Un altro passo ancora

di _Vi___
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quando si inizia, si è già a metà strada ***
Capitolo 2: *** Minho ***
Capitolo 3: *** Ritrovarsi ***
Capitolo 4: *** Passo dopo passo ***
Capitolo 5: *** Grazie di rendermi così felice, Newt ***
Capitolo 6: *** Buonanotte ***
Capitolo 7: *** Non deve andare per forza in questo modo ***
Capitolo 8: *** Il Labirinto - Parte prima ***
Capitolo 9: *** Il Labirinto - Parte seconda ***
Capitolo 10: *** Un altro passo ***



Capitolo 1
*** Quando si inizia, si è già a metà strada ***


1. Quando si inizia, si è già a metà strada



 
 
 
Se c’era qualcosa di cui Newt era mai stato veramente certo – e non che le certezze fossero poi molte nella sua vita. Sapete, la perdita di memoria e tutto il resto – era che non aveva mai visto tanta paura negli occhi di quei pivelli che arrivavano ogni mese, come quella che aveva visto negli occhi dell’ultimo arrivato.

Intendiamoci, non che tutti i fagiolini arrivati prima di lui nella Radura saltassero dalla gioia, ma c’era qualcosa nello sguardo da pesce lesso di quel pive che non piacque per niente al ragazzino fermo in piedi sul bordo orientale della Scatola.
Rimase a guardarlo impallidire mentre Alby e Gally lo riempivano di parole e informazioni a caso (la Scarpata, la Radura, le scaertole, la Gattabuia…) e cercavano di tirarlo fuori da quella gabbia di metallo.
Il fatto è che quella faccia di sploff non era una faccia di sploff normale; Newt lo aveva capito subito, e grazie tante. Ad ogni parola degli altri due l’espressione sul volto del pive si faceva sempre più terrorizzata e, Newt ci avrebbe scommesso la gamba buona che gli rimaneva, sembrava stesse tremando.
Come se Alby e Gally non gli stessero dicendo niente di nuovo. Come se lui già sapesse… e proprio perché sembrava già sapere era bello che spaventato.

Ma non era possibile, no? I creatori si erano ben preoccupati di svuotare le loro caspio di teste prima di buttarli in quel buco dimenticato da Dio, e quel pive non aveva all’apparenza niente di speciale. Anzi, si ripeté il biondino ancora una volta, quello lì aveva una faccia di sploff più faccia di sploff di tutte le facce di sploff che avevano mai affollato la Radura prima d’allora.

«Chi sarà il suo Intendente?» gridò qualcuno in fondo, tra la folla.
«Questo è una sploff, quindi si beccherà uno Spalatore, non c’è dubbio
» sentenziò Gally ridendo in faccia al nuovo arrivato.

«Chiudi quella fogna, Gally.» lo zittì Newt, prendendo per la prima volta la parola. «Sarò io il suo intendente.» decise, mettendo gli altri davanti al fatto compiuto. «Forza, Fagiolino» si rivolse per la prima volta al ragazzo che se ne stava lì in mezzo a loro, ancora troppo spaventato per proferir parola. «andiamo a cercarti una branda libera, così potrai metterti a dormire.» Lo afferrò per il polso, trascinandolo verso il lato della Radura in cui era stato arrangiato un enorme tendone, poco più in là di un’immensa costruzione di legno; doveva avere quattro piani, ad occhio e croce, e sembrava si tenesse su per miracolo.


«Sistemiamo i rifornimenti e poi, per oggi, basta così!» sentirono urlare Alby agli altri, facendo sfollare quella parte della Radura.
 
«Una volta dormivamo tutti nella Tana, ma poi siamo diventati troppi.» rispose Newt alla tacita domanda del ragazzo, che guardava il palazzo in legno con sguardo assorto. «Ma non preoccuparti:» proseguì, con voce calma. «Qui fuori non è per niente male. Non fa mai troppo freddo e non piove mai: starai benissimo.»
Il ragazzo vicino a lui non mosse nessuna obiezione alle sue parole: continuava a fissarlo, assorto, spostando lo sguardo dai suoi occhi ai suoi capelli, esaminandolo con minuzia e con uno sguardo vagamente devoto.
Newt mascherò il disagio con un grugnito «Allora, Fagio:» esordì cercando di farlo parlare, in modo che la smettesse di guardarlo. «come ti chiami?»
«Cosa?»
«Il tuo nome. Non ce l’hai ancora detto… e so che te lo ricordi, quello.»


«Thomas. Mi chiamo Thomas.» scandì con tono duro e Newt poté giurare di aver visto un lampo di tristezza attraversare gli occhi di Thomas «qual è il tuo nome?»

«Io mi chiamo Newt. E quelli che ti hanno tirato fuori dalla Scatola sono Alby e Gally.» lo informò indicandogli i due ragazzi da lontano. «Vieni, ti faccio fare il giro della Radura.»
Gli fece cenno di seguirlo.
Newt accompagnò Thomas in giro per la Radura, mostrandogli gli allevamenti, i campi coltivati, il piccolo boschetto all’angolo opposto della Tana e tutto ciò che poteva fargli vedere lì intorno.
Gli raccontò del Labirinto, dei Dolenti e di come i Creatori li avessero spediti tutti lì, senza memoria e senza nessuna spiegazione su quale fosse il motivo della loro reclusione.
Il biondino osservò la paura riaffiorare sul suo volto, così profonda e radicata e di nuovo, nell’arco di una sola giornata, ebbe la netta sensazione che lui sapesse.
«Perché non fai domande?» sbottò alla fine.
«Cosa?» gli chiese Thomas, confuso.
«Tutti i Fagio che arrivano qua, il primo giorno non stanno mai un attimo zitti. Tutti fanno domande su tutto, terrorizzati, come se stessero per farsi un mare di sploff nei pantaloni.» gli spiegò, sospettoso. «Tu sembri solo un pive che sta per svenire dalla fifa, ma non chiedi niente e… » Newt esitò, ma alla fine glielo chiese, giusto per cercare di mettere le cose in chiaro fin da subito. «ricordi qualcosa, pive? I Creatori ti hanno lasciato dei ricordi?»

Thomas lo fissò a lungo, con inquietudine. Troppo a lungo; come se stesse decidendo cosa dirgli. E quando gli rispose, Newt ebbe quasi la certezza che gli stesse dicendo una bugia.
«Mi chiamo Thomas. Mi sono risvegliato in quell’orribile stanza di ferro. Non ricordo nient’altro.»

Il raduraio decise di lasciar perdere la questione, per il momento. Oh, gli avrebbe fatto sputare la verità a calci nel culo, prima o poi, di quello poteva starne certo, ma non era quello il momento adatto.
«Vieni, Fagiolino: stanno tornando i Velocisti.» e si mise a correre a tutta velocità verso la porta Est, per quanto la sua gamba zoppicante glielo permettesse.
«Che cosa hai fatto alla gamba?» gli chiese Thomas, inseguendolo senza alcuno sforzo.
Newt fece una smorfia. «Domanda sbagliata.» lo liquidò il biondino, fermandosi davanti all’uscita.
La porta dava su un lungo corridoio, perpendicolare a quel lato della Radura, dal fondo del quale si vedeva un ragazzo dai capelli corti e neri come la pece correre a perdifiato nella loro direzione. 
Non fece in tempo a oltrepassare la grande entrata che afferrò distrattamente la borraccia che gli stava porgendo Gally, appoggiato all’angolo delle mastodontiche mura in pietra. «Grazie, pive. » gli disse, dandogli una pacca riconoscente sul braccio. «È arrivato?» chiese, guardandosi intorno con impazienza.

«Lui è Minho.» gli sussurrò Newt, di fianco a lui. «Ogni mese se la fa nei pantaloni per ogni nuovo Fagiolino che arriva, come una ragazzina eccitata.» lo informò. Poi abbassò ancora di più la voce, tanto che Thomas dovette avvicinarglisi fin quasi a toccarlo, per poterlo sentire. «Sai, penso che passare tante ore nel labirinto faccia andare un po’ fuori di testa.» E gli mimò il gesto, roteando il dito vicino alla testa e facendo gli occhi storti.

E, per la prima volta da quando era arrivato, Thomas ridacchiò.
E Newt ricambiò con un sorriso.


«Cos’hai da ridere, faccia di sploff?» lo apostrofò il Velocista, una smorfia di ostilità mista a odio a imbruttirgli il volto. Portò lo sguardo su Newt, poi di nuovo per pochi attimi su Thomas e poi di nuovo sul biondino vicino a lui e, se possibile, la sua espressione si fece ancora più cupa e disgustata. «Vedo che tra pezzi di sploff ci si riconosce subito.» sentenziò, per poi andarsene.

Thomas lo fissò con un’indifferenza che Newt non seppe dire se fosse semplicemente simulata.

«Non farci caso, Fagio.» cercò di consolarlo. «Minho mi odia fin dal primo giorno in cui è arrivato.» ghignò. «E nemmeno tu gli stai troppo simpatico, a quanto pare.»


                                                                                   
                                                                                  ***


 
 
Alla fine, Newt gli aveva trovato un posto sotto il grande tendone e gli aveva presentato il ragazzino che dormiva giusto un po’ più in là rispetto a dove dormiva lui.
Si chiamava Chuck ed era il Fagiolino della Radura. O almeno, lo era stato fino a quella mattina.
Chiacchierarono per un po’ del più e del meno e Newt gli spiegò brevemente i vari lavori che avrebbe potuto fare nella Radura per rendersi utile.
«Tutti devono collaborare.» aveva sentenziato alla fine, per poi ghignare quando notò Thomas farsi sempre più pallido, mentre gli descriveva il lavoro della macelleria.
Alla fine, Alby era venuto a interromperli. « Le luci si spegneranno tra poco.» li informò, per poi sorridere all’indirizzo di Thomas e stringergli la mano. «Benvenuto, Fagio. Mi chiamo Alby. Vedrai, ti troverai bene qui; segui le regole e fa’ il tuo dovere e vedrai che andrà tutto bene.» E così dicendo, mise un braccio intorno ai fianchi di Newt e augurò a tutti la buonanotte, entrando nella Tana.
Chuck intercettò lo sguardo insistente che Thomas aveva lanciato ai due mentre entravano nella baracca e lo sgridò: «Non fissarli così. Alby ti darà un pugno in faccia, come ha fatto la settimana scorsa con Ben.»
«Ben?»
«E’ arrivato qua tre mesi fa ed è finito a litigare con Newt per una questione che non ho capito bene. Quando Alby è intervenuto e ha dato ragione a Newt, quell’idiota di un pive gli ha urlato qualcosa sui vantaggi di essere la… emh… la puttana del capo, o qualcosa del genere.» gli spiegò, arrossendo nel pronunciare l’epiteto poco lusinghiero che questo Ben aveva usato per definire Newt.
Thomas si incupì. « È così? Newt è la puttana di Alby?»
Chuck scosse forte la testa. «No, quei due… non lo so se sono innamorati. Ma sono uno la roccia dell’altro, capisci? Erano davvero buoni amici, o almeno così ho sentito dagli altri, poi un giorno sono diventati qualcosa di più.» gli spiegò «Non lo so cos’è Newt per Alby, ma di certo non è la sua puttana.»
«E Alby? Che cos’è per lui?» gli domandò Thomas con voce rotta, cercando di ignorare il nodo che gli si era formato al posto della gola e che gli impediva quasi di parlare.
«Non lo so, pive.» tagliò corto il ragazzino. «Però c’è una cosa che devo darti. Minho mi ha detto di farti avere questo.» gli disse, passandogli un foglietto di carta, più volte ripiegato a metà.
«Lo hai letto?» si allarmò subito Thomas.
Chuck si imbronciò. «No che non l’ho letto, testa di caspio. Minho è un Intendente: disubbidisci ad uno di loro e ti ritrovi chiuso in Gattabuia prima che tu riesca a dire sploff.» Detto questo, si girò dall’altra parte, senza nemmeno dargli la buonanotte.

Thomas aprì il foglietto di carta striminzito.
Poche e chiare righe:


“Ci vediamo sta notte nel bosco. Aspetta che si addormentino tutti e raggiungimi.
Sei arrivato, finalmente”.

 
Thomas riuscì a stento a leggere l’ultima riga, tremendamente scarabocchiata.
Strinse forte nel pugno il messaggio e cerco di non addormentarsi, mentre aspettava che il tempo passasse. 



 

Prima di iniziare con le note, un grande grazie a Tomi Dark angel che ha accettato di farmi da beta e sorbirsi questa fic, della quale probabilmente non aveva nemmeno l'intenzione di leggere il titolo! XD Grazie davvero! <3 



 Note finali: ciao a tutti/e bellezze! ;) 
Dopo tanti anni che ho smesso di scrivere, torno con questa piccola cosuccia (oddio, piccola è una parolona Vì!) qui. 
Questa penso sia la mia prima Fanfcition "matura", se così vogliamo chimarla. E spero di riuscire a emozionare ed entusiasmare tutti quelli che decideranno di accompagnarmi in questo viaggio.
La storia è già tutta ben delineata nella mia mente, so esattamente come andrà a finire, saprò farvi soffrire ( :D ), ma anche rendervi tanto felici, più di quanto abbia fatto Dashner, questo è certo! XD 
Forse voi non ve ne rendete conto (ed è giusto che sia così, altrimenti che gusto ci sarebbe a spiattellarvi tutto coì, subito?), ma questo primo capitolo è forse uno dei 3 nodi principali di tutta la vicenda. Spero di avervi incuriosita. 
Sono proprio curiosa di sapere cosa ne pensate :3 
Che cosa sta succedendo, secondo voi? Perché Thomas è così interessato a Newt e Alby? E perché Minho sembra odiarlo così tanto? E quel biglietto alla fine? Nemmeno lo conosce e vuole incontrarlo in gran segreto? 

Questa ff è un esperimento anche per me. Voglio vedere se sono davvero maturata dal punto di vista creativo, come penso e spero di essere. Ci tengo tanto a leggere le vostre recensioni, quindi non preoccupatevi, lasciate pure recensioni negative se ne sentite la necessità. Ma fatemi sapere! Un bacio e al prossimo capitolo!  

P.S.: i dialoghi in grassetto sono dialoghi originari contenuti nel libro. Li ho riportati e inseriti nella storia mettendoli dove i faceva più comodo XD 

P.P.S.: lo so che la costruzione in legno non si chiama La Tana. Ma io la chiamerò così! :) 

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Capitolo 2
*** Minho ***


2. Minho
 
 

Sede della C.A.T.T.I.V.O.

14 mesi prima



Il Dottor Lee era in piedi davanti alla parete di vetro blindato della camera d’isolamento, lo sguardo fisso sul soggetto nr 1403, che giaceva sulla brandina imbottita all’interno della camera, costretto immobile dalle resistenti cinghie di cuoio che lo trattenevano per le caviglie, i polsi e il collo.
Era una donna; non conosceva il suo nome, non era essenziale conoscerne il nome. Di nessuno di loro.
Non erano più umani, oramai. Il virus dell’Eruzione li aveva colpiti e, per decisione unanime dei governi delle Nazioni di tutto il mondo, il contagio comportava la perdita di tutti i diritti umani.
Cavie da laboratorio destinate alla ricerca, ecco cos’erano; nient’altro che quello.
Il giovane Dottore teneva in mano i risultati degli ultimi esami fatti al soggetto di fronte a lui.
Non erano buoni. Valori troppo alti. La donna aveva già superato l’Andata.

Un altro essere umano che non era riuscito a salvare.
Era esattamente questo, quello a cui pensava, mentre le rimuoveva la flebo dei sedativi e le faceva l’iniezione letale, cercando di non guardare la pelle della donna, segnata da orribili piaghe già in via di putrefazione.
Aspettò che il farmaco facesse effetto e si aggrappò ai lati della brandina, chinando il capo e chiudendo gli occhi. Solo il suono continuo dell’elettrocardiogramma, ormai piatto, ad assordarlo.
Doveva impedirsi di piangere. Non doveva provare empatia, non doveva provare pietà. Così stavano le cose, lui poteva solo cercare di migliorarle, di risolverle. Ma anche in questo, aveva fallito.
La porta ermetica del laboratorio si aprì, ma il Dottore non si mosse. Sapeva chi era. Aveva detto ad una sola persona che quel giorno avrebbe avuto i risultati di quella donna.

«Minho…» il dottor Moore entrò e una grande tristezza gli inondò il cuore alla vista del collega e amico piegato sul corpo senza vita della donna, in preda a una disperazione che riusciva a trattenere a stento.

«1403» gli rispose il ragazzo con voce atona «1403 persone e nessun risultato, Thomas.»

Thomas gli poggiò una mano sulla spalla, un gesto di conforto inadatto e sterile è tutto quello che era in grado di dargli. «Sarebbero morte comunque. Gli hai solo dato un’opportunità di guarire, una speranza. A tutti loro.»

«Ho fallito» confessò il moro «lei era l’ultima. Questo era l’ultimo siero, in assoluto. Non esiste formula più avanzata. Non c’è altro. È finita. Non esiste una cura, per l’Eruzione» si voltò a guardarlo negli occhi e si aggrappò al suo braccio, alla muta ricerca di temporaneo conforto; poi inspirò, ritrovando parte della determinazione che lo aveva sempre caratterizzato. Lui e tutti i dottori della C.A.T.T.I.V.O. «so cosa mi aspetta, adesso. Puoi dirmelo, so che sei qui per questo».

Thomas Moore annuì. Si allontanò di un passo, riassumendo una posa rigida e distaccata. Alla fine parlò: «Dottor Lee, il tuo lavoro qui alla C.A.T.T.I.V.O. è finito. Preparati, hai 23 giorni a disposizione, prima della partenza dell’ascensore. Poi proseguiremo con l’Ostruzione e verrai trasferito nel Labirinto. Farai parte del Gruppo A».



***



Thomas era seduto alla sua postazione, nella sala di controllo del Gruppo A.
Non era il suo turno di vigilanza, ma gli capitava spesso di starsene lì a fissare i ragazzi del labirinto.

A fissare lui.

Ogni giorno lo osservava, per quei pochi minuti che poteva permettere a se stesso di concedersi; e più i giorni passavano e più il senso di nostalgia e lontananza sembravano divorarlo dall’interno.
In quel momento gli sembrava di soffocare.
La troupe di medici che lavoravano alla cura avevano fallito. Minho era stato chiaro: l’Eruzione non poteva essere sconfitta.

Un moto improvviso di angoscia gli attanagliò lo stomaco, mentre lo guardava attraverso lo schermo.

“Non potrò salvarti. Non potrò salvarti. Tu non sei un Mune. Non potrò salvarti” continuava a ripetersi, sprofondando in un senso sempre più oscuro di impotenza.

Le speranze si erano ormai ridotte al minimo, constatò in un breve attimo di freddezza mentale.
Doveva darsi un contegno. Doveva attaccarsi a tutto quel poco che gli rimaneva.
Le loro probabilità di salvezza del genere umano si erano ridotte all’osso, ma non era ancora finita. Per molti sicuramente lo era, ma non per quel ragazzo nello schermo, intento a tirare sassi alla sacertola da cui lo stava spiando.
No, c’era ancora speranza.  
 
 
***



Il giorno seguente Minho era stato convocato nell’ufficio della Dottoressa Lloyd, Virologa e Microbiologa, operante all’interno della C.A.T.T.I.V.O.
«Volevi vedermi, Teresa?» le chiese mentre si accomodava in una poltroncina davanti alla scrivania della ragazza.
«Mi dispiace dover passare subito al dunque, Minho, ma il tempo stringe» si scusò la giovane donna, seduta dall’altro lato della scrivania «ho saputo che le ricerche sulla cura hanno fallito e che il reparto verrà chiuso a breve… certo, non che serva che lo ripeta proprio a te» commentò, osservando il ragazzo abbandonato sulla sedia davanti a lei, l’aria afflitta di chi ha completamente fallito nella propria vita.
«Se mi hai chiamato per dirmi che ho fatto del mio meglio e che non è colpa mia...»
«Niente di tutto questo. Sto per dirti qualcosa che ti farà stare meglio, per davvero» cercò di sorridergli. Minho si passò una mano sugli occhi, scettico.
«Un ristretto gruppo di scienziati della nostra organizzazione sta portando avanti un progetto, che potrebbe portare ad una soluzione alternativa…» cominciò a spiegargli, in modo vago.
«Impossibile» proferì il moro «io e tutta la mia troupe studiamo il virus da anni e ne conosciamo ogni sfaccettatura. E credimi quando dico che le abbiamo provate tutte» ripeté per l’ennesima volta nel giro di ventiquattro ore «non esiste cura, per l’Eruzione».
«Non ho mai creduto nella possibilità di poter trovare una cura. Ho lottato per anni affinché i finanziamenti internazionali venissero destinati al mio reparto, piuttosto che al vostro » gli confessò, senza la minima premura «il tuo fallimento mi permetterà di ottenere i fondi che servono alla mia ricerca. Ora dovrai perdonare la mia franchezza, ma la vostra ricerca è stato soltanto un inutile spreco di tempo».

Minho venne travolto da un’insolita ondata di rabbia che non riuscì a trattenere. Picchiò i pugni sul piano in legno, alzandosi ritto in piedi. Inspirò a fondo, per impedirsi di urlare e infine sputò fuori tutto quello a cui non avrebbe mai dovuto dar voce. Alla fin fine sarebbe stato trasferito nel Labirinto tra meno di un mese, cos’altro aveva da perdere? «Voi non avete idea… mi occupavo della cura da anni. Anni! Avete idea delle persone che ho visto morire? Delle persone che ho visto prendere i miei sieri senza che dessero il minimo segno di miglioramento? E di quelle che miglioravano, dandoci flebili speranze, che poi venivano puntualmente distrutte quando il giorno dopo gli infetti venivano divorati nuovamente dal virus? Avete idea di quante vite perdute mi perseguiteranno per sempre? E tu hai il coraggio di chiamarmi nel tuo ufficio, per deridere quello che  è stato il lavoro e la vocazione di tutta la mia vita?!» ridacchiò istericamente «be’… tra qualche giorno mi manderanno via e mi ostruiranno i ricordi. Potrò vivere gli anni che mi restano senza questo peso sulla coscienza!»
«Datti un contegno, Dottor Lee» lo riprese duramente Teresa «ho detto che il progetto per una Cura non era un progetto valido. Ciò non significa che questo renda tale anche te. Quando parlo di risorse, non intendo solo quelle finanziarie. Tu sei una delle menti più brillanti dell’organizzazione, non intendo sprecare questa risorsa.»
Minho la guardò circospetto «spiegati».
Teresa si sistemò meglio sulla sedia e incrociò le gambe «un gruppo di scienziati, sta lavorando, come le ho detto, ad una soluzione alternativa. Davanti a te si aprono adesso due opportunità: far compromettere la tua mente e perdere le tue conoscenze e i tuoi ricordi, oppure continuare a dare il tuo contributo alla causa. A te la scelta.» la ragzzo lo fissò ancora una volta «devi sapere, tuttavia, che stiamo agendo clandestinamente e alle spalle anche di alcuni vertici della nostra stessa organizzazione. Se accetterai di far parte del progetto ti presenterò il resto del nostro team e dovrai mantenere il massimo riserbo. Se rifiuterai ti porterò nel reparto di neurologia e eseguirò l’Ostruzione, rimuovendo tutti i tuoi ricordi io stessa, seduta stante».

Alla fine, sempre perché non c’era più nulla da perdere, Minho accettò di partecipare e di aggrapparsi a quell’ultima piccola speranza.
Pochi minuti dopo fecero il loro ingresso tutti gli altri partecipanti: erano in totale una dozzina di medici specializzati in vari settori, alcuni di loro li conosceva personalmente: la dottoressa Brenda Cox, il dottor Jorge Martinez, il dottor Alis Petrou e – Dio, mai si sarebbe aspettato nulla del genere – Thomas Moore.

Proprio lui, gli si avvicinò con un sorriso sereno e felice, porgendogli una mano, che lui prontamente afferrò, ancora nel più completo sgomento.

«Sapevo che avresti accettato di unirti a noi» gli disse entusiasta «so che questo è un momento molto triste per te, ma siamo forse a una svolta epocale» gli disse, senza cercare di trattenere l’eccitazione «e adesso passiamo alle spiegazioni» decretò, volgendo lo sguardo verso Teresa, in attesa che lei prendesse la parola.

 
***


 
Sede della C.A.T.T.I.V.O.

12 giorni alla partenza di Minho per il Labirinto.



«Come ti senti?» gli chiese Thomas, appoggiandosi al bancone della grande cucina comune, sita nell’ultimo piano della sede, mentre gli passava la sua tazza di tisana giornaliera. La parete a est era costituita da una parete completamente bianca, tagliata orizzontalmente da una lunga e sottile fila continua di vetri, sbarrati da massicci infissi in ferro. Il pericolo che qualche spaccato li raggiungesse in quell’angolo di mondo dimenticato da Dio erano praticamente nulle, ma ovviamente la prudenza non era mai troppa. Per occupare lo spazio dell’intera sala erano stati posizionati tavoli di varia grandezza, disposti in maniera ordinata.
 Da quando era entrato a far parte del loro gruppo ristretto, per i due era diventato una sorta di rito quotidiano. Minho e Thomas erano sempre stati amici, oltre ad esser colleghi e il moro era felice che il loro rapporto fosse diventato ancora più stretto in quegli ultimi giorni.
Con una nota di malinconia Minho pensò che Thomas era un’altra delle cose che gli sarebbe stata portata via a breve.
«Sono felice di far parte di tutto questo. Ero scettico all’inizio, ma penso che a questo punto, questa sia l’unica strada percorribile e sia anche piuttosto valida. I dati di partenza sono più che buoni»
«Non intendevo questo» lo riprese Thomas «mancano pochi giorni prima che tu venga portato via. Quindi, come ti senti?» gli richiese di nuovo.
Minho sospirò «onestamente? Ho paura. Sono dannatamente terrorizzato.»
«I ragazzi nel Labirinto hanno instaurato una comunità pacifica, non ti accadrà niente di male» cercò di confortarlo.
Minho scosse la testa «non è questo».
«Allora cos’è?»
«Alcuni dei nostri sono già stati portati lì» Minho esitò «forse non dovrei dirtelo, perché è terribilmente contro le regole del progetto, ma in fin dei conti le regole le abbiamo mandate a quel paese con tutta questa faccenda, quindi…» Thomas rimase a guardarlo, in attesa «Sai che sono stato adottato, vero? Be’… quando avevo otto anni, i miei genitori hanno avuto un altro bambino. Quel bambino non è un Immune come molti di noi qui e tutti sanno che il progetto prevede la presenza di soli due Immuni all’interno di ogni labirinto. Tuttavia… non mi importa; ho fatto in modo che venisse internato; ora lui è lì nel labirinto, l’ho messo al sicuro e ho giurato a me stesso che l’avrei salvato» Minho si girò a guardarlo, circospetto «Lui è uno dei motivi per cui ho accettato di lavorare con voi».
E inaspettatamente Thomas gli sorrise, uno di quei sorrisi che contagiavano anche la piega degli occhi «e non sei neanche un po’ felice? Dopo tanti anni, potrai rivederlo e riabbracciarlo».
«Non è così semplice, lo sai bene: loro hanno l’Occlusione. Sono loro, ma al tempo stesso non lo sono più. Sarà come parlare a una bambola vuota» concluse. Thomas rimase in silenzio.
Dopo qualche istante di silenzio, Minho riprese a parlare. Un filo di esitazione nella voce « e tu invece? Chi hai nel Labirinto che ti sta tanto a cuore?»
Thomas incrociò le braccia al petto, cercando di nascondere il nervosismo «perché dici questo?»
«Ti ho visto, sai. E’ da un po’ che ci faccio caso. Appena hai del tempo libero sparisci nella sala di controllo a fissare gli schermi dei monitor…» gli lanciò uno sguardo, con la coda dell’occhio.
Thomas sospirò «Soggetto A5 – il collante. Nemmeno lui è un Mune. Adesso ha 17 anni».
«E che cos’è lui per te?»
Thomas esitò, prima di rispondere «Io… Io lo amo» ammise infine.

 
***



Sede della C.A.T.T.I.V.O.

7 giorni alla partenza di Minho per il Labirinto



Quella sera si era tenuta l’ultima riunione prima del suo trasferimento. Gli erano state date le ultime istruzioni e le ultime direttive per portare a compimento quella che sarebbe stata la sua missione nel Labirinto.
Forse era sciocco da parte sua, ma solo in quel momento aveva realizzato quanto tutto fosse assolutamente reale. Stava per lasciare il quartier generale. Stava per iniziare una nuova vita e lasciarsi tutto alle spalle.
E si era appena reso conto, con una tremenda stretta all’altezza del cuore, che c’era una persona, in particolare, di cui avrebbe sentito infinitamente la mancanza.
«Nervi saldi» lo implorò Thomas, poco dietro di lui, mentre entravano nell’appartamento del moro «ti sento andare fuori di testa».
Minho si sedette sul proprio letto, afferrandosi la testa tra le mani «mi serve del benzodiazepine, o qualsiasi altra dannata sostanza che riesca a rilassarmi i nervi».
Thomas scosse la testa «non puoi permetterti una dipendenza adesso. Per favore, non crollare proprio ora» gli afferrò gli avambracci, cercando di infondergli coraggio «che cosa posso fare per te?»

Minho alzò lo sguardo e senza pensarci due volte, lo baciò.
Thomas si ritrasse all’istante «Cosa…? No, questo non posso farlo, mi dispiace».
Sempre seguendo la filosofia del “peggio di così non potrebbe andare”, come gli capitava da circa un mese a questa parte, Minho lo prese per la vita e lo baciò di nuovo «e invece puoi» gli disse con voce dura «e lo vuoi» aggiunse, stringendosi a lui «lo sento, che è quello che vuoi».
Thomas aveva smesso di sottrarsi, ma cercava di opporre ancora una debole resistenza.

«Thomas…» lo implorò il moro «lui non è qui».

E allora Thomas cedette.
Poggiò le proprie labbra su quelle dell’altro ragazzo, facendolo indietreggiare fino al bordo del letto e spogliandolo più in fretta che poteva.
Le mani cercavano bramose la pelle dell’altro e i loro corpi si stringevano, alla ricerca di sensazioni che erano ormai diventate cosa rara, in quel tempo che si ritrovavano a vivere.

Dio – pensò Thomas – da quanto tempo non cedeva a tutto quello? Per quanto tempo si era addormentato senza avere nessuno da stringere tra le sue braccia? Senza un corpo caldo in cui annegare e trovare un po’ di conforto?
Molto.
Troppo.
Thomas ricordava bene quand’era stata, l’ultima volta.
Ma non era quello il momento di pensarci. Non mentre non era lui, che stava facendo voltare tra le calde lenzuola del letto. Non mentre non era il suo, il corpo che stava violando, con tanta disperazione, pentimento; con tanta brutalità e desiderio troppo a lungo repressi.



