Famiglia all'improvviso

di Ortceps
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1 - Tra tenerezze e pannolini ***
Capitolo 3: *** 2 - Aiden ***
Capitolo 4: *** 3 - Cambiamenti ***
Capitolo 5: *** 4 - Ritorno ***
Capitolo 6: *** 5 - Coscienza ***
Capitolo 7: *** 6 - Dobbiamo parlare? ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


ATTENZIONE: I personaggi e il contesto in cui si muovono non mi appartengono, ma appartengono a chi ne detiene i diritti, in questo caso al caro Christopher.

FAMIGLIA ALL’IMPROVVISO

PROLOGO

Eragon non aveva mai pensato a mettere su famiglia; la partenza dalla sua terra e il distacco dalla donna – elfa – che amava erano state motivazioni valide per questa sua negligenza. In più se contiamo il fatto che doveva crescere piccoli draghetti indisponenti senza farsi bruciare; costruire un castello che sarebbe stata la sede del nuovo Ordine e in più imparare il più possibile dagli antichi draghi per prepararsi ad istruire i nuovi cavalieri, che non si erano ancora fatti vivi.

Così non si era mai trovato a riflettere sull’eventualità di avere una famiglia, né programmava di volerne una entro breve. A dir la verità pensava che sarebbe diventato come Oromis, il suo compianto maestro.

Ma alla fine si sa, che ti piaccia o no è sempre quella furia impazzita che noi chiamiamo destino a presentarsi alla tua porta e a scaricarti un figlio. Della serie “Din-don; apri questa dannatissima porta e prenditi questo dannatissimo bambino” per poi aggiungere con un sorriso da sberle “Congratulazioni sei diventato padre!”

Va bene, forse non era andata proprio così. Ma alla fine il concetto era quello e lui si era ritrovato a crescere un bambino, senza avere la minima idea di cosa fare. Quell’insolita svolta della sua vita era avvenuta qualche anno fa, precisamente due da quando era arrivato a colonizzare quella nuova terra.

*

Il sole sembrava immobile nella calura del pomeriggio, i raggi colpivano i verdi prati che rimandavano riflessi sull’acqua del lago che stava nei pressi della vallata. Soffiava un venticello calmo e il cielo era limpido; gli unici rumori che si distinguevano erano il forte russare di un grosso drago e il ritmico schiocco di legno contro legno.

Infatti vicino al lago vi erano un giovane uomo e la sua compagna di cuore e di mente; il primo si allenava con una spada da esercitazioni contro un palo piantato nel terreno, mentre l’altra dormiva beata, appena ristorata da un bagno nelle acque ferme. L’ero che Alagaesia aveva acclamato anni prima era ormai cresciuto e sul suo viso poteva intravedersi l’ombra di un accenno di barba; il suo corpo era più definito e la sua mente più matura.

La dragonessa si ridestò con una specie di ruggito-sbadiglio, spalancando le fauci acuminate e dispiegando le ali. Iniziava ad avere fame e si era annoiata di quella calma piatta che erano quei pascoli; era un drago e come tale prediligeva l’avventura. Forse con la vecchiaia il suo carattere si sarebbe temprato, come Glaeder le ripeteva; ma ora lei era nel pieno della gioventù e delle sue forze e non riusciva a sopportare quella monotona rutine.

Andiamo” disse all’umano che si era fermato e stava bevendo da una borraccia, bagnandosi anche il petto nudo, per combattere la calura. Questi si voltò verso di lei e le sorrise, mettendo in mostra i denti bianchi, che risaltavano sulla carnagione dorata. “Sì; dobbiamo passare dai cuccioli e dagli elfi prima di rientrare”

Con queste parole e dopo essersi passato una mano tra i capelli castani salì sulla sella e la dragonessa spiccò il volo, librandosi in aria con una leggerezza che in terra poteva sognarsi.

Sorvolando quei prati Eragon ebbe una magnifica visione di insieme: le basse colline verdeggianti coprivano buona parte della sua visuale, su di esse cresceva solo erba e fiori, nessun albero e la calma che vi alleggiava sembrava quasi innaturale, nessun animale veniva lì; almeno fin quando c’erano loro. Dietro le sue spalle il piccolo lago trovava posizione tra quattro delle più basse colline, tanto che il punto più profondo dovevano essere solo quattro braccia; alla sua destra intravedeva la linea degli alberi che si estendeva per miglia, prima di finire a qualche passo dalla costa frastagliata.

Più avanti, lui in quel momento non poteva vederla, c’era la pianura; la zona più bella. Grandi alberi da frutto stendevano i loro rami verso l’altro, fiancheggiando i campi di grano, orzo e farro; era stupendo osservare il rosso delle mele, illuminate dal sole, vicino al verde brillate dell’erba e all’oro del grano. La cosa più stupefacente era che quelle coltivazioni erano già lì al momento del loro arrivo, ma nessuno era andato a rivendicarne il diritto.

Eragon aveva esplorato in lungo e in largo quelle terre; aveva scoperto di trovarsi su un’isola, a nord e ad est l’affaccio sul mare erano alte scogliere, fiancheggiate da verdi boschi, che diventavano sempre più ombrosi avvicinandosi al centro e tornavano nuovamente verdi e radi verso i campi. Ma ad ovest e a sud il mare si incontrava dolcemente con ampie spiagge di sabbia bianca; poi nella pianura si diramavano piccoli ruscelli, che provenivano da un unico picco solitario, che si stagliava al marginare nord del bosco, a qualche miglia dalla scogliera.

La cosa più impressionante di quei luoghi era la fauna, la stessa che si trovava ad Alagaesia, ma decisamente più grande e numerosa; la cosa veniva spiegata della radicale assenza di predatori, se si faceva eccezione per un gruppo poco numeroso di lupi, anch’essi di notevoli dimensioni, che aveva avvistato il terzo mese della sua permanenza su Amera. Così aveva chiamato il luogo.

La distanza dalla terra ferma era di due giorni a volo di drago, nel qual caso il drago doveva essere robusto e instancabile perché i venti che soffiavano in quel tratto di mare potevano cambiare velocemente e da favorevoli sarebbero potuti diventare ostili in pochi minuti, fin quasi a cessare. Eragon aveva trovato la cosa perfetta, così non c’era il rischio che giovani draghi inesperti arrivassero sulle coste della sua terra natia e facessero dei danni.

In quei due anni erano nati cinque esemplari di drago selvaggio; sette uova si erano spente prima che il draghetto potesse nascere, per via del troppo tempo passato dalla loro deposizione. Altre ancora non davano segno di volersi schiudere. Ma già cinque draghi era un numero sufficiente per le poche forze di cui lui e Saphira disponevano.

Il più grande, Viruga, era un giovane drago viola di un anno; aveva un temperamento calmo e riflessivo, in parametri da drago. La seconda era, a detta di Eragon, la birbante per eccellenza; nata solo due mesi dopo Viruga Hina l’aveva già surclassato in forza e velocità. In un certo senso Saphira si rispecchiava nella piccola, anche se lei teneva molto di più alle sue squame, mentre Hina non badava per nulla al manto color del sole.

I due gemelli, di soli sei mesi erano piccoli per la loro età; nati da due uova semi unite avevano in comune l’ultimo pezzo di coda, alla fine Eragon, per garantirgli una vita più agevole aveva dovuto separarli con la magia. Così Megor aveva mezza coda e Baltor aveva una specie di escrescenza sulla punta, ma almeno i due draghetti verdi non si davano sui nervi a vicenda.

La più piccola aveva poche settimane, era di un nero brillante, come se le sue squame invece di essere opache e assorbire la luce la riflettessero tutta. Eragon era stato molto indeciso sul nome da darle, alla fine aveva scelto per Sciurica, per omaggiare in qualche modo il drago nero che non aveva potuto scegliere il proprio destino; così quella variante più morbida del nome gli era sembrato il modo migliore.

Arrivarono alla rupe che sorgeva solitaria tra i prati, la dimora dei draghi; furono accolti dai quattro più grandi, la piccola sarebbe restata con gli elfi ancora per un po’. Dopo essersi premurati che tutti stessero bene e che si fossero nutriti tornarono in cielo, diretti qualche miglio più a ovest per incontrare gli elfi.

Atterrati sul prato coperto di piccoli fiori diedero un occhio a il grande castello che stava crescendo – letteralmente – tra venti faggi; non mancava molto al suo completamento, ma i lavori procedevano lenti. Ci voleva una grande quantità di energia per plasmare i rami degli alberi a proprio piacimento e se già era difficoltoso con case normali costruire un castello che avrebbe dovuto contenere più draghi e vari giovani cavalieri era un’impresa titanica; anche se aveva concesso loro alcuni Eldurnari i lavori rischiavano di protrarsi per altri sei mesi. In quel tempo gli elfi avevano costruito un capo di tende proprio davanti all’insieme di alberi, mentre Eragon aveva preferito costruire una casa a dieci minuti di volo da lì, in beata solitudine, sopra un salice.

Si informò sui progressi di Sciurica e di come stessero procedendo i lavori. Dopo essersi unito agli ultimi incantesimi della giornata cenò con loro, raccontandosi di come fosse andata la giornata e ricordando del passato. Il passato veniva da tutti descritto con zuccherosa malinconia, ma presto sostituita dalla bellezza di quella nuova realtà tutta loro.

