Shades

di Amachodidaskalos
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01-La torre ***
Capitolo 2: *** 02-Il re della Pineta Maggiore ***
Capitolo 3: *** 03-Contati le dita ***
Capitolo 4: *** 04-Debiti ***
Capitolo 5: *** 05-Lupo Grigio ***
Capitolo 6: *** 06- Uukart lo Stupido ***
Capitolo 7: *** 07-Il ponte ***
Capitolo 8: *** 08-Tanto rumore per nulla ***
Capitolo 9: *** 09-Il grande Leo Noah ***
Capitolo 10: *** 10-Nidi di rondine ***
Capitolo 11: *** 11-Una brutta notizia ***
Capitolo 12: *** 12-Le gallerie ***
Capitolo 13: *** 13-Non oggi! ***
Capitolo 14: *** 14-Per Diana ***
Capitolo 15: *** 15-Presi ***
Capitolo 16: *** 16-Oltre la porta ***
Capitolo 17: *** 17-Le cripte ***
Capitolo 18: *** 18-Le indagini hanno inizio ***
Capitolo 19: *** 19-Acqua densa ***
Capitolo 20: *** 20-Il sicario ***
Capitolo 21: *** 21-Per assumere un mercenario ***
Capitolo 22: *** 22-Un ospite inaspettato ***
Capitolo 23: *** 23-Il carro da morti ***
Capitolo 24: *** 24-Scontro alla porta ***
Capitolo 25: *** 25-La botola ***



Capitolo 1
*** 01-La torre ***


Capitolo I: La torre

La sconfinata pineta scorreva rapida, mentre la sorvolava immersa nella semioscurità. Pesanti nubi grigie, gravide di pioggia, coprivano il cielo fino all'orizzonte, dove si confondevano con le cime dei monti, ma se anche il cielo fosse stato terso, la luna nuova non avrebbe certo aiutato a rischiarare il paesaggio. Eppure, anche nella greve penombra, gli occhi di Timis potevano distinguere chiaramente il profilo cupo e solitario della torre storta e diroccata che si stagliava sulle cime degli alberi. Abbassò lo sguardo sotto di sé, verso le chiome aguzze che sfilavano rapidamente sotto di lei. Non invidiava per nulla chiunque fosse costretto a percorrere quella via sui propri piedi: la Pineta Maggiore era famosa per essere quasi impraticabile per la maggior parte della sua estensione, e densa di pericoli, e non a tutti era concessa la possibilità di superarla volando.
Una ciocca dei suoi capelli dorati mossa dalla turbolenza le frustò il viso, distogliendola dai suoi pensieri. Sputò alcuni capelli che le erano rimasti in bocca e ricacciò il ciuffo dietro una delle sue orecchie a punta. Timis era una mezzelfa keraniana, una sottorazza di mezzelfi che si erano abituati a vivere nel sottosuolo, dove avevano modificato il loro sangue con la magia, riempiendolo di Ferro Morto. I loro volti avevano perso i tratti affilati tipici delle creature di sangue elfico, certo, ma il minerale maledetto che circolava nel loro organismo offriva loro una debole resistenza alla magia e la possibilità di intraprendere una carriera riservata a poche altre razze oltre quella umana: Timis, come tutti gli individui più dotati del suo popolo, era una Falce Mietitrice, una soldatessa al servizio della Morte stessa.
Timis ricordava bene la prima volta che era stata ammessa alla presenza della Morte: varcato il portale dimensionale per il Piano degli Spiriti, aveva atteso in una confortevole stanza in compagnia di altri due aspiranti Falci Mietitrici, con le quali aveva passato circa un'ora cercando di evitare di incrociare gli sguardi.  Quando alla fine era stata ammessa alla presenza della divinità, si era resa conto di quanto quella fosse diversa dalle descrizioni dei racconti che aveva ascoltato sin da bambina: aveva davvero l'aspetto di uno scheletro avvolto in un sudario nero, ma, per quanto si fosse sforzata, Timis non era riuscita a ravvisare la minima traccia dell'aura di terrore che avrebbe dovuto emanare. Al contrario, era stata accolta con gentilezza ed educazione, e la Morte aveva sempre cercato di farla sentire a suo agio: benché non ci fosse pelle né carne sul suo teschio candido, le fila di denti perfettamente rettangolari davano sempre l'idea di essere curvate in un sorriso.
Il suo lavoro, aveva spiegato la Morte con pazienza, avrebbe comportato un solo, semplice compito: eliminare quelli che si oppongono al naturale ciclo vita-morte, primi dell'elenco non-morti e necromanti, ma solo quelli provenienti dal Piano Materiale. Gli extraplanari erano infatti soggetti ad altre leggi, che anche lei avrebbe dovuto rispettare. Infine le aveva consegnato un lungo mantello nero ed una falce uguale alla sua, con il manico dosso modellato in forma di una sequenza di femori, con un piccolo teschio proprio sopra la lama, fatta di adamantio nero. Nelle sue mani, la falce aveva tremolato come vista attraverso la superficie dell’acqua, e si era ridotta ad un piccolo bracciale di ossicini, stretto intorno al suo polso.
«Quando sarai abbastanza brava, sarai in grado anche di assumere il mio aspetto, bambina. Per quello però dovrai ad aspettare un po'. Benvenuta tra le Falci mietitrici.» le aveva sussurrato la Morte scompigliandole i capelli con fare paterno, come se la conoscesse da una vita. Quelle parole avevano fatto colpo su Timis.
Entrando in quella schiera a tredici anni Timis era stata la più giovane Falce mietitrice mai esistita, e si era sempre distinta nelle esercitazioni. Aveva una forza straordinaria per la sua corporatura esile, ed era anche molto sagace. Erano in molti a lodarla, ma lei non si riteneva mai soddisfatta: il suo più grande desiderio era di poter assumere l'aspetto della sola persona che l'aveva trattata come una figlia, nientemeno che la Morte in persona.
"Ed oggi, dopo sette lunghi anni, la lunga attesa finisce." rifletté tra sé e sé mentre ormai aveva raggiunto la torre "Oggi, con quest'ultimo incarico, mi guadagnerò il titolo di Morte Falciatrice.".
Aveva fatto i salti mortali per farsi assegnare quella missione: aveva corrotto con dei dolcetti la vecchia archivista e promesso di pulire la camera per una settimana a tre persone differenti, ma ne sarebbe valsa la pena. Stando alle informazioni che i corvi aveva raccolto, intorno a quella torre si aggiravano numerosi non-morti di bassa lega, e questo poteva indicare una sola cosa: la torre in questione era diventata la base di un necromante. Il suo compito era purificare i non-morti e prendere l'anima del loro creatore.
Volteggiò intorno alla torre in cerca di un ingresso discreto. Individuò un piccolo abbaino. Si fermò davanti al vetro appannato della finestra per qualche istante, e prese un lungo sospiro per scacciare l'ansia e l'eccitazione. Non poteva permettersi di sbagliare.
 
♠♠♠
 
All'interno della torre l'aria era umida e fredda, ed il gelido vento autunnale che soffiava leggero su tutta la Pineta Maggiore trovava mille spifferi in cui intrufolarsi nei vecchi mattoni ammuffiti della costruzione. Davanti ad una scrivania coperta di carte e fogli di pergamena sedeva su di uno sgabello con una gamba rotta un uomo sulla trentina, avvolto in un camice troppo lungo per lui che forse un tempo era stato bianco, ma che ora appariva grigiastro per la polvere ed il terriccio che lo infangava. Nonostante l'età, i suoi capelli erano grigiastri, e ricadevano spettinati ai lati della testa. Si rimboccò le maniche sopra i polsi e prese a massaggiarsi lentamente le tempie, come per scacciare un forte mal di testa e trasse un lento sospiro. Si sentiva esausto.
«Oh, calcoli, calcoli, perché non volete tornare?» cantilenò sospirando di nuovo, poi roteò gli occhi al cielo e si ributtò a capofitto sui fogli.
La sua attenzione fu catturata da un piccolo cristallo azzurro sulla sua scrivania, che aveva preso a pulsare debolmente.
«Ci mancava anche questa...» biascicò tenendosi il volto con le mani.
Un cadavere entrò incespicando nella stanza, e si mise a mugolare frasi incomprensibili in tono lamentoso per attirare la sua attenzione. L'uomo roteò gli occhi, riservandogli un'occhiata scocciata.
«Ma certo che me ne sono accorto, idiota.» sbraitò verso il non-morto che lo aveva interrotto «Come vedetta sei un fallimento: il cristallo si è attivato prima di te. Ah, ma forse lo fai perché pensi che io sia stupido, eh? Lo fai perché tu vedi qui il tuo povero scemo creatore che si strugge di fronte ad una semplice anomalia nei calcoli, eh? Beh, non è colpa mia!» si alzò in piedi sbattendo i pugni sul tavolo «Non so cosa quel vecchio stregone avesse nella testa, ma sono sempre più convinto che fosse segatura! Questi livelli di energia interplanare non hanno senso!» fissò per qualche istante il non-morto, che gli rimandò uno sguardo vacuo «Ma perché perdo tempo con te? Piuttosto, vai a bloccare le uscite, rallenta un po' la ragazzina che sta cercando di entrare dal tetto, ti ricucio dopo, e porta anche gli altri due con te.». Il non-morto accennò un goffo inchino, e poi iniziò a salire le scale caracollante. Il necromante riprese a massaggiarsi la testa, il volto contratto in una smorfia di dolore: «Le mie emicranie...» si lamentò debolmente.
 
♠♠♠
 
Timis sferrò un calcio, ed il vetro dell'abbaino andò in frantumi. Fluttuò all'interno facendo attenzione ai vetri infranti, e posò i piedi a terra: ogni dispendio inutile di energie doveva essere evitato.
Scrutò l’ambiente guardinga: la stanza dove si era infilata era un solaio polveroso, pieno di vecchi mobili rotti coperti da lenzuola tarlate e ragnatele. Una vecchia porta con il pomello d'ottone sembrava essere l'unica entrata e l'unica uscita. Stava per avvicinarvisi, quando udì passi lenti ed irregolari salire sui gradini. Mentre si malediceva per il rumore dei vetri, ed il cuore prendeva a batterle forte nel petto si appiattì dietro la porta ed ascoltò attentamente. Tre creature, ne era certa. Non-morti umani, a giudicare dall'andatura. I passi si arrestarono dietro la porta e quella cominciò ad aprirsi cigolando.
"Lo sanno, lo sanno, lo sanno che sono qui!" pensò mordendosi le labbra. Si impose di calmarsi ed aspettò. Quando vide la prima ombra allungarsi sulla soglia balzò fuori di scatto roteando la falce: un rapido fendente, ed una testa semiputrefatta rotolò sul pavimento, finendo sotto ad un polveroso divanetto a fiori. Gli altri due non-morti le furono subito addosso. Fu solo grazie alle movenze rese più fluide dal suo mantello magico che schivò la coltellata di un cadavere che brandiva un corto pugnale spuntato, ma nel piroettare si sbilanciò troppo ed il secondo non-morto riuscì ad afferrare e morderle un braccio. Timis strinse i denti per non gridare quando percepì i denti del non-morto affondare nella sua carne. Se lo staccò di dosso con il manico d'osso della falce e lo colpì mentre quello era sbilanciato all'indietro: la lama di purissimo acciaio-ombra della falce sventrò il suo corpo marcio dal collo fino al ventre, ed il non-morto cadde all'indietro con un tonfo.
"Fuori due" pensò riprendendo fiato, ma non poté riposarsi a lungo: il non-morto armato di pugnale stava per sferrare un secondo affondo. Timis schivò di nuovo, poi tranciò di netto la testa del nemico, che rimbalzò un paio di volte prima di fermarsi contro il muro.
Indugiò sulla soglia solo per un istante, per controllare il morso: faceva male ed appariva profondo, ma non limitava la sua capacità di maneggiare la sua grande arma, e questa era l'unica cosa che le importava.
Scese lentamente le scale, con tutti i sensi all'erta ed il cuore che martellava nel petto. D'un tratto colse uno scricchiolio dietro di sé e si girò di scatto: pochi gradini sopra di lei stava seduto un uomo con i capelli color della cenere, i lineamenti affilati ed un'espressione annoiata dipinta sul volto. La sensazione di disagio e paura che l'aveva pervasa sino ad allora parve intensificarsi a dismisura.
«C-c-come sei arrivato lì?» balbettò sorprendendosi a tremare. Avvertiva che c'era qualcosa di sbagliato e di innaturale che emanava da quell'uomo, come una presenza soverchiante che le premeva sul petto e le faceva desiderare di essere altrove. Si impose di riscuotersi dal torpore e ripeté con tono più saldo la domanda, che era rimasta senza risposta. L'uomo si stiracchiò e si alzò in piedi: era quattro gradini più in alto di lei, e la guardava dall'alto in basso.
«Perché sei qui, ragazzina?» chiese inclinando la testa di lato e squadrandola con due occhi azzurro ghiaccio. La domanda fece breccia nel turbine di ansia e pensieri che pervadeva la mente di Timis, facendole ricordare all'improvviso il motivo della sua incursione.
 Scacciò ogni tremolio dalla sua voce e proclamò, cercando di sembrare più grande di quello che non fosse, «Nether Low, tu sei colpevole di aver sovvertito la più antica legge di natura, quella che stabilisce un tempo di attività in questo mondo uguale per anima e corpo. Per il potere di Falce Mietitrice conferitomi dalla Morte, io, Timis Galanodel, sono venuta qui per prendere la tua anima e purificarla, per poi farla reincarnare in un individuo più puro.»
Il necromante alzò un sopracciglio, sorpreso «Ooooh.» fece sarcastico «Capisco. Beh, temo che in questo caso dovremo combattere. Anche se forse hai preso un granchio ragazzina.».
Timis aprì la bocca per replicare, ma quella distrazione le risultò fatale: il calcio arrivò fulmineo sul mento di Timis che cadde all'indietro rovinando giù per le scale, e si fermò solo alla fine della rampa.
Si rialzò boccheggiando puntellandosi sulla falce. Il dolore era diffuso in tutto il corpo, e sentiva di avere una costola rotta. Nether scese le scale fischiettando, e la trovò ancora piegata in due.
«Secondo il mio modesto parere di ricercatore,» cominciò «sembra che tu abbia immensamente sottostimato il divario di forza. O ti hanno costretto a venire? Dovete essere proprio a corto di personale per mandare una ventenne contro...» il colpo di falce di Timis prese il necromante alla sprovvista, e non mancò il colpo: la lama argentata si fece strada tra il tessuto e la carne, incidendo un taglio profondo sulla spalla destra del necromante.
«Dicevi?» chiese ansimando mentre si metteva sulla difensiva aspettando la mossa avversaria.
«Tu brutta...» il necromante barcollò all'indietro, senza più alcuna vena ironica nella voce, e sul suo volto si disegnò un'espressione d'odio.
L'uomo chiamato Nether arretrò fino alle scale, adocchiando sadico una delle macchie di sangue che Timis aveva lasciato sui gradini mentre cadeva. Con un ghigno sinistro, passò il dito sulla macchia, e si portò il sangue della mezzelfa alla bocca.
Tutto il Ferro Morto nel sangue di Timis non valse nulla: quale che fosse la natura del suo anatema, i suoi effetti furono istantanei e devastanti. Tutto il sangue di Timis, che colasse dalle ferite, le riempisse la bocca o scorresse ancora nel suo corpo, prese a scottare. Urlò di dolore mentre la vista le si affievoliva, e prima ancora di capire cosa fosse successo si trovò e in ginocchio. Fece appena in tempo a vedere il taglio sulla spalla del nemico rimarginarsi rapidamente mentre si avvicinava a lei, prima di non riuscire più a tenere gli occhi aperti.
 "Sto per morire." fu il suo ultimo pensiero, poi tutto si fece buio.



Da capo. Un'altra volta. Finisco di scrivere il capitolo XIV, tutto contento mi appresto a postareil VII e puf. Scomparsa. Sarà colpa mia, avrò premuto il tasto sbagliato, immagino. Cerchiamo di vedere i lati positivi, però: è una grande occasione per reinventarsi. Ho apportato minimi cambiamenti all'impostazione del commento dell'autore. Innanzitutto scompare il prologo, che in effetti era inutile e anzi dannoso per la visibilità della storia. Scompaiono le Chicche per Nerdoni, che hanno iniziato a starmi strette sin dal primo capitolo: al loro posto appaiono i Commenti del Master ed i Commenti dei Giocatori, per dare a chi conosce D&D una migliore panoramica del nostro stile di gioco. Appare inoltre la Bussola del Lettore: un utile guida al mondo da noi immaginato, soprattutto perché tutta la moltitudine di cose che noi davamo per scontata spesso e volentieri non lo è affatto, e dietro ammissione dei giocatori, crea confusione nel lettore. Sono previste anche piccoli approfondimenti ogni volta che appare un personaggio nuovo, ma mai più di uno per capitolo. Per il resto, nessuna modifica ai testi dei capitoli, che saranno postati al ritmo febbrile di uno al giorno fino a Mercoledì 26 Marzo, per mettersi in pari, per poi riprendere con un capitolo a settimana ogni Mercoledì più eventuali bonus. Questo è tutto.

Commento del Master: L'inizio della prima sessione, quanti ricordi! Avevo imposto delle semplici regole per la creazione dei personaggi, ovvero solo roba della Wikia e Livelli dal 3 al 7, ma Timis è stata l'unica a scegliere il terzo livello. E le ha prese. Perché quando ti scontri con chi è al doppio del tuo livello le prendi.

Commento dei Giocatori: Oltre alle grasse risate per la figuraccia della ruolatrice di Timis, salgono l'hype, il mistero e anche un po' l'invidia: per questioni di trama alcuni personaggi non appariranno in questa storia fino ad oltre il decimo capitolo! E poi perché Nether è così OP?

Bussola del Lettore: La classe di Timis, Grim Reaper, è stata inserita nel mondo di gioco nel seguente modo (in caso fosse poco chiaro): con il nome di Falci Mietitrici, compongono un ristretto esercito al servizio della Morte stessa, con il compito di eliminare coloro che si oppongono al loro signore, ovvero non-morti e necromanti. Attenzione, però! Hanno autorità e "licenza di uccidere" solo sui nativi del Piano Materiale. Questa condizione è stata imposta dalla Morte stessa per evitare problemi, scontri e guerre del Piano Etero con gli altri piani di esistenza. Al lv 4, quando ottengono la loro "forma di mietitore" cambiano nome e rango, e diventano Morti Falciatrici, ovvero un'élite di guerrieri ancora più ristretta e potente.

Timis: Diventata Falce Mietitrice giovanissima, Timis si appresta ad essere una promettente futura Morte Falciatrice. Se solo quegli ultimi 3000XP non fossero così difficili da raccogliere... So che qui fa la figura dell'incompetente, ma credetemi: è stata solo molto sfortunata con i tiri. Nonostante il suo basso livello, Timis, nel corso della campagna, si è dimostrata più volte in grado di rivaleggiare con nemici ed alleati ben più potenti di lei, il che ne fa uno dei membri di punta del party. Per quanto riguarda la razza, Timis è una mezzelfa keraniana, dalla famosa ambientazione di Keran, che però, abbiamo deciso, costituisce semplicemente una piccola regione del mondo di gioco.

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Capitolo 2
*** 02-Il re della Pineta Maggiore ***


Capitolo II: Il re della Pineta Maggiore

«Mapporc…» l’imprecazione fu stroncata dalle foglie morte e putrescenti che gli tapparono la bocca quando vi cadde di faccia. Si rialzò sputacchiando e cercò di spolverarsi gli abiti ormai luridi.
«Questi cazzo di rami…» mugugnò a denti stretti togliendosi il molle terriccio dalle numerose tasche della giacca.
“Radici.”  udì sussurrare da una voce femminile, ma il ragazzo era solo.
«Cosa intendi dire?» chiese all’aria davanti a sé mentre si cercava di ritrovare il sentiero nel fitto sottobosco della Pineta Maggiore.
“Quelle che escono da terra si chiamano radici. I rami crescono in alto ed hanno gli aghi, idiota.” precisò la voce con una punta di rimprovero.
«Vedi di stare zitta.» sbuffò lui togliendo l’ultimo rametto umido dai suoi capelli neri. «Sai? Penso che i confini della foresta non siano lontani.» aggiunse poi scrutando  fiducioso in lontananza nella selva di sempreverdi, che sembrava non avere fine.
“Lo hai detto anche due ore fa." di nuovo, le parole semplicemente risuonavano nella mente del giovane "E quattro. E stamattina, e ieri, e l’altro ieri ed il giorno prima ancora. Sono quattro giorni che dici che i confini non sono lontani.”
«Ti ho detto di stare zitta!» il ragazzo colpi con un pugno il tronco di un albero e poi vi ci si accasciò sopra, preso improvvisamente dallo sconforto «Non sei tu quella che ha problemi perché non c’è lo straccio di un animale e deve mangiare per forza bacche e pinoli ogni giorno!».
Il silenzio che calò dopo che si fu sfogato durò quasi un minuto, prima di essere di nuovo rotto dalla voce evanescente.
 “Hey?" lo punzecchiava sarcastico "Siamo ancora vivi? Ce la fai?”.
Il ragazzo trasse un lungo sospiro, e quando alzò la testa il suo viso risplendeva di nuova e salda determinazione.
«Ne usciremo.» disse «Costi quello che costi noi saremo presto fuori di qui, Loreth, te lo giuro, o non sono più Miros il Prescelto.»
Dopo tre ore, numerosi cambi di direzione e molti borbottii che solo Miros pareva udire, senza che nessun segnale che indicasse la fine della Pineta Maggiore fosse apparso sul suo cammino, quello decretò la sua resa e si sedette su di un macigno tenendosi il volto tra le mani.
«Non è possibile…» piagnucolò «questa dannata foresta non ha fine!»
“Coraggio,” lo consolò la voce “dormiamo, per adesso. Forse domani, se filtra un po’ di sole…”.
Miros non prestava attenzione agli sforzi consolatori della vocina che sentiva nella sua testa. Era impegnato con tutto il suo spirito a fissare con occhi sgranati una zona di terreno non lontana: appena oltre una radice arcuata si distingueva, impressa su un letto di foglie di arbusti tutte schiacciate, la sagoma di una persona alta all’incirca quanto lui. In effetti, constatò, era la sua.
«Stiamo girando in cerchio.» biascicò a mezza voce «Stiamo girando in cerchio! Non è possibile, cazzo! Quanti Dei mi odiano? Voglio nome ed indirizzo dei luoghi di culto! Non ci credo!» riaffondò la faccia tra le mani ed iniziò a singhiozzare sommessamente.
“Su, dai, può capitare…" lo schernì la voce con tono provocatorio "Certo, questa sarebbe la terza volta nei nostri sei giorni di permanenza qui, ma se sei un idiota non è colpa mia.” .
L’espressione di Miros si fece dura «Giuro che quando usciamo di qui trovo un bravo esorcista e ti faccio tirar fuori dal mio corpo con le pinze.»
“Non sai neanche accettare una critica distruttiva? Sei noioso.” il tono della voce divenne all’improvviso lamentoso “Ah, ma forse sono io a non capire. Oh, la povera stupida Loreth che si è fatta catturare e sigillare nell’imberbe corpo di un completo mentecatto. Deve essere mio destino dissolvermi nel nulla perché tu morirai di fame in questa dannatissima foresta.”.
Un lampo improvviso attraversò gli occhi di Miros, che cessò di prestare attenzione alla voce del demone in lui sigillato.
«Destino?» chiese, questa volta realmente a sé stesso, «Giusto… come ho fatto a non pensarci da solo?»
Loreth parve esitare, poi prese a scandire molto lentamente: “Calma, Miros, non farti venire strane idee; noi dobbiamo solo attraversare la foresta: la nostra permanenza qui è puramente…”.
«Voluta dal Fato!» la interruppe lui balzando in piedi «È tutto così chiaro adesso. Loreth, capisci quello che voglio dire?»
“Sono intelligente, non sensitiva; ma quello che percepisco nella tua mente mi pare un’immane stron…”
«Sarò il re della Pineta Maggiore!» esultò lui interrompendola di nuovo.
“Ecco, appunto.” commentò Loreth con sarcasmo palpabile.
«Ci pensi? Tutti quelli che vorranno attraversarla dovranno sottostare alle mie regole, o subire la mia ira!» iniziò a camminare in tondo, eccitato «Sì, ne sono sicuro: è questa la grande via che mi è stata profetizzata dagli anziani del monastero!»
“Gli anziani del monastero ti hanno usato come cestino dei rifiuti quando tu eri appena in fasce, e per puntualizzare io sono la spazzatura di cui dovevano liberarsi." un velo di tristezza era sceso sulla voce di Loreth "Apri gli occhi, Miros: hanno profetizzato le tue imprese eroiche solo per convincerti ad andartene quando hai imparato a parlare con me. Temevano che avrei preso il controllo.”.
«Questa volta è diverso. Sono sicuro di poter essere felice scegliendo questa vita. Sicuro!» con un movimento fluido del braccio, slacciò la fibbia che gli assicurava il falcione alla schiena, impugnò l’arma e la fece roteare sopra la testa.
«Re della Pineta! Re della Pineta!» iniziò a canticchiare volteggiando a destra e a manca e menando fendenti in aria. Al quinto saltello mise il piede in fallo e scivolò di lato con un urletto smorzato. Il terreno sotto di lui cedette, rivelandosi essere nient’altro che una membrana di aghi caduti, foglie morte e terriccio smosso tenuto insieme da alcune radici, e lui si ritrovò sdraiato supino in una stretta galleria. Si alzò a sedere con qualche gemito e si guardò intorno: si trovava in un sorta di cavità sotterranea, con cunicoli di circa un metro e mezzo di diametro che si diramavano in tre direzioni differenti.
“Dove siamo finiti questa volta?” domandò Loreth innervosita.
«Sembra una tana» Miros non avrebbe potuto dire altro. In un'altra occasione, forse, sarebbe stato più guardingo, ma l’euforia di pochi istanti prima non era ancora svanita del tutto: si alzò in piedi e proclamò ad alta voce «Bene, creatura della Pineta, è il tuo re che ti parla! Esci fuori e sii per lui un degno pasto!».
“Idiota!” lo riprese lei allarmata “Non sai cosa può nascondersi lì sotto!”.
«Tranquilla, sarà il solito tasso crudele, o una pantera distorcente.» tese l’orecchio verso il cunicolo centrale «Shh! Hai sentito?».
“Sento quello che senti tu, idiota”. Dal fondo della galleria arrivò un rumore indistinto, a metà tra un ringhio ed un ululato. Il suono tacque per qualche secondo, poi riprese più forte e questa volta risuonava anche dai cunicoli laterali.
“Suggerisco di uscire e prepararci all’esterno.".
Miros ghignò, già in trepidazione per l’imminente scontro e con un balzo saltò fuori all’aria aperta, poggiando i piedi su terreno più solido. Struscii e stridii si aggiunsero ai versi profondi, mentre le creature, qualunque cosa fossero, sgusciavano fuori dalle loro tane. Milos indietreggiò di qualche passo e si mise in posizione, con il falcione saldamente impugnato con entrambe le mani ed il borsellino delle stelle da lancio aperte sul fianco.
Finalmente uno scintillio nel buio del tunnel centrale  preannunciò la creatura: si affacciò un muso largo e piatto con un robusto becco scintillante e due occhi grandi e tondi; fu seguito da un corpo massiccio e muscoloso, coperto sia di piume che di peli e dotato di possenti arti armati di artigli ricurvi.
«Orsogufi? Bene, sarà un pasto sostanzioso.» dichiarò con un sorriso sinistro stampato in volto.
“Orsigufo.” replicò Loreth.
«Che?» chiese lui storcendo il naso in una smorfia.
“Il plurale di orsogufo è orsigufo, non orsogufi. Piuttosto, quanti sono?”. Non ci fu bisogno di risposte: altri due esemplari, ugualmente minacciosi, si fecero strada fuori dai cunicoli.
“Il primo ad essere uscito è di sicuro il maschio.” iniziò a recitare Loreth con calma“Le altre devono essere le femmine. Fai attenzione: sono più aggressive”.
«Come fai a saperlo, eh?» Milos indietreggiò ancora qualche passo «Hai vissuto con gli orsigufi?».
“Orsigufo.” lo rimbrottò lei, e poi aggiunse “Mentre tu guardavi fuori dalla finestra, alle lezioni del sacerdote Kuld, io ascoltavo.”
«Bene, allora:» disse sogghignando «iniziamo.»
Scattò in avanti, rapido come un fulmine. La femmina di sinistra non riuscì neanche a vederlo arrivare: le fu addosso in un attimo e la colpì sulla spalla con un affondo di falchion; l’animale accusò il colpo, ma non cedette terreno, anzi rispose subito menando un’artigliata, che Miros schivò per un soffio. La femmina più vicina balzò in avanti ringhiando e tentò di travolgere Milos nel suo impeto, ma quello saltò in aria all'ultimo momento, atterrando morbidamente sul suo dorso. O almeno, quella era l’dea: all’ultimo momento scivolò sulla pelliccia pregna di umidità notturna e si appigliò disperato al suo falchion, la cui lama andò ad infilzarsi tra le scapole della creatura, che si accasciò a terra gemendo.
«Vedi, Loreth,» esclamò ridendo e rimettendosi in piedi «questo è certamente un segno del Fato!»
“Solo la fortuna di un esibizionista.” cantilenò lei segretamente divertita, poi, vedendo ciò che stava per accadere, gridò “No! Attento!”
Miros si girò appena in tempo per vedere il maschio avventarglisi addosso con forza impressionante: gli assestò una zampata che lo colpì in pieno petto, facendolo rotolare a terra, e poi la prima femmina gli fu addosso. Rotolò di lato, e le zanne della creatura si chiusero dove pochi istanti prima stava la sua testa.
“Suggerisco la ritirata.” sentì risuonare nella sua mente.
«Neanche per sogno.» rispose rialzandosi in piedi e preparandosi al prossimo assalto. I suoi sensi lo salvarono ancora una volta: dietro di lui si era rialzata la femmina colpita sulla schiena.
«Non è possibile che sia ancora in piedi: ha preso venti centimetri di lama nella schiena!» sbottò girandosi a guardarla. Ora era praticamente circondato dagli orsigufo, che lo studiavano minacciosi.
“Se attacchi quella debole mostrerai le spalle agli altri due” lo ammonì Loreth.
«Lo so, lo so.» Miros riusciva a mantenere il sangue freddo, ma si poteva percepire una punta di preoccupazione nella sua voce. Girando lentamente su sé stesso cercava di pensare ad una strategia.
«Io avrei una mezz’idea, Loreth,» concluse infine ghignando «ma mi dovrai prestare la tua forza per un po’.»
“Ti farai male.” gli ricordò lei.
«No, stai tranquilla,» sorrise lui «dammi trenta secondi.»
Loreth non rispose, ma Miros poté percepire il suo assenso quando sentì il sangue della demone pervadergli le membra: ogni volta era come se tutti i suoi vasi cominciassero a bruciare, ma non c'era solo il dolore. Insieme ad esso c'era anche la forza. Una forza in grado di sbriciolare la roccia e piegare l’acciaio, e dunque senz’altro sufficiente per quello che aveva in mente.
“Chissà se prima di essere sigillata si sentiva così tutto il tempo.” pensò tra sé e sé mentre stringeva il falcione tra le mani.Evidentemente gli orsigufo avevano percepito un mutamento, perché iniziarono ad annusare l’aria intimiditi.
“Tre, due, uno…” Miros si girò di scatto e spinse a fondo il falchion nella carne della femmina ferita, che spirò con un lamento smorzato senza neanche poter reagire, ma benché sentisse già i ruggiti infuriati degli altri due orsogufi avvicinarsi non estrasse l’arma dal corpo della creatura. Fece leva sull’asta del falcione, per contenere lo sforzo, ma era un’accortezza superflua: con la sua nuova forza i duecentosettanta chilogrammi dell’orsa morta sembravano appena una quarantina. Roteò facendo perno su un tallone portandosi il corpo del nemico morto con sé, e lo schiantò contro la coppia di orsigufo che lo stava caricando. L’impatto fu violentissimo: travolse per primo il maschio, che andò a sbattere contro la femmina, ed entrambi caddero sotto il peso del corpo della compagna. Fecero a malapena in tempo a trarsi sulle zampe che Miros aveva già estratto l’arma dalla carcassa e menava il primo fendente contro il maschio: con un colpo assestato proprio in mezzo agli occhi, la bestia si accasciò. Ringhiando furibonda, l’ultima femmina si lanciò all’attacco, e Miros si girò ghignando e lasciando cadere a terra il falchion.
“Che stai facendo, idiota?” sibilò Loreth tra i denti.
«Guarda, guarda…» rispose preparandosi all’urto. L’orsa arrivò schiumante di rabbia, cercando di agguantarlo con i lunghi artigli. Miros non tentò neppure di schivare: si limitò a sollevare il braccio e ad intercettare la zampa della belva, che bloccò senza sforzo, e poi fu il suo turno di sferrare il colpo: un pugno diretto alla mandibola, che rivoltò letteralmente il muso della creatura e ne spezzò il collo con un rumore sinistro. Miros si godé gli ultimi istanti della sua forza con un sorriso soddisfatto stampato sul volto, fino a che quella, veloce come era arrivata, non si ritirò dalle sue membra. Fu allora che il vero dolore esplose, riducendolo boccheggiante a carponi, tra i cadaveri di mostri. Si mise a ridacchiare sommessamente, mentre grosse lacrime scorrevano sulle sue guance.
“Non c’è nulla da ridere.” Soffiò Loreth alterata “Sei un idiota. Che bisogno c’era di quell’ultima bravata? E se non l’avessi parato in tempo? Quando usi la mia forza devi cercare di chiudere il combattimento il prima possibile. Guarda come ti sei ridotto in così pochi secondi!”.
Non aveva torto, pensò Miros, il suo corpo era messo seriamente alla prova da quegli sforzi titanici, ed ora non c’era un singolo muscolo che non fosse in fiamme.
“Ma ne è valsa la pena.” aggiunse mentalmente sorridendo tra una smorfia di dolore e l’altra “È stato fighissimo.”.
“E poi sei anche un egoista!” Loreth aveva preso a sgridarlo, nel frattempo “Se tu muori, muoio anch’io, ci hai mai pensato? Non c’è solo la tua vita in gioco, e mi hai anche promesso che…”
«Non ho dimenticato la mia promessa!» la fermò Miros, punto sul vivo «E proprio per quello, perché sarà sempre più spesso necessario che mi presti la tua forza, che devo riuscire a reggerla sempre più a lungo, e cosa c’è di meglio dell’esercizio diretto?» si rimise in piedi, stiracchiandosi: dopo il dolore, giungeva sempre il torpore.
«A te ci tengo, e vedrai che un giorno ci vendicheremo entrambi,» riprese poi massaggiandosi la spalla «ma non vorresti essere la Regina della Pineta, solo per questa sera?».
Il silenzio che seguì parve interminabile, sin che Loreth non parlò, in un tono decisamente più dolce, quasi materno: “Andiamo, ora siediti e mangia il tuo orsogufo.”.
Miros sorrise, ma non disse nulla.



Si cambia punto di vista e storyline, anche se, come si può intuire, ci si sposta di poco, in termini spaziali. Siamo sempre all'interno della sconfinata foresta nota come Pineta Maggiore. La parola alle rubriche.

Commento del Master: Quando mi è stato presentato per la prima volta il personaggio di Miros, l'occhiata che il suo ruolatore ha ricevuto avrebbe potuto trapassare il piombo e la retina di Superman dietro la parete. le parole esatte sono state più o meno: "Se te ne esci con la brutta copia di Naruto (ovvero del più grande spreco di potenziale nella storia del fumetto giapponese, a mio parere) mi metto a castare Lamento della Banshee e Pioggia di Meteore Massimizzata senza un motivo valido.". E invece è riuscito a dar vita ad un personaggio interessante. Non originalissimo nel concept crudo, ma psicologicamente ben studiato. Spero di riuscire, nel corso di questo resoconto, a comunicare questa sua unica profondità. Il rapporto con la sua demone (il genere da dare agli articoli mi ha fatto impazzire: se potete, aiutatemi, e ditemi se demone può essere anche femminile o sono costretto ad usare l'orrido corrispettivo demonessa?) mi aveva subito incuriosito: è una via di mezzo tra un rapporto madre-figlio e due adolescenti alle prese con il primo amore. Forse devo chiedere a Froid (pron. Fruà).

Commento dei giocatori: Questa parte di sessione è stata giocata "al buio", ovvero solo con in stanza il master, il ruolatore di Miros e la ruolatrice di Loreth, che possiede un personaggio tutto suo, ma che per motivi di trama non è ancora apparso neanche nella campagna. Quando poi abbiamo avuto il permesso di raccontarci tutto la nostra conclusione è stata: OP come se piovesse. Ma non ci da fastidio, è una campagna ad alto potere, dopo tutto, i nostri avversari sono 7-8 livelli più forti di noi, abbiamo bisogno di forza bruta.

Bussola del lettore: Non molto da spiegare, spero. Gli orsigufo (il plurale è davvero questo) sono veri mostri da manuale, creati dalla Wizard of the Coast dopo "essersi fumati l'impossibile- Cit Drizzit by Bigio" e sono tra le poche creature di grossa taglia che popolano la Pineta Maggiore. Tuttavia è ottobre inoltrato, e quindi passano la maggior parte del tempo nascosti nelle loro tane.

Miros: Abbandonato sulla porta di un convento di chierici cacciatori di demoni quando era ancora in fasce, Miros è uno dei tanti "serbatoi umani" dove questi sacerdoti dalla morale discutibile imprigionano i demoni catturati per poterne poi consumare l'energia in rituali altrimenti rischiosi. Inaspettatamente, forse per un errore nella procedura, Miros è diventato con il tempo conscio della presenza di Loreth nel suo corpo. Invece di spaventarsi, Miros ha stretto un patto di simbiosi con la sua ospite, la cui natura sarà esplorata più avanti. La sua classe è Eroe(modello marziale), lv4, e la sua razza è una tra le millemila varianti umane presenti sulla wikia.

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Capitolo 3
*** 03-Contati le dita ***


Capitolo III: Contati le dita

L’erba scintillava sotto il sole estivo, riverberando sul volto della mezzelfa, che strinse gli occhi istintivamente, ma che con sorpresa si accorse di non averne bisogno. “Strano.” pensò “Il Sole dovrebbe farmi male.”.
Scrutò l’ambiente circostante: nel mezzo di una valle erbosa circondata dai monti, in lontananza, si scorgeva un lago cristallino, le cui tonalità di azzurro rivaleggiavano con quelle del cielo, che non era deturpato neanche dalla più piccola nuvola. Sulle rive del lago si ergeva ancora fiero un castello semidiroccato, che scintillava candido sotto i raggi del Sole. Una brezza fresca e leggera le solleticò le caviglie, e la giovane donna si accorse di star indossando solamente una leggerissima tunica bianca, che le copriva appena le ginocchia.
“Devo essere morta.” il pensiero colpì Timis con agghiacciante naturalezza.
Poi, lentamente, i ricordi delle ultime settimane tornarono alla mente, e la testa prese a girarle vorticosamente mentre immagini sconnesse le sfrecciavano di fronte a gli occhi: tutti i suoi sforzi per farsi assegnare la missione, il volto del necromante Nether Low che la osservava dall’alto in basso, la sua completa incapacità di reagire di fronte alla paura che sembrava quasi emanare da quell’uomo e la sua cocente e rapida sconfitta. Quest’ultima era la cosa che le bruciava di più. “Mi sono comportata da incapace!” si rimproverò con un nodo alla gola, senza riuscire a pensare ad altro “E ora è tutto finito! Non sarò mai Morte falciatrice! Non ci posso credere! Davvero?” raccolse un piccolo ciottolo da terra e lo scagliò nel vento. Il suo cuore perse un battito quando udì il sassolino colpire l’acqua ed affondare.
«Non ero sulle rive del lago.» disse ad alta voce, come per rinforzare la sua sicurezza nell’affermarlo «Come… cosa?». La radura verdeggiante baciata dal sole di Luglio era scomparsa: davanti a lei, ora Timis, spaesata, vedeva estendersi la grande massa d’acqua che aveva prima scorto in lontananza, immersa in un gelido clima autunnale. Le acque, assurdamente immobili nonostante l’insistenza del vento pungente che si era levato, restituivano il colore plumbeo del cielo, coperto da una pesante cortina di nubi grigie. Sotto tale cielo, il castello non le appariva più candido, ma bianco smorto, e da vicino le sembrava molto più danneggiato che da lontano: ovunque vedeva edere senza foglie coprire le pietra bianche e corrose come una ragnatela, e quelli che da lontano erano parsi ordinati merletti ora si rivelavano essere squarci irregolari sulla sommità delle alte torri in rovina, che oscillavano pericolosamente sotto le forti correnti d’altitudine. I boschi di sempreverdi sui monti che come un orlo cingevano la valle si coprivano delle lunghe ombre delle vette, mentre il sole andava rapidamente a morire dietro le alture.
«Che succede? Perché è già buio?» gridò al vento, spaventata, e si girò a cercare con gli occhi la radura dove si trovava prima. Rimase a bocca aperta: dietro di lei, avvolta nel suo lungo sudario nero, c’era la Morte.
«Timis!» esclamò quando la vide girarsi verso di lei incredula «Sono felice che tu stia bene e sia viva!».
«V-v-viva?» balbettò mentre si asciugava sconcertata le lacrime. Non avrebbe saputo dire quando aveva cominciato a piangere.
«Non c’è per niente tempo, bambina!» riprese la Morte cantilenando «Stiamo per essere sigillati al di qua, e tu sei l’unica al di là, per cui… »
«Maestro, aspetti!» lo interruppe lei «Non capisco… sono viva? E allora dove sono? Perché lei è qui? Pensavo non potesse manifestarsi nel Piano Mater…».
La Morte alzò un dito scheletrico per zittirla «Devi solo ascoltarmi. Devi trovare Diana. Diana, ricordati questo nome. Cerca un castello come questo, e lì la troverai. Forse. Sei la nostra ultima speranza.» fece una pausa, e Timis sospettò che il suo Maestro stesse cercando di mordersi delle labbra che non erano più attaccate al loro teschio da molto tempo, poi riprese, nel tono di chi deve dare una brutta notizia «Non sarai sola nella tua ricerca. Ho chiesto aiuto al consiglio degli Dei della Morte, e…»
Timis non riuscì più a trattenersi «Ma maestro! Lei dice sempre che…»
«…che non approvo i loro metodi, lo so, bambina.» completò con voce gentile la Morte «Per questo siete nate voi Falci Mietitrici. Ma non possiamo vincere da soli questa volta, e dovete collaborare. Stanno avendo molti problemi anche loro, ma mi hanno promesso che avrebbero mandato qualcuno ad assisterti. Per favore, accetta il suo aiuto, chiunque esso sia, ed accetta anche  quello di tutti coloro che te lo offriranno, perché la cosa di cui tu più hai bisogno in questo momento sono alleati e amici. Non so se e quando potremo parlarci di nuovo o chi sta causando tutto questo, qualcosa sta interferendo con i collegamenti tra i Piani. Noi siamo già quasi del tutto tagliati fuori, e presto diverrà impossibile viaggiare da un qualsiasi Piano ad un altro. Per buona misura, dunque, addio, Timis. Fa la brava.» e si volatilizzò in un turbine di tessuto nero, lasciando dietro di sé una minuta clessidra.
«Maledizione!» imprecò Timis stringendosi nella corta tunica «E adesso?».
Il vento si era alzato, ed ora increspava la superficie del lago, sollevando schizzi d’acqua gelida che le sferzavano il viso. Si affrettò a raccogliere la  piccola clessidra: era grande quanto un palmo, in vetro soffiato intarsiato d’avorio bianco osso; non c’era sabbia al suo interno, ma una minuscola pergamena arrotolata. Timis non esitò: infranse il vetro lanciandola contro una grossa pietra sulla riva del lago, mentre il vento aumentava di intensità, ed afferrò al volo la pergamena che se ne uscì fuori vorticando. Ruppe il sigillo bianco e nero della Morte e lesse:
Le cose semplici sono quelle che ricordiamo meno.
Contati le dita.
«Ma cosa…» non fece in tempo a finire la frase che il vento esplose ululando: quello che era iniziato come un freddo refolo autunnale aveva ormai raggiunto le proporzioni di un piccolo uragano. Le torri del castello vacillavano pericolosamente sotto la sua forza, e Timis decise che sarebbe stato meglio fidarsi del suo maestro senza fare domande.
“Ma in fondo a chi potrei farle?” rifletté sarcastica, e senza esitare oltre guardò la sua mano destra ed iniziò a contarsi ad alta voce le dita: «Un dito, due, tre, quattro, cinque… sei, sette, no, sei, no, quattro, ma che… aspetta…».
Per quanto si sforzasse, non riusciva a mettere a fuoco la sua mano, e le sue dita parevano fatte di nebbia: svanivano, riapparivano, si moltiplicavano e poi scomparivano di nuovo senza una logica precisa.
Un fulmine la trasse dal suo sconcerto colpendo la base della torre più alta e pericolante: il tuono risuonò violentissimo con un istante di ritardo, facendole tremare la cassa toracica, e la torre, divelta dalle fondamenta, stava cadendo sopra di lei disgregandosi in blocchi. Il suo istinto le disse di correre, ma le sue gambe erano immobilizzate. Guardò impotente le tonnellate di roccia cadente avvicinarsi ogni istante di più. “È un sogno…” intuì mentre le macerie si chiudevano su di lei.
 
♠♠♠
 
«Ricominciamo da capo.» Nether misurava a grandi passi la stanza della torre, con gli occhi chiusi e le mani premute a massaggiarsi le tempie. Un non-morto stava in piedi vicino alle scale, seguendo il padrone con occhi vacui ed inespressivi. Il nercomante Nether Low usava spesso utilizzare le sue creature come ascoltatori accondiscendenti.
«Sappiamo, dunque,» riprese passando vicino alla sua scrivania «che qualcosa di grosso sta per accadere,che accadrà a mezzanotte esatta, ovvero tra ventidue minuti, e che l’evento si ripeterà, più intenso, tra dodici giorni…» girando in tondo era tornato di fronte alla sua scrivania, ingombra di fogli di calcoli ed appunti. Si appoggiò al tavolo con le mani, inspirò a fondo un paio di volte e poi esplose gridando: «… ma non ho la benché minima idea di COSA stia per accadere, né di dove si manifesterà!».
Si lasciò cadere sulla sedia, maledicendo le sue emicranie. Un altro non-morto scese le scale barcollando e gemendo, e richiamò l’attenzione del padrone con un suono gutturale.
«Di già?» domandò incredulo Nether, sollevando la testa «Pensavo che ci avrebbe messo di più a smaltire l’anestetico.». Si alzò e s’incamminò su per le scale, scostando malamente il non-morto che bloccava il passaggio. Arrivato in cima, entrò nella stanza dove poche ore prima aveva combattuto con l’intrusa. Si fermò appoggiandosi sullo stipite e si concesse qualche istante per godersi la scena: accasciata contro il muro, sulla parete opposta a quella dove erano appoggiati la sua falce ed il suo mantello, stava legata ed imbavagliata la giovane donna che si era infiltrata nella sua torre, ed aveva dichiarato di volerlo “purificare”.
“Tsk.” rifletté sogghignando “Non avevo mai visto una falce così giovane. Avrà al massimo vent’anni. Probabilmente non sospetta neanche l’esistenza di esseri come me. La Morte dovrebbe curare un po’ di più l’addestramento teorico dei suoi gradi bassi”. La donna aveva gli occhi aperti, anche se solo uno restava scoperto per la frangia di capelli biondi che le cadeva sul viso, e lo fissava con un affascinante miscuglio di paura e determinazione. Lentamente, Nether prese uno sgabello tra quelli abbandonati in giro per la stanza, si sedette davanti a lei e fece segno al non-morto che lo aveva seguito su per le scale di toglierle il bavaglio.
«Dunque,» cominciò, appoggiando la testa sulle braccia puntellate sulle ginocchia «cerchiamo di chiarire una cosa o due…».
«Devi lasciarmi andare!» lo interruppe lei gridando non appena fu libera di parlare «C’è un’emergenza in corso, per favore, prometto che tornerò e ti sarà dato tutto ciò che chiederai quando avrò risolto la faccenda, ma ora, per favore,  tu devi…»
«Zitta!» sbottò Nether in tono lamentoso tenendosi il capo con le mani «Mi farai esplodere la testa!» aggiunse guardandola di sbieco, minaccioso. Timis ammutolì, intimidita, e Nether si concesse qualche istante per ascoltare il silenzio nervoso della donna, prima di riprendere con calma  «Ascolta quello che devo dirti: primo, era mia intenzione, fino ad un momento fa, rilasciarti per dimostrare la mia buona fede, ma adesso inizio a ripensarci;» i suoi occhi saettarono verso quelli della donna, che però sostenne lo sguardo «e secondo: chi ti ha mandato qui lo ha fatto per niente. O forse adesso la Morte si arroga il diritto di amministrare anche altri piani oltre a quello Materiale?»
«Cosa intendi dire?» chiese Timis diffidente.
Nether sogghignò facendo rabbrividire la donna legata «Allora, piccola mezzelfa,» domandò sardonico «secondo te cosa sono io?».
Timis esitò, poi raccolse il suo coraggio ed osò sussurrare «Un umano?».
Li ghigno sul volto del necromante si allargò «Fuochino. Andiamo, su, sforzati! Non insegnano più alle Falci Mietitrici a percepire la qualità delle anime altrui?».
Timis chiuse gli occhi e si concentrò, scacciando dal suo animo la sensazione di nervosismo che la sola vicinanza del necromante le causava, e sforzandosi di liberare la mente. Ampliò le sue percezioni, fino ad incontrare l’anima dell’uomo di fronte a lei: “È umana, senza dubbio.” pensò “Però… c’è qualcosa di diverso.”
«Sei nato su un altro Piano?» chiese infine riaprendo gli occhi e cercando di mettersi più comoda.
«Promossa, hai studiato!» rispose Nether ridacchiando «Nato e cresciuto sul Piano delle Ombre. Non ho mai visto mia madre o un mio parente, e mi hanno cresciuto le Ombre. Li vedi questi?» si indicò i capelli bianchi, che ricadevano spettinati in tutte le direzioni «Sono un retaggio, un ricordino della mia infanzia. Di recente ho scoperto che, anche se pochi, ne esistono altri come me: ci chiamano…»
«Shadowtouched.» sibilò Timis, diffidente.
«Allora hai studiato davvero.» sorrise Nether compiaciuto «Bene, dunque ci sarai già arrivata, no? Intendo a quello che devi fare ora secondo le vostre leggi. Dai, recitalo per me.»
Timis storse il naso «Nether Low, io, Timis Golanodel, Falce Mietitrice, riconoscendo la tua natura di extraplanare,» esitò un istante, poi riprese, rassegnata «ti risparmio la vita, e dichiaro nulla la tua sentenza.»
«Mi risparmi addirittura la vita, che fortuna» la schernì il necromante incrociando le braccia.
«Tuttavia,» scandì Timis fulminandolo,che la rabbia faceva dimentica di qualsiasi paura «se dovessi con le tue arti nere arrecare danno ad un abitante di questo Piano, sarò autorizzata a farti del male per fermarti.»
«Ah, va bene, ti avviserò in anticipo. » rispose lui sarcastico « Beh, io ora ho molto da fare e mi rimangono appena sette minuti per farlo. Sono sicuro che hai già individuato le tue cose. Vattene il prima possibile, non voglio avere problemi anche con voi.» si diede uno schiaffo sulla fronte «Ah, già, quasi dimenticavo: prego.»
«Prego?» si indignò Timis «E per cosa dovrei ringraziarti, sentiamo?»
Per tutta risposta, lui si alzò in piedi, fece segno al non-morto di slegarla e poi, inclinando la testa, le domandò: «Secondo te chi ti ha rattoppato?» e si avviò giù per le scale.
Una volta libera, la Falce Mietitrice si passò le mani sotto i vestiti, e piccole fitte e spasmi le confermarono la presenza di punti di sutura che chiudevano tutte le ferite esterne, eseguiti in maniera così impeccabile che non le tiravano quasi la pelle. “Mi ha salvato la vita.” realizzò incredula. Fu quasi tentata di chiamarlo ed avvertirlo dell’altra potente anima che aveva percepito al piano di sotto.



Punto uno: per quanto bastardo possa essere un master, difficilmente lascierà che un personaggio muoia nei primi trenta minuti della prima sessione. Se poi è bravo *cough* ci crea anche un provvidenziale aggancio per la trama. Secondo: la dolce vendetta di Timis. Un po' fuori allineamento, forse, ma decisamente giustificata a livello di roleplaying.

Commento del Master: Non molto da dire, in realtà. Questo capitolo non descrive altro che un semplice scambio di battute, quindi meriti e colpe vanno tutti ai giocatori.

Commento dei Giocatori: Il master ha ragione. Sebbene i tre quarti del gruppo fossero sul divano a cincischiare, il dialogo/battibecco tra i due pg in gioco si è sentito forte e chiaro. Abbiamo creato i nostri personaggi privatamente, così che ciascuno è quasi completamente all'oscuro dei dettagli degli altri. La ruolatrice di Timis è rimasta davvero di stucco quando le è stato comunicato il risultato della prova di Pecepire intenzioni che costituisce la sua abilità di percezione delle anime.

Bussola del lettore: In questo capitolo viene ripetutamente citato il Piano delle Ombre. Cosa sono i piani esattamente? Sono diversi mondi, più o meno connessi tra di loro e più o meno orientati verso una fonte di energia. il Piano Materiale altri non è che la nostra Terra, il Piano Astrale può facilmente identificarsi con una nebulosa poco distante, connessa alla terra da numerosi wormholes. Il Piano delle Ombre è una sorta di riflesso del Piano Materiale: le essenze delle ombre, delle parti più nascoste e recondite di ciascuno di noi, risiedono lì, in città, valli, fiumi e montagne non tanto diversi dalle nostre. Capita a volte che un umano venga cresciuto su questo piano da una famiglia di ombre, ottenendo così alcuni dei loro poteri. Con i caratteristici capelli bianchi o color cenere a contraddistinguerli, gli Shadow Touched rappresentano il connubio perfetto tra Corpo e Ombra.

Nether: Nether Low è uno Shadow Touched necromante lv6. Con la sua vasta gamma di incantesimi e l'eccellente utilizzo tattico che ne fa, è ad oggi il pg con il maggior numero di vittorie negli scontri. Al contrario dei necromanti classici, tuttavia, Nether preferisce lo scontro diretto, limitandosi ad utilizzare i suoi non-morti come servi o diversivi, piuttosto che come soldati. Ha un passato da studente di medicina su cui non è ancora stata fatta luce, quindi non è impensabile un secondo approfondimento su questo potente personaggio.

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Capitolo 4
*** 04-Debiti ***


Capitolo IV: Debiti

Quando le era stato comunicato dall’emissario Alto Consiglio degli Dei della Morte, che altri non era se non suo padre, ch avrebbe dovuto recarsi sul Piano Materiale a tempo indeterminato per soccorrere ed aiutare una Falce Mietitrice, alla giovane Nori Chie, di appena centoquarantatre anni ma già dotata di lunga esperienza nella lotta contro gli oppositori del suo popolo, era salita la bile in gola. Tra Dei della Morte e Falci Mietitrici non correva buon sangue: entrambi si arrogavano il diritto di essere giudici di anime e persecutori dei non morti, ma i loro metodi e le loro ideologie erano tanto diversi che più che collaborare spesso entravano in conflitto. Tuttavia gli ordini sono ordini, e Nori aveva ingoiato il suo sdegno ed aveva chinato il capo ubbidiente all’improvvisa richiesta del padre.
Accoccolata su d una trave della lurida torre malridotta dove si era materializzata, osservava con dubbio e curiosità l’uomo in camice che scendeva le strette scale di pietra, con un sorriso inquietante dipinto sul volto.
Di primo acchito, Timis le era sembrato un nome femminile, ma come diceva sempre sua nonna, le razze mortali sembrano provare gusto nel scegliersi nomi assurdi e difficili da identificare, quindi quello poteva essere un suo errore di valutazione, e gli aggettivi al femminile potevano benissimo concordare con Falce, e non con il nome. Ricordava anche un accenno all’età, ma, in fondo, pensò, una differenza a occhio di una decina d’anni non poteva essere rilevante, anche per le razze del Piano Materiale, con le loro vite da moscerini.
Ciò che la rese sicura che l’uomo di fronte a lui non fosse la Timis Galanodiel che doveva soccorrere e poi aiutare era l’opprimente aura magica che lo circondava: un alone innaturale di terrore e sconforto, che le faceva attanagliare le viscere. Uno dei punti su cui suo padre l’aveva istruita mentre i servi completavano la sua vestizione era proprio che a Falce in questione era particolarmente vulnerabile perché non aveva ancora accesso alla maggior parte dei suoi poteri magici, non avendo ancora ricevuto la promozione a Morte Falciatrice.
In sostanza, concluse, chiunque avesse davanti era solo un ostacolo da eliminare.
 “Non so chi o cosa tu sia, immondo, ma è tempo che tu scompaia.” pensò mentre chiudeva gli occhi per analizzare la magia dell’avversario “Pft. Poteri necrotici. Come se si potesse rivaleggiare in quel campo con una Dea della Morte.”
Con un movimento felino, balzò giù dalla trave sguainando la sua fedele spada bastarda, Ephialtes, ed atterrò con leggiadria di fronte al nemico, che si arrestò sorpreso, preso alla sprovvista, ma che non retrocedette di un passo.
«Non ci credo!» lo udì lamentarsi fremente «Il giorno in cui sono sul punto di…»
«Risparmia il fiato, essere oscuro.» sentenziò Nori sistemandosi una ciocca di capelli neri che si era infilata nei suoi piccoli occhiali a lenti rettangolari. Era  infastidita dal fatto che la sua entrata a effetto non sembrasse aver minimamente intimorito il suo avversario: lei era lì davanti a lui, alta, mora, vestita per la guerra con un elaborato abito da combattimento in seta nera, avvolta in un aura guerresca, con i suoi occhi violetti, tratto insolito per il suo popolo di cui faceva motivo di vanto, che scintillavano imperiosi nella debole luce della sala. Eppure l’unica reazione che aveva avuto il suo nemico sembrava più una crisi isterica che un moto di paura.
«È  contro i più basilari codici morali attaccare un bersaglio ignaro.» riprese «Ho pertanto voluto concederti il sommo privilegio, immondo, di sapere che a porre fine alla tua sgradevole esistenza sarà la nobile Nori, dell’onorevole casat…».
Un raggio nero crepitante di energia scaturì dalle dita del necromante, e la investì in pieno facendola barcollare. Nori poté distintamente sentire le forze abbandonare il suo corpo, e la spada diventare di colpo molto pesante. Le gambe le tremavano come dopo una lunga corsa, avvertì la familiare sensazione di oppressione al petto, e il suo respiro iniziò a farsi affannoso.
“Non ora, maledizione!” imprecò mentalmente mentre iniziava ad ansimare pesantemente “Dannata asma! Cos’è questa magia?”.
Il nemico non stette lì a guardare mentre lei si sforzava di regolarizzare il respiro: un altro raggio nero, più sottile del primo, scaturì dal suo dito e serpeggiò verso Nori. Lei provò a scansarlo, ma le sue membra erano come intorpidite dalla stanchezza, e quello che voleva essere uno scatto laterale fu invece un maldestro passo che per poco non la fece inciampare. Buona parte delle forze che le erano rimaste le furono risucchiate, e non riuscì più a reggersi in piedi: crollò in ginocchio, lasciando andare la spada che cadde tintinnando e portandosi una mano al petto, che si sollevava e si abbassava freneticamente alla disperata ricerca di aria, e l’altra in una tasca del vestito, cercando spasmodicamente i suoi medicinali. Il cuore prese a battere così rapidamente da far male. Il suo avversario si avvicinò rapido, e le si accucciò al fianco.
«Tu hai idea di che giornata sia stata questa per me?» le domandò sussurrando «Arrivo qui per indagare su qualcosa che neanche capisco, dopo due settimane passate su fogli e calcoli giunge finalmente il giorno della verità, e io non sono ancora pronto. Cerco disperato di inventarmi qualcosa per non essere totalmente impreparato e sai cosa accade?» il necromante era ad un soffio dal suo orecchio, e Nori si sforzò di concentrarsi solo sulla mano nella tasca, che si strinse finalmente intorno ad una piccola fiala. Con il braccio tremante, cercò di portarsela alla bocca, ma l’uomo le afferrò il polso con un gesto fulmineo, bloccandola a metà percorso. «Che non una, ma ben due invasate vestite di nero piombano nella mia torre armate fino ai denti e dicono di volermi uccidere.».
“Ma allora la Falce è…” pensò ansimando mentre la crisi peggiorava.
Il suo nemico sembrò leggerle il pensiero: «E ora cerca di indovinare:» riprese torcendole il polso e facendole cadere la fiala «cosa è successo all’altra?».
«È ancora qui!» gridò una voce femminile, acuta ma salda, dall’alto della scalinata, «E lei è qui per me.».
In cima alle scale era apparsa una ragazza bionda, completamente avvolta in un lungo mantello nero, che stringeva tra le mani una falce più alta di lei.
«Ti avevo detto di andartene!» le gridò innervosito l’uomo, e Nori approfittò dell’attimo di distrazione per afferrare con la mano libera la fiala, caduta proprio davanti a lei e miracolosamente intatta. Il necromante se ne rese conto con un attimo di ritardo: stappando la fiala con il pollice, Nori riuscì a versarsene in bocca il contenuto appena prima che quello le bloccasse anche l’altra mano. L’effetto fu istantaneo: il battito cardiaco iniziò a rallentare, ed il respiro si regolarizzò. Ormai era solo la tensione degli spasmi della crisi asmatica a tenerle il busto sollevato: quando quelli cessarono si afflosciò tremando, madida di sudore.
«Non sono mica qui a tenerti su, sai?» le disse l’uomo lasciandole andare i polsi, poi si rialzò in piedi e si rivolse di nuovo alla ragazza, che nel frattempo aveva sceso le scale e si stava dirigendo a grandi falcate verso di loro «Quanto a te, cosa intendi con “è qui per me”?»
La ragazza bionda lo ignorò e si chinò ad aiutare Nori, che però cercò di scacciarla malamente con un braccio.
«Vedi di non mettertici anche tu, eh?!» sbottò, e poi la sollevò di peso e la portò verso una sedia malridotta appoggiata contro il muro. Nelle condizioni in cui si trovava, Nori non provò neanche ad opporre ulteriore resistenza, e si lasciò sistemare sulla seggiola senza fare storie.
«Intendo» riprese poi la giovane donna con voce calma, rispondendo finalmente al necromante «che l’hanno mandata ad assistermi in una missione urgente. Quindi, per favore, lascia andare anche lei, Nether.»
Il colorito usualmente pallido di Nether era diventato paonazzo, e sembrava sul punto di esplodere. «Ascoltami bene:» sibilò «ti ho lasciata in vita e trattata con gentilezza per pura convenienza, non sei nella posizione di…»
Un gemito lamentoso lo interruppe: Nether si girò per vedere un non-morto che tentava disperato di richiamare la sua attenzione.
«E tu dov’eri quando questa è entrata?» chiese sbraitando con il dito puntato verso Nori «Sei la guardia non-morta peggiore che io abbia mai avuto, probabilmente eri già un povero demente in vita, ma adesso…»
Il non-morto gemette di nuovo, indicando malinconico un piccolo orologio sulla scrivania. Mezzanotte meno un minuto. Nether recuperò il suo pallore in un istante, e si precipitò a controllare i suoi fogli, farfugliando al non-morto qualche parola su come fosse una brava sveglia.
Nel frattempo, l’innaturale stanchezza che aveva avvolto i muscoli di Nori andava dissolvendosi, ed era già in grado di reggersi in piedi.
“Non avevo mai visto questo tipo di magia” pensò mentre si massaggiava i muscoli doloranti. Squadrò da cima a fondo la ragazza bionda, che era stata in piedi a fissarla fino a quel momento.
«Deduco che tu sia Timis Galanodel, la Falce mietitrice.» affermò cercando di darsi un contegno. Fallì miseramente: il suo volto era una vampa arrossata sia dalla vergogna che dalla spossatezza.
«Sì, in persona.» rispose Timis abbozzando un sorriso nervoso «Faremmo meglio ad andare, ora. Avremo occasione di conoscerci meglio in viaggio.»
Norì annuì lentamente, gettando occhiate furtive all’uomo nel camice sudicio, che sembrava averle completamente dimenticate e si era gettato a capofitto a consultare i fogli di appunti incomprensibili che ingombravano la scrivania, e seguì la più giovane su per le scale.
“Che razza di magia avrà usato per ridurmi così?” si chiese di nuovo. Tutti i necromanti che aveva affrontato sapevano solo nascondersi dietro i loro non-morti e poi piagnucolare dopo che quelli venivano distrutti. Lui invece era diverso: l’aveva attaccata direttamente, prima che lei fosse pronta a reagire, e, cosa più sorprendente, non le aveva lasciato nessun danno fisico permanente.
“Senza dubbio utile per fare prigionieri.” concluse “Dovrei sottoporre all’Alto Consiglio l’idea di addestrare un’élite nell’uso di quest tecniche.”.
Arrivata al piano di sopra, trovò Timis ad attenderla davanti ad una finestra.
«Sai volare?» le chiese squadrandola dubbiosa con aria di superiorità.
Nori storse il naso. “Falci…” pensò con disprezzo, e poi replicò, sforzandosi di sorridere «No, ma… che bisogno c’è? Se dobbiamo andare da qualche parte è più veloce la via per il Piano Astrale.»
«Ecco, quello potrebbe diventare un problema tra poco.» precisò Timis improvvisamente malinconica «Il mio maestro non vi ha informati?»
«Chi? La Morte? Riguardo a cosa?» si innervosì Nori «È stato mio padre ad informarmi della missione, e non ha accennato ad un incontro con la Morte. Cosa dovrei sapere?»
Timis sollevò un sopracciglio «I collegamenti tra i vari piani stanno per essere interrotti, non te l’hanno detto? Non so quando sarà possibile tornare a viaggiare tra i Piani.»
Il cuore di Nori perse un battito. “A tempo indeterminato…” le parole di suo padre si caricavano di un nuovo e preoccupante significato “No, non è possibile. Sono la sua figlia preferita, perché avrebbe dovuto espormi ad un simile rischio?”
«Stai mentendo» sibilò contro la mezzelfa «Stai mentendo! Non esistono forze in grado di interdire il passaggio interplanare! Non è poss…»
Non ci fu tempo per finire la frase: l’intera torre iniziò a scuotersi vigorosamente, ed i lamenti e gli scricchiolii delle vecchie travi delle impalcature coprirono le sue parole.
«Dobbiamo uscire di qui, ed alla svelta!» gridò Timis afferrando Nori per un braccio ed iniziando ad arrampicarsi sulla finestra.
Fu allora che Nori lo avvertì: una forte corrente energetica interplanare che si stava accumulando proprio dove la ragazzina la tirava.
«No!» le urlò strattonandola, «Non di là!» e prese a tirare la magra compagna per poi correre più in fretta che poteva verso il lato opposto della torre.
Accadde tutto in pochi istanti: un bagliore rosato, la sensazione di calore rovente sulla schiena, il pavimento che cedeva sotto i loro piedi ed il conseguente salto nel vuoto di venticinque metri, l’aggrapparsi disperato al mantello dell’altra, che aveva iniziato a levitare, un colpo, probabilmente una pietra, gli interminabili istanti in caduta, ed infine l’impatto col terreno. In pochi secondi l’intera torre era crollata, e Nori si trovò stesa dolorante tra le macerie. Tossì un poco, sperando che non fosse un altro accesso d’asma, e si rialzò. Fu felice di constatare di essersi procurata solo qualche livido: sarebbe potuta andare molto peggio. Ritrovò a tentoni i suoi occhiali, finiti qualche metro più in là, e fu ancora più felice di trovare entrambe le lenti tutte intere.
“La Falce, Timis!”  le venne in mente all’improvviso. Si guardò intorno per cerarla, e si sentì mancare la terra sotto i piedi quando non la vide da nessuna parte. Scattò a rovistare tra le macerie: per primo identificò un braccio tranciato dal colore verdastro, che riconobbe essere quello di un non-morto, poi sentì una risata maschile provenire da dietro un grosso blocco di pietra. Balzò sul macigno e dall’altra parte vi trovò Nether, disteso supino, con sopra la carcassa bruciacchiata del non-morto a cui apparteneva il braccio.
«Utile come sveglia e anche come scudo, eh?» ridacchiò indicandole il cadavere steso sopra di lui, «Pensavo ve ne foste andate.» aggiunse poi inclinando la testa.
«Non ho tempo da perdere con te!» sbraitò la Dea della Morte «L’altra ragazza. L’hai vista cadere?»
Nether storse il volto in una smorfia. «Ti sembro la sua balia?» le chiese senza smettere di ridacchiare.
Nori imprecò e riprese a cercare la Falce Mietitrice. Ne urlò il nome un paio di volte, tendendo l’orecchio per captare anche la risposta più flebile, ed alla fine i suoi sforzi furono premiati: un gemito sordo catturò la sua attenzione, e la guidò fino alla ragazza, che giaceva distesa sotto una catasta di mattoni. La liberò dalle macerie più in fretta che poté e la trovò piena di tagli e lividi, con la fronte insanguinata. Era a malapena cosciente.
«Maledizione!» sibilò tra i denti evocando un incantesimo curativo: guardò sollevata la pelle  di Timis risanarsi sotto i suoi occhi, mentre i tagli si richiudevano ed i lividi sbiadivano. Sinistri scricchiolii le confermarono che qualche osso stava diligentemente tornando al proprio posto, e quando la magia si esaurì tutte le ferite più gravi erano state in qualche modo sanate, anche se la mezzelfa non si sarebbe potuta definire il ritratto della salute.
«G-grazie.» balbettò Timis alzandosi lentamente a sedere.
«Prima mi hai salvato la vita. Ora siamo pari.» tagliò corto Nori.
«Mi permetto di dissentire.» la voce di Nether emerse da dietro il macigno dove stava sdraiato, seguita dalla sua testa «Io non uccido, se non posso ed intendo usare il corpo. Più probabilmente ti avrei abbandonato nella foresta dopo averti accecata, assordata e maledetta.» e ricominciò a ridacchiare «Bel salto, però, eh?».
Nori fu tentata di colpirlo, ma desistette, memore del loro primo scontro.
"Onorevole o disonorevole che sia, un attacco diretto sarebbe probabilmente inefficace. Per ora la mia vendetta dovrà aspettare." si appuntò mentalmente.
«In ogni caso,» canticchiò Nether avvicinandosi mentre tentava inutilmente di spolverarsi le lunghe maniche del camice «La tua determinazione al risveglio, il tuo parlare di missioni urgenti, ed il fatto che la mia torre sia stata appena rasa al suolo da una scarica rosa di energia interplanare» teste la mano a Timis per aiutarla ad alzarsi, ma la ritrasse quando quella gli riservò un'occhiata diffidente «mi portano a pensare che, in qualche modo, l'oggetto della tua missione e quello della mia indagine coincidano, o siano perlomeno correlati.» un sorriso sinistro gli si disegnò sul volto «Non solo, ma data la tua fretta nel recuperare la tua seconda...»
«Non sono la seconda di una Falce!» protestò Nori, ma fu zittita da un cenno del necromante.
«Dicevo» riprese Nether «che, data appunto la tua fretta nel salvare la tua amichetta e nell'andartene, sono portato a supporre che tu possa aver... ecco, appreso qualcosa  mentre eri priva di sensi, e che pur sapendo cosa sarebbe successo, hai preferito non dirmelo, nella speranza forse che venissi sepolto vivo.».
Gli occhi di Nether furono attraversati da un bagliore, e scintille nere iniziarono a formicolare intorno alle sue dita.
«Sbaglio?» domandò minaccioso.
Timis percepì di nuovo l'opprimente aura del necromante, e senza che potesse fare nulla le sue gambe iniziarono a tremare.
«Ti giuro che non sapevo nulla!» scandì con voce meno salda di quanto avrebbe voluto, mentre sentiva la sentiva la Dea della Morte sguainare la spada al suo fianco «Cioè, no... voglio dire: sapevo che di lì a pochi minuti sarebbe accaduto qualcosa alle vie di comunicazione fra i piani, ma non avevo idea che sarebbero esplose! Lo giuro!».
L’umore di Nether cambiò repentino, ed un ghigno sinistro si sostituì alla furia inespressiva sul suo volto.
«Mi basta.» ridacchiò «Ma pretendo un risarcimento.»
"Sembra che tragga maggior piacere dalla violenza psicologica che da quella fisica." rifletté la Dea della Morte rinfoderando la spada "Un'altra qualità che potrebbe risultare interessante ai miei superiori.".
«Cosa vuoi?» chiese Timis deglutendo e sollevandosi finalmente in piedi.
«Collaborazione.» rispose Nether scuotendo le spalle «Sarà più facile per entrambi conseguire il nostro scopo comune se condividiamo i progressi. Che ne pensi?»
Timis esitò: collaborare con un necromante andava contro i più basilari principi delle falci mietitrici. "Fin dove posso arrivare nel seguire le istruzioni del maestro?" rifletté mordendosi le labbra.
«Sì. Va bene.» rispose seccamente alla fine «Ma mi aspetto che anche tu faccia la tua parte.».
«Meraviglioso.» gli occhi di Nether luccicarono «Bene, allora, aspettatemi qui dieci minuti, devo recuperare delle cose. Ah, preparatevi a scavare.»
 
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«Cosa è stato?». L'enorme boato li aveva svegliati di soprassalto.
"Un albero." suggerì Loreth "Un albero è caduto nella foresta. E l'abbiamo anche sentito, dunque si può davvero dire che sia caduto. Conosci il proverbio?"
«Nessun albero può fare un rumore così forte.» ribatté Miros levandosi in piedi, e raccogliendo la pelle di orsogufo che usava come coperta.
"Andiamo, hai visto quanto sono alti alcuni di questi alberi? Sarà caduto il pino più vecchio di tutta la Pineta Maggiore."
«A me non sembrava affatto il rumore di un albero che cadeva.»
"Psst. Ehi, eroe.  Sento che è destino che torniamo a dormire."
Miros ignorò le prese in giro della demonessa, e recuperò il suo falchion dall'albero su cui l'aveva appoggiato.
«Forse è stato qualcosa di grande a fare quel rumore» sussurrò sorridente «Ma non è stato un albero: è stato il prossimo sfidante del re della Pineta.»
"Non ricominciare con questa storia." sibilò lei "Torna a riposare, sei ancora molto provato per lo scontro con gli orsigufo."
Miros non poteva darle torto: l'anche solo breve ricorso alla forza dell'amica metteva a dura prova il suo corpo, e probabilmente gli aveva causato più danni di quanti gliene avevano inflitti gli orsigufo, ma questo non l'avrebbe mai ammesso, o lei si sarebbe per sempre rifiutata di farlo di nuovo.
«Penso che dovremmo andare a controllare.» disse comunque «Chissà, magari...»
"Rimettiti a dormire." scandì Loreth, minacciosa e severa "Se si avvicina qualcosa lo sentirò e ti sveglierò, ma tu ora hai bisogno di riposo." fece una pausa, mentre Miros continuava ad esitare. "Per favore." chiese infine.
Miros tentennò «Probabilmente hai ragione...»
"Grazie."
«...ma, d'altra parte...»
"Non osare." sentì sibilare nella mente.
«...potrebbe essere la via del mio destino.» concluse sognante mentre si avviava nel buio.
"Sei un idiota."



