Minaccia e Salvezza

di Cinnamon_Meilleure
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ritorno alla Golden School ***
Capitolo 2: *** Compiti segreti ***
Capitolo 3: *** Dubbi ***
Capitolo 4: *** Felici incubi ***
Capitolo 5: *** Veli sottili ***
Capitolo 6: *** Tra bene e male ***
Capitolo 7: *** Quello che non sarai mai ***
Capitolo 8: *** Violenza e dialogo ***
Capitolo 9: *** Troppo facile ***
Capitolo 10: *** Scorciatoie pericolose ***
Capitolo 11: *** Inquietudini ***
Capitolo 12: *** Terribili forse ***
Capitolo 13: *** Domande senza risposte ***
Capitolo 14: *** Buio senza fine ***
Capitolo 15: *** Salva il tuo cuore ***
Capitolo 16: *** Ben al di là del più atroce dolore ***
Capitolo 17: *** Il potere dell'angelo nero ***
Capitolo 18: *** Quanto dolore può sopportare il cuore ***
Capitolo 19: *** Rimorsi e alternative ***
Capitolo 20: *** Il tuo cuore non può morire ***
Capitolo 21: *** Anime prigioniere ***
Capitolo 22: *** Il potere dell'energia ***
Capitolo 23: *** Vivi ***
Capitolo 24: *** La gioia nel cuore ***
Capitolo 25: *** La maledizione di Angel e Devil ***
Capitolo 26: *** Non avere più paura ***



Capitolo 1
*** Ritorno alla Golden School ***



1. Ritorno alla Golden School
                
Raf emise un lunghissimo sbadiglio quando fu l’ora di alzarsi. Erano arrivate le sue migliori amiche, Urié, Dolce e Miki. Perché? Perché non la lasciavano dormire in pace? Ma certo, era il gran giorno! Oggi era il primo giorno del secondo anno di Stage! Non appena se lo ricordò saltò giù dal letto in un baleno, entusiasta.
–Andiamo! Che gioia andare tutte insieme!- Esultò.
–Confermo!- Esclamò Urié, gioiosa.
Dolce, invece, sembrava perplessa. –Ma come, sei già pronta? E... il trucco? Non ti dai neppure una veloce rassettata?
Miki rise. –Non sai pensare ad altro.... andiamo, è già tardi, cerchiamo di arrivare in orario, dobbiamo dare il buon esempio come angel!-Disse, orgogliosa di sé stessa.
-Perfetto, andiamo!!- Affermò nuovamente Urié alzando il pugno verso il cielo trionfante. Poi, insieme, ma ognuna con le proprie valige, i propri sogni e le proprie speranze, lasciarono Angie Town, avviandosi verso un nuovo anno alla Golden School.
 
-Rieccoci! Mi sembra passato un secolo, ed è solo da pochi mesi che non vediamo i terreni!- Disse Miki.
 –Secondo voi avremo ancora gli stessi terreni? Vorrei continuare ad aiutare Edoardo... – chiese Dolce, pensierosa.
–E’ probabile. Oh, guardate, ecco la scuola! Quanti ricordi....- Disse Raf. Le Angel, prese dall’euforia e dall’allegria, volarono più veloci che potevano, sorpassando i terreni, i quali, al contrario, non sembravano affatto contenti di ricominciare la scuola.... e c’era qualcuno che condivideva la loro infelicità: i devil.
-Guardate! Ci sono proprio tutti!! Hey, ecco il professor Arkan!-
- E la Temptel? Lei dov’è? Non dimenticarti di lei!! – Miki si girò, e vide il suo grosso avversario di sempre: Gas.
–Gas, vedo che ci stai riprovando....
Lui sorrise a trentadue denti. –Ovviamente! Io continuo a detestarla moltissimo! E’ un orrore per me tornare a scuola proprio per incontrarla!- Disse, fiero ed orgoglioso.
L’angioletta sbuffò. –A proposito... vedo che non sei dimagrito nemmeno un po’... anzi, sarei pronta a scommettere che hai messo su qualcosina... – Disse in tono malizioso, indicando la sua grossa pancia.
Il devil sbuffò.-Quante volte te lo devo dire: è l’offesa più cara che mi abbiano mai fatto... quasi mi commuovo... -. Miki gli fece una linguaccia, stizzita.
–Miki! Gas! Lo stage non è neppure iniziato, e voi state già litigando?- Chiese severo il professor Arkan.
– Mi scusi... davvero – e abbassò la testa.
–A me sembra un pessimo inizio! – Si congratulò la Temptel, soddisfatta, e Gas ringraziò scortesemente per la scortesia.
Nel frattempo, arrivarono anche gli altri devil: Cabiria, Kabalé e Sulfus.
–In ritardo! Perfetto, ragazzi, consideratelo il primo brutto voto dell’anno. – Si congratulò la Temptel.
Centinaia di voci, terrene e sempiterne, riempivano la scuola. “Chissà quali saranno i gruppi di quest’anno...” Si chiese Raf. Allora, in quell’istante, Sulfus le si avvicinò, fiero.
–Hey, angelo! Quest’anno ti darò del filo da torcere, se sarai mia avversaria!
Lei sollevò le spalle. –E’ tutto da vedere...- Rise la ragazza, con sufficienza, facendo ondeggiare i capelli al di là delle sue spalle con un movimento che a Sulfus parve assolutamente incantevole. Tentò di nascondere un sorriso. Lui, invece, non ci provò neppure a nascondere il suo, di sorriso. Si leggeva la gioia nei suoi occhi dorati.... Erano felicissimi, anzi di più.
 Dolce ed Urié, nel frattempo, analizzavano le loro nuove compagne di classe: c’erano delle angel conosciute, come Lynn, Edhera, Serafina, Ang-li... e altri mai visti prima. Dolce commentò: -Mi sembra che Serafina sia un tantino troppo pallida, non si è messa il fondotinta... e Lynn avrebbe bisogno di un rossetto diverso! E guarda com’è vestita Edhera...
–Io, invece, mi sento in formissima! – Disse Urié.
Il professor Arkan tentò di richiamare l’attenzione dei ragazzi.
-Ragazzi.... angel..... devil...- Nessuno lo stava a sentire. – Quest’anno,- urlò a squarciagola, mentre la Temptel sbadigliava placidamente lasciando il tutto all’esimio collega- Le classi saranno miste, per una maggior socializzazione degli studenti.... e le coppie di sfidanti saranno diverse! E se non tacete, non ve le dirò mai, e neppure i vostri nuovi terreni!- Urlò, con tutta la voce che gli era rimasta nella gola. Improvvisamente, nella scuola, regnò un silenzio di tomba. Arkan sospirò.
- Uff... allora... Dolce contro Kabalé.-
- Cabiria contro Urié. Miki contro Raphitya. – Gas, Raf, e Sulfus si guardarono, perplessi. Chi avrebbe avuto come rivale la ragazza? Il mistero fu presto risolto. – Gas contro Raf, e Sulfus contro Ang-li. – Il ragazzo sospirò di sollievo. Non essere avversario di Raf gli dava una grande gioia, e anche un grande vantaggio... Perché altrimenti ci sarebbero stati litigi a non finire, ne era sicuro.
Però anche Ang-li era un caro amico di Raf... anzi, era il fratello di Miki! Lei, in disparte, lo guardò da lontano. Lui avrebbe scommesso che voleva resistere. Ma non ci riuscì, perché i suoi occhi erano irresistibili.
- Ciao.
- Ciao....hai visto... sono molto felice che, ecco... insomma....-
-Che non siamo avversari? – Lo precedette Raf.
 –Si...
Lei annui, dandogli le spalle. –Si, anch’io ne solo felice... però...-
-Però che cosa?
 Lei si girò, e gli rivolse uno sguardo carico di dolore che trapassò come una lama i suoi occhi. Lui rimase scioccato. –Ma non lo capisci!- Esclamò lei. – Tutto questo non fa che aumentare l’illusione... noi non potremo mai stare insieme.... mai... e se non siamo avversari questo ci farà stare ancora più male... – E la angel abbassò lo sguardo. Lui le sfiorò la mano, delicatamente ma così intensamente da farle provare un brivido, facendola avvampare.
–Ti sembra un’illusione? Non succede più niente, tra noi il V.E.T.O. non ha più effetto... – Lei si girò. Era meglio andare via, prima che quella discussione diventasse troppo dolorosa...
 – Mi dispiace, no.
E lui, sorpreso ed addolorato, rimase fermo a guardarla mentre volava via. Gli arrivarono accanto Cabiria e Kabalé.
–Sulfus, non dirmi che voli ancora dietro quell’angioletto!- Lo punzecchiò Kabalé. Lui non rispose. Cabiria lo difese. –Non lo giustifico di certo, ma lo capisco. Capita d’innamorarsi, più spesso di quanto immagini. Meno spesso che un devil ami una angel, però…
Kabalé sgranò i suoi matti occhi gialli. –Cabiria??? Non ti sarai mica....- la devil volò via, agitando la mano come a scacciare il pensiero. –Aspetta! – Strillò la diavoletta, volandole dietro. – Devi dirmelo! Sono la tua peggior amica!!!
 Finalmente Sulfus era stato lasciato in pace? Ma neanche a parlarne. Ecco, infatti, comparire Gas.  –Guarda che se vuoi ci vado piano  con  LA TUA FIDANZATA....
Sulfus s’infuriò. –Cos’è, siete tutti d’accordo, oggi? Scocciamo Sulfus? Non stavo bene, tutto solo, con il mio dolore? - E se ne volò via, lasciando Gas da solo. Lui alzò le spalle e si accodò alla Temptel. Era finita anche la sua pace.
 
Ang-li chiese chi fosse Sulfus, e Raf gli rispose che era andato via. Ang-li notò il suo atteggiamento strano, e la sua tristezza, ma non fece domande. Dopo pochissimo, lei se ne andò nel sognatorio. Le altre non commentarono. Le vere lezioni sarebbero iniziate l’indomani.
Nel letto, quella sera, guardando la pallida luna  che si affacciava nella sua stanza, si chiese se davvero dovesse smettere di amare Sulfus per sempre, e le sfuggì una lacrima.
 
-No, Raf. Potremo amarci. Te l’assicuro io. – Pensò Sulfus, che in quel momento guardava la stessa luna. Rigirandosi un misterioso ciondolo d’oro fra le mani, sorrise. L’avrebbe usato presto. Aveva la soluzione che gli avrebbe permesso di amare. Non sapeva, allora, quanti sarebbero stati in pericolo, per una sua scelta che non sarebbe stata neppure meschina.... Ma chi poteva immaginarlo, allora?
 

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Capitolo 2
*** Compiti segreti ***



2. Compiti Segreti
 
 
“C’è qualcosa di più bello dei buoni sentimenti, come l’amicizia... l’amore? Esiste qualcosa di più bello di amare quando l’amore è vero, puro e sincero? E allora perché qualcosa deve odiosamente impedirti di amare, impedirti di esprimere... i tuoi veri sentimenti?”
 
Tutti gli angel erano nelle loro aule, compostissimi ed in perfetto orario. Il professor Arkan aveva iniziato la lezione partendo dalla ripetizione del V.E.T.O., ammonendo in modo particolare Raf, in tono allusivo.... la angel annuì ed abbassò il capo, e le sue gote arrossirono leggermente. Il problema non era il V.E.T.O., che tra lei e Sulfus non aveva più effetto. Il problema era che si amavano e non potevano... e questo la faceva stare terribilmente male.
Ang-li era curioso... molto curioso di scoprire il perché, ma lui non era al corrente di tutto quello che era successo. Tirò una gomitata all’angel che era il suo compagno di banco e glielo chiese, a bassa voce.
-Cosa vuoi che ne sappia, fratello?- Rispose lui, limitandosi a scrollare le ali. Una angel del banco appena dietro al suo gli punzecchiò una spalla.
-Conosci Sulfus?
-Il devil? Sicuro, è il mio rivale! Dicono sia uno tosto...
Alla angel scappò un risolino. - Beh... quel ragazzo... Raf ha baciato quel devil.
-Cosa?!- Ang-li sussultò.
 –Si, anch’io lo trovo disgustoso…  poi si venne a sapere che lei era stata spinta tra le sue braccia da un inganno di Reina, la prigioniera del Limbo...
-Quella a causa della quale l’anno scorso stavamo per andare via dalla scuola?
-Proprio lei, amico.
Lui tirò un sospiro. -Ma allora niente di serio...
-Lo dici tu! Ma tutti lo abbiamo visto... le vola ancora dietro... – Squittì la compagna di banco della angel, che aveva una vocetta acutissima. Ang-li non parlò e si girò verso Raf, incrociando per un attimo il suo sguardo e scoprendolo infinitamente triste... probabilmente ora stava sospirando proprio per lui... ed era così carina, persa in quei suoi eterni sospiri...
Lei cercava di sfoderare i suoi migliori sorrisi, anche se erano finti e non le riuscivano, perché le angel non sanno mentire. Ma si sforzava di essere felice. Dopotutto era a scuola, con le sue migliori amiche... la aspettava un nuovo fantastico anno alla Golden School, pieno di emozioni, e dunque Sulfus avrebbe dovuto essere un problema secondario. Avrebbe dovuto esserlo... ma allora perché continuava a pensare a lui?
-Ang-li! Lynn! Serafina! La smettete di chiacchierare? L’anno scolastico non è neppure iniziato e già vi fate riprendere!
-Scusateci, prof - Risposero i ragazzi, all’unisono. E tacquero fino all’ora di uscita, quando Miki conobbe finalmente la sua avversaria.
Era una nuova devil mai vista prima. Era alta più o meno come Miki, e aveva la pelle pallidissima, come ogni devil che si rispetti. Aveva una chioma straordinaria, color rosso fuoco, intrisa di gel, che dava a quei capelli una forma decisamente insolita: erano raccolti sulla testa in due metà perfettamente simmetriche, a formare due corna. Una cosa impressionante ed affascinante al tempo stesso. Anche i suoi occhi erano rossi, ma erano come velati di mistero, con quella matita nera che li circondava completamente. Indossava una collana d’oro con un ciondolo d’argento a forma di goccia, che però si notava poco sulla sua pelle già pallida. La maglietta era viola, con le maniche rialzate verso l’altro e un teschio in bella vista sul davanti, con una corona fucsia in testa. Indossava dei pantaloni di cotone aderenti, di un unico colore, un violetto più chiaro della maglietta. Come scarpe aveva degli alti stivaloni di lucida pelle rosso fuoco, con un’alta zeppa. Fu lei ad avvicinarsi a Miki, la quale si sentì per un attimo intimorita dinanzi a lei.
-Ciao, io sono Rapythia. Tu saresti Miki, la mia avversaria, giusto?
Miki annui. La sua voce era quasi... gentile. Si, era gentile! Strano per una devil...
-Bene, adesso ci conosciamo. Ti saluto. Il nostro terreno è Andrea, nel caso non lo sapessi.
-Hem! Grazie, in effetti non lo sapevo ancora....- Rispose Miki, che si sentiva sempre più a disagio. I suoi occhi. I suoi occhi erano così misteriosi ed oscuri... così profondi che sembravano occhi da cagnolino abbandonato, nonostante le sopracciglia corrucciate. Poi la devil girò i tacchi e si allontanò. Miki rimase quasi frastornata dalla sua vista.
 
Dolce, nel frattempo, era già alle prese con Kabalé. Come l’anno prima, il loro terreno era Edoardo (per la gioia di Dolce). Questa volta il ragazzo, a causa di un inganno della diavoletta tentatrice, aveva trovato il suo compito d’inglese a terra, con un terribile votaccio (un 4!) e il ragazzo era indeciso se usare un trucco e cambiare il voto (perché sapeva che il professore non aveva ancora segnato i voti sul registro) o riportarlo all’insegnante.
-Farà la scelta sbagliata, vedrai! Ahahah! E’ una tentazione troppo forte! Io lo farei subito!  
-Tu sei una devil, che cosa c’entra! Edoardo non lo farebbe mai! E’ un ragazzo per bene!  
-Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco...- Ridacchio Kabalé.
-E tu non dire baggianate! Mi sono spiegata?
-Lampante, zuccherino smielato.
-Dolce, mi chiamo Dolce!
-Come vuoi, dolcetto...-
-Smettila, razza di oca!
-Senti chi parla, racchia!
-Ripetilo se ne hai il coraggio! Forza, ripeti quello che hai detto, stupida diavola!  
-Come vuoi, racchia!  
-Grr! Ma io ti faccio ingoiare la lingua!- Esplose Dolce, sventolandole il pugno sotto il naso.
-Cosa pensi di fare, angioletto deboluccio? Ahahah!
Dolce era rossa dalla rabbia.- Ti assicuro che ho un bel gancio!- Strillò inviperita. E chissà fino a dove sarebbero arrivate se non fosse stato per l’arrivo di Gas, che passava da quelle parti, mangiando placidamente un hamburger ripieno di chissà quali schifezze.
-Ragazze, smettetela, direi che non è il caso di perder tempo in stupidaggini.... o il vostro terreno sceglierà da solo e rischia di fare la scelta giusta! –Intervenne il devil, interrompendo le due duellanti. Dolce si asciugò la fronte sudata.
- E’ un rischio che non intendo correre!- esclamò Kabalé. –Corriamo in aula sfida!
-Già! Forza, allora. Andiamo!-
E corsero, veloci come il vento. O forse anche di più.
 
-Sei pronta?- Domandò Dolce, rabbrividendo dal freddo. Era una sfida di pattinaggio, non faceva certo caldo! Dolce aveva uno splendido tutù rosa pastello, mentre Kabalé un tutù a veli a pieghe viola e rosse, molto elegante.
-Sono nata pronta, zuccherino.
Dolce roteò gli occhi. –D’accordo... allora le regole sono....
-Saltale pure! Ci vediamo al traguardo, lumaca! - Strillò Kabalé, partendo più veloce della luce, ma soprattutto prima di Dolce, che la seguì a ruota.
-Non vale!-Le strillò dietro. – Sei partita prima di me! Hai barato!
-E cosa fanno  in genere i devil? Barano!- E così dicendo rise di gusto. Dolce era molto arrabbiata.
“Non vincerai, questa volta! Ci penso io, adesso... ma dove si è cacciata?” Pensò Dolce, notando che Kabalé era scomparsa. –Dove ti nascondi, razza di oca? – Urlò, agitando i pugni verso il cielo.
-Sono invisibile! Non mi troverai mai....– ridacchio la diavoletta, di gusto.
-Questo lo credi tu! I miei poteri funzionano anche sulle oche invisibili... STOP FLY!!!- Così una marea di cuoricini bloccò Kabalé ad pochi centimetri dal traguardo, appena in tempo per vedere Dolce che, agile come una farfalla, la superava velocemente e in modo derisorio.
-Non ci credo, ho perso!- Si lamentò Kabalé. L’aula sfida tornò normale, nuda e cruda.
-E va bene, angioletta smielata, hai vinto. Ma solo la sfida, tanto sono certa che Edoardo farà la scelta sbagliata!- Disse, agitando la mano in segno di non curanza.
-Questo è tutto da vedere...- mormorò Dolce, che già sapeva cosa fare.
 
Edoardo era ancora in corridoio, con il compito in  mano, ancora incerto sul da farsi, quando vide una ragazza stravagante venirgli incontro... aveva la capigliatura più stramba che avesse mai visto: capelli fucsia e foltissimi che le arrivavano fino alla vita.
-Ciao! Edoardo, giusto?
-Sì. Se non sbaglio ci siamo già incontrati da qualche parte....
Dolce si batté un dito sulla tempia.- Ma certo... sicuro! Tu sei Edoardo, il ragazzo che non si vendica mai, giusto?- Lo aveva detto con il tono più gentile che avesse, ma in ogni caso non suonava come un complimento.
-Già, sono proprio io, lo stupido di turno! L’imbecille! -
Kabalé, che si stava godendo lo spettacolo, rise di gusto.-Ahahah... non ci credo... quanto sei tonta, zuccherino... sto vincendo senza muovere un dito! Ti dovrei persino ringraziare!
Dolce strinse i pugni dalla rabbia, ma si contenne.
-Sei qui per prendermi in giro?- chiese lui. A Dolce venne voglia di mordersi le unghie dalla rabbia, ma non lo fece perché si sarebbe rovinata lo smalto.
-Non intendevo burlarmi di te... ehm! Volevo dire... con i tuoi gesti tu… hai sempre fatto capire agli altri il giusto modo di comportarsi... sto dicendo che sei un bravo ragazzo! Mi... ehm... stanno molto simpatici i tipi come te! Vorrei tanto essere come te… ti stimo moltissimo.
-Già, è vero... ma, sai, non è semplice essere come me...- Rispose Edoardo, quasi vantandosi.- Ma perché sei qui? –
-Oh, non... te l’ho detto?- Disse Dolce grattandosi il capo, perplessa.
-Ehm... perché...perché... perché mi hanno detto che quest’anno ti candidi come rappresentante d’istituto! E ti volevo dire che hai tutto il mio appoggio!
Edoardo sollevò un sopracciglio. -Ma non è affatto vero! Non lo farei mai, sono troppo timido!
-Oh... devono avermi informato male... comunque cos’hai là sotto il braccio?
-Il mio... compito di Inglese…
-Quattro! Che votaccio, mi dispiace davvero… anche a me l’inglese non entra proprio in testa! E’ così difficile!
-Già....
-Ma è soltanto un test d’ingresso, cos’è quella faccia scura? Sono sicura che recupererai in men che non si dica! Magari con l’aiuto dei tuoi amici, no?
Lui annuì e parve più allegro.
-Ma una domanda, permetti? Come mai lo hai tu?
- E’ caduto al prof...
-E glielo stavi riportando, vero? Posso accompagnarti? Sarebbe un onore per me!
-Certo, andiamo subito! Sei una ragazza simpatica, sai?
Dolce rise, e mentre Kabalé si rodeva dalla rabbia, Edoardo riportò il compito all’insegnante, il quale fu anche lusingato della sua onestà!
 
-Bravissima, Dolce! –Si congratulò Miki.
-Un vero colpo da maestra!- esclamò Raf.
-Figosissimo!- esclamò lei- Dovevate vedere la faccia di Kabalé!
-Anche Arkan ne sarà contento!- esclamò Urié.
 
-NON SONO AFFATTO DISPIACIUTA!- esclamò la Temptel. –Hai perso la tua prima sfida con Dolce!
-Quello zuccherino non l’avrà vinta una seconda volta, prof! La prossima volta mi ci scommetto le corna che Edo farà la scelta sbagliata!
-Fossi in te non sottovaluterei gli angel... – le disse Sulfus.
-Taci, tu!- Esclamò la Temptel – Ché se la tua avversaria fosse quell’angioletto dagli occhi blu il tuo protetto sarebbe un angelo personificato!
-Ma io.. io... – Cercò di giustificarsi lui, arrossendo.
-Tu sei un buono a nulla! Vai fuori!
Lui si alzò, a testa alta. -Vado fuori, ma perché sono io che voglio uscire! Siete una mandria di sfigati! Non capite neppure che, affascinadola, io l’avevo resa debole, e non sarebbe andata contro di me nel caso fosse stata la mia avversaria!
La classe tacque. Poi Kabalé sbottò:-Sì, sì, come no... tanto non ti crede nessuno!
-Branco di incompetenti!- bofonchiò Sulfus, tra sé e sé. A testa alta uscì dall’aula, sbattendo il portone talmente forte da far tremare le pareti.
Infilò una mano in tasca, e ne trasse il suo ciondolo d’oro, e con stupore lo vide splendere. Bruciava tra le sue mani. Gli cadde, ma lo raccolse subito. Si guardò attorno, sperando che nessuno lo avesse visto. Stava giocando con il fuoco, lo sapeva. E, stranamente, non gli piaceva. Era spaventato. Spaventato da quello che presto avrebbe fatto. Nessuno avrebbe mai fatto una cosa del genere, e non era sicuro di poter... sopravvivere.

 

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Capitolo 3
*** Dubbi ***




3. Dubbi
 
“Spesso, ogni giorno, in ogni momento, i terreni sono spinti a scegliere se fare la cosa giusta o quella sbagliata. Ma se si è condannati a fare scelte sbagliate, si può... cambiare?”
 
-Ciao, Matteo! Hei, ragazzo, dico a te! Hei! - Urlò qualcuno a Matteo.
Il ragazzo si girò. Vide tre ragazzi che conosceva: erano i bulli del quartiere. Cosa potevano mai volere da lui quei ragazzacci?
-Che cosa volete? Girate al largo, ho da fare! – Esclamò lui cercando di mostrarsi più sicuro di quanto non fosse in realtà. Uno dei ragazzi, uno mingherlino e dai capelli lunghi come una ragazza (ma per ragazza non si poteva proprio scambiare, tanto era brutta la sua faccia!), gli pose una mano sulla spalla, come si fa con i cari amici.
-Parlare, fratello. Solo parlare.... e vedere.
-Vedere che cosa?
-Quello che sai fare! - e così dicendo, il grasso gli lanciò un grosso skate. Lui lo afferrò al volo, e si diresse verso la vicina rampa, in quanto i ragazzi già si trovavano in una pista da skate. Si sgranchì le dita e montò sullo skate. Tirò un profondo respiro e scivolò giù per la rampa, a tutta velocità. Forse per fare bella figura stava provando un numero mai provato prima, e aveva una paura terribile. Arrivato alla punta della rampa, alla sua sommità, pose una mano al bordo della tavola e  con un colpo dei piedi e un’oscillazione del corpo all’indietro fece fare allo skate una rotazione di primo livello a 360° gradi, dopodiché si mise in piedi e fece scivolare il piede sinistro sul davanti, flettendo leggermente in avanti la gamba e portando la gamba destra indietro, precisamente sul tail, eseguendo così un atterraggio perfetto. Ne seguì un piccolo applauso da parte dei tre ragazzi.
-Wow, mi avevano detto che eri bravo ed eri un grande, ma non credevo così. Straordinario... irripetibile... indescrivibile. Sei colui che fa per noi. - Disse un ragazzo biondo e alto, e gli altri annuirono, ciondolando le loro orribili teste vuote.
-Dunque? Cosa volete da me?
-Ragazzo - Esordì il grasso - Sabato c’è una splendida gara... uno come te ne avrà sentito parlare, no? - Lui sgranò gli occhi. Certo che conosceva quella gara, ma si gareggiava a squadre di quattro persone... Non è che...
-Noi vorremmo gareggiare, ma ci serve un quarto partecipante…
-....e vorreste me?
Il ragazzo annuì. – Proprio così, fratello. La gara è di sabato mattina, vorresti gareggiare con noi?
Lui annuì. Sarebbe stato un sogno che si avverava, poter partecipare a quella gara.
-Allora è deciso! Dovrai marinare la scuola, sia chiaro... ma da vero Punk skater l’avrai fatto molte volte, vero?
Lui annuì. – Ehm... ovviamente! – Non lo aveva mai fatto.
-Anche per noi va bene. Ma per entrare nel nostro gruppo devi superare una prova...
-Di che genere?- Domandò lui immediatamente.
I ragazzi ridacchiarono. – Devi... rubare uno skate.
Lui sgranò gli occhi. – Rubare??? Ma è sbagliato!
-Ehi, ragazzino, noi siamo contro tutto quello che è giusto e siamo a favore delle cose sbagliate! E poi, il gioco vale la candela... il premio è alto.
-Quanto? - Chiese Matteo, come rapito dalle loro parole.
-Molto, molto alto… diecimila a testa.- Matteo per poco non svenne dal capogiro. Non aveva mai avuto una tale somma a sua disposizione... che cifra!
Siccome non rispondeva, i ragazzi lo apostrofarono:-Pensaci, ragazzo. Torneremo dopodomani e ci comunicherai la tua scelta. Devi essere pronto a tutto, per stare con noi. Ti saluto, ma ricorda: è anche un’occasione per far conoscere il tuo talento... e i treni passano una volta sola.
Detto questo, i ragazzi andarono via,  girando i tacchi. 
-Cosa posso fare? Cosa posso fare? Cavoli che scelta... certo, però, che diecimila... e ho poco tempo per decidere!- esclamò, parlando a se stesso in un curioso e drammatico soliloquio.
-Scommetto che dopo un po’ d’esitazione ruberà quello skate.- Commentò Sulfus, comodamente seduto su un vecchio muretto, mentre Basilisco gli scivolava sulla schiena sibilando, lasciandosi accarezzare la testolina. Ang-li, l’angioletto dai capelli corti e scuri e con gli occhiali, scosse la testa.
-Andiamo, ragiona!- Sbottò il devil, saltando giù dal muretto.- Stiamo parlando di diecimila da intascarsi, diecimila! Neppure un angelo si rifiuterebbe!
-Ehi, attento a come parli, brutto diavolaccio.- l’ammonì l’angelo. -Io non lo farei mai... e credi che una certa Raf lo farebbe?
Solo il sentir pronunciare il nome di lei da un altro ragazzo mandò Sulfus su di giri. Gli si avvicinò di scatto inchiodandolo al muro con le braccia, e accostando minacciosamente il volto al suo.
-Lei non c’entra tra me e te. Ma soprattutto non c’entra con TE. Mi sono spiegato bene o devo chiarire meglio il concetto?- Sibilò tra i denti, con gli occhi ridotti a due fessure. Lui annuì con un lieve movimento della testa, debolmente.
-Direi che il messaggio è abbastanza chiaro! Permetti una domanda?
Lui non rispose, trapassandolo con i suoi occhi come lance.
-Lei con te però c’entra qualcosa, vero? E’ vero quello che si dice in giro? Che ti piace ancora?-
A Sulfus partì in modo del tutto incontrollato un pugno contro il muro. Fortuna per Ang-li che si scostò di lato appena in tempo!
-Ma ne hai parlato con lei?- Ancora una parola di troppo e gli occhi di Sulfus avrebbero smesso di essere del loro consueto colore dorato, ma sarebbero diventati rossi come il fuoco.
-Basta! Te lo ripeterò per l’ultima volta, angelo: i miei affari non ti riguardano!
Così dicendo volò via, trascinandosi dietro una nuvola di rabbia. E Ang-li  restò solo, a guardare Matteo mentre si disperava, indeciso sul da farsi.  Pensò a quanto Sulfus doveva tenere a Raf. E pensò che lei  doveva essere il suo punto debole. E questo lo rendeva già in grande vantaggio rispetto all’avversario. E l’avrebbe sfruttato.
 
-Uffa, non ce la farò mai! - gemette per l’ennesima volta Dolce, sommersa dai libri. - L’esame di Angelbra (matematica angelica) è domani… e io non ci capisco niente! Tutti questi astri sono troppi per me! Non ne posso più! Non ci capisco niente!
Urié, che era appena arrivata nella stanza di Dolce per farle una visita, si offrì subito di aiutarla, perché lei aveva capito benissimo quegli argomenti. Dolce fu felicissima!
-Grazie mille, Urié! Cosa farei senza di te?
“Di certo non faresti i compiti di Angelbra!” pensò Urié. Proprio allora arrivò nella stanza Miki, di ritorno da un sopralluogo al suo terreno Andrea. Quella era la sua stanza con Dolce, ma le Angel  avevano deciso di riunirsi lì tutte insieme per chiacchierare un po’.
-Salve, ragazze! Indovinate un po’: mio fratello Ang-li ha conosciuto Sulfus!
- Oh. Mi fa piacere per lui... qual è stata la sua impressione?
-Se dicessi pessima probabilmente farei un complimento a Sulfus, non credete?- Commentò l’allegra angioletta, con un risolino. – Comunque, parlando seriamente, i commenti di mio fratello sono stati vaghi e... strani.
-Cosa vuoi dire? – Chiese Urié, incuriosita.
-Ha detto... ha detto che è... raffinato.- Disse Miki, con una strana espressione.
-Raffinato? Raffinato? Chi è raffinato, Sulfus?- Domandò Dolce, come se il solo menzionare la parola “Raffinatezza” l’avesse chiamata in causa, lei che di queste cose se ne intendeva.
Miki annuì. Dolce fece una smorfia.
-Ma è un devil! Ha la raffinatezza sotto zero! Non è che… si era mica... preparato per l’occasione? – Urié rise.
 –Non credo.
-In effetti no, era il solito Sulfus di sempre – Affermò Miki.
-Allora a che cosa si riferiva, dicendo che era raffinato? – Domandò Dolce.
-Nei modi di fare, nelle azioni, Dolce.- Spiegò la ragazza.
-Ha detto che è elegante, che le sue minacce sono sottili e... raffinate, appunto. E’ l’impressione che gli ha dato, almeno. - Dolce annuì, e  parve comprendere. - Soltanto,- riprese Miki -  ha detto che sembrava poco devil. Si è preoccupato poco del terreno, si occupava di più di rispondere alle provocazioni di mio fratello. Il terreno non sembrava la sua priorità, non so se mi spiego...
-Ti spieghi benissimo- Disse Urié. Dolce parve riflettere.
-Questo però è strano... poco devil... mente occupata da altri pensieri... ooooh, ma non sarà mica... può darsi che sia merito di...
-...Raf! – Esclamò Urié, volando incontro all’amica. –Ma dov’eri? - Le chiese.                                                   –Io? Ehm, svolazzavo in giro... ero in biblioteca...
-....a studiare? - Chiese Dolce.
-Come? No, perché avrei dovuto?- Poi si batté una mano sulla tempia.- Il compito di Angelbra! L’avevo dimenticato! Non ho studiato nulla... ero in biblioteca a leggere libri di piacere... e adesso come faccio?!
-Ho un’idea! Perché non studiamo tutte insieme? Vi va? – Propose Dolce. La sua idea fu ben accetta da tutte le angel, anche per eliminare quella tensione generale che si era creata quando era entrata Raf. Non che la ragazza non si accorgesse di questo atteggiamento, ma era lontanissima dall’immaginarne il perché. Di queste cose infatti non parlava neppure con Urié, che era la sua migliore amica, e questo non faceva altro che aumentare la curiosità delle angel verso quest’argomento.
E il pomeriggio passò così, tra risate, compiti e pettegolezzi. Sembrava che quell’allegria non dovesse avere fine. Malauguratamente sarebbe stata turbata presto. Anzi... Quella notte stessa.
 
Salve, qui è la beta-reader Aching heart che vi parla... per motivi tecnici sono io a postare la storia, che è stata scritta da Dolce-Kira (e sarà comunque lei a rispondere alle vostre recensioni). Questa ff era precedentemente pubblicata con l'account Francesca_Fadette, ma è stata cancellata e ripostata qui. State tranquilli quindi perché non si tratta di plagio. Visto che c'ero ho pubblicato anche il terzo capitolo, e d'ora in poi gli aggiornamenti arriveranno generalmente ogni quattro giorni.
A nome dell'autrice ringrazio moric99 e kuroneko1910 e vi invito a lasciare qualche commento!
Bye!

 

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Capitolo 4
*** Felici incubi ***




4. Felici incubi
 
“Spesso è difficile capire, mentre dormiamo, se stiamo sognando o se stiamo facendo un incubo.
Il velo è sottile. Spesso i sogni possono essere confusi con gli incubi, e così gli incubi possono essere scambiati per sogni. Ma è difficile distinguerli...”
 
Buio. Buio. Nient’altro che buio. Una spessa coltre di oscurità circondava il volto di Raf, ed il silenzio più totale aleggiava attorno a lei. Il buio era talmente profondo da impedirle persino di vedersi le mani. Avanzò a tentoni in quello che sembrava un’oscurità vuota ma che le parve, inspiegabilmente, quasi familiare. La situazione era, ovviamente, del tutto irreale, ma Raf si sentiva rilassata, per nulla inquieta... si sentiva bene. Cauta, la ragazza avanzò nel buio.
Ad un certo punto, una voce squarciò il silenzio.
- Raf! Raf! Mi senti, Raf?- la voce era dolcissima, e familiare.
-Sì... chi sei? – Chiese la ragazza, guardandosi attorno, confusa. Non capiva da dove venisse quella voce. Ad un certo punto un raggio di luce argentata la investì dall’alto. Fu talmente accecante ed improvvisa da far sobbalzare la ragazza, la quale perse l’equilibrio e cadde.
-Sono tua madre... mi senti?- Continuò la voce, malinconica.
-Sì… sei davvero tu? Mamma?- Chiese Raf, sorpresa. - Dove sei? Come fai a parlarmi? Mamma....?- Continuò Raf.
- Non c’è tempo... tu...  la...  non.... Raf!- le parole della madre non si capivano bene, e la ragazza non capiva molto.- La distanza è troppa... non riesco a... Raf! Non c’è tempo! Non c’è tempo! Ci sono cose che devi necessariamente sapere... tu hai il potere... il potere... tu sei nata speciale... 
-Io? Io sono il potere?- Chiese Raf. La voce si faceva sempre più debole.
-Tu non... ma tu... il potere! Tu hai... tu sei... la Minaccia e la Salvezza... e sei l’unica che può... mi senti, Raf? Raf!
-Io sono la Minaccia e la Salvezza? – Domandò Raf.
La donna non rispose. La voce era quasi scomparsa, ridotta ormai ad un sussurro indistinto.
-Raf... - Furono le ultime parole che pronunciò la donna, dopodiché il raggio di luce si spense del tutto, e il buio svanì, lasciando posto al nulla. Un nulla che si aprì sotto i suoi piedi, facendola cadere all’infinito. Vide se stessa mentre dormiva saporitamente nel suo letto, e cadde sul suo stesso corpo, quasi a fargli riprendere vita. Si svegliò, sobbalzando sul letto.
-Mamma! – Urlò. Ma lei non c’era più. Il sogno o incubo che fosse era finito. E con esso era svanita del tutto anche la flebile voce di sua madre. E la possibilità di capire che cosa volesse dirle.
 
-Mamma!- esclamò Raf, svegliandosi di soprassalto.
Dolce, che era appena entrata nella stanza, trasalì, facendo per poco cadere il vassoio che aveva con sé. -Oh, Raf! Che spavento mi hai fatto prendere! Tutto a posto?- chiese apprensiva, poggiando delicatamente il vassoio sul tavolo, ed  appoggiandosi ad esso. Tirò un sospiro, cercando di calmarsi.
Raf annuì.-Si, più o meno. Le altre dove sono?
-Sono in mensa, dormigliona! Ti sentivi male e non sei andata a scuola, e adesso che è ora di pranzo ho pensato di portarti qualcosa da mangiare. Ci sono dei nuovi biscottini al miele e alla panna che sono assolutamente S-Q-U-I-S-I-T-I! Devi assaggiarli! – concluse l’angioletta, addentandone uno con gusto evidente. Raf allora si alzò.
-Già, che profumino! Ho una fame... e ho anche un grande mal di testa, a dir la verità. Mi sembra quasi di non aver dormito.
 
Dopo lo spuntino in mensa, le lezioni ripresero.
-Allora, Urié? Quali erano i sette Serafini fondatori di Angie Town?- Domandò placido il professor Arkan. Urié si grattò la testa, perplessa. Eppure aveva ripassato a lungo, ma quei nomi erano così difficili...
-Io non... ehm... non li ricordo...- ammise infine.
Il prof scosse la testa. – Che non capiti più. Chi altri vuole rispondere?- domandò alla classe. Ang-li, l’angioletto con gli occhiali, alzò la mano e rispose correttamente. Dopo l’interrogazione, il professore fece un annuncio.
-Ragazzi, da quest’anno verrà introdotta una nuova disciplina. Sarà…- e qui fece una smorfia disgustata, quasi gli venisse da pensare alla Temptel - ...sarà Storia Diabolica.“La fondazione di Zolfanello City ed altre nefandezze delle Male bolge”.
-Storia Diabolica?! - inorridì Dolce. – Se posso chiederlo, per quale motivo?
-Ma certo, Dolce, è una domanda del tutto normale, e la risposta è molto semplice. Per  affrontare gli avversari bisogna conoscerli, e quale miglior sistema se non studiare la loro storia e tutti i trucchi usati nel corso dei secoli?
“Già. Molto semplice” pensò Raf. Molto semplice che Sulfus fosse il suo avversario, o almeno che dovesse esserlo. Ma non era e non sarebbe stato così. Mai.
 
-Da oggi, dannati diavolacci, c’è una nuova materia da non studiare, e da detestare più delle altre!-
Annunciò la Temptel, nell’aula dei devil, con sottofondo un lugubre brontolio di protesta.
-Io la detesterò senz’altro prof!- assicurò Gas.
- C’avrei scommesso. Si tratta di...- e qui fece una smorfia disgustata, quasi le venisse da pensare ad Arkan - ...di Storia Angelica. “La fondazione di Angie Town e altre dolcezze e giustizie dei Serafini”.
 Un “oh” di disappunto e protesta percorse la classe come un brivido. La Temptel incrociò lo sguardo interrogativo di Sulfus e soffocò una specie di risolino, ma si astenne dal commentare. Gli altri bisbigliarono tra loro, indicandolo e ridacchiando. Sulfus, però, non abbassò lo sguardo, neppure per un attimo. Lui non abbassava ma lo sguardo davanti alle prepotenze. Rispondeva con più prepotenza... tranne che con una persona, unica al mondo. Raf.  A lei non avrebbe ma risposto. L’avrebbe semplicemente amata, con tutto l’amore che poteva. Ma era un sentimento dolce e divampante come il fuoco, che agli altri devil era sconosciuto. Per questa sua fortuna, Sulfus si riteneva, in qualche modo, benedetto. Ma pur sempre un devil. Forse, però, le cose stavano cambiando... e iniziavano a prendere una piega differente. Ne era la prova quel ciondolo, che tra le sue mani bruciava ogni volta che lo toccava. Ma non aveva ancora la certezza di...
 
Non ne aveva ancora la certezza. Non era del tutto sicura di quel che avesse visto e sentito. Ma Raf era ormai quasi certa che quella fosse davvero la voce di sua madre; d’altra parte non era la prima volta che la sentiva, era successo anche alla fine del precedente anno alla Golden School. 
Si, doveva essere così. O almeno più ci pensava, più si convinceva che quella fosse la verità.
Sua madre... dove poteva essere, adesso? Chi la teneva prigioniera? Chi... o che cosa? Come faceva a sentire la sua voce? E cosa significava essere il potere? E ancora: cosa significava che lei era la Minaccia e la Salvezza? Sospirò. Troppe domande senza risposta.
-Minaccia e Salvezza... Minaccia e Salvezza... – mormorò, tra sé e sé.
-Come dici, scusa? – le chiese Urié, che si era avvicinata e l’aveva sentita mormorare. –Minaccia e Salvezza? Oh, è davvero splendido! Piace anche a te, vero? Fa pensare e riflettere, non trovi?
Raf sollevò un sopracciglio. –Come dici, scusa? – era ammattita, la sua amica?
-Minaccia e Salvezza, il libro, no? E’ veramente splendido... guarda, io l’avevo preso ieri dalla biblioteca della scuola, eccolo...- disse estraendo il volume dalla sua borsa e porgendoglielo. –Guarda, è stato scritto da un Serafino profeta! Tutta questa roba scritta qui dentro deve ancora avvenire!E’ straordinario! Io lo avevo solo iniziato, mette i brividi... ma adesso devo proprio studiare, non voglio certamente che Arkan mi interroghi e mi trovi impreparata una seconda volta! Quindi, se vuoi, te lo presto!
Raf, dopo una prima, terribile ed inquietante esitazione, lo prese. -Grazie, Urié. Lo leggerò sicuramente.
La angel dagli occhi chiari e violetti annuì. -Già, fai bene. Poi me lo racconterai, se proprio non avrò tempo per leggerlo. Comunque speriamo che la roba raccontata qua dentro avvenga  fra centinaia di astri… fa un po’ paura già dalle prime righe, sai! Allora ci vediamo. Ciao e buona lettura!
“Fantastico” pensò Raf, sarcastica. Forse però tutto quello che era scritto in quel libro sarebbe avvenuto prima di “centinaia di astri”.
E in effetti non si sbagliava. Qualcosa di sconvolgente sarebbe presto accaduto...
 
 
- L’attività celebrale... disattivate l’attività celebrale!- Gracchiò una voce dalle profondità  della grotta ombrosa.
“La donna nel vetro”, come la chiamavano loro, era potente, molto potente. Molto più potente di quanto le sirene si rifiutassero di ammettere. E sapeva anche parecchie cose... troppe. Emanava bagliori luminosi dagli occhi, una luce fortissima.
- E’ potente... – rispose un’altra voce, proveniente da una figura incappucciata coperta da una tunica di sacco, accanto alla teca di vetro. - Si è messa in contatto con lei, con la figlia.
-Dobbiamo impedire che capiti di nuovo. Impedirlo! - Ribatterono le voci, cupe e lugubri.
Ad un certo punto, gli occhi della donna si richiusero tiepidamente e i bagliori svanirono di colpo, abbandonando nuovamente la grotta nel buio più totale.

 

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Capitolo 5
*** Veli sottili ***




5. Veli sottili
 
 
“Minaccia e Salvezza. Amare e Detestare. Incubi e Sogni. Verità e Falsità. Il velo è sottile, le differenze poco nette. Eppure è possibile, anche se si tratta di concetti talmente distaccati… confondersi.”
 
Raf era sul letto del sognatorio e stringeva tra le mani il libro che le aveva dato Urié ma, in un certo senso, aveva paura di aprirlo. Come se temesse che potesse contenere qualcosa che la riguardava da vicino. Sfiorò con le dita le parole a caratteri dorati, in rilievo sulla copertina: Minaccia e Salvezza. Passò un minuto. Ne passarono due. Passò un quarto d’ora. Passò mezz’ora. Infine Raf decise di sì. Doveva aprirlo. Doveva aprirlo e sapere la verità.
Lo aprì, e una ventata di polvere la investì. Starnutì e lesse le prime parole, che riporto di seguito tali e quali come lei le lesse.
 
“Minaccia e Salvezza. Sono argomenti che sembrano molto distaccati, ma non lo sono. Un giorno, nascerà una creatura che sarà la Minaccia e la Salvezza. Per tutti: Angel, Devil, Terreni.... ma Minaccia o Salvezza? Non si potrà dire finché non nascerà, perché questa creatura potrà essere usata per il male o per il bene. Forse, sarà entrambe... una creatura miracolosa e pericolosa...”
 
Raf richiuse il libro di botto con un urlo, lo lanciò a terra e, disperata, volò via dalla finestra, sfrecciando nel cielo. Minaccia e Salvezza. Parlava di lei? Possibile che si riferisse davvero a lei, un libro scritto da un Serafino profeta milioni di astri prima?
 
Urié entrò nella stanza del sognatorio, e la trovò vuota. Eppure Raf le aveva assicurato di restare in camera... forse aveva cambiato idea. La finestra era aperta e la fresca aria di settembre le sfiorava le ali. Si chinò a prendere il libro da terra. Ne rilesse con piacere le prime righe, ignara del modo in cui avevano sconvolto Raf poco prima.  Poi richiuse il libro e lo mise sul comodino di Raf. Ma il suo settimo senso la infastidiva... le diceva che c’era un pericolo, un pericolo interiore che incombeva su Raf. Un pericolo interiore... di cosa poteva trattarsi?
 