Minho aveva ragione: “Lui non era lì”.






Eccomi qui col secondo capitolo! Caspita, non pensavo che la storia prima del Labirinto di Minho mi avrebbe occupato così tanto. Anzi, a dirla tutta ci sono anche altre cose da sapere (in fondo mancano ancora sette giorni prima che venga spedito nella Radura!
Però ecco, per oggi basta così, perché poi il capitolo diventa chilometrico e è troppo.
Molto bene. Dal prossimo capitolo probabilmente verremo a sapere le ultime cose su Minho e poi torneremo al "presente", quello in cui Thomas è appena arrivato e Minho sembra odiarlo, ma gli da appuntamento nel bosco.
Ora, comiciamo col quiz della settimana! XD 
Vediamo... iniziamo dalla domanda più semplice e scontata: 
-Chi sarà mai l'amato non immune di Thomas? (*i lettori lanciano i pomodori* "Vì, l'hanno capito tutti -.-'''' ") 
Inoltre:
-Chi mai sarà il fratellastro non immune di Minho? (aiutino: alcune cose le ho lasciate come nel libro, altre me le sono inventate di sana pianta. Questa cosa, del fratellastro non immune, è una qualità che ho dato a un personaggio, di mia spontanea iniziativa ;) ) 
-Cosa sarà mai questa "soluzione alternativa" che il gruppo segreto sta studiando alla C.A.T.T.I.V.O?
E come avrete notato, ho attribuito dei cognomi ai personaggi. Anche questa una mia scelta. Minho si chiama Minho Lee: Lee è il vero cognome dell'attore che l'ha interpretato nel film. Mi è sembrato appropriato, dato che accostare al titolo di "dottore e dottoressa" dei nomi propri non mi piaceva :)
Non so che altro aggiungere... ^___^  Spero che cominci ad intrigarvi un po' di più, la storia. 
E credetemi, sono ancora molte le cose da scoprire! 
Un saluto a tutti e attendo con ansia i vostri pareri, negati o positivi che siano <3


Un grande saluto e abbraccio a
i_l_a_r_i_a_ , per aver recensito la mia storia e averla inserita tra le preferite! 

E un grande grazie per aver inserito la mia storia tra le preferite anche a: 


GRACE_WHITE 
i_l_a_r_i_a_ 
yuki007

 

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Capitolo 3
*** Ritrovarsi ***


 
3. Ritrovarsi


 
 

Sede della C.A.T.T.I.V.O

2 giorni alla partenza di Minho per il Labirinto




Da quando si era tenuta l’ultima riunione col Gruppo Segreto c’era stato un gran da fare, lì alla sede della C.A.T.T.I.V.O.. Erano stati giorni di grande stress e tensione per tutti.
Innanzitutto, avevano dovuto infangare tutta la questione della fine delle ricerche sulla Cura: la maggior parte dei vertici dell’organizzazione, non avrebbe mai accettato una notizia simile; davanti a una comunicazione del genere li avrebbero sollevati tutti dalle loro cariche e li avrebbe rimpiazzati con altri scienziati, ostinandosi a perseguire una strada che non era più percorribile.
Per fare tutto questo, avevano avuto bisogno di Minho e Brenda, che facevano entrambi parte dell’ormai non più esistente squadra di ricerca.

«Sono tre diverse varianti di una stessa formula» aveva spiegato Brenda all’ultima riunione. La prima e la seconda daranno l’illusione di un miglioramento delle condizioni degli infetti nel giro di un paio di settimane e a una lenta ripresa dei sintomi, come se l’infezione fosse retrocessa allo stato iniziale e stesse ricominciando a insidiarsi nel tessuto cerebrale partendo da una fase iniziale. L’ultimo siero invece dà il via ad una lenta guarigione, circa otto settimane di ripresa quasi totale, ma diventa improvvisamente inefficace e porta ad una morte fulminea» spiegò con il fare distaccato che era richiesto ad ogni membro della C.A.T.T.I.V.O.  «Questo vi darà qualcosa da inserire nei rapporti semestrali. In questo modo avrete al massimo due anni» terminò la ragazza.

«”Vi darà”?» s’intromise Jorge.

Brendà aveva annuito «Partirò dopodomani con Minho per l’altro labirinto, quello del Gruppo B. Come il suo, anche il mio lavoro qui è finito».
A quel punto era intervenuta Teresa «grazie per aver fatto quest’ultima cosa per noi; ci avete garantito del tempo prezioso, riusciremo ad ottenere risultati prima dello scadere dei due anni» e poi, inaspettatamente, si aprì anche lei in un sorriso di gratitudine. Quando parlò la sua voce tradiva una speranza mal celata «buona fortuna, amici miei. Quella che vi faccio è una promessa: ci rivedremo presto e metteremo al sicuro ciò che resta del mondo. Insieme.»

E poi avevano preso accordi con i Vertici che appoggiavano il loro progetto per poter avere tutto ciò di cui avrebbero avuto bisogno, inclusi – pensò Minho con il solito macigno che si sentiva posarsi alla base dello stomaco ogni volta – i nuovi soggetti adatti al tipo di esperimento che avrebbero portato avanti d’ora in poi.


 
***




«Vestiti» Thomas lanciò una pesante tuta da neve al ragazzo sul letto, mentre ne tirava fuori una identica dall’armadio «siamo chiusi in questa stanza da giorni. Usciamo»
Minho emise un verso scontento, alzandosi a sedere sul letto e arrivando ad abbracciare il castano da dietro «oppure potremmo starcene qui anche oggi» gli propose «a fare quello che abbiamo fatto tutti gli altri giorni» gli sussurrò all’orecchio, per poi poggiargli le labbra morbide alla base del collo e accarezzargli lentamente il petto scendendo verso il basso, in una languida carezza.
Thomas gli afferrò la mano e fece passare le proprie dita tra le sue «non oggi. Avanti, vestiti» gli ripeté. Si girò nel suo abbraccio e gli diede un bacio, per poi sorridergli mentre si dirigeva verso il bagno.
Dopo poco più di un’ora entrambi i ragazzi erano davanti all’enorme doppia porta principale della sede.
«Ma che carini» commentò ironicamente Aris, mentre passava la sua chiave magnetica nel lettore e inseriva il codice di sicurezza che gli avrebbe permesso di aprire la porta «l’ultima volta che ho controllato, il primo appuntamento veniva prima del chiudersi in camera per una maratona di sesso no-stop» li prese in giro, ridacchiando come una iena.
«Fottiti» gli risposero in coro i due ragazzi in questione.
Teresa alzò gli occhi al cielo. Minho non avrebbe saputo dire perché, ma sembrava terribilmente scocciata da tutta la situazione e ne ebbe ulteriore conferma, quando sentì il tono ostile che rivolse a Thomas «avete due ore a disposizione. Dopodiché vi manderò a cercare».
Aris sbuffò «lasciali in pace, Teresa!» poi si rivolse agli altri due, facendogli un occhiolino «divertitevi, ragazzi».

Una volta fuori, Thomas si strinse nella tuta, dirigendosi all’interno del bosco di sempre verdi che circondava la sede. Quel giorno il cielo era limpido e il sole brillava, illuminando la grande distesa di neve che ricopriva tutto il versante della montagna. Ispirò a fondo, godendosi l’aria gelida e pulita del mondo esterno e lasciando che l’odore di resina proveniente dagli abeti gli invadesse i polmoni.
Minho gli fu accanto in un secondo «che problema ha, quella?» gli chiese, con aria infastidita.
Oh, Thomas sapeva benissimo, quale fosse il problema di Teresa. Anzi, una volta che Minho sarebbe partito, si aspettava una lavata di capo coi fiocchi, da parte sua, ma quello poteva aspettare, per il momento.
Optò per una mezza verità «ha paura che questo sia un modo per farti scappare, piuttosto che un’innocente passeggiata romantica» cercò di distrarlo, prendendolo per mano e baciandolo lì in mezzo la neve e sotto il cielo azzurro.
«ah» Minho sorrise nel bacio «quindi è una passeggiata romantica, questa?»
«E che cos’altro dovrebbe essere?» gli chiese Thomas, stringendolo in un abbraccio.
«Una passeggiata d’addio?» sussurrò il moro sulle sue labbra, con malinconia; come se dirlo a bassa voce avesse potuto rendere tutto meno reale.
Thomas sospirò, continuando a tenerlo stretto. Si sedette sulla neve, tirandoselo vicino, senza mai allontanarsi da lui «non è un vero addio, lo sai bene. Siamo vicini alla soluzione, questa volta» lo guardò dritto negli occhi, nel tentativo di infondergli coraggio «è quasi finita, Minho, davvero».
Thomas gli accarezzò il volto e Minho lo baciò.

Rimasero un po’ in silenzio ad ascoltare il fruscio del vento che faceva danzare i rami degli alberi. Minho chiuse gli occhi e si concesse un profondo respiro d’aria fresca.
«Quando mi hai detto che sarei stato trasferito nel labirinto, una parte di me era sollevata» gli confessò alla fine. Thomas rimase in silenzio, in ascolto «sapevo che mi avrebbero portato via i ricordi. A quel punto ho pensato che sarebbe stato una gran sollievo. Sai, dimenticare tutto questo e ricominciare a vivere con i ragazzi dell’esperimento…».
«Davvero?»
Minho annuì «tu li osservi spesso, dovresti saperlo. Se ne stanno lì, con la loro società perfetta e non hanno altra preoccupazione al mondo, se non seguire le loro regole e cercare un’uscita che non esiste» sospirò «certo, quei robot di sorveglianza saranno anche letali, ma finché si rimane nella radura, si è al sicuro…»
Thomas esitò «la memoria non viene cancellata. E’ come una barriera all’interno del cervello che ti impedisce di ricordare» gli spiegò «ho progettato io stesso quel sistema di manipolazione. Se vuoi… se ti farebbe stare meglio, posso fare in modo che tu dimentichi solo determinate cose. Posso cancellare gli ultimi giorni qui e farti ricordare soltanto la sua missione» l’idea non lo faceva impazzire, ma avrebbe fatto qualsiasi cosa avesse potuto aiutarlo a superare la situazione.
Minho scosse la testa «non lo voglio più. Non voglio dimenticare nulla di quello che mi è successo qui» lo strinse forte, poggiandogli la testa sula spalla «non voglio dimenticare noi».

Thomas gli accarezzò il volto, con delicatezza, baciandolo di nuovo «Teresa non vuole che te lo dica» gli confidò, mentre si allontanava, per poterlo guardare negli occhi «ma ci vorranno non più di nove mesi, per portare a termine il progetto. Una volta terminato trasferiranno anche me, per rimuovere l’Occlusione a tutti i ragazzi del labirinto. Ci rivedremo presto».

Minho non rispose; sembrava assorto, perso nei suoi pensieri.
Dopo qualche minuto di silenzio Thomas riprese a parlare «pensavo che la cosa ti avrebbe reso felice».
Minho si riscosse e lo guardò «E lo ha fatto. Sono felice».
«Non è vero» Thomas si incupì «c’è qualcosa che ti preoccupa».
Minho sospirò «Il soggetto A5. È lui che mi preoccupa; rivedrai anche lui» gli confessò infine, mordendosi le labbra; e si pentì subito di aver parlato, non appena sentì Thomas irrigidirsi nel suo abbraccio «lo sapevo, non avrei dovuto dirti niente» si scusò alla fine.
E Thomas continuò a non rispondergli. Già, non avrebbe dovuto dirgli niente. Erano passati giorni dall’ultima volta in cui aveva pensato a lui e adesso che Minho lo aveva riportato con la mente alla realtà, i sensi di colpa erano comparsi all’improvviso, fulminei, e gli stringevano lo stomaco in una morsa crudele.
Minho ritentò «non importa, davvero. Non sei obbligato a dirmi niente» e non era esattamente la verità, quella. Minho voleva sapere ogni cosa, ogni dettaglio di quel ragazzo che occupava un posto così speciale nel cuore di Thomas. Voleva sapere con chi avrebbe dovuto dividersi quello spazio, sempre che ne rimanesse un po’ anche per lui... sempre che quegli ultimi giorni avessero significato qualcosa anche per il ragazzo che adesso sedeva lì, vicino a lui, e non fossero stati semplicemente concessi per pietà. Quell’ultima eventualità lo terrorizzava dal profondo, provocandogli una sofferenza quasi fisica; sentiva un nodo formarglisi nella gola alla sola idea che in realtà fosse stato solo un mero moto di compassione a spingerlo tra le sue braccia.
Minho ritentò «non mi hai nemmeno detto come si chiama…»
«Mi dispiace, dirti il suo nome è fuori discussione. Non lo conosce nessuno» il moro non si aspettava una risposta così netta.
«Mi dispiace» ripeté, mortificato «non avrei dovuto chiederti nulla. Forse… è meglio rientrare» e fece per alzarsi. Thomas lo tirò di nuovo a sedere, impedendogli di andarsene.
«Non devi scusarti» lo tranquillizzò «il fatto è che non posso dirti molto. Non perché non voglia…» già, non perché non volesse, ma farsi sfuggire qualcosa di troppo con chiunque – anche con Minho- lo avrebbe messo in pericolo. E metterlo in pericolo era fuori discussione. Sospirò «sai che sono uno dei primi ricercatori che è entrato a far parte del progetto, vero?»
Minho annuì.
«L’ho conosciuto la prima settimana. Era… il primo non immune da mandare nel labirinto. La ricerca era appena iniziata, il virus aveva cominciato a diffondersi in fretta. Siamo stati insieme tutto il tempo in cui è stato in isolamento qui… il tempo di sottoporlo ai test e le analisi di cui avevamo bisogno per avere i dati che ci servivano e poi l’abbiamo chiuso in fretta e furia nel labirinto» concluse con tono di voce che  straripava di amarezza «ero stato affidato a lui per la perizia psicologica, è così che l’ho conosciuto… poi abbiamo dovuto incontrarci di nascosto e tenerlo segreto. Sai… lo strizzacervelli che si innamora del suo paziente e tutto il resto. Molto professionale» aggiunse con sarcasmo.
Seguirono attimi pieni di silenzio. Minho non sapeva cosa dirgli; non gli aveva raccontato molto e lui aveva paura di chiedergli di più.
«Ho passato anni senza potergli parlare. Senza poterlo toccare…» riprese improvvisamente a raccontargli «siamo confinati in quest’angolo d’inferno da talmente tanto tempo… e lui… è come se non ci fosse più» Thomas stava soffrendo e faticava visibilmente a dar voce ai suoi pensieri, in quel momento.
Forse non era stato davvero il caso di spingerlo a parlare, pensò Minho con rimorso. Gli strinse una mano tra le sue «ehi… davvero… non importa. Non devi raccontarmelo per forza».
Thomas scosse la testa «ogni tanto torno nella sala di controllo solo per poterlo guardare per quei pochi minuti al giorno, e allora mi ricordo che lui c’è ancora ed è lì, ad aspettarmi; a ricordarmi a cosa serve a tutto questo» Thomas tornò a sorridergli, con gli occhi pieni di lacrime «so cos’è che vuoi veramente sapere» cominciò a dirgli Thomas, carezzandogli il volto, guardandolo negli occhi «guarderò anche te, in questi mesi» gli promise, mentre gli teneva il viso tra le mani e tornava a baciarlo «saremo tutti al sicuro, alla fine di questa storia, te lo prometto. Pensa a questo. Ogni giorno in cui sarai là dentro, pensa a questo».
E Minho decise di farselo bastare, per il momento. Approfondì il bacio, assaggiando la bocca dell’altro con disperazione, portando l’altro a distendersi sotto di sé, facendosi spazio tra le sue gambe e stringendolo a sé il più possibile. Sentì Thomas sospirare di piacere, mentre gli carezzava la schiena attraverso le tute imbottite e gli circondava i fianchi con le gambe; gli leccò languidamente il collo, cominciando a mordere e succhiare la pelle sensibile alla sua base. Thomas si inarcò sotto di lui e mugugnò scontento per i troppi strati di vestiti che impedivano di fatto qualsiasi contatto «Ti va di rientrare?» sussurrò allora, all’orecchio del moro vicino a lui, che ridacchiò.
«Se tu quello che è voluto uscire qua fuori» lo prese in giro, per poi baciarlo di nuovo e infine alzarsi in piedi «andiamo».


 
***




Sede della C.A.T.T.I.V.O

Ultimo giorno prima della partenza di Minho per il Labirinto





Mancavano pochi minuti all’alba, Minho era ancora addormentato. Tra qualche ora sarebbe dovuto andar via dalla sede e partire alla volta del labirinto: l’ascensore doveva arrivare in tempo per il giorno dopo
Thomas si rivestì in fretta ed uscì dall’appartamento del moro, scendendo ai piani inferiori, diretto alla Sala di Monitoraggio.
Quando entrò, trovò Teresa seduta su una delle sedie imbottite della sala con le braccia ad abbracciare le ginocchia e lo sguardo fisso su uno degli schermi.
Quando lo sentì entrare alzò lo sguardo verso di lui «Thomas» lo salutò. Aspettò che il ragazzo si sedesse alla postazione vicino alla sua e che trovasse anche lui la persona che stava cercando, poi gli parlò di nuovo «non ti biasimo, sai» gli disse, con affetto, senza però staccare gli occhi dallo schermo «mi dispiace per come vi ho trattati oggi… è solo che… come fai Thomas?» gli chiese con un velo di malinconia «io non potrei mai…»
Thomas capì subito a cosa si riferiva la ragazza «tutto quello che è successo negli ultimi giorni, non me lo fa amare di meno» mise in chiaro subito, continuando a guardare anche lui il suo amato sullo schermo.
«E allora com’è? È stato un passatempo? Uno sfogo?» gli chiese.
Thomas sospirò, esasperato «nulla di tutto questo. Ci tengo veramente, a lui».
«E nonostante tutto tieni anche ad Alexander» decretò lei «un po’ ti invidio, sai. Theodore…» e nel pronunciare il suo nome la voce le uscì rauca per lacrime che stava cercando di trattenere «…mi manca da morire, anche… fisicamente» ammise la giovane, sentendo le sue guance diventare rosse, per aver confidato una cosa del genere all’amico vicino a lei «ma non riuscirei mai a fargli questo».
«Non ho fatto niente ad Alexander» affermò categorico il ragazzo.

Oh Thomas, quanto ingenuo sei… pensò la ragazza, guardandolo con pietà.
 
Teresa decise che non avrebbe infierito ancora sulla situazione. Si limitò a spegnere il suo schermo e tornare a parlare delle faccende pratiche. Thomas la imitò.
«Ti conviene andarlo a svegliare. La berga partirà non appena gli avremo inserito il cip di riconoscimento sottopelle per rendere i robot del labirinto inoffensivi, per lui».
Thomas annuì e fece quello che gli era stato detto.


 
 
***
 
 

E così, quella mattina Minho era partito alla volta del Labirinto.
Non c’erano state lacrime né niente del genere.
Thomas lo aveva abbracciato stretto forte a sé «ci vediamo tra nove mesi, dieci al massimo» e poi lo aveva lasciato andare con un sorriso e quella promessa.
Minho, in fin dei conti, si era sentito bene.





La Radura

Presente




Thomas aspettò che tutti si fossero addormentati, prima di dirigersi verso il fitto boschetto dall’altra parte del grande tendone, proprio come gli era stato ordinato di fare.
Non fece in tempo ad addentrarsi oltre i primi alberi che gli arrivò un pugno dritto in faccia. Chiuse gli occhi per il gran dolore e quando li riaprì, si ritrovò la figura adirata di Minho di fronte a sé «tu! Brutto pezzo di sploff… brutta faccia-» Thomas non seppe mai cosa Minho pensava della sua faccia, perché l’attimo dopo si ritrovò il ragazzo addosso, che lo baciava con urgenza e disperazione. E Thomas si lasciò baciare, schiudendo le labbra e lasciandogli il comando del bacio, mentre gli passava le braccia intorno alla vita per stringerlo a sé di nuovo.
«avevi detto nove maledetti mesi, pive. Ne sono passati quattordici!» lo accusò.
Thomas ridacchiò.
«Che hai da ridere?» gli chiese l’altro, sconcertato «vuoi un altro pugno su quella caspio di faccia?»
Thomas continuò a ridacchiare «mi piace quando parli in quel modo, come uno di loro» gli spiegò, senza che il sorriso abbandonasse le sue labbra.
Minho alzò gli occhi al cielo «io sono uno di loro. E anche tu» lo liquidò in fretta «Dimmi soltanto una cosa…»
«Chiedimi tutto quello che vuoi» gli rispose Thomas, mentre tornava a baciarlo.
«Perché questo ritardo, mh? C’è stato qualche problema?»
Thomas gli sorrise, il viso cosparso di felicità «va tutto bene. Ce l’abbiamo fatta, Minho. Siamo riusciti a raggiungere l’obiettivo. Tra poco, saremo liberi».
E Minho pensò di non aver bisogno di sentire nient’altro. Riprese a baciarlo e per la prima volta lo fece senza la minima traccia di tristezza, malinconia o paura a fargli compagnia.
«Non sei curioso di sapere i dettagli?» gli chiese Thomas.
«C’è tempo per quello. Per ora mi occuperei di altri dettagli» gli rispose maliziosamente, portando una mano a massaggiargli il cavallo dei pantaloni e sorridendo soddisfatto, quando lo sentì reagire alle sue attenzioni.
Thomas gemette nella sua bocca, mentre lasciava che gli slacciasse i pantaloni e che lo accarezzasse con gentilezza. Gli passò una mano dietro la nuca, baciandolo a fondo, lentamente. Minho si ritrasse dal bacio e lo guardò negli occhi «non hai idea quanto ho aspettato questo momento».
Thomas gli diede un ultimo bacio, prima di farlo girare e lasciarlo appoggiare contro uno dei tronchi di un albero; gli tirò i vestiti verso il basso il minimo indispensabile, preparandolo con le dita umide di saliva. Quando finalmente fu di nuovo dentro di lui, avvolse l’altro in un abbraccio, affondando il viso tra la spalla e il collo e rimase immobile, in attesa che si abituasse all’intrusione. Lo sentì aggrapparsi forte alle sue braccia, cercando di non farsi sfuggire un lamento per il dolore.
Thomas strinse i denti e si piego leggermente in avanti per farlo tornare a reggersi contro l’albero «Minho…» lo chiamò piano «Ho bisogno di muovermi» lo pregò, per poi tirarsi leggermente fuori e riaffondare lentamente nel corpo dell’altro «Dio, quanto mi sei mancato» gemette.
Minho girò la testa, alla ricerca di un bacio che Thomas non gli negò.
Il castano fece scivolare le braccia lungo il torace dell’altro, prendendogli il pene tra le mani e accarezzarlo a ritmo con le sue spinte.
Minho gemette forte, inarcando la schiena «quando non ti ho visto arrivare nemmeno al decimo mese» gli condifò, tra un gemito e l’altro «ho… ho pensato- ah!» Minho venne improvvisamente, schizzando il suo rilascio contro l’albero.
«Mh» Thomas continuava a penetrarlo, senza più preoccuparsi di essere delicato, perso nella ricerca del suo stesso piacere «siamo stati rapidi» lo prese in girò, cercando di non essere rumoroso.
«Sta’ zitto» lo rimbeccò Minho, ancora stordito dal piacere, mentre si piegava completamente, esponendosi ancora di più «vieni, Thomas».
E Thomas venne, affondando un ultima volta e rimanendo sepolto dentro di lui, mentre raggiungeva l’orgasmo «Co-cosa hai pensato?»
«Mh?»
«Quando non mi hai visto arrivare. Cos’hai pensato?»
Minho si tirò su e Thomas si sfilò via da lui. Si riallacciarono le vesti in fretta, per poi sedersi insieme poco più in là, ai piedi di un altro albero.
«Ho pensato che fosse successo qualcosa. Che i vertici vi avessero scoperto. Che non foste riusciti a trovare nulla» ammise, accoccolandosi a lui «non lo so. Ho pensato molte cose, una peggio dell’altra».
Thomas gli strinse una mano nella sua «abbiamo avuto degli intoppi. Ma va tutto bene, adesso» e nel dirlo sbadigliò «dormi con me, stanotte?» gli chiese.
Minho sbuffò «Ti ho pubblicamente dato del pezzo di sploff dal primo secondo che ti ho visto. Non è il caso di farci trovare insieme, domani, al risveglio» decise, mentre si alzava e aiutava anche Thomas, tirandolo per un braccio «potremmo destare qualche lieve sospetto» gli disse in tono canzonatorio.
«E tutto questo sarcasmo da dove viene fuori?» gli chiese Thomas, pizzicandogli un fianco.
«Amico, qui bisogna pur sopravvivere» gli rispose sorridendo, facendogli l’occhiolino.
Si salutarono con un bacio e Minho se ne andò al suo posto, dall’altra parte del tendone.
Minho si addormentò, di nuovo felice.
Sarebbe andato tutto bene. L’esperimento era andato a buon fine.
E non aveva ritrovato Thomas a ridere al fianco di Newt, appena cinque minuti dopo aver messo piede nel labirinto.
Non voleva pensarci.
Andava tutto bene.

 
 


Eccoci di nuovo qui! Con un capitolo un po’ più lungo del solito. Spero di riuscire a farmi perdonare, perché dovete sapere che il 9 ho un esame all’uni, quindi questi ultimi giorni li dedicherò a uno studio matto e disperatissimo, che non mi permetterà di scrivere. Quindi ecco, facendoci due conti: ricomincerò a scrivere il 10, quindi il capitolo uscirà al più tardi per il 14 Luglio.
I’m so sorry ladies!

Poi partirò per il GIFFONI dal 20 al 24, il 26 Luglio è il mio compleanno (la serata distruttiva in discoteca è d’obbligo, è tradizione!) quindi un’altra settimana senza scrivere D:
(vi dico tutto oggi, così mi odiate a morte una volta sola XD).

Ma bando alle ciance! Dunque!
Ho cambiato l’avvertimento da Lime a Lemon, per ovvi motivi.
Ma mantengo l’arancione, perché scene del genere non sono il centro della storia (ma il mio cuoricino da shipper ha deciso che ci vuole. E sappiate che io shippo sia Thominho che Newtmas. Non ho una coppia preferita. Quindi potrà succedere di tutto).




Non è vero. La coppia preferita ce l’ho eccome! Sono la mia piccola OTP *-*
Ovviamente non saprete MAI prima del tempo, qual è delle due! Muahahahah

Ed ora passiamo alla mia parte preferita ma che quasi nessuno si fila di striscio
1. E insomma… il vero nome di Newt è Alexander (il motivo c’è: semplicemente adoro quel nome. Mio figlio avrà QUEL nome. Adoro. Stupendo.).
2. Perché Thomas non vuole che nessuno sappia il vero nome di Newt? E perché lo sa solo Teresa, oltre a lui???
3. Oh oh! E adesso chi sarà Theodore, il ragazzo di Teresa che si trova nella radura?

E infine, ma non per importanza:
LA SOLUZIONE ALTERNATIVA ha funzionato! Ce l’hanno. Lo studio ha dato i risultati!
Ma che cosa sarà mai? Chi indovina questa vince un Thomas per Natale *-*


Deliri mentali a parte, vi saluto a tutti/e.
A  i_l_a_r_i_a_  e GRACE_WHITE per aver lasciato una recensione allo scorso capitolo ( tanto amore!!!) e anche a voi lettrici silenziose (I’m watching you ù.ù) lol

Un grande grazie ancora a

GRACE_WHITE 
i_l_a_r_i_a_ 
yuki007
 
per aver messo la mia storia tra le preferite!


E un altro grazie a

Dragonite 
Drarry_Hufflepuff 
Melepatia_2571 
Viola95 

 
Per aver messo la mia storia tra le seguite!
 
P.S.: Newtmas moments are coming. :3

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Capitolo 4
*** Passo dopo passo ***


4. Passo dopo passo




Erano già passate due settimane dall’arrivo di Thomas nel labirinto. All’inizio, il castano era stato terrorizzato dalla prospettiva di andare ad abitare nella Radura insieme gli altri ragazzi e lasciarsi alle spalle la sua vita precedente, pur ben sapendo che quella sarebbe stata una sistemazione temporanea. Era uno dei pochi privilegiati ad avere il microchip di riconoscimento sottopelle, che gli avrebbe permesso di farla franca con tranquillità, nel caso fosse incappato nello spiacevole incontro di uno dei Dolenti; quei mostri lo terrorizzavano in un modo totalmente irrazionale e si era ripromesso di entrare in quell’orribile intreccio di mura e corridoi angusti, solo se fosse stato strettamente necessario.
Quindi, si ripeté per l’ennesima volta, la lite che aveva avuto con Minho il secondo giorno del suo arrivo era del tutto giustificata.
Thomas gli aveva chiesto per quale motivo avesse deciso di ricoprire il ruolo di Velocista, pur sapendo bene che non ci fosse nessun’uscita da trovare.
La risposta di Minho era stata chiara e decisa: era uno dei pochi ad essere al sicuro, davanti a quei mostri e quindi tanto valeva prendere il posto di qualcuno che invece ci avrebbe sicuramente lasciato le penne. Era uno dei tanti modi del ragazzo per cercare di limitare i danni.
Thomas lo aveva guardato con comprensione e con un certo senso di colpevolezza. Era tipico di Minho, lo era sempre stato: aveva passato gli ultimi quattro anni della sua vita a fare esperimenti su degli esseri umani, tutti tragicamente falliti e, Thomas ci avrebbe scommesso tutto quello che aveva, non c’era stata una sola morte per la quale i sensi di colpa non l’avessero corroso dall’interno. E ora passava le giornate a correre per le sezioni del labirinto, con la consapevolezza che così facendo, prendendo il posto di qualcun altro, stesse salvando delle vite.
Poi aveva chiesto a Thomas di fare lo stesso.
E Thomas gli aveva detto che non aveva intenzione di metter piede là dentro.
Ne era seguita una lunga lite, in cui Minho lo aveva accusato di essere un egoista; che dopo tutto quello che avevano fatto loro, a quei ragazzi troppo buoni, troppo giovani, troppo innocenti, glielo dovevano.
Thomas si era sentito orribile e non aveva avuto il coraggio di ribattere.
Alla fine Minho si era arreso «mi dispiace» gli aveva detto «non posso obbligarti a fare una cosa che non vuoi. Fai quello che sei venuto a fare e andiamocene da qui».