Un'entrata in scena degna di un'eroina. Quasi. Con questa salgono a due le volte che Nether da solo umilia un altro personaggio in meno di cinque round, ma la lista continuerà.

Commento del Master: Che dire? Un accurata descrizione dell'entrata in scena del personaggio, con tanto di pressione spirituale attiva per intimidire l'avversario, la vittoria per l'iniziativa, il  voler ostentare la propria sicurezza sprecando le proprie azioni in ulteriori prove di Intimidire (fallite), per poi essere spedita ad un passo dalla morte per asfissia da crisi asmatica in un turno. Così si mostra al mondo ed ai giocatori il personaggio di Nori, la cui figura domina interamente il capitolo. Non il migliore degli inizi, in realtà, ma avrà modo di recuperare. Posso dire solamente che masterare questo combattimento è stato un grande deja-vu di circa un'ora prima, del breve scontro- Timis-Nether. Eppure, in teoria, sono tutti pg e dovrebbero cooperare. A questo punto della sessione ancora non sapevo se ce l'avrebbero fatta, dopo tutto ciò.

Commento dei giocatori: Succedono molte cose in un breve lasso di tempo in questo capitolo. Per primo, la ruolatrice di Nori impara che non tutte le classi di incantatore sono inutili in combattimento. Certo, anche la fortuna ha contribuito. Il ruolatore di Nether non sapeva che i difetti scelti per Nori (il master ha reso obbligatorio selezionare dalla Wikia almeno un difetto ed un tratto) comprendevano, oltre all'ovvia miopia, anche l'asma. Visto che quest'ultimo genera una crisi ogni volta che il personaggio è esausto, e che il raggio nero più grosso altri non è che Raggio di Esaurimento, è bastato un colpo per mettere la Dea della Morte fuori combattimento. Inoltre, è un capitolo pieno di cose sospette... L'improvviso cambio di umore del necromante, ad esempio, che davanti ad obiezioni di alcuni giocatori è stato dichiarato dal master "perfettamente in charachter". Mistero: cosa trama davvero Nether? E poi, perché alla creazione del personaggio di Nori il master ha insistito per il colore degli occhi? Queste sono le cose che generalmente ci fanno scattare i campanelli. Per non parlare poi, della questione del padre di Nori: sapeva o non sapeva che sua figlia avrebbe potuto non far più ritorno? molti di questi misteri sono al dì corrente irrisolti.

Bussola del lettore: Il lettore più acuto avrà sicuramente notato il nome di Dio della Morte. Forse, sotto la confusione generata dal fatto che ci si era già riferiti alla Morte come divinità, a qualcuno si è aperto uno dei proverbiali cassettini: Bleach? Sì, esattamente: nei meandri della Wikia abbiamo pescato una razza ed una classe che simulano gli Shinigami del famoso manga, e li abbiamo adattati al nostro mondo. Gli Dei della Morte sono un piccolo ma potente popolo che abita una fortezza-città nel Pano Astrale. Essi non lavorano per la Morte, ma anzi entrano spesso in contrasto con questa e con le sue Falci. Si arrogano il diritto di svolgere lo stesso tipo di lavoro che le Falci svolgono, ma senza le limitazioni legali e morali di queste ultime: per raggiungere i loro scopi, sono anche disposti a sacrificare vite civili, fin tanto che si tratta di "mortali". Non spaventatevi per l'esorbitante età di Nori: gli Dei della Morte raggiungono la maturità verso i 120 anni.

Nori Chie: Dea della Morte(razza) Dea della Morte(classe) lv6, Nori possiede elevate qualità da combattimento, ed è stata addestra sin da giovane per far parte dell'élite guerriera del suo popolo, come richiesto dal suo illustre casato. viziata e sicura di sé, buona parte delle sue certezze crollano nel giro di un ora dopo le parole di Timis. Questo, nel corso della storia, porterà ad un lento slittamento dall'allineamento Neturale al Caotico Neutrale: gli effetti si manifesteranno più avanti.
 

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Capitolo 5
*** 05-Lupo Grigio ***


Capitolo V: Lupo Grigio

Il vecchio sciamano additava con le braccia ossute l’animale fuggitivo. «Prendetelo! Prendetelo! Non lasciate che fugga, fratelli!»
«Lupo Grigio,» gridò un uomo arcigno di fianco a lui «non riuscirai a sfuggire la tua pena! Fermati adesso!».
"Fossi scemo!" pensò lo slanciato lupo argentato mentre si lanciava nel fitto della foresta. Schivò in rapida successione tre fulmini che si schiantarono sul terreno vicino a lui, ed evitò una palla di fuoco che si estinse sfrigolando contro un pino.
"Qualunque cosa fosse quel frastuono improvviso, è stato davvero provvidenziale." gongolò destreggiandosi nel sottobosco mentre le voci dei suoi inseguitori si facevano sempre più lontane "Te la sei vista davvero brutta oggi, vecchio Waffle. Ti avevano quasi incastrato."
Sentì uno stridio acuto provenire da dietro le sue spalle, e scartò di lato appena in tempo per evitare gli artigli dell'aquila che scese in picchiata su di lui.
«Non ti illudere, Lupo Grigio!» la udì gracchiare dall’alto «Non potrai mai sfuggirci!».
Altri tre fulmini scaturirono dagli artigli del rapace, ma Lupo Grigio riuscì di nuovo a spostarsi dalla loro traiettoria.
"Quelle sarebbero saette?» gridò di rimando schernendo il suo inseguitore «Queste sono saette!»
Una scia di cristalli di ghiaccio si materializzò dietro il lupo in corsa, e sfrecciò verso l'alto investendo l'aquila, che rovinò al suolo stridendo.
"Ops. Hai mentito, Yodas, vecchio imbroglione." pensò snudando i denti nella cosa più simile ad una risata che la sua forma di lupo gli permettesse.
Corse a perdifiato per diversi minuti, prima che il martellare del cuore ed il dolore alla milza lo costrinsero a rallentare.
"Devo inventarmi qualcosa, e alla svelta." rifletté digrignando i denti "Sono quasi al limite delle cinque ore.". Esaminò con attenzione l'ambiente circostante, mentre si fermava a riprendere fiato: la pineta era fitta, ma i grandi sempreverdi coprivano un terreno per la maggior parte piatto, privo di buche o rocce dove nascondersi.
 "L'unico nascondiglio è in alto, non in basso." pensò scrutando le dense chiome scure dei pini. Evocò la magia, e la fece fluire nelle sue zampe da lupo: quando le appoggiò sul tronco per iniziare la scalata, quelle aderirono perfettamente. Si arrampicò fino a raggiungere i rami più bassi, quando si rese conto che non c'era abbastanza spazio per proseguire oltre.
"Tanti saluti alla forma selvatica per oggi." rimuginò mentre a malincuore riprendeva la sua vera forma, e con essa si intrufolava nel fitto intrico dei rami dell'albero. Trovò un ramo sufficientemente robusto e vi si appostò, aspettando i suoi inseguitori per minuti che parvero interminabili.
Quando infine avverti lo scricchiolio di aghi secchi calpestati, sporse il lungo collo per controllare, e si sarebbe fatto scappare un sorrisetto, se non fosse stato per la mancanza di labbra.
"Hm. Un ragazzino." Osservò, senza capacitarsi della fortuna che gli dei gli avevano concesso quel giorno, "Devi essere solo una pattuglia. Tranquillo, sarò gentile: ora salto e ti centro in testa."
Cadere in testa a qualcuno era sempre stato uno dei suoi obbiettivi di vita: infatti, benché Lupo Grigio avesse dimostrato una fenomenale propensione per la magia sin dall’inizio dei suoi studi, aveva sempre pensato ad essa come un ultima risorsa, da adoperare solo in mancanza d'altro. Il vero problema era che, nella sua forma naturale, non poteva contare su altre armi che il suo peso ed il suo robusto carapace, e nonostante tutti i decenni passati nei circoli druidici ancora non riusciva a mantenere la sua forma selvatica, quella di uno snello lupo argentato, da cui traeva il suo nome druidico, per più di cinque ore al giorno.
Calcolò il salto con la perizia di un cecchino: un singolo impatto su quella testolina di capelli neri ed il bersaglio avrebbe come minimo perso i sensi, se non rischiato il trauma cerebrale. Prima di tuffarsi osservò divertito la strana lancia del ragazzo "Se hai bisogno di un'arma tanto grande per difenderti," lo schernì in silenzio "non sarai certo un granché come druido. Probabilmente sai usare solo trucchetti, e qualche incantesimo della prima cerchia.".
Quando fu certo della mira, agitò il codino, raccolse nel guscio le corte zampe e si lanciò nel vuoto: acquisì velocità rapidamente, ma un istante prima di sfondare il cranio del ragazzo quello parve percepirlo, e si gettò di lato per evitarlo. Fu tutto inutile: anche se non proprio con l'angolazione sperata, Lupo grigio riuscì a colpire in pieno la testa del giovane, che cadde a terra con un verso strozzato.
"Yeah." esultò silenziosamente Lupo Grigio mentre rimbalzava di lato, ma aveva gioito troppo presto: rimbalzò un paio di volte sul molle strato di aghi e foglie di arbusto che tappezzava la foresta e si fermò a pancia in su, incuneandosi tra due radici. "Uh-oh." si allarmò, mentre agitava inutilmente le corte zampette verdi.
Nel frattempo il ragazzo si era risollevato, e lo fissava incredulo massaggiandosi un gigantesco bernoccolo.
 «S-sì, Loreth, quella la vedo anch'io.» balbettò scioccato ed ancora un po' stordito «È una tartaruga. Una tartaruga caduta da un albero. Stiamo sognando?»
"Un altro idiota che parla da solo, dopo un mese passato tra tizi che parlano con gli alberi." bofonchiò tra sé e sé Lupo Grigio "Beh, questo però sembra essere un livello più avanzato di idiozia. Non so se in meglio o in peggio, ma è senza dubbio più avanzato. E poi è sopravvissuto."
Lo strano ragazzo seguitava ad intrattenere conversazioni con sé stesso. «Dici che ce ne saranno altre?» bisbigliò stringendo convulsamente la strana lancia. Si bloccò qualche istante, scrutando nervosamente le chiome degli alberi circostanti «Sì, penso che tu abbia ragione...» concluse poi deglutendo.
"L'ho colpito troppo forte." commentò la tartaruga druida cercando inutilmente di ribaltarsi.
Con uno sguardo febbrile, il ragazzo si avvicinò a Lupo Grigio, brandendo nervosamente la sua arma «... mi ci farò un elmetto. Per dare un messaggio alle sua amiche sugli alberi.»
«Yo, amico, no!» protestò Lupo Grigio dimenandosi ancora di più. Il cuore del giovane perse un battito.
«Ma che diavolo?» gridò balzando all'indietro «L'hai sentita? Ha parlato! La cazzo di tartaruga ha parlato!» si mise le mani tra i capelli «Cioè, l'hai sentita? Mi ha chiamato amico.»
«Senti amico,» esordì Lupo Grigio «potresti prima liberarmi e poi terminare la tua lenta discesa nella follia?».
Il ragazzo gli restituì uno sguardo allibito. «C-c-cosa?» chiese farfugliando.
"Questo sta per sbroccare. Dovevo colpirlo meglio, chissà come soffre, poverino." pensò scuotendo la testa.
 «Senti,» ripeté poi «facciamo un patto, piccolo druido, tu mi disincastri da qui, ed io non ti fulminerò.» "Uh-oh, ho mentito ancora."
Il ragazzo si avvicinò diffidente «Io non sono un druido...» precisò senza molta convinzione «Tu lo sei, per caso?».
Lupo Grigio esitò. "Potrebbe star mentendo. In fondo nessuno al circolo conosce la mia vera forma, ho sempre seduto al concilio in forma di lupo, e potrebbe star cercando di capire se io sono io. Meglio stare sul vago.".
Emise un suono strozzato, simile ad una risata, e rispose: «Tranquillo amico, ti sembro un druido? Sono solo una vecchia e saggia tartaruga che passava di qua ed è caduta da un albero.».
"Sembrava più convincente nella mia testa" pensò poi deglutendo.
L'espressione del ragazzo era indescrivibile: un misto di confusione, paura, curiosità e stupore gli contraeva il volto in una smorfia irreplicabile. «Avrei anche potuto crederci, sai?» disse ironico «Se solo no avessi parlato e non avessi minacciato di fulminarmi.». Si avvicinò, lo afferrò per il guscio ed iniziò a tirare, fino a che non lo liberò dalle radici. Lupo Grigio lo ringraziò, ma quello, invece di posarlo a terra, iniziò a rigirarselo tra le mani.
«Sei pesante per essere cosi piccoletto, eh?» osservò passandoselo da una mano all'altra.
«Mettimi giù!» protestò il druido scalciando «Non manipolarmi così!»
Il ragazzo ignorò i suoi lamenti. «Cosa sei esattamente?» chiese punzecchiandogli il guscio con un dito «Sei un famiglio? Un druido in forma selvatica? Mi hai fatto molto male, sai?». Iniziò a palleggiarlo per aria, senza badare alle sue proteste.
«No, tranquilla,» disse poi, parlando da solo, «non penso che fosse serio quando diceva di poterci fulminare.»
Lupo Grigio sentì l'ira montargli nel guscio. «Non pensi, eh?». Stava per lanciare l'incantesimo, quando udì un rumore d'ali avvicinarsi.
«Maledizione, sono qui!» imprecò scrutando tra gli alberi per localizzarli.
«Chi sono qui?» chiese il ragazzo guardingo.
«Non sono affari tuoi!» sibilò la tartaruga «Mollami, devo nascondermi!»
Il ragazzo udì un fruscio d'ali alle sue spalle, ed infilò rapidamente la tartaruga nella sua sacca. Si voltò: a tre metri da lui stavano con aria solenne tre druidi, vestiti con semplici sai marroni. Quello anziano al centro presentava chiari tratti elfici e portava una pesante collana di pigne, che liberava un forte aroma di resina, quelli ai lati, un altro elfo ed un mezzorco, brandivano lunghi bastoni lignei e portavano delle piccole mazze appese alle cinture di corda.
«Così è questa la vera forma del criminale e traditore Lupo Grigio:» cominciò quello al centro con disprezzo «un ragazzino.»
Il ragazzo arretrò, mettendosi sulla difensiva. «Ehi, calma, vecchiacci! Non mi chiamo Lupo Grigio, ma Miros!»
«Lodevole da parte tua consegnarci il tuo vero nome e costituirti,» riprese l'elfo più anziano, scuotendo su e giù il naso aquilino, «ma questo non allevierà la pena che ti meriti. Mahrok, procedi.»
Miros stava per obbiettare, quando il mezzorco si avvicinò con una mano tesa gliela pose sulla fronte. Il druido stette immobile qualche secondo, salmodiando formule incomprensibili, poi fu scaraventato indietro da una forza invisibile: arretrò barcollando mentre i suoi compagni, allarmati, si preparavano alla lotta.
«C'è qualcosa dentro di lui!» gridava «Una forza demoniaca!»
L'elfo anziano si carezzò la lunga trecca bianca che gli cadeva sul petto. «Questo cambia le cose.» sentenziò autorevolmente «Potrebbe aver agito come ha agito su istigazione del demone che lo possiede. Dobbiamo purificarlo e poi procedere con l'interrogatorio.»
Miros scattò indietro, roteando il falcione. «Voi non purificherete nessuno,» sibilò tra i denti «le ho già sentite queste parole: lei non è sporcizia.»
«Vedrai che starai meglio dopo l'esorcismo.» affermò severo l'elfo anziano, traendo un volumetto da una tasca.
"Ohi, ragazzo... Miros! Ti chiami Miros, no?" sentì Miros rimbombare nella sua testa.
«Loreth, perché hai cambiato voce?» chiese confuso, mentre squadrava i druidi, aspettando la loro mossa.
"Non sono stata io." la voce dell'amica era stupita quanto la sua.
"Sono io, geni. Da dentro la borsa. Si chiama telepatia." riprese la voce "Ce la fai a combattere? Mi sembri malridotto."
“Non lo so.” ammise Miros, mentre l'elfo anziano iniziava a recitare formule, “Non a lungo, penso.”
"Ti aiuterò, allora, tu non preoccuparti."
Miros non fece in tempo a chiedere come: sentì un flusso improvviso di energia attraversarlo, e quando quello si estinse, gran parte del dolore diffuso che aveva nel corpo era svanito.
«Grazie. Puoi rifarlo più tardi, vero?» chiese sorridendo.
"Sicuro!" sentì rispondere "Mi hai preso per un principiante?"
Miros ridacchiò «Allora sarà molto semplice: Loreth, sei pronta?».
"Certamente" rispose lei melliflua.
Come sentì la forza di lei attraversargli i muscoli, partì all'attacco brandendo il falcione: si lanciò contro il druido più vicino, il mezzorco, e roteò la sua arma. La lama del falcione attraversò la sua carne, disegnando un lungo taglio sul petto e facendolo arretrare.
"Sai, ora che ci penso posso anche aiutarti così. In fondo, se combattiamo in due abbiamo più possibilità." gli sussurrò mentalmente Lupo Grigio, che sporse la testa fuori dalla borsa ed individuò il suo bersaglio: una colonna di fuoco si materializzò dal nulla e si abbatté sull'elfo più giovane, che si gettò di lato per non essere incenerito.
“Accidenti, ma che problemi avevi a combatterli da solo?” chiese Miros con gli occhi sgranati.
"Te lo racconterò un'altra volta..."
Nel frattempo il mezzorco si era ripreso dal colpo, e si stava lanciando su Miros biascicando litanie, quando ad un tratto si arrestò roteando il braccio e scagliò una piccola ghianda nella direzione di Miros.
«Cosa?» fece in tempo a domandare osservando lo strano proiettile, prima che quello lo colpì esplodendo all'impatto, facendolo cadere a terra supino. L'elfo più giovane, che si era tenuto in disparte, non perse l'occasione: brandendo il suo bastone si avventò su Miros a terra, roteò l'arma ed un fulmine scaturì dal cielo. Miros rotolò di lato, ma gridò comunque di dolore quando l'elettricità lo investì attraverso il terreno umido.
Si rialzò ansimando, con l'odore di pelle bruciata, la sua pelle, che gli riempiva le narici, e sentì le forze demoniache abbandonarlo.
«No, Loreth, perché?» chiese mentre si puntellava al falchion per non cadere.
"Ti ucciderei." rispose il demone "Hai subito troppi colpi."
Miros imprecò. «Tartaruga!» chiamò gridando, dimentico della telepatia.
"Sì, un momento! Devo finire l’incantesimo." sentì riecheggiare.
«Non ho tempo.» avvertì lui, e si lanciò di nuovo contro il mezzorco. Menò un fendente orizzontale, ma i suoi movimenti erano rallentati dalle ustioni, e il druido ebbe gioco facile a schivare il colpo balzando all'indietro.
Il flusso di energia guaritrice arrivò appena in tempo a sanargli le ustioni perché schivasse il colpo di bastone del mezzorco.
«Alla buon ora.» mugugnò utilizzando lo slancio della schivata per spingersi contro l'elfo: sollevò il falcione sopra la testa, e poi lo abbatté sul capo del nemico, che si staccò di netto, senza che quello avesse l'opportunità di reagire.
Si girò di nuovo verso il mezzorco, che dopo averlo visto davvero all'opera si teneva a debita distanza, sforzandosi però di interporsi tra lui ed l'elfo anziano, che era ancora immobile a cantilenare.
Miros percepì la forza di Loreth riempirlo nuovamente, e fu di nuovo preso dalla familiare ed incontenibile ebbrezza di potere. Si avventò contro il mezzorco, che stava preparando un'altra ghianda, ed andò in affondo con il falchion: il mezzorco si ritrovò impalato, con due spanne di lama affondate nello stomaco, e spirò con un gemito rauco, afflosciandosi al suolo.
Miros estrasse l'arma dalla carcassa del nemico e squadrò l'ultimo druido: aveva smesso di salmodiare, ed ora lo fissava con occhi fieri, mentre le sue mani pulsavano di luce azzurrina.
 «Va tutto bene, Lupo Grigio,» iniziò quello con voce profonda «non lascerò che il sacrificio dei miei confratelli sia stato vano. Ora praticherò l'esorcismo, e poi ti ricondurrò davanti al concilio, dove riesamineremo il tuo caso.».
Miros lo fulminò con lo sguardo. «Qualsiasi cosa tu abbia intenzione di fare,» scandì lentamente «non osare neanche provare a farle del male.».
"Digli che utilizzerai la Fragola, se solo prova a fare qualcosa." bisbigliò Lupo Grigio nella sua mente.
«O utilizzerò la Fragola, bada.» ripeté Miros, cercando di apparire convinto. Gli occhi del druido scintillarono d'ira: estrasse un piccolo scrigno da una tasca, e vi riversò la luce che aveva sulle mani.
«Questo lo conserverò per te, allora.» disse sibilando «Non finisce qui, Lupo Grigio. Ti troveremo di nuovo, ti purificheremo e poi sarai giudicato per i tuoi crimini. Parola di Serpa Aquila Nera.». Detto questo, si mutò in aquila e scomparve nelle chiome dei pini.
Tirando un sospiro di sollievo, Miros si rilassò, mentre la forza di Loreth defluiva dalle sue braccia. Frugò nella borsa finche non trovò la tartaruga, la tirò fuori e la posò su un piccolo masso davanti a sé.
«Ti devo un favore, amico.» cominciò quella ritraendo le zampe nel guscio e stando in equilibrio sul ventre sulla punta della pietra «Certo, senza il mio aiuto saresti morto, ma mi hai reso le cose più facili. Come posso sdebitarmi?»
Miros si sedette contro un pino, massaggiandosi il collo. «Innanzitutto curandomi decentemente,» cominciò «e poi devi rispondere anche a qualche domanda.».
La tartaruga spalancò la bocca, tentando di sorridere. «Abbiamo tutta la notte, amico.»



Cooosa? Un altro personaggio introdotto? Purtroppo sì,  vedete, siamo otto giocatori: siamo abbastanza disciplinati da rispettare un minimo di ordine di trama per le apparizioni, ma cinque personaggi su otto sono stati introdotti alla prima sessione. Dunque, vediamo... Timis, Miros, Nether, Nori ed ora Lupo Grigio. Cinque. Perfetto, il team iniziale è al completo. Come avrete notato, la storyline di Lupo si fonde subito con quella di Miros: abbiamo deciso di tagliare tutto ciò che aveva fatto prima (la cattura, il processo, il furto e l'ingestione della preziosa reliquia), e di partire da quando riesce miracolosamente a fuggire dal campo druidico. Speriamo che ciò non causi problemi. Per chi leggeva già da prima questa storia, è tuttora attiva l'offerta di trasformare questa fiction in una serie, insieme ad una raccolta di One-shot con momenti mancanti ed aneddoti di background, e, perché no, potrebbe esserci spazio anche per narrare questa sequenza mancata.

Commento del Master: Meraviglioso. Semplicemente meraviglioso. Una delle parti più divertenti della prima sessione. Quando il ruolatore di Lupo ha detto "Ok, mi lancio e lo colpisco in testa." sono scoppiato a ridere. L'intero personaggio di Lupo fa ridere, ma ridi con lui, non di lui. Quando poi pensi che è una tartaruga di 46 anni con saggezza 26 che parla con espressioni come "Yo", "Woah", e che chiama assiduamente "amico" tutte le persone che incontri è impossibile restare seri. Eppure è  un combattente formidabile: grazie al suo altissimo punteggio di Sag, casta a ripetizione incantesimi fino all'ottava cerchia (ci mancava che conoscesse desiderio), e fa puntualmente il tank/sweeper/healer del gruppo. Tutti e tre insieme.

Commento dei Giocatori: Il modificatore +8 razziale alla Sag può sembrare esagerato, ma è così che la razza Tartaruga Saggia viene descritta sulla Wikia. Lupo, delle cui amicizie non vogliamo ancora svelare nulla, è forse l'unico membro del party a non aver mai provato né desiderato di ucciderne un altro. Il che è buono.

Bussola del lettore: In questo capitolo vengono citati i druidi. Nel nostro mondo, le congreghe druidiche sono vere e proprie sette, che si stringono intorno ad un unico ideale, capo carismatico, o, come nel nostro caso, oggetto. I poteri e le modalità di utilizzo della Fragola sono tuttora sconosciute, ma deve essere parecchio potente per incutere tanto timore in druido che non ha esitato a sacrificare i suoi compagni per preparare un rituale.

Waffle Yodas Shuckle, alias druido Lupo Grigio: Il suo bizzarro nome sono le prime parole che è riuscito ad imparare. Lupo Grigio nasce oltre ottanta anni fa come una semplice tartaruga anfibia, non tanto diversa da quelle che si possono vedere in un qualunque stagno. Viene presa come animaletto di compagnia dalla figlia di un potente druido, che la usa come fermacarte mentre studia la lingua segreta druidica. Lentamente, le rune magiche trasmettono il loro potere all'animale, che acquisisce intelligenza più che umana e la capacità di parlare. Un giorno fugge, ed inizia la sua vita di avventuriero. Quando impara a trasformarsi in un altro animale fa ritorno al circolo di druidi da dove era fuggito come il misterioso Lupo Grigio, di cui nessuno conosce il vero aspetto (ok, ora pensano che sia quello di Miros). Tuttavia la sua condotta è riprovevole: dopo vari misfatti viene catturato e processato. Riesce a salvarsi quasi per miracolo, e da qui comincia il capitolo.

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Capitolo 6
*** 06- Uukart lo Stupido ***


Capitolo VI: Uukart lo Stupido

Il castello, la radura, il lago: tutto le appariva di nuovo chiaro come la prima volta, immerso in un idilliaco paesaggio primaverile. Un lievissimo venticello faceva ondeggiare gli steli d'erba intorno a lei, ma le acque del lago restavano immobili. “Sono condannata a vederlo ogni notte, adesso?” si domandò Timis seduta sull’erba. Alzò gli occhi al cielo, perfettamente terso. “Diana, Diana, dove sei?” pensò sospirando.
«Timis.» una voce femminile risuonò lontana, ed i contorni delle cose iniziarono a tremolare, come se visti attraverso l'acqua.
Secondo un misterioso istinto, si sdraiò e chiuse gli occhi: quando li riaprì, li sentì gonfi di sonno e pesanti, mentre fissavano la forma sfocata di una catasta di macerie, dietro ad un paio di stivali neri.
«Timis.» Nori la scuoteva con il piede, e con meno delicatezza del dovuto.
«Sono sveglia.» farfugliò lei. Tutto il senso di pace e benessere che aveva provato nel sogno era svanito senza lasciare traccia: ad ogni movimento troppo rapido il suo corpo le inviava piccole fitte di protesta, segno che nonostante le cure d'emergenza ricevute l'altra notte lo sfiorare la morte due volte in una sola serata aveva messo a dura prova la sua capacità di ripresa.
Si mise lentamente a sedere, strofinandosi gli occhi cerchiati dalle occhiaie: dire che aveva dormito poco era un eufemismo. Quella notte, infatti, dopo aver rovistato un po’ tra le macerie, Nether si era presentato da loro raggiante con tre pale tra le braccia.
«Lezione accelerata di necromanzia,» aveva canticchiato sornione «capitolo uno: corretto utilizzo di una pala.» e aveva mostrato loro come scavare rapidamente. Per tre volte avevano iniziato a smuovere il duro terriccio della brulla radura che ospitava la torre, o quel che ne restava, ma dopo essersi grattato la testa il necromante aveva ogni volta scosso il capo ed aveva indicato loro un altro punto.
«L’hanno seppellito i non-morti, non so esattamente dove…» si era giustificato sotto gli sguardi furenti di Timis e Nori. Quest’ultima poi, ai primi segni di un’altra crisi d’asma dovuta alla fatica, si era chiamata fuori dai lavori, lamentandosi di come la terra fosse troppo in basso per il suo rango elevato, cosa che le meritò l'appellativo di "principessina" da parte del necromante, che si era tra l'altro autoproclamato direttore dei lavori, lasciando il grosso del lavoro fisico alla mezzelfa. Infine, verso le quattro di mattina, la pala di Timis si era scontrata con un ostacolo molle: dopo averlo liberato dal terriccio, si era rivelato essere un corpo di orsogufo perfettamente conservato.
«Secondo capitolo:» si era vantato Nether allegro, senza accusare minimamente la stanchezza «saper conservare i cadaveri con la magia. Ma non c’è speranza che impariate a farlo. Andiamo a dormire un po', adesso. Partiamo all’alba.».
Si erano coricati in tre giacigli il più possibile lontani gli uni dagli altri, ed erano stati svegliati dalle prime luci del sole autunnale. Risultato: circa due ore e mezza di sonno, spese all’aperto in una fredda notte di ottobre.
Sforzandosi di non pensarci, Timis seguì la Dea della Morte fino al sito dello scavo, dove trovò i resti di un piccolo fuoco da campo.
“Ma allora aveva un acciarino!” maledisse mentalmente il necromante “Ho patito il freddo tutta notte, maledetto!”.
Quello apparve pochi istanti dopo. «Ho recuperato il recuperabile.» annunciò con un sorriso falso disegnato sul viso «Partiamo appena Teddy si alza.».
«Teddy?» chiese Nori sollevando un sopracciglio «Hai dato un nome ad un orsogufo morto?».
«Sarà morto ancora per poco.» rispose Nether rimboccandosi le lunghe maniche sopra i polsi.
Due flussi di energia nera scaturirono dalle sue mani, ed avvolsero il corpo dell’orsogufo, che iniziò ad emettere un lieve bagliore violaceo. Quando la magia si fu esaurita, la gigantesca massa di carne, pelo e piume si sollevò sulle quattro zampe barcollando.
«Saluta, Teddy!» ordinò il necromante alla sua creatura, che fece un buffo cenno agitando il muso, emettendo un rauco grugnito.
"Utile, devo ammetterlo." osservò Nori "Devo assolutamente convincere il Consiglio degli Dei della Morte ad addestrare un'unità di tipi come lui.". Il pensiero di casa le fece subito nascere una sensazione sgradevole del petto, facendole ricordare le parole di Timis.
 "Mio padre di certo ignorava che non sarei potuta tornare indietro." rifletté scacciando i brutti pensieri che le affollavano la mente "Non può essere altrimenti. Perché dovrebbero voler liberarsi di me?".
Nel frattempo Nether aveva fatto uscire la bestia non-morta dalla buca,  ed era montato in groppa con cautela. «C’è posto anche per voi! Salite!» invitò le due donne indicando il dorso della creatura con un eloquente gesto della mano.
Nori roteò gli occhi al cielo, ma si arrampicò agilmente senza fare storie.
«Non vieni?» chiese rivolta a Timis dopo essersi accomodata.
Timis esitò, ma valutando la sua stanchezza accettò il passaggio.
Al comando del suo padrone, il grande animale iniziò a trotterellare addentrandosi nel fitto della Pineta Maggiore.
«Allora, dove dobbiamo andare di preciso?» chiese Nether voltandosi a guardare Timis «Hai un'idea, vero? In cosa consiste questa tua grande missione?» i suoi occhi lampeggiarono «O quelle di ieri sera erano solo parole vuote per salvarti la vita?».
«Dobbiamo trovare una persona.» rispose lei con gli occhi saldamente fissati su di lui, sostenendo il suo sguardo mentre ondeggiava a ritmo con il passo dell’orsogufo «Non so chi sia di preciso, ma so che si chiama Diana, e che posso trovarla vicino ad un castello bianco su un lago.».
«Un castello bianco su un lago, eh?» chiese il necromante, corrucciando la fronte «Un po’ vaga come meta, non trovi? Quanto è lontano da qui?».
«Non lo so.» ammise Timis mordendosi il labbro: ad un secondo esame, si rese conto di non sapere letteralmente nulla sulla posizione o sul nome del castello, per non parlare poi delle informazioni che possedeva su Diana.
«Cominciamo bene.» mugugnò Nori «Prova a descrivere meglio il castello.».
Timis chiuse gli occhi, cercando di rievocarne l’immagine: con sua grande sorpresa, la visione del sogno era come impressa a fuoco nella sua mente.
«È costruito con grandi pietre, bianche e lisce.» cominciò «Si trova in una sorta di valle chiusa sui monti da ogni lato, sulle rive di un grande lago. L’acqua è… come dire…» si sforzò di trovare una parola adatta «… densa. Non c’è altro modo per descriverla. Anche solo a vederla sembra viscosa. Il portone è grande e massiccio, ricoperto di metallo nero. No, aspetta, forse è legno. Il castello è in rovina, ad alcune torri manca la punta e le mura sono crepate, eppure ha un’aria… solida… non saprei come…»
Nori la interruppe con un gesto della mano rannicchiando le ginocchia e poggiandovi sopra il mento. «Continua a parlarmi del lago.» la incoraggiò con un sorrisetto vago «Mi ha fatto scattare qualcosa.».
«Il lago, beh, umh…» riprese Timis sondando la sua memoria «è grande, sembra molto profondo, e l’acqua è strana. È viscosa, l’ho già detto, è densa e pesante, il vento non la increspa se non è molto forte, ed è gelida e anche se non l'ho toccata mi dava l'idea che fosse unta.»
Nori titubava. «Forse ho sentito di un posto simile, ma solo in una vecchia storia…».
Nether annuì. «So dove vuoi andare a parare: il castello di Uukart.» mugugnò interrompendola «Sinceramente, però, penso che sia solo una vecchia leggenda e...».
«No, dai, pensaci un po’ su:» lo interruppe la Dea della Morte mentre sorrideva fissando un punto in lontananza, persa in ricordi d’infanzia «Un castello bianco vicino ad un lago dove l’acqua è più densa del normale… non è proprio la favola originale, è vero, ma ci si avvicina. Potrebbe trattarsi del proverbiale fondo di verità.»
«Scusate tanto,» si intromise Timis «potreste spiegarvi meglio, per favore?»
Nether sospirò. «È una vecchia favola che raccontano ai giovani incantatori, per insegnargli che anche la magia ha dei limiti.» rispose annoiato «A me l'hanno raccontata le ombre. Sentivo ogni volta una variante diversa, ma più o meno il succo è questo: un mago, Uukart, che poi sarà detto lo Stupido, ha poteri magici sconfinati, e li usa per costruire uno splendido castello sulle rive di un lago, dove passa le giornate nell'ozio godendosi interminabili passeggiate nel suo podere. Una sola cosa lo turba: metà dei suoi vasti possedimenti sono occupati dal lago, su cui non è ovviamente possibile passeggiare. Allora ha un’idea geniale: rendere l’acqua solida, per poterci camminare sopra.»
«Immagino che non gli bastasse congelarla…» osservò ironica Timis.
«No, infatti.» riprese Nether «Decide di inventare un incantesimo che faccia rapprendere l’acqua in una sorta di gelatina, senza però farla congelare, perché non amava il freddo. Qui le versioni descrivono tutte diverse cerche improbabili di artefatti inesistenti, ma la storia finisce sempre con lui che annega dopo i primi passi nel lago, perché l’acqua non è abbastanza densa da sostenerlo, ma lo è abbastanza da impedirgli di nuotare e riemergere: in pratica soffoca nella gelatina.»
Timis si accigliò «Mi sembra una storia un po’ senza senso. E poi ho detto che appariva viscosa, tipo sciroppo, non tipo.»
«Beh,» disse Nori seccata, come se si parlasse di ovvietà, «un mago rende l’acqua gelatina, ci muore dentro, e con il tempo l’incantesimo si affievolisce. Questo è credibile, poi il resto è immaginazione.» si torse le mani, nervosa «Certo, se davvero tutto il resto fosse immaginazione, allora…»
«…allora sapere che è davvero il castello di Uukart che stiamo cercando sarebbe inutile.» completò il necromante mentre strappava qualche piuma dal capo dell’orsogufo.
«Come mai?» Timis si sporse allungando il collo curiosa oltre Nori accoccolata per vedere meglio Nether in faccia.
«Levati!» protestò la Dea della Morte spingendola al suo posto vicino al codino dell’orsogufo «La posizione del castello di Uukart viene specificata in molte versioni della favola: dovrebbe essere nella Valle del Pozzo, vicino al villaggio di Myrth, ma per quanto ne so non c’è neanche un lago in quella valle.»
Timis si lasciò cadere al suo posto senza proferir parola, e cadde sul trio un silenzio tombale. Dopo qualche minuto che tutti passarono soli con i propri pensieri ad ascoltare lo scricchiolio degli aghi di pino sotto le larghe zampe della cavalcatura non-morta, finalmente fu Nori a rompere il silenzio.
«Eppure non abbiamo altra pista.» osservò lapidaria.
«E solo dodici giorni, di cui oggi è il primo.» aggiunse Nether agitando un dito per aria.
«Cosa?!» esclamarono all’unisono la bionda e la mora.
«Era nei miei calcoli, ieri.» rispose improvvisamente meditabondo il necromante «A dire il vero è una delle prime cose che ho scoperto: l’evento di ieri notte si ripeterà tra dodici giorni, sempre a mezzanotte, e sarà più violento. Almeno, questo secondo i dati raccolti da uno stregone di cui stavo depredando la tomba.».
«Cosa stavi aspettando a dircelo?» sbraitò Timis carezzando il bracciale di ossicini che portava al polso, tentata di trasformarlo in falce.
«Che tu condividessi la tua parte di informazioni per prima.» replicò Nether con naturalezza «Nel nostro patto, io sono la parte lesa, non ricordi? Ci ho perso una torre, quattro non-morti, molti oggetti di vetro…».
Timis si trattenne dal decapitarlo e mietere la sua anima, ingoiò il suo rancore e decretò: «Molto bene. Che castello di Uukart sia. Andiamo alla Valle del Pozzo.».
 
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«No, fighissimo!» Miros aveva ascoltato a bocca aperta i racconti della piccola tartaruga che occupava la sua bisaccia «Cioè, fammi capire: hai imparato a parlare ed a fare magie perché il maestro druido ti usava come fermacarte ed hai assorbito qualche sigillo magico?».
«Sì, più o meno,» rispose il rettile allungando il capo fuori dalla borsa «e quando ho imparato ad assumere una forma animale come tutti i druidi, mi sono presentato al concilio come il misterioso druido straniero Lupo Grigio, che non si mostrava mai se non nella sua forma selvatica. Ha! Ero una celebrità!».
«E poi?» chiese Miros eccitato.
«Poi mi hanno beccato un paio di volte ad utilizzare i miei poteri in presenza di non druidi e se la sono presa, ma il peggio è venuto quando ho rubato la Fragola.»
Miros inclinò il capo, confuso «E questa… Fragola… cos’è esattamente, cosa fa?».
La tartaruga socchiuse di nuovo il rostro, nella rettiliana imitazione di un sorriso «La Fragola è una reliquia antica e sacra a qualche divinità o albero, loro non distinguono, sai, e, per quanto riguarda le cose che potrebbe fare,» fece una pausa, emettendo un suono sibilante simile ad una risata «non ne ho la minima idea! Per buona misura, io l’ho mangiata.».
“Ah.” commentò delusa Loreth “Mi aspettavo qualche dettaglio di più su questa reliquia. In fondo ha spaventato a morte l'esorcista, ieri sera.”
Lupo Grigio parve riscuotersi. «Mi ero dimenticato che con te non si viaggia mai soli.» ridacchiò di nuovo «Dimmi un po’, però: come fa una creatura tanto potente come te a trovarsi dov’è?»
Miros si grattò la testa, imbarazzato. «A dire il vero è tutta opera del Fato, che, mi è stato predetto, ha solo grandi cose in serbo per me, e…»
“Non parlava con te, idota.” lo zittì lei, poi continuò, rivolta al druido “Mi hanno catturata con un tranello, ed invece di uccidermi hanno pensato fosse più conveniente sigillarmi in un infante.” ridacchiò “Penso che non immaginassero che non solo saremmo riusciti a parlarci, ma che avremmo stretto un patto come il nostro.”
«E che tipo di patto sarebbe il vostro?» domandò Lupo Grigio incuriosito.
“Del tipo che visto che se lui muore muoio anch’io, e che potrebbe liberarmi di sua volontà ma gli costerebbe la vita, io lo proteggo e gli presto la mia forza fino e lui protegge me, visto che anch'io sono piuttosto vulnerabile in queste condizioni. Poi quando sarà per lui il momento di morire, spezzerà il sigillo per liberarmi illesa, ed io mi impegnerò per trovargli una sistemazione decente negli Inferi.” spiegò il demone tutto d’un fiato.
«Eddai,» protestò Miros «così lo fai sembrare come se non fossimo neanche diventati amici…»
Loreth ridacchiò di nuovo. “Sì,” ammise “alla fine un po’ mi sono affezionata.”.
Continuarono a scambiarsi storie per alcuni minuti, fino a che non giunsero in un vasto spiazzo senz’alberi, una vista rara nel cuore della Pineta Maggiore: il terreno era costellato di macerie e detriti, con mattoni grigiastri corrosi dal vento e dall’umidità sparpagliati ovunque, mentre pezzi di legno e piccoli mobili emergevano qua e là da sotto i blocchi più grossi e le cataste di materiale.
“Suppongo che questo sia il luogo d’origine del boato.” osservò Loreth con curiosità “Chissà cos’è crollato di preciso, e perché...”.
«Diamo un’occhiata più da vicino.» propose Miros incamminadosi tra le macerie.
“Come se noi due avessimo scelta.”  sussurrò mentalmente Lupo Grigio al demone.
“Benvenuto nel mio mondo.” rispose lei cercando di non farsi sentire “Tu almeno puoi uscire dalla bisaccia.”.
Ignaro della conversazione alle sue spalle, Miros sondava il terreno sotto i suoi piedi, purtroppo senza risultati apprezzabili.
“Ehi ranger,” l’apostrofò Loreth sardonica “vedi qualcosa?”.
Miros storse il naso «Beh, ecco, io… cioè, qui c’era un edificio.».
Lupo Grigio roteò i suoi piccoli occhi scuri, scrutò rapidamente il terreno ed iniziò a descrivere con voce didascalica quello che man mano notava. «I pochi cespugli che ci sono sono tutti schiacciati: il crollo risale a tempi recenti, o sarebbero già cresciuti attorno all’ostacolo. Il fango è smosso di recente, e con troppa efficienza per essere opera dei detriti: quindi qualcuno ha scavato qui, stanotte.» allungò il collo scrutando le file di impronte «E poi si è spostato… ah, amico, aspetta, faccio prima così.» e dondolandosi un poco riuscì ad issarsi fuori dalla bisaccia, e prima ancora di toccare terra aveva assunto la forma di lupo.
«Woah!» esclamò Miros scansandosi «Ti immaginavo più piccolo.»
Il druido scodinzolò, e cominciò ad annusare con insistenza il terreno. «Erano in tre:» riprese «una era una mezzelfa, di un tipo strano, femmina di sicuro, poi c’era un’altra femmina, ma non conosco la sua specie e poi…».
Lupo Grigio si arrestò un istante, ed iniziò a scodinzolare. «Non ci credo…» mormorò «di tutti i posti in cui avrei potuto ritrovarlo…» e senza fornire ulteriori spiegazioni scatto in avanti, correndo a testa bassa per non perdere la traccia.
«Ehi, aspettaci!» gli gridò dietro Miros correndo per raggiungerlo «Loreth, fammi andare più veloce!».
“Ti pare il caso?” lo rimproverò lei “Non ti farò del male per inseguire tartaruga-lupo-druido-coso: era simpatico, certo,  ma lascialo andare se vuole andare.”
Non ci fu bisogno di rincorrere a lungo il lupo: lo trovarono che scodinzolava allegro intorno ad una buca più grande e profonda delle altre. Quando li vide tornò da loro senza fermare la coda per un istante.
«Scusate!» disse «Ma c’è una persona che devo assolutamente farvi conoscere! Venite!» e partì questa volta trotterellando, andando dietro ad un filare di grandi impronte facilmente visibili.
Miros restò fermo qualche istante, prima di farfugliare estatico. «Deve essere il Destino che l’ha mandato da me!» e di sparire anche lui nella foresta con i brontolii di Loreth nelle orecchie.



Dite la verità: quanti di voi leggendo il titolo hanno pensato che stesse per apparire un altro personaggio? Fortunatamente no. Mi dispiace che parte del dialogo tra Lupo e Miros sia esattamente quanto avete letto alla fine dello scorso capitolo, ma tenete a mente che siamo ancora in fase repost: nella prima versione le rubriche finali non esistevano, e quindi non c'era altro modo per comunicare dettagli per noi importanti al lettore. Spero non vi abbia annioato o disturbato. Oggi è un giorno speciale, il giorno in cui questa storia ha ricevuto la sua prima recensione, da tale Ted Branson, che ringraziamo. Whoo. Allora tutte le visite che riceve non sono solo i giocatori che fanno avanti e indietro con account multipli.

Commento del Master: Penso che neanche il master più acido avrebbe qualcosa da lamentarsi con i miei giocatori. Riescono sempre a trovare una via d'uscita dalle situazioni di stallo. Quando Nori ha tirato quel 20 naturale sulla prova di Conoscenze(Storia) per identificare il castello stavo esultando internamente: quante ore di gioco al detective risparmiate! Ora, finalmente, oltre alla cerca hanno anche una meta. Sarà la via giusta? O stanno solo inseguendo favole?
Per quanto riguarda la reazione di Lupo all'odore del necromante, si sono tutti stupiti: solo io ed i due giocatori conoscevamo il loro background comune. Ma che tipo di rapporto avevano? Come e quando si sono conosciuti? In effetti, questo capitolo voleva essere un "momento spiegone" ma ha più che altro fatto sorgere nuovi quesiti.

Commento dei Giocatori: Questo è il capitolo che mostra il finale della prima sessione. Quando ci siamo lasciati dopo queste azioni e parole, non avevamo che un pensiero in mente: il prossimo sabato, il giorno in cui avremmo finalmente ripreso in mano i d20. Solo una piccola, ovvia, precisazione: in questo capitolo la favola di Uukart lo Stupido è narrata per bocca di Nori, ma ovviamente è tutta farina del sacco del master. Abbiamo in programma di insignirlo del titolo "Fratello Grimm mancato" se la favola per bambini si rivelerà una rivisitazione di un evento sanguinoso o comunque terribile.

Bussola del lettore: Sicuramente, al lettore che più si diletta di nomenclatura caledone, non sarà sfuggito l'abbinamento tra UUkart e castello. Ovviamente, il tutto è un'immensa citazione al castello di Urquhart, sulle rive del lago di Ness, in Scozia, scritto così come lo sentivamo pronunciato da una pia vecchian scozzese che gestiva un ostello dove ci siamo fermati durante l'Interrail. Ma questa è solo una chicca. Il punto cruciale sono gli incantatori: quanto è diffusa la magia nel nostro mondo? Per caso è regolamentata? Abbastanza, e no: chiunque, con un po' di sforzo, può lanciare semplici trucchetti magici, specialmente quelli della sottoscuola dell'ammaliamento. Per padroneggiare però i veri e propri incantesimi, ci sono solo due modi: studiare, studiare, e studiare fino a spaccarsi la schiena, questo o da un maestro privato, o in una congrega o gilda, o, ancora peggio, da soli, o si è portati dalla nascita ad avere una familiarità con un certo tipo di magia, che appare naturale ed istintiva. Per questo tendiamo a limitare l'uso delle classi "universali" Mago e Stregone, e preferiamo utilizzare classi più specifiche prese dalla Wikia. Come, ad esempio, la classe Necromante di Nether: non è semplicemente uno stregone specializzato in necromanzia, ma una vera e propria classe a sé stante, con vantaggi e poteri unici.

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Capitolo 7
*** 07-Il ponte ***


Capitolo VII: Il ponte

I tronchi dei pini ai lati del loro cammino si susseguivano pressoché identici da ore. Da quando avevano stabilito la loro meta, il viaggio era trascorso nel silenzio, mentre ognuno si lasciava cullare nei propri pensieri dal ritmico dondolio del passo dell’orsogufo, creatura non certo famosa per la sua grazia da viva, figurarsi da non-morta. Il sole, per la prima volta dopo settimane sulla Pineta Maggiore, si era aperto una breccia attraverso la spessa coltre di nubi, e ora sporadiche macchie di luce tappezzavano il fitto sottobosco ed il mare di aghi secchi su cui avanzava incespicando la loro cavalcatura. La Pineta Maggiore era silenziosa: non era solo la stagione invernale imminente che aveva spinto in letargo molte delle creature più grandi ad ovattare ogni suono; la quiete che regnava nella foresta aveva un che di surreale, e ciascuno in cuor suo sapeva che lo scricchiolio degli aghi sotto le grandi zampe dell’animale era probabilmente l’unica fonte di rumore nel raggio di kilometri, e questo non aiutava di certo ad infondere sicurezza negli animi dell’improbabile trio.
Seduto vicino al collo dell'animale, Nether teneva spiegata sulle gambe incrociate una vecchia mappa consunta, che costituiva il loro unico mezzo di orientamento. Passò distrattamente un dito sul percorso stabilito: avrebbero dovuto attraversare un lungo tratto nella pineta Maggiore, che a quella velocità avrebbe richiesto non meno di un giorno intero. Poi c'erano le montagne da oltrepassare, se volevano arrivare il più in fretta possibile nella Valle del Pozzo, dove in teoria avrebbero dovuto cercare un castello che non c'era vicino ad un lago inesistente.
Sospirò preoccupato picchiettando sul puntino che indicava il villaggio di Myrth, unico insediamento di civiltà nel raggio di leghe intere: lo innervosivano soprattutto le numerose macchioline rosse targate con piccoli teschi non molto distanti dal villaggio, che indicavano molto probabilmente accampamenti di orchi, gnoll, o qualche altro genere di creature ostili.
«Sto morendo di fame.» si lamentò Timis dal fondo dell'orsogufo, dissipando il silenzio insieme all’ansia che quello portava con sé «Deve essere quasi mezzogiorno. Ci fermiamo per mangiare o mangiamo in movimento?».
«C’è un fiume da guadare più avanti.» rispose Nether paziente «Quando il sole è alto scioglie le nevi sui monti, e così nel pomeriggio il fiume si ingrossa. Dobbiamo attraversarlo prima che lo faccia, o avremo già perso un giorno. Ci fermeremo per mangiare dopo averlo attraversato.».
Nori si aggiustò gli occhiali che le erano scivolati sul naso mentre si era assopita. «Cosa mangeremo di preciso?» chiese, con la voce che tradiva la sua preoccupazione.
«Quello che c’è, principessina.» ridacchiò Nether in risposta «O forse hai portato scorte dal tuo palazzo reale?».
Nori avvampò ed aprì la bocca per replicare, ma poi decise di rinunciarci, ingoiando il suo fiele: la storia della “principessina” era sfuggita di mano quando si era lasciata scappare di avere effettivamente sangue nobile tra gli Dei della Morte, e la faccenda cominciava ad infastidirla. Si rannicchiò al suo posto, cingendosi le ginocchia con le braccia, e sprofondò in un ostinato mutismo lanciando occhiate da vipera alla schiena del necromante.
Timis tese le orecchie: dopo qualche minuto, un leggero scrosciare d’acqua in lontananza le confermò che non doveva mancare molto al fiume, e quindi al pasto. Si sentiva ancora molto debole per le ferite del giorno prima, ma non avrebbe chiesto per tutto l’oro del mondo alla Dea della Morte di utilizzare di nuovo il suo blando incantesimo curativo. Debolezza o no, non mangiava da oltre dodici ore, ed il suo stomaco iniziava a protestare. Ad un certo punto si spazientì, e si levò in volo.
«Vado solo a vedere quanto dista esattamente.» rassicurò i compagni prima salire tra le fronde dei pini, fino a raggiungerne le cime. Quando uscì dalle chiome degli alberi si coprì istintivamente gli occhi con la mano, per proteggerli dalla luce di quel sole che, nonostante gli sforzi, il suo popolo abituato alla semioscurità non aveva mai imparato ad amare. In lontananza uno scintillio tra le fronde dei pini le segnalò la posizione del corso d’acqua. Impaziente, sfrecciò in aria fino a sovrastare il fiume, e lasciò che i suoi occhi lo percorressero in lungo e in largo, fino a che non si trovarono di fronte ad una visione inaspettata.
«Ma tu guarda se…» imprecò mentre si fiondava di nuovo nel fitto della Pineta Maggiore. Scese fino a fluttuare ad a qualche spanna dal suolo davanti all’orsogufo, che si arrestò ubbidiente al segnale del padrone.
«Ehi, genio!» apostrofò il necromante che la fissava infastidito «C’è un ponte!».
 
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«Andiamo, amico, vai più rapido, non li raggiungeremo mai a questo passo!» incitava Lupo Grigio dalla bisaccia. Era rimasto per circa un’ora nella sua forma di lupo, ma agli scatti euforici di corsa galoppante si era presto visto costretto ad alternare lunghe pause per aspettare il suo nuovo amico Miros, che seppur correndo arrancava per tener dietro al suo passo; aveva dunque optato per non sprecare inutilmente prezioso neanche un minuto delle cinque ore quotidiane per le quali riusciva a mantenere la sua forma selvatica ed aveva ripreso la forma di tartaruga ed il suo posto d'onore nella borsa del ragazzo.
«Non è colpa mia!» protestò Miros di rimando «Sei pesante! Sei piccolo piccolo ma pesi, dannazione! Mi rallenti parecchio, sai?»
La tartaruga roteò il collo, guardandolo a testa in giù. «Secondo me è la gigantesca lancia che ti porti dietro il motivo a rallentarti, amico. Dovresti provare un'arma più piccola, anche per che ci fai la figura di quello che la usa per compensazione.».
«Si chiama falcionr,» precisò il ragazzo «ed è fondamentale per la mia sopravvivenza. È un arma figa, punto. E poi non riuscirei a trovarne un'altra in grado di resistere alla forza di Loreth: ho provato ad usare delle spade, ma si spezzavano.».
Lupo Grigio emise nuovamente una vocalizzazione strozzata, che Miros aveva ormai imparato a riconoscere come una risata.
 «A proposito di quel tuo trucchetto,» disse pungolandogli il fianco con il muso « perché non chiedi alla tua simpatica amica se di rifarlo, eh? Scommetto che ti rende anche più veloce, non solo più forte. Ti curo io se ti fa male, tranquillo.»
“Se anche tu fossi in grado di guarirlo il doppio di quanto hai fatto ieri notte,” sibilò Loreth protettiva “non potremmo comunque durare per più di due minuti, quindi il “trucchetto”, come lo chiami, è inutile per gli sforzi estesi. E poi non penso che faccia bene al suo corpo quel ciclo continuo distruzione-rigenerazione.”
«Come dici tu, mamma chioccia.» si arrese il druido risprofondando nella bisaccia «Vorrà dire che ci metteremo più tempo del previsto a raggiungere il mio amico.».
 
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Nether ricontrollò per l’ennesima volta la cartina, grattandosi il capo come faceva sempre quando era confuso, per poi risollevare di nuovo lo sguardo: il fiume correva rapido di fronte a loro, e la sua limpidezza rivelava le numerose rocce taglienti ed affilate disseminate sul fondo, tra cui facevano capolino sporadiche trote e altri pesciolini. L’oggetto per cui aveva voluto a tutti i costi fermarsi a controllare la mappa era però un malconcio conglomerato di assi di legno inchiodate, che sfruttava due piccole gobbe nel terreno per creare uno stretto ed instabile passaggio sulle acque vorticose.
«Allora?  Che ti dicevo?» chiese Timis vicino a lui, sporgendosi per vedere meglio la cartina.
Lui si grattò la testa, spostando nuovamente gli occhi sul foglio. «Sì,» disse infine «dicevi la verità. Certo, ci vuole un bel po’ di fantasia a chiamarlo “ponte”: sembra tenuto insieme con lo sputo.». Ripiegò la mappa e la infilò nella tasca del camice, esaminando poco convinto da lontano la struttura. Concluse che, se forse poteva essere in grado di reggere una persona per volta, non c’erano possibilità di far attraversare l’orsogufo, e non si sarebbe mai aspettato di trovare l’acqua già così profonda ed impetuosa a quell’ora.
«Penso che ci stiamo facendo sfuggire un dettaglio importante:» la voce di Nori, ancora seduta in groppa alla creatura, si intromise nella conversazione «se qui c’è un ponte, qualcuno deve averlo costruito.»
«Che intuito, Dea della Morte.» la schernì la Falce roteando gli occhi.
«Quello che voglio dire, Falce Mietitrice,» riprese Nori, visibilmente alterata, «è che qualcuno l’ha costruito di recente. Molto di recente. Guardatelo bene: non ci sono aghi di pino sopra le assi, quindi sono state posizionate al massimo qualche giorno fa. Ci solo due tipi di persone si addentrano nella Pineta Maggiore in pieno Ottobre: quelli che devono nasconderci qualcosa e quelli che ci devono essere nascosti: entrambe le opzioni non sono rassicuranti.».
Balzò giù dall’orsogufo e raggiunse i compagni. «Questo ponte mi da molto l’idea di essere una trappola.» sussurrò tra le spalle degli altri due «Forse ci sono incantesimi che reagiscono al peso, o anche solo al semplice passaggio. Qualcuno dovrebbe attraversare per vedere se la via è sicura.»
Gli altri due parvero esitare, scrutando sospettosi il poco solido ponticello. Alla fine fu Timis a prendere l'iniziativa.
«Io vado di là.» disse con decisione «Volando. Vediamo cosa succede.». Con un gesto distratto del polso scrollò il bracciale d’ossa, che reagì all’istante trasformandosi nella grande falce bianca e nera, che la mezzelfa afferrò a mezz’aria. Concentrandosi per qualche istante, si sollevò a circa un metro da terra, e prese ad avanzare lentamente, con tutti i sensi all’erta. Era ormai a metà della lunghezza del ponte quando un sinistro scricchiolio proveniente da un cespuglio la fece arrestare all’improvviso, stringendo più forte la falce fra le mani, quasi a cercare un appiglio. Attese per secondi che parvero interminabili che qualche orrore senza nome si manifestasse da dietro un tronco, da sotto il ponticello o, peggio ancora, da sopra di lei. Non accadde nulla.
«Allora? Vai avanti! Vuoi aspettare l’inverno per atterrare sulla neve morbida?» le gridò Nether, spezzando la tensione.
Timis prese un profondo sospiro ed iniziò a discendere. Toccò terra sull’altra sponda, facendo scricchiolare gli aghi secchi. Mosse qualche passo timorosa, sondando cautamente il tappeto di aghi con il manico della falce, alla ricerca di fili, corde nascoste o trappole, ma la lunga asta bianca falciava indisturbata il sottobosco.
«Non c’è nessuna trappola qui!» gridò ai due sull’altra riva «Potete passare.».
La Dea della Morte parve inalberarsi. «Quando parlavo di attraversare intendevo camminando sul ponte, maledetta Falce!» sbraitò paonazza «Così come possiamo essere sicuri che non ci siano trappole? Non hai rischiato niente, vigliacca!».
«Ti sbagli.» la corresse Nether grattandosi il mento «Ora sappiamo che nessuno vuole impedirci di attraversare. È stata coraggiosa ad andare volando, si è resa più vulnerabile esponendosi ad eventuali nemici nascosti. In pratica si è offerta come esca.»
In risposta la Dea della Morte fece una smorfia. «Attraversa prima tu allora!».
«Come sei infantile…» commentò il necromante avviandosi verso lo stretto ponticello. Esitò solo un istante di fronte alle assi inchiodate, prima di poggiarvi sopra il primo piede.
«FERMATI, FELLONE!» una tonante voce maschile risuonò tra gli alberi, poi si udì un fruscio, e con uno schiocco sonoro una lunga freccia blu si piantò nelle assi di legno di fronte a Nether, che balzò indietro istintivamente, voltandosi a cercare l’arciere tra le fronde.
«Non osare passare sul ponte del grande Leo Noah!» riecheggiò di nuovo la voce da un punto imprecisato delle chiome dei pini dalla loro parte del fiume «Quello era un colpo di avvertimento! Non osate più attraversare il ponte sacro del grande Leo Noah o subirai la sua più terribile vendetta!».
«Aspetta solo che veda dove ti nascondi…» sussurrò il necromante a denti stretti mentre sentiva la Dea della Morte estrarre la sua lunga spada bastarda dietro di lui.
Si mise schiena contro schiena con la compagna, improvvisamente pervaso da un’inaspettata sensazione di sintonia ed empatia nei suoi confronti, mentre quella faceva segno a Timis di rimanere dov’era, ed insieme scrutavano le fronde degli alberi nella direzione da cui proveniva la freccia, in cerca di un ombra, un luccichio o un ramo spezzato che tradisse la posizione del tiratore.
«Coprimi.» gli sussurrò Nori «Posso identificare le aure magiche nelle vicinanze, ma devo tenere gli occhi chiusi. Devi coprirmi.»
Al cenno d’assenso del compagno, Nori chiuse gli occhi, e come sentì la magia scorrerle nel corpo la sua percezione del mondo mutò: colori, rumori e persino odori cessarono di avere significato, mentre i potenziali magici degli esseri intorno a lei apparivano come piccoli globi di luce, sospesi in uno scuro limbo buio. Vicino a lei sentiva sfolgorare il potere magico del compagno, nero e crepitante di energia, poi identificò quello di Timis, appena oltre il fiume: un potere latente, che sapeva solo la trasformazione in Morte Falciatrice avrebbe sprigionato. Anche da sotto il ponte sentiva provenire una debole aura magica, probabilmente riconducibile ad una trappola, come lei aveva subito intuito. Infine percepì un potere estraneo sconosciuto, proveniente dalle fronde di un pino non meglio identificabile. Anzi, notò, le aure magiche erano due, ma una soverchiava l’altra a tal punto che potevano essere facilmente confuse.»
“La maggiore è magia elementale del fulmine, senza dubbio,” concluse “mentre l’altro sembra essere una blanda forma di manipolazione dei fluidi...”.
Si concentrò di nuovo sul potere più forte, quello elettrico. “C’è qualcosa di strano…” rimuginò, mentre cercava di intuire cosa ci fosse di anormale in quel potere.
Infine ricevette l’illuminazione: “È un oggetto!” realizzò riaprendo gli occhi e mettendo così fine alla sua percezione aumentata.
«Non è un incantatore,» informò il necromante, le cui mani crepitavano di scintille nere «ma possiede un’arma magica molto potente. Non sono riuscita a riconoscere con precisione l'albero su cui si trova, l’aura magica dell’arma è troppo intensa. Come lo staniamo?»
Nether sorrise. «Hai sentito cos’ha detto prima?» domandò sottovoce «‘Non osare passare sul ponte’. Deve essere una specie di guardiano. Ho un’idea per scoprire dove si trova, ma tu dovrai fare la tua parte.» e le sussurrò all’orecchio il piano d’azione.
L’espressione della Dea della Morte si incrinò. «Non può funzionare!» cercò di protestare «Ha un arma magica. Magica, capisci? Non importa se mi rendo incorporea: potrà comunque colpirmi!»
«Andiamo,» ghignò «vuoi dirmi che adesso sei tu quella che non vuole rischiare nulla? Ci penso io al tuo corpo, nel frattempo.»
Nori digrignò i denti, punta sul vivo, ed alla fine acconsentì al piano del compagno, sulle cui mani si stava addensando un poco rassicurante vapore nerastro. Con un profondo sospiro rilassò tutti i muscoli del corpo, e dopo pochi istanti poté sentire tutta la materia che la componeva scivolare via, lasciando la sua pura ed intangibile essenza ad intersecare appena la realtà sensibile. Al cenno concordato scivolò fuori dal suo corpo, che si accasciò inerte sostenuto solo dalla presa del compagno, e scattò fino al ponte, brandendo con entrambe le mani la sua Ephialtes, anch’essa divenuta evanescente. Balzò verso l’alto un attimo prima si toccare il legno: menò un fendente verso il basso, che come c'era da aspettarsi attraversò placido le assi storte senza intaccarle neanche. Sentì il sibilo della freccia fendere l’aria, mentre il dardo blu acceso la attraversava senza ferirla.
“Ci è cascato.” realizzò stupita “Non ha usato la magia. Deve essere un idiota.”.
A Nether non serviva altro: abbandonò a terra il corpo inerte di Nori, sollevò le braccia verso l’albero da cui aveva visto chiaramente uscire la freccia, e lasciò che una nube di fumo scuro sciamasse dai suoi palmi come un nugolo di moscerini. L’incantesimo si avviluppò intorno al tronco del pino, che avvizzì all’istante perdendo tutti gli aghi con un fruscio.
Tra i rami ormai nudi, secchi e pericolanti del pino morente stava aggrappato al tronco un elfo dalla carnagione olivastra, con lunghi ed unticci capelli neri. Impugnava un flessuoso arco lungo dello stesso colore blu elettrico delle frecce e vestiva semplici abiti verdastri. Una faretra ricolma di frecce pendeva dalla sua spalla I suoi occhi rossi brillavano spaventati mentre balzava di ramo in ramo un attimo prima che quelli si sbriciolassero, fino a che un ramo non cedette sotto il suo peso nel momento in cui lo fu sfiorato, e si staccò dal tronco riducendosi in polvere, e trascinando in una caduta di sei metri anche l'elfo, che impattò sul terreno di faccia, sprofondando nel cumulo degli aghi caduti fino alla cintura. Si rialzò sputacchiando foglie more e rametti, si spolverò i semplici abiti e gonfiò il petto per cercare di darsi un contegno.
«Come osate?» gridò furibondo «Come osate sfidare a questo modo il grande Leo Noah, difensore del sacro ponte?».
Scoccò la freccia verso Nori, che ne fu nuovamente attraversata senza danni, sbraitando «Scendi giù, spettro immondo: sono stato incaricato dalla ninfa del fiume di costruire un ponte e di sorvegliarlo, ed adempirò al mio giuramento.».
La Dea della Morte contrasse la mascella camminando lentamente fino al suo corpo e riscivolandoci dentro con naturalezza. Nascondendo dietro una maschera di calma gelida l'umiliazione bruciante per avere temuto anche per un singolo minuto un nemico di quella tacca, si rialzò fremente di rabbia e rigirò l’elsa della spada nei palmi delle mani. Iniziò ad avanzare a passi lenti verso l’arciere.
"Un completo imbecille!" pensò furente mentre non cessava di avvicinarsi "Possiede un’arma tale e probabilmente non sa neppure utilizzarla. Mi ha quasi fatto fare la figura della vigliacca! Non posso perdonarlo."
Mentre sentiva il sangue ribollirle nelle vene, aprì la bocca per scagliare una fattura immobilizzante sull'elfo, quando Nether la fermò mettendole una mano sulla spalla.
«Aspetta, ferma!» le intimò trattenendola «Potrebbe non essere lui il vero nemico.». Si rivolse direttamente all'elfo «Non ci sono ninfe in questa foresta. Come era fatta la creatura che ti ha parlato?».
Gli occhi dell'arciere si illuminarono, e si portò le braccia al petto, mentre iniziava a dondolarsi a destra e a sinistra. «Ah,» cominciò, dimentico dello scontro e delle sue parole di sfida, «Ella è senza dubbio la più bella creatura su questa terra: pelle color smeraldo, capelli verdi, ridenti occhi gialli...».
Nether si voltò di scatto per chiamare Timis, ma quando si voltò constatò quasi sollevato che la mezzelfa li aveva già raggiunti, e fortunatamente senza toccare il ponte.
«Dimmi, principessina,» chiese preoccupato «hai sentito qualche potere magico nell’acqua?».
Nori si accigliò, ed annuì lentamente, cercando di capire dove volesse arrivare.
Il necromante abbassò le braccia, incredulo. «Allora quest'elfo svitato ci ha appena salvato la vita...»




E con questo siamo a posto: siamo ufficialmente tornati in pari con i capitoli postati, e possiamo continuare a proseguire nella storia. Potrebbe scapparci il capitolo bonus per farsi perdonare questo sabato, chissà. In ogni caso, non pensavate mica di averla scampata, vero? Ecco un nuovo personaggio. Questo capitolo descrive l'inizio della seconda sessione di gioco, eppure, su otto giocatori totali, solo sei personaggi sono stati introdotti. Va bene così, per ora. Per poco. Se qualcuno ha problemi a seguire il filo, ci sono le comode descrizioni a fine capitolo.

Commento del Master: Per quanto il gioco di ruolo imponga che un giocatore deve agire solo in base a ciò che il personaggio sa, conosce, sente e vede, certi dettagli, come la presenza massiccia di un giocatore d 1,89 m in altezza per il proverbiale armadio a due ante in larghezza, sono difficili da nascondere. Ma suppongo che faccia parte del divertimento la sensazione di sapere che qualcosa sta per accadere e che un nuovo pg sta per apparire, ma non sapere né quando né come né dove. La cosa che ho apprezzato molto è stata quando Nori, pur continuando ad odiare Nether dal profondo, ha saputo mettere da parte ogni astio e seguire un piano rischioso, fidandosi dell'unica persona accanto a lei. Voglio dire, è un ottimo esempio di un background ben sfruttato: quando l'abbiamo giocato, si è percepita tutta la disciplina militare con cui gli Dei della Morte vengono cresciuti. In aggiunta, sembra proprio che il nostro necromante abbia trovato la leva giusta: l'orgoglio. Forse questo è il primo passo per un rapporto di tolleranza.

Commento dei Giocatori: Senza dubbio un capitolo di sorprese, ma anche di incertezze. Qui è stato tagliato tutto il battibecco "No è impossibile, non c'è un ponte sei ciecata - Ti giuro che c'è razza di idiota". Per non parlare poi del dilemma di Timis "Attraverso o non attraverso? Se ci sono davvero trappole e sono solo stata fortunata?" mentre i suoi compagni erano sotto tiro. Il capitolo del dubbio, dunque, ma aspettate: le ambiguità non faranno che aumentare.

Bussola del lettore: Incorporeità. Com'è che all'improvviso Nori si vede dotata di questo mirabile potere? Esigenze di trama? Niente affatto. Gli Dei della Morte sono originari del Piano Astrale: non è raro trovarvi entità incorporee. Tuttavia il discorso è più complesso: gli Dei della Morte possiedono un corpo proprio, ma non è un segreto per tutti coloro che hanno letto almeno il primo volume di Bleach che possiedono una "forma spirituale". In termini di gioco questo si traduce con la capacità, guadagnata al lv5, se non sbaglio, di lasciarsi dietro il corpo in stile sacco di patate, e di muoversi come uno spettro, rimanendo tuttavia vincolati al terreno (non si vola.). La preoccupazione di Nori è giustificata: le armi magiche, se attivate, infliggono danno anche ai nemici incorporei. Tra le altre capacità simili degli Dei della Morte c'è anche quella di aprire portali per il Piano Astrale, ma in seguito ai fatti della notte precedente, ciò non sembra più essere possibile.

Leo Noah: Elfo di una tribù molto particolare (che sarà svelata nel prossimo capitolo), il giovane Leo Noah porta il nome di uno dei grandi eroi della tradizione orale del suo popolo. Sin da quando ha memoria, vive solo, dacché la sua intera tribù è stata uccisa in una notte da una creatura misteriosa, a cui lui ancora oggi da la caccia. La sua classe, Arciere lv7, gli permette di sfruttare appieno la sua potente arma, Zeus, un micidiale arco lungo composito del fulmine, cimelio di famiglia, a quanto dice lui. In realtà, non ricorda bene come ne sia venuto in possesso, e se proprio vogliamo dirla tutta, tutti i suoi ricordi prima dei diciassette anni (ne ha 137, piuttosto giovane per un elfo) sono confusi e frammentari. Non è particolarmente brillante, il nostro elfo, e soffre di un terribile disturbo che gli provoca lievia amnesie ogni tanto. Insomma, non è il tipo a cui affideresti informazioni importanti da diffondere.

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Capitolo 8
*** 08-Tanto rumore per nulla ***


Capitolo VIII: Tanto rumore per nulla

«Salvato la vita? Cosa vuoi dire?» chiese Timis diffidente «Io... io ho visto come è andata: ha cercato più volte di uccidervi!».
Il sole aveva ormai iniziato la sua discesa nel cielo, e le ombre dei pini iniziavano a rabbuiare tutta la foresta. Timis, Nether e Nori sedevano appoggiati all'orsogufo guardando con un misto di sospetto e divertimento l'elfo che si aggirava lungo il fiume con espressione ebete.
«So che può sembrare strano,» cominciò a spiegare Nori «ma se lo guardi bene si vede che è sotto l'effetto di un incantesimo di ammaliamento. Prima ha parlato di ninfe dei fiumi e roba simile, ma...».
«...ma quella che continua a descrivere non è una ninfa.» concluse Nether interrompendola «Con tutta probabilità si tratta di una kelpie.».
Timis si morse il labbro: sebbene non fossero tra i principali bersagli delle Falci Mietitrici, le kelpie venivano talvolta designati come obbiettivi di missione quando usavano le loro arti magiche per rendere schiavi coloro che morivano annegati nelle loro acque, praticando così indirettamente il reato di necromanzia. Erano famose per le loro grandi capacità di ammaliamento, che utilizzavano spesso per cacciare gli umanoidi di cui si cibavano.
«Quindi volete dirmi che una kelpie l'ha ipnotizzato, gli ha fatto costruire un ponte per predare gli avventurieri che lo attraversavano» ricapitolò la mezzelfa «ma poi non solo lo ha risparmiato, ma gli ha pure ordinato di proteggere il ponte e di non farci salire nessuno. Non ha senso! Così come fa a nutrirsi?».
«Beh, ecco,» rispose Nether smorzando un risolino «diciamo che il nostro elfo non deve essere un tipo tanto sveglio neanche da lucido. Probabilmente ha male interpretato gli ordini assegnati, o semplicemente l'incantesimo ha avuto più effetto del dovuto, ma non è questo il punto. Il fatto è che la kelpie probabilmente non è riuscita a mangiare nulla dal giorno in cui lo ha ipnotizzato, e questo peggiora le cose: ora invece di una predatrice razionale ed intelligente, con la quale avremmo potuto trattare il passaggio, abbiamo una creatura disperata per la fame, che attaccherà senza pensarci chiunque attraversi il ponte. Tutto per colpa del nostro elfo.».
«Ma perché non lo mangia?» sbottò Timis indicando l'elfo, che si sporgeva incantato a guardare la riva del fiume «Insomma, si sta quasi offrendo come pasto, ancora un po' che si sporge e casca in acqua!».
Gli altri due dovettero riconoscere che ciò rappresentava di fatto una falla nella teoria della kelpie affamata, ed una dopo l'altra scartano tutte le ipotesi e le idee che venivano alla mente.
«Oh, per tutti gli dèi!» si spazientì Nori facendo segno agli altri di tacere «Basta star qui ad immaginarsi tutti gli scenari possibili! Abbiamo un conto alla rovescia in corso, e stiamo quasi per buttare via una giornata! L'unica cosa di cui dobbiamo preoccuparci è come uccidere la creatura, kelpie o non kelpie che sia!».
«Va bene,» approvò Nether «ma per sicurezza fatelo voi. La leggenda dice che le donni siano resistenti alla magia di un kelpie, se non del tutto immuni.».
Timis si accigliò. «Chiarisci quanta affidabilità attribuisci a questa "leggenda".».
Il necromante sorrise in modo sinistro «Tutto il nostro viaggio finora si è basato sulla speranza che una leggenda fosse vera. Valuta tu.».
 