 
Era ormai notte, ma Raf era ancora fuori, sulla spiaggia, ad osservare la notte che incombeva. La luna iniziava a salire lenta nella notte, oltre il mare.
-Ehi, angioletto! Certo che è proprio piccolo il mondo! Che cosa ci fai qui?
Raf si girò e vide Sulfus, anche se non avrebbe avuto bisogno di girarsi per capire chi avesse parlato. Lo vide da lontano avanzare verso di lei, ma senza volare, silenzioso come un’ombra, lasciando orme leggere sulla sabbia.  Sotto i raggi argentati e delicati della luna, i suoi occhi dorati scintillavano. Lei gli rivolse uno sguardo pieno di dolore. Quanto intenso può essere uno sguardo? Quanto può essere forte? Non si può spiegare a parole. Sulfus provò una fitta al cuore quando si vide trapassato dagli zaffiri blu che Raf aveva al posto degli occhi. 
-Vuoi sapere davvero perché sono qui? Non lo so. Non so cosa fare, non so dove andare, non so chi sono. Comunque, potrei farti la stessa domanda. – Concluse, con un sospiro triste. Lui soffocò una risatina.
-Mi conosci, angelo. Io sono una creatura della notte. La notte è la mia vita, vengo sempre qui a guardare il mare, la luna e le stelle... mi fanno compagnia, mentre lascio naufragare i miei pensieri in questo mare che di notte sembra dimenticato da tutti e da tutto, persino dal mondo...    
Raf restò sorpresa. Non avrebbe mai immaginato che fosse così  profondo. Le si sedette accanto, piano, le ginocchia piegate. E tacque, non disse niente. C’era solo lo scroscio del mare, e le onde, e le stelle, e la luna. E loro, nient’altro che loro.
Sulfus fece scorrere la mano sulla sabbia, tra i fini granelli dorati. La sua mano era ormai vicinissima a quella di Raf.  Lei non si mosse. Lui le sfiorò la mano, ed un forte calore gli salì alle guance. Probabilmente sulla sua pelle lunare si notava moltissimo, ma di meno sulla pelle rosea di Raf. Lei sentiva la sua mano che la accarezzava con dolcezza.
Voltò di scatto la testa di lato, e lo fissò dritto negli occhi. Il suo sguardo era pieno di dolore ed una disperazione immane. I loro volti non distavano neppure tre centimetri l’uno dall’altro. Un’onda si levò al cielo, e ricadde con fragore.
Lui le strinse la mano, e lei non resistette a stringergliela ancora più forte.
-Voglio starti vicino, Raf. Però ti sento distante. Cos’hai? Che cosa ti agita? Io posso ascoltarti finché vuoi, puoi dirmi tutto,  lo sai...
-Vattene.- rispose lei, secca.
-Come, scusa?- Chiese lui, sbattendo le palpebre in modo interrogativo.
-Vai via. Credi di farmi piacere? Così non fai altro che farmi più male... come se io non stessi soffrendo già abbastanza. Mi fai provare l’illusione... ma appunto, non è reale!
-Ma di cosa parli? E’ vero! Ed io non posso andare via, neanche volendo. Non posso stare lontano dal mio cuore...- e mentre lo diceva le accarezzava la cascata d’oro che aveva al posto dei capelli.
E a lei faceva piacere. Ma non era possibile.
Rimasero a lungo in silenzio.
-Io sono la Minaccia e la Salvezza.
-Eeeh? Angioletto, hai anche iniziato a dar di matto, adesso? Di che cosa parli?
- Sulfus, la voce di mia madre... l’ho sentita di nuovo. Ha detto che io sono diversa dagli altri, da tutti gli altri,che io sono speciale...
- L’ho sempre detto anch’io, angioletto.
-Già. A quanto sembra sono la Minaccia e la Salvezza. Per gli angel, i devil e i terreni. Tutto, un giorno, potrebbe dipendere da me.
Lui le pose una mano sulla spalla, e la fisso dritto negli occhi, improvvisamente serio.
-Tu non puoi essere la Minaccia. Devi per forza essere la Salvezza.
-Come fai a dirlo?
-Basta che guardi me. Mi hai cambiato, nonostante io mi rifiuti di ammetterlo, mi hai reso per metà angel. Non sono più come prima, Raf... e tutto per merito tuo. E poi, ricordi quando eravamo in pericolo? Tu ci hai salvati tutti! Rifletti! E’ praticamente impossibile che tu sia la Minaccia! Sei solo... potente.- Concluse.
-Si, è così. Ma il potere si può usare per scopi opposti.
-Minaccia  e Salvezza?
-Per l’appunto.- lei tacque per un momento.
-Permetti una domanda... hai detto a qualcun altro queste cose? - La angel non rispose, si limitò a scuotere la testa in segno di dissenso. -Solo a me?- Chiese lui, sorridendo, con una gioiosa vibrazione nel tono di voce. Il ragazzo si sentì quasi onorato, di un tale privilegio.
-Oh, ma perché sto qui, a parlare con te? Accidenti, povera me... – scosse la testa, rimproverandosi.
-Perché per te sono importante, e lo sai.
-Sapere! Sapere! Cosa dovrei sapere? E’ meglio non usare questo verbo, adesso! - Replicò, stizzita, riprendendosi la sua mano. Sul volto del devil si tinse un “oh” di stupore.
-Io lo so che vuoi stare con me, Raf. E’ solo a te stessa che non vuoi ammetterlo! - Le Disse, alzandosi in piedi.
-Io... io non... oh, e va bene. Se proprio vuoi la verità, eccotela: per quanto io ti ami non potremo mai stare insieme. Non possiamo e non potremo mai.
-Ma io sarei il devil più felice del mondo!
-E io la angel più felice del mondo. Ma vedi, è proprio questo il problema.... angel e devil... non si può. Ci sarà sempre qualcuno contro di noi. Mi dispiace... un giorno ti dimenticherò, e vivrò per sempre con uno splendido angel...
-Uno splendido angel?! Chi? Chi è?
-Mah, era tanto per dire. Mica già lo conosco!
-Capisco. E anche io ti dimenticherò e vivrò per sempre con una splendida devil...
-Una splendida devil?! Chi? Chi è?
-Mah, era tanto per dire. Mica già la conosco!
Il vento soffiava, e nessuno dei due sembrava avere il coraggio di parlare ancora.
- Raf?
-Sì?
-Io non ti dimenticherò mai.
-Nemmeno io.
-Allora perché abbiamo iniziato questa stupida discussione?
-Non lo so. Ma a quanto pare soffriremo per sempre.
- Raf, tu ti arrendi troppo facilmente. Dovresti farti delle domande, dovresti capire che ci stanno prendendo in giro!
L’angelo dagli occhi blu sbatté le palpebre. -Che cosa vuoi dire?
-Voglio dire – esordì con rabbia – che è vero, quando mi hai baciato ha tremato la terra. Ok, va bene. Era sacrilegio. Ok, va bene. Cioè, non va bene per niente, però posso capirlo. Ma perché? Perché era una sacrilegio, te lo sei mai chiesto, questo?  
- Sulfus, ma che domande sono? Perché abbiamo infranto il V.E.T.O.
-Perché esiste il V.E.T.O. ? Te lo sei chiesto, questo?
-Io non... non....- Raf sembrava confusa.
- E’ proprio questo il punto. Ogni storia inizia a partire dalla base di un’altra storia, che contiene le spiegazioni e le fondamenta di quella successiva... e tutta questa storia non regge. Perché i terreni hanno il libero arbitrio ma non noi? Perché noi non possiamo scegliere se il bene o il male, ma qualcun altro lo decide per noi? Perché io dovrei sempre fare scelte sbagliate e tu sempre quelle giuste? E perché se tu fai una scelta sbagliata o io una giusta è sacrilegio? Ti sei mai chiesta questo, Raf?
Dopo che lui ebbe parlato, regnò a lungo il silenzio, riempito solo dallo scroscio delle onde e dal rumore del vento. Raf si alzò, a sua volta. Guardò oltre il mare.
-Sono domande le cui risposte si perdono nella notte dei tempi...- Mormorò con gli occhi socchiusi, senza distogliere lo  sguardo dal mare.
-No, Raf. Io voglio le risposte che cerco. E le avrò. Rifletti angelo, e capirai che ho ragione.
Detto questo si allontanò, e Raf ascoltò i suoi passi leggeri che si allontanavano sulla sabbia, su per la duna, e si strinse in un brivido.
Possibile che Sulfus avesse ragione? Possibile che i veli fossero così sottili ma così impenetrabili? Possibile che angel e devil fossero talmente opposti ma talmente uniti? Possibile che ci fosse davvero speranza, davvero la possibilità di cambiare… tutto?
 

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Capitolo 6
*** Tra bene e male ***





6. Tra bene e male
 
 
“Spesso si vive d’illusioni, sogni e speranze fasulle, senza sapere la verità. Ma si può davvero vivere senza sapere chi siamo?”
 
Ormai Raf sapeva parecchie cose sul suo conto. Innanzitutto sapeva di essere nata Terrena. Poi sapeva che adesso era una Angel. Sapeva di avere tre amiche speciali e... e sapeva di avere qualcuno che la amava e che avrebbe fatto qualunque cosa per lei. Ma ancora non poteva neppure immaginare a che punto sarebbe arrivato, prima o poi, per lei. Del resto, nessuno poteva prevedere come si sarebbero svolti i fatti, né Angel, né Devil.
In ogni caso, erano ancora di più le cose che Raf non sapeva. Come poteva essere diventata una Angel? Come poteva vivere in quel tempo, se i suoi genitori erano vissuti nell’Ottocento? Dov’era Malachia, adesso? E sua madre? Come faceva a parlarle? E lei, chi era veramente? Cosa significava  essere la Minaccia e la Salvezza? Erano concetti troppo distaccati per significare una cosa sola...
Dubbi, dubbi e ancora dubbi. Interrogativi sospesi come le nuvole nel cielo. Nuvole... persa nei suoi pensieri, Raf le osservava, candide, riempire il cielo. Non poteva sapere che, nello stesso momento, qualcun altro pieno di dubbi osservava le stesse nuvole, seduto su un vecchio muretto, lo sguardo perso nel vuoto dell’indecisione. Era  Matteo, il terreno custodito da Ang-li.
Sapeva che partecipando alla gara avrebbe vinto, perché era davvero bravissimo, e con una squadra di ragazzi come quelli non avrebbe sbagliato. Ma se voleva i diecimila doveva rubare uno skate. E non voleva. Ma voleva i soldi. Però, dopotutto... ne valeva davvero la pena? Che cosa doveva fare?
-Avrei proprio bisogno di un consiglio...- gemette ad alta voce.
-...Sincero.- Aggiunse Ang-li.
-Non lo ha detto! – Obiettò Sulfus. –Ha detto che vuole un consiglio, ed un consiglio avrà. Ma non ha mai detto di volerlo sincero!
-Non contarci troppo. Scegli tu la sfida, tanto so che perderai in ogni caso!- Gli disse Ang-li, a testa alta. Sulfus non aveva mai subito un affronto del genere. Come si permetteva quel piumoso angioletto di rivolgersi così ad uno come lui? Dopo quello che gli aveva detto l’altra volta?
Sbuffò e cercò di contenersi. Fece una smorfia e gli disse, con noncuranza:-Come vuoi, angelo. Ma è tutto da vedere. Pensi davvero di vincere contro di me? – e concluse la frase con una lunga e sincera risata, mentre volavano verso la scuola per raggiungere l’aula sfida.
 
Era buio, tutto buio.
-Allora, di che si tratta? Uffa, sto aspettando...- disse Ang-li, che iniziava a diventare ansioso, e a sfregarsi le mani con una certa foga dall’agitazione. Lui era così: impetuoso all’inizio, e poi più il tempo passava più si faceva prendere dall’ansia, come in quel momento.
-Aspetta e vedrai... – disse Sulfus, e così dicendo schioccò le dita, e comparve una splendida ed enorme città notturna dal nulla, con luci e rumori. Ang-li e Sulfus erano già vestiti da motociclisti e su due motociclette. Quella di Sulfus era nera con fiamme rosse ai lati, lucida e dai colori luminosi. Quella di Ang-li era celeste e lucida come il cielo e  rifletteva la luce.
-Una gara di motocross! Wow! – esclamò Ang-li, alquanto a disagio nello stretto vestito da motociclista. –Spero solamente di sapere come si guida questo coso... E’ come una Angel Speedy 3000 Cabrio Multi 400 ali?
Sulfus lo guardò di sbieco, sollevando un sopracciglio. -Non so di che cosa tu stia parlando... ma ti assicuro che questa è il meglio del meglio. Vince chi fa il giro della città in meno tempo.
-E come faccio a sapere dove andare? Me lo immagino?- Chiese ironico Ang-li.
-Non sai dove andare? Segui me, allora! Ti saluto, angelo! –Esclamò, schizzando via a tutta velocità, abbandonando Ang-li in una nuvola di polvere.
-Grr, che razza d’imbroglio! Come accidenti parte questo coso? Scommetto che l’ha manomesso...- ed iniziò ad armeggiare con tutti i pulsanti che trovava. Decisamente, era da un bel po’ di tempo che non usava la sua motocicletta, e quella lì era piuttosto diversa dalla sua, ma  i comandi base più o meno dovevano essere gli stessi, no? Già... ma quali erano i comandi base? Ad un certo punto tirò una leva e, non si sa come, la moto schizzò più veloce di un fulmine, e se il ragazzo non ne venne sobbalzato fuori fu solamente perché si aggrappò alla motocicletta con tutte le sue forze.
 
Sulfus correva abile con la sua motocicletta, evitando auto, tir e motorini con abili sterzate. Doveva vincere, ma ad un certo penso pensò ad una cosa: se avesse davvero vinto e fatto rubare Matteo, a Raf sarebbe dispiaciuto?
 
Ang-li schivò per poco un tir in corsa, virando miracolosamente senza neppure sapere come. Non riuscì invece ad evitare una limousine, prendendola di striscio e scivolando di lato, fuori dalla strada. La motocicletta schizzò su per una rampa da skate, e volò verso l’alto.
-Aiuuuutoooo!!! - Urlò a squarciagola. -Signore, fammi restare vivo! Sulfus, io appena scendo, se scenderò mai, ti... Aaaaargh!
 
Sulfus continuava a porsi delle difficili domande che lo distruggevano. Raf lo avrebbe mai perdonato? L’avrebbe accettato? No, ma certo che no... eppure lui era un devil... doveva irretire il suo terreno... ma perché? Perché era un suo dovere?
 
Ang-li stringeva la moto a sé, che continuava a volare, e l’angelo iniziava ad avere il sospetto di aver attivato il raggio antigravitazionale, e non sapeva assolutamente come usarlo o disattivarlo!
 
Sulfus era un devil, dunque doveva fare la scelta sbagliata. Dunque. Suonava come una conseguenza. Era un devil, dunque doveva irretire il suo terreno. Ma perché? Chi l’aveva deciso? Perché non poteva fare la scelta giusta, se voleva? Questo pensiero lo sconvolse ancora di più di quando pensava a Raf. Perché Matteo poteva decidere e lui no? Non poteva fare le scelte giuste, non poteva essere libero, ma chi l’aveva deciso?
Afflitto da questi strambi pensieri, si fermò ad un passo dal traguardo, con una violenta sterzata.
Perché decise di essere libero. E decise che non avrebbe lasciato che niente condizionasse più le sue scelte, fatta eccezione di se stesso... e una ragazza dai capelli biondi ed un ciuffetto rosso nella frangia, ovviamente. Ovviamente... ma che cos’era ovvio? Cosa poteva decidere lui? E cosa non poteva? E, se decideva davvero di non tentare Matteo, se decideva lui... chi sarebbe diventato? Cosa sarebbe diventato? Sarebbe ancora stato un devil? Di lui sarebbe rimasto qualche cosa di quel che era stato? Sarebbe ancora stato qualcosa? Una creatura a metà, sospeso tra l’esistenza e la non esistenza?
 
Ang-li rovinò a terra, finalmente, e rotolò lontano dalla sua motocicletta. Si rimise in piedi, barcollando, cercando di togliersi il casco che gli si era incastrato in testa. Sulfus si tolse il suo e, siccome era terreno, aiutò l’angelo a liberarsi del suo.
Quando finalmente il povero ragazzo dal volto paonazzo tornò a respirare, gli chiese, brusco:-Come diavolo hai fatto?
-Attento a come parli! Come ho fatto a fare cosa?
-A... a guidare questo coso! E’ una missione impossibile!
-No, ti sbagli, è piuttosto facile guidare questa motocicletta... e poi non eri tu quello che sapeva guidare la Angel Speedy 3000 o come si chiamava? -  Ridacchiò Sulfus.
-Lasciamo perdere! – Esclamò Ang-li, dandosi una veloce rassettata. –Comunque credo che spetti a te la prima mossa su Matteo. Accidenti, questi lividi mi faranno male per un bel po’ di tempo! – Gemette, massaggiandosi le ginocchia.
-Ma cosa dici? Guarda che hai vinto! Spetta a te la prima mossa.
-Dici sul serio?  
-Dico, ti sembro per caso uno a cui piace scherzare?
Ang-li, sinceramente, pensava che a Sulfus piacesse moltissimo scherzare, ma non disse niente. Si limitò a guardarlo sollevando un sopracciglio.
-Hai vinto, angelo. Spetta e te la prima mossa.- Disse con tono piatto Sulfus, mentre l’aula sfida tornava nuda e cruda. Si allontanò, le mani nelle tasche, chiedendosi se avesse fatto bene o no. 
Ang-li rimase solo, ancora una volta. Era certo che Sulfus gli stesse mentendo, glielo diceva il suo settimo  senso... ma perché avrebbe dovuto mentire? Perché gli aveva dato la vittoria? E, soprattutto, era davvero il caso di pensarci? Decise di no, e che se Sulfus voleva dargli la vittoria per chissà quale motivo non erano certamente problemi suoi. Così si trasformò in terreno, pronto ad andare da Matteo.
 
Matteo a quell’ora si stava ancora allenando, lo aiutava a sfumare le preoccupazioni. Ogni dubbio o  indecisione spariva, quando era sulla tavola da Skate. Si sentiva diverso, invincibile, non sentiva di appartenere al mondo. Sentiva che il mondo stesso gli apparteneva. Si sentiva bene, si sentiva forte, in quei momenti di vita spericolata, in bilico tra la vita e il pericolo. In quei momenti sentiva, o gli pareva di sentire, la fragilità della vita umana, in bilico tra scelte strane e diverse.
Pensava a tutto e a niente, in quei momenti... il vento gli soffiava in faccia la sua rabbia, e il sentirsi sospeso in aria soddisfava  la sua voglia di libertà... 
Un piccolo ma vivido applauso lo interruppe, e il ragazzo per poco non cadde.
-Complimenti, sei davvero bravissimo, amico! Un doppio giro sull’asse sospesa! Wow! Davvero... inimitabile!  
Matteo si fermò e si girò, per scrutare l’inaspettato interlocutore. -Grazie... comunque non è così che si chiama questo Trick. Come ti chiami?
-Chi, io? An... Angelo. Tu?
- Matteo, piacere.
-Sei veramente strabiliante! Hai sentito parlare della gara di sabato? Quella è una gara per skater davvero in gamba, come te.
-Si, ne ho sentito parlare- Rispose lui, con voce amara. Forse sarebbe stato meglio non saperlo, di quella stupida gara.
-E allora? Pensi di partecipare?-
-Non lo so. E’ una scelta… difficile. Ma non capiresti mai perché.
-Ti seguo perfettamente, invece.
-Come? Davvero? E come fai a saperlo? – Chiese Matteo, sorpreso, credendo che il ragazzo volesse parlargli della scelta se rubare o meno. Ma Ang-li non aveva quell’intenzione.
-So esattamente a cosa stai pensando, pensi di partecipare, vero? Non devi assolutamente farlo!  
-Rubare, dici?
-Cosa? No, no, ma che cosa c’entra? Cos’hai capito? – Disse Ang-li, fingendo di non sapere nulla della faccenda. -Io voglio dire che secondo me è meglio che tu non ci vada. Capisco la tua titubanza, ma.. è terribile. Non devi partecipare.
-Perché?-
- E’ una gara pericolosa. Le rampe non sono sicure,quello Skate Park ha già avuto parecchie multe in passato.
Matteo lo guardò perplesso. -E questo cosa c’entra?
-Niente, niente. Dobbiamo andare contro eventi di questo tipo! Non dobbiamo favorire la criminalità, che guadagna da dietro le quinte senza farsi vedere! Loro rubano soldi alla gente!  
- Ru-rubano?-  Chiese Matteo, sgranando gli occhi.
-Da dove credi che vengano, i soldi del premio? 
-Rubano… -  balbettò, tra sé e sé.
-Rubare è sbagliato.- disse Ang-li, con un tono che non ammetteva repliche.- E’ sbagliato rubare ciò che qualcun altro ha ottenuto con sudore, fatica...- Matteo era sconvolto e confuso.
-Ehm! Grazie del consiglio... ci penserò, ok? Ciao, torno agli allenamenti...- e così dicendo si allontanò, triste e dubbioso.
-Devo ammettere che è stato convincente - commentò Cabiria.
Kabalé scosse la testa, con un’ironica risatina. – Si, come no... convincente come se un devil si spacciasse per un angel!-  Disse, iniziando a ridere a crepapelle per la sua stessa battuta, che strappò un sorriso fugace anche a Cabiria. Poi, con un tono strano, la diavoletta si rivolse a Sulfus. –Tu cos’hai intenzione di fare? – Sbatteva le palpebre, sorridendo con quel volto da cattiva ragazza, nessuno poteva resisterle. Nessuno tranne Sulfus, che ovviamente non aveva occhi che per una sola, che non stiamo qui a nominare di nuovo, tanto si è capito di chi stiamo parlando.
Il ragazzo non rispose. Se ne stava mollemente sdraiato ai piedi di un muretto, e probabilmente non aveva neppure guardato come aveva agito il suo rivale. Lanciava sassolini in una pozzanghera, immerso in chissà quali strani pensieri. Sembrava non avesse neppure sentito le parole di Kabalé.   –Sulfus! Ma mi hai sentito?- strepitò la diavoletta, brusca e visibilmente irritata. Essere ignorata era la cosa che più detestava, e Sulfus non avrebbe potuto farle torto peggiore.
-Eh? Sì, sì, certo che ti ho sentito...- rispose lui infine, con un tono dal quale emergeva il suo totale disinteresse. A Cabiria scappò un risolino: scene del genere la facevano ridere molto più delle stupide battutine di Kabalé. La ragazza, furiosa, di girò e la fulminò con un’occhiata infuocata, della quale il significato era senza dubbio indiscusso, e Cabiria tornò seria, o almeno ci provò.
-Lascialo stare, Kabalé - disse in tono provocatorio- Si vede lontano un miglio che ha altro a cui pensare, anzi... – e qui soffocò un leggero risolino, lisciandosi una ciocca dei lunghi capelli attraverso i quali filtrava il vento. - ...si vede che ha qualcun’altra a cui pensare!
 Kabalé divenne livida dalla rabbia, per quanto la sua pelle già pallida potesse diventare ancora più livida. Gli si avvicinò ancheggiando e si piegò verso di lui, le mani sulle ginocchia. Sbatté le palpebre, sfoderando il suo miglior... volevo dire peggior sorriso da devil e gli mormorò, in un orecchio: -Andiamo! Non ha mica ragione Cabiria, non starai davvero pensando a...
- Basta!- Sulfus si alzò e la spinse via, prendendola per le spalle. La diavoletta cadde, sorpresa.
- Sulfus, ma che cosa ti succede?- Disse, guardandolo dal basso verso l’alto. Non che il ragazzo fosse molto alto,  ma visto dal basso, Kabalé pensò che fosse imponente. Sembrava una specie di principe delle tenebre, contro la luce del sole di settembre infatti sembrava un’ombra nera, e poi con quei capelli scuri mossi dal vento, e i suoi occhi luminosi... Il mantello era l’unica cosa che gli mancava.
- Sulfus! Ma noi siamo tuoi amici! Perché ce l’hai con noi?- Chiese Cabiria, aiutando Kabalé a rialzarsi.
-Ah, certo! Amici, amici, amici! Begli amici, davvero! Soprattutto tu, Kabalé.
-Perché, che cosa ho fatto?
Lui si prese la testa fra le mani, poi prese un sasso e lo lanciò ancora più lontano, e si sentì un lontano insulto irripetibile, segno che aveva anche colto qualcuno. Cabiria decise di farsi avanti. Proprio mentre lui stava volando via, gli si parò davanti, in volo, le braccia  sui fianchi, le ali che sbattevano furiosamente, gli occhi corrucciati e semichiusi in un’espressione misteriosa.
-Ma che razza di devil sei, Sulfus? Ang-li è andato via, nel caso tu non te ne sia accorto. Ora sta a te fare la prima mossa, sta a te entrare in azione!  Dov’è finito il Sulfus che conosco, il peggiore dei devil?
Già, dov’era finito? Se lo chiedeva anche Sulfus stesso. Che cosa significava essere devil? Era davvero un devil? Si ritrovò persino a fare una cosa che non avrebbe mai e poi mai fatto, prima di allora, perché non voleva che Cabiria leggesse la paura del dubbio, nei suoi profondi occhi dorati.
Abbassò lo sguardo. Cabiria rimase senza parole. Con la mano gli sollevò il mento, per costringerlo a guardarla dritto negli occhi, rossi come il fuoco.
- Il grande Sulfus - sibilò, tra i denti, tenendogli ancora il mento - non avrebbe mai abbassato lo sguardo! Un codardo? E’ questo che vuoi essere, un codardo? Vuoi lasciare che un angioletto insignificante ti batta, che lui batta una leggenda? Se non vai a fare la tua mossa ne avremo tutti la conferma: sarai  ufficialmente un codardo, Sulfus!
 I suoi occhi si accesero improvvisamente di un’ira profonda.
 
-Mai! – Gridò, come rinsavito, con un lampo di luce che gli brillava nelle pupille. Si girò e volò da Matteo. Chi se ne importava di tutte quelle sciocchezze su chi era e cosa doveva o non doveva fare! Lui non era un perdente, e lo avrebbe dimostrato! Anche se allora non sapeva ancora come si sarebbe pentito di quella scelta.
 
-Non ci credo, non posso crederci!- Esclamò Kabalé, avvicinandosi a Cabiria, la quale stava ancora sospesa nel cielo, con le braccia incrociate sul petto e un sorriso soddisfatto dipinto sulle labbra.
-Hai visto? Devi usare il cervello, devi fare leva sul gusto della sfida, per convincere uno come lui. Non basta il fascino... soprattutto quando sai bene che esiste già chi lo ha affascinato!
- Quell’angioletta dagli occhi blu!- sibilò Kabalé.- Proprio non la sopporto!-
 
 
-Non lo sopporto! Non lo sopporto proprio!- Urlò per l’ennesima volta Ang-li.- Avevo addirittura vinto la sfida! Non so come, a dire il vero, ma avevo vinto! Ce l’avevo fatta! E invece...
-Calmati, fratello - Disse Miki. –Fai un respiro profondo, parla piano e rispiegaci tutto dall’inizio. Ang-li annuì e riprese a raccontare mentre Miki, Dolce ed Urié lo ascoltavano.
-Lui, quel devil, è riuscito a convincere Matteo a fare la scelta sbagliata! Matteo ha... lui ha… rubato! Matteo ha rubato uno skate!  Come farà a riscattarsi? E’ gravissimo! Adesso marinerà anche la scuola, sabato, ne sono sicuro! E a quel punto sarà impossibile tornare indietro. E per me la bocciatura sarà assicurata! - Gemette Ang-li. Miki gli girò un braccio attorno alle spalle.
-Vedrai che Matteo capirà e si riscatterà, ti aiuteremo.
-E come, come? E’ tutta colpa sua! Lo detesto! Avreste dovuto vederlo!
-Vedere chi?
Tutti si girarono verso la porta, e tutti volevano sprofondare. Era entrata Raf.
Tutti si guardarono, perplessi. E adesso chi gliel’avrebbe detto?
-Dobbiamo dirglielo...- disse Miki.
-Si, deve saperlo.- concordò Dolce.
-Sapere che cosa? – chiese Raf, sempre più  dubbiosa.
-Parlavamo di Sulfus, Raf. – disse Urié, d’un fiato. La angel si sentì arrossire da capo a piedi, ma sperò che non si notasse. Si notava eccome, invece!
-Ah. E perché?
- Matteo. Sulfus lo ha convinto a rubare.
-Non può essere... - mormorò a sé stessa, coprendosi la mano con la bocca. Ma dentro sé sapeva che prima o poi avrebbe dovuto farlo, e cercò di nascondere quello che sentiva. Un dolore bruciante, pungente,gelido. Perché angel e devil erano così diversi, ma così uniti? Perché erano irrimediabilmente le due facce di una stessa medaglia, destinati a non incontrarsi mai?

 

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Capitolo 7
*** Quello che non sarai mai ***




7. Quello che non sarai mai
 
“Spesso la vita i gioca brutti scherzi, prima ti fa amare una persona, ma inevitabilmente ti impedisce di starci insieme… e magari c’è davvero qualcuno che ti sta a guardare, per vedere se hai il coraggio di osare, che sta a vedere cosa riuscirai a fare…”
 
-Prof! Prof! Come sono pesanti, quei libri! Li lasci portare a me, che sono un vero cavaliere nero! –
Urlò Gas, correndo dietro all’esasperata professoressa Temptel.
-Gas, non mi serve il tuo aiuto!- troncò.
-Oh, non faccia complimenti!
-Sparisci.
-Ma prof! A proposito, quasi dimenticavo… cioè, non dimenticavo affatto, ma così la domanda sembra più carica di suspense… volevo chiederle se ha da fare domani sera, dato che ho… ehm… preso in prestito due biglietti per un film horror da sballo! In un cinema terreno! Cosa ne dice? Eh? Eh?
La professoressa sollevò lo sguardo al cielo. -Primo, L’horror terreno non mi piace. Qualche fantasma e un po’ di sangue basta per spaventare i terreni! Bah! Roba da diavoletti! Secondo…. Non uscirei con te neanche se mi pagassero! E’ chiaro?
-Dice davvero, prof?
-Dovessero cadermi le corna, se scherzo!
-Capito, allora. Non è giornata. Verrò ad incupirla un altro giorno.
-Ecco, bravo!- borbottò la prof, sperando di essersi liberata di quella seccatura ambulante almeno per un giorno. Poi sentì delle chiacchiere dietro di lei, e vide altri studenti: Sulfus, Cabiria e Kabalé. E, poco distante, Raphytia. La prof si avvicinò.
- Sulfus! Le mie congratulazioni per il pessimo lavoro svolto con Matteo!
 Lui non rispose ma annuì, soddisfatto. Dopodiché la prof si rivolse a Raphytia, incontrando i suoi cupi occhi, neri come la torba.
- Raphytia… come va con Andrea?
Lei sollevò le spalle. – Per il momento è innocuo. Per il momento. – specificò. – Ma mi occuperò di lui molto presto… lo farò soffrire come si deve.
-Mal detto, mal detto. Pessimo lavoro a tutti! – Augurò la prof, voltandosi per andare via.
-Prof! Sicura di non aver ripensato alla mia proposta?- chiese ancora Gas.
Lei annuì, senza nemmeno voltarsi. -Assolutamente. E ti dirò di più Gas, una volta per tutte: non posso dirti in futuro quello che sarai, ma posso dirti con assoluta certezza quello che non sarai mai: il mio compagno!
Tutti risero… tranne il povero Gas.
 
Poco dopo, Miki e Raf osservavano compiaciute Matteo, il terreno custodito da Miki, che non stava facendo nulla di male. Raphytia, invece, non sembrava esserne altrettanto felice, e scuoteva il capo in segno di dissenso.
-Bah! E’ un ragazzino assolutamente innocuo e noioso…
- E’ solamente un bravo ragazzo, diavolaccia!- la rimbeccò Miki, facendole una linguaccia.
-Oh! Pesavo che una Angel non facesse cose del genere!- esclamò Raphytia, con la sua voce morbida e strana.
-No, infatti. Tra noi no… ma con voi devil è tutto diverso! Vero, Raf? – Lei annuì, senza parlare.
-Non saprei proprio come, ma dovresti decisamente indurlo a fare qualcosa di sbagliato, è veramente un ragazzino noioso! – Commentò un devil, dietro di loro. Raf sussultò: non aveva bisogno di girarsi per sapere chi fosse… e lui era l’ultima persona che voleva vedere, in quel momento. -Angioletto, come stai?-  Le chiese Sulfus, cauto, con il tono di voce più dolce che aveva.
Lei non rispose. Si voltò e lo perforò con due occhi più infuocati delle sue fiamme. Dopodiché volò via, lasciandolo con un palmo di naso. Dopo un secondo di esitazione, si voltò e le volò dietro.
-Cavoli, quel devil ha completamente perso il cervello. - Commentò Raphytia. –Volare dietro una Angel! Ridicolo!
-Per una volta sono pienamente d’accordo con te, Raphytia. Quel devil è davvero uno stupido. Sinceramente, sono dell’opinione che gli si sia bruciato il cervello a Zolfanello City… ma è meglio non esprimere quest’opinione, davanti a lui o a Raf.
La devil rise. –Infatti, angelo - disse, sorridendo quasi complice. – Ma lui non è mai stato a Zolfanello City, quest’estate. Non è mai tornato, solo gli ultimi giorni... nessuno sa dove sia stato.
-Come???- Chiese Miki, strabuzzando gli occhi.
 
- Si può sapere che cosa ti ho fatto? Raf! Fermati!- Urlò Sulfus, dietro a Raf. Alla fine, lei si fermò. Non si voltò. I suoi capelli biondi erano mossi dal vento, e la luce si divertiva ad attraversarli, facendoli risplendere.
-Davvero non capisci?
- No. - Lei si girò, furiosa.
- Matteo! Ha veramente rubato uno skate?
-Ma cosa c’entra questo con…-
-Rispondimi!-
-Si. Però…-
-E l’hai tentato tu, giusto?
-Io…-
-Rispondimi!- Urlò ancora, rossa dalla rabbia.
-Oh, e va bene. Sì, ma…-
-MA CHE COSA?- Chiese lei, sollevando gli occhi al cielo, esasperata.
-E-ecco… è una cosa che non va… bene?
- E’ una cattiva azione.
-E che cosa ti saresti aspettata da un devil?
-La domanda non è cosa mi sarei aspettata da un devil qualsiasi- disse Raf, fissandolo. – Ma che cosa mi sarei aspettata da te, Sulfus.- Il suo sguardo era serissimo, talmente rigido ed ostile da farlo sentire in colpa. Incredibile, pensò lui, che lei fosse l’unica persona capace di farlo sentire così in colpa, così male. -Sei davvero… davvero… cattivo, Sulfus. Credevo che tu fossi cambiato, che tu fossi diverso, adesso. E’ evidente che mi sbagliavo.
-Ma… è la mia natura. Non è nemmeno colpa mia, dopotutto.
-Sì invece!- esplose la Angel.- E’ colpa tua se sei così. E poi pretendi di stare insieme a me! Non puoi, e non potrai mai!
-Ti prego, non andartene.- Le chiese, ma lei si stava già girando per andarsene, quando lui la prese per l’ avambraccio. Un brivido percorse entrambi e Raf si girò a fissarlo, rivelando gli occhioni blu, lucidi come il vetro. Lei sentiva la stretta sulla sua pelle, ed era così piacevole...
Lui fece scivolare la mano lungo il suo braccio, lentamente, ma causandole forti brividi. Alla fine le strinse la mano, e lei intrecciò le proprie dita nelle sue. Lui la strinse ancora più forte.
-Ti prego... – ripeté, la voce ridotta ad un sussurro - Resta con me.
Raf si sentiva confusa. Voleva convincersi con tutta se stessa di non amarlo più e di volerlo lasciare, ma così, in quei fragili momenti, mentre lui le stringeva la mano e la fissava, i suoi occhi dorati nei suoi che sembravano zaffiri  splendenti dall’emozione... sentiva che non era così, e tutte le sue certezze crollavano.
-Mi dispiace, devo farlo. Vorrei che tutto questo non fosse mai successo...
-Non è vero, non potresti mai desiderare una cosa del genere.- Disse lui, inorridendo solo al pensiero. Lei abbassò lo sguardo.
-Hai ragione, non potrei mai... ma almeno non avremmo sofferto così tanto. Adesso questo, tutto questo, deve finire. Non odiarmi per questo. Non possiamo farci nulla, per quanto lo vogliamo.
Ci fu un lungo silenzio, mentre lei intrecciava le proprie dita nelle sue, pallide ma calde, e le sentiva tremare.
-Non potrei mai odiarti, ma lascia che ti dica una cosa: non tutto deve finire, Raf.
-Questo sì, invece. Non potrai mai stare con me perché non sarai mai come me, Sulfus. Non sarai mai diverso da quello che sei. Ed è giusto così. È così che deve essere.
A questo punto Raf sbirciò lo sguardo di Sulfus, per vedere cosa avevano provocato in lui quelle parole infuocate. Aveva lo sguardo rivolto a terra, e gli occhi coperti dai lunghi capelli blu come una notte senza luna. Ma riuscì a scorgere le sue labbra, e vide che il suo labbro inferiore stava stremando. Tremava in maniera incontrollata.
“E’ giusto così. Deve essere così” aveva detto Raf. Ma perché? Una domanda semplice, ma tragicamente senza risposta. Ma lui non si sarebbe lasciato frenare da una domanda. Ne avrebbe trovato la risposta, ma non in quel momento. In quel momento fece un’altra cosa. Una cosa del tutto impulsiva, del tutto sbagliata, del tutto tenera. La strinse a sé, abbracciandola. Chiuse gli occhi e le cinse le spalle con le braccia, facendo scorrere le dita fra i suoi capelli, la testa poggiata sulla sua. Lei, a sua volta, si strinse forte a lui, abbandonandosi a quella sensazione di benessere mentre sentiva lui che l’abbracciava e la inebriava il suo profumo. Lei gli si stringeva contro, con le mani aperte sulle spalle, e la testa poggiata sul suo petto. Lui la stringeva a sé con talmente tanta forza da toglierle il respiro, e farla arrossire dall’emozione, soffocata dal dolore di entrambi per un abbraccio d’addio. Dopodiché, con immensa tristezza, si sciolse da quella presa calda e rassicurante, e si allontanò, ma senza guardarlo negli occhi, perché sapeva che altrimenti non ce l’avrebbe mai fatta.
-Ma se io non fossi quello che sono?
-Allora sarebbe diverso. Ma non succederà mai.- ammise la Angel, senza voltarsi,  considerandola una possibilità impossibile. Poi ci fu ancora silenzio. Silenzio. Silenzio.
Lei si voltò un’ultima volta, incrociando il suo sguardo per un unico, doloroso istante… E infine si voltò e volò via. Non una parola, non un saluto. Semplicemente, se ne andò. E quel silenzio rimase lì, sospeso nell’aria, come qualcosa di sconclusionato, o infinitamente insensato e vuoto.
“Quello che non sarai mai… mai… mai…” quelle terribili parole risuonavano nell’aria e nella mente di Sulfus, senza dargli pace, per poi ardere in una nube  di dolore e rabbia e ancora dolore.
Si mise la mano in tasca, e prese di nuovo il ciondolo d’oro.
-Sicura, Raf, che io non possa cambiare? – mormorò con un ghigno, stringendo il ciondolo d’oro che aveva in tasca e che bruciava sempre di più fra le sue mani ad ogni tocco. Quello che sembrava essere successo quel giorno era un addio, ma in realtà non era così. Perché addio significa fine, ma quella non era la fine... era l'inizio. L'inizio di un'idea strana, che avrebbe portato molto più dolore di quel giorno, e avuto atroci conseguenze.
Ma allora nessuno sapeva come si sarebbero svolti i fatti. Perché quello che sarebbe successo andava al di là della più viva immaginazione, ben al di là del più atroce dolore.

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Capitolo 8
*** Violenza e dialogo ***




8. Violenza e dialogo
 
“Problemi… la testa di un terreno medio ne è totalmente priva, in genere. Anche per i sempiterni dovrebbe essere così. Peccato che le cose non siano mai come dovrebbero essere, per qualcuno poi è particolarmente difficile…”
 
Era una  notte cupa e piovosa,  la pioggia picchiava forte contro le vetrate della camera di Raf e non la lasciava dormire. Allora scriveva nel suo diario, seduta sul suo letto con le gambe incrociate, mentre Cox le illuminava la visuale, così non doveva accendere la luce e svegliare la povera Urié, cosa che in genere succedeva sempre.
I motivi che la spingevano a sfogarsi erano tanti.
Innanzitutto c’era il problema n 1, uno splendido ragazzo dai capelli del colore della notte ed una stella rossa sull’occhio sinistro, certamente rubata al cielo, tanto era perfetta. Questo ragazzo si era rivelato un problema sin dalla prima volta che ne aveva incrociato il magnetico sguardo d’oro. Problema n 1, così lo chiamava. Si fermò per un momento, mordicchiando la penna, stringendosi nel brivido di gioia che le avrebbe provocato chiamarlo diversamente, poterlo chiamare... poterlo chiamare amore in pubblico, poterlo guardare negli occhi, potergli regalare un sorriso, poter andare in giro, parlare con lui e dargli la mano, senza beccarsi occhiatacce dagli altri angel e devil, e ramanzine dai professori.
Quanto le faceva male lasciarlo... male al cuore, quello stesso cuore che batteva furiosamente, quasi volesse uscire dal suo stesso petto, quando lo vedeva...                                                                                    Si mise le mani aperte incrociate sul petto. Poi, ad occhi chiusi, si accarezzò le labbra con l’indice, come a cercarvi il ricordo di quando vi si erano posate le sue... anche il solo ricordo le faceva male. Faceva male pensare che non avrebbe sentito mai più una sensazione del genere. Sospirò.
E poi? E poi c’era sua madre, ovviamente.  Dov’era, e come aveva fatto a parlarle? Da dopo quella notte non l’aveva più sentita, ma non è che non ci pensasse, anzi: non faceva praticamente altro che porsi domande al riguardo.
Infine quel libro, Minaccia e Salvezza, che le aveva dato Urié.                                                                    Raf desiderava tanto  che finisse il resto dei suoi giorni sul comodino, impolverandosi senza venir aperto mai più, ma non era possibile. Prima o poi avrebbe dovuto trovare il coraggio di aprirlo, che lo volesse oppure no, con la certezza che ogni singola parola del Serafino profeta che ne era l’autore era stata scritta per lei.
Ma vorrei aggiungere che di certo, miei cari lettori, non v’è nulla a questo mondo. Né tantomeno a quello dei sempiterni.
 
-Accidenti! L’hai fatto apposta! Ti detesto!- urlò Miki quella mattina, contro Raphitya, indicando il povero Andrea. La diavoletta, infatti, lo aveva messo dinanzi ad una scelta difficile. Gli aveva fatto vedere Ginevra mentre parlava con un altro ragazzo(il quale le stava semplicemente chiedendo dei compiti) e per di più gli aveva mandato un finto messaggio minaccioso da parte del ragazzo, nel quale lo sfidava ad incontrarsi.
-Ma certo che l’ho fatto apposta! Adesso Andrea non sa se parlare con Ginevra oppure andare a vedersela con quel ragazzo, faccia a faccia… ma so già cosa sceglierà! – e qui esplose in una risata diabolica. Miki era furibonda.
-Ti aspetto in aula sfida!
- No. Ti aspetto io, dolcezza… JUMP FLY! - urlò la devil, e sparì. Era già lì, in aula sfida ad aspettarla.
-Detesto i poteri di quella smorfiosa... in un attimo può arrivare dove vuole... – bofonchiò sbuffando Miki, la quale al contrario della sua rivale doveva volare.
-Allora cos... ah!- Urlò Miki, entrando nell’aula, quando un’intensa luce bianca l’accecò. Quando i suoi occhi si adattarono a quella luce, riuscì a capire di cosa si trattava: la devil aveva trasformato l’aula sfida in un campo da calcio.
- E’ ora di metterti in gioco, mia cara.- Le intimò Raphitya, lanciandole un  pallone da calcio che lei prese al volo.
L’angioletta osservò com’era vestita la sua rivale: già pronta per una vera partita di calcio, con tanto di scarpette e polsini, e sempre con la sua inseparabile collana d’oro con due rubini rossi incastonati.
La ragazzi aveva le mani sui fianchi, il peso inclinato sul piede destro, gli occhi socchiusi in uno stato di rilassata attesa.
-Preparati. Non vorrai giocare così, spero!- Le disse, quasi gentile.
Miki fu pronta con uno schiocco delle dita. -Uno contro uno?
-Dico, vedi un terzo per caso? Ovvio che è uno contro uno!- Rispose Raphitya, con evidente sarcasmo.
-Sempre meglio chiedere. Non si sa mai, con voi Devil, cosa può succedere, cosa siete capaci di fare.- lo disse con un mezzo sorriso, a metà tra un ammiccamento e un’espressione divertita. Ma sul volto di Raphitya, per un momento, si dipinse un’ombra, e nei suoi occhi guizzò un lampo di dolore.
- E’ vero, - confermò - non sai mai cosa potresti aspettarti dai devil...- e qui il suo sguardo si perse nel vuoto buio di un ricordo nero, e sembrava che quelle parole le  avesse dette più rivolta a sé stessa che a Miki. Poi, senza guardare la angel, allungò un braccio ed indicò con il pollice la porta dietro di sé. -Quella è la mia porta, dove devi cercare di mandare la palla, e quella è la tua, dove io devo mandarla. Capito? – Chiese infine, indicando la porta dietro Miki.
Lei annuì. Allora, per un breve istante, i loro sguardi s’incrociarono. Lo sguardo di Raphytia era spento e perso nel vuoto, perso nei ricordi, un mondo inaccessibile, un posto misterioso che si trova nella mente di ciascuno di noi, che spesso anche noi stessi abbiamo paura di affrontare ed esplorare.
Dopodiché lei distolse lo sguardo, lo fissò oltre le spalle di Miki, ed entrambe arretrarono.
-Sei pronta?
- Sì.
- Via!- Urlò Raphytia, calciando il pallone con tutta la forza delle sue gambe. Il pallone volò sopra la testa di Miki, e poi Raphytia sparì. Miki si girò: era dietro di lei.
-Non vale! Non puoi usare il JUMP FLY!
-Chi me lo impedisce? Tu, forse?
Miki contorse il volto in una smorfia e disse, sibilando fra i denti:- No, infatti. Non sarò io ad impedirtelo... ma nemmeno tu puoi impedire a me di usare i miei poteri, allora! STICK FLY!
Una raffica di formine collose ed appiccicaticce si riversò sui piedi di Raphytia, la quale non riuscì più a muoversi.
-Ma questo è eccessivamente sleale!- esclamò.
-Oh, lo so benissimo - disse Miki, calciando il pallone lontano dalla devil, dove lei non poteva prenderlo - Ma se tu bari, perché io non devo farlo?
-Ma che cosa c’entra? Io sono una devil, sono giustificata! Tu sei una angel, non dovresti fare cose del genere!
-Forse hai ragione, mia cara... ma vedi, io tifo per la giustizia, e così come dici tu non sarebbe giusto per niente.
- E allora? Se tutti fanno le cose sbagliate, una persona che si reputa buona può fare lo stesso perché lo fanno tutti, giustificandosi col pretesto di farlo per giustizia?-
Miki si bloccò. -Sono discorsi da angel.
-Sì, forse.- ammise lei.
-Sono pensieri che dovrebbe avere una angel, non una devil.
-Sì, forse.- ammise lei ancora, ripetendo quelle parole come una lagna.
-Chi ti ha detto una cosa del genere?- chiese Miki, insospettendosi.
-Ma nessuno! Sono cose che penso io. – Sbuffò Raphytia.
-E perché ti metti a pensare a come vivono gli angel?
Raphytia, drittissima con i piedi incollati all’erbetta del campo da calcio e la braccia conserte, la fissò dritto negli occhi. -Tutti hanno dei segreti, Miki. – La chiamò per nome, e all’angel la cosa non sfuggì. Quando un devil o un angel si chiamavano per nome era segno di rispetto e di verità, in un muto accordo tra i due popoli in contrasto eterno. Miki allora schioccò le dita e i piedi di Raphytia si liberarono.
-Non barare nemmeno tu, però. Solo per questa volta terrene complete, entrambe. Facciamo una partita come se fossimo solo terrene.
-E se rifiutassi?
-Sarebbe per vigliaccheria, perché significherebbe che non sai vincere senza i tuoi poteri.  
-Non ti arrendi mai, vero? – le chiese, ammiccando. - D’accordo, terrene complete. La partita inizia adesso.-
Miki annuì, e si scambiarono un sorriso, un sorriso d’intesa.
Quella fu la partita più onesta che venne fatta tra una angel e una devil... mai più si vide una cosa del genere, segno dell’inizio di qualcosa di speciale.
 