E dopo due settimane Thomas si trovava ancora lì nella Radura, si era scelto un lavoro e si era guadagnato il rispetto e l’amicizia dei Radurai.
Il secondo giorno, Newt lo aveva svegliato di buon’ora e lo aveva portato di nuovo in giro per il grande prato.
Aveva riso quando lo aveva visto sbiancare alla vista di Alby che scuoiava un coniglio e lo aveva trascinato fuori dal piccolo macello seduta stante «andiamocene da qui, questa sploff non fa per te!»
«Tu che lavoro fai?» gli aveva chiesto Thomas, mentre erano diretti alla cucina.
«Io lavoro nei campi» gli aveva risposto semplicemente il biondo, con una scrollata di spalle «Fagiolino, ti presento Frypan» gli disse poi, entrando nella grande cucina e indicando verso un alto ragazzo dalla pelle scura, che si girò all’istante, sorridendo alla vista dei due e stringendo la mano a Thomas.
A Thomas era stato subito simpatico e poco dopo aveva annunciato che avrebbe lavorato lì, con grande gioia del primo cuoco.
«Mi servivano proprio un paio di mani in più, Fagio» aveva commentato il ragazzo, tutto contento, dandogli delle sonore pacche sulla spalla.
E Thomas pensò che poteva andar bene.
Cucinare gli era sempre piaciuto e i campi erano solo un centinaio di metri più in fondo.


 
 
***


 
 
Thomas, per la prima volta dopo tanti anni, si era sentito di nuovo felice. Dopo tutto quel tempo passato a guardarlo da dietro uno schermo, finalmente aveva potuto rivederlo. Davvero.
I primi giorni, però, non erano stati facili: Thomas aveva pensato spesso al giorno in cui l’avrebbe finalmente incontrato di nuovo, a come l’avrebbe abbracciato stretto, promettendogli che non avrebbe mai più permesso a nessuno di separarli. Aveva pensato a come anche l’altro sarebbe stato felice e lo avrebbe baciato con quella timidezza un po’ infantile che lo aveva caratterizzato fin da quando l’aveva conosciuto.
Newt era molto più piccolo di lui e Thomas ricordava come questo avesse rappresentato un problema tra loro, all’inizio.
Ma tutto quello che Thomas aveva immaginato e sognato, non si era concretizzato.
Quando era arrivato, la prima cosa di cui si era reso conto era che Newt era cambiato e non solo fisicamente: l’innocenza insita in ogni parola che diceva, in ogni gesto che compiva era sparita, lasciando il posto a un carattere forte e carismatico, a un giovane uomo sicuro di sé e delle proprie scelte.

Thomas si rese conto fin da subito, mentre un’orribile e lunga crepa cominciava a sfregiargli il cuore, che stentava a riconoscerlo. Durante la sua assenza era cresciuto, aveva cominciato una nuova vita in cui lui non era contemplato e aveva scelto un’altra persona da tenere al proprio fianco.

Alexander non c’è più. Adesso c’è soltanto Newt. Aveva pensato una sera Thomas, poco prima di addormentarsi, con le lacrime che gli scivolavano sulle guance e che non si era disturbato ad asciugare.

Il mattino dopo e tutti i giorni che erano seguiti era andata un po’ meglio.
Newt gli rimaneva vicino quasi tutto il tempo.
Be’ forse “col fiato sul collo” sarebbe stata un’espressione più corretta. Il ragazzo gli aveva chiesto se ricordava qualcosa, se i Creatori gli avessero lasciato dei ricordi, appena era arrivato alla Radura. Thomas non sapeva spiegarsi perché avesse avuto quell’intuizione fin da subito, ma era evidente che Newt non gli avesse creduto, quando gli aveva risposto di non ricordare alcunché, e pertanto lo teneva sotto controllo. A Thomas non dispiaceva; gli piaceva pensare che in qualche modo il suo inconscio si ricordasse di lui. Di loro.
Col passare dei giorni erano tornati ad essere amici e aveva ritrovato con lui la complicità e l’intesa che avevano avuto una volta. E allora Thomas si era reso conto che il ragazzo che amava c’era ancora. Era cresciuto e era diventato un uomo. Non importava come si faceva chimare.
Newt era ancora il suo Alexander.


 
 
***




Erano da poco passate le undici del mattino, quando Thomas arrivò alla staccionata che delimitava le aree seminate, con tre grosse ceste di vimini tra le mani «vengo a derubarvi dei vostri beni!» annunciò scherzosamente, poggiando i contenitori a terra.
Newt corse verso di lui all’istante «da quando cucini tu, ha smesso di farmi male lo stomaco a ogni ora del giorno» gli rispose ridendo «puoi rubare tutto quello che vuoi!» e gli si accovacciò vicino, per aiutarlo a raccogliere quello di cui aveva bisogno.
«Posso rubare anche te?» se ne uscì il castano, una volta finito di riempire le ceste, rivolgendogli un grande sorriso e ammiccando.
«Sparisci e torna al tuo lavoro!»
«Torna in cucina, donna!» lo prese in giro il castano, simulando una vocetta stridula. Poi si voltò a guardarlo con un ghigno poco rassicurante stampato in faccia «vuoi che indossi una gonnella e ti chiami “padrone”?» gli domandò, alzando pericolosamente un sopracciglio.
Newt gemette disperato «raccapricciante» decretò «ti prego, vattene, prima che decida di buttarti giù dalla scarpata».
Thomas rise sguaiatamente e se ne andò, trasportando tra le mani due grossi cesti pieni di verdura.
Il biondo alzò gli occhi al cielo, prendendo l’ultimo cesto tra le mani. Lo poggiò vicino al piano da lavoro di Frypan e si diresse ai bagni, per togliersi il fango che aveva addosso.
Trovò alcuni dei ragazzi che lavoravano insieme a lui, che avevano già occupato tutte le docce, così si limitò a sedersi su una delle lunghe panche di legno e ad aspettare.
Aveva fatto subito amicizia con quel ragazzo, pensò Newt, mentre se ne stava lì per i fatti suoi.
Thomas era solare, allegro, divertente e… e a volte il biondo aveva la netta impressione che ci provasse spudoratamente con lui; ma non “provarci” come ci prova un ragazzo che fa il cascamorto con la prima persona nelle vicinanze che gli vada vagamente a genio. Thomas ci provava seriamente, ma in un modo che non lo metteva mai a disagio e sempre con discrezione.
E grazie al cielo, pensò.
Già Ben gli aveva dato della puttana il mese scorso e probabilmente non era l’unico, a pensarla a quel modo, realizzò rabbuiandosi.
Non c’era bisogno di gettare altra carne al fuoco. Decisamente.
Tuttavia, fin dall’inizio quelle sue battutine gli avevano fatto piacere, ma liquidava sempre la questione in fretta, con un’alzata d’occhi al cielo.
Poi però, Newt aveva avuto occasione di conoscerlo meglio e, a distanza di sole due settimane, era dovuto scendere a patti con sé stesso: era tremendamente cotto di Thomas.
Ogni volta che il ragazzo gli si avvicinava, gli parlava o semplicemente lo guardava –e, accidenti a lui, la cosa accadeva più spesso di quanto fosse appropriato- il biondo doveva lottare interiormente per mantenere la connessione col buon senso. A volte si perdeva in questi pensieri, salvo poi rimproverarsi l’attimo dopo: quella non era una maledettissima vacanza e non doveva perdersi in fantasie così sciocche. Dio, se gli avessero detto che si sarebbe ridotto ad essere così patetico, non ci avrebbe creduto mai e poi mai.
E poi, arrivava la parte peggiore.
Newt pensava a Thomas e poi, nella sua testa, spuntava la figura di Alby a riportarlo coi piedi per terra e lui quasi si sentiva male, a quel punto.
C’era già una persona che era rimasta al suo fianco e a cui Newt doveva tutto. Non poteva pensare certe cose.
Gli sarebbe passata. Se la sarebbe fatta passare.
E in fretta, anche.


 
 
***
 
 

Newt stava ancora rimuginando su tutta la questione, quel pomeriggio. Avevano finito di pranzare da poco e nella Radura c’era quasi il più totale silenzio. Molti erano sdraiati a riposare sulle loro brande, altri si intrattenevano con dei giochi da tavola –il giorno in cui i Creatori avevano deciso che avessero il diritto di avere delle tavole per gli scacchi e delle carte da poker era stato un giorno molto felice per tutti.
Sospirò, rannicchiandosi in posizione fetale su una delle brande all’aperto, all’ombra del grande tendone.
«Ehy, perché sei triste?» Thomas arrivò a distrarlo dai suoi pensieri.
«E tu perché sei qui? Non hai delle pentole da lavare?» gli chiese, ignorando la sua domanda.
Il castano sbuffò «ho finito adesso» lo informò, sbrigativo «io ti ho risposto, adesso tocca a te!» lo rimproverò con tono pratico.
«Come sai che sono triste?  Mi leggi nel pensiero?» lo prese in giro il biondo.
Thomas lo fissò «non intendo degnare questa domanda di una risposta».
Newt sospirò, girandosi dalla sua parte «sono triste perché una faccia di caspio mi sta parlando e non mi lascia riposare» gli rispose, cercando di guardarlo con superiorità. Cosa che, fatta dal basso verso l’alto, non gli era riuscita granché bene.
«Dai, vieni. Ho una medicina per le persone tristi» Thomas ammiccò, voltandosi e iniziando ad incamminarsi verso la cucina.
E Newt si disse che, se avesse voluto ignorarlo, come si era ripromesso, non avrebbe dovuto seguirlo.
Cosa che invece stava facendo. Accidenti a te, ragazzo dolce e bellissimo.
Entrarono nella cucina e Newt si sedette sul grande bancone di legno, ancora un po’ umido per la recente pulizia.
«Hai rubato medicine ai Medicali?» sentì il bisogno di accertarsi «ti getterò in gattabuia per un’intera settimana» lo informò il biondo e pensò che fosse un momento buono per lanciargli un altro sguardo di superiorità; adesso poteva funzionare, dall’alto del ripiano tirato a lucido.
Thomas ridacchiò «per questa medicina non servono dei Medicali. Non è niente di pericoloso, lo giuro» lo rassicurò, riemergendo dalla dispensa con una barretta di cioccolato al latte stretta tra le mani.
Newt strabuzzò gli occhi. Quella faccia di caspio di Frypan nascondeva i pochi dolci che arrivavano, come il più prezioso dei tesori e i pochi ragazzini che erano riusciti a scoprire dove li tenesse erano stati colti con le mani nel sacco e sbattuti in gattabuia per un’intera giornata dall’Intendente-cuoco in persona «se ci becca, Frypan ci taglierà le mani» lo avvertì il biondo.
L’altro ragazzo fece spallucce «Frypan dorme come un sasso. Non ci beccherà nessuno» lo rassicurò, porgendogli la barretta.
Il più giovane lo guardò circospetto, per qualche secondo. Poi fece spallucce e diete un morso alla cioccolata, gemendo di piacere, non appena gli si cominciò a sciogliere sulla lingua.
Thomas lo guardò sorridente, poco più in basso, seduto su uno degli sgabelli del bancone.
Newt lo fissò un attimo, inarcando un sopracciglio, come un bambino dell’asilo che stesse decidendo se fosse il caso di condividere le caramelle col compagno di banco antipatico. Alla fine, con un pezzo di cioccolato che ancora gli spuntava dalle labbra, gli porse la barretta «puoi prenderne un pezzo, se vuoi» gli concesse, come un tiranno che ha appena deciso di concedere la democrazia al povero popolo degli oppressi «un pezzo piccolo» specificò un secondo più tardi.
Ecco, appunto.
Thomas pensò che si sarebbe potuto sporgere e staccare un pezzo di cioccolata direttamente dalla sua bocca, baciarlo e star a vedere quello che succedeva.
La tentazione era molta. Ma si convinse che non era il momento giusto. Ancora non poteva.
No, non ancora.
Così si limitò a staccarne un piccolo pezzo da quello che aveva in mano, proprio come gli aveva detto.
«Sono contento di averti fatto rivenire il buon umore» gli disse, tornando a sorridere.
«Un pochino…» gli rispose vago il biondo, con un ghigno «Frypan lo sa che trafughi le sue scorte?»
Thomas scosse la testa, il sorriso non voleva saperne di abbandonare la sua faccia «sarà meglio che non lo venga mai a sapere o potrei ritrovarmi a fare lo Spalatore».
 
Newt diede un altro morso, facendo scoccare la lingua sul palato «forse con loro avresti un’opportunità di diventare Intendente… forse» lo prese in giro, con finto tono cattivo.
Thomas fece una smorfia intrigata «e dimmi» cominciò a chiedergli, sporgendosi in avanti e appoggiando un gomito sul tavolo «a te piaccio anche così, oppure vuoi soltanto gli Intendenti?» lo provocò con voce maliziosa.
Newt fu preso in contropiede, non si aspettava un’uscita del genere. E sapeva che non avrebbe dovuto dargli corda, ma diavolo, quel ragazzo se ne stava lì e era semplicemente meraviglioso. Era intelligente, dolce, bello e lo trattava con il riguardo e la cautela di un pittore intento a colorare un vasetto di porcellana.
Newt stette al gioco «e chi ha detto che mi piaci?» lo sfidò, cercando di sembrare disinteressato.
«Lo so che ti piaccio» ribatté Thomas, arrivandogli a un palmo dal naso, il suo sguardo fisso sui suoi occhi. Era così vicino che Newt poteva sentire il suo respiro sulle labbra «io leggo nel pensiero, ricordi?» gli sussurrò, facendo cadere lo sguardo sulla sua bocca, per poi tornare a perdersi nei suoi occhi.
Quando Thomas fece sfiorare le loro labbra, Newt ringraziò di esser seduto, perché era sicuro che se fosse stato in piedi, le sue povere gambe non avrebbero retto a tanto.
Se le sentiva tremare. Percepiva il suo respiro farsi un po’ più pesante e il cuore cominciare a battere ad un ritmo forsennato.
E si arrese all’evidenza che non avrebbe potuto combattere contro tutto quello.
Si sporse in avanti, alla ricerca di un maggior contatto.
Thomas inspirò forte, avvicinandosi.
Con le mani aperte, gli accarezzò le cosce, fino ad arrivare a stringergli la vita e aprì timidamente le labbra, come a chiedergli il permesso, che Newt non gli negò.
Il castano sentì lo stomaco contorcersi, ma quella volta era una sensazione piacevole, finalmente.
Alla fine riaprì gli occhi e poggiò la fronte contro quella dell’altro. Thomas non era sicuro di riuscire a spiegare quello che provava. Dopo anni, tutto quello che aveva sempre desiderato era lì, e lo teneva stretto tra le braccia.
Non sapeva cosa aveva significato quel bacio, per Newt. In fin dei conti lui non poteva sapere; lui non ricordava.
Per Thomas significava tutto, invece. Era un punto d’arrivo e un nuovo inizio al tempo stesso.
Adesso era ad un passo dal riaverlo indietro. Tra poco lo avrebbe messo al sicuro e sarebbero stati liberi. Gli avrebbe restituito la memoria e lui avrebbe finalmente ricordato.
Il cuore di Thomas si riempì d’aspettativa e d’impazienza.
Lo voleva indietro, al completo. Rivoleva tutto di lui.
E lo riavrebbe avuto.
La gioia gli fece girare la testa.
Passo dopo passo, tutto stava perfettamente tornando al suo posto, tutti i pezzi si incastravano al punto giusto, cominciando a riempire quelle parti rimaste incomplete troppo a lungo.
Era un altro piccolo passo verso la realizzazione di tutto quello per cui si era impegnato negli ultimi anni della sua vita.

Sorridendo, tornò a baciarlo.

Si sistemerà tutto, pensò fiducioso. Un passo alla volta rimetteremo insieme la nostra vita.
Ma adesso baciami, Newt. E cammina insieme a me, verso la felicità.


 



E dunque! Ce l’ho fatta ad aggiornare prima del 14! Viva me!
Forse prima che io parta ci scappa anche il capitolo 5, ma non prometto niente, quindi non prendete la cosa come certa!!! Prima di cominciare col mio commento sul capitolo, volevo umilmente chiedervi di recensire! ç_ç Ormai tra chi segue e chi l’ha messa tra le preferite, siamo arrivati a 10 anime! Avanti, materializzatevi e lasciatemi un commentino, perché davvero, un po’ mi sto demoralizzando ç_ç * crying *

Ma comunque!!!
Allora ragazzuole, questo è un capitolo molto soft, niente drammi, per una volta!
IL NEWTMAS E’ ARRIVATO FINALMENTE! CHI E’ CONTENTO??? :D
eh… ora le cose si complicheranno un po’ dal punto di vista sentimentale. Qualcuno non sarà per niente contento.
Inoltre, anche per quanto riguarda Newt, la questione non finisce decisamente qui. Ci sono tante cose che il ragazzo deve venire a sapere. Un piccolo spoiler che vi posso fare, è che per lui le rivelazioni non saranno tanto soft, ma d’altro canto gli arriveranno in modo molto… emh… graduale? :P
Chi leggerà, saprà! ;) Ah poi volevo scagliare una piccola lancia in favore di Minho: quanto ha il cuore d'oro questo ragazzo? Ma quanto è bravo e altruista? (Diamo a Cesare quel che è di Cesare U_U) <3

Come diceva a Ilaria, ancora nessuno ha avanzato ipotesi su questa soluzione alternativa.
E le ho anche detto che la cosa mi stupisce, perché è davvero una cosa “semplice” diciamo. Con mille implicazioni per il genere umano eh, ma comunque semplice!
E la storia è disseminata di indizi. In alcuni punti sono così tanto evidenti che avevo paura che fosse troppo ovvio, addirittura!

Dai dai, lasciate un commentino, voglio proprio sapere che ne pensate! :3

Intanto, come ogni volta, non posso che ringraziare tantissimo
 
 i_l_a_r_i_a_

 
  perché è un tesoro e non manca mai un capitolo. <3


Un grande grazie ancora a

GRACE_WHITE 
i_l_a_r_i_a_ 
yuki007
nerorchidea
Yumaforever12Kelly
 

 
per aver messo la mia storia tra le preferite!


E un altro grazie a

Dragonite 
Drarry_Hufflepuff 
Melepatia_2571 
Viola95 
Lemony
 
 

Per aver messo la mia storia tra le seguite!
 

Grazie a Lemony
 Perché hai messo la storia anche nelle ricordate! :3

Un saluto a tutti e al prossimo capitolo!


 

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Capitolo 5
*** Grazie di rendermi così felice, Newt ***


5. Grazie di rendermi così felice, Newt

 
 

Nella solita tranquillità che pervadeva la Radura nel primo pomeriggio di ogni giorno, Thomas era in cucina, a lavare le ultime pentole usate durante il pranzo. Aveva quasi finito, quando Newt fece il suo silenzioso ingresso in cucina e, sempre nel massimo silenzio, si sedette su uno degli sgabelli. «Dobbiamo parlare» annunciò il biondo.
Thomas sobbalzò e si girò di scatto. «Non farlo mai più!» lo sgridò, incenerendolo con lo sguardo.
Newt sbuffò una risata. «Sii serio… » e l’attimo dopo, perse subito l’aria allegra che aveva poco prima. «Dobbiamo parlare».
Thomas inarcò un sopracciglio. «Non sono permesse restituzioni successive all’apertura della confezione» buttò lì, cercando di nascondere il nervosismo crescente del momento. Newt non ci stava ripensando, vero?
Per tutta risposta, il biondo fece una smorfia. «Cristo, dovresti proprio ripeterti certe frasi in quella caspio di testa, prima di dare fiato a quella boccaccia» lo zittì; poi proseguì, accompagnando le parole con un sospiro. «Gliel’ho detto. A Alby».
Thomas finì di sciacquare l’ultima pentola e la mise sul lavello a scolare. Si girò e quando parlò, cercò di mascherare il sollievo nella sua voce «forse dovremmo cercare un posto migliore, per parlare. Frypan tornerà a momenti».
Il giovane annuì. «Vieni con me».
Thomas gli fu subito accanto e lo seguì in silenzio. Entrarono nella Tana e proseguirono per le scale che portavano ai piani superiori. Thomas era rimasto subito affascinato, quando aveva visto dal vivo quella costruzione gigantesca. Quando il Labirinto era stato ultimato, erano stati costruiti soltanto la cucina e i primi due piani di una piccola baracca. Avevano fornito al primo gruppo di Radurai materiale edile in abbondante quantità, ma nessuno di loro, lui e gli altri scienziati, si erano aspettati che avrebbero realizzato qualcosa del genere.
La costruzione era stata ampliata, rinforzata e rialzata di ben due piani.
Poi, quando erano diventati troppi, avevano deciso di arrangiare un dormitorio all’aperto; aggiungere un quinto piano non era stato un progetto fattibile e, per di più, i ragazzi si erano presto accorti che nella Radura non pioveva mai, quindi oltre che non fattibile, sarebbe stato anche non necessario.
 «Benvenuto nella mia stanza» Newt si fermò davanti a una delle porte in legno che si affacciavano sullo stretto corridoio e fece un ampio gesto con la mano verso l’interno della stanzetta, appoggiandosi con le braccia conserte allo stipite della porta.
Thomas entrò, curioso. La camera era costituita da un piccolo spazio rettangolare: c’era solo una brandina sul lato sinistro, come quelle che avevano loro che dormivano sotto il grande tendone; una coperta consunta era appallottolata in un angolo. Sul lato destro vi rimaneva appena lo spazio sufficiente per passare, una piccola fessura sul fondo lasciava entrare un po’ di luce. Le pareti erano costituite da tavole di legno grezzo, inchiodate una all’altra. Il soffitto basso rendeva l’ambiente angusto.
«E’ carina» commentò il maggiore.
«Certo, se ti piacciono i cunicoli bui e claustrofobici» rispose sarcasticamente Newt.
«Se non ti piace, perché non te ne sei andato di sotto, all’aperto?»
Newt gli sorrise con malizia – una parte del cervello di Thomas si ritrovò a chiedersi da quando la faccia di Newt sapeva assumere quell’espressione – e lo prese per i fianchi, spingendolo all’indietro, fino a costringerlo a sedersi sul piccolo lettino. «Perché in pubblico non potrei fare questo» gli sussurrò all’orecchio, con fare cospiratorio, per poi lasciargli un lascivo bacio sul collo.
Thomas mugolò, attraversato da un’improvvisa scarica di eccitazione, che gli fece venire la pelle d’oca. Chiuse istintivamente gli occhi e poté avvertire il sorriso soddisfatto di Newt, non appena il più giovane arrivò a poggiare delicatamente le labbra sulle sue. Gli accarezzò delicatamente i fianchi e piegò indietro la testa, quando Newt si alzò di poco sulle ginocchia, lasciandogli guidare il bacio.
«Mmh» sospirò il castano. «Non dovevamo parlare?» gli domandò, con voce poco convinta.
Vide Newt riaprire gli occhi. «Be’… c’è poco da dire, in effetti… L’ho detto ad Alby. Questo è quanto».
«E… lui?» gli chiese Thomas, esitante. Cercava di guardare il ragazzino negli occhi, nella speranza di intuire dal suo sguardo le risposte che Newt era tanto restio a dargli; continuava a guardare in basso, verso le sue mani, che continuava a torturarsi, in preda al nervosismo. «Ehy» lo richiamò, mettendogli un dito sotto al mento e portandolo ad alzare lo sguardo «perché ti mette così a disagio quest’argomento?»
Newt arrossì. «E tu perché vuoi parlarne a tutti i costi? Non ti basta sapere che è tutto ok?»
Thomas gli prese le mani «Onestamente? No, non mi basta Newt» gli rispose, con sincerità «stai in questo posto da Dio solo sa quanto tempo; lo conosci da quanto? Quanti anni sono che sei qua dentro insieme a lui? Che cosa c’è tra voi? Tu mi piaci Newt, davvero» e nel dirlo, gli strinse forte le mani tra le sue, come se quel gesto desse più forza alle sue parole «ma ho bisogno di sapere perché, di punto in bianco, sei disposto a mollare tutto per me, l’ultimo arrivato» Thomas sapeva di star giocando sporco e di starlo manipolando con le sue bugie. Si sentiva un gran bastardo, in quel momento, ma il desiderio di sapere cosa c’era stato tra i due lo logorava dall’interno. Ogni volta che ci pensava, si sentiva pervadere dalla gelosia e una rabbia cieca si faceva strada in lui. La sola idea di Newt, solo nella radura per quattro lunghi anni che si lasciava stringere da qualcun altro… Che qualcun altro oltre a lui avesse potuto ascoltarlo e dargli conforto, amarlo… tutto questo lo mandava fuori di testa.
Per l’ennesima volta nella sua vita, Thomas si ritrovò a maledire il mondo intero: ricordava Newt prima del labirinto. Era un bambino dolce, innocente, a volte anche troppo ingenuo; ora che finalmente era tornato da lui, aveva trovato un giovane uomo: l’innocenza se n’era andata, sul volto gli si leggeva la fierezza e la consapevolezza di chi ha capito qual è il suo posto nel mondo e la fatica di sopportare una vita che si era rivelata essere troppo dura, troppo presto. Con un dolore tale da togliergli il respiro, Thomas si rendeva conto che, tutto ciò che c’era stato nel mezzo, tra il suo Alexander e il suo Newt, lui se l’era perso.    
«Ho paura di dirtelo» gli confessò Newt, stringendo forte le labbra tra di loro «ho paura che mi lascerai stare, che deciderai che non ne vale la pena. E ho paura che pensi che sia pazzo» gli confessò infine.
«Dimmelo, Newt. Non accadrà niente di tutto questo. Te lo giuro» gli rispose con tono implorante.
Newt si sedette comodo, vicino a lui. Incrociò le gambe sopra il letto, imitato immediatamente da Thomas.
Ci fu un attimo di silenzio, in cui sembrava che il giovane stesse facendo ordine tra i suoi pensieri. Il maggiore non gli mise fretta e rispettò i suoi tempi. Alla fine, il più piccolo cominciò a parlare «sono in questo posto da più di tre anni. Forse quattro, credo. Alby… mi ha aiutato in un momento molto brutto. Ero nella sploff fino ai capelli…»
«Che cos’è successo?»
Newt scosse la testa «non me la sento di parlare di questo. Non ne ho mai parlato con nessuno. Nemmeno con Alby».
Thomas strinse forte le labbra, ma annuì. Newt quasi tremava; il ragazzo aveva capito che non era il caso di indagare oltre su quello, per ora. Si limitò a starsene in silenzio, ansioso che il biondo continuasse.
Newt lo ringraziò con lo sguardo, per non aver insistito anche su quello. «Eravamo sempre stati grandi amici. Quando sono arrivato qua, ero il più piccolo dei Radurai; lo sono anche oggi, c’è solo Cuck ad essere più giovane. Alby mi ha sempre aiutato, l’ho sempre visto come una figura di riferimento. E’ stato il mio idolo, da ragazzino e il mio mentore, una volta diventato più grande» Thomas continuava a starsene in silenzio, seduto di fronte a lui, con le gambe incrociate. «Quando mi ha aiutato quella volta ho sentito di dovergli tutto. Ed è così: io gli devo tutto» cercò di sbirciare l’espressione del castano, sperando che il suo volto tradisse qualche emozione «non ti mentirò: in un primo momento, ho pensato di amarlo, ma poi ho capito di essermi sbagliato. Provo un grande rispetto per lui, ma non l’ho mai amato. E anche lui, ci tiene, ma non prova niente, per me» gli confidò «è… era soltanto una cosa fisica». Ammise alla fine, abbassando lo sguardo, lasciando che i capelli gli coprissero una parte del viso. Thomas notò le sue guance arrossarsi terribilmente.
«Solo sesso» commentò il maggiore, lapidario, mentre si ripeteva assiduamente di non andare fuori di testa, lì e subito; che Newt aveva avuto tutto il diritto di far quello che voleva, perché nella sua testa il Thomas che lo amava non esisteva nemeno. 
«Mi hai chiesto perché adesso sto mollando tutto per te. E io ti ho risposto che mi avresti preso per pazzo…» Newt esitò, non sapendo bene come spiegarsi. «Hai presente quando non ti viene in mente una parola? Il nome di un oggetto o il termine per descrivere qualcosa? Che senti di essere talmente vicino al ricordartelo, che passi intere mezz’ore a pensarci, ma nonostante tutto non riesce a venirti in mente?»
Thoma annuì.
«E’ così che mi sono sentito, nei tuoi confronti. Non ho mai provato niente di così irrazionale e istintivo, nella mia vita» gli confessò il biondo «mi piaci così tanto, Tommy» ammise il biondo, guardandolo dritto negli occhi «quando l’altro giorno mi hai baciato, nella cucina di Frypan… è come se stessi facendo la cosa più giusta della mia vita. E te lo giuro, Tommy» aggiunse, stringendogli le mani tra le sue « se avessi saputo che un giorno saresti arrivato tu, io… ti avrei aspettato. Avrei aspettato che fossi tu, la mia prima volta. Il mio primo tutto».
Thomas era rimasto senza parole. La parte razionale di sé stesso gli diceva che quel senso di frustrazione che pervadeva la mente di Newt, come se il suo cervello non riuscisse a trovare il pezzo mancante di un puzzle e rimetterlo al posto giusto, era probabilmente l’Ostruzione che gli nascondeva i ricordi.
La parte profondamente innamorata di Newt, invece, credeva di star per implodere su sé stessa. Poteva un solo cuore reggere il peso di tanto amore?

«Oh, Newt…» Thomas era commosso, da tutto quello.
Quel ragazzo era troppo buono e dolce, qualunque cosa dicesse. E il castano si rese conto, mentre altra gioia andava ad invadergli ancor di più il cuore, che doveva smetterla di ostinarsi cercare le differenze tra il giovane e innocente quattordicenne e il ragazzo che gli sedeva davanti, perché, in fondo, non ce n’erano. 
«Baciami» lo pregò, mosso da uno smisurato sentimento d’amore.
Newt alzò lo sguardo e si spostò verso di lui, circondandogli la vita con le gambe e gettandogli le braccia al collo; poi lo baciò, proprio come Thomas gli aveva chiesto.
Fu un delicato sfiorarsi di labbra, senza nessuna fretta o urgenza.
Il maggiore avvolse le braccia intorno al corpo del biondo, facendo aderire i loro corpi e portò entrambi a distendersi lentamente sul piccolo lettino.
Gli diede un ultimo bacio, prima di nascondere il viso contro il petto del ragazzino vicino a lui e stringerlo ancor di più a sé, intrecciando le loro gambe.
Avrebbe voluto dirgli quanto lo amava, da sempre; quanto non avesse mai smesso di farlo, nemmeno un momento.
Ma non poteva. Così si limitò a chiudere gli occhi e a sussurrare piano contro il petto dell’altro. «Grazie di rendermi così felice, Newt».
L’altro non gli rispose, si limitò ad appoggiare la guancia sulla sua testa e a lasciargli un soffice bacio tra i capelli.

