Distruzione Rossa

di FigliadiDurin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Primo Capitolo ***
Capitolo 3: *** Secondo Capitolo ***
Capitolo 4: *** Terzo Capitolo ***
Capitolo 5: *** Quarto capitolo ***
Capitolo 6: *** Quinto capitolo ***
Capitolo 7: *** Sesto Capitolo ***
Capitolo 8: *** Ultimo capitolo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Terra, 25 aprile 3215

Il comandante John Simmons, appoggiato ad un pilastro della stanza, guardava passivamente gli ultimi preparativi in vista della spedizione su Taluyan. Per contro, la dottoressa era seduta su una panchina, attenta a non mostrare troppo la sua crescente preoccupazione. Simmons sorrise sotto i baffi folti e grigi: conosceva bene il proprio equipaggio, così come il valore di ognuno dei suoi membri. Due soldati parlavano invece vicino alla nave e dai loro volti freschi si poteva leggere la spavalderia tipica della gioventù. Avevano giurato di proteggere l'equipaggio, la nave e il tesoro che presto avrebbe riempito le loro tasche senza rifletterci poi molto. Simmons conosceva pure questo particolare. Avventatezza, paura, coraggio, arroganza, superbia, intelligenza o stupidità. Il comandante sapeva a chi appartenessero quelle qualità ed a chi no ed aveva rivolto questi fattori a suo vantaggio.
<< Commandante è ora di partire >> lo chiamò l'ingegnere di volo Alfie Williams. Lui era il membro più giovane dell'equipaggio ed era l'unico che John aveva scelto di persona. Con una punta di invidia e disappunto aveva dovuto ammettere senza mezzi termini di essere rimasto ammirato dalle eccellenti doti del giovane ingegnere.
Salì sulla Lady Black, una maestosa astronave dalla forma cilindrica completamente nera e relativamente ridotta in altezza. Dotata di cannoni nascosti e altri armi militari, si presentava come una nave da guerra ormai adibita a viaggi diplomatici. John prese il posto di comando quando già tutto il personale a bordo era alla propria postazione. Nessuno osò fiatare durante la partenza, poiché il comandante richiedeva massimo silenzio e compostezza.
Il conto alla rovescia arrivò allo zero quando Simmons tolse il freno a mano e premette sull'acceleratore. La nave percorse la rampa di lancio della stazione per poi tagliare in due il cielo ed arrivare infine nella desolazione dello spazio. John sentì le esclamazioni di stupore, meraviglia e sbigottimento dell'equipaggio e con la coda dell'occhio misurò la reazione di ciascun membro. Notò che i soldati e un' assistente si erano avvicinati ai finestrini per osservare meglio la magnificenza dell'esterno, mentre la dottoressa era rimasta seduta con la cintura stretta in vita ed i pugni chiusi. Pur non essendo il suo primo viaggio, notò il comandante, sembrava che la fobia di volare non la abbandonasse mai. Si soffermò poi sull'ingegnere che era rimasto seduto nella sua postazione, i lineamenti duri non lasciavano trasparire alcuno stupore e la posa composta non sottolineava nessun timore. Si meravigliò.
Dal canto suo, Simmons, era così avvezzo ai viaggi interstellari che la convinzione d'essere in grado di riconoscere ogni stella, ogni pianeta, ogni angolo dell'universo era ormai radicata nel suo inconscio, così come la certezza di essere stato un pioniere di terre fino ad allora sconosciute lo poneva in una posizione di superiorità rispetto ad ogni altra persona presente sulla nave in quel momento.
<< Comandante, la incuriosisce lo scopo della missione? >> fece il soldato Collins appoggiando il braccio sullo schienale della poltrona.
<< Perché non dovrebbe? Sono queste le missioni che preferisco, quelle che hanno uno scopo ben preciso e sono vantaggiose per tutti >> rispose con calma Simmons.
<< Sì signore, ma non ha quel timore che qualcosa possa andare storto? Che magari non abbiamo calcolato bene il tempo o che forse quel posto non sarà così come pensiamo che sia? >>.
Il viso del comandante si accigliò; se quel soldato avesse utilizzato il suo tempo per imparare qualcosa sulle missioni nello spazio anziché parlare con quella sfrontatezza, magari in quel momento non avrebbe di certo azzardato domande tanto superflue.
<< Collins, le pare possibile che in una spedizione spaziale si possa sbagliare a calcolare il tempo? Secondo lei stiamo partendo per una gita al mare, ah? >> Simmons alzò il tono della voce. << Secondo lei non ho pensato ad ogni cosa possa aspettarci lassù? Ad ogni eventuale rischio o pericolo, ad ogni elemento indesiderato? Secondo lei non ho pensato a cosa fare nel caso in cui non bastasse il tempo? >>
Il soldato si ritirò nella sua postazione, evidentemente infastidito dal tono severo di Simmons e sbuffò quando fu sufficientemente lontano.
<< Che cosa accadrà se non basterà il tempo? >> chiese l'ingegnere con lo stesso tono di voce calmo tipico del comandante.
<< Moriremo >>.








Angolo autrice!
Salve! Nonostante io sia una grande fan della fantascienza non ho mai scritto su questo genere, ma un contest mi ha dato la giusta ispirazione per poterlo fare! La long partecipa quindi al contest "Verso l'infinito e oltre" indetto da Najara87 sul forum di Efp.
Spero che la mia storia possa piacervi e chiedo scusa per ogni genere di errore presente nella long. A questo proposito non posso che non ringraziare la beta che pazientemente ha revisionato Distruzione Rossa. Grazie davvero Luana!
Un abbraccio.
Fra

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Capitolo 2
*** Primo Capitolo ***


Taluyan era immenso, una gigantesca sfera ghiacciata che dominava un angolo della galassia di Efestix. Una leggenda narrava che fosse costituita da solo ghiaccio anche nelle profondità. Ghiaccio e neve che non si scioglievano mai. Fatto curioso vista la vicinanza del pianeta alla stella intorno a cui orbitava.
Taluyan appariva dai sistemi audio-visivi della Lady Black come un pianeta tranquillo ricoperto da un candido manto di neve, ma quando la nave atterrò si mostrò com'era realmente.
Il comandante Simmons riconobbe l'inganno e sorrise sotto i baffi, la tranquillità con cui appariva aveva nascosto il suo lato minaccioso e studiato ad arte.
La dottoressa Turner, trasse un sospiro di sollievo una volta messo un piede sulla superficie; per quanto apparisse spaventoso quel singolare pianeta, il peggio era passato. Il soldato Collins invece era rimasto a bocca aperta, con una fotocamera digitale tra le mani si premurò a mandare alla base ogni dettaglio del pianeta, fotografando la superficie non lineare ricoperta di neve, gli spuntoni di ghiaccio appuntiti che uscivano dal terreno andando a disegnare ponti sottili e taglienti e rozze scalinate. Si accorse, ancora stupefatto, della temperatura più fredda sotto i ripari delle montagne di ghiaccio ed infreddolito si strinse nelle spalle, mandando i dati alla base.
<< Ventisei Aprile; ora terrestre: 15:45; temperatura sull'emisfero settentrionale pari a 25° C, ma nelle zone d'ombra si riscontra una temperatura di 7°C. La missione ha finalmente inizio >> Simmons controllò l'orologio per calcolare il tempo rimanente. << Rimangono novanta minuti per portare a termine la missione, allo scadere dei quali evacueremo il pianeta >>.
<< Comandante per ora non si registrano problemi, l'ultimo boato è stato sentito più di una settimana fa; perciò, io direi di azzardare e completare la missione nonostante lo scadere del tempo>> intervenne il soldato Solo. Tarchiato e corpulento, era il più anziano dell'equipaggio e si poteva pensare fosse il più prudente e saggio, ma Simmons dovette ricredersi.
<< Allo scadere del tempo evacueremo il pianeta >> rispose gelido e perentorio John guardandolo negli occhi con un'espressione che non ammetteva repliche.
<< Comandante, ci sono delle vite qui! >> s’intromise la dottoressa << stanno morendo e se non facciamo qualcosa, saremo stati noi a condannarli. Lei non vuole rischiare, ma non le permetterò che una specie si estingua solo perché lei ha paura >>.
Simmons parve ignorare il monito della dottoressa ed impartì gli ordini, stabilendo la divisione in squadre di ricognizione ed il trasposto di manette e due gabbie per ogni gruppo.
Lui stesso sarebbe partito con l'ingegnere Williams e Solo, mentre la dottoressa, Collins e l'assistente, di cui non si era preoccupato nemmeno di ricordare il nome, avrebbero composto l'altra squadra. Allo scadere dei novanta minuti ordinò il ritorno alla nave.
Collins bisbigliò un buona fortuna che nessuno udì. La dottoressa Turner girò sui tacchi con rabbia decidendo che sarebbe stata il capo della sua squadra; gli altri due la seguirono pensando che avrebbero sentito presto il cattivo sproloquio della Turner sul comandante. L'altra squadra andò nella direzione opposta in silenzio e con ordine.
<< E signorina Turner, non si permetta mai più di rivolgersi a me con quel tono >> fece Simmons voltandosi indietro.
<< Dottoressa, prego >> replicò stizzita Shona.

I Taluyani si erano guadagnati la nomea di popolo quasi leggendario. Nessuno li aveva mai visti, nessuno aveva mai cercato di conoscerli; si era negata perfino la loro esistenza fino a quando le loro voci unite in un angelico e incantevole canto si erano fatte udire in un messaggio intergalattico.
In esso, manifestando modi altezzosi ed intolleranti, vietavano ogni atterraggio su Taluyan, escludendo così il loro pianeta dalla congregazione galattica e, di fatto, negando sia la possibilità di erigere sul loro territorio una stazione d'emergenza sia di avere contatti con gli altri pianeti.
Erano stati i terrestri e i Papuiani ad accrescere la sfera del mito intorno a loro descrivendoli come creature meravigliose dai corpi piccoli ed esili, con dei grandi occhi viola dall'espressione mesta su un viso scarno e stanco, caratterizzato da lineamenti delicati e mento poco sporgente. I lunghi capelli neri erano folti e lisci ma sporchi così come le poche vesti con cui si ricoprivano. I Taluyani venivano immaginati come un'antica bellezza ormai sfiorita, affascinanti e graziosi, eleganti e umili.
Se davvero esistevano quelle magiche creature la loro vita era ormai destinata a finire. Colpevole il loro pianeta giunto al termine del suo ciclo evolutivo. Quelle che in un primo momento erano state avvertire come leggere scosse si erano trasformate in un breve lasso di tempo in terribili terremoti, enormi boati scandivano le giornate ed incessanti tempeste avevano cambiato l'assetto morfologico del pianeta. Il pianeta stava per morire. Sarebbe esploso per alcuni, altri invece pensavano che un grande terremoto lo avrebbe spazzato via per sempre; ma quello che rimaneva certo era che la fine di Taluyan era vicina, troppo vicina.

~


<< Dottoressa Turner, i ripari sotto gli spuntoni di ghiaccio sono il posto migliore in cui nascondersi, dato l'intricato gioco di ghiaccio credo che abbiano edificato le loro case proprio là sotto >>.
<< Infatti, Collins, cercheremo proprio lì >> rispose la dottoressa distrattamente, mentre rimuginava su qualcosa. << Il Presidente Dahl mi ha preparato per mesi per questa missione, sono stata incaricata dal Presidente della Congrega in persona a salvare i Taluyani. Non mi ha detto quanti salvarne o fin a quando farlo, ma solo di salvare tutti quelli che potevo ed è questo quello che io intendo fare >> aggiunse ostinata poco dopo.
Il soldato Collins e l'assistente annuirono mentre procedevano sulla superficie impervia. La squadra cercò una scorciatoia nel labirinto di ghiaccio ma fu proprio lo stesso ghiaccio che graffiò il viso dell'assistente. Quel pianeta, pensò Shona, possedeva tutte le armi per difendersi.

