Pro Reo

di Miss Y
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Inventio ***
Capitolo 2: *** Elocutio ***



Capitolo 1
*** Inventio ***


Inizio con il dire che è bello essere tornata a scrivere nella sezione dopo quasi un anno intero di silenzio; e mi fa piacere inaugurare questa nuova stagione di scrittura con una fic particolare che permette di incontrarsi a due dei miei personaggi preferiti di sempre: Hannibal Lecter e Alicia Florrick.
 
Originariamente doveva essere una One Shot, ma prevedibilmente il progetto mi è sfuggito di mano e ho cominciato a scrivere a manetta tirando giù parecchio più materiale del piano originario, per cui mi vedo costretta a pubblicarla a più riprese (se tutto va secondo i piani saranno 3, ma visto che niente va mai secondo i piani con me non assicuro niente a nessuno).
 
Questa fan fiction poco convenzionale è un crossover tra The Good Wife e Hannibal, e pur essendo evidente la predominanza dei personaggi del primo, ho deciso di pubblicarla in questa sezione perché è più attiva e perché, navigandoci già da un po’, ho un po' più di confidenza.
 
E’ in ogni caso completamente accessibile a chiunque non abbia mai guardato The Good Wife: i riferimenti alla trama della serie sono molto pochi, tutto il resto è piuttosto semplice da capire sapendo che TGW è un telefilm che parla, sostanzialmente, di avvocati. Quindi, be’. Va da sé che i personaggi da esso tratti siano, sorprendentemente, avvocati. (pazzesco)
Chiunque si trovi interessato alla serie, in ogni caso, è vivamente invitato ad approfondire la curiosità. Dio ce ne scampi che io crei qualche piccolo fan in erba di The Good Wife… (guardatelo. davvero. vale la pena.)
 
Per chiunque abbia familiarità con The Good Wife e voglia avere a disposizione un inquadramento cronologico, la fic si colloca circa tra la fine della quinta e l’inizio della sesta stagione. Lo studio di riferimento è il Florrick, Agos & Lockhart e Finn Polmar ci lavora più per licenza poetica presa da me che per effettivo canon della trama (ma del resto non è che fosse particolarmente chiaro il collocamento esatto di Finn dopo l’uscita dall’ufficio del Procuratore). Se ci sono incongruenze logistiche mi scuso in anticipo.
 
Chiaramente ho scelto il periodo peggiore per pubblicare questa fic, ovvero il mezzo della terza stagione di Hannibal. Nulla esclude che la prossima settimana esca un episodio che tratta gli stessi esatti temi di questa storia e che smentisca ogni singola frase che ho scritto. Purtroppo non posso farci niente, non ho il controllo sulle menti degli sceneggiatori del telefilm. Non ancora.
 
Grazie per l’attenzione e buona lettura !
 
H x
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
- Studio legale Florrick, Agos & Lockhart, posso esserle d’aiuto?
- Vorrei parlare con la signora Florrick, per cortesia.
- Gliela passo immediatamente. Attenda in linea.
 
- Pronto?
- Salve, signora Florrick. Ho un caso da sottoporre alla sua attenzione.
- Mi dispiace, al momento sono molto occupata e non prendo nuovi clienti, ma sono sicura che parlando con uno dei miei soci…
- La voglio a difesa del mio processo. Ho sentito molto parlare di lei.
- Mi auguro che siano state voci positive. Mi dispiace, ma non posso aiutarla. Posso passarle il mio socio, Cary Agos? E’ un ottimo avvocato.
- Non parlerò con nessun altro. Penso che troverà la mia proposta interessante. Ha mai sentito parlare del caso Chesapeake?
- Posso sapere con chi sto parlando?
- Sono il dottor Hannibal Lecter, signora Florrick.
Silenzio. Lo sguardo di Alicia si sollevò dai documenti che stava compilando. Dall’altro capo giunse una risata bassa, formale.
- Ho catturato la sua attenzione?
 
**
 
- Una vittoria nel caso Chesapeake giocherebbe un ruolo decisivo nell’acquisto di nuovi clienti e investitori sulla costa Est, Alicia. E’ un evento clamoroso, la stampa impazzirebbe.
- E’ un caso perso, Cary! Basta guardare il notiziario, le prove che hanno sono schiaccianti. Come pensi che difendere un assassino cannibale possa aiutare l’immagine dello studio?
- Proprio perché è un caso perso la stampa ci si butterà come una belva. Basta anche solo una piccola vittoria. Nessuno si aspetta niente.
 
Il litigio, dalle tonalità aspre e sottilmente rancorose, avveniva sotto lo sguardo spazientito di Diane Lockhart, appoggiata a braccia incrociate sul petto allo schienale della poltrona di pelle. Passando davanti alla sua porta di vetro, David Lee gettò un’occhiata nell’ufficio.
Cary era in piedi di fianco all’entrata, proteso in avanti, le braccia allungate mentre gesticolava per placare la venatura irata nella propria voce; Alicia era di fianco alla scrivania di Diane, esasperata, il telefono cellulare in mano nella trepidante attesa che Peter la richiamasse per discutere della possibilità che lei si dovesse assentare da Chicago per quasi due settimane.
Assurdo.
Le era sembrato assurdo dal primo momento in cui l’uomo al telefono, la cui voce era sporcata da una forte inflessione germanica, si era presentato.
Hannibal Lecter.
 
- E’ un’idea folle, Cary. Bishop non è già abbastanza? Dobbiamo stare attenti, o passeremo per lo studio che simpatizza con pluriomicidi.  
Cary alzò gli occhi al cielo e contrasse la mascella.
- E’ sempre la stessa storia. Non si tratta di simpatizzare, il lavoro è lavoro. Vincere ci farebbe un’ottima pubblicità.
-  Non ti offendere, ma non mi sembra una mossa intelligente.
- Non si tratta di dimostrare che è innocente, - intervenne Diane osservando Alicia da sopra gli occhiali da vista, - devi solo ottenere uno sconto della pena e fare in modo che non venga condannato a morte.
- E’ un serial killer, Diane. Non un sospetto. Gli sono attribuite decine di omicidi. Come ti aspetti che una qualsiasi giuria consideri uno sconto della pena una buona idea?
- Sai quanto poco mi piace essere d’accordo con Cary, Alicia, ma per una volta, per quanto insolita, in questa circostanza ha ragione.  
- Se vincessimo guadagneremmo abbastanza visibilità da poter aprire uno studio affiliato a Baltimora, in un paio d’anni, - aggiunse Cary, voltandosi dal davanzale della finestra da cui stava osservando la skyline di Chicago, - forse addirittura in pochi mesi.
Diane allungò una mano fino a posarla sul braccio di Alicia, che abbassò lo sguardo per incontrare i suoi occhi.
- Prendilo in considerazione, per favore. Parlane con Peter. E’ la visibilità che ci serve, dopo il brutto colpo che abbiamo subito.  
Alicia ebbe un’esitazione. Si riferiva alla morte di Will.
- E’ un caso complesso – disse infine guardando verso Cary. Il giovane avvocato aveva le mani nelle tasche dei pantaloni del completo e fissava la moquette, la fronte corrugata. Era assorto.
- Qualcuno ti darà una mano, non sarai da sola. Potresti andare tu con lei, Cary. O forse Finn Polmar. Ti manderei David Lee, ma non penso lo vorresti. – le due donne risero, Cary accennò una smorfia divertita. - E Kalinda.
Alicia schiuse le labbra. – Lasceresti Kalinda venire con me a Baltimora?
Diane accennò un sorriso.
- E’ un caso complesso – citò.
Alicia sorrise.
 
**
 
Il dottor Hannibal Lecter, psichiatra forense, in una foto segnaletica.
 
Così diceva la legenda sotto una foto sbiadita sul sito ufficiale dell’FBI. Il viso dello psichiatra non le era nuovo; quella fotografia e un paio d’altre erano state virali in rete e sulla televisione nazionale fino a due mesi prima, al momento della cattura.
Alicia prese un altro sorso di vino rosso e appoggiò il calice sul tavolino da caffè per tornare a concentrarsi sulle pagine Internet che aveva aperto.
Oltre alle ordinarie foto segnaletiche, ora giravano in rete anche un paio di foto del medico in manette, con la divisa arancione dei detenuti. I suoi capelli non erano più tenuti indietro ordinatamente, ma tagliati corti e ingrigiti sulle tempie, e le luci al neon della prigione gettavano chiaroscuri taglienti sotto gli zigomi pronunciati.
L’uomo, 50 anni, nato in Lituania ma naturalizzato americano, un metro e ottantacinque di altezza per ottanta chili, era detto essere responsabile di trentadue delitti efferati.
 
La differenza tra gli assassini ordinari e i killer seriali era spesso che i secondi non apparivano affatto diversi da qualsiasi essere umano. Chi uccide una volta sola ne rimane segnato a vita; la luce folle negli occhi di chi ha dato la morte non può essere spenta. Ciò che metteva angoscia nel volto dei serial killer era che erano perfettamente normali.
Perfettamente abituati alla morte.
Perfettamente mostruosi.
 
Gli occhi del dottor Lecter erano scuri, e nella foto segnaletica della prigione, in cui reggeva davanti a sé il cartellino con il nome, le luci calde e intense facevano brillare le sue iridi castane di una sfumatura rossastra.
Non erano gli occhi di un pentito.
La durezza del suo sguardo incuteva un senso di disagio quasi viscerale anche attraverso lo schermo di un computer.
 
Era un uomo affascinante, si sorprese a pensare Alicia mentre prendeva un altro sorso di vino.
Visto da fuori, sarebbe sembrato a chiunque un professionista serio e competente.
Nessuno aveva mai sospettato del mostro.
 
Nessuno tranne Will Graham.
Alicia aveva trovato il suo nome su diversi siti ufficiali, ma mai collegato a una descrizione del suo ruolo o una sua foto.
L’unico sito in cui c’erano delle sue foto non sembrava particolarmente attendibile. Si trattava di TattleCrime.com, un tabloid scandalistico gestito da una giornalista freelance di nome Freddie Lounds che non pareva farsi scrupoli a pubblicare materiale sensibile alle indagini dell’FBI.
C’era addirittura una foto che violavano la privacy di Will Graham, ragionò Alicia scorrendo tra le pagine che lo riguardavano; una, in particolare, era più sfocata delle altre e lo ritraeva intubato, disteso su un letto d’ospedale, il torace fasciato da bende macchiate di sangue. L’articolo sottostante descriveva le dinamiche dell’aggressione: Hannibal Lecter l’aveva sventrato con un coltello da linoleum la stessa sera in cui aveva tagliato la gola all’agente speciale Crawford, il Capodipartimento di Scienze Comportamentali di Quantico, sopravvissuto per miracolo, defenestrato la dottoressa Alana Bloom, collega e amica, rimasta paralizzata dal collo in giù, e sgozzato una ragazza di diciannove anni, Abigail Hobbs, fino a quel momento creduta morta. La ragazza non era sopravvissuta, gli altri sì.
 
