto rispondere. - Poco importa. Quel che conta è che tu abbia portato a termine i compiti. Senti...- iniziò l'uomo. - Sarei dovuto uscire, tra poco, ma... ho avuto un contrattempo - guardò seccato il cellulare - e devo assolutamente vedere alcune persone. - Non capiva dove volesse andare a parare. - Ti affido gli incarichi che avrei dovuto svolgere io.
- Ma... signore... - ecco cosa voleva dire... - io... le avevo chiesto il giovedì sera libero...
Il biondo lo guardò accigliato, come non ricordandosene. - Davvero?
- Beh... sì. Il giovedì sera ho il corso di flauto.- ammise, imbarazzato. Quello non fece una piega; afferrò alcune carte che aveva lasciato sul tavolo e prese ad osservarle, lasciando il ragazzo con il fiato sospeso. - Ah, sì, è vero...- disse, con aria disinteressata. - Allora ti aspetto domattina qui, con due ore d'anticipo. Dovrai occuparti di queste. - prese a sventolare alcune missive. - Puntuale, mi raccomando.
- Sissignore. - beh, se non altro non lo aveva costretto a saltare la lezione... Il signor Cloud non era poi così male... - Ora puoi andare. - o forse sì?
  Carter si congedò, lasciando l'uomo da solo con i suoi pensieri.
Era oltremodo strano ricevere una telefonata da Cid. Era un po' come lui: entrambi non amavano farsi sentire. - Muovi il tuo culo e fatti trovare fuori da Rocket Town!- gli aveva urlato addosso, senza nemmeno salutare. - C'è una persona che devi assolutamente conoscere e cose di cui devi assolutamente essere messo al corrente!
- Ma, Cid, - aveva replicato. - non credi che sarebbe piuttosto impossibile, per me, arrivare fino a lì?
Quello aveva taciuto un attimo, come interdetto. - "Ma, Cid "- aveva poi preso a rifargli il verso - cosa sei, una ragazzina? Vorrà dire che verremo noi a prenderti con la Shera! Fuori da Edge tra venti minuti! E prova a far tardi che ti stacco l'osso del collo!- e aveva riagganciato.
  Era perplesso, soprattutto perché Cid aveva infilato una sola parolaccia nelle molteplici frasi che aveva detto. Sarà la paternità... Il solo pensiero di quello scaricatore di porto con un neonato tra le mani, metteva i brividi. Il mondo funziona al contrario... E poi, chi era la persona che doveva assolutamente conoscere? E che cosa avrebbe dovuto sapere, di così terribile da rendere l'altro tanto agitato?
 
  - Sai, lì per lì non credevo ti avrei più rivista.- iniziò la barista, porgendole il bicchiere. Sorrise, ripensando alla prima volta che Alexandra aveva messo piede lì dentro, formulando la stessa richiesta; solo lei, avrebbe potuto. - Un bicchiere d'acqua tiepida, grazie. Fredda mi fa male, e calda mi disgusta. - era stata la prima sentenza della dottoressa Elredge, le parole magiche in grado di mettere Tifa di buon umore. - Sei sparita così all'improvviso che temevo ti fosse accaduto qualcosa di grave.
Lei bevve tutto d'un fiato. - Non mi è successo niente; ho solo smesso di lavorare per Karmaros e ho dovuto nascondermi per un po' di tempo. Sai, quando qualcuno se ne va, gli danno la caccia, quei bastardi. Lo fanno perché temono possa divulgare informazioni.
- Davvero? E dove sei stata?- le domandò, preoccupata. - Rilassati, Tiffany. Un amico mi ha ospitata e mi ha anche offerto un nuovo impiego. - spiegò. Un nuovo impiego...? Da quel che ricordava, la biondina non amava niente più di ciò che faceva per vivere; con che altro avrebbe potuto tirare avanti, quindi? - Lavoro per Barbaros. - rispose, orgogliosa. Ora si spiegava tutto.
  Il fatto era che, come la bionda spiegò a Tifa, detestava le persone con cui aveva a che fare nella Karmaros.p.a; non erano in grado di capirla e di assecondarla, e le loro vite ruotavano attorno ad un unico scopo: primeggiare sul mercato mondiale. Certo, forse doveva essere proprio quello, l'obiettivo di un'associazione del genere ma... - ... Facevano tutto in funzione della vittoria. E, per vittoria, mi riferisco a dimostrarsi migliori di Barbaros.
Le due aziende erano da sempre le più grandi rivali e, da quando la Shinra era fallita, avevano preso ad accanirsi l'un l'altra ancor di più, per ottenere il primato che i produttori di Mako avevano detenuto per più di trent'anni. - Non erano intenzionati a finanziare un progetto rivoluzionario per l'intera umanità; così ho deciso di cambiare aria.
  Tifa sorrise all'amica, nascondendo un pizzico d'invidia per la sua risolutezza; la dottoressa aveva avuto il coraggio e la determinazione necessari per andarsene, lasciarsi tutto alle spalle ed iniziare una nuova vita. Certo, questo per ragioni apparentemente altruistiche; ma Tifa la conosceva bene, sapeva che non fosse interessata al benessere comune che quell'impresa avrebbe comportato, più che alla gloria personale.
E, anche con una motivazione così egoistica, lei aveva abbandonato ciò cui era abituata. Perché invece lei, che sarebbe stata spinta dalle più nobili intenzioni, non era capace di fare altrettanto? - E di che genere di progetto si tratterebbe?
Alexandra non rispose. La barista notò un'ombra scura attraversarle il volto, un bagliore sinistro nei suoi occhi già cupi di per sé. - In ogni caso, - cambiò semplicemente argomento. - non mi hai detto come te la passi tu, mia cara Tifa. Insomma... - prese a rigirarsi il bicchiere di vetro tra le mani - credo che la situazione, dall'ultima visita, non sia cambiata molto. Hai considerato la mia proposta?
La mora sospirò.
  Che strane, le decisioni. Gli uomini hanno ottenuto la facoltà di scegliere, di non vivere sotto costrizione, e questo dopo lunghe lotte; eppure, quando arriva il momento di farlo, preferirebbero non fosse così. Preferirebbero piegarsi alla volontà, alla scelta di qualcun altro, piuttosto che camminare con le proprie gambe e rendersi conto di aver sbagliato in qualcosa.
  Così era per Tifa, combattuta tra il restare con le persone che amava e l'amarle non restando. E non avrebbe potuto chiedere consiglio, perché quello era un segreto. Perché gli orrori dovevano restare segreti.
Com'era difficile, vivere. - Sì, - si decise a rispondere - ma non la posso accettare.
 
 
Noticine:)
Eccomi di ritorno, come promesso!
Allora, la seconda parte di questo capitolo è pressappoco uguale; la prima, invece, è simile al settimo capitolo dell'altra long. Andando avanti, scoprirete che alcune parti siano state tagliate o reinserite in mezzo ad altre; questo per motivi di tempo: non posso scrivere una long di quaranta capitoli e passa perché ci ficco cose inutili! Con ciò, vi lascio a domenica prossima, bye!
TheSeventhHeaven

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Capitolo 3
*** La bestia ***


La bestia
 
 
  Odiava il frastuono tipico delle discoteche; tutti i ragazzi ne parlavano come fossero parte del patrimonio storico e artistico della città, ma Vincent sapeva che sarebbero state chiuse nel giro di pochi giorni, con i tempi che correvano. Non che da giovane non ci fosse mai andato, una o due volte; ma ora le cose erano diverse, e spesso comparivano notizie di undicenni in coma etilico. Non doveva essere il massimo della vita.
Ma Yuffie, ancora piccola e alle volte infantile, era troppo ingenua per capacitarsene; la pensava esattamente come le orde di adolescenti che scalpitavano per entrare in quella specie di sgabuzzino chiassoso. - Hey, tu non vieni dentro? - gli chiese.
- No, e sono dell'idea che non dovresti farlo nemmeno tu.- rispose pacato, impassibile, come suo solito. Questo le fece storcere il naso. - E allora si può sapere perché mi ci hai portato, se eri contrario?
- Questa è la tua vita e puoi farne ciò che vuoi; io posso solo consigliarti di non rovinarti qui e di non sprecare il tuo tempo. E, in ogni caso, avevo già un impegno.- mentì. Gli sarebbe costato molto, ammettere di essere lì per assicurarsi che non le accadesse nulla. Gli era sempre costato molto, ammettere qualcosa.
- Allora non seccarmi con le tue paranoie da cariatide!- sbraitò la ragazzina, sparendo dalla vista dell'uomo.
Mi auguro solo che la prossima notizia non riguardi te, Yuffie..., scosse la testa, appostandosi fuori dall'edificio, per aspettare con pazienza che ne uscisse.
Un'attesa che sarebbe stata molto lunga e snervante se, non molto dopo, qualcosa non avesse catturato la sua attenzione.
  Una strana creatura se ne stava acquattata nell'ombra di un vicolo cieco, a sorridere, maligna. Due occhi di sangue se ne stavano a fissare famelici un gruppetto di ragazzi appena usciti, ubriachi. Vincent fece scorrere le mani alle pistole. Corse verso i ragazzini, intimando loro di scappare; ma quelli non gli diedero retta, anzi, presero a sbeffeggiarlo. E quella creatura pregustava già il suo banchetto.
- Che aspettate?- provò a convincerli. - Questo non è uno scherzo; siete in pericolo!
Prima ancora che potessero rendersi conto di ciò che l'uomo aveva appena detto, il mostro si avventò su una ragazza che doveva avere l'età di Yuffie; le lacerò il petto mentre questa gridava e si contorceva, dilaniata dal dolore.
  Di fronte ai volti inorriditi dei presenti ondeggiava una strana bestia, alta più di tre metri e dal pelo bruno, che sfoggiava un ghigno alquanto divertito. I suoi occhi, piccoli lustrini scarlatti che esprimevano un unico desiderio: morte.
Divagò il panico e, per la foga del momento, ognuno pensò a se stesso, fuggendo, urlando, imprecando contro la belva che era sbucata dal nulla. Il locale fu evacuato e diversi si fecero avanti contro ciò che stava seminando terrore; ma fu tutto inutile. Con un balzo felino, la bestia si accanì anche su di loro, finché non ne rimasero brandelli in una pozza di sangue.
  Una delle prime preoccupazioni di Vincent fu Yuffie; ma dove si era cacciata? Possibile che fosse ancora là dentro?
- Ma che fa, signore? Corra, presto!- lo richiamò uno che passava di lì. L'ex Turk riprese la sua lucidità ed escogitò un modo per allontanare il mostro dalla marmaglia. Prese a sparargli contro, con l'intenzione di spaventarlo; ma questo non fuggì, anzi, gli andò in contro.
Vincent allora lo portò sempre più lontano, fino a che si ritrovarono in una strada completamente deserta. Ora erano finalmente a tu per tu. Cercò di raggiungerlo alla testa o al cuore con un proiettile incendiario, ma non fu abbastanza rapido e la fiera gli fu sopra in un attimo.
  L'uomo ne sentì il respiro rabbioso, il tanfo di sangue di cui zanne e artigli erano impregnati. Gli stava ormai perforando il busto, ma sembrava indugiare sul da farsi, come avesse avuto un ripensamento. Vincent scorse qualcosa di familiare, nel suo sguardo vermiglio.
Proprio mentre stava per fare lui il primo passo, la creatura si scansò cominciando a contorcersi e a graffiarsi da sola, gemendo mostruosamente. La sua voce divenne a poco a poco più umana, e il suo corpo assunse l'aspetto di una donna, una donna che lui conosceva ormai da tempo.
Era uno dei tanti tiri mancini che l'età aveva iniziato a fargli da qualche anno a quella parte? Era per caso un'allucinazione? No, era tutto troppo verosimile, per esserlo.
  Basito e inorridito, Vincent ebbe paura nel chiamarla per nome.
- ... Tifa...?
 
 
Noticine:)
Bene, innanzitutto, devo scusarmi per i continui rinvii di aggiornamento; avrei dovuto occuparmene martedì, ma sono finita in ospedale, perciò... perdonatemi!
Questo è il capitolo che ho modificato di meno, un po' perché non ce n'era l'esigenza, un po' perché ci sono particolarmente affezionata, ecco. Ad ogni modo, fatemi sapere cosa ne pensate, anche con una bella critica!
Oh e, se vi va, passate a leggere anche il capitolo successivo!
TheSeventhHeaven

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Capitolo 4
*** Ossessioni ***


Ossessioni
 
 
  Il tè di Shera era sempre squisito.
Aveva la miracolosa facoltà di rilassare chiunque avesse la fortuna di sorseggiarlo; nel caso di Cloud, l'aroma di gelsomino aiutò molto, a distrarlo dalla faccenda.
  Si era dovuto precipitare fuori di casa per andare in contro al Capitano, e già dall'espressione con cui questi lo aveva imbarcato sull'aeronave, aveva compreso che fosse capitato qualcosa di grave. Qualcosa di grave, sì; ma non avrebbe mai immaginato si trattasse di quello...
- Ne vuoi ancora?- gli allungò la teiera l'altro ragazzo che sedeva al tavolo con loro. Anche quella era una cosa curiosa; Cid aveva un nipote, ma non ne aveva mai fatto parola. - No, ti ringrazio.
Det, questo il nome del ragazzone che si stava accendendo una sigaretta, non sembrava particolarmente scosso, non come lui e lo zio. Pareva quasi una di quelle persone che non si lasciavano nemmeno sfiorare dall'ansia e dalla preoccupazione; o, forse, era semplicemente poco emotivo. Anche Cloud lo era. Ma non per davvero.
- Barbaros... anzi, no; il mondo intero chiede la vostra collaborazione, Cloud. - iniziò Det, dopo un tiro. - Cinque anni fa vi scontraste con le Weapon e... siete i soli, a conoscere il modo per farlo di nuovo.
Quello fece ogni sforzo possibile per mantenere la calma e nascondere il tremore che lo aveva assalito alla notizia. - Questo lo so. Ma, vedi, - spiegò, tentando di non lasciar trapelare il suo stato d'animo.
  Aveva già abbastanza problemi. Gli affari non stavano andando troppo bene e temeva che, di lì a poco, avrebbe dovuto effettuare diversi licenziamenti; in casa era sempre meno presente, e i bambini e Tifa soffrivano la sua mancanza. Tifa... Tifa era il problema più grave, quello più evidente. - quando le sconfiggemmo, eravamo certi che non si sarebbero più ripresentate. Insomma... è impensabile che qualcuno possa ripristinare un corpo ormai ridotto in brandelli; senza contare che, pur esistendo un processo, è stato cinque anni fa. - andò avanti. Det lo zittì con un cenno di stizza. - Quello non c'entra. Immagino che il folle che se n'è occupato abbia iniziato molto tempo prima, a ricostruirle.
Quell'affermazione lo insospettì non poco. Cosa ne sapeva, un ingegnere, di... resurrezione? - Sto solo cercando di dire che mi sembra assurdo, Det. Se quello che hai raccontato è vero, ora le Weapon sono tornate più forti di quanto non fossero prima. Se davvero sono diventate automatizzate, anche solo di poco, dubito che potremo fare qualcosa. - constatò, frustrato. Erano tante, le cose che lo facevano sentire impotente.
- Beh, - ciò che assillava Tifa era una di quelle. - è qui che entrerei in gioco io. Voi dovreste occuparvi di sconfiggere la parte... diciamo, animalesca. Sai, non sono molto portato per i combattimenti. Io potrei cercare di disattivare circuiti e cazzi vari che le tengono in piedi. - asserì il biondo, facendo un altro tiro. In quella conversazione, Cid era stato praticamente assente. A cosa stava pensando? - Ovviamente, dovresti riunire la tua vecchia squadra, o trovare dei validi alleati. Quella... Tifa, si chiama, giusto?- Cloud si irrigidì solo al sentirne pronunciare l'iniziale. - Quella - Lo infastidì che si riferisse a lei con un 'quella'. Come se fosse stata una tra le tante. Ma cosa diamine mi metto a pensare...? - la devi assolutamente portare con te.
  A Rocket Town, le condizioni meteo erano completamente diverse, da Edge. Benché fossero in piena estate, nella città di Cid pioveva e lo stesso non aveva fatto altro che lamentarsene.
Lo guardò, e si accorse che la sua attenzione andasse dritta alle goccioline di pioggia che imperlavano il vetro della finestra. - Lo so.- mugugnò in risposta all'ingegnere. Poi si accorse che Cid non stesse fissando la pioggia, ma il razzo che si stagliava al confine come un ombra.- Bene!- esclamò ilare Det. Pareva una persona pressoché allegra. - Ora, Cloud... domani si va.
- Eh?- domandò lui, come ridestandosi. - Si va a caccia di Weapon e... oh, faresti meglio ad avvertire i tuoi compagni o, quanto meno, i migliori. Domani andiamo a scovare Ruby. - asserì quello, alzandosi e lasciando la stanza. Cloud fece una smorfia che suonò più come un mugolio; Ruby Weapon era forse la più temibile di tutte. Non so se sia peggio lei o Emerald..., pensò.
  - Oh, Cloud. - sentì la voce stizzita di Shera chiamarlo dalla cucina. Vi entrò, ed assistette alla buffa scena della donna che cercava di afferrare un pentolino dalla credenza. Quasi s'intenerì, nel vederla affannata. La aiutò. - Grazie. - ottenne un sorriso in risposta. - Sai, questa è una casa alta costruita per gente piccola... o forse sono io, ad essere troppo grossa per...- si lagnò, dando un'occhiata al ventre rigonfio - Oh, lasciamo perdere... questo bambino dev'essere bello grosso! Ad ogni modo... - scherzò. Non aveva un gran senso dell'umorismo... - credo ti convenga telefonare a Tifa, per avvisarla che non tornerai a casa.
Il biondo si accigliò. - In... che senso?
- Beh, sta diluviando, la fuori, e stanno iniziando a comparire i primi lampi; non penserai che la Shera - pronunciò il nome dell'aeronave con un certo compiacimento - possa volare!
Ovviamente no., replicò nella sua testa, mentre componeva il numero di Tifa. Non rispondeva.
Tanto meglio; non aveva voglia di sostenere una conversazione con qualcuno. O meglio, non aveva voglia di ascoltare la voce flebile e stanza di lei, rotolandosi ancora una volta nel dilemma che lo accompagnava da un bel po' di tempo: che fosse colpa sua. No, non era colpa sua. Non poteva esserlo.
  Si accinse quindi ad avvisarla con un messaggio, prendendo a camminare per il salotto mentre scriveva. Intanto, Cid non dava ancora segni di vita. - Ragazzo, smettila di guardarmi come un ossesso. - gli intimò, sorprendendolo. Non si voltò nemmeno. - Ognuno ha le sue ossessioni.
 
  Un brivido di freddo la colse impreparata; si strinse di più nella coperta che aveva sulle spalle.
Se ne stava accoccolata sul divanetto, nell'oscurità della stanza; una candela profumata - una di quelle che aveva comprato e mai acceso prima- era l'unica cosa che le permettesse di vedere Vincent. Beh, 'vedere' era una parola grossa, dato che l'uomo in rosso aveva cercato di rintanarsi nell'angolino più buio e remoto.
- Vincent...? - provò allora a chiamarlo. Dopo che lei gli aveva raccontato, lui si era rinchiuso in un silenzio che si sperava venisse interrotto al più presto. L'attesa era snervante. - Vincent...?- provò una seconda volta.
Lo sentì sospirare, pensoso, quando finalmente si decise a parlare. - Prima che possa ipotizzare qualsiasi cosa, devo sapere. Tifa, - iniziò, con il suo timbro gutturale e profondo. - mi hai raccontato tutto?
  Sulle prime non rispose.
Poteva fidarsi di lui, no...? Non era il genere di persona che lo avrebbe sbandierato ai quattro venti, né tantomeno si sarebbe rifiutato di avere a che fare con qualcuno che aveva un problema tale. Dopotutto, lui ne aveva avuti di simili. Eppure... eppure... - Sì. - mentì.
Dal canto suo, lui sapeva che non fosse la verità; ma, forse, qualcosa di troppo grave ed atroce, per lei, le impediva di fornire un quadro completo. - Bene.- proseguì. - Io non so dire, esattamente, cosa causi le tue mutazioni.- ammise, lasciando la mora un po' delusa. Ma, in fin dei conti, non stava scritto da nessuna parte, che Vincent fosse il baby sitter risolviguai. - Ho diversi pareri, a riguardo; ma dalle tue descrizioni, alcuni mi paiono sempre meno plausibili.
Si fermò, come a riprendere fiato. - In ogni caso, mentre cercherò di scoprire di più, dovrai dirlo anche a Cloud. - la sola idea la terrorizzò. - Non posso. - rispose prontamente quella. Lui non si sarebbe aspettato reazione diversa. - Non posso farlo, Vincent.
- In tal caso, me ne occuperò io stesso. - affermò.
  E, prima che lei potesse replicare qualsiasi cosa, l'uomo era già diretto a Nibel.
 
 
Noticine:)
E rieccomi magicamente qua!
Questo capitoletto è un accorpamento del capitolo number four e di un altro, anche se, rispetto a quest'ultimo, presenza non poche differenze; in ogni caso, il sugo della storia (cit.) è sempre che le Weapon sono tornate e qualcuno si deve sporcare le manine, ecco!
Orsù; cos'accadrà, a Tifa? Perché Vincent sta andando a Nibel? Perché Cid è misteriosamente depresso?
Lo scopriremo nella prossima puntata, ciao ciao!
TheSeventhHeaven

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Capitolo 5
*** Maschere ***


Maschere
 
 
  Cloud era sempre stato un tipo piuttosto enigmatico e, dopo tutti gli anni che si conoscevano, c'erano lati di lui che Tifa ancora non conosceva. Non conosceva il Cloud ansioso che, al telefono, alle cinque di mattina, le aveva detto di prepararsi quanto prima, perché lui e gli altri stavano andando a prenderla appena fuori città.
Aveva riagganciato prima che lei potesse chiedergli chi fossero "gli altri", dove fossero diretti e, soprattutto, perché fosse così agitato. Ma, in fin dei conti, era normale che uno come lui usasse sempre mezze parole.
  Stancamente, frugò nell'armadio per cercare qualcosa di comodo da mettere. Di solito, anche nei momenti di particolare stanchezza, cercava un compromesso tra la comodità e lo stile; ma quella mattina non era proprio in vena di mettersi a fare i salti mortali per dei vestiti. - E poi, sarebbe uno spreco, dal momento che li ridurrò a brandelli- commentò con rassegnazione. - proprio come ho fatto con le persone, dopotutto.
Afferrò un paio di pantaloni e la prima maglietta che le capitarono sotto mano, constatando di navigare nei primi. Quanto diavolo era dimagrita? O meglio, quanto era deperita?
Molto spesso, il cibo le faceva ribrezzo, ma non si trattava di anoressia. Rise amaramente, rendendosi conto che il mostro dentro di lei avesse fame di una sola cosa. Corse davanti allo specchio.
Due occhiaie enormi le rigavano i lineamenti e una lunga ferita non ancora del tutto cicatrizzata si stagliava per tutta la guancia destra. Non avrebbe avuto molte difficoltà a mascherare le prime, lo aveva già fatto altre volte; ma non si era mai ritrovata a dover occultare un taglio del genere.
Ripensando alla nottata precedente, era ancora scossa dai tremiti. Come aveva potuto attaccare Vincent? Come aveva potuto uccidere così tante persone, così tanti innocenti? Certo, si era fermata appena prima di sbranare l'uomo, e questo era positivo, forse era riuscita ad imporsi sul mostro; ma, allora, perché non era stata capace di farlo anche per quei poveri malcapitati? Forse non era ancora abbastanza forte...
O, forse, non lo volevi davvero.
Scosse la testa. Non doveva nemmeno pensarle, certe cose.
  Febbrilmente, si armò di quanto potesse tornarle utile e si mise all'opera. In poco tempo, indossava di nuovo la sua maschera: Tifa, la donna forte, la ragazza sorridente, la madre gentile. Chissà per quanto tempo ancora avrebbe dovuto fingere...
Forza, Tifa. Armati di coraggio e...
Proprio mentre stava per uscire di casa, il telefono squillò nuovamente e, forse fu solo un'impressione, ma le parve piuttosto isterico.
  - Pronto?- rispose, senza nemmeno preoccuparsi di guardare chi la stesse contattando. - Eh, pronto, cazzo!
Non ho dubbi su chi sia... - Cid? Come mai m-
- Ascolta, principessa: so che senti l'esigenza di farti bella come non mai per il prode pesce lesso che riserva solo mutismo, ma- lo sentì urlare dall'altra parte. Non era esattamente il massimo, sentire il Capitano starnazzare le prime ore del mattino. - stiamo tutti aspettando te. So che per voi donne quel cazzo di trucco è una calamita quasi come lo sono i vestiti, le scarpe e stronzatine merdose varie ma, vedi, anche io avrei il mio razzo nuovo nuovo da collaudare; capisci cosa intendo? Quello che sto cercando di dire- continuò - è che... Sì, sì, ho capito, cazzo! Ora lo sistemo io, lascia perdere!- urlò a qualche poveretto. - Ma guarda se... Quello che sto cercando di dire è che ti saremmo grati se muovessi quel bel culetto sodo che hai là in fondo e ci raggiungessi!
Un sonoro "Cid!" di rimprovero mise fine alle considerazioni che l'uomo stava facendo. - Dico solo di sbrigarti, dolcezza. - quasi si addolcì. - Il tempo stringe.
  L'ultima affermazione la fece rabbrividire. Che diamine stava succedendo?
 
  Non è nemmeno questo, realizzò, posando quello spesso tomo dalla pelle consunta.
Non aveva iniziato le ricerche da molto; in due ore aveva già controllato una ventina di libri, senza trovarvi riportata alcuna informazione importante.
Solo, nella biblioteca dell'uomo che più aveva odiato, sferrò un violento pugno contro uno degli scaffali. Neppure da morto, Hojo combinava qualcosa di buono.
Lo sguardo gli ricadde improvvisamente su un sottile volume che, aperto, troneggiava sugli altri e gli suggeriva uno strano simbolo. Lo studiò meglio, e si ricordò di un dettaglio non da poco: conosceva qualcuno che potesse aiutarlo.
Quella donna sapeva sempre tutto quanto; non c'era una singola informazione di cui lei fosse all'oscuro e, forse, gli avrebbe saputo dire qualcosa di più, sulla metamorfosi. Ma Vincent sapeva anche che lei gli avrebbe chiesto qualcosa, in cambio. Non faceva mai nulla, se non dietro compenso. E' l'unica soluzione., decretò, guizzando fuori dall'enorme villa, a passo felpato. Non sarebbe stato difficile, trovarla.
  Da che la conosceva, Feera si era sempre nascosta nei meandri più remoti del Monte Nibel.
 
  - Dove siamo diretti, esattamente?- domandò la ragazza. Era felice di rivedere Barret e Red dopo molto tempo, ma la ragione per cui erano stati tutti chiamati là non le faceva affatto piacere.
- Più o meno nel deserto circostante il Gold Saucer. - spiegò Det. - Abbiamo appuntamento con Ruby proprio là!- scherzò. Sembrava particolarmente rilassato, sebbene avesse un ruolo pressoché determinante, per il successo dell'impresa; tant'è che si godeva la sua sigaretta, in un gesto quasi rituale. Anche Nanaki non era agitato ma, forse, non era poi così strano. - Come mai avete avvertito solo noi?- domandò l'animale, placido. - Abbiamo tentato di rintracciare Caith Sith, ma non sappiamo dove sia finito, e così nemmeno Yuffie. Per quanto riguarda quella cazzo di mummia di Vincent, - sputacchiò Cid. Tifa impallidì al nome. - vuole fare l'asociale e non risponde a quel fottuto telefono! Mi chiedo perché cazzo tutti diventino insondabili, quando c'è bisogno di loro! - si lagnò, senza staccare gli occhi da quello che stava facendo.
Forse avrebbe dovuto dirglielo. Forse avrebbe dovuto avvisarli che Vincent stesse andando alla ricerca di qualcosa, solo per lei. Forse avrebbe dovuto parlar loro di un problema... del problema. Ma, forse non era il momento adatto; erano tutti così rilassati e tranquilli, non era il caso di turbarli con una notizia del genere. Sì, insomma, tutti tranne Cloud, ecco.
  Se ne stava in piedi teso come una corda di violino. Era piuttosto insolito, per lui. Era un uomo adulto, ne aveva passate tante, aveva fronteggiato nemici di ogni tipo; allora perché si preoccupava così? - Diamine, ragazzo!- sbraitò Barret, dandogli una pacca sulla spalla con fare amichevole. Quello sobbalzò. - Non sei mai stato un chiacchierone ma, accidenti, così mi metti angoscia!
- Forse dovresti renderti conto anche tu che il pianeta sia di nuovo in pericolo.- sibilò, laconico. - Forse dovreste rendervi conto che non sia uno scherzo, che non sia divertente. Sto solo prendendo le cose seriamente, come mi pare voialtri abbiate perso l'abitudine di fare; e magari è il caso di svegliarsi e darsi da fare.
  Tutti lo guardarono sorpresi. Non era proprio da lui, rispondere in maniera così scorbutica; evidentemente, si accorse anche lui delle parole taglienti che erano appena uscite dalla sua bocca, dal momento che pareva incredulo. - Mi è uscito più acido di quanto volessi. - cercò di smentire.
Barret lo fissava a bocca spalancata; Cid invece, al timone dell'aeronave, annuiva soddisfatto. - Vedo che inizi a tirare fuori le palle, ragazzo! Bene, bene... molto bene...
  In quel momento Cloud era troppo imbarazzato, per rendersi conto che stessero atterrando e fosse arrivato il momento di fronteggiare l'ennesimo problema. Mentre scendevano dal veicolo, si perse a fissare l'arida distesa sabbiosa che li aspettava, e i ricordi presero a vorticargli nella mente. - Datti una mossa, - gli intimò l'omone. - non abbiamo tutta la giornata!
  Con un balzo si ritrovò a terra e fu seguito dai compagni; la sua attenzione ricadde allora su Tifa che, stranamente, pareva esitare sul da farsi. - Andiamo, Tifa! Non avrai paura?- domandò Det, dal basso.
Che sciocco. Possibile che non capisse?
Tifa non aveva paura, era semplicemente stanca. - N-no...- mormorò lei in risposta. No; stanca lo era quando, la sera, chiudeva il locale. Stanca lo era quando, dopo un estenuante combattimento, c'era ancora molto da fare. No, Tifa non era semplicemente stanca, bensì sfinita, e nessuno sapeva il motivo.
Dal canto suo, lei avvertiva qualcosa di strano, come... una presenza. Si faceva sempre più vicina, o forse era solo un'impressione; e, forse lo era anche questo, ma avrebbe giurato di aver udito... una voce.
  Qualcuno, ormai straziato, urlava e supplicava pietà; ma non sembrava del tutto umano. Scosse la testa; doveva avere le allucinazioni, per quanto stava male. Non aveva forze, non per un salto, non per una battaglia; e Cloud avvertì come una morsa allo stomaco quando, imitando gli altri, si buttò anche lei.
  Stava per andare lì ed afferrarla prima che potesse cadere a terra, posto che lo facesse; fu però intercettato da Det. La cosa lo mandò in bestia, ma cercò in tutti i modi di non darlo a vedere; l'ennesima maschera, insomma. Solo gli occhi saggi e lungimiranti di Red, colsero il suo fastidio.
- Sbrighiamoci, - masticò l'ex Soldier, impugnando ancor più saldamente l'enorme spada che si era portato appresso. - ho delle consegne da fare, stamattina.- mentì. Diede le spalle a tutti loro, non sapendo nemmeno dove si stesse incamminando.
  Cloud e Tifa odiavano le maschere, odiavano il teatro; ma sembrava proprio che nessuno dei due potesse far a meno di recitare.
 
 
Noticine:)
Buon martedì a tutti!
Salve, come va? Ecco... non sono molto brava, nelle convenzioni sociali, perciò... passiamo subito ai dettagli del capitolo! Anche quest'ultimo è il risultato dell'accorpamento di alcuni passaggi e presenta non poche differenze, rispetto agli originali, ma il contenuto resta quasi del tutto fedele...
Ora, io vi do appuntamento a domenica prossima, comunicandovi che gli aggiornamenti riprenderanno ad essere regolari, anzi; dato che ho fatto un rapido calcolo delle domeniche rimanenti, prima che io parta e, per non lasciarvi con la storia a metà, è molto probabile che ci si veda due volte a settimana, ecco!
Con ciò, vi saluto e mi auguro di rivedervi!
TheSeventhHeaven

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Capitolo 6
*** Simili ***


Simili
 
 
  Non era sicuro di aver imbroccato l'antro giusto ma, appena avvertì il nauseabondo tanfo di carogna, non ebbe più dubbi. Era lo stesso odore disgustoso che aveva sentito addosso a Tifa, quando si era trasformata in una specie di Behemoth; lo stesso odore che accompagnava Feera quando, tanti anni prima, si erano conosciuti ed avevano dato inizio a quello strano legame che più volte avevano rinnegato loro stessi.
- Non credevo che saresti venuto davvero.- gli sogghignò alle spalle una lugubre e lenta voce femminile. - Come sapevi dove trovarmi?
- L'ultima volta mi dicesti che ti piacevano, le montagne. - replicò l'uomo in rosso, disinteressato. Come faceva lei a vivere là dentro senza impazzire? Certo, lui aveva passato qualche decade in una bara, ma era diverso. - Vincent, - addolcì molto il tono, come avrebbe fatto con un bambino. O forse, quel posto non lo era poi molto... - cosa ti porta, qui?
- Lo sai. - replicò, voltandosi. Feera non era cambiata di una virgola. Stessa pelle nivea, stessi occhi vermigli ed imperscrutabili. Nessuno poteva dire cosa le passasse nella testa e lei, al contrario, sapeva leggere nella mente. La donna ricambiava il suo sguardo, divertita.
  Feera era quel genere di persona che appariva sempre gentile, allegra, fresca e materna. Insomma, se non fosse stato per il suo aspetto, chi non la conosceva avrebbe potuto dire che somigliasse ad Aerith, per certi versi. - Ho bisogno di informazioni e tu sei l'unica che me le possa dare. - ammise. Gli costava molto, avere di nuovo a che fare con lei.
- Bene. - sorrise, sfoggiando una dentatura che avrebbe fatto invidia ad uno squalo. - Basta chiedere.
Lui alzò un sopracciglio, non lasciandosi incantare. Sembrava una donna generosa, ma chi la conosceva per davvero, sapeva che fosse solo molto brava a recitare la sua parte. Una persona fredda, subdola e cinica; ecco, chi era lei. Non era cattiva, ma il tempo trascorso in solitudine ed in mezzo a bestie che non la riconoscevano più, l'avevano completamente cambiata. - Solo chiedere? Non mi inganni.
- Chiedimi quello che vuoi, Vincent. Stabiliremo dopo, quale sarà la mia ricompensa. - lo rassicurò, invitandolo ad avvicinarsi.
- Voglio che mi parli di Tifa, delle sue origini, del motivo della sua trasformazione. - disse, senza giri di parole. Gli occhi di lei si illuminarono, quando sentì quel nome, Tifa. - Molto bene. - rispose seria, scostandosi una delle lunghissime ciocche verde petrolio.
  - Come tu sai, migliaia di anni orsono, esisteva un popolo dalla straordinaria capacità di parlare al Pianeta.- iniziò a raccontare. - I Cetra. - annuì Vincent.
- Sì, i Cetra, o Antichi. Ma non c'erano solo loro e gli antenati della gente comune. - sottolineò l'ultima parola con disprezzo. - Altri due popoli, dimenticati ormai dal mondo, coesistevano e lottavano al tempo stesso tra loro. Alcuni di loro avevano l'inquietante abilità di parlare con qualsiasi anima defunta ed assoggettarla al proprio volere; altri, vivendo insieme alle bestie per non essere scovati dai rivali, avevano sviluppato un'elevata conoscenza del loro linguaggio. Questi ultimi avevano un'unica peculiarità, nell'aspetto fisico, che li distingueva da qualsiasi altra forma di vita: le iridi rosse.
  Si fermò, dando il tempo all'uomo di constatare che anche lei ne fosse dotata. Feera sorrise, leggendo nella mente di lui la sorpresa . Riprese il discorso. - Questi furono gli ultimi a scomparire quasi del tutto, proprio perché erano stati bravi a nascondersi. Guardati in giro: troverai molte persone che possiedono questa singolare caratteristica e nemmeno si rendono conto di cosa essa significhi...- rise, sprezzante. Chissà come doveva essere, avere la consapevolezza di essere gli ultimi di una specie.
  - In ogni caso, devi sapere che, centinaia di anni fa, l'ultima comunità superstite si basava sulle spalle di una donna. Era forte ed intelligente, l'unica rispettata da ogni bestia e quindi la più potente della tribù; ma, come credo tu sappia, un grande leader troverà sempre degli oppositori, sul suo cammino. - raccontò. - Lei, sfortunatamente, fu maledetta da dei traditori, che la esiliarono e le imposero di trasformarsi, quando meno lo aspettava, in un Behemoth Nero, la creatura prediletta. Fece una pausa, quasi esitando; Vincent non poteva saperlo, ma c'era una parte della storia che non gli avrebbe raccontato per orgoglio.
- Con il tempo imparò a controllarla, ma ormai non aveva più possibilità di far ritorno nella sua terra. Vagò fino a che non si imbatté in una cittadina chiamata Nibelheim, dove si stabilì e dove diede alla luce un figlio.
- E suppongo che quel figlio fosse...- lei lo interruppe. - Tifa. - sussurrò, pensosa. - ... La bambina cresceva sana e non sembrava che soffrisse dello stesso problema di sua madre; ma questa volle accertarsene completamente, e scoprì che, purtroppo, non sarebbe stato sempre così.
- ... Ha ereditato metà dei suoi geni, dopotutto. - annuì Vincent. - Hai detto bene: metà. La metà meno umana, quella che, volendo, non avrebbe bisogno di combattere i mostri, perché potrebbe controllarli; quella che vivrà abbastanza a lungo da poter veder morire tutte le persone che ama, una ad una. E, peggio ancora, quella che si trasforma in Behemoth. Ma il vantaggio di Tifa è che le sue trasformazioni non avvengono in maniera casuale.
- Cosa stai cercando di dire? - era la prima volta che Vincent non era in grado di comprendere il vero significato delle parole. - E' molto semplice. La madre di Tifa ha imparato a convivere con la bestia.- scosse la testa. - Quella ragazza non farà mai altrettanto. Il fatto che il Behemoth prenda il sopravvento è solo una conseguenza dei sentimenti di Tifa, quei sentimenti che controlla troppo spesso e che , almeno una volta, dovranno pur esplodere. Il Behemoth nero le offre, o meglio, impone, di sfogarsi; nel modo sbagliato, ovviamente.
  Dopodiché, si zittì, guardando Vincent come aspettando una reazione. Reazione che, come sapeva benissimo, lui avrebbe trattenuto, semplicemente perché erano tutti così bravi, a contenersi...
- Tu... come sai tutto questo...?- chiese solo. Non le chiese se tutto quel che aveva detto fosse vero, se fosse impazzita, perché Feera, a discapito di quanto una persona del genere potesse far pensare, se conosciuta fino in fondo, diceva sempre la verità, per quanto cruda potesse essere. Solo una volta non lo aveva fatto, Ed ora ha rimpianti per tutta la vita., considerò Vincent. Erano così simili...
No, lei non stava dicendo menzogne, era la verità. Strano però che, dopo gli anni che si conoscevano, lei non avesse mai accennato alla questione, neppure lontanamente. - Come sai della madre di Tifa? Come sai anche di lei, di Tifa? - domandò di nuovo. - Feera, che ne è, di quella donna?
- Conosci già la risposta, Vince. - gli sorrise, chiamandolo ancora come fosse stato un ragazzino, come faceva quando lo era. A quei tempi, lui era poco più che un bambino e lei era già così saggia, così... esperta del mondo e di tutte le insidie che vi albergavano... Era un po' come una mamma, anche se la sua età avrebbe fatto pensare più ad una bisnonna. - Tifa non mentiva, quando sosteneva che lei fosse sparita dietro le montagne.
  E quel giorno, Vincent scoprì che fosse proprio lei, la madre di Tifa.
 