Per Eragon era diverso, lui del passato parlava con amarezza, gli riservava parole di fiele. Ogni ricordo, anche se bello, portava con se la consapevolezza di una vita rubata, qualcosa che non sarebbe mai più stato suo; era stato considerato un eroe, ma quando poi aveva chiesto una ricompensa, quando aveva chiesto ad Arya di seguirlo lei si era rifiutata. Non poteva biasimarla; anche dopo tutto quello che avevano fatto, sacrificato dovevano portare avanti i loro dovere e dopo che il dolore iniziale si era acquietato era riuscito a capire che la sua era solo un infatuazione infantile.

Forse in fondo in fondo l’amava ancora, ma non sarebbe mai riuscito a perdonargli quello che gli aveva fatto. Così aveva deciso di dare un taglio netto alla sua vecchia vita; ora i messaggi che arrivavano una volta al mese dalle due regine li ricevevano solo gli elfi e lui aveva dato ordine di riferirgli solo cose indispensabili, come guerre, carestie, la schiusa di un ovo, ma ancora nessuna di quelle notizie era giunta alle sue orecchie.

Se ne andò dal campo quando la luna iniziava a salire in cielo e arrivarono al loro alloggio che le stelle brillavano già intense; Saphira lo lasciò solo e partì per la sua caccia, mentre lui decise di riempire la stanza da bagno e di rilassarsi un po’ prima di andare a riposare. Si spogliò e dopo aver aggiunto all’acqua delle essenze profumate scivolò dentro alla vasca, godendosi il tepore e lasciando che i muscoli indolenziti dall’allenamento si rilassassero; ma il suo proposito venne spazzato via quando sentì un tonfo proprio sotto la sua abitazione.

Il rumore era spaventosamente simile a quello che faceva Saphira quando atterrava, ma era piuttosto sicuro che la dragonessa non sarebbe tornata prima dell’alba e i draghi più piccoli non avrebbero fatto tutto quel baccano, poiché pesavano ancora poco. Il suo primo pensiero fu Arya.

Prese il telo per asciugarsi e lo avvolse frettolosamente alla vita, poi con passo sicuro si diresse verso il balconcino, ma per buona misura afferrò anche la spada; completamente dimentico che per scoprire chi fosse poteva usare la mente, tanto era fisso sul pensiero dell’elfa. Uscì e la luce argentea della luna si riflesse sulle squame rosse di Castigo.

In quel momento le sue difese mentali si intensificarono e lui estrasse la spada dal fodero; Murtagh aveva detto che non sarebbe più tornato, o almeno non nel breve periodo, quindi lui non sapeva cosa pensare, in più non aveva nemmeno Saphira vicina. Si appuntò mentalmente che non potevano rimanere senza difese, anche se quelli erano tempi di pace; erano stati ingenui.

«Veniamo in pace» la voce roca di Murtagh lo rassicurò un po’ con quelle parole nell’antica lingua, ma si costrinse a non abbassare la guardia. «Perché sei qui, Murtagh?» Il sospetto evidente nella voce. Il più giovane stette a guardare mentre il moro, aiutato da Castigo si calava sul suo balcone, proprio di fronte a lui.

«Ho un problema» e detto questo scoprì il fagotto di coperte che aveva tra le braccia, rivelando il viso arrossato e leggermente paffuto di un bambino nato da poco.

NOTE DELL’AUTRICE:

Salve a tutti; in questo periodo mi sento molto ispirata, quindi ecco a voi questa nuova FF. Inizio subito col dire che sarà molto all’insegna delle avventure domestiche, più che vere e proprie battaglie… Ma sarà comunque difficile per i protagonisti “cavare un ragno dal buco”. Spero vivamente che l’idea vi piaccia.
Ciao a tutti, Ortceps
P.S. lasciatemi una recensione ;) apprezzo molto tutti i pareri, consigli, critiche costruttive – e perché no? – anche complimenti.

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Capitolo 2
*** 1 - Tra tenerezze e pannolini ***


1 – TRA TENEREZZE E PANNOLINI

Nel vedere la faccetta paffuta del bambino Eragon dimenticò ogni buon senso e si avvicinò all’amico lasciando la spada dietro di se; il piccolo era assopito tra le braccia del riccio, avvolto stretto nelle coperte che quasi sembrava soffocare, cosa testimoniata anche dalle guance rosse. Senza essere troppo sicuro allungò le mani e Murtagh glielo cedette volentieri, sospirando subito dopo, come se si fosse liberato di un peso.

Allentò le coperte e subito il bambino iniziò a respirare più facilmente «L’avevi stretto troppo» lo ammonì con sguardo cupo e severo, Murtagh non vi badò più di tanto e scrollò le spalle. Non era cambiato dall’ultima volta che lo aveva visto, solo i suoi lineamenti si erano fatti più spigolosi; nel complesso era rimasto lo stesso, gli occhi forse erano meno cupi, ma questa poteva essere solo una sua impressione.

«Spiegati» sbottò poi, non intenzionato a lasciare alcuna via di scampo all’altro. Murtagh lo guardò rancoroso, sembrava quasi che volesse darsela a gambe, ma alla fine capitolò «Quello – indicò il fagottino – è mio figlio»

«Come è tuo figlio?» Non gli sembrava possibile che Murtagh potesse avere un figlio; però, ripensandoci si catapultava qui con l’aria di uno che ha visto uno spettro e con un bambino in braccio l’idea avrebbe dovuto sfiorarlo.

«Andiamo Eragon! Non dirmi che ti devo spiegare come si fanno i bambini» a quelle parole non riuscì ad impedirsi di arrossire, ma sperò che con solo la luce della luna Murtagh non lo notasse. «E prima di continuare questa chiacchierata non potremmo entrare, metterci comodi e magari tu potresti indossare qualcosa di meno… bagnato» fece riservandogli un’occhiata dalla testa ai piedi.

«Va bene» acconsentì poi, gli fece strada verso il tavolo e quando si fu seduto gli mise il bambino in braccio, sibilandogli un tieni poco gentile, per poi dirigersi verso la stanza da letto.

Quando tornò trovò Murtagh che fissava intensamente il bimbo addormentato, sembrava deciso a farlo scomparire con la sola forza dello sguardo; sospirò abbattuto, si prospettavano tempi duri per lui. Possibile che appena si era adattato a quella nuova vita quell’imbecille di Murtagh doveva presentarsi alla sua porta con un bambino in braccio. «Va bene, spiega» si sedette di fronte a lui e si preparò ad ascoltarlo.

«Beh, sai come vanno queste cose» iniziò il moro ed Eragon fu sul punto di fermarlo e dirgli che, anche se aveva vent’anni, non aveva idea di come andassero certe cose; ma si trattenne e annuì solamente «Ho incontrato sua made l’anno scorso; è stata un’avventura, niente di più. Solo una volta, ma è bastata per…» sollevò il bambino con uno sguardo cruciato; era evidente che non lo voleva. «L’ho incontrata ancora il mese scorso, mancava poco al parto; comunque era d’accordo con me sul prendersi cura da sola del bambino, io le avrei portato ogni tanto qualche soldo per allevarlo al meglio»

Qualche soldo?! Pensò con rabbia; per quell’idiota pensava che per sostituire un padre bastasse qualche soldo. Assottigliò le labbra, ma se avesse detto quello che aveva in mente non avrebbero finito quella conversazione in tono pacifico, quindi lo lasciò continuare.

«Sono tornato il mese dopo, tre giorni fa e ho trovato una donna che cercava di vendere il bambino come schiavo; da quella ho saputo che la madre era morta di parto e che non c’era nessuno in grado di prendersi cura del neonato, così l’ho preso io» e qui veniva il punto cruciale. «Perché sei venuto qui?» Chiese ancora Eragon, ormai aveva capito il motivo ma voleva sentirlo uscire dalle labbra del riccio.

«Io non ho idea di come si faccia il padre, tu saresti più bravo di me e con te starebbe meglio. Sei affidabile» soffiò in fine il Cavaliere Rosso. Eragon trattenne la raffica d’insulti che gli salirono alla gola come bile.

«E io sono la prima persona, affidabile, che ti è venuta in mente?» Chiese con il tono di chi ha voglia di strozzare il proprio interlocutore. A dir la verità Eragon era la seconda persona a cui aveva pensato di lasciare il piccolo, ma la prima era stata Nasuada e pensare a come sarebbe potuta andare se lo avesse portato da lei gli metteva i brividi.

No Nasuada, non sono tornato perché ti amo; volevo solo chiederti se potevi occuparti di mio figlio, mio e di un’altra donna… Addio” non era proprio il massimo della galanteria; tra i due mali, alla fine, aveva scelto il minore. Ma questo non lo disse al castano.

«Non mi prenderò cura del bambino al tuo posto» aggiunse duro Eragon, per poi ammorbidire leggermente la voce e specificare «ma ti aiuterò e potrai rimanere a vivere qui» che cosa lo avesse spinto ad offrirgli un posto dove vivere e il suo aiuto non lo sapeva neppure lui; forse alla fine un figlio lo desiderava

*

Sistemarono il bambino nel letto di Eragon, che era abbastanza grande per tutti e tre, ma Murtagh si accontentò del piccolo divano che stava nella stanza attigua. Avrebbero pensato il giorno dopo a una sistemazione più confortevole. Appena pronto il piccolo giaciglio il Cavaliere Rosso crollò addormentato, tanto il viaggio lo aveva stremato.

Tornato nella sua camera il castano trovò il bambino placidamente assopito in mezzo alletto, i pugnetti leggermente alzati, come se volesse segnalare la sua presenza. Avvicinandosi un po’ di più si accorse che una delle due manine era posata proprio sopra la bocca del bimbo, che teneva fra le labbra il pugnetto succhiandolo leggermente.