Quella sera il pavimento della cucina di Lecter era coperto da litri di sangue.
Alicia trovò alcune immagini dell’abitazione. Lo psichiatra era evidentemente molto benestante. Del resto non avrebbe potuto pagarsi un processo del genere se non avesse avuto un’ampia disponibilità pecuniaria.
 
Will Graham era stato accusato, quasi un anno prima, dei crimini commessi da Lecter. Aveva subito un regolare processo che però non si era mai concluso a causa della violenta morte del giudice, a opera di Lecter stesso. Alicia rinunciò a cercare altre immagini degli omicidi dopo aver visto una foto del cadavere del giudice: la nausea la assalì e fu costretta a chiudere la pagina.
Graham era un profiler e insegnante all’FBI, aveva una laurea in psicologia e un dottorato in criminal profiling; Alicia non aveva dubbi che l’accusa l’avrebbe chiamato a testimoniare contro l’imputato.
 
Non era un caso semplice, Alicia lo sapeva. Il verdetto sarebbe stato di colpevolezza: le circostanze erano schiaccianti, c’erano testimoni e prove. Non sperava di ottenerne il rilascio, naturalmente, ma forse avrebbe potuto ottenere uno sconto della pena. Non sarebbe stato facile. Uno psichiatra ignoto dell’FBI ne aveva attestato la capacità di intendere e di volere, ma Alicia sapeva di poter lavorare con un discreto margine sulla faccenda dell’infermità mentale. Era l’attenuante più semplice da ottenere in un caso come quello.
 
Ad Alicia non erano mai piaciuti i casi efferati, né difendere colpevoli.
Era per questo che nella maggior parte della sua carriera si era buttata sul civile; il penale l’aveva sempre fatta sentire a disagio con se stessa. Metteva in discussione i suoi valori morali, a volte.
Ma quella volta sentiva una strana carica; era quel caso folle che tutti gli avvocati accettavano prima o poi nella vita.
 
Forse era la crisi di mezza età, pensò Alicia sospirando mentre abbassava lo schermo del laptop e prendeva un altro sorso di vino. Le luci basse del salotto conferivano alla bevanda la stessa sfumatura rossastra degli occhi di Lecter.
 
- Stai bene, mamma?
Alicia si voltò e sorrise a Grace. La ragazza attraversò la stanza e si sedette accanto alla madre sul divano, incrociando le gambe e protendendosi verso di lei.
- Sì, ma sono sfinita – la donna sorrise stancamente.
Grace aggrottò la fronte.
- Hai l'aria trasognata. Sicura che vada tutto bene?
- Non so se accettare un caso. - confessò Alicia riordinando i documenti sul dottor Lecter che aveva stampato in studio.
- Come mai?
- Da una parte mi incuriosisce e mi piace l’idea di mettermi alla prova, ma d’altro canto mi chiedo se sia moralmente accettabile.
- Chi devi difendere?
Alicia scosse la testa.
- Non devo difendere nessuno. Sto decidendo.
Grace sospirò e rise. – Non devi dirmelo per forza. A volte ci vengono date delle opportunità diverse dal solito per un motivo, comunque.
- Vorrei crederci come ci credi tu, Grace.
La ragazza arcuò un angolo della bocca e si grattò il gomito.
- Cosa c’è per cena? – chiese infine, alzandosi per accendere la televisione.
Alicia la seguì con lo sguardo, sorridendo involontariamente. Era fiera di sua figlia.
- Quello che vuoi. Chiama Pizza Hut, possiamo mangiare qualche schifezza per festeggiare.
Grace si voltò, sorpresa.
- Festeggiare cosa?
Alicia sorrise lentamente.
- Accetterò l’incarico. Vado a Baltimora.
 
Grace Florrick emise un gridolino di gioia e corse ad abbracciare sua madre, che ricambiò l’abbraccio quasi rigidamente.
- Sono felice per te.
- Fai la brava. Dirò a Jackie di venire a stare con te per un paio di settimane.
- Un paio di settimane?  - Grace sgranò gli occhi, quindi rise. – Ma hai davvero accettato un incarico o vai in vacanza?
 
Madre e figlia risero mentre il telefono di casa squillava.
- Vai a rispondere, è Zach.
Alicia si alzò dal divano per rispondere alla chiamata di suo figlio maggiore, mentre si rendeva conto che l’ultimo ostacolo sarebbe stato suo marito.
 
E il comitato di suo marito.
Eli Gold.
 
**
 
Quando Eli la richiamò, Alicia si stava preparando per tornare a casa. Entrò in ascensore indossando il cappotto bianco e tenendo il telefono incastrato tra il lato della testa e la spalla.
- Tu cosa?!
Alicia fece una smorfia e allontanò il telefono dall’orecchio prendendolo con la mano libera. C’erano altre due persone nell’ascensore: una segretaria neoassunta, il cui nome era forse Jodie, o Julie, e un avvocato anziano. Entrambi le gettarono un’occhiata incuriosita; Alicia si scusò con uno sguardo esasperato.
- Sarebbero solo dieci giorni, Eli, - si giustificò mentre usciva dall’ascensore prima che lui potesse dire qualsiasi cosa, - considerala una vacanza.
- Eccetto che non è una vacanza, Alicia, stai andando a difendere un serial killer. Come credi che gioverebbe all’immagine di Peter?
Alicia entrò in auto e si sedette, appoggiando il telefono in vivavoce sul cruscotto e abbandonandosi contro il sedile di pelle.
- Perché credi che tutto quello che faccio vada a discapito di Peter? – domandò poi, mal celando una venatura infastidita della voce. – E’ un caso come un altro. Farà guadagnare più visibilità allo studio, e comunque farà più scalpore in Maryland che qui.
- Stai scherzando, spero – l’ironia irritata della voce di Eli era inconfondibile, - cosa pensi che siano nati a fare i tabloid? Peter perderebbe l’appoggio delle famiglie e degli elettori anziani. Nessuno si sente al sicuro con un Governatore di Stato che appoggia gli assassini seriali.
- Non stiamo appoggiando nessuno. Soprattutto non Peter. E’ una mia decisione, non ha niente a che fare con mio marito. Volo a Baltimora domani mattina. E nulla toglie che gli elettori lo vedano come un semplice incarico. Non è detto che… - il tentativo di Alicia giustificarsi fu interrotto dal signor Gold.  
- Hai già dimenticato cosa è successo quando hai difeso Colin Sweeney, Alicia? Avvallerai Peter, me lo sento. Sarò costretto a vendere la casa. Mi dedicherò a coltivare patate. Non so neanche se sia un lavoro!
- Pensi che Peter si sia mai preoccupato della mia carriera? Non è un problema suo, Eli. Non è affatto una cattiva idea.
- No, infatti, è una pessima idea. – fu la risposta lapidaria di Eli.
- Peter non ha mai dovuto rendere conto a me. E nemmeno io a lui.
- Maledetto il giorno in cui mi ha assunto – considerò cupo il signor Gold.
Alicia sorrise tra sé.
- All’inizio non piaceva neanche a me, ma comincia a interessarmi. E’ un caso eccezionalmente complesso e ho bisogno di aria nuova.
- Sembra che cospiriate tutti a rovinarmi la vita – ringhiò Eli dall’altro capo. Alicia accennò un sorriso e accese il motore mentre interrompeva la chiamata.
 
- Sì – rispose tra sé e sé imboccando la statale verso casa.
 
**
 
- Ciao, Alicia. – erano settimane che Alicia non vedeva Kalinda Sharma, l’investigatrice privata dello studio Florrick, Agos & Lockhart che Diane aveva portato con sé dal Lockhart & Gardner quando era diventata socia dello studio di Alicia e Cary.
- Kalinda. – le due donne si abbracciarono.
L’aeroporto era molto affollato; erano quasi le dieci del mattino, e l’aereo per Baltimora sarebbe partito due ore più tardi.
 
Del resto, il Chicago O’Hare era affollato a tutte le ore del giorno.
 
- Ti sei già informata sul caso? – domandò Alicia in tono pratico mentre si dirigevano verso l’area di check-in.
- Non ne ho avuto il tempo, ma ho visto qualcosa per televisione.
 
- Signore – le salutò formalmente Finn Polmar, giungendo dalla direzione opposta. Un sorriso divertito gli illuminava gli occhi azzurri.
- Finn – ricambiò Alicia stringendogli la mano. Lavorare con lui era sempre una scoperta.
 
Finn era l’ultimo essere umano con cui Will Gardner aveva avuto contatti prima di morire nella sparatoria in tribunale quasi un anno prima.
La sua voce, l’ultima che aveva sentito.
Il suo viso, l’ultimo che aveva visto.
 
Alicia se lo ripeteva in continuazione, e inconsciamente era arrivata a chiedersi a che cosa avesse pensato, Will, in quegli ultimi attimi sfocati di vita.
 
- Come stai? – le chiese l’avvocato riscuotendola dai suoi pensieri.
Alicia riemerse dai ricordi come da una vasca di acqua fredda.
- Bene – mentì con un sorriso di circostanza, - tu?
- Bene. – gli occhi di Finn scintillarono.
 
Si fermarono in fila per il check-in e Kalinda si allontanò per qualche minuto per rispondere a una telefonata.
 
- Hai già guardato il caso? – le chiese Finn, riproponendole la stessa domanda di circostanza che lei stessa aveva posto a Kalinda solo pochi minuti prima.
- Sì, non sarà facile. Hai in mente una strategia?
Finn Polmar era più alto di lei di una ventina di centimetri, poco più di Peter. Era molto più di quanto lo era stato Will.
Alicia scosse la testa un attimo prima che il suo silenzio si facesse bizzarro.
- Ho avuto molte cose a cui pensare. Comincerò a guardare i documenti in aereo.
- I documenti faxati dai suoi avvocati. Non è strano?
Alicia era distratta. Seguiva i volti dei passanti, concentrandosi più sui propri pensieri che sulla conversazione. Si sentiva stranamente irrequieta.
- Prego? – chiese dopo un lungo attimo di esitazione, riportando lo sguardo sul viso di Finn. Lui sorrideva, sembrava divertito.
- Dico, non è strano?
- Cosa?
- Che Lecter abbia già degli avvocati, eppure li abbia congedati per chiamare te. Perché proprio te? Se voleva un avvocato esotico avrebbe dovuto cercare un po’ più in là di Chicago. – ridacchiò, e Alicia lo imitò.
- Non lo so. Non me lo sono chiesta. – ammise.
- A me sembra strano. E’ una persona agghiacciante. Mi mette i brividi.
- E’ un cliente come un altro – rispose lei in tono affabile.
- E’ un pericoloso serial killer che stiamo cercando di rimettere in libertà.
- Bentornato, A.S.A. Polmar – scherzò Alicia alludendo al suo passato come assistente del Procuratore James Castro.
Lo sguardo di Finn lampeggiò, a metà tra il serio e l’ironico.
- Non me ne sono mai andato.
 
