Tom e Ginevra (In revisione)

di Blue Heads
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 0 e -1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***
Capitolo 4: *** Capitolo III ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV ***
Capitolo 6: *** Intermezzo I ***
Capitolo 7: *** Capitolo V ***
Capitolo 8: *** Capitolo VI ***
Capitolo 9: *** Capitolo VII ***
Capitolo 10: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 11: *** Capitolo IX ***
Capitolo 12: *** Intermezzo II ***
Capitolo 13: *** Capitolo X ***
Capitolo 14: *** Capitolo XI ***
Capitolo 15: *** Capitolo XII ***
Capitolo 16: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 17: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 18: *** Capitolo XV ***
Capitolo 19: *** Capitolo XVI ***
Capitolo 20: *** Capitolo XVII ***
Capitolo 21: *** Capitolo XVIII ***
Capitolo 22: *** Capitolo XIX ***
Capitolo 23: *** Capitolo XX ***
Capitolo 24: *** Capitolo XXI ***



Capitolo 1
*** Capitolo 0 e -1 ***


IMPORTANTE:
Questa storia tiene conto degli avvenimenti della saga di Harry Potter solo fino al momento in cui, ne "La Camera dei Segreti", Ginny trova il diario di Riddle. Gli eventi degli anni successivi non sono mai avvenuti: Ginevra continua a scrivere nel diario fino al suo quinto anno di scuola, e solo allora aprirà la Camera. Nel prologo vengono narrati su due piani temporali gli avvenimenti di questi cinque anni. I capitoli successivi riprendono da dove il prologo si conclude.





 

Capitolo 0 e -1



Tom Orvoloson Riddle aveva dovuto attendere a lungo per poter attuare il suo piano: erano trascorsi undici anni prima che qualcuno trovasse il diario, e quasi altri cinque si erano resi necessari perché il legame tra le due anime diventasse sufficientemente profondo.
Il quinto anno ad Hogwarts… Curioso che anche lui avesse avuto proprio quell’età quando a sua volta aveva aperto la Camera dei Segreti. 
La sua vittima col tempo si era rivelata meno sciocca del previsto, rendendo l’attesa meno tediosa, ma ciò non influenzava minimamente le sue intenzioni, nè intaccava la sua determinazione: Ginevra Weasley non aveva scampo.
Certo, l’intelligenza della giovane superava le sue aspettative, e lo forzava a muoversi in fretta; ma ormai ogni cosa era predisposta. Dopo tanta attesa, il momento era giunto.

 



3 mesi e 19 giorni prima

8 Aprile 1997

Finalmente: il richiamo del suo padrone. Cinquantaquattro anni, quanto tempo era passato. Quanto tempo che non uccideva.
Una volontà incontrastabile lo trascinava fuori dal suo lungo sonno; srotolò le sue spire 
intorpidite e scivolò pesante verso la sua nuova Signora.

 

4 anni, 11 mesi e 0 giorni prima

 

Anno I, 27 Agosto 1992

Caro diario,
mi chiamo Ginevra, Ginny per tutti. Ho 11 anni e non vedo l’ora di andare a Hogwarts, manca così poco!

 

Ciao Ginevra. Io sono Tom.



 

3 mesi e 19 giorni prima

8 Aprile 1997

L’intera Casa di Grifondoro era riunita nella Sala Comune; i volti dei ragazzi, illuminati dalla luce tremula delle torce, tradivano stanchezza e tensione. Attorno al camino, un gruppo di studenti del quinto e del sesto anno discuteva concitatamente.
<< Che spreco di tempo, sarà il solito falso allarme. Pensare che adesso potrei starmene a letto! >>
<< Ron, sei il solito bambino! >> Lo rimproverò Hermione << Se ci hanno radunati qui a quest’ora, si tratta senz’altro di una faccenda estremamente grave >>
Ginevra intervenne a favore dell’amica: << Hermione ha ragione, dev’essere qualcosa di serio>> ... e non sono sicura di voler sapere di cosa si trattaaggiunse silenziosamente.
La conversazione fu interrotta dallo spalancarsi del ritratto: l’intera Sala ammutolì mentre la McGranitt faceva il suo ingresso.
<< Come alcuni di voi avranno senz’altro capito, non vi avremmo convocato nel cuore della notte se la questione non fosse della massima urgenza >> esordì la professoressa con l’espressione più cupa che i ragazzi le avessero mai visto in volto << Justin Finch-Fletchley, un vostro compagno Tassorosso, è stato trovato pietrificato nell’ala est del quinto piano, meno di un’ora fa. >>
Un forte brusìo percorse la sala, mentre i Grifondoro si lambiccavano in congetture. La notizia pareva aver colpito particolarmente gli studenti del sesto anno, gli unici a conoscerlo veramente: Harry, Seamus e Dean bisbigliavano agitati, mentre Lavanda taceva, guardando impotente Calì, che scuoteva il capo, negando a sé stessa la sorte del suo ragazzo. Ron e Hermione si scambiarono un’occhiata preoccupata, mentre la voce della McGranitt riportava la sala all’ordine: << Le nuove norme di sicurezza vi saranno comunicate domattina. Nel frattempo, vi consiglio vivamente di non allontanarvi dai vostri dormitori. Per nessuna ragione >>.

 

 

4 anni, 6 mesi e 16 giorni prima
 

Anno I, 11 Febbraio 1993

Caro Tom,
Per San Valentino quest’anno si possono mandare messaggi cantati. Vorrei tanto scrivere una poesia a Harry, ma non so proprio da dove cominciare! Cosa potrebbe piacere a un ragazzo? Aiutami tu, ti prego!

 

Hai fatto bene a chiedere a me, Ginevra, ti aiuto volentieri. Cosa ami di lui? Oltre ai suoi  famosi occhi verdi, s’intende.

 

Beh, quei lucenti capelli neri, che ti fanno venire voglia di accarezzarli, e poi… la sua storia straordinaria, il suo coraggio… insomma, ha sconfitto Tu-Sai-Chi per ben due volte!!

 

Lasciami pensare… non è semplice riuscire a trasmettere tutta la sua magnificenza e la profondità dei tuoi sentimenti in pochi versi, è una vera sfida…

 

« Occhi verdi e lucenti di rospo in salamoia,

capelli neri e lucidi come di corvo in volo,

vorrei che fosse mio, quale divina gioia!

L'eroe che ha sgominato del Mago Oscuro il dolo. »

 

Che ne pensi? Potrebbe essere all’altezza dell’ insuperabile Harry Potter?

 

3 mesi e 3 giorni prima

24 Aprile 1997

Lo sguardo di Luna sembrava vagare nel vuoto oltre la finestra, quando all’improvviso s’illuminò. << Ginny! >> Si voltò verso l’amica. 
<< Ti cercavo ieri mattina, però… non ti trovavo! Ma dov’eri finita? >> Gli occhi di Luna si sollevarono verso l’alto, seguendo i gorgosprizzi che volteggiavano sopra la testa della compagna. Ginevra si fece pensierosa, le sopracciglia aggrottate nel tentativo di ricordare…

                                                                                                                                                                                                                        Ieri mattina… dov’ero?

 


3 anni, 10 mesi e 15 giorni prima

Anno II, 12 Settembre 1993

Caro Tom,
Il nuovo anno è appena iniziato e sono già preoccupata. Grazie al caro professor Allock, adesso in Difesa contro le Arti Oscure non capisco niente (bello era bello, diciamocelo, ma…).
Lupin, il nuovo insegnante, sembra un tipo comprensivo, ma rischio comunque di prendere Troll! Seguire le nuove lezioni è impossibile.

 

Se vuoi potrei darti una mano io, Difesa era la mia materia preferita. Ti assicuro che non è difficile, se spiegata da un insegnante competente.

 


2 mesi e 23 giorni prima

4 Maggio 1997

Celata dalla notte e dal mantello, la giovane donna camminava invisibile attraverso i prati di Hogwarts, pallidamente illuminati da un’aspra falce di luna.
Una volta giunta in prossimità della capanna si arrestò e sfoderò la bacchetta, pronta a sterminare gli unici esseri in grado di ostacolare il servo di Salazar.

«I ragni fuggono davanti al Basilisco, perché è il loro nemico mortale e il Basilisco fugge solo quando ode il canto del gallo, che gli è fatale.»

 

2 anni, 11 mesi e 8 giorni prima

Estate II-III Anno, 19 Agosto 1994

 

Non li sopporto più! Idioti, trogloditi, BABBUINI!!! Quegli impiccioni! C’è sempre qualcuno che vuole sapere come sto, cosa faccio, cosa mi passa per la testa… Non fanno altro che intromettersi, come si può essere così invadenti?
Ah, nel caso te lo stessi chiedendo, sto parlando di quegli altri esseri nati dai miei stessi genitori… Che, parentesi, non sono da meno…
Ho bisogno di spazio! ARIA! Non ho mai un po’ di privacy in questa famiglia!

 

In questo caso, temo di non poterti capire: non ho mai conosciuto i miei genitori, né avuto fratelli.
Mia madre è morta dandomi alla luce, sono cresciuto in un orfanotrofio senza che alcun parente venisse mai a cercarmi.

 

Mi disp

Scusami, non

 

Avevo dei compagni, in orfanotrofio, ed erano anche loro invadenti, ma… in modo meno affettuoso.
Sia nelle loro presenze, che nelle loro assenze.



 

2 mesi e 22 giorni prima

5 Maggio 1997

Il sole era scomparso da tempo oltre le cime degli alberi e il cielo iniziava ormai ad imbrunire, quando Ginevra si riscosse e distolse lo sguardo dalla finestra. La biblioteca era deserta; giù nella Sala Grande, la cena doveva essere cominciata da un pezzo.
Sospirò, scostando i capelli dal volto stanco; la fine delle lezioni si avvicinava sempre più, e con essa i GUFO, ma lei non riusciva studiare. Trovare il tempo non era l’unico problema: quel giorno, approfittando dell’assenza di allenamenti di Quidditch, aveva trascorso l’intero pomeriggio sui libri, determinata a lavorare sodo fino a cena; ma aveva desistito dopo aver memorizzato a malapena sei pagine. Fisicamente non si era allontanata dai testi, ma la sua mente era altrove.
Troppe preoccupazioni affollavano i suoi pensieri, più concrete e più pressanti degli esami.
Gli attentati, cominciati un mese prima, non si erano fermati. Quel pazzo che si firmava come l’Erede di Salazar continuava a predicare la superiorità dei maghi purosangue sui nati babbani e i “sangue sporco”, dichiarando di aver aperto la leggendaria Camera dei Segreti e averne liberato il mostro, per epurare la scuola da coloro che Salazar avrebbe ritenuto indegni. Pazzo e visionario; ma le vittime erano reali. Finora non c’erano stati morti, ma ben quattro studenti erano stati pietrificati, mentre gli altri mezzosangue tremavano dal terrore.
Non sarebbe stato prudente aggirarsi sola per il castello deserto, ma lei veniva da una famiglia purosangue; non era per sé che si preoccupava, ma per i suoi amici, prima fra tutti Hermione. Quella ragazza era la dimostrazione vivente di quanto poco contasse il sangue: nata da genitori babbani, era la strega più dotata e promettente del suo anno, se non dell’intera scuola. Quanto doveva essere cieco il sedicente “Erede”!
Erede di cosa, poi? Sangue così antico da essere marcio e insulsi pregiudizi.
Se tutto ciò non fosse stato sufficiente a distrarla dai suoi doveri, altre preoccupazioni si sommavano alle prime, sotto la forma di inspiegabili quanto improvvisi vuoti di memoria. Non sapeva dire con esattezza quando fossero cominciati, ma erano passati più di due mesi da quando aveva iniziato a notarli: alle volte le capitava di ritrovarsi in angoli sperduti del castello senza sapere come ci fosse arrivata e notava, non senza una certa apprensione, di avere buchi di ore intere nelle quali non aveva idea di cosa avesse fatto. Quella stessa mattina si era ritrovata in Sala Grande a fare colazione, ma non ricordava di esserci andata, né di essere andata a dormire la sera prima. Cosa le stava succedendo? Forse era solo frutto dello stress, ma se non era già pazza, lo sarebbe diventata a breve.
Gettò libri e appunti in borsa, senza riguardo; come avrebbe potuto importarle degli esami, quando vite innocenti erano in pericolo e la sua sanità mentale era chiaramente compromessa?



 

2 anni, 8 mesi e 1 giorno prima

Anno III, 26 Dicembre 1995

 

All’indomani del fantomatico Ballo del Ceppo, l’intero Castello sembrerebbe dormire. A quanto pare sono la sola ad essere sveglia stamattina, sarà perché sono l’unica a non aver passato il dopo-serata a pomiciare…
Del resto, io sono andata al Ballo con Neville: per carità, quando si dimentica di doversi sentire in imbarazzo è anche simpatico, ma quasi neanche mi guardava in faccia per paura di darmi l’idea sbagliata! Come se non sapessi benissimo che mi ha invitato solo perché Hermione l’ha respinto… a proposito di Hermione: ieri sera era raggiante accanto a Krum -sai chi è, vero?- e ha lasciato mezza scuola a bocca aperta: nessuno –tranne la sottoscritta- sapeva che sarebbe andata al Ballo accompagnata da uno dei Tre Campioni. Per quel che riguarda gli altri due campioni, invece, Fleur Delacour era meravigliosa e altezzosa come sempre, accanto ad un Tassorosso dell’ultimo anno di cui non ricordo il nome - ma che ha un’aria da snob da fare concorrenza alla sua- mentre Cedric Diggory è venuto con Cho: quell’oca ha preferito piantare Harry e uscire col bel Campione di Hogwarts, piuttosto che col suo ragazzo… Quindi cos’ha pensato bene di fare Harry? Ma ovviamente è venuto da me a chiedermi di rimpiazzarla! Così, senza neanche pensare che anch’io potrei avere dei sentimenti, e che magari potrei non saltare dalla gioia all’idea di andare al ballo col ragazzo che mi piace da anni, al quale piace un’altra e mi ha invitato come ripiego di emergenza solo perché questa gli ha dato buca… Come ha potuto pensare che io avrei anche solo preso in considerazione una proposta del genere?!? MA DANNAZIONE, ho ancora un orgoglio, un po’ di amor proprio!!!
Alla fine l’idiota è andato al Ballo con Padma Patil, ma non l’ha degnata di uno sguardo: quel cretino ha passato l’intera serata a fissare Cho e Cedric che si divertivano.
Evidentemente, Hermione si sbaglia: non è solo Ron ad avere la sensibilità di un cucchiaino.



 

1 mese e 13 giorni prima

14 Giugno 1997

Ginevra sedeva sul davanzale freddo della guferia, quando la voce del fratello la strappò brutalmente dai suoi pensieri: << Ehm… Ciao? >>.
Ginevra alzò gli occhi al cielo, sbuffando.
<< Ron, dimmi quello che sei venuto a dirmi o sparisci. >>
<< Volevo solo chiederti come stavi… sai, sei mia sorella, me ne accorgo se qualcosa non va. E anche gli altri sono preoccupati: scompari di continuo, e quando ci sei, sei… strana >>.
<< Mai stata meglio. Aspetta, fammi pensare… in effetti quando non eri qui era meglio. >> Disse lei, guardandolo truce. << Non ti è mai capitato di voler essere lasciato solo a pensare? >>.
In un’altra situazione, le attenzioni di suo fratello sarebbero state quasi commoventi. In un’altra situazione, la sua espressione mortificata ed il rossore che gli tingeva le orecchie l’avrebbero fatta sentire in colpa. Ma in questa situazione, le sue parole assumevano un solo significato alle orecchie di Ginevra: qualcosa non andava, ed ormai era palese. I suoi timori sfocati acquisivano nuova concretezza, e dentro di lei alla paura si mescolava quell’ira che un momento prima era latente, ma ora divampava in lei, obnubilante.
Fu quell’odio immotivato a spingerla ad infierire, sprezzante. << Ah, giusto: tu non pensi >>.



 

2 anni, 7 mesi e 26 giorni prima
 

III Anno, 1 Gennaio 1995

Buongiorno Tom!
O forse sarebbe più corretto dire “buona notte”, vista l’ora.
Io e Hermione siamo appena tornate dalla festa di cui ti avevo parlato. Sono stanca morta, ma la serata è stata fantastica! Non credevo che le feste babbane potessero essere così divertenti. Ho ballato tutta la sera e mi sono divertita come un’idiota =) 
 

 

Mi astengo da ogni commento.

 

Sì sì, bravo. Comunque, ho scoperto un nuovo tipo di ballo, il tango: devo assolutamente impararlo!

 

Ribadisco…

 

A-ha, taci! Davvero stavolta! Coooomunque: è veramente strabiliante, mai vista una danza tanto coinvolgente! Ha un che di… potente, drammatico.



 

7 giorni prima

20 Luglio 1997

Chiamato, il Basilisco scivolò a terra, sollevando alti spruzzi d’acqua.
La sua Signora attendeva, gli occhi vitrei, spalancati sull’abisso. Con il capo chino, tese il braccio verso l’uscita in un gesto perentorio: << Servo di Salazar, vai e uccidi >>.

 

11 mesi e 19 giorni prima

Estate IV-V Anno, 8 Agosto 1996

Non ho capito esattamente come sia successo, ma stasera ho un appuntamento con Matt, il mio partner di tango… Mi ha colta di sorpresa, ma sul momento ho deciso di accettare.

 

Scelta discutibile…

 

Vero che tu sei un Serpeverde razzista.

 

Del resto, cos’altro potevo aspettarmi da una Grifondoro babbanofila?

 

Chiudi il becco, Serpe! Io intanto mi diverto.
Dovresti aprire i tuoi orizzonti, sai?



 

7 giorni prima

20 Luglio 1997

Daisy Brooke aprì distrattamente il rubinetto e si sciacquò il volto segnato dalle occhiaie, cercando di lavar via l’ansia, ma non ci fu verso: figlia di babbani, era dal primo attentato che non chiudeva occhio. Quella situazione assurda la trascinava sempre più verso la follia. Come avrebbe voluto che le sue preoccupazioni potessero scivolare via assieme all’acqua... ma non le era possibile liberarsene così facilmente: sentiva il pericolo incombere. Ogni istante di vita avrebbe potuto essere l’ultimo. E tutto questo solo per la sua origine, per qualcosa che non dipendeva affatto da lei. Si sentiva in trappola.
Con un sospiro, richiuse il rubinetto. Stava per andarsene, quando un rumore alle sue spalle le fece alzare lo sguardo sullo specchio.



 

9 mesi e 14 giorni prima

Anno V, 13 Ottobre 1996

Non ti credevo una tale illusa, Ginevra. Sinceramente, pensavo fossi più intelligente.
 

E da quando intelligenza e cinismo sono sinonimi, Tom?
 

Da quando cinismo significa saper riconoscere le priorità e vedere la differenza tra indispensabile e sacrificabile
 

... e considerare la propria integrità morale sacrificabile. Tu parli di riconoscere le priorità come se fossero dati di fatto,ma non esistono priorità oggettive: solo perché tu consideri un'opzione la migliore, questo non significa necessariamente che sia quella giusta.

 

E allora chi decide cosa sia giusto, Ginevra? Credi di poterlo fare tu?
 

Credo solo che esistano dei limiti. Il fine non giustifica i mezzi.



 

3 ore prima

27 Luglio 1997

Ginevra si riscosse. La luce della luna filtrava dalle finestre del corridoio del terzo piano. Ma lei cosa ci faceva lì? Perchè ci era andata? Ora che ci pensava… quando ci era andata? Non ricordava nulla dalla fine delle lezioni del pomeriggio.
Si sentì attanagliare da una profonda inquietudine; le stranezze stavano diventando troppe per essere considerate mere coincidenze: troppi vuoti di memoria, troppi avvenimenti inspiegabili, troppo frequenti. Sentiva di non potersi più fidare di sé stessa; aveva bisogno di capire cosa le stesse succedendo, schiarirsi le idee.
Entrò in un’aula vuota, si sedette ed estrasse il diario. Forse mettere tutto nero su bianco l’avrebbe aiutata; in fondo, da cinque anni a quella parte Tom era stato il suo amico più fidato, e nei momenti più difficili non le aveva mai fatto mancare il suo sostegno.
Ma nell’aprire il quaderno una strana sensazione di torpore si insinuò in lei. Ginevra si bloccò, con la penna a mezz’aria.

                                                                                                                                                                                                                                Cosa…?
In quel momento, ogni frammento andò al suo posto.

 

o,  cosa   mistai  facendo?

 


 

Era buio e umido. Il freddo la invadeva fino al midollo e il corpo intirizzito stentava a risponderle: i sensi si annebbiavano mentre le forze le venivano meno, come risucchiate. Cercò più volte di aprire gli occhi, finché non intravide una sagoma sfocata ed evanescente innanzi a lei. Faticava a mettere a fuoco, le orecchie le fischiavano e a malapena percepiva il legno della bacchetta che stringeva in mano. Una cosa, però, la sentiva chiaramente: la stava uccidendo. Con uno sforzo disperato, Ginevra sollevò il braccio, le dita che tremavano; le parole le salirono alle labbra più rapide del pensiero, mentre l’istinto di sopravvivenza si imponeva sulla ragione:
<< Avada Kedavra >>



 

Grazie per aver letto.
Se siete interessati, questo è il link con la playlist della colonna sonora di Tom e Ginevra.

https://www.youtube.com/playlist?list=PL6CMli1an-4xbapQAwmqsPGDYrxHDjpCA
Per ora include una sola traccia, ma aggiorneremo l'elenco nei momenti opportuni con il proseguire della storia. 

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Capitolo 2
*** Capitolo I ***



PARTE I:

Notturno
 



Capitolo I

 

Ogni dimensione era annullata in un’infinità di buio. Una voce incorporea la chiamava da lontano, risuonava nell’ombra; non avrebbe saputo dire da che direzione provenisse, né se la stessa idea di direzione conservasse alcun significato.
Voleva, doveva raggiungere quella voce, ma riecheggiava attorno a lei, la sua origine era molteplice,  mai originaria. L’oscurità non faceva presa sotto i suoi piedi: incespicava in un oceano di tenebra, mentre spazio e tempo si facevano beffe di lei; impossibile dire in che verso proseguisse, o se proseguisse affatto. Nulla cambiava attorno a lei, se non la voce stessa: esortava, confondeva, rideva. La scherniva, crudele:

Non ti credevo una tale illusa, Ginevra!

 

Ora il fuoco danzava davanti ai suoi occhi, proiettando lingue di luce sulle sue mani pallide. Mentre sedeva davanti al camino, rigirava la bacchetta nei bagliori rossastri, saggiandone le proprietà. Ad un gesto del polso, un serpente balenò fuori dalle fiamme. Scivolò ai suoi piedi, disegnando arabeschi con il corpo sinuoso.  
Nell’oscurità si coglievano solo guizzi luminosi di scaglie; mentre le due teste della serpe si perdevano in un mare di spire, tre teste ne emergevano. Cinque teste, nove. Comparivano e scomparivano tra luce ed ombra, celate e svelate dall’infinita matassa del corpo; e spostando lo sguardo sempre ne coglieva un’altra, ed era impossibile determinare se fosse lì da prima, o se la stesse vedendo per la prima volta.
Lo sguardo si perdeva in quell’intreccio di luci ed ombre. Rosso e verde, sangue e veleno.
Di colpo la maschera dei colori s’infranse, e Ginevra vide la realtà per quello che era: infinita oscurità, interrotta solo da bianchi bagliori tremolanti, che si dibattevano, prigionieri dell’ombra. Una danza caotica di luce e buio, nella quale la luce lottava per non svanire. Null’altro esisteva: lei stessa non era altro che una scintilla di bianco intrappolata in quella sostanza nera, densa ma impalpabile, che l’avvolgeva e comprimeva; lottava per non perdersi definitivamente in essa. 
Era luce morente.
Un peso sempre più intenso la vinse, facendola sprofondare nell’oscurità; precipitava, vortice rosso in un’infinità di buio verde.

 

Ginevra si svegliò. Inspirò a fondo, nel tentativo di calmarsi, ma una fitta atroce all’altezza del diaframma le mozzò il respiro; era squarciata dal dolore. Lo spasmo dei muscoli atrofizzati le avrebbe strappato un grido, ma la sua gola era riarsa, e riuscì a produrre solo un sibilo strozzato.
Il buio era confortevolmente rischiarato da una luce soffusa: sopra di lei, un liquido verdognolo e opalescente scorreva secondo leggi proprie, in un complesso sistema di ampolle e canali: un syrrografo. Era uno strumento utilissimo per il monitoraggio dei parametri vitali dei casi più delicati, e poteva fornire molte informazioni, ma solo se si era in grado di decodificarlo. Chiunque non fosse un Guaritore sapeva interpretare un solo segnale: in funzione o spento. Nel primo caso, per quanto grave, il paziente era in vita; se invece il liquido si arrestava e perdeva luminosità, il paziente era morto.
Ne deduco che… sono viva.
Tutto il resto rimaneva un mistero: come fosse arrivata in ospedale, da dove, cosa fosse accaduto… Il vuoto, non fosse stato per un gran mal di testa.
Ginevra si voltò leggermente, intravedendo una luce aranciata alla sua sinistra, ma si ritrasse, accecata. Una fiammella era sospesa accanto al suo letto e illuminava il profilo addormentato del fratello, George.
Un Guaritore si affacciò alla porta, studiò per un momento il syrrografo e poi, silenzioso come era comparso, si eclissò; tornò dopo un tempo indefinito e, questa volta, varcò la soglia. Al suo ingresso una luce omogenea si diffuse nell’aria, svegliando George, che, dopo un attimo di smarrimento, scattò in piedi, sorridendo da un orecchio all’altro: << GINNY! >>
Con sollievo di Ginevra e della sua testa, l’intervento del medimago pose fine alle urla euforiche del fratello. << Ben tornata fra noi! Le sue condizioni sono in rapido miglioramento, ma per ora deve stare a riposo totale. I suoi familiari saranno qui a momenti… >>
Quasi a voler confermare le sue parole, una trafelata signora Weasley irruppe nella camera e si fiondò al suo capezzale, scansando malamente il figlio.
<< Ginny cara! Finalmente sei sveglia! Tuo padre era fuori di sé per la preoccupazione! >>
<< Sì mamma, perché tu sei l’incarnazione della calma! >>
<< Oh, sta zitto Gred! Cioè, Forge.. oh, insomma! Naturalmente, noi tutti eravamo molto preoccupati… ma ora dimmi, cara, come stai? >>
<< … >> Ginevra strizzò le palpebre, cercando di formulare una frase coerente: << Cosa... è successo? >>
<< Oh, povera cara! Ma certo, tutti a farti domande, e nessuno che ti spiega nulla... ma il fatto è che nessuno ha una vera spiegazione al momento… quando Harry ti ha trovata in quei sotterranei… ma non è il momento adatto per parlarne! Ora sei qui e stai bene, e… >>
<< Sì, un fiore! Tre giorni in coma, praticamente morta, molto più di là che di qua… insomma, una meraviglia! >>
<< George! Ti sembra il caso… >>
Ginevra chiuse gli occhi, confusa da quel fiume di parole e infastidita dalla luce. Si sentiva pesante e indolenzita… esausta. Prima ancora di rendersene conto, era nuovamente piombata in un sonno profondo.


Dopo cinque giorni, Ginevra ancora giaceva in quello stupido letto. Fingeva di dormire. Da quando era uscita dal coma, dormire e fingere di farlo erano le sue principali occupazioni: subire le attenzioni dei suoi innumerevoli familiari - per non parlare delle loro chiacchiere sull’imminente matrimonio di Bill e Flebo - era l’ultimo dei suoi desideri. Si era svegliata poco prima, con immagini sfocate di un sogno impresse ai margini della coscienza; ma più si sforzava di trattenerne il ricordo, più queste sfuggivano, ritraendosi inesorabilmente. Ora, mentre ascoltava i discorsi sommessi di Ron e Harry, degli incubi della notte rimaneva solo un velo di inquietudine.
<< Allora, Harry… Cosa voleva da te Silente? >>
<< Mi ha chiesto di accompagnarlo sul posto dove… insomma, nella Camera dei Segreti. >>
Ginevra tese l’orecchio, con rinnovato interesse. Forse questo l’avrebbe aiutata a fare chiarezza… Aveva tentato spesso di richiamare i ricordi di quella notte, ma tutto ciò che riusciva a rievocare dalla nebbia erano freddo, spossatezza, una silhouette sfocata... e il diario. Il diario che le stava togliendo la vita. Tom che le stava togliendo la vita.
<< Credevo Silente volesse fare un semplice sopralluogo, ma… Il fatto è che sembrava stesse cercando qualcosa di preciso. >>
Possibile…?
<< Quel vecchio dà i brividi… cioè, è un mito, ma il modo in cui sa sempre tutto è inquietante. Sicuro ha in mente qualcosa >>
Non era una novità che Silente fosse pressoché onnisciente e che intuisse con successo tutto ciò che non sapeva con certezza, ma questa volta la sua arguzia non volgeva a favore di Ginevra: cosa aveva intuito Silente di quanto era avvenuto nella Camera? Ma prima ancora… cosa era avvenuto? Non solo quella notte, ma per mesi, anni… cos’era il diario, chi era realmente Tom? Queste e molte, troppe altre domande cozzavano e affondavano nella sua mente; nel suo animo imperversavano sentimenti troppo confusi per poterli discernere. E una questione più urgente: aveva capito di essere implicata nell’apertura della Camera dei Segreti - in qualche modo complice; qualora Silente avesse saputo del diario, quali sarebbero state per lei le conseguenze?
No, non può saperlo…
<< Qualunque cosa cercasse, comunque, non l’ha trovata. Non c’era assolutamente nulla… a parte la carcassa del Basilisco, che ha a malapena degnato di uno sguardo. In compenso è rimasto mezz’ora a fissare il vuoto della Camera e sfiorare le pareti borbottando parole incomprensibili. >>
Non hanno trovato il diario, né la mia bacchetta scomparsa… Qualunque cosa abbia fatto, Tom è riuscito a tornare.
<< Tipico! >> la voce di Ron era intrisa di ironia. Dopo un momento di silenzio proseguì, più esitante: << Ma chi sarà l’Erede di Serpeverde? >>
<< Non ho un’idea precisa, ma dev’essere Serpeverde e razzista, il che riduce il campo a… l’intera Casa >>
Harry tacque per un istante, riflettendo. Poi aggiunse: << Chiunque sia deve saper parlare il serpentese >>
Il peso di quella constatazione si impose gradualmente: il ragionamento pareva poter seguire una sola direzione…
<< Non credi che potrebbe essere… insomma, hai capito, lui ? >>
La stanza cristallizzò in un silenzio glaciale. Per un lungo istante, Ginevra trattenne il respiro.
Tom… Voldemort? L’eventualità le parve ridicola. Figuriamoci.
Ma effettivamente… cosa sapeva lei di Tom? Insomma… no. Credo di no…
<< Spero di no. >>


Oltre la finestra, il calore del sole estivo lambiva la Londra babbana e l’intensa luce del mezzogiorno inondava la stanza d’ospedale.
La quantità di persone stipate all’interno rendeva l’ambiente decisamente asfittico e Ginevra, per quanto sollevata per il suo imminente ritorno nel mondo esterno, era logorata dalla necessità di fingere un buon umore che non provava affatto. Circondata dai suoi familiari festanti, non si era mai sentita tanto lontana da loro.
<< Due settimane intere di ricovero! Hai stabilito un record! >> stava dicendo Fred.
<< Senza contare il tempo in cui era in coma. >> puntualizzò George.
<< Seriamente Ginny, sei uno schifo! >> sentenziò Ron scherzoso, dandosi l’aria di aver appena enunciato una verità cosmica; aveva un modo tutto suo di dimostrare il proprio affetto.
La signora Weasley lo fulminò con lo sguardo: << Insomma Ron! Ti sembra il modo di parlare a tua sorella? >> e, ignorando l’espressione divertita dei gemelli: << Povera cara, eri in condizioni davvero terribili. Siamo così contenti che tutto si sia risolto e che tu possa finalmente tornare a casa! Non è vero, Arthur? >>
<< Un vero sollievo, sì. E’ una fortuna che siano appena cominciate le vacanze estive: farla tornare subito a Hogwarts sarebbe stato improponibile >>.
<< La nostra degna sorellina… Cosa non si fa, pur di saltare gli esami! Fred, avremmo dovuto pensarci noi! >> intervenne George, sogghignando.
Ginevra ascoltava a tratti la conversazione, ma le parole, addossate una all’altra, non facevano che amplificare la confusione che aveva dentro; così, mentre sua madre, Harry e Hermione discutevano di come questi avrebbero trascorso l’estate, Ginevra era di nuovo imbrigliata nel groviglio dei suoi pensieri, trascinata nell’ennesimo circolo vizioso d’interrogativi e d’angoscia.
Pensieri e parole vennero di colpo messi a tacere quando la porta si aprì, rivelando la solenne figura di Albus Silente.
Il Preside si fermò sulla soglia, e dopo un cortese cenno di saluto esordì: << Non vorrei disturbarvi, ma gradirei scambiare due parole con la signorina Weasley, se è possibile >>.
La signora Weasley colse per prima il comando implicito nelle parole di Silente. << Ma certo… vi lasciamo soli >> e con un ultimo buffetto sulla guancia di un’infastidita Ginevra, Molly uscì dalla stanza, imitata dalla numerosa compagnia.
Il professore chiuse loro la porta alle spalle e si accomodò di fronte a Ginevra, su una comoda poltroncina di chintz evocata dal nulla. Appoggiata alla spalliera spigolosa, la giovane continuò ad osservarlo in silenzio, imperscrutabile, mentre Silente faceva altrettanto al di sopra degli occhiali a mezzaluna. I due si studiarono per un breve momento, poi lui sorrise, forse divertito dal curioso comportamento della più giovane dei Weasley.
<< Posso offrirti del sorbetto al limone? >>
Ginevra si rilassò leggermente. << No, grazie. Ci sarà fin troppo da mangiare, alla Tana >>
<< Capisco, ricordo i manicaretti di Molly… ma tornando a noi, credo tu conosca il motivo della mia visita >>
Ginevra annuì: << Penso di averlo intuito. >>
<< In tal caso, spero non ti dispiaccia raccontarmi quello che ricordi di quella notte. >>
<< Non è molto… e quel poco che riesco a richiamare è confuso, alle volte non so nemmeno se ciò che ricordo sia realmente accaduto o se io lo abbia solo sognato. >>
<< E’ comprensibile… atteso, a dirla tutta. Ma ti sarei estremamente grato se tu adesso ti lasciassi guidare e provassi a rivivere quanto accaduto. >>
A quelle parole, Ginevra annuì brevemente, dissimulando, per quanto le fosse possibile, il panico crescente. L’idea stessa di rivivere quei momenti era sufficientemente angosciante, ma in quel momento le si presentava un problema ancora maggiore: aveva previsto che il Preside la interrogasse a riguardo, ma aveva sperato di riuscire a ricostruire il quadro completo prima di quel momento; ora invece si ritrovava a dover celare una verità che neanche lei conosceva… e risultare convincente . Non poteva rivelargli ogni cosa, ma nemmeno sapeva cosa fosse meglio tacere. Senz’altro non era il caso di raccontargli del diario… ammesso che non ne fosse già a conoscenza; il modo in cui aveva ispezionato la Camera non faceva ben sperare.
<< Certo, lo farò. Ma prima, se posso, vorrei farle io una domanda: esattamente, come mi hanno trovata? So cos’è successo a grandi linee, ma vorrei conoscere i dettagli. Forse potrebbero aiutarmi a ricordare. >>
Silente sorrise cordialmente: << Temo che sentire la mia versione dei fatti potrebbe condizionare i tuoi ricordi, già incerti… non avrò problemi a rispondere alle tue domande, ma ogni cosa a suo tempo. Ora chiudi gli occhi e libera la mente da ogni altro pensiero. Concentrati, visualizza la scena come se la stessi vivendo ora; rievoca ogni dettaglio, anche il più marginale. >>
Ad occhi chiusi, il cervello di Ginevra lavorava celermente: il suo tentativo di prendere tempo era fallito miseramente, avrebbe dovuto improvvisare.
<< Non so come io ci sia arrivata, ma ricordo di essermi svegliata su un pavimento freddo, bagnato… Avevo un dolore pazzesco al centro della schiena, ed ero indolenzita, non riuscivo a muovermi. Era come se qual… qualcosa mi stesse risucchiando la vita. C’era poca luce… sì, delle torce riflesse nell’acqua. Aprendo gli occhi ho visto... una sagoma sfocata. Scura, in controluce… non so dire altro, la vista era annebbiata. Credo di essere svenuta subito dopo. >>
<< Quindi: prima di svenire hai intravisto una sagoma, eri in un luogo buio, freddo e bagnato, illuminato da torce; avvertivi un forte dolore alla schiena, faticavi a muoverti e ti sembrava ti venissero risucchiate le forze. Qual è il ricordo immediatamente precedente? Ricordi null’altro? Se avessi notato qualcosa di strano, o avessi fatto qualcosa di particolare? >>
Effettivamente, rifletté Ginevra, ricordava altro; e, almeno in parte, avrebbe anche potuto parlarne.
<< Sì… di nuovo, non so come ci fossi arrivata, ma quella notte ero in un corridoio buio, tranne che per la luna. Ero confusa, spaventata… >> Si fermò, esitante; non era certa che le convenisse proseguire il racconto.
<< Continua, qualsiasi dettaglio può essere fondamentale >>
E lei ricominciò a parlare, raccontando nuovamente  del risveglio nella Camera, vivendo un’altra volta quella stessa scena. Si concentrò, richiamando ogni singola percezione; la stoffa bagnata sulla pelle formicolante, la pietra fredda sotto di lei, il flusso di energie strappatole dal centro del petto, l’impossibilità di muoversi. Ginevra tacque, sopraffatta dal ricordo, tempestata da immagini, sensazioni ed emozioni. La silhouette sfocata che incombeva su di lei, Tom che incombeva su di lei, Tom che la uccideva... La necessità impellente di agire, muoversi, fermarlo… uno sforzo sovrumano… la bacchetta puntata, e due parole imperdonabili
Per una frazione di secondo rimase immobile, come paralizzata; poi tornò presente alla realtà, sotto lo sguardo attento di Silente. Lui inclinò il capo, interrogativo, invitandola tacitamente a parlare.
Ginevra respirò a fondo; poteva farcela. Forse… Placò il panico e proseguì.
<< Mi è tornata in mente una cosa. Era buio, buio pesto. Non c’era nient’altro, solo l’oscurità e una voce che mi chiamava… poi dal fuoco sono comparsi dei serpenti, e mi hanno soffocata. Credo sia solo un sogno, ma è  l’unica cosa che ricordo, prima di essermi svegliata in ospedale. >>
A Ginevra sembrava che le cose non dette fluttuassero nell’aria, sospese tra loro. Indossò la sua migliore faccia da poker, sperando di non avere un’espressione troppo colpevole, e attese.
Pochi istanti di tensione si estesero all’infinito, prima che Silente prendesse la parola.
<< Se non c’è altro, credo sia arrivato il momento di darti delle risposte. Due settimane fa, l’erede di Salazar ha lasciato un ultimo messaggio: “il suo scheletro giacerà per sempre nelle profondità della Camera dei Segreti”. Fortunatamente, si sbagliava: quella notte, la signorina Granger è venuta a cercarmi. Mi disse di averti trovata, viva ma gravemente ferita, nella Camera. Lei, tuo fratello Ronald e Harry avevano scoperto l’ingresso della Camera dei Segreti e sconfitto il mostro, un basilisco. Quando sono arrivati, non c’era traccia del tuo aggressore, né indizi su cosa fosse accaduto >>
Finora, Silente non le aveva dato più informazioni di quante già lei non ne avesse; difficile capire quanto lui sapesse.
<< Lei ha idea di chi possa essere? >>
<< E’ solo una mia ipotesi (anche se, per dirla tutta, le mie ipotesi tendono spesso a dimostrarsi corrette), ma presumo si tratti della stessa persona che l’aveva aperta più di cinquant’anni fa: Tom Riddle, allora studente di Hogwarts >>.
Il Preside si alzò dalla poltroncina << Ora, se vuoi scusarmi, devo proprio andare. Altri impegni mi attendono. In ogni caso ci vedremo presto a scuola: devi sostenere i GUFO prima che inizi l’anno. >>
Silente era ormai sulla porta, quando si fermò << Ah, dimenticavo: per caso hai notato la scomparsa di qualcosa… un oggetto al quale tenevi particolarmente, magari qualcosa che portavi sempre con te? >>
Per Ginevra non fu facile celare la propria reazione: la domanda l’aveva colta alla sprovvista, quando ormai si considerava fuori pericolo.
Calma… a tutto c’è rimedio
<< Sì, certo >> rispose con naturalezza, come se stesse ribadendo qualcosa di ovvio.
<< La mia bacchetta >>.

 
 

PROSSIME PUBBLICAZIONI:
Il prossimo capitolo verrà pubblicato domenica prossima, cioè il 2 Agosto. Grazie per aver letto!

Blue Heads

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Capitolo 3
*** Capitolo II ***


Capitolo II


Ginevra era pigiata tra i fratelli all’interno dell’auto rovente, mentre sorvolavano la campagna nei pressi del villaggio di Ottery St Catchpole. Per ragioni mediche, ancora non poteva viaggiare via Metropolvere né, tantomeno, via Materializzazione: il viaggio in auto era stato inevitabile.
Sotto il suo sguardo si susseguivano colline dalle tinte variegate, investite dal sole: l'ocra dell'erba riarsa si alternava al verde dei vigneti, all'oro pallido dei campi di grano, alla terra battuta delle strade sterrate. Ginevra scorse la casa dei Lovegood e, poco lontano, il profilo irregolare della Tana.
Era mancata da casa solo per pochi mesi, ma Ginevra si sentiva un’altra persona rispetto a quella che aveva lasciato la Tana dopo le vacanze natalizie; temeva di sentirsi a disagio tra quelle mura che le avevano sempre dato sicurezza, di sentirsi un’estranea nella sua stessa famiglia.
Mentre l’auto planava, uno gnomo sfrecciò accanto al finestrino di Ginevra. La ragazza si voltò nella direzione da cui proveniva; nel cortile, Bill e Charlie apparecchiavano la tavola per il pranzo e Hermione faceva levitare sopra di loro un ampio gazebo, mentre Harry era impegnato in una disperata lotta contro uno stuolo di gnomi da giardino.
<< Forza Harry! >> gridarono Fred e George all’unisono dal sedile accanto a Ginevra << Falli cozzare tra loro! Così, bel colpo! >>
L’auto atterrò bruscamente; Ron corse ad aiutare l’amico, e i gemelli si fiondarono ad assistere alla battaglia, invitando gli altri a fare scommesse. Fleur si affacciò alla porta per dare il benvenuto a Ginevra, seguita da una Molly chiaramente esausta. Ginevra, mal disposta dal dolore alla testa, sfoderò un sorriso forzato, per nulla entusiasta all’idea di dover trascorrere il pranzo in quel trambusto.
Presto tutti presero posto a tavola e arrivarono le prime portate, seguite da molte altre, condite da esasperanti chiacchiere e risate. Ginevra era stanca di fingersi allegra e alla prima occasione si eclissò, andando a rifugiarsi nella sua camera, al terzo piano.


Entrò nella stanza, lasciando cadere la borsa a terra, e nel chiudere la porta gioì stancamente dell’efficacia che ancora conservava l’incantesimo insonorizzante che aveva lanciato anni prima, visto che senza la sua bacchetta non avrebbe potuto provvedere personalmente.
La camera era esattamente come l’aveva lasciata: i poster delle Holyhead Harpies tappezzavano le pareti, il violoncello era appoggiato in un angolo e il disordine regnava sovrano.
Ginevra prese un mucchio di vestiti dal letto, li appoggiò sulla sedia e si lasciò cadere sul materasso.
Era stata a letto tutta la mattina - e tutti gli altri giorni trascorsi in ospedale - eppure era esausta. Non avrebbe saputo dire cosa fosse più debilitante: la convalescenza o il colloquio con Silente.
Gli aveva mentito: era stata la scelta giusta? Neanche lei sapeva perché lo avesse fatto; da un lato non se l’era sentita di esporsi prima di aver messo ordine nella propria mente, ma dall’altro… Ginevra rigettava d’istinto l’idea di parlare a chiunque del diario. Per anni era stato il suo migliore amico e il suo più grande segreto, un rifugio sicuro in cui era certa di trovare comprensione.

… prima che cercasse di uccidermi, s’intende.

Si rivoltò nel letto. Ecco una delle tante cose che non riusciva a spiegarsi: lui aveva cercato di ucciderla, quindi lei aveva cercato di ucciderlo; ma evidentemente lui non era morto, visto che bacchetta e diario erano spariti; ma se lui era vivo, com’era possibile che anche lei lo fosse?
Aveva tentato di ucciderla… Com’era potuto succedere? Si era fidata di lui, era suo amico... o perlomeno lo aveva sempre considerato tale, quando invece lui l’aveva usata come un burattino.
Ginevra colpì il cuscino, frustrata. Si alzò di scatto, ignorando il dolore allo sterno, attraversò la stanza e si appoggiò al davanzale della finestra, avvilita: fino a poche settimane prima, se si fosse sentita tanto confusa avrebbe scritto a Tom - non sempre lui era d’aiuto, ma lo stesso atto di scrivere le permetteva di mettere ordine tra le idee.
Animata da questo pensiero, Ginevra liberò con una manata la scrivania e vi dispose pergamena e inchiostro. Spostò i vestiti dalla sedia al letto, quindi sedette al tavolo, intinse la piuma e cominciò a scrivere:

 
  1. Tom è tornato in vita

  2. Mi ha usata e ha cercato di uccidermi

  3. La sua amicizia era tutta finzione

 

Ginevra si bloccò. Era stata davvero tutta finzione?
Sbarrò quanto scritto, e riprese. Ripercorse gli eventi degli ultimi cinque anni: tutte le volte che Tom l’aveva sopportata, incoraggiata, ascoltata. Le rare, preziose occasioni in cui lui si era aperto, raccontandole le sue esperienze a Hogwarts e nell’orfanotrofio babbano. I molti casi in cui non si erano trovati d’accordo e avevano discusso.
Possibile che non ci fosse niente di vero?
Perché non le aveva mai detto di poter tornare in vita? Se Tom si fosse fidato di lei come lei si fidava di lui, se l’avesse considerata un’amica, un’alleata, che ragione avrebbe avuto di tramare alle sue spalle?

Razza di idiota, se me lo avesse chiesto lo avrei anche aiutato!

Accartocciò rabbiosamente la pergamena e si allontanò dal tavolo. Prese a misurare la stanza a grandi passi, mentre fuori il sole calava.

Perché?

Avanti e indietro. Non poteva accettarlo.
Avanti e indietro. Non ne capiva il senso.
Neanche l’evidenza dei fatti poteva cancellare ciò che era stato, perchè quel passato aveva reso Ginevra la persona che era in quel momento, plasmando il suo presente: non avrebbe mai potuto rinnegarlo.
Eppure che Tom l’avesse ingannata era indiscutibile.
Gradualmente smise di camminare. Crollò sul letto, estenuata.


Perché...?
 

Avanzava nel buio della notte. I suoi passi risuonavano sulla pietra, mentre in lontananza si udiva l’agghiacciante grido di una civetta. Ginevra uscì dall’ombra, sotto le fronde scricchiolanti degli aceri. La fredda luce della luna dominava la valle, proiettando sul prato ombre spettrali di lapidi frastagliate. Ammantata di nero, Ginevra procedeva solenne tra i morti, portando tra le mani un giglio scarlatto. Il mormorio dell’erba accompagnava il suo passaggio, mentre incedeva verso una lapide solitaria. Si arrestò di fronte ad essa.
La stele si levava tenace, lineare e maestosa nonostante l’erosione del tempo. Ginevra posò il fiore sul granito, e, come il soffice petalo toccò la pietra, il colore e la freschezza lo abbandonarono; il giglio e la lapide divennero tutt’uno.
Ginevra arretrò d’un passo, osservando il fiore di cristallo nero, sotto al quale si stagliava austero un nome: Tom O. Riddle.

 

Ginevra si svegliò nel cuore della notte, pervasa dall’inquietudine. Rimase lì, distesa sulla schiena, lo sguardo perso nella semioscurità, la mente agitata da un tacito tumulto.
In quel momento la rabbia e la frustrazione provate durante il giorno, prima dirompenti, si erano sopite, lasciando spazio a una malinconia disincantata. Aveva oltrepassato un punto di non ritorno: con l’amicizia di Tom si lasciava alle spalle una parte di sè.
In quel silenzio opprimente le tensioni represse lottavano per emergere, reclamando uno sfogo.
Ginevra si alzò dal letto, dirigendosi verso il violoncello; lo estrasse lentamente dalla custodia e, per la prima volta dopo mesi, iniziò a suonare.
L’arco correva frenetico, strappando allo strumento voci straziate e sospiri dolenti; le troppe emozioni che ribollivano in lei si accalcavano, premevano per uscire, si libravano in note sofferte. Le sue passioni si riversavano in fiumi di note e lacrime, dando vita a una melodia appassionata, quasi grezza, ma dolorosamente autentica.
Il peso che la opprimeva  si tramutava gradualmente in suono: passaggi struggenti si alternavano a note aspre e dissonanti.
Mano a mano che il tempo scorreva la musica fluiva sempre più leggera, il ritmo rallentava, i suoni echeggiavano tenui, dissolvendosi nell’aria.
Infine, nella luce soffusa dell’aurora, Ginevra si ritrovò completamente vuota, sola in una totalità di silenzio.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo III ***


 


Capitolo III

 

Il cielo si tingeva di luce, mentre lo sguardo di Ginevra si perdeva nell’alba. Ombre di lacrime seccate le rigavano il volto; era rimasta lì, seduta accanto allo strumento, immersa nel silenzio. Ogni cosa dormiva, e questa quiete immobile suscitava in lei un principio di onnipotenza, un’inebriante sensazione di libertà e possibilità infinite.
Con la  mente finalmente sgombra, vedeva quanto accaduto da una nuova prospettiva:
conosceva il modo di pensare di Tom ed era logico credere che il suo scopo, la sua priorità assoluta, fosse tornare in vita e che, pur di ottenerlo, non si facesse alcuno scrupolo, neppure se questo implicava uccidere:
il fine giustifica i mezzi. Non capiva però come ucciderla potesse ridargli la vita; e, se era vero che la sua morte era il mezzo, non si spiegava come fosse possibile che, nonostante lei fosse viva, lui fosse rinato. Ma ormai non aveva importanza: non le era possibile sapere con certezza quali fossero state le motivazioni di Tom, e quali che fossero  non potevano cambiare - né, in alcun modo, giustificare - ciò che aveva fatto. Stabilire il confine tra finzione e realtà, definire se ci fosse mai stato qualcosa di autentico nella loro amicizia, era altrettanto impossibile; il meglio che Ginevra potesse fare era considerare la questione archiviata ed accettare la realtà dei fatti: la sua fiducia in lui era stata malriposta.
Un’unica domanda aveva ancora senso: come? Non si era mai chiesta come funzionasse il diario, dapprima per ingenuità, poi per abitudine; perché mai avrebbe dovuto preoccuparsene? Solo allora, per la prima volta, nasceva in lei la curiosità di comprendere cosa fosse realmente il diario, in che modo fosse stato possibile per Tom rinascere da quelle pagine, e per quale ragione questo comportasse il suo sacrificio.
Queste domande avevano una risposta e lei poteva doveva - trovarla. Avrebbe scoperto la verità, a qualsiasi costo; troppo a lungo era rimasta inattiva, crogiolandosi nei dubbi e nella delusione.
Era arrivato il momento di riemergere dall’apatia nella quale si stava rivoltando da mesi per riprendere il controllo della la sua vita.
Ce la posso fare, ce la devo fare…
Si alzò in piedi, stiracchiando le membra indolenzite.
Ce la faccio.
Il sole era ormai sorto oltre la cima delle colline, e Ginevra d’un tratto si rese conto di essere affamata. Dopo aver riposto il violoncello nella custodia frugò a fondo nell’armadio, estraendo una scatola di dolciumi da sotto il ripiano dei calzini; prelevò un grosso biscotto al cioccolato dalla sua scorta personale e, mentre si precipitava giù per le scale, se lo ficcò in bocca per riuscire a legarsi i capelli in un’arruffata coda di cavallo.
Ginevra superò con un balzo gli ultimi gradini e fece il suo ingresso in cucina, rischiando di investire Fleur, che, in piedi nell’ingresso, cercava invano di attirare l’attenzione di Molly sui suggerimenti del catalogo Un matrimonio d’Incanto”.
<< Atensione, Jinnì! >> la ammonì Fleur.
<< Muonworno! >> bofonchiò lei allegra, sotto lo sguardo di una perplessa quasi-cognata e di una divertita platea: Hermione e il signor Weasley avevano sospeso momentaneamente i loro discorsi per seguire la scena e Bill scuoteva la testa con fare fintamente rassegnato, mentre la signora Weasley, indaffarata ai fornelli, era troppo sollevata nel vedere la figlia finalmente tornata alla normalità per rimproverarla della sua sbadataggine.
Ginevra deglutì: << Buongiorno! >>
<< Buongiorno a te, cara! Ti preparo la solita colazione? >>
<< Doppia! Ho una fame da lupi. >>
Come per rimarcare il concetto, rubò un toast dal piatto del padre e sedette a tavola.
Hermione le sorrise, poi si rivolse di nuovo al signor Weasley.  
<< Cosa stavi dicendo, Arthur, sul professor Shacklebolt? >>
<< Ah, sì… Purtroppo Kingsley quest’anno non potrà continuare ad insegnare a Hogwarts; è pur sempre un Auror, e il Ministero gli ha affidato un incarico differente. Quel che è preoccupante è che Silente non è ancora riuscito a trovare un sostituto per la cattedra di Difesa. >>
<< Non mi stupisce… da che frequento Hogwarts nessun professore di Difesa è mai  durato più di un anno. >>
<< Esatto. Molti pensano che quella cattedra sia maledetta, per questo è così difficile trovare un insegnante: nessuno vuole rischiare di finire come Murphy o Tucker. >>
<< Tucker? >> si interessò Ginevra << Non l’ho mai sentito nominare! >>
<< Appunto. Insegnò ad Hogwarts pochi anni prima che tu iniziassi a frequentarla, ma… >> Arthur scrollò il capo con aria rassegnata. << Non è una bella storia da raccontare durante i pasti. >>
<< Ben detto >> intervenne Molly, poggiando un piatto carico di uova fritte e bacon di fronte a Ginevra e lanciando uno sguardo ammonitore al marito. << Non vorremmo che Ginny perdesse di nuovo l’appetito. >>
<< Grazie Mamma! Di quello proprio non ti devi preoccupare… >> commentò la diretta interessata, fiondandosi sulla colazione ancora calda.
Ginevra alzò distrattamente lo sguardo dal piatto quando Charlie le sedette accanto.
<< Ciao sorellina, vedo che hai appetito. Mi passi i toast, prima di finirli? >>
La signora Weasley si rivolse al nuovo arrivato: << Ron è in piedi? >>
<< Certo che no! Ma parliamo dello stesso Ronald? Ti risulta che in vacanza abbia mai dato segni di vita prima di mezzogiorno? >>
Ginevra ridacchiò, mentre passava a Charlie il cesto del pane.
<< Quel Ron è un gran dormilioné. >> sentenziò Fleur. << Ad ogni modò, sono davvero contonta che tu ti sia ripresa in tempo por il matrimonio, Jinnì; Bill sci teneva tonto ad averti como damijella… A proposito: Gabrielle e i miei jenitori arrivaranno in mattinota, cossì in pomerijo potremo far le prove por i vostri vestiti da scerimonia! >>
<< Proprio questo pomeriggio? >> si intromise Molly << Volevo portare Ginny a Diagon Alley, le serve una nuova bacchetta. >>
<< Ma moncano solo due jorni al matrimonio! >>
<< Non importa, non importa… >> Tagliò corto Molly. << Ginny, ci andrai domani a Diagon Alley; ma chiedi a qualcuno dei tuoi fratelli di accompagnarti, io non posso venire, avrò troppo da fare. >>
<< Posso anche andarci da sola, Mamma… so viaggiare con la Metropolvere, e non rischio di perdermi nel tratto di strada che separa il Paiolo Magico da Olivander! >>
<< Posso venire io con te a Diagon Alley. >> Si offrì Hermione << Volevo andarci in ogni caso: Grattastinchi ha rovinato l’unico mantello estivo che avevo… >>
<< D’accordo, volentieri. >> rispose Ginevra. << Parlando di vestiti… cosa ti metti per il matrimonio? >>
<< Ho preso un vestito rosso, leggero, con la gonna a ruota… se vieni su te lo faccio vedere! >>
Ginevra trangugiò in fretta ciò che restava della colazione, quindi le due ragazze si congedarono dai presenti e si dileguarono al piano superiore.

 

***

 

Ginevra e Hermione passeggiavano per Diagon Alley, gustandosi un enorme gelato alla crema. Hermione era entusiasta del suo nuovo acquisto: un mantello di seta oltremare che, col suo colore intenso, contrastava piacevolmente con l’incarnato pallido della giovane.
Dopo aver guardato un po’ di vetrine, si avviarono con calma verso la bottega di Olivander, prendendosi il tempo di finire i gelati. La vetrina aveva la stessa aria polverosa di cinque anni prima, ma Olivander era risaputamente il miglior artigiano di bacchette del Regno Unito, nonché uno dei più ambiti a livello internazionale, il che lo esentava dal dover curare l’immagine per attrarre clienti.
Il cigolio stridulo della porta annunciò puntualmente il loro ingresso. Ginevra si guardò attorno: alti scaffali impolverati si alzavano fino al soffitto, nella penombra appena rischiarata da fioche lampade ad olio. Dalla prima volta che vi era entrata, ogni cosa sembrava essere rimasta immutata, come se il tempo non osasse interferire con quel luogo. Ricordava ancora ciò che Olivander le aveva detto in quell’occasione, quando la sua prima bacchetta l’aveva scelta: << Lei nasconde una personalità più forte di quanto non dia a vedere, signorina Weasley. >> Il modo in cui lo aveva detto, come se capisse più cose su di lei di quante lei stessa non ne conoscesse, l’aveva inquietata e affascinata al tempo stesso.
Ad un tratto Ginevra notò la presenza del negoziante; nella semioscurità polverosa dell’ambiente, quell’uomo, tanto nodoso e vecchio da apparire immortale, si mimetizzava perfettamente. Olivander rimase immobile e silenzioso, osservandole, finché non incrociò lo sguardo di Ginevra: << Avete problemi con le vostre bacchette, signorine? >>
Hermione trasalì, colta di sorpresa, mentre Ginevra rispose senza esitazione: << Non ne ho più una, signore. Mi è stata rubata. >>
<< Legno di nocciolo, dodici pollici, flessibile, nucleo di corda di cuore di drago…. Vorrei davvero conoscere il mago che è stato in grado di rubarla! Bacchette estremamente emotive e imprevedibili, quelle di nocciolo; hanno la curiosa abitudine di…. come dire? Immagazzinare le emozioni dei proprietari, e possono manifestarle nelle maniere più distruttive. Ottimo! Venga, venga, cosa aspetta lì? Ce ne sono centinaia da provare: non è mai semplice che la bacchetta trovi il mago giusto. >>
Con queste parole, Olivander si arrampicò su di una scala e iniziò a scrutare attentamente i ripiani degli scaffali, estraendo una gran quantità di scatole.
Mentre selezionava le bacchette che gli sembravano più affini alla giovane, borbottava fra sè: << Nocciolo, nocciolo… ah, ecco: nocciolo e corda di cuore di drago, nove pollici… no, decisamente no, troppo corta. Così va meglio… tredici pollici, legno di rosa… può funzionare. O forse l’ebano… chissà…>>
Improvvisamente balzò giù dalla scala ed atterrò di fronte a Ginevra, mostrando un’agilità sorprendente.
<< Bene. Direi di iniziare da questa: tredici pollici, legno di nocciolo e nucleo in corda di cuore di drago, piacevolmente flessibile. Già conosce questo tipo di bacchetta. >>
Ginevra impugnò la bacchetta e tentò il primo incantesimo che le venne in mente. Non successe assolutamente nulla. Stava per riprovare, ma Olivander gliene aveva già messa in mano un’altra: << E’ evidente che questa non è più la sua bacchetta ideale, signorina. Provi quest’altra: legno di rosa e piuma di fenice, dodici pollici e mezzo, rigida. Si adatta a una donna dalla personalità forte ma che sappia essere dolce e gentile; una bacchetta con molta iniziativa e decisamente indipendente, estremamente potente se nelle mani giuste. >>
Ginevra mormorò << Lumos >> ma, piuttosto che illuminare pacificamente la stanza, la bacchetta diede fuoco a un cumulo di pergamene poco distante.
<< Decisamente no >> constatò tranquillo Olivander, spegnendo l’incendio con un cenno noncurante della bacchetta. << Forse allora… questa: legno di vite, proprio delle bacchette che prediligono maghi con un intuito fuori dal comune, che perseguono alti ideali e stupiscono spesso chi crede si saperla più lunga. Sono attratte da persone dotate di una profondità nascosta. >> Hermione, notò Ginevra, era raggiante, inorgoglita dai complimenti indiretti che aveva appena ricevuto, e rimirava con affetto la sua bacchetta.
Olivander proseguì: << Questa in particolare ha il nucleo in crine di unicorno: provenendo da un animale estremenetente puro, caratterizza le bacchette più difficili da convertire alle Arti Oscure. Questi due materiali, abbinati, producono bacchette estremamente difficili da vendere; tuttavia, quando trovano il loro mago, si ha la certezza di essere di fronte a una persona intelligente, intuitiva, animata da alti scopi e pressoché incorruttibile. Nell’ultimo decennio, ho venduto una sola bacchetta come questa… >> Hermione lo ascoltava interessata; la stima nei confronti del possessore di quella bacchetta e la curiosità di conoscerlo le si leggevano in volto << … e appartiene all’attuale Campione Tremaghi. >>
Cedric! pensò Ginevra domani sarà al matrimonio… scommetto che Hermione si fionderà a conoscerlo meglio!
<< Ma basta divagare. La provi. >>
Ginevra sollevò la bacchetta e la puntò contro ciò che rimaneva del cumulo di pergamene:<< Reparo >> 
Ma neanche questa bacchetta le ubbidì: dalla punta sgorgò un fiotto zampillante di vino.
Prima ancora che Ginevra potesse reagire, Olivander le aveva tolto la bacchetta di mano:
<< Evidentemente questa bacchetta non la ritiene alla sua altezza… Tenga questa: legno di ebano e corda di cuore di drago, dodici pollici, temibile in combattimento. Predilige un mago che resti saldo nelle proprie convinzioni e che non tema di essere sé stesso. >>
Evanesco, pensò Ginevra, puntando la bacchetta verso una mosca che la infastidiva da qualche minuto.
Il risultato non fu quello atteso: la mosca esplose, liberando un gas scuro e puzzolente.
<< Un ottimo incantesimo! Un po’ guerrafondaio… Ma dalla sua espressione posso supporre non fosse quello da lei tentato. In questo caso, cambiamo genere: noce nero e crine di unicorno, un magnifico esemplare morello, una razza rara. Il loro crine conferisce alle bacchette proprietà peculiari: prediligono un padrone solitario e introspettivo; nelle mani giuste ottiene ottimi risultati con gli incantesimi che richiedono acume mentale, come la legilimanzia e gli incantesimi non verbali. Le bacchette di noce nero sono difficili da portare: non rispondono a un mago che non sia completamente sincero, con sé stesso e con gli altri. >>  
Ginevra raccolse la bacchetta con una certa titubanza. Non ebbe il tempo di pensare a un incantesimo, che il legno le ustionò le dita. La lasciò andare di scatto.
<< Reazione curiosa, non l’aveva mai fatto. >> Olivander non sembrava né turbato, né demotivato dalla serie di insuccessi; tutt’al più affascinato, infervorato: la sua competenza era stata messa alla prova da una nuova sfida.  
<< Proviamo con qualcosa di completamente diverso… Perché no? Legno di tasso, nucleo di corda di cuore di drago, dodici pollici, rigida; una bacchetta molto potente, ma per niente comune: pochi sono adatti a una bacchetta di tasso; di solito si associano a maghi fuori dal comune, dotati di personalità spiccata e volitiva. Alcuni credono che chi possiede una bacchetta di tasso sia portato per le Arti Oscure, ma non è necessariamente così; ne ho vendute tante a maghi poi diventati temuti e pericolosi, quante a maghi votati al bene, tra cui diversi Auror. Queste bacchette sono molto protettive e fedeli nei confronti del loro padrone, anche dopo la morte: se seppellite insieme al mago, spesso germogliano e ne proteggono la tomba. Una volta mi è capitato di dover spezzare una di queste bacchette; il proprietario era morto, non ne rimaneva neanche il corpo, eppure la bacchetta rifiutava di abbandonare il luogo, come se sentisse che lì rimaneva qualcosa del suo padrone e fosse suo dovere restare lì a proteggerlo. Davvero curioso! >> mentre parlava, Olivander aveva estratto dallo scaffale una bacchetta affusolata, di legno scuro, e ora la porgeva a Ginevra.
Engorgio, pensò lei, e il metro a nastro al quale aveva puntato iniziò a gonfiarsi lentamente, arrestandosi poco dopo. Nessun disastro, questa volta, ma Ginevra non era soddisfatta.
<< Si può fare di meglio. >> commentò, poco entusiasta.
<< Nessuno può saperlo meglio di lei… Interessante, comunque, che abbia affinità proprio con questa bacchetta, signorina Weasley: siamo sulla strada giusta. Sarei tentato di proporle una bacchetta molto... particolare. Deve sapere che esistono svariati materiali che possono costituire il nucleo di una bacchetta, ma pochi danno risultati degni del nome degli Olivander. Tra questi, i tre meno ostici da reperire, nonché quelli che hanno più possibilità di trovare un compagno, sono, appunto, gli stessi che le ho fatto provare. Si possono ottenere ottime bacchette anche col crine di Thestral, ma si tratta di creature rare e difficili da individuare: ne esiste un unico branco allevato al mondo. Fortunatamente, ad allevarli è proprio una mia vecchia conoscenza; così ho deciso di realizzare alcuni modelli con questo crine. Ma i maghi affini a questo tipo di bacchetta sono estremamente rari: finora ne ho venduti solo due esemplari. >>
Olivander, che parlando era scomparso nel retrobottega, ne riemergeva ora reggendo una scatola nera, bassa ma ampia, che poggiò sul bancone. << Il crine di Thestral rende le bacchette potenti ma imprevedibili, affidabili solo se ritengono che il proprietario meriti il loro rispetto. I Thestral sono animali criptici, che hanno molto più a che fare coi morti che coi vivi. Come saprete, solo chi ha visto la morte è in grado di vederli; queste bacchette sono altrettanto misteriose. Mi chiedo se… >>.
Olivander aprì la custodia, rivelando una serie di lucide bacchette, di ogni dimensione e materiale. Prese la seconda da sinistra e la porse a Ginevra: semplice e lineare, affusolata, lunga almeno 13 pollici, di un legno nero e lucido che lei riconobbe come tasso.
Al tatto la bacchetta risultava piacevolmente flessibile; la mosse con sicurezza, concentrandosi su un portacandele vuoto appoggiato sul tavolo. Il metallo dell’oggetto parve animarsi, fondendosi e plasmandosi secondo i suoi gesti e la sua volontà. Cambiò forma, diventando un lucido e teso agglomerato argenteo.
Ginevra distolse l’attenzione dall’oggetto e tornò a guardare Olivander, lo sguardo illuminato dalla soddisfazione. << La prendo. >>
<< Non avevo dubbi. >> rispose Olivander, osservandola sibillino << Ricorda cosa le dissi cinque anni fa? >> Ginevra annuì, incerta su dove il fabbricante volesse andare a parare. << Ebbene, mi chiedo cosa lei stia celando ora… >>
 

***

 