 
***



Thomas uscì dalla Tana, diretto nuovamente in cucina; aprì la porta e si diresse dritto alle stoviglie, cominciando a riempire d’acqua una delle grandi pentole.
«Pive…» una voce alle sue spalle lo chiamò, facendolo sobbalzare. Di nuovo.
«Dio!» imprecò, mentre la pentola semipiena gli cadeva dalle mani. «Oggi vi divertite tutti a cercare di farmi venire un infarto?!» quasi urlò. Poi si girò: seduto al solito bancone in legno, c’era Gally.
Il castano non si aspettava una sua visita; non parlavano molto, loro due. Anzi, a parte quando Newt lo aveva accompagnato da lui, per mostrargli i vari lavori della Radura – Gally era l’Intendente dei costruttori – per il resto, loro non parlavano affatto. «Ti serve aiuto per qualcosa?» si offrì comunque gentilmente Thomas. Quel ragazzo non gli piaceva particolarmente: per quello che aveva avuto occasione di vedere, gli era sembrato un tipo taciturno e che se ne stava sempre per conto proprio. Non che avesse mai dato problemi a qualcuno, tutt’altro, ma nonostante tutto, Thomas non riusciva a farselo andare a genio: era forse uno dei più anziani dei Radurai, avrà avuto ventiquattro o venticinque anni al massimo e si comportava come se non avesse bisogno di nessuno. 
Gally scosse la testa. «No, non mi serve aiuto» lo liquidò con un gesto secco della mano «Senti Fagio, non so come dirlo, quindi penso te lo dirò e basta» affermò sbrigativo alla fine. «Io so chi sei» gli disse di getto. «Io mi ricordo».









Ok, vi avevo promesso un capitolo prima della mia partenza ed eccolo qui! Ok, è un capitolo piccino piccino, ma tanto pieno d’amore *-* (Newtmas! Newtmas everywhere! *w*).
Godetevelo, finché dura muahahahahahaha #VìMalvagiaestronza

 
Prima di iniziare con le chiacchiere e finire col dimenticarlo, vi linko la pagina FB che ho creato su questa mia storia (perché io sono egocentrica e me la tiro). No, non è vero, è solo perché mentre scrivo i capitoli, mi vengono in mente commenti e battute idiote che mi piacerebbe condividere con le lettrici (si, no sto bene. Lo so, lo so u.u) 
LA PAGINA LA TROVATE QUI :3

Come preannunciato, non posterò per un bel po’, sono piena di cose da fare, è un miracolo che sia riuscita ad aggiornare, davvero D: (Ricomincerò a scrivere dopo il 26! :) )
MA sono anche andata un po’ avanti con la trama :3
Dunque, ecco finalmente Gally!!!  * cori da stadio della Vi *
Sappiate che io lo amo. IO LO AMO. <3
Ve l’aspettavate? Eh? Colpo di scena!!! (Vì, smettila, non sei la sceneggiatrice di LOST -.-‘’’)
E ora? Cos’è che sa, Gally? Cosa, chi, come, quando e perché??? Che c’azzecca adesso???

(Perdonatemi, ho appena ingoiato una cucchiaiata di nutella e la cioccolata mi esagita lol)

Comunque, scherzi a parte: questo capitolo è corto, ma mi serviva perché fa da “ponte” a tutto quello che succederà a breve v.v
Perché preparatevi, ci siamo quasi, qualcosa sta per succedere! Non allarmatevi, la ff è lontana dalla sua conclusione! XD
Una cosa da precisare: l’età dei ragazzi è un po’ più “adulta” di quella che hanno nei libri, ma tutto questo è voluto. Capirete! J

Ma tornando a noi: cosa intendeva Newt, quando diceva che lui deve tutto, ad Alby?
E poi, io attendo con ansia la reazione di Minho a tutto questo!
Ma soprattutto: Newt e Minho arriveranno mai a confrontarsi? Sono sicura che nessuno vede l’ora che tutto ciò accada!
No, non sarà nulla in stile: “Lui è il mio ragazzo!” “No!!! Lui è il MIO ragazzo, zoccola!!! *borsettata sulle gengive* “ LOL

No, oggi non ce la faccio a fare delle note finali serie, mi dispiace tanto! XD

Quindi, terminiamo qui queste mie noti alquanto imbarazzanti e passiamo ai ringraziamenti! Sono molto contenta delle nuove commentatrici!!! :’D

P.S.: io aspetto sempre le vostre teorie sulla soluzione alternativa, eh! ;)




Davvero un grande grazie a:


Yumaforever12Kelly
i_l_a_r_i_a_ 
LoveFandom22


Per aver commentato lo scorso capitolo!!! Grazie ragazze, perché le vostre parole mi spronano a continuare questa storia, che amo perché per me è un po’ uno “How it should have ended” che sto condividendo con voi! <3



Un grande grazie ancora a

GRACE_WHITE 
i_l_a_r_i_a_ 
nerorchidea
Yumaforever12Kelly
yuki007
LoveFandom22
 
 
per aver messo la mia storia tra le preferite!


E un altro grazie a


LoveFandom22
Dragonite 
Drarry_Hufflepuff 
Melepatia_2571 
Viola95 
Lemony
 
 
Per aver messo la mia storia tra le seguite!
 
 

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Capitolo 6
*** Buonanotte ***


6.Buonanotte

 


«Cos’è che ricorderesti, esattamente?» rispose Thomas a Gally, cercando di tastare il terreno prima di decidere quale risposta rifilargli. «Thomas Moore. Il tuo nome per intero è questo, non è vero?»gli rispose, guardandolo dritto negli occhi, come sfidandolo a dire il contrario.
«Non so quale sia, il mio nome completo» cercò di liquidarlo in fretta il giovane. «Io non ricordo nulla».
Thomas non se l’aspettava. Sapeva bene chi fosse Gally. Lui e Newt – Alexander. Si chiama Alexander, Thomas. Si corresse mentalmente - erano i due non immuni del labirinto. Ma non era previsto che quel ragazzo ricordasse alcun che del suo passato. Thomas si ritrovò a chiedersi che cosa fosse andato storto; ricordava che era stato Aris, il dottore che gli era stato assegnato per i colloqui preparativi. Teresa si era impuntata affinché lo facesse Aris. Perché a quel tempo Thomas ancora non sapeva del gruppo segreto, ma Aris sì. Aris avrebbe potuto manomettere l’Ostruzione.
Il castano si ritrovò, di punto in bianco, a realizzare quanto l’intero progetto – progetto in cui il minimo errore avrebbe fallato i dati della ricerca – fosse stato compromesso fin dall’inizio.  Col senno di poi, realizzò Thomas con grande sconforto, tutto quell’esperimento non era stato altro che uno spreco di risorse finanziare e di vite umane.
«Lo so che ti ricordi, pive; e farai bene a dirmi tutto quello che voglio sapere, oppure lo dirò agli altri Intendenti» lo minacciò il biondo. «Ti ritroverai esiliato nel labirinto entro questa sera, stanne certo».
Thomas avrebbe voluto prenderlo a pugni e urlargli che avrebbe potuto lasciarlo a vivere nel Labirinto per il resto della sua vita, perché tanto non gli sarebbe successo nulla di male.  La parte bastarda di sé avrebbe voluto che Gally lo facesse, solo per poter avere la soddisfazione di guardare che faccia di sploff avrebbe fatto il giorno dopo, quando sarebbe rientrato vivo e vegeto nella Radura.
Tuttavia, Thomas sapeva bene di avere un compito da portare a termine e dal quale dipendevano troppe cose, troppe persone, troppe vite.
Prima o poi avrebbe comunque dovuto vuotare il sacco con qualcuno.
Fu allora, con un sospiro colmo di rassegnazione, che si decise a dirgli la verità. «D’accordo» gli concesse, incrociando le braccia al petto. «Anche io… ricordo delle cose» ammise. «Ti dirò tutto quello che vuoi sapere, ma prima ho bisogno che tu mi racconti quello che ricordi; mi renderai la cosa più facile, in questo modo» il giovane esitò, poi aggiunse: «forse è un bene. Tutto questo, intendo. Mi sarà d’aiuto quando dovrò dirlo a tutti gli altri…».
Gally strabuzzò gli occhi, preso in contropiede. «Dirlo agli altri? Quanto sai, esattamente?»
Thomas scosse la testa. «Prima ho bisogno che tu mi dica quello che sai tu, poi ti dirò tutto. Te lo giuro».
Gally annuì, anche se poco convinto. «D’accordo» gli concesse, per poi prendersi il tempo necessario per riordinare le idee. «Non ricordo niente della mia vita passata, ma ho in mente dei nomi; costantemente. Uno di questi, è il tuo» gli confidò. Thomas non lo interruppe; con un gesto della mano gli fece cenno di continuare. «Mi ricordo di te. Di Aris Petrou; Teresa Lloyd e Brenda Cox» Gally sputò fuori i loro nomi come acido che gli stesse corrodendo la bocca. «Per tutti questi anni, sono stati solo dei nomi, dentro la mia testa. Ma appena ti ho visto, ho subito associato uno di loro alla tua faccia» gli confessò.
«Perché non mi hai denunciato subito agli Intendenti, quando hai realizzato di conoscermi?» gli domandò il più giovane, incuriosito.
Gally fece una smorfia. «Non chiedermi perché, ma so di potermi fidare di queste persone; so di potermi fidare di te». Diavolo, che cosa avevano combinato con la testa di quel povero ragazzo?
«E allora perché non mi hai parlato subito, non appena sono arrivato qui?»
«Questa è una buona domanda, Fagio. Sai, chiunque ci abbia rubato la memoria è in grado di manipolarci il cervello, su questo non c’è alcun dubbio; quindi ho pensato: e se i Creatori avessero fatto in modo di farmeli ricordare, questi nomi? In modo che mi fidassi di voi, per ingannarmi e farmi del male? E se tutti voi foste i Creatori stessi? Ma sono troppo curioso per rimanermene zitto ancora, senza riuscire a vederci chiaro» Gally lo guardò negli occhi, un’espressione di paura malcelata ad incupirgli lo sguardo. «Perché siamo chiusi qui dentro, Thomas? Perché ci fanno questo?».
Il giovane sospirò. «Cosa ti ricordi di noi esattamente
Gally si strinse nelle spalle. «Solo che fate parte dei buoni, tutti voi. E poi c’è lei.»
«Lei?»
Il biondo annuì. «È buffo» gli confidò Gally. «Ho il suo nome impresso a fuoco nella mente. Non ho idea di quale sia il suo aspetto, o di che voce abbia. Prima che arrivassi tu, non ero nemmeno sicuro che esisteste. Nessuno di voi. Siete stati come dei fantasmi, nella mia mente» prese un profondo respiro, poi lo guardò dritto negli occhi. «Eppure, io la amo». Il ragazzo più grande si alzò dalla sedia, incrociando le braccia al petto. «Da anni non faccio che amare una persona che non conosco e che esiste solo nella mia testa. E non riesco a pensare a nient’altro. A nessun altro. Questo è tutto quello che ricordo, Thomas.» la voce del biondo calcò sull’ultima parola. «Hai idea di come questo mi faccia sembrare un pazzo ai miei stessi occhi? Hai idea di quanto sia frustrante, una cosa del genere? Ti rendi conto di come tutto questo mi stia rovinando la vita?» Thomas sentiva il malcelato tono d’accusa, insito nella sua voce. «Non ne hai la minima idea, vero?» continuò, senza aspettare una risposta dal castano. «Quindi se sai qualcosa, parla; dimmelo. Voglio saperlo, o impazzirò».
Thomas alla fine cedette. Lo invitò a sedersi, per poi accomodarsi proprio di fronte a lui. Il giovane appoggiò i gomiti sul bancone, intrecciando le dita tra loro. «Promettimi che ascolterai ogni cosa che ti dirò, fino in fondo. Poi potrai decidere cosa fare, se denunciarmi agli Intendenti oppure aiutarmi. Comunque vada, si farà a modo nostro; è bene che tu lo sappia».
«A modo vostro?»
Thomas annuì «Sì, a modo nostro. Perché il nostro è l’unico modo. Specialmente per quelli come te».
A Gally cominciava a venire il mal di testa. «Il vostro è l’unico modo per fare che cosa, esattamente? E che intendi per “quelli come me”?»
«Già ci sei arrivato, Gally: siamo noi, i Creatori». Il biondo era visibilmente scosso da quella confessione. Thomas era certo che stesse per saltargli addosso e riempirlo di pugni da un momento all’altro. Tuttavia, sembrò trattenersi, troppo smanioso di conoscere tutta la verità, e rimase in silenzio, con le mani strette a pugno sotto il tavolo.
Allora Thomas gli raccontò di ogni cosa. Dell’Eruzione, della C.A.T.T.I.V.O., degli studi sulla Cura, che era il motivo per cui tutti loro erano stati portati in quel posto, e di come i gruppi di ricerca non avevano mai veramente avuto la possibilità di trovarne una che funzionasse. Di Minho e Brenda, che erano stati mandati nei due Labirinti, dopo il fallimento del loro team. Di come lui fosse uno dei non immuni al virus, che facevano parte del progetto. Di quando loro, i giovani prodigi della medicina, si erano ribellati ai governi, creando un gruppo alternativo di ricerca e di come il loro studio clandestino avesse invece dato tutti i risultati sperati. Di come gli altri scienziati, mentre loro erano seduti comodamente a quel tavolo a parlare, stessero ultimando i preparativi per la loro fuga.
«Tra un paio di mesi dovremmo essere pronti ad andarcene. Quando la Scatola arriverà, tra qualche giorno, arriveranno anche i dispositivi di cui ho bisogno per potervi restituire la memoria» lo informò il più piccolo «dovrò dire la verità, a tutti loro. Vi porterò in salvo, Gally. Ma ho bisogno che per il momento tu non mi tradisca. Lo farai? Mi aiuterai?»
«Ho altra scelta?» sospirò il biondo «Thomas... Perché sono l’unico che ricorda qualcosa?».
A Thomas sfuggì un sorriso «I non immuni di questo labirinto sono stati mandati qui non solo per essere studiati, ma anche per essere isolati dal mondo esterno e protetti dalla malattia» gli spiegò. Fu inevitabile, per lui, pensare al suo Alexander in quel momento. «Anche Newt è un non immune. Stavamo insieme prima di tutto questo; ho fatto in modo che fosse chiuso qua dentro nel più breve tempo possibile… Quando sono arrivato e l’ho visto tra le braccia di Alby, mi si è spezzato il cuore. Lasciarlo andare ha avuto un prezzo. Probabilmente, chi ha deciso di non toglierti quei pezzi di ricordi, l’ha fatto anche per questo: non voleva lasciarti andare».  Thomas gli sorrise. «Sai qual è il tuo vero nome? Vuoi saperlo?»
Gally annuì, impaziente, guardandolo con gli occhi spalancati dall’incredulità. «Ti chiami Theodore. E tutto quello che Teresa ha fatto, l’ha fatto per te»,
«Come fai a sapere che stavo parlando di Teresa?»
Thomas gli sorrise, ancora. «Io so, Gally. La conosco, è mia amica. E posso garantirti che lei ti ama allo stesso modo in cui tu senti di amare lei. Mentre io passavo le notti a guardare Newt, lei le passava sulla sedia vicino alla mia, a guardare te.». Thomas gli strinse forte una spalla, come a volergli dare conforto.
«Non ricordo nulla di quello che mi hai detto. È come se tu mi avessi appena raccontato una favola dell’orrore; non è ancora abbastanza reale, per me. Però ti credo; e ti aiuterò» Gally protese il la mano verso l’altro, il quale la afferrò immediatamente, sorridendogli. Poi lo lasciò da solo, lasciandogli lo spazio di cui aveva bisogno per riflettere su tutto quello che gli aveva raccontato.


 
***
 
 
 
Minho correva nel labirinto insieme a Ben, come faceva ogni giorno ormai da mesi. I due svoltarono l’ultimo angolo e percorsero in fretta l’ultimo corridoio angusto, tornando nuovamente nella radura. Ad aspettarli c’era Alby, che si era premurato di portar loro delle borracce con dell’acqua fresca, proprio all’ingresso che conduceva all’ala nord del labirinto. Lo ringraziò con un sorriso tirato, prima di tornare a correre verso i bagni, seguito a ruota dal compagno Velocista..
Quel ragazzo gli piaceva. E non solo perché provava un odio viscerale per un certo biondino di loro conoscenza. No, non era soltanto per quello: Ben era un tipo chiacchierone al punto giusto, la sua compagnia era gradevole e sapeva rendersi simpatico quasi a tutti.
Erano stati messi insieme, a formare una squadra di Velocisti, circa un mese dopo il suo arrivo nella Radura ed erano diventati subito grandi amici. Forse anche Minho, pur non essendosi mai mostrato eccessivamente ostile a Newt, gli era entrato in simpatia fin da subito per lo stesso motivo.
Quando Minho gli aveva chiesto perché il ragazzino gli stesse tanto antipatico, Ben gli aveva dato una risposta che mai e poi mai si era aspettato; Ben gli aveva confessato di avere una cotta per Alby fin dai primi giorni in cui era arrivato nella Radura; Newt non gli aveva fatto nulla, concretamente, ma nella sua testa era come se quel pive glielo avesse portato via. Gli aveva raccontato che, da quando i due si erano messi insieme, Alby non aveva occhi che per Newt; ma non perché quei due si amassero o qualcosa del genere. Ben odiava il loro rapporto: Alby era troppo protettivo, troppo attento. Come se il minore avesse potuto rompersi da un momento all’altro.
Ma quello che più gli faceva rabbia, era il fatto che fosse palese che non si amassero. Lui avrebbe potuto dare ad Alby tutto quello che quel moccioso viziato non sarebbe stato in grado di dargli.
Alla fine, Ben gli aveva chiesto il perché lui, invece, lo odiasse tanto. E dopo giorni passati a pensare se fosse il caso di esser sincero, con lui, Minho aveva deciso di dirgli la verità. Su tutto.
Lo aveva fatto fermare, in mezzo al labirinto –perché tanto non c’era nulla da cercare, tra quelle mura – ed erano rimasti tutto il resto del pomeriggio a parlare. Ben non l’aveva presa bene, all’inizio; non gli aveva parlato per tutto il resto della giornata; improvvisamente i pettegolezzi su Newt erano passati in secondo piano.  Gli aveva detto che avrebbe denunciato il tutto agli Intendenti.
Il giorno dopo, però, era tornato con lui nel labirinto e, a metà strada, si era gettato a terra, incrociando le mani dietro la testa.

“E vedi di starmi vicino, col tuo chip miracoloso. Non voglio diventare il pranzo di un Dolente!” gli aveva semplicemente detto, ghignando.


Ben ci aveva ripensato.

Quando Thomas era arrivato nel labirinto e Minho aveva dato dei pezzi di sploff sia a lui che al giovane Intendente degli agricoltori, Ben gli aveva chiesto sottovoce, mentre si dirigevano alle docce, se il fagiolino appena arrivato fosse il suo Thomas, quello di cui gli aveva parlato.

«Eri così preoccupato per il suo ritardo e invece eccolo qui! Sei felice, adesso?» gli aveva chiesto, con ingenuità.
Minho aveva fatto una smorfia. «Non sarà il mio Thomas ancora per molto» gli aveva risposto con tono tombale. «Non li hai visti? La sirena dell’arrivo della Scatola è suonata – quanto sarà? – nemmeno un’ora fa. E guardali, già ridacchiano tra loro come due sposini» la tristezza gli incupì la voce.


E Minho non aveva avuto torto. Con tutta sincerità, quella prima sera in cui Thomas era finalmente arrivato e lo aveva scopato, piegato contro l’albero del bosco, Minho ci aveva sperato. Aveva pensato che, magari, Thomas avesse sentito la sua mancanza e che ne avesse sofferto quanto bastava per capire che di lui gli importava abbastanza da non lasciarselo alle spalle tanto presto.
Ma non era stato così. Le voci nella radura giravano e quando Chuck gli aveva detto, senza il minimo tatto, di aver beccato Thomas e Newt avvinghiati nella cucina, intenti a divorarsi la bocca l’un l’altro, a Minho si era spezzato il cuore, letteralmente.
Il moro non ci aveva mai pensato prima – o forse, semplicemente, non aveva mai voluto pensarci prima – ma era arrivato a tenere a Thomas più di quanto aveva previsto.
Ricordava la sera in cui, mortificato e depresso per i suoi fallimenti accademici, lo aveva spinto a fare sesso con lui. Quello non aveva significato nulla, per lui, era stato quello che era stato: del sesso consolatorio, uno sfogo. Niente di più e niente di meno. Ma poi, man mano che i giorni passavano, era diventato sempre più bello. Non il sesso in sé, il sesso era sempre sesso: piacevole e appagante quanto bastava; era stato il farlo con Thomas a rendere tutto diverso.
Alla fine, dopo quattordici lunghi mesi senza di lui, quando finalmente lo aveva riavuto in quel senso, Minho si era ritrovato a chiedersi come avesse fatto a rimanere senza di lui tutto quel tempo.
Ci pensava spesso, costantemente, da quando il castano era tornato. Minho passava intere ore a pensare a quanto sarebbe stato bello essere abbracciato da Thomas, nel modo in cui Thomas abbracciava Newt.
A come sarebbe stato se Thomas gli avesse parlato, come parlava a Newt.
Newt. Newt. Newt.
Come non odiarlo? Paradossalmente, quel ragazzino aveva avuto tutto, dalla vita, date le circostanze: non sapeva che un virus mortale avrebbe potuto friggergli il cervello da un momento all’altro, che era stato fortunato, addirittura, ad esser segregato lì dentro; che c’erano delle persone, all’esterno, ad aver rischiato soldi, carriera e la loro stessa vita, per metterlo al sicuro e che continuavano a dedicare tutto il loro tempo ed energie per salvarlo. E poi, tra tutti, lui aveva Thomas. E giusto perché la vita non è per niente sadica e perversa,
 
Newt nemmeno si rendeva conto della fortuna che aveva avuto. Non lo ricordava nemmeno.
E questo gli dava da pensare: cos’era che Thomas amava ancora di quel Newt? E cosa aveva trovato Newt, in Thomas, data la perdita di memoria?


Il moro, ultimamente, si arrovellava su certi pensieri. Non riusciva a darsi pace.
Quando Thomas aveva cominciato ad aspettarlo, all’entrata delle porte, in attesa che tornasse dal Labirinto, Minho non aveva potuto fare a meno di lanciargli uno sguardo sofferente e tradito e poi scappare via. Ogni sera, Thomas lo implorava di parlare, di spiegargli; ma Minho non aveva voluto sentire una parola. Sapeva già cosa volesse dirgli il castano: lo avrebbe riempito di parole e scuse di circostanza, avrebbe cercato di ferirlo il meno possibile, perché Thomas non era una persona cattiva. Forse avrebbe anche cercato di consolarlo.
Ma lui sapeva benissimo che il sunto di tutte quelle parole vuote, sarebbe stato uno e uno solo: lui non era abbastanza. Lui non era Newt.
E ciò che più lo straziava, era che Thomas avesse sempre messo in chiaro la cosa, fin dall’inizio. Non lo aveva mai illuso, non gli aveva mai nascosto che per lui, ci sarebbe stato sempre e solo un unico grande amore.
E quell’amore, non era lui.


 
***
 
 
 
Era arrivata l’ora di cena, quando Thomas finalmente si sedette a uno dei tavoli all’aperto, disposti ordinatamente sul lato occidentale della cucina; Newt era seduto ad un tavolo insieme a Chuck e all’arrivo di Thomas, il biondo lasciò che il maggiore gli passasse una mano tra i capelli, mentre poggiava dolcemente le labbra sulle sue, in un bacio innocente.
«Bleah! Che schifo!» strillò il ragazzino di fronte a loro «andate a sbaciucchiarvi da un’altra parte!» li sgridò, mentre faceva finta di vomitare e mimava il gesto di ficcarsi due dita giù per la gola.
I due ragazzi di fronte a lui ridacchiarono.
«Ehy, Pive» esclamò Gally, mentre si sedeva vicino a Chuck, seguito da altri due ragazzi. «Loro sono Zart e Winston, medicali anche loro» Gally glieli presentò, indicando prima un ragazzo alto e robusto dai capelli biondo platino e poi l’altro, un po’ più basso dal fisico esile e la pelle scura.
Si salutarono tutti, sorridendo e passarono la serata tra chiacchiere frivole e risate.
Anche Thomas rideva alle battute di Winston, ma di tanto in tanto, non poteva far e a meno di notare Minho che, seduto dall’altra parte della mensa improvvisata della Radura vicino a Ben, il suo compagno Velocista, ogni tanto alzava lo sguardo verso di lui, senza riuscire a celare il proprio risentimento, come avrebbe voluto. Quando a loro si unì anche Alby, a Thomas sfuggì un sospiro; sembrava che tutto il fan club di coloro che odiavano Thomas e Newt si fosse dato appuntamento a un singolo tavolo.
«Ehi» Newt lo chiamò, ad un certo punto. «Qualcosa non va?» gli chiese, accarezzandogli un braccio. Thomas distolse lo sguardo da quei tre, per posarli in quelli del biondino, che gli sedeva di fianco. Sorrise. «È tutto a posto, sono solo stanco» gli disse. «Andiamo a dormire?».
«Certo, “dormire”. Adesso è così che lo chiamano!» li prese in giro Winston, dall’altra parte del tavolo.
I due chiamati in causa ebbero la decenza di arrossire, mentre gli altri, compreso Newt, sbottarono a ridere l’attimo dopo. «Sei invidioso, Winston?»
Alla frecciatina del giovane, seguì un breve battibecco scherzoso a cui Thomas e Chuck non parteciparono.
Chuck era evidentemente imbarazzato e a disagio per quei discorsi – alla fine il ragazzino aveva solo tredici anni, più o meno.
Thomas si limitò a starsene zitto, per il semplice fatto che non era quello, ciò a cui aveva pensato prima, mentre chiedeva a Newt di andare a dormire.
Insomma, lui intendeva solo andare a dormire.
Alla fine, anche quella piccola battaglia a suon di battutine scomode finì con, inutile dirlo, un Winston bonariamente umiliato dal biondo.
Il maggiore si ritrovò a chiedersi da quando il suo Newt avesse anche assunto quella parlantina da vipera. Thomas decise che non gli dispiaceva. Anzi, la cosa gli piaceva e anche tanto.
«Da quando tu e Gally siete così amici?» gli chiese Newt con casualità, mentre salivano le scale della tana, diretti alla camera del più piccolo. «Abbiamo chiacchierato un po’ questo pomeriggio; all’inizio non mi aveva fatto una bella impressione, ma tutto sommato il pive non è male». E da quando lui aveva cominciato a parlare come un raduraio?
«Mh. Ok…»
Thomas ghignò. «Sei geloso?» lo punzecchiò, entrando nella piccola cameretta.
«Ne ho motivo?»
Thomas pensò a Minho e probabilmente la risposta giusta sarebbe stata “forse sì”. «No, non ce l’hai…» gli rispose invece, chiudendo la porta dietro di sé e baciandolo dolcemente.
«Bene» Newt parlò sulle sue labbra, chiudendo definitivamente il discorso.
Gli avvolse la vita con le braccia, stringendolo a sé e indietreggiando fino al letto, fin quando non sentì il bordo del materasso consunto sbattere contro i polpacci. Lasciò che Thomas lo spingesse a distendersi sulle coperte e aprì le gambe per fargli spazio, prendendogli il volto tra le mani e tornando a poggiare delicatamente le labbra sulle sue. Thomas si reggeva sugli avambracci, per non pesargli addosso; si limitò ad approfondire il bacio, leccando il labbro inferiore del biondo, che schiuse le labbra l’attimo dopo, lasciandogli via libera. 
Newt mugolò soddisfatto. «È da oggi che aspettavo questo momento» gli sussurrò a fior di labbra. Poi, sorprendendo non poco il maggiore, Newt gli afferrò le spalle facendolo ruotare e finire disteso sotto di lui. Il biondo, gli si sedette sfacciatamente sul cavallo dei pantaloni, facendo entrare in contatto le loro intimità che, seppur divise dalla stoffa dei vestiti che avevano addosso, erano ben sveglie e bisognose di essere soddisfatte.
La luce che entrava nella stanza non era molta, a causa della poca luce artificiale che entrava dalla piccola finestrella in alto, ma Thomas riuscì a scorgere chiaramente la figura di Newt nella penombra, mentre si sbarazzava della maglia che indossava. Cercando di fare in fretta, lo imitò. I due rimasero a guardarsi per un attimo, la luce appena sufficiente a scorgere i contorni del corpo dell’altro; e Thomas, in quel momento, avrebbe dato qualsiasi cosa per poter vedere più chiaramente il corpo seminudo di Newt, per vedere come era diventato, dopo tutti quegli anni. Allungò le mani ad accarezzargli i fianchi, sentendo la morbidità di una muscolatura appena accennata sotto i polpastrelli. Newt rabbrividì a quel tocco e si sporse nuovamente per baciarlo.
«Sei bellissimo» Thomas glielo sussurrò all’orecchio, mentre faceva scorrere le mani lungo il petto del biondo, lentamente, quasi con riverenza.
Come risposta, Newt lo afferrò per la vita con una mano e si sfregò contro di lui. «Non mi hai nemmeno toccato e sono già duro» gli ansimò a pochi centimetri dalle labbra, con la voce resa roca dall’eccitazione.
Ma nel momento in cui sentì Newt arrivare con la mano al primo bottone dei suoi pantaloni, Thomas gli bloccò il polso. «Forse… » ingoiò a vuoto, nel vano tentativo di tener a bada l’eccitazione. «Forse è meglio non correre troppo, non credi?» disse gentilmente al più piccolo, cercando di non ferirlo, anche se, da quel poco che poteva scorgere dell’espressione dell’altro, probabilmente non era uscito vittorioso nel suo intento.
«Oh… » Newt allontanò di scatto la mano dal bordo dei suoi pantaloni. «Non vuoi…?» gli chiese, con voce colma di delusione.
Thomas scosse la testa. «Voglio. Dio, Newt, non hai idea di quanto lo voglia. Di quanto ti voglio».
E da quanto tempo ti voglio. Aggiunse mentalmente. «È solo che non voglio rovinare tutto così in fretta, adesso. Voglio che sia speciale…» e pregò che Newt accettasse le poche motivazioni che poteva permettersi di dargli. Perché quella era la verità: non che non avesse pensato anche a quello, tra le tante cose che avrebbe potuto fare con il suo ragazzo, quando l’avrebbe rivisto. Tuttavia aveva mille e più motivi, per non arrivare fino in fondo, con Newt, ma poteva metterlo al corrente di ben pochi di essi, al momento; in primis, Newt non sapeva davvero chi fosse Thomas. Newt non sapeva nemmeno chi fosse se stesso. E Thomas non voleva arrivare a far sesso con lui, non prima che il biondo venisse a sapere la verità su di lui. Cristo, ogni singola cellula del suo corpo smaniava per possederlo, in quel momento e su quel letto, di farlo di nuovo suo, una volta per tutte; ma Thomas non poteva approfittarsi di lui a quel modo. Magari Newt non l’avrebbe odiato, una volta saputa la verità e tanto meno l’avrebbe fatto più tardi, una volta recuperata la memoria. Ma sarebbe stato Thomas ad odiarsi. E a dirla tutta, c’era una piccola parte di Thomas a desiderare che Newt facesse l’amore con lui dopo aver riacquistato la memoria; soltanto dopo aver ricordato cosa significassero l’uno per l’altro, non un minuto prima. Non era sicuro di sapere come quell’ultimo capriccio lo facesse sentire, in verità, ma non poteva far a meno di pensarci, ogni tanto.
Newt, seppur visibilmente deluso, cedette. «D’accordo…» acconsentì, staccandosi da Thomas e sdraiandosi di lato, nella sua piccola porzione di letto. Si rannicchiò in posizione quasi fetale, dando le spalle al maggiore.
Thomas sentì il pesò di un macigno al posto dello stomaco. «Newt...» lo chiamò con voce quasi implorante, sistemandosi anche lui di lato e carezzando il fianco del minore. «Non fare così…».
Il ragazzo non si sottrasse al suo tocco, ma continuò a dargli le spalle. «No, hai… hai ragione. Scusami, ho corso troppo».
«Ti sei offeso». Decretò Thomas. Non era una domanda.
«No, va tutto bene». Newt si morse un labbrò con i denti. Sì, si era offeso. Si sentiva rifiutato, per la prima volta in vita sua, ed era una sensazione orribile. Il fatto era che lui non pensava che a Thomas da giorni, ormai. Fin da prima che il castano gli rubasse quel casto bacio nel silenzio della cucina; e da quel bacio, non c’era stato giorno in cui non avesse fantasticato su lui e Thomas che si baciavano in luoghi più appartati, in modi tutt’altro che casti. Non pensava ad altro che a Thomas che entrava dentro di lui, stringendolo, con possessione. A Thomas che gemeva, con gli occhi chiusi e la bocca dischiusa mentre chiamava il suo nome, in preda al piacere che gli avrebbe dato.
Newt, in un modo del tutto irrazionale, che non riusciva a spiegarsi, era finito a tenere a quel ragazzo come mai aveva tenuto a nessun altro. La cosa lo terrorizzava e lo lasciava spaesato come mai gli era successo prima. Era quello l’amore? Newt evitava di soffermarsi su quel pensiero, perché quando la sola idea lo sfiorava, sentiva girargli la testa.
Ed ora che finalmente era lì con Thomas tutto per sé, lui non aveva voluto.
La cosa lo faceva star male oltre ogni concezione; avrebbe voluto battere i piedi a terra e urlargli che lui invece lo voleva e tanto, anche. Ma Newt non era un bambino e di certo non poteva costringerlo a far qualcosa che non volesse fare.
Eppure, non poté fare a meno di chiedersi il perché.
Perché Thomas lo aveva fermato in quel modo? Perché voleva fare con calma? Cosa avrebbero dovuto aspettare? Cosa c’era d’aspettare, nella vita che erano stati costretti a condurre?
Fisicamente, lo volevano entrambi, Newt l’aveva sentito quanto l’altro lo volesse, quando gli si era strusciato addosso.
Forse Thomas aveva la forza di fermarsi, ma Newt stava andando decisamente fuori di testa in quel momento. Avvertiva la presenza dell’altro dietro di sé, mentre gli accarezzava delicatamente un fianco, ma ben attento a non toccarlo con nessun’altra parte del corpo, per quanto lo spazio angusto del letto glielo permettesse. E quel semplice tocco, lo mandava su di giri in maniera quasi dolorosa.
Newt mosse lentamente la mano, cercando di non farsi notare dall’altro, arrivando ad appoggiarla a coppa sulla sua erezione, ancora costretta nei pantaloni; si strofinò il pene ancora duro e caldo attraverso la stoffa, chiudendo gli occhi e serrando le labbra, cercando di non farsi sfuggire il minimo rumore. Tuttavia, capì presto che non sarebbe riuscito a soddisfarsi a quel modo, non con Thomas ancora sveglio dietro di lui e costretto a cercare di non far casino.
Alla fine si arrese. «Vado in bagno» decretò, facendo per alzarsi. Si sentì afferrare per il braccio.
«Fallo qui» la voce di Thomas arrivò forte e chiara alle sue orecchie, che nemmeno per un attimo ebbe il dubbio di aver sentito male. Si girò verso il maggiore, guardandolo titubante, indeciso sul da farsi.
«Avanti, Newt» continuò Thomas, mentre lo tirava di nuovo a stendersi sul letto. Newt era rivolto di nuovo verso il muro e gli dava le spalle. Thomas avvicinò il volto al suo, quanto bastava perché potesse sentirlo mentre a bassa voce gli parlava all’orecchio.  «Toccati, insieme a me…» gli sussurrò, lasciandogli un fugace bacio dietro la nuca. Newt non si mosse; preferì rimanere ad ascoltare il rumore inconfondibile di una cerniera che veniva aperta e della stoffa che veniva abbassata. Thomas teneva la testa appoggiata sulla sua spalla e Newt lo sentiva masturbarsi  lentamente dietro di lui. «Toccati Newt…» gli disse ancora. E quella volta, Newt obbedì. Si slacciò anche lui i pantaloni e infilò una mano nei boxer, scoprendosi ancora duro e bisognoso d’attenzioni. Si afferrò il pene, senza stringere troppo e godendosi la bellissima frizione generata dai movimenti lenti e costanti della propria mano. Tirò gentilmente la pelle verso il basso, finendo di abbassare completamente il prepuzio e scoprire la punta arrossata e ipersensibile. Gemette per il piacere, quando ci passò sopra il pollice, stimolandola con movimenti rotatori.
In quel momento, sentì Thomas gemergli altrettanto sonoramente nell’orecchio. «Così, Newt…»
«Dio…» gemette ancora, mentre si girava in fretta verso il maggiore. Lo guardò dritto negli occhi, cominciando a velocizzare i movimenti del polso «Voglio… ah… voglio vederti mentre vieni…»
E in quel momento, Thomas perse completamente la testa. «Oh, fanculo!» disse a voce più alta, sfilandosi la mano da in mezzo alle gambe. Afferrò il polso di Newt, impedendogli di darsi ancora piacere e sistemandogli velocemente i boxer, che tornarono a comprimergli l’erezione.
Newt non ebbe il tempo di realizzare cosa stesse facendo, che Thomas gli afferrò una gamba da dietro il ginocchio e se la portò sul fianco, facendo in modo che il più giovane gli si spalmasse addosso e sfregandoglisi contro senza alcun pudore, dimentico della reticenza di poco prima.
Lo attirò ancora a sé, per coinvolgerlo in un bacio possessivo, sensuale e al contempo pieno d’urgenza;
Thomas diede una prima, timida spinta, facendo sì che le loro erezioni sfregassero l’una contro l’altra.
Gemettero entrambi. «Fa- Fallo ancora» gli ordinò Newt. Chiuse gli occhi, gli circondo il collo con le braccia e si inarcò, gettando la testa all’indietro sul cuscino e stringendo ancor di più Thomas contro di sé, anche se la poca forza che aveva nella sua gamba difettosa non gli permetteva di sentirselo addosso come avrebbe voluto. «Dio, Tommy. Voglio sentirti tutto…» lo implorò. Thomas non si lasciò pregare: lo spinse a sdraiarsi completamente sul letto e in un attimo gli fu sopra. Portò le gambe di Newt ad incrociarsi dietro il suo sedere e tornò a strusciarsi contro il più piccolo, con affondi secchi e sempre più veloci.
Dio, e non si stavano nemmeno davvero toccando. Pensò, mentre il piacere rischiava di fargli girare la testa. Quanto tempo aveva aspettato tutto quello? E, in un certo senso, era la prima volta che faceva cose simili, con Newt.
La prima volta che avevano fatto l’amore, era stato il più giovane a convincerlo. Insomma, lui aveva diciassette anni e l’altro soltanto tredici maledetti anni. A quell’età i bambini dovrebbero giocare ai videogiochi con il loro amichetto del cuore, non pensare a perdere la verginità con un ragazzo quasi maggiorenne. Ma il biondo l’aveva più volte implorato, aveva pianto e aveva tenuto il muso, facendogli venire i sensi di colpa, dicendogli che forse quella sarebbe stata l’unica volta nella sua vita in cui si sarebbe innamorato e avrebbe potuto far l’amore con qualcuno; che magari, alla fine, si sarebbe beccato il virus e sarebbe morto, senza aver mai vissuto a pieno la sua vita. Inutile dire, però, che non aveva mostrato altrettanta intraprendenza e sicurezza quando dalle parole si era passati ai fatti. Thomas aveva avuto a che fare con un bambino, piccolo e fragile, sia nella mente che nel corpo e aveva dovuto prendersi cura di lui e farlo sentire a suo agio, nei limiti del possibile.
Anche le volte che c’erano state, dopo la prima, non erano state molto diverse. Più volte Thomas gli aveva chiesto se voleva che si fermasse e lui testardo stringeva i denti e scuoteva la testa da una parte all’altra, sopportando, mentre Thomas lo baciava e gli sussurrava che presto sarebbe diventato bellissimo, che gli sarebbe piaciuto. E Thomas a volte si ritrovava a chiedersi cosa diavolo stesse facendo, che diavolo gli era saltato in mente, di immischiarsi in un casino del genere. La risposta gli veniva immediata e ovvia, ogni volta: semplicemente, lui lo amava. 
Il ragazzo che aveva ritrovato, invece, aveva perso l’innocenza e l’inesperienza che Thomas ricordava – e Thomas cercava anche di non pensare a con chi il ragazzino avesse fatto pratica nel frattempo-. Nonostante tutto, il castano era eccitato e entusiasta all’inverosimile, per questo cambiamento.
«Sto per…» Newt continuava ad ansimare, ormai senza controllo, sotto di lui.
«Vieni, Newt» gli rispose Thomas, gemendo ad ogni parola.
Newt si aggrappò alle spalle di Thomas, alla ricerca di un bacio che arrivò immediatamente. Aprì la bocca, lasciando che la lingua dell’altro gli scivolasse tra le labbra e gemette per l’ultima volta, venendo nei propri boxer.
Thomas sentì il rilascio del biondo bagnargli la stoffa e continuò a spingere, con l’intento di amplificare al massimo il piacere dell’altro. Finalmente venne anche lui, gemendogli direttamente nell’orecchio e abbandonandoglisi addosso.
Newt sciolse le gambe, riappoggiandole sul letto e accarezzandogli la schiena con premura. «Sei fantastico» gli disse, baciandolo, questa volta senza alcuna fretta o urgenza.
Thomas sorrise nel bacio «Non pensare nemmeno per un momento, che io non ti voglia. D’accordo?» Newt sorrise e tornò a baciarlo. Il biondo tremava, per la felicità. C’era qualcosa che, in quel momento, avrebbe voluto dire al maggiore. Sentiva questo strano calore, nel petto e non sapeva spiegarsi il perché. Anzi, a dirla tutta lo sapeva benissimo di cosa si trattava e si concesse di farsi invadere da quei sentimenti, per quella sera. Tuttavia, lasciò certi pensieri per sé. Fu per questo motivo che, quando si staccò dal bacio, l’unica cosa fece fu annuire.
Gli diede un ultimo bacio, per poi lasciare che Thomas si spostasse sul suo lato del letto. Newt appoggiò la propria fronte a quella dell’altro e chiuse gli occhi.
«Buonanotte, Thomas»

Buonanotte, Alex. «Buonanotte, Newt».






Arriverà il giorno in cui la smetterò di scrivere scene romantiche semi-porno e mi deciderò a scrivere la benedetta scena che ci farà fare un bel passo avanti nella trama, lo giuro. XD
Vabbé, dai. Questa scena Newtmas non è messa proprio a caso. Forse ancora non si percepisce, ma Thomas sta dando per scontate troppe cose, che poi più tardi capirete meglio e vi saranno chiare, limpide come il sole.
Ma comunque! Thomas non vuole far l’amore con Newt! Che ne pensate delle sue motivazioni?

a. Le motivazioni reggono.
b. Le motivazioni reggono in parte.
c. Ma fottesega, riproducetevi come se non ci fosse un domani senza farvi seghe mentali!

LOL

Ma andando avanti: chi se lo aspettava, che Gally fosse Theodore? :D (Vi ricordate vero? Se ne parla al capitolo 3! Disonore su di voi, sulla vostra famiglia e sulla vostra mucca, in caso contrario u.u). Poverino, comunque ç_ç Avete capito cosa ha fatto Teresa? Gli ha manomesso la memoria, in modo che pur non ricordando nulla, si ricordasse di lei e dei pochi di cui si sarebbe potuto fidare. Povero il mio Gally, in astinenza da una vita. *si offre volontaria per lenire le sue sofferenze * X°°D

E infine, il nostro povero Minho ç_ç Ma non temete, non farà il passivo depresso per sempre! ;)
Sono in arrivo grandi cose, terrbili, MA GRANDI! (semicit. ? )

Vabbé, basta. La mia capacità di essere seria è andata.

Passiamo alle comunicazioni importanti. Dunque, ho trovato lavoro, fino a fine agosto e lavoro 8 ore al giorno: dalle 9 alle 17. Ogni giorno sono a casa per le 18, più o meno e dopo otto ore di lavoro sono troppo stanca per scrivere. Mi ci metto un paio d’ore, la sera, ma poi crollo che nemmeno la bella addormentata quando si è punta con l’arcolaio XD
Quindi, gli unici giorni in cui riesco a scrivere sono il sabato e la domenica. Quindi ecco, abbiate pazienza per questo mese, perché non sarò in grado di postare ogni 3-4 giorni as usual, ma postero un capitolo a settimana/10  giorni. * sospirone *

Ad ogni modo, vi ricordo la pagina FB dedicata alla FF! CLICCA QUI

E anche il gruppo dei Newtmas Shipper Italiani che ho sentito la necessità di aprire perché, SENTITE CHE VERGOGNA: non ne esisteva uno italiano, prima!!! Male malissimo. Mi sono sentita in dovere di spargere il verbo v.v CLICCA QUI

Ok, penso di aver finito. Sicuramente ho dimenticato qualcosa, come sempre. Ma pazienza.

P.S.: me lo lasciate un commentino? ç^ç



Davvero un grande grazie a:

i_l_a_r_i_a_ 
GRACE_WHITE 



Per aver commentato lo scorso capitolo!!! Grazie ragazze, perché le vostre parole mi spronano a continuare questa storia, che amo perché per me è un po’ uno “How it should have ended” che sto condividendo con voi! <3



Un grande grazie ancora a

GRACE_WHITE 
i_l_a_r_i_a_ 
nerorchidea
Yumaforever12Kelly
yuki007
LoveFandom22
Writeforyourself
Miss_Felton
 
 
per aver messo la mia storia tra le preferite!


E un altro grazie a


LoveFandom22
Dragonite 
Drarry_Hufflepuff 
Melepatia_2571 
Viola95 
Lemony
Kikabrescia
Miss_Felton
pickle_
Viola95
writeforyourself
 
 
Per aver messo la mia storia tra le seguite!
 



 
 
 

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Capitolo 7
*** Non deve andare per forza in questo modo ***


7. Non deve andare per forzà in questo modo




Un’altra lunga giornata era trascorsa, per i ragazzi della Radura; tutti avevano smesso di lavorare da un pezzo e si stavano mettendo comodi ai tavoli, in attesa che tornassero i Velocisti per iniziare a mangiare. Dalla cucina proveniva il dolce aroma dei cibi che i due cuochi stavano preparando.
Thomas, intento a destreggiarsi tra i fornelli, guardava costantemente verso le porte del labirinto: Minho sarebbe tornato a momenti; e dopo tre giorni passati ad aspettarlo sul ciglio dell’ingresso del Labirinto senza ottenere risultati – il moro si rifiutava di parlargli o anche solo di ascoltarlo – si era ripromesso che quella sera sarebbe stato a sentire quello che aveva da dirgli, che gli piacesse o meno. Intendiamoci, non che Thomas biasimasse il comportamento dell’altro ragazzo, anzi, lui aveva tutte le ragioni del mondo per comportarsi in quel modo. Tuttavia, Thomas non poteva accettare che tutto finisse così; gli voleva bene, teneva a lui e non voleva che la loro amicizia finisse in quella maniera, tra silenzi e risentimenti.
Per questo motivo, aspettò nell’ampia cucina fino a tardi, quando finalmente video i Velocisti rientrare di corsa nella Radura. Si tolse il grembiule da cucina e lo abbandonò distrattamente su uno degli sgabelli, deciso a seguirlo e braccarlo nei bagni, se si fosse reso necessario.
«Non ho ancora capito con chi stai, amico» lo incalzò Frypan, avendo già compreso le intenzioni del suo aiutante. «Te la fai con il ragazzone asiatico o col ragazzino tutto pelle, ossa e riccioli biondi?» ghignò, tutto divertito dalla situazione. Thomas gli sorrise di rimando. Frypan era così: non stava lì a farti la morale, qualsiasi cosa una persona decidesse di fare, Frypan si limitava ad assistere agli eventi e, semmai avesse avuto un’opinione sulla vicenda, se la sarebbe tenuta per sé; tuttavia – e questa era una caratteristica che aveva fatto più volte sorridere Thomas – Frypan era un impiccione di prima categoria. Se ci fosse stato Aris, lì con loro, gli avrebbe affibbiato, con ogni probabilità, l’appellativo di “vecchia comare” dal primo momento che l’avesse sentito aprir bocca. La cosa ironica era che anche lui, però, era fatto più o meno allo stesso modo, solo che non era capace di tenere la bocca chiusa e commentava sagace qualsiasi cosa gli capitasse di poter commentare.
«È una lunga storia» cercò di liquidarlo in fretta.
Frypan sorrise sadicamente «Spero che me la racconterai, non appena avrai un po’ di tempo… sai, non vorrei ritrovarmi costretto a denunciarti e dire che te la svigni dal lavoro durante la sera, alla prossima riunione degli Intendenti…». Disse tutto senza mai perdere il ghigno malvagio dalla faccia. Thomas ridacchiò, sapeva che non avrebbe mai fatto nulla del genere, ma lo divertiva da impazzire il modo di fare di quel ragazzo. Forse gli avrebbe davvero raccontato tutto, a breve. D’altronde era passato quasi un mese, dal suo arrivo; si era ambientato bene ed era arrivato il momento di vuotare il sacco con qualcuno. «Puoi contarci» lo accontentò, uscendo dalla cucina e dirigendosi verso i bagni.
Attraversò il prato e aprì la porta della Tana, trovandoci Newt tutto concentrato a battere Chuck a Poker, imbrogliando spudoratamente.
Quando entrò, Chuck sollevò lo sguardo dal tavolo e gli sorrise; Thomas notò Newt che, fulmineo, tirò fuori due assi dalla tasca dei pantaloni, mettendoli nelle prime carte del mazzo con nonchalance, per poi girarsi infine verso di lui. Thomas gli sorrise, avvicinandosi e  inarcando un sopracciglio, subito imitato da Newt.
«Ehi..» lo salutò il maggiore, poggiando delicatamente le labbra sulle sue e accarezzandogli i capelli. «Ti ho visto…» gli sussurrò all’orecchio, stando a attento a non farsi sentire da Chuck, senza però ottenere grandi risultati.
«Cos’è che hai visto?» gli domandò , scoprendo le ultime tre carte del mazzo. Newt sorrise a Chuck, il sorriso più dolce e falso che Thomas gli avesse mai visto stampato in faccia, e scoprì le sue carte. 
«Un altro poker!» gli urlò contro il più piccolo. «Stai imbrogliando, brutta faccia di sploff!»
«Non è vero, sono solo fortunato» ribatté stoicamente il biondo. «E adesso paga.» Lo richiamò, allungando il braccio.
«Ci sono soltanto quattro assi, in un mazzo, faccia di caspio! Quattro!»
«E allora?»
«E allora…» il volto di Chuck si faceva man mano sempre più rosso dalla rabbia. «…Quello era il quinto asso che ho tirato fuori dal mazzo! E ne hai altri due in mano!!!».
Thomas rise «vi lascio ai vostri affari, ci vediamo a cena. « Li liquidò in fretta, deciso a darsela a gambe prima che la situazione degenerasse e si dovesse ritrovare a far da arbitro in una lite tra ragazzini.  
Il biondò annuì e gli strinse la mano, a mo’ di saluto, troppo impegnato a far valere le sue inesistenti ragioni con il minore.
Thomas attraversò l’ampio salone del primo piano con ancora il sorriso stampato in faccia, salvo poi perderlo subito, una volta entrato nei bagni.
Tutti i velocisti erano vestiti e puliti, eccetto Minho e Ben, che se la stavano prendendo comoda, chiacchierando tra loro, ancora mezzi svestiti.
Quando Thomas entrò nel bagno, venne salutato da tutti i ragazzi presenti nella stanza, i quali finirono di raccogliere la loro roba e uscirono uno ad uno dalla stanza.
Anche Ben, sotto lo sguardo omicida di Minho, finì di vestirsi in fretta e furia, per poi defilarsi anche lui. «Ehi, Pive» lo salutò, uscendo dalla grande porta in legno chiaro. E il castano ebbe il sospetto che probabilmente anche lui sapesse.
Thomas sospirò; si chiuse la porta alle spalle e vi si appoggiò contro, incrociando le braccia al petto e precludendo al moro ogni via di fuga. «Glielo hai detto?» domandò a Minho, facendo cenno con la testa verso la porta, alludendo a Ben.
Il moro se ne stava seduto sulla rigida panca di legno, con addosso solo i pantaloni e con le braccia conserte e si ostinava a non guardarlo in faccia. «Dipende da cosa intendi» gli rispose con ostilità «ma in linea di massima, sì, lui sa».
«Umh…»
A Minho quasi sfuggì un sorriso.
 
Quasi.
 
«Sono giorni che mi segui ovunque, senza darmi pace, perché vuoi parlare e il meglio che sai dire è “umh”?» lo prese in giro, mentre si infilava la maglia e raccoglieva la sua roba. «Non preoccuparti, d’altronde non serve che tu dica niente. Hai ritrovato il tuo grande amore… o quel che è. Non hai più bisogno del tuo… passatempo» esitò nel dire l’ultima parola, perché si rendeva di quanto fosse ingiusto, da parte sua, parlargli in quel modo, quando era stato lui il primo, tra i due, ad usarlo come tale. Ma in quel momento, non gli importava; Minho si sentiva come se volesse prendersela con il mondo intero, senza però sapere bene come fare. «Ho capito, Thomas. Non mi serve un disegnino, e tanto meno che sia tu a farmelo. Adesso fammi uscire».
Thomas non si mosse da davanti la porta. «Non fare così» lo implorò, senza sapere ancora bene cosa dire. Giorni prima, si era preparato tutto un discorso, nella sua testa e aveva concordato tra sé e sé che quelle sarebbero state le parole giuste, da dire. Tuttavia, non riusciva a pronunciarne o ricordarne nemmeno mezza, in quel momento. «Non… Io non…».
Minho rimase a guardarlo, a sfidarlo a dire qualcosa, lì, fermo e in piedi di fronte a lui.
Thomas ci riprovò. «Non sei stato solo un passatempo, lo sai bene».
«Non voglio star qui ad ascoltare le tue stronzate un minuto di più» gli rispose rudemente il moro. «E adesso spostati».
Il ragazzo di fronte a lui cominciò ad arrabbiarsi; sollevò le spalle dal muro, tirandosi dritto in piedi e guardandolo accigliato. «Potrei dire lo stesso di te, lo sai? Non serve che io ti ricordi come è cominciata tra noi, vero?» lo guardò in cagnesco, sfidandolo a dire il contrario. «Quindi non venire qui a fare il povero cucciolo ferito. Te l’ho sempre detto, fin da prima che tutto iniziasse: c’è sempre stata una sola persona, che andasse bene per me. Da sempre. E quella persona è Newt».
Stupendosi infinitamente di sé stesso, Minho incassò il colpo senza battere ciglio; si era ripetuto quelle parole così tante volte nella testa, che quando finalmente le sentì uscire dalla bocca dell’altro si ritrovò preparato alla cosa. E, con estrema incredulità, si trovò a rispondere per le rime: «Stronzate!» sbottò. «Hai passato anni della tua vita a-» «A fare cosa, mh?»
«… a convincerti che non ci fosse nient’altro di importante nella vita di lui. A convincerti di non poter amare nessun altro, al di fuori di lui. Hai passato anni a pensare a qualcuno che non  è mai stato realmente al tuo fianco per la maggior parte del tempo! Credi fermamente di essere innamorato di un ragazzino, che probabilmente quando siete stati insieme l’ultima volta non sapeva nemmeno cosa significasse essere innamorato di qualcuno! Quanti anni aveva al tempo, eh? Tredici? Quattordici?!» ormai il moro stava urlando. «Dimmi, Thomas, cosa hai ritrovato, quando sei tornato qui, mh? Quanto hai ritrovato del tuo Alexander, una volta arrivato tra queste mura?!». Fu con grande soddisfazione, che Minho vide Thomas stringere le labbra e impallidire alle sue parole; il castano era nervoso, perché senza che se ne rendesse conto, l’altro ragazzo aveva colto nel centro di tutti i suoi dubbi e le sue insicurezze; e Thomas si stupì, in un modo tutt’altro che positivo, di come l’altro fosse diventato tanto bravo a tirar fuori tutti gli scheletri che teneva ben nascosti nell’armadio polveroso che era il suo cuore: quando era riuscito a guardargli dentro, a capirlo così bene? Quando gliel’aveva permesso?
«Non rispondi, vero? Perché in fondo lo sai bene anche tu: ti stai solo ostinando a negare tutto, perfino a te stesso!» ormai il moro non riusciva più a tener la bocca chiusa, le parole gli scivolavano via come un fiume in piena dalle labbra. Minho gli si avvicinò, poggiando le mani sulla porta, intrappolandolo tra le sue braccia. Thomas, più basso di lui di qualche centimetro, lo fissava, deglutendo a vuoto, senza riuscire a proferir parola: sentire quelle parole, non gli era piaciuto. Sentirle suonare così vere, alle sue stesse orecchie, lo terrorizzava.
Lo sguardo di Minho si addolcì un poco «a volte lasciar andare delle persone è difficile, ma a lungo termine ci fa stare bene; perché alla fine, ti rendi conto che non possono darti quello che tu vuoi da loro». Minho gli era sempre più vicino «Lasciati amare da qualcuno che può darti tutte quelle cose, non ostinarti ad inseguire un fantasma; ad amare un ricordo…» quasi lo implorò «Io ricordo tutto, Thomas. Ricordo chi sei e cosa provo per te…» gli sussurrò a fior di labbra, per poi poggiarle delicatamente contro le sue, mentre portava una mano ad accarezzargli la guancia. «Lo ricordo così bene, che mi fa male anche solo pensarci. Perché tu preferisci essere di qualcun altro – di una persona che non ti ricorda – piuttosto che essere mio…» il ragazzo chiuse gli occhi e rispose disperatamente al bacio, lasciando che una lacrima sfuggisse a tracciare un lento cammino lungo la sua guancia.
«Sei riuscito a far l’amore con lui, Thomas?» e a quella domanda, il castano realizzò quale fosse la verità; quella verità che si era ostinato a nascondere anche a se stesso: era inutile quanto lui si ostinasse a negarlo, Minho aveva ragione: lui, una volta arrivato nel Labirinto, aveva incontrato Newt; il suo Alexander non c’era più da un pezzo, cancellato dall’Ostruzione che gli precludeva ogni ricordo, cambiato dagli anni passati lontani; Il cuore di Thomas si riempì d’angoscia e il ragazzo fu sicuro di star avendo un attacco di panico. Si staccò dal moro, intrecciando le mani dietro la nuca, scivolando seduto a terra, vicino alla porta.
Minho gli si inginocchiò davanti «Per favore, non piangere» gli chiese, con voce tremante «va tutto bene…»
«No, invece» non era vero, non c’era nulla che andasse bene. In quel momento, Thomas odiava Minho, per averlo fatto sentire in quel modo. Però, si ritrovò a pensare, con uno spiacevole tuffo al cuore, che forse aveva ragione… E se avesse passato gli ultimi anni della sua vita a sognare di ricontrare una persona che se n’era andata ormai da tempo? 
Minho non insistette oltre. «So che tutto quello che ti ho detto è terribile, per te» gli prese gentilmente una mano tra le sue. «Ma ti prego, pensaci: hai una scelta, Thomas. Le cose non devono andare per forza così… io ci sono, per te. Io provo qualcosa, per te. Non ci sarebbero segreti, tra noi; niente bugie, niente pezzi mancanti. La scelta è tua» terminò, alzandosi in piedi e riuscendo finalmente ad uscire dalla stanza.
A Minho si spezzava il cuore, a vederlo così, come era successo ogni volta che lo vedeva struggersi per quel ragazzino. Non gli piaceva vederlo soffrire, ma lo sguardo afflitto e pieno di dubbi che Thomas gli aveva rivolto, aveva riacceso in lui la speranza di non averlo perso del tutto, come aveva creduto. E si sarebbe aggrappato a quella piccola speranza, con tutte le sue forze. Forse Thomas sarebbe tornato da lui, forse alla fine avrebbe scelto lui.
Perché stare con Alex era il sogno per cui Thomas aveva lavorato e lottato per tutta la vita. Ma dai sogni prima o poi ci si risveglia ed è solo quello che si ha nella vita reale, a contare davvero.


 
***


 
 
«Non sei venuto a cena, oggi. E’ tutto ok?» gli chiese Newt, mentre entravano nella stanza del più giovane. Le luci erano state spente da poco, nella Radura.
«Non mi sono sentito molto bene, prima, in bagno. Stavo per dare di stomaco…». Ed in fondo, quella non era una bugia, pensò il maggiore, sdraiandosi sul letto, facendo spazio a Newt.
Il più piccolo si distese vicino a lui, accarezzandogli la guancia, la stessa che, poche ore prima, Minho aveva accarezzato con la stessa dolcezza.
Thomas ricambiò la carezza, guardandolo fisso negli occhi, semplicemente cercando qualcosa. Qualsiasi cosa. Nemmeno lo stesso Thomas sapeva bene cosa stesse disperatamente tentando di scovare.
Chiuse gli occhi, sporgendosi verso il più piccolo, regalandogli un bacio lento, privo di qualsiasi malizia.
Newt ricambiò. E anche in quel bacio, Thomas stava cercando qualcosa. Non seppe dire, alla fine, se lo avesse trovato.
«Perché mi fissi?» gli chiese Newt , aggrappandosi alla sua maglietta e arrossendo leggermente.
A Thomas sfuggì un sorriso, per il modo adorabile in cui il biondino reagiva alle sue attenzioni.   «Perché sei bellissimo…». Gli diede un ultimo bacio, prima di augurargli la buonanotte. Newt chiuse gli occhi, addormentandosi in poco tempo; Thomas poté sentì il suo respiro farsi più pesante.
E in quel momento, prese una decisione: avrebbe detto tutto a Newt, il giorno seguente; doveva sapere, la verità. Non c’era altro modo, per risolvere la questione. E con l’arrivo della scatola, al quale mancavano ormai una manciata di giorni, sarebbero arrivati anche i macchinari per togliere l’ostruzione a tutti i Radurai.
Newt forse non era il suo Alexander, ma sarebbe tornato ad esserlo presto.
O almeno Thomas lo sperava.
E oltre a quello, c’era anche un’altra questione, che Thomas voleva risolvere: Minho gli aveva espressamente rivelato di provare dei sentimenti per lui, quella sera.
Arrivati a quel punto, dopo avergli sentito dire tutto quello, per la prima volta, Thomas si soffermò a riflettere alla cosa; aveva sempre dato per scontato che avrebbe passato la vita insieme a Newt, aveva dedicato la sua vita al Gruppo Segreto, per poterlo salvare… ma ancora una volta, Minho aveva avuto ragione: finalmente poteva salvarlo. Aveva mantenuto la promessa che gli aveva fatto, anni prima. Ma erano passati talmente tanti anni, che gli sembrava di star ricordando un’altra vita, una vita non sua, appartenente ad un’altra persona. E se fosse stato veramente così? Se ormai quella vita l’avesse persa, con tutto ciò che implicava – Alex compreso? sarebbe riuscito a rassegnarsi ed andare avanti?
Forse, in fin dei conti, un passo in quella direzione l’aveva già fatto senza nemmeno accorgersene, più di un anno prima, quando stanco e solo, si era abbandonato tra le braccia di Minho.
Forse lui era davvero la soluzione migliore. Una soluzione più semplice, più sana.
Forse… Forse…
Fu tra questi ed altri pensieri che Thomas, quella sera, cadde tra le braccia di Morfeo. 
 
 
 
***

 
 
Era già passata un’altra giornata, nella Radura, e tutto era pronto per la cena. Thomas aveva preparato un po’ di cibo a parte, per lui e Newt. Aveva intenzione di portarlo nel bosco e approfittare della privacy che gli alberi avrebbero donato loro, per dirgli tutta la verità. Il bosco era anche abbastanza lontano dall’accampamento, così, se Newt avesse reagito male, avrebbe potuto urlargli contro, senza che anche tutti gli altri lo sentissero.
Ma c’era una cosa che stava preoccupando Thomas da un buon quarto d’ora: tutti i Velocisti erano rientrati dal labirinto. Tutti, tranne Ben e Minho.
Mancava meno di un’ora, alla chiusura delle porte. Non che fosse preoccupato per i Dolenti, quei mostri non avrebbero fatto loro del male, Minho era protetto.
Ma tante altre cose terribili potevano esser capitate loro, là dentro.
Si precipitò verso la Tana, pregando di trovare al più presto chi stava cercando.
Fu con immenso sollievo, che Thomas trovò il ragazzo nell’ingresso, mentre da bravo Medicale, distribuiva con un alzata di occhi al cielo, pasticche di aspirina a due Radurai che si lamentavano per il mal di testa.
Thomas gli fu vicino in un attimo. «Gally» lo chiamò, attirando completamente la sua attenzione, la voce affannata per la corsa «Minho… Minho e Ben…»
«Pive! Fa’ un bel respiro e datti una calmata, d’accordo?»
Thomas scosse la testa «Non sono ancora tornati… le Porte si chiuderanno tra quaranta minuti!»
Il maggiore spalancò gli occhi e lo afferrò per un braccio, trascinandolo verso un angolo della stanza dove nessuno avrebbe potuto sentirli. «Ma avevi detto che Minho era protetto dai Dolenti! Com’è possibile?»
Thomas annuì freneticamente «E’ vero, sono sicuro che non sia quello, il problema. Ma potrebbero essere feriti, anche gravemente. Dobbiamo andarli a cercare, io e te. Siamo gli unici ad essere protetti e a cui i Dolenti non possono fare del male!».
«Ci servirà altra gente. Se sono feriti – o svenuti- non possiamo farcela, soltanto in due» cercò di farlo ragionare Gally.
«C’è il triplo dei dolenti, in giro, di notte. Non porteremo nessuno sprovvisto di Chip, lì dentro» controbatté il castano.
Il biondo annuì. «Newt e il fratellastro di Minho ce l’hanno, il chip protettivo. Porteremo loro». Convenne Gally, in tono pratico.
 «Non ho idea di chi sia, suo fratello. Non me l’ha mai detto e non c’è tempo di tastare le braccia a tutti i Radurai per capire chi diavolo sia… E Newt… » Thomas non sarebbe mai stato capace di spiegare quanto non gli piacesse, l’idea di dover dire a Newt di seguirlo nel Labirinto: non gli aveva mai detto il perché, Newt era terrorizzato a morte, da quei corridoi. E poi, avrebbe dovuto spiegargli in fretta e furia che sarebbero stati al sicuro; e anche per quale motivo lo sarebbero stati, se avesse voluto che il biondo lo seguisse. Non era proprio il modo in cui si era immaginato di dirgli tutta la verità.
Ma tutto passava in secondo piano, a quel punto. Due vite erano in pericolo, quella di Ben più di quella di chiunque altro, e Thomas non se ne sarebbe stato con le mani in mano.
Quindi annuì a Gally. «Prendi tutto quello che potrà esserci utile. Io vado a chiamare Newt».
glielo disse uscendo di corsa dalla porta, senza nemmeno darsi il tempo di guardarlo in faccia.
Mancava meno di mezz’ora, alla chiusura delle Porte.
Quella notte, l’avrebbero passata nel Labirinto. 




 
 
 

Eccomi di nuovo qui!
Questo capitolo è stato un parto >.<
E’ un capitolo che rimescola un po’ le carte di tutta la faccenda ed è preparatorio a tutto quello che sta per arrivare! Con questo capitolo si chiude ufficialmente la PRIMA PARTE della storia!
Ma tranquilli, la storia è divisa in tre blocchi, non in due ;)
Ad ogni modo sono contenta :3 Siamo a buon punto…e  non è ancora Ferragosto! :D (devo smetterla di far battute/semicitazioni squallide, decisamente U.U )

Ma torniamo a noi!  Allora, nonostante i miei sforzi per tenerlo segreto al mondo, il mio animo da fangirl senza speranza ha avuto la meglio, quindi ora tutti sapete che sono per la Newtmas come se non ci fosse un domani, grazie ai vari gruppi/pagine fb XD (chi volesse, può trovare i link a fine capitolo 6, tra le mie note finali. Mi sbatto a rimetterli ogni volta lol )
Ma vi dico una cosa: non adagiatevi sugli allori, care Newtmas shippers, perché il finale di questa storia non sarà influenzato dal mio essere anch’io una Newtmas Shipper ;)
Io amo ogni personaggio, di questa mia storia. E tutto questo che sta venendo fuori, le loro caratterizzazioni, i loro pensieri e sentimenti, si son sviluppati man mano, con l’andare avanti della storia. I miei personaggi si stanno scrivendo da soli, stanno crescendo quasi autonomamente. Non tutto, era premeditato. Soprattuto il personaggio di Minho, non pensavo sarebbe venuto su con tutto questo spessore e, vi confesso, di esser d’accordo con molte cose che in questo capitolo ha detto a Thomas, nonostante – ripeto -  il mio essere una Newtmas shipper senza speranze…
Quindi, tutto questo è per dirvi, in breve, di non abbassare mai la guardia e non dare mai nulla per scontato ;)

E voi? Siete d’accordo, con Minho?
E inoltre: FINALMENTE sta per arrivare il grande momento! Thomas dirà a Newt la verità! Cosa vi aspettate al riguardo, nel prossimo capitolo? Siete contente che sia arrivato questo momento?

Che ne pensate di tutto il capitolo, in generale? Ci tengo molto a saperlo, perché questo e il prossimo saranno i due capitoli più duri che mi ritroverò a scrivere fino a questo momento >.<

Quindi siate buone, lasciate un commentino alla vostra Vì molto esaurita! ^-^

Ah, e ovviamente, vi ripongo la domanda per la millantesima volta, anche a costo di esser ripetitiva :P
Ma dato che nel capitolo si accenna alla cosa, non posso farne a meno: insomma, quale sarà mai questa Soluzione Alternativa? :D
Eddai, datemi soddisfazione e buttatevi! XD

 
Un bacio e al prossimo capitolo!  





Come sempre, davvero un grande grazie a:

nerorchidea
LoveFandom22

e poi a Colei che non Vuole Essere Nominata ( aka sgranocchiandotacchino ) XD



Per aver commentato lo scorso capitolo!!!

Un grande grazie ancora a

-GRACE_WHITE 
sgranocchiandotacchino
nerorchidea
Yumaforever12Kelly
yuki007
LoveFandom22
Writeforyourself
Miss_Felton
 
 
per aver messo la mia storia tra le preferite!


E un altro grazie a


LoveFandom22
Dragonite 
Drarry_Hufflepuff 
Melepatia_2571 
Viola95 
Lemony
Kikabrescia
Miss_Felton
pickle_
writeforyourself
Estel_Zarry
Rora Wayland
 
Per aver messo la mia storia tra le seguite!


 
 

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Capitolo 8
*** Il Labirinto - Parte prima ***


8. Il Labirinto - Parte prima. 




Thomas correva per la Radura. Mancava poco più di un quarto d’ora alla chiusura delle porte; il finto cielo sopra le loro teste cominciava a scurirsi, celando il tutto dietro a una penombra appena accennata. Aveva cercato Newt da tutte le parti, ma ancora non riusciva a trovarlo; se non fosse riuscito a parlarci entro dieci minuti, sarebbe andato da solo, con Gally, anche se il maggiore era restio- e di certo non a torto - ad essere soltanto in due. Anche in tre, erano dannatamente pochi per affrontare un’intera notte là dentro.
Mentre sfrecciava alla volta dei campi, sperando di trovarlo lì, passò davanti alla cucina e fu solo per fortuito caso che riuscì a vedere la sua testa riccioluta far capolino da dietro la finestra. Newt era in cucina, probabilmente anche lui lo stava cercando.
Thomas entrò di corsa e, accidenti, il biondino non era l’unico ragazzo nella stanza, ovviamente: Frypan chiacchierava tranquillamente con Newt rivolto verso i fornelli, tutto affaccendato a non far bruciare la cena dei Radurai.
Il castano spalancò la porta all’improvviso, provocando un gran trambusto che fece sobbalzare gli altri due ragazzi.
«Tommy!» lo ripresè Newt, sorridendogli comunque, felice di vederlo.
Thomas non ricambiò il sorriso, nervoso e in preda all’ansia; e non solo perché era preoccupato per Minho e l’altro Velocista, bloccati chissà dove nel Labirinto, ma anche perché avrebbe dovuto condensare in dieci minuti scarsi, un discorso che avrebbe dovuto fare al suo ragazzo con decisamente molta più calma e molto più tatto.
«Due dei Velocisti non sono tornati!» pronunciò tutto d’un fiato. «Minho e Ben non sono rientrati!».
Thomas vide tutti e due gli Intendenti alzarsi immediatamente e assumere un’aria autoritaria e determinata. «Andiamo a chiamare Alby» fu l’unica cosa che sentì uscire dalla bocca di Newt.
Thomas scosse forte la testa, appoggiandosi alla porta e bloccando loro la ritirata. «Non c’è tempo! Dobbiamo andare nel Labirinto, adesso. Io e te; Gally ci sta già aspettando».
Come aveva previsto, Newt sbiancò. «Non esiste che andiamo a farci ammazzare là dentro. Rimarremo qua, convocheremo una riunione e domattina manderemo gli altri Velocisti a-» «Non c’è tempo!» Thomas lo interruppe, quasi urlando. Tremava, dall’agitazione. Afferrò il braccio sinistro e il polso destro a Newt, portandogli la mano a far pressione sulla parte alta dell’avambraccio. «Lo senti? Questo è un microchip che ti hanno donato i Creatori. I Dolenti non possono farti niente» cercò di rassicurarlo, in fretta. «Ce l’ abbiamo anche io e Gally. E un altro raduraio, ma non sappiamo chi sia». Newt lo fissava senza parole. «Ti prego, Newt, vieni ad aiutarci. Possiamo farcela, possiamo salvarli…».
«Come fai… tu come…». «Non c’è tempo per spiegare adesso. So di star chiedendo molto, ma ti prego, fidati di me».
Newt non voleva saperne. «Come puoi chiedermi una cosa del genere?»
«Te lo giuro, Newt, non ci accadrà nulla di male. Ma dobbiamo andare adesso o potrebbe essere troppo tardi…».
«Come puoi esserne sicuro?!» Newt cominciava ad arrabbiarsi. Il tono di voce improvvisamente troppo alto per via dell’ansia. «Come fai a dire che non verremo fatti a pezzi e sbranati da quei mostri? Come fai a sapere che ho questa diavoleria sottopelle?! Come…»
Thomas troncò il discorso. «Ti spiegherò tutto» poi si girò verso Frypan, che guardava i due a bocca aperta, senza saper bene cosa dire «Spiegherò tutto, a tutti quanti. Ma per il momento non parlatene con nessuno, di quello che vi ho detto questa sera. Vi prego». Si volse un’ultima volta verso Newt: «Ci serve il tuo aiuto, Newt. Per favore».
«Come fai a sapere che non sono già morti? Come fai a sapere tutte queste cose?!».
Thomas si morse le labbra, nervoso «Non possono essere morti. Almeno, non entrambi» gli spiegò «Anche Minho ha il microchip… Newt, tra cinque minuti le porte si chiuderanno. Dobbiamo andare a cercarli…». Cercò di avvicinarsi al biondo e di prendergli le mani, ignorando deliberatamente la seconda parte della domanda.
Newt si allontanò, con una smorfia di disgusto e delusione ben stampata in faccia. «Non sei chi dici di essere, non è vero?».
Thomas sospirò «Te lo giuro, Newt. Avevo deciso di dirti tutto, questa sera stessa. E ti dirò ogni cosa, domani, appena torneremo qui» gli disse con sguardo implorante. «Ma adesso non c’è tempo. Adesso ci serve il tuo aiuto…».
Frypan ritrovò improvvisamente la voce «Pive, abbiamo delle regole, qui nella Radura. Il Consiglio prende le decisioni; non puoi fare di testa t-» «Al diavolo le vostre regole!» lo interruppe di nuovo Thomas «Ma non capite? Sono stato mandato qui, per farvi uscire da questo posto. Le vostre regole non contano nulla, non più! Ma adesso…» e si volse di nuovo verso il biondino «…devi venire con me. Dobbiamo salvarli. Ti prego, Newt».
E in quel momento cominciò a sentirsi l’assordante sferragliare metallico che precedeva la chiusura delle porte. Thomas lanciò un’ultima occhiata a Newt, ancora immobile e pieno di domande, nel bel mezzo della cucina; poi si voltò e corse verso la porta davanti alla quale Gally lo stava aspettando, con un grosso zaino sulle spalle e delle torce ancora spente tenute sotto il braccio.
«Thomas!» si sentì chiamare; e non gli servì voltarsi, per capire che la voce proveniva da Newt. Thomas continuava a correre, diretto a tutta velocità verso l’uscita e in poco tempo fu al fianco di Gally, le porte avevano cominciato a muoversi; non erano ancora arrivate a chiudersi per metà, quando il biondino li raggiunse, affannato «Non… non andare…» lo pregò, aggrappandoglisi alla maglia ansimante, con la voce resa roca dalla paura. Perché in quel momento, nonostante la rabbia, il senso di delusione e tradimento che avevano seguito la sorpresa di sentirsi dire cose del genere da Thomas, l’unica emozione che Newt sentiva di riuscire veramente a provare era la semplice e pura paura: paura di guardarlo sparire oltre quelle mura, senza fare mai più ritorno.
«Ma io devo. Non posso abbandonarlo…» e così dicendogli si sottrasse alla sua presa. Newt, in quel momento, provò una vasta gamma di emozioni: sentire l’altro sottrassi alla sua stretta gli aveva provocato una sgradevole sensazione all’altezza dello stomaco; si sentiva tradito, abbandonato, non considerato. «A domani, Newt» Thomas entrò nel labirinto; le porte avevano superato la metà del loro percorso, pochi metri separavano i due enormi blocchi in movimento.
Gally, che fino a quel momento aveva tenuto la bocca chiusa, si voltò verso Newt: «è tutto molto struggente…» lo prese in giro, la voce impregnata nel sarcasmo «ma tu vieni con noi». Gally, prendendolo completamente alla sprovvista, lo afferrò per un braccio e lo trascinò dentro, correndo, sotto gli occhi attoniti di Thomas. Newt inciampò sulla gamba difettosa e cadde a terra, al di là delle porte, nella parte interna del Labirinto. I due enormi muri si chiusero con un tonfo assordante, che rimbombò fin nelle profondità del corridoio, ormai quasi completamente celato dal buio.
Newt si rannicchiò al lato, nell’angolo in cui la parete destra del corridoio e le mura della porta, ormai chiusa, si incontravano: il giovane tremava e piangeva, con le mani premute sugli occhi. «Mo-moriremo. Oh Dio. Moriremo tutti quanti!».
Thomas fu su di lui in un secondo; gli si inginocchiò di fronte, afferrandolo per i polsi. Il cuore gli batteva forte nel petto, il dispiacere e la pena a scansare ogni altro stato d’animo.
Il ragazzino di fronte a lui era fuori di sé dal terrore.
«Perché l’hai fatto?!» urlò contro Gally. «Non voleva venire!»
Gally non si preoccupò di rispondergli. Si accucciò anche lui davanti a Newt, scansandolo. Afferrò con una mano i polsi del più piccolo e gli diede un sonoro schiaffo sulla guancia «Smettila!»
Thomas sbarrò gli occhi, pronto a tirargli un pugno.
«Newt!» continuò a urlargli contro «Sei un Intendente! È tuo dovere tenere al sicuro ogni persona di questa Radura! I nostri Velocisti hanno bisogno di noi! Non c’è tempo, per avere un attacco di panico e piangere come un bambino!».
Newt lo guardò con odio, fuori di sé «Come osi…Tu! Sei un altro dei suoi compari?! Quanti di voi traditori ci sono, infiltrati tra noi?!».
Gally cominciava ad arrabbiarsi. Probabilmente, in quel momento, avrebbe voluto tirargli uno schiaffo per motivi ben diversi dal fargli passare un attacco di panico. «Dopo tutto quello che ho fatto, per tutti quanti… dopo tutto quello che ho fatto per te… come puoi dire una cosa simile?» lo rimproverò, la voce ferita e gelida. «Ascoltami bene, ragazzino. Essere un Intendente porta delle responsabilità; adesso tu ti alzerai e dimostrerai di essere all’altezza, sono stato chiaro?».
«Newt…» intervenne Thomas «non ci accadrà nulla di male, te lo giuro. Non avrei mai portato nessuno, tanto meno te, qui dentro, se non fossi assolutamente certo che sarebbe stato sicuro. Aiutaci a salvare i nostri compagni e poi ti racconterò tutto quello che vuoi sapere, ti prego».
Newt si tirò in piedi, ancora terrorizzato, ma di nuovo padrone sé. Guardò verso il ragazzo di fronte a lui con distacco, riuscendo a malapena a celare il disgusto che provava in quel momento. «Oggi erano aperte le sezioni dispari; Siamo passati dall’entrata a Nord. Se sono ancora interi, li troveremo nella sezione tre».
«Come fai a sapere queste cose?» gli chiese esitante Thomas, temendo un altro scoppio d’ira del biondo. Newt non gli rispose. Gally sbuffò «Newt lo sa bene. Prima di… farsi male alla gamba… » gli spiegò vagamente il maggiore, mentre il più piccolo si girava a guardarlo, cercando di incenerirlo con la forza del solo sguardo «… era l’intendente dei Velocisti».
Il castano se ne accorse. Fin dal primo momento che era arrivato nella Radura, gli era stato chiaro che i particolari che riguardavano l’incidente di Newt era un argomento tabù.  Decise quindi di non commentare oltre. «E comunque li troveremo ancora interi, ho solo paura che siano rimasti feriti» rimarcò Thomas, con ostinazione.
«E ne sei così certo perché…?» lo interrogò Newt.
«Perché anche Minho ha il nostro stesso chip protettivo».
Newt si irrigidì, quando Thomas gli ricordò quel particolare. «Dimmi, Thomas. Prima non mi hai risposto: quanti traditori ci sono qua dentro, oltre a te?». Gally alzò gli occhi al cielo, scocciato, ma si accodò al biondino senza dire una parola.
Thomas lo imitò senza degnarlo di una risposta. Le sue parole cominciavano a dargli sui nervi «Sono stato mandato qui per aiutarvi» gli ripeté ancora una volta. «Non potresti aspettare che ti venga raccontato il resto della storia?»
«Oppure cominciare a chiederti per quale motivo, tra tutti, hai uno stramaledetto chip protettivo anche tu?» si intromise Gally, mettendolo a tacere una volta per tutte. Newt, infatti, strinse le labbra, senza degnarlo senza riuscire a trovare nulla da dire per poter continuare ad attaccarli.
«Bene» sentenziò il maggiore. «E adesso, diamoci una mossa».


 
***




Da una buona mezz’ora, i tre ragazzi camminavano a passo svelto nel Labirinto. Era ormai calata la notte e il buio aveva invaso completamente gli intricati corridoi in pietra. Nessuno aveva più detto una parola, eccetto quando Gally aveva acceso una delle tre torce che aveva portato diligentemente con sé e Newt aveva provato ad opporsi, seppur debolmente.
 
«Saremo facilmente individuabili, se accendi quell’affare…» gli aveva detto, palesemente rivolgendosi ai Dolenti. Gally si era girato a guardare Thomas, il quale aveva scosso debolmente la testa. «Il microchip li terrà alla larga».
E allora, senza aggiungere altro, aveva ignorato le lamentele del più piccolo e l’aveva accesa, proseguendo.
 
Newt era spaventato – sobbalzava per ogni minimo rumore e non faceva altro che guardarsi istericamente intorno, facendo schizzare gli occhi velocemente verso ogni parte del labirinto- ed era arrabbiato: Thomas poteva percepirlo, senza aver bisogno di parlare.
Il castano sospirò. In quel momento non aveva il tempo, e tanto meno la forza, di preoccuparsi dell’umore di Newt. L’incazzatura gli sarebbe passata, prima o poi. Forse più poi, che prima, ma, ad ogni modo, non che potesse rimediare in qualche modo, in quel momento. Newt non era lucido. Gli avrebbe parlato il giorno dopo, magari dopo una buona dormita, con la speranza che il ragazzo fosse più propenso ad ascoltarlo, anche solo per mera curiosità. In quel momento, Thomas non riusciva a pensare ad altri che a Minho e a Ben: ci doveva essere un motivo, se non erano tornati. Anche se Thomas si sentiva di escludere un attacco dei Dolenti, era sicuro che qualcosa fosse andato storto; non aveva alcun dubbio al riguardo: almeno uno dei due Velocisti era rimasto ferito, in qualche modo.
 
 
 
***


 

Quando era arrivato nella Radura, aveva scelto di diventare un Velocista per proteggere quante più persone poteva, ma aveva fallito anche in quello. Erano bastati pochi attimi di distrazione e Ben era stato punto da un Dolente.
Le punture agivano lentamente – impiegavano dalle cinque alle sette ore per avvelenare il sangue - ma non abbastanza lentamente: le porte si erano chiuse e Ben non ce l’avrebbe fatta a resistere fino all’alba.
Minho sapeva di aver fatto quello che doveva fare. Aveva raccolto un grosso sasso da terra e l’aveva colpito alla testa, forte, facendo in modo che perdesse i sensi.
Si era presto accorto di avere un braccio fuori uso, ma non si era perso d’animo: avrebbe fatto tutto quello che era in suo potere, ostinandosi ad ignorare quella vocina nella sua testa che continuava a ripetergli quanto fosse inutile anche solo provarci, mentre cercava di avvicinarsi all’entrata, trascinandolo con un solo braccio verso la porta più vicina. Se fosse riuscito ad arrivarci, forse la mattina seguente, i Medicali sarebbero riusciti a curarlo.
«Tieni duro, Ben!» lo incitò con il respiro reso affannoso dalla fatica, nonostante il biondo non potesse sentirlo, nel disperato tentativo di non lasciare che il panico prendesse il sopravvento.



 
***
 
 
 
«Siamo a metà della sezione tre» annunciò Newt, dopo una buona mezz’ora di silenzio. «Dobbiamo girare a destra, al prossimo corridoio».
«Sei sicuro?» gli chiese Gally, incurante del fatto che Newt avesse un diavolo per capello. E di certo parlargli in quel modo, come se stesse dubitando delle sue istruzioni, non rendeva il più piccolo più ben disposto nei loro confronti.
Newt strinse forte le labbra, irritato dalla domanda del maggiore. «No, mi piace da matti girare in tondo e andarmene a spasso per questa sploff di - »
«Ssh!» Thomas li interruppe, imponendo il silenzio. Aveva sentito una voce, in lontananza. Cercò di affinare l’udito, nella disperata speranza di non essersi inventato nulla. Ma dopo pochi istanti la sentì di nuovo: in lontananza proveniva, forte e chiara, la voce imprecante di Minho e Thomas fu sicuro che mai prima di allora era stato così contento di sentire l’irritante borbottio dell’altro ragazzo. «Minho!!!» Urlò a squarciagola, riempendo il silenzio tetro del Labirinto, incurante di Newt, di nuovo terrorizzato e convinto che i Dolenti sarebbero arrivati a divorarli da un momento all’altro.
Pochi secondi dopo giunse alle loro orecchie la voce del moro «Thomas?».
Il castano scoppiò a ridere istericamente, la tensione che gli abbandonava gli arti, lasciando spazio al sollievo e si mise a correre verso quella voce, continuando a chiamare l’altro a gran voce.
«Thomas! Aiuto!»  Minho continuava a urlare, anche la sua voce era traboccante di sollievo. Thomas scattò in avanti, svoltando immediatamente a destra e correndo fino alla fine del corridoio; svoltò a sinistra, senza perdere mai velocità e poi di nuovo a sinistra, fermandosi di colpo, quando si ritrovò davanti i due Velocisti: Minho era in piedi, guardandolo felice e sollevato allo stesso tempo. Ben giaceva a terra, svenuto.
«Che diavolo è successo?!» gli urlò contro Thomas, senza però riuscire a trattenersi dall’abbracciarlo di slancio con la voce traboccante di sollievo.
Newt girò l’angolo, entrando nel corridoio giusto in tempo per assistere alla scena di un Minho, il ragazzo che aveva preso il suo posto come intendente dei Velocisti e che l’aveva sempre odiato nello stesso momento in cui aveva messo piede nella Radura, lasciarsi stringere da Thomas – il suo Thomas - e poggiargli la testa sulla spalla, trovando conforto in quei gesti così amichevoli, così intimi
Newt venne invaso dallo sconforto, che si andò ad aggiungere al senso di tradimento che già provava in quel momento.
Rimase lì come uno spettatore esterno, ad osservare passivamente Gally che correva ad inginocchiarsi vicino a Ben e a somministrargli la dose di Dolosiero necessaria a curare la puntura del Dolente; Thomas e Minho se ne stavano ancora là in piedi, abbracciati. Il castano  teneva un braccio avvolto attorno le spalle del moro e l’altra mano affondata nei capelli corvini dell’altro, mentre gli sussurrava rassicurazioni a voce bassa.
Minho stringeva un braccio intorno alla vita dell’altro ragazzo–quel ragazzo a cui aveva rivolto, senza nessuna giustificazione apparente, delle parole tanto cattive fin dal primo giorno e  che in teoria aveva subito odiato senza motivo – mentre l’altro braccio era abbandonato lungo il fianco, inerte.
«Che cosa è successo al tuo braccio?» gli chiese allora Newt, con calma. Non che gli interessasse davvero cosa caspio fosse capitato al Velocista, ma in quel momento aveva sentito l’irrazionale desiderio di palesare la sua presenza.
Minho alzò la testa dalla spalla di Thomas e lo fulminò con lo sguardo, come se il biondino avesse interrotto un momento importante, che doveva essere soltanto loro.
Thomas si scostò dal moro, guardandolo preoccupato; non si era accorto che Minho non riuscisse a muovere il braccio. «Che cosa vi è successo?»
Il moro sospirò «Questo idiota…» cominciò a spiegargli con una smorfia, facendo cenno col mento verso Ben «…mi sta attaccato al culo tutto il tempo, da quando gli ho raccontato di essere protetto dai dolenti…».
«Il chip non ha funzionato?» gli chiese Thomas, allarmato. Minho si affrettò a scuotere la testa. «No, non è quello… Ben si è allontanato troppo da me…» si affrettò a rassicurarlo. «Allora sono corso verso di lui, quando l’ho sentito urlare. Erano in quattro Dolenti, lo hanno punto dappertutto – Gally, ti prego, dimmi che hai abbastanza Dolosiero» si interruppe, voltandosi verso il biondo, ancora impegnato ad iniettare l’antidoto al ragazzo svenuto.
«Credo che basti, almeno per sta notte» lo rassicurò Gally, mentre gli sfilava l’ago dal braccio. «Ce la farà».
Minho annuì contento, voltandosi nuovamente verso Thomas «quando sono arrivato, i Dolenti sono stati respinti dal chip e se la sono svignata… Peccato che la scarpata sia da quella parte» li informò con sarcasmo, indicando alle proprie spalle «e quindi mi sono venuti addosso».
«Che cosa c’entra la scarpata, con i Dolenti?» gli chiese acidamente Newt, sta volta, però, seriamente interessato.
Il ragazzo asiatico fece una smorfia. «Alcuni di voi sono così tanto delle teste vuote che non avrebbero trovato una via d’uscita da qui, nemmeno se ce ne fosse stata davvero una da trovare» sputò d’un fiato, insultandolo deliberatamente.
«Minho…» lo richiamò Thomas.
Newt perse le staffe, di nuovo. «Tu! Brutta sploff!» e in un attimo gli fu addosso, ma non fece in tempo a sfiorarlo che Thomas si mise tra i due, facendo arretrare il più piccolo. «Smettetela! Newt, la tana dei Dolenti si trova dentro alla Scarpata» lo informò, sperando che quella nuova informazione lo distraesse abbastanza da tenerlo buono. «E Minho… tieni a bada la tua boccaccia» gli intimò, guardandolo male. Si rigirò verso Newt. «Ti prego Newt, non ora».
Gally si alzò, ignorando il battibecco degli altri e avvicinandosi al Velocista. «Ti fa male?» gli chiese in tono pratico.
«Solo se provo a muoverla…»
Gally gli tasto la spalla, facendogli una lieve pressione sulla scapola e cercando di sollevargli lentamente il braccio. Il moro soffocò un lamento. «Credo non ci sia nulla di rotto, è soltanto una lussazione» lo informò il Medicale «Dobbiamo muoverci e tornare alle porte, non posso fare niente qui, al buio. Ti sistemeremo la spalla domani mattina. Ce la fai a camminare?»
Minho si limitò ad annuire.  
«Bene così». Concluse Gally, raccogliendo da terra Ben, ancora svenuto e facendo cenno a Thomas di aiutarlo. «Allora andiamo. Torniamo indietro».





Ciao a tutti/e!!!
Io mi rendo conto che dopo un mese di silenzio una spiegazione, come minimo, ci starebbe…
Peccato che non ce l’abbia. Anzi, a dire il vero ce l’ho, ma non è qualcosa che giustifichi il mio ritardo catastrofico.
Dunque, come vi avevo detto, nel mese di Agosto ho lavorato a tempo pieno e il lavoro mi ha portato via quasi tutto il tempo e il sabato e la domenica, unici giorni liberi in cui potessi scrivere… tutto ho fatto tranne che scrivere. Se poi ci mettiamo che questo capitolo sta venendo troppo lungo e che nonostante io ci stiamo lavorando da tre settimane (circa da dopo ferragosto) e tutt’ora continua a non piacermi nonostante i cambiamenti continui che ho fatto… insomma, una tragedia. Sarò schietta: non mi credo e non mi sento Dante, nonostante scrivere mi piaccia da morire e vorrei davvero essere brava, in questo… ma ho dei limiti, purtroppo. E quando sento di non riuscire a superarli vado nello sconforto.
Quindi ecco, non solo vi ho fatti aspettare un mese e più, ma non so che aspettarmi, dalle recensioni. Vi prego di essere sincere, se non vi è piaciuto o vi è piaciuto meno degli altri, ditemelo e indicatemi i punti più brutti, senza problemi, davvero!

Ad ogni modo, “Un altro passo ancora” is back! Si ricomincia! Pronti? :D
Alla prossima settimana!!! :D 

Come sempre, davvero un grande grazie a:

nerorchidea
sgranocchiandotacchino




Per aver commentato lo scorso capitolo!!!

Un grande grazie ancora a

-GRACE_WHITE 
sgranocchiandotacchino
nerorchidea
Yumaforever12Kelly
yuki007
LoveFandom22
Writeforyourself
Miss_Felton
Newtmas
__Dreamer97
__somanyfandoms
 
 
per aver messo la mia storia tra le preferite!


E un altro grazie a

LoveFandom22
Dragonite 
Drarry_Hufflepuff 
Melepatia_2571 
Viola95 
Lemony
Kikabrescia
Miss_Felton
pickle_
writeforyourself
Estel_Zarry
anita92
Newtmas
Rora Wayland
Sara_grover
 
Per aver messo la mia storia tra le seguite!


   

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Capitolo 9
*** Il Labirinto - Parte seconda ***


8.2 Il Labirinto - Parte seconda 

 


I ragazzi erano riusciti ad arrivare davanti alle porte d’ingresso alla Radura, ancora ermeticamente sigillate.
Avevano fatto distendere Ben a terra, ancora privo di sensi, usando lo zaino di Gally come cuscino improvvisato: le punture erano ancora evidentemente infette, segno che il dolosiero iniettatogli non era sufficiente a guarirlo ma, fortunatamente, gli sarebbe bastato per resistere fino al mattino seguente.
Tutti erano seduti lungo le pareti dell’angusto corridoio: non potevano far nient’altro che aspettare che le porte si riaprissero.
Minho, ormai stanco e stremato dalla lunga giornata aveva finito per addormentarsi, abbandonando la testa sulla spalla di Thomas, nonostante gli evidenti sforzi di mantenere gli occhi aperti. Thomas sentiva di star per raggiungerlo da un momento all’altro.
Gally e Newt erano gli unici che sembravano incapaci di addormentarsi e si trovavano palesemente in uno stato di ipervigilanza: era evidente che inconsciamente percepissero – e non a torto – quel luogo come pericoloso ed ostile. Come non sicuro.

«È lui il tuo vero ragazzo, non è vero?» Newt domandò al ragazzo davanti a lui, con la voce strozzata, insita di tristezza. Sembrava che gli fosse costato un enorme sforzo anche solo chiederglielo.
Thomas esitò. «Non proprio…»
«Non mentirmi» gli ordinò Newt, prossimo alle lacrime, ma troppo orgogliose per versarne anche soltanto una. «E’ chiaro come la luce del sole che ci sia qualcosa, tra voi».
Thomas sospirò; non era sicuro di avere la forza di affrontare una discussione del genere in quel momento. «Non ti mentirò più Newt, solo… è complicato».
«È complicato» gli fece eco il biondo, come se stesse assimilando la risposta che gli aveva dato, cercando di dargli un senso. Newt li guardò ancora, sentendo una morsa dolorosa all’altezza del petto che minacciava di soffocarlo. Thomas non aveva negato e probabilmente non esistevano parole tanto brutte e tristi, per poter descrivere quello che Newt stava provando. Aveva vissuto tre anni lì dentro, senza mai vedere posti nuovi o conoscere cose nuove; tre anni incentrati sulla sopravvivenza, sulle regole, sulla preoccupazione e l’incertezza riguardo al futuro: aveva sempre provato una vasta gamma di emozioni, tutte prevalentemente negative, che si erano alternate nel corso del tempo, sempre le stesse e senza mai abituarsi all’ansia che scaturivano in lui, più o meno opprimente a seconda del caso. Ma poi era arrivato quel nuovo ragazzo, bello come il sole e con un sorriso da mozzare il fiato, che lo faceva sentire il ragazzino che non era mai stato. E da un po’ di tempo Newt si sentiva meglio: i cattivi pensieri e le asfissianti preoccupazioni non se n’erano andate, certo che no, ma Thomas era riuscito a far sì che Newt riuscisse a lasciarli da parte, relegati in un angolo lontano della sua mente, facendolo sentire sereno, semplicemente stringendolo tra le braccia. E quando lo baciava, Newt si sentiva come se non ci fosse cosa più bella al mondo di quella: riusciva a dimenticarsi di dove si trovava, arrivava a fregarsene e a credere che avrebbe potuto rimanere là dentro anche per il resto della sua vita, senza mai sapere cosa c’era nel mondo esterno, perché gli bastava guardarlo negli occhi per vedere tutto quello che desiderava e capire che lui, anche se prigioniero in quelle quattro mura, aveva già tutto e non avrebbe desiderato mai nient’altro.
Ma, a quanto pare, per un’infame legge cosmica, più qualcosa è bello e meno sembra destinato a durare.
E proprio quando, la mattina di quella stessa giornata, Newt si era svegliato pensando che le cose sarebbero andate sempre meglio, da quel momento in poi, tutto era precipitato poche ore dopo. Si sentiva come se qualcuno gli avesse tolto la terra da sotto i piedi. In quel momento, però, si costrinse a pensare con razionalità e a mettere da parte i propri sentimenti, per quanto gli riuscisse. «Sei diventato l’unico aiutante e amico stretto dell’Intendente Cuoco, il tuo vero ragazzo è l’Intendente dei Velocisti e l’ Intendente dei Medicali è inspiegabilmente dalla tua parte...» cominciò a elencare Newt, occhieggiando con vaga ostilità anche Gally, che sbuffò scocciato. «E tra l’Intendente degli Squartatori e quello degli Agricoltori, ero di certo io il più facile da abbindolare» concluse amareggiato, come se anche lui fosse arrivato solo in quel momento alla verità. «Dio, ti sei conquistato la maggioranza del Consiglio strisciando e manipolandoci tutti quanti, come un viscido serpente!».
«Newt, sei completamente uscito fuori di testa, faccia di caspio!» gli urlò contro Gally.
Minho si svegliò di soprassalto, all’urlo del ragazzo. Si guardò intorno smarrito, per qualche istante, poi mise a fuoco Thomas e sbadigliò sonoramente «Voi faccie di sploff potreste tenere chiuse le vostre boccacce?!»
Thomas gli passò una mano tra i capelli neri e poi si voltò verso Newt. Lo guardò arrabbiato, forse per la prima volta in vita sua Thomas desiderava prenderlo a pugni. Dimentico della stanchezza decise che era giunto il momento di rispondergli per le rime. «Ho tanti motivi per aver acconsentito a tutto questo - a farmi mandare qui dentro e a dover mentire a così tante persone – ma la prima ragione sei tu, Newt, che tu voglia crederci oppure no» lo freddò il castano «ci conosciamo da anni, io e te. E anche molti altri dei ragazzi qui dentro mi hanno già incontrato, solo che nessuno ricorda niente. Dico bene, Newt? Ricordi qualcosa della tua vita precedente, prima che tu arrivassi in questo posto?»
Newt non lo interruppe: finalmente era riuscito a farlo parlare e cominciava ad avere delle risposte. Fu con il cuore che gli batteva fortissimo nel petto che chiese: «è così, non è vero? Siamo tutti vostri prigionieri?».
Thomas non si aspettava di sentire tanta cattiveria nella sua voce, quando gli rispose. «Non siete prigionieri, siete le nostre cavie da laboratorio».
Newt rabbrividì. «Che vuol dire?»
«Il mondo, là fuori, è sottosopra. Ci sono state delle Eruzioni solari che hanno distrutto quasi tutto il pianeta e i nostri Governanti hanno avuto la geniale idea di liberare un Virus per controllare la popolazione e evitare il panico. La situazione è sfuggita di mano, ovviamente. La gente muore, a causa di questo virus; diventano dei mostri fuori di testa e lentamente la loro pelle marcisce, staccandosi dal corpo pezzo dopo pezzo. Gli Immuni sono al sicuro, loro non si ammalano. Ma tutti gli altri, lo fanno. Si ammalano. La gente muore continuamente…» Thomas tornò a guardarlo dritto negli occhi « Tu non sei uno degli Immuni» lo informò di getto, senza il minimo di tatto o empatia, incurante dell’espressione sempre più spaventata che Newt non si stava preoccupando di nascondere e senza fare alcunché per tranquillizzarlo.
Minho, ormai sveglio e anche incredulo, perché mai e poi mai si sarebbe aspettato che Thomas avrebbe fatto quella chiacchierata rivelatoria a Newt, alla presenza di altre persone.
Anche se lo odiava, Minho si sentì un po’ a disagio e anche un po’ dispiaciuto, per quel ragazzino. E Thomas non stava cercando di tranquillizzarlo in nessun modo. Decise quindi di intervenire in suo aiuto, stupendo anche se stesso. «Respira, Pive. Non stai morendo e non morirai tanto presto» lo rassicurò «Grazie al genio dei sottoscritti» disse indicando sé stesso e Thomas «…e di tutti gli altri dottori della C.A.T.T.I.V.O. l’umanità è salva. Non c’è di che». Non poté fare a meno di colorire la sua voce con un tono apertamente canzonatorio.
«Parleremo di questo domani, con l’intero Consiglio e tutti Radurai» lo interruppe Thomas, senza smettere di guardare Newt. Quello che vuoi sapere è altro, dico bene?»
Minho sbuffò; non aveva la minima intenzione di stare lì ad ascoltare altro: Thomas stava davvero per dire tutto a Newt e di quella storia, della loro storia; e Minho ne aveva sentito parlare abbastanza. E poi sapeva per certo che Thomas avrebbe voluto raccontarglielo in separata sede, lontano da occhi e orecchie indiscrete. Fu per questo motivo che sbottò, nel modo più acido che riuscì a tirar fuori: «andate ad urlarvi contro da un’ altra parte, qui c’è gente che vuole dormire!» e spinse rudemente il castano lontano da lui, mantenendo il contatto visivo. L’altro ragazzo accennò un lieve sorriso: Thomas aveva capito.


 
***


 
I due ragazzi si erano spostati un paio di corridoi più in là, non troppo lontani dal gruppo, ma abbastanza perché potessero parlare senza essere ascoltati. Newt era rimasto in piedi, con le spalle appoggiate alla parete, in attesa.
«Sai, il tuo vero nome è Alexander» se ne uscì il ragazzo in piedi di fronte a lui «Dio, non vedevo l’ora di tornare a chiamarti così…» 
Newt assorbì l’informazione, senza battere ciglio.
«Già…» sospirò Thomas «è proprio questo il problema, in fondo, no?»
Newt emise un suono frustrato «Dio, Tommy. Ti prego, spiegati!» sbottò, maledicendosi per essersi fatto sfuggire il nomignolo.
Thomas annuì, mettendosi a sedere e invitandolo a fare altrettanto. Si torturò un po’ le mani, non sapendo bene da dove iniziare.
«La prima volta che ci siamo incontrati è stato quattro anni fa: avevo diciassette anni e tu ne avevi tredici; ero il tuo psicanalista» «Sei uno strizzacervelli?»
«Psicologo e neuropsichiatra» confermò Thomas. «Avevo dei colloqui con tutti i soggetti che sarebbero stati mandati nel Labirinto; il mio compito era di raccogliere informazioni e tracciare i vostri profili di partenza per consentire lo studio degli sviluppi neurologici nel corso del tempo».
Newt si mosse a disagio «perché proprio noi?»
«Quasi tutti i ragazzi, qui dentro, sono degli orfani. Erano figli di persone che erano state contagiate dal virus; loro, però, sono immuni all’Eruzione».
«Com’è possibile che siano immuni?»
Thomas sorrise «Ottima domanda» si congratulò col minore. «All’inizio, avevamo pensato che fosse una questione di eredità genetica. Ma è un’ipotesi che abbiamo scartato quasi subito: come ti ho già detto, i genitori degli Immuni, non sono a loro volta degli immuni. E allora che cos’è che rende noi Immuni così speciali? È stata la Cancelliera Paige, a scoprirlo».
«Chi è?» gli domandò il biondo, ormai completamente rapito dal racconto.
«E’ la scienziata a capo del progetto della C.A.T.T.I.V.O.» gli rispose immediatamente il castano. «E’ stata lei a scoprire il gene che rende il copro degli Immuni un terreno sterile in cui il Virus non può riprodursi. Non sappiamo perché sia comparso questo gene, all’interno del genere umano… forse è semplicemente evoluzionismo» Thomas strappò un ciuffo d’erba che era cresciuto tra il pavimento rovinato del labirinto e se lo rigirò tra le mani «La Cancelliera Paige è stata uno dei primi scienziati ad ottenere dei risultati sullo studio dell’Eruzione e...» Thomas esitò.
«E…?» lo spronò a continuare.
«Newt, lei è tua madre… il tuo nome completo è Alexander Paige». Il castano lo guardò, temendo che Newt tornasse ad agitarsi ed urlargli contro. Tuttavia, nulla di tutto quello avvenne: il biondino davanti a lui era evidentemente turbato, da quella rivelazione.
Thomas notò che stava tremando. «Io… ho una mamma?»
Il ragazzo più grande gli sorrise e gli si avvicinò, accarezzandogli un braccio «Certo che hai una mamma, Newt. E forse sei anche l’unico, ad averne ancora una» sospirò infine.
L’attimo dopo, l’espressione di Newt tornò cupa, come se solo in quel momento si fosse ricordato di una cosa tanto essenziale quanto spiacevole «Perché ha acconsentito a farmi rinchiudere qua dentro? Perché l’ha fatto, se è lei il capo di tutto quanto?!»
«Te l’ho detto, Newt. Tu non sei un Immune. Ti ha messo qui dentro per evitare che venissi contagiato; per tenerti al sicuro, nell’attesa di trovare una cura».
«Mi ha messo qui dentro, con i Dolenti».
«Hai il tuo chip protettivo…»
Nessuno dei due disse più una parola. Thomas non parlò, dando il tempo all’altro di assimilare quello che gli aveva detto.
«Perché io non ricordo niente e tu, invece ricordi tutto? Qualcun altro ha ancora la memoria oltre a te?»
«Soltanto io e Minho. E Gally… ricorda qualcosa. In realtà, non ricorda nulla… la sua ragazza è una scienziata che lavora per la C.A.T.T.I.V.O. e ha fatto in modo che lui si ricordasse di lei. Si chiama Teresa… Non voleva che, stando qui, finisse tra le braccia di qualcun altro. È stata lei a volerlo mandare qui: serviva un altro non Immune da studiare e lei ha fatto in modo di mandarlo qui, per proteggerlo dal Virus» gli disse amareggiato. «È per questo che Gally si è fidato di me: perché io conosco Teresa».
Il biondo non gli rispose subito, forse troppo impegnato a decidere quale sarebbe stata la domanda successiva che gli avrebbe porto. Thomas continuò. Ormai era arrivato il momento di dire quello che aveva sempre desiderato potergli dire, fin dal primo giorno in cui era arrivato «Sei in questo posto per lo stesso motivo, Alex. Chi ti ama, ha voluto portarti qui… io sono un di quelle persone».
Newt si voltò di scatto. «Che cosa intendi?»
Thomas gli prese le mani tra le sue. «Durante le tue sedute, mi sono innamorato di te. E anche tu mi amavi…» gli confessò infine, finalmente. «Siamo stati insieme per poco tempo, ma te lo giuro Newt, sono state le settimane più belle della mia vita… Un giorno sei arrivato e mi hai detto che volevi fare l’amore con me» gli disse, arrossendo leggermente. «Ti dissi di no. Dio, avevi solo tredici anni, come avrei potuto farti una cosa del genere…» Thomas si girò a guardarlo. «Alla fine, mi hai convinto. Sei davvero bravo a fare il ragazzino capriccioso e a far leva sui sensi di colpa, quando vuoi qualcosa» Thomas ridacchiò, cercando di alleggerire l’atmosfera. Vide le labbra di Newt distendersi in un sorriso, che però non arrivò a contagiargli gli occhi.
Il castano sospirò. « Quella sera, quando sgattaiolasti nella mia stanza, la prima cosa che feci fu prometterti che ti avrei salvato, ad ogni costo. Che avrei passato tutta la mia vita, a cercare un modo per tenerti al sicuro e che poi, una volta trovato, sarei tornato a prenderti. So che tu non puoi ricordarlo, ma devi credermi: sono tornato a prenderti. È finita, Alex» lo chiamò col suo vero nome, portando una mano ancora intrecciata a quella dell’altro a carezzargli una guancia.
Newt sospirò, affranto «Non puoi chiamarmi in quel modo, non voglio che tu lo faccia… è come se tu mi avessi raccontato la storia di qualcun altro… lo capisci, vero?»
Thomas annuì «Con l’arrivo della prossima scatola, arriveranno i macchinari per restituirvi la memoria…»
Newt emise un verso sorpreso «E cosa faremo, dopo?»
Thomas fece spallucce «La C.A.T.T.I.V.O. subisce le pressioni del governo. Quasi tutti i pezzi grossi sono stati infettati; non si faranno scrupoli a sacrificare la vita di tutti, pur di raggiungere il loro obbiettivo. Vogliono una cura, Newt… Ma non c’è cura per questa malattia» gli disse, lapidario «Loro non capirebbero, non lo accetterebbero. Ci sostituirebbero con altri scienziati, che non sanno nulla dell’Eruzione, che dovrebbero ricominciare tutto da capo. Anche se si arrivasse a tanto, non ci sarebbe il tempo. La maggior parte dell’umanità, ormai, è destinata ad estinguersi».
Newt lo fissò, lo smarrimento evidente nel suo sguardo «Come puoi dire questo? Tu sei uno della C.A.T.T.I.V.O.!»
Thomas scosse la testa «Ti ho detto che Teresa è una degli scienziati dell’organizzazione, giusto?» Newt annuì. «Be’, lei è stata la prima a dire che non avremmo mai trovato una cura. All’epoca avevo il sospetto che avesse portato avanti degli studi indipendenti, mentre fingeva di fare il suo lavoro. Quando poco più di tre anni fa mi unii al suo piccolo gruppo clandestino, ne abbi la certezza… Vedi, lei ebbe un’intuizione tanto banale quanto geniale: studiò gli Immuni per anni e capì che non avremmo mai potuto ricavare una cura, da loro. Questo per il semplice fatto che gli immuni non si ammalano: come possiamo trovare una cura, usando un corpo che l’infezione non l’ha mai affrontata? Quando guariamo da un’infezione virale, il nostro corpo produce degli anticorpi che rimangono per sempre nel nostro organismo… Ma gli Immuni questi anticorpi non ce li hanno… Quindi cos’è che ci rende tali? Teresa ha capito prima di tutti che, l’unico traguardo a cui si poteva aspirare, era quello di rendere le persone ancora sane, immuni a loro volta».
Newt a quel punto pendeva dalle sue labbra «E come è possibile? Come fa una persona nata senza l’immunità, a diventare immune a un Virus?»
«Come si fa ad essere immuni al Vaiolo? All’epatite? Alla poliomelite? Alla rabbia?» gli chiese retoricamente Thomas. «E’ molto semplice, Newt. Siamo riusciti a produrre un vaccino».
Newt sembrava di nuovo terrorizzato «Se i Governi vogliono usarci per i loro esperimenti, lo faranno, non credi?»
Thomas si incupì «Già, ma noi fuggiremo» lo rassicurò « L’Europa è un continente disabitato, per lo più inospitale, completamente distrutto dalle eruzioni solari e completamente fuori dalla portata dei Radar… Ci sono delle basi militari a cui possiamo avere accesso; nonostante il sabotaggio, il mio gruppo gode ancora della piena fiducia dei vertici dell’organizzazione… Anzi, alcuni di loro ci appoggiano… Una di queste persone che ci ha aiutato in questi anni, è proprio la Cancelliera, tua madre».
«È follia»
«Siete riusciti a vivere qui, a costruire tutto questo e a sopravvivere! Non sarà diverso… e poi non saremo soli». Gli sorrise Thomas.
«Cosa intendi?»
«C’è un altro labirinto, in cui sono tutte ragazze…» Thomas ridacchiò «Molti Radurai saranno contenti… ».
«Già, alcuni saranno contenti…» concordò Newt. Lo guardò di sfuggita, come stesse cercando di trovare il coraggio per dire qualcosa «Ad altri invece non importerà nulla delle ragazze… A me non importerà…».
Thomas non sapeva come rispondergli, quindi decise di rimanere in silenzio. Paradossalmente, aveva trovato facile raccontare tutto a Newt, fino a quel momento. Era stato facile raccontargli del virus e anche di quanto l’avesse amato; era infinitamente più complicato, invece, riuscire a spiegargli quello che provava adesso.
Non era una cosa che Thomas aveva previsto, né anni prima, quando aveva dovuto dire temporaneamente addio al suo Alex e tanto meno nel momento in cui aveva ceduto, decidendo di stare insieme a Minho. Thomas non se ne era reso conto subito, ma quella sera di tanti mesi prima – più di un anno era ormai passato – aveva cambiato tutto. E ora, doveva spiegarlo a Newt. Inspirò forte, cercando di trovare il coraggio e le parole più adatte per dire al ragazzo al quale aveva appena confidato di averlo amato come non aveva mai amato nessuno prima d’ora, che adesso i suoi sentimenti erano cambiati. Perché quella era la verità: Thomas non sapeva più cosa provava. Quando era arrivato nella Radura, c’era Alex e poi c’era Minho.
Più tardi, Thomas si era reso conto, per quanto avesse provato a negarlo a sé stesso, che quel biondino non era Alex, ma Newt: i due si assomigliavano, erano uguali sotto molti aspetti, ma allo stesso tempo vi erano differenze abissali tra i due. E poi, infine, c’era sempre Minho.
Minho, che gli aveva detto di provare dei sentimenti per lui, che gli aveva urlato contro, arrabbiato, dicendogli che doveva smettere di amare una persona che, sostanzialmente, era solo un ricordo: perché ad averlo accompagnato in quegli anni di ricerche, mentre era solo, nel quartier generale della C.A.T.T.I.V.O., altro non era che il fantasma di un ragazzo che ora non c’era più, che era diventata un’altra persona. Proprio nel momento in cui Minho gli aveva detto che lui sarebbe stato una scelta più sana, più semplice, senza compromessi e senza problemi, più spontanea, Thomas aveva cominciato a prendere in considerazione la possibilità che avesse ragione.
Ma cos’era che Thomas provava? Thomas amava Alex, su questo non aveva il minimo dubbio. E forse, ormai, Thomas provava qualcosa anche per Minho. E Newt? Thomas amava davvero Newt?
La verità era che, ormai, Thomas non sapeva più cosa provava o chi voleva.
Newt sembrò percepire parte dei pensieri di Thomas «Tommy…» lo chiamò piano «tu non sei veramente innamorato di me, non è vero?»
Thomas lo guardò, lo sguardo triste e contrito di una persona che non è in grado di dare la risposta che invece avrebbe voluto dare. «Non lo so, Newt. Ho amato Alex, ma non è lui che è seduto davanti a me, in questo momento. Lo hai detto anche tu» gli confessò, prendendosi le labbra tra i denti.
«È per questo che non hai voluto fare l’amore con me, l’altra notte? È perché volevi un'altra persona, lì con te, non è vero?» gli domandò, con la gola che gli si stringeva, preda di una morsa dolorosa. Thomas abbassò la testa. «Mi dispiace, Newt. Quando sono arrivato qui l’unica cosa a cui riuscivo a pensare è che ti avrei riavuto con me, finalmente, dopo tutti questi anni passati a pensare a te in ogni momento, a desiderarti ogni istante di ogni giorno…»
Newt ormai non riusciva più a trattenere le lacrime, che cominciarono a scivolargli lungo le guance, silenziose.
Thomas continuò «Ma forse Minho ha ragione… forse il ragazzo che amo se n’è andato anni fa, nel momento in cui me l’hanno strappato dalle braccia e me ‘hanno portato via. Forse… forse è il momento di andare avanti» anche Thomas aveva cominciato a piangere. Che senso aveva trattenere le lacrime, ormai?
«E Minho? Lui che ruolo ha, in tutto questo?»
«Lui è uno scienziato dell’organizzazione; credeva così tanto nella scoperta di una cura, che quando ha dovuto arrendersi all’evidenza che non sarebbe mai riuscito a trovarne una, il mondo gli è crollato addosso. Eravamo amici e ci siamo avvicinati ancora di più, quando è entrato a far parte del Gruppo Segretto alla C.A.T.T.I.V.O… Gli ho raccontato la nostra storia, siamo diventati uno il confidente dell’altro…. Lui sapeva di dover venire qui, quando la Scatola sarebbe ripartita per il Labirinto… Una sera, ha avuto un crollo nervoso e mi ha chiesto di… emh… distrarlo». Gli confessò, arrossendo per l’ennesima volta. «La cosa è continuata, finché non se n’è andato anche lui… Mi è mancato, durante quest’ultimo anno…» Thomas esitò, indeciso sul se rivelargli anche quell’ultimo dettaglio. Alla fine, decise che glielo avrebbe detto; in fin dei conti, gli aveva promesso di non mentirgli più. «L’ho incontrato nel bosco la prima notte che sono arrivato qui…».
Newt cercò di non far trasparire quanto tutto quello lo facesse soffrire. L’unica cosa che riusciva a pensare è che, nonostante tutto, lui Thomas l’amava; e adesso che lo stava perdendo, poteva affermare con fermezza che non era mai stato certo di qualcosa nella sua vita, come era certo di amare Thomas. E il pensiero che dovesse ritrovarsi a competere con così tante persone lo demoralizzava in una maniera che non riusciva a spiegare: c’era Minho, c’era Alex e c’era lo stesso Thomas, insicuro e confuso; Newt l’aveva lì, seduto davanti a sé, ma percepiva l’abissale distanza emotiva, che in quel momento li separava. «Thomas, io… io sono io. Sono così. Non posso far finta di essere una persona che non sono…»
Thomas tirò via le proprie mani da quelle dell’altro «Lo so. E non ti chiederei mai di far finta di essere qualcun altro, solo per compiacermi. Non voglio che tu lo faccia» lo rassicurò il castano. «Ma adesso ho bisogno di starmene per conto mio. Mi dispiace di aver sconvolto la tua tranquillità, di essere stato così impulsivo… Avrei dovuto essere più cauto. Mi dispiace Newt, perdonami se puoi…»
Newt non sapeva come rispondergli, aveva solo voglia di urlargli contro, di dirgli che ormai lui l’amava e che delle sue scuse del caspio non se ne faceva niente. Perché ormai lui ci era cascato, con tutte le scarpe… Perché lui, ormai, era innamorato di lui. Ma Thomas no, non lo era. O meglio, non era sicuro e questo logorava Newt dall’interno, perché temeva che quell’insicurezza derivasse dal fatto che Thomas sperasse di trovare in lui il ragazzino che aveva amato anni prima, come se Newt potesse smettere improvvisamente di essere sé stesso e tornasse ad essere quell’Alex.
Adesso, Newt era arrabbiato. In fondo era questo, quello che Thomas stava aspettando, giusto? Che arrivasse la prossima Scatola, che gli portasse qualche diavoleria per restituire la memoria a tutti… per far tornare indietro Alex.
Newt sentiva di odiarlo visceralmente, di essere geloso di lui, più di quanto non lo fosse di Minho, in quel momento. E non gli importava che fosse un mero atto di egoismo: decise in quel momento che Thomas poteva anche dimenticarselo, il suo Alex. Newt non avrebbe acconsentito alla cosa. Non sarebbe sceso a un tale compromesso, per riavere Thomas. Non lo avrebbe fatto, anche a costo di impazzire. «Thomas…» lo chiamò. «Quando il mese prossimo arriveranno i tuoi macchinari, non voglio che tu li usi su di me. Io voglio rimanere me stesso. Non voglio tornare ad essere nessun altro. Non voglio riavere la memoria».






 


Vorrei tanto che tutti leggeste queste note, ma forse chiedo troppo ahahahah
Comunque… eccoci qui di nuovo!
Finalmente è arrivato IL capitolo!!! Il capitolo delle grandi rivelazioni! Chi è contento? :D
Ovviamente ci sono ancora tante cose da scoprire, non pensate che sia finita così! Per esempio: chi è il fratellastro di Minho? (Vabbè, ma se rileggete bene i capitoli precedenti, Minho, pur non dicendo mai apertamente il nome, da degli indizi che sono palesi; cioè, praticamente lo dice, quindi non sarà una grande rivelazione ;)  )
Ma andiamo con ordine.
Dunque… nonostante il mio continuo spronarvi a fare ipotesi sulla soluzione alternativa e il mio ripetervi che era una soluzione banale, nessuno ci ha mai azzecato… anzi, vi siete tutte rifiutate di pensarci ( ç_ç )… Ma comunque! Nel mio dare spiegazioni pseudo-scientifiche, basate sulla mia superficiale conoscenza dell’argomento che ho assimilato studiando biologia al liceo, probabilmente un biologo/microbiologo/virologo/*altro dottore specializzato sull’argomento* è morto ad ogni riga che scrivevo XD Sia chiaro, tutta la filippica sull’immunità data dagli anticorpi a grandi linee è vera, non me la sono inventata, però sono sicura che qualsiasi dottore mi condannerebbe comunque alla ghigliottina. Ah, poi vabbé, altre spiegazioni sul vaccino verranno date in seguito (ma sì, come se non avessi sparso abbastanza ignoranza random! :D ) Ma vabbè! Alla fine nemmeno Dashner da grandi spiegazioni scientifiche nella saga originale, quindi passiamo oltre.. :P
Dunque, anche se ci sono accenni lievi… ma quanto sono dolciosi i Thominho in questo capitolo otto? Sia prima che seconda parte *^*
E poi, il momento che davvero tutti stavate aspettando! Newt sa la verità!!! Ve lo aspettavate che finisse così? Vi aspettavate che Newt cadesse ai piedi di Thomas dichiarandogli amore eterno? So che probabilmente molti si aspettavano questo… però le cose non potevano andare così… non perché io sia una sadica o cose del genere (be’, un po’ si, dai XD ), però non sarebbe stato realistico, se fosse successo diversamente. Pensateci bene: semplicemente non poteva andare bene, una cosa del genere. Non subito, almeno. Non è così semplice, ci sono tante cose ancora da chiarire. Thomas è insicuro, siamo arrivati ad un punto in cui non sa cosa vuole.
E Newt, poi… secondo voi sbaglia a reagire così? Anche qui, non credo che avrei potuto farlo reagire in un modo migliore. Dobbiamo capirlo, nella sua mente, l’unico se stesso che conosce è Newt. L’ostruzione ha completamente cancellato l’io del suo passato. E lui non riesce ad accettare che Thomas ami soltanto quello, il ragazzo che era una volta e che non è più. Pensateci, non vi spaventerebbe una cosa del genere? Che la vostra metà vi ami per qualcosa che non siete?
Questa storia, in fin dei conti, ho iniziato a “pensarla”, diciamo, proprio su questo concetto: all’inizio era spaventata e temevo di non riuscire a portare avanti una cosa così difficile (tanto che lo stesso Dashner ha bellamente evitato di affrontarla: i personaggi dei suoi libri non ritrovano mai la memoria, il passato, infatti). Il punto è: quali disagi mentali porterebbe vivere per qualche anno, senza ricordarsi nulla del proprio passato? Si formerebbe un individuo con una nuova personalità. E quando invece quella “nuova” persona torna a ricordare? Cosa succede? Le due parti trovano il modo di conciliarsi, o rimane una sorta di doppia personalità? Di doppio io?

E come sempre sto divagando.
Prima di scappare, un ultima cosa: ho scritto una One Shot, che non ha nulla a che vedere con questa fan fiction, ma che è comunque Thominho e Newtmas (Ora vi starete chiedendo tutti: “ ‘n che senso???” XD si, proprio così, è entrambe le cose!). A chi va di leggerla e recensirla, la trova qui. http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3262653&i=1


Per ora ho finito J Fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo, perché è forse uno dei più importanti e ci tengo tanto tanto tanto tanto!
Un bacio! 



 
Come sempre, davvero un grande grazie a:
 
sgranocchiandotacchino
 
 
 
Per aver commentato lo scorso capitolo!!!
 
 
Un grande grazie ancora a
 
-GRACE_WHITE
sgranocchiandotacchino
nerorchidea
Yumaforever12Kelly
yuki007
LoveFandom22
Writeforyourself
Miss_Felton
Newtmas
__Dreamer97
__somanyfandoms
 
 
per aver messo la mia storia tra le preferite!
 
 
E un altro grazie a
 
LoveFandom22
Dragonite
Drarry_Hufflepuff
Melepatia_2571
Viola95
Lemony
Kikabrescia
Miss_Felton
pickle_
writeforyourself
Estel_Zarry
anita92
Newtmas
Rora Wayland
Sara_grover
 
Per aver messo la mia storia tra le seguite!

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Capitolo 10
*** Un altro passo ***


Un altro passo




Quando le porte si erano finalmente riaperte, Thomas aveva assistito al tanto inquietante quanto bizzarro spettacolo di un’orda di Radurai che correvano verso di loro, urlando i loro nomi.
Frypan era uno dei pochi che aveva visto seduto di fronte ai grandi blocchi di pietra, insieme a Alby e Winston – probabilmente erano rimasti ad aspettarli lì per ore.
Thomas e Gally cercavano di trasportare Ben come meglio potevano, ormai stremati dalla notte insonne. Winston e Tim, un raduraio con cui Thomas aveva chiacchierato un paio di volte e che lavorava nei campi insieme a Newt, accorsero immediatamente in loro aiuto, liberandoli dal gravoso peso del ragazzo, ancora privo di sensi.
«Che diavolo vi è successo?!» urlò Winston contro il compagno Medicale. Thomas non fece in tempo a rispondergli perché Chuck e Frypan gli furono addosso l’attimo successivo, stritolandolo in un abbraccio che lo fece inciampare all’indietro; la stretta mastodontica dell’Intendente cuoco fu l’unica cosa che gli impedì di cadere miseramente a terra.
«Che diavolo pensavi di fare, eh?!» anche Frypan aveva iniziato istericamente a urlargli contro. Thomas sorrise, immensamente felice per quel piccolo attimo d’affetto. «Ragazzi, vi prego, non respiro» rantolò, mentre Minho scoppiava a ridere, tenendosi la spalla lussata.
Thomas vide con la coda dell’occhio Alby correre verso Newt e avvolgerlo in un abbraccio, salvo poi cominciare a rimproverarlo istericamente, a gridargli contro quanto si fosse preoccupato e di non fare mai più una cosa del genere. Thomas registrò distrattamente la scena, salvo poi voltarsi verso Minho, che aveva imprecato per il dolore, quando Chuck aveva cercato di abbracciare anche lui.
Gally si avvicinò a Winston, poggiandogli una mano sulla spalla. «Portate Ben dentro, arrivo tra un momento». Gli disse per poi voltarsi verso Minho. «Ti sistemerò la spalla il più presto possibile…»
Il moro annuì. «Pensate prima a Ben» gli ordinò categorico. Gally lo ignorò e si rivolse a Thomas. «Ci sono degli anestetizzanti in infermeria, sai come usarli in questo caso, giusto?» Thomas annuì.
Alby arrivò nei pressi del piccolo gruppetto in un attimo. «Curate i Velocisti» disse rivolto ai Medicali. «Thomas, Newt dice che dobbiamo ascoltare quello che hai da dire…» gli disse, voltandosi verso di lui, guardandolo con un’espressione che Thomas pensò essere vagamente ostile. «Parlerai alla prossima riunione del Consiglio» gli ordinò.


 
***
 
 
 
Thomas si era lavato le mani e stringeva in mano una siringa, che aveva appena finito di riempire. Le diede dei lievi colpetti, in modo che tutte le bollicine d’aria salissero verso l’alto e lui potesse eliminarle dalla soluzione. «Non hanno niente di più pesante della petidina, mi dispiace…» si scusò. Minho se ne stava seduto sul letto di una delle piccole stanzette della Tana e lasciava che Thomas si prendesse cura di lui; non gli importava che da lì a breve sarebbero arrivati i Medicali per rimettergli a posto l’articolazione e avrebbe dovuto sopportare tutto quel dolore fisico.
Essere lì, con Thomas che parlava, lo rendeva abbastanza felice da non pensarci.
«… probabilmente è inevitabile che tu senta del dolore, forse è il caso di farti stringere qualcosa tra i denti…»
«Non importa» gli sorrise il moro.
Thomas gli sorrise di rimando – un sorriso che non arrivò ad illuminargli lo sguardo – e coprì di nuovo il tappo della siringa con il piccolo tappino in plastica e poggiando il tutto sul tavolo lì vicino.
Minho continuava a guardarlo, indeciso sul da farsi: una parte di lui voleva sapere cosa aveva detto Thomas a Newt, ma aveva anche una tremenda paura di conoscere la risposta. Minho, quando i due ragazzi si erano allontanati per parlare, si era addormentato quasi istantaneamente, per poi riaprire gli occhi solo quando le mura del Labirinto avevano cominciato ad aprirsi, disturbandolo col loro stridore infernale. Dal poco che aveva potuto vedere prima che i loro amici gli saltassero addosso per abbracciarli, i due ragazzi non si erano rivolti la parola; erano rimasti distanti, senza guardarsi, nemmeno per sbaglio, ostentando un’indifferenza mal costruita. Era chiaro che, qualsiasi cosa si fossero detti, doveva essere qualcosa di importante e – Minho si sentiva un po’ in colpa anche per averlo sperato – decisamente non bello.
Anche Thomas se ne stava in silenzio, anche lui indeciso su cosa dire. A quel punto, avrebbe dovuto avere il cuore spezzato.
Oh, eccome se ce lo aveva. Eppure, era anche arrabbiato allo stesso tempo: sapeva che era un pensiero del tutto egoistico e anche piuttosto ingiusto, eppure non poteva fare a meno di chiedersi chi dava a Newt il diritto di negarglisi. Di negargli il suo Alex.
Che poi, erano la stessa persona, porca puttana! Newt era Alex e viceversa. Nessuno dei due avrebbe dovuto rinunciare all’altra parte di se stesso. Perché non voleva riavere la memoria? Perché, dannazione.
E per giunta, pur sapendo che non aveva alcun diritto di pensare certe cose, non poteva farne a meno: si vergognò quando venne sfiorato dall’idea di costringerlo. Oh, la tentazione era forte, così forte che sforzarsi di non prendere in considerazione quella possibilità gli procurava quasi dolore fisico. Sarebbe stato così semplice… Ma non gli avrebbe mai fatto nulla del genere. Non avrebbe mai potuto manipolarlo a tal punto… e con che peso a gravargli sul cuore avrebbe trascorso una vita vicino a lui, poi? Eppure, continuava a ripetergli la parte più egoista di sé stesso, sarebbe stato così semplice riaverlo indietro…
Dio, poteva sentire il suo cuore  sprofondare sotto terra, mentre imponeva a sé stesso di non pensarci, perché non aveva il diritto di fare anche questo a Newt.
«Ehi… » lo richiamò Minho, preoccupato. Il moro gli avvolse un braccio intorno alla vita e lo portò ad appoggiarsi contro il suo petto. Si rese conto di star piangendo solo quando si accorse di aver bagnato la maglietta del Velocista con le sue lacrime.
Minho capì immediatamente per chi erano quelle lacrime, ma non avrebbe costretto Thomas a raccontargli nulla.
A dire il vero, Minho moriva dalla curiosità di sapere cosa si erano detti Thomas e Newt nel Labirinto; i due non si erano più rivolti la parola né guardati in faccia, una volta aver fatto la loro ricomparsa, fatta eccezione per gli sguardi di velato odio e profondo risentimento che si erano lanciati di tanto in tanto. Ma non stava a Minho chiederglielo: se Thomas ne avesse voluto parlare, lo avrebbe fatto di sua spontanea volontà. Allo stesso tempo, però, era dannatamente curioso e, per questo, dopo un lungo momento di silenzio in cui Thomas sembrò essersi tranquillizzato, decise di far vertere la conversazione su un argomento non molto diverso. «Grazie per essere venuto ieri sera… » gli disse, mentre gli passava la mano tra i capelli, in un gesto d’affetto.
Thomas sospirò. «Sapevo che qualcosa non andava, non vi avrei mai lasciati lì dentro. Chiunque lo avrebbe fatto, non devi ringraziarmi».
Rimasero in silenzio qualche minuto e Minho si sentì come se tutto ciò che gli serviva al mondo ce l’avesse stretto tra le braccia; Thomas aveva minimizzato il suo gesto, dicendo che l’avrebbe fatto chiunque, ma si sbagliava: nessuno dei Radurai sarebbe corso in loro aiuto. Certo, lui era l’unico a sapere dei chip protettivi, ma Minho ricordava bene quanto i Dolenti e lo stesso Labirinto terrorizzassero Thomas, nonostante tutto.
Stava per dirglielo, quando l’uomo meno desiderato della Radura fece il suo ingresso nella stanza.
«Gally sarà qui tra poco, mi ha chiesto di dirti che puoi procedere con l’anestetico» li informò Newt, fingendo di non averli beccati abbracciati al suo arrivo, ma non riuscendo a trattenere il tono acido che gli uscì spontaneamente dalla bocca.
Minho fece una smorfia. «Grazie per la premura, adesso vattene».
«Alby vuole che lo tenga d’occhio» gli rispose, senza abbandonare il tono acido che aveva usato poco prima e spostando velocemente lo sguardo verso Thomas.
Thomas si sollevò lentamente, sospirando. Con brevi e metodiche mosse fece finalmente l’iniezione a Minho. «Possiamo smetterla? Almeno per oggi, per favore?» domandò loro, con tono esausto. In quel momento, Gally fece il suo ingresso nella stanza, seguito a ruota da Winston, l’altro Medicale.
«Come sta Ben?» chiese immediatamente Minho, all’indirizzo di Gally.
«Starà bene» lo rassicurò immediatamente. «Sono servite dodici iniezioni di dolosiero per sconfiggere l’infezione».
«Abbiamo contato le punture, i Dolenti lo hanno punto quarantasette volte…» aggiunse Winston, guardando male sia Thomas che Minho «se quello che dice Newt è vero, che siete due scienziati della C.A.T.T.I.V.O., spero abbiate una spiegazione convincente per giustificare tutto questo».
Gally lo fulminò con lo sguardo. «Ne parleremo domani al Consiglio, ora pensa a fare il tuo lavoro».
Si avvicinò a Minho e, siccome non era in grado di alzare il braccio infortunato, gli strappò con forza la maglia da dosso, per poi cominciare a tastargli la spalla lussata. Newt trattenne un verso infastidito, quando si accorse che Thomas aveva lanciato una lunga occhiata al corpo seminudo del Velocista.
 «Senti qualcosa? L’anestetico ha funzionato?» gli domandò Gally, mentre continuava a seguire il contorno dell’osso fuori posto.
Minho annuì e Winston gli si posizionò al lato opposto, afferrandolo per il busto, tenendolo fermo. Gally gli passò un pezzo di stoffa ripetutamente ripiegata su sé stessa. «Farà male… » si premurò di avvertirlo. «Conterò fino a tre e poi tirerò, va bene?»
Il moro annuì, infilandosi lo straccio nella bocca.
Gally gli afferrò il braccio ferito e iniziò a contare: «uno…» e tirò. Minho urlò, stringendo forte tra i denti la stoffa.
Gally lo aiutò a distendersi sul piccolo lettino, preoccupandosi che non appoggiasse troppo peso sulla spalla appena rimessa a posto. «E’ tutto sistemato… » lo rassicurò, tastandolo per l’ultima volta per accertarsi che l’osso fosse rientrato sotto la scapola. «E’ normale che tu non riesca ancora a muoverlo, probabilmente alcuni legamenti sono compromessi; ci vorrà qualche giorno per guarire del tutto. Ti inietteremo altra petidina per non farti sentire dolore».
Si voltò verso Thomas «Iniettagli altro antidolorifico e poi lascialo riposare», prima di uscire dalla stanza, mise tra le mani di Newt un piccolo tubetto di plastica. «Mettilo sulla guancia, hai un livido enorme. Mi dispiace per lo schiaffo...».
Newt intascò il medicinale senza disturbarsi di ringraziarlo. Piuttosto, si girò verso Thomas, intento a fare un’altra iniezione al ragazzo disteso sul letto. Minho era svenuto per il dolore.
«Ti aspetto qui fuori. Voglio che tu porti via le tue cose dalla mia stanza».
Quella semplice frase, fece male ad entrambi.
 
***
 
 
Erano ormai passate le nove del mattino, quando Newt aprì la porta della sua camera, al secondo piano della Tana, lasciando lo spazio a Thomas, affinché potesse entrarvi. La richiuse alle sue spalle. Newt voleva ancora parlare; Thomas non avrebbe saputo dire se quello fosse un buon segno o meno.
«Oggi potremo riposare, ho convinto Alby a rimandare a domani qualsiasi riunione… ».
Thomas rimase in silenzio, mentre metteva le poche cose che possedeva in una piccola sacca, lentamente, cercando di ritardare il momento in cui sarebbe uscito da quella stanza. Era stato lui a dire a Newt di non essere sicuro di cosa provava, che non gli sarebbe mai bastato l’amore del ragazzo della Radura, che lui rivoleva indietro il ragazzo che aveva amato prima. Era stato lui stesso a tirarsi indietro e ci aveva creduto davvero, nel momento in cui glielo aveva detto: e allora perché adesso era così doloroso passare ai fatti? Perché stava cercando di rimandare? Perché una parte di lui desiderava così prepotentemente che Newt gli chiedesse di restare?
«Mi appoggerai alla riunione del Consiglio, Newt?» gli chiese improvvisamente.
Il biondino intrecciò le braccia al petto, guardandolo accigliato. «Mi hai detto almeno un migliaio di volte che farete comunque tutto quello che dovete fare, ha importanza che noi del Consiglio vi appoggiamo o meno?».
«E’ vero, ma ho bisogno di sapere quello che pensi tu…» gli confessò infine. «Sai, noi della C.A.T.T.I.V.O. abbiamo passato anni a organizzare questo piano, sarebbe molto più semplice se tutti voi collaboraste… ».
Newt rimase impassibile. «Non posso garantire nulla…»
«Oh, andiamo! Vogliamo portarvi fuori di qui e darvi una vita libera, da esseri umani! Abbiamo i vaccini, per quelli a cui servono, te compreso!!! Ci sono persone che venderebbero i propri organi, per avere l’opportunità che noi stiamo dando a voi! Davvero non riesci a capirlo?! Se vuoi odiarmi, perché ti ho tolto la memoria, fallo pure! Ma cercare di opporsi a tutto quello che sta per succedere è inutile, oltre che stupido!» Thomas aveva cominciato ad urlare. Era frustrato, perché Newt non gli dava modo di uscire da quella situazione; era come se stesse per cadere da un alto precipizio e il biondo lo guardasse dall’alto, ai margini del burrone, senza volerlo aiutare a portarlo in salvo. «Cristo, avevo dato per scontato che tutti voi sareste stati felici di essere tratti in salvo!».
«Questo perché, a quanto ho capito, siete abituati a dar per scontato roba del genere, no? Siete i padroni delle nostre vite e dobbiamo fare quello che voi, oh grandi scienziati, ci ordinate di fare, giusto?» ormai anche Newt stava urlando. «Ieri eravamo qui a vivere tranquilli e oggi arrivi tu e dici: “avanti, ragazzi! Fate i bagagli, andiamo a vivere in Europa! Avremo tutto il resto del mondo attaccato al culo, che non smetterà mai di cercarci, ma non temete, vi proteggeremo noi!”» Newt rise istericamente. «Be’, notizia dell’ultima ora, Tommy… » Newt, sta volta, usò il nomignolo intenzionalmente, mettendoci tutto il disgusto che riuscì a tirar fuori, mentre lo pronunciava «…il Consiglio non si fiderà della stessa gente che ci ha lasciato anni qua dentro, in pasto a quei mostri!» gridò Newt, alludendo ai Dolenti.
Thomas lo guardò ostile, poi si piegò a cercare qualcosa nella sua sacca. Ne tirò fuori un paio di pantaloni grigi. Affondò una mano in una delle tasche, fin quando ne tirò fuori un mucchio di fotografie, abbastanza sgualcite e piegate più volte su loro stesse. Gliele lanciò addosso; qualche foto si sparse nella stanza. «Credi che l’abbiamo fatto per divertimento?! Credi che non avremmo trovato un altro modo, se ci fosse stato? Credi davvero che ogni morto che voi avete pianto, non l’abbiamo pianto anche noi?! Guarda le foto Newt! Quelli sono i ragazzi della C.A.T.T.I.V.O. quando erano appena stati ingaggiati per la missione! Li vedi? Siamo ragazzi, ragazzi prodigio, certo, ma pur sempre ragazzi! Abbiamo la vostra stessa età! Credi che si riesca ad avere del ghiaccio, al posto del cuore, quando si è così giovani?! C’è anche tua madre, tra noi! Pensi che una madre sarebbe capace di fare qualcosa di così atroce al proprio figlio e a se stessa, se non avesse avuto alternative?!»
Newt non rispose, concentrato sulle fotografie che Thomas gli aveva dato. Si era soffermato sull’immagine di una signora bionda, l’unica che fosse visibilmente più anziana degli altri. Guardava quella fotografia, la scrutava, cercando con avidità dei tratti che potessero risultargli familiari, come se si aspettasse che qualche ricordo riaffiorasse nella propria mente all’improvviso, ma invano.
Thomas sospirò di nuovo. «Perché non vuoi scappare, Newt? Ti piace così tanto stare qua dentro?» era una domanda retorica, ovviamente. Se Newt non si fosse fidato di lui, nemmeno gli altri radurai lo avrebbero fatto.
Newt gli lanciò un’occhiata di fuoco.
«Sai perché zoppico? Te l’ho mai detto?» gli domandò, il risentimento velato trapelava da ogni parola del giovane. Thomas rimase in silenzio, non si aspettava una rivelazione simile, in quel momento, nonostante avesse bramato la risposta a quella domanda fin dal suo primo giorno nella Radura. «Cosa ti è successo?»
«Ho cercato di ammazzarmi nel Labirinto. Mi sono arrampicato su uno di quei maledetti muri e arrivato a metà mi sono buttato giù. Alby mi ha trovato e mi ha trascinato dentro la Radura prima che si chiudessero le Porte». Newt cominciò a tremare per via dell’angoscia che lo pervadeva, ogni volta che ripensava a quei momenti. «E tu, Tommy… Hai un bel coraggio a venire qui, per chiedermi di andarmene con voi. Un bel coraggio. Mi viene il vomito solo a guardarti.»
Thomas rimase sbigottito. Niente lo aveva mai ferito tanto. Niente. «Odio questo posto, Tommy. Ho odiato ogni secondo di ogni giorno. Ed è stata tutta... colpa... tua!».
Il castano ormai era in lacrime, senza nemmeno accorgersene. «Non ho mai voluto farti del male, Newt, te lo giuro. Non avrei mai voluto che tutto questo accadesse a te, o a chiunque altro». Si inginocchiò ai piedi del biondo, poggiandogli la fronte contro le ginocchia. «Non hai idea del dolore che mi provoca, sapere una cosa del genere. Non pretendo che tu mi perdoni, per tutto il male che ti ho fatto, ma permettimi di fare in modo che ne sia la valsa la pena». Ormai, a Thomas non era rimasto nient’altro da fare che implorare. «Lascia che io ti vaccini. Lascia che ti porti in un posto sicuro. Poi, se lo vorrai, me ne andrò. Non dovrai più vedermi, ma permettimi di salvarti la vita, per l’ultima volta».
Anche Newt ormai piangeva incontrollato «Oh, Tommy… come potrei mai volere una cosa del genere? Io ti amo così tanto…» e l’attimo dopo, gli si gettò al collo, premendo forte le proprie labbra su quelle dell’altro, aggrappandoglisi addosso, come a non volerlo mai più lasciare andar via.
Ma Thomas lo afferrò per le braccia, allontanandolo e tenendolo fermo di fronte a sé. «Perché fai così?» gli chiese con un tono quasi disperato.
«Così come?»
«Così. L’attimo prima vuoi che me ne vada e l’attimo dopo invece vuoi baciarmi…»
«Non voglio. Questo bacio non ha lo stesso significato per noi. Dio, Thomas… non so nemmeno io quando ho iniziato ad amarti così tanto… E non ho idea di quando abbia cominciato a fare così male, il fatto che tu non mi ami come io vorrei.»
«Ma io ti amo. Poche ore fa, nel Labirinto, ho provato… ho capito cosa vuol dire perderti per sempre, per davvero. Ho rischiato di impazzire, tutta la notte» gli confessò Thomas, con la gola che bruciava, nel disperato tentativo di non scoppiare in lacrime. «E non lo capisco, perché non vuoi riavere indietro tutti i tuoi ricordi, ma posso rispettarlo se è questo, quello che vuoi. Se è questo, quello che devo fare per averti al mio fianco…» Thomas gli accarezzava lentamente le braccia. «Ecco perché Alby è andato fuori di testa, quando ha saputo che ero stato io a trascinarti di nuovo nel Labirinto… Newt, devi promettermi che non penserai mai più a fare una cosa del genere. Mi basta questa promessa: promettimi che amerai te stesso, fino alla fine e io non ti chiederò nient’altro.» lo implorò il castano; ormai Thomas parlava senza che quello che diceva avesse un filo logico.
Newt piangeva di nuovo. «So che vorresti che io riavessi la memoria, so che lo desidererai sempre. Perché lo vuoi così tanto, Thomas? Ti amo più di ogni altra cosa al mondo. Ti amo così tanto che mi fa male solo pensarci. Questo non ti basta?».


Thomas annuì, anche lui ormai in lacrime. «Mi basta, Newt».
«Ti basta davvero? Perché non posso darti niente di più di tutto me stesso, così come sono adesso, già te l’ho detto».
Thomas annuì, gli occhi lucidi e le guance bagnate. «Non voglio niente di più».

Newt singhiozzò, gettandogli le braccia al collo e premendo forte le proprie labbra sulle sue, in un bacio disperato.
Thomas rispose al bacio, senza sottrarsi, con la stessa disperazione e la stessa urgenza; sciolse l’abbraccio, senza però mai smettere di baciarlo e accarezzò tutto il corpo del biondo – le spalle, il petto, i fianchi – e un brivido d’eccitazione lo colse, sentendo l’altro ansimare piano contro la sua bocca grazie alle sue carezze. Un secondo di esitazione lo colse, quando arrivò ad accarezzargli i fianchi, ma lo ricacciò indietro con forza: doveva smetterla di farla così difficile, per lui e per Newt. Non aveva voluto altro che quello, per quattro dannatissimi lunghi anni e non avrebbe rovinato tutto, adesso; quindi, afferrò con forza i lembi della maglia del biondo e tirò velocemente verso l’alto, lasciandolo a torso nudo. Newt imitò il gesto subito dopo; si alzò in piedi, tirandolo per un braccio e ricominciando a baciarlo, non appena lo riebbe tra le braccia. Strinse forte il sedere di Thomas, per portarselo più addosso. Il castanò ansimò, quando Newt gli morse forte il labbro tra i denti.
Thomas allungò le mani a slacciargli i pantaloni, lasciando che gli ultimi indumenti gli scivolassero lungo le gambe magre e venissero abbandonati a terra. Lo spinse sul letto, in modo rude, senza preoccuparsi di essere gentile.
Perché Newt era grande, ormai, non c’era più bisogno di essere gentili, di essere attenti. Anche Thomas si liberò degli ultimi vestiti e dio solo sa quanto godette alla vista di Newt, che cadeva in ginocchio davanti a lui e glielo prendeva in bocca, con gli occhi chiusi, facendoselo arrivare fin giù per la gola e indurendo le labbra quando si tirava indietro, arrivando poco prima della punta, ormai completamente scoperta e sensibile.
In quel momento, tra l’eccitazione che rischiava di annullargli i sensi e lo sforzo di rimanere dritto in piedi sulle proprie gambe, nella sua mente ci fu spazio per un pensiero improvviso e inaspettato: quella era, per certi versi, la prima volta di Newt insieme a lui. Non riusciva a capacitarsi di quanto questo lo facesse arrabbiare, in una maniera del tutto irrazionale. E forse avrebbe dovuto trattarlo con più dolcezza, in modo meno animale; forse avrebbero dovuto fare con più calma, guardandosi negli occhi. Forse avrebbe dovuto dirgli che lo amava.
Il fatto era che Thomas non aveva voglia di fare niente di tutto quello. Tutto ciò che desiderava in quel momento era prendere, prendere tutto quello che l’altro gli stava dando, con avidità, senza ringraziare, senza preoccuparsi.
Thomas non voleva ritardare di un altro minuto ancora quello che gli spettava ormai da troppi anni e che comunque, per certi versi, alla fine, non aveva ricevuto indietro.
Si odiò per aver pensato una cosa del genere in quel momento.
Passò una mano tra i riccioli del ragazzo e lo tirò per i capelli, per allontanarlo dalla propria erezione, sentendosi sull’orlo di venire, quando vide Newt sorridergli, mentre si rimetteva in piedi, con quelle labbra così gonfie e lucide che Thomas non potè far a meno di baciare, di leccare, mentre lo spingeva sul letto e lo costringeva ad allargare le gambe. Gli poggiò due dita sulle labbra, aspettando che Newt le prendesse in bocca. Il biondo non si lasciò preparare tanto a lungo, come avrebbe desiderato fare Thomas.
Thomas fu coltò alla sprovvista, quando Newt ribaltò le posizioni con un colpo di reni, mettendogli a cavalcioni e tenendolo disteso sul letto con i polsi, il volto poco distante dal suo. «Thomas…» il fiato caldo del biondo gli colpì le guance. Gemettero all’unisono quando il più piccolo si lasciò scivolare sull’erezione dell’altro, gettando la testa indietro per il piacere.  Thomas fece forza sui propri gomiti per potergli andare incontro.
Newt lo guardava dall’alto, con gli occhi lucidi per il piacere e la bocca socchiusa e al maggiore bastò quella visione per avvicinarsi al limite; stringendolo forte per la vita, ribaltò le posizioni, portando Newt sotto di sé. Lo sentì venirgli addosso, quando gli morse un capezzolo. Il biondo si rilassò, lasciando il proprio corpo in balia dell’altro, troppo stordito dal piacere di quel momento.
Newt decise di non pensare a nulla.
Né a quello che sarebbe successo, da quel momento in poi né a nessun’ altra cosa al mondo. In quel momento si sentiva in pace, felice, come se avesse trovato finalmente il suo posto. Ed era così; Newt si trovava esattamente dove sarebbe dovuto stare: tra le braccia del suo Tommy.






E finalmente eccoci qua!!! Non voglio dilungarmi a implorare pietà per il fatto che sto riaggiornando dopo mesi! Mi dispiace moltissimo, ma quest’ultimo anno di università è ricominciato e non mi sta dando un momento!!!

MA COMUNQUE!!! Chi si aspettava, una cosa del genere, dopo l’ultimo capitolo? :D
E vi dirò di più: qualcuno farà la sua (ri)entrata in scena tra non molto tempo!!!
Adesso come reagirà Minho? Ma soprattutto: i problemi tra Thomas e Newt sono finiti così? È davvero tutto sistemato?

Le risposte a tutto questo saranno nei prossimi capitoli!!! Non posso purtroppo dirvi quando, mi dispiace moltissimo, ma posso provare a promettervi di non andare oltre le tre settimane o al massimo un mese!!! Intanto, questo è il mio regalo di Natale per voi! Auguro a tutte quante un buon anno!

P.S.: venite a disagiare con noi sul gruppo italiano newtmas! :D
https://www.facebook.com/groups/395539100655997/
 

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