 
Noticine:)
Buona domenica a tutti!
Il capitolo di oggi non è molto lungo e non ha azione, ma è forse uno dei più importanti di tutta la storia, in cui facciamo la conoscenza di un personaggio di mia invenzione: Feera. Dubito che la madre di Tifa si chiamasse e fosse così, nella testa degli ideatori di FFVII, ma... è come la immagino io, ed è uno dei personaggi più ambigui di tutta questa storia, presto scoprirete perché...!
Comunque, ora che sappiamo da dove iniziare, la strada da seguire si fa sempre più chiara... o forse no!
Vi do appuntamento in via eccezionale a mercoledì prossimo, ciao!
TheSeventhHeaven

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Capitolo 7
*** L'inizio della fine ***


L'inizio della fine
 
 
  Ruby Weapon si ergeva davanti a loro in tutta la sua maestosità.
Ciò che saltava subito all'occhio erano le sue dimensioni spropositate; già prima non avevano a che fare con una creatura piccola e carina. Figuriamoci ora! - E che cazzo!- intervenne Cid, precedendo Barret di poco.
- E ora che si fa?- domandò Red, riferendosi alle evidenti protesi metalliche che l'animale riportava più o meno in tutto il corpo. - Non sono convinto ci siano buone probabilità di riuscita. Non le avevamo già la scorsa volta.
- Aah! Taci, Red!- borbottò Barret, facendosi avanti. - Se vuoi startene là impalato, bene! Vale la pena provare. - disse, puntando la mitraglia contro la Weapon. Cloud annuì, come per dargli corda; ma prima che potessero azzardare qualcosa contro il nemico, Det li frenò. - Non abbiamo idea di quale sia il suo punto debole, e rischieremmo solo di renderla intrattabile. Secondo me dovremmo aspettare che sia lei, a fare la prima mossa.
Cid rise, nervoso. - Nipote; non voglio darti torto ma... che cazzo mi significa "renderla intrattabile"?! Lo sarebbe lo stesso! - fece notare.
Allora l'ingegnere si strinse nelle spalle. In fondo, erano loro, che se ne intendevano di combattimenti... giusto? Eppure, se avessero mandato quella specie di androide su tutte le furie, non sarebbero riusciti a renderlo vulnerabile, e di conseguenza lui non sarebbe stato capace di disattivarne le funzioni vitali. - Però poi non lamentatevi eh.
  Con un guizzò, i tre uomini si scagliarono contro la Weapon, iniziando un combattimento che, di combattuto, aveva ben poco. Il mostro se ne stava infatti inerme, li lasciava fare, come se non avesse saputo che fare, come reagire ai ripetuti assalti che, in ogni caso, non lo scalfivano di una virgola.
C'era qualcosa che non andava. Da quel che ricordavano, Ruby Weapon era molto pericolosa per gli innumerevoli e spregevoli trucchetti che adoperava; che fine avevano fatto? Perché stava facendo la parte di un sacco da boxe?
  Tifa assisteva alla scena, apparentemente tranquilla; ma, osservandola con più attenzione, si poteva notare facilmente un velo di preoccupazione, nei suoi occhi. Chiunque avrebbe potuto affermare che fosse per le sorti dei compagni. - Ma che...? - Barret non fece nemmeno in tempo a realizzare che la creatura si fosse improvvisamente mossa, che si trovava già in volo. Dopo una traversata di qualche metro, finalmente, cadde; sul viso di tutti si dipinse puro orrore quando, con un rantolo, l'omaccione tentò di sollevarsi, invano: doveva essere stato colpito dai suoi artigli, perché il profondo e lunghissimo squarcio sul suo petto non si sarebbe potuto spiegare in altro modo. - Barret! - urlò la ragazza, correndogli incontro.
Il tempo di sorreggerlo, che dalle ferite iniziarono a sgorgare fiordi di sangue. - Barret! Barret, mi senti? - chiese, in preda al panico, appena vide la lesione che la caduta doveva avergli procurato alla testa. - Barret!
Lui teneva il capo all'indietro, gli occhi sbarrati; emetteva di tanto in tanto qualche mugolio sofferente.
- Barret, non ti addormentare!- cercò di sorridergli, mentre giungeva le mani. - Resta sveglio, Barret! Devi restare sveglio!
Fece appello a tutte le sue forze, pregò che la Materia facesse effetto, evocando un incantesimo di guarigione. Ma non funzionò.
  In quel mentre, Cloud la raggiunse, tentando una cura egli stesso. Un forte bagliore avvolse le sue mani e, per un attimo, pensarono in meglio; ma l'energia non riusciva ad affluire nella maniera corretta. - Maledizione! - inveì il biondo, tirando un pugno in terra.
- C-Cloud... - singhiozzò Tifa. - Cloud, ti prego... continua a provare...- lo implorò, sapendo che se la cavasse molto meglio di lei, quanto a magie. Lui annuì, tremando e ripetendo il gesto una, due, tre volte; ma ancora niente. - Cid! - urlò allora, in direzione dell'amico. Tutti avevano smesso di "combattere", aspettando col fiato sospeso. - Dammi qualcosa!
- E che cazzo dovrei darti?! - gracchiò di rimando.
- Non lo so! Qualcosa! - urlò l'altro, sull'orlo dell'esasperazione.
Il Capitano rovistò nel marsupio che si era portato appresso, febbrilmente, cercando un qualsiasi rimedio che potesse aiutare. Gli si illuminarono gli occhi, alla vista di una piccola fialetta colorata; - E' tutto quello che ho!- scosse la testa, chinandosi e aiutando il ferito ad ingerire. - Resisti, dannazione!
  Intanto, la Weapon non destava segni di vita; sembrava quasi non fosse cosciente di trovarsi lì. Tifa ebbe l'impressione che li guardasse, che la guardasse piangere.
  Scusami. Non era mia intenzione, fargli del male., smentì la stessa voce che, fino a qualche istante prima, non la smetteva di supplicare ed implorare aiuto. Tifa si guardò intorno. Nessuno aveva parlato. Che fosse tutto nella sua mente? Tu sei...?
Sì, sono Ruby., ammise. Era strano: sebbene fosse un mostro, aveva un che di... infantile, quando parlava. Tifa le si avvicinò. Riesci a capirmi?
Oh, no; sei tu, che capisci me., parve ridacchiare in risposta. E' perché anche io sono un mostro?, chiese Tifa, inorridita dalla possibilità che comprendesse le bestie perché loro simile. No, è perché tu sei una di quelli che possono farlo!
Rimase turbata da quell'affermazione. Cosa diavolo voleva dire? Prima, mentre invocavo aiuto, ti ho sentita. Mi dicevi di mantenere la calma, perché presto mi avresti salvata. Ricordi?
No, lei non ricordava nemmeno di averla pensata, una cosa del genere; che l'avesse fatto inconsapevolmente? Cosa dovrei fare?, le chiese comunque, esitando. Uccidimi., fu la secca risposta che la creatura le diede.
Tifa volse lo sguardo a Barret, moribondo. Non credo che potremo farlo, fino a quando ci attaccherai. . Però era strano che la Weapon stessa cercasse la morte
Non è mia intenzione, davvero; è per questo che prima non reagivo. L'unica cosa che desidero è smetterla, con questa farsa. Ma, vedi, c'è una cosa che mi costringe a fare ciòche non voglio. E' la stessa che mi tiene in vita., replicò. E' piccola, tra i miei occhi. La vedi?
No, non la vedeva; quel mostro la sovrastava di una ventina di metri! Ho bisogno che tu ti chini un po'.
  Assecondandola, Ruby Weapon provò ad abbassarsi. - Tifa, spostati di lì! - sentì Cloud urlare, esasperato. Forse disse anche qualcos'altro, ma lei non lo sentì nemmeno. Ora lo vedeva bene: un dispositivo verde brillante troneggiava in mezzo agli occhi vispi della creatura. Non era poi tanto piccolo. Come fare, per distruggerlo?
Avrebbe potuto provare con le maniere forti, ma forse avrebbe solo rischiato di aggravare la situazione. Beh, essendo una macchina, un lampo doveva essere sufficiente... no? Non ti preoccupare, assicurò la Weapon, ora ti aiutiamo. O forse, semplicemente, doveva lasciare spazio a chi se ne intendeva. - Det! - chiamò l'ingegnere, che fino a quel momento aveva assistito alla scena senza batter ciglio. - Lo vedi, quello? - indicò l'impianto, appena il biondo le corse incontro. - Dobbiamo disattivarlo, per sconfiggerla.
- E tu come lo sai? - le chiese, dubbioso. - Lo so e basta! Puoi fare qualcosa? Se ci mettessi mano io, - asserì. Non voleva che qualcuno sapesse della conversazione tra lei e quel mostro. - temo finirei per combinare un guaio.
Lui annuì. - Sei sicura che non mi azzannerà come ha fatto con il vostro amico?- chiese, accendendosi un'altra sigaretta. Lei comprese che quello fosse il suo modo per allontanare ansia e preoccupazioni.
Guardò la Weapon. Stai buona, d'accordo?, la rimproverò, come una madre avrebbe fatto con un figlio che ne combinava di tutti i colori. - Sì, fidati di me. - disse quindi all'uomo.
Ruby si abbassò ancor di più, permettendo al nipote di Cid di avvicinarsi ed iniziare l'opera. E' lui, quello che mi aiuterà?, domandò Ruby alla barista, dubbiosa. Det osservava quell'affare, concentrato, cercando di capire come smontarlo. Sì, sa quel che fa. Ma vorrei sapere... perché... perché vuoi morire?
  Mi ricordo di voi, sai? All'epoca non volevi sentire la mia voce., iniziò a spiegare, con tono di rimprovero. Tutto quello che tu e gli altri volevate era uccidermi e, quando siete arrivati qui, ho capito che forse voi mi avreste potuta salvare. Poi ho sentito che rispondevi alla mia richiesta d'aiuto, che finalmente eri disposta ad ascoltare un mostro. Vedi... io lo desidero perché... perché sono già morta, perché ormai non dovrei più stare in questo posto. Io stavo riposando quando, ad un tratto, qualcuno mi ha chiamato. Parlava bene, sai?, raccontò, rendendola partecipe del suo ricordo. Aveva una voce così rassicurante, che accettai tutto quello che mi diceva.
Chi era?, indagò, guardando Det impugnare un cacciavite. Non lo so, ma poteva parlare con me e con le altre. Tifa ebbe come l'impressione che " le altre " fossero le altre Weapon. Anche se in modo diverso dal tuo.
Cosa intendeva dire? In modo diverso dal suo? Però non ha fatto nulla di tutto quel che aveva promesso. Ci ha subito rilegate in questi corpi e per molto tempo, la sua sfera ci ha controllate. Questo significava che era là già da un po'?
Chi diavolo era, quella persona che aveva riportato lei e le altre Weapon in vita?
 
  - Tifa...? - provò a bussare. Aveva suonato il campanello già tre volte, ma non aveva ottenuto risposta e stava iniziando a stufarsi. - Cloud? C'è nessunoooo? Aprite, dai! Lo so che siete davanti alla porta!
Ancora niente. Ma dove diamine si erano cacciati, tutti? - Temo che non ci siano... - sospirò affranto un ragazzo, facendola trasalire. - E tu da dove sbuchi? - gli domandò Yuffie, con malagrazia. Doveva starlo guardando in maniera truce, perché quello aveva assunto un'espressione terrorizzata. - Mi stavi pedinando? - andò avanti ad indagare, sospettosa. Odiava i maniaci!
- No, no! Assolutamente! - si affrettò a smentire quello. Era buffo. - Non farei mai una cosa del genere! - Era un ragazzone eppure temeva seriamente che uno scricciolo come lei potesse fargli qualcosa? - Io sono un dipendente della dita di consegne del signor Strife. Mi chiamo Carter, tanto piacere! - le tese una mano. Lei la guardò con circospezione, prima di stringerla a sua volta. - Yuffie Kirasagi, maestra del Ninjitsu, grande cacciatrice di tesori e, sopratutto la splendida, nonché unica, Rosa bianca di Wutai!- rispose fieramente, assumendo una posa da eroina. Lui represse l'istinto di chiedere cosa significasse. - Sei un dipendente del "signor Strife" e...? - continuò.
- Beh, ieri mi aveva detto di farmi trovare puntuale nel suo ufficio, per delle consegne; ma... ecco, sono qui da due ore e non c'è nessuno... - spiegò, sconsolato.
- Ahah, credo proprio che quel mattacchione di Cloud se ne sia dimenticato... - scosse le spalle. - Probabilmente ora starà dormendo, o sarà da qualche parte a fare il preso male... E' fatto così. - sorrise. - Come fai a conoscere il signor Strife? - le domandò allora, incuriosito dalla familiarità che la ragazza pareva avere con il suo datore di lavoro. Yuffie dovette pensarci un po' su, prima di dare una risposta. - Beh... diciamo che siamo amici di vecchia data! Ero venuta qui per chiedergli se sapessero dove sia finito un nostro amico, sai... non so se tu abbia seguito le ultime notizie, ma ieri notte un mostro ha combinato casino - raccontò, sedendo in terra come aveva fatto Carter; lui annuì in risposta. - e questo nostro amico era là.
Evitò di ammettere che potesse essere stato in mezzo alla ressa solo perché prima aveva accompagnato lei. - Non l'ho più visto...
- Ah... capisco... - sospirò lui, pensoso. - Beh, si sarà nascosto da qualche parte... no?
Beh, conoscendo Vincent, sarebbe stato capace perfino di dare la caccia a quel mostro; non era il tipo da darsela a gambe levate... o forse sì? Chissà che non fosse di nuovo andato a chiudersi in una bara... - Cosa facciamo, intanto? - chiese Carter, pensoso. A Yuffie venne in mente una brillante idea.
- Proviamo a fare irruzione! - suggerì, raggiante.
  Era l'inizio della fine
 
 
Noticine:)
Salve! Eccomi qua, come promesso!
Questa volta, il capitolo è un po' più lunghetto del solito ed è quasi del tutto inedito! La prima parte è un surrogato dello stesso capitolo che, tanto tempo fa, avevo scritto per la precedente versione ma non sapevo in che momento della storia inserire... ora ho trovato il modo!
Per quanto riguarda Yuffie e Carter, avevo in mente, sin da quando ideai quel personaggio, di farli incontrare e dar luogo ad una bizzarra amicizia perché, beh, hanno molto in comune, quei due!
In ogni caso, io vi aspetto domenica con il capitolo successivo: Il ricordo.
Ciao a tutti!
TheSeventhHeaven
 
P.S.: ci tengo particolarmente a ringraziare Devilangel476, che mi fa sempre sciogliere il cuore e spuntare un sorrisone a trentadue denti, con i suoi commenti! (toh, una rima!)

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Capitolo 8
*** Il ricordo ***


 
Il ricordo
 
 
  - Riesci a starmi dietro? - chiese Feera.
Il solo racconto di quanto accaduto a sua figlia era riuscito a smuoverla dal suo antro marcio e buio, dalla sua tana da eremita. Forse, non era poi così fredda come Vincent la ricordava. - Prima di andare da lei, devo riprendere qualcosa che mi appartiene. Siamo diretti a Kalm, nel caso te lo stessi chiedendo.
- Dista molto. - disse solo, scettico. Lei lo zittì con un gesto stizzito. - Non ci impiegheremo più di un'ora. Allora, riesci?
Lui annuì. - Ah, non ti spaventare, ora. - continuò quella, sorridendo. In un attimo, i suoi arti presero ad allungarsi, le unghie ad aguzzarsi e i suoi denti, già affilati come quelli di uno squalo, divennero vere e proprie zanne.
La madre di Tifa aveva assunto il suo aspetto di Behemoth e l'uomo temette per un istante che potesse balzargli sopra; ma, a differenza del mostro in cui si trasformava la figlia, gli occhi di Feera rimanevano lucidi ed il suo sorriso lo stesso di sempre.
  Gli fece cenno di seguirla e, con uno scatto, si addentrò nel folto della radura; sebbene a Vincent parve rapidissima, sapeva che non stesse impiegando il massimo della sua velocità.
Allora corse, come non aveva mai fatto in vita sua, con il peso dell'umidità, la vista annebbiata dalla foschia, la stessa che nascondeva il terreno ed i suoi tesori da occhi indiscreti.
Riusciva a malapena a distinguere gli alberi e, fece appena in tempo ad accorgersi di aver pestato qualcosa, che quel qualcosa gli si attorcigliò alla caviglia. Un serpente, constatò con orrore.
  Vincent era un uomo, un uomo di più di un metro e novanta; ne aveva viste e passate così tante, che ormai niente poteva anche solo sfiorare il suo animo. Era impassibile, inespressivo, austero . Ma non poteva negare di avere una semplice fobia per tutte quelle cose viscide e squamose che strisciavano.
Tutto risaliva agli inizi della sua carriera di Turk, quando si era ritrovato un boa a scaldargli il collo. Da allora, la situazione era degenerata e ci mancava solo che prendesse a strillare come una donnetta, appena vedeva una serpe.
E aveva odiato Cloud con tutto il suo cuore quando, ancora una volta, aveva stabilito che si andasse a sconfiggere il Midgar Zolom; soprattutto, si era odiato per la sua debolezza. Avrebbe storto il naso perfino davanti ad una cecilia, o un verme...
  Una volta, suo padre gli aveva spiegato che i serpenti non agivano in branco, erano esseri solitari; un po' come lui. Se ne stavano quatti quatti a terra, nell'ombra, aspettando una preda che mandasse avanti la loro misera esistenza. Pensavano solo a se stessi, tutto qui.
La differenza tra lui e le serpi era proprio quella. E, come gli disse suo padre, loro strisciavano perché non sarebbero mai state capaci di elevarsi oltre.
Sebbene lo sapesse e la convinzione albergasse nella sua mente, Vincent non poteva far a meno di rabbrividire.
  Carbonizzò la creatura con una delle Materia che aveva preso con sé, quandò realizzò di aver perso di vista la compagna. Si chinò, tentando di scorgerne le orme, ma i passi di Feera restavano indistinti sul terreno. Nessun segno del suo passaggio.
A quel punto, si affidò completamente al suo olfatto e al tanfo di carogna che, più procedeva, più si faceva percettibile. Il suo odore caratteristico, lo stesso che richiamava a una vita selvaggia, immersa nella natura e nelle bestie che la abitavano; l'odore di una di loro; ecco chi era, Feera.
  Si fermò laddove finivano gli indizi, dove l'unica cosa che avvertiva era l'umidità; perciò, piuttosto che vagare fino a perdersi, decise di sostare, sapendo che, prima o poi, lei sarebbe tornata indietro a cercarlo.
Si sedette su un masso, sperando di non fare altri incontri spiacevoli; ma il fato gli era evidentemente avverso.
Qualcosa di simile ad un lupo gli correva incontro, e Vincent fu pronto al combattimento; prese a sparare, indietreggiando di poco e tentando di prendere la belva al cuore o in un occhio. Ma la foschia lo ostacolava e gli era davvero difficile prendere la mira.
Intanto, la belva era stranamente tornata sui suoi passi, dando all'uomo il tempo di realizzare che stesse andando a chiamare il resto del branco.
Si appostò allora su un albero, analizzando le diverse possibilità che aveva; non sarebbe fuggito, ma sparar loro contro sarebbe stato improponibile. Di usare la Materia cui aveva fatto ricorso poco prima non se ne parlava, o avrebbe appiccato un incendio, con tutto il fuoco che avrebbe dovuto impiegare. Aveva un'ultima carta vincente.
 
  Il piano ebbe un ottimo esito, e di disse soddisfatto, nel vedere le figure di una ventina di mostri ridotti a statue di ghiaccio. Proprio quando stava per andarsene, un altro gli sbarrò il passo. Come aveva fatto ad essere così distratto?
Doveva essere il capo branco, altrimenti le sue considerevoli dimensioni e la sua aria così famelica come si spiegavano? - Vincent? Sono io. - asserì con una voce tanto mostruosa quanto familiare.
- ... Feera? - si ritrovò a chiedere come un rimbambito. Si sorprese perfino del tono in cui l'aveva detto. - Sì, Feera! Temevo ti fossi perso. Proseguiremo più lentamente, d'accordo?
- Sì. - rispose atono. Ma una cosa non gli era ben chiara. - Come faremo, ad arrivare?
- Mai sentito il detto "Tutte le strade portano a Kalm"? - ironizzò lei, ottenendo un'occhiata tagliente. - Sei una persona davvero triste, Vincent. - sghignazzò. Non che lei fosse meglio. - Non mi hai ancora risposto.
- Ho un modo molto speciale, per muovermi.
 
  Lentamente, si chinava, sempre di più... fino a baciare la terra.
Sillabe bizzarre e toni lusinghieri volavano nel vento. Feera stava parlando con qualcuno, lasciando che le sue dita scorressero sulla sabbia fine e fredda. Vincent aveva uno strano dejà-vu.
La donna si alzò e, anche per uno come lui, che di quelle cose ne sapeva poco, la concentrazione e la risolutezza che gli occhi di lei emanavano era sorprendente. Attorno a lei aleggiava una strana energia, che sembrava quasi comunicare con qualsiasi cosa le stesse attorno; perfino con lui. In fondo, Vincent aveva seguito con attenzione il racconto che Feera aveva esposto, riguardo ai Cetra come lei. Capelli scuri, come la notte, come il buio, come quelli della donna ; e quelle iridi, rosse, scarlatte, come il sangue, oh...
Non era da escludere che lui avesse a che fare con tutto ciò. Non era da escludere che lui conservasse qualche traccia di quel popolo misterioso e dimenticato, quel popolo che interagiva con le bestie. E chi poteva saperlo, dopotutto? Suo padre non aveva mai parlato delle proprie origini né di sua moglie. La madre di Vincent giaceva priva di ricordi, e forse solo lei, solo Feera, avrebbe potuto dirgli la verità.
Ma lo voleva davvero? Voleva davvero scoprire qualcosa che avrebbe potuto fargli male? Non aveva già sofferto abbastanza?
  Lei pareva ancora spiritata; molto presto l'uomo scoprì a che cosa fosse servito quel rito che, davanti alla gente comune, sarebbe parso una cosa per fuori di testa.
Dall'acqua emerse qualcosa che fece impallidire - sebbene pallido lo fosse già - il povero Vincent.
  - Questo è il Midgar Zolom. - prese infatti a spiegare la Cetra. - Quello vero. Molto tempo fa, quando ero ancora piccola, si raccontava di un'enorme serpentone, il cui scopo era quello di proteggere il mare dagli intrusi. Anche se si trattava di una leggenda che si raccontava per spaventare i bambini, alcuni sciamani del mio popolo lo avevano incontrato. - sorrise, avvicinandosi al rettile. - Io ne ho fatto la conoscenza durante il mio esilio.
Il rettile poggiò il capo sulla sabbia, esibendo due occhi che avevano in sé le onde dell'oceano. - Lo so che sei perplesso, ma non c'è altra soluzione. Non avrai paura di questo cucciolo, spero! - rise, accarezzando le squame nivee di quel "cucciolo".
- Vieni. - lo aiutò a salire. Era una sensazione strana, insolita e ripugnante, ma doveva ammettere che fosse una trovata geniale.
- Allora...- attaccò bottone Feera, una volta che il Midgar Zolom aveva preso a nuotare. - Parliamo della mia ricompensa.
Ah, già; la ricompensa. Se n'era dimenticato. - Ti ho chiesto aiuto per tua figlia. La cosa dovrebbe riguardare anche te. - scosse la testa, sapendo di star sprecando inutili parole. Lei non avrebbe cambiato idea, lo sapeva. - Un patto è un patto, Vince; - sostenne infatti lei, irremovibile. - e solo perché si tratta di Tifa, non vuol dire che annullerò l'accordo.
Non avrebbe potuto sperare che cambiasse idea, in fondo. - Voglio il tuo ricordo più prezioso. - sentenziò dunque. Il... ricordo più prezioso? Cosa se ne faceva?
- Ciò per cui mi serve non è affar tuo. - rispose, come se avesse intercettato la domanda - non che ci fosse da sorprendersene, data la sua abilità. O forse, chiunque sarebbe stato capace di indovinare la domanda che echeggiava nella sua testa. Era così ovvia...
Vincent sospirò, impercettibilmente. - Prendilo, allora.
  In passato, aveva compiuto molti sacrifici, per sé e per gli altri. Lo avrebbe fatto di nuovo, e questa volta per Tifa. C'era qualcuno per cui, invece, non aveva potuto fare nulla; ma chi era?
  Lunghi capelli castani, una risata fragorosa ed un sorriso dall'infinita dolcezza; che fosse Aerith? No, non era lei; i capelli, la risata ed il sorriso non erano i suoi. Non erano di nessuno.
  Una lieve brezza lo avvolse e, mentre chiuse gli occhi, cominciò a dimenticare; fino a che, della donna che aveva amato per una vita intera, non rimase più l'ombra di un
ricordo.
 
Noticine:)
Beh, questo capitolo lo ricorderete: è rimasto lo stesso, più o meno; forse perché non poteva essere altrimenti o forse perché mi piace semplicemente troppo!
Comunque, passando alle cose serie: siccome ho troppi capitoli e troppo poco tempo per pubblicare, domani, 6 luglio, ci sarà un altro aggiornamento, così come mercoledì 8 e, se dovessi essere a casa, anche sabato 11. Più che altro, so che vivete anche senza, ma mi sentirei in colpa se dovessi partire e pubblicare un capitolo dopo circa un mese!
Con ciò, vi lascio e vi esorto a dirmi cosa ne pensate, se sto sprecando tempo o no, se sto scrivendo scempiaggini o meno. Bye!
TheSeventhHeaven

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Capitolo 9
*** La goccia che fa traboccare ogni vaso ***


 
La goccia che fa traboccare ogni vaso
 
 
  Appena arrivati a Rocket Town, non ci fu un attimo da perdere.
Nel bel mezzo di un diluvio, Tifa si mise ad armeggiare con la porta, agitata, fino a che Shera venne ad aprire e, senza nemmeno avere il tempo di chiedere cosa fosse successo, Cloud e Cid vi corsero dentro, sorreggendo un Barret ormai moribondo.
Quel che il Capitano gli aveva somministrato prima - non avevano nemmeno idea di cosa fosse, a dire il vero - aveva fatto poco effetto, giusto quello di rimarginare le ferite più piccole; ma l'artigliata più grave gli pulsava ancora nel petto.
  Lo adagiarono su un letto, mentre Red spiegava la situazione alla padrona di casa e Cid frugava tra i cassetti di un armadio, imprecando come se non ci fosse stato un domani. Era convinto di aver conservato qualche pozione; ma dove accidenti le aveva messe?
- Proviamo insieme, con la Materia di cura. - suggerì intanto Tifa, al capezzale dell'amico. In fondo, non avevano altre alternative. - Buona idea. - annuì Cloud. - Det, - lo chiamò. Quello se ne stava sullo stipite della porta, non sapendo dove sbattere il naso. - Aiutaci anche tu. - gli lanciò una delle sfere verdognole che aveva con sé dal loro lungo viaggio.
  Si posizionarono tutti e tre attorno a Barret, imponendo le mani laddove lo squarcio aveva ripreso a sanguinare e Det, sebbene non avesse mai usato una Materia in vita sua, se la cavava molto meglio degli altri due.
Le condizioni dell'uomo davano segni di miglioramento, ma c'era ancora qualcosa che impediva una guarigione completa. - Non capisco. - iniziò Cloud per primo. - Perché non funziona? Non saremo i migliori guaritori in circolazione ma... ma abbiamo esperienza, e siamo in tre. La cura dovrebbe essere efficace.
- ... Che il colpo gli abbia inflitto qualche effetto collaterale? - ipotizzò la ragazza, osservando attentamente il taglio. La carne era a tratti come carbonizzata. Sembrava... - E' un'ustione. - affermò infatti Det, ricevendo un'occhiata interrogativa. - Io sono specializzato in progettazioni ma... spesso assisto una dottoressa, una delle migliori . Si sono riscontrati dei casi in cui un paziente aveva subito un attacco che, una volta andato a segno, diffondeva un fuoco interno. - spiegò.
Cloud impallidì. Che razza di diavoleria era mai quella? - Conosci il rimedio?
- Io no, - afferrò il cellulare. - ma lei sì. - si allontanò da loro. Dall'altra stanza lo so poteva sentir discutere animatamente con qualcuno.
  Rimasti soli, nessuno dei due spiccicò parola, aspettando che Det tornasse dentro ed emanasse la sua sentenza. Però c'erano numerosi dubbi, ad assillare Cloud.
Con la coda nell'occhio, guardò Tifa. L'attenzione di lei era interamente rivolta all'omone che giaceva sulle coperte, privo di sensi; gli carezzava la fronte, con fare amorevole, come avrebbe fatto con un bambino.
Era così: si preoccupava per tutti, ma non lasciava che qualcuno si preoccupasse per lei. Erano in una posizione di stallo, e Cloud lo sapeva, lo sapeva bene. Non poteva attribuirgliene la colpa, il danno l'aveva causato e voluto lui; ma di certo l'improvvisa riservatezza della barista rendeva le cose ancor più difficili di quanto già non fossero. - ... Tifa. - sussurrò, senza quasi rendersene conto.
Lo sguardo di lei si posò sul suo, con un guizzo; ma non vi era null'altro che stanchezza e preoccupazione. E qualcosa gli diceva che, no, la spossatezza non fosse dovuta all'incontro con Ruby Weapon e l'ansia non fosse solo per ciò che era accaduto a Barret. C'era qualcos'altro, qualcosa di strano, che non quadrava; e lui voleva vederci chiaro, a costo di usare le parole, le parole che tanto odiava. - Tutto bene? - indagò quindi.
Che domande... - Sì. - sapeva che avrebbe risposto così, con un monosillabo che avrebbe ucciso una conversazione, ancor prima che potesse nascere. Ma, dopotutto, lui non faceva lo stesso? Si era nascosto nei silenzi per tanto tempo, non dandole la possibilità di aiutarlo; con quale diritto, allora, lui pretendeva un trattamento diverso?
- Sai... - prese a camminare per tutta la stanza, irrequieto. - mi chiedo proprio cosa sia accaduto, di preciso. - se lo stavano chiedendo tutti. - Insomma... la Weapon... era come... ignara di quel che stava facendo. A tratti c'era, e a tratti... - si bloccò, avvertendo un groppo alla gola; e sul bel viso della ragazza vide sorgere la stessa domanda che gli era balenata in mente: stava parlando di Ruby o di se stesso? - Non c'era. E poi... chi sarebbe così folle da resuscitare una cosa così pericolosa? - stava quasi diventando logorroico.
  Attese una risposta, credendo - e a ragione - che lei ne avesse; ma cos'avrebbe dovuto dire Tifa, dal canto suo?
Avrebbe potuto dirgli tutto. La trasformazione, il dialogo con la Weapon... ma, soprattutto, il responsabile; colui, o meglio, colei che aveva riportato in vita quelle creature così pericolose.
Poco prima di disattivarsi, poco prima di quel " Ti ringrazio" che le aveva sussurrato al cuore, Ruby glielo aveva rivelato, il nome, sebbene non avesse idea di chi fosse; ma Tifa lo sapeva, lo aveva riconosciuto. Solo, non poteva e non voleva crederci.
  No, non gli avrebbe mai permesso che lui venisse a sapere di tutto quello che le stava succedendo. - Forse, il dispositivo che la teneva in vita aveva qualche guasto. - mentì scioccamente. Aveva appena smesso di piovere. - Ma ora Det lo ha smontato e distrutto, perciò non c'è più pericolo, no?
Cloud annuì, quando gli sorse un atroce dubbio.
  Det era un esperto, in quelle faccende; forse se ne intendeva anche più di suo zio.
Era uno dei migliori tecnici in circolazione, stando a quando pubblicizzava, ma... come aveva fatto, in meno di dieci minuti, a capire come trattare una cosa così delicata? Aveva detto, a missione conclusa, che l'impianto di cui era stata dotata la Weapon fosse uno dei più complessi che avesse mai visto. Aveva detto che alcuni cavi fossero collegati secondo uno schema elaborato, quasi impossibile, da inquadrare.
Aveva detto che c'era anche un sistema di autodistruzione. Nessun ingegnere sarebbe stato capace di occuparsi di una cosa del genere così bene e velocemente; perciò le cose erano due: o era davvero un genio, oppure aveva a che fare con tutta quella storia.
Scosse la testa. Non avrebbe dovuto dubitare di lui; in un momento del genere, avevano bisogno di restare tutti uniti.
  - No, niente. - ricomparve quello, dall'aria evidentemente seccata. - Non risponde. Ho anche provato a chiedere ad altri ma mi hanno detto che lei non c'è.
- Ed io ho controllato in ogni angolo di questa fottuta casa, ma non c'è nemmeno l'ombra di qualcosa che possa esserci utile. - intervenne Cid, seguito da Red. - Ed ora che si fa?- chiese quest'ultimo. Non ottenne risposta.
Cloud osservò il viso di Barret, ancora contratto in una smorfia di dolore.
  Quando si erano conosciuti, non avrebbe mai pensato di poter stare così in pena per lui. All'epoca, il suo unico interesse era piazzare la bomba in quel reattore, scappare in tempo ed intascarsi i suoi soldi; nulla di più.
Ed ora? Cosa ne sarebbe stato, dell'uomo, dell'amico che aveva fatto tanto per il Pianeta e per lui stesso? - Non lo so. - ammise, con un filo di voce.
Odiava essere impotente, e non era la prima volta che accadeva. Per colpa della sua inutilità, avrebbe perso un'altra persona importante. Per colpa della sua inutilità, Barret se ne sarebbe andato, proprio come Aerith.
Già, Aerith... Lei sarebbe stata in grado di fare qualcosa, e non solo perché era la migliore, con le Materia di guarigione.
Lei era sempre stata in grado di fare qualcosa, per portare un po' di luce nelle vite degli altri; con un fiore tra il metallo di Midgar; con un sorriso tra il sangue delle battaglie; con uno sguardo nei suoi momenti più cupi; con la sua tacita preghiera nel momento in cui un uomo stava per urlare la più grande bestemmia contro il mondo.
Se solo... - Vado a cercare qualche rimedio in una farmacia. - intervenne Tifa a quel punto, pronta per uscire. Sperava di trovare qualche buon farmaco o anche solo un paio di elisir, ma non era solo quello; le ci voleva un po' di aria fresca.
Gli altri annuirono e Cid, senza nemmeno guardarla, le mise in mano dei soldi; ma prima di lasciare la casa, ebbe il tempo di sentire qualcosa.
Un lieve, triste e quasi impercettibile bisbiglio, la verità. E non ci fu nemmeno bisogno di chiedere chi la avesse pronunciata.
  - ... Se solo Aerith fosse ancora qui...
 