All’ombra di un immenso graticcio avvolto da rose rampicanti, decine di maghi e streghe in abito da cerimonia sedevano in attesa. Improvvisamente, l’ingresso venne inondato da una forte luce dorata: una gran quantità di fluttuanti luci oro e argento si diffuse tutt’attorno e la musica ebbe inizio, mentre le damigelle e la sposa avanzavano lungo il corridoio centrale, a malapena distinguibili in quel tripudio di luci.
Ginevra incedeva lentamente verso Bill, sforzandosi di procedere a ritmo con la musica e guardare dritto davanti a sé. Era forte la tentazione di lasciarsi distrarre dalle minuscole, fulgide fatine che spiccavano il volo dal bouquet argentato che reggeva tra le braccia, e inseguirle con lo sguardo mentre le svolazzavano attorno. Questa era la parte più divertente dell’essere damigella: non aveva apprezzato particolarmente farsi vestire, acconciare e truccare come una bambolina dorata, anche se Hermione aveva fatto un ottimo lavoro con lei: la sua chioma rosso fuoco, intrecciata con gelsomini e fili dorati, ricordava le capigliature degli elfi silvani, e ben si accostava all’abito oro pallido, di una stoffa sottile e luminosa che aderiva al busto, avvolgendolo in mille pieghe, per poi ricadere morbida sui fianchi e svolazzare giocosa attorno alle sue ginocchia. Veli impalpabili ondeggiavano morbidi attorno alle braccia delle damigelle, lasciando nude le spalle eburnee. Un paio di sandali sottili scoprivano e slanciavano i piedi, avvolgendosi come rampicanti alle sue gambe. Il trucco leggero allungava gli occhi, ombreggiando le palpebre delle sfumature dell’oro e del bronzo, donando ai suoi tratti ordinari un tipo di eleganza selvatica.
Grazie al paziente lavoro di Hermione, Ginevra sfigurava un po’ meno del solito accanto alla bellezza delle sorelle Delacour: nonostante i lineamenti fanciulleschi, Gabrielle era della stessa bellezza angelica e irreale della maggiore, che quel giorno, sfolgorante nel suo lungo abito bianco, era al di là di ogni canone umano.
Giunta alla fine del corridoio, Ginevra sorrise nel vedere il fratello che, radioso, guardava la sua futura moglie andargli incontro. Le damigelle si fecero da parte, mentre un elegante funzionario del Ministero venne avanti, dando inizio al rito. Mentre l’uomo parlava, Ginevra notò con simpatia lo sguardo sognante ed estatico con cui Gabrielle assisteva alla scena; la ragazzina si voltò verso di lei e le due si scambiarono un sorriso complice, per poi tornare ad osservare la cerimonia quando il rito giungeva al culmine.
<< Vuoi tu, William Arthur Weasley, prendere Fleur Isabelle Delacour come tua legittima sposa? >>
Ginevra sentiva i singhiozzi a stento soffocati della madre, seduta in prima fila, proprio alle sue spalle.
<< Sì, lo voglio >> disse Bill; la sua voce suonava risoluta, ma il volto tradiva l’emozione.
<< E vuoi tu, Fleur Isabelle Delacour, prendere William Arthur Weasley come tuo legittimo sposo?>>
<< Oui, lo volio! >>
<< Dunque io vi dichiaro uniti per sempre. >>
Con queste parole, il funzionario levò la bacchetta sopra le loro teste e una cascata di stelle argentate avvolse gli sposi, a suggellare la loro unione.
Bill e Fleur si abbracciarono, mentre alle loro spalle si levavano gli applausi fragorosi degli invitati.
La folla si allontanò lentamente dal porticato, permettendo ai camerieri di liberare dalle sedie quella che sarebbe diventata la pista da ballo; nel giardino tutt’intorno erano disseminate decine di tavoli per il banchetto. Era una limpida giornata di sole sulle colline pittoresche del Devon, e in lontananza si poteva scorgere il mare.
Ginevra e Gabrielle si fiondarono dai rispettivi fratelli, prima che questi venissero sommersi dai numerosi parenti e amici desiderosi di congratularsi.
<< Buona fortuna Fleur, ne avrai bisogno! >> le disse Ginevra con un occhiolino. La cognata rise, raggiante, mentre il neo-sposo sfoderò la migliore espressione fintamente oltraggiata del suo repertorio. << Ma come?!? E’ così che omaggi il tuo fratello preferito? >>
Ginevra lo abbracciò e baciò su una guancia, sogghignando: << Auguri anche a te fratellone! Lo sai, sarai sempre tra i miei sei fratelli preferiti! >>.
Ginevra si scostò dagli sposi, che furono immediatamente raggiunti da altri invitati. Improvvisamente qualcuno le afferrò i fianchi da dietro; Ginevra stava per divincolarsi, infastidita, quando una voce familiare le sussurrò a un orecchio: << Ferma così! Non ti muovere… mi sto nascondendo! >>
Ginevra sorrise, divertita; Luna non sarebbe mai cambiata.
<< E da chi? >>
<< Lo vedi l’individuo che si avvicina a Fleur? >>
<< Ti stai nascondendo… dal signor Diggory? >>
<< Certo! Non lo sai che è un vampiro? e lo sanno tutti che i vampiri prediligono vittime che portano azalee gialle come orecchini! L’aroma del fiore esalta il sapore del sangue >>
<< Uhm, effettivamente questa mi mancava… ma allora come mai indossi quegli orecchini? >>
<< Come omaggio agli sposi! Allontanano gli Spinostrocchi Volanti, che si divertono a gettare discordia nelle famiglie. E comunque non pensavo che avreste invitato un vampiro! >> Il tono di Luna era di chiaro rimprovero, ma a Ginevra non fu dato il tempo di inventare una risposta adeguata, perché il signor Lovegood sbucò accanto a loro, sgargiante nel suo completo giallo canarino.
<< Ah, Luna, eccoti finalmente! Devo presentarti il mago che aveva scritto quella relazione sui Ricciocorni Schiattosi. E’ qui assieme alla moglie, potresti esporgli le tue teorie a riguardo! >> disse, entusiasta; in fretta come era arrivata, Luna scomparve tra la folla, correndo dietro al padre. 
Ginevra scosse la testa, bonaria: quella ragazza sosteneva con fervore le teorie più improbabili, era eccentrica oltre ogni dire e schietta al di là di ogni buonsenso, ma era dotata di un intuito insospettabile. Viveva nel suo castello di nuvole, che trovava evidentemente più affascinante del mondo reale; sulle prime a Ginevra era sembrata fragile e ingenua, e si era incaricata di difenderla: aveva fatto di tutto per costringere i suoi compagni a smettere di prendersi gioco di lei, ma conoscendola meglio aveva scoperto che Luna era molto più in gamba e più forte di quanto desse a vedere.
Ginevra si guardò attorno: i Diggory erano riusciti a congratularsi con gli sposi e ora Fleur si stava rivolgendo a Cedric: << Mi fa piascere che siate potuti venire! Ho invitoto anche l’oltro Campione…>> Ginevra cercò Krum con lo sguardo e lo trovò poco distante, intento a parlare con Hermione. Evidentemente lo aveva individuato anche Fleur, perché prese a sbracciarsi nella sua direzione, chiamandolo.
<< Victor! Vieni, sc’è Cedrìc! >>
Krum era restio ad andare, probabilmente poco entusiasta all’idea di interrompere la conversazione con Hermione, ma, con sua sorpresa, questa lo precedette, avviandosi per prima. Anche Ginevra si avvicinò; non aveva nessuna intenzione di perdersi la scena.
<< Congratulazioni! Incredibile ma vero, sei ancora più bella del solito! >> esclamò Hermione, rivolgendosi a Fleur.
<< Grazie Hermioné! Stai benissimo anche tu >> rispose lei, sorridente.
Ma la ragazza si era già voltata verso Cedric e non le stava più prestando attenzione; a Ginevra non sfuggì il lampo di soddisfazione che le balenò in volto mentre gli si rivolgeva.  
Come volevasi dimostrare, pensò, trattenendo una risata. Evidentemente, Hermione aveva trovato un degno interlocutore… anche se Krum non pareva apprezzare, e tentava goffamente di riconquistare la sua attenzione.
<< Hermioni? Andiamo noi a prendere posto? >>


Ginevra sedeva ad uno dei tanti tavoli, osservando divertita il quadretto che le si parava davanti: Hermione parlava animatamente con Cedric, seduto accanto a lei, mentre Krum, dall’altro lato, li guardava torvo. Harry arrivò in quel momento, assieme a Ron; sedettero accanto al Cercatore e, ignari del suo cattivo umore, cercarono di coinvolgerlo in una discussione sul Quidditch. A quel punto Ginevra, soddisfatta della piega che gli eventi stavano prendendo, stabilì di potersi dedicare ad altro e si voltò verso Fred e George, seduti alla sua destra.
<< Ci sono invenzioni interessanti in cantiere? >>
<< Era ora che ce lo chiedessi! >> esclamò Fred << Naturalmente sì >> gli fece eco George, prima di lanciarsi in un’appassionata descrizione della loro ultima trovata.
<< Non sarebbe bello se i professori, appena arrivati in classe, ricordassero improvvisamente di aver dimenticato di fare qualcosa di fondamentale e se ne andassero, scomparendo per una buona mezz’ora, che ogni studente potrebbe occupare in attività ben più fruttuose e interessanti della barbosa lezione in programma? >>
<< Sì, ma non fatevi sentire da Hermione... >> commentò Ginevra, facendo loro cenno di abbassare la voce.  
I gemelli scoccarono un’occhiata preoccupata all’amica, poi proseguirono, in tono più basso e cospiratorio.
<< Ebbene, presto sarà possibile! Abbiamo trovato la soluzione: il Cuscino Smemorino! Appoggialo sulla sedia prima dell’arrivo del professore, e, non appena sedrà, l’effetto sarà immediato! >> George abbandonò il sorriso ammiccante da slogan pubblicitario e aggiunse, con evidente orgoglio: << E’ ancora in fase di perfezionamento, ma è quasi pronto. E i cuscini sono in tutto e per tutto uguali a quelli della scuola! >>
<< Inoltre, è riutilizzabile! >> incalzò Fred << Può essere usato quante volte si vuole… anche se per ora l’effetto tende a svanire dopo tre o quattro utilizzi, per cui alla fine chi si siede diventa solo momentaneamente confuso, come se gli sembrasse di star dimenticando qualcosa, ma non riuscisse a ricordare di cosa si tratti… >>
<< E’ perfidamente diabolico. >> disse lei, con tono indignato, per proseguire sogghignando di fronte alle loro espressioni perplesse << Fatemi sapere quando è pronto! >>
I gemelli si scambiarono un’occhiata soddisfatta << Questa è la nostra sorellina! Ti terremo aggiornata… ma non hai ancora sentito la parte migliore! >> I gemelli abbassarono ulteriormente la voce, fino a costringere Ginevra a leggere il labiale.
<< Il Cuscino Smemorino non è niente in confronto ai Sogni Strabilianti! Ti permettono di decidere cosa sognare, scegliendo tra una vasta gamma di sogni differenti. Ce ne sono per tutti i gusti: avventure spericolate, viaggi esotici, serate romantiche e molto altro; basta disciogliere la polvere corrispondente in una bevanda, e il sogno è garantito! E non è tutto: si possono anche personalizzare i sogni, mischiando più bustine di qualità diverse: vuoi vivere un’avventura mozzafiato condita da un po’ di romanticismo? Versi tre quarti di “avventura” e uno di “storia d’amore”, e il gioco è fatto! >>
Ginevra era sbalordita. << E’ assolutamente geniale... >>
<< Si beh, geniali lo siamo, ma su quest’ultima invenzione ci sarà ancora parecchio da lavorare… dubitiamo di riuscire a metterla in commercio prima di un anno. >>
Charlie sopraggiuinse in quel momento accompagnato da un ragazzo sulla ventina, che era palesemente imparentato con Fleur.
<< Ciao bella gente! Questi posti sono liberi, vero? >>
<< Prego! >> risposero in coro Fred e George.
I nuovi arrivati occuparono gli ultimi posti disponibili, tra Ginevra e Cedric.
<< Piasciere, io sono Alain, il cuscino di Fleur... >> esordì il giovane; ma si bloccò di colpo, vedendo le facce attonite dei commensali.
<< Ehm, vorrai dire il cugino, immagino… >> suggerì Ginevra, cercando di darsi un contegno e trattenere le risate.
<< Naturalmonte, il cuscino!>>
A quel punto Ginevra non riuscì più a contenersi; scoppiò a ridere, insieme al resto della tavolata. Alain rimase per un attimo in silenzio, poi, compreso l’equivoco, si unì alle risate, per niente imbarazzato.
Ginevra tese la mano ad Alain: << Piacere mio! Io sono Ginevra, la sorella di Bill. >>
<< Nostra sorella mente: si chiama Ginny! Comunque, io sono Fred, piacere. >>
I ragazzi completarono le presentazioni e, dopo un brindisi agli sposi, ebbe inizio il banchetto.
Se nel giro di mezz’ora Ginevra era sazia, nel giro di un paio d’ore rischiava di rotolare giù dalla sedia, e non avrebbe saputo dire se la colpa fosse del troppo cibo o delle risate: seduta tra i gemelli ed Alain non aveva mai rischiato di annoiarsi. 
Poi la musica iniziò, e gli sposi aprirono le danze. Ballarono il loro primo liscio da sposati al centro della pista vuota, sotto i tralicci coperti di fiori; l’ampia gonna di Fleur si gonfiava spumosa ad ogni giravolta.
Presto altre coppie si unirono a loro, e la pista si riempì di ballerini volteggianti.
<< Voulez vous danser, Mademoiselle? >> le chiese Alain, scherzoso, accennando un inchino.
<< Volentieri! >> rispose Ginevra; stava per prendere la mano tesa del ragazzo quando George balzò in piedi, passando un braccio attorno alle spalle della sorellina.
<< Scusa amico, ma i fratelli hanno la precedenza! >>
<< Ma Ovviamente Ginny vorrà ballare con me >> si intromise Fred << Sono io il più bello tra noi due, lo sanno tutti! >> Ginevra li guardò e rise: erano uguali fino all’ultima lentiggine.
<< Mmh... non saprei: siete troppo diversi per poter decidere quale dei due è più bello. Significa che ballerò con entrambi! >> annunciò Ginevra risoluta, prendendo i gemelli sottobraccio e trascinandoli in pista. Si scatenarono sulla ritmata musica retrò che aveva sostituito i lenti iniziali; Ginevra si divertiva, saltando a ritmo in uno strano girotondo a tre, ma quell’attività la stava stancando troppo in fretta.
Quando l’orchestra tornò a suonare il lento, Ginevra tirò finalmente il fiato, esausta, mentre i gemelli si avviavano a bordo pista, imprecando contro la musica da sala. Galantemente, Bill le offrì il braccio per sostenerla, e Ginevra fu grata di lasciarsi guidare su quelle note cullanti.
Dondolavano tranquilli in mezzo alla folla multicolore, godendosi quel momento di intimità, e Ginevra inevitabilmente si chiese quando le sarebbe capitato di nuovo di avere tutto per sé il suo fratello preferito. Lo guardò dal basso, con una smorfia triste; il silenzio in risposta la indusse a parlare.
<< Sei cresciuto, fratellone >>
<< Non farai mica come la mamma spero? Prima mi ha infradiciato la camicia… >> la canzonò lui, il tono tra lo scherzoso e il malinconico.
<< Sul serio! Quando mi facevi da baby-sitter i capelli ti arrivavano a malapena alle spalle: ora sono più lunghi dei miei! E poi, all’epoca indossavi solo abiti babbani neri e portavi il piercing. >>
<< Ah, di questo non ti devi preoccupare: piercing e t-shirt rock torneranno al loro posto molto presto. Diciamo nel giro di qualche ora: giusto il tempo della cerimonia. Mamma mi ha tolto il piercing con la forza! >> Concluse melodrammatico, con una smorfia da bambino contrariato.
Lei rise, scuotendo la testa: << Ritratto: non sei cresciuto per niente! E’ tutta una finta la tua, avrai sempre cinque anni! >>
<< Sicuramente. >> ribattè prontamente Bill, sorridendole da sopra la spalla.
Ballarono in silenzio fino alla fine del brano, poi Bill sciolse l’abbraccio e Ginevra, stanca ed assetata, si allontanò dalla pista, avviandosi verso un tavolino riparato. Accettò il drink offertole da un cameriere di passaggio e sedette all’ombra di un ampio cespuglio.
Un’eco del mal di testa che in quei giorni l’aveva tormentata tornava di tanto in tanto; nella confusione delle danze le tempie avevano ripreso a pulsare fastidiosamente, ma il fresco e la quiete le portarono immediato sollievo. Nascosta dai rami poteva osservare da lontano i ballerini, ma i rumori della festa le giungevano attenuati.
Sorseggiava distrattamente la sua bevanda, quando un sussurro alle sue spalle, a malapena udibile, catturò la sua attenzione; non distingueva le parole esatte, ma il tono era palesemente preoccupato. Dall’altro lato dell’arbusto intravide due sagome; una apparteneva a un uomo, mentre l’altra, più minuta, alla donna che stava parlando. Ginevra tese l’orecchio, tentando di cogliere il senso della conversazione.
<< … di quel babbano. Unisci questi fatti al discorso di Silente… è preoccupante, Remus, non puoi negarlo! >>
<< E non ho intenzione di farlo, Dora. >> Ginevra riconobbe il timbro di Lupin. << Ma siamo a un matrimonio: non è il luogo né il momento per questi discorsi. Ora pensiamo a festeggiare: il futuro si prospetta tetro… ma a maggior ragione adesso dovremmo goderci la pace, finché dura. Sarà importante ricordare che si può essere felici. Alle volte, la speranza è tutto ciò che resta. >>
L’ultima frase tremò per un attimo nel silenzio, amara; poi la donna rispose, apparentemente disinvolta, una nota di malizia nella voce: << In tal caso, non potrai rifiutarmi un ballo >>.
<< Temo proprio di no, questa volta mi hai incastrato >> capitolò Lupin, con blanda tenerezza.
Ginevra quasi non udì le loro ultime parole; nemmeno li vide mentre si incamminavano verso la pista, mano nella mano. Rimase immobile, come paralizzata. La sua pelle, esposta, era ferita dal tetro vibrare dell’aria, mentre ombre affusolate scivolavano sul terreno, circondandola come artigli. Intricate reti di rami incombevano su di lei; nere e spettrali, la opprimevano al suolo, stagliandosi tra lei e il livido cielo del crepuscolo.

 
 

PROSSIMA PUBBLICAZIONE: il prossimo capitolo verrà pubblicato tra una settimana, domenica 9 Agosto. Se volete ricevere gli aggiornamenti potete aggiungerci su Google+ (ci chiamiamo Blue Heads anche lì), oppure scriverci alla mail theblueheads@gmail.com

Grazie di aver letto!

PS: l'altra volta non lo avevamo messo, questo è il link con la playlist della colonna sonora della storia

https://www.youtube.com/playlist?list=PL6CMli1an-4xbapQAwmqsPGDYrxHDjpCA

  
Coloro-che-vogliamo-ringraziare:

Grazie a tutti coloro che ci leggono, ricordano e preferiscono: non ci aspettavamo un sostegno così tempestivo! siete fantastiche!!

In particolare ringraziamo emptyhanded_ e picciclotta94, che ci hanno fatto sapere cosa pensano della storia, e alle nostre “Cavie”, che leggono e commentano tutto in anteprima: i loro consigli sono fondamentali.

Grazie di tutto, continuate a sostenerci!
Ci vediamo domenica prossima,
Blue Heads

 
 

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Capitolo 5
*** Capitolo IV ***


Capitolo IV

 

Erano passate quasi due settimane dalla cerimonia, durante le quali la Tana aveva visto un insolito andirivieni e Ginevra aveva avuto occasione di conoscere Ninfadora Tonks, la giovane donna che aveva visto parlare con il professor Lupin alla festa. Era una ragazza in gamba, Auror a soli ventiquattro anni, anticonformista e abbastanza coraggiosa da mostrarlo apertamente: decisamente stimabile.
Ora Ginevra sedeva a tavola; oltre a lei, Ron e i genitori, a cena erano presenti anche Harry, che avrebbe trascorso lì il resto delle vacanze estive, i gemelli, troppo pigri per cucinare da soli, Charlie, che si era trattenuto qualche giorno da loro, Lupin, che era ormai ospite fisso, e Tonks, che sedeva davanti a lei sfoggiando il suo miglior becco da tucano. Infatti, mentre attendevano il dolce, i ragazzi avevano iniziato a chiederle di imitare l’uno o l’altro animale, e lei eseguiva all’istante, visibilmente divertita.
<< Ti dona l’arancione! >> la stuzzicò Lupin. Per tutta risposta Tonks strizzò gli occhi: il becco scomparve, e in un attimo il colore dei suoi capelli passò dal rosa fluo all’arancione più squillante. Ginevra scoppiò a ridere, insieme agli altri: quella tinta le stava davvero malissimo. << Uff, mai fidarsi degli uomini nelle questioni di stile… >> disse Tonks divertita, mentre faceva tornare la chioma irsuta al colore originario. A Ginevra non sfuggì lo sguardo complice che i due si scambiarono: era sempre più convinta che tra loro ci fosse qualcosa; lo sospettava dalla prima volta in cui li aveva visti insieme, anche se non aveva prove che fossero una coppia.
Mentre gli altri gustavano il dessert, Ginevra notò che Lupin si era rabbuiato e sedeva in disparte, pensoso, come invecchiato di colpo: l’aria abbattuta gli aveva tolto quella luminosità che lo animava poco prima. Ginevra aveva sempre pensato che quell’uomo fosse troppo solo. Gli si avvicinò con discrezione: << Prof, posso chiederti una cosa? >>  
Lupin si riscosse dai suoi pensieri e le sorrise: << Certo, dimmi. Ti serve qualcosa per gli esami? >>
Ginevra sfoderò un’espressione innocente << Non esattamente. In realtà mi chiedevo… cosa pensa di Tonks? >>
Lupin strabuzzò gli occhi, affrettandosi a distogliere lo sguardo. Ginevra osservava incuriosita la sua reazione, mentre attendeva una risposta. Infine, Lupin si schiarì la gola: << Tu non dovresti pensare a studiare? >>
Ginevra ghignò: era inutile che tentasse di cambiare argomento, ormai lo aveva in pugno. << Ma prof, con questo dubbio atroce che mi assilla, come potrei concentrarmi sullo studio? >> Lupin sospirò, rassegnato a subire il suo interrogatorio << Senz’altro è una ragazza simpatica e intelligente. E un’ottima Auror. >> Ginevra lo fissò impaziente: sapeva anche lui che non si sarebbe accontentata di una risposta del genere. Lupin sbuffò: << E’ testarda, se proprio vuoi saperlo: si ostina a cercare in tutti qualcosa di buono. Anche quando non c’è. >> Concluse amaramente.
Ginevra si accigliò, riflettendo sulle sue parole; come poteva essere sempre così disponibile con gli altri e al contempo intollerante con sé stesso? << O forse Tonks potrebbe aver ragione: dopotutto… >>
La risposta fu interrotta da un comando perentorio di sua madre, che la chiamò da un capo all’altro della stanza: << Ginny, sarebbe ora che tu vada a letto. E’ già tardi e tu domani devi studiare. >>
Ginevra cercò di protestare - erano appena le dieci! - ma fu zittita all’istante: << I medici hanno detto che devi riposare, non dovrei essere io a ricordartelo. Vuoi stare male di nuovo? >> Ginevra alzò gli occhi al cielo: certo, perché nella Camera era di sonno che stava per morire. E se ora non vado a dormire subito Tom viene qua e mi ammazza: ci tiene alla mia salute, lui!
Per quanto assurdi fossero i ragionamenti della madre, Ginevra sapeva che sarebbe stato inutile discutere; quindi, dopo aver rivolto un saluto agli ospiti, salì in camera sua. Si mise in pigiama, nascose la bacchetta sotto al cuscino e sedette sul letto. Si sentiva ancora troppo sveglia per dormire, quindi aprì il romanzo che teneva sul comodino e riprese la lettura da dove aveva interrotto. Ormai aveva quasi finito il libro: negli ultimi giorni si lasciava assorbire dalla lettura ogniqualvolta la mancanza di altre occupazioni l’avrebbe lasciata libera di pensare.
Dopo un paio di capitoli, gli occhi presero a dolerle dal sonno e la testa si fece pesante, mentre il suo cervello completava liberamente le frasi iniziate. In un ultimo momento di veglia, Ginevra mise da parte il libro e spense la luce.

 

Si svegliò in piena notte, turbata dalle atmosfere cupe di un sogno; accese la luce e fece per prendere il libro, desiderosa di scrollarsi di dosso quelle sensazioni, quando le giunsero dei rumori dal piano di sotto. Aggrottò le sopracciglia, perplessa. Chi poteva essere ancora in piedi a quell’ora? Ginevra attese per un attimo, tendendo le orecchie: rumore di passi, il cigolio della porta d’ingresso. Recuperò la bacchetta e scivolò fuori dal letto; dal pianerottolo vide che la luce della cucina era accesa. Assonnata ma incuriosita, si avviò giù per le scale. Stava per aprire la porta quando questa si spalancò a un palmo dal suo naso. Per un attimo si domandò se fosse ancora in un sogno: Severus Piton la scrutava torvo, sovrastandola e impedendole l’ingresso.
<< Stavi origliando. >> la aggredì, mortalmente serio.
Ginevra lo guardò confusa: << Veramente stavo solo… >> Si interruppe: perché mai avrebbe dovuto giustificarsi? << ehi, questa è casa mia! >> esclamò incrociando le braccia, imbronciata e pronta allo scontro. Piton sbuffò con sufficienza e si voltò, sbattendole la porta in faccia senza riguardo. Ginevra battè le palpebre, incredula, poi si voltò scuotendo il capo. Mentre saliva le scale vide Ron e Harry che si affacciavano incuriositi dalla balaustra.
<< Che succede di sotto? >> le chiese Harry.
Ginevra si accigliò << Piton mi ha sbattuto la porta in faccia. >> Certo che suonava davvero assurdo… Harry e Ron la fissavano allibiti: probabilmente stavano pensando la stessa cosa.
Benevolo, Ron le pose una mano sulla spalla: << L’ho sempre detto che non ti fa bene mangiare pesante la sera… >> Ginevra scoppiò a ridere: forse non aveva tutti i torti. Dopo qualche momento di ilarità generale, si augurarono la buona notte e tornarono nelle rispettive stanze, ancora ridacchiando.
Una volta rimasta sola, Ginevra rifletté su quanto aveva visto: avrebbe potuto essere plausibile che la Tana avesse tanti ospiti senza un motivo preciso, ma se Piton era lì, a casa sua, nel cuore della notte e tanto all’erta da accusarla di origliare, doveva esserci qualcosa sotto. Ginevra sbadigliò: ora era meglio dormire. Avrebbe indagato l’indomani.

 

La mattina successiva Ginevra si era svegliata presto e nell’arco di qualche ora era riuscita a finire il ripasso del programma di Trasfigurazione. Soddisfatta, dopo pranzo si era concessa una pausa, e ora si rilassava, stravaccata sul divano; del resto, dopo due settimane di studio ininterrotto, se lo meritava. Sua madre si affacendava avanti e indietro, preparandosi ad uscire.
Quando fu pronta si rivolse a lei: << Tonks arriverà tra poco; io sarò fuori per un po’, ho delle commissioni da sbrigare. Dovrei rientrare prima di lei, ma se così non fosse, per l’amor del cielo, non fare la cafona. >> Ginevra seguì la madre verso l’uscita, tentando di parlarle: << Ma’… >>
<< E mi raccomando, offrile da bere! >>
<< Mamma? >> Molly si voltò a guardarla spazientita. << Cosa ci faceva qui Piton stanotte? >>
Molly si irriggidì visibilmente << Sono affari di Silente, voi ragazzi non dovete immischiarvi in certe cose. E comunque, è il professor Piton. A
dopo. >> Detto questo superò la soglia, smaterializzandosi.

Ginevra fece una smorfia scocciata, e tornò a sedersi in cucina; aveva sperato di ottenere qualche informazione in più, ma se Silente era coinvolto, nessuno le avrebbe mai detto niente. Nemmeno da quanto si erano detti Tonks e Lupin al matrimonio era riuscita a ricavare nulla, se non tetri presagi. Ginevra si incupì, chiedendosi cosa stesse succedendo al mondo magico che potesse dar spiegazione a tutte le stranezze che aveva visto.
Il filo dei suoi pensieri fu interrotto dal trillo del campanello. Aprendo la porta si trovò di fronte Tonks. La ragazza le sorrise: << Ciao Ginny! Come stai? >> Prima che finisse la frase la sua attenzione fu catturata da qualcosa alle spalle di Ginevra; qualunque cosa fosse, pareva averla colpita. Per una frazione di secondo, i suoi occhi si trasformarono: attorno alle pupille verticali, le iridi divennero una di un azzurro albino, l’altra verde-marrone. Ginevra riconobbe gli occhi del loro gatto riprodotti sul volto della ragazza.
Si spostò dall’ingresso, lascinado entrare Tonks. << Ti presento Bowie >> esordì, indicando l’animale. Tonks le si rivolse, stupita: << Ma è sempre stato qui? Non lo avevo mai visto per casa. >>
<< C’era, c’era, ma quando ci sono ospiti si dilegua. Si vede che ormai si sta abituando alla tua presenza. >>
Tonks lo osservò, aprendosi in un sorriso << Ha l’aria simpatica, e capisco il perché del nome. Ma come fate a conoscere David Bowie? >>
Ginevra fece spallucce, accompagnandola in salotto: << Sono anni che Bill è in fissa con la musica babbana. Comunque: posso offrirti qualcosa? >>
<< No grazie, sono a posto >> rispose Tonks, lanciandosi sulla poltrona più vicina. Nell'impeto, fece cadere il vaso della Polvere Volante, mandandolo in mille pezzi. Ginevra tossì, investita da una nube di cenere. << Oh, scusa, scusa scusa! Rimedio subito! >> Con qualche rapido gesto di bacchetta, Tonks rimise insieme il vaso e vi rispedì la polvere. A testimoniare l'incidente rimaneva solo il lieve pulviscolo che volteggiava nell'aria attorno a loro.
<< Allora >> esordì Tonks << come va lo studio? >>
Ginevra fece una smorfia: << Va, in un modo o nell’altro; oggi pomeriggio ripasso ancora qualcosa, e poi quello che è fatto è fatto: non ha senso stressarsi all’ultimo momento >>
<< Perché quando inizi? >> indagò Tonks.
<< Parto domani all’alba >> esalò Ginevra, melodrammatica.
<< In bocca al lupo allora! Sarai là tutta sola fino a Settembre? >>
<< No: ci sarà Bowie a farmi da sostegno morale! >> affermò solenne, coronando la frase con un ampio gesto in direzione del gatto, che in quel momento annusava guardingo la veste di Tonks.
<< Allora sei in buona compagnia! Certo che dev’essere tosto dare gli esami subito, senza neanche il tempo di riprendersi. >> iniziò Tonks, comprensiva. Ginevra colse nel tono della ragazza quella premura inutile che tutti continuavano a dedicarle. Perché dovevano trattarla come se fosse stata una povera, piccola, malata traumatizzata?
In quel momento Ron e Harry fecero il loro ingresso, sottraendo Ginevra alla necessità di rispondere. << Ah Tonks, sei qui! Allora si spiegano i rumori! >> esclamò Ron. Lui e Harry andarono a sedersi sul divano accanto a Ginevra, che colse l’occasione per trarsi d’impaccio: << Bene ragazzi, io ora vi saluto. Vado a studiare. >> E così Ginevra abbandonò la scena, consapevole di lasciare tutti interdetti con la rapidità della sua fuga.


Qualche ora più tardi, Ginevra si stava esercitando per l’esame pratico di Alchimia: adorava quella materia, ne aveva la certezza ogni volta che vi aveva a che fare. C’era qualcosa che la stimolava ed esaltava nel progettare cerchi alchemici: studiarne la struttura e le proporzioni, scegliere i simboli più adatti, abbinare i materiali e comporre, qualora si rendesse necessario, la litania da recitare. Quando ogni elemento funzionava e Ginevra riusciva a portare a compimento il processo, la sua soddisfazione rasentava l’euforia. Inoltre, ora che aveva familiarizzato con la nuova bacchetta, questa reagiva alla sua volontà con un’esattezza che la precedente non le regalava da anni, alimentando così il suo desiderio di mettersi alla prova.
In quel momento si stava dedicando con passione alla creazione di un cerchio che le permettesse di conferire le proprietà della pozione soporifera ad una sfera di zinco. Aveva già preparato la pozione, studiato le interazioni tra i due elementi e trovato il fluido che avrebbe versato nel solco del cerchio per fare da legante tra questi; per la litania le sarebbe bastato unire alcune formule conosciute. Ora non le restava che mettersi all’opera con il disegno. Preparò carta e matita e iniziò a tracciare le linee di base, ma non riusciva a concentrarsi: il trambusto al piano terra era più intenso del solito. La porta continuava a sbattere, voci concitate salivano fino a lei, amplificate dalla tromba delle scale; infastidita, Ginevra si alzò e chiuse la porta. Tornata al tavolo, si perse completamente nel suo lavoro, a cui si dedicò finché non fu troppo stanca per continuare e il suo stomaco non la informò del fatto che era ora di cena.
Lasciò la postazione e scese le scale, stranita dall’insolito silenzio. Appollaiati sull’ultima rampa trovò Harry e Ron che fissavano la porta della cucina, imbronciati. Ginevra li guardò interrogativa ed Harry la aggiornò sulla situazione: << In quella cucina c’è il mondo: è arrivata gente per più di un’ora, e gli unici idioti ad essere tagliati fuori siamo noi. >>
<< Perfino Fred e George sono entrati! >> sbottò Ron, piccato << Noi no! Perché siamo piccoli! E dire che siamo anche maggiorenni! >>
<< Però, dato che andiamo ancora a scuola, non ci è dato sapere cosa stia succedendo >> proseguì Harry, annoiato.
<< Né cenare, a quanto vedo. >> concluse Ginevra, e andò anche lei a sedersi sui gradini. Non restava che aspettare.
Non era la prima volta che se lo chiedeva in quei giorni: cosa diavolo era preso a tutti? Sbuffò con impazienza: << Non sapete proprio niente di niente? >>
Harry alzò un sopracciglio: << Uhm, che la porta è marrone? >>
<< Geniale, Harry >> ridacchiò Ron, dandogli una pacca sulla spalla.
<< Perlomeno saprete chi c’è là dentro, se siete rimasti qui tutto il tempo a guardare. >>
Dopo un sospiro esasperato, Ron partì con l’elenco: << Mamma, Papà, tutti i fratelli, Fleur, Tonks, Lupin,  Malocchio Moody, Bambolo Diggory, e un altro po’ di gente sconosciuta. Dimentico qualcuno, Harry? >>
<< I prof McGranitt e Shacklebolt. Nessun altro credo. >> rispose lui. Ginevra annuì, e i tre ripiombarono nel silenzio.
Attesero a lungo. Era ormai notte quando la porta della cucina si aprì, e una ventina di maghi e streghe uscì alla spicciolata, ignorandoli completamente; le loro espressioni erano funeree e spaventate. Fred e George li raggiunsero ai piedi delle scale, tesi come Ginevra non li aveva mai visti prima.
I gemelli si guardarono, poi George annunciò: << Riunione in camera nostra. Adesso. >>


 



PROSSIMA PUBBLICAZIONE: domenica 16 Agosto.

Se siete interessati, questo è il link con la playlist della colonna sonora di Tom e Ginevra. 
https://www.youtube.com/playlist?list=PL6CMli1an-4xbapQAwmqsPGDYrxHDjpCA
Per ora include una sola traccia, ma aggiorneremo l'elenco nei momenti opportuni con il proseguire della storia. 

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Grazie per aver letto!

See you soon, 
Blue Heads

 

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Capitolo 6
*** Intermezzo I ***


Intermezzo I

 

Lo spioscopio iniziò a ruotare, mostrando due figure: un mago incedeva superbo, affiancato da una strega dal volto affilato e dalla corta chioma scura.
Lucius Malfoy ed Erinne Rosier stavano arrivando: Severus disattivò lo spioscopio. Avrebbe potuto chiarirsi con il Signore Oscuro - la sua morte aveva lasciato troppe questioni in sospeso - ma subito dopo sarebbero ricominciati gli inganni. Avrebbe dovuto tradirlo ancora, non più per necessità ma perché la sua visione del mondo era cambiata rispetto a quando si era unito a Lui.
I Mangiamorte bussarono: Severus svuotò la mente e andò ad aprire. I due lo attendevano, le bacchette levate.
<< Sei chiamato al Suo cospetto. >> proclamò Lucius. Erinne tese la mano, sbrigativa: << Conosci la procedura. >>
Una volta consegnata la bacchetta, lo portarono all’ingresso di Villa Malfoy via materializzazione congiunta. Piton sogghignò tra sé osservando l’espressione di Lucius mentre attraversavano gli spazi enormi e sontuosi della villa: tale sfoggio di eleganza rispecchiava perfettamente la nobile indole del proprietario.
Si arrestarono di fronte a un alto portone intarsiato; dopo aver bussato, Erinne entrò e sparì oltre la porta. Quando ricomparve fece cenno a Severus di entrare, per poi chiudergli la porta alle spalle e lasciarlo solo con il Signore Oscuro.
Severus si bloccò, interdetto: colui che stava in piedi davanti alla finesta era indubbiamente Voldemort, ma di almeno trent’anni più giovane rispetto a quando lo aveva visto l’ultima volta, sedici anni prima; ora dimostrava poco più di vent’anni.
Severus attese; il suo Signore pareva assorto. Quando iniziò a parlare, ancora non lo guardava: << Dopo che Sirius mi ebbe detto come trovarli, mi recai dai Potter. Infransi le ultime barriere che proteggevano la casa, entrai. Uccisi Potter quando mi si parò davanti e proseguii fino al piano superiore, dove trovai Lily Evans, che si frapponeva tra me e il mio obiettivo. >> Voldemort cercò il contatto visivo e Severus avvertì il suo sguardo scrutargli la mente, controllando ogni sua reazione. << Le dissi che la sua morte non era necessaria e le ordinai di spostarsi, ma non reagì; era concentrata su altro. Di colpo percepii la forza magica aumentare intorno a me: stava attivando una trappola con un sortilegio non verbale. Agii d’istinto e la uccisi. >> Preso alla sprovvista, Severus non riuscì a frenare un moto di rabbia: potevi fermarla, stordirla, cruciarla…! Severus riprese il controllo dei propri pensieri. Non era necessario.
Il Signore Oscuro rimase imperturbabile: << Hai ragione, non lo era. Ma quando mi chiedesti di risparmiarla avresti dovuto rendere chiaro quanto la sua vita fosse essenziale per te. >>
Era vero.

Scoperto che Lily era in pericolo, aveva dovuto tentare. Ma ora che si trovava al cospetto del suo Signore,  non poteva ammettere la profondità dei suoi sentimenti per una Mezzosangue, per di più considerato che faceva parte dell’Ordine. Avrebbe disgustato il suo Signore: avrebbe perso per sempre la sua stima e il suo rispetto, tutto ciò che gli restava. Respirò a fondo e svuotò la mente: << Mio Signore, so che volete uccidere il figlio dei Potter, ma mi chiedevo se fosse possibile risparmiare Lily Evans. Come sapete è una cara amica d'infanzia, ed ha significato molto per me. Nel caso in cui non si renda necessario altrimenti... >> Voldemort annuì: << Ne terrò conto. >>
Era tutto vero.
Severus tornò a guardare il suo Signore, e per un attimo gli sembrò di scorgere della pietà in lui. << Se solo tu fossi stato più chiaro, allora avrei escluso a priori la possibilità di ucciderla, e, anche in un momento come quello, in cui non c’era tempo per i ripensamenti, avrei agito diversamente. >> Detto ciò, Voldemort si accomodò su uno dei divanetti presenti nella stanza, e gli fece cenno di sedersi su quello di fronte. Severus obbedì.
<< In ogni caso >> proseguì Lui << Non è per ripercorrere con te la storia della mia morte che ti ho chiamato: da ciò che ho scoperto dopo il mio ritorno emerge un’alleanza tra te e Silente - un’alleanza che stipulaste prima della mia fine. Come sai, non è la norma ma, considerato che sono passati molti anni, e che prima di allora sei stato uno dei miei più validi alleati, ti dò la possibilità di spiegarti. >>
A quell’invito, Severus rievocò la propria storia:
nonostante Voldemort avesse acconsentito alla sua richiesta, Severus era inquieto: se ci fosse stato un imprevisto? Se il suo Signore avesse cambiato idea o se ne fosse dimenticato? Non che non si fidasse di Lui, ma Lily non poteva morire, in nessun caso: aveva bisogno di ulteriori certezze.
<< Qualche giorno dopo aver chiesto a Voi di risparmiarla, andai a parlare con Silente. >> Severus tacque nuovamente, contrastando l’istinto naturale di difendersi, mentre l’Oscuro Signore forzava la sua mente a mostrargli il ricordo di quell’incontro.
Silente lo fissava inquisitore mentre Severus gli chiedeva di salvarla. Era umiliante trovarsi di fronte a un uomo che disprezzava da sempre per invocare il suo aiuto.
<< Lavori per Voldemort, mi hai spiato e hai origliato parte della profezia, sei andato a riferirla al tuo Signore, lui ne ha tratto le conseguenze che conosciamo, e ora tu sei qui, a supplicarmi di salvare la donna che tu hai condannato. Perché mai dovrei aiutarti? >> Severus era alle soglie dell’esasperazione: non era forse Silente il buono della situazione? Da quando i buoni avevano bisogno di un motivo per salvare qualcuno?
<< Cosa offri in cambio? >> riformulò Silente, incalzandolo. Severus alzò lo sguardo, stupito, ma gli bastò un attimo per trovare la risposta: << Qualsiasi cosa. >>
<< E sia: d’ora in poi farai rapporto a me. >>

Severus era di nuovo solo: aveva venduto il suo Signore, il solo che che, credendo in lui, gli aveva dato la speranza di un riscatto, gli aveva permesso di realizzarsi. Scegliendo tra le uniche persone che davvero contavano qualcosa nella sua vita, era arrivato a voltargli le spalle. pur consapevole che poteva non essere necessario.
- E ora sapeva che sarebbe bastato avere più fiducia per salvare entrambi.
Voldemort allentò la morsa sui suoi ricordi. << Prosegui. >>
Severus riordinò i pensieri e riprese il filo del racconto: << Nei mesi successivi continuai a lavorare per Voi, ma riferendo alcune informazioni a Silente >> le identità dei Mangiamorte infiltrati al Ministero, i piani per gli attentati di Glasgow… << Questo, fino al 31 di Ottobre… >> Severus si interruppe, stanco: il Signore Oscuro pretendeva di vedere anche quel ricordo.

Nell’ufficio del Preside, Severus ascoltava il resoconto di Silente sulle morti di quella notte. Lily e Voldemort erano morti. Entrambi. Severus non riusciva a spiegarsi come fosse possibile: il piano A prevedeva che il Signore Oscuro non la trovasse, il piano B, che Lui non la uccidesse; la Sua morte non era contemplata in nessun caso. Ripercorreva ossessivamente lo stesso ragionamento, ancora e ancora; ogni ripetizione accresceva la sua rabbia. Voldemort! cosa, come diamine hai fatto?
Si alzò di scatto, incapace di trattenersi. Lo sguardo immobile e calmo di Silente suscitò il suo odio: << Sarai contento adesso: il bambino è sopravvissuto, Voldemort è stato sconfitto, tu hai vinto la guerra. Hai ottenuto tutto ciò che volevi, ma questo solo perché non hai avuto alcun riguardo per le vite che dovevi proteggere. >> battè i palmi sulla scrivania, protendendosi in avanti << Lily è morta. Non solo hai ingannato me, sei arrivato ad usare le vite di innocenti che si erano affidati a te! Cosa ti rende diverso dal nemico che hai eliminato, “salvatore del mondo magico” ? >>
Si fermò, col respiro affannato; in quel momento, Silente ricominciò a parlare. L’astio che Severus serbava nei confronti di quell’uomo scemò progressivamente, mentre ascoltava la spiegazione di ciò che Silente aveva fatto per proteggere i Potter, del tradimento di Black - come aveva potuto Lily fidarsi di quel cane? - e di come Voldemort fosse arrivato a loro.
Per la morte del suo Signore, invece, non c’era spiegazione. Non dovevate morire.

Quando era uscito da Hogwarts non aveva niente e nessuno; era stato Lui a dargli uno scopo, un punto di riferimento, delle radici, e Severus lo aveva sabotato volontariamente nel tentativo di proteggere Lily. Neanche questo era risucito a fare! L’ultima volta che l’aveva vista era stato in battaglia, più di un anno prima; si era limitato a sperare che non le succedesse nulla, e aveva continuato a combattere, perdendola nella mischia. E ora lei non c’era più, e Severus non aveva più speranza di parlarle, di farsi perdonare per aver rinnegato il loro legame, di stare di nuovo con lei, come una volta.
Era un inetto. Lo era stato fino alla fine.

L’Oscuro Signore interruppe nuovamente il flusso dei ricordi, lasciando alla mente di Severus lo spazio per respirare: << Quando te la senti puoi riprendere il racconto. >> Grato ed esausto, Severus acconsentì con un cenno.
Qualche minuto più tardi, Severus continuò: << Subito dopo la Vostra morte sono stati indetti i processi contro i Vostri sostenitori. Come sapete, molti di noi finirono ad Azkaban; io mi salvai perché Silente testimoniò in mio favore. >> I ricordi che Severus conservava di quel periodo erano confusi e uniformi: riguardandosi indietro non era in grado di determinarne la durata, né di distinguere un giorno dall’altro.
<< Concluso il processo, Silente mi assunse ad Hogwarts. >> Insegnare non gli piaceva, ma non aveva altre prospettive. << Dieci anni dopo, Harry Potter iniziò a frequentare Hogwarts, e Silente mi incaricò di proteggerlo. Per questo, quando Raptor entrò in azione e io non ricevetti da voi alcuna indicazione, mi limitai a eseguire il compito che mi era stato assegnato. Gli anni seguenti trascorsero senza eventi significativi, finché, qualche mese fa, non avete riaperto la Camera dei Segreti. Da subito ho ipotizzato che fosse opera vostra, pur non capendo come >> E tutt’ora mi sfugge. << Ma ne ho avuto la conferma solo quando, a fine Luglio, la Camera è stata ritrovata; da allora ho atteso che Voi mi chiamaste. Nel frattempo, Silente ha ricostituito l’Ordine della Fenice, e sta cercando nuove reclute. >>
Severus aveva concluso; sapeva cosa sarebbe seguito. Abbassò le difese mentali, mentre l’Oscuro Signore cominciava a scandagliare i ricordi degli ultimi diciassette anni.

 

Quando finalmente Voldemort abbandonò la sua mente, Severus era stremato. Per qualche minuto regnò il silenzio. Mentre Severus iniziava a riprendersi, Voldemort parlò: << Posso ritenermi soddisfatto: nonostante gli incidenti passati, oggi ho riacquisito un valido Mangiamorte. >> La Sua voce tradiva la stanchezza. << Inginocchiati. >>
Severus si alzò e andò a inginocchiarsi di fronte al suo Signore, porgendogli l’avambraccio sinistro.
Voldemort poggiò la bacchetta sul Marchio Nero: << Giuri di prestarmi eterna lealtà e ubbidienza? >>
<< Lo giuro >> nonappena Severus ebbe risposto, il Marchio prese a formicolare.
<< Giuri di impegnarti al massimo delle tue possibilità in qualunque incarico io ti assegni? >>
<< Lo giuro >>
Voldemort esitò per un attimo; il Suo braccio tremò lievemente nello sforzo di mantenere l’incantesimo. Rinsaldò la presa sulla bacchetta, e proseguì con il rito.
<< Giuri di onorare sempre il titolo di Mangiamorte, e rispettare tutti coloro che lo portano? >>
<< Lo giuro >> concluse Severus con voce ferma. Il suo avambraccio fu trafitto da una scarica di dolore: il Marchio Nero bruciava sulla pelle, nitido e vivo come lo era stato solo diciannove anni prima, quando il suo Signore glielo aveva imposto per la prima volta.




 


 

PROSSIMA PUBBLICAZIONE: Mercoledì 26 Agosto.

Grazie a tutti per avere letto!
Un ringraziamento particolare a emptyhanded_ e picciclotta94 che continuano a farci sapere cosa pensano della storia, e a chi ci ha inserito tra le storie preferite, seguite e ricordate.
Considerato che questo è un capitolo diverso dal solito, ci farebbe piacere sentire la vostra opinione a riguardo!

A presto e grazie ancora!
Blue Heads

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Capitolo 7
*** Capitolo V ***


Capitolo V

 

Ginevra sedeva su uno dei due letti, accanto a Harry e Ron, attendendo che i gemelli spiegassero loro la situazione. Fred era in piedi davanti a loro, le braccia incrociate e lo sguardo sfuggente, mentre George si muoveva irrequieto per la stanza.
Fred alzò lo sguardo su di loro e si risolse a parlare: << Premettendo che voi non dovreste ancora venire a conoscenza di queste informazioni, che ufficialmente nessuno di noi ne sa nulla, e che dovremmo tutti scoprirlo domani dai media... >> Fred si bloccò, di colpo terrorizzato, e guardò il fratello in cerca di aiuto. George espirò rumorosamente: << Non c’è modo di renderlo meno terribile di quanto non sia: Voldemort è tornato. >>
D’un tratto la mente di Ginevra era completamente vuota: non un pensiero, non un’emozione: solo bianco. Sentì la voce sbigottita di Ron, accanto a lei: << Cosa?!? >> la sua esclamazione la riportò al presente, e Ginevra fu investita dal panico. La nausea le attorcigliò lo stomaco, mentre visioni degli anni bui e scene di guerra le sconvolgevano il cervello: il Marchio Nero, ghignante sopra le case delle Sue vittime; i dissennatori, lasciati liberi di mietere anime e terrorizzare interi paesi; inarrestabili armate di inferi, bianchi corpi morti, impossibili da uccidere.
Tutto questo stava per ricominciare.
Si passò una mano tremante sul volto per liberarlo dal sudore; batté le palpebre: vedeva nero.
Nel silenzio, la voce di Harry vibrò determinata: << Voglio combattere. >>
<< Non puoi. >> risposero i gemelli all'unisono.
Harry scattò in piedi, furioso: << Ha ucciso i miei genitori! >>
<< Lo sappiamo amico, ma per unirti all’Ordine devi prima uscire da Hogwarts. E’ la regola. >> spiegò Fred, irremovibile.
Per un attimo parve che Harry stesse per ribattere, ma Ron gli mise una mano sulla spalla, fissandolo in silenzio. Dopo pochi istanti, Harry tornò a sedersi.
Qualche ora dopo si congedarono tetri, e ognuno tornò nella propria stanza.
Di nuovo sola, Ginevra si sdraiò a letto, mentre le sue paure prendevano vita nel buio attorno a lei. Quella notte non chiuse occhio.

 

Nell'aria ancora fresca del mattino, Ginevra trascinò giù per le scale il pesante baule di scuola. Arrivata in salotto, lo lasciò cadere accanto al resto dei bagagli, sotto lo sguardo attento della madre: << Hai preso tutto? La bacchetta? I documenti? Il gatto? Il manico  di scopa? Ma cosa te ne fai? Ti ricordi che non puoi giocare a Quidditch, vero? >>
Ginevra sbuffò: << Sì ma’, tranquilla. Ora però vado che sono in ritardo. >>
<< D’accordo, allora. Voglio un gufo al giorno, e almeno sette G.U.F.O. E per carità, fa’ attenzione! >> si raccomandò, guardandola apprensiva.
Dopo aver abbracciato la madre, Ginevra lanciò un pugno di Polvere Volante nel camino e sparì tra le fiamme: << Ufficio della Professoressa McGranitt, Hogwarts >>.
Avvolta dalle fiamme smeraldine, Ginevra ruotava vorticosamente; le abitazioni si susseguivano davanti a lei talmente veloci da non essere distinguibili, finché non atterrò nell’ufficio della vicepreside. Nello scendere dal camino, la cenere cadde dalla sua veste sul tappeto; lo ripulì di nascosto con un incantesimo, sbirciando poi le mosse della professoressa: questa, seduta alla scrivania, ripose i rotoli che stava consultando per fare spazio a una pergamena vuota e vi picchiettò con la bacchetta, facendo apparire il programma degli esami - non si era accorta di nulla, apparentemente.
La McGranitt le porse l’orario: << Bentornata, signorina Weasley. Spero sia riuscita a prepararsi per gli esami, nonostante tutto. Anche un'altra ragazza darà i suoi G.U.F.O. questa settimana, Leanne Reid, di Tassorosso. >> Una delle vittime del basilisco, ricordò Ginevra. Mentre parlava, la professoressa fece evanescere le valigie. << In ogni caso, buona fortuna. >>
Dopo aver preso congedo, Ginevra lasciò la stanza e si avviò per i corridoi deserti, diretta al dormitorio di Grifondoro. La scuola abbandonata acquisiva un’aura surreale, perfino spettrale. Gli unici a muoversi erano i fantasmi e gli abitanti dei quadri: l’assenza di vita in quel luogo, sempre brulicante di studenti, suscitava in lei una certa inquietudine.
O forse erano i suoi timori a renderla facilmente suggestionabile; al di là dello sconcerto per la ricomparsa di Voldemort, erano gli interrogativi e le ipotesi aperti da questa notizia a turbarla maggiormente. Sarebbe stato assurdo illudersi che il ritorno simultaneo di  Tom e Voldemort fosse una mera coincidenza: Ginevra non aveva mai sentito di nessuno che fosse rinato, e questa non era l’unica analogia tra i due casi. Tentò di isolare le certezze che aveva riguardo alla persona di Voldemort: un potente mago oscuro - non si poteva certo negare che Tom lo fosse, non dopo che era tornato dalla morte-, razzista - questo, Tom non lo aveva mai nascosto - e, fino a prova contraria, l’unico rettilofono del suo tempo - e l’Erede di Salazar doveva necessariamente esserlo per controllare il Basilisco. Decisamente troppe coincidenze, ma non bastavano per formare una prova incontestabile. Le probabilità erano alte, la possibilità concreta, ma Ginevra non poteva tollerare questa incertezza. Cinquantacinque anni prima era stato Tom ad aprire la Camera dei Segreti, così aveva detto Silente; quindi negli anni ‘40 Tom doveva essere stato a scuola. Ginevra avrebbe voluto confrontare le date, ma si rese conto di non avere idea di quando Voldemort fosse nato. Era certa che la guerra magica si fosse svolta nel decennio compreso tra il 1970 e il 1981, ma questo non le era di alcuna utilità; le serviva la data di nascita.
Ginevra si fermò, tamburellando assorta sul corrimano delle scale che stava salendo. Le serviva la biblioteca.
Si voltò e ridiscese le scale, avviandosi a passo deciso. Arrivò in biblioteca, attraversò le file di scaffali fino a raggiungere la sezione storica, trovò i ripiani dedicati alla storia contemporanea e scorse rapidamente i titoli, individuando le opere che le interessavano. Estrasse dallo scaffale Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato: la violazione dello Statuto di Segretezza e la persecuzione dei Babbani, lo posò su di un tavolo, sedette. Ma all’ultimo istante si bloccò: temeva la verità. Tutt’a un tratto non era sicura di voler conoscere la risposta, e l’idea di ciò che avrebbe potuto scoprire l’angustiava. Fu un attimo; trattenne il respiro e aprì il libro, pur con una morsa allo stomaco: l’unica cosa peggiore dell’ottenere la risposta era immaginare quale questa fosse. Sfogliò le prime pagine, cercando delle note biografiche, invano: il libro trattava unicamente della politica antibabbana di Voldemort, senza alcun accenno alla sua vita; probabilmente aveva scelto il titolo sbagliato. Ripose il libro e passò in rassegna gli altri: nessuno era prettamente biografico, così si limitò a selezionare i volumi meno generici e li impilò sul tavolo. Iniziò ad esaminarli, a partire dal più promettente: Il Signore Oscuro: ideologie e scelte politiche. Il titolo non lasciava dubbi sull’orientamento politico dell’autore, ma questo aspetto non le interessava al momento. L’introduzione trattava del contesto politico e sociale, mentre già dal primo capitolo l’attenzione si spostava sul pensiero e sulla glorificazione di Lord Voldemort. Ancora nessun cenno alla biografia. Passò al titolo successivo: La funzione della propaganda nella politica di Colui-Che-Non-Deve- Essere-Nominato. Ginevra andò direttamente all’indice, per ottimizzare i tempi, e notò, non senza una certa irritazione, che nemmeno questo libro riportava le informazioni che cercava; così fece per molti altri volumi, dai quali, eccezionalmente, non ricavò nulla. Non si degnò nemmeno di aprire l’ultimo tomo della pila, la cui inutilità era evidente già nel titolo: G. Grindelwald e L. Voldemort: analogie e differenze.
Ovvio, pensò Ginevra, perchè Lord era sicuramente il suo nome di battesimo!
Tra tutti quegli autori, che lo mitizzassero o lo demonizzassero, nessuno pareva voler tenere in considerazione la natura umana di Voldemort. Demoralizzata, Ginevra si diresse al banco di Madama Pince per chiedere consiglio, ma si arrestò a metà strada: il ritorno di Voldemort sarebbe stato reso pubblico solo quella sera; la richiesta di un libro a riguardo prima di quel momento avrebbe potuto destare sospetti. Avrebbe dovuto aspettare l’indomani.
Uscì dalla stanza, contrariata; la serata si prospettava tetra.

 

Dopo essere passata dal dormitorio a liberare Bowie e a svuotare il baule si avviò in Sala Grande per la cena.
Lo spettacolo che le si parò davanti quando vi entrò era estraniante: le quattro lunghe tavolate erano vuote, solo la tavola dei professori, estesa per ospitare anche gli esaminatori, era animata dal conversare di questi. Prendendo posto al tavolo di Grifondoro, per un istante Ginevra incrociò lo sguardo del professor Silente, che sedeva serafico al centro della tavolata, mentre Piton e la McGranitt gli lanciavano occhiate preoccupate. Dal canto suo, Hagrid si muoveva con scatti nervosi, rovesciando e facendo cadere in continuazione posate e stoviglie. Gufi postini andavano e venivano a intermittenza; presto la notizia del discorso di Silente si sarebbe diffusa.
Ginevra iniziò a servirsi svogliatamente: il cattivo umore le aveva fatto passare l’appetito e mangiare da sola non contribuiva certo a farglielo tornare. Eppure, a ben pensarci, avrebbe tollerato malvolentieri qualunque compagnia.
Stava giusto contemplando lo stato di irresolutezza in cui versava ormai da qualche ora, quando l’altra studentessa fece il suo ingresso nella Sala. Leanne era di costituzione minuta, poco più alta di Ginevra, e, fatto insolito per una strega, portava i capelli corti; un ciuffo castano chiaro le ricadeva sul volto pallido. Ti prego, non qui, si ritrovò a pensare Ginevra, mentre la ragazza si avvicinava ai tavoli. Speranza vana: Leanne si diresse proprio nella sua direzione e in un attimo le fu accanto.
<< Posso? >> chiese con un sorriso, accennando alla panca vuota.
<< Certo, accomodati. >> rispose Ginevra sforzandosi di essere amichevole. Tanto ormai sei qui…
<< Allora, pronta per i G.U.F.O.? >> continuò Ginevra.
Leanne si fece pensierosa: << Insomma… ho qualche dubbio su Storia della Magia: troppe date, rischio di fare confusione. >>
<< Io invece per quello non ho nessun dubbio >> ribattè Ginevra << Sono sicurissima di prendere Troll. Come anche in Divinazione, Erbologia e Astronomia. >>
Da sopra il suo piatto di pollo al curry, Leanne la fissava interrogativa, invitandola a continuare.
<< Avendo sole due settimane, mi sono concentrata solo sulle materie che volevo portare ai M.A.G.O. Per le altre non ho aperto libro. >> spiegò Ginevra con una scrollata di spalle.
<< Cosa vorresti fare uscita da Hogwarts? >> si interessò Leanne.
<< Non sono sicura, ma credo che non mi dispiacerebbe specializzarmi nella lavorazione dei metalli magici. In ogni caso, le materie che mi interessano sono sempre le stesse: Alchimia, Pozioni, Difesa… >>
Leanne fece una smorfia: << Oddio, Difesa dalle Arti Oscure! E’ altamente improbabile che io la passi. >>
<< Su con la vita, essere bocciati in una sola materia non è poi così male. >> commentò Ginevra incoraggiante, per poi continuare: << Tu invece cosa vorresti fare? >>
Ma prima che Ginevra finisse di parlare, un gufo atterrò di fronte a loro e recapitò una copia della Gazzetta del Profeta a Leanne. L’articolo di apertura recava il titolo Silente annuncia: “Voi-Sapete-Chi è tornato”. Verità temibile o semplice allarmismo?
Ginevra scattò in piedi; non aveva bisogno di leggerlo per sapere cosa contenesse, e non aveva alcuna intenzione di parlarne. Leanne osservava il giornale con occhi sbarrati. << Ehi, hai visto..? >> iniziò a chiedere.
<< Sì. Cioè no. Scusami, devo andare >> rispose frettolosamente Ginevra, e, sotto lo sguardo perplesso di Leanne, lasciò la Sala Grande.

 

Ginevra attendeva trepidante il momento in cui avrebbe trovato una risposta; a stento riuscì a concentrarsi durante l’esame teorico di Trasfigurazione, e si sarebbe fiondata in biblioteca non appena uscita dall’aula, se Leanne non l’avesse preceduta chiedendole di pranzare insieme. Stupita dalla perseveranza della ragazza, che cercava la sua compagnia nonostante il suo comportamento la sera prima, Ginevra accettò di buon grado, dopo un attimo di esitazione; odiava dover rimandare ulteriormente i suoi programmi, eppure guardava con timore alla prospettiva di due settimane di solitudine, e la compagnia di Leanne aveva un pregio ineguagliabile: essendo stata lei stessa vittima del basilisco, non la trattava con quella pietà e quel riguardo irritanti che le riservavano gli altri. Tutto sommato, una compagnia tanto propizia e discreta, in quel frangente, valeva bene qualche ora d’attesa. Ginevra dovette quindi pazientare fino alle tre e venti, orario in cui finirono le prove del pomeriggio; alle tre e mezza spaccate Ginevra era al banco di Madama Pince.
<< Informazioni biografiche su Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato? Sì, ci sarebbe un libro >> La bibliotecaria consultò l'elenco: << Codice 947.283 sezione T scaffale 23. Spero contenga le informazioni che cerchi, perché temo sia l’unico. >>
Ginevra ringraziò e si avviò, per scoprire che lo scaffale indicatole era lo stesso in cui lei aveva cercato per ore. Trovare il libro non fu semplice: si trattava di un volume non poi tanto sottile, ma inserito nel ripiano sbagliato. Bathilda Bath, Sull’ascesa e il declino politico di Voldemort; introduzione di Albus Silente. Aprì il libro e cercò l’introduzione senza attendere oltre.
“Tom Orvoloson Riddle, più comunemente noto come Lord Voldemort…”
Aveva trovato quello che cercava, non c’erano dubbi. Chiuse il libro con uno scatto e lo prese in prestito.
Arrivata alla Torre di Grifondoro, Ginevra sedette a gambe incrociate sulla poltrona di fronte al camino e iniziò a leggere, con Bowie di vedetta sul bracciolo.
“Tom Orvoloson Riddle, più comunemente noto come Lord Voldemort, nacque il 31 Dicembre del 1926 in un orfanotrofio babbano londinese.”
Lo sguardo di Ginevra si perse nel vuoto, fisso tra le fiamme del camino. Leggere dei fatti dell’infanzia di Tom in un libro che parlava di Voldemort la disorientava. Come chiunque nel mondo magico, Ginevra non aveva imparato a pensare a Voldemort come a una persona: faticava a conciliare l’immagine del più temuto mago oscuro con quella di colui che per anni aveva considerato il suo migliore amico.
Riprese la lettura, ma presto si interruppe nuovamente, la mente persa nel nulla.
Si sentiva come una bolla vuota.

 

La notte non passava. E i pensieri restavano, bui e soffocanti.
Tom, la persona con cui si era confidata per anni, era Voldemort; su questo ormai non c’era dubbio. Ma ugualmente non riusciva a comprenderlo: non era possibile che il mostro che aveva tormentato il mondo magico per decenni le fosse stato sinceramente amico in quei cinque anni.
Ginevra si rigirò nel letto. Gufi tubavano nella notte.
Eppure non tutto quello che le aveva raccontato era falso… l’orfanotrofio, il padre babbano… certo, non le aveva mai detto di averlo ucciso lui.
Dalla Sala Comune giungeva lo scalpiccio degli elfi domestici; a breve sarebbe stata mattina.
A rigor di logica: se il primo aspetto - il mostro -  era certo, mentre il secondo - Tom - era dubbio, e i due erano inconciliabili, allora il secondo era indubbiamente falso.
Il suo migliore amico in realtà non era mai esistito.
Ora rimaneva solo Voldemort.