**
 
L’ultima volta che Alicia era stata in un carcere per fare visita a qualcuno, era stato Peter.
Ricordava, come vecchie fotografie sfocate, le immagini di sé e di suo marito nel momento più duro della loro vita matrimoniale, quando il loro legame era stato sul punto di spezzarsi come una vecchia corda.
Le sarebbe piaciuto pensare che fossero riusciti a superarlo—in verità, se mai c’era stato, quel legame si era logorato da tempo. Peter e Alicia Florrick, la coppia per eccellenza nell’ambiente politico dell’Illinois, non erano che il pallido fantasma di ciò che erano stati un tempo, sorrisi finti nelle fotografie ufficiali che nascondevano profonde crepe in un matrimonio che ormai era solo di facciata.
 
Santa Alicia.
Era così che la chiamavano i tabloid dopo quello che era successo.
Ma Alicia non era una santa.
 
Entrare nel carcere federale di Baltimora risvegliò in lei ricordi che pensava di aver dimenticato, violenti come colpi allo stomaco, e Alicia dovette tenersi al corrimano fissato sulla parete per non fermarsi a respirare profondamente.
 
Accanto al viso serio di Peter, nella mente di Alicia si alternavano i sorrisi sinceri del volto familiare di Will Gardner.
 
Sorrisi che ormai, così come il suo matrimonio con Peter, sarebbero esistiti solo nelle fotografie.
 
Alicia si sforzò di sorridere mentre mostrava i propri documenti alla guardia carceraria e tentò di distrarsi gettandosi attorno occhiate attente; sfilarono tra corridoi semibui e silenziosi fino a fermarsi davanti a una stanza in fondo al corridoio, una delle tante adibite agli incontri tra i detenuti e i loro avvocati.
Lecter era già all’interno, aveva detto la guardia.
La aspettava con trepidanza, aveva aggiunto con un sorriso quasi sarcastico prima di aprire la porta e lasciarla passare; Alicia ringraziò con un cenno educato del capo.
 
La stanza era disadorna; le pareti dipinte di un grigio scrostato rendevano l’ambiente, per quanto ben illuminato, claustrofobico e angosciante. Al centro, un grosso tavolo di ferro.
 
Il detenuto alzò gli occhi su di lei non appena l’avvocato varcò la porta.
Nel suo sguardo ermetico ma vagamente interessato Alicia riconobbe la stessa flemma sicura di sé di Colin Sweeney, l’uxoricida che aveva recentemente difeso, e la sensazione che le diede non le piacque.
Lo psichiatra indossava la tenuta arancione dei detenuti nei carceri federali, e la catenella che teneva insieme le manette era stata fatta passare all’interno di un anello metallico fissato al tavolo, in modo che non potesse alzarsi o fare movimenti bruschi.
 
- Buongiorno, dottor Lecter – salutò pacatamente Alicia avvicinandosi.
- Buongiorno, signora Florrick. Mi dovrà perdonare la maleducazione, ma temo di non potermi alzare e salutarla come si deve.
- Non si preoccupi – lo rassicurò lei in tono volutamente formale mentre si sedeva di fronte a lui e si scostava i capelli dalla fronte. Appoggiò i documenti e il blocco degli appunti sul tavolo e alzò lo sguardo su di lui.
 
I capelli dello psichiatra non erano ordinatamente tenuti indietro come in alcune delle foto che aveva visto, ma tagliati più corti e leggermente spettinati. Nonostante il suo viso fosse perfettamente serio ad Alicia parve irrazionalmente di scorgere una scintilla divertita nel suo sguardo scuro.
Appena seduta aveva controllato automaticamente che la distanza tra di loro non fosse sufficiente perché lui potesse raggiungerla in alcun modo; era un controllo di routine, lo faceva ogni volta che aveva a che fare con un cliente potenzialmente aggressivo, ma in quel momento più che mai le parve essenziale.
 
- Grazie per essere venuta. Spero che il viaggio sia stato agevole. – pronunciò l’uomo spezzando il silenzio che si era creato. Non sembrava a disagio. Nemmeno Alicia lo era. Scelse di ignorare di proposito le sue parole, non tanto per essere scortese quando per evitare di entrare nel personale. Il caporeparto della prigione l’aveva avvisata che lui avrebbe cercato di carpire informazioni private.
- Ora le farò qualche domanda, dottor Lecter. Le chiedo di rispondere nel modo più sincero e diretto che le riesce.
Lui annuì con un breve cenno del capo e della mano destra che sarebbe stato più eloquente se il movimento non fosse stato impedito dalle manette.
- Mentire a lei andrebbe contro i miei stessi interessi, non crede?
- Non è così raro che succeda, ma sono felice che lei la pensi così. Ci faciliterà il lavoro.
- Ha intenzione di chiedermi se sono innocente, signora Florrick?
Alicia sorrise, formale.
- No. Se dovessi chiedere a tutti i miei clienti se sono colpevoli dei fatti di cui sono accusati non farei l’avvocato difensore. Il mio lavoro non è dimostrare che i miei clienti sono innocenti, dottor Lecter, il mio lavoro è dimostrare che non è detto che siano colpevoli. Di solito.
- Dice “di solito” perché questo è un caso eccezionale – dedusse Lecter.
- Penso che lei sia d’accordo quando le dico che non c’è modo in cui io possa istillare nella mente della giuria un ragionevole dubbio sulla sua colpevolezza.
- Sono d’accordo – convenne lo psichiatra. Il suo tono era talmente pacato che ad Alicia parve che non si rendesse conto che stava per andare alla sedia elettrica. Sembrava intento in una calma discussione di politica.
Se l’avesse conosciuto in qualsiasi altro contesto avrebbe detto che era un repubblicano, ma ora non era così sicura che quell’uomo rientrasse in qualsiasi categoria di pensiero.
- C’è una sola cosa che posso tentare di fare: evitarle la pena di morte. – prese un documento e lo girò verso di lui in modo che potesse leggerne le scritte. Lo psichiatra si sporse impercettibilmente. - Ci sono prove schiaccianti che la collegano ad almeno dieci omicidi e tre tentati omicidi; questo basterebbe ad un qualsiasi giudice che non abbia completamente perso il senno per…
Si fermò di scatto, resasi conto digli occhi su di lui per sondare la sua reazione, ma lui si limitò a rispondere con uno sguardo indecifrabile.
- Mi scusi. – disse infine Alicia con lo stesso tono che avrebbe usato in tribunale. Non voleva sembrare realmente dispiaciuta. Un contatto emotivo sarebbe stato inappropriato.
Lui sorrise. Era la prima volta che dava a vedere chiaramente una qualsiasi emozione, ma anziché rassicurarla quel sorriso le parve sinistro e allarmante.
- Si figuri. Vada avanti.
Alicia si fece più attenta e scandì le parole. – Basterebbe a un qualsiasi giudice per giudicarla colpevole e darle la pena capitale. Ci sono troppe aggravanti agli omicidi per sperare nella clemenza della giuria. I suoi precedenti avvocati hanno lasciato qualche idea per il processo?
Il dottor Lecter unì le mani intrecciando le dita.
- I miei precedenti avvocati si sono licenziali. L’ho trovato scortese e poco professionale.
- Capisco. – Alicia esibì un sorriso di circostanza. – Ho un’idea da proporle.
Lecter allargò le mani e la invitò a continuare.
- Ho intenzione di trovarle un’attenuante, e l’unica che a me e al mio collega è parsa plausibile nella sua situazione è quella dell’infermità mentale.
 
Sondò attentamente la reazione di Lecter, che non arrivò. Le parve di vederlo contrarre la mandibola quasi impercettibilmente.
 
- Lei pensa che io non sia in grado di intendere e di volere, signora Florrick? – domandò in tono neutrale, da psicanalista. Il suo approccio asettico ad una questione che lo riguardava tanto personalmente non smetteva di stupire Alicia, che tuttavia mantenne un’espressione indifferente senza difficoltà. Parlare con Lecter non era più difficile che essere intervistata in diretta.
 
- Non importa quello che penso io, - considerò, - importerà quello che penserà la giuria. Lei ha assistito al processo Commonwealth contro Will Graham, dottore?
Lecter annuì brevemente.
- Ho fatto più che assistere. Vi ho partecipato personalmente.
Alicia rifiutò di domandarsi se si stesse riferendo alla testimonianza che aveva fornito o al fatto di aver ucciso il giudice in carica.
- Bene. Vorrei che le fosse chiara la sua situazione. Will Graham era affetto, - Alicia evidenziò in giallo le parole su un documento e voltò il foglio perché Lecter potesse leggere, - da encefalite autoimmune. Dico bene? Patologia che si è aggravata durante i mesi in cui sono stati commessi i crimini di cui era accurato.
 
Lo psichiatra si limitò ad osservarla.
- L’encefalite rientra tra le patologie neurologiche che condizionano la capacità d’intendere e di volere dell’imputato, - spiegò Alicia, - Per questo motivo la linea difensiva di Graham era semplice, e se il processo si fosse concluso con un verdetto di colpevolezza, la dichiarazione da parte del giudice della sua infermità mentale avrebbe evitato a Will Graham la sedia elettrica.
- Purtroppo il processo non si è mai concluso – osservò il detenuto sondando la sua reazione. Alicia gli rivolse uno sguardo indifferente.
- Il suo processo si concluderà, invece, dottor Lecter. E se il verdetto sarà di colpevolezza, come prevedo sia difficile evitare, se non avremo preso adeguate misure le sarà data la pena di morte.
 
Ci fu uno scambio di sguardi. Alicia non abbassò gli occhi finché non fu lui stesso a tornare a concentrarsi sul documento.
 
- Sono sano, signora Florrick. Sono in grado di intendere e di volere.
- Questa è una di quelle cose che non deve assolutamente mai dire in tribunale o davanti all’accusa.
- Non ho nessun interesse che si pensi che non sono in possesso delle mie facoltà mentali.
- Trova più interessante la sedia elettrica?
 