Quella vista riuscì a scaldargli il cuore e a gelarglielo nello stesso momento. Come faceva Murtagh a volersi sbarazzare di quella creaturina innocente? Non aveva forse sofferto anche lui per un padre assente e violento? Perché voleva che un innocento, come lo era stato lui, patisse una tale pena?

Prese il bambino in braccio e gli passò una mano sulla peluria corvina che aveva sulla testa, trovandola morbida e soffice. In quello stesso momento si rese conto che non aveva idea se quel bambino fosse maschio o femmina; aveva dato per scontato che fosse un maschio, perché Murtagh diceva mio figlio e non mia figlia, ma questo poteva significare tutto e niente. In più non sapeva neanche quale fosse il suo nome. E soprattutto se l’aveva un nome. Sicuramente Murtagh non s’era preso il disturbo.

Scostò e la sottile seta elfica che lo avvolgeva più volte per scoprire il piccolo petto del bambino che si alzava e abbassava al ritmo con il respiro. Appena sotto l’ombelico, ancora leggermente rosso per il taglio del cordone ombelicale, e prima delle gambine tozze c’era una specie di pezza di stoffa, sicuramente più rozza della seta elfica. Copriva le parti intime del bambino e emanava uno odore sgradevole.

Svegliato dal rozzo trattamento il bambino si mordicchiò il labbro, o almeno avrebbe fatto quello se avesse avuto i denti, perciò il risultato fu un buffo suono di risucchi mentre il labbro finiva nella boccuccia e le gengive rosee sporgevano in fuori. Eragon sorrise intenerito; gli occhi ancora liquidi erano azzurro chiaro, incorniciati da lunghe ciglia nere.

Era un bambino stupendo; aveva un piccolo nasino all’insù, sicuramente ereditato dalla madre. Mentre le labbra carnose e rosse erano uno stupendo lascito del padre, come una rosa rossa sul manto perlaceo della pelle bianca.

Le riflessioni di Eragon vennero interrotte dallo strillo del bambino, che sembrava non gradire la stretta delle mani del cavaliere sotto le ascelle. Preso alla sprovvista Eragon sussultò, facendo piangere più forte il bambino; con il rischio di svegliare Murtagh, nella stanza accanto.

«No. No, non piangere. Così sveglierai il tuo papà. No, dai piccolo… Ti metto giù, va bene?» E detto questo lo posò sul letto, ma il bimbo prese a dimenarsi e a piangere con insistenza. Dire che non aveva idea di come comportarsi era dir poco.

Certo, lui non aveva esitato un secondo nell’uccidere un tiranno centenario ed ora si trovava in estrema difficoltà a calmare un neonato. Quel che si dice l’ironia.

«Piccolino per favore» si trovò a pigolare; un forte guerriero che prega un bimbo perché smetta di piangere. Sperò che se un giorno fossero state raccontate le sue imprese quel particolare frangente sarebbe stato omesso, altrimenti anche la donna meno coraggiosa avrebbe riso di lui.

Il bimbo, nel sentire la sua voce lamentosa sembrò chetarsi; puntò i suoi occhietti azzurri su di lui e incurvò le labbra in un sorriso sdentato. “Ecco, anche lui si prende gioco di me” pensò amaramente, ma comunque sollevato di non sentire più il bambino piagnucolare.

«Va bene» disse «vediamo cos’hai qui» e slegò i due nodi dello straccio ai fianchi del bambino, scoprendo che era un maschietto e una bella sorpresina, che emanava un odore al pari dello sterco di drago, anche se era molto più liquido.

«E ora che dovrei fare?» Chiese in direzione del piccolo, che gli riservò un risolino come risposta; l’unica cosa che gli venne in mente fu ripulire quel pezzo di stoffa grezza con la magia e rilegarla intorno alla vita del neonato. Quando ebbe finito lo riportò sul letto, facendogli appoggiare la testa tra i due guanciali e coprendolo con la seta elfica in cui era avvolto.

Si distese di fianco a lui, dopo aver spento la candela e rimase ad osservare i suoi occhietti farsi meno vispi e infine chiudersi, mentre gli accarezzava una guancetta paffuta con l’indice.

NOTE DELL’AUTRICE

Buona sera a tutti; per prima cosa mi scuso per il ritardo, ma il mio computer è stato rotto fino ad oggi e io ho appena finito di scrivere il capitolo, quindi spero mi perdoniate se non è lunghissimo. Comunque si iniziano a capire un po’ di cose e vediamo Eragon alle prese con i primi inceppi del genitore… Spero vi sia piaciuto e vi prometto che non ci sarà da aspettare così tanto per il prossimo aggiornamento.
Ringrazio tutti coloro che hanno recensito; sono molto felice che la storia vi sia piaciuta!!! E spero continuerete a seguirla. Ringrazio anche coloro che leggono silenziosamente, spero che anche a voi piaccia la FF ;)
Ciao a tutti e alla prossima

Ortceps

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Capitolo 3
*** 2 - Aiden ***


2 – AIDEN

Il giorno seguente venne svegliato dalla preoccupazione di Saphira, che invase la sua mente prepotente come un uragano. In quei pochi secondi prima che ricordasse gli avvenimenti della sera precedente si allarmò, pensando che vi fosse una minaccia incombente; poi appena i suoi occhi si soffermarono sul visetto arrossato del bambino tutti gli tornò alla mente.

Calma, Saphira! Castigo è qui con Murtagh, non sono una minaccia” e condivise i ricordi di quella strana discussione avuta con l’amico-nemico. “Ci credo che l’abbia portato qui, non ce lo vedo proprio Murtagh a crescere il bambino” la sua voce trasudava ilarità ed Eragon si sentì irritato e deluso. Questo non giustifica il fatto che volesse andarsene, è compito suo prendersi cura del bambino” Saphira rimase in silenzio per qualche secondo, meditabonda. “Non riesco a capire le dinamiche di quel che voi umani chiamate famiglia, per la mia razza è diverso: noi scegliamo un compagno, che resta con noi mesi, anni, forse per sempre; ma i cuccioli nascono e devono cavarsela da soli, non sentiamo questo legame con la prole. Quindi scusami se non riesco a comprendere i tuoi sentimenti”

Sospirò; non pretendeva che la sua compagna di mente e di cuore capisse, ma apprezzava lo sforzo. Si alzò dal letto, prendendo in braccio il pargoletto che ancora sonnecchiava. Era stato fortunato, solitamente i bambini si svegliavano più volte di notte, ma nel suo caso il bimbo aveva dormito sereno, lasciandolo a un meritato riposo.

Nella piccola sala da pranzo Murtagh stava addentando una mela, mentre osservava alcune foglie che cadevano dagli alberi strappate dai propri rifugi dal forte vento mattutino. «Buongiorno» soffiò Eragon, sopprimendo uno sbadiglio.

«Ciao» la voce del Cavaliere Rosso rimase indifferente, mentre continuava, ostinatamente, a tenere lo sguardo fisso sulla pianura che si estendeva sotto la casa. «Vuoi tenere tuo figlio?» chiese il ragazzo con voce più dura di quanto avesse voluto, incontrando così finalmente gli occhi neri di Murtagh, che lo scrutavano attraverso le cigli scure, tanto erano assottigliate le palpebre.

«Dammi» disse dopo una lunga riflessione, allungando le braccia verso di lui. Eragon non riuscì a trattenere un sorrisetto nel sentire la voce dell’altro dire quell’unica parola, ricevendo in cambio un sonoro sbuffo di risposta.

Le braccia di Murtagh si chiusero sul fagottino che era suo figlio con malcelato nervosismo, reso tutto più buffo dal fatto che era palese quanto il cavaliere non fosse capace di tenere un bambino in braccio. Teneva le braccia separate, tanto che il corpo del bimbo si curvava verso il pavimento, in una posa spiacevole e terribilmente scomoda, tanto che il bambino si svegliò emettendo un lungo strillo.

«Ecco» sbuffò Murtagh «è inutile che io ci provi, non ci riuscirò mai» detto questo cercò di sistemare le braccia in modo da mettere a proprio agio il bambino, riuscendo solo a metterlo a testa in giù. Quei movimenti fecero agitare ancor di più il bimbo, che si mise a urla e piangere, agitando le manine paffute in segno di protesta.

«Aspetta, chiudi le braccia e raddrizzalo» cercò di spiegare Eragon, sentendosi alquanto ridicolo, visto che anche lui di bambini sapeva poco. Murtagh cercò di seguire i suoi consigli, ma si ritrovò le mani impigliate nella stoffa e il bambino ancora più scalciante e inviperito di prima.

Eragon si avvicinò velocemente a loro, per aiutare il ragazzo più grande; prese nuovamente in braccio il piccolo lasciando il tempo a Murtagh di liberarsi dei quella specie di copertina, che si era trasformata in manette di stoffa. Appena fu libero Eragon gli passò nuovamente il bambino, ancora in lacrime, e l’altro lo prese sotto le ascelle guardando torvo il faccino rosso e congestionato.

«Non gli sto simpatico» borbottò a massa voce il Cavaliere Rosso ed Eragon dovette trattenersi dal ridere. «No, è solo il tuo modo di tenerlo che non gli piace»

«Come dovrei tenerlo, allora?» Sbuffò cercando di posizionare le braccia come le aveva messe Eragon poco prima, sibilando una serie di imprecazioni quando il bambino si rimise a strillare. Eragon gli si avvicinò ancora di più, fermandogli gli avambracci con le mani e posizionandoli in modo che il bimbo potesse stare comodo e finalmente questi si chetò.

«Ecco» mormorò soddisfatto il castano, osservando la sua piccola opera. Murtagh teneva finalmente il bimbo decentemente, le piccole gambine che si dibattevano allegramente fuori da quell’abbraccio; un braccio del cavaliere sotto il sederino e l’altro sotto il collo e le spalle. Questo fece ammansire il bambino, che si mise a fissare i capelli ricci di Murtagh con sguardo adorante, allungando una manina verso di essi.

«Non mi hai ancora detto come si chiama» disse Eragon, ricordandosi solo in quel momento il pensiero che gli era balenato nella mente solo la sera precedente. Il moro sollevò lo sguardo verso di lui ed Eragon avrebbe potuto giurare che fosse uno sguardo imbarazzato, e infatti disse: «Non ha un nome, non ancora» si affrettò a specificare, «non ci ho proprio pensato e sua madre non ha fatto in tempo a dire come avrebbe voluto chiamarlo»

«Bè, allora scegli ora» si limitò a dire il più giovane con una scrollata di spalle. «Hem, non saprei. E non voglio dargli un nome stupido ed insignificante»

«Sì certo, hai ragione. Pensaci, io intanto vado a spiegare a Saphira cos’è successo» detto questo prese un frutto dalla cesta sul tavolo e si diresse sulla balconata, sedendosi in riva con le gambe a penzoloni.

*

Alla fine Murtagh aveva deciso di chiamarlo Aiden Oromis Murtaghsson; il secondo nome scelto per ricordare ad Eragon il suo maestro e a lui la sua colpa.

E quando Eragon era rientrato lo aveva persino trovato a canticchiare qualche strana filastrocca mentre cullava – forse un po’ troppo bruscamente – Aiden; naturalmente appena lo aveva visto aveva smesso, assumendo un’aria neutra e informandolo con poco coinvolgimento del nome del bambino.

Alla fine avevano anche deciso di recarsi nell’accampamento elfico il pomeriggio stesso, poiché continuare a nutrire un bambino solo con l’energia non era certo salutare e loro non avevano né del latte né qualcosa con cui darglielo. In più si dovevano procurare un lettino e tutto il necessario per il bambino.

«Eragon» la voce di Murtagh lo distolse dai suoi pensieri, facendolo tornare coi piedi per terra «mi chiedevo se tu sei ancora sicuro di volermi qui» il castano si raddrizzò sul divano, scostando Aiden dal suo petto – ancora mezzo addormentato -  e fronteggiando il più grande con la fronte corrucciata.

«Non starai pensando ancora ad andartene?» Chiese sospettoso; per quanto fosse più portato di Murtagh coi bambini non era affatto sicuro di poter riuscire a crescerne uno da solo e in più non aveva intenzione di far scappare il moro lontano dalla possibilità di avere una famiglia.

Perché lui lo sapeva, ciò di cui aveva paura Murtagh era affezionarsi alle persone; una paura, allo stesso tempo, stupida e terribilmente reale. Perché affezionarsi era stupendo, ma perdere chi si vuole bene era uno strazio terribile.

«No, non sto pensando di scappare; continuo a pensare di non essere adatto a fare il padre, ma non sono un ragazzino piagnucoloso e viziato e non ho intenzione di lasciarti da solo a gestire un mio sbaglio, almeno fin che tu non me lo chiederai»

«Allora puoi metterti l’anima in pace, perché non ti chiederò di andartene. E se tu dovessi provarci ti verrei a cercare» aggiunse con finta aria minacciosa, ma nulla di quello che aveva detto era una bugia.

Pranzarono con formaggio, carne – Eragon aveva smesso di seguire la dieta elfica – e qualche verdura, accompagnando il tutto con dell’idromele, mentre Eragon raccontava di quella terra e Murtagh ascoltava distrattamente, perso nei suoi pensieri.

Alla fine, forse, non gli sarebbe dispiaciuto avere quella specie di famiglia mal assortita. D’altronde lui, sotto sotto, aveva sempre desiderato avere una famiglia. Quella era la seconda vera occasione che gli si presentava  e sperava vivamente che Eragon gli impedisse di mandarla all’aria come aveva fatto con la prima.

NOTE DELL’AUTRICE

Salve a tutti ;) eccomi con il nuovo capitolo, spero che vi sia piaciuto e di non averci lasciato errori-orrori. In questo veniamo a conoscenza del nome del bambino; spero che Aiden sia un nome che vi piaccia (piccolo rimando a Teen Wolf, sono incurabile…). Che dire ancora? Non ho lavorato molto sui pensieri di Murtagh ed Eragon, forse un po’ sulla parte finale, ma ho intenzione di faro nei prossimi capitoli, perché voglio aspettare che i due siano un po’ più in confidenza – e di rimando lo siano anche con me, perché sì; se i personaggi non sono in confidenza con me e con gli altri personaggi non riesco a farli pensare come penserebbero sul serio, ma solo come peserei io; lo so è strano…
Detto questo vi saluto: Ciao e alla prossima

Ortceps

P.S. COSA MOLTO IMPORTANTE!!! Sto cercano qualcuno che faccia da beta reader per questa storia, se siete interessate/i contattatemi tramite messaggio privato o recensione; mi fareste un grosso piacere perché io non ho mai tempo per rileggere.

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Capitolo 4
*** 3 - Cambiamenti ***


3 – CAMBIAMENTI

Alla fine fu solamente Eragon ad andare dagli efli, Murtagh era riuscito a saltare quella spiacevole incombenza con la scusa, abbastanza sensata, di dover ancora abituarsi ai contati umani e non. Dopo anni di solitudine diventava difficile interagire con altre creature senzienti per più di pochi minuti.

Così Eragon aveva dovuto sopportare da solo uno spiacevole interrogatorio, dove si era addirittura arrivati ad insinuare che fosse lo stesso cavaliere ad aver partorito il bambino, cosa che aveva lasciato spiazzato l’uomo. L’unica cosa che era riuscito a ribattere sul momento, rosso in viso, era stata: «Ma mi avete per caso visto con la pancia?»

A quella frase Blodgrham aveva scrollato le spalle, cosa che aveva dato coraggio ad Eragon di chiedere di più sull’argomento. «E poi com’è possibile che un uomo partorisca?» a quella domanda l’elfo aveva risposto con disarmante semplicità, se la magia era in grado di curare i morituri perché non doveva essere capace di creare una vita da due corpi maschili? E rispondere ad una tale affermazione era presso che impossibile.

Così solo dopo quattro ore passate in compagnia degli elfi era riuscito ad avere tutto quello che serviva ad Aiden. Non vedeva l’ora di stendersi sul suo letto e non vedere nessuno per i prossimi cinque anni, adesso riusciva a capire perché Murtagh non fosse voluto venire e credeva anche che fosse meglio così, d’altronde non era sicuro di come si sarebbe comportato il Cavaliere Rosso dopo le insinuazioni che avevano fatto gli elfi e non era ancora pronto a rinunciare ad un arto o a qualche elfo in meno.

«Ciao» lo salutò Murtagh al suo rientro, lui gli rivolse uno stanco cenno del capo come unica risposta, cosa che portò il moro ad indagare ulteriormente: «Allora? Abbiamo tutto quello che ci serve?»

«Sì» sospirò, accasciandosi sul divanetto vicino a Murtagh, che gli rivolse uno sguardo perplesso «Ho la culla, delle copertine, latte di capra e di mucca. E persino una sacca fatta con la mammella di una capra per dargli da mangiare» aggiunse riservando una smorfia all’ultima cosa della lista.

«Allora perché sei così abbattuto?» Chiese il più grande, passandogli il pargoletto che era comodamente assopito tra le sue braccia. Ma quel bambino dormiva sempre?

«Nulla, è solo che gli elfi non sanno farsi gli affari propri» sbottò buttando la testa all’indietro, lasciando scoperto in collo e la cicatrice bianca che faceva bella mostra su di esso, Murtagh la sfiorò con l’indice facendolo sobbalzare. «Cosa hai fatto qui? Non ricordavo che tu ce l’avessi l’ultima volta che ci siamo visti»

«Non l’avevo» ammise lui con voce fioca, restio ad aggiungere altro sull’argomento. Il suo tentativo poco convinto di togliersi la vita non era tra la lista dei suoi argomenti preferiti.

«Come l’hai fatta?» Tentò ancora il moro, ricevendo come sola risposta uno sguardo di fuoco da Eragon. «Non ho voglia di parlarne, né ora né mai, quindi fammi il piacere di non chiedermelo più» il tono di voce era rabbioso e risentito, ecco il modo migliore per risvegliare la curiosità del Cavaliere Rosso. «Va bene» disse infine, preferendo rimandare quel discorso ad un altro giorno.

Eragon tornò a sedersi, rivolgendo tutta la sua attenzione al bambino, che si era svegliato e piagnucolava per colpa del tono di voce che aveva usato il castano. «Dovresti provare a dargli da mangiare, visto che ora abbiamo tutto il necessario»

«Perché non lo fai tu? D’altronde sei tuo suo padre! Non io» Murtagh gli rivolse un’occhiata obliqua, ma non fece commenti e si alzò solamente per andare a prendere tutto il necessario. Tornò pochi minuti dopo con del latte di mucca caldo, dentro a quella sacca-mammella poco attraente alla vista; la passò ad Eragon, che la prese con poca cortesia. Appena accostata alla bocca del piccolo quello si mise a succhiare avidamente.

«Ho messo un po’ di miele su quell’affare, per renderlo più piacevole» Eragon annuì senza guardarlo, non era colpa di Murtagh se era stato uno stupido, ma doveva prendersela con qualcuno e non poteva avercela con se stesso perché sarebbe stato più difficile perdonarsi.

«Gli elfi hanno detto che dobbiamo comunque dargli dell’energia perché cresca bene, il latte umano contiene molti più zuccheri di questo» Murtagh annuì brevemente poi posò una mano sulla fronte di Aiden e gli cedette un piccola quantità di energia.

«Io vado a dormire, la culla la sistemiamo domani?» Eragon annuì e solo quando il moro stava già oltrepassando la porta della propria camera gli augurò buona notte, cambiando idea sul mantenere quell’aria arrabbiata.

«Buona notte, Eragon» gli rispose l’altro senza voltarsi «Buona notte, Aiden» aggiunse chiudendosi la porta alle spalle.

 

DUE MESI DOPO

Il sorriso di Eragon si accentuò; Aiden emise un risolino e schizzò un altro po’ di pappa sulla casacca di Murtagh, che storse il naso e slacciò il nodi della camicia irrimediabilmente macchiata dal miscuglio che era il pasto del bambino.

«Due mesi che siete qui e Aiden ha combinato più casini di chiunque altro» Murtagh gli lanciò un’occhiata seccata, strattonando i laccetti della casacca. «Io te l’ho detto che è presto per quella roba» indicò i residui di brodo nella ciotola davanti a Aiden.

«Sì, ma è stato comunque divertente» sogghignò il più giovane. «Per te, forse» e gli lanciò in faccia la camicia sporca; facendo emettere all’altro un verso di disgusto, mentre si levava la camicia di Murtagh dalla faccia.

Il moro si passò una mano tra i capelli, rabbrividendo; l’’inverno era ormai giunto e un sottile strato di brina copriva già la vegetazione esterna e anche se dentro la casa non c’era abbastanza freddo per far congelare qualcuno non si poteva stare a petto nudo senza sentire l’umidità insinuarsi nelle ossa.

«Dovresti metterti qualcosa addosso» lo rimbeccò Eragon distogliendo gli occhi da lui, con un accenno di rossore sulle guance. Era qualche settimana che il castano si comportava in modo strano, quasi rigido e impostato e lui non ne capiva proprio il motivo.

Annuì con poca convinzione e prese un’altra casacca dal piccolo armadio in camera sua, infilandosi la stoffa morbida ma comunque pesante si sentì subito meglio; era prodigioso come gli indumenti elfici anche se sottili allontanassero il freddo.  «Allora, portiamo il principino dagli elfi come avevamo deciso e andiamo ad allenarci?» Chiese stendendosi sul divano e lasciando ciondolare la gamba destra oltre il bordo di stoffa.

«Sì, lasciami solo finire di dargli da mangiare»

***

Il vento accarezzava il viso di Eragon torcendogli i capelli di lato; li aveva lasciati crescere, per un istinto che non riusciva a comprendere a pieno. Sentiva il bisogno di distaccarsi dalla persona che era prima, per definirsi nuovamente e non restare per sempre un ragazzino troppo giovane che per affrontare la guerra ha dovuto sacrificare troppo.

In qualche modo sapeva che restare quel ragazzo non l’avrebbe aiutato ad andare a vanti; perché l’uomo che era diventato in guerra non poteva sopravvivere in tempo di pace. Il primo cambiamento che aveva apportato era stata la sua rutine, poi era arrivato Aiden e si era concesso di poter amare qualcuno; cosa che l’uomo che era stato non avrebbe accettato, per paura di perdere anche quella nuova scintilla di amore.

C’era stato un tempo, prima che il ragazzo fosse cresciuto, che si era concesso fin troppi errori: troppo persone a cui volere bene. Non aveva smesso di amarle nemmeno dopo essere cresciuto, né aveva smesso di soffrire per loro.

Ma aveva smesso di affezionarsi.

Aiden era stato il primo bocciolo cresciuto su un campo d’erba secca e gialla; piccolo e indifeso, ma ben protetto. Non c’era più niente che minacciasse la sua vita o quella del reame.

Schivò un fendente di Murtagh; nemmeno il suo corpo si muoveva più come prima. Non era rimasta traccia di quella frenesia quasi animale che lo animava sul campo di battaglia; ora la spada si muoveva fluida, quasi liquida. Colpiva con eleganza estrema, ma mai inutilmente; il suo modo di combattere rassomigliava più a quello elfico che a quello umano; una danza di morte ed eleganza.

Anche il suo corpo era cambiato, diventando più spigoloso, ma senza lasciare che la sua natura umana sparisse del tutto. Il viso era ancora espressivo, le spalle conservavano la curva dolce tipica della sua razza e così anche la schiena; gli addominali erano appena accennati, sotto il leggero strato di grasso – anche quello frutto della nuova rutine.

Appena distanziatosi abbastanza dall’avversario aprì leggermente il braccio destro, spostando la guardia e lasciando scoperto il corpo; scattò in avanti, puntando verso il fianco sinistro di Murtagh e quando fu a pochi passi da lui ripotò la spada al centro del petto compiendo un grosso semicerchio. Se quell’azione si fosse conclusa come sperava avrebbe colpito il moro in viso con il piatto della lama; ma Murtagh non era uno sprovveduto ed era comunque più veloce di lui.

Il Cavaliere Rosso, vedendolo puntare al suo fianco non aveva badato alla lama blu ancora scostata dal corpo di Eragon; ma anche se la sua attenzione non le aveva dato la massima importanza i riflessi che aveva acuito negli anni non si lasciarono sfuggire quel particolare. Si abbassò così velocemente che finì col sedersi sui talloni, mente la lama sibilava sulla sua testa; osservò il braccio di Eragon tornare verso il corpo del castano con tanto impeto che questi non riuscì a frenarlo abbastanza da tenerlo in posizione di guardia.

Brisingr puntava dietro la schiena di Eragon, che aveva il braccio destro stretto al proprio corpo in una specie di abbraccio e stava facendo forza sulla spalla per riportare la spada davanti a se. In quel momento Murtagh vide la possibilità di vittoria; caricò il peso sui talloni e si lanciò in avanti.

Colpì Eragon allo sterno tanto forte da farlo cadere all’indietro, nemmeno lui si salvò dal precipitare, cadendo proprio sul più giovane. Ma non si era lasciato sfuggire quel momento di vantaggio e aveva afferrato il braccio destro di Eragon tenendolo premuto contro il collo del sottoscritto, mentre con la mano che impugnava la spada – finita poco lontano da lui, ma abbastanza perché non riuscisse a riprenderla – bloccava la sinistra di Eragon.

«Ho vinto» disse stringendo le cosce in torno alla vita del castano, per impedirgli di muoversi. «Sei caduto a terra proprio come un sacco di patate» lo sbeffeggiò bonariamente, scuotendo la testa per scostare un ciuffo di capelli che gli era ricaduto sul viso.

«Sì, parla per te» sbuffò di rimando «e comunque non abbiamo ancora finito» e detto questo cercò di liberare dalla presa di Murtagh la mano della spada, ma riuscendo solo a spostare il braccio dal collo, a perdere la presa su Brisingr e a ritrovarsi entrambe le mani sopra la testa e l’avambraccio destro del moro premuto sulla gola.

Ancora quel sorrisetto deficiente. «Smettila di sogghignare in quel modo. Sei più grande di me è ovvio che tu sia più forte» sbuffò distogliendo lo sguardo dagli occhi neri del più grande, che gli facevano venir voglia di sorridere, anche se non c’era niente da festeggiare.

«Ah,» soffiò lui simulando un illuminazione «e io che pensavo che fosse perché in questi due anni invece di allenarti ti sei trastullato, invece di allenarti. Sai, si sente che hai messo su qualche chilo» aggiunse con aria divertita, lasciando la presa sul collo e pizzicandogli un fiano.

Il viso di Eragon divenne di un rosso preoccupante; l’intera situazione era piuttosto imbarazzante. Con Murtagh a cavalcioni su di lui, le mani bloccate sopra la testa e la mano dell’altro su un fianco non sapeva cosa fosse peggio.  «Murtagh, per favore, mi lasci» chiese, cercando di dissimulate almeno un briciolo di sicurezza, anche se l’ultima sillaba suonò leggermente più stridula delle altre.

«Neanche per sogno» sogghignò quello «almeno non fin che affermerai che sono io il migliore; non mi è ancora andato giù il fatto che tu abbia vinto quel duello, due anni fa» la voce era seria, ma gli occhi ridenti, segno che non l’avesse presa a male come voleva far credere.

«Te lo puoi scordare» rispose prima di ave passato le parole al vaglio del cervello; perché era dannatamente così impulsivo? Certo, non disdegnava quella situazione; ma non voleva dare a Murtagh un motivo per fargli pensare che l’apprezzasse.

Dei, a volte si chiedeva veramente che cosa gli passasse per il cervello; aveva battuto un tiranno molto più forte di lui e ora si trovava in quella situazione dannatamente piacevole e imbarazzante senza sapere cosa fare. Da un lato voleva filarsela, ma dall’altro voleva solo dire tutto quello che aveva in testa.

Voleva dire che la presenza del Cavaliere Rosso gli aveva messo strane idee in testa – sicuramente dovute all’isolamento autoimposto in cui viveva, d’altronde era un ragazzo anche lui e aveva i suoi bisogni –, che forse gli voleva bene in modo diverso dall’amicizia e che non era più sicuro di nulla. Ma alla fine sapeva che non gli avrebbe detto nulla, perché per quanto forte fosse il desiderio di liberarsi la coscienza era più forte la paura di perderlo.

NOTE DELL’AUTRICE

Ok, non mi sono fatta sentire per un po’, perdonatemi!!! Ma un po’ tra questo capitolo che non voleva saperne di essere scritto e un po’ tra impegni vari (che mi porteranno l’ontano dall’Italia) non sono proprio riuscita a fare più in fretta di così L
Spero veramente che il prossimo non si faccia attendere tanto, ma parliamo del capitolo ora; creo che la storia stia prendendo una piega interessante – sì, anche se io sono di parte – e mi è piaciuto un sacco scrivere la parte in cui Eragon e Murtagh si allenavano!! È quella che mi è uscita con più facilità e credo sia anche la meglio riuscita. Spero di aver fatto capire che comunque Eragon sta cambiando, che sta cercando di adattarsi a questa nuova situazione di pace, cosa non facile e per questo non so se sono riuscita a esprimere al meglio questo suo tumulto d’animo; non so, fatemi sapere… Avrete anche notato che c’è un salto temporale di ben due mesi; le ragioni sono due: 1 non riuscivo a scrivere di quei due mesi e 2 li trovavo meno degni di nota.
Detto questo ringrazio tantissimo tutti coloro che nell’arco della mia assenza hanno inserito la storia tra preferite/seguite/ricordate, mi fa molto piacere che vi piaccia – almeno spero che vi piaccia –, ma ovviamente anche chi l’aveva già inserita nelle sopracitate e soprattutto chi ha recensito. Per me è importante il vostro parere ;)
Grazie veramente a tutti e alla prossima,

Ortceps  

P.S. Per chi volesse spoiler – sì, ho deciso di allargarmi – mi contatti su facebook, precisamente QUI (spero si apra, io e la tecnologia non andiamo d’accordissimo)

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Capitolo 5
*** 4 - Ritorno ***


4 – RITORNO

Il tempo è qualcosa di così effimero, nulla può essere più veloce e lento. Nulla può renderti più felice e triste; qualcosa di misurabile, ma allo stesso tempo incomprensibile ai nostri occhi. Non c’era più niente che Eragon ricordava più volentieri dei tempi in cui la sua famiglia era felice e libera da pensieri difficili.

Ma il tempo va avanti e se tu non sei pronto a seguirlo lascerà di te solamente miserie.

Poco tempo dopo il primo compleanno di Aiden era a arrivata una missiva per Eragon; recava la firma della regina degli elfi e chiedeva al nuovo “Capitano dell’Ordine” di recarsi ad Alagaesia perché tre anni erano passati e nessuna delle uova che aveva lasciato si era schiusa e tutti speravano di ricevere nuove uova, magari più avvezze a scegliere un compagno.

Il cavaliere allora ne aveva parlato con Murtagh, trovandolo restio ad accompagnarlo, ma alla fine il moro aveva capitolato. Così avevano preparato le poche cose che gli sarebbero servite ed erano partiti.

Alla corte elfica avevano trovato un’Arya entusiasta di vederli e una regina buona, intelligente e carismatica; non era mai stata più sicura del suo ruolo e fiduciosa nelle sue capacità. Avevano parlato molto nella settimana che avevano passato nella capitale elfica e così Eragon aveva sincerato che nella sua antica terra andava tutto bene; nulla turbava la pace che avevano così faticosamente conquistato.

Lì avevano anche fatto il cambio delle uova, con la speranza che queste avessero scelto presto un compagno che andasse ad ingrossare le fila dei Cavalieri.

Ma il loro viaggio non si era concluso, avevano proseguito verso Urbaen; alla volta di un’altra regina.

***

Il grande salone era illuminato da mille candele che riflettevano la propria luce sul pavimento dorato; le grandi vetrate colorate lasciavano entrare la luce bronzea del tramonto tingendo di mille colori le pareti bianche.

I cortigiani della regina affollavano la sala, senza però essere una presenza veramente opprimente. L'unica cosa che esisteva per Murtagh era la regina, seduta sul trono bianco. E per lei l'unico che esisteva era il Cavaliere Rosso; era ovvio che la sala fosse per loro così poco affollata se esisteva solo l'uno per l'altra e viceversa.

I boccoli neri di Nasuada ricadevano sulle di lei spalle in volute leggere, scontrandosi contro l'abito dorato che indossava. Non era cambiata molto in quei due anni, solo i suoi tratti erano più maturi... e belli. La carnagione scura che brillava tra tutto quell'oro, assorbendo la luce e convogliandola su di se.

Quando si alzò e corse verso il cavaliere finendo nelle sue braccia non era più la regina, ma solo una ragazza perdutamente innamorata; non c'era niente di sconveniente nell'abbraccio che l'accolse, nessuna dama avrebbe sparlato di lei. L'avrebbero solo invidiata. Quella era solo la rappresentazione più sublime dell'amore.

Eragon ne fu sopraffatto.

La gelosia si impadronì così velocemente delle sue membra che temette di stritolare Aiden, che se ne stava appollaiato tra le sue braccia e osservava la scena senza parlare.

Murtagh strinse la presa attorno alla vita della regina e le posò un bacio sulla fronte, beandosi di quei piccoli atti che non aveva potuto avere nei suoi confronti per un tempo, che in quell'attimo gli parve infinito. «Mi sei mancata tantissimo» le sussurrò all'orecchio.

«Anche tu» fu la risposta della regina, la cui voce era incrinata dall'emozione, ma i cui occhi non versarono nemmeno una lacrima; non avrebbe potuto mostrarsi così debole davanti al suo popolo.

«Sono molto felice che siate venuti qui» disse staccandosi da Murtagh «Eragon, è così bello rivederti! Cavalieri sono molto curiosa di ascoltare le vostre avventure in questi due anni, perciò spero che vi uniate a me per la cena e spero di estendere la mia ospitalità anche ai giorni seguenti».

***

Eragon strinse i pugni e si trattenne dal scaraventare il tavolo di mogano fuori dalla finestra, cosa piuttosto difficile considerando che il tavolo superava di gran lunga le dimensioni della finestrella che c'era nella sua camera.

Era stata una giornata orribile, come prima cosa quella, quella... reginetta aveva dato per scontato che Murtagh fosse suo e seconda cosa, ancora peggiore della prima, Murtagh non aveva in alcun modo sanato quell'idea malsana!

E ora lui si trovava da solo, da solo perché il moro si era trasferito nelle stanze della regina, ad essere arrabbiato con il mondo intero ma soprattutto con se stesso. Lui non aveva diritti su Murtagh ed era stupido prendersela con Nasuada, lei che se ne era innamorata molto prima di lui.

L'unica cosa che si poteva rimproverare era la libertà che si era preso nell'immaginare un futuro per loro tre, come famiglia. Lui, Murtagh e Aiden; nessuna Nasuada a turbare quella quiete.

Era stato stupido pensare che il Cavaliere Rosso non provasse più niente per la regina, era stato stupido insistere per riportarlo ad Alagaesia ed era ancora più stupido pensare che Murtagh non meritasse quella felicità che sembrava avere in compagnia della regina.

L'aveva guardata per tutta la sera con occhi dolci, sorridendole così apertamente da far spuntare le fossette che aveva sulle guance e che Aiden aveva ereditato. Lo stesso sorriso che Eragon riservava a lui e che si era illuso ricambiasse.

Era stato cieco a pensare che quei mesi passati insieme significassero più di una semplice amicizia, era stato ingenuo a voler credere che le risate che avevano condiviso potessero essere quelle di due giovani che si riscoprono innamorati. Tutto ciò che aveva visto nel comportamento di Murtagh era qualcosa che non esisteva, ma che solo la sua mente infatuata aveva prodotto.

Non c'era niente a legarli, se non Aiden, ma nemmeno lui era una ragione abbastanza forte da far ricambiare al moro sentimenti che non provava.

È tutto ciò fu confermato la mattina seguente.

Un leggero bussare lo riscosse dal martoriare col coltello una delle pesche che gli avevano portato per colazione «Avanti» disse, cercando di non far trasparire il proprio turbamento dalla voce. I capelli ricci del Cavaliere fecero capolino dalla soglia, accompagnati dalla risata squillante di Aiden, che aveva dormito con una governate.

«Buon giorno» fece Murtagh, posando a terra il figlio che si precipitò sul tappeto con una nave giocattolo stretta nella mano, pronto per una sessione intensiva di gioco.

«Giorno» rispose Eragon, ingoiando finalmente il pezzo di pesca.

«Passato una buona nottata?» Chiese ancora Murtagh. «Favolosa» rispose piatto il castano, ripensando a quanto si era rigirato nel letto al pensiero di lui con Nasuada e di quanto fosse stato così cieco da non capire che quello in cui sperava era impossibile.

«Bene!" Fece il più grande sedendosi difronte a lui "perché ti volevo parlare di una cosa»

«Ti ascolto» ma l'unica cosa che voleva fare in quel momento era premersi le mani sulle orecchie e fuggire lontano. Lontano da quelle parole che non potevano portare nulla di buono, lontano dalle speranze infrante di avere una famiglia e lontano dalla seconda persona di cui si era innamorato e che lo aveva respinto.