 

***

 

La settimana di esami proseguì senza sorprese: esami disastrosi si alternavano a prove pressochè perfette e a ore di lettura ininterrotta; leggere delle gesta di Voldemort sortiva uno strano effetto su Ginevra: più proseguiva, più l’alienazione aumentava. In questa routine, Leanne si inseriva come unica variante; nonostante in quei giorni non desiderasse alcuna compagnia, avere dei contatti con lei la riportava a sé stessa, contrastando momentaneamente la condizione di indolenza in cui si trovava.
Il penultimo giorno di esami, quando la fine si avvicinava e le due ragazze iniziavano a credere che avrebbero superato la settimana senza troppi danni, ebbero la spiacevole esperienza di incontrare Dolores Umbridge. Era capitato che, quell’anno, il Ministero l’avesse inviata come esaminatrice esterna in Difesa contro le Arti Oscure. Gli esami teorici della mattinata si erano svolti senza problemi e ora, finita la pausa pranzo, le due ragazze si trovavano nell'aula in cui avrebbe avuto luogo la prova pratica di Difesa e attendevano l'arrivo dell'esaminatrice. Leanne era particolarmente nervosa e sfogliava convulsamente il manuale, mentre Ginevra pensava a un modo per distrarla. Si guardò attorno, in cerca di ispirazione: << Ehi, guarda: quel manichino sembra Silente! >>
<< Mmm… qual’era la formula della Fattura Ustionante? >>
<< Exulcero. Comunque, fidati, la teoria la sai. Sei solo agitata. Respira e chiudi il libro. >> Leanne obbedì, ma poco dopo estrasse la bacchetta, per chiederle l’ennesima conferma di un movimento del polso. Ginevra sospirò e, mentre Leanne non guardava, agitò la bacchetta nella sua direzione: Mulceo Sollicitus, pensò. Le spalle della ragazza si stavano già rilassando - i prodigi degli incantesimi non verbali! - quando la Umbridge fece il suo ingresso. Ginevra sperò che l’effetto dell’incantesimo durasse per l’intero esame.
Dopo essersi seduta e aver preparato il blocco prendiappunti, sul quale svolazzava un’ingombrante piuma rosa, l’esaminatrice tossicchiò ed esordì con voce melliflua: << Molto bene, procederemo in ordine alfabetico. Dunque, Leanne Reid. Si faccia avanti. >>
Leanne prese posto sulla pedana montata davanti alla cattedra, dal lato opposto rispetto a una schiera di manichini, e l’esame ebbe inizio.
<< Incantesimo incendiario di livello base. >>
Con un movimento sicuro del polso, Leanne toccò uno dei manichini con la bacchetta ed enunciò << Lacarnum Inflamare >> L’incantesimo ebbe successo, ma l’esaminatrice la osservava con condiscendenza.
<< Ottimo, passiamo a qualcosa di più complesso: Incantesimo Lacerante >>
Leanne retrocedette alla posizione originaria e si fermò a riflettere un momento. L’orribile penna prendiappunti inziò a scrivere. Ginevra vide la compagna deglutire.
<< Diffindo >> il secondo manichino fu tagliato in due di netto.
La Umbridge picchiettò sul tavolo con le unghie smaltate, la smorfia annoiata la rendeva più che mai simile a un rospo: << Incantesimo congelante >>.
Leanne trasse un respiro profondo e chiuse gli occhi per un attimo; poi prese la mira. Il raggio ghiacciato che fuoriuscì dalla bacchetta era troppo tenue: neppure raggiunse il manichino. La Umbridge affettò una risatina divertita: << Non è sufficiente, direi. >>
Gli effetti dell’incantesimo di Ginevra erano ormai svaniti: Leanne era in panico. << Andiamo oltre: Incantesimo Paralizzante >>
La ragazza mormorò con voce spezzata: << Petrificus totalus >>. Ginevra strinse i denti: quello era l’Incantesimo di Pastoia, non il Paralizzante.
<< Incantesimo sbagliato, signorina Reid, e mal riuscito pergiunta. Ho tutti gli elementi che mi servono: non le chiederò incantesimi di livello avanzato, mostra già serie difficoltà con quelli mediocri. A questo punto ho il sospetto che lei abbia copiato nell’esame scritto: se davvero avesse solide basi teoriche non ci sarebbe ragione per cui non dovrebbe riuscire nella pratica. Può tornare a sedersi. >>
Leanne si accasciò sulla panca accanto a Ginevra, evitando il suo sguardo. Ginevra la sentì soffocare un singhiozzo.
<< Ginevra Weasley >> chiamò la Umbridge, mantenendo il suo sorrisetto condiscendente. Ginevra marciò sulla pedana, fissando la donna con astio. Non le avrebbe dato alcuna soddisfazione. Dal canto suo, la professoressa non mancò di notarne il piglio ostile; in risposta simulò un fintissimo sorriso d’incoraggiamento.
Che la sfida abbia inizio.
<< Bene, per cominciare, annulli l’incantesimo incendiario prodotto dalla sua compagna. >>
Finite incantatem - e il fuoco si spense.
Da quel momento le richieste si susseguirono serrate, sempre più pressanti.
<< Everte Statim, non verbale. >>
Il manichino venne scagliato attraverso la stanza.
<< Fattura Orcovolante. >>
Un nugolo di piccoli demoni investì il secondo fantoccio.
<< Incanto Reductor. >>
Un terzo esplose; il rombo fu assordante.
La Umbridge schioccò le labbra, l’espressione intenta. << Molto bene. Visti i risultati, suppongo non avrà difficoltà a rispondere a qualche domandina teorica. >> Un lampo di malizia le balenò in volto, mentre le poneva il quesito successivo: << Enunci gli svantaggi del Sortilegio Dismundo. >>
Ginevra si prese un momento per organizzare le informazioni e attaccò, sicura: << Il Sortilegio Dismundo è una magia di livello avanzato, che richiede un alto grado di concentrazione: se il mago che lo esegue è stato gravemente ferito durante il duello, è probabile che la perdita di forza fisica ne impedisca la buona riuscita. Per la stessa ragione, per il mago che lo esegue è impossibile individuare intanto una via di uscita e, poiché è necessario mantenere il contatto visivo, l’esecuzione dell’incanto non consente di fuggire. Inoltre, trattandosi di un incantesimo non verbale è facile perderne il controllo. >>
Per un attimo, il volto della Umbridge rimase impassibile; quindi il suo sorriso si ampliò: << Ora gradirei un incantesimo di guarigione. >> mentre parlava agitò la bacchetta; l’incantesimo lacerò in più punti uno dei manichini, che prese a sanguinare copiosamente.
Uhm… non sembrerebbe un incantesimo molto legale.
Ginevra osservò il danno da vicino e si chiese che tipo di incantesimo di guarigione le fosse richiesto; l’unico previsto dal programma non sarebbe mai bastato per curare ferite del genere. Decise di tentare comunque.
<< Epismendo >>
L’emorragia venne marginata e i tagli si ripulirono, rendendone la vista ancora più impressionante.
<< Non mi sembra sia guarito. >> osservò la Umbridge con voce flautata.
E fuori programma sia… Ginevra fece scorrere la bacchetta sulle ferite: << Vulnera Sanentur >>
Il flusso di sangue si arrestò del tutto e, lentamente, i tessuti si rimarginarono, lasciando solo un lieve arrossamento della pelle.
<< Davvero impressionante. Difficile credere che abbiate avuto gli stessi professori. >> commentò Dolores Umbridge, più velenosa che mai.
Per una volta doveva darle ragione: certo, a scuola avevano avuto gli stessi professori, ma non tutti avevano avuto Tom come insegnante cioè, Voldemort. Le sfuggì una smorfia: sì, proprio una bella fortuna.
<< L’esame è concluso, potete andare. A proposito: il Ministro mi ha assegnato alla cattedra di Difesa contro le Arti Oscure per quest’anno >> emise un risolino stridulo << Sono certa che diventeremo ottime amiche. >>

 

***

 

Quella domenica Ginevra rimase a letto fino a tardi; quando si alzò era quasi mezzogiorno. L’esame pratico di Astronomia della sera precedente era durato fino a notte fonda e, trovandosi al culmine di una settimana stremante, l’aveva prosciugata da ogni energia.
Per festeggiare la fine degli esami lei e Leanne avevano deciso di pranzare insieme nella Sala Comune di Tassorosso, e Ginevra dovette affrettarsi a raggiungere l’amica.
La Sala si trovava nel seminterrato, accanto alle cucine. All’interno, i colori caldi illuminavano un ambiente circolare, dominato da un immenso braciere; una lucida cappa di rame lo sormontava, mentre miriadi di cuscini e morbidi tappeti si stendevano attorno. Otto piccoli focolari rischiaravano le pareti in mattone rosso e altrettante lesene sostenevano la volta di legno.
Sedute accanto al fuoco, le due ragazze passarono il tempo chiacchierando e mangiando il cibo trafugato dalle cucine; così Ginevra scoprì che Leanne era la minore di due fratelli, e l’unica strega in famiglia: il fratello, razionale, scientifico, ma anche estremamente curioso, dopo aver accettato l’esistenza della magia, non aveva potuto fare a meno di leggere i libri di testo di Leanne, alla ricerca di nuove informazioni su quel mondo, e, non soddisfatto, a ogni occasione chiedeva alla sorella di procurargliene di nuovi.
Nel pomeriggio arrivarono i risultati dei G.U.F.O.: Leanne fu promossa in tutte le materie tranne Difesa, per un totale di otto G.U.F.O., contro i cinque di Ginevra, presi in Alchimia, Pozioni, Trasfigurazione, Difesa e Incantesimi. Vedendo i voti di Ginevra, Leanne s’indignò: << Cosa? Accettabile in Difesa, tu? Quella vecchia rospa! Qualsiasi professore sensato ti avrebbe dato Eccezionale con una prova del genere! Sei non classificabile per la bravura! >>
Ginevra le sorrise: << Beh, alla fine è andata meglio a te: mi sarebbe bastato un voto in meno, e non avrei dovuto sopportarla tutto l’anno! >>
Leanne era dubbiosa: << Non saprei: prima di aver rischiato in prima persona non avevo mai dato grande importanza a Difesa, ma ora… Coi tempi che corrono, mi dispiace non impararla come si deve. >>
Ginevra proruppe in una risata amara: << Perché, secondo te quella è una prof come si deve? >> si abbandonò contro il cuscino, abbattuta: << Ci vorrebbe un insegnante vero… >>


Poco dopo le due ragazze si salutarono e Ginevra fece ritorno al dormitorio per indossare la divisa scolastica: per quella sera era atteso l’arrivo degli altri studenti, e di lì a breve si sarebbe tenuto il classico banchetto di benvenuto. Una volta pronta scese nell’ingresso, e, mentre la folla dei nuovi arrivati si accalcava  per entrare in Sala Grande, Ginevra imboccò un corridoio laterale. Dopo poche decine di metri questo svoltava a sinistra, aprendosi su un ufficio abbandonato. La stanza era dissestata e pressochè vuota: restavano solo un caminetto e un vecchio orologio a pendolo. Fin dal secondo anno era tradizione che, nel caso in cui non si fossero viste sul treno, lei e Luna si incontrassero in quel luogo prima del banchetto. Mentre aspettava l’amica, Ginevra accese il camino. Poco dopo sentì dei passi leggeri dal corridoio: Luna sbucò nell’ufficio, le corse incontro e l’abbracciò di slancio.
<< Ciao folle! >> la salutò Ginevra.
<< Mi sei mancata >> le mugugnò Luna in risposta, il volto nascosto nell’incavo della sua spalla.
Poi si staccò, scrutandola pensosa: << Hai delle occhiaie degne di un panda. Ti senti bene? Comunque, devo rivelarti una cosa importantissima: ho capito tutto! E’ da una settimana che ci penso: tutto quadra. E’ stato Voldemort ad aprire la Camera! >> enunciò Luna in tono cospiratorio. Ginevra la guardava attonita.
<< Sì, in tutti questi anni, lui è sempre rimasto lì sotto, nascondendosi ed attendendo il momento propizio per tornare. Non era morto, non poteva morire: è un vampiro. In questi anni si era ibernato, per recuperare le forze. L’anno scorso si è risvegliato, e ha iniziato ad attirare a sé le sue vittime, per bere il loro sangue e rinvigorirsi. Mezzosangue, perché li odia: si sa che ogni vampiro ha la sua vittima preferenziale. Ma, per tornare in piene forze, gli serviva una strega purosangue nata al tempo della sua caduta e ha scelto te... >> Luna fece una pausa, fissandola infervorata << Perché hai i capelli rossi! >>
<< E cosa c’entrano i miei capelli?!? >> esclamò Ginevra, sorpresa e sollevata al contempo.
<< Hanno il colore del sangue, che egli brama, e della vita, che tanto gli serviva >> Luna si interruppe di colpo, perdendo il tono ispirato: << Ma che ore sono? >> lanciò un’occhiata all’orologio. << Sta per iniziare lo Smistamento, muoviamoci! >> Disse, prendendo Ginevra sottobraccio e avviandosi a passo spedito.
Ginevra sorrise, seguendola; nonostante conoscesse l’istinto formidabile di Luna, la sua teoria sul ritorno di Voldemort l’aveva stupita: al di là della scarsa verosimiglianza di quanto vi aveva costruito attorno, l’intuizione alla base era incredibilmente vicina alla realtà. Entrando nella Sala, Ginevra si voltò verso l'amica: << Credo che possa esserci del vero nella tua teoria. >>
Luna gettò indietro i capelli e sorrise con soddisfazione: << Ci puoi scommettere! >>.
Ginevra si incamminò lungo il tavolo di Grifondoro, cercando un posto a sedere. Vedendola, Emily Brooke, una delle sue compagne di dormitorio, la chiamò: lei e altri compagni di corso le avevano tenuto il posto. Ginevra venne accolta calorosamente al tavolo; aveva appena finito di salutare tutti, quando nella Sala scese il silenzio e il Cappello Parlante iniziò la sua canzone:

 

Un tempo, quand'ero assai nuovo berretto
e Hogwarts neonata acquistava rispetto,
i gran fondatori del nobil maniero
sortivan tra loro un patto sincero:
divisi giammai, uniti in eterno
per crescere in spirito sano e fraterno
la scuola di maghi migliori del mondo,
per dare ad ognuno un sapere profondo.
'Insieme insegnare, vicini restare!'
Il motto riuscì i quattro amici a legare;
perché mai vi fu sodalizio più vero
che tra Tassorosso e il fier Corvonero,
e tra Serpeverde e messer Grifondoro
l'unione era salda, l'affetto un ristoro.
Ma poi cosa accadde, che cosa andò storto
per rendere a tale amicizia gran torto?
Io c'ero e ahimè qui vi posso narrare
com'è che il legame finì per errare.

Fu che Serpeverde così proclamò:
<< Di antico lignaggio studenti vorrò >>.
E il fier Corvonero si disse sicuro:
<< Io stimerò sol l'intelletto più puro >>.
E poi Grifondoro: << Darò gran vantaggio
a chi compie imprese di vero coraggio >>.
E ancor Tassorosso: << Sarà l'uguaglianza
del mio insegnamento la vera sostanza >>.
Fu scarso il conflitto all'inizio, perché
ciascuno dei quattro aveva per sé
un luogo in cui solo i pupilli ospitare,
e a loro soltanto la scienza insegnare.
Così Serpeverde prescelse diletti
di nobile sangue, in astuzia provetti,
e chi mente acuta e sensibile aveva
dal fier Corvonero ricetta otteneva,
e i più coraggiosi, i più audaci, i più fieri
con ser Grifondoro marciavano alteri,
e poi Tassorosso i restanti accettava,
sì, Tosca la buona a sé li chiamava.

Allora le Case vivevano in pace,
il patto era saldo, il ricordo a noi piace.
E Hogwarts cresceva in intatta armonia,
e a lungo, per anni, regnò l'allegria.

Ma poi la discordia tra noi s' insinuò
e i nostri difetti maligna sfruttò.
Le Case che con profondissimo ardore
reggevano alto di Hogwarts l'onore
mutarono in fiere nemiche giurate,
e si fronteggiaron, d'orgoglio malate.
Sembrò che la scuola dovesse crollare,
amico ed amico volevan lottare.
E infine quel tetro mattino si alzò
che Sal Serpeverde di qui se ne andò.
La disputa ardente tra gli altri cessava
ma le Case divise purtroppo lasciava,
né furon mai più solidali da che
i lor fondatori rimasero in tre.

E adesso il Cappello Parlante vi appella
e certo sapete qual è la novella
che, mio malgrado, annunciare dovrò:
ma sì, nelle Case io vi smisterò.
Però questa volta è un anno speciale,
vi dico qualcosa ch'è senza l'uguale:
e dunque, vi prego, attenti ascoltate
e del mio messaggio tesoro ora fate.
Mi spiace dividervi, ma è mio dovere:
eppure una cosa pavento sapere.
Mancata lealtà farà Hogwarts crollare,
l’antica ferita dovete sanare!
Non ripetete le antiche tragedie
unite i tavoli, mischiate le sedie.
Scrutate i pericoli, i segni leggete,
la storia v'insegna, su, non ripetete
l'errore commesso nel nostro passato.
Adesso su Hogwarts sinistro è calato
un grande pericolo, un cupo nemico
strisciante l'insidia, pericolo antico.
Uniti e compatti resister dobbiamo
se il crollo di Hogwarts veder non vogliamo.
Io qui ve l'ho detto, avvertiti vi ho…
e lo Smistamento or comincerò.

 

 

La canzone finì in un silenzio scettico. Poi qualcuno si ricordò di applaudire, e fu come la rottura di un argine: ne sgorgò un brusio crescente, che invase i tavoli e saturò la Sala.
Nessuno ricordava che il Cappello avesse mai espresso un giudizio all’interno della canzone di inizio anno, e in pochi accolsero positivamente i suoi consigli: i pregiudizi e i conflitti che da sempre esistevano tra le Case erano in quel momento più solidi che mai: dire che l'apertura della Camera dei Segreti, l'anno precedente, avesse esasperato l'inimicizia tra Serpeverde e le altre Case era parlare per eufemismi.
Più di ogni altro, il tavolo di Grifondoro era in agitazione; i suoi occupanti insorgevano, indignati: discutevano, si accaloravano, alzavano la voce. Per un attimo Ginevra distinse la voce irata di Emily, al suo fianco: << Quel coso sragiona! Si aspetta forse che fraternizziamo coi Serpeverde, quando loro l'altro ieri godevano e festeggiavano per gli attentati ai nati babbani? Quando Harper è venuto a dirmi che era un peccato mia sorella non fosse schiattata sul colpo? >>, poi anche quella voce scomparve nel furore assordante della folla. Le grida si sovrapponevano, fomentandosi a vicenda.
Quell’insubordinazione sfacciata durò meno di un minuto: un richiamo amplificato della McGranitt riportò il silenzio nella Sala, ma non placò gli animi; forse la coesione tra le Case era necessaria per far fronte alla situazione, ma ricrearla restava un obiettivo utopistico. Soprattutto se nessuno ci prova...  Ma sarebbe comunque impossibile cambiare la natura delle Serpi, si ritrovò a pensare Ginevra, suo malgrado; se la salvezza di Hogwarts dipende davvero da questo, stiamo freschi.
Lo smistamento ebbe inizio, e lentamente riuscì a mitigare l’atmosfera; uno alla volta, i nuovi studenti vennero selezionati e accolti dalle rispettive Case. Quando tutti furono seduti, Silente prese la parola:
<< Ai nuovi arrivati: benvenuti! A tutti gli altri, bentornati! Un nuovo anno sta per avere inizio e molte cose andrebbero dette; e lo saranno, dopo che avremo tutti avuto modo di rifocillarci col cibo squisito preparato dalle nostre cucine. E con questo...  >> prima che potesse dare inizio al banchetto, Silente fu interrotto da due fintissimi colpetti di tosse; Ginevra riconobbe con orrore l’odiosa Dolores Umbridge alzarsi dal suo posto: << Hem-hem… Grazie Preside per le belle parole di benvenuto. Prima del banchetto, gradirei dire anch’io due paroline. >>

 

PROSSIMA PUBBLICAZIONE: Mercoledì 9 Settembre.

 

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Capitolo 8
*** Capitolo VI ***


Capitolo VI


Insonne, Ginevra sedeva accanto alla finestra. Su un denso orizzonte petrolio il biancheggiare della luna abbozzava sagome fantasmiche.
Si odiava. Disprezzava la propria debolezza: come poteva essere così follemente ridicola? “Mica tutti hanno avuto Tom come maestro! C’è chi può e chi non può”  E davvero non era da tutti riuscire a farsi ingannare per anni, sfruttare, quasi ammazzare da un idiota e ancora andare fiera di potersi chiamare sua allieva.
Era stata così contenta, così gratificata ogni volta che lui si era mostrato orgoglioso dei suoi risultati, ogni volta che avevano gioito dei successi conquistati insieme. Ingenua. Quella volta in cui da sola aveva imparato a eseguire incantesimi non verbali aveva stupito tutti: anche Tom. Si era sentita così bene.
Quel mondo non esisteva più, né sarebbe più esistito. Ginevra sollevò lo sguardo: il mondo si sfaldava sotto i suoi occhi bagnati, il volto della luna appariva tremulo e sfocato.
Mai più... Niente, niente di tutto questo
Abbandonò la testa tra le mani. Che pensieri stupidi: come aveva fatto a cadere tanto in basso?
Strinse i pugni; non poteva continuare a trattarlo come un amico, non lo era.
Mai più.

 

Ginevra sedeva ancora lì, mentre la luce saliva, giallastra, da dietro l’orizzonte. Leggeri passi sulle scale la avvisarono dell’arrivo di Hermione; si fermarono all’ingresso della Sala: << Buongiorno. Come mai già sveglia? >> chiese Hermione alla sua schiena, sorpresa. Per un attimo Ginevra rimase bloccata nel dubbio: come reagire? La confusione era ottenebrante; l’idea di interagire era repellente, ma non si sentiva autorizzata a non farlo. In crisi, Ginevra scosse le spalle senza voltarsi. Ci fu una pausa di silenzio; poi i passi ripresero. Ai limiti del campo visivo di Ginevra, Hermione sedette davanti al camino. Gli ultimi gufi rientravano dalla caccia, neri contro il cielo screziato, mentre il vento autunnale portava fino a lei il sussurro degli alberi. Il profilo frastagliato delle montagne si specchiava nel lago; la sponda della lastra azzurro-argentea si infiammava dei riflessi ramati degli aceri, trapassati dall’aurora.
<< C’è una questione su cui sto riflettendo da un po’ >> iniziò Hermione dal nulla.
Ginevra continuò a guardare fuori, ostinandosi a ignorarla; eppure si rendeva conto non fosse giusto sfogare su di lei il suo rancore nei confronti del mondo... Non voglio essere antipatica, Hermione, non è con te che sono arrabbiata. Non costringermi a risponderti!
Ma perché aveva scelto proprio quel momento per parlarne?
<< La situazione con la Umbridge è insostenibile. >>
Ginevra si rese conto di avere ancora i pugni serrati e allentò la stretta. Sul palmo sofferente della sua mano erano incise quattro profonde lunette rosse. Il dolore era lancinante: possibile che non se ne fosse accorta prima?
<< Si era capito da subito che si tratta di una mossa politica: è dall’annuncio del ritorno di Voldemort che Caramell teme Silente voglia soffiargli il posto. La Umbridge è l’espediente perfetto per tenerlo d’occhio; probabilmente pensa che Silente ci faccia il lavaggio del cervello. >>
Effettivamente il discorso era più importante dei suoi infantili propositi di mutismo. Ginevra si voltò verso l’amica, dandole la sua piena attenzione.
Hermione proseguì, gesticolando infervorata: << Ma se fosse solo questo sarebbero problemi loro: quella donna ci sta impedendo di imparare a difenderci! Sarebbe grave in ogni caso, ma in questa situazione... Siamo in guerra! Così saranno solo i Mangiamorte a imparare a combattere! Di questo passo quando Voldemort verrà allo scoperto lui sarà pronto, noi più deboli che mai. Dobbiamo fare qualcosa! >>
Hermione si bloccò di colpo; Ginevra vide la sua carica combattiva dissolversi progressivamente.
<< Ma non possiamo farla licenziare: non è in potere di Silente. Bisognerebbe trovare un modo per apprendere la pratica in parallelo, in maniera indipendente; qualcosa come il Club dei duellanti potrebbe funzionare, magari fatto più seriamente… Ma nemmeno questo è possibile: lei non lo permetterebbe mai. E noi non possiamo opporci apertamente. >>
Hermione tacque, guardando Ginevra, come aspettando da lei il tassello che le mancava. Il rispetto delle regole era tanto radicato nell’amica da impedirle di contemplare qualunque via lo travalicasse.  
<< No, hai ragione. Apertamente no. >>

 

***

 

Basso e ritmico, il ticchettìo del vecchio orologio a pendolo risuonava nelle orecchie di Ginevra, scandendo il grigio passare delle ore. L’ufficio abbandonato non era certo il luogo più comodo ed accogliente del castello, ma per leggere quel libro Ginevra aveva bisogno di una tranquillità e un raccoglimento che non avrebbe mai trovato in biblioteca, né tantomeno in Sala Comune.
Se i primi approcci avevano innescato lunghe riflessioni, ora la lettura procedeva spedita mentre Ginevra registrava una nozione dietro l’altra, senza concedersi il tempo di prendere consapevolezza di ciò che leggeva: comprenderne significato e implicazioni sarebbe stato più di quanto avrebbe potuto sopportare.
Aveva appena iniziato il capitolo “Persecuzione ed eliminazione degli avversari politici” , quando Bowie si arrampicò sulle sue gambe, apparentemente convinto che Sull’ascesa e il declino politico di Voldemort fosse la postazione ideale per un sonnellino. Ginevra lo guardò con invidia: lui sonnecchiava tranquillo, lei da notti non chiudeva occhio, rosa dai sensi di colpa. Quando aveva deciso di nascondere a Silente la verità sulla Camera e l’esistenza del diario non aveva idea di stare proteggendo Voldemort.
Questa consapevolezza l’aveva costretta a cambiare prospettiva: per quanto alcuni dettagli fossero ininfluenti, non poteva negare che sapere del diario avrebbe potuto essere determinante per sconfiggere Tom. Tuttavia le sue sole conoscenze sul diario non sarebbero state sufficienti a comprenderne la natura e Silente non avrebbe potuto studiarlo in ogni caso, dato che era sparito. Anche considerato che ammettere di aver mentito non sarebbe stato senza conseguenze e avrebbe richiesto ulteriori spiegazioni, Ginevra aveva bisogno di più elementi per poter decidere: ancora non era certa fosse necessario parlarne. Andava però considerato che anche quel poco che Ginevra sapeva avrebbe potuto avere un senso agli occhi di Silente…
Un colpo alla porta socchiusa la fece sobbalzare, strappandola bruscamente dai suoi pensieri: esitante, Harry fece capolino nella stanza. << Posso? >>
Ginevra, stupita, replicò con un’altra domanda << Come sapevi che ero qui? - Comunque sì, entra. >> aggiunse, vedendolo interdetto.
Harry avanzò con passo titubante: << Ehm, ciao. Non volevo disturbarti, ma ti stavo cercando e Luna… >>
<< E perché mi cercavi? >> Incalzò Ginevra, annotandosi mentalmente di invitare Luna a non condividere dati sensibili.
Divertito, Harry la motteggiò: << Tu smettila di interrogarmi, e io magari te lo spiego! >>
Ginevra sogghignò e acconsentì con un cenno del capo. Effettivamente, forse aveva un po' esagerato. Forse.
<< Allora: ero venuto a cercarti perché Hermione mi ha parlato dell'idea del gruppo di difesa: mi sembra ottima, sono dei vostri. >> Ginevra chiuse il libro, rassegnandosi al fatto che la conversazione non sarebbe stata breve. Estrasse la bacchetta con discrezione, trattenendo un sorriso: tanto valeva mettersi comodi.
<< Comunque, stavamo pensando... >> ma un cuscino arrivò sfrecciando dal corridoio, interrompendolo. Atterrò di fronte a Ginevra: << Prego. >> disse lei, facendogli cenno di sedersi.
<< Uhm… grazie. Come dicevo: stavamo pensando che bisognerebbe fare una lista delle persone che potrebbero essere interessate e organizzare una riunione in cui iniziare a discutere delle varie questioni; da chi imparare, cosa, dove… magari, unendo più cervelli, viene fuori qualcosa di buono. >>
Ginevra si chiese distrattamente quanto tempo avesse impiegato a memorizzare il discorso.
<< Mi sembra giusto. Che dici, iniziamo a lavorarci? >>
<< Volentieri. Per i partecipanti, ovviamente noi, Hermione, Ron e Neville, direi. >>
Ginevra annuì, pensierosa: << E Luna, naturalmente. Del mio anno anche Colin Canon e Emily Brooke ci sono di sicuro: entrambi hanno rischiato di perdere un parente a causa del basilisco. >>
<< Giusto, allora anche Justin. >> Aggiunse Harry, appuntando i nomi su una pergamena.
<< E Leanne. Leanne Reid >> specificò lei in risposta allo sguardo interrogativo di Harry <>
Per un istante, Harry parve imbarazzato: << Ci ho pensato e credo che l’unica sia il bagno dei Prefetti. >> poi si affrettò ad aggiungere, a mo’ di spiegazione: << Io e Hermione possiamo dirvi la parola d’ordine e lì saremmo certi di non essere disturbati. Ci sarebbe anche la Stamberga Strillante, ma ultimamente la sicurezza è aumentata: di notte è impossibile raggiungere il Platano. >>
Ginevra annuì: il ragionamento funzionava.
Si accordarono per contattare gli altri e sentirsi al più presto per definire la data. Dopo pochi convenevoli, i due si salutarono. Quindi Harry lasciò la stanza, e, cupamente, Ginevra sprofondò di nuovo nella lettura.

 

***

 

Una bolla di sapone fluttuava davanti al volto di Ginevra; cerchi colorati si sovrapponevano sulla sua superficie in un susseguirsi ipnotico. Irritata, Ginevra la colpì con un gesto sonnolento; schizzi di sapone le spruzzarono il viso. Poco discosti, Emily e Colin ridevano. L’unica nota positiva, fino a quel momento, era l’asciugamano ripiegato su cui sedeva: soffice e piacevolmente tiepido. Emily e Colin continuavano a ridere, mentre correvano da una parte all’altra del bagno, aprendo tutti i rubinetti e riempiendo l’ambiente di bolle. Evidentemente, a loro non pesava l’attesa. Ginevra, invece, lottava per tenersi sveglia, e il tepore della stanza non aiutava.
Ad un tratto, Emily cacciò un urlo << Stavo sciorinando! >> Dopo un attimo, Ginevra batté le palpebre, confusa: Sciorinando? Ma in che senso? Si concentrò, aggrottando le sopracciglia, e giunse alla conclusione che no, non poteva averlo detto. Non significa nulla, sicuramente avrà detto “scivolando”; sono proprio fusa.
Finalmente iniziarono ad arrivare gli altri. Accucciata in un angolo, Ginevra rimase in disparte: non aveva alcuna voglia di socializzare, cionondimeno la infastidiva essere dimenticata in quel modo. Rimase malmostosa a rimirare le bolle rimbalzare sul pelo dell’acqua, trovandosi insopportabile, finché un asciugamano non le piombò accanto: Luna si acciambellò al suo fianco e le due ragazze si sorrisero in silenzio.
La riunione ebbe inizio; Hermione prese la parola. I soliti convenevoli: “siamo qui riuniti oggi in congiura per fondare un’associazione segretissima…” Ginevra si sentì esonerata dall’ascoltare: sapeva già tutto; ma se non voleva crollare addormentata aveva urgente bisogno di un’occupazione. In cerca di spunti, passò in rassegna i compagni: alla sua sinistra, Luna era concentrata sul discorso di Hermione, mentre poco più in là Leanne e Justin ascoltavano intenti. Constatato che tutti prestavano attenzione, Ginevra si rassegnò ad imitarli.
<< ... servono un luogo e un insegnante, perchè da soli non andremmo lontano: i libri alle volte non bastano. >> Concluse Hermione determinata.
Ron e Harry innescarono un’ovazione, trascinando gli altri: questa era un’ammissione solenne.
<< Non potremmo fare qui? >> propose Justin. << Come no? A colpi di bolle di sapone. >> ribattè Ron. Ginevra ridacchiò sonnolenta, immaginando la scena: i suoi compagni completamente vestiti, ma bagnati fino al midollo e coperti di schiuma, a dirigere stormi di bolle di sapone contro i Mangiamorte, legati al centro della vasca. Il livello della schiuma si alzava sommergendoli; una chioma di capelli rossi, seminascosta dal mantello nero, spiccava tra i cappucci. Terrorizzata, Ginevra si riconobbe mentre sollevava la testa, in cerca di aria, subito prima di sparire sott’acqua. Di colpo non vedeva più la luce, cercava aria, ma inspirava solo quel liquido viscoso e denso. Soffocava.
Aria; Ginevra riemerse inspirando a fondo l’aria calda e umida. Attorno a lei, silenzio. Cos’era successo? Si guardò attorno spaesata; i compagni rimuginavano cupi, e nessuno sembrava aver notato il suo colpo di sonno.
<< Dovrà pur esserci qualcuno di competente disposto a farlo! >> sbottò Colin a un tratto, rompendo la quiete.
<< Mio cugino è Auror! Però si è trasferito in Finlandia… >> commentò inutilmente Neville. Siamo messi così male?
I ragazzi sprofondarono nuovamente nel silenzio.
<< Chiediamo a Silente! >> Trillò Luna, accanto a lei. Ginevra sobbalzò, voltandosi stralunata verso l’amica.
<< Cosa?!? >> disse Leanne dando voce ai pensieri di Ginevra. Un mormorio perplesso palesò l’opinione generale; qualcuno borbottò << Non doveva essere segreto? Ma da dove ti è venuta questa? >>
<< Beh, è logico >> spiegò Luna, paziente << è competente, è a Hogwarts, sa che la Umbridge è inutile e che serve che impariamo a difenderci. E poi ci vuole bene! >>
Ginevra ci riflettè un attimo; << Ha senso. >>
<< E magari conosce un posto adatto. >> Aggiunse Neville.
Dopo un attimo di silenzio, Hermione tirò le somme: << Non mi sembra ci siano alternative. Se non emergeranno soluzioni migliori chiederemo a lui. Ma se dobbiamo scomodare Silente, servono più partecipanti: per la prossima volta ognuno pensi a un luogo per le esercitazioni e a persone fidate che potrebbero unirsi a noi. Ci aggiorniamo in settimana. >>
Harry picchiettò sul mobiletto degli asciugamani e asserì solenne: << L’udienza è sospesa >>.

 

A gruppetti, i ragazzi si avviarono verso i rispettivi dormitori, il più silenziosamente possibile. Ginevra si trascinò intontita fino alla torre di Grifondoro, e da lì al proprio letto.
Tolse il mantello, restando in pigiama, e scivolò sotto le coperte. Chiuse gli occhi.
Nel letto accanto al suo, sentì Emily rigirarsi un paio di volte, ma presto il suo respiro si fece pesante e regolare, andando a unirsi a quelli delle altre ragazze. Ginevra, paradossalmente, non aveva più sonno - ma ormai non se ne stupiva più.
Aprì gli occhi: il buio era totale. Batté le palpebre un paio di volte, ma gli occhi non sembravano volersi adattare all’oscurità. Attese alcuni minuti, poi si alzò, annoiata, e brancolò verso la finestra. Con un certo sforzo, riuscì a intuire le spesse e impenetrabili nubi che coprivano la luna; questo spiegava l’assenza di luce.
Tornò a letto: doveva dormire assolutamente, non avrebbe retto un altro giorno in quello stato. Già in quella giornata la stanchezza le aveva giocato dei brutti scherzi: nessuna capacità di attenzione, fraintendimenti a catena, visioni oniriche che irrompevano nella realtà; decisamente, non avrebbe retto un altro giorno. Si rigirò nel letto; ma più ci pensava, più la sua mente tornava lucida.
Sospirò: se non poteva dormire, tanto valeva dedicarsi a qualcosa di utile. Dunque: luoghi adatti a ospitare le esercitazioni... Serviva un posto segreto, fuori mano, ampio; possibile che non le venisse in mente niente? Il castello pullulava di luoghi e passaggi segreti. Segreti… la Camera dei Segreti…
I ricordi di Ginevra a riguardo erano incerti; aveva la sensazione di esserci stata molte volte prima di quell’ultima: le poche occasioni in cui dormiva, scorci sempre diversi di marmorei labirinti sotterranei infestavano i suoi sogni. Riconosceva istintivamente la Camera in quegli ambienti, ma tra tutte quelle immagini non sapeva quali corrispondessero alla realtà; si chiedeva come fosse, e dove si trovasse. La sapeva da qualche parte, insidiosa, tra le mura di quello stesso castello; tale consapevolezza la teneva sveglia, notte dopo notte, i sensi all’erta. La stava distruggendo.
Uscì dal letto e si chiuse in bagno: forse una doccia l’avrebbe aiutata a rilassarsi. Lasciò scorrere l’acqua mentre si spogliava, quindi abbandonò i vestiti su una sedia, e si infilò sotto il getto.
Lentamente, il flusso bollente allentò la tensione delle sue membra, mentre il profumo floreale del bagnoschiuma allontanava le immagini angosciose che le saturavano la mente. Ginevra si lasciò stordire dal calore, crogiolandosi nel torpore momentaneo, sotto lo scroscio continuo dell’acqua. Insaponò i capelli e massaggiò la cute a lungo, come per liberarsi da un mal di testa; stava sciacquando via lo shampoo, quando il sapone le finì negli occhi, acido e penetrante. Imprecò a denti stretti, mentre si affrettava a chiudere il rubinetto dell'acqua calda e inondarsi di acqua ghiacciata gli occhi lacrimanti. Il bruciore non accennava a scemare. Quando finalmente riuscì a riaprire gli occhi, era infreddolita e più tesa che mai: dopotutto, la doccia non era stata un’idea vincente.
Si asciugò, demoralizzata, e tornò a letto, sperando di sopravvivere indenne alle ultime ore della notte; si rigirò continuamente, esausta, ma senza riuscire a chiudere occhio, finché il sorgere del sole non la costrinse ad alzarsi.
Priva di forze e con la mente annebbiata, Ginevra lasciò che le ore le scorressero addosso: le lezioni si susseguivano, interminabili, senza lasciare traccia. Le parole di chi la circondava le rimbalzavano nella mente, deformandosi per poi sparire nell’oblio. La mattinata passò nel costante sforzo di mantenersi sveglia, aggrappandosi disperatamente a qualsiasi dettaglio e isolandolo dal suo contesto.
Ora sedeva al suo banco, gli occhi chiusi, le narici pregne dell’odore di pergamena e inchiostro. Quest’odore amaro e ruvido penetrava nel suo cervello, esca per troppi ricordi. Le tempie pulsavano sotto quella pressione e il cuore batteva troppo rapido, incitato dal graffiare svelto e affilato delle penne. A Ginevra mancava l’aria, risucchiata dal continuo senso di vertigine. Per fortuna mancava poco alla fine dell’ora.
Quando finalmente furono congedati dalla professoressa, Ginevra fu grata di poter uscire dalla stanza. Passandole accanto, Emily le chiese qualcosa che Ginevra non colse; rispose alla cieca << Si. Scusa, andate avanti, vi raggiungo in aula. >> e si allontanò dalla folla.
Si appoggiò alla parete per un lungo momento, riprendendo fiato. Quando il mondo smise di girare, si diresse verso i bagni su gambe malferme; giunta all’ingresso, fu investita dal tanfo pungente di detersivo. Si ritrasse immediatamente, nauseata, e riprese a camminare: muoversi aiutava. Proseguì per un tempo indefinito, persa nei suoi pensieri.
Chissà dov’era, la Camera. Forse ci stava camminando sopra in quel preciso istante; non conoscerne l’ubicazione la rendeva paranoica. Chissà quante volte c’era stata: non ricordava assolutamente nulla, eppure aveva la consapevolezza di essere stata lei, fisicamente, a riaprire la Camera dei Segreti, a dare ordini al basilisco. Odiava questa situazione, e l’idea di tornarci la tentava: magari ripetere l’esperienza l’avrebbe aiutata a ricordare. Se Silente l’aveva perquisita, la Camera doveva essere sicura.
In ogni caso, il problema non sussiste: non ho idea di dove sia.
Di fatto, non aveva ragione di pensarci.
Però conosco qualcuno che sa come raggiungerla…
Ginevra imboccò le scale, dirigendosi verso l’ingresso: gli allenamenti di Quidditch dovevano essere quasi finiti.

 

Quando arrivò al campo la squadra di Grifondoro stava smontando dalle scope. Intercettando lo sguardo di Harry, Ginevra gli fece un cenno di saluto. Mentre gli altri giocatori si avviavano verso gli spogliatoi, Harry la raggiunse, sorridente.
<< Ginny! Come sapevi che ero qui? >> le chiese scherzoso.
Ginevra si diede un tono caricaturalmente misterioso: << Sono onnisciente. Come vanno gli allenamenti senza di me? Un disastro, non è vero? >>
<< Spiacente di deluderla, ma la Coppa è nostra in ogni caso! Anche se devo ammettere che non è stato facile trovare un sostituto alla tua altezza. >>
Ginevra accennò un sorriso, ma non aggiunse nulla.
<< Comunque, a cosa devo il piacere? >> continuò Harry, riempiendo quel silenzio.
Uscendo dagli spogliatoi, alcuni membri della squadra passarono loro accanto. Ginevra li seguì con lo sguardo, finché non si furono allontanati abbastanza. << Ecco, avrei bisogno di chiederti un paio di cose. Hai un minuto? >>
Harry parve stupito, ma si riscosse in fretta: << Certo. Facciamo due passi? >>
Ginevra acconsentì, sollevata, e i due si avviarono per il parco.
Per un po’ camminarono in silenzio. Poi Ginevra esordì: << Riguarda la riunione di ieri notte; avrei una proposta per il luogo, ma prima di parlarne con gli altri vorrei sapere cosa ne pensi. >>
<< Spara. >> la incoraggiò Harry, a suo agio.
<< Temo che l’unico luogo di Hogwarts ad essere abbastanza ampio e abbastanza segreto sia… >> prima di proseguire, Ginevra trasse un respiro profondo, e si voltò a guardarlo << … la Camera dei Segreti. >>
Entrambi avevano smesso di camminare. Ci fu un lungo silenzio, nel quale Harry la osservò con attenzione. Parve calibrare le parole prima di rispondere: << Non credo sia un luogo adatto. >>
Chissà perché, Ginevra l’aveva immaginato, ma le serviva qualche informazione in più. << Perché? >> chiese, le sopracciglia aggrottate.
<< Anzitutto, non è sicuro: trasuda magia oscura. Inoltre, è spiacevole da raggiungere. E bisogna saper parlare Serpentese. >>
<< Perché, come ci si arriva? >> vedendolo titubante, si affrettò ad aggiungere: << E’ strano, perché so di esserci già stata, ma… >> si strinse nelle spalle, in difficoltà << non ricordo. >>
<< Capisco, non dev'essere facile. Ma sei sicura non sia meglio così? >>
Ginevra scosse la testa, trattenendo una risata amara: << E andare avanti così? Ovunque io sia, è sempre come se la Camera fosse lì, a un passo da me. >> dopo aver sputato questa verità Ginevra tacque, lo sguardo basso; ammetterlo le era costato parecchio.
<< Se sei certa di volerlo sapere, posso raccontarti come ci siamo arrivati. >>
Sollevando il volto, Ginevra si accorse che Harry la guardava preoccupato. Annuì in risposta, dissimulando la soddisfazione.
<< Nel bagno di Mirtilla Malcontenta, in uno dei cubicoli, il rubinetto non funziona. Ha inciso sopra un serpente. Quello è l’ingresso: basta dire apriti. Per raggiungere la Camera bisogna camminare per chilometri nelle tubature. Non so dirti esattamente dove si trovi, ma di certo è parecchio lontano da noi. >>
Ginevra lo guardava perplessa: << Cos’era quel verso? >>
<< Quale? >> chiese lui.
<< Quella sorta di sibilo che hai fatto prima. >>
Harry si grattò la testa, vagamente imbarazzato: << Ah, sì, era Serpentese. Devo essermi distratto. Significa “apriti”. >> Harry diede un’occhiata al cielo, che andava scurendosi. << Ma che ore saranno? >>
<< Ora di cena, credo. Ti lascio libero, immagino vorrai andare a cambiarti. >> rispose lei.
<< Direi di sì. Comunque, ti senti bene? Sei pallida. >>
Ginevra annuì: sapeva di avere una pessima cera << Sì, sto bene, non preoccuparti. Grazie della chiacchierata. >>
<< Nessun problema. Allora ci si vede! >> la salutò Harry.
<< Certo, buona serata. >> concluse Ginevra, avviandosi poi verso il castello. Apriti, ripetè mentalmente.
Mentre camminava, i sensi tornarono ad annebbiarsi: l’insperata lucidità che aveva ritrovato nell’agire si dissolse, lasciandola intorpidita. Arrivata in Sala Grande, Ginevra si trascinò fino al suo solito posto, e si lasciò cadere accanto alle compagne di corso. Iniziò a mangiare come un automa.
<< Eccoti finalmente! >> la assalì Emily. Ginevra serrò gli occhi, stanca e infastidita. << Ma dov'eri? Avevi detto che ci avresti raggiunto, ma poi sei sparita nel nulla. Ci hai fatto preoccupare. Sicura di star bene? Ultimamente sembri uno zombie. >> Emily le stava di fronte, perforandola con sguardo di piombo: quegli occhi urlavano accuse, schiacciandola a terra.
<< Non ho fatto niente. >> cercò di difendersi Ginevra, ma la voce le morì in gola. Sagome aguzze si fecero avanti, circondandola.
Justin le si avvicinò sprezzante: << E’ inutile che neghi: sappiamo che è colpa tua. >>
<< Sappiamo tutto. >> ringhiò Hermione.
Sua madre piangeva, indicandola con braccio tremante: << Hai sempre finto di essere come noi, ma la tua anima è putrefatta! >> urlò tra un singhiozzo e l’altro, sconvolta.
<< Traditrice. >> le sputò addosso Fred, disgustato, frapponendosi tra lei e la madre. 
Silente torreggiava su di lei << Hai mentito, ma non puoi più nasconderti. >> tuonò. La parola “assassina” sibilò nell’aria, tagliente, riverberando odio.Ginevra cercò disperatamente di liberarsi, ma le catene erano sanguisughe, che si strinsero su di lei, mordendola, penetrandole la carne. Levò lo sguardo… 

Una mano la scosse per la spalla e Ginevra aprì gli occhi, di scatto. << Ginny? Noi stiamo salendo, vieni? I cuscini sono più comodi del tavolo. >> Stordita, Ginevra si alzò, e si incamminò dietro agli altri, osservandoli con timore. Deglutì; non avevano idea di ciò che nascondeva. Attraversò il castello quasi senza accorgersene, persa nei meandri del suo cervello.
Una volta giunta in Sala Comune decise di restare tra loro per un po', per scrollarsi di dosso l'inquietudine. Gli altri sedettero davanti al camino e Ginevra si rannicchiò ai piedi del divano, sul tappeto. Appoggiò la testa al bracciolo, lasciandosi cullare dalle voci amichevoli. Presto scivolò in un sonno senza sogni.


Ginevra si svegliò, riversa a terra, con le setole del tappeto che le pizzicavano la guancia. La stanza, ormai, era fredda e vuota. Si levò a sedere, stropicciando i muscoli indolenziti; si era addormentata sul braccio destro, che ora formicolava, insensibile e ghiacciato. Aveva la percezione che fosse grande il doppio. Mosse per un po’ le dita, e, come il sangue ricominciò a scorrere, l’arto divenne febbricitante. Ginevra prese a disegnare arabeschi sul tappeto, aspettando che la mano smettesse di pulsare. Presto si perse in quel gesto rilassante e ipnotico; le sue dita affondavano nel tappeto, tracciando linee e immagini in contropelo. A un tratto si soffermò ad osservare la linea sinuosa da lei disegnata, nella luce tremula e languente delle braci: sembrava un serpente. Ma all’immagine mancava una parte. Con gesti automatici, si ritrovò a delineare un teschio subito sopra. Il Marchio Nero. Rabbrividì fissando le orbite vuote; come paralizzata, non riusciva a distoglierne lo sguardo. Dopo un po’ si riscosse, e lo cancellò con rabbia; ma anche così continuava a vederlo: l’immagine si era impressa nella retina. Il tappeto, così liscio, continuava a inquietarla: aveva l’impressione che il Marchio fosse sempre lì, a fissarla invisibile. Era come se, anziché cancellarlo, lo avesse solo coperto; e allora lo sbarrò, lo squarciò, lo fece a pezzi, ma il Marchio rimaneva. Arretrò gattoni, terrorizzata; poi si alzò di colpo, attraversò il ritratto e fuggì.
Attraversò corridoi, scale, passaggi nascosti; corse. Infine si fermò ansante davanti ai bagni delle ragazze del secondo piano. Si affacciò guardinga, il cuore in gola: la poca luce che filtrava dalla finestra si rifletteva in lunghe linee bianche; l’aria era liquida, e il silenzio pesava, interrotto da un ritmico gocciolio. Ogni cosa era assurdamente immobile. Avanzò tesa, mentre i suoi passi rimbombavano sulla pietra. Fortunatamente, Mirtilla Malcontenta non sembrava essere nei paraggi. Entrò nel primo cubicolo alla sua sinistra: trattenendo il respiro, fece scorrere il pollice sul metallo freddo del rubinetto: nulla, era perfettamente liscio. Espirò lentamente; se fosse sollevata o delusa non lo sapeva nemmeno lei.
Esaminò gli altri bagni, ogni rubinetto, uno a uno. Non c’era niente. Si fermò al centro della stanza, furiosa, lo sguardo che schizzava tutto intorno, ripercorrendo le porte; le aveva già controllate tutte.
Non è possibile. No. Deve essere qui da qualche parte. DEVE!
Frenetica, ricominciò da capo, esaminando ogni manopola con ostinazione. Finalmente, nel terzo cubicolo, trovò l’incisione: la sentì talmente fine, sotto il polpastrello sudato, che capì il motivo per cui prima non l’aveva notata: sarebbe potuta passare per un semplice graffio. In cerca di un’ulteriore conferma, ruotò la manopola: produsse un cigolio sordo, ma non uscì acqua. Con le viscere attorcigliate, Ginevra arretrò di un passo.
Si concentrò, riportando alla mente l’insieme di sibili sentiti nel pomeriggio: << Apriti >>
Non successe nulla; Ginevra non se ne stupì: aveva immaginato di dover provare più volte. Stava per ripetere, quando sentì uno scatto: il pavimento si aprì, rivelando un enorme tunnel nero. Il battito accelerato, Ginevra estrasse la bacchetta e mormorò << Lumos >>; con quella poca luce e impedendosi di pensare, fece un passo avanti e si lasciò scivolare nelle tubature.
Scendeva a rotta di collo nell’oscurità, sballottata. Cunicoli minori si diramavano dal principale, ma erano troppo piccoli per rischiare di deviare dal percorso. A ogni svolta credeva stesse per finire, ma poi la discesa continuava, interminabile. D’un tratto, sbatté contro una lastra di ruvida roccia; si raddrizzò, dolorante, e inspirò a fondo l’aria umida e ferrosa. L’odore acre le era incredibilmente familiare; si alzò e iniziò a camminare, perseguitata dalla sensazione di stare rivivendo un sogno che non riusciva a ricordare. La memoria formicolava, trafitta dalle sensazioni e dalle immagini che la tempestavano; il ricordo era lì, a solleticare i margini della sua coscienza, ma non riusciva ad afferrarlo. Tesa e snervata, proseguiva nei sotterranei; più vi si inoltrava, più la temperatura diminuiva. Il tunnel si concluse di fronte a una spessa porta metallica: sul rame ossidato era incisa l’effigie di Serpeverde.
Ginevra si bloccò, pensando in fretta. Sperò che la chiave per entrare fosse sempre la stessa.
<< Apriti >>
Le serrature scattarono, una a una; libera, la botola ruotò sui suoi cardini, aprendosi silenziosamente.
Come da un’altra dimensione, Ginevra avanzò nella penombra verdastra. Sotto i suoi piedi, levigato marmo bianco si sostituì alla roccia; era come camminare in una delle sue visioni notturne. La Camera si apriva davanti a lei, oscura e infinita.
D’un tratto Ginevra scorse qualcosa a terra; si avvicinò a quell’ombra indistinta, finché la forma non cominciò a definirsi.
Il suo cuore perse un battito; Ginevra si bloccò, immobile, gli occhi spalancati, i ricordi che turbinavano pazzi attorno a lei; fu invasa dal sibilante odore di pergamena e inchiostro. Era precipitata in un incubo: lo spazio pulsava in un unico marasma protendendosi minaccioso verso di lei. A un passo dal crollo, Ginevra riprese a respirare. Devo andarmene da qui. Arretrò incespicando e corse via.


 

PROSSIMA PUBBLICAZIONE: Mercoledì 23 Settembre.

Con questo capitolo aggiungiamo una traccia alla colonna sonora: Think I'm Sick, dei miticerrimi (XD) Icon for Hire. Canzone che costituisce niente meno che la voe di Ginevra in questo capitolo. Ci è stata di estrema ispirazione:
https://www.youtube.com/playlist?list=PL6CMli1an-4xbapQAwmqsPGDYrxHDjpCA

Grazie a tutti per aver letto,
e di nuovo grazie a chi ci ha preferito, ricordato e seguito, e più di ogni altra cosa a chi ha recensito!
Se volete farci conoscere il vostro parere sulla storia saremo contentissime di ascoltarvi =)

A presto! 
Blue Heads

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Capitolo 9
*** Capitolo VII ***


Capitolo VII

 

Pericolo. Correva a rotta di collo. Scappa! Approfittò di una svolta obbligata per guardarsi alle spalle - dannato buio - quasi non cadde per lo slancio. Più in fretta. Intravide troppo tardi il muro sulla sua traiettoria. Attutì il colpo con le braccia e balzò indietro.
Ginevra si raddrizzò, studiando la parete verticale: la superficie era frastagliata e discontinua, intervallata da crepe e sbocchi di tubature minori. Più in alto il tunnel curvava, e l’inclinazione avrebbe reso tutto più facile; l’arrampicata non era impossibile. Arretrò di una decina di metri, osservando la parete con sfida, e prese la rincorsa. Lo stomaco si contrasse mentre correva verso l’ostacolo a tutta velocità; a una falcata di distanza staccò, lanciandosi il più in alto possibile. Il piede sinistro fece presa su uno degli sbocchi e la mano opposta si scorticò, scontrandosi con la pietra. Gli occhi lacrimarono per la ferita, pungenti, ma Ginevra non poteva permettersi di asciugarli. Nella semioscurità proseguì a tentoni: puntellò il piede destro nella fessura di una crepa, quindi staccò il sinistro, facendo leva sul primo e tendendosi verso l’alto, ma il piede franò nel vuoto. Nel tentativo di aggrapparsi al muro con la mano libera, grattò la parete senza trovare appiglio. Ginevra rimase appesa alla sola mano destra: i tendini del braccio si tesero al limite dello strappo, i muscoli delle dita tremarono nello sforzo disperato di reggerla. Durò una frazione di secondo; poi cedettero.
L’impatto con il terreno fu devastante. Il suo ginocchio cedette di colpo: Ginevra distinse chiaramente la rotula uscire dalla sua sede, ne sentì lo schiocco. Cadde al suolo, contorcendosi  dal dolore, il respiro impazzito e incontrollabile. Gridò con tutto il fiato che aveva in corpo, le lacrime la accevano e le inondavano il volto. Il terrore la investì, distruggendola, assieme alla consapevolezza che non si sarebbe più rialzata. Era scesa con le sue gambe nel proprio sepolcro, e non c’era uscita. Intrappolata, torturata, uccisa. Sarebbe morta laggiù, in un urlo  che si sarebbe propagato infinto e vano in quelle rocce, impregnandole del suo odore ferroso: nessuno poteva salvarla. L’unico a poter immaginare dove lei fosse era Harry, ma non faceva differenza: non avrebbero accertato la sua scomparsa per ore, forse giorni.
No, non sarebbe rimasta inerme ad attendere la fine. Si sarebbe salvata da sola.
Cercò di regolarizzare il respiro, e, per quanto le fu possibile, di reprimere i singulti: ogni movimento accresceva lo strazio. Doveva distendere la gamba ora, o non sarebbe più riuscita a farlo. Trasse un respiro profondo e, centimetro per centimetro, contrastò la rigida morsa dei muscoli; strinse la mano tra i denti per non urlare: a ogni progresso, nuove ondate la dilaniavano. Ginevra rimase a terra, serrando i pugni, attendendo che le fitte si placassero; il sangue le pulsava nelle orecchie, sordo e obnubilante.
Dopo un tempo infinito, il dolore raggiunse un livello sopportabile. Scacciò le lacrime con un gesto deciso; scostò le vesti ed esaminò il ginocchio, valutando i danni. Estrasse la bacchetta e formulò l’incantesimo curativo più potente che conoscesse, sperando che funzionasse anche su ferite non magiche. Gradualmente il gonfiore e la rigidità dell’articolazione diminuirono, ma in quelle condizioni Ginevra non potè mantenere l’incantesimo più a lungo: le richideva troppe energie. Si concesse un attimo per riprendere fiato e si guardò attorno. La via per cui era arrivata non era percorribile al contrario, ma la Camera doveva avere un’altra uscita: Silente avrebbe anche potuto levitarsi fuori, ma l’idea che Salazar Serpeverde passasse per le tubature era ridicola. Questo doveva essere il passaggio per il basilisco; per sé, Salazar aveva sicuramente progettato un ingresso più comodo e dignitoso, che doveva trovarsi nella Camera. Quindi Ginevra doveva tornare là dentro; rivide il lucido marmo bianco, le ombre che la inghiottivano, il diario che la chiamava a sé. Atterrì, guardando il tunnel da cui era venuta e che ora doveva ripercorrere. Prese tempo, lasciando che il ginocchio riposasse. Per quale ragione il diario era lì? Non c’era quando Silente aveva perquisito la Camera, quindi qualcuno doveva avercelo riportato, e ora poteva essere lì ad attenderla, consapevole di averla in pugno. Ginevra si ritrasse in un angolo, cencando rifugio. Ma non poteva rimanere lì per sempre, doveva trovare il coraggio di compiere l’unica scelta possibile. Esausta ma risoluta, Ginevra si alzò a fatica e si avviò zoppicando nel buio. Attraversò il cunicolo roccioso tendendo le orecchie e arrestandosi ad ogni minimo rumore. Infine giunse di fronte alla botola e di colpo andare incontro alla propria morte in quella maniera le sembrò indicibilmente stupido. Eppure restare lì non aveva senso. Forse, in fondo, si era trattato solo di un’allucinazione e nella Camera non c’era assolutamente nulla; del resto, erano troppe notti che non dormiva e il suo cervello l’aveva già tradita più volte.
Si autoimpose un incantesimo di disillusione e iniziò a richiamare alla mente le formule che più avrebbero potuto tornarle utili, ma si bloccò subito, dandosi della stupida: Al diavolo, se dietro a questa porta c’è Voldemort, la mia unica possibilità è evitare lo scontro.
Scostò i capelli dal volto e sibilò decisa << Apriti. >>
La botola si aprì sul buio più totale. Con il cuore in gola, Ginevra fece un passo avanti e sospinse un globo di luce a pochi metri da lei. Rimase inchiodata: non c’era nulla. Si spostò sotto il getto di luce e scrutò il pavimento, incredula: laddove prima c’era il diario, vide solo il proprio riflesso. Eppure era certa che ci fosse, l’aveva visto; doveva essere lì da qualche parte. Inviò un altro globo, trattenendo il respiro: nulla. Un altro globo. E un altro, avanzando con loro. Il rumore dei suoi passi zoppicanti rimbombava nel vuoto, impedendole di sentire. Man mano venne delineandosi un ampio passaggio; oltre alle fiaccole spente appese alle pareti, non c’era assolutamente niente. Si guardò alle spalle: sembrava tutto tranquillo. Ma il diario dov’era? Ginevra proseguì, inquieta. Le stava sfuggendo qualcosa; non poteva essersi spostato da solo. Presto si trovò di fronte a una curva a gomito, impossibilitata a vedere oltre. Si fermò ad ascoltare; le rispose solo il silenzio. Preparò altri globi di luce. Tentò di deglutire, ma aveva la bocca riarsa; si costrinse a svoltare l’angolo, la bacchetta sguainata. Proiettò i globi nello spazio davanti a sé, illuminandolo d’un colpo. Il corridoio era deserto. Ginevra scoppiò in una risata incontrollata.
Il diario non c’era, non c’era mai stato, e lei era completamente pazza.
Continuò a ridere, finchè non fu completamente spossata. Quindi inspirò a fondo e attraversò il corridoio. Era più grande di quello da cui proveniva; le pareti scure, intervallate da colonne bianche, erano talmente alte che il soffitto spariva nel buio. In lontananza davanti a lei, Ginevra intravide una tenue luce verde; la sagoma le era familiare. Avvicinandosi iniziò a distinguere la forma dell’enorme bacile di smeraldo da cui proveniva il chiarore, che delineava le figure di archi rampanti, posti tutto intorno all’altare. Di colpo Ginevra seppe dove si trovava. Era assurdo: non aveva alcun ricordo cosciente legato a quel luogo eppure avrebbe saputo disegnarne la planimetria: accanto a lei la biblioteca, il laboratorio di pozioni di fronte a questa, e, all’estremo opposto della stanza, l’ingresso. Ora sapeva come uscire, ma non osava attraversare la sala al buio; le serviva più luce… Non fece in tempo a completare il pensiero che l’intera Camera si illuminò di colpo. Quella vista generò in lei un senso di vertigine.
La Camera la sovrastava, circondandola con la sua immensità spettrale; l'aria taceva di un silenzio reverenziale, votata alla venerazione: Ginevra poteva avvertire l'aura di un'entità superiore, quasi divina, che sembrava osservarla e chiamarla a giustificare la sua presenza sacrilega. Ginevra avanzò, la fronte china, quasi a chiedere perdono: oltraggio era il rumore dei suoi passi. Stava impiegando un’eternità ad attraversare la sala per il lungo; si sentiva ridicola. Avrebbe voluto mettersi a correre, per uscire di lì e togliersi da quella situazione, ma non osava farlo. Con una lentezza esasperante, aggravata dal dolore al ginocchio, Ginevra superò il monumento funebre di Serpeverde, un altare sul quale era adagiata una statua ritraente il corpo esanime di Salazar; era ancora a metà del tragitto. Diversi metri dopo si arrestò: il pavimento era attraversato da solchi. Davanti ai suoi occhi si delineava il cerchio alchemico più grande e complesso che avesse mai visto. Mentre ci girava attorno, lo contemplò, affascinata; la maggior parte dei simboli le erano totalmente sconosciuti, ma riuscì a decifrarne alcuni. Si bloccò di colpo, folgorata dalla consapevolezza di star calpestando il suolo sul quale si era trovata, agonizzante, mentre Voldemort le strappava la vita. Si scostò di qualche passo per osservarlo nell’insieme: quel luogo custodiva residui di una verità che non riusciva a cogliere. Lì poteva trovare la chiave per ottenenere le risposte che cercava da tempo. Spaventata, Ginevra brancolò all'indietro; doveva uscire.
Il più rapidamente possibile, raggiunse il portone. Lo spinse quel tanto che bastava per passare, e scivolò fuori, lasciandosi la Camera alle spalle. Mentre sentiva il portone richiudersi dietro di lei, inspirò l’aria familiare di Hogwarts e sorrise debolmente, sorpresa e sollevata. Era a casa.




PROSSIMA PUBBLICAZIONE: Sabato 10 Settembre.

Grazie a tutti per aver letto,
e di nuovo grazie a chi ci ha preferito, ricordato e seguito, e più di ogni altra cosa a chi ha recensito!
Se volete farci conoscere il vostro parere sulla storia saremo contentissime di ascoltarvi =)

A presto!

Blue Heads

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Capitolo 10
*** Capitolo VIII ***


Ci scusiamo per il ritardo nella pubblicazione!! Ieri non mi funzionava internet... sigh!



Capitolo VIII

 

Una volta attraversato il portone Ginevra si ritrovò in una stanza vuota, il cui unico elemento di arredo era un immenso tappeto. Si guardò attorno: due porte identiche spiccavano su pareti opposte, davanti e dietro di lei. Avanzò incerta verso l’uscita; era spossata e il ginocchio doleva ad ogni passo. Cosa ci sarebbe stato di male nel concedersi un momento di riposo? Il tappeto, sotto i suoi piedi, era morbido e invitante, e Ginevra era più che mai tentata di abbandonarsi a terra. Ma un ulteriore sguardo all’ambiente riuscì a dissuaderla: attorno a lei dominava un intenso verde smeraldo. Sospirò - quel colore non prometteva bene; se l'avessero sorpresa a Serpeverde non sarebbe stato facile spiegare. Anche se la tinta fosse dipesa dal semplice fatto che quello era l'ingresso della Camera dei Segreti, non poteva rischiare di addormentarsi lì.
A malincuore, Ginevra si costrinse a raggiungere la porta di fronte a lei. Si chiese cosa avrebbe trovato al di là, ma non se ne preoccupò eccessivamente: se fosse stata scoperta, il peggio che avrebbe potuto capitarle era che le facessero una ramanzina e togliessero una manciata di punti a Grifondoro. Alleggerita, spalancò il portone e uscì, camminando nel buio. Battè più volte le palpebre, finché i suoi occhi non si abituarono quel tanto da permetterle di distinguere, sulla parete opposta, l’Arazzo di Barnaba il Babbeo: evidentemente si trovava in uno dei corridoi del settimo piano. Si voltò a guardare il liscio muro di pietra che - Ginevra lo sapeva - celava l’ingresso della Stanza delle Infinite Realtà*: dunque era quella la chiave per arrivare alla Camera dei Segreti.
Si avviò verso la Torre di Grifondoro, pensierosa. Effettivamente avrebbe potuto capirlo anche da sola: tempo prima era stato proprio Tom a parlarle di quel luogo, nel raccontare dei suoi giorni ad Hogwarts. Assonnata, Ginevra si trascinò fino al suo dormitorio, dove finalmente si gettò sul letto, crollando addormenta.



Ginevra stiracchiò la schiena dolente, mettendosi a sedere. Mentre si sollevava, le lenzuola le scivolarono di dosso; eppure, constatò Ginevra con uno sguardo agli abiti logori e stropicciati che indossava, era ancora competamente vestita, e non ricorava di essersi infilata sotto le coperte: Emily doveva aver avuto pietà di lei. Si guardò attorno: il dormitorio era vuoto, le luci erano accese e il sole tramontava fuori dalla finestra. Fece per alzarsi, ma una fitta al ginocchio la costrinse a desistere. Ginevra impugnò la bacchetta, concentrandosi, e recitò: << Vulnera sanentur >>.
Un calore rinvigorente si diffuse nell’articolazione, mentre questa si sgonfiava progressivamente. Questa volta, Ginevra riuscì a mantenere l’incantesimo fino a che il ginocchio non fu completamente disinfiammato; incredibile quanta differenza facesse aver dormito. Con un sonoro sbadiglio, si avviò verso il bagno. Ricordava vagamente un sogno… pile di tazze. Aveva passato la notte a lavare tazze nelle cucine di Hogwarts. Ma già che era lì, perchè non aveva mangiato? Mah... Si sciacquò la faccia, tornando al presente. Aveva fame, molta fame: doveva essere ora di cena. Dopo essersi resa minimamente presentabile, scese in Sala Grande e lì consumò silenziosamente il suo pasto, avvolta dalla sonnolenza. Dopo aver mangiato si alzò per sgranchire le gambe e camminò fino a raggiungere Luna, al tavolo di Corvonero. Sedutasi sulla panca, le si accoccolò addosso, mugugnando: << Buongiorno >>. Ginevra sentì la spalla dell’amica vibrare sotto la sua testa. << Buonanotte! >> rispose lei, ridendo: << Io qui ho finito, ti va di fare un giro? >>
Non era una cattiva idea, rifletté Ginevra; annuì e si stiracchiò, valutando l’ipotesi di alzarsi. No, non ce la posso fare - la testa le ricadde sul tavolo.
<< Ehi, non dovevamo andare? >> La rimproverò Luna, che era già in piedi e pronta a partire. Ginevra borbottò, zittendola con un gesto: << Ancora un attimo… >>
Stava nuovamente scivolando nel mondo dei sogni, quando le dita di Luna le aggredirono i fianchi, facendole il solletico. Ginevra saltò in piedi strillando, incenerendo con lo sguardo l’amica. Soddisfatta e spensierata, Luna si avviò fuori dalla Sala.
<< Però non vale. >> brontolò Ginevra, sbrigandosi a seguirla.
Quando la raggiunse, Luna stava già varcando l’ingresso del cortile. Mentre Ginevra la seguiva all’aperto, la fresca aria autunnale la scosse, facendola rabbrividire. D’un tratto, Luna esordì: << Allora, cos’hai fatto oggi? >>
Ginevra si concentrò per un attimo: << Mhm… ho lavato le tazze, perchè gli elfi occupavano il mio letto. E poi mi sono svegliata. Più o meno… >>
<< Capisco, che invidia! >> rispose l’amica << Io, invece, mi sono dovuta alzare alle sette: Alhena stava facendo pratica con l’incanto Reductor e ha disintegrato una gamba del mio letto. >>
Detto ciò, Luna tacque, e le due ragazze passeggiarono in silenzio, mentre Ginevra smaltiva l’annebbiamento e il torpore, strascichi della sua dormita di quasi quindici ore.
Finalmente sveglia, Ginevra riprese il discorso: << A parte il risveglio disastroso, cos’hai combinato oggi? >>
Luna sorrise, dandosi un’aria di mistero: << Ho rivisto un nuovo amico. >>
Ginevra sgranò gli occhi: come aveva potuto sfuggirle una novità del genere? Un vago senso di colpa si fece strada in lei: nell’ultimo periodo era stata tanto presa dai suoi problemi da dimenticare che il mondo continuava a girare e le vite degli altri proseguivano, con o senza di lei. Determinata a scoprire cosa si fosse persa, Ginevra prese l’amica sotto braccio e indagò, con fare cospiratorio: << E chi sarebbe costui? >>
Alle sue parole, Luna si illuminò: << Sapessi! >> trillò, per poi partire a manetta << L’ho conosciuto sull’Espresso per Hogwarts. E’ un ragazzo simpatico! Sta passando un momento difficile: sua madre è morta questa estate, ed è molto solo. Mi ricorda un po’ me da piccola... >> per un attimo il suo volto fu attraversato da una smorfia triste, e Ginevra la rivide bambina, quando ancora si conoscevano poco e Luna era sopraffatta dalla sofferenza per la perdita della madre.
Poi Luna riprese, la voce più serena: << Credo abbia un po’ mandato a quel paese i suoi vecchi amici, ma secondo me ha fatto bene. Adesso gliene servono di nuovi! >>
Ginevra sorrise, contagiata dall’ottimismo dell’amica: << Sì, mi sembra una conclusione logica. >>
Luna si voltò di colpo, e Ginevra capì dal suo sorrisone che la ragazza non aspettava altro: << Sono certa che andrete d’accordo!! >> Urlò, gettandole le braccia al collo. Lo slancio destabilizzò Ginevra, facendola barcollare sul ginocchio ancora vulnerabile. Dopo un attimo di sconcerto, Ginevra rise, scuotendo la testa e abbracciandola di rimando: aveva inavvertitamente accettato di conoscerlo.
<< D’accordo koala, ma che ne dici se ci andiamo a sedere? >> la motteggiò, e, senza attendere una risposta, trascinò Luna alla panchina più vicina.
<< Se sei sicura del fatto che ci andrò d’accordo, non avrai problemi a svelarmi l’identità di questo misterioso individuo… >> attaccò Ginevra.
<< Ma deve essere una sorpresa, se te lo dico che gusto c’è? >>
<< Despota! >> brontolò Ginevra, mettendo il broncio. Ma non resistette che pochi secondi; la curiosità ebbe la meglio e Ginevra tornò a guardarla di sottecchi: << Neanche un indizio? Di che casa è? >>
<< Non te lo dico, sarebbe troppo facile! >> la stuzzicò Luna, godendosi il suo momento di gloria: << Posso solo dirti che non è di Corvonero >>
<< Almeno dimmi che aspetto ha! >> la implorò Ginevra.
Luna scosse la testa, categorica.
<< Capelli scuri o chiari? >> Luna sembrò valutare se fosse o meno il caso di risponderle. Dopo un silenzio esageratamente lungo, dichiarò: << Scuri. Molto scuri. >>
Ginevra ghignò: se era così semplice estorcerle informazioni, avrebbe svelato l’arcano in un battito di ciglia: << E gli occhi? >> incalzò.
<< Chiari >> rivelò Luna, suo malgrado.
<< Oh, sarò zia di tanti bei marmocchi occhiazzurrini! >> esclamò Ginevra. Batté le mani, esaltata, e proseguì con l’interrogatorio, ignorando lo sguardo truce che l’amica le stava rivolgendo: << E’ del nostro anno? >>
Luna esitò: << N-no... >>
<< Oddio, è più piccolo! >>
<< Non ho detto questo! >> Ribatté Luna, colta alla sprovvista.
<< Ah-ha, allora è del settimo! >> gongolò Ginevra: tutto procedeva secondo le sue previsioni. << Non ho detto neanche questo. >> mugugnò Luna, senza convinzione.
<< Il cerchio si stringe, mia cara! >> canticchiò Ginevra - Sono un’investigatrice provetta!
<< Oh, guarda come si è fatto tardi! >> esclamò Luna, teatrale << Mi accompagni a vedere se gli elfi hanno sistemato il mio letto? Se è ancora rotto dovrò tornare a cercarli prima del coprifuoco. >>
Ginevra annuì, saccente: << Cerchi di sfuggirmi, eh? D’accordo, ma non credere di cavartela così facilmente! Scoprirò la verità, puoi contarci. >> asserì, alzandosi dalla panchina.
Sorrise, silenziosa, mentre camminava accanto a Luna: era bello passare del tempo assieme, condividere i pensieri, comunicare davvero. Solo ora si rendeva conto di quanto fosse stata chiusa in sé stessa negli ultimi mesi, e atterrì all’idea di dover andare avanti così.
Mentre salivano le scale a chiocciola della torre di Corvonero, Ginevra osservò Luna di sottecchi: non avrebbe potuto dirle tutto, ma dov’era scritto che non poteva raccontarle di essere scesa nella Camera?
Non era necessario che restasse così sola.
Le sue riflessioni si interruppero quando Ginevra e Luna giunsero di fronte alla liscia porta nera che conduceva al dormitorio. Il corvo di bronzo appollaiato sopra di loro aprì il becco e stridette: << Cos’è la lucertola? >>
Uhm...Un rettile? Pensò Ginevra, ma ormai aveva imparato che le sue risposte lì non valevano nulla. A rafforzare la sua convinzione, Luna enunciò serena: << Un riassunto del coccodrillo. >> Decisamente, non ci sarei mai arrivata.
Sotto il suo sguardo allibito, il corvo gracchiò una risata e le lasciò entrare: questa era l’ennesima conferma del fatto che, a Corvonero, la capacità di ragionare fuori dagli schemi era premiata al pari delle doti logiche.
Ginevra corse fino al dormitorio, seminando l’amica, e si lanciò sul suo letto, avendo cura di occuparlo tutto - la struttura era ben solida.
<< Ma tranquilla, fai come se fossi a casa tua! >> scherzò Luna mentre la raggiungeva, facendosi spazio sul materasso, in mezzo a mazzi di fiori sconosciuti e vecchi numeri de il Cavillo.
Ginevra sfoggiò un sorrisone angelico: << Testavo la sua resistenza! Ho corso un grave pericolo, ma non potevo permettere che ti succedesse qualcosa. >> dichiarò con trasporto, per poi continuare: << Comunque hanno fatto un ottimo lavoro! >>
Luna rise e le lanciò dietro un cuscino, scuotendo la testa: << Come farei senza di te? >>
Ginevra tacque, di colpo nervosa al pensiero di ciò che stava per dirle. Sbirciò l’amica con la coda dell’occhio: << Luna? >>
Lei parve intuire la serietà del momento. << Dimmi >> rispose, disponendosi all’ascolto, e Ginevra seppe che non avrebbe più potuto tirarsi indietro. Si schiarì la gola: << Ecco, era da quando mi sono svegliata in ospedale che ci pensavo. Sì, insomma, era un po’ che non riuscivo a dormire e… >> Ed era ossessionata dal ricordo della Camera, del diario, di Tom; per scoprire come raggiungerla aveva raggirato Harry, facendo leva sulla pietà che gli ispirava, e aveva raggirato sé stessa, dicendosi che voleva saperlo solo per sicurezza e che, probabilmente, non ci sarebbe mai tornata - invece lo aveva fatto, era scesa.nella.Camera.
Ginevra deglutì, aggrottando le sopracciglia, angosciata: Come lo dico?!? << Volevo… Ci pensavo e... ecco, non ero ancora - non avevo ancora deciso cosa fare a riguardo, però comunque in ogni caso ho convinto Harry a spiegarmi come arrivarci e quindi... sì, ecco, stanotte, io sono >> si torturò le mani, guardando Luna dal basso in alto, trattenendo il respiro: << scesa nella Camera. >> ammise con un filo di voce. Inspirò ed espirò profondamente - lo aveva detto davvero! Luna, seduta davanti a lei, la guardava impassibile. Ginevra proseguì, più tranquilla: << E poi… >> aveva avuto un’allucinazione, si era distrutta un ginocchio tentando di fuggire, si era risolta ad affrontare Voldemort, e poi… << e poi non è successo niente. Sono tornata su. >> e davvero non le era successo niente. Rielaborando gli avvenimenti in questa prosettiva, Ginevra rimase senza parole.
<< Tutto a posto allora. >> le confermò Luna, sorridendo.
<< Sì. >> Ginevra annuì, e rise, sollevata: << Mi sono tolta un peso! >> Si lasciò cadere all’indietro e sospirò, abbracciando il cuscino. Per qualche minuto rimase in silenzio, contemplando soddisfatta il proprio successo.
<< Comunque >> riprese Luna a un tratto << secondo te sarebbe un problema se invitassi il mio amico alle riunioni segrete? >>
Grata che Luna non si fosse soffermata sull’argomento, Ginevra si mise comoda e socchiuse gli occhi - iniziava a sentire la stanchezza. << Perché no? Se credi ci si possa fidare, non dovrebbero esserci problemi: più siamo meglio è. E poi, significa che lo incontrerò presto! >> concluse trionfante.
Anche lei avrebbe dovuto arruolare qualcuno, rifletté; e magari pensare a un luogo in cui esercitarsi. Di colpo Ginevra si sollevò sui gomiti, folgorata: la Stanza delle Infinite Realtà! << Forse conosco un posto adatto! >> annunciò.
Luna la guardò, raggiante come una bambina davanti alle giostre: << Cos’è, dov’è? Mi ci porti? >> la supplicò, sporgendosi verso di lei.