-E quindi adesso hai diritto alla prima mossa su Andrea? Ma è fantastico!- Si congratulò Urié con Miki, quella sera.
-Già, proprio così. Una gran bella partita. Molto leale.
- Strano, in genere i devil barano sempre - commentò Urié, perplessa.
- In genere. Ma ti ricordo che le eccezioni esistono!- la rimbeccò Miki, pensando ancora a Raphytia, a quanto era stata strana a fissarla con quello sguardo ghiacciato e freddo, che sembrava perso in un antico e remoto dolore… Scrollò la testa, sperando di togliersi dalla testa quella ragazza strana. Adesso il suo problema era come sfruttare la prima mossa su Andrea. Ma Miki non aveva mai avuto un fidanzato, non aveva la minima idea di come funzionassero le cosa tra due fidanzati come nel caso di Andrea e Ginevra. Mentre era afflitta da questo pensiero, si lamentò ad alta voce.
-Tutte noi saremmo in difficoltà in una situazione come la tua, Miki. Nessuna di noi è mai stata fidanzata... ma credo che...-  
Era Dolce a parlare. Urié la guardò negli occhi. Le bastò uno sguardo per capire cosa stava per dire, e inorridì. “Non farlo!” supplicò mentalmente. “Non dire quello che stai pensando di dire!”.
Ma era troppo tardi.  Dolce, che non aveva inteso le occhiate di fuoco che le aveva lanciato Urié, continuò a parlare.
-... ma credo che l’unica che ti possa dare un consiglio sia Raf.  
Ecco, l’aveva detto. E lei, Raf, era là questa volta. Appena si sentì chiamata in causa sussultò. Urié seppellì il volto fra le mani. Possibile che Dolce dicesse sempre la cosa sbagliata? Non sempre, in effetti. Solo quando non pensava alle conseguenza delle sue parole. Accadeva spesso? Più di quanto non avrebbe dovuto, purtroppo.
Solo appena finì di pronunciare quelle parole si rese conto della loro gravità. Guardò Miki ed Urié con l’aria spaesata di chi chiede vergognosamente scusa, ma ormai la frittata era fatta. Nessuna delle angel avrebbe voluto affrontare un argomento tento delicato e quanto mai doloroso.
-Scusami, Raf...  io non volevo... io non intendevo...- cercò di riparare Dolce.
-Non fa niente, è vero, sono l’unica che può darti un consiglio, Miki. E’ inutile nasconderlo, mica è una vergogna, una cosa cattiva, amare. Lo ammetto, sono l’unica di voi che ha amato… - e qui abbassò lo sguardo timido, perché stava per rivelare qualcosa di inconfessabile -…e che continua ad amare tuttora.- Ci fu un lungo silenzio. Un silenzio confuso, strano, inaspettato.
-Oooh… ma allora non era stata Reina?- chiese Dolce, con tono sorpreso. Urié seppellì il volto fra le mani. Possibile che Dolce dicesse sempre le cose sbagliate al momento sbagliato? Possibilissimo. Secondo Urié, anche un bambino avrebbe capito la verità senza bisogno di tante spiegazioni.                   
Raf rispose, calma:-No. Comunque voi non lo direte ad anima viva, vero?
-Mai!
-Mai!
-Mai! Hai qualche dubbio?
Tutte e tre promisero solennemente. Povera Raf! Era logico parlare, alla fine. Era impossibile tenersi quel peso dentro per tanto tempo. Urié, Dolce e Miki l’abbracciarono forte.
-Noi non ti giudichiamo, Raf. Amare è del tutto naturale - Disse Miki.
–E poi, se quel devil ti vuole bene, significa che un po’ di sale in zucca ce l’ha, no?- Aggiunse Dolce. Ci fu una risata generale. Finalmente un po’ di allegria!
-Comunque - disse Raf, avvicinandosi alla finestra – è meglio che non ci siano equivoci tra due fidanzati. Andrea e Ginevra devono parlare, altrimenti non potranno mai chiarirsi.
 Miki annuì, bevendo ogni sua parola come se fossero oro colato.
-Secondo me, dovresti…
 
-Angelo! Quante volte te lo devo ripetere, prima che tu mi risponda? Allora, quella chi era?
-Ma quella chi, tesoro?  
-Non fingere di non saperne nulla! Quella ragazza con i capelli rossi che ti si è avvicinata prima! – Urlò Miki contro suo fratello. Erano entrambi terreni, e qualcuno che sembrava trovarsi nella loro identica situazione li osservava.
-Ma chi, Rosalie? Ma Mi… Millicent, tra noi non c’è niente! Mi ha solo chiesto dei compiti!
-Oh… mi spiace… ho inteso male, allora. Scusami!
-Ma certo, l’importante è che ora sia tutto chiaro!
E i due fratelli “ fidanzati” si abbracciarono. Ad Andrea, poco lontano, parve capire che quella era la scelta giusta.
-Devo parlare con Ginevra. Lei  mi spiegherà tutto…- mormorò tra sé e sé, e si girò per correre subito da lei, ma sbatté contro qualcuno. Era una ragazza. Lui cadde, e la ragazza lo aiutò a rialzarsi.
-Scusami! Sono desolata…
La ragazza era stranissima: aveva i capelli rossi come il fuoco, suddivisi in due parti uguali e perfettamente simmetriche, che ricordavano due corna.
-Raphytia!- sibilò Miki vedendola, in tono gelido. Da quanto era là? Era già arrivata per la sua mossa? Mentre Miki la osservava da lontano, anche Andrea faceva lo stesso, e non poteva fare a meno di notare che era furiosa. O, se non lo era, era un’ottima attrice.
-Scusa, oggi sono furiosa, perché il mio ragazzo… era con un’altra. Abbiamo parlato, ha detto che non era nessuno per lui… ma mi ha mentito! Mi ha mentito! Li ho visti con questi occhi mentre si abbracciavano! – Disse, sull’orlo delle lacrime, indicandosi gli occhi con gesto melodrammatico.                   -Ah, ma avrei dovuto prenderla a botte subito! – e così dicendo, agitò il pugno per aria, per fargli capire che non scherzava affatto. Poi si chinò verso di lui e gli mormorò, a denti stretti:-Non fidarti mai degli altri, ragazzo. Sono capaci di inganni crudeli che possono ferirti. Addio - e così dicendo se ne andò, con il volto fra le mani dalla disperazione. Aveva detto quella frase con un tono talmente serio… il tono di chi ha sofferto veramente. E, per gli istanti di quella frase, non stava recitando.
Andrea era tra due fuochi. Cosa avrebbe fatto? Avrebbe parlato con Ginevra, e avrebbe creduto ciecamente alle sue parole? Oppure sarebbe andato dal ragazzo per vedersela faccia a faccia?
 
-Da giorni è sospesa l’attività celebrale… - mormorò una figura ingobbita. Una donna, nel buio, sbuffò.
-Male, male.
-Male… male… male… male….- le fecero eco le altre voci, provenienti dalle profondità della grotta.
-Deve parlare! Dobbiamo sapere cosa sa! 
-Ma la figlia non deve sapere.
-No, infatti… ma forse è inevitabile, lei parlerà solo se potrà comunicare con la figlia.
-Riattivate l’attività celebrale della donna nel vetro!- Sbottò ancora la voce, più feroce.
-Come? Come? Come… come…?
-Cosa vuoi che ci importi? In qualsiasi modo!  
Allora una creatura ingobbita si chinò sulla teca di vetro, ed iniziò a mormorare parole misteriose in una lingua antica, parole terribili, il cui significato si perde nel buio della notte dei tempi.

 

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Capitolo 9
*** Troppo facile ***




9. Troppo facile

“La notte culla i nostri sogni, ed avvolge con un velo tutto quello che è nero, i problemi e le oscurità del cuore… Ma il buio inganna! La notte illude! Ed il silenzio, inevitabilmente, nasconde…”
 
Raf si alzò nella notte e si avvicinò alla finestra. Tutto attorno a lei era un gioco di ombre cupe, strane; tutto aveva un aspetto terribilmente irreale, evanescente. Nulla esisteva, o aveva una qualche tangibilità. Semplicemente, tutto svaniva. Il mondo diventava lontano, le stelle si facevano vicine, la luna più grande. Con stupore, Raf si ritrovò sola, ma si sentì al centro del tutto. E le stelle si mossero, formando un ponte che si apriva fra le nuvole e arrivava sempre più vicino alla sua finestra. Una musica dolcissima incantò la ragazza che, senza pensieri, aprì la finestra e volò nella notte, camminando sulle stelle, oltrepassando i limiti del silenzio e dello spazio.
Le luci della città, sotto di lei, erano piccole e lontane, meschine ed insignificanti, insensate. Avanzò piano fra le nuvole, e il ponte di stelle la condusse sino alla luna, una luna dalla forma di poltrona. Una specie di poltrona d’oro, ed era là per lei, lo sapeva. Si sedette, infatti. Si guardò attorno. Le stelle iniziarono a volteggiarle attorno, come un grande anello vorticoso. Raf le guardò per un po’, poi le venne il mal di testa e chiuse gli occhi.
-Ciao, Raf. Splendida notte, non è vero?
Era una voce dolcissima… Raf conosceva quella voce… ma di chi era? Eppure lo sapeva di chi era... sì...
-Mamma! – esclamò, spalancando gli occhioni azzurri. La cercò con lo sguardo. Lei  non c’era da nessuna parte, eppure la sua voce si sentiva. In qualche modo lei era là, con lei, con la forza della mente, forse.
-Si, sono io. Mia cara, sono proprio io...
Un alito di vento muoveva  i capelli di Raf, e lei ebbe la sensazione che il cielo sorridesse, sorridesse per lei.
- Raf, ascoltami, non ho molto tempo... Raf, tu devi sapere della Minaccia e della Salvezza... tu devi sapere... che... sei... e tu sei lei! Con te... perché... Raf!- La voce divenne sempre più debole, come se qualcosa la trattenesse, sino a che scomparve del tutto. La voce non c’era più. Sua madre doveva dirle qualcosa d’importante, ma non aveva potuto, ancora una volta. Ma di cosa si trattava? Cosa avrebbe dovuto sapere?
-Mamma! Dove sei? Mamma!- Gridò Raf, contro il cielo. Ma ormai nessuno ascoltava più il suo grido di dolore. La ragazza chiuse gli occhi, ascoltando il suono del vento, che si faceva sempre più forte. Il vento spazzò via le stelle, la luna ed infine il mondo, e lei fu sola. Sola nel vuoto, nel buio e nel silenzio più totale. Sentì qualcosa che la tirava verso il basso, e si sentì cadere, spinta da una forza troppo potente che le impediva di opporsi alla legge  di gravità, per quanto provasse a dimenare la ali. Cadde su un terreno scuro. Tutto era buio. Era una grotta, tetra, terrificante e gelida. Raf si rialzò, dolorante, quando un urlo di dolore squarciò il silenzio, facendola sobbalzare. Chi...?
Poco dopo, una richiesta d’aiuto.
-Aiutami, ti prego! Aiutami!- Raf sentì una fitta al petto. Quello che all’inizio era stato solamente un atroce dubbio, era ora una terrificante certezza. Quella voce, quel grido... era la sua voce, senza alcun dubbio. Era Sulfus. Lei volò in direzione del grido, nonostante non vedesse nulla. Si lasciò guidare dal suo settimo senso, dal suono del dolore e dal richiamo del suo cuore. Giunse così al bordo di una specie di scoglio, al di sotto del quale c’era un profondo e buio strapiombo.
-Dove sei? Sulfus!- Gridò. Il suo urlo si perse nel vuoto infinito della grotta e si frantumò contro le sue gelide pareti, ripetendosi all’infinito, producendo un suono orribilmente trasfigurato.
-Sono qui, Raf...- gemette lui. Lei abbassò lo sguardo. Sulfus era là, poco sotto le rocce, pericolosamente aggrappato alle rocce insicure.
-Aiutami!- mormorò, fissandola negli occhi, pieni di dolore e lacrime.
-Vola, vola e raggiungimi!- Lo incitò lei, abbassandosi sul bordo, cauta, per non cadere.
-Non  posso, le mie ali non funzionano... non funzionano... non posso volare...
-Perché? Perché? – Chiese lei, avvicinandosi pericolosamente al bordo.
-Per te... per te... per te...- La sua voce sembrava una cantilena, sempre più irreale e debole, interrotta dai singhiozzi.
- Me? Per me? Che cosa significa? – Chiese lei.
- Sai, mi chiedo perché ti sto chiedendo aiuto... tu non puoi aiutarmi, non puoi... nessuno può... – gemette, ancora.
-No, Sulfus, no!- Disse Raf, cercando di raggiungerlo in volo. Ma sbatté contro qualcosa d’invisibile. Terribile... era come se ci fosse un vetro. Vi camminò sopra. Camminava sul vetro, sospesa sul vuoto che non riusciva ad oltrepassare. Non poteva raggiungerlo. Non poteva andare da lui. L’atroce verità, che si rifiutava di accettare, la colpì come un pugno nello stomaco, ed avvertì un’altra fitta di dolore al petto. Non poteva salvarlo.
- Io non posso venire, vieni tu! Vieni... da me. – e mentre disse quelle parole, si accorse di quanto le pensasse veramente. Di quanto ardentemente desiderasse che lui andasse da lei, che non si  lasciasse andare.
-Non posso... è finita... non mi resta che arrendermi... addio, angelo mio.
Detto questo, sciolse la presa dalle rocce alle quali era aggrappato e si lasciò cadere, con gli occhi chiusi. Si lasciò andare, nel buio.
-Colpa tua... colpa tua... colpa tua...- Mormorarono voci lontane, ridendo lugubri, ripetendosi nella sua testa, e ognuna di quelle risate risuonava come un tuono nella mente della ragazza.
Raf picchiò ancora una volta i pugni contro il vetro, guardando le tenebre che inghiottivano Sulfus per sempre, con gli occhi spalancati dal dolore. Iniziò a piangere... perché era successo? Dov’era, adesso? Dove poteva condurre il buio? Voleva rompere il vetro, raggiungere Sulfus, dovunque fosse. Ma un’altra energia, se possibile ancora più forte della prima, l’allontanò e la spinse verso l’alto, sempre più lontano dal vetro, sempre più lontano da Sulfus.
Lei provò ad opporsi con tutte le sue forze... era inutile. Completamente inutile. Non poteva fare niente. Niente!
L’energia la trascinò verso l’alto, verso un’intensissima luce bianca che oltrepassava le sue lacrime e le bruciava gli occhi. Non ne poteva più, ed esplose in un terrificante urlo di disperazione e di dolore.
 
Raf spalancò gli occhi, e vide dinanzi a se nient’altro che bianco.
Il bianco di una parete. Sbatté le palpebre più volte, prima di realizzare di trovarsi nella sua camera, nel suo letto, e che stava fissando il soffitto bianco. Tremava, e il suo cuore batteva ancora a mille dalla paura. Si mise in ascolto, e sentì che una pioggia fine batteva allegra contro i vetri della finestra.
- Raf! Che cosa ti è successo? – Le chiese Urié, arrivandole subito accanto. Lei scosse la testa, respirando a fatica.
-N-niente... un.. un incubo. Solo un incubo... anzi, due. Uno peggio dell’altro  – Balbettò, mettendosi a sedere e facendosi aria con una mano. Aveva il volto arrossato, e ancora gli occhi spalancati, come se fossero affacciati ancora a quell’ultimo incubo terrificante... ma anche il primo non era stato da meno, anche quello l’aveva sconvolta. Avrebbe dovuto parlarne? Avrebbe dovuto dire qualcosa a qualcuno? Ma certo: l’unico che poteva spiegarle tutto, forse, era solamente Arkan.
O, se non altro, poteva parlargli della Minaccia e la Salvezza.                                                                      
La ragazza balzò giù dal letto in un baleno e disse ad Urié dove doveva andare.
-No, non credo proprio. Non adesso, almeno.- Rispose lei, di rimando.
-E perché?
Urié le fece cenno di avvicinarsi alla finestra e di guardare giù. Sotto la pioggia, nel fango, c’erano due ragazze che se le davano di santa ragione nel cortile della scuola. Raf strizzò gli occhi per vedere meglio... non potevano che essere...
- Giulia ed Elena!- Disse Raf, passandosi una mano tra i capelli, esasperata. - Oh, no... adesso abbiamo lezione... come faccio? – Gemette.
-Fatti dare l’emergenza terreni. Salterai le lezioni, ma non preoccuparti: in classe prenderò appunti anche per te. – Disse l’angioletta dagli occhi verde chiaro, poggiandole una mano sulla spalla, e lei le rispose con un sorriso che esprimeva tutta la sua gratitudine.
-Grazie mille, sei unica Urié! A più tardi!
Stava per andarsene quando lei la fermò, prendendola per un braccio. -Aspetta!
-Che c’è?
-Lascia che Gas vinca la sfida.
-Perché?!
-Te lo spiegherò più tardi. Adesso vai!
- D’accordo, ciao.
Detto questo volò via, veloce come il vento, ben decisa a dimenticare il secondo incubo, quello che riguardava Sulfus. Era troppo orribile, ma non riusciva a non ricordarlo. Non riusciva a non ricordare la sua voce disperata che chiedeva aiuto, e la rassegnazione con cui si era lasciato andare, inghiottito dalle tenebre senza neppure un urlo. Il suo ultimo sguardo spento, mentre guardava in faccia alla morte, prima di chiudere gli occhi... Era sembrato così reale, così terrificante...
L’unica cosa che voleva era ignorarlo, e considerarlo solo un incubo.
Fu il più grande errore della sua vita.
 
 
-Smettila! Mi fai male!- strillò Elena.
-Prendi questo, traditrice!- Urlò Giulia, tirandole un pugno nello stomaco. Elena urlò dal dolore.
-E tu prendi questo, allora!- e così dicendo le tirò un calcio negli stinchi. Giulia le tirò i capelli, ed Elena face lo stesso.
Per fortuna arrivarono i professori che le separarono, altrimenti chissà cosa sarebbe successo. Le due ragazze, rialzandosi, si scambiarono uno sguardo truce e non si rivolsero più la parola.
-Ma perché litigavano così?- Chiese Raf, avvicinandosi a Gas.                                                                            
Il devil rise. -Prova ad indovinare, visto che sei così intelligente!- esclamò.
- Non dirmi che stanno ancora litigando per Matteo!
-Ma che brava! Che intuito! – commentò Gas, con evidente sarcasmo. Come se lui, del resto, fosse intelligente!
-Cosa è successo, stavolta?- chiese.
- Elena è uscita con Matteo senza dire nulla alla sorella che...-
-... che si è infuriata da pazzi dopo averlo scoperto, capisco! – concluse Raf. -Quello che non capisco è come abbia fatto  Giulia a scoprire tutto.
-Non ci crederai, ma è stato Matteo a dirlo!- e qui, il ragazzo esplose in una fragorosa risata, grattandosi la pancia. Ma Raf non sembrava molto interessata alle terrene, a dir la verità, in quel momento moriva dalla voglia di porre a Gas l’atroce domanda che si portava dentro da quando si era svegliata: voleva sapere dov’era Sulfus. Se era oppure no nella sua stanza, nell’incubatorio.
Perché se c’era, voleva dire che quel sogno non significava niente. Però, se non c’era, poteva essere la verità. Ma il pensiero la faceva stare così male che non trovava la forza di chiederglielo, per paura che lui rispondesse qualcosa di vago,  del tipo “non l’ho visto, questa mattina... mi sembra strano... sarà in giro come al solito”. Un’affermazione del genere l’avrebbe distrutta.
Ma doveva sapere... aveva bisogno di sapere che lui stava bene. Che era... che lui era vivo.
Lei doveva saperlo, ma doveva fare in modo che Gas non s’insospettisse. Non era cosa molto difficile, Gas non era poi così acuto.
-Dimmi, Gas,- esordì.- Credi davvero di riuscire a battermi, nella nostra sfida?
-Ma sicuro! Tu sottovaluti le mie capacità, inutile angioletto!  
Raf cercò di mostrarsi saccente. -Oh, ma tutti dicono sempre che sei un perdente...
-Già - brontolò Gas, con una smorfia
- Dicono che il vincente sia Sulfus, no? – Tentò lei. – Adesso sarà certamente da Matteo per condurlo sulla strada sbagliata...
Gas era talmente accalorato e talmente tonto da non notare quanto fosse pessima Raf a mentire. I suoi occhi splendevano di terrore, mentre si tormentava le mani e nella sua voce si sentiva più del dovuto una nota di preoccupazione. Sì, Raf era una pessima bugiarda, come ogni angel. Anche un bambino se ne sarebbe accorto... ma Gas no. Alla domanda di Raf si limitò a scrollare le spalle.
- Sulfus? Lui oggi non è da Matteo – Raf in un attimo si sentì crollare il mondo addosso.
- Co-come? E dov’è?- Balbettò, terrorizzata. Il suo volto era diventato bianco come un lenzuolo, temendo una risposta ambigua.
Questa volta Gas notò la faccia terrorizzata di Raf, e rise. -E’ rimasto nell’incubatorio, il “vincente”! – esclamò. – Stranamente era affetto da una terribile forma di buon di bene e ha detto che rimaneva a letto... ma perché me lo chiedi? – Domandò infine, in tono malizioso.
-Ma allora è ancora lì?- Chiese Raf, ignorando la domanda, mentre la sua pelle tornava ad assumere il suo solito colorito roseo.
-Suppongo di sì, ma mica lo controllo con le telecamere! - Sbuffò Gas.
-Ma allora sta... bene?
-Sei dura a comprendere, eh? Ti ho appena detto che è rimasto a letto perché non si sentiva bene!- esclamò.
“Ma ti sei accertato che fosse vivo, stamattina?” Voleva tanto chiederlo, ma non lo fece, lo pensò soltanto, e sospirò. Non era stato altro che un incubo, allora. Però poteva significare qualcosa, magari era stato il suo settimo senso a farle fare quel sogno, ma perché? Lui era forse in pericolo? O significava, più probabilmente, che lei doveva dimenticarlo per sempre, perché il suo era un amore impossibile?
Fu Gas a riportarla al presente. - Ehi, allora, questa sfida?
 La ragazza si risvegliò dai suoi tristi pensieri, e volò con il devil verso l’aula sfida.
Per tutta la strada, Raf pensò alla sfida da proporre a Gas per farlo vincere, come le aveva detto Urié. Ma non era facile: quel devil era un gran buono a nulla. In realtà, l’unica volta che lei aveva avuto l’occasione di sfidarlo era stato quando l’avevano separata da Sulfus perché aveva iniziato a provare teneri sentimenti verso di lui, e si era trattato di una gara di scii. Se solo non ci fosse stata la valanga lo avrebbe stracciato. Persino Miki, che nelle sfide non era un asso, riusciva spesso e volentieri a batterlo. Cosa poteva dunque proporgli, per assicurargli la vittoria, dato che non sapeva fare niente? Poi le venne un’illuminazione... c’era una cosa che Gas sapeva fare, l’unica cosa che sapeva fare. Mangiare!
 
 
-Sei radiante, splendente come una stella! Mai vista tanta bellezza in una volta sola... il tuo sorriso splende più della luna, i tuoi occhi rispecchiano un’anima d’oro! Può, tale grazia, farmi l’onore di accettare un omaggio floreale?
Florian, un angel dai lunghi capelli color biondo cenere intrecciati con dei fiori e gli occhi chiari, stava facendo un lungo discorso di corteggiamento ad Urié, in ginocchio e con fare quasi melodrammatico, nel bel mezzo del corridoio, accompagnandosi con ampi gesti di mani e braccia. Quando l’angel le porse uno splendido fiore rosso, lei arrossì.
-Posso avere l’onore di rivedere tanta bellezza?- domandò, educatamente.
- Mmmh... domani sarò in mensa all’ora di pranzo...
-Allora ci sarò anche io! Non mancherei per tutto l’oro del mondo! - e così dicendo si allontanò... a passo di danza.
Urié si sentì chiamare e si voltò: era Raf.
- Ciao Urié! Chi era quel ragazzo che si è allontanato ballando?- Le chiese con un risolino, indicandolo. Il ragazzo aveva a anche un’andatura decisamente bizzarra quando camminava normalmente.
-Un angel di due astri più grande. Sapessi quante cose carine mi ha detto...- E sorrise.
Raf no. Abbassò lo sguardo. “Già, chissà quante cose carine...” Poi scosse la testa, e lasciò che i suoi pensieri affogassero da soli nel dolore dei ricordi passati.
-A proposito - esordì, cambiando prontamente discorso- ho fatto come mi hai detto, ho fatto vincere Gas. Abbiamo fatto una sfida di chi mangiava più dolci, e ovviamente ne ha mangiati un’infinità. Non so neppure come abbia fatto... comunque adesso vuoi spiegarmi perché dovevo dargli la vittoria?
Urié rise. -A volte mi chiedo a cosa pensi, in classe. Sarà meglio rispolverarti la regola numero 24 degli angel: “ le ultime cose che vengono dette ad un terreno gli restano più impresse nella mente, colpiscono l’anima.”
- E allora?
-Non hai dato la vittoria a Gas, anche se è quello che crede lui. In realtà gli hai solamente dato la prima mossa sulle gemelle... così dopo che lui avrà agito, tu potrai rimediare ai suoi danni e portare le gemelle sulla retta via, e a quel punto Gas non potrà fare più nulla!
-Straordinario, sei un genio, Urié! Corro a vedere cosa combina Gas! – detto questo volò via, lasciando sola Urié, che con un sorriso velato scrutò l’orologio. Mancavano tre ore a mezzogiorno, e dunque ventisette ore all’appuntamento con Florian.
 
 
Gas camminava avanti e indietro per il corridoio dell’incubatorio: ora che aveva vinto la sfida con Raf (cosa che, continuava a ripetersi, era stata certamente un’ardua impresa) non aveva la più pallida idea di che cosa fare per portare le gemelle sulla strada sbagliata. Ad un certo punto ripensò alle parole di Raf , “ ...dicono che il vincente sia un altro... Sulfus...”
Ma certo. Ecco quello che poteva fare: chiedergli aiuto. “Il vincente”, dopotutto, era il suo peggior amico, non gli avrebbe certamente rifiutato una mano. Almeno era quello che sperava.
Così entrò nell’angusta stanzetta che condivideva con Sulfus. Il disordine era sovrano in quella stanza, ma Gas non ci fece caso. Era all’ordine del giorno, si sarebbe piuttosto sorpreso di trovare tutto in ordine. Si fece strada fra fogli ammucchiati malamente a terra, lanciò una sua vecchia pantofola puzzolente ai lati della stanza, calciandola con un piede, ed oltrepassò con una falcata un cuscino ormai spiumato. Proprio come quella mattina, Sulfus era a letto, piegato su un fianco, dandogli le spalle. Gas, però, sperò che al contrario di quella mattina il suo umore fosse migliorato. Ricordava bene, infatti, come aveva reagito quando lui aveva cercato di svegliarlo: gli aveva lanciato una sveglia (che per poco non lo aveva centrato in testa, cosa che fortunatamente non era accaduta, perché altrimenti gli avrebbe mandato in tilt quel poco di cervello che ancora gli rimaneva). La sveglia in questione era ancora a terra. Nessuno, del resto, si era preoccupato di rialzarla. Ma l’avrebbe certamente rialzata Gas quella sera e l’avrebbe caricata per il mattino seguente, perché non voleva arrivare in ritardo alla lezione della Temptel.
- Sulfus? Dormi?- esordì, piano, per non innervosirlo troppo.
Per tutta risposta, Gas sentì un mugolio a metà tra uno sbuffo e un lamento soffocato. Lo prese come un no.
- Ti prego, puoi... ehm... aiutarmi? Mi serve un aiuto per far litigare le mie terrene... ti prego, tu sei il migliore, non puoi non aiutarmi!- Concluse, con fare melodrammatico.
Oh, Sulfus in realtà pensava di potersi assolutamente rifiutare di aiutarlo, eccome se poteva, ma non rispose. Non gliene importava proprio nulla, dei problemi di Gas. Almeno non in quel momento. Continuava a fissare quello splendido ciondolo d’oro, così lucente che gli permetteva di specchiarsi, e gli restituiva un riflesso sbiadito, simile ad una visione distorta della realtà.
Quante cose aveva fatto per ottenere quel prezioso ciondolo? Tantissime, troppe... per trovarlo non era mai tornato a Zolfanello City, quell’estate. Non che ai suoi genitori fosse importato, del resto. Da terribili genitori devil quali erano, si curavano del loro figlio allo stesso modo cui si sarebbero curati di un muro. Lo ignoravano completamente. In fondo, gli stava bene. Conviventi pacifici, così sembravano. I suoi genitori si ricordavano di lui solamente quando a scuola aveva rotto qualcosa di veramente importante o fatto qualcosa di veramente grave... per congratularsi della sua bravura. Ma adesso non era più il  momento di scherzare con simili giochetti. Quello che aveva fatto era roba seria. Forse anche troppo, per uno come lui. Talmente seria e pericolosa da impedirgli di capire quanto veramente potesse essere pericoloso quello che stava per fare.
Lui, quell’estate, aveva letto (sì, proprio letto) almeno una decina di libri, ed era riuscito a scoprire dell’esistenza delle sirene. Creature sospese fra acqua e terra, fra libertà e prigionia, che potavano soddisfare qualsiasi desiderio...  Anche il suo.
In cambio, così era scritto, esse desideravano l’unica cosa che avrebbe dato loro la libertà: una sfera di vetro smerigliato, anche se nessun volume spiegava perché. Serviva una sfera particolare. Sulfus l’aveva cercata e l’aveva trovata. La teneva nascosta, ma ce l’aveva. Però, prima, non era mai stato talmente sicuro di voler davvero utilizzare quel ciondolo. di voler davvero...
Ma era per una nobile ragione. Era per lei che lo faceva, solo per lei, per Raf.
Ad un certo punto Gas, spazientito, gli strappò di mano il ciondolo d’oro.
- Sulfus! Mi stai ascoltando? Sto parlando con te! – La reazione del ragazzo fu immediata e del tutto istintiva. Con un balzo felino fu immediatamente giù dal letto e sferrò un pugno nello stomaco di Gas, riprendendosi il ciondolo. Il grosso devil si accasciò a terra, tenendosi la pancia. In quel momento Sulfus gli chiese scusa, giustificandosi con il fatto che ci teneva, lui, alle sue cose.
Ma, proprio allora, si rese conto di quanto se ne pentisse veramente. Pentirsi? Scusarsi? Erano forse sentimenti ed azioni da devil? No, non lo erano nemmeno un po’.
“Dici che non sono cambiato” Pensò il ragazzo, tenendosi la testa fra le mani, immaginandosi di rivolgersi a Raf. “Quanto ti sbagli. Mi hai veramente cambiato. Mi hai reso angel a metà... come hai fatto, angelo mio, come? Come hai fatto a ridurmi così?” Però in fondo sorrideva, tenendosi la mano sul cuore, ascoltandone il battito, rivolto ormai ad una persona sola.
Si sentiva così colpevole, era tutta colpa sua... se solo non fosse stato quello che era, lui avrebbe potuto stare con Raf... Doveva cambiare le cose, perché lui poteva farlo. E l’avrebbe fatto, perché avrebbe fatto qualunque cosa, per lei.
In effetti, riguardo a quello che accadde dopo, la Temptel commentò che si era trattato di una follia di quelle che si possono compiere solamente a sedici  lampi, o astri, a seconda dei casi.
Se fosse stata evitabile oppure no, questo non saprei dire, però, se non fosse successo, non ci sarebbe stata nessuna storia da raccontare.

 
 
 

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Capitolo 10
*** Scorciatoie pericolose ***




10. Scorciatoie pericolose
 
“Cosa è disposto a fare chi tiene veramente a noi? Chi nutre verso di noi un affetto profondo, e sa che a separarlo da noi non c’è altro che una parola, una sola, un “sì”.... Una parola semplice, ma una scorciatoia terribilmente pericolosa, che nasconde pericoli atroci... come una galleria senza vie d’uscita certe...”
 
 
-Verrà!- Tuonò una creatura dalle profonde viscere della grotta.
-Verrà... verrà...verrà... – ripeterono a loro volta le voci, lugubri.
-Sì, sorelle, verrà! Ormai non ha altra scelta!- Esclamò di nuovo la prima creatura, stringendo i pugni, con un sorriso sadico.
-Lo vuole lui, del resto... sì, è la sua volontà... sì, lo fa per lei...
-Basta! Verrà! Ormai è certo! Ormai non v’è alcun dubbio!
-Alcun dubbio... alcun dubbio... alcun dubbio... – ripeterono le voci. -E noi... saremo qui ad aspettarlo! – continuò l’eco lugubre e cantilenante delle creature.
-Ma lo aiuteremo?- domandò una creatura, dal fondo della grotta.
- Non ci costa nulla... possiamo fare qualunque cosa, tanto non sa cosa poi noi saremo in grado di fare...
-... grazie al potere!- concluse un’altra.
- Sì! Sì! Grazie al potere! Grazie alla sfera di vetro smerigliato...
- Ma lui non sa a cosa serve! – ribatté un’altra creatura.
-Cosa vuoi che gli importi? Nel suo cuore non c’è posto per i dubbi, non c’è posto che per lei... per nostra fortuna! Lui non si chiede niente, il suo sogno è solo lei... non potrebbe pensare ad altro, perché il suo cuore è offuscato dal dolore, è offuscato dai sentimenti  – concluse la sirena, con una voce che esprimeva tutto il suo disprezzo nei confronti della fragilità del ragazzo.
-Ma se… non ci porterà la sfera?
-Non siate dubbiose, sorelle! Deve darci la sfera, se vuole essere aiutato! – Tuonò ancora la prima.
-E se... dovesse decidere di non venire?- mormorarono le creature.
-In tal caso... provvederemo! Ma arriverà, non temete. Fidatevi di me. Adesso dobbiamo sapere un’altra cosa... dobbiamo sapere chi è la Minaccia e la Salvezza, altrimenti il nostro piano fallirà!
-La donna nel vetro... la sua attività celebrale si è riattivata poco fa... avete capito qualcosa?
-Il messaggio era confuso...
Le sirene camminavano insieme, nascoste nell’ombra e nella nebbia, coperte dalle loro tristi mantelle nere come le notti senza luna.
-La Minaccia e la Salvezza... ma certo... è la ragazza! - Tuonò ancora una delle sirene.
-Sì, è probabile...
- No! Non è probabile, è certo! Il messaggio era poco chiaro, ma adesso ho compreso! E’ lei, è la ragazza!
- Non possiamo permetterci alcun errore o passo falso...
- No, no...
-Dobbiamo essere sicure...
-Sì, sì...
-Dobbiamo avere il potere... abbiamo bisogno del potere… - Dissero, con tono di voce crescente, ed infine urlarono a squarciagola - ... PER LAYADDA!!!- ed il lamento delle creature tuonò, disperato, facendo tremare le pareti della grotta, ed anche la donna nel vetro.
 
 
Un grido di gioia violenta e furibonda si levò al cielo. Matteo aveva vinto la gara di skate. Ed era stato facilissimo, a quella gara partecipavano un mucchio di perdenti, rispetto a lui. Però, pur rifiutandosi di ammetterlo, non era felice, ma terribilmente inquieto e triste. Si sentiva in colpa. Aveva rubato, aveva marinato la scuola. Era cattivo, crudele, non certamente migliore di tanti altri delinquenti. E non era quello che voleva diventare. Ormai non gl’importava più niente neppure dei soldi. Cos’erano, dopotutto? Un mucchio di carta senza alcun valore. Valeva forse la pena, per un mucchio di carta, fare tutti quegli errori che aveva fatto lui? No, decisamente non ne valeva la pena.
-Povero ragazzo, è pentito per quello che ha fatto... però almeno ora potrà redimersi... – Disse Ang-li, l’angel che custodiva Matteo.
Sulfus, che era dietro di lui, inizialmente non parlò. Rimase in silenzio, immobile, a fissare un punto che andava oltre Ang-li, oltre il muro, oltre il cielo, oltre le nuvole, oltre tutte le cose esistenti ed inesistenti, perso nel dolore di pensieri che facevano male.
-Pensi davvero che potrebbe riscattarsi, dopo tutto quello che ha fatto?
Non era una domanda impertinente, fatta con tono dispettoso... era una domanda fatta con preoccupazione sincera.
Ang-li si voltò, e lo fissò, con quegli occhi blu come il mare in tempesta nei suoi, che invece erano ambrati come il colore del sole d’inverno. E nei suoi occhi lesse la paura. Paura? Perché paura? Non avrebbe saputo dirlo... in ogni caso annuì.
– Sì. Il Signore è buono e generoso, perdona tante cose... per un pentimento sincero.
Silenzio. Sulfus iniziò a bofonchiare qualche cosa sottovoce. Dopodiché lo vide rannicchiarsi su se stesso e premersi qualche cosa che non riuscì a vedere contro il petto. Infine si alzò e si allontanò.                   
 – Dove vai? – chiese Ang-li. Sulfus si girò, lanciandogli uno sguardo torvo.
-E a te che importa? Vado dove mi pare. – Borbotto, tra sé e sé.                                                                 
L’angelo lo osservò mentre si allontanava, pensando che aveva davvero un gran caratteraccio. Ma Sulfus aveva ben altro a cui pensare: un dolore grande che lo stava divorando dentro, un dolore assolutamente immenso. Doveva fare una cosa importantissima, ma non sapeva che sarebbe tornato prima di quanto pensasse... perché avrebbe assistito ad una scena raccapricciante.
 
 
Raf vide  Urié da lontano, mentre camminava nel corridoio. Aveva l’aria frettolosa, e la angel dagli occhi color del cielo notò con stupore che stringeva fra le mani un secondo mazzo di fiori, ancora più grosso dell’altro che le aveva mostrato prima, quello di Florian.
- Raf! Cercavo proprio te – disse, trafelata.
-Oh, beh... eccomi – disse lei, abbozzando un sorriso e aprendo le braccia in segno di benvenuto.
-Nel giro di poche ore hai già trovato un secondo spasimante? – Chiese, prendendola in giro. Lei scosse la testa. Sembrava a disagio.
-No, veramente... questi sono per te.
Lei la guardò di sbieco. Erano per lei? - Per me? Ma ne sei sicura?- Chiese osservando meglio i fiori. Rose bianche. Rose bianche? Il cuore iniziò a batterle forte.     
Si avvicinò anche Dolce, che non era arrivata prima perché si stava districando tra un gruppo di studenti in corridoio.
-Ragazze, mi sono persa qualcosa?
Vide Raf stringere il mazzo di fiori con le mani tremanti,  e le guance diventare rosse come il fuoco. Capì che i fiori erano i suoi.
-Da parte di chi sono i fiori? Da chiunque siano, poteva mandarli colorati... il bianco non va di moda, quest’anno. Allora, hai aperto il bigliettino?- Chiese, infine, curiosa. La ragazza scosse la testa, e guardò Urié.
-Dove li hai trovati?- Balbettò Raf, annusando una rosa.
-Nella nostra stanza, sul tavolo. Ma non ho aperto il bigliettino, giuro.
Raf rimase ancora a fissare il vuoto, accarezzando una rosa bianca. Ma chi...?                                         
Dolce e Urié si scambiarono un’occhiata interrogativa. Erano entrambe curiosissime. Perché Raf non si decideva e apriva quel bigliettino?
-Io sarei pronta a scommettere di sapere da parte di chi sono – Disse Dolce. Raf la fissò, con uno sguardo confuso. Non aveva il coraggio di aprire il bigliettino, perché sperava troppo che fossero di...
Scosse la testa, togliendosi dalla testa quello splendido pensiero. Non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Anche se intrufolarsi furtivamente in una stanza era effettivamente una cosa che alla persona alla quale stava pensando riusciva sicuramente piuttosto bene. Aprì il bigliettino...
E rimasero tutte senza parole.
-Questa, poi!- Esclamò Dolce, con la voce che non nascondeva la sua delusione. Nè tantomeno si poteva nascondere la sua buffa espressione.
-Non so cosa dire, Raf...- Balbettò Urié. Ed era vero. Non sapeva se essere felice o dispiaciuta. Esattamente come non lo sapeva Raf. Ma era tutto così confuso, così strano... Aveva sperato sin dall’inizio, nel profondo del suo cuore, che i fiori fossero di Sulfus, e invece erano di...
-“Con affetto Ang-li...” non riesco ancora a crederci...- Balbettò Dolce, rileggendo la dedica sul bigliettino. -Certo, però, tre parole, si è proprio sprecato – disse, per sdrammatizzare. Ma Raf continuava a fissare triste quelle rose bianche.
-Credo proprio di doverlo ringraziare – deglutì – per un gesto così carino - e si allontanò, disperata, passandosi una mano fra i capelli sudati.
Sulfus era in ascolto proprio in quel momento, ed improvvisamente si sentì male. Una fitta di dolore lancinante lo colpì in pieno petto. Dolore. Rabbia. Gelosia.
Strinse i pugni, e lo fece in modo talmente forte da conficcarsi le unghie nei palmi delle mani. Quando le riaprì, notò che i palmi gli sanguinavano. Diamine! Che sanguinassero! Non gliene importava niente.
E tornò in fretta e furia sui suoi passi, furioso.
 
 
-Fermati! Basta, ti prego!- strillò Ang-li, schermandosi il volto con le braccia, quasi a volerlo fermare. Ma Sulfus non accennava a fermarsi. Con rabbia, lanciava ogni cosa, in quel triste vicolo dietro la pista da skate dove si era appena tenuta la gara di Matteo: cassonetti, cartacce, pietre, ogni cosa era buona da lanciare contro Ang-li. Era veramente, veramente, veramente arrabbiato. L’angelo se ne stava in un angolo, terrorizzato, ad osservare mentre tutta quella furia si scatenava.
-Come! Come hai potuto fare una cosa del genere?!- Urlò Sulfus, con una voce diventata improvvisamente tonante, che non sembrava neppure più appartenergli, e che spaventò Ang-li, il quale tentò mollemente di rialzarsi, tremante.
Lentamente, Sulfus gli girava attorno, guardandolo con astio. Lento, un passo alla volta, silenzioso come una lince che avanza verso la preda, con il Body Fly attivato sembrava molto più grosso di quello che in realtà era. Continuò a girargli attorno, con quello sguardo astioso e penetrante.
-Come hai potuto farlo? Ti rendi vagamente conto di che cosa hai fatto?! – Gli urlò contro, carico di rabbia. C’era un tale impeto in quella voce da spaventare una ragazza che passava di là proprio in quel momento, una giovane sempiterna dai lunghi capelli biondi, simili ad una cascata d’oro, innamorata proprio di quella voce. Raf  era spaventata dal sentire quella voce tanto amata così rabbiosa e furiosa. Così si nascose dietro un muro, e rimase sconcertata a  guardare la scena.
Voleva fermarlo, ma non lo fece. Voleva salutarlo, ma non lo fece. Voleva fare qualcosa, qualunque cosa, ma non lo fece. Non fece proprio niente, rimase solo a guardare. In silenzio.
Ang-li iniziò a borbottare. -Ma io non sapevo... non credevo... davvero io...
Il devil si spazientì. -Non sapevi! Sì, come no. Fallo credere a qualcun altro! Io so che tu sapevi! Lo so benissimo! – ringhiò, puntandogli il braccio contro, il tono accusatorio. Gli si avvicinò sempre di più. Il ragazzo tentò di sfuggirgli, ma lui lo inchiodò ugualmente al muro. L’angelo era terrorizzato, e desiderava solamente scavarsi un buco sottoterra e scomparire. Magari per una anno. Magari per una decina d’anni. L’unica cosa che sentiva era il respiro furioso del devil, e l’unica cosa che vedeva erano i suoi occhi socchiusi, che lo fissavano gelidi.
-Non farmi del male... – gemette, con una voce talmente debole da sembrare quella di un gattino terrorizzato.
- Farti del male? – Rise - Non voglio fartene. Voglio solo capire. Sai benissimo cosa provo per lei, per... Raf - la sua voce tremò e divenne debole, mentre pronunciava il suo nome. - Perché lo hai fatto? Come hai osato mandarle dei fiori?
Lui non rispose. Si limitò a tacere trattenendo il fiato, cosa che fece imbestialire Sulfus.
-Tu forse non capisci. – Fece un sospiro, la voce diventata ormai leggermente più calma. – Lei  mi ha cambiato, è stata la mia salvezza, per te non può essere la stessa cosa. Lei mi ha salvato, ha salvato la mia patetica esistenza. Lei mi ha reso... diverso - e dicendo questo si allontanò da lui, lentamente, con gli occhi addolorati, e lucenti.
Ang-li tornò a respirare.
-Tu non capisci... non capisci...- Mormorò ancora, socchiudendo gli occhi. -Tu non puoi capire, nessuno può... ne-nessuno...- Balbettò. Ormai era tornato normale, senza più il Body Fly, e sembrava terribilmente fragile. Si coprì la bocca con una mano, accorgendosi che stava iniziando a singhiozzare. Iniziò a tremare. Non era possibile. Lui, Sulfus, il devil che non piangeva mai, sentiva le lacrime che gli salivano lente agli occhi lucidi, dolorose come schegge di ghiaccio. Si voltò e cominciò a correre. Correva per sentire il vento soffiargli contro il volto tutta la sua rabbia, correva per sentire l’aria rombargli nelle orecchie, correva per sentire il battito del suo cuore accelerare.
Correva per sentirsi libero. Ma non lo era. Nessuno lo era. Nessuno di loro poteva essere libero. Accelerò il passo.
Nessuno dei sempiterni era libero. Erano tutti prigionieri di un buio che gli era stato imposto con la forza. Male o bene. Bene o male. Male o bene. Bene o male. Era terribile.
Corse più velocemente.
Perché qualcosa di più grande doveva decidere del suo futuro, del suo destino? Perché? Mica lo aveva voluto lui di essere devil, del resto. Gli era stato imposto. Era nato così, e per anni non gli era dispiaciuto neppure. Lo aveva ritenuto normale, come respirare. Ma poi era arrivata lei... era piombata dal cielo, proprio come arrivano le cose più belle. E gli aveva mostrato che il male non era la sua unica alternativa.
Corse e corse e corse ancora, finché le gambe non gli fecero male.
L’aveva vista da lontano, con una risata divertita. Poi però, quando gli si era avvicinata, quando aveva visto i suoi occhi, aveva avuto l’improvvisa ed inquietante sensazione di aver già visto quegli occhi.
La rabbia lo opprimeva, il dolore si leggeva nei suoi occhi color del Sole d’inverno, la sofferenza correva assieme a lui come un’ombra. Ormai le sue gambe si stavano indebolendo, a furia di correre.
Quello sguardo... poi un’immagine. Gli stava per affiorare alla memoria, però un attimo dopo era scomparsa per sempre, affogando nei più profondi meandri della sua mente. L’unica cosa che aveva sentito era un brivido. E la cosa l’aveva sconvolto non poco.
Non ce la fece più a correre, quindi si fermò, ansimante.
Singhiozzo. L’agitazione non gli era passata. Le spalle gli tremavano, delle scosse lo investirono. Si appoggiò alla parete. Quando era stata l’ultima volta che aveva pianto? Ci pensò, si concentrò profondamente... Una fitta al petto, dolorosa. Chiuse gli occhi.
Gli sembrò di essere di nuovo lì, nel labirinto, con quel mostro che lo aveva afferrato per la testa e lo fissava, gli occhietti rossi iniettati di sangue che lo fissavano, ansiosi di scatenare la morte su di lui. Allora, lui aveva avuto paura. Veramente paura. Aveva chiuso gli occhi e aveva aspettato che il soffio della morte arrivasse, gelido ed implacabile, a togliergli la vita. Si era preparato al peggio, non aveva più la forza per opporsi. Non aveva più neppure la forza per avere paura.
E poi era arrivata lei.
Non aveva avuto paura del V.E.T.O. o delle regole, non aveva avuto paura di niente, lei. L’aveva strappato al soffio della morte che stava per impadronirsi delle sue membra, e lo aveva tratto in salvo. Tra le sue braccia, Sulfus aveva pianto calde lacrime. Lacrime sincere, lacrime di dolore, di paura, d’amore. Le prime che avesse mai pianto in vita sua da quando si era ferito ad un braccio, da piccolo. Ma il pianto per dolore fisico non si conta, vero?
Vero.
 