  - Grazie, e torni a trovarci! - sorrise la farmacista, mentre Tifa abbandonava il piccolo edificio. Una goccia d'acqua le cadde in testa; e poi due, tre, quattro gocce.
 Stava ricominciando a piovere e tutti gli abitanti di quel paesino, ancora fuori, si affrettavano a rincasare. Un gruppetto di bambini protestò, alla venuta dell'ennesimo temporale estivo, mentre altri si divertivano a schivare le pozzanghere.
Strinse il sacchetto che aveva tra le mani e, mentre si prodigava affinché questo non si bagnasse, sempre dell'acqua le rigò il volto; ma non era pioggia. Che sciocca.
  Sapeva, aveva sempre saputo, di non valere niente, per Cloud.
Forse una volta, quando erano ancora piccoli e lei non lo avrebbe quasi calcolato; forse una volta, prima di incontrare lei. Fino ad allora, era stata l'unica.
L'aveva invidiata per questo e, spesso, aveva sperato che se ne tornasse da dove era venuta; aveva invidiato la sua grazia e la sua freschezza, la leggerezza con cui pronunciava le parole e la sua naturalezza, quella stessa naturalezza che Tifa non avrebbe mai avuto. Ma non l'aveva odiata e, anche quando lei se n'era andata per loro, non era stata capace di farlo.
 La morte di Aerith aveva distrutto Cloud; ma non si era mai data per vinta, non aveva gettato la spugna, al contrario, aveva continuato, aveva insistito.
Con il tempo, aveva capito di non voler essere come lei, aveva capito che non era necessario che lo fosse, per ricevere un po' di affetto. Aveva capito che non sarebbero mai state uguali, ed era giusto così. O forse, più che capito, lo aveva sperato.
  Non importava che gli fosse sempre affianco, non importava che stessero crescendo due bambini insieme; e non importava nemmeno che lo avesse sempre accolto a braccia aperte, anche quando spariva per settimane e tornava senza dire una parola. Ma chi voleva prendere in giro? La verità è che Cloud non ha bisogno di me.
Non sarebbe mai stata la sua prima scelta, lei era solo un rimpiazzo, un contentino che lui, tra l'altro, nemmeno voleva. No, tutto ciò di cui Cloud aveva bisogno era Aerith, solo lei. Aveva bisogno di sentire il suo profumo floreale, i suoi rimproveri che avevano sempre e comunque un che di dolce. Lui aveva bisogno di vedere una lunga treccia di morbidi boccoli castani, e quegli occhi, quegli occhi che, per l'amor del cielo, splendevano di vita in ogni momento.
Perché non lo aveva capito prima? Perché era stata così cieca da illudersi che, prima o poi, si sarebbe abituato a lei, al suo profumo ambrato, ai suoi rimproveri che non ammettevano repliche, ai suoi lunghi e sottili capelli scuri e a quegli occhi rossi come il sangue? Si era illusa ed era rimasta delusa; buffo, come le due parole fossero così simili ed avessero due significati strettamente legati l'uno all'altro.
  Se ci fosse stata Aerith, in quella situazione, Barret non avrebbe rischiato di rimetterci la pelle; sarebbero stati tutti a fare i salti di gioia. Non si sarebbero nemmeno trovati a casa di Shera, perché lei lo avrebbe ristabilito seduta stante.
E la Weapon, oh, beh, avrebbero trovato comunque un modo per toglierla di mezzo, magari senza l'inquietante abilità di parlare con una bestia.
  Se ci fosse stata Aerith, Cloud sarebbe stato felice. Tifa si trovava nel luogo sbagliato, al posto di qualcun altro; tutto qui.
  Cercò di scostarsi una ciocca di capelli che le ricadeva in viso, impedendole di scorgere qualcosa che andasse oltre ai suoi piedi. Affondavano nel fango. Troppe gocce e lacrime incorniciavano il suo flebile sorriso; un sorriso di sconfitta.
Volse lo sguardo, appannato, al cielo, come sperando che potesse offrirle una  soluzione; e la soluzione arrivò. Si ricordò della proposta di Alexandra, del rimedio che le aveva illustrato per il suo "piccolo" problema; lo stesso che lei aveva rifiutato, perché assumerlo implicava troppe rinunce.
E poi si ricordò di quel nome, quel nome che Ruby Weapon aveva detto prima di spirare - di nuovo . Ora che sapeva la verità, sapeva che Alexandra poteva esserle davvero d'aiuto.
  Giunse davanti a casa di Cid, ma decise che non avrebbe oltrepassato quella soglia; e ancora non sapeva che non lo avrebbe fatto mai più.
Quando era bambina, spesso i suoi amichetti si divertivano a bussare o suonare i campanelli dei vicini e scappare prima che questi potessero aprire. Un gioco stupido, ma sembrava così divertente...
Posò davanti all'uscio il sacchetto che conteneva ogni genere di cosa utile per Barret, e suonò, seguendo l'approccio di quel giochetto demenziale. Corse via, più veloce che poteva, sorridendo e piangendo.
Mentre si allontanava, estrasse il telefonino dalla tasca, cercando un numero, sulla rubrica. Lo digitò, sapendo di star facendo la cosa giusta.
  Avrebbe accettato di assumere quel farmaco, nonostante ne conoscesse l'effetto collaterale, anzi, forse era un bene, che ci fosse. Avrebbe abbandonato tutti per metterli al sicuro dalla feroce bestia che viveva in lei, ma anche per restituir loro qualcosa che potesse veramente renderli felici. - Pronto? - udì la voce dal ricevitore.
- Alexandra... - rispose, cercando di sopprimere i singhiozzi. - Ho preso una decisione. - affermò. - Oh, bene! - esclamò lei, senza nemmeno chiedere a cosa si riferisse.
 - Ma ho anche un grande favore da chiederti.
 
Non importa cosa mi chiederà in cambio, non importa se il suo progetto è folle; ormai non m'interessa. Però, una cosa la so e ne sono sicura: te la riporterò, Cloud. Lo prometto.
 
Noticine:(
Faccina triste, sì, perché questo è uno dei capitoli più tristi che abbia mai scritto.
Nella precedente long, la scena in cui Tifa apprende la verità ( almeno, secondo lei) era molto diversa, ma ora le cose sono cambiate e si evolvono. Da qui in poi, spunteranno capitoli quasi del tutto inediti, perciò, come diceva una mia insegnante: antennine alzate! Tifa è un personaggio molto complesso e "ampio", forte e debole al tempo stesso; qui, dopo tutto quello che le sta succedendo, non ce la fa davvero più... penso che tutti noi, anche quelli che hanno una pazienza infinita, esplodano; chi prima e chi dopo. E poi, beh... nella vecchia fic, non sapevate ancora chi fosse il responsabile del ritorno delle Weapon, eh? Ebbene sì, Alexandra non è così buona e gentile, ma questo si deduceva già da quel che Feera diceva a Vincent nella precedente FF, perciò... sappiate che la sua cattiveria non finisce qui!
Ed ora, vi saluto e vi rimando a mercoledì prossimo, se volete saperne di più!
TheSeventhHeaven

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Capitolo 10
*** Tratto caratteristico ***


Tratto caratteristico
 
 
  Un piccolo petalo candido volteggiava per aria come in una danza; e così molti altri che, spinti da una brezza leggera, davano vita ad uno spettacolo mozzafiato.
Tutti gli abitanti andavano fieri di quel ciliegio: in così poco tempo era già diventato forte e maestoso. Si diceva che fosse stato dato in dono da una donna di Wutai, in viaggio di ritorno verso casa; per ringraziare dell'ospitalità, aveva regalato i semi per quello splendido arbusto, diverso da quelli della sua terra natale ma ugualmente bello.
Quella splendida pianta era situata appena davanti all'ingresso della cittadina, come a voler dare il benvenuto a tutti i suoi visitatori. - E' curioso. - sorrise Feera, avvicinandosi all'albero. - Non lo ricordavo.
- Sono cambiate tante cose, durante la tua assenza. - disse semplicemente Vincent. In fondo, lui sapeva meglio di chiunque altro che fosse normale che non ci si ritrovasse più nel mondo, dopo essere spariti per tanto tempo.
  Oltrepassarono il ciliegio e finalmente entrarono nel cuore di Kalm. Pareva molto desolata, ma in realtà tutti i cittadini si erano rifugiati in casa dal caldo, probabilmente davanti ad un ventilatore. - E' lì, che dobbiamo andare. - indicò lei.
E così era quella casupola, la loro destinazione. La donna bussò, e subito dalla porta si sporse un arzillo vecchietto, dall'aria minacciosa. - Chi siete? E cosa volete? - tuonò, impugnando un bastone come fosse un'arma. Alto poco più di Vincent, non poteva avere meno di settant'anni; eppure, sembrava avere un fisico ancora ben allenato. Com'era possibile?
L'ex Turk si accorse degli occhi luminosi di lui, dello stesso colore dei suoi e di quelli di Feera, e capì al volo. Anche quell'uomo era un Antico, dunque. - Vedo che non hai perso quel tuo brutto caratteraccio, Tom. - ridacchiò lei, avvicinandosi all'anziano. - Ma a quanto pare la vista sì.
Lui parve come incredulo. - Sei tu? Che ci fai, qui? - domandò allora, abbassando il bastone. - E chi è, questo giovanotto?
- Lui è uno dei pronipoti di Leereca. - replicò quella, entrando in casa con nonchalance. Evidentemente, doveva conoscere il posto molto bene. - Che cosa? - domandarono i due uomini, all'unisono.
- Non dire fandonie! - sbuffò il vecchietto. - Leereca non si sarebbe mai mischiata con certe... bestie. - sembrava quasi infastidito dall'idea. Vincent dovette ammettere a se stesso di non starci capendo nulla. - Signor Thomas...
- Non mi chiamo Thomas; per carità. Sono Tomeeca. - lo interruppe. - Signor Tomeeca, - si corresse quindi. Aveva a che fare con un uomo piuttosto esigente. - chi è, questa Leereca?
Tomeeca si lasciò cadere pesantemente su una sedia, come stremato; e, in fin dei conti, lo era ogni volta che doveva rievocare quel ricordo. - Mia sorella. Quando esiliarono Feera, io e mia sorella ci opponemmo e pertanto fummo banditi anche noi.
- Ma Tom, al contrario di lei, non ne volle sapere, di mescolarsi con gli umani. - intervenne la Cetra, scuotendo la testa. Perciò era così... discendeva davvero dagli Antichi! - Sono loro, le bestie di cui parla. - constatò Vincent, senza sorprendersi più di tanto.
- Puoi ben dirlo! Quegli umani... Qualche anno fa, sarei dovuto partire; avevo perfino preparato ogni cosa, facendomi aiutare da dei giovanotti particolarmente gentili. - iniziò Tomeeca, alzandosi e camminando in direzione del cucinino. - Dopo tutti questi anni, ero convinto che a casa non sarebbe più rimasto nessuno, di quei vermi che ci esiliarono. Ma quando arrivai, trovai sì e no una ventina di persone, perlopiù bambini che non avevano raggiunto nemmeno i quarant'anni; il nostro popolo è stato decimato! - sbraitò mentre maneggiava uno strano barattolo.
- Che vuoi dire? - chiese Feera, perplessa. - E' molto semplice. E' tutta colpa degli umani. Mi è stato raccontato che, diverso tempo dopo il nostro allontanamento, un gruppo di umani avesse trovato la nostra tribù. Dicevano che avrebbero reso la vita più facile, con una strana cosa di nome Mako.
La Shinra... la Shinra era arrivata fin lì? Ma come avevano fatto? - Si erano lasciati ingannare: quel Mako aiutava sul serio, ma in breve tempo, i nostri simili cominciarono a dimenticare il linguaggio delle bestie. Puoi ben comprendere che vivere nel mezzo della natura fosse diventato un problema, ed essendo abituati alla solitudine e alla reclusione, erano insofferenti alle città. Per questo, sono rimasti là, a farsi divorare dalle belve per colpa della loro incapacità di dialogo con loro. - concluse, prendendo delle tazze da una credenza. Vi versò uno strano liquido viola.
  - ... Ho capito. - sospirò Feera. - Quindi, resteranno in pochi. Ma perché non sei rimasto con loro? Avresti potuto fare qualcosa per aiutarli.
Lui rise di gusto. - Perché avrei dovuto? Loro si sono cacciati in questa situazione e loro ne usciranno. Non vedo perché avrei dovuto muovere un solo dito, per gente come loro, che si è lasciata contaminare. E Leereca... ora scopro che anche lei pensava bene, degli uomini. - lanciò un'occhiataccia a Vincent. Tomeeca doveva però ammettere che lui avesse molto, della sorella; oltre alla sua altezza, che Feera aveva spiegato essere caratteristica di tutti i Cetra di quella stirpe, avevano lo stesso modo di corrugare la fronte, quando particolarmente assorti nei loro pensieri.
  Posò un vassoio sul tavolo a cui i due erano seduti. - Ah, grazie. E' molto tempo, che non ne bevo. - sorrise Feera, afferrando una tazza. - Bevilo, Vince. E' sangue di Grifone e semi di gelsomino. E' buono.
- Pensavo che voi foste, in un certo senso, amici dei mostri.
- Questo non impedisce di applicare la legge del più forte. Di qualcosa dovremo pur nutrirci. - si strinse nelle spalle. - E poi, non tutti sono disposti a darti retta.
L'uomo in rosso guardò la bevanda riluttante, prima di prenderla in mano. Non aveva l'abitudine di esprimersi sul cibo, ma non poteva negare che fosse davvero buona.
  - Perché sei qui? - domandò il Cetra, preoccupato. Feera non faceva visite, non le aveva mai fatte; neppure quando, per la prima volta, si era stabilito con la sorella in una città. A pensarci bene, quella stessa città non esisteva più.
Lei continuava a sorseggiare quello strano intruglio, come se niente fosse. - Allora?
No, non era lì per rivedere un vecchio amico; quando si faceva viva, significava che qualcosa stava andando storto. - Quando trovai un luogo adatto e decisi di vivere lì, ti affidai una cosa, perché non volevo in alcun modo che la mia famiglia o gli abitanti del posto venissero a sapere delle mie origini. - rispose finalmente, poggiando la tazza. - Ora ne ho di nuovo bisogno.
Tomeeca non replicò. Salì frettolosamente le scale e in un attimo fu di nuovo giù. - Ecco qua. - disse, stringendo qualcosa, tra le mani. - Confesso che iniziavo a chiedermi quando l'avresti voluto indietro. - continuò, scoprendo il misterioso oggetto dal panno che lo avvolgeva. Glielo porse. - Non l'ho mai usato.
- E non ne avresti avuto motivo. - sorrise Feera, alzandosi ed impugnando quello che pareva un bastone. Chiuse gli occhi ed inspirò affondo, beandosi della piacevole sensazione che le dava quel legno, di nuovo in mano sua. - Grazie per averlo custodito, Tom. - sorrise, avviandosi verso l'uscita. - So che chiederti di venire con noi sarebbe inutile.
- Sono troppo vecchio, ora. - scosse la testa. - Quando lasciammo la tribù, avevo la tua età, ma sono passati dei secoli, da allora.
- E' proprio per questo, che ti saluto. Vince, - lo chiamò, dandogli le spalle. Sembrava elettrizzata, dall'idea di essere di nuovo in possesso di quel bastone. - è ora di andare.
  Vincent non replicò, ma un po' gli dispiaceva, andarsene così. Voleva saperne di più, su Leereca. - Fa' attenzione, ragazzo. - asserì Tomeeca, prima che lui potesse richiudersi la porta alle spalle. Aveva un che di apprensivo, la sua voce. - Sei tutto ciò che mi resta, di lei.
Significava forse che lo considerasse parte della sua famiglia? Che lo avrebbe accolto? No, non era più un bambino, poteva stare da solo, e poi... forse quel vecchietto lo odiava. Dopotutto, era il risultato di qualcosa che odiava.
  - So cosa stai pensando, - attaccò Feera, mentre s'incamminavano. Beh, era ovvio: era telepatica! - ma Tom non è così rude come lo vedi e sono certa che non provi rancore, verso di te; anzi. Rivede molto sua sorella, in te; e così anch'io.
- ... La conoscevi bene? - domandò. Stranamente, il cellulare non la smetteva di vibrare; lo spense. Non era proprio il momento, per un altra "conversazione" con Yuffie. - Era la mia amica più cara, come Tom. Fu proprio per questo che, quando mi esiliarono, loro si opposero. - spiegò, con un sorriso amaro. - Ma le leggi erano chiare; chi andava contro le decisioni prese da coloro che se ne occupavano, ricevevano lo stesso trattamento. Fortunatamente, non imposero la mutazione anche a loro. Leereca era proprio come te, sai?
Vincent non sapeva se considerarla una cosa positiva o negativa. - Non era molto incline alle parole ma, quando si decideva a parlare, non era mai per caso. Certo, lei era anche molto timida, ma avete più cose in comune di quanto tu creda. Primo tra tutti, il rimorso per qualcosa che non avete fatto. - sospirò, dando un'ultima occhiata al ciliegio ammantato di bianco. - Anche se, a dire il vero, credo sia un tratto caratteristico della nostra gente...
Era vero, in fondo; sapeva che anche lei provasse un forte senso di colpa, per tutto ciò che aveva fatto di sbagliato, in passato. Solo, non aveva ben chiaro di cosa si trattasse. - Anche Tomeeca, sai? Un po' come te, si è dannato l'anima per colpa di una donna, l'unica che abbia mai veramente amato, in tutta la sua vita. - andò avanti. Lo aveva detto con una vena di disprezzo; a allora gli venne da chiedersi se non fosse stato il Cetra, l'uomo con cui avrebbe voluto passare la sua lunga esistenza.
  La conversazione morì lì, prima che Vincent potesse investigare oltre; riaccese il telefono e rimase sorpreso dalle diciassette chiamate ricevute che comparvero sul display. Doveva essere successo qualcosa di grave. - Cloud? - lo richiamò.
- Pronto, Vincent. - c'era parecchia ansia, nella sua voce. - Ascolta... hai idea di dove sia Tifa? Era venuta con me e gli altri in... missione, ma... ma è sparita e... non sappiamo dove sia.
Vincent si trovò indeciso sul da farsi: dire la verità o temporeggiare ancora. - Non so dove sia finita, ma c'è molto di cui ti dovrò parlare. - si decise allora.
- Perdonami, ma ora come ora non ho molto tempo e...
- Cloud, - lo interruppe. - riguarda proprio Tifa. Si ammutolì, e l'uomo sapeva che si stesse interrogando su ciò che aveva da dirgli. - D'accordo. Ti richiamo.
  Mise giù, accigliandosi alla risata di Feera.
- Quel ragazzo... già all'epoca, dimostrava un grande interesse, verso la mia Tifa. - ghignò. - Peccato che non possa fare nulla, per aiutarla.
- Tutti possono fare qualcosa, a modo loro. - sostenne lui. Cloud più di tutti.
Lei lo guardò, con i suoi luminosi ma freddi occhi rossi; - Non in questo caso. Sai a cosa serve, questo? - gli sventolò il bastone sotto il naso. - Un nuovo spirito maligno dev'essere cacciato, e solo lo scettro dello sciamano, può farlo.
- Ti riferisci alla bestia di Tifa? - domandò Vincent, osservando l'asta. Notò che una delle incisioni del legno, fosse uguale alla singolare cicatrice che lei esibiva sulla spalla destra, da sempre. Lo stesso simbolo che, nella biblioteca ormai dimenticata, aveva visto ripreso ed annotato su un tomo. Chissà cosa significava... - Oh, no, - smentì. -quello lo può fare solo lei. per questo dico che nessun altro, la possa aiutare. No... io parlo della persona che fingerà di aiutarla. E' la stessa che finse di aiutare me, e credo proprio che ora abbia deciso di accettare e sia andata con lei.
 
  Tornare lì era doloroso; Alexandra le aveva sconsigliato di farlo. - Ti farà solo più male. - le aveva detto. Tifa era riuscita a farsi portare a casa con la scusa di doversi cambiare e prendere con sé alcune cose, ma in realtà voleva solo dire addio a quel posto, prima di andarsene per sempre.
  Imboccò una stradina, quella che ormai aveva memorizzato alla perfezione, e casa sua le si parò davanti. Poche ore prima, non avrebbe nemmeno pensato di ridursi a questo. E' incredibile come, in meno di una giornata, sia cambiato tutto...
Si apprestò ad aprire la porta, quando si accorse che la serratura fosse stata forzata; accostò allora un orecchio, per cercare di capire se i ladri fossero ancora in casa. Non che ne avesse paura, ovvio.
Udì una risata familiare e subito si tranquillizzò: era solo Yuffie.
  - Alla buon'ora! - esclamò la ninjia, quando questa entrò. - Vi stavamo aspettando! Ma dov'eravate finiti?
Da dietro la figura della principessa si sporse un ragazzo, che Tifa era certa di aver già visto. - Ehm... salve! - sorrise lui. - Mi scusi tanto se sono entrato qui ma...
- E' stata una mia idea! - lo interruppe lei. - Volevamo farvi una sorpresa, e poi ci chiedevamo dove foste. Non ci mandi via, vero?
La padrona di casa la guardò, non sapendo cosa dire; non si aspettava di trovare qualcuno, lì. I bambini non c'erano, non sarebbero tornati per una settimana, e Cloud... beh, ci avrebbe impiegato molto tempo, ad accorgersi che se ne fosse andata.
- Ma certo, - si decise a sorridere a sua volta. O, forse, lui non se ne sarebbe nemmeno accorto. - potete restare quanto volete. Io sono qui solo per cambiarmi - guardò i suoi abiti, fradici. - e prendere un paio di cose. Ora scusatemi, ma vado di fretta. - salì subito le scale, affrettandosi a fare quel che doveva.
  Mentre decideva cosa mettere, l'occhio le ricadde su una foto di Denzel e Marlene, proprio sulla cassettiera. Forse doveva restare. Forse non era poi così grave. Forse stava sbagliando tutto. No, scosse la testa, saranno più felici anche loro.
Per un attimo fu tentata di portare quello splendido ricordo con sé; ma poi si rese conto che avrebbe solo fato ancor più male. - Tifa...? - era la voce di Yuffie.
Si voltò e la vide ferma, davanti all'uscio. - E' tutto apposto? - domandò, insolitamente seria. Era la persona più vivace del mondo, probabilmente, ma anche lei riusciva a capire quando c'era qualcosa che non andava. - Oh, Yuffie, - rispose, cercando di apparire convincente. - sono solo un po' stanca. Io e gli altri ci siamo occupati di una cosa e... beh, penso che quando Cloud tornerà ti spiegherà meglio. Adesso devo proprio sbrigarmi. - concluse. Un po' le dispiaceva comportarsi così freddamente con lei. Ma presto mi verrà naturale; con tutti. E così, è ora.
Dal canto suo, Yuffie era confusa. No, decisamente c'era qualcosa che non andava. Perché era così distante? Era forse seccata per la loro incursione? Era successo qualcosa? Si era cambiata, ma non portava gli abiti che sfoggiava quotidianamente. Lunghi pantaloni rossi, top bianco e un nero, pesante - ma anche molto figo, pensava lei - gilet in pelle; suggerivano che si stesse preparando ad una battaglia, o qualcosa del genere. La sua tesi era avvalorata dai guantoni che aveva infilato, gli stessi di cinque anni prima; ma dove diavolo stava andando?
  La ragazza era così assillata da quelle domande da non accorgersi che se n'era appena andata.
 
Noticine:)
Buon mercoledì a tutti!
Bene, ci sono poche cose da dire, su questo capitolo. Non accade chissà che cosa, ma scopriamo un po' di più su Vinnie, sul perché abbia così tanto in comune con gli Antichi che parlano alle bestie e... beh, nei prossimi capitoli scoprirete di più su questi misteriosi Cetra i cui nomi hanno tutti le due"ee"! E anche su Feera, che sfodera uno stuzzicadenti a detta sua indispensabile! Intanto Tifa torna a casa, sperando di poter dire addio ad ogni singola stanza ma, NO, quella bimbetta di Yuffie, insieme al suo nuovo amichetto (di cui Tifa non si preoccupa neanche di sapere il nome... bah), deve mandare a monte ogni piano e... beh, cosa succederà, quando Cloud rincaserà? Io dico che scatenerà il fine mondo, e voi? Si accettano scommesse!
A sabato prossimo!
TheSeventhHeaven
 

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Capitolo 11
*** Movimentata routine ***


 
Noticine pre capitolo:3
  Buondì à tout le monde!
Oggi le noticine sono prima, perché mi sono dimenticata di dirvi una cosuccia su quello precedente... Nel caso qualcuno di voi se lo fosse chiesto (ma anche no), Tomeeca sarebbe il vecchietto di Kalm, quello che ci fa fare una faticaccia assurda per trovargli degli oggetti (beh, almeno dopo sgancia un Chocobo d'oro...) perché deve partire e... io avevo sfruttato questo povero nonnetto per i miei sporchi fini!XD
Cooomunque... con questo capitolo io vi lascio, non sarò a casa per un po', motivo di questi aggiornamenti così vicini tra loro, e torno martedì 21, con il proseguimento!
Con ciò, vi lascio alla lettura e alle parolacce del nostro mitico ed insostituibile Cid!
TheSeventhHeaven
 
Movimentata routine
 
 
  Tifa glielo rimproverava spesso: era disordinato.
Era disordinata la sua stanza, quasi come quella dei bambini ma, per l'appunto, loro erano bambini; era disordinato il cesto del bucato, perché, le rare volte in cui dava una mano a farlo, gli abiti colorati non erano separati da quelli bianchi; era disordinato il garage, con tutti gli attrezzi sparsi a terra come se fossero stati rovesciati lì di proposito. Come lo definiva Yuffie - benché in realtà lei non fosse tanto diversa - era un casinista fatto e finito. E qualcosa gli diceva che aveva combinato l'ennesimo disastro.
  - Ho chiesto ovunque. - scosse la testa Cid. - L'ultima che l'ha vista è la farmacista.
- Dove può essere andata? - domandò Nanaki. - Di sicuro non è stata rapita, non sarebbe possibile, conoscendola; e poi, ha lasciato i medicamenti davanti alla porta, di proposito. - ora Barret riposava sereno. - Si è allontanata spontaneamente.
- Ottima deduzione, Sherlock. - borbottò il Capitano. - Fin qui ci siamo arrivati tutti.
- Se fosse tornata a casa? - ipotizzò Shera, preoccupata. Questo fece inalberare ancor di più Cid. - Shera, cazzo; come faceva a tornare a casa, se siamo a chilometri da là? A meno che non sappia volere non... - si fermò a metà del discorso.
Aveva detto bene. - A meno che non sappia volare o a meno che non ce l'abbia portata qualcuno. - realizzò Cloud, confuso. - Ho telefonato a Vincent, ma non l'ha vista. - omise il fatto che il pistolero avesse qualcosa da confessargli, riguardo alla ragazza. - Prova con Yuffie. - suggerì Red. - Sa sempre tutto, di tutti.
Quello annuì, non aspettandosi che lei potesse davvero dirgli di più. E invece...
  - Sì, è appena rincasata! - esclamò la ninja, non nascondendo il suo turbamento. - Ha detto che era lì solo per cambiarsi, sai... era piuttosto bagnata, quando è arrivata qui. Okay, era fradicia, ma vabbe'. Andava di fretta.
Al biondo per poco non cadde il telefono dalle mani. - Ti ha detto chi l'avesse accompagnata? Sai dove stesse andando?
- Oh, non ne ho idea, Cloud. - sbuffò lei. - Credevo che l'aveste accompagnata voi e di conseguenza stesse tornando. Anche perché, si è vestita come se stesse andando ad ammazzare un bisonte, e suppongo abbia a che fare con il vostro misterioso impegno di stamane. Tra l'altro, voglio proprio sapere dove siete stati!
Non si stava sentendo per niente bene. Voleva, doveva sapere cosa stesse succedendo. E all'istante. - Dove sei, ora?
- A casa tua! Ah, e c'è anche un tuo dipendente a cui ti sei dimenticato di affidare gli incarichi, pare. - cinguettò. Ah, già... Carter. - Non ti muovere da là, ok? - le ordinò. Stava arrivando il momento di vederci chiaro.
- Okay... posso mangiare qualcosa? Se non mi dai il permesso, lo farò lo stesso. - gli parve di poterla sentir sorridere. - Sì, non m'interessa.
  Terminò quella conversazione, massacrato dai dubbi. - Ho capito... - sospirò Cid. - Vado a preparare l'aeronave. Anche se c'è un cazzo di tempaccio, la fuori... Shera, bada al terrorista, mentre siamo via. - comandò, anche se avrebbe preferito non lasciare da sola la madre di suo figlio; lei sorrise ad annuì.
- Temo di non poter venire. - disse allora Det. - Devo tornare a lavoro; c'è tanto, da fare.
A Cloud non importava poi molto di lui, e nemmeno dei noiosissimi progetti di cui aveva attaccato a parlare, come se davvero fosse interessato a qualcuno all'infuori di suo zio; perciò, richiamò Vincent. - Dove sei? - iniziò, senza nemmeno salutare.
- Appena fuori Kalm. - replicò. Stava per dire qualcosa, quando una terza voce s'intromise. - Pronto?
La conosceva, l'aveva già sentita, pur non ricordando dove; sapeva che fosse stato parecchi anni prima. - Ciao, Cloud. - lo salutò quel timbro femminile quanto tetro. Dove accidenti l'aveva già sentito? - Ho tante cose da raccontarti, caro. - e lui intese che non si riferisse a questioni personali.
- Chi sei? - chiese a quel punto. - Ah, non importa. Di' a Vincent di andare al Seventh Heaven, a Edge. Tra venti minuti ci troviamo lì. - le diede indicazioni, seguendo gli altri fuori di casa.
Shera rimase al capezzale di Barret. - D'accordo. - ottenne in risposta dalla donna. Poco prima di riattaccare, senti un Vincent alquanto seccato sbuffare un "Ti spiacerebbe rendermi quell'affare?". Chi era quindi, la donna che si permetteva una simile familiarità, con lui?
  Salutò la padrona di casa con un cenno. Det, che attendeva fermo in salotto, lo fissò divertito, quando gli passò davanti. A Cloud era subito stato chiaro che avrebbero fatto fatica, ad andare d'accordo. - Giornataccia, eh? - ridacchiò.
No, non sarebbero andati per niente d'accordo. Era quasi lì lì per riservargli un'occhiata indifferente, o fredda, quando cambiò idea. - Va' al diavolo.
Si richiuse malamente la porta dietro le spalle, proprio quando lo sentì rincarare la dose con un "Scontrosetto!". Che idiota. Possibile che fosse davvero così menefreghista e privo di tatto?
  Quando mise piede oltre la porta, per poco non inveì. - Porca troia! - sputacchiò Cid per lui, guardando la pioggia come a volerla incenerire. - E' solo un po' d'acqua, Cid.
- Un po' d'acqua? UN PO' D'ACQUA?! - urlò quello, imbizzarrito come un Chocobo. -Hai la minima idea di quanto mi danneggi i condotti dell'aeronave, e le tubature di questa fottuta topaia?! Per non parlare di quel cazzo di razzo nuovo e delle sue cazzo di impalcature del cazzo! - gli mancava proprio, il linguaggio raffinato e forbito del Capitano. - E che cazzo! - concluse il suo monologo teatrale in grande stile. - Non posso nemmeno fumare una sigaretta!
- Questo è solo a tuo vantaggio e a quello di chi ti sta attorno. Credo che a tua moglie non faccia per nulla bene. E nemmeno piacere, suppongo. - sostenne il felino, con la sua solita pacatezza. Sembrava gli piacesse, la pioggia.
- Sai che ti dico? - tuonò Cid, dopo un attimo di indecisione. Per l'amor del cielo, quanto sarebbe durata, ancora, quella discussione? Non avevano tempo da perdere.
Red scosse il capo. - Bene. - gracchiò l'altro, appena prima di salire sulla Shera. - VAFFANCULO!
  Impiegarono meno tempo del previsto, per arrivare. Dopo essersi tutti radunati sotto il fresco fiato della ventola del Seventh Heaven, Vincent e la misteriosa donna, che aveva rivelato di chiamarsi Feera - Cloud aveva l'impressione di aver già sentito anche quel nome, e di rivedere in lei qualcuno; ma chi? -, presero a raccontare ogni singolo dettaglio di quella bizzarra storia.
Dopo aver ascoltato attentamente, tutti tacevano. Non è che non ne avessero; non ce n'erano proprio, di parole da dire.
- ... Santo cazzo... - Cid fu il primo a riaprire la conversazione, se così poteva essere definita. Probabilmente, se Cloud avesse avuto la forza di parlare, avrebbe detto cose molto peggiori.
  Eccola là, la verità. Era quello, ciò che Tifa gli stava nascondendo. Era quello, ciò che la faceva restare sveglia le notti, la stancava, la angosciava, la rendeva così taciturna.
Sulle prime, si sentì adirato, con lei. Perché? Perché non gli aveva detto nulla?
Forse non si fidava di lui; non abbastanza da non temere una reazione contrariata. O forse, non lo riteneva adatto, a condividere un simile fardello. Poi l'indignazione andò scemando. Non poteva avercela con lei, in alcun modo.
  Tifa aveva solo evitato di coinvolgerlo, un po' per non dargli preoccupazioni, un po' - soprattutto, a dire il vero - perché, come accidenti avrebbe dovuto confessargli una cosa simile? Era spaventoso, e certo non lo si poteva negare.
Ma Cloud non avrebbe giudicato, mai; era più spaventoso il modo in cui l'aveva fatta soffrire, e lui nemmeno si trasformava, in un mostro!
Si odiò con tutto se stesso, perché era colpa sua, se lei aveva timore di aprirsi con lui. Ma ormai, era tardi. Se c'era una cosa che Tifa aveva tentato disperatamente di fargli capire, era proprio che fosse inutile ed infantile, piangere sul latte versato. Ormai doveva crescere, in tutti i sensi.
  Tutto questo lo rimandava ad una sola ed ovvia domanda: cosa doveva fare, per salvarla?
- Molto probabilmente, ora è con l'unica persona che abbia un rimedio per aiutarla. - intervenne Feera. Beh, allora era un bene che fosse sparita... no?
- So cosa state pensando, tutti. - continuò. - Ma, no, non è un bene, non lo è per niente. - si alzò dal suo posto, prendendo a camminare. Era davvero alta e... quella cadenza, quel portamento... com'è che rassomigliavano del tutto a quelli di Tifa?
- Sua madre aveva lo stesso problema. Si addormentava umana, e si risvegliava bestia. Talvolta era per un giorno; talvolta... - sospirò. - per un secolo.
Chi diamine era, allora? - Non poteva controllarla. L'assaliva e prendeva il sopravvento, senza un motivo. Quella, è la bestia che risiede in ognuno di noi. E' il male che, chi più, chi meno, tutti possediamo; perfino le creature più buone, nei meandri più reconditi del loro generoso cuore. - quell'affermazione fece riflettere Cloud. Dunque, anche in una persona luminosa come Aerith, poteva essersi celata una presenza oscura? Era difficile, da credere.
Ma, forse, se fosse stata davvero così pura, non nata tra i mortali, come loro. - Le persone che condannarono a questo sua madre lo fecero apposta: la bestia non è altro che il modo con cui si esprimono tutte le emozioni negative che proviamo e che tratteniamo. - spiegò. - E Tifa - disse, osservando una fotografia di sua figlia e due ragazzini, proprio dietro il bancone. Era davvero bella, la sua bambina. - è quel genere di persona che si tiene dentro più di quanto possiate immaginare.
Oh, questo lo sapeva bene, Cloud. - Ed è proprio per questo, che avrà difficoltà a controllare quel mostro. - prese un grande respiro, come se, di lì a poco, avesse dovuto tuffarsi nel vuoto. Per Feera, era più o meno lo stesso, raccontare qualcosa di così miserabile. - Vedete, proprio quando la madre credeva che la soluzione fosse farla finita, sbucò fuori una giovane, che aveva più o meno la sua età; un'amica del migliore amico di lei, un motivò in più per cui riporvi fiducia.
  Cloud e gli altri ascoltarono il racconto di come quella le avesse garantito un rimedio; lo stesso le avrebbe permesso di mantenere un controllo sul mostro dentro di lei e, addirittura, poterne sfruttare i vantaggi fisici. - Poteva dirsi perfetto, semplicemente perfetto, - sorrise sprezzante Feera. - se solo quella cura non avesse avuto l'effetto collaterale di disintegrare ogni singola emozione.
  Rimasero tutti perplessi; e, dopotutto, lei stessa non aveva reagito in maniera diversa, quando aveva scoperto l'inganno.
- Vi spiego meglio. - riprese. - Poiché la bestia si imponeva per colpa dei sentimenti che la donna provava, era necessario annullarli; ma la scienziata, non si limitò ad arginare quelli: creò una macchina priva di emozioni, atona. Una perfetta marionetta, che avrebbe compiuto gli atti più osceni perché, non essendo capace di avvertire il rimorso e di distinguere tra "giusto" e "sbagliato", non avrebbe esitato di fronte a nulla.
Oh, mio dio..., fu ciò che pensarono tutti. - La madre di Tifa lo capì solo quando un... vecchio amico - sorrise lei - le aprì gli occhi.
  - Signora... - intervenne Carter. A Cloud dava un po' fastidio, che anche lui venisse a sapere certe informazioni. Era un bravo ragazzo, sicuro, ma... - posso... posso chiedere... che genere di... atti osceni intende?
- Hai fegato. - gli si rivolse. - Hai avuto il coraggio di fare una delle domande che ronzava nella testa di tutti. - Alt, un attimo. Come lo sapeva? - Si tratta di riportare le anime in vita.
- E' questo? Non mi sembra... una cosa così atroce... voglio dire, se lo avesse fatto per i suoi cari...? - continuò il ragazzo. Lei scrollò il capo. Com'è semplice ed ingenuo...
- Sarebbe certo stato un gesto nobile, anche se sbagliato. - annuì. - Ma, ahimè, non era per questo scopo, che lo fece. Mirava a riportare in vita le più grandi calamità che questo pianeta abbia mai dovuto affrontare, tra cui le Weapon che voi avete sconfitto.
- Ferma un attimo!- esclamò Yuffie, grattandosi la testa. Non ci stava più capendo nulla. - Come avrebbe dovuto fare, la madre di Tifa, per aiutarla?
- E' molto semplice, principessa: - replicò, lasciando tutti stupiti: chi le aveva parlato, della ragazzina? Vincent no di certo, non era il tipo! - lei apparteneva ad una categoria di Cetra capace di dialogare con gli animali, capirli e, molto spesso, controllarli. Le Weapon, essendo per metà bestie, erano facilmente influenzabili, da una donna dal carisma e perspicacia come sua madre.
Grazie a quell'abilità, le Weapon avrebbero fatto tutto ciò che la scienziata comandava. Sarebbe stata invincibile. Fortunatamente, la madre di Tifa si fermò appena in tempo. - concluse.
  Un'altra tipologia di Antichi...? Questo significava che... - La vostra amica è sua figlia, ed ha ereditato anche questo triste destino, da lei.
Con grande sorpresa, Vincent parlò. - E immagino che quella che aveva ingannato te, ora sia ricomparsa ed abbia intenzione di sfruttare Tifa allo stesso modo.
- Perspicace, Vince. - sorrise lei.
Così, Tifa era una Cetra. Non lo avrei mai lontanamente pensato... - Dobbiamo sbrigarci, allora! - sentenziò Cloud, sbattendo i pugni sul tavolo alla maniera di Barret. Chissà se si era ripreso, a proposito.
- Temo che sarà difficile, convincerla. Lei non ha accettato la cura per se stessa, ma per proteggere voi. - scosse la testa Feera. - In più, la persona responsabile di tutto questo è una di cui si fida molto, nonché una sua cara amica.
  Il biondo ci impiegò un attimo a realizzare che la donna in questione fosse Alexandra.
 
  - Voglio solo sapere perché. - mormorò. - Perché lo fai?
Erano da poco arrivate nell'imponente sede di Barbaros, ma non avevano perso un attimo. Sedute, nel piccolo e rigorosamente ordinato studio della dottoressa Elredge, avevano subito iniziato a discutere. - Perché stai resuscitando le Weapon? - insistette la mora.
Alexandra sbuffò. Odiava gli interrogatori, quando non era lei, a farli. - Non sono io, a volerlo.- mentì, sapendo che lei se la sarebbe bevuta. - Il presidente di quest'associazione... è lui, ad avermelo imposto. Ed io non ho potuto far altro che assecondarlo, Tifa.
- Ma... te ne saresti potuta andare.
- No, non potevo. E' tutto quello che ho, capisci? - cercò di apparire convincente. In fondo, era vero. - Non ho una famiglia e la scienza è sempre stata l'unica cosa che mi interessasse. Non avrei avuto dove andare.
- La mia porta è sempre stata aperta, e lo sai. - incrociò le braccia al petto l'altra. Le sembrava quasi di aver di nuovo a che fare con Cloud. Già, Cloud...
La bionda sorrise. - Certo, che lo so. Ma, vedi... non ho mai avuto amici, oltre a te, né tantomeno ho avuto intenzione di farmene. Non so come comportarmi e non volevo... essere di peso. - spiegò nel modo più naturale possibile. - Ma è pericoloso... per te, noi, per il mondo intero...
- C'è molto che possiamo fare in merito, tu ed io. - replicò, senza smettere di sorriderle. - Noi apparteniamo alla nobile stirpe degli Antichi.
La mora scoppiò a ridere. - Sono seria, Tiffany! - sbuffò, facendola zittire di colpo. - Io a quel genere di Cetra che parla con le anime defunte... - spiegò. - E tu... di quelli che conversano benissimo con ogni genere di bestia. Se tu glielo chiedessi, anche il più feroce dei draghi del Monte Nibel, ti lascerebbe passare senza sfiorarti e, anzi, potrebbe perfino decidere di seguirti.
  Ecco perché aveva sentito Ruby disperarsi; ed ecco perché questa le aveva dato retta. Sebbene sembrasse un'idea assurda, sulle prime, capì che non poteva essere altrimenti. Ma perché non lo aveva mai saputo? Perché non se n'era accorta?
- Stai dicendo che... potremmo fare in modo che le Weapon non si rivoltino contro nessuno? - dedusse quindi.
- Già. - annuì. - Riportandole solo in vita, non mi ascoltano e sono obbligata a controllarle tramite delle apparecchiature. - mentì, cercando di mostrarsi affranta. Non gliene fregava un accidente, in realtà. E forse, forse, un po' si sentiva in colpa, per star fingendo così spudoratamente con l'unica persona, oltre al maestro, che le avesse mai davvero voluto bene. Ma il fine giustifica i mezzi, si ripeteva. - Ma se tu mi aiutassi... nessuno correrebbe rischi. Il presidente non ha specificato per cosa intende adoperarle, ma...
- Ho capito. - dichiarò Tifa. Si sentiva sollevata, quasi.
 - Quindi sei disposta a collaborare?
Come aveva potuto dubitare, anche solo per un attimo, di Alexandra? Lei aveva a cuore il Pianeta; per questo le aveva chiesto aiuto. Lei le aveva offerto il rimedio per la trasformazione: la lacrima.
Non avrebbe più gioito, inveito, o pianto. Ne era consapevole; ma forse, era meglio così. Come aveva potuto dubitare di qualcuno che era stato così generoso, con lei? - Sì, - accettò. - ma ho un grosso favore da chiederti. - ribadì.
- Ah, sì, - si ricordò la dottoressa, prendendo a volteggiare sulla poltrone girevole. Era dura ammetterlo, ma si divertiva un mondo. - me lo avevi accennato. Allora, di che si tratta?
  Prese un bel respiro, guardando fuori dalla finestra. Dava sul mare, il mare in burrasca. - Sei in grado di riportare tra noi anche le persone?
- Sì. - rispose prontamente. - Ma di questo, parleremo dopo, d'accordo? Ora ho una questione urgente da risolvere e... ah, prima che tu te ne vada! - frugò nei cassetti della sua scrivania ed estrasse una sottile chiave.
La vide aprire uno degli archivi che aveva in ufficio e, prima che potesse domandarsi cosa fosse, Alexandra le porse una fialetta di colore rossiccio. - La lacrima. Devi assumerla almeno una volta al giorno. - si raccomandò, tornando alle sue faccende.
 
  Alexandra aveva detto che, i primi giorni, la lacrima non avrebbe fatto un granché.
Il suo corpo e la bestia soprattutto, avevano bisogno di tempo per abituarsi; forse sarebbe incappata in ripetute e travagliate metamorfosi, o forse si sarebbe trasformata un'unica volta. Fatto sta che ora si trovava a vagare per la sede della Barbaros.p.a, in attesa di ricevere il suo primo incarico.
  Alcuni piani erano desolati come non mai; altri erano gremiti di gente in pausa dal lavoro; la stessa che ogni mattina si affrettava a recarsi in ufficio, che stimava la carriera al di sopra di tutto. La stessa gente che, piuttosto che buttare un occhio allo spettacolo mozzafiato che era il mare, preferiva rintanarsi davanti alle macchinette del caffè e discutere di qualcosa con i colleghi. Quel genere di persone, insomma che vivono nella monotonia e non si beano di quanto di piacevole possano vedere.
 Lei e gli altri avevano quasi sempre vissuto in una movimentata routine, invece. Trascorrevano ogni giorno qua e là, a salvare il mondo, insomma; e, benché potesse sembrare qualcosa di emozionante e raro, ormai ci avevano fatto così l'abitudine, che nessun nemico sembrava più chissà quale minaccia.
  - Questo posto è un labirinto... - rabbrividì, constatando di essersi persa per quei corridoi dalle pareti tristemente verdi. Sembrava di stare in un ospedale... e chissà che non ci fosse anche quello, là dentro... dopotutto, Alessandra era anche un medico e...
- Ah. - gemette all'improvviso. La spalla destra aveva preso a bruciarle.
Cercò con il tatto una ferita nel punto in cui la sentiva pulsare, ma non percepì nulla di simile ad un taglio. Ma cosa...
Buttò un occhio e scorse una sorta di marchio da cui, copiose, scendevano gocce di sangue scarlatto come non lo aveva mai visto.
  - Ti sei sperduta, cignorina? - la fece trasalire una vocetta allegra. - Ahah, ti sei ppaventata! - rise un bambino che poteva avere sì e no cinque anni.
Rimase raggelata, nell'accorgersi della somiglianza che il piccolo aveva con il suo defunto amico Zack. - Vieni! - le afferrò il braccio con la sua manina. Era insolitamente forzuto, per essere così piccolo. Ma cosa ci faceva, in quel posto?
- Anche io mi sperdo, quando vengo qui a giocare!- esclamò, mentre percorrevano una sala piena di vetrate. Alla luce, gli occhi di lui brillavano ancor di più; lo stesso bagliore ceruleo del Mako. - Come ti chiami, cignorina?
- Tifa. - gli sorrise materna. Accidenti..., pensò, quando il bambino la guardò in faccia, è davvero identico a Zack.
- Io ciono Loud! - affermò energico. Stessi capelli bruni, stesso sorriso, stesso sguardo e stessa grinta. Loud, il piccolo Zack con il nome di Cloud. Senza la "c"..., continuò a sorridergli. Ma perché diamine continuava a pensare a lui?
- Vieni con me, cignorina Tifa! - le lasciò la mano e prese a correre, veloce come un piccolo Chocobo nero.
  - Aspettami! - lo implorò, seguendolo e domandandosi dove la stesse effettivamente portando.
 

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Capitolo 12
*** Loud ***


 
Loud
 
 
  Faceva discretamente caldo, quel giorno; eppure non poteva non andare lì.
Era passato qualche mese, dall'ultima volta che aveva messo piede nella chiesetta; un po' per via del lavoro, e un po' perché aveva cercato di smettere di guardare al passato  più che al presente.
Ma adesso era diverso. Adesso aveva bisogno di parlare con lei. Lei sapeva sicuramente cos'avrebbe dovuto fare.
  Avanzò di qualche passo, inebriandosi dell'aroma floreale che si propagava per l'ambiente. Si fermò in prossimità del laghetto, laddove, un tempo, vi erano stati i suoi fiori splendidi e vitali, proprio come lei.
Si chinò, osservando accigliato colui che gli faceva da riflesso. Quello era davvero... lui? Buffo come da ragazzino si era più e più volte chiesto come sarebbe stato, da adulto. Beh, di certo non si immaginava così e non immaginava che lo sarebbe diventato per una serie di "contrattempi".
  Con una mano si sfiorò la guancia, e comprese che forse era arrivato il momento di rasare quella barba dalla curiosa tonalità di rosso carota. Da due giorni a quella parte, si era quasi completamente dimenticato di se stesso, delle sue necessità. All'improvviso si rese conto di avere fame. - Vieni spesso qui?
  Trasalì, udendo la voce di Feera. Lo aveva seguito?
Un po' gli diede fastidio. Quel posto era come sacro, per lui, ed era l'unico in cui non era costretto a fingersi per come non era. Quella era una casa, più di qualsiasi altra.
Ma il guaio di quella casa era che... - Quando ho bisogno di riflettere. - ammise. E quando ho bisogno d'aiuto, ma questo non lo avrebbe mai confessato.
- Non lo confesserai mai, lo so, - ridacchiò lei - ma io sono in grado di sentire i tuoi pensieri ancor prima che tu ti possa render conto di averli formulati. - lo raggiunse, lasciandolo non poco imbarazzato. - Cloud, - gli si inginocchiò accanto, addolcendo la voce. - cosa c'è che non va?
La fissò per un attimo, interdetto. Gli sembrava di aver di nuovo a che fare con sua, di madre: dolce, premurosa e talvolta anche fin troppo apprensiva. Ma lei non era sua mamma.
Balbettò qualcosa, abbozzando una risata piuttosto nervosa; cosa c'era, che non andava? Non sapeva se stilare un elenco o esordire con il solito ed incontestabile "niente". Il problema era che tutto stava andando a rotoli, ormai.
- Penso che tra poco rivedrete un'altra vecchia nemica. Ora che Tifa è dalla loro parte, potranno comandare le Weapon a loro piacimento. - esordì lei, sapendo che a niente sarebbe servito insistere. - Presto la vedrai, se questo ti preoccupa. Ma non credo ti farà molto piacere.
Lui non rispose. - Sai una cosa? - continuò lei, specchiandosi nell'acqua a sua volta. - Quando lasciai Tifa e suo padre, non credevo davvero che un giorno tu avresti ricoperto un ruolo così importante, nella vita della mia bambina.
  Cloud sgranò gli occhi, ma non disse niente. Ecco dove avevo già sentito questo nome... Ed ecco perché quelle due donne si somigliavano così tanto. Era stato davvero cieco, a non accorgersene. - Ma mi sbagliavo e... e forse tu puoi fare molto, per lei.
- No. - la interruppe, con un triste sorriso a rigargli il volto. - No, io non sono mai stato capace di fare niente. Per nessuno, men che meno per lei.
- Non sai quanto ti sbagli. -scosse la testa, con uno sbuffo divertito.
  Feera si alzò, incamminandosi verso l'uscita. Doveva ammettere che piaceva molto anche a lei quel posto. Il tipo di ambiente che una Cetra dell'altra stirpe apprezzava, insomma. - Cloud, se mia figlia ha accettato di aiutare quella folle, non è stato né per la sua cura, né perché è stata pervasa dalla pazzia lei stessa. - soggiunse, di spalle. - Se ha acconsentito, per qualcos'altro. E sono quasi sicura che quel qualcos'altro sia la tua felicità.
  Sparì silenziosa com'era arrivata, lasciandolo con un pugno di mosche. La sua... felicità?
 
  Non sapeva cosa fosse quel posto, ma non le piaceva.
Un sottile e persuasivo tanfo di carogna impregnava l'aria e Tifa dovette coprirsi la bocca con una mano. Sembrava una specie di... obitorio...
Poco più avanti di lei c'era Loud, il misterioso bambino di cui aveva fatto la conoscenza due giorni prima. Ricordava a memoria ogni singolo corridoio dell'edificio, e l'aveva scortata da Alexandra, quando si era persa. Era una sorta di portavoce della dottoressa, ed ubbidiva a tutto ciò che lei ordinava. Ma ancora non si spiegava perché. - E' qui che Alexandra ti ha detto di portarmi? - gli chiese.
Con aria grave, e con una voce che di infantile aveva ben poco, Loud annuì- Lì c'è Diamond Weapon. - spiegò, indicando una porticina dall'aspetto lugubre ed il metallo ormai consunto ed arrugginito. - Puoi sentirla; non è così?
Sì, poteva sentire il suo lamento; come un rantolo che disperato, non implorava pietà, come Ruby, ma vendetta. Eppure, c'era qualcosa che turbò Tifa molto di più. - Loud...
Ora la confusione regnava sovrana, nella sua mente. Quella non era la sua solita vocetta. Era il timbro di qualcun'altro, qualcuno che... Cos'accidenti stava succedendo? - Chi sei, in realtà? - gli domandò allora, aggrottando la fronte.
Lui ridacchiò, in uno sbuffo che troppe volte aveva visto fare a Zack. - Io? Io sono solo un esperimento. - rispose, con quella voce ora apparentemente decisa ed allegra che era appartenuta al Soldier. Perciò, era stata tutta una recita, la sua. - Tutti pensano che io sia il figlio del presidente, o qualcosa del genere, ma... la verità è un'altra. - confessò. - Sono stato il primo. - spiegò. Il... primo...?
  Mosse qualche passo in avanti, sospirando. - Il processo di "resurrezione" che usa la dottoressa Alexandra altro non è che una sorta di clonazione. - riprese. - Ma all'inizio era ben diverso. Attuava una pratica che consisteva nella creazione di un essere 'nuovo'. Un po' di DNA le era sufficiente per poter sviluppare un embrione che contenesse tutte le caratteristiche del defunto. Ovviamente, dopo lei si metteva anche a cercarne l'anima.
  Tifa lo guardava, non aspettando davvero che andasse avanti. Forse iniziava a dubitare di aver fatto la cosa giusta. - L'embrione cresceva in una vasca contenitiva per nove mesi. Un po' come... un bambino vero. - spiegò, ora guardandola negli occhi. - Ma quel bambino ha smesso di crescere quando il suo corpo aveva un'età biologica di cinque anni, più o meno.
- Tu... - mormorò. - ... tu sei...
- No, non sono... non sono Zack. Non credo di esserlo. - la interruppe. - Io sono solo una pallida copia. Io sono... non lo so, cosa sono. Un fallimento, forse. E' così che lei mi chiama. - disse; e Tifa comprese che quel "lei" fosse Alexandra.
Ma... ma non era inorridita come avrebbe dovuto. No... era strano. Si sentiva quasi... indifferente. Era sbagliato, lo sapeva, ne era certa. Eppure... eppure...
 - Ma so che non dovrei essere qui. Zack non apparteneva più a questo mondo. E, in fondo... - sorrise, poggiando la sua manina sulla maniglia. - ... strappare qualcuno dal suo riposo è un po' un atto contro l'umanità, non credi? - sì, lo credeva anche lei. O forse no. O forse lo era, ma non se quel qualcuno poteva rendere la felicità a qualcun altro. O forse lo era a prescindere. O forse... - Andiamo.
  Aprì la porta, che cigolò gravemente, e le fece cenno di entrare. Nella stanza, Tifa non avrebbe saputo distinguere un dito dall'altro. Era buio, completamente buio; tranne che per gli occhi di " Zack", così luminosi da fungere da torcia, non si vedeva niente. - Oh, non ti spaventare. Quando un'anima ritorna in questo mondo, le luci ed i rumori improvvisi la terrorizzerebbero; ecco perché tutte le creature che Alexandra riporta in vita si trovano in ali dell'azienda sperdute ed ombrose. - spiegò. Ormai Tifa iniziava a riabituarsi alla voce di Zack. - Ora dobbiamo scendere una lunga scalinata. - le disse, facendole strada. - Sta' attenta.
  La ragazza ancorò lo sguardo a terra, badando bene a dove metteva i piedi e tentando di scorgere almeno l'ombra di uno scalino. Affondò con una gamba laddove Loud aveva iniziato la discesa, e trovò il primo. Ora le venne tutto più naturale.
  - Loud... - iniziò, mentre cercava a tentoni un corrimano. - ... tu hai dei ricordi di Zack? - chiese, curiosa.
- Certo. La sua anima è dentro di me; ricordi? - già; che domanda stupida. Si diede della sciocca per aver chiesto una cosa del genere. - La cosa buffa è che non li sento propriamente miei. Io ricordo te, Cloud; ricordo il mio villaggio natale, la fatica fatta per entrare in Soldier; l'onore ed il mio maestro; Sephiroth e il disastro di Nibel, ma... - lo sentì sorridere. - ... ma mi sembra di essere un ladro. Il fatto è che Zack, da bambino, era davvero come vedi me adesso. Eppure... io so che non sarò mai lui. Comunque, - concluse. - ora devi svoltare a destra. Io non posso venire, rischierei di mettere in soggezione la Weapon. E poi sarei solo di peso.
  Tifa annuì, ancora un po' scossa da quello che aveva appena detto. Dopo l'ultimo gradino imboccò il corridoio che lui le aveva detto ed oltrepassò un'altra porta, simile alla precedente. Ora il grido di Diamond era ancor più udibile.
  La stanza che le si parò davanti era enorme, e finalmente comprese il motivo di quell'infinita scalinata: era sott'acqua. Eppure, Diamond Weapon non agiva in mare... Perché allora si trovava là?
Forse per il fatto che lì sotto fosse tutto infinitamente più silenzioso? Tu sei... sei Diamond...?, iniziò, avvicinandosi alla gigantesca vasca di contenimento.
Prima esigo di sapere chi sia tu, replicò risoluta la Weapon, sul chi va là. Era la prima persona capace di capire quel che diceva
 La sua voce era completamente diversa, da quella di Ruby... ma... era una sua impressione o suonava sdoppiata? Sono un'amica. Sono qui per aiutarti.
Dopotutto, quello voleva Alexandra. Il suo compito non consisteva in altro se non illudere quelle creature che presto sarebbero state libere di tornarsene a riposare. E, in parte, sperava che Cloud e gli altri avrebbero fatto di tutto, pur di sconfiggerle.
Lei ci aveva detto lo stesso, quando ci chiese di tornare in vita. Ma lei non ha mantenuto la promessa, raccontò. Non sono Diamond. Avvicinati.
E, quando lei l'assecondò, rimase turbata. Se non fosse stato per quel farmaco, forse ora sarebbe stata disgustata.
  Uscita dalla penombra, la gigantesca figura di Diamond Weapon le si parava dinanzi, ma aveva qualcosa che non era suo. Quella creatura era il mix perfetto tra lei ed Emerald. Ed ecco il perché dell'acqua.
Eravamo le due più resistenti, e così lei ha ben pensato di fonderci, spiegò, ma fortunatamente, Emerald ebbe più buon senso di me e delle altre. Emerald non diede retta a quel che lei ci disse, con quella strana voce così... convincente...
  E Tifa non poté far a meno di chiedersi se davvero Alexandra sarebbe stata capace di far fondere anche le loro anime. Ma io non intendo servire quell'umana.
Non devi farlo, smentì la ragazza, poggiando la mano sul vetro, non devi servire lei. Ma aiutarla. Anzi, aiutare me.
Capì di aver catturato la sua attenzione, e si disse di essere finalmente sulla strada giusta. Entrambe vogliamo qualcosa, qualcosa che solo lei ci può dare. Unendo le forze, lo otterremo anche prima. Diamond, sussurrò, nella sua mente, se mi aiuterai, io sono certa che presto potrai tornare a riposare.
Ne sei... certa...?, domandò quella, con riluttanza. Già; ne era certa? Era certa di non star solo commettendo un gravissimo errore?
  Sì. Te lo prometto.
 
 
Noticine:)
Okay, parliamone! So cosa vi starete chiedendo ma, no, il fatto che Cloud abbia la barba rossiccia non è impossibile; è una cosa che ho estrapolato dalla situazione nella mia famiglia: mio padre ed uno dei miei fratelli hanno la barba rossa, eppure i loro capelli sono neri come la pece e... beh, sinceramente, volevo inventarmi un motivo per cui il nostro prode guerriero non si lascia crescere la barba!
Comunque... questo capitolo non è particolarmente lungo, ma succedono un po' di cose che avranno delle ripercussioni su quello seguente... che altro dire? Spero vi sia piaciuto!
Ci vediamo sabato! Sì, insomma... speriamo!
TheSeventhHeaven
 

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Capitolo 13
*** Premonition ***


 
Noticine pre capitolo:3
Buon pomeriggio!
Come da agenda, oggi è il giorno dell'aggiornamento e... beh, non tanto in questo quanto nel prossimo capitolo, ne vedremo delle belle. Davvero delle belle.
Ah, ecco cosa dovevo dirvi: il prossimo aggiornamento dovrebbe essere giovedì 30, non ne sono del tutto sicura, ma vi farò sapere; in ogni caso, settimana prossima parto e sto via un mesetto, pressappoco, perciò quello di giovedì sarà l'ultimo fino alla fine di agosto o i primi di settembre...
Sto cercando di accorpare due capitoli per lasciarvi con una lettura un po' più lunga. Intanto, spero che possiate apprezzare quello di oggi! E, sì, il titolo è tale per via dell'omonimo brano di FFVIII, che ho ascoltato per tutta la stesura e che mi sembrava davvero adatto.
Ora vi lascio, ciao!
TheSeventhHeaven
 
 
 
Premonition
 
 
  Fermo sullo stipite della porta, prese ad osservarla.
China su documenti e scartoffie vari, malamente ammucchiati sulla sua scrivania, diversi riccioli della sua massa dorata le ricadevano in viso, ma non sembravano un problema, per lei. Era davvero curioso, che fosse così disordinata; quando l'aveva conosciuta, avrebbe scommesso tutti i suoi soldi che fosse una maniaca dell'ordine.
- Smettila di guardarmi con quel sorriso ebete. - lo rimproverò Alexandra, senza nemmeno alzare lo sguardo da ciò che stava facendo.
- Ciao anche a te. - sussurrò Det, entrando. - Beh, che vuoi? - gli chiese quella, seccata. - Sono piuttosto occupata, al momento.
- Credo che tu possa interrompere un attimo, per me. - rispose, semplicemente. Lei alzò il capo, lentamente, regalandogli un'occhiata assassina; neanche le avesse proposto di andare a letto insieme... beh, forse avrebbe reagito meglio a quello. In fin dei conti, loro... bah, meglio mettere un freno a quella sequenza di immagini che gli stava attraversando il cervello.
  - Insomma, Alex... - sbuffò, lasciandosi cadere su una sedia. Lei odiava quando utilizzava quel diminutivo. - E' tutto merito mio, se ora puoi vantare di un'alleata come Tifa. Ho perfino tradito la fiducia del mio caro zietto e dei suoi amici; ho spudoratamente mentito dicendo di averti telefonato e non averti trovata, quel giorno! E c'era anche un ferito grave. - cinguettò, fingendosi dispiaciuto. - Potresti almeno ringraziarmi!
- Sei tu, che ti sei offerto di farlo. - aveva la risposta pronta. - Avrei senz'altro trovato un altro modo, senza contare che non mi sarebbe stato difficile, convincere lei. Ero già ad un passo dal farlo.
Det ridacchiò. - Ma l'ho fatto per te. - disse, compiacendosi dell'ombra di imbarazzo che aveva intravisto sul viso di lei. Okay, forse era ben più di un'ombra.
- N-non dire sciocchezze. - balbettò infatti. - E comunque, non mi servi, se resti qui a farneticare. Meno chiacchiere e più lavoro. - comandò come ad un soldato. - Abbiamo Diamond Weapon da rendere operativa.
Alexandra era così: ligia al dovere e priva di scrupoli. Non le sarebbe importato minimamente, se qualcuno fosse morto per la realizzazione di quel progetto.
Non le era importato di aver tradito la fiducia di una sua cara amica - l'unica, a dire il vero - e che lui avesse fatto lo stesso con suo zio, l'uomo che si era preso cura di lui quando era rimasto orfano e ancora non aveva iniziato a frequentare le scuola che lo avrebbe condotto sulle sue stesse orme.
Det non era il tipo di persona che instaurava seriamente un legame con qualcuno; era come Alexandra, solo che lui si circondava di gente facendole credere che gli stesse a cuore. Lei non se ne prendeva nemmeno la briga.
Solo che, la consapevolezza di aver raccontato un'enorme bugia a Cid, che era stato come un padre, lo faceva sentire uno straccio. Ma come diceva lei, il fine giustificava i mezzi. - Ah, è vero. - E tutto perché? Per amore di una donna. Amore che non era nemmeno sicuro lei ricambiasse.
- Va' a cercare Tifa. - gli impartì. - Qualche giorno fa è stata dalla Weapon e l'ha convinta. Siete pronti per la missione. - spiegò. Lui annuì.
  Si alzò, non aspettandosi davvero che lei lo salutasse o dicesse qualcosa; un cenno con il capo e si sistemava gli occhiali sul suo naso aggraziato, tornando ai suoi documenti. Sospirò, mentre percorreva rapidamente quel tratto di strada inquietantemente silenzioso.
Il problema di Alexandra, era che forse lei non sapeva neanche cosa fosse, l'affetto. Come biasimarla, in fondo? Quando gli aveva raccontato qualcosa di sé, l'unica volta, aveva ribadito che non avrebbe mai più compiuto uno sbaglio come quello di tanto tempo addietro.
  Svoltò l'angolo, quasi andando a sbattere contro un bambino che conosceva bene. - Ciao, Loud. - gli sorrise, sottolineando bene quel nome. Il piccolo aveva perennemente un'espressione solare, in viso; ma, come lo vide, il suo sguardo ridanciano di trasformò in puro astio. - Dove corri, di bello?
Neanche a dirlo, Tifa lo aveva finalmente raggiunto, a fatica. O io sono lenta e fuori forma, si disse la ragazza, riprendendo fiato, o lui è veramente velocissimo.
Da quando aveva scoperto la verità su di lui, la ragazza trascorreva molto tempo, in compagnia di Loud. - Oh, ciao, Tifa.
 - Det. - esalò lei, mesta. Era stato piuttosto triste, scoprire del suo doppiogioco. Ma lui non sembrava preoccuparsene particolarmente. E' proprio freddo come sembra...
  - Dobbiamo andare; te l'ha detto, Alexandra? - le chiese. Dall'espressione accigliata di lei comprese che, no, non gliel'aveva detto. Perché mi tiene sempre all'oscuro di tutto? - Oh, non importa. Ti spiegherò tutto strada facendo.
- E Loud? - si guardò intorno. Si era dileguato chissà dove. Non ebbe bisogno di una risposta.
  Camminarono fino all'ascensore, mentre Tifa si chiedeva dove la stesse portando.
Dal vetro chiaro si potevano chiaramente intravedere il mare e le sue acque limpide e cristalline; la folta vegetazione che accerchiava l'edificio e... - Stiamo andando a "collaudare" Diamond Weapon. - interruppe il filo dei suoi pensieri. Ecco perché l'ascensore andava in basso. - Basterà aprire la parte della vasca contenitiva che da direttamente sul fondale marino e Diamon potrà uscire. Ovviamente, è necessario che glielo chieda tu. - continuò, appoggiandosi alla cabina ed accendendosi una sigaretta, fregandosene completamente dell'avviso "Vietato fumare". Teneva la sigaretta alla stessa maniera di Cid. - Pare che tu abbia un'ottima capacità di persuasione.
- E' per questo che hai voluto che venissi anche io, contro Ruby Weapon; vero? - gli chiese, ricordando l'incontro di quasi una settimana prima.
Lui annuì. - Già. Alexandra supponeva che tu avessi la capacità di parlarci, e per accertarsene ha mandato me. - fece un tiro. - Ora siamo a corto di una Weapon, ma poco importa. La nuova Diamond è praticamente invincibile.
  Tifa si morse il labbro inferiore, chiedendosi se avessero intenzione di riportare in vita anche Ultima, Sapphire e le altre.
Ma poi, all'improvviso, subentrò la calma. Non sapeva da dove venisse, ma una voce, nella sua testa, le ripeteva che non aveva niente, di cui preoccuparsi. Sarebbe andato tutto bene; lei doveva solo fare quello che le veniva chiesto. - Però... - continuò Det. - di sicuro avremo a che fare con Cloud e la sua banda.
  Ah, ecco. Già. Che sciocca; davvero non lo aveva tenuto di conto? Come la mettiamo...? - Da quel che Alex mi ha spiegato, tu ora stai assumendo un farmaco che ti rende... insensibile, potremmo dire.
- Sì, è così. - ammise. E doveva ammettere anche che stava funzionando. La bestia non usciva più allo scoperto da un po'. Si stava ammansendo e, anzi, spesso le capitava di parlarle; un po' come faceva con le Weapon. - Sono pronta, a combattere. Il controllo che esercito sulla bestia sta incrementando la mia forza. - aggiunse, quasi orgogliosa. Almeno per qualcosa era utile, quel mostro.
Lui storse il naso. - Non lo metto in dubbio, Tifa. Ma, sempre stando ad Alex e alle informazioni che trapelano, non sei ancora pronta per uno scontro del genere. Uno scontro che metterebbe in mezzo la tua emotività. - le disse.
 Ed era vero. Cercava di ripetersi di guardare a Cloud come ad un semplice avversario; ma sapeva che il panico avrebbe preso il sopravvento, una volta che lo avrebbe avuto di fronte. - Ti consiglio di evitare uno scontro faccia a faccia; almeno per ora.
  La conversazione morì lì: erano arrivati all'ultimo piano. Di nuovo il tanfo insopportabile pervase i suoi polmoni. - Eccoci qua.
Dopo l'infinita rampa di scale, erano finalmente davanti al pannello di controllo e a Diamond. Sei pronta, ad uscire?
Se posso esprimere un parere, non è prudente, lasciarmi proseguire sott'acqua, disse la creatura, mentre Det trafficava con pulsanti e manopole. Pare che esista una bestia che nuota per gli oceani. Il suo compito è quello di difenderlo dagli intrusi. Ed io, tecnicamente, potrei essere considerata come tale.
All'improvviso Tifa si ricordò delle parole di Alexandra. Non temere, disse infatti, ci parlerò io e cercherò di convincerla a non farti del male.
  Dopotutto, se questo era il suo potere, tanto valeva usarlo. Fidati di me, le sorrise, quando Det aprì il portellone che dava sull'oceano.
 
  - Ah. Uhm... sì, sì; ho capito. Ah, senti... - iniziò Cloud al telefono, cercando di non farsi sentire dagli altri. - .. come sta, Barret?
- Oh, si sta riprendendo pian piano, Cloud. - lo rassicurò la voce gentile di Shera. - Non preoccuparti, ci stiamo prendendo cura di lui.
Il biondo bofonchiò qualcosa; non voleva dare l'impressione di preoccuparsi così tanto per il suo amico. - Cid dice che...
- Cloud, Cloud! - urlò Yuffie, raggiungendolo allarmata. Doveva essersi precipitata su per le scale come un fulmine, ora aveva il fiatone. - Cloud...! Presto! Devi venire a vedere alla televisione!
Lui alzò un sopracciglio, chiedendosi si non lo avesse interrotto per uno di quelle ridicole telenovelas che la ninja guardava. - E' una questione seria, Cloud!
- D'accordo; arrivo. Scusami, Shera. - disse, riattaccando.
  Yuffie lo afferrò per un braccio e si precipitarono nel Seventh Heaven. Carter e Feera stavano seduti sugli sgabelli del bancone; il primo con un'espressione a dir poco terrorizzata, la seconda imperscrutabile.
Red era particolarmente accigliato, mentre Vincent se ne stava contro una parete, amorfo come sempre. - Che succede? - chiese. Non gli sembrava fosse una situazione così strana... Ma poi diede un'occhiata a quello che tutti stavano fissando, e rimase inorridito a sua volta.
  La televisione mostrava immagine di un'enorme, orrenda e feroce creatura; e fu ancor peggio constatare che si trattasse di una Weapon e... - E' un ibrido. - dichiarò Nanaki. - Per metà Diamond e per metà Emerald.
Quel mostro stava devastando le campagne appena fuori Edge, e non avevano motivo di credere che si sarebbe fermato; a meno che non fossero intervenuti loro stessi.
Proprio in quel momento, un laser rossastro andò a schiantarsi su quella che doveva essere stata una rimessa degli attrezzi. Chissà se c'era qualcuno, là dentro...
- Quindi ha intenzione di spingersi a tanto... - ridacchiò Feera, beandosi della stoltezza della sua vecchia nemica.
- Ma che cosa vuole? - domandò Carter. Bella domanda... - Non so dirvelo con certezza. So solo che Alexandra è una squilibrata, - replicò la donna. - e non credo abbia un vero e proprio motivo, per farlo.
Già; dopotutto, gli scienziati erano così... ma non era una buona scusa per dissacrare le anime dei defunti e coinvolgerle nella propria follia. - Se ci sbrighiamo, forse riusciamo a rallentarla.
- Vincent, cazzo! - inveì Yuffie, alla maniera di Cid. In effetti, era un po' di tempo che non sentivano qualche parolaccia. Cloud cominciava quasi a nutrire nostalgia del Capitano e della sua vasta conoscenza di sintagmi. - Se andiamo là, quella cosa ci ammazza!
- Credo che Yuffie abbia ragione. Sia con Diamond che con Emerald ce la facemmo per un pelo. Ed ora che alla corazza ed i laser della prima si aggiungono anche i dispositivi di autodistruzione dell'altra... Non è molto prudente. - intervenne Red.
- E allora cosa vorreste fare? - sbottò Cloud, a quel punto. - Volete forse lasciare che distrugga l'intera città? - chiese, aspettandosi che qualcuno esordisse con un "certo che no!" o qualcosa del genere. Ma nessuno disse niente.
- Cloud... è solo che... - iniziò la ragazza, zittendosi subito dopo.
- Non ci posso credere... - sussurrò lui, come in trance. Stavano scherzando o facevano sul serio? - Non importa. Io andrò; con o senza di voi. - scosse la testa.
- Ed io verrò con te. Anche Vince. - assicurò Feera, sorreggendo il suo bastone. - Vero? - chiese in sua direzione. Quello si limitò a battere le ciglia. - Bene.
  Mentre preparava la sua spada, l'occhio gli ricadde su una fialetta che sembrava brillare di luce propria, appoggiata sul tavolino là accanto. Era un elisir. Che l'avesse lasciata lì? - Voi avete qualche pozione o roba simile? - si accertò. Chissà che qualcuno di loro non sarebbe finito come Barret o peggio.
- No, ma sono piuttosto brava, in fatto di cure. - lo rincuorò Feera, precedendolo ed uscendo di casa. - Ora dovremmo proprio sbrigarci.
Gli altri due annuirono e s'incamminarono. - Aspettate...! - sentirono Yuffie chiamarli. Li raggiunse, seguita da Red e Carter. - Veniamo anche noi!
- Vi siete decisi, quindi. - quasi sorrise, vedendoli arrivare. Come aveva potuto dubitare di loro, anche solo per un attimo? - Forse però è meglio che tu resti qui, ragazzo. - suggerì al suo impiegato. - E' molto rischioso.
- No... no, voglio venire con voi. - replicò con risolutezza. - Non sarò di peso, glielo prometto.
- E allora cosa stiamo aspettando? - sbuffò Feera, ormai impaziente. Cloud non poteva non rabbrividire, alla vista delle incisioni sul bastone di lei. - Quella Weapon non si sconfiggerà da sola.
  Cloud annuì, issandosi l'arma in spalla. Avevano un'altra bella gatta, da pelare.