♠♠♠
 
Per molto tempo, l’unico rumore udibile era stato il ritmico ansimare di Miros e lo scricchiolio degli aghi che ingombravano il terreno su cui quello arrancava, e la piccola compagnia avanzava immersa nel silenzio.
Poi un flebile scrosciare d’acqua iniziò a risuonare in lontananza, facendo illuminare il volto del ragazzo.
«Un fiume…» mormorò estasiato «Sì! Finalmente! Non bevo acqua fresca da due giorni! Finalmente il Fato torna a sorridermi!».
Lupo Grigio fissò il compagno stranito. «Vuoi dire che non vi portate dietro scorte d’acqua come fanno tutti? Che avete di sbagliato?» chiese incredulo «Guarda che è tipo la prima regola dell’avventuriero!».
“Lascia perdere.” mormorò Loreth sconsolata “Quando siamo entrati in questa foresta avevamo cibo e acqua per tre giorni. E siamo entrati sette giorni fa. Quando abbiamo finito il cibo abbiamo tirato avanti a bacche e pozzanghere, finché questo idiota non ha pensato bene di mangiarsi un po’ di orsogufo.”.
«Che sapore aveva?» domandò il druido, curioso.
«Era buono, cazzo!» rispose Miros coprendo la voce della compagna «Avresti dovuto vederci! Avevo appena realizzato che perdermi nella foresta era stata una svolta cruciale nel mio destino, e…».
«Dimmi, perché sei così fissato con il Fato e il destino?» lo interruppe il druido «Io ho vissuto ottantadue anni, amico, e ne ho trascorso la maggior parte letteralmente sopra fogli di piani, progetti e programmi: bene o male, il vecchio capo druido riusciva sempre ad ottenere quel che voleva, in barba agli scherzi della sorte. Non pensi che puoi scegliere cosa fare?».
Miros sospirò piano «Beh,» iniziò incespicando nel discorso «a me… piace fare l’avventuriero, l’ho scelto io e… non so… mi riesce anche bene, quindi visto che mi sono state predette grandi azioni da eroe io… io, non so… sono invogliato a farle, ecco.».
“Non fargli più questa domanda.” pregò Loreth curando di non farsi sentire dal ragazzo “Anch’io so che non è vero niente di quello che gli è stato detto, ma a lui non rimane altro nella vita. Se sono io a dirglielo  pensa che sia per stuzzicarlo, ma tu, per favore, non sollevare più l’argomento.”.
Lupo Grigio annuì pensoso, e decise che forse sarebbe stato meglio cambiare aria per un po’.
«Bene!» proruppe gioioso «Ho deciso che vado avanti fino al fiume, ho sete anch’io. Chissà, magari avevano sete anche loro e si sono fermati, ormai non dovrebbero essere tanto lontani. Sei un gran marciatore. Ci vediamo!» e dondolandosi riuscì ad uscire dalla bisaccia. Si trasformò in lupo prima di impattare sul terreno, riprese l’equilibrio e  partì di corsa in avanti.
«Tipo strano, eh?» osservò Miros grattandosi il naso.
“Già.”.
 
♠♠♠
 
Il piano d’azione era semplice, ma ben studiato. In seguito ad un’accesa diatriba riguardo all’affidabilità della diceria sui kelpie, Nori e Timis avevano acconsentito ad occuparsi della creatura, mentre Nether avrebbe distratto in qualche modo l’elfo ammaliato, per assicurarsi che non avrebbe interferito nello scontro.
Le due donne erano in piedi di fronte allo stretto ponte dalle assi sconnesse, ad aspettare che il necromante facesse il suo dovere, chiedendosi cosa mai stesse dicendo mentre lo vedevano confabulare con l’arciere.
«Come la staniamo?» chiese Timis dubbiosa quando i due si furono allontanati nella foresta, seguiti dall’orsogufo.
«Beh,» rispose la Dea della Morte voltandosi verso il ponticello mentre estraeva la spada «intanto evoca la tua falce, ragazzina, e preparati a colpire quando salta fuori. Lascia il resto a me.».
La mezzelfa la guardò con sufficienza, ma ubbidì e trasformò il bracciale d’ossa nella sua grande falce. Nori chiuse gli occhi, rievocando la sua vista magica.
“È proprio qui sotto…” pensò mentre sorridendo pregustava lo scontro “Sa mascherare bene la sua magia, però: la prima volta non l’avevo notata. Bene, demone, preparati alla battaglia.”.
Riaprì gli occhi di scatto e balzò in avanti sul ponte, affondando la lunga spada bastarda fino all’elsa tra assi storte. Immediatamente un’indistinta forma verde schizzò di lato evitando il suo affondo. La creatura emerse dall’acqua e quelle che sembravano alghe si raccolsero nella figura urlante di una giovane donna avvenente dagli occhi rossi.
Timis non attese un istante: levandosi in volo roteò la falce con violenza, tranciando di netto il busto della creatura acquatica. La parte superiore della creatura parve esplodere: lunghi filamenti di alghe verdi e vaporose schizzarono in aria ricadendo nel fiume, sui rami degli alberi e per tutta la radura. Il resto del corpo si afflosciò inerte nel fiume, e fu presto trascinata via dalla corrente.
«Accidenti!» esclamò Nori, con gli occhi sgranati e la spada ancora incastrata nel legno «Ci eravamo preoccupate un po’ troppo forse. Bel colpo.».
La Falce si spinse i capelli biondi dietro le orecchie, gonfia d’orgoglio «Dovevo sfogarmi.» disse con noncuranza «Ieri ne ho prese abbastanza per un mese, era tempo che le restituissi a qualcuno.».
«Oh, peccato!» rise la Dea della Morte «Speravo l’avresti fatto sul necromante.».
 
♠♠♠
 
«Dove stiamo andando? Dov’è l’essere che minaccia la mia donna di cui mi hai parlato? Perché hai i capelli di quel colore? Eh?» le domande dell’elfo seguitavano incessanti una dopo l’altra, senza lasciare tregua al necromante, che non poteva fare altro che rassicurarlo con risposte imbastite sul momento e silenzi che venivano interpretati dall’arciere come momenti di riflessioni mistica di colui che si era presentato come un inviato divino.
“È incredibile come ci sia cascato.” rifletté l’uomo in camice da laboratorio ignorando una domanda sul cosa fosse il buffo e grande orsacchiotto che li seguiva “Deve aver riportato un danno serio al cervello per l’incantesimo della kelpie.”.
L’elfo continuò a porre domande sempre meno sensate e sempre più fuori tema per un po’, mentre Nether si assicurava che stessero girando in cerchio senza pericolo di riavvicinarsi al fiume.
Ad un tratto, l’elfo parve sentirsi male, e cadde a terra carponi con un gemito.
«Uh, ehi!» gli fece Nether cercando di tirarlo su «Tranquillo, Leo. Leo è il tuo nome, no? Sono un dottore. Più o meno. Eri sotto l’effetto di un incanto di ammaliamento. Questo dovrebbe significare che la kelpie è mor…»
L’elfo lo interruppe vomitando una grande quantità d’acqua sul suo camice.
«Cosa? Che diavolo…» imprecò il necromante allontanandosi all’istante senza perdere di vista l’arciere piegato a terra.
Quando quello alzò la testa, il suo volto appariva trasfigurato: l’espressione bonaria ed ebete era scomparsa, lasciando il posto ad un ghigno torvo. Il suo viso non aveva più il colorito pieno ed olivastro di prima, ma si presentava pallido e smunto, come se fosse stato a digiuno a lungo, mentre gli occhi dardeggiavano furenti verso il necromante.
«Siete morti.» sibilò prima di incoccare una freccia e puntarla verso Nether.
L’orsogufo reagì alla minaccia verso il suo padrone, che ancora restava immobile senza parole, e si frappose ruggendo tra il tiratore ed il suo bersaglio, in attesa di ordini che non arrivavano.
Il volto di Leo si deformò in una tetra smorfia decisamente poco rassicurante. Senza mostrare alcuna paura estrasse una seconda freccia blu dalla faretra, e la incoccò vicino alla seconda.
«Tuona, Zeus!» ruggì tendendo l’arco, che risplendette di luce gialla. Una folgore avvolse i due dardi, e fu scagliata assieme a loro dritta in mezzo agli occhi dell’orsogufo, che fu attraversato da una scossa di energia crepitante e si accasciò al suolo, emanando uno sgradevole odore di carne bruciata.
Dietro la gigantesca carcassa fumante, il necromante iniziò ad arretrare, atterrito.
«Va bene.» farfugliò spingendo le mani avanti «Ascolta, non so chi tu sia o cosa ti abbia fatto, ma…» ma alla vista dell’arciere che rapido incoccava un altro dardo fuggì nella boscaglia senza completare a frase, diretto di nuovo verso il fiume.
Si mosse a zig-zag tra i tronchi dei pini, gettandosi occasionalmente un’occhiata alle spalle pensando di essere inseguito, ma fu sorpreso e sollevato di constatare come l’arciere non solo non l’avesse rincorso, ma si fosse diretto in tutt’altra direzione.
Si fermò a riprendere fiato appoggiato ad un tronco, quando si accorse del muschio che lo ricopriva. Sud. Stava correndo verso sud, quando il fiume si trovava ad Est della loro posizione.
“Non posso crederci…” pensò portandosi una mano alla bocca ansimante “Sono fuggito nella direzione sbagliata! È lui che è diretto al fiume! Come ho potuto essere così stupido?”.
Il suo pensiero passò subito alle due donne. “Maledizione! Senza di loro non posso fare nulla! Mi servono vive!” e scattò di nuovo a correre tenendosi la milza.
 
♠♠♠
 
«Secondo te gli è successo qualcosa?».
La domanda di Timis riportò alla realtà la Dea della Morte, che seduta sul ponticello, che era effettivamente più solido di quel che sembrava, stava guardando i pesci che lentamente tornavano a stazionare fra i sassi dopo la confusione in cui la kelpie li aveva gettati.
«No, non penso.» la rassicurò  tirando una coppia di aghi nelle vorticose acque sotto di lei e guardandola mentre la corrente la reclamava «Semplicemente è stato molto più facile del previsto uccidere la kelpie. Chissà perché ci preoccupavamo tanto? Probabilmente l’elfo è svenuto, o è confuso per la morte della sua ammaliatrice, o forse, chissà, si sono persi.».
«Cosa pensi dovremmo fare dell’elfo?» chiese Timis, sedendosi di fianco alla donna «Insomma, non possiamo lasciarlo qui se è davvero sotto shock o svenuto.»
Nori storse il naso. «Che ti succede?» la schernì «Ti vengono i sensi di colpa, adesso? Ha provato ad ucciderci. Ammaliato o meno, per me può pure sprofondare nell’Abisso. Tieniti per te i tuoi istinti materni, mezzelfa.».
«Non ho istinti materni!» protestò la mezzelfa indignata «E poi cosa vorresti dire? Che tu abbandoneresti così una persona in difficoltà in un posto come questo?».
«Primo:» spiegò con un ghigno Nori tenendo il conto con le dita «a me del destino di un banale mortale con a cui non devo niente non importa alcunché. Secondo: no, in circostanze normali non lo farei, ma vista la fretta che la scadenza dei dodici giorni ci impone, non possiamo permetterci di raccogliere pesi morti. Terzo: qui ci è arrivato in qualche modo, no? Dunque sarà anche capace di tornare indietro.»
Fece una pausa, ed il sorriso sadico che le attraversò il volto non era dissimile da quello che aleggiava sul volto di Nether la sera prima. «E quarto:» aggiunse sollevando anche il mignolo «se proprio vuoi… prenderti cura di lui, tanto vale ucciderlo e porre fine alle sue sofferenze.».
Timis stava per replicare, quando un fruscio fra i cespugli le fece sobbalzare entrambi: dal sottobosco uscì trotterellando un lupo argentato, con la lingua a penzoloni e la coda che si agitava come impazzita. Fiutò il terreno più volte, prima di notare le due donne e di avvicinarsi.
«Tranquilla.» disse Nori posando una mano sulla spalla della compagna, che si era subito irrigidita «Non penso sia aggressivo: cerca solo del cibo.».
«Basta che non mi consideri come tale.» sibilò la mezzelfa accarezzando il braccialetto d’ossicini.
L’animale si avvicinò senza timore o timidezza, guidato da una traccia odorosa che solo lui riusciva a percepire. Annusò ripetutamente il terreno, poi il ponte e poi di nuovo il terreno. Persino Nori si irrigidì e provò ad allontanarlo con la mano quando diede l’impressione di voler attraversare il ponte su cui era seduta.
Vedendosi scacciato, il lupo si allontanò continuando ad annusare.
«Non dovremmo farlo passare?» domandò nervosa Timis.
Il lupo parve averla sentita, perché si sedette sulle zampe posteriori fissandola con la testa reclinata.
«Avete visto passare un uomo alto, con i capelli grigio-bianchi, che sembra un medico ma fa molta più paura?» chiese come se nulla fosse.
Le due donne per poco non caddero nelle gelide acque del fiume.




Ed eccoci qua, finalmente, alla sera di questo sudato mercoledì. Questo è il primo capitolo "nuovo" per tutti quelli che leggevano la storia anche alla sua prima edizione. Spiacente per il capitolo bonus del sabato che alla fine non è stato postato: non ne abbiamo avuto il tempo. Mi piacerebbe, in futuro, postare ad un ora più decente delle nove di sera, ma questa volta ho una buona scusa: abbiamo tenuto sessione tutto il pomeriggio, accumulando materiale per altri cinque o sei capitoli (dal numero XIV al XX, se tutto va bene). Ora, la parola alle rubriche.

Commento del Master: Ed ecco che accade. Nessuno al mondo, neanche i pluripremiati ricercatori Oral-B, sono stati in grado di fornire una risposta convincente a questo mistico e misterioso fenomeno. Ad ogni campagna, intorno a tutti i tavoli da gioco del mondo, accade la stessa identica cosa: la sindrome da seconda sessione. Conosciuta anche dal volgo come Sindrome della Tartaruga, essa si manifesta come una mistica forza che spinge i giocatori all'inazione. Forse è la consapevolezza che il personaggio è una creatura mortale, ed il mondo un luogo pericoloso, forse è che l'euforia della prima sessione scompare, lasciando spazio all'incetezza per il futuro, forse è l'improvvisa necessità e possibilità di compiere scelte, invece che affidarsi ciecamente alle mani del master, ma una cosa è certa: alla seconda sessione, i giocatori vengono presi da uno strano senso di paura, che li porta a dubitare anche del lento oscillare di una foglia al vento. Se il master la descrive, potrebbe essere rilevante per la trama. Questa malattia non è permanente, e già dopo la prima ora di gioco i giocatori iniziano a rilassarsi, ma - che diamine!- hanno passato quaranta minuti d'orologio a discutere se una kelpie avesse o meno poteri sulle donne. Pazienza, meglio prima che dopo. In tutto ciò, ecco che, come tutto nel mondo, anche Leo Noah mostra di essere più di quanto appare alla vista.

Commento dei Giocatori: Il master si è già dilungato sulla malattia da seconda sessione, quindi passiamo oltre. Non vi hanno un po' inquietato le ultime parole di Nori? Un po' di paura ce l'hanno fatta. Del tipo: e tu saresti Neutrale? Così parla un Legale Malvagio! In seguito ad un'accesa discussione, però, abbiamo tutti concordato che calzavano alla perfezione alla società degli Dei della Morte così come l'abbiamo immaginata noi. D'altra parte, nessuno si aspettava la repentina trasformazione di Leo, e al momento nessuno aveva in mente di cosa potesse trattarsi. Possessione? Possibile, forse la magia del demone acquatico ne soffocava i sintomi. La kelpie non era morta davvero? Chi poteva dirlo? Era stato fin troppo facile... Doppia personalità? Forse, eppure il controllo del pg non è passato al master. Avremmo trovato le risposte che cercavamo molto presto. E forse non era una buona cosa.

Bussola del lettore: Leggende? I protagonisti parlano di leggende sulla kelpie? In un mondo fantasy dove la magia è quasi normale? Sembra strano, ma non lo è: provate semplicemente a pensare a quante "leggende" noi abbiamo su animali che vivono accanto a noi e che vediamo tutti i giorni. Le mosche? Se attacchi dei CD al balcone non si avvicinano. I cani? C'è chi dice che sentono i terremoti in anticipo. La salamandra? Resiste al fuoco, vero? E la zanzara? Non succhia il tipo AB. Tutti queste dicerie, più o meno diffuse, sono più o meno vere ed accreditate, ed in mancanza di prove certe e dati ottenuti da esperimenti ripetibili non possono che ssere definite leggende. Stessa cosa nel mondo di gioco. Le kelpie? Sì, le conosco, ma non hanno potere sulle donne, vero. Specialmente quando i tiri di Conoscenze vanno male, è facile imbattersi in perle di saggezza popolare riguardanti un mostro, piuttosto che nella sua classificazione binaria. E comunque, certe cose continuano a sembrare insolite e "sbagliate" come il lupo parlante che ha fatto quasi fare un bagno a Nori e Timis.

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Capitolo 9
*** 09-Il grande Leo Noah ***


Capitolo IX: Il grande Leo Noah

«Dimmi che lo hai sentito anche tu!» implorò Timis sull’orlo della crisi, additando il lupo grigio che aveva appena parlato.
«S-sì,» balbettò in risposta la Dea della Morte portando la mano all’elsa della spada «ma vorrei non averlo fatto!».
«Che reazione esagerata!» commentò il lupo agitando la coda «Forse vi rassicura di più questa forma?» e così dicendo, sotto gli occhi delle guerriere, la figura del lupo mutò in quella di una piccola tartaruga terrestre, che affondò nel tappeto di aghi.
«Ho visto abbastanza!» ruggì Nori balzando in piedi con la spada sguainata «Assumi la tua vera forma, incantatore, ed affrontami da uomo!».
La tartaruga non arretrò di un passo, per nulla intimorita, ma stirò il collo per continuare a guardare le due donne dalla conca negli aghi che aveva scavato con il suo peso.
«Woah, calmati, amica!» disse descrivendo ampi cerchi con il capo «Qui nessuno ti vuole fare male e questa è la mia vera forma. Scusa, voi non siete le due nuove scagnozze del necromante chiamato Nether Low? Il vostro odore corrisponde. Non avete viaggiato con lui tutto oggi?»
«Scagnozze?» si accigliò la donna, ignorando tutto il resto della domanda mentre la più giovane evocava la falce.
«Sì, beh,» farfugliò l’incantatore, dondolando la testa «sottoposte, guardie del corpo, sai, no? Persone che combattono mentre lui complotta.».
Abbassò il tono di voce, cercando invano di sembrare minaccioso. «O siete tipo carceriere?».
Nori abbassò lentamente la spada, scrutando il piccolo rettile con aria diffidente.
Fu Timis a rispondere. «Siamo solo temporaneamente alleati.» spiegò cauta.
La tartaruga trasse un sospiro di sollievo. «Meno male!» disse «L’opzione successiva era concubine, ma non mi ci vedo Nether con…»
Timis trattenne per l’abito la Dea della Morte, che stava per avventarsi sull’animale con uno sguardo omicida negli occhi.
«Concubine?» urlava sputacchiando per la rabbia «Concubine? Hai idea di con chi tu stia parlando?». Continuò ad insultare paonazza in volto la tartaruga, che le rimandava uno sguardo curioso, fino a che qualche colpo di tosse e l’addensarsi del famigliare senso di oppressione sul petto non la costrinsero a calmarsi.
«In che rapporti sei con Nether Low?» chiese la mezzelfa tenendo ancora una mano sulla spalla della compagna, che ansimava faticosamente.
I piccoli occhi della tartaruga brillarono. «Oh, siamo vecchi… soci.» rispose mentre cercava di sorridere senza labbra, lasciando intendere fatti loschi «Ve lo racconterà lui, è più bravo. Potete dirmi dove si trova adesso?»
 
♠♠♠
 
Leo si appostò tra i cespugli senza fare il minimo rumore, ed incoccò una freccia guardando con occhi avidi la scena: la giovane mezzelfa bionda e la stronza che poteva rendersi incorporea sembravano intrattenere una discussione assurda con un metamorfo sopraggiunto da poco, a giudicare dalle tracce. L’elfo non era né stupito né intimorito dalla tartaruga-lupo: per lui non era altro che una preda come le altre.
Tese l’arco gustandosi ogni scricchiolio della corda sottile, leccandosi le labbra al pensiero dei suoni che doveva ancora udire: il secco schiocco della sua freccia, il ronzare sommesso della fune vibrante, l’urlo di dolore del suo bersaglio…
Non aveva ancora deciso chi abbattere per primo: il necromante, pensava, sarebbe stato il più pericoloso e dunque il primo da abbattere, ma spaventato com’era dalla sua trasformazione era corso via senza preoccuparsi dei suoi compagni. Sicuramente la seconda in ordine di potenza era la puttana incorporea, che al momento appariva sufficientemente materiale per essere trafitta. Si concentrò per prendere la mira, maledicendo l’altro, che sentiva russare nei profondi recessi della sua mente. Lo sdoppiamento di personalità era stato volontario e ricercato con fatica e sudore, era vero, ed anche ottenuto magicamente, tutto al fine di non attirare troppo l’attenzione su di sé e per poter praticare la sua arte preferita, quella venatoria, in tutta tranquillità, ma quell’alias così asservibile e credulone aveva la brutta tendenza all’iperbole ed all’esagerazione. Questa volta lo aveva messo in brutto pasticcio con quel demone acquatico, e Leo, il vero Leo, sentiva in cuor suo di doversi rifare uccidendo un po’ di persone.
Selezionato il suo bersaglio, prese un grande respiro, trattenne il fiato e… scoccò la freccia. Il dardo fischiò rapido nell’aria, e trafisse la donna dai capelli neri nel petto, trapassandole un polmone. Un piccolo spruzzo di sangue alle spalle della sua preda indicò che la sottile punta blu si era fatta agilmente strada attraverso tutto il suo corpo, ed era affiorata dalla sua schiena. Il suono che la donna emise non si poteva definire un grido: era più simile ad un rantolo, o ad un colpo di tosse, che le fece rovesciare gli occhi. Leo assaporò ogni istante della caduta del suo bersaglio, che toccato terra prese a tremare in preda a violente convulsioni, tossendo sbuffi di sangue ad ogni sussulto. La sua amica bionda le fu subito al fianco, gridando il suo nome mentre cercava inutilmente di rimediare alla ferita. Lo sguardo che però l’elfo osservò sul suo volto quando quella alzò la testa scrutando i cespugli ed il sottobosco in cerca del tiratore non era di terrore, come lui aveva sperato: nei suoi occhi brillavano odio e salda determinazione. La vide alzarsi di scatto estraendo dal nulla una grande falce ricurva bianca e nera, mentre cercava con gli occhi il suo nemico con lo stesso sguardo con cui Leo cercava le sue vittime.
Nel petto dell’elfo non poté che nascere una sorta di ammirazione per quella piccola cacciatrice. “Condividiamo un’indole, ragazzina.” pensò sollevando il mento altero, come a dar valore alle sue parole “Giuro solennemente di ucciderti per ultima, ed in un duello ad armi pari.”.
Fu allora che il metamorfo, che fino a quel momento si era limitato ad incespicare tra gli aghi in forma di tartaruga, decise di agire: riprese le sembianze del lupo argentato, si voltò verso la foresta ed iniziò ad arretrare lentamente ringhiando fino a sovrastare il corpo ormai immobile della donna. Lì chiuse gli occhi per qualche istante, e Leo poté chiaramente distinguere il flusso azzurrino dell’incantesimo curativo che fluiva dalla sua pelliccia. Quando l’incantesimo si esaurì, il lupo riaprì gli occhi e la morta ebbe un sussulto. Scattò a sedere boccheggiando, stringendo convulsamente la freccia che sporgeva dal suo petto. Il lupo la spinse giù a forza, e quando le strappò con i denti la freccia dal petto finalmente Leo poté godersi il grido mancato.
“Oh, beh,” pensò leccandosi le labbra “ho molte frecce con me.” ed estrasse lentamente un altro dardo, per farlo scivolare nell’arco.
Mentre il lupo terminava di chiudere la ferita della donna, la giovane cacciatrice chiuse gli occhi, probabilmente, pensò Leo, per ricevere il suo colpo finale con più dignità, ma quando li riaprì le sue iridi color nocciola erano fisse su di un solo punto: la posizione di Leo.
“Come ha fatto a vedermi?” si chiese l’elfo confuso “Non pensavo avesse capacità magiche anche lei.”.
Guardò la mezzelfa caricarlo correndo rapida, e per un istante pensò di impalarla con una freccia mentre si esponeva a quel modo, ma fu solo un istante: il grande Leo Noah non sarebbe venuto meno alla parola data: quella ragazza doveva morire per ultima, e con onore.
Si mise l’arco a tracolla, ed estrasse il suo pugnale, Scorpione. Una lama superba, ricurva, incuneata in un’elsa bronzea che nascondeva un segreto: un gioiello della meccanica che permetteva di iniettare una piccola ma efficacie dose di veleno nel bersaglio. La tossina era un’antica ricetta della famiglia Noah: non abbastanza potente per ucciderlo, certo, ma senz’altro sufficiente a fiaccare la corsa di una preda troppo vivace. Leo, tuttavia, non aveva intenzione di utilizzare simili mezzi contro uno spirito guerriero tanto caparbio.
Ancora prima che la sua nemica lo raggiungesse, con il volto deformato dalla rabbia e dall’odio, si era alzato in piedi, dietro un tronco, per non essere visibile che a lei.
«Benvenuta, piccola cacciatrice.» la salutò profondendosi in un inchino «Ti offro un onesto duello uno contro uno. Dimmi: lo accetti?».
Lei lo squadrò dalla testa ai piedi, roteò la falce tranciando di netto un giovane sempreverde e si mise in posizione di attacco.
«Cominciamo, allora.» concluse l’elfo deliziato.
Fu Timis a sferrare il primo colpo: un micidiale fendente orizzontale, che l’elfo schivò per un pelo piegandosi all’indietro.
Leo sorrise sinistro e contrattaccò con il coltello, ma senza successo: schiacciato dalla differenza di portata delle due armi, dovette desistere a metà affondo per evitare la lama nera della falce. Si trovò così, però, in una situazione di svantaggio, che Timis non perse occasione di sfruttare: un colpo dato con il manico della sua arma centrò il mento dell’arciere, sbilanciandolo di lato, ed il successivo fendente verticale non mancò il bersaglio. La lama sferzò il petto dell’elfo, incidendovi un sottile e profondo taglio obliquo che correva dalla spalla lungo l’intero disegno delle costole, che prese subito a sanguinare copiosamente.
«Se speri di fronteggiare una Falce Mietitrice con un’arma così piccola,» lo schernì la mezzelfa «allora sei destinato a morire.».
L’elfo prese a sghignazzare mentre barcollava all’indietro, finché non proruppe in una sonora risata.
«Che c’è da ridere?» domandò inviperita la Falce.
L’elfo finse di asciugarsi una lacrimuccia. «Non è certo questa la mia arma!» ridacchiò riponendo il coltello «Questo era per testare le tue capacità. Scorpione è un’arma da assassino, non da duello. Dimmi, giovane cacciatrice, vuoi sapere perché la mia tribù è chiamata degli Elfi del Sangue?».
Prima che Timis potesse rispondere o agire, il sangue che colava sul petto di Leo parve animarsi, come dotato di vita propria, e si coagulò nella forma di una lancia cremisi, che trafisse la spalla della giovane donna.
Timis trattenne un grido di dolore, ed afferrò saldamente l’arma nemica, che però si limitò a liquefarsi tra le sue dita per riformarsi in quelle dell’elfo.
Fu allora che il lupo argentato sopraggiunse di corsa, frapponendosi tra i due combattenti.
«Va via, amica di Nether!» latrò «La tua amica sta bene, le ho calmato una crisi d’asma e chiuso la ferita; ci penso io a questo, tu scappa!»
«No!» ruggì lei tenendosi la spalla «Devo uccidere questo bastardo!»
«Non ne sei all’altezza!» replicò il lupo snudando i denti.
Leo parve divertito. «E cosa ti fa pensare, lupo,» chiese sbruffone «che tu lo sia?».
«Questo.» rispose quello ringhiando, e dalle sue fauci scaturirono tre folgori azzurre che colpirono l’elfo in pieno petto, mandandolo a terra.
«Tu essere merdoso…» sbraitò quello rialzandosi in piedi con movenze feline ed andando a prendere l’arco con una mano, mentre con l’altra estraeva una coppia di frecce «Vuoi una sfida di fulmini? Avrai la tua sfida di fulmini! Tuona, Ze…»
Qualcosa di lungo e pesante colpì l’elfo sulla tempia, che cadde svenuto con l’arco tra le mani.
«Che cazzo stava succedendo qui?» chiese un giovane ragazzo dai capelli neri, che reggeva in mano, senza troppa fatica, un gigantesco falcione con il manico rosso.
«Woah, Miros, amico!» lo salutò il lupo scodinzolando, improvvisamente allegro, come se non fosse appena uscito da uno scontro «Che tempismo! Come mai lo hai colpito di piatto e non l’hai decapitato?».
Il giovane si strinse nelle spalle. «Boh, non so.» rispose farfugliando «Non sapevo bene che stesse accadendo, quindi… l’ho stordito, boh.».
Il lupo snudò i denti, cercando di sorridere. «Hai fatto bene, amico.» riprese annuendo «Questo tizio non era propriamente in sé.
Si avvicinò al corpo esanime di Leo, perquisendolo con il muso mentre una lieve aura dorata brillava intorno al suo naso. «Woah, è più strano di quanto pensassi.» commentò grattandosi un orecchio «Pensavo che fosse posseduto o roba del genere, ma la realtà è che ci sono due lui al suo interno.».
«Tipo me e Loreth?» domandò incerto il ragazzo.
Il lupo scosse la testa. «Nah,» spiegò, senza dar molto peso agli sguardi interrogatori della mezzelfa dietro di lei «è che proprio esistono due lui. Non è un parassita, come nel tuo caso, è una seconda personalità.».
Ascoltò il silenzio per qualche istante, prima di abbassare le orecchie contrito e di correggersi. «Sì, scusa, hai ragione, in teoria tu sei una simbionte.».
«Uhm… senti un po’, tartaruga stramba amica di Nether,» la voce di Timis risuonava leggermente alterata «potresti gentilmente: primo, spiegarti; secondo, presentare; terzo, dirmi chi diavolo sei?».
«Ops, già!» si affrettò il metamorfo, imbarazzato «Allora, questo è Miros,» il ragazzo con i capelli neri accennò un saluto «e per quanto riguarda me, tu puoi chiamarmi Lupo Grigio, se ti va, ed infine… no, il punto uno non l’ho capito: esattamente cosa dovrei spiegare?».
Timis stava per replicare, quando udirono dei passi affrettarsi verso la radura. Corsero lì in massa, portandosi dietro il corpo inerte di Leo, e trovarono ad attenderli un Nether trafelato con le mani sulle ginocchia che riprendeva fiato dopo la corsa accanto a Nori, ancora in stato di shock.
«Dobbiamo andarcene di qui!» ansimò il necromante senza neanche alzare lo sguardo «L’elfo cerebroleso è impazzito! Ha vomitato e… e poi ha cercato di uccidermi! Dobbiamo andarcene in fretta, e siamo appiedati, Teddy è morto! E…».
Diede una rapida occhiata alla Dea della Morte, che sedeva contro il tronco di un pino tenendosi le ginocchia fra le braccia. «Che le è successo?» chiese additandola «La kelpie ha fatto effetto anche su di lei?».
Con calma glaciale, Timis si stava avvicinando con la seria intenzione di schiaffeggiarlo, ma Lupo Grigio fu più rapido. Gridando felice il nome del vecchio, gli balzò addosso, coprendolo di leccate e riprendendo poi la forma di tartaruga per essere afferrato.
«Cosa?» chiese stupito il necromante  guardando la tartaruga «Waffle Yoda Shuckle! Lupo Grigio! Cosa ci fai tu qui?».
La tartaruga si dimenava tra le sue mani. «Tranquillo, socio!» squittì gioiosa «Ci siamo occupati dell’elfo poco fa! Sono felice di vederti!».
I due presero a raccontarsi amenità sul motivo della loro presenza nella Pineta Maggiore e sui loro compagni di viaggio, finche Timis non li interruppe, dopo che Miros ebbe legato stretto Leo, ubbidendo agli ordini della mezzelfa senza farsi troppe domande, come se l’atmosfera di riunione familiare lo mettesse a disagio.
«Detesto rovinare il vostro momento,» si intromise «ma dovremmo decidere che fare dell’elfo.».
Lupo Grigio ridacchiò emettendo piccoli sbuffi. «Ho appena comunicato la mia diagnosi preliminare al dottore, amica,» la informò «e l’ha approvata. Quando si sveglierà dovrebbe essere tornato al suo stato ebete.».
«E chi sarebbe il dottore?» si accigliò la mezzelfa.
Nether ghignò. «Io, Falce Mietitrice. Ho studiato medicina.».
Quell’affermazione parve scuotere Nori dal suo stato catatonico. «Tu?» chiese incredula rialzandosi in piedi barcollante «Tu sei un medico? Chi mai si lascerebbe anche solo sfiorare da te?».
«Chi ne ha bisogno.» osservò lui, poggiando Lupo Grigio a terra «Come la tua amica, ad esempio. Non è come un incantesimo di Waffle, certo, ma sono stato io a salvarle la vita dopo averla quasi uccisa. Certo, mi dicono che anche tu te la sei vista brutta.».
La Dea della Morte si accigliò, ma dopo una veloce scambio di occhiate con la compagna decise semplicemente di passare ad argomenti più pressanti.
«Bene:» cominciò fredda, additando l'elfo svenuto «lo voglio morto.».
«Aspetta, aspetta:» la fermò Nether facendole segno di calmarsi «quest'elfo non è quello che ti ha colpito. È probabile che sia stato lo shock per la morte dell'ipnotizzatrice a causare lo scambio di personalità, ed io non amo uccidere senza poi usare il corpo: penso che lo accecherò, lo renderò sordo, lo maledirò e gli inoculerò anche qualche malattia degenerativa. Ti suona familiare?».
Nori avvampò al ricordo dell'umiliazione subita, ma non rispose alla provocazione.
«Lo faremo dopo mangiato.» tagliò corto Timis per spezzare la tensione «Sono quasi le cinque del pomeriggio, ed il sole inizia a calare: non è saggio proseguire di notte, e a piedi per di più.».
Perse per un attimo la stabilità sulle sue gambe, e dovette puntellarsi alla falce per non cadere. «E io ho un disperato bisogno di mangiare qualcosa.» aggiunse.
Nessuno trovò nulla da ridire, e così si accesero un fuoco da campo e misero in mezzo le provviste che avevano con loro. Non era molto, a dire il vero: il ragazzo chiamato Miros aveva con sé poche strisce di carne di orsogufo, mentre il necromante, dopo essere andato a recuperare dalla carcassa dell'orsogufo non-morto tutto ciò che non fosse stato carbonizzato, ritornò con appena qualche galletta bruciacchiata. Era un pasto decisamente misero per quattro persone ed una tartaruga, ma si arrangiarono come poterono.
Mentre la magra cena arrostiva su di uno spiedo improvvisato, un gemito seguito da uno sbadiglio informò la compagnia che il grande Leo Noah, costretto da robusti nodi, si era svegliato.
«Uh, ah? Cosa...» biascicò interrogando gli sguardi carichi di astio che gli venivano rivolti «Cos'è successo? Perché è buio? Perché sono legato? Devo dirvi che soffro di amnesie quindi non so... aiutatemi!».
«Taci, feccia.» sputò fuori con sdegno e sprezzo la Dea della Morte. «Non ti aspetta una bella serata.».
L'elfo sembrò finire sull'orlo delle lacrime. «Cosa?» piagnucolò cercando di divincolarsi.
Il suo sguardo vagò di volto in volto, alla disperata ed infruttuosa ricerca di un segno di intesa, o perlomeno di qualcosa che non fosse astio e sospetto, ed infine cadde sulle striscie di carne per metà crude e per metà bruciate che languivano sul fuoco.
Il suo volto si illuminò per la folgorazione, per poi avvampare di vergogna. «È per il cibo, vero?» chiese in tono grave «Vi ho negato l'ospitalità di casa Noah, vero? È andata così, eh? Voi siete venuti da me affamati, ed io non vi ho nutrito. Imperdonabile! Possano tutti i miei defunti parenti maledirmi! Il grande Leo Noah condividerà tutte le sue vivande con voi, non temete! So cucinare bene, sapete?».
«Non osare, elfo.» sibilò Nori fulminandolo «Non siamo così stupidi.».
«Stupidi? Amica, lo hai visto?» sbottò scocciato Lupo Grigio, adocchiando la porzione di galletta che gli spettava «Siamo cinque contro uno, gli abbiamo tolto l'arco e il coltello, non ha ferite aperte e ti abbiamo già spiegato che questo non è il tizio cattivo. Se ha del cibo in più, ben venga.».
Nonostante le vive resistenze da parte delle due donne del gruppo, sotto la stretta sorveglianza del druido l'elfo condusse Nether e Miros sino ad un’anonima roccia in riva al fiume, da sotto la quale disseppellì una larga bisaccia verde, con buffi motivi violacei che potevano vagamente ricordare occhi. Una volta libero dalle corde, iniziò ad estrarre dapprima frutti di ogni tipo, e poi andò alla ricerca di tagli di carne sempre più grandi, immergendo il braccio fino alla spalla. Quando trasse fuori un’intera coscia di cervo, Nether iniziò a fare domande.
«Che diavolo è quella borsa?» chiese guardando una lunga fila di salsicce fuoriuscirne senza sforzo.
«Un antico cimelio di famiglia.» spiegò Leo Noah richiudendo la sacca «Conserva tutte le prede che uccido.».
In condizioni normali, sarebbero tutti stati più sospettosi, ma la fame e la stanchezza lavarono via ogni incertezza. Rassicurati dal fatto che Leo aveva acconsentito ad essere legato nuovamente e messo in disparte, mangiarono tutti avidamente ed in abbondanza. Quando ebbero finito la cena, Lupo Grigio e Nether iniziarono ad esporre il loro piano d'azione: dal momento che la tartaruga aveva felicemente acconsentito ad accompagnarli nel loro viaggio, la via attraverso le montagne si faceva sicuramente meno pericolosa, ed il necromante iniziò ad illustrare quale valico avrebbero passato e come raggiungerlo.
Miros tentò invano di prestare attenzione: sia per il fatto di essere quello più estraneo agli obbiettivi del gruppo, sia perché Loreth fiutando il pericolo non si era mai azzardata neanche a sussurrare la parola Fato o Destino, ben presto il giovane avventuriero umano trovò una scusa per allontanarsi dal gruppo, ed andò a sedersi vicino all'elfo.
«Hey!» lo salutò poco convinto «Come va?».
La sua voleva essere una domanda leggera, giusto per rompere il ghiaccio, ma l'arciere interpretò diversamente. Con gli occhi lucidi, fissò a lungo il ragazzo negli occhi, specchiandosi nelle sue iridi verdi, prima di scoppiare in un pianto sommesso.
«Male!» iniziò mordendosi le labbra «Io ho sempre avuto problemi con gli altri, ma questa volta è peggio: trovo una ragazza bellissima che finalmente da uno scopo alla mia vita, mi imbarco in un'impresa per difenderla e quando sto per affrontare il mio nemico svengo e mi risveglio tanto tempo dopo, con tutti che mi odiano perché non gli ho dato subito da mangiare, e io non mi ricordo neanche di avergli detto di no, e poi cerco di farmi perdonare e tutti continuano a respingermi perché sono stato cattivo e...».
Miros fissava allibito l'elfo che continuava a disperarsi nel suo lungo monologo privo di significato.
"Io avevo votato per ucciderlo, se ben ti ricordi," osservò Loreth irritata dai piagnistei "ma tu hai preferito che ci astenessimo. Perché non possiamo avere due voti separati?".
Nel frattempo Leo aveva preso a raccontare la storia della sua vita. «... e poi mi sono reso conto che quando avevo un punto di riferimento mi sentivo un po' meglio, ma tutti i miei mentori sono morti inspiegabilmente mentre ero svenuto e non riuscivo mai a salvarli, però io sento di aver tanto bisogno di un maestro, e se ci fosse qualcuno disposto ad essere il mio io seguirei tutti i suoi ordini senza fiatare e lo difenderei da tutto e da tutti e...».
«Sarò io!» sbottò Miros per farlo smettere, pentendosi subito di quello che aveva detto.
Il volto dell'elfo si fece improvvisamente serio, e la sua voce profonda.
«Davvero» chiese severo «tu, un giovane umano, saresti disposto ad essere il mio maestro?» non lasciò a Miros neanche il tempo di rispondere prima di affermare con voce tonante «Allora io, il grande Leo Noah, ultimo erede del suo casato ed ultimo degli Elfi del Sangue, ti giuro fedeltà!».
Miros arretrò, senza sapere bene come dovesse comportarsi, e tornò a sedersi in silenzio vicino a Timis, che lo squadrò sospettosa.
«A prima vista non mi sembravi un amante della tortura, sai? Invece l’hai fatto addirittura piangere. Ti facevo una persona normale,  ma devo rassegnarmi: siete tutti schizzati, qui.».
Il ragazzo provò a farfugliare una risposta, ma dalla sua bocca non uscì nulla di comprensibile.
"Alla fine sarò io a pagarne le conseguenze, me lo sento.".







Ad essere sinceri, questo capitolo è quello di cui siamo meno soddisfatti. Innanzitutto è lungo una voolta e mezzo un capitolo medio, ma quello non sarebbe un male se la lettura fosse scorrevole. Invece troviamo che qui in molti punti avremmo potuto fare di meglio. Non disperate, però: ad oggi abbiamo scritto fino al capitolo XVI, e questa sgradevole sensazione non si è più ripresentata. Ringraziamo pubblicamente anche tale Nimoerin, che ha recensito questa storia in maniera positiva. Sull'oigine del suo nome sono state avanzate molte teorie, ma se ti fa piacere saperlo, Nimoerin, per quanto non figuri neanche su google in altri ambiti oltre al tuo account, l'abbiamo contata come parola valida a Scarabeo.

Commento del Master: Che dire? Sicuramente è stata una sessione difficile, la seconda, ma fin qui ce la siamo giocata bene. Cosa, questo capitolo è l'ultimo della seconda sessione? Davvero? Solo tre capitoli? Per forza! Quaranta minuti a discutere di kelpie, mezzora buona a tirare su Conoscenze e la pretesa di una reale pausa merenda durante la cena dei pg sottraggono molto tempo all'avventura. In ogni caso, finalmente salta fuori la vera natura di Leo Noah: non era così difficile da indovinare, suvvia, eppure la faccenda ha stupito tutti intorno al tavolo da gioco. A volte povero idiota, a volte spietato assassino, eppure sempre abbastanza forte da impegnare più avversari insieme. Sarà un personaggio pericoloso, ma anche mooooolto interessante.

Commento dei Giocatori: Più che stupore, l'idea che aleggiava nelle menti di tutti era: ecco, pure il killer schizofrenico, questo party combacia sempre di più con la lista delle persone che non vuoi incontrare in un vicolo buio. Però, in fondo, ce lo si aspettava: il non essere di allineamento buono era uno dei numerosi requisiti imposti dal master per la creazione del personaggio. La cosa davvero divertente è che alla fine tutti quei personaggi che inizialmente apparivano più "malvagi" si sono rivelati essere comunque più morali ed affidabili di molti "neutrali". Si hanno avuto evoluzioni molto elaborate nella psicologia di alcuni pg, che speriamo riusciremo a mostrare, in questa storia.

Bussola del lettore: Medicina e schizofrenia. Non sono esattamente topoi del genre fantasy, ma bisogna considerare che, in certi campi, la tecnologia del nostro mondo è più avanzata del canonico stereotipo del fantasy medievale. Nelle città più grandi fioriscono scuole ed università che forgiano maestri e professionisti in ogni disciplina. Lo studio della chirurgia e della psicanalisi di base è piuttosto diffuso tra i medici, anche se il nostro Nether ha mentito: ha studiato da medico, ma non è mai diventato dottore. Sulle circostanze che l'hanno spinto a lasciare l'università per ora non ci esprimiamo (chissà, forse, in futuro, nella raccolta di One-shot...), ma si può intuire che è coinvolta una piccola tartaruga. Riguardo alla doppia personalità, si nota che il primo pensiero di Lupo è stato effettivamente una possessione, ma vogliamo precisare che non è uso comune bruciare i folli perché "posseduti": esistono strutture avanzate per l'accudimento e la cura di queste patologie.

Leo Noah (storia vera): Sin da bambino, Leo ha sempre mostrato spiccate attitudini violente ed antisociali, che lo hanno portato ad essere emarginato. Per evitare di perdere i contatti con tutte le sue prede, come amava chiamarle, ovvero gli altri giovani elfi del sangue, si è costruito una maschera, una facciata, che con il tempo ha preso coscienza fino a degenrerare in un disturbo dissociativo (chi coglie cit. a Dylan Dog coglie bene.). Sin d'allora, Leo ha sempre vissuto due vite, una nelle vesti di individuo altruista e servizievole, anche se non molto brillante, e l'altra nei panni di uno spietato cacciatore. Chi ha ucciso tutta la tribù? Lui stesso, ovviamente. Da dove vengono tutti i suoi oggetti magici? Ogni preda lascia un bottino, che il Leo stupido (chiamiamolo "esterno" per citare Rosario + Vampire) ha sempre ricordato come cimeli di famiglia. La morte di tutti i suoi maestri? Non è difficile immaginarne la causa. Eppure, nella giovane Falce Mietitrice Leo ha visto riflesso il suo stesso spirito combattivo, ed ora non ha che uno scopo: adempire alla promessa fatta, ovvero ucciderla con onore e per ultima. Questo, ovviamente, voul dire che prima deve uccidere tutti gli altri.


 

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Capitolo 10
*** 10-Nidi di rondine ***


Capitolo X: Nidi di rondine

«Va bene, fermiamoci qui un attimo!».
Alle parole di Nether, l’intera fila di marcia si arrestò. Miros soffocò uno sbadiglio dal fondo della colonna, riscuotendosi dal turbine di pensieri che gli affollavano la mente.
Quella mattina si erano svegliati al sorgere del sole, quando la notte non aveva ancora ceduto ai primi assalti dell’aurora, ed in cielo erano ancora visibili molte costellazioni  e pianeti girovaghi. Il silenzio che come di consueto avvolgeva la pineta maggiore risuonava a quell’ora ancora più assordante del solito, ed il tappeto di aghi caduti che ricopriva il terriccio molle era occultato sotto una spessa coltre di bruma, che galleggiava densa a poche dita dal suolo. La portata del fiume appariva dimezzata rispetto al pomeriggio del giorno prima, e numerose pietre dai bordi affilati come lame affioravano dalla superficie, tagliando lo scorrere delle acque senza produrre alcun rumore.
Mentre consumavano una frugale colazione saccheggiando senza ritegno dalle copiose provviste di Leo, ancora legato, il destino dell’elfo era stato l’oggetto principale della discussione: non che non ne avessero già ampiamente dibattuto la sera prima, ma con le prime luci dell’alba a chiarire le cose e, soprattutto, a stomaco pieno, le diverse opzioni parevano presentarsi in modo diverso agli occhi di ciascuno, ed alcune idee che erano sembrate buone la sera precedente ora apparivano, se non stupide, quantomeno insensate.
Alla fine, con il solo voto contrario di Nori, concordarono che, dal momento che l’elfo non solo non sembrava rappresentare una minaccia in quello stato ma, anzi, avrebbe potuto rivelarsi un prezioso alleato, se lo sarebbero portato dietro, legato, e che la sua custodia e cura sarebbe stata affidata a Miros, che aveva accettato l’incarico abbozzando un sorriso poco convinto.
Dopo tre ore di marcia sostenuta, in una quiete rotta solamente dal vociare sommesso di Nori e Timis e delle goliardiche rievocazioni di tempi andati da parte del druido e del necromante, erano giunti alle pendici di un’imponente catena montuosa, su cui la Pineta Maggiore si arrampicava impertinente sino a mezzacosta, proprio davanti ad un valico ripido e scosceso, e lì Nether, che guidava la fila con Lupo Grigio in forma di lupo al fianco, aveva dato l’ordine d’arresto.
«Come mai ci fermiamo?» domandò Timis scrutando preoccupata la via per salire al passo «Ci vorranno almeno tre ore per salire lì sopra, e questo è già il secondo giorno: non possiamo permetterci pause.».
«Tranquilla, amica,»  rispose il druido, con la lingua a penzoloni «la cartina segna “creature pericolose” su quel valico: voglio solo lanciare qualche incantesimo di protezione sul gruppo per non correre rischi. Nether mi ha raccontato che non sei molto resistente.».
La mezzelfa stava per rispondere con parecchi insulti in direzione del necromante, ma fu anticipata da un’inaspettata voce alle sue spalle.
«Ehi, aspettate!» tutti si voltarono a guardare l’elfo, che sino ad allora era rimasto in silenzio «Guardate che non dobbiamo per forza passare di lì, sapete? Conosco una strada più sicura.».
«Taci!» la voce di Nori era incrinata dalla rabbia mentre trafiggeva con lo sguardo l’arciere «Tu parli solo se interpellato, chiaro? Nessuno ti ha chiesto niente, prigioniero.».
Leo mosse uno sguardo implorante da cane bastonato tra i membri del gruppo, tra i quali volavano occhiate interrogative ed incerte, fino a che Nether non resistette più.
«La nostra principessina ha ragione:» osservò, ridacchiando quando vide la Dea della Morte avvampare «tu parli solo se interpellato.»
Si avvicinò all’elfo ghignando, scoccando occhiate a lui ed al valico alle sue spalle. «Ora dimmi: conosci davvero un’altra strada?».
Miros fece un salto e si ridestò dal torpore quando sentì l’elfo balzare per l’eccitazione.
«Oh, sì, sì, sì!» cantilenò Leo felice, con la sua espressione ebete dipinta sul volto «C’è un passaggio che attraversa le montagne. Ma non è come il passo! Insomma, ecco, le attraversa… sotto.».
«Vuoi dire una galleria?» domandò Timis ironica, e Leo annuì vigorosamente, compiaciuto di essere stato compreso.
Nori roteò gli occhi al cielo. «E tu ti aspetti che noi ti crediamo?» chiese sprezzante «Non siamo così stupidi: è ovviamente una trappola. Vuoi attirarci in un posto buio e pericoloso, per poi ucciderci uno ad uno.».
«A me sta bene!» esclamò Lupo Grigio da una delle tasche del camice di Nether, ignorando del tutto l’obiezione della compagna.
«Si, beh, la parte sulla galleria, non quella della trappola.»  aggiunse mordicchiando la manica del camice dell’ amico «Oh, andiamo, Net, abbiamo visto scenari peggiori. Sarà fico!».
Il necromante oscillò sui talloni mentre si grattava incerto la testa, ma alla fine rispose con un sorriso sinistro, e fece per porgere la cartina all’elfo, ma fu bloccato a metà strada dalla Dea della Morte, che gli afferrò una spalla.
«Ti sei bevuto il cervello, per caso?» gli sibilò lei ad un soffio dal volto «Se vuoi seguirlo dillo ora, e ti uccido subito, così gli risparmio la fatica.».
Nether trasse un sospiro rassegnato, prima di sfoderare la sua arma preferita. Sin da piccolo si era rivelato portato per la scuola della necromanzia, ma le ombre che lo avevano cresciuto ed addestrato avevano ritenuto opportuno renderlo partecipe della loro tecnica più sacra ed antica: l’incutere paura. Nether si era subito rivelato un prodigio nel farlo: il suo sorriso vagamente inquietante, la sua aura residua del Piano delle Ombre, la sua gestualità, il suo carisma, il suo eccellente controllo dell’energia negativa, tutto lo aiutava a far tremare l’avversario, ad offuscare i suoi pensieri. Trafisse gli occhi violetti di Nori con uno sguardo glaciale, carico di potere magico, e si crogiolò nella soddisfazione quando vide la determinazione abbandonare il volto della nemica insieme al sangue. Si divincolò dalla presa della donna e le afferrò le spalle a sua volta, e senza mai interrompere il contatto visivo la spinse contro un pino, assaporando il tremito di lei tra le sue dita.
«Sai che devi la possibilità di continuare a vedere e a sentire a quella piccola biondina laggiù, che ti ha strappato dalle mie grinfie?» domandò con un sorriso sadico dipinto in volto, mentre indicava Timis alle sue spalle «Fossi in te, principessina, io sarei più grata e meno scontrosa con chi già una volta ti ha avuto alla sua mercé.».
La sua bocca era ad un soffio dall’orecchio di Nori. «Vedi,» sussurrò «la prossima volta potrebbe non esserci nessuno a fermarmi.».
La lasciò andare mentre l’effetto della sua magia svaniva e la rabbia e l’umiliazione prendevano il posto del terrore sul viso della Dea della Morte. Udì un rumore metallico alle sue spalle, e si voltò in tempo per osservare che Timis aveva evocato la sua falce bianca e nera, e che la brandiva minacciosa contro di lui.
«Attento.» gli intimò la mezzelfa soffiando come un gatto «Ti ho già visto combattere, due volte, e ho individuato ogni tua debolezza. Mi hai colta impreparata, nella torre, ma ti ricordo che sono addestrata ad affrontare e sopraffare i tipi come te.».
“Uh-uh. La cosa si fa seria.”.
«Non è il momento, Loreth.» biascicò a mezza bocca Miros, impietrito nella sua posizione,stringendo nervosamente l’impugnatura del falchion «Se iniziano a darsele devo separarli.».
“Che ti prende?” lo schernì lei ridacchiando “La tua solita sindrome dell’eroe? O vuoi solo dimostrare quanto vali?”.
«Pensaci bene:» rispose lui ignorando le provocazioni «questo gruppo è il più disunito che io abbia mai visto. Di cosa hanno bisogno?» non lasciò alla demone il tempo di rispondere «Di un leader. Questa deve essere un’occasione concessami dal Fato per distinguermi e raccogliere seguaci.».
“Sì, certo, l’allegra accozzaglia di svitati.” ironizzò Loreth “Non ci hanno quasi rivolto la parola, e ci hanno affibbiato questo elfo deficiente. Ci ha giurato fedeltà, anche se forse proverà ad ucciderci, ma, ehi!, lo sai qual è la cosa più bella? Dovremmo essere al sicuro: questo idiota non sembra neanche aver capito cosa sta succedendo.”.
Miros gettò un’occhiata distratta a Leo, che continuava a dondolarsi sui talloni annuendo con fierezza. Stava cercando le parole per replicare, quando intorno alle dita di Nether si addensò  un denso fumo nero, e sia Timis che Nori scattarono sulla difensiva, pronte a gestire l’attacco.
Ma l’attacco non arrivò: la vocina di Lupo Grigio sovrastò lo scricchiolio delle scintille di energia necrotica.
«Woah, woah, woah!» cominciò stendendo il lungo collo fuori dalla tasca «Diamoci una calmata! Nether, amico, dobbiamo assolutamente andare a fondo di questo caso, come ai vecchi tempi! Queste ci servono vive, non usare quella magia. E poi, dai, quella bionda è anche simpatica da come me l’hai descritta, e quella piagnucolona comunque non ti ha fatto niente.».
Il necromante spostò lo sguardo dal druido alle sue rivali, fino a che non proruppe in una fragorosa e sinistra risata.”””2””””
«Hai ragione, Waffle.» sghignazzò dissipando l’energia magica «Andiamo, elfo, mostraci la via.».
La pesante tensione che si era venuta a creare scoppiò come una bolla di sapone: Timis congedò la sua arma, e Nori fece altrettanto con la sua. Scambiandosi sguardi carichi di sospetto si fecero da parte per far passare Nether, che restò a confabulare con Leo per diversi minuti, additando punti sulla mappa, prima di tornare da loro raggiante.
«Abbiamo una strada! È molto rapida: in circa un’ora dovremmo essere dall’altro lato.» esordì sorridendo, e tese la mano verso le due donne «Siete dei nostri?».
Timis esitò qualche istante, ma infine strinse la mano al necromante.
«Noi due abbiamo un patto.» gli ricordò «Vedi di rispettare la tua parte.»
Nori si limitò ad annuire, ma dal suo volto si intuiva che, per lei, la faccenda non era chiusa.
 
♠♠♠
 
Carne. Odore di carne. Un flebile campo elettrico, prodotto da un essere vivente. No, pensò, non poteva essere, non lì. Nei suoi due giorni di permanenza in quella cella, non le avevano servito altro che pane ammuffito. Eppure percepiva distintamente il rumore di una circolazione sanguigna. Sangue…
Aveva fame, non c’era dubbio. Il suo corpo elettrico esigeva calorie da bruciare, ed il suo consueto crepitio era ormai ridotto ad un sibilo leggero. Non mangiava nulla degno del nome di cibo da troppo tempo.
E aveva sete: le avevano dato una caraffa d’acqua, il primo giorno, ma poi basta.
Il bisogno che però la faceva più penare era quello di ferire. Far soffrire. Aprire, squartare, mutilare, torturare. Erano due giorni che non faceva del male a nessuno: i suoi nervi erano quasi al limite. Il prossimo avrebbe dovuto ucciderlo per forza, o si sarebbe giocata quel poco di sanità mentale che le era rimasto.
Improvvisamente uno zampettio felpato nel buio, e uno squittio.  Eccola: carne. Lia non perse tempo: scattò in avanti, facendo sferragliare le pesanti catene a contenimento magico che aveva ai polsi e ghermì il topo, guidata dalla percezione del suo campo elettrico.
La bestiolina si divincolò tra le sue mani, cercando di sfuggire alla sua presa ferrea. Lia assaporò il rumore delle ossicina dell’animale che scricchiolavano, si piegavano, ed infine si spezzavano sotto la pressione delle sue dita. Affondò con gioia le sue unghie affilate nella carne del topo, mentre quello le mordeva le dita nel disperato tentativo di liberarsi, e godette nel percepire il loro sangue mescolarsi mentre colava dalle loro ferite e le gocciolava sulle gambe.
Alla fine, con un ultimo squittio disperato, il topo smise di muoversi.
“Troppo poco…” si rammaricò delusa, ed un impeto d’ira la travolse. Senza pensarci scagliò la carcassa dell’animale in un angolo del cubicolo, ma si pentì subito del suo gesto. Chissà quante calorie c’erano, in quel topo.
 
♠♠♠
 
La mezzelfa inarcò un sopracciglio. «Oh, ti prego, dimmi che quello non è…»
«Sì.» la anticipò Lupo Grigio, balzando fuori dalla tasca di Nether ed assumendo le spoglie di lupo «Quello è proprio lo stesso fiume, siamo solo più a monte, amica. In effetti alle pendici del monte.».
Si erano spostati di circa mezza lega a sud, seguendo le gioiose indicazioni di Leo Noah, e lo scrosciare dell’acqua che risuonava come amplificato aveva subito instillato il sospetto nel cuore della Falce, ma ora le parole del druido le confermavano il peggio. Davanti a loro, nella nuda parete di roccia a strapiombo sulla foresta, si apriva l’ingresso ad arco di una larga caverna, sufficientemente ampioo da lasciar passare un piccolo rigagnolo, che sorgeva senza dubbio al suo interno, e che si allontanava dai monti serpeggiando nella foresta.
I ricordi legati a quel fiume ed a quel suo ponte maledetto erano ancora vivi  forti nella mente di Timis, che non poteva fare a meno di cercare di evitare la vista del corso d’acqua, che riflettendo la luce del sole ormai alto nel cielo illuminava le pareti della grotta proiettando disegni screziati e mutevoli che danzavano sulla roccia biancastra.
Lupo Grigio annusò il terreno dell’ingresso scodinzolando, e fece segno al resto del gruppo di entrare quando decise che non c’erano minacce rilevanti nelle vicinanze, ma la voce raggiante dell’elfo lo fermò sulla soglia.
«Non è di là!» canticchiò felice agitandosi nelle corde «Si entra da sopra!».
Leo li guidò verso un’anonima parete qualche passo a nord dell’entrata principale della grotta, ed iniziò a tirare calci contro la roccia.
Nori si avvicinò a Timis, sospettosa. «Secondo te cosa sta cercando?» chiese dubbiosa, accarezzando l’elsa della sua spada.
La risposta non tardò ad arrivare: dopo numerosi calci andati a vuoto, il volto di Leo si distese in un espressione euforica quando la punta del suo stivale affondò nella parete come se fosse stata fatta di gelatina ed urtò un meccanismo semisepolto in quella che pareva essere una densa pasta bianca. Una piccola porzione di muro roccioso slittò all’indietro, rivelando una stretta scalinata che saliva nel cuore della montagna.
«Muschio Camaleonte.» spiegò Nether con una smorfia di disgusto «Assume il colore e l’aspetto di qualsiasi cosa tocchi, ma si dice che al tatto sia quanto di più ripugnante esista. Però può tornare utile.» si rivolse a Timis con sufficienza «Tu hai dei guanti, te li ho visti l’altra sera: raccogline un po’.»
La Falce Mietitrice restituì uno sguardo di superiorità, ostentando il suo compatimento per un atteggiamento tanto schizzinoso, ma si dovette ricredere quando sfiorò con un dito il muschio: la sua consistenza era molle e spugnosa, era gelido, molto più freddo della roccia circostante, e trasudava un non meglio identificato liquame trasparente; la cosa peggiore, tuttavia, fu come il muschio reagì a contatto con la pelle nuda: non appena percepì il nuovo materiale, la superficie del vegetale cambiò aspetto, diventando rosata e flaccida, simile a pelle appena scuoiata. Contenendo i conati, Timis si affrettò ad indossare i guanti e a cacciare qualche manciata di quella sostanza ripugnante in una delle sacche che avevano recuperato dalle macerie della torre, e poi si accodò dietro agli altri, che non erano certo stati ad aspettarla per salire la scalinata.
Quella che già da fuori pareva essere una via stretta e buia si rivelò un vero e proprio budello tortuoso, che si attorcigliava su sé stesso come lo stomaco di un gigantesco verme di pietra. Le pareti inclinate verso l’interno grondavano umidità, ed accostandovi l’orecchio era chiaramente distinguibile lo scrosciare di numerosi rivoletti che a attraversavano la solida pietra, e che probabilmente si ricongiungevano al fiume della vicina caverna.
La luce del sole colse impreparati gli occhi di Nether quando la scala si interruppe bruscamente, e lui uscì per primo su di una stretta piattaforma a circa quindici metri d’altezza che si affacciava a strapiombo sulla foresta. Non ci sarebbero mai stati tutti insieme, così il necromante agguantò per la spalla l’elfo che veniva dietro di lui e lo trasse con sé sul ciglio del dirupo, facendo segno a Miros dietro di lui di attendere sulle scale. Ignorando i mormorii di protesta che si levarono dallo stretto corridoio, accarezzò la liscia parete di roccia davanti a lui: sembrava inamovibile.
«Farai meglio a spiegare dove si trova a questo passaggio, elfo del sangue, o dovremo testare le tue capacità rigenerative lanciandoti da quest’altezza.» minacciò senza neanche voltarsi a guardare Leo. Quello, per tutta risposta, oscillò pensieroso legato nelle corde.
«Beh, ecco… aspetta, fammi ricordare.» cominciò corrucciando la fronte «Allora, ci sono altre due aperture identiche a questa su questo lato della montagna: sono pochi metri sopra di noi, ma esattamente come questa sono invisibili viste da sotto, e…»
«Taglia corto, amico!» Lupo Grigio, ritornato ad essere una piccola tartaruga verde, aveva saltato la fila, ed ora arrancava tra le gambe di Miros, scostando col muso la coda del suo falcione per riuscire a passare «Entriamo di qui o no?».
Leo Noah parve esitare, ma alla fine annuì debolmente.
«Ci sono stato una volta sola,» si scusò «e lì ho avuto una delle mie amnesie.»
Miros, sulla soglia, sbiancò, e farfugliò nervoso: «Che tipo di amnesie? Cos’è questo posto?».
Sul volto dell’elfo si disegnò un’espressione contrita. «Imploro il vostro perdono, maestro, devo deludervi:» piagnucolò «quel giorno ero stato catturato. Mi hanno assalito degli uomini bendati, con le bende in faccia!, e mi hanno trascinato nel loro covo. Che è questo.».
Sfoderò dal nulla un sorriso smagliante. «Ma non abbiate paura! Sono svenuto per un po’, ed al mio risveglio erano tutti morti! Un eroe mascherato è sicuramente venuto in mio soccorso mentre dormivo, e li ha stesi!»
“Uh-oh. Ho appena avuto l’ennesima visione sul nostro prossimo futuro.” commentò Loreth nervosa “Siamo ancora in tempo per lanciarci di sotto mirando ai cespugli e fuggire, lo sai?”.
Miros deglutì. “Non scherzare: quello è capace di buttarsi per seguirci.”.
“Bene. Usiamolo per attutire la caduta.”.
«Hai finito di star lì a fissare il vuoto?» dietro di lui, Nori si era spazientita «Ordinagli di mostrarci come si entra. Avete voluto dargli corda? Beh, ecco i risultati!»
Bastò un cenno del capo di Miros a far illuminare il volto di Leo. «Per entrare c’è una parola d’ordine, maestro, ma non temete: Mw la ricordo ancora .».
Si schiarì la gola, trasse un lungo sospiro e gonfiò il petto. «Sieben Schwalben sehen sieben Schwalbennester!» gridò a squarciagola sputacchiando sulla roccia.
La parete della montagna vibrò e tremolò, fino a che una macchia sfocata non prese ad allargarsi da un anonimo puntino fino alla nitida forma di una porta di legno, che si aprì con un cigolo.
«Beh, non resta che entrare!» gongolò Leo, soddisfatto del proprio operato «Prima voi, maestro!».
Titubante, Miros sganciò il suo falcione dalla cinghia sulla schiena e stringendolo saldamente tra le mani entrò nella porta buia, seguito dall’arciere. Gli altri esitarono qualche istante di più, ma alla fine, uno dopo l’altro, seguirono i due lungo gradini decisamente più larghi e confortevoli di quelli della scalinata nascosta. Per ultimi rimasero fuori Timis e Nether, vagamente scossi.
«Quello era Abissale, vero?» domandò la mezzelfa dubbiosa «L’ho studiato in passato, ma non sono sicura di aver capito bene.».
«Sì. Abissale.» confermò il necromante «“Sette rondini vedono sette nidi di rondine”. Non promette nulla di buono.».
esta che entrare!» gongolò Leo, soddisfatto del proprio operato «Prima voi, maestro!».
Titubante, Miros sganciò il suo falcione dalla cinghia sulla schiena e stringendolo saldamente tra le mani entrò nella porta buia, seguito dall’arciere. Gli altri esitarono qualche istante di più, ma alla fine, uno dopo l’altro, seguirono i due lungo gradini decisamente più larghi e confortevoli di quelli della scalinata nascosta. Per ultimi rimasero fuori Timis e Nether, vagamente scossi.
«Quello era Abissale, vero?» domandò la mezzelfa dubbiosa «L’ho studiato in passato, ma non sono sicura di aver capito bene.».
«Sì. Abissale.» confermò il necromante «“Sette rondini vedono sette nidi di rondine”. Non promette nulla di buono.».





Uh, capitolo dieci. Dalla prossima settimana si entra nella sessione "con più di dieci capitoli". Sezione, sezione. Ah, i lapsus.

Commento del Master: Questo coincide con l'inizio della terza sessione. Che. Figata. Che figata. Masterare questa parte è stato divertentessimo ed interessante, probabilmente il mio momento preferito finora. Insomma, finalmente il party inizia ad avere l'aspetto di un party, una quest, e dei ruoli, e cosa accade? I giocatori prendono a ruolare duro, e gli allineamenti dei personaggi inevitabilmente stridono. Per tutti quelli che si erano fatti un'idea sbagliata sul conto di Nether, magari pensando che il Legale Malvagio fosse solo per fare scena, qui hanno visto le loro convinzioni sfumare. Senza alcuna esitazione ha castato Paura, incantesimo di livello medio-alto, e dato che possiede un bonus di +18 ad Intimidire per lui è stato facile rompere l'animo battagliero della sua avversaria. Se solo ripenso a questa scena in considerazione di ciò che accadrà più avanti... Cambiando argomento, avrete senza dubbio notato il piccolo trafiletto per far passare più in fretta il "tempo morto". Sì, è un personaggio. Sì, è tenuta prigioniera da qualche parte. No, la sua sanità mentale non è delle migliori. In ogni caso, i dettagli saranno rivelati quando e se si unirà al gruppo, non prima, o quando inizierà a ricoprire un ruolo preciso.

Commento dei Giocatori: Senza dubbio una sessione interessante, la terza. Tutte le paure ed i dubbi iniziano a scivolare via, e ci si rende conto che si gioca per vivere avventure, non per restare in vita. Si diventa all'improvviso più spavaldi, più sicuri di sé. Il piccolo scontro/litigio era inevitabile: solitamente entro la terza sessione si viene a delineare un leader del gruppo, che solitamente coincide con il "parlatore", ma nel nostro party nessun personaggio riveste davvero questo ruolo (Nether ha il Carisma alto, ma forti malus a Diplomazia), e quindi dobbiamo trovare altri criteri con cui scegliere un capo. Il gioco di forza è la prima opzione che viene in mente: Timis fa leva sul fatto di aver ricevuto lei la missione e di doverla guidare, Nether insiste sulle sue vittorie passate, Nori cerca di utilizzare la sua forza, ma questa è la seconda volta che le va male. Miros potrebbe in teoria prendere il controllo, se solo non fosse che il demone (o la demone, o la demonessa, grrr, i generi) in lui sigillato non sia affatto interessato ad ottenere la leadership. Leo e Lupo, infine, non ci provane neanche: a loro basta andare da qualche parte. Finora (abbiamo giocato quattro sessioni) nessuno l'ha spuntata, ma è anche vero che non ci sono state molte occasioni di imporsi. Voi lettori chi vedreste meglio? La cosa ci incuriosisce.

Bussola del lettore: Uhmm... sì, l'"Abissale" è tedesco. Prima di andare oltre, cerchiamo di chiarire bene cosa sia questo Abissale. Nella cosmologia base di D&D si effettua una distinzione netta tra demoni e diavoli: i primi sono creature malvagie che abitano un piano simmetricamente opposto al Piano Astrale, ovvero l'Abisso, e parlano l'Abissale, i secondi invece abitano i Sette Inferi, parlano l'Infernale, e discendono in qualche modo da esseri divini. Sebbene tra demoni e diavoli non corra buon sangue, non sono rare le alleanze strette tra singoli individui, ed addirittura le unioni. Inoltre, molti demoni, specialmente quelli colti, parlano l'Infernale con scioltezza, e lo preferiscono all'Abissale, i cui toni duri abbiamo voluto rendere con il tedesco. In realtà quest'ultima scelta è dettata anche da un altro fattore: nella popolare serie Adventure Time, per la quale il master stravede, i diavoli parlano come prima lingua proprio il tedesco.

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Capitolo 11
*** 11-Una brutta notizia ***


Capitolo XI: Una brutta notizia

Lia sollevò la testa: dopo più di due giorni, sentiva dei passi nuovi nel corridoio davanti alla sua cella, passi che non potevano appartenere alla vecchia guardia che sentiva spesso russare davanti alla porta, ed i cui turni erano ormai l’unico indicatore in grado di scandire il tempo. Subito dopo sentì lo strisciare di una sedia, e la guardia iniziò a parlare con il nuovo arrivato.
«Ehilà, Sam! Qual buon vento ti porta qui nei sotterranei, ragazzo mio?».
La voce che rispose era più giovanile. «'Giorno, Phil. Porto il pranzo per la prigioniera.».
«Ha! Bene! Anche se non so se se lo merita: ieri mi fa le scintille, oggi non vuole. Ma scusa, e per gli altri prigionieri?».
Lia sentì Sam, il nuovo arrivato, esitare. «He! Ecco, vedi, c'è una cosa che devo dirti: non saranno più prigionieri, da oggi. Vogliono arruolarli nella guardia cittadina.».
«E perché mai?» sbottò l’altro «Mi sembra un'immensa boiata! Metà di loro sono tagliagole, cosa si aspettano? Disciplina? Quanto è disperato quell’Eldos?».
Qualcuno schioccò la lingua, Lia non seppe distinguere chi dei due, ma alla fine fu Sam a parlare. «Hai sentito cosa è successo a Diana.» lo sentì borbottare lapidario, in quella che pareva più un’affermazione che una vera domanda.
«Sì, sì... che roba! Come è possibile non lo so, ma so che sono stati quei bastardi della Nube! Ha! Maledetti bastardi, ladri e… e bastardi! Vedrai, ragazzo: questa volta Arcados li frigge.».
«Sembra di no, Phil. Non lo farà.».
«Cosa vuoi dire? Quel topo di biblioteca di suo figlio li ha trovati prima?».
«No, è molto peggio. Ora ti racconto. Fammi sedere, scusa, non ce la faccio. È davvero una brutta notizia. To’, tieni, intanto leggiti questo.».
«Miei déi...».
 