Era stato così strano, piangere. Era stato come liberarsi di tutto il dolore covato in quegli anni, alimentato con la rabbia.
La rabbia. Perché non poteva stare con Raf? Che cosa aveva fatto per non poterselo meritare? Non aveva anche lui il diritto di essere felice?
La rabbia... Un sentimento forte, devastante.
Il dolore... Un sentimento che fa male.
La sofferenza... Un sentimento che ti rende la vita impossibile.
A quel punto si voltò e ricominciò a correre, ma verso una direzione diversa. Verso la Golden School. C’era una cosa che doveva fare, e non poteva più rimandare.
Sapeva che poteva morire, lo sapeva benissimo. Ma non gli importava. Doveva provare.
 
 
Mentre Raf andava alla ricerca delle gemelle non faceva altro che pensare a Sulfus che piangeva. Quell’immagine non l’avrebbe abbandonata presto, probabilmente mai. Forse Ang-li non si era accorto che lui stava piangendo, ma lei sì. Quando lui si era messo a correre le era passato talmente vicino che lei avrebbe potuto toccarlo, prenderlo per un braccio e fermarlo. Ma non l’aveva fatto. Era rimasta nascosta, a guardarlo scomparire fra le strade, disperato.
Le cose così splendide che aveva detto su di lei... ancora adesso la commuovevano, e le facevano arrossire le guance.
Quella disperazione che aveva visto nei suoi occhi... La amava tantissimo, questo lo aveva capito, ormai, ma non poteva  immaginare nemmeno lei fino a che punto potesse spingersi. Ma questo non avrebbe potuto prevederlo nessuno, in alcun modo, altrimenti le cose sarebbero andate parecchio diversamente.
Trovò quasi subito le gemelle. Non serviva un genio per capire che Gas aveva raccontato bugie all’una e all’altra per non farle riappacificare. Raf però riuscì a farle ragionare, anche se ci volle del tempo. Vide con gioia come facevano pace, abbracciandosi forte. Malauguratamente non riuscì a condividere la loro gioia. Un dolore cupo le divorava il petto e la opprimeva, e non riuscì a liberarsene.
 
 
Sulfus arrivò sino alla sua stanza, nell’incubatorio, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano. Si chinò sul letto e prese il ciondolo da sotto il cuscino. Si fermò per un attimo a rimirare quel piccolo oggetto di lucente bellezza. Così piccolo, eppure così potente... era la sua ultima speranza.
Era venuto il momento. Si accorse che la mano gli tremava. Bene, che tremasse pure.
-Spero solo che funzioni.
Deglutì. Se lo mise al collo e sentì un bruciore investirlo. Anche il ciondolo stesso sapeva di dover essere usato. Infine il ragazzo prese un sospiro. Portò le mani a coppa sul petto, e incrociò le braccia sul ciondolo. Gli bruciava da morire, sembrava quasi che lo stesso avvisando del pericolo. Che bruciasse pure! Non lo avrebbe fermato di certo!
Prese un respiro molto lungo e urlò, contro il cielo:-Io chiedo di viaggiare nella terra sospesa!
Fasci di luce bianca lo avvolsero. E, a quel punto, Sulfus ne fu sicuro: non poteva tornare indietro.
 
Poco dopo stava precipitando. Non riusciva a fermarsi, non riusciva ad opporsi alla forza di gravità.
E non si oppose. Non ci provò neppure. Si lasciò cadere, nel buio.
Cadde. Si rialzò, dolorante. Ma che razza di posto era quello? Sembrava una grotta, gelida e scura. Con le braccia strette attorno al corpo, per scaldarsi, avanzò nella nebbia. Gli arrivò alle narici un forte odore salmastro. Salmastro? Ma come era possibile?
La nebbia era fitta, e non riusciva a vedere nulla. Poi le vide. Le sirene.
Avanzarono una ad una dalle tenebre, senza il soffio di un respiro, il fragore di un passo. Silenziose come, pensò Sulfus, ombre della notte. Erano tutte coperte da tuniche lunghe fino ai piedi. Alcune creature sibilarono. Iniziarono a camminargli attorno, sicure. Il devil si sentì perduto, e anche spaventato. Infine, una gli si avvicinò, chinando il cappuccio. Il ragazzo inorridì. La sua testa era completamente pelata, ma aveva una fiera pinna a tre pieghe, color rosso vermiglio, che terminava con una punta che le feriva precisamente a metà le sopracciglia.
Ma la cosa peggiore erano i suoi occhi. Erano vitrei, gelidi e bianchi come perle, ed emettevano una luce fortissima. Guardarli era come guardare in faccia al Sole. Due soli freddi incastonati in un bel volto di pietra. Eppure era piacevole guardarli, non bruciavano gli occhi.
La sirena era terrificante, ma al contempo sembrava bellissima.
Gli si avvicinò, la veste che frusciava a terra.
-Ti stavamo aspettando, giovane sempiterno - sibilò, fissandolo con i suoi occhi inespressivi.
Lui non sapeva cosa rispondere, così stette semplicemente zitto. Forse fu la cosa migliore.
-La sfera. Hai la sfera, vero? - chiese, la voce tagliente come un coltello che trapassava la pelle.
Lui si limitò ad annuire. Mise la mano in tasca, e ne trasse una sfera di vetro. Non appena l’ebbe tirata fuori, l’aria crepitò attorno ad essa. Le sirene emisero un sibilo all’unisono.
-Il potere... il potere... il potere... – queste erano le parole che sibilavano, come soffi di vento fra le fronde in autunno. La sirena allungò una mano verso di lui, ed aprì il palmo. Fra le dita, il ragazzo notò inorridito che c’erano delle pinne color rosso fuoco. Riluttante, poggiò la sfera sulla gelida mano della creatura, che vi richiuse sopra le dita come degli artigli.
Non aveva idea del danno che aveva appena commesso.
Le aveva appena consegnato il potere, un potere che le sirene avrebbero usato per portare morte e distruzione. Anche a lui stesso.
-Un patto è un patto - esordì un’altra sirena, dalla cresta blu scuro, avanzando verso di lui. -Vuoi davvero...
-Sì.
-Sei così sicuro?
-Sì. Voglio essere libero - si morse il labbro inferiore.
-Va bene, come vuoi. Avvicinati alla nostra acqua sacra. E non fare rumore. – Gli intimò la creatura, mentre le sue sorelle si ritiravano nuovamente nelle tenebre. -Inginocchiati.
Sulfus obbedì. La sirena gli accarezzò il volto con una gelida mano, e il devil ebbe conferma dei suoi sospetti. La pelle della sirena era gelida come il ghiaccio, e dura come il diamante. Ma, del resto, non erano creature normali. E poi non si sarebbe tirato indietro proprio adesso.
Poi, mentre la sirena lo fissò con un sorriso sadico stampato sulle labbra sottili come lame di coltello, si sentì parte di un gioco... un gioco pericoloso. Un gioco che non poteva in alcun modo controllare, e neppure comprendere.
Mai affermazione si rivelò più veritiera.

 
 

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Capitolo 11
*** Inquietudini ***




11. Inquietudini
 
 “Quanto forte può essere il dolore? E con quanta forza può un sogno spingerci a fare cose a dir poco impensabili? Impossibili? Eppure era proprio quello che stava accadendo, senza che nessuno lo sapesse... o meglio, senza che nessuno lo capisse. Lo stava facendo un’anima più grande delle altre, un’anima capace di amare, capace di rinunciare persino alla sua stessa vita, per amore... se solo qualcuno lo avesse capito in tempo...”
 
 
Sulfus si trovò di fronte alla creatura che lo aveva condotto sino all’acqua sacra. Un intenso odore salmastro gli aveva inondato le narici, ed un freddo gelo gli insidiava la pelle e il cuore.
Gli era stato chiesto di inginocchiarsi, e lo aveva fatto.
La sirena si voltò di nuovo verso di lui, fissandolo con i suoi inespressivi occhi d’argento, la pinna della testa che ondeggiava con il vento.
-Sei ancora così sicuro?
-Sì.
-Sai che potresti morire, vero?- sibilò.
Sulfus deglutì. -Sì, lo so. – chinò la testa, e i capelli scuri gli ricaddero sul volto.
-Bene. Se sei così sicuro, noi ti aiuteremo. Sorelle, ascoltate! – Gridò la sirena, rivolta alle altre creature, spalancando le braccia verso il cielo, un’espressione di soddisfatta crudeltà tinta sul volto. -Il ragazzo ha deciso. Vuole essere aiutato.
-Come lui vuole, così sia!- Ripeterono le sirene, facendo tremare ogni cosa, e Sulfus si sentì profondamente spaventato, perché non riusciva a vederle, e si ha sempre paura di ciò che non si può vedere. Puro istinto naturale.
La sirena dalla cresta blu si chinò su una roccia e ne staccò una conchiglia ben levigata, di un color verde lucente. Era cava, e la usò per raccogliervi gocce preziose di acqua sacra. Dopodiché si voltò, incrociando di nuovo i terrorizzati occhi color ambra del ragazzo. Gli porse la conchiglia.
-Bevi - Gli ordinò. Lui prese la conchiglia con le mani tramanti a coppa, e bevve lentamente. Il sapore era acido e forte. Non appena ebbe bevuto tutto, si sentì pervaso da una scossa terrificante e venne travolto da spasmi dolorosi. Lasciò cadere la conchiglia e si sentì tremare incontrollatamente.  Cadde carponi a terra.  Le ali gli vibrarono, e si sentì come se stesse girando in un vortice senza fine. Un vortice buio.
Chiuse gli occhi, e quella sensazione non cessò. Si sentì sprofondare. Si accasciò, tenendosi il ventre con le braccia, quasi a volerne fermare il dolore, che ormai gli attanagliava le viscere. Il dolore era allucinante, e la sua vista ne era offuscata.
-Come ti senti? – Chiese la sirena, e a lui il suo tono risultò ostile, gli sembrò che si stesse prendendo gioco di lui. E probabilmente era proprio così.
-Male... malissimo...- ansimò, ad occhi chiusi, cercando di trattenere i conati di vomito.
Cosa c’era di tanto terribile e potente in quell’acqua, da fargli un effetto simile?
La sirena rise, sprezzante ma quasi intenerita, e si chinò su di lui, accarezzandogli il ventre.
-Credevi che sarebbe stato facile? Non può essere facile, non in questo modo... è difficile, e fa male...- Disse con un sibilo. Gli sollevò la maglietta, rivelando la pelle bianca livida del suo ventre.
Un brivido di puro terrore gli corse lungo la spina dorsale.
-Devi sopportare il dolore...- Gli pose una mano sul ventre e quella s’illuminò, ed il devil si sentì avvolgere da un dolce calore, ma anche da un terrificante  e bruciante dolore. -...Devi resistere...- Mormorò ancora la creatura, cercando di mostrare comprensione per il suo dolore, ma Sulfus avrebbe scommesso che ci godesse. -...Poi avrai quello che vuoi e che tanto desideri diventare...-
Giusto. Stare con Raf.
Cercò di concentrarsi profondamente sul pensiero di lei. Raf, Raf, Raf. Cercò di aggrapparsi a lei, al suo nome, al suo roseo e dolce volto, i suoi occhi blu come il mare… cercò di resistere… Cercò di non lasciarsi andare... Ma il dolore era troppo forte, si sentì mancare e collassò. Eppure, nonostante avesse perso i sensi, il suo corpo continuava ad essere percorso da brividi di dolore.
-Noi lo faremo! Noi lo aiuteremo, perché ci ha portato il potere! – Sentenziarono le sirene, insieme, ma lui non poteva più sentirle. Ancora una volta unite, ancora più potenti. Ora e sempre...
-Nel nome di Layadda… LUI ANNULLERA’ SE STESSO! 
 
Poco dopo, Sulfus si aggirava, silenzioso come sempre, nei corridoi della Golden School. Tutto normale, dunque?  All’apparenza, sì.
Peccato che così non fosse. Tutto era diverso. Lui era diverso. Non era più lo stesso di sempre. C’era qualcosa, dentro di lui. Una sorta di malinconia mista al dolore atroce, e quei terrificanti conati che lo scuotevano.
Non era più tanto sicuro che quello che stava facendo fosse proprio quello di cui aveva bisogno. Ma l’avrebbe reso davvero libero, facendolo diventare ciò che altrimenti non avrebbe potuto essere mai? Non avrebbe saputo rispondere.
Cercò ancora di concentrare i suoi pensieri su Raf, cercò ancora disperatamente di non pensare al dolore che lo pervadeva. Ci provò con tutto il cuore, ma quando un dolore atroce ti invade, non è facile distrarsi.
Pensò che forse gli avrebbe fatto bene stare seduto, e così decise di entrare nell’aula dei devil. Del resto, entrare in ritardo era nell’elenco delle cose che, per il momento, meglio gli riuscivano. Non si preoccupò di entrare silenziosamente, non si preoccupò degli sguardi di tutti che si girarono verso di lui, con occhi annoiati e curiosi.
Certo era che doveva essere proprio messo male.
Persino l’insegnante dei devil dopo un po’ lo notò e gli chiese apprensiva cosa avesse. In effetti, al contrario delle altre volte, aveva seppellito il volto fra le braccia, senza mettersi a disturbare in alcun modo, e da parte sua era seriamente preoccupante. Sulfus decise di non rispondere nemmeno, si alzò semplicemente ed uscì, con i pugni stretti, non prima di essere stato fulminato da un’occhiataccia di Kabalé. Chissà che finalmente, fuori, non avrebbe potuto starsene da solo in pace.
In lontananza, vide qualcuno che veniva verso di lui. Forse non avrebbe potuto starsene da solo in pace.
Era Raphitya, la quale non si era neppure presa la briga di entrare in classe. Non aveva voglia neppure di stare seduta, e così se ne stava a bighellonare per i corridoi.
-Ciao, Sulfus! Anche tu da queste parti?- Chiese in tono amichevole, dandogli una pacca sulla schiena, ma lo face in modo tanto forte da farlo barcollare, anche perché il ragazzo era già privo di energie. -Che brutta cera che hai!- Commentò, con molta schiettezza, squadrandolo dall’alto in basso. -So che in genere noi devil mentiamo, ma permetti che ti dica sinceramente cosa penso?- Chiese, passandosi una mano tra i capelli rosso fuoco.
Lui sollevò lo sguardo e la fissò torvo nei suoi occhi neri, profondi come un’inquietante notte senza luna. Si stringeva le braccia attorno al petto, il volto rosso dal dolore. Non rispose, ma tanto lei parlò comunque.
-Mi sembri decisamente messo male. Hai una gran brutta cera, se vuoi posso prestarti il mio specchio, così lo vedi da te. Sei sicuro che sia tutto a posto?- Chiese, infine. Sulfus non ritenne i commenti proprio gentili, ma si astenne dal rispondere. In un certo senso fu meglio così, perché il dolore lo faceva sragionare, e non sapeva cosa sarebbe stato capace di dire. Probabilmente non sarebbero state cose gentili.
Fu scosso da un altro tremito dovuto ad un conato, e cercando di trattenerlo si accasciò a terra, mettendosi carponi, ed emise un singulto soffocato. La diavoletta si chinò accanto a lui, reggendosi con una mano sul pavimento. Lui respirava a fatica, e aveva  gli occhi sbarrati, come se fossero fissi a guardare qualcosa che poteva vedere solamente lui. Un terrore lontano ed invisibile.
Raphitya lo notò e, preoccupata, gli pose una mano sulla spalla.
-Ti capita spesso di sentirti così male? – Lui scosse debolmente il capo. -Allora alzati. Ti porto in infermeria.- sentenziò, alzandosi ed aspettandosi che lui facesse lo stesso.
Ma lui rimase carponi, non si mosse. Si voltò solamente verso di lei ed urlò: -No!
La ragazza ci rimase di stucco. -Ma io voglio solamente aiutarti...- Balbettò lei, le mani sui fianchi.
Ed era vero. Lei sapeva benissimo come ci si sente, a non essere mai aiutati. Lo sapeva meglio di chiunque altro…
-Ma io... non voglio essere aiutato...- Mugolò dal dolore, rialzandosi piano. Barcollando, si allontanò verso la stanza dell’incubatorio, poggiandosi con le mani al muro. Raphitya rimase semplicemente a guardarlo, da lontano, poggiandosi al muro con la schiena, le braccia incrociate sul petto, e scosse la testa, con quella sua espressione misteriosa sul volto.
Aveva intuito che stava macchinando qualcosa, ma non avrebbe saputo dire che cosa. Lo aveva capito dal suo sguardo, luminoso nonostante il dolore. Conosceva bene quello sguardo, oh se lo conosceva... Ma era lontanissima dall’immaginare ciò che stava facendo.
E anche lui stesso era lontanissimo dall’immaginare che stava aiutando le sirene nel loro terrificante piano di rapire la Minaccia e la Salvezza, che era proprio Raf. Lui, Sulfus, il devil che amava alla follia quella angel, tanto da essere disposto a morire per lei, senza saperlo stava prendendo parte ad un piano che le avrebbe fatto rischiare la vita!
Se solo lo avesse saputo… Se solo si fosse fermato in tempo…
 
 
La campanella del mezzogiorno suonò come il suono di mille campane a festa per Urié, che doveva incontrare Florian, e così si catapultò letteralmente fuori dalla porta ad una velocità spaventosa, sotto lo sguardo attonito del professor Arkan, il quale si raddrizzò gli occhiali sul naso, confuso.
Non che lui ne capisse molto, di cose del genere.
Mentre tutti gli altri angel abbandonavano l’aula per dirigersi alla mensa, chiacchierando allegramente ma con garbo, Raf rimase al suo posto. Quando anche l’ultimo angel ebbe lasciato l’aula, si alzò e si avvicinò al prof, unico rimasto oltre a lei.
-Cosa c’é?- chiese lui, senza sollevare lo sguardo dal registro.
-Professore, devo parlarle - Sentenziò, con un tono che chiaramente non avrebbe ammesso un “No” o un “Più tardi” come risposta. Il professore sollevò lo sguardo. Capì che era una cosa urgente, ed annuì. –Professore… mi è capitato, sia l’altra notte sia alcune notti fa, di sognare mia madre... –
Arkan strabuzzò gli occhi. -Come? La tua... vera madre? Angelie?
 La ragazza annuì. - Esattamente. E mi ha detto alcune cose molto strane che mi riguardano, e che vorrei che mi aiutasse a comprendere.
Il professore annuì, più agitato. - D’accordo. Però devi raccontarmi tutto quello che ricordi.
-Rammento ogni dettaglio - disse, secca.
-Perfetto. Allora inizia... parla con calma. - Lo disse, perché sapeva bene che con i sogni non si scherza, basta il più piccolo trauma per dimenticare qualcosa, ma lui voleva sapere ogni dettaglio, prima che dimenticasse particolari importanti.
Ed ascoltò, parola dopo parola, sempre più inorridito, il racconto di Raf, mentre lei lo informava che lei stessa era la Minaccia e la Salvezza, senza neppure immaginare l’immensità della terrificante notizia che gli stava comunicando.
 
 
-Raggio di Sole! Finalmente sei arrivata! Oh, sarei morto se tu non fossi venuta! – Disse Florian, mettendosi una mano sul petto, con fare melodrammatico, facendo arrossire Urié.
-Ehm... invece eccomi qua!- esclamò, con un mezzo sorriso, per rompere l’imbarazzo.
Florian sorrise, raggiante di ingenua felicità. -Oh, tesoro! Sole di lucente bellezza! Ho preparato un tavolo solo per noi, nell’attesa!
-Uh, ehm...- Balbettò Urié, guardando quello che avrebbe dovuto essere il tavolo. Ma del tavolo non c’era più nulla. Ormai c’erano solamente fiori, e sulle sedie solamente morbidi cuscini.
Con un mezzo inchino, la invitò a sedersi. Lei accettò volentieri. Cercò di mettersi a sedere decentemente, ma sprofondò goffamente tra i cuscini. Florian rise, e Urié sbuffò.
-Mi dispiace. Pensavo che l’avresti apprezzato, piccolo fiore di Loto. - Mormorò, avvilito.
Le dispiacque vedere i suoi splendidi occhi azzurri velati di tristezza, e gli pose la mano sulla spalla.
-Oh, non ti preoccupare! Va tutto benissimo!- Lui abbozzò un sorriso. -Però smettila con gli appellativi sdolcinati, va bene?
Lui la guardò, confuso. -E come ti dovrei chiamare?
-Forse, semplicemente con il mio nome!- propose la ragazza.
-Ma non è un po’ semplice?
-Non ti piace il mio nome? – Chiese lei, indignata.
-No no, mi piace, sembra il nome di un fiore!- Si corresse immediatamente lui.
Urié sembrò approvare. -Oh, beh... bene allora.- Disse, ammiccando.
-Corro a prendere il cibo, tu non alzarti. – Disse con una galanteria che Urié apprezzò.  -Cosa vorresti?
-Quello che prendi tu andrà certamente benissimo.
Lui le lanciò una strana occhiata ambigua. -No, non credo che apprezzeresti la mia dieta.
-Vuoi dire che sono grassa?- Chiese la angel dagli occhi chiari, furiosa.
-No, no!- Si scusò. –Volevo dire che non gradiresti i miei stessi alimenti... abbiamo gusti particolari, noi francesi.
Ci fu un attimo di silenzio imbarazzato.
-Scusami, ho frainteso... allora  prendimi una fetta di torta, e poi panna nuvoletta e biscotti stellina!
Lui annuì, soddisfatto. -Sarò di ritorno in un attimo!
L’attimo passò. Ne passarono due. Passarono dieci minuti. Passò un quarto d’ora. Urié stava per alzarsi, quando lo vide arrivare da lontano. Sorrise.
-Eccomi!- Disse lui, allegro.
-Eccoti, finalmente! Ce ne hai messo di temp... oh!- esclamò, osservando il piatto che le mise davanti Florian. -Ma come... come hai fatto?- chiese lei, commossa.
Sulla torta, con panna nuvoletta e biscotti stella spezzettati, Florian aveva ritratto il suo volto. Era splendido!
Lo fissò negli occhi. –Che pensiero dolce, grazie! – Esclamò, addolcita. -Ora però adesso sarà un peccato mangiarla!-Aggiunse.
-Aspetta- Florian prese una macchinetta fotografica dalla tasca, e si sedette accanto ad Urié, in modo da fotografarsi insieme a lei e alla torta.
-Che forza! Anche io ho una macchinetta fotografica uguale! La Digidream! – esclamò.
L’angel dai lunghi capelli biondi e i lineamenti delicati sorrise. -Ma è splendido! E’ un’altra cosa che abbiamo in comune, no?-
Anche la ragazza sorrise, dopodiché si mise in posa. Poi il ragazzo tornò al suo posto, e mentre lei iniziava a mangiare, sbirciò il suo piatto. Per poco non vomitò.
Vedendo il suo sguardo disgustato, Florian si scusò.
-Queste sono lumache... noi le adoriamo, in Francia. Te l’ho detto che abbiamo gusti particolari, noi francesi!
-E la bevanda nerastra cos’è? - Chiese, cercando di mostrarsi gentile, cosa che molto probabilmente non le riusciva molto bene...
-Oh, quella è semplicemente una Tisana Digestiva all’anice!- esclamò. Urié non riuscì a nascondere il suo disgusto. -Eh, te l’avevo detto, che ho gusti particolari... – ripetè.
-Non ti preoccupare, non importa!- Disse lei.
Dopo che ebbero mangiato, al suono della campanella Florian si propose di riaccompagnarla in classe, ma lei rifiutò, arrossendo.  Mentre tornava alla sua classe, pensò che lui era veramente un ragazzo molto strano e... originale, senza alcun dubbio.
Per tutte arriva il momento di avere un fidanzato, ma Urié non sapeva con certezza se, per lei, quel momento fosse arrivato. Aveva bisogno di fare chiarezza fra i suoi sentimenti...
Semplicemente, aveva bisogno di tempo.
Al contrario di un certo devil, che invece aveva fatto chiarezza nel suo cuore, e sapeva che la sua vita sarebbe potuta essere felice solamente con una persona... Solamente con lei...
E per questo era disposto a rischiare il tutto per tutto.
Quel devil era un ragazzo coraggioso, profondamente e seriamente innamorato, disposto anche a morire, per vivere con la ragazza che sognava.
Quel devil, ovviamente, era un ragazzo di nome Sulfus.

 
 
 
 
 

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Capitolo 12
*** Terribili forse ***


 


12. Terribili forse
 
“Spesso siamo sospesi tra i forse delle nostre scelte. E quando scopriamo di essere importanti, di avere un ruolo determinante per tutti, ma un ruolo che non vorremmo interpretare... allora, cosa fare?”
                                                  
 
-Minaccia e Salvezza, Minaccia e Salvezza, Minaccia e Salvezza...- ripeté Arkan convulsamente, camminando avanti e indietro sotto lo sguardo stranito di Raf. Il professore era sconvolto.
-Le lezioni sono sospese!- Tuonò il professore agli angel che stavano rientrando nell’aula. -Andate ad occuparvi dei vostri terreni!
 In quel momento stava per entrare Urié, ed incrociò lo sguardo di Raf. Lei le fece cenno di andare via, e le disse a gesti che le avrebbe spiegato più tardi. La angel annuì ed uscì fuori dalla stanza. Raf invece restò ferma dov’era e osservò il professore che stava preparando la sua borsa con i libri in fretta e furia.
-E io? Cosa devo fare, io?- Chiese preoccupata, allargando le braccia.
-Tu... tu vieni con me – Sentenziò il professore. Un attimo dopo erano nel corridoio, e Raf faceva fatica a stare dietro al professore, che correva quasi, tanto era agitato.
-Ma dove stiamo andando?- Chiese, con voce ansimante.
-Dalla professoressa Temptel. Purtroppo devo parlarne anche con lei, si tratta di una cosa gravissima.- Il professore accentuò il tono sulle parole “Temptel” e “gravissima”, per sottolineare che erano le cose che gli dispiacevano di più.
Raf stette in silenzio per un po’, infine disse, debolmente:-Io potrei aspettare fuori, mentre lei chiama la professoressa?
Arkan la squadrò con uno sguardo interrogativo, ma si limitò ad annuire.
La professoressa, a dire il vero, la trovarono quasi subito, non fu necessario entrare nell’aula dei devil.
Lei si stava molto tranquillamente concedendo un caffè bollente in una tazzina di un orribile violetto scuro, dalla maniglia a forma di una terrificante aletta di pipistrello. Una cosa che Raf ritenne assolutamente di pessimo gusto. Dalla classe, lasciata allo sbaraglio, provenivano terribili urla.
La professoressa si girò a guardare i due angeli che venivano verso di lei con sguardo seccato.
-Brutto segno- Sentenziò, scuotendo la testa. – Quando un angel... anzi, quando addirittura due angel arrivano quaggiù, è veramente un brutto segno.-Concluse acida.
-Ha proprio ragione, infatti le assicuro che se la situazione non fosse stata veramente grave non saremmo mai venuti sin qui – Disse Arkan, franco.
- Ovviamente!- Disse la Temptel, sorseggiando l’ultimo sorso di caffè.
Nel frattempo, Raf vide che qualcuno si era affacciato alla porta, e così si voltò.
Era Sulfus, il quale aveva deciso di tornare in classe. Poi però, infiammato dal dolore, si era affacciato alla porta... ma non si aspettava di vedere proprio lei, che lo fissava con intensità e sembrava una luminosa visione di sgargiante bellezza che mozzava il fiato.
Si sfiorarono con lo sguardo, anche se entrambi avrebbero voluto farlo veramente. Incrociarono i loro sguardi. Lei nei suoi occhi lesse il dolore, lui nei suoi una cupa preoccupazione. Lui osservò la forma perfetta delle sue labbra, il movimento leggero e delicato dei suoi capelli agitati da un soffio di vento leggero che spirava da una finestra, la curva morbida delle sue spalle... il luccichio gioioso dei suoi occhi quando incrociava i suoi.
Lei si soffermò sulla forma delicata dei suoi occhi, sulle dolci curve del profilo del suo viso, le labbra che si dischiudevano in brevi sorrisi che regalava solo a lei, i capelli scuri come una notte senza luna nei quali si rifletteva una luce irreale.
Un momento perfetto. Perfettamente sospeso, perfettamente irreale, fuori dal mondo, dallo spazio e dal tempo. C’era tutto ma non c’era niente. La distanza quasi non c’era, eppure non potevano avvicinarsi... non ancora.
Fermi, l’uno dinanzi all’altra, vicini ma irrimediabilmente lontani, inevitabilmente impossibile avvicinarsi.
Anche se i due professori stavano parlando, in quel momento, se qualcuno si fosse messo in ascolto, avrebbe sentito un suono che sovrastava la loro animata discussione, il chiacchiericcio delle classi, le urla, qualsiasi cosa: ossia i battiti infuriati dei loro cuori lontani, mentre non facevano altro che guardarsi negli occhi, distanti ed avvolti da un atroce, doloroso, insopportabile, insuperabile silenzio.
Ad un certo punto, il ragazzo si piegò su di sé, la mano contro la parete per sorreggersi, e soffocò un gemito: era come se una lama di coltello gli avesse appena trapassato il ventre. In quel momento, distolse lo sguardo da lei.
Raf venne assalita da due istinti opposti: il primo, angelico e protettivo, di correre da lui, stringerlo fra le braccia e chiedergli perché stesse così male, accarezzargli i capelli, consolarlo… o semplicemente stargli accanto, in silenzio, tenendogli la mano.
Il secondo, razionale e scostante, le ripeteva che non poteva, che non doveva abbracciarlo, o andargli vicino, ed era sempre quell’istinto che la faceva sentire in colpa per il solo motivo di amarlo, per il solo motivo di pensare di stringerlo a sé.
Poi lui iniziò a sentirsi peggio, e sentì che stava per cadere a terra. Trattenendo un conato di vomito, rientrò nella sua aula, non prima di averle scoccato una lunga e penetrante occhiata piena di dolore, perché non voleva farsi vedere così da lei. E ruppe così l’incanto di quei fragili, stranissimi istanti magici, terribili e dolorosi.
Lei tirò un sospiro di sollievo, ma non riuscì a calmarsi. Il cuore le martellava ancora nel petto, e si sentiva le guance talmente calde che le sembrò di essere tra le fiamme. Era una sensazione soffocante. E anche inebriante. Non poteva sapere che quella era la stessa sensazione che provava lui, cioè pensava che anche lei era inebriante. Pensava anche che era dolorosissimo che non potessero stare neppure vicini...
Ma lui e solo lui sapeva che l’impossibile sarebbe presto accaduto. Però ancora non poteva lontanamente immaginarne i danni.
Se solo lo avesse saputo...
Se solo…
-Che questione? Quanto delicata?- chiese la Temptel, agitando per aria la tazzina, riportando Raf alla momentanea realtà di un mondo crudele senza amore.
-Tanto da non parlarne qui, adesso. Non credo che sia una cosa breve.- disse Arkan, guardandosi attorno, sospettoso. – Se potesse venire nel mio ufficio...- Lei annuì, roteando le pupille.
-Mi dia solo un attimo, collega... Gas!- strillò la prof, ed il ragazzo era già lì un attimo dopo.
- Ordini pure, Professoressa!-
-Prendi questa tazza, e mi raccomando: la voglio P-U-L-I-T-A. Non come la volta scorsa. Sono stata chiara?
-Lampante.
-Perfetto. Allora annuncia alla classe questo messaggio: andate a maltrattare un po’ gli angel e a far commettere le scelte sbagliate ai terreni. Le lezioni sono sospese. - Così dicendo si voltò di nuovo verso i suoi interlocutori. -Benissimo. Andiamo!
Così i tre volarono verso lo studio del professor Arkan.
I devil e gli angel dovevano occuparsi dei terreni, ma qualcuno aveva qualcosa di diverso da fare.
Quel qualcuno era Sulfus, che era atteso nella Terra Sospesa per la seconda parte del rito.
 
 
-Sei tornato?... qui di nuovo...?
-Sei tornato da noi?
-Sì. - Deglutì, mettendosi in ginocchio.
-Fa male?- Chiese una sirena, fingendo compassione.
-Malissimo- Rispose lui, piegato su di sé. - Non ne posso più... non potremmo fare più in fretta?- Implorò.
Le sirene risero. -Povero illuso! Povero illuso! Credevi fosse semplice? Dipende dalla tua capacità di reagire, dipende dalla tua forza interiore, dipende da molte cose... ma da te, semplicemente da te. Questa è la verità - sibilarono.
Sulfus non riusciva a vederle, ma le sentiva camminare e respirare, ridere, nascoste nella nebbia.
E aveva paura. Una paura terrificante che s’impossessava delle sue membra ogni volta che era in presenza di quelle temibili creature.
Se solo fossero state vere sirene! Ma loro non erano veramente sirene, e quindi buone, ma erano anime amareggiate... o almeno così credeva, esattamente non sapeva cosa fossero.
Non che ci tenesse così tanto, a saperlo, in fondo. A lui bastava che loro lo aiutassero. Certo era che, però, se avesse saputo chi fossero davvero quelle creature, forse si sarebbe sentito meno spaventato.
Ma nel suo cuore, ora, non c’era più posto per la paura.
Povero, povero incosciente! Perché non aveva pensato alle conseguenze? Semplicemente, non aveva pensato assolutamente a niente, ecco perché. Offuscato dal dolore, non riusciva a pensare ad altri sentimenti. Ora non poteva tornare indietro. Non poteva, non poteva, non poteva.
Non poteva!
E la cosa peggiore era che, se anche avesse potuto, già sapeva che non si sarebbe fermato.
Non poteva sapere che questa sua irremovibile decisione gli sarebbe costata cara.
- Ti senti pronto... per continuare?
-Sì.
E s’inginocchiò. Una delle creature si fece avanti. Gli pose la mano gelida sugli occhi…
…e il dolore fu atroce. Potrei dire che fu come se due artigli gli avessero strappato gli occhi, come se due lance glieli avessero trapassati, potrei dire che fu come se qualcuno gli avesse cavato gli occhi... ma non arriverò mai a descrivere veramente quell’inimmaginabile dolore.
Sulfus provò a trattenersi con tutte le sue forze, ma non ce la fece.
Urlò. Un urlo che invase tutta la grotta gelida, e fece rabbrividire persino l’acqua.
Il suo dolore riempiva la grotta, ma sembrava che non sfiorasse minimamente le sirene, impassibili e gelide come sempre, simili ad involucri vuoti.
-Per cancellare la vista che hai posseduto finora... Per annullare il tuo modo di vedere... Per cambiare la tua vita... Per ANNULLARE TE STESSO...
Quelle ultime parole lo fecero tremare. - E così sia...- balbettò.
- Più forte!- Gli intimò la sirena, prendendogli la testa per i capelli.
-E così sia!- urlò il devil, più forte, trattenendo le lacrime.
-Ora va bene – sibilò, con evidente soddisfazione, rilasciando la testa del ragazzo.
Sulfus venne lasciato cadere bocconi a terra. La testa gli pulsava in modo terrificante, e tremiti lo avvolgevano. Gli occhi erano trafitti da un dolore che nemmeno conosceva.
-Non aprire gli occhi per un’ora. O potresti perdere totalmente la vista.
Lui deglutì ed annuì. Abbassò la testa e tornò sulla terra, in preda agli spasmi. Poco dopo, batté la testa contro qualcosa... Chissà cos’era. Ma era nella sua stanza, perciò con tutta probabilità si trattava di una mensola.
Avanzò a tentoni nella stanza, sino ad arrivare al letto, e si accovacciò lentamente su di esso, tremante. Sommerse il volto fra le mani e si abbandonò a sonni pieni di incubi, mentre gli spasmi continuavano ad avvolgerlo da capo a piedi. 
Solo, abbandonato da tutti e da tutto.
Solo nel tempo, solo nello spazio, solo in una stanza.
Solo nel mondo.
Solo.
E nel sonno pianse, pianse lacrime nere. Ma non poteva ancora vederle.
 
 
-Vorrei proprio sapere il perché di questa convocazione!- Sbuffò la Temptel, limandosi le unghie, seduta su una comoda poltroncina rossa.
Arkan si prese il volto fra le mani. –Ti dice niente Minaccia e Salvezza? La profezia?
La Temptel si accarezzò il mento socchiudendo gli occhi, come se cercasse la risposta a quel quesito in un lontano passato nel quale non riusciva a vedere che una fitta nebbia che rendeva tutto indistinguibile.
- No - Ammise infine, con uno sbadiglio.
-Sforzati! – Incalzò lui, allungandosi sulla scrivania nella sua direzione.
Lei scosse la testa. -Mi spiace collega, ma non ricordo nulla...- ad un certo punto, però, le si illuminarono gli occhi. -Sì! Minaccia e Salvezza! Ma certo!
-Ti ricordi?- Chiese Arkan, speranzoso.
-No, ma adesso ricordo perché non ricordo. Non l’ho mai imparato. Non mi sono affatto presentata a quell’esame. Mi bocciarono. Era l’esame finale. Ed ora sono qui. Che orrore, quel giorno! Lo ricordo benissimo!- Esclamò, con aria dolcemente persa nei ricordi.
-Male, non ricordo neppure io di questa strana profezia. Rammento solo che è una cosa importante e grave che potrebbe riguardarci tutti.
 La prof rise. -Ma guarda! L’angel che non ricorda una profezia imparata per un esame! E’ la prova che studiare non serve a nulla, tanto dimentichi le cose! Dovresti fare come faccio io, che mi godo la vita!
Lui si risistemò gli occhiali sul naso, contrariato. -Ho studiato la profezia trecento astri fa. E’ anche abbastanza normale che io non mi ricordi!- Ribatté infastidito, scoccandole un’occhiata acida.
-Se nessuno di voi due si ricorda, ci penso io- Esordì Raf, alzandosi.
-E come?- Chiese Arkan.
-Semplice: Urié due giorni fa mi ha prestato il libro che parla proprio di quella profezia, e adesso è sul mio comodino! Possiamo leggere lì e tutti i problemi saranno risolti!
-Fantastico, che splendida idea! Corri a prenderlo, allora!
Lei annuì, e volò fuori dalla stanza.
-Splendida? A me sembra una PESSIMA idea, detesto leggere!- Commentò la Temptel con una smorfia, mentre Arkan seppelliva il volto fra le mani dalla disperazione.
 
 
Quando Raf arrivò nella sua stanza, non impiegò molto a capire che c’era entrato qualcun altro prima di lei. Qualcuno che non era certamente Urié.
Rimase impietrita sulla soglia, sentendosi sola e terrorizzata. Ogni cosa era a soqquadro, niente era più al suo posto.
Fu questione di un attimo, la ragazza non ebbe il tempo di chiedersi nulla: si trovò all’improvviso di fronte ad una creatura ricoperta sino ai piedi da una lunga veste di sacco. La creatura si sfilò il cappuccio... e quando vide il suo volto Raf si sentì tremare dalla paura. Era un volto orribile. Il volto di una donna pelata sulla cui testa troneggiava una grande criniera sfavillante rosso fuoco, e al posto degli occhi splendevano due sfere luminose.
Inquietante.
Raf non riusciva a muoversi, non riusciva a parlare, neppure a distogliere lo sguardo.
Passò un secondo.
Ne passarono due.
Tre, quattro, cinque secondi di pura e totale immobilità nel silenzio. Come quando aveva incrociato gli occhi di Sulfus. Ma era ben diverso dal guardare gli occhi di Sulfus, che era bello come guardare il Sole: perché entrambi sapevano che non avrebbero dovuto farlo. Sapevano che era dolcemente impossibile… come guardare la luce, appunto.
Ma guardare quegli occhi no. Guardare quegli occhi era diverso… era come guardare in faccia alla morte. Raf non avrebbe saputo dire perché, ma era così, guardare quegli occhi era proprio come guardare la morte trasfigurata dal riflesso del dolore.
La creatura ad un certo punto sollevò le mani (e Raf vide che in una stringeva proprio il libro che era andata a prendere) e ne allungò una verso di lei. Mormorò qualcosa e la angel cadde, svenuta.
 
 
-Quanto ci mette, la tua angioletta? Doveva prendere solo un libro, lo sta fabbricando, per caso?-Sbottò la prof, dopo un quarto d’ora che Raf non tornava.
-Mah… mi sembra strano che non sia già tornata!- Disse Arkan. -Secondo me è meglio che andiamo a controllare.
-Sì, mi farà bene sgranchirmi un po’ le gambe.
-Ma voi devil non siete quelli che non si preoccupano del male?
-Del male degli altri- puntualizzò lei. – Ma del nostro bene sì. Ovviamente!
Poco dopo arrivarono alla stanza di Raf, dove la ragazza giaceva sulla soglia, svenuta.
-Per tutte le basse sfere! Cos’è successo?- Chiese la Temptel, che tutto si aspettava  tranne che ciò che vedeva.
-E’ svenuta.- Constatò Arkan, prendendola fra le braccia un po’ rozzamente.
-Sì, questo lo vedo! – Commentò indispettita la prof. –Mi chiedevo come potesse essere successo!
Come era successo, glielo spiegò Raf in infermeria, poco dopo, appena riprese i sensi.
A racconto concluso, nessuno dei due prof voleva proferire parola al riguardo. Non era un bell’argomento, quello delle sirene. Non bello da apprendere per una semplice stagista.
Ma Raf voleva sapere. E così, Arkan le spiegò che quelle creature erano anime del Purgatorio cadute in tentazione, che non sarebbero mai arrivate al Paradiso, e vivevano sospese in eterno Limbo, in una sorta di dolorosa palude. Ognuna era dipendente dall’altra. Se una soffriva, soffrivano tutte. Tranne una… la cui leggenda diceva che fosse particolarmente potente, e che potesse stare separata dalle altre. Ma era incorporea, fatta di spirito. Dunque le sirene avevano promesso che, un giorno, avrebbero trovato l’anima più grande di tutte, la Minaccia e la Salvezza, per donarla allo spirito della creatura più potente di tutte.
-E come si fa a prendere un’anima?- Chiese Raf, deglutendo.
-Serve la sfera di vetro smerigliato, che dona loro incredibili poteri… Loro daranno l’anima potente allo spirito, per essere liberate. E se si sono attivate per cercare il libro e scoprire chi sia la Minaccia e la Salvezza, significa che ora ce l’hanno.
-Ma come hanno fatto a procurarsela, se prima non potevano muoversi dal Purgatorio?- Chiese giustamente Raf. I professori tacquero.
A questa domanda, loro non sapevano rispondere.
A quella domanda, poteva rispondere solamente una persona…
Raf aveva paura, terribilmente paura. Paura per sé,  ma presto… presto avrebbe scoperto che avrebbe dovuto avere paura per tutti. Perché tutti erano in pericolo.
Dal primissimo all’ultimissimo angel.
Dal primissimo all’ultimissimo devil.

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Capitolo 13
*** Domande senza risposte ***


Voglio chiedere scusa a tutte le lettrici per il ritardo nell'aggiornare...  non mi ero assolutamente resa conto del tempo che passava. 
Spero che questo capitolo vi piaccia!
13. Domande senza risposte
 
“ Le domande... sono terribili. E’ terribile avere centinaia di domande che ti affliggono, senza avere le risposte... ti sembra di sentire un vuoto dentro, simile ad un nulla nel quale ti perdi...”
 
