Famiglia all'improvviso di Ortceps (/viewuser.php?uid=457601)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1 - Tra tenerezze e pannolini ***
Capitolo 3: *** 2 - Aiden ***
Capitolo 4: *** 3 - Cambiamenti ***
Capitolo 5: *** 4 - Ritorno ***
Capitolo 6: *** 5 - Coscienza ***
Capitolo 7: *** 6 - Dobbiamo parlare? ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
ATTENZIONE:
I personaggi e il contesto in cui si muovono non mi appartengono, ma
appartengono a chi ne detiene i diritti, in questo caso al caro
Christopher.
FAMIGLIA
ALL’IMPROVVISO
PROLOGO
Eragon non aveva mai
pensato a mettere su famiglia; la
partenza dalla sua terra e il distacco dalla donna – elfa
– che amava erano
state motivazioni valide per questa sua negligenza. In più
se contiamo il fatto
che doveva crescere piccoli draghetti indisponenti senza farsi
bruciare;
costruire un castello che sarebbe stata la sede del nuovo Ordine e in
più
imparare il più possibile dagli antichi draghi per
prepararsi ad istruire i
nuovi cavalieri, che non si erano ancora fatti vivi.
Così non si
era mai trovato a riflettere sull’eventualità
di avere una famiglia, né programmava di volerne una entro
breve. A dir la verità
pensava che sarebbe diventato come Oromis, il suo compianto maestro.
Ma alla fine si sa, che
ti piaccia o no è sempre quella
furia impazzita che noi chiamiamo destino a presentarsi alla tua porta
e a
scaricarti un figlio. Della serie “Din-don;
apri questa dannatissima porta e prenditi questo dannatissimo
bambino” per
poi aggiungere con un sorriso da sberle “Congratulazioni
sei diventato padre!”
Va bene, forse non era
andata proprio così. Ma alla fine
il concetto era quello e lui si era ritrovato a crescere un bambino,
senza
avere la minima idea di cosa fare. Quell’insolita svolta
della sua vita era
avvenuta qualche anno fa, precisamente due da quando era arrivato a
colonizzare
quella nuova terra.
*
Il sole sembrava
immobile nella calura del pomeriggio, i raggi
colpivano i verdi prati che rimandavano riflessi sull’acqua
del lago che stava
nei pressi della vallata. Soffiava un venticello calmo e il cielo era
limpido;
gli unici rumori che si distinguevano erano il forte russare di un
grosso drago
e il ritmico schiocco di legno contro legno.
Infatti vicino al lago
vi erano un giovane uomo e la sua
compagna di cuore e di mente; il primo si allenava con una spada da
esercitazioni contro un palo piantato nel terreno, mentre
l’altra dormiva
beata, appena ristorata da un bagno nelle acque ferme. L’ero
che Alagaesia
aveva acclamato anni prima era ormai cresciuto e sul suo viso poteva
intravedersi l’ombra di un accenno di barba; il suo corpo era
più definito e la
sua mente più matura.
La dragonessa si
ridestò con una specie di
ruggito-sbadiglio, spalancando le fauci acuminate e dispiegando le ali.
Iniziava ad avere fame e si era annoiata di quella calma piatta che
erano quei
pascoli; era un drago e come tale prediligeva l’avventura.
Forse con la
vecchiaia il suo carattere si sarebbe temprato, come Glaeder le
ripeteva; ma
ora lei era nel pieno della gioventù e delle sue forze e non
riusciva a
sopportare quella monotona rutine.
“Andiamo” disse
all’umano che si era fermato e stava bevendo da una
borraccia, bagnandosi anche
il petto nudo, per combattere la calura. Questi si voltò
verso di lei e le
sorrise, mettendo in mostra i denti bianchi, che risaltavano sulla
carnagione
dorata. “Sì; dobbiamo
passare dai
cuccioli e dagli elfi prima di rientrare”
Con queste parole e
dopo essersi passato una mano tra i
capelli castani salì sulla sella e la dragonessa
spiccò il volo, librandosi in
aria con una leggerezza che in terra poteva sognarsi.
Sorvolando quei prati
Eragon ebbe una magnifica visione
di insieme: le basse colline verdeggianti coprivano buona parte della
sua
visuale, su di esse cresceva solo erba e fiori, nessun albero e la
calma che vi
alleggiava sembrava quasi innaturale, nessun animale veniva
lì; almeno fin
quando c’erano loro. Dietro le sue spalle il piccolo lago
trovava posizione tra
quattro delle più basse colline, tanto che il punto
più profondo dovevano
essere solo quattro braccia; alla sua destra intravedeva la linea degli
alberi
che si estendeva per miglia, prima di finire a qualche passo dalla
costa
frastagliata.
Più avanti,
lui in quel momento non poteva vederla, c’era
la pianura; la zona più bella. Grandi alberi da frutto
stendevano i loro rami
verso l’altro, fiancheggiando i campi di grano, orzo e farro;
era stupendo
osservare il rosso delle mele, illuminate dal sole, vicino al verde
brillate
dell’erba e all’oro del grano. La cosa
più stupefacente era che quelle
coltivazioni erano già lì al momento del loro
arrivo, ma nessuno era andato a
rivendicarne il diritto.
Eragon aveva esplorato
in lungo e in largo quelle terre;
aveva scoperto di trovarsi su un’isola, a nord e ad est
l’affaccio sul mare
erano alte scogliere, fiancheggiate da verdi boschi, che diventavano
sempre più
ombrosi avvicinandosi al centro e tornavano nuovamente verdi e radi
verso i
campi. Ma ad ovest e a sud il mare si incontrava dolcemente con ampie
spiagge
di sabbia bianca; poi nella pianura si diramavano piccoli ruscelli, che
provenivano da un unico picco solitario, che si stagliava al marginare
nord del
bosco, a qualche miglia dalla scogliera.
La cosa più
impressionante di quei luoghi era la fauna,
la stessa che si trovava ad Alagaesia, ma decisamente più
grande e numerosa; la
cosa veniva spiegata della radicale assenza di predatori, se si faceva
eccezione per un gruppo poco numeroso di lupi, anch’essi di
notevoli
dimensioni, che aveva avvistato il terzo mese della sua permanenza su
Amera.
Così aveva chiamato il luogo.
La distanza dalla terra
ferma era di due giorni a volo di
drago, nel qual caso il drago doveva essere robusto e instancabile
perché i
venti che soffiavano in quel tratto di mare potevano cambiare
velocemente e da
favorevoli sarebbero potuti diventare ostili in pochi minuti, fin quasi
a
cessare. Eragon aveva trovato la cosa perfetta, così non
c’era il rischio che
giovani draghi inesperti arrivassero sulle coste della sua terra natia
e
facessero dei danni.
In quei due anni erano
nati cinque esemplari di drago
selvaggio; sette uova si erano spente prima che il draghetto potesse
nascere,
per via del troppo tempo passato dalla loro deposizione. Altre ancora
non
davano segno di volersi schiudere. Ma già cinque draghi era
un numero
sufficiente per le poche forze di cui lui e Saphira disponevano.
Il più
grande, Viruga, era un giovane drago viola di un
anno; aveva un temperamento calmo e riflessivo, in parametri da drago.
La
seconda era, a detta di Eragon, la birbante per eccellenza; nata solo
due mesi
dopo Viruga Hina l’aveva già surclassato in forza
e velocità. In un certo senso
Saphira si rispecchiava nella piccola, anche se lei teneva molto di
più alle
sue squame, mentre Hina non badava per nulla al manto color del sole.
I due gemelli, di soli
sei mesi erano piccoli per la loro
età; nati da due uova semi unite avevano in comune
l’ultimo pezzo di coda, alla
fine Eragon, per garantirgli una vita più agevole aveva
dovuto separarli con la
magia. Così Megor aveva mezza coda e Baltor aveva una specie
di escrescenza
sulla punta, ma almeno i due draghetti verdi non si davano sui nervi a
vicenda.
La più
piccola aveva poche settimane, era di un nero brillante,
come se le sue squame invece di essere opache e assorbire la luce la
riflettessero tutta. Eragon era stato molto indeciso sul nome da darle,
alla
fine aveva scelto per Sciurica, per omaggiare in qualche modo il drago
nero che
non aveva potuto scegliere il proprio destino; così quella
variante più morbida
del nome gli era sembrato il modo migliore.
Arrivarono alla rupe
che sorgeva solitaria tra i prati,
la dimora dei draghi; furono accolti dai quattro più grandi,
la piccola sarebbe
restata con gli elfi ancora per un po’. Dopo essersi
premurati che tutti
stessero bene e che si fossero nutriti tornarono in cielo, diretti
qualche
miglio più a ovest per incontrare gli elfi.
Atterrati sul prato
coperto di piccoli fiori diedero un
occhio a il grande castello che stava crescendo –
letteralmente – tra venti
faggi; non mancava molto al suo completamento, ma i lavori procedevano
lenti.
Ci voleva una grande quantità di energia per plasmare i rami
degli alberi a
proprio piacimento e se già era difficoltoso con case
normali costruire un
castello che avrebbe dovuto contenere più draghi e vari
giovani cavalieri era
un’impresa titanica; anche se aveva concesso loro alcuni
Eldurnari i lavori
rischiavano di protrarsi per altri sei mesi. In quel tempo gli elfi
avevano costruito
un capo di tende proprio davanti all’insieme di alberi,
mentre Eragon aveva
preferito costruire una casa a dieci minuti di volo da lì,
in beata solitudine,
sopra un salice.
Si informò
sui progressi di Sciurica e di come stessero
procedendo i lavori. Dopo essersi unito agli ultimi incantesimi della
giornata cenò
con loro, raccontandosi di come fosse andata la giornata e ricordando
del
passato. Il passato veniva da tutti descritto con zuccherosa
malinconia, ma
presto sostituita dalla bellezza di quella nuova realtà
tutta loro.