♠♠♠
 
La scalinata interna si impennava ripida verso l'alto per una decina di metri, fino ad affacciarsi su di un lungo corridoio che si perdeva nelle ombre. Gli ultimi due getti di luce che illuminavano l’ambiente venivano da due stretti corridoi laterali, che salivano nuovamente curvandosi verso l'ingresso.
«Gli altri due balconcini.» dedusse Nether fermo in cima alle scale.
«Tu hai idea di cosa voglia dire quella parola d'ordine?» domandò Timis affiancandolo.
«No,» rispose lui «ma probabilmente è solo una filastrocca in Abissale facile da ricordare. Non deve per forza avere senso.».
«Niente da fare: non ci sono torce appese ai muri.» Nori emerse dalle tenebre facendo balenare l'elsa della sua spada «Quanti qui possono accendere una luce?».
Per tutta risposta, il carapace di Lupo Grigio iniziò a brillare, spargendo una luce diffusa ma intensa in tutte le direzioni.
«Intendevo una luce mobile.» puntualizzò la Dea della Morte «Che ci metta meno di un minuto a fare quindici metri.»
«Puoi prendermi in braccio, se vuoi.» la schernì il druido, prima di farsi sollevare dal necromante.
«Lo porto io.» si offrì Nether «Andiamo.».
In silenzio, il gruppo si avviò guardingo nel corridoio buio, guidato dalla debole luminescenza della tartaruga. Le loro ombre presero a danzare su una superficie sempre meno regolare: le pareti, dall'essere diligentemente scolpite e perfettamente parallele, diventavano sempre più gibbose e simili ai muri di una caverna naturale. Timis, che con i suoi occhi riusciva a distinguere più nitidamente degli altri i dettagli nella penombra, notò dei segni rossi sulla parete alla loro destra, e fece segno di fermarsi.
«Nether,» chiamò «dammi una mano: penso che sia Abissale, ma non riesco a leggerlo.»
Il necromante avvicinò la tartaruga al muro per leggere meglio. «È scritto in alfabeto Abissale, ma Abissale non è di sicuro: potrebbe essere Infernale, ma è solo un'ipotesi.».
«Qual'è la differenza?» domandò Lupo Grigio allungando il collo verso i glifi.
«Il primo è la lingua, diciamo, "selvaggia" degl'Inferi, parlata dai demonietti,» fu la risposta «mentre il secondo è parlato dai diavoli e dai demoni di rango più elevato. Comunque non ho idea di cosa dica.»
"Io, Kileth il Rosso, concedo la mia protezione ai Banditi della Rondine, e garantisco loro una seconda vita. Dai, su, ripeti ad alta voce."
Miros fu preso alla sprovvista dalle parole della sua amica. «Uhm, ehm, sì, va bene.» farfugliò «Io, Kileth il Rosso, concedo la mia protezione ai Banditi della Rondine, e garantisco loro una seconda vita.».
Timis sgranò gli occhi. «Tu sai leggere l'Infernale?».
"Sì, me lo hanno insegnato i monaci perché volevano farmi diventare un crociato." gli dettò mentalmente Loreth "Veloce a rispondere, o sembrerai un idiota.".
«Sì, beh, ecco, i monaci volevano farmi diventare un crociato, e così...» ripeté lui poco convinto. Timis socchiuse gli occhi, scrutandolo diffidente, ma ad un tratto li riaprì, come spaventata, ed arretrò istintivamente. Nessuno a parte Miros sembrò notarlo.
«Va bene, va bene, l'abbiamo capito:» sbottò Nori irritata «ci stiamo infilando in un ex-covo di adoratori del demonio. Possiamo proseguire ora?».
Ripresero ad avanzare, ma durò solo qualche metro.
«Uh-oh.» fece Timis scrutando nell'ombra.
La voce della Dea della Morte s'incrinò. «Che c'è adesso, ragazzina?» proruppe acida.
«Davanti c'è un bivio.» rispose l'altra preoccupata «Leo Noah, dove dobbiamo andare?».
L'elfo si strinse nelle spalle. «Non saprei.» canticchiò «Però mi pare di ricordare che entrambe le vie portino fuori. O forse no? Forse solo una porta all'uscita giusta.».
Nether si spazientì e spiegò la cartina  contro il muro, passando lupo grigio in mano a Miros. «Allora, noi siamo da qualche parte qua sotto,» disse indicando le montagne «e dobbiamo arrivare qui, dall'altra parte. Approssimativamente sono ancora seicento metri in linea retta, ma questi corridoi non mi sembrano esattamente dritti. Entrambi hanno pari possibilità di portarci fuori, ma non sappiamo su quale versante della montagna. C'è solo un modo per risparmiare tempo: ci dividiamo in due gruppi, e ognuno prende un corridoio. Se vedete una valle circondata dai monti con qualche sputo di pineta sopra avete preso la via giusta. Se vedete solo pineta, allora dovete tornare indietro. Il primo gruppo che arriva aspetta fino a sera, poi accende un fuoco o fa un altro segnale, per vedere se anche gli altri sono arrivati. Se no va avanti, e ci si trova a Myrth.»
«Come ci dividiamo?» chiese Timis dubbiosa.
«In gruppi bilanciati.» rispose il necromante dopo aver riflettuto qualche istante «Tu e la principessina potete percepire nemici nascosti con i vostri poteri, Miros e Leo riescono ad abbattere in fretta i nemici, ed io e Waffle siamo specializzati nella magia. Queste coppie vanno divise perché ogni gruppo possa affrontare tutte le situazioni. Quindi diciamo che con me vengono Nori e Leo, e, Waffle, ti affido i due più giovani.»
La tartaruga abbozzò un saluto militare con la zampa, mentre la Dea della Morte la prese meno bene. «Vuoi che io stia in gruppo con te e con quel pazzo omicida? Cioè con due pazzi omicidi? Mai.» sibilò tra i denti «E poi chi ti ha eletto stratega del gruppo?».
«Non lo so, principessina,» rispose il necromante ghignando «ma abbiamo combattuto bene insieme in riva al fiume, no?».
Norì si limitò ad imprecare in silenzio, scrutando i suoi due compagni di viaggio.
«E per la luce?» mormorò debolmente Miros «Noi abbiamo Lupo, ma voi?».
Di nuovo, il necromante sorrise. «Waffle, mi ridaresti la mia arma?».
La tartaruga gorgogliò, e materializzò dal nulla una pala da scavo, intarsiata con un motivo a zig-zag. Nelle mani di Nether, prese a brillare di luce bluastra.
«Per illuminare dove scavi.» spiegò «L'ho comprata qualche anno fa.».
«Che uomo pieno di risorse.» lo schernì Nori «Noi andiamo a destra.».
Il druido gorgogliò, divertito. «Non l’hai affatto comprata.».
Si separarono nel buio, ciascun gruppo stretto intorno alla propria fonte di luce.
 
♠♠♠
 
«Allora, me le fai le scintille o no?».
Lia poteva vedere ben poco dell'unto faccione grasso della guardia che si premeva contro le sbarre della finestrella della porta. In controluce, il tozzo di pane mezzo masticato che sventolava vicino alla sua bocca pareva fresco e pulito, ma l’olfatto le suggeriva che se lo avesse visto da più vicino si sarebbe rivelato ammuffito e probabilmente sporco di fango e polvere.
«Guarda che non ti do neanche da bere se non mi fai le scintille.».
Lia sorrise, stirando le labbra secche fino a che non sanguinarono. «Vieni più vicino». sussurrò con voce melliflua, ignorando la gola riarsa, «le mie scintille sono più belle quando bruciano la pelle di qualcuno.».
La guardia scoppiò a ridere. Era probabilmente ubriaco fradicio. Qualunque cosa avesse letto, lo aveva scioccato e spaventato oltremisura.
«Va bene, allora, facciamo così: tu mi fai le scintille ed io ti do un amichetto con cui giocare.».
Lia poteva sentire lo stomaco contorcersi per la fame e la gola bruciare per la sete, ma la cosa peggiore erano le mani. Tremavano quasi incontrollatamente, ansiose di affondare in qualcosa di vivente. Non poteva rifiutare una simile offerta, neanche per tutta la sua dignità. Avvicinò le punte degli indici, ed una piccola serie di scariche elettriche manifestò la chiusura del circuito.
L'uomo rise, le lanciò il tozzo di pane ed una fiaschetta e scomparve dalla visuale. Lia si avventò sul cibo e sull'acqua, facendo sparire tutto in pochi secondi, principalmente per ignorarne il sapore, ed attese impaziente il ritorno del suo carceriere.
Aspettò per diverse minuti, e proprio quando stava iniziando a pensare di essere stata presa in giro sentì il chiavistello girare: la porta si aprì quanto bastava perché un giovane tutto pelle e ossa fosse scaraventato di peso nella cella, sbattendo malamente contro il muro.
«Divertiti, pazzoide! Tanto domani sarà tutto finito. Carine, le tue ultime scintille.».
La donna incatenata lo ignorò. I suoi occhi erano tutti per il nuovo arrivato.
«T-t-tu chi sei?» balbettò quello appiattendosi contro il muro.
Lia non rispose, ma iniziò a strisciare nella sua direzione, mentre i suoi occhi brillavano gialli nel buio, solcati da affilate pupille verticali.
«N-non ti avvicinare!» squittì quello, ma era tutto inutile.
Tendendo le catene al massimo si affiancò allo sfortunato, e gli afferrò un braccio.
«Grida.» gli sussurrò, per poi addentargli un dito. Non avrebbe sprecato un pasto una seconda volta.
 
♠♠♠
 
Timis strinse gli occhi nella penombra. «C'è qualcosa davanti a noi.» sussurrò piano «Una porta. Qualcosa spunta dal legno.».
Si avvicinarono lentamente per vedere meglio.
"Uh. Se non altro questo conferma la versione dell'elfo."
Miros annuì. Dalla porta sporgeva la punta di una freccia blu elettrica, annerita da sangue secco e frammenti di carne carbonizzata. Intorno alla freccia il legno era ricoperto da un reticolo di bruciature nere, che si allargavano a ragnatela su tutta la porta.
«Quella è una delle frecce elettriche di Leo Noah.» commentò il ragazzo «Se il tizio con il camice non stava esagerando, è un miracolo che la porta sia in piedi.».
Gli altri due annuirono debolmente, prima di spingere la porta, che ruotò di qualche centimetro cigolando, prima che i cardini cedettero e cadde con un tonfo verso l'interno della stanza, sbriciolandosi secondo le linee di bruciatura. Una gigantesca cavità naturale si aprì davanti ai tre: dal soffitto pendevano monconi di stalattiti, probabilmente già cadute da tempo, mentre il pavimento era stato reso liscio e privo di imperfezioni dalle numerose persone che dovevano averlo calpestato. Le pareti salivano spioventi per una ventina di metri; ma quel che più sorprendeva era l'illuminazione: l'intera grotta era pervasa da una luce soffusa, che scaturiva da tre diverse nicchie su ciascuna parete, tutte contenenti una fiammella azzurra che ardeva a mezz'aria. Al centro della stanza sorgeva un semplice altare di pietra, circondato dai resti di vecchie seggiole di legno. Sulla parete opposta si, apriva una porta identica a quella da cui erano entrati.
«Non mi piace.» sibilò Lupo Grigio, improvvisamente serio.
«Come fa a non piacerti?» domandò Miros estasiato a guardare la grotta «È fighissimo! Loreth, dobbiamo assolutamente...».
Si morse la lingua prima di rivolgersi alla compagna ad alta voce, e si sorbì contrito l’ennesimo rimprovero.
«Prova a pensare.» gli sussurrò Timis lanciandogli occhiate sospettose «Viste le bruciature sulla porta e la freccia, la battaglia tra Leo ed i suoi rapitori si è svolta qui. Lui ha detto che erano tutti morti. Dove sono i corpi?».
Miros esitò,scrutandosi intorno improvvisamente guardingo. «Magari li ha fatti sparire lui.» azzardò infine «Nella borsa dimensionale, presente? Per nascondere le…».
Un fruscio inaspettato fece gelare loro il sangue nelle vene. L’ambiente era sufficientemente illuminato dai lumini magici, ma per quanto passassero al setaccio l’ampia grotta, nessun segno di movimento si palesava ai loro occhi.
«Woah, amici, so che all’improvviso la scritta sul muro assume tutto un altro significato,» commentò leggero Lupo Grigio «ma non preoccupatevi troppo: qualunque cosa sia, forse si nasconde perché ha paura.».
I due più giovani non erano minimamente convinti delle parole del druido, ma acconsentirono lo stesso ad avanzare nervosamente attraverso la stanza, tenendo d’occhio i muri, le nicchie, e tutte le ombre.
«Stiamo lontani dall’altare al centro.» suggerì sussurrando Miros «Quello del mio monastero aveva una botola nascosta.».
Strisciarono lungo la parete di destra, con le armi in pugno e Lupo nella sua forma selvatica, e fu guardandosi indietro per controllare che Timis lo notò.
«Oh, no.» mormorò abbattuta «Ci hanno fregato.».
Proprio sopra la porta da cui erano entrati, a circa tre metri da terra, si apriva una cavità rettangolare nella roccia, resa invisibile dalla curvatura delle pareti. Dentro, nella penombra  a malapena rischiarata dalla debole luce azzurra delle torce, scintillavano nove paia di occhi rossi, che li fissavano famelici.
«Ghul.».
 
♠♠♠
 
«Non so voi, ma sembra che siamo stati fortunati.» canticchiò Nether visibilmente compiaciuto «Hai fatto una bella scelta, principessina. Questa deve essere a via per uscire.»
Dopo aver camminato un poco per uno stretto corridoio, la via si era allargata in un ordinato filare di stanze vuote, senza porte, che era culminato in un sontuoso atrio con una gigantesca voragine nel mezzo, da cui filtrava una debole luce. Dall’alto del soffitto, una piccola cascata si gettava gorgogliante nel vuoto, si raccoglieva in una piccola polla artificiale, e da lì scorreva in solchi rivestiti di argilla nera che circondavano un rilievo su cui s’innalzava torreggiante un trono di pietra. L’acqua poi si raccoglieva in un secondo bacino artificiale e si gettava ordinata nel baratro, che faceva riecheggiare il suo scroscio.
«Suppongo che seguendo quel fiume torneremmo alla caverna che abbiamo visto da fuori.» commentò Nori altezzosa, ed ugualmente compiaciuta della sua fortuna.
Leo, dal canto suo, non partecipava alla soddisfazione dei suoi compagni. “Ho lasciato solo il maestro.” si crucciava “E senza di me ha preso la via sbagliata. Imperdonabile. Ho lasciato che si sacrificasse.”.
Strinse tra le mani il suo arco: nonostante le proteste di Nori, il necromante aveva ritenuto opportuno restituire le armi all'elfo.
«Ehi, Leo Esterno, perché quella faccia triste?» lo apostrofò il necromante mettendogli un braccio intorno alle spalle «Lo vedi quel tunnel? È perfettamente dritto, questo vuol dire che è stato scavato, e punta nella direzione giusta. È l’uscita, capisci?».
L’arciere si divincolò dalla sua presa, cercando di assumere un atteggiamento serio. «Io devo andare a difendere il mio maestro.» annunciò, prima di correre indietro senza lasciare il tempo di ribattere.
Nether si grattò la testa confuso. «Ma tu guarda se…».
«Pensi che voglia andare a far loro del male?» gli chiese Nori mentre gli si affiancava.
«No,» rispose dubbioso il necromante sospirando «ma in ogni caso c’è Waffle con loro.».
«Quindi noi ora che cosa facciamo?» insistette lei «La via è giusta: li aspettiamo fuori, e magari cerchiamo».
Nether annuì, e si incamminò nel tunnel buoi, tenendo alta la sua pala luminescente.
La Dea della Morte gli tenne dietro. «Senti,» lo chiamò «posso farti una domanda?».
«Spara.» la invitò.
«Come mai lo chiami Waffle?».
Il necromante si arrestò, facendo scintillare il suo ghigno alla luce della pala.
«Ho un’idea. Fermiamoci qui ad aspettarli, intanto te lo racconto.».




Dodici, proprio come i mesi dell'anno, yeah. Prima di passare alle solite rubriche, dobbiamo fare due dichiarazioni importanti: innanzitutto porgiamo le nostre scuse per il disordine in cui era stato postato il capitolo scorso (il testo appariza distorto e raddoppiato), ci sono stati piccoli intoppi con l'editing. Detto ciò, vorremmo ringraziare nuovamente Nimoerin, che per primo ha segnalato il problema e che ci ha svelato l'origine del suo nome: il suo pg. Quanta affezione. Alla fine, i giocatori si trovano dovunque, e questo ci riempie di gioia. Se, ti va, Nimoerin, parlaci di questo tuo personaggio e, chissà, un png in più è sempre utile.

Commento del Master: Il nome del gioco non dovrebbe lasciare dubbi. Dungeons and Dragons, ovvero Sotterranei e Draghi. La base del gioco è l'attività nei sotterranei, ma se c'è qualcuno da incolpare per il fatto che si entri in un vero e proprio "Dungeon" solo al dodicesimo capitolo, quello sono proprio io. Le attività descritte qui sono da manuale: patti demoniaci, non-morti nei Dungeon, bivi, separazioni "oculate", tutto ciò è quello che ci si aspetterebbe da una trama fantasy scontata. Eppure non sarebbe ciò che ho promesso al mio party: quindi fin dove le apparenze coincidono con la realtà? Mmh... Cambiando argomento, la vera protagonista di questo capitolo è Lia. Che non fosse perfettamente normale forse lo avevate già intuito, ma non so quanti di voi si aspettassero un tale sviluppo. Che volete che vi dica: Caotici Malvagi. La ruolatrice di Lia, però, ha agito in maniera molto intelligente ed ha creato un personaggio interessante, basato sulla semplice osservazione che Caotico non vuol dire stupido e che Malvagio non è sinonimo di vile. Tuttavia, preferirei ritardare la "scheda personaggio" a fine rubriche ancora di qualche capitolo, fino a quando il personaggio non sarà meglio presentato: Lia non è solo una sadica invasata, ha una personalità complessa ed è anche in grado di essere gentile. Qui è ritratta nel mezzo di una violentissima crisi, il che non le rende totalmente giustizia.

Commento dei Giocatori: Finalmente ci si scrolla di dosso quella stramaledetta foresta. Tutti noi speriamo di non doverci più tornare una volta che saremo giunti nella Valle del Pozzo. Rileggiendo questo capitolo, le ore di sessione ci scorrevano di fronte al volto, e ci veniva da ridere pensando a quanto avessimo preso sottogamba questo piccolo intervallo di Dungeon solo perché, come già specificato, i temi trattati erano "classici". Un grave errore. Forse l'errore più grave che potessimo commettere. 

Bussola del lettore: Illuminazione, questa maledetta. Il sottosuolo racchiude spesso sconfinati tesori e ricchezze, nemmeno lontanamente paragonabili a quanto affiora in superficie, ma ha un difetto logistico quasi insormontabile: è buio pesto, lì sotto. Nei millenni, le razze senzienti hanno messo a frutto il loro ingegno, ed hanno architettato diversi espedienti. Nel mondo di gioco (Il continente dove è ambientata la partita si chiama Pìthias, se interessasse a qualcuno) questi popoli hanno per accesso ad uno strumento chiave che nel nostro manca: la magia. Per cui non c'è da sorprendersi quando Nori chiede con naturalezza se qualcuno possa creare luce: come si vede, i metodi per farlo sono vari e molteplici, ed il saper provvedere illuminazione è una delle magie più basilari ma ad un tempo più necessarie da apprendere se si vive la dura vita dell'avventuriero. Semplici incantesimi permettono di emettere luce personalmente, ma si può anche incantare un oggetto perché riluca in se comandato. Le fiaccole levitanti sono su un altro livello: i metodi sopra citati incorrono nella pesante limitazione della durata, cinque ore al giorno per entrambi, nel nostro caso, mentre rendere permanente un incantesimo richiede magie di alto livello. Tuttavia questo non sembra essere un problema per una banda di criminali legata ad un Demone Maggiore.

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Capitolo 12
*** 12-Le gallerie ***


Capitolo XII: Le gallerie

«Cazzo!» Miros balzò all’indietro per evitare l’assalto dei nemici «Ma quanti sono?».
«Otto.» stabilì all’istante Lupo Grigio «Otto normali e uno più grosso.»
«Quello è un ghast.» spiegò Timis mettendosi in posizione di combattimento «È senza dubbio il capo.».
Davanti a loro erano sgusciati fuori dal loro anfratto nove figure umanoidi, completamente nude e glabre. La loro pelle era nera come pece, ma alla luce delle torce restituiva riflessi violacei, ed avevano larghi e tondi occhi rossi, che dardeggiavano sinistri sopra una chiostra di denti anneriti. Il fetore che emanavano era così intenso che i tre si erano dovuti allontanare, e ora si trovavano quasi con le spalle al muro.
I ghul li squadravano minacciosi. Era evidente che era stata una furia ferale dettata dalla dame a spingerli ad attaccare, eppure si poteva vedere una certa disciplina nella loro disposizione: le creature si erano schierate in due ranghi da quattro, con il ghast in fondo. “Abbiamo trovato i banditi, sembra.” rifletté Timis mentre aspettava l’assalto.
Ad un ringhio del ghast, la prima linea di ghul si distaccò con insospettabile sincronia ed agilità, ma durante la carica i non-morti persero rapidamente coordinazione, e fu facile per Miros e Timis contrattaccare: il falcione e la falce ruotarono quasi simmetricamente, ammazzando uno dei non-morti e rispedendone indietro un altro con un grosso squarcio nello stomaco.
«Ben fatto, amici, ma ora tiratevi indietro…» latrò Lupo Grigio, dando appena il tempo ai due compagni di scansarsi.
Una deflagrazione infuocata illuminò a giorno l’intera grotta, eclissando qualsiasi torcia. L’odore di carne bruciata si mescolò nell’aria alle strida delle creature, che si carbonizzarono in un istante. Quando le fiamme furono dissipate rimanevano solo il ghast e uno dei ghul più robusti, scampati per miracolo all’esplosione.
«Ah! I miei occhi!» gemette Timis coprendosi il volto con una mano «Avvisa la prossima volta, maledetta tartaruga!».
Lupo Grigio ridacchiò, snudando le zanne. «Scusa, amica!».
Si rivolse poi verso Miros, che lo guardava incredulo schiacciato contro il muro. «Tu tutto bene, amico?».
Quello annuì, lievemente scosso dalla palla di fuoco che gli aveva lasciato le sopracciglia fumanti. I nemici approfittarono di quell’istante di distrazione avventandosi contro di lui: il ghul fu intercettato facilmente dall’arma del ragazzo, ma il ghast riuscì ad aprire una breccia nelle sue difese e a mordergli una spalla. I denti marci e smussati della creatura non-morta penetrarono appena la sua pelle, ma la zona colpita fu subito presa da un improvviso torpore, che si estese rapidamente a tutto il corpo. In pochi secondi, si trovò paralizzato, e cadde a terra, gemendo quando la sua schiena colpì il suolo.
«Resisti!» gridò Timis roteando la falce e scalzando il non-morto dal petto del compagno, mentre il druido evocava il nuovamente la sua magia: due scariche elettriche sfrigolarono in aria, fulminando sul posto le due creature, che si accasciarono fumanti sul terreno, ricoprendo la cenere dei loro simili.
Quando i due non-morti cessarono di divincolarsi, Lupo Grigio si avvicinò a Miros scodinzolando, annusandolo con attenzione mentre quello non dava segno di potersi muovere. Il druido fu felice di constatare che il ragazzo non era messo tanto male, e che oltre al piccolo segno del morso del ghast non presentava altro che piccoli lividi.
«Aspetta, amico, ci penso io» lo rincuorò leccandogli il volto.
La magia curativa agì in fretta, avvolgendo il corpo di Miros in un alone blu e facendo rapidamente rimarginare ogin ferita interna ed esterna, ma quando l’effetto si esaurì, Miros era ancora impossibilitato a muoversi. Il druido riprese la forma di tartaruga e si accucciò al suo fianco,  ritraendo la testa nel guscio.
«Non resta che aspettare, allora.» dichiarò «Probabilmente non durerà che pochi minuti. Un’ora al massimo.».
Mentre Miros strabuzzava gli occhi incapace di parlare, Timis si morse le labbra. «Nel frattempo posso parlarti un attimo?» chiese a Lupo Grigio lievemente imbarazzata «In privato.».
 
♠♠♠
 
Il giovane inserviente continuava a torturarsi le mani, riannodandovi intorno un vecchio straccio fino a farsi venire le dita rosse come i suoi capelli, e poi risciogliendo i suoi semplici nodi, ma il suo nervosismo non impressionava minimamente l’altera ed imponente figura del capitano della guardia, un’imponente ed autoritaria figura che sfiorava il soffitto con la sommità della sua testa. La sua pelle squamosa pareva scintillare di riflessi bronzei alla luce della fiaccola che reggeva.
Avevano rimosso i resti della vittima e ripulito alla buona la cella dal sangue, ma nessuno si era azzardato anche solo a toccare Lia, che sedeva contro il muro, con il volto, le mani e tutto il corpo coperti di sangue secco, perlomeno nelle chiazze dove non lo aveva leccato via. Lei teneva la testa bassa, ma sotto la cascata dei suoi capelli color pulcino, anch’essi lordi di sangue e sporcizia, si nascondeva un sincero sorriso dipinto su un volto disteso. Si sentiva nettamente meglio rispetto a prima. Infliggere dolore per lei era più che una forma di svago: era un bisogno fisiologico, che se non soddisfatto le causava indicibili fastidi fino ad arrivare al dolore fisico. Eppure, una volta estinta la sete di sangue, Lia si trasformava in una persona affabile ed acuta, con cui non era impossibile avere a che fare. Ricordava che, da bambina, le avevano detto che sapeva suscitare perfino simpatia quando non era assorbita “dalle sue brutte abitudini”, come le chiamavano, che all’epoca consistevano giusto nello schiacciare insetti con un sasso. Qualche topolino, magari, ogni tanto.
«Abbiamo sollevato dall’incarico la precedente guardia.» cominciò il capitano «Quello che ha fatto era imperdonabile, anche se lo ha fatto da ubriaco. È folle che una guardia giurata di Myrth perda il controllo a quel modo alla prima fuga di notizie. Vorrei che ci fossero più uomini a tenere sotto controllo questa prigioniera, ma sfortunatamente gli uomini mancano, e così non rimangono che le nuove reclute: questo ci porta a te.».
Il giovane deglutì: era stato sottratto al corpo dei garzoni di cucina, e se solo avesse potuto, il capitano avrebbe voluto evitargli a tutti i costi un compito tanto gravoso, ma con tutte le squadre di ricerca spedite ai quattro angoli della Valle del Pozzo e tutti i soldati che avevano immediatamente disertato ed erano già fuggiti, il personale era diventato una merce rara nella città.
«Quindi,» riprese,  cercando di non pensare allo sguardo implorante del giovane umano, «assumerai tutti i compiti della precedente guardia, ma ci sono due modifiche nel regolamento.».
Si schiarì la voce e lesse da un piccolo cartiglio che teneva tra le sue dita grandi ed appuntite. «Primo: portare ogni giorno alla prigioniera un animale da quelli destinati al macello, perché sfoghi i suoi istinti e non si arrivi ad una situazione critica come quella che si è sperimentata. Secondo: nutrire meglio e con porzioni più abbondanti la prigioniera. Sembra che la sua particolare condizione comporti un metabolismo accelerato, ma non chiedermi che roba sia, è mio fratello l’esperto.».
Lia sorrise mentre il garzone cercava disperato di non svenire. Finalmente non avrebbe più avuto fame.
 
♠♠♠
 
«Sì,» rispose Lupo Grigio con nonchalance «lo so. C’è un demone che abita in lui. Per forza hai visto due anime quando hai provato a sondare la sua.»
Timis si piantò le unghie nelle guance solo per resistere alla tentazione di scuoiarci la tartaruga. «Come fai ad essere così tranquillo?» bisbigliò incredula «Forse non hai ben chiara la forza di quel demone. È immensa, maledizione! È come minimo un demone di alto rango.».
«Invece l’ho vista.» ribatté ridacchiando Lupo Grigio «È fenomenale, e anche molto simpatica. Ci si può fidare.»
Timis si accigliò. «Simpatica? Come fai a sapere che è una femmina?».
Il druido allungò il collo ruotando la testa all’ingiù. «Ci ho parlato, è ovvio. Ti ho detto di stare tranquilla: è educata ed amichevole.».
«Se è così amichevole come dici,» osservò la Falce, sollevando il druido all’altezza degli occhi «allora come mai Miros si è guardato bene dal rivelarcelo?».
«Oh, quello, già, sì,» temporeggiò lui «probabilmente lo ha fatto per proteggerla. Pensava che avremmo potuto o voluto farle del male. Da quanto ho capito è piuttosto vulnerabile in quella forma.».
«Oh.». Timis non aveva neanche preso in considerazione questa possibilità. I demoni ed i diavoli non figuravano tra i principali nemici delle Falci Mietitrici, ma ciò era solo dovuto alla loro natura di extraplanari: quelle creature erano spesso in combutta con non-morti o necromanti, e tanto bastava a doverli affrontare spesso sul campo.
«Almeno sai se è davvero un demone o un diavolo, o almeno che tipo di creatura sia, o quanto sia potente?» domandò infine sfiorandosi i graffi che si era fatta in faccia.
Lupo Grigio esitò qualche istante prima di rispondere. «Sai, ci avevo già riflettuto.» rispose infine «Mi pare di ricordare che io e Nether avessimo concluso…».
«Tu e chi?» ruggì la mezzelfa scuotendo il piccolo druido.
«Uhm… Nether.» azzardò la tartaruga «Quel tipo alto, bello, vestito da studente di medicina il sabato sera…».
«Lo so!» il grido riecheggiò per tutto il corridoio «Lo sapeva? Da quanto? Secondo il nostro patto dobbiamo mettere in comune le informazioni che raccogliamo!».
Trasse un lungo sospiro, e si impose di calmarsi. «Comunque: dicevi? Avevate concluso che?».
«Sì… ehm…» scosso dallo sballottamento, Lupo impiegò qualche istante a ritrovare il filo del discorso «allora, l’ipotesi più accreditata è che sia la figlia dell’unione di un'erinni e di un balor.».
Timis ridusse gli occhi a due fessure, soppesando il significato di quelle parole. «Ah.» fu tutto ciò che riuscì a dire «Ma demoni e diavoli non sono in guerra dall'alba dei tempi?».
«Sarà la figlia dell'integrazione razziale. O di uno stupro, chissà.» ipotizzò lui «Possiamo fidarci, comunque: l'unica cosa che le importa è difendere il ragazzo per non morire lei stessa.».
 
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Steso sul gelido e liscio pavimento della grotta, Miros non poteva fare altro che cercare di carpire brandelli di discorso, ma a parte sporadiche grida non aveva ascoltato niente che il silenzio.
“Ma che bel soffitto.”.
La voce di Loreth nel cervello certamente non lo aiutava a distinguere i suoni, ma perlomeno la paralisi non gli impediva di respirare o pensare regolarmente. “Vuoi stare zitta? Sto cercando di ascoltare.”.
La sua amica rise. “Beh, già che siamo qui, apprezziamo l’ambiente, no? Tanto è ovvio che stanno sparlando di noi.”.
“Sì, lo so,” ribatté lui “ma voglio provare a capire quanto sanno.”.
“Quanto sanno? Tutto. Abbiamo detto tutto alla tartaruga, e ora lo sta dicendo alla ragazzina.”.
“Ehi!” protestò Miros “Avrà quattro o cinque anni più di me! Se lei è una ragazzina io cosa sono?”.
Loreth assunse un tono di voce più dolce. “Per me,” cominciò argentina “siete tutti ragazzini. Tranquillo, non sembra una minaccia, penso che sia troppo impegnata con questa sua missione per preoccuparsi di noi.”.
“Spero tu abbia ragione.”.
Uno scalpiccio affannato interruppe la loro conversazione. Con la furia forsennata di un ciclone, Leo Noah irruppe nella stanza, tirando Timis attaccata per il mantello con in braccio il druido, e si lanciò al capezzale di Miros, cominciando a scuoterlo per le spalle.
«Maestro, maestro!» piagnucolò stringendoselo al petto «Oh, voi conoscevate la via, ma vi siete sacrificato per me! Come ho potuto permettervelo? Vi caricherò in spalla per il resto della vita!».
Miros lanciò invano sguardi di aiuto verso gli altri due compagni, che facevano di tutto per soffocare i risolini guardando l’elfo issarselo di peso sulla spalle ed iniziare a procedere in direzione della porta ancora chiusa.
«Fermo!» lo chiamò Timis smettendo di ridacchiare «Aspettaci, dove corri?» e si lanciò al suo inseguimento.
L’elfo scardinò la porta con un braccio, gettandola di lato come se fosse stata di carta, e si lanciò a capofitto nel corridoio buio.
«Affronteremo insieme la via lunga, maestro!» gridò scomparendo alla vista.
«Maledizione.» imprecò Timis lasciando indietro Lupo Grigio per seguirlo. Corse in linea retta, guidata dal rumore dei passi dell’elfo davanti a lei, fino a che quelli non cessarono. Raggiunse Leo e Miros quasi subito, trovandoli fermi nel buio.
«Ecco,» ansimò «e ora aspettiamo anche la tartaruga per vederci meglio.».
«Io ci vedo bene al buio,» gemette Leo era sull’orlo del pianto «ma non possiamo andare avanti. C’è un muro.».
«Come?» fece lei, tastando incredula di fronte a lei «Qui? Dopo una porta? Non ha senso.».
 
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Nori rideva seduta per terra, tenendosi la pancia con le mani.
«Oh, déi, non è possibile!» chiese, sull’orlo delle lacrime «E poi?».
Nether sogghignò. «…e poi quell’idiota l’ha mangiato davvero, e ha pure fatto i complimenti.» concluse iniziando a ridacchiare, scatenando un’altra ondata d’ilarità nella sua compagna. Fu solo quando lei cominciò a tossire ed ansimare che lui smise di ridere e le diede qualche pacca sulla spalla. La Dea della Morte lo scacciò in malo modo, respirando profondamente per scongiurare una nuova crisi d’asma.
«Ne avete passate insieme, eh?» chiese infine con voce affannata, quando ebbe finito di boccheggiare.
Il necromante poggiò la testa all’indietro contro il muro, perso nei ricordi, ed annuì debolmente, aiutando poi l’amica a rialzarsi. Quella si spolverò l’abito di seta nera, ormai incrostato di sporcizia e aghi di pino, prima di sorridere.
«Scusa per oggi.» borbottò incerta «Avevi ragione, questa è la via migliore.».
Nether restituì il sorriso. «Scuse accettate.» dichiarò, ruotando il collo per sgranchirlo un po’. Mentre rovesciava la testa all’indietro per disanchilosarsi le vertebre, gli cadde l’occhio sul soffitto del tunnel.
«Secondo te a cosa servivano quei fili neri?» domandò osservando due lunghi cavi scuri fissati strettamente alla volta, che percorrevano per tutta la sua lunghezza fino a scomparire nelle tenebre.
Nori alzò la testa, dubbiosa. «Ho sentito che alcuni maghi riescono a fare magie a distanza usando un filo teso, nello stesso modo in cui i bambini si parlano da un bicchiere all’altro. Forse l’idea è quella.» azzardò «Conducono l’energia. Certo, però, sono recenti.»
Nether annuì. «Probabilmente sono l’ultima innovazione che i banditi hanno implementato prima di avere la cattiva idea di catturare Leo Noah.» suggerì grattandosi la testa «Non sembrano neanche terminati. Voglio dire, nella sala del trono non ci sono: perché limitarsi a fissarli solo nelle gallerie?».
I due rimasero a fissare affascinati i cavi sul soffitto per qualche istante, prima che Nori rompesse l’aura contemplativa.
«Ehi, criminale,» sbottò scherzosa all’improvviso «ho cambiato idea: aspettiamo gli altri fuori. Sono già stufa dei sotterranei.»
Il necromante non rispose, ma la seguì in silenzio. Camminarono per la buia galleria rischiarata solo dalla tenue luce della pala per pochi minuti, sempre levando il capo al soffitto per accertarsi che i cavi continuassero a correre sopra di loro, ma i due fili neri non davano segni di voler smettere di perdersi nelle ombre davanti a loro.
D'un tratto, la Dea della Morte si arrestò, ed afferrò il compagno per la spalla, ponendosi un dito sulle labbra in risposta al suo sguardo interrogativo.
«Davanti a noi,» gli bisbigliò ad un soffio dal suo orecchio «massimo cinquanta metri, ci sono delle persone che sbattono oggetti metallici.».
Nether tese l'orecchio. «Io non sento niente.» protestò «Sei sicura di quello che dici?».
Nori roteò gli occhi. «Fidati di me per una volta, mortale. Ci sono delle creature davanti a noi, che hanno appena fatto sbattere due oggetti di metallo, o forse sono armature, non lo so, ma ci sono. Sono sicura al cento per cento.»
«La galleria è un passaggio, no?» le ricordò lui «Forse non siamo i soli ad approfittarsi dell'assenza dei banditi. O forse non tutti i banditi sono morti, chissà.».
La Dea della morte chiuse gli occhi per individuare eventuali fonti magiche, ma li riaprì quasi subito, scuotendo la testa delusa. Guardò verso l'alto, indagando i cavi con lo sguardo per cercare di capirci qualcosa.
«Se ci sono creature magiche,» esordì «sono fuori dal mio campo di percezione. Questi fili però... è come se contenessero tracce di magia. Forse servono davvero a trasmettere incantesimi.».
Un fischio acuto rimbombò sulle pareti della galleria fino alle orecchie dei due, facendoli sussultare entrambi.
«E quello cos'era?» domandò Nether grattandosi la testa.
 
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«Queste pietre sono crollate dal soffitto.» annunciò Timis rialzandosi in piedi. Aveva esaminato attentamente la parete che chiudeva il tunnel: un muro irregolare di macigni sconnessi, cosparsi di polvere di pietra frantumata. Sassolini più piccoli erano scivolati a coprire gli interstizi, chiudendo ogni spiraglio nella parete, di cui comunque era impossibile stimare lo spessore: il crollo aveva probabilmente interessato decine di metri di galleria.
«Un crollo, dici?» domandò Miros scettico. Anche se non aveva ancora ripreso piena mobilità, era ora in grado di tenere il collo sollevato, di parlare, e di articolare debolmente le dita. Naturalmente, Leo si era rifiutato di lasciare che il suo maestro toccasse terra, e dunque continuava imperterrito a caricarselo sulle spalle, cosa a cui il giovane si era ormai rassegnato.
«Probabilmente voluto.» rispose Timis studiando le grandi rocce «Queste gallerie non hanno la minima crepa o segno di cedimento. Forse volevano sigillare qualcosa, ma non è tempo di indagare: raggiungiamo Nether e Nori, pregando che non si siano ammazzati a vicenda.».
Raccogliendo da terra Lupo Grigio, la mezzelfa fece per andarsene, seguita da Leo.
"Aspetta, aspetta!" allertò Loreth concitata "Il filo! Il filo che sporge! Dille di raccogliere il filo e di fartelo annusare!".
Miros esitò un poco prima di ottemperare alle richieste della demone. «Ehm.. aspettate.» bofonchiò poco convinto «Timis, lo vedi quel filo che sporge da un sasso? Me ne strappi un po' e mi fai sentire che odore ha?».
Timis si accigliò per la strana richiesta, ma alla fine acconsentì, e strappò un frammento del sottile cavo nero. Lo adocchiò sorpresa: nella sua mano, aveva iniziato ad emettere un lieve tepore. Lo avvicinò sospettosa al naso del ragazzo, che inspirò profondamente, prima di iniziare a tossire.
"Lo sapevo!" canticchiò loreth raggiante "Corda di Fuoco: la usiamo nelle demolizioni giù negl'Inferi. Esplode quando attraversata dalla magia.".
«È un esplosivo.» tagliò corto Miros «Roba infernale.».
 
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«Uh? Nori, cosa c'è?».
«La traccia magica nei cavi... si sta intensificando...».







Hihihi. Finale cliffhanger.

Commento del Master: Questo è Dungeons and Dragons! Non-morti, battaglie frenetiche e misteri da indagare. Certo, intorno al tavolo sono volate decine di battute e frecciatine su come ci fossero volute ben tre sessioni per arrivare allo stile di gioco "normale" (che avremmo comunque di nuovo abbandonato a breve), ma il gesto teatrale della ruolatrice di Timis che estrae un fazzolettino di carta e si asciuga una lacrimuccia quando le assegno 1200 XP, ovvero esperienza piena per i ghul, anche se il suo contributo è stato scarso, guarda fuori dalla finestra e sussurra: "Finalmente... esperienza...". Il tutto con il ruolatore di Miros che se la rideva perché alla comparsa del suo personaggio ha subito avuto l'occasione di  abbattere tre orsigufo per un totale di 3200 XP. Ci siamo fatti anche grandi risate a sentire il ruolatore di Nether che raccontava il suo elaborato background condiviso con Waffle, su cui tra l'altro la raccolta di one-shot si fa sempre più probabile. Tuttavia, ecco che nel finale di questo capitolo la "campagna ad alto potere" si fa sentire. He. Ci vediamo la prossima settimana, personaggi. Non tutti.

Commento dei Giocatori: Pensiamo che il Master nei suoi commenti si stia prendendo troppe libertà: se dice lui tutto ciò che facciamo, a noi cosa resta? restano le nostre intime impressioni, in primo luogo l'invidia per i lettori, che si vedono così montato l'hype. Per noi è stato diverso: abbiamo fatto un patto per questa campagna, quello di ruolare seriamente e dunque di ruolare in gruppi separati, quando i personaggi sono separati, senza dirci nulla neanche off-game. Quindi immaginate il puro terrore di Timis, Miros, Lupo e Leo quando hanno intuito che si trovavano in una rete di gallerie in demolizione, e confrontatelo con l'incertezza di Nori e Nether dall'altra parte delle gallerie, che dopo aver faticosamente fatto pace si trovano di fronte una minaccia a solo pochi metri di distanza e pensano che fino ad allora avevano abbassato la guardia ed era solo fortuna e clemenza del master se non serano stati attaccati. Poi sentono il fischio ed i fili che si attivano. Wow.
Per spendee due parole anche per Lia, che nel frattempo si trova prigioniera chissadove, riteniamo che sia ora di presentarla.

Bussola del lettore: Esplosivi? Metabolismo? Come si fa ad infilare queste cose in un fantasy? Semplice: come forse abbiamo già detto, il livello tecnologico di questo mondo è decisamente più elevato dello standard fantasy medioevale, senza che ciò strida con l'atmosfera magica. Semplicemente, la magia si è integrata nella tecnologia, come abbiamo visto in questo capitolo, ed Ingegneria Magica è una delle facoltà più studiate, accanto a Medicina, nelle Università che affollano i grandi centri abitati. Quindi nessuna sorpresa quando Lupo dice "come uno studente di medicina il sabato sera", è uno stereotipo fortemente radicato. L'accenno poi al sabato solleva altri problemi: in un mondo non cristiano né ebraico, come può un giorno della settimana avere questo nome? E perché Nori ragiona in metri, unità di misura basata sulla circonferenza terrestre e dunque non replicabile in un altro mondo? La farò breve: sono convenzioni letterarie. Mi pare ovvio che il sabato non si chiami sabato ed il metro non sia davvero un metro, Pìthias è una terra con sue unità di misura e suoi giorni della settimana, semplicemente, noi li traduciamo in qualcosa di comprensibile per noi poveri terrestri.

Lia Liadon: Il suo cognome, nel dialetto della sua regione, significa semplicemente "figlia di Lia", ma madri narcisiste a parte, Lia ha vissuto un infanzia tranquilla, giocando vicino al fiume con i suoi coetanei. Tuttavia,era ovvio che in lei ci fosse qualcosa di diverso: forse per la sua indole a tratti crudele, forse perché si lamentava di provare dolore ogni volta che la buttavano in acqua, Lia fu presto identificata come "quella strana". La sua bizzarra natura fu spiegata il giorno in qui le sue qualità si manifestarono, quando compì sedici anni: facendo la lotta sul prato con una delle sue prime cotte, si fece trasportare dall'emozione ed una micidiale scarica elettrica scaturì dal suo corpo, ustionando gravemente lo sventurato fidanzatino, sotto gli occhi atterriti di un ragazzino guardone. Posta di fronte all'evidenza, sua madre fu costretta a confessare: Lia era il frutto di un unione extraconiugale con uno stregone che a sua volta portava in sé i geni di una madre elementale del fulmine. Per ragioni misteriose, questi geni assunsero caratteri prettamente dominanti nel sangue di Lia, che da quel giorno manifestò sempre più evidentemente poteri elettrici di grande intensità, che la giovane ragazza mise subito al servizio del suo sadismo. Non passò molto che la gente del villaggio, avendo intuito che le grandi masse d'acqua costituivano la sua prima debolezza, tentò di annegarla nel fiume. Lia sopravvisse al cortocircuito interno, e riuscì a fuggire per miracolo. Ormai sola al mondo, con i suoi istinti violenti che crescevano di pari passo con i suoi poteri, Lia perfezionò uno stile unico di combattimento corpo a corpo, volto a far soffrire il più possibile il nemico. Come o perché sia finita in una prigione di Myrth, non ve lo rivelerò, per ora, anche perché gli altri giocatori non lo sanno.
Da un punto di vista di metagioco, Lia è un capolavoro di Power Playing ruolato con maestria: la sua razza è Meticcio Elementale(fulmine), a cui si aggiungono i template Thunderborn e Creatura Elettrica, tutto preso dalla wikia. La sua Classe è Monaco del Fulmine, una classe marziale caotica. Questa build elettrica sarebbe distruttiva se solo -risata malefica- non fosse accidentalmente finita contro un gruppo di creature immuni al fulmine. Ops.

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Capitolo 13
*** 13-Non oggi! ***


Capitolo XIII: Non oggi!

Il terreno della stanza dell'altare vibrò, e subito dopo seguì il boato: un esplosione fragorosa che scosse la solida pietra fin nelle fondamenta, rimbombando nelle ossa di tutti i presenti. Il frastuono della roccia che si frantumava e si sgretolava assordò le orecchie di tutti riempiendo l'aria come un liquido. Quando infine il rumore fu cessato, Timis e guardò in basso, verso la tartaruga che teneva tra le braccia. Il druido le restituì il suo stesso sguardo attonito.
«Pensi che...» le parole le morirono in gola.
Lupo Grigio scosse vigorosamente la testolina. «No,» rispose con voce tremante «era un'altra galleria. Deve essere stata un'altra galleria. Non può...». Alla fine, il silenzio reclamò anche lui.
Timis scattò nel corridoio da cui erano arrivati, correndo a perdifiato nell'oscurità più totale, guidata da quelle poche forme indistinte che i suoi occhi abituati alla semioscurità le facevano emergere davanti al naso un secondo prima di sbattervi la faccia, fino a che non fu arrivata al bivio. Con il cuore che batteva a mille per la corsa e per la paura, si fiondò nella direzione che Nori e Nether avevano imboccato solo un'ora prima, e corse senza fermarsi attraverso lo stretto corridoio tortuoso, fino alla grande sala del trono, dove l’acqua scorreva placida nei canali che rigavano il pavimento, nonostante le tracce umide e le pozze mostrassero che le vibrazioni l’avevano fatta esondare in più punti. Giunse infine all’imboccatura di una grande galleria artificiale, dalle pareti lisce e pulite, e lì si arrestò ansimante. Dalla grande voragine al centro della stanza filtrava la luce del sole, moltiplicata dal riverbero dell’acqua gorgogliante, ed illuminava più che decentemente i primi metri del lungo tunnel. Tuttavia, i vorticanti motivi di luce che danzavano sulle pareti di tutta la grotta avrebbero senz’altro rischiarato anche più in profondità, se non fosse stato che qualcosa fermava il loro cammino.
«No…» mormorò Timis portandosi una mano alla bocca «No…».
Non erano le tenebre a fermare la luce, ma una parete di roccia appena franata, che ricopriva tutta la larghezza della galleria.
La Falce si accorse improvvisamente di sentire Lupo Grigio divincolarsi in silenzio tra le sue braccia, fino a che lei non lo posò a terra delicatamente. La piccola tartaruga si issò sulle zampe, e cominciò senza proferir parola ad avanzare con il suo passo lento verso la catasta di massi che ostruiva il passaggio. Un pesante silenzio muto gravò sul mondo fino a quando Lupo non arrivò ai piedi della frana ed appoggiò una delle sue piccole zampe su di una roccia. I suoi occhi simili a capocchie di spillo fissarono per lunghi istanti le gigantesche pietre crollate.
«Ci vediamo all’inferno, socio.» mormorò solenne infine, prima di voltarsi e camminare indietro verso Timis. Una lacrima sfuggi da uno degli occhi della mezzelfa, e molte altre l’avrebbero seguita, se una mano amica non le si fosse posata sulla spalla. Si voltò a guardare e vide Miros che levava debolmente un braccio verso di lei, ancora caricato sulle spalle di Leo, che era sull’orlo del pianto.
«Mi dispiace,» le disse il ragazzo guardandola negli occhi «non so da quanto o perché lo conoscessi, ma mi dispiace.».
La mezzelfa si asciugò gli occhi lucidi con la mano guantata e gli voltò le spalle, senza rispondere. Si avviò a passi decisi verso l’uscita del covo dei banditi della rondine, senza fermarsi fino a quando il sole del primo pomeriggio non le accarezzò la pelle e le ferì gli occhi sulla sporgenza dell’ingresso. Ricacciando indietro le nuove lacrime che le appannavano la vista, si costrinse a guardare verso nord, verso il valico che avrebbero dovuto attraversare quella mattina. “Se solo non…”.
Dei passi alle sue spalle la fecero voltare: Leo Noah, tenendo con un braccio il corpo ancora inerte di Miros e con l’altro Lupo Grigio, era emerso dalla penombra della ripida scalinata all’ingresso della grotta.
«È colpa tua.» gli sibilò contro, improvvisamente schiumando d’ira «È colpa tua, maledetto bastardo mostro! È stata tua l’idea di passare per queste gallerie! Tua! La colpa è solo tua! È…» le sue parole i persero nei singhiozzi.
«Timis,» la richiamò grave Lupo Grigio «non è stata colpa di nessuno. Nessuno poteva sapere che qualcuno stava sigillando le grotte. Non è neanche colpa di chi l’ha fatto: probabilmente non sapeva che fossimo dentro. Qui tutti hanno agito in buona fede. È inutile cercare capri espiatori.».
Mestamente, levò la testolina verde verso la mezzelfa. «Io non sono mai stato bravo a fare piani, preferisco improvvisare. Mi sono sempre affidato a Nether per scegliere la strada o decidere la meta.» raccontò dondolandosi a destra e a sinistra «Se… se fosse davvero morto… mi guideresti tu? Per quest’ultima avventura?».
La Falce si morse il labbro, dando nuovamente le spalle alla parete. «Andiamo a nord.» comandò infine «Al valico. Dobbiamo essere dall’altra parte delle montagne entro domattina. Senza contare oggi, ci restano solo dieci giorni per risolvere il mistero, trovare Diana e probabilmente salvare il mondo.»
Si voltò tremante verso Leo e Miros, che la fissavano in silenzio. «Posso contare su di voi?» domandò timidamente.
Miros sorrise. «Sempre.».
 
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Lia sentì la porta aprirsi cigolando più del solito, come se la mano che la stava aprendo stesse tremando come una foglia. Da uno spiraglio il più possibile stretto si affacciò il volto pallido e impaurito dell’inserviente che le avevano affibbiato quella mattina. Capelli rossi, volto spruzzato di lentiggini, braccia magre e corporatura esile.
“Sembra che il problema di personale sia davvero grave, se hanno davvero messo qui questo nanetto a controllarmi.” pensò divertita sollevandosi dal suo giocattolo.
«P-p-per oggi hai f-finito.» balbettò quello evidentemente terrorizzato «Devo p-portartela via.».
Lia non fece storie. Si allontanò diligente dalla pecora che aveva martoriato per mezz’ora buona, e che ora giaceva riversa sul terreno in una pozza di sangue, con le intestina avvolte intorno al collo. L’inserviente aspettò che lei si fosse ritirata contro il muro prima di entrare a recuperare la carcassa. Quando però quella iniziò a belare mestamente tutto il poco colore che era rimasto sul volto del giovane sbiadì lasciandolo color del latte.
«M-ma è ancora viva!» gridò, in un tono di voce più acuto di quanto non avrebbe voluto, e lasciò cadere a terra l’animale, affrettandosi a cercare un coltello nel suo grembiule per porre fine alle sue sofferenze.
Lia gonfiò il petto, orgogliosa delle lusinghe. «Sono brava:» gongolò leccandosi il sangue dalle dita «se voglio, posso torturare un uomo per ore senza ucciderlo, figurarsi una pecora.».
L’inserviente arretrò terrorizzato, trascinando via l’animale per la testa, fino a che il suo collo martoriato dai tagli non cedette, separandosi dal corpo, che si afflosciò a terra come un sacco vuoto. Lia si avvicinò per aiutare, ma non appena il garzone la vide strisciare verso di lui lasciò cadere il capo della pecora per rifugiarsi fuori dalla stanza, oltre la portata delle catene.
«Guarda che non ti mangio.» bofonchiò Lia offesa «Quella volta… non mi sentivo bene. E mi stavate facendo morire di fame. Di solito non mangio le persone, sai? Hanno un sapore terribile.».
Lanciò il corpo fuori dalla porta, ai piedi della guardia che tremava schiacciata contro il muro. «Sai,» riprese mentre la pecora scivolava lentamente sul pavimento lucido, lasciandosi dietro una scia di sangue «in realtà non mi offenderei se mi deste anche del cibo cotto. Non sono un animale, ho anche esigenze umane. Infatti mi sento un po’ sola qui, tutto il giorno a guardare la porta. Staresti un po’ con me, più tardi?».
Per tutta risposta, l’inserviente agguantò il corpo inerte della pecora e corse via nel corridoio, mentre i suoi passi rimbombavano nelle celle vuote.
«Te lo giuro!» gli gridò dietro implorante «Se stai qui con me un po’ a chiacchierare non ti faccio niente!».
Il giovane, tuttavia, era già lontano.
Lia sbuffò. “Questa cosa del torturare gli animali da macello funziona, anche se non è proprio la stessa cosa.” pensò tra sé e sé strofinando le mani sul muro per pulirle dal sangue “Ho bisogno almeno di punzecchiare qualcuno, ogni tanto, o darò di nuovo di matto.“.
I passi erano già lontani quando Lia si rassegnò all’evidenza che il semplice strofinio non avrebbe lavato via il sangue che le imbrattava il viso, i capelli, le mani e l’abito di fibre nere che indossava, troppo stretto sui fianchi e largo di spalle.
«Stronzi.» biascicò stringendo le braccia al petto «Non hanno neanche pensato di offrirmi un bagno.».
 
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Il sole aveva ormai ceduto il suo posto nel cielo alle stelle ed alla sottilissima falce di luna crescente che balenava timida nel cielo terso e limpido quando Miros mise per primo piede sulla cima del valico. Man mano che erano saliti, gli alberi si erano fatti più radi, ed ora, in luogo della cappa soverchiante di aghi verdi della Pineta Maggiore, si apriva davanti ai suoi occhi un paesaggio di foresta rada, che andava via via consumandosi prima di sfociare in una vasta valle erbosa, circondata dai monti e presa d’assedio dalla Pineta. Lontano, in competizione con il cielo stellato, si scorgeva un ammasso di luci tremolanti: il villaggio di Myrth.
«Ce l’abbiamo fatta, Loreth,» ansimò dopo essersi assicurato che gli altri fossero a debita distanza «te l’avevo promesso: siamo fuori. Siamo fuori dalla Pineta Maggiore.».
“È bello qui sopra.” sussurrò lei malinconica “Sarebbe bello poter stare qui un po’.”
«Voglio arrivare in fondo a questa storia, Loreth. Penso che dobbiamo qualcosa a quella ragazza, anche solo per essersi fidata di noi.» Miros alzò lo sguardo a contare le stelle «Beh, di me, almeno: è la prima persona ch si fida di me, anche se temo che se ti scoprisse, cercherebbe di uccidermi.».
“Sa già di me.” tagliò corto la demone “L’ho capito da come ti guardava. Sa già di noi e di tutto il resto, eppure si fida. Forse qualcosa le dobbiamo davvero.”.
«Siete perso nei vostri pensieri, maestro?» Leo sorprese Miros alle spalle «La ragazza dietro è molto triste, ma è forte: anche lei pensava ad alta voce mentre camminava. Anche io a volte mi ritrovo a parlare da solo, ma di solito cerco di pensare il meno possibile. Forse sono l’unico.».
«Forse.» annuì la tartaruga che portava in braccio.
Timis sopraggiunse poco dopo,  con gli occhi rossi di pianto e la bocca contratta in un’espressione dura.
«Ci accampiamo qui.» decretò piatta «Siamo tutti sfiniti, è inutile continuare. Domani arriveremo a Myrth nel pomeriggio, e cominceremo subito le indagini. Accendiamo un fuoco.».
Con la magia di Lupo Grigio, il campo fu allestito in pochi minuti, e dopo aver consumato una cena frugale, sempre dando fondo alle provviste di Leo, che parevano inesauribili, si raccolsero intorno al falò per definire i dettagli del progetto.
«La prima cosa che dobbiamo fare,» spiegò Timis con voce roca «ammesso che siamo nel posto giusto, è trovare una persona che si chiama Diana. Non so quanto sia grande Myrth, ma sarà comunque come cercare un ago in un pagliaio. L’unico indizio che abbiamo è che tutta questa faccenda può essere in qualche modo collegata ad una favola per bambini, dove ci sono un mago idiota, un castello candido e un lago maledetto.».
Arricciò le labbra, nervosa, e poi riprese. «Tuttavia questa è la Valle del Pozzo, e per quanto posso vedere non ci sono né il lago né il castello, il che non va a nostro favore. Domattina sarà l’alba del terzo giorno: a mezzanotte del dodicesimo, il gioco sarà finito, quindi il tempo stringe. L’unica mappa del luogo ce l’aveva Nether, che probabilmente era anche quello che conosceva meglio la leggenda, senza parlare delle scoperte che aveva già fatto che non mi ha mai comunicato internamente. Nori era l’unica ad essere già stata nella Valle del Pozzo, ma tutte queste informazioni sono inutili, visto che quei due sono morti.».
Rimase imbambolata qualche minuto, come cercando di metabolizzare quanto aveva appena detto, prima di affondò la testa nelle mani, iniziando a singhiozzare. «Non so davvero cosa fare.» piagnucolò sconfortata «Il mio maestro ha riposto tanta fiducia in me e io non poso fare altro che deluderlo.».
Lupo Grigio tentò di consolarla. «Su, su,» le disse strofinandole contro il muso «siamo tutti in questa situazione.».
«Forse è il destino che ci ha uniti.» avanzò Miros, cercando di rincuorarla «Insomma, forse siamo gli unici che possono farcela.».
Timis alzò gli occhi per fulminarlo, ma non c’era determinazione nel suo sguardo, e finì per scoppiare in una risata isterica. «Il destino, eh? Ha! Nether è morto, Nori è morta; ma sai cosa? C’è di più! Nori era stata mandata qui a morire: non posso credere che il mio maestro non abbia messo al corrente gli Dei della morte dei rischi, eppure suo padre non solo non ha esitato a mandarla, ma non le ha neanche detto che non sarebbe potuta tornare quando voleva. È così ovvio che volessero sbarazzarsi di lei!».
Chiuse la bocca, si asciugò il volto per l'ennesima volta e senza più proferire parola prese una coperta e vi si rannicchiò dentro, sdraiandosi a dormire. Fu ben presto imitata da tutti gli altri, per ultimo Lupo Grigio, che spense il fuoco con la magia.
 
♠♠♠
 
 
Poche ore dopo che Leo ebbe iniziato a russare, i suoi occhi si spalancarono di scatto: erano duri e freddi, rossi tizzoni ardenti nel buio della notte.
"Finalmente." pensò irritato "Finalmente quell'altro si è rimesso a dormire. È tempo di concludere la caccia.".
Senza produrre il minimo rumore, si sollevò da terra con un movimento fluido, felino. Sorrise sinistro impugnando il suo arco lungo, ne saggiò la tensione della corda, ne accarezzò le curvature tipiche degli archi compositi, gli intarsi dorati sul legno blu, che splendevano alla luce delle stelle. Il suo alter ego non aveva mai capito fino in fondo il potenziale e la bellezza di quell'arma: per l’altro Leo, quello esterno, era solo un oggetto al quale si sentiva inspiegabilmente affezionato, ma per lui, che a logica avrebbe dovuto essere definito il Leo Interno, Zeus era di più. Era il suo compagno, il suo punto di contatto con la realtà, era l'unica cosa che gli permetteva di essere sé stesso. Sentiva di essere nato solo per uno scopo, la caccia, eppure aveva sempre pensato che senza Zeus, la sua calibratura perfetta, la sua potentissima magia del fulmine, e la sensazione del suo legno liscio tra le dita non sarebbe stato diverso da un qualunque volgare assassino. Leo Interno non uccideva: predava. Una familiare pressione sulle spalle gli confermò che la faretra dimensionale di Zeus funzionava ancora a dovere, materializzandoglisi addosso quando ne aveva bisogno, sempre ricolma di frecce dello stesso colore blu acceso dell'arco. Guardò i corpi dormienti di fronte a lui.
"Forse dovrei svegliarli uno alla volta e concedere a ciascuno un vantaggio." rifletté pensieroso, ma alla fine scosse la testa. "Così non c'è gusto, e poi ho promesso un combattimento leale alla piccola cacciatrice con la falce, e manterrò la mia parola. Poco importa: sgozzerò gli altri due e poi la sveglierò.".
Estrasse Scorpione dalla sua fodera appesa alla cintura. "Potrei anche solo avvelenarli e lasciarli guardare il duello." ponderò, prima di scuotere nuovamente la testa "Ah, la promessa. Lei deve morire per ultima. Pazienza, non si può volere tutto.".
Lentamente si accucciò di fianco a Miros, che dormiva a pancia in su, con il collo sottile esposto. "Addio, giovane con la lancia." recitò mentalmente prima di avventarsi su di lui. La lama dorata si fermò ad un soffio dalla giugulare.
"Maledizione!" impreco Leo in un urlo silenzioso al firmamento "Quell'imbecille dell’altro! Ha promesso di seguirlo e proteggerlo! Non posso ucciderlo, il suo onore è legato al mio!".
Preso dallo sconforto, si lasciò ricadere sulla sua coperta. "Tanto vale non uccidere neanche la tartaruga. Stupido!" si maledisse "Ci saranno altre occasioni, oh, se ci saranno. Per ora lascerò agire l’esterno, per spingerli a fidarsi.".
Scivolò sdraiato e si addormentò all'instante, mentre i pensieri di morte, rabbia e sangue venivano sostituiti da dolci sogni di laghi invisibili e sciocchi incantatori.
 
♠♠♠
 
Uno stelo di paglia le solleticò il naso, svegliandola e facendola sternutire. In quel preciso istante, Nori desiderò con tutto il cuore di non averlo mai fatto: uno spasmo di dolore le attraversò la spina dorsale e le fece pulsare le gambe, strappandole un gemito. Si guardò intorno, cercando di fare mente locale, ma fu del tutto inutile: l’edificio di legno in cui si trovava, sdraiata su di un morbido covone di fieno, era del tutto sconosciuto. Era però caldo e confortevole, e questo le bastava.
Timidamente, Nori sollevò la coperta di lana ruvida che la copriva, con le braccia che dolevano e tremavano ad ogni sforzo: non indossava più il complesso abito da combattimento degli Dei della Morte, al suo posto una casacca semplice, una tenuta da contadina, fatta di pelli conciate e fibre naturali. La coperta iniziò a pesare sui suoi muscoli dolenti ed indeboliti, e lei desistette dall'indagare perché le gambe le facessero tanto male.
«Dove mi trovo?» chiese al nulla con voce roca e bassa. I ricordi le affiorarono alla mente uno per volta. Il lampo di luce lungo quegli stramaledetti cavi, il boato della pietra che si sgretolava ed il calore delle fiamme sulla schiena. La sua reazione disperata, l'afferrare Nether per un braccio ed aprire un portale dimensionale: ci era balzata dentro senza indugio, e subito aveva percepito un'innaturale resistenza, un dolore tagliente diffuso in tutto il corpo, come se lo spazio interplanare si fosse cristallizzato in mille schegge acuminate che strappavano la carne dalle ossa e laceravano le membra. Poi l'impatto, duro ed improvviso, contro una superficie irregolare ed abrasiva, e la sensazione di essere catapultati indietro nel Piano Materiale con violenza selvaggia: si erano rimaterializzati all'aperto, a venti metri dal suolo, sospesi sopra una lunga scalinata che dall'uscita della galleria si affondava in un’ombrosa radura ai piedi della montagna, circondata da alberi che finalmente non erano pini. Se da una parte i gradini avevano reso più graduale la caduta, evitando a lei ed al necromante il salto nel vuoto, dall'altra le avevano sicuramente rotto qualche osso. Erano rovinati lungo tutta la scala, afflosciandosi al terreno una volta giunti all'ultimo gradino. L'ultima cosa che ricordava prima di svenire era che Nether, steso davanti a lei, aveva la fronte coperta di sangue. Ma respirava.
Fu solo in quel momento che si accorse di non riuscire a vedere in nessun angolo di quello che pareva essere un granaio il corpo del compagno, e fu presa dall'agitazione. D'un tratto, la voce affaticata del necromante risuonò alle sue spalle, dall'altro lato del covone.
«Ehi...Nori...» lo sentì mormorare «sei tu? Stai bene?».
«No.» rispose lei, sollevata «Sai dove siamo?».
«Nel granaio di un taglialegna, è passato prima a vedere se eravamo vivi. Ci ha raccolti con un carretto, era stato attirato dall'esplosione.» spiegò «Dice che questa è la seconda in due giorni, ma non ha idea di chi sia il responsabile. È un tipo tranquillo, anche se ha messo gli occhi sulla tua spada. Dice che la vuole come pagamento.».
Seguì una breve pausa, al termine della quale Nori udì una risata strozzata. «Ci pensi?» le domandò il necromante ridacchiando «Siamo vivi! Vivi! Ti devo la vita.».
Nori parve ignorare i deliri gioiosi del compagno. «Che ha fatto quello stronzo?» sibilò «Ephialtes non deve essere maneggiata da mortali indegni. Dove si trova adesso?».
Fece per alzarsi, ma il dolore alle gambe la spinse all'indietro con gemito. «Fai piano. Prima mi ha detto che non potrai camminare per settimane.» la avvisò Nether «Ho già preso accordi: domattina deve andare a Myrth per lavoro. Ha detto che ci porterà con sé, ma...».
Ridacchiò di nuovo, alternando colpi di tosse e spasmi di riso. «...ma gli ho chiesto di fermarsi qualche minuto ad un cimitero non lontano da qui per onorare un nostro parente.» completò «Non sospetta nulla.».
Nori sorrise. «Finalmente parli come un necromante normale.».




Cosa diciamo al dio della morte? Il titolo! Mi dispiace molto rovinarvi la suspance (ted: Spannung, ita: Saspens/Suspàns) già al capitolo dopo, ma le esigenze di cronologia sono impellenti.

Commento del Master: Miglior ruolata di sempre. A voi lettori potrà sembrare una cosa da poco, perché per mezzo dell'onniscente visuale del sottoscritto potete leggere tutti i POV contemporaneamente, ma la verità è che i giocatori non avevano davvero modo di sapere cosa fosse successo ai loro amici, e le  reazioni sono state epiche. In fondo, non sarebbe la prima volta che qualcuno è costretto a stracciare la scheda nel mezzo di una campagna, ma penso che anche i coloro che non hanno mai provato GdR possano concordare sul fatto che un conto è essere sconfitti da un drago gigantesco in un duello all'ultimo sangue, un altro è rimanere sepolti sotto metri di roccia franata. La cosa davvero divertente è che il pezzo di Nori e Nether è davvero stato ruolato per ultimo, e quindi, fino all'ultimo quarto d'ora neanche il master sapeva se fossero sopravvissuti o meno. Parlando di sopravvivenza... beh: benché fosse ormai chiaro che in qualche modo le vie interdimensionali sono bloccate, ho accettato che comunque l'aprire un portale permetteva di fare qualche metro, anche se ad un prezzo che la nostra Nori ha tutto da scontare. D'altronde, è una campagna ad alto potere, no? Le conseguenze degli errori sono sempre brutte.

Commento dei Giocatori: È impossibile descrivere con precisione il sentimento che si prova quando scopri che i tuoi alleati non solo sono morti, ma sono morti anche in maniera vana e stupida, e non per colpa loro. Se proprio vogliamo trovare qualcosa di buono in questo capitolo, possiamo dire che è un punto di snodo fondamentale nelle relazioni tra i vari pg: finalmente, dopo un evento drammatico ed inaspettato, il gruppo sceglie un leader nella figura della giovane mezzelfa Timis, che forse sente un po' troppo il peso del comando. Nether e Nori passano dall'odiarsi all'instaurare un profondo legame, che li terrà uniti in molte altre peripezie di gioco. Ed intanto Lia, dalla sua cella di, ormai si è capito, Myrth, mostra la sua natura anomala per il suo allineamento Caotico Malvagio, cercando un po' di compagnia in quello che è solo un inutile png. Ah, gli inutili png, certo... chi gioca di ruolo sa cosa voglio dire.

Bussola del lettore: Probabilmente, salterà all'occhio quasi come assurda la violenta reazione emotiva di Timis alla morte di due compagni. Insomma, lei non è abituata a trattare con la Morte in persona? Non sa che è una divinità gentile che non deve essere temuta ma rispettata? Non è il suo lavoro far restare morti i morti? la risposta è sempre sì, ma la giustificazione della ruolatrice è senza grinze. Timis ha diciannove anni, ma i mezzelfi hanno un'aspettativa di vita piuttosto lunga, e tendono a non essere considerati adulti prima dei 20-22 anni (contro i 15-17 degli umani che, su Pìthias, difficilmente superano i settanta), ma c'è di più: gli ultimi sei anni, ovvero gli unici di cui è davvero bramosa di tenere memoria, li ha passati nel corpo delle Falci Mietitrici, senza mai sviluppare altre relazioni umane che quelle con i suoi parigrado, sempre mantenute su un livello altamente professionale. Quando muore una Falce, la sua anima viene immediatamente accolta dalla Morte che la immette direttamente nel ciclo delle reincarnazioni, senza passare attraverso le complesse fasi di purificazione degli Inferi, quindi difficilmente si versano lacrime. La perdita di legami forti, instauratisi nel corso di pochi giorni, ha avuto un forte impatto emotivo su Timis, che si è vista anche caricare sulle spalle tutta la responsabilità del gruppo. E se proprio vogliamo fare anche i pignoli, c'è il serio rischio che non potendo le anime di Nether e Nori raggiungere altri Piani pe via del blocco si trasformino in spettri, diventando solo per la giovane mezzelfa dei bersagli da eliminare. Quindi non chiamatela piagnona.

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Capitolo 14
*** 14-Per Diana ***


Capitolo XIV: Per Diana

«Oh, beh, bentornata, me.» salutò Timis con una punta di ironia.
La morbida valle erbosa era di nuovo intorno a lei, con le torri del castello che svettavano alte nel cielo terso, bagnandosi del riflesso del sole sulle piatte acque del lago. Vestiva di nuovo la corta tunica bianca, e poteva sentire sotto i piedi nudi il terriccio grasso, piacevolmente fresco nel tepore estivo.
Si scosse nelle spalle. «Visto che sono qui.» borbottò rassegnata.
Non sapeva perché trovasse naturale parlare ad alta voce, come se ci fosse qualcuno ad ascoltarla: era più che altro una specie di istinto, una sensazione, per cui se ci fosse stato qualcuno, quel qualcuno avrebbe apprezzato la compagnia del suono della sua voce.
Si diresse verso i grandi portoni della fortezza. Da vicino, apparivano se possibile ancora più imponenti: due immensi battenti di legno scuro, rinforzati con pesanti borchie d’acciaio nero che costituivano un netto stacco con il bianco candore un poco ingiallito dal tempo delle pietre delle mura. Sulla sommità dell’entrata, in una posizione innaturale, un gigantesco chiavistello opaco sporgeva nel punto di giuntura tra legno e pietra, e nessun’altra serratura appariva visibile sul portone. Il tipo o le dimensioni della chiave che avrebbe potuto raggiungerlo o farlo scattare rimaneva un mistero.
«Deve esserci un’entrata…» mormorò tastando il legno indurito dagli anni. Le sue dita scivolarono rapide sulla superficie irregolare, alla ricerca di una fessura, una seconda serratura, un cardine, qualcosa che potesse indicare la presenza di una porta nascosta, ma invano: il legno sembrava comporre un unico, solido blocco, e la linea di congiunzione dei due battenti era tanto sottile da risultare pressoché impercettibile al tatto.
Sbuffò delusa ritraendo la mano. «Ovviamente…» mugugnò.
Cercò di stimare l’altezza delle prime strette feritoie che si aprivano nella pietra pensando di poterle raggiungere volando, ma abbandonò l’idea rapidamente quando si ricordò di non star indossando il mantello della Morte. Presa dallo sconforto dell’impotenza, si sedette sull’erba umida, con la schiena appoggiata alla porta. Sentì qualcosa di duro e aguzzo premerle contro il palmo della mano poggiato a terra, e raccolse con un gesto di stizza una pietruzza appuntita che la pungeva a tra i fili d’erba. Stava per lanciarlo lontano, quando improvvisamente fu folgorata da un’intuizione.
«L’ultima volta è andata così…» realizzò speranzosa «stavo lanciando un sasso.».
Stuzzicata dalla possibilità balzò in piedi di scatto, si voltò verso le porte, caricò il braccio e lanciò con tutta la sua forza il sasso. Con un rumore sordo, quello rimbalzò sul portone di legno, che non si degnò neanche di vacillare, e ricadde ai piedi di Timis.
La mezzelfa si morse il labbro, pensosa. «Oh, andiamo!» biascicò «Cosa manca? Il maestro? Potevo farlo solo quando lui era nel mio sogno? O è semplicemente un’idea stupida? Quando mi sveglio devo parlarne con…».
Il pensiero dei suoi compagni di viaggiò le fece crollare addosso i ricordi della giornata, che fino a quel momento erano stati come relegati in un remoto cantuccio della sua memoria. Resistendo alle lacrime, Timis si costrinse a darsi un contegno adatto ad una Falce Mietitrice, e raccolse la pietra con fare quasi solenne.
«Ma certo…» sussurrò rigirandosi il sasso nella mano. Sapeva cosa fare.
«In ambiente onirico, sono le emozioni a dominare la realtà,» citò a memoria da un vecchio libro della biblioteca della Morte «non la ragione o la volontà: non conta quanto fortemente si desideri che una qualche eventualità si verifichi, ma quali sentimenti ci spingono a desiderarla.».
Senza esitare oltre, Timis chiuse gli occhi ed iniziò a visualizzare una per volta le ragioni per cui voleva entrare in quel castello. I sensi di colpa, le umiliazioni subite, la stupida morte di due persone con cui, si rendeva conto solo ora, in pochi giorni aveva condiviso molto più di quanto pensava la colpirono con violenza nel profondo del suo animo, ma lei lasciò che semplicemente tutte quelle azioni montassero la rabbia nel suo petto, che fomentassero la sua ambizione ansiosa, come era accaduto la prima volta che aveva sognato, quando si era lasciata possedere dal’ira, dalla vergogna e dalla paura  ed infine sfuriò qui sentimenti scatenati nel suo braccio, che roteò scagliando forte la pietra contro la porta.
In mezzo al vortice delle sue angosce, Timis sorrise quando udì il ciottolo rimbalzare non sul portone di legno, ma con il tipico ticchettio riecheggiante di un sassolino che colpisce ripetutamente una superficie di pietra.
Riaprì gli occhi e si trovò al coperto, in un’immensa stanza candida ed ovaleggiante. Alle sue spalle si ergevano, chiusi, i grandi battenti neri del portone, mentre davanti a lei due rampe di scale ricoperte di tappeti candidi si arcuavano simmetriche lungo le pareti in due ampie anse verso una balconata centrale, affiancate da elaborati corrimani  della stessa pietra bianca intagliati con complessi fregi floreali. Il soffitto era alto e piatto, attraversato da travi di rinforzo dello stesso legno scuro e solido del portone, lievemente infossate verso il centro della stanza. L’ambiente era illuminato dalla luce che filtrava dalle alte e strette vetrate trasparenti che tagliavano le bianche pareti della camera ad intervalli regolari, benché a Timis le feritoie esterne fossero sembrate ben più piccole e rade. Il pavimento era candido anch’esso, attraversato dai sottilissimi contorni appena accennati di un disegno a forma di giglio uncinato. Nel centro della figura, ma anche in alto sul muro sopra la balconata, erano intarsiate in lettere maiuscole le iniziali puntate: U. S. O. K..
«Pregherò che la U. stia per Uukart.» sospirò Timis, affascinata dalla magnificenza dell’architettura, «Questo è un passo avanti, comunque. Ora non resta che…».
Una goccia. Due. Molte. Senza il minimo preavviso, nella grande sala iniziò a piovere dal soffitto. L’acqua sembrava materializzarsi appena sotto le travi, cadere verso il basso in una fitta cortina e dissiparsi ad un soffio dal pavimento, che poteva sentire asciutto sotto i piedi nudi.
Timis aprì gli occhi, questa volta per davvero. Intorno a lei il mondo reale appariva sfocato, come visto attraverso un vetro appannato. Faceva freddo. Avvolta nella sua coperta, si rigirò verso l’alto, solo per ricevere una grossa goccia di pioggia gelida in un occhio.
«Cazzo!» imprecò Miros vicino a lei «Qui piove a dirotto!».
Rimandando a più tardi i saluti ed i convenevoli, sgombrarono il campo in meno di un minuto, raccogliendo le coperte fradice e ficcandole a forza nelle sacche. Si rifugiarono sotto un pino, masticando un po’ di colazione mentre discutevano il da farsi.
«Non possiamo fermarci.» decretò Timis autoritaria «Questo è il terzo giorno: se non spiove entro dieci minuti ci muoviamo lo stesso.»
«Solo ieri sera il cielo era sgombro.» borbottò fradicio Miros adocchiando il cielo plumbeo «Non c’erano nuvole neanche all’orizzonte.»
«Siamo sulle montagne, amico,» spiegò Lupo, per nulla infastidito dalla pioggia, «le nuvole possono essersi formate qui. Però posso fare qualcosa.».
Detto questo parve pietrificarsi, con gli occhi fissi verso il cielo, come se avesse voluto trafiggere la coltre di nubi con lo sguardo. Con grande sorpresa degli altri tre, la pioggia cessò di cadere in meno di un minuto, ed i pesanti nembi che occupavano il cielo cominciavano a sfilacciarsi, rivelando l’azzurro della volta dietro di loro. L’effetto dell’incantesimo interessava un’area impressionante: nel giro di pochi minuti, che Leo, Timis e Miros trascorsero a bocca spalancata fissando il cielo, il sole prese a gettare i suoi primi pallidi raggi rossi dalle cime dei monti ovunque entro un raggio di quasi dieci chilometri, ampiamente sufficienti a ricoprire l’intera Valle del Pozzo, che appariva in tutta la sua scintillante bellezza mentre le gocce di pioggia cadute che imperlavano gli steli d’erba brillavano della rinnovata luce. In fondo alla valle, proprio nel punto dove le montagne ritornavano a stringersi, si distingueva nitidamente la figura di una città, con un anello di bianche mura di pietra ed edifici di marmo e mattoni. Il disegno regolare a ragnatela delle vie e delle piazze entro la cerchia delle mura spiccava alla vista senza stridere con il caotico andamento del dedalo di viuzze che la circondava, che si inerpicava su entrambi i crinali tra cui sorgeva la città, ed estendeva le sue propaggini urbane come lunghe dita intorno alla strada principale che conduceva al centro.
«Quella sarebbe Myrth?» domandò Timis incredula «Nether aveva parlato di un villaggio, pensavo che avremmo trovato un ammasso di casette di legno. Ci vivranno diecimila persone in quella città!»
«Era una cartina vecchia.» borbottò malinconico Lupo Grigio «Lui amava le carte antiche, le collezionava, e probabilmente quella aveva almeno quarant’anni.»
«Questo complicherà di molto la ricerca di Diana.» mugugnò la mezzelfa tra i denti «Come ha fatto la città ha crescere così in quarant’anni? Non c’è letteralmente niente in questa valle, e la cartina dice che era anche piena di orchi.»
«Quarant’anni fa era più piccola.» canticchiò spensierato Leo, appoggiandosi sulle spalle di Miros «Con tanti orchi. Poi è arrivato il drago, e Myrth è cresciuta.».
«Drago?» chiese il ragazzo, voltandosi allarmato, «Che genere di drago? Come fai a saperlo?».
Leo gonfiò il petto, fiero di essere utile. «Un drago. Mi hanno raccontato questa storia, una volta. Protegge la città, e in cambio gli danno un po’ d’oro. È un drago buono, mi hanno detto.».
Gli occhi di Timis brillarono. «Posso promettergli quanto oro vuole.» disse decisa «Gli chiederemo di aiutarci a cercare Diana. Andiamo.».
 
