Blood and Chocolate

di Johanna_Reprise
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Subtexts ***
Capitolo 2: *** Interruption ***
Capitolo 3: *** Ratatouille ***



Capitolo 1
*** Subtexts ***


Subtexts

«Assurdo. Ridicolo. Irrispettoso e assolutamente meschino, signorina Lounds! Proprio come ci si aspetterebbe dal suo giornalismo d’assalto volgare e speculativo.»
Frederick Chilton aveva alzato la voce più di quanto avrebbe fatto normalmente, sistemandosi il colletto della camicia nonostante questo fosse impeccabile al suo posto, sentendo suo malgrado le guance avvampargli in un eccesso di foga ed irritazione.
Non che avesse mai creduto nell’esistenza di uno spiccato senso della decenza in quella donna, ma davvero la Lounds lo aveva tampinato per due giorni, con un’insistenza e una perseveranza che in altre circostanze avrebbe definito ammirevoli, per arrivare a questo? Per chiedergli, lì alla sua scrivania, con un sorriso fintamente fanciullesco e sfacciatamente carico di aspettative, se lui, Frederick Chilton, direttore dell’ospedale psichiatrico di Baltimora e brillante dottore in psichiatria, avrebbe accettato di posare senza trucco né protesi, nudo, per la sua rivista scandalistica da quattro soldi?

«Lei è un sopravvissuto, Chilton», Freddie Lounds non si scompose. Il suo tono aveva un che di accondiscendente che alle orecchie del dottore suonò quasi offensivo. «La gente ha imparato a stimarla come affermato professionista nel suo campo - fece una pausa, selezionando accuratamente le parole giuste per carezzare l’ego del dottore - Perché non darle anche la possibilità di amarla come persona?»
Chilton si lasciò sfuggire una risata breve e nervosa, carica di sarcasmo. «Davvero lei crede che io frema dalla voglia di fare sfoggio delle mie graziose cicatrici? Che io abbia interesse nell’apparire come l’eroe della situazione, signorina Lounds? Ho forse l’aspetto di un eroe?» La guardò aggrottando la fronte, mentre ebbe l’impressione che la protesi al palato, quella mattina, stesse cominciando a dargli fastidio un po’ più del solito.
«Cosa crede, che io non veda l’ora di venire sbattuto in prima pagina come una sottospecie di fenomeno da baraccone o un reduce di guerra per compiacere i lettori della sua insulsa rivista scandalistica?» Le labbra gli si incresparono in un sorriso beffardo. «Per suscitare cosa? Morboso interesse? Repulsione? Pietà?» Sottolineò quest’ultima parola con un’espressione stizzita, mentre un lieve tremito gli percorse la spina dorsale.
«Lei sottovaluta il potere dell’opinione pubblica, dottore - la chioma rossa della giornalista ondeggiò leggermente - E soprattutto, il potere che l’opinione pubblica è in grado di conferire.»
Chilton proruppe in un verso di disappunto, mentre, sporgendosi sulla scrivania, si avvicinò al volto della donna, la voce ridotta ad un sibilo.
«Nudo
«Senza veli, né difese, Frederick. - la giornalista annuì impercettibilmente - Inerme e per questo assolutamente amabile. Ferito, ma sopravissuto. Ogni cicatrice, ogni pezzo mancante, a testimonianza delle sue straordinarie doti di adattabilità e sopravvivenza».