Era una provocazione e Alicia lo sapeva, ma l’aveva pronunciata in tono incolore, con la stessa cadenza inespressiva che usava lui.
Il dottor Lecter la squadrò per qualche secondo. Era chiaro che ormai la loro conversazione si fosse trasformata in un gioco di potere.
 
- Non le sarà facile dimostrare la mia infermità mentale.
- Ma non impossibile, altrimenti non sarei qui. Non abbiamo molto tempo, le chiedo di essere collaborativo. L’udienza preliminare sarà domattina, e l’accusa ha già fissato l’interrogatorio dei loro testimoni per dopodomani pomeriggio, dobbiamo avere già un’idea di chi sono e che cosa diranno contro di lei. Questi nomi le dicono qualcosa?
 
Alicia allungò al detenuto una breve lista di nominativi.
 
- Sì. Hanno interesse a testimoniare contro di me; sono un profiler, un caposezione all'FBI e una psichiatra.
- Will Graham, Jack Crawford e Alana Bloom, dico bene?
- Sì.
- Non le sembra strano che i testimoni chiave dell’accusa siano soltanto due? E’ accusato di trentadue omicidi.
- Non ci sono altri testimoni. Sono morti. – Lo disse in tono rilassato, come se stesse commentando le condizioni meteorologiche.
Alicia ritrasse i documenti.
- Nell’udienza preliminare chiarirò le mie intenzioni per la linea di difesa, quindi quello che i testimoni saranno istruiti a fare sarà dimostrare che lei è perfettamente sano. Lo scopo del mio controinterrogatorio è smentirli e dimostrare che la loro testimonianza non è affidabile; quindi avremo circa cinque giorni di tempo per trovare dei testimoni a favore o uno psichiatra che possa fornire una valutazione psicologica a favore della nostra linea di difesa.
- Intende mentire alla giuria?
- No, dottor Lecter, quello che facciamo non è mentire; è mostrare tutte le sfaccettature della verità.

Lecter sollevò un angolo della bocca.
- Disturbo da stress post traumatico. – disse dopo un lungo attimo di silenzio.  Alicia accennò un sorriso.
- E’ quello a cui abbiamo pensato anche noi. Ci siamo permessi di richiedere alcuni fascicoli su di lei, dottore.
- A mali estremi.
- Sono felice di trovarla d’accordo. Non mi piace usare fatti personali in tribunale, ma la morte di sua sorella è un evento abbastanza traumatico da sottoporla a profondo stress emotivo.
- Non è una difesa solida. Non ci sono testimoni o documenti per provare alcunché.
- Si deve fidare di me e del mio collega, dottor Lecter… troveremo qualcosa.
 
Lo psichiatra alzò lo sguardo su di lei.
 
- Lo so. Non avrei chiamato lei, se avessi avuto dei dubbi.
 
- La nostra priorità in questo momento, dottor Lecter, è screditare i testimoni dell’accusa. E’ in possesso di qualche informazione che possa aiutarci in questo frangente?
 
Lo psichiatra si limitò a scuotere il capo quasi impercettibilmente tenendo lo sguardo fisso su di lei.
 
- Ne è sicuro?
- Sono fiducioso nelle sue capacità, signora Florrick.
 
Alicia trovò la risposta profondamente insoddisfacente, impregnata di un tono ironico che non agevolò la comprensione.
Si limitò ad annuire.
 
**
 
- Trovato niente?
 
Alicia incastrò il telefono tra la spalla e l’orecchio mentre cercava le chiavi della macchina a noleggio nella borsetta nera.
Kalinda sospirò dall’altro capo prima di rispondere.
 
- Sono sulle tracce di una giornalista. Sembra sapere qualcosa di interessante su Will Graham e Alana Bloom.  Si chiama Freddie Lounds.
- Mi ricordo il suo nome. Penso gestisca un tabloid.
- TattleCrime.com, sì. Ho avuto qualche difficoltà a contattarla, le mandato un’email tre ore fa a cui non ha risposto. Ho appena trovato il numero di un suo vecchio datore di lavoro.
- Quanto credi che ci metterai ad ottenere un colloquio con lei?
- Non prima di domani. Si sta facendo tardi ora.
- Pensi che possa esserci utile?
- Non lo so. Vedrò quello che posso fare.
- Grazie, Kalinda.
 
**
 
 
- Tutti in piedi per l’Onorevole Giudice Jeremy Ramsay.
 
Alicia smise immediatamente di parlare con Finn, alla sua destra, e si alzò in piedi. L’A.S.A. incaricato dall’accusa era la punta di diamante dell’Ufficio del Procuratore Frosh, Thomas Olson. Alto, di bell’aspetto, aveva un tipico sorriso americano e un accento del Maryland molto marcato. Ad Alicia ricordò istintivamente Peter; non seppe se fosse un bene o un male.
Il tribunale federale di Baltimora era simile in tutto e per tutto a quello di Chicago, ma molto meno spazioso.
Riportò alla mente quello che Diane e Cary le avevano detto sul giudice nella telefonata della sera prima: repubblicano, sposato da quarant’anni, aveva concluso quasi tutte le cause con un verdetto di colpevolezza. Sarebbe stato un osso duro.
 
Nemmeno la giuria popolare sembrava favorevole. Era composta da cinque uomini e sette donne, tutti bianchi a eccezione di un’afroamericana di trentadue anni, tutti più o meno benestanti, e soprattutto otto su dodici non avevano votato Obama. Il numero di giurati favorevoli alla pena di morte era pericoloso.
 
Hannibal Lecter non era al banco.
Del resto era solo un’udienza preliminare, e il detenuto era stato giudicato troppo pericoloso per trasportarlo fuori dal tribunale per quell’occasione puramente simbolica.
L’accusa avrebbe presentato la lista dei testimoni e le prove. Lei avrebbe soltanto dovuto annunciare di non aver intenzione di patteggiare e chiedere una proroga alla data entro cui presentare i nominativi dei testimoni della difesa.
 
Kalinda aveva cercato ovunque, ma quando l’aveva chiamata, subito prima dell’udienza, aveva ammesso di non aver trovato nessuno. Non che ci fosse molto da testimoniare, in ogni caso.
 
Non c’erano molti spettatori dietro le bancate. Qualche giornalista volenteroso e un paio di curiosi.
La stampa si sarebbe accalcata per gli interrogatori e soprattutto per il verdetto finale.
 
- A.S.A. Olson, A.S.A. Randall, buongiorno. – gli avvocati dell’accusa salutarono il giudice con il cenno del capo.
- Signora Florrick, signor… Polmar. – Ramsay dovette mettere gli occhiali per leggere i loro nomi su un foglio che aveva sul banco, - venite da Chicago, dico bene?
- Sì, Vostro Onore – fu la risposta asciutta di Alicia.
- Lei è la famosa moglie del Governatore Florrick?
Alicia schiuse le labbra, sorpresa; quindi accennò un sorriso di circostanza.
- Famosa, Vostro Onore?
- Ah, ci sono pochi posti negli Stati Uniti in cui Peter Florrick e le sue vicende non sono ben conosciuti – il giudice rise di gusto mentre si sedeva.
 
Alicia e Finn si lanciarono un’occhiata.
Se il giudice conosceva Peter poteva essere un ottimo segno o un pessimo segno. Non c’erano vie di mezzo.
 
- Cerchiamo di sbrigarci. Ho un impegno per pranzo.
- Sì, Vostro Onore, - fu la risposta tempestiva dell’accusa, - chiedo il permesso di avvicinarmi al banco per consegnare la lista dei testimoni dell’accusa.
- Permesso accordato. La difesa ha particolari richieste?
- Sì, Vostro Onore. Vorremmo chiedere una proroga per la consegna della lista dei testimoni della difesa.
- Dipende. Quanti sono i testimoni dell’accusa?
 
L’assistente del procuratore Olson si alzò in piedi per rispondere, indicando con un gesto eloquente del capo la lista che il giudice aveva in mano.
- Due, Vostro Onore.
- Oh, oh, cielo, giusto. Grazie, A.S.A. Olson. Be’, in tal caso confermo l’interrogatorio dei testimoni dell’accusa a domani pomeriggio alle quattro, e fisso un’udienza venerdì perché la difesa abbia il tempo di trovare i propri. Solo perché siete nuovi da queste parti. – l’anziano giudice rivolse uno sguardo indecifrabile ad Alicia, che si chiese come dovesse interpretarlo. Bonario? Sarcastico? Si scambiò un’occhiata perplessa con Finn.
 
- Grazie, Vostro Onore. – rispose infine con il sorriso più formale che le riuscì.
 
- Se gli avvocati non hanno altro da aggiungere, la seduta è tolta e ci aggiorniamo a domani.
 
**
 
- Un buon inizio – azzardò Finn dopo la seconda tequila.
Alicia lo scrutò a lungo prima di scoppiare a ridere e allungare il braccio per chiedere un altro shot al barista.
- Un ottimo inizio, direi. Niente testimoni, niente prove. Non ho mai iniziato un processo meglio di così.
La sua voce era modulata dagli effetti dell’alcol, ma la signora Florrick non era ubriaca: solo piacevolmente brilla. Con Finn si sentiva sufficientemente a proprio agio da permettersi di lasciarsi andare.
- Hai notizie di Kalinda?
Alicia scosse il capo e mandò giù il liquido trasparente d’un fiato, strizzando gli occhi per la fiammata di calore che le lasciò in gola.
- Credo sia fuori città per cercare una giornalista, una certa Freddie Lounds. Spero che trovi qualcosa entro stasera.
- Altrimenti dovremo inventare. Vai così.
 
Alzò la mano perché lei gli desse il cinque, e Alicia acconsentì ridendo.
 
- E’ da tanto che non esco da Chicago per lavoro, - ammise poi tornando seria una volta fissato lo sguardo sulle proprie mani, - almeno tre anni. L’ultima volta è stata a New York.
Anche Finn tornò rapidamente serio.
- Con Will Gardner?
Alicia annuì brevemente, assalita dai ricordi. Il silenzio tra di loro calò per qualche secondo soltanto, poi Alicia gli rivolse un sorriso cordiale.
- Tu? Vai spesso in vacanza?
Finn sorrise e giocherellò con il proprio bicchiere vuoto. I suoi occhi azzurri sembravano dorati sotto la luce calda delle lampade da bar.
- No, non vado spesso in vacanza. Questa è la prima volta in molti anni che esco dall’Illinois, ad essere sincero.
Di nuovo silenzio. Alicia iniziò a domandarsi quanto pericolose si stessero facendo, quelle pause, e soprattutto quanto comunicassero più delle parole.
 