♠♠♠
 
«Attenta!».
Nether afferrò la Dea della Morte appena in tempo per un braccio prima che quella cadesse nel fango. Nori sputò per terra, bestemmiando tutte le divinità della salute che conosceva quando vide il rosso del suo sangue mischiarsi all’acqua della pozzanghera. La notte che avevano trascorso appoggiati ai due lati opposti del covone era stata una notte d’inferno. Alla fine Nori aveva trovato il coraggio e le forze di scostarsi le sue ruvide e rozzi vesti nuove quanto bastava per esaminare il pietoso stato in cui versavano le sue gambe: la sua pelle un tempo candida e liscia era ovunque solcata da tagli lunghi e profondi che si avvitavano a spirale sulle sue cosce secondo un preciso disegno geometrico. Tra li orli slabbrati delle ferite si insinuava una ragnatela di sottili segni neri simili a lividi lineiformi, che s’intrecciavano in una griglia poco rassicurante e dolevano da impazzire ogniqualvolta fossero anche solo sfiorati. Camminare, dunque, era divenuto  un’impresa titanica, anche se solo per il breve tratto fino alla porta del granaio, dove li attendeva masticando una pagliuzza con fare arcigno un vecchio dagli occhi piccoli e ravvicinati, curvo sotto il peso degli anni, ed accanto a lui un uomo più giovane, intorno ai vent’anni, con un’espressione strafottente dipinta su di un volto butterato da una qualche malattia della pelle. Il particolare che però bastava da solo a motivarla al punto da farle ignorare il dolore quasi insopportabile era la lunga spada nera, lievemente ricurva, che penzolava nel suo fodero color inchiostro al fianco del vecchio.
«Ephialtes…» mormorò pulendosi il mento sporco di sangue ed accettando l’aiuto del necromante. Questi, dal canto suo, aveva riportato gravi danni per la caduta dalle scale, ma il suo corpo acciaccato e pieno di lividi, tagli, abrasioni e fratture non riportava nulla di neanche lontanamente paragonabile alle bizzarre ferite della compagna.
«Tranquilla.» le sussurrò «Se arriviamo al cimitero il gioco è fatto.».
«Spiegami di nuovo perché non li uccidiamo ora e rubiamo il loro carretto.» sibilò lei tossendo, già sfinita dai pochi passi che aveva fatto.
«Perché né tu né io siamo nella condizione di camminare o di guidare un carretto.» le ricordò lui «E a dirla tutta non sono neanche sicuro ch conciati così riusciremmo a sopraffarli.».
Nori roteò gli occhi al cielo, ricominciando a tossire. Sputò nuovamente sangue, ma questa volta non smise di tossire dopo qualche colpo: avvertendo il familiare bruciore al petto, non poté fare altro che imprecare mentalmente e tastare inutilmente le tasche del suo abito alla ricerca di una delle sue fialette. Il pensiero la fulminò in un istante: tutte le sue scorte di medicinali erano nell’altro vestito. In preda al panico e con i battiti accelerati rivolse uno sguardo spaventato al necromante.
Quello fu rapido a capire, e cercò di pensare in fretta ad una soluzione.
“Deve averlo preso lui.” concluse rivolgendo al vecchio il sorriso più ampio che gli riuscisse.
«Per favore,» pregò infine, sperando di apparire convincente «la mia amica sta male. C’è una medicina nel suo vecchio vestito: dove l’avete messo?».
Il vecchio si grattò la barba ispida, incerto sul da farsi. Nether poteva leggere nei suoi occhi il calcolo minuto di quanto gli avrebbe fruttato la vendita delle pozioni medicinali al miglior offerente. Alla fine il vecchio uomo con un ghigno sinistro fece un cenno al giovane, che recuperò una fialetta di liquido verdastro da una piccola cassa sul carretto e la lanciò di malavoglia verso Nether, che la afferrò al volo più per fortuna che per prontezza di riflessi.
Rapidamente ne fece bere il contenuto a Nori, che aveva già iniziato ad ansimare senza controllo. Gli spasmi della crisi d’asma si calmarono istantaneamente, dando a Nori il tempo ed il respiro di scoccare occhiate d’odio verso i due boscaioli.
«Giuro che li apro in due appena recupero la spada. Si fottano la disciplina e l’etichetta di guerra.» biascicò appoggiandosi al necromante per rialzarsi e camminare.
Nether si sforzò di continuare a sorridere al vecchio mentre aiutava a sistemare la Dea della Morte sul carro. «Potrebbe restituirmi anche le altre fiale, per cortesia?» domandò gentilmente, impegnandosi al massimo per non apparire né minaccioso né inquietante come suo solito, «Potremmo averne bisogno, sa, per eventuali ricadute.».
Fu con estrema riluttanza che il vecchio acconsentì a cedere anche le altre dosi di medicinale al necromante sorridente, ma quando gli furono accennato anche gli altri loro effetti personali si limitò a girare il capo e spronare l’asinello che trainava il carretto, facendo ricadere Netehr all’indietro sul carretto ingombro di casse, al fianco dell’amica.
«Decisamente hai ragione:» borbottò con la voce strozzata per il dolore che gli procuravano le fratture in seguito all’urto «dobbiamo ucciderlo.».
 
♠♠♠
 
Lo studio era immerso nella calda luce di decine di candele fluttuanti, che sgocciolavano cera su tutto il pavimento. Le pareti erano assediate da castelli di scaffali ricolmi di pergamene arrotolate. Al centro della stanza era collocata una pesante scrivania in legno rosso, soverchiata dalle pile di fogli e carte che la ricoprivano. Su di una vecchia poltrona imbottita, sedeva intento a leggere una figura possente, avvolta in una lunga toga viola. La sua pelle era coperta di piccole e delicate squame bronzee, che scintillavano chiare alla luce delle candele. Sulla punta del muso allungato erano fissati due piccoli lenti da lettura, che conferivano un aspetto decisamente poco minaccioso al mezzo-drago, che ripose con cura la pergamena che stava leggendo.
«Vieni avanti, fratello.» disse un istante prima che qualcuno bussasse alla porta.
Subito dopo quella si aprì cigolando, e lasciando entrare un secondo mezzo-drago, decisamente più corpulento del primo, chiuso in una pesante armatura di piastre. Le sue squame erano grandi e spesse, ed i suoi occhi di una tonalità di verde più accesa di quelli del fratello.
«L’hai trovata, Coleos?» tagliò il nuovo arrivato, avvicinandosi al tavolo.
«No, purtroppo.» sospirò l’altro «Dovunque l’abbiano portata, hanno adottato misure anti-divinazione. È impossibile per me rintracciarla.».
Il mezzo-drago in armatura scosse la testa. «Maledizione!» imprecò pestando un piede «Questo farà di sicuro felice Celalia: quella maledetta non aspettava altro. Tu non puoi andare a parlare con nostro padre, vero?».
Coleos si aggiustò gli occhiali sulla punta del muso. «No, sai che non mi ha mai dato ascolto. Ed inoltre io sono quello che Celalia apprezza di meno. Non ci sono possibilità che mi faccia avvicinare.».
«Pensi che lei sia coinvolta?» azzardò l’altro dopo una breve pausa «Nella scomparsa di Diana, intendo.».
«Anche questa volta è no, Eldos:» rispose il fratello «Celalia vuole convincere nostro padre ad andarsene, e di sicuro sta sfruttando l’occasione, ma non credo che possa spingersi a tanto.».
Si alzò dalla comoda poltrona, e si avvicinò cautamente al fratello. «Per quanto riguarda la nuova prigioniera…» cominciò a sussurrare «Che abbiamo intenzione di…».
«Scordatelo.» ringhiò Eldos «Sono il capitando delle guardie di Myrth. È già un disonore abbastanza grande starmene qui invece di unirmi alle squadre di ricerca, non ti permetterò anche di toccare i miei prigionieri! Non mi importa quante possibilità ci siano che lei possa trovarla, io non…».
«Fratello,» lo interruppe l’altro «è per Diana.».





Uhm, realizziamo solo ora che il titolo sembra quasi un'imprecazione vecchio stile. Poco male, oggi ci sono buone notizie: la ruolatrice di Lia ha gentilmente informato il resto del party (adesso, al quattordicesimo capitolo) che esistono altri modi, oltre alle recensioni, di esprimere apprezzamenti per una storia. Sconcertati da questa verità ma messi di fronte all'evidenza, ci è sembrato necessario porgere le nostre scuse e ringraziare coloro che ci seguono (che opzione utile!), ovvero Destyno, FullMoonEris, Mouffie ed il già ben noto Ted Brandson. Davvero, Ted, non dovevi. Inoltre, una persona ha anche scelto di ricordarci, un po' come si fa con i cari estinti, ed il suo nome è Cygnus_X1. Ok, ora alle rubriche!

Commento del Master: Siamo finalmente alla quarta sessione! Dopo il disastroso finale della terza, vediamo finalmente un momento di distensione, interpretato in questo capitolo che chiamerei "di passaggio", anche se non è del tutto vero. Si ha finalmente la conferma che Timis è dannata a ripetere lo stesso sogno per un po', a questo punto, anche se sembra aver intuito la chiave per progredire in questa sua side-quest. Hihi, che meccanismo crudele. "Normale" amministrazione con Nori e Nether i quali, ed io all'inizio non ci avrei scommesso due lire, hanno finalmente e per primi iniziato a comportarsi come veri compagni di squadra. Un tipetto simpatico il vecchio, eh? Ma la vera domanda è: abbiamo introdotto due nuovi personaggi? Ancora? Non ne mancava solo uno? Qui devo tranquillizzarvi: Eldos e Coleos, i due fratelli mezzo-draghi sono PNG (Personaggi Non Giocanti), ovvero fanno parte di quel complesso spettacolo di marionette che il master allestisce per popolare il mondo. Questo vuol dire che, sì, la scena descritta per ultima è completamente inedita, i giocatori non l'avevano mai vista e rivela al lettore cose altrimenti avrebbe appreso solo tra qualche capitolo. In origine doveva essere una delle storie della tanto famosa quanto fantomatica collezione di One-shot, ma alla fine ho giudicato che fosse troppo corta, e l'ho inserita qui.

Commento dei giocatori: Se solo ci avesse letto quel pezzo inedito avremmo tutti avuto le idee più chiare, ma così è la vita. Eldos e Coleos sono due grandi png, ben costruiti, secondo noi, ed è bello vedere anche questo loro lato insicuro e privato, ma basta parlare di loro: Myrth! Finalmente abbiamo raggiunto l'area dove speriamo si svolgerà la quest, anche se siamo già a 2/12 giorni consumati. Il master ci tranquillizza dicendoci che anche in caso mancassimo il tempo limite la storia proseguirebbe, si alzerebbe solamente di molto il livello di difficoltà, ma in effetti queste parole non suonano molto tranquillizzanti. Nether e Nori, come ha già detto il master, sono lanciati in quarta, e si apprestano a guidare un'orda di non-morti verso Myrth, ma pensiamo che quello che più risalta in questo capitolo sia la durezza della vendetta del master per essersi fatto strappare la piccola concessione del portale: insomma, tutti (beh, in effetti solo i ruolatori di Nether e Nori) sapevamo che il salvarsi la vita avrebbe comportato qualche "punizione", ma nessuno immaginava la perdita dell'uso delle gambe. Perdita che, off-screen, si è rivelata non possibile da curare con la magia, quindi dovremo inventarci qualcosa. Per una classe prevalentemente marziale come quella di Nori non potersi muovere da sola vuol dire non poter combattere.

Bussola del lettore: Visto che si parla di studi in una bibiloteca della Morte, approfondiamo un po' il lungo cammino che deve intraprendere una Falce Mietitrice per potersi definire tale. Passo uno: accettare di servire la Morte e di dedicare la propria vita a questo scopo; passo due: fatto. Diventare una Falce non è complesso, solo piuttosto raro, visto che solo gli umani, assieme a pochissime altre razze, sono insignibili di questo titolo. Solitamente se si diviene Falci Mietitrici lo si diviene in giovane età: 15-18 anni sono la norma, e questo significa che Timis, tredicenne all'epoca, è un caso particolare a sé stante. Oltre che ad un rigoroso allenamento militare sul campo nell'uso dell'arma insolita ed esotica che è la falce, le giovani reclute vengono istruite dalla Morte stessa sui segreti dei cicli di vita e morte delle anime, sulle tipologie di non-morti e su tutte le tecniche di offesa e difesa per far fronte ai nemici della Morte. Tra questi, come abbiamo spesso ripetuto, figurano soprattutto i necromanti, di cui in realtà Nether non è un buon exemplum: solitamente, al contrario del nostro, i necromanti non sono così specializzati, ma sono semplicemente maghi, stregoni e talvolta persino chierici che possono animare i morti. Non è raro per un mago necromante essere anche esperto degli incantesimi di illusione, da cui il necessario studio dei metodi per destreggarsi nei sogni di cui Timis fa così buon uso in questo capitolo.

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Capitolo 15
*** 15-Presi ***


Capitolo XV: Presi

La ruota del carretto prese una buca, facendo sobbalzare violentemente gli occupanti. Ai piccoli gemiti di dolore che sfuggirono dalle labbra dei passeggeri posteriori il vecchio seduto davanti reagì incurvando le sue sottili labbra incartapecorite in un sorriso, e si lasciò sfuggire un sibilo rauco.
«Non reggerò ancora molto, con tutte queste scosse.» si lamentò sottovoce Nori «Sembra quasi che lo faccia apposta.».
«Probabilmente è così,» le bisbigliò il necromante in risposta «ma stai tranquilla: per quanto ricordo della cartina, c’è un vecchio cimitero in disuso in questa valle, e non era lontano dall’uscita del tunnel. Una volta che saremo giunti lì...».
«Tu non alzerai un dito su questi dannati ladri.» lo ammonì lei «Voglio essere io a tagliar loro la gola, e con quella stessa mia spada che ora porta al suo fianco.».
Nether ridacchiò. «Mi piace il tuo lato vendicativo, principessina, ma ti ricordo che fai fatica persino a camminare. Eccoti un’idea migliore: invece che lasciarli lì morti li riportiamo in vita e li usi come bersagli da allenamento per la riabilitazione.».
La Dea della Morte sorrise. «Sì,» ammise disinvolta «penso di poter approvare il tuo progetto, ma cerca di farli soffrire.».
Il suo volto si piegò in una smorfia di dolore quando le gambe iniziarono a far male senza motivo. «Per queste non puoi fare niente, però, maledetto chirurgo dei miei stivali, eh?» si lamentò «Fanno un male cane. Pensi che la magia del tuo amico possa…».
«Assolutamente sì.» rispose lui, sicuro di sé «Non ho idea di come tu te le sia fatte, o di cosa sia successo quando hai provato ad aprire un portale, ma penso che non siano un problema per i poteri di Waffle. L’unica cosa che posso consigliarti è di cercare di dormire un po’. Al tuo risveglio, avrai i tuoi bersagli.».
Nori si fece sfuggire un risolino, e chiuse gli occhi. Li riaprì un istante dopo. Era bastato un attimo, meno di un secondo. Non era neanche stato necessario invocare i suoi poteri per cercare attivamente le aure magiche vicine. La fonte di potere magico che scaturiva dal vecchio era tanto grande da eclissare completamente quella dell'amico steso di fianco a lei, e l’aveva colpita come un pugno nello stomaco non appena aveva svuotato la mente.
«Nether,» mormorò a voce ancora più bassa, pregando che il frastuono prodotto dal carretto malandato coprisse le sue parole «dobbiamo scappare. Alla prima occasione. Non abbiamo speranze, in queste condizioni.»
Il volto dell'altro si fece serio. «Cosa intendi dire?».
«Non ci sta portando al cimitero perché glielo hai chiesto.» rispose dando visibili segni di agitazione «Ci sta portando al cimitero per seppellirci. È un necromante, per tutti gli dei.».
«Allora, forse,» azzardò Nether dubbioso «potrei...».
«No.» lo interruppe lei perentoria «Non ci sarebbe scontro. È immensamente più forte di te. Dobbiamo scappare. Ha poteri troppo grandi e...».
«E un udito finissimo, Dea della Morte.» esordì il vecchio ridacchiando «Mi domandavo quando ti saresti degnata di notarmi.».
 
♠♠♠
 
«Aspetta…» il volto di Lia parve illuminarsi «vuoi dire che sono… libera?».
Il mezzo drago in armatura di fronte a lei le scoccò un’occhiata torva. «Per nulla.» grugnì «Ti dico subito che io non ero neanche d’accordo a concederti quello che mio fratello ti proporrà, ma ho acconsentito. Ti giuro, però, che un crimine grave come il tuo non verrà mai condonato neanche da cent’anni di servizio, non finché respiro, almeno!».
La donna si riafflosciò contro la parete. «Spiega da capo, allora. Non si capisce niente di quello che dici.».
Per una manciata di secondi, Eldos prese seriamente in considerazione l’idea di estrarre la sua spada e di disegnare un secondo rosso sorriso sul collo della prigioniera, ma la mano del fratello sulla sua spalla lo fece desistere.
«Quello che mio fratello ha cercato di spiegarti, seppur con ostilità, mancanza di rispetto, e scarsa maestria d’eloquio,» prese a parlare il mezzo-drago con gli occhiali dietro di lui «è che stiamo vivendo una grave emergenza, e che la tua abilità nel rintracciare le persone potrebbe risultarci utile. Non possiamo prometterti la libertà, ma di certo concorderai con me quando affermo che in una città tanto grande e ricca esistono anche alloggi più confortevoli di questa squallida cella, magari senza la necessità di paglia sul pavimento e con tre pasti al giorno serviti regolarmente.».
Lia inclinò la testa. Le piaceva come le parlava quel tipo. Il suo tono di voce era tutto l’opposto di quello del fratello: se quello si esprimeva sempre con frasi brevi, magari talvolta allungate da fastidiose imprecazioni e frasi fatte, ed era schietto, lapidario, inflessibile, il mezzo-drago con gli occhiali aveva una voce melliflua, suadente, che diceva una cosa e ne lasciava intendere altre mille, facendo anche intuire che fossero dirette solo alla mente acuta che le avrebbe sapute cogliere. Per la prima volta da quando l’avevano catturata, Lia sentiva la sua dignità di essere senziente rispettata. Sorrise di rimando alla chiostra di zanne biancastre che il mezzo-drago chiamato Coleos aveva spiegato e tese mollemente le mani incatenate in avanti.
«Cominciamo con queste, magari?» domandò civettuola «Poi potremmo discutere di quest’offerta con più calma.».
Coleos fece segno al fratello di aprirle i ceppi ai polsi, cosa che quello fece con evidente riluttanza, e non prima di aver allentato il laccio di sicurezza che legava la sua spada nel fodero. «Quello che noi proponiamo» cominciò a spiegare aggiustandosi gli occhiali sul muso allungato «è un semplice servizio di ricognizione ed eventuale recupero in un raggio breve, diciamo entro mezza giornata di marcia, o un’ora a cavallo. Vai, trovi, recuperi, ritorni, e al tuo ritorno dormirai su un vero letto, quello della camera nel palazzo ducale che già ha il tuo nome sulla porta.».
A quelle parole, Eldos si inalberò infuriato. «Dove?» ruggì mentre il fratello roteava gli occhi infastidito «Dove hai detto che la sistemerai? Ti rendi conto di cosa vai blaterando?».
Coleos sospirò. «Nel palazzo ducale.» ribatté acido «Nello stesso edificio dove al momento alloggiamo tu, io, nostro padre ed anche Celalia, ovvero quattro creature contro le quali lei è meno che inerme, tre delle quali sono in grado di soggiogarla fisicamente, ed una non alimenta lo stereotipo dei rettili ottusi. Il posto più sicuro in tutta Myrth.».
Il mezzo-drago armato fissò il fratello per interminabili istanti, cercando di trovare una grinza nel suo ragionamento, ma alla fine grugnì, sconfitto, e si ritirò in un angolo della cella, facendo dardeggiare gli occhi verdi carichi d’odio verso Lia, che sentì un brivido correrle per la spina dorsale. La donna aveva prestato molta attenzione alle parole del mezzo-drago, ma dissimulò il suo interesse strofinandosi i polsi indolenziti finalmente liberi dalle catene. Fece passare una lunga pausa prima di rispondere, gustandosi l’impazienza sul volto del capitano delle guardie, fino a che non generò una scintilla dal suo avambraccio, lasciando che l’elettricità risalisse lungo il profilo affusolato delle sue dita e schioccasse tra il pollice e l’indice, disperdendosi nell’aria.
«Cosa stiamo aspettando?».
 
♠♠♠
 
L’atteggiamento del vecchio era radicalmente cambiato da quello di poche ore prima. Non riuscendo più a contenersi, aveva abbandonato la maschera arcigna ed incattivita con cui li aveva accolti sul carro, ed i tratti incartapecoriti del suo volto si erano distesi in un’espressione gioviale, ed aveva iniziato a ridere quasi sguaiatamente. Nonostante ciò, era fin troppo chiaro che le sue intenzioni non fossero delle migliori, e Nether e Nori, accovacciati uno contro l’altra a tremare tra due imponenti bauli non dovettero attendere molto prima che il vecchio iniziasse a parlare chiaro.
«Dunque, iniziamo con le presentazioni:» cominciò schiarendosi la gola quando ebbe finito di ridere «il mio nome… è un nome orribile. Preferirei che voi mi chiamaste Mangiavermi, è un appellativo più simpatico, e questo giovinotto qui di fianco a me potete chiamarlo Mancino. Chi siamo noi? Oh, beh, dopo gli ultimi avvenimenti, non posso che dire: gli uomini più fortunati del mondo!».
Scoppiò di nuovo a ridacchiare, e finse di asciugarsi una lacrimuccia dalla guancia, mentre si ricomponeva. «Tranquilli, ora vi spiego.» riprese, sforzandosi visibilmente di mantenere la sobrietà «Io e il mio amico qui siamo mercenari, capite? Lavoriamo per chi ci paga, e siamo molto richiesti per i compiti di infiltrazione. Ovvio, no? Chi mai vorrebbe un vecchio decrepito ed un giovinotto acnoso come soldati? Non potremmo fare altro, ed infondo ci pagano bene. Questa volta, purtroppo, benché la paga sia anche migliore del solito, il compito che ci hanno affidato è particolarmente fastidioso. Non impossibile, anzi, è piuttosto semplice. È fastidioso, ecco tutto. Penso che non ci abbiano dato tutte le informazioni del caso, e io sono una  persona che odia lavorare al buio, ma sfortunatamente sono richieste precise abilità di necromanzia, che pensavo di possedere solo io, in questa dannata valle. E quando orma i mi sono rassegnato a compiere questo sporco lavoro cosa accade? Un necromante ed una Dea della Morte piovono dal cielo! Hehe, non vi eravate accorti del blocco dimensionale?».
Mangiavermi agitò una mano quando vide Nether aprir bocca per rispondere, come a dire che non gli importava davvero di conoscere l’intera storia. «Insomma, come ho detto non è difficile: nel cimitero c’è un piccolo mausoleo con un’unica, piccola cripta sotterranea. L’obbiettivo è recuperare una piccola tavoletta incisa da una precisa, piccola tomba. Nah, la tomba è normale, no piccola, scherzavo, era per mantenere l’anafora. Comunque è tutta roba che un necromante è abituato a fare, no? Da manuale, praticamente. Ora, indovinate un po’ qual è la mia idea.».
Di nuovo non lasciò spazio a risposte od obiezioni. «Esatto, lo farete voi al posto nostro. In cambio, non vi uccideremo, chiaro? Bene. Grazie della collaborazione.».
Nori non aspettava altro che un’occasione per ribattere. «Io non posso neanche camminare.» protestò timidamente «Non ce la faro mai a scendere una scala senza uccidermi.».
Il vecchio stirò le sue labbra sottili in un largo sorriso. «Mia cara,» rispose con falsa premura «ho ucciso decine di Dei della Morte, so che potete abbandonare il vostro corpo. Tranquilla, ci sarò io a fare la guardia. Diciamo che sarà il mio pegno di garanzia.».
Non passò molto prima che lo stretto sentiero sterrato attraverso la rada foresta si fermò davanti ad un vecchio cancelletto di legno, su cui si distinguevano ancora tracce di antichi intarsi decorativi, ma che l’usura e l’azione del tempo e degli elementi avevano ormai reso simile ad un’alta staccionata. Dopo che il giovane uomo conosciuto come il Mancino ebbe armeggiato un poco con il vecchio catenaccio arrugginito che chiudeva il passaggio, il cancello si aprì strisciando per terra, e spazzando via la fitta ghiaia grigia che ricopriva come un tappeto la strada dietro di esso. La via che avevano preso riprese quindi ad inerpicarsi sul crinale della montagna. All’altro capo della vallata, Nether e Nori potevano scorgere l’agglomerato urbano che doveva per forza essere Myrth.
“È così vicina…” pensò il necromante mordendosi le labbra.
Più vicino ancora, però, si notava una seconda traccia della presenza umana: oltre il crinale di un ramo della montagna, che si allungava nella valle come la tozza coda di una gigantesca creatura, si distingueva un piccolo cimitero. Era un sito antico, che mostrava i segni dell’abbandono ed occupava un’area modesta. L’unico vero edificio era un piccolo mausoleo di pietra bianca, con un’unica esile guglia che si ergeva impertinente a svettare sulle tombe circostanti. Le lapidi si contendevano con l’erba alta almeno un metro tutto lo spazio disponibile, ed in molte zone, specialmente vicino al basso muretto ricoperto d’edera che circondava il cimitero, non era chiaro se fossero rocce o steli funebri ad emergere dalla fitta vegetazione.
Mangiavermi ridacchiò, indicando il cimitero con un dito ossuto. «Molto bene, giovani!» esordì tossicchiando «Siamo finalmente arrivati alla meta. Ora, voglio dirvi un paio di cose su ciò che dovete fare: vedete l’unica costruzione degna di questo nome, no? Ecco, è lì che dovrete entrare.».
Trasse un foglietto dalla tasca del suo abito. «Ecco, stando alle mie direttive, la tavoletta da rubare si trova in una tomba nella cripta. Dovrete scoperchiarne un po’ per trovare quella giusta, ma non abbiamo fretta. La trovate, la prendete, e la riportate su. Facile, vero? Bene. Ci sono domande?».
«Solo una.» rispose Nether guardando con un misto di disprezzo e timore il vecchio seduto davanti «Se è così facile, perché non vai tu? Di cosa hai paura?».
Mangiavermi si leccò le labbra. «Superstizione, figliolo. Superstizione.».
 
♠♠♠
 
«Uh. È più bella vista da lontano.» commentò Miros inclinando la testa di fronte al singolare spettacolo che li aveva accolti davanti alle porte di Myrth. Si erano appena addentrati nei sobborghi esterni alle mura attraverso la via principale, un’imponente strada lastricata abbastanza larga da permettere il passaggio di due carri affiancati, dalla quale si poteva già intuire la maestosità della cinta muraria che si intravedeva alla fine della via, quando si erano imbattuti nell’ultima cosa che si sarebbero aspettati.
«Woah,» esordì Lupo Grigio «un muro di terra. Perché c’è un muro di terra sulla via principale?».
Timis si avvicinò cauta. «È solo un ipotesi,» azzardò «ma ha la forma di un terrapieno, una barricata d’emergenza.».
«In ogni caso,» annunciò Miros avvicinandosi al muro «non è affatto difficile da superare. Io passo di là.».
Balzò agilmente verso l’alto, aggrappandosi alla sommità del muro e si issò finché non fu in piedi sul terrapieno a scrutare dall’altro lato. La via proseguiva rettilinea fino alle vere mura della città, ed era assurdamente vuota. Le imposte delle finestre che si affacciavano sulla strada erano state sprangate alla buona, alcune con assi di legno rozzamente inchiodate, altre barricate con semplici sbarre di ferro saldate insieme in malo modo ed incurvate per incunearsi nelle pareti.
«Ehi!» Miros si girò per parlare agli altri «Non c’è nessuno in questa città, sembra che si aspettino un attacco da un momento all’altr…»
«F-f-ermatevi!» gridò una voce sottile proveniente da chissà dove «Non potete entrare a Myrth! La città è in blocco!».
Timis si arrampicò al fianco di Miros, cercando con gli occhi la guardia nascosta.
«Non abbiamo cattive intenzioni.» gridò sperando di essere sentita «Vieni fuori, non ti faremo del male. Stiamo cercando una persona.».
La voce tacque, e per un momento Timis pensò che se la fosse data a gambe, ma poi ritornò, ancor più tremante di prima. «Non v-vi credo.» balbettò «Che siete venuti a fare a Myrth?».
«Dobbiamo parlare di Diana con il drago.» trillò la voce di Leo Noah prima che gli altri avessero anche solo l'opportunità di fermarlo «Dobbiamo fargli un'offerta, è importante. Sono sicuro che ci vorrà ricevere.».
L'elfo gonfiò il petto, gridando con quanto fiato aveva in corpo. «È una questione di vita o di morte!».
La guardia nascosta tacque di nuovo, ma tutti sentirono chiaramente il rumore sferragliante che produce un uomo che corre in un'armatura male oliata.
«Non staremo qui ad aspettare che una guardia ci lasci passsare un muretto di terra.» sbottò Timis dopo che il clangore fu svanito nella distanza «Entriamo, le mura sono proprio davanti a noi. Se questa città è protetta da un drago che non vuole aiutarci, quel drago è inutile, quindi dobbiamo parlare con lui il prima possibile. Abbiamo un conto alla rovescia in corso.».
Percorsero guardinghi la larga via lastricata fino alla base delle mura, gettando occhiate sospette alle imposte sprangate che tappezzavano come grandi quadri le pareti delle case. In ognuna della miriade di viuzze laterali che permettevano di reintrufolarsi nel dedalo della città esterna, che la via principale tagliava dritta concedendo respiro alle case che la delimitavano, si potevano distinguere barricate di vario genere. Alcune erano solide costruzioni in muratura, con la malta messa di fretta che colava tra gli interstizi dei mattoni, altre erano più che altro un ammasso di mobili e sacchi di iuta pieni di terriccio e forse sassi, gettati uno sull'altro senza un ordine ben definito. In ogni caso, era chiaro che la città si stava preparando a reggere un assalto, se non addirittura un assedio.
Timis si sforzò di non pensare alle cause che potevano aver scatenato una simile reazione, e di concentrarsi solo sul delicato compito di infiltrarsi in città per raccogliere quante più informazioni possibili, ma la tensione che aveva avvolto l'aria da quando avevano superato il terrapieno rendeva estremamente complesso non farsi domande. Infine, immersi in un grave silenzio, giunsero davanti a i pesanti portoni borchiati che chiudevano l'accesso alla città interna.
Miros parlò per primo. «Bene,» cominciò guardando dubbioso i merletti che si stagliavano contro il cielo terso «come entriamo adesso? E poi, una volta dentro, cosa dovremmo cercare?».
Lupo Grigio si divincolò dagli orli della borsa e cadde a terra, trasformandosi nel grosso lupo argentato. «Un problema alla volta, amico.» disse piano «Di solito c'è una porta secondaria vicino ai cancelli, ma penso che la troveremo chiusa.».
«Se foste solo tu e Miros,» chiarì Timis «potrei sollevarvi volando uno per volta e portarvi dall’altro lato, ma non ci sono possibilità che riesca a far entrare anche Leo, è troppo pesante».
Si morse il labbro. «Un'alternativa potrebbe essere quella di separarci,» propose poco convinta «ma non penso che sia una buona idea, visto come è andata l'ultima volta. Quindi, Leo, se potessi aspettarci fuori per una notte noi...».
Prima che potesse finire la frase, i grossi cardini ben oliati del portone emisero un suono sordo, mentre i pesanti battenti si schiudevano verso l'esterno. Non appena si fu creato uno spiraglio sufficientemente largo, una doppia fila di guardie in armature d'acciaio uscì fuori correndo, ed aprendosi in due ali ordinate per circondarli da ogni lato. Miros afferrò il falcione dalla fibbia sulla schiena, mentre Timis evocava la falce e Leo incoccava l'arco con una coppia di frecce azzurre estratte da una faretra apparsa magicamente sulle sue spalle.
«Aspettate, amici!» gridò la vocetta acuta di Lupo Grigio inerpicandosi fuori dalla bisaccia dimensionale e riacquistando la forma di lupo «L'idea era quella di entrare, uscire e di fare un lavoro pulito. Abbassate le armi, cerchiamo di parlare.».
Miros vacillò, distorcendo il volto in una smorfia di vergogna. «Uhm, eh... tu-sai-chi mi dice di dirti di andare a farti fottere.» balbettò imbarazzato al druido «Mentre da parte mia, ti dico solo che la tua è una visione un po' troppo ottimistica delle cose.».
L'anello di guardie si strinse intorno a loro. Le calotte dei loro elmi erano abbassate, ma tenevano le lunghe alabarde in resta, senza dare l'impressione di voler attaccare.
«Voi tre.».
Una voce profonda tuonò dall'interno delle mura. In piedi sulla soglia delle porte della città si stagliava l'imponente figura di un corpulento soldato in armatura. Svettava una spanna sopra tutti gli altri, e la luce del sole che gli colpiva le spalle faceva rilucere di riflessi verdi l’elsa di una lunga lama che pendeva al suo fianco in un fodero di pelle. I tratti del suo viso, rivelati dalla celata dell'elmo sollevata, erano tutt'altro che umani: un volto serpentesco, da rettile, con la pelle formata da larghe squame bronzee incuneate come tegole l'una sull'altra, con le punte lievemente rivolte verso l'esterno si allungava sopra un muso triangolare, tagliato da poderose fauci senza labbra irte di larghe  e piatte zanne triangolari. Le narici erano ridotte due fori sulla sommità del muso, mentre gli occhi ardevano verdi in fondo a due orbite infossate sotto l'arcata sopraccigliare crestata.
«Anzi,» si corresse il mezzo-drago in armatura accennando a Lupo Grigio «voi quattro. Il cane ha ragione, deponete le vostre armi, siete in minoranza. Siete voi che avete detto a questa guardia di voler parlare con mio padre di Diana?».
Solo allora notarono la sparuta figura di un giovane ragazzo, appena dell'età di Miros, che indossava un'armatura ben meno splendente, nascosta dietro il grande guerriero. Riluttanti, seguirono l'ordine impartito ed abbassarono le armi, dichiarando la resa.
«Ascolti,» provò a spiegarsi Timis «avevamo intuito di non essere i benvenuti, ma...»
Il cavaliere non le diede il tempo di finire, e la zittì con brusco gesto della mano. «No, non lo siete.» rispose secco «Specialmente per il fatto di esservi presentati due giorni prima di quanto pattuito. Avrei dovuto aspettarmelo, da gente come voi.».
Timis mise le mani avanti. «No, aspetti, c'è stato un...».
«Silenzio!» tuonò il mezzo-drago perentorio «Parlerete solo se interpellati, e solo dopo che vi avremo preso le armi e vi avremo scortato al palazzo ducale. Fino ad allora, io sono Eldos, capitano delle guardie di Myth, e voi siete i miei prigionieri.».






Eccoci con il capitolo della settimana. Il quindicesimo, eh, un bel traguardo. Speriamo che fino ad ora la storia vi abbia interessato.

Commento del Master: Accidenti, eh? Nel capitolo scorso si pensava che le cose ormai andassero a gonfie vele, ed ecco che entrambi i gruppi vengono in qualche modo catturati. Devo dire che la parte più divertente è stata rollare con nonchalance il dado per il tiro di Percepire Intenzioni di Nori (abilità su cui si basa il suo potere razziale di percepire il magico) e comunicare alla sua rolatrice quello che aveva percepito, per poi vedere la sua espressione mutare dal divertimento sadico al terrore di morire. La verità è che il personaggio di Mangiavermi, con la sua utile quanto loquace spalla Mancino, era stato inizialmente pensato per fasi successive della partita, ed i pg avrebbero solo dovuto incrociare un vecchio boscaiolo con il suo nipotino appresso mentre uscivano dai tunnel, ma visto che il destino ha voluto diversamente, ho voluto io adattare i miei piani alla nuova problematica situazione: risultato? Nori e Nether hanno ricevuto il primo soccorso che necessitavano, ma per lo meno lo strappo alla regola per farli sopravvivere non è stato gratuito per nessuno dei due. Finalmente invece, nell'altro gruppo, si entra fisicamente nella città di Myrth, dove è stato divertente vederli interagire con in gli altri png.

Commento dei Giocatori: Il master si diverte, noi tremiamo. Fine.

Bussola del lettore: Oggi, ci limiteremo a dare qualche dritta sui mezzi-drago. In primis, non siamo veramente sicuri se si dica mezzi-drago o mezzo-dragh; in teoria è più corretta la prima, ma se avete fonti che indicano il contrario fatecele presenti, per favore. Tornando a noi, è solitamente un canon del fantasy che di draghi possono assumere la forma di un qualsiasi umanoide medio, e di conseguenza generare prole fertile con la maggioranza degli esseri intelligenti che esistono, senza problemi di disparità anatomiche. La differenza che noi abbiamo introdotto è che il drago non modifica liberamente il suo aspetto come in questo canon, ma è tenuto a mantenere le stesse sembianze ogni volta che si trasforma nella stessa razza, sembianze che gli vengono assegnate naturalmente alla nascita, e che non possono essere modificate se non dal suo invecchiamento naturale o da un incantesimo lanciato da terzi. Oh, se ve lo state chiedendo, Eldos e Coleos sono mezzi-drago figli di un drago di bronzo, da cui hanno ereditato l'immunità all'elettricità. Quindi Lia se la cava moooolto male.

 

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Capitolo 16
*** 16-Oltre la porta ***


Capitolo XVI: Oltre la porta

Dopo che il drappello di uomini armati li ebbe costretti oltre le porte della città, né lamentele, né appelli al buon senso né spiegazioni o insulti avevano sortito il benché minimo effetto sul passo di marcia che il mezzo-drago presentatosi come Eldos aveva imposto allo squadrone. Sfilarono attraverso una griglia ordinata di vie perpendicolari lastricate con larghe pietre bianche. All’interno della cerchia delle imponenti mura merlate la città rivelò di non essere completamente deserta e abbandonata: dai lati delle strade una discreta folla di persone vestite con abiti semplici, per lo più donne e bambini, li fissava con grandi occhi carichi di odio e sospetto. C’era vita nelle case, ed il clangore delle alabarde, unito al passo ritmato delle guardie, annunciava con largo anticipo il passaggio della scorta armata, e spingeva tutti i cittadini ad ammassarsi sui balconi. Da ogni finestra, vecchi bisbigliavano ai nipotini additando il centro del corteo, dove venivano fatti sfilare i prigionieri, privati delle loro armi. Miros si guardava intorno, nervoso, desiderando improvvisamente di avere tra le mani il suo falcione, per aggrapparvisi.
«Non ho mai visto tanta gente tutta insieme.» bisbigliò cercando di non pensare alle decine di pupille che sembravano volerlo trapassare.
“Dovresti vedere da dove vengo io, allora:” la voce di Loreth cercava di suonare tranquillizzante, ma un certo tremore nervoso tradiva la sua agitazione “l’Abisso è piuttosto affollato. Una schiera simile entra dai Rossi Cancelli ogni ora.”.
“Questo non mi aiuta, al momento, sai?” le rispose lui sottovoce, scegliendo di continuare il dialogo nella mente “Piuttosto, secondo te cosa vogliono da noi?”.
Loreth parve inasprirsi. “Niente, da  noi niente. Oh, andiamo, è ovvio che ci hanno scambiato per qualcun altro. Il problema sta tutto nel capire quanto odiano quel qualcun altro. Se le cose si mettono male, molla tutti e scappa, dovremmo riuscire ad aprirci una via.”.
Miros sospirò, sollevandosi sulle punte mentre camminava per provare a sbirciare più avanti, oltre le spalle di Timis, che camminava qualche metro di fronte a lui, fino alla mastodontica schiena del capitano della guardia.
Si sentì afferrare sotto le ascelle. «Vuoi che ti prenda in spalla, maestro?».
Si voltò per guardare in faccia Leo Noah che gli restituiva un sorriso fiducioso. «No,» disse, scrollandosi di dosso le mani affusolate dell’elfo «non mi pare il caso.».
Tacque per un istante, specchiandosi nelle acquose iridi rosse che lo fissavano placide dall’alto. «Ma come fai ad essere così tranquillo?» chiese infine sussurrando al compagno di viaggio.
Gli occhi di Leo si riempirono d’orgoglio, e la sua voce assunse lo stesso tono serio di quando lo aveva scelto come suo maestro. «Uno dei miei vecchi mentori, prima di svegliarmi un giorno e trovarlo decapitato, mi aveva detto che è nei momenti più bui che un allievo deve chiudere gli occhi e porre fiducia nelle indicazioni del suo maestro. E io ho fiducia in te.».
“Indovina un po’ che fine siamo destinati a fare se stiamo con lui.”.
Miros rimase a metà tra il colpito ed il turbato. «Sai, Loreth,» si lasciò sfuggire ad alta voce «tolta la velata allusione all’omicidio inconscio, ha avuto più tatto di te.».
Leo riassunse all’istante il suo sorriso ebete. «Con chi parli, maestro?» chiese curioso «Hai le voci nella testa?».
«Sì,» ridacchiò il giovane umano picchiettandosi la fronte «un’amica, magari un giorno te la presento.».
L’elfo parve rilucere dalla contentezza. «Non ci credo, maestro!» si esaltò lanciando un urletto «Anch’io sento una vocina, a volte!».
Il sorriso sul volto di Miros si incrinò. «Ti prego, non farmici pensare.».
Leo gongolò dondolandosi mentre camminava. «Io vedo sempre me stesso quando mi parla, e la sua voce somiglia alla mia. Com’è la tua amica? È bella?».
Prima che Miros potesse anche solo pensare ad una risposta, il capitano delle guardie, che fino ad allora era rimasto in silenzio ad ignorare le tartassanti proteste e domande di Timis, gridò l’alt. Il drappello si arrestò di fronte ad un maestoso edificio, la cui facciata trionfava su quella che sembrava essere la piazza centrale della città. Il lastricato qui si evolveva in complesse forme geometriche concentriche tracciate con pietra verde sulla pavimentazione bianca comune alle strade laterali. Al centro, una fontana bronzea raffigurava un drago inarcato che gettava zampilli d’acqua dalle fauci spalancate verso il cielo. La facciata del grande edificio riprendeva il modello della piazza, alternando larghe fasce bianche orizzontali con più sottili righe verdi, interrotte da un filare di finestre alte e sottili, culminanti con archi a sesto acuto. Il portone era interamente coperto di bronzo lucido ed era istoriato con scene guerresche, dove si ritraeva un enorme drago alato mettere in fuga orde di orchi dalle porte della città.
«Aspetterete nell’ingresso.» grugnì il capitano facendo segno a due sentinelle di spalancare i battenti «Sarete individualmente perquisiti ed interrogati. Se valuteremo adatto qualcuno di voi, mio padre lo riceverà. Sempre che non ci diate motivo di uccidervi.».
Senza che fosse loro data la possibilità di replicare, furono introdotti in un ampio cortile ciottolato, e lì fu intimato loro di sedersi su una consunta panca di granito che correva lungo le pareti, alla massima distanza possibile l’uno dall’altro.
Soltanto per un battito di ciglia, Timis vide balenare ad una finestra al secondo piano che si affacciava sul cortile due luminosi occhi verdi, che risaltavano netti nella penombra in cui pareva immersa la camera. Non appena i loro sguardi si incontrarono, chiunque fosse affacciato si voltò di scatto e si defilò dove la vista di Timis non poteva seguirlo.
«Tu.» sentenziò una guardia vicino a lei «In piedi. Sarai la prima ad essere interrogata.».
Due uomini magri ed allampanati, dentro ad armature decisamente troppo larghe per loro, la afferrarono per le spalle e la spinsero al centro del cortile, e poi dentro una piccola porta lignea sul lato opposto al grande cancello. La guidarono per un lungo corridoio con le pareti tappezzate di quadri di ogni genere alternati ad elaborati reggifiaccole, fino a che non imboccarono una stretta deviazione a destra attraverso un angusto ingresso chiuso da un chiavistello. Oltrepassata la grata che chiudeva la via, compirono numerose svolte, e salirono e scesero infinite scalinate anche quando non sembrava essercene alcun bisogno, tornando più e più volte in luoghi tanto somiglianti che Timis iniziò a supporre che stessero semplicemente girando in cerchio.
"Stanno provando a disorientarmi?" pensò guardando con più attenzione gli uomini in armi: i due uomini somigliavano a molte cose, ma non certo a delle guardie cittadine, e tremavano, tremavano al punto che Timis era pronta a giurare che non fosse solo per lo sforzo di sopportare il peso di un'armatura troppo grande.
"Per chi diavolo ci hanno scambiato?" si chiese rinunciando infine a prestare attenzione alla strada.
Dopo qualche minuto passato a girovagare, si fermarono di fronte ad una porta, davanti alla quale Timis era quasi sicura che fossero già passati almeno tre volte. Le guardie si guardarono negli occhi titubanti per un istante prima di spalancare la porta di scatto e scaraventarvi dentro la mezzelfa, per poi richiuderla con un sonoro schianto. Timis fu abbastanza agile da non cadere a terra aggrappandosi allo schienale di una piccola seggiola storta che vide avvicinarsi al suo naso ad una velocità preoccupante mentre incespicava, accostata ad un tavolo vuoto se non per una piccola sfera di vetro. Dall'altra parte della stanza stava in piedi, come incastonato nella sua armatura, il capitano delle guardie.
«Siedi.» la voce del mezzo-drago risuonò cupa e profonda «Che cosa volete?».
«Ascolti,» provò a rispondere «ci deve essere stato un malinteso, noi...».
«Smettila!» la interruppe l'altro ruggendo «Basta menzogne! Voi servi di Onkno o come diavolo si chiama non avete fatto altro che nascondervi dietro menzogne! Avevate detto cinque giorni, e ne sono trascorsi solo tre. Perché siete tornati? Che avete fatto a Diana? Che cosa è cambiato?».
Timis si rese conto di stare tremando. "Con calma..." si disse mentre traeva un lungo respiro.
«Non so cosa siano i servi di Onekno, e vi giuro che non c'entriamo niente.» cominciò a spiegare timidamente «Noi stiamo solo cercando Diana, ci manda...».
Si bloccò, ed Eldos la trafisse con lo sguardo, facendola tremare di nuovo. «Vi manda... chi?» domandò scandendo lentamente ogni parola.
Timis deglutì: ad un secondo esame, l'idea di dire "ci manda la Morte" non suonava più buona come pochi istanti prima.
Il capitano perse la pazienza. «Vi manda... chi?» ruggì ormai fuori controllo «Ascolta bene, piccola ragazzina: nella stanza a fianco a questa conserviamo un gran numero di strumenti di tortura. Non vengono utilizzati da quarant'anni, ma ti garantisco che se non cominci a parlare ora e adesso romperemo quest'usanza.».
Sbatté la sua pesante spada sul tavolo. «Chi. Vi. Ha. Mandati.» scandì lentamente, con gli occhi smeraldini che bruciavano come tizzoni ardenti «Dimmelo ora.».
La mezzelfa non poté fare altro che stare seduta immobile a tremare, impegnando tutta sé stessa per trovare parole che non apparissero minacce, ma senza successo.
«Molto bene.» il mezzo-drago poggiò la punta della spada sulla spalla di Timis «Forse in questo modo...».
Timis chiuse gli occhi disperata, ma l'affondo non arrivò mai. Quando trovò il coraggio di riaprirli, l'attenzione del suo aguzzino pareva essere completamente stata assorbita dalla sferetta di vetro, che aveva iniziato a pulsare debolmente di luce bianca. Borbottando, posò la spada e prese in mano il piccolo oggetto: piccole onde circolari si allargarono dove le sue dita artigliate toccarono il vetro, increspandone la superficie quasi fumosa. Si girò e rigirò la sfera tra le mani, senza ottenere nessuna reazione apprezzabile.
«Giuro che quando arriva mio fratello...» mugugnò a denti stretti prima di ricordarsi della mezzelfa legata alla sedia davanti a lui «Sei stata fortunata, oggi. Questo è il segnale: uno dei tuoi compagni ha ceduto. Ora vedremo.».
«Per favore,» implorò la Falce «ascoltami, ti scongiuro: noi non abbiamo cattive intenzioni.».
«Fai silenzio!» il mezzo-drago le puntò la spada alla gola «Ne ho abbastanza! Se la cosa dipendesse solo da me voi tutti...».
La porta si aprì cigolando alle spalle di Timis. «Per l'amor degli dei!» esclamò una voce alquanto adirata «Eldos! Quante volte te l'avevo spiegato!».
Un secondo mezzo-drago, più basso ed in carne del capitano, vestito di una lunga tunica nera e con un paio di piccoli occhiali tondi pinzati sulla punta del muso, entrò a grandi passi nella stanza. Strappò di mano all'altro la sfera luminosa e per un istante sembrò voler rompergliela in testa.
«Devi scorrere il pollice,» cominciò a rimproverarlo, roteando la sfera davanti al muso del capitano «scorrere il pollice, scorrere il pollice! Non è così difficile! Ti ho detto che quando avrei finito ti avrei contattato e tu avresti solo dovuto scorrere il pollice sulla sfera per avviare la conversazione a distanza! Io impiego settimane del mio tempo per incantare due bocce di vetro perché si comportino da pietre parlanti e cosa succede? Sono ugualmente costretto ad attraversare mezzo Palazzo Ducale perché mio fratello non è in grado di articolare correttamente un dito!».
Gettò un occhiata distratta a Timis, che aveva ripreso a tremare stretta nelle corde, con gli occhi sbarrati ad osservare il riflesso sulla lama della piccola goccia rossa che colava sul suo collo. «Che diamine stavi facendo, Eldos?» domandò con tono inquisitorio «Che ti avevo detto? Non sappiamo di quali forze disponga il nemico: minacciarlo fisicamente non è solo inutile, può anche risultare pericoloso. Ti è andata bene che questi non sono né servi di Oneko né sgherri della Nube.».
Il mezzo-drago chiamato Eldos era rimasto zitto per tutta la durata del rimprovero, scrutando imperturbabile il nuovo arrivato. Allontanò la spada dalla sottile gola di Timis, che tirò un sospiro di sollievo. «Se non sono servi di Oneko» ripeté con calma «e non appartengono neanche alla Nube, allora con chi stanno? Chi sono? Chi li ha mandati qui? Da dove vengono?».
«Una domanda alla volta.» tagliò corto l'altro «Ho avuto una piacevole conversazione con una tartaruga, poco fa, la quale si è mostrata subito disponibile ad espormi con chiarezza il motivo della loro veisita e futura permanenza nella nostra città.».
Pose delicatamente una mano artigliata sulla spalla di Timis. «Tu stai bene?» le chiese guardandola negli occhi.
Diede una rapida occhiata al segno rosso sul collo della mezzelfa, e ripulì via il sangue con il pollice. «Non è niente: solo un graffio.» la tranquillizzò «Il mio nome è Coleos, e sono il fratello civile, in ambi i significati, del capitano delle guardie di Myrth qui presente. Posso chiederti di riempire le lacune nel mio rapporto?».
Timis annuì, ed il mezzo-drago iniziò a riassumere. «Da quanto ho capito,» disse «sono rimasti direttamente coinvolti nell'esplosione dei portali, e la Morte –sì, Eldos, la Morte, e no, non è una perifrasi– ha affidato loro il compito di risolvere la situazione, e sostengono che l'unico indizio in loro possesso sia il nome di Diana. Hanno perso due compagni sulla via. Dimentico qualcosa?».
La Falce esitò. «Non dobbiamo soltanto trovare Diana.» azzardò «Siamo venuti qui dalla Pineta Maggiore per cercare un castello, e...».
«Non abbiamo castelli a Myrth.» sbuffò lapidario Eldos.
Coleos non poté che dargli ragione. «Sfortunatamente è vero. Non ci sono castelli nella Valle del Pozzo, Myrth non ne ha mai avuto bisogno: ora c'è nostro padre a proteggere la città, e prima che lui arrivasse questo era un villaggio troppo piccolo per essere una preda appetibile, se non per saltuarie invasioni di orchi, ed in ogni caso quarant’anni fa la città non si sarebbe potuta permettere la costruzione di una cinta muraria. La cosa più simile ad una fortezza che mi viene in mente è il mastio di Berka, sulle rive del mare, e si trova ad un giorno di cavallo da qui.».
Timis si morse il labbro, pensando a ciò che stava per dire. «Beh, ecco, in realtà noi stiamo cercando... il Castello di Uukart.».
Il mezzo-drago con gli occhiali si accigliò, stupito. «Oh,» fu l'unica cosa che disse «interessante.».
 
♠♠♠
 
Lia guardò imbronciata la porta della camera. «Ma quanto diavolo ci mettono?».
Stava misurando la stanza a grandi falcate, affondando il basso tacco degli stivali nei morbidi tappeti che ricoprivano il pavimento. Era una bella sensazione indossare di nuovo abiti puliti e potersi muovere liberamente, libera dalle catene che le avevano segnato i polsi e le caviglie. Quando si era mostrata disposta a collaborare l'avevano trasferita in una stanza decisamente più confortevole, con un letto, delle coperte e tutto il resto, le avevano permesso di lavarsi con delle pezze bagnate dopo che si era mostrata refrattaria all'immersione totale in una vasca e le avevano pure lasciato un animaletto da compagnia. Certo, si erano arrabbiati quando aveva chiamato così la giovane guardia che adesso sedeva nervosamente su una delle poltroncine, peraltro dannatamente simile all'inserviente che le avevano affibbiato in prigione, ma dopo averle fatto promettere di non ferire in alcun modo il suo guardiano le avevano quantomeno concesso di infastidirlo.
Si voltò verso il giovane, che drizzò immediatamente la schiena e deglutì nervosamente. «Tu non puoi andare a vedere cos'è successo, vero?» gli chiese iniziando a tormentarsi una ciocca di capelli fulvi. Il volto del giovane perse tanto colore che le lentiggini sulle sue guance ricordarono a Lia piccole macchie di sangue freddo su una superficie marmorea.
«N-no.». balbettò quello senza aggiungere altro.
Lia fece una smorfia. «Peccato. Ormai è passata un'ora da quando è arrivata quella guardia impazzita parlando di invasori e rapitori. Ora che ti guardo ti somigliava. Vi somigliate tutti in questa maledetta città!».
«M-mio fratello...» sussurrò lui.
Lia si avvicinò alla porta, passando un dito sui sottili intarsi metallici che solcavano il legno in un sofisticato ghirigoro geometrico. Restò immobile come rapita per qualche secondo, prima di voltarsi verso il suo carceriere. «Come, prego?» chiese ostentando interesse.
Il ragazzo trovò finalmente il coraggio per parlare. «Lui è mio fratello,» ripeté «fratello gemello, ed era anche il tuo carceriere.».
Una scintilla zampillò dalla sua spalla alla sua guancia quando Lia inclinò la testa curiosa. «Accidenti, è vero!» ridacchiò dandosi una pacca sulla fronte «Siete messi peggio di quanto pensassi a personale. Come ti chiami?».
«Pit,» rispose la guardia «e mio fratello è Scoth.».
Abbassò lo sguardo. «È vero che hai ucciso e divorato una persona?».
Lia si corrucciò, facendo gelare il sangue al giovane. «No, non l'ho mangiato!» protestò indignata «Gli ho appena masticato un braccio, ingoiando i pezzi che si staccavano perché era un peccato sprecarli. Io non mangio le persone, volevo solo divertirmi un po’, ed avevo molta fame. Ho unito l’utile al dilettevole, ecco tutto.».
Pit non disse nulla, ma strinse convulsamente l'impugnatura della piccola daga che gli pendeva dalla cintola. Lentamente, Lia si avvicinò alla poltroncina dove il ragazzo sedeva, mentre dalle dita allargate della mano destra si generavano piccole scariche azzurrine, che ronzavano per un istante nell'aria prima di serpeggiare irresistibilmente verso il basso, attratte dal soffice tappeto sul pavimento. La giovane guardia sembrò intuire la solfa del messaggio, e lasciò perdere il coltello, agguantando i braccioli imbottiti della poltrona.
«C-c-he vuoi fare?» pigolò impazzito mentre raccoglieva le gambe, pronto a scattare in avanti per raggiungere la porta. Trattenne il fiato, cercando di calcolare quante possibilità ci fossero di scartare di lato ed evitare la donna.
«Oh, sai,» ridacchiò lei «punzecchiare capre aiuta, ma... non è la stessa cosa. Penso che sia ora di sfogarmi un po', non credi? Per non ripetere spiacevoli avvenimenti come quello dell'ultima volta. Tranquillo, non penso che arriverò ad ucciderti.».
Con un movimento felino, balzò in direzione della poltrona. Pit fu abbastanza rapido da mettere in atto la sua strategia: schizzò come una molla dalla sedia, gettandosi quasi a terra nella foga di schivare le unghie di Lia, e poi riprese in fretta l’equilibrio e coprì in una frazione di secondo la distanza che lo separava dalla porta e si aggrappò disperato alla maniglia di ottone. La trovò chiusa a chiave.
«Addio, fratello.» piagnucolò rassegnato, e si voltò per guardare in faccia la sua morte, sperando in una fine più rapida di quella toccata alla capra. Con sua grande sorpresa, la donna non sembrava dare cenni di volerlo inseguire, ma stava immobile con le unghie affondate nei cuscini della poltrona, ed un’espressione confusa dipinta in volto.
«Non ha senso…» mormorò sfilando le dita dall’imbottitura «Dovresti essere  già stato fulminato, a questo punto. Neanche una piccola scintilla?».
Pit si controllò il corpo a tentoni quasi per riflesso, senza mai staccare gli occhi da Lia. Non c’erano ferite sul suo corpo, ed era abbastanza sicuro che neanche tutta l’adrenalina che aveva nel sangue avrebbe potuto fargli ignorare il dolore di essere colpito da una scarica elettrica. Si morse il labbro, guardando a sua volta confuso la donna. Lia si gli avvicinò lentamente, ma non guardava lui: la sua attenzione era totalmente concentrata sugli innesti metallici della porta.
«Ero sicura di averli riempiti di energia elettrica.» mormorò nuovamente «Al solo toccare la maniglia avresti come minimo dovuto prendere la scossa. Il piano era quello fin dall’inizio.».
La guardia deglutì. «Per favore, non farmi male.» implorò cercando di apparire il più piccolo possibile.
Lia parve ridestarsi da un sogno. «Non ora, coso, non capisci la gravità del problema?» gli domandò acida, mentre quello scuoteva la testa intimorito «Qualcuno ha toccato il metallo dall’altro lato della porta ed ha scaricato l’energia, è l’unica spiegazione.».
Arretrò lentamente, come a voler esaminare il caso da una prospettiva più ampia. «Noi, però, non abbiamo sentito neanche un lamento. E poi chi è che viene colpito da una trappola elettrica, non si fa niente, e non entra neanche a controllare?».
Di nuovo, Pit scosse la testa, come se fosse una risposta razionale ad una domanda retorica. «Te lo dico io,» riprese Lia mentre piccole scariche danzavano intorno ai suoi pugni chiusi «qualcuno di resistente all’elettricità che non vuole essere scoperto mentre origlia.».





Eccoci qui, di fronte al capitolo che ha subito la riscrittura più pesante di tutti, il sedicesimo, il più difficile da organizzare. Per il resto tutto bene, grazie. Oh, dando un'occhiata ai capitoli passati, ci siamo resi conto che i commenti delle rubriche ci sono un po' sfuggiti di mano, e sono diventati quasi più un peso in fondo al testo che un condimento prelibato per gli interessati ai gdr, quindi abbiamo deciso di darci una regolata, specialmente sulla lunghezza. Questo, naturalmente, è il nostro pensiero: se doveste ritenere che è una decisione stupida perché li trovavate interessanti, fatecelo sapere, e noi torneremo a sproloquiare a fondopagina. Ci scusiamo per l'eventuale disagio, abbiamo dovuto ricaricare il capitolo per sopraggiunti problemi tecnici!

Commento del Master: L'introduzione di un png rilevante è sempre un momento speciale per un master, perché è lì che si vede se il personaggio è riuscito bene o no. Anche se il primo impatto con il gruppo centrale del party è stato un po' più brusco di quanto immaginassi, devo dire che hanno sortito il loro effetto, interagendo subito in maniera attiva con i giocatori, quindi sono soddisfatto.

Commento dei Giocatori: Forse, nella remota possibilità per cui il nostro stile di scrittura (non proprio a 18 mani ma quasi) sia stato in grado di creare un po' di tensione narrativa, penserete, lettori, di sperimentare la cosiddetta suspence. Vi sbagliate: per eventi di trama, ma anche per comodità, noi ci riuniamo raramente intorno al tavolo tutti insieme, e vi possiamo garantire che mai come in questa parte di sessione abbiamo passato quarti d'ora di terrore mentre aspettavamo il nostro turno sul divano guardando Adventure Time in streaming. Mai. Non sappiamo perché, ma la tensione era palpabile: nessuno sapeva esattamente cosa stesse per accadere e quanto fosse in pericolo.

Bussola del Lettore: Le chicche per che cerca sempre nuovi nomi per i png: storpiare nomi di popolazioni antiche (Pit e Scoth) può aiutare. Parlando di argomenti più seri, le pietre parlanti somigliano a walkie-talkie magici, ma hanno un raggio molto ristretto e, almeno nel nostro mondo, costano davvero tantissimo.

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Capitolo 17
*** 17-Le cripte ***


Capitolo XVII: Le cripte

Nether diede un calcio all’aria, stizzito. «Non è neanche in questa.» maledisse a bassa voce «Era l’ultima tomba.».
Nori gli si accostò evanescente. «Vorrei poterti aiutare.» si lamentò sospirando.
La ricerca della tavoletta iscritta era stata infruttuosa. Una volta giunti al piccolo cimitero, Mangiavermi li aveva fatti scendere, forzando Nori fuori dal suo corpo martoriato, e li aveva spinti a forza dentro il piccolo mausoleo con la guglia. Una volta all’interno, avevano sentito le porte chiudersi alle loro spalle, ed un pesante catenaccio stringersi dietro di esse. L’ambiente interno era spoglio, con solo un bacile d’acqua per le abluzioni ed un leggio a riempire il centro dell’unica stanza, mentre piccole lastre commemorative tappezzavano le pareti, diradandosi vicino alle strette ed alte finestre. Non ci avevano messo molto a trovare l’entrata per la cripta sotterranea, anzi, a dire il vero, non sembrava che qualcuno avesse mai tentato di nasconderla: dietro un palese falso muro, da numerose angolazioni, si distingueva una piccola porticina di legno corrosa dal tempo, che aveva ceduto dopo pochi tentativi di scasso e dietro di essa, una stretta scalinata scendeva ripida nel sottosuolo, sparendo nell’oscurità. Nether aveva afferrato quante più candele votive aveva trovato, e dopo averne accesa una aveva seguito giù per le scale la Dea della Morte, la cui figura eterea priva di sostanza era a malapena distinguibile nella fioca luce dei lumini. La cripta si era rivelata più piccola del previsto: tre sarcofagi di pietra, dall’aspetto sobrio ed anonimo, si allineavano su ciascuna delle quattro pareti. Al centro della cripta si innalzava un sepolcro più elaborato, rivestito della stessa pietra bianca con cui era costruito il mausoleo, e coperto da una pesante lastra dello stesso materiale spessa almeno il doppio dei coperchi delle altre tombe.
«Cerchiamo di non svegliare nulla.» aveva sussurrato Nori sospettosa, ma il necromante la pensava diversamente.
«In realtà,» aveva detto con un sorriso forzato «il piano è esattamente quello.».
Con un ampio gesto delle mani aveva evocato la familiare nebbia nera, che era scivolata in quattro dei dodici sarcofagi laterali. Con fatica, Nether aveva liberato il primo non-morto dalla sua tomba di pietra, e poi aveva lasciato a quello il compito di scoperchiare gli altri tre. Insieme, i quattro cadaveri ambulanti si erano rivelati molto pratici nel sollevare i coperchi degli altri sepolcri per permettere ai due viventi di frugare al loro interno, alla ricerca della tavola, ma tutte le tombe, compresa quella che troneggiava nel centro, contenevano soltanto le spoglie mortali di qualche riccone che si era potuto permettere una tomba dove i vermi non avrebbero divorato la sua carcassa.
Nether si sedette su uno dei coperchi rovesciati, a fissare i non-morti che si aggiravano per la cripta cercando inutilmente altre tombe da scoperchiare. Il sarcofago centrale era ovviamente quello su cui avevano puntato di più, ma anche quello si era rivelato un buco nell’acqua.
La Dea della Morte inclinò la testa, guardando pensosa la scalinata che li aveva portati giù. «Secondo te cosa ci farà?» chiese all’improvviso, spostandosi per evitare un non-morto che cercava di passarle attraverso «Intendo se torniamo su senza la tavoletta.».
Nether rise di nuovo, ma era una risata isterica. «Cosa ci farà? Vuoi dire nel migliore dei casi? Siamo morti. Avevi dubbi in proposito?».
Balzò in piedi di scatto, iniziando a misurare a grandi passi il perimetro della stanza. «Ma sai qual è la cosa più bella?» domandò mentre la sua voce si acuiva «Che eravamo finalmente un passo più vicini alla risoluzione dell’enigma ed ecco che finiamo dritti in una trappola esplosiva.».
«Nether.» la voce di Nori fu completamente ignorata dal necromante.
«A pensarci bene,» riprese agitando teatralmente le mani «chi mai piazzerebbe una trappola esplosiva in un covo di banditi abbandonato? È più probabile che cercassero semplicemente di chiudere il tunnel e noi non abbiamo visto il cartello “lavori in corso”! Ha! Gli altri potrebbero essere morti per dei lavori in corso.».
«Nether.» provò nuovamente la donna.
«No,» ribatté lui «niente Nether! Non cercare di dirmi che non sono morti. Penso che Waffle possa essersela cavata, visto anche il cambiamento repentino nel tempo di stamattina, ma dubito che gli altri abbiano avuto la forza di sfuggire ad un crollo. Ma che importa, infondo? Noi stiamo per…».
«Nether!» ruggì la Dea della Morte facendo voltare tutti i non-morti «Guarda!».
Il necromante smise per un istante di delirare e si girò. Nori era accucciata per terra, vicino all’ultimo gradino, con il braccio destro affondato nel pavimento fino al gomito.
«Qui sotto c’è una cavità,» spiego lei « altrimenti non potrei passarci attraverso. Sento il vuoto intorno alla mano, lo spessore di questa piastrella è straordinariamente ridotto. Presto, sollevala!».
Eccitato dalla scoperta, Nether fece un cenno ad uno dei non-morti, che affondò le dita quasi scarnificate nelle fessure e barcollò instabile all’indietro quando la pietra venne via con un rumore sordo, accompagnato dal sottile sibilo dell’aria che filtrava nella nuova apertura. Avvicinando una candelina al foro, il necromante scorse una piccola scala a pioli di metallo, malamente saldata alla parete umida.
Dopo qualche istante, Nori scosse la testa. «Devi scendere da solo:» lo avvisò «sono incorporea, ma non posso volare. Insomma, se il terreno è regolare posso camminarci sopra, e posso salire gradini, ma non c’è verso che io riesca ad aggrapparmi a questi pioli: le mie mani ci passerebbero attraverso, ed una volta giù non potrei più risalire.».
Nether annuì, poco convinto. Borbottò qualcosa sullo stato della scala ed infine additò un non-morto. «Tu!» ordinò perentorio «Salta giù.».
Con uno sguardo vacuo, la creatura caracollò fino all’apertura e vi si lasciò cadere. Il tonfo che riecheggiò nella cripta era pressoché identico al suono che fa una fragola quando viene schiacciata tra due dita, ma almeno confermò il salto, in caso di caduta, sarebbe stato troppo breve per risultare pericoloso. Lentamente, Nether scese nell'oscurità, con solo un piccolo lumino stretto in mano a rischiarare il suo percorso.
«È scivolosa!» imprecò quando mise un piede in fallo, ma dopo solo tre metri o poco più di discesa, i suoi piedi toccarono finalmente terra. La cavità in cui era disceso non si poteva definire una stanza: il necromante si trovava un ambiente angusto e soffocante, con il pavimento e le pareti ricoperte da una non meglio identificata sostanza gelida e viscosa che trasudava come muco dai blocchi di pietra corrosi che componevano i muri, e che riluceva biancastra alla debole luce della candela, dissipando così l'ombra che sembrava aver avvolto la camera per secoli.
Il volto di Nori sbucò a testa in giù dal soffitto. «Cosa c'è qui sotto?» domandò facendo sobbalzare l'uomo con la candela.
Gli occhi di Nether sondarono rapidi l'ambiente. «Non molto, sembra. Non c'è neanche una tomba.».
In effetti, il suolo nella camera sotterranea era quasi totalmente sgombro, eccezion fatta per un sottile strato di fango translucido, probabilmente originato da secoli di accumulo della patina oleosa che colava dai muri. Il necromante smosse il denso liquido con il piede, cercando di indovinare le sagome di eventuali oggetti sepolti.
«Nessuna cosa che anche solo somiglia ad una tavoletta...» mormorò deluso, ma la voce della sua compagna lo richiamò dall'alto.
«Nether, guarda:» gli indicò sporgendo un braccio dal soffitto «su quella parete ci sono dei segni sotto il muco.».
La Dea della Morte aveva ragione: raschiato via lo strato di liquido con la manica, piccole lettere incisi con precisione da uno stilo sottile si stagliarono nette sulla pietra corrosa dal tempo.
«Complimenti, principessina,» esclamò passando il dito sui glifi «hai occhi buoni, oggi.».
La Dea della Morte sorrise. «Sono abituata ad essere miope,» spiegò lei vantandosi «ogni volta che lascio il mio corpo mi sembra di avere una vista sovrumana. Sono abituata a sforzarmi di distinguere i piccoli dettagli.».
Nether ridacchiò nuovamente, ma man mano che procedeva nella lettura il suo sorriso si spegneva. «Io ho già letto questo testo...» mormorò appoggiando la mano alla parete per impedire che la fanghiglia vischiosa tornasse a coprire la scritta «... o quasi. Ci sono piccole variazioni, ma queste parole sono le stesse che ho già letto sulla tomba di uno stregone, quelle che mi hanno spinto a condurre le mie ricerche nella torre. Parlano dell'anomalia interplanare avvenuta tre notti fa, quella che mi ha distrutto la base di ricerca.».
Nori inarcò un sopracciglio. «Chi era lo stregone? Da quanto era morto?».
Il necromante si grattò la testa. «Altio Sonder, o qualcosa di simile, ed era morto da pochi decenni. Non c’era alcun legame diretto con questa camera.».
«Non potrebbe essere sceso quaggiù anche lui?» gli domandò Nori «Intendo prima di noi, magari era anche lui un necromante.».
«Nah,» rispose lui scuotendo la testa «a occhio e croce questa camera non viene aperta da secoli.».
Una volta terminata la lettura, fece per per allontanarsi dal muro, quando si accorse che il messaggio continuava ancora per una decina di righe, seminascoste dal fluido. «Queste non c'erano nella tomba di Altio, però.» sogghignò mentre i suoi occhi scorrevano rapidamente il testo sconosciuto.
Nori allungò quanto più possibile il collo per sbirciare oltre le spalle dell'amico. «Esattamente cosa diceva quell'incisione?» chiese lievemente alterata «Insomma, non è che tu abbia condiviso con noi chissà quante informazioni.».
Il necromante sorrise, mentre raschiava via il liquame dai mattoni anneriti della camera. «Non molto, in realtà: accennava ad un non meglio definito "evento interplanare di mirabile portata" e precisava che si sarebbe ripetuto "eguale ma più fulgente" dopo dodici giorni. In seguito ho calcolato da solo che sarebbe avvenuto a mezzanotte, e...».
«E?» lo incoraggiò la Dea della Morte «E poi? Cos'altro hai scoperto?».
Dalla gola di Nether uscì un suono strozzato, come una risata soffocata. «Ci avevi azzeccato!» esclamò girandosi di scatto a guardare il volto evanescente della donna che sembrava pendere dal soffitto «Ci avevi visto giusto con la storia della favola per bambini! Senti qui: "Al duodicesimo giorno dalla prima luce, el maniero resurgerà dalle acque morte, ove ad allora avea ritenuto la sua sede." Hai sentito? Il maniero risorgerà dalle acque! Deve essere in qualche modo legato al castello di Uukart.».
«Frena l'entusiasmo.» lo rimbeccò lei, scuotendo il capo «Parla soltanto di un castello, e dice acque morte, non acque. Per quanto ne so, con quel nome ci si riferisce ai fiumi infernali, o ad alcune paludi particolarmente insalubri.».
Esitò per un istante, assorta in chissà quali pensieri. «Però, in fondo, potrei davvero aver avuto ragione, e potremmo aver trovato un indizio importante,» ammise infine «ma penso che ci stiamo dimenticando di un dettaglio cruciale: come facciamo a portare un pezzo di muro a Mangiavermi?».
«Ti preoccupi per questo?» la schernì il necromante «Abbiamo fatto il nostro lavoro: per quanto mi riguarda quel vecchio bastardo può anche scendere da solo e leggersi quelle scritte per tutto il tempo che vuole. Insomma, di che aveva paura? Qui non c'è nulla di pericoloso, solo litri e litri di questo stupido, viscido muco trasp...».
Improvvisamente il suo volto perse tutto il colore, virando su tonalità cadaveriche. «Oh.» disse mentre iniziava a sudare freddo «Non ci avevo pensato...».
Guardò la Dea della Morte, che non poté fare altro che restituirgli uno sguardo carico di apprensione. «Fai in fretta, vieni su!» gli disse «Cerca di toglierti di dosso quella roba!».
Preso dal terrore, Nether salì rapidamente i viscidi pioli di ferro della scaletta, ma a metà strada perse la presa per la foga e scivolò all’indietro, cadendo di schiena sopra il corpo del non morto alla base della scala. Tremando ed imprecando, si rialzò di scatto, risalendo la scalettà alla velocità del fulmine e corse su per la stretta scalinata di pietra, divorando i ripidi gradini tre a tre e strofinando le braccia lungo tutti i muri per scollare il liquido dalle maniche del ruvido abito da contadino che indossava. Nori lo seguì sfrecciandogli tanto vicino da intersecarlo, mentre i tre non-morti rimasti seguirono il loro padrone inciampando e barcollando su per i gradini. Risalito nel mausoleo, il necromante si gettò quasi disperato verso una vasca per abluzioni piena fino all'orlo d'acqua stagnante e vi si tuffò dentro, strofinandosi le mani come un ossesso. A contatto con l'acqua, la densa poltiglia si dissolse senza lasciare traccia in pochi secondi, lasciandolo ad un tempo sollevato e sbigottito.
«Come ti senti?» gli domandò Nori guardinga.
«Bene,» abozzò lui incerto «almeno credo, o spero. Non resta che aspettare.».
Si diede un pugno sulla testa. «Déi, come ho fatto ad essere così stupido?» si maledisse «Era una trappola velenosa! Possiamo solo contare sul fatto che, con il passare dei secoli, il veleno si sia indebolito.».
«Tranquillo,» lo rincuorò la voce dell'amica «non sappiamo se quella... roba fosse velenosa, è stata una nostra deduzione: pensaci meglio: perché mettere un veleno in una stanza che contiene un messaggio scritto sul muro? Voglio dire, probabilmente era lì per essere letto, no?».
«Sì, in una cripta segreta sotterranea.» borbottò il necromante poco convinto «un modo meraviglioso di divulgare le informazioni. Piuttosto, esci dalla porta e dì a Mangiaverbi che abbiamo ciò che cerca.».
Starnutì. «E chiedigli se possiamo riavere i nostri abiti.» aggiunse.
La Dea della Morte ubbidì, ed attraversò la porta di legno del mausoleo con leggerezza, per rientrare un minuto dopo con un espressione incredula. «Nether,» chiamò, incerta se essere felice o preoccupata «sono entrambi morti!».
 