Per Eragon era diverso,
lui del passato parlava con
amarezza, gli riservava parole di fiele. Ogni ricordo, anche se bello,
portava
con se la consapevolezza di una vita rubata, qualcosa che non sarebbe
mai più
stato suo; era stato considerato un eroe, ma quando poi aveva chiesto
una
ricompensa, quando aveva chiesto ad Arya di seguirlo lei si era
rifiutata. Non
poteva biasimarla; anche dopo tutto quello che avevano fatto,
sacrificato
dovevano portare avanti i loro dovere e dopo che il dolore iniziale si
era
acquietato era riuscito a capire che la sua era solo un infatuazione
infantile.
Forse in fondo in fondo
l’amava ancora, ma non sarebbe
mai riuscito a perdonargli quello che gli aveva fatto. Così
aveva deciso di
dare un taglio netto alla sua vecchia vita; ora i messaggi che
arrivavano una
volta al mese dalle due regine li ricevevano solo gli elfi e lui aveva
dato
ordine di riferirgli solo cose indispensabili, come guerre, carestie,
la
schiusa di un ovo, ma ancora nessuna di quelle notizie era giunta alle
sue
orecchie.
Se ne andò
dal campo quando la luna iniziava a salire in
cielo e arrivarono al loro alloggio che le stelle brillavano
già intense;
Saphira lo lasciò solo e partì per la sua caccia,
mentre lui decise di riempire
la stanza da bagno e di rilassarsi un po’ prima di andare a
riposare. Si
spogliò e dopo aver aggiunto all’acqua delle
essenze profumate scivolò dentro
alla vasca, godendosi il tepore e lasciando che i muscoli indolenziti
dall’allenamento si rilassassero; ma il suo proposito venne
spazzato via quando
sentì un tonfo proprio sotto la sua abitazione.
Il rumore era
spaventosamente simile a quello che faceva
Saphira quando atterrava, ma era piuttosto sicuro che la dragonessa non
sarebbe
tornata prima dell’alba e i draghi più piccoli non
avrebbero fatto tutto quel
baccano, poiché pesavano ancora poco. Il suo primo pensiero
fu Arya.
Prese il telo per
asciugarsi e lo avvolse frettolosamente
alla vita, poi con passo sicuro si diresse verso il balconcino, ma per
buona
misura afferrò anche la spada; completamente dimentico che
per scoprire chi
fosse poteva usare la mente, tanto era fisso sul pensiero
dell’elfa. Uscì e la
luce argentea della luna si riflesse sulle squame rosse di Castigo.
In quel momento le sue
difese mentali si intensificarono
e lui estrasse la spada dal fodero; Murtagh aveva detto che non sarebbe
più
tornato, o almeno non nel breve periodo, quindi lui non sapeva cosa
pensare, in
più non aveva nemmeno Saphira vicina. Si appuntò
mentalmente che non potevano
rimanere senza difese, anche se quelli erano tempi di pace; erano stati
ingenui.
«Veniamo in
pace» la voce roca di Murtagh lo rassicurò un
po’ con quelle parole nell’antica lingua, ma si
costrinse a non abbassare la
guardia. «Perché sei qui, Murtagh?» Il
sospetto evidente nella voce. Il più
giovane stette a guardare mentre il moro, aiutato da Castigo si calava
sul suo
balcone, proprio di fronte a lui.
«Ho un
problema» e detto questo scoprì il fagotto di
coperte che aveva tra le braccia, rivelando il viso arrossato e
leggermente
paffuto di un bambino nato da poco.
NOTE DELL’AUTRICE:
Salve a tutti; in questo periodo mi
sento molto ispirata,
quindi ecco a voi questa nuova FF. Inizio subito col dire che
sarà molto all’insegna
delle avventure domestiche, più che vere e proprie
battaglie… Ma sarà comunque
difficile per i protagonisti “cavare un ragno dal
buco”. Spero vivamente che l’idea
vi piaccia.
Ciao a tutti, Ortceps
P.S. lasciatemi una recensione ;) apprezzo molto tutti i
pareri, consigli, critiche costruttive – e perché
no? – anche complimenti.
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Sociale - Messaggio No Profit:
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Capitolo 2 *** 1 - Tra tenerezze e pannolini ***
1 – TRA
TENEREZZE E
PANNOLINI
Nel vedere la faccetta
paffuta del bambino Eragon
dimenticò ogni buon senso e si avvicinò
all’amico lasciando la spada dietro di
se; il piccolo era assopito tra le braccia del riccio, avvolto stretto
nelle
coperte che quasi sembrava soffocare, cosa testimoniata anche dalle
guance
rosse. Senza essere troppo sicuro allungò le mani e Murtagh
glielo cedette
volentieri, sospirando subito dopo, come se si fosse liberato di un
peso.
Allentò le
coperte e subito il bambino iniziò a respirare
più facilmente «L’avevi stretto
troppo» lo ammonì con sguardo cupo e severo,
Murtagh non vi badò più di tanto e
scrollò le spalle. Non era cambiato
dall’ultima volta che lo aveva visto, solo i suoi lineamenti
si erano fatti più
spigolosi; nel complesso era rimasto lo stesso, gli occhi forse erano
meno
cupi, ma questa poteva essere solo una sua impressione.
«Spiegati»
sbottò poi, non intenzionato a lasciare alcuna
via di scampo all’altro. Murtagh lo guardò
rancoroso, sembrava quasi che
volesse darsela a gambe, ma alla fine capitolò
«Quello – indicò il fagottino
–
è mio figlio»
«Come
è tuo figlio?» Non gli sembrava possibile che
Murtagh potesse avere un figlio; però, ripensandoci si
catapultava qui con
l’aria di uno che ha visto uno spettro e con un bambino in
braccio l’idea
avrebbe dovuto sfiorarlo.
«Andiamo
Eragon! Non dirmi che ti devo spiegare come si
fanno i bambini» a quelle parole non riuscì ad
impedirsi di arrossire, ma sperò
che con solo la luce della luna Murtagh non lo notasse. «E
prima di continuare
questa chiacchierata non potremmo
entrare, metterci comodi e magari tu potresti indossare qualcosa di
meno…
bagnato» fece riservandogli un’occhiata dalla testa
ai piedi.
«Va
bene» acconsentì poi, gli fece strada verso il
tavolo
e quando si fu seduto gli mise il bambino in braccio, sibilandogli un
tieni
poco gentile, per poi dirigersi verso la stanza da letto.
Quando tornò
trovò Murtagh che fissava intensamente il
bimbo addormentato, sembrava deciso a farlo scomparire con la sola
forza dello
sguardo; sospirò abbattuto, si prospettavano tempi duri per
lui. Possibile che
appena si era adattato a quella nuova vita quell’imbecille di
Murtagh doveva
presentarsi alla sua porta con un bambino in braccio. «Va
bene, spiega» si
sedette di fronte a lui e si preparò ad ascoltarlo.
«Beh, sai
come vanno queste cose» iniziò il moro ed
Eragon fu sul punto di fermarlo e dirgli che, anche se aveva
vent’anni, non
aveva idea di come andassero certe cose; ma si trattenne e
annuì solamente «Ho
incontrato sua made l’anno scorso; è stata
un’avventura, niente di più. Solo
una volta, ma è bastata per…»
sollevò il bambino con uno sguardo cruciato; era
evidente che non lo voleva. «L’ho incontrata ancora
il mese scorso, mancava
poco al parto; comunque era d’accordo con me sul prendersi
cura da sola del
bambino, io le avrei portato ogni tanto qualche soldo per allevarlo al
meglio»
Qualche
soldo?!
Pensò con rabbia; per quell’idiota pensava che per
sostituire un padre bastasse
qualche soldo. Assottigliò le labbra, ma se avesse detto
quello che aveva in
mente non avrebbero finito quella conversazione in tono pacifico,
quindi lo
lasciò continuare.
«Sono tornato
il mese dopo, tre giorni fa e ho trovato
una donna che cercava di vendere il bambino come schiavo; da quella ho
saputo
che la madre era morta di parto e che non c’era nessuno in
grado di prendersi
cura del neonato, così l’ho preso io» e
qui veniva il punto cruciale. «Perché
sei venuto qui?» Chiese ancora Eragon, ormai aveva capito il
motivo ma voleva
sentirlo uscire dalle labbra del riccio.
«Io non ho
idea di come si faccia il padre, tu saresti
più bravo di me e con te starebbe meglio. Sei
affidabile» soffiò in fine il
Cavaliere Rosso. Eragon trattenne la raffica d’insulti che
gli salirono alla
gola come bile.
«E io sono la
prima persona, affidabile, che ti
è venuta in mente?» Chiese con il tono di chi ha
voglia di strozzare il proprio interlocutore. A dir la
verità Eragon era la
seconda persona a cui aveva pensato di lasciare il piccolo, ma la prima
era
stata Nasuada e pensare a come sarebbe potuta andare se lo avesse
portato da
lei gli metteva i brividi.
“No Nasuada, non
sono tornato perché ti amo; volevo solo chiederti se potevi
occuparti di mio
figlio, mio e di un’altra donna… Addio”
non era proprio il massimo della
galanteria; tra i due mali, alla fine, aveva scelto il minore. Ma
questo non lo
disse al castano.
«Non mi
prenderò cura del bambino al tuo posto» aggiunse
duro Eragon, per poi ammorbidire leggermente la voce e specificare
«ma ti
aiuterò e potrai rimanere a vivere qui» che cosa
lo avesse spinto ad offrirgli
un posto dove vivere e il suo aiuto non lo sapeva neppure lui; forse
alla fine
un figlio lo desiderava
*
Sistemarono il bambino
nel letto di Eragon, che era abbastanza
grande per tutti e tre, ma Murtagh si accontentò del piccolo
divano che stava
nella stanza attigua. Avrebbero pensato il giorno dopo a una
sistemazione più
confortevole. Appena pronto il piccolo giaciglio il Cavaliere Rosso
crollò
addormentato, tanto il viaggio lo aveva stremato.
Tornato nella sua
camera il castano trovò il bambino placidamente
assopito in mezzo alletto, i pugnetti leggermente alzati, come se
volesse
segnalare la sua presenza. Avvicinandosi un po’ di
più si accorse che una delle
due manine era posata proprio sopra la bocca del bimbo, che teneva fra
le
labbra il pugnetto succhiandolo leggermente.
Quella vista
riuscì a scaldargli il cuore e a gelarglielo
nello stesso momento. Come faceva Murtagh a volersi sbarazzare di
quella
creaturina innocente? Non aveva forse sofferto anche lui per un padre
assente e
violento? Perché voleva che un innocento, come lo era stato
lui, patisse una
tale pena?
Prese il bambino in
braccio e gli passò una mano sulla
peluria corvina che aveva sulla testa, trovandola morbida e soffice. In
quello
stesso momento si rese conto che non aveva idea se quel bambino fosse
maschio o
femmina; aveva dato per scontato che fosse un maschio,
perché Murtagh diceva mio figlio
e non mia figlia, ma questo poteva
significare tutto e niente. In più non
sapeva neanche quale fosse il suo nome. E soprattutto se
l’aveva un nome. Sicuramente
Murtagh non s’era preso il disturbo.
Scostò e la
sottile seta elfica che lo avvolgeva più
volte per scoprire il piccolo petto del bambino che si alzava e
abbassava al
ritmo con il respiro. Appena sotto l’ombelico, ancora
leggermente rosso per il
taglio del cordone ombelicale, e prima delle gambine tozze
c’era una specie di
pezza di stoffa, sicuramente più rozza della seta elfica.
Copriva le parti
intime del bambino e emanava uno odore sgradevole.
Svegliato dal rozzo
trattamento il bambino si mordicchiò
il labbro, o almeno avrebbe fatto quello se avesse avuto i denti,
perciò il
risultato fu un buffo suono di risucchi mentre il labbro finiva nella
boccuccia
e le gengive rosee sporgevano in fuori. Eragon sorrise intenerito; gli
occhi
ancora liquidi erano azzurro chiaro, incorniciati da lunghe ciglia nere.
Era un bambino
stupendo; aveva un piccolo nasino all’insù,
sicuramente ereditato dalla madre. Mentre le labbra carnose e rosse
erano uno
stupendo lascito del padre, come una rosa rossa sul manto perlaceo
della pelle
bianca.
Le riflessioni di
Eragon vennero interrotte dallo strillo
del bambino, che sembrava non gradire la stretta delle mani del
cavaliere sotto
le ascelle. Preso alla sprovvista Eragon sussultò, facendo
piangere più forte
il bambino; con il rischio di svegliare Murtagh, nella stanza accanto.
«No. No, non
piangere. Così sveglierai il tuo papà. No,
dai piccolo… Ti metto giù, va bene?» E
detto questo lo posò sul letto, ma il
bimbo prese a dimenarsi e a piangere con insistenza. Dire che non aveva
idea di
come comportarsi era dir poco.
Certo, lui non aveva
esitato un secondo nell’uccidere un
tiranno centenario ed ora si trovava in estrema difficoltà a
calmare un
neonato. Quel che si dice l’ironia.
«Piccolino
per favore» si trovò a pigolare; un forte
guerriero che prega un bimbo perché smetta di piangere.
Sperò che se un giorno
fossero state raccontate le sue imprese quel particolare frangente
sarebbe
stato omesso, altrimenti anche la donna meno coraggiosa avrebbe riso di
lui.
Il bimbo, nel sentire
la sua voce lamentosa sembrò
chetarsi; puntò i suoi occhietti azzurri su di lui e
incurvò le labbra in un
sorriso sdentato. “Ecco, anche lui si prende gioco di
me” pensò amaramente, ma
comunque sollevato di non sentire più il bambino
piagnucolare.
«Va
bene» disse «vediamo cos’hai
qui» e slegò i due nodi
dello straccio ai fianchi del bambino, scoprendo che era un maschietto
e una
bella sorpresina, che emanava un odore al pari dello sterco di drago,
anche se
era molto più liquido.
«E ora che
dovrei fare?» Chiese in direzione del piccolo,
che gli riservò un risolino come risposta; l’unica
cosa che gli venne in mente
fu ripulire quel pezzo di stoffa grezza con la magia e rilegarla
intorno alla
vita del neonato. Quando ebbe finito lo riportò sul letto,
facendogli
appoggiare la testa tra i due guanciali e coprendolo con la seta elfica
in cui
era avvolto.
Si distese di fianco a
lui, dopo aver spento la candela e
rimase ad osservare i suoi occhietti farsi meno vispi e infine
chiudersi,
mentre gli accarezzava una guancetta paffuta con l’indice.
NOTE DELL’AUTRICE
Buona sera a tutti; per prima cosa mi
scuso per il ritardo,
ma il mio computer è stato rotto fino ad oggi e io ho appena
finito di scrivere
il capitolo, quindi spero mi perdoniate se non è
lunghissimo. Comunque si
iniziano a capire un po’ di cose e vediamo Eragon alle prese
con i primi
inceppi del genitore… Spero vi sia piaciuto e vi prometto
che non ci sarà da
aspettare così tanto per il prossimo aggiornamento.
Ringrazio tutti coloro che hanno recensito; sono molto felice
che la storia vi sia piaciuta!!! E spero continuerete a seguirla.
Ringrazio
anche coloro che leggono silenziosamente, spero che anche a voi piaccia
la FF
;)
Ciao a tutti e alla prossima
Ortceps
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Capitolo 3 *** 2 - Aiden ***
2 – AIDEN
Il giorno seguente
venne svegliato dalla preoccupazione
di Saphira, che invase la sua mente prepotente come un uragano. In quei
pochi
secondi prima che ricordasse gli avvenimenti della sera precedente si
allarmò,
pensando che vi fosse una minaccia incombente; poi appena i suoi occhi
si
soffermarono sul visetto arrossato del bambino tutti gli
tornò alla mente.
“Calma, Saphira! Castigo
è qui con Murtagh, non sono una minaccia”
e condivise i ricordi di quella
strana discussione avuta con l’amico-nemico. “Ci credo che l’abbia portato qui, non ce
lo vedo proprio Murtagh a
crescere il bambino” la sua voce trasudava
ilarità ed Eragon si sentì
irritato e deluso.
Questo non
giustifica il fatto che volesse andarsene, è compito suo
prendersi cura del
bambino” Saphira rimase in silenzio per qualche
secondo, meditabonda. “Non riesco a
capire le dinamiche di quel che
voi umani chiamate famiglia, per la mia razza è diverso: noi
scegliamo un
compagno, che resta con noi mesi, anni, forse per sempre; ma i cuccioli
nascono
e devono cavarsela da soli, non sentiamo questo legame con la prole.
Quindi
scusami se non riesco a comprendere i tuoi sentimenti”
Sospirò; non
pretendeva che la sua compagna di mente e di
cuore capisse, ma apprezzava lo sforzo. Si alzò dal letto,
prendendo in braccio
il pargoletto che ancora sonnecchiava. Era stato fortunato, solitamente
i
bambini si svegliavano più volte di notte, ma nel suo caso
il bimbo aveva
dormito sereno, lasciandolo a un meritato riposo.
Nella piccola sala da
pranzo Murtagh stava addentando una
mela, mentre osservava alcune foglie che cadevano dagli alberi
strappate dai
propri rifugi dal forte vento mattutino.
«Buongiorno» soffiò Eragon,
sopprimendo uno sbadiglio.
«Ciao»
la voce del Cavaliere Rosso rimase indifferente,
mentre continuava, ostinatamente, a tenere lo sguardo fisso sulla
pianura che
si estendeva sotto la casa. «Vuoi tenere tuo
figlio?» chiese il ragazzo con
voce più dura di quanto avesse voluto, incontrando
così finalmente gli occhi
neri di Murtagh, che lo scrutavano attraverso le cigli scure, tanto
erano
assottigliate le palpebre.
«Dammi»
disse dopo una lunga riflessione, allungando le
braccia verso di lui. Eragon non riuscì a trattenere un
sorrisetto nel sentire
la voce dell’altro dire quell’unica parola,
ricevendo in cambio un sonoro
sbuffo di risposta.
Le braccia di Murtagh
si chiusero sul fagottino che era
suo figlio con malcelato nervosismo, reso tutto più buffo
dal fatto che era
palese quanto il cavaliere non fosse capace di tenere un bambino in
braccio.
Teneva le braccia separate, tanto che il corpo del bimbo si curvava
verso il pavimento,
in una posa spiacevole e terribilmente scomoda, tanto che il bambino si
svegliò
emettendo un lungo strillo.
«Ecco»
sbuffò Murtagh «è inutile che io ci
provi, non ci
riuscirò mai» detto questo cercò di
sistemare le braccia in modo da mettere a
proprio agio il bambino, riuscendo solo a metterlo a testa in
giù. Quei
movimenti fecero agitare ancor di più il bimbo, che si mise
a urla e piangere,
agitando le manine paffute in segno di protesta.
«Aspetta,
chiudi le braccia e raddrizzalo» cercò di
spiegare Eragon, sentendosi alquanto ridicolo, visto che anche lui di
bambini
sapeva poco. Murtagh cercò di seguire i suoi consigli, ma si
ritrovò le mani
impigliate nella stoffa e il bambino ancora più scalciante e
inviperito di
prima.
Eragon si
avvicinò velocemente a loro, per aiutare il
ragazzo più grande; prese nuovamente in braccio il piccolo
lasciando il tempo a
Murtagh di liberarsi dei quella specie di copertina, che si era
trasformata in
manette di stoffa. Appena fu libero Eragon gli passò
nuovamente il bambino,
ancora in lacrime, e l’altro lo prese sotto le ascelle
guardando torvo il
faccino rosso e congestionato.
«Non gli sto
simpatico» borbottò a massa voce il
Cavaliere Rosso ed Eragon dovette trattenersi dal ridere.
«No, è solo il tuo
modo di tenerlo che non gli piace»
«Come dovrei
tenerlo, allora?» Sbuffò cercando di
posizionare le braccia come le aveva messe Eragon poco prima, sibilando
una
serie di imprecazioni quando il bambino si rimise a strillare. Eragon
gli si
avvicinò ancora di più, fermandogli gli
avambracci con le mani e posizionandoli
in modo che il bimbo potesse stare comodo e finalmente questi si
chetò.
«Ecco»
mormorò soddisfatto il castano, osservando la sua
piccola opera. Murtagh teneva finalmente il bimbo decentemente, le
piccole
gambine che si dibattevano allegramente fuori da
quell’abbraccio; un braccio
del cavaliere sotto il sederino e l’altro sotto il collo e le
spalle. Questo
fece ammansire il bambino, che si mise a fissare i capelli ricci di
Murtagh con
sguardo adorante, allungando una manina verso di essi.
«Non mi hai
ancora detto come si chiama» disse Eragon,
ricordandosi solo in quel momento il pensiero che gli era balenato
nella mente
solo la sera precedente. Il moro sollevò lo sguardo verso di
lui ed Eragon
avrebbe potuto giurare che fosse uno sguardo imbarazzato, e infatti
disse: «Non
ha un nome, non ancora» si affrettò a specificare,
«non ci ho proprio pensato e
sua madre non ha fatto in tempo a dire come avrebbe voluto
chiamarlo»
«Bè,
allora scegli ora» si limitò a dire il
più giovane
con una scrollata di spalle. «Hem, non saprei. E non voglio
dargli un nome
stupido ed insignificante»
«Sì
certo, hai ragione. Pensaci, io intanto vado a
spiegare a Saphira cos’è successo» detto
questo prese un frutto dalla cesta sul
tavolo e si diresse sulla balconata, sedendosi in riva con le gambe a
penzoloni.
*
Alla fine Murtagh aveva
deciso di chiamarlo Aiden Oromis
Murtaghsson; il secondo nome scelto per ricordare ad Eragon il suo
maestro e a
lui la sua colpa.
E quando Eragon era
rientrato lo aveva persino trovato a
canticchiare qualche strana filastrocca mentre cullava –
forse un po’ troppo
bruscamente – Aiden; naturalmente appena lo aveva visto aveva
smesso, assumendo
un’aria neutra e informandolo con poco coinvolgimento del
nome del bambino.
Alla fine avevano anche
deciso di recarsi nell’accampamento
elfico il pomeriggio stesso, poiché continuare a nutrire un
bambino solo con l’energia
non era certo salutare e loro non avevano né del latte
né qualcosa con cui
darglielo. In più si dovevano procurare un lettino e tutto
il necessario per il
bambino.
«Eragon»
la voce di Murtagh lo distolse dai suoi
pensieri, facendolo tornare coi piedi per terra «mi chiedevo
se tu sei ancora
sicuro di volermi qui» il castano si raddrizzò sul
divano, scostando Aiden dal
suo petto – ancora mezzo addormentato - e
fronteggiando il più grande con la fronte corrucciata.
«Non starai
pensando ancora ad andartene?» Chiese
sospettoso; per quanto fosse più portato di Murtagh coi
bambini non era affatto
sicuro di poter riuscire a crescerne uno da solo e in più
non aveva intenzione
di far scappare il moro lontano dalla possibilità di avere
una famiglia.
Perché lui
lo sapeva, ciò di cui aveva paura Murtagh era
affezionarsi alle persone; una paura, allo stesso tempo, stupida e
terribilmente reale. Perché affezionarsi era stupendo, ma
perdere chi si vuole
bene era uno strazio terribile.
«No, non sto
pensando di scappare; continuo a pensare di
non essere adatto a fare il padre, ma non sono un ragazzino
piagnucoloso e
viziato e non ho intenzione di lasciarti da solo a gestire un mio
sbaglio,
almeno fin che tu non me lo chiederai»
«Allora puoi
metterti l’anima in pace, perché non ti
chiederò di andartene. E se tu dovessi provarci ti verrei a
cercare» aggiunse
con finta aria minacciosa, ma nulla di quello che aveva detto era una
bugia.
Pranzarono con
formaggio, carne – Eragon aveva smesso di
seguire la dieta elfica – e qualche verdura, accompagnando il
tutto con dell’idromele,
mentre Eragon raccontava di quella terra e Murtagh ascoltava
distrattamente,
perso nei suoi pensieri.
Alla fine, forse, non
gli sarebbe dispiaciuto avere
quella specie di famiglia mal assortita. D’altronde lui,
sotto sotto, aveva
sempre desiderato avere una famiglia. Quella era la seconda vera
occasione che
gli si presentava e
sperava vivamente
che Eragon gli impedisse di mandarla all’aria come aveva
fatto con la prima.
NOTE DELL’AUTRICE
Salve a tutti ;) eccomi con il nuovo
capitolo, spero che vi
sia piaciuto e di non averci lasciato errori-orrori. In questo veniamo
a
conoscenza del nome del bambino; spero che Aiden sia un nome che vi
piaccia
(piccolo rimando a Teen Wolf, sono incurabile…). Che dire
ancora? Non ho
lavorato molto sui pensieri di Murtagh ed Eragon, forse un
po’ sulla parte
finale, ma ho intenzione di faro nei prossimi capitoli,
perché voglio aspettare
che i due siano un po’ più in confidenza
– e di rimando lo siano anche con me, perché
sì; se i personaggi non sono in confidenza con me e con gli
altri personaggi
non riesco a farli pensare come penserebbero sul serio, ma solo come
peserei
io; lo so è strano…
Detto questo vi saluto: Ciao e alla prossima
Ortceps
P.S. COSA MOLTO IMPORTANTE!!! Sto
cercano qualcuno che
faccia da beta reader per questa storia, se siete interessate/i
contattatemi
tramite messaggio privato o recensione; mi fareste un grosso piacere
perché io
non ho mai tempo per rileggere.
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Capitolo 4 *** 3 - Cambiamenti ***
3 – CAMBIAMENTI
Alla fine fu solamente
Eragon ad andare dagli efli,
Murtagh era riuscito a saltare quella spiacevole incombenza con la
scusa,
abbastanza sensata, di dover ancora abituarsi ai contati umani e non.
Dopo anni
di solitudine diventava difficile interagire con altre creature
senzienti per
più di pochi minuti.
Così Eragon
aveva dovuto sopportare da solo uno
spiacevole interrogatorio, dove si era addirittura arrivati ad
insinuare che
fosse lo stesso cavaliere ad aver partorito il bambino, cosa che aveva
lasciato
spiazzato l’uomo. L’unica cosa che era riuscito a
ribattere sul momento, rosso
in viso, era stata: «Ma mi avete per caso visto con la
pancia?»
A quella frase
Blodgrham aveva scrollato le spalle, cosa
che aveva dato coraggio ad Eragon di chiedere di più
sull’argomento. «E poi
com’è possibile che un uomo partorisca?»
a quella domanda l’elfo aveva risposto
con disarmante semplicità, se la magia era in grado di
curare i morituri perché
non doveva essere capace di creare una vita da due corpi maschili? E
rispondere
ad una tale affermazione era presso che impossibile.
Così solo
dopo quattro ore passate in compagnia degli elfi
era riuscito ad avere tutto quello che serviva ad Aiden. Non vedeva
l’ora di
stendersi sul suo letto e non vedere nessuno per i prossimi cinque
anni, adesso
riusciva a capire perché Murtagh non fosse voluto venire e
credeva anche che
fosse meglio così, d’altronde non era sicuro di
come si sarebbe comportato il
Cavaliere Rosso dopo le insinuazioni che avevano fatto gli elfi e non
era
ancora pronto a rinunciare ad un arto o a qualche elfo in meno.
«Ciao»
lo salutò Murtagh al suo rientro, lui gli rivolse
uno stanco cenno del capo come unica risposta, cosa che
portò il moro ad
indagare ulteriormente: «Allora? Abbiamo tutto quello che ci
serve?»
«Sì»
sospirò, accasciandosi sul divanetto vicino a
Murtagh, che gli rivolse uno sguardo perplesso «Ho la culla,
delle copertine,
latte di capra e di mucca. E persino una sacca fatta con la mammella di
una
capra per dargli da mangiare» aggiunse riservando una smorfia
all’ultima cosa
della lista.
«Allora
perché sei così abbattuto?» Chiese il
più grande,
passandogli il pargoletto che era comodamente assopito tra le sue
braccia. Ma
quel bambino dormiva sempre?
«Nulla,
è solo che gli elfi non sanno farsi gli affari
propri» sbottò buttando la testa
all’indietro, lasciando scoperto in collo e la
cicatrice bianca che faceva bella mostra su di esso, Murtagh la
sfiorò con
l’indice facendolo sobbalzare. «Cosa hai fatto qui?
Non ricordavo che tu ce
l’avessi l’ultima volta che ci siamo
visti»
«Non
l’avevo» ammise lui con voce fioca, restio ad
aggiungere altro sull’argomento. Il suo tentativo poco
convinto di togliersi la
vita non era tra la lista dei suoi argomenti preferiti.
«Come
l’hai fatta?» Tentò ancora il moro,
ricevendo come
sola risposta uno sguardo di fuoco da Eragon. «Non ho voglia
di parlarne, né
ora né mai, quindi fammi il piacere di non chiedermelo
più» il tono di voce era
rabbioso e risentito, ecco il modo migliore per risvegliare la
curiosità del
Cavaliere Rosso. «Va bene» disse infine, preferendo
rimandare quel discorso ad
un altro giorno.
Eragon tornò
a sedersi, rivolgendo tutta la sua
attenzione al bambino, che si era svegliato e piagnucolava per colpa
del tono
di voce che aveva usato il castano. «Dovresti provare a
dargli da mangiare,
visto che ora abbiamo tutto il necessario»
«Perché
non lo fai tu? D’altronde sei tuo suo padre! Non
io» Murtagh gli rivolse un’occhiata obliqua, ma non
fece commenti e si alzò
solamente per andare a prendere tutto il necessario. Tornò
pochi minuti dopo
con del latte di mucca caldo, dentro a quella sacca-mammella poco
attraente
alla vista; la passò ad Eragon, che la prese con poca
cortesia. Appena
accostata alla bocca del piccolo quello si mise a succhiare avidamente.