 
Sulfus si rialzò il mattino dopo, dolorante. Scivolò giù dal letto, piano, a tentoni. Vedeva ancora poco, e distingueva appena i colori. Gli sembrava di vedere attraverso un velo nero sbiadito. 
Piano, lentamente, si avvicinò all’armadio e aprì l’anta per osservarsi allo specchio. Soffocò un gemito di terrore quando comprese che la terrificante immagine che gli regalava lo specchio era proprio la sua. Era il suo volto, quello.
E quelli erano i suoi occhi.
E quelle, erano le sue lacrime.
Lacrime nere. Nere come la pece, nere come il petrolio, nere come l’ebano.
Nere come il nulla più oscuro.
Era terribile, terrificante, peggio di quello che potesse immaginare.
Se le sfiorò con le dita: sembrava acqua nera, che gli macchiò le dita. Corse in bagno, evitando per un puro caso fortuito di centrare la porta, prese l’asciugamano e si lavò gli occhi, e le guance, e tutto il volto. Quando riaprì gli occhi, si avvicinò meglio allo specchio...
...ed ebbe veramente paura.
I suoi occhi erano neri. Fece un balzo all’indietro, si chinò sul lavandino e vomitò.
Vomitò sangue nero.
Quando si risollevò, emise un gorgoglio profondo. Sbatté le palpebre, disperato e tremante. Singhiozzò. Perché, perché era così doloroso trasformarsi? Perché le cose non potevano essere più semplici? Perché tutto doveva essere dolorosamente difficile? Tremò in modo incontrollato, appoggiandosi al lavandino. Chiuse gli occhi, perché gli bruciavano. Le sue ali tremarono dal dolore. Lasciò che le lacrime gli scorressero sulle guance, acide di dolore… non ci provò neppure a trattenerle. Si accasciò a terra, e si prese la testa fra le mani. 
Cosa stava diventando? Cosa aveva mai accettato di fare? Era troppo pericoloso, avrebbe dovuto capirlo prima. Ma ormai era tardi per tornare indietro… e comunque non voleva.
Ah, quanto gli sarebbe costata cara questa scelta! Ben più di quel che stava già sopportando! Quanto si era ridotto in basso!
Ma non gli importava, era disposto a tutto, per lei. Oh, come, come si può arrivare a fare le cose più folli,  pazze, strane, le cose più assurde per i sentimenti? Per amore?
 Non lo so, e non voglio essere io a rispondere, d’altra parte. Ma neppure colui di cui stiamo narrando le vicende intendeva rispondere a quella domanda. Domande, domande ancora domande senza risposte precise.
Anche l’amore, del resto, era strano. Era un sentimento strano, nuovo per uno come lui che non aveva mai amato veramente nessun’altra ragazza, prima di Raf. Un sentimento che aveva poco o niente da spartire con la ragione, e che aveva un che di irrazionale e pericolosamente tendente alla follia più assoluta...
- Sulfus! Esci fuori da lì! Ma stai dormendo? Se non esci Kabalé mi farà allo spiedo, muoviti!- Strillò Cabiria bussando per l’ennesima volta alla porta. Cavoli, Sulfus non l’aveva sentita neppure una volta. Sentì Kabalé che bisbigliava qualcosa di arrabbiato contro Cabiria, del tipo “taci, ma cosa ti metti a dire?!” o cose simili.
-Arrivo - Mugolò. Non doveva destare sospetti. Ma come avrebbe fatto, a farsi vedere con gli occhi neri?
…Occhiali da sole, giusto! Era abbastanza sicuro di avere ancora quegli orridi occhiali arancio fluo che gli aveva regalato Gas per il compleanno di 15 lampi. Erano veramente orribili, da dare il voltastomaco solo a vederli, ma era la sua unica speranza per non farsi scoprire. Rovistò nel cassetto, velocemente, e fu sicuro di averli trovati quando afferrò una cosa arancione che aveva la vaga forma di un paio di occhiali. Eh sì, purtroppo la vista andava e veniva. Pazienza!
Se li mise e aprì la porta. Un braccio (di Kabalé, sicuramente) lo tirò fuori in modo rude dalla sua stanza, comportamento che lui non ritenne particolarmente gentile. Inoltre già si sentiva male, ed ogni più piccola cosa gli sembrava insopportabile. Cercò comunque di contenersi.
 
Stavano camminando.
Che strano modo di orientarsi, Sulfus non si era mai sentito così sperduto in vita sua come quella volta. Però pensò che, se al posto di Kabalé e Cabiria ci fosse stata una persona sola, a guidarlo, allora non avrebbe avuto problemi a fidarsi totalmente.
Ovviamente pensava a Raf, ed il pensiero lo addolcì e lo fece sorridere.
-Sono orrendi quegli occhiali da Sole. – Commentò la diavoletta, franca, riportandolo alla realtà.
“Come se non lo sapessi!” Pensò Sulfus.
- Lascia che te li levi.
-No, fermati!- Urlò lui, allontanandosi per impedirle di toglierglieli.
-Cosa c’è? – Chiese Cabiria.
-Niente, niente. Mi dà un po’ fastidio la luce, tutto qui.- Mentì.
-Va bene... Sulfus, devo dirti una cosa seria.- disse Cabiria.
-Detto da un devil, non sembra molto credibile.- Commento, amaro, lasciandosi guidare dal braccio di Kabalé, per non mostrare che non vedeva, ma le due ragazze notavano che sbandava... e si teneva lo stomaco come se gli facesse male...
-Ho sognato un uomo biondo angel ed una donna mora devil con una stella su un occhio e che ti somigliava... erano in una foresta...
Lui si voltò verso di lei. Non la vedeva certamente meglio di prima, ma se cercava un modo per catturare la sua attenzione, c’era riuscita.
-E cos’hanno detto?- Chiese, preoccupato.
Cabiria continuò.- C’erano degli angel e dei devil che li portavano via, e loro due avevano le mani incatenate e si guardavano. Piangendo, la donna devil ha detto che le dispiaceva per tutto quello che era successo, ma l’uomo angel le ha detto, anche lui piangendo, che sarebbe successo comunque, e che era inevitabile, dato quel che avevano fatto. Poi sono stati condotti in una grotta, e sono spariti dalla mia vista. Ad un certo punto sono saltati fuori davanti a me, mi hanno quasi fatto paura, e hanno urlato, all’unisono: “A NOI E’ SUCCESSO. NON LASCIARE CHE ACCADA ANCORA! FERMALO IN TEMPO! DIGLI DI FERMARSI, NON DEVE SUCCEDERE DI NUOVO!”.
Poi mi sono svegliata. Ho subito sentito che dovevo dirlo a te. Non so perché.– Concluse la devil dai lunghi capelli neri.
Lui si bloccò. -No! – Urlò. – Digli che non mi importa se succederà ancora! Digli che continuerò comunque! Digli che ci proverò! Digli... che non mi fermerò!
-Ma che cosa dici?- Chiese Kabalé, inorridita.
- Io non ho alcuna intenzione di arrendermi!- Ripeté il ragazzo, agitato. Cabiria non riusciva proprio a capire.
-Tu hai capito chi erano le persone nel sogno, vero?- Chiese, cauta.
Lui annuì, con un cenno del capo. Erano Tyco e Sai, come non capire?
-Ed hai capito anche a che cosa si riferivano? Hai capito cos’è che non deve succedere ancora?
Lui non rispose. Credeva veramente di aver capito. Forse, Sai o Tyco aveva provato a... e invece non aveva funzionato. Così erano... A loro era successo di non tornare indietro e…  
Ma lui avrebbe provato comunque, rifiutandosi di cedere agli ammonimenti dei due sempiterni nel sogno dell’amica.
Cabiria capì che lui sapeva. - Tu hai capito tutto, vero?- gli chiese, in tono serio e deciso.
Sulfus ancora non rispose. -Io... devo andare da Ang-li. Non posso lasciare Matteo nelle sue mani... devo andare.- Detto questo si voltò, stizzito, con lo stomaco che gli doleva ed una viva preoccupazione che si faceva strada dentro di lui. Poi si allontanò, sbandando.
Cabiria e Kabalé si scambiarono uno sguardo sorpreso e sbigottito.
-Ma che cosa gli prende?- Chiese Kabalé, rivolta più a sé stessa che a Cabiria.
- Non ne ho la più pallida idea. Hai visto come ha reagito male quando gli ho parlato del mio strano sogno?
 La diavoletta annuì. -Certamente! Ma non che prima stesse meglio: la luce che gli dava fastidio agli occhi, lo stomaco che gli doleva, e tutto quel nervosismo!
- Beh, Sulfus non è mai stato un ragazzo particolarmente gentile!- Disse Cabiria, riflettendo. -Tranne con una persona - Concluse.
-Una persona che non può amare - aggiunse Kabalé, con gli occhi furbi.
- E con questo cosa vuoi dire?- Chiese Cabiria.
- Temo che... temo che si droghi.- Disse in tono grave, dando voce ai suoi atroci sospetti. Cabiria strabuzzò gli occhi fuori dalle orbite.
-Come? Credi veramente che Sulfus possa drogarsi? – Chiese, con tono incredulo.
- E’ disperato. Forse sta provando un po’ di sballo per dimenticare... lei.- Mormorò Kabalé, senza avere il coraggio di pronunciare per intero il nome di lei... strano, dato che quel nome aveva solamente tre lettere. Raf.
A volte, un nome può fare più paura di affrontare un mostro.
E’ come guardare in faccia alla realtà, alla paura di non essere mai considerati.
E Kabalé temeva la verità.
Cabiria si mostrò molto incredula nei confronti di quell’ipotesi. - Potrebbe essere una possibilità, ma francamente non credo. Lui non farebbe mai una cosa simile. Noi devil ci occupiamo del male dei terreni, ma del nostro bene. La droga farebbe male a lui stesso, perché mai dovrebbe drogarsi?
-E allora cos’altro potrebbe fare? – Chiese Kabalé, sorpresa dal ragionamento di Cabiria.
- Penso che cercherebbe a tutti i costi un modo per amarla. Non si arrenderebbe tanto facilmente, come un semplice terreno. Forse c’è dell’altro. Sicuramente c’è qualcosa che non vuole dirci. Ma non saprei proprio cosa...
Kabalé si sentì furente. Avrebbe preferito l’ipotesi della droga. -Ma noi siamo i suoi peggiori amici! – protestò. – Perché non ci ha detto niente?
Cabiria scrollò le spalle e sollevò gli occhi al cielo. Poi li rivolse verso una direzione davanti a sé, ed un largo sorriso si fece strada sul suo volto. - Kaiwir! – esclamò, volando ad abbracciare il ragazzo che volava verso di lei, sotto lo sguardo allibito di Kabalé.
Poco dopo le presentò il ragazzo, che era il suo fidanzato.
- E’ un orrore conoscerti, Kabalé.
- Ricambio la scortesia, l’orrore è tutto mio!- Disse Kabalé, stringendogli la mano.
Semplici convenevoli di saluto fra devil, ovviamente. Niente di particolare.
Il ragazzo era abbastanza robusto e piazzato, e vestiva in modo strambo, a metà fra un punk e un emo esagerato. Aveva una cresta rossa come il fuoco, ritta sulla testa, suddivisa in tante candeline dritte ed appuntite.  Kabalé si ritrovò a pensare a come dovesse essere la fodera del suo cuscino. “Tutta bucherellata!” pensò, con un risolino. Aveva profondi occhi neri, che Cabiria definiva profondi come una notte senza luna (ma che in una situazione successiva, Kabalé definì profondi come pozzi di petrolio; con grande disappunto di Cabiria, la quale non le rivolse la parola per giorni e giorni).
I due si stavano abbracciando quando, non si sa da dove, uscì fuori Aracno, emettendo un versetto acuto. Kaiwir, appena lo vide, lanciò un urlo non esattamente virile - insomma, per intenderci, strillò come una femminuccia!- e corse via. Aracno guardò la sua padrona sconcertato, come se volesse chiederle che avesse fatto di sbagliato.
-Tranquillo, Aracno, non è colpa tua- disse Cabiria, sospirando e seppellendo il volto fra le mani.
-Cosa gli è preso, al tuo fidanzato? – Chiese Kabalé, divertita e sorpresa.
 Cabiria le scoccò un’occhiata acida. - Fa sempre così quando vede i ragni... sarà andato a chiudersi in bagno, suppongo!
Kabalé rise. -Wow, che virilità!- commentò, sarcastica. – mica come S...- Troppo tardi si fermò.
-...Sulfus. Stavi per dire lui, vero?
 Kabalé sbuffò. -Ah, sicuro! Sai che virile! Uno che si sta distruggendo facendo chissà che cosa per stare con la sua biondina angel - e rise.
In realtà, quella di Sulfus sì che era forza di spirito.
Ma nessuno poteva capire veramente quanto fosse forte dentro quel ragazzo e tutto quello che stesse sopportando.
-Ma cosa dici! A me lui non interessa per niente! Che continui pure ad amare la sua biondina piumata, sai quanto me ne importa! – Sbottò, scocciata.
Mentiva. I devil mentono sempre. Per loro mentire è normale come respirare.
 
 
Sulfus si aggrappava convulsamente al muretto di pietra, nel giardino dove Matteo stava leggendo. Al suo fianco c’era Ang-li, che sembrava piuttosto annoiato. Il devil si sentiva malissimo, peggio di quella mattina. Era come essere in un tunnel dove tutto girava, girava…
L’angel se ne accorse.
- Sulfus, scusa se sono indiscreto, ma cos’hai?- Chiese apprensivo, dopo averlo osservato a lungo. Lui non rispose. Niente esisteva, la vista andava e veniva, tutto causava dolore. La voce dell’avversario gli arrivò come un brusio indistinto e confuso.
Si mise dritto, ed il mondo girò vorticosamente. Una sensazione di nausea lo pervase. Si lasciò cadere a terra, sforzandosi di non piangere. Non ci riuscì. Si mise carponi e vomitò, le lacrime nere che gli scorrevano lungo le guance, il medaglione che bruciava come fuoco sulla sua pelle. Ang-li era inorridito.
-Credo che tu non stia bene.
Acuto spirito di osservazione, gli si deve riconoscere!
-Non ho bisogno di aiuto… se è questo che vuoi chiedermi.-Tronco’. Ovviamente non era vero. Aveva seriamente bisogno di aiuto, e lo sapeva. -Devo andare, Ang-li… devo andare…
-…sì, devi andare da un dottore, ecco dove!- Concluse l’angelo.
-Fatti gli affari tuoi.- Disse, nervoso.
-Sei ridotto male.
-E cosa te ne frega? – urlò, con voce rotta.
-Ti stai facendo del male. Lo so. Me lo dice il mio settimo senso. Smettila, Sulfus. Ti stai riducendo ad una nullità.
Lui lo fissò, torvo. Era già una nullità, senza Raf, perché gli altri questo non lo capivano?
Si sollevò e volò via velocemente, senza neppure salutare.
- Sulfus, fai attenzione!- Gli urlò Ang-li, ma lui era già troppo lontano per udirlo.
Ma anche se l’avesse sentito, sarebbe andato ugualmente nel posto dove era atteso.
Ancora una volta nella Terra sospesa.
 
In quel luogo tetro e remoto, in quel luogo abbandonato dal mondo, in quel luogo di cui l’uomo ignora l’esistenza, in quel luogo chiamato Terra Sospesa, fra le sirena c’era un’eccitazione febbrile.
A cosa era dovuta, inutile dirlo. Ora avevano il libro, e presto avrebbero saputo la verità! Presto avrebbero saputo chi era la Minaccia e la Salvezza! Ne avrebbero avuto la certezza… e stavano per aprirlo, stavano per leggerlo, quando arrivò Sulfus.
Non ce la faceva più ad aspettare, e già un giorno per ogni fase era fin troppo doloroso.
Dal punto di vista delle sirene, non avrebbe potuto scegliere un momento peggiore per venire. In ogni caso, a tutte fu chiaro che i festeggiamenti e la lettura del libro erano eventi solo rimandati, e tutte le sirene si nascosero nuovamente nell’acqua e nella nebbia, tranne una, dalle pinne di uno sgargiante rosso fuoco.
-Sei qui per la nuova fase, immagino!- esclamò, trafiggendo il ragazzo con i suoi occhi lucenti, venendo fuori dalla nebbia come una regina fuori dal suo palazzo.
Il ragazzo annuì. La creatura ghignò di crudeltà.
-In acqua, svelto. Togliti la maglietta.
Lui obbedì, ma non si tolse il ciondolo. La creatura lo spinse in malo modo in acqua. Una luce intensissima lo circondò. Fu intensa come un’esplosione. Sentì la sirena che gli massaggiava la pelle all’attaccatura delle ali.
Fu percorso da un brivido, quando udì le parole che mormorava.
 
Che le ali non ti consentano più di volare
Ma solo d’amare
Che smettano di funzionare
Che smettano di essere
Sino a cadere
 
“E così sia!” pensò lui.
Sentì un tremito più forte. Una scossa. E infine, due strappi laceranti alla schiena. Furono fortissimi. Le sue ali c’erano ancora, ma era come se non ci fossero.
Non funzionavano più.
Ora era schiavo della forza di gravità, come ogni terreno.
Per il momento.
 
 
Era notte, il cielo era pieno di stelle che splendevano d’oro. Raf le guardava, incantata. Erano bellissime. Si sentiva triste, addolorata.
Nella sua mente, tanti problemi e dubbi si accavallavano. Troppi, per un piccolo angelo biondo come lei.
La voce di sua madre, quella dolce voce così reale, che le aveva riferito quelle parole così inquietanti per metterla in guardia dalle sirene… un pericolo che non poteva comprendere completamente e nella sua pienezza, perché non aveva letto uno stupido libro! Quanti ne aveva letti, di libri inutili! Proprio quello non doveva leggere?
Gli sguardi preoccupati dei professori l’avevano seriamente allarmata.
Gli sguardi…
Non  aveva davanti agli occhi che l’immagine di quello sguardo, lo sguardo di Sulfus. Dolce e struggente, un’immagine tanto forte e dolorosa da imprimersi nella sua mente come fuoco. Era stato bello e terribile, si era sentita incatenata a qualcosa che stava per perdere, a qualcosa che non poteva avere e che non l’avrebbe mai fatta sentire felice.
Si stese sul letto, cullata dalle splendide stelle che la guardavano da lassù come se volessero proteggerla. Ma non potevano proteggerla dal dolore che provava, e dalla paura di cosa avrebbero potuto farle le sirene.
Povera Raf! Era per sé che aveva paura, ma avrebbe fatto meglio ad accorgersi prima che era in serio pericolo l’incolumità di qualcun altro…
…ma questo, lo avrebbe capito solo più tardi.
Quando, forse, sarebbe stato già troppo tardi.

 

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Capitolo 14
*** Buio senza fine ***




14. Buio senza fine
 
“E’ terribile avere paura. Paura di essere presi, paura di essere scoperti dai nostri nemici peggiori... nemici che a volte nemmeno conosciamo. Ma la cosa peggiore è quando ci rendiamo conto che avremmo dovuto avere paura per qualcun altro, non per noi stessi.
E a volte è troppo tardi per rendersene conto.
Troppo tardi!”
 
 
Ormai Ginevra ed Andrea si erano riappacificati, nonostante i numerosi litigi tutto si era messo a posto. Miki sorrideva soddisfatta, guardando il suo terreno che si comportava bene.
Quel giorno, siccome non aveva nulla da fare, stava girovagando per i corridoi, quando notò qualcuno che andava in giro con aria furtiva.
Raphitya.
“Che voglia giocarmi un brutto scherzo con Andrea, proprio adesso che le cose vanno a posto?” Temette Miki, indispettita. Così decise di seguirla.
La devil camminava, in silenzio. Ogni passo era pesante e le ricordava tutto quel dolore... tutta quella sofferenza...
Miki continuava a chiedersi dove stesse andando quella strana ragazza.
Raphitya avanzava, e calde lacrime si facevano strada sulle sue guance mentre pensava a quello che aveva passato, e che non voleva succedesse a loro...
Miki seguì la devil nel più totale silenzio, a distanza. Rimase in attesa quando, arrivata all’ultimo piano, gradino dopo gradino, tirò fuori una piccola chiave lucente. La infilò nella toppa e quella si aprì con uno scatto. Spinse la vecchia e logora porta con una spallata...
... e venne accolta da simpatici uggiolii.
Uggiolii?
Si sedette a terra, le ginocchia piegate, e strinse a sé un cagnolino che era sgattaiolato fuori da una cesta. La diavoletta lo accarezzò, e gli dette un bacino sul musetto. Se lo strinse contro il petto, come una mamma affettuosa. Miki dallo stupore avanzò da dietro la colonna dove si era nascosta e si fece vedere.
Raphitya si voltò di scatto, lo sguardo di fuoco.
I loro occhi s’incrociarono, e il tempo parve dilatarsi all’infinito.
-Cosa ci fai qui?- chiese la devil, fredda.
-Scusami.
-Un corno!- Bofonchiò lei. Miki si avvicinò, cauta, e si sedette accanto a lei.
Entrambe stettero in silenzio. Un silenzio fatto di dolore, di indecisioni e cose non dette. Un silenzio teso.
-Questo come si chiama?
-Panna. E’il più coccoloso... – sorrise. -Lo vuoi prendere in braccio?
Miki annuì.- Magari!
-Ecco, fai attenzione...- e le passò il cucciolo.
-Ciao!- mormorò la angel, rivolta al piccolo. – Sei molto dolce tu, eh? – il piccolo uggiolò, strofinando la testolina contro il suo petto. La ragazza si commosse. Raphitya la guardava sorridendo. -Hai ragione, è così tenero!- disse la angel.
Ci fu ancora silenzio, interrotto da teneri uggiolii.
-Perché li nascondi?
-Perché con loro sono tenera.
-E non puoi?
- No. Sono una devil, gli animali li dovrei maltrattare e disprezzare... ma io non ci riesco.
-Perché?- chiese cauta Miki.
-Perché loro sono come me. Sono stati abbandonati. Proprio come me. – Confessò. Miki rimase in silenzio, aspettando che continuasse. E infatti lei continuò. -Ma io non sono stata aiutata da nessuno! Sono cresciuta portandomi dentro tutto questo dolore, tutta questa umiliazione... essere stata rifiutata come uno scarto...- Si coprì il volto con le mani, e le sue spalle furono scosse dai singhiozzi. -Dicono che il dolore tempra, rende forti. Non è vero! Rende freddi e fa stare male, ecco cosa fa il dolore! Ti fa piangere, ti fa tremare, ti fa sentire debole! Gli altri possono vivere una vita normale, e ti fanno pesare il tuo destino come se fosse una tua colpa, essere abbandonata! Come se fosse colpa tua! – Pianse, abbassando la testa. - Sai, è strano. Non ho mai detto queste cose a nessuno. Perché ne sto parlando a te, adesso? Perché sto parlando ad una angel?
-Perché sono l’unica persona che è qui, adesso. E sono l’unica che può capirti senza compatirti, cosa che immagino tu non voglia.
-Immagini bene. Sono stata umiliata abbastanza, ormai ho imparato a non amare nessuno. E a non fidarmi di nessuno. Perché gli altri mi ripagano solo prendendosi gioco di me. Di quello che provo. Perciò li odio. Odio tutti!  
-Non dire così, non tutti vogliono il tuo male.
-Conosci qualcuno a cui importi di me? Seriamente, conosci qualcuno?- Chiese, il volto rosso dall’ira.
Miki si portò una mano al petto. - Io.
A queste parole, Raphitya la fissò con gli occhi lucidi, il ciuffo rosso che oscillava davanti agli occhi. Se li scostò, e la fissò con i grandi e magici occhi neri. -Come?
-Ho detto che a me importa di te.  
-Ma è... è...
-Assurdo?
- Beh, sì.
-Hai ragione, forse lo è. E’ folle, pazzo, strano, assurdo ed incredibile. Ma tu sai che sto dicendo la verità. O capiresti che sto mentendo grazie al settimo senso!
Era vero, Miki non mentiva. Ma come? Una angel affezionata ad una devil?
-Posso capire le tue perplessità ma, vedi, fra noi, c’è qualcosa. E’... feeling elettivo. E’ una cosa speciale. E l’ho capito sin dall’inizio.
-Un... un f- cosa?- fece lei, perplessa.
-Un feeling elettivo. Una cosa speciale, che si crea tra due persone appena si incontrano... una cosa unica, che tra le persone non si forma quasi  mai... ma ad un certo punto basta uno sguardo e c’è... intesa.- Concluse Miki.
-Penso di aver capito. Allora noi siamo destinate ad essere amiche?
-Penso di sì. Sì!- affermò. Ci fu un lungo silenzio. Un silenzio fatto di dubbi, domande ed incomprensioni.
Alla fine Raphitya le porse un cucciolo. -Questo è Birillo. Mi raccomando, quando non ci sono... solo croccantini al pollo, è abituato solo a quelli! 
Miki sorrise, prendendo Birillo in braccio, un piccolo labrador bianco con le zampette nere.
Da quel giorno, Miki e Raphitya divennero amiche. E lo furono per sempre, segretamente.
E Miki fu anche l’unica amica che avesse mai avuto Raphitya.
Ma vi assicuro che non avrebbe potuto desiderare di meglio.
 
 
Raf quella notte corse nell’incubatorio. Doveva assolutamente vedere Sulfus, doveva parlargli. Lo strano sogno di Urié l’aveva messa in agitazione. E l’avrebbe ulteriormente agitata, se avesse saputo che era lo stesso sogno che aveva fatto Cabiria!
Infatti quel sogno era importante, ed il destino si era servito delle due sempiterne per informare il devil che stava arrischiando così tanto. Ma lui non avrebbe dato ascolto a nessuna delle due.
Raf si strinse nelle spalle, rabbrividendo per uno spiraglio d’aria fresca. Si sentiva agitata.
Passi, passi stanchi e lenti dietro di lei.
Cavoli! Erano le tre di notte, c’era ancora qualcuno in giro? Poteva nascondersi? Ma dove? E se l’avessero trovata là cosa avrebbero detto i professori?
Si girò... e non si mosse, perché era l’unica persona che cercava. Sulfus.
Si avvicinò, in silenzio, e lei non si mosse, osservandolo sconcertata. La sua andatura era sbilenca, camminava trascinandosi le gambe, come se fosse stanco, ubriaco... Come se stesse male.
Quando fu abbastanza vicino le chiese, in modo quasi infastidito:-Che ci fai tu qui?
Raf era a disagio. -Perché? Perché Urié ha fatto uno strano sogno. Un sogno…- Qui fece una pausa, e lui la guardò di traverso, ancora avvolto dall’ombra.
-E tu vieni qui solo per un sogno della tua compagna di stanza?- Chiese, sbigottito.
-Era un incubo.
-E questo cambia le cose?
-Sì, perché... ti riguardava.
Lui rise. -Fammi indovinare... un incubo con Tyco e Sai che dicevano “non lo fare, a noi è successo, non lasciare che accada di nuovo! Fermalo!”. Era così, vero?
Lei annuì. -Tu come fai a saperlo?
-Le voci girano.- Disse, sarcastico.
-Seriamente.
-Anche Cabiria ha fatto lo stesso sogno. Contenta?-
Silenzio.
-E tu hai capito, a vedere da quanto sei tranquillo.
Ovvio, ma non rispose. In realtà non aveva capito niente. Ma questo, lo avrebbe scoperto solo molto più tardi.
- Mmm...- si avvicinò alla finestra, seguito da lei, in silenzio. La aprì, e lasciò entrare i raggi di un pallido lembo di luna.
A Raf scappò un gemito.- Sulfus! La tua... la tua... – Sulfus non aveva più la stella rossa sull’occhio. Se l’era lavata via, cancellata, sperando di cancellare il suo passato.
- L’ho lavata via. E allora?- Chiese, infastidito.
-Ma... ma.... non è da te. – Concluse, sbigottita.
- E allora? . ripeté. -La cosa ti riguarda?
-Sì.
- E perché? – Chiese freddo.
-Perché mi riguardi tu.
Fortuna che era buio e la notte li avvolgeva, così Raf non notò che le guance di Sulfus arrossirono. Perché poche parole lo avevano emozionato dal profondo del cuore, che ora gli batteva forte. Era così dolce essere là, con lei, da solo... se solo lei avesse saputo cosa stava facendo... perché era così distante...
Ad un certo punto, come se l’avesse chiamata mentalmente, una fitta di dolore acuto gli trapassò il ventre, e si accasciò a terra, bocconi.
No.
No.
No.
Lei non lo doveva vedere. No!
- Sulfus! Che ti prende?- Chiese lei apprensiva, chinandosi accanto a lui, ponendogli la mano sulla schiena, l’unica sensazione piacevole che superava quel dolore.
  -Niente... sto bene... sto... sto... – Trattenne un conato. Raf lo strinse fra le braccia, ed il suo corpo tremò. Lei lo sollevò con forza e lo spinse nel bagno più vicino.
Lo resse, accostandolo al lavandino dove lui, reggendosi con le mani sui bordi del lavello, si chinò e vomitò. Lei gli teneva indietro i capelli, accarezzandolo.
Era l’unica che capisse quanto stesse male...
Quando lui finì si accasciò a terra contro il muro, senza riuscire a trattenere lacrime di dolore. Si coprì gli occhi. Quella cosa faceva sempre più paura...
Raf aprì il rubinetto per far scorrere l’acqua, e sgranò gli occhi. Quello non era vomito.
Quello era sangue nero.
Sulfus si voltò e fissò i propri occhi nei suoi.
Lui accasciato malamente contro il muro, come se fissasse la morte in persona, lei in piedi diritta davanti al lavandino, che lo fissava, in preda alla paura.
Perché fissò i suoi occhi, e li vide... li vide completamente neri.
- Sulfus. I tuoi occhi... sono…
-... neri. Lo so. – Singhiozzò. – Lo so! Lo so!- Si sollevò, piano, la testa che gli girava. Fece per andarsene, ma respirava a fatica.
- Sulfus, fermati. Questo non  è normale.  
Lui si voltò, gli occhi pieni di paura. - Lo so. Non posso lamentarmi. Sono io la causa del mio male.
-Cosa stai facendo?
- Non te lo posso dire.  
- Lo voglio sapere. So che mi... so che ci riguarda.  
Lui prese la maniglia della porta, ma lei gli prese le mani, e le strinse fra le sue.
- Io non voglio che tu stia male.
-Non lo vorrei nemmeno io, ma durerà ancora per poco. Poi... poi avremo tutto ciò che abbiamo sempre voluto. Poi... poi potrai... potrai stare con me.
Lei lo fissò, il cuore che le batteva forte a sentire quelle parole. -Come? Vuoi dire che...?
-Non chiedermi di farlo ancora. Non chiedermi di rinunciare a te come mi hanno costretto a fare in passato.  
-Ciò che è successo era inevitabile.         
Si guardarono, allibiti.
-Diamine! Come mai abbiamo parlato così? – Chiese lui.
-Non lo so. Giuro che non lo so.–
-Quelle erano le frasi di Tyco e Sai.  
- Accidenti. Non erano parole nostre.
-No- Continuò Sulfus. – Si tratta di qualcosa che è accaduto in passato... senti, un giorno, presto, avrò le risposte. E allora... allora capirai.
Rimase là, fermo, a fissarla negli occhi con tenera dolcezza, come se non volesse lasciarle  più le mani.
- E’ pericoloso, vero?- Mormorò Raf, piano.
-Sì. Non ti voglio mentire, è molto pericoloso. Ma non posso più tornare indietro. Una volta iniziato questo, indietro non si torna.
Raf tacque, per molto tempo. Sapeva che era inutile insistere ancora, lui non avrebbe detto nient’altro. Dopo un’eternità gli sussurrò, piano: -A cosa stai pensando?
Una domanda tanto difficile quanto sembrava semplice.
Oh, lui stava pensando ad un sacco di cose. Pensava a quanto fosse bella Raf, a quanto fosse dolce che lei si preoccupasse per lui. Pensava a quanto faceva male il fatto che lui non potesse amarla, a quanto fosse triste che lui sarebbe potuto morire senza che lei nemmeno sapesse che stava cambiando se stesso per lei.
Pensava che forse non avrebbe mai più visto i suoi occhi, i suoi splendidi occhi azzurriche avevano illuminato la sua  esistenza... pensò che il suo unico desiderio sarebbe stato prenderla per mano e condurla lontano, lontano da tutti, lontano dal mondo, lontano dal V.E.T.O, dal tempo, dal silenzioso respiro della morte che voleva impadronirsi delle sue membra.
Voleva condurla in un luogo ai limiti fra il buio e la luce, dove non c’erano regole meschine che gli impedissero di stare con lei. Pensava che voleva solo essere felice, ed era l’unica cosa che chiedeva al destino. Era troppo?
Sì, a quanto sembrava.
Dopo un’eternità, rispose alla domanda di Raf.
-Ti sorprenderebbe saperlo.- mormorò con voce rotta. Sciolse le proprie mani dalle sue, le sorrise tristemente e si allontanò nel buio, lasciando troppe cose non dette, sospese nell’aria.
Cose che facevano male. Cose che forse non sarebbe più stato possibile dire...
Mai più.
 
 
Le sirene della terra sospesa ghignarono di soddisfazione.
Avevano il libro, e lo avevano letto. E ora, disgraziatamente, sapevano quello che non avrebbero dovuto sapere mai. Sapevano chi era la Minaccia e la Salvezza. E non avrebbero esitato neppure un secondo a prendere la sua anima, togliendo a quella persona la vita, per sempre.

 
 
 

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Capitolo 15
*** Salva il tuo cuore ***


Ehm, lo so che avrei dovuto aggiornare una settimana fa... chiedo perdono! Questo è un periodo un po' incasinato perché stiamo per portare in scena un musical, perciò capirete che non ho molto tempo libero. Ad ogni modo spero che il capitolo denso di avvenimenti sia sufficiente per compensare.
Il prossimo aggiornamento sarà puntuale, promesso!
Aching heart (Beta-reader)

15. Salva il tuo cuore
    
“Quando siamo in pericolo noi, viviamo nel terrore, ed è orribile. Ma quando temiamo per qualcun altro, qualcuno che amiamo, ed abbiamo la certezza che sia in pericolo, cosa fare? Rischiare a costo di rimetterci la pelle? O lasciar perdere?
Bisogna avere coraggio... Perché bisogna scegliere.”
 
 
Alcuni giorni dopo, Sulfus capì che era pronto, capì che era ormai giunto il momento di tornare dalle creature della Terra Sospesa per la fase finale della trasformazione. Era pronto.
Lanciò una veloce occhiata alla sveglia che era sul comodino, con il suo schermino rotto. Le  tre del mattino. Poi si avvicinò alla finestra: era una cupa notte senza luna. Sospirò, e sentì una fitta ai polmoni. Incredibile, ma gli faceva male anche respirare.
Le creature gli avevano promesso, gli avevano assicurato che sarebbe bastata solo una notte per tutto il processo. Riguardo a questo punto lui era stato parecchio dubbioso, ma non aveva alternative. Con tutto se stesso desiderava cambiare, e ci sarebbe riuscito... ma le creature lo avevano messo in guardia: se, quella notte, leggendo il suo cuore non lo avessero trovato puro, lui sarebbe morto. Non voleva assolutamente pensare a quest’eventualità, ma doveva per forza metterla in conto.
Accidenti!
E non voleva morire senza salutare una persona...
Prese dal cassetto del comodino un foglio ripiegato e se lo strinse fra le mani, portandosele al cuore. Chiuse gli occhi e poi li riaprì. Sospirò ancora, piano. Diede un’ultima, fugace occhiata a Gas per accertarsi che dormisse e mentalmente salutò anche lui, il suo fedele peggior amico.
Infine sgattaiolò fuori dalla stanza. Gli dispiacque di non poter volare: gli avrebbe fatto risparmiare tempo, e sarebbe stato molto vantaggioso, perché lui non ne aveva più, di tempo.
A passo felpato come un felino oltrepassò il corridoio dell’incubatorio e giunse nel padiglione. Arrivò nel corridoio degli angel, e si sentì leggermente a disagio. Fuori posto.
Del resto, immaginava fosse normale per un devil sentirsi così intrufolandosi nel sognatorio… ma il fatto era che ormai lui aveva ben poco dei devil. No, il disagio era causato dal volersi insinuare nella stanza della persona che amava di notte, mentre dormiva. Ma non aveva altra scelta. Non poteva semplicemente sparire senza salutarla, o senza almeno lasciarle un messaggio.
Perciò Sulfus afferrò la maniglia fredda e liscia e la spinse verso il basso. E poi aprì la porta, piano e senza fare rumore.
Si ritrovò nella stanza. Era immersa nel buio, proprio come la sua nell’incubatorio. Era bello pensare a com’erano diversi lui e Raf, eppure la luce che li illuminava o il buio che li circondava erano li stessi.
Rimase per alcuni secondi immobile, ascoltando i respiri lenti di Urié e Raf nel sonno. Sperò che le angel avessero il sonno pesante e che non si accorgessero di lui. Avrebbe voluto essere un’ombra per potersi confondere con il buio e non  farsi notare. Si avvicinò, piano. Raf dormiva beata, girata su un fianco, con un’espressione dolcissima  sul volto: l’espressione di chi sogna qualcosa di bello. Urié invece sembrava mugolare infastidita. Chissà cosa stavano sognando... forse qualcosa di un mondo per lui inaccessibile. Sulfus s’inginocchiò accanto al letto di Raf e la osservò più da vicino, attento a non fare il minimo rumore. Temeva troppo di essere scoperto. Chissà se qualcuno si era accorto della sua assenza? Forse no. Non ancora.
Tornò a guardare Raf. Allungò una mano, piano, per sfiorarle la guancia con le nocche delle dita... ma ritrasse subito la mano quando sentì un rumore dietro di lui. Si calmò solo quando constatò che era solo Urié che si era girata nel letto.
Come è strana una persona, mentre dorme. Sembra così... vulnerabile.
Il ragazzo si rilassò un pochino. Osservò ancora il suo angelo, le palpebre chiuse e gli occhi spalancati su un mondo che per lui era invisibile. Non riusciva a smettere di guardarla, distrutto dall’idea di perderla per sempre. Poggiò sul lenzuolo la mano che stringeva il bigliettino. Poteva lasciarlo sul comodino? Lo avrebbe letto lei? Poteva...
Si irrigidì, quando si sentì afferrare la mano. La prima cosa che gli venne da pensare fu che era stato scoperto, anche se era impossibile. Poi si rese conto che era stata Raf, nel sonno, a stringergli la mano. Si sentì agitato. Avrebbe voluto restare così per sempre, senza mai mollare quella mano calda che lo faceva sentire più vicino alla vita. Il cuore gli si strinse. Sciolse con dolore la propria mano da quella di lei, e Raf serrò le dita sul bigliettino, accartocciandolo. Per un attimo Sulfus temette che il rumore della carta la potesse svegliare, ma non accadde.  Sorrise, triste, ricacciando indietro le lacrime.
“Spero di tornare...” le sussurrò, piano, e la sua voce era così sottile, nel dire quelle parole, così delicata da sembrare un soffio leggero contro la sua pelle. Che lei non sentì, almeno non consciamente.
Lui, con gli occhi lucidi, mordendosi le labbra per impedire alle lacrime di scorrere, le accarezzò ancora una volta la guancia e parte dei capelli. Infine si alzò, ma non riuscì a resistere. Si chinò su di lei e con estrema delicatezza, badando bene a non svegliarla, le baciò la guancia, lasciando anche scorrere su di lei una fugace lacrima.
E poi si allontanò, le lacrime che gli rigavano le guance dalla paura e dal dolore. Piangeva, ma discretamente. Senza singhiozzi. Solo lacrime. E non di sangue, lacrime vere. Mentre si allontanava, lei biascicò qualcosa sottovoce, nel sonno. Erano parole fragili, strane e confuse, il cui significato era poco chiaro, ma Sulfus le aveva sentite benissimo. Avrebbe potuto anche giurarci, su quello che aveva sentito. Si trattava di due parole brevi, dal suono delicato, ma che almeno davano forza di vivere. Due parole che almeno davano un baluginio di speranza, in tutto quel dolore. Due parole che facevano sorridere.
Ti amo.
 
Quando Sulfus giunse nella Terra Sospesa, le sirene lo circondarono. Tutte.
Non era normale, loro non erano per niente normali! Avevano sguardi poco rassicuranti, espressioni crudeli tinte sui volti di pietra.
Lui deglutì.
-Sei qui, di nuovo... ormai è la parte finale...
Lui tacque, limitandosi ad annuire.
Loro iniziarono a ridere. Un paio di creature lo spinsero a sedersi dinanzi ad una sorta di masso elevato che somigliava ad una colonna. Lui provò ad opporre resistenza, ma era troppo debole.
Un attimo dopo aveva le mani legate dietro il masso. Era incatenato da gelide catene ad una fredda roccia.
-Ma perché? Cosa ho fatto? Voi avevate detto che... che...
-Cambio di programma - gli sussurrò una creatura, in tono crudele.
-Il mio cuore non è puro?
-Al contrario - sibilarono un paio, crudelmente. – Lo è troppo! Tu non puoi vivere più.
-Co-come? Vi state sbagliando, non...
- Layadda ha deciso! Lei vuole te. Dice che tu gli servi. E noi rispettiamo il volere di Layadda. Il tuo non conta, per noi.
-Ma...  
-Ti siamo grate per la sfera, giovane sempiterno. Peccato che forse lei ci costringerà ad usarla contro di te.  
Lui le fissò allibito, senza parlare. Si sentiva confuso. Molto, molto confuso. E le creature sembravano ancora non contente.
-Lasciatemi stare, almeno! Statemi lontano!- intimò loro. Ma esse avanzavano, gli occhi carichi di odio. L’odore della sua paura riempiva la grotta, e per le sirene era una cosa adorabile.
-Vi prego… - il tono di Sulfus divenne supplichevole, quando le vide così vicine.
Fu inutile. Tentò di dare uno strattone alle catene per liberarsi, ma non ce la faceva. Era troppo debole, aveva perso tutte le sue energie. Una creatura rise, anzi, sghignazzò, e gli si avvicinò pericolosamente. E poi all’improvviso gli afferrò la testa per i capelli e la sbatté contro le sue stesse ginocchia. Una, due, tre volte.
Le tempie gli pulsavano dal dolore, e si sentiva intontito. Un’altra creatura gli sferrò un pugno sugli occhi. Il dolore fu atroce. Vide un pulsare di luci in un mondo spento e confuso da dietro le palpebre; gli occhi erano già talmente tumefatti da impedirgli di vedere in faccia i suoi aggressori.
Una fitta lo colpì in pieno petto, mozzandogli il respiro e facendolo piegare su di sé. Qualcuno gli schiacciò le dita delle mani, ma il ragazzo non ce la faceva più neppure ad urlare.
Sentì qualcosa di freddo sfiorargli lo zigomo, e poi qualcosa di caldo e denso che gli scorreva lungo la guancia. Trasalì.
Sangue. Lo avevano ferito.
Sulfus gemette. Sentiva dolore dappertutto e faceva male, malissimo. Quel branco di mostri lo stava pestando. Era il primo pestaggio che subiva in tutta la sua vita. E non era una bella sensazione.
I colpi che gli avevano dato e continuavano a dargli erano fortissimi, e sarebbe già stata una fortuna che non gli si fosse staccata la retina.
Ma quale retina? Ma quali occhi? Presto sarebbe morto, non ne avrebbe più avuto bisogno.
Ma forse era importante vedere perché sperava di guardare un’ultima volta la luce, perché sperava di guardare in faccia la Morte.
Morire.
Morire!
Se lo sussurrò, fra le labbra, per convincersene. Diamine. Faceva paura solo da pronunciare. Era difficile da accettare. Forse era capitato anche a Tyco. Anche lui era morto per...
E Sai, perché era morta? O, se non erano morti, cosa gli era successo? Non lo sapeva.
E non lo avrebbe saputo mai, perché tra poco sarebbe morto.
Morto.
No!
 
 
Il mattino dopo Raf si svegliò sentendo qualcosa che le pizzicava la schiena. Chissà perché, quando dormi, se nel letto c’è qualcosa ti finisce sempre dietro la schiena e pizzica.
A Raf venne voglia di buttare quel qualcosa che le pizzicava, quando vide che era un pezzo di carta. Ma per fortuna non lo fece, perché il suo settimo senso le disse di non farlo. E allora lo aprì, e lo lesse... ed i suoi occhi si spalancarono dallo stupore e dall’orrore.
 
Ti ascolto nel buio
In un ricordo passato
 
Ancora non posso dimenticare
Ma continuo a ricordare
Ora so che nulla potrà mai cambiare.
 
Non ce la faccio a dirlo... forse è per vigliaccheria, o forse voglio solo dirlo in modo originale... non me lo so spiegare neppure io, perché l’ho scritto e non te l’ho detto a voce. Curioso che io non trovi neppure il coraggio di scriverlo chiaramente, vero? Ma a volte, scrivere significa constatare una realtà, e constatare una realtà significa ammetterla... e questo fa paura.
Leggi le iniziali, angelo mio, non posso più sopportare di non averlo detto mai. Raf, io voglio guardare in faccia il Sole, e non lo so se posso farlo senza farmi del male.  Non so se posso sopravvivere. Però ci proverò. Sei il mio Sole, Raf. Ma non so se posso amarti senza... morire. Spero tanto di sopravvivere, spero tanto di tornare. Lo spero così tanto, che tu non puoi nemmeno immaginare quanto io lo voglia.
Questa potrebbe essere la prima notte della mia nuova vita... o l’ultima di quella che ho vissuto finora, quella che tu hai illuminato con i tuoi grandi occhi blu.
Grazie. Se non sarò là con te domattina non ci sarò più... per sempre.
Quindi... semmai... addio.
Sulfus
 
Quanto tragica può essere la lettura di un bigliettino? Tutto dipende da cosa c’è scritto, in quel bigliettino. E quello che c’era scritto in quello di Raf non era né divertente, né felice, né allegro.
Era dolce e romantico, questo sì, ma terrificante.
Se quel discorso faceva paura da scrivere, era ancora peggiore da leggere. Perché, mentre leggeva, Raf vedeva gli eventi scorrerle davanti agli occhi come con un film, dove gli eventi accadono senza che chi guarda possa cambiare le cose. Anche se lo vorrebbe. Anche se lo desidera più di ogni altra cosa al mondo.
E Raf si sentiva esattamente così. Ma era impotente ed inutile.
E rimase in silenzio, in tutta la sua impotenza ed inutilità.
 
Sulfus non c’era. Non si trovava da nessuna parte.
Le atroci parole scritte nel biglietto bruciavano nella mente di Raf come fiamme vive.
Ma era veramente possibile che... che...
No. Non ci voleva neanche pensare. Era troppo orribile anche da pensare.
L’unica cosa che aveva trovato Raf era una rosa bianca, con le spine accuratamente staccate una per una. Una candida rosa poggiata sul suo comodino.
Da parte di chi fosse, era fin troppo chiaro.
E quello era tutto quello che le restava di lui?
Una splendida e pura rosa bianca, un biglietto e una manciata di dolci ricordi?
 