♠♠♠
 
Gli occhi di Lia guizzavano rapidi da un capo all'altro del foglio. «Uhm, sì, capisco,» disse una volta finito di leggere «ma dimmi, chi sarebbe questa Celalia?».
Coleos si aggiustò paziente i piccoli occhiali tondi. «Vedi, tutti noi, io, Eldos, Diana, ed anche un quarto fratello che è meglio se non conosci, siamo frutti dell'unione di nostro padre con quattro fanciulle del luogo, tutti concepiti nella stessa notte di festa. Mio padre non lo ammetterà mai, ma quella che sembrava solo una prova della sua popolarità era in realtà un sottile accorgimento politico progettato dalle famiglie più antiche della città, per legare mio padre a Myrth, capisci? Erano convinti che non se ne sarebbe andato, avendo noi quattro qui. Un giorno, però, è arrivata qui a Myrth una giovane dragonessa, che ha saputo guadagnarsi le sue simpatie prima, ed il suo amore in seguito. Chi è Celalia? La compagna di mio padre, potrei risponderti, ma è più complesso di così: vedi, i draghi sono soliti...».
«Sì, sì, ho capito, taglia corto.» lo interruppe lei «Dimmi solo perché devo andare a presentarmi? Insomma, ho attentato alla vita di suo marito, chi mi garantisce che non mi divorerà all'istante?».
«Qui arriva la parte diplomaticamente delicata, mia cara,» spiegò Coleos sospirando «ti dirò soltanto che Celalia non è propriamente scoppiata in lacrime alla notizia della scomparsa di Diana. Lei non apprezza l'attaccamento di mio padre per questa città, e vorrebbe che lui la portasse in un luogo più appartato per ammassare tesori e fare il nido in tranquillità, ed il panico che si è venuto a creare causando l'esodo di massa è nato proprio dal fatto che mio padre ha parlato di andare a trascorrere qualche secolo in penitenza per non essere riuscito a proteggere sua figlia, e nello stato di depressione in cui è caduto ha promesso a Celalia di portarla con sé.».
Lia si grattò la testa. «Quindi io...».
«Quindi tu devi stare doppiamente attenta:» la ammonì il mezzo-drago «le cose che ti ho appena raccontato non solo rendono evidente che Celalia farà di tutto per ostacolare le operazioni di recupero, ma ci dicono anche che deve essere tenuta nel numero degli indiziati. Di fatto, tra lei, i servi di Oneko e la Nube, lei è quella con il movente più forte. È necessario che tu parli con lei, in primo luogo per rassicurarla, così che non si senta troppo osservata, ma… osserva con attenzione le sue reazioni, e riferisci tutte le difficoltà che troverai nell’eseguire il tuo compito.».
«Ascoltami bene, lucertolone scherzo di natura,» sbottò ad un tratto Lia «finché devo eseguire quello che c'è scritto qui, per me è un gioco da ragazzi, ma io non so niente neanche degli altri due che hai citato: sono in questa maledetta città da sei giorni, se contiamo anche questo, ed ho passato gli ultimi tre a languire di fame in una cella piccola e sporca, quindi, se non ti dispiace, spiegati, ed in fretta.».
Coleos ridacchiò. «Hai ragione,» ammise «per quanto tu sia uno scherzo di natura più grande di me. Ti basta sapere che la Nube è una sorta di organizzazione criminale locale, con amicizie piuttosto in alto, e di cui non siamo mai riusciti a stanare il capo. I servi di Oneko sono una setta comparsa in questa valle dopo il blocco dimensionale, ma a giudicare dall'organizzazione deve essere molto antica. Non sappiamo quanto potere abbiano o se c'entrino davvero con la sparizione di Diana, ma tre giorni fa, se contiamo anche questo, il giorno dopo che ti abbiamo presa, dopo la notte del blocco, un gruppo di fedeli si è presentato da mio padre dicendo che sarebbero ritornati tra cinque giorni per discutere di affari riguardanti sua figlia, che guarda caso non era rientrata in casa il giorno prima.».
Il mezzo-drago si alzò dalla sua sedia, e si avvicinò alla finestra. «Vedi quelle persone?» chiese picchiettando sul vetro, costringendo Lia ad alzarsi e seguirlo. Nel cortile del palazzo erano radunate tre persone, circondate da un nugolo di guardie: una ragazza bionda avvolta in un ridicolo mantello con il cappuccio che rendeva quasi impossibile indovinare le forme del suo corpo, un ragazzo incredibilmente basso, poco più che un bambino, che però reggeva tra le mani un’arma di dimensioni sproporzionate,  ed un elfo olivastro che pareva non aver nulla di meglio da fare che contarsi le dita con espressione confusa.
«Si sono presentate qui questa mattina, ed indovina cosa hanno chiesto?» le domandò sardonico il mezzo-drago con gli occhiali «Di parlare di Diana con mio padre. Sospetto, non trovi? Comunque non penso che facciano parte dei servi di Oneko, il loro racconto è oltremodo convincente, e li ho lasciati andare. Ovviamente mio padre non sa nulla di nulla. In sostanza, però, vedi, ti vorrei affidare una seconda missione, giusto in caso quella corrente fallisse.».
Gli occhi di Lia e di Coleos si sfidarono per un istante, entrambi carichi di aspettativa. «Tenere d’occhio anche loro.» conclusero all’unisono.
 
♠♠♠
 
La sala di pietra era immersa nella semioscurità. Sul lato opposto rispetto all’unico, angusto ingresso, da sopra un elevato piedistallo a gradoni, un massiccio trono intagliato nella roccia viva estendeva il suo schienale arcuato verso l’alto, dove si fondeva con la nera ardesia della parete. Il trono era vuoto, ma  alla base della gradinata sedeva di fronte ad una piccola scrivania illuminata dal filo di luce di una lanterna cieca una figura minuta, dal naso adunco e completamente calvo, fatta eccezione per qualche ciuffo di rada peluria bianca ai lati della fronte corrucciata, che si fondevano con le folte basette che scendevano fino a ricongiungersi sul mento in una sorta di corto pizzetto biforcuto. Lo gnomo faceva agilmente gracchiare la punta di una piuma d’oca su vecchi fogli di pergamena, immerso nella scrittura del documento che assorbiva tutta la sua concentrazione. Un rumore dei passi che si avvicinavano risuonò dal corridoio d’ingresso, distogliendo l’uomo dal suo lavoro.
Una donna incappucciata si avvicinò lentamente al tavolo da lavoro, dove abbozzò un inchino prima di scoprirsi la testa, per rivelare una zazzera di capelli rosa che si raccoglieva disordinata dietro due lunghe orecchie a punta.
Lo gnomo rispose con un cenno al saluto della mezzelfa, che si schiarì la voce prima di parlare. «Mi avevate fatta chiamare, signore?» domandò chinando la testa fino a guardarsi i piedi per evitare di guardare in faccia lo gnomo seduto davanti a lei.
«Sì,» rispose quello adagiando la piuma nel calamaio e stiracchiando le dita indolenzite «c’è un nuovo compito per te, visti i nuovi sviluppi: sembra che i nostri rivali si siano mossi prima del previsto. Il tuo compito è di stimare le forze che hanno messo in campo: se pensassi di riuscire a sopraffarli da sola non mostrare pietà, in caso contrario avvisaci, manderemo Due-code.».
La mezzelfa ebbe un moto di stizza. «Con tutto il dovuto rispetto,» scandì lentamente gonfiando il petto «penso di essere più che in grado di tener testa a qualsiasi minaccia, non sarà affatto necessario l’intervento di quella sorta di bestia selvaggia che…»
Non fece in tempo a dire altro, che una pallida mano sinistra si strinse intorno alla sua spalla. Alle spalle della mezzelfa, nel centro di due occhi completamente neri, scintillavano due pupille rosso sangue.
«Lo spero, Deldes.» sibilò una profonda voce femminile «Nessuno vorrebbe essere al tuo posto, in caso contrario. Sai perché?».
La donna dai capelli rosa non rispose, e cercò di darsi un contegno, ma le sue gambe avevano iniziato a vacillare.
Lo gnomo parlò prima che qualsiasi cosa potesse succedere. «Già di ritorno, Due-code?» domandò poco convinto «È stato troppo veloce persino per i tuoi standard.».
Un’ombra rossa balenò per un istante alle spalle della mezzelfa. «Erano un vecchio ed ragazzo brufoloso.» bofonchiò la donna nell’ombra «Ci ho messo più tempo ad andare e tornare. Mi sorprendo che la missione non sia andata alla nostra amica qui: era talmente semplice.».
Lasciò andare la spalla della mezzelfa, che si ritrasse subito sulla difensiva. «Piuttosto,» continuò «come sta la mia sorellina?».
Lo gnomo ridacchiò. «Bene, visto che la tua missione è andata bene, ma sai cosa ti consiglio?» sussurrò sogghignando «Di non avere sempre tutta questa smania di finire il lavoro per tornare da lei. Chissà, magari un giorno potrebbe risultare fatale per qualcuno, se completi male il tuo compito e non te ne accorgi perche corri via subito.».
Il rumore di punte acuminate che stridono sulla pietra liscia fece sobbalzare la mezzelfa dai capelli rosa, ma  lo gnomo rimase impassibile. «Torna nel tuo buco, Due-code. Qui non fai paura a nessuno.».
Deldes, in cuor suo, ringraziò tutti gli dei che conosceva quando vide la sua rivale ritirarsi rapidamente nell’ombra da cui era venuta.




Ye. Nuovo mercoledì, nuovo giro.  Con le piccole novità dovute.

Commento del Master: Bene, stavolta mi sono scritto le cose da dire, così non ci perdiamo in chiacchere e non appesantiamo il fondo della storia. Come era successo quella volta con il mio gatto, che tipo era finito su un'amaca e... ok, il non pesare è andato a puttane anche questa settimana. Tra l'altro, abbiamo due novità: primo, la raccolta di One-shot a sfondo Missing moments/Slice of Life o anche solo comico-narrativo è stata confermata, e dovremmo (condizionale, eh) iniziare a postare da settimana prossima. Dovremmo. Le storie avranno pubblicazione discontinua ed imprevedibile, e saranno di lunghezza variabile. Stiamo pensando ad un titolo, e visto che la storia si chiama Shades pensavamo che "Il teatrino delle ombre" andasse bene. Passando ad altro, dando per scontato le solite cose (parte fighissima, davvero divertente ahaha, in fondo diciamo questo quasi ogni volta) nell'ultima sezione si nasconde l'ultimo pg... poi basta, lo giuro. Avevo intenzione di parlarne un po' questa sera, ma poi alla fine ho detto no, lasciamo il dubbio, chi tra Deldes e Due-code è il nuovo pg? Come se non fosse prevedibile. Ah, mi dispiace molto per il momentone spiegone con il nostro amato mezzo-drago Cicerone e guida turistica, è i condensamento di molte prove di Dipl e Racc Inf, che non avevamo voglia di narrare.

Commento dei Giocatori: Quasi non ci crediamo che solo al diciassettesimo capitolo facciamo passi avanti nella risoluzione del mistero ed appaiono tutti i personaggi. Anche se in realtà, ciò non è vero: i passi avanti li fanno solo Nori e Nether, che noialtri credevamo bellamente morti allora, e di fatto il nuovo personaggio aveva già giocato, questa è solo la prima volta che appare sullo schermo. Sigh, e pensare che il piano originale era di chiudere la serie in circa venticinque capitoli... ora come ora non sappiamo se ne basteranno cinquanta!

Bussola del lettore: Che più che una bussola è la graffetta Clippy, che ti spiega anche le cose inutili. Oggi siamo qui per parlare della cruciale questione del colore dei capelli: come mai, vi chiederete, tolte colorazioni anormali come il bianco di Nether o il rosa di Deldes, le uniche colorazioni rinvenute sembrano essere biondo e nero? Dove sono i castani, ovvero uno dei colori più diffusi sulla nostra terra? Esistono, esistono, semplicemente non sono molto comuni: i colori di capelli più diffusi su Pìthias sono appunto neri e biondi, i secondi spesso associati ad una carnagione più scura dei primi (la popolazione da cui provengono quei geni è simile ai Dori), seguiti a lunga distanza dal colore rosso. Le creature di sangue fatato, come i mezzelfi (non è il caso di Timis), gli elfi et simili possono anche presentare colorazioni insolite  e variopinte. I colori degli occhi invece ricoprono virtualmente tutte le gradazione dello spettro, con nocciola, nero e verde in netta predominanza.

 

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Capitolo 18
*** 18-Le indagini hanno inizio ***


Capitolo XVIII: Le indagini hanno inizio

«Oh, beh, amici,» gorgogliò allegro Lupo Grigio dopo che le porte bronzee si furono richiusi alle loro spalle «tutto sommato non è andata tanto male.».
Timis sospirò, sollevando la tartaruga all’altezza degli occhi. «Questo grazie a te.» lo ringraziò sorridendo debolmente «Se non fossi riuscito a farti ascoltare, a quest’ora potremmo essere a marcire in cella, o peggio. Hai salvato la giornata.».
Il druido diede un’occhiata al cielo: le nubi che la sua magia aveva diradato quella mattina avevano ripreso ad addensarsi sulla Valle del Pozzo,  ed il pallido sole del primo pomeriggio iniziava a far fatica a spingere i suoi raggi oltre la coltre grigia. «Sì, beh, più o meno:» commentò sarcastico «è comunque passato mezzogiorno.».
Con un ultimo gesto disinvolto, sotto lo sguardo trasognate di Leo, Miros terminò di riallacciarsi il gancio del falcione alla schiena. «Quindi ora quali sono i piani per la giornata?» domandò impaziente «Siamo a Myrth, no? Da dove cominciamo ad indagare?»
La Falce non si fece trovare impreparata. «Quel Coleos si è dimostrato stranamente collaborativo,» spiegò con una smorfia mentre iniziava a rovistare nelle tasche interne del mantello, dopo aver affidato la tartaruga nelle mani di Leo «anche se in realtà dubito che l’abbia davvero fatto per aiutarci: non mi fido troppo di quel tipo.».
Lupo Grigio stirò il collo, incuriosito. «Uh, il tizio con gli occhiali?» chiese dubbioso «A me ha fatto una buona impressione: mi è parso un tipo ragionevole e gentile.».
«Anche a me, inizialmente,» le rispose lei traendo finalmente di tasca un foglietto ripiegato con cura «anche perché potrebbe avermi salvato la vita, ma poi si è subito lasciato sfuggire che era preoccupato per il fratello, non per me. In ogni caso, quando ho nominato il castello di Uukart si è stupito: non penso che ci consideri perfettamente sani di mente. Mi ha dato l’indirizzo di due biblioteche in cui potremmo trovare qualche informazione, ma mi ha anche detto che la cosa migliore è rivolgersi ai più anziani per questo genere di cose.».
«Quindi?» chiese nuovamente Miros.
«Quindi,» continuò lei «ci dividiamo in due gruppi, le perlustriamo entrambe e ci troviamo in questa piazza al tramonto per cercare una locanda. Cerchiamo di non sprecare questo giorno.».
A quelle parole, Leo ebbe un impeto di terrore. «No!» sbraitò «Non voglio dividermi dal maestro di nuovo! L’ultima volta che l’ho fatto rimanevo sotto la roccia se non correvo da lui.».
Sentendo rievocare gli eventi del giorno prima, il sorriso stanco ma ottimista di Timis si spense un poco, mentre la mezzelfa sentiva già il nodo in fondo alla sua gola riformarsi ed attanagliarle la lingua. Era davvero passato meno di un giorno? La sua mente ancora vacillava quando tornava col pensiero all’ultima immagine che aveva di Nether e Nori: loro due che si avviavano, l’uno ridacchiando e l’altra col broncio, verso il cunicolo di destra, verso la via più diretta, e verso la morte.
«Tranquillo,» si sforzò di balbettare infine «pensavo comunque di mandarti con Miros. In fondo, penso che ormai possiamo fidarci di te: sei l’unico che ha sopportato il torchio senza rivelare nulla, mi hanno detto. Come hai fatto? Con me sono passati direttamente alle minacce fisiche.».
L’arciere abbassò il capo, imbarazzato. «In realtà,» farfugliò «sono svenuto per l’emozione, e quando sono tornato in me le guardie non volevano avvicinarsi, sono state gentili.».
Nel silenzio tombale che seguì questa affermazione, Miros iniziò a trovare estremamente interessante torturarsi una delle sue ciocche d’ebano, mentre ascoltava muto una risata isterica rimbombargli nella testa.
“Prevedo un pomeriggio interessante… he...”.
 
♠♠♠
 
Lia inspirò a fondo, ed un variegato intrico di odori penetrò nelle sue narici, solleticando il suo finissimo olfatto. Una volta un vecchio medico le aveva spiegato che la sua innaturalmente sviluppata percezione degli odori derivava dal fatto che, in qualche modo, i suoi poteri elettrici sollecitavano la velocità di alcuni segnali nervosi e la precisione di alcuni dei suoi organi di senso, ma Lia non aveva davvero prestato attenzione, essendo troppo concentrata nel punzecchiare di nascosto con un bisturi il criceto che abitava in una gabbietta dello studio. In ogni caso, era quella la qualità che il mezzo-drago con gli occhiali aveva voluto sfruttare. Trattandola né più né meno come un cane da cerca, le aveva fatto annusare dei vecchi indumenti di quella Diana che cercavano con tanto zelo e l’avevano seguita per le vie della città, per tentare di ricostruire i suoi spostamenti nelle ultime ore prima della scomparsa. Lia odiava doverlo ammettere, ma per lei era stato davvero semplice seguire la netta traccia dell’odore della mezza-drago, anche a distanza di cinque giorni, e la scia l’aveva condotta appena fuori dai confini della città, sul lato che dava sulla Valle.
Inspirò di nuovo, concentrandosi su ogni singolo aroma: la pioggia che era caduta quella notte aveva contemporaneamente fatto crescere molti funghi odorosi e gonfiato tutte le tracce preesistenti, facendo mescolare nel naso di Lia i profumi di molte specie di fiori autunnali, l’inconfondibile odore di terra bagnata, il pesante olezzo di paura che attanagliava la città e l’indistinto effluvio di piccoli animali nelle vicinanze. Dell’odore di Diana, però, neanche l’ombra.
«Scompare qui.» decretò tracciando rozzamente con il piede una linea sul fango quasi secco della strada sterrata che si inerpicava su per le montagne, fino a perdersi sui passi dove la Pineta Maggiore allungava i suoi artigli verde scuro.
«Possiamo tornare in città, adesso?» chiese voltandosi a guardare la sua scorta. Tre lancieri montati su ronzini più Coleos che li seguiva cavalcando un asinello, prendendo appunti su un quadernino rilegato in pelle rossa.
«Ne sei sicura, mia cara?» la punzecchiò il mezzo-drago «Abbiamo più tempo dal momento che Celalia si è inaspettatamente dichiarata indisposta e non ha voluto riceverti, quindi prenditela comoda ed impegnati a fondo. Sei la nostra ultima spiaggia.».
«Posso fiutare una goccia di sangue a trenta metri.» sbottò Lia innervosita, cedendo alla provocazione «L’odore di tua sorella scompare qui, ed anche piuttosto bruscamente, aggiungerei. Possiamo tornare in città? Il mio lavoro qui è finito.».
Si lasciò sfuggire una risatina. «Sono ansiosa di andare a sorvegliare quei tipi strani.».
L’asino di Coleos le sbarrò la strada. «Non così in fretta, mia cara.» ingiunse dall’alto della sua cavalcatura «Fino ad ora tra noi c’è stato un rapporto di fiducia, è vero, del tipo che si instaura tra due scherzi di natura, ma, vedi, ti devo confessare che ciò è avvenuto soprattutto in virtù del fatto che non ti ho lasciata un solo istante incustodita. Ora sarà diverso, quindi ti chiedo di accettare questa.».
Così dicendo trasse da una tasca una piccola sfera di vetro e la lanciò verso Lia, che l’afferrò a mezz’aria. «Ti spiegherò come si usa, sperando che tu non sia un'idiota tutto muscoli come mio fratello. Dovrai contattarmi ogni sera e ogni volta che sono compiuti progressi, sono stato chiaro? Ti lascio immaginare cosa ti accadrebbe se tu non lo facessi.».
Lia non diede peso alla minaccia, assorta com'era nel rigirarsi la sferetta tra le mani, studiandola con curiosità: la superficie di vetro appariva lattiginosa ed evanescente, e dove le sue dita si poggiavano si formavano piccole onde concentriche. «Ho una sola domanda:» esordì sollevando lo sguardo «se quei tizi che devo seguire si rivelassero pericolosi per me o per… uhm… la città, diciamo, e non riuscissi a contattarti, sono autorizzata ad ucciderli?».
Coleos la squadrò per un istante. «Sì,» rispose seccamente «ovviamente.».
Proprio mentre la donna stava per partire, il mezzo-drago la chiamò di nuovo. «Quasi dimenticavo:» tossicchiò porgendole un pacco incartato «prendi questo per stabilire un contatto.».
Lia scartò l’involucro curiosa. Quando realizzò cosa stava tenendo in mano, il suo sorriso si contorse in un ghigno. «Questo è al limite del crudele. Hai architettato tutto tu, vero?».
 
♠♠♠
 
Nori si lasciò sfuggire un gemito quando riscivolò dentro il suo corpo.
«Sei tutta intera?» le domandò Nether mentre frugava nelle casse che ingombravano il carretto alla ricerca dei loro effetti.
«Per modo di dire.» bofonchiò la Dea della Morte «Le ferite alle gambe fanno più male di prima.».
«Voi che dia un occhiata?» la schernì lui estraendo trionfante il suo vecchio camice oblungo da un cumolo di vecchie tuniche e stoffe «Resto pur sempre un medico.».
Nori lo fulminò con lo sguardo. «Nei tuoi sogni, mortale:» sibilò altera «anche in questo stato, resto pur sempre una Dea della Morte, ho ancora una mia dignità.».
«Come preferisci, io ci ho provato.» rispose noncurante.
 L’occhio gli cadde sui due cadaveri riversi nell’erba alta. «Secondo te cosa è stato?».
Forzare dall’interno la porta del mausoleo era stato un gioco da ragazzi con l’aiuto dei non-morti, ma in un primo momento la scena che gli si era parata di fronte agli occhi una volta uscito all’aria aperta gli aveva fatto desiderare di chiudersi dentro di nuovo. Con le articolazioni piegate secondo angoli innaturali ed i volti contratti in espressioni di sorpresa e paura, i corpi senza vita di Mangiavermi e del Mancino giacevano a terra proni, come se negli ultimi istanti della loro vita avessero provato a fuggire strisciando.
Nori gemette di nuovo quando piegò in avanti la schiena per vedere meglio i due morti. «Sinceramente non mi importa,» commentò «anzi, qualunque cosa sia stata, le sono grata. Agh, maledizione!».
Strinse gli occhi convulsamente, aspettando che la fitta passasse. «Avrei fatto meglio a restare fuori.» si lamentò «Mi serve un medico. Uno vero, il cui piano di azione non sia di rattopparmi come una bambola di pezza. Piuttosto, hai trovato la mia spada?».
Il necromante la ignorò, completamente assorbito dalle sue considerazioni. «Voglio dire,» disse prendendosi il mento tra due dita «guarda le loro ferite: sembrano inflitte come minimo da tre armi differenti. Ci sono quei piccoli tagli che sembrano inflitti da una lama piatta e larga infilata di punta, mentre le disarticolazioni devono essere state causate da un corpo contundente esageratamente grande, ed i colpi sembrano essere stati inferti con una forza decisamente sovrumana. Per non parlare poi del gigantesco buco che quel ragazzo lentigginoso si trova nella schiena: ho visto cose simili in cadaveri impalati, ma questo sembra essere stato trapassato da un tronco: il foro è più largo del mio braccio.».
«Molto interessante,» gli fece il verso la Dea della Morte «ma noi da qui non ci muoviamo senza Ephialtes. Il vecchio bastardo la portava al fianco, e dubito che qualsiasi cosa sia in grado di infliggere quelle ferite e che lasci i suoi nemici in simili condizioni abbia anche l’intelligenza per reclamare un bottino. Lo spero, almeno. È probabile che il vecchio l’abbia lanciata mentre combatteva: prova a cercarla qui in torno.».
Sbuffando annoiato, Nether scese dal carretto borbottando che lo avrebbe fatto solo perché in debito di vita, ma a metà strada verso il muretto la voce di Nori lo fermò. «Aspetta! Se la trovi spezzata… dimmi che non l’hai trovata.» gli gridò dietro con una nota di preoccupazione e timore nella voce, mentre si nascondeva il volto tra le mani, figurandosi già lo scenario peggiore.
A metà tra lo stupito e l’intenerito, il necromante falciò l’erba con il piede per parecchi minuti prima di individuare una zona dove gli steli sembravano essere stati recisi di netto, non troppo lontana dal basso muro ricoperto d’edera che aveva appena scavalcato. Incoraggiato, ispezionò con maggiore attenzione l’area, senza trovare segni o tracce della spada.
“Ora che ci penso manca anche la mia pala” pensò grattandosi la testa. Si piegò sulle ginocchia per osservare più da vicino un punto dove gli sembrava di aver intravisto un luccichio, ma di nuovo le sue speranze furono deluse. Quello che il Sole del primo pomeriggio aveva fatto scintillare non era la lama lucida di una spada bastarda, ma un piccolo grumo di una sostanza gelatinosa che brillava di una tonalità rosso intenso, con piccole venature nere ad attraversarne il profilo sferico.
“Che diavolo è? Sangue?” si chiese prima che la sua attenzione venisse calamitata da un’altra anomalia nel terreno: a pochi centimetri di distanza un solco dritto e profondo, lungo poco più di mezza spanna, attraversava il terriccio molle, correndo perfettamente parallelo al muretto. Incredulo, Nether si levò in piedi, spostando ripetutamente lo sguardo tra il terreno ai suoi piedi ed i due cadaveri dall’altra parte del muretto.
«Ehi, principessina,» gridò per attrarre l’attenzione di Nori, che stava rovistando in una cassa accanto a lei «quanto c’è tra me e te in questo momento?».
La Dea della Morte sollevò il capo dal baule ingombro di boccette dove aveva immerso le braccia. «Non saprei,» rispose, impreparata «in che senso?».
Netehr roteò gli occhi. «La distanza.» ripeté scocciato «Quale distanza c’è tra me e te?».
«Oh,» rispose Nori, sollevata «sei o sette metri, penso. Perché?».
Il necromante si prese il capo tra le mani e premette forte, come per scacciare un tremendo mal di testa. «Forse sono io che sono paranoico,» disse guardandosi intorno ansioso «ma faremmo meglio a togliere le tende: penso di trovarmi dove si trovava la cosa che li ha uccisi. Sette metri… quale creatura può fare tanti danni da sette metri di distanza e non lasciare altra traccia che un segnetto sul terriccio e dell’erba tagliata?».
Nori non sembrò neppure sentire la seconda parte del discorso del compagno. «Noi di qui non ci muoviamo finché non ritrovi la mia spada.» dichiarò gonfiando il petto «Anche se in pezzi, voglio vederla.».
«Senti un po’, principessina,» le gridò lui di rimando «io ti devo la vita, lo riconosco, ma non la butterò al vento solo per trovare uno stupido, inutile, pezzo di fe… oh, eccola.».
Non lontano, Nether individuò il manico a croce della spada di Nori sporgere dal terreno. «Lì c’è l’impugnatura.» indicò mentre si avvicinava a grandi passi.
«No! Ti prego, aspetta!» la voce di Nori si acuì al punto da sembrare sull’orlo del pianto «Ho cambiato idea di nuovo! Non voglio vederla rotta! Siamo cresciute insieme, la uso da quando avevo…».
«Rilassati:» la tranquillizzò lui infastidito «è solo conficcata nel terreno.».
Non senza difficoltà, il necromante tirò l’impugnatura fino a che l’intera lama non si rivelò alla luce del sole, perfettamente intatta, solo impolverata di terriccio ed erba. Nori gridò di gioia quando il necromante le affidò tra le mani la sua arma, e per cinque minuti buoni non ebbe occhi che per lei, carezzandone affettuosamente il piatto per ripulirlo da tutte le impurità che lo ricoprivano. Nel frattempo Nether rovistò nelle casse rimanenti fino ad estrarne raggiante la sua pala e l’abito da guerra di Nori, che lanciò addosso alla proprietaria, distogliendola dal suo lavoro di pulizia.
«Grazie.» abbozzò lei prima di essere colta da un dubbio «Mi dici come ci muoviamo senza l’asino? Mi accorgo solo ora che non c’è più, deve essere scappato.».
I due si fissarono come inebetiti per qualche secondo, fino a che il necromante scrollò le spalle con rassegnazione. «Ho capito:» bofonchiò annoiato «vado a svegliare altri non-morti.».
 
♠♠♠
 
“Bene: ecco il piano. Innanzitutto, gli ordini di posare l’arco, il coltello e tutte le possibili armi che potrebbe avere, poi gli ordini di chiudere gli occhi, di restare immobile e magari di abbassarsi anche un po’. A questo punto io ti presto la mia forza e tu lo decapiti con un colpo di falcione. Poi io e te ce ne andiamo da questo posto maledetto seguendo l’esempio di tutte quelle persone ragionevoli che l’hanno già fatto. Fine. Ci fermiamo in qualche comunità di monaci ed impariamo un’arte marziale, sai, ho sempre avuto il sentore che il tuo Destino fosse quello.”.
«Maestro, come mai siete così taciturno?».
“Dai, forza: digli che è perché stai meditando intensamente e portalo in un vicolo isolato.”.
«Ah, è per qualcosa che ho detto? O fatto? Vi chiedo perdono, maestro, come posso espiare la mia colpa?».
“Andiamo, dai, sta praticamente chiedendo di essere ucciso! Pensa a tutto il dolore che gli risparmierai se lo ucciderai senza fargli mai sapere di essere lui la causa della morte di tutti i suoi maestri. Non merita misericordia?”.
«Aspettate, ho capito! È una specie di prova del silenzio, vero? Ci giocavo da bambino. Non temete, maestro, saprò accompagnarvi nel vostro non parlare!».
“Hai sentito? Equivale a promettere di non urlare. Fallo.”.
«Uhm… a dire il vero non mi ricordo bene le regole…. per quanto tempo non dobbiamo parlarci?».
“Miiiiiiiroooooos…”.
«Un’altra ora? Fino a che non cala il sole? Fino a domani?».
“Se non mi costringi a far parte di questa avventura ti sarò debitrice per un anno: potrai chiedermi aiuto tutte le volte che lo vorrai, anche quando non è necessario. Ti prego!”.
«E poi non capisco: come faccio a sapere quando il gioco finisce?».
“Mio eroooooeeeeee…”.
«Finitela! State zitti tutti e due!».
Miros si era bloccato in mezzo alla strada ansimante, stringendosi la testa tra le mani mentre le ginocchia gli tremavano. Lentamente, ignorando gli sguardi ammutoliti della folla che si erano tutti concentrati su di lui, si avvicinò barcollando al muro di una casa e ci si appoggiò con una mano, ma tremava così tanto che il suo braccio cedette, ed in men che non si dica si trovò per terra, accasciato contro la parete.
«Per voi è facile,» singhiozzò coprendosi il volto con la manica per tamponare gli occhi umidi «siete entrambi ultracentenari, e siete praticamente impossibili da uccidere.».
Tirò su col naso. «Io ho solo sedici anni, ci sono tantissime cose che devo fare prima di morire. Certo che vorrei abbandonare tutto e fuggire, Loreth, ma non posso. Non è solo la storia della profezia, io… io sento che qui, in questa valle, con queste persone, io capirò chi sono e qual è il mio destino. Non so spiegartelo, è una sensazione: metà di loro non si fida di me fino in fondo e la maggior parte fino ad ora mi ha ignorato, eppure per la prima volta ho percepito che il mio destino non è una linea unica ed immutabile, predestinato dal Fato, ma che si intreccia con quello di quelle persone. Siamo… c’è un legame, non lo so. Mi sono sentito bene intorno al fuoco, mi sono sentito triste quando quei due sono morti, non ho ceduto all’interrogatorio anche se non avrebbe dovuto importarmene nulla. Qualunque sia il mio destino, Loreth, finché sto con queste persone, con Lupo, con Timis, e anche con Leo, sento che il mio destino può aspettare. Ah, e, Leo: scusa per non averti risposto, non c’è nessun gioco del silenzio. Un maestro ascolta sempre i suoi discepoli.».
Leo Noah si asciugò gli occhi commosso, mentre si mordeva le labbra per non scoppiare a piangere. «Sono fiero di avervi come maestro,» piagnucolò tirando su col naso «e sono sicuro che anche la vostra amica lo è. A proposito, non mi avete detto se è bella, alla fine.».
Miros sorrise, mentre realizzava per la prima volta di non avere idea di che aspetto avesse il demone sigillato in lui. «Beh, ecco…» cominciò, ma fu subito zittito dalla voce della sua ospite.
“Digli pure che sono radiosa.” gli sussurrò Loreth nella mente “E molto fiera di te.”.





Vacanze. Finalmente. Il periodo in cui si possono dedicare intere giornate a scrivere (tra una pausa Imgur e una pausa 9GAG), e a giocare di ruolo, e non solo D&D, ma Sine Requie, Il Canto del Cigno, OPd12, Drizzit, etc. Tuttavia le vacanze sollevano anche un problema spinoso, ovvero la possibilità di postare quando non si è in città, quindi definiamo una tabella di marcia non definitiva: la copertura di Giugno dovrebbe essere garantita, senza eccezioni, non solo per la storia principale, ma anche per qualche one-shot, anche se, a causa di eccessivo ottimismo nelle previsioni, probabilmente questa settimana balza. Per quanto riguarda Luglio, la situazione è più incerta, ma dovremmo riuscire a garantire almeno due capitoli con uscita regolare, più eventualmente gli altri due in giorni diversi dal Mercoledì, mentre invece ben tre settimane di agosto dovrebbero essere inserite a priori in quelle "è impossibile postare", ma nulla ci vieta di postare almeno due capitoli nei primi dieci giorni. E poi ci sono i capitoli bonus, queste mirabili armi a doppio taglio, la cui frequenza dipenderà dalla nostra rapidità di scrittura. Per oggi le notizie sono state comunicate. Stay fresh! *tornano in massa a giocare a Splatoon*

Commento del Master: Ok, direi che in questo capitolo si ondeggia tra il serio e l'esilarante con la stessa rapidità di un metronomo impazzito. Almeno, questo sembrava a noi mentre giocavamo, ed è sempre in dubbio quanto riusciamo a far passare delle nostre sensazioni. In ogni caso, quando la ruolatrice di Nori ha davvero scambiato per un'avance la domanda sulla distanza ho decretato i cinque minuti di pausa budino per trattenermi dal riderle addosso per un quarto d'ora. Eh, dai su, non fate così, che il master prima deride, ma poi si fa salire lo shipping, e non è mai una buona cosa quando ai master viene da shippare i pg, quello è un lavoro da lettori.

Commento dei Giocatori: Momento unico, composto in parti uguali di comicità ed introspezione, ovvero le basi dei GdR, il dialogo a tre tra Miros, Loreth e Leo, che portano il giovane umano sull'orlo di una crisi di nervi, le cui avvisaglie si possono però già intravedere nell'improvvisa tricotillomania che il personaggio sviluppa all'inizio del capitolo, primo di una lunga serie di tic nervosi che d'ora in avanti contribuiranno a caratterizzarlo. Per il resto, è interessante notare come, di fatto, il titolo si possa applicare a ciascun gruppo stavolta, senza privilegiare una storyline rispetto ad un'altra: abbiamo Lia la segugia, Nether che conduce CSI-Valle del Pozzo, ed il resto del gruppo che gioca a Scooby-doo, iniziando le indagini dividendosi in due gruppi molto prevedibili. (E dunque molto manipolabili - Nota del Master).


 

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Capitolo 19
*** 19-Acqua densa ***


Capitolo XIX: Acqua densa

Finalmente, la mezzelfa si fermò di fronte a quella che pareva una bottega vuota. «Deve essere questa.» decise dopo aver sbirciato all’interno combattendo il riverbero del sole che le feriva gli occhi.
«Woah,» commentò la piccola tartaruga che teneva in braccio «sembra un posto accogliente.».
Attraverso due grandi porte a vetri si scorgeva l’interno del locale, un’anonima costruzione incastonata tra due abitazioni variopinte che si affacciavano sulla via: il riflesso del sole sui vetri nascondeva la maggior parte dei particolari del soffitto e degli scaffali più alti, ma era chiaramente distinguibile la sagoma di un’imponente scrivania di legno scuro letteralmente ricoperta di libri impilati e di scartoffie. Il pavimento era anch’esso tappezzato di fogli volanti, molti dei quali davano l’aria di essere stati strappati via da un libro, ed anche volumi interi che giacevano riversi con le copertine rigide piegate o rotte. Lungo le pareti si sviluppavano alti numerosi scaffali semivuoti meticolosamente etichettati, alla base dei quali si raccoglievano cataste più o meno ordinate e regolari di tomi e libelli, posizionati senza un vero e proprio criterio.
«È come aveva detto il mezzo-drago:» constatò Timis piatta «nella foga di partire hanno operato una selezione dei libri più preziosi da portar via, ed hanno lasciato tutto a soqquadro.».
Provò a forzare la robusta maniglia della porta, ma senza successo. «Però anche nella fretta si sono ricordati di chiudere a chiave.» commentò prima di rassegnarsi a sfondare la porta a calci.
Una volta dentro, posò il druido a terra, e si diresse a passo spedito verso la scrivania. «Ti ricordi cosa dobbiamo cercare?» domandò mentre passava in rassegna i tomi più voluminosi sul tavolo.
La tartaruga esitò. «Uhm… i vecchini che abbiamo incontrato non hanno dato un titolo preciso, hanno solo detto di cercare raccolte di leggende, e che non avremmo trovato altro, amica. Sembra che questa città abbia una gran fretta di smettere di essere vista solo come la città di Uukart.».
Nel frattempo, Timis aveva smosso buona parte dei libri che oberavano la scrivania,  ed ora sfogliava attenta l’oggetto della sua ricerca: un grosso libro quadrato, di quasi un metro di lato, con le larghe pagine consunte dall’uso ed una miriade di segnalibri variopinti che affioravano in tutte le direzioni, il registro della biblioteca. Si accorse in fretta che le pagine erano divise in sezioni per argomento e genere letterario. E dopo essersi soffermata qualche minuto cercando di focalizzare l’attenzione su ciò che stava cercando, aprì il libro con decisione alla categoria “Miti e Leggende”. Non dovette cercare molto: nella prima pagina di quello che pareva un elenco interminabile, un titolo catturò immediatamente la sua attenzione.
«Ehi, Lupo, senti qua: Leggende e racconti della Valle del Pozzo, di Lucas Noss.» trillò soddisfatta «Che ne pensi? Il costo di noleggio è di tre monete di rame a settimana, quindi dubito che rientri nella lista di esemplari preziosi da salvare in caso di fuga. Scaffale Miti e Leggende, lettera L. Abbiamo il nostro libro.».
Sotto lo sguardo sollevato del druido, si fiondò verso lo scaffale etichettato come Miti e Leggende, e dopo aver constatato con una rapida occhiata che i ripiani fossero stati tutti completamente svuotati, si gettò a capofitto sulla pila di libri più vicina.
«Aspetta,» protestò la tartaruga «come fai a sapere che è in uno di quei mucchi?».
Timis si batté un dito sulla fronte. «Ho pensato che per prendere i libri in alto avranno dovuto usare una scaletta, e se hai fretta non perdi tempo a scendere per portarlo dall’altra parte della stanza, no? Lo passi a quello che sta sotto e quello lo poggia lì vicino.».
Gettò un’occhiata preoccupata alla mole di volumi sparsi per il pavimento. «Almeno spero.» aggiunse sospirando.
Lupo Grigio ben presto trovò noioso stare a guardare la Falce Mietitrice che seduta sul pavimento uno dopo l’altro apriva i libri per leggerne i titoli vergati in lettere maiuscole sulla prima pagina, e, uno dopo l’altro, li ammucchiava alle sue spalle delusa, e decise di recuperare il suo vecchio lavoro da fermacarte schiacciando un pisolino sui fogli che ricoprivano il pavimento. Non l’avrebbe mai ammesso di fronte a nessuno, ma l’incantesimo per controllare il clima l’aveva spossato parecchio, e quella notte aveva dormito un sonno agitato, continuamente perturbato dalle immagini del suo amico necromante che spariva nell’ombra del cunicolo sorridendo. Fortunatamente, gli incubi non lo perseguitarono nel suo sonnellino pomeridiano, che passò rapido, immerso in un limbo nero.
Quando riaprì gli occhi, davanti a lui la scena era cambiata: la mezzelfa si era tolta il mantello nero da Falce, e si era rimboccata le maniche della camicia bianca fin sopra i gomiti; anche nell’umida frescura della stagione inoltrata, la sua fronte era imperlata di sudore, che le macchiava anche lunghe porzioni della schiena, ed i capelli biondi, già arruffati dalle notti passate all’addiaccio, si contorcevano sulla sua testa in boccoli crespi e disordinati, che Timis continuamente cercava di assicurare dietro le punte delle sue orecchie.
“Il sonnellino deve essermi sfuggito di mano.” concluse Lupo guardando preoccupato le sfumature rosate che avevano iniziato a baciare il grigio del cielo annuvolato. Dovette però riconoscere che la sua amica non era rimasta con le mani in mano: ormai si trovava di fronte all’ultima pila di libri alla base dello scaffale, massaggiandosi il collo indolenzito e contorcendo le dita per sgranchirle.
«Uhm… come va?» azzardò lui, improvvisamente imbarazzato della sua inutilità.
Quando Timis si girò, il druido sentì un brivido attraversargli il corpo raccolto nel carapace: gli occhi della mezzelfa apparivano stralunati, innaturalmente grandi, ed ammantati di una sinistra luce di disperazione. «Eh? Ah, ho… ho quasi finito.» ogni parola sembrava costarle uno sforzo indecifrabile «Mi manca solo questo mucchio da controllare… e non so se sia una cosa buona: fino ad adesso non ho trovato niente.».
«Fatti forza, amica,» la incoraggiò lui «io… io controllerò come posso i libri sparsi.».
Timis annuì, e si rigirò per avventarsi sulla loro ultima speranza. Il druido, da parte sua, fece scivolare le sue corte zampe palmate fuori dal guscio, ed iniziò a caracollare verso il libro più vicino. Quello giaceva aperto con il dorso verso l’alto, e grossi gruppi di pagine parevano sull’orlo di staccarsi dalla rilegatura. La tartaruga lo rigirò ed iniziò a sfogliarlo col muso: si trattava di un qualche trattato minore sulla pescicoltura; in particolare, si parlava delle condizioni ottimali dell’acqua per l’allevamento delle carpe. Decretato definitivamente che non poteva trattarsi del libro che stavano cercando, fece per chiuderlo, ma all’ultimo momento la sua attenzione fu catturata da un particolare inaspettato: di sfuggita, con la coda dell’occhio, distinse un ghirigoro che correva lungo tutta la parte bassa delle ultime pagine. Incuriosito, riaprì il libro verso il fondo, e rimase sorpreso di osservare che non solo la parte finale del libro ospitava piccole decorazioni di poco pregio ai margini delle pagine, ma che la stessa carta appariva molto più vecchia ed ingiallita. Lentamente, un tremendo sospetto prese forma nella mente del druido: quando lesse poche righe riguardo alle combinazioni alchemiche del platino, tutti i suoi dubbi trovarono conferma.
«Pecie.» mormorò, guardando con pena e compatimento la mezzelfa che si affannava a controllare ogni singolo libro nella pila.
«Timis, amica,» chiamò con voce grave «potremmo avere un serio problema. Tu hai aperto i libri solo alla prima pagina, vero?».
Quella si girò di scatto, con una palpebra che pulsava appena per la stanchezza. «Sì. Qual è il problema? È lì che si scrive il titolo.» chiese ansiosa.
Il druido fece un respiro profondo e cominciò a spiegare. «Beh, allora, tu sai cos’è una pecia? È molto comune trovarne in una biblioteca.».
Timis scosse la testa. «L’unica biblioteca in cui sono mai stata è quella della Morte, e non ho mai sentito parlare di pecie prima d’ora.».
«Sì, beh,» ammise Lupo facendo schioccare il rostro «immagino che una biblioteca divina costituisca un’eccezione, ma qui nel Piano Materiale rilegare un libro o copiarlo integralmente costa molto, e quindi molto spesso si preferisce trascriverlo in un fascicolo senza copertina, così puoi anche noleggiarlo a prezzi più economici. Però visto che le pecie possono essere rilegate e staccate in qualsiasi momento, non è raro creare raccolte di pecie dello stesso argomento, e quindi...».
La Falce rimase in silenzio a lungo, con le mani giunte e gli indici premuti sulle labbra. «Quindi…» proruppe infine, con la voce incrinata «quindi mi stai dicendo che il libro che cerchiamo potrebbe essere nascosto in uno qualsiasi delle centinaia che ho già controllato?».
Quando la tartaruga annuì  mogia, la giovane donna si afflosciò contro lo scaffale, incapace di muoversi. «Non ha senso!» mormorò graffiandosi la faccia «Non ti pare che una cosa simile sarebbe stata scritta sul registro? No, no, no! Il libro deve essere in quest’ultimo gruppo!».
Il suo volto si illuminò di nuova speranza e determinazione. Senza aggiungere una parola, si trascinò strisciando a ridosso della catasta finale, ed iniziò ad aprire il primo libro in diversi punti, constatando con dolore che anche quel libro era in realtà composto di pecie diverse rilegate insieme.
“Poveretta.” pensò il druido mentre la guardava appigliarsi a quell’ultima intuizione come all’unica possibilità rimasta “Eppure non ha detto una cosa sbagliata: come minimo, avrebbe dovuto trovare un accenno al fatto che il libro fosse una pecia nel registro.”.
Incoraggiato da questa prospettiva ottimista, si voltò a scrutare determinato l’angolo del grosso e spesso registro che sporgeva dal bordo della troneggiante scrivania.
Con il suo passo lento e barcollante si diresse verso la gamba più vicina del grande tavolo scuro, e da lì lasciò fluire la magia per muoversi sulla superficie verticale come sul piano. Terminata la scalata, si accinse a rileggere con attenzione la riga interessata.
“Leggende e racconti della Valle del Pozzo, di Lucas Noss, 3mr/sett, Mit/Leg, L.”  lesse senza neanche sforzarsi di interpretare le sigle “Da nessuna parte un riferimento alle pecie. Proviamo un altro titolo.”.
Scorse rapidamente la stessa pagina alla ricerca di qualcosa di diverso. “Sì, ecco, lo dicevo io che aveva ragione: Raccolta di canti epici nanici, anonimo, 2ma/sett, Mit/Leg, pec. con Genealogia di Urro Piedisaldi, di Bar Testadura e Commentari di Lex Ampe in visita a Montefondo.”.
Gorgogliò felice, nell’imitazione di una risata, ed attirò l’attenzione della mezzelfa. «Oh, Timis, amica, avevi ragione! Non è in pecia, qui avvisano quando lo è!».
Benché immersa nel grande sforzo mentale di non chiudere gli occhi dopo oltre tre ore e mezza passate ad aprire e chiudere libri, Timis si lasciò sfuggire una risatina, in un lampo d’ottimismo che fece presto a scemare quando si ricordò di non avere ancora individuato il libro giusto nonostante avesse già perquisito oltre metà dell’ultima catasta. «Bene, una buona notizia,» mormorò con voce improvvisamente rauca «almeno sappiamo che non devo ricominciare da capo.».
Eccitato, Lupo tornò ad immergersi nella ricerca di altri titoli che supportassero la sua tesi. “Eccone un altro: Storie e miti infondati, Kursk di Tertia, 5mr/sett, Mit/Leg, L… L?”.
Improvvisamente, il mondo gli crollò addosso. «L…» mormorò, mentre si malediceva con tutti gli insulti in druidico che conosceva.
 «Amica,» chiamò di nuovo, quasi tremando «ehm… lascia stare la ricerca: è… è stato tutto inutile.».
Questa volta, la disperazione nella voce di Timis era percepibile. «Cosa intendi dire?» scandì lentamente, abbassando uno degli ultimi libri rimasti nel mucchio quasi con un singhiozzo.
Il druido abbassò il capo, mogio. «Ecco… non è colpa tua, tu non avevi modo di saperlo, se non sei mai entrata in una libreria normale, ma… ti ricordi la L dopo le indicazioni dello scaffale?».
Quando la mezzelfa annuì, il druido usò di nuovo le sue capacità per scendere lungo la gamba del tavolo. «Non indica la posizione in ordine alfabetico nei ripiani, che si può conoscere già dal nome, se ci rifletti un attimo,» spiegò grave mentre tornava a toccare terra «è un’abbreviazione dell’Alto Elfico, la lingua delle università: L sta per Locatus, ovvero “prestato”. Mi dispiace, lo so, me ne sarei dovuto accorgere quando ho visto che un titolo che iniziava per L non riportava l’iniziale. Mi dispiace tanto, amica.».
Inaspettatamente, Timis iniziò a ridere in maniera isterica, facendo ritirare le zampe nel guscio alla tartaruga. «Ehm, amica,» chiese timidamente «ti senti bene? Se vuoi conosco un incantesimo per recuperare un po’ di sanità mentale che…».
«Non capisci?» gli domandò lei senza smettere di ridere «È vero che abbiamo probabilmente buttato un pomeriggio, ma questo, se vogliamo, semplifica la ricerca.».
«In che modo?» si stupì Lupo Grigio.
La Falce sorrise, con gli occhi rifulgenti di una luce folle. «Come il registro segnala le pecie, così terrà anche conto dei prestiti, no? Ci basta leggere il nome di chi ha noleggiato il libro e trovarlo.».
 
♠♠♠
 
Il carro procedeva a rilento e traballando, trainato dagli undici non-morti che il necromante era riuscito a risvegliare, assicurati alla bell’e meglio con delle fune improvvisate ottenute legando insieme il grande quantitativo di stoffe che avevano trovato sul carro.
«E questa era l’ultima.» dichiarò soddisfatta Nori chiudendo il coperchio della cassa numero quattro «L’inventario finale consiste in una ventina di pozioni di vario tipo, centocinquanta monete d’oro, due anelli magici, di cui uno per evitare l’affogamento e uno per poter risparmiare energie mentre si lanciano incantesimi, e dulcis in fundo una pergamena contenente un incantesimo di invisibilità di gruppo. Non male come bottino, no?».
Seduto nel posto del cocchiere, Nether sogghignò. «Davvero buono.» disse rovesciandosi all’indietro per guardare in faccia la Dea della Morte «Bisogna dire che il vecchio bastardo si trattava bene: metà di questa roba vale più di una villa.».
«Ma meno della mia spada.» rise Nori carezzando la lama nera «Non hai idea di quanto sia felice di rivederla intatta. Però devi ammettere che la parte più intrigante di questo bottino è quella non palese.».
«Non ti seguo.» commentò lui strattonando un po’ la fune di un non-morto che aveva iniziato a sbandare.
Non senza lasciarsi sfuggire qualche gemito, la Dea della Morte strisciò più vicino, e si guardò intorno come per paura di essere ascoltata. «Andiamo,» sussurrò «non dirmi che non hai fatto due più due: noi siamo partiti alla ricerca del castello di un mago morto affogato, senza neanche sapere se esiste davvero, ma poi ci imbattiamo in un’organizzazione che fa delle ricerche in questa stessa valle, e l’uomo che hanno assoldato per fare il lavoro sporco si porta dietro un anello che ti aiuta a galleggiare? A quaranta chilometri dalla costa più vicina? Senza contare che un quarto di quelle pozioni serve a prosciugare i liquidi: noi Dei della Morte le utilizziamo per combattere le esondazioni dei fiumi astrali, ma sono sicuro che funzionino allo stesso modo anche sull’acqua di questo mondo; e poi ti ricordi perché aveva detto di non voler scendere di persona? “Superstizione”. Ora ci arrivi?».
Senza preavviso, il necromante tirò le funi con tutta la forza che aveva in corpo, facendo arrestare di colpo i non-morti, che si scontrarono gli uni contro gli altri brancolando confusi. «Girate il carro.» ordinò perentorio.
Le gambe di Nori accusarono il contraccolpo, e le strapparono un altro lamento. «Ma che ti salta in mente?» protestò «Il dolore aveva iniziato ad affievolirsi.».
Mentre i cadaveri iniziavano a far ruotare il carro su se stesso facendo scricchiolare il legno delle ruote sul lastricato, Nether si voltò di nuovo verso la compagna. «Hai probabilmente ragione su tutto, principessina,» le disse euforico «ma nella tua deduzione hai tralasciato il dettaglio più importante.».
Nori si accigliò. «Sarebbe?» chiese curiosa.
«Oh, non dirmi che non hai fatto due più due!» la schernì lui «Hai dimenticato un piccolo particolare: noi non stiamo inseguendo le tracce di un mago affogato, ma di un mago affogato in dell’acqua resa magicamente più densa.».
Ridacchiò. «Prova ad immaginare quest’acqua densa: come apparirebbe dopo secoli in cui l’incantesimo magari si è indebolito?».
«Non saprei,» gli rispose dubbiosa «probabilmente sarebbe simile al liquido di un’ameba paglierina, solo, ovviamente, più trasp…».
Si afferrò i lisci capelli neri con le mani, folgorata dalla conclusione.
Nether annuì, estatico. «Altro che trappola velenosa:» esclamò con la voce che tradiva l’emozione «avevo le caviglie immerse in ciò che rimane dell’incantesimo di Uukart!».
«Quindi ora che si fa?» domandò lei eccitata «Torniamo indietro?».
Il necromante annuì. «Sì, se manteniamo questo ritmo dovremmo essere lì per mezzanotte, e poi potremmo anche usare il resto delle ore buie per tornare verso la città.».
Quando il carro fu in posizione, agitò le briglie di stoffa per far partire i non-morti, disposti come cani da slitta. «Ma ci pensi?» gridò su di giri «Questa è la prova definitiva: la leggenda di Uukart è vera!».
 
♠♠♠
 
Non era stato per nulla complesso trovare la sezione dedicata ai prestiti sul registro della biblioteca: segnalato da un grosso segnalibro di seta viola, un lungo elenco dettagliato di date, prezzi e rendite indicava quali libri fossero attualmente in prestito e, cosa più importante, il nome e la residenza di colui che l’aveva preso.
Il dito di Timis si fermò al titolo cercato. «Eccolo, qui, è uno degli ultimi.» proruppe «È stato noleggiato il ventitré ottobre, due giorni prima dell’inizio della mia missione da una certa Kuza. Dobbiamo solo procurarci una mappa della città per trovare l’indirizzo segnato.».
«Una con meno di quarant’anni.» aggiunse Lupo Grigio con malinconia.
Sospirando, Timis strappò la pagina dal registro, raccolse la tartaruga sottobraccio e scavalcò i resti infranti della porta a vetri, uscendo nella via, dove ormai le ombre delle case si mischiavano a quelle delle montagne, sotto un cielo per metà rosso e per metà nero. Inspirò a fondo l’aria fresca della sera, e fece per dirigersi verso il luogo dell’appuntamento, quando percepì distintamente una corta, gelida lama penetrarle nella schiena.






Bene, nuovo capitolo. La prossima settimana ne postiamo uno vecchio, così non dobbiamo riscrivere questa frase un'altra volta. In ogni caso, oggi abbiamo una buona notizia, una cattiva, un annuncio e delle scuse. La buona notizia è che abbiamo terminato ben due one-shot per il teatrino, la cattiva è che abbiamo lasciato la chiavetta con i testi a Milano, e quindi davvero non sappiamo quando potrete leggere i nostri extra: vi possiamo comunque spoilerare che una riguarda il passato di Miros al monastero, e racconta un po' le fasi del suo rapporto con Loreth, l'altra mostra una normale serata di follia che vede Lupo ed un Nether col codino alle prese con un boss della droga locale. Passando all'annuncio, siamo alla ricerca di disegnatori per dare un ritratto ai nostri pg (e png): noi non ci facciamo illusioni, ma se c'è qualche buonanima disponibile a prostituire il suo talento per una pacca virtuale sulla spalla ce lo dica, eh. Infine, ci siamo resi conto che abbiamo macato l'appuntamento con la bussola del lettore la scorsa settimana, ma non temete: questa sera recuperiamo.

Commento del Master: Master, cerco il libro nelle quattro pile vicino allo scaffale "Miti e leggende"  - Ok, tira il d20  - No, no, prendo 20. Calcolo del tempo necessario: quasi quattro ore (sono stato generoso, il calcolo vero era vicino a sei ore). Tutto per cercare un libro che non era lì. Ho trattenuto a stento le risatine: se solo Lupo Grigio avesse letto subito l'elenco, gli avrei fatto scoprire il dettaglio del Locatus molto prima, ed avrebbero speso il pomeriggio cercando Kuza per la città, ma così va la vita. Vogliamo poi parlare di Nether e Nori? Sono passati dalla paranoia e disperazione all'essere due bambini in un negozio di dolciumi... sarebbe un peccato... se ad entrambi i gruppi... accadesse qualcosa di male...
P.S. Seconda richiesta stupida della giornata: dopo il commento del master di settimana scorsa, è emerso davvero l'elemento shipping. Visto che tra giocatori c'è sempre un po' di imbarazzo e di sentimento materno/paterno nei confronti dei pg, qui non si riesce a discutere, ma voi non desistete! Shippate a più non posso, gente! Qui si è curiosi di conoscere opinioni esterne!

Commento dei Giocatori: Yeah, progrediamo nella trama! Se da una parte abbiamo la frustrazione di aver speso, per non dire buttato mezza giornata per niente, dall'altra c'è la certezza di una nuova pista, che è tutto ciò che serve a dei pg. Per il resto, qui si continua a chiudere con i cliffhanger: quando il master rolla contro la nostra CA senza dire nulla, niente di buon può accadere. I coltelli nella schiena sono un esempio: le botte sono nella prossima puntata!

Bussola del lettore: Allora, cominciamo a parlare di biblioteche: non vi sarà sfuggito un dettaglio particolare, ovvero che, nel nostro mondo, non c'è una netta distinzione tra biblioteca e libreria. Infatti, è necessario pagare per poter noleggiare i libri, anche se questi prezzi sono spesso contenuti.
Secondo argomento, la monetazione: abbiamo mantenuto la canonica distinzione di D&D in monete di rame, d'argento e d'oro, con la differenza che abbiamo un po' abbassato l'inflazione, questo per dare un peso maggiore ai poveri pezzi di rame, che se no vengono trascurati.
Infine, visti i riferimenti temporali frequenti negli ultimi capitoli, abbiamo deciso di fornire una timeline ufficiale.

23 Ott. Arrivo di Lia a Myrth  25 Ott.  Scomparsa di Diana, divulgata la notte tra il 26 ed il 27.  Notte tra il 25 ed il 26 Esplosione alla torre    26 Ott. Incontro con Leo   27 Ott. Covo delle Rondini   28 Ott. Arrivo a Myrth, fino ad ad adesso.   30 Ott. Previsto arrivo dei servi di Oneko a Myrth.

Speriamo che da queste informazioni saprete farvi un'idea più ordinata della storia finora.