Il comandante Simmons stava perlustrando la zona in cui si erano fermati. Aveva tra le mani uno strano dispositivo che avvicinava più volte alla superficie per poi sentire un beep breve e ritirarlo. Il soldato Solo aveva poggiato le gabbie a terra pensando contrariato che i Taluyani non erano degli animali da rinchiudere in una di esse; tuttavia, preferì non dire nulla.
<< Solo, se ci dividiamo ancora porteremo a compimento il lavoro in minor tempo. Le suggerisco di rimanere in zona, mentre io e l'ingegnere ci sposteremo più a nord. Si tenga le manette, ma le gabbie le portiamo con noi >> Simmons era ancora chino a terra quando suggerì - o meglio - ordinò quella mossa.
<< Ma comandante, se mi lascia da solo non avrò come difendermi se questi Taluyani non si dimostrassero pacifici come immaginiamo. Mi scusi se la contraddico, ma questa non è una buona idea >> asserì turbato il soldato. Non era solito contraddire un ordine, ma in quel caso dovette mettere da parte il suo naturale istinto ad eseguire senza porre domande.
<< Lei ha avuto un'istruzione militare, come la difenderebbero un vecchio comandante e un ingegnere? >> esclamò di rimando il comandante con una chiara nota di derisione nella voce. Solo pensò che Simmons si stesse realmente divertendo.
<< Comandante quello che voglio dire è che l'unione fa la forza e...>>
<< E bla bla bla. Solo, ci risparmi queste frasette e segua i miei ordini. La prego di non protestare più>>.
Simmons sentì uno sbuffo e un calcio alla neve. Rise ancora sotto i baffi alla vista dell'impacciato soldato; forse si era fatto un altro nemico, ma non ci badò più di tanto. Con la coda dell'occhio squadrò l'ingegnere, immobile e silenzioso dietro di lui, ed un tale mutismo iniziò a disturbarlo.
<< Ingegnere, mi ricordi il suo nome >> disse Simmons voltandosi a guardarlo. Che non si dicesse in giro che non guardava negli occhi quelli che sfidava. Quelli che davvero sfidava.
<< Williams, Alfie Williams. Comandante, qual è la vera missione? >>
Simmons scoppiò a ridere. L'ingegnere non lo imitò, ma continuò imperterrito a guardarlo negli occhi e per un attimo si sentì preso in giro, poi pensò, vedendo meglio il viso del comandante, di aver colto nel segno.
<< Secondo lei, perché ho scelto di portare lei con me? >> Simmons non era spaventato, sapeva che l'ingegnere era un attento osservatore, intelligente e meno incline al sentimentalismo; sapeva che si stava interrogando sullo scopo della missione e sapeva che presto lo avrebbe scoperto o almeno continuava a sperarci, visto che sarebbe stato un po' scomodo spiegarglielo lui stesso.
<< Non so, forse perché non aveva altra scelta? >> fu Williams a sghignazzare quella volta. Aveva paura, doveva ammetterlo, ma si disse che in quel momento valeva la pena rischiare. Mai aveva osato rivolgersi con quel tono ad un ufficiale e mai aveva osato parlare di qualcosa che non conosceva veramente. Notò che l'espressione sul viso del comandante cambiò, diventò improvvisamente più seria e questo fece accrescere ancora il suo timore.
<< Oh no, non creda di essere così speciale Williams. Forse tra tutti quelli della squadra lei é il meno peggio, ma è lontano dall'essere indispensabile per me! >> Simmons aspettò che le sue parole fossero ben comprese dall'interlocutore, ci teneva molto ad essere capito. Sorrise e si girò di scatto dandogli le spalle e procedendo nel cammino. Controllò l'orologio e notò che era rimasto troppo poco tempo.
<< Ingegnere, si affretti. Se vuole sapere il vero scopo della missione, mi segua >>.
Il comandante tirò fuori di nuovo il dispositivo per appoggiarlo sotto un'acuminata sporgenza di ghiaccio e quella volta l'apparecchio produsse un acuto e prolungato beep. Simmons sorrise soddisfatto.
Nella stessa squadra a non tutti venivano dette le stesse cose, era la regola ed era sempre più sicuro lasciare qualcosa in segreto prima che questo potesse portare a punti di non ritorno. Di solito il lavoro sporco era lasciato ai veterani dal sangue freddo o agli ambiziosi pronti a fare qualunque cosa per una promozione. La Congrega professava la pace nella galassia e supportava l'ordine e l'uguaglianza tra i popoli, ma segretamente i suoi scopi erano molto diversi. Tutto quello per cui lottava era una sola cosa: il potere.
La sede della Congrega sulla terra era fallita decenni prima e in quel momento sul pianeta regnava un despota spregiudicato, avido di ricchezze e desideroso di sottolineare ad ogni pianeta appartenente alla Congrega e non la supremazia della Terra e dei terrestri. Il comandante John Simmons si era ritrovato a favore di ogni punto sottolineato dal Presidente e con orgoglio aveva accettato la missione.
<< Ingegnere si rimbocchi le maniche, abbiamo del lavoro da fare! >> Simmons, accovacciato sulla neve, invitò l'ingegnere ad imitarlo, poi estrasse dalla tasca della tuta due palette pieghevoli porgendone una a Williams.
<< Secondo i segnali qui sotto ci deve essere qualcosa e se siamo abbastanza fortunati credo proprio che sia quello che stiamo cercando >> continuò il comandante spiegando la paletta e puntandola verso la superficie dove subito dopo, con un po' di pressione, iniziò a scavare.
<< Cosa stiamo cercando comandante? La smetta di fare il misterioso >> chiese irritato l'ingegnere sistemandosi una ciocca dei lunghi capelli neri dietro l'orecchio.

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Capitolo 3
*** Secondo Capitolo ***


Il soldato Collins aveva trovato, scavato tra la neve ed incorniciato da un arco di ghiaccio, un sentiero. Le tracce di orme sul terreno sottolineavano la presenza di qualche forma di vita. Sospinta da questa evidenza, la squadra si accinse a percorrerlo, avanzando fra appuntiti rami di ghiaccio, fino a giungere all'imboccatura di un profondo antro buio e maleodorante dove stalattiti e stalagmiti si intersecavano per dare vita ad un intricato intreccio che non rendeva possibile una chiara visuale dell'ambiente. Munita di torcia, la dottoressa Turner avanzò per prima. Per quanto la sua vista fosse eccellente, non riuscì a vedere il fondo della caverna né tantomeno a scorgere presenza di vita o anche solo ad udire rumori insoliti, eccetto un leggero ticchettio meccanico di cui non riusciva a capire la provenienza. Collins andò in perlustrazione verso il lato est, ma anche da quella parte non si vedeva altro che buio. Inciampò più volte nel ghiaccio appuntito che spuntava dalla superficie tagliandosi; imprecò e la sua voce si amplificò nella caverna. La stanza perciò aveva una fine e, seppur con qualche difficoltà, la squadra arrivò nel fondo. Sulla parete opposta all'imboccatura della caverna, rinvennero, come intagliata nello strato di ghiaccio di cui sembrava composto il resto del muro, una porta priva di maniglia, imponente alla vista ed apparentemente impossibile da aprire.
Il ticchettio meccanico si fece più pungente e secco, il battito accelerò in una sequenza non più regolare. La squadra si scambiò uno sguardo intimorito e allarmato quando la porta di ghiaccio cigolò. Collins sfoderò la pistola e la puntò dritta su di essa. La porta si aprì lentamente ma assai più facilmente di quanto si potesse immaginare; sembrava estremamente leggera sotto quel tocco delicato ed elegante. La dottoressa si sedette sui talloni, sorpresa ed nello stesso tempo spaventata. Non poteva negare d'essere impaziente di stabilire un primo reale contatto con il nuovo popolo, dimostrando così senza ombra di dubbio la veridicità di leggende e miti; pur tuttavia, nel profondo del suo animo permaneva una silenziosa sensazione di timore per questo evento.
<< È un bambino dottoressa! >> esclamò emozionato l'assistente Martin. C'era un bambino ai piedi della porta, una mano ferma sullo spigolo ghiacciato e l'altra tra le pieghe del misero vestito di stracci che portava. Gli occhi erano grandi come quelli descritti nelle leggende, ma erano rossi, di un rosso cresimi luminoso e brillante ed era con espressione mesta e impaurita che guardavano a malapena gli umani di fronte. Aveva delle labbra sottili e rosa sotto un piccolo naso all'insù. Contro ogni leggenda i loro capelli erano la cosa più vicina alla bellezza che la dottoressa Turner avesse mai visto, erano una cascata di sottili fili bianchi quasi argentei, non acconciati bensì lasciati liberi sulle scarne spalle che donavano al bambino un aspetto selvaggio.
<< Vieni, vieni qui >>. La dottoressa protese le braccia in avanti, il bambino era piccolo ma la statura e la postura incerta lo facevano sembrare più piccolo di quando in realtà fosse. Shona si chiese se tutti i Taluyani fossero belli come lui.
Il ticchettio aumentò di intensità ed ancora una volta la squadra non sembrò badarci molto; il bambino si ritrasse improvvisamente e prima che qualcuno se ne potesse accorgere, al suo posto si piazzò un uomo più grande con un arma in mano. Sparò un colpo e la dottoressa ebbe la prontezza di scansarsi appena in tempo evitando d'essere colpita, mentre Collins sparò di rimando nascondendosi dietro una colonna di ghiaccio, ma i proiettili della sua pistola vennero subito intercettati dall'arma che, attraverso raggi verdi e rossi, li respinse abilmente. Sotto i colpi alcune stalattiti di ghiaccio cedettero frantumandosi al suolo.
<< Via, andiamo via! Ritirata! >> urlò disperata Shona aggrappandosi all'assistente.
I pezzi di ghiaccio ostruivano il percorso e l'imboccatura della caverna, celata dall'oscurità, non era visibile. Dietro di loro, Collins cercava di parare i colpi per permettere ai compagni di guadagnare l'uscita indenni, mentre i raggi mortali fendevano l'aria come fulmini distruggendo ogni cosa incrociasse il loro percorso. Riconobbe la tecnologia locale e quindi sconosciusta nell'arma dell'avversario. Deviò verso sinistra nella speranza di poter attaccare in nemico da un punto più favorevole; ma la mancanza di un riparo sicuro da cui colpire lo rendeva estremamente vulnerabile. A differenza, il Taluyano avanzava con sicurezza e senza alcun indugio, conscio del proprio vantaggio.
<< Soldato Collins si ritiri, glielo ordino! >> strillò ancora la dottoressa all'ingresso della caverna, attenta a puntare le torce all'interno per far luce al soldato. Collins obbedì correndo verso la luce e saltando gli ostacoli di ghiaccio. Continuò a sparare, nonostante non vedesse bene dove stesse sparando e si abbassò quando un raggio verde gli sfiorò la testa andando invece a colpire il muro provocando un foro fumante.
Era vicino alla caverna, una mano protesa verso la dottoressa quando uno sparo lo colpì alla spalla destra; emise un urlo lancinante e cadde a terra privo di sensi. L'assistente corse ad afferrarlo e riuscì a trascinarlo fuori dalla caverna, il ticchettio cessò di colpo e seppur i tre provarono a scappare l'avversario rimase inspiegabilmente immobile dentro la caverna.
<< Il battito cardiaco è lento, dobbiamo portarlo subito alla nave >> indicò la dottoressa misurando il polso di Collins, dopodiché tagliò la tuta nel punto in cui il raggio l'aveva colpito e quello che vide la impressionò: la pelle attorno alla ferita era diventata viola con qualche sfumatura di verde, il colpo aveva inoltre provocato un buco poco profondo da cui usciva sangue fumante. Con un groppo in gola sollecitò l'assistente a trasportare il soldato all'astronave. Si diede un colpo alle ginocchia con le mani obbligandosi di rimanere impassibile e composta.
<< Dottoressa, la missione, dobbiamo portare a termine la missione! >> Martin era incerto e visibilmente spaventato, non credeva realmente nelle parole che aveva appena pronunciato, ma non voleva che la dottoressa fosse nuovamente rimproverata dal comandante.
<< Ritorniamo alla nave, ora! L'ha visto che armi hanno questi Taluyani: noi non abbiamo nessuna speranza. Sulla nave ci sono altre armi, ritorneremo qui ben equipaggiati >>.