Quella notte stessa, Raf non riusciva a prendere sonno. Le veniva troppo da pensare a Sulfus. Al fatto che non c’era. Lei l’aveva cercato alla spiaggia, Kabalé lo aveva cercato in ogni stanza dell’incubatorio, Dolce lo aveva cercato al centro commerciale (anche se Raf le aveva detto che di certo non era là). Gas lo aveva cercato in ogni pizzeria o ristorante della città, Miki e Raphytia, insieme lo avevano cercato nelle periferie, Urié e Ang-li lo avevano cercato in tutti i luoghi frequentati dal suo terreno, Matteo. Cabiria lo aveva cercato con Kaiwir in tutti i locali notturni delle vicinanze. E nessuno lo aveva trovato, naturalmente.
… o l’ultima di quella che ho vissuto finora…
…addio, Raf, addio…
…addio…
Quando qualcuno ti scrive un biglietto, la parola “addio”, se tieni a quella persona, è l’ultima che vorresti leggere. Anzi, non la vorresti leggere affatto. Mai, in tutta la tua vita.
- Raf!
La ragazza si girò. Davanti a lei, c’era Urié. – U-Urié?
-Non sono Urié! - Disse la ragazza. La voce era quella della madre di Raf, e lei la riconobbe. Infatti la ragazza aveva gli occhi lucenti. Era momentaneamente posseduta dalla madre dell’angel bionda, per darle un messaggio importante. -Raf! Non c’è più tempo! La notte è senza luna! Adesso, bambina! Il tuo momento è giunto!
-Il mio momento? La luna...?
-Il momento per mostrare cosa sai fare. Raf, in questa notte senza luna, il tuo cuore sta per morire! Raf, tu lo devi salvare!
-Dove? Chi?- Chiese Raf.
- Il tuo cuore, Raf! Il tuo cuore! Il tuo cuore è nella Terra Sospesa! Devi andare, devi andare adesso! Tu non puoi lasciarlo morire!
- Sulfus!- esclamò Raf.
La non-Urié annuì. -Proprio così. - disse.
-Sta per morire? Ma allora è ancora vivo!
-Sì! Ma devi muoverti. Devi andare adesso. Se non vai ora... morirà prima di vedere il nuovo giorno.
Un brivido gelido percorse la spina dorsale di Raf. -Come lo sai, mamma?
-Anche io sono prigioniera nella Terra Sospesa.
-Ma io sono la Minaccia e la Salvezza! Mi rapiranno! - Disse Raf.
Ma la non-Urié era tornata Urié e si stava avviando verso il letto per rimettersi a dormire.
Non importava.
La notte era senza luna, e Sulfus aveva bisogno di lei.
O sarebbe morto.
 
Qualche minuto dopo, Raf bussava incessantemente alla porta del professor Arkan. Quando lui uscì, dopo un’eternità, era mezzo intontito.
-Cosa c’è di tanto urgente?- Biascicò, la voce impastata dal sonno, sistemandosi gli occhiali sul naso e dandosi una veloce rassettata alle ali.
Raf, parlando velocemente, gli spiegò la  situazione.
-Si rende conto? Mia madre! Questo significa che è importante! E Sulfus è in pericolo, sta per morire! I sempiterni non possono morire! Chissà cosa succederebbe se accadesse!
-Sarà meglio andare in fretta dalla professoressa Temptel!
Raf roteò gli occhi. Ancora quella scocciatura della professoressa dei devil!
Arkan afferrò la sfera bianca e si avviò in corridoio, ancora insonnolito.
-Professore... ma come si arriva nella Terra Sospesa?
Il professore, ancora intontito, non colse l’astuzia della domanda di Raf e rispose subito.
-Occorre la sfera bianca, o la sfera nera, o il ciondolo della Terra Sospesa, che consente il teletrasporto.
-Ma come può aver fatto Sulfus per arrivarci? Cosa può aver fatto?  - Chiese lei, con aria innocente.
-Ha sicuramente usato la formula orale... deve aver chiesto di viaggiare nella Terra Sospesa...
Raf camminò ancora per un po’, in silenzio, accanto al professore. Ad un certo punto, si scusò con il professore.
-Perché? - Chiese lui, che non capiva.
-Per questo!- Disse Raf, e all’improvviso gli strappò di mano la sfera bianca. -Mi perdoni, professore, ma io devo andare! IO CHIEDO DI VIAGGIARE NELLA TERRA SOSPESA!- gridò, con la sfera verso l’alto.
-No, ferma! Tu non puoi andare lì!
-Sì che posso, professore! Sono l’unica che lo può salvare, adesso!- e, mentre la luce la circondava urlò, con tutta la sua forza:-Io sono una angel. Combatto per la giustizia, per l’onestà... e per l’amore! E così sia! Per sempre!
E con queste parole scomparve.
 
 
Sulfus sapeva che non avrebbe dovuto desiderare che lei arrivasse perché era troppo pericoloso, ma non poteva fare a meno di sperare che lei fosse lì.
Raf.
E le sussurrò una silenziosa preghiera, con gli occhi chiusi.
- Raf, Raf... ti aspetto, Raf.... salvami, ti prego, non resisterò ancora a lungo... voglio vederti un’ultima volta, Raf...- Sussurrò Sulfus, e le parole gli scivolarono dalle labbra, leggere come i rivoli di lacrime che gli rigavano le guance, ormai roventi dal dolore.

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Capitolo 16
*** Ben al di là del più atroce dolore ***




16. Al di là del più atroce dolore
 
“Cosa si fa quando si è disperati? Cosa possiamo fare per chi ci sta a cuore? Quando si è disperati il cuore ci controlla, il cuore sovrasta la ragione, che perde totalmente voce in capitolo, come è giusto che sia. Ma perdere la ragione può essere molto, molto pericoloso...”
 
 
Raf si ritrovò a precipitare, insieme alla luce bianca. Precipitò giù, giù e ancora più giù.
La luce invase la grotta buia, immersa nella nebbia più scura sino ad un attimo prima.
Solo quando cadde si rese conto di trovarsi in una grotta.
Trasalì.
No. Quella non era una grotta. Quella era la stessa grotta del suo sogno. Quella dove Sulfus mor…
No! Si stava sbagliando, non poteva essere lo stesso luogo.
Raf strinse a sé la sfera bianca. Faceva freddo, proprio come nel sogno. Si strinse le braccia attorno al corpo per scaldarsi. Come nel sogno. Ed avanzò, nell’ombra, fino a giungere in una sala luminosa. Quando la nebbia si diradò, si rese conto di trovarsi di fronte una sirena. E le si gelò il sangue nelle vene.
-Sapevamo che saresti venuta!- Cantilenarono le creature, esibendo i loro migliori sorrisi sadici. La nebbia si diradava sempre di più, e permetteva a Raf di vedere meglio il luogo dove si trovava.
-Lui dov’è?-  Chiese, cercando di fare una voce dura. Cercava almeno di non mostrare la sua paura. Perché non provarne era impossibile, in quel luogo, e le sirene questo lo sapevano bene. E assaporavano la sua paura come l’odore più delizioso che potesse esserci.
-Lui chi? Il sempiterno speciale?- Sibilò la sirena, con voce tagliante, soffiando in faccia a Raf. Lei annuì. -Osserva tu stessa- sentenziò. E con un ampio gesto del braccio destro le mostrò la nebbia che si diradava per mostrarle dove si trovava Sulfus, legato.
Raf rimase immobile, a fissarlo da lontano.
-Oh, puoi anche avvicinarti- sibilò la creatura accanto a lei, ridendo sadica. – Tanto ormai non puoi fare niente!
Raf le scoccò un’occhiata acida. Poi, piano, si avvicinò a Sulfus, tenendo ben salda fra le mani la sfera bianca.
- Raf? Ti prego, dimmi che sei veramente tu... perché non sono sicuro di vederti bene...  
-Sì, Sulfus, sono io. Sono io. E sono qui, adesso.
Gli si sedette affianco. Leggermente incerta, gli strinse le braccia attorno al corpo per dargli un po’ di calore, ed osservò le sue guance che assumevano un colore dolcemente roseo, tanta era l’emozione di starle così vicino.
- Raf... hai trovato il biglietto? E la rosa bianca? Hai trovato il simbolo della purezza?
-Sì, Sulfus, sì. Ma non ho capito bene...
-Il mio cuore. Se non l’avessero giudicato puro, mi avrebbero ucciso. Per questo la rosa, per questo la purezza.
Silenzio. Lei gli accarezzò la guancia, e fece scorrere le dita sulla ferita che aveva. Doveva essere stata fatta con una lama molto affilata. Ebbe un tuffo al cuore. Chissà quanto gli aveva fatto male.
-Ma allora non...
- No. – la fermò lui. – Hanno detto il contrario. Hanno detto che è troppo puro. Per questo non... posso... vivere.
-Ma cosa volevi fare? Perché sei venuto da loro, Sulfus?- gli chiese dolcemente.
Osservò con una rabbia profonda verso le sirene i suoi occhi. Erano rossi e gonfi. Era stato picchiato. Loro lo avevano picchiato! Riusciva appena a scorgere le pupille, quando li apriva.
-Non te lo posso dire.
-Ancora? Ormai devi dirmelo.
-No, non posso. Mi odieresti.
-Non potrei mai odiarti. Smettila di dire queste stupidaggini!- Disse lei, spazientita.
-Non insistere. Non lo farò, Raf. Non ti dirò che cosa volevo fare.
In effetti, gli sembrava anche strano che lei non lo avesse già capito. Lei gli accarezzò i capelli.
-Dimmi come posso fare- Gli sussurrò, per non farsi sentire dalle creature.
Lui rise. Una risata triste e malconcia. -A fare cosa? A salvarmi?
- Sì.
-Rassegnati, Raf. Tu non puoi salvarmi. Ma lo vedi come sono ridotto? Non riesco nemmeno a distinguere bene i tratti del tuo volto. Perché credi che le sirene ti abbiano permesso di avvicinarti? Sanno che non puoi fare più niente. Tu non puoi fare niente per salvarmi. Io devo m-morire. E basta. Questo è il mio destino. – E pronunciò le ultime parole con voce rotta, e le lacrime che gli scorrevano per le guance.
-Non è possibile! –Esclamò lei, stringendolo più forte a sé. - Non riesco a crederti. Non posso crederti. Non voglio crederti!- Balbettò, la voce ridotta ad un sussurro, perché se fosse stata più forte avrebbe pianto. Però poi le lacrime iniziarono a scorrere incontrollate, perché se sei in presenza di una persona che ami, e questa persona piange, tu non riesci a non farlo. Piangi per forza. E fa male, male da morire, perché siete entrambi a soffrire.
-Io non... non voglio perderti. – Gli mormorò, in un orecchio.
Il povero ragazzo non poteva neppure sfiorare il volto della sua amata, perché aveva le mani dietro la schiena. Così non gli restava altro da fare che lasciarsi avvolgere da lei, mentre era cosciente e praticamente certo che non avrebbe sentito mai più il suo profumo.
Mentre i due non vedevano, dietro di loro giunsero tre sirene. Aprirono la sfera di vetro smerigliato, che serviva per catturare le anime. E sarebbe servita per l’anima di Sulfus.
Non appena venne aperta, non appena si udì lo schiocco, Sulfus tremò. Raf lo sentì... e la vide. Vide la sua luce, che si levava dal suo corpo come un’immensa aura dorata ed argentata. La angel rimase sconcertata.
- Sulfus... è la tua anima? È questa la tua anima? È questa luce?- Lui annuì. –E’... è bellissima, Sulfus! Dovresti vederla... c’è talmente tanta luce, dentro te!  
-Luce che mi ucciderà, a quanto sembra - biascicò lui, triste.
- Sulfus, fa’ qualcosa! – Lo incitò Raf.
-Cosa? Cosa dovrei fare?
-Qualcosa, qualunque cosa. Trattieni la tua anima. Non lasciare che te la portino via!- supplicò lei.
Lui scosse la testa. - Raf, non ce la faccio. Mi hanno tolto tutte le energie nel corso dei giorni. E quel poco di energia che mi rimaneva me l’hanno tolta picchiandomi fino quasi a farmi morire. Mi hanno tirato pugni e calci, sugli occhi e sul corpo, mi hanno schiacciato le mani, e mi hanno ferito. Ora non ce la faccio più, angelo. Non riesco più, neanche volendo, a trattenere me stesso.
Raf lo osservò: il suo volto era il ritratto del dolore.
-Ma non si può distruggere la sfera, una volta che ci sarà la tua anima dentro?- Chiese lei sempre più preoccupata.
-Non puoi, Raf. Nessuno può. Solo il potere mentale può rompere quel vetro.
Ora la ragazza iniziava ad avere veramente paura. Perché improvvisamente comprese la sua impotenza. Capì che non poteva fare niente per salvarlo.
- Sulfus...-
- No. – la bloccò. – Ascoltami, Raf. Il dolore fisico che sto provando in questo momento tu non lo puoi nemmeno immaginare. Con tutte queste ferite… e questa voglia di vomitare che mi assale... mi sento malissimo. – Chiuse gli occhi per un momento, poi li riaprì più che poté. -Ma non è questo che mi fa più male. È il fatto che io... io ci ho provato. Ci ho provato, Raf, finché ho avuto respiro. Anche se non ti dirò cosa volevo fare, sappi che era per poter stare insieme a te. Mi sono creduto più forte di quel che sono. E adesso... adesso… morirò. – Deglutì, e trasalì anche Raf. -Non piangere, ti prego. Dovunque sarò... se sarò da qualche parte... voglio ricordarti felice. Voglio ricordare i tuoi splendidi occhi felici che mi sorridono, voglio ricordare il profilo del tuo volto, voglio ricordare i tuoi capelli dorati che splendono sotto la luce e volano con il vento. Ti prego… sii felice... fallo per me.
Raf si sentiva malissimo. La voce del ragazzo era sempre più debole. Non  poteva essere. Non  stava succedendo veramente. Non a lui...
Non riusciva neppure ad immaginare una vita senza lui, ora che sapeva cosa avrebbe potuto avere. Ora che sapeva con che persona avrebbe potuto vivere. Un ragazzo che stava morendo per lei.
-Come faccio ad essere felice, Sulfus? Il mio cuore sta morendo, non posso essere felice! Mi stai chiedendo troppo. – ed era vero. Le stava veramente chiedendo troppo.
-Basta, Raf! Sto per…
- Sulfus!
-Smettila con questa stupidaggine dell’eroina che mi salverà. Io sto per morire. È questione di minuti, di momenti, forse meno...
Raf lo guardò, e in quel poco che scorgeva dei suoi occhi vide la più viva paura. La paura di chi sa che è condannato a morire, ma spera profondamente e fino alla fine che un miracolo lo salvi.
- Raf... io sto per morire- ripeté, più a sé stesso che a lei, per cercare di farla sembrare una cosa che faceva meno paura. Ma come fa a farti meno paura una cosa come la morte? -Però voglio che tu sappia due cose. Primo, non ho mai amato nessun’altra come te... e quando avrei potuto, del resto? Ma non avrei potuto desiderare di meglio, credimi.- sorrise, fra la luce che lo circondava. – Sono stato corrisposto dalla persona che amo. E sappi che lo ritengo un privilegio. Ti ringrazio di esistere, per avermi salvato. – Prese un profondo respiro. – Secondo... promettimi che sarai felice. – E qui ebbe un singhiozzo. –Anche senza di me. – Quell’ultima frase la disse in tono spento, sofferente.
-Sono una angel - singhiozzò Raf. – Non posso mentire. E non ti voglio mentire! Non potrei mai  essere felice senza di te. Anche se trovassi qualcun altro, sai benissimo che non lo amerei. Lo sai meglio di chiunque altro. Tu sei la mia metà perfetta, continuerei a pensare a te...
Chiuse gli occhi ed avvicinò il proprio volto al suo, pallido, insanguinato e terrorizzato, e gli sfiorò le labbra con le proprie, quasi impercettibilmente. Non abbastanza perché fosse sacrilegio, ma abbastanza per un addio.  Gli scostò i capelli scuri dal volto con un gesto gentile delle sue mani delicate.
- Amore mio...- Mormorò con dolore, per la prima volta.
- Dillo ancora.
- Amore mio – Singhiozzò.
Infine lui la fissò, dritto negli occhi, aprendoli più che poteva.
- Raf... – e lo disse per la prima volta. Due parole:-...Ti amo- Ed infine chiuse gli occhi e non parlò più. Non appena la sfera di vetro fu chiusa con uno scatto, le catene che gli tenevano le mani si dissolsero come polvere, e tutte le sue ferite guaridono all’istante.
E tra le braccia di Raf, rimase inerte quel che ne restava di Sulfus, il devil che lei aveva amato, che per lei era diventato la tentazione più grande... il ragazzo che era diventato il suo cuore.
Sulfus era morto.
Morì così, con quel sorriso di dolore tinto sulle labbra rosa e sottili, sospese in qualcosa di forzato. I capelli gli ricadevano dolcemente sul pallido volto. E i suoi occhi... quegli occhi dolcissimi, quegli occhi del colore del Sole d’inverno erano ormai chiusi, privi di vita, e non si sarebbero più illuminati incrociando quelli di Raf. 
Il dolore della ragazza fu immenso. Lui era morto fra le sue braccia, e lei non aveva potuto fare niente se non assistere impotente.
Il dolore è qualcosa di terribile. Un sentimento devastante, che ti distrugge l’anima, che apre dentro te un vuoto incolmabile. Ed esiste solamente un sentimento capace di sconfiggere il dolore, e quel sentimento è la rabbia. Una rabbia profonda, che non puoi scacciare via.
Il cuore di Raf si riempì di rabbia, ed i suoi occhi arrossirono di furore. Divennero colore del fuoco.
Quella rabbia la fece alzare, priva di coscienza, incapace di controllarsi.
Le sirene l’avrebbero pagata. Loro l’avevano ucciso!
E la sua rabbia era così forte da impedirle di scorgere l’impercettibile movimento del petto di Sulfus, che si alzava e si abbassava piano, in modo regolare.
Respirava, anche se pianissimo, come se fosse ancora vivo, in un profondo stato di coma…
Ma lei non lo sapeva ancora.

 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 17
*** Il potere dell'angelo nero ***


 


17. Il potere dell’angelo nero
 
“La rabbia è l’unica cosa che resta ad un’anima distrutta.
 La rabbia è l’unica cosa che può sfuggire al dolore.
La rabbia è l’unica cosa – oltre al dolore – che può trasformare una persona.”
 
 
Raf era furiosa. Aveva il cuore spezzato, infranto, come trafitto da una lama. Per un attimo le venne voglia di morire, ma fu solo un attimo... perché poi desiderò solo una cosa, qualcosa che un angelo non dovrebbe mai desiderare… vendetta.
La mente di Raf si rifiutava di soffermarsi sulla m… su ciò che era successo a Sulfus, il suo cuore si rifiutava di soffrire, e desiderava la sofferenza altrui per provare a placare la propria.
Ma questo non succede mai. Far soffrire gli altri fa solo stare peggio noi. Ma la rabbia era l’unico sentimento che, in quel momento, poteva abitare l’addolorato cuore di Raf.
Ed infatti, quando lei si allontanò dal corpo di Sulfus, il cuore le batteva forte dalla paura. Non era un incubo, era tutto vero. Si sentì tremare. Se solo si fosse potuta osservare avrebbe visto che i suoi occhi non erano più azzurri, ma rossi. Non rossi come quelli di Cabiria: ancora più rossi, rossi come il fuoco, e vuoti. Le sue ali divennero nere, così come i suoi vestiti e perfino la sua aureola.  Strinse i pugni e chiuse gli occhi.
Come poteva essere vero un incubo del genere? Come poteva un sempiterno morire?
Non era possibile. Non poteva succedere, era una cosa che non si era mai sentita... e invece eccola là la prova, stesa a terra con la schiena contro la roccia, gli occhi chiusi, ferma ed immobile.
La angel si coprì gli occhi con le mani. Le venne voglia di urlare, di sfogare il suo dolore.
Lui era morto per lei. E non perché doveva succedere, non perché il suo cuore non era puro, ma semplicemente perché loro, le sirene, lo avevano ucciso! E per giunta perché il suo cuore era troppo puro! Cosa poteva mai significare?
Perché proprio lui? Era morto per lei, e lei neppure sapeva il perché...
...e a quel punto la disperazione raggiunse il suo apice, e Raf si voltò verso le creature, fissandole con quegli occhi di fuoco che non erano i suoi, e sibilò, fra i denti: - Io vi ammazzerò!
E mentre diceva quelle parole aveva veramente sete del loro sangue.
Le sirene erano là, attorno a lei, e la fissavano derisorie con i loro occhi lucenti.
La ragazza sollevò le mani a coppa sopra la testa, ed iniziò a concentrarvi una grande sfera di energia nera.
Si ricordò di quando lei e Sulfus si erano rincorsi per tutta la scuola e alla fine erano arrivati nei sotterranei, ridendo. Ricordò di quando lui l’aveva inchiodata al muro con le braccia, per poi allontanarsi un po’ impacciato, e lei era arrossita, senza domandarsi se fosse sbagliato o meno...
Iniziò a colpire forte con l’energia oscura, mirando alle sirene.
Ricordò di quando lui aveva lottato per lei, contro la medusa e contro il minotauro...
Riuscì a colpire una creatura, e ghignò di crudeltà.
Ricordò di quando gli aveva parlato telepaticamente, con il Think Fly, e aveva sentito tutte le cose dolci che lui pensava di lei, tutti i suoi teneri pensieri...  
Osservò la sirena che aveva colpito ed un brivido di soddisfazione si fece strada dentro di lei, mentre ascoltava il suo grido agonizzante.
Ricordò di quando lui aveva provato a baciarla... I suoi occhi si velarono di dolore solo al ricordo di quello che  aveva provato in quel momento...
Lanciò altre sfere di energia oscura, senza sosta.
Ricordò di quando Sulfus l’aveva guarita con il suo nuovo potere, che aveva scoperto per il vivo desiderio di salvarla, e poi l’aveva fissata negli occhi con uno sguardo dolcissimo, commosso, e perdutamente innamorato, mentre le accarezzava dolcemente i capelli... infine i suoi occhi si erano chiusi per baciarla perché lei finalmente glielo aveva permesso...
... e invece ora si erano chiusi per sempre.
Le sue labbra tremarono. Era colpa sua.
Si ricordò di quando lui l’aveva abbracciata, stringendola a sé come se non volesse più lasciarla andare via. E nemmeno lei avrebbe voluto lasciarlo mai... soprattutto non così.
La angel si sentì distrutta. Ascoltò le grida delle sirene. Era quello che meritavano. Il dolore!
L’energia oscura era molto potente, soprattutto se animata da ricordi dolorosi. Cosa le era successo? C’era qualcuno che avrebbe saputo spiegarlo, qualcuno che era stato liberato proprio grazie all’energia oscura, l’unica in grado di rompere la teca di cristallo nella quale era rinchiusa.
 
La prima cosa che Angelie vide, sollevandosi lentamente, fu la figlia che combatteva coraggiosamente contro le creature, esibendo i poteri dell’oscurità… perché Raf era diventata un angelo nero.
Se sei una madre, e ti risvegli dopo centinaia di anni di prigionia, la prima cosa che vorresti vedere non è esattamente tua figlia pervasa dall’oscurità e assetata di vendetta che lotta contro le sirene, con il rischio di finire uccisa. E quella madre, seppur avendo potuto conoscere sua figlia, sapeva che c’era solamente una cosa che avrebbe potuto placare la sua ira.
 Perciò lentamente, passando inosservata nel trambusto generale, si avvicinò al ragazzo che giaceva a terra. Gli accarezzò una guancia, come se fosse stato anche lui suo figlio.
Se solo...
Deglutì e gli prese il polso.
La sua pelle non era fredda come si aspettava. Fece pressione con due dita sulle vene e le sentì pulsare, regolarmente. Vive.
Angelie sorrise e gridò l’unica frase che avrebbe potuto consolare la figlia.
- Raf, fermati! Il ragazzo è ancora vivo!
 
Raf si bloccò. Lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi, e fissò il  vuoto con sguardo allibito.
Si rese conto in un attimo di non aver risolto niente facendo del male alle sirene. E in quello stesso attimo realizzò quanto fosse splendido il suono di quelle parole.
Rimase ancora ferma. Forse lo aveva immaginato. Forse si sarebbe girata e  avrebbe visto Sulfus ancora morto.
- Raf, te lo ripeto, è vivo!- gridò ancora la voce.
E questa volta Raf si girò, senza neanche pensarci.
- Mamma?- chiese, avvicinandosi circospetta. Eppure era identica a lei. Non poteva essere nessun’altra se non lei.
La donna le corse incontro e la strinse a sé.
-Sei veramente tu?- Balbettò la angel, incerta.
-Sì, sono io, bambina mia. Sono io. Mi hai liberata con i poteri dell’oscurità.  
-Mamma...- mormorò Raf, abbracciandola. Quello doveva essere un momento di felicità pura, e tuttavia non riusciva ad essere felice. -E’ colpa mia... Sulfus è morto ed è tutta colpa mia...
-Lui non è morto, Raf. – le disse Angelie, e poi le porse il polso del devil. -Senti tu stessa.
Lei osservò la madre con aria spaventata. Prese il polso di lui fra le dita, lo strinse, e nei suoi occhi si riaccese la luce, lentamente riaffiorò l’azzurro e scomparve il rosso fuoco della sete di vendetta. Nessuno avrebbe potuto capire cosa provava lei in quel momento, a sentire quel polso vivo. Ma perché, se era vivo, non si svegliava?
Una sirena si avvicinò.
-Vuoi ancora assassinarci? Credi ancora di riuscirci, o pensi di potermi ascoltare?- chiese, con aria di sfida. Non sembrava arrabbiata. Solo... seccata. Il che fece infuriare Raf ancora di più.
-Perché non si sveglia? Perché?!
- Perché è morto - fu la secca risposta della sirena.
-Lui non è m-m… lui è vivo! Lui respira ancora! Il suo cuore batte ancora!
-Puoi anche fermarlo il suo cuore, per quel che vale, tanto il suo stato non cambierà.  
-Cosa vuoi dire?
- A scuola non vi insegnano nulla, eh?- Gli occhi della creatura splendettero di crudeltà, incrociando  quelli di Raf. - L’anima di ogni essere vivente è costituita da due parti: una è il soffio vitale, l’altra cambia a seconda del tipo di creatura. Se si tratta di un terreno, è l’essenza terrena. Se si tratta di un sempiterno...
- ...si tratta di essenza sempiterna.- concluse Raf, in un soffio.
La creatura ghignò. - Esattamente. Noi abbiamo l’essenza diabolica del tuo caro ragazzino... certo che è vivo, ha ancora il soffio vitale. Ma senza l’essenza sempiterna non è niente. Senza quella, il tuo adorato diavoletto è come morto!- e qui rise ancora, amara. Raf la fissò con odio.
- E non pensare di potergli dare un’altra essenza, sempiterna o terrena che sia. Solo la sua gli ridarebbe la vita. Se gliene dessi un’altra non ricorderebbe più niente di chi è, oppure potrebbe anche rigettarla e morire definitivamente. Fossi in te non tenterei! E’ meglio se lo uccidi subito, ragazza. Sarà meglio per lui! Ha già sofferto troppo, per causa tua - concluse puntandole un indice al petto.
Raf era inorridita. -Mai! Io non lo ucciderò mai!- disse, stringendogli la mano.
- Il mio era solo un consiglio.
- Perché lui? Perché non io? Sono io la Minaccia e la Salvezza, prendete me! A cosa può servirvi lui? – chiese coraggiosamente, con l’incoscienza che solo una angel di sedici astri può avere.
Sua madre sussultò. - Raf? Tu non sei la Minaccia e la Salvezza... mi dispiace, è anche colpa mia... se solo il mio messaggio fosse arrivato bene...
La sirena rise ancora, sadica. Raf non capiva. C’era qualcosa che sapevano solo la sirena e sua madre, qualcosa che lei ignorava.
-Non capisco...
-Ovvio che non capisci. Vero, Angelie? Vero che non può capire?- fece alla donna, gli occhi splendenti di una luce malvagia, la cresta colorata che oscillava nel vento, mentre si esibiva in un sorriso crudele a trentadue denti. Poi si rivolse di nuovo a Raf. - Ti piace leggere, sempiterna?
-Sì... ma cosa c’entra?- Chiese lei, sempre più confusa, stringendo a sé il corpo del suo amato.
-Allora come mai non hai letto questo bel libro che era sul tuo comodino?- sibilò fra i denti, e tirò fuori il libro che era stato rubato a Raf.
La bocca della angel si spalancò in un “O” di stupore e paura.
La creatura le lanciò il libro, e sua madre lo afferrò, prontamente.
- E’ un vero peccato... per te, ovviamente. Se solo avessi saputo avresti potuto avvertirlo di non venire, non proprio qui, nella tana del ragno, come uno stupido moscerino!- Ghignò.
Raf osservò la madre con sguardo interrogativo.
- Mamma..?
-Sì, diglielo, Angelie. Forza, fallo!
-Mamma, dirmi cosa? Qual è il vero messaggio?
Lei prese un sospiro. - Lui. E’ lui.  
Raf rimase in silenzio.
- Lui è la Minaccia e la Salvezza - ribadì la sirena. -L’hai detto finalmente! Il devil è la Minaccia e la Salvezza, è speciale! Per questo è stata presa la sua anima!
Raf rimase ancora in silenzio. Aveva sempre temuto di essere lei, e ora... ora voleva essere lei.
E invece era toccato a lui.
No. No. No!
-Con le lacrime non si risolvono gli errori – gongolò la sirena, alla vista di Raf che piangeva, e poi aggiunse con un sibilo:-Io lo so che tornerai. E sappi che noi, io e le mie sorelle, saremo qui ad aspettarti. Ma prima di venire leggi il libro, mi raccomando. Fallo e pentiti, perché è tutta colpa tua! Se tu lo avessi letto prima, tutto questo non sarebbe successo! E invece lui è venuto qui, e lo ha fatto perché voleva stare con te. Tu non lo hai avvisato, tu lo hai fatto morire, tu hai lasciato che prendessimo la sua anima! Come puoi vedere è sempre colpa tua! O, dal mio punto di vista, è merito tuo. Dovrei ringraziarti. Layadda stessa dovrebbe ringraziarti!
Raf ormai piangeva a dirotto. -Basta, basta! Smettila!
-La verità fa male, vero? Oh, lo so... – e qui esplose in una lunga risata, mentre le sue sorelle la attorniavano, muovendosi nella nebbia, che si faceva sempre più fitta.
Raf si sentiva veramente colpevole. La creatura, pur nel suo intento di farle del male, diceva semplicemente la verità. La triste, tragica verità.
Ma ora che tutto stava venendo allo scoperto, Raf aveva solo una domanda da fare.
-Perché è venuto qui? Cosa voleva fare?- Chiese, senza staccare gli occhi da Sulfus, e senza smettere di accarezzarlo.
-Lui voleva cambiare... per te... -  Iniziarono a sibilare le sirene, insieme. - Lui voleva annullare se stesso, per te... Tu sei… eri la sua debolezza più grande. Come vedi, è sempre colpa tua.
-Cosa voleva fare? - esplose Raf, con un singhiozzo.
- Lui voleva annullare se stesso... – ripeté una creatura.
- ...E’ quello che fanno i disperati...  
- ...Lui voleva...
- ...con tutto il suo cuore e tutta la sua anima...
-...perché sapeva che tu non lo avresti fatto mai...
-...tu non saresti mai diventata come lui...
-... lui voleva...
-... voleva diventare un angelo, e questo solo e soltanto per te!!! 

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Capitolo 18
*** Quanto dolore può sopportare il cuore ***




18. Quanto dolore può sopportare il cuore
 
                                                                      
“Ci sono situazioni veramente strambe, a volte. Situazioni che non ti sembrano reali. Situazioni che vorresti rimanessero incubi impossibili. Vorresti svegliarti, vorresti morire, vorresti qualsiasi cosa purché non fosse vero quello che sta accadendo sotto i tuoi occhi…
E invece è tutto reale, è la tragica verità, e tu non puoi fare niente.”
 
 
Raf sentì la  sua testa girare.
Angelo, angelo, angelo.
Era l’unica parola che riusciva a pensare, perché era quello che Sulfus voleva diventare.
Lui voleva diventare un angelo!
 “Non te lo posso dire... ma sappi che l’ho fatto per stare con te.... Così aveva detto Sulfus. E così era stato.
Che volesse diventare un angelo era una cosa facile, facilissima da capire, tanto che lei si sorprendeva di non averlo capito prima. Un angelo, con aureola e ali e tutto il resto...
... un angelo per poterle stare accanto...
... un angelo per poter custodire, proteggere...
... un angelo per poterla amare.
I suoi occhi si riempirono di lacrime.
- Come vedi, è colpa tua. Ora che te l’ho detto sei contenta? Sei soddisfatta?
Raf rimase in silenzio.
-Puoi anche portare il suo corpo con te, se vuoi. Ormai non ci serve. E portarti via anche lei. Lei non può più stare qui. E tu sai perché, vero?-  Disse la sirena, rivolgendo la domanda ad Angelie, la quale rispose con uno sguardo ostile.
Raf non capì, ma non se ne curò. Anche quello fu un errore, ma ne avrebbe capito il motivo solo in seguito. Quali e quante possono essere le conseguenze di un singolo errore, spesso banale, spesso inevitabile… a volte possono essere persino fatali.
La angel e sua madre se ne stavano accovacciate accanto al corpo del povero devil, stretto fra le braccia della sua amata, che lo accarezzava. La sirena era dinanzi a loro, perfettamente diritta e con le mani puntate sui fianchi. Sul volto era tinto un sorriso pienamente e crudelmente soddisfatto.
La ragazza sollevò la testa verso la creatura, e con la voce più distaccata che avesse, le pose una domanda.
- Come? Come ha fatto a venire fin quaggiù?
- Al suo collo...- mormorò una di quelle creature, che Raf si ritrovò alle spalle. - ...troverai un ciondolo...
-Un medaglione dorato – sussurrò un’altra, che apparve dalla nebbia alla destra di Raf.
Lei infilò la mano nel bavero delle vesti di Sulfus e, come avevano detto le sirene, trovò un medaglione dorato. Lo tirò fuori lentamente e glielo sfilò, deglutendo. Scottava, così lo afferrò per la cordicella.
-Devi metterlo al collo per usarlo - sibilò la sirena che era di fronte a lei, indicando il monile con un dito.
Lei seguì meccanicamente l’istruzione e sentì una sensazione indescrivibile. Il sangue iniziava a fluire e defluire dentro di lei, la pelle iniziava a scaldarsi sotto il ciondolo, che ardeva come fuoco.  Ma era una sensazione piacevole.
Strinse a sé il corpo del devil e lo sollevò, una mano sotto le sue ginocchia e l’altra sotto le braccia. Fece cenno alla madre di prendere la sfera bianca.
- Ora torniamo alla Golden School. Tu usa questa, io uso il ciondolo.  
Mentre entrambe scomparivano nella luce, la sirena urlò, per farsi sentire bene da Raf.
- Io lo so che tornerai, giovane sempiterna! Sei troppo legata a lui, non puoi vivere senza il tuo devil. Tu vuoi ridargli la vita, credi di esserne capace. Sei esattamente come lui: ti credi forte, e invece sei troppo debole. Noi ti aspetteremo, saremo qui a difendere Layadda! Non ti lasceremo portare via l’anima che abbiamo preso per lei. Noi combatteremo!
- Ed io attenderò quel momento con tutta me stessa, e lotterò fino alla morte!- Strepitò Raf, prima di scomparire ed abbandonare la grotta, che piombò nuovamente nel buio.
 
 
Arkan era veramente preoccupato. Non aveva idea di come ritrovare Raf. Davano per scontato che fosse nella Terra Sospesa, ma se la formula non fosse stata esatta? Se Raf fosse finita altrove? Chissà dove si trovava...
- Vuoi calmarti, Arkan?  E’ un’ora che cammini avanti e indietro, mi fai venire il nervoso!- Sbuffò la Temptel, che si godeva una comoda poltroncina rossa, particolarmente comoda.
- Come puoi non preoccuparti? C’è anche Sulfus, laggiù, hai capito? Un tuo allievo!- Precisò Arkan.
- Beh, l’avevo capito tre ore fa. Altrimenti non si sarebbe spiegato perché ci fosse andata quell’angioletta della tua allieva! – Sottolineò la professoressa.
Arkan roteò gli occhi e si sistemò gli occhiali sul naso. - Sinceramente, è anche questo che mi preoccupa - Mormorò.
- Hai detto qualcosa?
- Nulla. Ma dimmi, non hai notato nulla di strano in lui ultimamente?
-In chi, in Sulfus?
- E chi altri sennò, Basilisco?! – quasi urlò spazientito Arkan.
- E va bene, calma! Basta specificare... con un po’ di gentilezza, magari.
Arkan nascose il volto fra le mani, esasperato. - Insomma, come stava Sulfus?
- Male, effettivamente. Saltava le lezioni… non che questo sia particolarmente strano, per un devil, ma lo faceva sempre più spesso, ed aveva decisamente una brutta cera.
- E lo dici solamente ora?!
-Come avrei mai potuto immaginare che volesse andare nella Terra Sospesa?- Si difese la professoressa, allargando le braccia. - Ma cosa avrà mai voluto fare lì?
- Qualunque cosa, non possiamo saperlo. Alle sirene si può chiedere di tutto, loro hanno il potere di far avverare qualsiasi desiderio, in cambio della sfera di vetro…
-…che Sulfus ha portato loro! Per tutte le basse sfere! Come può essere? Per trovarla bisogna andare...
-…al confine del fuoco, al limite fra acqua ed aria. Lo so. – Sospirò Arkan. - Lo so. Temo proprio che Sulfus sia in serio pericolo.
La Temptel tacque, realizzando solo in quel momento quanto fosse grave la situazione.
-Come accidenti ho fatto a non capirlo? - si rammaricò. -Non lo posso lasciare là, Arkan, non posso. Ma non so nemmeno cosa potremmo fare. Arkan, se le sirene hanno la sfera di vetro smerigliato… loro non hanno limiti! Sono capaci di fare qualsiasi cosa! Per tutte le basse sfere, Raf e Sulfus non possono restare laggiù!- Si alzò, improvvisamente in preda al panico.
- Com’è che ti sei resa conto solo ora della situazione?- Bofonchiò accigliato Arkan.
Lei non rispose, gli occhi sbarrati. Serio pericolo. Quelle due parole avevano smosso qualcosa in lei, nei meandri della sua memoria, dove una Temptel ancora bambina aveva rischiato di morire; quella volta si era trovata – come sua madre aveva poi raccontato – in una situazione di serio pericolo. Ricordava ancora l’evento con la perfezione più assoluta, e più di ogni altra cosa ricordava il terrore che la attanagliava, e la certezza che sarebbe morta… la Morte, che era quasi estranea ai sempiterni, l’aveva invece sfiorata, e adesso la devil sentiva la stessa sensazione di allora.
- Bene, allora - Disse Arkan. -Sarà meglio muoverci e raggiungere...
- Raf! - Esclamò la Temptel, con gli occhi sgranati dalla sorpresa. Proprio in quel momento la angel aveva spalancato la porta con un colpo secco ed era entrata nella stanza, con Sulfus fra le braccia e Angelie alle sue spalle.
I due professori si guardarono allibiti.
- Sulfus! Cosa gli è successo?- Chiese con orrore la professoressa, avvicinandosi per osservarlo.
Nonostante le ferite peggiori si fossero rimarginate, sul corpo se ne vedevano ancora i segni, ed erano uno spettacolo orribile.
- E’ ancora vivo, ma bisogna fare in modo da mantenere attive le sue funzioni vitali - Disse Angelie.
- Io resto qui, e lei, Angelie, mi spiegherà tutto – disse il professor Arkan. - Voi andate a portarlo in infermeria - aggiunse il professore rivolto a Raf e alla Temptel.
- Lascia che lo porti io – Disse la professoressa a Raf, apprensiva, ma lei non si mosse.
Fissava lui, e tutto il resto, in modo quasi inespressivo, con le lacrime che scorrevano sulle guance. Così la devil tacque e seguì la ragazza in completo silenzio.
E’ una cosa dolorosa, il silenzio. Lo si associa al lutto, alla morte, e in genere significa solitudine e dolore, come  il dolore che circondava Raf e la professoressa. Ogni passo era dolore, ogni sussurro era una lacrima, ogni respiro si spegneva in un singhiozzo.
Arrivarono in infermeria, dove un angel ed un devil si fecero i segni della protezione, benedizione e maledizione. Presero Sulfus e lo stesero sul lettino, delicatamente. In silenzio.
Poco dopo arrivarono nella sala anche tutti gli altri, angel e devil. E continuò a regnare il silenzio.
Raf si avvicinò a Dolce. -Hai una matita per labbra? – le chiese.
Dolce la guardò allibita. Pensava al trucco in un momento simile? E poi lei passava per la fissata con l’estetica per antonomasia…
- Una matita rossa. Ce l’hai?
Dolce frugò per un attimo nella borsetta che portava a tracolla prima di estrarre la matita, e la porse a Raf, chiedendosi se per caso l’amica non fosse impazzita.
Urié però, che assisteva alla scena, aveva capito, e si fece i segni della protezione.
Raf prese la benedetta matita e la stappò. Quello schiocco fu l’unico suono che osò rompere il silenzio tombale che regnava nell’infermeria.
Si avvicinò al corpo di Sulfus e poi s’inginocchiò al suo capezzale. Cercò di frenare un singhiozzo.
Ciò che stava per fare le faceva inevitabilmente pensare alla preparazione di una salma per il funerale, ma non era così. Doveva aver fede che Sulfus ce l’avrebbe fatta, e che una volta che si fosse svegliato le sarebbe stato grato per il suo gesto.
Lei doveva farlo, glielo doveva.
Iniziò ad accarezzargli le guance, davanti a tutti, ma per lei era come se non ci fosse nessuno oltre a loro. Poi, delicatamente, iniziò a passare la matita sulla sua palpebra sinistra. Disegnò la sagoma di una stella, poi colorò le cinque punte, una dopo l’altra.
Gli aveva ridato la sua stella, il suo segno distintivo. Perché lui non doveva annullare se stesso.
Alla fine lasciò ricadere la mano lungo il fianco e rimase in ginocchio, ferma, immobile, con gli occhi gonfi e rossi, conficcandosi le unghie nei palmi delle mani.
Il cuore le batteva forte. Sbatté le palpebre un paio di volte e lasciò che le lacrime rotolassero sulle guance.
- E’ colpa tua! –  Singhiozzò Kabalé avvicinandosi a Raf, e il suo urlo spezzò l’atmosfera quasi incantata che aveva circondato lei e Sulfus.
Raf non rispose.
- E’ colpa tua, solo e soltanto tua! Avresti dovuto fermarlo, e invece non lo hai fatto. Non hai fatto niente!
Raf rimase immobile, a guardarla con aria colpevole.
- E’ colpa tua!- Singhiozzò di nuovo la diavoletta.
- Kabalè, ha scelto lui di farlo - S’intromise Cabiria, cercando di calmarla.
- Ma lei avrebbe dovuto fermarlo! – strepitò. Si rivolse direttamente a Raf. –Lui ti ascoltava, ascoltava solo te ormai! Tu avresti dovuto fermarlo, eri l’unica in grado di farlo, e invece non l’hai fatto! E adesso lui non ci sarà più... non ci sarà più per sempre e per nessuno!- Strillò.
Nessuno replicò.
Raf la fissò, inespressiva. -Io non avevo capito niente - Disse, fra le lacrime. -Credi che non lo avrei fermato, se solo l’avessi saputo? - Singhiozzò.
- E’ colpa tua! Abbiamo sentito quella donna che parlava con Arkan. Lui lo ha fatto per te, per diventare come te!
Tutti i devil, vergognosi, abbassarono lo sguardo. Un devil che voleva diventare un angel, e nel tentativo era morto, per loro era un disonore, una vergogna. Ma nessuno di loro osava parlare. Tutti se ne stavano a testa bassa, inclinata dal peso del dolore. Solo Kabalè sentiva il bisogno di gridarlo, quel dolore.
Raf la fissò negli occhi e poi abbassò lo sguardo. Cercando di non piangere, mormorò: -Lo avrei fermato, se solo avessi potuto, se avessi saputo.
- E perché lo avresti fatto? Aiutare un devil! – Disse Kabalè con disprezzo, deridendola amaramente. - A te non importa niente di noi, di lui! Proprio niente! - Singhiozzò, fissandola negli occhi lucenti.
- Lei lo avrebbe fatto, - s’intromise Dolce – perché è una angel, e gli angel salvano le persone. E anche i devil.  
- No, Dolce.- la corresse Urié, a bassa voce. – Non solo per questo... forse è meglio che tu stia in silenzio - E spinse indietro l’amica.
Raf aveva ancora lo sguardo perso nel vuoto, e piangeva.
 - Smettila, Kabalé! Smettetela tutti! Perché è colpa mia? Sulfus l’ha fatto per me, è vero, ma ha scelto lui di farlo, e a me non ha detto nulla! Solo quando era in fin di vita… – la voce di Raf si spezzò - …mia madre mi ha avvisata del pericolo che lui correva, ed io... io non potevo lasciarlo solo.
-Ma credi davvero, – continuò Raf – credi davvero che se lo avessi saputo prima lo avrei lasciato m.... che non lo avrei salvato? Come pensi che mi sia sentita, a crederlo morto fra le mie braccia? Avrei preferito essere morta io al suo posto! Avrei dato qualunque cosa per non vederlo morire!
Urlò quelle ultime parole con quanto fiato aveva in gola. Quando ebbe finito, le sue spalle tremavano, così come le gambe.
Ricordava ancora gli occhi gonfi di Sulfus mentre si chiudevano, fissandola per un’ultima volta...
Se solo avesse saputo... non lo avrebbe mai lasciato morire. Mai.
Perché... perché lo amava.
- Io non lo lascerò morire, e tu lo sai! E sai anche il perché! Farò qualsiasi cosa per salvarlo, non lascerò che usino la sua anima! A costo di rischiare la mia stessa vita! - abbassò lo sguardo e uscì correndo dalla piccola sala fredda, seguita a ruota da Angelie.
Raf corse, corse e corse ancora.
I ricordi sono la cosa più dolorosa che abbiamo, senza dubbio. Dovunque vai, continuano a seguirti. Sono come le ombre. Non ti lasceranno mai, fino alla morte.
Raf corse più veloce che poteva per fuggire dai ricordi e, in fondo, anche da se stessa. Voleva correre via dal maledetto ricordo degli occhi di Sulfus agonizzanti mentre moriva. Via dal maledetto ricordo dei tratti tumefatti del suo volto. Voleva scappare dall’incubo.
Svolta dopo corridoio, dopo svolta, dopo corridoio, dopo svolta, dopo altro corridoio.
Ma puoi correre quanto vuoi, non solo non scapperai da nessun problema, ma alla fine troverai sempre un muro a frenare la tua corsa. Anche Raf lo trovò. Batté i pugni su quel muro e si lasciò cadere ai suoi piedi, continuando a singhiozzare. Piangere era l’unica cosa che potesse fare. Piangere e gridare al muro il suo dolore per quel che aveva perso.
Se invece di continuare a ripetere a Sulfus che la loro storia era impossibile avesse accettato di trovare una soluzione insieme, lui non avrebbe cercato un rimedio estremo, rischiando la sua vita.
E invece no, lei aveva continuato imperterrita a negarsi, a negare il loro amore.
Ma lui non si era arreso. Lei sì, perché non aveva valutato altre soluzioni che una: lasciarlo per sempre. Nonostante lo amasse. Nonostante le regalasse emozioni fortissime anche solamente un suo sfiorarle la mano.
Nascose il volto fra le mani.
Era vero, allora. Era veramente colpa sua.
La vista tremolava, era sfocata, segno che altre lacrime erano ansiose di scorrerle lungo le guance.
- Raf...
Lei sollevò lo sguardo. C’era sua madre lì.
- Che ci fai qui?
In silenzio Angelie si sedette accanto a lei. Anche se Raf non sapeva niente di lei, in quel momento era l’unica persona capace di darle conforto. E così la strinse forte. E lei la lasciò piangere.
 
