Occhi Paradiso.

di Tomoko_chan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una mattina. ***
Capitolo 2: *** Dietro casa. ***
Capitolo 3: *** I due fiumi. ***
Capitolo 4: *** Andare. ***
Capitolo 5: *** Nuvole nere. ***
Capitolo 6: *** Nuvole bianche. ***
Capitolo 7: *** DNA. ***
Capitolo 8: *** Primavera. ***
Capitolo 9: *** You. ***
Capitolo 10: *** Sick. ***
Capitolo 11: *** My Immortal ***
Capitolo 12: *** Malavida en BS.AS. ***
Capitolo 13: *** What you want. ***
Capitolo 14: *** Lost in Paradise ***
Capitolo 15: *** Understanding ***
Capitolo 16: *** Bye bye mon amour. ***
Capitolo 17: *** Ascolta. ***
Capitolo 18: *** Erase this. ***
Capitolo 19: *** Il giorno dei morti. ***
Capitolo 20: *** October. ***
Capitolo 21: *** Anywhere ***
Capitolo 22: *** Weight of the world. ***
Capitolo 23: *** Giorni dispari. ***
Capitolo 24: *** Farther away. ***



Capitolo 1
*** Una mattina. ***


Gli ultimi sognatori.
Occhi Paradiso.
Una mattina.
[ Ti volterai e capirai che non sei più sola. ]

 
[Ludovico Einaudi: Una mattina]
L’aria calda e pesante l’accompagnava nel suo tranquillo tragitto. Il sole brillava alto, nel cielo, mentre gli uccellini la salutavano col loro canto allegro. Indossava un lungo Kimono arancione, e la sua sommità si muoveva piano, sfiorando l’erba verde del prato. Muoveva piccoli passi, precisi, calmi e decisi verso un’unica direzione; quella di sempre, negli ultimi cinque anni, quella di ogni mattina.
In un cesto di vimini intrecciato a mano, portava tantissimi fiori colorati e dal gambo lungo. Per la maggior parte erano girasoli, ma c’erano anche delle rose e delle magnolie variopinte. Camminava, tranquilla, e si inoltrò oltre la grande cancellata in ferro battuto. Il luogo adesso, nel primo mese della Primavera, era uno sprizzare tutto allegro di erba verde e fiori di tutte le tinte, con  la brina del mattino ad imperlare tutti quei colori accesi. Camminò ancora per qualche metro, percorrendo quella strada familiare, fino a raggiungere un grande Salice piangente, a cui si affiancò con qualche falcata.
E lì, quando incontrò un viso pallido ed esterrefatto e due grandi occhi neri intrappolare il suo sguardo, il cesto colmo di fiori le cadde di mano, sparpagliando boccioli e corolle ai suoi piedi. Estremamente sorpresa, socchiuse la bocca in un’espressione incredula, incapace di dire qualsiasi cosa, se non il suo nome, mai dimenticato.
<< Sasuke. >>
 
Non l'avresti mai detto, neh, Hinata-chan?


 

Angolino di Tomoko.
Ciao!
Ebbene sì, sono tornata, di già, nonostante sia piena di impegni e da studiare, ma sono qui!
Questo è un piccolo prologo, giusto per darvi un assaggino, ma se avete letto l'introduzione,
alquanto banale, li potrete capire moooooooolte cose. Per non parlare di tutti gli indizi 
lasciati per strada nelle ultime risposte a recensioni... ehem. Che dire? Una mattina.
Una mattina può cambiare tutto. Una mattina come le altre puoi rimanere sorpresa di ogni 
cosa. Una mattina è una canzone dell'omonimo albulm di Ludovico Einaudi *.* Da sentire!
Bando alle ciance. Volevo ringraziare tutti, perchè è merito vostro se Filosofia di vita è
stata una storia così importante. Merito vostro se ho superato tutti i miei record personali.
Merito vostro se sono cresciuta così tanto! Motivo per cui la storia è stata dedicata a 
due persone speciali che in questo percorso non mi hanno mai abbandonata e spero ci 
saranno sempre. Grazie Arcx, grazie Puffi-chan n.n
Quindi niente, spero che commenterete facendomi sapere tutto ciò che immaginate e/o
sperate <3


 

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Capitolo 2
*** Dietro casa. ***


Gli ultimi sognatori.
Occhi Paradiso.
Dietro casa.
[ Cosa significa tornare.] 
 
 
[Dietro casa: Ludovico Einaudi.]
<< Ciao, Hinata. >>
Lo disse con naturalezza, ma la sua voce era cambiata. Adesso era molto più roca e profonda, più matura e adulta.
Erano cinque anni che non lo vedeva. Cinque lunghissimi anni in cui era cambiato tutto, in cui non c’era stato nemmeno un messaggio, un telegramma, una telefonata. Cinque lunghi anni in cui le loro vite si erano semplicemente divise, così, all’improvviso, e lui era così cambiato…
Sasuke adesso era un ventisettenne alto, col solito taglio di capelli, ma con le spalle più larghe, il corpo muscoloso, la figura sottile, il volto quadrato e mascolino, gli occhi profondi e intensi.
Sembrava più adulto, nel suo completo scuro, la camicia un po’ sbottonata. Adulto e consumato dal tempo e dal dolore.
<< Sei tornato. >> riuscì a mormorare lei dopo un tempo inquantificabile, senza sapere come continuare.
<< Per rimanere. >> concluse lui per lei.
E tanto bastò alla ragazza per corrergli incontro in preda ad un moto di coraggio e affetto, alzandosi sulle punte per stringersi forte al suo collo. Sasuke rimase per un attimo colpito da quel atteggiamento, ma dopo poco contraccambiò l’abbraccio, stringendola forte e quasi sollevandola da terra. Intersecò una mano nei suoi capelli, rilassandosi, e, quando la sua guancia toccò quella di lei, riuscì a sentire lacrime calde sfiorargli la pelle.
<< Hinata… >> mormorò il suo nome con dolcezza, accarezzandole i capelli << Perdonami… sono tornato per rimanere, davvero. >>
Lei annuì brevemente contro il suo petto, per poi scostarsi e fare un passo indietro. Lui la guardò in volto, e quando Sasuke incontrò quello sguardo triste e abbandonato, si chiese dove avesse trovato il coraggio di abbandonarla, tanto tempo addietro, quando le aveva promesso che avrebbero affrontato tutto insieme. Il suo cuore perse un battito, colpito dal rimorso, e tacque.
Deglutì, sommessamente, e non si stupì quando il palmo di lei si scontrò con forza contro la sua gota, anzi, ne fu felice, perché così lei poteva vendicarsi, poteva stare meglio, fargli provare in un colpo tutto quel dolore che lui avrebbe soltanto potuto immaginare.
E con la guancia che gli bruciava e la mano di lei ancora a mezz’aria, ebbe il coraggio soltanto in quel momento di alzare il volto e rintracciare nella sua espressione la sofferenza che aveva provocato in lei.
E lei era così bella, le gambe lunghe nascoste dal kimono arancione con decorazioni rosse e nere, i capelli intrecciati morbidamente, la pelle candida, nivea,  le gote leggermente arrossate, la bocca socchiusa sfiorata dal respiro tremulo e incostante, gli occhi perlacei sgranati, tristi e arrabbiati.
Era bella, ed era Hinata, la stessa che in quei cinque anni aveva visto così spesso in sogno da non aver avuto bisogno di foto per ricordarla. Lì, davanti a lui, dopo cinque lunghi anni, c’era Hinata.
<< Scusa. >> gli disse lei, con una voce decisa e armoniosa.
<< Me lo meritavo. >> le sorrise lui, davvero felice di rivederla.
<< No, non hai capito. >> negò lei, ferrea << E’ quello che dovresti dirmi tu. “Scusa”. >>
Sì, era davvero lei, la fintamente dolce e ingenua Hinata, in realtà donna forte e decisa, intraprendente e virtuosa. Riusciva a trovare solo pregi di lei, esattamente il suo opposto. Ne sorrise.
<< Scusa se non mi sono mai fatto sentire >> proseguì lui, accontentandola << Scusa se sono scomparso all’improvviso. >>
<< Bastava riassumere con “scusami se sono uno stronzo”. >> rispose lei, sbeffeggiandolo.
<< Cattiva. >> annuì lui, lasciandole un bacio sulla fronte che, nonostante tutti quegli anni di lontananza, non si sentiva affatto imbarazzato a dare.
<< Quando sei arrivato? >> gli pose la domanda mentre si abbassava per raccogliere i fiori.
<< Due ore fa. >> rispose lui, osservando i suoi gesti precisi e veloci.
<< Perché non sei passato da casa? >> domandò ancora lei, senza alzare lo sguardo.
<< Sono venuto direttamente qui. >> replicò l’uomo, perdendo dopo un attimo tutta la sua sicurezza << Sai… per salutare. >>
Hinata alzò lo sguardo su di lui, le mani ancora nel cesto, fra i fiori rovinati.
<< Vengo qui tutte le mattine. >> spiegò lei, la voce più dolce << Speravo che un giorno passassi a salutare. >>
Gli occhi di lei – così bianchi, così belli, color paradiso – trasudavano un’emozione incontenibile che sapeva di avere, almeno in quel momento, anche nei propri – così opachi, così vuoti, color limbo – e immaginò di non poter reggere ancora per molto quello sguardo carico di parole non dette, perché non poteva permettersi di mostrarsi ancora così fragile. Ma lei gli venne incontro, come al solito, risolvendo tutti i suoi patemi. Semplicemente si alzò, mosse qualche passo e si inginocchiò nuovamente, dandogli le spalle.
Prese una manciata di fiori, scegliendo accuratamente quelli più belli, per poi posarli lì, accanto alla foto lucente impressa nel marmo grigiastro.
<< Ciao, Naruto-kun. >> mormorò infine, accarezzando quel freddo sorriso << Hai visto? E’ tornato il tuo cane da guardia. >>
Mi sta prendendo in giro?, si chiese Sasuke, ascoltandola parlare con la lapide, con uno sguardo perplesso che la diceva lunga sui suoi pensieri.
<< E’ sempre stato un cagnolino fedele, vero, Naru? >> chiese ancora la ragazza, trattenendo una risata << Sembra feroce, ma se lo coccoli un po’ si scioglie come un budino. >>
Sì, mi sta proprio prendendo per il culo, si disse mentalmente il ragazzo, arrabbiandosi, ha pure la faccia tosta di prendermi in giro con una lapide, per giunta, mentre il vero Naruto se la riderà a crepapelle.
Le si avvicinò a grandi passi, flettendo poi le ginocchia allo stesso modo per guardare la foto di quel baka tutto sorridente. Ignorò la fitta in mezzo al petto quando incontrò quello sguardo azzurro e giocò allo stesso gioco della giovane.
<< Yò, Naruto. >> salutò con un cenno del capo, come se fosse veramente lì << Di’ alla tua donna di smetterla di prendermi per il culo, altrimenti non rispondo di me. >>
<< Sì, certo, tanto non alzeresti un dito su di me. >> rispose la ragazza, ridendo << Spiegazzeresti la tua bella camicia firmata! >>
<< Ma che cavolate spari? >> la guardò con uno sguardo davvero allibito << Non sono mai stato così vanitoso. >>
<< Indossi vestiti più costosi del mio Kimono, in questo momento. >> affermò, osservando il completo scuro.
<< Volevo venire elegante, semplicemente! >>
<< Certo, certo. >> rispose lei sorridendo, liquidandolo con un gesto della mano << Io e Naruto fingeremo di crederci. >>
<< Sei davvero diventata cattiva, Hinata. >> concluse lui, assottigliando lo sguardo.
Lei si strinse nelle spalle e andò a posare il resto dei fiori ai piedi delle lapide di quelli che ormai erano anche i suoi parenti, salutandoli garbatamente con un << Buongiorno Minato-san, Kushina-san, Jiraya-sama, Konohamaru-chan. >>
Lui la osservava, chiudendosi nel suo silenzio, proprio come aveva fatto cinque anni prima; tutto però era diverso, a partire da quell’incessante pioggia, ora assente, che aveva lasciato il posto ad un grande sole che illuminava sereno quella giornata.
Hinata faceva gli stessi movimenti leggeri, ancora carichi di emozioni taciute, mormorando le stesse frasi di preghiera, chiudendo gli occhi appena in un’espressione un poco più serena.
Era strano guardarla, vederla in carne e ossa, simbolo di tutto ciò a cui nel giro di una notte aveva rinunciato, ma andava bene così, in fondo, non aveva desiderato altro che quel momento, nonostante gli lasciasse addosso tanta tristezza che sapeva di rimpianti.
Attese ancora qualche altro momento, poi la donna si voltò, con grazia, e gli sorrise appena.
<< Adesso andiamo a casa, Sasuke. >> disse, e nonostante il tono sembrasse dolce, non ammetteva risposte.
L’altro annuì leggermente nella sua direzione << Mi segui con la tua macchina? >> le chiese, tranquillo.
<< Non sono venuta con la macchina. >> rispose lei,  cominciando a camminare verso l’uscita del cimitero.
<< Mi stai dicendo che vieni qui tutte le mattine a piedi? >> domandò lui, celando il suo stupore << Fai tutta quella strada a piedi? >>
<< Sì. >> replicò come se fosse la cosa più normale del mondo << Tutte le mattine. >>
<< Tu sei matta. >> sbottò lui, tirando fuori dalla tasca le chiavi della sua nuova Mercedes per non far scattare l’antifurto.
Hinata osservò per un attimo l’automobile a cui si stavano avvicinando: una Mercedes nuova di zecca, ampia, alta e costosa, di un nero scintillante. Rise di gusto mentre lasciava che Sasuke le aprisse lo sportello.
<< Sei diventato davvero vanitoso, ‘suke! >> eruppe in una risata bella e cristallina, di quelle che non si vedevano da tempo << Vanitoso e superficiale, una perfetta teenager! >>
L’altro assottigliò gli occhi, infastidito.
<< Smettila di prendermi per il culo, adesso. >> le disse infatti, con una nota leggera di accidia, per poi sedersi accanto a lei e mettere in moto.
E rivide la stessa scena davanti agli occhi, quella di tanti anni addietro, in cui si abbracciavano in quella macchina, in quel parcheggio, nascosti dalla notte, mentre tutt’attorno il mondo piangeva, ed un’altra fitta lo investì in pieno petto. Stava letteralmente marcendo per i rimorsi.
Che cavolo di giornata assurda, si disse, tentando di scacciare quei pensieri dolorosi, ed è appena cominciata. Eppure aveva affrontato così tante cose diverse e intense, in quelle ore, che si stupì di se stesso. Per mesi aveva rimandato il ritorno proprio per il terrore di non essere abbastanza forte per affrontare tutto ciò che lo aspettava, ma era bastato che quella giovane donna si presentasse al suo cospetto per rendere tutto più semplice. Perché Hinata gli aveva già dimostrato il suo perdono per averla abbandonata a se stessa senza che glielo chiedesse, perché era riuscita a farlo avvicinare e parlare con quella lapide tanto temuta senza che se ne accorgesse, perché c’era sempre stata, per lui, pronta a rendere tutto più leggero e facile.
<< Grazie. >> mormorò, stringendo il volante fra le mani, senza riuscire a voltarsi per guardarla in volto.
Ascoltò attentamente il respiro di lei cambiare, sospirare, farsi più lento e pesante. Senza bisogno di guardarla, capì che anche Hinata non aveva il coraggio di guardarlo, in quel momento, sovrastata dai mille pensieri che le impazzavano le sinapsi, e che aveva voltato il viso, lasciando che il suo sguardo si perdesse fra il verde luminoso di quella mattina.
<< Non ci pensare. >> gli disse soltanto, la voce più bassa di un tono << Qualsiasi cosa sia, non ci pensare. >>
 
In macchina erano rimasti in un silenzio pacato e rilassato. Ognuno era avvolto nei propri pensieri, ma, nonostante gli anni in cui erano rimasti distanti, indugiava una strana sorta di familiarità. Hinata aveva liberato i capelli dalla treccia in cui erano costretti in un gesto intimo e sereno, passandosi con gesti lenti e precisi le dita fra le ciocche, liberando nell’aria un tenue profumo di cocco, diverso da quello che Sasuke ricordava.
Non era passato molto tempo quando finalmente arrivarono dinnanzi alla casa. L’ultimo modello di una costosa Mercedes si posteggiò nel vialetto di casa Hyuga, e i due scesero con calma.
Sasuke si prese il tempo per mirare quel posto tanto rimembrato, cercando di abituarsi a quel luogo intriso di ricordi e di immagini perdute. A stento riuscì a trattenere un tremito quando mentalmente rivide la figura alta e longilinea del suo migliore amico attenderlo sul vialetto, a volte con un sorriso felice, a volte con un una smorfia preoccupata.
La ragazza lo fissò per lungo tempo cercando di carpire le sue emozioni. Lui era bravo a mascherarle, lo sapeva bene, ma per lei non c’erano segreti. Era capace di capire la sua emozione, la sua paura, semplicemente dal leggero fremito delle ciglia, delle labbra strette, piccole sfumature che pochi sarebbero stati capaci di notare sul volto impassibile di Sasuke. Attese, con calma, che si abituasse a quello scenario di tristi ricordi, per poi avvicinarsi lentamente ai gradini che conducevano alla porta di legno scuro. Infilò le chiavi nella serratura, poi si voltò e guardò ancora il moro, che con un leggero fremito si riscosse e la raggiunse. Allora Hinata girò la chiave nella toppa e, in quel momento, lo vide deglutire vigorosamente, impaurito da quello che stava per accadere.
Perché Sasuke lo sapeva, poteva contare sul perdono di Hinata, ma non su quello dei suoi amici, delle ragazze, almeno non nell’immediato: loro non erano capaci di mettere da parte tutti i rancori come la ragazza che aveva accanto, anzi, sapeva bene che il dolore provocatogli sarebbe stato difficile da dimenticare. Li aveva abbandonati, di punto in bianco, senza neanche salutarli, e non li aveva mai cercati in cinque anni, ma mai aveva smesso di pensare a loro, a quella che era diventata ormai la sua famiglia.  
La paura lo avvolse maggiormente quando Hinata strinse il pomello e aprì la porta, entrandovi e, dopo poco, invitando il moro a fare lo stesso. Lui la seguì, si tolse le scarpe come voleva la tradizione, camminò nello stretto corridoio tentando di non badare a tutte quelle foto di lui e camminò a testa bassa, seguendo le lunghe gambe nivee della ragazza che lo guidava con sicurezza fino alla cucina.
<< Accomodati. >> le disse la ragazza, servendogli del thè freddo << Torno fra un secondo, vado a cambiarmi. >>
La ragazza lo lasciò solo con i suoi pensieri, salendo le scale eleganti che la portavano al piano superiore.
Sentiva rumori, risate, persone parlare: non erano soli in quella casa, ed era facile immaginare chi altro sostava in quelle stanze, e ciò non fece altro che aumentare la sua ansia. Il momento della verità era vicino, incredibilmente, e nonostante fosse strano per lui essere ansioso, impaurito, non poteva fare a meno di pensare che quell’avvenimento lo aveva cambiato nel profondo, anche se tentava di mantenere a stenti quell’immagine irreprensibile che si era creato con gli anni.
Dopo anni di solitudine, di mesi di viaggio, era strano sentire tante voci, tanta vita, attorno a sé; un mondo nuovo, con tanti aspetti di quello vecchio, si stava creando intorno alle sue alte mura di difesa che aveva innalzato nel corso degli anni e rafforzato in quell’ultimo periodo.
Finì la sua bevanda in silenzio, quando vide ricomparire Hinata, con abiti scuri e comodi, intenta a legarsi i capelli in una coda alta.
<< Vuoi qualcosa da mangiare? >> gli chiese con tono calmo, sistemando piatti e scodelle rimaste in cucina dall’ultima colazione.
Sasuke prese ad osservarle e ciò non fece altro che dargli ulteriore conferma delle sue teorie: Hinata non viveva più da sola in quella casa.
<< No, come se avessi accettato. >> mormorò, rendendosi conto che ancora non aveva risposto << Sembri una perfetta donna di casa. >>
Hinata si voltò brevemente mostrandogli un sorriso accennato: << Non fare l’idiota, Sasuke. >>
<< Sono serio. >> rispose lui, appoggiando distrattamente il mento al palmo << Sei davvero cresciuta, cambiata, maturata. >>
Invece di arrossire imbarazzata come un tempo, la mora si rabbuiò. Abbassò gli occhi, sconsolata.
<< Ho dovuto… >>
<< Oh, Hinata, sei tornata! >> una voce alta e maschile eruppe nella stanza, distogliendoli dai loro discorsi. Kiba era appena entrato nella stanza e, quando si rese conto della scena, ammutolì, profondamente stupito: le braccia erano ricadute molli lungo il corpo, la bocca si era socchiusa. Poi tutto in lui cambiò: strinse i pugni e serrò la mascella bronzea, arrabbiato.
<< Sasuke. >> grugnì, ma non ebbe il tempo di infierire oltre che un piccola cosa arrivò nella stanza correndo e ridendo, inseguito da una Hanabi cresciuta e quasi irriconoscibile.
Sasuke si soffermò a guardare quella novità inaspettata sotto forma di un bambino di quattro anni che aveva la forza di un uragano. Pelle bianca, naso piccolo, lineamenti dolci, capelli color blu notte. Continuò a correre attorno alla cucina ridendo felice, poi si accorse dell’intruso e si fermò di colpo guardandolo pieno di stupore, con gli occhi spalancati.
Occhi blu cielo.


 
<< Non l'avresti mai detto, neh, Sasuke? >>


 

Angolino di Tomoko.
Sono tornata! Ecco qui il primo vero capitolo della storia,
con il primo incontro fra Sasuke e Hinata. Questo capitolo
è un Sasuke POV, si può dire: ci sono solo i suoi pensieri e
in gran parte solo le sue emozioni. Ha rivisto Hinata! E 
grazie a lei e riusciuta ad "affrontare" Naruto, perchè se
fosse stato solo probabilmente non si sarebbe avvicinato,
sarebbe rimasto in silenzio a rimuginare su cosa dire per
poi andarsene senza concludere nulla. Non credete anche 
voi? :) E poi, a casa.... vede una "cosa" strana... una cosa 
che assomiglia ad Hinata e gli occhi azzurri! In molti mi
avevate detto che immanigavate un pargoletto tutto uguale
a Naruto, ma non è così, proprio per incentrare l'attenzione
sugli occhi. Ricordate? Il titolo è "Occhi Paradiso"! E lo è
per molti altri motivi, che vedremo più avanti!
Cosa devo dire ancora? GRAZIE! 14 recensioni solo per il
prologo, non me lo aspettavo di certo! Devo dire che è stato
un piacere rivedere vecchie conoscenze, esattamente quanto
è stato bello incontrare nuovi recensori che hanno letto tutta
la prima storia! Grazie davvero! Spero che mi riscrevete per 
questo capitolo!
E niente, alla prossima, per sapere il nome, molto importante,
del bambino!

 

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Capitolo 3
*** I due fiumi. ***


Gli ultimi sognatori.
Occhi Paradiso.
I due fiumi.
[Pericoli in avvicinamento.]
 
[Ludovico Einaudi: I due fiumi.]
Sasuke aveva sgranato gli occhi, stupito, fissandoli in quelli del bambino davanti a sé, che lo guardava a sua volta. Quegli occhi, di quell’azzurro cielo così mistico e pieno di sogni, non potevano che trafiggergli il cuore già martoriato, infierendo un altro colpo, duro quanto uno schiaffo, perché quegli occhi erano troppo simili ai suoi.
<< Su birba, saluta. >> mormorò Hinata, con una voce dolce e tenera che non le aveva mai sentito adoperare e che lo insospettì molto.
<< Ciao! Io sono Kurama! >> disse il bambino con voce sprizzante, appena capì di potersi fidare << Tu sei un amico della mia mamma? >>
A quelle parole Sasuke non seppe bene a cosa credere. Strabuzzò gli occhi, li aprì e li chiuse più volte, incredulo, poi fissò Hinata, che adesso lo guardava con un sorriso incerto.
Allora capì, perché quei capelli morbidi e blu notte e quei lineamenti tanto dolci non potevano che essere di Hinata, mentre quegli occhi azzurri, sognanti, fantasiosi, sprizzanti di vita, non potevano che appartenere a lui. Come cavolo era potuto succedere senza che se ne accorgesse?
<< Sì… >> mormorò, frastornato << Io sono Sasuke. >>
<< Che nome buffo! >> rise il bambino, per poi correre dalla mamma, che lo prese prontamente in braccio << ‘Kaa-chan, non voglio andare all’asilo… posso? Posso? >>
Hinata sospirò, contrita. << La mamma deve lavorare, birba… Se vai all’asilo ti preparerò una cena con i fiocchi, va bene? >>
<< Sì! >> urlò entusiasta il bambino, per poi stringersi alla madre << Ramen! >>
<< Va bene, amore… >> Hinata aveva voglia di ridere, ma guardò sconsolata Sasuke, ben sapendo ciò che in quel momento gli passava per la mente: quel bambino era uguale a Naruto << Vai a prendere la cartella, su. >>
Lo rimise giù e il bambino, come fosse caricato a molla, corse verso la stanza dalla quale era sbucato. I restanti rimasero in silenzio, e tutti, a parte Hinata che aveva abbassato lo sguardo, si guardavano a vicenda. Nessuno sapeva cosa dire e Sasuke, tentando di non pensare a ciò che poco prima lo aveva sconvolto, prese a osservare le figure dei suoi due amici, così cambiati in quegli anni.
Kiba era diventato più alto, un poco più muscoloso, la pelle era ancora bronzea, gli occhi bruni lo fissavano inquisitori, la mascella rasposa era contratta, un piccolo piercing ultimava il sopracciglio e numerosi orecchini gli adornavano un orecchio. Era vestito come al solito, con le prime cose che trovava alla mattina, senza alcuna cura, sembrava un vandalo, eppure era diventato molto più uomo. Hanabi, al suo fianco, era tutto il contrario. Osservarli insieme era come guardare un biscotto per metà bianco e per metà nero. Infatti, Hanabi aveva la stessa pelle nivea di Hinata, i lunghi capelli scuri ondulati, era cresciuta un poco in altezza e i tacchi alti l’aiutavano, era elegantissima, con la camicetta e la gonna a tubino nero, un poco come Hinata tanti anni addietro, quando ancora lavorava per quell’idiota di Hiashi, ma aveva una eleganza diversa, ed il suo sguardo era duro e arrabbiato, pronta a lanciare scintille.
<< Con quale faccia tosta… >> cominciò Kiba, la voce che graffiava i timpani << … ti ripresenti qui dopo così tanto tempo? >>
Il moro lo guardò a sua volta, fissando lo sguardo nel suo, come rispondere?
<< Questa è anche la mia città. >> riuscì solo a dire, e non ebbe nemmeno il tempo di rispondere che Kiba gli fu addosso: lo aveva preso per il bevero e lo aveva sbattuto con forza contro il muro, ignorando bellamente il guizzo di Hinata. Sasuke lo lasciò fare, non si ribellò.
<< Non lo è più da quando ci hai abbandonato, brutto bastardo! >> urlò, arrabbiato << Sei uno sporco vigliacco! Hai distrutto gli Origin! >>
<< Non c’erano più, gli Origin, Kiba… >> mormorò a stento il giovane accusato << Colpiscimi se ti fa stare bene, colpiscimi quanto vuoi, ma questo non sistemerà le cose… >>
Kiba lo strinse più forte, lanciandogli uno sguardo d’odio.
<< Kiba, lascialo. >> implorò Hinata, che gli era corsa vicino << Almeno ricordati che c’è Kurama di là… >>
Il moro grugnì, arrabbiato, ma lentamente mollò la presa sull’amico, che si massaggiò il collo infastidito.
<< Scusami. >> mormorò Kiba in direzione di Hinata << Ma vorrei tanto ucciderlo. >>
<< Lo farai quando saremo uscite di qui. >> la risposta fu dura << Chiama Shikamaru… >>
Il ragazzo annuì e si defilò, non senza lanciare un’ultima occhiata di odio puro a Sasuke, che non si aspettava niente di diverso.
Hinata si passò una mano sulla fronte, sconsolata, per poi massaggiarsi brevemente il collo. Socchiuse appena gli occhi per guardare Sasuke, che la stava guardando a sua volta con uno sguardo fra il rattristato e l’arrabbiato. Non sapeva proprio a cosa pensare, né come uscire da quella situazione. All’improvviso, dopo anni in cui aveva tentato di ritrovare una sorta di serenità in
teriore, procedendo a stenti, la sua vita era stata nuovamente stravolta: perché Sasuke era tornato dopo aver provocato malcontento generale con la sua fuga, perché lei aveva desiderato così tanto il suo ritorno che nonostante tutto il dolore lo aveva abbracciato e quasi perdonato, perché gli altri non erano in grado di fare lo stesso, troppo arrabbiati e confusi per lasciar perdere cinque anni di distruzione. Era una situazionura, dura e difficile, che non sapeva affrontare.
<< Vado da Kurama… >> mormorò dopo poco, lasciando che le braccia le ricadessero lungo il corpo.
In silenzio, un passo dopo l’altro, uscì dalla stanza alla ricerca del figlio.
Sasuke alzò in quel momento lo sguardo ed incrociò quello di Hanabi.
I suoi occhi parevano lanciare lame di fuoco, per quanto era arrabbiata. Con tutta se stessa desiderava spaccare la faccia del suo caro amico ritrovato, come poco prima aveva affermato il suo ragazzo. Ma tra dire e fare c’è di mezzo il mare, e Hanabi, vestita di tutto punto pronta ad andare lavorare alla Moon’s eyes, in quanto costumista e scenografa, non aveva nessuna voglia di sporcarsi le mani. Invece, era ben pronta per fare una bella ramanzina all’uomo, così gli si avvicinò di qualche passo e si appoggiò all’isola, proprio davanti a lei.
<< Non ti ho mai capito davvero, Uchiha. >> cominciò, ed ignorò deliberatamente l’occhiata infastidita del moro << Ma hai salvato mia sorella. E te ne sarò per sempre grata. Sempre. >> a queste parole i due si guardarono e i loro occhi si scheggiarono di lacrime << Però… l’hai distrutta. Magari non sembra, non lo dimostra, sai perfettamente com’è fatta. Ma è stata male, malissimo, l’hai demolita, hai preso un martello e l’hai schiacciata. Non hai idea di quello che ha passato in questi anni. E a meno che tu non ti dia da fare, io non ti perdonerò mai. >>
Sasuke distolse lo sguardo, frastornato. Non sapeva bene cosa pensare e ciò lo confondeva.
Il vecchio se stesso, quello che c’era prima della morte di Naruto e maggiormente quello che c’era ancor prima dell’incontro con quelle buffe ragazzine Hyuga e company, avrebbe pensato che era assurdo lasciarsi fare la paternale da una mocciosetta – non più così tanto mocciosa – e avrebbe inveito contro di lei, da perfetto bastardo. Ma adesso, il Sasuke di quell’istante, quello che aveva affrontato un anno di cambiamenti, la morte del suo migliore amico e ben cinque anni di viaggio solitario voluti, era incapace di rispondere per la veridicità di quelle parole così aspre e forti, così prese a mordicchiarsi il labbro inferiore, agitato.
<< Sasuke. >> mormorò Hanabi, che per una volta capì i pensieri del giovane uomo << Ho bisogno della tua parola d’onore, altrimenti non credo di poterti lasciare riavvicinare a Hinata… so che posso fidarmi della tua parola. >>
<< Non le farei mai del male. >> eruppe lui, rispondendo d’istinto << Non mi fido più di me stesso, ma non le farei mai del male. Mai. >>
Hanabi annuì, poco convinta, ma non ebbe il tempo di dire altro, perché la sorella maggiore entrò nella stanza con in braccio Kurama, ed in quel momento Sasuke la guardò e si ritrovò a provare ammirazione verso quella donna così coraggiosa, che evidentemente aveva passato cose indicibili, che moriva dalla voglia di conoscere, e che aveva avuto la forza di crescere da sola quel bambino frutto di un amore passionale quanto doloroso, continua immagine di un passato duro da dimenticare. Era bella. Quando teneva in braccio suo figlio, o lo guardava semplicemente, sembrava tranquilla e serena. Una donna giovane, eppure matura da così tanto tempo che era semplice immaginarla nel ruolo di madre. Lo aveva fatto con sua sorella, ma era diverso farlo per un esserino che aveva messo al mondo lei, il cui destino dipendeva dall’educazione che gli avrebbe dato lei. Lo teneva in braccio, e si assomigliano tantissimo nel fisico, ma lui era un uragano – come il padre – e le riempiva il mondo di colori – pasticciando, ma comunque colori bellissimi - . Erano una famiglia.
<< Noi siamo pronti. >> annunciò la donna, rivolgendosi alla sorella e poi al figlio << Vero, birba? >>
<< Sì! >> esultò il bambino, che stringeva la sua cartelletta << Andiamo a giocare! >>
<< Sì, amore, adesso vai a giocare all’asilo! >> gli rispose Hinata, per poi guardare preoccupata la sorella << Facciamo tardi, Hanabi. >>
<< Hai ragione. >> rispose la ragazza, remissiva << Prendo le chiavi. >>
Hanabi andò in soggiorno per prendere le chiavi della macchina, che ormai era diventata sua, dato che Hinata non riusciva più a guidarla. Quest’ultima, rimasta da sola con il ragazzo che era ancora appoggiato al muro con la schiena, lo guardò preoccupata.
<< Tutto ok? >> chiese, cercando di rintracciare tutto quello che era successo fra lui e la sorella attraverso lo sguardo.
<< Sì. >> mormorò il moro << Alla grande. >>
Non disse altro per paura di infierire oltre e, per un caso fortuito, Hanabi alzò la voce per dire che era pronta ad andare.
<< Allora noi andiamo. >> disse Hinata << Buona giornata, Sasuke. >>
<< Anche a voi. >>
La ragazza si voltò e si incamminò verso l’ingresso. Sasuke riuscì a distinguere i suoi passi, quelli di Hanabi, e la voce squillante di Kurama.
<< ‘kaa-chan, è così buffo quel signore! >>
<< Non dire così, birba. >> lo rimproverò lei << Non è così buffo… e non è un signore, lui è zio ‘suke. >>
 
Era seduto sul divano di pelle scura, davanti al camino vuoto e alla televisione spenta, la testa reclinata all’indietro e lo sguardo rivolto verso il soffitto, quando Kiba entrò nella stanza silenzioso, seguito da un Shikamaru alquanto scocciato, seppur sorpreso. Quest’ultimo si avvicinò a Sasuke e attese in silenzio che il moro spostasse le gambe dal tavolino a cui erano appoggiate, cosa che, dopo uno scambio di sguardi, l’uno eloquente, l’altro infastidito, avvenne senza bisogno di parole. Shikamaru si sedette sul tavolino, giusto davanti all’amico ritrovato. Kiba rimase in piedi, distolse completamente lo sguardo, che posò su quadri e quant’altro fingendo di non essere interessato, anche se aveva le orecchie ben tese. 
<< Sasuke. >>
<< Shikamaru. >>
I due si salutarono in quel modo freddo e abituale guardandosi negli occhi scuri, dal taglio diverso e particolareggiato, alla ricerca di chissà quali pensieri.
<< Sei tornato. >>
<< Evidentemente sì. >>
Quello scambio di battute fra di loro appariva quasi surreale, ma non esisteva che si scambiassero più di qualche parola: Shikamaru era troppo arrabbiato, Sasuke ancora troppo orgoglioso per lasciarsi andare alle scuse così facilmente.
Certo era che gli anni di conoscenza fra i due rendeva tutto un po’ più semplice, perché era facile sfogliarsi alla ricerca della verità. Ma il dolore provato in quegli anni, spingeva Shikamaru a inseguire quel perdono e quelle scuse per altre vie; voleva che lui fosse abbastanza forte da assumersi le proprie responsabilità e chiedere di essere perdonato, mentre per se stesso cercava un modo per dimenticare che il perdono non sarebbe mai esistito senza le dovute attenuanti.
<< Perché? >>
<< Cosa perché? >>
<< Perché sei uno stronzo, figlio di putta…. >> Kiba urlò arrabbiato, ma venne interrotto da Shikamaru.
<< Kiba. >> disse infatti, ferreo << Ti prego. >>
Il ragazzo strinse i pugni arrabbiato e tornò a guardare le foto poste al muro, furente.
Shikamaru tornò a guardare Sasuke negli occhi, incitandolo a rispondere.
<< Perché sei andato via, Sasuke? >> chiese, spiegandosi meglio.
<< Perché… >> il moro tornò a chiederselo, mentalmente, perché la verità era che neanche lui lo sapeva << Perché lui mi aveva affidato alcune cose da fare. >>
<< Potevi aspettare, potevi dircelo, avvisarci! >> rispose Shikamaru, per nulla sorpreso da quella risposta << Perché sei scappato via come un ladro? >>
Sasuke distolse lo sguardo, provato << Non è stata una scelta facile. >>
<< Sasuke, rispondi, perché diavolo non ci hai avvisato? >> chiese, perdendo un po’ di autocontrollo << Perché non ci hai fatto nemmeno una chiamata in questi anni? >>
<< Perché… diamine, Shikamaru, basta! >> urlò, alzandosi in piedi di scatto, deciso a mantener saldo il proprio onore << Non ho bisogno del terzo grado! >>
Si spostò, in brevi falcate si diresse verso l’ingresso, dove Kiba gli bloccò il passaggio. In quel momento Shikamaru capì che aveva perso quel poco di apertura che si era guadagnato nei confronti del moro. Perché continuava a nascondere il vero motivo? Quella era la domanda più difficile a cui rispondere.
<< Dove credi di andare? >> domandò Kiba, che mostrava i denti aguzzi come un lupo feroce << Hai ancora voglia di scappare con la coda tra le gambe? >>
Sasuke sentì distintamente le mani cominciare a prudergli per la voglia di sferrare pugni.
Shikamaru era accorso, pronto a calmare gli animi o, per una volta, a gettarsi nella mischia, ma in quel momento qualcuno suonò prepotentemente alla parta, così il moro si diresse verso di essa per aprirla, sicuramente grato a qualche Kami per la fortunata coincidenza.
Socchiuse la porta e si trovò davanti un altro Uchiha, che con un gesto deciso e repentino si introdusse nell’ingresso, guardando fisso davanti a sé alla ricerca di…
<< Sasuke! >> urlò entusiasta, andando incontro al fratello che, alla sua vista, aveva sentito sciogliersi la tensione nelle spalle e si lasciò abbracciare << Otouto! >>
<< Ciao, Itachi. >> lo salutò il minore, che nonostante tutto era felice di rivederlo.
<< Per tutti i Kami, non sei neanche passato da casa! >> lo rimproverò, prendendo a scompigliargli i capelli nonostante fossero uomini grandi e cresciuti << Non fosse stato per Hinata, non avrei mai saputo che eri tornato, eh? >> gli diede un buffetto sulla fronte, incurante dello sguardo infastidito del fratello minore. Poi tornò calmo e sereno, come il solito normale Uchiha << Su, andiamo a casa, sarai stanco… E non voglio sentire “a” dalle vostre bocche, ok? E’ mio fratello, lo ucciderete più tardi. >> disse infine, rivoltò agli altri due ragazzi, che non risposero.
Così Itachi sospinse Sasuke verso l’uscio, chiudendosi la porta alle spalle, d’innanzi ai due volti degli amici rimasti inebetiti. Anche Sasuke lo guardava in modo diverso, con occhi brillanti seppur un poco rimembri del fastidio e della rabbia precedenti.
<< Ho la sensazione di aver appena salvato il mio povero otouto dalle fauci del nemico! >> scherzò Itachi, lanciando un ultimo sguardo irrisorio al fratello.
 
Rientrare in quella casa dopo cinque anni, buttando le chiavi con fare distratto nella ceramica posta sul tavolino, le scarpe lasciate in disordine all’ingresso, la giacca lanciata sul divano, era strano e familiare allo stesso tempo. Con pochi istintivi passi si diresse verso la cucina, in seguito aprì il frigorifero e in modo apatico prese una bottiglia di birra che fumò freddo quando venne stappata. Prese a sorseggiarla, appoggiato con i reni al lavabo.
Il suo salvatore, Itachi, entrò nell’ambiente e lo guardò per poco, per poi passare davanti a lui e cominciare a togliere qualche alimento dal frigorifero: salsa, carne, mozzarella, pomodorini.
Sasuke lo guardò, continuando a bere. Itachi era cambiato, non tanto nel fisico, ora di un poco più che trentaduenne, ma nel comportamento e nel vestiario. Non indossava più il solito abito gessato da triste agente finanziario, ma jeans e T-shirt, abiti smessi che ricordava appartenergli, che insieme alla lunga coda di capelli scuri lo faceva sembrare un poco hippie. Gli faceva strano guardarlo. Il suo aspetto ricordava un po’ se stesso qualche anno addietro.
<< Una birra alle undici di mattina? >> lo rimproverò sottilmente il fratello, mettendo a soffriggere della cipolla tagliata finemente.
<< Sei tu quello strano, qui. >> rispose Sasuke, freddo.
<< Perché? >> chiese Itachi, inarcando un sopracciglio, stupito.
<< Guarda come sei vestito. >> lo criticò lui, sbottonandosi la camicia << E perché sei qui a quest’ora? Perché non stai lavorando? Non ti dicono niente? >>
Era evidente che fosse curioso, così, Itachi, che comunque aveva sentito raramente il fratello in quegli anni, decise mentalmente di vendicarsi facendolo attendere e sogghignò fra sé e sé. Rimase in silenzio quindi, facendo si che il fratello si infastidisse maggiormente.
<< Allora? >> bofonchiò infatti il morò, dopo aver grugnito contrariato.
<< Indovina. >> cominciò a giocare versando la salsa nella padella e tagliando i pomodorini a metà.
<< Aaah, Itachi, smettila. >> gli rispose lui, finendo di bere la sua birra << Sembri un bambino. >>
<< Sì sì certo. >> disse l’altro << Ma se vuoi le risposte devi stare al mio gioco. >>
Sbuffò, sonoramente, poi si arrese, e scocciato provò: << Ti hanno licenziato? >>
<< No! Scherzi? >> rispose l’altro, leggermente offeso per quell’assurda teoria, << Figurati se licenziano me. >>
<< Certo, va bene. >> mormorò l’altro, per nulla stupito di quell’orgoglio da Uchiha << Allora cosa? Illuminami, saccente. >>
Itachi tamburellò sul piano della cucina trattenendo a stento un sorriso mentre imitava un rullo di tamburi << Ho cambiato lavoro! >>
Fu la volta di Sasuke di inarcare un sopracciglio, incuriosito << Cioè? >>
<< Indovina! >>
<< Per tutti i kami, Itachi! >> ecco perché suo fratello lo infastidiva sempre: nonostante fosse un Uchiha a tutti gli effetti e perciò testardo e irreprensibile, certe volte amava mostrarsi come uno “spirito libero” << Dillo e basta! >>
<< Ok, ok, calmati! >> sorrise, decidendo che si era divertito abbastanza << Sono il responsabile finanziario della Moon’s eyes. >>
Ottenne finalmente l’attenzione del fratello, che posò i suoi occhi scuri e stranamente glaciali sul suo volto.
<< Ah. >> disse solo, lapidario.
<< Perciò, stamattina Hinata è entrata nel mio ufficio e mi ha detto brevemente quello che è successo questa mattina. >> continuò lui, buttando le fette sottili di carne nel sugo << E dato che lei è davvero un ottimo capo, mi ha dato la mattinata libera. Voleva che stessi con te e che, insomma, ti salvassi da quei due cani feroci. >>
Sasuke gettò arrabbiato la bottiglia nel cesto e uscì dalla cucina: Hinata lo aveva aiutato. Di nuovo.

 
<< Sei il solito acido, neh, Teme, ? >>



 
Angolino di Tomoko.
Allegria portami via!
Sono tornata! Pure in orario, dai, dato che sto aggiornando ogni lunedì!
Che dire? Ecco qui il nuovo capitolo. Pazzo, pazzo capitolo, con le reazioni
di un pò di tutti? Il bambino si è presentato! Vi piace il nome? Più avanti si
spiegherà il motivo n.n Perchè tutti credevate che fosse una femmina? o.O
Eh... Hanabi che cerca fiducia... Kiba incazzato nero che quasi ci ammazza
a 'suke... Shikamaru che cerca risposte... Sasuke che non reagisce e si 
chiude a riccio... Sasuke: EHI! Io: Zitto! Che ti cucino con la pasta.
Vabbè, scherzi a parte, capitolo depreeeesso. Forse il prossimo lo sarà 
di più... anzi... aspettatevi fra un paio di capitoli angst puro e discorsi
filosofici. Sono in vena.
Vi è piaciuto?? Come sempre ringrazio le dieci anime pie che hanno 
recensito lo scorso capitolo <3 Thanks!
A PRESTO!
 


 

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Capitolo 4
*** Andare. ***


Gli ultimi sognatori.
Occhi Paradiso.
Andare
[ In cerca di aiuto. ]


[Ludovico Einaudi: Andare.]
Non riusciva proprio a decidersi, quella mattina. La sua testa era per aria, non faceva che pensare a cose totalmente diverse dal suo lavoro. Certo… cose… ma a chi la dava a bere? Stava pensando a Sasuke. Che era tornato. E le stava sconvolgendo la vita dopo nemmeno quattro ore.
Cosa doveva fare? Quel benedetto ragazzo non si meritava niente da parte sua, ne era cosciente. Fosse stata normale, si sarebbe comportata come i suoi amici, pronti a prenderlo a sberle e a sputargli la loro rabbia addosso, senza riguardi. Ma lei no, lei era una Hyuga, non era normale,  e se fosse stato per il suo cognome avrebbe fatto ben altro che prenderlo a schiaffi, ma lei era Hinata Hyuga, da sempre differente a tutta la sua famiglia, perciò abituata a pensarla in modo totalmente diverso. Aveva imparato a non farsi ingannare dai pregiudizi, a non dare niente per scontato, ad immedesimarsi sempre nel prossimo per capirlo meglio: la vita gliene aveva dato prova, era il metodo giusto. Che poi la vita che le dava ragione fosse la stessa di quella che le toglieva ogni cosa buona che aveva era un altro paio di maniche, un discorso a cui non voleva ritornare proprio adesso, nel pieno delle sue lucubrazioni mentali, perse in partenza. Il punto era che si era immedesimata in Sasuke. Sapeva che se solo ne avesse avuto il coraggio, avrebbe abbandonato ogni cosa per scappare via da quella casa e da quella città che le ricordava inesorabilmente lui. Adesso che aveva avuto il coraggio di tornare, per motivi ancora a lei ignote, le persone che aveva di più care non facevano altro che dimostrargli la loro rabbia. E lei non poteva fare altro che provare un moto di pietà, che comunque mai gli avrebbe dimostrato, ben sapendo come era fatto. Non poteva fare a meno di pensare, però, che nonostante tutto era felice di poter osservare il suo viso di persona, piuttosto che in una bieca foto posta sulla sua scrivania, insieme a tante altre. E così fece scorrere lo sguardo su quest’ultime, finendo per scontrarsi con il volto sorridente di Sakura. Non poté che immaginarsi la sua faccia appena avrebbe saputo del ritorno di Sasuke, appena rientrata dal viaggio in giro per il mondo insieme a Sasori. Ahah… sento odore di guai.
La porta si aprì di scatto senza preavviso. Hinata non aveva bisogno di guardare chi era all’uscio, perché ormai era abituata a quel comportamento irruento. E pensare che lei aveva tentato di insegnarle un poco di educazione…
<< Ehi, sorella. >> esordì infatti Hanabi, che senza tante cerimonie entrò nella stanza richiudendo la porta con il tacco << Ti ho portato il pranzo. >> annunciò, esibendo due bei piatti ricolmi di insalate ricche.
<< Grazie, Hanabi-chan. >> rispose lei, spostando i documenti dalla scrivania per fare posto al pranzo che stavano per condividere << Hai sentito quel singolo che ti ho fatto mandare in ufficio? >>
<< Onee-san! Non parliamo di lavoro anche mentre mangiamo! >> la rimbeccò lei, sgranocchiando la prima forchettata << Non mi dai mai tregua! >>
<< Scusa, imoto. >> mormorò Hinata, accennando ad un sorriso << Lo sai che ormai sono tutta casa e lavoro. >>
<< Tranquilla. >> la rassicurò lei << Comunque sì e… quella ragazza è davvero brava. >>
<< Già, è forte, anche se in genere non apprezzo la musica pop. >> concordò la maggiore, prendendo un altro boccone << Solo che… >>
<< E’ pazza e lunatica. >> concluse la minore << E’ molto volubile. Mi preoccupa molto il suo carattere. >>
<< Non so se prenderla o no proprio per questo motivo. >> per un attimo divenne pensierosa << Insomma, firmare un contratto con lei sarebbe rischioso. Tu che ne dici? >>
<< Sì, hai ragione, c’è da rifletterci. >> Hanabi terminò la sua insalata << Troverai la giusta soluzione. Sei diventata un’ottima imprenditrice. >>
Hinata arrossì un poco << Grazie, Hanabi. >>
<< Sarebbero fieri di te. >> mormorò la ragazza, alzando lo sguardo sulla sorella per osservarne le reazioni.
<< Non parliamo di loro. >> sussurrò la donna, diventando improvvisamente malinconica.
<< Hai ragione, scusa. >> disse mettendo a posto i piatti del pranzo << Beh, allora cosa ne pensi del ritorno di Sasuke? >>
<< Sono contenta. >> affermò Hinata.
<< Davvero? Non sei nemmeno un po’ arrabbiata per il modo in cui ha abbandonato tutti? >>
Hinata alzò lo sguardo su di lei di colpo, piena di sgomento. << Certo che sono arrabbiata. Ma lo capisco. >>
<< Ma, Hinata… >> tentò di obbiettare, ma perse le speranze, conoscendola << Non ti fidare subito di lui, almeno… >>
<< Hanabi-chan. >> lo sguardo era ferreo, duro << Ho ventisette anni. Non ho bisogno di qualcuno che mi difenda. >>
La ragazza rimase interdetta dopo quella risposta: era riuscita a far arrabbiare la sorella. Perciò era evidente che l’argomento “Sasuke” fosse da evitare, perché era un nervo scoperto che rischiava di spezzarsi in mille pezzi da un momento all’altro. Non sapeva cosa rispondere, era rimasta a bocca aperta, ed era andata in confusione. Deglutì, sul punto di scusarsi, ma qualcuno bussò alla porta.
<< Avanti. >> disse seria Hinata, la voce ferma.
La porta si scostò di poco lasciando lo spazio sufficiente per permettere alla testa capelluta di Itachi di sbucare allegra.
<< Hinata-san, sono tornato. >> annunciò, non muovendosi di un passo, per poi sorridere felice << Grazie per la mattinata libera. >>
<< Di niente, Itachi-san. >> rispose lei, ricambiando il sorriso << Piuttosto, tutto bene? >>
<< Sì, tranquilla. >> la rassicurò lui << Torno a lavorare. Se hai bisogno, chiama pure. >>
Detto questo richiuse la porta, incamminandosi verso il suo ufficio, senza attendere risposta.
Sarà soltanto una sensazione, pensò Itachi, con un sorriso soddisfatto, ma credo di aver salvato un altro povero cucciolo smarrito, questa mattina!
 
<< ‘ji-san? >> mormorò il bambino, smettendo all’improvviso di spostare il pastello blu sul foglio.
<< Sì, Kurama? >> rispose Kiba, continuando a guardare distrattamente la solita scena di bacio presente in tutti i filmetti del pomeriggio << Che c’è? Vuoi che ti aiuti con il disegno? >>
<< No.. >> il bambino sembrava assorto nei suoi pensieri << Quando torna ‘kaa-chan? >>
<< Non manca molto, sono quasi le sette di sera. >> affermò il moro, guardando l’orologio affissò sul muro del salotto, con aria familiare << Perché? Se hai bisogno di qualcosa puoi chiedere pure a me, lo sai. >>
Guardò il bambino, che aveva rivolto lo sguardo nuovamente verso il disegno, senza continuarlo. Raffigurava la loro bella casetta, la sua mamma, con lunghi capelli blu e occhi che si confondevano con il foglio bianco, se stesso, gli stessi capelli e la mano appena accennata stretta a quella della madre, e poi un uomo, alto, perso nella parte alta del cielo, con capelli biondi e occhi azzurri come i suoi. Amava quel bambino, con tutto se stesso, e gli faceva male vederlo così solo e bisognoso, delle volte. Non che fosse realmente solo, certo, aveva sua madre, sua zia, tutti quegli strani amici che gli facevano da zii, fra i quali lui stesso: a volte quella casa era talmente affollata che era difficile respirarci, senza incappare in amoretantozuccherosodaprendereildiabete. Però quel bambino talmente estroverso, giocoso e dal sorriso facile, perdeva spesso il suo sguardo nel vuoto, o più spesso oltre la finestra, con quegli stessi occhi cielo che amavano sognare ma che quando rimaneva assorto diventavano tutti seri e cupi. Perché quel bambino era intelligente, troppo per avere quasi cinque anni, ed era bello che fosse capace di parlare, camminare, saltare, contare, ma non lo era così tanto quando capiva di essere orfano di padre, che nonostante tutto non avrebbe mai incontrato capelli biondi e viso bronzeo in una persona diversa dalla sua cerchia familiare.
Hinata aveva voluto essere sincera con lui. Era una madre modello, lavorava sodo, non si prendeva mai una pausa per se stessa e amava raccontare le favole al suo bambino, ma mai avrebbe mentito sul motivo di quell’assenza: << Naruto, tuo padre, non c’è più, è in Paradiso, un morbo e un brutto incidente gli avevano fatto del male, così alcuni angeli lo hanno salvato e lo hanno portato in Cielo >>. Sapeva quanto male le facesse pronunciare quel nome, ma voleva che fosse ben presente nella memoria del figlio: per questo motivo evitava di pensare a lui con troppa insistenza fuori dalla cameretta del figlio, per questo il più delle volte si sentiva la sua voce dire “lui” e non “Naruto”, ma non aveva mai tralasciato la verità davanti al figlio. Lui aveva capito – perché come già detto, era incredibilmente intelligente – e raramente ammetteva di sentire il bisogno di quella presenza, soprattutto davanti alla madre che, quando glielo diceva, cominciava a parlare di lui con voce rotta e lacrime agli occhi. Così era diventata quasi un’abitudine per tutti parlare di Naruto senza mai citarlo realmente, inserendo la sua opinione fra le righe, quel “lui” sempre presente.
Così, un giorno di alcuni anni prima, vedendo quel bambino che non aveva nessuno da chiamare “papà”, si era ripromesso di essere sempre presente nella sua vita, offrendosi volentieri di fargli da baby sitter e di occuparsi di lui mentre gli altri non c’erano. Hinata lavorava, Hanabi pure, Shikamaru aveva finito gli studi e poi era diventato commissario, Ino aveva incrementato la produzione degli Yamanaka, tutti erano impegnati in qualcosa, mentre lui… non aveva voglia di fare altro che non fosse musica, così campava di rendita e continuava a scrivere e suonare, offrendo di tanto in tanto la sue esperienza in alcune scuole lì a Tokyo. Insomma, aveva tanto tempo libero, mentre gli altri no, e così non c’era gioia più grande che andare a prendere suo nipote tutti i pomeriggi all’asilo, comprargli un gelato, aiutarlo con i “compiti”, giocare con lui aspettando il ritorno della mamma. Una buona fetta della sua educazione spettava a lui, e Kiba non si era mai sentito così importante. Era una delle figure di riferimento di quel bambino, quindi non poteva permettersi errori.
<< Volevo chiederle… >> mormorò nuovamente il bambino, che adesso lo guardava negli occhi << ‘Ji-san, ma quel tipo è un tuo amico? >>
<< Se intendi Sasuke, sì, lo è. >> interiormente si infuriò, perché il suo “amico” era appena tornato e già minacciava di distruggere gli equilibri di casa << Perché? >>
<< Era amico anche di ‘tou-chan? >> chiese alla fine, gli occhi di un azzurro pieno di speranza.
Per un attimo rimase a bocca aperta. Con poche parole, con una domanda schietta e semplice, Kurama era riuscito a mettere sale su una ferita aperta.
<< Sì, lo era. >> rispose, decidendo di continuare con quella linea di sincerità << In realtà, Sasuke era il migliore amico di tuo padre. Si conoscevano fin da bambini. >>
Kurama socchiuse la bocca, stupito, poi sorrise.
<< Allora posso chiedergli tutto quello che voglio sul mio ‘tou-chan? >> domandò ancora, afferrando un lembo della maglietta dello zio, seduto con lui sul divano << Vero, ‘ji-san? >>
Kiba fissò il volto paffuto e speranzoso del bambino, l’ampio sorriso, le guance rosate, gli occhi azzurri spalancati, un mare intenso alla ricerca del giusto vento per un po’ di onde da surf. Non riusciva proprio a mentirgli, sapeva che era suo dovere dirgli la verità, ma desiderava ardentemente raccontagli una favola, piuttosto che una bugia che avrebbe rischiato di ferirlo, e si odiava per questo suo desiderio. E odiava Sasuke. Tanto.
<< Senti, io non so se potrai chiederglielo… >> gli scompigliò i capelli appena vide il suo volto rabbuiarsi << Ma glielo chiederò io, va bene? Se mi dirà che potrai, sarai libero di chiedergli tutto ciò che vuoi! >>
<< Grazie, ‘ji-san! >> esultò il piccolo, mettendo le braccia al collo del moro per spingere con la sua testolina sul suo petto, prontamente stretto dallo zio.
<< E adesso… solletico ! >> proruppe Kiba, prendendo a fargli il solletico sul pancino mentre il bambino sghignazzava bellamente << Guarda! Le senti le pulci che ti saltano addosso? >>
Il bambino rideva, felice, Kiba pure, mentre lo immobilizzava sul divano scostando tutti i cuscini, inutile mantenere ordine in quella casa, con quei due in giro! Fecero così tanto baccano, che non si accorsero del tempo che passava e, dopo un po’, delle chiavi che girarono nella toppa.
<< Voi due! >> esalò una voce alta e decisa, improvvisamente poco distante da loro << Fermatevi subito! >>
I due si bloccarono sul posto di colpo. Kiba era steso sul divano ormai sfatto e aveva reclinato il capo per osservare il suo interlocutore, una donna non troppo alta, con lunghi capelli blu e vestiti scuri. Kurama si era fermato a sua volta, a cavalcioni sulla pancia dell’uomo, lo sguardo stupito e un poco impaurito.
<< Stavate forse… >> continuò la donna, facendo un passo avanti nella penombra, rivelandosi essere nessun’altro che Hinata << facendo la lotta senza di me? >>
Cominciarono a ridere tutti e tre, e Hinata lasciò la spesa sul pavimento e corse verso di loro, prendendo a tirare cuscinate tutta allegra.
Hanabi entrò dopo qualche minuto e trovò i tre intenti a picchiarsi. Sbuffò, sonoramente, cominciando a lamentarsi.
<< Lo sapete a chi tocca ordinare, poi? A me! Io ordino i vostri casini! Perché voi non fate niente! >>
Loro non risposero e lei rimase imbronciata per qualche altro secondo, ma era tutto inutile, amava troppo quei tre, così sorrise, felice di vederli felici, e andò a sistemare la spesa.
                                                                                                                                                                           
Hinata affettava zucchine, patate, cipolle, peperoni e molto altro con gesti precisi e secchi. Hanabi l’aiutava, poco distante, passandole tutti gli ingrediente per quella ottima cena che stavano preparando. Kiba e Kurama invece erano in salotto, in missione “Ordine! Ordine!”. Kiba era il capitano, Kurama il sergente.
Suonarono alla porta. Hanabi si asciugò le mani con il panno della cucina e andò all’ingresso, pronta ad aprire la porta, ben sapendo chi era ad attenderla. Abbassò la maniglia, felice, per poi ritrovarsi faccia a faccia con un volto bello quanto familiare. Gli saltò al collo.
<< Neji-nii-san! >> salutò, felice, continuando ad abbracciarlo mentre lui entrava in casa e richiudeva la porta con un piede << Sei in ritardo, sai? >>
Neji se la scrollò di dosso affidandole la busta che teneva in mano.
<< Dolce. >> spiegò, giustificandosi, per poi scompigliarle i capelli e andare in soggiorno << Dov’è il mio nipotino preferito? >> chiese, ad alta voce, subito raggiunto dal bambino euforico, che si strinse alla sua gamba con uno squittio << Ciao, furfante! >>
<< Ji-san! >> lo salutò il bambino, per poi tirargli i pantaloni << Fammi volare! >>
Neji prese il bambino dai fianchi e lo sollevò in aria, imitando il rumore di un aereo in volo.
Hinata, dalla cucina, si era fermata a guardarli. Era incredibile come suo cugino fosse cambiato, in quegli anni. Rimaneva sempre il solito scorbutico, ma allontanarsi dalla loro “famiglia” gli aveva fatto bene; continuava ad essere premuroso con le due cugine, che da sempre considerava sorelle, e quando rimaneva in compagnia del piccolo Kurama diventava quasi un’altra persona: si divertiva, faceva divertire lui, giocavano, si volevano bene.
Suonarono ancora una volta alla porta e nuovamente Hanabi andò ad aprire, trovandosi davanti Ino e Shikamaru che, senza tanti complimenti, entrarono in casa come al solito, sistemando le loro cose all’ingresso per poi unirsi al gruppo.
Hinata infornò le verdure e mise a cuocere la carne. Si voltò, ancora una volta, per guardare i presenti.
In quegli ultimi cinque anni, ricordava a fatica una sera completamente da sola, o in compagnia del figlio. C’erano sempre Hanabi e Kiba, che ormai si era traferito da loro, e almeno tre sere a settimana tutta la loro cerchia si presentava all’ora di cena. Hinata aveva imparato a cucinare per una decina di persone, e quasi mai c’erano avanzi. Erano sempre lì, con le loro voci squillanti, le loro risate melodiose, i battibecchi accesi. Sapeva perfettamente che tutti si trovavano lì di comune accordo, ma non lo avevano mai fatto presente alla ragazza. Era il loro modo di non farla sentire sola, di non farle crescere da sola quel bambino adorato da tutti, di non farle ricordare l’eterno assente, comunque sempre presente nei suoi pensieri. Kurama aveva imparato a chiamare tutti zio e zia. Non aveva preferiti, ma con tutti aveva un rapporto diverso. Era affezionatissimo a Kiba, con cui passava tanto tempo, a Hanabi, sua unica vera parente di sangue, a Neji, che lo faceva sempre volare e divertire, a Shikamaru, con cui ogni tanto sonnecchiava, a Sakura, quella ragazza così strana con i suoi capelli rosa e gli occhi verdi che picchiava tutti, addirittura a Sasori, con quei suoi discorsi stranissimi, ma c’era una cosa che l'aveva sempre turbata. Kurama guardava le foto appese per casa, conosceva il volto del padre, spesso Hinata gliene parlava; poi vedeva Ino, così simile a lui, le si sedeva vicino, si lasciava coccolare, delle volte la guardava per diversi minuti, totalmente in silenzio, cercava di essere molto più educato, in modo da non darle fastidio, di non deluderla. La vedeva così simile al padre che credeva fosse davvero sua sorella, e attraverso di lei cercava di non deludere il padre, cercava di renderla orgogliosa. Proprio come quella sera, quando lo vide avvicinarsi a lei per darle un fiore rubato da un vaso, mentre Ino ricambiava con un bacio sulla guancia. Aveva cercato di spiegargli che era inutile quel comportamento, ma le era mancato il coraggio di togliergli anche quella specie di legame che lo teneva stretto a lui, così non aveva mai fatto davvero qualcosa per cambiare le cose. Hanabi le si avvicinò, preparando la tavola.
<< Sai, ho parlato con Kiba. >> le sussurrò la minore, in modo da non farsi sentire da nessuno << Mi ha detto che Kurama pomeriggio gli ha chiesto se poteva parlare con Sasuke di lui. >>
Hinata la guardò, accigliata << Cosa gli ha risposto? >>
<< Che prima glielo doveva chiedere, poi gli avrebbe fatto sapere. >> si voltò verso la sorella << Hinata, non va bene. Devi fare qualcosa. >>
<< Non dirmi cosa devo fare, Hanabi. >> le rispose lei, atona << Sono capace di badare a mio figlio. >>
Hanabi si ammutolì, lasciando che il discorso si interrompesse lì, incapace di dire altro per la seconda volta. Ino si avvicinò e andò a salutare Hinata. Il profumo del cibo invitò tutti a sedersi. La cena cominciò.
 
Successe verso le dieci, ormai al dolce, quando non si sa come si finì inevitabilmente a parlare di Sasuke. Fortunatamente Kurama era già a letto, altrimenti avrebbe sentito qualcosa di sgradevole.
Fu Neji a cominciare, quando seppe la novità.
<< Cosa? Ed è entrato in questa casa? >> urlò.
<< Questo non è così grave. >> rispose Kiba << Lo è di più il fatto che ora Kurama comincia a chiedere di lui. >>
<< Ma perché? >> chiese ancora Neji << Hinata, Hanabi, come avete potuto permetterlo? >>
<< Non so se possiamo fidarci >> concordò Shikamaru, riflettendo su quella situazione assurda.
<< Ma non doveva proprio permettersi a tornare! >> proruppe Ino << Come ha potuto? >>
<< Senza contare il fatto che non ha ancora dato spiegazioni. >> confermò Hanabi.
<< Io ci ho provato, ma non è cambiato per niente >> affermò Shikamaru << E’ il solito irrasci… >>
<< Smettetela! >> l’interruppe all’improvviso Hinata, fino a quel momento in silenzio, sbattendo le mani su tavolo e alzandosi in piedi << Vi ricordo che state parlando di un vostro amico, dell’uomo che mi ha salvato la vita! >>
Tutti rimasero a bocca aperta, stupiti per quella reazione forse non così tanto spropositata.
<< Non vi permetterò di parlare ancora così di Sasuke. >> continuò la ragazza, la voce ancora arrabbiata << E’ solo per merito suo se sono ancora qui! Lo conosco e lo giustifico per essere andato via, avrei fatto lo stesso! >> inspirò col naso, tentando di calmarsi << Adesso è tornato e vuole rimediare ai suoi errori, ne sono sicura. E voi siete cattivi a infangarlo così. Perciò smettetela, oppure continuate, ma fuori da questa casa! >>
Smise di parlare, guardò tutti i suoi interlocutori negli occhi e poi andò via, salendo di gran lena le scale. Arrivò in camera sua, che chiuse con forza, e si sedette sul bordo del letto, al buio.
Si prese il volto fra le mani, provata da quella giornata assurda, e prese a massaggiarsi le tempie pulsanti.
<< Ti prego. >> disse, parlando ai fantasmi della notte << Aiutami. Non so cosa fare. >>
Non ottenne risposta.



<< Ti aiuterò, mon cherì . >>


 
Angolino di Tomoko.
Gommenè! Sono in ritardo, lo so :( Ma sono piena di impegni... e uff!
Che dire? Credo che la prima cosa che vi salterà all'occhio sia proprio
il centric su Kiba-kun ! Volevo dargli un ruolo importante, almeno all'inizio,
perchè è la figura che più si avvicina a Naruto, secondo me. Quindi...
vi piacciono i nostri tantissimi ji-san (zio) ? :D mi sono divertita tantissimo
a scrivere questo capitolo. Inoltre volevo descrivere un pò più accuratamente
il modo di reagire alla perdita di Hinata nel confronto del figlio, e sicuramente
come si comporta lui. E beh! C'è un pò di rivalsa di Hinata, che si dimostra
forte con la sorella e la famiglia, perchè ha imparato che deve esserlo!
E Neji? E' passatto dalla parte dei buoni!! Alleluia! E Itachi? Avete notato
il rispetto che ha nei confronti di Hinata? u.u E Ino? Era ovvio che Kurama
possa essere un pò confuso su queste somiglianze, giusto? 
Vi piace KURAMA? Scoprirete il motivo del nome nel prossimo capitolo
(e in quello dopo) che sarà davvero angst.
Quante domande! Mi aspetto che rispondiate a tutte y.y 
Appena posso rispondo alle recensioni, scusatemiiiii! GRAZIE A TUTTI!

 

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Capitolo 5
*** Nuvole nere. ***


Gli ultimi sognatori.
Occhi Paradiso.
Nuvole nere.
[Tempo avverso.]
 
 
[Ludovico Einaudi: Nuvole Nere - Da ascoltare!]
Strinse i capelli, lasciando sgocciolare l’acqua nella doccia. Uscì dalla cabina, non pensò a coprirsi, si asciugò brevemente e si infilò l’intimo, per poi andare in camera. Si diresse allora verso l’armadio con il grande specchio e, osservando il suo riflesso pallido e stanco, vide Kiba, sveglio, a letto.
<< Perché sei già sveglio? >> chiese allora, premurosa, asciugandosi i capelli con un asciugamano.
<< Ho dormito poco e niente questa notte. >> rispose lui, tornando a fissare il soffitto.
<< Appunto, cerca di dormire ancora. >> ma lui non l’ascoltava già più, perso nei suoi pensieri, così si avvicinò al letto e si sedette al suo fianco << Kiba… >> chiamo flebile, ma lui non rispose, né diede segno di averla sentita. Gli accarezzò una guancia irsuta << Cosa ti preoccupa? >>
Kiba l’afferrò per il polso e l’attirò a sé, perdendosi nei suoi occhi bianchi e lasciando che i capelli bagnati gli rinfrescassero il viso e il petto nudo.
I vent’anni di Hanabi l’avevano resa una bellissima donna, dalle gambe lunghe e sottili, i capelli scurissimi e il viso allungato e meno morbido. Era diventata professionale, si era diplomata con il massimo dei voti e raramente sorrideva, dopo averne passate di tanti colori. Vedere la sua onee-san – la sua dolce ‘kaa-chan – rischiare la sua morte e quella del suo bambino, vederla così sola, così inconsolabile, letteralmente senza cuore, era stato davvero duro. Non riusciva ancora a capire dove avesse trovato la forza per affrontare tutto quel dolore, ma ci era riuscita. Così, in quei cinque anni, l’obbiettivo di Kiba era cambiato: ora desiderava soltanto lenire il suo dolore e aiutarla a ridere, a stare meglio. Così raramente le diceva qualche suo problema – che poi erano davvero pochi, rispetto ai suoi - .
Allungò l’altra mano sul suo viso, prendendo ad accarezzarla, a pettinarle i capelli bagnati, a sfiorarle il collo, mentre lei chiudeva gli occhi e si rilassava.
<< Ti amo. >>
Hanabi aprì gli occhi, si allungò come un gatto per baciarlo. Si mise a cavalcioni su di lui, incurante del corpo bagnato, e si strinse a lui, per baciarlo ancora. Dopo un po’ si staccò e si appoggiò con il viso al suo petto, proprio dal lato del cuore. Il suo corpo fresco dopo la doccia ghiacciata faceva a pugni con quello caldo del moro, che comunque l'abbracciava, come sempre.
<< Dimmi, cosa c’è? >> chiese ancora, lasciandosi accarezzare dalle mani esperte di lui.
<< Secondo te… dovrei perdonarlo? >> chiese Kiba, tornando a fissare il soffitto bianco << Insomma, come ha fatto Hinata? >>
<< Provarci non costa nulla. >> rispose lei, ascoltando assorta i battiti del suo cuore.
<< Invece sì, c’è troppo in gioco. >> affermò il moro << Però lei è intelligente, prima di fidarsi avrà valutato la situazione, giusto? >>
<< Esatto. >> concordò la ragazza << Puoi fidarti. >>
Kiba capovolse le posizioni con un colpo di reni, mormorando un << Non voglio pensarci ancora. >>
Le baciò il collo, la spalla, lasciando scivolare la spallina, per poi scendere sul seno e morderle quei piccoli boccioli di rosa, guidato dai gemiti della ragazza. Scese ancora, le baciò i fianchi, le tolse le mutandine con i denti, mentre le sue mani esperte la facevano sospirare maggiormente.
Fecero l’amore, per non pensare, per non pensare.
 
Gli baciò il collo, massaggiandogli le spalle sotto il getto dell’acqua calda. Cercava inutilmente di farlo rilassare, data la nottata che avevano avuto. Avevano passato tutto il tempo a parlare delle frasi di Hinata, di Sasuke, e a ricordare, seppur dolorosamente, Naruto.
Lo abbracciò, facendo aderire il suo corpo al suo. Shikamaru si voltò e Ino osservò i suoi occhi arrossati e si chiese, per un attimo interminabile, se erano lacrime o acqua a bagnargli il viso.
Poi non ci pensò più, travolta dalla disperazione di lui, che la baciò con foga. Infilò le dita fra i suoi capelli bagnati e si lasciò sollevare, lambire, toccare. Non aveva importanza, niente ne aveva più. Voleva dargli conforto. Non c’era mai riuscita.
 
Di ritorno dalla sua passeggiata fino all’usuale saluto a Naruto, Hinata si stava cambiando, indossando vestiti eleganti e scuri. Nessun tocco di colore, per lei, no. Non era più capace di colorare la sua vita di allegria: l’unico a farlo, per lei, era il piccolo Kurama, che arrivò proprio in quel momento. I capelli arruffati, la maglia messa male.
<< ‘kaa-chan! Aiutami! >> chiese il bambino, litigando con i vestiti << Mi sono incastrato! >>
La donna sorrise e l’aiutò, per poi baciargli i capelli folti, che prese a spazzolare.
<< ‘kaa-chan, quando torna Sakura-oba-san ? >> domandò ancora il piccolo, guardando con occhi dolci la madre.
<< Adesso glielo chiediamo. >> rispose lei, prendendo il cellulare per scrivere un messaggio alla rosa.
Poi tornò a guardare gli occhioni del figlio, perdendosi in un mare di ricordi.
 
Chiudere occhio, in quella città infernale, era impossibile, già lo sapeva.
Sasuke non riusciva a dormire. Per anni si era sottoposto a cure e farmaci, oppresso dal continuo incubo di quel dannato giorno, di quel dannato incidente. Non riusciva a dormire, Sasuke, e rare volte aveva dormito otto ore di fila, durante il suo viaggio. Però, in quella casa, in quella dannata città, Sasuke era tornato a passare notti insonni, oppresso da ricordi troppo vividi nella sua mente psicolabile. Si era fatto una doccia, ormai mattina, si era infilato le prime cose che aveva pescato nella valigia ancora da disfare ed era uscito di casa, l’inseparabile amica sigaretta fra le labbra, le mani in tasca e la chitarra sulla schiena. Era uscito a piedi, quella mattina, alla ricerca di un tetto, di un cunicolo, di un paio di scale, un posto isolato dove poter rimanere solo e tranquillo in quella città senza speranza. Era salito sul tetto di un edificio abbandonato, ritrovandosi faccia a faccia con il cielo e la metropoli. Prese a strimpellare qualche accordo a caso con la sua chitarra, tentando di rilassarsi, invano, finché sentì il telefono squillare. Sul display: Hinata.
Non seppe se rispondere o no. Non sapeva cosa aspettarsi. Non sapeva più se voleva affrontare tutto ciò che quel nome significava. Improvvisamente ebbe  paura, ma nonostante tutto, rispose.
Nessuno dei due parlò per un attimo interminabile. Riuscì a sentire perfettamente il suo respiro pesante, in eco al suo.
<< Raggiungimi. >> disse Sasuke, in un sussurro roco. Aveva capito che le emozioni da lei provate erano le stesse delle sue, e adesso la voleva vicina.
<< Vorrei tanto. >> rispose Hinata, in tono altrettanto grave.
<< Che vuoi dire, Hinata? >>
<< Sei irraggiungibile, Sasuke. >> spiegò la donna << Irraggiungibile. >>
Sasuke sospirò, stropicciandosi gli occhi con pollice ed indice.
<< Dobbiamo parlare. >> annunciò allora, non sapendo cos’altro dire.
<< Dammi l’indirizzo. >> rispose lei, altrettanto stanca.
Lui glielo diede e, senza troppi complimenti, Hinata chiuse la chiamata.
Dopo neanche mezzora, l’esile figura della ragazza apparve dalle scale antincendio. Lo raggiunse e, sempre in silenzio, si sedette accanto a lui, lasciando che le gambe penzolassero dal bordo dell’edificio.
Si guardarono, occhi Paradiso dentro occhi Inferno e viceversa, poi lui distolse lo sguardo, incapace di reggerlo oltre. Troppo dolore.
 << Non hai paura di cadere, Sasuke? >> chiese allora la donna, guardando il paesaggio.
<< No. >> rispose lui << Tu hai paura? >>
<< No. >> disse lei << Ci sei tu. >>
Sasuke sospirò. Per un attimo le accarezzò una mano.
<< Mi dispiace non esserci stato anche prima. >> mormorò << Vorrei che mi raccontassi cosa è successo in questi anni. Dal principio. >>
Hinata si voltò verso di lui e lo guardò negli occhi, ricordando tutto quello che le era capitato.
Sospirò: sapeva che sarebbe arrivato quel momento, ma non era servito a niente prepararsi.
<< Devo… devo per forza partire da prima. Devo parlare di lui. >> annunciò, per poi cominciare il racconto << Qualche giorno prima che scappasse, io avevo scoperto di essere incinta. L’avevo capito quasi subito, così avevo richiesto una visita. Non ne parlai con nessuno. Quando lui scappò… ebbi paura. Tantissima. Non volevo crescere mio figlio da sola. Così lo andai a cercare, incapace di accettare di perderlo. Il giorno dopo, a casa, glielo dissi. Fu felicissimo. Aveva un motivo per rimanere. Uno in più, almeno. Decidemmo di non dirlo a nessuno, almeno finché non avrei compiuto il terzo mese. In modo che fosse totalmente sicuro. >>
Sasuke ascoltò, attento, poi gli venne un dubbio, che espose subito.
<< Kurama… il nome lo ha scelto lui, vero? >> chiese, incuriosito e nostalgico.
<< Sì. >> annuì la donna << Un giorno, mentre lui stava scrivendo ed io leggendo, vicini, in soggiorno, alzò improvvisamente lo sguardo dai suoi fogli e mi disse: “Dobbiamo chiamarlo Kurama. Perché deve essere furbo come una volpe, non come noi!” >> chiuse gli occhi, per un attimo << Riesco perfettamente a ricordare la sensazione di felicità che m’invadeva in quel momento, la stessa di quando mi sfiorava il ventre, dove stava crescendo la nostra piccola birba. >>
Sorrise appena, poi aprì gli occhi al mondo, nuovamente.
<< In seguito, ogni equilibrio si ruppe. >> lo ricordò con occhi vuoti, gli stessi di quel periodo << In ospedale, non facevo altro che pensare a lui, a lui, a lui. Ero totalmente scioccata. Tanto da dimenticarmi di Kurama. I medici si erano accorti subito che ero incinta e lo dissero a Hanabi, ma lei non mi disse nulla. Aveva capito e non voleva infierire oltre. >> le vennero quasi le lacrime agli occhi, ma Hinata non piangeva più da tempo, ormai << Poi… non ebbi cura di me. Rimasi per giorni a letto. Rischiai di perderlo… rimasi due settimane in ospedale, ancora, in una camera del tutto simile alla sua, il dolore era atroce, non smettevo di rimproverarmi, ero totalmente apatica… Finché i nostri amici non mi fecero capire che era mio dovere mantenere suo figlio, il suo erede, in vita. E quando vidi gli occhi di Kurama…! Che gioia, che fu! >>
Si coprì il viso con le mani, improvvisamente angosciata.
<< Ma io… ero depressa. Ne ho sofferto a lungo. E’ stato un inferno. Desideravo così tanto tagliarmi la gola e raggiungerlo… così tanto… e mi sentivo così sola, doppiamente, perché avevo perso anche te… ma c’era Kurama! Non potevo arrendermi! Lui, i suoi primi passi, i suoi sorrisi, le sue prime parole, i suoi abbracci. Kurama, Kurama mi ha salvato, mi sta curando. >>
Si voltò verso Sasuke, che rimase in silenzio. Lo vide deglutire, provato da quel racconto, dai sensi di colpa. Raggiunse la sua mano bianca, la prese, intrecciò candidamente le sue dita alle sue, che al contatto trattenne a stento un brivido. Gli strinse la mano.
<< Tranquillo, non devi dire niente. >> lo rassicurò, ignorando la fitta al petto che le serrava il fiato << Lo so che ti dispiace, lo so. Ma niente di ciò che mi è accaduto è stato causato da te, e se anche ci fossi stato non avresti potuto fare molto. Solo Kurama è riuscito a fare qualcosa. >>
Sasuke osservò placidamente il volto smagrito della Hyuga, incapace di dire altro. Osservò la propria mano stretta a quella di lei e capì che, in quel viaggio durato anni alla ricerca di qualsiasi cosa in grado di alleviare la sua pena, non aveva mai trovato ciò che desiderava perché quel qualcosa era lì, a Tokyo, a portata di “mano”. Lo ammise soltanto in quel momento, quando riconobbe un calore familiare invadergli le membra e il suo petto vibrare forte, sollevato: aveva sempre desiderato affetto, amicizia, comprensione, e come uno stupido non aveva riconosciuto quelle qualità in ciò che gli era stato intorno ed era scappato. Decise, così, di prepararsi ad uno dei discorsi più lunghi della sua vita e sospirò, mai pronto abbastanza.
<< Sono scappato. >> ammise, guardando il vuoto << Non tolleravo di rimanere in una città dove per anni ho vissuto sulle strade insieme a… a lui. Non sopportavo di vedere gli stessi posti, i bar, gli angoli dove suonavamo, i tram che prendevamo, le scritte sui muri, casa mia, casa vostra… Non lo sopporto neanche adesso. La verità è che volevo dimenticarlo. Lenire il dolore. Non sopportavo di rivedere la sua immagine accanto ad ogni figura a me familiare. Non sono riuscito a rimanere qui neanche una notte. Sono fuggito. Andai all’aeroporto e presi il primo volo in partenza. Senza rendermene conto, sono finito a Barcellona. Gli era piaciuta così tanto, in tour… presi una camera in affitto e visitai la città al crepuscolo, come avrebbe voluto lui. Sono scappato da qui per non vederlo ovunque, ma tutto quello che ho fatto l’ho fatto a nome suo. Per lui. >> sospirò, tentando di calmare l’emozione che gli serrava la voce << Ho tentato di fuggire. Ho visitato tantissimi posti, Hinata. Ho imparato a fare tantissime cose. Ma ogni cosa… ogni cosa, mi riportava qui. E così, due sere fa, mi sono ritrovato per l’ennesima volta in un aeroporto e ho fatto il check in per Tokyo. >>
<< Perché non ci hai avvisato, Sasuke? >> chiese Hinata, tentando di distogliere l’attenzione da quel discorso difficile << Perché non ci hai mai telefonato? >>
<< Perché… >> vacillò, combatté con il vecchio Sasuke per farsi forza e dirlo << Perché se avessi sentito una qualunque fra di voi, non sarei mai riuscito a partire. Mai. Se avessi sentito la vostra voce… sarei tornato immediatamente. Volevo dimenticarvi, Hinata. Volevo dimenticare il mio passato. Volevo dimenticare di essere Sasuke Uchiha. >>            
Entrambi voltarono lo sguardo verso l’orizzonte di Tokyo, tempestato da grattacieli e case popolari. Il cielo non era più terso: quella mattina intravedevano grandi nuvole nere in avvicinamento, paurose e maestose, che non promettevano niente di buono. Si era alzato un venticello debole, che soffiava abbastanza da emettere un suono stridulo e petulante, quando la brezza si infrangeva contro l’aria, gli alberi, gli spigoli delle case.
<< Mi capisci, Hinata? >>
Continuava, il vento, a soffiare, a parlare, a salutare. Non sembrava più primavera: soltanto una giornata triste e buia, nostalgica.
<< Avrei fatto la stessa cosa, Sasuke. >>
Le nuvole si avvicinavano, mentre il tempo scorreva inarrestabile, lasciandoli fermi lì, sul cornicione di un edificio abbandonato, incapaci di controllare il loro destino.
<< A volte mi manca terribilmente, sai, Sasuke? >> mormorò lei, appoggiando il viso alla sua spalla, continuando a guardare tristemente quelle nuvole portatrici di tempesta << A te manca? >>
<< La verità? >> ribatté lui, appoggiando la testa su quella di lei << Sempre. Non a volte. Sempre. >>
<< Sempre. >> ripetette lei, in un sussurro.
Chiuse gli occhi, ascoltando il cuore di Sasuke, quello vero, quello caldo, quello premuroso, mentre lui le cingeva le spalle allungando un braccio, stringendola a sé, nascondendo il naso fra i suoi capelli. Si rilassò. Si sentì bene, solo per un po’.
 
Rientrarono a casa alle sei del pomeriggio, quando ormai si era già fatto buio, con quelle corte giornate. Hinata era entrata in casa, aveva alzato il viso e incontrato lo sguardo preoccupato di Hanabi e Kiba, che sapevano che lei quella mattina non era andata a lavoro, lasciando la Moon’s eyes in subbuglio. Non che a lei non importasse, certo, ma quella mattina si era sentita così compresa, così bene, per una volta, che non era riuscita a muovere un passo, a scostarsi, neanche per andare a mangiare. Così non le importò che la disapprovassero, né che disapprovassero la sua scelta di portare a casa Sasuke, che era entrato in casa seguendola silenzioso.
Kurama accorse dalla camera accanto e stese le braccia verso la madre, che prontamente lo prese in braccio.
<< ‘kaa-chan! >>
<< Ciao, amore mio. >> lo salutò lei, sfiorandogli una guancia con il naso << Più tardi ordiniamo il ramen, contento? >>
<< Sì! Grazie ‘kaa-chan! >> lui la strinse, guardando di sottecchi Sasuke, l’intruso, di poco distante << Anche lui mangia con noi? >>
<< Sì, birba. >> rispose lei, guardandolo in tralice << E si chiama Sasuke-ji-san. Lo chiamerai così? >>
Il bambino la guardò, poi annui vigorosamente, con un gran sorriso.
<< Hai fatto tutti i tuoi compiti, Kurama? >> chiese allora la madre, premurosa.
Kurama, dopo un attimo di esitazione, scosse la testa con forza, scompigliandosi i capelli.
<< Allora vai, su. >> disse, rimettendolo a terra << Poi me li fai vedere. >>
Il bambino allora corse su, nella sua stanza, manco fosse caricato a molla.
Hinata si voltò verso gli altri << Io salgo sopra. >> disse, ritirandosi al piano superiore.
Sasuke fece per seguirla, ma Kiba gli chiese di fermarsi. Doveva parlargli.
<< Che intenzione hai? >> chiese infatti, guardandolo truce.
<< Sei diventato il sostituto di Hiashi? >> scherzò Sasuke, infastidito.
<< Rispondi alla mia domanda. >> ribatté lui << Sei qui per rimanere? >>
Sasuke distolse lo sguardo, che ricadde su una delle innumerevoli foto di lui sparse per casa. Non poteva deluderlo.
<< Sì. >>
Rispose soltanto con una semplice affermazione e non seppe ben spiegarsi ciò che accadde poco dopo. Non si rese conto che Kiba lo aveva colpito in viso fino a quando si ritrovò scaraventato a terra, la gota e il labbro dolente. Kiba uscì di casa di corsa, senza dire niente, e Hanabi, dopo avergli lanciato uno sguardo preoccupato, lo seguì a ruota, incapace di interpretare ciò che era appena accaduto.
Sasuke sbuffò, enormemente scocciato.
 
In bagno aveva trovato tutto ciò che gli potesse essere utile per non fermare il sangue che scorreva a fiotti dal labbro, leggermente gonfio. Sulla guancia capeggiava un livido nero grande quanto una casa, ma non se ne preoccupò.
Uscì in salotto e non trovò nessuno. I suoi “amici” non erano ancora tornati e la stanza appariva vuota e silenziosa. Dopo poco però, quando le sue orecchie si erano abituate al suono del silenzio, sentì una melodia al pianoforte, proveniente dalla sala musica, all’ultimo piano. Salì le scale, quasi ipnotizzato, e il suo cuore ebbe un sussulto più forte man mano che la musica diventava più alta.
Arrivò davanti alla porta della stanza, chiusa, e non ebbe il coraggio di aprirla. Raramente l’aveva sentita suonare il pianoforte, ma quel lamento armonioso, quell’urlo straziante intriso nella musica, quella tristezza profonda e nostalgica, non potevano che appartenere allo sparito di Hinata.
Non aprì la porta per verificare se era lei. Non né aveva la forza. Ogni battuta, ogni nota, era un coltello nel cuore. Ogni suono era una ferita che si riapriva. Si ritrovò all’improvviso appoggiato contro il muro, quasi non si reggeva in piedi. Si voltò e si lasciò scivolare lungo la parete, finché non arrivò a terra. Chiuse gli occhi, perdendosi in quella melodia andate, che lo portava verso altri luoghi, verso altri notti buie, verso capelli biondi e sguardo spensierato.
Lo stesso guardo che vide quando aprì gli occhi, sentendosi tirare per una manica da una manina piccolissima. Kurama, davanti a lui, lo chiamava, gli occhi azzurri spalancati, un peluche di una volpe dai grandi occhi rossi stretta al petto.
<< ‘suke-ji-san >> chiamò, la voce teneramente infantile << Che ci fai qui? >>
Lo aveva fatto. Lo avevo chiamato zio. Lo aveva chiamato ‘suke, come faceva lui. Spalancò gli occhi, quasi non ci credette, ma il suo cuore aveva fatto un balzo tale che aveva creduto di morire. Cos’erano tutte quelle forti emozioni che provava, così, all’improvviso, tutte insieme? Perché si lasciava trasportare così facilmente verso porti sconosciuti, verso tempeste burrascose?
Che fosse la sua anima che tornava finalmente ad albergare nel suo corpo?
Che fosse Naruto che si stava impossessando di lui?
Che fosse quello, l’amore?

<< Shhh. >> mormorò al bambino, ancora confuso, facendo segno di sedersi accanto a lui.
Il bambino si sedette, strinse a sé il peluche, chiuse gli occhi e si mise in ascolto.
Sasuke si stupì: quel bambino era proprio figlio d’arte, se era capace di lasciarsi trasportare così dalle note, esattamente come soleva fare suo padre.
Rimasero entrambi in ascolto di quel suono drammatico, quasi arrabbiato, triste, dolce in certi punti, forte in tanti altri. L’altalena di emozioni si riversava in quella musica che presagiva mal tempo, esattamente come le nuvole nere di quella mattina.
Lacrime cominciarono a scorrergli sul viso, fortemente emozionato, e non seppe perché. Non le fermò, consapevole che quel bambino così attento al suono del pianoforte avrebbe mantenuto il suo segreto. Pianse, pianse ancora una volta, e si sentì bambino, si sentì solo, si sentì fuori dal suo corpo, perché Sasuke non piangeva mai, almeno quello di un tempo, mentre lui adesso si lasciava andare ai sentimentalismi. Pianse, pianse in silenzio, ascoltando la disperazione di Hinata Hyuga, vedova non ancora sposata, mamma sola, corpo martoriato, anima spezzata, cuore a metà.
<< La mia ‘kaa-chan oggi è triste. >> mormorò il bambino, senza aprire gli occhi << ‘kaa-chan pensa a ‘tou-chan. >>
Sasuke pianse ancora più forte.


 
<< Sasuke, Kurama... statele vicino. >>



 

Angolino di Tomoko.
Finalmente in vacanza!
Eccomi qui, sono tornata con un nuovo capitolo, angst, come preannunciato!
Sentimenti, sentimenti a tonnellate. Ecco qui una panoramica iniziale sui
sentimenti brucianti di tutti, Sasuke e Hinata che si sfogano a vicenda 
raccontando un pò di cose che spero vi colpirano, il nostro Kurama che con
le sue piccole frasi riesce a incentrare il punto della situazione e....
il motivo delle canzoni al piano! Ludovico Einaudi, qui, nella mia storia,
da voce ai sentimenti di Hinata, è lei a suonare! Spero che l'idea vi piaccia!
Importante.  Mi piaceva come idea di inserire un'immagine dei nosti 
beaniamini così come ve li presento, tutti insieme, ma è ovvio che non esiste.
Se qualcuno di voi è bravo a disegnare o con il computer, ha voglia di creare
un'immagine per me? Potete mandarla a claudietta.27@live.it  !
Ringrazio tutti, come sempre n.n
Un bacio!



 
 

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Capitolo 6
*** Nuvole bianche. ***


Gli ultimi sognatori.
Occhi Paradiso.
Nuvole bianche.
[Per lui.]

 
[Ludovico Einaudi ft Alessia Tondo: Nuvole bianche.]
<< Kiba! >>
Urlò, disperata: non ce la faceva proprio a corrergli dietro, per di più con i tacchi, così tentò di fermarlo con la propria voce.
<< Lasciami stare, Hanabi. >> disse l’altro in risposta, sfilando dalla tasca le chiavi della macchina << Non ho proprio voglia di parlare. >>
Fece per aprire la portiera, ma Hanabi si sovrappose ad essa e la richiuse con un colpo di reni. Kiba la guardò negli occhi bianchi, furente.
<< Non ho intenzione di sentirmi giudicare per quello che ho fatto. >> affermò, duro.
<< Cosa ti fa pensare che sono qui per giudicarti? >> disse lei, mutando lo sguardo in uno più dolce << Avrei voluto fare la stessa cosa! >>
<< Ah. >> mormorò l’altro, stupito, rinunciando ad entrare in macchina << E allora? >>
<< E allora… lo hai picchiato perché ha detto di voler rimanere qui. >> continuò lei << Non capisco proprio perché lo hai fatto. >>
<< Perché…. >> ci pensò, poi si decise a dirlo << Perché avevo bisogno di fargliela pagare. >>
<< Prima di perdonarlo? >> chiese lei, titubante.
<< Prima di perdonarlo. >> ripetette lui << Credo che… adesso che mi sono vendicato, forse sono disposto a farlo. >>
<< Capisco. >> concordò la ragazza << Sarà difficile e… dobbiamo chiamare Shikamaru e Ino. >>
<< Già, dovremmo… >> ma non ebbero bisogno di farlo, perché proprio in quel momento arrivarono i due, che parcheggiarono al solito posto e scesero dalla macchina.
<< Cos’è successo? >> s’informò subito Ino, vedendo le facce preoccupate dei due.
Kiba e Shikamaru si guardarono e, senza bisogno di parole, si capirono.
<< Non dovevi colpirlo. >> mormorò infatti il Nara << Lui non avrebbe voluto. >>
<< Lui sarebbe stato il primo a fare a botte con lui >> ribatté invece Kiba << Sai, per capirlo meglio. >>
Si guardarono ancora una volta, gli occhi scuri malinconici, continuando a parlarsi a sguardi.
<< Allora dobbiamo farlo, per gli Origin. >> affermò Shikamaru << Per lui. >>
                                                                                                                                                 
Passò circa un’ora prima che la melodia terminasse. Sasuke si svegliò di colpo dal suo stato di shock e si mise in piedi, tentando invano di dimostrarsi forte e saldo come un tempo. Il bambino lo guardò sorridendo malefico, quasi lo sapesse e lo stesse prendendo in giro. Quel sorriso beffardo gli ricordò incredibilmente lui, quando finalmente coglieva l’occasione in cui trovava qualcosa che lo facesse imbarazzare e la sfruttava a suo favore. Gli fece la linguaccia, per dispetto, e il bambino rise.  Poco dopo, la porta si aprì e Hinata, al ritrovarsi Sasuke davanti, sbiancò e abbassò il viso. Non si dissero molto. Rimasero in silenzio, incapaci di scambiarsi opinioni su quanto era appena accaduto.
Poi Kurama si alzò, tese nuovamente le braccia alla madre, che lo prese in braccio. Quasi non volesse rovinare quel momento con le sue parole, le diede un bacio sulla guancia che la fece sorridere e appoggiò la testa nell’incavo del suo collo. Poi, però, uno stomaco ruggì.
Hinata e Sasuke si guardarono. Insieme, scoppiarono a ridere, di colpo, facendo arrossire il bambino per la vergogna, che si stringeva alla sua volpe di peluche. Hinata strofinò il naso sulla guancia del bambino con fare scherzoso e tutti insieme scesero le scale, dirigendosi verso il piano terra.
Hinata socchiuse la bocca, stupita, quando vide ciò che avevano fatto i suoi amici.  
Shikamaru, Ino, Kiba e Hanabi avevano preparato una tavola bellissima, bianca e arancione chiaro, e delle ciotole di ramen fumanti li stavano attendendo. Ciò che più la stupì fu il piatto in più, posto accanto a dove di solito si sedeva lei, per Sasuke. Guardò meravigliata i suoi amici e in loro riscontrò la sua stessa emozione.
Shikamaru fu il primo a sedersi e tutti lo imitarono, soprattutto Kurama, che era il più entusiasta di tutti. Hinata si sedette capotavola, alla sua destra c’era il figlio e sulla sinistra Sasuke, che aveva uno sguardo indecifrabile. Lei lo capì al volo: si sentiva a disagio. Mentre pensava questo, non si accorse che gli altri si erano scambiati uno sguardo che diceva tutto, né della gomitata che aveva dato Ino a Shikamaru. Quest’ultimo si schiarì la voce, preparandosi a parlare.
<< Prima di cenare, noi vorremmo dire una cosa. >> affermò, guardando poi negli occhi Sasuke << Noi ti abbiamo sempre voluto bene, Sasuke. Quello che è successo con lui tempo fa ci ha fatto capire che non abbiamo tempo per odiarci. Ci dispiace se ci siamo fatti prendere dall’orgoglio. >> sospirò amaramente, mentre Ino gli stringeva dolcemente la mano per incoraggiarlo a proseguire << Perché di questo si è trattato. Orgoglio. Ci hai ferito e da orgogliosi quali siamo abbiamo preferito odiarti che perdonarti, ma adesso siamo disposti a farlo. Dimentichiamo vecchi rancori. >>
Shikamaru finì il suo discorso e quasi non credette di esserci riuscito. Guardò Sasuke, in attesa, esattamente come gli altri, di qualsiasi segno.
Vide Sasuke inspirare forte, i suoi muscoli rilassarsi, poi chiudere gli occhi, alla ricerca di un coraggio all’improvviso scomparso.
<< Vi voglio bene. >> mormorò, dopo un istante che sembrò interminabile, stupendo tutti, che non si aspettavano quelle parole.
Forse era vero, Shikamaru aveva ragione: quella morte improvvisa, quello stravolgersi degli eventi, tutto aveva fatto capire a quel gruppo esiguo di persone che la vita era effimera, che bisognava aggrapparvisi con tutte le proprie forze, vivendo ogni giorno come fosse l’ultimo, dimostrandosi sempre il proprio affetto, senza perdere tempo in inutili litigi e dissapori. Così anche Sasuke, quello incapace di far vedere le proprie emozioni, di esprimere il proprio affetto, si era lasciato andare a quelle parole magiche. “Vi voglio bene” aveva detto, rimpiangendo per l’ennesima volta di averlo dimostrato così poche volte con il suo migliore amico, con suo fratello, con la sua famiglia.
Sasuke rivolse il suo sguardo verso Hinata. La bella, bellissima Hinata, con i capelli abboccolati, i vestiti comodi di casa, gli occhi arrossati per il pianto causato dal dolore che l’aveva pervasa fino a qualche minuto prima. Lei, le sue guance rosee, gli occhi lucidi e le labbra tremanti, tirate in un tenue sorriso. Vi trovò dolcezza, amore, affetto, calore, tutto ciò che voleva dire casa: Sasuke si guardò intorno, guardò Hinata, e pensò di essere a casa. Sì, casa, se lo disse mentalmente un’altra volta, era a casa, una casa accogliente e calda. Una casa che poteva esistere anche senza avere più le fondamenta, senza avere più lui, perché i pilastri, quella famiglia stramba che lo circondava, erano abbastanza saldi da reggere il tetto, in attesa di un nuovo equilibrio.
Kurama si guardò intorno confuso, poi allungò una manina e tirò la madre per la manica.
<< ‘kaa-chan, adesso possiamo mangiare? >> chiese, in tono candido << Ho fame! >>
Tutti risero, Hinata gli arruffò i capelli, insieme cenarono.
Kurama non capì, ma aveva compreso che la sua mamma era felice, così fu felice anche lui.
 
Gli accarezzò i capelli morbidi e si stupì ancora una volta di quanto fossero soffici, gli accarezzò la pelle setosa delle guance con affetto, che in seguito sfiorò con un bacio.
Il bambino avvolse con tenerezza l’indice affusolato della madre con la propria manina, non permettendole di andare via.
<< ‘kaa-chan, non riesco a dormire. >> mormorò lui << Kiba-ji-san dice che se glielo chiede lui potrò parlare con ‘suke-ji-san di ‘tou-chan. >>
Sentire quelle parole le fece male al cuore, ma resistette dalla voglia di scappare nella sua camera per piangere per ore.
<< Ha ragione, birba. >> confermò lei << Devi solo pazientare. La pazienza è la virtù dei forti. >>
Il bambino annuì, ricordando mentalmente il significato di quella parola.
<< ‘kaa-chan, mi parli di ‘tou-chan? >> chiese ancora il piccolo, e stavolta Hinata non potette fare a meno di chiudere per un attimo gli occhi, intristita.
Si guardò intorno, alla ricerca di coraggio. Si trovava nella stanza del suo piccolo ometto, che precedentemente era la stanza che avevano condiviso lei e lui e, prima ancora, la stanza della madre. Non ce l’aveva fatta a continuare a dormire lì, fra le lenzuola che un tempo avevano riscaldato le membra stanca del suo uomo. Troppi morti erano passati da quelle parti e Hinata non riusciva a dormire lì, dove si sentiva pesare quel macigno più di altri luoghi. Non che ci riuscisse nella sua nuova camera, per la verità. Di solito, quando voleva sfogarsi o smettere di pensare, anche se poi non ci riusciva comunque, andava in sala musica a suonare un po’: a farle compagnia, la sua grande amica Musa. Comunque, guardandosi attorno, non faceva altro che cercare coraggio in quei fantasmi che albergavano in quella stanza. Spesso si ritrovava a chiedersi se suo figlio riuscisse a dormire bene, con quei due fantasmi che gli giravano per la camera. Poi si dava della stupida, perché sapeva perfettamente che quello era un problema solo suo: sua madre e suo marito non facevano altro che vegliare sul suo bambino e, anzi, scacciavano via brutti sogni infami.
Si chiedeva spesso come si sarebbe comportata sua madre al suo posto. Sicuramente non avrebbe messo a rischio la gravidanza chiudendosi in un lutto che non avrebbe portato a niente di buono: sarebbe stata forte da subito, non si sarebbe lasciata condizionare e avrebbe pensato solo al proprio bambino, non si sarebbe comportata da stupida come aveva fatto lei. Hinata si sentiva molto in colpa per essersi comportata come un’irresponsabile in quei giorni disastrosi. Col senno di poi, non sapeva davvero cosa avrebbe fatto senza Kurama, la sua birba, il suo furfante che fin dal primo sguardo le aveva rubato il cuore. Adesso non sapeva immaginare la sua vita senza il suo bambino.
E lui? Lui era fiero di lei? Aveva qualche consiglio da darle? Avrebbe fatto qualcosa in modo diverso? Era orgoglioso delle sue scelte, della sua forza, quello stesso temperamento che era stato lui a regalarle? Hinata se lo chiedeva spesso, senza riuscirsi mai a dare una risposta se non negativa, e tutto ciò la riportava sempre alla solita questione: lui le mancava. Tantissimo. All’inimmaginabile.
Così si guardava intorno e rivedeva le loro foto, il contorno del suo pancino di neanche due mesi disegnato con la matita sul muro, insieme a tutte le altre fatte da sola. Vedeva il significato di quel nome dipinto con la grafia sottile di Naruto in un tenue azzurro cielo: Kurama, nove lame, tagliente, arguto, furbo. Rivedeva i ritratti accennati di loro due insieme al loro bambino e trovava dolore, e trovava lacrime, e trovava forza e coraggio. Trovava la famiglia felice che erano stati per troppo poco tempo, quando si chiudevano in casa a parlare del futuro, quando si lasciava coinvolgere dalle sue pazzie e cominciavano a disegnare sui muri, a fare foto, a scrivere, a ridere, a parlare... progetti per un futuro che non ci sarebbe mai stato, un'immenso tripudio di bugie bianche, dolorose, taglienti. Quel nome deciso un giorno a caso, dopo un lungo procedimento di pensieri che solo Naruto aveva capito, forse. E quel nome, quel nome sulla parete... appena si voltava lo rivideva lì, contro il muro, una macchia blu su una guancia e sul mento, il sorriso splendente. Aveva amato quel matto con tutta se stessa e non c'era giorno in cui non se lo ricordasse. In cui non lo vedesse lì, in quella casa, a vegliare su di loro.
<< Il tuo ‘tou-chan mi ha rubato il cuore con i suoi occhi azzurro cielo, semplicemente guardandomi. >> mormorò, con un tenue sorriso << Esattamente come hai fatto tu, Kurama-chan. >>
Il bambino sorrise, felice, poi le strinse maggiormente le dita.
<< ‘kaa-chan, cantamela, ti prego. >> implorò il bambino << Altrimenti non riesco a dormire. >>
<< Ma Kurama, è tardi… >> rispose lei, cercando di resistere agli occhioni del figlio << Dovresti già dormire, a quest’ora. >>
<< ‘kaa-chan, per favore! >> rincarò lui << Ne ho bisogno! >>
<< Mi prometti che dopo ti infili a letto da bravo bambino? >> chiese lei, cedendo.
<< Sì! >>
Kurama scese dal letto e Hinata lo prese per mano. Insieme salirono fino in sala musica, dove il bambino si sedette sul divano insieme alla sua inseparabile volpe, in attesa.
Hinata si sedette al pianoforte e ricordò mentalmente le parole di quella triste canzoncina imparata in Sardegna, in tour, che quasi per caso era divenuta l’inseparabile amica delle sue notti solitarie e la ninna nanna del figlio.Cominciò a suonare e, dopo poco, a cantare. Una terza persona ascoltava ancora una volta, appoggiato alla porta.
Ma la porta non era stata chiusa bene e, dopo poco, si aprì sotto il suo peso.
Nessuno di loro se ne accorse, ma Sasuke era entrato nella stanza e, ormai, non poteva tornare indietro. Rimase impalato ad ascoltare la musica e quel canto soave quanto triste.
Nonostante non ci capisse molto di quel dialetto, comprese che era il racconto di una donna che desiderava dormire, che il tempo passasse, perché il cuore le era stato rubato, distrutto. Una donna ferita in modo così simile a quello di Hinata che si chiese se fosse stata lei, a scrivere quelle parole.
La canzone terminò, il bambino si era addormentato, e quando Hinata alzò lo sguardo dai tasti d’avorio, non si stupì di vedere sulla soglia Sasuke, immobile, ma fortemente emozionato.
Si guardarono negli occhi senza dire niente, poi lei gli sorrise, per un secondo, dandogli il consenso ad avvicinarsele, cosa che lui fece poco dopo.
Si sedette accanto a lei sul morbido sedile del pianoforte e non ebbe più il coraggio di guardarla.
<< Sei fantastica. >> mormorò, dopo poco << Davvero brava. >>
<< Non so cantare. >> rispose lei, esitante.
<< Non è affatto vero, sei fantastica. >> ribatté lui << Sembra che la musica ti abbia fatto compagnia spesso, in questi anni. >>
<< E’ vero. >> confermò Hinata, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio << E’ il mio unico vero sfogo. >>
<< Tuo figlio è capace di intuire il tuo stato d’animo dal modo in cui suoni. >> affermò << Lo sapevi? >>
Hinata annuì brevemente << Sì, lo so, ma vorrei che mi vedesse sempre felice. >>
<< Beh, hai un bambino incredibilmente intelligente, dovresti esserlo. >> continuò, accennando poi ad un sorriso << E pensare che è figlio del baka… >>
<< Appunto perché è suo figlio, è intelligente. >> Hinata si mise sulla difensiva << Non sarebbe così attratto dalla musica, altrimenti. >>
<< Lo so, lo so. Scherzavo. >> si pentì di ciò che aveva detto e tentò di recuperare << Anche se non dovresti essere così dura con te stessa. E’ anche merito tuo. >>
<< Kurama… >> mormorò la donna, guardando il bambino che si era steso sul divano e sonnecchiava beato << me lo ricorda così tanto, sai? >>
<< I suoi occhi… >> concordò lui << … è stato indescrivibile, quando li ho visti. >>
La donna annuì, nuovamente << Vorrei che la musica lo accompagnasse sempre. >>
<< Lo farà. >> concordò Sasuke << Come accompagna noi. Anche io, in giro per il mondo, mi sono fatto cullare dalla musica. Anche per me è l’unico sfogo. >>
Hinata stavolta lo guardò, incitandolo a continuare.
<< In questi anni, ho suonato tanto. Ho scritto moltissimo, seguendo tutti i consigli che lui mi dava. >> continuò, allora, l’uomo << Ho anche imparato a suonare un nuovo strumento. Ma non so quanto questo mi servirà. >>
<< Mi farai sentire come suoni? >> chiese allora lei.
<< Solo se tu canterai i miei pezzi. >>
Quella richiesta la stupì enormemente, tanto da lasciarla a bocca aperta.
<< Ma, Sasuke… Non so cantare. >>
<< Non è vero. E se vuoi migliorare, ti aiuterò. >> promise lui << Ma almeno provaci. Voglio sapere cosa ne pensi. >>
Cosa direbbe, Naruto, adesso? Se lo chiese, davvero, sperando in una risposta. Poi si ricordò di una frase che le aveva detto una volta: provaci, sempre, buttati, rischia! Fu felice di risentire quella voce nella sua mente.
<< Va bene. >>
 

 
<< Non vedo l'ora di sentirti cantare del nostro amore, mon cherì. >>


 

Angolino di Tomoko.
Dopo un ritardo immenso torna, signori, Tomoko, per vostra sfortuna!
Dopo Nuvole Nere ecco Nuvole Bianche, forse uno sprazzo di felicità
per i nostri beniamini. Ecco il riappacificamento! Vi è piaciuto?
E' stato davvero doloroso scrivere dell'amore perduto di Hinata, della
loro camera, dei ricordi che la legano al suo passato con forza. E' stato
meraviglioso scrivere questo momento d'intimità madre-figlio, anche 
se molto triste, ma spero comunque che vi piaccia. A presto cari.
 

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Capitolo 7
*** DNA. ***


Gli ultimi sognatori.
Occhi Paradiso.
DNA.
[Nel sangue.]

 
[Ludovico Einaudi: DNA.]
Era soltanto una bambina, eppure era vestita in modo molto elegante.
Portava delle scarpe con un piccolo tacco ed era stata anche delicatamente
truccata e profumata. Tante ore di preparazione per poi essere portata lì,
in quell'enorme edificio spettacolare, dagli interni tutti color oro, con archi
e ampie volte e tantissimi posti a sedere. Lei era lì, in attesa, piccolissima
in mezzo a tantissimi adulti, la sua piccola mano avvolta da quella della 
madre dal ventre rigonfio. 
<< 'kaa-chan, ma perchè siamo qui? >> chiese, con la voce tenera e elettrizzata.
<< Vedi, Hina-chan, quel palco laggiù? >> rispose la donna, indicandole
il luogo << Lì, fra poco, saliranno alcune persone per farci sentire piccoli
pezzi di Paradiso. >>
<< Sentire, 'kaa-chan? >> domandò ancora la bambina, intelligente.
<< Sì, tesoro. Il Paradiso potremo vederlo solo quando i nostri piedi non
toccheranno più la terra. >> la accarezzò la nuca, dolcemente << Ma intanto,
potremo sentirlo grazie a delle persone molto speciali che fra poco suoneranno. >>
Hinata rimase in silenzio, incuriosita, proprio mentre il palco cominciava a 
gremirsi di persone. Uno splendido concerto cominciò e gli occhi di lei
correvano per tutti i membri dell'orchestra. Non poteva crederci, era 
completamente stordita. Era vero, grazie a loro, riusciva a sentire il Paradiso.
Decise che, da grande, avrebbe fatto lo stesso.


A Sasuke, per la prima volta, brillarono gli occhi.
Sapeva già quanto fosse brava Hinata a suonare: aveva sentito spesso i suoi lunghi discorsi, dove continuava a lodarla e a invidiarla per la sua conoscenza musicale; d’altronde non ci si poteva aspettare niente di diverso da colei che aveva fondato una casa discografica con le sue sole forze, ma sentirla cantare e scoprire quanto fosse brava e toccante era stato totalmente inaspettato.
Probabilmente non aveva capito neanche lei quanto fosse brava, e fu in quel momento che capì esattamente come procedere per esaudire tutte le volontà del suo amato fratello: avrebbe protetto Hinata e avrebbe mantenuto saldi gli Origin, in un modo o nell’altro. 
Un gemito lieve provenne dalle sue spalle, ed in quel momento Sasuke si voltò, incuriosito.
Kurama dormiva disteso sul divano, le braccia aperte, il respiro pesante. Se non fosse stato un bambino, avrebbe ronfato beato.
Ma che diavolo?... pensò Sasuke, inarcando un sopracciglio. E’ tutto suo padre.
Fu solo in quel momento che cominciò a riflettere seriamente sul destino che legava quel bambino al sé. Cosa avrebbe voluto che facesse, lui, al riguardo? Non aveva dubbi, certo, ma urgeva la rilettura di quella famosa lettera che il biondino gli aveva lasciato, per sapere come procedere. Sperava solo che, adesso che sapeva tutta la verità, quella lettera gli sarebbe apparsa più chiara.
Hinata invece continuava a riflettere su quella richiesta inaspettata. Perché voleva che fosse lei a cantare i suoi testi? E soprattutto, perché non li cantava direttamente lui?
Sapeva che c’era qualcosa sotto. Qualcosa di grosso. Ma aveva ancora troppi pochi elementi per poter indagare ulteriormente, così adesso si stava arrovellando. Inoltre… sentiva in fondo al cuore una brutta sensazione, un grosso macigno le pesava sul petto. Sentiva di star tradendo… Naruto.
Ecco, se lo disse mentalmente, pronunciando il suo nome con la voce del suo io interiore: lei stava tradendo Naruto. Perché? Perché aveva accettato di cantare canzoni non scritte da lui.
Sinceramente, poi, non poteva fare a meno che pensare che le canzoni scritte da Sasuke non fossero nemmeno paragonabili a quelle di suo marito. Era impensabile, anche contando la loro vicinanza e tutti gli insegnamenti che aveva impartito il defunto al moretto, non si poteva neanche immaginare che fossero allo stesso livello. Poteva anche sentirsi male per un pensiero del genere, sentirsi perfida nei confronti dell’uomo, ma non poteva mentire a se stessa. Era così. Perciò, nonostante avesse sentito la sua voce dentro di sé a incoraggiarla, adesso era restia a prestare la propria voce – e di qualunque livello si trattasse, non sarebbe mai stata abbastanza per cantare una loro canzone – alle parole di Sasuke. Glielo disse.
<< Senti, non so se sia una buona idea. >> mormorò poco dopo << Non ne sono in grado. E… sinceramente non credo che le tue canzoni siano al suo livello. >>
Per un attimo, Sasuke rimase senza parole. Tentò di non darlo a vedere, di ricomporsi, ma sapeva che era tutto inutile se ad osservarlo c’era lei, Hinata. Chiuse gli occhi, tentando di riappropriarsi della propria calma, per poi riaprirli con aria di sufficienza.
<< Questo è indubbio, abbiamo comunque stili molto diversi. >> affermò, con tono pacato << Non ho mai detto di essere migliore di lui. Lo ritengo impossibile. >>
Lei inarcò un sopracciglio, sorpresa da quelle frasi. Delle volte, non riconosceva più Sasuke.
<< E allora? >> chiese, curiosa << Perché vuoi che li canti? >>
<< Perché voglio sentire come diventano le mie emozioni quando escono dalla tua bocca. >> disse semplicemente, guardandola negli occhi bianchi.
La ragazza socchiuse leggermente la bocca, nuovamente stupita. Non sapeva bene cosa rispondere, ma ormai era impossibile sottrarsi a quell’incarico. Cominciò ad arrovellarsi, ma come sempre Kurama le venne in aiuto, salvandola ancora una volta.
Il bambino si mosse, mugolando appena. Hinata si alzò immediatamente ed andò verso di lui, intuendo che il suo piccolino non stava dormendo bene, ma aveva il sonno disturbato. L’espressione infastidita che vide quando gli si avvicinò le diede conferma della sua teoria. Kurama era sicuramente scomodo in quella posizione, e spesso le era capitato di vederlo pervaso da incubi quando non dormiva nella sua camera, dove aveva i suoi protettori.
Gli accarezzo il viso paffuto, preoccupata, non notando nell’immediato che Sasuke le si era avvicinato guardando attentamente la scena. Solo dopo una manciata di secondi avvertì la presenza dell’uomo proprio affianco a lei, ed una strana sensazione di imbarazzo le inebriò le membra.
<< Prendilo. >> disse in fretta, tentando di distogliere l’attenzione su quelle emozioni improvvise << Prendilo in braccio. >>
<< Che? >> rispose Sasuke, esterrefatto.
<< Lo dobbiamo portare in stanza, nel suo letto, ed io da brava mamma ho la schiena distrutta. >> spiegò, guardando negli occhi Sasuke con sguardo serio e improvvisamente affettuoso << E poi, in questi anni, tutti hanno avuto la possibilità di prenderlo in braccio, di stringerlo, di crearci un legame.  Tu no. Su, prendilo. >>
<< Che c’entra, ora, che non l’ho mai preso in braccio? >> domandò ancora una volta Sasuke, sbalordito << Non è così che si crea un legame! >>
Hinata lo guardò con lo sguardo dolce con cui di solito spiegava cose semplicissime al suo Kurama.
<< Sasuke, tu non hai idea di che cosa significa prendere in braccio per la prima volta il bambino che stai crescendo, l’emozione che provi quando ti rivolge il primo sorriso, oppure quando ti abbraccia con affetto. >> sussurrò, con gli occhi luminosi ed in viso un sorriso << Fidati, ti cambia nel profondo. >>
<< E se non volessi cambiare? >> ribatté lui, che nonostante tutto era rimasto colpito da quelle parole, non dandolo comunque a vedere.
<< Oooh, Sas’kè! >> sbuffò Hinata, imitando inconsapevole lui << Non fare l’indifferente con me. Ormai non serve più. >>
Fu la volta di Sasuke di sbuffare, che si accovacciò vicino a Hinata al capezzale del bambino. Tese le mani, che all’improvviso tremarono: adesso che si accingeva a farlo, non aveva davvero idea di come comportarsi, di quale fosse il modo giusto per prendere in braccio il bambino.
<< Una mano sotto il collo e una sotto le ginocchia. >> gli suggerì la voce divertita della donna << Avanti Sasuke, non ti morde! >>
Sasuke allungò le mani, preoccupato, e sul punto di toccare il bambino con mani incerte sentì nuovamente la voce irrisoria di Hinata giungergli alle orecchie.
<< Beh, diciamo. >> aggiunse poco dopo << E’ capitato che abbia morso qualcuno di noi, giocando alla lotta. >> si portò una mano alla bocca, tentando invano di trattenere una risata << D’altronde, è figlio di suo padre! >>
Sasuke spostò lentamente lo sguardo e la fulminò con la coda dell'occhio, arrabbiato per quelle offese e quelle prese in giro. Hinata ricambiò con uno sguardo che lo incitava a procedere con coraggio. L’uomo allora si fece avanti, e in quel momento sembrò un bambino che muoveva i suoi primi passi, un adolescente alle sue prime esperienze, un padre da appena ventiquattro ore: incerto e insicuro, ma felice.
Prese il bambino fra le braccia, lentamente, ed il suo peso gli gravò addosso con dolcezza, senza pesargli, senza fargli male. Se lo ritrovò all’improvviso fra le braccia, quel bambino con gli occhi sognanti, così indifeso e docile. Lo strinse fra le braccia, accostandoselo al petto, sentendo le emozioni appena citate da Hinata inebriarlo. Guardò la vita che teneva fra le braccia, accarezzandogli dolcemente i capelli lunghi e sottili, passando poi a delineare il suo profilo con un dito. Non voleva svegliarlo, ma era comandato da un moto che non ricordava di possedere. Nonostante all’inizio fosse restio, tutte quelle emozioni lo spingevano a prendere rapidamente confidenza con Kurama: ed era vero, prenderlo in braccio, avere quella vita fra le mani, l’aveva già legato inesorabilmente a lui.
Hinata osservò la scena con gioia e le lacrime agli occhi. Dentro di lei, però, mancava qualcosa: un vuoto in mezzo al petto, che le faceva male così tanto da sentire fitte trapassarle il cuore da parte a parte, fino ad arrivare alla schiena, al midollo. L’anima in quel momento era partita per un viaggio tutto suo, fino a raggiungere le sue colleghe che avevano raggiunto un posto migliore. Fu così che rivide lui davanti ai suoi occhi, e non desiderò altro che vedere lui a tenere fra le braccia il loro bambino, vederli guardarsi negli occhi, quegli occhi paradiso che lei amava così tanto, con tutta se stessa, tanto da farle male. Rimpianse, ancora una volta, senza sapere quale errore incolpare; sapeva che era semplicemente stato il destino a portarglielo via, a strapparglielo con tutta la sua forza: non poteva farci niente, né incolpare qualsiasi cosa che non fosse la provvidenza.
Il suo istinto materno la riportò all’improvviso alla realtà: Sasuke si era alzato, continuando a stringere a sé il suo bambino, e adesso la guardava leggermente preoccupato.
Si alzò a sua volta, tentando di non dar a vedere le sue emozioni, ed insieme andarono verso la stanza del bambino. Fu la prima volta che Sasuke entrava nella cameretta di Kurama, ed anche quella fu un emozione forte. Si guardò intorno con fare attento, notando ogni piccolo particolare che segnalasse il passaggio del suo amico defunto. Appoggiò il bambino sul letto ed osservò il suo sorriso soddisfatto, mentre Hinata gli rimboccava le coperte, da brava mamma.  
Sempre in silenzio, i due tornarono in sala musica. Ognuno era assorto dai propri pensieri e non fiatarono fino a quando non si chiusero la porta alle spalle. Hinata si diresse verso il suo amato pianoforte, vi si sedette, per poi sfiorare appena con le dita i tasti d’avorio.  
Sasuke rimase per un attimo interdetto, gli occhi fissi su di lei. La trovò estremamente elegante e bella, con i suoi begli abiti, i suoi capelli lunghi e ondulati, la pelle nivea, gli occhi paradisiaci, il portamento fiero, quasi fosse un quadro. Hinata, ventisette anni, madre, imprenditrice e artista, era diventata davvero la donna più bella del mondo.
Hinata alzò all’improvviso lo sguardo su di lui e i loro occhi si incontrarono. Si sentii osservato, di colpo importante, di colpo al centro dell’attenzione, proprio lui, che era sempre in disparte, sempre distaccato, sempre in un angolo ad indagare nelle vite degli altri.
<< Non credo sia giusto che sia solo io a fare un favore a te, Sasuke. >> disse la donna, con voce ferma << Insomma, mi stai chiedendo troppo. Forse dovresti darmi qualcosa in cambio. >>
<< Ti ho già detto che dopo che avrai cantato, io ti farò sentire cosa ho imparato a fare in questi cinque anni. >> affermò lui, di rimando, tentando di sostenere quello sguardo indagatore << Te l’ho già detto, ho imparato a suonare un nuovo strumento. >>  
Un ghignò familiare, che non avrebbe mai pensato potesse appartenere alla figura angelica di Hinata ma ricordava spesso sul volto di lui, si dipinse sul suo volto.
<< Sappi che non canterò se tu prima non suonerai per me. >> affermò, suadente.
Sasuke la guardò sconcertato, per un attimo. Riconobbe in Hinata un moto sbarazzino e deciso che non sapeva appartenerle, ma era scritto nel DNA di qualcun altro. Forse, avere in grembo il suo bambino, l’aveva geneticamente modificata. Forse era stata la sua influenza prima e quella di Kurama dopo, a farle male. Insomma, chi va con lo zoppo, impara a zoppicare.
Scosse la testa, sbalordito dai suoi stessi pensieri apocalittici. Per tutti i Kami, pensò, ha influenzato anche me!
La guardò infastidito, per poi annuire brevemente. Per poco Hinata non gli rise in faccia.
<< Siediti al pianoforte e comincia a suonare. >> ordinò il moro << Non ti girare per alcuna ragione verso di me. >>
<< Ma… >> Hinata rimase a bocca aperta.
<< Per nessuna ragione! >> quasi urlò, stizzito, indicandole il piano.
Hinata si voltò, imbronciata, e fissò i tasti del piano, che accarezzò lentamente. Raccolse la concentrazione e chiuse gli occhi. Cominciò a suonare, lentamente, aspettando che un qualche strumento si unisse al suo canto impetuoso. Sasuke si guardò intorno, alla ricerca dello strumento che aveva imparato a suonare. Sapeva perfettamente che era lì, perché quella stanza era come uno scrigno della musica, ed infatti lo adocchiò, accanto alla finestra, che dava sul cielo stellato e brillante.
Fissò la luna, mentre con cura sfilava lo strumento dalla custodia. Controllò che ci fosse tutto, si mise in posizione e inspirò, cominciando a suonare.
Al pianoforte impetuoso si unì un violino dolce. Hinata spalancò occhi, bocca e orecchie, esterrefatta. Era da non crederci, ma la tenerezza di quel suono melodioso la inebriò completamente, facendola rabbrividire. Per un attimo, pensò che se continuava di quel passo le sue ossa sarebbero diventate talmente molli da farla sciogliere sul pavimento.
Non resistette e voltò il viso, continuando a suonare il pianoforte. Non sapeva se fosse possibile, ma la sua bocca si spalancò ulteriormente. Non credette ai propri occhi, né alle sue orecchie: non si fidò più dei propri sensi, non credette alla sua immaginazione.
Però lui era lì. Aveva visto bene. Sasuke era dietro di lei, la luce della luna sul viso e sul collo, dove si posava il violino. L’altra metà del viso, quella martoriata dal pugno di Kiba, era in ombra: un corpo spezzato, per metà diavolo e per metà angelo, ecco cosa vedeva. Aveva gli occhi chiusi, il volto rilassato nonostante la concentrazione, le lunga ciglia scure tremanti, i capelli scostati per far posto allo strumento. Era elegantissimo, avvolto dalle tenebre ma propriamente illuminato, sembrava un dio greco o un violinista da film drammatico. Assolutamente perfetto. Lo osservava e ascoltava la sua musica dolce: capì che in quel momento non c’era più il Sasuke imperturbabile, freddo, scostante e distratto ma quello profondo e cedevole, affettuoso e premuroso.
Sasuke aveva imparato a suonare il violino. Sasuke aveva imparato a mostrare il suo lato sensibile.
Smise di suonare e aprì gli occhi: Hinata tornò immediatamente a guardare la tastiera, cercando di far finta di non averlo mai osservato. Arrossì, sentendo il suo sguardo su di sé, concludendo la canzone.
La donna si voltò completamente, dando le spalle al pianoforte. Osservò Sasuke, incontrò il suo sguardo color petrolio, ci si immerse completamente e perse il senso della realtà. Sasuke la privava dei sensi e di ogni inibizione, la disarmava.
<< Mi hai guardato. >> affermò il moro, atono.
Hinata annuì, poi abbassò lo sguardo, portandosi una mano alla bocca. Scossa da fremiti, non si fidò più del proprio corpo, né della propria mente. Non riusciva a capire come potesse passargli per l’anticamera del cervello quel pensiero, che non riuscì a frenare.
<< Non ho mai sentito niente di più bello. >>
Sentì distintamente due braccia avvolgerla e stringerla forte, il calore di quel corpo saldo e affettuoso penetrarle le cicatrici delle membra e del cuore, mentre Sasuke si inginocchiava davanti a lei, incapace di simulare emozioni anche in quel momento.
<< E’ tutto merito suo. >>
<< No, Sas'kè. Sei sempre stato tu quello bravo! >>





 

Angolino di Tomoko.
Sono tornata! Quante cose succedono in questo capitolo, eh? Quante?
Il nostro Sasuke lega con Kurama! E che ne pensate di lui al violino, eh?
Vi consiglio di ascoltare la canzone, è davvero bella. Siete così in tanti
a seguirmi, non ci credo! Presto risponderò alle recensioni, perdonatemi,
ma sono davvero piena di impegni ultimamente. Fatemi comunque
sapere cosa ne pensate! KISS


 

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Capitolo 8
*** Primavera. ***


Gli ultimi sognatori.
Occhi Paradiso.
Primavera.
[Tempo di cambiamenti.]
 
[Ludovico Einaudi: Primavera (mentre leggete e ascoltate
la canzone, provate a immaginare Sasuke e Hinata che
suonano, mentre Sakura vive la sua vita... come un film.]
~5 anni prima.
<< Sakura? >>
Quella voce calda e conosciuta la richiamò all’improvviso, destandola dal suo stato di trans. Nonostante tutto, non diede segni di averla sentita, ma la ignorò bellamente, lasciando che i suoi occhi fissassero il vuoto. Dopo aver saputo della sua partenza improvvisa, da vigliacco menefreghista, era rimasta tutto il giorno seduta sul bordo del letto, incapace di muovere anche un solo muscolo. Come fa a ridurmi sempre in questo modo? Ogni volta se lo chiedeva e non riusciva a darsi una risposta, se non che fosse colpa sua. Ogni volta che si innamorava, Sakura si comportava come una ragazzina. Faceva errori da ragazzina e amava come ama una ragazzina, con tutta se stessa, lasciandosi travolgere senza pensare, senza proteggersi, senza scudi, come in una tipica cotta adolescenziale. Comunque, non era neanche riuscita a raggiungere Hinata, a starle vicino. Si vergognava di se stessa. Che razza di amica era? Ogni volta si preoccupava solo di se stessa. Cavolo, ogni volta che ci pensava sentiva il petto ardere per la rabbia: voleva cambiare.
Nuovamente fu lui a ridestarla, sfiorandola con due dita mentre le metteva dietro l’orecchio una ciocca di capelli ribelli. Senza volerlo, si scostò, liberandosi da quel tocco che non desiderava con un gesto repentino.
<< Non toccarmi. >> disse infatti, senza neanche guardarlo.
La sua mano rimase sospesa in aria: sapeva di averlo stupito, ma non sapeva che presto sarebbe stato lui a farlo.
<< Ascoltami, Sakura. >> cominciò lui << So perfettamente che ti manca. >> Sakura chiuse gli occhi, intristita << E so anche perché, ma non mi importa. >> stavolta li sgranò, enormemente stupita << Vedi… nel mio cuore spero che sia stato solo un errore, perché ti voglio con me. Ma nella mia testa so bene che ci sei andata a letto perché lo ami. >>
Stavolta la ragazza si voltò, per guardarlo negli occhi rossicci, sbalordita. Raramente Sasori si era aperto in quel modo con lei, e quasi mai le aveva dimostrato di capirla così al volo, o di tenere a lei in modo particolare. Si era sempre preso cura di lei perché la paragonava all’arte, non ad una donna da amare. Invece le stava dimostrando che era ben più di ciò che voleva far vedere e lei non poteva fare a meno che sentirsi un verme della peggior specie. Gli aveva fatto del male. Avrebbe voluto sotterrarsi con le sue mani.    
Lo vide abbassarsi per sfiorarle la spalla con un bacio umido e caldo, per poi tornare a guardarla con occhi imploranti.
<< Ma… io ti amo, Sakura. E l’amore vince sulla ragione. >> le baciò ancora la spalla << Sono disposto a perdonarti, se tu sei disposta a fingere di amarmi. >>
Sakura tremò per l’emozione. Non aveva mai visto Sasori così sincero con lei, né così bisognoso e docile. Sasori era sempre stato quello forte, la colonna portante di quella coppia un poco campata in aria. Adesso invece, era lui a dimostrarsi quello innamorato alla follia, e Sakura non avrebbe mai voluto ridurlo nei suoi stessi panni. La amava. Allungò una mano con cui pettinò i capelli rossi e meravigliosi che aveva il ragazzo.
<< Non sono abbastanza matura per stare con te, Sasori. >> rivelò, sincera << Ti farei solo del male. >>
<< A me va bene così, davvero. >>
<< A me no! >> lo interruppe lei << Ho bisogno di crescere! Non mi sopportò più! >>
<< Lo faremo insieme, allora. >> rispose lui, accarezzandole a sua volta i capelli << Ma ti prego, non mi lasciare. >>
Sakura annuì, poco convinta. Non sapeva se stava facendo la cosa giusta per lui ma, sicuramente, avere affianco Sasori in quel suo percorso di crescita, l’avrebbe aiutata. Ancora una volta egoista, accettò, decisa a fare di quella affermazione la sua ultima cavolata.
Sasori si avvicinò a lei, tremando, e molto lentamente le sfiorò il naso con il proprio, inspirando forte il suo profumo, respirando la stessa aria. Le sfiorò il naso con un bacio, per poi passare alla bocca, ansimante, allungando le mani sulla sua schiena. Fu più intenso di mille ti amo.
 
~Un mese dopo.
Sakura era appoggiata allo stipite della porta della camera d’ospedale completamente bianca, eppure così tetra. Non se ne capacitava. Poche settimane prima Hinata aveva rischiato un aborto. Un avvenimento catastrofico, che li riportava tutti in ospedale, con la mente ad altre tragedie. Solo dicendo aborto si sottintendeva qualcosa di peggiore, in un certo senso. Hinata era incinta, aveva rischiato di perdere il suo bambino e se tutto andava per il meglio avrebbe dovuto crescerlo da sola.
Ripensò a quando la sua amica era una ragazza semplice, elegante, con come unici crucci i problemi a lavoro e con il padre. Problemi importanti, sì, ma niente di così grande come quelli che aveva adesso: una casa discografica a cui badare, un fidanzato morto, un bambino da crescere.
Sakura non riusciva neanche ad immaginare come fosse essere nei suoi panni e non sapeva come affrontare quella situazione, come aiutarla in quella avventura. Incapace di agire e di pensare, se ne rimaneva lì, sulla soglia, in piena notte, a badare al sonno di Hinata, tentando di scacciare i brutti sogni con la sua sola presenza.
Cosa avrebbe fatto al suo posto? Se lo domandava e non sapeva cosa rispondersi: tutto ciò le faceva tornare in mente quanto fosse immatura.
E Sasuke? Dove è finito? – perché diavolo devo pensarci?
 
~Qualche mese dopo.
Ancora non poteva crederci, neanche alla vista del pancione rigonfio.
La osservava attentamente, appoggiata sulla mano, seduta sulla sedia a sdraio in giardino, mentre Hinata, anch’ella sdraiata, beveva un the freddo. Era giugno e a Tokyo regnava già l’afa. Tutti insieme si stavano godendo una giornata al caldo, ad abbronzarsi. Hinata era al settimo mese della gravidanza e adesso stava meglio. Era ancora a rischio, certo, ma niente che non si potesse evitare con un po’ di attenzione e riposo. Ultimamente si ritrovava ad osservarla spesso, quasi senza accorgersene. Era molto preoccupata per la sua amica, ma come al solito non sapeva che fare. La gravidanza le donava, il volto leggermente più paffuto le addolciva il viso, anche se troppo spesso lo sguardo era perso altrove, perso oltre il cielo, oltre il Paradiso. Hinata era una donna triste, e quello sguardo nostalgico la rendeva degna dei migliori film. "Una bellezza dark" diceva sempre Sasori, quando ne parlavano, di tanto in tanto. Eppure, le faceva male a vederla così. E si sentiva incapace, incapace, incapace, perchè non poteva aiutarla...
La vide sporgersi verso il tavolino per riempirsi il bicchiere con altro the, e subito accorse, rubandole il bicchiere di mano.
<< Non sforzarti, faccio io. >> affermò, riempiendolo nuovamente con il liquido << Non dovresti muoverti nelle tue condizioni. >>
Hinata rimase in silenzio, spostando lo sguardo vuoto sul resto del gruppo che si divertiva, giocando a pallavolo. Uno sguardo incomprensibile e, come sempre, Sakura non poté fare a meno di scrutarla, cercando di carpire quei pensieri che, ne era certa, erano molto più oscuri di quanto si pensasse. Si perdeva così spesso a fissarla, a passare il suo tempo così, cercando di capirla, cercando di aiutarla, che ormai aveva smesso di vivere la sua vita: si sentiva in colpa, terribilmente, perché troppo spesso aveva pensato a sé, poche volte si era preoccupata delle sue amiche da persona matura. Era caduta in un limbo dal quale non riusciva e non voleva rialzarsi.
<< Non preoccuparti per me. Studia per gli esami, o divertiti con gli altri. >> la sentì mormorare all’improvviso << Io ho giusto un paio di angeli a proteggermi. >>
Quelle parole la trafissero più di mille lame. Hinata era perfetta, era dolce, si preoccupava più degli altri che di se stessa, era forte, era matura, anche se infinitamente triste. Tutto ciò che, nonostante tutto, avrebbe voluto essere.
  
~Due mesi dopo.
Stava lì, sfinita, ancora una volta in un letto d’ospedale, ma questa volta per un lieto evento. Il suo bambino, nato il primo agosto, riposava in una culla accanto alla madre, i pugni stretti davanti al viso, pronto a combattere. Erano passati un paio di giorni dalla nascita, ma i dottori la volevano tenere sotto controllo perché ancora non si era ripresa: era stato un parto difficile, esattamente quanto la gravidanza, ma lei e Kurama erano dei combattenti. Era ormai l’ora di pranzo e Sakura era passata lì direttamente dopo aver dato un esame di medicina: era tutta sudata, stanca, ma vedere quei due le metteva su immediatamente un sorriso felice.
Si chinò sulla culla, sotto lo sguardo contento dell’amica, per osservare meglio il faccino del pargolo beato e dormiente.
<< Avvicinati. >> mormorò Hinata, con voce flebile.
Sakura le si avvicinò e si sedette accanto a lei sul letto, prendendo ad accarezzarle i capelli umidi per il sudore.
<< Sei stata davvero brava. >> disse, con fare incoraggiante << Hai fatto un ottimo lavoro. E’ bellissimo. >>
<< Devi promettermi una cosa, Sakura. >> affermò all’improvviso seria la mora << Ci tengo. >>
<< Dimmi. >> qualsiasi cosa per aiutare la sua amica.
<< Devi diventare una dottoressa bravissima, la più brava. >> aveva quasi le lacrime agli occhi, stanca e provata, ma ancora forte e salda << E devi curare il mio bambino semmai avesse la stessa malattia che ha ucciso suopadre. >>
Credette di non poter più respirare.
 
~Alcuni mesi dopo.
Era piegata sui suoi libri ormai da ore, con una tazza di caffè in una mano e la matita per sottolineare nell’altra. Studiare medicina era sfiancante, ma aveva fatto una promessa che andava mantenuta. Spesso ci aveva pensato anche lei, spingendosi a dare del suo meglio: voleva salvare persone che erano morte come il suo amico.
Questo desiderio, come diceva sempre Sasori, era prova di maturità. Sakura non sognava più di diventare medico per i soldi, ma per un motivo reale. Sakura non era più una ragazzina, stava crescendo.
<< Ouch. >> mormorò colpita, mentre una manina le tirava i capelli corti << Kurama, fai il bravo! >>
Sentì la risata di Sasori fin dalla cucina che la prendeva in giro tutto contento. Erano a casa di lui, dove ormai Sakura si era trasferita, a prendersi cura del piccolo Kurama, lasciando la serata libera a Kiba e Hanabi, che si prendevano cura del bambino mentre Hinata era via per lavoro.
<< Che ti ridi tu! >> urlò Sakura, per farsi sentire dal fidanzato.
<< E’ attratto dai tuoi capelli, ecco cosa rido! >> rispose il rosso, arrivando in salotto con due piatti di sashimi e verdure e il cibo per il piccolo Kurama << Esattamente come me! >>
<< Ma li ho tagliati! >> affermò la rosa, chiudendo il libro e prendendo il bambino in braccio per farlo mangiare.
<< Che c’entra, è il colore che attira! >> rispose lui, sorridendo vedendola sbuffare << Come in un opera d’arte, sono i colori che attirano, non il disegno. >>
<< Non ricominciare con questi discorsi campati in aria… >> rispose lei, imboccando il bambino.
Sasori afferrò con le bacchette un pezzo di sashimi e glielo infilò in bocca, “imboccandola” in modo scherzoso.
<< Stai zitta, cattivona. >>
Sakura si arrabbiò cercando di mangiare il suo sashimi e fece una faccia buffissima che fece scoppiare a ridere il ragazzo. Forse, tutto poteva tornare alla normalità.
 
~Alcuni anni dopo.
Tutti le stavano facendo i complimenti per la sua tesi formidabile e il suo cento e lode: finalmente si era laureata, ma solo lei, forse, sapeva bene che il suo percorso era ancora molto lungo.
Non era finita lì e lo sapeva bene. Cinque anni non bastano per diventare un dottore come si deve ed era ansiosa di far sapere i propri progetti ad una persona che adesso non riusciva proprio a trovare. Si trovavano nell’ampio giardino della sua facoltà e lei era accerchiata dai suoi colleghi e i suoi amici: accanto a lei, come sempre, Sasori, l’unico che cercava di non farle palesare i grandi assenti di quell’evento. Sakura non faceva altro che sorridere fintamente e allungare l’occhio a destra e sinistra alla ricerca di qualcuno che finalmente trovò, scostata dagli altri, in un angolo appartato. Ringraziò tutti e si defilò, lasciando Sasori in mezzo ai guai.
<< Hinata. >> la richiamò non appena li raggiunse.
La donna stava giocando con il proprio bambino, che era attratto dagli alberi e dalla splendida natura di quel luogo. Quando si sentì chiamare, alzò lo sguardo bianco, sorridendole appena.
<< Sei stata bravissima, complimenti. >>
<< Grazie, ma sono qui da te per un altro motivo. >> annunciò, avvicinandosele ancora senza distogliere lo sguardo serio da lei << Volevo che fossi la prima a saperlo. >> le prese le mani, ansiosa, e la voce le tremò << Mi specializzerò in oncologia. >>
Hinata sgranò gli occhi, emozionata, poi l’abbracciò forte, grata.
<< Ti ringrazio. >> sussurrò infatti << Sapevo che avresti tenuto fede alla nostra promessa. >>
 
~Alcuni mesi dopo.
A cavalcioni su di lui, si dedicava completamente al suo uomo, baciandolo, mordendogli le labbra e le spalle, leccando come un gatto l’incavo del collo, facendolo sospirare alacremente. Inspirava il suo profumo, muoveva piano il bacino, mentre lui osservava quel corpo nudo e roseo, scolpito sui fianchi, morbido sui seni, che lentamente sfiorava con i polpastrelli che parevano ardere, lasciandosi andare a sospiri tenui e cadenzati.
I capelli, profumati di rosa, adesso le arrivavano alle spalle: era passato tanto tempo da quando erano tornati insieme, ma Sasori non smetteva di amarla, di fare l’amore con lei, di desiderarla.
<< Cos’hai oggi? >> mormorò Sakura al suo orecchio, senza interrompere il suo moto lussurioso.
<< Perché? >>
<< Sei serio, nemmeno un sorriso… >> aggiunse la donna << Voi artisti siete così lunatici! >>
Sasori la strinse forte, costringendola a bloccarsi. Con un colpo di reni capovolse le situazioni, ma non per prendere possesso di lei, semplicemente per liberarsi da quel contatto, tornando poi a stendersi, coperto a malapena dal lenzuolo leggero.
Era vero, Sasori non sorrideva da un po’. Amava la donna che aveva a fianco con tutto se stesso, ma delle volte proprio non riusciva a ignorare che il suo cuore apparteneva ancora ad un altro. Aveva creduto di essere in grado di leccare le sue ferite, di curarla, di strappare gli artigli di quell’altra persona dal cuore della donna della sua amata, col tempo, ma spesso si ritrovava a credere che non ci era riuscito. Non sapeva esattamente cosa glielo facesse pensare, perché passavano mesi prima che questo dubbio tornasse a tormentargli le sinapsi; forse era il suo sguardo perso nel cielo nero, quelle labbra che all’improvviso si facevano strette, trovarla pensierosa o infastidita tutta a un tratto, quando tornava a chiudersi nel suo riccio tagliente. C’era qualcosa, nell’aria, nella tensione, che di colpo gli comunicava la sua presenza, come un’ombra scura che si impadroniva facilmente dei loro umori, capace di comandarli a distanza come un grande marionettista.
<< Sasori… >>
<< Sei ancora innamorata di lui. >>
Lo disse duramente, tanto da zittire Sakura, che si incupì all’istante.
Era vero, non poteva negarlo. Di tanto in tanto le capitava di perdersi nei ricordi: bastava una piccola cosa, per renderla triste, per riportarla a memorie sepolte. Non voleva lasciarsi trasportare così, e davvero non riusciva a farsene una ragione, ma avere a fianco Sasori, in quegli anni, era stato curativo. Sentiva che le mancava davvero poco per passare alla pagina successiva della sua vita, quella con Sasori, da soli, ma ogni volta che lo pensava faceva un passo indietro, memore di tutto quello che aveva passato con Sasuke, che una piccola, fastidiosa, vocina nella sua testa le diceva di non poter cancellare.
Ma Sasori era diverso. Era più grande, era divertente, era premuroso, anche se all’apparenza freddo e scostante, strafottente, lui era dolce, inaspettatamente dolce… ed era bello parlare con lui delle cose più disparate, così semplice, e si sentiva così amata, fra le sue braccia. Si era affezionata, ma sapeva che ormai, per lui, provava molto più di questo. Le era entrato sotto la pelle.  
<< Hai ragione. >> ammise, accostandosi a lui, infilando nuovamente la testa nell’incavo del suo collo << Ma io ti amo. >>
Senza dire niente, Sasori infilò una mano fra i suoi capelli e le spinse la nuca verso il proprio petto, teneramente, ma con un pizzico di tristezza.
 
~Nel presente.
Fissava i biglietti dell’aereo con aria stanca e triste. Sasori le aveva regalato una vacanza insieme a lui, per prendersi una pausa dallo studio e da quei cinque anni sfiancanti. Fare la specializzanda era stancante, ma non perdeva mai di vista il suo obbiettivo finale: aveva fatto una promessa che andava mantenuta.
Solo che le dispiaceva molto trovarsi all’improvviso davanti casa, dopo quel viaggio super rilassante alle Bahamas… tornare al ritmo frenetico, dopo la prima vera vacanza della sua vita, era inimmaginabile. Tentò di non pensarci molto, rivolgendo comunque uno sguardo impaurito e stanco a Sasori quando suonò il campanello di casa Hyuga. Erano tornati di domenica: tutti erano a casa, sicuramente.
Sulla soglia, quando la porta si aprì, apparve Kiba, e per un secondo le sembrò di vedere un’espressione decisamente impaurita, che fu subito sostituita da uno strano sorriso di circostanza. Lo vide sporgersi per abbracciarla, per poi dare una stretta di mano seguita da una vigorosa pacca sulla spalla a Sasori.
I due entrarono nell’ingresso, scambiandosi uno sguardo preoccupato alle spalle del moro, che li accompagnò fino al salotto. Sakura sorrise, vedendo accorrere Kurama, che prese prontamente in braccio e la salutò sprizzando gioia da tutti i pori, giocando con i suoi lunghi capelli rosa.
Lasciò scorrere lo sguardo sui presenti: Hanabi e Hinata sul divano, intente a revisionare documenti della Moon’s eyes, instancabili, Shikamaru accanto a loro, che probabilmente stava distrattamente guardando la tv, Ino che si era alzata e veniva verso di lei… tutti avevano dei visi strani, quasi allibiti. Perché? Le sembrò di essere nel suo peggior incubo.
Ino era arrivata davanti a lei, sul volto un’espressione triste, poi l’aveva abbracciata, stringendo in quell’abbraccio anche Kurama.
<< Ti prego. >> mormorò al suo orecchio << Non farti prendere dal panico. E, soprattutto, non ti arrabbiare. >>
<< Ma, perché?... >> Sakura parve non capire e la guardò interrogativa non appena sciolsero la stretta.
In seguito, capì.
<< Se non vi dispiace, oggi cucino io. >> aveva annunciato un viso conosciuto, entrando nella stanza dal bagno, per poi interrompersi non appena notò la sua presenza.
Sentì Sasori, accanto a lei, irrigidirsi di colpo. Non ebbe bisogno neanche di guardarlo.
I loro occhi si incontrarono e, dopo anni, tornò a perdersi in quelle due pozze d’ossidiana che la incatenavano a sé, come calamite, come magneti, e non seppe dire quanto tempo passò. L’unica cosa che riuscì a sentire fu il proprio cuore intento a dimenarsi come un ossesso, con capriole che avrebbero fatto invidia alle medaglie olimpioniche. E pensò, pensò il suo nome, stupita e scioccata.
Sasuke.
 



Angolino di Tomoko.
Sono tornata, e stavolta in perfetto orario! Vi avevo già avvisato di un capitolo
interamente dedicato a Sakura, ed ecco qui il suo ritorno! Anche se, come 
sempre, io interrompo sempre sul più bello... ehem. Capitolo misto,
un pò toccante, un pò sentimentale, un pò come volete voi, spero che vi
piaccia! Era come vi aspettavate? Fatemelo sapere presto n.n

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Capitolo 9
*** You. ***


Gli ultimi sognatori.
Occhi Paradiso.
You.
[Un legame con te.]

[Evanescence: You]
Sakura cominciò a tremare, mentre rimaneva ferma a guardare Sasuke, che si era fermato ad osservarla a sua volta, stupito.
Doveva ammettere a se stesso che non erano state rare le volte in cui aveva pensato a lei, ma neanche così tante, immerso nei rimorsi e nel dolore di quel tempo; quando lo aveva fatto, però, non poteva fare a meno che chiedersi come stesse, se avesse superato tutto quel dolore che sapeva avergli provocato, se fosse riuscita ad andare avanti, magari proprio con Sasori. Assurdo come proprio uno dei motivi maggiori per cui si erano lasciati tanti anni prima, ovvero gli interessi di quello strano ragazzo dai capelli rossi, adesso fossero motivo di piacere, per lui. Aveva davvero odiato quel ragazzo, dal profondo, perché provava un amore morboso per Sakura, un amore malato, possessivo e, se ne rendeva conto solo adesso, infantile. Sakura non era mai stato un oggetto da usare a proprio piacimento, tanto da pretendere la sua presenza e il suo affetto incondizionato, mentre lui raramente ricambiava, eppure l’aveva spesso utilizzata in malo modo, proprio come se lo fosse. Se ne pentiva, avrebbe voluto chiedergli scusa, ma in un certo senso si sentiva in pace con la propria anima perché l’aveva lasciata fra le braccia di qualcuno decisamente migliore di lui per quanto riguardava la sfera amorosa, dove era ovviamente un caso perso, lo ammetteva. Adesso rivederla così cambiata e cresciuta gli faceva salire soltanto un moto di affetto verso una persona a cui aveva voluto bene sinceramente e che lo aveva salvato un po’ da quell’oblio che era la sua vita anni addietro. La osservava e vedeva una donna con una bellezza particolare, i lunghi capelli rosa e grandissimi occhi verdi che lo guardavano, ancora, scioccati.
<< Ciao, Sakura. >> salutò con una voce che celava la sua curiosità di vedere quanto fosse cambiata << Come stai? >>
Sakura rimase a bocca aperta, incapace di reagire, mentre un sonoro grugnito arrabbiato proveniva da un Sasori molto irrigidito.
<< Sta bene. >> fu lui a rispondere, il tono furente << E’ stata molto meglio da quando non ci sei stato. >>
<< Oh, buon per lei. >> rispose Sasuke guardandolo negli occhi, atono << Ne sono felice. >>
<< Perché… perché non vi sedete, Sakura? >> s’intromise la voce alquanto agitata di Ino << Tu e Sasori dovete raccontarci della vostra vacanza! >>
La bionda prese per mano l’amica che la seguì meccanicamente, sedendosi accanto a lei con gli occhi spalancati e fissi nel vuoto. Sasori rimase in piedi, lanciando fulmini e saette attraverso gli occhi all’uomo che aveva di fronte. Hinata osservò il tutto preoccupata e decise di intervenire, prendendo per un braccio Sasuke e accompagnandolo in cucina. Sasori grugnì ancora sdegnato e andò a sedersi con gli altri in salotto.
<< Volevi cucinare? >> domandò Hinata, con fare sbrigativo << Vuoi una mano? >>
<< No, grazie. >> rispose lui, infastidito << Stai forse cercando di allontanarmi da lei, mamma oca? >>
<< Ehi, non rispondermi così. Non ti ho fatto niente. >> affermò la mora, guardandolo duramente << E comunque sì, è la cosa più saggia da fare. Stai buono qui finché la situazione non si calma. >>
<< Mi stai dando degli ordini, piccola dolce Hinata? >> chiese, accentuando il tono irrisorio sulle ultime parole.
<< No. >> rispose lei, mollando la presa dal suo braccio come scottata << Ti sto chiedendo un favore. >>
Sasuke la guardò negli occhi bianchi e per poco riuscì a celare il brivido che gli aveva attraversato la schiena. Non riusciva proprio a dirle di no.
<< Bene. >> rispose lui, infilando la testa nel frigo per celare il suo fastidio per quanto gli era appena accaduto incontrando gli occhi di lei << Sei in debito. >>
<< Grazie, ‘suke. >> fece lei, con un gran sorriso, per poi andare via raggiungendo gli altri in soggiorno. Non alzò la testa dal frigorifero, troppo arrabbiato con se stesso che si faceva sempre abbindolare da quel diavolo travestito da angelo, e fece mente locale. Sakura aveva avuto una brutta reazione alla sua presenza in quella casa, ma neanche così grave: nelle sue fantasie Sakura lo prendeva a pugni, invece era rimasta totalmente in silenzio ma visibilmente provata. Pensò che forse quella reazione fosse la peggiore fra tutte, perché implicava quanto avesse sofferto e quanto non avesse minimamente superato la cosa, mentre lui, nel vederla con Sasori, che d’altro canto era geloso e possessivo esattamente come lo era stato lui, non aveva provato niente.
Si riscosse dai suoi pensieri mettendo a fuoco ciò che aveva davanti, ovvero l’interno del frigo. Osservò gli alimenti e capì che aveva tutto ciò che occorreva per fare una buona pasta al sugo e mozzarella e delle scaloppine al limone. Nei suoi viaggi aveva imparato a cucinare, perché ovviamente non poteva starsene ogni giorno al ristorante, e doveva ammettere che aveva cominciato ad amare diverse cucine quanto quella giapponese, e non era neanche un cuoco niente male. Certo, all’inizio era stato difficile prendere confidenza con utensili, tecniche di cottura e ingredienti, perché era una cosa che non aveva mai fatto: da piccolo era sua madre a cucinare – ricordava i suoi manicaretti con l’acquolina in bocca -, poi semplicemente si era accontentato di mangiare quello che trovava per strada o che rubava, niente di sano, e alla fine era stato Itachi a prendersi, in un certo senso, cura di lui. Quando col tempo aveva imparato a cucinare, Sasuke si era sentito incredibilmente vicino ad un mondo diverso, che aveva conosciuto, per troppo poco tempo, quando era un bambino e non poteva apprezzare tutto con calma e logica. Da piccolo aiutava sua madre a cucinare, o perlomeno la guardava farlo, checché lo ricordasse vagamente. Amava l’ordine, le regole, la logica, la tecnica che l’atto stesso di cucinare implicava; era un insieme di gesti precisi e prestabiliti, un insieme di colori con cui giocare e di sapori da accostare; inoltre il mondo domestico lo faceva sentire parte di qualcosa, gli ricordava il dolce sapore di avere qualcuno con cui condividere il pasto, qualcuno da aiutare nelle faccende di casa, in altre parole: famiglia, affetto, casa. Stranamente gli piaceva cucinare per qualcuno che amava, lo rilassava, lo faceva sentire bene, perché quell’atto esisteva unicamente per prendersi cura di qualcuno, per dimostrargli affetto; quell’atto faceva parte di quell’insieme infinito di cose che prendevano il nome di “amore”, perché cucinare in casa, ai fornelli, per le persone che amavi era amore puro, perché voleva dire attribuire un senso meraviglioso alla propria vita: vivere per prendersi cura degli altri.
Che l’atto di cucinare significasse così tante cose per uno come Sasuke stupisce, ma in fondo, appunto perché è lui, è del tutto logico. Sasuke non aveva mai avuto una casa, non aveva mai avuto qualcuno che si prendesse cura di lui, né qualcuno da amare: eppure delle persone erano entrate silenziosamente nella sua vita, nonostante lui non dimostrasse di desiderarle, e gli avevano allietato la vita con affetto e dolcezza. Cucinare, alla fin fine, gli ricordava incredibilmente lui, perché per tanto tempo avevano vissuto insieme, con e senza un tetto, riempiendogli così la mente e il cuore di memorie intime e segrete. Ricordava perfettamente il Naruto piccolo e smagrito, indifeso, che ancora non aveva imparato a vivere per strada e quindi i propri sforzi per dargli qualcosa da mangiare, anche solo un pezzo di pane, perché anche se fingeva di odiarlo gli era già entrato nel cuore con una facilità estrema; e poi ancora anni più tardi, quando ormai avevano compiuto la maggior età e lui era in quel periodo della sua vita in cui si era abbandonato all’alcool e alla malinconia, dopo aver perso Konohamaru: ricordava il Naruto nudo nella sua vasca, con gli occhi fissi nel vuoto e le proprie mani armate di spugna e di quanta più delicatezza potesse avere uno come lui, le stesse che più tardi lo avevano imboccato con forza, perché Naruto non mangiava più da giorni e rischiava di rimanerci secco. Cucinare era anche, almeno un po’, Naruto.
Sentì distintamente che i suoi pantaloni venivano strattonati piano ed abbassò lo sguardo, stupendosi di trovare due manine avvinghiate al tessuto morbido, ma ancor di più di riscoprire quegli occhi azzurri e grandi ad osservarlo curiosi, esattamente come avrebbe fatto lui. Un tuffo al cuore per un attimo gli impedì di respirare, perché in quel momento sentì che era proprio Naruto ad osservarlo curioso, come se avesse compreso perfettamente tutti i pensieri che aveva avuto fino a quel momento. Chiuse gli occhi, tentando di tornare in sé, di ritrovare la calma in modo da permettere alla ragione di tornare a prevalere sul suo folle cuore.
<< ‘suke-ji-san? >> chiamò il bambino, con voce infantile, in attesa.
Sasuke riaprì gli occhi, per nulla calmo, ma un po’ più sereno. Distolse lo sguardo e tornò a concentrarsi sul suo sugo, che aveva messo a cuocere mentre pensava.
<< Hm? >> mormorò solo, spostandosi per affettare la carne, curandosi però di non fare momenti bruschi, dato che il bambino rimaneva agganciato ai suo pantaloni neri.
<< Cucini? >> chiese allora, con lo stesso tono di prima.
<< Sì. >> rispose semplicemente Sasuke, cercando di fare fette più o meno dello stesso spessore.
<< Mi annoio di là. >> spiegò il bambino, con una voce già più speranzosa << Posso aiutarti? >>
Sasuke ghignò << E come fai ad aiutarmi, piccoletto? >>
<< ‘suke-ji-san… >> quel bambino sembrava angelico ma era un diavolo esattamente quanto i suoi genitori << … hai messo il sale? >>
Sasuke ci pensò, cercando di ignorare l’emozione che provava ancora nel sentirsi chiamare “zio ‘suke”, ed in effetti non l’aveva fatto, come al solito. Ma d’altronde neanche sapeva dove fossero il sale o le altre spezie… ah, ecco dove voleva arrivare il piccoletto. Arguto. Ecco perché lo chiamavano tutti “birbante”: quel bambino era sadicamente peste.
<< Ok, puoi aiutarmi. >> rispose, guardandosi attorno alla ricerca di ciò che gli serviva.
<< Ji-san? >> chiamò ancora il bambino, sbuffando come Shikamaru << Se non ci vedo non posso aiutarti. >>
Non ci vede? Sasuke guardò il bambino, stralunato. Poi capì e si diede dello stupido: il bambino era in effetti troppo basso per poter guardare il ripiano. Ancora non riusciva a capire come doveva interagire con un bambino, che per di più sembrava divertirsi a metterlo in difficoltà.
Così si abbassò alla sua altezza per prendere il bambino da sotto le spalle e, in modo abbastanza goffo, lo sollevò per poggiarlo sul piano di lavoro, proprio vicino a dove stava cucinando il pranzo. No, non aveva affatto dimestichezza con i bambini. Si sentiva un pesce fuor d’acqua.
<< Dove è il sale? >> gli domandò << E qualche spezia, magari. >>
<< Intendi la roba verde? >> chiese il bambino, corrugando per un attimo le sopracciglia, per poi indicare con la mano un posto vago fra gli scaffali << Là. >>
Sasuke si avvicinò ad un mobiletto e mise una mano sulla piccola maniglia, per poi guardare il bambino alla ricerca di conferma.
<< No, più là. >> disse infatti quest’ultimo. La mano di Sasuke si spostò << Non là! Più su! >>
Si scambiarono ancora qualche battuta di quel tipo finché il moro, infastidito, spalancò tutti gli armadietti nello stesso momento, trovando finalmente ciò che desiderava.
<< Te l’avevo detto io che erano là! >> proruppe il più piccolo, con una risatina divertita.
L’uomo alzò gli occhi al cielo, ancora una volta infastidito, per poi fare l’ennesima linguaccia al bambino, che rise di gusto. Continuò quindi a cucinare i suoi piatti italiani.
<< Cos’è quella cosa bianca? >> domandò il bambino, corrucciato.
<< Mozzarella italiana. >> rispose Sasuke, continuando a tagliarla a cubetti << La vuoi provare? >>
Il bambino scosse la testa << La mamma dice che se mangio prima di pranzo poi non ho fame. >>
<< Oh, ma è impossibile se ne provi solo un pezzetto. >> e poi, se il dna era giusto, pensò Sasuke, avrebbe avuto posto per almeno quattro ciotole di ramen << Diremo alla mamma che tu sei il mio assaggiatore ufficiale, va bene? >>
Il bambino annuì e aprì la bocca, pronto all’assaggio. Per poco Sasuke non rimase sconvolto alla visione della bocca spalancata, dimentico che fosse solo un bambino, nonostante l’intelligenza che continuava a dimostrare. Prese un pezzetto di mozzarella e lo imboccò, tentando di essere il meno goffo possibile. Avere quel bambino accanto a sé, dopo quanto successo quella mattina, gli faceva provare mille emozioni diverse. Si sentiva più calmo ma allo stesso tempo nostalgico, perché il piccolo Kurama gli faceva tornare alla mente mille momenti della sua vita. Da un lato si rivedeva in lui quando, da bambino, osservava la madre cucinare seduto accanto al lavabo, ponendo mille domande su cosa fosse cosa o seguendo in silenzio tutti i suoi movimenti, mentre dall’altro lato gli ricordava il suo viso incuriosito e divertito, quando si impegnava ad infastidirlo mentre si preparava uno spuntino. Hinata aveva ragione: quel bambino era la cura e, anche se era difficile, lo faceva stare bene. Interiormente ringraziò il bambino per essere lì affianco a lui, allontanando da lui pensieri cattivi come un buon talismano. Sentì riaccendersi in lui quel senso di famiglia e protezione… gli voleva già bene.
<< Amalo, Sasuke, amalo come avrei fatto io. >>
Nonostante l’invitante profumino, Sakura e Sasori non rimasero a pranzo, per motivi evidenti.
Erano passati alcuni giorni da quando Hinata e Sasuke avevano avuto quelle importanti discussioni, ma non avevano avuto tempo di parlare e conseguire quindi le loro congetture. Sasuke si era impegnato nel riallacciare il rapporto perduto con Itachi e gli amici, ma spesso si ritrovava inconsapevolmente a isolarsi, abituato ormai al silenzio della solitudine che accompagnava i suoi pensieri e il suo estro. Hinata, invece, era ovviamente una donna impegnata: il lavoro la sobbarcava di incombenze e la famiglia non era certo di meno, così erano rari i momenti in cui poteva fermarsi a riflettere, ma erano assolutamente indispensabili. Comunque, quel giorno era domenica, e il creatore, chiunque egli sia, aveva designato quel dì al momento del riposo, così Sasuke era certo che avrebbe potuto trovarla facilmente in sala musica, quindi decise di salire a dare un’occhiata. Salì con calma, tenendo stretto al petto un grosso malloppo di fogli di carta, e, una volta davanti alla porta, per la prima volta decise di bussare leggermente.
<< Avanti. >> sentì dire dalla voce candida di Hinata.
Entrò nella stanza e chiuse la porta dietro di sé. Quando alzò lo sguardo, la vide alla finestra, una tazza fumante che odorava di the nero fra le mani, gli occhi rivolti al cielo limpido e sereno, estremamente malinconica. Poi la vide voltarsi leggermente verso di lui e un lieve sorriso le increspò le labbra. << Sapevo che fossi tu. >> disse, semplicemente, senza aspettarsi una risposta.
<< Abbiamo un discorso in sospeso. >> affermò Sasuke, avvicinandosi alla finestra e appoggiandovisi con i reni << Ti ho portato qualcosa da leggere. >>
<< Sasuke, aspetta. >> lo interruppe lei, guardandolo con occhi leggermente tremanti << Ascolta… ho deciso che canterò le tue canzoni soltanto se mi colpiranno davvero. Perdonami ma… >> deglutì a vuoto << …sento come se lo tradissi. Non ho mai cantato una sua canzone. >>
Sasuke distolse lo sguardo da lei, interiormente arrabbiato, o forse no, frustrato. In quella settimana aveva riposto tutte le sue speranze nella calda voce di Hinata, architettando “il tutto” al meglio. Aveva delle ultime volontà da compiere.
<< Lo capisco. >> rispose il moro << Ma ricordati sempre che è proprio per lui che lo faccio. >>
Hinata annuì, poi tese la mano, che accolse prontamente un fascicolo dalla copertina di cuoio blu notte. Lo aprì e cominciò a leggere il primo foglio.
<< Vorrei che provassi a cantare questa canzone. >> affermò Sasuke, guardando pensieroso il suo raccoglitore << E’ scritta in inglese. Ho imparato la lingua in viaggio e mi ha affascinato subito. Tutti lo parlano. Penso che scrivere canzoni in questa lingua sia più semplice e commerciabile… avremo più ascoltatori... anche se non è proprio un discorso che farebbe un rocker. >> chiuse gli occhi, tentando di raccogliere le emozioni che lo avevano spinto a scriverla << Vedi… Per scrivere questa canzone ho pensato a lui. Mi sono ispirato alla nostra amicizia, all’affetto che ci legava e alla sua continua mancanza. Ed è per questo che è stato quasi naturale immaginare come ti sentissi tu. Ho ricordato alcuni vostri discorsi o cose che sentivo dire da lui e… beh, forse, spero, ti ritroverai molto in questa canzone. >>
Frattanto che Sasuke descriveva la canzone, Hinata aveva continuato a leggere la canzone, silenziosa, ma con un grido dentro. Il suo inglese, soprattutto grazie alle lezioni private a cui la costringeva il padre, era ottimo e negli ultimi anni in continuo allenamento, dato che doveva leggere e interessarsi di artisti che, col desiderio di diventare famosi a livello internazionale, si dedicavano appunto a testi in inglese. Capiva quindi perfettamente ogni parola, quasi fosse una seconda lingua per lei, e non poteva fare a meno che tremare a causa delle emozioni che quella canzone le suscitava. Sasuke era bravissimo. Il suo modo di scrivere era poetico e da perfetto professionista del campo. Le emozioni che trasmetteva erano così palpabili. E… era lei la Amy della canzone? Decisamente. Quella canzone le ricordava tantissimo i progetti idealizzati con Naruto, sotto le coperte, fra tenerezze e baci. Le ricordava incredibilmente quanto fosse stata amata, quasi come fosse stato Naruto stesso a mandarle quella canzone come messaggio segreto.
<< Come… come la devo suonare? >> chiese la ragazza, tremante << Posso improvvisare? >>
Sasuke annuì e la mora non attese oltre, semplicemente andò a sedersi al piano, appoggiando il testo davanti ai propri occhi. Cominciò a suonare e a cantare quella dolce canzone meglio che poteva.
“YOU”

 
The words have been drained from this pencil 
Sweet words that I want to give you 
And I cant sleep, I need to tell you... goodnight 
When we're together I feel perfect 
When I'm pulled away from you I fall apart 
All you say is sacred to me 
Your eyes are so blue, I can't look away as we lay in the stillness 
You whisper to me, Amy, marry me, promise you'll stay with me 
Oh you don't have to ask me, you know you're all that I live for 
You know I'd die just to hold you, stay with you 
Somehow I'll show you that you are my night sky 
I've always been right behind you 
Now I'll always be right beside you 
So many nights I've cried myself to sleep 
Now that you love me I love myself 
I never thought I would say that 
I never thought there'd be you


 
 
Le parole sono state tirare fuori da questa matita 
Dolci parole che voglio darti 
E non riesco a dormire 
Ho bisogno di dirti buonanotte 

Quando siamo insieme mi sento perfetta 
Quando mi allontano da te io m spezzo 
Tutto ciò che dici è sacro per me 
I tuoi occhi sono così blu, non riesco a distogliere lo sguardo 
Così nella calma della notte tu mi sussurri 

Amy, sposami 
Promettimi che starai cn me 
Oh non hai bisogno di chiedermelo 
Sai che sei tutto ciò per cui vivo 
Che morirei solo per abbracciarti 
Stare con te 
In qualche modo t dimostrerò 
Che sei il mio cielo notte 
Sono sempre stata dietro d te 
E adesso starò per sempre al tuo fianco! 

Così tante notti ho urlato a me stessa d dormire 
Adesso che tu mi ami, io amo me stessa 
Non ho mai pensato che avrei potuto dire questo 
Non avrei mai pensato che ci saresti stato 
Tu! 
 
 
Appoggiò le mani al bordo del pianoforte e appoggiò il viso sulle mani, provata. Grossi lacrimoni le bagnavano le guance. Eppure erano anni che si era costretta a non piangere, ad essere forte, a fingere una serenità che in realtà non le era mai appartenuta. Ancora una volta Sasuke era riuscito a penetrare le sue difese, rendendola nuovamente debole, inerte e fragile alle avversità. Dopo quella canzone si sentiva nuovamente persa e sola, come dopo la sua morte. Lo stato in cui si ritrovava le urlava di non cantare mai più, ma il suo cuore, i suoi pensieri, il suo corpo, tutto le diceva che quello era l’unico modo per espiare tutte le sue colpe e per dare conforto e tranquillità alla sua anima turbata e ferita. Forse, cantando tutte le sue sventure e quelle dei suoi amici, forse allora sarebbe stata in grado di ricominciare davvero la sua vita, invece di continuare a procedere nel buio assoluto come aveva fatto fino a quel momento. Forse, cantare l’avrebbe portata non solo alla serenità, ma alla felicità. Sicuramente l’avrebbe resa più vicina alle sue anime perdute, nel suo Paradiso personale.
Sentì due braccia avvolgerla lentamente da dietro e stringerla teneramente. Ancora una volta, le braccia muscolose di Sasuke le facevano scudo da tutti i cattivi pensieri che cercavano di portarla alla disperazione. Si rese conto, in quel momento, che raramente in quei cinque anni si era lasciata abbracciare così facilmente, restia anche solo al pensiero che qualcuno potesse vederla in quello stato o di sentire braccia non sue ad avvolgerla. Invece aveva lasciato che Sasuke la vedesse crollare tanto facilmente da non rendersene conto. Aveva permesso che vedesse la parte segreta di lei, quella triste, pessimista, sofferente e cinica, una parte che prima non c’era, o semplicemente era repressa troppo a fondo, mentre adesso era tornata a galla. Aveva inconsapevolmente concesso alle sue mani di toccare la sua pelle, di stringerla, di sfiorarle i capelli e di asciugarle le lacrime, proprio come in quel momento. Aveva autorizzato alle sue labbra soffici e calde di baciarle le mani, le gote e i capelli, senza dire niente in contrario. Aveva lasciato che quelle stesse labbra le sussurrassero parole di conforto, parole agrodolci, parole sincere e vere.
<< Non volevo farti piangere… >> sussurrò appena, gli occhi lucidi << Ti prego, non mettermi in difficoltà, non so come devo comportarmi! >>
Vedere quel Sasuke inedito, così dolce e premuroso, solo con lei, così provato, sensibile, emozionato e, come aveva detto lui, in difficoltà, era incredibile e doloroso al tempo stesso. Si lasciò sfiorare nuovamente da una carezza, da una mano fra i suoi capelli.
<< Vedi, volevo che cantassi questa canzone, era importante per me. >> mormorò lui ancora, appoggiando la fronte contro alla sua, un gesto che, fin dall’inizio, era stato solo loro << Perché quella canzone, in un certo senso, parla anche del mio amore per Naruto. >> una lacrima scivolò veloce anche sulla sua pelle candida << Non gli ho mai detto quanto gli volessi bene, solo una volta, troppo poco per uno come lui, che per me ha fatto tanto. Quindi volevo dirglielo un’altra volta, attraverso la tua voce… >> tremò in modo impercepibile, ma erano così vicini che lei lo senti comunque, e alzò lo sguardo per fondere i suoi occhi bianchi con quelli inchiostro di lui << Perché lui ti ascolta, Hinata, ti ascolta cantare, ne sono sicuro. Sicuro. >>


 
Angolino di Tomoko.

Non mi ucciderete vero? Sono solo in ritardo di un mese!
E' più un dolore per me essere stata assente per così tanto!
Beh, diciamo che "Maggio studente fatti coraggio" colpisce
ancora, e poi sono stata in Sicilia, ho chiuso il contest, ho 
corretto le storie... diciamo che l'ispirazione è tornata solo 
oggi, ispirazione che mi ha portato a scrivere il capitolo
successivo a questo, che è lungo sei pagine è ricco di
sorprese e emozioni... Intanto, qui, vi presento la voce mitica
di Amy Lee, degli Evanescence, che io ho affidato nelle mani
della dolce , e così simile a lei, Hinata. Vi piace?
Vi siete dimenticati di me? No vero? Devo ancora rispondere
alle vostre recensioni, quanto mi dispiace!
E... se vi dicessi che presto arriverò con una nuova long NaruHina?
Che si chiamerà "In cerca di... (te)"? Mi perdonerete mai? Spero 
di sì! Lasciatemi recensioni, care, vi mando un bacio enorme !



 

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Capitolo 10
*** Sick. ***


Gli ultimi sognatori.
Occhi Paradiso.
Sick.
[Stanchi - pronti alla rivoluzione.]
 
[Evanescence: Sick]
Quella notte non riusciva proprio a dormire. Nella sua camera da letto, triste, incolore e tremendamente impersonale, Sasuke si rigirava fra le lenzuola, senza riuscire a trovare una posizione comoda per dormire. Morfeo lo aveva abbandonato, quella sera, di tanto in tanto la mente vagava, facendogli pensare che una dose di morfina non sarebbe stata rifiutata. Non riusciva a non pensare a quella settimana che gli aveva sconvolto la vita. Si era deciso all’improvviso, guidato dall’istinto, a tornare nel suo paese natale, fra quella gente che con lui non aveva mai condiviso nulla, per quelle strade che per lui erano state tutto. Era tornato lì, al cimitero, dove tutto era finito e tutto, la settimana scorsa, era ricominciato: Hinata che lo salvava, ancora una volta, dai suoi mille patimenti, Itachi che tentava in tutti i modo di dimostrargli il suo affetto e le premure, più di un tempo, i suoi vecchi e cari amici che, nonostante tutto, lo avevano di nuovo accolto a braccia aperte. E poi Sakura, la gioia di vederla serena, anche solo per un attimo, le proprie colpe che pian piano si espiavano, i suoi obbiettivi che si facevano sempre più vicini con naturalezza, quel piccoletto che gli ricordava tremendamente lui e che ogni volta che lo vedeva era un colpo al cuore e una stretta allo stomaco. Non riusciva a dormire, quella notte, perché aveva troppo a cui pensare, troppe strane sensazioni che lo attanagliavano, troppe nuove emozioni da analizzare. Ci rifletté anche mentre il getto impetuoso della doccia gli martellava le palpebre, il viso rivolto al soffione, le mani fra i capelli, nel vano tentativo di calmarsi.
Uscì di casa che era l’alba. Si infilò in macchina sistemando l’inseparabile plico di fogli sul sedile accanto a lui, insieme al cellulare e le chiavi. Camminò piano per strada, godendosi la periferia deserta e il panorama rossastro che si delineava davanti ai suoi occhi, all’orizzonte. Rosso, arancio, rosa, colori forti quanto delicati, colori che non facevano che accentuare la mancanza per quei capelli biondo grano e gli occhi azzurri, che in quel momento stava andando a trovare.
Una volta arrivato, parcheggiò e scese con calma, inforcando sotto braccio il suo raccoglitore. Camminò, mentre tutt’attorno si illuminava della luce impetuosa del mattino, tanto che le foglie sembravano più verdi, il cielo più vicino e l’aria più calda. Fece quella strada a memoria, nonostante non fosse stato lì che un paio di volte, perché quel cammino gli aveva turbato il sonno per mesi, insieme a tante altre cose indimenticabili. Arrivò lì, davanti alla lapide rettangolare di marmo bianco, e sospirò, prendendo a guardare la foto del defunto con fare attento: capelli biondi, viso allungato, grandi occhi azzurri, pelle bronzea, sorriso illuminante quanto il sole di quella mattina.
<< Ciao, Naruto. >> salutò, ingoiando a vuoto.
Una settimana prima, Hinata lo aveva salvato da qualcosa di inevitabile, per uno come lui: parlare con il suo amico. Trovarsi lì, davanti alla tomba, lo aveva però talmente traumatizzato, quel mattino, da ammutolirlo. Era rimasto immobile, incapace anche solo di aprire la mascella. Adesso invece aveva un bisogno tale di parlargli, di sentirlo vicino, da cercare con tale forza il coraggio dentro di sé da farsi male al fegato.
<< E’ tanto che non ci vediamo, eh? >> come doveva comportarsi? Era strano parlare con lui così, ma ne aveva bisogno << Ho bisogno di te… al solito. Mi devi rispondere, devi farmi capire cosa vuoi che faccia. Come devo gestire questa situazione? Come devo comportarmi con gli Origin, con Hinata, con tuo figlio? >>
A questo punto Sasuke sfogliò fra i suoi fogli e ne prese uno ben ripiegato, tenuto con cura, e lo aprì. Si schiarì la voce, pronto a leggere.

Caro Sasuke,
amico mio, fratello mio… mi sento terribilmente in colpa. Se stai leggendo questa lettera, vuol dire che io me ne sono andato e che, vigliacco come sono, non ho avuto il coraggio di parlarti del mio problema. Ti prego di perdonarmi, ma devi cercare di capire: non volevo che mi trattaste in modo diverso, volevo vivere i miei giorni al meglio, fra gioie e dolori, fra di voi. So che starai male e che ti chiuderai in te stesso, come sempre, ma ti supplico, non lasciarti andare all’oblio. Non ripetere gli errori passati, gli errori che abbiamo compiuto entrambi. Sii forte. So che lo sei, per questo sto per affidarti il compito più difficile della tua vita, probabilmente… Devi occuparti della mia eredità. E non è una cosa da poco, non sto parlando di soldi, ma di quello che ho lasciato in questo mondo. Devi occuparti degli Origin, non devi permettere che il nostro gruppo si sciolga. Sei perfettamente in grado di occupare il mio posto, di cantare, e di scrivere, ma ti consiglio di cambiare genere, perché come sai, il tuo stile è più poetico rispetto al mio, e soltanto i Kami sanno cosa cambierà in te dopo il mio decesso. Devi essere forte e mantenere unito il gruppo, non lasciare che Kiba e Shikamaru si disperino, datevi forza a vicenda. E poi… c’è Hinata. Non lasciarla sola. Non farlo. Non aver paura di dimostrare il tuo affetto verso di lei, prendetevi cura l’una dell’altro. Siete molto più simili di quanto tu possa soltanto immaginare e sono sicuro che presto ti troverai d’accordo con me. Sii premuroso con lei. E’ una donna forte, Hinata, ma avrà bisogno di te, del tuo sostegno, di qualcuno con cui parlare liberamente. Infine… ti ho lasciato qualcosa di molto prezioso, di cui ti devi prendere cura più di qualsiasi altra cosa. So che sarà difficile, ma soltanto nelle tue mani sarà al sicuro. Non deludermi e non aver paura di farlo. Se segui il tuo istinto, il tuo cuore, sarai in grado di fare tutto ciò che ti ho chiesto, ma non pensarci molto – è la tua dannazione.
Ricordati che ti voglio bene, un bene dell’anima. So che non ti dimenticherai di me… ed io sarò sempre qui, a guardarti, a guardarvi. Trova la felicità, Sasuke. Realizza i nostri sogni.
Tuo fratello,
Naruto.

Sasuke chiuse gli occhi, provato, massaggiandosi le palpebre con i polpastrelli ruvidi. Una lacrima scivolò via sulla sua gota. Aveva deluso in pieno Naruto.
Ma adesso era pronto a recuperare.
 
 
Suonò il clacson e tirò un’ultima volta la sigaretta, prima di gettarla fuori dal finestrino. Aveva ricevuto il messaggio di Sasuke all’improvviso, così si era defilato in fretta e furia dall’ufficio – un caso importante, certo – e si era messo in macchina, dove adesso si trovava, posteggiato davanti casa Hyuga, in attesa. Dopo pochi secondi vide la figura bronzea di Kiba apparire sulla soglia. Il perché Sasuke avesse richiesto la loro improvvisa presenza non era certo, ma neanche troppo difficile da immaginare, solo che si chiedeva dove volesse andare a parare. Cosa aspettarsi?
Kiba aprì la portiera ed entrò in macchina, dandogli un cenno di saluto. Non parlarono molto, ma c’era tensione, così preferirono rimanere in silenzio. Il viaggio non fu molto lungo e presto furono nella Moon’s eyes.
In quegli anni, dopo un breve periodo di crisi dovuto all’assenza di Hinata da lavoro e alla morte improvvisa del loro cantante di punta, la casa discografica si era ingrandita e aveva inspessito il proprio giro di affari, arrivando a lanciare una quindicina di giovani artisti promettenti. Infatti, fra artisti, musicisti, segretari e tecnici vari, nella hall c’era un grosso via vai. Ogni persona che entrava veniva perquisita da alcuni uomini in borghese: per Hinata, ormai, la sicurezza non era mai troppa.
Loro, però, non erano persone comuni: tutti li conoscevano, ogni neo artista conosceva la loro storia e provava un profondo rispetto, così non avevano bisogno di controlli o di qualcuno che gli mostrasse la strada.
Proprio in quel momento passò dall’entrata la giovane assistente di Hinata, Ten Ten, che appena li vide gli sorrise appena, in segno di saluto.
<< Ciao ragazzi! >> salutò la donna, avvicinandoglisi << Cercate Hinata-san? >>
<< Ovviamente. >> rispose annoiato Shikamaru, affiancandosi a lei con ancora le mani in tasca, continuando a camminare con Kiba.
<< Allora andiamo dalla stessa parte! >> affermò semplicemente lei, stringendo a sé la pila di documenti.
Salirono all’ultimo piano con l’ascensore e in breve furono davanti all’ufficio di Hinata, dove Ten Ten aprì prontamente la porta, dopo essersi annunciata.
I tre entrarono e la ragazza si inchinò leggermente a Hinata, seduta alla scrivania, porgendole poi i documenti e il suo caffè alla nocciola. Sasuke li attendeva, appoggiato alla finestra e con le braccia incrociate, cupo e immobile come un corvo nero.
<< E’ arrivato altro materiale, Hinata-san. >> la informò la mora << E fra poco arriverà la ragazza per discutere del contratto. >>
<< Posticipa l’incontro di un ora, per favore, Ten. >> chiese lei, guardando i ragazzi e invitandoli con lo sguardo ad accomodarsi.
<< Va bene, Hinata-san. >> rispose lei, defilandosi, mentalmente preoccupata per la sicura reazione spropositata della giovane in questione. Si chiuse la porta alle spalle lasciando il suo capo a discutere con quelli che, un tempo, erano i famosissimi Origin.
Hinata tolse il tappo di plastica che copriva il suo caffè e ne bevve un sorso, non preoccupandosi di quanto fosse caldo. Era agitata e nervosa. La sua azienda si era ingrandita e lei aveva molto da fare, non poteva certo portarsi del lavoro a casa, dove aveva un figlio a cui badare! Ma Sasuke quella mattina si era presentato lì, destando non pochi sguardi curiosi, e le aveva annunciato che aveva intenzione di fare una riunione proprio, lì, nel suo ufficio. Sasuke, quella mattina, era più cupo del solito, freddo come un tempo, chiuso nuovamente nel suo riccio ermetico, tanto che non se l’era sentita di ribattere. Così, adesso, se li ritrovava lì. Lasciò scorrere lo sguardo sui tre uomini e notò quanto fossero tutti agitati, anche se in modi diversi. Rimase in attesa, mentre osservava Kiba che batteva ripetutamente il piede contro il pavimento, infastidendo Sasuke.
<< Beh? >> proruppe l’amico, istintivo, come sempre << Ti vuoi muovere a parlare, razza di imbecille? >>
<< Cuccia, cane. >> rispose Sasuke, risvegliandosi dal suo stato catatonico, alzando lo sguardo su di loro << Non sei neanche capace di rimanere un po’ in silenzio. >>
<< No, non lo … >>
<< Non ho tempo da perdere, io. >> Hinata interruppe il litigio << E neanche Shikamaru, credo. >>
<< Sottoscrivo. >> concordò il moro col codino << Datti una mossa, Sasuke. >>
L’uomo li guardò, con i suoi occhi pece, poi, di colpo, annunciò: << Siete qui perché voglio riunire gli Origin. >>
I tre rimasero letteralmente sbigottiti. Hinata aveva socchiuso la bocca, sorpresa, Kiba l’aveva spalancata, mentre Shikamaru l’aveva serrata fortemente, deglutendo forte. Ci fu silenzio, tanto da riuscire a sentire lo scandire del tempo dell’orologio vintage sul muro o, forse, il battito veloce del cuore di Hinata. La donna aveva lo sguardo perso nel vuoto, o più probabilmente fra mille ricordi riguardo agli Origin, gli Origin che aveva conosciuto lei, che aveva aiutato a crescere, che aveva lanciato e portato all’apice in breve tempo.
<< Cosa… cosa vuoi fare tu? >> mormorò incredulo Kiba, con uno sguardo fra lo stupito e il furente << Mi prendi per il culo? ≫   
Sasuke grugnì, in risposta, ma cercò di non iniziare una faida. Spostò lo sguardo su Shikamaru, lo guardò dritto negli occhi serrando la mascella. Hinata continuava ad essere assente da quella discussione, con la mente persa altrove, oltreoceano, in Europa, in una calda Italia, al mare, con il suo fisico bronzeo e la sua voce calda a scaldarle l’anima, con una risata roca tutta per lei, con il suo canto ribelle da matador.
≪ Dimmi che almeno tu sei con me. ≫ affermò il moro, guardando l’amico negli occhi, tentando di convincerlo semplicemente con lo sguardo.
Vide Shikamaru abbassare lo sguardo, guardarsi le mani, poi abbassare le palpebre e infine muovere piano la testa, sconsolato.
≪ Anche secondo me è una cavolata. ≫ rispose, rialzando lo sguardo per un attimo, vagamente intimorito ≪ Non si può, non senza di lui. ≫
Anche Sasuke abbassò il volto, fissando all’improvviso debole la punta delle proprie scarpe, incapace di trovare la forza per rispondere. Passò un attimo e la scena parve cambiare totalmente: una luce chiara e abbagliate, calda, solare, penetrò nella stanza da dietro le spalle di Sasuke; Hinata alzò lo sguardo, meravigliata, appena in tempo per vederlo aprire gli occhi più deciso e saldo, con una forza nuova, quasi più vivo. Fu allora, accadde in quel momento esatto, che lei lo vide. Perse un battito.            
≪ Pensi che per me sia facile? Neanche io vorrei fare tutto questo senza di lui. Naruto non doveva morire! ≫ alzò la voce, disse quel nome, lasciando tutti senza fiato ≪ Ma è lui che lo vuole! E’ lui che mi spinge a farlo! ≫
Hinata vide la sua determinazione, la sua forza, ma soprattutto la sua figura bianca rischiarata da una luce chiara, solare, luminosa, naturale e al tempo stesso così innaturale, così utopica, così irreale… e vide lui, riconobbe i suoi capelli biondi, i suoi occhi azzurri, il suo sorriso bianco.
≪ Dovreste farlo. ≫ la voce le uscì all’improvviso, quasi non fosse stata lei a comandarla ≪ Per lui, in suo onore. E’ stato lui a renderci una famiglia. ≫
Tutti la guardarono senza proferire parola, incapaci di controbattere a tale verità. Se c’era una cosa che potevano fare per farlo sorridere da lassù, era riformare la loro band.
≪ E’ completamente illogico. Non siamo più gli stessi di un tempo, non siamo più gli Origin… non c’è più niente di originale, in noi. ≫ affermò Shikamaru ≪ Io ho anche abbandonato la musica, sono un commissario, ho un lavoro serio! ≫
≪ Come se quel lavoro ti piacesse! ≫ rispose l’altro moro ≪ Non ti ho visto lavorare, ma ti conosco, e non fa affatto per te quel lavoro super noioso. “E’ una seccatura!”≫
≪ Non puoi saperlo, appunto perché non mi hai mai visto all’opera. ≫ controbatté l’altro, guardandolo astioso.
≪ Ha ragione, invece. ≫ lo appoggiò Hinata ≪ Non ti ho mai visto parlare del tuo lavoro con un sorriso, sei sempre stanco e delle volte anche scontroso. ≫ la ragazza tornò a guardare verso la finestra, con un sorriso amaro ≪ Non prendiamoci in giro… la verità è che nessuno di noi è felice da quando è successo il fini mondo… e beh, credo che ci serva una svolta. ≫
Sasuke incrociò gli occhi bianchi della ragazza e tentò di ringraziarla con lo sguardo. Si accorse che, come sempre, lei tentava di aiutarlo.
≪ Sarà anche vero, ma ormai siamo diversi anche musicalmente. ≫ esordì Kiba ≪ Non riuscirei più a suonare una canzone come Bonjour, neanche con una buona dose di adrenalina in vena. Credo che sia lo stesso per voi… Gli Origin, musicalmente, non sono più quelli di un tempo. Non esistono. ≫
≪ Questo è vero, infatti non voglio riformare esattamente gli Origin, non sarebbe possibile, è utopistico. ≫ rispose Sasuke, strofinandosi lievemente le tempie, dato che un pericoloso mal di testa era in avvicinamento ≪ Vi chiedo di non abbandonare i nostri sogni, di formare un nuovo gruppo insieme, dove possiamo sfogarci e cantare il nostro dolore… ≫
≪ Emo? ≫ lo guardò stralunato Kiba.
≪ No, metal, hard rock, gothic… Idiota. ≫ gli regalò un‘occhiata raggelante ≪ Penso che tutti noi abbiamo bisogno di una valvola di sfogo, di un mezzo per raccontarci. Non è così? ≫
Tutti si guardarono, rispondendo in un tenue silenzio con un assenso comune. Nessuno fiatò; nell’ufficio era calata una forte tensione, tale da rendere noto a tutti quanto quell’istante fosse importante; Hinata era lì, con loro, con gli Origin – che in qualche modo, attraverso quella luce, sentiva al completo – inaspettatamente partecipe di qualcosa di cui non faceva davvero parte, stava assistendo alla nascita di un nuovo gruppo che, ne era già sicura, aveva un ampio margine di successo; e si chiedeva il motivo della sua presenza, del perché quella riunione andasse fatta proprio lì, nel suo ufficio, del perché quella lucee quella determinazione – che gli ricordava immensamente lui capeggiasse proprio lì, intorno a Sasuke, come a coprirgli le spalle.
≪ E come dovrebbe chiamarsi, questo benedetto gruppo? ≫ chiese Shikamaru, con un evidente tono cinico.
≪ Non so, stavo pensando a… ≫
≪ Post Apocalypse. ≫ Kiba interruppe Sasuke, con gli occhi sgranati e l’adrenalina a mille ≪ Direi che abbiamo affrontato l’Apocalisse e noi siamo tutto ciò che rimane… E’ perfetto! ≫
Hinata vide Sasuke sorridere, tra il beffardo e il realmente felice ≪ Sottoscrivo. ≫
≪ Mah, secondo me siete degli idioti, esattamente quanto quest’idea inaccettabile e irrealizzabile. ≫ Shikamaru continuava a negare col capo, guardando i suoi amici come se fossero matti ≪ E chi è che scriverebbe i testi? Chi sarebbe il vocalist? Tu, Sasuke? ≫
Lui mi ha insegnato a scrivere e in questi cinque anni avrò raccolto più di duecento pezzi, e alcuni non sono male. ≫ confessò Sasuke, per poi tornare a rabbuiarsi leggermente ≪ Io non me la sento di cantare, non posso prendere così il suo posto, non ci riuscirei… mi si bloccherebbe la voce. Però… ≫ adesso si voltò verso la scrivania, verso Hinata, fino a quel momento lasciata in disparte ≪ Tu ci stai, vero, Hinata? ≫
Di colpo, tre paia di occhi si puntarono su di lei, in attesa di una risposta e, nonostante la sua età, la maternità, le responsabilità e infine la sua alta posizione, riuscirono a farla arrossire come un tempo.
Deglutì forzatamente, ansiosa, non riuscendo immediatamente ad afferrare ciò che Sasuke le aveva appena proposto; poi, all’improvviso, dopo un secondo, si sentì in gabbia: il moro le aveva giocato proprio un bello scherzo, trascinandola a scoprire la sua voce facendole cantare un testo meraviglioso che si era sentita onorata di usurpare con il suo timbro, facendola emozionare, facendole scoprire un mondo nuovo; sicuramente aveva fatto partecipi della sua “bravura” anche Kiba e Shikamaru, che infatti in quel momento tacevano, consapevoli, quando, se fossero stati ignari, avrebbero dovuto quantomeno chiedere spiegazioni; infine l’aveva costretta a porsi davanti ad una scelta dalla sfaccettatura terribilmente doppiogiochista, perché doveva “scegliere” di esaudire uno degli ultimi desideri del suo defunto amato, dato che la creazione di una nuova band ormai dipendeva quasi completamente da lei, e non poteva assolutamente dire di “no” a lui, al suo biondo.  
Bastardo. Bastardo d’un Uchiha.
L’interfono gracchiò col suo sono metallico e dopo poco la voce di Ten Ten si fece udibile.
≪ Hinata-san, è arrivata la ragazza per discutere del contratto. ≫ affermò, con voce un tantino preoccupata ≪ Cosa devo dirle? ≫
Hinata avvicinò lentamente la mano all’apparecchio e, senza distogliere lo sguardo dai tre che la guardavano con insistenza, premette il pulsante che le permetteva di rispondere.
≪ Scusati e dille che avrò bisogno di almeno un’altra mezzora. ≫
≪ Ma, Hinata-san… ≫
≪ COSA? ≫ un’altra voce, molto più acuta e furente, si sostituì a quella della sua segretaria ≪ DEVO ASPETTARE? ANCORA? QUI E’ DEL MIO FUTURO CHE SI PARLA! ≫
La donna non rispose, ma spostò un poco la mano e spense totalmente l’aggeggio, che smise  in un attimo di gracchiare. In mente, solo un pensiero: si tratta del  mio futuro.
 
 
≪ Non so se me la sento, adesso. ≫
≪ Perché cavolo sei così indecisa? E’ una settimana che ti eserciti. ≫
Hinata guardò con i suoi occhi chiari lo sguardo di disapprovazione di Sasuke, tentando inutilmente di sfuggirgli. Strinse maggiormente il microfono nella sua mano e deglutì, intimorita.
≪ Non sono abbastanza brava! ≫ si strofinò la fronte, scompigliandosi i capelli senza volerlo ≪ La mia voce è così strana quando canto, posso arrivare a note così profonde che mi sembra di essere un uomo! ≫ mugolò, scontenta e insoddisfatta ≪ E poi stavo pensando che non troverò mai il tempo per farlo, sarebbe impossibile. Ho una casa discografica, una famiglia… e adesso una carriera da cantante? Assurdo! ≫
Sasuke sospirò, stanco, ma vagamente divertito da tutta quella insicurezza, alzandosi dalla poltrona e avvicinandosi a lei.
≪ Per tutti i Kami, quanto sei noiosa! ≫ le disse, incuriosito dalla sua reazione.
≪ Ehi! ≫ rispose lei, tentando di tirargli uno schiaffo sul braccio, che lui prontamente bloccò afferrandole il polso.
≪ La tua voce è unica e meravigliosa appunto perché riesci a raggiungere note basse e note alte e delicate, soavi. Sei incredibile, come fai a non capirlo? ≫ liberò la presa dal suo arto, ma mosse appena le dita per intrecciarle alle sue ≪ E so perfettamente che sarà dura, ma tutti noi ti aiuteremo, troveremo il modo. Io ti aiuterò. ≫ le accarezzò il palmo con il pollice, poi le lasciò la mano, lasciandola del tutto meravigliata.
Poi la vide sorridere, anzi, era un ghigno beffardo.
≪ Certo che per me è facile farti parlare, eh? ≫ affermò ridendo, alludendo al suo solito stato ermetico.
≪ Scema. ≫
La porta della sala prove della Moon’s Eyes si aprì, lasciando entrare Kiba e Shikamaru, che portavano con sé le custodie ancora chiuse di due chitarre.
≪ Me l’hai portata? ≫ chiese subito Sasuke, rivolto al Nara.
≪ Sì, ecco, tieni. ≫ rispose il ragazzo, porgendoli una delle due custodie di cuoio scuro.
Sasuke la afferrò saldamente, appoggiò la custodia sul tavolo e la aprì, per poi osservare il suo interno con occhio avido e al contempo nostalgico, senza dare modo agli altri di capire cosa stesse guardando.
≪ Siete pronti? ≫ domandò al gruppo, guardandoli uno ad uno.
Mancava pochissimo, Sasuke se lo sentiva nelle vene, nei muscoli impazienti di suonare, mancava poco per rendere tutte le sue idee vere, realizzabili, ad un passo dal traguardo che portava il nome di “volontà di Naruto”. Mancava poco, sarebbe bastato cantare e suonare insieme quella canzone per convincere tutti che sì, gli Origin non erano scomparsi ma si erano evoluti, lasciando il posto agli Post Apocalypse. Vide Kiba inforcare il basso, Shikamaru accendersi una sigaretta mentre si sedeva alla batteria e controllava che tutto fosse a posto e, infine, Hinata stringere maggiormente l’asta del microfono, tremante, ma con occhi sicuri e determinati.
≪ Vi siete tutti allenati singolarmente su questa canzone, ma sarà la prima volta che ne sentirete il testo. ≫ affermò, cominciando la sua spiegazione ≪ Parla di noi, del nostro essere stanchi delle nostre vite per come sono adesso e di non ottenere risposte… riguardo a quanto è successo cinque anni fa. ≫ si prese un attimo di silenzio per osservare i loro volti ≪ E’ una canzone forte, fate del vostro meglio. ≫
Fu il basso di Kiba a cominciare la canzone, mentre Sasuke inforcava la sua chitarra, nascosta fino a poco prima nella custodia che Sasuke aveva guardato ammirato: una bellissima Stratocaster blu scuro, con disegnati alcuni vortici arancioni e, proprio poco più sotto delle corde, in un arancione splendente, la scritta “Naruto”. Sasuke suonava la sua chitarra, che si chiamava Naruto. Una chitarra forte quanto un uragano. Una chitarra dedicata a Naruto. Hinata si commosse quando la vide sotto le mani abili del moro, che cominciò a suonare. Dopo poco, aggiunse anche la sua voce, tentando di essere meno insicura possibile, come le aveva insegnato Sasuke.
 
“SICK”
 
 

Embrace the silence
Cause there’s nothing that can change the way I feel
Taken all that you wanted
Now there’s nothing that can change the way I feel

Hold on, little girl
Cause the end is soon to come

Sick of it all, Sick of it all
We will not follow
Sick of it all, Sick of it all
They don’t understand how
Sick we are, Sick we are
Of this bottomless pit of lies
Behind closed eyes

Oceans between us
And there’s nothing that can change the way I feel
I can still taste the poison
Every fall, every breath are ways to heal

Hold on, little girl
Cause the end is soon to come

Sick of it all, Sick of it all
We will not follow
Sick of it all, Sick of it all
They don’t understand how
Sick we are, Sick we are
Of this bottomless pit of lies
Behind closed eyes

Someday you’ll know the feeling
Someday I will break through
And nothing you tell yourself
Will save us from the truth
Screaming out

Sick of it all, Sick of it all
We will not follow
Sick of it all, Sick of it all
They don’t understand how
Sick we are, Sick we are
Of this bottomless pit of lies
Behind closed eyes

Accogli il silenzio
Perché non c’è niente che possa cambiare il modo in cui mi sento
Hai preso tutto quello che volevi
Adesso non c’è niente che possa cambiare il modo in cui mi sentoTieni duro, ragazzina
Perché la fine arriverà presto 

 

Stufa di tutto quanto, stufa di tutto quanto
Non seguiremo
Stufa di tutto quanto, stufa di tutto quanto
Non capiscono quanto
Siamo stufi, siamo stufi
Di questo pozzo di bugie senza fondo
Dietro occhi chiusi
http://testitradotti.wikitesti.com
Oceani tra di noi
E non c’è niente che possa cambiare il modo in cui mi sento
Riesco ancora a sentire il sapore del veleno
Ogni caduta, ogni respiro, sono modi per guarire

Tieni duro, ragazzina
Perché la fine arriverà presto

Stufa di tutto quanto, stufa di tutto quanto
Non seguiremo
Stufa di tutto quanto, stufa di tutto quanto
Non capiscono quanto
Siamo stufi, siamo stufi
Di questo pozzo di bugie senza fondo
Dietro occhi chiusi

Un giorno conoscerai quel sentimento
Un giorno mi aprirò un varco
E niente di quello che dici a te stesso
Ci salverà dalla verità
Che urla

Stufa di tutto quanto, stufa di tutto quanto
Non seguiremo
Stufa di tutto quanto, stufa di tutto quanto
Non capiscono quanto
Siamo stufi, siamo stufi
Di questo pozzo di bugie senza fondo
Dietro occhi chiusi
.


 
Ma che diavolo… Hinata! Dove tenevi nascosta questa voce?
Io…
E’ una forza, è così potente!
Smettetela voi due, la state imbarazzando.

 
Hinata?
≪ Sì, Sasuke? ≫
≪ Grazie. ≫
≪ Cosa… perché? ≫
≪ Perché mi stai salvando ancora. ≫
 
<< Continuate così, ragazzi! >>




 
Angolino di Tomoko.
 
Ed eccomi qui, già tornata da voi! Capitolo importantissimo:
c'è un nuovo personaggio (Ten Ten) che vedremo, credo, più 
spesso, Sasuke rilegge la lettera lasciatagli da Naruto e trova
le risposte, Hinata vede qualcosa nel moro (o forse dietro di
lui) che le fa pensare a quanto Naruto in realtà sia vicino, 
l'Uchiha presenta i suoi pregetti alla band e, fooorse, sta 
nascendo una nuova band. Per non parlare dei miliardi di 
indizi lasciati qua e la, anche su un nuovo fastidioso personaggio...
chissà se avete capito! Fatemelo sapere!
Inoltre, avrete notato i diversi tipi di parentesi che ho adoperato:
non riesco a fare quelle piccole ed eleganti e ho trovato solo
queste, cosa ne pensate? Sul word vengono meglio...
E infine, ultimo avviso, ho postato una nuova long NaruHina,
con cui ho vinto un contest! La trovate qui http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2656731&i=1

A presto!

 


 

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Capitolo 11
*** My Immortal ***


Gli ultimi sognatori.
Occhi Paradiso.
My Immortal.
[Ricordi immortali.]



≪ Kurama-chan? ≫
Lo sentì bofonchiare appena, ancora nel pieno del sonno, mentre voltava il viso dall’altro lato del letto per non essere disturbato.
≪ Kurama-chan? ≫ lo richiamò allora lei, posandogli un tenue bacio su una guancia ≪ Ehi, birba, se non ti svegli immediatamente mi costringerai a farti il solletico! ≫
Lo vide sorridere e socchiudere appena un occhio, ormai sveglio, e lei colse al volo la sfida, sollevandogli appena la maglia per passare velocemente i polpastrelli sulla sua pelle liscia, ridendo e facendo ridere lui.
≪ ‘kaa… aah! ≫
≪ Ti arrendi? ≫ chiese la donna, senza fermarsi. 
≪ Sì! ≫ proruppe il piccolo, che appena venne liberato dal gioco della madre, si mise a sedere sul letto.
Hinata si alzò, sorridente, avvicinandosi alla finestra per spalancarla e scostare le tende. Era felice, quella mattina. Si sentiva molto meglio, quasi rinata: nell’aria c’era qualcosa di nuovo; amava quando si facevano nuovi progetti, l’ansia di creare, l’adrenalina nel sognare, era sempre un’emozione grande per lei, qualsiasi fosse il disegno. La giornata non poteva che cominciare alla grande.
Aprì l’armadio del figlio alla ricerca di vestiti puliti per il piccolo, che intanto si era messo in piedi sul letto e lottava contro la sua maglietta per toglierla; scelti gli indumenti, Hinata gli venne incontro, aiutandolo a sfilarsi il pigiama, per poi assisterlo mentre si vestiva. Andarono in bagno per lavarsi insieme la faccia, giocando con l’acqua, ed infine andarono in cucina, dove trovarono un Sasuke già attivo di prima mattina, che sorseggiava il suo caffè nero seduto davanti all’isola della cucina.
≪ Buongiorno, ‘suke-ji-san! ≫ lo salutò il bambino, flettendo le braccia per essere sollevato da quelle più grandi dell’uomo, che infatti lo issò e poggiò sul piano della cucina, regalandogli un mezzo sorrisso.
≪ Buongiorno, Sasuke. ≫ disse a sua volta la ragazza, guardandolo stralunata ≪ Come mai in casa mia a quest’ora? ≫
≪ Ho fatto il caffè. ≫ eluse la domanda lui, indicando la caraffa e scompigliando i capelli del bambino ≪ Hai fame, Kurama? ≫
Il bambino annuì sorridente e lui gli diede un biscotto con le gocce di cioccolato che aveva preso per sé, mentre Hinata si versava il caffè e riempiva a metà una ciotola di cereali.
≪ E’ così facile entrare in casa mia? ≫ sbuffò la donna, versando il latte nella ciotola, che poi mise davanti a Kurama, intimandogli con un gesto di mettersi seduto per bene sulla sedia ≪ Sasuke? Mi ascolti? ≫
≪ So dove sono le chiavi di riserva. ≫ rispose il moro, aiutando il piccolo a sedersi comodamente.
≪ E perché sei qui di prima mattina? ≫ chiese ancora la ragazza, rubando lesta un biscotto dal piatto di Sasuke, che la fulminò con lo sguardo.
≪ Non posso neanche venirvi a trovare, adesso? ≫ bofonchiò il moro, accennando nuovamente ad un sorriso, il secondo di quella mattina. Hinata lo notò immediatamente e ne fu felice: a quanto pare, non solo lei si era svegliata contenta, quella mattina, e immaginò che fosse per lo stesso motivo.
≪ Ti sei alzato con il piede giusto questa mattina, Sasuke? ≫ chiese la donna, sorridendogli di rimando.
≪ Sì, a ritmo con la mia sveglia che suona Ramones. ≫ soggiunse il moro, colpendole la mano quando lei tentò ancora di rubargli un biscotto ≪ Qualche cosa da ridire? ≫
≪ Assolutamente no! ≫ rispose lei ≪ Anche io sono felice, oggi! ≫
≪ Sì! Tutti felici! ≫ guizzò Kurama, alzando in aria i pugni chiusi, facendo ridere i due.
≪ Cos’è tutto questo vociare di prima mattina? ≫ domandò la voce assonnata di Hanabi, che scendeva le scale trascinandosi dietro un ancora più insonnolito Kiba.
≪ Vi sembra modo di scendere per la colazione quando ci sono ospiti? ≫ scherzò Hinata, alludendo ai pigiami dei due fidanzatini, tra cui quello “sconcio” della sorella, dati i pantaloncini super corti.
Hanabi si fermò un momento e si guardò brevemente, stropicciandosi un occhio.
≪ E’ lui l’intruso, qui. ≫ accusò poi, indicando Sasuke col dito, con una voce da bambina capricciosa.
Kiba la spinse brevemente e la incitò a sedersi, mentre Hinata, premurosa, metteva loro davanti tutto ciò con cui amavano fare colazione: caffè, succo, biscotti, cereali, latte.
≪ Mi sa che non tutti si sono svegliati di buon umore, oggi. ≫ continuò la mora, divertita ≪ Vero, ‘suke? ≫
≪ E come si può, con i vostri schiamazzi a svegliarci? ≫ domandò infastidito Kiba, per poi osservare torvo Sasuke ≪ E tu smettila di guardare la mia ragazza in pantaloncini con i tuoi occhiacci da corvo, maniaco. ≫
Ovviamente Sasuke non lo stava facendo e, invece di rispondere, inarcò un sopracciglio, stupito. Le donne lo osservarono e dopo un attimo risero, mentre fra loro Kurama continuava a giocare col cibo tranquillo, invece di mangiare. 
 
Tutta la sua “allegria” di quella mattina, in cui si era ritrovato a sperimentare un’incredibile voglia di vedere lei, di vederla sorridere, di vedere la piccola peste nonostante il tuffo a cuore, di ritrovare la serenità insieme ai suoi amici, era magicamente scomparsa, sotto un’imprevista folata di vento, davanti alla Moon’s Eyes. Era andato lì insieme a tutta la famiglia Hyuga – che ormai comprendeva anche quel cane di Kiba – dopo aver accompagnato Kurama all’asilo, con l’intenzione di fare un’altra riunione fatidica per decidere le loro sorti riguardo alla carriera musicale. Così, nell’attesa che Shikamaru riuscisse a defilarsi in fretta dal suo noiosissimo lavoro, si era recato fuori dall’edificio, sotto gli occhi incuriositi di segretarie, manager, artisti e quant’altro.
Una cattiva scelta.
Nessuno aveva smesso di fissarlo, neanche quando ormai era fuori dalla hall, intento ad accendersi una sigaretta difendendo la fiamma dal vento con la sua mano sinistra. Vento che, quando alzò gli occhi, portò via con sé tutta la sua allegria, dandogli in cambio flashback assolutamente non graditi.
Decisamente una cattiva scelta.
In compagnia di quella famiglia di pazzi assoluti era molto più semplice ignorare la tragedia di cui quel luogo si era resa ambientazione principale; adesso, da solo coi propri pensieri, aspettando quel ritardatario di un Nara e tirando avidamente dalla sua sigaretta, tutto ciò che per mesi – anni – aveva inutilmente tentato di evitare si era riproposto davanti al suo sguardo vacuo.
Lui era lì, a qualche metro da dove adesso si ritrovava la sua persona, sorridente, insieme al giornalista. Lei – pazza, incosciente – si era fermata in mezzo alla strada – apparentemente – deserta, si era voltata indietro, nella sua direzione, lo aveva richiamato con un sorriso dolce in viso, aspettandolo - perché lei era sempre più avanti di tutti, perché i suoi occhi bianchi vedevano oltre il sensibile e sapevano volare in alto, verso un Paradiso candido e conforme ai suoi occhi; perché lui  era l’unico degno di una sua attesa, di un suo sguardo, di un suo sorriso sereno e docile, mentre lui, la sua persona, l’imbecille che si sentiva di essere, poteva soltanto sperare di incontrare i suoi occhi angelici con i propri bui e dannati. Loro, la loro famiglia pazza, composta da egli stesso, Hanabi, Kiba e Shikamaru, fermi al di là della strada, avevano assistito allo sfascio, al degrado, alla distruzione di tutti i loro equilibri, sogni e obbiettivi, come semplici spettatori in platea.
E poi accadde tutto in un attimo: il rombo di un auto in corsa, quegli occhi angelici spaventati, il suo sforzo nel cercare di salvarla, i loro corpi in aria, le loro urla, il sangue, l’odore di pneumatici bruciati e la macchina che non concludeva la sua folle corsa, avanzando verso l’ignoto.
Il suo corpo, Naruto, a terra, lontano di metri e metri, fermo e inerte, il sangue che dilagava attorno a lui, la corsa di Kiba e Shikamaru verso di lui, l’anima già altrove.
Lo sguardo preoccupato, anch’esso bianco, di Hanabi, la sua muta richiesta di aiuto, i loro corpi che si muovevano in automatico alla ricerca di quello martoriato di Hinata, la paura, le loro urla nel tentativo di richiamarla; e poi eccola, dalla parte opposta, ancora più lontana, in un lago di sangue, il suo corpo completamente informe, la loro corsa verso di lei, il pianto della piccola Hyuga, il suo inutile tentativo di salvarla senza guardarla negli occhi, perché altrimenti si sarebbe fermato, sarebbe stato incapace di aiutarla, sopraffatto dal dolore e dalla paura di perderla.
Incrociare infine gli occhi di lei, umidi, imperlati di lacrime, ancora troppo ingenui e angelici per aver davvero subito tutta quella infamia; il sangue sulla sua guancia nel tentativo di accarezzarla per infonderle sicurezza.
Due parole magiche – Ti amo, Hinata. – dette sicuro che i suoi occhi non avrebbero mai più visto un’altra alba;  ≪ Ti amiamo tutti, ti amano tutti. ≫ – l’inutile tentativo di farle sentire calore, affetto, dolcezza, un’intera famiglia attorno per l’ultima volta, per farle capire che, anche se se ne andava via da loro senza essersi detti addio, lei sarebbe sempre rimasta nei loro cuori, nelle loro menti, ovunque.
Al ricordo, l’odore del sangue gli tornò ancora alla mente, indelebile, insieme alle lacrime, le prime dopo la morte dei suoi genitori, che però non aveva smesso di versare mai in quei cinque anni.  
La corsa in ospedale, vederli ancora vivi, ma entrambi morti dentro, anche se in modo diverso; Hinata arrabbiata col mondo, contro se stessa, contro la sua infame “famiglia”, profondamente addolorata per la notizia ricevuta, tanto da non poterlo neanche immaginare – lui, Naruto,  era già andato via, vittima di un cancro al cervello, nascosto a tutti per mesi, che gli impediva di riprendersi da un incidente così disastroso. ≪ Non c’è più niente da fare ≫ – le parole atroci dei medici, la consapevolezza, la lotta di Hinata nell’inutile tentativo di battersi per una speranza totalmente fasulla. I suoi polpastrelli bianchi sul bottone, spegnere l’apparecchio, spegnere Naruto, lasciarlo andare, come sabbia fra le dita – no, come vita fra le dita. Le urla, le grida, l’odio di Hinata, l’abbraccio doloroso, il funerale, i fotografi, l’oscurità di quel giorno tetro, l’animo buio di Hinata, in attesa, fino a notte fonda, Hinata. La rabbia, la propria rabbia, il dolore, la frustrazione sfogata su quel volante dopo averla caricata in macchina per forza; i loro abbracci disperati, le urla mute di quella notte, sentirsi vicini in mezzo a un mare di angoscia. Le parole, i sentimenti. Caos.
 
 
 
≪ Te lo giuro, andrà tutto bene! ≫
≪ Naruto… ≫
≪ Tranquilla, se ne stanno già occupando gli altri! ≫
- Ipocrita –
….
≪ Si è sacrificato per te, è un eroe. ≫
≪ Vorrei che non lo avesse mai fatto. ≫
≪ Non dirlo mai più. ≫
- Arrabbiato –
….
Dobbiamo affrontarlo. Insieme.
- Bugiardo -
…..
Come faremo, Hinata?
- Disperato -
 
 
≪ Sasuke? ≫
Spalancò gli occhi di colpo.
≪ Hi… Hinata? ≫
La sua mano candida e delicata si alzò e andò sfiorargli una guancia, scacciando via le lacrime che tempestavano il suo viso leggermente arrossato.
≪ Cosa…? ≫
≪ Shikamaru ha chiamato e ha detto che sarà libero soltanto nel pomeriggio, così ero scesa per dirtelo e… ti ho trovato così. ≫
Solo in quel momento riprese coscienza del proprio corpo e realizzò di essere ancora fermo fuori dall’edificio, il volto bagnato da lacrime che non si era accorto di aver versato, i pugni talmente stretti da far male, la sigaretta a terra, spenta. Tolse la mano della donna dal suo viso con un gesto secco, ma lei lo bloccò, intrecciando teneramente le dita alle sue.
≪ Oh, Sasuke… sapessi quante volte è capitato a me. ≫ affermò la donna, guardandolo negli occhi ≪ Lascia che io ti aiuti. ≫
La stretta alla sua mano tremo in modo quasi impercettibile e Hinata la strinse maggiormente, comprendendo che lui le stava dando il permesso, le stava dicendo che sì, poteva entrare nel suo cuore, aiutarlo, vederlo debole. Con la mano libera continuò ad asciugargli le lacrime – e ad accarezzarlo, perché lui non aveva mai ricevuto un tale affetto, ne era certa.
≪ Per me non è stato affatto facile, Sasuke. Non ho ancora superato un bel niente, sono ancora nel bel mezzo del baratro. ≫ soggiunse, passando ad accarezzargli i capelli, senza mai smettere di guardarlo negli occhi ≪ Non riesco più a guidare… Io ci vengo a lavorare qui, vedo questa strada tutti i giorni, rivedo sempre quell’incubo. ≫
≪ E cosa fai? ≫ chiese allora il moro, lievemente, quasi in un sussurro.
≪ Ringrazio. ≫ rispose candidamente.
≪ Come, scusa? ≫ domandò allora lui, incredulo.
La vide sorridere, in modo tenue, leggero, e il suo sguardo si soffermò su quelle labbra carnose e il sorriso delicato.
≪ Ringrazio. Ringrazio Naruto, che si è sacrificato per salvarmi. ≫ disse tranquillamente, mentre i suoi occhi si velano di nostalgia ≪ Ringrazio te, perché senza di te a salvarmi il suo sforzo sarebbe stato vano. ≫ si soffermò un attimo prima di continuare ≪ Ringrazio i Kami che hanno salvato il mio Kurama e mi hanno permesso di vederlo nascere. Ringrazio Hanabi, Kiba, Shikamaru, Ino, Sakura e Sasori, che mi hanno aiutato ad affrontare questi cinque anni. ≫
Hinata si alzò sulle punte e avvicinò la sua fronte alla propria spingendo sulla nuca e cogliendolo di sprovvista. Sasuke sgranò gli occhi, incredulo, ed osservò ogni minimo tratto del suo volto rilassato, affettuoso e grato.
≪ E devo ringraziare ancora te, perché sei tornato da me. Adesso possiamo farci compagnia, con la nostra disperazione. ≫ gli accarezzò ancora il viso e lo guardò negli occhi, profondamente seria ≪ Devo la mia vita anche a te. Non so come ringraziarti e… grazie per quelle parole. Ti amo anche io, Sasuke. ≫ il moro rimase senza fiato, completamente perso nelle sue parole e nel suo sguardo angelico ≪ Ti vogliono tutti bene. Grazie per avermi salvato la vita, Sasuke. ≫
Hinata si sollevò ancora un poco e lo avvolse in un caldo abbraccio.
Sasuke, ancora troppo poco abituato all’affetto umano, sulle prime non seppe come rispondere. Poi, lentamente, avvolse i suoi fianchi con le proprie braccia, quasi aggrappandosi a lei, come se fosse la sua unica fonte di forza. E di felicità.
Sasuke fu sinceramente grato di avere l’affetto di Hinata Hyuga.
 
Questo dolore… è così forte da sembrare irreale. Vero? 
… 
Sasuke?

Permettimi di colmare quel vuoto.
 
Shikamaru guardò i presenti cercando, come sempre, di analizzarli. Aveva facilmente compreso che, quel giorno, era successo qualcosa di assolutamente particolare: lo notava nelle occhiate che si scambiavano Sasuke e Hinata, non troppo lontani, e lo sguardo attonito di Kiba che di tanto in tanto smetteva di accordare il suo basso per osservare i due, in silenzio. Quei due avevano cominciato a condividere molto più dell’amicizia, ovvero lo stesso e identico dolore; capì che erano due persone profonde e contrapposte che si completavano a vicenda – e si comprendevano. Il suo alto quoziente intellettivo non arrivava però a capire la determinazione che spingeva quei tre a desiderare così tanto di rimettere insieme i pezzi rimasti degli Origin per formare un nuovo gruppo: era una forza nuova, diversa, incomprensibile ad occhio umano, ultraterrena.
≪ Allora? ≫ parlò, attirando l’attenzione su di sé ≪ Siete davvero decisi a riformare la band? ≫
Sasuke guardò Kiba, poi Hinata, che comunicarono il loro muto assenso.
≪ Sì. ≫ disse allora, per tutti.
Shikamaru si sfregò gli occhi con una mano, stanco. Doveva ammetterlo, non sopportava il suo lavoro, nonostante fosse ciò che aveva sempre sognato: dopo aver conosciuto il mondo, non ti puoi accontentare della tua casa.
≪ Quindi siamo tutti d’accordo? ≫ chiese ancora, debolmente.
≪ Questo devi dircelo tu. ≫ fu la risposta pronta del suo interlocutore.
A questo punto Shikamaru tornò a riflettere, chiudendo gli occhi e raccogliendo i pensieri.
Valeva davvero rinunciare a tutto quello per cui aveva lavorato per anni?
Un’unica risposta accettabile.
Sì.
Nonostante questo significasse tornare ad impazzire per colpa di quegli scriteriati.
≪ Ci sto. ≫ disse, aprendo gli occhi, con assoluta calma.
Per la prima volta dopo anni, vide affiorare un sorriso sincero sul volto solitamente scuro di Sasuke, subito seguito da Hinata e Kiba, che parevano increduli.
≪ Suoniamo? ≫ propose allora l’Inuzuka, deciso a festeggiare.
≪ No. ≫ rispose Sasuke, che per un attimo fece cadere il clima di festa ≪ Voglio sapere il vostro parere su una cosa. ≫
≪ Cosa? ≫ domandò il Nara, incuriosito.
≪ Quella che, secondo me, dovrebbe essere la prima canzone del nostro album. ≫
Tutti lo guardarono meravigliati, per poi osservarlo mentre si alzava e prendeva un paio di fogli dal suo raccoglitore, che porse ad Hinata.
≪ Non avrai difficoltà. ≫ affermò, mentre lei afferrava i fogli e leggeva attentamente note e testo.
Si avvicinò al piano della sala prove, con un groppo in gola. Parlava di lei, di lui, di Sasuke, di tutti loro; profondamente triste, quando cominciò a suonare al pianoforte capì veramente che quella era l’unica soluzione, per loro: sfogarsi attraverso quella musica.
Quella canzone era meravigliosa.
“My Immortal”
 

I'm so tired being here

Suppressed by all of my childish fears

And if you have to leave

I wish that you would just leave

Because your presence still lingers here

And it won't leave me alone

 

These wounds won't seem to heal

This pain is just too real

There's just too much that time cannot erase

 

When you cried I'd wipe away all of your tears

When you'd scream I'd fight away all of your fears

And I've held your hand throung all of these years

But you still have all of me

 

You used captive me

By your resonating light

But now I'm bound by the life you left behind

Your face it haunts my once pleasant dreams

Your voice it chesed away all the sanaty in me

 

These wounds won't seem to heal

This pain is just too real

There's just too much that timr cannot erase

 

When you cried I'd wipe away all of your tears

When you'd scream I'd fight away all of your fears

And I've held your hand throung all of these years

But you still have all of me

 

I've tried so hard to tell myself that you're gone

And though you're still with me

I've been alone all along

 

When you cried I'd wipe away all of your tears

When you'd scream I'd fight away all of your fears

And I've held your hand throung all of these years

But you still have all of me

Sono così stanco di stare qui

Soffocato da tutte le mie infantli paure

E se devi partire

Desidero che tu possa farlo 

Perchè ancora la tua presenza indugia qui

E non vuole lasciarmi solo

 

Sembra che queste ferite non possano guarire

Che questo dolore sia troppo reale

Ce n'è così tanto che nemmeno il tempo potrà cancellarlo

 

Quando piangesti,io asciugai le tue lacrime

Quando gridasti io scacciai tutte le tue paure

E ti ho tenuto la mano per tutti questi anni

Ma tu hai ancora tutto di me

 

Sei solito affascinarmi

Con la tua risonante vita

Ma ora sono limitato dalla vita che ti lasci dietro

Il tuo viso ossesiona i miei,una volta,piacevoli sogni

La tua voce allontana tutto il mio buon senso

 

Sembra che queste ferite non possano guarire

Che questo dolore sia troppo reale

Ce n'è così tanto che nemmeno il tempo potrà cancellarlo

 

Quando piangesti,io asciugai le tue lacrime

Quando gridasti io scacciai tutte le tue paure

E ti ho tenuto la mano per tutti questi anni

Ma tu hai ancora tutto di me

 

Ho cercato così fortemente di dire a me stessa che te eri andato

E comunque sei ancora con me

Son stato solo tutto il tempo

 

Quando piangesti,io asciugai le tue lacrime

Quando gridasti io scacciai tutte le tue paure

E ti ho tenuto la mano per tutti questi anni

Ma tu hai ancora tutto di me





 


Angolino di Tomoko.
Eccomi di nuovo qui, dopo taaaanto tempo! E' che mi sono fatta prendere dall'estate,
un pò come voi credo, che siete in meno a recensire! Mi mancano Arcx e Puffin, dio 
solo sa dov'è finita quella povera ragazza, forse sepolta da un mare di libri pre-esami (?)
Spero che il capitolo vi piaccia e presto trovero il tempo per rispondere alle recensioni,
giuro! Auguri a tutti i diplomati!
 

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Capitolo 12
*** Malavida en BS.AS. ***


Gli ultimi sognatori.
Occhi Paradiso.
Malavida en Buenos Aires.
[Questo Re senza corona.]

 
[Negrita: Malavida En Buenos Aires]
Era trascorsa un’altra settimana da quando avevano deciso di rifondare il loro gruppo. I dettagli erano ancora tutti da decidere, quindi le cose erano piuttosto stazionarie: lei aveva continuato la sua solita vita, occupandosi con calma di tutto ciò con cui aveva a che vedere tutti i giorni, preoccupandosi, solo di tanto in tanto, di come gestire tutta quella mole di lavoro anche quando avrebbe intrapreso la propria carriera musicale.
Ancora non credeva a tutto quello che era successo in quei giorni. Era successo tutto troppo velocemente per riuscire a metabolizzarlo davvero, quindi ancora non si capacitava di come all’improvviso fosse diventata la vocalist di una band, quando fino al giorno prima credeva di essere assolutamente stonata. Quando cinque anni prima le capitava di canticchiare – piuttosto raramente, dato che non trovava il coraggio di tirar fuori la sua immensa voce – lui la lodava e si complimentava, continuando a ripeterle che voce da sogno possedesse. Eppure, un tempo non ci aveva mai creduto, né aveva ceduto alle continue insistenze da parte del biondino che la spingeva a cantare e cantare. Invece in quel momento, passati cinque anni senza di lui, nonostante ancora le fosse difficile confidare nella propria voce  - e in se stessa -, si era aggrappata a quella novità come ad una speranza: quella di sentirsi più vicina a lui, facendo esattamente quello che faceva lui, amando cantare come amava lui, sentirsi libero, grazie al canto, come si sentiva lui.
Era possibile?
La avvicinava davvero al suo amante perduto? Era il mezzo per capirlo meglio?
Forse era tutta una sua fantasia. Forse, non esisteva neanche la possibilità di “avvicinarsi a lui”, perché lui non esisteva più, dato che non esisteva un altro lato dove la sua anima potesse continuare a fluttuare e a creare magica poesia. Non esisteva nulla di tutto ciò che la sua cultura le aveva impresso nella mente fin dalla nascita: era solo una magra consolazione, un perpetuo cullarsi in una bugia bianca.
Un mugolio le sfuggì dalle labbra, costringendola a massaggiarsi le tempie pur di non crollare per il dolore alla testa. Tutti quei discorsi non facevano altro che farle male, per di più distraendola dal suo già di per sé impegnativo lavoro.
Adesso per di più doveva decidere come affrontare l’avventura in cui si stava imbarcando: sarebbe stato difficile conciliare la gestione di una casa discografica, il management, la sua carriera e la sua famiglia. Si era messa cercare le storie di cantanti che avevano preso a prodursi da soli e a produrre anche album di artisti emergenti; né aveva trovati tanti, aveva persino alzato la cornetta per chiamarne un paio e sentire il loro parere: tutti erano riusciti nei loro intenti, nonostante la stanchezza, ma qualcosa le diceva che alla fine il loro tempo a casa era ridotto, e nessuno poteva dirle che madri e padri erano. Hinata aveva paura, paura di non riuscire a tenere tutto sotto controllo, di perdere l’affetto di suo figlio. Era forse possibile?
 
≪ Ooooh, finalmente sei arrivato! ≫ Kiba lo afferrò per il bevero e lo fece entrare in modo sgarbato ≪ Sono in ritardissimo, grazie per essere venuto! ≫
Sasuke – il malcapitato di turno – inarcò un sopracciglio, stupito e contrariato. Kiba lo aveva chiamato al telefono invocando aiuto e, anche se non lo avrebbe mai ammesso, lui era accorso con un groppo in gola. Nel vedere però che Kiba – avvolto in una giacca marrone con quelle assurde pezze sui gomiti, da perfetto professore universitario – stava bene, cominciava a insospettirsi e, inevitabilmente, ad alterarsi.
≪ Ma che cavolo vuoi? ≫ chiese, pronunciando quelle quattro parole con astio.
≪ Devo andare a fare una lezione di musica molto, molto importante! ≫ il sopracciglio di Sasuke si inarcò maggiormente nel sentir nominata la nuova passione del bruno ≪ E fra meno di mezzora Kurama esce dall’asilo e non posso andare a prenderlo! ≫
≪ Quindi? ≫ Sasuke per un momento parve non capire.
≪ Quindi devi andare a prenderlo e occuparti di lui per qualche ora! ≫ affermò l’altro, sicuro di sé.
Sasuke sgranò gli occhi, stupito, e per un attimo deglutì: da dove doveva cominciare con un bambino? Non ne era sicuramente in grado e Kiba di certo non lo aiutava con il suo atteggiamento.
≪ Dove cavolo è quest’asilo? ≫ sbottò, dandogli un buffetto sul braccio ≪ E poi perché cavolo mi hai fatto venire qui? Non potevi dirmi tutto al telefono? ≫
Kiba per un secondo rimase in silenzio, per poi squadrarlo dall’alto in basso.
≪ Ma ti vedi? ≫ la sua voce sfociò in risata ≪ Se te lo avessi chiesto per telefono, ti saresti dato latitante! ≫
Sasuke grugnì e spinse fuori Kiba che non smetteva di ridere, per poi chiudersi la porta alle spalle e salire in macchina.
≪ Ti mando l’indirizzo con un messaggio! ≫ lo rassicurò l’amico, accendendo la propria macchina.
Sasuke fece lo stesso e attese il messaggio di Kiba, che arrivò dopo pochi secondi. Fece inversione e si mise in moto a gran velocità, ancora leggermente agitato. Rifletté sulle parole di Kiba: se lui non l’avesse incastrato in quella situazione, avrebbe davvero cercato di evitare quell’onere?
Forse sì. Ancora non si sentiva pronto per delle responsabilità così grandi; all’improvviso si era ritrovato in mezzo al caos, con un bambino di cui non conosceva l’esistenza davanti agli occhi, totalmente incapace di interagire. Aveva bisogno di tempo per abituarsi, ma non ne aveva avuto a sufficienza, anzi, era totalmente assente.
Dopo pochi minuti, si ritrovò davanti ad un edificio colorato e basso, circondato da un giardino rigoglioso con altalene e giochi. Doveva essere l’asilo nido e per un momento tutto quello che vide gli rimembrò la sua prima infanzia, abbastanza felice, passata ad attendere che il suo nii-san passasse a prenderlo, tutti i pomeriggi, per andare a casa insieme. In seguito tornò al presente e si chiese cosa dovesse fare adesso. Doveva aspettare Kurama in macchina o al cancello? Sapeva già che quel giorno lo avrebbe riportato a casa lui? Doveva entrare dentro l’edificio?
Strinse le dita attorno al volante, agitato, senza accorgersene. Non sapeva come comportarsi. Proprio mentre rifletteva, altre macchine si posteggiavano davanti alla cancellata. Scrutò una donna sulla trentina scendere dalla sua autovettura e avvicinarsi al cancello, fermandosi in mezzo al giardino, che dopo pochi minuti diventò ancora più affollato. Decise di imitarli.
Scese dalla macchina e si avvicinò al cancello, andando a posizionarsi all’ombra di un albero, poco lontano da altri genitori che parlavano fra loro. Molti lo ignoravano, ma qualcuno lo notò: se ne accorse quando venne bellamente indicato. Immaginava già le loro parole, era già successo altre volte e perciò sapeva esattamente cosa dicessero su di lui: ≪ E’ lui, il chitarrista di quella band in cui il cantante è morto di cancro. ≫
Era vero, era lui, si riconosceva in quella macabra definizione: eppure c’era molto più di questo nella sua vita; perché nessuno se ne accorgeva? Ormai quell’etichetta gli gravava sulle spalle ed era difficile staccarsela di dosso: nessuno ricordava che ottimo chitarrista fosse o la grinta e la bravura di Naruto, nessuno ricordava i successi degli Origin o la forza della loro manager che per loro si era ribellata anche alla sua famiglia. Pensò a Kurama e si chiese se anche sulle sue spalle esili gravasse lo stesso macigno, il peso di essere riconosciuto come “il figlio del cantate morto di cancro”, si chiese se la gente sapesse che lui era Kurama Uzumaki, figlio di Naruto Uzumaki e di Hinata Hyuuga, figlio d’arte e con la musica nel sangue. Si chiese se la gente lo sapesse e se Kurama si accorgesse degli sguardi su di lui, dei bisbigli e delle parole. Una gran rabbia gli infervorò l’animo e gli sembrò che il suo sangue bruciasse all’interno del suo corpo: quel bambino non meritava di passare la propria vita sotto osservazione, non meritava di essere etichettato, né di non poter parlare mai con suo padre. A quell’ultimo pensiero tremò e si ripromise che avrebbe lottato con tutto se stesso per impedire a quel bambino di subire la sua stessa sorte; lo avrebbe aiutato e protetto, gli avrebbe permesso di essere tutto ciò che desiderava, cancellando quell’epiteto dalle sue caratteristiche.
La campanella suonò e un numero indefinito di bambini accorse fuori dall’asilo, ed ognuno di loro correva entusiasta raggiungendo il proprio genitore. Sasuke tirò un’ultima volta dalla sua sigaretta per poi farla cadere a terra, nonostante fosse soltanto a metà, e la calpestò cercando con lo sguardo i capelli scuri di Kurama in mezzo alla folla. Non lo vide perché era l’ultimo del suo gruppo, camminava normalmente, senza correre, accompagnandosi a un bambino della sue età, con capelli rossi e occhi verdi, a cui sorrise. Lo vide voltarsi, guardarsi intorno alla ricerca di qualcuno, probabilmente Kiba, che aveva l’abitudine di andare a prenderlo.
Il bambino si voltò nella sua direzione e Sasuke alzò prontamente una mano in segno di saluto, per farsi riconoscere. Allora il bambino camminò più velocemente verso la sua direzione, salutando appena l’amico e regalando un sorriso tutto per l’Uchiha.
≪ ‘suke-ji-chan! ≫ lo salutò Kurama, allungando le braccia verso di lui.
Sasuke si abbassò alla sua altezza e lasciò che il bambino gli mettesse le sue braccine intorno al collo, per poi stringerlo affettuosamente, esattamente come aveva visto fare a Hinata.
≪ Ciao, Kurama. ≫ contraccambiò il saluto, scompigliandogli per un attimo i capelli sottili e tirando lievemente un angolo della bocca in un sorriso sincero.
Sasuke tornò in piedi e il più piccolo gli tese la mano, che Sasuke afferrò leggermente goffo e imbarazzato, per poi condurlo fino alla macchina, dove lo sistemò sul sedile anteriore, accanto a lui, allacciandogli la cintura.
Fece il giro della macchina e vi salì, per poi metterla in moto e tornare a casa.
≪ Dov’è Kiba-ji-san? ≫ chiese il bambino, con la sua voce esile.
≪ Doveva lavorare. ≫ gli rivelò lui, con ancora i pensieri tristi di prima ad attanagliargli la mente ≪ Così ha chiesto a me di venire. Ti dispiace? ≫
≪ No! Tu mi piaci! ≫ esultò il bambino.
Un leggero sorriso sfiorò appena le labbra di Sasuke, che si stupì di se stesso. ≪ Bene, allora andiamo a casa. ≫ soggiunse, continuando a guidare.
Seguirono una decina di minuti di silenzio, dove il bambino si era leggermente accostato al vetro della portiera, perdendosi a guardare qualcosa di indefinito.
Sasuke si accorse dopo poco che Kurama si era lievemente incupito: si era raggomitolato su se stesso, ed il suo sguardo azzurro vagava in un cielo più opaco dei suoi occhi.
≪ Kurama? ≫ chiamò, preoccupato, ma vedendo che non lo degnava di una risposta si sforzò di richiamarlo in un modo più dolce ≪ Ehi, Kurama-chan… tutto ok? ≫
≪ ji-chan… ≫ la voce flebile del bambino suonò insicura ≪ Tu… sei amico del mio ‘tou-chan? ≫
Per poco la macchina non andò fuori strada e lo stesso Sasuke dovette fare uno sforzo sovraumano per mantenere il controllo, sia di se stesso che dell’autovettura. Non si aspettava di dover parlare con quel piccoletto del suo defunto padre così presto; non credeva che quel bambino avesse davvero tutta quell’intelligenza – e il bisogno – di chiedere apertamente qualcosa sul biondino, deciso, senza esitare.
Deglutì a vuoto, allarmato; per un attimo gli mancò l’aria e annaspò, ma con tutto se stesso cercò di non darlo a vedere.   
≪ Sì, Kurama. ≫ rispose Sasuke, cercando dentro di sé un po’ di coraggio ≪ Io sono il migliore amico del tuo ‘tou-chan. ≫
≪ E…≫ il piccolo titubò ≪ … com’era? ≫
≪ Era il miglior amico che si potesse desiderare. ≫ Sasuke cercò di essere chiaro e sincero ≪ Era simpatico e rumoroso, a volte faceva lo stupido, ma aveva un gran cuore e cercava sempre di dimostrare il proprio affetto. ≫
≪ Gli volevi bene? ≫
Sasuke si stupì un poco di quella domanda, ma conosceva già da tempo la risposta. I suoi occhi si velarono di lacrime e fu costretto a rallentare.
≪ Lo amavo. ≫ soggiunse, tentando di rimanere calmo.
≪ Come lo amava ‘kaa-chan? ≫ chiese ancora Kurama, facendosi ancora più attento.
≪ No, in un modo diverso, ma con la stessa forza. ≫ cercò di esplicare l’altro.
≪ Non capisco. ≫ mormorò il più piccolo, titubante ≪ Ji-chan, che vuol dire amare? ≫
≪ Ami qualcuno quando non riesci ad immaginare la tua vita senza una persona. ≫ calcolò ogni parola, provando ad essere il più chiaro possibile ≪ Né hai così bisogno che non vuoi separartene e faresti di tutto per lei. ≫ ormai arrivati a casa, posteggiò l’auto e si voltò a guardare il bambino, che gli rivolgeva i suoi grandi occhi sgranati ≪ Riesci a immaginare di vivere senza la tua ‘kaa-chan? ≫
≪ No! ≫ rispose subito Kurama, quasi infervorandosi.
≪ Ecco, tu ami la tua ‘kaa-chan. ≫ gli confermò, liberando dalla cintura.
≪ E tu ami ‘kaa-chan? ≫ gli chiese il bambino, in modo innocente.
≪ Ah… ≫ Sasuke socchiuse la bocca, stupito da quella domanda, per poi regalargli un altro sorriso affettuoso ≪ Sì, anche io amo la tua kaa-chan. ≫
 
Avevano fatto merenda insieme con pane e crema di nocciola in soggiorno, ascoltando i Beatles alla radio. Kurama aveva disegnato un po’, cercando di raffigurare Sasuke sotto un albero, esattamente come lo aveva trovato quel pomeriggio, con risultati quasi accettabili. Sasuke aveva fumato una sigaretta affacciandosi in giardino – premurandosi di essere lontano da Kurama –, aveva canticchiato una canzone e infine si era seduto sul divano a leggere, accanto al bambino, che si era messo comodo, sotto una coperta, per guardare i cartoni animati.
Soltanto quando finì l’ennesimo capitolo si accorse che il piccolo si era addormentato, coricandosi sul divano e, più precisamente, appoggiando la testa alla sua coscia.
Aveva le guance rosse e la bocca socchiusa, le mani chiuse a pugno vicino al viso. Non sapeva cosa fare, come prenderlo per portarlo a letto, come metterlo più comodo, ma la sua mano si mosse automaticamente, nonostante una leggera goffaggine lo accompagnasse ancora. Gli scostò i capelli dal viso – lunghi ciuffi color notte, un bambino che aveva il cielo ovunque, oltre che negli occhi – e notò che Kurama aveva la fronte corrugata e madida di sudore. Vi pose due dita – lo sentì scottare. Si allarmò, si piegò un poco e posò le labbra sulla fronte del bambino, che mugugnò appena. Lo sentì bruciare, e allora si rese conto che Kurama aveva la febbre alta, all’improvviso, ed andò in panico. Cosa doveva fare? Chiamare un’ambulanza?
≪ Kurama? Kurama! ≫ chiamò, scuotendo un poco il bambino, che grugnì infastidito ≪ Cosa fa ‘kaa-chan quando stai male? ≫
≪ Hmmm… Sakura-ba-chan… ≫ sussurrò il nome appena.
Ok, Sakura. Doveva chiamare Sakura!
Scostò lentamente il bambino e scattò in piedi, alla ricerca del telefono che, guarda caso, sembrava scomparso nel nulla. Cominciò a correre a destra e sinistra, completamente in panico – se fosse successo qualcosa a quel piccoletto sarebbe stata unicamente colpa sua, e non poteva tollerare un tale peso sulle spalle, proprio lui che aveva ricevuto l’incarico di amare e proteggere quel bambino come fosse suo.
Trovò il cellulare – stranamente in mezzo alle stoviglie appena lavate – cercò la rubrica e chiamò velocemente Sakura, tornando vicino a Kurama per assicurarsi che non fosse peggiorato.
Al quarto squillo la ragazza rispose.
≪ Sa…Sasuke? ≫ chiamò, con voce titubante.
≪ Sakura, dove sei? ≫ rispose alla domanda con un’altra domanda, in fretta e ansioso.
≪ Al pronto soccorso, in ospedale, perché? ≫ la ragazza parve riprendersi e preoccuparsi.
≪ Sto arrivando. ≫ chiuse la chiamata in fretta e furia e prese le proprie cose, quasi correndo.
Bagnò una pezza con acqua fredda e la sistemò sulla fronte del moro, scostandogli appena i capelli inumiditi dal sudore, per poi avvolgerlo in una coperta e sollevarlo per portarlo in macchina. Chiuse in fretta la porta di casa e neanche si assicurò che lo fosse davvero per quanto era agitato.
Sistemò Kurama sul sedile davanti e gli sistemò la cintura intorno alla vita; si mise al posto del guidatore e subito scalò le marce per partire praticamente in quarta, in direzione ospedale. Suonò il clacson come un matto per tutto il tragitto e cercò in ogni modo di evitare il traffico di Tokyo, riuscendoci per poco. Dopo appena venti minuti era nell’atrio del pronto soccorso, dove le urgenze non finivano mai, le barelle correvano più di lui spinte da medici in agitazione e il caos faceva da padrone.
Senza fermarsi, cercò con lo sguardo la capigliatura rosa della sua ex; dopo poco la trovò a parlare con un paziente con le mani nelle tasche del camice bianco che portava, i capelli legati in una coda alta e lunga. Le si avvicinò a grandi passi, il bambino fra le braccia, fortemente preoccupato.
≪ Sakura! ≫ chiamò a gran voce, incontrando ben presto i suoi occhi verdi.
≪ Per tutti i Kami… che è successo? ≫ subito la donna le si avvicinò, gli occhi preoccupati, ma ben presto si riconquistò la sua professionalità ≪ Vieni, sistemalo sul lettino numero otto. ≫
Sasuke obbedì e Sakura indosso il suo fonendoscopio per auscultare i polmoni; gli toccò la fronte e sentì quanto fosse calda; con uno scatto aprì un cassetto e afferrò un termometro che, in pochi secondi, segnò una temperatura molto alta.
≪ Presto, una sacca di liquidi e venti milligrammi di antibiotico per il paziente otto! ≫
Dopo meno di un minuto un’infermiera accorse con quanto richiesto e Sakura, con pazienza, informò Kurama, poco cosciente, che doveva per forza infilargli un ago nel braccio.  
≪ ‘ji-chan… ≫ mormorò il bambino, la bocca impastata, per poi interrompersi a causa di un colpo di tosse ≪ Ho pa-paura… ≫
Sasuke si avvicinò al suo capezzale e gli accarezzò i capelli, tentando di rassicurarlo. Sakura si stupì nell’assistere a quella scena così dolce.
≪ Sakura? ≫ chiamò Sasuke ≪ E’ estremamente necessario? ≫
≪ Kurama ha una fortissima influenza e se non facciamo subito qualcosa potrebbe peggiorare. ≫ spiegò lei ≪ Non c’è altro modo, mi dispiace. ≫
Sasuke annuì brevemente, si abbassò vicino a Kurama e continuò ad accarezzargli i capelli.
≪ Non avere paura. ≫ gli sussurrò, tentando di essere il più dolce possibile ≪ Anche il tuo ‘tou-chan avrebbe avuto paura, sai? Ma presto sarà tutto finito, sii forte. ≫
Kurama, incoraggiato dalle parole dello “zio”, strinse forte gli occhi, cercando di ignorare il dolore che stava per arrivare.
Mugolò appena quando Sakura penetrò la sua pelle con l’ago cannula, cercando di essere delicata, con le sue mani esperte. Sistemò le sacche e ben presto tutto finì.
≪ Abbiamo finito, Kurama. ≫ confermò la rosa, osservando il volto preoccupato di Sasuke distendersi leggermente in un sorriso, mentre gli accarezzava una guancia.
≪ Visto? Sei stato bravo, Kurama-chan. ≫ disse il moro, facendolo sorridere appena, stanco ≪ Cerca di dormire un po’, adesso. ≫
Il bambino annuì leggermente e chiuse gli occhi, cullato dalle carezze affettuose del moro.
Dopo un po’ Sasuke si alzò e si avvicinò a Sakura.
≪ E’ grave? ≫ le chiese, preoccupato ≪ Per quanto tempo dovrà rimanere qui? ≫
≪ Va tutto bene, ha solo una forte influenza. ≫ gli rispose la donna ≪ Il tempo di finire le fiale e lo potrai portare a casa. ≫
≪ Perfetto. ≫ Sasuke sospirò pesantemente, all’improvviso più calmo ≪ Sakura… grazie. ≫
La donna non si curò di celare la sua reazione; semplicemente spalancò gli occhi, totalmente stupita e disarmata: da quando lo conosceva, Uchiha Sasuke, con due lettere maiuscole che esplicavano solo in minima parte l’ego spropositato dell’uomo, non aveva mai ringraziato nessuno, né aveva mai abbassato di tanto il capo, umile, né i suoi occhi avevano mai brillato di una luce riconoscente. Si rese conto di trovarsi di fronte ad un Sasuke completamente diverso, eppure fondamentalmente uguale; era ancora il ragazzo cinico, disilluso, menefreghista e cafone d’un tempo, ma adesso pareva essersi evoluto in un uomo, non più così freddo, con un ego leggermente ridimensionato e non più così restio al contatto sociale. Ecco, Sasuke Uchiha, il ragazzo – l’uomo, si corresse mentalmente – più testardo, incurante, atono e ostinato al mondo, proprio lui, la stessa persona ermetica e completamente chiusa al mondo, era riuscito a cambiare, dandole da pensare – E lei? Lei era cambiata? Lo era se continuava ad essere attratta dal suo primo grande amore?, lo era se una forza inspiegabile continuava spingerla a fare gli stessi errori?, lo era se, ormai da anni, le sue emozioni erano sempre le stesse e sempre dolorose?
Quantunque si ostinasse a cambiare tutto, da ciò con cui faceva colazione al suo stesso modo di parlare, lei si sentiva sempre la stessa, la solita inutile, debole e insignificante Sakura. Perché?
≪ Ti devo un favore. ≫ la voce di Sasuke le arrivò alle orecchie quasi ovattata.
Sollevò lo sguardo da terra e lo guardò con i suoi occhi verdi e intensi, che aveva imparato a far risaltare con del semplice mascara. Il volto di Sasuke non cambiò espressione, non sembrò neanche stupito, semplicemente, ricambiò il suo sguardo, rimanendo fermo, statico. Sakura pensò che nonostante il nome Sasuke portasse con sé nella sua vita tutto fuorché tranquillità, sballottandola continuamente fra maremoti e tempesta, il suo sguardo rimaneva l’àncora a cui ogni volta stancamente si abbandonava, ripescandola in mezzo alle acque torbide per riportarla sulla riva, ma giusto per il tempo di riprendere fiato, per poi essere trascinata nuovamente a fondo con forza e violenza, quasi rabbia.
Lo vide voltarsi, mostrarle le spalle, pronto a tornare ai suoi nuovi e lieti doveri di “zio” ed ebbe la riconferma di quanto, in quel periodo, Sasuke fosse cambiato; si chiese perché, e non seppe dire se era per l’assenza di Naruto – a cui pensò con dolore e rammarico, tanto da provocarle una fitta a un fianco – o per il periodo passato in solitudine, lontano fisicamente da tutti loro per cinque anni, ma con il pensiero sicuramente vicino.
La sua mano si mosse automaticamente e si rese conto troppo tardi di aver afferrato in un momento d’impeto il polso di Sasuke, che si era voltato verso di lei con un viso improvvisamente stanco e spossato, invecchiato quasi – Sakura riconobbe il passaggio del tempo sulla pelle, sulla forma degli occhi, sulle gote più infossate e la mascella più squadra; e lei? Era cambiata?
≪ Sasuke. ≫ mormorò il suo nome non tanto per richiamarlo, ma per sentirne ancora il sapore amaro sul palato ≪ Vorrei parlare in privato con te, un giorno di questi. ≫
≪ Hai Sasori. ≫ rispose lui, e la ragazza osservò quelle labbra farsi più strette, in un’espressione che, accostata alle sue parole, poteva significare solo due cose: o era geloso del rosso, o le stava semplicemente dicendo di farsi passare l’ossessione per lui e di concentrarsi su quello che era, in fin dei conti, il suo ragazzo. Sakura non seppe comunque cosa scegliere, fra le due possibili teorie, e lo sguardo indecifrabile di Sasuke, che di solito agiva come un magnete per lei, parve respingerla.
≪ Per favore. ≫ supplicò, abbassando la voce giungendo ad umiliarsi.
Il moro chiuse gli occhi e bofonchiò un ≪ Vedremo. ≫ che la rese felice prima di voltarsi e tornare al capezzale di Kurama, ormai dormiente.
Sasuke riuscì solo a pensare a quanto in tutti quegli anni si fosse lasciato completamente ingannare dalle apparenze: Sakura sembrava una persona forte, eppure era infinitamente debole e bambina; Hinata sembrava indifesa, ma nascondeva una forza incredibile e non si lasciava mettere i piedi in testa da nessuno, era decisa, combattiva e mai avrebbe rinunciato a quel modo alla sua dignità, come aveva fatto Sakura.
Perché pensava a Hinata?  
 
Accarezzò con dolcezza la fronte madida di sudore del suo bambino, profondamente dormiente nel lettino della sua camera, per poi posarvi un asciugamano inumidito, per aiutarlo nella guarigione.
≪ Come sta? ≫
La voce profonda di Sasuke non la fece sobbalzare perché sapeva perfettamente che lui fosse lì da almeno una decina di minuti ormai, sorrise, senza voltarsi, continuando a osservare il viso corrucciato di Kurama, leggermente preoccupata.
≪ Come un bambino con la febbre a 39, Sasuke. ≫ gli rispose Hinata, sistemando le coperte del figlio.
≪ Mi dispiace. ≫ si aspettava quelle parole con la stessa certezza che il sole sarebbe ancora sorto l’indomani.
≪ Non è colpa tua, ‘suke. ≫ gli rispose la donna, alzandosi per uscire dalla stanza, subito seguita dal moro che si chiuse la porta alle spalle ≪ Kurama soffre spesso di queste influenze, la sua salute è un po’ cagionevole. ≫
≪ Cosa? ≫ non si curò neanche della voce stizzita di Sasuke e continuò a salire le scale, diretta in sala musica ≪ E perché? ≫
≪ Perché sì, Sasuke. ≫ rispose lei, niente affatto disposta a lasciarsi andare in spiegazioni – non era proprio giornata.
≪ Andiamo, dimmelo! ≫ s’infervorò lui ≪ So benissimo che sei intelligente e ti sarà sicuramente venuto in mente di chiedere spiegazioni sulla salute di tuo figlio. ≫
≪ Infatti, ma non mi va di parlane. ≫ fu del tutto sincera, tanto da disarmarlo.
≪ Hinata! ≫ fu la sua risposta dopo un attimo, con una voce leggermente più alta del normale.
≪ Sasuke! Che diamine! ≫ perse la pazienza e si fermò proprio in cima alle scale, lo sguardo furente – no, non era assolutamente giornata ≪ Ho rischiato di abortire, capisci cosa vuol dire? ≫
Il moro si fermò qualche scalino più in basso e quasi ebbe paura a guardarla negli occhi, a cercare ulteriori conferme.
≪ No. ≫ rispose dopo un minuto, titubante.
≪ Vuol dire che è un miracolo se è vivo. ≫ sospirò, tentando di lasciare andare un po’ di tensione ≪  Quindi è del tutto normale per lui avere più problemi di salute rispetto a un bambino della sua età. Parole dei medici. ≫
Detto questo gli diede le spalle e riprese a camminare, entrando infine in sala musica, dove cominciò a vagare, ancora seguita dal moro.
≪ E non ti è neanche passato per l’anticamera del cervello di dirmelo? ≫ Sasuke, stavolta, quasi urlò, arrabbiato.
≪ E perché cavolo avrei dovuto farlo? ≫ anche Hinata perse il controllo.
≪ Perché me ne stavo occupa… ≫
≪ TU NON SEI SUO PADRE, SASUKE! ≫ urlò, voltandosi di colpo per guardarlo con un odio tale che pareva poterlo incenerire.
Sasuke indietreggiò, senza sapere perché, e ciò fece tornare in sé Hinata, totalmente sconvolta dal proprio comportamento.
≪ Scusami. ≫ mormorò lui.
≪ Scusami tu. ≫ rispose lei, massaggiandosi le tempie, appena accostatasi alla finestra ≪ Non so cosa mi sia preso, è stata una giornata difficile. ≫ sospirò, esausta ≪ Hai ragione tu, dovevo dirtelo. ≫
≪ Mi sono sentito la causa del suo male e non sapevo che fare, mi sembrava di essere un’incapace. ≫ le confidò lui, avvicinandosi di qualche metro.
≪ Avrei dovuto dirtelo, scusami. ≫ cercò i suoi occhi, caldi e accoglienti ≪ Anche perché non sarà l’ultima volta che ti occuperai di lui, vero? ≫
≪ Vero. ≫
≪ Lui… Naruto… ≫ disse quel nome trattenendo appena un gemito ≪ Vorrebbe che ti occupassi di lui, lo sai? ≫
≪ Lo so. ≫ affermò lui, ad appena un metro di distanza da lei.
≪ E lo farai? ≫ chiese ancora, titubante.
≪ Sì. ≫ la rassicurò, per poi allungare una mano e accarezzarle il volto, saggiando con il pollice la morbidezza della sua guancia di seta ≪ E mi occuperò anche di te. ≫
≪ Io so badare a me stessa. ≫ mormorò lei, perdendosi nel suo sguardo.
≪ Lo so. ≫ e lo sapeva davvero, non si era neanche stupito della sua reazione da “orgoglio ferito” ≪ Ma lui vorrebbe che lo facessi. ≫
≪ Non ne ho bisogno. ≫ scostò il volto da quella carezza, incapace di sorreggere oltre il suo sguardo.
Fece per andare via, ma Sasuke la afferrò per il polso, tirandola verso di sé. Hinata deglutì, trovandosi improvvisamente a meno di dieci centimetri dal volto di Sasuke; per guardarlo doveva alzare il mento, ritrovandosi davanti un uomo che la torreggiava con facilità; sentì il respiro caldo di Sasuke sulla pelle e un brivido indefinibile le scosse le membra; Hinata si perse ancora in quegli occhi neri, catapultata all’improvviso nell’oblio, dove il suo Inferno personale cominciò ad arderle dentro, scuotendole le interiora – e il cuore.
≪ Ne sei sicura, Hinata? ≫ chiese, ma lei fece caso soltanto al proprio nome pronunciato con quel calore, con quella voce roca, con un movimento minimo delle labbra ≪ Perché ti stai allontanando all’improvviso da me? ≫
E lei non lo sapeva, non lo sapeva davvero, semplicemente si era ritrovata a pensare a lui tante volte, così tante da farle pensare che fossero troppe, senza un apparente motivo. Non sapeva cosa fare, Hinata, perché pensare così tanto a un uomo – che vedeva come un fratello, come un amico, come la sua forza portante – era assolutamente disdicevole, soprattutto per  lei, profondamente legata a una figura ora assente. E faceva male pensare così tanto a Sasuke, ti doleva il petto e lo stomaco, all’improvviso – perché era inevitabile non pensare anche al suo Yang, alla sua parte buona, all’altra metà di lui, mancante – perché non c’era Sasuke senza Naruto, eppure solo uno dei due era rimasto su questa terra.
≪ … E’ così doloroso, Sasuke… ≫ una lacrima leggera scivolò su una gota ≪ A volte vorrei dimenticarlo, a volte ho paura che ciò possa accadere… ≫
≪ Vorrei che fosse accaduto a me, vorrei essere morto al suo posto. ≫ le rivelò Sasuke, abbassandosi per sfiorarle la fronte con un bacio ≪ Ma Naruto non c’è e vorrebbe che io continuassi a vivere anche per lui. E lo devi fare anche tu. Non dargli motivo di essere triste. Vivi, Hinata. ≫
Vivi, Hinata – parole pronunciate almeno un’infinità di volte dal suo amato, parole capaci di scuoterla dentro, come in quel momento. Hinata non riusciva a capire cosa le accadesse dentro; ogni minuto qualcosa di diverso le sconvolgeva l’animo e lei si era stancata di cercare spiegazioni – adesso voleva solo lasciarsi andare, non pensare più a nulla, non sentire più nulla; dentro di lei poteva anche accadere il finimondo, adesso, ma lei non si sarebbe posta la fatidica domanda: perché?
Si scostò da Sasuke e lui la liberò con facilità, la osservò muoversi leggiadra fino a un vecchio mobile in legno scuro. Hinata prese due bicchieri decorati e si abbassò per prendere del whisky nell’armadietto dei liquori; ne versò per sé e per Sasuke, porgendogli poi il bicchiere ed infine si avvicinò all’immenso lettore musicale, cominciando a cercare fra la raccolta di CD.
≪ Qual è la tua canzone preferita, Sasuke? ≫ chiese candidamente, senza neanche voltarsi ≪ Quella che quando la senti cominci a ballare e non pensi più a niente? ≫
≪ Salvation. ≫ rispose lui, sedendosi sul sedile del pianoforte, sorseggiando lentamente il suo whisky.
≪ La mia è questa. ≫ disse Hinata, inserendo un CD e facendo partire la traccia numero otto.  
Il rumore di una giostra cominciò a diffondersi nella sala, antecedendo la batteria, la chitarra e il baso. La voce di Naruto cominciò a librarsi in aria e Hinata cominciò a muovere sinuosamente i fianchi, lasciandosi trasportare dalla musica. Sasuke sentì una fitta all’altezza del petto – era come se qualcuno lo stesse pugnalando più e più volte – nel vedere quello spettacolo triste. Hinata si consolava ascoltando la voce del suo amato, che non avrebbe mai più avuto la possibilità di dirle “ti amo”. Completamente incantato dai movimenti sempre più veloci della ragazza, non fece caso alle sue parole, o al suo canto tenue.
≪ Lo sai, Sasuke? L’aveva scritta per me… ≫ cantò sommessamente, senza oscurare la voce di Naruto – cantò con lui ≪ “Sei grazia e sei regina di ‘sto Re senza corona”… ≫
Era intrappolato, intrappolato dalla sua voce e dal suo ballo travolgente, sempre più veloce, sensuale ed eccitante. Eppure, non poteva dimenticarselo: lei non stava ballando per lui, ma per Naruto; lui non sarebbe mai stato il destinatario di quell’amore così forte e disperato, ma solo il testimone.
≪ “… t’amo come il primo giorno, il primo che t’ho amata”… ≫ cantò la voce di Hinata, unita a quella di Naruto.
Continua ad averla tutta per sé, pensò Sasuke, guardandola muoversi, ballare, bere, cantare e piangere, uno spettacolo troppo esasperato per i suoi occhi, sarà sua per sempre. Non si chiese perché, a quel pensiero, strinse forte il bicchiere, che scricchiolò pericolosamente.
≪ “Malavida En Buenos Aires, Malavida Y muy dolor!”… ≫
La osservò ballare la parte finale della canzone, osservò i suoi movimenti più veloci, mentre vorticava su se stessa, improvvisando una taranta, gli occhi celestiali socchiusi, quasi come se vedesse qualcosa che per lui era totalmente incomprensibile. Poi la canzone terminò, e ne partì un’altra a caso del loro albulm: Brucerò per te. Vividi ricordi riemersero nelle memorie di entrambi, e Sasuke rivide il volto appassionato di Naruto mentre le dedicava quella canzone, e ancora, la sua imitazione stentata in ospedale, nel tentativo di farle capire il desiderio di Naruto nel vederli andare avanti, mentre i movimenti di Hinata pian piano si arrestavano, finché le sue braccia non ricaddero lungo i fianchi morbidi. Abbassò il viso e i suoi capelli arricciati ricaddero in avanti, nascondendola.
≪ Hinata… ≫ chiamò, per poi pentirsi un secondo dopo, perché davvero non sapeva cosa dire, come aiutarla.
Ogni giorno per lui era uno sforzo immane tentare di spicciare più di dieci parole, cercare di aprirsi, ma ogni giorno – ogni giorno con lei – era un passo in avanti – un passo tenendola per mano – verso la calma, la serenità; ormai non aspirava neanche più alla felicità, non lo credeva possibile, perché essere felice comprendeva, nell’equazione, anche Naruto, e senza di lui il risultato era troppo diverso da quello che gli serviva per essere felice; ma sorridere, tornare ad avere il cuore leggero – proprio lui lo desiderava, lui che non lo aveva da quando aveva otto anni – nonostante non si ricordasse neanche com’era quella sensazione di pace, forse, se avesse lottato ogni giorno, era concepibile. E se abbassava lo sguardo e incontrava quello di lei, d’un bianco impersonale che celava l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso,  capiva di dover lottare il doppio, perché doveva trascinare fuori da quell’oblio – quel nero profondo come i suoi occhi che non ti faceva sentire nulla se non dolore – anche lei, perché leggeva il suo bisogno di sorridere, perché vedeva quanto fosse malata la sua anima, corrotta dalla rabbia e dalla sofferenza, che in modo altalenante sfociava in una depressione fredda e morbosa – e non riusciva neanche a pensare a come aiutarla, ma neanche a come avesse sopportato quegli anni lontana dalla sua vista.
≪ Ti è mai capitato? ≫ il mormorio appena accennato gli sfiorò le orecchie come vento ≪ Ti è mai capitato di non riuscire a trovare un motivo per cui alzarti la mattina? ≫
La voce cruda e impersonale di Hinata lo trafisse ancora – eccola, un’altra stilettata; come puoi sopportare tutto questo? – bloccandogli il respiro. Dentro di sé, quella donna, nascondeva un vuoto enorme e una sofferenza inimmaginabile, che lui riusciva a capire, a toccare, a sentire.
≪ Sì. ≫ riuscì solo a rispondere, aprendo e chiudendo la bocca per attimi, incapace di formulare una frase sensata.
≪ Riesci ad immaginare il tuo futuro? ≫
Deglutì, ingoiando amaro e il suo senso di impotenza assoluta.
≪ So solo che vorrei renderti felice, Hinata. L’ho sempre desiderato. ≫
≪ Senza di lui… ≫
≪ Lo so. ≫ l’interruppe, perché sapeva che stava per dire quello che stava pensando fino a poco prima ≪ Ma vorrei renderti più serena, aiutarti. E vorrei che tu aiutassi me. ≫
≪ E come…? ≫ stavolta Hinata alzò lo sguardo su di lui, e finalmente Sasuke rivide il lei qualcosa di vivo.
≪ Non lo so. ≫ rispose lui, negando appena col capo ≪ Ma non ti devi allontanare da me. ≫
Hinata annuì e gli si avvicinò d’un passo, tendendogli la mano. Lui l’afferrò e la trascinò più vicina a sé, per poi appoggiare la testa sulla sua pancia quasi totalmente assente e circondarle i fianchi con le braccia.
≪ Troveremo un modo… Te lo prometto. ≫
 

Senza rose e bandoneon, questo tango di ultima, Da Buenos Aires s'alza e tocca tutte le città! 
Presto arriverà da te come pioggia senza nuvole e lo sentirai giù in strada o da una radio in qualche bar. 
Tenè cuidado corazon!…no corras tanto, por favor!…Ma si sa che la routine non si sposa al rock'n'roll… 
Tu lo sai come appagarmi, tu sai come funziona…Sei Grazia e sei Regine di 'sto Re senza corona… 

Ma cherie!Per sempre Giramundo… 
Cherie!O vago o vado a fondo… 
Malavida En Buenos Aires…e domani lì da te! 
Cherie!Per sempre Giramundo… 
Cherie!Col cuore in girotondo… 
Malavida En Buenos Aires,Malavida Y Muy dolor! 

Oh Mamacita, mama pequena y Nina, caramella, lacrima di perla al sapor di mela e di cannella. 
Questo tango reo è qui per te…questo tango sucio que me mata, t'amo come il primo giorno…il primo che t'ho amata. 
Araca pobre corazon!…callate un poco, por favor!…Sai che sono un vagabundo, ma alla fine un buen chavon… 
Sognatore un po' stordito da 'sta vida pelandruna,Sei Grazia e sei Regina di 'sto Re senza corona… 

Ma cherie!Per sempre Giramundo… 
Cherie!O vago o vado a fondo… 
Malavida En Buenos Aires…e domani lì da te! 
Cherie!Per sempre Giramundo… 
Cherie!Col cuore in girotondo… 
Malavida En Buenos Aires,Malavida Y Muy dolor! 

Little darling...Voy a cruzar el mar per te.Mamacita…Sotto a un cielo così instabile. 
Querida…sopra un mondo così fragile.Mi vida…con te è un po' più facile! 

Ma cherie!Per sempre Giramundo… 
Cherie!O vago o vado a fondo… 
Malavida En Buenos Aires…e domani lì da te! 
Cherie!Per sempre Giramundo… 
Cherie!Col cuore in girotondo… 
Malavida En Buenos Aires,Malavida Y Muy dolor! 
Cherie !Duena de la cancion… 
Cherie!Deseperacion… 
Tu Mama,Yo Papa + quella pelata,escucha please my love song! 
This is A Love Song...It's A Love Song... It's A Love Song...Love Song...Love Song…Love!




 
Angolo Autore~
Salve Gente! Sono tornati i miei Negrita! Non ho ricontrollato il finale, quindi perdonate
eventuali errori, ok? Finale che, fra l'altro, è tristissimo! Spero che il capitolo vi sia piaciuto
e vi devo proprio ringraziare, dato che siamo già a 100 recensioni *.* GRAZIE A TUTTI!


 

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Capitolo 13
*** What you want. ***


Gli ultimi sognatori.
Occhi Paradiso.
What you want.
[Dammi un motivo.]
 
[Evanescence: What you want]
[...] - Flashback
[Svoltò l’angolo e camminò per dieci metri, poi entrò in uno stretto cunicolo e lo percorse con passo lento, sbucando in un’altra strada, uguale alla precedente, buia e malfamata. Procedette apparentemente tranquillo per altri due isolati, ma in realtà tutti i suoi sensi erano allerta, come sempre da qualche mese a quella parte. I suoi occhi scrutavano a destra e a sinistra, senza farsi notare, le sue orecchie ascoltavano ogni minimo rumore diverso dal solito mentre le sue membra erano pronte a scattare al minimo segno di pericolo. Ormai era così che viveva: sempre sull’attenti – era l’unico modo per sopravvivere. Se voleva salvarsi la pelle, doveva stare il più lontano possibile dal suo quartiere – l’unico dove le autorità non lo cacciavano per salvaguardare le apparenze di Tokyo – , cercarsi da mangiare senza dare fastidio a nessuno, non lamentarsi, guadagnare qualche soldo nell’unico modo che conosceva senza incappare nel “territorio” di qualcuno, e, soprattutto – la regola più importante – non fare incazzare nessuno. Regole che, ovviamente, qualcuno aveva ignorato, date le urla disperate e il rumore sordo di calci e pugni, accompagnati da risate e violente offese. Non aveva nessuna intenzione di avvicinarsi al pestaggio, col rischio di finirci in mezzo, e stava pure per cambiare strada quando associò, a una voce diversa dalle altre, un viso che ormai aveva imparato a conoscere. Per sua disgrazia, ovviamente, perché Sasuke Uchiha non si sarebbe mai interessato di un moccioso come lui, non esisteva né in cielo né in terra, aveva un nome da proteggere, lui. Era quel bambinetto che si era messo sulla sua strada – a volte se lo ritrovava vicino mentre cercava di racimolare un po’ di soldi, infastidendolo; altre volte lo inseguiva per ore, come uno stalker; altre ancora lo tampinava e parlava a vanvera, mentre lui non lo degnava di uno sguardo. Era assillante, fastidioso, infantile e ripetitivo; non vedeva l’ora di fracassare le palle a chicchessia e non si curava affatto della pace mentale di coloro che tormentava. Si chiamava Naruto Uzumaki – l’aveva detto la prima volta che l’aveva incontrato facendo un gran baccano pensando di fare un’entrata a sorpresa da gran VIP (era proprio strano) – era biondo, abbronzato e aveva gli occhi azzurri e, quando l’aveva visto, Sasuke l’aveva preso per uno straniero e gli aveva chiesto, con voce fredda e sguardo raggelante, se potesse prendersi tutte le sue stronzate e tornare da dove diavolo era venuto. Ci fosse stata sua mamma, una bella punizione e uno sguardo assassino dei suoi non glieli avrebbe tolti nessuno, ma non c’era e quello era uno dei pochi modi che aveva per risentire le sgridate di sua madre nel cervello. Fatto sta che il suo passo divenne per un attimo più lento quasi incerto: era comunque una persona che conosceva, anche se non esattamente, e non ne aveva molte altre, ormai. Ma fu un’altra voce a farlo completamente capitolare: quella di un gradasso della sua età che amava prendersela con chiunque e che, quando aveva osato provarci con lui, aveva ricevuto pan per focaccia. Non lo sopportava proprio, quel bimbetto lievitato e ben cotto, con due pagnotte al posto delle guance, no: sfruttava il suo essere enorme (davvero enorme, secondo il suo punto di vista) per far vacillare e impaurire gli avversari e prendergli tutti i soldi, tutto ciò che poteva essergli utile. Era un bulletto da strapazzo che in realtà non sapeva neanche menar le mani: in più di un occasione gli aveva dimostrato come si facesse, guadagnandosi il rispetto di molti in quel quartiere. Non lo sopportava, davvero – si convinse che fosse quello il motivo per cui in quel momento si stava avvicinando alla rissa, invece di cambiare strada.
≪ Ehi, Mitsuru! ≫ gridò, con tutta la voce che aveva in corpo, avvicinandosi ≪ Hai voglia di menare le mani? ≫
Il bambinone (letteralmente) si voltò, osservandolo per un attimo soltanto con un’iniziale paura.
≪ Vuoi unirti a noi, scoiattolino? ≫ rispose quello, cercando di fare la voce grossa ≪ Stiamo picchiando l’ultimo arrivato, è spassoso! ≫
≪ Sei capace di prendertela soltanto con qualcuno più debole di te, eh, maiale? ≫ sul volto infantile si dipinse quasi un ghigno assassino ≪ Prova a menare me, dai! ≫
Il bambino prese a ridere proprio quando Sasuke si fermò a un metro da loro, con aria minacciosa. L’infante si piegò addirittura sulle ginocchia, facendo finta di non riuscire proprio a crederci o a smettere di ridere, mentre in realtà dentro moriva di paura.
≪ Avanti, ragazzi! ≫ disse, dando uno sguardo divertito ai suoi amici ≪ Dategli una lezione! ≫
Gli altri si avvicinarono con passo malfermo a Sasuke, che ghignò, scrocchiandosi per bene le ossa del collo e delle mani. Cominciò a sferrare pugni, stendendo velocemente due o tre di loro e facendo scappare quasi contemporaneamente gli altri. Solo quando la “folla” si diradò riuscì a vedere ciò che aveva fatto Naruto, che stava cercando di alzarsi: Mitsuru era a terra e urlava e strepitava in cerca di qualcuno che lo aiutasse ad alzarsi, incapace di farlo da solo, date le sue dimensioni. Sasuke si avvicinò al biondo tendendogli una mano, ignorando bellamente il bambino-tartaruga. Il biondo gli sorrise, un occhio gonfio e nero, un rivolo di sangue che scendeva dalla bocca e uno dalla tempia, i vestiti logori e rovinati, sbucciature e sangue quasi ovunque.
≪ Non sembra così forte quando è solo! ≫ rise Naruto, in piedi grazie all’aiuto dell’altro ≪ Grazie per l’aiuto, amico! ≫
≪ Non sono tuo amico. ≫ sbuffò seccamente l’altro, mettendosi un suo braccio attorno alle spalle per fargli da stampella ≪ Andiamo. ≫
≪ Mi porti dove vivi tu? ≫ chiese il biondo, già tutto esaltato ≪ Che onore! ≫
≪ No. ≫ rispose l’alto ≪ Ti porto al rifugio per senzatetto, hai bisogno di cure. ≫
≪ Va bene… ≫ cercò di sorridergli mentre muoveva qualche passo ≪ Ehi… grazie, davvero. Non riaccadrà mai più. ≫
≪ Invece accadrà altre volte se non ti insegno a sopravvivere. ≫ rispose il moro, sbuffando ancora.
Il biondo rise e per tutto il tragitto tornò a fargli perdere i nervi con stupidaggini, e la voglia di lasciarlo per strada a marcire lo tentò più volte.
Arrivati, un’infermiera del centro si prese cura di Naruto e gli diede qualcosa di caldo da bere perché, anche se tentava di non darlo a vedere, tremava come una foglia.
Per la notte poté affidargli un solo lettino, l’ultimo rimastogli. Naruto si mise quasi subito sotto le coperte pulciose e sporche, mentre Sasuke si sedette su una sedia lì accanto e chiuse gli occhi, per riposarsi.
≪ Ehi, ‘suke. ≫ lo chiamò il biondo ≪ Grazie per quello che hai fatto oggi, davvero. Ti devo un favore, anzi, più di uno. ≫
≪ Non chiamarmi in quel modo. ≫ rispose soltanto, mormorando fra se e se mille offese incomprensibili, senza accennare ad aprire gli occhi.
Il biondo rise, ma non smise mai di guardarlo.
≪ Mi insegnerai, vero? ≫ chiese ancora Naruto, osservando i muscoli accennati ma allenati ≪ Mi insegnerai a sopravvivere, ad essere un po’ più come te? ≫
Il moro annuì brevemente, prima di reclinare la testa sulla scomoda sedia.
≪ Grazie. ≫ disse ancora il più piccolo ≪ Mi serve, sai? Devo diventare un cantante famoso, io! E quando succederà, per ringraziarti per tutto quello che hai fatto, ti farò vivere nel lusso! ≫
≪ Muoviti, allora. ≫ fu la sua risposta, che fece ridere ancora l’altro.
≪ E tu, ‘suke? ≫ domandò ancora il curiosone, che evidentemente aveva voglia di fare conversazione ≪ Cosa vuoi fare da grande? ≫
Sasuke socchiuse appena un occhio, per guardarlo. La verità era che non sapeva cosa fare da grande – non ci pensava neanche più al suo futuro, non né aveva la forza, né il coraggio, perché riusciva solo a vedere il buio più totale. Invece, quel bambino biondo, non solo ci riusciva, ma aveva pure un sogno… per un attimo credette di provare ammirazione per quel bambino, ma non era un sentimento Uchiha, no, quindi ignorò la cosa.
≪ Ti avevo detto di non chiamarmi in quel modo. ≫ fu l’unica risposta che diede, incapace di essere sincero.
≪ Ehi, ‘suke, perché non vieni a dormire qui con me? ≫ chiese il biondo, spostandosi per fargli posto nel letto ≪ Ci entriamo entrambi. ≫
≪ Piuttosto mi faccio menare da tutta la combriccola. ≫
≪ Avanti! ≫ rise ancora ≪ Non fare il timido! ≫
≪ No. ≫
≪ Teme! ≫
≪ Dobe! ≫
≪ Ehi, voi due! ≫ la voce di un uomo vagamente sbronzo li sorprese ≪ Dateci un taglio, ochette! ≫
Sasuke fissò in tralice il biondo, colpevolizzandolo; lui si strinse nelle spalle e gli sorrise, invitandolo ancora nel letto con un gesto della mano.
Sbuffò e si alzò dalla sedia dove era lentamente sprofondato, andando a sistemarsi nel letto con Naruto, che rise ancora, felice.
Rimase fermo e immobile anche quando il biondo, a un certo punto, sistemò il capo sul suo petto, con uno sbadiglio.
≪ Grazie. ≫ bisbigliò ancora una volta Naruto, addormentandosi poco dopo.
Sasuke invece rimase sveglio, incapace di capire come fosse finito in quella situazione, con un bamboccio attaccato morbosamente a lui. Un bamboccio che, nonostante tutto, lo aveva fatto ricredere. Cosa desiderava per il proprio futuro? Non ne era sicuro, ma adesso, a pensarci, non vedeva più solo il buio: vedeva una testa bionda, un sorriso e un po’ di affetto. E lui avrebbe aiutato quel sorriso a nascere.]
 
Che senso aveva fare musica, se il motivo per cui aveva cominciato a farla era, principalmente, Naruto?
A volte se lo chiedeva, si domandava perché fosse così spinto a suonare quando la sua passione era nata per aiutare Naruto a realizzare il suo sogno: era stato lui il motivo di tutto, l’alba dove nacquero i suoi sogni, la speranza per il futuro. Eppure, adesso sembrava essere tornato a meno di vent’anni prima, senza speranze, senza sogni, un futuro che poteva apparirgli solo buio e oscuro.
E allora perché lo faceva? Perché aveva spinto tanto a riformare il gruppo, a creare i Post Apocalypse? Che futuro poteva avere quel gruppo se lo stesso fondatore non era più così deciso?
Ma no, non era lui il fondatore, si ricordò dopo un momento, quando le immagini di Naruto nel letto d’ospedale e poi rinchiuso in una bara marrone scuro tornavano ad affollargli la mente. Era stato lui a decidere tutto, per portare avanti i suoi sogni e il suo ricordo, per aiutare lui, per aiutare Hinata.
≪ Non c’è bisogno di controllarlo così, Shikamaru! ≫ eccola, la voce delicata e soave di Hinata ≪ E’ praticamente lo stesso contratto di anni fa! ≫
≪ La prudenza non è mai troppa. ≫ rispose lui, cambiando pagina.
Un lieve sorriso le increspò le labbra.
≪ Stai dicendo che non ti fidi di me, Shikamaru? ≫
≪ Sì, cioè no… cavolo Hinata! ≫ scosse più volte la testa, tentando di ritrovare la calma ≪ Perché mi devi mettere in difficoltà? ≫ sospirò ≪ Intendevo dire che sto rischiando troppe cose per cui ho lavorato tanto nella mia vita per trattenermi dall’essere il più pignolo possibile. ≫
≪ Lo so, lo so. ≫ Hinata ghignò ≪ Tranquillo, Shikamaru-kun. ≫
Quello sospirò, imbarazzato, facendo ridere Kiba – addirittura Sasuke accennò ad un sorriso.
≪ Mi sembra tutto in ordine, comunque. ≫ soggiunse dopo poco, chiudendo il plico di fogli.
≪ Lo so, posso dire “te lo avevo detto”, Shikamaru? ≫ stavolta si lasciò andare in una leggera risata ≪ Allora, firmate? ≫
Il moro annuì, prese la penna a sfera che Hinata gli porgeva e firmò tutti i fogli col proprio nome. Poi passò il tutto a Kiba, che fece altrettanto, mentre Sasuke si avvicinò alla grande scrivania per firmare. Infine, ridiede tutto a Hinata, che sorrise felice. I tre rimasero per un attimo a guardarla, in attesa.
≪… Che c’è? ≫ Hinata proprio non riusciva a capire ≪ Ho qualcosa fra i denti? ≫
≪ No. ≫ Kiba si trattenne a stento dal riderle in faccia e nascose il volto fra le mani.
≪ Hinata… ≫ anche Shikamaru per poco non cominciava a ridere e, per evitarlo, guardava ovunque tranne che lei.
≪ Devi firmare anche tu. ≫ sbottò Sasuke, fingendo di non essere affatto divertito ≪ Sai, sei la vocalist dei Post Apocalypse. ≫
≪ Ah, sì, gi-giusto! ≫ arrossì tutto d’un colpo per la figuraccia appena fatta e prese a firmare con frenesia ≪ Ecco, ecco fatto, sì! ≫
Ripose il plico di fogli in una cartelletta arancione e si alzò in piedi, guardando tutti con un sorriso fiero in volto.
≪ I Post Apocalypse hanno ufficialmente firmato con la Moon’s Eyes. ≫ affermò la ragazza, per poi farsi più seria ≪ Dato che i testi e gli arrangiamenti sono praticamente pronti, credo che tempo un mese di registrazioni e avremo l’album. Dobbiamo inoltre creare almeno un video ufficiale da far girare in tv, scegliere quindi con quale canzone lanciare il disco e creare la copertina dell’album. ≫ inspirò, felice e fiera ≪ Il mio sesto senso dice che fra un paio di mesi sarete – saremo, perdonatemi, famosi su scala internazionale! ≫
 
 
[Socchiuse leggermente un occhio, infastidita dalla luce che trapelava nonostante le tende spesse e pesanti. Si stropicciò le palpebre con il pugno chiuso, sbadigliando appena, per poi stiracchiarsi come un gatto. Si mosse lentamente sotto le lenzuola, girandosi dall’altro lato, dove trovò lui sveglio, il sorriso sulle labbra e le mani dietro il collo.
≪ Buongiorno, principessa. ≫ la salutò gentile, voltando il viso verso di lei.
Hinata arrossì un poco e cercò di alzare le lenzuola leggere fin sotto il suo naso, non senza regalargli un bel sorriso.
≪ Buongiorno, Naruto-kun. ≫ mormorò lei, avvicinandosi di qualche centimetro al ragazzo, che le baciò dolcemente i capelli ≪ Come mai già sveglio? ≫
Naruto le si avvicinò maggiormente e allungò il braccio sulla sua schiena, per avvolgerla a sé. La strinse forte in un abbraccio, appoggiando la testa nell’incavo del suo collo ed ispirando il suo dolce e delicato profumo di lavanda e cocco. Le accarezzò i capelli e la base della nuca e la sentì immediatamente rilassarsi sotto i suoi tocchi: non poté che sorridere.
≪ Perché mi sono svegliato col pensiero che da oggi cominceremo ad incidere il disco! ≫
≪ Sono felice per te, Naruto-kun. ≫ fu l’immediata risposta, pronunciata con voce calda e morbida.
Il biondo rise, lasciando scorrere una mano su di lei, accarezzando il tessuto morbido della maglia del pigiama viola con cui la ragazza dormiva. Un raggio di luce s’infilò fra le tende fino a raggiungerli proprio quando accarezzò con le sue dita sottili il fianco della ragazza, facendola inspirare forte di piacere. Lambì il suo collo avaro di quel tepore e di quei sospiri, la fece sussultare appena quando lasciò un lieve morso poco sopra la clavicola, sentendo subito dopo un calore intimo e conosciuto invadergli il basso ventre.
≪ Naruto… ≫ la sentì sussurrare appena, mentre con la mano si aggrappa al suo petto, cercando di trattenere il più possibile i bollenti spiriti.
La vide voltare appena il capo in sua direzione, alla ricerca di un bacio che Naruto concesse più che volentieri, mordicchiando le labbra piene della giovane. Hinata sollevò leggermente il collo per andargli incontro e approfondire quel bacio caldo, mentre si spingeva contro le sue spalle massicce e muscolose.
Si ritrovò all’improvviso su Hinata, la sua eccitazione a premere contro di lei, il respiro affannato e le mani ovunque. Si stacco un poco, allontanando le mani dal suo corpo per posizionarle sulla testiera del letto e riprendere fiato. La guardò, gli occhi languidi di un piacere unico e genuino, la fronte madida di sudore, le guance arrossate e le labbra gonfie per i troppi baci.
≪ Sta succedendo tutto troppo in fretta. ≫ mormorò lui, ancor prima di formulare tale pensiero. ≪ Non voglio avere tutto subito, mi voglio godere le cose belle una alla volta… e adesso, per noi è… troppo presto. ≫
Hinata annuì, leggermente, ancora troppo presa dalle emozioni appena provate per riuscire a parlare. Alzò una mano sul suo viso e gli accarezzò la guancia irsuta con gesti lenti e dolci.
≪ Come ti senti? ≫ chiese, in un sussurro ≪ Cosa si prova ad incidere il primo disco? ≫
≪ Eccitato da morire. ≫ rispose lui, tornando a saggiare la morbidezza del suo fianco ≪ E’ come fare l’amore con te. ≫
Vide i suoi occhi aprirsi maggiormente e regalargli uno sguardo desideroso che non gli aveva mai visto.
≪ Naruto. ≫ la voce non era più un sussurro, ma decisa ≪ Baciami. ≫
Obbedì.]
 
 
Il vetro trasparente la separava dal suo futuro, dal suo avvenire, dal suo destino, come ultima e assolutamente non invalicabile corazza. Per anni aveva vissuto una vita amorfa, senza sogni né scopi, senza amore né gioia. Gli anni della sua infanzia, della sua adolescenza e della prima giovinezza erano passati lenti e pesanti, quasi stanchi, come lei, che viveva senza una destinazione da raggiungere, in balia del suo padre-padrone che non le aveva mai mostrato un gesto d’affetto. Non che in quegli ultimi anni si fosse dimostrato diverso, certo, in realtà neanche si erano più parlati, ma a parte questo, tutta la sua vita era interamente cambiata. Cinque anni addietro aveva scoperto che il suo destino era legato a doppio filo alla musica, aveva avuto il coraggio di prendere in mano la sua vita e aprire la sua casa discografica, combattendo per i propri sogni. Aveva desiderato una famiglia con il suo compagno, l’aveva presto ottenuta, eppure quel sogno si era sbiadito d’un colpo, con la scomparsa prematura di Naruto. Per cinque lunghi anni aveva vissuto alternando gioia e dolori, con la costante presenza da carnefice della depressione, tornando a riporre tutti i propri sogni nell’angolo buio d’un cassetto. E adesso… adesso, , si riscopriva viva, palpitante, effervescente, un nuovo sogno all’orizzonte, la riprova di essere legata alla musica come se questa stessa si trovasse nel sottile strato di carne fra pelle e sangue: eccola, la Musica, intersecata nelle sua membra, in quei ventun grammi d’anima1.
Lentamente, sfiorò delicatamente con i polpastrelli il vetro di fronte a sé, spingendosi in avanti con il busto stando attenta a non toccare la console massiccia fra lei e la parete. Dall’altra parte, Kiba incideva la sua parte con il basso, mentre Shikamaru parlava con Sasori di alcune parti da integrare alla loro prima canzone. Presto anche lei sarebbe stata dall’altra parte, a rendere reale quell’effimera illusione a cui in un attimo di pazzia si era lasciata andare; molto presto avrebbe realizzato il suo nuovo sogno, spinta dalla volontà di Naruto, destino reso tangibile da quel diavolo di Sasuke. Si sarebbe liberata dal dolore e avrebbe preso ciò che desiderava: una vita migliore.
Lo voleva con tutta se stessa, era una volontà che veniva da dentro, dal profondo, eppure, qualcosa continuava a trattenerla, a costringerla a fare un passo indietro. La paura verso l’ignoto e la poca fiducia in se stessa pesavano come macigni sulle sue spalle esili; non riusciva a liberarsene, non sapeva come combattere quella guerra contro il proprio intelletto – come smettere di ostacolarsi, di aver paura, di non fidarsi del futuro e della vita e cominciare, finalmente, a credere al proprio cuore che la spingeva a migliorare, ad andare avanti. C’era un modo per superare tutte queste insicurezze? Di insicurezze si parlava e non sapeva darsi risposte – ancora una volta insicura – ; forse doveva solo smetterla di pensare e ricordarsi chi era diventata in quegli anni: una donna sicura, responsabile, intraprendente e, soprattutto, forte.
Una presenza le si avvicinò e dopo poco l’ombra scura e protettiva di Sasuke Uchiha fu al suo fianco, silenziosa.
≪ Buongiorno, Sas’kè-kun. ≫ lo salutò lei, senza smettere di guardare al di là del vetro, dove stavano i suoi sogni.
≪ Hmf. ≫ rispose lui, freddo e calmo ≪ Come va? ≫
≪ Sto bene, grazie. ≫
≪ Non intendevo questo. ≫ si corresse lui, voltandosi per guardarla ≪ Come ti senti a incidere il tuo primo disco? ≫
Hinata scostò la mano dal vetro, come scottata. Come si sentiva? Terribilmente fragile e insicura, impaurita e debole di fronte all’ignoto, a qualcosa di troppo grande per lei. Ma forse… Forse sarebbe davvero bastato ricordarsi chi era diventata – qualcosa di più simile a lui, a Naruto.
Eccitata da morire. ≫ rispose, nuova adrenalina in corpo, mentre un lieve sorriso affiorava sulle sua labbra ≪ E’ come fare l’amore.
Un ghignò si dipinse sul volto di Sasuke, prima di farle un cenno col capo per dirgli di seguirlo nella stanza di fronte a loro.
Hinata camminò, attraversò la soglia seguendo la sagoma scura di Sasuke, il suo traghettatore di anime personale, Caronte di quell’inferno, e fu lì, dall’altra parte del vetro, al cospetto col Destino.
Shikamaru le sorrise, Kiba ebbe un guizzo e cominciò a ridere nell’osservarla, mentre Sasori, con una pacca sulle spalle la salutava per andare dall’altra parte del vetro, dove era stata lei fino a quel momento.
Sasuke inforcò la sua chitarra speciale e si posizionò, mentre Shikamaru si sedeva alla batteria e Kiba la osservava con un sorriso sulle labbra. Lei rimase lì, ad osservarlo, finché la mano grande e affusolata dell’Uchiha la sospinse in avanti, infondendole calore e coraggio, verso il microfono.
≪ E’ quello il tuo posto. ≫ le ricordò beffardo, nascondendo in quella frase mille altre piene di significati enormi – quello è il suo posto e solo tu sei degna di occuparlo, porta rispetto, non scomparire per una malattia taciuta all’improvviso, non morire Hinata, canta, vivi, gioisci, soffri, vivi, fa tuo quel posto, diventa famosa, realizza il tuo sogno, vivi e non morire.
Gli strinse la mano prima che si allontanasse troppo dal suo corpo, stupendolo, e mimò un grazie con le labbra, per poi sorridergli. Gli sfiorò appena il palmo con le dita e lo lasciò andare, voltandosi verso Shikamaru, che doveva dare il via.
Quest’ultimo guardò Sasori, ricevette un segno di conferma e contò quattro battute con le bacchette, prima di cominciare a suonare in modo impetuoso la batteria.
Hinata diede un ultimo sguardo a Sasuke, si avvicinò al microfono e cominciò a cantare.


What You Want

Do what you what you want, if you have a dream for better
Do what you what you want till you don’t want it anymore
(remember who you really are)
Do what you what you want, your world’s closing in on you now
(it isn’t over)
Stand and face the unknown
(got to remember who you really are)
Every heart in my hands like a pale reflection

Hello, hello remember me?
I’m everything you can’t control
Somewhere beyond the pain there must be a way to believe we can break through

Do what you what you want, you don’t have to lay your life down
(it isn’t over)
Do what you what you want till you find what you’re looking for
(got to remember who you really are)
But every hour slipping by screams that I have failed you

Hello, hello remember me?
I’m everything you can’t control
Somewhere beyond the pain there must be a way to believe
Hello, hello remember me?
I’m everything you can’t control
Somewhere beyond the pain there must be a way to believe

There’s still time
Close your eyes
Only love will guide you home
Tear down the walls and free your soul
Till we crash we’re forever spiraling down, down, down, down

Hello, hello, it’s only me
Infecting everything you love
Somewhere beyond the pain there must be a way to believe
Hello, hello remember me?
I’m everything you can’t control
Somewhere beyond the pain there must be a way to learn forgiveness
Hello, hello remember me?
I’m everything you can’t control
Somewhere beyond the pain there must be a way to believe we can break through
 

Fai quello che, quello che vuoi, se hai un sogno migliore
Fai quello che, quello che vuoi fino a quando non lo vorrai fare più
(Ricordati chi sei veramente)
Fai quello che, fai quello che vuoi, il tuo mondo si sta chiudendo su di te ora
(Non è finita)
Rimani in piedi ed affronta l’ignoto
(devi ricordare chi sei veramente)
Ogni cuore nelle mie mani è come un pallido riflesso

Ciao, ciao, ti ricordi di me?
Sono tutto ciò che non puoi controllare
Da qualche parte al di là del dolore ci deve essere un modo per credere che possiamo farcela

Fai quello che, quello che vuoi, non devi gettare via la tua vita
(Non è finita)
Fai quello che, quello che vuoi fino a quando non troverai quello che stai cercando
(devi ricordare chi sei veramente)
Ma ogni ora che scivola via, urla che ho fallito con te

Ciao, ciao, ti ricordi di me?
Sono tutto ciò che non puoi controllare
Da qualche parte al di là del dolore ci deve essere un modo per credere
Ciao, ciao, ti ricordi di me?
Sono tutto ciò che non puoi controllare
Da qualche parte al di là del dolore ci deve essere un modo per credere

C’è ancora tempo
Chiudi gli occhi
Solo l’amore ti guiderà a casa
Abbatti questi muri e libera la tua anima
Fino a che non ci scontreremo, siamo in una spirale che va costantemente giù, giù, giù, giù

Ciao, ciao, sono solo io
Sto infettando tutto ciò che ami
Da qualche parte al di là del dolore ci deve essere un modo per credere
Ciao, ciao, ti ricordi di me?
Sono tutto ciò che non puoi controllare
Da qualche parte al di là del dolore ci deve essere un modo per imparare il perdono
Ciao, ciao, ti ricordi di me?
Sono tutto ciò che non puoi controllare
Da qualche parte al di là del dolore ci deve essere un modo per credere che possiamo farcela

 

Note1: Si dice che, una volta morti, il corpo perda 21 grammi - il peso dell'anima.

Angolo Autrice~
Sono imperdonabile, lo so, e vi chiedo umilmente scusa. Per quanto riguarda questa storia,
ultimamente l'ispirazione scarseggia così come il tempo per scrivere e rispondere alle 
recensioni. Ma io non vi abbandono: mi sono buttata in questo immenso progetto e ho 
intenzione di finirlo, anche se, forse, con più calma del previsto. Spero mi sosterrete,
come avete sempre fatto. Per quanto riguarda il capitolo, ho deciso che d'ora in poi
inserirò molti flashback (ricordo che qualcuno mi aveva chiesto qualche momento in più
sull'infanzia di Naruto e Sasuke), un modo per far rivivere Naruto e motivare alcune azioni
e pensieri dei nostri personaggi preferiti. Avete quindi assistito alla nascita dell'amicizia
fra Naruto e Sasuke! Come la immaginavate? Ditemelo!
Detto questo, vi rimando alle mie due storie, così avete qualcosa da leggere fra un 
aggiornamento e l'altro:

In cerca di... (te) - http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2656731&i=1
Requiem for a dream (vincitrice del secondo posto al contes "Tre è il numero perfetto!"
e del premio Miglior Lui - Sasuke)  - http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2714585&i=1
 

 

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Capitolo 14
*** Lost in Paradise ***


Gli ultimi sognatori.
Occhi Paradiso.
Lost in Paradise.
[Quanto mi piacerebbe se il passato non esistesse]



 
[Evanescence: Lost in Paradise]
[...] - Flashback
[Bevve un lungo sorso dal sua birra,  spostando leggermente una gamba per sistemarsi meglio sulla poltrona dove era spaparanzato.
«Mi spiegate perché dovete sempre fare a botte?» chiese, conoscendo già a memoria la risposta «E’ l’unico modo che avete per dimostrare la vostra supremazia da maschio alfa?»
Naruto, coperto solamente da un paio di bermuda di jeans piuttosto sgualciti, sbottò in una sana e aperta risata.
«Ormai dovresti saperlo che sono io, il maschio alfa, qui, Shikamaru! Non ho bisogno di dimostrarlo!» disse, alzando la difesa davanti al volto, senza celare il sorriso irrisorio rivolto a Kiba, il suo avversario «Ma guarda questo qui, poveretto, deve farsi un po’ di muscoli! Lascialo giocare!»
«Fai meno lo sbruffone, baka!» disse stizzito Kiba, sferrando un pugno che Naruto evitò spostandosi appena verso destra, afferrando al volo il moro da dietro e intrappolandolo con un braccio muscoloso attorno al collo.  
Shikamaru rise, per poco soffocando con la birra che stava bevendo, mentre Naruto rideva a sua volta liberando un ancora più arrabbiato Inuzuka.
«Lascialo a me, Kiba.» propose Sasuke, alzandosi dal divano sfilandosi con un gesto fluido la maglietta nera di dosso «Ha bisogno di rimettere la testa a posto, questo stupido dobe.»
«Sì, sì, dateci un po’ di spettacolo. » rispose obbediente il moro, sedendosi vicino a Shikamaru «Tanto io mi ero stancato, altrimenti… »
«Non ci sarà proprio nessuno spettacolo, stasera, perché il risultato è già ovvio.» affermò Naruto, con un ghigno dipinto in volto «Stasera c’è solo un po’ di palestra. Vero, teme?»
«Certo, dobe.» rispose Sasuke, sferrando il primo gancio «Ma non crederai davvero di vincere.»
Shikamaru osservò i due, i loro corpi estremamente muscolosi, forgiati da anni e anni di sopravvivenza, i muscoli flettersi ad ogni movimento, la pelle lucente grazie alle lievi gocce di sudore che la intervallavano. I loro gesti erano sapienti e precisi: un destro, un sinistro, un gancio, un lieve spostamento, un calcio alto, un gancio. Sapeva perfettamente cosa avesse portato i due ad avere quei corpi scattanti – senza i quali non sarebbero riusciti a campare per tutti quegli anni – e si stupiva ancora nel vederli “allenarsi” insieme, facendo lotta libera, con colpi crudi e rudi di MMA, nonostante adesso non ce ne fosse il bisogno d’un tempo. Era il loro modo di parlarsi, di capirsi e di sfogarsi, un po’ come la musica, anzi, era un bisogno primordiale della stessa medesima natura.
Lo dimostravano i sorrisi rilassati e soddisfatti che sfoggiavano i loro volti.]
 
Si rese conto di essere sveglio quando sentì un sapore amarognolo in bocca e un caldo afoso ad opprimerlo fastidioso. Mugolò infastidito scostandosi il lenzuolo di dosso quasi con rabbia, ma senza aprire gli occhi. Voleva dormire ancora, ne aveva bisogno, quindi, immerso nel suo torpore, si voltò e allungò un braccio verso il corpo caldo e confortante che sapeva bene di avere vicino. Le si accostò, abbracciandola da dietro, inspirando forte il profumo di quei amati capelli biondi.
«Brutto sogno?»
Quando Ino era calma, la sua voce diventava calda e languida, incredibilmente confortante. Shikamaru non ci aveva mai riflettuto, ma era una cosa che aveva imparato ad amare, in quegli anni in cui, di conforto, ce n’era stato bisogno a bizzeffe.  Si strinse maggiormente a lei e negò col capo contro la sua spalla.
«Shika…» la sua mano si posò su quella che le stringeva un fianco «Piangevi.»
Ancora una volta, quel sogno lo aveva destabilizzato. Da sveglio poteva anche fingere che quanto fosse accaduto non l’avesse minimamente toccato, poteva buttarsi nel lavoro, fare finta di rimproverare Sasuke e Kiba, parlare con Hinata in modo più serio, litigare come un matto con Ino per non pensare… ma durante la notte non poteva controllare il suo subconscio, che ancora una volta gli ripresentava le immagini di quella drammatica giornata.
«Shikamaru…» pronunciò il suo nome con dolcezza «Non devi agitarti, lui non lo vorrebbe.»
Aveva ragione, Naruto non avrebbe mai voluto vederlo continuare a soffrire in quel modo atroce.
Egli stesso si addolorava nel vedere gli altri star male, per non parlare della violenta depressione in cui spesso Hinata cadeva. Fortunatamente, adesso era un bel po’ che non succedeva, e qualcosa gli diceva che Sasuke c’entrasse molto in questo. Comunque, se lui non riusciva a sopportare la tristezza dei suoi amici, cosa doveva dire Naruto che li osservava da lassù?
«Io…» provò a dire qualcosa, ma le lacrime minacciavano di scendere copiose, e lui non poteva permettersi di piangere, quindi, automaticamente, smise di parlare.
Ino a quel punto si girò velocemente fra le sue braccia e, senza dargli il tempo di obbiettare, si fiondò sulle sue labbra socchiuse, infilando le mani fra i suoi capelli d’ebano per spingerselo contro.
Gli accarezzò la nuca e i capelli liberi dalla solita coda, ben sapendo che in quel modo riusciva a rilassarlo, e lo baciò con amore e dolcezza, finché gocce umide simili a rugiada gli irrorarono le gote. Asciugò le sue lacrime senza smettere di baciarlo e, quando lui si scostò per riprendere fiato, gli sorrise con affetto.
«Sento che qualcosa sta cambiando, Shikamaru.» gli disse «Vedi, sono sicura che questa cosa del gruppo lo renderà felice, e aiuterà voi a sfogarvi. Forse i Post Apocalypse sono il mezzo per arrivare alla serenità. Non credi anche tu?»
Shikamaru, ancora una volta, non riuscì a parlare. In quegli anni Ino era sempre stata presente per lui e aveva cercato di aiutarlo sopportando tutti i suoi malumori. Il loro rapporto era diventato più speciale; non c’era neanche stato bisogno di chiederle di vivere insieme perché, quando Shikamaru ne aveva avuto bisogno, lei si era trasferita lì per qualche notte con alcune delle sue cose. Alla fine, a qualche notte se ne aggiunsero altre e pian piano tutte le cose di Ino erano arrivate in casa sua, con una ventata d’aria fresca. L’amava e non sapeva come ringraziarla.
La guardò intenerito e con una mano tremante le sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, per poi accarezzare quei fili d’oro per tutta la loro lunghezza.
Si avvicinò e la baciò ancora.
 
«Hanabi, non credi di esagerare?»
Hinata le pose quella domanda per quella che le sembrò essere la centesima volta. Da un ora, ormai, stava seduta in camerino, dove la sorella minore si stava occupando del suo look per le foto dell’album e per il video. Si stava spazientendo: in tutta la sua vita non ci aveva mai messo così tanto tempo per trucco e parrucco,  mentre Hanabi, che lo faceva per lavoro, andava avanti a oltranza da oltre un ora, nonostante le proteste della maggiore.
«Tranquilla.» lo disse per l’ennesima volta, agitando sul suo viso un pennello «Abbiamo quasi finito.»
Hinata sbuffò, di nuovo, e gonfiò le guance.
«E smettila! Così mi fai sbagliare! Stai un po’ ferma!»  la rimproverò, pizzicandole una gota con fare dispettoso.
«E’ più di un’ora che sto ferma!» protesto la ragazza.
«E se continui a muoverti così dovrò rifare tutto daccapo!»  
Hinata sbuffò ancora e si lasciò truccare. Soltanto dopo un ulteriore quarto d’ora Hanabi le annunciò che il suo lavoro era finito. Quando si guardò allo specchio, non si riconobbe.
I capelli lunghissimi e folti, ricadevano in morbide onde color notte fino al fondo schiena, incontrollati. I tratti morbidi e aristocratici erano risaltati da uno smoky eyes intenso e articolato, le labbra piene inscurite da una matita d’un color carne scuro, gli zigomi delineati da un sottile strato di terra. Nonostante fosse ancora avvolta in una vestaglia, Hanabi l’aveva resa una bellissima DramaQueen*, dalla bellezza forte e gotica.
«Hanabi, ma è… è… » era senza parole.
«Lo so, lo so, sono fantastica.» la minore sogghignò, per poi prenderla per mano e condurla fino agli appendiabiti dove riposavano i suoi vestiti.   
Tolse loro la fodera e li guardò con aria soddisfatta. Hinata spalancò gli occhi, stupita.
 
[Ormai aveva la vista appannata, aveva perso le forze e, nonostante tutto, continuava a trascinarsi per terra nel tentativo di scappare. Ecco, a cosa pensava, a scappare – fuggire per salvarsi la vita, incurante delle macchie rossastre sul pavimento, frutto del sangue che era fuoriuscito dalla sua bocca. Sasuke non ce la faceva più, voleva solo andare via, smettere di sentire tutto quel dolore e andare via. Un calcio alle costole, preciso e doloroso, lo fece smettere di pensare e di respirare; si piegò su se stesso, sofferente, non riuscendo a trattenere un gemito di dolore.
«Sasuke!» eccolo lì, arrivare di corsa, agitato e agile neanche fosse un eroe.
Lo vide scaraventarsi contro l’uomo che ormai da un quarto d’ora insisteva a colpirlo, mentre questo reagiva sorpreso.
«Idiota, allontanati, sei solo un bambino insicuro, non puoi competere con me!» disse quest’ultimo, cercando di allontanarlo da sé con fare sbrigativo.
«Vuoi vedere quanto sono sicuri i miei pugni?»
Lo vide sferrare un gancio a piena velocità contro la guancia dell’uomo, che indietreggiò mugugnando dolorante.
Erano passati cinque anni da quando l’aveva salvato da quel gruppo di bulletti da quattro soldi. Adesso, non era cambiato molto. Non c’erano più i bulletti, ma erano le bande i nemici di tutti i giorni, con il loro territorio da proteggere, i loro traffici di droga e di merce rubata, i loro affronti, le loro sparatorie. Ma adesso, almeno, Naruto sapeva difendersi: il suo corpo si era sviluppato e, nonostante la notevole magrezza del suo corpo, spessi e scattanti muscoli ricoprivano il suo corpo, pronti ad attaccare, come in quel momento. Con piacere, constatò che fosse merito dei suoi allenamenti. Naruto serrò l’altro pugno e, senza dare tempo all’altro di riprendersi, gli sferrò un pugno dal basso verso il mento, chiudendogli la bocca – finalmente! – e facendolo cadere a terra, privo di sensi.
Il biondo gli si avvicinò, lo sollevò di peso, facendogli da stampella, afferrò la chitarra lì vicino e corse via, muovendosi il più velocemente possibile nonostante lo sforzo di portarlo con sé.
«Ma che diavolo ti è venuto in mente, teme?!» lo sgridò, arrabbiato «Lo sai benissimo che appena entriamo in questo quartiere ci sparano a vista! In quanti ti hanno picchiato, eh?»
«Qui si guadagna meglio…» tentò di spiegare, affaticato.
«E quindi? Sono anni che campiamo a far la fame, che te ne importa!»
Sasuke rimase in silenzio, sinceramente grato della sua preoccupazione che lo aveva salvato. Sapeva perfettamente di aver combinato una cazzata, ma voleva guadagnare qualche soldo in più per offrirgli una cena. Se lo meritava, perché era il suo compleanno e quell’anno aveva fatto molto per guadagnare i soldi che servivano ai due per vivere. Non lo disse, non lo ammise, non serviva perdere quel poco di dignità che gli era rimasta se tanto non poteva neanche offrirgli il suo piatto preferito. Voleva dirgli che gli voleva bene, ma non lo fece.
Rimase in silenzio.]
  
Lo spazio era molto grande, il soffitto altissimo, ovunque ti guardavi c’erano attrezzature e teli di vario colore. Evidentemente l’attività del giovane fotografo era stata fortunata e si era inspessita rispetto a cinque anni prima, l’ultima volta in cui gli avevano fatto visita. 
«Hai voglia di criticarmi ancora, eh, essere amorfo?» domandò Kiba, senza neanche salutare il ragazzo – perché ragazzo era rimasto, non era affatto cambiato – che si trovava di fronte a loro.
Sasuke si chiese velocemente dove il moro avesse imparato quel termine, data la sua risaputa ignoranza – per non dire stupidaggine, pensò, con un ghigno – e osservò interdetto Shikamaru in cerca di risposte, che alzò le spalle come per dire “non chiederlo a me”.
«Chi vi ha vestiti?» chiese Sai invece di rispondere.
«La mia bellissima e intelligentissima fidanzata, Hanabi Hyuga, nonché staylist della nostra casa discografica!»  rispose il moro, indicando ragazza che stava arrivando in quel momento.
L’Uchiha, ancora una volta stupito dalle parole dell’amico, si chiese se fosse normale attaccarsi in quel modo a quell’aggettivo possessivo lasciato lì con noncuranza, nostra, come se ne fosse l’effettivo possessore. Quella casa discografica era stata fondata da Hinata e Hanabi e perciò apparteneva a loro, senza ombra di dubbio, eppure era palese il modo in cui Kiba si sentiva parte di quella famiglia. Si chiese cosa lo avesse portato a quel punto e se, un giorno, anche lui avrebbe pensato di appartenergli.
«A beh, capisco finalmente perché è diventata così famosa, signorina Hyuuga.» rispose Sai, rivolgendosi a lei per la prima volta in modo educato da quando gli Origin avevano conosciuto l’uomo.
«La ringrazio, è molto gentile.» ringraziò Hanabi, guardandolo soddisfatta «Ma non ha ancora visto il mio lavoro migliore, che è in arrivo fra poco!»
«Sono certo che sarà incantevole, ma non quanto lei, signorina.» Sai s’improvvisò galante nei confronti di Hanabi, che insisteva a osservare con malizia – ecco il motivo di tanta gentilezza.
«Farabutto! Smetti subito di guardare in quel modo la mia fidanzata!» intervenne Kiba, fumando di rabbia.
«Sei geloso?» chiese fintamente stupito l’altro «La gelosia denota insicurezza in se stessi e verso la propria relazione.» affermò con tono saccente, facendo sbottare in una risata Shikamaru.
Kiba lo guardò con odio, per poi tornare su Sai, andandogli pochi metri vicino.
«Vuoi vedere quanto sono sicuri i miei pugni?»
Sasuke, a quell’affermazione, rimase di sasso. Kiba aveva usato un’espressione tipica del repertorio di Naruto, con la stessa forza e la stessa intonazione. La malinconia lo invase, facendogli ricordare della prima, comica volta in cui avevano incontrato Sai, della sua vita con il biondo, dei momenti in cui aveva usato quella frase e, infine, di quella peggiore.
Non riuscì neanche a meravigliarsi della bellezza di Hinata con quell’abito bianco quando la vide arrivare, troppo preso da quel pensiero doloroso.
 
[«Cazzo, Sasuke, se non ti fermi subito ti distruggo, te lo giuro!»
Lo inseguiva ormai da un ora correndo come un pazzo per tutta Tokyo, ma era arrabbiato e deluso, talmente tanto che l’adrenalina che gli attraversava le vene non gli faceva sentire né la fatica né il dolore per tutto quello sforzo improvviso. Il moro si era isolato e martoriato per fin troppo tempo, per i suoi gusti, così quella mattina era andato in giro cercando di scovarlo e l’aveva beccato a comprarsi cocaina. Ci mancava poco che non l’ammazzasse sul posto, ma Sasuke era riuscito a sfuggirgli, perciò si ritrovava a inseguirlo senza fiato in corpo dopo un’ora. Il tutto per quale assurda motivazione? Il ritorno di Itachi Uchiha.
«Sasuke, mi hai rotto i coglioni!» gridò, ad alta voce «Sono due mesi che stai una merda, adesso basta!»
Lo vide sbandare, per un attimo, e colse a volo l’occasione per raggiungerlo, evitando per un pelo di travolgere una vecchietta. Lo afferrò dalle spalle e senza smettere di camminare si inoltrò in una stradina secondaria e, infine, in uno stretto passaggio fra due edifici. Lo spinse con forza verso il muro di uno di quest’ultimi e lo guardò negli occhi, notando le spesse occhiaie scuse e lo sguardo vacuo.
«Da quanto non dormi?» chiese, scuotendolo appena, con rabbia.
«Un… paio di giorni.» rispose il moro, dopo un lieve mugugno.
«Cazzo, sei in piena crisi d’astinenza1. Sei un’idiota, t’ammezzerei.» lo spinse più forte contro il muro, deciso a fargli male « Adesso ti porto da Itachi.»
«Mollami!» urlò allora l’altro, arrabbiato
«Col cazzo!» gli rispose Naruto, sbattendolo ancora contro il muro «Ho cercato di aiutarti e sei stato astioso nei miei confronti, ti ho lasciato in pace come mi avevi detto e guarda che ti è successo! Sei diventato una testa di cazzo, un cocainomane! Col cavolo che ti lascio in pace, adesso!»
«Na…»
«Vuoi vedere quanto sono sicuri i miei pugni, Sasuke?» la rabbia aveva raggiunto proporzioni spropositate e gli chiuse la bocca con una mano, stringendogli la mascella contro il palato con forza «Giuro che se non ti volessi bene più di quanto tu ne vuoi a te stesso, ti avrei già ammazzato di botte. Coglione.»
Lo strinse con forza a sé in un abbraccio che aveva un senso amaro di possessione e che, forse, doveva essere protettivo e tornarono in strada.]
 
 
Hinata indossava un abito bianco leggerissimo, stretto in morbide ruche sul petto, che il vento faceva svolazzare in continui giochi fantasiosi, insieme ai suoi capelli abboccolati. Camminava, a piedi nudi, su di una nuvola, incontrando ignoti e personaggi famosi, come Dante nella Divina Commedia, cantando a mezza voce quella canzone dolce e forte allo stesso tempo, guardandosi intorno come se fosse alla ricerca di qualcuno, con, in trasparenza, se stesso al violino. Per tutta la durata della canzone, i suoi occhi rimasero aggrappati a quelli di lei, dei veri e propri Occhi Paradiso, che apparivano persi in mezzo a quell’atmosfera mistica. Occhi che si riempirono di lacrime quando videro la figura trasparente di Naruto che la guardava con dolcezza, per poi lasciarla cadere fuori dal Paradiso, un luogo dove la sua presenza era ancora troppo prematura. La canzone finiva con Hinata catapultata sulla terra-inferno, con vestiti Rock e total dark, mentre la mano di Sasuke l’aiutava ad alzarsi, insieme al sorriso delicato di Kiba e Shikamaru. Quel video era stato progettato da lui, in onore di Naruto, mentre la canzone era stata scritta ricordando l’amore di Naruto e Hinata.
«Sasuke?»
Una mano si posò lievemente sulla sua spalla e tanto bastò per far sobbalzare Sasuke, che tremò in modo impercepibile nel sentire quella voce dolce chiamarlo.
«Va tutto bene?» domandò, sedendosi al suo fianco, le gambe penzoloni, giù dal tetto.
«Come facevi a sapere che ero qui?» chiese lui, invece di rispondere.
«Non lo sapevo, ci speravo.» spiegò lei, guardando la punta dei suoi tronchetti neri «Sasuke, che hai? Oggi è stata una giornata importante e tu sei stato tutto il tempo distratto.»
«Non ho nulla.» mentì lui, guardando l’orizzonte, dove ormai il sole era tramontato.
«Non fare il tedioso con me, Uchiha.» gli rispose lei «So perfettamente cos’hai oggi, lo capisco bene. Con me puoi parlarne.»
Lui non rispose, non ci riusciva ancora. Non aveva voglia di parlare, perché un groppo in golo intrappolava ogni sua sillaba in un grido silenzioso. Era disperato, e c’erano giorni in cui lo sentiva più di altri. Quel giorno particolarmente importante, come in effetti era stato a buon ragione descritto da Hinata, gli aveva fatto tornare in mente quanto fosse stato decisivo anche per Naruto, anni prima, e quindi la sua assenza. Quando pensava a lui, quando si rendeva conto di star vivendo esperienze che lui aveva desiderato e mai vissuto, quando gli tornava la sua voce in mente a mormorare battute o consigli, lui si sentiva incredibilmente solo e non riusciva più a parlare. Quando accadeva tutto ciò, sentiva distintamente qualcosa avvolgerlo, con un sibilo, come fossero braccia, e lui sapeva perfettamente che erano quelle della morte. A volte si chiedeva cosa sarebbe successo se, invece di Naruto, fosse stato lui ad avere quella malattia, a finire sotto una macchina e, quindi, a morire. Forse il dolore dei suoi amici non sarebbe stato tanto grande, la tristezza in quegli occhi bianchi nemmeno comparabile a quella di adesso ed il proprio dolore non sarebbe neanche esistito. Sarebbe stato bello non sentire più nulla, non esistere più, ma aveva fatto una promessa e adesso la sua vita non era più solo sua. L’anima incombente di Naruto gli gravava sul cuore, ricordandogli che doveva vivere anche per lui, per fare ciò che desiderava lui, per occuparsi di ciò che aveva lasciato sulla terra. E aveva lasciato una fidanzata addolorata e un bambino che non l’aveva mai conosciuto, mica niente.
«Oppure possiamo anche non parlarne, non serve.» mormorò Hinata, allungando la mano per stringere la sua «Ma posso farti compagnia. Non sei solo, Sasuke, cerca di ricordarlo. Possiamo andare avanti, insieme, se lo vogliamo: io ci credo.»
Sasuke abbassò lo sguardo per osservare quella mano bianca e affusolata stringere la sua, dura e callosa a causa degli anni passati alla chitarra, e per un attimo si sentì meno perso. Ne saggiò col pollice la morbidezza, accarezzandola appena.
«Entrambi abbiamo negato a lungo la nostra sofferenza, abbiamo cercato di ignorarla, ma è sempre rimasta lì, dentro di noi: è di questo che parla Lost in Paradise. Tutte le promesse… tutti quei “andrò avanti, per te, rimarrò in piedi”, frasi vuote, perché puntualmente cadiamo, ci rompiamo.» respirò piano, ricordando a memoria i versi della canzone «Non abbiamo più nulla, se non questo sentimento di solitudine e abbandono che ci lega, perché lui non c’è e non ci sarà più. Eravamo così innamorati che non ho pensato a godermi quello che avevo giorno per giorno, perché ero in estasi, semplicemente persa in Paradiso. E adesso… il passato non esiste, me ne rendo conto giorno dopo giorno, perché non c’è nulla di davvero “passato”, se ogni giorno emozioni e ricordi si palesano davanti ai miei occhi.» con lentezza, si avvicinò a Sasuke e gli baciò delicatamente una guancia irsuta, soffermandosi sulla sua pelle per saggiarne il calore, e poi si accoccolò sulla sua spalla, chiudendo gli occhi e ispirando il suo profumo – sapeva che, con quei gesti, lo aveva stupito, ma era qualcosa che sentiva di dover fare, era un bisogno che veniva dall’interno «Forse, un giorno ci libereremo di tutto questo dolore, chissà… Ma non credo succederà se non ci faremo forza l’un l’altro.»
Sasuke era commosso, nonostante fosse difficile ammetterlo, per quel discorso articolato sulle frasi della sua canzone. Gli dimostrava che Hinata aveva capito cosa stava cantando e che aveva reso il testo suo, proprio come doveva fare un’ottima vocalist. E soprattutto, gli dimostrava quanto fossero vicini.
Allungò il braccio e le accarezzò i capelli, facendola rilassare, per poi avvolgere in un abbraccio, pronto a dire le prime e ultime parole di quella sera.
«A volte non riesco a credere che la persona con cui ho vissuto tutta la vita non ci sia più.»

 
 

I've been believing in something so distant as if I was human
And I've been denying this feeling of hopelessness
In me, in me

All the promises I made just to let you down
You believed in me, but I'm broken
I have nothing left
And all I feel is this cruel wanting
We've been falling for all this time
And now I'm lost in paradise

As much as I'd like the past not to exist it still does
And as much as I'd like to feel like I belong here
I'm just as scared as you

I have nothing left
And all I feel is this cruel wanting
We've been falling for all this time
And now I'm lost in paradise

Run away, run away
One day we won't feel this pain anymore
Take it all away 
Shadows of you
'Cause they won't let me go

So I have nothing left
And all I feel is this cruel wanting
We've been falling for all this time
And now I'm lost in paradise

Alone, and lost in paradise

 

Ho creduto in qualcosa così distante come se fossi umana
E ho negato questo sentimento di disperazione
In me, in me

 

Tutte le promesse che ho fatto solo per deluderti
Credevi in me, ma sono incompleta
Non ho lasciato nulla
E tutto ciò che provo è questa crudele voglia
Siamo caduti per tutto questo tempo
E ora sono persa in paradiso

 

Tanto quanto mi piacerebbe che il passato non esistesse come ancora fa
E tanto quanto mi piacerebbe sentirmi parte di qui
Sono spaventata come te


Non ho lasciato nulla 
E tutto ciò che provo è questa crudele voglia
Siamo caduti per tutto questo tempo
E ora sono persa in paradiso

 

Fuggi, fuggi
Un giorno non sentiremo più questo dolore
Porta via tutto
Ombre di te
Perché non mi lasceranno andare

 

Così non ho lasciato nulla
E tutto ciò che provo è questa crudele voglia
Siamo caduti per tutto questo tempo
E ora sono persa in paradiso

Sola, e persa in paradiso

 
Cristi d'astinenza: Occhi vacui, non riuscire a dormire e frequente sonnolenza sono i primi sintomi di una crisi d'astinenza da cocaina.

 


Angolo di Tomoko-chan.
So perfettamente che ogni volta che mi faccio viva torno promettendovi che sarò qui più spesso,
e mi dispiace molto non riuscire a mantenere le promesse, quindi non ne farò più. Il periodo è 
molto brutto e non sto qui a dirvi perchè, ma sappiate che la voglia di scrivere scarseggia come
la possibilità di frequentare questo sito. Spero che continuerete a seguirmi e a farmi sapere se
questa storia vi piace o no. Intanto potete seguirmi su fb!
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Capitolo 15
*** Understanding ***


Gli ultimi sognatori.
Occhi Paradiso.
Understanding.
[Realtà palesi finalmente note.]


In quell’ultimo mese non aveva avuto tempo neanche per respirare. In effetti, era stato molto difficile riuscire a trovare un po’ di tempo per sé, tanto era sommersa d’impegni, ed in quel momento più che mai sentiva il bisogno di stare un po’ da sola. Si sentiva quasi soffocare per quante responsabilità gravavano sulle sue spalle, e l’ansia per il lancio dell’album era crescente.
Erano arrivati all’ultimo giorno previsto per incidere a fatica, procedendo a rilento: i Post Apocalypse non erano un gruppo provato e comprovato come lo erano gli Origin, non avevano anni d’esperienza alle spalle, ma solo una profonda e grande amicizia. Era difficile adattarsi ai nuovi brani e agli arrangiamenti dall’impronta così diversa e decisa, e per Hinata era tutto più difficile, dato che doveva imparare a fare affidamento su quella voce che non le era mai piaciuta. Hinata si sentiva oppressa e stanca, in quel modo indefinibile che ti lascia quella strana sensazione addosso che proprio non riesci a eliminare. Si sentiva piena, strapiena, e quindi sul punto di scoppiare.
«Hinata.» Sasori la richiamò al suo dovere con voce ferma e decisa «Credo proprio che dovremmo reincidere gli ultimi tre minuti del brano numero 12, non mi sembra venuto come desideravamo.»
«Lo so, lo avevo notato.» mormorò, abbattuta «Anche la prima parte del brano otto non mi convince molto. Dovremmo parlarne con gli altri.»
«Cerco di sistemarlo come posso e poi lo rivediamo.» decise il rosso, guardandola con quell’espressione indecifrabile che usava sempre sul posto di lavoro «Intanto dovreste proprio suonare di nuovo la dodici. Va rifatta quasi completamente.»
Hinata si affacciò nell’altra stanza, che comunicava con la sala incisione attraverso una porta che in quel momento era aperta, e chiamò i ragazzi, comunicandogli la notizia. I tre, che stavano riposando per un momento su alcuni divanetti, sbuffarono sonoramente e si alzarono con lentezza, pronti per ritornare ai loro posti. Proprio quando Hinata stava per mettere piede nelle sala incisioni, Hanabi corse nella stanza con uno sguardo allarmato.
«’nee-san? Devi venire subito di là. Adesso.» affermò, agitata.
«Cos’è successo?» chiese, tornando nella sala antecedente alla sala incisione, quella con la postazione di Sasori, che adesso la guardava infastidito.
«Abbiamo un problema. Grosso. Enorme. E ti giuro che non la sopporto più, vorrei ucciderla!»
«Di chi parli?» chiese Hinata, legandosi i capelli, improvvisamente accaldata a causa dell’afa di metà maggio.
«Di quell’idiota mezza ciabatta che hai deciso di lanciare, ecco di chi!» quasi urlò «E’ nevrastenica, non la sopporto più, se urla ancora la soffoco con le mie mani! » agitò le mani simulando il gesto «Non mi porta rispetto, ascolta solo te, quindi devi venire subito!»
«Va bene, andiamo.» acconsentì la giovane.
Sasori si schiarì la voce. «Hinata?»
«Sì?» fece lei, abbandonando le mani lungo i fianchi, sfinita.
«Noi qui che facciamo? Dobbiamo incidere, siamo già in ritardo.» le ricordò.
«Sì, lo so.» mormorò, per poi farsi più decisa «Incidete la base e poi mandali a casa. Io rimarrò fino a tardi per incidere la voce e rivedere tutto l’album.»
Sasori annuì e obbedì. Hinata seguì una Hanabi isterica per qualche corridoio alla ricerca di questo fantomatico problema da risolvere. Sapeva bene di cosa si trattasse: era quella nuova cantante a darle molte difficoltà. Così, quando la sorella spalancò la porta di una sala d’incisioni con spessi muri insonorizzati, non si stupì di essere accolta da una rossa urlante.
«Sei un incapace! Un inetto!» gridava la giovane avvenente contro l’ingegnere del suono1 «Hai rovinato la mia canzone!»
«Karin.» la chiamò con voce ferma Hinata, avvicinandosi di qualche passo «Smetti immediatamente di gridare: vuoi forse rovinarti la voce?»
Karin si zittì subito, non osando neanche fare la faccia infastidita che aveva rifilato a Hanabi poco prima. Hinata si soffermò un attimo ad osservare quella giovane artista: bella, formosa, capelli rosso fuoco, occhi luminosi. Era sicuramente una ragazza attraente, ma era problematica e dispettosa; il più delle volte si comportava come un ochetta in piena adolescenza. I suoi testi, però, erano arrabbiati e graffianti, addirittura seducenti: era stato quello il motivo per cui aveva deciso di produrla.
«Qual è il problema?» chiese, con voce leggermente più calma.
«Questo stupido ine…»
«Ah!» l’interruppe lei, chiudendole la bocca con un gesto veloce della mano «Non voglio sentire volare nessuna offesa contro il tecnico che, per tua informazione, si chiama Ichiro e fa il suo lavoro da anni, quindi ha molta più esperienza di te, in questo campo, e dovresti portargli rispetto.» la vide gonfiare le guance, gravemente infastidita, come una bambina «Se hai un problema, di qualsiasi tipo esso sia, puoi rivolgerti a lui come a me o ad Hanabi-san. Con calma. E rispetto. Chiaro?»
«Sì, Hinata-sama.» acconsentì la rossa, con tono referenziale e occhioni da cane bastonato.
«Bene. Qual è il problema?» Hinata si sedette su una poltroncina, stanca.
«Ques…. Ichiro dice che devo reincidere, ma secondo me la mia voce è già perfetta, mentre la base è un completo disastro.»
«Ichiro-san, fammi sentire tutto, per favore.»
Durante tutta l’ora successiva, Hinata fu impegnata in una lunga e complicata disquisizione riguardo quella maledetta canzone, cercando di tenere a bada Karin e, contemporaneamente, di temporeggiare con il fonico che si stava inalberando a sua volta.
Avevano quasi finito di risolvere il problema quando la porta all’improvviso si spalancò e una piccola furia capelluta fece capolino nella stanza, fiondandosi fra le braccia della madre.
Hinata prese prontamente in braccio Kurama e gli accarezzò i capelli cercando di calmarlo, notando la sua agitazione.
«Hinata, scusami tanto.» Sakura entrò nella stanza con sguardo colpevole «Non sono riuscito a fermarlo, voleva stare con te.»
«Oh, il mio tesoro.» Hinata gli sorrise, amorevole: sapeva perfettamente di aver trascurato il figlio, in quei giorni. Lo aveva visto poco e non avevano passato molto tempo insieme, perché Hinata tornava sempre tardi da lavoro e Kurama doveva andare a letto a un certo orario. Tornava sfinita e a stento riusciva a giocare con lui, quando erano fortunati.
«’kaa-chan, andiamo a casa!» implorò il bambino, facendo gli occhioni dolci che sapeva avessero un potere enorme sulla madre.
«Birba, proprio stasera mi è impossibile.» gli spiegò, col cuore infranto «Devo lavorare fino a tardi e non so quanto tempo ci metterò.»
«’kaa-chan!» piagnucolò «Voglio stare con te!»
«Non posso…» vedendo i lacrimoni pronti a scendere copiosi, non ebbe cuore di dire un altro no «Senti, facciamo così, stasera rimani qui e appena finisco di lavorare ci mettiamo a dormire sul divano che ti piace tanto, va bene? Te la senti?»
«Sì!» esultò Kurama, con occhi ridenti.
 
[Sbuffò sonoramente ed entrò nella camera con passo lento e pesante, per poi buttarsi di peso sul divano dove Naruto lo guardava incuriosito, reggendo fra le mani uno spartito che stava ricontrollando con cura. Kiba inarcò la testa all’indietro e si prese il volto fra le mani, incredibilmente stanco  e spossato. Si sentì osservato e allora si ridestò di colpo, incontrando lo sguardo incuriosito del biondo e notando il suo sopracciglio inarcato, cosa che lo fece particolarmente incazzare.
«Senti, lasciami in pace, chiaro?» sbuffò, disperato «Ho appena litigato con Hanabi, ok?»
«Sì, lo so, ho sentito!» commentò l’altro, trattenendo a stento un sorriso irrisorio «E comunque non ti avevo detto niente!»
«Oh, beh, il tuo sguardo basta e avanza!» disse coprendosi nuovamente gli occhi con una mano «Giuro che un giorno di questi l’ammazzo.»
«Credo sia la stessa cosa che dice lei di te, mio caro Kiba.» mormorò Naruto divertito, tornando alla lettura dello spartito.
«E smettila di chiamarmi così!» sbuffò ancora, incespicando nelle parole «E’ pazza, dice che non le riservo più molte attenzioni, che penso solo ad incidere il disco, che non mi vede più e… e… Oh, Kami!»
«Beh, in effetti è così.» concordò il Namikaze «E’ la dura vita dell’artista, questa. »
«Sì, certo, ma Hinata non si comporta mica così con te!»
«Questo lo dici tu, mio carissimo Kiba.» stavolta non riuscì a trattenere un sorriso «Hinata è capace di arrabbiarsi come qualsiasi altra persona del mondo, anzi, quando riesco a superare la sua infinita pazienza mi guarda con quegli occhi che… quando è incazzata sembrano demoniaci. E comunque smettila di tirarla fuori in ogni discorso, mi ricorda che avevi una certa attrazione per la mia fidanzata.»
«Sì, è così, ma cerchiamo di non rivangare troppo il passato, eh?» mormorò gonfiando le guance, imbarazzato «Comunque, Hinata non viene mai a farti una scenata mentre lavori e comunque non si arrabbia così spesso come sua sorella minore. Qual è il segreto?»
«Nessun segreto, l’importante è trattare sempre le principesse Hyuga con i guanti.» rispose l’altro, guardandolo con un sorriso che irradiò anche gli occhi, in modo malizioso «Fidati, sapranno come ricompensarti.»
Sul volto di Kiba si dipinse un’espressione schifata.
«Certe volte sei proprio ripugnante.»]
 
«Ehi, principessa.»
Kiba le sfiorò appena una spalla scoperta e lei sobbalzò, con un gemito. Erano appena rientrati dopo quella durissima giornata di lavoro e Hanabi si stava preparando un tramezzino, dato che moriva letteralmente di fame, raccontandogli quanto fosse insopportabile quell’idiota rossa che Hinata aveva preso con sé nonostante le sue reticenze.
«Così mi fai morire!» lo rimproverò lei, storcendo la bocca, infastidita.
«Sei troppo stressata, cerca di rilassarti.» rispose lui, prendendo a massaggiarle le spalle indolenzite.
«E come faccio? E’ quell’arpia che mi stressa, te lo dico io!»
«Non ci pensare, cerca di rilassarti.» affermò l’Inuzuka, con tono suadente «Adesso ci penso io a te…»
Continuò a massaggiarla abbassando piano la bocca su di lei, sfiorandola con mille baci che la fecero rabbrividire.
«Dai, Kiba, non è il momento…» protestò debolmente lei «Non sei stanco?»
«Lo sono, sì.» disse Kiba, lambendo la pelle setosa della spalla di lei «Appunto per questo ho bisogno di te, e tu di me.»
La fece voltare e, guardandola in modo seducente, la fece sedere sul bancone tornando a lambirle la pelle più comodamente, mentre Hanabi lo abbracciava e lo stringeva a sé.
«Io non ho bisogno di nessuno, Inuzuka…» mormorò debolmente, lasciandosi prendere in braccio e portar via, con un sorriso beffardo sul volto.
 
 
Era trascorsa un'altra mezzora alla Moon’s eyes, così in fretta che, quando Hinata si voltò nuovamente per osservare il cielo attraverso la finestra del suo ufficio, la magia era avvenuta e il sole era già tramontato. Indossò degli abiti più comodi – i pantaloni di una tuta e una maglietta arancione più grande di due taglie, appartenuta al defunto fidanzato – sicura che ormai, a quell’ora, ci fosse solo Sasori, che l’aveva vista mille volte così, quando si intrattenevano fino a tardi, le guardie notturne e qualche altro fonico con ancora del lavoro da sbrigare. Tutta gente di cui non le interessava un parere sul suo aspetto e che, comunque sia, la rispettavano e stimavano troppo per dare giudizi su di lei, semplicemente perché, quando lavorava fino a tardi, indossava abiti leggeri che non si adattavano alla sua figura femminile e seducente. Hinata era divenuta in poco tempo una personalità di spicco nel suo settore e in quanto tale doveva sempre essere impeccabile, così era costretta il più delle volte a indossare una maschera che non amava: lei non era perfetta, no, quei vestiti severi e professionali non stonavano su di lei, ma erano comunque in completo disaccordo con il suo carattere, più morbida e libera di quanto si mostrasse. Amava stare comoda, indossare indumenti più grandi della sua taglia, e i vestiti di Naruto, almeno quelli che si permetteva di toccare – quelli a cui lui teneva di meno e che ormai avevano perso il suo profumo aranciato – servivano perfettamente lo scopo. Un giorno, tutti quei vestiti sarebbero passati a suo figlio e avrebbe deciso lui cosa farne, se usarli o meno – per sé avrebbe conservato soltanto quella sciarpa arancione, immancabile nei suoi giorni più bui e, quindi, più freddi.
Prese per mano suo figlio, sorridente e soddisfatto di essere lì con lei, ed uscì dal suo ufficio, inoltrandosi nella fitta rete di corridoi dell’edificio. Si fermò davanti alla sala d’incisione numero otto, quella che aveva riservato per sé e i ragazzi, ed aprì la porta con calma, convinta di trovarvi solo Sasori. Invece, ciò che vide non fu una folta chioma rossa, ma solo un uomo vestito di scuro, con capelli ancora più neri, occhi del colore della notte e la pelle marmorea. Un uomo che, appena fece capolino nella stanza, si girò a guardarla in quel modo indecifrabile che la faceva impazzire, letteralmente.
«’suke’ji’san!» il bambino si staccò velocemente dalla sua mano per correre a salutare il moro.
Sasuke lo guardò per un attimo senza rispondere al suo saluto, ma cullandolo in una lenta carezza mentre il piccolo si aggrappava ai suoi pantaloni. Poi tornò a guardare la madre, senza lasciar trapelare alcuna emozione.
«Dov’è Sasori?» fu l’unica cosa che riuscì a dire, interdetta.
«L’ho ucciso.» mentì lui, bofonchiando infastidito «Si saluta.»
«Ciao.»
«Ciao.»
«Che ci fai qui?» chiese allora lei, sostenendo il suo sguardo «Vi avevo mandati tutti a casa più di un’ora fa.»
«Da quando faccio quello che vuoi tu?»
Hinata inarcò un sopracciglio, seccata da quella risposta che non voleva dire nulla. Smise di guardarlo, si avvicinò alla console e lo ignorò, prendendo a sistemare il suono dell’ultima incisione.
«Sasori è andato a recuperare del caffè.» sciorinò il moro, dopo qualche minuto «Io sono qui perché ci tengo ad esserci dall’inizio alla fine.»
«Wow, tu che tieni a qualcosa…» rispose inacidita Hinata, continuando a manovrare la console.
«Che hai, Hyuuga?» domandò astioso, avvicinandosi alla ragazza tenendo per mano il figlio.  
«Mi dai su i nervi, Uchiha.» affermò la mora, rispondendogli a tono.
«Non ti ho fatto nulla.»
«Sì invece! Hai… hai… mi hai…» chiuse la bocca, non sapendo cosa dire. La verità era che era nervosa e stressata, e non aveva la forza di intraprendere una dei soliti discorsi complicati con Sasuke, che necessitavano di un controllo e ricontrollo accurati prima di capire davvero una domanda e per formulare correttamente una risposta.
Due grandi braccia muscolose la intrappolarono in un abbraccio e per un attimo sentì un bacio umido alla radice dei capelli, che ben presto diede il via ad un brivido interminabile.
«Lascia stare.» lo sentì sussurrare appena «Rilassati, va tutto bene, Hinata.»
Annuì un poco contro la sua spalla, frastornata da quel gesto inaspettato ed estremante dolce.
Lui la lasciò dopo qualche frazione di secondo, quando Kurama si frappose a loro, attaccandosi nuovamente ai pantaloni di Sasuke con fare stanco. Hinata li guardò e, per un solo secondo, pensò che sarebbe stato bello se fra i due mori ci fosse qualcosa di più dell’affetto, come l’amore paterno.
Scosse la testa pentendosi subito di quello che aveva pensato – non poteva dimenticare con chi aveva concepito cotanta perfezione – e tornò a osservare i tasti della console.
«Quindi… avete finito di registrare?» chiese, a stento.
«Sì, manchi solo tu.» rispose l’Uchiha, voltandosi appena per scrutare l’espressione della ragazza.
«Perciò… sei rimasto da solo con Sasori?» domandò ancora, incuriosita.
«Già.»
«E…?» lo incitò a continuare «Cosa avete fatto?
«Abbiamo discusso di lavoro.» affermò, poco convinto «Diplomaticamente.» precisò.
«Oh, bene.»
Proprio in quel momento, l’oggetto della loro conversazione rientro nella sala incisione.
«Ah, eccoti.» disse, chiudendosi la porta alle spalle «Avevo mandato Sakura a cercarti.»
Anche lei è qui?, si chiese mentalmente la mora, facendo due più due, un triangolo nella stessa stanza non porta a nulla di buono.
«Hinata?» la chiamò ancora, riacciuffando la sua attenzione «Possiamo cominciare.»
L’interpellata annuì decisa e poi si abbassò fino all’altezza del figlio, posandogli un bacio delicato sul naso.
«Mettiti comodo, cuore mio, la tua ‘kaa-chan ci metterà un po’.» e poi, alzandosi, a Sasuke «Tu rimani?»
«Credo.» rispose lui, guardandola negli occhi.
Hinata annuì per l’ennesima volta, stavolta in modo confusionario, e poi andò nella saletta a fianco, oltre il vetro divisorio.
Sistemò lo spartito che aveva davanti e che ormai aveva imparato a memoria, regolò il microfono e indossò le cuffie con cura, sistemandosi i capelli. Prese un grosso respiro, decisa a cantare, anche se non era mai davvero “pronta” a farlo – non lo sarebbe mai stata, non era naturale per lei come lo era per lui. Attese con pazienza l’ok di Sasori e cominciò a cantare mentre le prime note le arrivavano alle orecchie forti e crudeli come coltelli.
Cercò il suo sguardo. Lo sorprese a osservarla. Cantò, guardandolo negli occhi.
 
UNDERSTANDING


You hold the answer deep within your own mind. Consciously you've forgotten it. That's the way the human mind works. Whenever something is too unpleasant, too shameful for us to entertain we reject it, we erase it from our memory, but the imprint is always there.” 

Oooh.. 
We wash it all away, we wish it all away, we hope it all away, can't cry it all away. 

The pain that grips you 
The fear that binds you 
Releases life in me 
In our mutual shame we hide our eyes 
To blind them from the truth that finds a way for who we are 

Please don't be afraid 
When the darkness fades away 
The dawn will break the silence screaming at our hearts 
My love for you still grows 
This I do for you 
Before I try to fight the truth my final time 

“We're supposed to try and be real and when you feel alone, you are not together, and that is real.” 

Can't wash it all away 
Can't wish it all away 
Can't cry it all away 
Can't scratch it all away 

Lying beside you 
Listening to you breathe 
The light that flows inside of you burns inside of me 
Hold and speak to me 
Of love without a sound 
Tell me you will live through this and I will die for you 
Cast me not away 
Say you'll be with me 
For I know I cannot bear it all alone 

“You're not alone, honey, Never. Never.” 

Can't fight it all away 
Can't hope it all away 
Can't scream it all away 
It just won't fade away, no... 

Oooh.. can't wash it all away 
Can't wish it all away, yeah, yeah yeah. 
Can't throw it all away 
Can't scratch it all away, yeah.... 

Can't fight it all away 
Can't hope it all away 
Can't scream it all away 
Move it all away 
Move it all away 

“But the imprint is always there, nothing is ever really forgotten” 

“Please don't hate me 
Because I'll die if you do 
Because I'll die if you do 
Because I'll die if you do 
Because I'll die if you do 
Because I'll die if you do”
 
 
Conservi le risposte nel profondo della tua mente.
Consapevolmente, le hai dimenticate.
E' così che funziona la mente umana.
Ogni qual volta qualcosa è troppo spiacevole, troppo vergognosa per noi
da trattenere, la rigettiamo.
La cancelliamo dalla nostra memoria.
Ma la risposta è sempre lì.

(Non posso lavare via tutto)
(Non posso desiderare che vada via tutto)
(Non posso sperare che vada via tutto)
(Non posso piangere via tutto)

Il dolore che ti stringe
La paura che ti acceca
Rilascia la vita in me
Nella nostra vergogna comune
Noi creiamo degli idoli
Per non far loro vedere la verità
Che trova una strada da chi noi siamo
Ti prego non avere paura
Quando l'oscurità svanisce
L'alba spezzerà il silenzio
Gridando nei nostri cuori
Il mio amore per te cresce ancora
Faccio questo per te
Prima che io provi a combattere la verità per l'ultima volta

Si suppone che dovremmo provare ad essere realisti.
E mi sento solo, e noi non siamo insieme. E questo è reale.

Non posso lavare via tutto
Non posso desiderare che vada via tutto
Non posso piangere via tutto
Non posso grattare via tutto

Stando stesa al tuo fianco
Ascoltando il tuo cuore battere
La vita che scorre dentro di te
Brucia dentro di me
Stringimi e parlami
D'amore senza emettere un suono
Dimmi che vivrai nell'amore
E io morirò per te
Non mandarmi via lontano
Dì che sarai sempre con me
Perchè so che non posso
Sopportare tutto da sola

Non sei sola, vero?
Mai...Mai.

Non posso combattere affinchè vada via tutto
Non posso sperare che vada via tutto
Non posso girdare affinchè vada via tutto
Non svanirà, No

Non posso lavare via tutto
Non posso desiderare che vada via tutto
Non posso piangere via tutto
Non posso grattare via tutto

(Non posso combattere affinchè vada via tutto)
(Non posso sperare che vada via tutto)
Non posso girdare affinchè vada via tutto
Ooh, via tutto
Ooh, via tutto

Ma la risposta è sempre lì. Niente viene mai veramente scordato.
Perché muoio anch'io.
Perché muoio anch'io.
Perché muoio anch'io.
Perché muoio anch'io.
Perché muoio anch'io.
Perché muoio anch'io.

 
 
I suoi occhi sono come benzina sul fuoco:
ardono, incendiano, e un fuoco divampa dentro di te.
«’suke-ji-chan?»
Non riesci a crederci, ma le parole che hai scritto sembrano
poesie se urlate dalla sua voce. Ne sei attratto.
«Non ci vedo! Mi prendi in braccio?»
Sai perfettamente che sei lì soltanto perché
non vuoi restare solo e fare compagnia
a Hinata ti è sembrata subito una valida scusa.
Ma averla così vicina, a volte, ti fa sentire in colpa,
ti fa morire dentro.
«Adesso ci vedi, Kurama-chan?»
 
 
«Non torni a casa, quindi?»
«No.» rispose Hinata con aria stanca, osservando gli occhi chiusi di suo figlio «Preferisco rimanere qui, per ogni evenienza.»
«Posso accompagnarti a casa, se vuoi.» propose lui, guardando il volto stanco ma sereno di quella giovane madre amorevole.
«Grazie, ma ho deciso così.» allungò le mani verso il suo petto «Lascia, faccio io.»
Sasuke abbassò lo sguardo, osservando il bambino che sorreggeva fra le braccia, il volto rilassato stretto contro il suo petto muscoloso, i pugni chiusi contro il mento, come raggomitolato su se stesso.
«Ormai si è addormentato, lo sveglieresti e basta.» affermò, premuroso «Lo porto io.»
«Va bene.» mormorò Hinata, facendo strada fino al proprio ufficio, dove il divano era stato trasformato in un letto.
Sasuke sistemò Kurama fra le coperte mentre Hinata si chiudeva la porta alle spalle, mordendosi un labbro, confusa. Osservò i capelli arruffati di Sasuke, il candore della sua pelle che quasi illuminava la stanza, gli abiti morbidi e neri, l’espressione del viso leggermente corrucciata e incuriosita, la bocca chiusa in una fessura stretta, gli occhi grandi e spalancati su di lei, nerissimi, color ebano, color inferno, color oblio, capaci di trasportarla in un altro mondo e farle perdere coscienza di se stessa.
Anche lui la stava osservando ed era difficile non trovarla immensamente bella, con quei boccoli dai mille riflessi color notte, la pelle diafana, le morbide forme del corpo appena nascoste da quegli abiti, la bocca piena caldamente socchiusa, gli occhi bianchi che in quel buio sembravano grandi, enormi, universali. Tutto, di lei, lo attraeva, lo faceva desiderare di averla più vicina a sé, di sfiorarla con le labbra.
No.
Quello era qualcosa di cui non era degno: con i suoi tocchi avrebbe sporcato quell’anima pura di un peccato che non le si addiceva, l’avrebbe macchiata con il suo cuore nero e sudicio, infangato le sue membra con il verme che era.
Era stata quella maglia a bloccarlo, quella maglia pazza e esuberante in perfetto stile Uzumaki Namikaze a ricordargli che non aveva diritto di fare qualcosa del genere, perché lei non gli apparteneva, era di quel ragazzo biondo che un tempo chiamava fratello, del suo migliore amico, della sua famiglia, e non poteva neanche azzardarsi a desiderare qualcosa di suo. Si sentiva un verme.
«Sasuke?» la sua voce lo chiama, calda e dolce «Posso dirti una cosa?»
Annuì, lentamente, senza guardarla, appoggiandosi alla scrivania di mogano scuro continuando ad osservare la punta delle proprie scarpe.
«Non hai bisogno di una scusa per venire da me.» gli si avvicinò lentamente, passo dopo passo «Sei sempre in benvenuto e mi farebbe piacere sapere che per te è lo stesso.»
Con quella voce, però, lo dannava, continuando ad attrarlo verso qualcosa che non poteva ottenere.
«Lo è.» confermò flebilmente, cercando di ripararsi dietro quella maschera fredda e dura che ormai sdiceva su di lui.
«Anche adesso?» chiese ancora, ad un passo da lui.
Sasuke alzò il volto e se la trovò di fronte, con gli occhi illuminati da tristezza e speranza, in attesa di una risposta. E lui, frastornato, desiderò solo averla tutta per sé.
Aprì leggermente le braccia, invitandola ad un abbraccio e prontamente Hinata si gettò sul suo petto, abbandonandovisi con dolcezza, cullata e avvolta dalle carezze calde dell’uomo sui suoi capelli.
«A volte mi sento così sola, Sasuke…» sussurrò, la voce rotta dall’emozione «Proprio come dice la canzone: “dì che sarai sempre con me, perché non posso sopportare tutto da sola”. »
«Lo sarò, sempre.» la rassicurò, stringendola maggiormente. 
«Mi sento così stanca, quasi… sconfitta, ecco.» chiuse gli occhi, cullata dai battiti veloci del cuore di Sasuke «Vorrei cancellare tutto quello che è successo, ma è impossibile. Vedi? Understanding è perfetta, si addice ad ogni mio pensiero, in questo momento. Come fai a scrivere canzoni perfette?»
«Ti affido quello che vorrei dirti.» spiegò lui, osservando distrattamente Kurama ronfare beato.
«Dirti? Immagini di dire queste cose a me?»
Luì annuì, brevemente «Sei l’unica con cui mi confiderei.»
Hinata, in risposta, premette maggiormente il viso sul suo petto e strinse le mani intorno al tessuto della sua maglietta scura.
«E perché non lo fai mai, Sasuke?» domandò, dolcemente «Perché non ti confidi con me?»
«Sono ancora il Sasuke d’un tempo, Hinata.» mormorò, per poi abbassarsi per parlarle direttamente all’orecchio «Sei l’unica in grado di capirmi. Non mi servono parole.»
Hinata alzò il viso proprio mentre Sasuke rialzava il suo: si ritrovarono a pochi centimetri, occhi negli occhi. Hinata fremeva, non capiva cosa stesse succedendo, era confusa e stordita, ma sentiva che non c’era un altro posto dove desiderasse essere, se non fra quelle braccia. Era un pensiero strano e totalmente illogico, forse, di cui non riusciva a capacitarsi l’esistenza. Anche Sasuke venne colto dallo stesso pensiero, ma le incertezze di poco prima si fecero più palesi e si scostò, come scottato, scivolando via di qualche passo verso la porta.
«E’ meglio che io vada, adesso.» annunciò, nascondendo l’imbarazzo «Devi dormire, almeno qualche ora.»
Hinata annuì confusamente « Hai ragione… Buonanotte, Sasuke.»
«Buonanotte.» disse, guardandola per un ultimo attimo. Quella sera non l’avrebbe mai dimenticata.
 
«Stasera devo lavorare fino a tardi, Sakura, mi dispiace.» spiegò, giocando con una ciocca di capelli rosa «Domani alle otto l’album deve essere in commercio.»
«Va bene, va bene.» concordò lei, per poi chiedere, incuriosita «Sei emozionato?»
«Perché dovrei?» domandò, inarcando un sopracciglio «Questo è il mio lavoro.»
«E’ l’album del tuo capo, di una nostra amica!» si intestardì Sakura.
«Appunto, più che altro sono sotto pressione, non “emozionato”.» rispose Sasori, sbuffando «Figuriamoci.»
«Va bene, io allora vado.» affermò «Domani ho il turno di pomeriggio, quindi ci vedremo solo in serata.»
«Bene.» disse, abbassandosi per baciarla dolcemente «Buonanotte fiorellino.»
«Buonanotte, Sasori.»
Sakura riacciuffò frettolosamente la sua borsa e uscì dalla sala incisioni inoltrandosi nel corridoio. Camminò, controllando distrattamente i messaggi di Ino sul cellulare, che quella sera l’aveva tempestata di richieste d’aiuto. Si segnò mentalmente di richiamarla appena arrivata a casa e, quando alzò gli occhi per voltare l’angolo, vide un’altra persona, pochi metri più avanti di lei, compiere la stessa strada e scomparire appena imboccato l’altro corridoio. Le sembrò di sognare e, inconsapevolmente, cominciò a correre. Appena svoltato l’angolo vide che l’uomo che conosceva bene stava per uscire e, con un scatto, riuscì a guadagnare qualche metro, inseguendolo poi dietro il parcheggio.
«Sasuke!» chiamò, a perdifiato, una volta fuori, vicino alle poche macchine posteggiate.
Lui si fermò e si voltò, guardandola con occhi che, per un momento, le sembrarono vacui. Corse fino a fermarsi a un metro da lui, piegandosi sulle ginocchia per riprendere fiato.
«Ciao, Sakura.» salutò lui, freddamente.
«Io… » cominciò, cercando di regolarizzare il battito del cuore «Mi chiedevo se potessimo parlare, ecco.»
Sasuke imprecò mentalmente: sapeva perfettamente a cosa voleva arrivare la ragazza e non aveva nessuna voglia di ricordargli ancora una volta che aveva un ragazzo che le voleva bene, non quella sera, proprio in quel momento in cui si sentiva sfinito dopo tutto quello che era accaduto.
«Io credo… credo di provare ancora qualcosa per te, Sasuke.» Sakura confermò i suoi pensieri, prendendo il suo silenzio come un permesso per continuare «Non riesco ad andare avanti con questo dubbio nella mente.»
«Sakura… smet…» non riuscì a terminare la frase perché, in pochi secondi, Sakura lo aveva raggiunto e spinto contro la sua macchina, fiondandosi sulle sue labbra vorace e vogliosa.
Si sentì soffocare da quell’amore morboso e sulle prime non rispose al bacio, cercando di respingere quella lingua calda che si insinuava nella sua bocca, ma poi, all’immagine di Sakura, si sovrappose quella più calda e accogliente di una donna mora dalla pelle di latte. Per un attimo rispose al bacio, rallentando, con amore e dolcezza, proprio come avrebbe voluto fare qualche minuto prima.
E fu allora, spingendo via Sakura da sé, quando la verità – quella consapevolezza che da tempo ormai vagava nel buio tetro della sua mente – lo trafisse come un fulmine a ciel sereno, che capì che, molto probabilmente, stava diventando pazzo.
Pazzo di Hinata Hyuuga.




Note1: E' lo stesso lavoro di Sasori e, cito da Wikipedia, "
 è una figura professionale che si occupa della gestione dell'audio in ogni attività od evento che preveda l'utilizzo di microfonimixers, diffusori acustici, registratori, eccetera."

 


Angolo Autrice~
Ehem.
Chissà cosa penserete di questo capitolo... chissà se vi piace l'idea o la odiate... mi farebbe molto piacere saperlo!
Innanzitutto, mi scuso per la mia assenza. Sono stata imperdonabile, lo so bene, ma il blocco dello scrittore è difficile
da superare. E mentre cercavo di superarlo... è venuto fuori questo! Cosa ne pensate di questo Sasuke che si scopre
innamorato e di Hinata che sembra non accorgersi di nulla (ingenua!)? Mi piacerebbe molto saperlo, ripeto, perciò
vi invito a recensire, dato che anche voi siete stati spesso assenti (avete anche voi delle colpe u.u).
Detto questo, vi annuncio che tornerò a pubblicare ogni lunedì!
Alla prossima settimana!
 

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Capitolo 16
*** Bye bye mon amour. ***


Gli ultimi sognatori.
Occhi Paradiso.
Bye Bye mon Amour.
[Dire addio.]

[Ludovico Einaudi: Bye bye mon amour.]
Si sentiva confuso e incredibilmente male, mentre passeggiava intorno all’edificio, incerto sul da farsi. Il malessere l’aveva colto un secondo dopo la scoperta di essersi perdutamente invaghito dell’unica donna per cui non avrebbe mai dovuto provare qualcosa, e non l’aveva mai abbandonato, durante quella notte buia e incredibilmente fredda. Vagava senza meta alla ricerca di un perché, di un valido motivo per cui quella catastrofe aveva avuto la geniale idea di abbattersi su di lui: come diavolo aveva fatto a innamorarsi della fidanzata del suo defunto migliore amico? Non c’era risposta, era semplicemente accaduto; d’altronde, come era possibile non innamorarsi di cotanto splendore? Qualunque uomo su questa terra non sarebbe stato in grado di desistere a quell’attrazione fatale, cadendo inevitabilmente nella trappola mortale di quell’angelo demoniaco.
Un passo, un altro: fra il primo e quello successivo sembrano passare ore, tant’era confusione ad avvolgerlo; è difficile rimanere lucido quando sai di essere condannato per sempre, e questo, Sasuke, lo aveva appena scoperto. Continuava a camminare, cercando di ricordare il momento esatto in cui Cupido lo aveva folgorato, il motivo, il gesto, lo sguardo che lo aveva fatto innamorare – non riesce a trovare spiegazione alcuna, eppure sapeva per certo che l’unica che avrebbe desiderato baciare, per tutta la vita, rispondeva al nome di Hinata Hyuuga.
Una goccia d’acqua dolce gli bagnò il naso e allora alzò lo sguardo al cielo coperto da nuvole, cercando nella Luna offuscata una risposta alle sue domande – e fu quando un’altra goccia gli colpì la fronte che capì che non avrebbe mai ottenuto un responso positivo e pertanto era inutile continuare a inseguire qualcosa che non esisteva; solo una cosa c’era da fare: decidere come agire da quella notte in poi.
Devo farmi avanti?, si chiese Sasuke, che quasi inorridì al pensiero che proprio lui, Sasuke Uchiha, stesse formulando tali pensieri romantici, sarebbe giusto?
In un attimo gli balenò in mente l’immagine di un possibile futuro, qualcosa di spettacolare, e il solo pensiero fu in grado di scaldargli il cuore, lo stesso che era rimasto freddo e arido per ben ventisei anni: una casa non troppo piccola, arredata con gusto, con un immenso portico e un grande giardino sul retro, adornato da fiori e alberi, e poi loro – una Hinata sorridente stretta a lui, un Kurama bello, cresciuto, e felice al suo fianco, e una bellissima bambina con capelli neri, viso elegante e grandi, enormi occhi bianco angelo.
Smise di sognare ad occhi aperti quando si rese conto di essere completamente zuppo d’acqua, da cima a piedi, i vestiti fradici attaccati fastidiosamente alla pelle. Si voltò e, con passo più veloce, tornò sui suoi passi, quasi senza ragionare, completamente perso fra i suoi pensieri.
Sarebbe stato bello se quel futuro immaginato per un secondo avesse avuto possibilità di realizzarsi, ma una profonda consapevolezza si palesò nella sua coscienza: non era giusto.
Non lo era, perché quel posto non spettava a lui, ma a Naruto: innamorarsi della ragazza del proprio miglior amico era già oltraggioso di suo, figuriamoci se quest’ultimo era deceduto lasciando pure un erede. Era inconcepibile, e lui non si sarebbe mai permesso di violare la memoria del suo amato fratello in quel modo, né in qualunque altro. Era stato soltanto un errore, un incredibile errore dalle proporzioni universali, ma ancora non era successo niente di cui sentirsi veramente in colpa e, forse, sarebbe riuscito a dimenticarla.
Quando arrivò davanti alla porta dell’edificio aveva già preso la sua decisione: avrebbe rinunciato a lei. Avrebbe cercato di distrarsi, di non pensare a Hinata, almeno non in quel senso. Se la sarebbe tolta dalla testa e dal cuore, col tempo, prima o poi ci sarebbe riuscito.
Senza pensarci, ma agendo come un automa, rientrò silenzioso alla Moon’s eyes e in meno di un secondo fu davanti alla porta chiusa dell’ufficio di Hinata. Col cuore in gola, socchiuse lentamente l’uscio. Hinata riposava in quel letto rimediato stringendo a sé il figlio. Entrò in punta di piedi, serrando inconsapevolmente il respiro, e sistemò una sedia vicino al capezzale della donna.
La osservò, lievemente illuminata dalla luce lunare, soffermandosi sui lineamenti perfetti ed eleganti, la bocca rosea e piena delicatamente socchiusa, le lunga ciglia nere a formare due mezzelune, i capelli color notte sparpagliati in modo scomposto sul cuscino.
Era perfetta, non riusciva a pensare altrimenti, e l’amava profondamente. Se ne rese conto in quel momento, con una dolorosa fitta al petto: l’amava immensamente, come mai aveva fatto in tutta la sua vita, e sarebbe stato difficile separarsene, se non addirittura impossibile. Allungò una mano e le accarezzò il volto e i capelli, con dolcezza, premurandosi di non svegliarla. Si sarebbe concesso solo quella notte per dar sfogo al suo amore impossibile, poi l’avrebbe soffocato, avrebbe spento quel fuoco di passione gettandovi sopra un secchio d’acqua fredda. L’avrebbe amata, osservata, apprezzata, accarezzata, soltanto per poche ore, finché l’alba non avrebbe fatto chiarezza sulla realtà e su quell’affetto struggente.
«Ti amo, Hinata.»
Una lacrima scivolò via, inafferrabile.
 
«E’… bellissimo.» sussurrò stupefatto, rigirandosi l’oggetto fra le mani.
Ne osservò avidamente la copertina, cercando di catturare ogni dettaglio: la sigaretta accesa fra le labbra strette di Shikamaru, l’anello del drago argenteo che percorreva tutto l’anulare di Sasuke, il proprio orecchino all’orecchio destro e lo sguardo duro e cattivo, il lungo vestito di Hinata che lasciava scoperti le gambe e i tronchetti borchiati, la sciarpa arancione al suo collo a nascondere la profonda scollatura e infine due grandi e immensi occhi celesti in trasparenza sullo sfondo bianco.
L’album era uscito e dopo meno di un giorno le vendite erano colossali. Fra le sue mani, la prima copia di Origin, dei Post Apocalypse, riluceva nel suo splendore, meravigliandolo.
«Terremo la prima copia come ricordo.» annunciò Hinata «Non sarebbe male incorniciarla.»
«Potrai tenerla in ufficio.» concordò Shikamaru «Tanto ormai è diventato il luogo delle nostre riunioni.»
«Hai ragione.» Hinata sorrise, sinceramente felice «Non mi aspettavo un tale successo in così poco tempo. Sono tutti incuriositi dal nostro progetto.
»
«Molto presto i media faranno a gara per un’intervista.» ragionò il moro «E fra non molto sarà giugno, è tempo di organizzare un Tour.»
«Sì? E di chi apriremo il concerto?» chiese Kiba.
Qualcuno bussò alla porta e, poco dopo, Ten Ten entrò nella stanza.
«Hinata-san, sono arrivati altri dati.» annunciò, porgendole un plico di fogli e un bicchiere «E questo è il suo solito caffè.»
«Grazie, Ten, puoi andare.» la congedò, cominciando subito a leggere i risultati «Credo proprio che non ci serva una band a cui fare da spalla, anzi, quest’anno avverrà il contrario.» annunciò, felice «Abbiamo venduto le 50000 copie preventivate e le domande sono tantissime, dovremo produrre almeno altri 100000 album. I telegiornali parlano già di boom di vendite!»
«Oh, beh, allora dovremmo decidere in fretta le tappe del tour.» sciorinò Kiba, pensieroso «Io vorrei andare a Amsterdam, Praga, Strasburgo, Londra, Belgio…»
«Il Belgio è uno stato, Kiba.» precisò Sasuke, fino ad allora taciturno.
«Oh, dettagli.» minimizzò l’altro « E ovviamente dovremo avere qualcuno a farci da spalla! No?»
«A questo potrei pensarci io, se non vi dispiace.» affermò Hinata, in modo umile «Così potrei decidere di lanciare qualcuno della Moon’s Eyes. Va bene?»
«Certo.» concordò Shikamaru.
«Anche per me va bene.» disse Kiba.
I presenti si voltarono verso Sasuke, che quel giorno era particolarmente silenzioso. Ovviamente, noi sappiamo bene il perché. Erano passati appena cinque giorni dalla notte in cui aveva preso quella fatidica decisione ed era stato davvero difficile riuscire a mantenere i rapporti con l’oggetto del suo amore a livelli normali. Le aveva fatto una promessa: ci sarebbe sempre stato per lei. E ne aveva fatta una a Naruto: si sarebbe occupato di lei e Kurama. Ma era logorante, ogni volta che le si avvicinava sentiva di desiderare di più ed era quasi impossibile resistere alle tentazioni, soprattutto per uno come lui, che come unico meccanismo di difesa stabile usava rintanarsi in se stesso e tornare di pietra, freddo e cinico. Così si allontanava da lei, delle volte la evitava e quando erano nella stessa stanza si comportava come avrebbe fatto cinque anni prima, cercando di non farle notare il cambiamento. Ma sapeva perfettamente che Hinata sentiva qualcosa di strano nell’aria che dividevano, la tensione era palpabile e non sarebbe riuscito per molto tempo a tenere quella maschera e a mantenere quell’equilibrio totalmente instabile.  
«Va bene.» disse in quel momento, dopo un tempo indefinibile.
Hinata corrucciò le sopracciglia, una piccola ruga si intravide dalla sua frangetta e storse la bocca, sinceramente contrariata e preoccupata.
«Bene, so già chi potrebbe farci da spalla.» annunciò «Si tratta di una giovane artista, più pop rispetto a noi, ma con canzoni decisamente attraenti e carismatiche.» si fece pensierosa «Se non mi sbaglio, adesso sta registrando: potremmo andare a sentirla e decidere insieme se ci farà da spalla.
I tre annuirono e si alzarono in piedi, accompagnando Hinata fuori dalla stanza, a seguire in alcuni corridoi e, infine, nella sala registrazioni numero diciotto.
Quando entrarono, Ichiro era seduto sconsolato alla console e una bella ragazza rossa era impegnata a registrare una delle sue canzoni: “Carmen”.
Si muoveva a tempo, in modo sinuoso e malizioso, alternando una voce profonda a una più bambinesca; sembrava un’artista consumata, eppure era chiaro che avesse due o tre anni in meno di loro. Appena cantò l’ultima parola si tolse le cuffie in fretta e furia e uscì dalla sala registrazioni con un impeto che prima non le avevano riconosciuto.
«Per tutti i Kami! Sas’kè-kuuuun!» gridò, con voce stridula, fiondandosi su di lui, che indietreggiò spaventato alzando le braccia.
Non riuscì comunque a sfuggire alla sua morsa, poiché la rossa riuscì ad acciuffarlo e a stringerlo forte a sé, strofinando la testa su di lui come se fosse un peluche dolcissimo.
Nello stesso medesimo secondo, Hinata, Kiba e Shikamaru sgranarono gli occhi, impauriti come un cervo davanti ai fari di una macchina. Sapevano bene quanto poco Sasuke tollerasse effusioni e compagnia bella, figuriamoci se era da una perfetta sconosciuta che le riceveva. Probabilmente era una sua fan, il che era peggio… non sopportava quelle stupide ragazzine che scrivevano (o almeno tentavano) fanfiction su di lui, accoppiandolo magari con uno qualunque dei suoi migliori amici – una volta, Kiba lo aveva perseguitato per una settimana intera con una lettura di queste ultime: appena lo vedeva, tirava fuori i fogli e recitava con enfasi i versi di una fanwriter che parlava di loro due a… a fare cose sconce. Sasuke era rimasto scandalizzato – perché lui non riusciva nemmeno a immaginare cosa facessero due uomini, totalmente ignorante, e ipotizzò che la ragazzina si fosse fatta un po’ di cultura con i porno – e non perché si trattasse di due uomini, anzi, non gli importava, ma perché erano loro i protagonisti e, soprattutto, perché non riusciva a tollerare che qualcosa di così privato venisse rese pubblico – era uno fine, lui.
Fatto sta che tutto questo contribuì di gran lunga allo sguardo assassino che lanciò alla ragazza e gli altri tre temettero seriamente per la sua incolumità.
«Karin!» la richiamò con fare imperioso la produttrice «Allontanati subito da Sasuke! Come ti permetti?»
La ragazza si scostò di malavoglia sistemandosi gli occhiali con l’indice e guardandola come per dire: “E tu chi sei, il suo mastino?”.
«Il signor Uchiha non gradisce queste dimostrazioni d’affetto.» precisò, con tono severo «E’ possibile che tu ti sia appena giocata l’occasione della tua vita.»
Sasuke guardò la giovane donna con la coda dell’occhio. L’espressione dura e arrabbiata dipinta sul volto solitamente pacato di Hinata aveva qualcosa di strano. Che sia gelosa?, fu il primo pensiero che lo colse, quasi all’improvviso.
«Chiedo scusa, Hinata-sama.»
Il tono con cui lo disse e le sue labbra strette fecero capire a Sasuke che questa “Karin” era una tipa piuttosto testarda e orgogliosa, che difficilmente abbassava la testa con qualcuno, umiliandosi.
Se lo aveva fatto, era perché Hinata aveva un certo potere su di lei, e ammirò la mora affianco a lui, capace di imporsi e di farsi rispettare con una facilità unica.
«Che non si ripeta mai più.» decise la Hyuuga «Fra mezzora vieni nel mio ufficio.»
«Va bene, Hinata-sama.» acconsentì la rossa, lanciando un ultimo sguardo di fuoco al suo beniamino per poi osservarli uscire in corridoio.
«Mi dispiace molto, Sasuke.» disse la ragazza, tornando quella di sempre, mentre rifacevano la stessa strada di prima al contrario «Non è mai stato un segreto che Karin sia completamente folle per te: una volta mi ha addirittura confidato che ha cominciato a cantare per riuscire a conoscerti.»
«Addirittura?» chiese freddamente il moro, corrucciando le sopracciglia.
«Non scherzo.» arrivarono nell’ufficio e fece sedere i ragazzi davanti a lei, sedendosi a sua volta dall’altra parte della scrivania.
«Allora, che ne pensate?» chiese, titubante «Ovviamente, non considerate quello che è successo, ma solo il suo modo di cantare.
« A me piace, è accattivante.» dichiarò subito Kiba.
«Anche le musiche mi piacciono.» concordò Shikamaru.
«A me i testi non sono piaciuti affatto.» intervenne Sasuke «Sono privi di poesia.»
«Ovviamente non sono come i tuoi.» rispose Hinata, facendogli un complimento implicito «Non cercare qualcosa di simile a noi, non crearti aspettative enormi, sarebbe inutile.»
«Già! Nessuno è come noi! Non aspettarti la nostra genialità da altre persone!» esultò Kiba, sorridente.
«Se c’è qualcuno di geniale, qui, non sei sicuramente tu.» sbuffò Shikamaru.
Hinata rise «Beh, non è quello che intendevo, ma Kiba ha ragione!»
Quest’ultimo fece una buffissima linguaccia irriverente al Nara, che stavolta rise brevemente, divertito.
«Decidete voi, allora.» disse Sasuke, quasi completamente disinteressato.
Hinata storse la bocca, abbattuta. Non amava questo modo di Sasuke di estraniarsi dalle persone, anzi, non riusciva a sopportarlo. Non riusciva neanche a spiegarsi come tutto a un tratto Sasuke fosse tornato il freddo e cinico di sempre. C’era qualcosa che non gli tornava, ma no riusciva a capire dove fosse il problema.
«Quindi? Dove si va in Tour?» chiese Kiba, distogliendo l’attenzione di Hinata.
«Adesso ne parliamo.» rispose.
 
«Non c’è più nulla di cui parlare.» la sua voce risuonò arrabbiata, ma incredibilmente fredda e, forse, con una nota di stanchezza.
«Posso spiegare!» urlò lei, ben sapendo che ormai non c’era più nulla da fare. Lo dimostrò il modo in cui lui prese le chiavi, arrabbiato, e prima di aprire la porta le lanciò un ultimo e potentissimo sguardo deluso che fu capace di spezzarle il cuore in due parti ben distinte, con un sonoro crack  che Sakura riuscì a individuare al secondo neanche possedesse un fermo immagine interno.
«Che cosa, che per cinque anni hai detto di amarmi dicendomi per l’ennesima volta una bugia o il motivo per cui hai baciato di nuovo quell’integerrima testa di cazzo?»
«Sasori, io…!» lacrime calde cominciarono a bagnarle le guance, palesando la consapevolezza che ormai non c’era più niente da fare «Ero confusa, cerca di capire…!»
«Ah, certo, ti è bastato rivederlo per diventare improvvisamente “confusa”.» si avvicinò pericolosamente a lei, parlandole ad appena una spanna dal viso, alitandole addosso tutto il proprio odio «Io ho cercato di capire per cinque anni, Sakura. Cinque. Anni. Sono stanco di tutte le tue cazzate.»
Un singulto le sfuggì dalle labbra in automatico dopo aver sentito quelle parole, vere quanto crude. Lo aveva deluso e aveva deluso se stessa, non c’erano scuse, se non che quanto fatto fosse frutto di un istinto primordiale – anche detto sesto senso, provvidenza ecc – che l’aveva spinta ad agire in quel senso, seppur sbagliando, per sondare le proprie emozioni.
A quel suono, Sasori storse la bocca, quasi schifato, e tornò sui suoi passi, senza voltarsi, sbattendo la porta alle proprie spalle. Sakura riconobbe in quel rumore assordante il suono della sua vita in pezzi, distrutta, sfracellata come quella porta contro lo stipite. Un rumore che faceva ancora vibrare i muri e che per chissà quanto tempo avrebbe fatto tremare lei.
Scivolò sulle gambe vacillanti e si ritrovò inginocchiata a terra, priva di forze. Aveva rovinato la sua vita ed era stata unicamente colpa sua, perciò non aveva neanche la soddisfazioni di poter incolpare chicchessia per sentirsi meglio. Il danno l’aveva fatto lei e quella coscienza l’avrebbe corrosa dall’interno, finché di lei non sarebbe rimasto più nulla. In mezzo a quel vuoto, dentro di lei riusciva a distinguere il fuoco della colpa consumarla, bruciarla e farle male. Non sarebbe mai riuscita a liberarsi di quel fardello, mai, poteva solo sperare che col tempo il fuoco sarebbe soffocato. Non si rese conto di essere scoppiata in un mare di lacrime incontrollabile finché il trillare del suo telefono si palesò nella stanza. Si alzò a fatica e raggiunse il piano della cucina, dove il telefono sostava ormai da quella mattina. Lo prese tremante, quasi con la speranza che fosse Sasori, preoccupato per lei. Ma il nome che si illuminava sul display era più corto e, dopo una serie indefinita di squilli in cui rimase a fissare quel nome come morta dentro, rispose.
«Ino…?» chiamò appena, la sua voce stretta in un sussurro che le graffiò la gola riarsa, bloccata da quel groppo che non aveva intenzione di muoversi.
«Sakura, per tutti i Kami!» l’amica invece urlò, come sempre del resto «Sono giorni che ti chiamo mentre tu non ti fai sentire!» Devi venire assolutamente da me, adesso, prima che Shikamaru ritorni!»
«Cosa…» si interruppe, sentendo le proprie capacità intellettive affievolirsi e fare uno sforzo immane per formulare una frase di senso compiuto «Perché?»
«Te lo spiego appena arrivi.» rispose la bionda «Muoviti, è urgente.»
Ino chiuse la telefonata e Sakura, per qualche momento, rimase ferma come una statua, il telefono ancora all’orecchio e il distinto tututu che segnalava la via telefonica libera ritmico e preciso che raggiungeva il timpano. Poi abbassò il cellulare e lesse l’ora: le 16 e 30. Era passata più di un ora dalla furiosa litigata con Sasori. Chiuse gli occhi, stanca, e per senso del dovere – o forse per non avere qualcos’altro di cui sentirsi in colpa – andò in camera a cambiarsi per raggiungere la sua amica, indossando quello che le capitava fra le mani. A questo seguirono alcuni passi lenti fino al bagno, dove la ragazza riempì il lavabo con l’acqua fredda e, mentre attendeva che quest’ultima raggiungesse il bordo, guardò il suo volto stanco e pallido allo specchio. Fissò i propri occhi – li aveva sempre avuti così opachi? Gli appartenevano davvero? – ripensò alla disperazione acuta che aveva sentito quando Sasori aveva cominciato a preparare le valigie per andare via, gridando un «E’ stato lui a dirmi la verità, capisci? Lui! Si è pure scusato quando la stronza sei tu!».
Senza riflettere, infilò la testa nell’acqua fredda, in quell’oblio concreto che si era creata nella vana speranza di riuscire a non pensare – sentire – più a niente. Stette lì per un tempo che le sembrò infinito, aprendo e chiudendo gli occhi – senza riuscire a vedere nulla se non nebbia – e riemerse da quel liquido per nulla in grado di spegnere quel fuoco soltanto quando sentì il bisogno dell’aria, i polmoni sul punto di soccombere. Legò i capelli bagnati in una coda alta e uscì di casa prendendo le chiavi di casa e il telefono. Si rese conto di essere senza macchina quando non la trovò in garage – Sasori l’aveva presa per andare via. Decise di andare alla fermata del pullman che sarebbe passato di lì dopo appena dieci minuti, ovviamente in ritardo.
Camminava lentamente, sentendosi mortalmente stanca e incredibilmente sconfitta. Aveva combinato un bel casino, come al solito, che non riusciva proprio a risolvere. E pensare che credeva di essere maturata… certo, come un fico d’india al sole. Si detestava e si sentiva in colpa. 
Amareggiata, si chiese come tutti potessero andare avanti mentre lei rimaneva sempre la stessa ragazza bloccata sul posto.
Un vecchio autobus arrivò cigolando fermandosi a pochi metri da lei; le portiere si aprirono con un sonoro sbuffo. Era il suo, perciò istintivamente scattò in avanti ed entrò appena in tempo, spingendo in avanti un bambino con folti capelli rossi e sguardo acquamarina, che la guardò ferito. Le sembrò di riconoscerlo e per un attimo aprì la bocca, confusa. Poi si riprese, gesticolò imbarazzata e si assicurò che stesse bene.
«Scusa piccolo, ti ho fatto male?» domandò, accarezzandogli una spalla. Aveva più o meno l’età di Kurama.
L’autobus era affollato e solo in un secondo momento si rese conto che un uomo ben conosciuto si era avvicinato a loro, quando mise una mano sulla testa del bambino e si schiarì la voce per annunciarsi.
«Guarda, Masashi, la riconosci?» chiese, sorridendo appena «E’ Sakura, la zia di Kurama-chan.»
Sakura, a sentire quella voce, alzò lo sguardo sull’uomo e lo riconobbe subito: stessa folta capigliatura rossa, stessi occhi acquamarina, stessa pelle color sabbia del bambino, solo che l’uomo era molto più alto, aveva spalle larghe e possenti, un viso molto più serio che intimorisce quasi, ma i suoi occhi erano buoni. Era Gaara. Era molto che non lo vedeva e ancora non era abituata a sentirlo parlare un po’ più di prima – un bel cambiamento se si considera che un tempo solo lui era capace di farlo chiacchierare – , e suo figlio è cresciuto in fretta, per questo l’aveva riconosciuto difficilmente.
L’autobus sterzò e per non andare addosso nuovamente al bambino Sakura cercò di tenersi ad una maniglia poco distante mentre il sopracitato venne avvicinato con un gesto protettivo dal padre.
Hinata le aveva parlato spesso di loro, perciò sapeva perfettamente che il piccolo aveva poco più di quattro anni e che subito dopo la sua nascita, Gaara e Matsuri, la madre del bambino, si erano sposati in fretta e furia. Il bambino girava spesso in casa Hyuuga, inseparabile amico di Kurama, e quando Gaara andava a prenderlo e lei era presente – quelle rare volte – aveva letto negli occhi dell’amica una strana sorta di invidia: era difficile per lei vedere un padre e un figlio insieme così affiatati e affettuosi nei riguardi l’uno dell’altro senza ritrovarsi inevitabilmente a pensare che nella sua famiglia quella scena non si sarebbe mai vista e che suo figlio non aveva mai avuto un padre da cui farsi coccolare in quel modo. A quel pensiero, anche Sakura ebbe una fitta al cuore, comparando inevitabilmente quelle due chiome rosse a lei e a Sasori in un possibile futuro ormai con poche probabilità di realizzarsi. Solo in quel momento si accorse che Sasori era diventato tanto importante per lei da desiderare una famiglia con lui – qualcosa che con Sasuke non era mai accaduto – e che nonostante le reazioni a quelle relazioni distrutte fossero state completamente diverse, quel senso di vuoto e abbandono che provava adesso che aveva visto la sua immagine perfetta di famiglia sfumare era molto peggio della sensazione di non avere più un’anima, di non sentire nulla. Appunto perché la sua anima fluttuava ancora dentro al suo corpo il dolore era doppio, perché c’era, e la sofferenza gravava doppiamente sulle sue spalle.
«Come va, Sakura?» domandò Gaara, guardandola con un cipiglio leggermente preoccupato.
«Io… va tutto bene. » mentì, riprendendosi a stento dai suoi pensieri « E tu?»
«Bene.» rispose, mentre il suo sguarda si incupiva «Beh… è sempre difficile quando due persone che si amano si lasciano.»
A, ecco. Adesso si sentiva mortalmente imbarazzata. Sapeva bene della situazione particolare di Gaara – Hinata gliene aveva parlato con tristezza – che poi così tanto particolare non era. Prima che Gaara e Matsuri si sposassero, lei era totalmente innamorata di lui, lo venerava come un Dio, quasi. Dopo il matrimonio, invece, le cose erano lentamente cambiate. Matsuri aveva cominciato ad allontanarsi e i litigi si erano fatti sempre più frequenti e distruttivi. Solo alla fine era emersa l’insofferenza per calunnie che la gente lanciava su di lei e la sua famiglia – perché una così brava ragazza aveva osato imparentarsi con uno la cui sorella era una delle più famose prostitute della città. Matsuri era stressata e continuava a litigare con la propria famiglia e con quella Sabaku No. Un bel giorno aveva radunato le sue cose in una esigua valigia ed era andata via di casa, lasciando il figlio a Gaara, che difficilmente si divideva fra lui e il lavoro al bar. Per quanto ne sapeva, le pratiche per il divorzio erano ancora in corso.
«Ti capisco bene.» rispose finalmente Sakura, con un sorriso amaro dipinto in volto.
«Vai da Hinata?» chiese Gaara dopo qualche secondo, cercando di cambiare discorso.
«No, vado da Ino.» chiarì lei, abbassando lo sguardo per parlare al bambino «Tu invece vai da Kurama-chan?»
Il bambino annuì, sorridendo entusiasta.
«Lo sto portando da Hinata proprio adesso.» spiegò il padre «Mi fa il favore di tenerlo da lei stasera.»
«Capisco.» mormorò appena, accorgendosi di essere arrivata alla sua fermata «Io devo scendere qui. A presto, Gaara. Ciao, Masashi.»
Sorrise ai due e appena le porte dell’autobus si aprirono con il solito sbuffo scese con un balzo. Si voltò e vide i due salutarla con la mano, così lei contraccambiò, accennando ad un sorriso. Poi si incamminò verso casa Nara, nel cuore soltanto un’infinita amarezza causata dai pensieri che quell’incontro l’aveva portata a fare, ovvero la sua famiglia immaginaria con Sasori.
Un passo dietro l’altro, si chiese cosa esattamente l’avesse portata a fare l’errore più grande della sua vita. Sentiva di non poter continuare con la sua vita senza fugare quel dubbio, senza mettere a tacere quella voce nella sua testa che continuava a ripetergli: «Con Sasuke andrebbe così, con lui sarebbe diverso…». L’istinto le aveva ordinato di debellare sul nascere ogni suo e se… in modo da prendere una decisione definitiva sul suo futuro. Ma aveva agito nel modo sbagliato e adesso, quel futuro che non sapeva di desiderare con Sasori, era sfumato prima ancora di immaginarlo. Se possibile, si sentiva come sottoterra.
Casa Nara non era grande, ma neanche troppo piccola. Era una casa accogliente, di quelle calde e luminose che ti fanno pensare alla famiglia, leggermente disordinate da ricordarti che qualcuno lì ci viveva, con i piatti sporchi a mollo nel lavabo. Sakura non ci era mai stata prima che Ino si fosse trasferita definitivamente lì, quindi non sapeva se in tutto quel caos/ordine ci fosse lo zampino dell’amica, ma in quei cinque anni ci era stata abbastanza da conoscere le loro abitudini, gli orari del bucato e le battute che contraddistinguevano i litigi fra i due per decidere a chi toccasse lavare il bagno. Sapeva che era facile trovare il giornale in soggiorno con accanto una boccettina di smalto, che in un piccolo angolo della cucina c’era una conserva di cioccolato di tutti i tipi di cui usufruiva solo Ino e che, in camera da letto, sullo specchio del comò dove si sistemava, truccava, pettinava e profumava, c’era ancora una scritta che diceva “Ti amo, Mendokuse” fatta da Shikamaru, per farsi perdonare in uno dei tanti momenti isterici in cui lei non voleva neanche essere avvicinata, con il suo prezioso rossetto rosso – che ovviamente era stato costretto a ricomprare – che la bionda non aveva mai avuto il coraggio di cancellare, troppo intenerita dal gesto.
Perciò, quando entrò in casa utilizzando la chiave di scorta sotto allo zerbino – una cosa troppo comune per appartenere alle abitudini dei due, ma fatto sta che entrambi perdevano sempre le proprie e che quello fosse l’unico luogo che riuscissero a ricordare – non si stupì nel trovare l’amica seduta sul divano, con le gambe poggiate sul tavolino pieno di carte e le unghie ben smaltate avviluppate attorno a un cucchiaio di gelato. Ciò che invece la sorprese, anzi, la sbalordì, fu che Ino era ancora in pigiama. Con i capelli in disordine. Sacrilegio!
«Ino!» accorse, prendendo subito a toccarle la fronte madida «Stai bene?»
«A parte il fatto che ultimamente mi viene sempre da vomitare?» domandò retoricamente l’amica, con una voce che sembrava appena riemersa dal mondo dei morti «Benissimo.»
«Forse hai un po’ di febbre.» constatò la rosa «Gira un brutto virus da un po’ di tempo a questa parte.»
«Non credo.» bisbigliò la bionda , guardandola con occhi grandi e opachi «Ho un ritardo.»
«Oh beh, potrebbe essere dovuto a questo virus.» asserì l’altra, controllandole il battito cardiaco attraverso il polso «Dicono che è davvero potente.»
«Ho detto di no, Sakura.» imprecò fra se e se, fulminandola con gli occhi «Fa due più due! Ho un ritardo, vomito ogni giorno… devo farti un disegnino?»
«Ma che…» all’improvviso capì «Oh.» le si avvicinò sbigottita, come per non farsi sentire da nessuno, anche se erano sole in casa «Ma non usate, sai… un’anticoncezionale
«Temo di aver dimenticato la pillola.» disse la ragazza, per poi precisare «Più di una volta.»
«Oh.» di nuovo «Credo che dovresti fare un test allora, vado subito a comprarlo.»
«Già fatto, è in bagno.» disse la bionda, cambiando espressione, improvvisamente con occhi sgranati e impauriti «Ma sai, non ho il coraggio di… ormai è lì da mezzora.» 
«Va tutto bene, Ino-chan.» le sorrise amorevole, accarezzandole i capelli «Adesso ci penso io a te.»
                                                     
Non riesce a capire perché è stata improvvisamente allontanata. Sa perfettamente che è questo che sta accadendo: Sasuke la allontana da sé, dai propri pensieri, dalla sua vita, dal suo cuore. E non sa spiegarselo. Non riesce a trovare qualcosa per cui giustificarlo, un errore, un enorme sbaglio che può averlo deluso. Non ci riesce. Forse gli ha chiesto troppo. Forse quel suo chiedergli di esserci sempre per lei era troppo. O forse ha sempre avuto ragione sua sorella, che diceva sempre che gli uomini sono dei farabutti capaci solo di scappare quando vedono che gli chiedi troppo. E’ arrabbiata, Hinata, arrabbiata e delusa e non sa spiegarsi tutta questa frustrazione che sente. Ci sta troppo male, è un dolore eccessivo per una persona a cui ti sei legata amichevolmente.
Pigia le dita sui tasti, ritmicamente, lasciando scorrere il proprio dolore sul pianoforte. Va e viene, le emozioni si affievoliscono cercando un motivo, poi tornano incalzanti e forti, come i suoi sentimenti: sembra un oceano, freddo e mosso.
Hinata non sa che, alle sue spalle, più precisamente dietro alla porta della sala musica, qualcuno soffre e dispera come e più di lei. Addirittura, mentre sente quella rabbia feroce cercare appiglio fra tasti d’ebano, pensa che quell’addio è troppo cruento e un’altra lacrima scorre solitaria.
Ma Sasuke ha preso una decisione da cui non si può tornare indietro facilmente. E’ quella giusta, anche se fa male. Ripensa a quell’amore mai sbocciato e a quegli abbracci che gli hanno ridonato la vita. La musica del pianoforte lo invade e gli spezza il cuore, o almeno crede che sia colpa sua. Sussulta.
Good bye mon amour.
 
 



 

Angolo Autrice~
Eccomi qui! In ritardo di un giorno, lo so, ma dovevo scrivere una certa cosina per un certo concorso... vabbè!
Allooooora capitolo mooooolto lungo. Canzone senza testo, si ritorna agli sfoghi di Hinata al piano: è grave.
Spero che i pensieri pesanti di Sasuke e Hinata non vi abbiano pesato troppo e che siano stati smorzati a dovere
dai siparietti che ho inserito qui e lì. Spero che mi farete sapere se vi è piaciuto!
With love.

 

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Capitolo 17
*** Ascolta. ***


Gli ultimi sognatori.
Occhi Paradiso.
Ascolta.
[ Maschere a teatro.]

 
[Ludovico Einaudi: Ascolta]



«Ti amo, Hinata.»
La sua voce la fa vibrare, sa perfettamente a chi appartiene, anche se tutto ciò che può vedere sono soltanto due immensi e grandi occhi blu che la trasportano in un oceano di speranze – inconfondibili.
«Perché lo fai?» le chiede, e a questo punto il suo sguardo si incupisce «Perché ti sei innamorata di un altro? Perché non mi ami più?»
Il respiro le si mozza in gola e vorrebbe solo urlare che non è vero, che lo ama da impazzire e non ha mai smesso, ma le corde vocali graffiano la gola e dalla bocca esce solo un suono strozzato.
Il suo sguardo celestiale, a questo punto, si riempie di lacrime.
«Io per te morirei, Hinata.»
 
Spalancò gli occhi spaventata e si mise a sedere di soprassalto. La paura che le scorreva sotto le vene era come adrenalina e le fece venire la pelle d’oca, quindi l’epidermide era tanto sensibile che rabbrividì nel sentire l’umido del sudore contro la fronte, appena sfiorata. L’incubo ancora le scorreva nella mente, abbastanza a lungo da lasciarsi avvolgere in una coltre di tristezza. Lei, innamorata di un altro? Era impossibile e lo sapeva bene, ma qualcosa le suggeriva che quello non era stato un semplice sogno.
Era frustrata, mentalmente. L’unica cosa che vorrebbe fare davvero era alzarsi e andare in piena libertà dal figlio, ma non poteva. Con lui dormiva il suo migliore amico, il figlio di Gaara, e non potrebbe mai andare lì e svegliarli per il proprio egoismo. La verità era che quando ha un brutto sogno, oppure accade qualcosa che irrimediabilmente le mette tristezza e nostalgia, era abituata a raggiungere Kurama in punta di piedi e a stringerlo a sé durante la notte. In una famiglia normale, erano i bambini a fare ciò – e a volte accadeva, a volte sembrava di poter ancora essere una famiglia normale – ma Kurama non aveva mai obbiettato, non aveva mai fatto domande. Si lasciava cullare nonostante non fosse lui quello bisognoso di premure, non faceva domande, ascoltava in silenzio i fremiti e singhiozzi strozzati della madre e, quando le circostanze lo chiedevano, si voltava e asciugava in un silenzio rispettoso e affettuoso le lacrime della donna più bella e triste che avesse mai conosciuto. Suo figlio era intelligente, non avrebbe mai smesso di dirlo, capiva al volo le persone e aveva un cuore grande e pieno d’amore, come suo padre. Ma non sarebbe entrata in camera sua, stavolta. Non poteva sottrargli anche quegli attimi di serenità fanciullesca che gli appartenevano, né metterlo in imbarazzo davanti al suo migliore amico. Non se lo sarebbe mai perdonato.
Buttò lentamente le gambe fuori dal materasso e accarezzò con le dita dei piedi il parquet appena riscaldato. Si alzò stropicciandosi un occhio e percorse i pochi passi che la separavano dal bagno a tentoni, il buio della notte ancora ad avvolgere la stanza nel silenzio. Accese la luce della stanza, ma non osò neanche guardarsi allo specchio, troppo intimorita: non aveva nessuna voglia di trovarsi faccia a faccia con la  personificazione della sua anima distrutta e martoriata. Si tolse il pigiama lasciando che scivolasse a terra e, incurante, s’infilò della doccia. Mentre il getto forte e perpetuo dell’acqua le accarezzava la pelle, si ricordò di quando, appena prima del funerale, aveva fatto la doccia immaginando i tocchi del suo amato su di sé. Lo aveva sentito vicino. Davvero. Come se la sua anima fosse stata davvero lì, ad accarezzarla e incoraggiarla, a prendersi cura di lei in modo da affrontare quella giornata al meglio. In quei giorni non ci aveva fatto particolarmente caso e si chiese se fosse soltanto la sua immaginazione a farle brutti scherzi. Ma una parte di lui riviveva in lei già da qualche settimana, quindi non era del tutto insensato pensare che lui non l’avrebbe mai abbandonata. Forse.
S’insaponò i capelli decisa a non pensarci, ultimando la doccia in poco tempo. Appena uscita, ancora una volta passò davanti allo specchio cercando di non incrociare il proprio sguardo. Non si asciugò i capelli, né frizionò il proprio corpo per tamponare la pelle. S’infilò l’intimo – con il vago ricordo di quanto fosse bello toglierselo, per lui, cercando inutilmente di scacciare il pensiero – e si coprì con un’altra maglietta lunga, stavolta di suo acquisto. Si mise a sedere nella scrivania della sua camera e decise che, per passare il tempo, avrebbe lavorato un po’. Lesse qualche resoconto mensile, revisionò i documenti del contabile, sistemò i dettagli per dei tour di alcuni suoi artisti. Più volte perse la concentrazione e, a un certo punto, si tolse gli occhiali da riposo e si massaggiò le palpebre. Poi guardò l’orologio vintage sistemato nell’angolo a sinistra, un regalo di Ino. Segnava le quattro meno un quarto. Il tempo sembrava non voler passare mai. La verità era che non vedeva l’ora che fosse l’ora di alzarsi, in modo da tornare ad essere madre, sorella e amica e quindi avere persone attorno, di cui occuparsi, per non pensare. Desiderava ardentemente non pensare esattamente quanto desiderava essere capita. Sentiva il bisogno di calore umano, di un abbraccio comprensivo, d’affetto. Le venne in mente di chiamare Sasuke, forse anche lui non stava dormendo. Un secondo dopo si ricordò del fattaccio: lui l’aveva allontana, per chissà quale motivo. Erano giorni che quasi la evitava. Eppure lui era diventato in breve tempo il suo migliore amico, l’unico con cui confidarsi, l’unica a capirla. Non che non avesse altre persone, certo, ma per cinque lunghi anni era stata la preoccupazione costante nella vita dei suoi amici e non tollerava di dargli altri pensieri. Preferiva mostrarsi serena, tranquilla. Instancabile. Anni con gli Hyuuga alla fine erano serviti a qualcosa: indurire la maschera fredda ed inespugnabile che si calava sul viso.
Un’ottima bugiarda. Esattamente come Sasuke, che l’aveva allontana nonostante le avesse promesso di starle vicino.
Osservò con disgusto la sua scrivania, sormontata da documenti su documenti, fogli e CD ovunque. Per distrarsi, decise che avrebbe messo in ordine. Cominciò con lo svuotare tutti i cassetti, fino ad arrivare all’ultimo, quello chiuso a chiave. Non l’avesse mai fatto. Appena vide il contenuto del cassetto più basso, raggelò sul posto. Lì c’erano le lettere e i diari. Quelli di Naruto, che le aveva lasciato. Quelli che non aveva mai avuto il coraggio di leggere.
«Onee-san?» mormorò una voce, bussando lievemente sulla porta socchiusa.
Di scatto, Hinata chiuse il cassetto, proprio mentre Hanabi entrava, reggendo nelle mani due tazze fumanti.
«Tutto bene?» chiese, appoggiando il tutto sulla scrivania dove si appoggiò con i reni «Ho sentito che eri sveglia e sono passata a controllare.»
«Sto bene.» le sorrise «Anche per te è tardi.»
«Sì, lo so.» il suo sguardo si fece incerto « Beh, Kiba…» non seppe come spiegarsi, ma sapeva che Hinata aveva capito «Così sono scesa a fare un po’ di cioccolata calda.»
Ebbe appena il tempo di pensare a quante volte aveva ponderato l’idea di andare tutti insieme da uno psicologo dato che tutti ne avevano bisogno, che si ritrovò davanti una tazza fumante, piena di cioccolata fino al bordo, con un ricciolo di panna enorme e un cucchiaino che stava lentamente sprofondando, sorretto dalla mano della sorella.
«Tieni, so che ti piace.» la mano si mosse appena, verso di lei.
Hinata prese la tazza fra le sue mani, incerta, la mente annientata da ricordi malinconici.
La prima volta che aveva aperto il suo cuore a Naruto, era stato davanti a una tazza di cioccolata calda. Aveva paragonato lei e lui alle bevande che stavano sorseggiando, rispettivamente cioccolata calda e caffè. Quanto era stata sciocca e cieca. Non era vero che Naruto vedeva in bianco e nero: il suo mondo era pieno di colori. E proprio lei che si era lasciata andare a quelle parole, descrivendo il proprio stile di vita da ottimista, adesso era caduta nell’oblio più buio. Un luogo che riservava solo neri, per lei. Di colpo, cominciò a piangere. Sentì che avrebbe avvertito la mancanza del suo Naruto per sempre. In quegli anni, non si era mai placata.
Hanabi la avvolse fra le sue braccia, profondendosi in mille scuse. Sinceramente preoccupata.
 
«Buongiorno, ‘kaa-chan!» la voce strillante ed entusiasta di suo figlio la svegliò dopo quello che le era sembrato un secondo solo.
Il corpo intorpidito difficilmente tornava alla veglia e, dopo quello che forse era stato un minuto, riuscì a riappropriarsi del senso del tempo e dello spazio. Sollevò il capo scostando da sé le coperte: la sera prima, probabilmente stanca e insonnolita, si era infilata a letto aiutata quasi sicuramente dalla sorella. Non se ne ricordava neanche.
«Ehi, birba.» poggiò i piedi a terra e si chinò per accarezzare i capelli di suo figlio «Buongiorno.»
Con la coda dell’occhio osservò l’orologio sulla scrivania: erano già le otto e un quarto. Molto grave in caso di giorno lavorativo, meno se era domenica, come quella mattina. Ma era comunque una madre, e in quanto tale aveva dei precisi doveri, come non far preoccupare suo figlio e dimostrarsi sempre libera e disponibile con il suo amico di giochi. E, ovviamente, affiliato a quest’ultimo dovere persisteva il bisogno di dimostrarsi serena e tranquilla con il padre del piccolo.
«Me lo dai un bell’abbraccio?» non resistette proprio però a usufruire della sua abituale medicina, perciò spalancò le braccia, dove il figlio si buttò con un risolino.
Lo strinse a sé, alzandolo per metterlo sulle proprie gambe, e si beò di quel contatto pieno d’amore disinteressato e dell’odore delicato e fanciullesco del figlio. Le sembrò in grado di rigenerarla.
«’kaa-chan?» chiamò il bambino, accarezzando un ciuffo di capelli con la sua piccola mano «Vieni a mangiare?»
«Sì, adesso arrivo, tesoro mio.» lo lasciò andare a terra e si alzò per osservarsi allo specchio della camera, dove cominciò a pettinarsi e a coprire le occhiaie «Devo solo sistemarmi, tu va.»
«Aspetto.»
Delle volte aveva la sensazione che suo figlio fosse iperprotettivo con lei. Esitava a lasciarla sola, ad allontanarsi da lei. Forse, temeva per un suo abbandono. Ciò le riempiva il cuore di tristezza.
Finì di sistemarsi e tornò dal bambino, inginocchiandosi vicino a lui, in modo da essere alla sua altezza.
«Tesoro mio?» lo chiamò, dandogli un bacio sulla guancia paffuta «Ti voglio bene.»
Il bambino negò brevemente col capo.
«Si dice ti amo, ‘kaa-chan.» rispose, indispettito, con la sua voce fanciullesca.
Hinata sorrise, stupita, ed alzò un sopracciglio.
«E chi te lo ha detto?» chiese.
«’suke’ji’chan dice che quando tieni tanto ad una persona, la ami.» affermò fiero Kurama, sorridendo con tutti i dentini che possedeva.
«Oh.» quel suono le uscì dalla bocca, incontrollabile. Un senso di vuoto le occupò il petto e non seppe come spiegarselo.
Si alzò, prendendo per mano il figlio e seguendolo di sotto, in cucina. A metà scala, quando fu visibile la cucina, Hinata osservò Hanabi sbuffare arrabbiata, mettendo le mani strette a pugno sui fianchi, come una grande matrona.
«Signorino Kurama Uzumaki Namikaze » recitò, con voce imperiosa «Ti avevo detto di non andare a svegliare tua madre!»
Kurama gonfiò le guance, scusandosi debolmente, e Kiba, seduto all’isola a gustarsi la sua ciotola di latte e cereali – che non erano esattamente suoi, dato che era una colazione per bambini – quasi sputò tutto ciò che c’era nella sua bocca sbottando in una sonora risata, che contagiò anche il più piccolo fra loro, il giovane Masashi.
«’ji-chan!» lo rimproverò il piccolo Uzumaki, imbarazzato.
«Ah ah, ti ha sgridato!» affermò Kiba, imitando un personaggio dei Simpson che spuntava sempre al momento giusto*.
«E zitto tu, cane!» tuonò Hanabi, dando uno scappellotto al fidanzato, che per poco non finì col viso nella ciotola.
Hinata rise per la scena tragicomica e osservò il figlio piena d’amore, mentre cercava di arrampicarsi sull’alto sgabello da solo – perché quando c’era il suo amico, non poteva metterlo in imbarazzo aiutandolo! Proprio in quel momento, il campanello suonò, prepotente, e Hinata non poté finire di gustarsi il piagnucolio sommesso di Kiba e le risate generali, dovendo sottrarsi ai suoi parenti per raggiungere l’ingresso. Appena raggiunto quest’ultimo, Hinata aprì la porta di scattò, senza premurarsi di chiedere chi fosse – fiduciosa, come sempre – e si ritrovò davanti un altro paio di occhi acquamarina e capelli rossi.
«Ohayò, Gaara-kun!» salutò, assicurandosi di mostrare un solti abbastanza credibile «Benvenuto!»
«Buongiorno, Hinata.» ricambiò l’altro, più ermetico, ma non più così freddo nei suoi confronti «Come stai?»
Strinse subito la mano dell’altro, tesa verso di lei, ma non fu così ferma nel formulare una risposta. Era qualcosa che la lasciava sempre un po’ interdetta, quel “come stai” detto per consuetudine e non per un vero interessamento, nonostante nei primi mesi, nel primo anno, la premura e l’ansia nei suoi confronti era persistente quanto fastidiosa – e la faceva sentire colpevole di un dolore inferto agli altri, di un dispiacere che non voleva infierire. Come stai?, chiedevano tutti, guardandola con occhi grandi e pronti a recepire ogni minimo segno di caduta; Il mio cuore è straziato e l’anima urla, incontenibile, le suggeriva il muscolo cardiaco stressato e fremente sotto al suo sterno; bene,  era la risposta più ovvia, più sensata, eppure così falsa.
«Sto bene.» bugiarda – ancora «E tu, Gaara?»
«Un po’, stanco, grazie.» rispose lui, facendosi strada in una casa ormai ben conosciuta «Stanotte c’era il pienone al pub. Masashi si è comportato bene?»
«Come un angelo.» affermò candidamente Hinata, anticipandolo in cucina, dove venne accolto da un coro di saluti e dall’abbraccio affettuoso del suo bambino «Ti siedi a fare colazione con noi?»
«Prendo volentieri un caffè lungo.» accettò il rosso, rimettendo a sedere il figlio e incitandolo a continuare la sua colazione «Ho visto in Tv che state diventando famosi!»
«E certo, siamo grandi!» esultò Kiba, battendo la ciotola con il cucchiaio «Hai comprato un nostro album, vero?»
«Sì, Kiba, l’ho fatto.» il tono doveva essere probabilmente irrisorio, ma era suonato comunque serio e pacato «In effetti, mi chiedevo se avevate voglia di suonare da noi, qualche volta.»
« Oh sì, sì!» Kiba era euforico, tanto che, alzando in aria le braccia per gioire, finì per schizzare la fidanzata con del latte contenuto nel suo cucchiaio, impugnato saldamente, a cui conseguì un sonoro ceffone.
«Piano con le promesse, Kiba.» lo rimproverò Hinata, dall’altra parte dell’isola, porgendo poi una tazza fumante all’ospite « A dire il vero, Gaara, fra qualche giorno partiremo per il tour. Nonostante dal nostro esordio non siano passate molte settimane, le richieste sono state tante e partiremo per un lungo tuor internazionale, che durerà tutta l’estate.» inspirò, facendo un breve sorriso all’uomo «Perciò credo che, se l’invito sarà ancora valido, suoneremo da te intorno ad ottobre.»
«Va bene qualsiasi data, anche fra dieci anni.» concordò Gaara.
Il campanello suonò nuovamente, e così Hinata dovette assentarsi ancora una volta. Non notò la scintilla nello sguardo di Gaara, né il suo tono improvvisamente più dolce, cosa del tutto inusuale su di lui. Ma un’altra giovane Hyuuga, invece, notò tutto questo e non riuscì ad evitare la smorfia di disgusto che si era dipinta sul suo volto tanto in fretta da arrivare prima del motivo stesso: Gaara stava facendo la corte a sua sorella maggiore. Non che questo fosse un male, certo, più volte aveva sperato per la sorella un nuovo amore, diverso, semplice, che la rendesse felice. Un fidanzato, un matrimonio, altri nipoti, non una vita in solitudine. Ma Gaara… Gaara stava divorziando. Il che voleva dire che era ancora sposato. E… era uno dei migliori amici del defunto primo amore di Hinata. Ciò la disgustava e proprio non riusciva a trovare qualcosa di buono in una futura unione, accecata dal disprezzo.
Cercò di concentrare i pensieri su qualcos’altro, soprattutto quando vide il nuovo arrivato abbracciare Hinata e affidargli un pacchetto, per poi seguirla fino alla cucina, dove venne assalito da Kurama, che gli saltò addosso, urlando un sonoro “ji-chan!”.  Sorrise appena, alzandosi per sparecchiare la sua colazione e fare così posto, quando venne raggiunta dall’ospite, che la salutò con un bacio sulla guancia.
«Ciao, Neji-nii-san.» lo salutò, ricambiando il bacio, per poi sorridergli irrisoria «Sei venuto per piazzare le tende qui come ogni domenica?»
Lui non rispose all’accusa, anzi, fece finta di non sentire «Ho portato il dolce.» mormorò.
Hanabi rise, servendogli un bicchiere di spremuta, quando i suoi occhi vennero intrappolati da qualcos’altro.
«Che succede?» chiese Neji, guardando dalla stessa parte.
Davanti a loro, mentre Hinata sistemava il dolce nel frigo a qualche metro dalla combriccola, Gaara si era avvicinato alla ragazza, con cui adesso parlava sommessamente. Hinata spalancò gli occhi, stupita.
«Temo che Gaara le stia chiedendo un appuntamento.» sussurrò Hanabi, senza smettere di guardare i due.
«In che senso?» rispose Neji, confuso «Vuole incidere un disco?»
«No, baka-nii.» lo contraddisse la mora, stizzita «Appuntamento romantico, davanti a una bella cena, per stare insieme. Sai, come vorresti fare tu con l’assistente di Hinata, anche se non ne hai le palle.»
«Hanabi!»
La risposta stizzita fu abbastanza alta da concentrare l’attenzione su di loro, compresa quella dei due giovani appartati. Hanabi sorrise in modo quasi malefico, prima che il campanello suonasse, ancora.
«’nee-san, vai tu?» chiese, ad alta voce, in modo che la sorella potesse sentirla.
Quest’ultima annuì – con uno sguardo decisamente strano in volto – e si defilò, rendendo riuscito il piano della minore di allontanarla dal rosso.
Ancora frastornata, dopo qualche minuto, Hinata aprì la porta, continuando a pensare “cosa cavolo sta succedendo?”, confusa su quanto appena accaduto. Fortuna che Hanabi l’aveva salvata da dare una risposta – un rifiuto. Mentre questo pensiero transitava ancora indisturbato nella sua mente sconvolta, si rese conto con un secondo di ritardo che, davanti a lei, sull’uscio, Sasuke la guardava, dall’alto della sua statura. Né osservò minuziosamente la figura, cercando di capire se fosse un’illusione quella che aveva ad appena un metro, e così notò i lunghi jeans neri e stretti, la maglietta nera con una scritta arancione che recitava “Io sono (d)Io”, e due profonde occhiaie scure, nere anch’esse, sotto lo sguardo vacuo e buio interessato a lei.
«Disturbo?» la voce le arrivò alle orecchie con la stessa forza imperiosa di un tuono, nonostante fosse stata pronunciata con freddezza, tanto da risvegliarla dal suo stato d’incoscienza.
«Certo che no, anzi.» si spostò, permettendogli di entrare e di cacciarsi le scarpe «Fra un’ora ti avrei chiamato per invitarti a pranzo. Ti fermi qui?»
«Sì, grazie.» rispose, dopo un attimo di titubanza, afferrando le pattine che Hinata gli porgeva «Come stai?»
Le sfiorò appena le dita, per sbaglio, e guardò la propria mano sottrarsi al tocco come ustionata con occhio clinico, come se non gli appartenesse, e quasi la disprezzò – osava rifiutare una sua carezza, nonostante desiderasse molto di più. Alzò lo sguardo e incontrò quello di lei, fisso al suolo, immancabilmente triste. Avrebbe voluto attirarla a sé e abbracciarla, dargli conforto, anche se non ne era capace, ma non lo fece. Anche soltanto un contatto fugace, uno sguardo, era capace di farlo vacillare, cadere, sottraendolo alla sua volontà di rinunciare a quell’amore impossibile. Il suo senso di colpa cresceva ogni giorno di più, biforcandosi in due direzioni: Naruto, a cui neanche dopo la morte sarebbe stato capace di sottrarre qualcosa, o qualcuno, e Hinata, la ragione per cui la sua vita continuava ad esistere, lasciata in un angolo, abbandonata, sottratta al suo aiuto, alla promessa di superare tutto insieme.
«Sto male.» la voce un sussurro, due occhi candidi e tremanti puntati su di lui.
Avrebbe voluto mandare al diavolo tutti i suoi patemi, tutto il suo dolore, tutte le sue promesse e stringerla, abbracciarla, baciarla.  Fuggire via con lei, anche se inutilmente: il senso di colpa non lo abbandonava neanche nei suoi sogni. Non sopportava più fingere che lei non esistesse, di non provare niente, far credere a tutti di essere insensibile mentre dentro il suo cuore veniva abilmente sfilettato e accartocciato come nelle sapienti mani di un macellaio. Macellato. Si sentiva macellato. E fingere era diventato insostenibile.
Alzò una mano e lentamente saggiò la pelle candida e setosa della sua guancia, la accarezzò dolcemente, e con il pollice gli sembrò quasi di riuscire a palpare la tragica via segnata dal passaggio delle sue lacrime, dove dopo meno di un secondo una vi si pose, ribelle. