ATTENZIONE:
I personaggi e il contesto in cui si muovono non mi appartengono, ma
appartengono a chi ne detiene i diritti, in questo caso al caro
Christopher.
FAMIGLIA
ALL’IMPROVVISO
PROLOGO
Eragon non aveva mai
pensato a mettere su famiglia; la
partenza dalla sua terra e il distacco dalla donna – elfa
– che amava erano
state motivazioni valide per questa sua negligenza. In più
se contiamo il fatto
che doveva crescere piccoli draghetti indisponenti senza farsi
bruciare;
costruire un castello che sarebbe stata la sede del nuovo Ordine e in
più
imparare il più possibile dagli antichi draghi per
prepararsi ad istruire i
nuovi cavalieri, che non si erano ancora fatti vivi.
Così non si
era mai trovato a riflettere sull’eventualità
di avere una famiglia, né programmava di volerne una entro
breve. A dir la verità
pensava che sarebbe diventato come Oromis, il suo compianto maestro.
Ma alla fine si sa, che
ti piaccia o no è sempre quella
furia impazzita che noi chiamiamo destino a presentarsi alla tua porta
e a
scaricarti un figlio. Della serie “Din-don;
apri questa dannatissima porta e prenditi questo dannatissimo
bambino” per
poi aggiungere con un sorriso da sberle “Congratulazioni
sei diventato padre!”
Va bene, forse non era
andata proprio così. Ma alla fine
il concetto era quello e lui si era ritrovato a crescere un bambino,
senza
avere la minima idea di cosa fare. Quell’insolita svolta
della sua vita era
avvenuta qualche anno fa, precisamente due da quando era arrivato a
colonizzare
quella nuova terra.
*
Il sole sembrava
immobile nella calura del pomeriggio, i raggi
colpivano i verdi prati che rimandavano riflessi sull’acqua
del lago che stava
nei pressi della vallata. Soffiava un venticello calmo e il cielo era
limpido;
gli unici rumori che si distinguevano erano il forte russare di un
grosso drago
e il ritmico schiocco di legno contro legno.
Infatti vicino al lago
vi erano un giovane uomo e la sua
compagna di cuore e di mente; il primo si allenava con una spada da
esercitazioni contro un palo piantato nel terreno, mentre
l’altra dormiva
beata, appena ristorata da un bagno nelle acque ferme. L’ero
che Alagaesia
aveva acclamato anni prima era ormai cresciuto e sul suo viso poteva
intravedersi l’ombra di un accenno di barba; il suo corpo era
più definito e la
sua mente più matura.
La dragonessa si
ridestò con una specie di
ruggito-sbadiglio, spalancando le fauci acuminate e dispiegando le ali.
Iniziava ad avere fame e si era annoiata di quella calma piatta che
erano quei
pascoli; era un drago e come tale prediligeva l’avventura.
Forse con la
vecchiaia il suo carattere si sarebbe temprato, come Glaeder le
ripeteva; ma
ora lei era nel pieno della gioventù e delle sue forze e non
riusciva a
sopportare quella monotona rutine.
“Andiamo” disse
all’umano che si era fermato e stava bevendo da una
borraccia, bagnandosi anche
il petto nudo, per combattere la calura. Questi si voltò
verso di lei e le
sorrise, mettendo in mostra i denti bianchi, che risaltavano sulla
carnagione
dorata. “Sì; dobbiamo
passare dai
cuccioli e dagli elfi prima di rientrare”
Con queste parole e
dopo essersi passato una mano tra i
capelli castani salì sulla sella e la dragonessa
spiccò il volo, librandosi in
aria con una leggerezza che in terra poteva sognarsi.
Sorvolando quei prati
Eragon ebbe una magnifica visione
di insieme: le basse colline verdeggianti coprivano buona parte della
sua
visuale, su di esse cresceva solo erba e fiori, nessun albero e la
calma che vi
alleggiava sembrava quasi innaturale, nessun animale veniva
lì; almeno fin
quando c’erano loro. Dietro le sue spalle il piccolo lago
trovava posizione tra
quattro delle più basse colline, tanto che il punto
più profondo dovevano
essere solo quattro braccia; alla sua destra intravedeva la linea degli
alberi
che si estendeva per miglia, prima di finire a qualche passo dalla
costa
frastagliata.
Più avanti,
lui in quel momento non poteva vederla, c’era
la pianura; la zona più bella. Grandi alberi da frutto
stendevano i loro rami
verso l’altro, fiancheggiando i campi di grano, orzo e farro;
era stupendo
osservare il rosso delle mele, illuminate dal sole, vicino al verde
brillate
dell’erba e all’oro del grano. La cosa
più stupefacente era che quelle
coltivazioni erano già lì al momento del loro
arrivo, ma nessuno era andato a
rivendicarne il diritto.
Eragon aveva esplorato
in lungo e in largo quelle terre;
aveva scoperto di trovarsi su un’isola, a nord e ad est
l’affaccio sul mare
erano alte scogliere, fiancheggiate da verdi boschi, che diventavano
sempre più
ombrosi avvicinandosi al centro e tornavano nuovamente verdi e radi
verso i
campi. Ma ad ovest e a sud il mare si incontrava dolcemente con ampie
spiagge
di sabbia bianca; poi nella pianura si diramavano piccoli ruscelli, che
provenivano da un unico picco solitario, che si stagliava al marginare
nord del
bosco, a qualche miglia dalla scogliera.
La cosa più
impressionante di quei luoghi era la fauna,
la stessa che si trovava ad Alagaesia, ma decisamente più
grande e numerosa; la
cosa veniva spiegata della radicale assenza di predatori, se si faceva
eccezione per un gruppo poco numeroso di lupi, anch’essi di
notevoli
dimensioni, che aveva avvistato il terzo mese della sua permanenza su
Amera.
Così aveva chiamato il luogo.
La distanza dalla terra
ferma era di due giorni a volo di
drago, nel qual caso il drago doveva essere robusto e instancabile
perché i
venti che soffiavano in quel tratto di mare potevano cambiare
velocemente e da
favorevoli sarebbero potuti diventare ostili in pochi minuti, fin quasi
a
cessare. Eragon aveva trovato la cosa perfetta, così non
c’era il rischio che
giovani draghi inesperti arrivassero sulle coste della sua terra natia
e
facessero dei danni.
In quei due anni erano
nati cinque esemplari di drago
selvaggio; sette uova si erano spente prima che il draghetto potesse
nascere,
per via del troppo tempo passato dalla loro deposizione. Altre ancora
non
davano segno di volersi schiudere. Ma già cinque draghi era
un numero
sufficiente per le poche forze di cui lui e Saphira disponevano.
Il più
grande, Viruga, era un giovane drago viola di un
anno; aveva un temperamento calmo e riflessivo, in parametri da drago.
La
seconda era, a detta di Eragon, la birbante per eccellenza; nata solo
due mesi
dopo Viruga Hina l’aveva già surclassato in forza
e velocità. In un certo senso
Saphira si rispecchiava nella piccola, anche se lei teneva molto di
più alle
sue squame, mentre Hina non badava per nulla al manto color del sole.
I due gemelli, di soli
sei mesi erano piccoli per la loro
età; nati da due uova semi unite avevano in comune
l’ultimo pezzo di coda, alla
fine Eragon, per garantirgli una vita più agevole aveva
dovuto separarli con la
magia. Così Megor aveva mezza coda e Baltor aveva una specie
di escrescenza
sulla punta, ma almeno i due draghetti verdi non si davano sui nervi a
vicenda.
La più
piccola aveva poche settimane, era di un nero brillante,
come se le sue squame invece di essere opache e assorbire la luce la
riflettessero tutta. Eragon era stato molto indeciso sul nome da darle,
alla
fine aveva scelto per Sciurica, per omaggiare in qualche modo il drago
nero che
non aveva potuto scegliere il proprio destino; così quella
variante più morbida
del nome gli era sembrato il modo migliore.
Arrivarono alla rupe
che sorgeva solitaria tra i prati,
la dimora dei draghi; furono accolti dai quattro più grandi,
la piccola sarebbe
restata con gli elfi ancora per un po’. Dopo essersi
premurati che tutti
stessero bene e che si fossero nutriti tornarono in cielo, diretti
qualche
miglio più a ovest per incontrare gli elfi.
Atterrati sul prato
coperto di piccoli fiori diedero un
occhio a il grande castello che stava crescendo –
letteralmente – tra venti
faggi; non mancava molto al suo completamento, ma i lavori procedevano
lenti.
Ci voleva una grande quantità di energia per plasmare i rami
degli alberi a
proprio piacimento e se già era difficoltoso con case
normali costruire un
castello che avrebbe dovuto contenere più draghi e vari
giovani cavalieri era
un’impresa titanica; anche se aveva concesso loro alcuni
Eldurnari i lavori
rischiavano di protrarsi per altri sei mesi. In quel tempo gli elfi
avevano costruito
un capo di tende proprio davanti all’insieme di alberi,
mentre Eragon aveva
preferito costruire una casa a dieci minuti di volo da lì,
in beata solitudine,
sopra un salice.
Si informò
sui progressi di Sciurica e di come stessero
procedendo i lavori. Dopo essersi unito agli ultimi incantesimi della
giornata cenò
con loro, raccontandosi di come fosse andata la giornata e ricordando
del
passato. Il passato veniva da tutti descritto con zuccherosa
malinconia, ma
presto sostituita dalla bellezza di quella nuova realtà
tutta loro.
Per Eragon era diverso,
lui del passato parlava con
amarezza, gli riservava parole di fiele. Ogni ricordo, anche se bello,
portava
con se la consapevolezza di una vita rubata, qualcosa che non sarebbe
mai più
stato suo; era stato considerato un eroe, ma quando poi aveva chiesto
una
ricompensa, quando aveva chiesto ad Arya di seguirlo lei si era
rifiutata. Non
poteva biasimarla; anche dopo tutto quello che avevano fatto,
sacrificato
dovevano portare avanti i loro dovere e dopo che il dolore iniziale si
era
acquietato era riuscito a capire che la sua era solo un infatuazione
infantile.
Forse in fondo in fondo
l’amava ancora, ma non sarebbe
mai riuscito a perdonargli quello che gli aveva fatto. Così
aveva deciso di
dare un taglio netto alla sua vecchia vita; ora i messaggi che
arrivavano una
volta al mese dalle due regine li ricevevano solo gli elfi e lui aveva
dato
ordine di riferirgli solo cose indispensabili, come guerre, carestie,
la
schiusa di un ovo, ma ancora nessuna di quelle notizie era giunta alle
sue
orecchie.
Se ne andò
dal campo quando la luna iniziava a salire in
cielo e arrivarono al loro alloggio che le stelle brillavano
già intense;
Saphira lo lasciò solo e partì per la sua caccia,
mentre lui decise di riempire
la stanza da bagno e di rilassarsi un po’ prima di andare a
riposare. Si
spogliò e dopo aver aggiunto all’acqua delle
essenze profumate scivolò dentro
alla vasca, godendosi il tepore e lasciando che i muscoli indolenziti
dall’allenamento si rilassassero; ma il suo proposito venne
spazzato via quando
sentì un tonfo proprio sotto la sua abitazione.
Il rumore era
spaventosamente simile a quello che faceva
Saphira quando atterrava, ma era piuttosto sicuro che la dragonessa non
sarebbe
tornata prima dell’alba e i draghi più piccoli non
avrebbero fatto tutto quel
baccano, poiché pesavano ancora poco. Il suo primo pensiero
fu Arya.
Prese il telo per
asciugarsi e lo avvolse frettolosamente
alla vita, poi con passo sicuro si diresse verso il balconcino, ma per
buona
misura afferrò anche la spada; completamente dimentico che
per scoprire chi
fosse poteva usare la mente, tanto era fisso sul pensiero
dell’elfa. Uscì e la
luce argentea della luna si riflesse sulle squame rosse di Castigo.
In quel momento le sue
difese mentali si intensificarono
e lui estrasse la spada dal fodero; Murtagh aveva detto che non sarebbe
più
tornato, o almeno non nel breve periodo, quindi lui non sapeva cosa
pensare, in
più non aveva nemmeno Saphira vicina. Si appuntò
mentalmente che non potevano
rimanere senza difese, anche se quelli erano tempi di pace; erano stati
ingenui.
«Veniamo in
pace» la voce roca di Murtagh lo rassicurò un
po’ con quelle parole nell’antica lingua, ma si
costrinse a non abbassare la
guardia. «Perché sei qui, Murtagh?» Il
sospetto evidente nella voce. Il più
giovane stette a guardare mentre il moro, aiutato da Castigo si calava
sul suo
balcone, proprio di fronte a lui.
«Ho un problema» e detto questo scoprì il fagotto di coperte che aveva tra le braccia, rivelando il viso arrossato e leggermente paffuto di un bambino nato da poco.
NOTE DELL’AUTRICE:
Salve a tutti; in questo periodo mi
sento molto ispirata,
quindi ecco a voi questa nuova FF. Inizio subito col dire che
sarà molto all’insegna
delle avventure domestiche, più che vere e proprie
battaglie… Ma sarà comunque
difficile per i protagonisti “cavare un ragno dal
buco”. Spero vivamente che l’idea
vi piaccia.
Ciao a tutti, Ortceps
P.S. lasciatemi una recensione ;) apprezzo molto tutti i
pareri, consigli, critiche costruttive – e perché
no? – anche complimenti.
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Farai felici milioni di scrittori. (© elyxyz)
(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo
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