 
In infermeria era tornato il silenzio.
Miki fissò Raphitya, una muta richiesta negli occhi, e lei annuì. Dopo che loro per prime iniziarono, tutti gli altri, sia gli angel che i devil, si misero a pregare. Gli angel pregavano a mani giunte verso l’alto, i devil a mani giunte verso il basso. Tutti uniti nel silenzio.
Ang-li si sentiva terribilmente addolorato per Sulfus. Non lo credeva, in tutta sincerità, capace di fare una cosa simile. Non credeva che amasse davvero Raf sino a quel punto. E invece…
Si sentiva in colpa, adesso, ad aver mandato quelle rose a Raf.
Anche Arkan e Temptel, in fondo, si  sentivano in colpa. Loro erano professori, due sempiterni potenti... forse avrebbero potuto fare qualcosa...
Kabalé stessa si sentì in colpa, per aver urlato a quel modo contro Raf.
Io non lo lascerò morire, e tu lo sai! E sai anche il perché!”.
Perché lo amava. E lui amava lei. Doveva rassegnarsi.
Raf invece era ben lungi dal rassegnarsi. Se lo avesse fatto, la nostra storia avrebbe anche potuto finire qui. Avrei potuto raccontare di come le sirene usarono l’anima di Sulfus per dare vita a Layadda, per essere liberate. Avrei dovuto raccontare di come angel, devil e terreni vennero distrutti. Di come le sirene disseminarono dolore e distruzione nel mondo.
Ma fortunatamente non dovrò dire nulla di tutto questo, perché Raf decise di non arrendersi.
La scelta era sua, e da quella scelta dipendeva tutto. Il suo destino non era segnato, la storia era tutta da scrivere.  E sarebbe stata Raf a determinarne il finale.
Finale che mi prenderò io la premura di raccontare, per chi vorrà conoscerlo.
Quindi accomodatevi pure... questo è solo l’inizio.



Ho aggiornato prima rispetto al solito perché domani è il mio compleanno, sto facendo una festa in grande e quindi sarò incasinatissima. Ne ho approfittato ora che ho il tempo. Gli altri capitoli però seguiranno l'aggiornamento regolare... almeno si spera XD
Sto pubblicando, sempre a nome di Dolce_Kira, una fanfiction super fluffosa nel fandom di Kuroshitsushi (aka Black Butler); se siete interessate fateci un salto!
Saluti!
Aching heart

 

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Capitolo 19
*** Rimorsi e alternative ***


 



19. Rimorsi e alternative
 
 “ A volte temiamo che sia troppo tardi per rimediare ai nostri errori e che non ci resti altro che piangere tutte le nostre lacrime. Ma questo non è mai vero. Non bisogna arrendersi mai. Bisogna provare qualsiasi alternativa... fino alla fine… fino alla morte. ”
 

Raf stringeva forte sua madre, mentre piangeva lacrime di dolore.
Pianse per secondi, minuti interminabili. Infine pose ad Angelie una domanda strana.
- Mi leggi una storia?
Lei la guardò di sbieco. Raf le porse il libro che le avevano dato le sirene, Minaccia e Salvezza. Gli occhi della madre divennero tristi. Abbassò lo sguardo sul libro che le porgeva la figlia e osservò la scritta a caratteri dorati in rilievo. La accarezzò con l’indice, e sospirò.
- Va bene.  
Aprì il libro. Raf trattenne il respiro. L’aria parve crepitare attorno a lei, come se fosse in attesa.
- Sei sicura?
- Sì, devo sapere.
- D’accordo.
Qui di seguito vi riporterò un breve capitolo di riassunzione, ma la madre di Raf lo lesse fino all’ultima riga, fra le lacrime della figlia, che però la incitava a continuare.
 
Minaccia e Salvezza... di tale anima si parla da tempo, in centinaia di leggende. Si dice che sia l’anima più potente mai esistita, ed è quell’anima che da tanto attendono le creature della Terra Sospesa, anime del Purgatorio che si sono perdute nel cammino dell’espiazione delle colpe, e non arriveranno mai al Paradiso. Sospese fra acqua e terra, sono creature incomplete, che sono state trasformate dal peso dei loro peccati. Non possono vivere l’una senza l’altra, infatti in molte occasioni vengono definite “un’unica entità”. Ve n’è solo una che può vivere separata da tutte le altre. È anche l’unica che può sottrarle al loro destino di anime perdute, l’unica che può dare loro la libertà e la possibilità di diventare corporee, per avere la vendetta che tanto desiderano. Ma ad una condizione: a questa creatura, il cui nome ci è ignoto...”
 
Layadda. Raf sapeva che il suo nome era Layadda.
 
“... dovrà essere donata l’anima più potente mai esistita, l’anima detta Minaccia e Salvezza. Questa sarà una creatura certamente sempiterna. Una creatura dal cuore eccessivamente puro, e per questo eccessivamente potente.
E’ quella l’anima che le sirene cercano. Le antiche profezie narrano che sarà proprio quest’anima a portare alle sirene ciò di cui hanno bisogno per il loro terribile piano: una manufatto in grado di sottrarre le anime persino ai sempiterni, la sfera di vetro smerigliato. Quest’anima dovrà cercarla ai confini del fuoco, al limite fra terra e acqua... sulla Terra, il misero pianeta dei Terreni.
Quest’anima rischierà più volte di morire. Quest’anima sopporterà atroci sofferenze e terribili torture da parte delle creature per un semplice desiderio: mutare la propria essenza sempiterna per poter stare accanto all’anima che ama, con tutto il cuore e tutto se stesso.
Male per tale anima, perché le sirene sapranno chi è, e non lasceranno scappare l’anima speciale, l’unica che le può liberare.
Non ci sarà salvezza per quest’anima, che farà quel che farà per amore, un nobile sentimento… e tuttavia, non l’unica ragione dietro al gesto del sempiterno. Di più non ci è dato sapere.
L’unico possibile rimedio è un essere dotato di un potere mentale straordinario, senza precedenti, ma non sarà facile trovare una creatura dotata di tali capacità.
Quel che è certo è che quest’anima, la Minaccia e la Salvezza, morirà per amare. Quello che accadrà in seguito, invece, non è scritto nel destino. Dipenderà, in parte o totalmente, proprio dall’anima amata dalla Minaccia e Salvezza, quell’anima compagna a causa della quale sarà morta, consegnandosi fra le mani di chi la voleva.
Una cosa, la più certa, è che le creature della Terra Sospesa lotteranno fino alla morte, perché la Minaccia e la Salvezza è potere puro. Ed il potere non può aver fine, neppure con la morte...”
 
Raf rimase sconcertata. Stette in silenzio, un silenzio che parve eterno. Abbassò lo sguardo a terra, e singhiozzò.
Poteva ancora fare qualcosa. Ma doveva essere la cosa giusta, oppure non avrebbe avuto la minima possibilità di salvare Sulfus. Ed era la cosa che desiderava più di qualsiasi altra cosa al mondo, averlo lì con sé, vivo, reale, a stringerle la mano guardandola negli occhi, mentre sorrideva dolcemente.
-Incredibile – fece sua madre.
-Cosa?
- Come vadano a finire le cose. Prima nasco come un essere normale, poi cresco e capisco che non è così... capisco che io so parlare con gli angeli...
-Come?! - Raf strabuzzò gli occhi.
- Sì, proprio così. Io parlavo con gli angeli già da quando ero completamente umana. Malachia, tuo padre, era l’unico che mi credeva, che non mi riteneva una pazza... – E qui fece una smorfia strana, al ricordo degli scherni di chi voleva chiuderla in manicomio. – Quando avemmo te, gli angeli me lo dissero. Mi dissero che la Minaccia e la Salvezza sarebbe stato chi ti avrebbe amato. Mi raccomandarono di tenerti al sicuro, lontano da chiunque potesse amarti. Dissi loro che era una cosa impossibile. E’ nella natura umana amare. E anche in quella sempiterna. – Raf abbassò lo sguardo sul pavimento. –  Non è una colpa, non si può evitare. Quando l’amore arriva rimane nel cuore, non si può fare nulla per contrastarlo. Non si può decidere a priori di non amare, per il semplice motivo che è impossibile.
Raf tacque, stringendo la mano della madre, e con l’altra accarezzando le lettere in rilievo sulla copertina del libro.
-Le sirene mi attirarono nella Terra Sospesa e mi tennero lì prigioniera, e io non ho potuto vederti crescere. Sapevano del mio dono, sapevano che gli angeli avevano confidato a me ciò che a loro interessava sapere, e non potendo arrivare ai sempiterni ripiegarono su di me. Volevano sapere chi fosse la Minaccia e la Salvezza, ma io glielo dissi mai, perché sapevo che tu ne avresti sofferto.
Mi rinchiusero nella teca di vetro, dove scoprii che il mio dono di vedere gli angeli e comunicare con loro non era che parte di un dono più grande: non so per quale motivo, ma io, una semplice mortale, sono nata con delle capacità mentali estranee al resto del genere umano. Eternamente prigioniera, consumata dal desiderio di vederti, di parlarti, ebbi modo di sviluppare per anni i poteri mentali... per mettermi in contatto con te. Ma anche le sirene hanno quel genere di poteri, e sebbene non potessero carpire le nostre conversazioni, potevano però ostacolarle. Perciò per me era difficile farti capire bene i messaggi, crearti sogni ed illusioni, ma… dovevo almeno provarci, tesoro.
Per un momento tacquero entrambe.
- Sai qual è stata la cosa più bella di quando ti ho rivisto, poco fa?- Raf la guardò interrogativa, dritto negli occhi. - Quando mi hai chiamata mamma.
La ragazza sorrise tristemente. - Chissà se andrai d’accordo con la mia madre angelica...
- Già, me lo chiedo anch’io. Forse litigheremo un po’.
Raf rise, piano. Poi fece una domanda che si poneva da tempo. – Tu sei vissuta nell’Ottocento, sei stata tenuta in vita per tutto questo tempo dalla teca di vetro, vero? – Sua madre annuì. – Ma io? Io ho solo sedici astri! Sedici astri corrispondono più o meno a sedici anni terrestri, come posso essere nata nell’Ottocento? Come faccio ad essere solo una ragazza, quando dovrei avere l’aspetto e l’età del professor Arkan? E perché, se sono nata umana, adesso sono una angel?
Raf, dapprima presa dalla foga delle domande, si bloccò. All’improvviso le venne in mente una cosa…“fatti delle domande, Raf, e capirai che ho ragione. Capirai che ci stanno mentendo tutti, tutti quanti.” Esattamente quello che le aveva detto Sulfus. Farsi delle domande...
“Domande alle quali non saprai rispondere”
Cercare le risposte...
“Capirai che ho ragione...”
Secondo Raf, in quel momento, le risposte non c’erano.
“No, Raf. Io non mi arrendo. Avrò le risposte che cerco. A qualsiasi costo.”
Le vennero le lacrime agli occhi. Lei si era arresa, e prima di allora non si era posta nessuna domanda, non veramente.
Si sentì tremare, e le lacrime iniziarono di nuovo a scorrerle sulle guance.
- Non può finire così! - Singhiozzò. - Lui non può morire! - Sua madre l’abbracciò. – Cosa posso fare? Non posso stare qui con le mani in mano mentre lui rischia di morire! E tutto questo perché ha amato me! Altro che Minaccia e Salvezza! Lui è la Salvezza, e io invece sono più di una Minaccia! Sono la rovina, la sua rovina! - Singhiozzò, coprendosi il volto con le mani.
Sua madre le prese la mano e la pose sul suo stesso petto, sul cuore.
- Ascolta Raf... lo senti? Questo è il tuo cuore. Devi ascoltare quello che ti dice, perché solo lui sa veramente cosa fare...
Raf lo ascoltò. E lo sentì battere feroce contro le costole. Ma sentì anche qualcos’altro, qualcosa di duro, che teneva ancora nascosto sotto la maglietta: il ciondolo di Sulfus, che lui aveva usato per andare nella Terra Sospesa.
Sbatté le palpebre, incerta. Guardò la madre. - Forse ho capito!- esclamò, asciugandosi le lacrime.
Angelie annuì felice. – Ora so cosa fare.
Raf sorrise. E mentre parlava, si accarezzava il cuore, là dove sentiva il ciondolo che bruciava sulla sua pelle.
A costo della mia stessa vita, Sulfus, pensò, io giuro che ti salverò!

 
 

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Capitolo 20
*** Il tuo cuore non può morire ***




20. Il tuo cuore non può morire
 
“Quando finalmente capiamo di essere essenziali, fondamentali per qualcuno che ci sta molto a cuore, quando capiamo che siamo noi la loro ultima possibilità, l’unica cosa da fare è farsi venire un’idea, un’idea vincente. Perché dipende tutto da noi.”
 
 
Angelie fece per abbracciare Raf, ma lei si ritrasse. Si sollevò in piedi.
- Dove vai?- le chiese sua madre.
Lei non rispose, forse non l’aveva neppure sentita. Si avviò di  nuovo verso l’infermeria.
Quando arrivò, erano rimasti solo gli amici di Sulfus ed i loro rispettivi avversari angel.
Osservò Sulfus ed ebbe una stretta al cuore. Lo avevano messo disteso sotto una teca di vetro, le braccia lungo i fianchi. Come se fosse in una bara.
Ad Angelie sembrò di rivedere sé stessa, dentro la teca, e rabbrividì.
Kabalé scoccò a Raf un’occhiata piena di odio. Lei ricambiò con un’occhiata triste.
- Dobbiamo tornare nella Terra Sospesa!- sentenziò Raf. Tutti sollevarono il capo a guardarla.
- Ma cosa dici?! - Fece Miki, spaventata.
- Sei pazza, per caso? Raf, è una follia!- Rincarò Ang-li.
Kabalé e Cabiria invece annuirono consenzienti.
- Lo so che non tutti voi siete d’accordo. Ma vedete, ora... le sirene con la sua anima possono liberarsi! Noi dobbiamo assolutamente impedirlo! Dobbiamo recuperare l’anima di Sulfus! – Continuò Raf.
- Poi lui tornerebbe a... vivere, vero?- chiese Cabiria tirando su col naso, mentre piangeva abbracciata al fidanzato Kaiwir, che naturalmente da gran virile quale era sembrava  sul punto di svenire.
- Non lo so. Il nostro è un tentativo. Ma io non posso lasciarlo morire! Io non posso permettere che lui muoia!- Disse ancora l’angioletta bionda, decisa.
- Raf!- esclamò la madre. – L’anima di Sulfus verrà usata in una notte di plenilunio: la luna piena farà da catalizzatore per l’anima di Sulfus, e le impedirà di tornare nel suo corpo. Ora la luna è ancora a metà, abbiamo ancora del tempo per prepararci.-  concluse Angelie, sicura di quello che diceva.
- Ma è una follia!- fece Kabalé, stringendo i pugni. - Dobbiamo assolutamente andare! Adesso!
- E’ vero! Io mi sento così solo nella mia stanza, senza di lui. Mi manca così tanto...- disse il compagno di stanza di Sulfus.
- Manca a tutti noi, Gas. – Disse  Raf.
Kabalé la guardò con odio. - E a te in modo particolare, vero?
Raf la guardò dritto negli occhi. - Tu lo sai. Smettila di fare così. Lo sai...
- So che cosa? – Chiese lei dura, contorcendo la bocca in una smorfia.
Raf esitò. Si morse le labbra, e le sue gote arrossirono. Perché voleva che lo ammettesse pubblicamente, davanti a tutti? Si sentiva così a disagio...
- Forza, dillo. Dì perché lo vuoi salvare!- Ringhiò Kabalé, con la voce che tremava dal pianto.
- Sì, va bene, te lo dirò. Se insisti così tanto perché vuoi che lo ammetta pubblicamente, allora te lo dirò. Lo voglio salvare, perché... innanzitutto perché merita di vivere, come chiunque. Poi perché ha degli amici che darebbero la vita per non perdere la sua amicizia. E terzo...- qui deglutì. E va bene, l’avrebbe detto. Sospirò. -... e terzo perché... perché...- La sua voce tremò. -... perché lo amo! Potrei vivere senza di lui per il suo bene, ma non sapendo che è morto per causa mia! E’ un peso troppo grande, non posso sopportarlo!- Esplose.
Piombò il silenzio. Tutti lo sapevano, naturalmente, ma sentirlo dire così, con disperazione, fra le lacrime, fu devastante per tutti.
- Raf...- Iniziò Arkan.
- No, professore. Voglio solamente salvarlo. Non posso vivere con questo peso. Preferirei morire piuttosto che avere una responsabilità del genere. Non è giusto che per causa mia a lui non sia più dato di vivere!
-Infatti, non è affatto giusto!- strillò Kabalé.
- Però, ve lo ripeto, lo ha deciso lui... nessuno di noi ha la colpa, nemmeno Raf; dopotutto, non lo sapeva...- s’intromise Cabiria.
- Ma lo ha fatto per me!- singhiozzò Raf.
-Già, e quindi è colpa sua!- la zittì Kabalé.
Ad un certo punto, si staccò dal muro qualcuno che era stato in silenzio tutto il tempo, e parlò, perché lei sapeva qualcosa che loro non sapevano. Era Raphytia.
-Ragazzi! Ragazzi! Litigare non è un inizio... non risolverete nulla, litigando.  – Ora tutti la stavano ascoltando. - Penso che se dobbiamo fare qualcosa, dobbiamo farlo insieme. – Tutti annuirono. Miki le sorrise. Raphytia finse di non averla notata. - Ormai quel che è successo è successo. Di chiunque sia la colpa, non si può continuare a piangere sul latte versato.
-Di chiunque sia la colpa?- strillò indignata Kabalé. –Come chiunque? La colpa è sua e solo sua!
-Ormai quel che è successo è successo – ripeté la devil dagli strani capelli, zittendola con una sguardo fulminante e significativo. - Raf è convinta di esserne la causa, ma... sono ben felice di dirvi che non è così.
Raf la guardò, gli occhi sgranati. - No?- chiese, tirando su col naso.
- No, Raf. Almeno non sei stata l’unica ragione, da quel che ho potuto capire.
Calò un silenzio tombale.
- Non capisco...- fece Kabalé, a bassa voce.
- Ovvio che non capisci- disse sprezzante Raphytia – perché non osservi. Non hai mai osservato come Sulfus guardava Raf, altrimenti avresti smesso di sperare... ma non solo Raf. Non hai mai visto come lui guardava ogni terreno. – Silenzio. – I terreni hanno la possibilità di scegliere. Riflettete. Nessuno di noi sempiterni ce l’ha.  
Tutti abbassarono lo sguardo. Era vero.
- Nessun devil può fare una scelta giusta. Nessun angel una sbagliata. Altrimenti...
-... altrimenti è un sacrilegio.- Concluse Raf, ricordando con dolore il discorso che Sulfus le aveva fatto sulla spiaggia. Rabbrividì.
- Sì, Raf, esattamente. Lui voleva scegliere il bene, ma è nato devil.
- Non può essere!- strillò Kabalé.
- E invece è veramente così. Lui si è sempre comportato da tipo tosto, vero?- Kabalé non replicò. - Questo perché non era sicuro di sé.  
-Ma sembrava molto sicuro di sé. – Obiettò Gas.
-Sì, Gas. – confermò la devil dagli occhi neri e misteriosi. - E’ proprio così: sembrava. Lui non è nato per questa vita. Lui non è nato per questo. Una parte di lui l’ha sempre saputo. E l’altra parte se ne è resa conto quando si è innamorato di Raf.  
Silenzio. Ancora silenzio.
Raf singhiozzò.
- E allora ha deciso che non poteva più essere quello che era stato, per il semplice motivo che non sentiva più sua quell’identità. Dentro di lui c’è sempre stato qualcosa... qualcosa che gli ha impedito di sentirsi completamente a suo agio con se stesso.
Dopo un silenzio interminabile, Arkan fece cenno a tutti di lasciare la stanza.
- E’ vero. Sei una devil molto saggia, Raphytia. Sei forse la migliore di tutti loro. Sei un’osservatrice attenta, e questo fa di te un’abile devil. Vincerai tutte le sfide della vita, mia cara - disse Arkan.
Poi chiamò a raccolta Raf, Urié e Cabiria. - Ci sono delle cose che dovete sapere, ragazze. E’ urgente, non posso più rimandare. Urié e Cabiria, voi siete la angel e la devil della preveggenza. D’ora in poi non starete mai più separate, faremo in modo di farvi stare unite. Il vostro potere è grande, e se state insieme potrete aiutare a prevedere grandi avvenimenti. – Cabiria ed Urié si sorrisero. Poi il professore si voltò verso la ragazza, ed assunse un’espressione seria. – Raf, tu invece sei… un angelo nero.
Raf trasalì. -Come?
- Solo una fortissima rabbia può trasformare un angelo tanto da renderlo nero, ossia per metà demone. Una volta che i poteri sono stati acquisiti, indietro non si torna. Per la disperazione, nei momenti più negativi della tua vita, ora puoi richiamare a te  i poteri dell’oscurità. Poteri quasi immensi, a cui dovrai fare molta attenzione, o potrebbero controllarti e farti fare qualcosa di cui ti potresti pentire. Ma ricorda chi sei ed usali per una buona causa, ora che si sono scatenati dentro te. –
La ragazza annuì, inorridita. - Ora andate. Vi garantisco che io e la professoressa Temptel ci occuperemo al più presto della situazione di Sulfus. Voi state calme, va bene?
Cabiria stava per replicare, ma Raf le tirò una gomitata. Lei capì che aveva qualcosa in mente e tacque.
Raf e tutti gli altri abbandonarono l’infermeria.
- Vuoi che resti un altro po’ ? –  Chiese Arkan alla Temptel.
- No, no... se non ti spiace, vorrei restare un po’ sola qui.
-Va bene – disse l’angel, ed abbandonò la stanza.
E fu in quel momento, là, da sola, che anche la professoressa dei devil pianse.
 
 
Quel giorno non ci fu il normale svolgimento delle lezioni ma un allenamento generale. Però, come ogni giorno, arrivò il momento di andare a pranzo, in sala mensa.
E fu allora che Raf mise in atto il suo piano.
Mormorò qualcosa a Dolce, che la mormorò ad Urié, la quale a sua volta lo mormorò ad Ang-li, il quale sorpreso lo sussurrò a Miki. La ragazza si indicò e si alzò, insieme a Raf. Insieme loro due si avviarono verso il tavolo dei devil.
Regnava un silenzio tombale. Tutti mangiavano in silenzio, osservando la triste sedia vuota fra Kabalé e Gas.
Raf arrivò e batté un pugno sul tavolo per richiamare l’attenzione di tutti.
- Siamo angel e devil – iniziò, esordendo con rabbia.
- Sempre gli uni contro gli altri.- continuò Miki.
- Sempre?- fece sprezzante Kabalé, scoccando un’occhiata acida a Raf.
- Beh, quasi sempre - si corresse Miki, facendo l’occhiolino a Raphytia, la quale la ricambiò con un mezzo sorriso.
- Ma ci sono situazioni - proseguì Raf – in cui bisogna abbattere queste barriere ed unire le forze.
- Già, “certe situazioni”...- biascicò seccata Kabalé, sottilmente allusiva.
Raphytia la zittì con uno sguardo glaciale. Poi si rivolse a Raf. - Vai avanti.
- Credo che questa sia una di quelle situazioni. Non possiamo lasciare che i professori si occupino della faccenda di Sulfus. Non sappiamo quando e come agiranno. Dobbiamo farlo noi, ragazzi. Se vogliamo rivederlo vivo, siamo gli unici capaci di farlo.
- E’ vero- disse Cabiria, triste. – Senza di lui non riesco nemmeno a ridere.-  concluse, con un sospiro.
- Mi manca così tanto!- disse Gas, osservando triste la sedia vuota accanto a sé.
- Manca a tutti noi. – disse ancora Raf.
- Vai al dunque.- Fece Raphytia.
- Se volete salvarlo, sottrarlo al destino di morte che altrimenti sarà suo per sempre, io posso portarvi nella Terra Sospesa.
Silenzio.
Miki cercò Raphytia con lo sguardo, come per trovare una conferma nei suoi occhi scuri. Lei sorrise affabile ed annuì.
- Come?- Chiese Gas.
Raf infilò la mano nel bavero della maglietta, e mostrò rapidamente il ciondolo.
- E’ quello che ha usato Sulfus per andare nella Terra Sospesa.- E qui fece una pausa, mentre lo nascondeva nuovamente. Poi aggiunse, stringendo i pugni con aria determinata. - Ed è quello che noi useremo per andarlo a salvare!
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 21
*** Anime prigioniere ***


 


21. Anime prigioniere
 
“Angel e devil, gli uni contro gli altri, sempre... o quasi.
Perché poi arrivano momenti in cui l’unica cosa che resta da fare è… allearsi.”
 
 
I nove sempiterni, ad uno ad uno, si diressero senza farsi notare sul retro del cortile, il luogo stabilito per il ritrovo.
Là, Raf tirò fuori il ciondolo. Era così piccolo... Lo guardò speranzosa.
- Forza!- disse, incitando gli altri. – Noi angel teniamo il cordino da questo lato, voi devil dall’altro.
-Ma... sei sicura che basterà per tutti noi?- Chiese Cabiria preoccupata.
- Non ne sono affatto sicura- sospirò Raf. – ma non abbiamo altra scelta.  
La mano di Raf stringeva forte il ciondolo. Lei sospirò.
- Ripetete con me: noi chiediamo...
- Noi chiediamo...
- ...di viaggiare....
- ....di viaggiare....
- ...nella Terra Sospesa!
-... nella Terra Sospesa!
Un raggio di luce bianca partì dal ciondolo ed iniziò a circondarli da capo a piedi. Sentirono il sangue fluire verso l’alto, la testa svuotarsi, il corpo farsi leggero sino a svanire.
Nessuno li aveva visti... almeno così credevano. Sì, perché in realtà qualcuno li aveva seguiti di nascosto. Qualcuno di molto impiccione che rispondeva al nome Florian, che aveva seguito Urié, insospettendosi nel vederla seguita da Kabalé. E aveva visto tutti loro sparire! Sparire come una pallina fra le mani di un mago!
Senza riuscire a spiegarsi l’accaduto, da buon rincitrullit… ehm, angel qual era si precipitò a raccontare ogni cosa ad Arkan, il quale riferì alla Temptel.
Decisero entrambi (di comune accordo, per una volta!) che era ormai giunto il momento di andare nella Terra Sospesa. Prima del previsto, senza lo straccio di un piano o di un’organizzazione.
- Io vengo con voi.- Dichiarò Florian, battendosi una mano sul petto. - C’è Urié laggiù!
La Temptel sbuffò. - Tu non vieni da nessuna parte, ragazzino!- Sentenziò. - Non è un lavoro da piccoli ed insulsi combinaguai, capito? Tu...
- Tu hai un incarico di grande responsabilità. – disse Arkan, passandogli dei fogli.
- Ah sì?- Fece lui, squadrando i suddetti fogli.
- Per via di problemi tecnici non ho potuto… mh, aggiornare l’archivio dove si tiene nota di tutte le sfide fra angel e devil, così...
- Dall’inizio dell’anno ad oggi? Ma perché non lo avete fatto?
-Problemi tecnici – ripeté la Temptel ridacchiando.
-Ad ogni modo, Urié sarebbe fierissima di te se lo facessi tu. È un incarico importantissimo!
-Davvero?
-Assolutamente!
L’angelo prese i fogli e si allontanò, perplesso.
-Congratulazioni, collega! Dovresti darmi lezioni! Avrei qualche problemino simile con Gas...
- Un’altra volta, forse. Ora andiamo - disse Arkan iniziando a cercare la sfera bianca.
- Io vengo con voi.- sentenziò nuovamente qualcuno dietro di loro. Ma non era Florian. Era Angelie. - Vengo. Non lo sto chiedendo. E sapete perché devo.
Non solo per sua figlia.
 
 
Il freddo penetrava nelle ossa, la nebbia opprimeva i cuori. Raf e gli altri avanzavano nel buio. Nel buio e nel nulla, in silenzio.
I nove angel e devil erano ancora un po’ indolenziti dalla caduta nella grotta, ma non era quello il loro più grande problema, al momento.
-Come facciamo a sapere dove tengono l’essenza sempiterna di Sulfus?- Chiese Cabiria, stringendosi le braccia attorno al corpo, tanto aveva freddo.
- E’ in una sfera di vetro. La sfera di vetro smerigliato. – disse Raf.
- Fantastico. E dov’è la sfera?- chiese Kabalé.
- Non lo so – mormorò la angel dai capelli biondi.
- E allora come facciamo a trovarla?- Chiese ancora Gas.
- Non lo so!- Sibilò Raf, esasperata. - Ma dobbiamo cercarla. E’ qui da qualche parte, ed io la troverò, lo giuro!
Tutti tacquero mentre avanzavano.
La nebbia iniziò a diradarsi man mano che si avvicinavano all’acqua e, inevitabilmente, alle sirene.
Che li stavano già aspettando.
 
 
- Arkan!- strillò la Temptel, per l’ennesima volta. - Razza di incapace! Cosa vuol dire che non trovi la sfera bianca?!
- Vuol dire che non la trovo!- sbuffò lui, rovistando sotto la scrivania. - Era qui, ne sono sicuro!- Fece lui emergendo dalla scrivania e sbattendo la testa.
-Come no! Arkan, ma come può essere? La sfera bianca non è una cosa che si perde! – strillò ancora la professoressa, esasperata.
- Non ho idea di come sia potuto accadere! Io... sono desolato...- biascicò, grattandosi il capo dolorante.
- Non perdere tempo a desolarti, visto che di tempo non ne abbiamo! Cercheremo di andare solo con la sfera nera! L’altra  la troverai più tardi, incapace!
Arkan avrebbe voluto ribattere, ma nella sua situazione non era il caso. Non era però del tutto convinto. - Ma basterà per tutti e tre?
- Puoi rimanere qui, se non ti fidi! - ribatté lei, sarcastica.
- Se nove sempiterni sono riusciti ad andare con un ciondolo, uno scettro dovrebbe farcela a reggere noi tre!- Disse Angelie, e strinse la mano sulla sfera nera. Infine, Arkan fece lo stesso.
- Noi chiediamo di viaggiare nella Terra Sospesa! – Gridarono insieme. E fasci di luce iniziarono a circondarli da capo a piedi.
 
 
-Vi stavamo aspettando... sapevamo che sareste tornati...- Sibilarono le creature emergendo dall’acqua, coperte dalle loro tuniche e con le lucide teste percorse da sfavillanti creste colorate bene in mostra. Fissavano i nove sempiterni con i loro occhi vitrei, splendenti e bianchi come perle.
Erano forti, insieme. Insieme avevano sofferto per centinaia di anni. Ed insieme avrebbero combattuto.
- Dov’è l’essenza sempiterna di Sulfus? Dove la tenete nascosta?-Strillò Dolce, agitando i pugni.
- Sulfus? Oh, il sempiterno speciale. Non ti aspetterai veramente che ve lo diciamo! – sibilò una creatura, sprezzante.
- Non c’importa cosa volete farne voi.- Sentenziò Raf. - Non c’importa di Layadda.  
-Siamo pari allora. A noi non importa cosa accadrà al vostro sempiterno.
-Bene, ragazzi - Urlò Urié. – La salvezza di Sulfus è nelle nostre mani! Cadano le rivalità, siamo uniti! Non arrendiamoci e lottiamo, lottiamo con tutte le nostre forze… - E qui alzò il pugno al cielo. - ... fino alla morte!
Anche gli altri levarono pugni verso il cielo. - Fino alla morte!- ed il loro grido fece tremare le pareti della grotta.
La battaglia stava per iniziare.
Raf si mise la mano sul cuore e mormorò: Perdonami. Per te, Sulfus. Per te, fino alla morte.

 
 
 
 

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Capitolo 22
*** Il potere dell'energia ***




22. Il potere dell’energia
 
“Quando sei in difficoltà, per sopravvivere devi stabilire le priorità ed usare i poteri giusti e le armi migliori. Ma ricorda: l’arma migliore sei tu.”
 
 
Angelie, Arkan e Temptel comparvero nella Terra Sospesa, precipitando sul terreno freddo.
- Ahi! Ha funzionato!- esultò la professoressa, rialzandosi mentre si massaggiava il fondoschiena dolorante. - Se non fosse stato per la mia sfera nera...- si vantò.
- Sì, sì, va bene, d’accordo... –  ammise a malincuore Arkan.
-Sembrate dei bambini! Nove… anzi, dieci sempiterni rischiano di morire e voi siete qui a litigare!
-Sottilizzare, non litigare - specificò la Temptel. Angelie la guardò torva.
Allora i due, vergognosi, cominciarono a camminare.
 
 
Dolce cercò di fermare le sirene con lo Stop fly, ma erano troppe. Cabiria usò il Wild fly, ma nessuna creatura era alla loro altezza. Miki cercò di lanciare lo Stiky  fly addosso ad una sirena, ma quella la prese per un braccio ed iniziò a mormorarle un antico sortilegio.
- No!- Gridò Raphytia, vedendola in difficoltà, ed  evocò i suoi poteri. -Stone fly!- esclamò, incrociando le braccia sul petto. Le sue ali divennero enormi e bianche, e colpirono la sirena con un potente raggio di luce che la rese di pietra.
-Straordinaria!- le urlò Miki, alzando il pollice. Poi Raphytia la raggiunse, e le due sempiterne lottarono insieme, schiena contro schiena. Miki circondò entrambe con uno scudo protettivo.
- Come faremo ora?- si disperò la angel, vedendosi attorniata dalle sirene.
- Tranquille, ragazze! Ci penso io!- fece Urié. - Flower fly!- urlò, e subito iniziarono a crescere rovi che si attorcigliavano attorno alle creature. Ma le sirene erano forti, i rovi non avrebbero resistito a lungo.
Cabiria e Kabalé, strette al muro, non sapevano cosa fare. Gas intervenne in loro aiuto iniziando a lanciare polpette rocciose. Kabalé non riusciva a reggersi in piedi. Voleva anche lei lottare, ma non ce la faceva. Qualcosa di più grande si faceva strada dentro di lei...
Lei voleva veramente trovare Sulfus, voleva salvarlo, con tutto il cuore...
E si accasciò a terra.
- Kabalé! – Urlò Cabiria, chinandosi su di lei. - Che succede? Che succede?
Le ali di Kabalé pulsavano di una luce sconosciuta. - L’energia... io la vedo! Vedo l’energia, la sento… lui è qui, è dappertutto...  
- Chi?
- Sulfus! – strillò, stringendosi  la testa, che sembrava essere sul punto di esplodere. Il dolore mentale era bruciante.
Raf le fu subito vicina, mentre lanciava fiamme con l’Inflame. Era diventata di nuovo un angelo nero.
-Cosa succede? – Le gridò, cercando di superare il fragore.
- Lei vede l’energia di Sulfus! Forse può condurci alla sfera!- Disse Cabiria, esultante, mentre stringeva l’amica.
-Sei pazza? Non ce la faccio a camminare, né a volare! Il potere mi sovrasta ancora, è più forte di me...- si lamentò, gemendo piano.
Ma Raf non si sarebbe lasciata scappare un’occasione simile, l’occasione di salvare Sulfus...
Il cuore iniziò a batterle forte.
-Dove la vedi, l’energia? Dove si dirige?
Kabalé mosse un dito alla loro destra, verso l’acqua. Non riusciva a muoversi, era debole... ma Raf aveva bisogno di lei. Così la angel le passò un braccio attorno alle spalle, ed incitò Cabiria a fare lo stesso.
- Ehi, cosa state facendo?! - chiese indignata Kabalé, senza però avere la forza di opporsi.
-Ti portiamo noi. Dicci solo dove dobbiamo andare! – Sentenziò Raf.
-Alla svelta, se possibile - specificò Cabiria, alquanto preoccupata dalle sirene. Gas e gli altri si stavano difendendo bene, ma quanto sarebbero durati?
-Come... come fai a toccarmi? Il V.E.T.O... - mormorò Kabalé, rivolta a Raf.
 Lei sorrise triste, gli occhi persi nei ricordi. -Non ha più effetto per me.
La diavoletta parve triste. – Oh, già... per Sulfus è lo stesso, vero?
- Sì – ammise Raf.
- Raf... non avrei dovuto insultarti in quel modo, stamattina... mi dispiace. Io ti prometto... io ti giuro che ti aiuterò a salvarlo.- Mormorò a capo chino.
-Grazie – le sussurrò in un orecchio Raf.
- Di là! – Indicò Kabalé.
-Muoviamoci!- assentì Cabiria, andando nella direzione indicata. Arrivarono vicino all’acqua.
-Ma non può essere! Dove continua l’energia?- Chiese Raf, rivolta ad un’atterrita  Kabalé.
- Io... non lo so. Raf, devi credermi! L’energia finisce qui...-
- In acqua, Raf! Corri! – Le urlò Angelie, poco lontano.
- Mamma! Professori!- Esclamò Raf.
- Corri, Raf, non c’è tempo da perdere! – Strillò la Temptel.
La ragazza annuì, e si voltò verso i suoi amici.
Avevano bisogno di qualcuno che gli dicesse cosa fare, quale ruolo avere in quella battaglia infernale, o non ce l’avrebbero mai fatta. E Raf si prese quella responsabilità.
- Dolce, Urié: presto, venite con me in acqua, ho bisogno del vostro aiuto – Urlò mentalmente, col Think fly.
- Naturalmente veniamo anche noi- fece Cabiria.
- Naturalmente.- Poi ordinò ancora - Raphytia, Ang-li, Gas: voi restate qui e non lasciate entrare nessuno in acqua!
- Ed io cosa devo fare?- pensò Miki, volando verso l’alto per far sì che il messaggio arrivasse chiaro.
- Tu congela l’acqua appena noi vi entreremo, siamo d’accordo?
- E’ troppo pericoloso per voi!- replicò lei.
- Fidati di me!
- Va bene - acconsentì infine.
- Forza!- Strillò Raf.
Dolce ed Urié si tuffarono in acqua, seguite da Raf, Kabalé e Cabiria. Urié permise a tutte di respirare con l’Hydro fly. Miki congelò la superficie dell’acqua, ma non riuscì ad evitare che un paio di sirene vi entrassero.
Adesso stava a loro impedire l’entrata alle altre. Il ghiaccio serviva a ritardarle, non c’era dubbio che le sirene sarebbero riuscite a romperlo, presto o tardi.  
Miki tuttavia si sentì sfiduciata. I suoi poteri non erano adatti ad un attacco, erano principalmente difensivi, non ce l’avrebbe mai fatta...
- Adesso ci pensiamo noi, insieme!- Urlò Raphytia, quasi leggendole nella mente.
La angel sorrise. Ora sapeva di potercela fare. Per Sulfus e Raf.
 
 
-Oh no! – Strillò Dolce. –Raf, le sirene! Alcune sono in acqua!
L’angioletta era in preda al panico.
- E adesso?- Si chiese Cabiria, con un sospiro terrorizzato ed il cuore che batteva a mille.
- Questa non ci voleva...- Mormorò Raf.
- Non temere, Raf. Ci pensiamo io e Dolce a tenerle lontane. Voi proseguite! Non abbiamo tempo da perdere! –  disse Uriè, e voltandosi iniziò a far crescere delle alghe che intrappolarono le sirene.
Queste si erano tolte le tuniche per poter nuotare meglio, e il loro aspetto era orribile, erano viscide e squamose.
E certamente senza classe, pensò Dolce.
- Raf!- Disse Urié, chiamandola un’ultima volta.
- Sì? – fece lei, voltandosi.
- Buona fortuna.
-Grazie.
-Comunque vada, ricordati che ti voglio bene.
La angel bionda annuì. - Non succederà niente, vedrai. Ne usciremo tutti indenni – disse  incoraggiante.
Urié sorrise triste. Forse non sarebbe stato così. Le sirene erano pericolose…
-Uriè, si stanno liberando! Fa’ qualcosa!- strillò Dolce, spaventata.
- Ad... Ciao, Raf! – disse infine Urié.
Si fece i segni della benedizione e combatté contro le sirene.
 
 
Un’onda di energia stava per investire la professoressa Temptel, la quale però venne improvvisamente messa al riparo da un devil cavaliere: Gas, ovviamente!
- La  proteggo io, prof!- esclamò determinato, mettendosi davanti a lei. Lei ne fu quasi commossa.
- Arkan, crede che potremo dominare la situazione?- Chiese Angelie, che si nascondeva dietro di lui.
- Lo spero, mia cara - Disse lui poco convinto.
- Gli altri non se la stanno passando bene. Ora è tutto nelle mani di Raf.
 
 
- E’ qui, Raf! La sento, è fortissima... vedessi com’è bella, vedessi quanta luce... tanta, tantissima luce...-  disse Kabalé rapita; poi, all’improvviso, urlò.
-Come ti senti, Kabalé?- Strillò Raf, facendosi vicina a lei.
- Non toccarmi... vai e scava dove ti  sto indicando... non c’è tempo, Raf!
- Ma...-
-Scava, ho detto!
La ragazza obbedì. Lì, sotto uno spesso strato di sabbia, trovò la sfera. Nell’istante in cui la toccò, la corrente sbalzò lei e tutte le altre verso l’alto.
 
 
Poco dopo, le cinque sempiterne erano a terra, bagnate fradice, circondate dalle sirene. Ma Raf aveva la sfera, e non gliel’avrebbe lasciata prendere. La passò a Cabiria.
- Prova a  romperla!- La incitò.
- Non ci riesco!- si lamentò lei, prendendola a pugni.
Kabalé l’afferrò, e la lanciò ai suoi piedi. Niente.
- Raf! – Urlò qualcuno dietro di lei. – A me! Io la posso distruggere! Ricordi? Solo il potere mentale può farlo... il potere che io detengo!- continuò Angelie.
Senza pensarci due volte, Raf prese l’artefatto e volò da sua madre. La sfera le scivolò dalle mani bagnate, ma Angelie la prese al volo.
- Copritemi, ho bisogno di tempo!- Strillò la donna. Raf annuì. Lei, Cabiria e Kabalé si sollevarono in volo, pronte a difendere sino alla morte l’essenza sempiterna di Sulfus.
-Levatevi di mezzo!- Strillò una sirena.
- Mai! Vediamo come ve la cavate con questo!- disse Kabalé, moltiplicandosi.
-Raggi rivelanti!- sibilò una sirena, e le altre lo ripeterono con lei. Le copie di Kabalé scomparvero, e la diavoletta rimase di stucco.
-Si sbrighi!- Strillò Kabalé ad Angelie.
-Credo che siamo nei guai!- aggiunse Cabiria, osservando le sirene rabbiose.
Una luce esplose nella grotta:  la sfera era stata rotta. Angelie tremava da capo a piedi, ma ce l’aveva fatta.
- La sua essenza! L’essenza sempiterna di Sulfus è libera!- Esclamò Raf, in preda alla gioia.
La madre annuì.
- Ora tornerà nel suo corpo? Gli ridonerà la vita?
-Sì, ma... mettiti in contatto telepatico con lui. Fallo adesso. Ho un sospetto…  
Raf si preoccupò. Che genere di sospetto poteva mettere in allerta sua madre? Certamente nulla di buono...
- THINK FLY!
 
 
Sulfus aprì gli occhi e respirò per la prima volta dopo giorni.
Era lungo disteso su di un lettino morbido, eppure chiuso sopra di lui come una bara. Ma dove si trovava? Che cosa gli era successo?
All’improvviso fu come se un lampo attraversasse la sua mente, e ricordò tutto.
Il ciondolo, la sfera, i sacrifici, il dolore, la sua morte... Raf che piangeva, Raf che lo stringeva a sé, Raf che lo baciava delicatamente...
Come faceva ad essere vivo?
Ma si accorse che presto sarebbe morto di nuovo, la teca era sigillata e lui stava già consumando il poco ossigeno a disposizione. Accidenti!
Entrò nel panico. Iniziò a battere i pugni sul vetro, ma inutilmente: attorno a lui non c’era nessuno.
Deglutì, in preda al terrore. Iniziava a sentirsi debole.
- Sulfus mi senti?
Raf! Lei era nella sua mente!
- Raf!
- Sulfus! Ti sei svegliato! Come stai?
- Raf, aiutami! Sto morendo! Qui dentro non c’è aria, e non riesco a liberarmi… aiutami o morirò!
Mentre si faceva più debole, anche i suoi pensieri diventavano più sconnessi.
- Raf... ti prego, aiutami... angelo mio, aiutami... amore mio.... Non lasciarmi morire.
 

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Capitolo 23
*** Vivi ***


Salve a tutti! 
Innanzitutto, Vorrei ringraziare alcune persone. Siete in tantissimi a seguire la mia storia. Ringrazio chi l'ha aggiunta alle PREFERITE
-cryren 
-kuroneko1910
-QueenOfDespair 
-raf96 
-robylovatic98 
-TomMalfoyandEmmaGranger 

Poi, ringrazio chi ha aggiunto la storia fra le SEGUITE
-Engydragon 
-Fairy of the Tiger 
-LadyBlueMoon
-Maiko_chan
-raf96
-scorpio 17 
-Sofy_19 

Ringrazio Chi ha inserito la storia fra le RICORDATE
-TomMalfoyandEmmaGranger 

Ringrazio, infine, chi ha lasciato una recensione. 

-Fairy of the tiger 
-TomMalfoyandEmmaGranger 
-kuroneko1910 

Grazie di cuore a chi lascerà una recensione anche qui! 
Mi auguro che vi piaccia questo nuovo capitolo! 