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Capitolo 14
*** Lacrime salate ***


 
Lacrime salate
 
 
  I laser di Diamond sprigionavano un potente fascio di luce ogni qualvolta si schiantavano al suolo; Tifa era costretta a schermarsi per paura di rimanere accecata.
Forse avrebbero dovuto evitare un attacco frontale del genere; e, soprattutto, forse avrebbero dovuto evitare di mettere a repentaglio la vita di tanti innocenti. - Questo sta a te. - le aveva risposto Det, a bordo della Weapon. - Per me è indifferente. Un morto o due in più non cambiano poi molto le cose.
Già, certo. Perché per lui non avevano importanza, gli altri. D'altronde, cosa gliene importava che qualcuno non potesse più sorridere, piangere, pensare e farsi male; accendersi quella dannata sigaretta come lui stava facendo in quel momento?
Tifa iniziava seriamente a dubitare di voler avere a che vedere con quelle persone così... sconsiderate e disumane. Per Cloud... fallo per Cloud... La sua espressione doveva essere indice di tutti i suoi pensieri. - Tranquilla; tra poco ragionerai allo stesso modo. - si strinse nelle spalle, mentre un altro raggio colpiva una casupola di legno. - Prendi la tua medicina.
- L'ho già fatto. - replicò a tono, tastando in un riflesso involontario il piccolo marsupio che aveva con sé. Là dentro custodiva la sua scorta di lacrime. - Allora mi sa che ti ci vuole una doppia dose. Tifa, - scherzò. - dico davvero. E' per il tuo bene.
Forse aveva ragione; in fin dei conti, vuoi perché dei cameramen stessero cercando di riprendere la scena, o perché le notizie giravano in fretta o, semplicemente, perché il boato prodotto ad ogni scoppio era udibile a chilometri di distanza, Cloud lo sarebbe venuto a sapere; senza dubbio. E con lui tutti gli altri.
Improvvisamente si ricordò di aver lasciato Barret a morire su un letto, senza averlo nemmeno salutato. Barret, l'omone che per lei era padre e fratello. Spregevole... Chissà se le medicine che gli aveva procurato avevano fatto effetto...
  - Sì, forse è meglio. - annuì quindi, sfilando una provetta dal marsupietto in pelle. Era piccola, stava nel palmo di una mano; al suo interno vi era una goccia dalle curiose tonalità vermiglie.
Senza pensarci due volte, ingerì il contenuto e subito una sensazione la investì; una sensazione di benessere e tranquillità. Come se tutte le preoccupazioni ed i problemi potessero volar via... e... - Il piano sta riuscendo a meraviglia. - sorrise l'ingegnere, soddisfatto.
- Potresti illustrarmelo? - chiese Tifa, dato che la sua cara amica Alexandra non si era nemmeno presa la briga di avvertirla di quella missione. E, a pensarci bene, perché diavolo stavano devastando mezza regione in groppa ad una creatura potenzialmente pericolosa?
Però... però era proprio vero. Lei aveva sul serio la facoltà di parlare con le bestie e, ancor più strano, convincerle a fare qualsiasi cosa, anche fosse stata la più assurda. Ma perché esercitava un carisma che non aveva mai avuto prima? Allora forse sarebbe riuscita a convincere anche il mostro dentro di lei...?
  - Dunque... - iniziò. - ... questo è solo una sorta di riscaldamento. Diciamo che è per testare fin dove la Weapon sarà disposta a seguirti. Fin dove tu riuscirai a spingerti e... beh, è un avvertimento. Per tutto il pianeta, insomma.
- Avvertimento...?
- Sì. Ordini del presidente. - sospirò. - Presto Barbaros estenderà la sua influenza anche sul traffico di armi. Già si occupa di farmaceutica, elaborazioni di minerali e altre attività che la rendono la numero uno sul campo. Un po' come lo era la Shinra.
Non ci fu bisogno che si dilungasse oltre; Tifa comprese subito dove volesse andare a parare. Ora Barbaros stava cercando di rimpiazzare la Shinra, e lo avrebbe fatto con le cattive, perché nessuno si sarebbe ancora fidato di un'associazione che prometteva cose buone e poi distruggeva vite.
E quella Weapon era il segnale, una sorta di ultimatum; della serie "Se non ci seguite, andrete incontro a morte certa". E quella morte sarebbe stata davvero certa.
  - E voi accettate di sottostare ad ordini del genere? - sbottò lei, incredula. Mantieni la calma... è tutto apposto... - Beh, anche tu devi, se vuoi raggiungere il tuo obiettivo. Ah, a proposito, - sorrise Det. - appena questa missione si concluderà...
- E dimmi: quando potremo ritenerla conclusa? - Tifa iniziava a preoccuparsi. Aveva istruito Diamond affinché deviasse la traiettoria dei suoi laser per evitare di colpire civili. Insomma, le aveva chiesto di sollevare solo un polverone, ma cominciava a temere che, di lì a poco, sarebbero arrivati in città; e allora non avrebbe potuto fare niente. Sta' calma..., sussurrava una voce al suo orecchio. Una voce mostruosa che si fondeva con la sua. Una voce che cercava di apparire imperturbabile, ma da cui, in realtà, esplodevano odio e rabbia. Era... la voce della bestia... Andrà tutto bene. Dimmi; cosa c'è di buono?
Di buono c'era che stessero procedendo lentamente, date le dimensioni ancor più spropositate che la Weapon aveva acquisito grazie alle sue protesi... di Emerald.
- Beh... - iniziò lui, zittendosi quando udì arrivare qualcuno. - Eccola! - sentirono infatti esordire qualcuno, dal basso. - Più o meno tra poco! - esclamò, soddisfatto. - Pronta ad entrare in scena?
  Quando Tifa si sporse, per vedere chi fosse arrivato, non si agitò come aveva creduto. E' solo Cloud.
Già; era solo Cloud. Insieme a tutti gli altri. Brandendo la sua arma. Con un'espressione truce. E pronto a... - Salta giù! - il nipote di Cid interruppe il filo dei suoi pensieri. Il nipote... di Cid... Come l'avrebbe presa, il Capitano?
  Beh, saltare da un centinaio di metri non era esattamente facile. Infatti, Det si stava scervellando per capire come fare. - Tu puoi farcela.
Sì; lei poteva farcela. Senza che neppure se ne accorgesse, la pelle attorno alle unghie iniziò a scarnificarsi, così da permettere la loro permutazione in veri e propri artigli. Non delle dimensioni di quelli della bestia, ma ugualmente robusti.
Diamond, arresta i laser, ordinò alla Weapon. Quella si bloccò e fece come le era stato detto.
A carponi, una nuova energia iniziò a confluirle in corpo, e sentì i muscoli farsi improvvisamente più tonici e vigorosi, pronti per un grande balzo; proprio come quelli di un Behemoth.
  E quel grande balzo ci fu. Atterrò con la leggiadria di un umano e la tenacia di quel mostro che l'aveva sempre tormentata. Ma io noi non siamo né l'una né l'altra cosa...
- Te l'avevo detto! - sentì Det sorriderle dall'alto. Sì; ora si sentiva in grado di fare qualsiasi cosa. Perché finalmente aveva trovato il modo di convivere con lei, di trarne dei vantaggi senza che prendesse il sopravvento. Aveva trovato il modo di...
  - ... Tifa...?
Eccolo là, di fronte a lei. Non era molto tempo, che non lo vedeva; eppure le sembrava ancor più bello di come lo ricordava. Sul suo viso, una linea corrucciata lottava per la supremazia con la nota di dolore che andava pian piano modellandosi nel suo sguardo. La sua voce era incrinata, quasi come... Quasi come quando morì Aerith.
 - Cloud. - constatò, con malcelata irrequietezza. Ricomponiti. Tu devi essere indifferente; ricorda. - Cosa ci fai, qui? - cercò allora di dirlo con disinteresse. Beh, le riusciva abbastanza bene. Continua così.
- Cosa ci faccio... qui? - biascicò lui, contrariato. Forse fu solo una sua impressione, ma gli parve quasi che gli occhi di lei fossero diversi. Più... animaleschi. Si erano assottigliati, le iridi più piccole è brillanti di un rosso sanguigno; la pupilla quasi del tutto assente.
E non era l'unica cosa, nell'aspetto di lei, a fargli intuire che avesse messo in atto una sorta di trasfigurazione. - Dovrei essere io, a farti questa domanda. Tifa... - cercò le parole giuste per non far trapelare il suo turbamento. - ... che cosa stai facendo qui, con questo... mostro che tu stessa hai faticato a combattere? Che cosa...?
- Oh, Cloud. - sbuffò, mostrandosi seccata. - Le persone cambiano; sai?
Lui scosse la testa. - Voglio solo la verità. Tifa, io...
- Eccomi qua! - li raggiunse Det, trionfante. - Oh, ma chi si vede! -aggiunse, vedendo il biondo. - Ah, ci sono finanche i rinforzi!
E che rinforzi. - Tu? - sputò Cloud. Ecco cosa voleva intendere, quando aveva detto di dover tornare a lavoro. Ed ecco in che cosa consisteva, il suo lavoro.
Ma perché si sorprendeva tanto? Aveva subito avuto l'impressione di avere a che fare con uno che non la raccontava giusta. Il fatto che sapesse del ritorno delle Weapon, della locazione perfetta di Ruby e di come rimuovere quel dispositivo... Cloud aveva avuto ragione a dubitare di lui. Det era solo un traditore, un doppiogiochista.
- Già. Io. Che bello rincontrarsi; eh? - scherzò, spegnendo in terra la sua sigaretta.
- Det?! - si intromise un'altra voce. Carter superò tutti gli altri, con aria trafelata e con un ciglio sconvolto. - Ma... tu...
- Cugino! Che sorpresa! - gli andò incontro, tirandogli una sonora pacca sulle spalle. Quei due erano imparentati? - Ci manca solo lo zietto e questa è una splendida riunione di famiglia!
- Il tuo "zietto" resterà parecchio deluso, quando saprà che cosa sei veramente. - lo rimproverò Red. - Vuoi spiegarci questa tua mess'inscena?
  Il sorriso scomparve completamente dalle labbra dell'ingegnere. - Beh, avevamo bisogno di accertarci delle capacità di Tifa, e Ruby Weapon era l'espediente perfetto. Certo, non potevo uscire subito allo scoperto! Non sarebbe stato divertente.
E Cloud avrebbe voluto saltargli addosso e urlargli in faccia che non c'era proprio nulla di divertente, in quella situazione. - Ed ora, lei è una di noi. - riprese a sorridere, in direzione della ragazza.
- Tu menti. - serrò quindi la mascella, contenendo il suo desiderio di sguinzagliare la sua spada composita. - Stai mentendo!
- No. - lo interruppe la mora, fronteggiandolo. - E' la pura verità. Fattene una ragione.
Ma sapeva che lui non ne sarebbe stato mai capace.
Allora, perché la lasciasse andare per sempre, Tifa decise di combattere contro di lui. Non importava quanto avrebbe potuto risentirne lei stessa, quante lacrime avrebbe versato; non importava se avrebbe dovuto fargli del male. Tutto, avrebbe fatto tutto, perché lui se ne facesse una ragione.
Era arrivato per lei il momento di andarsene, di voltare le spalle a tutti per permettere loro di essere felici. E forse, un giorno, sarebbero stati capaci di comprendere il suo gesto e l'avrebbero ringraziata.
  Poco importa... Con uno scatto, Tifa sferrò un poderoso gancio destro, costringendo Cloud al suolo. Perdonami...
- Cloud! - gridarono gli altri, all'unisono. Prima che potessero raggiungere i due, la ragazza diede un occhio a Diamond. Distraili con i laser. Ma non li colpire, raccomandò. Sarà fatto, annuì quella, lanciando un raggio in direzione di Yuffie. Ora si faceva sul serio.
  Si avvicinò al suo amico d'infanzia, e quasi le si strinse il cuore nel vederlo a terra, chino e dolorante. Il colpo era stato anche meno potente di quanto avrebbe dovuto, e comunque Cloud aveva una scorza rude. No, non era stato il pugno a fargli male. - Alzati. - ma il suo orgoglio.
Oscillò verso di lui, afferrandolo per l'orlo della casacca. E di nuovo, la voce della bestia nella sua testa. Ma non era più calma e tranquilla.
Nel mezzo dello scontro e del frastuono, la bestia le urlava di uccidere. Di ucciderlo. Non posso farlo. Scosse la testa e lo scaraventò lontano, temendo che davvero il mostro potesse prendere il sopravvento e lo sgozzasse seduta stante. - T-Tifa...
- In piedi. O sei troppo debole?- masticò quelle parole con disprezzo; ma le costava davvero tanto, farlo. Devo; per Cloud... - Forza.
- Perché lo stai facendo...? - domandò, cercando di rialzarsi. Doveva prendere tempo. Ma cosa stesse aspettando, non lo sapeva. - Tifa...
- E' buffo come bisognasse tirarti fuori le parole con delle tenaglie, ed ora sia necessario tapparti la bocca a suon di ceffoni. - lo interruppe. Doveva continuare su quella strada e sarebbe parsa convincente.
Da parte sua, lui non poteva fare nulla. Non poteva attaccarla, non poteva torcerle neanche un solo capello. Non a lei, non a Tifa. Parlarne; dovevano solo parlarne.
E quel "parliamone" che in tutti quegli anni non era riuscito a dirle, si fece strada sulla sua bocca. Perché era questo, ciò che era sempre mancato, ciò di cui entrambi avevano sempre avuto bisogno senza mai ammetterlo l'un l'altra.
- Tu mi chiedi ti parlare? - ridacchiò lei, nervosa. Lo disse come se fosse stata la più ridicola delle idee; eppure, in cuor suo, sapeva che fosse quello che aveva desiderato per tanto tempo... No, lei non doveva cedere. Non doveva illudersi, ma continuare per conto suo.
  Prese il respiro, ed afferrò un'altra lacrima dal marsupio. Aveva bisogno di essere insensibile in quel momento. Annullare le sue emozioni, annullare se stessa; ecco cos'avrebbe fatto. Devi guardarlo come se fosse un estraneo. Anzi, come se fosse solo un sacco da allenamento. Come quelli nel dojo di Zangan, le suggerì la bestia.
Beh, forse era un sacco da allenamento fin troppo adorabile. Ma cosa dico...?
  - Combatti. So che puoi farlo. - tuonò. - Hai sempre fatto di tutto una battaglia personale. Com'è che adesso hai perso la voglia? - lo canzonò.
- Io non so... - si rialzò, con lo sguardo chino a terra. Era sul punto di scoppiare; lo si intuiva dall'insolito tremore della sua voce flautata. - ... che cosa ti abbiano fatto... ma...
- Niente; non mi hanno fatto proprio niente! - rise sguaiatamente. - L'ho voluto io.
- Non capisco perché! - batté un pugno al suolo. Alzò lo sguardo, puntando gli occhi cerulei nei suoi. Tifa gli diede le spalle, era troppo doloroso, vederlo così.
  - Un giorno mi ringrazierai, Cloud. - mormorò soltanto, prima di avventarsi di nuovo su di lui.
E si susseguirono schiaffi e pugni, gemiti di dolore e lacrime salate che lei si sforzava di trattenere ogni volta che un colpo andava a segno, che gli sfigurava quella morbida pelle che spesso aveva sognato di carezzare.
  Tutto questo, fino a che non fu Tifa stessa, a precipitare lontana da lui.
Non aveva sentito arrivare quella donna alta che ora copriva la sua visuale e che stava appoggiata ad un bastone di legno. - Vedo che la storia si ripete. - la sentì sorridere.
Sbiancò; la conosceva. Conosceva i suoi occhi scaltri e vermigli; conosceva quei suoi lunghissimi e fluenti capelli del colore del petrolio; quel suo sorriso un po' sghembo ma ugualmente materno; quelle sue mani, grandi ma eleganti, le stesse che le carezzavano la fronte prima di andare a dormire.
  Quella donna era sua madre. Ma sua madre era morta tanti anni prima. E sua madre non combatteva. Sua madre non avrebbe mai attaccato sua figlia, il dono del cielo che tanto aveva amato.
 Improvvisamente, si accorse che quel colpo non le aveva fatto male. Era servito solo ad allontanarla? - Chi sei? - le chiese, rialzandosi. Notò che una delle incisioni del bastone portava lo stesso disegno che le si era formato sulla spalla.
- Lo sai, bambina mia. - replicò quella, sorridendo. - Mi sei mancata.
Lei ridacchiò, scuotendo la testa. - Mia madre è morta quando avevo otto anni. Sei solo un'impostora. - la accusò.
- Tua madre è sparita dietro le montagne, e te lo aveva detto. - sostenne. E Tifa si ricordò, allora, di quella notte in cui si era alzata e l'aveva vista uscire. Si ricordò di quando le disse che doveva andarsene, che doveva rifugiarsi su Monte Nibel per lei e suo padre. - Quando sarai grande potrai venire a trovarmi... -
E, in fondo, nessuno aveva mai rinvenuto il suo cadavere. Per tutti quegli anni, avevano convinto Tifa di aver sognato, di non aver mai effettivamente visto sua madre lasciarla e dirle quelle parole.
- Non importa. - disse, più a se stessa che a quella donna cui somigliava molto. - Ormai è tardi. Te ne sei andata senza un perché. Te ne sei andata dicendo semplicemente che fosse per il bene mio e di papà.
- E non è forse quello che stai facendo tu?
Touché; di nuovo. - Per me è diverso. Ed ora, ti sarei grata se ti scansassi. - borbottò. Non le faceva paura l'idea di fronteggiarla; dopotutto, era come una sconosciuta. Non sapeva niente di lei, e viceversa.
  - Oh, Tifa... non sai quanto di sbagli. - sospirò, con tono dolce. - Lo so come ti senti. So l'effetto che si prova, a diventare un mostro che ucciderebbe perfino le persone che ama. So cosa si prova, ad allontanarsi da qualcuno per la sua felicità; e so anche come ci si sente a pensare di essere solo un rimpiazzo, una seconda scelta.
- No; tu non capisci.
- Ti dico di sì, invece. Tifa. - le posò una mano sulla spalla, quella dove aveva quello strano marchio. - Sei vittima di un brutto scherzo, la pedina di un gioco più grande di te; - iniziò; e come diceva quelle parole, il marchio prese a bruciare e assunse una colorazione scarlatta. - inarrestabile e i tuoi demoni incontenibili, come i tuoi denti che si digrignano e trovano la forza per piegarsi in un sorriso di sangue. - concluse.
Tifa iniziò a tremare, come percorsa da onde elettriche; sapeva che da quel simbolo stesse sgorgando il suo sangue, lo poteva avvertirne scivolare le gocce sulla pelle lattea. Batteva le labbra, colta da improvvisi brividi di freddo
- L'ho sperimentato io stessa. E non è bello; lo so.
  Scostò la mano e Tifa, ancora in preda a forti tremori, si accorse che sul palmo di quella vi fosse lo stesso marchio. - Questo? - chiese Feera, notando il suo interesse. - E' il simbolo della nostra stirpe; o, più comunemente chiamato, il simbolo del Behemoth Nero, la creatura in cui tu ti trasformi.
- Perché... fa... quest'effetto...? - domandò, indecisa se massaggiarsi o meno il punto dolente. Aveva quasi l'impressione che la carne si sarebbe lacerata da un momento all'altro, per quanto la sentiva tirare.
- Perché ormai è uno stemma maledetto. - spiegò, osservandolo. - Devi sapere che ciò che assumi per combattere la bestia è lo stesso che Heeana somministrò a me. Compare il giorno successivo alla prima lacrima. Il motivo... dovresti chiederlo a lei.
Heeana...? Ma di cosa andava confabulando? - Che cosa...?
- Oh, dimenticavo. Lei si finge ancora una ventenne; non è così? - ghignò la donna. - Perché non provi a chiederle di un certo Tomeeca e di una certa Feera? Quella che si fa chiamare Alexandra non è altro che un fantoccio plasmato da idee malsane.
- Tu... la conosci? - fece lei, incredula. Intanto, Cloud si era ripreso ed assisteva alla scena. - Conosci Alexandra?
  Feera non rispose. Diede uno sguardo alla Weapon che stava combinando un macello, quando quest'ultima si voltò in sua direzione, come chiamata. Restarono così per qualche istante quando, all'improvviso, Diamond smise di attaccare, in attesa di nuove disposizioni. - Non è possibile... - biascicò la mora, incredula.
 Diamond aveva dato ascolto a sua madre e non a lei. - Tu sei una Cetra come me, certo. Ma dopo secoli passati in compagnia di creature di ogni tipo, credi davvero che non sappia come convincerne una? - le sorrise Feera, aiutando Cloud a rialzarsi. - Sei piuttosto malconcio, eh? - scherzò.
  Inutile dire che Tifa non stesse più capendo un accidente, di ciò che era in atto. Sua madre conosceva Alexandra, anzi, pareva che addirittura fosse stata aiutata da lei, ma... ma cos'era successo, allora? Chi era Tomeeca? E perché aveva detto che la dottoressa di fingesse ancora una ventenne?
- Di' alla tua amica che abbiamo recepito il messaggio, e non abbiamo paura. Non ne abbiamo noi, e nemmeno gli abitanti di questo mondo. Ah, e Tifa... - si voltò in sua direzione, a guardarla. Feera sapeva di dover essere orgogliosa di sua figlia. - ... non posso dirti se ciò che stai facendo sia giusto o sbagliato. Se hai preso questa decisione, immagino un motivo ci sia. Ma ti consiglio di guardarti bene da chi dice di esserti amico. Tifa, non fare i miei stessi errori.
  E, prima che potesse chiederle spiegazioni, Feera si congedò, dando di tanto in tanto un occhio a Cloud, per accertarsi che non stramazzasse al suolo da un momento all'altro.
Ora Tifa era furiosa. - Det! - urlò, cercandolo con lo sguardo. Dove diamine era finito? - Det! Dove sei?
Oh, meglio lasciarlo perdere, si disse, Diamond...? Puoi sentirmi...?
Ne catturò l'attenzione. Doveva ammettere che fosse veramente inquietante. Ti ascolto.
Dobbiamo andarcene. Hai già fatto molto, quest'oggi, decretò. Non avrebbe avuto senso continuare quello scontro, se prima qualcuno non si prendeva la briga di spiegarle. E c'erano un bel po' di cose, che andavano spiegate. Che fine ha fatto, quello che era con me?
Tifa seguì la direzione dello sguardo della Weapon; un'agguerrita Yuffie se la stava vedendo con Det. O meglio, lui stava incassando i suoi colpi senza contrattaccare. Che non sapesse combattere...? - Det! - lo chiamò, interrompendo la lotta.
Per un attimo incrociò lo sguardo accusatorio della ninja. - Dobbiamo andare. Ci sono un po' di cose che devo sapere. - gli disse.
- Non crederete che vi lasciamo andare via così! - sbottò lei, raggiunta subito dopo da Red e Vincent.
Ah, eccone un altro a cui doveva molto; Vincent le aveva promesso un aiuto ed aveva perfino ritrovato sua madre Feera. Ma non aveva voglia di sorbirsi anche la sua occhiata ammonitrice. O forse lui non la stava guardando in nessun modo e lei aveva supposto tutto. - Sì, è meglio. In fondo, abbiamo fatto ciò che andava fatto. Ora abbiamo un po' di pubblicità.
  Lei scosse la testa e sospirò, a metà tra l'esasperato ed il divertito.
 
  - Ti sto dicendo che non so di cosa parli.
Tifa tirò una manata sulla scrivania, alla maniera di Barret; Alexandra sobbalzò. - Voglio fuori la verità. Tutta. Come fa mia madre a conoscerti? Chi è Tomeeca? Chi è Heera? E soprattutto, chi sei, tu?!
- Credevo che la lacrima servisse da tranquillante. - commentò lei, seccata.
- Non ho alcuna voglia di scherzare. Tu mi hai tenuta all'oscuro di un mucchio di cose; ed ora vengo a sapere che c'è dell'altro! - sbottò lei, fronteggiando la bionda.
Per un attimo, quest'ultima non disse niente. Si specchiò nei suoi occhi ed alzò un sopracciglio. - Uff... - sospirò, accasciandosi sulla sua comoda poltrona. - Siedi.
  La assecondò, sperando che si fosse finalmente decisa.
- Da dove potrei iniziare...? - si fece pensierosa. - Dunque... Tua madre era l'esponente più influente dell'ultima stirpe di Cetra capaci di dialogare con gli animali e i mostri. I suoi nemici però la costrinsero ad allontanarsi dalla comunità attraverso una maledizione.
- La bestia?
- Sì, esatto. Quella che tu chiami "bestia" è solo il mostro che risiede in ognuno di noi e che, nel vostro caso, prende forma e si manifesta. Due dei migliori amici di tua madre, Leereca e Tomeeca, si opposero al suo esilio, e di conseguenza furono costretti ad andarsene con lei. - raccontò, facendo una piccola pausa.
- Fu allora che li conobbi. Anche io ero stata esiliata dalla mia tribù di Cetra. Il mio vero nome è Heeana, ma non lo uso ormai da qualche secolo... Noi Antichi siamo molto longevi; sai? Avevamo parecchie cose in comune, noi quattro. - ridacchiò; Tifa non afferrò bene perché. - Ed io conoscevo il rimedio per aiutare Feera. E' lo stesso che ho offerto a te.
  Tifa iniziava a capire. Ma non sapeva che c'era una parte della storia che lei non le avrebbe mai raccontato. Perché Alexandra non avrebbe mai ammesso di essere stata così sciocca ed ingenua da soffrire per un uomo che aveva tradito la sua fiducia. O forse aveva sempre dovuto la sua fedeltà esclusivamente a Feera e lei si era solo illusa.
- Ma dopo un po' di tempo, lei iniziò ad essere insofferente al fatto di essere insensibile, perciò smise di assumerla.
- E allora come ha fatto a controllare la bestia? - domandò.
- Oh, suppongo dovresti chiederlo a lei. - fece la bionda, disinteressata. - Ovviamente, tu hai ereditato la sua stessa maledizione.
- Beh...- iniziò Tifa, esitando. - E' tutto... è tutto qui? Non c'è nient'altro che non mi hai detto, oltre alla questione di Loud? - come lo disse, ebbe l'illuminazione. - Non mi hai ancora parlato di lui, in effetti.
- Immagino che lui ti abbia già spifferato buona parte di ciò che c'è da sapere. - ridacchiò la dottoressa. - E se te lo stai chiedendo, no, non sono andata a cercare il corpo del tuo defunto amico Zack. - puntualizzò, alzandosi.
Tifa la seguì fino a che non arrivarono ad una macchinetta del caffè. - Vuoi qualcosa?
- No, - replicò, quasi impaziente. - ti ringrazio.
- Come vuoi... - sospirò Heeana, optando per un cappuccino. - Comunque... fu il professor Hojo, a fornirmelo.
Come aveva detto...? Hojo? - Non mi guardare così! Era molto interessato al mio progetto - certo, lui sarebbe stato interessato a qualsiasi idea folle gli fosse capitata davanti... - ed io avevo bisogno di un corpo da sfruttare per il primo tentativo. Diceva che fossi una scienziata veramente brillante.
- E, giustamente, hai accettato quello che un pazzo ti ha offerto.
- Oh, non farla così grave. - si lamentò.
- Beh, lo è eccome! Scommetto che non sapevi nemmeno a chi appartenesse. - fece Tifa, turbata dalla piega assurda e macabra che la situazione stava assumendo. In più, Alexandra trattava l'argomento con naturalezza ed ovvietà, come se stesse parlando ad un parrucchiere di tutti i suoi problemi. Davvero non si rendeva conto?
- Se lo avessi saputo, non lo avrei utilizzato. Non per la prima sperimentazione, almeno. - si giustificò, afferrando il bicchiere da dentro il vano.
Tifa era nauseata. Non aveva voglia di spingersi oltre, per quel giorno, temendo di venire messa al corrente di altre oscenità. - Qual è la prossima mossa?
- Det non te lo ha detto? - chiese. Sorrise quando si accorse del gioco di parole. Quelle cose la divertivano un mondo. - La prossima mossa è andarmi a prendere qualcosa che contenga il DNA di Aerith; così posso iniziare con lei. Una promessa è una promessa; no?
  Sì; una promessa era una promessa, ed andava mantenuta a discapito delle lacrime che non avrebbe mai più versato.
 
 
Noticine:)
Beh, ecco... ci sono un po' di cose, da dire...
  La prima è che mi congratulo con voi se siete riusciti ad arrivare fin qui; non vogliatemene per la lunghezza del capitolo, ma in pratica gli ho accorpato buona parte del successivo...
  La seconda è che, tra qualche tempo, Tifa potrebbe iniziare a sembrarvi OOC. Non potevo farla cambiare radicalmente da un giorno con l'altro, come se niente fosse, e poi sarebbe stato contro la sua vera natura. Tifa ha deciso di cambiare per la felicità della persona che ama, e per questo motivo diventerà sempre più fredda ed altera. Non me la sento di mettere l'avvertimento dell'OOC, perché sotto sotto resta sempre la stessa; comunque, se proprio la cosa dovesse infastidirvi, fatemelo sapere ed io provvederò a modificare le caratteristiche della storia.
  La terza riguarda il prossimo aggiornamento. Sarò via per circa un mese e non mi è dato sapere con esattezza la data del mio ritorno... in ogni caso, suppongo sarà i primi di settembre.
Concludo ringraziando tutti voi che leggete e Devilangel476, con la sua singolare capacità di tirarmi su di morale e di spronarmi a mandare avanti questo rottame di storia. Grazie e a presto!
TheSeventhHeaven

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Capitolo 15
*** Acido ***


 
Acido
 
 
  Non erano ancora sorte le prime luci dell'alba; eppure, lei era già lì.
Il profumo di fiori le pervadeva la mente, e quasi stava dimenticando il motivo di quella visita. Quasi...
Non poteva bussare a quella porta. Non tanto per l'orario; era certa che Elmyra sarebbe corsa ad aprire e l'avrebbe accolta. E' proprio questo, il problema.
  Decise di calarsi dalla finestra del piano superiore, quella della stanza un tempo appartenuta ad Aerith. Prima di compiere l'ennesimo balzo, sfilò una lacrima dalla tasca in cui l'aveva riposta. Perché avrebbe fatto male, molto male. Sei pronta a profanare la sua memoria?
Tifa scosse la testa; ma come le venivano in mente, certe cose? Lei non stava profanando un bel niente. Stava solo cercando di farla tornare per... per Cloud. Eppure... le Weapon e lo stesso Zack, intrappolato in quel corpicino minuscolo, sostenevano che tornare in vita fosse peggio che morire... quello che stava facendo era quindi sbagliato?
  No. Non se lo faccio per Cloud. Ed era già aggrappata al davanzale della finestra. Per fortuna che era spalancata...
  Quando entrò, un mondo di colori le si parò violentemente davanti. Tutte quelle piante, tutti quei petali profumati e delicati... erano lei.
Evidentemente, sua madre doveva aver preferito tenere intatta la stanza così com'era e prendersi cura di quei fiori come fossero stati Aerith stessa. Non dirmi che ti manca...
Aveva perfettamente ragione. Affatto. Io sono qui con un compito ben preciso, da svolgere. Ma che cos'avrebbe potuto contenere una traccia di DNA della fioraia?
Le lenzuola erano fresche e pulite, segno che erano state cambiate pocanzi. Uno spazzolino? Un capello, realizzò. Ad Alexandra è sufficiente anche un solo capello.
  Con cura, controllò ogni cassetto; e, cercando una spazzola, trovò qualcosa di altrettanto valido.
Quel fiocco era un po' diverso, da quello che portava quando si erano incontrate; eppure, le si strinse ugualmente il cuore, nel vederlo. Ma basta, con i sentimentalismi.
Prese in mano quella stoffa, rallegrandosi alla vista di qualche piccolo boccolo che doveva essere rimasto infilato nella trama rosa.
Lo sfilò, riponendolo nella provetta vuota di una lacrima.
  Poi, guardò il nastro, riluttante. Doveva portare anche quello, con sé? Quanto sarebbe stata diversa, una Aerith senza fiocco? Non sarebbe davvero lei, concluse.
 
  Con una strana ombra in viso, Cid lo ascoltava.
Non pareva particolarmente scosso, né furioso. Semplicemente, non dava segni di vita.
  Cloud concluse a fatica quel racconto. Tifa...
Aveva sempre avuto poche, pochissime certezze; e, proprio ora che aveva capito di voler includere anche lei, la stava perdendo. Era stato così sciocco e cieco, per non vederlo...
La sua certezza era crollata inesorabilmente; e così era per Cid e Carter.
- Non... credo di capire... solo... - fece quest'ultimo. - ... Perché?
- E' una bella domanda. - sospirò Red. - Tutto questo sta assumendo una piega inquietante. Però, mi pare impossibile credere che Tifa sia cambiata dall'oggi al domani. A meno che non sia uscita di testa, non riesco ad immaginare un motivo per il quale...
- Ma ti senti, almeno?! - gli tuonò addosso Yuffie, contrariata.
- E se si trattasse semplicemente di doppio gioco...? - ipotizzò Carter.
Matta, traditrice, doppiogiochista... basta; Cloud non voleva nemmeno più sentirle, quelle cose. - Vado a prendere una boccata d'aria. - si alzò, sbrigandosi ad allontanarsi da quella stanza in cui tutti stavano sfigurando l'immagine di Tifa.
E se avessero ragione? Era quello, il dubbio che non voleva neppure prendere in considerazione. Feera aveva accennato a ciò che... avrebbe fatto la sua felicità. Come se quell'elemento potesse davvero aver determinato l'abbandono della figlia.
Ma cos'aveva voluto far intendere? Come faceva, lei, a saperlo?
  Non so neppure cosa credere... voglio solo... voglio solo che lei torni indietro. Guardò il cielo, sperando che piovesse; perché nulla, meglio di una secchiata d'acqua gelida, può svegliare da un sogno. Perché adesso ho capito. E farò le cose come si deve.
Ma il Pianeta non gli avrebbe concesso la pioggia. Forse non la merito.
  Già; forse no. Cosa ne sarà, di te? Cosa ne sarà... di noi, Tifa?
 
  Quanto ci vorrà?
- Mh... - prese ad osservare il capello chiaro. - Qualche settimana, più o meno.
- Più o meno?
  Alexandra sigillò la provetta con un tappo di sughero. - Non è la fase di ripristino del corpo, a preoccuparmi. - lei... preoccupata per qualcosa? Sembrava una barzelletta. - Mi sarà difficile richiamare la sua anima, più che altro. Era una mia simile e oltretutto un soggetto molto particolare.
Un osso duro, insomma. Tifa sospirò. - Non so per quanto potrò continuare a mentire.
- Oh, Tifa. - fece l'altra, stizzita. - La lacrima serve anche a questo. Vedrai: presto sarai completamente diversa. Ed ora, - indicò la porta. - lasciami lavorare in santa pace. Mi metterò subito all'opera.
Tifa l'assecondò, incamminandosi.
  - Ah, prima che tu vada per i fatti tuoi, - la trattenne. - ho bisogno che tu scenda al piano - 70. Chiedi a Loud se ha finito quello che doveva fare; lo troverai lì.
Sì; ho bisogno di lui, in questo momento. Di lui, della sua apparente spensieratezza, delle sue parole allegre e del suo sorriso.
Qualcosa, di quel che Alexandra le aveva detto, l'aveva turbata. Sarebbe davvero diventata una persona completamente diversa? E' proprio quello che voglio...?
  Scese all'ultimo piano e lo vide. Quel bambino, del tutto identico a Zack, dallo sguardo perso nel vuoto... come tutte le altre volte. Le aveva spiegato che quel corridoio gli ricordava ciò che aveva attraversato per ben due volte. - E' freddo, silenzioso e... strano. - aveva detto infatti. - E' perfetto.
  Talvolta, Tifa si domandava come l'avrebbe presa, venendo a sapere che stesse tentando di riportare Aerith in vita. Molto probabilmente l'avrebbe odiata, avendo sperimentato sulla propria pelle cosa si provasse ad andare e poi tornare; ma, in fin dei conti, non si aspettava davvero che capisse.
  - Loud... - sussurrò la ragazza. Quello si voltò, cadaverico. Strano...
- Tifa. Dove sei stata? - iniziò, con la voce di Zack. Notò che tremava. Che cosa sta succedendo? - Sei uscita molto presto, stamane.
Colta in flagrante. - Una passeggiata. - cercò di sembrare convincente. Lui non indagò oltre. Molto strano... - Loud ti... senti bene?
Non rispose, restando a fissarla negli occhi. Non trapelava alcuna emozione, dal suo sguardo; e Tifa iniziò a preoccuparsi sul serio.
- Sì... sì... - replicò infine. Stava mentendo, per qualche ragione. Non vuole aprirsi con me. E perché avrebbe dovuto? Lei stessa custodiva segreti che non aveva rivelato quasi a nessuno. Non poteva certo biasimarlo.
  - Avevi bisogno di... qualcosa...? - le domandò, a fatica. Loud...
Che cosa le aveva chiesto di fare, Alexandra? Scosse la testa. Avevo solo bisogno del tuo sorriso e della tua schiettezza. - Niente... scusami; ora torno su.
Ma lui non era Zack; non lo stesso Zack. Ed io non sarò la stessa Tifa di prima.
  Si voltò verso l'ascensore. Ma che importanza ha, ormai? - Ti... fa...
Ora, Loud la guardava di nuovo. - Scappa... adesso...
- Che cosa...? - gli si avvicinò. - Loud, cosa sta succedendo?
  E in un baleno lo vide, cosa stava succedendo.
La carne del bambino si stava dilaniando, lacerando; un urlo agghiacciante riempì la quiete fino ad allora imperturbata di quel luogo.
Lui stava, in qualche modo, compiendo una trasformazione. Uno spettacolo orribile.
  Versi mostruosi e disumani volavano dalla bocca di quell'umanoide dalla pelle grinzosa e rattrappita, le ossa nere in bella vista.
Mantieni la calma. Più facile a dirsi, che a farsi.
Tremò quando il mostro esibì una fila di denti scuri; e, da quelle che potevano essere definite le sue labbra, colò una scia di sangue.
  Si avventò su di lei, urlando. Cosa diavolo avrebbe dovuto fare?
Provò a difendersi, ma l'essere trovava il modo di restarle addosso ad ogni colpo, come avesse avuto delle ventose. Calma e sangue freddo.
Come prima cosa, cercò di non provare ribrezzo per quella creatura. E poi...
- Bleeeaarggh! - le sputò quello in faccia, allontanandosi poi con uno scatto. Le diede appena il tempo per pulirsi il viso, che le si scagliò contro nuovamente. Non poteva continuare così.
Lo scaraventò lontano, per vederne la reazione; provò anche a chiamarlo, ma tutto ciò che ottenne furono sangue e saliva sputacchiati. Di Loud, di Zack, ormai non c'era più nulla, in quel mostro osceno.
Solo gli occhi cerulei; ma pendevano dalle orbite come lampadari osceni.
  All'improvviso, l'umanoide le gettò addosso una strana... cosa. La schivò per un soffio e, non appena finì contro la maniglia di una porta e la corrose, constatò che si trattasse di acido.
  Che cosa sei...?
 
 
 
Noticine:)
Ed eccomi qua, di nuovo da voi! Salve!
Come vanno le vacanze? Certo... stanno per finire e... ma io dovrei fare i compiti...!0.0
Comunque, sono tornata, con il nuovo capitolo; cosa sarà successo, a Loud?! Ce la farà Alexandra a riportare in vita Aerith in tempo? Cloud riuscirà mai a perdonarsi, una buona volta? ( Okay, la smetto con le domande )
La prossima pubblicazione dovrebbe essere lunedì o martedì prossimo; sto cercando di scrivere e pubblicare il più possibile prima che cominci la scuola, perché prevedo tempi bui, molto bui...
In ogni caso, ringrazio come sempre Devilangel476 e anche Great_Gospel ( a proposito, scusa se non ho ancora risposto a tutte le recensioni, ora mi darò da fare), che ha riscoperto la storia!
Ora vi lascio, ciao!
TheSeventhHeaven

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Capitolo 16
*** Bacio rubato ***


 
Bacio rubato
 
 
  Gli attacchi che l'umanoide sferrava non erano rovinosi, ma abbastanza veloci da riuscire a disorientarla.
L'attenzione di lei era focalizzata sui getti d'acido che ogni tanto le rivolgeva. Un solo schizzo è sufficiente per ridurmi ad un brandello di carne. Il mostro le urlò qualcosa contro. E non sarà affatto piacevole.
- Allontanati da me! - inveì contro quello. Una rabbia improvvisa le montò dentro.
Cosa poteva fare? Colpirlo sarebbe equivalso a danneggiare anche Loud. E poi, chi le assicurava che dopo avrebbe ripreso i sensi?
Ha importanza? Era di nuovo la bestia. Lui non vorrebbe e dovrebbe nemmeno essere qui. Gli faresti solo un favore.
Forse aveva ragione; in fin dei conti... sì... che cosa le importava? Non erano fatti suoi se qualcuno ci rimetteva la pelle... no? Certo che... che no. Non la riguardava affatto. L'unica cosa importante, adesso, è sopravvivere per portare a termine il progetto.
  Si decise ad assestare un montante sul viso deforme della creatura; e non provò un briciolo di rimorso. E' giusto così. Forse...
E, ad ogni scarica di colpi, il mostro si faceva sempre più debole. Che cosa sto facendo?
  Si avvicinò poi al corpo disgustoso che giaceva a terra, esanime. Era... morto? Eppure aveva il sospetto che potesse saltarle addosso da un momento all'altro.
- Uugh... - sputacchiò quello. - T... Tif... aargh! - prese a contorcersi.
- Loud! - si dovette allontanare, alla vista dell'acido che iniziava a secernere da tutti i pori. Un meccanismo difensivo... - Riesci a capirmi? - tentò. - Chi ti ha fatto questo?
- Ti... fa... - esalò a fatica. Anche se lei aveva già dei forti sospetti, a riguardo. - Al... Ale... xandra... Non devi fi... darti... di lei... Sostiene di far... e tutto questo per ordi... ni del pre... sidente.
Aspettò che continuasse. - Ma la verità è... - continuò, sputando sangue. Zack... - E' lei... è lei, il presi... dente di Barbaros.
  Ora era collerica.
 
  - Sto iniziando a preoccuparmi... - sospirò Shera, anche lei visibilmente scossa dal racconto. - Cloud è fuori da un bel po', ormai.
- E' meglio lasciarlo solo, Shera. - le sorrise Feera. - Ha solo bisogno di rifugiarsi un po' nei suoi pensieri.
Ma è proprio questo, il problema di quel ragazzo... sospirò nuovamente, carezzandosi il ventre.
  - Adesso bisogna studiare una strategia, però. - fece notare Red. - Se vogliamo avere indietro sia Det che Tifa, non possiamo presentarci alla spicciolata. Che cosa suggerisci, Feera?
Lei si fece pensierosa. Era raro che si scoprisse indecisa; e, per la prima volta, forse davvero non aveva idea di che pesci prendere. - Non lo so. - ammise. - Non mi sento nemmeno di consigliare un'attesa.
- No, - annuì il felide. - Aspettare sarebbe sconveniente, in questa situazione. Andando invece a stanarli, potremmo coglierli di sorpresa. Senza contare che il tempo stringe e loro potrebbero star organizzando qualcosa di ben più pericoloso.
Ora dovevano aspettare che Cloud tornasse, per potersi organizzare meglio; ma chissà quando sarebbe rincasato... aveva bisogno di stare solo; giusto?
  Forse anche Cid avvertiva la stessa necessità; eppure, la moglie non poté far a meno di andargli dietro, quando questi si allontanò dagli altri.
- Dove vai? - gli chiese, temendo che potesse scomparire anche lui.
- A fumare.
Shera lo trattenne per un lembo della maglia. - Sta per piovere. - gli fece notare. - E avevi promesso che avresti cercato di smettere.
- Shera, - borbottò, accendendosi una sigaretta. - non rompere il cazzo.
Fermo sotto il portichetto della porta sul retro, scrutava il cielo. Lei lo guardò, seccata.
- ... Scusa. - bofonchiò poi lui.
Lei sorrise. - Torna dentro. - ma questi non le diede retta. - Hai intenzione di andare anche tu, vero?
Allontanò le labbra dalla sigaretta, pensoso. - Può essere. - la verità era che aveva paura; ma non per se stesso.
- Promettimi che farai di tutto per tornare. - sospirò lei. - Sano e salvo, Cid.
- Io non prometto un cazzo di niente. - non sapeva se ci sarebbe riuscito o meno. Temeva che sarebbe morto di crepacuore, rivedendo suo nipote.
  - Mio figlio stravede per te, Cid. - gli aveva sorriso il fratello, prima dell'incidente.
Stronzate, pensò, facendo un tiro. Erano tutte delle stronzate.
  E non poteva illudersi che ci fossero nobili motivazioni, dietro al doppiogioco di Det. Perché Cid sapeva come stessero le cose, in cuor suo; lo conosceva meglio di chiunque altro. Quel ragazzo...
Ricordava ancora il giorno in cui glielo avevano affidato. Sulle prime, gli assistenti sociali avevano avuto intenzione di lasciarlo alle cure dei parenti dalla parte della madre; ma lui aveva frignato perché voleva stare con "zio Cid".
Com'erano diverse, le cose.
  Sbuffò. - Non so cosa pensare, Shera. Voi tutti vi sforzate di trovare una spiegazione plausibile, qualcosa che vi illuda che le persone in questione siano le stesse che conoscevate. - iniziò. - Ma qual è, la verità? Se fossero radicalmente cambiate? Potrebbero essere state spinte dalla brama di denaro e fama. Potrebbero essere diventate tutte sceme. - fece una piccola pausa.
- Conosco mio nipote da che era in fasce e pisciava e piangeva come una fontana; e so che è l'esatto opposto di come appare. Solo...- buttò l'ormai mozzicone in terra. - ... mi chiedo come abbia fatto a non accorgermene.
- E allora... cosa vuoi fare? - domandò, cercando il suo sguardo. Non lo aveva mai visto così serio.
- Cazzo, Shera! - sputò. - Mi metti addosso una fottuta inquietudine. Basta, con questa lagna. Non mi farò mica impalare il culo come Barret. - lo disse con il suo solito ghigno; ma vi era preoccupazione, nei suoi occhi chiari.
  - Andrà tutto bene, Shera. - cercò di rassicurarla.
Un bacio rubato, al sapore di tabacco; e lui era già tornato in casa.
Oh, Cid... sorrise, amaramente. Me lo auguro davvero.
  Rincasò anche lei, con qualcosa di amaro in bocca. E non era il bacio alla nicotina ricevuto poco prima.
 
 
Noticine:)
Allora; premettendo che in questo capitolo non succede un granché, sono inorridita dalla sua cortezza. Perdonatemi, ma proprio non c'era modo di accorparne due.
Per farmi perdonare, oggi ne posterò anche un altro ( e anche quello, non è che detenga un primato quanto a lunghezza), che è quasi esattamente come lo avevo scritto nella prima versione, ed è uno dei passi più importanti della storia; passate a leggerlo, se vi va!
Manca poco alla fine ( beh, poco relativamente... circa, escludendo il successivo, sei o sette)!
E... che altro dire? Volevo scrivere anche un momento incentrato su Cid e la sua Shera. Certo, non poteva essere sdolcinato!
Ci vediamo dall'altra parte! Okay, suona un po' male, detto così.
TheSeventhHeaven

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Capitolo 17
*** Buio ***


 
Buio
 
 
  - Barbaros ha sede su un'isola artificiale. - prese a spiegare Feera, una volta che furono di nuovo tutti insieme. Cloud la seguiva con particolare attenzione.
- E come diavolo ci arriviamo? - sbraitò Yuffie, provocando le risa della prima.
Vincent aveva già capito. E stava già rabbrividendo. - Oh, quello non sarà un problema; vedrete.
- Sì, ma non possiamo mica attuare un attacco frontale con tanto di spade ed alabarde! Devono pur avere qualche passaggio segreto, che non usano più! - tuonò la ninja. - Magari una strada secondaria.
Cid scosse la testa. - No, non ci siamo. Anche trovandolo - ammesso e concesso che ci sia - come faremmo ad utilizzarlo? Se è in disuso, significa che lo hanno sbarrato, e di certo non con la prima puttanata a portata di mano. - spiegò. - A meno che non siano imbecilli, non credo proprio che lascerebbero una porta d'accesso in balia dei primi stronzi che passano.
- Beh... - rifletté Red. - Però è anche vero che la spada composita di Cloud può tagliare qualsiasi cosa.
- Allora non hai capito un emerito cazzo! - lo rimproverò il Capitano. - Quella strada sarà sbarrata da metri e metri di Mythril, acciaio, cemento armato e tutte quelle stronzate che, da sole forse non compongono un grande ostacolo, - tuonò. - Ma insieme sono una barriera impenetrabile.
Era più che plausibile. - Senza contare che non possiamo fiondarci là basandoci su qualcosa che non sappiamo se esista. Ed è la stessa storia per un passaggio subacqueo; senza contare che, essendo sott'acqua, sarebbe ancora più blindato.
  Proprio in quel momento, Shera piazzò sul tavolo un vassoio di tazze da tè fumanti. - Allora cosa possiamo fare? - chiese Cloud, afferrandone una. Si scottò.
- Sapete... forse... forse mi è venuta un'idea. - sorrise Feera. Il ghigno sghembo sulle sue labbra non prometteva nulla di buono. - Una sfida.
- Una... sfida...? Che genere di sfida?
- Oh, è semplice: i suoi guerrieri migliori contro di noi. Non rifiuterà di certo l'occasione per vendicarsi di me. E... se vinceremo, lei dovrà arrendersi su tutti i fronti. Se perderemo...
- ... Moriremo. - concluse Cloud per lei.
- Oh, no. Sono sicura che Alexandra conosca il vostro potenziale e preferirebbe aggiungervi alla sua collezione di burattini, piuttosto che buttarvi via come giocattoli vecchi. - non era per nulla rassicurante. - L'importante è che io possa parlare con lei, alla fine. - lanciò una rapida occhiata al bastone appoggiato al muro. Lo aspettavo da un pezzo, ormai.
- E chi sarebbero, questi guerrieri?
Qui arrivava il difficile. - Non avrete carta facile, con loro. Non sono persone comuni. - prese a spiegare.
- Beh, nemmeno noi! - fece Yuffie orgogliosa. - Abbiamo sconfitto la Shinra, Sephirot e i suoi amici, i Deepground...
  - Lo so bene, principessa. - scosse la testa. - Ma quel che intendo dire è che si tratta di creature a cui è stato fatto il lavaggio del cervello. Sono le sue personalissime macchine da guerra, che rispondo a lei e a lei soltanto.
- Brevemente, siamo fottuti. - fece Cid, teso. Non aveva neppure voglia del tè di Shera, per come stavano le cose. - E poi... se non accettasse? Quella è tutta matta, lo sai meglio di noi.
- Fidatevi di me. - replicò Feera, dura. - E poi, non si tratta solo di riavere indietro quei due. Mentre alcuni di noi saranno impegnati a combattere, altri avranno una missione ancor più importante.
- ... Le Weapon. - dedusse Vincent.
- Esatto; le Weapon. Bisogna disattivare ciò che le tiene in vita. Avete detto che Ruby aveva un dispositivo apposito, e suppongo sia lo stesso per le altre.
Ma chi poteva andare? Dopotutto, nessuno di loro conosceva i macchinari di Barbaros, né tantomeno la strada. - Ecco... a proposito di questo...- disse qualcuno, timidamente.
  Tutti si voltarono verso Carter. - Mio cugino mi parlava spesso dei vari corridoi dell'edificio e dei sistemi di sicurezza che hanno adottato. Forse... posso tornarvi utile, ecco.
Feera lo studiò, con interesse. - E' una grande notizia, quella che ci dai. Ma spero tu non abbia intenzione di andare da solo.
- Beh... ci vuole qualcuno che conosca un sacco di roba tecnologica... io... non me ne intendo molto... e poi... - ci pensò su. - Qualcuno che sappia sgattaiolare per i condotti e si sappia muovere senza farsi sentire.
A Yuffie si illuminarono li occhi. - IO!
- Conosci roba tecnologica?
- No, - rise. - ma io conosco le arti ninja! Io! Portami con te! - lo supplicò. - Dai; hai visto come sono stata brava ad entrare in casa di Cloud!
Quest'ultimo sospirò, sconsolato.
  - E va bene. Allora... tu ed il Capitano verrete con me. Può andare? - chiese il ragazzo alla madre di Tifa.
- Mh... forse, Cid sarebbe più utile con noi. - replicò. - Ma sono certa che Nanaki possieda un sacco di informazioni apprese da qualche manuale di ingegneria. Non è vero? - gli si rivolse. Red annuì.
  - Allora sarà meglio sbrigarsi. - Cloud si alzò, fremendo. Ti riporterò indietro, Tifa. - Come avevi detto che ci saremmo arrivati?
 
  Per lei era una giornata come le altre.
Si era alzata alla solita ora, indossato uno dei soliti tailleur, raccolto i capelli spenti nella solita acconciatura; ed aveva emesso il solito sbuffo annoiato quando, seduta alla sua solita scrivania, aveva visto arrivare quella strana ragazza che bazzicava là spesso, ultimamente.
  Pareva piuttosto fuori di sé. - Dov'è? Dov'è la dottoressa Elredge? - fece quella.
- La troverà nel suo uff...
- Ho già controllato e non è lì! - sbraitò quella, laconica. - Dov'è? Dimmelo!
La segretaria stava per replicare, quando la ragazza l'afferrò per le spalle, scrollandola. - Devo saperlo!
Controllati. Guarda cosa stai facendo, l'avvertì una voce. Lasciò la donna immediatamente. Cosa l'era preso?
  - Cos'è tutta questa confusione? - intervenne Det, infastidito. - Cosa succede, Tifa?
Sei la mia salvezza... - Det! Sai dirmi dove sia Alexandra?
- Uhm... sì, - fece, accigliato. Non l'aveva mai vista così agitata. - è nel laboratorio al ventiquattresimo piano. Ma perc...
Ti devo un favore, pensò, precipitandosi in ascensore.
  Scoprì che il ventiquattresimo piano fosse il laboratorio stesso; un ambiente enorme, dalle pareti blu, fredde, tappezzate di strumenti da lavoro. Sembrava di essere in uno di quei film in cui l'antagonista era uno scienziato pazzo. La situazione è più o meno la stessa. Sono stata proprio una sciocca...
  Alexandra stava al centro della stanza, dietro ad un bancone. Del sangue grondava a terra; stava sezionando qualcosa.
- Che storia è mai questa? - oscillò pericolosamente verso di lei.
La dottoressa le lanciò una rapida occhiata, per poi tornare a concentrarsi sul suo lavoro. - Qualcosa non va? - fece, con disinteresse.
Sbatté un pugno sul tavolo. - Volevo la verità! Solo quella! - urlò. - E tu invece mi hai rifilato solo menzogne!
- Sei sicura di star bene? Forse le lacrime che stai prendendo non...
- Io voglio sapere! - la interruppe. - Che cos'hai fatto, a Loud? Che cosa gli hai fatto?!
La bionda sbuffò, sfilandosi i guanti. - Ho solo cercato di dare un senso alla sua ormai futile permanenza qui. - disse, come se fosse stato ovvio.
- Sei stata tu, a riportarlo in vita!
- Appunto. - continuò. - Ma si è rivelato un fiasco. Così, ho pensato di usarlo per testare gli effetti del mio farmaco su di te; e in parte ha funzionato, dato che l'hai ucciso.
A Tifa si riempirono gli occhi di lacrime. - Ma in parte ha fallito, visto che ora sei assalita dai sensi di colpa. Vedila così: gli hai solo fatto un favore. - concluse, voltandosi.
- Sei un mostro! - tremò. - Io mi fidavo!
- Ma sentila... -ridacchiò. - Tra le due, mi sembra che il mostro sia tu.
Non è vero... - Io... io non...
- Comunque, - riprese. Inserì uno strano liquido in una siringa dall'ago lunghissimo. Era spaventoso. - non importa. D'ora in poi, faremo a modo mio.
  E, prima che potesse accorgersene, Heeana le aveva iniettato il contenuto nell'avambraccio. Tifa spalancò gli occhi, sentendosi cedere. - Non dovrai nemmeno più prendere la lacrima.
Gli occhi di lei si fecero vuoti, il rosso dell'iride che si fondeva al bianco della sclera. Provò un dolore indescrivibile, prima di non sentire più nulla. Un dolore nel petto; come se tutti i sentimenti che non aveva mai espresso, premessero per uscire e si soffocassero l'un l'altro.
  - Seguirai i miei ordini?
Tifa non esitò neppure un istante. - Sì.
- Farai tutto quello che ti dico? - domandò ancora.
- Sì.
Un ghigno soddisfatto di dipinse sul viso di Alexandra. Le legò qualcosa al polso, scarabocchiandoci prima sopra. - Ora non dovrai più aver paura delle tue emozioni.
  Calò il buio.
 
 
 
Noticine:)
Ebbene sì, Alexandra non ce l'ha fatta a contenere la sua mania di controllo, un po' alla maniera di Hojo ( e quei due si conoscevano pure; che sia stata influenzata?) e Tifa non ce l'ha fatta a contenersi. E' piuttosto confusa, direi.
Cosa succederà, adesso? Alexandra accetterà la sfida? Aerith si lascerà abbindolare?
Concludo ringraziandovi di essere passati; in teoria, il prossimo capitolo dovrei pubblicarlo giovedì ( è un po' lunghetto)!
Io vi saluto!
TheSeventhHeaven

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Capitolo 18
*** Numero 091 ***


 
Numero 091
 
 
 Dovresti smetterla di assillarmi. Lo trovo anche piuttosto seccante, sai?
 
Quella ridacchiò, mentre lo diceva; eppure, era palesemente seria.
Se tu accettassi subito, la finiremmo qui, insistette lei. Quella conversazione andava avanti da troppo. Sei testarda.

 
Non più di te!
 
Rise di nuovo.
 
Dammi almeno due validi motivi per cui dovrei accettare.
 
Capisco perfettamente la tua riluttanza.
Sei morta così giovane... non dev'essere bello, non godersi la vita...
Sai, fece, con tono fintamente compassionevole, credo che tu abbia dovuto abbandonare molte cose...

 
Io...
 
Quante cose non hai potuto fare? Era sulla strada giusta.
Quante persone hai dovuto abbandonare prima del tempo?

 
E' stata una mia scelta.
 
Lo so, Aerith. Ma io ti sto dando un'altra occasione proprio per questo. Se tu ti decidessi, capiresti che...
  - Dottoressa Elredge! - una voce affannata proruppe nella stanza buia.
Heeana si risvegliò dal limbo in cui si immergeva in quelle situazioni. Aprì gli occhi, adirata. - Chi è? Non vedete che sono indaffarata?! - sbottò addosso a quella povera malcapitata. Proprio ora che stavo riuscendo a convincerla...
- Lo so, dottoressa... mi perdoni ma... delle persone, nella hall, sostengono di essere qui per lei. - si affrettò a spiegare. - E... e sono armate...
Persone...? - Non m'interessa. Falle accomodare da qualche parte. Anzi... - sbraitò. - fa' come ti pare, ma lasciami lavorare in santa pace; d'accordo? Quando avrò finito forse verrò. Ed ora, - sbuffò con stizza. - va' via!
Sospirò seccata, quando sentì la porta richiudersi. Ora doveva ricominciare tutto da capo; cercare di nuovo l'anima di quella balorda e provare a convincerla. E sapeva che ora, quella maledetta avrebbe tentato di celarsi per non starla ad ascoltare.
Non poteva negare a se stessa, però, di avere un pessimo presentimento. Chi erano, quelle persone?
  Ecco, di chi si trattava..., volse gli occhi al cielo, dopo, alla vista di quei quattro deficienti che la segretaria aveva ben pensato di far aspettare nel suo ufficio. Che cosa diamine volevano?
- Non pensavo che avresti avuto la faccia tosta di venire nella tana del lupo. - sibilò in direzione di quella donna che non poteva sopportare da quando... - Mi sembrava di essere stata chiara, diverso tempo fa. Non avresti dovuto farti più vedere.
- Anche io sono felice di essere qui, Heeana. - sorrise Feera, accomodante. - Ti trovo molto in forma.
- Piantala di scherzare. - brutta vecchia... - Cosa vuoi? Cosa volete? Non ho tempo da perdere, con voi. - sbuffò, osservando ad uno ad uno quegli improbabili individui che la sua nemica aveva portato con sé.
  Conosceva quei volti. Il Capitano Cid Highwind, parente di Det; quel tal Vincent Valentine che ogni tanto aveva intravisto nelle saltuarie visite fatte al Seventh Heaven e... - Ma guarda! - fece, con finta sorpresa. Immaginava perché anche quell'altro musone fosse lì. - Cloud Strife! A cosa devo l'onore?
La guardò, ostile. Non mi fai nessuna paura, Strife. - Beh, qualsiasi cosa voi vogliate da me, andatevene. Sono molto impegnata, al momento; - storse il naso, ripensando a quella sciocca Cetra che non voleva lasciarsi convincere. - o preferite che chiami la sicurezza? - perché Alexandra non si sarebbe impegnata a riportare in vita Aerith per la promessa fatta a Tifa. Perché una come lei può sempre tornare utile.
- Non ce ne sarà bisogno, Heeana. - la rassicurò Feera, rivolgendo uno sguardo duro a Cloud, come volerlo trattenere dal saltare addosso alla bionda. - Sai... ci stavamo giusto chiedendo... se ti andasse una sfida.
- Una... sfida? - le brillarono gli occhi scuri. La madre di Tifa gongolò segretamente.
- Sì; come ai vecchi tempi. Noi contro i tuoi migliori guerrieri; che ne dici?
Lei incrociò le braccia, sedendosi sulla scrivania. Rise, con superiorità. - Perché mai dovrei accettare una cosa del genere?
- Perché, se perderemo, potrai fare di noi quello che vorrai. E, prima che tu ti vendichi di me, - spiegò, con il suo solito sorriso in risposta allo sguardo carico di rancore dell'altra. - ti porterò da Tomeeca. Non è quello che hai sempre voluto?
Aveva catturato la sua attenzione; lo sapeva. Perché, in tutti quegli anni, alla fine, Heeana aveva sempre serbato la speranza di poterli strangolare, quegli stronzi. Di poterli torturare, ridurli alla pazzia, farli soffrire almeno quanto loro avevano fatto soffrire lei. Perché Alexandra non perdonava, non lo aveva mai fatto. E di sicuro non inizierò adesso.
  - Però... - le parole dell'altra Cetra la ridestarono. - Se saremo noi, a vincere, tu dovrai fare tutto ciò che ti dico. E, soprattutto, dovrai stare a sentire ciò che avrò da dirti.
  Analizzò meticolosamente quella proposta. Era certa che loro non avrebbero sconfitto i suoi "guerrieri"; nessuno ne sarebbe stato in grado, e poi... e poi, oltre a poter attuare la sua vendetta, avrebbe potuto sfruttare quei tre come meglio credeva.
 Avrebbero infoltito la sua schiera di soldati perfetti e... Doveva ammettere che la posta in gioco fosse piuttosto interessante.
  - Ci sto. - concluse quindi. - Mi basteranno tre combattenti, per farvi fuori.
Feera si alzò. - Non ne sarei così sicura, Heeana. - ghignò in risposta. Era già stufa, di parlare con lei. E' ancora peggio di come la ricordassi...
  Quando l'aveva conosciuta, era una ragazzina completamente diversa.
Gentile e generosa, sempre pronta a soccorrere chi ne aveva bisogno... Heeana aveva fatto il possibile per aiutarla, sin da subito. Poi, senza un apparente motivo, le erano balenate in testa idee assurde. Come ti sei ridotta, a questo...?
  - Beh, organizza i tuoi subordinati. - sospirò, scacciando dalla mente quei ricordi di giorni che avrebbe solo voluto cancellare. Ora doveva solo prendere tempo e sperare che, intanto, gli altri combinassero qualcosa di buono.
 
  Si sporse leggermente dalla fotocopiatrice, guardandosi attorno con fare circospetto.
Alcuni impiegati stavano conversando là vicino, annoiati. Rappresentavano un ostacolo. - Eheh... - ridacchiò tra sé e sé, stringendo una Materia tra le mani.
- Via libera! - esclamò Yuffie agli altri due, quando vide i corpi dei dipendenti accasciarsi, addormentati.
- Non gridare, Yuffie. - la rimproverò Nanaki, facendo andare avanti prima Carter. - Potresti attivare i sistemi di sicurezza.
- Mh, ne dubito, signor Red. - mugugnò il ragazzo. - La sicurezza di questo edificio è del tutto particolare; è stata studiata e progettata dalla dottoressa Elredge in persona. Da quel che ricordo... da qualche parte ci sono delle microscopiche sonde che scansionano chiunque passi loro davanti.
Il felino tacque, aspettando che continuasse. Aveva una brutta sensazione.
- Poi inviano i dati ricavati ai database di Barbaros, - palesò. - e se le caratteristiche corrispondono a qualcuno che è registrato negli elenchi dei dipendenti, bene... altrimenti...
- Viene etichettato come intruso. - continuò Red.
- Perché diamine non ce lo hai detto prima?! - fece la ragazza, prese dal panico. - Ora le sirene si metteranno a strillare, un centinaio di uomini verranno ad arrestarci, quella pazza ci taglierà la testa e la userà per la sua collezione e... non che io abbia paura di loro; è chiaro! - ridacchiò nervosamente.
Carter sorrise, procedendo. - Non preoccuparti, Yuffie. Le decisioni sulle sorti degli intrusi le prende proprio la dottoressa Elredge. I loro dati devono prima essere visionati da lei, ma... ma se Cloud e gli altri la stanno tenendo impegnata, lei non può sapere della nostra presenza.
Era un piano praticamente perfetto. Red era, in cuor suo, molto sorpreso dalle capacità di previsione di Feera; ma allo stesso tempo, quel suo sapere sempre tutto lo turbava, e non poco. Senza contare che quel Midgar Zolom... accidenti, era proprio piena dei risorse, lei!
- E poi, qui non scatteranno allarmi rumorosi. Sai... così, gli ospiti indesiderati non sanno di essere stati scoperti. - fece il ragazzo, con noncuranza. - Ora però dovremmo affrettarci... non so quanto tempo riusciranno a guadagnare gli altri.
Nanaki annuì. - Quasi sicuramente, le Weapon saranno all'ultimo piano.
- E, ovviamente, di prendere ascensori non se ne parla...- sbuffò Yuffie, alla vista di tutte le rampe di scale che avrebbero dovuto percorrere. A pensarci bene, Cloud aveva raccontato di come, una volta, lui, Tifa e Barret avessero fato lo stesso per salvare Red XIII e Aerith dalla sede della Shinra. Se non altro, noi dobbiamo farle in discesa, si consolò.
  - Stavo pensando... - iniziò ad un certo punto, mentre tutti e tre si precipitavano per gli scalini. - Se... per caso... riccioli d'oro e i suoi dovessero perdere... cioè, io SO che non perderanno, ma...
- Yuffie. - la interruppe Red. - Dubito che Feera sia così sconsiderata da azzardare una cosa simile senza la certezza del nostro successo. - quella donna doveva avere una mente così calcolatrice da non trascurare neppure un dettaglio insignificante. - E, posto che dovessimo fallire, sono sicuro che troverebbe il modo per farci uscire di qui, sani e salvi.
Più che altro, me lo auguro... - E, comunque, non dobbiamo preoccuparcene, per ora. Tutto quello che dobbiamo fare è...
- Che cazzo è, quello? - inveì Yuffie, saltando per aria. Red e Carter spostarono lo sguardo in direzione di ciò che lei stava guardando.
  Quel piano pareva una specie di... obitorio. Centinaia di corpi galleggiavano in vasche di vetro, simili a quelle che, tempo addietro, quel folle di Hojo adoperava per i suoi esperimenti.
Su ognuna di esse, un'etichetta faceva da identità per tutti quegli individui che parevano... morti. Quel posto era agghiacciante; e tutti e tre temevano che, da un momento all'altro, qualcuno di quei cadaveri potesse aggredirli. - Ma che diamine...
Cadaveri, per l'appunto.
  - Credo... credo che questo sia il luogo dove la dottoressa custodisce i corpi di coloro che vuole riportare in vita...
 
  Non poteva negare a se stesso di essere divorato dall'ansia.
I minuti trascorrevano, ed Alexandra stava davanti a quello schermo da un po', analizzando con cura le informazioni di cui era in possesso su coloro di cui sarebbe stata carnefice.
Si trattava per lo più di vecchi dossier della Shinra, quelli dei tempi di Avalanche e Sephiroth.
  Era piuttosto indecisa: chi far scendere in campo, per primo? Come distruggerlo? Chi mandargli, contro?
- Che cosa vuoi fare, Alex? - chiese Det, cercando di nascondere le preoccupazioni che lo stavano divorando.
Perché c'era lì anche suo zio? Perché? Alexandra aveva in mente di far combattere anche lui? Perché diavolo era ancora là, a sostenere quella pazza?
Scosse la testa. Che sciocchezza; lui lo sapeva perfettamente, il perché.
  - Stavo pensando di far sfilare prima Vincent Valentine. - si allontanò dal computer. - E' un esemplare interessante, e poi... - ghignò. - Ho proprio quello che fa per lui.
Det sospirò, accendendosi immediatamente una sigaretta. Con le scontate proteste di lei, ovvio... Dannazione... e non era l'unico, ad essere ansioso.
  Da un'altra parte dell'edificio, difatti, Cloud non faceva altro che stringere in maniera compulsiva il manico della sua spada.
- Su con la vita, Cloud! - gli sorrise Feera. - E anche tu, Capitano!
- Noi saremo anche degli stronzi irrequieti, - masticò Cid in risposta. - ma proprio non so come tu faccia ad essere così tranquilla.
Lei ridacchiò. Assomigliava molto a Tifa, quando lo faceva. - Non mi dire che hai paura, Capitano.
- Cazzo; sì! - sbottò lui, sedendosi su una sedia. Quella specie di sala d'aspetto, poi, era angosciante. E Vincent lo era ancor di più. - Santo Chocobo, Valentine! La smetti di fare avanti e indietro per queste luride mattonelle?
In effetti, anche lui pareva piuttosto turbato. Non capiva; proprio non capiva.
  - Cosa speri di ottenere, Feera? - le domandò, quando questa gli si avvicinò di proposito. - Lei non manterrà la parola, e lo sai.
La donna annuì. - Certo, che lo so. Ma devi avere fiducia in me, Vincent. Non ho preso con me anche il bastone per puro caso. E comunque...
Furono interrotti da un altoparlante. Era la voce di Alexandra.
  - Vincent Valentine è pregato di recarsi al diciassettesimo piano. - fece. - Ripeto: Vincent Valentine è pregato di recarsi al diciassettesimo piano.
Tutti trattennero il respiro; dunque era lui, il primo.
Cid gli tirò una pesante pacca sulla spalla. Non era il genere di persona particolarmente emotiva, ma era logorato dall'idea di non poter più insultare quel mezzo vampiro che si nascondeva perennemente nel suo mantello rosso...
- Buona fortuna, Vincent. - deglutì Cloud, teso. Annuì, andando verso l'ascensore.
- Vince. - la voce di Feera lo trattenne. La guardò; e, chissà, forse era l'ultima volta, che lo faceva.
Con lei ne aveva passate tante e, sebbene avesse cercato in tutti i modi di rinnegarlo, aveva avuto un ruolo importante, nella sua vita. - Ti darò lo stesso consiglio che tu non ascoltasti diverso tempo fa: non vacillare. - gli sorrise, sincera. - Abbiamo fiducia, in te. E nei tuoi ricordi.
  Cercò di non lasciarsi assalire dal timore, quando varcò la soglia del diciassettesimo piano. Cosa intendeva...? Sembrava quasi un'arena.
Al centro, stava una donna; una donna molto bella. Lunghi capelli castani, una risata fragorosa e... aveva uno strano dejà-vu...
  Appena lei lo vide, spalancò gli occhi grandi e si portò una mano alla bocca. Pareva sorpresa... - Vincent... - la sentì mormorare, quasi incredula. - Vincent... oh, sei tu... sei davvero tu!- gli andò in contro, a passo leggiadro.
Lui rimase perplesso quando la donna gli buttò le braccia al collo, commossa. Che cosa...?
- Chi... chi sei? - le chiese, allontanandola da lui. Era scosso. C'era qualcosa che non riusciva a ricordare. - Dov'è, il mio avversario?
 - Oh, Vincent... non mi riconosci? - fece, amareggiata. - Sono io... Sono Lucrecia. La tua Lucrecia.
 
Numero 091; il Mutaforma.
 
 
Noticine:)
Eccomi magicamente qua, come stabilito!
Qui succede un po' di tutto, insomma. Heeana che fallisce e folleggia, Vincent alle prese con il primo avversario e... beh, forse la nostra dottoressa ha fatto un po' male i conti. Chissà se qualcuno ci arriva...
Comunque, credo abbiate capito che non è quella vera. E' il numero 091 perché la parola "Mutaforma" ha nove lettere, ed è il primo dei tre simpaticoni che i nostri amici combatteranno.
Come andrà a finire? E voi cosa ne pensate, di quella strana stanza in cui si sono addentrati i nostri tre amici?
Ora devo andare, sperando di pubblicare il prossimo delirio, Numero 102, domenica prossima... chi sarà, il numero 102...?
TheSeventhHeaven

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Capitolo 19
*** Numero 102 ***


 
Numero 102
 
 
  Con un'espressione a dir poco terrorizzata, Carter avanzava dietro a Yuffie che, a sua volta, cercava di stare attaccata a Red il più possibile.
- Avete paura, ragazzi? - li prese in giro lui. Anche se non lo avrebbe mai ammesso, quel posto angosciava parecchio anche lui.
- Assolutamente no! - smentì subito la ragazza, offesa come se lui avesse chiesto di poter maneggiare le sue Materia. - Non ho certo paura di questi cosi, io. E poi sono morti. Tutti morti!
Fece la linguaccia ad una vasca di vetro. Era piuttosto appannata. - Non possono mica alzarsi, giusto?
- Beh, la dottoressa Elredge ha dimostrato il contrario... - fece notare il fattorino, tremando. - E... e non credo sia una buona idea, restare qui dentro.
- Sì, in effetti hai ragione. In fondo, noi siamo qui per un motivo e stiamo perdendo un mucchio di tempo... ma... ma non è perché io abbia paura, anzi... - ridacchiò, isterica. Red la stava ascoltando, quando il suo occhio captò un movimento. - E' che...
- Taci, Yuffie. - sussurrò lui, tendendo le orecchie.
Lei sbuffò, infastidita. - Oh, ma insomma, Red! Adesso ti ci metti pure tu, non bastava quel nicotinomane a...
Carter le tappò la bocca con una mano, gli occhi sgranati e pieni di panico. Chi era, quella figura che stava davanti alla porta da cui erano entrati?
  - Fatti avanti. - la invitò Red, con apparente calma. - Chi sei?
Se è quel che credo... pensò, osservando il bagliore giallo negli occhi del nuovo arrivato. Non si tratta di uno dei risorti.
Fece per lanciarsi su di loro, ma i riflessi di Yuffie sorpresero tutti e, con l'ausilio di una delle sue Materia, pietrificò l'individuo all'istante. Lei aveva assunto un ciglio terrorizzato ed arrabbiato al tempo stesso. - Se quelli che riporta in vita sono tutti così...!
- Non credo si tratti di loro. Prima abbiamo sbagliato, a scambiare questo posto per un laboratorio. - asserì Nanaki, avvicinandosi alla statua di pietra. Quello che aveva tentato di aggredirli sembrava un bambino. Doveva anche essere affetto da nanismo, perché i tratti del suo volto, seppur mostruosi, sembravano quelli di un quasi adolescente; il corpo, invece, era minuscolo.
 Eppure, dev'essere capace di squartare le persone solo con quei chiodi che devono avergli cucito al posto della dentatura, rabbrividì. Quella donna è assolutamente immorale... - Questa dev'essere la stanza in cui riposano tutti i "guerrieri" della dottoressa.
E, in effetti, alla base di ogni vasca vi era una targhetta che riportava un numero. - Proprio come le cavie di un esperimento... - mormorò Carter, con amarezza. - E quanti ce ne sono...!
Già... chissà chi era, tutta quella gente. Chissà quali erano i loro nomi, le loro storie, le loro vite. O forse sarebbe stato più corretto dire "erano stati"?
Nessuno poteva sapere con certezza da quanto stessero lì. Alexandra pareva avere l'età di Feera, perciò poteva benissimo aver iniziato a raggruppare combattenti secoli prima. E chissà in che pena dovevano essere stati i loro amici ed i loro parenti, non vedendoli più rincasare così, all'improvviso...
  - Comunque, - abbozzò un sorriso. Non voleva nemmeno pensarci. - non pensavo che usassi davvero tutte quelle Materia che ti porto in giro.
- Scherza poco, Red. - sbuffò lei, fissando uno dei corpi nelle vasche. Si trattava di un uomo che doveva essere sulla trentina. - Mi sono presa uno spavento che non hai... no, aspetta; che ho appena detto? Certo; per voi! Le mie Materia sono da adoperarsi in casi del tutto eccezionali. Hey, - ridacchiò. - non vi pare che questo tipo somigli tutto a Vincent? Guardate bene... sembra un vampiro anche lui! E poi...
- Yuffie. - tagliò corto Carter, imboccando l'uscita a passo spedito. - Non c'è tempo... le Weapon! Dobbiamo trovare le Weapon, e ci aspettano ancora un mare di scale!
  A loro restavano ancora molti scalini da percorrere, prima di trovare quel che cercavano; qualcun altro, invece, era già alle prese con i suoi ricordi.
 