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Capitolo 20
*** 20-Il sicario ***


Capitolo XX: Il sicario
 
Lia storse il naso mentre l’elfo ricominciava ancora una volta a parlare.
“Ho probabilmente scelto la metà del gruppo sbagliata.” pensò mentre si sforzava di sorridere alle continue idiozie che l’elfo in questione le stava raccontando.
Non appena Coleos l’aveva lasciata libera di andare, Lia era scattata via come se non aspettasse altro. Dopo quasi quattro giorni passati nella quasi assoluta immobilità in un buco di cella con dei pesanti ceppi ai polsi ed alle caviglie che le permettevano a malapena di trascinarsi in giro, poter finalmente correre libera era una sensazione impagabile. Aveva vagabondato molto per le vie semideserte della città esterna, tirando piccoli innocui dispetti ai malcapitati che le attraversavano la strada, prima di iniziare a prendere sul serio la sua missione. Gli indirizzi delle due librerie che aveva ricevuto non erano valsi a molto nelle sue mani: nei due giorni di libertà che si era goduta a Myrth non si era mai curata di imparare a memoria il nome di alcuna via, così era stata costretta a chiedere indicazioni ostentando un sorriso sincero sul volto, mentre con il piede si preparava a fare lo sgambetto alla vecchina che si era fermata a risponderle.
Una volta ottenuto ciò che cercava, si era appostata sul tetto di fronte alla libreria, in una posizione ottimale per sbirciarvi dentro, e da lì aveva osservato con attenzione i movimenti delle persone all’interno. Il locale appariva angusto e soffocante, ma una piccola lampada ad olio rischiarava l’ambiente quanto bastava per distinguere con chiarezza i dettagli: dietro un largo bancone ingombrato da una ricca collezione di compassi custoditi in due teche di vetro, sedeva con un’espressione spaesata dipinta sul volto un ometto tarchiato, con un gigantesco paio di lenti spesse come fondi di bicchieri fissate con una montatura semplice sopra un grosso naso adunco, che si allungava tra due occhi neri e cisposi che apparivano due capocchie di spillo nonostante i pesanti vetri. Davanti a lui, gesticolando abbondantemente, parlava l’elfo dalla carnagione scura che aveva intravisto nel cortile del Palazzo Ducale. Era stato impossibile per Lia riuscire a distinguere anche solo una singola parola, ma dal modo in cui il bibliotecario si grattava la testa confuso, probabilmente non sarebbe stato un discorso facile da seguire neanche a portata d’orecchio. Stava quasi per rinunciare all’appostamento e lanciarsi verso l’ignoto quando un ragazzo piuttosto basso con i capelli neri spettinati e pieni di rametti, una sorta di gigantesca lancia agganciata alla schiena ed un paffuto cagnolino bianco sottobraccio aveva girato l’angolo con passo stizzito, e si era diretto verso la libreria digrignando i denti. Una volta entrato aveva malamente lasciato cadere il cagnetto bianco sul pavimento e si era messo a confabulare indispettito con il bibliotecario, che ostentava nonchalance. Sopraffatta dalla curiosità, Lia non era più riuscita a resistere, ed era balzata giù dal tetto per raggiungere la libreria, determinata a fare uso del dono del mezzo-drago.
Non appena aveva fatto suonare la campanella all’ingresso aprendo la porta, la scena all’interno si era come congelata: l’uomo al bancone aveva stirato appena di poco il collo per sbirciare oltre il giovane ed accogliere il nuovo cliente.
«Buon pomeriggio,» l’aveva accolta adocchiando interessato il pacchetto rettangolare che teneva in mano «in cosa possiamo servirla?».
Lia si era presa un momento per assaporare la scena: il cagnetto bianco aveva preso a mordicchiare i pantaloni del ragazzino, che sembrava star impiegando un notevole sforzo di volontà e concentrazione per non calciarlo in cima ad uno scaffale, mentre l’elfo la guardava con un’espressione ebete come quella di un pesce che fissa qualcosa attraverso il vetro di un acquario, il tutto in un clima di tensione che permeava l’aria di elettricità.
“Non avrei potuto scegliere un momento migliore.” aveva pensato deliziata.
«Oh, vorrei vendere un vecchio libro,» aveva spiegato con noncuranza «un vecchio volume che ho trovato in soffitta, non so quanto possa valere di preciso.».
«Penso che troveremo un accordo, se il titolo è interessante.» aveva risposto il bibliotecario uscendo dal bancone e scalzando via Miros con un braccio.
Quello aveva reagito d’istinto, agguantando l’uomo per la manica e protestando, ma era stato rapidamente zittito.
«È una raccolta di traduzioni antiche di favole per bambini, con note e glosse di Araios Sunder: si concentra in particolar modo sulle storie di Bentha, dei dieci figli di Knossod e di Uukart lo Stupido.» aveva concluso gustandosi le reazioni generali: se il vecchio libraio era riuscito tutto sommato a trattenere il moto d’ingordigia che gli aveva comunque gli occhi di una luce verdastra, il ragazzo dai capelli neri non si era fatto problemi a spalancare la bocca incredulo ed a pararsi tra lei ed il commerciante, portandosi dietro il cagnolino ancora attaccato alla gamba.
«A-aspetti,» aveva farfugliato «po-possiamo comprarglielo noi!».
Il bibliotecario si era messo a ridere. «Non penso proprio che tu possa, figliolo,» aveva affermato sprezzante «perché sto per offrire venti monete d’argento per un pezzo di tale pregio.».
“Pezzente imbroglione bastardo,” aveva pensato Lia con un sorriso falso “questo ne vale almeno ottanta.”.
Il ragazzo si era messo le mani tra i capelli. «Uhm… emh… io non ho molti soldi con me,» aveva ammesso nel panico «però una mia amica non ha problemi di questo genere e quindi potrei offrirle di più se solo… se solo venisse un attimo con me.».
«Fatti da parte, figliolo, e lascia le transazioni agli adulti.» aveva sbottato il bibliotecario, facendo infuriare il giovane, che si era girato minaccioso.
«Stai attento, tu,» aveva ringhiato «e scegli: dimmi chi ha noleggiato il libro che ti ho chiesto o accetta la mia concorrenza come acquirente.».
«Oh, sai che non posso darti quelle informazioni, sono dati privati.» lo aveva schernito il libraio in risposta.
Il giovane aveva puntato un dito contro il cane appeso alla sua caviglia. «Sono dovuto salire su un albero infestato dai parassiti per recuperarlo! Non ho la minima idea di come ci sia salito, ma ho ancora dei bruchi tra i capelli! Avevamo un accordo, il cane per il nome, e tu sei in debito con me!».
Lia si era messa a ridere con dolcezza. «Sono sicura che è una bella storia,» aveva detto nella voce più suadente che avesse mai usato «ma non posso aspettare per avere il denaro, devo comprare cibo ed equipaggiamento per un viaggio, quindi mi dispiace, ma devo rifiutare la tua offerta.».
Sconfitto, il ragazzo si era fatto da parte, avvicinandosi all’elfo, che lo aveva guardato confuso. «Non so se può aiutare, maestro,» aveva sospirato questi «ma io una mattina ho trovato duecento monete d’oro nella mia sacca, e temo che ormai non verranno più a riprendersele.».
A quel punto, era stato il negoziante ad impallidire ed a scacciarli tutti e tre fuori dalla sua biblioteca, al che si trovarono a parlare seduti al tavolo di una piccola taverna gremita di anziani. Da lì in poi, era stato semplice per Lia presentarsi come un’avventuriera mercenaria di passaggio disposta ad offrire non solo il libro, ma anche i suoi servizi nella cerca del ragazzo, che le aveva detto di chiamarsi Miros, in cambio di un piccolo compenso. Sfortunatamente, né Miros né l’elfo ottuso che lo accompagnava sembravano essere a conoscenza del piano globale, ed una volta che si fu resa conto che non avrebbe ricavato molte informazioni da riferire al lucertolone, aveva iniziato a premere perché si ricongiungessero con il resto della squadra, ed alla fine aveva ottenuto di recarsi immediatamente all’altra biblioteca, anche per comunicare agli altri che avevano ottenuto un libro utile.
Tuttavia, mentre camminava per le vie della città con la voce dell’elfo nelle orecchie, Lia iniziava a chiedersi se quella che era sembrata un’enorme fortuna non fosse in realtà una sorta di vendetta divina per tutte le sue malefatte. Sospirò ed alzò gli occhi al cielo, ormai quasi buio, sforzandosi di ignorare l’elfo che per l’ennesima volta le passava in rassegna le motivazioni che rendevano meraviglioso lavorare per Miros e le ripeteva quanto fosse stata fortunata, ma, conscia del fatto che fosse meglio evitare di palesare sin da subito la sua vera natura, si trattenne dal fulminarlo sul luogo.
“Se non sarò adeguatamente ricompensata per questa missione, giuro che quando Arcados avrà lasciato la città sarò in prima linea tra quelli che vorrebbero raderla al suolo.” mugugnò guardando il sole tramontare dietro le montagne
 
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Timis barcollò boccheggiando, stordita dal colpo inaspettato, e lasciò cadere Lupo Grigio a terra. Il pugnale, veloce come era arrivato, si ritrasse dalle sue carni, portandosi dietro un fiotto di sangue. Con la vista annebbiata, si girò per identificare il suo aggressore, ma dietro di lei non vide nessuno.
«Lupo…» chiamò mentre stringeva i denti per il dolore, ma la tartaruga non rispose. La cercò per terra, e trasalì quando nella penombra i suoi occhi da creatura notturna distinsero chiaramente il rosso del sangue che colava da un lungo taglio sottile sul fianco del carapace del druido, che si dibatteva a terra rovesciato sul dorso.
«Maledizione.» imprecò, evocando la falce in una mano ed aiutando l’amico a rimettersi in piedi con l’altra «Non riesco a vederlo. Ti senti bene? Ce la fai ad aiutarmi?».
Lupo Grigio sibilò, ed il suo corpo si illuminò di luce azzurra, che avvolse anche le ferite della compagna, che cominciarono subito a rimarginarsi. Senza più il dolore che le attanagliava la schiena, Timis chiuse gli occhi e si concentrò, evocando il suo potere per scandagliare i dintorni alla ricerca di anime. Subito si sentì attratta da un’energia vitale sconosciuta: le sue percezioni le dicevano che doveva trovarsi poco più di un metro davanti a lei, ma quando tornò a vedere normalmente, non riuscì ad individuare niente o nessuno.
«Deve essersi reso invisibile.» mugugnò a denti stretti, tendendo le orecchie nel tentativo di cogliere anche il minimo rumore, ma l’unica cosa che udì fu il sibilo della coppia di dardi che sfrecciavano verso di lei da un punto imprecisato alle sue spalle. Due piccoli quadrelli da balestra le si conficcarono nei polpacci, proprio sotto le ginocchia. Cadde in ginocchio lasciando cadere la falce, ed alzò subito lo sguardo riempito di lacrime verso i tetti circostanti, ma dalla sua angolazione era praticamente impossibile vedere alcunché.
Un guscio rossastro l’avvolse, lampeggiando per alcuni istanti prima di aderire al suo corpo come una seconda pelle. «Cerca di resistere per ora, ci penso io.» sentì gridare il druido, che ascoltava guardingo l’ambiente circostante quasi completamente ritirato nel guscio. All’ultimo secondo riuscì ad intravedere una sagoma scura in contrasto con la porzione di cielo ancora chiaro che si lanciava su di lui dall’alto del tetto della casa più vicina. Non aspettò oltre: spalancò la piccola bocca per vomitare un muro di fiamme verso l’alto, con l’intenzione di carbonizzare qualsiasi cosa si avvicinasse, ma inaspettatamente l’ombra schizzò di lato a mezz’aria, rotolando senza neanche fumare un po’ sul lastricato della via a meno di un metro di distanza, e rinnovò il suo impeto contro  di lui, disegnando due tagli incrociati sul suo guscio con un pugnale ricurvo ed un corto spadino, impugnati alla rovescia.
La tartaruga guaì, ma non si lasciò cogliere del tutto impreparata: il suo carapace prese a lampeggiare ad intermittenza di una forte luce bianca, ed immediatamente tutti i corpi furono senza peso. Fu solo per un secondo: dopo pochi istanti tutti gli oggetti e le persone non ancorate al suolo nel raggio di sei metri non furono attratte verso l’alto da una forza irresistibile, come se stessero precipitando. Il volo fu breve: raggiunti i sei metri di altezza, tutto ciò che era stato risucchiato verso l’alto iniziò a fluttuare incontrollatamente, roteando su se stesso secondo schemi casuali.
«Cerca di spingerti fuori dall’area dell’incantesimo.» ringhiò Lupo Grigio alla mezzelfa, mentre quella volteggiava a testa in giù appena dietro di lui. Timis annuì, e prese il volo elevandosi al di sopra degli oggetti fluttuanti, per poi ridiscendere qualche metro più in là.
«Ora a noi due, uomo in nero.» mormorò poi il druido guardando fisso la figura incappucciata che cercava di ritrovare l’equilibrio sospesa per aria di fronte a lui «Sei solo ed in mio potere, ti conviene arrenderti.».
L’assalitore inarcò la schiena, flessuoso, e si portò in posizione eretta, perfettamente a suo agio nel campo d’inversione gravitazionale. «Primo,» cominciò, con una voce più acuta di quella che Lupo si sarebbe aspettato «preferirei “signora” in nero, secondo, temo che tu stia travisando la situazione, e terzo…».
Schioccò le dita, e  Lupo sentì un ringhio strozzato alle sue spalle. «Chi ha stabilito che sono sola?».
Il druido si voltò appena in tempo per vedere una fulminea silhouette nera balenare dal nulla ed avventarsi sulla mezzelfa fluttuante dietro di lui, ma quell’attimo di distrazione gli costò caro: la nemica trasse due piccole balestre fuori dal suo mantello, e sparò altrettanti quadrelli che trapassarono il guscio della tartaruga, mordendone le carni con il loro gelido acciaio.
Contemporaneamente Timis gemette quando delle dita nere e fumose affondarono nel suo petto, attraversando la barriera protettiva senza sforzo, e parvero succhiarle via a forza dalle braccia. Un senso di spossatezza si impadronì di lei all’istante.
“Mi sembra di rivivere la torre,” pensò debolmente mentre vedeva sottilissimi arti scuri come la notte ritirarsi nell’ombra  “ma non è minimamente paragonabile alla magia di Nether.”.
Sogghignando, scattò in volo verso il suo nemico, mettendo quanta più forza possibile in quello che di fatto era un fendente alla cieca, e sorrise quando sentì un acuto stridio levarsi dalle tenebre di fronte a lei. Finalmente, i suoi occhi ebbero una visione chiara del nemico che l’aveva assalita: una figura scura dalle sembianze vagamente umanoidi si contorceva sulla parete della casa di fronte, cercando in tutti i modi di contenere la fuoriuscita di un denso fumo nero da un largo squarcio sul fianco, che la tagliava quasi in due.
“Un Ombra.” registrò, prima di realizzare cosa ciò implicasse.
«Lupo Grigio,» gridò a squarciagola «è un’Ombra Danzante! Le sue capacità diminuiranno se riesci ad illuminare l’ambiente.».
Scuotendo la testa per riprendersi dal doloro dei due dardi conficcati nella schiena, il druido gemette. “Non posso farlo, ho usato troppa forza magica per proteggerla.”.
Schioccando il rostro, si rese conto che la sua oppositrice non avrebbe aspettato ancora a lungo prima di tornare all’attacco con delle balestre cariche, e preso dal panico ritentò la stessa tattica di prima, soffiando fiamme più larghe e calde possibili, nella speranza di colpire il bersaglio. Questa volta ebbe più fortuna: senza la possibilità di muoversi liberamente, l’Ombra Danzante poté solo stringere gli occhi e coprirsi il volto con le mani per resistere all’immensa ondata di calore che la investì. Con soddisfazione, Lupo Grigio sentì la sua avversaria ringhiare dal dolore, e si lasciò sfuggire una risatina quando vide che il suo mantello aveva preso fuoco.
«Cazzocazzocazzo…» la sentì imprecare mentre cercava di spegnere le fiamme senza risultato.
L’esplosione luminosa che le fiamme avevano generato scosse anche l’Ombra sul muro, che soffiò a Timis come un serpente prima di gettarsi di nuovo contro di lei, ma questa volta la mezzelfa fu più veloce, e scartò lateralmente l’attacco prima di roteare nuovamente la falce e di attraversare per intero lo stretto busto dell’Ombra, che si dissipò stridendo nell’aria notturna.
«Sembra che ora siamo solo noi tre.» dichiarò trionfante la tartaruga prima di soffiare una terza ondata di fiamme, che si raccolse in una sfera ordinata, prima di sfrecciare verso l’assalitrice. Quella però riuscì ad evitarla abilmente flettendo il busto e dandosi lo slancio necessario per spostarsi di qualche spanna verso l’alto, per poi tornare nella posizione di equilibrio per effetto della gravità naturale.
Finalmente riuscì a spegnere il fuoco che le bruciava il mantello, ma fu solo dopo che si fu tolta il cappuccio per soffocare anche le fiammelle che le ardevano la punta dei capelli rosa che tornò a ghignare.
«Ti piace giocare con il fuoco, eh, piccolo stronzetto verde?» chiese digrignando i denti sporchi del rossetto viola che le colorava le labbra «Giuro che ti aspetta una morte rovente se ti metto le mani addosso!».
Da una tasca del mantello estrasse una lunga catena chiodata, che terminava con due lame affilate agganciate alle estremità, ma dovette lasciarla cadere quasi subito tanto si era scaldato il metallo. Lupo Grigio strabuzzò gli occhi quando vide che la catena non si limitava a fluttuare lungo il piano di equilibrio, ma che si era disposta in posizione d’attacco da sola, ed aveva iniziato a roteare le lame.
«Aspetta,» chiese con voce quasi gentile l’Ombra Danzante «dammi una spinta, prima.».
Per tutta risposta, la catena si attorcigliò su se stessa come le spire di un serpente, si mise in posizione orizzontale, e si distese come una molla spingendo la sua padrona fuori dall’area dell’incantesimo, dove cadde al suolo atterrando con eleganza.
La donna trasse con calma un corto pugnale da un fodero sulla cintura, e sorrise maligna. «Iniziamo a tagliare la carne per lo spiedo.» sussurrò prima di scagliare il pugnale roteante verso la tartaruga, che, incapace di muoversi, squittì impotente quando quello disegnò un lungo taglio sul suo guscio, strappando via uno dei due quadrelli, che saltò via con uno spruzzo di sangue.
Timis ruggì e caricò a testa bassa l’avversaria, fintando all’ultimo secondo per confonderla, e la colse impreparata: dove l’Ombra Danzante si aspettava un fendente laterale, ne arrivò uno verticale, che le squartò una spalla e scese lungo tutto il suo fianco incontrando il braccio sinistro in due punti, liberando una cascata di sangue che inondò il volto della Falce, mentre la sua nemica cadeva all’indietro stringendosi il braccio martoriato. Il colpo, tuttavia, non scrisse la parola fine: con un verso d’ira disperata, la donna con i capelli rosa scattò in piedi, ed utilizzò il braccio sano per menare un fendente con la corta spada che le aveva protetto la coscia dal massacro della falce: il suo attacco andò a segno, ma scivolò sull’evanescente armatura rossa che ricopriva il corpo di Timis, appena prima che quella si dissolvesse leggera, sbiadendo lentamente.
La mezzelfa non perse l’occasione, e roteò nuovamente la falce contro l’avversaria sbilanciata, incidendo una ferita profonda anche sul suo fianco destro. L’Ombra Danzante emise un grido smorzato, più simile ad un rantolo, e si allontanò barcollando, con le gambe che tremavano. Arretrò fino a trovarsi con le spalle al muro, e lì si afflosciò. L’ultimo sguardo che rivolse alla Falce fu carico di paura e confusione, poi scomparve alla vista, come risucchiata dalla parete.
Sfinita, ed incurante di tutte le possibili trappole che potevano essere sul punto di scattare, Timis crollò a terra in ginocchio, stringendosi i polpacci da cui ancora sporgevano le code dei quadrelli.
«Lascia, amica, faccio io,» sentì rincuorarla Lupo Grigio, che pareva essersi già curato gran parte delle sue ferite.
«La forza…» gemette lei guardandosi le braccia tremanti avvolte dalla luce bluastra dell’incantesimo «la forza nelle braccia non mi sta tornando… quando me l’aveva tolta Nether erano bastati pochi minuti… non capisco.».
Il druido la guardò apprensivo. «Forse posso fare qualcosa anche per quello.» si offrì con dolcezza.
Lentamente, sotto l’azione benefica di una pallida luce rosata che sprigionò dal carapace della tartaruga, il senso di debolezza e stanchezza si sollevò dalle membra di Timis.
La mezzelfa strinse al petto il piccolo rettile, e gli posò un bacio sulla testa. «Grazie,» gli sussurrò «sarei già morta da un pezzo senza di te.».
La tartaruga gorgogliò, felice, ma ad un tratto ebbe un moto di stupore che la fece balzare via dal grembo dell’amica. «Woah, woah, woah!» esclamò ritraendosi nel guscio «Quella cosa alla mano come te la sei fatta?».
Confusa, la mezzelfa sollevò la mano destra, che il druido osservava stralunato, e sgranò gli occhi: pollice, indice e medio apparivano completamente scarnificati, nude ossa candide che si innestavano sulle ossa del carpo parzialmente esposto. Senza neanche un briciolo di paura nel cuore, ma con un’indicibile ammirazione negli occhi, Timis provò a flettere le dita scheletriche, che si piegarono senza sforzo né fitte di dolore.
«Non ci credo…» mormorò estasiata «non dovrebbe essere possibile senza l’intervento diretto della Morte: questa è la forma di Mietitore, il tratto distintivo delle Morti Falciatrici.».
Lupo Grigio roteò il capo, dubbioso. «Morti che? Vuoi dire tipo il grado superiore al tuo nell’esercito della Morte?» domandò incerto «Beh, i tuoi poteri vengono dalla tua falce e dal mantello, no? Forse ti è stata concessa da questi oggetti, in qualche modo. È possibile?».
Timis scosse la testa. «No, non credo,» rispose «e poi è incompleta: dovrebbe trasformarsi tutto il corpo, non solo tre dita. Non saprei dire.».
In quel momento, gridando, Miros emerse correndo da dietro l’angolo, con il falcione tra le mani, seguito a ruota da Leo e da una donna bionda avvolta in un abito azzurro che le fasciava strette le gambe e le braccia.
«Che cosa è successo?» chiese Miros guardandosi intorno agitato «Sentivamo delle grida, siete pieni di sangue, no, anzi, qui tutto è coperto di sangue, e…».
Iniziò a mordicchiarsi nervosamente un’unghia, allarmato. «Che ti è successo alla mano?».
Lei sorrise. «Una mezza promozione.».
 
 
 
 
 
 
Accidenti, il ventesimo capitolo è uscito, si danno botte da orbi, Lia fa finalmente qualcosa e, no, Deldes non è altro che un png. Un png di quelli fatti bene, però, eh. Cosa? Neanche questa settimana è uscito il teatrino delle ombre? Che? Io non so niente, non ho visto nulla, sono solo un testo d'introduzione alle rubriche.
 
Commento del Master: Si può dire quello che si vuole, che le avventure di intrigo siano le migliori, che i combattivi negoziati sono per gli impaziente ecc. ecc., ma nessuno potrà mai negare che i combattimenti sono la parte più bella di D&D. Non sto parlando di sterminare qualche scheletro indifeso in un dungeon, intendo quei combattimenti duri, che durano decine di turni, in cui le due parti si sorprendono a vicenda ed i livelli di potere si equivalgono. Quelli dove alla fine è il sommo Dio d20 a determinare chi vive e chi muore. No, ecco, i png importanti non muoiono alla prima comparsa, dai, si ritirano... e pensare che il piano originale era quantomeno di rapirne uno ed uccidere l'altro... ah, il d20: un tiro di merda sui riflessi per il mio png contro un incantesimo ad area, un critico di falce (x4! Ma dai, quale arma ha il critico x4?), un secondo tiro buono con la stessa falce e le sorti di uno scontro vengono ribaltate. Per farvi capire meglio: Deldes è un personaggio globalmentedi dodicesimo livello, quante possibilità c'erano che due pg al terzo ed al quinto riuscissero a metterla in fuga? Eppure il destino ha voluto così, e la storia ha funzionato lo stesso. Eventi di questo tipo ti fanno riflettere: se io soffro così tanto nel vedere i png (che sono un po' dei figli) maltrattati dai giocatori, i giocatori si sentono così ogni volta che chiedo un tiro sulla tempra quando bevono qualcosa di strano? Ho una crisi di identità, mi viene voglia di dispensare Desideri gratuti. O lamenti della banshee, non ne sono sicuro. In ogni caso, un conto è emozionarsi, un altro è far emozionare: descrivere una scena di combattimento è stato molto difficile, anche perché abbiamo cercato (senza molto successo, in realtà) di mascherare l'andamento a turni tipico di D&D, ma ci diciamo mediamente soddisfatti del risultato finale. Le note dolenti si faranno sentire quando combatteranno insieme otto pg... ohi ohi...
 
Commento dei giocatori: No, mi raccomando, più lungo il commento del Master, che la gente non si annoia a morte prima di leggere il nostro. Allora, c'è solo una cosa da apprezzare in questo capitolo: XP!!! Noi giochiamo con una regola variante, che in pratica limita di molto il numero di XP raccomandati dal manuale, ma questa volta lo scontro era così impari che i 6600 XP a testa non ce li poteva togliere nessuno! (E secondo le regole ufficiali dovevano essere circa 14.000). Alla fine Timis prende due livelli in una volta, balzando al quinto e superando così Miros, che è il nuovo personaggio di livello più basso della campagna, e così facendo ottiene anche l'accesso alla magia della sua classe: una lista di pochi ma potenti incantesimi di utilità, che d'ora in poi faranno la differenza negli scontri. (C'è anche invisibilità superiore, ci rendiamo conto?). Lupo Grigio prende un livello, ma a parte vedersi espansa la forma selvatica non ottiene molto. Comunque questi sono i primi aumenti di livello nella campagna, ed è sempre molto gratificante assistervi: oltre ai vantaggi di gioco, si ha anche la sensazione che i pg non siano qualcosa di statico, ma una sorta di forma di vita, che cresce e sviluppa, assieme ai poteri, un proprio stile e carattere.
 
Bussola del lettore: Vabbé. Dopo due commenti così, non appesantiamo il foglio. Salire di livello è una cosa naturale, ma poco realistica: nella realtà non è che tu impari un nuovo incanto solo perché hai ammazzato abbastanza troll. No, in effetti nella realtà non impari incantesimi, punto. Fatto sta, che secondo le nostre regole i miglioramenti dovuti al passaggio di livello si possono selezionare ed ottenere solo a battaglia finita e dopo un riposo esteso,quindi per Timis niente magia fino a che non passerà la notte ad indagare le nuove possibilità del suo potere.

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Capitolo 21
*** 21-Per assumere un mercenario ***


Capitolo XXI: Per assumere un mercenario

Deldes tirò un sospiro di sollievo. Era rimasta acquattata nell’ombra per diversi minuti, schiacciata contro la parete nella speranza che la tartaruga sputafuoco e la bionda con la falce si fossero illusi di averla uccisa o messa in fuga, quando invece non aveva fatto altro che intessere le ombre intorno a lei per scomparire nella notte. Quando erano sopraggiunti gli altri, le era sembrato di vivere un incubo, con la paura che qualcuno sarebbe venuto a mettere fine alla sua vita, ma fortunatamente erano stati tutti troppo impegnati a soccorrere i loro compagni per notare il lieve tremolio delle ombre sul muro, tutti tranne la donna alta vestita di celeste, che più di una volta aveva fiutato l’aria sospettosa ed aveva guardato nel punto esatto in cui Deldes si era eclissata, facendo fremere di terrore la mezzelfa con i capelli rosa, ma, fortunatamente, alla fine se ne erano tutti andati nel giro di un minuto, guardandosi attorno circospetti mentre confabulavano di una locanda, lasciando l’Ombra Danzante libera di prendere respiri più profondi e di rilassare il corpo teso.
Si strinse con più forza il braccio sinistro, ridotto ad un ammasso sanguinolento di carne e tendini appeso alla sua spalla. La fasciatura che aveva improvvisato avvolgendo il braccio nel mantello le aveva certamente impedito di morire dissanguata, ma sarebbe stato impossibile medicarsi adeguatamente, ed ora la testa le girava per la perdita di sangue. “Spero di non finire come Due-code.” pensò con un risolino liberatorio, andando con la mente ad immaginarsi il moncherino della rivale attaccato al suo corpo.
 Facendo appello a tutte le sue forze rimanenti, si sollevò in piedi, piantando le unghie laccate nella parete della casa, ed iniziò a zoppicare cercando di pensare rapidamente ad un rifugio sicuro, maledicendosi mentalmente per non aver portato con sé neanche una pozione curativa. Stava per girare l’angolo quando sentì un paio di mani stringersi intorno al suo collo, e sbatterla violentemente al suolo. Con la testa che le vorticava e la vista annebbiata, non fu in grado di riconoscere con certezza l’identità della figura femminile che le fu subito addosso, ma in condizioni normali i suoi occhi erano in grado di penetrare il velo delle tenebre senza difficoltà e vedere tutto con chiarezza, e quindi anche nel buio di una sera senza stelle non le sfuggì il singolare abito azzurro che avvolgeva la donna.
«Allora,» sentì canticchiare una voce infantile «vediamo un po’: queste sono brutte ferite, vero? Vorrei evitare che morissi prima di rispondere a qualche domanda, quindi lascia che te cauterizzi un poco. Che ne dici?».
Senza aspettare una risposta, le dita della donna iniziarono a scoppiettare, sprigionando scintille roventi che illuminarono di una luce bianca lampeggiante il ghigno sadico dipinto sul suo volto. Deldes si contorse sotto la sua presa, ma non poté fare altro che cercare di mordere disperata il palmo della mano che le impediva di gridare premuta forte sulla sua bocca quando sentì la sua carne sfrigolare sotto il calore della corrente elettrica, mentre calde lacrime iniziavano a scorrerle sulle tempie.
«Ecco fatto!» trillò la donna soffiandosi sulle unghie per raffreddarle «Adesso iniziamo con le basi: chi ti manda, esattamente?».
L’Ombra Danzante singhiozzò. «Ti prego, se te lo dico loro mi…».
«Risposta sbagliata.» sentenziò l’altra incidendole con l’unghia le ferite appena richiuse e ritappandole la bocca per soffocare le grida «Prova di nuovo.».
«Va bene, va bene,» piagnucolò lei quando ebbe di nuovo la liberta di parlare «sono stata mandata in ricognizione, con l’ordine di uccidere se ne fossi stata in grado e…».
La donna si spazientì. «Non come e perché,» sbottò strattonandola «da chi? Nube o Servi di coso, dimmi solo questo!».
Quando Deldes riprese a singhiozzare, la sua assalitrice sollevò un braccio per colpirla, ma si bloccò a mezz’aria non appena un si levò un refolo di vento. Improvvisamente guardinga, annusò l’aria incerta, come se avesse captato un odore mai sentito prima. Ad un tratto, sei tentacoli neri, piatti e sottili come strisce di carta e con l’estremità acuminata di una lancia piovvero dall’alto, costringendo la donna a scartare di lato. Nonostante la sua velocità fulminea, uno dei tentacoli le graffiò il fianco, stillandole qualche goccia di sangue.
“Due-code.” pensò Deldes debolmente mentre vedeva la sua assalitrice arretrare esterrefatta fissando un punto imprecisato sopra il tetto.
«Lavoriamo per la Nube, se è quello che vuoi sapere,» udì scandire la voce profonda della compagna «e, se permetti, devo prelevare quest’idiota. E tu?»
La squadrò sospettosa. «Tu non eri nella lista.».
La donna bionda non rispose, ma guardò incuriosita i tentacoli che l’avevano aggredita, che si piegarono ad uncino, ghermendo senza tanta leggerezza il corpo ormai inerte della mezzelfa, che ormai vedeva poco più che ombre sfumate agitarsi di fronte a lei.
«Diciamo che ero dall’altro lato di una porta.» sentì infine rispondere strafottente la donna «Vi dice qualcosa, questo?».
«A me niente.» rispose Due-code inclinando la testa «Comunque prima o poi ci rivedremo, donna dietro la porta.».
«Nessun problema, nuvoletta.».
 
♠♠♠
 
«Quindi chi era? Che cosa voleva?».
Le domande di Miros caddero vuote nel caldo ambiente della camera. Avevano affittato a buon prezzo due stanze separate nel primo ostello che avevano trovato aperto, una vecchia costruzione con solide travi di supporto scure che emergevano incurvate dai muri rivestiti di calce bianchissima, che li aveva accolti come manna dal cielo nonostante l’ora tarda e le condizioni disastrose in cui versavano non appena avevano mostrato all’oste quattro monete d’oro pescate dalla sacca di Leo. Non poteva essere definito un locale di lusso, ma in confronto alle ultime notti passate all’addiaccio i materassi male imbottiti di paglia e le coperte di lana grezza parevano le stanze di una reggia. Sul cibo, poi, non vi era di che lamentarsi: le cucine avevano già chiuso da qualche ora, ma dietro la prospettiva di una lauta mancia il padrone aveva felicemente ordinato al cuoco di bollire uno stufato, il cui profumo invitante saliva sino al piano di sopra, dove si erano radunati tutti quanti nella stanza destinata a Miros e Leo, per cercare di far luce sulla situazione, e per confrontarsi sull’eventuale assunzione della mercenaria chiamata Lia, che proprio all’entrata dell’ostello aveva chiesto un quarto d’ora per precipitarsi a recuperare delle cose, e che non era ancora tornata.
«Cosa sappiamo?» tentò ancora il giovane umano.
«Che era determinata ad ucciderci,» osservò piatta Timis «e che probabilmente ci sarebbe riuscita, se non avessimo avuto fortuna. È riuscita a mettere alle strette Lupo pur essendo immobilizzata, quindi chissà quanto rapidamente si sarebbe concluso lo scontro se lui non fosse riuscito a bloccarla.».
«Beh, amica, direi che anche tu l’hai conciata proprio male:» ridacchiò la tartaruga «per guarire quelle ferite che le hai inferto persino io avrei dovuto dar fondo ai miei incantesimi più potenti.».
Abbassò il capo, improvvisamente cupo. «Tra l’altro, questa è la prima volta da molto tempo che mi trovo a corto di potere magico: penso che fino a domattina sarò totalmente inutile.».
Timis accarezzò dolcemente il dorso del druido, che gorgogliò soddisfatto. «In ogni caso,» azzardò infine «ora che mi ci fai pensare, mi ricordo che Coleos si era fatto sfuggire qualcosa riguardo ad un gruppo chiamato Servi di Oneko, quelli per cui ci hanno scambiato oggi: non potrebbe essere stata un membro in cerca di vendetta?».
Miros iniziò a mordersi l’unghia del pollice. «Forse,» rispose «o forse no, boh. Potremmo provare a vedere se nel libro che abbiamo trovato oggi si parla di questi tizi.».
Il volto della mezzelfa si illuminò. «Non sai quanto sia felice che lo abbiate trovato!» esultò gioiosa «Noi non abbiamo avuto così tanta fortuna: temevo che avremmo sprecato tutto domani a cercare una certa Kuza in giro per Myrth. Dov’è il libro?».
Il giovane umano fu preso alla sprovvista. «Uh…» esitò «ce l’ha ancora Lia, il libro è suo.».
«Ecco, dobbiamo parlare anche di questo,» cominciò la Falce sollevando un dito «io trovo vagamente sospetto che non appena tu rientri nel negozio per chiedere informazioni su un libro di favole entri una persona che per caso ne possiede una versione migliore che enfatizza i cambiamenti che la storia ha subito nei secoli. Insomma, pensaci, quante sono le possibilità?».
Una voce femminile si introdusse nella conversazione. «Di incontrare una mercenaria che sa leggere? Non molte, direi, ma siete stati fortunati.».
Tutti si voltarono verso l’ingresso: sul ciglio della porta, appoggiata con il gomito sullo stipite, stava con le gambe incrociate e sfoderando un sorriso a trentadue denti l’avventuriera che si era presentata come Lia.
«Tuttavia non ho altri libri qui con me:» si scusò alzando le braccia «la storia del volume trovato in soffitta era una balla, un tentativo di farlo sembrare più antico di quello che è. La verità è che questo libro di favole è stato parte del mio ultimo pagamento.».
La sua mano scivolò giù nello stivale, e ne trasse fuori il volume in questione. «Io sarei felice di accettare un lavoro, ma preferirei non essere pagata di nuovo in carta, non so se mi spiego.» spiegò con un gesto disinvolto «La mia tariffa è bassa, sono venti monete d’argento a settimana, più una terza moneta d’oro per ogni battaglia vinta.».
«Due monete d’oro a settimana?» ringhiò Timis «Costi come un alloggio per due persone! È troppo per assumere un mercenario».
Lia fece le spallucce. «Corrono tempi difficili, e se proprio ci tieni a farti un’idea, questo è il prezzo che di solito chiede uno sfigatello in armatura.».
Socchiuse gli occhi, maliziosa, e stese le braccia davanti a se, puntando gli indici l’uno contro l’altro. «Questo è un piccolo assaggio di ciò che posso fare io, lascio a voi il compito di dedurre le mie capacità.».
Dalle punte delle sue dita affusolate scaturirono due scariche gemelle, che si congiunsero a mezz’aria chiudendo il circuito, ed iniziando a rilasciare piccoli fulmini in direzioni casuali.
Leo rimase a bocca aperta. «Uuuuuuuuuuuuh,» fece estasiato recuperando una delle sue frecce blu «guarda, guarda, so farlo anch’io.».
Miros gli impedì di raggiungere l’arco con un gesto deciso. «Non qui dentro, Leo.» sentenziò guardandolo torvo.
«Comunque,» aggiunse dopo rivolto a tutti gli altri «io penso che visto quello che è successo stasera un aiuto potrebbe servirci. Insomma, abbiamo visto che separarsi è pericoloso, ma farebbe comodo avere un elemento in pi su cui contare in caso fossimo costretti a farlo.».
Abbassò la voce, come se rischiasse di essere sentito da qualcuno. «E poi non sappiamo davvero se siete riusciti ad ucciderla, no?» aggiunse «Potrebbe… cercar vendetta.».
Lo stomaco di Lia brontolò. «Uhm, potremmo parlarne a tavola?».
 
♠♠♠
 
A notte fonda, senza neanche una stella o una falce di luna ad illuminare il cielo, del cimitero si faticava a distinguere il muricciolo coperto d’edera che lo delimitava. Alla tenue luce emessa dalla pala di Nether, tuttavia, il liquido aveva replicato le sfumature bluastre emesse dall’oggetto, nello stesso modo in cui si sarebbe comportata della semplice acqua, ma quando la Dea della Morte provò ad agitare la piccola ampolla dove il necromante aveva raccolto il muco che colava dalle pareti della stanza segreta delle cripte, quello oppose un’innaturale resistenza al movimento, e si limitò ad oscillare appena, aderendo come colla alle pareti del suo recipiente.
Nori sollevò un angolo della bocca, compiaciuta e divertita. «Uh. Acqua densa. Non saprei proprio come altro chiamarla, posso capire cosa intendesse Timis.» dichiarò mettendo la fiasca di vetro in controluce «Senza dubbio il fondo di verità nella leggenda è più spesso di quanto ci aspettassimo.».
«Resta da capire come mai l’abbiamo trovata solo in quella camera.» obiettò lui osservando incantato la singolare sostanza «Per come la vedo io ci sono tre teorie: primo, è possibile ch nel corso dei secoli il lago si sia interrato naturalmente, e quindi ora l’acqua densa impregni questi terreni, o si sia dispersa.».
Un improvviso fruscio nell’erba scosse il silenzio della notte senza grilli, facendo voltare di scatto il necromante verso la sorgente del suono, ma, vista l’assenza di successivi rumori, tornò presto al suo elenco. «Secondo,» riprese tenendo il conto con le dita «il lago potrebbe essere stato interrato volontariamente con un incantesimo, il che solleverebbe questioni più pressanti come cercare di capire cosa possa aver spinto ad un gesto tanto drastico. Infine, è anche possibile la soluzione più semplice: solo quella stanza è riempita e/o circondata dall’acqua densa, mentre il lago è scomparso del tutto, oppure non è mai esistito. Dimentico qualcosa?».
La Dea della Morte scosse la testa. «No, non penso, ma sinceramente adesso fatico a seguirti.» disse asciugandosi la fronte «Sto morendo di sonno, ed è quasi mezzanotte.».
Nether le bloccò il braccio, serio e corrucciato in viso. «Stai sudando?» le domandò inarcando un sopracciglio.
«Sono in piena convalescenza,» obbiettò lei liberandosi «è normale avere degli squilibri termici, sto bene, non c'è bis...».
Iniziò a tossire violentemente, artigliando il legno del carretto per contenere gli spasmi. «Dammi una fiala!» riuscì a sibilare tra un colpo di tosse e l'altro.
Il necromante non era rimasto ad aspettare, ed era già pronto con la medicina per l'asma tra le mani. Nori l'agguantò, e si versò il liquido verde in gola, stringendo gli occhi mentre aspettava che l'attacco si calmasse.
«Questo non conta,» chiarì tossicchiando con le lacrime agli occhi «mi capita sin da bambina, non sono malata.».
Nether la squadrò dubbioso. «L'ultima volta l'effetto è stato quasi immediato,» borbottò «mentre tu stai ancora tossendo.».
La Dea della Morte lo liquidò con gesto della mano. «A volte ci mette un po' di più,» lo rimbeccò «specialmente se…».
Un colpo di tosse più violento degli altri la fece piegare in due e gemere di dolore per le ferite alle gambe. Quando rialzò la faccia la sua espressione mutò rapidamente da una smorfia scocciata ad un misto di incertezza e paura: dalle sue labbra fuoriuscivano fluttuanti piccoli fiocchi di cenere.
«Uh-oh,» fece il necromante seguendo con lo sguardo il volo dei petali grigi che ricadevano lentamente ondeggiando nell’aria «questo non va bene per niente.».
 
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Timis chiuse il libro con un tonfo, facendo tremolare la fiammella della candela sul comodino, ridotta ad un moccolo insignificante.
«Lo hai davvero letto tutto, allora.» commentò Lia dal letto di fianco al suo «Avrei scommesso che ti saresti fermata, non mi aspettavo tutto questo zelo.».
«Sei ancora sveglia.» constatò la mezzelfa fregandosi gli occhi irritati «Pensavo ti fossi addormentata. Come mai sei ancora sveglia?».
La mercenaria fece le spallucce, rigirandosi sulla schiena. «Volevo solo vedere fino a che punto ti saresti spinta. Hai trovato qualcosa di utile in quel libro? Qualche indizio per la vostra ricerca disperata?».
Timis esitò. «Alcune cose,» rispose infine leccandosi le dita per spegnere il cerino brancolante «pochi dettagli in realtà, che non appaiono nell’opera odierna.».
«Tipo?» insistette l’altra.
«Tipo la collocazione cronologica,» spiegò lei lottando contro il sonno «che non è più solamente “tanto tempo fa”, ma è indicata come cinque secoli fa, quasi sei, considerando che questo volume avrà quasi sessant’anni, o l’assenza della descrizione delle avventure per scoprire il segreto per addensare l’acqua: qui si limita a scrivere “cercò in lungo e in largo, fino ad arrivare alla costa”, e penso che tutte le avventure siano state aggiunte in seguito per aggiungere un po’ d’azione alla vicenda. Anche il personaggio è un po’ diverso, non è l’idiota vanesio della versione moderna, è conscio dei rischi che corre, ed anche se alla fine non ascolta l’ultimo consiglio del suo famiglio lui…».
«Aspetta, aspetta,» la fermò Lia poggiandosi sul gomito «non racconta le sue avventure in giro per il mondo? E allora di cosa si parla per le duecento e passa pagine di quel libro?».
La Falce socchiuse gli occhi, guardandola diffidente. «Il libro è tuo,» osservò «non l’hai letto? Contiene anche altre favole oltre a quella di Uukart.».
La mercenaria tentennò, presa alla sprovvista. «No, no, in effetti no,» ammise infine imbarazzata «l’ho ricevuto come pagamento da poco, non ho mai avuto tempo di aprirlo, sai, la miriade di preparativi per abbandonare Myrth, il saldare vecchi conti…».
Timis non ribatté, e si accontentò della risposta. «Basta,» dichiarò infine «è mezzanotte passata e sono stravolta, andiamo a dormire.».
Spense la candela con due dita, e si rigirò verso la porta. «Aspetta, uh… Timis,» la chiamò nuovamente Lia «mi diresti anche perché non hai voluto aspettare domattina per leggerlo tutti insieme?».
La mezzelfa rise, una risata rauca e stanca. «Cercavo indizi utili per affrontare la notte:» rispose sistemandosi il cuscino «il vero lavoro comincia adesso.».
 
 
 
 
 
 
Benebene, capitolo ventesimo primo, si fanno passi da gigante. Purtroppo questa sera non abbiamo assolutamente il tempo di scrivere le rubriche consuete (treno tra mezz’ora), ma veniamo da voi con una lieta novella: annunciamo, dopo settimcough cough… mesi di anticipazione e vaneggiamenti, l’uscita della prima One-shot del teatrino delle ombre entro sabato 10 giugno. Sarà la storia che vede Lupo Grigio (allora solamente Waffle Yodas Shuckle, Waffle per gli amici) e Nether Low con la fidanzatina nove anni e quattro livelli prima in pausa estiva dagli studi di medicina in un ridente paesino di campagna a fare… cose non proprio legali. Ma qualcuno ha intenzioni peggiori delle loro. Sì, lo sappiamo, il titolo del capitolo è messo a cazzo.

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Capitolo 22
*** 22-Un ospite inaspettato ***


Capitolo XII: Un ospite inatteso

Le pareti bianche del castello, curvate quasi secondo un profilo circolare, risuonavano di una vibrazione sorda, che riempiva la cassa toracica della mezzelfa facendone tremare ogni singolo osso. Il basso borbottio crebbe gradualmente d’intensità e di volume, per poi spegnersi ci colpo, senza preavviso né logica.
Nella nuova realtà ovattata che pian piano andava solidificandosi di fronte ai suoi occhi, Timis non poté fare a meno di notare come ogni volta il passaggio tra realtà e sogno divenisse meno netto, più impreciso: la prima visita era stata come un risveglio, ed anche le due volte successive era riuscita a percepire il lento processo di coagulazione del mondo intorno a lei che si definiva senza fretta, con i dettagli che prendevano forma dalle sagome rozze come rivoli di fumo, ma questa notte non c’era stato nessun risveglio, nessun buio che si era dissipato quando aveva aperto gli occhi. Semplicemente, un attimo prima era sdraiata nel letto di una locanda da quattro soldi e l’istante successivo era già in piedi nell’androne del castello, nello stesso punto in cui la pioggia l’aveva bloccata la notte scorsa, proprio di fronte al giglio a cinque petali inciso sul pavimento.
Di nuovo, le venne istintivo parlare ad alta voce. «All’interno questo posto non sembra messo tanto male considerando che da fuori è quasi un rudere.» osservò muovendo qualche passo verso la scalinata di sinistra «Certo, me lo immaginavo più ricc…»
Il suo cuore perse un battito quando con un violento schiocco, arazzi lunghi e stretti si dispiegarono dal nulla negli spazi che intercorrevano tra le sottili ed alte finestre, esibendo tutti il medesimo ricamo: lo stesso giglio inciso per terra risaltava in color panna sullo sfondo bianco. Timis si mosse lentamente, girando su se stessa per passare al setaccio tutte le travi, ogni punto del soffitto, ogni ombra o imperfezione che potesse anche solo lontanamente far pensare ad una fessura da dove gli arazzi avrebbero potuto esser stati rilasciati.
«Per lui è stato un sacrificio,» la voce sottile, acuta e sarcastica di uno sconosciuto riecheggiò nella grande sala vuota «il colore, intendo.».
Si voltò di scatto verso la sommità delle scalinate, con il cuore che batteva come un ossesso, mentre istintivamente agitava il polso per richiamare la falce, che tardava ad apparire.
«Chi c’è?» gridò quando si rese conto di non star indossando nessun braccialetto d’ossa sulle braccia nude «Fatti vedere!».
«Sì, sì, arrivo, scusami, non volevo spaventarti,» cantilenò distratta la voce «anche se in realtà dovrebbe essere piuttosto facile vedermi qui: si dice nero su bianco, dopotutto.».
Qualcosa si mosse in cima alle scale, e scendendo rapidamente i gradini una bassa, piccola ombra nera sfrecciava dietro il corrimano scolpito, apparendo e scomparendo tra i candidi fiori di pietra, mentre Timis si irrigidiva sempre di più: era indifesa. Chissà come, qualcosa si era intrufolato nel suo sogno, e lei era indifesa.
Arretrò istintivamente fino ad avere le spalle contro il portone. «Fermo,» intimò, sorprendendosi della saldezza della sua voce «non così in fretta, non muoverti.».
Con suo sommo stupore, la creatura le ubbidì, rallentando fino a fermare i suoi passi. «Che c’è, elfetta?» la sentì sghignazzare sorniona «Paura che ti mangi la lingua? Guarda che è solo un modo di dire.».
Senza aspettare una risposta, l’ombra spiccò un balzo verso l’alto, raggiungendo elegantemente il cornicione: di quella che era sembrata solo una macchia nera sull’abbacinate sfondo chiaro, ora si potevano distinguere quattro zampe curvate con orgoglio sotto un corpo flessuoso, che terminava con una lunga coda che ritta verso l’alto, con la punta che oscillava pigramente a destra e a sinistra. Sulla testa brillavano due occhi dello stesso verde delle gemme primaverili, ed un paio di orecchie triangolari sondavano attente l’ambiente circostante.
Timis sollevò un sopracciglio, confusa. «Oh,» constatò, senza credere davvero alle sue parole «sei un gatto.».
«Nah, sono un puma molto piccolo.» la schernì l’animale sedendosi sulle zampe posteriori «Un puma molto piccolo che non ha idea di come sia arrivato qui. Tu hai qualche idea, figliola?».
La mezzelfa stette in silenzio per un attimo, cercando di analizzare la faccenda: per quanto ne sapeva, era perfettamente possibile manipolare i sogni altrui e ferire qualcuno nel sonno, con gli incantesimi giusti, ed ovviamente il mondo era pieno di creature in grado di assumere forme rassicuranti come quella di un piccolo felino, solo per riuscire a far abbassare la guardia alla propria preda. Certo, non aveva mai sentito di una combinazione delle due cose, ma in fondo, si disse, per un incantatore sufficientemente dotato non doveva essere impossibile.
«Cosa stavi dicendo sul colore?» chiese infine per prendere tempo, mentre camminava verso la scalinata opposta stando rasente alla parete, con l’intenzione di mantenere la massima distanza tra lei ed il misterioso intruso.
Il gatto inclinò la testa, cercando di fare mente locale. «Ah, sì, ho detto che per lui è stato un sacrificio:» spiegò poi stiracchiandosi «amava il colore bianco più di ogni altra cosa a questo mondo, non mangiava nulla che non avesse quel colore, ed è stato un vero trauma per lui rendersi conto che non poteva intessere il suo simbolo in bianco su bianco perché non si sarebbe a malapena distinto, e si è visto costretto ad usare questo color panna.».
Con un movimento fluido, saltò giù dal corrimano, atterrando con leggerezza sul pavimento tre metri più sotto. «Ma tutti dobbiamo scendere a compromessi, prima o poi. Non è vero?» domandò risollevando la coda.
Quell’ultima affermazione non aiutò certo a distendere l’atmosfera. «“Lui” chi è?» chiese la Falce circospetta «Stai… stai parlando di Uukart? Tu chi sei? Cosa sei?».
«Quante domande, ragazza!» miagolò il gatto nero «Domande a cui penso si possa rispondere con un po’ di buon senso, dai, prova ad arrivarci: certo che “lui” è Uukart, dove pensi che ci troviamo? Io sono… beh, ero un suo amico. Piuttosto, il vero dilemma è: sai come siamo arrivati qui? Non ho davvero la minima idea, io non dovrei trovarmi qui, non ancora, almeno.».
Timis socchiuse gli occhi. «Siamo in un sogno.» spiegò diffidente, studiando le parole per lasciar trapelare il minor numero di informazioni «Una visione onirica stabile, creata apposta per me.».
Il corpo del gatto si rilassò, afflosciandosi sul pavimento, mentre la coda sbatteva ritmicamente a terra. «Un sogno.» disse annuendo lentamente «Capisco. Beh, signorina, sembra che tu abbia bisogno di me.».
La mezzelfa fu presa in contropiede. «Cosa vorresti dire?» ringhiò minacciosa.
«Uh-uh, siamo scontrosetti.» canticchiò l’animale rotolandosi sulla schiena «Lascierò correre per questa volta, è normale essere scossi dopo che un gatto parlante ti appare in sogno, però, piccoletta, ti posso garantire che non sono entrato nella tua mente di mia volontà: mi sono semplicemente svegliato sulle scale quando si sono aperti i tappetoni del mio amico.».
Dedicò una lunga occhiata ai chiari arazzi che avevano invaso le pareti, guardandoli con spitto. «Li ho sempre odiati:» dichiarò infine «sono appesi troppo in alto per farsi le unghie.».
Rimase in silenzio per pochi secondi, cercando di incenerire con lo sguardo la delicata stoffa pallida. «Comunque,» riprese poi tornando a concentrarsi su Timis «che qui sia tu ad avere bisogno di me, e non viceversa, lo deduco dalla tua reazione: guardati, hai tutti i muscoli contratti, non sarai ailurofobica, spero. È evidente che quella spaesata sei tu, e ti posso garantire che i gatti non finiscono nei sogni altrui per sbaglio, quindi qualcuno, tu stessa o chi per te, mi ha trascinato qui.».
Il pensiero della Falce andò istintivamente al suo maestro. “Ha detto che era amico di Uukart.” ragionò studiando i movimenti del felino “Forse è un anima morta mandata qui dal mio maestro per guidarmi?”.
Poco convinta, decise di continuare a tergiversare in attesa di coglierlo in fallo. «Hai detto che puoi aiutarmi, ma in che modo?».
Gli occhi del gatto scintillarono. «Oh, io sono sempre stato un tipo collaborativo, troverò di sicuro un modo per essere utile.» spiegò «Innanzitutto, io ho vissuto qui molto a lungo, potrei farti da guida, che ne pensi?»
Prima che Timis potesse rispondere alcunché, l’animale aveva già ripreso a parlare. «Però non posso certo fare tutto per niente, sai? Io mi  fido di me, ma vorrei almeno la conferma che tu non hai cattive intenzioni: parlami di te. Come ti chiami? Chi sei?».
La mezzelfa ignorò le sue domande. «Hai detto vissuto?» domandò curiosa «Vuoi dire che sei morto?».
«No,» sghignazzò il gatto «ma non vivo da molto tempo, è complicato, vedi. Però non è giusto, sono solo io a rispondere qui: facciamo una domanda a turno. Allora, riproviamo: come ti chiami?».
Timis esitò. «Mi chiamo Timis Galanodiel,» si arrese infine «sono una Falce Miet… una Morte Falciatrice. Quasi. Lavoro per la Morte. Qual è il tuo nome?».
«Uukart mi chiamava Macchia.» rispose l’altro stiracchiandosi nuovamente «Per la Morte hai detto? In effetti qualche lavoro a metà potreste averlo lasciato, qui, ma non credo che sia un argomento che mi concerna. Tocca di nuovo a me: perché sogni il castello di Uukart?».
La mezzelfa optò per una risposta evasiva. «Devo trovare una persona vicino al castello. Che fine ha fatto questo luogo nel mondo reale?».
Macchia sogghignò. «È scomparso.» disse solamente.
«Ehi!» protestò la Falce «Non mi hai detto niente, così!».
«Neanche tu, ragazzina!» la rimbeccò lui rotolando sulla schiena «Ti ho ripagato con la stessa moneta. Dammi risposte esaurienti, e sarò più propenso a fornirti dettagli. Per esempio: viaggi da sola?».
«No,» sbuffò lei in risposta «mi accompagnano un umano, un elfo ed una tartaruga, ed abbiamo appena ingaggiato una mercenaria di recente.».
«Un gruppo variopinto, ma come risposta va bene.» commentò il gatto girando il corpo di scatto per risollevarsi in piedi «Siete parte di un’affiliazione più grande?».
Timis storse il naso. «No, ci siamo trovati insieme per forza di cose, e dopo questa mi dovresti due risposte, ma che ne diresti se facessimo una sola ma davvero dettagliata?».
Quando l’animale annuì indifferente, la bocca della mezzelfa si curvò in un sorriso. «Perché Uukart cercava il modo per addensare l’acqua, di preciso? Non credo alla storia delle passeggiate.».
Le pupille del gatto si contrassero in due tagli verticali nei suoi occhi smeraldini. «Io e lui eravamo intimi, quasi inseparabili,» soffiò piano, riaccovacciandosi per terra «ma non ha mai ritenuto sicuro mettermi a parte del disegno completo, quindi non te lo so dire. Potresti trovare qualcuno in grado di spiegartelo in una fortezza sulle rive del mare, arroccata su di una scogliera a strapiombo sulle acque. Lo chiamano Roccasale, si trova circa venti miglia a nord della Valle del Pozzo, dove questo castello una volta sorgeva. Io ero contrario ad andarci, e mi sono rifiutato di entrare, ma lui è stato irremovibile: quando è uscito aveva con sé la risposta alle sue domande, ed un’espressione grave sul volto. Non so altro.».
 “… cercò in lungo e in largo, fino ad arrivare alla costa…” ricordò la mezzelfa piena di speranza.
Macchia avvolse la coda intorno al suo corpo, stringendone la punta tra le zampe. «Adesso anch’io vorrei una risposta dettagliata, poi potrai farmi due domande, se vorrai: chi o cosa state cercando tu e il tuo gruppo?».
«Una donna chiamata Diana:» spiegò lei «una mezza-drago in qualche modo collegata con il blocco dimensionale di quattro notti fa. Il mio maestro mi ha comandato ci cercarla nelle prossimità del castello di Uukart, e mi ha permesso di vederlo in sogno ogni notte. Non so altro.».
Macchia cominciò nervosamente a leccarsi il pelo. «Parlami di questi sogni.» comandò tra una leccata e l’altra.
«Non così in fretta:» lo fermò Timis muovendo un altro passo in direzione delle scale «mi devi due domande.».
«Dopo potrai farmene quante ne vorrai,» ringhiò il gatto irrequieto «e risponderò con minuzia di particolari a tutte, ma ora parlami di questi sogni: da quanto li fai?».
La mezzelfa fermò il piede sul primo scalino. «Dalla notte del blocco.» rispose sforzandosi di capire dove l’animale volesse arrivare.
«Dimmi di più:» la incitò quello torturandosi la coda «dove ti trovavi quella notte? Ci sono state notti in cui non hai visto il castello?».
Timis si fermò un attimo a riflettere. «Sì…» mormorò piano «nell’agitazione del viaggio non ci avevo fatto caso, ma la notte successiva al crollo della torre non sono riuscita a sognare nulla. Come facevi a saperlo?».
«Lascia perdere.» il gatto scosse il capo, rialzandosi irrequieto sulle quattro zampe «Hai parlato di una torre?».
«In mezzo alla Pineta Maggiore.» rispose la Falce anticipando la domanda successiva «In teoria avrei dovuto stanare un necromante, ma…»
Senza produrre il benché minimo rumore, il gatto aveva preso a trotterellare rassicurato verso la Falce. «Non preoccuparti,» miagolò mentre iniziava a gorgogliare le sue fusa «ora penso di potermi fidare: chiedimi pure tutto quello che vuoi.».
Guardando ancora incerta l’animale che nel frattempo aveva iniziato a strusciarsi contro le sue gambe, la mezzelfa cercò rapidamente di riordinare le idee. “Cosa gli chiedo?” pensò mentre allontanava il gatto con il piede “Ma soprattutto cosa gli ha fatto cambiare umore così repentinamente?”.
«Uhm… tu sei il famiglio di Uukart, vero?» se ne uscì alla fine, mentre continuava a cercare domande più utili.
Macchia scosse la testa. «Il vecchio non ha mai avuto famigli di nessun genere: te l’ho detto, ero un amico.».
«Cosa sai dirmi dei servi di Oneko?» chiese di nuovo, finalmente soddisfatta della domanda «E della Nube?».
Il gatto parve indugiare per un secondo, come se stesse cercando le parole giuste. «Ho conosciuto i primi, tanto tempo fa, mentre non so niente di una setta chiamata Nube. I servi di Oneko erano una semplice organizzazione religiosa: veneravano un entità malvagia, e si affidavano ai suoi responsi per sapere dove dirigere i loro sforzi, ma a dire il vero non penso che Oneko li abbia mai tenuti in grande stima.».
«Sai qualcosa su Oneko?» insistette lei, cercando inutilmente di allontanare l’animale con un piede.
«Poco.» ammise quello desistendo dallo strusciarsi «Soltanto che non era un demone ed un diavolo come credevano alcuni: era un Eidolon, un guardiano dimensionale. Tu ne avrai sicuramente sentito parlare, dal momento che servi una divinità: sono esseri potenti, che galleggiano nel Mare Astrale sorvegliando lo stato dei vari piani. Avevi parlato di un blocco dimensionale, no? Potrebbe centrare qualcosa. Esattamente com’è avvenuto?».
La mente di Timis ritornò rapida alla notte del crollo, facendole scorrere di fronte agli occhi le immagini confuse della gigantesca esplosione rosa: l’improvvisa sensazione di calore sulla schiena, il peso della Dea della Morte che la tirava verso il basso, l’urto con un detrito proveniente da chissà dove, e la quasi fatale caduta di venticinque metri in una pioggia di mattoni e travi consunti dal tempo. «È stato violento,» si lasciò sfuggire «come una grande esplosione: la terra ha tremato, e poi un raggio di energia violetta si è sprigionato dal nulla ed ha raso al suolo la torre dove ci trovavamo.».
«Allora Oneko è probabilmente morto.» osservò Macchia sbattendo la coda al suolo «Un evento tanto brutale avrà sicuramente riempito di schegge di energia vaganti tutto il Mare Astrale: nessuna creatura avrebbe potuto sopravvivere. Non giudicare in fretta i servi di Oneko, se davvero si sono fatti rivedere: potrebbero essere semplicemente in pensiero per il loro signore. Hai altre domande, adesso?».
Timis lo guardò incerta. «Sai dirmi cosa c’è oltre quella porta?» chiese indicando i battenti in cima alle scale.
Macchia snudò i denti, malizioso. «Vieni con me, te lo faccio vedere.».
Salirono rapidamente la scalinata di pietra, avvolti nel candore abbacinante del riflesso della luce che penetrava dalle strettissime vetrate che ferivano la spessa parete, mentre i loro passi affrettati frusciavano sui tappeti del colore della neve. Arrivati in cima, Macchia le rivolse un’occhiata complice, e le fece cenno di stare indietro: con fare solenne, avanzò fino al punto dove la sottile e quasi impercettibile linea di congiunzione delle due ante toccava il suolo, e poggiò le zampe anteriori sui battenti, chiudendo i piccoli occhi verdi per concentrarsi. Timis arretrò per precauzione quando vide la coda del gatto, fino ad allora ferma e tesa verso l’alto, iniziare ad agitarsi spazzando il pavimento, ma tutta la curiosità, il timore e l’aspettativa scemarono rapidamente quando Macchia iniziò a graffiare il legno scuro miagolando come un forsennato.
«È questa la tua idea per entrare?» sbraitò esterrefatta sbattendo un piede per terra «Miagolare fino a che non ti aprono? ».
Il gatto si voltò, riservandole uno sguardo carico di superiorità. «Voi umanoidi non avete mai fede nei segreti della nostra antica magia felina.» soffiò offeso «In questo modo se c’è qualcuno dall’altra parte aprirà sicuramente questa porta, è una sorta di influenza mentale infallibile.».
La Falce rimase senza parole. Si voltò verso la sala, appoggiandosi al parapetto del balconcino, cercando per il pavimento lucente quell’unico puntolino nero che era il suo biglietto d’ingresso. Man mano che scrutava attenta la superficie bianca senza trovare il sassolino, nel suo petto cresceva sempre più intensa la paura che fosse irrazionalmente scomparso, così come scompaiono le cose nei sogni, o, peggio, che il gatto l’avesse preso mentre lei non ci faceva caso.
“Dove diavolo…”.
Improvvisamente se ne rese conto: non ricordava né di averlo raccolto né tantomeno di averlo tenuto in mano per tutto quel tempo, eppure il sasso era lì a salutarla dal palmo della mano, con la sua forma vagamente piramidale ed i suoi spigoli affilati e le sue punte aguzze che le graffiavano la pelle.
«Ecco,» proclamò trionfante, mostrando la pietra al gatto «questo ci permetterà di entrare. Questo, e qualche istante di concentrazione.».
Ma prima che potesse anche solo iniziare a rievocare la tempesta emotiva che le aveva fatto oltrepassare i pesanti cancelli d’ingresso, una goccia d’acqua cadde dall’alto, sfrecciando davanti al naso della mezzelfa, e continuò il suo tragitto verticale fino a che non si dissolse appena prima di bagnare il pavimento.
«No, cazzo!» imprecò maledicendo lo stesso scorrere del tempo.
Un terribile pensiero le attraversò la mente quando una goccia gelida le colpì la testa: non aveva chiesto la cosa più importante. «Presto,» si rivolse concitata al gatto, che cercava di riparare il muso dalla pioggia fine che ormai imperversava nel castello «dimmi dove è scomparso il castello!».
Macchia miagolò, agitando la coda divertito. «Se lo sapessi, sarebbe tutto più facile, vero?» gongolò mentre la realtà intorno ai due cominciava a cedere «Un sospetto io ce l’ho, però: non trovi che questa valle abbia proprio un bel nome?».
Il sogno si sgretolò un attimo prima che lei potesse assestare un calcio sul gatto che le aveva fatto sprecare gli ultimi secondi con un indovinello. Quando Timis aprì gli occhi era stesa sul fianco, sdraiata sul comodo letto di paglia della locanda. Fuori dall’unica finestra poteva vedere i primi raggi del sole fare capolino dalle montagne e riflettersi luminosi sulle tegole dei tetti bagnati di pioggia. Qualcosa le stava lentamente punzecchiando la spalla.
«Ben svegliata,» senti trillare Lia mentre riponeva quello che aveva tutta l’aria di essere uno stiletto «il sole sta sorgendo: è ora di muoversi.».
La mezzelfa si alzò lentamente a sedere, constatando con rammarico che la mercenaria aveva ragione: l’appuntamento che si erano dati era nella sala comune della locanda alla prima luce.
«La Valle del Pozzo…» mormorò meditabonda mentre si faceva scivolare il mantello nero da Falce sopra i vestiti ordinari «Valle del Pozzo… il pozzo dov’è?».
 
♠♠♠
 
Dalla finestra centrale dell’abside appena accennato del mausoleo filtrò un unico, timido raggio di sole, che gettò la sua pallida luce sul volto esausto del necromante. Era stata una notte d’Inferno: da quando la Dea della Morte aveva tossito il primo batuffolo di cenere, la sua salute non aveva fatto che peggiorare. Dapprima, data la cenere che fuoriusciva a sbuffi irregolari dalla sua gola o per la fuliggine che si mischiava alle lacrime che avevano iniziato a sgorgare spontaneamente dai suoi occhi, la sua malattia, qualunque essa fosse, si sarebbe potuta facilmente confondere con un violento accesso di febbre con qualche complicazione magica, ma dopo che dalle ferite sulle gambe avevano iniziato a sorgere piccole fiammelle simili a fuochi fatui era apparso immediatamente chiaro che non poteva trattarsi di una patologia comune. Il contatto con l’acqua per le abluzioni aveva subito sortito risultati positivi, ma il sollievo che Nori sembrava averne tratto era svanito rapidamente quando aveva iniziato ad espellere grosse quantità di un denso muco nero dai polmoni. Mettendosi le mani tra i capelli, Nether aveva solo potuto cercare di arginare come poteva i sintomi con brevi applicazioni di pezze umide ed accendendo quante più candele possibili per cercare di scaldare il corpo dell’amica, che nonostante il fuoco che talvolta fuoriusciva in minuscole vampate dalle sue ferite aveva continuato a lamentare un freddo insopportabile.
«Ehi,» chiamò scuotendo piano il corpo madido della Dea della Morte «ehi, svegliati, è sorto il sole, possiamo muoverci ora.».
Nori aprì lentamente le palpebre gonfie, sputando per terra un grumo grigiastro. L’idea di muoversi all’alba era stato il compromesso migliore: il vento gelido che aveva iniziato a spazzare il fianco della montagna aveva scoraggiato ogni tentativo di corsa notturna verso la città alla ricerca di un medico e le spesse pareti del mausoleo avevano fornito una valida difesa contro gli spifferi e la pioggia battente che in breve aveva iniziato a cadere.
«Come ti senti?» le domandò sarcastico il necromante.
«Spiritoso.» lo zittì lei, pulendosi la guancia dalla cenere incrostata «Dammi una mano ad alzarmi.».
Nether si chinò, facendo passare un braccio sopra la spalla. «Cerca di guardare il lato positivo:» disse mentre sollevava quasi di peso la compagna «hai smesso di piangere nero, e poco prima di cadere addormentata mi hai detto anche che il dolore alle gambe era sparito quasi del tutto, non ricordi? Vuol dire che questa è una delle ultime volte che devo trasportarti.».
La donna si lasciò sfuggire una risata sibilante. «Se peggioro a questo ritmo, presto dovrai portarmi dentro una cassa.» ansimò tossicchiando sottili foglietti di materia bruciata «Questa è la prima volta in centoquarantatre anni che mi sento morire.».
Il necromante si sforzò di sorridere, ma gli angoli della sua bocca si rifiutarono di curvarsi verso l’alto. «Non penso proprio che ti trasporterei:» cercò di sdrammatizzare «in realtà sarei più propenso a rianimarti e farti scendere nella tomba con le tue gambe. Certo, sempre che non ti vaporizzi in una nuvola di fuoco al momento della morte.».
L’umorismo nero fece ridere la guerriera, ma in cuor suo Nether sapeva che quella che aveva appena descritto era davvero la più probabile conclusione del decorso di quell’assurda malattia che aveva colpito la sua amica. “Deve averla contratta nel portale, non c’è altra spiegazione.” concluse mentre insieme uscivano all’aria aperta, sotto un cielo ancora plumbeo, ma che lasciava indovinare il pallido profilo del sole appena sorto da dietro le montagne “Non è una malattia del nostro mondo, questo è poco ma sicuro. La vera domanda è perché non l’ho contratta anch’io.”.
Si sfiorò il petto, preoccupato. “Se non l’ho contratta anch’io.” si sentì in dovere di precisare.
Raggiunsero il carretto parcheggiato all’esterno: la pioggia aveva imperlato i lunghi e fitti steli d’erba con piccoli diamanti liquidi, che con il loro peso curvavano la vegetazione verso il basso, lasciando affiorare dal mare verde le sommità di alcune lapidi coperte di muschio che fino ad allora erano rimaste nascoste. I corpi senza vita di Mangiavermi e del suo assistente giacevano ancora dove li avevano abbandonati l’ultima volta, con un nugolo di mosche che si radunava vorticando intorno alle ferite putrescenti, ma le vecchie abitudini spinsero Nether a tenerli sott’occhio entrambi, giusto per sicurezza.
«E ora verso Myrth…» mormorò stanca la Dea della Morte mentre il necromante l’aiutava a sistemarsi «Pensi che li troveremo tutti vivi?».
“Non sono neanche sicuro che riuscirò a trovare te viva domattina.” pensò con un sorriso triste “La nostra unica speranza è la magia curativa di Waffle.”.
«Sì,» rispose infine dando ai non-morti il segnale per partire «sii fiduciosa: andrà tutto bene.».
 







Dai, dai che siamo un po' in ritardo, anche se è meglio postare mezz'ora dopo che postare senza commenti. Prima di passare alle rubriche, abbiamo un piccolo avviso: LA SETTIMANA PROSSIMA NON SAREMO IN GRADO DI POSTARE A NESSUN COSTO, ma tranquilli, poi si torna subito alla normalità. In ogni caso, con somma gioia annunciamo che un utente ha addirittura aggiunto Shades tra le sue storie preferite: un sincero ringraziamento al nostro Bumblebeee, che probabilmente ha una E di troppo nel suo nome, ma a noi non importa, perché c'è una grande U nei nostri cuori. Nah, funziona solo in inglese. O magari,chissà, c'è un motivo che coinvolge un certo singolo dei Kasabian, come ci informa la zia Wiki. Ti adoriamo, Bumblebee, ci hai dato un gran piacere.Ovvio, probabilmente l'hai fatto molto prima ma noi ce lo siamo perso perché non controlliamo mai, ma ci hai fatto piacere.

Commento del Master: Non dovrei vantarmene, ma io adoro quando negli occhi dei miei giocatori vedo quell'incertezza sottile, per cui non sanno se si trovano in un momento serio della trama da ruolare con attenzione o in una scena un po' demenziale come non ne mancano in nessuna campagna, di quelle in cui ridacchiare e fare un po' gli scemi. Che poi tecnicamente in questo capitolo si nasconde un grosso spoiler per quelli che riescono a scovarlo, ma nessuno dei giocatori lo ha fatto. Me li aspettavo più perspicaci...
Cambiando argomento, ricordate, bambini: quando il master vi da un "danno" che non si riesce a curare o a far sparire in nessun modo (terribili ferite sulle gambe, un suono continuo in un orecchio, un taglietto sul mignolo), è sempre, sempre, sempre sintomo di qualcosa di più grosso. Se poi sia una possessione demoniaca, una grave malattia esotica, un parassita o una maledizione non conta. C'è sempre qualcosa sotto.

Commento dei Giocatori: Quando ti rendi conto di stare molto peggio del normale è brutto. Quando ti trovi in una situazione impossibile è disarmante. Ma quando ti trovi una citazione a Doctor Who negli indizi della campagna, allora hai la certezza che è una campagna figa. Quando al gruppo di Timis è stato riferito il suggerimento del gatto, gli oooooooh, gli wooooooh, gli aaaah e gli weeeeee sono durati mezz'ora. Nell'altra metà del nostro povero party dilaniato, invece, si cerca soltanto di sopravvivere, con ogni mezzo possibile.

Bussola del lettore: Uhm... ecco... di che parliamo, oggi? Sì, sì, aspettate, lo troviamo un argomento... dateci... due settimane. No, non si può fare: anticipiamo. Oggi cerchiamo di fare un riassunto dei punti cardinali, perché ci rendiamo conto che voi non avete la cartina della Pineta Maggiore sotto gli occhi.
Allora, innanzitutto la Pineta Maggiore è una foresta enorme, posta ad una latitudine paragonabile a quella del Mare del Nord sul nostro pianeta, con un clima abbastanza freddo. "Appena" addentratisi nei suoi boschi, dopo circa due o tre giorni di cammino, si incontra una sorta di scodella naturale (presente la Valle Incantata? Ecco, simile.), fatta da montagne molto antiche disposte più o meno ad ellisse, con l'asse maggiore orientato Ovest-Est. A Sud-Ovest di questa valle, che altri non è che la Valle del Pozzo, si trovava la torre dove è avvenuta l'esplosione. I nostri amici soto entrati dal passo più vicino disponibile, posto sull'estremo occidentale della valle, mentre Myrth si trova al lato opposto, a cavallo dell'unica apertura naturale degna di questo nome. Dalla città si dipartono molte strade, che si addentrano in sezioni di foresta più addomesticate e che sono relativamente sicure. Il fatto di essere l'unico baluardo di civiltà in quest'ambiente ostile e la protezione del drago hanno fatto crescere molto la città, negli ultimi decenni, che è diventato un fiorente polo commerciale, centro di smistamento per tutti i viaggiatori che devono attraversare la Pineta. Il mare si trova, come ci racconta Macchia, venti miglia a nord. Perché usa le miglia? Vi diremo soltanto che i chilometri ed i metri sono unità tutto sommato recenti, e che quindi il nostro micio deve essere vissuto tanto tempo fa...

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Capitolo 23
*** 23-Il carro da morti ***


Capitolo XXIII: Il carro da morti

Due-code chiuse gli occhi, lasciando che gli effluvi pungenti della candela aromatica che reggeva vicino al naso le intontissero i sensi. Appoggiò la schiena al muro, incrociando le gambe sul materasso del corto letto di ottone nero battuto, ed iniziò a canticchiare lentamente un motivetto basso e ripetitivo, più per ottundere tutti gli altri suoni che per godere davvero della musica. Uno dei suoi tentacoli neri, piatto e sottile come le ali di una farfalla, scivolò sinuosamente fuori dalla base della sua schiena, ed indugiò ondeggiante nell’aria per qualche secondo prima di rilassarsi pigro sul cuscino imbottito, con l’estremità a forma di freccia che dondolava sonnacchiosa oltre il bordo del letto.
“Cinque, quattro, tre, due, uno…”. Quando la conta mentale ebbe termine, uno spostamento d’aria proveniente da sotto il letto le diede la soddisfazione di aver indovinato anche quella volta: ritrasse rapidamente il tentacolo, che si inarcò flessuoso sfuggendo per un soffio ad un paio di minuti ma affilati artigli, per poi ricadere verso il basso colpendo in pieno un corpo molle e flessibile, ma così dura e resistente da resistere all’impatto senza lacerarsi.
«Ahi!» si lamentò una vocetta chiara «Mi hai fatto male!».
Due-code sbuffò divertita. «Allora cerca di non farti prendere, la prossima volta: sono riuscita a fare un conto alla rovescia per il tuo assalto senza né vederti né sentirti,» disse schiudendo piano gli occhi per sbirciare la bambina di dodici anni che strisciava fuori da sotto il letto «e poi smettila di frignare, non ci credo che ti sei fatta male: la tua pelle non è ancora completamente corazzata come la mia, è vero, ma io non ho certo colpito per uccidere.».
Con una linguaccia, la ragazzina smise di massaggiarsi la spalla esile, dove la punta acuminata del tentacolo della sorella maggiore l’aveva colpita: sulla pelle grigiastra scoperta non era rimasto neanche un graffio. Due-code sorrise mentre il tentacolo nero si contorceva nell’aria, sublimando in una sottile polvere scura. Ogni volta che guardava la bambina davanti a lei, riusciva sempre a rivedere sé stessa parecchi anni prima, anche se le due non condividevano davvero alcuna linea di sangue.
Qualcuno bussò violentemente alla porta metallica. «Vi do ancora cinque minuti.»  grugnì la voce rauca e raschiante di un orco dall’altro lato, senza che quello si azzardasse anche solo a sciogliere i pesanti lucchetti che blindavano l’unica entrata.
La ragazzina sbuffò indispettita. «Te ne devi già andare?» si lamentò delusa «Ma sei stata qui poco anche ieri sera! Non è giusto, io poi resto sola per tanto tempo!».
Un sorriso amaro si allargò sulla bocca della maggiore: le veniva concesso di vedere la sua sorellina adottiva solo per una notte a settimana, e quando la sera precedente era giunto un messaggero trafelato ad informarla che le era stato assegnato il compito di recuperare quell’incompetente imbecille di un’Ombra Danzante Due-code aveva dovuto fare appello a tutto il suo autocontrollo per non sottomettersi all’istinto che molti avevano indicato come unica ragione di vita della sua razza: nutrirsi, o meglio, divorare. Divorare con una foga inumana, anche quando non ce ne fosse la minima esigenza biologica. La sua specie esisteva da sempre, o per lo meno sin da quando esisteva quella umana, tanto che alcuni sacerdoti non si trattenevano dall’indicarli come una forma di punizione divina nei confronti di questi e di tutti gli altri umanoidi civilizzati, ma la scienza moderna si era presa la briga di classificarli soltanto mezzo secolo prima. Prima di allora, la tradizione popolare li aveva spesso confusi con i babau, o altre forme di demoni inferiori, o ancora più spesso con i ghul, i non-morti mangiatori di uomini con cui condividevano l’insaziabile fame che attanagliava le loro viscere anche immediatamente dopo il pasto, senza lasciare scampo. Era stato un giovane biologo umano a distinguere la realtà dalla leggenda, osando sfidare il senso comune affermando che non solo esisteva un popolo di creature viventi e mortali che fino ad allora era vissuto nell’ombra, ma che essi ritenevano in sé stesso la stessa scintilla d’intelletto e di ragione delle razze civili, e per tanto dovevano essere avvicinati come tali. Tuttavia, nonostante la forza di tali affermazioni, l’opinione della gente comune non era minimamente mutata nei confronti dei neoribattezzati ghoul, e molti, anche per evitare l’evidente omofonia con la specie di non-morti, continuavano a chiamarli con il nome che la tradizione aveva imposto loro: Divoratori.
Due-code si affrettò a cingere con il braccio sinistro la bambina sull’orlo delle lacrime. «Lo so, lo so,» le disse carezzandole piano la folta chioma bruna, senza trovare le parole adatte «io… ti porterò un regalo, la prossima volta. Un altro libro, magari, che ne dici? Un’altra raccolta di favole.».
Gli occhi ambrati della ragazzina le rimandarono l’immagine dei suoi, due macchie verde pallido in un  volto di un innaturale colorito latteo, contornato da corti capelli neri. Quando quella annuì rassicurata, lei le sorrise piano, mostrando i denti aguzzi, e con un tremolio la sclera dei suoi occhi mutò repentinamente in un abisso nero, con le pupille che ardevano rosse nel centro.
«Tu nel frattempo devi fare la brava,» sussurrò quasi impercettibilmente stringendo più forte la testa della piccola «forse tra poco potremo vederci più spesso.».
«Ehi,» la chiamò la bambina «non farti male.».
Lei rise sommessamente. «Dubito che ci siano molte cose in grado di farmi male.».
Mentre usciva dalla stanza, lanciando occhiate viperine all’orco che la aspettava fuori, la sua mantellina nera lunga fino alle reni sventolò, sollevata da una corrente d’aria, rivelando il moncherino che aveva al posto del braccio destro.
 