«Ho messo un
po’ di miele su quell’affare, per renderlo
più piacevole» Eragon annuì senza
guardarlo, non era colpa di Murtagh se era
stato uno stupido, ma doveva prendersela con qualcuno e non poteva
avercela con
se stesso perché sarebbe stato più difficile
perdonarsi.
«Gli elfi
hanno detto che dobbiamo comunque dargli
dell’energia perché cresca bene, il latte umano
contiene molti più zuccheri di
questo» Murtagh annuì brevemente poi
posò una mano sulla fronte di Aiden e gli
cedette un piccola quantità di energia.
«Io vado a
dormire, la culla la sistemiamo domani?»
Eragon annuì e solo quando il moro stava già
oltrepassando la porta della
propria camera gli augurò buona notte, cambiando idea sul
mantenere quell’aria
arrabbiata.
«Buona notte,
Eragon» gli rispose l’altro senza voltarsi
«Buona
notte, Aiden» aggiunse chiudendosi la porta alle spalle.
DUE MESI DOPO
Il sorriso di Eragon si
accentuò; Aiden emise un risolino
e schizzò un altro po’ di pappa sulla casacca di
Murtagh, che storse il naso e
slacciò il nodi della camicia irrimediabilmente macchiata
dal miscuglio che era
il pasto del bambino.
«Due mesi che
siete qui e Aiden ha combinato più casini
di chiunque altro» Murtagh gli lanciò
un’occhiata seccata, strattonando i
laccetti della casacca. «Io te l’ho detto che
è presto per quella roba» indicò
i residui di brodo nella ciotola davanti a Aiden.
«Sì,
ma è stato comunque divertente»
sogghignò il più
giovane. «Per te, forse» e gli lanciò in
faccia la camicia sporca; facendo
emettere all’altro un verso di disgusto, mentre si levava la
camicia di Murtagh
dalla faccia.
Il moro si
passò una mano tra i capelli, rabbrividendo;
l’’inverno era ormai giunto e un sottile strato di
brina copriva già la
vegetazione esterna e anche se dentro la casa non c’era
abbastanza freddo per
far congelare qualcuno non si poteva stare a petto nudo senza sentire
l’umidità
insinuarsi nelle ossa.
«Dovresti
metterti qualcosa addosso» lo rimbeccò Eragon
distogliendo gli occhi da lui, con un accenno di rossore sulle guance.
Era
qualche settimana che il castano si comportava in modo strano, quasi
rigido e
impostato e lui non ne capiva proprio il motivo.
Annuì con
poca convinzione e prese un’altra casacca dal
piccolo armadio in camera sua, infilandosi la stoffa morbida ma
comunque
pesante si sentì subito meglio; era prodigioso come gli
indumenti elfici anche
se sottili allontanassero il freddo.
«Allora,
portiamo il principino dagli elfi come avevamo deciso e andiamo ad
allenarci?»
Chiese stendendosi sul divano e lasciando ciondolare la gamba destra
oltre il
bordo di stoffa.
«Sì,
lasciami solo finire di dargli da mangiare»
***
Il vento accarezzava il
viso di Eragon torcendogli i
capelli di lato; li aveva lasciati crescere, per un istinto che non
riusciva a
comprendere a pieno. Sentiva il bisogno di distaccarsi dalla persona
che era
prima, per definirsi nuovamente e non restare per sempre un ragazzino
troppo
giovane che per affrontare la guerra ha dovuto sacrificare troppo.
In qualche modo sapeva
che restare quel ragazzo non
l’avrebbe aiutato ad andare a vanti; perché
l’uomo che era diventato in guerra
non poteva sopravvivere in tempo di pace. Il primo cambiamento che
aveva
apportato era stata la sua rutine, poi era arrivato Aiden e si era
concesso di
poter amare qualcuno; cosa che l’uomo che era stato non
avrebbe accettato, per
paura di perdere anche quella nuova scintilla di amore.
C’era stato
un tempo, prima che il ragazzo fosse
cresciuto, che si era concesso fin troppi errori: troppo persone a cui
volere
bene. Non aveva smesso di amarle nemmeno dopo essere cresciuto,
né aveva smesso
di soffrire per loro.
Ma aveva smesso di
affezionarsi.
Aiden era stato il
primo bocciolo cresciuto su un campo
d’erba secca e gialla; piccolo e indifeso, ma ben protetto.
Non c’era più
niente che minacciasse la sua vita o quella del reame.
Schivò un
fendente di Murtagh; nemmeno il suo corpo si
muoveva più come prima. Non era rimasta traccia di quella
frenesia quasi
animale che lo animava sul campo di battaglia; ora la spada si muoveva
fluida,
quasi liquida. Colpiva con eleganza estrema, ma mai inutilmente; il suo
modo di
combattere rassomigliava più a quello elfico che a quello
umano; una danza di
morte ed eleganza.
Anche il suo corpo era
cambiato, diventando più
spigoloso, ma senza lasciare che la sua natura umana sparisse del
tutto. Il
viso era ancora espressivo, le spalle conservavano la curva dolce
tipica della
sua razza e così anche la schiena; gli addominali erano
appena accennati, sotto
il leggero strato di grasso – anche quello frutto della nuova
rutine.
Appena distanziatosi
abbastanza dall’avversario aprì
leggermente il braccio destro, spostando la guardia e lasciando
scoperto il
corpo; scattò in avanti, puntando verso il fianco sinistro
di Murtagh e quando
fu a pochi passi da lui ripotò la spada al centro del petto
compiendo un grosso
semicerchio. Se quell’azione si fosse conclusa come sperava
avrebbe colpito il
moro in viso con il piatto della lama; ma Murtagh non era uno
sprovveduto ed
era comunque più veloce di lui.
Il Cavaliere Rosso,
vedendolo puntare al suo fianco non
aveva badato alla lama blu ancora scostata dal corpo di Eragon; ma
anche se la
sua attenzione non le aveva dato la massima importanza i riflessi che
aveva
acuito negli anni non si lasciarono sfuggire quel particolare. Si
abbassò così
velocemente che finì col sedersi sui talloni, mente la lama
sibilava sulla sua
testa; osservò il braccio di Eragon tornare verso il corpo
del castano con
tanto impeto che questi non riuscì a frenarlo abbastanza da
tenerlo in
posizione di guardia.
Brisingr puntava dietro
la schiena di Eragon, che aveva
il braccio destro stretto al proprio corpo in una specie di abbraccio e
stava
facendo forza sulla spalla per riportare la spada davanti a se. In quel
momento
Murtagh vide la possibilità di vittoria; caricò
il peso sui talloni e si lanciò
in avanti.
Colpì Eragon
allo sterno tanto forte da farlo cadere
all’indietro, nemmeno lui si salvò dal
precipitare, cadendo proprio sul più
giovane. Ma non si era lasciato sfuggire quel momento di vantaggio e
aveva
afferrato il braccio destro di Eragon tenendolo premuto contro il collo
del sottoscritto,
mentre con la mano che impugnava la spada – finita poco
lontano da lui, ma
abbastanza perché non riuscisse a riprenderla –
bloccava la sinistra di Eragon.
«Ho
vinto» disse stringendo le cosce in torno alla vita
del castano, per impedirgli di muoversi. «Sei caduto a terra
proprio come un
sacco di patate» lo sbeffeggiò bonariamente,
scuotendo la testa per scostare un
ciuffo di capelli che gli era ricaduto sul viso.
«Sì,
parla per te» sbuffò di rimando «e
comunque non
abbiamo ancora finito» e detto questo cercò di
liberare dalla presa di Murtagh
la mano della spada, ma riuscendo solo a spostare il braccio dal collo,
a
perdere la presa su Brisingr e a ritrovarsi entrambe le mani sopra la
testa e
l’avambraccio destro del moro premuto sulla gola.
Ancora quel sorrisetto
deficiente. «Smettila di
sogghignare in quel modo. Sei più grande di me è
ovvio che tu sia più forte»
sbuffò distogliendo lo sguardo dagli occhi neri del
più grande, che gli
facevano venir voglia di sorridere, anche se non c’era niente
da festeggiare.
«Ah,»
soffiò lui simulando un illuminazione «e io che
pensavo che fosse perché in questi due anni invece di
allenarti ti sei
trastullato, invece di allenarti. Sai, si sente che hai messo su
qualche chilo»
aggiunse con aria divertita, lasciando la presa sul collo e
pizzicandogli un
fiano.
Il viso di Eragon
divenne di un rosso preoccupante;
l’intera situazione era piuttosto imbarazzante. Con Murtagh a
cavalcioni su di
lui, le mani bloccate sopra la testa e la mano dell’altro su
un fianco non
sapeva cosa fosse peggio. «Murtagh,
per
favore, mi lasci» chiese, cercando di dissimulate almeno un
briciolo di
sicurezza, anche se l’ultima sillaba suonò
leggermente più stridula delle
altre.
«Neanche per
sogno» sogghignò quello «almeno non fin
che
affermerai che sono io il migliore; non mi è ancora andato
giù il fatto che tu
abbia vinto quel duello, due anni fa» la voce era seria, ma
gli occhi ridenti,
segno che non l’avesse presa a male come voleva far credere.
«Te lo puoi
scordare» rispose prima di ave passato le
parole al vaglio del cervello; perché era dannatamente
così impulsivo? Certo,
non disdegnava quella situazione; ma non voleva dare a Murtagh un
motivo per
fargli pensare che l’apprezzasse.
Dei, a volte si
chiedeva veramente che cosa gli passasse
per il cervello; aveva battuto un tiranno molto più forte di
lui e ora si
trovava in quella situazione dannatamente piacevole e imbarazzante
senza sapere
cosa fare. Da un lato voleva filarsela, ma dall’altro voleva
solo dire tutto
quello che aveva in testa.