  Cloud stava immobile su quella sedia da un po' di tempo, ormai.
Lo sguardo perso nel vuoto, ci mancava solo che si mettesse le mani tra i capelli.
- Cloud. - lo scosse Feera, piazzandosi davanti a lui. Guardare lei era un po' come guardare Tifa. Troppo simili... - Stai bene?
Scosse la testa. - No. Tutto questo è ridicolo e... - cercò le parole giuste. - Mi chiedo cosa stia combinando Vincent, cosa ne sarà di lui. E, anche, non so cosa ne sarà di noi tutti. Feera...
- Oh, Cloud... posso rispondere solo alla prima delle tue domande. - disse, carezzando il suo scettro. Lasciò scorrere le lunghe dita per tutto il legno, fermandosi in prossimità di due simboli verdognoli.
Batté il bastone in terra, quando comparve davanti a loro qualcosa che lasciò lui e Cid a bocca aperta.
  Dalle incisioni dell'asta scaturì una luce del colore degli stessi; pian piano, quei bagliori luminosi andarono ad unirsi, compattandosi in quella che era l'immagine di Vincent.
Una donna gli stava avvinghiata e... ma la conoscevano! - Ma quella è Lucrecia...! - trillò Cloud. - Che diamine ci fa, qui? Lei... lei era...
- Non è quella vera; dico bene? - fece subito il Capitano a Feera, scuotendo la testa.
Lei sorrise. - No, infatti. Come l'hai capito?
- Non so. - sospirò quello, sotto lo sguardo curioso e sbalordito dell'altro. - Non avrebbe motivo di stare in questo posto. Lei non è morta, se ben ricordo.
- In effetti... ma, allora... - considerò il ragazzo. - Allora chi è, quella?
La donna conosceva molto bene quella creatura. - Si tratta di un Mutaforma. Alexandra era riuscita ad impiantare, nel corpo di un umano, un meccanismo di mutazione basato sul sistema Materia. - spiegò. - L'individuo in questione è capace di assumere l'aspetto di qualsiasi cosa o persona desideri. Nel caso di Vincent, Heeana ha ben pensato di mettergli contro il fantoccio di una persona che ha amato molto, nella speranza che possa stroncarlo senza che lui si difenda.
Ora si capivano molte cose. Però... - Anche se si dovesse trattare di un fantoccio, Vincent non muoverebbe un dito, contro di lei!
Alexandra aveva giocato una mano davvero brutta. Per loro, almeno...
Feera scosse la testa, con un sorrisetto beffardo sulle labbra. Ancora una volta, le sue previsioni erano state giuste. - Non ci giurerei. - indicò l'immagine che lo scettro proiettava.
  Vincent guardava Lucrecia perplesso.
Chi era, quella donna...? - Lucrecia...? - ripeté, confuso.
Lei continuava a cercare il suo sguardo. - Vincent... non mi riconosci? - mormorò, facendolo dubitare ancor di più. Conosceva quella voce... no? Sì... somigliava a quella di qualcuno ma... no, se lo sarebbe ricordato, altrimenti.
- Dev'esserci un errore. - la scostò quindi. - Io non conosco alcuna Lucrecia. Ma se tu sei qui, significa che sei tu, la mia avversaria.
- Ma cosa dici... Vincent...? Io sono qui per te! - fece lei. Ma Vincent non voleva lasciarsi incantare.
Normalmente, non avrebbe mai torto nemmeno un capello, ad una donna; ma, se quella era una delle guerriere di Alexandra, significava che la sua aria così fragile fosse solo un'apparenza.
Puntò la pistola in sua direzione, pronto a premere il grilletto. - Non so chi tu sia, - disse prima di compiere il fatidico gesto. - ma ti consiglio di arrenderti.
L'espressione amareggiata ed incredula di lei si trasformò subito in un ghigno mostruoso; e, prima che lui potesse muoversi, l'aveva paralizzato.
La lunga chioma chiara, raccolta in alto, aveva preso ad allungarsi, fino ad avvolgere Vincent completamente. - Non resisterai. Nessuno è mai riuscito a farlo. - ringhiò la donna, il volto ormai deformato.
  I suoi capelli lo tenevano in una presa di ferro, e ben presto iniziarono ad emanare freddo. Quella creatura lo stava congelando, in qualche modo.
- Questa - disse, rubandogli la pistola di mano. - non ti servirà più.
La scagliò lontano, tornando a concentrarsi sul programma di surgelamento che stava attuando. - La dottoressa deve aver sbagliato a fare i conti... - sospirò, sedendosi a terra. - Poco male. Aspetteremo che tu diventi una perfetta statua di ghiaccio.
Sentiva le dita assiderarsi, ormai. Devo fare qualcosa.
Aveva con sé la Materia di fuoco e... Ho un'idea.
  Cercò quindi di sfilare la sfera verde dalla tasca ma, proprio quando era riuscito ad afferrarla, gli si paralizzò la mano. E la Materia cadde.
- Ma guarda. - rise la nemica, alla sua vista. Si chinò a raccoglierla. - Cosa credevi di fare, con questa?
Vincent colse l'occasione, in modo tale da utilizzare, con l'altra mano, la Materia di Reflect. La strinse forte e, ben presto, un urlo agghiacciante riempì la sala e le orecchie della stessa Alexandra.
  Il Mutaforma si ritrasse, urlando per il freddo che iniziava a percorrergli le vene.
Ora, nel centro della stanza si ergeva la splendida scultura di cristallo di una donna. Che poi la stessa avesse il volto contratto in una smorfia di dolore, non contava.
  L'uomo si rialzò, riappropriandosi della sua arma.
Erano quelli, i burattini di Alexandra? Vincent non era il tipo di persona che ostentava superbia, ma se tutti i combattenti decantati erano così...
Però si sentiva confuso più che mai. Si sentiva come se avesse avuto un vuoto di memoria; e, come lui, anche Cloud e Cid erano spaesati.
Vincent aveva appena tolto di mezzo colei che rispecchiava l'unica donna che lui avesse mai amato in vita sua, colei per cui aveva passato buona parte del suo tempo chiuso in una bara... - Ma sono io che vedo male o...? - il Capitano si stropicciò gli occhi.
I due si voltarono verso Feera, aspettandosi una spiegazione per ciò che avevano appena visto.
- Oh, perché credete che c'entri io? - sbuffò lei, a metà tra il divertito e lo sconsolato.
- Perché tu c'entri sempre. - le fecero notare.
Allora si arrese e spiegò loro di come avesse sottratto a Vincent il ricordo di Lucrecia, in previsione di quel che sarebbe potuto accadere avendo a che fare con Heeana. Da una parte, era soddisfatta di aver visto giusto; ma dall'altra, ora aveva la certezza che i suoi sospetti sull'avversario successivo fossero fondati.
  E ne fu ancora più sicura quando, dopo che Cloud fu chiamato all'altoparlante, il bastone ne presentò l'immagine, alle prese con quella che pareva essere Tifa.
 
Numero 102; Tifa.
 
 
Noticine:)
E, con un giorno di ritardo ( sì, scusate, ma ieri sono stata a casa pochissimo...), eccomi qui!
Ci siete rimasti male per Tifa? Lo so, lo so; anche io. Ma come si risolverà, la situazione?
Feera ha l'incredibile potere di fare previsioni corrette per fatti che riguardano anche situazioni molto lontane; per questo, l'aver privato Vincent del ricordo di Lucrecia è stato, col senno di poi, un colpo di genio. Ma per Tifa? E gli altri tre bricconcelli ce la faranno?
Okay, la smetto con le domande da programma televisivo e... beh, avrete notato che le Materia assumono un ruolo sempre maggiore ( in effetti, dovrebbero aggiungerle alla lista dei personaggi solo per le mie storie, quasi...) perché le trovo davvero utili, soprattutto in casi come quello del nostro povero Vince!
Ora devo andare, ho una cosetta da pubblicare e... ah, il prossimo capitolo dovrei postarlo giovedì, perciò ci vediamo presto!
TheSeventhHeaven

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Capitolo 20
*** Gesti ***


Noticine pre capitolo:3
Sì, scusate per il ritardo di un giorno ma ieri, come domenica, non sono stata a casa e non ho potuto pubblicare!
Ora... non so a quando il prossimo aggiornamento. Tra domenica e lunedì, comunque... e dopo, credo che non mi sarà più possibile aggiornare così frequentemente. La scuola ricomincia e penso che avrò la possibilità di postare un capitolo al mese, di sabato.
Ovviamente, cercherò di accorparne qualcuno per lasciarvi con una lettura un po' più lunga e... beh, intanto, vi lascio a questa. Cloud potrebbe sembrare leggermente OOC, ma ricordate che un personaggio, prima o poi, dovrà comunque subire una maturazione psicologica come succede oggi ( comunque, fatemi sapere se lo trovate davvero troppo improbabile e provvederò per l'avvertimento).
Con questo, vi lascio!
TheSeventhHeaven
 
 
 
Gesti
 
 
  - Maledizione! - scaraventò lo schermo a terra, in un momento d'ira. Quello andò in mille pezzi, sotto lo sguardo scettico e timoroso di Det. - Quell'incapace!
- Alex...
- Taci! - ringhiò lei in risposta.
Cercò di ricomporsi. Non aveva tempo per lasciarsi andare in attacchi d'isteria. - E'... è tutto apposto. - cercò di convincersi. - E' evidente che la memoria di Valentine risenta dell'età. O magari si è fatto forza per... ma non ha alcuna importanza. - inspirò a fondo. - Non ha importanza.
Accese uno dei monitor disposti sul tavolo, rimanendo sorpresa dalle immagini che le mostrò. - ... Degli intrusi.
- Ma quello... è Carter! - constatò Det, alla vista del cugino. - Che cosa ci fa qui, insieme a quei due...?
Alexandra storse il naso. Che seccatori... - E' quello che mi chiedo anch'io. Pazienza, - disse, premendo un grosso pulsante. - non andranno lontano. Tranquillo, - lo precedette prima che potesse muovere qualche critica. - a tuo cugino non accadrà niente.
Lui non trovò le parole per dirle che non era solo lui, a preoccuparlo. Perché ormai non era più soltanto un gioco e... - ... Cosa farai, adesso?
Già; che fare? Analizzò con cura la situazione.
  Non poteva, non doveva perdere di nuovo. Ma chi scagliar loro contro, questa volta? Chi le avrebbe assicurato la vittoria?
Le tornarono in mente le parole del suo maestro. E finalmente capì.
Sì... ghignò, mentre chiamava il combattente successivo. Dopotutto, i sentimenti sono la debolezza degli umani...
 
  - Il posto dev'essere questo. Le scale sono finite. - constatò Yuffie, guardandosi attorno. Quel corridoio era davvero angosciante.
- Ma chissà dove dobbiamo andare... - sospirò Carter. - Ci sono quattro porte, qui. E se ci dividessimo?
Red scosse la testa. - Non è un'idea saggia. Non sappiamo ciò che troveremo là; io e Yuffie ce la potremmo cavare, ma tu... è meglio restare uniti. Oltretutto, questo luogo è impregnato di un'energia tremendamente sinistra. - era come se si trovasse in una sorta di limbo tra vita e morte, dove ogni suono giungeva ovattato e faceva freddo. Due dei motivi per i quali la struttura è subacquea...
  Procedettero verso l'entrata che stava sulla sinistra, trovandosi subito al buio. Solo la fiammella posta sulla coda dell'animale pareva rischiarare il loro cammino. - Sentite ma se and-
- Yuffie, abbassa la voce. - la rimproverò Nanaki, immaginandosi già che lei avrebbe volto gli occhi al soffitto. - Non capisci? Questo è l'ambiente dove è stata ripristinata la vita di una creatura. - spiegò, iniziando a percorrere degli scalini che portavano verso il basso. - Perciò luce, temperatura e suono devono essere presumibilmente regolati in base alle esigenze di un defunto. - disse. E la morte è buia, fredda e silenziosa, evitò di aggiungerlo
- Okay, ma se io devo tacere, perché la fuori c'è qualcosa che fa questo rumore? - chiese, zittendosi non appena uno stridio metallico riprese a farsi sentire.
Cercarono di capire di cosa si potesse trattare, quando Carter risolse ogni loro dubbio.
  - Credo... - balbettò, timoroso. - Credo che Alexandra si sia accorta di noi.
  Intanto, Cloud non riusciva a muoversi, come se qualcuno lo avesse paralizzato in quello stesso momento. E, anche se ne avesse avuto la possibilità, non avrebbe avuto la minima idea di cosa fare, esattamente.
Tifa era appena comparsa in quella stanza enorme e fredda, e per lui fu difficile ammettere di avere paura. Per quello che poteva esserle successo, per la sua impotenza di fronte a lei e, anche, per l'aura minacciosa che emanava. Per tutto, insomma.
Perché lei sembrava ancora più forte dell'ultima volta e, soprattutto, ancor più irremovibile. Perché?
Quella domanda risuonava nella sua mente portando con sé lo stesso fragore del suono di una campana.
- T-Tifa... - gli si mozzò la lingua, quando lei sollevò lo sguardo. Gli occhi vuoti, ed un inquietante sorriso. Gli sembrava che il bianco immacolato della dentatura di lei fosse impregnato di rosso.
Chiamali denti... a dire il vero, parevano più zanne. E da quelle zanne colava... sangue. Di chi era? Suo? Di qualcun altro? Aveva davvero...?
  - Tifa... non avrai intenzione di... - biascicò, vedendola avanzare. Ma lei non rispondeva. - Tifa, ascolta...
Ma non fece in tempo a concludere, perché quella gli centrò il viso, artigliandosi alla spalla di lui. Cloud cadde all'indietro, gemendo alla vista di quei segni scarlatti che presto gli avrebbero lasciato l'ennesima cicatrice.
Cosa doveva fare? Strinse l'impugnatura della spada, riflettendo sulle possibilità che non aveva. Di certo non l'avrebbe attaccata. Mai.
Ho solo bisogno che... il tempo si fermi... rifletté, cercando di schivare i calci di lei.
Era veloce, troppo. Anche più di prima; e si muoveva in maniera diversa, da quando combatteva al suo fianco. Erano gesti, sì eleganti, ma feroci, rapidi, come un animale guizza per afferrare la sua preda.
E, finalmente, Cloud capì che non fosse, che non potesse essere lei. Ci doveva essere dell'altro.
 Ho bisogno... Afferrò il polso di lei, prima che potesse colpirlo al volto.
Per un attimo, gli occhi cerulei di lui cercarono i suoi. Ho bisogno che il tempo... ma erano vuoti. Tifa non aveva più uno sguardo.
Ho bisogno che il tempo si fermi... adesso.
 
D'accordo... Ma poi non ti lamentare.
 
  Stropicciò gli occhi.
Tifa stava a mezz'aria davanti a lui, immobile. Il tempo si era davvero fermato?
E... Aveva davvero sentito quella voce; quella... risata?
 
Certo, che l'hai sentita. Non cercare di ignorarmi, Cloud!
 
- Aerith...? Ma dove...? - iniziò, basito. Cosa stava succedendo?
Tacque, quando vide un dito sottile posarsi sulle sue labbra. Il fantasma di Aerith era davanti a lui, e sorrideva. - Ciao, Cloud.
Lui non trovava le parole. C'erano così tante cose, che avrebbe voluto dirle, che avrebbe voluto chiederle... Ma perché proprio adesso...?
Che domanda sciocca; sapeva che lei fosse lì per lui. Perché c'erano sempre tutti, quando si trattava di dargli una mano, di salvarlo.
Allora, glielo chiese. Anzi, quasi la pregò. - Aiutami, Aerith. Io...
- Lo so, Cloud. - il suo sorriso si allargò. - Lo so. Ma, vedi... ti sembra tutto così strano, ora...
Indietreggiò. Si avvicinò a Tifa, e riprese a parlare, con un'espressione amara in volto. - Cloud... sai perché Tifa si è allontanata da voi?
Scosse la testa. Non sai quanto me lo sia domandato.
- Per la tua felicità. - disse.
Il ragazzo si rabbuiò. - Questo lo sapevo già, mi è già stato detto. Ma... - ammise. - Non capisco perché. Cosa vuol dire " per la mia felicità"?
Aerith sospirò, sconsolata. - Perché lei ti ama, Cloud. - quelle parole lo colpirono. Certo, lui... lui lo sapeva, sapeva dei sentimenti che lei provava per lui, in un certo senso... ma...
- Solo che... - riprese, andandogli di nuovo incontro. - Non sa se per te sia lo stesso. Anzi, a dire il vero è quasi convinta che non lo sia. Perché ha cercato, ha cercato con tutta se stessa di impegnarsi. Ma alla fine...
Si voltò a guardare l'altra, la cui figura stava sospesa. Sembrava anche lei una statua. - ... Ha rinunciato. Lei è una tenace, e tu lo sai. - gli disse, guardandolo. - Se ha rinunciato, una ragione c'è; e quella ragione sono io.
Non capiva.
Era vero, in passato erano successe molte cose e... e forse, il fatto che lui non fosse mai davvero stato sicuro dei suoi sentimenti, non aveva certo giovato le cose.
Amava Tifa o Aerith? La verità era che, semplicemente, lui non lo sapeva e non lo aveva mai saputo. E, forse, aveva sempre amato troppo entrambe, per rinunciare al sorriso di una di loro; diverso ma stupendo ognuno a modo suo.
Ma adesso... erano passati cinque anni; possibile che...?
  - Tu...? - la incalzò quindi.
- Lei credeva e ha sempre creduto... - gli occhi di lei parvero volerlo trapassare. - ... Che tu possa essere felice solo con... me.
... Ora era tutto molto, molto più chiaro.
Tifa aveva rinunciato a tutto per riportargli Aerith. Perché la felicità di lui valeva più di quella di lei stessa.
- E' per questo che ha sopportato ogni cosa, ogni scoperta su Alexandra. Per la tua felicità. Perché lei è felice solo se lo sei tu; e perché tu lo sia, ha fatto di tutto per ridarmi la vita. - continuò. - Ma, Cloud. E' davvero così?
Lui abbassò il capo. Come spiegare?
No, forse non c'era proprio nulla, da spiegare; perché Aerith sapeva già tutto. Forse aveva potuto provare a mentire a se stesso, ma non a lei. - ... No.
Serrò la mascella. - No, non è così. - affermò, con voce tremante. - Io.. io ho capito, adesso. Io... - ... non posso vivere nel passato.
Non continuò; non ce ne fu bisogno. Nel sorriso di lei, comprese che lei non avesse bisogno di spiegazioni.
Ora aveva capito quello che Tifa, la stessa Aerith e tutti gli altri avevano sempre cercato di spiegargli. Perché la vita va avanti. Deve andare avanti.
  - Ma cosa posso fare, ora? - le chiese comunque. - Non sembra più nemmeno se stessa. E non ascolterà nulla di ciò che avrei da... da dire.
La Cetra socchiuse gli occhi, dissolvendosi. Prima che l'immagine di lei scomparisse per sempre, gli parve di sentirla sussurrare qualcosa.
 
A volte, un gesto vale più di mille parole, Cloud.
Ricordalo.
 
  Annuì, abbozzando un sorriso. Lasciò a terra la spada composita, vedendo che il tempo riprendeva a scorrere e che Tifa si muoveva di nuovo.
Si scansò appena in tempo per riuscire a sorprenderla alle spalle; ma non l'attaccò.
Qualcosa che aveva sognato tanto, da bambino, e che non aveva avuto il coraggio di fare quando avrebbe potuto. E sperò, sperò con tutto se stesso che funzionasse.
  Semplicemente, l'abbracciò.
 

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Capitolo 21
*** Fuga ***


 
Fuga
 
 
  La bestia fissava la bambina, e la bambina fissava la bestia.
E' come specchiarsi in se stessi; non trovi? rise, mentre si sedeva a gambe incrociate. Ma dov'era seduta? Era tutto buio...
E così, alla fine ce l'hai fatta, abbozzò un sorriso. Siamo cadute qui dopo il calore di lui.
Il... calore di lui? Sì. Il suo abbraccio. Il suo calore!
Ma perché? Che cos'era successo, esattamente? Beh... sorrise, ha importanza? Non è necessario trovare una spiegazione a tutto, credo...
Quella bimba aveva qualcosa di familiare... era... era... Io sono te.
Lei...? Ma di chi stava parlando? Della bestia...? Ma... E tu sei me. Entrambe siamo Tifa. Ecco perché le sembrava di conoscerla. Capelli scuri, pelle diafana e... un grazioso abito acqua marina. Era Tifa da bambina.
Siamo la stessa persona; sai? iniziò, andandole vicino. La bestia la guardava di rimando, inespressiva. Eppure, abbiamo a lungo creduto di essere l'una la controparte dell'altra. Però non è così.
Il mostro annuì. Quasi si confondeva con il posto dove si trovavano, a causa del suo manto nero e... a proposito, dov'erano? Siamo nella nostra mente, non temere, la rassicurò. Non sei mai stata qui, vero? Beh... è da tanto che volevo incontrarti. Ma tu mi hai sempre affossato, soffocato come se niente fosse, fece con rimprovero.
Alla bestia dispiacque. Non preoccuparti, sorrise comprensiva, lo so che ti dispiace. Però... ora hai capito?
Lei annuì di nuovo; perché, sì, aveva capito. Non doveva più ignorare l'altra.
Proprio così. Tutto questo è successo perché noi non siamo mai riuscite ad assecondarci, spiegò. Tu cercavi di uccidere me, le emozioni; ed io cercavo di uccidere te, la razionalità. Perché abbiamo aspetti invertiti, mi chiedi? la sentì ridacchiare.
La bestia scosse la testa, perché lei conosceva il motivo. Ma non dobbiamo più fare una cosa del genere; guarda!
Le indicò un bagliore, un bagliore dai toni rossi; ma non si trattava del colore profondo e pungente del sangue. Quello è qualcosa di diverso. E' il calore, portò il braccio lungo i fianchi. Lo hai cercato tanto, vero? E indovina un po' di chi è, questa voce...
  Si concentrò sulla luce; e ben presto riuscì ad udirlo. Qualcuno stava piangendo. Già. Ora, noi siamo qui, perciò lui crede che siamo morte, sospirò la bambina. Ci sorregge tra le sue braccia; riesci a sentire il suo dolore? E' lo stesso che provava quando è morta lei.
La creatura scosse la testa, perché non era la stessa cosa. Hai ragione... ora soffre molto, molto di più. E' come se avesse perso di nuovo qualcosa di così prezioso da essere insostituibile; capisci?, si voltò a guardarla. E' la consapevolezza di averla persa ad un passo dal tenerla con sé per sempre. E in questo momento è molto peggio di quando perse Aerith. Puoi sentirlo?
La bestia capì, finalmente.
  Cloud era già andato avanti da un pezzo; erano state loro due, era stata Tifa, a non riuscire a superare l'idea che lui fosse cresciuto. E, all'improvviso, si diede della stupida per aver fatto di una frase un dramma.
Era stato qualcosa di fugace, un attimo di sconforto e... Ora riesci a capire cosa succede quando trattieni tutto dentro?
Ma cosa poteva fare? Ormai, era inutile piangere sul latte versato. E loro stavano morendo.
E' vero. Non ci resta molto tempo... tornò a guardare il bagliore rosso. Non se restiamo così. Ma se troviamo il coraggio di non scappare...
  La bestia le si avvicinò, guardandola negli occhi.
... forse possiamo sopravvivere, sorrise la bimba, porgendole la mano. Tu ed io siamo due facce della stessa medaglia. In ognuno di noi esistono le bestie, sorrise quando il mostro tese un arto. L'importante non è sopprimerle, ma saperle gestire.
La luce rossa prese a brillare con maggiore intensità, fino a che non accecò entrambe. La bambina aveva afferrato la zampa della bestia, e la stringeva.
Mentre chiudeva gli occhi, le parve di avvertire il rumore dell'acqua, una goccia; una... lacrima.
  E, infine, una voce serafica e familiare.
 
I sentimenti sono la forza degli umani, Tifa.
 
Non tornerai, vero? le chiese, prima di andare.
 
No. Io non posso e non devo tornare.
Io non appartengo più a questo mondo.
 
Perdonami se ho creduto il contrario.
La sentì ridere; e sorrise a sua volta. Le mancava lei, la sua risata che scaldava il cuore. E, anche se non erano mai state davvero molto legate, sapeva di doverle molto, forse più di Cloud.
 
Perdonarti?
Hai solo sperato di poter donare la felicità a qualcuno,
 credendo la stesse ancora cercando.
Ma non ti sei resa conto che lui l'avesse già trovata;
e quella felicità sei tu stessa, Tifa.
 
Annuì, mentre sentiva una lacrima bagnarle la gota; la stessa lacrima che aveva sentito cadere prima. Realizzò che non fosse sua.
  All'improvviso, riprese a percepire i suoni, i respiri, le voci e... la realtà la tramortì come uno schiaffo in pieno viso. Era come svegliarsi da un lungo sonno.
Aprì piano gli occhi, come a voler verificare di vedere ancora. Non aveva padronanza del suo corpo da un po', a dire il vero; rise tra sé e sé, scacciando lo sciocco timore di aver perso l'abitudine.
Si chiese se avesse sognato o meno, prima. Ma c'è davvero stato un "prima"?
Alzò il capo, lentamente. In effetti, si sentiva un po' dolorante. Cosa diamine era successo? Avvertì uno strano bruciore al petto, sul dorso e al viso. Ma cosa...?
Ferite, erano ferite; e sgorgava sangue a fiordi. Chi...?
  - ... T-Tifa?
Ah, non aveva notato un altro piccolo, minuscolo, insignificante dettaglio. Il viso di Cloud riempiva ora la sua visuale, tormentato, martoriato, logorato e... aveva già detto " tormentato"? - Cloud... - tese la mano verso il viso di lui, sfiorandogli la guancia.
Piccole, calde lacrime sfuggivano dai suoi begli occhi, sebbene lui cercasse di trattenerle. Ecco chi stava piangendo... oh, Cloud... Gliene asciugò una, provando a sorridere. Ma non ne aveva la forza. - Non piangere... - disse, flebilmente.
- Ho avuto paura che...
- Va tutto bene. - lo interruppe. Abbassò il braccio; non ce la faceva nemmeno a tenerlo sollevato. Come aveva fatto, a ridursi così? - Ora... è tutto finito...
- Tifa... - iniziò, rovistando febbrilmente nelle tasche alla ricerca di una pozione o qualcosa di simile. - ... Scusami; scusami davvero.
Se fosse riuscita, lei sarebbe scoppiata a ridere; ma il petto le faceva troppo male. - Sono io a dovermi scusare. Ho creduto... ho creduto che... io... - non ce la faceva, a continuare. - Cloud... hai mantenuto la... la promessa...
I tratti del volto di lui si rilassarono, per qualche istante. Non c'era nulla di più bello del suo sorriso, seppure debole ed amareggiato. Non ti sentirai in colpa anche per questo; vero? - Sì. - stappò la fialetta di quella che doveva essere una gran pozione.
  - Sì, ho mantenuto la promessa, una buona volta.
 
  Era già capitato, a Red e Yuffie, di trovarsi in una situazione simile.
Camminavano per qualche foresta, e poi si trovavano accerchiati dai mostri; loro e gli altri membri del gruppo. Ci si divertiva sempre, in quei casi. Cinque anni prima, per lo meno.
  - Okay. - fece Carter, a denti stretti. Gli tremavano le gambe. - Che si fa?
- Beh... tu stai indietro! - rispose raggiante la ragazza, facendo roteare la sua arma tra le dita. Incredibile come riuscisse a mantenere tutta la sua energia anche in quel frangente. - Noi... ci diamo da fare!
I due aprirono le danze, sotto gli occhi del povero ragazzo, che guardava tutto sbalordito. Quegli strani robot dall'aspetto umanoide non erano pericolosi come sembravano; o, forse, erano Nanaki e la ninja, ad essere troppo forti per loro.
Però erano davvero troppi. Cadevano facilmente, ma poi ne arrivavano subito degli altri; Carter non sapeva dire da quanto quella storia andasse avanti, ma ad un certo punto, Yuffie si lasciò cadere a terra, sfinita. - Non ce la faccio più! - ammise, disperata.
- Non potresti... usare la sfera di prima? - suggerì il ragazzo, in preda al panico.
- Quale intendi?
- Non lo so... - fece. - Una a caso!
Lei annuì, estraendone una. - Proviamo! - all'improvviso, tutti i robot si trasformarono in ranocchie. - Così può andar bene, Red?
Il felide parò un colpo da un anfibio. - Sono più deboli, ma egualmente capaci di attaccare. Prova con un'altra.
Yuffie annuì, adoperando questa volta una Materia che fermò il tempo proprio prima che una rana le saltasse addosso.
- Uff... l'abbiamo scampata bella! - sospirò, scavalcando un cumulo di corpi. - Ma quella pazzoide quanti ne ha, di questi cosi? - aprì nuovamente la porta che stava sulla sinistra, addentrandovisi.
  Mentre scendevano, facendo bene attenzione a non inciampare, nessuno dei tre fiatò. Erano ansiosi di sapere cos'avrebbero effettivamente trovato, se una Weapon oppure altre sorprese; ma, soprattutto, fremevano per andarsene di lì il prima possibile.
Perfino Red, solitamente curioso in ogni nuova esperienza, sperava di poter tornare a casa al più presto e, possibilmente, tutto intero.
Ma ci sarebbero davvero riusciti? E, Cloud, Vincent e tutti gli altri?
  - Credo... che ci siamo. - bisbigliò Carter, fermandosi appena prima di varcare l'ultima soglia. - Però... ragazzi, come facciamo a disattivare le Weapon?
- Un modo si trova di sicuro! - sorrise Yuffie, oltrepassandolo.
- Fermati lì dove sei. - fece Nanaki, perentorio. Lei lo guardò, interrogativa. - Yuffie, mi pare piuttosto strano che, oltre a quegli automi, non abbiamo incontrato resistenza.
Insomma, non potevano essere così sconsiderati da lasciare quel genere di ambiente completamente scoperto; altrimenti, chiunque avrebbe potuto prendere l'ascensore e manomettere tutto.
- Temo che potremmo trovare spiacevoli sorprese.
- Red, - rispose, abbassando la maniglia. - Non possiamo saperlo, senza provare.
In virtù di ciò, entrarono, e quello che videro li lasciò senza parole.
  Un corridoio, a ridosso del quale si stagliavano migliaia di soglie, pareva senza fine. Procedettero, guardandosi attorno con meraviglia.
- Ma... che posto è? - balbettò Carter. - Non avremmo dovuto trovarci uno stanzone o qualcosa del genere?
- Beh, questo è uno stanzone, in effetti. Chissà cosa c'è, lì dentro! - incuriosita, provò ad aprire una porta. La stessa dava su un passaggio esattamente identico a quello dove si trovavano loro. - Ma che...?
  - Ehm... ra-ragazzi... non vorrei sembrarvi agitato, ma... ma non... - fece il ragazzo, allarmato. Maneggiava con la maniglia dell'uscio da cui erano entrati, senza alcun risultato.
Yuffie gli si avvicinò, studiando la serratura. - Lascia fare a me! - gli sorrise, senza perdersi d'animo. Afferrò una forcina da quelle che aveva sulla fascia in fronte, abbozzando un tentativo di scasso. Era più difficile del previsto!
- Accidenti... - inveì, allontanandosi. - Spostatevi tutti! - lanciò una granata contro il legno scuro, inalberandosi poi nel vedere di non averlo nemmeno scalfito. - Che razza di materiali usano, qui?
- Cid lo aveva detto. - intervenne Red. - Non adopererebbero mai nulla che non sia a prova di intrusi.
E adesso...? - Deve pur esserci qualcosa che possiamo fare... - sospirò Carter, prendendo a controllare ogni uscio. Tutti lo rimandavano allo stesso corridoio.
- Ecco, veramente... qualcosa forse ci sarebbe, ma... - ridacchiò la ninja, furbamente. - Mi dovrete pagare, per questo.
Nanaki scosse vistosamente la testa. - Yuffie!
- Sto scherzando; sto scherzando! - smentì, mostrandogli una sfera verde. - Ecco; vedi? Ho la soluzione. Io ho sempre la soluzione. Voi, invece, vi spaventate per la minima cosa. - si strinse nelle spalle, fingendosi sconsolata.
  - Sottovalutate troppo l'utilità di questi piccoli tesori. Lasciate fare alla maestra delle Materia! - proclamò teatralmente, mentre svanivano.
 
  Aveva paura perfino a guardarla.
Alexandra stava in piedi, immobile; senza dare il minimo segno di vita. Lo sguardo vuoto, perso nel nulla. - Alex... - provò a chiamarla, zittendosi subito dopo.
Lei digrignò i denti, rabbiosa. - ... Il prossimo... - esalò, senza neppure voltarsi. - Il prossimo, Det... Il prossimo sei... tu.
- Alex, ma... - ridacchiò, nervoso. Stava scherzando, vero? - Che cosa...?
- Hai capito bene. Andrai tu.
Lui fece un passo indietro. - Scordatelo. Non so nemmeno combattere! - cercò di ricordarle; ma non parve interessarle più di tanto.
- Ho detto... - disse piano. - ... Che il prossimo sei tu.
Prima che potesse mettere becco, lei lo interruppe con un inquietante sorriso in volto. - Det, ricordati il motivo per cui hai tradito quella gente. E' lo stesso per cui hai tradito tuo zio, giusto?
Lui tacque, interdetto.
  Aveva voltato le spalle a tutti loro perché amava lei; perché aveva creduto che, standole vicino, aiutandola in ogni minima cosa, forse l'avrebbe ricambiato. Farsi manipolare, gestire ed umiliare come più lei voleva, gli erano sembrati validi espedienti con cui farsi amare? Davvero?
Allora, forse, non era poi così intelligente, Det Highwind. L'aveva amata? Sul serio?
Sul serio? si chiese. La guardò bene; e di disse che, no, non poteva essere.
  - Alexandra... io lo ricordo ancora. - disse quindi. Lei annuì, speranzosa. - Ma... credo di... aver commesso un errore.
- Un errore? - ripeté, confusa.
Det sospirò. - Sì. Un errore madornale. Mi sono innamorato della persona sbagliata, Alexandra. - solo ora me ne sono reso conto. - Perciò, come posso assecondarti in tutto quello che mi chiedi, se...
- Det. - la bionda tremò. - Tu andrai là. Adesso.
- E' forse un ordine?
  Heeana alzò il volto, gli occhi scuri socchiusi. Gettò a terra gli occhiali. - E così... hai deciso anche tu... di vivere per qualcun altro...
Ma cosa stava dicendo? - Alexan-
- Ma bene! - tuonò. Un'ombra le attraversò il viso.
Con uno scatto, lo atterrò, defilandosi. A metà tra il sorpreso e il dolorante per il calcio appena ricevuto, Det si rialzò, andandole dietro. Cosa stava succedendo?
  - Alexandra! - prese ad inseguirla. Cos'aveva voluto dire con " vivere per qualcun altro"? Quanto, della dottoressa Elredge, ancora non sapeva? - Dove stai andando?
Lei correva; e lui non avrebbe mai pensato fosse così veloce. Correva, la chioma chiara che ondeggiava ad ogni passo; il camice che svolazzava freneticamente e... - Fermati, Alexandra! Dove vai?
La sentì ridere, istericamente. - Non mi avranno mai!
Che cosa sta dicendo? - Fermati! - è come impazzita. - Ormai hai perso!
- No! Io non ho perso! - la vide arrestare il passo. Si sta arrendendo?
Giusto il tempo necessario perché lo raggiungesse con un montante. Det si portò le mani al mento. Non era stato particolarmente forte; solo, non si capacitava del suo improvviso cambiamento.
  Lei riprese la fuga. - Non mi avranno mai!
 
