AoG - 2 - Le lacrime della Contessa [da revisionare]

di Ghost Writer TNCS
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. Solo sesta?! ***
Capitolo 3: *** 2. Doppia vita ***
Capitolo 4: *** 3. Essere un’assassina ***
Capitolo 5: *** 4. Sangue chiama sangue ***
Capitolo 6: *** 5. Incubo ***
Capitolo 7: *** 6. Morta due volte ***
Capitolo 8: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

Un odore strano. Un dolce silenzio. Qualcosa di delicato sulla pelle.

Riaprì gli occhi e si trovò davanti un soffitto sconosciuto. Il suo corpo era stanco e indolenzito e di certo non si trovava nella sua stanza, così ruotò lentamente il capo da una parte per cercare di raccogliere qualche indizio. Vicino al letto c’era una sedia, e su questa sedia stava dormendo una ragazzina. I capelli mori tagliati corti sfumavano al blu e lasciavano intravedere le orecchie leggermente appuntite, il petto dal seno minuto si alzava e si abbassava ad un ritmo lento e regolare e le palpebre erano dolcemente abbassate sul suo bel viso dai tratti delicati. Cosa ci faceva lì Bloody?

Provò a guardare dall’altra parte, ma subito capì che qualcosa non andava. Il suo occhio sinistro… non ci vedeva più! No, calma, probabilmente era solo bendato… Ma cos’era successo? Non ricordava nulla.

Udì la maniglia che si muoveva e si sforzò di tirarsi su mentre la porta si apriva. Vedere suo zio le restituì un po’ di coraggio.

«Michelle!» Subito Morpheus si affrettò a raggiungere il letto e le prese la mano. «Allora? Come ti senti?»

«Un po’ stordita, però credo di essere tutta intera…» Di colpo ebbe un terribile presentimento. «Sono tutta intera?»

«Hai ancora tutti i pezzi, principessa.»

Hélene inclinò il capo verso destra. «Ciao nanerottola, anch’io sono felice di vederti.»

La ragazzina, che la stava scrutando con i suoi intensi occhi neri, le rivolse un sorriso di circostanza. Non era un mistero che fra loro non corresse buon sangue, in ogni caso cercavano di mantenere un rapporto quanto meno cordiale.

«Ricordi cos’è successo?» le chiese Morpheus senza lasciarle la mano.

Lei scosse il capo. «Cos’è successo? Da quanto sono qui?»

«Hai dormito un giorno intero. Ma ora non sforzarti, hai bisogno di riposo.»

«Cos’è successo?» ribadì Hélene. Avrebbe voluto usare un tono fermo e determinato, ma la sua voce tradì un fremito di paura.

L’uomo si alzò. «Riposati, avremo tempo per-»

La ragazza gli strinse la mano per impedirgli di allontanarsi. «Rispondi. Ti prego…»

Bloody le porse uno specchio. «Tieni principessa, guarda tu stessa. Ma ti avviso: non sarà piacevole.»

Hélene lasciò la mano di Morpheus e lo afferrò prima che l’uomo avesse il tempo di ribattere. Guardò l’immagine riflessa, e ciò che vide la lasciò come paralizzata. La sua mano cominciò a tremare e l’occhio sano si riempì di lacrime, offuscandole la vista.

Si era ricordata. Si era ricordata cos’era successo, perché si trovava lì e perché aveva quelle ferite. Eppure non riusciva a credere che tutto ciò fosse accaduto realmente…

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Capitolo 2
*** 1. Solo sesta?! ***


1. Solo sesta?!

Data: 4124 d.s., quarta deca
Luogo: pianeta Raemia, sistema Mytho
 

«Signorina, il suo tè.» annunciò il golem e il suo viso antropomorfo simulò un sorriso, la sua padrona però era troppo occupata a leggere una rivista per dargli retta.

All’improvviso serrò le dita sulla carta.

«Qualcosa non va?» le chiese l’automa con voce cordiale e tutto sommato abbastanza espressiva.

Hélene sbatté la rivista sul tavolo, rischiando così di rovesciare il tè ancora caldo. «È inammissibile! Come hanno osato, questi ignoranti!»

«C’è qualche problema?» ripeté il golem.

«Guarda tu stesso! Hanno stilato una classifica dei dieci migliori assassini della nazione, e indovina in che posizione mi hanno messa? Sesta! Ma ti rendi conto?! Sesta! Io!»

Il cameriere artificiale, i cui elaboratori logici avevano già affrontato più volte situazioni simili, lesse rapidamente i primi nomi della classifica. «Signorina, non se la prenda. Roman Tadarés è il più temuto assassino di tutta Hendo e Sar’ren Duivelzoon è il sicario migliore al servizio di Marcel Aubierre, molto probabilmente hanno messo loro in cima alla lista perché lavorano per i due clan di assassini più potenti della nazione.»

«Però nessuno di loro ha fatto fuori Novik “Freccia Blu” e la sua banda, o sbaglio?! Sono stata io a farlo! Nessuno dei tirapiedi di Aubierre c’è riuscito, e quegli idioti di Hendo hanno già mangiato la mia polvere quando ho ammazzato Senarie prima che quelli avessero il tempo di trovare Etienne!»

«Ma signorina, se avessero messo lei al primo posto, a quest’ora si troverebbe già una dozzina di sicari alle costole; quelli della rivista invece dovrebbero guardarsi le spalle dai Tadarés, dato che la loro sede principale si trova nella città di Hendo.»

«Me ne infischio dei sicari e di quei giornalisti incompetenti! Io sono la migliore, e glielo dimostrerò!» Si alzò con impeto, quasi ribaltando la sedia, quindi si allontanò a grandi falcate senza degnare di uno sguardo il suo tè.

Aveva bisogno di rilassarsi, di fare qualcosa che le togliesse dalla mente quella stupidissima classifica. Aveva già in programma di vedersi con le sue amiche, prima però c’era un’oretta libera da riempire. Osservò il suo guardaroba e fu allora che si accese l’idea: chissà se era arrivato il nuovo profumo di cui le aveva parlato Monique…?

***

«Hélene…? Hélene, sei ancora con noi?»

La giovane si riscosse, quasi come se ricordasse solo in quel momento di essere in compagnia delle sue migliori amiche. «Eh? Ah, sì… Scusa, cosa stavi dicendo?»

Hélene ascoltò la sua amica che le spiegava del nuovo locale che avevano aperto a pochi isolati di distanza, ben presto però la sua mente venne invasa da una valanga di altri pensieri: lei era una persona estremamente egocentrica e vanitosa, quindi non le andava proprio giù di essere arrivata sesta.

In genere quando aveva un problema, lo confidava alle sue amiche e questo l’aiutava a metabolizzarlo anche quando non trovavano una soluzione adatta, le cose però cambiavano se il problema coinvolgeva la sua altra vita. Non poteva certo rivelare alle sue migliori amiche che lei era la Contessa di Genseldur. Di sicuro l’avrebbero abbandonata, e tutto sommato non avrebbe nemmeno potuto biasimarle: chi vorrebbe essere amico di un assassino, per quanto nobile e infallibile?

In effetti tutta la sua vita era stata costruita sulle menzogne. A partire dal nome “Hélene Castillon”: aveva deciso di utilizzarlo per dare prova della propria indipendenza, era un nome che si era data da sola, le piaceva e la faceva sentire importante, ma a conti fatti era solo una delle sue tante maschere. Quelli che la conoscevano credevano che lei fosse la nipote di un ricco uomo d’affari straniero che di tanto in tanto le inviava del denaro, ma in realtà lei era solo un’orfana, una figlia di nessuno. Perfino la data del suo compleanno l’aveva decisa lei, facendola corrispondere al giorno in cui aveva incontrato Morpheus Grimbèle, il suo “zio” nonché padre adottivo.

«A proposito, voi l’avete sentito di quegli assassini di Hendo che sono venuti qui nelle ultime settimane?» disse ad un tratto Morgaine, la ragazza mora.

«Oh, sì!» esclamò Laurine, quella con le leggere lentiggini, «Aspetta, come si chiamano…?»

«Tadarés.» rispose Hélene senza nemmeno pensarci.

«Ecco, proprio loro!» annuì Laurine «Sapete, vi confesso che sono un po’ preoccupata. Già qui a Genseldur ci sono gli uomini di Aubierre e altri tagliagole, ho paura che l’arrivo di questi… Tadarés possa creare dei problemi… E se scoppiasse una guerra per la città?»

La Contessa, per niente entusiasta di essere assimilata agli “altri tagliagole”, cercò di dissimulare la propria stizza per rassicurare l’amica: «Non devi preoccuparti, sono certa che andrà tutto bene. È vero che qui ci sono molti assassini, però in genere non uccidono la gente comune. Non ne trarrebbero nessun beneficio dato che lavorano su commissione.»

«Questo è vero, però sono pur sempre degli assassini.» le rammentò Morgaine.

Hélene non voleva sbilanciarsi troppo, così si limitò ad un sorriso conciliante.

«Beh, io adesso devo andare al lavoro.» affermò Laurine alzandosi.

«Anche io è meglio che vada, ho ancora un mucchio di cose da preparare per la festa.» annuì la ragazza mora.

Le tre amiche si salutarono e Hélene si incamminò verso casa con passo pensieroso. Effettivamente le voci sull’arrivo dei Tadarés le aveva sentite già da un paio di settimane nei suoi giri notturni e, sempre stando a quando era riuscita a cogliere, Aubierre non aveva preso per niente bene la cosa. Quelli di Hendo sembravano intenzionati ad espandere la loro influenza anche a Genseldur, quindi c’era il forte rischio che scoppiasse davvero una guerriglia tra le due fazioni. C’erano anche già state delle morti molto sospette da entrambe le parti.

Superò senza nemmeno farci caso una vetrina piena di scarpe, quindi voltò l’angolo.

Dato che lavorava a Genseldur, non le sembrava molto furbo macchiarsi le mani col sangue di uno degli uomini di Aubierre, viceversa se avesse ucciso uno dei Tadarés, avrebbe potuto dimostrare a tutti la sua abilità. Meglio ancora se era uno di quelli in cima la classifica.

Quando il golem-cameriere le aprì la porta, trovò la sua padrona decisamente di buon umore: alla fine le sue amiche erano comunque riuscite a darle una mano per risolvere il suo problema…

***

Quella notte, una sagoma scura osservò dall’alto di un campanile la città sottostante. Il vestito aderente nero col cappuccio la rendeva quasi invisibile e una mascherina le copriva gli occhi.

Senza paura la Contessa si lasciò cadere e in un attimo prese velocità. Al momento giusto mosse le braccia e le Ali di Vento la sospinsero verso l’alto, permettendole di atterrare con eleganza sul vicino tetto.

Amava quel congegno, la faceva sentire libera, viva, come se lei stessa fosse parte del cielo notturno. Era indubbiamente il più bel regalo che Etienne le avesse mai fatto, soprattutto da quanto il tarchiato ingegnere ne aveva quasi raddoppiato l’autonomia.

Con grazia e leggerezza saltò oltre il cornicione e mosse le braccia come ali, raggiungendo il palazzo di fronte senza il minimo sforzo. Grazie al suo dispositivo le ci vollero pochi minuti per raggiungere la sua meta, un piccolo negozio di libri e mappe. A quell’ora doveva essere chiuso, e invece ben presto vide una figura incappucciata che entrava dall’ingresso secondario.

Ancora una volta le voci raccolte da Sam si erano rivelate fondate…

La Contessa sollevò il boccale pieno di albièr e ne bevve una sostanziosa sorsata. «Ho sentito che i Tadarés stanno cominciando a farsi notare, sai dirmi qualcosa di più?»

Il proprietario del locale le lanciò un’occhiata indagatrice. «Come mai ti interessa? Non per farmi gli affari tuoi, solo ti consiglierei di non immischiarti nei loro affari…»

Hélene si strinse nelle spalle. «Non ti preoccupare, sono solo curiosa. Del resto sono pur sempre un’abitante di Genseldur. Ma non ti nascondo che non mi dispiacerebbe dimostrare a quelli là di che pasta siamo fatti qui da noi…»

«Fammi indovinare, sei seccata perché quelli dell’Occhio del Sole ti hanno messa sesta, dico bene?»

Le dita guantate della ragazza si serrarono sul boccale. «Allora, sai qualcosa o no?»

Sam non poté fare a meno di sorridere: aveva proprio fatto centro. «Sì, sì, certo che so qualcosa. Le mie fonti mi assicurano che c’è almeno una mezza dozzina di assassini dei Tadarés in città, e tra questi c’è anche Hanzo de Sauze, il terzo classificato per quelli dell’Occhio del Sole. Poco fa mi hanno anche riferito che dovrebbe incontrarsi proprio questa notte con un suo committente, se ti sbrighi puoi fare ancora in tempo.»

Come previsto, aveva fatto in tempo. Non poteva esserne del tutto certa, ma il suo istinto le suggeriva che l’uomo incappucciato era proprio Hanzo de Sauze.

Prese da un fodero sulla coscia un piccolo cannocchiale e cercò di intuire i movimenti all’interno del negozietto, ma in quella situazione il buio non giocava a suo favore. Doveva attendere.

All’improvviso una mezza dozzina di altre sagome raggiunse di corsa la piccola bottega. Erano chiaramente delle guardie e con ogni probabilità avevano ricevuto una soffiata anonima da qualcuno degli uomini di Aubierre. La Contessa le vide fiondarsi dentro sia dall’ingresso principale, sia da quello secondario per tagliare ogni via di fuga ad Hanzo de Sauze, quindi udì il fragore tipico di uno scontro. La cosa non le fece per niente piacere: spettava a lei il privilegio di tagliare la gola a quell’assassino! Ma ormai era troppo tardi e non aveva nessuna intenzione di mettersi nei guai.

Stava per andarsene quando notò che la porta del negozio si stava aprendo e decise di rimanere ancora una attimo per osservare l’uomo dei Tadarés che veniva portato via. E invece l’unico ad uscire fu proprio l’uomo che aveva visto all’inizio.

Prese il cannocchiale per vedere meglio: non c’erano dubbi, quello era sicuramente Hanzo de Sauze, lo riconosceva dal ritratto segnaletico che avevano allegato alla classifica. Di certo non era un bell’uomo, però il suo fisico atletico non era niente male, ed evidentemente non si trattava solo di apparenza.

L’assassino dei Tadarés si rimise il cappuccio e si allontanò furtivo, a quel punto Hélene abbassò il suo piccolo cannocchiale.

In realtà avrebbe dovuto immaginare che sarebbe successa una cosa del genere: lei era tranquillamente in grado di mettere al tappeto una decina di guardie senza nemmeno bisogno di impegnarsi davvero, quindi era normale che anche gli altri membri della classifica dovevano essere capaci di fare altrettanto. Con molta probabilità la soffiata non era stata abbastanza tempestiva e quindi, data l’ora, non era stato possibile reperire abbastanza uomini per tenere testa ad un assassino del suo livello. Un inutile spargimento di sangue.

Si alzò in piedi per contemplare dall’alto del tetto la città addormentata.

Le guardie non avevano nessuna speranza contro Hanzo de Sauze, e Aubierre era troppo occupato con i suoi stupiti giochi di potere per fare caso a tutte le morti che quella faida stava causando.

Lei era un’assassina, ma ancora una volta doveva proteggere qualcuno. Solo che questa volta non si trattava di una singola persona: questa volta avrebbe protetto tutti i cittadini della sua Genseldur!


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Capitolo 3
*** 2. Doppia vita ***


2. Doppia vita

Hélene raggiunse faticosamente il suo confortevole letto a due piazze e si abbandonò sul materasso morbido, crogiolandosi nella piacevole sensazione delle lenzuola.

Non era neanche metà pomeriggio, eppure si sentiva stanchissima: ultimamente la sua doppia vita la stava impegnando molto più del solito, con le incombenze di Hélene a riempirle le giornate e le ricerche della Contessa a occuparle le nottate. Di certo non poteva rinunciare a nessuno di questi oneri ­­–­­­­­­­­ la sua vita sociale e la sua vita da assassina avevano per lei uguale importanza – tuttavia non le sarebbe dispiaciuto staccare la spina per un po’. Per sua sfortuna, quello non era proprio il momento adatto per riposarsi: la sua amica Morgaine avrebbe presto compiuto diciannove anni e stava organizzando una grande festa, allo stesso tempo non poteva permettersi di perdere tempo proprio ora che Hanzo de Sauze si trovava in città. Cavolo, la sua pelle di certo non le avrebbe perdonato tutte quelle ore di veglia forzata!

Accarezzò il copriletto viola scuro con sopra raffigurata un’alba dai colori tenui e soffusi. Era in momenti come quello che apprezzava ancora di più quella casa lussuosa e tutta per lei, il più bel regalo che suo zio le avesse mai fatto. La prima volta che era entrata, tutto quanto era ricoperto da uno spesso strato di polvere, col tempo però aveva provveduto ad abbellire ogni stanza grazie ai proventi delle sue imprese. E grazie alla sua fama poteva permettersi di chiedere compensi piuttosto considerevoli.

Guardandosi intorno, riusciva a rivivere le emozioni di alcune delle sue imprese più importanti: le tende davanti alla portafinestra del balcone le aveva comprate dopo aver fatto fuori un mercante di animali esotici che aveva messo nei guai un ricco politico; lo specchio col bordo decorato da bassorilievi dorati se l’era potuto permettere grazie alla testa di un ladro che aveva derubato un potente criminale di una città vicina; il busto in marmo di un filosofo dell’antichità l’aveva pagato con i proventi derivati dall’uccisione di un trafficante di artefatti magici piuttosto disonesto; senza dimenticare il quadro posto di fronte al letto raffigurante un’epica battaglia fra esseri semidivini, acquistato con i soldi di Marcel Aubierre dopo aver ucciso Novik “Freccia Blu” e la sua banda. Gli ultimi tre erano in realtà dei falsi, riproduzioni relativamente economiche ben lontane dal costo stellare degli originali, ma tutto sommato a lei andava bene così: delle copie ben fatte erano più che sufficienti per permetterle di dimostrare il suo buongusto.

In quel momento il suo golem-cameriere aprì la porta e fece un passo avanti. «Signorina, le ricordo che questo pomeriggio aveva in programma di andare a comprare un vestito nuovo per la festa della signorina Morgaine.»

Hélene chiuse gli occhi e si mise prona, il viso abbandonato nel copriletto. Come la casa, anche quell’automa era un regalo di suo zio, che sicuramente si era premurato di scegliere il modello più pignolo in circolazione. Tutto sommato però quell’ammasso di ingranaggi, pistoni e congegni magici era riuscito a conquistarsi la sua simpatia.

«Mmh, arrivo…»

Si tirò su dal letto e si diede un paio di pacche sulle guance. Quella era la vita, anzi la doppia vita che si era scelta, e intendeva viverla fino in fondo!


***


Come nei giorni precedenti, anche quella sera la Contessa raggiunse il riservato locale di Sam per tenersi aggiornata sugli spostamenti di Hanzo. Prima di partire, aveva anche preso un filtro per cercare di combattere il senso di stanchezza, con il risultato che, una volta riacquisita una certa lucidità, si era chiesta se la sua fosse stata una scelta saggia: forse l’incantesimo stimolante avrebbe potuto andare in conflitto con quello che mutava il suo aspetto, con il risultato di mettere a rischio la sua vera identità. Nonostante quel velato timore, aveva deciso di agire lo stesso, convinta che la mascherina e il cappuccio avrebbero comunque potuto proteggerla a sufficienza.

Dallo sguardo di Sam mentre si sedeva al banco, capì subito che quella poteva essere la notte buona. «Novità?»

L’uomo sorrise e si avvicinò a lei per non farsi sentire troppo dagli altri clienti. «Ci puoi scommettere. I miei amici mi assicurano che Hanzo colpirà stanotte, però mi hanno detto che nemmeno lui sa ancora dove agire. Si deve incontrare con qualcuno, forse una spia dei Tadarés che si è infiltrata tra gli uomini di Aubierre; sarà proprio questa spia a dirgli dove andare.»

La Contessa non riuscì a trattenere un leggero fremito: era finalmente arrivato il momento. «Dove si incontreranno?»

«Nel parco vicino alla Piccola Chiesa, probabilmente nella zona dei malliri.»

La giovane avrebbe voluto scattare e dirigersi là, ma il precedente episodio la indusse a chiedere ulteriori informazioni: «Qualcun altro sa di questo incontro?»

Sam sollevò leggermente le spalle. «Ne dubito. Le voci che ho sentito erano piuttosto flebili, credo che nemmeno Aubierre ne sia al corrente…»

La Contessa si concesse un sorriso soddisfatto. «Grazie Sam, ti devo un altro favore.»

Lui ricambiò il sorriso. «Sai com’è, neanche io provo grande simpatia per i Tadarés…»

Anche se non aveva consumato niente, la giovane lasciò qualche moneta sul banco e abbandonò il locale. Sam era davvero incredibile, al punto che a volte si chiedeva come facesse ad essere così ben informato su tutto ciò che succedeva a Genseldur.

Sollevò lo sguardo verso il cielo stellato e mosse la braccia, lasciandosi trasportare verso l’alto dalle Ali di Vento. La Piccola Chiesa non era molto lontana da lì, con un po’ di fortuna sarebbe potuta arrivare nel giro di qualche minuto.

Con movimenti eleganti si librò fra i tetti, alternando sapientemente volo e corsa, fermandosi solo quando fu su uno dei raffinati edifici affacciati sul parco. Dunque, per quel che ne sapeva, il malliro era una pianta da frutto dalla chioma ampia, con i fiori rosati e gradevolmente profumati, purtroppo però non aveva ben presente dove si trovassero. In ogni caso questo non bastò a buttarla giù di morale. Soffocò uno sbadiglio e si lasciò cadere nel vuoto, quindi sfruttò le Ali di Vento per controllare la caduta fino ad atterrare abilmente all’interno del parco.

In quel grande giardino l’illuminazione era fornita solo da alcuni radi lampioni, questo però non era un problema: il filtro che prendeva abitualmente per alterare il suo aspetto serviva anche per migliorare la sua vista, permettendole così di vedere abbastanza bene anche nelle velate tenebre della notte.

Con passo felpato cominciò a girare per il parco, scrutando le varie piante alla ricerca dei malliri. Andò avanti a muoversi tra le ombre per quasi un quarto d’ora, tempo che a lei parve durare dieci volte tanto, alla fine però i suoi sforzi vennero ricompensati: due uomini, entrambi incappucciati, stavano parlando vicino ad un alto albero dall’ampia chioma, sicuramente un malliro. Dovevano essere Hanzo e il suo informatore.

Una parte di lei le diceva di agire, di colpire fintanto che ne aveva la possibilità, ma per una volta decise di agire con cautela: il suo corpo non era al meglio e contro un avversario del genere avrebbe rischiato molto grosso.

In ogni caso non ebbe il tempo di fare la sua mossa, infatti ben presto uno dei due uomini si allontanò, sparendo tra i tronchi degli alberi come uno spettro.

La ragazza rimase ad osservare l’altra figura, che dopo poco si tolse il cappuccio. Si trattava di un uomo smilzo con il viso lungo dominato da un naso aquilino, quindi non poteva che trattarsi dell’informatore. Doveva scoprire ciò che aveva detto a Hanzo.

Senza produrre alcun suono gli si avvicinò, sfruttando le ombre per passare inosservata. Lo prese alle spalle, lo bloccò con un braccio intorno al collo e gli puntò una lama alla gola. «Con chi stavi parlando?»

Non era ciò che voleva sapere, ma dopo una pessima figura fatta qualche tempo prima, aveva imparato ad accertarsi se la persona che stava minacciando era quella giusta.

«Chi… lo vuole sapere?» esalò l’uomo con voce titubante: era chiaramente nervoso.

La Contessa non rispose, avvicinò la lama e gli causò un leggero taglio.

«D’accordo, d’accordo.» gemette il malcapitato «Era de Sauze…! Hanzo de Sauze! Ti prego, ora lasciami andare…»

La ragazza espirò a denti stretti, quasi come un pazzo sadico. «Cosa gli hai detto?»

L’uomo, tutto tremante, deglutì. «Il signor de Sauze voleva… voleva sapere quando il mercante Jerard Roulé avrebbe lasciato la città… e io… io gli ho detto che sarebbe passato dalla porta sud-ovest questa mattina prima dell’alba… Ve lo giuro, è la verità…! Ora lasciat-»

«Perché lo voleva sapere?» ringhiò la Contessa, il braccio ancora più stretto intorno al collo dell’uomo.

«Io… io…»

«Parla!»

«Roulé supporta Aubierre, quindi de Sauze lo deve uccidere! Fa parte della guerra tra Aubierre e i Tadarés! Vogliono mandare a monte i suoi affari! È una guerra economica!» L’uomo aveva parlato tutto d’un fiato, con disperazione, come se non avesse più nemmeno il coraggio di respirare.

«Dove colpirà Hanzo?» Questa volta la Contessa cercò di usare un tono fermo ma più gentile, in modo da indurre la vittima a fidarsi di lei e a credere che presto sarebbe tutto finito.

«Subito prima di lasciare la città… De Sauze si apposterà nella vecchia tessitoria, e al momento giusto attaccherà la carrozza di Jerard Roulé e lo ucciderà… Ve lo giuro, non so altro…»

L’uomo, ormai sul punto di scoppiare in lacrime, cadde in ginocchio appena la Contessa lo lasciò. Si voltò tremante, ma tutto ciò che vide fu una sagoma incappucciata.

«Noi non ci siamo mai incontrati.» sentenziò la ragazza «E tu di certo non vorrai far sapere in giro che hai spifferato tutto, dico bene?»

 La sua vittima si affrettò ad annuire.

Senza aggiungere altro la Contessa gli voltò le spalle e con passo felpato si immerse fra le ombre degli alberi, svanendo dalla vista dell’uomo. Una volta che fu abbastanza lontana, lasciò la sicurezza delle tenebre per uscire allo scoperto e controllare il dispositivo magico che aveva al polso. Aveva ancora qualche ora prima di tornare al suo vero aspetto e aveva già in mente un piano, in ogni caso doveva sbrigarsi.

Una cosa era certa: entro l’alba, avrebbe dimostrato a tutti chi era davvero la migliore.

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Capitolo 4
*** 3. Essere un’assassina ***


3. Essere un’assassina

La Contessa di Genseldur uscì guardinga dal passaggio segreto e, dopo essersi accertata che nessuno l’aveva vista, richiuse dolcemente la piccola porta. Quel passaggio dall’aria dismessa conduceva alla caldaia di uno degli edifici vicini a casa sua, e il fatto che fosse sempre deserto, ne faceva un ottimo passaggio segreto.

Si aggiustò sulle spalle la custodia del fucile costruito per lei da Etienne e poi accese le Ali di Vento. Quello che si portava dietro era il modello definitivo dell’arma, il prototipo invece lo teneva in una teca a casa sua come ricordo insieme ad altre armi che ormai non usava più.

Purtroppo nel tornare a casa si era lasciata un po’ prendere dalla fretta, col risultato che, quando aveva controllato l’indicatore di carica delle Ali di Vento, si era accorta che era a meno di un quarto. Ovviamente non aveva il tempo di metterlo in carica e il catalizzatore sostitutivo era scarico, quindi avrebbe dovuto usarlo con la massima moderazione, o c’era il rischio di trovarsi a piedi proprio nel momento di vera necessità.

Senza perdere tempo, corse verso la scala antincendio dell’edificio che aveva davanti e usò le Ali di Vento quel tanto che bastava per raggiungere la rampa più bassa. Salì di corsa i gradini metallici senza preoccuparsi del rumore prodotto dai suoi passi, sforzandosi di reprime il senso di stanchezza che quasi le annebbiava la vista. Non poteva fermarsi proprio adesso!

Attraversare la città si rivelò un’impresa atroce per le sue gambe: non c’era un muscolo che rispondesse come al solito e ad ogni passo temeva di inciampare nei suoi stessi piedi. Un paio di volte rischiò addirittura di andare a sbattere contro le facciate degli edifici su cui stava saltando a causa delle sue gambe sempre più molli.

Arrivata a circa tre quarti del percorso si concesse una pausa. Si sedette su una pila di mattoni lasciati da qualcuno su una terrazza e si abbandonò con la schiena al muro alle sue spalle, respirando affannosamente.

«E pensare che lo sto pure facendo gratis…»

Le sue palpebre si abbassarono, dolci come una ninnananna, donando finalmente riposo ai suoi occhi affaticati.

«Dovrei andare da Aubierre e chied-» Un grasso sbadiglio interruppe il suo monologo, accentuando ulteriormente il senso di rilassamento che stava cullando il suo corpo. «Dovrei andare da Aubierre e chiedergli una bella ricompensa…»

Di colpo riaprì gli occhi. Si guardò intorno, terrorizzata: quanto aveva dormito?! Il cielo era ancora punteggiato di stelle, ma all’orizzonte cominciava a profilarsi una sfumatura calda e mattiniera.

«Maledizione, che idiota che sono!»

Inveendo contro se stessa e contro il tempo, si rimise a correre da un tetto all’altro, ricordandosi solo dopo alcuni salti che doveva limitare l’uso delle Ali di Vento. Per fortuna le restava ancora un po’ di carica, adesso però era il tempo che scarseggiava.

Senza smettere di imprecare, continuò a correre, più rapida e precisa grazie al sonno ristoratore. Se non altro era servito a qualcosa…

Con un ultimo salto fu sulla spaziosa terrazza di uno degli edifici che davano sulla strada per la porta sud-ovest, proprio di fronte alla vecchia tessitoria. Il sole stava cominciando ad affacciarsi proprio in quel momento oltre l’orizzonte e i suoi raggi caldi delineavano ombre lunghissime, inducendo la Contessa ad aggiustarsi il cappuccio sul capo. L’effetto del filtro ormai era svanito, quindi le uniche cose in grado di proteggere la sua vera identità erano il tessuto sul capo e la mascherina sugli occhi.

Spalancò la custodia del fucile, aprì il bipiede e posizionò l’arma sul bordo della terrazza, il tutto senza smettere di guardarsi intorno circospetta. Stava cercando di non pensarci, eppure c’era una sgradevole sensazione che le stava salendo su per lo stomaco, soffermandosi in gola e rendendo pesante il suo respiro: e se Hanzo avesse già colpito? In strada non vedeva nessun segno che lasciasse supporre una colluttazione, eppure…

Un rumore di zoccoli fece scattare i suoi sensi. Si voltò di scatto, individuando la carrozza che si muoveva rapida per la strada, diretta verso la porta ovest. Il suo cuore accelerò il battito: era sicuramente il mercante amico di Aubierre, doveva essere lui. Ora non restava che capire dove si trovava Hanzo…

Sentiva le mani farsi sempre più sudate dentro i guanti, e non solo loro. Altro che Contessa, appena tornata a casa, si sarebbe fatta un bagno degno di una regina!

La carrozza intanto si avvicinava spedita, di Hanzo però ancora nessuna traccia.

Un movimento nella vecchia tessitoria tradì una presenza al terzo piano: era più in basso di lei di due piani, ma questo non era un problema. Si alzò leggermente sulle gambe e nel mirino comparve il corpo prestante di Hanzo de Sauze. Con un salto l’uomo atterrò direttamente sulla carrozza, facendo impennare i cavalli. Il cocchiere spaventato non riuscì a mantenere il controllo e il mezzo sbandò, piegandosi paurosamente di lato. L’assassino saltò giù con un balzo felino, poi balzò in avanti, afferrando la maniglia della carrozza. La tirò con forza e quella cedette con uno schianto di legno, terrorizzando ancora di più il mercante all’interno.

«Chi sei?!» esclamò la vittima «Cosa vuoi da me?!»

Hanzo salì il gradino sfoderando un coltello dalla lama ricurva. «Ti porto i saluti di Gordon Tadarés.»

Il mercante cercò di indietreggiare, ma era in trappola. Poi si udì un colpo e qualcosa centrò in pieno Hanzo, un proiettile che gli trafisse il cranio, conficcandosi nel sedile di fronte alla vittima. L’assassino crollò in avanti, il sangue che sgorgava impietoso dalla sua testa bucata.

La vittima dell’imboscata, ora divenuta un illeso testimone, si portò una mano alla bocca per soffocare un conato di gomito. Con l’altra afferrò la maniglia della carrozza e, non senza difficoltà, la aprì, rischiando si franare all’esterno.

Il cocchiere, che aveva cercato un improbabile rifugio sotto la carrozza, si sporse leggermente per vedere chi fosse uscito. Il mercante, quasi in trance, non lo degnò di uno sguardo e girò dall’altra parte del mezzo per capire da dove fosse partito il colpo. Era talmente scosso che non si preoccupò nemmeno di poter essere ucciso a sua volta dallo stesso sicario.

La Contessa, vedendolo comparire, si alzò in piedi reggendo il suo fucile. Ormai poteva dire di essere diventata piuttosto brava con quell’arma, il modello definitivo poi era ancora più preciso del prototipo, senza dimenticare che lo sbuffo di fuoco causato dallo sparo era notevolmente più contenuto.

Lo sguardo del mercante, a metà fra l’assente e l’adorante, era per lei come una bibita rigenerante, un premio più che meritato per tutta la fatica che aveva fatto. E poi tanto quell’uomo non sarebbe mai riuscito a riconoscere il suo viso da quella distanza, nemmeno se fosse stato perfettamente lucido.

Una volta soddisfatta delle attenzioni ricevute, si voltò e si chinò per rimettere la sua arma nella custodia. Si mise in spalla il suo bagaglio e poi si avviò verso casa, felice e appagata come poche volte le era capitato.

Era stanchissima e nel giro di neanche tre ore aveva un appuntamento dalla sua parrucchiera, però ne era decisamente valsa la pena. Magari non aveva proprio sconfitto Hanzo in un duello, però alla fine era lui quello con il cranio bucato. Ed essere un assassino non vuol dire combattere, vuol dire uccidere.

A pensarci bene, una simile impresa meritava un minimo di celebrazione, quella però poteva aspettare: ora la priorità era un bagno degno della regina degli assassini!

Si lasciò cadere dalla terrazza, attutendo all’ultimo l’impatto grazie alle Ali di Vento. Aveva vinto, ma allora cos’era quel peso alla bocca dello stomaco, quella gelida sensazione che le faceva tremare le mani…?

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Capitolo 5
*** 4. Sangue chiama sangue ***


4. Sangue chiama sangue

Dei colpi risuonarono contro il portone della villetta e il golem-cameriere si affrettò a controllare chi stesse bussando. Aprì lo spioncino e subito i cristalli per la cattura delle immagini che aveva al posto degli occhi riconobbero il viso barbuto di Morpheus.

Senza perdere altro tempo aprì il battente e lo accolse con un inchino. «Benvenuto, signor Grimbèle. Al momento sua nipote sta riposando, ma se lo desidera posso andare a chiamarla.»

«Da quanto sta dormendo?»

«Da questa mattina. Ultimamente è stata piuttosto impegnata e non ha riposato molto, per questo ho preferito non disturbarla.»

Ormai era tardo pomeriggio e lui aveva bisogno di parlarle, così diede ordine all’automa di andarla a chiamare.

Conoscendola, Hélene ci avrebbe messo almeno dieci minuti per “rendersi presentabile”, così decise di raggiungere la cucina per prendere qualcosa da mangiare. La sua era stata una giornata abbastanza impegnativa e a pranzo aveva mangiato solo un panino, quindi la fame cominciava a farsi sentire.

Come previsto, la ragazza lo raggiunse non prima di una decina di minuti. Indossava la vestaglia e il viso era ancora un po’ assonnato, i capelli poi erano piuttosto in disordine: doveva aver dormito davvero pochissimo ultimamente se era così stanca da non prendersi nemmeno il tempo di pettinarli.

Si sedette di fronte a lui. «Ciao zio, come mai qui?» gli chiese con uno sbadiglio.

«Ti devo parlare.»

Lei annuì distrattamente, le palpebre mezze abbassate.

«Sono diventato un uomo di Aubierre. Lavoro per lui adesso.»

Questa notizia fece riaprire gli occhi ad Hélene. «Perché? Voglio dire, sei sempre stato un solitario…»

«Le cose sono cambiate.» affermò Morpheus in tono serio «L’addestramento di Bloody è quasi completo e Aubierre mi ha chiesto di fare da istruttore ai suoi novizi. La paga è buona, e poi l’idea di addestrare dei futuri sicari non mi dispiace… Se ci fossero più assassini come te, il nostro mestiere sarebbe meno disprezzato.»

L’uomo sapeva che i complimenti erano il modo migliore per persuadere sua figlia, infatti la giovane cambiò presto espressione: da stupita e leggermente contrariata, a stupita e leggermente compiaciuta. «Beh, sì, forse non hai tutti i torti…»

«E c’è un’altra cosa di cui vorrei parlarti.» Morpheus attese un attimo prima di proseguire, approfittando di quegli istanti per studiare l’espressione di Hélene. «Cosa sai della morte di Hanzo de Sauze.»

La giovane si strinse nelle spalle. «Non sapevo nemmeno che fosse stato ucciso.»

«Non ho detto che è stato ucciso.»

La ragazza cercò di dissimulare la propria tensione. «Hanzo è uno dei migliori assassini dei Tadarés, no? Uno così non muore all’improvviso, a meno che non sia ucciso ovviamente.»

Morpheus continuò a fissarla, impassibile. «Michelle, ti conosco da quando avevi sei anni, lo capisco quando mi stai mentendo…»

Lei si ricordò solo in quel momento di controllare lo stato delle sue unghie. «Non capisco di cosa tu sia parlando.»

«“Un uomo minuto con il cappuccio e un fucile”, ti dice niente questa descrizione?»

«Sinceramente no.»

«Michelle… perché hai ucciso Hanzo? Ti ho detto mille volte di non versare sangue inutilmente.»

La giovane si voltò finalmente verso di lui. «Era un assassino sanguinario, ho fatto un favore a tutti togliendolo di mezzo!»

Il pugno di Morpheus batté con forza sul tavolo, facendo sobbalzare la ragazza. «Non hai fatto un favore a nessuno! I Tadarés penseranno che il responsabile sia Aubierre e con ogni probabilità useranno questa scusa per scatenare una guerra contro di lui! Molte persone moriranno per questo, te ne rendi conto?! Se non mi fossi unito a Aubierre, adesso saresti già in un baule diretto a Hendo!»

Hélene sentì un brivido salirle lungo la schiena. Era raro vedere suo zio arrabbiato, ma soprattutto non credeva che il suo gesto avrebbe portato ad una situazione del genere. Cavolo, che idiota era stata…

«Perché non pensi alle conseguenze? E poi cosa ti aveva fatto di tanto grave de Sauze per meritare di essere ucciso?»

La giovane non ebbe il coraggio di rispondere. Non poteva dire che la causa di tutto era la stupida classifica di una rivista scandalistica.

«Allora?»

«Mi dispiace, non credevo che sarebbe finita così…»

«Il tuo dispiacere non impedirà lo scoppio della guerra.» la zittì Morpheus «Cosa intendi fare adesso, si può sapere?»

Hélene serrò i pugni, incapace di trovare una risposta. L’unica cosa che le veniva in mente era di consegnarsi ai Tadarés e di lasciarsi giustiziare, ma non era certa che questo avrebbe risolto la situazione. Molto probabilmente sarebbe stato un gesto inutile, e in ogni caso aveva troppa paura per farlo.

«Michelle!»

«Non lo so!» esclamò la ragazza, di colpo in piedi. «Non ne ho idea!»

Corse via, pensando solo a lasciare la cucina prima che suo zio potesse vedere le sue lacrime. Non voleva scatenare una guerra, non voleva mettere in pericolo gli abitanti di Genseldur, lei voleva solo… voleva solo… Già, cosa voleva? Dimostrare di essere la migliore? Ma a chi? A se stessa? Una motivazione inutile e infantile. Aveva dimostrato solo di essere una stupida.

Si chiuse a chiave in camera sua, a quel punto le sue gambe parvero sciogliersi e scivolò a terra, la schiena contro il battente e gli occhi velati di lacrime. Ora tutti gli oggetti che decoravano l’ambiente le sembravano sbagliati, fuori luogo, nient’altro che emblemi della sua pietosa vanità.

Altro che migliore assassina del mondo…


***


Morpheus, rimasto solo in cucina, chinò il capo. Non avrebbe dovuto provocare sua figlia con tutte quelle domande. Era ovvio che non volesse scatenare una guerra, e poi i Tadarés non avevano ancora fatto la loro mossa, quindi forse c’era una remota possibilità di impedire alla situazione di degenerare. In realtà aveva solo paura che qualcuno le facesse del male, che Gordon Tadarés decidesse di farla uccidere.

Si sentiva in colpa. Quando Hélene aveva ammesso di aver ucciso Hanzo, nei suoi occhi non aveva visto solo rabbia e disprezzo per l’uomo ucciso, ma anche un muto desiderio di approvazione: quasi nessuno conosceva la vera identità della Contessa, quindi l’unico che poteva complimentarsi con lei per le sue imprese era proprio lui. E negli ultimi tempi era stato troppo occupato per darle l’affetto che lei ricercava.

In occasione del suo diciassettesimo compleanno le aveva regalato quella villetta per farla sentire libera e indipendente, solo adesso però si rendeva conto di quanto doveva essere pesante abitare da sola in una casa così grande.

Molto probabilmente sua figlia desiderava a tutti i costi primeggiare nell’assassinio proprio perché così si sarebbe sentita meritevole delle sue attenzioni.

Decise di farsi coraggio e di andare a parlarle. Raggiunse la porta della stanza della ragazza e bussò. Non voleva rischiare di indisporla ulteriormente, così, anche se gli risultava strano, si sforzò di usare il suo nome nuovo: «Hélene, per favore, apri la porta.»

Non ottenendo risposta, decise di continuare a parlare: «Tu sei la migliore assassina che conosca, e con questo voglio dire che sei la più brava, ma anche la più virtuosa. Non sono arrabbiato perché hai ucciso un assassino spietato come Hanzo, anzi in realtà sono molto fiero che tu ci sia riuscita, però devi capire che questo tuo gesto comporta delle conseguenze. Non metto in dubbio i tuoi buoni propositi, quindi permettimi di aiutarti a trovare una soluzione.»

Dovette attendere un po’, ma alla fine le sue parole riuscirono a persuadere sua figlia a sbloccare la serratura. Quando la ragazza aprì la porta, i segni delle lacrime sulle guance non c’erano più, gli occhi però erano ancora un po’ arrossati. Senza dire niente, fece due passi avanti e lo abbracciò. «Scusami, non volevo farti preoccupare.»

Quella semplice frase riuscì a scaldare il cuore di Morpheus, che per un attimo si scordò addirittura della precedente arrabbiatura. La strinse a sé. «Insieme troveremo una soluzione, te lo prometto.»


***


Gordon Tadarés era seduto sulla sua confortevole poltrona dallo schienale alto e stava digitando una serie di dati su una tastiera olografica. Su quel pianeta non erano ancora disponibili simili tecnologie e c’era una minima possibilità che usarla avrebbe fatto saltare la sua copertura, tuttavia i vantaggi che ne derivavano compensavano adeguatamente il rischio. E poi in quel momento stava stilando l’ordine per acquistare delle altre dosi del siero TitanShape, quindi già quello avrebbe potuto rivelare che in realtà lui e molti membri del suo clan venivano dallo spazio.

Di norma affidava gli acquisti ai suoi subordinati, in quel caso però aveva voluto farlo di persona: voleva sapere esattamente quanto siero ordinava, di che tipo era e quanto sarebbe stato il costo totale della spedizione. Non poteva permettersi di correre il rischio che qualcuno aggiungesse una dose o due per uso personale.

Dato l’elevato costo del siero, sarebbe stato troppo dispendioso farlo avere a tutti i suoi sottoposti, quindi per il momento l’unico ad averlo ingerito era suo nipote, Roman Tadarés, il suo migliore assassino, nonché quello di cui si fidava di più.

Aveva quasi finito di compilare l’ordine quando qualcuno bussò alla porta. Per sicurezza spense gli ologrammi, quindi diede il suo assenso ad entrare. Se fosse stato un estraneo, la sua segretaria lo avrebbe di sicuro avvisato per tempo, tuttavia non amava nemmeno mostrare ai suoi sottoposti ciò che stava facendo, specie se si trattava di faccende di una certa importanza.

«Mi scusi per il disturbo capo, ho una notizia importante.» annunciò il giovane assassino con gli orecchini «Hanzo è stato ucciso a Genseldur mentre cercava di assassinare Jerard Roulé.»

Gli occhi di Gordon divennero due lugubri fessure. «E chi è stato? Uno degli uomini di Aubierre? Questa è l’ultima volta che mi faccio mettere i bastoni fra le ruote da quei fottuti succhia-sangue…»

«Ancora non lo sappiamo.» ammise il ragazzo «Vuole che mandi qualcuno ad indagare?»

Il capo dei Tadarés incrociò le dita e i numerosi anelli formarono una ricercata trama di pietre e metalli preziosi. «No, chiama Roman e digli di venire subito da me.»

«Sì capo, lo faccio immediatamente.»

Il ragazzo uscì rapido dallo studio richiudendosi la porta alle spalle, a quel punto Gordon si abbandonò all’alto schienale della sua poltrona. Sorrise.

Dopo un attimo di placida contemplazione, riattivò gli ologrammi di schermo e tastiera e si rimise al lavoro. Diede una rapida rilettura all’ordine che aveva stilato, quindi aumentò di diverse unità le dosi di siero che stava acquistando. Per ricevere la prima fialetta aveva dovuto attendere due deche, in quel caso però si trattava di una prevendita a tiratura limitata. Non aveva idea di quanto fosse lunga la lista d’attesa per un ordine normale, di sicuro però non era affatto breve.

Dei rispettosi colpi sulla porta richiamarono la sua attenzione.

«Avanti.»

Suo nipote Roman entrò nello studio. Al contrario dello zio, si trattava di un uomo dal fisico prestante, con i tratti del viso precisi e accattivanti, ideali per conquistare il cuore delle donne. «Ho sentito che Hanzo è stato ucciso.»

«È così. Voglio che tu vada a Genseldur e uccida il responsabile.»

Il giovane gli lanciò uno sguardo interrogativo. «Non è Aubierre il mandante?»

«Ti pare? Aubierre non è stupido, non avrebbe mai fatto una cosa del genere nella sua città. Si tratta sicuramente di qualcun altro, e questo qualcuno deve morire. Fa’ che sembri un incidente.»

Roman annuì. «E immagino di dover tenere la bocca chiusa su questo incarico.»

«Infatti. Quando tornerai, dirai che hai le prove che il mandante è Aubierre. Sarà perfetto per instillare un forte desiderio di vendetta nelle menti degli uomini.»

«D’accordo, mi preparo subito per partire.»

«Conto su di te.»

Roman lasciò la stanza e Gordon si crogiolò ancora per un po’ nella meravigliosa situazione che si stava delineando: fino a quel momento si era limitato a disturbare gli affari di Aubierre, ad esempio uccidendo alcuni suoi fornitori o mandando a monte qualche incarico, adesso però era giunto il momento di fare sul serio, e grazie all’omicidio di Hanzo i suoi uomini avrebbero avuto una valida motivazione per combattere fino alla morte.

Controllò per l’ultima volta il modulo appena compilato, quindi inviò l’ordine: se voleva scatenare una guerra, aveva bisogno di parecchi uomini in grado di combatterla.

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Capitolo 6
*** 5. Incubo ***


5. Incubo

Il sole brillava nel cielo del primo pomeriggio, illuminando le sfarzose vetrine dei negozi del centro di Genseldur. Morgaine e Laurine stavano camminando tranquillamente per una di quelle raffinate vie, eppure per una volta la loro attenzione non era rivolta agli eleganti vestiti esposti o ai prodotti di bellezza più gettonati. Era da un po’ che la loro amica Hélene sembrava strana, era stanca e assente, come se avesse mille pensieri in testa che le disturbassero il sonno, e la cosa cominciava un po’ a preoccuparle. Aveva rinunciato a tutti gli appuntamenti degli ultimi due giorni e quella mattina aveva perfino declinato il loro invito ad uscire insieme.

«E se non si sentisse bene?» ipotizzò Morgaine «Magari non voleva farci preoccupare e quindi non ci ha detto niente…»

«È probabile, lo sai quanto me che Hélene non ama mostrare le proprie debolezze. Poverina, potremmo andarla a trovare per farle coraggio.»

«Mi sembra un’ottima idea.»

In quel momento una voce maschile le chiamò, interrompendo la loro conversazione. Si voltarono e in un istante i loro occhi vennero conquistati dal viso attraente di un giovane uomo. Il suo corpo atletico era meraviglioso, messo in mostra da abiti sobri ma perfettamente abbinati, gli occhi erano scuri e intensi e i capelli corvini raccolti in un codino gli davano un raffinato tocco di classe.

«Perdonatemi, sono appena arrivato in città per incontrare una vecchia amica, purtroppo però temo di essermi perso. Non è che potreste darmi una mano?» La sua espressione si componeva di una nota di dolce imbarazzo, un sorriso spontaneo e un contagioso buonumore: era impossibile resistergli.

«Ma certo.» riuscì finalmente a rispondere Morgaine «Hai un indirizzo?»

«Ecco… Diciamo che ce l’avevo: purtroppo ho perso il biglietto. Però forse conoscete la mia amica, si chiama Hélene Castillon.»

«Oh, sì, certo che la conosciamo!» esclamò Laurine «Stavamo giusto andando da lei, se vuoi puoi venire con noi.» Non riusciva a credere di essere così fortunata: avrebbero potuto fare tutta la strada insieme a quel fusto incredibile! Ma perché Hélene non aveva mai detto a lei e Morgaine che conosceva un tipo così? Voleva forse tenerselo tutto per sé?

Un radioso sorriso illuminò il volto dell’uomo. «Sarebbe meraviglioso. Oh, che sbadato, non mi sono presentato! Sono Roman, lieto di conoscervi.»


***


Hélene era seduta sul suo letto, le tende mezze tirate e lo sguardo perso nel vuoto. Quello era il terzo giorno che passava chiusa in casa e non avrebbe potuto essere più abbattuta. Aveva combinato un vero casino e nemmeno la prospettiva della festa di compleanno di Morgaine riusciva più a tirarla su di morale.

Il suo golem-cameriere aprì la porta della stanza. «Signorina, ha degli ospiti: sono le sue amiche insieme ad un uomo. Li ho fatti accomodare nella sala degli ospiti.»

Quella notizia riuscì a scuotere la giovane. Tutto sommato non le dispiaceva che Morgaine e Laurine fossero venute a trovarla, però chi poteva essere l’uomo?

«Ha detto di chiamarsi Roman e di essere un suo vecchio amico.»

Hélene, che nel frattempo si stava dando una sistemata, si bloccò di colpo. Non conosceva nessun Roman, quel nome però non le era nuovo. Ma dove l’aveva già sentito…? Il ricordo la colpì con la violenza di un pugno allo stomaco.

Senza nemmeno preoccuparsi di avere addosso solo la vestaglia si fiondò al piano inferiore, correndo scalza verso la sala degli ospiti. Irruppe nella stanza come un uragano, catturando immediatamente gli sguardi dei presenti. Tirò un primo sospiro di sollievo nel vedere che le sue amiche stavano bene, poi però si accorse delle espressioni di Morgaine e Laurine: la fissavano in modo strano, con sbigottimento, paura, orrore… Perché?

«Cosa sta succedendo qui?» ringhiò Hélene in direzione dell’uomo, Roman.

«Niente di speciale, stavo solo chiacchierando con le tue amiche. Sono davvero due persone meravigliose, tu però non sei stata molto sincera con loro, o sbaglio…?»

La giovane serrò i pugni. «Cosa staresti insinuando?»

«Hélene…» disse Laurine, quasi in un sussurro, «È vero che… che tu sei la Contessa di Genseldur…? Che… Che sei un’assassina…?»

La ragazza sbarrò gli occhi, incapace di articolare una parola. La sua lingua non voleva più rispondere ai suoi ordini.

«Hélene…» Questa volta era stata Morgaine a chiamarla, gli occhi velati di lacrime. «Come hai potuto…?»

Il suo corpo ormai si era ribellato totalmente e aveva cominciato a tremare. Era prigioniera di se stessa.

«Vi prego, ora dovete andare via.» affermò Roman nel tono mesto ma fermo di chi cerca di rassicurare gli altri dopo un brutto episodio, «Lasciate che ci pensi io.»

Le due ragazze non poterono che assecondare la sua richiesta e lasciarono che l’uomo le scortasse fuori dalla sala degli ospiti, verso l’ingresso. Passare di fianco ad Hélene non fu facile per loro, tennero lo sguardo basso e non dissero nulla: il dolore era troppo forte.

Dopo essersi assicurato di aver allontanato i testimoni, Roman tornò sui suoi passi. La Contessa era ancora lì, immobile sulla soglia della stanza, lo sguardo perso nel vuoto. Le sue migliori amiche l’avevano abbandonata… e la cosa peggiore era che non poteva nemmeno biasimarle…

Una delle cose che più temeva si era appena realizzata. Era come se la sua vita le si stesse sgretolando tra le mani, pezzo dopo pezzo.

Se quello era un incubo, sperava di svegliarsi il prima possibile. Ma in realtà sapeva bene che non era affatto incubo…

«Devo ammetterlo, hai davvero una magnifica biblioteca.» affermò Roman, intento ad ammirare gli scaffali pieni di volumi riposti ordinatamente per autore. «Hai letto tutti questi libri?»

Hélene non rispose, si limitò a fissarlo, gli occhi verdi colmi d’odio.

«Io ne ho letti molti.» proseguì allora l’assassino «Sai, anche a me piacciono molto le storie d’avventura.»

Roman continuava a parlare tranquillamente, quasi come se stesse realmente chiacchierando con una vecchia amica, la ragazza però sapeva di non poter abbassare la guardia. Senza farsi notare si avvicinò ad un mobiletto e aprì un cassetto. Aveva nascosto in tutta la casa numerosi coltelli proprio per fare fronte a situazioni come quella, quindi doveva restare calma: aveva ucciso Hanzo de Sauze, con quel tipo non sarebbe stato diverso.

L’intruso intanto continuava il suo monologo sui libri e di tanto in tanto prendeva qualche volume che non conosceva per sfogliare delicatamente le prime pagine. Se non fosse che era un uomo dei Tadarés e che aveva appena rivelato alle sue migliori amiche la sua doppia vita, sarebbe stata quasi tentata di intrattenersi con lui.

Senza fare il minimo rumore cominciò a muoversi verso di lui, un passo dopo l’altro. Roman non sembrava essersi accorto di nulla, ma di sicuro stava solo fingendo: era impossibile che un assassino del suo livello avesse abbassato la guardia in quel modo.

Hélene non si fermò. Gli anni passati ad addestrarsi avevano reso il suo passo leggero e felpato, i suoi movimenti fluidi e precisi, difficili da captare anche per gente attenta e preparata. Anche il suo cuore era calmo, così come il respiro leggero.

“Uccidere il bersaglio senza che nemmeno se ne accorga, ecco cosa vuol dire essere un grande assassino.”

Era ad un passo da lui. Roman parlava, incurante della sua presenza. Non doveva esitare! La lama scattò, diretta al fianco. La vittima non poteva reagire, era troppo tardi. E invece la bloccò. Roman le aveva afferrato il polso, fermando il coltello un attimo prima che raggiungesse la carne. Il tutto senza far cadere il libro che aveva in mano e continuando ad elogiare quello che, a suo dire, era uno dei migliori scrittori al mondo.

Hélene digrignò i denti, furiosa. Provò a fare forza, a spingere con tutto il suo peso, ma non servì a nulla. Quanto cavolo era forte quel tipo?! D’accordo che lei era una ragazza dal fisico snello, ma essere surclassata in quel modo era materialmente impossibile. O forse no?

Senza la minima fretta, Roman ripose il libro e si voltò verso di lei allontanando la lama dal corpo. «Mi spiace, non puoi vincere contro di me. In realtà non avresti avuto speranze neanche contro Hanzo se l’avessi sfidato in maniera onorevole.»

«Cosa ne sai tu dell’onore?!»

«Da come hai ucciso Hanzo, direi molto più di te.»

Hélene gli tirò un pugno in faccia. Lui ancora non si mosse, anzi fu la sua mano a gemere di dolore, strappandole un’imprecazione.

L’uomo la spinse indietro, facendola cadere su una delle poltrone. «Mi perdonerai se approfitto della situazione per testare il TitanShape, vero?»

La ragazza lo trafisse con uno sguardo. Non aveva idea di cosa stesse dicendo, ma una cosa era certa: doveva pensare a qualcosa, o sarebbe stata spacciata.

«Beh, chi tace acconsente.» Serrò i pugni, come per caricarsi mentalmente, ma ben presto Hélene capì che non si trattava di energia psicologica: il suo corpo cominciò a fumare, forse si trattava di vapore, quindi la pelle si accese di una luce calda e aranciata, come se stesse diventando incandescente. La ragazza, incredula, non poté che restare a guardare paralizzata, venendo investita da un improvviso getto di vapore rovente. Avvertì qualcosa che si muoveva davanti a sé, ma non riusciva vedere nulla. Udì un tonfo, poi degli scricchiolii e infine un fragore di macerie, come se qualcosa avesse sfondato il soffitto.

Finalmente il vapore bollente si diradò e riuscì a riaprire gli occhi, ma ciò che vide le fece rimpiangere la sua decisione: cos’era quella specie di gigante che svettava di fronte a lei?! Aveva sfondato il soffitto con la testa dalle linee aguzze e le spalle imponenti, spostando i mobili del piano di sopra come delle fastidiose cianfrusaglie grazie ai muscoli tesi delle braccia. Tutto sommato la sua corporatura era proporzionata, solo i tratti avevano un’aria vagamente selvaggia, animalesca. Indossava addirittura dei vestiti, gli stessi… gli stessi di Roman! Quel coso era Roman?! No, era impossibile. Per lo meno i vestiti si sarebbero dovuti rompere!

«Ti piace il mio nuovo aspetto?» La voce di quel gigante era un po’ gutturale, ciononostante ricordava quella dell’assassino dei Tadarés. «È il modello Funditor, il più versatile. Posso ingrandirmi fino a tredici metri, però in quel caso mi vedrebbero tutti e rovinerei la sorpresa. E sarebbe un vero peccato, no?»

Hélene era paralizzata. Non riusciva a muoversi, ma nemmeno a parlare, o anche solo a distogliere lo sguardo da quegli occhi ferini. Nonostante tutto, avevano la stessa intensità di quelli di Roman.

«Signorina, va tutto bene?!» esclamò il golem-cameriere entrando nella stanza.

Si arrestò appena vide il gigante. I suoi elaboratori logici non erano preparati ad affrontare una simile situazione, così per Roman fu facile afferrarlo e schiacciarlo tra le sue enormi mani come una vecchia lattina.

La scena fece montare la rabbia nella mente di Hélene. Come osava comportarsi così con il suo fedele servitore?!

Dominata dall’ira, fece saltare il coltello per prenderlo dalla lama e poi lo scagliò con forza. L’arma centrò in pieno l’occhio del nemico e rimbalzò via, del tutto inefficace.

Hélene, spiazzata, perse per un attimo la concentrazione, così che Roman riuscì ad afferrarla, sollevandola come una bambola di pezza. Con un calcio spazzò via i mobili, sollevò ancora un po’ la ragazza e la scaraventò a terra. La giovane urlò di dolore, un grido atroce che coprì il rumore delle ossa che si rompevano.

Soddisfatto del risultato, Roman chiuse gli occhi e il suo imponente corpo venne nuovamente avvolto da una nuvola di vapore, celando la trasformazione che lo stava riportando alla normalità.

Emerse dalla cappa chiara e densa come uno spettro, osservando inespressivo il corpo tremante della sua vittima. Si accovacciò al suo fianco. «Credimi, farti questo non mi arreca nessun piacere.»

Hélene, supina, riuscì a malapena a ruotare gli occhi verso di lui. Non voleva ucciderlo, voleva torturarlo fino a sentirlo invocare la morte, e a quel punto torturarlo ancora.

L’assassino si infilò una mano in tasca e gettò a terra una piccola sfera di metallo, quindi si avviò verso la porta della stanza. Lanciò un ultimo sguardo alla ragazza. «Addio. Mi sarebbe piaciuto conoscerti in circostanze diverse.»

Se ne andò e dopo pochi secondi la palla ebbe uno scatto, gettando all’esterno degli spruzzi di uno strano liquido. In un istante la sostanza prese fuoco e le fiamme attecchirono con una velocità spaventosa, protraendosi in ogni direzione con una voracità del tutto innaturale. Nel giro di un minuto, l’intera stanza aveva preso fuoco.

Hélene sapeva di non poter fare niente, solo piangere e commiserarsi. Non riusciva nemmeno a maledire Roman come avrebbe voluto a causa di quelle ultime parole. Perché in fondo lo sapeva che era solo colpa sua. Era stata lei, con le sue decisioni sciocche e avventate, a condannarsi da sola.

Cominciò a tossire a causa del fumo. Le fiamme stavano per lambirla, ma non aveva la forza per ribellarsi o chiamare aiuto. Tanto a cosa sarebbe servito?

E intanto il fuoco si avvicinava sempre di più, famelico, divorando tutto ciò che gli capitava a tiro. Il terrore la assalì quando le prime fiamme attecchirono sui capelli, risalendoli con una rapidità terrificante. Ben presto raggiunsero la pelle, bruciandola senza pietà e facendola esplodere di dolore. Nonostante i polmoni pieni di fumo, riuscì a lanciare un ultimo grido disperato, talmente forte che le parve di sputare fuori anche l’anima.

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Capitolo 7
*** 6. Morta due volte ***


6. Morta due volte

Hélene, stesa su quel letto estraneo, strinse i pugni. Era così che era andata. Aveva agito in maniera irresponsabile, facendosi guidare solo dalla sua vanità e dal suo ambiguo senso di giustizia, al punto da rischiare sul serio di lasciarci la pelle. Avrebbe potuto piangere per il resto del giorno e anche di più, ma si sforzò di reprimere le lacrime.

«Perché non sono morta?»

«Bloody ti ha portata fuori in tempo.» le spiegò Morpheus con la voce ancora carica di emozioni. «È stata una fortuna che stesse andando da te proprio in quel momento.»

«Volevo dirtene quattro, ma evidentemente sono stata preceduta.» minimizzò la ragazzina.

«Grazie Bloody. Ti devo la vita.»

«Direi proprio di sì.» Poi, dopo un attimo, aggiunse: «Del resto non potevo mica lasciarti lì…»

Hélene non poté fare a meno di sorridere.

«Bloody, andiamo.» disse Morpheus con voce gentile «Lasciamo che si riposi.»

La ragazzina annuì e seguì l’uomo fuori dalla stanza.

Una volta sola, Hélene chiuse gli occhi, anzi l’occhio, ormai incapace di reprimere ulteriormente quel senso di totale impotenza e frustrante rammarico. Sentì le lacrime che scendevano e questa volta non riuscì a fermarle.

Il suo corpo funzionava ancora, però non riusciva a sentirsi davvero viva. Nell’incendio aveva perso tutto ciò che aveva, tutte le sue dotazioni da assassina e tutti i suoi ricordi. A conti fatti, non riusciva a non pensare che sia Hélene Castillon che la Contessa di Genseldur erano morte tra le fiamme di quella casa…


***


Dopo un altro giorno intero di riposo, finalmente le venne concesso di lasciare la stanza, situata in uno dei numerosi edifici di proprietà di Marcel Aubierre. Inizialmente si era stupita del fatto che il boss di Genseldur avesse accettato di darle riparo, ben presto però le fu tutto chiarito: era stato Morpheus a convincere Aubierre, suggerendogli di prenderla come sua protetta in cambio dei servigi della Contessa.

A causa dei tempi di degenza, aveva perso la festa di compleanno della sua amica Morgaine – un’altra cosa da aggiungere alla lista dei rimpianti – ma tanto non avrebbe potuto presentarsi ridotta così. Senza contare che tutta Genseldur la credeva morta, così come i Tadarés, e per di più dubitava fortemente che le sue amiche sarebbero state contente di rivederla.

La ragazza represse nuovamente le lacrime e si guardò un’ultima volta allo specchio prima di incontrare Marcel Aubierre. Per l’occasione aveva indossato abiti maschili ma eleganti – glieli aveva procurati suo zio e lei li trovava davvero molto belli – purtroppo però il suo viso era deturpato da un’orribile cicatrice che le prendeva il lato sinistro, rubandole un pezzo di sopracciglio e avvicinandosi all’occhio, per fortuna rimasto quasi illeso. La parvenza irregolare della pelle le faceva orrore, ma ancora peggio era accaduto ai capelli: erano stati quasi completamente bruciati e la pelle era stravolta dalle ustioni, col risultato che probabilmente non sarebbero mai più ricresciuti.

Il solo pensiero le costò una fitta al cuore, l’ennesima. I suoi meravigliosi capelli erano una parte fondamentale del suo fascino, il fatto di dover portare una parrucca per il resto della vita era peggio di una condanna. Si sentiva persa e impotente davanti al suo riflesso, annientata nel profondo, ma non voleva versare altre lacrime. Odiava mostrarsi debole, e piangere la faceva sentire una totale nullità.

Chiuse gli occhi per cercare di reprimere quella dolorosa immagine, quindi prese un profondo respiro e raggiunse lo studio di Marcel Aubierre. Era la prima volta che lo incontrava di persona e si aspettava di essere per lo meno un po’ emozionata, o preoccupata magari, invece non sentiva nulla. Non riusciva più a provare nulla.

Bussò sulla porta e quasi subito una voce la invitò ad entrare. Abbassò la maniglia e fu nello studio del boss di Genseldur, l’uomo più potente della città e capo di un clan di assassini famoso in tutto il continente.

«Prego, si sieda.»

Aveva già visto alcuni ritratti di Marcel Aubierre, quindi non rimase troppo colpita quando fu faccia a faccia con lui. Aveva i capelli di un biondo quasi arancio, gli occhi tetri erano accompagnati da delle lievi occhiaie e il suo viso stretto rifletteva le linee magre del corpo. La sua pelle era piuttosto pallida, portava un orologio dall’aria molto costosa e vestiva abiti formali, comprensibili data la situazione. Era difficile stabilire la sua età – per quel che sapeva Hélene, doveva avere almeno cinquant’anni – ma ancora più difficile era decifrare le impercettibili variazioni di espressione sul suo volto.

«Signor Aubierre, per prima cosa vorrei ringraziala per avermi fatto curare e per avermi dato ospitalità.» affermò la ragazza in tono rispettoso «Le sono molto riconoscente.»

«Mi hanno riferito quanto le è successo e ho ritenuto doveroso offrirle il mio aiuto. Lei ha ucciso un sicario dei Tadarés nella mia città, un gesto senza dubbio molto audace, e io ho sempre apprezzato le persone dotate di spirito d’iniziativa.»

«La ringrazio, ma temo sia stato un gesto più avventato che audace.»

Marcel la trafisse con uno sguardo, e la ragazza capì di non potergli mentire. «Si pente di ciò che ha fatto?»

Hélene chinò il capo, torcendosi le mani sciupate. «Solo di ciò che ha comportato. Non era mia intenzione portare la guerra a Genseldur.»

Il boss continuò a scrutarla con i suoi tetri occhi neri. «Cambiare il passato è impossibile, dobbiamo osservare la situazione e trarre le nostre conclusioni. Quello che so è che adesso abbiamo un nemico comune, un nemico che nel giro di qualche mese farà la sua mossa. Intendi combattere questa guerra? Combatterla per me

Hélene non era sicura che quella fosse davvero una domanda, in ogni caso non aveva intenzione di restare in silenzio. Sollevò lo sguardo, uno sguardo carico di determinazione. «Voglio combattere, sì, ma da sola non potrei fare nulla. Ho visto Roman Tadarés neutralizzare tutta la mia forza con una mano sola, l’ho visto trasformarsi in un gigante dentro casa mia e poi scaraventarmi a terra come un fantoccio. Non ho idea di come ci sia riuscito, ma credo che lei lo sappia.»

Gli angoli delle labbra di Marcel si sollevarono leggermente. «Ha ragione, so esattamente come c’è riuscito. E la correggo: non si è trasformato in un gigante, si è trasformato in un titano. Questo grazie al siero TitanShape, prodotto dalle industrie ETNA del dio Efesto.»

Hélene la guardò stranito. Non aveva mai sentito quei nomi. E poi cosa c’entrava un dio?

Vedendo lo scetticismo della ragazza, l’uomo continuò: «Sarò molto diretto con lei: né io, né Gordon Tadarés, né molti dei nostri uomini sono originari di questo pianeta. Veniamo dallo spazio, e abbiamo deciso di vivere qui perché ci risulta molto più facile portare avanti i nostri affari. Posso capirla se deciderà di non credermi, comunque tenga a mente che nemmeno suo zio e la sua allieva sono nati qui.»

La giovane era senza parole. Se qualcuno, chiunque, le avesse detto una cosa simile una settimana prima, probabilmente gli avrebbe riso in faccia, il modo con cui Roman l’aveva surclassata però le aveva fatto aprire gli occhi: quell’uomo stava dicendo la verità. «Quindi c’è un modo per vincere contro quei… titani.»

«Ovviamente. Tuttavia devo riconoscere che Efesto ha fatto davvero un lavoro eccellente, non è facile avere la meglio su qualcuno che ha ingerito il suo siero.»

«Me lo faccia avere.» chiese Hélene di slancio «Mi faccia avere quel siero, e lavorerò per lei abbastanza da ripagarla il doppio. No, il triplo!»

«Non è così semplice.» ribatté Marcel «La lista d’attesa per acquistarlo è lunga mesi, senza contare il periodo di adattamento. Ciò non toglie che dovrai diventare più forte, molto più forte. La mia offerta è questa: diventa una di noi, lavora per me, e io ti renderò abbastanza forte da sconfiggere qualsiasi nemico ti troverai davanti durante la guerra, sia esso una persona o un titano. Accetti?»

Hélene chinò il capo, studiando le sue mani strette a pugno. Non voleva rinunciare alla sua libertà, ma del resto quale libertà le restava? Tutto sommato aveva sentito che gli uomini di Aubierre, specie quelli bravi, se la passavano molto bene, e poi voleva vendicarsi, lo voleva disperatamente. «Sì, accetto. Ucciderò Roman, e dimostrerò che sono la migliore.» Si pentì di quelle parole un attimo dopo averle pronunciate, ma ormai era troppo tardi.

Marcel tornò a quel suo velato sorriso. «Mi aspetto grandi cose da lei, signorina Castillon. Può andare, manderò qualcuno a chiamarla per l’inizio dell’addestramento.»

Lei si alzò. Non sapeva bene cosa rispondere, così si limitò ad un grazie e ad un saluto formale prima di lasciare lo studio. Solo quando ebbe chiuso la porta alle sue spalle, le venne in mente una cosa piuttosto strana: i canini di Marcel Aubierre non erano fin troppo pronunciati?

L’arrivo di Morpheus la distolse dai suoi pensieri. «Allora Michelle, com’è andata?»

«Credo abbastanza bene. Ho accettato di lavorare per lui e in cambio ha detto che mi addestrerà per farmi diventare abbastanza forte da sconfiggere i titani.»

L’uomo tirò un mezzo sospiro di sollievo. «Ne sono felice. Ho un’altra buona notizia: ho chiamato il padre di Bloody e mi ha detto che può curare la tua cicatrice, ti farà tornare bella come prima. Sei contenta?»

Quella notizia ebbe sulla ragazza l’effetto di un afrodisiaco: il suo cuore cominciò a battere più forte e i suoi occhi si illuminarono di speranza. Dopo un istante però si ricordò di quello che le aveva detto Marcel, che sia Morpheus che Bloody non erano nati su quel pianeta. Tentennò un istante. «Zio, è vero che tu… vieni dallo spazio?» Le sembrava una domanda terribilmente stupida e si vergognava di averla fatta, ma quando vide l’espressione incredula dell’uomo, capì che era tutto vero.

«Te l’ha detto Aubierre immagino.»

La ragazza annuì. Non sapeva bene cosa dire.

«Michelle, ti posso spiegare, davvero…»

«Non sono arrabbiata.» lo interruppe lei «Solo… Insomma, non me l’aspettavo.» Suo zio non aveva nulla che suggerisse una sua origine aliena, viceversa aveva sempre pensato che le orecchie leggermente a punta di Bloody fossero solo un po’ strane.

Raggiunse lo specchio in cui si era osservata prima di entrare nell’ufficio di Aubierre e di nuovo studiò la sua immagine riflessa. La cicatrice non era affatto diventata meno ributtante, però sapere che non era irreversibile, le aveva tolto un grosso peso dal cuore. Per la prima volta da quando si era rimessa, si sforzò di portare una mano al viso per toccare la pelle ustionata.

Si voltò verso suo zio. «Dì al padre di Bloody che lo ringrazio, ma per il momento voglio restare così. Non voglio dimenticare quello che è successo, né qual è il mio obiettivo.»

Lo sguardo della ragazza era lo stesso di quando si erano incontrati la prima volta, e Morpheus, sorpreso da quelle parole, non poté che sorridere. A volte stentava a credere che la giovane donna che aveva di fronte fosse la stessa bambina di sei anni che gli aveva chiesto di diventare un’assassina. «D’accordo Michelle. Sono fiero di te.»

Lei gli sorrise, dopo un attimo però riprese a guardarsi nello specchio. Si morse il labbro e poi si voltò nuovamente verso l’uomo. «Ripensandoci però… E se intanto mi rimettesse a posto solo i capelli…?»

Suo zio sospirò, ma senza rammarico. Avrebbe dovuto aspettarsi una richiesta del genere, e in realtà non ne era dispiaciuto: già il fatto che avesse accettato di tenere una parte della cicatrice, dimostrava che la sua vanità non era più un ostacolo alla sua crescita, e poi neanche a lui faceva piacere vedere la sua bellissima figlia ridotta in quello stato. «Penso sia fattibile. Gli chiederò quando è libero.»

Lei sorrise e lo abbracciò. «Non ti farò mai più preoccupare così, te lo prometto.»

Morpheus la strinse a sé e dovette faticare per reprimere una lacrima di gioia. Sua figlia era stata surclassata da un altro assassino, aveva perso tutto ciò che aveva nell’incendio della sua casa ed era stata costretta a rinunciare al suo essere una solitaria, eppure non aveva l’aria di una perdente, al contrario: era pronta a ricominciare daccapo per preparare la sua grande rivincita.

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Capitolo 8
*** Epilogo ***


Epilogo

Marcel Aubierre, solo nel suo studio, chiuse gli occhi, riflettendo tra sé e sé. Poteva dirsi più che soddisfatto di come aveva gestito la situazione: per prima cosa aveva convinto Morpheus a fare da istruttore ai suoi allievi, e in seconda battuta era finalmente riuscito a far entrare la Contessa di Genseldur nel suo clan, senza contare che Gordon Tadarés aveva perso uno dei suoi uomini migliori. Un triplo successo con il minimo sforzo.

Erano anni che teneva d’occhio quella ragazza, che seguiva le sue gesta e che vedeva la sua popolarità salire sempre di più. Aveva perfino messo uno dei suoi uomini di fiducia, Khirsam – “Sam” – nel locale che frequentava abitualmente in modo da poterla indurre a svolgere gli incarichi che lui riteneva più adatti. L’uccisione di Novik “Freccia Blu” e della sua banda era stata il test definitivo, l’ultima prova per verificare se davvero quella ragazza aveva la stoffa per essere tra i migliori. E i fatti dimostravano che ce l’aveva eccome. Il suo spirito indipendente e la sua indole vanitosa sarebbero potuti essere un problema, ma gli episodi degli ultimi giorni avevano smussato questo suo difetto, trasformandola nell’elemento ideale per la sua schiera di assassini. Aveva fatto bene a lasciarle uccidere Hanzo.

Ovviamente il desiderio di vendetta di Gordon Tadarés era un problema, tuttavia uno scontro contro di lui, prima o poi, sarebbe stato comunque inevitabile: due clan criminali provenienti dallo spazio non potevano stare così vicini su un pianeta più arretrato senza incorrere in una rivalità.

Stando alle sue spie, i Tadarés non sarebbero stati pronti prima di qualche deca, quindi aveva tutto il tempo per completare l’addestramento di Hélene. Quella ragazza aveva delle potenzialità incredibili, una volta trasformata sarebbe stata a dir poco devastante.

Per fare un paragone, gli bastava pensare al salto di qualità che aveva fatto un altro suo uomo, Sar’ren Duivelzoon: la detenzione in una sudicia prigione aveva un po’ infiacchito il suo corpo, lui però aveva fatto in modo che tornasse al massimo della forma, così che, una volta trasformato, era diventato uno dei più letali assassini di tutto il pianeta, forse anche dell’universo. E se le sue stime erano esatte, forse Hélene avrebbe addirittura potuto superarlo. Del resto era stata addestrata fin da piccola da uno dei cinque Principi Originali della Confraternita della Morte.

Qualcuno bussò.

«Avanti.»

La porta si aprì e nello studio entrò un uomo abbastanza alto, dai muscoli tonici e i capelli neri. Gli occhi un po’ arrossati e le orecchie a punta suggerivano fosse in parte elfo oscuro.

«Mi ha fatto chiamare?» Anche lui, come Aubierre, aveva dei canini molto pronunciati.

«Sar’ren, voglio che addestri Hélene Castillon. Portala al massimo della forma e tienila pronta per la trasformazione. Sei libero di scegliere le tecniche di allenamento che preferisci.»

L’uomo annuì. «Sarà fatto. Quando verrà trasformata?»

Aubierre si alzò e raggiunse l’ampia finestra del suo studio. Si trovava al penultimo piano e si affacciava sulla zona più ricca di Genseldur, permettendogli di ammirare quella che a tutti gli effetti era la sua città. «I Tadarés non saranno pronti prima di una deca o due, forse tre; fai le cose con calma e privilegia la qualità: il nostro è un sangue paziente.» Le sue labbra si schiusero in un sorriso dai denti aguzzi. «Del resto discendiamo da uno dei più antichi e potenti clan di vampiri della Storia…»


Note dell’autore

Bloody è un’ibrida e fa parte della serie von Death. Altri due ibridi della stessa serie compaiono in PdC - 1 - Alba di Cristallo e in Protezione e Giustizia.

Sar’ren Duivelzoon è il figlio di Giako Duivelzoon della saga Cacciatori del Crepuscolo.

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