Voleva dire che la
presenza del Cavaliere Rosso gli aveva
messo strane idee in testa – sicuramente dovute
all’isolamento autoimposto in
cui viveva, d’altronde era un ragazzo anche lui e aveva i
suoi bisogni –, che
forse gli voleva bene in modo diverso dall’amicizia e che non
era più sicuro di
nulla. Ma alla fine sapeva che non gli avrebbe detto nulla,
perché per quanto
forte fosse il desiderio di liberarsi la coscienza era più
forte la paura di
perderlo.
NOTE DELL’AUTRICE
Ok, non mi sono fatta sentire per un
po’, perdonatemi!!! Ma
un po’ tra questo capitolo che non voleva saperne di essere
scritto e un po’
tra impegni vari (che mi porteranno l’ontano
dall’Italia) non sono proprio
riuscita a fare più in fretta di così L
Spero veramente che il prossimo non si faccia attendere
tanto, ma parliamo del capitolo ora; creo che la storia stia prendendo
una
piega interessante – sì, anche se io sono di parte
– e mi è piaciuto un sacco
scrivere la parte in cui Eragon e Murtagh si allenavano!! È
quella che mi è
uscita con più facilità e credo sia anche la
meglio riuscita. Spero di aver
fatto capire che comunque Eragon sta cambiando, che sta cercando di
adattarsi a
questa nuova situazione di pace, cosa non facile e per questo non so se
sono
riuscita a esprimere al meglio questo suo tumulto d’animo;
non so, fatemi
sapere… Avrete anche notato che c’è un
salto temporale di ben due mesi; le
ragioni sono due: 1 non riuscivo a scrivere di quei due mesi e 2 li
trovavo
meno degni di nota.
Detto questo ringrazio tantissimo tutti coloro che nell’arco
della mia assenza hanno inserito la storia tra
preferite/seguite/ricordate, mi
fa molto piacere che vi piaccia – almeno spero che vi piaccia
–, ma ovviamente
anche chi l’aveva già inserita nelle sopracitate e
soprattutto chi ha
recensito. Per me è importante il vostro parere ;)
Grazie veramente a tutti e alla prossima,
Ortceps
P.S. Per chi volesse spoiler
– sì, ho deciso di allargarmi –
mi contatti su facebook, precisamente QUI
(spero si
apra, io e la tecnologia non andiamo d’accordissimo)
|
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Capitolo 5 *** 4 - Ritorno ***
4 – RITORNO
Il tempo è
qualcosa di così effimero, nulla può essere
più veloce e lento. Nulla può renderti
più felice e triste; qualcosa di
misurabile, ma allo stesso tempo incomprensibile ai nostri occhi. Non
c’era più
niente che Eragon ricordava più volentieri dei tempi in cui
la sua famiglia era
felice e libera da pensieri difficili.
Ma il tempo va avanti e
se tu non sei pronto a seguirlo
lascerà di te solamente miserie.
Poco tempo dopo il
primo compleanno di Aiden era a arrivata
una missiva per Eragon; recava la firma della regina degli elfi e
chiedeva al
nuovo “Capitano dell’Ordine” di recarsi
ad Alagaesia perché tre anni erano
passati e nessuna delle uova che aveva lasciato si era schiusa e tutti
speravano di ricevere nuove uova, magari più avvezze a
scegliere un compagno.
Il cavaliere allora ne
aveva parlato con Murtagh,
trovandolo restio ad accompagnarlo, ma alla fine il moro aveva
capitolato. Così
avevano preparato le poche cose che gli sarebbero servite ed erano
partiti.
Alla corte elfica
avevano trovato un’Arya entusiasta di
vederli e una regina buona, intelligente e carismatica; non era mai
stata più
sicura del suo ruolo e fiduciosa nelle sue capacità. Avevano
parlato molto
nella settimana che avevano passato nella capitale elfica e
così Eragon aveva
sincerato che nella sua antica terra andava tutto bene; nulla turbava
la pace
che avevano così faticosamente conquistato.
Lì avevano
anche fatto il cambio delle uova, con la
speranza che queste avessero scelto presto un compagno che andasse ad
ingrossare le fila dei Cavalieri.
Ma il loro viaggio non
si era concluso, avevano
proseguito verso Urbaen; alla volta di un’altra regina.
***
Il grande salone era
illuminato da mille candele che
riflettevano la propria luce sul pavimento dorato; le grandi vetrate
colorate
lasciavano entrare la luce bronzea del tramonto tingendo di mille
colori le
pareti bianche.
I cortigiani della
regina affollavano la sala, senza però
essere una presenza veramente opprimente. L'unica cosa che esisteva per
Murtagh
era la regina, seduta sul trono bianco. E per lei l'unico che esisteva
era il
Cavaliere Rosso; era ovvio che la sala fosse per loro così
poco affollata se
esisteva solo l'uno per l'altra e viceversa.
I boccoli neri di
Nasuada ricadevano sulle di lei spalle
in volute leggere, scontrandosi contro l'abito dorato che indossava.
Non era
cambiata molto in quei due anni, solo i suoi tratti erano
più maturi... e
belli. La carnagione scura che brillava tra tutto quell'oro, assorbendo
la luce
e convogliandola su di se.
Quando si
alzò e corse verso il cavaliere finendo nelle
sue braccia non era più la regina, ma solo una ragazza
perdutamente innamorata;
non c'era niente di sconveniente nell'abbraccio che l'accolse, nessuna
dama
avrebbe sparlato di lei. L'avrebbero solo invidiata. Quella era solo la
rappresentazione più sublime dell'amore.
Eragon ne fu
sopraffatto.
La gelosia si
impadronì così velocemente delle sue membra
che temette di stritolare Aiden, che se ne stava appollaiato tra le sue
braccia
e osservava la scena senza parlare.
Murtagh strinse la
presa attorno alla vita della regina e
le posò un bacio sulla fronte, beandosi di quei piccoli atti
che non aveva
potuto avere nei suoi confronti per un tempo, che in quell'attimo gli
parve
infinito. «Mi sei mancata tantissimo» le
sussurrò all'orecchio.
«Anche
tu» fu la risposta della regina, la cui voce era
incrinata dall'emozione, ma i cui occhi non versarono nemmeno una
lacrima; non
avrebbe potuto mostrarsi così debole davanti al suo popolo.
«Sono molto
felice che siate venuti qui» disse
staccandosi da Murtagh «Eragon, è così
bello rivederti! Cavalieri sono molto
curiosa di ascoltare le vostre avventure in questi due anni,
perciò spero che
vi uniate a me per la cena e spero di estendere la mia
ospitalità anche ai
giorni seguenti».
***
Eragon strinse i pugni
e si trattenne dal scaraventare il
tavolo di mogano fuori dalla finestra, cosa piuttosto difficile
considerando
che il tavolo superava di gran lunga le dimensioni della finestrella
che c'era
nella sua camera.
Era stata una giornata
orribile, come prima cosa quella,
quella... reginetta aveva dato per scontato che Murtagh fosse suo e
seconda
cosa, ancora peggiore della prima, Murtagh non aveva in alcun modo
sanato
quell'idea malsana!
E ora lui si trovava da
solo, da solo perché il moro si
era trasferito nelle stanze della regina, ad essere arrabbiato con il
mondo
intero ma soprattutto con se stesso. Lui non aveva diritti su Murtagh
ed era
stupido prendersela con Nasuada, lei che se ne era innamorata molto
prima di
lui.
L'unica cosa che si
poteva rimproverare era la libertà
che si era preso nell'immaginare un futuro per loro tre, come famiglia.
Lui,
Murtagh e Aiden; nessuna Nasuada a turbare quella quiete.
Era stato stupido
pensare che il Cavaliere Rosso non
provasse più niente per la regina, era stato stupido
insistere per riportarlo
ad Alagaesia ed era ancora più stupido pensare che Murtagh
non meritasse quella
felicità che sembrava avere in compagnia della regina.
L'aveva guardata per
tutta la sera con occhi dolci, sorridendole
così apertamente da far spuntare le fossette che aveva sulle
guance e che Aiden
aveva ereditato. Lo stesso sorriso che Eragon riservava a lui e che si
era
illuso ricambiasse.
Era stato cieco a
pensare che quei mesi passati insieme
significassero più di una semplice amicizia, era stato
ingenuo a voler credere
che le risate che avevano condiviso potessero essere quelle di due
giovani che
si riscoprono innamorati. Tutto ciò che aveva visto nel
comportamento di
Murtagh era qualcosa che non esisteva, ma che solo la sua mente
infatuata aveva
prodotto.
Non c'era niente a
legarli, se non Aiden, ma nemmeno lui
era una ragione abbastanza forte da far ricambiare al moro sentimenti
che non
provava.
È tutto
ciò fu confermato la mattina seguente.
Un leggero bussare lo
riscosse dal martoriare col
coltello una delle pesche che gli avevano portato per colazione
«Avanti» disse,
cercando di non far trasparire il proprio turbamento dalla voce. I
capelli
ricci del Cavaliere fecero capolino dalla soglia, accompagnati dalla
risata
squillante di Aiden, che aveva dormito con una governate.
«Buon
giorno» fece Murtagh, posando a terra il figlio che
si precipitò sul tappeto con una nave giocattolo stretta
nella mano, pronto per
una sessione intensiva di gioco.
«Giorno»
rispose Eragon, ingoiando finalmente il pezzo di
pesca.
«Passato una
buona nottata?» Chiese ancora Murtagh.
«Favolosa»
rispose piatto il castano, ripensando a quanto si era rigirato nel
letto al
pensiero di lui con Nasuada e di quanto fosse stato così
cieco da non capire
che quello in cui sperava era impossibile.
«Bene!" Fece
il più grande sedendosi difronte a lui
"perché ti volevo parlare di una cosa»
«Ti
ascolto» ma l'unica cosa che voleva fare in quel
momento era premersi le mani sulle orecchie e fuggire lontano. Lontano
da
quelle parole che non potevano portare nulla di buono, lontano dalle
speranze
infrante di avere una famiglia e lontano dalla seconda persona di cui
si era
innamorato e che lo aveva respinto.