Il dottore non disse nulla. Era già in punto di alzarsi e congedarla, ponendo fine a quella ridicola messinscena traboccante falsità e condiscendenza, quando Freddie Lounds gli strinse con delicata fermezza il braccio. Chilton spostò lo sguardo dalla porta del suo ufficio alle dita bianche ed affusolate che ora gli tendevano la manica della giacca, agli occhi della donna – era malizia quella che ora sembrava animarli di una luce nuova? -, chiedendosi cosa ancora volesse e perché diavolo lo stesse toccando
«Scommetto che lei è un bell’uomo, Frederick.» Freddie Lounds lo disse piano, in un tono che non aveva più nulla di accondiscendente, facendo una pausa per rivolgergli un sorriso sbieco ed insistente.
«Anche dove non permette che la si guardi.»  Detto ciò, gli lasciò il braccio senza smettere di sorridergli e fece per sistemarsi la gonna, mentre un sottile e pungente senso di imbarazzo si insinuava nel dottor Chilton, costringendolo ad allentarsi leggermente il colletto della camicia. Fu un attimo, prima che con uno sbrigativo gesto della mano la invitasse ad andarsene dal suo ufficio.
«Arrivederci, signorina Lounds.» La vide raccogliere le sue cose e lasciare la stanza – che stesse ancheggiando impercettibilmente più del solito? –, seguì la cascata di ricci fulgenti scomparire dietro la porta e le sorrise forzatamente, con le labbra serrate, quando lei si girò a lanciargli un’ultima rapida occhiata. Gli sembrò che gli stesse ammiccando mentre richiudeva delicatamente la porta in uno scalpiccio di tacchi.
Finalmente il dottor Chilton si lasciò sprofondare nell’elegante poltrona di pelle, prendendo a mordere la penna com'era solito fare e sollevando le lustre scarpe di cuoio nero sulla scrivania.

Piccola stronzetta insolente” esalò infine, a metà tra un sorriso e un sospiro di sollievo.

 
 

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Capitolo 2
*** Interruption ***


Interruption
 
Le mani dell’uomo dai capelli rossi afferrano con vigore i fianchi del moro, strattonandolo con una violenza vibrante di desiderio. Le vene delle braccia gli si gonfiano sotto la pelle tesa ricoperta di efelidi, mentre l’altro si piega su di lui con un sospiro prolungato, i ricci scuri che gli ricadono sul viso e sfiorano appena il petto dell’altro. Ora il volto del rosso sembra quasi liquefarsi sotto l’ondata di un piacere che gli contrae i lineamenti, e lo fa gemere, e il respiro gli si fa affannoso e sempre più irregolare: il riccio gli scivola delicato lungo l’addome, marchiandolo con una scia di baci umidi, mordendolo appena con le labbra turgide, rosse, quasi fanciullesche, finché non gli lambisce il sesso pulsante e fa scorrere la bocca su e giù ancora e ancora, e l'altro impreca con voce roca, afferrandogli i capelli e tirandolo su, verso la sua bocca, a mordergliela avidamente. Un gesto disperato, una supplica, un attimo prima di raggiungere l’apice del piacere.
Ora il rosso ha cambiato posizione: col ventre aderisce completamente alla schiena sudata dell’altro, mentre fremente cerca la sua bocca, mentre le dita gli scivolano lungo la sua schiena, fino alle natiche. Quando le introduce con forza controllata nel moro, sente il suo corpo vibrare, prima irrigidirsi, poi rilassarsi, quasi disfarsi sotto di sé, mentre i suoi gemiti si fanno affannati e supplichevoli e il fastidio dell’intrusione si trasforma in bisogno di una penetrazione più profonda; e allora il rosso emette un mugolio roco di soddisfazione mentre pregusta il piacere e sa che l'altro è pronto e che potrà penetrarlo ancora e ancora e ancora…


«Dottore? Dottore! »
Frederick Chilton fissò ancora per un attimo lo schermo luminoso del suo laptop, rigirandosi la penna tra i denti, prima di sfilarsi le grosse cuffie bianche dalla testa e rispondere alla voce che lo chiamava insistente dall’altro lato della porta del suo ufficio.
«Ti sento, Kathrina. Dimmi.»
«Il suo appuntamento con Will Graham... È ora.»
Frederick percepì la nota di sollievo nella voce della sua segretaria, che evidentemente aveva bussato più di una volta senza ottenere risposta. Con un sospiro si alzò, sistemandosi la giacca sulla patta rigonfia dei pantaloni, e afferrò il bastone che giaceva ai suoi piedi, chiudendo il portatile con un gesto delicato delle dita. Prese il bicchiere dal manico affusolato con quel che restava del Pinot che si era versato e lo deglutì tutto d’un fiato, sentendo la morbidezza del vino che dava sollievo alla bocca impastata e il calore dell’alcol spanderglisi in gola come una carezza bollente.
«Will Graham», sussurrò tra sé, assaporando le parole sulla lingua insieme al sentore  dolciastro del vino rosso.
Fece battere il grosso anello che gli cingeva l’anulare sul bordo della scrivania laccata, quindi si avviò alla porta con un impercettibile sorriso, appena un’increspatura sulle labbra sottili.

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Capitolo 3
*** Ratatouille ***


Ratatouille
 
«Maledizione
Frederick Chilton aveva imprecato ad alta voce quando il coltello di precisione a lama in ceramica gli era scivolato dalle dita, ferendogli l’indice della mano destra.
Non avrebbe perso il dito – dopo un rene e una parte considerevole dell’intestino andati per sempre, già questo era un risultato a suo modo rincuorante, aveva constatato tra sé con una punta di sarcasmo -; tuttavia, quando il taglio netto e preciso si fece gonfio di sangue scuro, una sottile incisione rossa appena sotto la nocca, non seppe trattenersi dall’imprecare di nuovo, lo sguardo sul tagliere di legno massello posato sul piano cottura, soppesando con un sopracciglio alzato il suo triste contenuto. Una cipolla tagliata malamente e due melanzane sbucciate per metà non erano esattamente ciò che si era prefigurato per quella serata: una sfida personalissima, l’occasione di dimostrare a se stesso di essere in grado, per una volta, di avere il controllo.
In cucina.
Quella volta – aveva pensato – ci si sarebbe dedicato davvero: niente piatti precotti da ripassare in microonde, né insalate pronte alla quale aggiungere una manciata di anacardi come tocco dello chef, né tantomeno un takeaway cinese da ordinare all’ultimo minuto dopo aver bruciato l’ennesimo toast al formaggio. Questa volta sarebbe stato diverso, si era detto nel suo ufficio, i giorni precedenti, rigirandosi la penna tra le mani, mentre, affondato nella sua poltrona, continuava a tornargli alla mente l’elegante figura di Hannibal Lecter nella sua cucina.
Lo aveva osservato diverse volte muoversi con grazia tra i fornelli, tessere movimenti straordinariamente armoniosi eppure assolutamente naturali, dal forno al tagliere, dalla padella alla dispensa, come i fili di una tela invisibile sulla quale si stagliava la sua sagoma. Ogni gesto, ogni mossa era ferma, precisa, tecnica: c’era un che di estremamente professionale, chirurgico nella padronanza in cui Hannibal sfilettava, triturava, disossava, affettava, incideva, rosolava qualunque cosa passasse sotto le sue mani. E Frederick, appoggiato al bancone con un bicchiere di Chateau del 2001 tra le mani, si era ritrovato, suo malgrado, ad ammirare e, da qualche parte dentro di sé, invidiare quella confidenza che aveva tutto l’aspetto di essere una dote innata.
Anche ora che il suo intestino difettoso non gli permetteva di assimilare proteine, infatti, Hannibal Lecter aveva continuato ad invitarlo a cene sontuose e banchetti sopraffini: il dottor Chilton aveva l’assoluta certezza che in quello sguardo compito che Hannibal gli riservava vi fossero un’antipatia e un’intolleranza crescenti, pertanto non aveva mai preso quel tipo di inviti come atti di cortesia o come manifestazione di un reale piacere nell’averlo alla sua tavola; piuttosto, aveva la sensazione che la cucina costituisse un canale di espressione confacente a tal punto al dottor Lecter che invitare persone, gradite o meno, a cena, costituisse per lui il modo più chiaro e definitivo di affermare se stesso e consacrare quella sua dote, così finemente coltivata. Seduto alla sua impeccabile tavola, tra sapori esotici e prelibatezze d’antica tradizione, Frederick era andato ponderando che Hannibal aveva trovato anche in un interesse comune come la cucina un mezzo di potere, volgendo quelle occasioni in suo favore e affermando con esse la sua superiorità.
Allora, con i piedi sulla scrivania del suo ufficio e la penna tra i denti, mentre la sagoma del dottor Lecter gli aleggiava sulla retina come se lo avesse avuto lì di fronte, Frederick si era chiesto come sarebbe stato essere pervasi, per una volta, da quel senso di controllo assoluto e sicurezza estrema in cucina. Aveva forse qualcosa a che fare con il potere che la psichiatria ti conferisce sulle menti? Com’era sentirsi perfettamente a proprio agio, al proprio posto, impeccabili, padroni, assolutamente onnipotenti?
Con questa idea in testa, che si era ripresentata ostinata come un tarlo ogniqualvolta poggiasse la testa sul cuscino o avesse cinque minuti liberi tra una terapia e l’altra, il dottor Chilton aveva ceduto alle irriducibili richieste di Freddie Lounds, che, ormai da diversi mesi, lo tampinava per avere sue dichiarazioni in merito all’infanticida del Minnesota, nuovo e scottante ospite dell’ospedale psichiatrico di Baltimora.
«Che ne direbbe, signorina Lounds, di discuterne a casa mia, a cena
Le parole gli erano venute fuori istintivamente, anche con troppa naturalezza, tant’è che un attimo dopo stava già valutando l’idea di ritrattare, optando per il consueto appuntamento d’ufficio alle quattro del pomeriggio. Che Freddie Lounds potesse interpretare quell’invito come una qualche sorta di proposta romantica? Ma ormai mordersi la lingua sarebbe servito a poco, vista la caratura della petulante giornalista; perdipiù, forse quella sarebbe stata l’occasione più appropriata per mettersi alla prova in cucina. Qualora avesse avuto successo, non gli sarebbe dispiaciuto farne sfoggio con qualcuno; neppure con la Lounds, che avrebbe incensato un’ottima cena con il suo consueto piglio costruito e vagamente ipocrita da giornalista d’assalto, ma che, tuttavia, sapeva di tanto in tanto carezzare il suo ego con parole accuratamente selezionate e mai sgradite del tutto.
Tuttavia, la preparazione della cena perfetta sulla quale Frederick aveva fantasticato nei giorni precedenti si rivelava ora piuttosto lontana da quello che può chiamarsi un trionfo: aveva a lungo studiato un menù semplice ma d’effetto, che includesse pietanze raffinate, riconosciute come piatti di una certa levatura, e, soprattutto, vegetariane, vista l’alimentazione sua e della Lounds. E aveva trascorso lunghi quarti d’ora col naso ad un palmo dal suo tablet, gli occhi socchiusi, a gironzolare in siti e forum di cucina e ricette dai nomi impronunciabili o dagli ingredienti improbabili, che, vista la sua esperienza carente sotto ogni punto di vista, non avrebbe saputo neanche dove comprare.
Alla fine, nel tardo pomeriggio del giorno precedente, gli era lampeggiato da qualche parte nella testa, come una luce al neon, il ricordo sbiadito di un film d’animazione che aveva distrattamente guardato in tv diversi anni prima. Ratatouille. Senza particolare convinzione, aveva googlato quel titolo di cui ignorava il reale significato, per scoprire, con una punta di autentica meraviglia, che si trattava di una ricetta tradizionale della cucina francese. Il nome altisonante e il fatto che fosse un piatto di verdure lo avevano convinto a recarsi, quella mattina, a comprare ciò di cui aveva bisogno. Pressoché tutto, considerato che il suo frigo era spudoratamente vuoto per i restanti trecentosessantaquattro giorni dell’anno.

*

«Come sarebbe a dire “lasciare appassire la cipolla”?» Frederick aveva medicato il dito ed era tornato in cucina, fissando il tablet con la fronte aggrottata. «Appassire in che senso? Per quanti minuti? A fiamma alta o bassa? Cristo!» Batté il palmo sul piano cottura e trasse un respiro profondo, stringendosi distrattamente in vita il grembiule blu scuro. Ma, poco dopo, un bicchiere di vino in una mano e il tablet nell’altra, ebbe modo di constatare che la riprovevole imprecisione delle indicazioni lo avevano sabotato ancora una volta: il sentore di bruciato gli arrivò impietoso alle narici, mentre la cipolla guasta sfrigolava nell’olio bollente.
Imprecando a denti stretti, Frederick si passò una mano tra i capelli perfettamente in ordine: «Pensa – sussurrò guardando i peperoni che giacevano grossolanamente tagliati in una ciotola – cosa farebbe Hannibal Lecter al mio posto?»
Con una punta di vergogna, si mosse per buttare il soffritto più simile ad un fallimento che avesse mai visto, quando incespicò nel guantone da forno che era scivolato, a sua insaputa, sul lindo parquet di quercia della cucina, facendo appena in tempo a ripararsi il viso da una caduta rovinosa.
«Cristo!», esalò con una nota stridula nella voce, al colmo della frustrazione, mentre il campanello suonò impietoso a ricordargli che non c’era tempo di piangersi addosso.
Pensa, pensa pensa – si alzò precipitosamente sistemandosi il colletto della camicia – zucchine peperoni melanzane cipolla bruciata pomodoro – si slacciò il grembiule e lo arrotolò scaraventandolo senza delicatezza in un cassetto – servire le verdure crude o mandarla a casa rimandare l’appuntamento o lasciarla a bocca asciutta -  si soffermò per qualche istante davanti allo specchio dell’ingresso, abbottonandosi i polsini della giacca in tartan e rinfrescandosi con un’ultima, abbondante spruzzata di acqua di colonia – qualcosa qualunque cosa pensa pensa pensa – inforcò il bastone e aprì la porta.

«… Lasagne al pesto.»
«Dottor Chilton, si sente bene? Cosa ha detto? Lasagne?», Freddie Lounds lo osservò dalla soglia della porta, i ricci fulgenti che si muovevano impercettibilmente, lo sguardo aggrottato e la bocca socchiusa.
«Signorina Lounds, si accomodi – esordì lui sfilandole il cappotto con un gesto delicato e chiudendosi la porta alle sue spalle – ha capito bene. Le lasagne che ho preparato per lei sono in forno. Quasi pronte.»
«Non credevo avesse anche delle doti culinarie.», il tono della giornalista era controllato, ma vagamente allusivo ed interrogativo, risultato di una deformazione professionale mista ad una curiosità tutta personale.
Frederick non rispose: aspettò che lei si fosse accomodata in soggiorno, dopodiché si avviò a passo compito in cucina chiudendosi piano la porta alle spalle.
 Silenzioso come non era mai stato, aprì il freezer e tirò fuori l’ultima, salvifica teglia di lasagne al pesto congelate. “Le originali italiane. Buone come fatte in casa”, declamava la confezione.
Con un sorriso sbieco, lasciò scivolare la teglia nel microonde, sentendosi improvvisamente libero, sollevato, sicuro. Al proprio posto.
«Cinque minuti», si sentì dire alla Lounds, mentre tornava in soggiorno, rilassato ed impeccabile, nel suo completo elegante, la camicia da duecento dollari, le scarpe di cuoio nero perfettamente lucidate.
«Cinque minuti ed è pronto.»

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