«Io stavo pensando di venire a vivere qui» un altro pezzettino di lui si staccò e andò ad accartocciarsi ai suoi piedi, ma la sua espressione rimase neutra.

Avrebbe voluto urlargli che non lo poteva lasciare solo, che non si doveva azzardare a distruggere il loro piccolo paradiso, ma disse solo: «Vuoi abbandonare Aiden come stavi per fare quando l'hai portato da me» calcò su quel 'da me' per sottolineare il fatto che quando aveva avuto più bisogno di aiuto non era andato da Nasuada, ma da lui.

«Abbandonarlo?!» Murtagh sembrò disgustato al solo pronunciare quella parola, scosse la testa «no, no. Nasuada sarebbe felice se rimanesse con noi e di poterlo allevare come se fosse sua madre»

Quando pensi che non possa andare peggio la vita si prende la briga di dimostrarti il contrario.

«È anche mio figlio! Non puoi portarmelo via»  strinse i pugni lungo i fianchi, non poteva portargli via anche quella parte di famiglia.

«Mi hai frainteso, puoi restare anche tu se vuoi e comunque potrai vedere Aiden quando vorrai» come se quelle due opzioni fossero anche solo lontanamente considerabili. Non sarebbe restato lì solo per vedere la felicità di Murtagh e sentire crescere il proprio dolore; ma non aveva nemmeno intenzione di tornare ad Alagaesia così spesso da mantenere il proprio posto di padre.

«Non rimarrò» diede un'occhiata ad Aiden, che giocava tranquillo sul tappeto ricamato; l'ultima cosa che voleva era lasciarlo lì, ma non gli sarebbe stato utile in nessun modo se fosse restato lì ad aspettare qualcosa - qualcuno - che non sarebbe mai arrivato.

«Anzi» proseguì «vado via subito, avevo comunque intenzione di ripartire per salutare Arya; tanto il nostro compito è concluso. Fammi un favore, dì agli elfi che ci incontriamo fra tre giorni all'ultimo avamposto»

«Perché tutta questa fretta?» Sbottò Murtagh, mentre l'altro già infilava i pochi averi che aveva portato con se in una bisaccia e si allacciava la cintura della spada alla vita.

«Perché così presto?» Sussurrò lui di rimando; perché non poteva stare un secondo di più con la consapevolezza di essere di troppo. «Perché devo andare»

Si chinò verso Aiden e lo prese in braccio, il bimbo gli afferrò il labbro inferiore tra le dita sottili. «Allora ci vediamo presto, Aiden. Fa il bravo, altrimenti lo verrò a sapere» aggiunse con tono scherzoso.

«Papaa» soffiò il bambino stringendogli le braccia al collo, come se avesse intuito che qualcosa non andava. Quell'abbraccio ad Eragon sembrava qualcosa di definitivo, una conclusione. Ma per lui tutti gli abbracci che aveva ricevuto erano la conclusione di qualcosa, mai uno che fosse completamente disinteressato - a parte suo figlio, ovviamente.

Rimise giù il bambino e si avviò alla porta, solo quando fu di due passi oltre di essa le parole di Murtagh lo raggiunsero: «Ho fatto qualcosa di sbagliato?»

«No» non si girò verso di lui, temendo che incontrare i suoi occhi neri avrebbe mandato all'aria ogni suo proposito di andarsene. «È solo colpa mia»

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Capitolo 6
*** 5 - Coscienza ***


5 – Coscienza

Erano passate solo tre settimane dalla sua partenza da Alagaesia e quasi quattro dall'ultima volta che aveva visto Aiden. Non avere più il bambino tra i piedi lo metteva di cattivo umore; non poter sentire i suoi gridolini, i suoi pianti e i suoi ‘perché?’ era fin troppo straziante.

Alla fine non incolpava Murtagh – o forse sì – perché capiva che quello che l’altro desiderava non era lui e non voleva certo imporgli la sua volontà. Però trovava difficile perdonarlo per avergli portato via quello che per lui era come un figlio; anzi, quello che per lui era la possibilità di guarire le cicatrici di una guerra durata troppo a lungo e che si era instaurata così a fondo nel suo cure da impedirgli di vedere altro.

Senza Aiden e Murtagh tutto ciò che era diventata la sua rutine si lasciava dietro una pozza di amarezza, che faceva ritornare a galla rimpianti che pensava di aver dimenticato. Di notte aveva ricominciato a sognare i volti dei morti.

Pensava di aver dimenticato tutto quel dolore, ma evidentemente non era così. E da un lato si trovava felice del fatto che non aveva dimenticato ciò che la guerra porta, un promemoria costante di quel che gli uomini e le altre creature senzienti potevano portare. Ma dall’altro lato capiva che quei ricordi non erano solamente tali, ma portavano con se insicurezze e paure che l’animo umano fatica a sopportare; portavano con se un’instabilità di quelle tra le più pericolose.

Aveva sempre pensato che la solitudine fosse stare lontani da tutto e tutti, ma non era del tutto vero. Ora comprendeva che la solitudine era amare inutilmente; amare inutilmente non significava solo non essere ricambiati, ma amare così tanto da annullare quasi se stessi.

E lui lo aveva fatto. Aveva riversato tutto quello che aveva su Murtagh e Aiden, da dimenticarsi che c’era altro dentro di lui; aveva vissuto così a lungo in funzione della sua ‘famiglia’ da scordare come era il suo animo. Ora che la sua famiglia non esisteva più la sua vera essenza aveva deciso di ricordargli chi era e lo faceva nel modo più doloroso e dirompente possibile.

Stava distruggendo tutti i muri che aveva creato e riempiva la sua mente con le immagini dei morti e di quella pazzia che aveva portato Galbatorix al potere. Aveva paura di se stesso, perché con tutto ciò che gli stava succedendo non riusciva più a considerare orribile quello che il re aveva fatto. Anzi, lo iniziava a capire. Capiva il suo dolore in modo profondo e superficiale allo stesso tempo. Era come un fiume d’inverno, la superfice ghiacciata nascondeva sotto la corrente impetuosa. E benché la sua mente non riuscisse a capire ciò che l’animo anelava, tutto in lui era un dolore costante; tanto costante ed immutabile che dopo soli tre giorni non lo riconosceva nemmeno più.

Se lo avesse analizzato più tardi nella sua vita avrebbe capito quanto fosse pericoloso; il suo cervello processava pensieri cupi e violenti senza riconoscerli come tali, o facendoli passare per necessari. Se non fosse arrivata quella lettera non avrebbe saputo se avrebbe potuto uscire da quell’incubo che stava diventando la sua vita.

La rondine di pergamena arrivò in un momento imprecisato tra il tramonto e la notte. Si posò sulla sua spalla, accucciandosi come se il lungo l’avesse stancata, lui non si mosse; forse non era nemmeno conscio che lei fosse lì ad aspettare di essere letta. Alla fine il vento della sera lo riscosse e si decise ad aprire il piccolo messaggio.

Le poche righe che recava lo scongelarono.

L’acqua tronò a scorrere in superfice, più limpida e cristallina di quanto non fosse stata prima. Consapevole di quello che poteva celarsi nei suoi abissi. La fitta scrittura di Murtagh recava un invito ad unirsi a loro – loro chi? Si chiese amaramente – nella residenza estiva della regina. Sul retro del foglio di pergamena c’era un disegno fanciullesco di Saphira e Castigo, con a lato tre figure stilizzate che Eragon intuì essere lui e Murtagh e tra di loro Aiden. Sotto di esse le firme di Aiden e Murtagh.

Il cavaliere sorrise nel constatare che il bambino aveva una scrittura più elegante di quella del padre, ma sorrise anche nel constatare che Nasuada non appariva nel disegno o il suo nome tra le firme.

Come era facile al cambio di umore. Erano bastate poche righe e un disegno a farlo tornare consapevole di se. Più felice, ma meno ingenuo; promise a se stesso di non scordarsi di se ancora, ma di convivere con ciò che aveva fatto, portandone le cicatrici, senza però lasciarsene sopraffare.

Partì la notte stessa, mentre con Saphira riordinava le sue emozioni, i suoi ricordi e i pensieri; in modo da riconoscere quelli pericolosi da quelli innocui e ad accettare il fatto che era stato in grado di produrli. Che non era l’eroe senza macchia e senza paura; che in lui, come in tutti gli altri, c’era oscurità e luce in egual misura, ma che aveva un cervello con cui scegliere quale delle due seguire.

Saphira riconobbe anch’ella di non essere stata abbastanza forte da portarlo fuori da quel buco nero in cui era sprofondato, ma non se ne fece una colpa. Non poteva fare nulla per lui se lui non le parlava e l’unica cosa che sapeva è che lo avrebbe fermato se qualcosa d peggio si fosse annidato nel suo animo. Loro condividevano la mente e il cuore, ma entrambi sapevano cosa era giusto e cosa sbagliato e si giurarono a vicenda che se uno di loro avesse perso la ragione l’altro avrebbe dovuto fermarlo, a qualunque costo.