«Io stavo
pensando di venire a vivere qui» un altro
pezzettino di lui si staccò e andò ad
accartocciarsi ai suoi piedi, ma la sua
espressione rimase neutra.
Avrebbe voluto urlargli
che non lo poteva lasciare solo,
che non si doveva azzardare a distruggere il loro piccolo paradiso, ma
disse
solo: «Vuoi abbandonare Aiden come stavi per fare quando
l'hai portato da me»
calcò su quel 'da me' per
sottolineare il fatto che quando aveva avuto più bisogno di
aiuto non era
andato da Nasuada, ma da lui.
«Abbandonarlo?!»
Murtagh sembrò disgustato al solo
pronunciare quella parola, scosse la testa «no, no. Nasuada
sarebbe felice se
rimanesse con noi e di poterlo allevare come se fosse sua
madre»
Quando pensi che non
possa andare peggio la vita si
prende la briga di dimostrarti il contrario.
«È
anche mio figlio! Non puoi portarmelo via»
strinse i pugni lungo i fianchi, non poteva
portargli via anche quella parte di famiglia.
«Mi hai
frainteso, puoi restare anche tu se vuoi e
comunque potrai vedere Aiden quando vorrai» come se quelle
due opzioni fossero
anche solo lontanamente considerabili. Non sarebbe restato
lì solo per vedere
la felicità di Murtagh e sentire crescere il proprio dolore;
ma non aveva
nemmeno intenzione di tornare ad Alagaesia così spesso da
mantenere il proprio
posto di padre.
«Non
rimarrò» diede un'occhiata ad Aiden, che giocava
tranquillo sul tappeto ricamato; l'ultima cosa che voleva era lasciarlo
lì, ma
non gli sarebbe stato utile in nessun modo se fosse restato
lì ad aspettare
qualcosa - qualcuno - che non sarebbe mai arrivato.
«Anzi»
proseguì «vado via subito, avevo comunque
intenzione di ripartire per salutare Arya; tanto il nostro compito
è concluso.
Fammi un favore, dì agli elfi che ci incontriamo fra tre
giorni all'ultimo avamposto»
«Perché
tutta questa fretta?» Sbottò Murtagh, mentre
l'altro già infilava i pochi averi che aveva portato con se
in una bisaccia e
si allacciava la cintura della spada alla vita.
«Perché
così presto?» Sussurrò lui di rimando;
perché non
poteva stare un secondo di più con la consapevolezza di
essere di troppo. «Perché
devo andare»
Si chinò
verso Aiden e lo prese in braccio, il bimbo gli
afferrò il labbro inferiore tra le dita sottili.
«Allora ci vediamo presto,
Aiden. Fa il bravo, altrimenti lo verrò a sapere»
aggiunse con tono scherzoso.
«Papaa»
soffiò il bambino stringendogli le braccia al
collo, come se avesse intuito che qualcosa non andava. Quell'abbraccio
ad
Eragon sembrava qualcosa di definitivo, una conclusione. Ma per lui
tutti gli
abbracci che aveva ricevuto erano la conclusione di qualcosa, mai uno
che fosse
completamente disinteressato - a parte suo figlio, ovviamente.
Rimise giù
il bambino e si avviò alla porta, solo quando
fu di due passi oltre di essa le parole di Murtagh lo raggiunsero:
«Ho fatto
qualcosa di sbagliato?»
«No»
non si girò verso di lui, temendo che incontrare i
suoi occhi neri avrebbe mandato all'aria ogni suo proposito di
andarsene. «È
solo colpa mia»
|
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Capitolo 6 *** 5 - Coscienza ***
5 – Coscienza
Erano passate solo tre
settimane dalla sua partenza da
Alagaesia e quasi quattro dall'ultima volta che aveva visto Aiden. Non
avere
più il bambino tra i piedi lo metteva di cattivo umore; non
poter sentire i
suoi gridolini, i suoi pianti e i suoi
‘perché?’ era fin troppo straziante.
Alla fine non incolpava
Murtagh – o forse sì – perché
capiva che quello che l’altro desiderava non era lui e non
voleva certo
imporgli la sua volontà. Però trovava difficile
perdonarlo per avergli portato
via quello che per lui era come un figlio; anzi, quello che per lui era
la
possibilità di guarire le cicatrici di una guerra durata
troppo a lungo e che
si era instaurata così a fondo nel suo cure da impedirgli di
vedere altro.
Senza Aiden e Murtagh
tutto ciò che era diventata la sua
rutine si lasciava dietro una pozza di amarezza, che faceva ritornare a
galla
rimpianti che pensava di aver dimenticato. Di notte aveva ricominciato
a
sognare i volti dei morti.
Pensava di aver
dimenticato tutto quel dolore, ma
evidentemente non era così. E da un lato si trovava felice
del fatto che non
aveva dimenticato ciò che la guerra porta, un promemoria
costante di quel che
gli uomini e le altre creature senzienti potevano portare. Ma
dall’altro lato
capiva che quei ricordi non erano solamente tali, ma portavano con se
insicurezze e paure che l’animo umano fatica a sopportare;
portavano con se
un’instabilità di quelle tra le più
pericolose.
Aveva sempre pensato
che la solitudine fosse stare
lontani da tutto e tutti, ma non era del tutto vero. Ora comprendeva
che la
solitudine era amare inutilmente; amare inutilmente non significava
solo non
essere ricambiati, ma amare così tanto da annullare quasi se
stessi.
E lui lo aveva fatto.
Aveva riversato tutto quello che
aveva su Murtagh e Aiden, da dimenticarsi che c’era altro
dentro di lui; aveva
vissuto così a lungo in funzione della sua
‘famiglia’ da scordare come era il
suo animo. Ora che la sua famiglia non esisteva più la sua
vera essenza aveva
deciso di ricordargli chi era e lo faceva nel modo più
doloroso e dirompente
possibile.
Stava distruggendo
tutti i muri che aveva creato e
riempiva la sua mente con le immagini dei morti e di quella pazzia che
aveva
portato Galbatorix al potere. Aveva paura di se stesso,
perché con tutto ciò
che gli stava succedendo non riusciva più a considerare
orribile quello che il
re aveva fatto. Anzi, lo iniziava a capire. Capiva il suo dolore in
modo
profondo e superficiale allo stesso tempo. Era come un fiume
d’inverno, la
superfice ghiacciata nascondeva sotto la corrente impetuosa. E
benché la sua
mente non riuscisse a capire ciò che l’animo
anelava, tutto in lui era un
dolore costante; tanto costante ed immutabile che dopo soli tre giorni
non lo
riconosceva nemmeno più.
Se lo avesse analizzato
più tardi nella sua vita avrebbe
capito quanto fosse pericoloso; il suo cervello processava pensieri
cupi e
violenti senza riconoscerli come tali, o facendoli passare per
necessari. Se
non fosse arrivata quella lettera non avrebbe saputo se avrebbe potuto
uscire
da quell’incubo che stava diventando la sua vita.
La rondine di pergamena
arrivò in un momento imprecisato
tra il tramonto e la notte. Si posò sulla sua spalla,
accucciandosi come se il
lungo l’avesse stancata, lui non si mosse; forse non era
nemmeno conscio che
lei fosse lì ad aspettare di essere letta. Alla fine il
vento della sera lo
riscosse e si decise ad aprire il piccolo messaggio.
Le poche righe che
recava lo scongelarono.
L’acqua
tronò a scorrere in superfice, più limpida e
cristallina di quanto non fosse stata prima. Consapevole di quello che
poteva
celarsi nei suoi abissi. La fitta scrittura di Murtagh recava un invito
ad
unirsi a loro – loro chi? Si chiese amaramente –
nella residenza estiva della
regina. Sul retro del foglio di pergamena c’era un disegno
fanciullesco di
Saphira e Castigo, con a lato tre figure stilizzate che Eragon
intuì essere lui
e Murtagh e tra di loro Aiden. Sotto di esse le firme di Aiden e
Murtagh.
Il cavaliere sorrise
nel constatare che il bambino aveva
una scrittura più elegante di quella del padre, ma sorrise
anche nel constatare
che Nasuada non appariva nel disegno o il suo nome tra le firme.
Come era facile al
cambio di umore. Erano bastate poche
righe e un disegno a farlo tornare consapevole di se. Più
felice, ma meno
ingenuo; promise a se stesso di non scordarsi di se ancora, ma di
convivere con
ciò che aveva fatto, portandone le cicatrici, senza
però lasciarsene
sopraffare.
Partì la
notte stessa, mentre con Saphira riordinava le
sue emozioni, i suoi ricordi e i pensieri; in modo da riconoscere
quelli
pericolosi da quelli innocui e ad accettare il fatto che era stato in
grado di
produrli. Che non era l’eroe senza macchia e senza paura; che
in lui, come in
tutti gli altri, c’era oscurità e luce in egual
misura, ma che aveva un
cervello con cui scegliere quale delle due seguire.
Saphira riconobbe
anch’ella di non essere stata abbastanza
forte da portarlo fuori da quel buco nero in cui era sprofondato, ma
non se ne
fece una colpa. Non poteva fare nulla per lui se lui non le parlava e
l’unica
cosa che sapeva è che lo avrebbe fermato se qualcosa d
peggio si fosse annidato
nel suo animo. Loro condividevano la mente e il cuore, ma entrambi
sapevano
cosa era giusto e cosa sbagliato e si giurarono a vicenda che se uno di
loro
avesse perso la ragione l’altro avrebbe dovuto fermarlo, a
qualunque costo.
NOTE DELL’AITRICE
Salve gente, sono tornata!!! Immagino vi sarete dimenticati
di questa storia dopo tutti i mesi che ci ho messo per aggiornare, ma
meglio
tardi che mai (spero non vogliate uccidermi per tutti questi mesi di
assenza).