Furono salvati dallo squillare del telefono di Alicia; la donna rispose al primo squillo notando che la telefonata proveniva da Kalinda. Si scusò con un cenno della mano e si alzò dallo sgabello, avvicinandosi all’uscita del locale per sentire meglio.
 
- Kalinda? Non ti sento bene, sono fuori.
- Ciao, Alicia. Ho parlato con Freddie Lounds.
- Con chi?
- Con la giornalista del TattleCrime. Ha delle notizie, - una pausa dall’altro capo, - molto interessanti.
- Davvero?
- Will Graham avrebbe motivo di mentire sul dottor Lecter perché, - altra pausa, - è lungo da spiegare. Possiamo parlarne domani di persona?
Alicia era sorpresa, ma non commentò.
- Certo. Ma perché non stasera all’hotel?
- No, sono… sono fuori città. Torno tardi. Comunque abbiamo notizie a sufficienza per far crollare le loro testimonianze.
- Ottimo lavoro, Kalinda. A domani.
- A domani, Alicia.
 
Tornando al banco, Alicia si guardò intorno sorridendo prima di fare un gesto di vittoria. Finn le gettò un’occhiata divertita.
- Novità positive?
- Molto positive.
- Un’altra tequila? – propose infine l’avvocato sorridendole.
- Un’altra tequila – convenne Alicia scostandosi i capelli dal viso. 

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Capitolo 2
*** Elocutio ***



- La signorina Freddie Lounds?
 
Il sole stava tramontando dietro le case della periferia di Baltimora quando Kalinda Sharma bussò alla porta dell’appartamento della giornalista del TattleCrime.com. Il primo dettaglio che colpì l’investigatrice dell’apparenza della giovane donna fu il suo colore di capelli, un rosso acceso troppo omogeneo per essere frutto di tintura. Due attenti occhi celesti la scrutavano da sopra gli zigomi alti. Freddie Lounds non sembrava affatto una sprovveduta. Il suo sguardo era intelligente e acuto, il suo aspetto curato. Kalinda non poté fare a meno di pensare che era molto attraente.
 
- Lei è Kalinda Sharma?
La sua voce era leggera e vellutata, dall’accento leggermente trascinato.
 Kalinda annuì brevemente, e la giornalista si fece da parte per lasciarla entrare.
 - Si accomodi. Vuole qualcosa da bere? Ho un ottimo whiskey.
- Volentieri –
Kalinda seguì i movimenti di Freddie con lo sguardo mentre la donna si dirigeva in cucina; quindi iniziò a darsi una rapida occhiata in giro, cercando di ottenere dettagli sulla vita e sugli interessi della giornalista. Sul tavolino da caffè davanti al divano c’era un laptop e un blocco degli appunti, sugli scaffali libri di giornalisti famosi e dai metodi discutibili.
 
Quando la giovane donna tornò con due bicchieri di whiskey e una bottiglia mezza piena, fece cenno a Kalinda di sedersi sul divano e si accomodò sulla poltrona davanti a lei dopo aver posato la bottiglia sul tavolo accanto al portatile.
Kalinda prese un bicchiere con attenzione e annusò discretamente il liquore prima di prendere un sorso.
 
- Allora, signorina Sharma…
- Kalinda, la prego.
Lo sguardo di Freddie scintillò per un secondo, - Kalinda, allora. Quali sono esattamente queste… essenziali informazioni di cui io sarei al corrente?
- Speravo che potesse aiutarmi ad avere un’idea più ampia della situazione.
- In che termini?
- Nello specifico, - Kalinda alzò lo sguardo sugli occhi chiari della giornalista, - ho assoluto e urgente bisogno di informazioni su Will Graham, Jack Crawford e Alana Bloom.
Freddie sospirò teatralmente e accavallò le gambe incrociando le braccia al petto.
- Sarebbe così gentile da ricordarmi per chi lavora, Kalinda?
- Per Alicia Florrick. L’avvocato di Hannibal Lecter.
 
Le labbra della giornalista si arcuarono per un secondo in un sorriso soddisfatto, e la donna si piegò in avanti poggiando i gomiti sulle ginocchia per prendere il proprio bicchiere.  
 
- Giusto, la signora Florrick. Ho parecchi colleghi in Illinois che pagherebbero fior di quattrini per avere un’intervista con la moglie del Governatore Florrick.
- Sono sicura che Alicia sarebbe felice di parlare con lei per qualche minuto se lei potesse aiutarla nel processo – suggerì pacatamente Kalinda con sguardo allusivo. Freddie abbassò gli occhi continuando a sorridere e si accarezzò le labbra con le punte delle dita.
 
Kalinda ebbe un fremito, ma lo nascose sistemandosi la gonna sulle gambe.
 
- Che tipo di informazioni le servono, Kalinda?
- Qualsiasi cosa di non ufficiale che possa screditare le testimonianze. Sappiamo dell’encefalite di Will Graham e del tentato omicidio da parte del dottor Lecter, così come sappiamo che Jack Crawford stesso è stato quasi ucciso. Non sono dati sufficienti, purtroppo, per un processo, come lei ben sa.
 
Freddie si limitò ad annuire brevemente.
 
- Lei mi sembra una persona seria, Kalinda. Spero che queste nostre… confidenze rimangano tra di noi.
- Certamente.
- La ragazza che è morta a casa del dottor Lecter un anno fa, se ne ricorda il nome? Abigail Hobbs, - si fermò per osservare la reazione di Kalinda, che si limitò ad annuire, - era come una figlia per il signor Graham. Da quando lui ha ucciso suo padre durante un’indagine ha preso la ragazza molto a cuore, tanto da sostituirsi, almeno psicologicamente, alla figura del suo vero padre. Hannibal Lecter l’ha tenuta prigioniera per quasi un anno, e poi l’ha uccisa, sgozzandola davanti a Will Graham, ferito e inerme. Lei non crede che questo sia un movente più che sufficiente a testimoniare affinché Lecter venga condannato a morte?
 
Kalinda ascoltò con attenzione e infine sorrise. Era il tipo di informazione che stava cercando. Una intera testimonianza poteva cadere.
 
- Come fa a conoscere questi particolari, signorina Lounds?
- Io ed Abigail eravamo, per così dire, amiche. Mi aveva pregato di aiutarla a scrivere un libro sulla sua esperienza traumatica, prima di sparire nel nulla.
- Crede che il collegamento con Abigail possa far vacillare tutte e tre le testimonianze?
- No, - Freddie Lounds scosse il capo, e i riccioli ordinati si sparsero sulle sue spalle, catturando l’attenzione di Kalinda, - se è vero che Alana Bloom era legata ad Abigail in un certo senso, sarebbe molto più difficile far vacillare la sua testimonianza su queste basi. E per Jack Crawford questo non vale affatto.
- Che cosa, allora?
- Non si preoccupi di Jack Crawford, Kalinda… La giuria stessa non terrà in considerazione la sua testimonianza. E’ stato un passo falso, da parte dell’accusa, ammetterlo tra i testimoni.
- Lei crede?
- Assolutamente. – Freddie sorrise, - ha già testimoniato a sfavore di Will Graham nel processo che lo accusava dei crimini commessi da Lecter. Ha incarcerato il dottor Frederick Chilton per lo stesso motivo, mettendo a repentaglio la sua vita quando un’agente dell’FBI l’ha scambiato per Lecter e gli ha sparato. No, Jack Crawford non è il testimone-chiave della vicenda. Se posso azzardare una considerazione, - lo sguardo della giornalista si fece più acuto e Kalinda più attenta, - l’accusa punta tutto sulla dottoressa Alana Bloom. Punta di diamante dell’università di Georgetown, la Bloom è stata a lungo a stretto contatto con il dottor Lecter, tanto da, secondo l’accusa, poterne garantire la sanità mentale. E’ la sua testimonianza che dovrete colpire più di qualunque altra.
 
Kalinda, a quel punto, era profondamente incuriosita. La Lounds se ne accorse e si alzò con un sorriso, sollevando un braccio in sua direzione. – Ha finito il whiskey?
- Sì – Kalinda si riscosse e le passò il bicchiere. Era evidente che fosse un diversivo per tenere alta la tensione. Tutto di quella donna urlava narcisismo, ma Kalinda non poteva dire che la infastidisse. Al contrario, la trovava estremamente interessante.
 
Quando la giornalista ebbe riempito entrambi i bicchieri, invece di tornare a sedersi sulla poltrona, si accomodò sul divano accanto a Kalinda. Il suo profumo era delicato e fresco, quasi ingenuo, in contrasto con la personalità della donna, che di ingenuo non aveva assolutamente nulla.
 
- Dov’eravamo rimaste?
Kalinda abbassò brevemente lo sguardo sulle sue labbra, ma fu un attimo soltanto.
- Alla dottoressa Bloom – le ricordò poi in tono paziente, come se non avesse fatto altro che pensare alla conversazione interrotta pochi secondi prima.
- Giusto… la dottoressa Bloom. Me n’ero quasi dimenticata. – Kalinda ebbe l’impressione che Freddie la stesse prendendo velatamente in giro e si trovò più divertita che offesa. Era un gioco che si poteva fare in due. Kalinda svuotò il secondo bicchiere e si sporse a posarlo sul tavolino da caffè.
- Mi sembra… distratta. C’è qualcosa in particolare che la distrae, signorina Lounds?
Freddie la osservò a lungo prima di rispondere. Era sia una provocazione che un’insinuazione, ed entrambe ne erano consapevoli.  A Kalinda piacque il mezzo sorriso sornione che si allargò sulle labbra della giornalista.
 
- No, niente affatto. Allora. La dottoressa Bloom... Ma questa è un’informazione molto, molto, molto confidenziale… non so quanto sia eticamente corretto da parte mia comunicargliela, Kalinda.
La sua voce assunse una tonalità più profonda, e all’investigatrice le sue allusioni parvero sempre meno velate. Kalinda si mordicchiò l’interno del labbro inferiore e accavallò le gambe.
 
- Crede che io non sappia tenere un segreto, signorina Lounds?
Freddie rise. La sua risata era seducente.
- A dirla tutta, lei non mi sembra affatto il tipo di persona che mantiene i segreti. Senza offesa, è chiaro.
- Nessuna offesa.
- Ci mancherebbe. Le pare? Divulgare segreti è il suo lavoro. – nel pronunciare le ultime parole, Freddie abbassò brevemente lo sguardo sulle labbra di Kalinda. Quando lo risollevò sui suoi occhi, le sue intenzioni erano chiare.
- E’ anche il suo, se non sbaglio. – la voce di Kalinda era una carezza. La giornalista le si avvicinò ancora chinandosi lievemente in avanti.
- Non sbaglia. Abbiamo più cose in comune di quanto pensassi.
Kalinda fermò il proprio viso a meno di una spanna da quello della giovane donna seduta accanto a lei, e riportò lo sguardo sui suoi occhi.
- Non mi piacciono le storie senza un finale, signorina Lounds… - commentò a mezza voce, - che cosa nasconde la dottoressa Bloom?
 
Freddie si ritrasse sorridendo, mal celando una nota di fastidio.
Non erano state abbastanza vicine perché il bacio imminente fosse palese, ma la tensione era palpabile e Kalinda sapeva, sotto la giacca rossa, di avere la pelle d’oca.
 
- E’ fortunata ad essere venuta a parlare con me. Non sono in molti a conoscere questo risvolto ufficioso della storia. La dottoressa Bloom e il dottor Lecter avevano una relazione.
Kalinda rimase in silenzio, colpita. Non aveva messo in conto che l’assassino a sangue freddo di decine di persone potesse avere avuto relazioni sentimentali con degli esseri umani. Freddie sorrise alla sua reazione.
- Già. Per diversi mesi sono andati a letto insieme, e la “punta di diamante” dell’università di Georgetown non si è resa conto di avere a che fare con un serial killer. Che tipo di pretese può avanzare sul suo profilo psicologico se non è stata nemmeno in grado di rendersi conto che c’era qualcosa che non andava in lui?
 
Kalinda aveva smesso di guardarla da metà della frase e si era sporta oltre il divano per prendere il telefono nella borsa.
 
- Vuole scusarmi un secondo?
Freddie sorrise ironicamente e la invitò a fare pure con un cenno della mano.
Kalinda si alzò dal divano e uscì dalla stanza.
 
Alicia rispose al primo squillo.
- Kalinda? Non ti sento bene, sono fuori.
Sotto la sua voce, il brusio di una folla. Forse era in un ristorante, o in un locale.
- Ciao, Alicia. Ho parlato con Freddie Lounds.
Sentì dei passi leggeri dietro di sé, ma non si voltò.
- Con chi?
Sentì le mani fresche della giornalista sfiorarle il collo e poi le sue labbra, tiepide, appena accanto alla spalla.
- Con la giornalista del TattleCrime. Ha delle notizie, - dovette fermarsi per trattenere un sospiro, - molto interessanti.
- Davvero?
- Will Graham avrebbe motivo di mentire sul dottor Lecter perché, - altra pausa, - è lungo da spiegare. Possiamo parlarne domani di persona?
Alicia era sorpresa, ma non commentò.
- Certo. Ma perché non stasera all’hotel?
- No, sono… sono fuori città. Torno tardi. Comunque abbiamo notizie a sufficienza per far crollare le loro testimonianze.
- Ottimo lavoro, Kalinda. A domani.
- A domani, Alicia.
 
Kalinda si voltò verso Freddie mordendosi il labbro inferiore. Gli occhi azzurro ghiaccio della giornalista scintillavano sornioni sotto la luce soffusa del corridoio.
- La signora Florrick era contenta delle informazioni? E’ valsa la pena farle fare tutta questa strada fino a qui? – domandò abbozzando un sorriso soddisfatto.
-  Lo spero. – rispose Kalinda socchiudendo le palpebre.
- Spera bene. –
 
Le labbra di Freddie Lounds sapevano di rossetto e bugie, e Kalinda ebbe l’impressione che quel sapore fosse uno dei segreti che la giornalista aveva deciso di condividere con lei in quella limpida sera di fine maggio.
 
**
 
- Buongiorno, signora Florrick. 
 
La luce dorata del sole mattutino colava nella stanza attraverso l’unica finestra, proiettando danze luminose sulla parete opposta. Lo psichiatra era seduto esattamente dove Alicia lo aveva visto per l’ultima volta due giorni prima; l’avvocato ebbe l’angosciosa sensazione che non si fosse mai mosso.
La seguì attentamente con lo sguardo mentre lei si avvicinava al tavolo e si sedeva.
 
- Dottor Lecter, lei non è stato onesto con me. – esordì Alicia fissando gli occhi nelle sue iridi scure.
L’uomo rimase in silenzio e si limitò a restituirle lo sguardo, come se stesse aspettando che continuasse a parlare.
- Crede che tutto questo sia uno scherzo? E’ con la sua stessa vita che sta giocando, dottore. 
- Lei crede che io abbia paura della morte. – fu più una constatazione che una domanda, e Alicia si ritrovò a boccheggiare per un istante, sorpresa.
- Tutti ne abbiamo paura.
- Se non avessi messo in conto la possibilità di venir giustiziato non mi sarei consegnato alle forze dell’ordine, signora Florrick.
- Se non sperasse di evitarla, tuttavia, io non sarei qui.
 
Il dottor Lecter concordò con un cenno del capo.
Alicia nascose un moto di rabbia mentre si sedeva.
 
- Non mi piace perdere il mio tempo, dottore, - comunicò in tono serio, - o le mie risorse. Sono venuta a sapere con grande fatica di dettagli compromettenti sui testimoni dell’accusa che lei avrebbe potuto facilmente comunicarmi in pochi minuti.
 
Lo psichiatra si limitò a scrutarla. Non sembrava non aver capito, ma non sembrava nemmeno importargli. Non rispose. Nelle sue iridi scure si muovevano ombre inquietanti.
 
- Dottor Lecter, ci tengo a informarla che non posso offrirle un buon servizio se lei non collabora.
- Eppure ha ottenuto tutto quello che le serviva; con o senza il mio aiuto, è irrilevante.
- Non sono qui per discutere di filosofia. – Alicia cominciava ad innervosirsi, e non era facile dissimulare il fastidio, per quanto diplomatica si sforzasse di suonare. – Perdere una causa importante per colpa del mio stesso cliente non è una delle mie cose preferite da fare nei weekend.
Il dottor Lecter accennò un sorriso freddo e mosse la mano destra in segno di scuse. 
- Mi piace sapere chi ho davanti, signora Florrick, e spesso i fatti parlano molto meglio delle parole.
- Mi sta mettendo alla prova? – Alicia era sbalordita.
Il dottor Lecter non rispose, ma era chiaro a quel punto.
 
- Ci vediamo in tribunale, dottore. – lo salutò l’avvocato alzandosi, - e spero sinceramente per il suo stesso bene che non abbia omesso altre informazioni utili.
 
 
***
 
 
- Signora Florrick. Signor Polmar.
- Signor Olson. E’ un piacere rivederla.
- E’ sempre così melensa con i suoi avversari, signora Florrick? – Alicia giudicò la battuta come benevola e non si preoccupò di considerarsi offesa.
- Mi trova melensa? Io pensavo di essere soltanto cortese.
L’A.S.A. le fece l’occhiolino e  Alicia dovette trattenersi dal lanciare uno sguardo esasperato a Finn. Era sicura che stesse sorridendo, cercando di impedirsi di ridere.
 
L’entrata nell’aula dell’imputato fu accompagnata dal sollevarsi di un brusio concitato tra i presenti. Le file dietro i banchi di accusa e difesa erano gremite di gente, e nell’entrare in aula Alicia aveva riconosciuto con un’occhiata distratta Will Graham, Jack Crawford e Alana Bloom nella ultime file.
Il brusio cessò non appena Hannibal Lecter si avvicinò al banco della difesa scortato da quattro guardie armate. Ai detenuti era concesso vestirsi in abiti normali durante il proprio processo, e vedere lo psichiatra in doppio petto colpì Alicia molto di più di quando lo aveva visto nella divisa da prigioniero. Il completo, scuro e formale, sembrava cucito su misura, e Hannibal Lecter sembrava trovarsi completamente a suo agio in quegli abiti costosi e severi. Aveva un’espressione austera incisa sul viso che gli ombreggiava lo sguardo di una fierezza quasi ferina. I suoi occhi, scuri e intelligenti, squadravano ogni singolo presente con rapidità e metodo, quasi stesse cercando di schedare il pubblico. Era gelido e impassibile, e la sua sola presenza nelle vicinanze bastò alle prime file per zittirsi improvvisamente, come messe a tacere da una forza superiore. Nonappena le passò a fianco, il dottor Lecter rivolse ad Alicia un cenno educato della testa. La signora Florrick dovette riscuotersi rapidamente dalla propria riflessione per rispondere con un sorriso formale.
Il dottor Lecter fu scortato dietro il banco della difesa e fatto sedere tra Finn Polmar e la sedia vuota che spettava a lei; gli bastò sfiorare con le punte delle dita la sbarra che lo separava dalle panche del pubblico per far ritrarre in un sussulto un giornalista della prima fila, che si mosse verso destra con insistenza suscitando le lamentele infastidite dei vicini. Ad Alicia parve di vedere l’ombra di un sorriso allungarsi sul volto di pietra dell’imputato.
 
Hannibal si sporse leggermente verso Finn, cercando di porgergli la mano nonostante le manette.
- Non abbiamo avuto l’occasione di presentarci. Lei dev’essere l’avvocato Finn Polmar.
Contrariamente al resto dei presenti, Finn non sembrava intimorito dalla vicinanza dell’uomo. Gli strinse la mano e gli rivolse un sorriso educato. – La difenderemo meglio che potremo, dottor Lecter.
- Ne sono sicuro.
 
Le porte in fondo all’aula si aprirono per far entrare Kalinda, ma Alicia non fece in tempo ad andarle incontro perché fu annunciata l’entrata del giudice. Si affrettò a tornare al proprio posto accanto a Lecter, e, per la prima volta in piedi accanto a lui, si rese conto che la superava in altezza di dieci centimetri abbondanti.
 
- Tutti in piedi.
 
L’Onorevole Jeremy Ramsay fece la sua entrata in rapidità, incitando il pubblico a rimettersi seduto con un gesto sbrigativo della mano. Gli avvocati rimasero in piedi, e così l’imputato.
 
- Avvocati. – salutò il giudice con distacco formale. Non degnò di un’occhiata l’imputato, che parve accorgersene e mantenne lo sguardo fisso sull’uomo dietro il banco sopraelevato un istante più a lungo del dovuto.
- Bene. Ora che siamo tutti qui direi che possiamo procedere. A.S.A. Olson, chiami i suoi testimoni.
Olson abbassò lo sguardo sui propri appunti e li rimise in ordine rapidamente scambiandosi un’occhiata d’intesa con il suo collega.
Alicia si sistemò la gonna del tailleur sotto le gambe e si rimise a sedere.
 
- L’accusa chiama a testimoniare il signor Jack Crawford.
 