~

Il comandante Simmons infilò una mano senza guanto nella buca appena scavata e sorrise compiaciuto quando le dita strinsero qualcosa di freddo. Con cautela cercò di estrarre il corpo dal terreno, facendo attenzione a non farlo urtare contro le pareti della piccola fossa.
<< Ingegnere, questa sarà la nostra salvezza. Questa sarà la nostra vittoria >> esultò, indicando lo strano oggetto che aveva tra le mani. Si trattava di un ottaedro metallico di scarse dimensioni, ben levigato e molto lucente. Simmons, come ipnotizzato, lo girò meglio tra le mani per poterlo ammirare meglio. Lo pulì con il fiato e la neve ogni volta che lasciava l'impronta con i polpastrelli, accarezzò lievemente il vertice ed gli spigoli smussati dell'oggetto senza notare la presenza di graffi sul metallo. Di fronte a lui, l'ingegnere spostava lo sguardo dall'ottaedro al comandate, curioso e ignaro circa la natura del misterioso oggetto. Notò che Simmons, stringendo gli occhi, cercava qualcosa al centro dell'oggetto; lo girò ancora finché su un vertice più arrotondato degli altri trovò un bottoncino nero e circolare, montato su un incisione nel metallo.
Williams stava ancora fissando il comandante quando l'ottaedro si aprì in due liberando un fascio di luce rosso vivo che colpì gli occhi ora radiosi di Simmons ed in quell'istante parve che ogni lineamento del suo volto acquisisse una nuova forma, più distesa mentre l'ombra di un sorriso andava ad increspare le sue labbra. Era evidente il compiacimento del suo superiore per quel ritrovamento.
<< Ingegnere prenda le gabbie e me ne porti una. >> c'era qualcosa nella voce del comandante che spinse Alfie ad obbedire subito, era come rotta dall'emozione ed una forte trepidazione sembrava crescere in lui.
<< Tenga comandante, posso vedere? >> e Alfie si accorse di essere in trepidazione e curioso alla stessa maniera. Simmons lo squadrò prima con il suo caratteristico cipiglio severo e solo dopo acconsentì a mostrargli il tesoro.
Era leggero e ancora più freddo di quando si immaginasse. Al centro dall'ottaedro, protetto da cuscini di neve, vi era un cristallo cilindrico perfettamente tagliato, di color cremisi avente la capacità di emettere luce della stessa tonalità, scintillante e sfolgorante. L'ingegnere lo prese cautamente tra le mani, tanto fragile appariva al tatto. Fece scorrere le dita sui piani e notò che nessuna imperfezione interrompeva la tempesta cresimi del cristallo.
Il comandante aveva sistemato nel frattempo sul fondo e nei lati della gabbia una pezza per coprire le maglie larghe della gabbia.
<< Cristalli di Rustafio, raro su Taluyan introvabile sulla Terra. Di una superba bellezza, ancora non è stato valutato ufficialmente dalla Congrega galattica; il suo valore e prezzo perciò rimangono ignoti, ma la purezza e durezza sono celebrati in ogni angolo dell'universo. È stato utilizzato a lungo come gioiello la cui luce emessa illuminava e restituiva alle donne che lo portavano un'incantevole bellezza; è stato utilizzato nell'edilizia, nelle costruzioni idrauliche, nell'ottica e persino nella costruzione di armi da fuoco e di particolari binocoli. Si narra che il Rustafio abbia sorprendenti capacità terapeutiche e curative. Purtroppo, è stato sfruttato troppo intensamente ed oggi i giacimenti sono tutti esauriti; rimangono solo questi cilindri tagliati e conservati dai Taluyani stessi e, si spera, qualche gioiello nascosto >>.
Alfie annuì spaesato e, con la stessa attenzione usata qualche istante prima, ripose il cilindretto nell'ottaedro per poi chiuderlo con un click. Appena la luce emessa dal Rustafio fu intrappolata tra le pareti metalliche dell'ottaedro, l'ingegnere sembrò capire quello che il comandante aveva detto.
Si prese un altro po' di tempo per sé perché non voleva apparire debole e sciocco davanti al comandante.
<< A noi perché cosa serve, comandante? >>
<< Glielo ho già detto, ma si vede che lei non ha prestato molta attenzione. Ingegnere, questa sarà la nostra vittoria >> asserì trionfante Simmons. I due continuando a scavare tra la neve, scoprirono altri diciannove ottaedri di ugual dimensione che depositarono all'interno della gabbia con cura.
<< Come sarebbe a dire "la nostra vittoria"? >> chiese l'ingegnere, impaziente ed ormai infastidito dall'ostinato velo di mistero con cui il comandante seguitava ad ammantare la reale ragione della missione.
<< Mi mette in una posizione scomoda ingegnere, sa? Io che non voglio proprio raccontare i miei segreti agli sconosciuti >> Simmons stava ridendo di gusto mentre guardava negli occhi l'ingegnere ed un sorriso malizioso fece capolino sul suo viso una volta che l'iralità della scena lo aveva abbandonato. Alfie lo guardava sentendosi, ancora una volta, preso in giro e, stanco del suo comportamento, decise quindi di giocare al suo stesso gioco comportandosi come lui.
<< Ma noi non siamo più degli sconosciuti, non è vero amico? >> il volto del comandante si incupì, digrignò i denti e solo dopo sorrise di nuovo con la stessa spavalderia di prima.
<< Tu sei furbo, come hai detto di chiamarti? Williams? >> osservò Simmons, dandogli del tu per la prima volta. << Sei davvero furbo, ma non troppo per fortuna. >> continuò, guardando in giù, verso la neve e massaggiandosi il polso. Non aveva mai voluto fraternizzare con l'equipaggio perché affezionarsi portava a responsabilità che il più delle volte conducevano alla sofferenza, tuttavia, il suo egocentrismo aveva abilmente mascherato il motivo del suo chiudersi in se stesso fino ad isolarsi.
<< Il Rustafio è anche un ottimo carburante, se non il migliore nell'universo. Un solo cilindro a contatto con l'aria ha la capacità di alimentare un automobile terrestre durando circa due giorni. Nella nave abbiamo delle macchine che devono necessariamente prendere vita e questo cristallo sembra l'unico mezzo con cui poterlo fare >>.
<< Che tipo di macchine? >> l'ingegnere era rimasto sconcertato e domandandosi con una certa apprensione quante altre informazioni erano state nascoste all'equipaggio e cosa era davvero celato dietro l'ufficiale missione di salvataggio.
<< Andiamo alla nave e le vedrai con i tuoi occhi. >>

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Capitolo 4
*** Terzo Capitolo ***


<< Ho bisogno di ghiaccio, Martin, vada a prenderlo e prenda pure il kit di pronto soccorso. Faccia in fretta, la prego! >> La dottoressa aveva le mani premute sulla ferita del soldato Collins che, disteso sul freddo pavimento della Lady Black e tenendo a malapena gli occhi socchiusi, schiudeva la bocca per brevi mormorii dolorosi e per lamentarsi del sudore negli occhi. Il sangue, prima fumante, in quel momento colava fluidamente e se la dottoressa non avesse avvolto una pezza stretta intorno alla spalla il soldato sarebbe morto dissanguato. Il battito cardiaco era irregolare; mettendo due dita sul collo all'altezza dell'aorta contò circa duecento battiti al minuto e Shona lottò con se stessa per mantenere la calma ed essere professionale. Con le mani insanguinate si recò a bagnare un'altra pezza pulita, osservava il sangue scivolare via tra le sue dita e pregò ancora una volta che tutto andasse bene.
Aveva pregato anche prima di partire, nella sua camera di albergo a notte fonda, che non fosse costretta a dover salvare qualcuno, che non si ritrovasse con un corpo morente tra le braccia che la pregava di salvargli la vita e lei che, impotente ed abbandonata a se stessa, lo osservava. Chiuse gli occhi e strinse la pezza e con le mani ancora rosse si tolse una ciocca di capelli biondi dalla fronte, macchiandoli; si rese conto di tremare e sentì le gambe cedere.
Doveva farcela. L'assistente era ritornato con il kit e con i suoi occhi azzurri la scrutava spaventato, ma pronto ad aiutarla.
<< Dottoressa, lei è l'unica che può farcela, davvero. Faccia qualcosa >>.
Shona strinse talmente forte la pezza tra le mani che le nocche diventarono bianche e corse accanto al corpo esangue di Collins, annullandosi come persona e agendo da primo medico dell'unità.
<< Aprigli la tuta e taglia tutto quello che ha sotto. Devo somministrargli gli ansiolitici, il battito cardiaco deve rallentare. Bagna un panno e cerca di pulire la ferita strofinando forte, non ti preoccupare se il flusso del sangue aumenta o se prova più dolore, dobbiamo disinfettarla al più presto >>. Shona strappò da un'altra pezza una striscia lunga e larga che ripiegò su se stessa nel senso della larghezza per creare un cordoncino che mise tra i denti del soldato chiudendolo con un nodo dietro la testa. Fece un cenno del capo all'assistente che proseguì a grattare sulla ferita, Collins aprì gli occhi ed iniziò ad urlare scalciando con le deboli forze che aveva.
<< Sì calmi soldato, va tutto bene >> lo rassicurò la dottoressa, rossa in viso e bagnata dal sudore ma perfettamente controllata. Tornò a misurargli il polso notando che i battiti non rallentavano, << Sì deve calmare! Stia fermo e le prometto che tutto andrà bene >>.
L'assistente tolse gli occhi dal suo lavoro per guardarla; era ammirato, ma Shona capì quanto in realtà fosse spaventato e poco incline a credere nel lieto fine. Doveva farcela. Gli donò un sorriso pieno di speranza e tornò a pregare affinché lui facesse lo stesso. Martin le sorrise prima di ritornare al suo lavoro. Era facile, doveva solo controllare la paura.
Shona spruzzò il disinfettante sulla ferita una volta pulita e la ricoprì con delle garze, raccomandando di tenere Collins sott'occhio.

Simmons si diresse verso la coda della nave entrando dalla parte posteriore, invitò l'ingegnere a seguirlo e chiuse la porta dietro di loro.
<< I segreti di una nave, lei non può nemmeno immaginarli, ingegnere! >> John indicò una porta che dava accesso ad un deposito per le proteine. Entrarono e si avviarono verso un'altra porta che fino a quel momento Alfie non aveva mai visto. Si trattava di un infisso dello stesso colore del muro nascosto dietro degli scaffali pieni.
<< Ormai ci diamo del tu comandante, no? >> fece Alfie con fare spavaldo. Sapeva di risultare ridicolo, ma si convinse che quello era il comportamento migliore.
<< Certo! >> disse Simmons aprendo la porta. Lunghe file di lettini erano poste su entrambi lati della stanza, ogni materassino era ricoperto da un ampio lenzuolo bianco che nascondeva qualcosa di voluminoso sotto. La luce verdastra dell'ambiente e la poca areazione fecero desiderare ad Alfie di abbandonare la stanza, ma la curiosità lo vinse. Si avvicinò ad un lettino con il chiaro intendo di togliere il lenzuolo, notando che qualunque cosa ci fosse sotto di esso era collegata a dei fili neri allacciati a qualcosa sotto il letto. Tirò il lenzuolo, ma il comandante lo fermò colpendolo alla mano.
<< Non essere frettoloso, ingegnere. Lascia che ti spieghi >>. Quando Simmons aveva ricevuto quell'incarico non aveva esitato un attimo ad accettare ed in quel momento si ritrovava lui stesso ad essere il maestro per un nuovo adepto, sperando che questo accettasse la missione con la sua stessa convinzione.
<< Si tratta di macchine create dall'esercito della Congrega, puoi chiamarli robot o come preferisci. Hanno completa autonomia per circa tre giorni se alimentati con normali carburanti terrestri, ma con il Rustafio si suppone possano durare fino ad una settimana. Sono stati programmati a combattere per noi. Hanno tendenzialmente l'aspetto di un umano: le braccia contengono cannoni laser miniaturizzati che sparano attraverso le dita e le mani stringono un fucile, ancora in via di sperimentazione, che potrebbe disintegrare interamente l'apparato osseo. Camminano abbastanza velocemente ed hanno una grande gobba sulla schiena che contiene i controlli per il movimento >>. Simmons tolse il lenzuolo sul primo lettino, scoprendo un enorme ammasso di ferro e metallo. La macchina, seppur spenta, incuteva comunque terrore. Alfie posò gli occhi sulle spalle larghe del robot osservando come fossero l'unica parte ad essere protetta da una copertura in metallo, il resto erano fili scoperti che abilmente disegnavano l'imponente corpo della macchina. A sostituire i piedi c'erano delle basi metalliche di forma quadrata che, pensò Alfie, avrebbero aiutato a scivolare meglio sulla neve.
<< Sorprendente >> aveva commentato entusiasta l'ingegnere. Si abbassò a vedere a cosa erano collegati i fili, scoprendo una semplice matrice di controllo.
<< Una volta autonomi questa non servirà più, no? >> chiese Alfie indicando la matrice e conoscendo già la risposta che non tardò comunque ad arrivare. Rimase affascinato da quella tecnologia e costruzione; c'era abilità, maestria e conoscenza della scienza e delle armi. Chiunque avesse costruito quelle macchine, pensò affascinato, aveva fatto un lavoro eccelso.
Ma l'ammirazione durò poco e il loro scopo rimaneva ancora ignoto.
<< Perché trasporti queste macchine e soprattutto perché devono necessariamente prendere vita? >> Simmons si passò una mano sul viso pieno di rughe come infastidito e irritato da quelle continue domande. Sotto la luce verdastra della stanza Alfie si accorse di quanto il comandante fosse vecchio e stanco.
<< Per questioni di sicurezza e priorità della Terra >>.


~

<< Non siamo soli sulla nave, dottoressa >>.
Si era sentito, nella stanza principale, il rumore secco di una porta che sbatteva e il soldato Collins aveva riaperto gli occhi terrorizzato; solo dopo la dottoressa e l'assistente avevano sentito il rumore immaginando il peggio.
<< È lui, è ritornato per finire il lavoro. È Lui! >> blaterava Collins scalciando furiosamente e cercando di liberarsi dalla stretta di Martin. Shona non aveva immaginato - o forse non aveva avuto il tempo per farlo - che il Taluyano che li aveva colpiti sarebbe ritornato, fermo com'era rimasto nella sala. Spaventata e sbigottita si alzò da terra tremando e battendo i denti, si guardò intorno e tranne la pistola del soldato non c'era nulla con cui potessero difendersi e comunque nulla sarebbe servito contro quegli esseri. Le urla di Collins si fecero sempre più aggressive e meno comprensibili, era rimasto vistosamente scioccato dal colpo incassato e le sue grida di aiuto e terrore rendevano all'ambiente un aspetto sinistro. L'assistente gli rimise la pezza sulla bocca per alleviare l'intensità delle urla e corse vicino alla dottoressa prendendo la pistola, conscio che, se il Taluyano avesse superato l'ultima stanza che li divideva, avrebbe trovato qualcuno ad attenderlo.
<< Dottoressa, dietro di me. Si metta dietro di me >> gli sussurrò piano come per paura di farla spaventare ulteriormente. Martin aveva notato come per l'ennesima volta la dottoressa, seppur tremante, si era alzata verso la porta per cercare di difenderli. L'aveva sempre ammirata e mai nessuna volta era rimasto deluso dal suo comportamento: la paura di volare e quella di non farcela facevano parte di lei e la stavano rendendo sempre più coraggiosa.
Martin teneva la pistola con due mani e il tremolio aumentava a mano a mano che i rumori si facevano più vicini. Avevano chiuso il portello, sapendo che solo per poco tempo sarebbero stati al sicuro. Infatti si sentì, poco dopo, un lieve colpo come se qualcuno stesse bussando e si udì poi il rumore dei manici che, bloccati dall'interno, non giravano. Shona e Martin fecero un passo indietro non sollevando lo sguardo dal portello mentre Collins incapace di emettere suoni diventò paonazzo ed agitato. La dottoressa deglutì a vuoto quando un momento di silenzio precedette un pesante tonfo: il Taluyano stava evidentemente provando a sfondare il battente. Uno, due, tre colpi e la difesa resistette.
<< Sono esili ed hanno armi in grado di sbloccare i manici, perché prova a buttarla giù? È impossibile >> si chiese la dottoressa timorosa che colui dietro la porta la potesse sentire. Ma ad interrompere i suoi pensieri fu un altro tonfo più forte degli altri che fece sbattere il portello. Martin sparò verso i manici ma il proiettile colpì il muro vicino.
Un altro tonfo e il portello si aprì.
<< Ci arrendiamo, in nome dei terrestri noi ci arrendiamo! >> Martin aveva lasciato cadere a terra l'arma ed aveva alzato le mani in segno di arresa; continuò a ripetere la frase come una litania mentre il Taluyano disarmato si avvicinava a loro. Visibilmente terrorizzato, il sudore gli colava sulla fronte.
<< Abbiamo buone intenzioni, siamo venuti per salvarvi >> disse invece la dottoressa indietreggiando lentamente. Si accorsero però che il Taluyano era stanco; aveva i capelli bruciati ed una ferita nel fianco destro da cui usciva una copiosa quantità di sangue, ma i suoi occhi erano cattivi come quelli di prima e il ghigno sul suo viso non era gioviale. Si sentì un altro rumore dietro di lui, passi veloci e pesanti calpestavano le grate del corridoio. Shona si chiese se il nemico non fosse venuto solo.
Il Taluyano veniva verso di loro con una lentezza disarmante, era affaticato e ad ogni doloroso passo che compieva il respiro si faceva sempre più pesante e irregolare. L'assistente si ritrovò a desiderare che l'essere morisse in fretta. Il Taluyano parve leggergli nel pensiero, si abbassò a prendere una scheggia lunga dai rottami del portello impugnandola saldamente. Collins lottò con se stesso per rimettersi in piedi; provò ad issarsi facendo perno sulle braccia e poi aiutandosi con le gambe, ma riuscì a sollevarsi solo di pochi centimetri da terra per ricadere rovinosamente a terra. Il Taluyano non sembrava nemmeno essersi accorto di lui, concentrato com'era a squadrare gli altri due e pareva non rendersi conto neanche dei rumori dietro di lui. Rumori sulla quale Collins, sperando che fossero prodotti dal comandante di ritorno alla nave, pose tutte le speranze.
<< Se parli la nostra lingua e la comprendi, ti prego di fermarti e discutere insieme >> suggerì Shona con le braccia in avanti come per proteggersi. Non si sarebbe arresa prima di combattere, voleva provare l'ultima carta.
Nascosto dietro il muro della stanza principale, il comandante Simmons sbuffò a quelle parole: i terrestri non sarebbero mai scesi a patti con quegli esseri. L'ingegnere, dall'altro lato, coperto dalle macerie del portello, attendeva il momento migliore per attaccare cogliendolo di sorpresa. Il soldato Collins riuscì a scorgere la figura del comandante, perciò raccolse tutte le forze che possedeva e si issò in piedi; una fitta di atroce dolore lo investì, ma voleva la morte del nemico più di qualunque altra cosa. Prese la scatola del kit di pronto soccorso e barcollando si ritrovò dietro il Taluyano. Affondò la scatola contro le spalle magre e nude dell'alieno, un colpo secco e, sperò, abbastanza doloroso. L'essere, colto alla sprovvista, si girò nella sua direzione e Collins fu pronto ad abbassarsi quando Simmons gli sparò dritto al cuore.
Il Taluyano in una pozza di pelle e vestiti si rovesciò a terra, Shona e Martin lanciarono un gridolino di disgusto e sbigottimento mentre l'ingegnere si vietò di guardare.
<< Cos'è quella cosa? Cosa sta succedendo? >> la dottoressa si ritrasse ancora più indietro, sconcertata dalla visione di quello che rimaneva del nemico.
<< Questo gioiellino >> disse Simmons indicando il fucile tra le mani che aveva sottratto ad una macchina-robot << ha la capacità di disintegrare le ossa istantaneamente. Assistente, tolga quello che c'è a terra velocemente e Collins, faccia rapporto alla base di quello che è accaduto >> Il suo tono era quello severo e intransigente di sempre e ripeté l'ordine notando che nessuno si era mosso. L'assistente fece per mettersi al lavoro ma Shona lo bloccò per il polso.
<< Aspetti comandante, tra le nostre armi non ci sono questi fucili e, dannazione, siamo appena stati attaccati >>.
<< Gli ordini non si discutono dottoressa, si eseguono >> disse Simmons fulminandola con gli occhi. Girò sui tacchi pronto ad andarsene ma si accorse di Collins steso dolorante a terra.
<< No comandante, dove ha preso quelle armi? >> la paura aveva lasciato il posto alla rabbia e Shona era furiosa più che mai in quel momento.
<< Cosa è successo al soldato Collins? Perché io non ne so niente? >>
<< Cosa? Siamo stati colpiti e Collins è rimasto ferito. Risponda alla mia domanda >> la dottoressa aveva intenzione di sfogarsi su Simmons, ma si fermò ripensando a quello che era accaduto. Strinse forte i pugni e si morse furiosamente le labbra secche. Simmons rise, una risata di derisione.
<< Comandante non c'è stato il tempo, stava morendo e noi dovevamo agire >> il tono della dottoressa si fece un sussurro, si vergognò di quella svista ma cercò di non darlo a vedere. Era ancora arrabbiata.
<< Fa parte del protocollo, il regolamento dice espressamente che bisogna fare rapporto alla base per ogni cosa che accade e a maggior ragione per un membro dell'equipaggio ferito >> furioso il comandate uscì dalla stanza facendo attenzione che i suoi sbuffi fossero ben udibili.
<< E mettete in quarantena il soldato, è stato ferito da armi alieni. Ma cosa vi dice la testa? >> aggiunse poco dopo facendo segnale all'ingegnere di seguirlo.

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Capitolo 5
*** Quarto capitolo ***


La Lady Black, nonostante la mole e la struttura salda, tremò appena il ghiaccio sotto di essa si scheggiò e si ruppe in numerose e piccole aperture. Valanghe di neve ricoprirono gli spazi vuoti e i sentieri fin troppo esplorati, spuntoni di ghiaccio appuntiti crollarono sulla superficie instabile per poi frantumarsi in piccoli e taglienti coltelli di ghiaccio; vecchi ponti ghiacciati furono smantellati, ma al loro posto ne nacquero altri più deformi e angusti.
L'equipaggio della Lady Black si aggrappava ai manici di sicurezza all'interno delle cabine mentre un altro terremoto distruggeva il pianeta. Era ironico come là dentro, dopo essersi salvati da un nemico temibile e con umori pessimi, si sentissero al sicuro. La Lady Black era stata progettata per sopravvivere a quello scenario e la dottoressa pensò che forse quella era l'unica verità che avevano sempre saputo riguardo il pianeta.
Un boato risvegliò Taluyan dal silenzio, si ripercosse con la stessa intensità su tutta la sfera e l'equipaggio chiuse gli occhi colpito da quel rumore secco ed agghiacciante. Simmons guardò l'orologio e già mezz'ora era passata; mancava ancora un'ora ma aveva la netta sensazione che il pianeta avrebbe ceduto prima, distruggendo con sé ricchezza e potere.
Un'altra scossa succedette al boato e perfino la Lady Black si inclinò di lato, sprofondando a destra tra il ghiaccio; si alzarono urla dalla nave e il rumore assordante di un allarme ricoprì quello spaventoso del terremoto fuori. Una valanga di neve bloccò l'entrata principale della nave, l'altra era semi immersa nel ghiaccio: erano in trappola.
<< Comandante annulliamo la missione qualunque essa sia, non possiamo salvare i Taluyani e qualunque cosa lei abbia intenzione di fare noi non possiamo uscire dalla nave >>. L'ingegnere Williams aveva abbandonato il tono calmo e spavaldo per uno spaventato e stridulo, le scosse lo avevano messo in agitazione.
<< Non possiamo nemmeno recuperare il soldato Solo e perché lo abbiamo abbandonato? Non possiamo lasciare un membro dell'equipaggio in questo inferno! >> Alfie, con la schiena premuta su un muro freddo, crollò a terra lasciando il manico e mettendosi le mani nei folti capelli neri, era nel panico per l'esito disastroso della sua prima missione.
<< Usciremo dalla nave. Devo portare a termine la mia missione e mi seguirai ingegnere. Mi seguirai anche a costo della vita >> seppur nella sua voce poteva sentirsi qualcosa simile alla paura, il comandante severo e ambizioso non si arrese a quell'ostacolo.
<<Svelami la missione, John, una volta per tutte e smettila di parlare in modo criptico! >> l'ingegnere esplose in una rabbia violenta. Rosso in viso urlò in faccia al comandante stringendosi forte le mani in un pugno. Era arrivato ad un punto di non ritorno, il comandante lo osservò a lungo prima di arrendersi -dopotutto non poteva fare altrimenti- e svelare il piano. Era visibilmente infastidito dal tono usato nei suoi confronti.
<< I Taluyani non sono mai stati pacifici e ospitali, non hanno bisogno di essere salvati e la Congrega lo sa. Da una precedente missione abbiamo conosciuto Taluyan e i suoi abitanti, le sue ricchezze che farebbero della Terra uno dei pianeti più ricchi. Dopo il suo collasso, quando la mia squadra morirà là sopra e i Taluyani saranno tutti morti, i terrestri passeranno come coloro che eroicamente hanno cercato di salvare il pianeta ed i suoi abitanti. Insomma, non appena il pianeta cadrà, la Terra acquisterà un potere tale da avanzare nei livelli dell'intera Congrega galattica >>.
Simmons aveva lasciato i manici di sicurezza e si era avvicinato all'ingegnere in modo che la conversazione rimanesse un segreto, era divertito nell'esporre quella malsana verità.
<< Conoscevi il carattere belligerante dei Taluyani ed hai mandato metà della tua squadra verso una morte certa? >> il tono di voce di Alfie era sempre più violento e penetrante. Sconcertato e disgustato, l'ingegnere cercò di vomitare addosso a Simmons tutto il disprezzo nei suoi confronti. Ci credeva perfettamente che un uomo come il comandante fosse capace di compiere tali ripugnanti azioni e si sentì uno sciocco nonché un po' colpevole per aver preso parte ai suoi piani.
<< Hai anche detto che la tua squadra morirà qui sopra. È ovvio che non salveremo Solo e comincio a pensare che lo hai fatto allontanare apposta. Non è così comandante? >>
<< Sì è così. Perfettamente così >> in verità la realtà dei fatti era diversa. Aveva mandato via Solo per poter comunicare con l'ingegnere ed aveva intenzione di riunire l'equipaggio una volta ritornati alla nave. Riguardo alla morte della squadra invece il comandante aveva accettato l'ordine ma questo non era stato discusso dalla Congrega e su quel punto non sapeva cosa fare.
<< Quindi ucciderai ognuno di noi finché non rimarrai solo tu e glorioso ritornerai sulla Terra dove sarai celebrato come un eroe ed un salvatore. Giusto? >>
<< Giustissimo ingegnere >>.
<< Sembra incredibile, perché uccidere i Taluyani? Il pianeta sta collassando, morirebbero comunque >>.
Simmons si mostrò apatico sebbene accigliato per la negligenza dell'ingegnere.
<< Qui ti sbagli. Fino all'ultimo i Taluyani potranno avvertire la Congrega Internazionale del nostro attacco. Li sterminiamo e prendiamo i gioielli di Rustafio che portano, semplice! >>
Alfie lasciò la stanza in cui i due si erano appartati nauseato e cercando di camminare compostamente sotto lo sguardo del comandante. Simmons rimase solo. Sapeva che quel momento sarebbe arrivato ma non avrebbe mai pensato così presto. Fece rapporto alla base sull'ultimo terremoto e la scomparsa del soldato Solo, omettendo l'ultima parte e la successiva dipartita del suo unico alleato. Avrebbe ordinato all'equipaggio di ubbidirgli? Si, forse lo avrebbe fatto, ma era sempre stato dell'idea che il suo miglior alleato fosse se stesso. Guardò l'orologio al polso notando che altri cinque minuti erano passati, se davvero voleva portare a termine quella missione doveva sbrigarsi.

--
L'ingegnere Williams, frastornato ma arrabbiato, raggiunse gli altri nel corridoio vicino alle stanze di quarantena. Non pensava sarebbe ricorso a tanto, ma ormai credeva che più nulla lo avrebbe stupito. Prima di giungere dai compagni, passò dalla cabina con i lettini e le macchine; quei fucili erano riusciti ad uccidere il Taluyano molto velocemente e se qualcun altro avesse avuto l'intenzione di visitarli di nuovo loro avrebbero saputo come difendersi. Prese solo due dei tanti fucili a disposizione, quelle armi erano davvero molto pesanti ed inoltre non voleva che Simmons se ne accorgesse. Difficile, ma ci sperò.
<< Come sta? >> chiese alla dottoressa indicando Collins al di là del vetro di contenimento. Optò per non rivelare il segreto del comandante, non sapeva se fosse un bene, ma era deciso ad alleggerire la tensione ed a salvare i compagni in un modo o nell'altro.
<< I parametri vitali sono a posto, è solo spaventato e tutto questo non aiuta >> la dottoressa si passò le mani nei capelli biondi indicando poi l'ambiente intorno. Gli occhi verdi incavati mostravano quanto fosse stanca, ad un passo dal cadere in una crisi isterica.
<< Questi sono dei particolari fucili che la Congrega Terrestre ha assegnato al comandante Simmons per una maggiore sicurezza, chiedendo espressamente che la loro presenza rimanesse un segreto. Questi ci serviranno per difenderci una volta fuori >> l'ingegnere passò a spiegare il suo piano che consisteva nel salvare il soldato Solo e lasciare il pianeta dopo averlo fatto. Non gli interessava dei Taluyani; era terribile dirlo, ma non voleva alieni sulla Terra ed in quel momento pensò quanto fosse stato uno stupido a credere che la Congrega lo volesse.
<< Usciremo dalla porta secondaria, salveremo Solo e dopo andremo a casa. Comanderò io la spedizione poiché il comandante Simmons sarà impegnato a riparare il motore immerso della Lady Black >> sapeva di aver esagerato con la bugia e la paura che non ci credessero lo colpì.
<< Ma non tocca a te riparare la nave, Alfie? >> Martin lo guardò accigliato.
<< La Congrega vuole che se ne occupi direttamente il comandante >>.
Alfie notò lo sguardo che si lanciarono l'assistente e la dottoressa sperando che fosse uno di fiducia nei suoi confronti.
<< Ok ingegnere siamo sotto ai suoi ordini, ma la prego, ci porti presto lontano da qui >> il sussurro della dottoressa gli diede coraggio ed un sorriso carico di speranza gli apparve sul viso.
Il portello era, come avevano supposto, semi immerso ma fortunatamente il sigillo si trovava nella parte asciutta. Martin aiutò l'ingegnere a spingerlo e la facilità con cui essa si aprì sorprese la dottoressa: il sigillo era stato evidentemente bruciato dal Taluyano che era entrato prima. Shona si fece forza, pensando che, una volta a casa, avrebbe dovuto frequentare un corso di controllo della paura per uscire finalmente da quello stato che la bloccava ad ogni ostacolo. Martin le passò un braccio sulle spalle assicurandole ancora una volta che tutto andava bene.
Il sole di Taluyan stava cominciando a calare e, a causa del terremoto, fuori era tutto diverso; mai avrebbero ritrovato lo stesso sentiero percorso prima. La temperatura sembrava più fredda e anche la neve che circondava i piedi era più fastidiosa e rigida. Alfie e Shona cercarono il termometro, ma lo avevano dimenticato per la fretta sulla nave.
<< Ahi! >> Martin si tagliò con una punta di un ghiacciolo sepolto tra la neve, Shona alzò gli occhi osservando come tutta la superficie fosse piena di quei taglienti coltelli, come un campo minato. Taluyan in quel momento appariva senza dubbio più inquietante di prima.<
<< Di qua >> propose l'ingegnere riconoscendo tra la neve un ottaedro di Rustafio che probabilmente gli era sfuggito durante la scoperta del cristallo.
Il terreno tremò di nuovo e i tre barcollarono, l'assistente perse l'equilibrio e si aggrappò ad Alfie per non cadere, ma un'altra scossa del terreno fece cascare entrambi. La dottoressa con il cuore in gola si sentì toccare la schiena da un bastone lungo e freddo. Raggelò e tutto poi accadde molto velocemente. Altri bastoni artigliarono i due amici a terra e ormai la certezza di essere in trappola la investì in pieno. Girò gli occhi alla ricerca dei fucili che portava Williams, ma li trovò a terra vicino ai piedi di un vecchio ma bellissimo Taluyano. Erano sei quegli esseri e sembravano tutti uguali: lo stesso fisico asciutto e magro e gli stessi capelli bianchi. I loro occhi però, seppur sempre rosso cremisi, erano diversi: gli occhi del vecchio nascondevano cattiveria mentre quelli di un altro pura eccitazione, gli occhi del Taluyano che la teneva prigioniera invece erano impauriti.
Con le mani in alto e ciascuno in mezzo a due Taluyani, i membri della Lady Black seguirono gli alieni verso un sentiero che scendeva tra le rovine di una vecchia montagnola di ghiaccio. Percorsero i gradini e, là sotto, trovarono qualcosa che li sconvolse.
Si agitarono nelle braccia possenti dei Taluyani non capendo fino in fondo quanto fossero in pericolo in quel momento. Alfie si chiese se la vita di un solo soldato valesse così tanto, ma non ebbe modo di rimanere inorridito dai suoi stessi pensieri poiché una gigantesca sala intagliata nel ghiaccio si mostrò ai loro occhi e sopra alcune sedie sedevano un centinaio di Taluyani. Centinaia di occhi rossi puntavano nella loro direzione scrutandoli e giudicandoli, ma con uno schiocco delle dita gli esseri tornarono a rivolgersi verso il fondo della sala dove un Taluyano -o forse una, pensò Shona- sedeva su un trono ghiacciato.
<< Silenzio >> ordinò lei e la massa obbedì all'istante.

Nella stanza dei lettini Simmons stava finendo di inserire all'interno delle gobbe delle macchine gli ultimi cilindri di Rustafio.

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Capitolo 6
*** Quinto capitolo ***


Sedeva sul trono, posto su una scalinata in modo da sopraelevarlo, quella che doveva essere il Taluyano più importante, colei che prendeva le decisioni e che aveva un seguito pronto ad obbedirle.
Agli occhi degli umani, i Taluyani non parevano mostrare evidenti differenze fisiche tra maschio e femmina, se non fosse che le forme femminili erano simili a quelle umane, sebbene molto meno pronunciate: i fianchi erano poco larghi ed i seni poco sviluppati. Alfie poté vedere come tutte le donne portassero i capelli in una lunga e imperfetta treccia lasciata cadere sulla spalla sinistra ed anche lui constatò la forte somiglianza tra i Taluyani; riconoscendo nei loro occhi la chiave per distinguerli. L'ingegnere non era mai stato affascinato da quelle cose, ma osservare era un buon diversivo dal farsi prendere dal panico.
<< Salve >> la Taluyana si alzò e i suoi discepoli la seguirono. Shona era confusa, ma rimase colpita dall'unione e dal senso di devozione che avevano su quel pianeta. La Taluyana si fece portare da un bambino un cuscino su cui era posta una corona cremisi che indossò delicatamente. Sembrava l'unica cosa a non essere fatta di ghiaccio, a parte loro. Fece cenno, con un rapido gesto della mano, di portare i prigionieri al centro della sala, al suo cospetto.
<< Popolo di Taluyan, è la regina Galayo che vi parla! >> proclamò alzando le mani in cielo e la folla si mise in ginocchio. Quando la regina abbassò le braccia la folla religiosamente tornò ad occupare i sedili freddi. Era una specie di rito.
<< I Terrestri hanno disubbidito al nostro patto atterrando sul nostro amato pianeta e portando caos e distruzione. Sono rimasta sbigottita e imbarazzata quando mi è giunta la notizia che l'ultima riserva di Rustafio è stata depredata >>.
Si levarano mormorii di stupore e i tre terrestri si sentirono come nudi sotto gli occhi, più aggressivi e pieni di disprezzo di prima, degli alieni. Si avvicinarono gli uni con gli altri per quanto gli aguzzini glielo permettessero.
La regina li indicò e solo in quel momento Shona si accorse di quanto fosse bella Galayo: i suoi occhi, sebbene in quel momento fossero inferociti a causa loro, emanavano gioia e benessere, felicità e fiducia. Shona non si stupì che fosse salita lei al potere; aveva il viso grazioso e temerario proprio di coloro che vogliono fare del bene e che son capaci di farlo.
Si riscosse dai propri pensieri solo nel momento in cui non fu unicamente il dito della regina ad indicarli, ma anche quello di tutti gli atri. Andò nel panico, si girò intorno ma vide solo indici puntati. Tremava fino alle viscere e cercò di prendere la mano di Martin che protendeva verso la sua ma un Taluyano la strattonò forte.
<< Silenzio ed abbassate quelle mani >> la voce calma della regina rimbombò nelle pareti della grotta. I Taluyani smisero di guardarli ma il terrore puro non li abbandonò, non erano serviti a niente gli incoraggiamenti che avevano pronunciato prima sulla nave.
Galayo bisbigliò qualcosa ad un Taluyano corazzato accanto a lei, quello sembrò acconsentire e con altri due si diresse dietro il trono. La regina intrattenne la folla ammutolita donando un delicato sorriso, ma quando vide che i due stavano per fare ritorno si irrigidì inspiegabilmente. Alfie scrutò i suoi lineamenti tesi e continuò stringersi le mani nervosamente.
Ad interrompere quei pensieri fu lo strillo cacciato dall'assistente accanto a lui e ben presto capì il motivo di tale reazione: deglutì a vuoto e fu colto da una sorta di ilarità isterica vedendo il soldato Solo intrappolato da spesse catene e l'espressione sconvolta dipinta sul suo viso. Shona riuscì a liberarsi e si strinse terrorizzata a Martin.
Era impressionante la smorfia di paura del soldato intrappolata in una lastra di ghiaccio; aveva gli occhi spalancati e le labbra serrate quando quegli esseri avevano fatto colare acqua sul suo viso. La sua testa, in quel momento bloccata in un cubo di ghiaccio e non soggetta allo scorrere del tempo, era stata immobilizzata con su dipinta la stessa reazione che aveva al momento della cattura. L'inquietante cubo e il corpo grassoccio pieno di brina sembrarono fare inorridire gli stessi Taluyani.
<< Il primo terrestre catturato e non dubito che ce ne siano altri là fuori. Noi stiamo per morire e non vogliamo di certo farlo con la coscienza sporca e il peso di una brutale ed inutile uccisione sulle spalle >> Galayo lisciò la sua treccia con uno sguardo triste ma rassegnato. << Non so cosa vi abbiano raccontato di noi, ma i Taluyani amano la pace e lottano per essa, amano la vita e rimangono attaccati ad essa fino all'ultimo respiro. Sembra uno scherzo come questo crudele destino sia capitato proprio a noi, in simbiosi fin dalla nascita con Taluyan. Noi però non abbandoneremo la nostra culla e non lasceremo che altri la prendano e distruggano. >>
Una lacrima rigò la guancia della regina e la folla si strinse a lei nel dolore, il rumore di singhiozzii risuonò nella sala. La dottoressa era nata, sfortunatamente diceva lei, troppo empatica e si ritrovò a pensare, mugolando, quanto quella razza fosse superiore ai terrestri.
<< Quindi vi chiedo semplicemente di abbandonare il pianeta e di lasciarci morire in pace >>. Si asciugò la guancia e cercò di parlare con un tono deciso nonostante la sua voce fosse ancora rotta dall'emozione.
<< Il prigioniero vi verrà restituito in vita ma in cambio, oltre all'abbandono del pianeta, esigo la restituzione dei cristalli di Rustafio >>.
Martin lanciò un'occhiata alla dottoressa chiedendosi di che cosa la regina stesse parlando, lo sguardo confuso di Shona non seppe dare risposta. L'ingegnere si morse le labbra maledicendosi mentalmente per la scelta di seguire Simmons, guardò i due compagni facendo capire loro che sapeva tutto. Alfie sentì che la rabbia lo stava nuovamente raggiungendo, era arrabbiato con se stesso e con il suo essere inutilmente ambizioso.
Quando un rumore spezzò il silenzio, la folla si girò verso l'entrata della sala dove un Taluyano affannato tentava di riprendere fiato. Questo si inginocchiò per formalità e ancora con il fiatone disse: << Maestà, il vecchio Sameo è stato assassinato dai terrestri. Lo hanno ucciso, Maestà >>.
La regina parve stupita e ferita, strinse i pugni e fece una smorfia di dolore. Evidentemente Sameo era colui che li aveva raggiunti sulla nave e probabilmente era qualcuno a lei caro. Alfie chiuse gli occhi capendo ormai di essere spacciati.
<< Volevo regalarvi vita e libertà e mi restituite morte e dolore. Bene, mi adeguerò. Che il prigioniero e i tre terrestri siano messi a morte! >>



~

<< Dottoressa. Dottoressa faccia qualcosa, la prego >> L'assistente travolto dalle lacrime pregava la dottoressa, protestò cercando di colpire i catturatori ma non ci riuscì e quelli risposero con un colpo secco sulla schiena.
La sentenza non gli era parsa davvero reale, impossibile credere a quelle ingiuste parole, fino a quando altri Taluyani si erano aggiunti a quelli che già li controllavano per scortarli, con modi bruschi e violenti, in un'altra stanza dietro il trono.
Alfie aveva il viso abbassato e lo sguardo perso, non cercò di protestare né tantomeno di scappare. Si era arreso e ormai da colpevole qual era doveva pagare le conseguenze. Prima di partire aveva sognato di diventare un eroe su Taluyan, ma in quel momento desiderava non essere mai partito. Ricordò con delusione i pochi secondi prima in cui aveva creduto di poter comandare una spedizione. Ad ogni passo che faceva la prospettiva della morte si avvicinava, si sentì in un certo senso rasserenato: non avrebbe partecipato alla distruzione comandata da Simmons.
Shona sentiva gli artigli dei Taluyani ovunque e quelle dita lunghe e secche la fecero raggelare. Non aveva paura, era quasi convinta di non averne. Prese il posto della paura un sentimento di indignazione. Era rimasta oltraggiata da quella accusa infondata e da quella sentenza ingiusta: non era forse il Taluyano ad aver sparato a Collins ed ad averli seguiti? La sua morte era stata inevitabile e loro non avevano nessuna colpa di quanto successo. Guardò Martin con uno sguardo rassicurante, era giunto il momento di restituirgli il favore immenso che le aveva fatto credendo in lei.
<< Regina, ho qualcosa da dirle. Mi ascolti, per favore. Maestà, la prego >> gridando, Shona si era messa in punta di piedi per mostrarsi in mezzo alla folla. Galayo si girò verso di lei e la dottoressa non poté che essere affascinata da quegli occhi rossi; cercò di sorridere in modo cortese come per farle vedere che non voleva in alcun modo corromperla.
<< Conducetela nella mia stanza >>.
Shona e Martin tirano un sospiro di sollievo. Alfie sembrò non prestare molta attenzione.

Simmons a bordo della Lady Black rideva, rideva di gusto. L'ultima macchina-robot aveva appena lasciato la nave e si dirigeva insieme alle sorelle nello spazio sperduto dinanzi a loro. Simmons guardò l'orologio: mancavano ormai quarantacinque minuti al collasso del pianeta.
Le macchine erano state progettate per colpire qualunque bersaglio che non fosse umano; sterminare i Taluyani sarebbe stato un gioco da ragazzi.

Shona si inginocchiò davanti la regina pensando che fosse la cosa più opportuna da fare. Le guardie lasciarono la stanza, erano sole. La regina con un sorriso cordiale le fece cenno di parlare.
<< Ho accettato la missione perché questa consisteva nel salvare una specie dalla morte. Come lei, Maestà, ho celebrato la vita ed ho percorso chilometri nello spazio buio per difenderla. Ho pregato che nessuno si facesse male o morisse perché poi le responsabilità sarebbero ricadute su di me. Quando ero piccola ho visto la morte in faccia a causa di un incidente e da quel momento ho cercato di starne lontano >>. Shona si obbligò a resistere dal cedere, si ripeté che non doveva avere paura.
<< E adesso ho paura di qualunque cosa che possa compromettere la vita >> si passò una mano sulla fronte riconoscendo di non aver mai detto quelle parole ad alta voce: non seppe spiegare cosa provò. << Non so perché le sto dicendo queste cose Maestà, ma voglio che lei sappia che nessun Taluyano sarebbe dovuto o é morto a causa nostra, a causa mia. Sameo ha ferito un mio compagno di squadra e ci ha inseguiti fino alla nostra nave. E' stata legittima difesa o può chiamarla come preferisce >>.
La regina scese dal trono su cui era seduta, più piccolo rispetto a quello della sala, e si avvicinò a lei con un'andatura sinuosa ed elegante. Sul volto aveva dipinta la stessa espressione triste di prima.
<< Qual è il tuo nome? >> chiese un po' timidamente allungando le dita per toglierle una ciocca di capelli dalla fronte, sorridendo debolmente.
<< Shona, Shona Turner >> rispose colpita da quel gesto inaspettato, tremò sotto il suo tocco e le sorrise di rimando.
<< Sono desolata Shona per tutto quello che ti è accaduto e quello che hai dovuto passare. Lo ammetto, non conosco le dinamiche della morte del caro Sameo e quindi puoi capire che non posso sapere se stai dicendo la verità oppure no. Quello che so, però, è che i cristalli di Rustafio appartenenti solo al nostro popolo sono stati sottratti >>.
Shona era turbata, non sapeva a che cosa si riferisse e lo sguardo dell'ingegnere nella sala non aveva per niente chiarito la situazione.
<< Non so di cosa sta parlando Maestà. Non abbiamo rubato niente, le ripeto che volevamo solo fare del bene >>. << Dammi del tu Shona >> la regina si tolse la corona e la soppesò tra le mani. La luce che emanavano le pietre incastonate tra i ramoscelli di ferro della corona ammaliarono la dottoressa. Erano cristalli piccoli, tagliati alla perfezione da una parte e scheggiati dall'altra; a differenza dei cristalli terrestri il taglio sbagliato aveva conferito alla pietra una bellezza singolare. Shona spostò lo sguardo dalla corona alla regina: senza quelle pietre ad illuminarle il viso rimaneva bellissima comunque.
<< Questi sono cristalli di Rustafio e sono questi quello che cerco. >> Galayo passò un dito delicatamente su uno di essi. Ogni minuto che passava sembrava peggiorare il suo umore, ma impugnò la corona e con un sorriso sincero la posò sul capo di Shona.

Nonostante il sole dei Taluyani si stesse pian piano nascondendo, ad illuminare la superficie c'era comunque una luce piacevole. La vasta zona nella quale la nave era atterrata lasciava a malapena filtrare gli ultimi raggi della stella. Laddove gli spuntoni di ghiaccio facevano ombra la temperatura scendeva vorticosamente e l'aspetto generale era inquietante. Vi era un solo sentiero largo, affiancato da due montagne di ghiaccio le cui cime si perdevano nell'altezza e ghiaccioli appuntiti che fuoriuscivano da esse. Quasi al centro del percorso le due montagnole si univano in un malfermo ponte più sottile al centro e dopo di esso grosse e spesse rupe di ghiaccio si susseguivano in un labirinto dal terribile aspetto. La nebbia aiutava a rendere la zona più minacciosa e meno praticabile.
Percorrendo da sola il sentiero, una macchina-robot pattugliava la zona. Le enormi braccia di ferro erano penzoloni lungo i fianchi; il fucile l'aveva preso Williams per difendersi. Le spalle troppo larghe e la vita troppo sottile davano l'impressione che presto la parte superiore del corpo sarebbe venuta giù nonostante apparisse indistruttibile.
Due Taluyani con i fucili in mano passeggiavano dalla parte opposta del sentiero, seguiti dal tipico ticchettio prodotto dalle loro armi. Si allarmarono alla vista dell'imponente macchina e spararono a vista cercando di mirare alla vita sottile che sembrava l'unico punto vulnerabile. Lo sparo produsse un piccolo buco nel ferro della macchina e nient'altro, i due alieni di guardarono terrorizzati quando gli occhi della macchina si accesero di verde e un braccio si alzò puntando nella loro direzione. Dalle tre dita meccaniche partì un raggio viola che colpì dritto al cuore uno dei Taluyani, un secondo raggio uccise l'altro. La macchina continuò per la sua strada.
In un sentiero vicino marciava un'altra macchina con ai piedi già il corpo morto di un Taluyano, alcuni metri più in là tre altri alieni morivano sotto gli sparì della macchina.
Si udì un fischiettio acuto nell'aria, ma questo non fu percepito da Simmons troppo impegnato a ridere. La guerra era iniziata.

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Capitolo 7
*** Sesto Capitolo ***


«Liberaci Galayo e vieni con noi, per favore. Puoi portare tutti gli uomini che vuoi, abbiamo spazio a sufficienza» Shona nell'impeto le prese la mani, la corona pesava sulla testa ma prestò attenzione a non farla cadere. Aveva le viscere in una poltiglia, mai in vita sua si era sentita così. La regina sorrise mostrando i denti bianchi e perfetti.
«Non posso, non posso lasciare la mia gente nel momento in cui ha più bisogno di me. Sono la loro regina e morirò con loro».
La dottoressa perse ogni speranza; a pochi minuti dal termine della missione capì di aver fallito in tutto. Ebbe solo delusione per se stessa, avrebbe potuto fare di più. Galayo tornò a sorriderle e la dolcezza del suo sguardo era come un appiglio a cui aggrapparsi. «Siete liberi! Ritornate alle vostre case e vivete! Ma c'è una cosa che puoi fare per me» le mise le mani intorno al collo delicatamente. Shona rise sollevata a quella notizia e presto riacquistò il suo colorito bruno.
«Qualunque cosa mia regina!» Galayo la lasciò allontanandosi dietro il trono e Shona sentì un brivido di gelo quando il suo tocco le aveva lasciato la pelle nuda. La regina ritornò tenendo per mano un bambino spaventato e con il pollice in bocca, quando la dottoressa lo vide in faccia scoprì che era lo stesso bambino che aveva loro teso la trappola alla caverna.
«Lui è mio figlio, si chiama Galays. Salvalo e ti sarò grata per sempre! È ancora un bambino e non merita di morire per ideali che nemmeno conosce, per un pianeta che fin dal primo vagito lo ha cullato con scosse e boati.»
«Dai, vai da lei!» la regina spinse il bambino verso Shona, il suo tono era quello dolce e preoccupato di una mamma.
Colpi forti alla porta spezzarono il rumore. Una guardia stava bussano bruscamente sperando che la regina lo accogliesse.
«Entra» il tono della regina era cambiato, in quel momento era spaventato e sorpreso.
«Maestà, ci stanno attaccando! Ci sono delle gigantesche macchine fuori. Emergenza!»
Galayo lanciò uno sguardo di accusa alla dottoressa, che era diventata rossa in viso, anzi quasi viola. Agitata, tremava visibilmente.
«Non siamo noi, non siamo noi, te lo giuro!» si scusò turbata la dottoressa.
La regina la ignorò. «Prendi tutte le armi che abbiamo e danne una ad ognuno. Voglio che combattiate tutti!»
La guardia fece un piccolo inchino e girò sui tacchi. Prendendo in braccio il bambino Shona seguì Galayo che correva verso la sala principale.

Simmons scese dalla nave speranzoso e divertito, l'adrenalina che aveva in corpo lo fece correre più velocemente verso i due Taluyani morti poco prima. Si accasciò per prendere i gioielli di Rustafio, sprofondò le mani negli stracci logori che si disfecero tra le dita. Le pulì disgustato sulla tuta. Con le mani a coppa osservò cosa aveva preso: niente. Digrignò i denti. Girò il corpo, tastò il collo e le orecchie in cerca di piccoli cristalli ma ancora una volta le mani non toccarono nulla se non la pelle scurita. Cacciò un urlo di rabbia battendosi le mani sul petto. Era arrabbiato. No, era furioso.
«Non si fa, non si fa. Taluyani amorini, vi amate l'un l'altro così tanto e non donate quei preziosi regali agli straccioni. Mi deludete, non si fa!»
Simmons gridò al cielo allargando le braccia, la calma lo aveva abbandonato definitivamente ed ormai rideva e urlava nello stesso tempo. Un altro urlo e poi corse via verso la prossima vittima raggiungendo pian piano la sala e la regina.

Al di fuori della grande sala della regina, i Taluyani si erano schierati impugnando a due mani i fucili. Una prima riga era inginocchiata mentre dietro, Taluyani in piedi e con semplici armi da fuoco, proteggevano l'entrata. Di armi ce n'erano a volontà, ma erano i soldati a mancare. Furono dati fucili anche a Williams e Martin ormai liberati.
Galayo percorse correndo tutta la lunghezza della sala, avrebbe di certo combattuto anche lei e si sarebbe sacrificata se fosse servito a qualcosa. Anche Solo venne liberato, ma il cubo che lo intrappolava non si era sciolto facendolo rimanere accasciato su un pilastro ed i suoi compagni sperarono di poterlo difendere.
Shona aveva preso una pistola del deposito desiderosa fino all'ultimo di non essere costretta ad usarla, ma l'avrebbe usata, si ripeté continuamente, se sarebbe servito.
«Dottoressa, un attimo» Martin l'afferrò per il polso, vide che indossava la corona della regina, pensò che fosse insolito. Aveva avuto paura e poi la notizia della liberazione lo aveva risollevato. Dopo il fischio di allarme dei Taluyani il panico, però, si era fatto più forte di prima se possibile.
«Se moriranno comunque perché stanno combattendo?» il patriottismo degli alieni metteva a disagio Martin, ma davvero non capiva. Dovevano essere i terrestri più preoccupati visto la minaccia delle macchine.
«Lo hai sentito, difenderanno il loro pianeta fino alla fine».
«Vogliono morire da eroi, tutti lo vogliono. Anche Simmons lo vuole, sono sue quelle macchine e sua è l'intenzione di sterminare e derubare i Taluyani. Ha progettato tutto lui». L'ingegnere guardava con occhi vitrei un punto imprecisato nella parete opposta. Aveva perso ogni energia, ogni voglia di vivere.
«Cosa?» sbraitò sorpresa Shona, Martin gli lanciò un’occhiata incredula.

Una scossa di terremoto interruppe la conversazione. I tre caddero maldestramente lasciando l'impugnatura delle armi. In quel momento i Taluyani correvano agitati con le mani in alto mentre urla strazianti laceravano l'aria. Quando ancora la superficie non aveva smesso di tremare, il suono di un corno da guerra fece calare il silenzio. Shona sentì la voce di Galayo all'esterno gridare ai pochi soldati di attaccare e rabbrividì pensando a lei e a quello che poco prima aveva detto Williams. Strinse le mani di Martin che tremavano e ritornata impassibile, con uno sforzo incredibile, dettò ai suoi compagni la mossa successiva.
«Prendo io il comando della Lady Black e della missione. Il caro comandante è escluso e ritornerà sulla Terra, perché noi ritorneremo, da prigioniero. Che vadano a farsi fottersi lui e le sue manie di grandezza!» Shona rise beffardamente ad emulare la fastidiosa risata di Simmons.
«Prendete i fucili e combattete. Se è opera di Simmons, le macchine eviteranno gli umani. Giusto ingegnere?»
«Giusto».

Una macchina-robot al centro, una a sinistra ed un'altra a destra, dietro di loro altre due combattevano, chi usando i fucili e chi i cannoni delle dita. La prima riga dei Taluyani era già crollata mentre la seconda l'avrebbe fatto a breve. Dietro una colonna, Galayo inorridita vedeva i suoi uomini cedere uno dopo l'altro, le pozze di pelle la fecero nauseare e quasi non ebbe la forza di sparare a sua volta.
I terrestri erano invece schierati dietro la seconda fila dove velocemente se ne costruiva una terza e, se proprio tutti avessero combattuto, anche una quarta. Le armi da fuoco e i fucili alieni dei Taluyani ammaccavano di poco la corazza delle macchine, un soldato aveva centrato un filo scoperto tra le spalle e la faccia facendo saltare quest'ultima. Il robot senza testa aveva continuato a sparare. La guerra era già persa.
Un pazzo correva nella loro direzione, tra le macchine: era Simmons.
In un impeto di pura rabbia Shona direzionò la canna della sua pistola verso il comandante mirando allo stomaco. Stava premendo il grilletto quando Martin la strattonò facendole cambiare mira.
«È impazzita? Per quanto Simmons possa essere un bastardo, lei non ha mai ucciso nessuno e di certo non lo farà per pura vendetta» Shona rimase ferita dal tono accusatorio dell'assistente ma sapeva che aveva ragione. Si sentì stupita e in disaccordo con se stessa.
Il fuoco continuò incessante per minuti. La seconda fila cadde e la terza si stava decimando. Un'altra scossa fece tremare il terreno, ma nessuno ci fece caso; solo urla e spari erano quello che si sentiva.
Simmons ora correva di lato per evitare i colpi e tornò a sorridere avvicinandosi furtivamente ad una colonna di ghiaccio. La regina urlò quando una mano fredda le toccò la schiena.
«La corona. Dammi la corona».
Galayo cercò di colpirlo con il fucile ma prima che se accorgesse Simmons l'aveva già disarmata. Cercò di dire che non ce l'aveva ricordando di averla data a Shona e pregò per lei, che lui non la notasse. Ma Simmons la notò e con ampie falcate la raggiunse. Quella corona valeva più di tutti i gioielli che avrebbe potuto trovare.
Strinse forte le braccia intorno alla vita di lei facendola sussultare ma, prima che qualcuno se ne rendesse conto, Martin si era lanciato contro il comandante per evitare che la presa si facesse più salda. Il raggio viola di un fucile lo colpi dritto al cuore e subito dopo una sola pozza di pelle fu quello che rimaneva di lui.


~

La dottoressa provò ad urlare ma dalla sua bocca non uscì niente, solo un grido graffiato e raschiato. Si liberò della presa di Simmons e cadendo in ginocchio prese tra le mani la poltiglia che restava del suo alleato più devoto. Gli occhi si inondarono di lacrime a toccare quel liquido appiccicoso e senza vita e pianse, per quel poco che la guerra gli concesse.
Aveva sempre sottovalutato l'assistente Andy Martin, tutti lo avevano fatto e si pentì, qualcuno le aveva salvato la vita mentre era lei che avrebbe dovuto farlo.
Simmons si fece serio perché c'era qualcosa che non andava. Le macchine erano state progettate per riconoscere gli umani ma avevano appena ucciso uno di loro. Perché? Si abbassò per nascondersi dietro la montagna di cadaveri periti sotto i cannoni. Che cosa aveva sbagliato? Entrò nella sala per ripararsi e fare rapporto alla base della morte di un membro dell'equipaggio, sebbene non gli importasse di Martin, non tantissimo almeno. Era destino che morissero e per l'assistente si era già compiuto.
Anche Alfie si era fermato un momento per compiangere l'amico caduto. Martin era stato quello in disparte e silenzioso che alla fine aveva salvato tutti.
«Ritiratevi. Questa non è la vostra guerra!» Galayo aveva cambiato idea, con la morte negli occhi si era sentita in colpa per quello successo al terrestre e per aver messo in pericolo Shona.
Lo urlò più di una volta ma il rumore degli sparì copriva la sua voce. Rapidamente la terza riga crollò lasciando la quarta e ultima in balìa della distruzione.
«Andiamo, non possiamo fare più niente». Alfie aiutò la dottoressa ad alzarsi e la condusse all'interno della sala. Continuava a desiderare di morire là sopra solo per non portare spaventosi ricordi sulla terra che lo avrebbero perseguitato fino alla fine dei suoi giorni. La morte di Martin però gli aveva dato quel minimo di forza che richiedeva la fuga. Bene, avrebbero salvato il bambino nascosto dietro la dottoressa, portando comunque a termine la missione originaria.

Un enorme boato seguì l'ennesima scossa di terremoto. Una parte della sala venne giù, seppellendo i Taluyani morti e uccidendo quelli ancora vivi. A causa del tremore si formò una crepa sul cubo di ghiaccio che portava Solo, si spezzò velocemente liberando il soldato privo di sensi. Il terremoto aveva spostato la neve che accumulandosi sui piedi quadrati di una delle macchine, le aveva fatto perdere l'equilibrio, facendola cadere a terra e rendendole difficile risollevarsi dopo.
Nella sala la dottoressa Shona Turner ripresasi, cercò di mantenere la promessa di comandare la squadra e di onorare la memoria dell'amico Martin e della regina Galayo la cui fine era prossima.
«In quanto comandante della spedizione, ordino il ritorno alla nave. Passeremo per il lato nord, dietro il trono c'è un'altra stanza che ha una porta d'emergenza: usciremo da lì! Io prendo il bambino, Williams aiuti a trasportare il soldato Solo e lei...» si girò verso il comandante accovacciato su di un cadavere per cercare di sottrargli l'orecchino cremisi, puntò l'indice e con un tono carico di disprezzo comandò che fosse ammanettato e trascinato a forza alla nave.
«Sono io che do gli ordini qui, signorina Turner. L'astronave partirà quando sarò io a dirlo».
«Signor Simmons, lei è stato sollevato dalla missione. Non ha più nessun diritto di parlare o addirittura dare ordini» Shona era gelida, ma si concesse un filo di sarcasmo per giocare al suo stesso gioco.
«Appena atterrerete sulla Terra, i corrispondenti della Congrega Terrestre vi elimineranno senza nessun scrupolo».
«Noi siamo i salvatori e la sorprenderebbe sapere che anche sul nostro pianeta esiste gente buona».
«Non è vero, signorina. Sono più vecchio ed ho visto a sufficienza l'universo, esiste gente ambiziosa che brama il potere ed esiste gente altrettanto ambiziosa solo più attenta a mascherarlo». Il comandante si era appoggiato ad un pilastro ghiacciato vicino il corpo della guardia, non era riuscito a prendere l'orecchino e sul suo volto non vi era più nessun sorriso di scherno. Sembrava aver riacquistato la lucidità e la calma di prima.
«Non mi interessa di quello che dice lei» disse la dottoressa, poi tornò a rivolgersi all'ingegnere, «Lo ammanetti e sbrighiamoci a partire».
«Io non vengo» la voce di Simmons era ferma e di nuovo severa «preferisco morire che essere trattato da prigioniero. Io sono il comandante. Io o do un ordine, o taccio. Bene, tacerò per sempre».
Alfie non rimase sorpreso e la dottoressa evitò di dimostrare lo stupore, anzi, con tono schietto disse che era un bene, che avrebbero risparmiato tempo.

Una lunga faglia si era aperta nella superficie, il terremoto non sembrava dare tregua e solo pochi Taluyani rimanevano in piedi a difendere il pianeta. Altre due macchine erano cadute nella frattura, ma la minaccia rimaneva ancora troppo grande.
Shona sentì lo sparo di un cannone che le lacerò le viscere. Non si girò per guardare, ma sapeva che Galayo era stata colpita. Un grido ovattato si levò dai pochi soldati in vita e dai codardi rintanati nella sala. La loro regina era caduta sul campo e sembrava che quella guerra non avesse più significato, che non ci fosse più qualcosa per cui continuare a combattere e che morire sotto gli spari del nemico o essere ingeriti nella distruzione del pianeta non avrebbe fatto più alcuna differenza.
Fino all'ultimo i fucili furono tutti abbassati e delle parole decantate dalla regina poco prima nella sala non rimase che un ricordo sfocato. Shona prese Galays in braccio offrendogli la spalla per nascondere la testa mentre i soldati rientravano stringendo con poca sicurezza il cadavere di Galayo; Shona fu sollevata a vedere che era stato un cannone ad ucciderla e non un fucile. Una pozza di pelle non avrebbe reso onore alla sua bellezza che, constatò, non era mutata con la morte.
«Andatevene e lasciateci soli» la voce di un vecchio soldato era quasi percettibile, ma rimaneva gentile e cordiale.
Portarono il corpo sul trono chiudendole gli occhi con due dita. Il rumore fuori indicava che le macchine stavano procedendo nella loro direzione, ma ormai non aveva più importanza.
«Sì, ma lascia che le restituisca questa» Shona si era tolta la corona dal capo e giungendo vicino al trono l'aveva posta sul grembo della vera regina «Onore alla Regina Galayo e alla fiammella di speranza che aveva accesso in tutti noi!»
«Onore alla Regina Galayo!» i Taluyani applaudirono alla memoria della loro regina, dei loro compagni, di Taluyan. Anche Alfie si legò all'applauso ammirando la forza d'animo che contraddistingueva la dottoressa.

Erano riusciti ad uscire dalla sala e correndo, per quanto il soldato Solo potesse permetterlo, si avvicinarono alla nave con la speranza di non sbagliare strada.
«Non possiamo fare niente per distruggere quelle macchine, ingegnere?» Shona desiderava che i Taluyani morissero davvero soli con il proprio pianeta, per iniziare almeno a scusarsi per la morte che avevano seminato.
«No, non possiamo. Sono macchine autonome, la matrice sulla nave non servirà a niente. Sono Alfie comunque, essere formali non serve più a niente.»
«Possiamo colpirli con i cannoni laser della nave. Non importa quanto possenti siano, verranno distrutti lo stesso».
«Attaccheranno a loro volta ed in questo momento la nave non ha gli scudi».
Shona era turbata dal cambiamento di Alfie, ma d'altronde chi non era cambiato lassù?
«Non ti arrendere Alfie, non ti azzardare a farlo. Sei il miglior pilota della base, sapresti schivare anche ad occhi chiusi gli spari dei cannoni e sai che i loro fucili non possono fare niente alla Lady Black. Sono rimasti solo in due, sarà un gioco da ragazzi».
«Ma non sono in tutto due!» Alfie sbottò in un grido di rabbia calmandosi poco dopo, il peso di Solo gli aveva fatto venire il fiatone. «Sulla nave ce n'erano molti di più, cinque si sono concentrati qui ma gli altri stanno setacciando il pianeta alla ricerca di Taluyani rimasti nelle loro case».
Shona ricordò di aver letto della riunione dei Taluyani superstiti nella casa reale ed i dati non riportavano chi o quanti non avevano partecipato. Aveva totalmente ignorato quel fatto ma trovò che fosse inconciliabile il morire solo e sperduto con il credo dei Taluyani.
«Una volta ritornati alla nave sparerai a quei due, te lo ordino».
Anche l'ultima speranza però andò in frantumi quando l'immagine della Lady Black prese forma davanti a loro. Con il terremoto il lato destro era sprofondato ancora di più, scomparendo sotto il ghiaccio mentre il muso della nave si era infossato ed un grosso spuntone aveva lacerato il tetto inclinato.
«Salviamo noi stessi» dichiarò Alfie allibito in un sussurrò impercettibile.

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Capitolo 8
*** Ultimo capitolo ***


Alfie prese posto sul sedile davanti ai comandi principali, azionò una leva per il riscaldamento dei motori, spegnendo e premendo poi varie spie e bottoni. Benché non avesse paura, il pilotare gli diede forza a sufficienza per far partire la nave.
Shona sistemò il bambino impaurito dove tenevano le provviste, quella era la cabina più colorata ed illuminata e la dottoressa sperò che servisse a calmarlo. Provò a rassicurarlo e confrontarlo con la promessa che sulla Terra avrebbe trovato migliaia di giochi nuovi e divertenti, ma il bambino sembrava non capire e Shona aveva in testa pensieri più importanti.
La brina sul corpo di Solo si stava sciogliendo, ma rimaneva sempre paralizzato. La dottoressa controllò i parametri vitali e seppe che stava bene. Anche Collins in quarantena stava bene, non portava segni di malattia e il loro ritorno lo confortò.
Fisicamente stavano quasi tutti bene ma era mentalmente che si era aperta una grossa voragine come quella che in quel momento divideva Taluyan e si faceva più grande ogni secondo che passava. Una voragine tetra e vuota e loro si trovavano in bilico rischiando di cadere ad un passo falso. Vuota perché quell'esperienza aveva lasciato il vuoto, la desolazione e la voglia di non provare nessun sentimento, nemmeno quelli belli. Un'esperienza da dimenticare, un passato da cancellare. Quella spedizione non doveva essere riportata in nessun annuale o celebrata da nessun notiziario, si doveva far finta che non fosse mai esistita, che non fosse mai accaduto niente. Un buco nella memoria da riempire con belli e felici momenti. Ricordare avrebbe portato alla sofferenza, che avrebbe portato all'odio, che avrebbe portato alla morte.

«Farò partire la neve con l'accelerazione massima, sprecheremo troppo carburante ma è l'unico modo per liberare la Lady Black dalla neve».
«Basterà per il ritorno a casa?»
«Sì comandante, dovrebbe bastare» Shona guardò l'orologio scoraggiandosi, mancavano solo quindici minuti all'orario previsto per il collasso del pianeta. Incitò Alfie a fare più velocemente, come se dipendesse da lui.
I motori furono accessi e, lasciando stare il rumore prodotto, non successe niente. Alfie premette sull'acceleratore ma solo sbuffi di neve si alzarono in aria.
«Dai, dai» l'accelerazione raggiunse il suo massimo picco ma presto i display della nave si spensero e i comandi robotizzati non funzionarono.
Una scossa di terremoto ben più violenta della altre attraversò il pianeta e la nave liberò il muso ma la parte posteriore sprofondò ancora di più. L'assetto morfologico di Taluyan stava ancora cambiando sotto i loro occhi terrorizzati ed attoniti. Gli spuntoni di ghiaccio crollarono formando una barriera con le punte dirette verso di loro. Sembrava una minaccia, un chiaro avvertimento che era impossibile andarsene. Il cielo si era fatto scuro all'improvviso, cosparso qua e là da macchie arancioni. La notte era calata e ad annunciarla un boato più assordante dei precedenti che spazzò la neve, che gelò le viscere, che fece sudare freddo e fermò i cuori. La fine era davvero giunta.
«Alfie, riprova. Ti supplico, riprova» le grida di Shona erano terrorizzate. Riprese a tremare non riuscendo a controllarsi. Il bambino scoppiò a piangere forsennatamente e da lontano i colpi di Collins nel vetro di contenimento furono ben udibili.
Alfie premette ancora sull'acceleratore ma non successe ancora nulla, batté il pugno con violenza sul tavolo, arrabbiato e frustato. Sulla nave regnava il panico e sembrò che tutti i membri ne fossero vittime.
La luce non tornò e le scosse non finirono di martoriare Taluyan. Alfie spinse la leva dell'acceleratore un'altra volta sperando che fosse la volta giusta.
«Così perdiamo troppo carburante comandante. Io...io».
«Provaci ancora, non smettere di farlo. Non temere di non farcela. Se non ce la fai tu, non ce la farà nessuno». Shona cercò di essere più convincente possibile ma lo sforzo le risultò difficile. Benedisse le luci spente che nascondevano l'espressione incerta.
«Dai, dai!» Alfie ripeté quelle parole e tornò a premere sull'acceleratore: qualcosa là dietro si mosse.
«Dai!» adrenalina pura gli invase le vene. I motori si liberarono e la coda cilindrica riuscì a raddrizzarsi. «Dai!» ripete ancora piangendo e ridendo insieme, la dottoressa si legò alla sua risata. Era sollievo, era speranza.
Riuscì a librarsi in volo con non poche difficoltà. Da lassù, Shona osservò il ghiaccio che crollava nella faglia e vide che si stavano formando altre mille spaccature e che la neve si ammassava sui resti delle antiche montagnole. Passarono sulla sala della regina e restò sconcertata nel vedere che una parte era definitivamente crollata e l'altra era già inclinata. Si scusò per non aver potuto fare niente, per non essere riuscita a salvarli nemmeno quando avrebbe potuto. Lanciò un bacio ai soldati caduti, a quella specie estinta, alla loro regina morta. Lanciò un bacio e rimase in silenzio, rimproverandosi di aver gioito per un breve istante.
Lanciò un bacio e pregò per la vita.



Eccoci giunti alla fine di questo lunghissimo viaggio. Questo racconto nasce come una sfida: una lotta con me stessa di cui mi reputo in parte vincitrice. Distruzione rossa è il mio primo lavoro che può considerarsi tale ed è anche la prima long che riesco a portare a termine. Non nascondo che la stesura di questa storia è stato travagliata ma mi ritengo soddisfatta del risultato. Attenzione, riconosco i difetti e gli errori presenti in questi pochi capitoli, ma ripeto è stata la mia prima sfida e non pensavo nemmeno di essere capace di produrre racconti simili.
Vi chiedo scusa per aver tardato molte volte con l’aggiornamento dei capitoli e per la grande mole di errori che vi sono presenti. Spero molto che vi sia piaciuta e che siate entranti nel mondo ghiacciato di Taluyan almeno una sola volta.
Un abbraccio
Francesca

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