 
Noticine:)
Sono contenta di essere riuscita ad aggiornare oggi!
Con questo capitolo io vi lascio; non so a quando il prossimo, ma vi direi di provare a passare di qui di sabato, il giorno in cui è più probabile che io pubblichi.
La parte iniziale non mi ha mai molto convinta... però è stato divertente inserire anche Aerith. Alla fin fine, lei è la voce della verità, quella che aiuta Cloud e Tifa a capire. E, a proposito di questi due, spero non vi siano sembrati troppo mielosi! Non ho molto da dire, sul resto; l'ultima parte ( quella dove Al è impazzita, per intenderci) era del capitolo successivo, ma fa niente. I corridoi uguali, in pratica, sarebbero il corridoio infinito della vecchia versione di questa storia e... niente, spero vi sia piaciuto.
Ringrazio come sempre chi legge e chi recensisce, mi fa sempre molto piacere sapere le vostre opinioni.
Sperando di potervi rivedere presto, auguro un buon rientro a tutti quegli sciagurati che, come me, domani torneranno a scuola, e anche a tutti coloro che riprenderanno a lavorare ( sempre che non l'abbiano già fatto)!
Alla prossima!
TheSeventhHeaven

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Capitolo 22
*** Rancori dal passato ***


Noticine:3
Uff... finalmente sono qui.
Salve, ragazzi e ragazze! Come va?
La scuola è ormai iniziata, e non lascia scampo a nessuno... comunque, sono contenta di essere riuscita a pubblicare, almeno oggi!
Questo è uno degli ultimi capitoli, e... beh, mi spiace dover rinunciare a dei personaggi che, tutto sommato, mi erano simpatici. Avrei voluto scrivere un po' di più, su di loro. Chissà, magari un giorno provvederò!
Fintanto, vi lascio alla lettura, dandovi il randez-vous uno di questi sabati ( è il giorno in cui è più probabile che riesca a farmi trovare).
Buona serata!
TheSeventhHeaven
 
 
Rancori dal passato
 
 
  In sei anni, ne erano successe, di cose; e più d'una volta, Cloud aveva avuto a che fare con gente poco raccomandabile. Traditori, disertori... e doppiogiochisti. Insomma, ogni genere di compagnia.
Perché, allora, gli era così difficile adeguarsi all'idea di essere aiutati da Det? Insomma, Reno, Rude e gli altri della Shinra avevano causato loro non pochi problemi, eppure si erano dimostrati di grande aiuto, in alcune situazioni. Non era un po' la stessa cosa?
  - Credo che voglia raggiungere l'ultimo piano. - constatò l'ingegnere mentre loro due, Feera e Cid inseguivano Alexandra.
- Cosa c'è, all'ultimo piano? - domandò il Capitano, che di tutti era forse il più restio a fidarsi nuovamente di qualcuno che lo aveva deluso così malamente.
Det scosse la testa, perché non lo sapeva nemmeno lui. - Non so neppure cosa supporre che ci sia. Lei è impazzita, semplicemente impazzita.
Già; in fondo, quella donna era fin troppo imprevedibile. Eppure, c'era ancora molto che Feera non aveva rivelato, su di lei. Rancori dal passato... Cloud sospirò.
  Tifa era in buone mani, con Vincent, ma... Ma sono io, a non poter restare tranquillo. O, forse, doveva semplicemente smetterla di angosciarsi tanto per qualsiasi cosa accadesse, perché... - Dovremmo essere arrivati. - la constatazione di Det interruppe il filo dei suoi pensieri.
Il fattorino fece per aprire la porta, quando avvertì il tocco della donna sulla sua spalla. Nei suoi occhi vermigli, si poteva leggere una sincera preoccupazione. - Andrò io.
- Noi veniamo con te. - disse Cid, con decisione.
- Già; non ti lasceremo sola con...
Lei ridacchiò, con rassegnazione. - No, Cloud. Devo sbrigarmela io. - asserì, poggiando in terra il suo bastone.
Lo poteva sentire: Heeana era lì dentro, logorata dal rancore e dalla frustrazione più che mai. Certo, forse non come quella volta. Ma l'errore è in parte anche mio. Feera mosse qualche passo in avanti. - Vorrei che ringraziassi Vincent da parte mia, Cloud.
- Ringraziare...? - ma cos'aveva intenzione di fare?
- Sì, - voltò loro le spalle. - per tutto quello che ha fatto per me, in passato. E poi... vorrei che salutassi la mia bambina. - la donna ancorò gli occhi al pavimento. - Non sono stata un ottimo esempio di madre, per lei... però non ho mai smesso di amarla, e se ho fatto quel che ho fatto... - è stato perché ero una codarda e la amavo troppo.
Cid scosse la testa, sospirando. - Non tornerai, vero?
 - No, Cid. Non credo... ed è giusto così. Tutto questo sarebbe dovuto finire molto tempo fa; e se non avessi lasciato correre, nessuno di voi si troverebbe qui, ora.
Sarebbe dovuto finire quando lei e Tomeeca se n'erano andati, o quando lui l'aveva avvertita dei doppi fini di Alexandra. O forse molto prima, prima ancora. - Prenditi cura di Tifa, Cloud.
Lui annuì; e si fece rassegnato, non appena realizzò che Feera era appena entrata.
  - E adesso? - già; e adesso?
- Dovremmo telefonare a Yuffie, per chiederle come sta andando. - suggerì Cid. - Scommetto che si è messa nei casini. - a dire il vero, lui stava solo cercando in tutti i modi di evitare ogni genere di conversazione con suo nipote. Nipote... poteva ancora chiamarlo così?
- In verità, - tremò una voce dietro di loro - è molto peggio.
  La ninja stava alle loro spalle con una, strano ma vero, espressione timorosa. Con lei c'erano Carter, dallo stesso ciglio preoccupato, e Red. Il felino dava l'idea di essere particolarmente confuso; e non era un buon segno.
- Noi ci abbiamo provato, davvero. - iniziò la ragazza. - Abbiamo fatto sali e scendi cinque o sei volte. E siamo anche stati attaccati da un esperimento, oltre che da alcuni strani cosi. - Det si sentì tremendamente in colpa. - Alla fine, ogni volta che eravamo ad un passo dalle Weapon, ecco che ci si parava davanti uno strano corridoio. Sembrava infinito!
- Le Weapon? - investigò Det. - E' normale che non le abbiate trovate... solo Alexandra può disattivare il sistema di difesa del corridoio infinito. - cinque sguardi si posarono su di lui, sospettosi.
- E, naturalmente, tu non hai pensato neanche un attimo di fare qualcosa, vero? - lo rimproverò Cid, che non ce la faceva più. - Forse non te ne sei reso conto fino ad adesso, ma siamo nella merda, ragazzo. E cara grazia che Feera si farà affettare il culo al posto nostro...
- Che cosa... le è successo? - domandò Carter. Nanaki chinò il capo; aveva già capito.
  - Sentite... - intervenne Cloud, cercando di cambiare argomento. Non voleva rischiare che i sensi di colpa lo potessero attanagliare nuovamente. - E' meglio se torniamo da Vincent. Con lui c'è Tifa e... e poi escogiteremo qualcosa.
Gli altri annuirono, incamminandosi guidati da Cid, fino al piano dove avevano lasciato i loro due amici.
L'ex Soldier rimase a fissare la porta, per qualche istante. Troppe cose erano accadute, per non pensare; ed ora, un'altra persona si stava sacrificando per loro.
- Cloud, - lo chiamò Det, mestamente. - andiamo?
Lui lo guardò. Anche lui doveva essere angosciato; lui, l'imperturbabile Det.
  Alla fine, non se la sentiva neanche di continuare a serbargli rancore. - Sì.
 
  Si era portata le mani alla testa, gemendo poi quando aveva constatato di aver un profondo graffio in fronte. Era successo, un'altra volta. Per quanto tempo era rimasta trasfigurata?
Un fruscio di fronde l'aveva riportata bruscamente alla realtà. In una foresta, sola e frastornata, nell'oscurità della notte e ripudiata dalle sue bestie; quella ragazza sarebbe stata alla mercé di qualsiasi mostro.
Sennonché, dall'ombra era emersa un'esile e bianca figura. Per un attimo, le era quasi sembrata un angelo caduto là per caso.
La nuova venuta le aveva parlato, e lei ne era subito rimasta incuriosita: parlavano la stessa lingua. Eppure, era completamente diversa dai lei. Boccoli biondi, ed una pelle diafana; solo una volta che si era avvicinata, i suoi occhi come pozze profonde avevano tradito la sua stirpe.
- Siete Feera Ra Enda del Behemoth? - le aveva domandato, sorprendendola.
  Quella ragazzina, che aveva poi scoperto chiamarsi Heeana, sapeva molto, su di lei. Apparteneva alla tribù degli sciamani dei morti, quel ristretto gruppo di cui Feera non aveva più sentito parlare per decadi; e i defunti avevano riferito alla studiosa di una maledizione attuata durante la luna rossa, a discapito della giovane donna guida degli Enda.
- Le notizie volano dalle labbra dei muti. - le aveva risposto, suscitandone le risate.
  Nei tempi che seguirono, il mostro in lei si era come assopito; e questo lo doveva ad Heeana. Era la persona più gentile ed intelligente che fosse mai capitata sulla sua strada; brillante e creativa, nel suo modesto laboratorio allestito in una piccola capanna nei pressi di quella che, qualche secolo dopo, sarebbe divenuta Midgar.
Heeana era stata la luce di molti; e tra questi, oltre a Feera, c'erano stati anche Leereca e Tomeeca Ta Enda. Tom...
Quei due fratelli, che per lei avevano rinunciato alla loro terra, e che poi avrebbero rinnegato anche la loro felicità... perché il futuro di Leereca stava tutto in quelle provette che Heeana aveva inventato, mentre quello di Tom era la studiosa stessa.
E lei? Lei era solo una ragazza che, alla fin fine, forse aveva funto da catalizzatore per la forza oscura che si era impossessata della sciamana dei morti.
Ma ora non era più una ragazza, e non era più la stessa Feera.
  - Fuggire non ti servirà a nulla. - dichiarò a gran voce. La stanza era avvolta in un buio sinistro; ma riusciva a percepire il respiro rabbioso di quella che un tempo era stata sua amica.
Gli occhi di Feera scorsero un movimento, e subito il bastone evocò un campo di forza che la protesse da tutto ciò che fu scagliato verso di lei. - Pratichi ancora questi trucchetti da prestigiatrice? - fece, per provocarla. - Forse ti ho sempre sopravvalutata. Heeana, - una sedia volò a mezz'aria. - arrenditi. Un patto è un patto.
- Non esiste alcun patto! - le urlò di contro quella, che al solo sentir pronunciato il proprio nome, s'infuriò. - Non esiste!
- Suvvia, - fece, immobilizzando un bisturi che le era stato lanciato. - stammi almeno a sentire.
Il flusso degli oggetti scaraventati cessò; al suo posto, un'agghiacciante risata la scosse. - Starti a sentire? Oh, questa è proprio curiosa! - ringhiò. - Non mi sei stata a sentire, tempo fa. Né tu, né quelle merde dei tuoi amichetti!
- Non osare parlar di loro a quel modo. - replicò, trattenendo il fiato.
- Oh, dimenticavo. Uno di loro non era solo un amichetto, per te. - rincarò la dose. - Ma per lui non era lo stesso; e così, hai deciso di mandare tutto all'aria.
- Heeana, sei stata tu, a farlo. - le fece notare. - Sei stata tu, a servirti di me per i tuoi scopi che, con il passare degli anni, sono diventati sempre più loschi. Tomeeca non ti avrebbe mai voltato le spalle, se non avesse visto in te un male che prima non avevi.
Alexandra tacque qualche istante, come interdetta.
Poi, un coltello sfiorò di poco il volto di Feera. Dimenticava l'ineguagliabile mira di colei che aveva di fronte, anche al buio.
  - Sei una bugiarda! - le tuonò addosso la bionda. - Tu non sai niente!
La donna cercò di avvicinarsi a lei, invano.- Perché tu non mi hai mai spiegato.
- Non avresti capito. Tu non puoi capire; lo vedi? Anche dopo secoli, tutto ciò che vuoi è togliermi di mezzo con una scusa. - sibilò, gettando a terra i suoi occhiali. - La verità è che tu non sei capace di affrontare i problemi, ti limiti ad affossarli o ad aggirarli.
Quelle parole erano dolorose. - E tu? Cosa credi di star facendo, in questo momento?
  Batté il bastone in terra e, in un attimo, si trovò direttamente alle spalle della dottoressa. - Heeana...
- No! - un colpo la raggiunse in viso. Era stato piuttosto forte. - Io non ho alcuna intenzione, di starti a sentire.
Feera si rialzò. - E allora verrai con me.
- Ma che...? - Alexandra non fece in tempo a realizzare cosa stesse succedendo, che si ritrovò in una piccola abitazione, affiancata dalla sua nemica. - Che posto è mai questo? Perché siamo qui?
L'altra le indicò qualcosa, o meglio, qualcuno; e alla sola visione, il cuore di Heeana, si riscaldò quel poco di cui era capace; quel poco di cui aveva bisogno. - Feera... - erano anni che non la chiamava per nome; non senza associarlo a qualche insulto.
L'avrebbe ringraziata, forse, se non fosse stata troppo impegnata a chiudere gli occhi, per non lasciar fuggire quella piccola lacrima che premeva tanto per essere pianta.
- Ora hai capito? - le chiese la mora, sospirando. Quella annuì, avvicinandosi a quell'uomo che non poteva vederla e che, a quanto pareva, non aveva mai abbandonato il suo ricordo.
- Dunque, adesso lascia che sia io a capire, Heeana. - le sorrise, debolmente. - Perché?
Lei sorrise di rimando; e in quello scambio, rividero tutti gli anni che stavano per lasciarsi alle spalle e che, alla fine, sarebbero diventati solo frutto di un brutto sogno.
- Ti chiedo scusa, Feera. - sussurrò, abbassando il capo.
  Le incisioni, finemente elaborate sul legno della verga, stavano brillando di tutti i colori di quel mondo. - E' una lunga storia e... non so se riuscirai a capirmi. A perdonarmi.
Stavano svanendo. Finalmente, quella lunga odissea stava volgendo al termine; e, forse, un giorno sarebbero state capaci di perdonarsi a vicenda.
  - Non preoccuparti, - la rassicurò, prima che in quella stanza l'oscurità tornasse sovrana. - abbiamo tutto il tempo.
 

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Capitolo 23
*** La speranza è sempre l'ultima a morire ***


 
La speranza è sempre l'ultima a morire
 
 
  Posò la chiave inglese sul pavimento, sospirando.
Tutto quel lavoro a marce forzate lo stava uccidendo, ma era necessario. - Per oggi basta così, Det. - la voce di Cid lo fece voltare. Aveva il viso stanco e segnato. - Torniamo a casa.
Il ragazzo annuì, esitando non poco. Il razzo doveva essere pronto nel giro di una settimana, o sarebbero stati guai.
Dopo la scomparsa di Alexandra, Barbaros era caduta nell'ombra. Nessuno sapeva più come muoversi; per di più, la presenza, nella struttura dell'azienda, di creature potenzialmente pericolose come le Weapon aveva creato scompiglio, e da giorni i telegiornali non facevano altro che parlarne.
Alla fine, la sede della società era stata fatta evacuare, ed erano state adottate delle misure di sicurezza straordinarie per ripristinare la normalità, e tra queste... Il razzo si schianterà agli ultimi piani, così da distruggere i pannelli che tengono in vita quei mostri.. è l'unica soluzione... No, non poteva fermarsi proprio in quel momento, doveva darsi da fare.
  - Va' avanti, ti raggiungo dopo. - rispose quindi.
Sentì suo zio sbuffare sonoramente. - Fa' come ti pare.
Forse lo aveva perdonato, forse no; Cid Highwind non portava rancore, ma questa volta... questa volta era stato ferito nel profondo. Che sciocco, sono.
  Sospirò, fermandosi a riflettere. Anche concludendo in fretta i lavori, anche portando a termine quel progetto... i suoi errori sarebbero rimasti gli stessi, troppo gravi per poter essere cancellati.
Aveva supportato una donna, Alexandra; e solo perché si era illuso che valesse a qualcosa. Seguirla, aiutarla e servirla, nutrirsi anche solo del suo sguardo scocciato, quello che riservava alle segretarie e a chi metteva in discussione la sua genialità; quell'espressione stizzita che rivolgeva a coloro che la disturbavano, a... a lui.
Già. Perché, in fondo, sapeva di essersi sempre immaginato un legame che non esisteva. Per la dottoressa, un bacio non vincolava due persone; e non importava quanti baci si fossero scambiati, in che ambito, in quale momento.
Li aveva avvertiti freddi, aveva avvertito le labbra di lei fredde sulla sua pelle, perché la verità era che lei non lo aveva mai amato; e lui si era sempre adeguato ad essere il suo giocattolo, il suo servo personale. Sciocco...
Per lei aveva tradito tutti coloro che in lui avevano sempre riposto la massima fiducia.
Con che faccia tosta si era presentato da loro con la scusa di "salvare il mondo"? Era stato così bravo a fare il doppiogioco, che quasi si era convinto di essere davvero dalla parte dei buoni, il giorno in cui gli altri avevano fronteggiato Ruby Weapon.
Ruby Weapon, il mostro che lui stesso aveva dato una mano a riportare in vita.
Ed ora che Alexandra se n'era andata, sentiva i sensi di colpa gravare soltanto sulle proprie spalle. Solo uno sciocco... Proprio quando la posta in gioco era fin troppo alta.
  Puntò lo sguardo sulla chiave inglese; e, in quel momento, gli fu chiaro che tornare a casa sarebbe equivalso ad arrendersi al ruolo di eterno codardo.
Immagina... si chinò, riprendendo ciò che stava facendo. Varchi quella soglia, quella soglia che ti ha accolto quando avevi bisogno di una famiglia... quella in cui c'è ancora una famiglia, allargata, ma pur sempre una famiglia... frugò nella cassetta degli attrezzi.
Varchi quella soglia e, se prima avevi sentito delle risate, al tuo ingresso tutti si zittiscono, sorrise amaramente. Hai i loro occhi su di te. Due, tre, quattro paia di occhi di ogni tipo e colore, che ti scrutano. Chi con biasimo, chi con disgusto... e poi ci sono loro...
Una mano grande e tozza, coperta da un guanto; e poi un'altra, più piccola e sottile, che segue la prima quasi con riverenza, subito dopo un insulto sputato fuori in malo modo. Entrambe si erano posate sulle spalle di un bambino in lacrime, il giorno in cui questi aveva creduto di non avere futuro.
Lo avevano accolto, cresciuto ed amato come un figlio. E lui? Che cos'aveva fatto, lui?
Ho fatto molto, sì, passò una mano tra i capelli. C'era qualcosa che non andava, nel pannello di controllo. Ma è stato tutto fonte di guai.
Provò a configurare i dati in maniera differente, ma ancora non rispondevano; e, rispolverando le sue nozioni accademiche, gli fu tutto chiaro.
Un brivido di paura gli solleticò il collo. Non funzionerà. Non riusciva a programmare il pilota automatico ed era un bel problema, un problema non da poco.
Il suo primo impulso fu quello di correre da Cid ed avvertirlo; ma sarebbe riuscito a trovare una soluzione? E se l'avesse trovata, quanto tempo avrebbe impiegato, per metterla in atto?
Aveva veramente intenzione di comportarsi come un codardo, come aveva fatto fino a quel momento?
Ancorò lo sguardo a terra. La soluzione la conosci, Det. Ci vuole fegato, ma ormai...
Pensò a Tifa, che ancora giaceva inerme alle cure di Shera, di Cloud, di tutti i loro amici. Pensò alla sua sofferenza, al suo destino incerto; e pensò allo stesso Cloud, che si era visto strappare una persona cara ed ora stava per lasciarne andare un'altra.
Pensò a tutti coloro cui aveva, in qualche modo, seppur magari in minima parte, rovinato la vita.
Ci volevano fegato ed una buona dose di masochismo, sì. Ma ormai...
  Una volta, quando aveva poco più di sei anni, Cid lo aveva portato a fare un giro sul Tiny Bronco. Ad un certo punto, aveva fermato il velivolo e lo aveva guardato dritto negli occhi, ridacchiando tra sé e sé, tenendo tra le labbra una paglia.
Gli aveva dato una lezione importantissima, quel giorno; eppure... eppure sembrava proprio l'avesse scordata, in quel lasso temporale in cui era stato complice di svariate pazzie.
  Entrato nella sala comandi, fece un ultimo, vano, tentativo. Ormai cos'hai, da perdere? Sedette sul sedile del pilota, respirando a stento.
Poi, si decise.
Esistono due tipi di decisioni, Det. La prima è quella che appare sempre ovvia e scontata, quella più semplice, quella che hai l'impulso di seguire; quella che non sembra comportare grossi problemi ma, in realtà... beh, se la prendi sono cazzi amari.
Quelle parole presero vita, durante il countdown di lancio.
La seconda è quella che tutti tendono ad escludere, e vuoi sapere perché?
E' la cosiddetta follia, Det. La gente la sottovaluta, ma spesso una follia ha il potere di restituire la felicità. In entrambi i casi, non si torna indietro.
Quel bel ricordo gli impedì di sentire il razzo decollare.
Forse ti ricorderanno come un pazzo, ma... ha importanza? Può essere che proprio quella pazzia pari il culo a tutti; e un giorno ti ricorderanno come l'eroe che ha riacceso la speranza.
  Det sorrise. Che si riaccenda la speranza, adesso.
 
  - Cloud...? Dove sei? - la vocina di Marlene s'insinuò nella sottile serratura. - Cloud?
Il biondo sospirò impercettibilmente, accasciandosi contro la porta. Chiuse gli occhi, portandosi le ginocchia al petto, proprio come un bambino.
- Cloud, sei qui dentro? - la bimba bussò, facendolo sussultare; ma lui non rispose. Ormai le parole avevano un sapore decisamente amaro; e, se in passato aveva creduto di aver sofferto come mai prima, ora doveva ricredersi.
- Cloud, vieni fuori... - gli sembrò che lo scongiurasse.
Oh, no, scosse la testa, non chiedermi di farlo, Marlene. E, d'altro canto, come avrebbe potuto?
- Io lo so che stai male. Anche Denzel e papà lo sanno, anzi, lo sappiamo tutti, però... - anche lei poggiò le spalle fragili al legno. - Però non puoi fare così.
Cosa dovrei fare, allora?
Feera se n'era andata, per salvarli. Perfino Det aveva lasciato il loro mondo, in un gesto stupido tanto quanto nobile; ed entrambi i sacrifici non avevano fatto altro che ricordargli quanti si fossero immolati per lui, per loro, per fare gli eroi.
  - Ti ricordi quanta paura mi facevi, prima? - gli domandò, sorridendo. Oh, eccome, se lo ricordava. - Appena ti vedevo scoppiavo a piangere! Eri così spaventoso!
Lo so... abbozzò un sorriso. Mi facevo paura da solo, Marlene.
- Però papà dopo un po' ha cominciato a fidarsi di te. - continuò. - E poi... anche Tifa! Lei si illuminava sempre, quando ti vedeva. - Cloud deglutì a fatica, quando lo disse. - Quindi non potevo continuare ad aver paura.
Perché tu sei più coraggiosa di quanto io sia mai stato. - E alla fine ti volevo così bene che mi dispiaceva troppo quando te ne andavi di casa e tornavi molti giorni dopo.
Il biondo si sentì un inetto, a quelle parole. Che mostro... - Però Tifa diceva a me e a Den che saresti tornato; e tu tornavi sempre!
  Tacque; e rimasero così per un po', in silenzio, ognuno con i propri pensieri.
- Cloud, tu soffri più di noi, forse... però... noi abbiamo bisogno di te. - sospirò poi Marlene.
Cloud non trovava il modo per dirle che era lui, ad aver bisogno di loro.
Aveva bisogno dei giocattoli dei bambini che appestavano il salotto, delle serate piene delle risate di Barret e di Yuffie; gli insulti imbottiti di parolacce di Cid, la saggezza di Red, il silenzio colmo di insegnamenti di Vincent, le idiozie di Cait Sith e tutte quelle cose che, se ne rendeva conto solo adesso, riempivano la sua vita.
Soprattutto, aveva bisogno di una persona, del suo profumo gentile e della sua voce, del suo sguardo brillante e dolce; e, no, quella persona non era la stessa che aveva inseguito per anni come un'ombra, rivangando tra i suoi rimorsi.
Aveva capito che, sì, doveva ricordare coloro che aveva perso e non dimenticare mai il loro sacrificio; ma doveva anche amare coloro che ancora aveva, tenerseli stretti.
Quella persona riposava poche stanze più in là, a metà tra il loro mondo e quello dei cari che l'avevano già lasciata. Ho bisogno di Tifa...
E, come se gli avesse letto nel pensiero, la bambina continuò. - E anche Tifa ha bisogno di te. Cloud, perché non vieni fuori a giocare con me?
  S'alzò. Prima o poi dovrai uscire di lì. E meglio adesso, che quando non ci sarà più nessuno ad aspettarti.
Aprì piano la porta, come a volersi accertare che non ci fosse nessuno, oltre a Marlene. Come varcò la soglia, due braccia paffutelle gli si allacciarono ai fianchi.
Rimase un po' spiazzato da quel gesto, da quell'abbraccio che cercava sicurezza e che invece la donava, sebbene appartenesse ad una bimba.
Allontanatasi da lui, gli sorrise. - In gita io e Denzel abbiamo comprato un nuovo pallone!
Lui scosse la testa, divertito. E' quello che ti ci vuole. - Ne avevate già uno.
- Sì, ma questo è strano! Ha dei rigonfiamenti. - lo prese per mano e, proprio mentre stavano per uscire dalla porta sul retro della casa di Cid, la voce di Shera, allarmata li sorprese.
- Oh, ecco dov'eravate! - la donna, affaticata, li raggiunse. - Cloud... si tratta di Tifa.
Il ragazzo sbiancò, temendo il peggio; deglutì a fatica, dirigendosi verso la stanza in cui la sua amica d'infanzia riposava. Marlene gli strinse la mano, come a volergli infondere forza.
  Esitando, Cloud si fece avanti. Barret, rimessosi da poco, aveva un'espressione grave, come tutti i presenti.
S'inginocchiò accanto al bel corpo della barista, pregando che la sua più grande paura non si fosse avverata. Pregando per lei, pregando che quell'incubo avesse fine. - Tifa...
Il petto di lei si alzava e si abbassava lentamente, quasi come se fosse stato uno sforzo, una zavorra. Non te ne andare.
Strinse le dita sottili di lei tra le sue; e le avvertì gelide, senza vita. Ti prego.
Si portò quella mano aggraziata alle labbra, depositandovi un bacio; proprio come un cavaliere o un principe avrebbe fatto per la sua dama. - Non te ne andare, ti prego... - sussurrò, mentre una lacrima sfuggiva dai suoi occhi di mare.
  Talvolta, quando la speranza viene meno, accade qualcosa di inaspettato.
Che sia un fortuito caso, o qualcosa di prestabilito, tutti lo chiamano "miracolo"; e quando un soffio di vita illuminò Tifa, che era ad un passo dalla morte, Cloud ebbe la prova che, sì, i miracoli esistono e sono in grado di riportare alla luce anche le anime che si credevano disperse.
 

Noticine:)
Buona vigilia di Natale a tutti quanti!
Lo so, avrei dovuto aggiornare un bel po' di tempo fa, ma tra scuola, allenamenti, concerti ed impegni vari non ho proprio potuto, scusatemi!
Questo capitolo, sin da quando è stato concepito, è stato un parto ( visto che siamo in tema con mamma Shera), uno dei più difficili da scrivere.
Un po' mi dispiace per Det, un personaggio che avrei voluto approfondire ma la cui morte mi era necessaria ai fini della storia.
Ora vi aspetto con l'ultimo capitolo, che dovrei riuscire a pubblicare tra domenica e lunedì. Fatemi sapere cosa ne pensate, mi raccomando!
E Buon Natale ( per domani!)!
TheSeventhHeaven

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Capitolo 24
*** La volpe ***


 
La volpe
 
 
  Quel giorno, Stella compiva sei anni, ma non aveva la minima voglia di festeggiare.
Sapeva che, tempo prima, i suoi genitori avevano perso degli amici, o meglio, altri amici oltre a quelli che se n'erano già andati. Due anni dopo era nata lei.
Le pareva ingiusto ridere e scherzare di fronte ad un simile ricordo; sicuramente, se lo avesse saputo, non avrebbe festeggiato neppure i suoi cinque anni e quelli precedenti! Ma proprio quel giorno era sorta in lei la curiosità di sapere perché i suoi genitori si alzassero alle prime luci dell'alba e dove andassero ogni volta.
Voleva che la portassero con sé, per scoprire la natura di quello strano rito. Sua madre aveva tentato di impedirglielo in tutti i modi, sostenendo che non fosse un luogo adatto ad una bambina.
- Ma i figli dei vostri amici ci vanno! - aveva protestato, sostenendo una logica a parer suo inattaccabile. - Perché io non posso?
Suo padre aveva sbuffato, divertito. Aveva anche accennato qualcosa riguardo ad una testa dura ma lei non vi aveva badato troppo; sapeva che il suo sbuffare era segno di resa.
  E così, quella mattina, Stella saltellò giù per le scale con le sue nuove scarpette di vernice rossa, più curiosa che mai.
Sua madre le appuntò con un fermaglio alcuni ciuffi dispettosi, del colore del sole.
Talvolta, Stella si soffermava ad osservare quelli della donna, completamente diversi; le veniva quasi da chiedersi se fosse veramente figlia sua. - Devo proprio metterlo? - fece, contrariata. - Io odio le mollette.
- Credo che "odiare" sia un po' esagerato, Stella. - la rimproverò. - E comunque, sì, devi proprio metterlo. Farà molto caldo, lì.
La bimba sospirò, rassegnata. - Ma Denzel viene? - chiese, speranzosa.
Lei scosse la testa. - Credo proprio di no, oggi non può. - rispose. - Forse farà un salto nel tardo pomeriggio, ma non prometto nulla... doveva aiutare Marlene con una ricerca per la scuola.
E quando mai... Mise il broncio, andandosi a sedere su un gradino. Denzel non sarebbe venuto. Per forza... pensa sempre a quell'antipatica di Marlene!
Con il tempo, il legame tra i due aveva iniziato a farsi più saldo e di natura ben diversa da quella che legava due fratelli; questo, però, era chiaro solo alla piccola Stella, che vedeva le cose così com'erano.
  Sentì i suoi genitori chiamarla; si stavano avviando. Il viaggio fu piuttosto lungo, e quando arrivarono a destinazione, lei rimase un po' delusa.
- E' questo, il posto? - chiese, a malincuore. Era una radura che, tranne per il canto di qualche allegra cicala, poteva dirsi silenziosa; diverse rocce immacolate si ergevano ogni tanto dal verde, senza un ordine preciso.
Suo padre annuì, serio. Sul suo viso si era dipinta un'espressione che non gli aveva mai visto prima; ma cosa stava succedendo?
- E quando arrivano, gli altri? - domandò allora, avvicinandosi ad uno di quei massi. Notò che non si trattava di semplici rocce: erano lapidi. Ecco dove vanno ogni anno. Salutano i loro amici. Come aveva potuto non capirlo prima?
- Stanno già arrivando, guarda! - sua madre le sorrise, indicandole due bambini che sembravano due gocce d'acqua, da lontano. Stella corse loro in contro, contenta.
Seguirono poi i loro genitori, zio Cid e zia Shera; il primo, appena arrivato, si spense, come se il ricordo fosse ancora troppo doloroso. La seconda era sempre sorridente, forte, proprio come la mamma di Stella.
Arrivò anche quel buffo animale rosso, Red, che non mancò, come gli altri, di farle gli auguri per i suoi sei anni; arrivò l'ombroso signor Valentine; e una volta che furono tutti, insieme deposero dei fiori sulle tombe di coloro che avevano dato molto, per loro.
C'erano due lapidi molto vicine, quasi gemelle; suo padre la prese in braccio, cosicché lei riuscisse a leggere i nomi che vi erano incisi.
Questi due sono Aerith e Zack, i due amici più cari di mamma e papà. - In realtà, qui sotto non ci sono. - le spiegò Cloud. - Però avremmo voluto poterli ricordare, proprio come gli altri.
Stella annuì, un po' scossa; e l'uomo si chiese se tutto quello non fosse un po' troppo, per lei. - Vuoi tornare a casa? - le domandò quindi.
- No. - rispose subito. Voglio sapere chi sono gli altri e perché nessuno ne parla mai.
Lasciò qualche fiorellino in terra, di quelli che crescevano sempre dietro casa sua. Le avevano raccontato che un tempo, quegli stessi fiori nascevano da sé in una chiesetta, curati ed amati da una persona buona. Ora quella chiesetta non c'era più.
- Papà, posso vedere gli altri? - chiese.
- Per oggi è meglio di no. - affermò, placido, guardando Tifa. Lei proseguiva, davanti a tutti, solitaria; come una creatura delle foreste che stava tra le altre ma era inquieta. Sapeva dove stava andando.
  Stella sbuffò, voltandosi. Non è giusto. Vide Cid fissare un'altra lapide, poco più in là. Chi hai perso, zio Cid? Accanto a lui, sua moglie gli stringeva la mano, mentre i due fratelli correvano nell'erba, apparentemente spensierati. A pochi passi da loro, un ragazzo molto alto piangeva, silenziosamente, come a non voler essere visto. Anche tu sei triste?
Che lei sapesse, "zio Cid" era un signore sempre arzillo ed energico, che ogni tanto diceva anche quelle parole proibite che non si potevano dire; chi, quindi, aveva il potere di sconvolgerlo così?
- Vieni a giocare? - le chiese il più piccolo dei fratelli Highwind.
Somigliava molto al maggiore, ma Stella aveva imparato a distinguerlo. - Si salta su dei sassi più bassi, ma non bisogna cadere, altrimenti si finisce nella lava.
Lei ci pensò un po' su. - Non lo so. Io voglio lasciare altri fiori per gli amici di mamma e papà.
- Allora facciamo che se non cadi vengo anch'io. - propose, saltando su una pietra. - Dai, vieni!
- Aspettami, però! - imitò l'altro, facendo bene attenzione a dove metteva i piedi. Andarono avanti così per un po', fino a quando si accorsero di essersi allontanati troppo.
  - Ci siamo persi. - constatò Stella, guardandosi attorno.
- Non è vero. - smentì lui, fingendo di essere tranquillo. - Basta che torniamo indietro.
- Sì che è vero. Ci siamo persi per colpa tua. - lo accusò. - Glielo dico, a zia Shera; e si arrabbierà moltissimo!
Il bambino tremò. - Non... non lo farai. E poi io dirò a zia Tifa che ti sei sporcata le scarpe nuove, così si arrabbierà anche lei. - minacciò, ridendo del terrore che si dipinse sul faccino di lei. - Però prima dobbiamo tornare indietro.
- Sì, ma a destra o sinistra? Da dove siamo arrivati? - sbuffò lei. L'erba era molto più alta, e faceva fatica a vedere oltre i suoi piedi. Notò uno strano movimento e si accorse di un animale.
Snello e maestoso, dallo sguardo profondo ed inspiegabilmente magnetico.
- Guarda, un cane! - esclamò il bimbo, sorridendo.
- Fermo, quello non è un cane! - lo avvertì, prima che si avvicinasse troppo. - E' una volpe saltatrice. Se ti salta addosso ti uccide.
- E tu come fai a saperlo? - chiese, dubbioso. Non sembrava pericolosa.
- Lo so e basta! Tu vai di là e cerca il punto da dove siamo arrivati. - fece, perentoria.
Il bambino esitò. - E se ti uccide? Poi mi danno la colpa.
- Non mi uccide. - affermò, guardando la volpe. - Non è che hai paura? - il manto di quell'animale era incredibile: nero, dalle vaghe sfumature rossicce e violacee.
- Un po' sì. - ammise, abbassando gli occhi chiari.
Stella sapeva che non l'avrebbe aggredita, nessun animale lo aveva mai fatto; perché lei aveva un dono, e quel dono lo sapeva sfruttare. - Allora vieni con noi.
  Per questo chiese alla volpe di condurre lei ed il suo amico dai loro genitori, da quegli umani di cui, a quanto pareva, la bestia conosceva le voci. Stella si fidava di lei; e, all'improvviso, le venne in mente una cosa.
Quale dei suoi amici visita per ultimo, la mia mamma? domandò alla volpe. Quella la scrutò, indecisa; le disse che forse, se sua madre non glielo aveva detto, non voleva che lo sapesse.
Per favore, io devosaperlo, disse quindi, seguendo il passo silenzioso della bestia.
- Dove stiamo andando, Stella? - sentì l'altro, timoroso. - Perché seguiamo quella volpe?
- Non lamentarti e fidati di me.
  E la volpe mostrò loro una donna, bella, morbida, dagli occhi di un colore scarlatto; mostrò loro la madre di Stella, Tifa, che sorrideva davanti ad una roccia più scura, più spigolosa, diversa da tutte le altre.
Chi c'è, lì? chiese, badando a non farsi vedere.
Sua mamma si chinò, i capelli da tempo corti oscillarono lievemente; posò un fiore anche per quell'amica che aveva perso. In quello stesso momento, la volpe chinò il capo.
Volpe? Chi c'è? domandò nuovamente, incuriosita dalla sua reazione.
La guardò; e allora si accorse della sfumatura rossastra delle iridi dell'animale. Tu conosci la persona che c'è lì?
A dire il vero, non c'è nessuno. E' un po' un tempietto che tua madre ha voluto dedicare a quella persona, le rispose. Una persona straordinaria che, alla fine, cercava solo un po' di calore; eppure non lo sapeva. Tua madre le ha sempre voluto tanto bene.
Ora Tifa stava in piedi, sorridente, grata per tutto quello che aveva ricevuto in dono dal sacrificio dei loro amici, e di Alexandra stessa. Cloud l'aveva raggiunta, a tratti preoccupato, a tratti infastidito: Stella era sparita e con lei il figlio più piccolo di Cid.
Come la bambina aveva immaginato, lo sgomento assalì la madre, che prese a chiamarla per nome.
E tu come fai a conoscerla? Come fai a conoscere la mia mamma?
Così come lei ha conosciuto te, fu l'ultima risposta; una risposta che provocò come una visione, in Stella. Dei brividi le corsero su per il collo, paura e commozione insieme, come se la volpe le stesse trasmettendo parte di sé, parte di quello che era stata.
  Stava per chiederle cosa intendesse, ma la volpe era sparita per sempre, silenziosa com'era arrivata.
 
 
Fine
 
 
Noticine:)
E così, siamo giunti alla fine di questa storia!
E' stata la prima che abbia mai pubblicato ( nonostante poi l'avessi cancellata per diversi motivi) per questo sito.
Spero di essere riuscita a comunicarvi qualcosa, attraverso questi capitoli; se così non fosse, vi chiedo di scusarmi, ho ancora moltissima strada, da fare.
Ad ogni modo, è stato veramente bello far muovere questi personaggi, che sento parte di me e che ancora sono in grado di mostrarmi una visione diversa del quadro, ogni volta che ho a che fare con loro.
Ringrazio tutti coloro che mi hanno sostenuta e mi hanno aiutata a migliorare; ringrazio anche chi ha avuto la voglia di leggere e chi è perfino riuscito ad apprezzare tutto questo!
Vi do appuntamento alla prossima avventura! Buone vacanze e buon anno!
TheSeventhHeaven

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