La testimonianza di Crawford fu semplice e piuttosto breve, ma non particolarmente utile all’accusa. L’uomo non aveva competenze mediche, per cui, per quanto il suo resoconto dimostrasse univocamente la colpevolezza oggettiva dello psichiatra, non poteva dimostrarne la sanità mentale. Quando l’avvocato dell’accusa tentò di farlo speculare sulle condizioni mentali del dottor Lecter, ad Alicia bastò una blanda obiezione e un richiamo al caso Graham per mettere a tacere entrambi. Il giudice non sembrò impressionato e il testimone tornò stancamente a sedersi tra il pubblico senza degnare l’imputato di uno sguardo.
 
- L’accusa chiama ora il signor Will Graham.  
 
L’uomo si alzò dall’ultima fila e procedette con passo calcolato verso il banco dei testimoni. Il dottor Lecter lo seguì con lo sguardo quando passò accanto al tavolo della difesa, ma il giovane non ricambiò l’occhiata neanche una volta seduto dietro al microfono. Si limitò a fissare l’assistente del Procuratore con vago interesse e a pronunciare il giuramento con voce atona.
 
- Signor Graham, - iniziò Olson uscendo dal banco dell’accusa e avvicinandosi al testimone, - può declamare le sue generalità per i signori della giuria? Nome, cognome e professione, per favore.
- William Graham, collaboratore speciale dell’FBI.
- Grazie. Ora, per cortesia, racconti come ha conosciuto l’imputato.
 
- Obiezione, Vostro Onore. Irrilevante. – Alicia evitò di alzarsi di scatto per non sembrare nervosa. Era la prima obiezione che opponeva ed era pressoché sicura che sarebbe stata respinta. Serviva in verità soltanto a far presente all’accusa che lei era pronta ad attaccare al minimo errore.
- Ci sto arrivando, Vostro Onore – rispose Olson diretto al giudice con un sorriso infastidito. Questi annuì pigramente.
- Respinta. Vada pure avanti, avvocato.  
 
Le domande erano semplici, le risposte secche. L’avvocato dell’accusa era bravo, e Graham poteva sembrare un buon testimone: era conciso, rapido e chiaro. Ma Alicia sapeva di poter trovare una falla nel suo discorso, che era ormai palesemente un copione recitato chissà qualche volte nell’ufficio del Procuratore. C’era qualcosa che Will Graham non stava dicendo, e Alicia sapeva che cos’era.
 
Per la maggior parte dell’interrogatorio rimase ad ascoltare attentamente, ma nulla che l’avvocato chiedesse al testimone la indusse ad intervenire. Tentò alcune obiezioni per sentito dire, ma furono respinte pigramente dal giudice.
Non c’era effettivamente nulla di azzardato nella linea d’interrogatorio dell’accusa.
 
- Come è avvenuta la cattura del dottor Lecter?
Graham si limitò a riportare neutralmente i fatti messi agli atti nei dossier dell’FBI, ma prima di terminare esitò per un istante, come se stesse indugiando sulla possibilità di aggiungere qualcosa.
- Non siamo stati noi, - disse infine, - a catturare Hannibal Lecter; è stato – il suo sguardo si spostò sui presenti fino a incatenarsi a quello dello psichiatra seduto accanto ad Alicia, - è stato lui stesso a consegnarsi a noi. Sa quello che fa e ne trae giovamento.
 
Le ultime parole pronunciate dal teste fecero intuire alla signora Florrick dove l’accusa volesse andare a parare: l’obiettivo era dimostrare la sanità mentale del dottor Lecter. Alicia si scostò i capelli dalla fronte.
 
- Signor Graham, la sua esperienza con molti criminali le ha certamente fornito una certa perizia nel definire lo status psicologico delle persone che ha attorno.
 
Alicia si alzò in piedi e si tese in avanti, decisa.
- Obiezione, Vostro Onore. L’avvocato sta testimoniando. Non è una domanda.
Olson non diede il tempo al giudice di rispondere. – Riformulo. Signor Graham, in virtù della sua esperienza professionale, crede di essere in grado di definire lo status psicologico delle persone che ha attorno?
- Sì.
- Secondo la sua opinione, il dottor Lecter può imputare le proprie azioni ad un eventuale disturbo mentale o psichico?
 
- Obiezione. – Alicia si alzò di nuovo, indignata, senza attendere la risposta del testimone – speculazione! Il testimone non ha la competenza professionale per trarre certe conclusioni.
- Il testimone è un profiler criminale, signora Florrick, e—
Alicia lo fermò con un cenno della mano e sollevò un foglio dai propri documenti, - “Le tecniche di profilazione criminale aiutano gli investigatori ad analizzare le prove della scena del crimine, le vittime e le dichiarazioni dei testimoni con lo scopo di sviluppare una descrizione del delinquente. Tale descrizione è indicativa e non corrisponde al tracciare un profilo psicologico adeguato a fini diagnostici.”, - citò, - Sta chiedendo al teste di speculare sulle condizioni del mio assistito.
 
Entrambi gli avvocati si voltarono verso il giudice, che dovette fermarsi a riflettere.
- Accolta. – disse infine, mal celando un certo fastidio. Alicia sorrise e tornò a sedere, scambiandosi uno sguardo soddisfatto con Finn. Aveva tagliato ogni via d’uscita all’avvocato dell’accusa, che ora aveva iniziato a porre domande inconsistenti per poter girare attorno all’informazione che voleva.
 
- In conclusione, signor Graham, il dottor Lecter ha mai dato segno evidente di qualche disturbo psichiatrico mentre si trovava in sua compagnia? Non le sto chiedendo di fare una diagnosi, - l’A.S.A. lanciò uno sguardo velenoso ad Alicia, - solo di riportare eventuali fatti.  
 
- Mai, - pronunciò Graham sputando le parole, -. E’ stato lucido a sufficienza da indurmi a credere di essere io stesso il colpevole, ha piazzato prove contro di me,  è venuto allo scoperto solo una volta giocate tutte le sue carte. Non ha mai dato prova di essere confuso o in preda a deliri. Se c’è un uomo più lucido di Hannibal Lecter in tutti gli Stati Uniti, io sarei curioso di conoscerlo.
 
L’obiezione finale di Alicia fu debole e inconsistente. Ormai il teste aveva detto quello che la giuria voleva sentire.
 
L’aula rimase in silenzio un istante più a lungo di quanto fosse confortevole mentre Graham e Lecter si guardavano negli occhi.
Quindi l’avvocato dell’accusa si voltò verso il banco della difesa e poi verso il giudice sorridendo.
- Grazie, non ho altre domande. Il testimone è a disposizione della difesa.
 
Alicia ringraziò con un cenno del capo e prese i propri appunti dal banco.
 
- Grazie, signor Olson. Signor Graham, buongiorno. –
L’uomo rispose con un cenno convenzionale del capo.
- Circa un anno fa le è stata diagnosticata una forma di encefalite autoimmune, dico bene? Una sorta di infiammazione del sistema nervoso. Non sono molto pratica con le faccende mediche, - si finse incuriosita mentre si avvicinava al banco del testimone, - quindi le dispiacerebbe spiegare alla corte in che cosa consistono i sintomi di tale malattia?
Graham serrò le labbra e rivolse un’occhiata indecisa oltre la spalla della signora Florrick, in direzione di Olson. Ad Alicia non servì voltarsi per sapere che l’avvocato non poteva fare nulla per obiettare.
- I sintomi di tale malattia, - ripeté Will Graham a denti stretti, - sono forti mal di testa, sensazione di vertigine e nausea.
- Leggo scritto qua, - Alicia passò fotocopie del proprio foglio al testimone, al giudice e al banco dell’accusa, - e questo documento è estratto da un manuale di neurologia il cui titolo è riportato alla fine del foglio, che la suddetta malattia può portare a disturbi quali “allucinazioni” e “distacco dalla realtà”, con conseguente “incapacità di distinguere l’immaginario dal reale”. Si riconosce in qualcuno di questi sintomi, signor Graham?
Il testimone rimase in silenzio a lungo e contrasse la mascella.
- Le ricordo che è sotto giuramento, signor Graham.
- Sì, - sibilò tra i denti alzando lo sguardo su di lei, - ho avuto alcuni episodi simili, in passato. Ma ora sono sotto trattamento e sto migliorando notevolmente.
- Può affermare, sempre sotto giuramento, di non aver avuto affatto episodi di allucinazioni o affini dal momento in cui la sua encefalite è stata diagnosticata e conseguentemente trattata?
 
- Obiezione, - tentò l’accusa, - Irrilevante.
- La rilevanza dell’intervento del signor Graham mi pare più che evidente, signor Olson. Respinta.
 
- Grazie, Vostro Onore, - continuò Alicia. Il solo fatto di dimostrare che Will Graham non era completamente attendibile, tuttavia, non bastava a screditare la sua testimonianza. L’avrebbe solo resa zoppicante. Serviva un colpo di grazia, e lei aveva quello che serviva.
 
- No, - fu la risposta forzata, - non posso affermarlo.
 
Alicia annuì, fingendosi comprensiva.
 
- Ho ancora una domanda, - proseguì in tono formale tornando verso il banco della difesa per recuperare tre fotocopie di una fotografia. Quando sollevò lo sguardo sul viso del dottor Lecter, notò con una punta di sorpresa che stava sorridendo. La piega delle sue labbra, seppur minima, era evidente e la sua espressione divertita la agghiacciò. Non sembrava soddisfatto dei risultati, sembrava paradossalmente intrattenuto dall’interrogatorio stesso.
Alicia si riscosse e tornò al centro dell’aula, facendo ticchettare i tacchi sul pavimento di marmo.
Passò la foto all’accusa e al giudice; quindi la mostrò al teste.
 
- Riconosce questa ragazza?
 
Aveva scelto di proposito una fotografia di Abigail Hobbs da morta per suscitare una reazione emotiva.
Will Graham non sussultò; strinse la mascella e deglutì, per poi aggiustarsi gli occhiali sul naso. Sembrava profondamente a disagio.
 
- Sì. E’ Abigail Hobbs.
- In che rapporti era con la signorina Hobbs?
 
- Obiezione, - scattò Olson, - Irrilevante!
- Ci sto arrivando – citò Alicia con un sorriso formale.
- Respinta. Mi ha incuriosito, signora Florrick.
Alicia sorrise prima di riportare l’attenzione sul giovane profiler.
 
- Signor Graham?
- L’ho salvata dall’aggressione di suo padre, un serial killer noto come “L’averla del Minnesota”.
- Può dire di aver sviluppato un legame affettivo nei suoi confronti?
- Sì, credo.
 
Era evidente che non si aspettasse quel genere di domanda; si stava tenendo sul vago per non compromettersi, ma non sapeva da che cosa difendersi. Alicia accettò la risposta con un cenno paziente del capo.
 
- Le dispiace essere più preciso, signor Graham?
- Ero molto affezionato ad Abigail, - si arrese l’uomo, - era come una figlia per me. Crederla morta per più di un anno è stato davvero… doloroso.
- Come si è sentito quando ha scoperto che era viva?
 
- Obiezione, - tentò l’A.S.A.
- Respinta. Continui, signor Graham.
 
Will osservò il giudice con esitazione prima di continuare.
- Sconvolto. Per la prima volta in molti hanno ho pensato che avrei potuto finalmente vivere una vita felice.
- Quindi è corretto dire che, uccidendo Abigail Hobbs, Hannibal Lecter ha privato lei della sua, cito le sue parole, “vita felice”.
- Non capisco dove lei voglia arrivare con questo suo sillogismo.
- Fin dove è disposto ad andare, signor Graham, per privare Hannibal Lecter della sua vita felice? O, meglio ancora, della sua vita e basta?
 
Alicia sentì la sedia di Olson grattare il pavimento con forza furiosa.
- Obiezione! Argomentativo! – ruggì sbattendo la mano sul tavolo.
- Accolta.
 
Ad Alicia non interessava. Il giudice aveva sentito quello che doveva sentire, non aveva importanza che quella parte di controinterrogatorio fosse stata cancellata dagli atti. 
 
- Grazie, non ho altre domande.
 
Tornò a sedersi sentendo lo sguardo del dottor Lecter su di sé. Si voltò verso di lui e gli sorrise cordialmente; lui si limitò ad osservarla per qualche secondo e poi riportare la propria attenzione sul signor Olson, che si era alzato in piedi.
Alicia ne approfittò per cercare lo sguardo di Finn, che le sorrise.
 
- L’accusa chiama a testimoniare Alana Bloom.
La donna si alzò dal fondo dell’aula e avanzò lentamente verso di loro.
Indossava una giacca e dei pantaloni di un completo evidentemente su misura che la rendeva più slanciata e severa, e nonostante le sue abilità motorie fossero state compromesse (testimone di ciò era la stampella su cui si appoggiava per camminare, zoppicando vistosamente), sfoggiava un paio di tacchi piuttosto alti per dissimulare la sua altezza moderata.
Era molto bella, notò Alicia mentre la psichiatra le passava accanto. I capelli scuri, pettinati da una parte in un bizzarro richiamo alla moda degli anni Cinquanta, incorniciavano un viso pallido e dai lineamenti taglienti.
 
Si sedette elegantemente dietro il banco dei testimoni, e mentre giurava di dire soltanto la verità fissò gli occhi azzurro ghiaccio in quelli dello psichiatra seduto accanto ad Alicia.
 
Il signor Olson si consultò brevemente con il suo collega, l’A.S.A. Randall, quindi uscì dal banco dell’accusa e si avvicinò alla testimone.
 
- Buongiorno, dottoressa Bloom. Può declamare le sue generalità per la giuria?
- Alana Bloom, psichiatra e insegnante ordinaria presso l’Università di Georgetown e l’Accademia di Quantico.
 
Georgetown era l’università da cui Alicia si era laureata con il massimo dei voti più di vent’anni prima—ma soprattutto era il luogo in cui aveva conosciuto Will Gardner. I ricordi l’assalirono con impeto, e Alicia si ritrovò a fissare il vuoto abbastanza a lungo perché Finn lo notasse e si sporgesse oltre il loro cliente per riscuoterla delicatamente.
 
- Alicia.
Lei si voltò e improvvisò un sorriso di scuse, tornando a concentrarsi. Non era facile con l’immagine del sorriso di Will stampata a fuoco vivo nella sua mente.
L’Assistente del Procuratore aveva già fatto le domande di rito, e, a giudicare dallo sguardo allarmato di Finn, Alicia doveva aver perso un paio di opportunità di obiezione. 
Innervosita dalla propria stessa distrazione, si mise a tamburellare le dita sul legno laccato della scrivania davanti a lei. Lecter se ne accorse, e Alicia lo vide con la coda dell’occhio portare lo sguardo sulla sua mano. Smise immediatamente di esibire la propria insicurezza e gli rivolse un tentativo di sorriso rassicurante. Gli occhi dello psichiatra erano seri.
 
- Dottoressa Bloom, al contrario di Will Graham, come abbiamo potuto appurare, - Olson accompagnò la frecciata con uno sguardo laterale diretto ad Alicia, - lei ha tutta la competenza professionale per confermare o smentire la vociferata infermità mentale di Hannibal Lecter. Può, se ritiene di avere sufficienti elementi, fornire a questa corte il suo parere in merito?
 
- Sono certa di poter dare una risposta univoca e non dibattibile sulla situazione psicologica del dottor Lecter. Nel lungo tempo in cui ho potuto stargli accanto e studiarlo, non ha mai dato segno di  soffrire di alcun disturbo psichiatrico o neurologico. E’ con un insignificante margine d’errore che mi riservo il diritto di affermare che il dottor Lecter è pienamente in possesso delle sue capacità mentali.
 
Lo sguardo di Finn indugiò a lungo su Alicia, attendendo che lei obiettasse. La risposta della psichiatra era inattaccabile ed era stata messa agli atti. L’avvocato strinse le labbra.
 
- Non ho altre domande. La teste è a disposizione della Difesa.
 
Mentre Alicia si alzava dalla sedia e si avvicinava al banco, il giudice le scoccò un’occhiata divertita.
- E’ rimasta piuttosto silenziosa durante questo interrogatorio, signora Florrick. Qualcosa non va?
La donna gli sorrise, educata, e congiunse le mani.
- Niente affatto, Vostro Onore. Sarò molto breve.
 
- Dottoressa Bloom, il suo parere medico sul mio assistito mi è sembrato perentorio. Deduco che abbia avuto modo di condurre una serie di sedute psichiatriche con il qui presente dottor Lecter per poter stilare in maniera tanto accurata il suo profilo?
 
- Obiezione, - sollevò Olson, quasi ridendo, - capzioso.
Alicia si voltò verso di lui e si scusò con un gesto della mano. – Riformulo. A che tipo di test psicologici ha sottoposto il mio assistito per giungere alla sua conclusione, dottoressa?
- Nessuno. Dalla mia sola esperienza—
- Nessuno? – Alicia si finse estremamente sorpresa, - neanche una griglia di valutazione ufficiale? O un qualsiasi metodo psichiatrico riconosciuto dalla comunità medica?
- No. – fu la risposta secca della donna, che iniziava visibilmente a innervosirsi.
-  E’ molto bizzarro che lei abbia tanta fiducia in sé stessa da avanzare questo tipo di pretese.
 
Olson si alzò in piedi, ma Alicia lo aveva previsto.
- Obiezione. E’ una domanda?
- Accolta. Deve rivolgere domande alla testimone, signora Florrick, non insinuazioni.
 
- Certo, Vostro Onore. Mi scuso. La mia domanda è quindi che cosa renda la testimone così sicura del proprio parere pur non avendo utilizzato mezzi professionali per la valutazione.
- Conosco da molto tempo l’imputato, ho avuto modo di confrontarmi verbalmente con lui molto più approfonditamente che se avessi condotto una qualsiasi valutazione ufficiale della durata di due ore.
 
Alicia annuì, comprensiva. La testimone era arrivata esattamente dove Alicia la stava portando.
 
- Da quanto tempo conosce il mio assistito, dottoressa Bloom?
Alana Bloom fece indugiare lo sguardo su Alicia molto a lungo prima di rispondere. Sembrava sicura di sé.
- Da quasi dieci anni. Era il mio mentore durante i corsi di Medicina al college, e abbiamo continuato a frequentarci anche dopo la mia laurea, diventando buoni amici. Credo di poter affermare di conoscerlo molto bene, signora Florrick, se è questo che intende.
Alicia le sorrise.
- Dunque, dottoressa Bloom, e mi corregga se sbaglio, mi pare di capire che lei avesse già compreso che il dottor Lecter era coinvolto nel caso Chesapeake prima della sua cattura.
Alana esitò e si mordicchiò l’interno di una guancia.
- Non capisco la domanda.
- Certo, riformulo. Perché avrebbe dovuto fare una valutazione psicologica accurata di un suo conoscente se non avesse avuto il sospetto che fosse coinvolto negli omicidi di Chesapeake?
- In qualche modo lo sospettavo, suppongo.
- Davvero? Dottoressa Bloom, è corretto dire che lei ha intrattenuto rapporti sessuali volontari con un uomo che sospettava essere l’autore dei ventidue omicidi di cui è accusato?
 
- Obiezione – ruggì l’accusa, - irrilevante!
- Accolta. Signora Florrick, riformuli.
- Va bene. Dottoressa Bloom, mi lasci riformulare la domanda: ha mai avuto una relazione che andasse oltre il professionale con il mio assistito?
La Bloom strinse i denti. – Sì.
- Durante questa relazione sospettava che il qui presente dottor Lecter fosse il responsabile delle azioni di cui questa corte lo accusa?
- …no.
- Mi pare che qui stia usando due pesi per due misure, dottoressa Bloom. Mi corregga: sta quindi dicendo che era in grado di valutare in modo attendibile il dottor Lecter mentre si trovava con lui in veste non ufficiale al punto da definirlo sano di mente, ma non è stata in grado di intuire che fosse coinvolto, come questa corte lo accusa, in ventidue omicidi? Non le sembra poco coerente?
 
- Obiezione, l’avvocato sta infierendo sulla testimone.
- Accolta.
- Non ho altre domande.
 
***
 
- Ottimo lavoro. Li hai stesi.
 
Finn sembrava entusiasta dopo il processo, e Alicia era di buon umore. Anche Kalinda sorrideva.
 
- Non c’è una testimonianza che regga ora. Hai preso un caso che sembrava disperato e l’hai rovesciato. Lascia che ti offra da bere. Anche a te, Kalinda. Dobbiamo festeggiare. 
 
Alicia rise ed acconsentì. Si obbligò a fingersi seria quando l’A.S.A. Olson le passò accanto furente senza nemmeno guardarla, per poi scambiarsi un’occhiata divertita con Finn.
 
Il telefono iniziò a squillarle nella borsa quando erano appena usciti dal tribunale. Il numero era sconosciuto.
 
Fuori era già buio.
 
- Alicia Florrick – rispose portandosi il dispositivo all’orecchio. Finn e Kalinda camminavano chiacchierando un paio di passi davanti a lei.
 
- Salve, signora Florrick. Sono il dottor Frederick Chilton.
- Ci conosciamo?
- No, ma credo di avere qualcosa che potrebbe interessarla.
Alicia aggrottò la fronte.  – Che cosa?
- Una testimonianza a favore di Hannibal Lecter. 

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