Non vi sto a spiegare come mai è passato così
tanto tempo, storia troppo lunga;
piuttosto mi scuso sia per non essermi fatta sentire sia
perché il capitolo è
corto, ma è solo di passaggio e il prossimo sarà
decisamente più lungo (sì, è
già in fase di stesura).
Comunque io continuo a ribadire quanto siate fantastici e vi
adoro per non aver spostato la storia da preferite/seguite/ricordate,
anzi
siete cresciuti Piccoli
Funghetti – ho
sempre sognato di dirlo e ovviamente la maiuscola è
d’obbligo – spero anche che
recensirete questo capitolo, ho bisogno di incoraggiamento e calore
umano!!!
Bye-bye Piccoli Funghetti
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Capitolo 7 *** 6 - Dobbiamo parlare? ***
6 – Dobbiamo
parlare?!
La residenza estiva
della regina era un piccolo castello
su un piccolo lago ai confini con la foresta elfica; tirava una brezza
leggera
e l’aria profumava di erba e rugiada, residuo della notte
precedente. Era
mattina inoltrata quando Saphira atterrò nel cortile interno
del piccolo
castello, il sole del mezzogiorno stava iniziando a riscaldare le
pietre delle
mura e tutto il resto intorno a loro. Si prospettava essere un estate
particolarmente calda.
Castigo saluto il loro
arrivo con un poderoso ruggito,
allertando anche chiunque non li avesse visti atterrare; Saphira
ruggì in
risposta e in pochi secondi la zazzera di capelli neri e disordinati di
Aiden
apparì dal portone principale correndogli in contro con
assurda frenesia. La
vista del bambino mise subito Eragon di buon umore e gli fece
dimenticare la
stanchezza dei due giorni passati a volare per raggiungere il prima
possibile
il piccolo e suo padre.
Aiden volò
direttamente tra le braccia di quello che per
lui era un padre, avvolgendogli le sue al collo e facendo sprofondare
il viso
nella spalla di Eragon. Dal canto suo il cavaliere si godette
l’odore dei
cappelli del bimbo, che gli ricordava la primavera, sapeva di fiori e
paglia.
Sarebbe restato così per sempre se il bambino non avesse
iniziato a scalciare
in preda all’entusiasmo per raggiungere l’altro dei
suo padri che stava
seguendo, con molta più calma, il percorso intrapreso dal
figlio.
Eragon posò
Aiden a terra e il bambino prese subito a
correre tra i due uomini in preda ad un febbrile entusiasmo, lanciando
gridolini e proferendo frasi spezzate con il fiato corto.
«Ciao, Eragon. Mi fa
molto piacere che tu sia venuto» lo salutò latro
con un splendido sorriso,
tanto che per un momento il cavaliere si scordò di essere
arrabbiato con lui e
lo salutò di rimando; i due si strinsero in un abbraccio e
poi insieme al
bambino, che non dava segni di volersi calmare, si avviarono verso
l’interno
del castello, alla ricerca di un po’ di frescura.
«Aiden
è molto felice di vederti» proferì il
cavaliere
rosso, spezzando il silenzio che si era creato tra i due. Sul viso
aveva uno
strano sorriso, quasi imbarazzato, che Eragon faticò ad
interpretare. «Non gli
piace molto vivere qui» aggiunse, lanciando
un’occhiata divertita al figlio che
li precedeva saltellando.
«No?»
Fece Eragon cercando di sembrare più dispiaciuto
possibile, ma dovette riuscirci molto male perché la sua
voce suonò fin troppo
soddisfatta anche alle sue orecchie; infatti Murtagh gli
scoccò uno strano
sguardo, che Eragon faticò nuovamente ad interpretare. Dio
era così stanco.
«Da quanto
è che non dormi?» Gli chiese infatti
l’altro,
sorvolando sulla precedente questione. «Due giorni»
«Dovresti
riposarti un po’…» propose quasi
timoroso
Murtagh. Sentire la voce del cavaliere con quello strano timbro confuse
ancora
di più Eragon; non era certo da lui quel tono timoroso,
l’altro era più quello
che si impone sugli altri con risoluta fermezza. «Sono appena
arrivato» si
lamentò lui, anche se sapeva che se non andava a riposare si
sarebbe
addormentato prima del tramonto, che fosse in piedi o seduto.
«Puoi sempre
dormire qualche ora e svegliarti prima di
cena, tanto Nasuada non arriverà prima di domani»
Eragon registrò
l’informazione distrattamente mentre annuiva, in accordo con
l’idea proposta
dall’altro.
«Aiden»
chiamò Murtagh «augura buon riposo a Eragon e va
dalla tua governante, lo rivedrai prima di cena»
assicurò lui, precedendo
qualsiasi protesta del figlio. Il bambino fece come gli era stato
detto,
baciando Eragon sulla guancia e zampettando via. I due adulti
procedettero verso
l’ala delle stanze.
Entrambi restarono in
silenzio fino a quando Murtagh non
si fermò davanti ad una porta in legno dietro la quale vi
erano le stanze
allestite per Eragon. «Ascolta» iniziò
Murtagh, fissando i suoi penetranti
occhi neri in quelli castani dell’altro «noi due
dobbiamo parlare di un po’ di
cose e sono abbastanza sicuro che la conversazione non sarà
di quelle più
piacevoli, ma non ho intenzione di rimandarla oltre» e a quel
punto sembrò
ripensarci «beh, non oltre di questa sera, non mi sembri
nella forma giusta per
intraprendere una discussione senza addormentarti. Ma ti prometto che
non
appena Aiden sarà andato a dormire noi due parleremo di
tutto quello che è
successo»
«Murtagh, io
non capisco di…» cercò di dire il
castano,
venendo subito interrotto dall’altro: «Buon riposo
Eragon, ci vediamo per cena»
e detto questo girò sui tacchi per tornare da dove era
venuto.
Eragon era troppo
stanco per arrovellarsi sullo strano
comportamento del più grande e quindi non appena entrato
nelle sue stanze si
sfilò i vestiti e si infilò nel letto, per
sprofondare in un sonno profondo
subito dopo.
Fu svegliato da un
insistente bussare alla porta e ancora
stordito dal sonno, che non voleva scivolare via, borbotto un avanti
molto
stizzito. La porta ruotò su cardini silenziosamente,
lasciando entrare uno
spiraglio di luce aranciata, luce di fiaccole. Aveva dormito per tutto
il
giorno e molto probabilmente aveva saltato la cena. Il leggero fastidio
di aver
probabilmente deluso Aiden lo risvegliò dal sonno
completamente. I suoi occhi
misero a fuoco la figura che stava chiudendo la porta; Murtagh era
vestito come
quel mattino, una casacca marrone, stivali alti fino al ginocchio e
pantaloni
neri, anche vestito che semplicità sembrava ispirare una
certa regalità, come
se l’avesse nel sangue. E in un certo senso era anche
così.
Guardarlo avanzare
verso di lui con passo sicuro gli
diede un colpo al cuore, principalmente per due ragioni: uno, lo
trovava
assolutamente stupendo e, due, si ricordò che era
completamente nudo. Sperò che
nell’oscurità non si vedesse il rossore che gli
aveva ricoperto le guance.
«Non mi hai
svegliato» disse, cercando di suonare il più
infastidito possibile, cosa che gli riuscì abbastanza bene.
Complice il fatto
che era veramente dispiaciuto di non aver potuto passare la serata con
Aiden.
«Ho pensato
che un po’ più di riposo non ti avrebbe fatto
male. Avrai tutto il tempo di giocare con quel diavoletto di nostro
figlio
domani» Eragon notò il plurale con delizioso
piacere. Nostro, suonava
così bene.
Murtagh aveva acceso
una candela posata sul comodino
accanto al letto, inondando la stanza di una luce rossastra e infine si
era
seduto sul bordo del letto dando le spalle ad Eragon. Sembrava sul
punto di
scappare, aveva i muscoli contratti e la testa volta verso la porta; ma
allo
stesso tempo sembrava stranamente deciso a rimanere lì.
Sembrava che si
apprestasse a tagliarsi la mano per impedire a qualche malattia di
propagarsi
in tutto il corpo; fare qualcosa di doloroso per poi stare meglio.
«Se volevi
lasciarmi riposare perché sei venuto?» La voce
suonò alle sue orecchie più metallica e rancorosa
di quanto avrebbe desiderato;
decisamente era ancora arrabbiato con lui per quello che aveva fatto.
«Te lo avevo
detto, volevo parlarti»
«Era una cosa
così urgente che non poteva aspettare?!» Si
sentiva sempre più irritato dal fatto che Murtagh non lo
guardasse ma si
ostinasse a rivolgere il suo sguardo verso la porta, dandogli le spalle.
«Non ha
aspettato fin troppo?» Il tono della voce era
dispiaciuto, quasi impotente. Da una parte Eragon se ne dispiacque, ma
dall’altra quel tono non fece che aumentare la sua
irritazione. Non era forse
stato lui a volersene andare? A lasciarlo da solo come un cane, dopo
che lui
aveva accolto sia lui che Aiden?
«Non certo
per colpa mia»
«No»
finalmente si voltò ed Eragon desiderò
intensamente
essere vestito; ma doveva accettare di essere appoggiato alla testiera
del letto,
a petto nudo e con la coperta leggera che gli copriva dalla vita in
giù. «Vuoi
ascoltarmi?»
Voleva ascoltarlo?
Ovviamente, ma al contempo voleva
mandarlo a farsi un giro, o un lungo bagno in acque gelate. Gli fece un
cenno
di assenso con la testa.
«Mi sembra inutile girarci intorno» fece
una pausa per
raccogliere le idee «So quello che provi per me»
NOTE DELL’AUTRICE
Salve a tutti, sono tornata nemmeno dopo tanto tempo e sono
piuttosto certa che il prossimo capitolo lo pubblicherò non
più tardi di martedì
prossimo. Ma passando a questo capitolo spero veramente che vi sia
piaciuto e
volevo anche ringraziare tutti coloro che continuano a seguire questa
storia!!!
Ciao e alla prossima,
Ortceps.
|
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