23. Vivi

 


 
La verità colpì Raf come un pugno nello stomaco.
Erano arrivati fin lì… lei aveva portato i suoi compagni sempiterni nella Terra Sospesa per riprendere l’anima di Sulfus, per ridargli la vita… e ora lui stava per morire di nuovo. Questa volta davvero. Le lacrime iniziarono a scorrere incontrollate sulle sue guance.
Angelie la guardò. – Allora, Raf? Che succede?- Chiese ad alta voce.
Lei non ragionava. – Lui sta per morire! Di nuovo, un’altra volta! Morirà, è senz’aria! Sarà questione di pochissimo!- Solo allora guardò la madre e si accorse che lei aveva la sfera bianca fra le mani. La guardò, gli occhi lucidi e sgranati. -Tu lo sapevi?
-Lo sospettavo. Raf, continua a parlargli: cerca di rassicurarlo, e digli di trattenere il fiato più che può. Io sarò il più veloce possibile e lo libererò.
-Come pensi di farlo?
-Distruggendo la teca con i miei poteri mentali!- E così dicendo sollevò la sfera bianca al cielo e pronunciò la formula. -Io chiedo di tornare alla Golden School!- Gridò. Osservò la figlia, mentre fasci di luce bianca l’avvolgevano.
-Sei sicura che funzioni?- Chiese Raf, tremante.
Lei non sapeva cosa rispondere. –Sì – Disse, ma non era sincera. -Tu combatti e fa’ quello che ti ho dett...- e poi scomparve, insieme alla luce.
Arkan trasalì. -La sfera bianca! Ma come faceva ad averla lei?
Raf sorrise, asciugandosi le lacrime. -Suppongo che lei già sapesse. Anzi... ne sono sicura.  
 
 
Angelie comparve nello studio del professor Arkan, e corse, corse velocissima. Non aveva nemmeno un secondo da perdere.
L’infermeria non distava molto… Lei  doveva salvarlo.
E,  nel frattempo, i secondi scorrevano veloci, facendosi beffe di lei. Come a volerla sfidare.
 
 
Sulfus tirò pugni e ginocchiate contro il vetro finché ebbe forza, ma fu del tutto inutile. Fu solo uno spreco di aria preziosa. Iniziò a trattenere il fiato, restando fermo come gli diceva Raf. Del resto, non avrebbe avuto più energia, era solo questione di secondi.
Le forze lo stavano abbandonando...
...ed ora iniziava ad avere veramente paura.
 
 
Ti prego... aiutami... 
A Raf si era stretto il cuore nel sentire quelle parole. Ma cosa poteva fare? Distrarlo...
Sulfus, mia madre sta arrivando... lei ti salverà... perché tu devi vivere, devi vivere con me...
Si morse il labbro. Forse l’ultima frase non avrebbe dovuto dirla. Ma controllare i propri pensieri in una situazione simile era impossibile.
La sto aspettando... sto facendo quello che mi hai chiesto... io...
Sulfus!
Niente. Il ragazzo aveva perso coscienza. Poco tempo ancora e sarebbe morto.
Ora era tutto nelle mani di Angelie.
 
 
La donna corse a perdifiato per i corridoi e finalmente arrivò davanti alla porta dell’infermeria. Si sentiva così stanca della corsa che la tentazione di lasciarsi andare e riposarsi era forte.
Si disse che si sarebbe riposata dopo. Ora non c’era tempo.
Entrò nella stanza… e lo vide. Lì, sotto la teca di vetro. Immobile.
Angelie trasalì.
Era solo incosciente o era morto? Se lo era, questa volta non ci sarebbe stato modo di far tornare indietro le cose.
Sperando profondamente che fosse ancora vivo, pose le mani sulla teca di vetro, una in corrispondenza del viso di Sulfus, l’altra in corrispondenza del torace.
Si concentrò e le sue mani iniziarono a risplendere sempre di più. Lo sforzo era immenso.
Strinse gli occhi. Doveva farcela. Doveva. Per Raf.
Aumentò l’energia, e sul vetro si formarono alcune crepe. Piccole, sì, ma vitali.
Un altro piccolo sforzo, si disse, incoraggiandosi. Per Raf! Non posso fallire!
Sì concentrò sull’immagine di Raf che piangeva. Funzionò, la luce la pervase, e scatenò un’energia fortissima, riuscendo infine a rompere la teca.
Ce l’aveva fatta!
Angelie si sentì svenire dallo sforzo, ma si oppose con tutte le sue forze alla stanchezza. Dopo tutto quello che aveva fatto, sarebbe stato il colmo lasciarsi andare proprio ora.
Prese amorevolmente Sulfus fra le braccia, come un figlio, e gli strinse il polso, con il cuore in gola.
Sorrise. Era vivo!
 Respira! Respira!, gli ordinò, anche se non poteva sentirla.
Aveva visto sua figlia piangere perché temeva la sua morte, aveva visto quanto lei tenesse a lui e quanto lui tenesse a lei... pensò, con un pizzico di soddisfazione, che per Raf non avrebbe potuto desiderare di meglio, e non poteva perderlo. Dove avrebbe mai potuto trovare un altro ragazzo disposto a morire non una ma tantissime volte per sua figlia?
Sulfus era unico.
 
 
- Urié!- Strillò Dolce, chinandosi vicino all’amica, ferita e priva di sensi.
- Raf, che facciamo?- Gridò Ang-li.
Lei non aveva idea di cosa fare. Non riusciva a pensare ad altro che a Sulfus, che non rispondeva più.
Miki si mise davanti ad Urié, e gridò ad Ang-li e Raphitya di fare lo stesso. I tre ragazzi iniziarono a combattere per difendere la loro amica, mentre Dolce cercava di farla rinvenire e contemporaneamente guardava loro le spalle.
I due professori e gli altri tentavano di fare tutto quello che potevano, ma ormai erano stremati  e feriti.
Le cose stavano degradando, rischiavano di morire tutti quanti.
Raf lo sapeva, ma non riusciva a ragionare.
Mentre usava l’inflame, non vedeva le sirene. Rivedeva l’ultimo istante in cui Sulfus, moribondo, aveva incrociato il suo sguardo...
Non poteva essere l’ultima volta che aveva visto i suoi occhi. Lui non doveva morire.
Vivi, ti prego, vivi!, supplicò in una muta preghiera rivolta a Sulfus. Non posso sopportare che tu sia morto per causa mia. Io ti amo!
 
 
Le palpebre del devil si aprirono lentamente. Sentì subito la piacevole sensazione di qualcuno che lo teneva fra le braccia. Sorrise dolcemente. Ma chi...?
- Raf?- Chiese, osservando la sua salvatrice, con la vista ancora un po’ annebbiata. Sembrava proprio lei... eppure aveva qualcosa che non era di Raf.
Il profumo. Il profumo non era il suo.
-No, non sono Raf. Sono sua madre.
Sulfus  trasalì. -Io...
 Lei sorrise. –Tranquillo. Sei davvero un bravo ragazzo - disse, un po’ ansimante per l’incredibile sforzo appena fatto.
Si chiese se, dal punto di vista del devil, “bravo ragazzo” fosse un complimento o meno. Non importava, avrebbe capito lo stesso.
-Ma lei dov’è, allora? – chiese lui, mettendosi a sedere lentamente, la testa che girava un po’. Angelie gli porse la sfera bianca. - E’ nella Terra Sospesa.
Lui sgranò gli occhi. -No! E’ un posto pericoloso! Lei è la Minaccia e la Salvezza, non può restare lì!- Esclamò, alzandosi in piedi. Vide tutto nero ed ebbe un forte capogiro, così  si poggiò un attimo alla parete.
-Lei non è la Minaccia e la Salvezza – sorrise la donna. – Sei tu.
Lui la guardò come se gli avesse appena detto che l’inverno è una stagione calda. -Come? Io?! Ma cosa sta dicendo?- Chiese incredulo.
- E’ così. Per questo ti hanno ucciso.
Lui ricordò le parole delle sirene, quella terribile notte.
Non morirai perché non sei puro, ma perché lo sei troppo... perciò devi morire. Non puoi vivere, servi a Layadda!
D’improvviso, tutto gli fu chiaro.
-Devo andare nella Terra Sospesa!- esclamò.
-Devi - confermò Angelie.- Ma sappi che Raf non è sola.
Lui la guardò con sguardo interrogativo. -Che significa?
-Che con lei ci sono i professori, e tutti gli altri... i tuoi amici, i suoi amici... sono tutti lì. Ma le cose non vanno affatto bene. Devi andare ad aiutarli.
Lui annuì. -Lei non viene?
-Ho quasi esaurito le forze, lì non sarò che d’intralcio.
-Spero solo che lei stia bene - Mormorò Sulfus, preoccupato.-Se così non fosse non me lo perdonerei mai - continuò.
- Allora vai. E buona fortuna. Ci saranno molti che dovrai guarire.
Lui annuì, poi sembrò perplesso. -Ma lei come lo sa che io posso... glielo ha detto Raf?
Lei sorrise. -No, ma ricordati che io so molte cose. Molte più di quelle che immagini - Concluse, chiudendo gli occhi per riposarsi. -Ora vai. Lei ti sta aspettando.
Lui annuì di nuovo, poi sollevò la sfera bianca e chiese di viaggiare nella Terra Sospesa.
 
 
- Urié sta malissimo!- Gridò Arkan, prendendo fra le braccia l’allieva.
-Scotta, temo che abbia la febbre. Cosa facciamo? -. Anche la Temptel, vicino al collega, era disperata.
Ormai erano tutti allo stremo delle forze, mentre le sirene erano forti e sempre più furiose.
Raf non ce la faceva più. Quando venne colpita per l’ennesima volta, si lasciò cadere.
Ma, con sua sorpresa, non toccò terra… cadde fra le braccia di qualcuno.
Aprì gli occhi e si chiese se non fosse già morta, perché era tra le braccia di Sulfus. Le brillarono gli occhi mentre fissava i suoi, che aveva temuto di non vedere mai più.
- Sulfus! Sei proprio tu?- Gli chiese, mentre il cuore le batteva forte dalla gioia.
- Sì – Mormorò lui, annuendo, mentre la teneva sollevata a poca distanza da terra.
Lei gli toccò le guance, la fronte, i capelli, le spalle febbrilmente, come ad accertarsi che fosse veramente lui e che fosse tutto intero.
-Sei veramente tu! Sei vivo! E sei con me - Constatò, mentre lui sorrideva, senza distogliere da lei lo sguardo neppure per un attimo. Come se non esistesse niente, come se non ci fosse nessun altro.
Lei lo strinse più forte, ed anche lui la strinse meglio al petto.
-Sì – Disse fra lacrime di gioia, una gioia immensa che non riusciva neppure ad esprimere. –Sono vivo e sono qui con te, e ci sarò... ci sarò sempre.  
Lui continuava a fissarla con una dolcezza immensa, e lei con immensa commozione.
Sulfus aveva un’espressione felicemente sognante, ed anche Raf aveva sul volto bagnato da calde lacrime di felicità un’espressione simile, solamente per lui.
Erano rapiti l’uno dall’altra... I loro volti erano distanti, ormai, non più che pochi millimetri, e le loro labbra, vicinissime, non avevano più paura di avvicinarsi. Ormai nulla importava più...
... ma non ci fu nessun bacio.  
Lì, in quel momento, successe qualcosa che nessuno – angel, devil, sirena o umano che fosse –  avrebbe potuto prevedere, qualcosa di assolutamente sorprendente e unico.
Qualcosa che nessuno aveva visto mai, prima di allora

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Capitolo 24
*** La gioia nel cuore ***




24. La gioia nel cuore
 
 
“Le emozioni sono riconducibili a due categorie: emozioni negative ed emozioni positive.
Gioia e dolore, rabbia e felicità… se questi sentimenti si dovessero manifestare all’ennesima potenza, il loro potere sarebbe immenso.”
 
 
Avete mai avuto la sensazione di essere spacciati? Di non avere più speranza?
Sicuramente no, voglio sperarlo vivamente.
Ma se succedesse, e poi all’improvviso scopriste di essere in grado di salvarvi? Cosa provereste, in quel momento?
Una gioia senza uguali, ve lo assicuro. Una gioia immensa, non esprimibile a parole.
Era esattamente quello che provava Sulfus in quel momento: la gioia impareggiabile che gli dava il solo fatto di essere vivo. Per di più, tra le sue braccia c’era Raf, il suo amore, ed era stata lei stessa a salvarlo, rischiando la propria vita per lui.
In quel momento, mentre la teneva dolcemente stretta fra le braccia, la voglia di baciarla ignorando tutto il resto era molto, molto forte, ma… non lo fece.
C’era qualcosa che stava accadendo, ed il motivo era proprio quella gioia pura e semplice per il solo fatto di essere vivo e con la persona che amava, quell’assurda felicità che un devil –  proprio in quanto tale – non dovrebbe essere in grado di provare. Mai.
Eppure lui la sentiva. Era un ribollire come fuoco, una gioia desiderosa di esternarsi, una sorta di dolce dolore. Una sensazione di piacere lo pervase, e Sulfus sentì come un potere assoluto che stava per esplodere dentro di lui.
Non avendo idea di cosa gli stesse succedendo, mormorò qualcosa a Raf e la lasciò andare. Poi si lasciò cadere a terra, carponi. E a quel punto... a quel punto...
…a quel punto iniziò a ridere. Ma a ridere sinceramente, di gusto, di vera gioia.
Rideva e piangeva dalla felicità. Non gli era mai accaduto, prima di allora.
Sentiva che qualcosa si faceva strada dentro di lui, ma non avrebbe saputo spiegare cosa. Pizzicava, dava il tremore.
Una fortissima luce lo pervase: la sua pelle iniziò a diventare scintillante, i suoi vestiti divennero bianchi e così anche le corna, mentre i capelli sembravano fili d’argento, e gli occhi splendide perle. E poi… le ali. Le sue ali si fecero enormi, bianche e brillanti.
Alla fine la luce diminuì, riducendosi ad un’aura argentea che circondava il suo corpo.
Il ragazzo si alzò in piedi e fissò gli altri con i suoi occhi bianchi e luminosi, uno splendido sorriso stampato sulle sottili labbra esangui.
-Che cosa gli sta succedendo?- chiese preoccupata Raf, rivolta ad Arkan.
Lui incrociò lo sguardo dell’allieva. - E’ diventato un demone bianco. Avrei dovuto immaginarlo...
Un devil che prova gioia, una gioia pura per buoni sentimenti, diventa un demone bianco.
Raf era sbigottita. -Ma adesso cos’è in grado di fare?- Incalzò.
Arkan sollevò le spalle. -Non ne ho la più pallida idea. Lui è il primo.
Raf tornò a guardare il suo innamorato. Era veramente affascinante...
Per un attimo lei e Sulfus rimasero fermi, l’uno dinanzi all’altra. Nessuno dei due aveva idea di cosa dovessero dire o fare...
Ed infine lei gli allungò la propria mano, lui fece lo stesso e gliela strinse. Intrecciarono lentamente le proprie dita, continuando a fissarsi.
Un angelo  nero e un demone bianco.
Bene e male, insieme congiunti e fusi in due differenti anime.
Un angelo con una parte dell’anima infangata, un demone con l’anima parzialmente purificata.
Bene e male, insieme. Due mani unite.
Bene e male. Due poteri immensi. Troppo, troppo per due ragazzi, che però non avevano scelta.
Quattro mani unite.
In quel momento, attorno a loro, la luce esplose, sotto lo sguardo esterrefatto dei sempiterni e delle creature della Terra Sospesa.
La luce invase la grotta, ed un suono terrificante e dolcissimo al tempo stesso proruppe in ogni suo singolo angolo. E poi, dall’alto, iniziarono a cadere fuochi, fuochi bianchi e neri.
Raf e Sulfus continuarono a fissarsi, mentre la terra cominciò a tremare. Strinsero le loro mani più forte.
Arkan e Temptel si fissarono, preoccupati. Tutto questo non lo avevano neppure lontanamente previsto.
Cabiria era accanto ad Urié, ed era molto preoccupata, poiché l’angioletta dai begli occhi verdi era ancora priva di sensi.
-Dobbiamo andarcene da qui! – Strillò Ang-li, mentre un masso cadeva con un tonfo nel punto in cui si trovava un attimo prima.
-Sono perfettamente d’accordo!- Annuì Miki.
Kabalé invece rimase ferma a fissare incantata Raf e Sulfus, il demone bianco e l’angelo nero, autori di quella splendida catastrofe. Si tenevano le mani, incuranti di ciò che c’era attorno a loro.
Poi al’improvviso separarono le mani, come se una voce interiore dicesse loro cosa fare.
Raf le giunse verso il basso, Sulfus verso l’alto.
-Questo non sarebbe mai dovuto accadere! Bene e male si stanno fondendo!- strillò la Temptel, inorridita.
-Non possiamo fare niente. Solamente restare a guardare - sentenziò Arkan.
Raphitya li fissò, con la paura nel cuore. Potevano morire, il potere del male per il bene è troppo forte, il potere del bene per il male è troppo forte. Ma insieme ambedue le forze, come in un qualunque terreno... cosa sarebbe accaduto?
Proprio in quel momento sia Raf che Sulfus si voltarono, schiena contro schiena.
Aprirono le mani: entrambi tenevano una sfera opaca, nera per Raf e bianca per Sulfus. Le sollevarono, e le sfere volarono verso il cielo, ad incontrarsi.
Quando accadde, si fusero, diventando luce.
E poi i due ragazzi crollarono a terra, svenuti.
 
 
- E’ bellissima – disse Raf, riferendosi alla luce che avevano creato insieme.
- E’ vero -  confermò Sulfus, ma guardava Raf. Aveva un viso stupendo, opalescente.
- Non ho mai visto niente di più bello, devo ammetterlo - riprese lei, sorridendo leggermente. -Ma cos’è? – chiese, osservando lo splendido viso lucente del compagno.
- E’ la luce di ogni essere umano, che può decidere fra il bene o il male
- A volte però la distinzione non è così facile.
- A dire il vero credo che non lo sia quasi mai - confermò lui, rivolgendole uno sguardo triste.
Raf si guardò le proprie mani, trasparenti come quelle di un fantasma. Provò ad accarezzare la mano di Sulfus, ma... le passò attraverso.
-Cosa ci succede? – Chiese preoccupata. Dalle sue labbra la voce usciva delicata e leggera, come se non provenisse dal suo corpo ma dalla sua stessa mente.
Lui si osservò. -Non lo so, amore mio - ammise tristemente.
Poi guardarono in basso.
C’erano loro. I loro corpi. Quelli di un bellissimo angelo nero ed un affascinante demone bianco.
-Siamo morti?- Chiese Raf, spaventata.
Lui era allibito. Osservava se stesso, quella figura trasparente e luminosa d’argento. Era ciò che volevano le sirene. La sua anima.
-Come facciamo ad essere morti, Sulfus?!
- E come vuoi che faccia a saperlo?
-Deve pur esserci una spiegazione a tutto questo!
- ...Sì. Il potere. Il potere che abbiamo scatenato era troppo forte, e ha strappato le anime dai nostri corpi.
Raf era terrorizzata. -E adesso?-
Lui le fece segno di seguirlo, e si avvicinarono ai loro corpi, ancora luminosi d’oro e d’argento.
S’inginocchiò accanto a quello di Raf. -Anche da angelo nero sei bellissima - le disse dolcemente, facendola sorridere. Poi lui provò ad accarezzare la guancia di Raf, ma le sue dita incorporee attraversarono la pelle della angel. A quel semi-contatto, Raf provò un brivido e, come un’eco lontana, sentì il suo cuore battere più forte.
- Sulfus! Lo sento, sento il mio cuore che batte!
- Allora devi essere ancora viva. Prova tu con me, adesso - e qui la sua voce tremò. Aveva paura di scoprire di essere morto.
Lei annuì. Si chinò sul corpo di lui, concentrandosi. Provò a poggiargli le mani sulle guance.
-Lo senti?
- No - ammise lui, terrorizzato.
Raf allora si chinò sul corpo di lui, cercò di concentrarsi di più, e con estrema delicatezza gli poggiò le labbra sulle sue.
Sulfus si sentì tremare, portandosi le mani trasparenti alle labbra.
Lo sentiva anche lui il legame con il suo corpo, il cuore che batteva.
Guardò Raf sorridendo, e lei gli sorrise di rimando, abbassando lo sguardo.
-Ti amo- le disse Sulfus.
- Anch’io.
Dopodiché si distesero sui loro corpi.
 
 
-Sono vivi!
-Ma come può essere? Un attimo fa sembravano morti!
- Non sembravano, lo erano davvero!
-Eppure vi dico che ora sono vivi!
Tutte quelle voci infastidivano Sulfus e Raf, appena tornati dalla loro esperienza stramba di “premorte”. Si misero un po’ a sedere e si guardarono negli occhi. Lui cercò la sua mano e lei la strinse.
Erano ancora un angelo nero ed un demone bianco, ma stavano iniziando a tornare normali. I capelli di Sulfus si stavano lentamente scurendo, quelli di Raf stavano invece tornando biondi. Anche i loro occhi iniziavano a ritornare com’erano.
-Le sirene... dove sono?- Balbettò Sulfus.
-Sono fuggite nel lago, e poi alcune pareti della grotta sono franate in acqua, a causa del potere che avete scatenato. Penso che siano almeno imprigionate, se non morte - spiegò Arkan.
Sulfus sospirò. -Grazie al cielo, alle alte sfere, le basse sfere o qualunque cosa che si possa ringraziare... ringrazio tutti, tutti quanti!- disse, stremato.
- Sulfus – lo chiamò Raf, ricordando all’improvviso.– Ti prego, devi aiutare Urié.
- Urié? Che le è successo?.
-È  stata ferita e ora sta male - spiegò Arkan. - Ma tu come potresti aiutarla?
Lui rise, mentre Raf lo aiutava a sollevarsi e lui aiutava lei. - Già. Loro non lo sanno, vero?- Chiese, rivolta a Raf.
La ragazza scosse la testa. - Non l’ho detto mai.
-Detto cosa?- Arkan e Temptel si sentivano due esclusi, così come Kabalé.
-Ora lo vedrete – Disse il ragazzo, prendendo dolcemente l’angioletta ferita dalle braccia del professore. La distese a terra e le premette due dita sul polso: il battito era lento. Non c’era neanche un attimo da perdere.
Pressò le mani sulla ferita dell’angelo e si concentrò, le sue ali frementi mentre veniva pervaso dall’energia. Si morse le labbra, sforzandosi.
Niente.
-Non ce la faccio-bisbigliò a Raf, accanto a lui.
Lei gli mise le mani sulle spalle. -Devi. Lei hai lottato duramente per salvarti la vita. Non puoi lasciarla morire. Forse qui accanto il suo spirito c’è ancora, come prima è accaduto a noi...
- Vuoi dire che ti ricordi di ciò che abbiamo vissuto poco fa?
- Naturalmente.
- Ho avuto così tanta paura di non poterti più abbracciare…
-Non ne avresti più avuto la possibilità, se Urié e tutti gli altri non avessero lottato per te, per la tua anima.
Lui annuì. Tornò a concentrarsi sull’angioletta. Strinse le palpebre e sentì un dolore lancinante attanagliargli le viscere.
-Non ti fermare, Sulfus! Continua! – gridò Raf.
E lui continuò. Non si fermò nemmeno quando sentì gran parte della sua energia scivolare via dal suo corpo. Infine, Urié riaprì gli occhi.
Aveva funzionato! Sulfus ce l’aveva fatta, aveva usato il suo potere da angelo dinanzi a tutti i sempiterni, sbigottiti.
-Stai bene!- strillò Dolce, gettando le braccia al collo di Uriè.
-Lasciala stare, Dolce!- l’ammonì Miki. -Così non la fai neanche respirare.
Le lacrime scorrevano sulle guance di Sulfus, mentre Raf lo stringeva per dargli forza.
Lui la strinse a sua volta. Le accarezzò la schiena, passandole le dita fra i capelli.
Finalmente erano tutti sani e salvi.
Finalmente era finita.
O no?

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Capitolo 25
*** La maledizione di Angel e Devil ***





25. La maledizione di Angel e Devil
 
“Dopo tutto il dolore provato, dopo tutto il desiderio di diventare ciò che il destino gli aveva negato di essere, e dopo esserci quasi riuscito, una persona può veramente arrendersi per sempre?”
 
-Direi che è il momento di andare - disse Arkan, guardandosi attorno.
-Sì, le do perfettamente ragione! - rispose Kabalé, scoccando un’occhiataccia a Sulfus e Raf che se ne stavano ancora dolcemente abbracciati.
-Ragazzi, direi che è meglio fare in fretta… mi sembra di vedere qualcuno laggiù, fra le macerie - aggiunse Cabiria.
Sulfus la guardò allarmato. -Come sarebbe a dire ti sembra di vedere qualcuno?-
-Mah, potrei anche sbagliarmi...
-... o forse no!- concluse lui, alzandosi in piedi. – E non voglio correre altri rischi, quindi è meglio se ce ne andiamo subito!
Raf annuì e si alzò con lui.
-Ancora non riesco a credere che sia successo tutto questo – mormorò lui. – Sono la Minaccia e la Salvezza… sono sempre stato io ad essere in pericolo, e sono venuto proprio qui!
Che stupido che era stato, a buttarsi da solo nella trappola tessuta per lui... e non aveva comunque risolto niente. Era sempre un devil – un devil speciale, certo: un demone bianco –, ma non un angel come voleva diventare.
Raf, vedendolo così abbattuto, gli strinse la mano talmente forte da sembrare che non volesse lasciargliela più. Poi gli porse il ciondolo con cui era venuta nella Terra Sospesa, e Sulfus capì che loro due sarebbero tornati indietro con quello, mentre Arkan con gli angel e Temptel con i devil sarebbero tornati rispettivamente con la sfera bianca e la sfera nera.
Sulfus strinse le dita attorno al cordino, senza mai smettere di guardare Raf negli occhi.
Mentre la luce li avvolgeva, lui la strinse a sé, e lei ricambiò l’abbraccio.
Immobili, stretti, le guance che si sfioravano, nella luce che li circondava esplodendo in un silenzio perfetto, interrotto dai battiti dei loro cuori.
Pochi secondi e tornarono alla Golden School.
Arrivati  lì, Raf fece scivolare la propria mano via da quella di lui e si voltò, proprio mentre gli altri sempiterni arrivavano.
La tristezza lo inondò da capo a piedi: era tutto uguale a prima. Era quasi morto tre volte, aveva sofferto, era diventato un demone bianco e ancora non poteva stare con lei?
I suoi pensieri vennero interrotti dai suoi amici devil che iniziarono ad abbracciarlo, potendo finalmente festeggiare il fatto che fosse vivo.
Lui sopportò passivamente, ma dopo un po’ la morsa di dolore che sentiva allo stomaco divenne troppo forte perché potesse sopportarla ancora, e corse via.
Sotto gli sguardi basiti di tutti, il professor Arkan lo seguì.
 
 
-Ragazzo!- lo chiamò, a voce alta. Lui si fermò, senza voltarsi.
-Immagino ci siano cose che tu voglia sapere.  
A quel punto, lui si girò, un’espressione diffidente sul suo viso, ma annuì e seguì il professore, che lo condusse nel suo ufficio.
Lì, Arkan si sedette dietro la sua scrivania, invitando Sulfus a sedersi su una poltroncina dinanzi a lui.
-Ponimi ogni tua domanda, ti ascolto.
Il devil si sistemò meglio sulla sedia, premendo le dita sui braccioli dal nervosismo.
-Per prima cosa- esordì – voglio sapere perché esiste il V.E.T.O. Voglio sapere perché se un angel fa una scelta sbagliata o un devil una giusta è un sacrilegio. Perché non abbiamo possibilità di scegliere? – . Aveva decisamente alzato il tono della voce, ma il professore lo lasciò sfogare.
-Sapevo che mi avresti posto questa, come prima domanda... vedi, rispondere non è semplice, ma cercherò di spiegartelo come meglio posso.- Prese un respiro, accarezzandosi la barba. –Il V.E.T.O. esiste per suggellare un’antica maledizione...
-Maledizione?- fece Sulfus incredulo, sbattendo le palpebre.
Arkan annuì. -Sì, ma non interrompermi. Dicevo, esiste per suggellare l’antica maledizione di angel e devil. Quando il Supremo Creatore diede vita agli uomini e diede loro il libero arbitrio, capì che era necessario qualcuno che difendesse con convinzione sia Bene che Male. Così creò angel e devil, e per dividerli usò appunto il V.E.T.O., un patto millenario. Chiunque l’avesse infranto avrebbe commesso sacrilegio...
-... come me e Raf – concluse Sulfus, pensieroso.
-Esattamente. Perciò angel e devil sono le uniche creature che non hanno possibilità di scegliere... nel bene o nel male, sono le alte e basse sfere che scelgono per loro. L’equilibrio fra angel e devil, come previsto, durò per secoli... fino a quando non lo infransero Tyco e Sai, con il loro bacio.  
Sulfus chinò lo sguardo sulle proprie mani. Arrossì, pensando a quando lui aveva baciato Raf. Cosa aveva pensato, in quei pochi, fragili, appassionati istanti? Aveva pensato che le regole erano fatte per essere infrante, che lui amava Raf e che quella sensazione che provava al petto non poteva essere sbagliata. Aveva pensato che le sue carezze erano vere e sincere, e non trovava nessun motivo per non amarla, dato che era ricambiato. O, probabilmente, tutto questo lo aveva pensato dopo. In quel momento aveva pensato solamente che la amava, e basta.
-Adesso - continuò Arkan, riportandolo al presente – saprai la verità su chi sei e da dove vieni, su chi è Raf e su quali sono le vostre origini... e ti dirò anche la verità su cosa accadde a Tyco e Sai, secoli e secoli fa, dopo quel sacrilegio. Ma prima devo chiederti una cosa. Tu credi nei colpi di fulmine?
A Sulfus venne quasi da ridere per quella stramba domanda, ma rispose lo stesso.
- Sì – disse. Effettivamente era quello che gli era accaduto con Raf. –Ma non capisco l’inerenza col discorso.
-Ora capirai- disse il professore, intenerendosi.
E raccontò a Sulfus ogni cosa. Ogni piccolo, terrificante dettaglio.
-Tutto questo dovrai raccontarlo anche a Raf, naturalmente – disse Arkan, quando ebbe finito.
Gli occhi dorati di Sulfus s’illuminarono mentre annuiva senza indugi, perché significava vederla ancora. Poi però gli venne una domanda.
-Ma se anche lei doveva sapere queste cose, perché non l’ha fatta venire qui?
Arkan ridacchiò. –Perché, se lei fosse stata qui con noi, non credo che tu saresti stato molto attento!
Sulfus fece una smorfia e si voltò dall’altra parte.
-Naturalmente scherzavo - riprese il professore. – C’è una cosa che devo chiedere solo a te, per questo lei non è qui. So... anzi, tutti sappiamo che tu volevi diventare un angelo...
Lui sollevò la testa, fiero. -Sì, è così. E non intendo pentirmi per quello che ho fatto. Se volete punirmi fatelo pure, ma non avrete mai il mio pentimento!- Sentenziò.
Il professore sorrise. -Non voglio il tuo pentimento. 
-Ma che senso ha parlarne adesso, allora? Tanto non c’è modo per...
-Sì, invece.
Lui lo guardò, sgranando gli occhi. -Come? Dice sul serio?
- Mai stato più serio di così.
Il silenzio regnò per un attimo, mentre Arkan si alzava in piedi.
-Se lo vuoi, le alte sfere possono intercedere per te. Il modo per soddisfare il tuo desiderio l’hai sempre avuto sottomano, senza saperlo.
-Ma... adesso io... lei cosa propone?
Assurdo! Stava davvero chiedendo consiglio ad un angel? Su una cosa che considerava una certezza?
-La scelta deve essere solamente tua, Sulfus – disse il professore, alzando le mani.
Il devil camminò su e giù per la stanza, pensieroso.
La luce illuminava tutto, e i vetri delle librerie riflettevano ogni cosa. Sulfus osservò distrattamente la sua immagine riflessa...
…e la vide. E la toccò. La sua stella rossa.
-Io l’avevo cancellata! Chi... Kabalé?- chiese, osservando la punta del dito macchiata di cosmetico rosso.
- No – Rispose Arkan, serio, guardandolo dritto negli occhi. - E’ stata Raf, quando ti ha riportato qui dalla Terra Sospesa. Eri in uno stato pietoso, pieno di lividi e ferite... anche se adesso non è che tu sia ridotto molto meglio. Ma è stata una scena straziante. C’erano tutti, i tuoi amici, i suoi amici, piangevano e piangeva anche lei. Si è chinata su di te e ti ha ridisegnato la stella.
Involontariamente Sulfus si portò una mano al cuore.
-Quanto tempo ho per decidere?- mormorò, con un filo di voce.
-Tutto il tempo che vuoi!- disse Arkan. – Ma il mio settimo senso mi dice che tu hai già deciso...
Il ragazzo sorrise, la mano ancora premuta sul petto.
-Ha ragione, professore – disse, commosso. – In effetti ho già deciso.

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Capitolo 26
*** Non avere più paura ***


 
Tutte le storie, prima o poi, giungono ad un epilogo. Questo è il penultimo capitolo di questa storia, che ho finito a modo mio. Ringrazio tutti voi che mi avete sempre seguito... godetevi quest’ultima parte, perché è il mio finale... spero che vi piaccia, lo spero sul serio... in caso contrario, potere reinventare voi il finale che più preferite. Questo è il mio, la possibile alternativa ad una delle tante strade della vita che potrebbero imboccare i personaggi.
Ognuno di noi è un personaggio, inventato da sé stesso... e ognuno di noi può decidere la strada da scegliere...
... vi auguro che sia quella giusta... vi auguro di avere il vostro lieto fine della vita...
...mi auguro che vi ricorderete di me... di una ragazza il cui volto non avete visto mai, che si fa chiamare Kira e che ha scritto queste parole per voi…
Buona lettura!

 

26. Non avere più paura
 
Tutti gli angel, il mattino dopo, erano a scuola. Ciascuno sedeva compostamente nel proprio banco, in una silenziosa e rispettosa attesa dell’insegnante.
Anche Miki, Dolce, Raf ed Urié erano lì, nonostante quello che avevano passato il giorno prima. Raf se ne stava a testa bassa nel proprio banco, e ripeteva mentalmente i nomi degli arcangeli, dei profeti, dei falsi profeti e le loro rispettive storie, dando sbirciatine al libro quando non ricordava qualcosa.
Urié dette un’occhiata all’orologio.
- Come mai il professor Arkan non arriva? Lui è sempre puntuale... è la prima volta che ritarda in due anni che lo conosciamo!- Constatò, mormorando all’orecchio dell’amica.
Lei fece le spallucce. -Mah! Forse... – non ebbe il tempo di finire la frase, poiché proprio allora il professore entrò in classe. Dolce notò subito che era trafelato e aveva le ali leggermente arruffate. I suoi capelli erano la prova inequivocabile della brevissima pettinata che era stara loro concessa, e i suoi occhi arrossati testimoniavano una lunga notte insonne. Per di più, non si era portato dietro la solita pila di libretti e librettini. Cosa poteva essergli successo?
-Ragazzi...-  esordì il professore, prendendo fiato. – Ho qualcosa di importante da dirvi. A sorpresa, da oggi avremo fra noi un nuovo studente. So per certo che farete di tutto per farlo stare bene qui, del resto siamo angeli, no? È ciò che sappiamo fare meglio...
Sembrava leggermente a disagio. Urié e Raf si scambiarono un’occhiata interrogativa. Dolce sollevò un sopracciglio, con disappunto. Lei non riusciva mai a capire la gente quando iniziava a parlare in modo sibillino! Del resto, la sua filosofia di vita era “Chi ha qualche cosa da dire, lo dica chiaramente”.
Gli altri studenti, invece, erano semplicemente incuriositi.
-Beh, ragazzi, non mi resta altro che farlo entrare… –. Fece un gesto verso la porta e nell’aula entrò il nuovo studente. Al suo ingresso, la classe divenne tutta un brusio, tanto che Arkan dovette zittire gli studenti con un’occhiataccia.
Miki, Dolce ed Urié rimasero imbambolate, come se fossero state pietrificate dallo sguardo di una Gorgone. Raf, al pari delle sue amiche, non riusciva a parlare né a pensare: non ne trovava, di cose da dire o da pensare.
Le prime cose che vide del nuovo arrivato furono le scarpe: sneakers celesti con una stella gialla al lato. Poi, piano, salì con lo sguardo. Un jeans blu scuro, arrotolato sulle caviglie, nei cui passanti era infilata un cintura dorata. Appena sopra, contrastava con il blu del jeans una camicia d’un bianco immacolato, fatta eccezione per una croce dorata sul petto che si armonizzava con i suoi occhi ambrati. Occhi che guardavano Arkan con riconoscenza e stima, mentre gli poggiava i libri e librettini sulla cattedra.
Era davvero lui. Era davvero Sulfus.
E aveva tutti quelli che si potevano definire “attributi angelici”: aureola e ali.
Era esattamente come quel giorno di Halloween, quando si era travestito da angel... fatta eccezione per il fatto che questa volta aveva la sua solita stella rossa tatuata sull’occhio.
Non muoveva completamente le ali, ma le faceva ondeggiare in modo appena percettibile, quel tanto che bastava a mostrare che fossero reali, che fossero parte di lui.
-Sono sicuro che si ambienterà presto…vero?- Chiese il professore, tossicchiando.
-Sicuramente- rispose Sulfus, pronto, incrociando gli occhi di Raf.
Qualcuno, invece, iniziava seriamente a preoccuparsi. E quel qualcuno era Ang-li. Il motivo? Disgraziatamente, il nuovo arrivato si sarebbe dovuto sedere. E, guarda caso, l’unico posto libero era quello accanto a lui. Ma proprio quel giorno il suo compagno doveva rimanere a letto con la febbre?!
Come era prevedibile, Arkan indicò a Sulfus di sedersi proprio lì.
Con un leggero timore, vide il ragazzo avanzare nella sua direzione. Non appena prese posto ed il professore si voltò, Sulfus gli afferrò il polso.
-Io e te dobbiamo fare due chiacchiere- sibilò, facendo cenno di torcerglielo, il polso. L’angelo dagli spessi occhiali tondi annuì. -Dimmi cosa pensi di Raf.  E dimmelo adesso. Sai cosa voglio dire.
-È molto simpatica… ahi! - Biascicò.
-Risposta sbagliata. Sei ancora in tempo per darmi quella esatta…
Ang-li, con il polso che gli faceva male, mormorò, quasi senza fiato:-Io… la detesto. Praticamente non la sopporto.
Finalmente Sulfus gli lasciò andare il polso. -Credo proprio che d’ora in poi potremo essere ottimi amici, mio caro!- Fece, soddisfatto, battendogli una forte pacca sulla schiena.
Ang-li non era esattamente della stessa opinione, ma si guardò bene dal dirlo.
 
Per Sulfus fu una giornata a dir poco estenuante. Non era affatto abituato a quei precisi e perfetti ritmi angelici, finita una lezione ne iniziava subito un'altra, e poi non parlare durante le spiegazioni, non dormire… e bisognava persino prestare attenzione! Assurdo!
Se non altro, tutte le cose finiscono: quelle belle, quelle brutte e per fortuna anche quelle noiose, e così finirono anche le ore di lezione.
Alzarsi dalla sedia per sgranchire le gambe fu un vero sollievo. Temeva che ci sarebbe invecchiato, su quella sedia.
Tutti gli studenti si riversarono fuori dall’aula in fretta (saranno stati pure angeli, ma di sicuro erano morti di noia pure loro) seguiti dal professore, il quale certamente stava andando a bersi un buon caffè. Per ultimi uscirono Raf e Sulfus, che non sapevano bene come comportarsi l’uno con l’altra.
-Allora? Che ne dici?- Fece lui, ad un certo punto, stufo di camminarle accanto in silenzio.
-Che ne dico di cosa?- chiese lei.
-Di quello che sono adesso. Avevi detto che le cose sarebbero state diverse se io non fossi stato un devil, perciò… beh, eccomi - disse, indicandosi. -Sono qui, sono un angelo, e se ho accettato di diventarlo, se sono quasi morto per diventarlo, è perché ti… perché voglio stare con te. E adesso cosa fai? Mi ignori? Ho fatto forse qualcosa di sbagliato?-. C’era delusione nella sua voce.
Lei incrociò il suo sguardo. -No, no… sono solo… beh, imbarazzata… non so bene cosa dovrei dire.
-Allora non dire niente.
Si chinò su di lei, i loro volti così vicini da poter sentire reciprocamente i propri respiri.
Lui le accarezzò una guancia, e lei inclinò la testa da un lato.
-Hai paura, vero?- le chiese.
-Sì.
-Di cosa?
-Che non sia vero. Che qualcuno possa portarti via, ora che finalmente sei qui con me, ora che sei un angelo, ora che… io non voglio che qualcos’altro ti porti via da me, io non voglio soffrire ancora… voglio solamente essere felice, e non lo so se chiedo troppo. Voglio solamente questo, ho sempre voluto solo questo, sin dall’inizio… ed è solo di questo che ho paura, adesso. Ho paura di perderti ancora.
-Non accadrà, Raf. Non accadrà mai, perché d’ora in poi ci sarò sempre, e quando dico “sempre” significa che dovrai sopportarmi proprio sempre, capito?
Lei rise. Lo strinse a sé, e lui le baciò i capelli. Stettero per un po’ in silenzio.
-Ti va di venire in un posto?- le chiese infine lui, quasi in un sussurro.
-Va bene -. Non chiese dove, non chiese perché.
Gli strinse la mano e Sulfus la condusse sino alla sua motocicletta, quell’orribile bestione nero e rosso che, per qualche strano motivo, a lui piaceva da impazzire. Con sua sorpresa, il ragazzo le porse un casco che aveva dipinto lui stesso, tutto d’azzurro con il nome di lei a caratteri rosa.
Senza dire niente, limitandosi a sorridere, se lo mise sul capo. Lui montò, e lei dietro di lui.
Lo strinse, poggiò la testa contro la sua schiena, chiuse gli occhi.
Portami dove vuoi. Tanto adesso la destinazione non conta più.
Il bestione ruggì e infine partì.
 
 
Cabiria raggiunse Kabalé accanto alla finestra e le poggiò una mano sulla spalla. Lei non si voltò.
-Mi dispiace.
-E di cosa?
Raf e Sulfus stavano partendo. Lui sarebbe andato via, lontano per sempre dal suo cuore.
-Beh, che le cose non siano andate come volevi.
La diavoletta sospirò. -Le cose non vanno mai come vogliamo, Cabiria.
-Oh, su questo hai davvero ragione. Anche io credevo e volevo che avrebbe funzionato, con Kaiwir, e invece…
-Vi siete lasciati?
-Io l’ho lasciato. Mi aveva stufato! Lui e la sua fobia per gli insetti!
Entrambe risero. Cabiria le passò il braccio attorno alle spalle, e Kabalé fece lo stesso.
-In fondo, sono felice per loro…
Cabiria guardò l’amica. Stava sorridendo. Un sorriso vero, sincero, da angelo.
Poi Kabalé si riscosse. -Naturalmente volevo dire “molto, molto, molto in fondo!”- puntualizzò.
-Ah, certamente!- concordò Cabiria, nascondendo il proprio, di sorriso.
Subito dopo arrivò Gas, il quale decise di unirsi a quel bell’abbraccio di gruppo.
Quell’avventura aveva davvero cambiato tutti loro.
 
 
Contemporaneamente anche qualcun altro stava guardando i due piccioncini dalla finestra. Si trattava di Urié, Dolce e Ang-li.
-Come sono dolci quegli zuccherini!- commentò Dolce, e Urié sollevò gli occhi al cielo.
-E’ vero- confermò poi. -Raf ha fatto di tutto per salvarlo. Chissà cosa ci trova in quel tipo!- si chiese ad alta voce.
-Già, questo vorrei tanto saperlo anch’io!- intervenne Ang-li, dando un’occhiata al proprio polso. Dal suo punto di vista, Sulfus non era affatto simpatico.
-Il mistero dell’amore!- Squittì Dolce, con una giravolta.
-Puoi dirlo forte. Mistero! - Fece Ang-li ridacchiando.
Urié non disse niente. Guardò il cielo e le venne voglia di volare. Si sentiva leggera. Sorrise.
 
 
E Miki e Raphitya? Beh, loro avevano imparato ad essere amiche, fedeli l’una all’altra, e non si sarebbero lasciate mai.
In quel momento erano in forma terrena e si godevano un paio di gelati al cioccolato, ridendo di strane battute.
E chiunque le avesse viste avrebbe detto che erano le migliori amiche mai esistite a questo mondo.
 
 
La motocicletta  attraversò le strade, e se qualcuno avesse potuto vederli, avrebbe visto due ragazzi stretti l’uno all’altra. Ma loro non erano solo questo. Loro non erano due ragazzi qualunque. Loro erano Raf e Sulfus, l’angelo e il demone che avevano infranto la più sacra delle regole, amandosi.
Erano l’angelo divenuto oscuro dalla rabbia per la sorte del suo amato, e il demone quasi morto per diventare come il suo angelo biondo.
E cosa li aveva spinti, in fondo, a vivere tutto questo? L’amore.
Senza di esso, non avrei avuto niente da raccontare.
Ma l’amore, in fondo, cos’è? La più grande delle debolezze, eppure la più devastante di ogni potenza. Strano, vero? Strano, il velo sottile che separa le cose opposte… infatti spesso quanto più due cose sembrano diverse, tanto più sono imprescindibili in realtà, poiché sono in un’unica essenza.
Il buio e la luce non sono contenuti entrambi in un unico giorno?
Il bene e il male non sono forse presenti in un’unica anima?
E nell’amore non può esservi quindi debolezza e potere? Certamente.
Del resto, quel grande terreno che fu Dante Alighieri lo disse ancora prima che loro nascessero. Forse ha fatto davvero un viaggio nell’aldilà per capirlo, o forse lo aveva capito prima, era bastato amare una volta per scoprire la forza e la debolezza che dà all’anima questo sentimento.
L’amore può giustificare qualsiasi gesto, anche il più estremo… l’amore è ciò con cui ci ha creati Dio, l’amore è ciò con cui ha creato la Terra e l’universo.
E quale forza può essere più potente dell’
amor che move il Sole e l’altre stelle?




Qui è la beta Aching heart che vi parla... scusate il ritardo, ho avuto problemi ad aggiornare. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, e mi raccomando, ricordatevi che questo è il penultimo, manca ancora l'epilogo! 
Vorrei ringraziare a nome dell'autrice tutti coloro che hanno messo questa storia fra le seguite/preferite/ricordate, e in particolar modo TomMalfoyandEmmaGranger per aver recensito. 
A presto!
P.S. Naturalmente l'ultima frase, quella in corsivo, è di Dante Alighieri, è la frase che chiude la Divina Commedia.

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