NOTE DELL’AITRICE
Salve gente, sono tornata!!! Immagino vi sarete dimenticati di questa storia dopo tutti i mesi che ci ho messo per aggiornare, ma meglio tardi che mai (spero non vogliate uccidermi per tutti questi mesi di assenza). Non vi sto a spiegare come mai è passato così tanto tempo, storia troppo lunga; piuttosto mi scuso sia per non essermi fatta sentire sia perché il capitolo è corto, ma è solo di passaggio e il prossimo sarà decisamente più lungo (sì, è già in fase di stesura).
Comunque io continuo a ribadire quanto siate fantastici e vi adoro per non aver spostato la storia da preferite/seguite/ricordate, anzi siete cresciuti  Piccoli Funghetti – ho sempre sognato di dirlo e ovviamente la maiuscola è d’obbligo – spero anche che recensirete questo capitolo, ho bisogno di incoraggiamento e calore umano!!!

Bye-bye Piccoli Funghetti

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Capitolo 7
*** 6 - Dobbiamo parlare? ***


6 – Dobbiamo parlare?!

La residenza estiva della regina era un piccolo castello su un piccolo lago ai confini con la foresta elfica; tirava una brezza leggera e l’aria profumava di erba e rugiada, residuo della notte precedente. Era mattina inoltrata quando Saphira atterrò nel cortile interno del piccolo castello, il sole del mezzogiorno stava iniziando a riscaldare le pietre delle mura e tutto il resto intorno a loro. Si prospettava essere un estate particolarmente calda.

Castigo saluto il loro arrivo con un poderoso ruggito, allertando anche chiunque non li avesse visti atterrare; Saphira ruggì in risposta e in pochi secondi la zazzera di capelli neri e disordinati di Aiden apparì dal portone principale correndogli in contro con assurda frenesia. La vista del bambino mise subito Eragon di buon umore e gli fece dimenticare la stanchezza dei due giorni passati a volare per raggiungere il prima possibile il piccolo e suo padre.

Aiden volò direttamente tra le braccia di quello che per lui era un padre, avvolgendogli le sue al collo e facendo sprofondare il viso nella spalla di Eragon. Dal canto suo il cavaliere si godette l’odore dei cappelli del bimbo, che gli ricordava la primavera, sapeva di fiori e paglia. Sarebbe restato così per sempre se il bambino non avesse iniziato a scalciare in preda all’entusiasmo per raggiungere l’altro dei suo padri che stava seguendo, con molta più calma, il percorso intrapreso dal figlio.

Eragon posò Aiden a terra e il bambino prese subito a correre tra i due uomini in preda ad un febbrile entusiasmo, lanciando gridolini e proferendo frasi spezzate con il fiato corto. «Ciao, Eragon. Mi fa molto piacere che tu sia venuto» lo salutò latro con un splendido sorriso, tanto che per un momento il cavaliere si scordò di essere arrabbiato con lui e lo salutò di rimando; i due si strinsero in un abbraccio e poi insieme al bambino, che non dava segni di volersi calmare, si avviarono verso l’interno del castello, alla ricerca di un po’ di frescura.

«Aiden è molto felice di vederti» proferì il cavaliere rosso, spezzando il silenzio che si era creato tra i due. Sul viso aveva uno strano sorriso, quasi imbarazzato, che Eragon faticò ad interpretare. «Non gli piace molto vivere qui» aggiunse, lanciando un’occhiata divertita al figlio che li precedeva saltellando.

«No?» Fece Eragon cercando di sembrare più dispiaciuto possibile, ma dovette riuscirci molto male perché la sua voce suonò fin troppo soddisfatta anche alle sue orecchie; infatti Murtagh gli scoccò uno strano sguardo, che Eragon faticò nuovamente ad interpretare. Dio era così stanco.

«Da quanto è che non dormi?» Gli chiese infatti l’altro, sorvolando sulla precedente questione. «Due giorni»

«Dovresti riposarti un po’…» propose quasi timoroso Murtagh. Sentire la voce del cavaliere con quello strano timbro confuse ancora di più Eragon; non era certo da lui quel tono timoroso, l’altro era più quello che si impone sugli altri con risoluta fermezza. «Sono appena arrivato» si lamentò lui, anche se sapeva che se non andava a riposare si sarebbe addormentato prima del tramonto, che fosse in piedi o seduto.

«Puoi sempre dormire qualche ora e svegliarti prima di cena, tanto Nasuada non arriverà prima di domani» Eragon registrò l’informazione distrattamente mentre annuiva, in accordo con l’idea proposta dall’altro.

«Aiden» chiamò Murtagh «augura buon riposo a Eragon e va dalla tua governante, lo rivedrai prima di cena» assicurò lui, precedendo qualsiasi protesta del figlio. Il bambino fece come gli era stato detto, baciando Eragon sulla guancia e zampettando via. I due adulti procedettero verso l’ala delle stanze.

Entrambi restarono in silenzio fino a quando Murtagh non si fermò davanti ad una porta in legno dietro la quale vi erano le stanze allestite per Eragon. «Ascolta» iniziò Murtagh, fissando i suoi penetranti occhi neri in quelli castani dell’altro «noi due dobbiamo parlare di un po’ di cose e sono abbastanza sicuro che la conversazione non sarà di quelle più piacevoli, ma non ho intenzione di rimandarla oltre» e a quel punto sembrò ripensarci «beh, non oltre di questa sera, non mi sembri nella forma giusta per intraprendere una discussione senza addormentarti. Ma ti prometto che non appena Aiden sarà andato a dormire noi due parleremo di tutto quello che è successo»

«Murtagh, io non capisco di…» cercò di dire il castano, venendo subito interrotto dall’altro: «Buon riposo Eragon, ci vediamo per cena» e detto questo girò sui tacchi per tornare da dove era venuto.

Eragon era troppo stanco per arrovellarsi sullo strano comportamento del più grande e quindi non appena entrato nelle sue stanze si sfilò i vestiti e si infilò nel letto, per sprofondare in un sonno profondo subito dopo.

Fu svegliato da un insistente bussare alla porta e ancora stordito dal sonno, che non voleva scivolare via, borbotto un avanti molto stizzito. La porta ruotò su cardini silenziosamente, lasciando entrare uno spiraglio di luce aranciata, luce di fiaccole. Aveva dormito per tutto il giorno e molto probabilmente aveva saltato la cena. Il leggero fastidio di aver probabilmente deluso Aiden lo risvegliò dal sonno completamente. I suoi occhi misero a fuoco la figura che stava chiudendo la porta; Murtagh era vestito come quel mattino, una casacca marrone, stivali alti fino al ginocchio e pantaloni neri, anche vestito che semplicità sembrava ispirare una certa regalità, come se l’avesse nel sangue. E in un certo senso era anche così.

Guardarlo avanzare verso di lui con passo sicuro gli diede un colpo al cuore, principalmente per due ragioni: uno, lo trovava assolutamente stupendo e, due, si ricordò che era completamente nudo. Sperò che nell’oscurità non si vedesse il rossore che gli aveva ricoperto le guance.

«Non mi hai svegliato» disse, cercando di suonare il più infastidito possibile, cosa che gli riuscì abbastanza bene. Complice il fatto che era veramente dispiaciuto di non aver potuto passare la serata con Aiden.

«Ho pensato che un po’ più di riposo non ti avrebbe fatto male. Avrai tutto il tempo di giocare con quel diavoletto di nostro figlio domani» Eragon notò il plurale con delizioso piacere. Nostro, suonava così bene.

Murtagh aveva acceso una candela posata sul comodino accanto al letto, inondando la stanza di una luce rossastra e infine si era seduto sul bordo del letto dando le spalle ad Eragon. Sembrava sul punto di scappare, aveva i muscoli contratti e la testa volta verso la porta; ma allo stesso tempo sembrava stranamente deciso a rimanere lì. Sembrava che si apprestasse a tagliarsi la mano per impedire a qualche malattia di propagarsi in tutto il corpo; fare qualcosa di doloroso per poi stare meglio.

«Se volevi lasciarmi riposare perché sei venuto?» La voce suonò alle sue orecchie più metallica e rancorosa di quanto avrebbe desiderato; decisamente era ancora arrabbiato con lui per quello che aveva fatto.

«Te lo avevo detto, volevo parlarti»

«Era una cosa così urgente che non poteva aspettare?!» Si sentiva sempre più irritato dal fatto che Murtagh non lo guardasse ma si ostinasse a rivolgere il suo sguardo verso la porta, dandogli le spalle.

«Non ha aspettato fin troppo?» Il tono della voce era dispiaciuto, quasi impotente. Da una parte Eragon se ne dispiacque, ma dall’altra quel tono non fece che aumentare la sua irritazione. Non era forse stato lui a volersene andare? A lasciarlo da solo come un cane, dopo che lui aveva accolto sia lui che Aiden?

«Non certo per colpa mia»

«No» finalmente si voltò ed Eragon desiderò intensamente essere vestito; ma doveva accettare di essere appoggiato alla testiera del letto, a petto nudo e con la coperta leggera che gli copriva dalla vita in giù. «Vuoi ascoltarmi?»

Voleva ascoltarlo? Ovviamente, ma al contempo voleva mandarlo a farsi un giro, o un lungo bagno in acque gelate. Gli fece un cenno di assenso con la testa.

«Mi sembra inutile girarci intorno» fece una pausa per raccogliere le idee «So quello che provi per me»



NOTE DELL’AUTRICE
Salve a tutti, sono tornata nemmeno dopo tanto tempo e sono piuttosto certa che il prossimo capitolo lo pubblicherò non più tardi di martedì prossimo. Ma passando a questo capitolo spero veramente che vi sia piaciuto e volevo anche ringraziare tutti coloro che continuano a seguire questa storia!!!
Ciao e alla prossima,
Ortceps.


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