♠♠♠
 
«Un gatto.».
Seduto al tavolo della locanda, con una grossa fetta di pane intonsa davanti a sé, Miros portava sul volto tutti i tratti tipici di chi ha passato una notte insonne: i grandi occhi neri erano solcati da profonde occhiaie scure che facevano apparire la sua espressione più arcigna che accigliata, mentre i capelli mossi cadevano in boccoli corvini ancora più disordinati del solito sulle orecchie arrossate.
«Un gatto.» ripeté di nuovo, fissando Timis con l’aria di chi crede di essere preso in giro si rigirava tra le mani la sua fetta di pane «Tu hai sognato un gatto che parlava come uno stregone, ti ha fatto delle domande, ti ha dato delle risposte e poi si è messo a grattare la porta per farsi aprire.».
Spaesato, rivolse uno sguardo a Lupo, che gli rispose dondolando incerto la testa. «Senza offesa,» continuò passando nauseato il pane a Leo che lo addentò di gusto «ma per me te lo sei sognata. Sì, beh, quello di sicuro, ma intendo dire che te lo sei immaginata.».
La mezzelfa reagì aprendo il libro sul tavolo. «No, non me lo sono immaginata!» replicò leggermente stizzata «Anzi, penso di aver trovato delle prove a sostegno del… del gatto. Qui si ripete in più punti che Uukart aveva un famiglio, ed anche se non dice mai la parola gatto, il fatto che lo corrompa con un gomitolo per riuscire a farsi restituire la chiave di un baule lascia poche opzioni aperte. Ora, il gatto mi ha detto anche che Uukart non ebbe mai davvero un famiglio, ma se io fossi uno scrittore e trovassi delle fonti che dicono che un animale stava sempre appresso ad uno stregone, allora penserei ad un famiglio come prima cosa, non vi pare?».
Lia sbuffò annoiata, seduta scomposta con le gambe distese sopra un’altra sedia. «Sentite,» attirò l’attenzione strisciando le unghie sul tavolo «io sono appena arrivata, e non so come funzionano le cose qui con voi, o cosa troviate strano e cosa no, ma per quanto mi riguarda io ho mi sono trovata di fronte ad una tartaruga parlante, e poi l’elfetta qui aveva mezza mano scarnificata ieri sera, ed ora è normale. Io penso di poter credere alla storia del micio dei sogni.».
Miros subì inerme lo sguardo carico di speranza e fiducia della Falce. «Va bene,» si arrese alla fine, strofinandosi gli occhi ancora gonfi di sonno «non ho voglia di discutere, siete tu e Lupo le menti qui: qual è il piano?».
Timis esitò. «Ecco, riguardo a questo proposito ci sono due possibilità.» cominciò mettendo da parte il libro «Ci ho pensato a lungo prima di scendere, questa mattina, e penso che dovremmo votare tutti.».
Tutti si strinsero più vicino, incuriositi. «Per ora abbiamo due piste per rintracciare Diana:» riprese tenendo il conto con le dita «la prima è la più logica, ossia aspettiamo fino a domani, quando è in teoria previsto l’arrivo dei veri emissari dei servi di Oneko. Dovremmo cercare di stabilire un contatto pacifico almeno con loro: se le parole di Macchia sono vere, forse potrebbero essere disperati quanto noi, e potremmo aiutarci a vicenda. Nel frattempo, potremmo anche investigare sull’altra organizzazione di cui ci ha parlato Lia ieri sera.».
Guardò negli occhi la mercenaria. «La Nube, dico bene? Ce ne hai parlato ieri sera, dicevi che potrebbero essere loro i mandanti dell’assassinio, e forse anche del rapimento.».
Lia reagì con un istante di ritardo: la sfera luminosa che le aveva affidato Coleos si era messa a vibrare nel bel mezzo della notte, svegliandola e costringendola a fare rapporto al lucertolone, ed anche se per fortuna era riuscita a non svegliare anche la sua compagna di stanza, alla fine non era quasi riuscita a riprendere sonno. «Uh, egh… sì, certo. In alternativa?» domandò poco allettata al pensiero di dover trascorrere un giorno intero a girare per l’odiata città di Myrth.
«In alternativa, c’è un secondo posto dove potremmo cercare informazioni, ma si trova fuori città, sulla costa, a circa trenta chilometri da qui,» concluse la mezzelfa «ma ciò significherebbe sacrificare una buona parte di giornata solo per i viaggi, e non è esattamente una cosa che possiamo fare con leggerezza. Come vi ho detto, a Roccasale potrebbe essere nascosto qualcuno che conosce il vero oggetto della cerca di Uukart, e secondo me capire esattamente quale fosse il suo scopo rappresenterebbe un passo avanti per trovare il suo castello e quindi Diana.».
Lia si grattò la testa, interessata. «Non è male la tua idea, e saprei anche dove rubare i cavalli necessari.».
Timis le scoccò un’occhiata di rimprovero. «Noi compreremo dei cavalli.» scandì autoritaria «I soldi grazie a Leo non ci mancano.»
Per la prima volta da quando si erano radunati, Lupo Grigio prese la parola. «Ascolta, amica, lascia stare i cavalli,» disse distendendo le zampe fuori dal guscio ed arrancando sul tavolo per avvicinarsi «se davvero vuoi andare a Roccasale esiste un metodo più veloce per viaggiare. Quello che mi preoccupa davvero è che tu ti stia lasciando un po’ trasportare dalle parole di quel gatto: non ti sto accusando di essertelo inventata, altroché, ma penso che ti abbia influenzato molto.».
La mezzelfa si morse il labbro. «Non mi fido davvero di lui al cento per cento,» ammise infine, sostenendo gli sguardi dubbiosi della tartaruga e di Miros, che sembrava aver rinnovato la sua diffidenza «ma d’altra parte è forse il miglior indizio trovato fino ad ora. Comunque è per questo che voglio mettere la faccenda ai voti. Confrontatevi tra di voi e poi ditemi cosa avete deciso.».
Dicendo queste parole, si alzò dal tavolo, dirigendosi dall’oste per concordare il prezzo della colazione. Sul resto del gruppo calò un silenzio gelido, che fu rotto soltanto dalla voce annoiata della mercenaria, che iniziò a giocherellare con le monete d’oro che costituivano la sua prima paga. «Bene, bene, rimuoviamo le parvenze di democrazia:» esordì additando Miros «tecnicamente è l’elfo che mi paga, ma per tutta la serata ieri non ha fatto altro che ricordarmi come in teoria io dovessi obbedire a te, quindi io voto quello che voti tu. Visto che suppongo che anche il signor fulmine di guerra con le orecchie a punta qui presente farà la stessa cosa, la scelta appartiene solo a te, ragazzino, tu vali tre voti. Mi dispiace, tartaruga, devi adeguarti.».
Miros vacillò sulla sedia, sorpreso. «Ah… uhm…» bofonchiò «io… io…».
La voce di Loreth venne in suo soccorso. “Chiedi prima cosa intende la tartaruga quando parla di una strada più veloce.” lo istruì.
Il ragazzo annuì poco convinto. «Ehm… Lupo, cosa intendevi dire con…».
Il druido lo precedette. «Traslazione arborea:» ridacchiò «in pratica entriamo in un albero ed usciamo da un altro. È divertente, amico, anche se alcuni soffrono la nausea viaggiando così. Dovrò fare due viaggi per portarvi tutti, ma non dovremmo metterci più di un quarto d’ora, e la Pineta Maggiore che circonda questa valle farà da mezzo di trasporto.».
“Allora va bene, accetta, si va a Roccasale.” continuò la demone decisa “Anche perché prima ci allontaniamo da questa città, prima ti accorgerai come staremmo meglio fuori da questa storia.”.
Miros si indispettì. «Voto per andare.» ripeté con una punta di malizia «A Roccasale, intendo, e, chissà, forse riusciremo anche a tornare in tempo per intercettare i servi di Oneko.».
“Lo fai apposta, vero?”.
 
♠♠♠
 
Due-code abbassò il capo, sconfitta. «Lo farò.» mugugnò a denti stretti.
«Ero sicuro che avresti accettato il compito!» gioì suadente la figura seduta sul grande trono di pietra, ondeggiando lentamente un calice dorato tempestato di gemme rosse, che coloravano le pareti della sala sotterranea di mille macchie vermiglie riflettendo la luce dei ceri oblunghi che erano stati posizionati alla base dei gradini. Solitamente, la sala del trono era un luogo spoglio, freddo e buio, vestigia di quello che doveva essere stata un tempo il sancta sanctorum di una qualche organizzazione criminale estinta, che la Nube aveva riadattato a studio del segretario Norevbach, l’anziano gnomo pelato che reggeva i conti e le entrate dell’intera gilda, ma occasionalmente il grande capo, la cui identità era nota solo ai pochi che riuscivano ad avvicinarlo, amava sedersi su quella scomoda sedia di pietra, assecondando il suo vago gusto per lo stile decadente, e da lì impartiva i compiti e le missioni che riteneva di importanza più solenne. Tuttavia Due-code sapeva benissimo che quando si trattava di lei il capo preferiva quella stanza alle altre meramente per via del fatto che avesse una sola entrata ed uscita e per giunta facilmente ostruibile, e sarebbe stato facile per lui imprigionarla nella roccia dopo averla immobilizzata per avere il tempo di allontanarsi. Calcos, il nome con cui erano tenuti a riferirsi al leader, non dimostrava mai una palese paura nei confronti della Divoratrice come la maggior parte del personale, orgoglioso e pieno di boria com’era, e cercava sempre nuovi modi per infastidirla ed umiliarla, ma non era così stupido da sottovalutarne la pericolosità, e pertanto agiva con prudenza, tenendosi in una posizione di sicurezza.
«Come vedi, non è impossibile trovare un accordo quando si discute in armonia,» continuò quello ignorando il fatto che gli occhi della strega si fossero già trasformati in tizzoni pulsanti «il trucco è non fare cose stupide, nevvero? Comunque, anche se non penso che sia un compito al di sopra delle tue potenzialità, eccoti un avvertimento: non sei immortale. I servi di Oneko non vanno presi alla leggera, a quanto pare, è una lezione che va imparata alla svelta: anche se dovessero apparire innocui, mostra sempre cautela, non mostrare che li conosci, e cerca di prenderli di sorpresa, se puoi. Non vorrei dover mandare qualcuno a prendere anche te.».
Due-code rimase immobile, senza rispondere, aspettando il permesso per congedarsi. Calcos sorseggiò un po’ della bevanda nel calice, tossicchiando quando qualche goccia gli andò di traverso. «Beh? Cos’è quell’aria cupa?» le domandò rigirando la coppa tra due, facendo danzare i riflessi rossi sui muri «Mi pare che abbiamo concluso un accordo vantaggioso, no? Se non vuoi che accada qualcosa di male a quella bestiolina che hai scelto di adottare, ti basta tornare entro dieci giorni, è un lasso di tempo molto vasto, considerati i tuoi standard. Non sei soddisfatta? Cosa ti tormenta, mia giovane Kuza?».
Sentirsi chiamare con il suo vecchio nome fece fremere la Divoratrice, ancora più del fatto che ormai utilizzare Nifa come ostaggio era divenuto il passatempo preferito del capo, nonché la migliore leva da azionare per costringerla all’obbedienza. «Se…» cominciò, cercando di controllare il tono della voce «come farai a sapere se sarò morta?».
La figura seduta scoppiò a ridere: aveva una risata breve, secca, quasi effemminata. «Sapere della tua morte?» domandò sorpreso «Che differenza dovrebbe fare per me? Avrei perso una buona soldatessa, è vero, ma non crederai davvero alle mie parole quando nei discorsi dico che siamo tutti un’unica famiglia, eh? Torna con i piedi per terra, Kuza, secondo me passi troppo tempo ad oscillare su quella tua coda nera, e ti si sono un tantino annebbiate le idee.».
Sospirò a fondo, per riprendere fiato, ma il suo atteggiamento divertito e rilassato mutò subito quando vide il cipiglio severo sulla fronte della donna davanti a lui. «Aaaaah, capisco!» esclamò alla fine, posando il calice sul bracciolo del trono di pietra «Tu stai pensando a cosa accadrebbe qui, qualora tu morissi. Beh, è semplice:  che tu non ritorni perché fuggita o perché morta non mi importa, si creerebbe comunque un posto vacante nella squadra d’élite, e tu sai quanto io odi non essere circondato da persone competenti. Che dire, ormai mi sono abituato a poter contare su di una Divoratrice, ed il personale di rimpiazzamento non mi mancherebbe.».
Si tolse il cappuccio, ed un ghigno malefico si allargò sulla sua faccia da rettile. «Gliscar Akenaton è un’arma giusta, è vero, ma ha sempre sete di sangue, e quando viene estratto non si lascia mai riporre senza aver prima bevuto in abbondanza.» le rammentò aggiustandosi il bavero del farsetto che sporgeva da sotto la divisa nera della Nube «Eppure lo chiamano la Lama Equa, ti ricordi perché? Certo che te lo ricordi: l’ultima volta che l’ho sfoderato è stata anche l’ultima volta che hai tentato la fuga, dodici anni fa, mi pare. Lo chiamano così perché attraversa qualsiasi materiale con la stessa lenta efficacia, che sia aria o adamantio, ma non c’è sostanza che non possa tagliare, e non concede di riparare ai suoi danni. È un’arma da usare con cautela e giudizio, lo so, ma se il tuo rimpiazzo dovesse opporre resistenza sono sicuro che un singolo taglio la riporterebbe alla ragione, e poi non deve certo essere per forza un braccio come lo è stato per te. Vedi di non morire, Due-code. Puoi andare.».
Quando mosse il primo passo, Kuza si accorse che aveva iniziato a tremare, e che si era istintivamente afferrata ciò che rimaneva del suo braccio destro: nient’altro che un pallido moncherino, un’inutile appendice di carne tagliata appena sopra il gomito che le pendeva inerte dalla spalla, che appariva ancora più atrofizzato per il contrasto con i muscoli sviluppati del sinistro. Prima che potesse accorgersene, stava correndo, consumando rapidamente i gradini intagliati della stretta scala a chiocciola che collegava la sala del trono con i livelli superiori dei sotterranei di Myrth. Correva con i denti serrati, le dita della mano trasmutate in duri artigli che stridevano sulle pareti dei cunicoli, e la sua coda rossa, la sua chela di Divoratrice, la sua arma finale, la ragione del suo soprannome insieme a quella nera derivatale dalla sua magia, che pulsava per uscire, per lacerarle la carne intorno alle vertebre lombari e materializzarsi nella sua forma di un unico, immenso, acuminato tentacolo vermiglio, e cominciare a dilaniare ed a straziare la carne di ogni singolo essere vivente che le si sarebbe opposto. Due-code si fermò ansante, con le tempie che le scoppiavano ed il cuore che batteva impazzito nello sforzo di stare dietro alla tempesta chimica in atto nel suo corpo. Con una serie di lunghi respiri regolari, pian piano la strega riuscì a calmare i suoi impulsi più ferali, e la sua mente fredda e calcolatrice tornò a funzionare lucidamente.
“Calma, adesso, calma…” si impose frugandosi nelle tasche dell’abito alla ricerca del suo specchietto “Non è un compito impossibile quello che ti è stato affidato: uno sterminio, niente di più. Se porto a termine la missione entro dieci giorni non accadrà nulla di male.”.
Il pensiero di una vittoria facile la rassicurò per un istante, prima che la logica ebbe la meglio sulla speranza. “Chi voglio prendere in giro?” realizzò traendo finalmente da una tasca un tondo specchietto argentato, con il manico fatto di madreperla che rimandava riflessi arcobaleno “Dopo questa guerra ne verrà un’altra, e purtroppo quel bastardo ha ragione, non sono invincibile, e prima o poi dovrò essere rimpiazzata, ed a quel punto…”.
Si accasciò contro la parete della galleria. “Devo trovare un modo per andarmene portando Nifa con me.” rimuginò piano sollevando le gambe dal terreno, perfettamente in equilibrio su quella che sembrava essere una versione più larga, corta e tozza dei suoi tentacoli neri “Non ho amici a cui rivolgermi, la mia unica opzione è che il nemico del mio nemico si dimostri tale. È pericoloso, ma… oh, che diavolo! Mi offrirò come loro alleata a condizione della salvezza di Nifa, e se rifiutano li manipolerò con la magia e li costringerò ad ubbidirmi.”
Assieme allo specchio, nella tasca aveva riposto anche un foglietto di carta accuratamente ripiegato in quattro, contenente il primo passo verso la riuscita della missione: poche gocce marroni di sangue secco, quelle che il suo tentacolo aveva strappato alla donna bionda che stava interrogando Deldes. Senza perdere altro tempo, le strofinò sulla superficie lucida dello specchio, che si illuminò all’istante.
«Mostra.» bisbigliò, mentre un piccolo vortice di luce si condensava sullo specchio mescolandosi al suo riflesso. Dopo pochi istanti l’immagine nitida della donna si materializzò: si trovava in una foresta, nella Pineta Maggiore a giudicare dall’esclusiva presenza di sempreverdi, insieme ad un cane, un’altra donna che vestiva una divisa simile a quella dei membri della Nube, un ragazzo ed un elfo adulto.
“So dove vi trovate.” Pensò sogghignando quando ebbe riconosciuto alcuni tratti distintivi di una radura appena oltre l’anello di montagne che circondava la Valle del Pozzo, a meno di mezz’ora di cammino dalle mura della città “Vengo a prend...”.
Quello che accadde immediatamente dopo la lasciò di stucco: dopo essersi prese per mano mentre la più alta teneva la coda del grosso cane grigio, le due donne del gruppo si erano semplicemente messe a camminare contro un pino, senza fermarsi, fino a quando non affondarono nel tronco come se fosse stato liquido, scomparendo con un uno schiocco sordo.
«Che diamine…» riuscì solo a mormorare, prima di realizzare cosa fosse successo.
“Stanno scappando!” pensò riprendendo la sua folle corsa attraverso i corridoi, dirigendosi verso l’uscita più vicina al lato est della città, quello più vicino al limitare della Pineta. Quando uscì in superficie, si fiondò di getto verso la radura, svicolando nella lenta processione di carri che continuava ad abbandonare la città, ma una volta arrivata a destinazione fu presa da un incontenibile senso di sconforto quando trovò lo spiazzo erboso tra i pini vuoto. Le tracce recenti confermavano che la sua visione era veritiera: quattro persone ed un animale erano state lì, e le loro impronte confuse terminavano tutte di fronte allo stesso largo pino, che appariva indistinguibile da tutti gli altri. Vicino all’albero le tracce si sovrapponevano al punto che non si sarebbe potuto dire se qualcuno fosse anche uscito dall’albero, ma l’assenza di file di orme che si allontanavano dalla radura non lasciava adito a speranze.
Sconfitta, ritornò mestamente sui propri passi, calandosi sul viso il cappuccio nero per non esporre il suo volto mentre usava la magia per deformare i suoi connotati, assumendo l’aspetto di un’anonima donna umana dai capelli castani e dal volto affilato, e convertendo la sua mantellina in una casacca da viaggio per non dare nell’occhio. Camminò per alcuni minuti, interrogandosi sul da farsi, spremendosi le meningi per ipotizzare una loro possibile destinazione, ma la sua concentrazione fu presto interrotta da due giovani guardie dai capelli rosso fuoco e con gli zigomi invasi dalle lentiggini che la scalzarono per farsi strada tra la folla.
«N-no,» sentì piagnucolare uno dei due «non ci voglio andare, perché siamo stati convocati tutti?».
«Sta zitto, Pit!» lo rimproverò l’altro, non senza un tremolio nella voce «Stanno per attaccare la città! Un’orda di non morti è stata avvistata da una guardia sul lato ovest.».
Il primo singhiozzò. «E pensare che ero così felice di essere stato trasferito ad est!».
Senza dire una parola, con l’eccitazione che le cresceva nel petto, Due-code balzò si arrampicò agile sul tetto più vicino, ignorando gli sguardi attoniti ed indignati dei passanti, e ricominciò nuovamente a correre, seguendo dall’alto il moto delle pochissime guardie cittadine rimaste che affluivano in massa verso le porte occidentali.
“Non-morti. Chi altro potrebbe essere?”.





Chi è? Chi è? SI, contro ogni aspettativa, siamo riusciti a postare. Questa nostra fortuna viene però compensata da una maledizione: non sappiamo più dare i titoli ai capitoli! His dictis rebus, vogliamo tanto ringraziare la nostra vecchia conoscenza FullMoonEris che ci segue ormai da un po' per aver incluso anche il teatrino delle ombre tra le sue storie seguite. Grazie, amico/a. Aggiornamenti "Presto".

Commento del Master: Ok, ggente, finito. Kuza/Due-code è l'ultimo pg che deve essere introdotto. Basta. Ora dovrete sopportare solamente i commenti sui png. Andate in pace. Parliamo di lei: all'inizio della campagna, sono caduto in fallo: mi sono lasciato sfuggire che, per festeggiare la vittoria a Minigolf della nostra squadra, avrei ignorato il LEP (livello effettivo del personaggio) di tre giocatori, ma di fatto, Kuza è stata l'unica ad abusarne. +7. No, dico, +7. Una tale differenza di potere si trova solo nelle razze cazzutissime o negli archetipi più fighi. Eppure, il personaggio non appare sbilanciato rispetto alla partita: in fondo, mi basta sbattere in campo più mostri, con somma gioia della nostra povera piccola ingenua a LEP +0, ovvero Timis. Vabbé.
Ah già, il nome del pugnale magico ha una storia interessante: perduto il fogliettino dove me l'ero annotato, mi sono dovuto guardare intorno ed improvvisare. "Allora, allora, dai, dunque... oh, una statuina di Gligar. Nah, la sua evoluzione Gliscar è più figa. Qual era quel dio solare egizio?".

Commento dei Giocatori: Capitolo dedicato a Kuza! Se vogliamo essere sinceri, è un personaggio difficile da gestire, e non tanto per il fatto che potrebbe atterrare con un colpo il resto del party: è che lei, al contrario di tutti gli altri, non ha le idee molto chiare, la situazione in cui si troa le impone di navigare a vista, senza poter mai sviluppare un piano d'azione a lungo termine, quindi molte volte le sue decisioni possono apparire avventate. Ah, siamo sicuri di ripeterci, ma ci teniamo a palesare di nuovo che non è che la ruolatrice ha aspettato praticamente quattro sessioni (con questo "giorno" inizia la quinta!) senza muovere un dado: semplicemente, abbiamo tagliato le sue parti fino ad adesso, come per Lia, e non è da escludere un bel capitolo del Teatrino.

Bussola del lettore: C'è una questione cruciale sollevata dal mondo di D&D, a cui secondo noi i manuali principali dedicano troppo poco tempo, costringendo i giocatori a ripiegare su noiosissime (sì, lo sono) appendici secondarie come "Razze del Destino": il concetto di umanità. Nel mondo reale, questo dilemma non si pone: gli umani sono umani, e gli animali sono animali. Se però aggiungiamo elfi, halfling, nani e compagnia cantante, le cose si complicano, specie se poi uno si inventa anche razze come i Divoratori: qual è la differenza fra "uomo" e animale? Per le razze più vicine a quella umana si può semplicemente pensare ad una convivenza più o meno pacifica come sulla Terra tra le diverse etnie, ma i goblin? E gli orchi? I doppleganger? Meritano lo status di creatura intelligente, statistiche a parte, ed "umana", con tutte le considerazioni morali che ne conseguono? Non c'è una vera risposta, ma per noi le cose funzionano così: nel nostro mondo non c'è una distinzione netta tra ciò che è civile e ciò che non lo è, ci sono umani selvaggi e non-morti civilizzati, quindi l'unica cosa possibile da fare è stare alle definizioni da manuale. Gli Umanoidi sono solitamente considerati tutti alla pari, certo, con il piccolo cavillo che quasi ogni razza pensa di essere la migliore, gli Umanoidi Mostruosi sono accettati in alcune culture, ma scacciati brutalmente in altre, mentre Aberrazioni e Non-morti malvagi sono solitamente odiati universalmente. Poi boh.

Kuza, alias Due-code: Membro di una razza alla fin fine molto poco comune, Kuza, come tutti quelli della sua specie, lascia la famiglia non appena riesce a cacciare da sola, ovvero verso i quattordici anni, e comincia la sua vita da Divoratrice, sviluppando, oltre che ad una certa maestria nell'avvalersi delle proprie capacità natuarli, anche una predisposizione per la magia, che studia con ardimento fino a padroneggiare numerose tecniche oscure, complice anche la sua grande memoria. Sfortunatamente, a soli diciotto anni viene avvicinata dalla Nube, che le offre un posto nei suoi ranghi, ma ben presto si rende conto di essere più una prigioniera che una sottoposta. Tenta la fuga, ed un coltello maledetto le porta via un braccio, che neanche i suoi enormi poteri rigenerativi riescono a restituirle, ed impara la lezione. Il suo desiderio di libertà viene rinnovato quando cinque anni dopo la Nube acquista al mercato nero una piccola Divoratrice di appena sette anni, che lei reclama subito sotto le sue cure. Oggi Kuza ormai ventottenne si sottomette con astio alle imposizioni dei suoi capi, e forse finalmente ha intravisto una via per la salvezza.
In termini di gioco, è una bomba. Inarrestabile nel combattimento ravvicinato, e supportata da una potente magia, Due-code è il pg più potente e versatile del party, con statistiche fuori scala (22 Destrezza, 22 intelligenza, velocità 18m, 6d6 di attacco a volontà), gode anche di una difesa formidabile: oltre alla riduzione del danno/puro 16 ed alla rigenerazione 7, nella sua "forma finale di difesa" la sua CA schizza a 29, e può pure attaccare in quello stato! La sua unica debolezza? I tiri sulla Tempra. Peccato che sia sulle tracce di un necromante...
La razza di Kuza è Ghoul (TG), che imita le creature protagoniste di Tokyo Ghoul (che vi consigliamo), anche se, ovviamente, abbiamo modificato un po' il flavour. Se qualcuno se lo chiedesse, è di tipo Bikaku. La sua classe è Vector Witch Lv7, in pratica ricalca i poteri della strega Medusa di Soul Eater (consigliamo anche questo), anche se è stata un poco depotenziata dal Master.

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Capitolo 24
*** 24-Scontro alla porta ***


Capitolo XXIV: Scontro alla porta

Timis si alzò in piedi, con la testa che ancora le girava. Entrare in un albero era già stata di per se un’esperienza strana: non era come diventare incorporei e scorrere attraverso la materia come se ci si muovesse attraverso l’aria. Si percepivano distintamente le fibre del legno che scricchiolando o si aprivano al contatto con la carne, lasciando passare il corpo dell’ospite e che si richiudevano dietro di esso, inghiottendolo e sigillandolo in una camera oscura, in cui si aveva la sensazione di galleggiare pur sentendosi compressi tra strette pareti. Quando aveva rivisto la luce, il mondo si era le si era dischiuso davanti agli occhi con un cigolio ed uno schiocco di frusta, e lei era tornata a vedere. Lupo Grigio le aveva avvisate che avrebbe potuto portare soltanto due persone alla volta, e che l’incantesimo non era progettato per essere preciso, ma la vista che accolse lei e Lia riuscì comunque a spaventarle: il pino da cui erano uscite era un alto, magro sempreverde, scortecciato dal sale e piegato dal vento, proprio sul ciglio di una scogliera rocciosa a strapiombo sul mare in tempesta. Nessuna delle due avrebbe saputo dire quale fosse la forza che permetteva a quell’unico albero striminzito di resistere in quel luogo inospitale, abbarbicato sulla nuda roccia ed esposto alla furia degli elementi, che sollevavano spruzzi salati ben sopra i quaranta metri dello strapiombo, diffondendo sull’intero altopiano una pioggia innaturale, fredda e pungente, che aveva scoraggiato la crescita di qualsiasi altro vegetale entro un centinaio di metri dal mare. Oltre quella distanza, la Pineta Maggiore le guardava silenziosa, accettando il predominio dell’altra forza naturale.
Un po’ per il metodo di viaggio, un po’ per l’impatto adrenalinico con quello scenario terrificante, sia la mezzelfa che la mercenaria avevano immediatamente iniziato ad accusare i sintomi di una profonda nausea, e si erano sedute sulla roccia liscia ad aspettare, dopo essersi prudentemente allontanate dal bordo della scogliera. Il paesaggio era avvolto da una nebbia densa ed opaca, che ignorava le scariche di vento che spazzavano irregolari la scogliera, ma quando il vento mutò improvvisamente intensità trasformandosi in una piccola tempesta quella coltre pesante cedette con riluttanza il posto ad uno spettacolo ancora più sorprendente.
«Wow…» aveva mormorato Lia sollevandosi in piedi «Roccasale, eh? Un nome azzeccato.».
La Falce aveva annuito debolmente, guardando meravigliata il tozzo edificio bianco che era emerso dalla nebbia, arroccato sul ciglio del dirupo. Il versante che dava sull’entroterra aveva l’aspetto di una fortezza solida, con le mura lisce e regolari, prive di finestre di alcun genere, il cui colore strideva con la piattaforma di dura pietra nera su cui poggiava. Era un bianco totalmente diverso da quello del castello di Uukart: se quello era composto di puro candore, appena un poco ingiallito all’esterno ma di una lucentezza immacolata, questo era un bianco freddo, cristallino, a tratti opaco ed a tratti translucido, che rifletteva a placche discontinue la poca luce che filtrava sotto lo spesso strato di nubi. Più che di vera e propria pietra, la struttura sembrava intagliata nel quarzo. Il lato che dava sul mare, invece, non somigliava per nulla a qualcosa di costruito dall’uomo: era composta dello stesso materiale dell’altro versante, questo era evidente, ma il cristallo qui non si disponeva su superfici lisce e regolari, ma anzi si ammassava in un illogico conglomerato di bubboni bianchi, di forma vagamente cubica, che tempestavano come ascessi di una malattia l’intera facciata dell’edificio, fino a condensarsi in un'unica colata bianca che si tuffava giù dalla scogliera, aderendo alla parete fino ad arrivare al livello delle onde, dove si assottigliava lentamente, fino a sparire in esili stalattiti. Sul tetto piatto del castello, tre guglie grottesche e sproporzionate levavano i loro pinnacoli aguzzi al cielo, portando sui loro fianchi recenti e profonde incisioni, come se un enorme orso avesse voluto marcare il territorio graffiando la corteccia degli alberi.
«Dici che è davvero fatta di sale?» domandò Timis alzandosi al fianco della compagna «Chi può averla costruita?».
Lia stava per rispondere che pensava di essere lì per scoprirlo, quando un secondo schioccò annunciò che Lupo Grigio era tornato, e dallo stesso albero pericolante dal quale erano arrivate uscirono, assieme al druido, anche Leo e Miros. Il ragazzo aveva l’aspetto di uno straccio: le occhiaie già profonde per la notte passata insonne a temere che da un momento all’altro l’altro Leo avrebbe potuto torcergli il collo risaltavano ancora più scavate sul colorito verdastro che aveva assunto il suo viso, e la sua andatura barcollante tradiva ben di più di un semplice attacco di nausea.
«Woah, amico,» fece Lupo Grigio voltandosi preoccupato quando capì cosa attirava lo sguardo delle due donne «ti senti be…».
Non fece in tempo a finire la frase che Miros si afflosciò a terra, privo di sensi. «Maestro!» gridò Leo disperato gettandosi al suo capezzale «Maestro, non mi lasciate!».
«Allontanati, imbecille!» sbraitò seccata Timis inginocchiandosi di fianco dell’elfo «Guarda, sta rinvenendo.».
«Amico?» lo chiamò sottovoce il druido, stendendo il collo per vedere meglio «Amico, ci sei? Ti senti bene?».
Lentamente, portandosi una mano alla fronte ed una sulla tempia, Miros aprì gli occhi, cercando di mettere a fuoco la piccola folla di individui che gli si erano radunati intorno. «Io… io penso di stare bene,» biascicò «non mi sento niente, però è… è come…».
“Mi dispiace,” sussurrò flebile Loreth nella sua mente “è colpa mia, non tua. Non sopporto i teletrasporti, non li ho mai sopportati, ma non pensavo che potessi soffrirne anche tu.”.
«Beh,» si lasciò sfuggire lui con un risolino, senza curarsi dell’espressione dapprima perplessa e poi diffidente della mezzelfa sopra di lui «quando io mi ammalo ti ammali anche tu, no? Evidentemente la cosa funziona anche nel senso opposto.».
Leo annuì senza motivo, sorridendo soddisfatto. «Shhhh, sta parlando con la sua vocina.» spiegò alla Falce continuava a guardar male il ragazzo.
Quello alzò appena la testa, mordendosi il labbro colpevole. «Lo sai già, vero?» chiese a Timis in tono piatto: suonava più un’affermazione che una vera e propria domanda.
«Sì.» tagliò corto lei, alzandosi a guardare Roccasale, dando le spalle al ragazzo.
«E?» la incoraggiò l’altro speranzoso.
«E penso che possa andare, che tu… che voi vi siate meritati la mia fiducia.» completò senza voltarsi «Andiamo, adesso: la nostra destinazione è laggiù.».
 
♠♠♠
 
Le mura della città si affollarono di soldati: i più erano armati di vecchie lance da addestramento, che probabilmente non avevano mai visto una battaglia, ma alcuni avevano iniziato a montare tra i merli grosse balestre a scorpione e le puntavano minacciose in direzione del carretto. Seduto sul sedile del cocchiere, Nether si grattava la testa come un forsennato, cercando di pensare rapidamente ad una soluzione.
«Pezzo d’idiota,» grugnì Nori con l’ultimo filo di voce che le era rimasto «pensavo che tu avessi un piano! Che diavolo speravi di ottenere avvicinandoti alle mura con un carro trainato dai non-morti?».
«I-ieri sera avevo un piano!» protestò balbettando il necromante «È colpa tua: sono dovuto rimanere sveglio tutta la notte per evitare che ti strozzassi con la fuliggine, diciamo che ho avuto cose più importanti a cui pensare. Me ne ero completamente dimenticato.».
«Quello malato qui sei tu:» lo attaccò la Dea della Morte fulminandolo con gli occhi febbricitanti «non ci si dimentica di praticare un’arte magica universalmente odiata! Come puoi pensare che una vista del genere sia normale per delle persone normali? Gira questo coso e scappiamo, sbrigati!».
Al cenno del padrone, i non-morti iniziarono a far ruotare il carro sulla larga strada maestra, ma entrambi i passeggeri capirono che scappare sarebbe stato inutile quando videro i battenti del grande cancello della porta aprirsi, con una piccola torma di cavalieri in armatura schierati sulla soglia, pronti a caricarli da un momento all’altro.
«Passerò le mie ultime ore in una cella buia.» si lamentò Nori affondando il volto tra le mani «Certo, se non saranno così pietosi da mettere fine alle mie sofferenze con un colpo di lancia. Ah, ma chi voglio prendere in giro? So benissimo cosa mi faranno prima!».
«Non è il momento, principessina.» la interruppe Nether incitando i cadaveri a fare più in fretta «Come sei messa? Riesci a combattere? Almeno con la magia, intendo.».
La Dea della Morte fece per replicare con un insulto, ma le parole le morirono in gola quando i lancieri a cavallo iniziarono davvero a galoppare nella loro direzione con le lance puntate. Rassegnata, chiuse gli occhi stringendo i denti in vista dell’impatto, ma
prima che quello potesse accadere sentì il suo compagno allarmarsi.
«Che diavolo…» lo sentì imprecare «Chi è quella?».
 
♠♠♠
 
Due-code saltò rapida da un merlo all’altro, ignorando le grida spaventate dei soldati semplici che la vedevano passare e concentrando la sua attenzione sul carretto a circa sessanta metri dalle mura: ci voleva coraggio a chiamare orda uno sparuto gruppo di massimo una dozzina di non-morti che cercavano con le loro andature impacciate di far ruotare un carro in mezzo ad una strada, quindi o si trattava di un assalto condotto anche da altre direzioni, o le guardie di Myrth erano più codarde di quello che pensava.
“Non l’ho già visto da qualche parte quel carro?” si domandò dubbiosa, prima di notare l’assetto da carica che i sei cavalieri in attesa di ordini dietro le porte avevano assunto.
“Oh,” ridacchiò tra sé e sé, compiaciuta “ma guarda tu se quello che il guida non è il grande Eldos in persona! Allora è davvero una questione importante.”.
Al segnale del capitano delle guardie, i cavalieri si lanciarono all’assalto, tutti armati di lance pesanti meno il massiccio mezzo-drago, che brandiva  il suo spadone color smeraldo, Dogma. Quella lama era tristemente nota all’interno di tutta la criminalità organizzata di Myrth, e l’alone di leggenda che l’ammantava era ben più vasto del piccolo tremolio energetico che si irradiava dal freddo metallo assiomatico, forgiato per punire e distruggere le creature che si opponevano alla legge.
Due-code non perse tempo: con un rapido balzo scese dalle mura, atterrando leggiadra sul tetto della casa più vicina all’esterno della cerchia, e da lì riprese a correre al massimo della sua velocità, distanziando in breve tempo i cavalli pesantemente bardati. Quando ebbe accumulato un certo un vantaggio si gettò di lato, ed atterrò elegantemente al centro della via, bloccando la strada alla carica ordinata dei lancieri a cavallo. Il capitano ebbe il buon senso ed i riflessi abbastanza pronti per frenare, ma i due cavalieri laterali si lasciarono trascinare dal loro impeto, senza riuscire a perdere sufficiente velocità.
“Andiamo, venite più vicino.” gongolò mentalmente la divoratrice aspettando che entrassero nella portata della sua trappola: quando ormai i due cavalli in corsa si trovavano a poco più di un metro da lei, sbatté violentemente un piede per terra, facendo scaturire dal terreno un turbine dei suoi tentacoli neri, che l’avvolsero come una crisalide, riparando il suo corpo dall’urto e tagliando, sfregiando e dilaniando ogni essere nel raggio di tre metri. Gli animali si imbizzarrirono sotto la pioggia incessante di punte acuminate e si impennarono in aria, disarcionando i loro cavalieri per poi ricadere a terra con un tonfo, ansimanti e coperti di ferite letali.
Il mezzo-drago smontò furioso da cavallo, facendo cenno agli altri tre lancieri di tenersi in disparte. «Non esistono molte persone in grado di abbattere due lancieri senza muovere un muscolo, in questa valle,» ruggì infuriato smontando da cavallo «ma c’è solo una diceria che parla di una donna che combatte in quel modo. Devo pensare di trovarmi di fronte all’infame Due-code, la bestia della Nube, non è vero?».
I riflessi dorati sul suo muso danzarono quando scoprì la fitta chiostra di denti simili a pugnali. «Che significa tutto questo? Ci siete davvero voi dietro a questa storia, o vi siete solo trovati dei nuovi amici?».
Due-code percepì l’incantesimo di camuffamento dissolversi intorno alla sua pelle, e
si calò quanto più possibile il cappuccio sul viso mentre una coda nera, simile ad una versione più larga e spessa dei suoi tentacoli, iniziava ad arricciarsi nell’aria, partendo dalla base della sua schiena. Era già abbastanza essere stata riconosciuta, non voleva che il suo vero volto diventasse di dominio pubblico: per la maggior parte dei cittadini, lei era ancora l’innocente Kuza, l’elusiva giovane donna che aveva perso un braccio in un incidente e che si prestava ad ogni tipo di lavoretto per mantenere la sua famiglia fuori città.
 «Mi conosci.» rispose a testa bassa, piantando la punta della coda nel lastricato della via e raccogliendo le gambe a mezz’aria, restando in equilibrio su quel supporto sottile «Questo vuol dire che qualche volta qualcuno riesce a sfuggirmi per raccontarlo. Quando è stato?».
«Le voci corrono da sempre.» sibilò Eldos levando facendo un cenno agli altri tre cavalieri alle sue spalle «Toglimi una curiosità, demone: perché attaccate ora? Perché qui? Perché con un gruppo così piccoli di non-mort…».
Il mezzo-drago si fermò, mentre i suoi occhi verdi si allargavano stupefatti, colti da una rivelazione. «È un diversivo!» gridò, voltandosi ad additare ad uno ad uno i tre  soldati a cavallo dietro di lui «Tu! Torna immediatamente in città, da’ l’ordine a tutti di tornare alle proprie postazioni lungo il perimetro, massima allerta! Tu va’ ad avvisare mio fratello, digli di attivare le difese, e tu…».
Esitò un instante prima di dare l’ordine, girandosi a guardare la sua avversaria, che attendeva paziente che lui facesse la prima mossa. «Tu resta qui:» concluse infine con voce cupa «comunque vada, oggi ci sarà un cadavere da raccogliere.».
«Che parole audaci!» commentò Due-code facendo sciamare i suoi tentacoli neri intorno a lei, mentre i cavalieri ubbidivano agli ordini «Io preferirei evitarlo, sai? Se ci lasci andare via, ti prometto che noi…».
Un quadrello sfrecciò verso la sua faccia, ma lei fu abbastanza rapida da intercettarlo a mezz’aria, afferrandolo con la mano non senza lasciarsi sfuggire un gridolino di sorpresa. «Chi…» chiese guardandosi intorno, ma la risposta apparve subito chiara: uno dei due cavalieri disarcionato, con il volto coperto di sangue e la gamba bloccata sotto il peso morto della sua cavalcatura, stava ricaricando ansante una piccola balestra pieghevole, facendo continuamente danzare lo sguardo dalle sue mani tremanti alla donna incappucciata.
«No!». Con un grido, Eldos si lanciò verso la sua nemica, che stava per scagliare tutti e sei i tentacoli neri contro la guardia malcapitata, caricando il suo fendente di pura forza bruta. Il colpo andò a segno: la spada magica del mezzo-drago stridette a contatto con la pelle corazzata della Divoratrice, ma il suo proprietario ruggì trionfante quando la lama smeraldina riuscì ad aprirsi una via all’altezza della spalla, scavando un profondo solco dalla base del collo fino alla tempia, che cominciò subito a sanguinare profusamente. Due-code fu scalzata via dalla sua posizione a trespolo, e strisciò a terra per un paio di metri, lasciando una scia di sangue.
«Ugh,» ringhiò dolorante puntellandosi sul braccio sano «questa me la paghi.».
I tentacoli ripresero l’assetto d’attacco, e sfrecciarono verso il mezzo-drago sibilando nell’aria: quello riuscì a deviarne uno con la spada, ma gli altri trovarono una facile via d’accesso negli interstizi della sua armatura di piastre. Eldos sentì i suoi muscoli cedere come fili d’erba ed aprirsi sotto la spinta del bordo affilato delle punte dei tentacoli, ma strinse i denti e sopportò il dolore: con un ampio movimento di Dogma tranciò di netto i loro corpi piatti, che si ritirarono contorcendosi mentre le punte all’interno del suo corpo svanivano in fili di fumo nerastro.
La Divoratrice accusò nuovamente il colpo, sussultando, ma non perse tempo: facendo leva sulla coda nera, si rialzò da terra con un movimento fluido, oscillando lentamente sul suo supporto. Il piano originale non prevedeva uno scontro brutale, ma ora che si trovava costretta alla lotta si rese conto di non poter mettere il capitano delle guardie di Myrth, figlio del potente drago Arcados, a confronto con un blando mercenario necromante ed il suo servo, o con uno qualsiasi dei nemici che aveva ucciso fino ad allora.
“Non mi è neanche permesso di ucciderlo,” pensò mentre percepiva distintamente l’ira ferale della sua specie che le montava nel petto “Calcos mi vorrebbe morta.”.
Il mezzo-drago si era rimesso in posizione di attacco, ma si vedeva che anche solo respirare regolarmente gli costava grande sforzo e dolore. «Allora funziona così, eh?» grugnì sputando un grumo di sangue «Il taglio sulla testa già non ti si vede più.».
«Sorpreso?» lo schernì lei, cercando di prendere tempo mentre teneva sott’occhio i suoi tentacoli, che andavano lentamente rigenerandosi «Se proprio ci tieni, ho qualche altro trucchetto da mostrarti.».
Eldos rise, una risata profonda, cavernosa e gutturale, accompagnata da piccole gocce di sangue che schizzavano dalla gola. «Ha!» gridò «Se per questo anch’io!».
Rovesciò all’indietro la pesante testa squamosa, per poi soffiare in direzione della Divoratrice un'unica folgore dorata, che sfrigolò nell’aria fino a centrare in pieno il suo obbiettivo, che non fece in tempo a scansarsi, e fu avvolta dall’attacco elettrico. Furibonda, e con la pelle pallida  che fumava per avere in gran parte assorbito il danno, Due-code rinunciò a trattenersi: incurante delle conseguenze, diede sfogo ai suoi istinti, ed un familiare formicolio alla base della schiena le confermò che la sua arma finale, la sua ultima risorsa, era pronta ad essere estratta. Con un ghigno sadico, si abbandonò alla sua sete di sangue, ed un liquido vermiglio molto più denso del normale sangue esondò dall’attaccatura del bacino, volteggiando nell’aria come dotato di vita propria, per poi raggrumarsi nel lungo e massiccio tentacolo rosso striato di venature nere che costituiva la sua chela di Divoratrice. Inspirò a fondo, percependo la stessa sostanza di cui era composta la sua arma iniziare a scorrerle nelle vene e nelle arterie, moltiplicando i suoi sensi, rinforzando i suoi muscoli ed accelerando la sua rigenerazione.
Senza dire una parola schiantò tutto il peso della coda rossa contro l’avversario, che dovette scartare di lato per evitarlo. «Notevole,» ruggì Eldos stringendo la presa su Dogma «d’altra parte mi chiedevo quale fosse la seconda coda.».
Senza aspettare che la nemica ritraesse l’enorme tentacolo per un secondo colpo, partì alla carica, mirando al cuore della Divoratrice: quella gli restituì uno sguardo euforico, quasi assente, mentre si gettava all’attacco a sua volta, facendo vorticare tutti i suoi tentacoli neri intorno al braccio sinistro a formare un’unica punta rotante, con la coda rossa arcuata come quella di uno scorpione. Eldos credé di aver avuto la meglio nel suo brutale scontro quando l’intera lama della sua spada lunga affondò nel ventre di Due-code, facendola sussultare e sbavare un rivolo di sangue, ma fu costretto a ricredersi rapidamente: con la spada incastrata nelle carni della strega, che cominciarono subito a rigenerarsi intorno ad essa stringendola in una morsa, si trovava completamente alla mercé di questa.
Due-code si spinse verso di lui, avvinghiando le gambe intorno alla vita del mezzo-drago in una morsa d’acciaio, e lo colpì con il suo vortice tagliente proprio all’attaccatura del braccio destro, che reggeva la spada, sollevando una nube purpurea di sangue vaporizzato quando le spire affilate dei suoi tentacoli ridussero in frammenti la piastra dell’armatura e maciullarono l’intera spalla, trasformandola in un ammasso sanguinolento, e poi calò la coda rossa, conficcandone la punta nella schiena di Eldos, che non poté fare altro che mollare la presa sulla spada per cercare di scrollarsela di dosso con il braccio sano.
Quando si separarono, la pozza di sangue che si era raccolta ai loro piedi li fece scivolare all’indietro, entrambi barcollanti, ma entrambi ancora in piedi. Digrignando i denti per resistere al dolore, Due-code estrasse lentamente Dogma dal suo corpo, mentre le sue ferite iniziavano immediatamente a rimarginarsi. Strinse gli occhi, tentando di recuperare lucidità, ma l’istinto di divorare vivo il suo avversario era forte, alimentato dall’odore di sangue che impregnava l’aria. Ansimante, rivolse lo sguardo verso il capitano delle guardie, che versava in uno stato ben più pietoso: senza la possibilità di curarsi rapidamente, tutto ciò che poteva fare era premere forte con la mano sinistra sullo scempio che era la ferita alla spalla, e senza più la sua spada, senza poter ripetere il soffio di fulmine, si rese conto di essere inerme, completamente alla mercede della sua nemica.
«Ho vinto io,» proclamò la Divoratrice mentre la sua coda rossa danzava alle sue spalle, ansiosa di bagnarsi di nuovo del sangue della preda «non c’è bisogno di continuare. Per favore, ritirati.».
Eldos le sputò addosso. «Non ho idea di che mostro tu sia,» esordì rivolgendole uno sguardo di fiero odio «ma sappi che se mi lascerai vivo farò dello sterminare la tua razza infame il mio scopo di vita, senza fermarmi di fronte a vecchi, malati, e bamb…».
La coda rossa di Due-code arrivò dall’alto, schiantandosi con forza su di lui, e scaraventandolo a terra supino. La strega gli fu addosso istantaneamente.
«Avanti, finisci la frase,» lo sfidò ringhiando, nuovamente dimentica di tutti i suoi propositi «dammi un motivo per ucciderti.».
Il mezzo-drago resse lo sguardo omicida della Divoratrice, ed aprì la bocca per parlare, ma prima che potesse anche solo proferir parola la coda rossa calò di nuovo, penetrando nel lastricato bianco che pavimentava la via proprio di fianco alla testa di Eldos, che rimase stordito per l’impatto. Con un movimento rapido, Due-code balzò in piedi, cercando con gli occhi la sagoma del carretto per portare a termine il suo lavoro, abbandonando il capitano privo di sensi. Non dovette cercare a lungo: in tutto quel tempo il carretto aveva percorso ben poca distanza.
“Troppo poca perché siano ancora lì.” osservò mentalmente, mentre cercava di combattere la voglia di farne a pezzi gli occupanti. Di nuovo, la sua mente si annebbiò, e parve che tutta la sua sensibilità si fosse riversata nella chela, che non voleva saperne di rientrare nel corpo, vibrante di violenza repressa. Corse fino al carretto, mentre dietro di lei udiva chiaramente la folla di uomini in armatura che si stava radunando intorno al mezzo-drago caduto, ma quando finalmente balzò sul bordo di legno del veicolo, due piccoli dettagli ebbero il potere di incuriosirla e di farla infuriare allo stesso tempo: primo, come aveva già sospettato, era lo stesso identico carro dove sedeva il vecchio necromante quando aveva iniziato a massacrare i corpi di lui e del suo assistente, e secondo,  l’unico occupante era uno stupido non-morto dalla pelle verdastra, che le mugolò contro prima di ritrovarsi le cervella marce trafitte da un tentacolo. Rapida, localizzò un singolo, lungo capello nero, che afferrò con fretta quasi spasmodica. Dopo essersi voltata indietro per assicurarsi che nessun soldato o guardia la stesse braccando, estrasse il suo specchio d’argento, e vi strofinò sopra quell’unica traccia biologica.
«Mostra.» comandò, ma lo specchio le restituì solo uno sfondo nero.









Eh. Vabbé. Questa, amici miei, è... UNA MINIERA. No, Noc a parte, questa è hybris. Ci eravamo tanto vantati di aver postato due settimane fa nonostante le difficoltà, e poi settimana scorsa Internet ci tradisce in questo modo. Eh. Vabbé. Oggi non possiamo scrivere tanto. EDIT: sembra (sembra, potremmo aver già ringraziato) che adesso il nostro conoscente Ted Branson segua anche il teatrino delle ombre. Grazie, Ted, continua così.

Commento del Master: I pugni nelle mani. Oh, finalmente un po' di sano powerplaying. Perché quando la strategia di un pg è "mi faccio trafiggere e lo disarmo con lo stomaco" sai che, in fondo, è un po' powerplaying. Tuttavia devo dire che è più bilanciata di quanto pensassi come razza: è vero, ha tenuto testa senza difficoltà ad un personaggio di 7lv più alto di lei, però questo è soprattutto dovuto al culo sui numerosi tiri sulla volontà che la razza impone per non andare totalmente bloody-frenzied.

Commento dei Giocatori: La situazione era drammatica, ma ora, ad un secondo esame, ci pare quasi comica. Insomma, forse, dopo tanti capitoli i due gruppi si reincontrano e puf, quando Net e Nori arrivano in città gli altri se ne sono andati da venti minuti/ mezz'ora. He.

Bussola del lettore: Seguite il muschio sugli alberi per questa settimana, la connessione è inclemente e potrebbe lasciarci da un momento all'altro.

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Capitolo 25
*** 25-La botola ***


Capitolo XXV: La botola

Il minuscolo stanzino era arredato in maniera povera: un singolo letto in ferro battuto arrossato dalla ruggine con fili di paglia che fuoriuscivano dal materasso tarlato occupava la quasi totalità del lato opposto all’unica finestra della camera, da cui il sole gettava la sua pallida luce sulle assi graffiate di un polveroso pavimento in legno, e su di uno scrittoio, con ancora un piccolo calamaio di vetro mezzo pieno di inchiostro ed una pila di fogli di carta di bassa qualità ad aspettare invano una mano che li adoperasse.
Tremanti e stretti l’uno contro l’altra in un angolo dietro la testata del letto, Nether e Nori ascoltavano in silenzio il loro respiro pesante riempire l’aria ferma, estranea al forte vento che soffiava fuori dalla finestra. Salire le scale era stato un incubo, viste le condizioni della Dea della Morte, ma entrambi avevano concordato che nascondersi al piano di sopra avrebbe fornito più preavviso in caso qualcuno li avesse davvero rintracciati. Chi poi sarebbe stato, non importava: vista la loro condizione, era del tutto indifferente essere inseguiti dalle guardie della città o dalla strana donna che sembrava essersi schierata in loro difesa. In preda al panico ed ad un folle senso di terrore, non erano rimasti a lungo a chiedersi se fossero semplicemente finiti in mezzo ad una battaglia che non li riguardava o se quella creatura avesse davvero avuto intenzione di proteggerli.
Nel dubbio avevano preso tutte le precauzioni di sorta, consumando ciascuno una pozione di invisibilità ed una per rendersi invisibili anche alla divinazione, che avevano avuto sufficiente buon senso di portare con sé durante la precipitosa fuga dal carretto insieme a tutti gli altri oggetti utili, ed avevano anche entrambi preparato gli incantesimi da lanciare su chiunque avesse varcato la soglia, ma nonostante tutto sobbalzarono comunque quando udirono la porta al piano di sotto spalancarsi, e si strinsero più vicini l’uno all’altra.
 
♠♠♠
 
Inizialmente, superata la frustrazione di non essere riuscita a divinare i servi di Oneko fuggiti dal carro, si era messa in testa di seguire le tracce dei non-morti, che però si disperdevano in tutte le direzioni, facendole pensare ad un tentativo di depistarla.
“Si aspettavano che li avrei inseguiti, dunque.” aveva concluso agitando nervosa la sua coda nera “Che mi conoscano anche loro?”.
Preoccupata dal nugolo di guardie che erano accorse in aiuto del loro capitano ferito e che la  guardavano fisso da sotto le celate abbassate, la strega stava quasi per rinunciare alla ricerca e ritirarsi, quando un sottile  ma penetrante odore di carne bruciata le aveva solleticato il naso. La fonte si era rivelata essere un punto preciso del carro, su cui fino a poco tempo prima, a giudicare dall’impronta sui tessuti e sulle stoffe ammassate a fare da cuscino, giaceva sdraiata una persona. Tracce di cenere e di un misterioso agglomerato nero sparpagliati sul lastricato della via alla base del carro le confermarono che qualcuno era capitombolato oltre il bordo nel tentativo di trascinare qualcosa di pesante. Un corpo quasi inerte, probabilmente. Incuriosita dall’insolita pista, aveva lasciato che il suo olfatto acuto seguisse la traccia persistente di bruciato prima che il vento la disperdesse, e quella l’aveva condotta verso nord, nel dedalo di viuzze laterali che si avviluppava intorno alla strada maestra. Non aveva dovuto percorrere molta strada: una chiazza di liquido nero qui, un odore più intenso là dove qualcuno si era appoggiato contro il muro, talvolta un’impronta malamente cancellata nel fango che si era formato nelle strade dopo una notte di pioggia, l’avevano condotta di fronte ad una sgangherata casa a due piani, completamente anonima in mezzo a tante costruzioni quasi identiche. Nel momento in cui aprì la porta, la traccia ben conservata dall’aria stantia all’interno della casa le pizzicò i sensi, ed un largo ghigno di trionfo le si allargò sul viso. “Sono qui.” esultò internamente “I servi di Oneko sono qui.”.
Entrò con circospezione, misurando attentamente i passi per non produrre alcun rumore, ma le assi schiodate del pavimento la tradirono, cigolando al minimo cambio di pressione. “Meraviglioso, così avrò un grande vantaggio di sorpresa.” bofonchiò tra sé e sé seguendo l’odore di bruciato in giro per le stanze abbandonate, fino a ritrovarsi di fronte ad una rampa di scale che salivano al secondo piano.
Percorse i gradini rapidamente, appena sfiorando il legno scricchiolante, e salì fino a raggiungere un lungo corridoio, che si allungava per tutta l’estensione della casa. Il piano di sopra aveva sette stanze,  e tutte poco più grandi di un loculo, a giudicare dalle porte ravvicinate, e non c’erano altre vie per scendere. Sondando l’aria con tutti i sensi a sua disposizione, Due-code si immobilizzò, restando in attesa del più piccolo segnale che tradisse la presenza di un essere vivente in una delle camere, ed alla fine lo trovò: un impercettibile soffio, il respiro di almeno due creature, riecheggiava da sotto l’ultima porta a sinistra.
Non appena iniziò a camminare verso il suo obbiettivo, il soffio regolare si interruppe. “Mi avete sentito, quindi,” pensò appoggiando la mano sulla maniglia, “ma non abbiate paura di morire, ho piani particolari per voi: mi servite vivi.”.
Aprì la porta con un calcio violento, per poi scattare subito sulla difensiva, evocando i suoi tentacoli per trafiggere qualsiasi cosa le sarebbe saltato addosso, ma, con sua grande sorpresa, la stanza si rivelò vuota. «Eh?» fece confusa, controllando prudentemente il soffitto, aspettandosi di vedere qualcosa piombare all’attacco, ma la minaccia arrivò dal basso: dal pavimento scaturirono quattro nerastre appendici carnose larghe quanto piccoli tronchi e lunghi circa tre metri, che dopo essersi dimenate per un istante nell’aria si avvolsero intorno al suo corpo, tentando di immobilizzarla. Due-code si divincolò con facilità dal primo attacco, aizzando i suoi tentacoli neri contro quelli che sporgevano dal terreno, ma tutti i suoi colpi rimbalzarono contro la loro superficie gommosa senza lasciare alcun danno visibile.
Imperterriti, i tentacoli rivali tornarono all’assalto, e questa volta uno di essi riuscì ad afferrarle una gamba. Con il loro compagno che le impediva di muoversi liberamente, gli altri tre ebbero gioco facile nell’avvolgersi intorno al suo torso ed ad iniziare a stritolarla come le spire di un serpente. La Divoratrice annaspò quando sentì le sue costole scricchiolare sotto l’immensa pressione a cui era sottoposta, e le si mozzò il fiato, ma la tutte le microfratture che sentiva aprirsi una dopo l’altra si rinsaldavano all’istante, senza che lei provasse il benché minimo dolore.
«Ma che cazzo…» imprecò mentre la trappola magica la sollevava in aria, lottando contro la robustezza dei suoi muscoli e la resistenza della sua pelle per spezzare il suo corpo o sbatterla contro una parete. Morse con tutta la sua forza un tentacolo che minacciava di avvinghiarsi intorno al suo collo, ma quello continuò come se nulla fosse a descrivere una spira dopo l’altra sulla sua gola sottile.
“Hanno capito che non possono schiacciarmi, ed ora cercano di soffocarmi?” si chiese mentre evocava di nuovo i suoi tentacoli per cercare di trafiggere gli altri, senza successo “No, non ha senso, non esiste una trappola magica così intelligente: l’incantatore deve essere qui vicino.”.
Il tentacolo strangolatore sgusciò via dalle sue fauci come se fosse stato coperto d’olio, e stava per tornare all’attacco puntando in direzione dei suoi occhi, quando una grande mano scheletrica mozzata all’altezza del polso, con ancora alcuni brandelli di carne penzolanti dalle giunture giallastre, si materializzò di fronte a lei come solidificatasi dall’aria, e le artigliò il viso diffondendo una violentissima scarica di gelo. Questa volta il dolore ci fu, acuto e pungente come una pioggia di nevischio invernale, che le lasciò i muscoli del collo e del volto avvolti da un torpore glaciale.
Con l’occhio sinistro completamente coperto dal palmo putrescente e la vista del destro offuscata dal semicongelamento dell’umor vitreo, l’unica cosa che Due-code riuscì a distinguere di fronte a sé attraverso l’ectoplasma che circondava la mano incantata fu la direzione in cui puntava il polso reciso della stessa: l’angolo della parete opposta alla finestra, proprio dietro la testata del letto. “Se solo riuscissi a liberare un braccio…” pensò riprendendo a divincolarsi con tutta la forza che aveva in corpo, quando un raggio di luce purpurea scaturì verso di lei, filtrando attraverso le ossa semievanescenti della mano che ancora le si stringeva sul volto ed avvolgendola in pieno. Istantaneamente, i suoi movimenti rallentarono, si fecero più difficoltosi, come se delle corde invisibili la stessero intralciando, fino a che non si bloccarono del tutto e lei si ritrovò paralizzata, del tutto inerme di fronte alla stretta letale che dei tentacoli neri, che non persero l’occasione di avvilupparsi con più forza intorno alla sua gola indifesa, occludendole quasi completamente il flusso sanguineo che correva al cervello.
“No!” si disperò mentre il suo campo visivo cominciava a stringersi ed a riempirsi di macchioline rosse, ma ad un tratto la magia cessò di colpo, ed i tentacoli mollarono la presa, avvizzendo come fiori recisi. Anche la mano spettrale si dissolse come fumo, lasciandola a terra ansimante ma libera.
«Fallo adesso!» sentì strillare una voce femminile «In fretta, la mia magia durerà al massimo ancora pochi secondi!».
Con lo scroscio del suo sangue a riempirle le orecchie, Due-code non distinse nulla della risposta che un uomo sembrava aver farfugliato, ma non appena cadde come un corpo morto sul pavimento, poté distinguere chiaramente il tocco di una mano, di una vera mano umana, che premeva sulla sua schiena. Una sensazione di bruciore intenso divampò sulla sua pelle, come se il suo organismo stesse cercando di lottare contro un potente acido, ma scomparve quasi subito, lasciando il posto ad un freddo dolore pungente.
«Oh-oh,» sentì un uomo balbettare sopra di lei «n-non ha funzionato.».
La donna che aveva parlato prima gridò, quasi sull’orlo di una crisi di nervi. «Come sarebbe “non ha funzionato”? Colpisci ancora, uccidila!».
Una scarica di energia negativa la attraversò consumando i suoi organi dall’interno: la Divoratrice inarcò la schiena, improvvisamente libera di muoversi, per poi afflosciarsi a terra, priva di sensi. L’ultima cosa che sentì fu la punta fredda di una spada che premeva sulla sua nuca.
 
♠♠♠
 
Lia posò delicatamente la punta della lingua sulla parete del castello, ritraendosi in fretta quando quella iniziò a risucchiare la sua saliva ad una velocità spropositata. «È proprio sale,» confermò pulendosi le labbra «mi ha seccato tutta la bocca in un attimo, però: forse contiene qualche incantesimo disidratante.».
«Non è impossibile,» aggiunse Timis infilandosi un guanto per scorrere la mano sulla liscia superficie bianco opaca «anche perché non vedo come sarebbe stato possibile estrarre una così grande quantità di sale senza la magia.».
Arretrò di qualche passo, rovesciando la testa all’indietro per ammirare le tre alte guglie gibbose simili a stalagmiti che si innalzavano dal tetto altrimenti piatto dell’edificio, ciascuna segnata da profonde cicatrici nella crosta esterna di sale. «Non ci sono da nessuna parte segni di lavorazione,» considerò piano, mentre le prime gocce d’acqua iniziavano a cadere dal cielo cinereo, mischiandosi agli spruzzi salati che il vento portava alla sua pelle da quaranta metri più in basso «non si vedono le linee dei blocchi e non sembra che sia stato usato alcun tipo di malta, è come se tutta la fortezza fosse stata tagliata in un unico cristallo di sale, e l’unico effetto che ha avuto il tempo è stato di accrescere in maniera irregolare il lato che da sul mare.» Aguzzò la vista, cercando di distinguere meglio gli squarci nella crosta esterna che correvano su tutte le guglie. «Quindi cosa ha fatto quei tagli?».
«Se erano tracce su un albero, dicevo che era passato un animale di recente,» osservò Leo, stringendo gli occhi con fare esperto «però nessuna volpe può salire fin lassù. Voi cosa ne pensate, maestro?».
Miros impiegò un attimo ad elaborare la domanda: benché non rischiasse più di crollare a terra, il suo colorito manteneva ancora la malsana tinta verdastra che aveva dopo il teletrasporto. «Err… non saprei, ci sono molti animali che volano,» bofonchiò poco interessato «piuttosto, la vera domanda è se il castello è abitato. Penso.».
La Falce annuì con convinzione. «E vista l’assenza di campanello, il modo più semplice per appurarlo è entrare a vedere, dico bene?».
Il portone guardava a sud, verso l’entroterra, ed in tempi migliori doveva presentarsi come una semplice porta di legno scuro, con l’architrave ed i piedritti dello stesso materiale incastonati nel minerale circostante con minuzia e precisione, ma dopo forse secoli di incuria lo stato in cui versava l’unico accesso alla fortezza era ben diverso: il legno appariva nero, bruciato, pieno di squarci e fessure che attraversavano parallele le assi rattrappite. Il chiavistello metallico ed il grande batacchio ad anello fissato nel centro erano entrambi ricoperti di una spessa crosta di ruggine e cristalli di sale, che sembravano lottare tra di loro come due avvoltoi che si azzuffano per una carcassa, e lo stesso valeva per le poche borchie di ferro che non fossero state già divelte dai loro alloggiamenti, lasciandosi dietro ciechi buchi nel legno. Le dimensioni della porta corrosa erano minuscole, per essere l’ingresso ad un palazzo tanto grande.
“Leo dovrà abbassare la testa per entrare.” considerò mentalmente la mezzelfa, che solo in quel momento realizzava di non avere la minima idea di cosa avrebbero trovato oltre quella porta “Questo castello è diametralmente opposto a quello che continuo a sognare: in cima ad una scogliera in vece che in una valle, non vicino al lago ma vicino al mare, il degrado degli elementi contro la purezza architettonica, una porta minuscola al posto di un portone megalitico…”.
Abbassò la testa, piena di dubbi. “Sono davvero nel posto giusto? Ho fatto bene a venire qui?” si chiese mordendosi il labbro.
La voce di Lupo la riscosse dai suoi pensieri. «Timis,» la chiamò, indicando sospettoso la serratura «guarda, amica: la crosta di sale sopra i cardini è spezzata. Qualcuno ha forzato questa porta di recente.».
La tartaruga aveva ragione: una sottile crepa correva nel cristallo salino che divorava i contorni della porta. Visibilmente teso, Miros slacciò il suo falcione dalla schiena, e lo usò come bastone per appoggiarsi, puntando sulla pietra dura sotto i suoi piedi il rinforzo metallico all’estremità dell’arma, ed iniziò a guardarsi intorno diffidente, aspettandosi che qualche animale sbucasse fuori all’improvviso dalla Pineta alle loro spalle.
“Ehi, chiedile se sente qualcosa con la sua capacità di percezione dei viventi.” gli sussurrò Loreth a bassa voce, come se anche altri potessero sentirla, ora che la sua presenza era stata rivelata.
«Uhm, Timis?» chiamò nervoso «Tu puoi percepire le creature viventi, vero? Senti qualcosa?».
La mezzelfa sospirò. «Non è un senso così sviluppato,» spiegò con rammarico «mi permette di identificare tutte le creature davanti a me, viventi o non-morte, e di percepire quelle vicine, ma il raggio è ristretto: non percepisco nessuna presenza di alcun tipo, ma questo non vuol dire che Roccasale sia disabitata.».
Dalla bocca della mercenaria sfuggì uno sbuffo annoiato. «Allora, vogliamo entrare o no?».
Con determinazione, Timis tirò la maniglia marcia con la mano guantata, e mosse il primo passo all’interno del castello. «Lupo, luce.» comandò, e la tartaruga verde mutò nella più agile figura del lupo argentato, che iniziò subito ad emettere un bagliore costante.
Nessuno aveva un idea precisa di come potesse presentarsi l’interno della fortezza, ma già nelle menti di tutti avevano iniziato a danzare meravigliose e surreali immagini di serpenti di mare che si attorcigliavano nei bassorilievi su tutte le pareti delle camere, o golem di sale ormai spenti in rigida guardia ai lati delle porte, con le lance di pietra incorruttibile in resta, pronti ad accogliere in silenzio i viaggiatori, ma tutti rimasero delusi quando oltre la porta la luce del druido rischiarò le pareti spoglie di una stanza senza finestre né opere scultorie: più che nell’anticamera di un castello, pareva di essersi affacciati su un ripostiglio vuoto. I cristalli di sale sulle pareti erano disposti secondo sfaccettature irregolari, e riflettevano piccole stille di luce che trapassavano le pupille della mezzelfa come minuscoli spilli, costringendola a stringere gli occhi per distinguere le sagome nella penombra. Il fatto che la stanza non avesse altre porte oltre a quella d’ingresso rendeva ancora più claustrofobico il piccolo vestibolo: l’unica cosa che facesse intuire che le camere del castello non si limitassero a quella era una piccola botola semisfondata, dalla forma vagamente circolare, abbastanza larga perché una persona per volta riuscisse a calarvisi, a patto che non avesse le spalle troppo larghe. La copriva un disco ligneo scuro, corrotto e corroso dal sale quanto la porta, ricavato dalla sezione di un unico tronco di pino. Il coperchio appariva divelto dai due piccoli cardini metallici arrugginiti infilzati nel minerale bianco come picchetti da tenda, ma era stato riposizionato con una certa cura sopra il buco.
Uno dopo l’altro si stiparono nel piccolo vestibolo, ammassandosi intorno alla botola per studiarla, con molte domande che nessuno aveva il coraggio di porre. In fondo alla fila, Lia non aveva mosso che un passo all’interno della stanza quando un odore acre e penetrante le ferì le narici. Si fermò sulla porta, ignorando la naturale repulsione che la spingeva ad arretrare e sforzandosi di concentrarsi sulla traccia. Era lieve, quasi impercettibile sotto il pesante odore salmastro dello iodio che permeava l’aria come una presenza solida e tangibile, ma era comunque inconfondibile: sangue. Sangue di un animale di grossa taglia, poté giudicare dalla fragranza, ma non era certo stato quella traccia a cui era tanto abituata a farle arrestare i suoi passi: l’odore del sangue era mescolato ad aromi ben più sgradevoli, come quello della carne marcia ed ormai sulla via della putrefazione, ed il miasma pestilente dell’acqua stagnante di palude.
Con un’occhiata rapida studiò le espressioni di tutti gli altri, attenta a cercare sui loro volti disgusto e sospetto, o un qualsiasi altro segno che potesse farle intendere che anche loro avevano percepito l’odore, ed un sorriso beffardo le si tese sul volto quando realizzò eccitata che nessuno, neanche il cane con il suo olfatto acuto, erano stati in grado di sentirlo. Sapeva bene che la spiegazione più probabile per quella singolare miscela di effluvi era che un mostro marino di qualche genere avesse eletto Roccasale a proprio nido e nascondiglio, e che vi avesse recentemente portato una nuova vittima da lasciar frollare nell’acqua stantia di chissà quale pozza salata, ma era ancora indecisa se condividere con gli altri questa sua intuizione o no. Se la sua previsione si fosse rivelata corretta, la fiducia e la considerazione che avrebbe guadagnato sul resto del gruppo sarebbero stati incalcolabili, ed a dir poco decisivi nel guadagnarsi l’accesso a quei dettagli che Coleos sembrava desiderare tanto ardentemente.
“Il lucertolone!” realizzò stringendo i pugni per non lasciarsi sfuggire neanche una scintilla “Merda, dovevo fargli rapporto ogni sera!”.
Alla sua sinistra, Leo sgomitò per guardare meglio mentre Timis e Miros spostavano il coperchio della botola con la calma timorosa di che non sa cosa aspettarsi, e Lia fu spinta fuori dal gruppo. Normalmente avrebbe come minimo fulminato l’arciere dalle orecchie a punta, ma in quel momento la sua mente era totalmente occupata da un unico pensiero.
“Merda, merda, merda,” imprecò tra sé e sé “se prova a divinarmi e mi trova così lontano dalla città penserà che sono scappata e mi darà la caccia. Devo contattarlo al più presto.”.
Il coperchio era scivolato di lato senza sforzi. «C’è dell’acqua sul fondo,» confermò Lupo Grigio dopo che ebbe colto un riflesso della sua luce brillare in profondità «e ci sono dei buchi sulla parete, per salire e scendere, a grandezza d’uomo, tipo scala a pioli.».
Lia non aveva sentito niente dopo la parola ‘fondo’. «Acqua?» chiese nervosa, dimentica di tutte le sue altre preoccupazioni «Quanta?».
Il druido scrollò le spalle. «Non saprei, amica, boh.» rispose perplesso «Almeno tre metri, non si vede il fondo. Suggerirei comunque di non lasciarsi cadere, forse è meno profonda di quanto sembra.».
Stette immobile per qualche secondo, cercando di capire cosa nascondesse davvero la domanda, fino a quando non drizzò le orecchie amichevole. «Tu hai poteri elettrici, vero? Problemi con l’acqua?» chiese, scodinzolando spensierato quando Lia annuì con una punta di imbarazzo «Tranquilla, penso di poterla spostare, se non è un abisso senza fondo: formerò una bolla d’aria intorno a te, passerai senza problemi, resterai totalmente asciutta.».
La mercenaria sorrise sollevata, ma si sarebbe sentita molto più rassicurata se il lupo non avesse aggiunto un “o quasi” alla fine della frase. In ogni caso, quando per ultima si accinse a posare il piede nel primo dei gradini scavati e cominciò la lenta discesa verso il basso, la vicinanza con l’elemento ostile si fece sentire. Poteva sentire l’acqua oscillare quindici metri sotto di lei al flebile spostamento d’aria dei loro corpi. Quel rumore portava con sé soltanto brutti ricordi: gli innumerevoli tentativi di annegarla che la gente del suo villaggio aveva compiuto prima di riuscire a buttarla nel fiume dove era sopravvissuta per miracolo, quella volta quando era rimasta intrappolata su di una nave per più di due mesi senza mai toccare terra, con la stiva che si allagava un poco ogni volta che le onde peggioravano, le minacce di Eldos per costringerla a rivelare informazioni inesistenti su chi l’avesse mandata ad uccidere suo padre, quando lei si era trovata a Myrth quasi per caso, del tutto ignara dell’immunità all’elettricità dei draghi di bronzo….
“Eldos… Coleos…”. Quei due nomi maledetti le ricordarono anche del pericolo in cui si era cacciata per colpa delle chiacchiere inutili dell’elfo che l’avevano distratta per tutta la serata. Il mezzo-drago guerriero sarebbe stato capace di inseguirla sino in capo al mondo pur di fargliela pagare: certamente non si sarebbe arreso solo perché lei aveva lasciato Myrth. Se chiudeva gli occhi poteva già sentire il suo odore e quello del fratello con gli occhiali che riempivano il cunicolo man mano che i suoi passi la guidavano sempre più vicina all’acqua.
“No, aspetta…” pensò mentre si rendeva conto che non era tutta immaginazione. Lasciò che l’aria viziata del pozzo le riempisse le narici, svelandole le cose non viste. L’odore era diverso: simile, ma diverso. La faceva sempre pensare a qualcosa di serpentesco, a qualcosa con le squame, ma invece del gradevole odore di ozono e metallo caldo che emanavano di due mezzi-drago, era legato a doppio filo con il tanfo palustre che aveva percepito prima.
“Un drago?” si chiese incerta, studiando con più cura i dettagli della traccia “No, due: un maschio e una femmina.”.






Importante: ciao. Meno importante: questo è l'ultimo aggiornamento estivo. Non che non postiamo più fino al 23 di settembre, ma per motivi vacanzieri non saremo in grado di caricare un nuovo capitolo MINIMO fino al primo mercoledì dopo il 5 settembre. Speriamo che finora la storia vi abbia quanto meno interessato. Comunque saremo disponibili per rispondere ad eventuali messaggi o recensioni fino al 10 agosto. Se vi va...

Commento del Master: Io avevo votato per il titolo "Ma che farai mai tu alle donne.", offertoci dalla spettacolare prestazione di Nether Low che ne manda al tappeto un'altra. A questo punto, aspettiamo che incontri Lia. Per il resto, è vero che è stato anche culo con i dadi, ma riuscire a sottomettere un LE 14 con un personaggio di sesto livello è di classe. Ah, i buoni vecchi Tentacoli Neri di Ervard, uno di qegli incantesimi che si utilizzano una volta nella vita. Anche Nori però provvidenziale con il Blocca Persone, eh. Peccato (o fortuna, dal punto di vista di Due-code) che Distruggere Viventi non abbia funzionato appieno.
Per il resto, abbiamo una caotica malvagia che fa la caotica malvagia. Tutto ok.

Commento dei Giocatori: Picchiare PNG è divertente. Picchiare PG lo è di più. Prepararsi, da mezzi morti, un attacco a sorpresa contro il PG che ti sta cercando ed abbatterlo non ha prezzo. Alla fine, Rigenerazione 7 e RD 16 non contano nulla contro i sani, vecchi effetti dell'energia negativa. Aspettate solo il piano geniale della coppia N&N per "sistemare" la loro inseguitrice.

Bussola del lettore: Tutto ciò è vergognoso. Ogni giuocatore di ruolo come si deve l'avrebbe sbandierato in faccia ai lettori ed ai loro vicini di casa sin dai primi capitoli. Eppure rileggendo ci siamo resi conto di non aver mai palesato l'allineamento dei personaggi, il che è spaventoso. (Forse di alcuni lo abbiamo fatto, ma facciamo finta di niente). Per oggi solo pg, dai, in ordine di apparizione.
Timis Galanodiel: Legale Neutrale.
Nether Low: Legale Malvagio.
Miros: Caotico Neutrale.
Loreth: Neutrale Malvagio.
Nori Chie: Neutrale (all'inizio Legale Neutrale, ed ora sulla buona strada per Caotico Neutrale).
Waffle Yodas Shuckle, alias Lupo Grigio: Neutrale.
Leo Noah, esterno: Caotico Neutrale.
Leo Noah, interno: Legale Malvagio.
Lia: Caotico Malvagio.
Due-code, alias Kuza: Neutrale Malvagio.

Che ne pensate? Calzano? O vi immaginavate qualcosa di diverso? Saremmo curiosi di conoscere la vostra opinione.
 

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