<< Uhm… domani mattina, ora nanna… >> mormorò Ginevra, abbandonandosi nuovamente sui cuscini e sprofondando gradualmente nel sonno, finalmente lontana dalla Camera e dal tormento dei suoi segreti.
 

* “Stanza delle Infinite Realtà” è il modo in cui Tom chiama la Stanza delle Necessità (non avendo un nome ufficiale, la Stanza viene chiamata da ognuno in maniera diversa)

PROSSIMA PUBBLICAZIONE:
Qui viene la parte difficile. Non possiamo saperlo con precisione; pensiamo di riuscire a pubblicare in circa un mese di tempo, per poi tornare a pubblicare più frequentemente (tra esami universitari l'una e scadenze di lavoro l'altra, fino a inizio novembre sarà davvero un periodo assurdo e, tantopiù che abitiamo a qualche ora di treno, non sarà semplice aver modo di scrivere). Ma forse riusciamo a pubblicare anche prima.. Vi supplico di essere pazienti e comprensivi, e non abbandonare questa storia! Per sapere quando aggiorniamo, seguitela, seguiteci su facebook (link del gruppo:
https://www.facebook.com/groups/1088162717882427/) su google+, o di scriverci una mail all'indirizzo theblueheads@gmail.com per ricevere un'email di notifica! Presto animeremo le varie pagine con le tracce della colonna sonora, illustrazioni, piccoli, criptici spoiler, e molto atro!
Ci scusiamo per l'attesa, nella speranza che ne valga la pena

Grazie a tutti per aver letto,
e di nuovo grazie a chi ci ha preferito, ricordato e seguito, e più di ogni altra cosa a chi ha recensito!
Se volete farci conoscere il vostro parere sulla storia saremo contentissime di ascoltarvi =)

A presto!

Blue Heads

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Capitolo 11
*** Capitolo IX ***


PREVIOUSLY ON T&G:
Dopo essere scesa nella Camera dei Segreti ed esserne uscita indenne, Ginevra, stanca di doversi nascondere come una criminale e affrontare tutto da sola, si è decisa a parlarne con Luna, pur mantenendo il segreto sul diario e tutto ciò che lo riguarda. Infine, esausta, si è addormentata nel dormitorio dell’amica.

 

Capitolo IX

 

Quella mattina il sole si era svegliato presto e di buon umore, e con la sua luce fresca e appena tiepida aveva inondato la torre di Corvonero, dando il buongiorno a Ginevra, che, finalmente riposata e sveglia, eppure non abbastanza da desiderare alzarsi, giaceva lì, sprofondata nel letto dell’amica, beandosi della propria pigrizia. Il sole solleticava la sua pelle e le sue iridi ancora assonnate, prendendola in giro per la sua indolenza, invitandola ad alzarsi e uscire a tenergli compagnia. Lei sorrise, ma temporeggiò, voltandosi dall’altro lato, e per poco non investì Luna, che si ritrasse nel sonno - un tenue brontolio salì dalla sua gola, poi si spense nel silenzio. Ginevra socchiuse gli occhi, tentando di metterla a fuoco. La sua migliore amica! Com’era bella a modo suo, unica. Un piccolo neo ovale, all’angolo esterno dell’occhio, spiccava sui suoi colori chiari, e pareva proseguire la linea calante delle ciglia, congiungendola tramite una linea immaginaria all’alto arco delle sopracciglia, che le conferiva quell’aria sempre stupita. Ma l’espressione che aveva in questo momento non era quella pacifica e rilassata di quando dormiva: gli occhi erano troppo strizzati, gli arti troppo in tensione, mentre lei, in bilico sul ciglio del letto, si aggrappava agli ultimi brandelli di sonno.
Ginevra ridacchiò, stiracchiandosi: aveva occupato l’intero letto; si ridimensionò, ritirandosi contro la parete.
<< Luna! >> sussurrò. Per tutta risposta, l’amica si rannicchiò ancora di più.
<< Dai, tanto lo so che non dormi! >>
<< Lasciami in pace >> borbottò Luna, rotolando sul lato e distendendo gli arti ad occupare tutta la superficie. Ginevra si fece ulteriormente da parte, evitando una manata: la situazione si stava facendo davvero scomoda.
<< Luna… >> tentò << Mi fai scendere? >>
La ragazza la ignorò bellamente per un altro minuto. Poi, con deliberata lentezza, sollevò una palpebra: << Tu non dormi più nel mio letto. >> L’occhio si richiuse.
Come no - lo ripeti ogni volta. La canzonò mentalmente Ginevra.
<< Pensavo volessi vedere la Stanza delle Infinite Realtà. >> buttò lì. Per un momento Luna non si mosse, poi spalancò gli occhi e le pupille si restrinsero all’istante, sommerse dalle iridi chiarissime. Batté le palpebre, mentre gli occhi si adattavano alla luce: << E’ il posto di cui parlavi ieri? >>
<< Può darsi. >> acconsentì Ginevra sorniona. Luna balzò in piedi, liberandole la via d’uscita, e iniziò a frugare per la stanza. Mentre l’amica si preparava, Ginevra si piazzò davanti allo specchio, tentando di districare i capelli con le dita.
<< Hai visto le mie scarpe? >> la chiamò Luna dall’altro capo della stanza. Ginevra alzò gli occhi per cercarle, ma venne distratta dalla vista dell’amica: Luna si aggirava per il dormitorio, i calzini spaiati che spuntavano da sotto la veste, la cintura appesa a una spalla, e la criniera bionda ridotta a un pagliaio - controluce sembrava quasi avesse l’aureola. Ginevra ridacchiò e riprese la ricerca. Un paio di stivali rosso fuoco spuntava in cima a uno scaffale. << A ore quattro! >> le indicò Ginevra. Luna li recuperò con un colpo di bacchetta, e, nonappena fu pronta, le due ragazze si avviarono per i corridoi.
Fuori dalle finestre il sole splendeva inviante sui prati del castello. Si voltò verso Luna: << Ma se prima passassimo dal parco? >> chiese, speranzosa, ma Luna fu irremovibile: << Hai promesso la Stanza, e Stanza sarà! >>
Ginevra la guardò supplice dal basso in alto, fingendosi triste e tirando su col naso.
Luna sospirò: << Dai, ci andiamo dopo, promesso! >>
<< Ook… >> concesse Ginevra, riprendendo a camminare. In realtà, al momento non contava molto che andassero da una parte o dall’altra, era contenta in ogni caso - era bello essere lì con Luna, ed esserci davvero.
<< Raccontami della Stanza! >> la incoraggiò Luna; così, mentre la guidava per il Castello, Ginevra le spiegò ciò che sapeva della Stanza delle Infinite Realtà.
<< Quindi, >> ricapitolò Luna una volta arrivate << mi stai dicendo che, se non chiedo di far comparire cibo o esseri viventi, può fare qualsiasi cosa, giusto? >>
Ginevra la guardò con sospetto: a giudicare dal quel suo sorriso fin troppo innocente, stava tramando qualcosa.
<< Credo di sì >> annuì infine Ginevra: che lei sapesse, non esistevano altre restrizioni.
<< Quindi >> incalzò nuovamente Luna << può anche rendere visibili i Gorgosprizzi? >> Il ghigno di Ginevra si espanse a riflettere quello dell’amica: << Tentiamo! >>
Ginevra si lasciò sospingere da parte e osservò, mentre Luna camminava avanti e indietro per tre volte, mormorando concentrata. Quando si fermò, la pesante porta di legno, così familiare a Ginevra, era comparsa. Luna incrociò il suo sguardo, e Ginevra vi lesse agitata trepidazione. Si presero per mano, come due bambine in un momento solenne, e insieme varcarono la soglia. Ginevra sentì un tenue schiocco, e nel momento stesso il cui misero piede all’interno, vennero investite da ogni lato da ondate di finissima polvere, che sulla pelle risultava fresca come menta. Un movimento d’aria le fece venire la pelle d’oca.
Riaprì gli occhi: Luna la guardava a bocca aperta. Ginevra si osservò: oltre ad essere ricoperta di polverina verde fluo, cosa aveva di strano? L’amica era fluorescente almeno quanto lei! Prima che potesse dar voce al suo pensiero, si rese conto che lo sguardo di Luna non era fisso su di lei, ma saettava tutto attorno. Pulviscoli scintillanti vorticavano nell’aria, circondandole.
<< I Gorgosprizzi! >> le spiegò Luna, trepidante, indicando la polvere sospesa… che non era affatto polvere: nel momento in cui spostò l’attenzione su di essa, i pulviscoli si fecero nitidi, mentre il resto della stanza passava in secondo piano, evanescente. Gli esserini erano talmente piccoli che anche così Ginevra non riusciva a distinguerne la forma esatta: aveva sempre creduto che avessero le ali, ma non ne era certa: non riusciva a vederle, e a giudicare dal movimento si sarebbe detto, piuttosto, che i Gorgosprizzi rimbalzassero come molle su pareti invisibili. Schizzavano per la stanza, assiepandosi attorno alle menti delle due. Era come se la materia di cui erano composti fosse su un livello differente: i Gorgosprizzi e i corpi delle ragazze si attraversavano senza toccarsi.
<< … Ginny? >> Ginevra mise a fuoco Luna, che la guardava aspettando una risposta; ma lei non aveva idea di cosa l’amica le avesse chiesto.
<< Eh? >>
Luna ridacchiò: << Se metti a fuoco i Gorgosprizzi i tuoi pensieri non riescono a focalizzarsi sul resto. >> Ginevra comprese il problema: << Ora capisco perché quando hai quegli occhiali sei… >> mentre parlava notò un esserino che danzava davanti agli occhi di Luna… ora era dietro - ora sopra l’orecchio sinistro… che belli che erano, con quel loro strano modo di muoversi… << Ipnotici >> pensò Ginvera ad alta voce. Quel suono la riportò alla realtà: Luna era distratta quanto lei - in quella stanza era perfettamente impossibile avere una conversazione. Scosse appena il braccio dell’amica e la vide tornare lucida.
<< Mi avevi promesso il parco e il sole! Fuggiamo, prima che sia sera! >> senza attendere una risposta né guardarsi attorno, Ginevra uscì dalla stanza, trascinando Luna con sé.
La porta venne riassorbita dalla parete alle loro spalle.
<< E’ stato… >> Ginevra cercò le parole per esprimersi << wow - strano >>
<< Fantastico, vero? >> esclamò Luna; poi scosse la testa, incredula: << Adoro questo posto! Pensa a quante cose si potrebbero fare >>
<< Sì, sperimenteremo >> promise in un sussurro cospiratorio << ma prima, il sole reclama la nostra presenza! >> Concluse solenne, avviandosi giù per le scale, diretta in giardino. Luna la fermò: << Aspetta, ho in mente una scorciatoia! >> disse, iniziando immediatamente a evocare la Stanza. Ginevra tornò sui suoi passi: avrebbe potuto rivelarsi una buona idea. Questa volta, la Stanza aveva assunto l’aspetto di uno scivolo, preceduto da una breve anticamera. Accanto all’imbocco erano appoggiati due cuscini. Ginevra si fece da parte: << Prima tu! >> la invitò. Luna non se lo fece ripetere due volte: agguantò un cuscino e scivolò giù, seguita a breve da Ginevra.
Ginevra si divertì un sacco a vorticare aggrappata al suo cuscino-slitta, ma, come previsto, il viaggio finì in un lampo, e lei sbucò fuori dal tunnel ruzzolando sull’erba. E lì rimase, sdraiata accanto all’amica, entrambe scosse dalle risate.
Quando infine Ginevra si calmò e riprese fiato, respirò a fondo l’odore di terra e il profumo delle piante. Era da tanto che non si sentiva così bene.

 

 

La mattina seguente Ginevra si svegliò in ritardo, e scese di corsa a fare colazione. Scorse i suoi amici - Emily, Colin, Hermione, Nigel Wespurt e Myriam Miread - seduti ai soliti posti e si diresse verso di loro sorridendo - ultimamente non aveva passato molto tempo con loro. << Buongiorno! >> li salutò.
<< Guarda un po’ chi è uscito dal coma! >> scherzò Emily, mentre lei e Nigel si scostavano per farle posto sulla panca.
<< Allora, come… ? >> iniziò Hermione rivolgendosi a Ginevra, ma fu interrotta da Myriam, che si scostò bruscamente dal tavolo: << Io ho finito. Vado a lezione. >> disse freddamente, e se ne andò senza degnare Ginevra di uno sguardo. Ginevra rimase interdetta; accanto a lei anche Emily si era irrigidita, mentre Hermione ignorò quello strano comportamento, continuando come se nulla fosse: << Allora Ginny, come stai? >>
<< Tutto bene, grazie >> rispose lei, ancora pensierosa; poi si riscosse: << Voi come state? Novità? >>
<< Io >> prese la parola Nigel << sono indignato. >>
Ginevra lo guardò incuriosita e attese una spiegazione.
<< Ho appena scoperto che qui state ordendo una congiura, progettando sommosse e gruppi di studio sovversivi senza farne parola con me! Ma come avete potuto? >>
Emily sorrise, rubandogli un pancake da sotto il naso e, mentre lo masticava, bofonchiò: << Come avremmo potuto dirtelo? Non tacevi un attimo: è da quando sei diventato di ruolo nella squadra che non parli d’altro che di Quidditch. >>
<< E’ solo perché devo impegnarmi molto se voglio essere all’altezza del mio predecessore >> ribatté prontamente Nigel strizzando l’occhio a Ginevra, che si versò il secondo bicchiere di succo di zucca con ostentata superiorità: << Ti piacerebbe. >> gli disse, concludendo con una linguaccia. Poi proseguì: << Comunque, ora che siamo stati tutti messi a parte del gran segreto, ho un’ottima notizia >> annunciò, abbassando la voce automaticamente; Hermione si protese verso di lei per sentire meglio. << Ho trovato un luogo in cui riunirci, ma è più semplice mostrarvelo che spiegarlo a parole. >>
Nigel era già scattato in piedi: << Allora andiamo! >>
<< Sì, a lezione. >> Intervenne Hermione << Ormai sono quasi le nove. >>
Ginevra si riscosse: << Giusto, noi abbiamo incantesimi. Ed è dall’altra parte del castello! >> aggiunse demoralizzata, rivolgendosi a Nigel e alzandosi dal tavolo.
Emily continuò beatamente a mescolare il tè: << Divertitevi! >> li salutò con la superiorità di chi il lunedì ha la prima ora buca.
Ginevra si avviò a lezione con Nigel che ogni due minuti tentava di sviarla e farsi mostrare la Stanza: << Massì, cosa vuoi che sia saltare una lezione? Incantesimi poi! Siamo fermi sullo stesso argomento da due settimane… e tanto ormai siamo in ritardo! >> Ma tutte le sue argomentazioni si dimostrarono vane, e giunsero in aula senza deviazioni, nonché perfettamente in orario.
Presero posto in seconda fila, sulla sinistra. Al centro del loro tavolo era poggiata una piuma. Ginevra e Nigel si scambiarono un’occhiata incuriosita, e scoppiarono a ridere: << Vedi che avremmo fatto meglio a saltarla? Adesso ci tocca anche il ripasso di Wingardium Leviosa! >> scherzò Nigel.
Poco dopo arrivò anche Leanne, che andò a sedersi in prima fila, a neanche due metri da loro, assieme a Fredrik Asly, un Tassorosso dagli occhi azzurrissimi e lunghi capelli castani, quel giorno raccolti in un codino. Leanne si voltò verso Ginevra e scandì con le labbra: “ Novità ”; ma poi accennò con la testa al suo compagno di banco, con espressione significativa. Doveva trattarsi del gruppo di Difesa, ma evidentemente di fronte all’altro non poteva parlarne. << Dopo! >> mimò Ginevra in risposta. Per un attimo, Leanne squadrò Nigel, quindi annuì, tornando a parlare con il suo compagno.
Ginevra si rivolse a Nigel e spiegò: << Quella è Leanne, un’altra delle organizzatrici del gruppo. Dice di avere delle novità, appena Asly si allontana cerchiamo di avvicinarci, e già che ci siamo la aggiorniamo sulla situazione. >>
Nigel annuì, convinto: << E’ un piano ben congegnato, Capo. Speriamo che la lezione crei dei diversivi. >> Ginevra sorrise tra sé e sé: Nigel era il migliore compagno di congiura che si potesse desiderare.

Quel giorno studiavano l’incantesimo Dominusterrae, o, più semplicemente, anti-levitazione - da cui le piume sul tavolo. Inizialmente, a Ginevra era parso un argomento innocuo; ma in pochi minuti di esercitazione, la classe era piombata nel caos. Dominusterrae, nel suo uso più proprio, contrastava l’incantesimo di levitazione, e riportava al suolo qualsiasi oggetto sospeso; ma, come si scoprì ben presto, quando si mancava il bersaglio e l’incantesimo colpiva l’oggetto sbagliato, gli effetti erano i più disparati: quando l’incantesimo colpiva un tavolo, o un oggetto già poggiato a terra, questo tremava, non potendo scendere ulteriormente, e, talvolta, si rompeva; quando invece colpiva il pavimento generava piccole scosse che scuotevano l’intera stanza. A un tratto, Ginevra si chiese anche cosa sarebbe avvenuto se l’incantesimo fosse stato diretto a un’oggetto appeso a una parete.
<< Ho come il sospetto che si schianterebbe a terra, sai? >> la canzonò Nigel, mentre lei brandiva la bacchetta contro un orologio di fronte a loro, preparandosi a colpire. << Teoria valida, Wespurt; ma per il bene della Scienza va verificata. >> detto ciò agitò la bacchetta, pronunciando mentalmente la formula; l’orologio vibrò violentemente, ma rimase attaccato al muro.
Preso dai molti incidenti, Vitious a malapena si voltò a vedere cosa fosse accaduto: << Fa’ più attenzione, Weasley! >>
<< Non funziona… >> mormorò afflitta Ginevra. Avrebbe davvero apprezzato un bello schianto.
<< Pazienta, donna di poca fede! >> la rimproverò Nigel. Levò la propria bacchetta, ed enunciò con forza: << Domino Terram! >>
La sua bacchetta, che come ogni bacchetta di corniolo era incredibilmente sonora, lanciò un fischio degno dei Fuochi Forsennati di Fred e George; questa volta il gancio cedette alla pressione, e l’orologio si infranse a terra, con glorioso fragore.
<< SI!!! Dammi il cinque! >> Esclamò Ginevra.
<< WESPURT! WEASLEY! >> il grido stridulo di Vitious sovrastò la confusione << MIRATE ALLA PIUMA! >>

Nonostante la confusione, il tempo passava senza che Ginevra riuscisse ad entrare in contatto con Leanne. Più volte i loro sguardi si erano incrociati e le due cospiratrici avevano cercato di avvicinarsi per poter parlare, ma erano state puntualmente interrotte: una volta Vitious era passato per controllare i loro progressi e aveva intimato a Ginevra di tornare al lavoro; un’altra, in un momento in cui il professore era uscito dall’aula, Ginevra e Nigel si erano avvicinati insieme al bancone a cui lavorava Leanne, ma lui non era stato in grado di distrarre Fredrik abbastanza a lungo da permettere alle ragazze di parlare. In un’altra occasione Ginevra aveva fatto cenno a Leanne di avvicinarsi, ma la ragazza, passandole accanto, non rallentò nè la guardò in faccia: si limitò ad afferrare il foglio su cui Ginevra aveva appena finito di annotare alcune precisazioni di Vitious. Ginevra non potè che osservarla, basita e impotente, mentre Leanne tornava al posto a leggere con aspettativa quanto scritto, per poi voltarsi a guardarla, confusa.
Ormai mancava solo un quarto d’ora alla fine della lezione, e Ginevra, arresasi all’idea di dover attendere la pausa pranzo per scoprire cose volesse dirle Leanne, era tornata ad esercitarsi insieme a Nigel, quando d’un tratto la piuma volò via da sotto il loro naso e andò placidamente a depositarsi sul banco di Leanne.
<< Scommetto che ti ha scritto un biglietto. >> mormorò Nigel. Probabilmente aveva ragione, considerato che con Fredrik lì attaccato non era possibile comunicare in altro modo. Ginevra si alzò e andò a recuperare la sua piuma. Quando si trovò di fronte a Leanne, la ragazza aveva in mano la piuma, ma non accennava a volergliela restituire, né a volerle consegnare alcun messaggio. Ginevra la guardò interrogativa: << Ehm… credo tu abbia qualcosa per me… >>
Leanne ignorò il suo goffo tentativo di parlare in codice e disse rapidamente: << Finalmente riusciamo a parlare! Hai presente quell’incontro che stiamo organizzando per questo venerdì? >> Ginevra annuì. Stavolta non poteva sbagliarsi: doveva star parlando dell’incontro del gruppo di Difesa. Ma davvero voleva parlarne davanti a Fredrik?
<< Volevo solo dirti che anche lui è dei nostri. >> Disse, indicando Fredrik.
Lo sguardo di Ginevra si spostava dall’una all’altro. Ma che…?!?
<< Ma allora perché entrando hai detto che non potevi parlarne con lui attorno? >> chiese in un sussurro.
<< Io intendevo dire che lui era la novità, pensavo che fossi tu a non poterne parlare di fronte a Wespurt! >>
Ginevra scosse la testa, ridendo: << No no, anche lui è dei nostri! >>
I due strabuzzarono gli occhi, per poi scoppiare a ridere a loro volta.
<< Complimenti ragazzi, un intreccio degno di Shakespeare. >> commentò Leanne. Fredrik sogghignò divertito, mentre Ginevra li guardava senza capire. Bah, sarà roba babbana…
<< Mi fido! Ora che è tutto chiarito, vado a spiegare la situazione a Nigel. A presto, teniamoci aggiornati. >>
Tornata a sedere, Ginevra riferì tutto a Nigel.
Lui scosse la testa, incredulo: << Dovremo seriamente stabilire un linguaggio in codice. >>



 
 

Ci scusiamo per il ritardo colossale nella pubblicazione: prima di scrivere questo capitolo è stato necessario del lavoro extra sulla trama, e non stiamo ad annoiarvi con tutti gli impegni che ci hanno costrette a posticipare la data di pubblicazione.
Se state leggendo queste righe vi ringraziamo per la pazienza e per non esservi dimenticati di Tom e Ginevra! Se vi va, fateci sapere cosa ne pensate, per noi è importante.
Speriamo di riuscire a pubblicare presto il prossimo capitolo; se volete essere avvisati sulle novità (e, chissà, gustarvi qualche piccola scena extra) potete iscrivervi alla nostra pagina facebook: https://www.facebook.com/groups/1088162717882427/?fref=ts

 

Al più presto possibile, un abbraccio

Blue Heads

 

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Capitolo 12
*** Intermezzo II ***


Intermezzo II



Draco si sbatté la porta alle spalle. Forse qualcuno lo aveva seguito, forse no - al diavolo! Idioti. Verificò con uno sguardo che il dormitorio fosse vuoto, non poteva permettersi di crollare prima. Con un nodo alla gola e il panico che gli batteva nel petto sempre più soffocante, si gettò a terra accanto al comodino, strappò il cassetto dal mobile e afferrò il braciere che vi era nascosto. Finalmente. Stava esplodendo. Portò la bacchetta alla tempia: il Marchio, le grida, i festeggiamenti, Karkaroff, il Signore Oscuro che lo fissa. Via, via, via - strappò via quei pensieri con rabbia e li gettò nel braciere, ignorando il dolore mentale della lacerazione, gli occhi fissi sulle fiamme.
Respira Draco, calma. Si concentrò sulle sensazioni fisiche: l’aria che entrava e usciva dai suoi polmoni… le scariche di dolore che partivano dall’avambraccio sinistro, quell’infezione maledetta.
Avrebbe dovuto farlo prima, farlo fuori e basta, senza rimandare pur sapendo di non poterlo evitare.
Il panico e l’ansia crescono ad ogni secondo - riportò la bacchetta alla tempia - e lui non può lasciare che le sue emozioni emergano da dove le ha confinate, rischierebbe di perdere il controllo, di tradirsi. Un discorso di Voldemort che lui non ascolta. Non può fare a meno di guardare gli occhi di Karkaroff, il suo terrore, la rassegnazione, è già un uomo morto. Sa che renderà tutto più difficile, ma non può fare a meno di guardarlo, gli sembra di guardare sè stesso. Lui è già un traditore, lo è dentro. Guarda Karkaroff e il panico inizia a impossessarsi di lui - non può. Non deve. Deve riprendere il controllo della situazione prima che degeneri. Calma. Calma. Ignora tutto: concentrarsi sulla descrizione dettagliata e oggettiva degli elementi intorno a lui, la forma delle mattonelle, la provenienza della luce, descriverli con cura e prestare loro la massima attenzione. Questo deve fare. Questo fa: il panico man mano si sgonfia. Controllato. Apatico. Alza di nuovo lo sguardo sugli altri e su quello che accade, ma attraverso la distanza, come se non fosse reale. Ora il traditore viene accusato, ferito, deriso, torturato - non deve vederlo, non deve sentirlo. Controlla il battito, mantiene la calma - il panico gli bloccò il respiro - Attorno a lui non sono uomini, sono bestie: si accaniscono sul prigioniero, che è stato uno di loro. Più Draco indugia, più il panico cresce. Deve agire e questa volta sa che può farcela: è saturo d’odio, verso Voldemort, che è la causa di tutto questo, verso gli animali che lo circondano, verso suo padre che lo ha messo in quella situazione, verso sé stesso, perché se l’è cercata, verso Karkaroff, che ora avrebbe dovuto uccidere. Vuole che tutto ciò finisca. Alza il capo, incrocia lo sguardo del Signore Oscuro e sa che è il momento. Avanza di un passo. Due passi. Leva la bacchetta, gli altri lo vedono e tacciono, arretrando - lanciano qualche ultima maledizione. Draco si schiarìsce la gola, lo odia a nome di tutto e lo uccide. E’ un assassino - non pensarci Draco, non ancora. L’ha ucciso, è finita, vuole solo andare a casa, andarsene, liberarsi di tutto. Attorno a lui esultano: evviva! finalmente è uno di loro! Bel lavoro, Draco. Voldemort lo chiama a sè, per marchiarlo come sua proprietà, una bestia da macello, per il resto della sua vita, per poi morire per lui o per mano sua. No, Draco, non pensarci. Inginocchiati, sai già la formula. Giuro, giuro, giuro. - le lacrime gocciolavano dal volto di Draco mentre sfilava di nuovo dalla mente quel pensiero e lo gettava tra le fiamme.
Fissò il braciere, riconoscente, e venne scosso da nuovi singhiozzi: senza quello sfogo sarebbe impazzito, o sarebbe morto, giustiziato per tradimento, perché la sua finzione non avrebbe retto a lungo. Non poteva convivere con quei pensieri, era un codardo. Se sua madre non gli avesse regalato quel braciere… lei aveva capito subito quando le cose avevano iniziato ad andare male, quando lo avevano costretto ad usare la maledizione cruciatus e aveva scoperto di non essere in grado di sopportarlo, quando quella vita aveva iniziato a ripugnarlo. Lei si era sempre opposta, fin dall’inizio, non voleva che lui prendesse quella strada, “non fa per te” diceva. Ma sia Draco che, ovviamente, quella bestia di suo padre l’avevano zittita. Draco reputa imbarazzante il suo comportamento, così protettivo: lui non è un bambino. Suo padre, suo nonno prima di lui, hanno servito il Signore Oscuro e si sono distinti ai suoi occhi. Perché mai lui dovrebbe essere da meno? Perché mai sua madre non lo considera in grado? E’ ridicolo, un insulto. Draco si asciugò le lacrime. Che razza di idiota. Gettò via anche questo ricordo: sua madre in realtà era l’unica persona che avesse capito qualcosa di lui.
Finalmente era un Mangiamorte, hallelujah. Un presente che faceva schifo, nessuna prospettiva per il futuro. Chissà quante volte ancora sarebbe stato sottoposto a questa tortura: l’angoscia che lo assaliva ormai alla sola idea di vedere qualcuno contorcersi ai suoi piedi - sofferenza fisica: non riusciva a prendere le distanze dalla vittima, non importava quanto e quante volte ci provasse: era sempre peggio. Ma l’incolumità sua e della sua famiglia dipendevano dalla sua capacità di resistere, per il resto della vita - e Draco avrebbe potuto vivere ancora molto a lungo, mentre Voldemort sembrava non poter morire.
Aveva sempre preso per oro colato qualunque cosa il padre avesse detto, erano sempre stati dalla stessa parte: si era fidato ciecamente. Seguendo il suo esempio si era distrutto la vita.
Uscito da quell’inferno, Draco si trascina lungo il vialetto di casa; fatica a tenersi insieme, anche sono quel tanto che basta per camminare. D’un tratto il padre lo ferma, gli poggia una mano sulla spalla. Lo guarda negli occhi: << Bel lavoro, Draco, sono fiero di te. >>
Draco strappò rabbiosamente il ricordo e lo guardò bruciare, ma questa volta non servì a nulla: le parole continuavano a rimbombare nella sua mente, schernendolo. Bel lavoro, Draco, sono fiero di te.
L’unica cosa che suo padre fosse stato in grado di dirgli quando lui aveva appena mandato affanculo la sua vita e il suo futuro.
Si portò le mani alla testa e tirò i capelli fino quasi a strapparli, nel tentativo di cancellare quella voce. Sono fiero di te. Suo padre non avrebbe mai capito nulla di lui, non aveva idea di quanto poco lo conoscesse - ma per il suo stesso bene era meglio che continuasse a non sapere chi fosse realmente suo figlio. Premette la bacchetta sulla tempia fino a far male, concentrando tutte le sue energie in quell’ultimo strappo: sentì la memoria tendersi fino a spezzarsi - vide nero, si piegò su se stesso, scosso da uno spasmo.
Si ridestò infine con quel senso di vuoto, leggerezza, liberazione… Quell’incredibile freddo che veniva da dentro. Trasse un profondo respiro, si raddrizzò e lasciò che le braccia ricadessero lungo i fianchi. Era calmo, perfettamente vuoto.
Rimise a posto il braciere e si diresse in bagno: si sciaquò la faccia finché la mente non fu pulita, poi si ravviò i capelli e, davanti allo specchio, reimpostò la sua espressione di superiorità e noncuranza. Di sotto, i suoi “amici” attendevano trepidanti un resoconto completo, e lui era pronto a riprendere la recita.





Colonna sonora del capitolo: "You're gonna go far, kid" degli Offspring
https://www.youtube.com/watch?v=0DTLcR5awn0&index=3&list=PL2nkw1LTNRdOC1TNJy_6vI-mJO6Po-Pi_
 

Rieccoci! Innanzi tutto: grazie per avere letto e - soprattutto - aver atteso pazientemente il capitolo.
Seconda cosa, un annuncio importante che vi farà piacere: non abbiamo certezze assolute, ma è molto probabile che il prossimo capitolo sia pronto entro fine agosto (siano benedette le vacanze, ci permettono di pubblicare in tempi decenti, finalmente!). Quindi stay tuned! Il seguito è vicino e - come sempre - non vediamo l'ora di scriverlo! 

Grazie a chi ci ha seguito, preferito, ricordato; un ringraziamento speciale e un abbraccio infinito alle fantastiche persone che hanno recensito lo scorso capitolo: ci avete davvero riempite di entusiasmo, speriamo che la storia continui a piacervi ed appassionarvi così fino alla fine <3 

Buone vacanze a chi è in vacanza e buon lavoro/studio a chiunque non lo sia (avete il nostro sostegno morale)
A prestissimo! 
Blue Heads

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Capitolo 13
*** Capitolo X ***


Capitolo X

 

<< I Grifondoro puoi spuntarli, sono tutti avvisati. >> informò Ginevra, mentre Leanne, seduta alla scrivania, scorreva la lista dei “congiurati” controllando che tutti fossero al corrente dell’ora e del luogo della prima riunione generale.
<< Anche i più piccoli? >> verificò Leanne.
Ginevra annuì,  convinta: << Ci ha pensato Harry. >> gli aveva parlato il giorno prima.
<< Perfetto! Dei Corvonero mi mancano Anthony Goldstein e Alhena Bishwick. >>
<< Ho visto Padma stamattina, ha detto che li avvisa lei*. >>
Leanne annuì, spuntando i loro nomi: << Con i Tassorosso siamo a posto, sono già stati informati. >>
<< Ottimo! Allora abbiamo finito! >> esclamò Ginevra, stiracchiandosi soddisfatta: era stato più rapido di quanto si fosse prefigurata.
<< Aspetta: è segnata anche Astoria Greengrass. >>
Ginevra si bloccò - i Serpeverde nel gruppo di Difesa?
<< Astoria Greengrass? >> ripeté perplessa.
<< Qui c’è scritto così. Ma potrebbe essere un errore… >> esitò Leanne, probabilmente a causa della sua reazione.
Ginevra si riscosse, quasi imbarazzata: << No no, tranquilla: l’avrà invitata Alhena. Sono amiche, dopotutto. >> In realtà non aveva nulla in contrario alla partecipazione dei Serpeverde - anzi, era una prospettiva interessante, nuova - solo non se lo sarebbe mai aspettato.
<< La avviserà Alhena, immagino. Dovremo chiederle conferma. >>
<< Segno un punto di domanda. >> concluse Leanne, e ripose la lista nella borsa, per poi cambiare argomento: << Allora, come sta andando con la Umbridge? Grandi amiche come sempre? >>
Ginevra ridacchiò: << Inseparabili! Coglie ogni occasione per invitarmi nel suo ufficio. Sempre molto garbatamente, ovvio. >>
<< Ti ha già messa in punizione? >>
<< Solo una volta: ho incantato il libro per studiare Trasfigurazione nelle sue lezioni, ma alla quarta volta mi ha beccata. >>
Leanne sorrise: << Caspita, ora ti toccherà seguire davvero il suo programma! >>
Ginevra affettò un gesto noncurante: << Nah, ho perfezionato la tecnica. Mi rifiuto di passare tutte quelle ore a leggere e riassumere la teoria - che so già - di una materia che dovrebbe essere pratica. E poi, ormai è guerra. >> concluse spavalda. << A te invece come vanno le lezioni? >>
<< Benissimo! Antiche Rune, poi, è fenomenale. Solo, mi annoio un po’ ad Astronomia: speravo che il corso avanzato fosse ad un altro livello, invece non vedo una grande differenza rispetto ai G.U.F.O. Ma che ore sono? >>
Ginevra alzò lo sguardo sull’orologio appeso alle spalle dell’amica… Urgh!: << Le sette meno un quarto. >> Disse, alzandosi in piedi e raccogliendo la borsa, simultaneamente a Leanne. Si guardarono, interrogative.
<< Anche tu di fretta? >> chiese Ginevra, avviandosi fuori dalla stanza.
<< Già >> confermò Leanne: << Ho ripetizioni di Pozioni con la sorellina di Emily… tu, invece? >>
<< Ho lezione di Alchimia >>
<< Come? Lezione dopo cena? >> chiese Leanne stupita.
<< Eh… >> sospirò Ginevra, mentre cercava un modo rapido e non troppo ingarbugliato di spiegare la situazione: << Ho un orario un po’ strano: il corso M.A.G.O. di Alchimia è tenuto da Piton - non chiedermi perché - solo che in orario normale insegna Pozioni, quindi Alchimia finisce con essere sempre la sera o nel fine-settimana. Comunque siamo pochissimi, quindi faccio lezione in comune col settimo anno… Bhe, pochissimi è un eufemismo, siamo solo io e Nott. >> Missione “chiara e concisa”: compiuta. Sogghignò, alzando le spalle: all’incirca.
Leanne corrugò le sopracciglia: << Certo! Chiarissimo! >> commentò ridendo. << Allora buona lezione! >>
<< Anche a te! >> la salutò Ginevra.
Affrettò il passo, impaziente di arrivare in aula: la sera prima aveva consegnato a Piton un nuovo lavoro, e non vedeva l’ora di conoscere i risultati. L’obiettivo era progettare un oggetto in grado di proteggere dalle energie nocive emanate da determinate reazioni alchemiche, e che fosse, una volta ultimato, difficilmente alterabile. Ginevra aveva deciso di sfruttare le qualità schermanti del piombo, ottenendo la resistenza agli agenti esterni grazie alla trasmutazione della struttura del piombo in quella del rame. Con tale materiale si sarebbero potute realizzare delle placche protettive da indossare. Era stato difficile trovare un procedimento che le permettesse di trasformare la materia combinando le caratteristiche che le servivano, ma era molto soddisfatta del risultato. Fortunatamente, la realizzazione fisica dell’oggetto non era richiesta: sarebbe stato relativamente rapido con il progetto a disposizione, ma avrebbe richiesto capacità che lei ancora non possedeva.
<< ‘Sera, Weasley. >> al saluto di Nott Ginevra si voltò e si fermò ad aspettarlo.
<< ‘Sera >> rispose.
<< Anche tu impaziente di conoscere il verdetto? >> le chiese lui mentre entravano in aula.
<< Non sai quanto! >> esclamò con fervore Ginevra, contenta di poter condividere la sua ansia.
<< Credimi, lo so >> rispose Nott a denti stretti.
Ginevra si voltò a guardarlo; sembrava veramente teso: << Ma di cosa ti preoccupi? La tua idea era geniale. >> lo rimproverò lei. Durante la lezione precedente avevano dovuto scambiarsi i lavori per analizzare il progetto dell’altro e scrivere una relazione, sottolineandone i punti di forza e di debolezza e suggerendo possibili miglioramenti; ma non era stato facile trovare qualcosa di migliorabile nel lavoro di Nott: aveva ideato una clessidra contenente due liquidi che si respingevano tra loro; in stato normale sarebbero rimasti separati, nella zona inferiore e superiore dell’oggetto, mentre l’esposizione alle energie nocive li avrebbe messi in movimento, generando un campo di forza in grado di deviare le stesse. Ginevra si rammaricava di non averci pensato lei: la realizzazione sarebbe stata estremamente lunga, complessa e laboriosa, ma l’idea era davvero affascinante.
Ginevra prese posto nella sua metà aula, posizionando sul tavolo inchiostro e pergamena per gli appunti, e iniziò a scarabocchiarci sopra per ingannare l’attesa.
Piton arrivò dopo pochi minuti, attraversò l’aula e nel più totale silenzio estrasse i loro elaborati; diede loro un’occhiata e li appoggiò ai due estremi della cattedra.
<< Nott. Weasley. >>
Ginevra si alzò di scatto alla convocazione, affrettandosi a raggiungere Piton. Mentre lei aguzzava la vista cercando di leggere cosa Piton avesse scritto, questi chiese tagliente: << Weasley, cosa sarebbe cambiato se avessi sottoposto il metallo a un’illuminazione secca durante la seconda calcinazione? >>
Per un attimo la mente di Ginevra rimase preoccupantemente vuota, mentre cercava di rielaborare le sue conoscenze.
<< Avrebbe minato i legami elementari, favorendo la trasformazione della materia? >>
Piton annuì: << Corretto. >> Ginevra esultò mentalmente, tirando un sospiro di sollievo.
<< Dunque >> proseguì Piton << in generale il progetto è ben fatto. L’idea alla base è semplice ma efficace, tuttavia, trattandosi a tutti gli effetti di una trasmutazione incompiuta, lo stato del materiale risulterebbe difficile da stabilizzare: la realizzazione richiederebbe una notevole consapevolezza del processo, una tempistica impeccabile e una capacità di concentrazione sublime. >> Fece una pausa, mentre scorreva con lo sguardo le descrizioni dei passaggi. Ginevra pendeva dalle sue labbra, in tensione. << Una complessità che un alchimista formato dovrebbe essere in grado di gestire. >> decretò Piton, riappoggiando i fogli sulla cattedra, per poi passare a commentare il progetto di Nott: << Un progetto ambizioso, ma decisamente valido. Anche in questo caso, per la sua realizzazione pratica sarebbero necessari un controllo estremo di ogni processo e conoscenze approfondite. La molteplicità dei passaggi e la stretta dipendenza di questi dalle fasi lunari richiederebbero tempi di preparazione estremamente lunghi, il che può risultare svantaggioso. Le qualità isolanti del cristallo scelto per la clessidra ovviano in maniera efficace al problema creato dalla suscettibilità delle miscele. >> Piton restituì a Nott il suo progetto. Sia Ginevra che Nott attendevano, fermi di fronte alla cattedra, che Piton restituisse loro anche le relazioni. Ma l’insegnante li congedò con un cenno: <<  Potete tornare ai vostri posti. >>
Ginevra tornò al suo banco. Il docente pose due rotoli di pergamena al centro della cattedra: << Queste sono le vostre relazioni. >> esordì, allontanandosi dal tavolo e camminando avanti e indietro, evidentemente pensoso.
Probabilmente Ginevra avrebbe dovuto preoccuparsi, perché un discorso introduttivo prima della restituzione non poteva essere un buon segno, ma in quel momento l’idea di stare seduta ad ascoltare era rilassante.
<< Formare un cerchio alchemico è come ricreare la propria mappa mentale all’esterno affinchè i propri collegamenti mentali possano interagire con la materia e plasmarla. >> Enunciò Piton. << Di conseguenza, imparare a leggere e interpretare un cerchio alchemico richiede una notevole capacità di empatia, in quanto significa imparare a riconoscere e interpretare le intenzioni e le forme mentali di chi l’ha disegnato - serve una mente elastica, che si plasmi seguendo il cerchio. >> Ginevra era stregata da quel filo di pensieri: non aveva mai visto tutto questo nell’interpretazione dei cerchi - era di più di una semplice traduzione: era leggere il pensiero - anzi, era ancora di più: non leggere il pensiero dell’altro, ma vedere attraverso i suoi occhi.
<< Naturalmente, più sarà complesso e sottile il pensiero del mago, più lo saranno i collegamenti e più dovrà essere acuta la vostra osservazione. >> I pensieri di Ginevra correvano: una mente sottile, che plasmava un cerchio alchemico, mostrandole ogni collegamento... e lei lo vedeva formarsi sulla pagina, quel tratto familiare, unico, sensibile, - il suo ritratto, l’espressione di una mente brillante, sottile - potente, esplosivo, assoluto, che si formava e cancellava e variava sotto i suoi occhi, guizzando con i suoi pensieri, plasmato dal laborio frenetico della sua mente... creava i tratti sulla carta, e quei tratti erano lo specchio di quella mente e quella personalità fantastica.
Tom…
<< Inoltre, tenete sempre in considerazione che un vero alchimista non vuole che il suo lavoro venga letto senza sforzo: la conoscenza deve essere meritata. >>
Ginevra fremeva - non poteva più star ferma. Aveva giurato a sé stessa che avrebbe scoperto la verità costi quel che costi, e adesso cosa stava facendo? Doveva scendere nella Camera, immergersi in quel cerchio alchemico e meritarsi la conoscenza.
<< In ogni caso un’approfondita conoscenza dell’alchimista e, tantopiù, del suo modo di lavorare, facilita l’assunzione del suo modo di ragionare, e conseguentemente, l’interpretazione. >>
E lei poteva anche non sapere niente di chi lui realmente fosse e della sua storia, ma la sua forma mentale? Oh, quella la conosceva. E nessuno meglio di lei conosceva il suo modo di disegnare, perché lui stesso glielo aveva trasmesso: grazie a lui, era anche parte di lei. Così non vuoi che venga letto facilmente? D’accordo, allora me la suderò.
<< Detto ciò, avete fatto generalmente un buon lavoro con i vostri progetti, ma è evidente che non abbiate dato alla parte di interpretazione del progetto dell’altro la giusta importanza, né individuato il giusto approccio. Mi auguro che ora vi sia più chiaro. E’ basilare nella decifrazione dei cerchi altrui non dare per scontato, come invece avete fatto, che un collegamento non ci sia solo perché non si trova dove voi personalmente lo avreste collocato. Nessun tratto di un cerchio alchemico è casuale: ogni collegamento sottintende passaggi logici o analogici, persino la tensione delle linee è pregna di informazioni per chi è in grado di coglierle. >>
Quel cerchio, così grande e complesso, perfetto: ogni singolo solco indispensabile e tutto esattamente come doveva essere; era un capolavoro. Quelle linee raccontavano tutto: la vita e la morte, il concetto che Tom aveva di lei e di sé stesso, la natura del loro legame. Tutte le risposte che cercava - se avesse imparato a leggerle.
<< La tendenza a trarre conclusioni affrettate è tipica di alchimisti mediocri. Non pensiate che la lettura dei cerchi alchemici sia un elemento marginale: un interpretatore superficiale sarà sempre un pessimo alchimista. >> Piton ormai era giunto alla fine del suo discorso << Durante questo corso avrete modo di vedere quanto sia determinante, nell’interpretazione di un cerchio alchemico, conoscere il modo di lavorare della persona che lo ha disegnato.
Nott, in piedi: spiegaci il tuo cerchio. >>
Ginevra trasse un respiro profondo: per quanto desiderasse essere altrove, ora doveva concentrarsi sulla lezione e imparare tutto ciò che poteva. Questa volta si sarebbe presa il tempo per raccogliere tutte le informazioni che le servivano prima di tornare nella Camera.



 

*come sa chi ha letto la scena extra “Nuove reclute” sulla nostra pagina facebook! Come?!? Non l’hai letta? Cosa aspetti? ;P

https://www.facebook.com/groups/1088162717882427/?ref=bookmarks

 
 

Ciao a tutti! Come promesso siamo tornate. Ci dispiace davvero per le lunghe attese (facciamo del nostro meglio): purtroppo la prossima pubblicazione sarà verso metà novembre.

Grazie di cuore a tutti coloro che ci seguono, ci preferiscono e si ricordano di noi! (Noi non vi dimentichiamo <3 ). Un ringraziamento ancora più speciale a chi dedica qualche minuto del suo tempo a farci sapere cosa pensa della nostra storia, per noi significa molto.

Per aggiornamenti e bonus siete tutti invitati a seguirci sul gruppo facebook “Tom e Ginevra (EFP)” https://www.facebook.com/groups/1088162717882427/?ref=bookmarks

A presto!

Blue Heads

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Capitolo 14
*** Capitolo XI ***


PARTE II   



Capitolo XI
 
 

Sfrecciava per i corridoi, diretta alla Stanza delle Infinite Realtà: aveva bisogno di pensare. La sua mente era tempestata da scorci di idee che chiedevano di essere sviluppate, inseguite, in uno spazio e una calma che lei ancora non aveva; spunti di ragionamento che si erano accatastati uno sull’altro nel corso della lezione di Alchimia. Non incrociò nessuno nei corridoi: essendo già passate le nove di sera, gli altri erano tutti in dormitorio o in Sala Comune. Quando raggiunse la parete aveva il fiatone; turbinò tre volte avanti e indietro chiedendo un luogo in cui pensare ed entrò di slancio.
Con un respiro di sollievo chiuse il mondo fuori. Aprì gli occhi e per un attimo non riuscì a pensare a niente.
                                                                                                                      E’ così strano che quasi non sembra neanche strano...

Aveva dimenticato che la Stanza delle Infinite Realtà fosse anche l’ingresso della Camera dei Segreti - e lei ora si trovava nell’... antiCamera. Gli occhi vagarono per la stanza, meravigliati: i ricordi dell’ultima volta in cui c’era stata erano fumosi, eppure il luogo le sembrava profondamente diverso, anche se non avrebbe saputo dire cosa fosse cambiato di preciso. I due portoni si fronteggiavano ai lati di quello stesso morbido tappeto smeraldo, ma qualcosa nell’ambiente, nel calore di quelle pareti ocra, nella curva ampia e rilassata della volta, le dava una sensazione molto diversa - e molto meno serpentesca. Ginevra sedette a gambe incrociate sul tappeto e riprese fiato; era particolare che, di tutti i luoghi possibili, la Stanza le avesse proposto proprio quello, eppure era appropriato: si trovava nel luogo che aveva ispirato quei pensieri, si trovava all’origine di tutto.
Ginevra si stese sulla schiena e i suoi occhi scivolarono sulla volta liscia, mentre i suoi pensieri si dilatavano nel silenzio.
Il cerchio alchemico giaceva lì accanto, solo una porta li separava. Forse era solo suggestione, ma le sembrava di poterne percepire il magnetismo, una vibrazione che arrivava fino a lei, in risonanza con il suo turbamento. La vicinanza con quel luogo evocava in lei uno strano senso di nostalgia per qualcosa che aveva perso, un vuoto formicolante che la chiamava. Metà della sua essenza vitale le era stata sottratta; tolta a lei per fluire in Tom, per ridargli forma. Ginevra non aveva mai visto l’alchimia applicata al ciclo di vita e morte, ma un processo così impostato, lo sapeva, avrebbe avuto la sua conclusione naturale solo quando di lei non fosse rimasto più nulla. Eppure, a causa della sua reazione, la trasmutazione si era interrotta, rimanendo come sospesa a metà, come la luna che aveva vegliato sul rito: calante, ma ancora non esaurita, per una metà assorbita dall’oscurità, viva per l’altra. (Quella mezza vita rubata era stata abbastanza per rigenerare del tutto Tom?)
Questo equilibrio instabile inevitabilmente creava un vincolo, un’influenza reciproca (per quanto Ginevra non potesse sapere di che natura): il cerchio alchemico ne era come il sigillo.
Lo sguardo di Ginevra era puntato sulla porta, la mente ora sgombra. Una nuova e acuta sensazione di mancanza, quasi una vertigine - seguendo quell’istinto Ginevra si rimise in piedi, attraversò la stanza e aprì verso di sé le porte della Camera.
Respirò a fondo l’aria luminosa e avanzò nell’atrio, lasciando che il suo corpo la guidasse, mentre ogni residuo di tensione abbandonava i suoi arti. Seguì il ritmo dei suoi passi: una melodia rilassata che la condusse sicura attraverso quello spazio, facendosi più cauta e sondatrice nell’avvicinarsi al limitare del cerchio, cessando del tutto ad un suo capo. Ginevra si chinò, riconoscendo istintivamente, tra le centinaia di incisioni che si dipanavano di fronte a lei, alcune Fondamentali; chiudendo gli occhi, vi fece scorrere le dita: il solco era profondo, dai bordi frastagliati e irregolari - indagando più a fondo, Ginevra vi scoprì dei solchi minori. Ne scelse uno e lo seguì, andando a perdersi in volute e disegni più superficiali, allontanandosi dall’arteria. Linee dinamiche si alternavano a tratti spinosi, zigrinati da un susseguirsi di simboli alchemici - rune ignote intrecciate a zolfo, acqua, Saturno, fenice, di nuovo acqua… Ma Ginevra abbandonò quella traccia tortuosa.
Tornando a percorrere la Fondamentale, percepì l’impronta della magia che l’aveva attraversata - ne era come partecipe. Giunse a un punto di snodo da cui si diramavano due nuove Fondamentali di diversa natura e lasciò che la sua forza magica scorresse in entrambe: mentre nel percorso alla sua destra questa si inerpicava contro corrente, stentando a procedere, lungo la via alla sua sinistra fluiva rapida, esplorando una porzione di cerchio che sentiva appartenerle, avvolgendone i meandri rosso scuro e comprendendone ogni tratto. Nel punto in cui la forza era maggiore si originava un Ponte Unidirezionale da cui l’energia fluiva in quello che Ginevra riconobbe come l’arrivo di quel primo percorso impervio, con cui, all’origine, non aveva ancora fatto progressi.
Ginevra rotolò sul fianco, cercando un contatto più diretto con il fulcro di quell’area così difficile da indagare; ne respirò l’atmosfera e il ritmo, e lasciò andare ciò che lei era per accogliere ciò che era altro. La magia sciabordava dal cerchio a lei, da lei al cerchio, che opponeva sempre meno resistenza, accogliendola tra i suoi bagliori verdi. Si distese sulla schiena e il sonno le chiuse gli occhi, mentre la sua mente continuava a pulsare nelle vene del cerchio.

 
 



Buongiorno a tutti! Come promesso, siamo tornate.  Di nuovo, purtroppo, la data di pubblicazione del prossimo capitolo è incerta, ma dovrebbe aggirarsi intorno alla fine di Gennaio (perdonateci per questa tortura, speriamo che dopo il prossimo le tempistiche tornino accettabili).
 
Con questo capitolo compatto ma importante entriamo in una nuova fase della storia: non vedevamo l'ora di pubblicarlo per conoscere la vostra opinione, quindi fateci sapere! Siamo curiose ;)
Grazie a tutti per il vostro sostegno e per essere partecipi di quella che consideriamo la nostra più grande avventura!

A presto e un abbraccio,
Blue Heads

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Capitolo 15
*** Capitolo XII ***


Come sospinta a riva, la coscienza di Ginevra riemerse dall’oblio di un denso sonno blu scuro. Lievi raggi di luce rischiaravano la volta della Camera, come addolciti da un velo d’acqua.

Respirò a fondo, cullandosi in quelle sensazioni, la mente ancora piacevolmente confusa.  Aveva vissuto il cerchio, e in esso il loro legame: adesso conosceva.
E sentiva che Tom era con lei.



Turbina il rosso nel verde
Freme libera, fuori da sé
Giocano a perdersi nelle reciproche forme
Vivi nel vortice

Afferrando, mordendo e assorbendo
Bevendone.
Lei era guizzo
Lui era fiamma
Lui era lei



 

Capitolo XII

 

Albeggiava, al di là delle finestre della Torre di Grifondoro; Ginevra si rigirò nel letto. I primi lembi di sonno iniziavano a dissiparsi, lasciando spazio a qualche barlume di coscienza… Wah! È oggi!
Ginevra spalancò gli occhi, esaltata. Si alzò a sedere, piena di energia, sentendosi in faccia un sorriso immenso. Era sabato: finalmente avrebbe avuto tempo di esplorare la biblioteca della Camera! Era arrivato il momento di iniziare le vere ricerche - per l’eccitazione, la sera prima aveva faticato ad addormentarsi…
Si alzò e si vestì; in quei giorni si sentiva bene, forte, completa. C’era qualcosa che si era risvegliato in lei da quando, neanche una settimana prima, era stata nella Camera dei Segreti e si era immersa nel cerchio alchemico; non poteva richiamare razionalmente la verità in cui era penetrata, ma questa le aveva smosso qualcosa nel profondo, portando alla luce una nuova lei - ancestrale, istintiva, vera: una parte stupenda di sé che non aveva mai sentito, e che ora rimaneva con lei anche quando faceva altro, pensava ad altro, dandole una nuova forza.
Ginevra si specchiò, mentre legava i capelli in una treccia, e vide tutto ciò nello specchio; il suo volto era fresco e deciso, le sue spalle un po’ più dritte di prima, e la fiamma viva dei suoi capelli, visibile anche nella distanza, non le era mai sembrata più in linea di così col suo modo di sentire. Si piaceva.
Afferrò la borsa con il materiale per gli appunti (preparata appositamente la sera prima) e si avviò verso la Camera. Non si trattava più di Tom, di scoprire quali fossero stati realmente i suoi sentimenti e le sue intenzioni: quell’insana ossessione era come svanita. Non più schiacciata tra il terrore di lui e il senso di colpa per il segreto che ancora custodiva, Ginevra era tranquilla adesso, autocentrata: la ferita che l’aveva tormentata in quei mesi era stata come risanata. Immergendosi nel Cerchio alchemico aveva trovato una nuova interezza, una paradossale armonia tra le sue contraddizioni: un sottile equilibrio, un’imprevista via di fuga, una forza interiore scaturita dalla consapevolezza.

Il ritorno di Voldemort rendeva instabile il mondo in cui Ginevra era cresciuta, generava inevitabilmente uno scontro tra due schieramenti - Voldemort e Silente - accompagnato da retorica e propaganda da parte di entrambi i fronti; ovviamente lei disprezzava Voldemort, ma sentiva che c’era qualcosa di più vitale oltre questi schemi, qualcosa che non doveva perdere di vista a nessun costo: la libertà di vivere e sentire autenticamente, e con sempre rinnovata consapevolezza. Doveva continuare a indagare dentro di sé, e nel mondo. L’ignoranza è una colpa verso me stessa: non voglio che nessuno abbia mai più la possibilità di manovrarmi. Essere indottrinata, da un lato o dall’altro, le avrebbe strappato questa libertà - una libertà frutto di incidenti, non contemplata dalle regole del “gioco”.
Tom, Voldemort, era adesso l’origine del conflitto, ma le aveva insegnato molto: le aveva trasmesso la sua sete di conoscenza, e parte del suo sapere magico; le aveva aperto la mente come nessun altro avrebbe fatto, e l’aveva condotta alla Camera dei Segreti: la chiave che le avrebbe permesso di non rimanere intrappolata. Per farsi una propria idea del mondo, sapeva di non potersi più affidare alla conoscenza che le veniva fornita dalle istituzioni: non poteva limitarsi a sapere ciò che qualcun altro aveva giudicato appropriato. Era arrivato il momento di indagare in prima persona ciò che si celava nell’ombra dei tabù.

La Biblioteca della Camera dei Segreti era uno spazio immenso, eppure raccolto: dall’ingresso, Ginevra vide infiniti scaffali alle alte pareti, e file e file di libri e rotoli di pergamena, e al centro uno spazio scandito da basse librerie e da fluttuanti pannelli illustrati; non appena lei mise piede nella stanza, i disegni su di essi mutarono, salutandola con guizzi di colore. Ginevra si fece avanti, abbracciando la stanza con lo sguardo, l’emozione le vibrava nel petto: tutto lo scibile magico era custodito lì, di fronte a lei. Esitò un attimo: ...da dove inizio?
Nell’istante in cui Ginevra formulò questo pensiero, una linea opalescente comparì ai suoi piedi, per poi andare a dipanarsi lungo i corridoi. Folgorata, Ginevra si rese conto del fatto che non era la prima volta che la Camera reagiva al suo pensiero; del resto era tutt’uno Stanza delle Infinite Realtà. Camera, ti adoro. I colori sui pannelli si plasmarono in risposta, producendo dolci ghirigori. Ginevra rise, deliziata, e si lanciò all’inseguimento della scia. Cercava di catturare con gli occhi tutto quanto: avrebbe voluto esplorare ogni anfratto, ma lo avrebbe fatto a tempo debito; cedette alla curiosità solo una volta, indugiando di fronte a quello che sembrava l’accenno di una scala a chiocciola: tre gradini di legno scuro che si alzavano dal pavimento, per fermarsi nel vuoto a cinquanta centimetri da terra. Vi girò attorno; non vide nulla. Li salì, dubbiosa; saltò giù dal terzo. Ancora nulla.
Camera? Chiese, speranzosa: Di che si tratta?
Ma, questa volta, non ottenne risposta.
Tornò quindi sulla sua strada, e non dovette camminare ancora a lungo: non molto più in là, la scia si arrestò di fronte a un tavolino affiancato da due divanetti arancioni, protetto da un muro di libri e riparato da un pannello variopinto. Ginevra fece un passo verso la libreria, trepidante; poi però il suo sguardo saettò verso i due tomi abbandonati sul tavolino. Era contesa tra due curiosità… Si risolse: un’occhiata veloce ai due libri fuori posto e poi si sarebbe dedicata alla libreria.
Raccolse uno dei volumi abbandonati lì sul tavolino, chiedendosi quando e da chi; si trattava de Il Grande Arcano, di Eliphas Levi.
Prese a sfogliarlo;  qua e là tra le pagine spuntavano appunti frettolosi…
Aspetta un attimo… !     - per un momento quella grafia le sembrò la sua - ma no, non era così; eppure, le era incredibilmente familiare. Dovette studiarla diversi momenti per comprendere ciò che aveva davanti agli occhi: la disinvolta fusione dei suoi sgorbi e dell’ordinata e razionale scrittura di Tom: quella era la forma delle parole vergate dalla sua mano, ma pensate dalla mente di lui. Quei libri dovevano essere rimasti lì da una delle ultime volte in cui lei, posseduta, era stata nella Camera dei Segreti. Avere di fronte agli occhi la prova fisica del potere che Tom aveva esercitato su di lei non la turbava nè la spaventava, realizzò Ginevra: ora lei si muoveva in questo spazio come sua pari, era in controllo di sé stessa.
Incuriosita, prese a sfogliare l’indice e scoprì che si trattava dell’ultimo di una serie di cinque libri:

  1. Il Dogma dell’Alta Magia: concetti di Arti Oscure, parte prima

  2. Il Rituale dell’Alta Magia: concetti di Arti Oscure, parte seconda

  3. La Chiave dei Grandi Misteri

  4. Paradossi della Scienza Suprema

  5. Il Grande Arcano


Manuali di Arti Oscure...Interessante.
Era una branca totalmente nuova per lei; Ginevra estrasse pergamena e inchiostro e si segnò i titoli, determinata a rintracciarli a breve.
Si dedicò all’altro libro presente sul tavolo: Optics di Isaac Newton.
Newton? Quel Newton? L’alchimista che aveva formulato le fasi cromatiche della sublimazione alchemica, gettando le basi dell’alchimia moderna? Cosa ci fai tu, qui?
L’ultima cosa che Ginevra si sarebbe aspettata era di trovare Newton tra i testi di Arti Oscure; eppure, eccolo. Curioso, veramente curioso… Diede una scorsa alle pagine, in cerca di eventuali annotazioni, ma non le saltò all’occhio nulla.
Newton?!?” annotò su un angolo della sua pergamena, prima di passare oltre; avrebbe indagato.
Una volta riposto il libro accanto al primo, dedicò la sua completa attenzione alla libreria.
Scandagliò rapidamente lo scaffale, ricolmo di titoli criptici: Il Grande Grimorio, La chiave di Salomone, L’eredità dei Tre FratelliIl Dogma dell’Alta Magia, di Eliphas Levi! Affiancato, in ordine, dagli altri volumi della raccolta. Ginevra li sfilò in blocco dallo scaffale, e li piazzò sul tavolo con un tonfo.
Emozionata, prese posto sul divanetto, posizionò la pila di libri alla sua sinistra, pergamena e calamaio alla sua destra; aprì il primo volume e dispose la mente all’apprendimento: era pronta per iniziare i suoi studi.

 

Il Dogma dell’Alta Magia:
Concetti di Arti Oscure, parte I

Introduzione


“Le Arti Oscure sono varie, multiformi e mutevoli. Ciò che esse hanno sempre in comune è il loro assioma di base, il loro principio fondante: il limite non esiste. Il limite è solo mentale. Nel momento in cui il mago supera gli schemi mentali all’interno dei quali è cresciuto, in cui è costantemente immerso, diventa per lui possibile attuare incantesimi che non rispettino le leggi naturali; ovvero senza conseguenze, senza prezzo.”
Forma mentale, limite mentale, quindi io posso cambiare il limite. Mi stai dicendo questo? Che le regole sono inventate o sono poste dalla società per sicurezza? Per limitare un potere infinito e quindi pericoloso?  
“Le leggi principali che le Arti Oscure vanno a scardinare sono quattro: principio di empatia,  principio di scambio equivalente, continuità spazio-temporale e ciclo vita-morte, in difficoltà crescente.”
Vita-morte... il cerchio, il diario: Tom era morto e ora è in vita, e voleva scambiare la mia vita con la sua. Il tipo di legame che c’è tra noi è una sorta di derivazione di questo? Lui stava violando il principio e mutando le leggi naturali, e ciò che è avvenuto ha a sua volta mutato il mutamento… la nostra comune esistenza è una magia oscura all’ennesima potenza, qualcosa di sovrannaturale, poco umano… forse da questo deriva la sensazione di unione tra noi, insieme in questo qualcosa che si stacca dall’umano. Interessante.
Nonostante la Magia Oscura del primo tipo (negazione del principio di empatia) sia la più conosciuta al pubblico non iniziato, in ambito accademico essa è senza dubbio considerata la forma più gretta e fuorviante assunta dalle Arti Oscure nella storia;” che sarebbe a dire  tortura e attacco personale: quello di cui si occupa la Difesa... Che quindi contrasta solo la prima e più bassa forma di arti oscure... Davvero? Adesso sono davvero curiosa di scoprire il resto per questo motivo, in questo volume, essa sarà trattata concisamente, e solo a scopo informativo. La Nostra attenzione verterà su forme più complesse e nobili di Magia Oscura, nonché infinitamente più affascinanti.”
Ginevra girò pagina, vorace.
Come verrà approfonditamente esposto nelle sezioni che seguono, la sola discriminante tra la riuscita o meno di una magia Oscura è la convinzione del mago di poterla compiere”
I pensieri di Ginevra saettavano, ispirati e increduli; era esattamente questo che cercava - è tutto perfettamente folle, ma se mantengo questa sensazione, posso… rilesse la frase precedente:
Come verrà approfonditamente esposto nelle sezioni che seguono, la sola discriminante tra la riuscita o meno di una magia Oscura è la convinzione del mago di poterla compiere, la determinazione e la convinzione che i limiti, in realtà, non esistano. In parole povere la riuscita della magia Oscura dipende dalla forma mentis e dalla volontà della persona: se lo puoi pensare e lo vuoi fare, lo puoi fare.
Questo ci porta ad una considerazione rilevante utile allo sfatamento di alcuni falsi miti: non sono le Arti Oscure a cambiare il mago, ma è il mago stesso a cambiare e plasmare la propria mente, e di conseguenza rendersi in grado di compiere una magia oscura.
In quest’ottica appare chiaro quanto non sia necessario che la magia venga attuata, affinché il cambiamento sia reale.”

...chi diventi è quindi tua responsabilità…
“Pertanto, la connotazione negativa ampiamente attribuita alla nostra Arte attraverso l’attributo “Oscura”, risulta, in quest’ottica, quanto mai inadeguata. Una riflessione terminologica non rientra tuttavia nei Nostri obiettivi in questa sede, e per motivi di chiarezza espositiva ci atterremo alla nomenclatura comune, chiedendo al lettore il piccolo sforzo di svuotare il termine “Arti Oscure” di qualunque accezione dispregiativa.”
Non “Arti Oscure” ma Arti… Alternative?

Ginevra lesse per il resto della mattinata e del pomeriggio, fermandosi soltanto per prendere appunti, smangiucchiando dalle sue provviste di cibo mentre rifletteva: se mentalmente siamo in grado di superare le regole, che siano quelle che ci sono state date o quelle che possiamo dedurre dai cicli naturali, e che tendiamo a dare per scontate, l’unico limite alle magie che siamo in grado di compiere è dato dalla nostra mente… devi essere in grado di crederci, e di riuscire a comprendere come possa funzionare qualcosa di diverso da ciò che già esiste. Se il modello che hai ideato regge, puoi renderlo reale, ma non è semplice; il limite è dato dalla tua capacità mentale, e ci sono cose che non si possono fare perchè semplicemente vanno al di là della mente umana...

Ginevra mise il segno nel libro solo a pomeriggio inoltrato: avrebbe voluto andare oltre, ma sentiva di aver bisogno di tempo per processare le nuove informazioni e far proprio tutto ciò che aveva scoperto; si stiracchiò, soddisfatta ma indolenzita, e rimase un attimo a fissare il vuoto, il cervello che ronzava. Poi si alzò e si diresse fuori dalla biblioteca: aveva bisogno di sgranchirsi.
Uscita nell’enorme atrio, Ginevra si guardò attorno e scorse qualcosa che non aveva notato in precedenza: ai lati del portone d’ingresso, facevano capolino due identici accenni di scale a chiocciola, simili a quello che quella mattina aveva catturato la sua attenzione in Biblioteca.
Si avvicinò, indagatrice; girò attorno al più vicino, osservandolo, e quando si trovò parallela all’ultimo gradino, scorse dall’altra parte un corridoio… era come guardare attraverso una finestra, o una porta invisibile. Senza pensarci due volte, saltò sul gradino più alto, e fece un passo nello spazio al di là, sbucando in un ballatoio, una ventina di metri più in alto di dov’era stata fino all’istante prima. Prese a percorrere il lungo corridoio intervallato da archi che si affacciavano sull’atrio centrale… si fermò di colpo, colta da un’epifania: sotto di lei si estendeva il cerchio alchemico, e da quell’altezza sarebbe stato visibile nell’insieme! Si sporse per ammirarlo, ma inutilmente: era troppo lontano perché le linee incise fossero visibili. Rimandò con un sospiro, facendosi appunto mentale di creare un composto fluorescente con cui evidenziare i solchi la prossima volta che fosse scesa nella Camera. Proseguì per quella strada finchè, a metà della lunghezza del corridoio, trovò una porta; la varcò, per trovarsi in quella che era inconfondibilmente una sala comune: uno spazio accogliente, con divanetti, camini, candelabri incantati, un enorme e soffice tappeto verde smeraldo (come quello dell’ingresso, sul quale era quasi crollata addormentata, settimane prima), e ai lati due scalinate, che dovevano portare ai dormitori. Ginevra diede una rapida occhiata, verificando la sua ipotesi, poi tornò ai divanetti della sala comune, e si abbandonò su uno di questi. Di fronte a lei, un ritratto di una famiglia dall’aria regale era illuminato dalla luce sfuggente delle candele. Salazar e i suoi diretti eredi: un giovane dallo sguardo altero, e una ragazzina che rivolse a Ginevra un sorriso sagace. Il vecchio la osservò con interesse: forse era tanto che non vedevano nessuno, o forse la visita di una Grifondoro era semplicemente inaspettata. Probabilmente entrambe le cose.
<< Salve! >> Salutò lei: << sono una nuova studentessa >> Si stava davvero presentando a Salazar Serpeverde come una nuova studentessa della Camera? Ridacchiò fra sé e sé. Tanto, più assurdo di così…
<< Indubbiamente >> confermò lui, la sua espressione non recava traccia di ironia.
<< Benvenuta >> si apprestò a dire la ragazzina.
<< Grazie >> rispose Ginevra a mezza voce. Non sapendo esattamente come proseguire la conversazione, distolse lo sguardo e tacque.
Sarebbe sembrata incredibilmente fuori posto, eppure si sentiva a casa. Che strana posizione, la sua, così improbabile. Questo nuovo ruolo che si stava costruendo era davvero fuori da ogni schema: figlia dell’Ordine della Fenice, allieva di Silente così come di Tom Riddle, e indissolubilmente legata a questo (dopo essersi immersa nel cerchio alchemico, quella era per lei una verità indubitabile - in qualche modo sentiva che il suo essere completa includeva lui, e viceversa), eppure ora si sottraeva a entrambe le “squadre”, decidendo di crearsi un gioco proprio e indipendente in cui seguire le proprie priorità, e scrivere le proprie regole. Voleva essere sé stessa interamente, e non avrebbe più potuto esserlo se non in questo modo; le esperienze che aveva vissuto le avevano aperto uno spiraglio su una realtà più complessa, che ora non poteva e non voleva dimenticare. Aveva scelto: era una ribelle, e una rinnegata. Era lei, era questo: aveva trovato il suo posto nel mondo.

 

CANZONE: Renegade - Paramore
https://www.youtube.com/watch?v=rMEBCK0Zzv8

 
 

AVVISO DEL 19/01/21
Ciao a tutti! Abbiamo eliminato momentaneamente il capitolo XIII, perché presto pubblicheremo una versione aggiornata e migliorata, a cui seguiranno, a breve distanza, dei nuovi capitoli. Dopo una lunga pausa, siamo finalmente tornate a scrivere, e speriamo che qualcuno di voi abbia ancora la voglia e la pazienza di leggerci.

Un abbraccio e a presto!

Blue Heads

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Capitolo 16
*** Capitolo XIII ***


Capitolo XIII

 


“E’ molto più facile avere il cammino segnato. Avere infinite possibilità di scelta mette in crisi, dà le vertigini. Qualcuno impazzisce, inebriato dalla libertà; qualcuno, spaventato, tenta invano di dimenticare; ma la chiave del successo sta nel trovare l’equilibrio adatto a reggersi nel vuoto.”

Il Dogma dell’Alta Magia, Eliphas Levi


Distesa nel letto a baldacchino, Ginevra sbadigliò sonoramente, stropicciando gli occhi, cercando di raccogliere tutte le energie e la capacità di concentrazione che le rimanevano a quell’ora di notte: doveva almeno finire quel maledetto paragrafo! Le mancava meno di una decina di pagine per finire la prima sezione de Il Dogma dell’Alta Magia (in settimana, a causa delle lezioni, difficilmente aveva modo di recarsi nella Camera, motivo per cui l’aveva “preso in prestito”).
Il libro di testo di Levi era davvero ben fatto - molto meglio di tutti i libri della Umbridge messi insieme, per dirne una - ma Ginevra era semplicemente troppo stanca quella sera.Tentò debolmente di riscuotersi e riprese il pezzo dall’inizio, ma non riusciva più a mettere a fuoco. Il libro le scivolò di mano, cadendo silenziosamente sulla trapunta di lana rossa, e la sua testa sprofondò finalmente nel morbido cuscino.


Le sue mani intrecciavano sicure in un gesto fermo e ripetuto all’infinito. Incrociò lo sguardo della vecchia che sedeva e intrecciava assieme a lei, lavorando quella stoppa rossa. Sorrise. Ogni tanto le piaceva tornare lì e condividere il suo lavoro: sentire quel tessuto così materico flettersi tra le dita e starsene placidamente al sole, seduta sul vecchio secchio di sua madre, ormai corroso dall’uso.
D’un tratto, lontano nel profondo, sentì bruciare una disperazione estranea; poi un grido, una richiesta d’aiuto, che le giungeva attraverso una parte di sé fuori da lei. Ne percepiva l’urgenza. Avrebbe proseguito quel lavoro la prossima volta - chiuse gli occhi, riallacciandosi a sé stessa.
Di fronte a lei c’era il varco: un armadio di legno scuro dalle ante rivestite da specchi. Tom era dall’altra parte, poteva sentirlo: stava soffrendo. Doveva tirarlo fuori di lì.
Spalancò l’anta con uno strattone e per un attimo fu il nulla: Ginevra sentì e vide il non vedere e il non sentire - nell’istante in cui aveva aperto il varco era stata  investita dalla vacua assenza di ogni percezione, perfino quella della sua stessa esistenza.
Aggrappandosi alla coscienza di Ginevra, Tom uscì dal suo incubo, attraverso di lei ricominciò a sentire. L’anta si richiuse, liberandolo dal vuoto del limbo tra la vita e la morte. Inspirò a fondo, grato; le loro coscienze, ancora unite, tornarono a distendersi, e quella di Tom si ritirò nel doppio oltre lo specchio, donandogli i propri tratti. Riflessa davanti a lui, Ginevra era turbata - l’oscurità e la disperazione si erano insinuate in lei quando aveva aperto la breccia, ed ora tremavano nel sottosuolo, ripercuotendosi e deformando ogni cosa attorno a lei - la ragazza sentiva l’incubo crescere e condensarsi alle sue spalle. Entrambi percepivano il pericolo, vivevano il  terrore di Ginevra - Tom scattò, pronto alla difesa, assumendo il proprio aspetto più forte e crudele.
Il sogno di Ginevra le impose di voltarsi a guardare mentre l’oscurità esplodeva in un mosaico tagliente e scomposto: negli spigoli di vetro, riflessi di scene sanguinanti - tutto ciò che amava distrutto e deturpato: i suoi cari feriti, torturati, morti; si uccidevano l’un l’altro sotto la maledizione Imperius e tornavano, trasformati in inferi, e arrancavano verso di lei per trascinarla con loro. Ginevra indietreggiò sconvolta - le interiora dilaniate, un grido negli occhi sbarrati. Andò a sbattere contro Tom, alzò lo sguardo e si trovò di fronte una maschera d’odio, occhi spietati, inumani, crudeli.
Ginevra cadde all’indietro e terrorizzata puntò la bacchetta contro Voldemort.
Lui rimase immobile, pietrificato - e di nuovo Ginevra venne investita a ondate dalle sue emozioni - l’abbandono, il tradimento, la rabbia urlavano: MOSTRO!
Tremava d’odio - sotto i suoi occhi, Ginevra lo vide farsi sempre più cattivo e minaccioso - ma dentro di lei, dentro di lui, a palpitare era un bimbo spaventato. La bacchetta le cadde di mano. Dentro di lei e dentro di lui, Ginevra lo abbracciò, e pianse al posto suo.


Con il respiro spezzato, Ginevra si svegliò. Il cuore sconquassato e rivoltato ancora cercava di ritrovare il suo ritmo.
Deglutì, inspirò a fondo e si asciugò gli occhi. In piedi: doveva tornare da Tom. In un attimo aveva già infilato le scarpe e il mantello e sfilava nei corridoi.
Io sto arrivando. Tu vedi di esserci.

Spalancò le porte della Camera e avanzò nel salone. Si guardò attorno: lui non era lì. Confusa, Ginevra batté le palpebre. Scrutò il vuoto tutto attorno e fu colta da una sottile angoscia: era stata certa di trovarlo.
Poi lo schiocco di una materializzazione ed eccolo, ad un paio di metri da lei: i capelli disastrati e il volto segnato dalle occhiaie, Tom la guardava, simulando distacco; ma i suoi occhi si aprivano su una mente sconvolta. Era scalzo.
Per un attimo lo sentì così vulnerabile - Tom, così antica e così stretta conoscenza, così provato, spaventato e confuso … In una frazione di secondo però, qualcosa cambiò nell’intera percezione della scena, trasformandola radicalmente: era Tom, spaventato e confuso, e al contempo era Tom, manipolatore e glaciale. Una strana sensazione all’altezza dello sterno sembrava suggerirle che quella vulnerabilità fosse reale, ma che ci fosse anche qualcos’altro che non riusciva ad afferrare.
Se dapprima, sotto l’influenza del sogno condiviso, Ginevra aveva sentito l’impulso di correre ad abbracciarlo, adesso un altro istinto prevalse sul primo, riportandola verso la razionalità. Con essa tornò anche il bisogno di ottenere una spiegazione: nell’impulsività che l’aveva portata lì non si era posta domande su nulla, ma adesso…
<< Come funziona? >> chiese, e fece qualche passo, accorciando la distanza tra di loro.
Nel tempo in cui Ginevra formulò quella domanda, l'atteggiamento di lui cambiò ancora; un sorriso amabile plasmò le sue labbra - questa volta Ginevra ebbe la certezza che si trattasse di una maschera - e lui rispose con disinvoltura: << Credevo che volessi scoprirlo da sola. Se ti rispondessi ti toglierei il  piacere della scoperta. O vuoi forse che torni ad essere il tuo maestro?. >>
I pensieri di Ginevra inciamparono sulle implicazioni di quella risposta: Il piacere della scoperta… quindi Tom sapeva delle sue nuove ricerche. Ormai era palese che vi fosse un qualche tipo di legame tra le loro menti, e questa sua allusione sembrava confermarlo.  Davvero Tom sapeva di ogni cosa che lei avesse fatto negli ultimi mesi? Perché glielo stava facendo sapere proprio adesso, e perché proprio in quel modo così indiretto? Ma Ginevra represse rapidamente quel turbine di domande, concentrandosi sul momento presente: c’era qualcosa che la confondeva nel comportamento di Tom, mettendola vagamente a disagio; qualcosa che non tornava. A giudicare dal modo di fare di lui, uno non avrebbe mai immaginato che avessero appena condiviso un momento così intimo e pregno di emozioni; né che lui si fosse appena materializzato lì, nel cuore della notte, solo per vedere lei. Non aveva senso.
Ginevra lo guardò con durezza: << Si può sapere di cosa stai parlando? Se anche ti avessi mai considerato un maestro, ora non ha più importanza. Non sono più la stessa ragazzina che avevi ingannato con tanta facilità: sei stato tu a cambiarmi, quindi dovresti saperlo. >> Trattenne il respiro, mentre studiava la sua reazione, i sensi all’erta: aveva detto esattamente ciò che pensava, ma non aveva idea di come Tom - Voldemort - avrebbe reagito.
Tom dovette rendersi conto, forse tramite i pensieri di lei, di quanto fosse strano il proprio comportamento; si stropicciò il volto con le mani, in un gesto stanco, e si prese un momento per ricomporsi. Quando riprese a parlare, il velo di artificialità che aveva mostrato fino a quel momento sembrò finalmente cadere.
<< Chiedo scusa, è stata una notte strana anche per me. Ma tornando al tuo discorso: anche tu hai cambiato me, Ginevra. >>
Lui la guardava apertamente adesso; nessuna sfida, nessuna provocazione - solo il desiderio di parlare chiaramente, forse. Tacque per un momento, come cercando il modo per spiegarsi: indicò loro, quella situazione, il famigerato cerchio alchemico: << Tu hai cambiato le carte in tavola, quella notte - quando hai deciso di lottare per vivere. E anche in seguito: quanto, di tutto quello che ci ha portati qui, in questo momento, è stato scelto da me? >>
Ginevra era confusa. Stava per chiedergli cosa intendesse, quando realizzò che Tom non aveva ancora risposto alla prima domanda che gli aveva fatto. Tom stava portando il discorso in tutt’altra direzione, ma Ginevra voleva una risposta: << Non stavamo parlando di questo. Non mi importa assolutamente nulla di chi ha voluto cosa: ti ho chiesto come funziona il nostro legame, e tu chiaramente ne sai molto più di me. >>
Silenzio. Un’immagine balenò nella mente di Ginevra: una logora pagina vuota, una pagina del Diario, che le chiedeva tacitamente di continuare, esporre meglio, meritarsi una spiegazione. Per la prima volta, poteva sperimentare quello spazio bianco di persona: Tom, il suo sguardo criptico e il suo silenzio, che la invitavano a esporre il suo ragionamento.
Così, per quanto irritata, Ginevra iniziò ad esporre: << Tu c’eri, in qualche modo, quando sono entrata in connessione con il cerchio alchemico. E ancora: la tua coscienza mi ha raggiunta in sogno, stanotte; e adesso, io ti ho chiamato e tu mi hai raggiunta qui. Sei a conoscenza degli studi che ho iniziato nelle ultime settimane, e di chissà cos’altro. >> Ginevra fece una pausa, recuperando il filo di tutte le deduzioni e supposizioni degli ultimi giorni. << Chiaramente tutto ciò è collegato alla trasmutazione che era rimasta incompleta quando hai cercato di uccidermi, suppongo per tornare in vita. E così siamo qui entrambi. Trasmutati a metà, in equilibrio nel mezzo. Ma una cosa del genere dovrebbe essere impossibile. Cos’è successo? >>
<< Tutto corretto. >> asserì lui, poi accennò al soffitto << La Camera non è un semplice edificio, sicuramente lo avrai notato. Penso che l’unico motivo per cui siamo sopravvissuti sia che la sua magia ha dato sostegno a entrambi. Sembra che la Camera ci abbia preso sotto la sua ala. >>
Ginevra ripensò a quanto erano state critiche le sue condizioni quando l'avevano trovata: solo grazie a giorni di cure intensive al San Mungo era riuscita a ristabilirsi. Tom, invece…
<< Se la Camera non mi avesse celato e protetto per giorni, quando ero a malapena cosciente, non avrei avuto speranze. >> confermò lui, rispondendo alla domanda a cui la ragazza non aveva ancora dato voce. Perplessa e infastidita per questa e chissà quante altre violazioni di privacy, Ginevra si allontanò di un passo: << Come funziona? Perché io non riesco a sentire i tuoi pensieri come tu fai coi miei? >>
Lui inclinò la testa, inarcando un sopracciglio: << Ci hai mai provato? >> Ridacchiò al suo immediato tentativo.
Con la mente Ginevra era tornata in quel luogo lontano, nel profondo di sé stessa, da cui in precedenza aveva sentito provenire l’eco della coscienza di lui, e immaginò di attraversarlo, di affacciarsi su ciò che era al di là… Ma non trovò nulla. Tranne una “tommosa” sensazione di divertimento, e la sua voce mentale che rideva: << Io a tua differenza sono un occlumante, Ginevra. >>
Lei lo guardò male, non sapendo più se nella realtà o dentro di sé - dentro di loro, realizzò di colpo: esisteva un “dentro di loro”, un unico spazio interiore che includeva lo spazio psichico di entrambi, come se il muro tra due appartamenti fosse stato abbattuto, e al suo posto fosse stato messo un arco, una soglia che li mantenesse distinti, ma non più separati.
Ho decisamente bisogno di costruirci una porta.
<< Posso insegnarti, se vuoi. >> soggiunse Tom, stavolta ad alta voce.
Non era così convinta di potersi fidare di una porta che Tom le avesse insegnato a costruire per schermarsi da Tom stesso.
<< Potrei insegnarti a farti i fatti tuoi, se vuoi. >> ribatté lei.
Tom arricciò il naso, come se fosse scettico sulle sue possibilità di successo.
<< Anche se ci riuscissi, avresti risolto solo il minore dei problemi. Non sono l’unico che potrebbe spiare nella tua mente, mentre sono l’unico a non aver alcun interesse a nuocerti nel farlo. Nulla di ciò che potrei trovare nella tua mente può rendermi ostile a te - nessuno dei tuoi molti segreti. Ma questo non si può dire di molti altri… >>
Silente... Con una strizza d’ansia Ginevra ripensò al modo in cui quegli occhi azzurri sembravano scrutarle dentro.
<< Hai scelto di essere una rinnegata, Ginevra, come me: forse è arrivato il momento che tu impari a difendere la tua libertà e i tuoi segreti, con o senza il mio aiuto: in biblioteca trovi tutti i testi di cui potresti avere bisogno. >>
E se decidessi di volere il mio aiuto, basta chiedere - la voce mentale di lui balenò nella testa di Ginevra - proveniva da quel remoto luogo-soglia, ma si era proiettata fulminea tra i suoi pensieri. Ginevra rimase vagamente scossa: era già successo nel sonno, ma vivere quella sensazione da coscienti era diverso, e istintivamente allarmante. Fece un respiro profondo, e un breve cenno d’assenso verso il diretto interessato. Ne aveva passate abbastanza per quella notte. Avrebbe voluto chiarire ancora molte cose, fare molte domande, ma sentiva il bisogno di ristabilire perlomeno la distanza fisica.
<< Arrivederci, Tom. >>
<< A presto, Ginevra. >> Lui era rilassato. Per nulla ostile, né difensivo, né calcolato - almeno non per i suoi standard. Lo sentiva.
<< Buonanotte, allora >> mormorò Ginevra troppo piano mentre varcava la soglia per tornare nel Castello. Ma sapeva che a lui non serviva l’udito per sentire quelle parole.





 

06/02/21
Torneremo presto con il prossimo capitolo! 

 

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Capitolo 17
*** Capitolo XIV ***


Capitolo XIV

 

Ginevra si aggirava irrequieta per la Sala Comune dei Grifondoro, un’anima in pena nella notte.
Fortunatamente mancavano ancora diverse ore all’alba: aveva così tanto da rielaborare dopo quanto era appena accaduto, che nulla avrebbe potuto essere più adeguato del silenzio e della solitudine di cui poteva godere. Erano a malapena passate le due di notte, eppure il giorno precedente le sembrava già così lontano: solo poche ore prima si era addormentata nel suo letto leggendo Il dogma dell’alta magia, come ormai faceva da una settimana, e poi tutto d'un tratto, nella vulnerabilità del sonno, la sua mente si era scoperta intrecciata a quella di Tom. Ed intrecciata era tutt’ora. A quanto pare lo era stata per quasi due mesi ormai, a partire da quella notte di fine Luglio. Lei era lì, nella torre di Grifondoro; e là fuori, da qualche parte nel mondo fisico, c’era Tom. Eppure, sul piano psichico, erano sempre implicitamente presenti l’uno all’altra.
Nell’incoscienza del sogno Ginevra aveva abbassato le difese, aprendosi, oltre che a lui, anche alle emozioni che lui le suscitava. Sentirlo di nuovo, vederlo in carne e ossa, sapere che Tom non era scomparso definitivamente dalla sua vita, aveva scatenato in lei una gioia e un senso di speranza inaccettabili per Ginevra. Ma adesso, dopo quel primo momento di sollievo, la rabbia che aveva covato fino a quel momento sgorgava come fiotti di lava, infiammando le sue mani così come i suoi pensieri: quanto avrebbe voluto riempirlo di botte, quel pezzo di merda, quanto! O distruggere qualsiasi cosa fosse stata a sua portata in alternativa: tutto il suo corpo era contratto, nervoso, aggrovigliato da quei sentimenti. Quello era il verme che aveva osato tradire la loro amicizia! Che per anni l’aveva usata e aveva progettato di ucciderla, abusando della sua fiducia e del suo affetto. Lui doveva pagare - Ginevra sentiva la necessità impellente di farsi giustizia; tremava da quanto ardentemente lo desiderava.
Eppure al contempo c’era una verità che, per sbagliata che fosse, non poteva più negare - non dopo quel sogno condiviso e quel successivo, bizzarro incontro: teneva profondamente a Tom. Ciò che la univa a lui era viscerale almeno quanto l’odio che le ribolliva dentro; e ciò che legava Ginevra a lui agiva anche viceversa, qualsiasi cosa questo vincolo significasse per Lord Voldemort.
Chissà se lui era in ascolto in questo momento. Non che lei avesse niente in contrario al fatto che lui si beccasse qualche insulto… Forse aveva monitorato ogni suo pensiero da che aveva lasciato la Camera; e forse quando lei pensava al nome di Tom questo catturava la sua attenzione nello stesso modo in cui sarebbe avvenuto se qualcuno avesse pronunciato il suo nome in una conversazione dall’altra parte della stanza. O forse erano tutt’altri pensieri a ingombrare la mente di lui in quel momento. Chissà, magari Tom stava semplicemente dormendo: le era sembrato così stanco nella Camera. Del resto, se tutte le notti di Tom fossero state costellate da incubi come quello da cui lei lo aveva tratto in salvo solo poche ore prima - il cui solo ricordo provocava in Ginevra un'inquietudine indescrivibile - la stanchezza di lui sarebbe stata facilmente spiegabile.
Ma perché mai avrebbe dovuto preoccuparsi per lui? Per quanto ne sapesse lei, Tom avrebbe potuto tranquillamente passare le sue notti a progettare la rovina del mondo magico…
Al diavolo. Si meritava qualsiasi incubo. Del resto, quanti incubi avevano tormentato il sonno di lei da quando era tornato? Quante notti aveva trascorso senza chiudere occhio, avvelenata dall’incertezza e dal dolore?
E anche stanotte lei era lì, in piedi e turbata per colpa sua... Tom meritava questo e molto, molto peggio; e lei non aveva più alcuna intenzione di passare un’altra notte insonne per colpa sua.
Così Ginevra tornò di sopra, nel dormitorio, nonostante fosse decisamente troppo lucida e infervorata per dormire. Si raggomitolò sotto le coperte, in attesa che il letto si riscaldasse.
L’indomani avrebbe avuto parecchio da fare: sei lunghe ore di lezione, una montagna di compiti che ormai trascurava da troppo tempo, e un gruppo di Difesa clandestino da organizzare. A questo si stava sforzando di pensare Ginevra quando gli occhi fluorescenti di Bowie fecero capolino nel buio: era un po’ che non si faceva vedere, quel micio. Il gatto balzò leggero sul materasso e, dopo averle riempito di peli il cuscino, il naso e i capelli, si accoccolò soddisfatto contro il petto di lei. Ginevra fece un respiro profondo, affondando il volto in quella palla di peli, e si sentì un po' meno sola.

 

***

 

Parecchie ore dopo, Ginevra si trovava nuovamente di fronte alla Stanza delle Infinite Realtà, ma questa volta non era la Camera dei Segreti che cercava.
Una stanza in cui possiamo organizzare un gruppo segreto di Difesa in tutta sicurezza… Una stanza in cui mettere insieme un gruppo per imparare la Difesa contro le Arti Oscure in segreto… Una stanza in cui organizzare un gruppo di Difesa segreto, e se è possibile in cui il legame mentale con Tom non funzioni... e se quest’ultima richiesta non puoi soddisfarla, fammelo capire facendomi trovare dei coriandoli al mio ingresso!
Non sapeva se quell’ultima richiesta potesse essere soddisfatta in qualche modo, e non era necessaria ai fini del gruppo di Difesa, ma Ginevra non era riuscita a trattenersi: non sarebbe stato affatto male avere la certezza di non essere osservata da lui, almeno per un po’.
Spalancò il portone che era comparso innanzi a lei, speranzosa - ma appena mise un piede nella Stanza, venne investita da una pioggia di coriandoli colorati.
Messaggio ricevuto… ti ringrazio lo stesso. Pensò Ginevra mestamente.
Tutto attorno a lei c’era un’ampia sala. Era uno spazio semplice, con pochi elementi di arredamento: un enorme tavolo rotondo, librerie ricolme di libri e pergamene di ogni sorta, e un affresco dei quattro fondatori di Hogwarts che occupava tutta la parete principale.
Il tavolo, di lucido legno scuro, si trovava al centro della stanza: sopra ad esso c’erano pergamene e inchiostro per trentaquattro persone, e tutto attorno vi erano curvi divani che ne disegnavano il perimetro. Una delle postazioni, notò Ginevra, era corredata con un buffo martelletto da giudice. Ginevra ridacchiò a quella vista, ricordando Harry alla conclusione della primissima riunione, quando picchiettando sul mobiletto degli asciugamani aveva affermato con solennità: << L’udienza è sospesa! >>.
Ancora sorridendo sollevò lo sguardo sulla parete di fronte, e dall’affresco Godric Grifondoro rispose al suo sguardo: << Ah! Ma naturalmente sono stati i miei pupilli i primi a ribellarsi a questa assurdità! >>, disse lui con un sorriso orgoglioso, osservando Ginevra avvicinarsi. Attorno a lui erano ritratti gli altri tre fondatori di Hogwarts; non visto dagli altri, Salazar Serpeverde le fece un rapido occhiolino. Ginevra sorrise di rimando ai due, un po’ fiera e un po’ divertita; quindi accennò un inchino ai quattro fondatori, che ricambiarono con un cenno del capo, e mentre loro proseguivano a chiacchierare tra loro, lei continuò la sua esplorazione della Stanza.
Tutto attorno al ritratto c’erano scritti quelli che Ginevra riconobbe come versi tratti dalla canzone di inizio anno del Cappello Parlante:

Mancata lealtà farà Hogwarts crollare,
l’antica ferita dovete sanare!
Non ripetete le antiche tragedie
unite i tavoli, mischiate le sedie.



Ginevra diede una rapida scorsa a quei versi, e più che mai fu contenta che almeno una Serpeverde fosse stata coinvolta nel progetto. Chissà se questo gruppo clandestino sarebbe servito a creare una nuova complicità tra le Case.
In quel mentre il portone si aprì alle sue spalle, e la voce squillante di Luna riempì la stanza: << Eccoci! >> trillò emozionata, le braccia cariche di cibo e un’alta figura al seguito.
<< Nott! >> realizzò Ginevra mentre il compagno di Alchimia faceva il suo ingresso nella Stanza.
<< Lui è l'amico di cui ti avevo parlato! >> spiegò Luna allegra.
Theodore Nott fece un cenno di saluto, sorridente ma vagamente imbarazzato. << Weasley. >>
Anche lui portava con sé borse colme di generi alimentari.
<< Uh, hai portato i coriandoli!  >> commentò entusiasta Luna, notando i pallini di carta colorata disseminati sul pavimento.
<< Non è andata proprio così… >> disse Ginevra distrattamente  << Piuttosto, non sapevo bisognasse portare del cibo! >>
<< Beh, nessuno ha detto di non portarlo, no? >>
<< Luna ha insistito che facessimo un salto alle cucine prima di salire. >> Concluse Theodore, estraendo bottiglie di succo di zucca dalle borse e posandole sul tavolo.
La diretta interessata annuì con convinzione: << Nemmeno un Serpeverde può sembrare così minaccioso, se arriva portando dei muffin! >>
Le risate dei quattro fondatori si unirono a quelle di Ginevra; e il Serpeverde in questione alzò gli occhi al cielo, ma stava sorridendo anche lui.
Poco dopo arrivarono Nigel e Demelza, e muffin e biscotti diedero prova di essere una buona tattica per conquistare le simpatie dei Grifondoro. Un po’ per volta arrivarono anche gli altri “congiurati”, come Nigel amava chiamarli; infine, facendosi spazio tra il vocio e le briciole, Hermione si armò di martelletto e diede inizio alla riunione.
<< Quindi… >> disse, una lieve nota di nervosismo nella voce: << Benvenuti. Tutti voi sapete perché siamo qui, suppongo. >>
Il suo sguardo volò sui volti dei trentaquattro studenti seduti attorno a quella tavola rotonda; probabilmente vi trovò le conferme che cercava, perché quando riprese a parlare il suo tono era un po’ più sicuro: << In questa scuola dovremmo poter imparare a difenderci dai maghi oscuri, e a combattere se necessario; eppure, al momento ci viene impedito. Proprio ora, proprio adesso che Voldemort è tornato tra noi... >>
Queste parole, come prevedibile, non furono prive di reazione: il più dei maghi purosangue presenti sussultarono a sentir pronunciare quel nome e Lisa Turpin, una ragazza di Corvonero, intervenne cautamente: << Che prove ci sono che sia realmente tornato? >>
Ginevra si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo: “L’ho incontrato giusto qualche ora fa!” avrebbe voluto ribattere; ma questo decisamente non poteva condividerlo. Tuttavia prese comunque la parola, impaziente, e forse la sua voce suonò fin sprezzante alle orecchie di alcuni.
<< Mi ha quasi uccisa lo scorso Luglio. >> fu ciò che disse. Molti volti si girarono verso di lei, curiosi e stupiti, e diversi mormorarono; del resto ciò che era accaduto nella Camera dei Segreti restava un mistero per i più, e nessuno aveva mai confermato un diretto collegamento tra quei fatti e il ritorno di Voldemort. E nessun altro, tra i presenti, poteva nemmeno immaginare che la Stanza delle Infinite Realtà fosse il vero ingresso alla Camera…
Per un istante, per la prima volta da che tutto ciò era iniziato, Ginevra percepì il potere conferitole dai suoi segreti, dal vantaggio conoscitivo che questi le davano. Ma quell’emozione ebbe vita breve, poiché mutò con l’immediata consapevolezza della vulnerabilità che quegli stessi segreti costituivano - e in cuor suo Ginevra ringraziò che l’unico legilimens “presente” fosse Tom: l’unico, paradossalmente, con cui poteva condividerli.
Ginevra era ancora interiormente disorientata da questa nuova consapevolezza, quando qualcun altro parlò, e l’attenzione di tutti si spostò altrove. Fu la voce di Theodore Nott, proveniente dalla sua destra, a interrompere quel flusso di pensieri: << I suoi seguaci hanno ucciso mio padre. >> disse. Ginevra si voltò a guardarlo, attonita, e così fecero tutti gli altri.
Con la scusa di spostare i capelli dalla fronte,Theodore si passò una mano davanti al volto, coprendo qualsiasi emozione si nascondesse dietro alla rigidità della sua postura. Poi proseguì, spiegandosi: << Da ragazzo aveva commesso l’errore di unirsi ai Mangiamorte, ma dopo la scomparsa di colui-che-non-deve-essere-nominato aveva collaborato con la giustizia. Quando, per la prima volta dopo sedici anni, il Marchio Nero sul suo braccio è tornato visibile, mio padre ha deciso di darsi alla macchia. Pochi giorni dopo, è stato trovato morto.>>
Seguì un lungo silenzio.
<< Condoglianze >> sussurrò dopo un po’ Leanne.
Lo stesso mormorio riverberò in trenta voci diverse attorno al tavolo.
Infine, Hermione riprese la parola: << Siamo verosimilmente sull’orlo di una nuova guerra magica, e se ciò che Voldemort… >>
<< Ma la smetti di usare quel nome?!? >> scoppiò Terry Steeval, turbato. Chissà se a Tom fischiano le orecchie in tutto questo, si chiese Ginevra.
<< Comprendo la tua paura, ma non è il nome che va temuto. Come dicevo, se Voldemort dovesse attuare politiche simili a quelle dell’ultima volta, presto potremmo ritrovarci nel bel mezzo di una guerra magica. Non possiamo permetterci di essere impreparati, perché i suoi seguaci di sicuro non lo saranno. >>
Si fermò brevemente per prendere il fiato, poi riprese: << Per questo siamo qui: per prepararci a combattere per la libertà della comunità magica e di quella babbana. Per la sicurezza di tutti. >>
Nessuno ebbe niente da ribattere.
<< Quindi: tutti i presenti confermano di voler prendere parte a questo gruppo di difesa? >>
Vi fu un generale mormorio di assenso.
<< Bene. Per fare questo è necessario un luogo, e Ginny ha trovato questa Stanza delle Infinite Realtà >>
Un po’ di volti si girarono nella sua direzione, e Ginevra si sentì vagamente in imbarazzo; ma per fortuna Hermione riprese subito a parlare, e l’attenzione dei più tornò su di lei.
<< ...stanza che a quanto pare è in grado di adattarsi praticamente ad ogni esigenza che potremmo avere. Propongo che questo diventi il luogo delle nostre riunioni. Qualcuno ha qualcosa in contrario? >>
Quando i presenti scossero la testa, Hermione riprese, dando uno sguardo all’ordine del giorno che aveva stilato sulla pergamena di fronte a sé: << Andando avanti: serve un insegnante. Per anticonvenzionale che sia, la proposta di Luna di chiedere l’appoggio di Silente rimane la migliore finora. Silente è pienamente consapevole dell’importanza della nostra preparazione, oltre ad essere l’unico mago ad aver mai saputo fronteggiare Voldemort in un duello. Pareri contrari? >>
<< Silente sa di questo gruppo? >> domandò Astoria Greengrass.
<< Non ancora, no. La mia idea era quella di parlare di questo progetto a Silente solo una volta raggiunto un numero sufficiente di adesioni, e una volta avuta l’approvazione di tutti. >>
<< E tu saresti il nostro capo? >> chiese ancora la ragazza, non senza un filo di sfida nella voce. Ron e Harry la guardarono storto, già pronti a far polemica.
<< No. >> rispose Hermione, perfettamente calma. << Non penso che ci serva un capo: l’idea è partita da me, ma le decisioni sono di tutti. Mi definirei più un’organizzatrice. >>
Greengrass annuì, più rilassata: << In tal caso, proporrei di usare le giuste cautele nel parlare a Silente di questo progetto. Se gli dicessimo subito tutto e l’idea non dovesse piacergli, questo potrebbe significare la fine di questo gruppo. Se invece procedessimo con prudenza, tastando il terreno - magari parlandogliene come di un’idea ancora vaga - se anche lui non dovesse essere d’accordo non saprebbe esattamente di cosa si tratta, chi e quanti siamo, né dove ci troviamo. Forse potremmo perfino riuscire a fargli credere che senza il suo appoggio saremmo pronti ad abbandonare l’idea senza pensarci due volte. >>
<< Saresti pronta a metterti contro Silente? >> chiese Dean, stupito e un po’ ammirato.
<< Ci siamo già messi contro al mago oscuro più potente del nostro tempo e al Ministero della Magia, se non te ne fossi reso conto. Questo progetto è pura hybris già dal principio; qual’è la differenza? >>
Dean non obiettò alle sue argomentazioni. D'altro canto, Ginevra non era del tutto certa che Dean sapesse il significato della parola “hybris”...
<< Penso che la tua possa essere una buona idea. >> concordò Hermione. << Tutti coloro che sono contrari alzino la mano. >>
Nessuno si mosse.
<< Perfetto. >> disse Hermione prendendo nota.
<< Inoltre >> proseguì Astoria << Credo che ci servano delle regole, e un modo per garantire che tutti le rispettino e mantengano il segreto. >>
<< L’ho pensato anch’io. >> annuì Hermione, tirando fuori un elegante rotolo di pergamena dalla sua borsa. << Per questo ho stregato questo foglio di pergamena. Se siete tutti d’accordo, pensavo che potremmo scriverci sopra il regolamento, una volta che lo abbiamo concordato, e firmarlo tutti. In questo modo, se qualcuno dovesse tradire il segreto lo sapremmo immediatamente. >>
<< Cosa accadrebbe esattamente in quella eventualità? >> intervenne Theodore.
<< Il suo nome cambierebbe colore sulla pergamena. E gli comparirebbe in faccia la scritta “Spia”. Ovviamente l’intenzione non è di limitare la libertà personale, ma di tutelare il gruppo: penso che una delle clausole dovrebbe essere che ognuno è libero di abbandonare il progetto in qualsiasi momento, ma non di rivelarlo ad altri senza che ciò sia stato autorizzato da un voto unanime. >>
<< Sembra ragionevole. >> acconsentì Theodore.
Quando nessuno aggiunse altro, Hermione riprese la parola: << Propongo di procedere a formulare le altre regole del gruppo allora. Per alzata di mano, direi; io posso fare da moderatore. Nessuna regola verrà approvata senza l’unanimità. >>
<< E nessuno esce di qua finché non abbiamo concluso il regolamento e firmato tutti. >> aggiunse Astoria, risoluta.
Attorno alla tavola vi furono alcuni scambi di sguardi nervosi, ma nessuno obiettò: dopotutto, aveva senso.

Dopo un paio d’ore e dopo molte discussioni e votazioni, finalmente approvarono all’unanimità un regolamento di otto punti:

 

  1. La conoscenza anzitutto: conoscere ciò che può essere utile per difenderci e sapere cosa stia succedendo nel mondo sono i nostri primi obiettivi, e non permetteremo a nessuno di impedircelo.

  2. Ogni membro del gruppo deve rispetto e lealtà agli altri sottoscriventi, suoi compagni. In questa sede il dialogo è l’unico mezzo consentito per affrontare qualsivoglia incomprensione.

  3. Non esiste un capo: ogni membro del gruppo ha pari importanza e dignità.

  4. Non è possibile prendere decisioni riguardo al gruppo, o tenere alcuna riunione, senza che tutti ne siano al corrente.

  5. Per motivi di sicurezza, ogni membro è tenuto a mantenere il segreto per quanto concerne qualsiasi informazione riguardante il gruppo.

  6. Chiunque può uscire dal gruppo quando vuole, ma la segretezza con chiunque non sia membro resta vincolante.

  7. Chiunque ha il diritto di imparare a difendersi: in presenza dell’unanimità chiunque possa essere interessato al gruppo può venire invitato e unirsi al gruppo, purché accetti il patto e firmi la pergamena (eventuali insegnanti inclusi).

  8. Il manifesto può essere cambiato solo con l’unanimità.

Questa pergamena è stregata: qualora uno dei sottoscriventi dovesse trasgredire a una di queste norme, gli altri lo verrebbero automaticamente a sapere.

Stanca e indolenzita ma soddisfatta, Ginevra si stiracchiò: era stata dura, ma si riconosceva totalmente nel regolamento stilato. Cibo e bevande erano stati consumati fino all’ultima goccia, e attorno a lei vi erano molti volti esausti: alcuni, probabilmente quelli che maggiormente sentivano la responsabilità di ciò che stavano facendo, erano rimasti concentrati tutto il tempo, per quanto fossero provati; il più dei volti, invece, tradivano da tempo noia e distrazione. Questo, considerò Ginevra, nonostante teoricamente non fosse la cosa migliore, aveva permesso di sveltire lievemente le procedure: superato il momento iniziale di brainstorming, di volta in volta solo una fetta sempre più esigua dei trentaquattro partecipanti avevano voluto mettere becco su cosa dire e come.
<< Direi che abbiamo concluso. >> soggiunse Leanne, scostando il ciuffo con un gesto stanco.
<< Quasi. >> La contraddisse Hermione.
Per un momento, tutti gli sguardi tornarono su di lei.
<< Penso che ci servano un nome, e un modo per aggiornarci senza dare nell’occhio. Per quest’ultimo problema, se vi va bene avrei già pensato a un modo. >> continuò, appoggiando sul tavolo una borsa dall’aria pesante: << Qui dentro ci sono dei finti Galeoni. La scritta sul cornicione può cambiare, comunicando l’ora e la data dei nuovi incontri, o eventuali altri messaggi; quando questo avviene, la moneta si scalda, così che tenendola in tasca ve ne possiate accorgere immediatamente. Il vantaggio sarebbe che passano inosservati; lo svantaggio il rischio di darli via per sbaglio. >>
La proposta venne approvata pigramente, ma piuttosto in fretta. Qualcuno chiese come avesse fatto a stregarli, ma venne messo a tacere dai più: volevano tornare ai loro dormitori.
<< E infine, la questione del nome. >>
<< Esercito di Silente, abbreviabile in “ES”? >> propose qualcuno.
<< Nah troppo politico… >> storse il naso Anthony.
<< E noi non siamo l’esercito di nessuno. >> asserì Astoria.
<< O forse “ES” potrebbe significare “Esercitazioni Segrete”. >> suggerì Padma.
<< Oppure, essendo che il manifesto esordisce con “La conoscenza anzitutto”, potremmo chiamarci Sapere Aude: osa sapere. >> propose Leanne: << È un’espressione latina. >> spiegò, di fronte ai volti più perplessi.
<< Mi piace! >> approvò con entusiasmo Hermione. Ci furono parecchi altri assensi.
<< Forse potremmo abbreviarlo in Aude, per comodità… e “Osa” è un buon motto. >> suggerì Nigel con un ghigno.
<< E AUDE potrebbe essere una sigla! >>
<< Armata Umbridge Dolores... Evanesci! >>
<< O: Anti Umbridge Difesa Estrema! >>
<< Oppure: Adoro Un Demone Estremista. >> esclamò sorniona Natalie McDonald, una Grifondoro del quarto anno.
Alcuni risero, altri alzarono gli occhi al cielo; ma i più la ignorarono direttamente.
<< Forse per ora potremmo concordare che il nome sarà AUDE, tutto maiuscolo, e decidere in un momento futuro se sia un acronimo e di cosa? >> incalzò Ginevra.
E AUDE fu.


Dopo una mezz’ora abbondante, Ginevra, Hermione, Ron e Harry furono gli ultimi a lasciare la Stanza. Si incamminarono silenziosi verso la Torre di Grifondoro, sfilando attraverso i corridoi e i passaggi del castello. Mappa del Malandrino alla mano, Harry faceva loro da apri fila, assicurandosi che non rischiassero di incontrare nessuno.
<< Come vi è sembrata la riunione di stasera? >> chiese a un certo punto Hermione, la voce poco più che un sussurro.
<< Mi sembra che sia andata bene >> rispose Harry nello stesso tono, sollevando lo sguardo dalla Mappa: << Il Manifesto mi piace. E direi che la riunione è filata piuttosto liscia, nonostante tutto… >>
Ginevra si chiese se con quel “tutto” Harry volesse far riferimento alla presenza dei Serpeverde, e anche Ron parve aver fatto un collegamento simile, perché subito soggiunse: << La Greengrass fa paura. >>.
Alle parole dell’amico, Harry fece una smorfia: << Non hai torto, però fa proposte intelligenti. >>
<< Vero. >> mormorò Hermione: << Ed è stata più partecipe lei di molti altri… Sarei curiosa di conoscere le sue motivazioni a unirsi a questo gruppo. Cioè, non mi fraintendete, non ho niente in contrario, però lo capite anche voi: è Serpeverde, ed è purosangue. Non ne ha nessun bisogno, ed è una mossa controintuitiva. Molti suoi compagni di casa la definirebbero una traditrice del suo sangue per questa scelta, e molti stasera avrebbero preferito che lei non fosse lì. >>
Per un po’ i quattro camminarono in silenzio, forse soppesando ciò che Hermione aveva appena detto; Ginevra stava ascoltando solo distrattamente la conversazione, poiché i ricordi della notte precedente continuavano a intrufolarsi tra i suoi pensieri.
<< Ma a proposito di Serpeverde! >> soggiunse dopo un po’ la stessa Hermione, con un sorriso malizioso: << Che mi dite di Luna e Nott? >> chiese voltandosi verso Ginevra.
Ron fece una smorfia dubbiosa: << Luna e Nott cosa? >>
Hermione alzò gli occhi al cielo: << Li usi gli occhi, Ron, o li tieni solo per bellezza? >>
Ron si imbronciò lievemente, poi ribattè, riacquisendo buonumore: << E’ un modo per dirmi che ho dei begli occhi? >> chiese, sfarfallando le ciglia in direzione di Hermione. Ginevra ridacchiò.
La diretta interessata si limitò ad alzare gli occhi al cielo.
<< Ma Luna è troppo più simpatica di lui! >> commentò perplesso Ron: << Cosa c’entrano insieme? >>
Hermione sospirò: << Beh, sono diversi come il giorno e la notte, questo è vero: lei così allegra e particolare, lui così serio e ombroso. Ma è proprio per questo che sono carini insieme! >>
Al di là della critica implicita nel modo in cui Hermione aveva calcato la parola "particolare", Ginevra trovò che quella descrizione dipingesse un quadro piuttosto calzante, e molto poetico…
<< Shh! >> li zittì Harry, fermandosi di colpo. Tutti si acquietarono, nervosi, cercando di sbirciare chi fosse segnalato sulla Mappa. Dopo un po’, la postura di Harry tornò a rilassarsi.
<< Scampato pericolo >> sussurrò, indicando un punto in movimento sulla mappa: << La professoressa Sprite stava passando subito sopra di noi, ma si è allontanata ormai. >>
I quattro ripresero a camminare, ormai un po’ più guardinghi di prima; e non proferirono più parola finché non furono al sicuro nella Sala Comune.

<< Tana! >> dichiarò Ron trionfante varcando il buco del ritratto.
<< Ssh! >> lo ammonì Hermione, i nervi ancora tesi.
<< Rilassati Hermione, siamo in territorio amico! >> sbottò lui.
Attorno a loro, la Sala Comune era quasi deserta: c’erano solo quattro o cinque persone raccolte attorno al caminetto - tutti membri dell’AUDE, probabilmente rimasti in piedi a commentare la serata. Tra loro c’era Colin, che li accolse con un sorriso entusiasta: << Rientrati senza problemi? >> chiese, rivolto a tutti ma guardando Harry.
<< Direi di sì. Siamo stati gli ultimi a venir via, ormai dovrebbero essere arrivati tutti. >> disse, controllando rapidamente la Mappa del Malandrino. Poi la richiuse e sbadigliò, più sereno: << Bene, se tutti sono sani e salvi, penso che andrò a nanna anch’io… Buonanotte ragazzi! >>
<< Buonanotte! >> rispose Ginevra, chiedendosi lei per prima se quel saluto lo stesse rivolgendo solo a Harry o anche a tutti gli altri. Avrebbe dovuto studiare, ma sarebbe anche dovuta andare a dormire, oppure avrebbe…
<< Ah, Ginny, prima che me ne dimentichi >> la richiamò Ron, in un tono da fratello maggiore che da solo bastò a darle i nervi: << Ogni tanto vedi di rispondere ai gufi che ti manda mamma, che poi stressa me! >>
… sì, anche quello avrebbe dovuto fare prima o poi, pensò, alzando gli occhi al cielo e facendo una linguaccia al fratello. Ma non ne aveva nessuna voglia.
Il fratello la guardò male, poi diede la buonanotte e si ritirò nei dormitori maschili.
Imbronciata, Ginevra voltò le spalle ai compagni di Casa, e si sedette in disparte, in un angolo poco illuminato della Sala Comune. Faceva freddino così lontano dal caminetto, considerò mentre si rannicchiava sulla poltrona. Da un lato era meglio così: almeno non sarebbe stata tentata di trattenervisi troppo a lungo. Tra tutte le cose che avrebbe avuto da fare, era di nuovo qui a fissare il vuoto, a inseguire con gli occhi le luci e le ombre che baluginavano sulla pelle del bracciolo, mentre i suoi pensieri tornavano a Tom. E fu allora che nella sua mente comparve l’esaltante scintillio di un’idea... ma subito Ginevra la mise da parte, prima che potesse essere notata, seppellendola sotto il pensiero della montagna di compiti che avrebbe dovuto fare per l'indomani. A quel pensiero ansiogeno, l'eccitazione che le era balenata nello stomaco scemò parecchio: era davvero, davvero troppo indietro rispetto alle lezioni. Così, Ginevra abbandonò quella poltrona, e andò a prendere libri e quaderni per studiare; le due ore successive le trascorse china a un tavolo ben illuminato della Sala Comune, apparentemente dimentica di quell'idea lasciata inesplorata.




12/02/21
Ci vediamo intorno a metà Marzo con il prossimo capitolo!
Blue Heads

 

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Capitolo 18
*** Capitolo XV ***


Capitolo XV


“Non sono le Arti Oscure a cambiare il mago, ma è il mago stesso a cambiare e plasmare la propria mente, e di conseguenza rendersi in grado di compiere una magia oscura. In quest’ottica appare chiaro quanto non sia necessario che la magia venga attuata, affinché il cambiamento sia reale.” 

Eliphas Levi, Il Dogma dell’Alta Magia
 

Era ormai tarda notte quando Ginevra salì le scale per il dormitorio. In totale silenzio, recuperò il proprio pigiama, e si diresse in bagno. Qui si preparò per dormire, avendo la premura di non guardare il proprio corpo nel farlo - una precauzione necessaria nel caso qualcuno avesse deciso di sbirciare nella sua mente proprio in quel momento. Ma se tutto andava secondo i suoi piani, quel qualcuno ormai era nel mondo dei sogni.
Quando finalmente Ginevra fu a letto, chiuse accortamente le tende del baldacchino attorno a sé, e un ghigno affiorò alle sue labbra mentre sprofondava sotto le coperte. Il giorno prima, alla stessa ora, aveva incontrato Tom in sogno, perciò considerava relativamente probabile che lui stesse dormendo anche in quel momento. Se questo fosse stato vero, questa poteva essere l’occasione migliore per provare a forzare le resistenze della mente di lui, e forse capire qualcosa di più. Ginevra sorrise alla notte, pregustando quel piacere segreto: un brivido selvaggio, repentino come una scossa, la percorse all’idea di prevalere sulla vulnerabile mente inconscia di Tom. Non perse tempo a stupirsi di quanto serpentesco fosse tutto ciò - chiaramente avere l’erede di Salazar come confidente aveva dato i suoi frutti, col passare degli anni - perché aveva affari più urgenti da sbrigare: chiuse gli occhi e si tuffò nelle proprie profondità, fino a raggiungere quel pezzetto della mente di lei che si affacciava sulla mente di lui, e da lì risalì fino alla superficie…

Lontana miglia e miglia dal suo corpo, Ginevra si ritrovò immersa in un magma di cupa tommosità: tentò discretamente di sondarlo ma, al principio, nulla pareva aver senso. Fu solo dopo qualche tempo, solo quando Ginevra lasciò che la lente logica che filtrava il suo sguardo scivolasse via, che riuscì a entrare in sintonia con il respiro pulsante di quella mente addormentata; fu allora che, lentamente, iniziò a percepire con più nitidezza.
A colpi di bacchetta, un signore dal volto duro stava innalzando delle dense barriere tutto attorno a sé, chiudendo sé stesso e Tom in un bozzolo in cui sarebbero rimasti chiusi per lungo tempo.
Con sempre aumentato vigore l’uomo stendeva nuove barriere, chiudendola fuori. Eppure Ginevra aveva occhi anche all’interno del bozzolo: quelli di Tom, che guardavano gli strati ispessirsi, e studiavano l’esterno tramite le ultime fessure. Poi, attraverso gli occhi di lui, Ginevra incrociò il proprio sguardo, e di colpo qualcosa cambiò nel ritmo e nella luce della scena: un lampo di consapevolezza scosse la coscienza di Tom. Ginevra lo sentì mettere a fuoco la sua presenza, poi d’un tratto più nulla.
Si trovò in uno spazio neutro: vuoto, se non per la presenza di Tom, che era fermo pochi passi dietro di lei. Si voltò lentamente; uno strano miscuglio di paura, adrenalina e freddo controllo permeava l’aria.

Non era un brutto piano - riconobbe Tom - nemmeno io sono esperto nell'esercitare l'occlumanzia nel sonno. In nessun'altra circostanza sarebbe utile, in effetti: tipicamente per leggere la mente è necessario il contatto visivo.
Ma non tra noi - soggiunse lei
No, non tra noi - confermò Tom. Fece mezzo passo verso di lei - C’era qualcosa in particolare che volevi venendo qui? O è stato per il solo gusto di sopraffarmi mentre dormivo che mi hai raggiunto?
Il silenzio esondava dall’animo di Ginevra come un flusso di coscienza: il desiderio di scoprire, di capire davvero, surclassato da un viscerale bisogno di rivalsa, di potere su di lui, il desiderio di schiacciarlo… Ginevra sentì sotto le mani la stoffa degli abiti di lui, il suo calore, mentre lo spintonava con violenza.
Nell’istante in cui Tom perse l’equilibrio, entrambi furono strappati brutalmente dal sogno: col fiato mozzato, Ginevra spalancò gli occhi sul buio che regnava sotto al suo baldacchino, sovrapposto alla penombra di un’altra stanza. Sentì la vertigine della caduta scemare in lei e in Tom, mentre sperimentavano simultaneamente lo stesso brusco risveglio. Percepì contemporaneamente la lana delle coperte che lei stringeva sotto le dita, e la ruvidezza di altre lenzuola su un corpo non suo... poi solo il suo di corpo, e solo il suo letto. 

Sei sempre troppo impulsiva, suggerì un tentacolo della coscienza di Tom, balenando nella mente di lei. Ginevra si sentì invadere dalla rabbia verso di lui e il suo tono intollerabilmente paternalista, e desiderò profondamente di poterlo prendere a pugni.
Respirò a fondo, cercando di riprendere lucidità senza dimenticare il sogno. Chissà se c’era un modo di riconoscere le intrusioni di Tom tra i suoi pensieri anche quando silenziose: adesso che stava imparando a riconoscere il sapore della sua coscienza forse avrebbe potuto imparare a individuarlo anche quando rimaneva di sfondo.
Le parve di sentire l’eco del pensiero di Tom; una sorta di “approvazione” per quel ragionamento, forse? Ma non era certa di non starlo solo immaginando. Poi avvertì un pensiero più distinto: Credo, Ginevra, che tu abbia della rabbia repressa da sfogare. Forse è arrivato il momento di parlarci chiaramente.
Un’immagine familiare si fece strada nella mente di lei: un angolo della biblioteca della Camera, due divanetti arancioni, disposti uno di fronte all’altro, all’intersezione tra due alti scaffali. Ma quella scena non era esattamente come la ricordava, e Ginevra la riconobbe istintivamente come l’immagine che Tom ne aveva. La mancanza di consistenza fisica, tuttavia, non rendeva meno reale quel luogo: Ginevra avrebbe potuto percepirlo con ognuno dei cinque sensi, se solo vi si fosse lasciata trasportare. Tom la stava silenziosamente invitando in quello spazio che entrambe le loro menti potevano raffigurarsi e condividere. Un luogo caro, per certi versi, ad entrambi.
Terreno neutrale? Chiese Ginevra, sapendo di avere a che fare, in fin dei conti, con uno stratega.
Qualcosa del genere. Vorrei sentire quello che hai da dirmi, e riponderti, se sarai disposta ad ascoltarmi.
Ginevra non rispose subito; non era sicura di cosa dire. Eppure, pur senza aver preso coscientemente quella scelta, si ritrovò lì, in piedi dietro a un divanetto su cui era stata seduta tante volte; a debita distanza da Tom. Lui era seduto su un altro divano, di fronte a lei, e la guardava: era rilassato, ma Ginevra sapeva di avere la sua completa attenzione.
Era un’emozione così strana avere Tom così vicino, che se ne stava lì come se niente fosse. Per un po’ Ginevra stette ferma a guardarlo, in silenzio, cercando di trovare il bandolo della matassa dei propri stessi pensieri. Poi qualcosa scattò in lei: prima ancora di rendersene conto, afferrò un tomo che aveva a portata di mano e glielo scagliò contro, imprimendogli tutto l’impeto del caos che aveva dentro, e tutta la precisione che anni di allenamenti di Quidditch avevano affinato. Lui schivò il libro diretto alla sua testa senza difficoltà.
L’ho visto arrivare prima che decidessi di lanciarlo. Ma ammetto che non sarei stato così fortunato se fossimo stati di persona. Il suo volto non era divertito, non si stava prendendo gioco della sua rabbia: ne stava solo prendendo atto.
Peccato che tu non sia qui fisicamente allora. Rispose Ginevra; il suo tono mentale veicolava tutta la violenza che avrebbe voluto sfogare. Chissà se era possibile fare male a qualcuno sul piano mentale.
Molto. Fu la pronta risposta. Ma preferirei non arrivassi a tanto.
Ginevra lo guardò di sbieco.
A che gioco stai giocando? Chiese, astiosa: la rabbia le montava dentro con maggiore intensità ad ogni sillaba che lui pronunciava.
Nessun gioco, questa volta.
Ginevra camminò attorno al divano, avvicinandosi fino a fronteggiarlo. In piedi davanti a lui, lei lo sovrastava; eppure lui non batté ciglio, né distolse lo sguardo dal suo. Era impassibile. E insopportabile.
Tu. Tu… con che faccia stai qui così, tranquillo? Come se non fosse mai successo niente. Come se non avessi niente da spiegare, come se non mi avessi usata per anni, come se non avessi mai progettato di uccidermi. 
Tom emanava un’aura di calma determinazione, che si rifletteva nell’atmosfera di quello spazio mentale. Non attribuirmi pensieri che non mi appartengono. Non sono qui per negare nulla, né per implorare il tuo perdono. Sono qui per rispondere alle tue domande, nel modo più sincero possibile.
Ginevra lo inchiodò con lo sguardo, e quando rispose la sua voce grondava disprezzo: Non so bene cosa potrei farmene, delle tue risposte. Non è che la tua parola abbia grande valore.

Seguì un lungo silenzio, poi Tom sospirò: Lo so, e mi dispiace.
Ti dispiace? Scandì incredula Ginevra. Adesso ti dispiace che la tua parola non conti più nulla? Che io non abbia più un briciolo di fiducia in te? Arretrò impercettibilmente, schifata e collerica. Ti dispiace?
La luce nella stanza si affievolì leggermente e nell’espressione di Tom, nei suoi insondabili occhi neri, si fece strada un’ombra di quella che sembrava stanchezza: Non mi aspetto che tu possa passare oltre come se niente fosse. Vorrei solo… Fece un respiro profondo e, nell’istante in cui lui si ricompose, l’atmosfera tornò la stessa di prima. Vorrei solo farti capire come sono andate davvero le cose. E’ cambiato molto da allora.
Ginevra sollevò un sopracciglio, un gesto ironico che le ricordava fin troppo il suo interlocutore. Ma dai. Disse, trattenendo una risata sprezzante. Arretrò di qualche passo, e si lasciò cadere sull’altro divanetto, occupandolo con la posa più sarcastica e casualmente distaccata che potè. Sentiamo allora: com’è che sarebbero andate, le cose?
Per la prima volta dall’inizio della conversazione, Tom tradì un lieve disagio: Innanzitutto non sono mai stato entusiasta all’idea di ucciderti, al contrario di quanto tu possa pensare.
Il sopracciglio di Ginevra si sollevò ulteriormente.
Lui roteò gli occhi. Non ti sto mentendo.
Se non stai mentendo, perché non mi permetti di vederlo io stessa, nello stesso modo in cui tu vedi tutti i miei pensieri?
Lui scrollò le spalle. Non ho alcun problema nel farlo. Sei libera di sondare la mia mente, ma dovrai perdonarmi se limiterò il tuo accesso a certi aspetti della mia vita.
Ginevra rimuginò un attimo. Mi offri una visione parziale: non è stato proprio questo che hai fatto per anni? Omettere “aspetti della tua esistenza”? Mi credi davvero così stupida?
Per assurdo che fosse provocare Lord Voldemort in quel modo, Ginevra si rese conto che forse era proprio quello che voleva: infrangere quella facciata di calma e finzione, una volta per tutte. Che perdesse la calma, almeno per una volta: che mostrasse quali fossero i suoi veri intenti, le sue vere emozioni. Non chiedeva di meglio.
Invece, quando parlò, la voce di Tom risuonò calma e sicura, in quello stesso tono da insegnante che lei tante volte aveva immaginato leggendo le sue risposte nel diario.
Ginevra, nella mia mente ci sono informazioni che non è sicuro che tu sappia. Ma posso lasciarti libero accesso a tutto ciò che riguarda te - potrà sorprenderti, ma non sei tu il centro della mia intera esistenza. Se non ti è sufficiente, allora dovrai aspettare di affinare la tua legilimanzia e prenderti tutto senza chiedere. Non saprei dirti quanto tempo ci vorrebbe, ma hai sicuramente il potenziale per potercela fare, un giorno.
“Potenziale” Mormorò Ginevra - quella parola di per sé bastò a riportarle alla mente tutte le occasioni in cui negli anni aveva guardato a lui come a un maestro. Se penso che non ti è mai davvero importato di quello che riesco o non riesco a fare. Tutte quelle recite da bravo insegnante… patetico. 
E su che basi lo dici? Stai di nuovo vedendo solo ciò che vuoi vedere. La corresse lui. Non ho mai mentito quando dicevo di essere fiero di te. Non sono stato io a scegliere che fossi proprio tu, tra tutte le persone possibili, a entrare in possesso del diario, ma, per quello che vale, ti ho sempre trovata brillante. Come ho già detto, non avrei tentato di ucciderti se avessi avuto altra scelta.
Ginevra gli rise in faccia: Caspita Tom, sono commossa. Sei davvero un maestro a formulare scuse.
Lui alzò gli occhi al cielo; una vena di frustrazione iniziava ad emergere dai suoi modi, per quanto cercasse di nasconderla. Dimmi solo se ti interessa sapere la verità oppure no.
Rimasero brevemente in silenzio, mentre Ginevra soppesava le proprie possibilità. Non si fidava di Tom, e stava ancora cercando di capire dove volesse arrivare. Da un lato, avere accesso ad una parte dei suoi pensieri avrebbe potuto essere un vantaggio; ma dall’altro, Ginevra temeva  le parti che Tom avrebbe deciso di omettere, e il modo in cui queste lacune avrebbero potuto persuaderla a credere vere cose completamente false, ancora una volta.
Sai bene che la verità mi interessa. Il problema--
E’ che non vuoi saperla da me, giusto? Dove altro pensi di trovarla?
Per un attimo lei rimase senza parole; la paradossalità di quella situazione le era insopportabile.
“Rompendoti il cranio e tirandola fuori con le mie mani” pensò tra sé, in preda alla frustrazione. Sapeva perfettamente che non aveva senso, e non avrebbe voluto dare quella risposta, ma ovviamente Tom la sentì.
Forse non è ancora il momento giusto per parlare, dopotutto.
A quelle parole, Ginevra fu presa da un moto di ansia: non era sicura di non voler leggere i pensieri di Tom, e da un lato la prospettiva che lui se ne andasse l’avrebbe quasi persuasa ad accettare… Ma non era nemmeno sicura che la fretta fosse la migliore consigliera quando si aveva a che fare con una persona poco spontanea quanto lo era lui.
Non hai tutti i torti. Commentò Tom a quest’ultimo pensiero. Ma non griderò mai lanciando libri come fai tu: se è quello il tuo ideale di spontaneità, da me non lo avrai mai. Detto questo, la mia offerta era sincera; ma se tu preferisci continuare a insultarmi e rimanere nell’ignoranza, sei libera di farlo. E’ molto più facile che disporsi ad ascoltare, no?
Ginevra si inalberò, punta sul vivo: Io ho passato cinque anni ad ascoltarti, Tom. Non è che abbia esattamente dato prova di essere una buona idea.
Lui scrollò le spalle. Anch’io ho passato cinque anni ad ascoltarti, se è per questo.
Per qualche ragione, questa allusione alle centinaia di volte in cui Ginevra si era confidata con lui, e all’ingenua vulnerabilità che aveva mostrato nel farlo, risvegliò in lei uno strisciante senso di umiliazione, che la mise ancora più sulla difensiva.
Vuoi parlare di vulnerabilità? Intervenne subito lui, la sua voce tremava in modo quasi impercettibile. La temperatura nella stanza si fece lievemente più fredda. L’intensità del suo sguardo fece nascere in lei una vaga ma viscerale paura.
Quel sogno, te lo ricordi?
Non ebbe bisogno di chiedergli di quale sogno stesse parlando: ricordava perfettamente la sensazione di vuoto e terrore che aveva provato entrando in contatto con la mente addormentata di Tom, due notti prima. Non era certa di dove volesse arrivare con quel discorso, ma era sempre più tesa; si sentiva come se, dentro di lei, un nodo di inquietudine e frustrazione fosse sul punto di esplodere.
Tom proseguì: E allora sai bene quale fosse la mia condizione in quegli anni--
No, Tom, non lo so! Non so niente di chi, o cosa fossi! Scoppiò lei, prima che lui potesse concludere la frase. NON NE HO IDEA! E come potrei averla, quando tu non sei mai stato onesto con me?
Tom smise definitivamente di nascondere la propria esasperazione. Parlò lentamente, scandendo le parole, freddo come non lo era mai stato fino a quel momento: Ti sto offrendo la possibilità di saperlo, ora, tutto quanto. Ma tu non hai intenzione di credere né alla mia parola, né alla mia stessa mente, e io non vedo soluzioni a--
TACI! Urlò Ginevra; balzò, sfoderando la bacchetta e puntandola contro di lui. Non sapeva cosa avesse intenzione di farne, ma stringerla in mano le dava sicurezza.
Ginevra… Tom si alzò in piedi nel poco spazio che restava tra loro, la bacchetta di lei a pochi centimetri dal suo petto. Accennò col mento dietro di lei e parlò quasi sottovoce. Hai tutte le ragioni per essere arrabbiata con me, ma, per favore, lascia stare i libri...
Lei fece un vago tentativo di espandere i propri sensi per includere ciò che Tom vedeva dalla sua prospettiva, in modo da non dovergli voltare le spalle, ma poteva in ogni caso intuire cosa fosse accaduto: avvertiva il lieve crepitio di una fiamma, e ne intravedeva lo scintillio riflesso negli occhi di Tom - in qualche modo la sua rabbia doveva aver dato fuoco alle carte sullo scaffale, così come l’umore di lui aveva influenzato l’ambiente fino a qual momento.
In un altro momento avrebbe riso del commento di Tom e di quella situazione assurda; non lo fece, ma suo malgrado la tensione che aveva covato fino ad allora calò: le fiamme si attenuarono, e lentamente si spensero. Forse Ginevra aveva infine buttato fuori quel tanto di rabbia da non essere più sul punto di esplodere. Trasse un respiro profondo, la mente finalmente più fredda; la sua bacchetta era ancora puntata al petto di Tom.
Lui fece un mezzo sorriso. Ti ringrazio. Anche se non sono reali, vederli bruciare fa comunque male. Ma tornando a noi… proseguì con nonchalance: Volevi lanciarmi uno schiantesimo, se non sbaglio.
E’ un’ipotesi che sto ancora valutando. Rispose Ginevra, lei stessa si sorprese nel sentire dell’ironia nella propria voce. Sempre senza distogliere lo sguardo, Ginevra abbassò il braccio.
I due si fissarono in silenzio, in quella strana, ritrovata calma, e Ginevra meditò ancora una volta sulle sue possibilità: lui le aveva proposto di consultare i suoi ricordi riguardo al loro passato. Erano informazioni che Ginevra desiderava da quell’estate, e Tom lo sapeva bene. Era ovvio che lo sapesse, considerato il legame telepatico. Ginevra nutriva ancora la speranza che questo fosse una condizione provvisoria...
Posso intervenire? chiese Tom cautamente. Quasi si aspettava di vederlo alzare la mano.
Lei lo ignorò e proseguì con il suo ragionamento: sperava davvero che il loro legame fosse un effetto collaterale temporaneo della trasmutazione incompiuta e nulla di più. Ma al momento, la questione da valutare era un’altra, pensò con un sospiro. Probabilmente valeva la pena di accettare l’offerta di Tom e vedere i suoi ricordi; ovviamente avrebbe dovuto essere particolarmente attenta a non saltare a conclusioni affrettate, e non dare niente per scontato.
D’accordo, gli disse calma, adesso puoi parlare.
Grazie. Rispose lui, non senza una nota di sarcasmo. Innanzitutto, mi spiace deluderti, ma la nostra condizione non è provvisoria, né reversibile. Non finché io sono in vita, per lo meno... Lo so, sarebbe una soluzione molto allettante farmi fuori.
Ginevra non era nemmeno troppo sicura che lui sapesse morire, tanto per cominciare…
Oh, so morire eccome. La rassicurò lui. Ma te lo concedo: “finché questo corpo è in vita” sarebbe una formulazione più accurata in questo caso.
Allora sì, farti fuori potrebbe essere un’ottima soluzione. Rispose Ginevra, forse scherzando o forse no, non lo sapeva nemmeno lei.
Tom fece una smorfia. Sfortunatamente ottenere questo corpo è costato ad entrambi molti sacrifici, per cui temo di non potervi rinunciare così facilmente…
Non c'è proprio verso di farti cambiare idea, eh?
Lui ridacchiò alla sua risposta caustica. Poi però rispose seriamente: Rimanere bloccato per decenni in un limbo tra la vita e la morte cambia lievemente le priorità di una persona.
Ginevra considerò attentamente quelle parole, adattandosi al suo cambio di tono: E come ci sei finito in quel limbo? Cosa ha fatto sì che tu non morissi, come... - Ginevra stava per dire “come tutti”, ma si interruppe a metà frase, rendendosi di colpo conto del fatto che in realtà non aveva idea di cosa succedesse alla gente “normale” quando il corpo moriva. Riformulò la frase -  Come credo facciano tutti?
Tom si accinse a spiegare: Ciò che mi ha tenuto qui è stato il diario, Ginevra; ma penso che questo lo avessi già intuito.
Certo che lo avevo intuito, e tu lo sai - rispose lei, alzando gli occhi al cielo - ma la mia domanda è come. Che razza di incantesimo può fare una cosa simile?
Lui rifletté brevemente prima di rispondere; Suppongo non abbia più senso nasconderti i dettagli. Il diario è un Horcrux: contiene una parte della mia anima, letteralmente. E questo, Ginevra, ti riguarda più di quanto pensi.
Mentre Tom parlava, lei si rese conto di qual era la domanda che avrebbe dovuto porre per prima, l’informazione mancante che più le causava confusione: perché le stava dicendo tutto questo? Cosa pensava di ottenerne?
La risposta, come al solito, non tardò ad arrivare: Non è un segreto: ti sto dicendo tutto questo perché, come ho detto, la nostra connessione non è reversibile. Che lo vogliamo o no, siamo collegati, e tanto vale rendere la convivenza più pacifica possibile. Non voglio “ottenere” assolutamente nulla, nemmeno la tua fiducia, se non vorrai concedermela. Ma davanti a noi abbiamo molto tempo e scarse probabilità di sfuggire l’uno all’altra, per cui non conviene a nessuno dei due che tra noi rimanga del risentimento.
Eppure Ginevra faticava a credere che Tom non avesse secondi fini e che le stesse dedicando quel tempo solo per “doveri di buon vicinato”.
So che sei consapevole, proseguì lui, del fatto che la nostra connessione potrebbe metterti in pericolo. E forse a quest’ora avrai anche capito che, come ti dicevo l’altra notte, quel pericolo non viene da me: io non ho alcun motivo di farti del male.
Rielaborando quelle informazioni, Ginevra iniziò a rendersi conto del fatto che non solo il pericolo “non veniva da lui”, ma che riguardava anche lui. E Tom chiarmente voleva assicurarsi la propria sicurezza: un rapporto migliore tra loro avrebbe reso più improbabile che lei decidesse di raccontare ciò che sapeva a Silente. Inoltre, l’ultima volta che si erano visti, lui le aveva offerto di insegnarle l’occlumanzia: ed effettivamente, se lei avesse imparato a difendere i propri segreti, questo lo avrebbe tutelato in più modi. Ora aveva tutto più senso.
Esatto. Se vuoi insistere nel trovare secondi fini nel mio comportamento, mettiamola così: ho il secondo fine di salvaguardare entrambi. Ma vorrei ricordarti, in tutto questo, che la verità su di me è di dominio pubblico: Silente sa perfettamente chi sono e cosa ho fatto. Non ho molto da perdere nel caso in cui tu dovessi decidere di parlare di me a qualcuno, mentre dubito si possa dire lo stesso di te: ti sei compromessa per la prima volta quest’estate quando hai deciso di non raccontare a nessuno del diario nonostante ne avessi l’opportunità - il che, ad essere onesto, mi ha sorpreso.
Ginevra per la prima volta abbassò lo sguardo; si sentiva fastidiosamente esposta nel realizzare che anche allora Tom la stava osservando, e che di conseguenza era al corrente delle “omissioni” che lei aveva fatto durante quella conversazione con Silente - del modo in cui aveva mentito per tutelare il loro segreto.
Poi, quando hai scoperto la verità sull’ingresso della Camera, ancora una volta non hai detto nulla, e, come se non bastasse, hai iniziato a studiare libri di Arti Oscure trovati nella sua biblioteca. Tom concluse l’elenco facendo un gesto verso l’ambiente che li circondava, a testimonianza di ciò che aveva appena detto. Quindi inarcò le sopracciglia, come per sfidarla a negare l’evidenza. Ginevra seguì con lo sguardo il suo gesto, e si ritrovò a osservare gli scaffali e i libri attorno a loro, plasmati a immagine e somiglianza della Camera dei Segreti. Le parole di lui non la sconvolgevano affatto: lei stessa si era definita una rinnegata, del resto. Così tornò a guardarlo negli occhi, specchiando l’espressione di sfida sul volto di lui: E con questo? 
Lui sorrise, probabilmente consapevole della fierezza con cui Ginevra considerava ciò che aveva conquistato. Tom continuò, seguendo il filo dei pensieri di lei: Con questo, come tu stessa hai detto, sei cambiata. Non potresti più tornare a fingere di essere innocua e innocente, nemmeno se lo volessi. Se a questo si aggiunge che, per quanto non sia dipeso dalla tua volontà, il Signore Oscuro è un tuo Horcrux…
Ginevra lo fissò in silenzio, attonita - un groviglio di emozioni, pensieri e confusione aveva scompensato temporaneamente il suo ritmo cardiaco, e per qualche istante il suo cervello non diede segni di vita.
Aspetta un attimo - disse lentamente quando iniziò a riprendersi, cercando di orientarsi tra la miriade di domande che le affollavano la mente - io non sono ancora sicura di aver capito cosa esattamente siano gli Horcrux, e tu hai appena detto che... COSA?!?
Tom le fece cenno di calmarsi e iniziò a spiegare: Un Horcrux è un oggetto, o in questo caso una persona, in cui viene racchiusa una parte della propria anima. Se tu avessi avuto modo di studiare meglio il cerchio alchemico sul pavimento della Camera, avresti presto capito che il mio diario, come qualsiasi Horcrux, funge da ancora verso il mondo vivente, anche quando il corpo muore.
Mentre parlava, Tom arretrò di un passo e tornò a sedersi, forse per lasciarle un po’ d’aria. Poi proseguì: Per creare un Horcrux è necessario un incantesimo molto complesso, in cui l’elemento chiave è l’omicidio. Il fatto che io sia un assassino sicuramente non ti è nuovo; potresti invece chiederti come tu possa avere un Horcrux, se non hai mai ucciso nessuno. Ma quest’ultima affermazione non è totalmente corretta.
Ginevra camminava avanti e indietro per la stanza, cercando di dare un senso a quel fiume di informazioni. Aveva agito per uccidere la notte in cui Tom era rinato - aveva intuito che lui la stesse uccidendo, e aveva reagito d’istinto. Certo, aveva perso conoscenza prima di sapere se la maledizione che aveva lanciato avesse funzionato; ma considerato che Tom era vivo e vegeto lì davanti a lei le sembrava ovvio che non fosse così…
Precisamente. Ma la chiave del rituale non è l'omicidio in sé: è l’intenzione. La tua anima si è spezzata nel momento stesso in cui hai compiuto un gesto finalizzato a uccidermi. Quel gesto non è andato a buon fine solo per via delle circostanze, ma l’effetto sulla tua anima è stato lo stesso. Ed è stato questo a salvarti la vita: hai reciso il legame con la parte della tua anima che mi stava riportando in vita, e così facendo il tuo corpo è sopravvissuto. Anche la parte di anima che hai tagliato fuori è sopravvissuta - dicendo questo, Tom indicò se stesso - La sto custodendo io, in un certo senso.
Ginevra smise di camminare, e si voltò a guardarlo: Ma hai detto che per creare un Horcrux è necessario un incantesimo complesso…
Sì - confermò lui - ma la tua anima era già parzialmente confluita nel mio corpo quando è successo, e la struttura stessa del cerchio alchemico l’ha trattenuta lì. La funzione del rituale per la creazione dell’Horcrux è soprattutto quella. Le anime delle persone si rompono di continuo; la parte difficile è estrarle dal corpo del proprietario e legarle a un oggetto esterno: è innaturale, per un’anima umana. Ma vista la situazione unica in cui la tua si è spezzata, non è servito che facessi altro…
… perché è stato il meccanismo del cerchio alchemico a legarla a te. Concluse Ginevra.
Tom annuì. Ora capisci cosa intendo, quando dico che non ho avuto controllo sull’origine di questa situazione. Non ne ho tuttora, per quanto le mie capacità di occlumante ti avranno probabilmente dato l’impressione che io ne avessi più di te. Ma la nostra condizione non è poi così diversa.
Ginevra tacque. Non era sicura del perché, ma aveva l’impressione che ci fosse qualcosa di tragico, che ancora non riusciva ad afferrare completamente, nella realtà che le era appena stata rivelata. Quello che Tom diceva sembrava aver senso, e il suo tono mentale le dava la certezza istintiva che non stesse mentendo. Queste informazioni, però, cambiavano totalmente la prospettiva sugli avvenimenti di quella notte di Luglio, e su tutto ciò che ne era seguito. Cambiava il suo stesso ruolo in quella storia.
Avrebbe avuto bisogno di un po’ di tempo, di calma, per riflettere in autonomia e per riuscire a capire quali fossero esattamente le implicazioni di tutto ciò.
Credo che tu abbia molto su cui riflettere a questo punto. Soggiunse Tom, dopo un lungo silenzio. Aggiungerò un’unica informazione, per adesso. E’ qualcosa su cui vorrei rassicurarti, perché so che la temi più di ogni altra: non ho intenzione di dare inizio a una guerra civile. Ci tengo che tu lo sappia.
Parlando si alzò, come per andarsene: Ma adesso ti lascerò il tuo spazio; nel caso avessi bisogno di altri chiarimenti, sai dove trovarmi. Fece un gesto per accennare alla stanza. Non mi dispiace questo posto. Disse, l’ombra di un sorriso sul volto. Con un cenno di saluto, Tom si ritirò di nuovo nella propria mente, lasciando Ginevra sola nella proiezione mentale della biblioteca. Lei batté le palpebre, colta alla sprovvista: per un momento aveva dimenticato di non trovarsi in uno spazio fisico; ma se solo vi rivolgeva il pensiero, poteva sempre percepire il proprio corpo, steso nel suo letto, nel dormitorio della torre di Grifondoro: c’era un bel caldo sotto le coperte, e il cuscino era morbido.
Ginevra si concentrò su quelle sensazioni, e lentamente tornò presente a sé stessa. Aprì gli occhi, e il suo sguardo si perse nell’oscurità che la circondava. Sospirò, stanca e sovraccarica: mancavano poche ore alla mattina, e lei non era affatto convinta di riuscire ad addormentarsi. Ma il sospiro si trasformò in uno sbadiglio, e contro ogni sua previsione, pochi istanti dopo era già sprofondata nel sonno.


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13/03/21

PROSSIMA PUBBLICAZIONE: metà Aprile

Ciao!!! Grazie a tutti coloro che continuano a seguirci nonostante sia passato così tanto tempo, a chi ci ricorda e a chi ci preferisce... e un ringraziamento specialissimo a chi trova il tempo per farci sapere cosa pensa della storia e dei suoi sviluppi! Per noi significa moltissimo!
- le autrici  <3

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Capitolo 19
*** Capitolo XVI ***


Capitolo XVI


Il giorno successivo, Ginevra si recò in infermeria per ottenere il permesso di saltare le lezioni. Non fu difficile: i suoi genitori, i professori e la stessa Madama Chips, erano tutti convinti che il fisico di Ginevra non si fosse ancora del tutto ristabilito, tant’è vero che la attendevano ancora un paio di visite di controllo al San Mungo prima di poter tornare a giocare a Quidditch. E anche se lei era profondamente convinta che tutte quelle precauzioni fossero superflue oltre che fastidiose, per una volta aveva l’occasione di usare a suo favore quella che fino a quel momento era stata solo una scocciatura. Le bastò simulare qualche capogiro et voilà: permesso accordato.
In realtà il suo problema, in quel momento, era la perenne carenza di sonno; ma questo non era necessario che si sapesse. Così, a permesso ottenuto, Ginevra passò il resto della mattina a dormire indisturbata.
Quando si svegliò era quasi ora di pranzo. Memore dei rimproveri di Ron, Ginevra scrisse una breve lettera a sua madre in cui le assicurava che sì, suo fratello si stava prendendo cura di lei e sì, stava una meraviglia (anche se questo non era del tutto vero) e sì, era perfettamente al passo con gli studi (questo era scandalosamente falso).
Firmò la pergamena, la mise in borsa, e si lasciò andare a un sospiro amaro, mentre le conseguenze delle ultime rivelazioni iniziavano a prendere forma. Più Ginevra rifletteva sulla propria situazione, più ne aveva paura. Nella confusione delle ultime giornate, non aveva ancora realizzato i rischi a cui da mesi stava esponendo tutti con la sua sola presenza. Ogni singola persona a cui lei teneva era a qualche livello impegnata nella lotta contro Voldemort, e fintanto che lui avesse avuto libero accesso ai pensieri di Ginevra, la sua vicinanza avrebbe rappresentato un pericolo per loro. Se non voleva tradire la loro fiducia, la vita di Ginevra avrebbe dovuto cambiare radicalmente da quel momento in poi. Frequentare i suoi amici, fare parte dell’AUDE: niente di tutto questo era più alla sua portata. Con quale incoscienza avrebbe potuto partecipare al gruppo di difesa, sapendo che attraverso di lei Voldemort avrebbe avuto libero accesso a tutte le riunioni, avrebbe conosciuto tutti i loro punti deboli e, se fosse stata particolarmente sfortunata, anche dei dettagli sulle mosse di Silente? Isolarsi iniziava a sembrarle l’unica strada percorribile; ma non sapeva come metterla in pratica, perché la sua stessa famiglia faceva parte dell’Ordine della Fenice. Non avrebbe mai più potuto rivedere neanche loro senza metterli in pericolo mortale. Si sentì così ottusa a non aver considerato da subito quell’aspetto della questione, sempre così presa dalla preoccupazione di proteggere i propri “oscuri” segreti a discapito di tutti gli altri.
Ginevra recuperò la lettera per sua madre, che fortunatamente non aveva ancora sigillato, e aggiunse sul fondo “Vi voglio bene”. Di colpo tutta la sua spavalderia da “rinnegata” le parve un miraggio lontano, l’illusione di una ragazzina ingenua. Era facile parlare di libertà e indipendenza con una famiglia e degli amici sempre pronti a guardarle le spalle, a prescindere  da quanto lei li allontanasse e li deludesse. La verità era che, adesso che era davvero sola, si sentiva piccola e debole, e l’immagine della ragazza forte e autonoma che aveva creduto di essere si stava sbriciolando sotto i suoi occhi. Trasse un respiro tremante e represse un singhiozzo. Perché doveva sempre essere tutto così difficile?
Ti odio… pensò stancamente, diretta a Tom, ma lui non diede alcun segno di vita. Del resto, stava facendo esattamente quello che aveva detto: lasciandole spazio… D’un tratto le tornò in mente l’ultima informazione che le aveva offerto prima di sparire: “non ho intenzione di iniziare una guerra civile”. Era stato un commento così rapido che, dopo l’immensità della rivelazione degli Horcrux, Ginevra lo aveva incredibilmente trascurato. Non era sicura di cosa significasse, ma se davvero fosse stato così, forse la sua presenza non sarebbe stata poi così pericolosa per le persone che aveva attorno…  Ma non poteva certo farci affidamento, realizzò subito dopo: quella sua affermazione avrebbe benissimo potuto essere un trucco, pensato per farle abbassare la guardia, così da poterla usare come fonte di informazioni.
E se anche fosse stato vero, Ginevra aveva seri dubbi sul fatto che Voldemort non avesse altri piani, potenzialmente altrettanto problematici.
Ancora una volta, lei non sapeva cosa fosse vero e cosa no; ma sapeva che non poteva permettersi di correre alcun rischio. Se fosse successo qualcosa ai suoi cari a causa di una sua leggerezza, Ginevra non se lo sarebbe mai perdonato. Per cominciare, durante la pausa pranzo avrebbe annunciato il suo ritiro dall’AUDE: non sarebbe stato facile, ma era necessario. Poi avrebbe capito come agire sugli altri fronti, un passo per volta.

<< Cosa? >> Hermione fu la prima a reagire, mentre Ron, Harry e Luna la fissavano in silenzio.
<< Ma non puoi lasciare l’AUDE, non abbiamo nemmeno cominciato! Tra due giorni abbiamo appuntamento con Silente, e tu sei una dei fondatori. Perché mai dovresti andartene? >>
Il tono era acceso, ma quelle parole erano state pronunciate sottovoce: si trovavano in una zona poco frequentata del castello, che durante l’ora di pranzo era tipicamente deserta, ma la prudenza non era mai troppa.
<< Ragazzi, dite qualcosa! >> implorò Hermione, guardando Harry e Ron in cerca di supporto.
<< Beh… >> iniziò Ron. << Insomma, hai detto tu che si può uscire dal gruppo in ogni momento… Forse Ginny ha una buona motivazione, no? >> azzardò.
Hermione era in difficoltà: << Sì, ma… Non intendevo subito! Ginny, tu sei un cardine della resistenza, che ti è preso? >>
Ginevra si fece forza e pronunciò il discorso che aveva ripassato a mente già una trentina di volte: << Non avete idea di quanto mi piacerebbe restare nel gruppo, davvero, ma negli ultimi giorni mi sono resa conto che non ho il tempo né le energie per dedicarmi a un progetto così intenso. Non ne parlo mai, lo so, ma la verità è che sono davvero indietro con lo studio.
Praticamente la metà dei professori mi ha fatto sapere, senza troppe sottigliezze, che di questo passo rischio la bocciatura. Non posso continuare così… >>  Sapeva che senza un’ulteriore motivazione i suoi amici avrebbero continuato ad insistere: li conosceva troppo bene. Con l’eccezione di Hermione, nessuno di loro dava particolare importanza allo studio, e persino Hermione in questo periodo era molto più interessata alle attività clandestine che alle materie ufficiali. Era arrivata alla parte più difficile della sua spiegazione, perché era quella che più si avvicinava al vero motivo della sua decisione: << Ma non è solo questo il problema: all’inizio avevo pensato che fare qualcosa per contrastare Voldemort, per prepararci al suo ritorno, mi avrebbe fatta sentire meglio… ma dopo l’ultima riunione mi sono resa conto che ogni attività legata all’AUDE non fa altro che ricordarmi di quello che è successo, di quanto Voldemort sia arrivato vicino a uccidermi. Pensavo che questo progetto mi avrebbe fatta sentire più forte, e invece mi sento più vulnerabile ogni minuto che passa. >>
Fece una pausa per studiare i volti dei suoi amici. Faticava a guardarli in faccia mentre mentiva in quel modo, ma era importante che le credessero. Nessuno di loro incrociò il suo sguardo, nessuno tranne Luna, che la stava scrutando con i suoi penetranti occhi azzurri. Per un momento, Ginevra ebbe l’assurdo terrore che Luna fosse, in segreto, una legilimens.
<< Mi dispiace tanto, ma ho bisogno di pensare ad altro per un po’... >> concluse. Quanto avrebbe voluto che quella scusa fosse la verità e che la sua massima preoccupazione fosse davvero quella di passare oltre il trauma iniziale e tornare a vivere la propria vita.
Harry le appoggiò una mano sulla spalla: << Non serve che ti scusi, Ginny. Capiamo benissimo e rispettiamo la tua decisione. Vero? >> Guardò rapidamente gli altri, che fecero subito un cenno di assenso.
<< Scusami. >> mormorò Hermione. << Non volevo metterti pressione… >>
Ginevra le sorrise: << Nessun problema, davvero. Adesso vi lascio liberi di andare a mangiare, scusate per il rapimento. Ah, un’ultima cosa: agli altri pensavo di dire solo dei problemi con lo studio, se dovessero chiedere…  >>
Gli altri assentirono alla sua implicita richiesta di privacy, e dopo qualche altra parola Ron, Harry e Hermione se ne andarono. Nel passarle accanto, il fratello le sorrise goffamente e mormorò qualcosa che sembrava un commento di incoraggiamento.
Ginevra rispose con un debole sorriso e trasse un respiro profondo, per nulla sollevata: doveva ancora sopravvivere all’interrogatorio di Luna, perché era chiaro che l’amica non avesse creduto a mezza parola del suo discorso.
E infatti, appena i tre furono sufficientemente lontani, Luna si voltò per affrontarla: << D’accordo, adesso mi dici qual è il vero problema. >>
Ginevra aprì la bocca per risponderle, ma la richiuse subito. Così seria, Luna era terrificante.
<< Non penserai che io mi beva quelle scuse, vero? Ti conosco meglio di tutti loro messi insieme, e non ti ho mai vista così. Cos’è successo? >>
Ginevra stava entrando in panico. Non riusciva a pensare ad alcun modo per togliersi da quella situazione: sapeva bene che Luna non l’avrebbe lasciata andare finché non le avesse estorto tutta la verità, ma sapeva anche di non potergliela rivelare per nessuna ragione. Come avrebbe potuto? Da un lato sarebbe stato meraviglioso poter condividere con qualcuno il peso che si portava dentro, perché non sapeva più come gestirlo; ma aveva una paura matta di essere giudicata e rifiutata dalla sua migliore amica, e ancora più paura di metterla in pericolo. In quel momento però, sentì Tom “bussare” alle porte della propria mente.
Che c’è? Sbottò mentalmente Ginevra. Luna era ancora lì che la fissava e lei non sapeva cosa dirle. Ci mancava solo che venisse distratta da un’intrusione di Tom proprio in quel momento.
La presenza di lui si fece più distinta. Se ti fidi di lei…
Più di quanto non mi fidi di te, grazie tante.
… allora credo che dovresti raccontarle tutto.

Ginevra esitò: perché mai avrebbe dovuto rassicurarla in quel modo? Dov’era la fregatura?
Non hai capito proprio niente di quello che ti ho detto? Non ho alcun interesse a vederti impazzire mentre ti auto-infliggi un isolamento inutile. Fai come meglio credi, ma non inventarti problemi che non esistono.
Detto questo, scomparve dalla sua coscienza.
<< Ginny? >> Luna la osservò inclinando la testa, come un gatto incuriosito.
Ginevra abbassò lo sguardo, chiedendosi se fosse un grave errore quello che stava per commettere. Aveva davvero bisogno di parlarne, e Luna era la sua migliore amica: se c’era qualcuno che potesse crederle - senza per questo denunciarla immediatamente - quella persona era lei. E se Tom l’aveva incoraggiata ad aprirsi con lei, perlomeno era certa che lui non le avrebbe fatto del male per questo.
Ginevra deglutì; faceva una gran fatica a sostenere lo sguardo di Luna. << Ti racconterò tutto, promesso. Ti va bene dopo pranzo, al solito posto? Sarà una storia lunga. >>
Luna sorrise, ma non era il suo solito sorriso spensierato: << Non mi spaventano le storie lunghe, e guarda caso non ho lezioni questo pomeriggio! >> disse, facendole un occhiolino molto sospetto. Forse Ginevra era stata una cattiva influenza su di lei…

Un’ora dopo, Ginevra e Luna erano accampate davanti al camino, nell’aula abbandonata che da anni avevano eletto a loro luogo di incontro. Avevano acceso un fuoco per riscaldare l’ambiente, Luna aveva procurato loro dei morbidi cuscini su cui sedere, e con un paio di incantesimi Ginevra si era assicurata che nessuno da fuori potesse udire la loro conversazione. Aveva perfino la sensazione che nemmeno Tom stesse facendo minimamente caso a lei e ai suoi pensieri, per quanto non potesse averne la certezza.
<< D’accordo, sono pronta. >> Annunciò Luna. Lo sguardo di Ginevra si spostò dall’amica, che la guardava in attesa, alla stanza vuota attorno a loro, per poi fissarsi sulle fiamme. Aveva davvero molta paura di come Luna avrebbe potuto reagire: la ragazza aveva una mente estremamente aperta, e in virtù della loro amicizia forse avrebbe potuto concedere a tutta questa follia il beneficio del dubbio; ma cosa sarebbe accaduto se non lo avesse fatto? Se Luna fosse rimasta orripilata scoprendo cosa Ginevra aveva nascosto a tutti? Se non avesse più voluto avere niente a che fare con lei? Non voleva rischiare di perdere la sua migliore amica…
<< Lo sai che puoi dirmi qualsiasi cosa, vero? >> la voce di Luna interruppe quel nefasto flusso di pensieri, e sollevando lo sguardo Ginevra trovò un volto sereno, attento, amichevole. Deglutì, sperando con tutta se stessa che fosse vero: << E’ una storia davvero strana, ti avviso… >>
E iniziò a raccontare. Parlava torturandosi le mani, tra frasi a volte un po’ scombinate e molte, difficili pause; ma Luna rimase in ascolto, perfettamente calma, senza interromperla se non per sporadici commenti. Le raccontò la storia di come aveva conosciuto Tom, partendo dal principio: da quando, all’inizio del suo primo anno ad Hogwarts, aveva trovato uno strano diario tra i suoi libri di scuola, un diario che le rispondeva. Le raccontò di come il diario, che sosteneva di chiamarsi Tom, fosse stato il suo confidente per cinque anni, finché all’inizio della scorsa estate non aveva preso possesso del suo corpo, aperto la Camera e tentato di ucciderla.
Luna annuì lentamente, e Ginevra potè quasi sentire gli ingranaggi nel suo cervello organizzare le informazioni: << Era Voldemort. >> concluse, un’ombra cupa sul volto.
<< Già. >> Ammise Ginevra; le sue mani erano fredde e il suo cuore batteva rapidissimo, mentre proseguiva raccontando di come avesse irrazionalmente nascosto la verità a Silente, e del senso di colpa che ne era derivato una volta che aveva capito che Tom e Voldemort erano la stessa persona. E poi l'ossessione, nata dal dolore per il tradimento e dalla paura che le era rimasta addosso: il bisogno di avere risposte, di comprendere cosa fosse successo, di tornare nella Camera dei Segreti.
<< E quindi hai trovato l’ingresso e ci sei andata. >> proseguì Luna. << Ricordo quando me lo hai detto. Il mese scorso, forse? Avevi detto che era andato tutto bene. >>
<< In un certo senso… >> mormorò Ginevra; il ricordo di quelle oscure ore di ansia, terrore e allucinazioni da insonnia era estremamente vivido. << Mi aspettavo per qualche motivo di trovare Voldemort là sotto. Ma naturalmente non c’era nessuno. >>
Ciò che trovò al suo posto, raccontò all’amica, era un luogo sorprendente: una vera e propria scuola nascosta. Narrò delle sue numerose visite successive, che le avevano riservato molte sorprese: dallo scoprire, grazie alla biblioteca, che la magia oscura non era inerentemente malvagia (qui Luna aggrottò le sopracciglia, ma non la interruppe), alla misteriosa esperienza di trance in contatto con il cerchio alchemico, di cui conservava pochi, confusi ricordi, ma intrisi di una fortissima sensazione di ebbrezza, completezza e libertà.
Ginevra si fermò un attimo, chiedendosi di sfuggita cosa fosse accaduto davvero, quella volta, e se Tom forse avesse compreso meglio di lei quell’esperienza. Le sembrava un’ipotesi plausibile, e un po’ sarebbe stata curiosa di sapere come lui l’avesse vissuta; ma non aveva la minima intenzione di sollevare con lui l’argomento. Si riscosse in fretta da questi pensieri, e riprese: << In ogni caso, tutto questo ha riacceso un qualcosa dentro di me, una sicurezza e un entusiasmo che non provavo da tempo. Dopo tutto quello che era successo, non credevo di poter tornare a sentirmi così viva. >>
Luna si grattò il mento: << Sì, avevo notato il cambiamento. Nell’ultimo periodo eri radiosa: avevo quasi pensato che fossi innamorata, ma non c’era nessuno che... >> a quelle parole si bloccò un attimo, poi spalancò gli occhi: << Ti prego, dimmi che non sei innamorata di-- >>
<< Cosa? No! >> esclamò Ginevra, oltraggiata. Le sue orecchie andarono in fiamme, ma il loro rossore rimase nascosto sotto la chioma.
Luna la scrutò intensamente per qualche lunghissimo secondo, poi sospirò: << Meno male… Scusami, dovevo chiedertelo. Poi che è successo? >>
Le orecchie di Ginevra impiegarono un po’ di tempo per smettere di ardere, ma lei riprese il resoconto come se niente fosse. Era arrivata alla parte più difficile e confusa: << Quello che ti ho raccontato finora, in breve, era tutta la storia… fino a due giorni fa. Non è che le cose siano mai state semplici, ma ti assicuro che nelle ultime ore la situazione è diventata davvero assurda. >>
Si prese un momento per riorganizzare i pensieri, poi iniziò: << Fin dalla sera del cerchio alchemico, ho avuto come la sensazione che io e Tom fossimo ancora collegati in qualche modo, e due notti fa ne ho avuto la conferma… >> si fermò ancora una volta, incerta su come spiegare ciò che era accaduto: << So che può sembrare assurdo, ma prometto che c’è una spiegazione anche per questo: io e lui abbiamo condiviso un sogno. >>
Luna la interruppe: << Aspetta. In che senso? >>
Ginevra cercò di spiegarsi nel modo più semplice possibile: << Lui stava avendo un incubo, e deve avermi chiamata involontariamente. Anche io stavo sognando quando ho sentito la sua richiesta di aiuto, e l’ho tirato fuori di lì. Poi, quando mi sono svegliata, sono andata a cercarlo nella Camera dei Segreti, e lui era lì. >>
Luna sgranò gli occhi. << Mi stai dicendo che vi siete incontrati? Di persona? >>
Ginevra annuì.
<< E com’è? >>
Di tutte le domande possibili, Ginevra non si era aspettata che Luna le facesse proprio questa.
<< Cosa vuoi sapere di preciso? >>
<< Non so, è vecchio? Sembra un essere umano normale? Che impressione ti ha fatto? >>
Ginevra batté le palpebre, cercando di stare al passo: << Impressione? Beh, sembrava abbastanza sconvolto all’inizio. Si comportava in modo assurdo. Poi è tornato il solito cinico insopportabile, ma almeno siamo riusciti a parlare. >>
<< “Il solito”? Quante volte vi siete visti, scusa? >>
Ginevra stava andando in crisi, cercando di rimettere in ordine quelle informazioni: << E’ complicato! Se mi lasci un attimo ti spiego tutto! >>
Luna insistette, anch’essa agitata : << Ok, ma prima rispondi alle domande che ti ho fatto, ti prego! >>
<< Ok, ok, tranquilla! >> Rispose Ginevra, non capendo come mai, tra tutte le cose improbabili di cui aveva appena parlato, Luna si soffermasse proprio su questo punto: << Sì, è umano, perché non dovrebbe esserlo? E non è vecchio, avrà al massimo vent’anni. >>
<< Ma com’è possibile? >> chiese Luna, perplessa.
<< Beh, si è rifatto il corpo da zero, quindi suppongo lo volesse così… >>
Gli occhi dell’amica si illuminarono e si batté una mano sulla fronte: << Ma certo! Abbastanza giovane da poter vivere a lungo, ma abbastanza adulto da essere preso sul serio! >>
Ginevra rimase attonita. Da quando la sua migliore amica era diventata un genio del male?
<< Non guardarmi così, era assolutamente ovvio! Davvero non ci avevi pensato? >>
<< Ad essere sincera ho avuto questioni più importanti a cui pensare. >>
<< Oh, giusto, scusami. Continua. >> l’amica si chiuse la bocca con una cerniera immaginaria.
<< Dicevo che siamo riusciti a parlare, anche se non ho ancora idea di come abbia vissuto quella situazione, e del perché si sia presentato lì quando… >>
Si rese conto di non aver accennato a Luna del fatto che fosse stata lei stessa a chiedergli di incontrarsi, e decise che forse era meglio sorvolare su questo dettaglio. << Insomma, quella notte è stato tutto così confuso… Per la maggior parte del tempo ha lasciato che io traessi conclusioni dalla situazione, piuttosto che rispondermi e basta. >>
Luna rifletté: << Hai detto che sembrava sconvolto, no? Magari era sorpreso quanto te e non voleva rischiare di esporsi troppo. Però ovviamente non poteva ignorarti, quindi si è presentato lì e ha lasciato che tu spiegassi le cose al posto suo. Io avrei fatto così. >>
Ginevra cercò di ripercorrere il loro primo incontro sotto quella prospettiva. << Quindi pensi che fosse semplicemente a disagio? Mi sembra improbabile. >>
Luna alzò le spalle: << Mi sembra l’unica spiegazione per far quadrare tutto. Da quello che mi racconti sembra una persona normale. Ok, non normalissima magari, ma se ha cambiato nome ed è diventato un pazzo assetato di potere, deve pur avere delle insicurezze, no? Tu lo hai aiutato a uscire da un incubo, chissà quando è stata l’ultima volta che qualcuno lo ha visto così fragile… Non credo che Voldemort sia abituato a sentirsi vulnerabile, né che gli piaccia. >>
Ginevra fu particolarmente sollevata del fatto che Tom non stesse ascoltando. Ormai era assolutamente certa che fosse così, perché non sarebbe mai rimasto in silenzio davanti a certe insinuazioni. Sicuramente avrebbe negato tutto, ma Ginevra si rese conto che la sera prima, indirettamente, Tom aveva già confermato la teoria di Luna. “Vuoi parlare di vulnerabilità?” le aveva detto. “Quel sogno, te lo ricordi?”. La sua voce aveva tremato mentre lo diceva. In quel momento Ginevra era troppo presa dalla propria rabbia per rendersene conto, e lo aveva interpretato come una minaccia, ma adesso…
<< Sai, Luna, credo che tu abbia ragione. >> Si sentì a disagio nel prendere atto di quell’informazione. Non sapeva se e come questo avrebbe cambiato il suo modo di vedere Tom, ma sapeva che sarebbe stato incredibilmente difficile restare arrabbiata con lui se gli avesse riconosciuto di essere una persona. Era una cosa che aveva sempre saputo, ma che nelle ultime ore aveva preferito dimenticare.
Cercò di recuperare il filo del discorso: << In ogni caso, devo ancora dirti quello che ho scoperto ieri sera, quando ci siamo incontrati di nuovo. >> trasse un profondo respiro e sperò che Luna avesse ancora un briciolo di fiducia in lei e di pazienza prima di mandarla al diavolo. << A quanto pare, il motivo per cui io e Tom abbiamo potuto condividere quel sogno è che una parte della mia anima si trova nel suo corpo. >>
Questa volta, Luna sgranò gli occhi: << Cosa?!? >>
<< Mentre mi stava togliendo la vita, io ho cercato di ucciderlo e la mia anima si è spezzata. Questo ha impedito che tutta la mia forza vitale mi venisse tolta, ma ha anche staccato una parte di me che, essendo io sopravvissuta, è ancora viva. Quella parte si è legata al corpo di Tom e adesso siamo collegati... Ho un legame mentale con Voldemort. >>
La sua migliore amica la fissava come se venisse da un altro mondo. Ci siamo, pensò Ginevra, ora rimarrò sola per davvero.
Poi Luna fece una cosa che Ginevra non si aspettava: si protese verso di lei, e la abbracciò forte.
Per un attimo non servirono parole, e Ginevra si lasciò consolare da quell’abbraccio di cui non sapeva di avere tanto bisogno. Le vennero le lacrime agli occhi quando si rese conto che per la prima volta qualcuno la stava accettando davvero: conosceva il suo segreto più oscuro, eppure era ancora lì.
Quando sciolsero l’abbraccio Ginevra scrutò la sua migliore amica, e notò che anche lei aveva gli occhi rossi.
<< Mi dispiace tanto, Ginny. Devi esserti sentita così sola… >>
Ginevra aveva ancora un groppo in gola, ma sorrise mentre si asciugava il volto, e ringraziò la sé stessa di qualche ora prima per aver deciso di raccontarle tutto.
<< Ma quindi come funziona? >> chiese Luna: passato il primo momento di shock, stava già emergendo la sua proverbiale curiosità.
Ginevra ci mise un po’ a recuperare l’uso della parola: << Lui può sentire i miei pensieri e le mie emozioni in qualunque momento. Teoricamente potrei farlo anch’io, ma non sono allenata, e lui è un occlumante eccezionale. O meglio, penso che sia un occlumante eccezionale: in realtà non so assolutamente niente di legilimanzia, per cui lui potrebbe anche essere una schiappa e io non riuscirei a cavarne nulla lo stesso. In ogni caso, al momento posso vedere solo quello che lui vuole che veda… cioè niente. >>
<< Aspetta, mi stai dicendo che ci ha ascoltate per tutto questo tempo? >> Luna d’un tratto parve terrorizzata.
<< No. >> la rassicurò Ginevra << Sono sicura che in questo momento abbia altro a cui pensare. Siamo sole. >>
Luna trasse un respiro di sollievo: << Sarebbe stato troppo imbarazzante… >>
<< Non preoccuparti, non ti avrei mai parlato così tranquillamente se avessi saputo che stava ascoltando. Prometto di avvisarti sempre, nel caso si faccia vivo. Sto cercando di imparare a riconoscere la sua presenza, e credo di aver fatto qualche progresso. >>
Luna la guardò seria: << Certo, ma deve pur esserci un modo per chiuderlo fuori! Voglio dire, anche se ti accorgi e ti regoli di conseguenza, è comunque improponibile vivere così… >>
Ginevra sospirò: << Adesso capisci perché ho lasciato l’AUDE? Non posso correre il rischio che lui abbia un accesso così facile a tutte le riunioni. Come se non bastasse, non posso nemmeno più vedere la mia famiglia senza il terrore che Voldemort scopra informazioni sull’Ordine. >>
Appoggiò la testa fra le ginocchia e sospirò. << Non posso fare nulla senza mettere in pericolo qualcuno. >>
Luna si incupì: <>
Ginevra si sentiva sempre più abbattuta: << Sì, ma ci vorrebbero anni… >>
<< Meglio tardi che mai! Anche se, in effetti, se avesse voluto usarti come fonte di informazioni, rivelarti tutto sarebbe stato a dir poco stupido. Non credo sia quello che vuole, sai? Hai qualche altro indizio? Che cosa ti ha detto di preciso? >>
<< Solo che non ha intenzione di dare inizio a una guerra, ma non ha senso. Però nemmeno il modo in cui mi ha trattata ha senso: ha detto che non vuole che ci siano risentimenti tra di noi, ma che non gli interessa conquistare la mia fiducia. Sembra che non gli importi assolutamente nulla di quello che faccio, eppure si è preso la briga di incontrarmi nel cuore della notte. >>
Luna scosse la testa: << C’è qualcosa che ci sfugge in questa storia... Ginny, forse dovresti parlarci. >>
Ginevra sospirò: << Non lo so… >> probabilmente Luna aveva ragione, anche perché Tom era l'unico a sapere quali fossero le proprie intenzioni, ma l’idea non le piaceva comunque. << Non mi fido di lui. >>
Luna annuì: << Mi spaventerebbe il contrario. Però rimane l’unico a poterti dare risposte. >>.
Per un po’ le due ragazze tacquero, pensose; poi Luna aggiunse: << Prima hai detto che anche se non riesci a leggergli il pensiero stai imparando a capire se lui sia in ascolto o meno, quindi qualcosina trapela: magari, anche senza riuscire a leggergli il pensiero, potresti comunque riuscire a capire se sta mentendo o meno! >>
Ginevra sorrise con aria colpevole, stringendosi nelle spalle: << Beh, in realtà potrebbe essere anche un po’ più semplice di così: ieri sera si è offerto di lasciarmi guardare alcuni dei suoi ricordi… >>
Luna scoppiò a ridere: << Ma allora!!! Cos’altro non mi hai detto?!? >>
Ginevra fece una smorfia: << Si è offerto anche di insegnarmi l’occlumanzia... E io gli ho urlato dietro, l’ho spintonato e gli ho tirato addosso un libro! >> aggiunse, unendosi alle risate dell’amica.

<< E niente, adesso dovrei averti detto davvero tutto. >> concluse con un sorriso qualche tempo dopo, una volta che lei e Luna avevano finito di ridere e fare battute sull’accaduto.
Luna annuì, soddisfatta: << Lo spero per te! >> asserì in tono solenne e umoristicamente minaccioso.
Nel frattempo, le due avevano cambiato posizione, e Ginevra si era accoccolata accanto all’amica: aveva bisogno di un po’ di calore umano, ed era passato davvero troppo tempo dall’ultima volta in cui erano state così vicine emotivamente.
<< Ma parlando di cose più interessanti… >> esordì, contorcendosi per riuscire a guardare l’amica in volto dalla posizione in cui era: << Come vanno le cose con Nott? >>
<< Bene >> rispose Luna, arrossendo leggermente.
<< Luna? Cosa mi devi raccontare? >> chiese, saltando su e battendo le mani entusiasticamente. Non era da Luna essere così vaga, e sembrava così felice…
<< Niente di che… >>
<< Guardami negli occhi e ripetimelo! >> ordinò scherzosa Ginevra, spostandosi per cercare di guardare in faccia l’amica; ma questa continuava a voltare lo sguardo altrove, e il rossore che le colorava le guance non accennava a diminuire. << Racconta, racconta, racconta!! >> urlò Ginevra, sempre più esaltata.
<< Oh, guarda, un gorgosprizzo!!! >> commentò Luna, indicando l’aria dietro le spalle dell’amica, e facendo per spostarsi…
<< Non mi sfuggirai così facilmente ragazza! >>

 

Ci rivediamo a metà maggio con il prossimo capitolo!
 

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Capitolo 20
*** Capitolo XVII ***


Capitolo XVII

 

Il mondo della Magia Oscura è un mondo senza regole: ogni azione che si compie o non si compie, ogni magia che si attua o meno, è sempre, inevitabilmente, una scelta del mago. Qui, e solo qui, il mago può scegliere consapevolmente chi essere e come comportarsi. E se ne prende la piena responsabilità.

Il Rituale dell’Alta Magia, Eliphas Levi
 

Ginevra aveva deciso di seguire il consiglio di Luna: presto avrebbe contattato Tom per parlargli e capire le sue intenzioni. Ma, tutto sommato, non c’era alcuna urgenza: non avrebbe rivisto la sua famiglia prima delle vacanze di Natale, a cui mancava ancora poco più di un mese. Per cui, prima di tornare a dedicarsi a questioni così complesse, delicate, e decisamente più grandi di lei, aveva deciso che poteva prendersi una pausa da quei drammi, e rimettere insieme i pezzi della sua vita. Le era dispiaciuto molto dover rinunciare all’AUDE ma, si era resa conto, c’erano moltissime altre cose che poteva e voleva fare che non fossero influenzate dal suo legame con Tom: coltivare i propri interessi personali, passare del tempo con la sua migliore amica e, perché no, salvare la propria carriera scolastica, considerato che gli esami di fine trimestre non erano poi così lontani.
Aveva perfino ripreso a volare: tecnicamente le sarebbe mancato ancora un ultimo controllo al San Mungo prima di avere di nuovo il permesso per farlo ma, per quanto fosse consapevole di non poter reggere un'intera partita, Ginevra era convinta di stare abbastanza bene da sopportare degli allenamenti leggeri. Così aveva deciso di infischiarsene del parere dei medimaghi e tornare sul campo da Quidditch, naturalmente ad un orario tale da non farsi scoprire. Ma il suo comportamento doveva essere sembrato sospetto fin da quando aveva iniziato a progettare la sua prima evasione: quando si era avviata, all’alba di una domenica mattina, Ron, lo stesso Ron che nei giorni festivi non dava mai segni di vita prima di mezzogiorno, la stava aspettando nella Sala Comune.
<< Dove pensi di andare, Ginny? >>
Lei si schiarì la gola: << Devo andare a controllare le piantine per un progetto di Erbologia. Si possono annaffiare solo prima del sorgere del sole… >>
<< Con la scopa e le ginocchiere? >>
Ginevra non rispose, e Ron sbuffò al suo silenzio colpevole: << Sai che se ti fai male mamma uccide me, vero? >>
Ginevra sfoderò il suo miglior sguardo da cucciolo innocente: << Ron, per favore... Volare mi manca troppo e lo vedi anche tu che sto benissimo. Prometto di non fare niente di pericoloso, solo un volo al campo di Quidditch a pochi metri da terra! >>
Ron sembrò tentennare, quindi Ginevra rincarò la dose: << So che puoi capirmi! Tu come ti sentiresti se ti tagliassero per mesi fuori dalla squadra? Per favore… >>
Ron spostò il peso da una gamba all’altra, a disagio: << D’accordo >> acconsentì infine. Ginevra non poteva credere alle proprie orecchie…  
<< Ma io vengo con te. >> aggiunse, categorico.
<< … Cosa? >>
<< Vengo anch’io: almeno se ti ammazzi non sei da sola. >>
In realtà se anche morissi non sarebbe definitivo, ma non sarebbe comunque piacevole… considerò lei di sfuggita. 
Intanto, suo fratello aggiunse: << E poi, che gusto c’è a infrangere le regole da soli? Dammi cinque minuti per prepararmi. >>
<< Grazie, Ron. >> gli disse con un sorrisone smagliante. << Però sbrigati, non abbiamo molto tempo: gli allenamenti di Tassorosso iniziano alle nove! Ti aspetto al campo! >> esclamò, e si avviò quasi saltellando verso l’uscita. Era stupita dal comportamento del fratello. Non avrebbe mai pensato che Ron avrebbe fatto un sacrificio del genere di sua spontanea volontà. Uscire dal dormitorio prima dell’alba in una ghiacciata mattina di Novembre, solo per controllare che lei non si facesse male? Doveva volerle più bene di quanto credesse… oppure aveva davvero molta paura di ciò che gli avrebbe fatto loro madre se le cose fossero andate storte, si disse ridendo. Non era quello che aveva progettato ma, tutto sommato, poteva essere un buon compromesso. E forse, se il fratello fosse stato di buon umore, avrebbero anche potuto fare due tiri, realizzò strada facendo: al solo pensiero di avere un portiere in campo, la sua anima da cacciatore andava in visibilio.

Volando nell’aria fredda del mattino, passandosi la palla con suo fratello, Ginevra si sentì più energica e spensierata di quanto non fosse da un bel po’ di tempo. Giocare la faceva sentire più forte, ed era un toccasana per la sua mente sovraffollata. Adesso che aveva riassaportato quella sensazione, non aveva alcuna intenzione di aspettare chissà quando per riprendere, così quell’allenamento clandestino ebbe un seguito, e Ron e Ginevra tornarono al campo quasi tutte le domeniche del mese successivo.
Quella non fu l’unica gioia di quel periodo: adesso che aveva rimesso la testa sullo studio, anche le lezioni erano diventate più interessanti ai suoi occhi - eccezion fatta per quelle della Umbridge, naturalmente. Le lezioni di alchimia, da sempre le sue preferite, erano diventate più piacevoli che mai da quando, grazie a Luna, aveva iniziato a passare del tempo con Nott anche fuori dall’aula. Era bello avere tra i banchi qualcuno con cui scambiare una battuta ogni tanto. Conoscendolo meglio Ginevra si stava lentamente convincendo che Theodore fosse davvero una brava persona: era contenta che Luna si fosse innamorata di qualcuno come lui.
Questa nuova fiducia aiutò molto quando venne il momento di lavorare assieme ai sempre più frequenti e sempre più impegnativi progetti di coppia per il corso di alchimia, che richiedevano una certa dose di collaborazione. Sembrava che Piton si divertisse a metterli alla prova con compiti sempre più complicati, che più volte necessitarono del contributo di entrambi i loro approcci alla materia: quello di Ginevra, diretto e funzionale, e quello di Nott, più sofisticato ed elegante. Effettivamente, rifletteva Ginevra ogni tanto, lo stile di Theodore e quello di Tom non erano poi così diversi. Si sorprese più volte ad immaginare come sarebbe stato progettare cerchi alchemici con Tom, ma fortunatamente questi sembrava essere costantemente concentrato su qualunque cosa gli stesse succedendo, e Ginevra non avvertì mai la sua presenza, nemmeno in quelle occasioni.

Era ormai Dicembre inoltrato quando Ginevra si sentì pronta a ricontattarlo. Non era certa di quale fosse il modo migliore per attirare la sua attenzione, considerato che nulla di tutto ciò che aveva fatto o pensato dal loro ultimo incontro aveva suscitato alcuna reazione da parte sua. Aveva qualche ipotesi su come procedere, ma non aveva ancora mai tentato; e con l’avvicinarsi delle vacanze, la cosa iniziava a diventare impellente. Così, un sabato pomeriggio decise che era arrivato il momento. Tirò le tende del baldacchino per assicurarsi di non essere disturbata; quindi, a occhi chiusi e a gambe incrociate, sondò la propria coscienza, alla ricerca di quella parte di sé che albergava in lui - in questo sapere esattamente come stavano le cose le rese il compito molto più semplice. Ritrovò con facilità quel luogo mentale, e percepì quasi istantaneamente la coscienza di Tom, che vi pulsava pacatamente accanto. Si avvicinò alla zona di confine tra le loro menti, e immaginò di bussare alla sottile ma robusta barriera che li separava.
… Tom? chiamò, lievemente imbarazzata. Hai un momento?
La voce di lui le rispose dopo qualche secondo. A dire il vero no. Ti contatterò più tardi.
Sparito. Ginevra riaprì gli occhi, e si stese sul letto con un sospiro. Fantastico. Pensò. Adesso mi ignora pure.

Si accorse, con un certo fastidio verso sé stessa, di non aver contemplato l’ipotesi che lui potesse avere altro da fare; e adesso si ritrovava ad avere un intero pomeriggio libero, e nessuna idea di cosa farsene. Se avesse avuto lì il suo violoncello probabilmente avrebbe suonato un po’, ma lo strumento se ne stava da mesi nella sua camera alla Tana, a prendere polvere. Alla fine decise di dedicare un po’ di tempo allo studio delle Arti Oscure: aveva quasi finito Il Rituale dell’Alta Magia, il secondo e ultimo libro introduttivo della raccolta di Levi. Probabilmente oggi sarebbe riuscita a concluderlo, e mettere finalmente le mani su qualcosa di più avanzato. Il suo obiettivo finale era il quinto volume: Il Grande Arcano, che trattava della trasgressione del ciclo vita-morte. In quel libro avrebbe trovato delle spiegazioni sugli Horcrux, ma prima di poterlo anche solo avvicinare aveva bisogno di costruirsi solide basi teoriche su tutto il resto - aveva già tentato di saltare i volumi in mezzo per passare subito alle parti che più la interessavano, ma aveva dovuto desistere: ancora le mancavano le conoscenze per comprenderle.
Verso le tre, come previsto, Ginevra aveva terminato il libro e decise di fare una visita alla Camera dei Segreti per procurarsi il volume successivo: La Chiave dei Grandi Misteri.
Era arrivata nella biblioteca, e si stava avviando verso la sezione riservata alle Arti oscure, quando si bloccò di colpo: perché lì, allo stesso tavolino a cui lei aveva studiato tante volte, c’era Tom. Chino su un volume gigantesco - e verosimilmente molto complicato, vista la sua espressione di rapita concentrazione - Tom non pareva essersi accorto della sua presenza. Dopo un primo momento di puro sgomento, in cui Ginevra si chiese se non fosse il caso di invertire rotta e tornare a cercare il libro un secondo momento, Ginevra si riscosse. Si avvicinò a lunghi passi, e appoggiò rumorosamente la borsa sul tavolo.
<< Quindi era questo, quello che avevi da fare? >> chiese, il tono un po’ più teso di quanto avrebbe voluto.
Lui non la degnò di uno sguardo, e le fece distrattamente cenno di non disturbare.
<< Che cosa ci fai qui? >> insistette lei.
Tom sospirò e staccò a fatica lo sguardo dalle pagine: << Si dà il caso che questa sia la biblioteca più fornita della Gran Bretagna. Sapevi che aggiorna da sola il catalogo  una volta al mese? >>
<< No, ma… >>
<< Inoltre, la Camera dei Segreti non è una tua esclusiva. Non appartiene a nessuno, ma se per assurdo dovessi indicarti il suo proprietario, di certo non saresti tu. >> e indicò sé stesso con aria annoiata: << Erede di Salazar. Ti dice qualcosa? >>
Ginevra roteò gli occhi: << Sei insopportabile. >>
<< Lo prendo come un complimento. >> tagliò corto lui, per poi tornare a fissare il suo volume.
Ginevra misurò la nicchia della biblioteca a grandi passi nervosi, sperando che Tom si innervosisse a sua volta e si decidesse a prestarle attenzione. Lui però non fece una piega, di nuovo immerso nella lettura.
Ginevra represse un sospiro, cercando di trattenere la propria irritazione. Rallentò il passo, arrivando ad arrestarsi di fronte a lui: << Ho bisogno di parlarti. >> azzardò.
<< E io ho bisogno di finire il paragrafo, quindi… shhh. >> si portò un dito alle labbra, poi indicò il tavolino, al cui angolo erano ordinatamente impilati tre volumi. << Se sei disposta ad aspettare che finisca, potresti approfittare dell’occasione per farti una cultura. >>
Ginevra sbuffò mentre si lasciava cadere sul divanetto di fronte a lui, rassegnandosi ad aspettare. Non era sicura del perché stesse reagendo in quel modo: era solo naturale che lui avesse altre priorità oltre che parlare con lei, e lei per prima aveva procrastinato quella conversazione per parecchio tempo, ormai. Ma ora che si era decisa ad affrontarla faticava a gestire l’attesa. In cerca di distrazioni, Ginevra diede un’occhiata ai libri che Tom le aveva indicato e notò che trattavano tutti di occlumanzia. Ricordava che lui le avesse detto, a un certo punto delle loro confuse conversazioni di qualche settimana prima, che nella biblioteca avrebbe trovato tutto il materiale necessario ad imparare, se avesse insistito nel rifiutare il suo aiuto. Ginevra non aveva immaginato che lui tenesse alla cosa a tal punto da prepararle i libri da studiare. Chissà da quanto tempo quei tomi erano impilati lì, in attesa del suo arrivo…
Le tornò alla mente l’ultima volta in cui aveva trovato dei volumi ad attenderla, sparpagliati su quello stesso tavolino: tra quei libri c’era stato anche il manuale di Levi, che era esattamente ciò di cui lei aveva bisogno all’epoca. Di colpo, quella coincidenza le parve incredibilmente sospetta.
<< Frequenti regolarmente questo posto? >> chiese a Tom con nonchalance.
Lui rispose con aria assente, non alla sua domanda, ma ai suoi sospetti: << Sì, Ginevra, potrei aver lasciato un ottimo manuale di Arti Oscure fuori dal suo scaffale, qualche mese fa. Non c’è bisogno di ringraziarmi. >>
Discorso chiuso. Ginevra temporeggiò un po’, ma alla fine cedette alla curiosità: prese il primo libro dalla pila e iniziò a leggere. Lo richiuse poco dopo, perplessa da quel linguaggio oscuro e confuso. Provò con quello successivo, e poi quello dopo, ma dovette presto a rassegnarsi al fatto che i trattati di magia avanzata fossero tutti un groviglio di paroloni incomprensibili.
Dopo neanche venti minuti, abbandonò il quarto libro sul divanetto e sbuffò, frustrata: << Non ci capisco niente! >>
A quelle parole l’interesse di Tom sembrò ridestarsi: sollevò lo sguardo dal libro e le diresse un sorriso sardonico: << Ma dai, non lo avrei mai detto. >>
<< Non c’è niente da ridere. >> sbottò Ginevra. << Questi accademici hanno dei problemi. Sono davvero questi i libri migliori che sei riuscito a trovare? >>
<< Che tu ci creda o no, lo sono. Ma sei libera di cercarne altri da sola. >>
Ginevra fece una smorfia all’idea di come dovevano essere gli altri di libri, se questi erano i migliori…
Tom appoggiò un gomito sul libro, e il mento alle nocche della mano. Stava ancora sorridendo fastidiosamente: << So che non ti interessa il mio parere, ma te lo darò lo stesso: l’occlumanzia, più di qualunque altra disciplina, non si può comprendere senza la pratica. E’ una questione di istinto e abilità, e queste cose non si possono imparare sui libri. Ma, di nuovo, sei libera di non ascoltarmi. >>
Ginevra considerò per l’ennesima volta la proposta implicita in quelle parole. La verità era che nelle ultime settimane si era gradualmente convinta ad accettare. Come se non bastasse, dopo questi suoi miseri tentativi di lettura, imparare l’occlumanzia da Tom iniziava a sembrarle non solo la soluzione migliore, ma anche l’unica.
Tamburellò sul legno del tavolino con le dita. << Supponiamo che io sia disposta a prendere lezioni… >>
Il sorriso sul volto di Tom assunse le tinte inconfondibili del trionfo intellettuale. << Suppongo che potrei trovare il tempo. >>
<< Non significa che mi fidi di te. >> si apprestò a chiarire Ginevra.
Lui scrollò le spalle: << Mai pensato il contrario. Ma ti assicuro che non ti pentirai di questa decisione. >> poi accennò al volume che aveva ancora aperto davanti a sé. << Ancora un attimo di pazienza, se non ti dispiace. >>
Fece scorrere velocemente lo sguardo sul fondo della pagina. Qualche minuto dopo - finalmente - chiuse il libro: le pagine ricaddero con un tonfo pesante, verosimilmente, quanto le parole che vi erano contenute.
<< D’accordo. >> disse poi lui, dandole la sua piena attenzione. << Ora possiamo parlare. >>
Ginevra abbassò lo sguardo. Era così strano iniziare una conversazione con lui in una situazione che non fosse terribilmente anomala e irrazionale. Non sapeva da dove cominciare.
<< Tu non vuoi usarmi come fonte di informazioni. >> esordì, forse non nel modo più diplomatico possibile.
Tom si appoggiò allo schienale del divanetto: << Vedo che condividere i tuoi segreti ti ha liberata dalla paranoia, finalmente. Hai ragione: non mi servono informazioni. Non quelle che potresti darmi tu, almeno. >>
Ginevra non seppe se leggere un velato insulto in questa precisazione ma, cionondimeno, a quelle parole fu come se un peso le si fosse sollevato dal petto: sentiva che Tom non stava mentendo.
<< Quello che non capisco è … perché? >>
Lui le parve piuttosto soddisfatto di avere finalmente la possibilità di spiegare: << Semplice: ho di meglio da fare che accapigliarmi con Silente. Iniziare un conflitto aperto con lui sarebbe come recludermi in un angolo della stanza a sbattere la testa contro un muro. Metaforicamente parlando. >>
<< Non credo di capire… >>
Tom scosse leggermente la testa: << Certo che non capisci... Come evidentemente non sai, ho sempre preferito la diplomazia allo scontro. Il Ministero è ancora convinto che io sia morto e sepolto: mi sembra la condizione ideale per lavorare a un cambio di leadership, non trovi? Perché mai dovrei complicarmi la vita di proposito? >>
Ginevra era sempre più confusa: << Aspetta, stiamo veramente parlando di politica? >>
Tom era perfettamente tranquillo, anche se Ginevra sentiva chiaramente quanto tenesse a quel discorso: << Ti sto solo rispondendo. Io ho dei progetti seri da portare avanti. Non sono tornato in vita solo per “portare morte e distruzione”. Anzi, se devo essere sincero, trovo queste voci sul mio conto terribilmente irritanti. Non nego che abbiano del fondamento, ma stavolta le cose andranno diversamente. >>
Ginevra faticava a tenere il passo: << Un momento, per favore! Tu mi stai davvero rivelando tutti i tuoi piani? Così, come se nulla fosse? >> D’un tratto, per quanto lo avesse desiderato a lungo, l’idea di avere accesso a quell'aspetto della vita di Tom - o meglio, Voldemort - la spaventava.
Lui sospirò e la guardò con una sincerità disarmante: << Non necessariamente “tutti”, no; ma tutti quelli che ci tieni a conoscere. Te li avrei spiegati anche prima, i miei “piani”, se tu fossi stata disposta ad ascoltarmi. Spero che dopo questa conversazione mi crederai quando ti dico di non volere una guerra civile. E forse capirai anche il motivo per cui ho agito come ho fatto. >>
Ginevra si passò una mano sul volto. Dubitava che, qualunque rivelazione Tom avesse in serbo, questa avrebbe davvero avuto l’effetto da lui sperato; ma del resto, se lo aveva contattato, era proprio per dargli la possibilità di spiegarsi.
Gli fece un cenno col capo: << Ti ascolto. >> disse, sforzandosi di ammansire la tensione che le cresceva dentro.
<< Ti sei mai chiesta come vivano tutti quei maghi che nascono in famiglie babbane, finché non ricevono la lettera da Hogwarts? >>
Ginevra rifletté: conosceva diversi nati babbani all’interno della scuola, prima fra tutti Hermione. Non aveva mai avuto motivo di credere che avessero vissuto quella fase delle loro vite in modo particolarmente degno di nota.
<< Credo che molti non sappiano nemmeno di essere maghi… e che vivano da babbani per tutta l’infanzia. >> si accorse, anche mentre pronunciava quelle parole, di quanto poco sapesse a riguardo.
Tom scosse piano la testa: << Alcuni non lo sanno, è vero. Ma undici anni sono una lunga attesa, prima di ricevere la benché minima notizia dell’esistenza del mondo magico. A che età hai manifestato la magia per la prima volta, Ginevra? >>
<< Io… >> Ginevra non si era aspettata quella domanda, e dovette rifletterci un attimo. << A quattro anni, credo… >>
Tom sorrise amaramente: << E suppongo che tutta la tua famiglia fosse incredibilmente felice che tu fossi come loro. Come pensi ti avrebbero guardata, se invece che in una famiglia di maghi tu fossi nata in una famiglia babbana? Sarebbe andata allo stesso modo? >>
Ginevra iniziava a capire dove stesse andando a parare il discorso. Ripensò ai propri compagni di corso nati babbani: non sapeva di situazioni problematiche nel loro passato, ma era anche vero che non li conosceva poi così bene.
<< Vedi, >> proseguì Tom, << alcuni sono fortunati, come la tua amica Granger, e hanno genitori che accettano la magia senza problemi. Ma sarebbe ingenuo credere che quel tipo di situazione sia la norma. Che mi dici degli altri? >>
Ginevra aggrottò la fronte: << Gli altri… >> Tom era cresciuto in un orfanotrofio babbano... Di colpo Ginevra si rese conto che stavano discutendo di una questione estremamente personale e delicata. << Non lo so. >> ammise. << Non so cosa succeda agli altri. >>
Nel dire queste parole, Ginevra ebbe praticamente la certezza che Tom avesse passato dei momenti orribili, nella sua infanzia. Non le aveva parlato con tono d’accusa, nemmeno per un momento, eppure si sentì punta sul vivo, come se gli avesse fatto un torto immenso nel non considerare mai quella questione.
<< Nessuno lo sa, Ginevra, perché non importa a nessuno. >> concluse lui. << Tantissimi giovani maghi vengono abbandonati a sé stessi, finché non raggiungono l’età adatta per andare a scuola, o diventano Obscuriali. A quel punto diventa impossibile ignorarli, e il Ministero “prende provvedimenti”, per poi lavarsene le mani. E’ questo che voglio cambiare. >> la guardò negli occhi, aspettando la sua reazione.
Lei rimase senza parole. Contro ogni sua previsione, eccola lì, a scoprire che Voldemort aveva davvero una causa per cui lottare. Una causa giusta...  Però troppe cose non le tornavano: << Non vedo come aggredire nati babbani e mezzosangue con un Basilisco possa rientrare in questo tuo grande piano. >> disse in tono pungente. << E questa grande amicizia tra te e i fanatici del sangue puro? Fosse per loro li lascerebbero volentieri tutti a morire, quei ragazzini. Se davvero è questa la tua causa, cos’hai da spartire con loro? >>
Tom si strinse nelle spalle: << Sono i purosangue ad avere il potere nel mondo magico. Ciò che condivido con loro sono il disprezzo per i babbani, e il desiderio di eliminare una volta per tutte lo statuto di segretezza: questo basta e avanza come base per un’alleanza strategica. >>
<< Ma… >> cercò di protestare Ginevra, ma lui la zittì con un cenno.
<< Che ti piaccia o no, per raggiungere dei risultati servono dei compromessi. Se pensi di poter sostenere il contrario, aspetterò con ansia il tuo rivoluzionario trattato di politica. >>
Ginevra si morse il labbro, irritata dalla logica schiacciante di quel maledetto cinico.
Lo squadrò con astio: << E del Basilisco che mi dici? E’ stato un compromesso necessario anche quello? >>
Tom sospirò: << Devo riconoscere che da ragazzo potrei essermi fatto trascinare un po’ troppo dal ruolo di Erede di Salazar, e sai cosa si dice delle vecchie abitudini... Lo scorso anno, però, liberare il Basilisco è stato un favore che dovevo a un sostenitore di vecchia data. La persona responsabile di averti fatto avere il diario, a dirla tutta. >>
<< Uccidiamo innocenti per restituire favori, perché no? >> sbottò lei.
Lui non si scompose: << Ti risulta che qualcuno sia morto, per caso? L’unica ad aver corso questo rischio sei tu e, invece di morire, sei diventata pressoché immortale, per quanto questo non sia stato merito mio. E al contempo, io ho mantenuto la mia parola, e riaperto la Camera. >> concluse soddisfatto.
Ginevra continuò a fissarlo con scetticismo: non era affatto convinta che l’assenza di morti fosse dovuta a una premura di Tom, e non al semplice caso.
<< Forse è come pensi, o forse no: se devo uccidere qualcuno sicuramente non ci perdo il sonno la notte, questo è vero. Ma non ho mai ucciso senza una ragione: perché dovrei farlo? >>
<< Non lo so, chiediamolo a quella tua elite di pazzi assassini che si fanno chiamare Mangiamorte. Non mi sembra che loro si facciano problemi. >> il pensiero corse al padre di Theodore, e a tutte le vittime di cui non aveva sentito parlare ma che era certa ci fossero state, senza contare quelle riportate nei libri di storia.
Il volto di Tom si adombrò di un sentimento che Ginevra non riusciva a riconoscere.
<< Ginevra, i Mangiamorte sono gli stessi purosangue con cui ho stretto la mia alleanza. Non ti parlerò del motivo per cui ho fondato quel gruppo decenni fa: quella storia appartiene a un’altra vita. Quello che conta in questo momento è che quando i miei vecchi seguaci hanno saputo del mio ritorno - ovvero nel momento stesso in cui ho ripreso a respirare, grazie al Marchio Nero - quasi tutti loro hanno ripreso autonomamente il proprio posto nella struttura ben regolamentata che avevo creato allora. Gli stessi meccanismi di un tempo hanno determinato il loro agire e le loro aspettative nei confronti degli altri Mangiamorte, nonché nei miei. >>
Fece una pausa, in cui la osservò attentamente. << Trascorrere quindici anni intrappolato tra la vita e la morte mi ha portato a rivalutare la mia prospettiva su molte cose, ma non posso sottrarmi al mio ruolo. >>
Lei aprì la bocca per protestare, ma Tom si corresse subito: << O meglio, potrei, ma perderei ogni credibilità agli occhi di quegli stessi sostenitori che mi hanno dato, e mi danno tuttora, il potere di agire. Per quanto riguarda il padre del tuo amico… Sto lavorando per reindirizzare l’entusiasmo dei vecchi Mangiamorte, ma non posso negar loro la possibilità di giustiziare chi ha tradito la causa. E’ una delle loro leggi più importanti, fin dai tempi della guerra. Queste, però, sono regolazioni di conti interne, e non hanno nulla a che vedere con il futuro dell’organizzazione. Ti assicuro che nessun Mangiamorte, nessuno, compirà una sola azione ostile verso l’Ordine o il Ministero di sua iniziativa, a meno che non voglia subirne le conseguenze. >>
Mentre pronunciava quelle parole, l’espressione di Tom era agghiacciante: era completamente diverso da come era stato pochi minuti prima, quando si era perso tra le pagine del suo libro, e Ginevra ne ebbe paura. Si rese conto che per quanto Tom potesse più volte esserle sembrato temibile, lei non aveva mai davvero visto Voldemort. Le era bastato quello scorcio, quella luce autoritaria nei suoi occhi, per sentirsi terribilmente a disagio.
Poi l’atteggiamento di lui tornò quello di sempre: << Volevi delle spiegazioni. Questo è tutto ciò che ho da dire. >>
<< Quindi non inizierete una guerra. >> concluse Ginevra, adombrata. Affrontare quel discorso non era stato piacevole, e molto di ciò che aveva sentito la preoccupava; ma, almeno per quanto riguardava l’immediata sicurezza dei suoi cari, si sentiva più tranquilla.
<< Non inizieremo una guerra. >> confermò lui, e mentre lo diceva aprì la mente a quella di Ginevra come non aveva mai fatto prima: lasciò che lei sentisse quelle parole direttamente dal suo punto di vista, e fu come se per un attimo i loro ruoli si fossero scambiati. Ginevra seppe con assoluta certezza che stava dicendo la verità, e che quella di Tom non voleva essere una semplice affermazione: era una promessa.



18/05/2021

Eccoci con un nuovo capitolo! Ci si rivede a metà Giugno col prossimo... e se nel frattempo volete farci sapere cosa pensate della storia fin qui, non vediamo l'ora di leggere i vostri commenti :)


 

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Capitolo 21
*** Capitolo XVIII ***


Capitolo XVIII


Regnava un vivace, rumoroso via vai nella torre di Grifondoro: nell’arco di un paio d’ore la maggior parte degli studenti sarebbe tornata a casa per le vacanze di Natale, e nel tempo rimanente parevano essere tutti impegnati a salutare i compagni e preparare le borse, recuperando oggetti sparsi tra i dormitori e la Sala Comune. Ginevra non era da meno: abiti, libri e strumenti di lavoro erano sparsi sul letto, sul comodino, e sul pavimento attorno, mentre lei cercava di decidere cosa portare con sé. I libri di scuola finirono tutti nel baule, e così Fiabe e Simboli, un trattato di Eliphas Levi che approfondiva le storie dietro ai simboli alchemici. Non aveva ancora terminato di leggere La Chiave dei Grandi Misteri, ma per le vacanze aveva deciso di portarsi una lettura un po’ più leggera, e meno sospetta. Finirono nel baule anche i regali che aveva realizzato per Luna e per i parenti, gli strumenti per realizzare i compiti di Alchimia, e una manciata di vestiti.
Attorno a lei Emily e Demelza, sue compagne di dormitorio ed entrambe giocatrici di Quidditch, intonavano cacofonici canti di Natale, lanciandosi a tempo una pluffa. Ginevra cercò di non pensare troppo a quanto le mancasse far parte anche lei della squadra, e di non sentirsi esclusa per questo. Del resto non era solo colpa del fatto che non potesse giocare a Quidditch se non la trattavano più come una di loro: una bella fetta della sua vita girava attorno a un segreto, e col tempo era stata lei stessa ad allontanarsi. Alla fine, l’amicizia a cui teneva di più era sopravvissuta anche a questo, e adesso era più solida che mai, pensò con un sorriso. Quindi chiuse il baule, rimise nell’armadio gli oggetti che avrebbe lasciato ad Hogwarts, e si avviò verso l’atrio, a incontrare Luna.

Le due ragazze condivisero il viaggio verso Londra, chiacchierando del più e del meno e organizzando il loro - ormai rituale - pigiama-party di fine anno. Era una tradizione che continuava da quando erano bambine, e quell’anno non avrebbe fatto eccezione. In più Luna le garantì che, se avesse avuto bisogno di allontanarsi da casa per evitare di sentire accidentalmente troppe informazioni sull’Ordine della Fenice, da lei sarebbe stata la benvenuta in qualsiasi momento. Nonostante la promessa di Tom, infatti, Ginevra restava convinta che la prudenza non fosse mai troppa, e avrebbe fatto il possibile per evitare rischi inutili.
Quando arrivarono alla stazione di Kings Cross, Ginevra fu raggiunta da Ron e Harry, dato che quest’ultimo avrebbe trascorso le vacanze con loro. Normalmente, Harry avrebbe passato il Natale con il suo padrino, ma Sirius quest’anno era impegnato in missioni per conto dell’Ordine, e Harry aveva accettato volentieri l’invito del suo migliore amico. Aveva un gran sorriso in volto mentre, in viaggio verso casa, Ron e Ginevra gli raccontavano come si sarebbero svolti i preparativi per la festa; e un sorriso ancora più grande gli illuminò il volto quando infine giunsero a destinazione. Anche Ginevra era esageratamente contenta di tornare a casa quell’anno. Del resto, non le era mai capitato di temere di non potervi fare ritorno; così, per una volta, non si lamentò nemmeno quando sua madre la avvolse in uno dei suoi lunghi e soffocanti abbracci.
La Tana era più piena e brulicante di vita che mai: la maggior parte dei fratelli di Ginevra erano già arrivati, e avevano iniziato ad addobbare casa. Bill e Charlie avevano fatto crescere un nuovo giovane abete nella sala da pranzo: era già abbastanza grande da occuparne una discreta parte, con i suoi lunghi rami. Bill stava provvedendo a delimitare con una barriera di forza magica lo spazio della casa dedicato alle sue radici: una volta finite le feste, quell’incantesimo avrebbe reso più semplice trapiantare l’albero all’esterno, come era tradizione. Appena Bill ebbe concluso, Ginevra corse a salutare il suo fratellone preferito: e prima di potersi rendere conto di cosa stesse succedendo, questi si ritrovò a lottare per mantenere l’equilibrio, con una sorella aggrappata alla schiena a mo' di zainetto.
<< Ciao scimmia! >> le sorrise Bill da sopra la spalla.
Arthur e Fleur risero, osservando la scena dalla cucina.
<< No mi raccomando, a me non mi salutare! >> la rimproverò scherzosamente George, che stava entrando nella stanza in quel momento. Ginevra gli fece una linguaccia, ma saltò giù per andargli incontro. Salutò e abbracciò lui, e Percy, e Charlie e loro padre, e poi anche Fleur, mentre Molly metteva in tavola tè e biscotti, e la sala si faceva sempre più affollata.
<< Ma dov’è Fred? >> domandò, stupita di non averlo ancora incrociato: tipicamente quando un gemello era in zona, l’altro non era troppo distante.
<< Fred dovrebbe arrivare più tardi >> rispose invece George: << È andato a prendere Clio >>
<< Clio chi? >> chiese ancora, sempre più curiosa.
<< La fidanzata di tuo fratello >> si intromise Molly, con un sorriso soddisfatto: << E’ già stata a cena da noi un paio di volte; una ragazza molto a modo, non è vero caro? >>
<< Oh sì! >> rispose Arthur, entusiasta: << Una compagnia estremamente interessante! E stasera ha promesso di portarmi da vedere un fideo-registratore… Non ho ancora capito cosa sia, esattamente, ma dai racconti sembra strabiliante! >> aggiunse con un ampio sorriso.
<< Clio è babbana >> spiegò Percy, per assicurarsi che Ginevra seguisse senza problemi la conversazione. Lei ridacchiò, immaginandosi le scene che si sarebbero viste a cena: Fred aveva trovato il modo di rendere felice loro padre, ma la poveretta non avrebbe avuto pace.
Dopo merenda, in vista della grande cena, Ginevra si era aspettata di dover correre avanti e indietro per aiutare sua madre in cucina e con le altre faccende, ma non ce ne fu bisogno: Fleur sembrava essere determinata a migliorare l’idea che Molly aveva di lei, perché si fece in quattro per assisterla in tutto e per tutto. Ginevra gliene fu estremamente riconoscente: sua madre poteva diventare davvero esigente in quelle situazioni, e per qualche antico ruolo di genere tendeva ad aspettarsi molto più aiuto da lei che dagli altri. Forse, pensò Ginevra tra sé e sé, in passato aveva giudicato troppo severamente la cognata…
Così, grazie a questa inaspettata libertà, Ginevra passò il resto del pomeriggio addobbando l’albero e la sala, assieme ai fratelli e a Harry.

Il buio era ormai calato, quando Fred e la sua ragazza fecero il loro arrivo: le fiamme del caminetto si tinsero di verde smeraldo, e uno dopo l’altro i due spuntarono dalle fiamme stregate. Fred, che arrivò per primo, balzò giù dal caminetto, portandosi dietro due sacchi contenenti delle scatole molto ingombranti, per poi aiutare Clio a scendere: il caminetto non era particolarmente alto, ma lei indossava i tacchi, e a giudicare dall’espressione non doveva ancora essersi abituata alla metropolvere. Ginevra la osservò, curiosa: Fred non le aveva mai presentato nessuna ragazza! Clio era piccolina di altezza, e molto carina; sembrava avere circa la stessa età di Fred. Aveva lunghi capelli ricci, di un castano con sfumature bronzee, e un volto dolce, appena un po’ tondo, e i suoi tratti facevano pensare che avesse ascendenze indiane. Batté un paio di volte le palpebre, ancora accecata dalla luce del fuoco.
<< Ti avevo detto di chiudere gli occhi >> disse Fred ridendo, mentre con un gesto le toglieva un po’ di fuliggine dal vestito.
Lei gli lanciò uno sguardo di sbieco, e finse di imbronciarsi: << Non mi prendere in giro. >>
<< Per quello caschi male >> scherzò Charlie, rimanendo in un angolo, ma accogliendola con un sorriso caloroso: << In vent’anni che lo conosco, non ho mai visto Fred fare nient’altro >>
<< Ciao Clio! Come va? >> le chiese George.
<< Bene! >> rispose lei allegra: << Cioè, alla metropolvere devo ancora farci il callo, ma almeno questa volta non sono spuntata nel camino sbagliato >> aggiunse con una risata.
<< Ci siamo passati tutti >> le assicurò Harry: << Io la prima volta che l’ho usata mi sono ritrovato in un quartiere malfamato di Londra. Comunque io sono Harry, piacere! >> aggiunse, facendosi avanti per stringerle la mano.
Dopo l’inevitabile giro di presentazioni, saluti e convenevoli, Molly li avvisò che mancava ancora mezz’ora per la cena; così, incitati da un emozionatissimo Arthur, Clio e Fred ne approfittarono per iniziare a montare l’apparecchio babbano di cui gli avevano parlato. A quanto pare si chiamava videoregistratore, e serviva per guardare quelli che Clio chiamò film; per funzionare, spiegò ad Arthur, andava collegato a quell’altra strana scatola nera che avevano portato, che si chiamava televisore.
<< E questo cos’è? >> chiese Arthur, esaminando l’ennesimo componente dell’apparato. Stavolta si riferiva a un piccolo cubo nero che avevano appena attaccato all’estremità di un lungo filo.
<< Quello è un porta-fulmini >> rispose Fred, lanciando uno sguardo orgoglioso a Clio, che rise.
<< Serve a fornire energia elettrica al videoregistratore >>
<< In realtà normalmente andrebbe attaccato alla presa della corrente, che sarebbe una fila di piccoli buchi che noi babbani facciamo nei muri, e che ci permette di collegarci alla rete elettrica. >> spiegò Clio ad Arthur, mentre lui osservava ogni cosa con curiosità.
<< La cosa? >> chiese lui.
<< La rete elettrica: un’infrastruttura che ci fornisce elettricità per far funzionare macchinari come questo. Ma nelle case magiche non arriva: per cui, quando mi sono lamentata del fatto che nel suo appartamento non ci fossero prese della corrente, suo figlio ha inventato questi >> concluse ridendo, indicando la scatola. Fred continuava a guardarla con lo stesso sorriso tronfio, e Clio arrossì lievemente sotto quello sguardo.
<< E cos’è che sarebbero i film? >> chiese Charlie.
<< Sono come delle recite, solo che le puoi guardare quando vuoi, e sono sempre uguali. Di fatto somigliano un po’ ai quadri magici, ma hanno una trama, come i romanzi, e gli scenari di sfondo cambiano. >>

Non fecero in tempo a vedere il videoregistratore in azione prima che fosse pronto da mangiare, ma sedendosi a tavola Arthur annunciò a tutti che dopo cena avrebbero guardato un film tutti assieme, proprio come fanno le famiglie babbane. Ginevra e i suoi fratelli erano tutti piuttosto divertiti a vederlo così su di giri; Molly fece sedere Clio tra Ginevra e Fred, e soprattutto lontano da Arthur, per assicurarsi che lui la lasciasse mangiare tranquilla, perlomeno.
<< Allora, com’è che vi siete conosciuti? >> chiese Bill.
<< Io lavoro part-time in una caffetteria di Londra, per pagarmi gli studi >> si accinse a raccontare Clio.
<< Ah sì? Cosa studi? >> chiese con interesse Percy.
<< Musica e recitazione, alla Guildhall… >>
<< Anche la nostra Ginny suona! Te l’ha detto Fred? >> intervenne Molly, dall’altra parte della tavola.
<< Davvero, e cosa suoni? >> le chiese Clio con un sorriso.
<< Il violoncello, più o meno… ma sono una principiante assoluta, non ho mai preso lezioni >> rispose Ginevra, un po’ imbarazzata dal fatto che sua madre avesse dovuto tirare fuori l’argomento quando si stava parlando di tutt’altro: << Ma piuttosto, ci stavi raccontando di come hai conosciuto Fred… >>
<< Sì, giusto >> considerò Clio; mangiò distrattamente un boccone, poi riprese a raccontare: << Dicevo, io lavoro in questo caffé. Un giorno, in un momento di calma piatta, compare questo ragazzo che dice di essere un prestigiatore. >> disse, indicando Fred con un gesto della mano. << E si vanta di conoscere dei giochi di prestigio che di sicuro mi avrebbero lasciato a bocca aperta. Ora, io di giochi di prestigio ne conosco parecchi, così gli ho risposto che ne dubitavo, e che ero convinta che sarei riuscita a capire quale fosse il trucco. >> qui Clio fece una pausa, e tutti risero, sapendo benissimo quello che lei all’epoca non sapeva.
<< Al che io le ho proposto una scommessa: se avesse perso e non fosse riuscita a scoprire il trucco, sarebbe uscita con me a cena. >> completò Fred sornione.
<< Sei un baro. >> lo motteggiò Clio, scuotendo la testa.
Fred allargò le braccia con fare teatrale: << Ma non è proprio essere un bravo baro, la vera arte del prestigiatore? >>
<< Ma la parte migliore della storia >> aggiunse George, ridendo: << E’ che adesso Clio sa quale fosse il trucco di Fred, mentre Fred non è ancora riuscito a capire quale sia il trucco dietro ai giochi di prestigio di Clio. >>
<< Tutto vero >> ammise lei compiaciuta.

Dopo cena, Clio fece scegliere loro tra le diverse cassette che aveva portato, e finirono con il guardare La bella e la bestia, una delle favole preferite di Clio.
La storia era molto carina, e guardandolo Ginevra pensò che sicuramente sarebbe piaciuta molto a Luna: con quella protagonista, considerata “strana” dai più, nonché amante dei libri e dei mondi immaginari. Ma c’era anche qualcos’altro che la colpì: quella rosa, un oggetto alla cui sopravvivenza la vita della Bestia era legata. perlomeno finché non fosse riuscito a tornare nel suo vero corpo… era incredibilmente simile a un Horcrux.
Quando il film finì, erano tutti un po’ sonnolenti, e inclini a ritirarsi per la notte - tutti tranne suo padre, che non aveva mai smesso di commentare quanto fosse strabiliante il frutto dell’ingegno babbano. Ginevra mostrò a Clio e Fleur la sua stanza, che per quella notte avrebbero condiviso: non avendo stanze a sufficienza, sua madre aveva trovato più opportuno dividere gli ospiti per genere. La stanza era un po’ piccolina per ospitare tre persone adulte, e i due letti aggiuntivi che vi erano stati materializzati ci erano stati solo per magia.
Usarono a turno il bagno più vicino, preparandosi per la notte. Ginevra se ne stava seduta sul suo letto, aspettando che toccasse a lei, e il suo sguardo non potè fare a meno di soffermarsi su Fleur: seduta anche lei nella luce della luna, la sua eterea perfezione da Veela contrastava nettamente con l’umanità delle emozioni che trasparivano dal suo volto. Sembrava così abbattuta.
<< Non ti ho ancora ringraziato per oggi >> disse Ginevra, rompendo il silenzio e con esso qualsiasi filo di pensieri turbasse sua cognata.
Fleur parve sorpresa: << E di cosa? >> chiese, con solo un lieve accento francese: negli ultimi mesi la sua pronuncia aveva fatto dei passi avanti incredibili.
<< Per esserti accaparrata mamma tutto il pomeriggio: so quanto può essere difficile da sopportare sotto le feste, di solito chiede a me di farle da assistente. Spero che non ti abbia maltrattata troppo… >>
Fleur le sorrise debolmente: << Non ti preoccupare Jinnì: tua madre non è cossì tromonda. Si ajita un poco, questo sì. >>
Ginevra ridacchiò a quella definizione: << D’accordo. Ma se qualche volta ti stressa troppo, non farti problemi a chiedere rinforzi: in due la si gestisce meglio. >>
<< Me ne ricorderò. >> rispose la giovane: il suo sguardo portava ancora un velo di malinconia, ma il suo sorriso iniziava ad estendersi al resto del volto. Quali che fossero i suoi pensieri, quell’insolito momento di cameratismo pareva averla rincuorata almeno un po’.
Ginevra stava quasi per azzardarsi a chiederle se qualcosa non andasse, quando Clio rientrò, in pigiama e con il beauty sottobraccio: << Bagno libero! >> annunciò, mentre si arrampicava sul letto di Fleur per raggiungere il proprio.
<< Vai pure prima tu! >> rispose Ginevra allo sguardo interrogativo della cognata.
<< Allora, come ti è sembrato il tuo primo film? >> chiese Clio allegra, puntellandosi su un gomito per guardarla.
<< Molto bello! La protagonista ricorda molto la mia migliore amica >> disse Ginevra ridendo.
<< Si è innamorata di un mostro dal cuore duro e lo ha trasformato in un principe? >> domandò con divertimento.
<< No, ma potresti facilmente trovarla a parlare con le pecorelle dell’ultimo libro che a letto. >> rispose Ginevra a tono.
Clio rise: << Sembra il tipo di persona con cui potrei andare d’accordo! >>
<< Ma ammetto che non è stato questo il mio primo film >> aggiunse poi Ginevra, ricollegandosi alla domanda iniziale. Uno sguardo interrogativo la invitò a continuare: << Per un po’ sono uscita con un ragazzo babbano, un paio di anni fa. Una sera mi aveva portata al cinema… Ma quel film non era all’altezza di La bella e la bestia, va detto. >>
<< E lui sapeva che tu fossi una strega? >>
<< In realtà no: è una storia che è durata un’estate… non valeva la pena di rompere il segreto. >> mormorò Ginevra; ma regnava un tale silenzio, che era certa che l’altra l’avrebbe sentita senza problemi. << E tu come hai reagito quando Fred te l’ha detto? >> chiese Ginevra, ripensando all’ultima conversazione che aveva avuto con Tom.
<< All’inizio ero convinta che mi stesse prendendo in giro… >>
Ginevra ridacchiò: doveva essere particolarmente difficile credere a una storia del genere per chi era cresciuto senza magia, soprattutto se veniva dalle labbra di una persona come Fred. << Come ha fatto a convincerti? >>
<< Mi ha preso per mano, ha fatto una piroetta, e un istante dopo eravamo dall’altra parte dell’Inghilterra. Nauseati, ma dall’altra parte dell’Inghilterra. A quel punto non ho avuto altra scelta che crederci. >> disse, persa nel ricordo. << E dopo quel momento… per me è stato un po’ come un sogno che si avvera, ad essere sincera. Ho sempre desiderato che la magia fosse reale. A vent’anni ormai mi ero rassegnata a cercarla in film e romanzi fantasy; ma scoprire che esiste davvero, e nel mondo in cui vivo… >> nella sua voce echeggiava ancora la meraviglia. << Un po’ mi dispiace non essere nata anche io coi poteri magici, adesso che so che esistono. Questo sì… anche più di un po’ >> aggiunse con un ghigno << Però mi sento incredibilmente fortunata ad avere conosciuto qualcuno che mi permette di prendere parte a tutto questo. Se penso che avrei potuto vivere tutta una vita a due passi da Diagon Alley, ma senza sospettarne l’esistenza… >> concluse l’ultima frase con uno sbadiglio, e si sistemò un po’ più comodamente nel letto.
<< Avete molti romanzi e film che parlano di magia? >> chiese Ginevra curiosa.
<< Moltissimi! >> disse lei, tra uno sbadiglio e un altro: << Ne ho iniziato a scrivere uno io stessa, un paio di anni fa… >>
<< Prima o poi ti toccherà farmelo leggere allora. >> commentò Ginevra in un sussurro.
<< Volentieri >> borbottò Clio contro il cuscino, chiaramente a un passo dal crollare.
<< Allora ci conto… Buonanotte >>
<< Buonanotte… >>
Ginevra cambiò posizione, soffocando uno sbadiglio; Fleur era ancora sotto la doccia. Forse avrebbe fatto meglio a dormire anche lei…

Ginevra si sentiva ancora intontita, avvolta com’era da un pigro, silenzioso dormiveglia, quando venne bruscamente riportata alla realtà dal rumore di qualcuno che bussava concitatamente alla porta: << E’ NATALEEE!!! >>
Aprì gli occhi di scatto, realizzando di colpo dove e con chi fosse, e in che giorno… Alla porta doveva essere uno dei suoi troppi fratelli.
<< Sbrigatevi che ci sono i regali! >> aggiunse la voce di Ron; poi passi che si allontanavano, giù per le scale.
Ginevra si guardò attorno: Clio e Fleur sembravano frastornate quanto lei, e Bowie la fissava dai piedi del letto.
Dopo avergli fatto qualche coccola, Ginevra si costrinse ad alzarsi: << Buon Natale! >> annunciò sonnacchiosamente. Quindi si infilò la vestaglia, prese in braccio il gatto, e seguì i fratelli al piano di sotto; Fleur la seguì subito dopo.
La maggior parte della famiglia era già radunata nel salotto: qualcuno aveva acceso il caminetto, la mamma stava mettendo su un tè, e le calze coi regali svolazzavano allegre per la stanza. Ginevra sentì un sorriso spuntarle sul volto: << Ci siamo già tutti? Chi va a prendere la scopa? >> chiese impaziente.
Clio fece il suo assonnato ingresso in quel momento e si guardò attorno, perplessità e gioia ugualmente presenti sul suo viso: << Buon Natale!!! E… perché serve una scopa? >>
<< Perché i regali te li devi guadagnare! >> le rispose Fred; proprio in quel momento, Charlie comparve dalla porta d’ingresso, con gli stivali innevati e una scopa da Quidditch in spalla.
Harry realizzò cosa stesse per accadere, entusiasta: << Merlino, questa è la migliore tradizione natalizia che io abbia mai sentito! >> poi si voltò verso Ron: << Questa non me l’avevi detta! >>
L’amico fece spallucce: << Se no poi qual era la sorpresa? >>
E così, a turno, ognuno di loro salì sulla scopa, per poi inseguire le varie calze volanti, cercando di capire quale fosse la propria; normalmente avrebbero dovuto semplicemente leggere il biglietto attaccato, ma la notte prima i gemelli le avevano stregate in modo tale che, se la persona sbagliata cercava di prenderne una, questa faceva un salto indietro, facendo pernacchie e urlando frasi come: << Non è per te, scemo! >> o << Giù le mani, lurido furfante! Non è roba tua! >>
Poiché Clio non sapeva volare, ma la sua calza non avrebbe accettato di farsi prendere da nessun altro (e nemmeno Clio stessa avrebbe accettato così facilmente di perdersi tutto il divertimento), Fred la fece salire sulla scopa con lui - anche se sotto il peso di tutti e due, questa traballò parecchio. Quando venne il turno di Ginevra erano rimaste solo tre delle undici calze iniziali, per cui fu una ricerca decisamente rapida: con sua grande delusione, venne insultata una volta sola prima di riuscire.
Presto tutti ebbero la loro calza, e arrivò finalmente il momento di aprirle: Ginevra vi trovò il tradizionale maglione fatto a maglia dalla madre, che quest’anno era di un bel blu notte, una scorta di cookies fatti in casa, e un cuscino per sedia assolutamente uguale a quelli di scuola…
<< Un cuscino-smemorino! >> trillò entusiasta, memore della promessa dei gemelli.
<< Un che cosa? >> chiese la madre.
<< Niente Ma'! >>
Fred e George le sorrisero dall’altra parte della sala, con un occhiolino silenzioso.

Più tardi quel giorno, Bill e Ginevra stavano facendo due passi sui prati innevati che circondavano casa. Lui e Fleur sarebbero andati via nel pomeriggio, dato che l’indomani erano invitati dai genitori di lei. Ma c’era qualcosa di cui Bill voleva parlare con Ginevra prima di ripartire; o almeno, così le aveva detto.
<< Allora, di che si tratta? >> chiese lei, dopo un po’ che i due passeggiavano nella neve.
<< In realtà più che altro volevo sapere come stessi; è un sacco che non parliamo, e sono successe parecchie cose… >> Bill non sapeva quanto avesse ragione, pensò Ginevra tra sé e sé; << E tu non hai mai risposto alla mia lettera. >>
Ginevra si sentì vagamente in colpa: Bill le aveva scritto circa a metà trimestre, ma immersa com’era nei suoi drammi, lei aveva procrastinato di rispondere fino a dimenticarsene.
<< Non lo dico per farti sentire in colpa, Ginny… lo sai che sono il primo che ci mette due anni a rispondere, se lo fa. Infatti inizialmente non ci avevo dato peso, soprattutto quando Silente mi ha detto che eri impegnata a organizzare un gruppo di studio clandestino… >> disse Bill con un sorriso divertito. 
Ginevra gli rivolse uno sguardo sorpreso: << Silente ti ha detto dell’AUDE? >>
<< Sì, ha chiesto nell’Ordine se ci fossero volontari per insegnarvi un po’ di Difesa fatta come si deve, e alla fine è venuto fuori un collettivo di insegnanti da far paura. Mi stupirei se un quarto di quei ragazzi non scegliesse di diventare Auror, alla fine… Ma tornando a noi: quello che mi ha stupito è che quando sono venuto a Hogwarts a farvi lezione Ron mi ha detto che avevi abbandonato l’AUDE per studiare >>
<< Non sapevo che fossi uno degli insegnanti! >> disse Ginevra con un sorriso: << E com’è andata? >>
<< Bene! >> rispose Bill: << Ho spiegato un po’ di cose su come individuare e disinnescare trappole magiche, con qualche simulazione… cose da Spezzaincantesimi. Credo che si siano divertiti. >> il fratello stava assecondando il tentativo di Ginevra di sviare il discorso, ma lei sapeva benissimo che più temporeggiava, più lui si sarebbe preoccupato.
<< Dev’essere stata una bella lezione, mi spiace essermela persa >> disse, osservando distrattamente uno gnomo che scompariva dentro a un cespuglio: << E mi spiace anche aver lasciato l’AUDE… Ma questi ultimi mesi, dall’estate in poi, sono stati un periodo davvero strano. La Camera dei Segreti, la convalescenza, il ritorno di Voldemort… non lo so, non ho le energie per mettermi a complicare le cose più di quanto già non siano. Vorrei solo fingere che tutto sia normale, almeno per un po’. E magari evitare di farmi bocciare. >> disse, dando un calcio a un cumulo di neve. << Lo so che tutto questo è molto poco Grifondoro, e non è per niente quello che ti aspetti da me, e nemmeno quello che io mi sarei aspettata da me… Ma non ce la faccio a essere quella persona in questo momento. >> aggiunse tetra, stanca di dover miscelare verità e menzogne in quel modo: << Mi spiace se ti ho deluso. >>
Bill scosse la testa: << Non mi hai deluso Ginny, e non devi preoccuparti di questo… rimani la mia scimmia preferita, qualsiasi cosa tu decida di fare. Comunque non saprei se questo lo definirei poco Grifondoro: ci vuole molto più coraggio e molta più maturità a prendere una scelta impopolare e mantenerla, che non a fare gli scavezzacollo in gruppo. Io alla tua età non penso che ne sarei stato capace. >> Dopo aver detto ciò tacque, ma si vedeva che aveva altro da dire. Ginevra continuò a camminare in silenzio, lasciando che inseguisse il suo filo di pensieri.
<< Mi dispiace che sia un periodo così incasinato >> aggiunse infine Bill. << Non avevo idea di come la stessi vivendo… effettivamente non ne abbiamo mai parlato. Tu hai rischiato di morire, e io ero troppo preso dai preparativi per il matrimonio per preoccuparmi di come stessi al di là della salute fisica. >> ammise. Poi smise di camminare per un attimo, e passò un braccio attorno alle spalle di Ginevra: << Hai proprio un fratello del cavolo! >> esclamò con un ghigno, scompigliandole energicamente i capelli e buttandoglieli davanti alla faccia.
<< Razza di… >> imprecò lei, ridendo; si accucciò di scatto, sfuggendo alla sua presa, e raccolse una manciata di neve per lanciargliela contro.
Lui corse via, e parò il suo attacco con un guizzo della bacchetta, chinandosi per lanciargliene a sua volta.
<< Non vale la magia! >> protestò Ginevra, schivando il colpo e lanciandogli una palla di neve dopo l’altra.
Bill era perfettamente in grado di affrontare discorsi seri. Solo, non lasciava mai che durassero più di dieci minuti. E di questo Ginevra era immensamente grata.

La battaglia continuò finché, a furia di correre e inseguirsi, entrambi furono a corto di fiato. Avevano neve dentro le scarpe, nelle pieghe dei vestiti e impigliata nei capelli, ma nessun rimpianto.
<< Allora >> ansimò Ginevra << Tu cosa racconti invece? >>
<< Io… direi bene, ritorno di Voldemort a parte. Continuo a fare avanti e indietro dai quattro angoli del mondo per la Gringott, ma sto cercando di passare un po’ più di tempo qua in Inghilterra: un po’ mi dispiace partire così spesso, adesso che c’è Fleur ad aspettarmi a casa. >> disse con un sorriso: << Ma va anche detto che il mio lavoro rimane il più figo, e sono discretamente convinto che sia grazie alle mie periodiche assenze che mia moglie non si è ancora stufata di me. >>
<< Onesto >> rise Ginevra: << A proposito… Ieri sera l’ho vista un po’ giù. Qualcosa non va? >>
Bill la osservò di sottecchi, meditabondo: << Non proprio… è solo che Fleur è un po’ più insicura di quanto voglia mostrare. Ha avuto l’impressione che, nonostante sia l’ultima arrivata, la ragazza di Fred piaccia più di lei in famiglia, e ci è rimasta un po’ male. E anche in passato qualche volta era entrata in paranoia sostenendo di stare antipatica a tutti, ma vedere Clio ricevere un benvenuto così caloroso, quando mamma all’epoca era stata così fredda nei suoi confronti… >>
<< Mi sa che nemmeno io sono stata dolcissima con lei all’inizio. >> ammise Ginevra suo malgrado: << E’ che mi era sembrata così altezzosa durante il Torneo… e la scelta di sposarsi era stata così improvvisa… >>
<< Ed eri così gelosa all’idea di dover condividere il tuo meraviglioso fratellone… >> la interruppe Bill, un ghigno impertinente stampato in volto: << Lo so, lo so, lo capisco. Faccio questo effetto sulle donne. >>
Con una linguaccia, Ginevra gli lanciò in faccia una manciata di neve.
<< Comunque mi dispiace di essere stata così pessima con Fleur… >> disse: << Non mi ero resa conto che lei ne soffrisse. >>
Mentre Ginevra parlava, Bill era ancora impegnato a scrollare la neve dai capelli, che quel giorno aveva fatto l’errore di lasciare sciolti, probabilmente nella vana speranza che lo proteggessero dal freddo. Si strinse nelle spalle, rassegnato: << Forse era inevitabile che andasse così: Fleur è una persona fantastica se la conosci, ma ci mette un bel po’ ad aprirsi, e fino a quel momento, da fuori rischia di sembrare un cubetto di ghiaccio. Ma se riuscissi a darle un’occasione per dimostrarti che non è così male, te ne renderesti conto tu stessa. >> suggerì; << E per il passato, non ti preoccupare: non è tipo da legarsi certe cose al dito… Non troppo a lungo, almeno. >>

Bill e Ginevra tornarono a casa; i bagagli di Bill e Fleur erano già nell’ingresso quando arrivarono, e quest’ultima stava chiacchierando con Charlie accanto al camino. Bill si tolse le scarpe e li raggiunse, lasciando impronte d’acqua mentre la neve sui suoi abiti si scioglieva; Ginevra invece si fiondò di sopra, impaziente di farsi una doccia calda.
Una mezz’ora dopo, Ginevra sedeva tranquilla nella sua stanza. Aveva recuperato la sensibilità degli arti e indossato finalmente abiti asciutti; stava strofinando con un asciugamano i capelli ancora umidi, quando Clio fece capolino alla porta.
La camera era ancora uno strano tetris di letti, e Clio era inginocchiata accanto al suo, mentre cercava qualcosa nella valigia.
<< Ciao Ginny! >> la salutò con un sorriso. Indossava il suo primo maglione stile Weasley, notò Ginevra: era di un rosso caldo, con una C dorata sul petto.
<< Ciao Clio! >> rispose lei.
<< Reduce da una battaglia a palle di neve, ho sentito >> commentò la ragazza mentre faceva lo slalom per sedersi accanto a lei.
<< Già! Tu sei già stata a fare un giro fuori? Le colline sono carine, così innevate >>  rispose Ginevra, riemergendo da dietro all’asgiugamano.
<< Sì, io e Fred siamo stati fuori stamattina! Buffi gli gnomi! >> commentò Clio: << Ma piuttosto… Quello deve essere il famoso violoncello, immagino? >> chiese, indicando la grossa custodia impolverata coricata su un lato, contro la parete.
<< Sì. >> confermò Ginevra: << Tu lo sai suonare? >>
<< No, io studio canto e pianoforte… ma ammetto che sarei molto curiosa di sentirti suonare. Fred mi ha detto che la musica fatta dai maghi è diversa. >>
<< Sì, la magia traduce in note le emozioni… poi però è la bravura del suonatore a determinare la bellezza del risultato, e ti assicuro che a me la tecnica manca proprio. Mia nonna aveva iniziato a insegnarmi quando ero bambina, ma non ho fatto in tempo a imparare molto. >> considerò Ginevra, scrollando le spalle; nonna Cedrella era morta prima che lei iniziasse la scuola, e le aveva lasciato quell’antico violoncello. Lo strumento riportava ancora lo stemma dei Black sul retro.
Sotto insistenza di Clio, Ginevra lo estrasse dalla custodia, assieme all’archetto e al diapason, e poggiò lo strumento tra le ginocchia: << Ci metterò un po’ ad accordarlo, ti avviso >>
<< Non ho fretta >> rispose Clio, mettendosi comoda sul letto di fronte a lei.
Sentendosi un po’ stupida ad esibirsi sotto lo sguardo di una studentessa di conservatorio, Ginevra si diede il Là con il diapason, e proseguì a tendere e allentare i piroli del violoncello, finché le corde non produssero le note corrette. Era una bella sensazione, percepire la cassa vibrare di quei suoni, e concentrarsi su quei gesti le fece dimenticare l’imbarazzo. Fece scorrere l’archetto, controllando ancora una volta l’accordatura, poi trasse un respiro profondo: Clio era curiosa di sentire il modo in cui la musica magica poteva esprimere le emozioni… Posizionò la mano sinistra sulla tastiera, e iniziò. Si sentiva bene a suonare di nuovo, e le note calde con cui le rispose lo strumento sembravano un tenero bentornata. Si sentiva bene, in quei giorni, in generale: stava lentamente riacquistando un po’ di controllo sulla sua vita. Suoni vivaci e speranzosi si librarono nell’aria, e ascoltandoli Ginevra si rese conto di una cosa: lei amava la sua vita: aveva un’amica come Luna, pensò con gioia, e fratelli che nonostante tutto erano lì a guardarle le spalle. Il suo cuore era gonfio di apprezzamento per il presente, e ancora una volta la paura del futuro andava trasformandosi in sconsiderata curiosità. Suo malgrado Ginevra apprezzava quel brivido… E poi c’era Tom.
Per un istante Ginevra si fermò, e l’ultima nota risuonò titubante nell’aria, fino a spegnersi. Ginevra non sapeva cosa pensare di Tom. Lenta e cauta, riprese a suonare, plasmando una nuova, dubbiosa melodia. O meglio: man mano l’immagine che aveva di lui iniziava a diventare più tridimensionale, un po’ meno confusa. Iniziava a capire come Tom e Voldemort potessero essere la stessa persona, pensò, mentre muoveva le dita sui tasti. Una persona assurda e senza scrupoli - una nuova e più vera, complessa, pericolosa versione dell’amico immaginario che l’aveva accompagnata per anni. Una persona reale, in carne ed ossa e difetti, e che letteralmente custodiva un frammento della sua anima. Forse il tempo le avrebbe permesso di capire meglio chi fosse, e cosa fare di quel rapporto sbagliato. E di tempo, del resto, ne avrebbero avuto parecchio…
Su queste note, Ginevra si fermò: << E questo è il meglio che io sappia fare… >> annunciò con un sorriso di scuse.
<< Molto interessante! >> disse Clio affascinata: << E’ come il canto in un certo senso: la capacità di modulare la voce va imparata, ma l’emozione se c’è traspare da sola. >>
Ginevra sorrise, contenta che non fosse rimasta delusa dalla sua manchevole performance. << Sì, è davvero bello suonare così; magari quando avrò uno stipendio cercherò qualcuno che mi insegni a suonare davvero. >> considerò; poi ripose lo strumento, e con esso mise momentaneamente da parte anche quei pensieri.
<< Clio, posso chiederti una cosa? >>
<< Certo, dimmi. >> rispose la ragazza, sorpresa da quel cambio di tono.
<< So che non c’entra niente, ma… stavo ripensando a quello che mi dicevi ieri sera, di come avresti potuto trascorrere tutta la tua vita senza sapere che la magia esistesse, e mi chiedevo: secondo te prima o poi potrebbe essere possibile vivere senza il segreto? Si tende a pensare che la convivenza pacifica sia impossibile, perché i babbani in passato più volte hanno dato la caccia a quelli come noi… ma i tempi cambiano, forse. Secondo te, la società in cui vivi, come prenderebbe la notizia? >>
Clio rifletté un attimo, soppesando quel fiume di parole: << In realtà non lo so. Non penso che potrebbe esserci una transizione troppo facile, perché stravolgerebbe totalmente il mondo come lo conosciamo. Ci sarebbero le difficoltà a far integrare quelle che comunque sono due culture diverse, e la paura della diversità… Forse sarebbe possibile, ma sicuramente avrebbe un prezzo, e non credo che il risultato sarebbe prevedibile. Non ho una grande fiducia nella società in cui vivo. >> disse, facendo una smorfia; poi aggiunse: << Però io non sono un’esperta né del mondo magico, né di sociologia. >>
<< Sociologia? >> chiese Ginevra, perplessa di fronte a quella parola mai sentita.
<< E’ po’ come la psicologia, solo che anziché studiare i meccanismi interni dell’individuo studia quelli che regolano le società. >>
<< Se vuoi posso far finta di sapere cosa sia la psicologia… >> rispose Ginevra, imbarazzata.
Clio rise, e si accinse a spiegarglierlo; e tra una domanda e l’altra, trascorsero il resto del pomeriggio impegnate in questo curioso scambio culturale.

 


12/06/21
Ci rivediamo verso metà Luglio con il prossimo capitolo! 
Grazie di averci seguite fin qui, speriamo che la storia vi stia piacendo :)


 

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Capitolo 22
*** Capitolo XIX ***


Capitolo XIX



L’ultimo giorno dell’anno, come da tradizione, Ginevra si trovava a casa Lovegood. Quest’anno, in particolare, il padre di Luna era via per lavoro, quindi le due godevano di completa autonomia.
Passarono tutta la mattinata del 31 Dicembre, nonché una buona fetta del pomeriggio, nella curiosa stanza a mezzaluna che era la cucina di casa Lovegood, intente a parlare di un po’ di tutto, oltre che a infornare, bruciacchiare e mangiare biscotti al cioccolato, accompagnati da té caldo. L’intenso odore di cacao si mescolava al profumo del tè al bergamotto, ma a malapena copriva il caratteristico aroma di carta stampata che da sempre impregnava casa Lovegood.
Luna rivolse a Ginevra un sorriso complice, ignara delle tracce di cioccolato che le decoravano il viso: << Allora, sei pronta per la nostra seduta di divinazione? >>
Ginevra ridacchiò di sottecchi, mentre sorseggiava il suo té. Era di rito che, alla vigilia del nuovo anno, Luna leggesse l’I-Ching per entrambe: le prime volte lo avevano fatto per gioco, ma con il tempo l’amica si era appassionata. Ginevra non aveva molta fiducia nella divinazione, ma aveva imparato a tenere in alta considerazione quel rituale. Che funzionasse o meno, l’I-Ching costituiva un’ottima occasione per riflettere sulle loro vite: raccogliere le idee sul presente, immaginare il futuro… 
<< Credevo che volessi aspettare la sera per cominciare >> rispose infine.
<< Sì, questo è vero, ma sono molto curiosa di sentire il tuo responso. >>
<< Hai già previsto di cosa voglio chiedere, immagino. >>
<< Beh, la tua vita è legata a doppio filo a quella di Voldemort: se non richiede una profezia questo, non so cos’altro. >>
<< Effettivamente. >> acconsentì Ginevra: << Tu invece, cosa vuoi chiedere? >>
<< Ci stavo riflettendo. Da un lato sarebbe divertente chiedere di Theodore, ma in realtà non credo che avrebbe senso: con lui sta andando tutto molto bene. D’altro canto non ho ancora deciso cosa fare della mia vita, e tra due mesi sarò maggiorenne, quindi probabilmente chiederò un consiglio sulla mia carriera. >> 
A quelle parole, Ginevra si contorse sulla sedia: quanto tempo era che non dedicava mezzo pensiero al futuro, lei? Non sarebbero rimaste ad Hogwarts ancora a lungo.
<< Comunque hai ragione >> disse dopo un po’ Luna: << E’ meglio aspettare la sera per l’I-Ching: le candele al buio sono molto più suggestive. >>

Qualche ora più tardi, le due ragazze salirono la lunga scala a chiocciola che collegava i locali di quella casa cilindrica: superarono la stamperia, poi la stanza del signor Lovegood, e infine valicarono la botola che dava sulla stanza di Luna. La sua cameretta, che occupava per intero l’ultimo piano, era un cerchio perfetto: le pareti erano percorse da lunghe mensole, cariche di libri e piante esotiche; il soffitto, fatto interamente in vetro, si apriva sul cielo serale e sulle poche nuvole che lo attraversavano.
Mentre Luna organizzava il materiale per il rito, Ginevra dispose nell’aria dodici candele galleggianti. Le accese una ad una, inspirando con gusto il morbido odore della cera che si scioglieva. Quando Luna finì di prepararsi, Ginevra la raggiunse e prese posto di fronte a lei, sedendo a gambe incrociate sul letto. Il libro dei mutamenti, il mazzetto di steli di achillea, nonché piuma e pergamena per prendere appunti, erano adagiati sul copriletto dinanzi a loro.
<< D’accordo, iniziamo da te. >> disse l’amica.
<< Sicura? >> chiese Ginevra: << Potrebbe andare per le lunghe. >>
Luna fece un gesto noncurante con la mano, e si mise all’opera: << Scherzi? Dopo tutto quello che è successo, mi interessa quasi più il tuo responso che il mio. >>
L’amica iniziò a compiere quelle operazioni incomprensibili che con gli anni Ginevra aveva imparato a trovare familiari: precise e delicate, le dita di Luna divisero in due il mazzo di steli, contarono gruppi di quattro, raccolsero l’avanzo nella mano sinistra, lo misero da parte; e poi da capo, ancora e ancora, in un flusso di gesti ipnotici, annotandosi ogni tanto un numerino sulla pergamena. Era un processo lungo, ma non era vuoto né noioso: quel tempo serviva all’amica per concentrarsi sulla domanda, in modo che la risposta potesse avere senso. Vi si concentrò anche lei, mentre osservava sovrappensiero quei movimenti: rivangò tra gli eventi di quegli ultimi mesi, lasciando affiorare i ricordi. Ripensò a Tom, al suo comportamento, i suoi discorsi e tutti gli interrogativi ancora in sospeso, e si ritrovò a contemplare l’ignoto che la attendeva. La domanda che si fece strada nella sua mente era semplice: e adesso?
Dopo circa mezz’ora, Luna si riscosse e disegnò sei linee sulla pergamena.
<< Ho finito. >> annunciò soddisfatta. Poi sfogliò il libro dei mutamenti in cerca di quel simbolo, impaziente di leggere il corrispondente responso.
Ginevra osava a malapena respirare, mentre gli occhi dell’amica scorrevano sulle pagine e le sue sopracciglia si aggrottavano sempre di più.
Quando Luna sollevò lo sguardo, sembrava perplessa: << Ecco… >>
<< E’ pessimo, vero? >> la interrogò Ginevra, proccupata da quella suspense.
Luna diede un altro sguardo al libro che teneva in grembo: << A dire il vero, no. Tutto il contrario. >>
Ginevra strabuzzò gli occhi a quelle parole, ma tacque, lasciandole il tempo di raccogliere le idee e spiegarsi meglio.
<< E’ un ottimo responso. Mi aspettavo un sacco di “se” e “ma” anche nel caso in cui il messaggio generale fosse stato positivo, invece… Ginny, qui dice solo cose buone. Non c’è l’ombra di un avvertimento. Guarda! >>
La ragazza girò il libro verso di lei e Ginevra lesse, pur sapendo benissimo che non avrebbe capito una parola: “Esagramma 31, Il Congiungere: una congiunzione che ristabilisce un’unità originaria e una reciproca influenza tra le parti”. Seguivano una serie di parole sconnesse e dal significato poco chiaro, ma decisamente non negativo: Crescita, Significativo, Raccogliere, Prova.
<< Cosa significa, secondo te? >> chiese Ginevra, turbata.
<< Beh, naturalmente ci sono riferimenti al vostro legame ovunque: c’è un’intera sezione che parla di “arresto e apertura”, una sorta di equilibrio tra chiusura e contatto, comunicazione. Il significato di quella parte mi sembra abbastanza ovvio. >> azzardò Luna, cercando conferma con lo sguardo.
Ginevra annuì e le fece cenno di continuare.
<< Il piano di lettura più immediato è quello del contatto mentale, ma penso che potrebbe applicarsi in generale al vostro rapporto. Per il resto sembra indicare una grande opportunità per qualcosa di buono; sembra che ti stia suggerendo di accettare Tom e conoscerlo, anche se non capisco proprio perché ci sia scritto di “usare il vuoto” per farlo. >>
<< Potrei avere un’idea sul significato di quella frase. >> intervenne Ginevra, ripensando istintivamente all’incubo da cui aveva sottratto Tom un paio di mesi prima: “vuoto” era esattamente il termine che avrebbe utilizzato per descriverlo. Sentiva freddo al solo ricordo.  
Una volta che Ginevra ebbe finito di raccontarle del sogno, l’amica annuì: << Funziona. Forse quel sogno potrebbe essere la chiave per comprendere il suo comportamento. >>
Il vuoto. Cosa diceva di Tom? In che modo le sue paure profonde influenzavano le sue motivazioni? Ginevra si appuntò quelle domande su un pezzetto di pergamena, determinata a tornarci sopra in un secondo momento.
<< Cos’altro dice il responso? >> chiese.
<< Nulla di molto rilevante. Il tuo secondo esagramma è Il Conglomerare, che in breve ripete tutti i temi del primo, in modo forse ancora più positivo. >> riferì Luna dubbiosa.
<< Non ha senso. >>
<< Già. >> Luna chiuse il libro, scuotendo la testa: << Cioè, ovviamente sarebbe fantastico se la presenza di Voldemort nella tua vita dovesse portare solo cose belle, ma… >> una smorfia di rabbia e disgusto le attraversò il volto nel pronunciare quel nome.
<< Già, poco verosimile. Però è anche vero che ho già accettato di farmi insegnare occlumanzia da lui, quando torneremo a scuola, e che grazie alla Camera sto imparando parecchie cose: forse sono queste le opportunità costruttive di cui parla. >>
<< Si era anche offerto di mostrarti alcuni ricordi >> ricordò Luna: << Si è più detto niente al riguardo? >>
Ginevra scosse la testa: aveva ripensato spesso a quell’offerta, ma l’idea di tirare fuori l’argomento con Tom la faceva sentire a disagio. Si era offerto lui, ma sembrava comunque una richiesta invadente… 
<< Non gli hai più chiesto nulla? >>
<< Non c’è stata occasione. >> glissò Ginevra, stringendosi nelle spalle.
<< Oppure hai paura di scoprire la verità >> la canzonò l’amica.
<< Non ho affatto paura di scoprire la verità! >> sbottò Ginevra, troppo Grifondoro per non cedere alla provocazione: << Non sarei arrivata fin qui se così fosse! >> affermò a testa alta.
<< Allora hai in mente di tirare fuori l’argomento la prossima volta che lo sentirai, immagino? >>
<< Naturalmente. >> ribattè Ginevra, imperterrita: del resto, prima o poi avrebbe dovuto farlo in ogni caso.
<< Ma che dici, passiamo alla tua lettura adesso? Si sta facendo tardi. >>
<< D’accordo. >> acconsentì Luna; quindi recuperò gli steli di achillea e si preparò a ripetere il rituale da capo.
Dopo un lungo processo di lettura e interpretazione, l’amica chiuse il libro e guardò Ginevra soddisfatta: << Dice di continuare sulla mia strada con impegno e salire gradino per gradino con le mie forze, di seguire la mia individualità senza impormi restrizioni, e senza ossessionarmi per trovare uno scopo. La mia specialità! >> disse con un sorriso. << Ma c’è una frase che potrebbe essere un indizio importante: il cielo e la terra e le miriadi di esseri coinvolgono motivazione, permettendo di vedere davvero. >>
<< E questo vorrebbe dire…? >> chiese Ginevra, confusa come al solito dal linguaggio dell’I-Ching.
<< Che la mia strada è sicuramente legata alla natura! E’ da un po’ che stavo considerando di diventare anch'io una ricercatrice, come mamma, solo che ricercherei creature e piante magiche anziché incantesimi. Lo sai che adoro le creature magiche! E sono assolutamente certa che la “miriade di esseri” si riferisca a questo. >>
Ginevra provò ad immaginare Luna come una ricercatrice sul campo, in giro per il mondo in cerca di nuove e strane specie, o lottando con la comunità accademica per far riconoscere le proprie scoperte: << Devo ammettere che ti si addice molto. >> le disse, e l’amica le rivolse un sorriso raggiante.
<< Lo penso anch’io; però avevo escluso quella strada perché sembra così difficile riuscire a renderlo davvero un lavoro. Senza fondi dal Ministero è praticamente impossibile fare quel tipo di ricerca, e di fondi per le cose interessanti non ne stanziano mai: è per questo che papà è diventato giornalista e ha fondato il Cavillo. Sono anni che non ha occasione di fare un vero e proprio viaggio di esplorazione. >> spiegò, in tono pratico e un po’ disilluso.
Incerta su cosa dire, Ginevra estese un braccio nella sua direzione, e la prese per mano. I loro sguardi si incrociarono in silenzio, e l’amica abbozzò un sorriso.
<< Però forse io troverò un modo. >> aggiunse infine Luna, un po’ più accorata di prima. Le si leggeva negli occhi quanto profondamente lo desiderasse.
<< Riuscirci sarebbe un sogno, >> proseguì: << ma per ora voglio lasciarmi aperte più strade. Forse potrei iniziare facendo qualche corso sulle creature magiche dopo la scuola. >> disse speranzosa, e per un momento il suo sguardo si perse a visualizzare chissà quali futuri.
Ginevra sorrise, un po’ commossa di fronte a quel ritrovato entusiasmo: << Sono sicura che troverai la tua strada, e che ti renderà felice. >> disse, abbracciandola forte.
<< Grazie! >> rispose Luna, ricambiando l’abbraccio. Rimasero così per qualche momento, poi Luna si raddrizzò per controllare l’orologio: << E’ quasi mezzanotte! >> annunciò.
Ginevra si voltò a guardare le lancette che si avvicinavano al numero dodici, e da un cassetto dimenticato della sua memoria emerse un’informazione che non sapeva nemmeno di possedere: << Oggi era il suo compleanno… >>
Luna inclinò la testa e la guardò incuriosita: << Di chi? >> chiese, ma parve leggerle in volto la risposta: << Oh. >>
<< O perlomeno il suo primo compleanno. >> precisò Ginevra: << Secondo te come funziona ora che è morto e tornato in vita? Quale dei due conta? >>
Luna scrollò le spalle: << Io festeggerei comunque il primo. Tecnicamente non è mai morto, e quindi la seconda volta non conta come nascita. >>
Per qualche secondo, Ginevra ponderò l’ipotesi di fargli gli auguri: ma era dalla loro ultima conversazione che non avevano avuto il minimo contatto, e forse farsi viva solo per fargli gli auguri sarebbe stato strano.
<< Basta parlare di Tom, adesso >> disse infine, riscuotendosi da quei pensieri: <<  O di questo passo rischiamo che si affacci a chiedermi perché gli fischiano le orecchie. >>
Luna ridacchiò a quel pensiero, e accettò di buon grado il cambio di argomento. Estrasse due biscotti al cioccolato dalla scatola in cui li avevano archiviati in attesa della mezzanotte e gliene porse uno: << Buon anno, nella speranza che sia meno assurdo, ma più folle del precedente! >>
Ginevra si raddrizzò a sedere: << Buon anno, Luna. E grazie di essere la mia migliore amica. >> disse, e le rivolse uno sguardo che sperava potesse trasmettere tutta la sua riconoscenza e il suo affetto. Raccolse il biscotto offertole dall’amica e brindarono con quelli, sbriciolando accidentalmente dappertutto: un’altra bellissima tradizione.


Qualche ora dopo, Ginevra giaceva sveglia, lo sguardo perso nel cielo oltre il soffitto. Accanto a lei Luna dormiva da un pezzo, il respiro profondo e regolare; da qualche parte, un orologio ticchettava lento. Erano passate solo poche ore dal compleanno di Tom: forse avrebbe ancora potuto fargli gli auguri. Non era certa che avesse senso, ormai era passata la data, e non era affatto convinta che a Tom sarebbe importato granché dei suoi auguri; però era strano esserselo ricordata e non dirgli niente. Chissà se era sveglio. Nel dubbio, Ginevra chiuse gli occhi e provò ad affacciarsi sulla coscienza di lui: che dormisse o meno, Tom doveva avere le difese alzate, perché la sua mente rimaneva insondabile.
Ginevra? Risuonò la voce di lui dopo un istante: Ti serve qualcosa?
Lei esitò, presa in contropiede: Tom era stato davvero rapido a cogliere la sua presenza, e lei non aveva fatto in tempo a pensare a cosa dire se lui fosse stato presente.
Ehm, non proprio, ammise: In realtà mi chiedevo solo se fossi sveglio.
Hai la tua risposta, allora.
Commentò lui divertito.
Ginevra trasse un respiro profondo e si buttò, prima di poter cambiare idea: So che era il tuo compleanno ieri. Quindi… auguri in ritardo?
Come fai a saperlo?
Chiese Tom dopo qualche istante.
Ho letto una tua biografia e c’era la tua data di nascita. Di solito è questo che fanno le biografie.  Rispose lei canzonatoria.
Per un po’ Ginevra aspettò che lui rispondesse in qualche modo, ma dopo alcuni interminabili secondi di silenzio decise che erano andati ben oltre un livello sopportabile d’imbarazzo: Se ti dà fastidio che io ti abbia fatto gli auguri, è un problema tuo e non lo voglio sapere, annunciò, confusa ed esasperata, congedandosi da quella conversazione. Aprì gli occhi e tentò di chiudere ogni collegamento con la mente di Tom, ma sentiva ancora la sua presenza in modo molto distinto.
Ginevra… cosa stai dicendo? La inseguì la voce di lui: Non mi dai fastidio.
Ah no? Chiese lei, dandosi silenziosamente dell’idiota: sentì volto, orecchie e collo avvampare.
No, certo che no; mi hai solo colto di sorpresa. Grazie.
La sua voce risuonava calma nella mente di Ginevra e, per qualche motivo, questo rese la situazione ancora più imbarazzante.
Oh. Prego.
Ci fu un altro silenzio, un po’ più rilassato dei precedenti.
Quindi… Buonanotte? Chiese Tom dopo un po’, una vena di divertimento nella voce: Ginevra era discretamente certa che le stesse facendo il verso.
Aspetta. lo fermò lei, prendendo coraggio: Ci sarebbe un’altra cosa. Qualche tempo fa ti eri offerto di mostrarmi il tuo punto di vista... su di me.
Ricordo.
E’ ancora valida la proposta?
Naturalmente.

Il tono di lui era calmo, privo di una particolare inflessione: Ginevra faticava a immaginare che a lui fosse davvero indifferente l’idea di aprire la sua mente a qualcun altro, ma plausibilmente Tom non aveva alcun interesse a lasciare trasparire come si sentisse al riguardo. In ogni caso, non sembrava infastidito dalla richiesta.
Credo sia una buona idea dare la priorità a questo. Aggiunse lui. Le nostre lezioni potranno iniziare subito dopo.
Ginevra annuì, sollevata; lui non poteva vederla, ma il suo assenso dovette trasparire in ogni caso.
Ti ricontatterò quando sarai rientrata ad Hogwarts allora, per accordarci sulla data.
D’accordo. Pensò Ginevra, sprofondando un po’ di più nel cuscino: era stato più semplice del previsto. Ora che era più tranquilla, il sonno iniziava ad annebbiarle la mente…
Già stanca a quest’ora? Dilettante. La punzecchiò Tom.
Lei fece una linguaccia nel buio. Buonanotte, Serpe. Pensò con uno sbadiglio.
Sentì una risata provenire dall’altra mente, poi più nulla.


 

Scusate il ritardo, abbiamo dovuto fare qualche revisione prima di pubblicare.
Per il prossimo capitolo potrebbe volerci un po' più di tempo (anche se non tantissimo, si spera), quindi per ora non riusciamo a dare una data precisa di pubblicazione. Se tutto va bene dovremmo rifarci vive a fine Agosto.

P.S: la lettura dell'I-Ching l'abbiamo fatta davvero, e questi sono esattamente i responsi che abbiamo ricevuto, li abbiamo solo riassunti per non annoiarvi... ma avranno detto il vero? ;)

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Capitolo 23
*** Capitolo XX ***


 

AVVISO
Buondì! Da inizio anno stiamo pubblicando regolarmente tutti i mesi, per cui per chi non li ha ancora letti il capitolo 13 è l'ultimo capitolo "vecchio", ma si tratta comunque di una versione revisionata, e tutti i capitoli successivi sono stati scritti e pubblicati nel 2021. Lo sottolineiamo perché il numero di visualizzazioni di questo capitolo è circa il doppio di quello del precedente, che invece ha un numero di visualizzazioni notevolmente sotto la media ;)
Detto questo, se sapete di avere già letto il precedente... buona lettura! :D

 



Capitolo XX

 

Nella penombra di quell’alba invernale Ginevra si aggirava per la cucina di casa sua, avvolta in un bozzolo di lana arancione. La lunga veste sformata che indossava era un vecchio pigiama di Ron, e non era certo una bella vista: i boccini disegnati su di essa erano ormai stinti, e a uno sguardo distratto sarebbero passati per macchie. Tuttavia, rimaneva la più calda delle vestaglie di Ginevra, ed era perfetta per mattine come quella.
Mentre preparava la tavola per lei e sua madre, gli unici suoni erano il lento borbottare della teiera e i rumori sordi delle stoviglie contro il legno. Le vacanze di Natale finivano quel giorno e più tardi lei, Ron e Harry sarebbero saliti sull’Espresso per Hogwarts. Mancavano ancora diverse ore, i bagagli erano pronti, e gli altri stavano ancora dormendo; ma prima di tornare a Hogwarts Ginevra doveva passare al San Mungo per una visita di controllo, per cui si era dovuta svegliare un po’ prima. Sorrise tra sé mentre metteva in infusione il té: se il Medimago le avesse dato il via libera, presto avrebbe ripreso a giocare con la squadra di Quidditch.
Un familiare rumore di passi annunciò l’arrivo di sua madre: << Allora >> esordì, sospingendo la figlia e facendosi strada verso i fornelli: << Pronta per il rientro a scuola? >>
Ginevra fece un cenno di assenso, reticente, e prese posto a sedere il più lontano possibile. La quiete era stata rovinata.
<< Sono andate molto bene queste vacanze, vero? E’ stato bello avere qui ospiti. >> proseguì imperterrita la madre: << Non trovi anche tu, Ginny? >>
<< Suppongo di sì. >> rispose Ginevra, frugando nel barattolo dei biscotti.
<< E di Harry, che mi dici? >>
Ginevra sollevò lo sguardo, cercando di decifrare l’espressione della madre: << Perché dovrei dirne qualcosa? >>
<< Ti piaceva parecchio un tempo. >> disse l’altra. I suoi occhi nocciola scintillavano curiosi alla luce del fuoco, mentre la osservava di rimando.
<< Sì, quando avevo undici anni. >>
<< Non credo che tu gli dispiaccia, sai? A volte i ragazzi sono un po’ lenti a capire certe cose, ma con la giusta spinta… >>
<< Harry non è "un po' lento", Mamma: non c’è proprio niente da capire. E' solo un amico. >>
<< Se lo dici tu. >>
Per un po’ le due rimasero in silenzio, mentre la madre finiva di cucinare i pancake. Agitò la bacchetta con dimestichezza e anche gli ultimi volarono a posarsi ordinatamente nei piatti.
<< E quel ragazzo del corso di ballo, invece? >> indagò Molly mentre si sedeva a tavola; la sua voce sovrastò appena il rumore della sedia. << Che fine ha fatto? >>
<< Non ne ho idea >> sospirò Ginevra: era passato più di un anno dall'ultima volta che aveva visto o sentito Matt. << E' impossibile far funzionare una relazione quando devi mentire su tutto. >> spiegò con un’alzata di spalle.
<< Vero. Le relazioni tra maghi e babbani sono sempre difficili: o si rinuncia, o si decide di violare lo Statuto, come ha fatto Fred con Clio. Tuo fratello si è assunto un bel rischio, però, e non è mai detto che conseguenze possa avere. >>
<< Oppure si può sempre fare come la madre di Seamus e rispettare la legge, aspettando di essere sposati prima di raccontare la verità >> disse Ginevra con un sorriso ironico.
La madre scosse la testa: << Sì beh, ormai sono anni che quella legge non viene davvero fatta applicare, a meno che le sue violazioni non abbiano conseguenze gravi. >>
<< Già. Comunque sono contenta che Fred abbia infranto lo statuto: Clio sembra in gamba. >>
<< Clio è una così brava ragazza che proprio non mi dispiacerebbe averla per nuora >> assentì la madre con un sorriso caloroso: << Passami il burro Ginny, da brava - grazie. >>
<< Ma', hanno appena cominciato a uscire! >>
<< Sì, ma lui ha violato lo Statuto di Segretezza per lei, vorrà pur dire qualcosa. >>
<< Che tuo figlio non ha mai fatto troppo caso alle regole, per esempio? >> suggerì Ginevra, guadagnandosi un'occhiataccia dalla madre.
<< Ma a proposito di nuore: perché non hai fatto un maglione anche per Fleur? >>
<< Per Natale, dici? Beh, non ho mai avuto l'impressione che le piacessero, i miei maglioni. E poi è sempre così alla moda, così al di sopra di noi comuni mortali... >>
<< Secondo me se li guarda male è solo perché è un po' invidiosa, e posso anche capirla: quest'anno ne hai regalato uno a tutti, compresa Clio, ma non a lei! >>
La madre la guardò attentamente: << E tu da quando prendi le difese di Fleur? >>
<< Penso solo che siamo state un po' troppo cattive nei suoi confronti. Alla fine, ormai è di famiglia; e in questi giorni ho avuto l'impressione che non sentirsi accettata la ferisca più di quanto non voglia dare a vedere. >>
Molly tacque per un po', corrucciata.
<< Può darsi che tu abbia ragione, Ginny. >> disse infine.
Ginevra sollevò lo sguardo dal suo piatto semivuoto: aveva sentito bene?
<< Non è mai stata mia intenzione escluderla, ma lei ha dei modi così snob, che... >> sospirò, scuotendo la testa: << E' così diversa da noi. Però devo riconoscere che questo Natale si è impegnata molto a rendersi utile: ho sempre pensato che fosse il genere di persona che non muove un dito per paura di spezzarsi un’unghia, ma forse l'ho valutata male. >>
<< Non sei la sola >> ammise Ginevra: quante volte aveva fatto lei stessa battutine di quel tipo, solo qualche mese prima?
<< Dai, alla prima occasione le invierò un maglione di lana, allora. Meglio tardi che mai. >> concluse la madre, alzandosi per versare altro té.
Ginevra le sorrise: era contenta di stare aiutando a riparare al danno che lei stessa aveva contribuito a fare. Un solo gesto non poteva risolvere tutto, ma se non altro era un buon inizio.
Ginevra stava spalmando accuratamente l'ultimo pancake quando nella sua mente, come da una porta sul retro, si affacciò Tom. La sua presenza aleggiò per un momento e subito si dissolse, silenziosa come era arrivata. Aveva promesso di contattarla, quando fosse tornata ad Hogwarts.
<< Quindi mi vuoi far credere che non ci sia proprio nessun ragazzo tra i tuoi pensieri? >> chiese d'un tratto la madre.
Ginevra trasalì: << Cosa? >>
<< Sì, voglio dire: in passato parlavi così spesso di ragazzi... >>
<< Mamma, nell'ultimo anno un pazzo razzista ha minacciato la sicurezza di tutti gli studenti nati babbani, inclusi diversi miei amici, e non è mai stato preso; io stessa sono stata aggredita, e Voldemort è tornato. Direi che c'è di meglio a cui pensare che non ai ragazzi. >>
Ogni parola di Ginevra sembrò far cadere un nuovo macigno sulle spalle di sua madre. Gli occhi di lei guizzarono visibilmente a controllare il vecchio orologio di famiglia, e Ginevra seguì istintivamente il suo sguardo: le lancette di suo padre e dei gemelli puntavano verso "lavoro", tutte le altre erano su "casa". Per un breve momento, il cipiglio della madre si fece un po' meno pronunciato, pur senza scomparire del tutto. Durante le vacanze era stata tutta sorrisi, ma chissà quante volte al giorno ripeteva quel gesto quando era a casa da sola: gli ultimi mesi dovevano essere pesati come anni, a giudicare dai segni sulla sua fronte.
<< Immaginavo >> disse infine: << Ma hai solo sedici anni: le tue peggiori preoccupazioni dovrebbero essere i problemi di cuore, o alla peggio la scuola. Il resto lascialo agli adulti.>>
Ginevra abbassò il capo e non disse nulla. Con perfetto tempismo, la causa di tutti i suoi problemi si accostò alla sua mente ancora una volta.
Ginevra trangugiò l'ultimo boccone e saltò in piedi: << Io vado un attimo di sopra... c'è una cosa che non voglio dimenticare di mettere in borsa. I piatti li lavo dopo. >>
<< Credevo l'avessi già fatta ieri sera, la borsa >> disse Molly con un familiare sguardo di rimprovero: << Lascia perdere i piatti, faccio io. Tu pensa ad essere pronta per tempo: dobbiamo uscire tra mezz'ora. >>
Ginevra si bloccò sulla porta della cucina: << Ma la visita è alle otto e mezza! >>
<< E' sempre meglio partire un po' prima, non sai mai che inconvenienti possano capitare. >>
<< Ma andiamo via metropolvere, Mamma... >>
<< Vuoi forse perdere l'Espresso per Hogwarts e rimanere qui con me a fare la calza? >> la imbeccò la madre: << E allora vai a prepararti. Alle otto voglio vederti davanti al camino pronta a partire. >>
Ginevra schizzò su per le scale, scuotendo la testa.
Dimmi. Pensò, chiudendosi alle spalle la porta della cameretta.
In quel luogo interiore che era il confine tra le loro menti, la presenza di Tom riaffiorò appena evocata.
Buongiorno anche a te, Ginevra. Il timbro mentale di lui non celava l'ironia.
Sei qui per concordare una data, immagino.
Immagini bene. Domani sera, per esempio?
Devo controllare... No, domani ci saranno altri a usare la Stanza delle infinite Realtà. Rispose lei, scorgendo i numerini incisi sul Galeone finto che le aveva dato Hermione.
Il giorno dopo?
Uhm, di giovedì ho la mattinata libera.
Dopo un lungo momento di silenzio, Tom acconsentì: La mattina andrà bene.
Chissà quali pensieri erano frullati nella sua mente in quell'intervallo di tempo. Forse, se fosse diventata una legilimens, avrebbe potuto scoprirlo.
Se ti alleni con costanza, indubbiamente: hai tutta l'eternità davanti per farcela. Ma ti conviene partire dall'Occlumanzia, così potrai chiudere me fuori dalla tua, di mente, e smettere di bramare la mia morte ogni volta che colgo un pensiero che non mi era indirizzato.
Per quello basterebbe che tu ti facessi i fatti tuoi. Ribadì lei per l'ennesima volta.
E lo faccio volentieri, ma non riesco a schermare i tuoi pensieri in modo così selettivo quando comunichiamo in questo modo.
Ginevra fece una smorfia: La prossima volta manderò un gufo.
Affare fatto. Rispose lui, sarcastico: Ma tornando a noi: dopodomani, otto e trenta?
In piedi nella sua stanza Ginevra annuì, ma nessuno poteva vederla: A giovedì, allora.

Poco dopo, Ginevra emerse nell’atrio dell’ospedale San Mungo, seguita a ruota dalla madre. Erano inutilmente in anticipo e una volta raggiunto il reparto corretto non rimase loro molto da fare, se non sedersi e attendere. Perlomeno i sedili bianchi dell’ospedale non erano troppo scomodi, e il suo baule non era esageratamente in mezzo alla strada, accostato alla parete com’era. Il Medimago che aveva in carico Ginevra sfilò davanti a loro un paio di volte, assorto nei suoi pensieri, e ricambiò il loro saluto con un gesto automatico.
Dopo qualche minuto, Ginevra aprì il libro che aveva sottobraccio, Fiabe e simboli; lo aveva tirato fuori dal baule prima di partire, rassegnata a dover attendere una vita.
<< Io leggo un po’. >> Disse, quasi in tono di scusa. Avevano già parlato fin troppo quella mattina.
La madre annuì, imperturbabile.
Il pendolo accanto a loro ticchettava con insolita lentezza, e al tempo di attesa previsto andò a sommarsi un discreto ritardo. Erano passati nove secoli quando, finalmente, un infermiere chiamò il suo nome.
Ginevra uscì dall’ospedale poco dopo, un gran sorriso sul volto. Non vedeva l’ora di raggiungere Harry e Ron al binario: doveva chiedere loro la data dei prossimi allenamenti.


I due giorni successivi passarono privi di eventi che potessero essere comparati a ciò che doveva venire. Erano le otto e trentacinque, e Ginevra si trovava di fronte all'ingresso della Stanza delle Infinite Realtà, ferma con una mano sulla maniglia. Aveva sempre voluto sapere cosa fosse realmente accaduto, cosa ci fosse nella mente di Tom; e allora perché adesso rimaneva lì ferma, quando solo una porta la separava dalle risposte?
Otto e trentasei. Al diavolo: Ginevra aprì il portone con una spinta, ed entrò a passo deciso.
La stanza, che normalmente si sarebbe rischiarata al suo ingresso, era già perfettamente illuminata: Tom doveva essere già lì. Affrettò il passo. Ogni movimento echeggiava tra quelle alte pareti, annunciando il suo arrivo.
Una familiare linea argentata si dipanava sul pavimento: Ginevra la seguì tra gli scaffali della Biblioteca, e poi su per i tre gradini a chiocciola che già aveva notato in passato, e nello spazio al di là da esso. Lì dove le scorse volte aveva visto solo il vuoto, ora trovò la soglia di uno spazio troppo buio per scorgerne le caratteristiche.
Entrò con passi prudenti: l’unica luce proveniva dalla spumosa lava argentea che vorticava lentamente ai suoi piedi, raccolta da una grande vasca circolare incastonata nel pavimento di pietra. Chino su di essa, Tom stava sfilando dalla propria tempia un lungo sbuffo argenteo, e in punta di bacchetta lo fece poi ricadere in quell’immenso bacino. A quel contatto, un lungo brivido si propagò nella vasca e, come un lampo, un’immagine rosseggiante ne increspò la superficie; ma in una frazione di secondo già si era infranta, troppo fulminea per essere decifrata. Tom ripeté quel procedimento più e più volte, e nuovi guizzi di colore tornarono a tingere quella sostanza luminescente. Ginevra batté le palpebre e distolse lo sguardo da quella scena ipnotica. Sopra di loro, appena delineata da quei bagliori argentei, la volta pareva insolitamente bassa rispetto agli standard della Camera. Otto pareti di pietra si raccoglievano attorno a loro, lasciando spazio solo a uno stretto corridoio di marmo tra esse e la vasca.
Dopo pochi minuti, Tom lasciò cadere un ultima scia d’argento nel bacile, si raddrizzò e sollevò lo sguardo su di lei.
<< Benvenuta >>
Ginevra, che si era mantenuta a distanza per tutto il tempo, si avvicinò di qualche passo a lui e al bordo di quella strana pozza: << Sono i tuoi ricordi? >> chiese lentamente.
Tom fece un cenno di assenso: << Avrei potuto mostrarteli direttamente dalla fonte, ma in questa forma dovrebbero essere più semplici da esplorare. >>
Fu il turno di lei di annuire, mentre notava i gradini di marmo che, dal bordo, si immergevano nella piscina: << Quindi dovrei entrarci, suppongo? >>
<< Sì, ma non sarai sola >> rispose lui, riponendo in tasca quella che Ginevra riconobbe solo in quel momento come la sua vecchia bacchetta, e porgendole la mano che prima la reggeva: << E’ facile perdersi nei pensieri, soprattutto quando non sono i tuoi; per cui ti dovrò chiedere di non lasciare mai andare la mia mano finché non saremo tornati con i piedi per terra. >>
I suoi occhi neri riflettevano la luce sempre in movimento dei ricordi, luce che danzava sulle pareti della stanza e sui loro volti, confondendone i volumi e donando loro un’aura surreale.
Ginevra ebbe un moto di timidezza mentre sollevava la propria mano per raggiungere quella di lui. La pelle di Tom, scoprì, era stranamente morbida sotto la sua, se non per qualche callo da scrittura. Aveva senso: del resto, quella pelle era stata creata solo pochi mesi prima. Si avvicinò ancora di più, accostandosi al bordo vasca, e senza accorgersene strinse un po’ più forte la mano di lui mentre insieme si calavano giù per quei gradini.
I pensieri erano come gas liquido: vorticavano attorno a loro, sfiorandoli, ma senza inzuppare le vesti. Ginevra proseguì finché quella spuma non arrivò a lambirle il collo; quindi fece un altro passo, e un altro ancora, e istintivamente chiuse gli occhi e trattenne il respiro. La carezza del fluido sul suo volto era sorprendentemente piacevole mentre lei si immergeva, e presto la sostanza le arrivò fin sopra i capelli.
Ginevra, apri gli occhi. Nella sua mente si aprì un breve scorcio su quella di Tom e sulle sue percezioni: camminava accanto a lei, a occhi aperti e respirando senza problemi. Facendosi coraggio, Ginevra lo imitò: l’aria fluiva nei suoi polmoni, e pareva tersa davanti ai suoi occhi. Nubi di ricordi fluttuavano attorno a loro, protraendosi a perdita d’occhio, lentamente trascinate da correnti impercettibili. Ma c’era qualcosa di strano in quella vista, si rese conto: non solo non erano più individuabili i confini della vasca, ma nemmeno scorgeva più il proprio naso, solitamente appena percettibile ai limiti del suo campo visivo, o le proprie ciglia quando batteva le palpebre. Abbassò lo sguardo, e scoprì che il suo stesso corpo era invisibile, nonostante lei lo percepisse e potesse muoverlo con agilità; si voltò verso Tom e non vide nulla, pur sentendo ancora la stretta della sua mano.
Da dove vuoi partire? Chiese silenziosamente lui.
Ginevra scrutò i ricordi attorno a sé, cercando di intuire cosa potessero contenere: ma tutto ciò che vedeva erano vapori di colori più o meno intensi, e più o meno mutevoli.
Se vuoi possiamo entrare in un ricordo qualsiasi, o posso cercare di rintracciarne uno in particolare. Aggiunse Tom.
I tuoi primi ricordi dopo aver riacquisito un corpo. Rispose lei di getto.
Tom non commentò; dopo un istante, le nubi iniziarono a muoversi più rapidamente, prendendo sempre più velocità: sfrecciavano attorno a loro, gonfie come un fiume in piena, fuggendo su traiettorie in continuo mutamento finché, d’un tratto, si arrestarono. Una nuvola particolarmente scura fluttuava dinanzi a loro, sospesa raso terra. Ginevra fece qualche passo avanti, imitata da Tom; come sfiorò il ricordo, furono inghiottiti dal buio.


Precipitava, vortice rosso in un’infinità di buio verde…
In uno spasmo, il suo corpo si staccò dalla roccia, e Tom si svegliò di soprassalto, gli occhi spalancati nel buio. In un solo istante, la vertigine che lo aveva ridestato era riuscita a riconnettere la sua coscienza a quel corpo. Tentò di puntellarsi per tirarsi a sedere, ma di fronte alla risposta straziata dei muscoli rinunciò, tornando ad accasciarsi sul pavimento della Camera: la fatica di per sé non lo spaventava, ma non poteva permettersi di svenire nuovamente, o di sforzare troppo quel nuovo corpo. Doveva ottimizzare le energie.
Lo spazio attorno a lui era avvolto dall’ombra, ma bastò un pensiero perché l’intera Camera si illuminasse a giorno. Da qualche parte sopra di lui doveva esserci il soffitto dell’atrio, anche se i suoi occhi non riuscivano a metterlo a fuoco; per terra, non troppo distanti da lui, scorse il diario e la bacchetta di Ginevra, e nessuna traccia di lei…
Battè le palpebre qualche volta per scacciare il sonno che minacciava di sopraffarlo. Fintanto che si fosse concentrato sul dolore fisico, stimava di riuscire a rimanere ancorato al presente: ogni respiro risvegliava una fitta al costato, e con una lieve contrazione dei muscoli delle gambe il torpido formicolio che le avvolgeva cedette il posto alla puntura di un migliaio di aghi. La sensazione era spiacevole, ma in compenso la mente di Tom era un po’ più lucida di prima; inoltre, quel fastidio e quel dolore erano la prova del fatto che aveva di nuovo un corpo suo, e in questo portavano con sé il gradevole sapore del trionfo.
Il procedimento doveva essere andato a buon fine, ma qualcosa non quadrava: lui teoricamente ne sarebbe dovuto uscire un po’ più in forze di così. Aveva perso i sensi dopo essere stato colpito dall’Avada Kedavra scagliatogli dalla ragazza…
Ginevra: il sogno che lo aveva svegliato portava l’impronta della sua personalità. Senza perdere tempo, Tom perlustrò la propria psiche alla ricerca di quel frammento di coscienza non suo, e lo trovò con tale facilità da chiedersi come avesse fatto a non notarlo immediatamente. Superò di slancio le flebili difese di quella mente conosciuta e sconfinò tra i pensieri di lei: adagiata in un letto chissà dove, Ginevra si rigirava a metà strada tra il sonno e la veglia. Tom si ritrasse di scatto, prima che fosse troppo tardi: per un istante aveva rischiato di perdere sé stesso in quella sonnolenza.
Sdraiato sul pavimento della Camera, trasse un profondo, doloroso respiro. Quindi l’anima di lei era ancora tutt’uno con il suo corpo naturale, se non per quel pezzetto che ora abitava quello di lui. Erano sopravvissuti entrambi; le ripercussioni che questo avrebbe potuto avere…
Chiuse gli occhi brevemente, cercando di mettere da parte quei pensieri e rimandarli a un momento più opportuno, ma quel gesto rischiò di farlo crollare addormentato; si sforzò di riaprirli, e di focalizzare la sua attenzione sul presente: il suo corpo era solo mezzo vivo, e lui doveva organizzare la propria convalescenza. Sarebbe stato facile chiamare a sé uno dei suoi vecchi seguaci per avere assistenza, ma dopo tanti anni non sapeva di chi potesse fidarsi. Ad ogni modo, aveva sempre preferito agire autonomamente: non era privo di risorse, nemmeno in quel momento. Rilassò la propria mente, entrando in sinergia con la magia della Camera. Non gli fu difficile ottenerne il controllo: la Camera dei Segreti, che aveva una sua volontà e doveva una profonda lealtà all’Erede, gli permise prontamente di attingere al suo potere. Tom lo sentì scorrere dentro di sé mentre pervadeva come un’onda il suo animo e quel corpo malmesso.
Da quel momento fu lo stesso flusso di magia a prendere il sopravvento, e i minuti passarono in secondi; lui era stanco, ma la Camera echeggiava le sue intenzioni, trasformandole in realtà. Incanalando quel potere sollevò un braccio in direzione della bacchetta: un istante dopo la stringeva tra le dita. Desiderò dell’acqua e immediatamente ne bevve, e levitando si allontanò da quel freddo pavimento di pietra. Forse fu a quella maniera che attraversò l’atrio e gli altri spazi perché ora, sotto le palpebre pesanti, intravedeva uno scorcio delle antiche stanze di Salazar; e infine sentì sotto di sé la consistenza di un letto, e finalmente si lasciò sopraffare dal sonno…


Per un istante, tutto tornò avvolto nel buio. Poi, come vapore al vento, quell’oscurità si dissolse, tradendo l’immaterialità del mondo in cui erano immersi. Sotto i loro occhi quei fumi scuri, che andavano diradandosi, si mescolarono giocosi a volute cangianti tra il rosso e il grigio, e gli stessi spazi che si erano sgretolati poc'anzi tornarono a scolpire il mondo attorno a loro.

Per un tempo indeterminato Tom si era aggirato al di qua e al di là della confusa linea che separa il sonno dalla veglia, mentre la magia della Camera scorreva in lui, facilitando la convalescenza di quel corpo nato troppo in fretta; adesso giaceva a letto sulla schiena, ancora debole, ma per la prima volta pienamente lucido. I suoi occhi avevano iniziato a mettere a fuoco correttamente, e il suo sguardo vagava sul soffitto affrescato, rapito dal perpetuo movimento del dipinto: un fuoco verde divampava al centro della volta, rinfrangendosi sulle scaglie dei serpenti che ondeggiavano attorno ad esso, mentre le loro ombre dardeggiavano rapide dal soffitto alle pareti.
Quasi sovrappensiero, Tom ricercò in sé quel pezzetto di lei, e si affacciò sulla mente della ragazza: era silenziosa, annebbiata e sonnolenta, interamente pervasa dalla piacevole pesantezza con cui il suo corpo sprofondava nel letto. Tom sentì le sue membra rilassarsi per riflesso, invase da quella stessa sensazione.
Ginevra era sopravvissuta.
Questo imprevisto avrebbe potuto tradursi in tanti modi: lo scenario peggiore era che la ragazza decidesse di riferire ogni cosa. In tal caso, Silente avrebbe saputo che Voldemort era tornato, avrebbe scoperto dell’esistenza del diario e forse ne avrebbe intuito la natura. Ma del resto, Tom era consapevole del fatto che Regulus Black avesse scoperto dell’esistenza degli Horcrux parecchi anni prima, e sapeva che la notte in cui era tornato, per la prima volta dopo quindici anni, il Marchio Nero doveva essere tornato vivido sul braccio di Piton. Non poteva sapere di cosa Silente fosse già a conoscenza, per cui non aveva senso preoccuparsi eccessivamente di cosa Ginevra avrebbe potuto scegliere di rivelare; d'altronde, nello stato in cui era, sarebbe stato comunque incapace di impedirglielo.
Accettata questa verità, Tom tornò a concentrarsi sul presente: aveva un corpo da rimettere in sesto. Testò lentamente la condizione degli arti: i livelli di dolore erano leggermente migliorati e così, con prudenza, iniziò a chiedere dei piccoli, minimi sforzi a quei muscoli. Al principio si limitò a contrarli sul posto, poi gradualmente passò a compiere piccoli movimenti, pur affidando parte del peso alla magia. L’importante era iniziare a muoversi, a educare quel corpo ancora troppo nuovo per essere coordinato: sarebbe stato un lungo processo.


La realtà si sfaldò nuovamente, volando via nella corrente dei pensieri; ma mentre quel ricordo sfuggiva, altre nubi si assieparono tutto attorno, competendo tra loro per prenderne il posto. Un ricordo grigio e stranamente freddo le sfiorò la mente…

Di colpo non vedeva più nulla. Né udiva. Né percepiva. Non riusciva a comunicare col proprio corpo, a sentire l’aria nei polmoni, o il terreno sotto i piedi, o anche solo i piedi stessi-

Poi uno spiffero si aprì nella sua mente, come una ventata d’aria odorosa di pergamene e inchiostro invecchiato: le attuali percezioni di Tom si sostituirono rapide a quel vecchio ricordo, e rinforzando la presa sulla sua mano lui la tirò a sé, lontano da quella nebbia e verso ricordi migliori.
Ginevra inspirò a fondo, cercando di calmare la nausea che la aveva preso lo stomaco.
Cos'era quel vuoto? Chiese, rabbrividendo.
La vita senza un corpo. Rispose asciuttamente Tom, mentre spire marrone-oro avvolgevano Ginevra, riempiendole le narici di quel profumo familiare.
Aspetta! Annaspò Ginevra, cercando di rimandare ancora un attimo il momento in cui sarebbe stata nuovamente investita dai ricordi: Quindi era quello il s-
Ma Tom la stava trascinando più a fondo in quella nube e, annebbiati dai vapori che inalava, quei pensieri vennero temporaneamente spazzati via. In verità, lasciare che quel nuovo ricordo scacciasse il precedente fu solo un sollievo.


La mano minuta e vagamente lentigginosa scribacchiava appunti, rune e bozze di cerchi alchemici, governata dalla mente di Tom. Si trovava nella Biblioteca della Camera dei Segreti, circondato da libri di mitologia. Era lì per portare avanti i progetti per il cerchio alchemico, ma era costantemente distratto dal mondo circostante: dopo tanti anni di esistenza astratta e priva di stimoli, la realtà fisica sembrava il giardino dell’Eden, e la sua memoria era solleticata dai mille dettagli noti di quel luogo in cui tante volte aveva studiato in passato: la confortevole consistenza del divanetto in cui era sprofondato, le venature ambrate che solcavano il legno scuro del suo tavolo preferito, il tranquillizzante odore di pergamena e inchiostro.
Mentre prendeva appunti poteva sentire, tra quelle dita non sue, la flessibilità della piuma: ne percepiva l’attrito della punta sul foglio, ne udiva il rumore. Ogni volta che abbassava lo sguardo scorgeva la punta lentigginosa del naso di Ginevra, e battendo le palpebre intravedeva il rosseggiare delle sue ciglia. Non si era ancora abituato a quel corpo e alle sue proporzioni, ma quelle brevi ore in cui ne era ospite erano cionondimeno un sollievo.
C’erano almeno due motivi per cui considerava la mitologia una risorsa preziosa: il primo e il più banale era che spesso dietro alle leggende si celavano avvenimenti reali; il secondo era che i personaggi dei miti, con le loro caratteristiche e le loro storie, erano la primaria via di accesso alla complessità degli archetipi e quindi alla comprensione dei vari livelli a cui si potevano leggere i simboli alchemici. Quel giorno, Tom era in cerca di questo secondo tipo di conoscenza.
Stava sfogliando le pagine di un vecchio libro di mitologia ellenica, e per alcuni istanti si lasciò distrarre nuovamente dalla sensazione delle dita che scorrevano sulla carta: la ruvidezza, lo spessore, il modo in cui le pagine si flettevano al suo tocco… Normalmente non avrebbe indugiato in queste sensazioni, lo avrebbe considerato un vezzo infruttuoso; tuttavia aveva scelto con cura la migliore configurazione planetaria sotto cui tornare al mondo, e questa non si sarebbe verificata ancora per altri due anni. Aveva fin troppo tempo davanti a sé: poteva anche permettersi di perderne un po’ pregustando le sensazioni che avrebbe riacquisito quando finalmente fosse tornato ad avere un corpo proprio.
Scorse attentamente il capitolo dedicato al mito di Ade e Persefone, in cerca di dettagli che ancora non conoscesse. Aveva sempre trovato interessante il ruolo chiave dei nomi in quella vicenda: sia l’oltretomba che il suo dio erano chiamati con lo stesso nome, a sottolineare la profonda interconnessione tra essi, e al contrario due nomi diversi erano usati per indicare la stessa dea, prima e dopo l’incontro con la morte. Kore, il primo e meno noto nome di Persefone, significava letteralmente fanciulla: la sua giovinezza e innocenza, contenenti l’infinito potenziale di chi ancora può diventare chiunque, erano la sua intera identità. Persefone al contrario era una donna adulta, una persona già formata, determinata, ma che comunque comprendeva in sé gli opposti: dea della vita, ma anche regina dell’oltretomba; guida di coloro che ancora vivi si avventuravano nel mondo dei morti, e loro unica speranza di uscirne.
Ginevra, la fanciulla che ancora non aveva vissuto, poteva facilmente incarnare Kore; e quando lui l’avesse trascinata nell’oltretomba lei, come Persefone, lo avrebbe guidato fuori da lì.


Quando quel ricordo lasciò il posto al presente, vapori di diverse provenienze tentavano già di avvilupparli: frammentati scorci di memoria si sovrapposero nella mente di Ginevra, in una cacofonia di sensazioni e immagini. Stanze oscure, odori rossastri, letti di ospedale… Tra tutte, le volute verdi della nube alle loro spalle erano le più attraenti: sulla pelle le lasciavano il curioso sapore di un déjà vu. Ginevra fece un passo all’indietro, inseguendole, e trascinò Tom con sé.

Camminò maldestramente fino al letto e sedette contro la testiera: era esausto dall’esercizio fisico, nonostante non avesse fatto altro che tentare di camminare in linea retta. Le sue giornate erano scandite da cicli di esercizio e riposo, ma sapeva che ci sarebbe voluto un po’ di tempo prima che i suoi movimenti risultassero convincenti. Ascoltò il proprio respiro affannato, sforzandosi di seguirne il ritmo, riconoscerne le sensazioni. Lentamente il corpo andò calmandosi, eppure Tom sentiva una preoccupazione sconosciuta farsi largo nella sua coscienza: era come se un segnale d'allarme si fosse attivato, richiamando la sua attenzione sulla mente di Ginevra. Così sconfinò dal proprio corpo, e si immerse nella coscienza della ragazza.
Silente sedeva di fronte al letto, placido nella sua poltroncina di chintz, ma lei tranquilla non lo era proprio per niente. Nascosto dietro a un sorriso benevolo, lo sguardo indagatore del preside era forse ancora più minaccioso.
Aveva perfettamente senso che avesse paura, considerò Tom: se fosse emerso che aveva lanciato una Maledizione Senza Perdono quel solo crimine sarebbe stato sufficiente ad assicurarle un lungo soggiorno ad Azkaban, poco contava che si trattasse di autodifesa. Ma, realizzò lui di colpo, non era quello a preoccupare la ragazza. Il problema era che i suoi ricordi dell’accaduto erano troppo frammentati per consentirle una visione d’insieme, e non sapeva cosa potesse riferire senza tradirsi. C'era un assunto di base nel comportamento di Ginevra che lei stessa faticava a comprendere, e che solo ora Tom riusciva a identificare chiaramente: lei non avrebbe mai raccontato a Silente del diario.
Tutto a un tratto, una scintilla di ammirazione si risvegliò in lui quando realizzò, ancora una volta, di non avere la minima idea di cosa aspettarsi da lei. Quella ragazza..
La osservò rapito mentre improvvisava, schivando alla cieca le trappole di Silente, rischiando il tutto per tutto per proteggere quell’antico segreto. E contro ogni aspettativa, il preside sembrò credere alle sue bugie.
Quando infine Silente fece per andarsene, per un secondo Tom e Ginevra vissero lo stesso sollievo; ma subito il preside si arrestò, in piedi sulla soglia, e così fece il loro respiro.
<< Ah, dimenticavo >> disse il vecchio con fare casuale: << Per caso hai notato la scomparsa di qualcosa? Un oggetto al quale tenevi particolarmente, magari qualcosa che portavi sempre con te? >>
Il panico esplose nella mente di Ginevra, mentre il ricordo del diario si espandeva fino a occupare ogni angolo dei suoi pensieri, e Tom fu certo che si sarebbe tradita. Ma all’ultimo secondo, un barlume di intuizione la salvò.
<< Sì, certo >> disse con naturalezza, come ribadendo qualcosa di ovvio: << La mia bacchetta. >>
A miglia di distanza, nel suo letto,Tom scoppiò a ridere. Non riusciva a credere alle proprie orecchie: Ginevra, l’idealista, sincera, innocente Ginevra era appena riuscita a battere Silente al suo stesso gioco, e con che eleganza. Presto la risata si trasformò in tosse, mentre il dolore alle costole lo riportava a sé, ma ciò non spense il suo entusiasmo.
Una volta che i conati si furono calmati, Tom tornò ad affacciarsi nella mente di Ginevra, come un compagno invisibile. Rimase con lei anche quando Silente ebbe lasciato la stanza, mentre gradualmente l’adrenalina lasciava spazio alla stanchezza e al sollievo. Era fiero di lei, come già tante volte era stato in passato: aveva creduto che non si sarebbe mai più sentito così, non dopo tutto ciò che era successo. Eppure…
Forse, dopotutto, la sopravvivenza di Ginevra era stato un incredibile colpo di fortuna. Forse quella strega così capace, determinata e affezionata a lui, col tempo si sarebbe rivelata l’alleato che non aveva mai considerato di cercare.


...Alleato?
La stanza d’ospedale perse consistenza, soffiata via. Ginevra si contorse, tentando di sfuggire ai fumi dei successivi ricordi; e il flusso di nubi deviò, probabilmente per opera di Tom. Quei nembi cangianti continuarono a vorticare tutto attorno a loro, ma senza toccarli. Lì in mezzo alle correnti, erano come una roccia che fende il corso di un fiume.
Usciamo. Ringhiò Ginevra. Ora.
Il tocco di Tom la guidò in quello spazio distorto, indicandole la direzione con lievi pressioni. Al loro passaggio, i ricordi si facevano da parte.
Attenta ai gradini. La avvertì lui a un tratto.
Risalirono in superficie e, non appena ebbe entrambi i piedi fuori da quel vortice argentato, Ginevra lasciò andare bruscamente la mano di Tom, e si allontanò di diversi passi.
Tu sei pazzo. Scandì mentalmente. Avrebbe potuto parlare, ma era troppo frastornata, troppo sovraccarica da tutti gli stimoli sensoriali ricevuti per sottoporsi ad altro rumore.
C’è chi lo pensa. Rispose lui indifferente, rispettando il silenzio.
Tu… Ginevra scosse la testa, incerta su come proseguire quella frase: quell’immersione nei pensieri di lui l’aveva disorientata, faceva fatica anche solo a pensare come sé stessa. Voltò le spalle a Tom e si allontanò da quel luogo, scendendo la scala a chiocciola da cui era venuta, fuggendo dalla Biblioteca, dall’atrio, e da tutti quegli spazi colpevoli di catapultarla nuovamente nei ricordi vissuti poco prima. Spuntò infine nell’Anticamera, respirò a fondo l’aria di Hogwarts e si voltò, pronta ad affrontare Tom.
<< Tu sei un grandissimo illuso, se credi davvero che io accetterei mai di aiutarti. >> tuonò Ginevra non appena lui ebbe varcato la soglia dell’Anticamera, mettendo piede in quello spazio neutrale.
<< Io non mi schiererei mai con i Mangiamorte, mai: non puoi non saperlo >>
<< Non tutti i miei alleati sono Mangiamorte, Ginevra: te l’ho già detto, i miei progetti non sono così limitati. >>
<< Ma i tuoi alleati includono i Mangiamorte. >>
<< Loro li definirei più dei seguaci, se devo essere onesto. >>
<< E’ irrilevante. >> sbottò Ginevra, alzando gli occhi al cielo.
Lui la fulminò con lo sguardo: << No, non lo è: un seguace si affida, si fa guidare, e non ha mai la visione d’insieme. Un alleato è un partner alla pari, partecipe nelle scelte condivise, e che è libero di partecipare solo quando meglio crede. >>
<< E così era questo che volevi per tutto questo tempo? Portarmi dalla tua parte? Pensi forse che basti così poco? >> Ginevra scoppiò a ridere, esausta e isterica: << Tu sei pazzo… >>
<< Volevi sapere la verità su quello che penso di te, capire quali fossero i miei secondi fini: ora lo sai. >>
<< Ma perché mostrarmeli? Cosa te ne viene? Ora che so cosa vuoi non potrai più manipolarmi... >>
Lui scosse la testa: << Vedi, è proprio questo il punto: non voglio manipolarti. Considera questo gesto un pegno di fiducia. >>
La testa di Ginevra minacciava di esplodere: << Tutto questo non ha senso. >>
Tom si appoggiò stancamente alla parete più vicina, lasciandosi scivolare a terra: << Certo che ha senso, ma non sono qui per convincertene. Non oggi, almeno. >>
Ginevra tacque a lungo, tentando di rimettere insieme i pezzi in luce di quell’ultima rivelazione. In quei mesi lui si era comportato in modo assurdo ai suoi occhi: aveva sempre cercato di mostrarsi onesto, finanche aperto; sosteneva di non volerla usare per ottenere informazioni, le aveva assicurato di non voler fare del male alla sua famiglia e ai suoi amici. Si era offerto come suo insegnante, le aveva fatto trovare i libri giusti per studiare…
<< Inizi a capire, adesso? >> chiese lui, cambiando posizione per guardarla meglio.
Ginevra scosse la testa: << Questo non cambia il fatto che non succederà mai. >>
<< Mai è un tempo molto lungo. >> la ammonì Tom: << In ogni caso, se ti ho messa a parte dei miei progetti non è perché mi aspetti qualcosa da te: l’ho fatto per rassicurarti. Adesso sai che il tipo di sostegno che desidero da parte tua non può essere forzato in alcun modo. >> disse, guardandola negli occhi: << Se non fosse una tua libera scelta, non varrebbe nulla. Ora sta a te decidere se diventare paranoica o provare a fidarti di me e riconoscere che, nonostante tutto, qualcosa di autentico tra noi è sempre esistito. >>
A quelle parole Ginevra scosse la testa, irrequieta. Aveva bisogno di tempo per fare chiarezza.
Per un po’ Tom rimase in silenzio, in attesa. I suoi occhi non avevano smesso di cercare quelli di Ginevra e, appena lei restituì il suo sguardo, uno squarcio si aprì nel muro che separava la coscienza di Tom dalla sua, e la sua mente venne inondata dalle percezioni di lui: in un battito di cuore, Ginevra fu nel suo corpo: << Qualcosa di autentico tra di noi è sempre esistito, Ginevra. >>
Rafforzata dall’emozione che vibrava autentica nel suo petto, la voce di Tom riverberò bassa tra le sue labbra e rimbalzò tra quelle quattro pareti, risuonando nelle orecchie di entrambi: << Esiste ancora, e sotto sotto lo sai anche tu. >> 










28/08/2021

Ciaoo!!!! 
Anzitutto grazie per aver letto fin qui <3
Speriamo che questo capitolo vi sia piaciuto ^.^ a nostro parere è uno dei capitoli più cruciali fin qui, e ad oggi è stato probabilmente quello che ha richiesto più lavoro; abbiamo iniziato a lavorare ai ricordi di Tom mesi fa: per riuscire a creare una voce narrativa diversa e coerente col personaggio... Ci direte voi se ci siamo riuscite! 
Se voleste farci sapere questo, o altri vostri pensieri sulla storia, noi saremmo super iper curiose di leggervi, nei commenti o in privato :)
E se volete essere aggiornati sulle nuove pubblicazioni e altre possibili novità, abbiamo un gruppo facebook: Tom e Ginevra (Efp), e una pagina instagram da oggi attiva: @the.blue.heads 
NUOVO PEZZO DELLA COLONNA SONORA (da contarsi non solo per questo capitolo, ma in generale per questo periodo): Dangerous Mind , dei Within Temptation

A presto! Il Capitolo XXI verrà pubblicato a fine settembre :)
Un bacio! 

Despina e Shinkai

 

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Capitolo 24
*** Capitolo XXI ***


AVVISO

Buongiorno! Da inizio anno stiamo pubblicando regolarmente tutti i mesi, per cui per chi non li ha ancora letti il capitolo 13 è l'ultimo capitolo "vecchio", ma si tratta comunque di una versione revisionata, e tutti i capitoli successivi sono stati scritti e pubblicati nel 2021.

Detto questo, se sapete di avere già letto i capitoli precedenti... buona lettura! :D

 

Capitolo XXI

 

<< Non capisci, il fatto che io abbia provato a ucciderti non significa che io non tenga a te!” >> ripeté Ginevra, aprendo le braccia e scimmiottando il tono solenne di quel pazzo. Da parecchi minuti misurava a lunghi passi la Stanza delle Infinite Realtà, mentre Luna sedeva in silenzio, ascoltando il suo sfogo.
<< Che problemi deve avere per pensare davvero una cosa del genere? >>
L’amica aggrottò la fronte: << Ha detto proprio così? >>
<< No, ma è come se lo avesse fatto! E ieri ha detto che “C’è sempre stato qualcosa di autentico tra di noi, e ci sarà sempre… ” >> sulle ultime parole Ginevra distorse volutamente la voce, rendendola ridicolmente profonda. << E la cosa più assurda è che sono praticamente certa che dicesse sul serio, perché mi ha permesso di sentirlo. Sempre che non esista un modo di fingere anche così, non ne so abbastanza di come funzioni la condivisione di pensieri… Anche se forse il fatto che lui possa pensarlo davvero è ancora peggio! >> concluse, gesticolando esasperata.
Fece ancora qualche passo e si arrestò, assumendo un cipiglio tremendamente serio: << Perché sai, c’è sempre stato qualcosa di vero tra di noi" >> soggiunse, guardando Luna con intensità: << "Per questo il mio primo pensiero è sempre capire come tu possa essermi più utile." >>
<< "Puoi morire perché io torni in vita? Perfetto!"
>> annunciò, riprendendo a camminare con più energia di prima: << “Ah, non è stato necessario? Ma che fortunata coincidenza, non pensavo! Allora sai che ti dico? Puoi essere complice dei miei deliri di onnipotenza da qui all’eternità! Anzi, meglio ancora: puoi esserlo fino al giorno in cui non cambierò idea, e penserò ad un modo migliore per disporre di te.” >>
Rise in silenzio, senza fiato. << Perché è servito che lui mi dicesse di tenerci, prima che riuscissi a vedere quanto tutto questo sia assurdo? >> sussurrò, disorientata: << Eppure era esattamente questo che avrei voluto sentirmi dire quest’estate, quando ancora non sapevo che fosse Voldemort… Ma anche allora, anche se non fosse stato lui, che differenza avrebbe fatto? Anche ammesso che ci fosse qualcosa di vero tra di noi: se non è stato abbastanza da trattenerlo dall’uccidermi, allora a cosa è servito? >>

Ginevra si accasciò su un cuscino, crollando dinanzi all’amica: << Ed è così strano, sai, perché quando sei dentro la testa di una persona il suo modo di ragionare di colpo ha senso. >>
<< Anche un matto è sano ai propri occhi… >> commentò l’altra. Dal tono si sarebbe detto che stesse citando qualcuno.
<< Ciò che sente diventa ciò che senti. >> mormorò ancora Ginevra, e una lacrima calda rigó il suo volto.
<< Deve creare parecchia confusione. >> disse piano Luna, avvicinandosi e poggiando il capo sulla sua spalla.
Ginevra inspirò a fondo. La voce un po’ le tremava: << Già. >>
Poggiò la testa contro la sua, e restarono così, in silenzio.
<< Luna >> bisbigliò lei a un tratto.
<< Sì? >> rispose l’altra, sbirciandola a stento con la coda dell’occhio.
<< Ho paura… >>
Le braccia di Luna si avvolsero attorno alla sua vita, tenendola stretta, e Ginevra si sentì un po’ più al sicuro.
<< Anche io. Sei ancora convinta di avere bisogno del suo aiuto? Per imparare a nascondere i pensieri, intendo. >>
Ginevra fece una smorfia: << Non mi sembra di avere molte alternative. Preferirei mille volte studiare l’occlumanzia da sola, ma non credo sia possibile. Forse mettendoci tutta la mia vita… Forse. E solo perché “sono immortale”. >> disse, alzando gli occhi al cielo.
<< Vorrei poterti aiutare in qualche modo. >> sospirò Luna: << Se studiassi occlumanzia con te, pensi che potrebbe fare qualche differenza? >>
Ginevra le rivolse un mezzo sorriso: << Sarebbe un nobile sacrificio, ma non credo servirebbe a molto, se non a far sprecare tantissimo tempo anche a te. >>
<< Quindi vuoi davvero rivederlo? >>
<< Certo che no. >> rispose, forse con troppa enfasi: << Però adesso so a che gioco sta giocando, e credo che sia arrivato il momento di restituirgli il favore: sarò io ad usarlo per ottenere quel che mi serve, per una volta. >>
Lo sguardo di Luna era perso nel vuoto, come sempre quando rifletteva. Stavolta, però, era rabbuiato da un cipiglio inconsueto.
<< E soprattutto >> riprese Ginevra << Non voglio continuare così: è come se lui fosse sempre presente, anche in questo momento, solo perché potrebbe esserlo. >>
Scandagliò ancora una volta il limitare delle loro coscienze, un atto che era ormai automatismo: anche stavolta, nessuna presenza indesiderata all’orizzonte. << Di questo passo diventerò pazza. Posso tranquillamente sopportare qualche ora in sua presenza, se significa riconquistare la proprietà della mia mente.>>
Luna sospirò: << Capisco. Forse vale la pena di correre il rischio, ma stiamo pur sempre parlando di… >>
<< Voldemort. Lo so. >>
Luna scosse la testa: << Di Tom, Ginny. Stiamo parlando di Tom, e tu… non mi sembri molto stabile quando hai a che fare con lui. Sono preoccupata. >>
Ginevra rimase interdetta per un attimo. Poi scosse la testa. Non potè fare a meno di sentirsi offesa: << Credi davvero che mi farei manipolare così facilmente? Solo perché si tratta di Tom? >>
<< Non ho detto questo. >>
<< E allora cosa? >>
Luna prese le mani di Ginevra tra le sue e la guardò negli occhi: << Penso che nonostante tutto tu gli voglia ancora molto bene. Non fraintendermi, non ti sto giudicando, davvero. Dico solo che sicuramente se ne sarà accorto anche lui, visto che come dici “quando sei nella testa di qualcuno, le sue emozioni diventano le tue”: e lui non perderà occasione per sfruttarlo. >>
Ginevra la fulminò con uno sguardo: c’era solo rabbia in lei, per quell’uomo; desiderio di rivalsa, tutt’al più. Ma si bloccò lì così, la mascella contratta a trattenere parole troppo dure, che la sua migliore amica di certo non aveva meritato. Lentamente trasse un respiro: lasciò ricadere le spalle, e quell’impulso assieme ad esse.
Infine, scosse la testa: << Lui non ha più alcun potere su di me: non mi lascerò ingannare di nuovo. Dovrò fare attenzione, ma ho il diritto di riprendermi la mia vita. Me lo deve, dopo tutto quello che mi ha fatto. >>



Ginevra non attese a lungo prima di tornare ad affacciarsi sulla mente di lui, e la prima lezione venne fissata per pochi giorni dopo, in una delle molte aule della Camera dei Segreti. Di tutti gli spazi della Camera a lei noti, scoprì affacciandovisi, quella stanza era indubbiamente la più spoglia: quattro pareti perfettamente lisce, e una manciata di banchi in legno scuro. Appoggiato a uno di questi c’era lui, in attesa.
<< Bene >> esordì, vedendola entrare: << Possiamo iniziare la lezione >>
Lui prese posto e Ginevra, dopo un momento di incertezza, spostò una sedia in modo da mettere un banco tra loro.  .
<< Queste sedie sono tremende. >> protestò dopo aver preso posto davanti a lui. << Perchè non ci siamo incontrati in biblioteca? >>
<< Perché devi concentrarti: per le prime lezioni l’ideale è un ambiente senza elementi di disturbo. >>
Lei cambiò postura più volte, in cerca di una posizione migliore; era scettica sul fatto che quella scomodità non si qualificasse come distrazione, ma non insistette. D’altronde, accettare il suo aiuto significava anche sottostare alle sue regole. Per ora, perlomeno.
Estrasse taccuino e calamaio per gli appunti, impaziente di apprendere ciò che le serviva e potergli dire addio. Tom sembrò apprezzare il gesto, perché adocchiò il quaderno con aria compiaciuta: << Bene, vedo che mi prendi sul serio. >>
Ginevra alzò gli occhi al cielo: << Credevo che avessi detto di non volere elementi di disturbo. Significa che smetterai di gongolare, o che vuoi andartene direttamente? >>
Tom scosse la testa, ironico: << E poi ti sorprende che io ti voglia dalla mia parte. >>
Lei storse il naso: ancora quella faccenda?
<< Non fare quella faccia, Ginevra. Ora che sai la verità non ha senso fare finta di nulla. Se ci provassi probabilmente mi daresti dell’ipocrita, per la - a quanto siamo arrivati? Ventunesima volta? >>
Lei incrociò le braccia, sospirando: << Inizierai a parlare di qualcosa di utile, a un certo punto? Non sono venuta qui per chiacchierare. >> lo rimbeccò.
Tom tamburellò sul tavolo: << A dire il vero, è esattamente quello che faremo: molto spesso i legilimens più abili cercano di carpire informazioni proprio durante semplici conversazioni. Il nostro obiettivo primario è fare in modo che nessuno incappi in pensieri compromettenti mentre hai la guardia abbassata. >>
<< E’ quello che pensavi stesse facendo Silente, quando è venuto a parlarmi in ospedale. >> osservò Ginevra.
<< Avevo i miei sospetti >> confermò Tom: << ma ora sono quasi certo che non fosse così. Se avesse fatto uno sforzo attivo per indagare la tua mente, sicuramente lo avremmo saputo. >>
<< E con questo cosa vorresti dire? >>
Lui sollevò un sopracciglio: << Ginevra, i tuoi pensieri sono stati così incriminanti, quella volta, che se Silente li avesse sentiti saresti già ad Azkaban. >>
Le punte delle orecchie di Ginevra si infiammarono, e lei incrociò le braccia, irritata: << La tua è stata solo fortuna: se quel giorno fossi stata un po’ più lucida, Silente non avrebbe nemmeno avuto bisogno di ricorrere alla legilimanzia per scoprire la verità. >>
Lui sorrise. C’era un’ombra di complicità nel modo in cui la guardò: << Indubbiamente, solo un colpo di fortuna. In ogni caso, all’epoca è verosimile che Silente non avesse motivo di sospettare di te. Leggere il pensiero senza usare un incantesimo è molto impegnativo, e tu eri solo una vittima dopotutto: credo confidasse nella tua sincerità. Ma da allora le cose potrebbero essere cambiate. >>
Ginevra scrollò le spalle: << Ne dubito. Se avesse voluto informazioni da me avrebbe sicuramente trovato un modo di incontrarmi. E ad essere onesta, inizio a credere che tu stia solo cercando scuse per vedermi. >> disse, la voce via via più beffarda: << Non mi fraintendere, non è una lamentela: fintanto che questo mi porta un passo più vicina a chiuderti fuori… >>
Le sopracciglia di lui si inarcarono lievemente, in un'espressione che avrebbe potuto intendere vago scetticismo così come cortese stupore: << Allora non perdiamo altro tempo. Come dicevo: qualora un legilimens optasse per la lettura implicita della mente, il dialogo sarebbe la sua prima risorsa. Questo perché, durante un’operazione complessa come la conversazione, il pensiero attiva decine, se non centinaia, di collegamenti involontari; e se gli argomenti sono in qualche modo connessi alle informazioni ricercate dal legilimens… >>
<< Cosa significa “lettura implicita”? >> Lo interruppe Ginevra, allarmata: << Quali altri tipi ne esistono? >>
Lui accantonò la questione con un gesto della mano: << L’alternativa è il normale incantesimo “Legilimens”, e non me ne preoccuperei per il momento. Nessuno può leggerti la mente in quel modo senza che tu ne venga a conoscenza, e nessuno ti farebbe un affronto del genere senza un valido motivo. La nostra priorità è assicurarci che tu non gliene fornisca uno inavvertitamente. E’ per questo che, di fatto, passeremo queste lezioni a chiacchierare: tu dovrai rispondere alle mie domande, e possibilmente un giorno far conversazione, senza lasciar trapelare nulla del nostro legame. >>
<< Fammi capire, tu passerai il tempo a farmi domande su di te, e io dovrei risponderti senza pensare a te in alcun modo? >> chiese Ginevra senza risparmiare il sarcasmo.
<< Il concetto è quello. Non saranno necessariamente domande su di me, ma argomenti collegati: “Cosa succederà al mondo magico adesso?”, “Perché hai lasciato l’AUDE?” “Come vanno gli studi?”... >>
...“C’è qualche ragazzo tra i tuoi pensieri?” aggiunse automaticamente Ginevra, ripensando alla conversazione con sua madre.
Il volto di lui si distese in un ghigno divertito: << Devo riconoscerlo, la formulazione di quella domanda è stata particolarmente accurata. >>
<< Non c’è niente da ridere. >> lo redarguì Ginevra.
Lui scrollò le spalle, senza abbandonare il suo tono ironico: << Hai ragione, non è divertente. O almeno non per te, visto che dovrai costruire ricordi di riserva anche su questo. Sono curioso di scoprire a chi fingerai di pensare. >>
Ginevra lo guardò male: << Te lo puoi scordare. Nasconderò tutto in blocco, piuttosto. >>
Tom scosse la testa e rispose prontamente: << Non credo proprio: se schermassi tutta la tua mente staresti letteralmente gridando al mondo che hai qualcosa da nascondere. La tua migliore possibilità è costruirti una rete di pensieri sicuri su cui dirottare l’attenzione in caso di necessità, e fare pratica finché non ti verrà automatico. >> spiegò. << Dovrai farlo per tutti gli argomenti di conversazione che ti farebbero pensare a me, quindi forse ti conviene iniziare a stilare un elenco. >>
Ginevra sgranò gli occhi: << Sul serio? Forse non te ne sei accorto, ma la tua esistenza è diventata a dir poco ingombrante nella mia vita, di recente. >>
<< Per questo è cruciale non tralasciare nulla. Non possiamo lasciare niente all’improvvisazione. >>
<< Perché no? >> tentò lei. Se avesse imparato in fretta a improvvisare dei ricordi fasulli, forse si sarebbe risparmiata ore di tortura.
<< Per fare un paragone che puoi capire, esercitare l’occlumanzia è come suonare uno strumento: un occlumante esperto sa improvvisare qualsiasi canzone, ma per ottenere questo livello di controllo ci vogliono anni di esercizio, se non decenni. Tu non hai tutto questo tempo, quindi dovrai imparare a suonare una sola canzone alla perfezione, pur senza sapere come funziona lo strumento che stai suonando. >>
Ginevra sollevò un sopracciglio: << Tradotto, mi stai dicendo che non mi insegnerai abbastanza da essere indipendente. Proseguirò alla cieca. >>
Lui le rivolse un sorriso sornione: << A meno che tu non voglia passare qualche decennio a prendere lezioni da me. Io sarei favorevole, ma l’ultima volta che ho controllato tu non eri esattamente dell’idea. >>
<< Non lo sono, infatti. >> tagliò corto lei: << Vai avanti. >>
Con un cenno del capo, Tom tornò serio: << Costruiremo i ricordi falsi man mano, coprendo la maggior quantità possibile di situazioni, in modo che all’evenienza tu possa accedervi con naturalezza. Ma al di là della creazione di ricordi falsi, una delle abilità più importanti da allenare è quella di muoversi tra i ricordi esistenti, tagliando fuori completamente quelli compromettenti. Dovrà essere come se io non fossi mai esistito. Avermi davanti renderà il tuo allenamento molto più difficile, ma anche molto più efficace, anche considerata la possibilità che diversi dei ricordi da celare siano cose che preferiresti non farmi sapere. >> fece una breve pausa, forse ponderando ciò che aveva appena detto: << Penso che imparerai in fretta. >> concluse.
Mentre parlava, Tom aveva una luce indecifrabile nello sguardo. Un elemento in più a ricordarle che quelle lezioni erano, con tutta probabilità, una pessima idea.
<< Sei un sadico. >> constatò Ginevra.
<< Questo “sadico” ti darà tutti gli strumenti per salvarti la pelle, un giorno; non mi lamenterei se fossi in te. >> rispose lui, tagliente.<< Ma venendo alla parte pratica: la chiave del successo è tenere tutta la tua mente concentrata su quello che stai dicendo. Il momento più delicato è quello in cui pensi una risposta: la mente in una situazione normale vagherebbe, scandagliando in parallelo decine di concetti e ricordi in poche frazioni di secondo. La tua prima sfida sarà evitare che questo avvenga. Sei pronta a provare? >>
Ginevra chiuse gli occhi e si concentrò per qualche istante: << Sono ponta. Fammi una domanda. >>
<< Apri gli occhi, prima. >>
Ginevra sollevò una palpebra, guardandolo di sbieco. Poi la richiuse.
<< Io posso sentire i tuoi pensieri in ogni caso, ma a chiunque altro servirebbe il contatto visivo. Sarebbe strano se tu rimanessi ad occhi chiusi per un’intera conversazione, non trovi? >>
Lei sospirò e lo guardò negli occhi.
<< Perché hai lasciato l’AUDE? >> iniziò lui.
Questa è facile. Pensò Ginevra.
<< Quello era già un pensiero sospetto. Non è uno scherzo: concentrati. Perché hai lasciato l’AUDE? >>
Lei prese fiato e parlò lentamente: << Perché non avevo il tempo di seguire le riunioni. Ho bisogno di studiare. >>
Tom sospirò: << Vuoi che ti riassuma quello che ho sentito? Non hai tempo di seguire le riunioni perché devi venire qui ad imparare l’occlumanzia o, ancora meglio, a leggere libri di Arti Oscure, e hai bisogno di studiare perché non accetterei mai di dare gli esami al posto tuo. Su questo avevi ragione, quindi non chiedermelo nemmeno. >>
<< Ma io non ho pensato tutte quelle cose! Non stavo pensando a niente. Non capisco. >>
<< Non c’è bisogno che formuli il pensiero a parole perché il concetto sia presente nella tua mente. Te l’ho detto, è più difficile di quanto pensi. Riproviamo: qual è stato il tuo ultimo progetto di alchimia? >>
<< Io e Theodore abbiamo progettato una pergamena speciale per pozionisti. Se ci si versa sopra una goccia di qualunque pozione, la pergamena identifica la composizione e fa comparire l’elenco degli ingredienti. E’ stata una sfida interessante. >> raccontò Ginevra, rilassata. Fu certa di non aver fallito, questa volta.
Tom sollevò un sopracciglio: << Avresti voluto lavorarci con me? Davvero? >>
Lei arrossì: << Questo te lo sei inventato. Sono più che certa di non averlo mai pensato.  Mai. >> mentì spudoratamente. Aveva sperato che lui non lo venisse a sapere… Che imbarazzo.
Lui rise: << Suvvia, metti le cose in prospettiva: immagina l’imbarazzo se fosse stato Silente a scoprire che vorresti progettare cerchi alchemici con Lord Voldemort. >> disse, cercando di tornare serio, ma stava ancora ridacchiando.
<< Di nuovo: non è divertente. >> disse lei, tentata di lanciargli addosso qualcosa - ma questa volta non aveva libri a portata, e non voleva rovinare il suo blocco per gli appunti.
<< In ogni caso, si può fare. >> disse Tom una volta che si fu ricomposto.
Ginevra batté le palpebre, confusa: << Cosa si può fare? >>
<< Lavorare insieme a un cerchio alchemico. Non uno di quelli per la scuola, ovviamente, ma ho un paio di progetti in corso che potrebbero interessarti. >>
Sgranò gli occhi: << Non dici sul serio. >>
Lui sollevò le sopracciglia e, ancora una volta, le lasciò uno spiraglio sulla propria mente.
Ginevra si ritrasse di scatto: << Credevo di essere già stata abbastanza chiara: se ti aspetti che io diventi il tuo braccio destro te lo puoi scordare. Vederti per imparare l’occlumanzia è un sacrificio che sono disposta a fare, ma non sono così stupida da acconsentire a una cosa del genere. >> disse quasi senza prendere fiato.
Lui continuò a guardarla imperterrito: << E’ stata tua l’idea. >>
<< Certo, ma era stato il pensiero stupido di un momento, ed è stato prima di sapere che volessi portarmi dalla tua parte. >>
<< Ma anche prima di avere la certezza che non ti stessi sfruttando per poi buttarti via. Desiderare di averti al mio fianco è davvero una colpa peggiore di questa, dal tuo punto di vista? >>
Lei distolse lo sguardo.
<< Ginevra >> la chiamò lui piano: << Vorrei realizzare degli artefatti in grado di contenere l’energia magica degli Obscuriali, in modo da non doverli uccidere. >>
Ginevra sollevò lo sguardo, e lo scoprì a fissarla con una tale intensità che non fu più in grado di distogliere i propri occhi dai suoi.
<< E’ un progetto a cui tengo molto, e penso davvero che il tuo contributo possa fare la differenza. >> disse, la voce bassa e appena appesantita da una qualche emozione.
Sulla sua fronte c’erano increspature appena percettibili, di cui forse lui stesso non era consapevole, e le poche ciocche scure che vi ricadevano sopra potevano far poco per camuffare quell’insospettata spontaneità. Come sarebbe stato lavorare assieme a un progetto del genere? Credere in una stessa causa, condividere le risate e la fatica: le ore chini sulle stesse bozze, gomito a gomito, mentre le idee più diverse rimbalzavano da una mente all’altra, e i loro sguardi si incrociavano da sopra gli appunti…
Indugiò ancora un momento, perdendosi a osservare quei lineamenti affusolati e quelle labbra morbide, prendendosi qualche secondo in più prima di dover infrangere i suoi stessi sogni. Perché Luna aveva ragione, come sempre. E se proprio doveva essere onesta, Ginevra lo aveva sempre saputo.
<< Meglio di no >> rispose infine, anche se la sua voce suonò meno sicura di quanto avrebbe voluto.
<< Non devi necessariamente rispondermi oggi. >> disse lui, con tranquillità, le labbra ricurve in un sorriso tentatore.
Ginevra scosse la testa timidamente: avrebbe dovuto ribadire che no, non sarebbe mai successo, invece rubò qualche secondo in più per perdersi nei suoi occhi scuri.
Infine chiuse gli occhi e trasse un profondo respiro, chiudendo fuori dalla propria mente quei pensieri pericolosi: << Non ho bisogno di rifletterci. Non credo sia una buona idea. >>
Con sua sorpresa, Tom scrollò le spalle e distolse subito lo sguardo: << D’accordo. Non cercherò di convincerti, abbiamo già perso fin troppo tempo. Vogliamo proseguire la lezione? >>
Con un respiro di sollievo Ginevra assentì. Serrò le palpebre per un momento, chiudendo fuori l’immagine di lui. Era lì con un obiettivo ben preciso, e questo richiedeva di sgomberare la mente da ogni pensiero di lui, di loro. Quando si sentì pronta, glielo comunicò con un cenno.
<< Come sono andate le vacanze? >> tentò lui.
<< Molto bene >> rispose d’istinto. Prima che potesse accorgersene, la sua mente aveva creato decine di collegamenti con tutte le cose successe durante il periodo di Natale: cartoni animati babbani che la facevano pensare agli Horcrux, responsi dell’i-ching, e… 
<< Non c’è bisogno che me lo dici. >> sospirò Ginevra. << Sembra che non ci abbia nemmeno provato. >>
<< Avremo molto lavoro da fare. >> confermò lui, ma nel suo tono non c’era traccia di rassegnazione. Per un momento si perse nei suoi pensieri, l’espressione concentrata. Quando tornò al presente sembrava aver preso una decisione: << Ho un’idea su come farti capire, di preciso, quello che devi fare. Sicuramente ce la faresti da sola prima o poi, ma visto il nostro vantaggio comunicativo potrei… accorciare i tempi, diciamo. >>
Ginevra aggrottò le sopracciglia. Sospettava dove sarebbe andato a parare: << Spiegati meglio. >>
<< Potrei farti vedere il processo dall’interno, farti sentire l’effetto che devi ottenere. Dopo averlo provato una volta, di solito è molto più facile riuscirci di nuovo. Il nostro vantaggio è che, almeno per la prima volta, non devi per forza riuscirci tu. Sarebbe una sorta di dimostrazione. >>
Ginevra rifletté un attimo. Sentire attraverso la mente di Tom la turbava ogni volta, ma se questo significava imparare più in fretta e toglierselo di torno…
<< Facciamolo. >> disse, convinta.
<< D’accordo: quando ti avrò dato accesso alla mia mente chiedimi qualcosa che mi farebbe pensare a te, e io risponderò senza far trasparire nulla. >>
Ginevra esitò, spostando il peso sulla sedia: << Cosa dovrei chiederti? >>
Lui alzò le spalle: << Se te lo dico io, è inutile. Non devo sapere cosa aspettarmi. >>
Mentre lui le parlava, le percezioni di Ginevra furono completamente sommerse, e ancora una volta lei si ritrovò ad abitare il corpo di Tom. Mentalmente, Ginevra indietreggiò al di là della soglia ormai libera, e tenne per sé i propri pensieri finché non ebbe deciso: << Come sei tornato in vita? >>
Per una frazione di secondo i fantasmi dei veri ricordi furono appena visibili nella mente di Tom, ma subito furono dominati da un’unica immagine, ben più vivida e potente: << Bevendo sangue di unicorno. >> rispose. Poi la sua mente tornò muta, celata dalla solita barriera.
<< Hai sentito? >> chiese.
<< Più o meno… per un momento ho intravisto i collegamenti veri, ma sembravano come disattivati. E quando hai pensato al sangue di unicorno non sembrava una menzogna: c’erano mille collegamenti aperti, e nessuno contraddittorio. >>
Lui annuì: << Quelli veri li hai notati solo perché ti trovavi nella mia mente. Nessuna persona può vederli dall’esterno, nemmeno il legilimens più abile. >>
<< E’ stato diverso dalle altre volte: adesso eri così focalizzato su quella versione della storia che non riuscivo a spostare l’attenzione su quello che c’era dietro. E’... è un po’ come guardare i gorgosprizzi. >>
Tom inarcò un sopracciglio a quel paragone insolito, ma non lo commentò. << Capisci adesso? Devi focalizzare tutta la tua attenzione in modo netto, perché al minimo tentennamento la facciata crolla. E sì, le altre volte, diversamente da ora, non stavo mentendo. Lieto che tu l’abbia riconosciuto. Proviamo di nuovo: cerca di consolidare quell’impressione, poi sarà il tuo turno. >>
Lui aprì nuovamente il varco tra le loro menti, ma Ginevra rimase nel suo angolino, lambiccandosi per trovare una domanda non scontata. La vita senza un corpo, aveva detto Tom, parlando di quel ricordo angosciante: la stessa sensazione che lo aveva portato a chiamarla in sogno, mesi prima, e di cui non avevano mai più parlato.
<< Hai… hai avuto incubi, di recente? >> chiese con un filo di voce.
<< No. >>
Ancora una volta, la verità era stata impenetrabile, così sfocata da essere quasi impercettibile, surclassata da generici ricordi di notti prive di sogni. Ginevra ormai aveva capito come nascondere i propri pensieri, ma questa volta avrebbe anche voluto una risposta vera.
<< Stavo pensando che… >> iniziò lei, ma Tom la interruppe.
<< Tocca a te adesso. Hai capito come fare, no? >>
Per qualche istante Ginevra si morse l’interno della guancia, studiando la sua espressione. << Non ne abbiamo mai parlato >> insistette infine, gettando la discrezione alle ortiche.
<< Non c’è nulla di cui parlare. >> ribatté lui, impassibile: << Stiamo perdendo tempo. >>
Discorso chiuso. Che ironia: sosteneva di volerla come complice per la conquista del mondo magico, eppure la chiudeva continuamente fuori dal suo, di mondo, senza pensarci due volte. Ginevra scosse la testa, ma poi si sforzò di liberare la mente e ricreare la sensazione che aveva provato poco prima: la tersa concentrazione della mente di Tom mentre attendeva le sue domande, invisibile ma pronta a scattare. E quando era passato all’azione era stato come se tutta la sua capacità di attenzione si fosse focalizzata su un’unica immagine, come un fascio di luce intensa accanto al quale ogni altra cosa diviene invisibile. Ginevra fece una prova per ricreare quell’effetto tra i propri pensieri, concentrandosi sul ricordo del momento in cui aveva aperto i regali di Natale: la vecchia calza colorata, la sua consistenza pagliosa, e la morbidezza del maglione blu che vi aveva trovato dentro… poi tentò di spostarsi da quel ricordo a un altro, dal particolare al generale, sempre mantenendo la concentrazione assoluta: era tradizione che tutti in famiglia ricevessero un maglione per Natale…
<< Apprezzo l’iniziativa >> la interruppe Tom << ma facciamo un passo alla volta: se riuscissi anche solo a isolare un singolo pensiero, senza esitazioni, sarebbe un ottimo risultato per la prima lezione. Un’intera sequenza di pensieri è ancora troppo complessa. >>
Ginevra fece un respiro profondo, e annuì: << Un’altra domanda. >>
<< Dicono che Tu-Sai-Chi stia preparando un’armata di inferi. >>
Ginevra non riuscì a trattenere una risata sentendo Tom parlare di sé stesso usando quella perifrasi.
<< Ginevra, provaci almeno. >> la rimproverò lui. << E’ vero che è stato colui-che-non-deve-essere-nominato ad aprire la Camera dei Segreti? >>
Lei rivide di fronte a sé il volto di Silente, gli occhiali a mezzaluna, il cappello a punta viola. La stessa persona che l’ha aperta l’ultima volta: Tom Orvoloson Riddle”
<< Sì, così mi ha detto Silente >> rispose, rimanendo concentrata su quell’immagine.
<< Quasi. >> disse Tom: << Ce l’avevi quasi fatta: non ho visto nient’altro che il volto di Silente, almeno finché non ha pronunciato il mio nome. >>
Ginevra trasse un respiro profondo, lievemente frustrata.
<< E’ normale che sia più difficile quando si toccano ricordi o concetti chiave, e per te il mio nome di battesimo lo è più di molte altre cose. >>
In effetti, il nome Voldemort si stava rivelando molto meno critico per lei. Ai suoi occhi, lui era sempre stato Tom.
<< Riproviamo. >> disse, risoluta.
Lui riprese: << Qual è l'ultimo libro che hai letto? >>
Questa volta Ginevra si avvicinò parecchio all’obiettivo, ma ci mise un momento di troppo a focalizzare una risposta adatta. Arrivò di nuovo molto vicino al successo alla domanda: << Cosa pensi che succederà, adesso che Voldemort è tornato? >> ma mentre parlava, Tom si era messo a far levitare la penna d’oca che lei aveva appoggiato sul tavolo, e Ginevra non era riuscita ad escludere dalla propria mente la consapevolezza che Voldemort fosse lì davanti a lei, a giocherellare con il primo oggetto a disposizione, come avrebbe fatto una qualsiasi persona annoiata.
Era davvero stancante mantenere la guardia alta in quel modo, e per di più lei si stava limitando a risposte semplici. Come avrebbe fatto a mantenere quel livello di concentrazione per una conversazione intera?
<< Un problema per volta, Ginevra. Il primo passo è il più difficile. >> La incoraggiò lui, riportandola al presente e facendo ricadere la piuma sul tavolo.
Ma lei fallì miseramente alla domanda successiva, quando lui le chiese: << Cos’è la legilimanzia? >>
Con calma e trattenendo a stento un sorriso, Tom ritentò: << Quale dei tuoi tanti insegnanti di Difesa si è rivelato il più competente, a tuo avviso? >>
<< Lupin. >> rispose Ginevra sicura, la mente vuota se non per il ricordo della primissima lezione fatta col professore: li aveva divisi a coppie, per provare l’incantesimo di disarmo. Ginevra aveva lavorato con Nigel, ricordava ancora la soddisfazione quando finalmente era riuscita a fargli saltare via la bacchetta…
<< Ottimo. >> disse Tom, entusiasta: << Questa volta è andata davvero bene. Hai tenuto la concentrazione fino alla fine, e vedo che inizi a rievocare i ricordi più adatti, ma senza mostrare lo sforzo. Te la senti di fare un ultimo tentativo? Per consolidare il successo? >>
Ginevra si risistemò sulla sedia. Iniziava ad accusare la stanchezza, ma ora che c’era riuscita era ansiosa di riprovare. Con un sorriso determinato, si stiracchiò e fece schioccare le nocche delle mani: << Sono pronta. >>
<< Quando hai imparato a eseguire gli incantesimi non verbali? >>
L’attenzione di Ginevra si focalizzò senza esitazione: << L’anno scorso: per costringerci a imparare, il professor Shacklebolt ci ha fatto bere la pozione balbettante all’inizio di ogni lezione per un mese. All’inizio è stato un disastro. >> Ridacchiò ripensando al disagio dei suoi compagni di classe e alle scene ridicole a cui aveva assistito. Come quando Emily, come suo primo incantesimo non verbale, aveva fatto esplodere uno scaffale solo per la frustrazione di non poter parlare, e il professore aveva commentato che “almeno si era sbloccata”. O quando…
Il suono di un applauso la distolse da quei ricordi.
<< Sviamento per omissione. >> constatò Tom con un sorriso: << Hai fatto coincidere i tuoi ricordi più rilevanti di quel periodo con aneddoti legati a qualcun altro. Nessuno avrebbe sospettato della mancanza di eventi su di te, avrebbe semplicemente dedotto che non fossero altrettanto divertenti. Complimenti, Ginevra, hai appena scoperto uno dei trucchi del mestiere. >>
Lei trasse un respiro trionfante e si abbandonò sulla sedia: << Sono a pezzi. >>
Tom annuì: << E’ comprensibile, ma era importante arrivare ad un successo, ed era importante che tu fossi davvero soddisfatta del tuo lavoro. Nell’apprendimento bisogna sempre chiudere… >>
Su una nota positiva. Me lo ricordo. Lo intercettò lei, sbirciandolo con la coda dell’occhio. Quella era una frase che Tom aveva ripetuto più volte attraverso il diario, ed era una cosa a cui lei aveva sempre fatto attenzione da allora.
<< Ma come, pensavo fosse Lupin il tuo insegnante preferito. >> la punzecchiò lui.
Ginevra alzò gli occhi al cielo, ma non riuscì a trattenere un sorriso: << Ah, davvero? Allora perché mi hai fatto quella domanda? >>
<< Touché. >> commentò lui con un cenno del capo.
Poi gli occhi di Ginevra caddero sull'orologio, e la ragazza scattò in piedi: << Si è fatto tardi, dovrei essere in dormitorio da un pezzo.>>
Con un cenno di assenso, Tom la imitò. Prima di andare, si soffermò un momento a osservarla: << Non sei troppo stanca per eseguire un incantesimo di disillusione, vero? >>
Per tutta risposta, lei si picchiettò la fronte con la bacchetta, mormorando: << Desilludo >>.
Fu come se un gel ghiacciato le si riversasse addosso, propagandosi sulla sua pelle a partire da quel punto.
<< Pare di no >> gli confermò sollevata, guardando i propri piedi scomparire, mimetizzati con il pavimento dell’aula. Lui le sorrise, pur senza vederla, e prima di rendersene conto Ginevra ricambiò quel gesto, mentre una strana, frizzante leggerezza si faceva largo nel suo petto. C’era qualcosa di dolce nella complicità di quello sguardo… Ma cosa diavolo sto facendo?
Ginevra distolse lo sguardo: era anche peggio di quanto sospettasse Luna. Lei…
<< Fammi sapere quando hai tempo per la prossima lezione. >> disse lui, rilassato e ignaro; ma la sua voce le giunse lontanissima.
Ginevra scosse la testa e non rispose.
Lui inclinò il capo, scrutando il vuoto in cui lei si trovava.
<< Ginevra? Tutto bene? >>
Il nodo che lei aveva in gola le impediva di produrre alcun suono.
No… non proprio. rispose mentalmente.
Se hai bisogno di parlare, io sono pronto ad ascoltarti. Lo sai, vero?
Quelle erano parole che aveva sempre desiderato sentirgli dire: Tom, il suo confidente, il suo migliore amico. Quanto avrebbe voluto… ma si sentiva in colpa solo a pensarlo.
Non oggi. Gli rispose, scuotendo di nuovo la testa. S’incamminò lentamente verso l’uscita, passandogli accanto. Ho solo bisogno di restare sola. Non cercarmi… per favore.
Nonostante Ginevra fosse invisibile, lui la intercettò, appoggiandole una mano sulla spalla. Quel contatto la fece sussultare, ma non si ritrasse.
Per favore Tom, lasciami andare.
Da quando mi chiedi le cose “per favore”? Che ti prende?
Non sono proprio in vena di litigare, in questo momento.
rispose lei; lui indugiò, e per un attimo Ginevra si chiese se avrebbe fatto qualcosa per trattenerla. Ma lui rimase immobile, e lei sfuggì da quel contatto senza incontrare resistenza. Si avviò verso l’uscita, sentendo già la mancanza del suo calore laddove si era trovata la sua mano.
Lasciami sola, per favore, ti chiedo solo questo.
Ci fu un lungo silenzio, poi la voce di Tom risuonò nuovamente nei suoi pensieri, in un sussurro: Come vuoi. Buonanotte, Ginevra.
A quelle parole, il groppo che aveva in gola si strinse dolorosamente, ma Ginevra non si voltò indietro. Dubitava che quella notte avrebbe mai potuto essere buona. Senza quasi accorgersene percorse la strada fino al dormitorio. Oltre il buco del ritratto, la Sala Comune era buia e vuota, con solo le fiamme morenti del caminetto ad accoglierla. Si rannicchiò sul tappeto lì di fronte, cercando conforto nel calore emesso dalle braci. I loro bagliori incandescenti apparivano distorti sotto ai suoi occhi, offuscati dalle lacrime che non riusciva più a trattenere.
...Cosa sto facendo?


 
 

Il Capitolo XXII verrà pubblicato indicativamente a fine ottobre, ma non ne siamo del tutto certe perché il prossimo capitolo richiede un po’ di lavoro in più e abbiamo di nuovo gli impegni universitari a metterci i bastoni tra le ruote. In ogni caso, faremo del nostro meglio per non tardare troppo.

Se volete essere aggiornati sulle nuove pubblicazioni e altre possibili novità, abbiamo un gruppo facebook: Tom e Ginevra (Efp), e una pagina instagram: @the.blue.heads 

Un bacio! 
Blue Heads

 

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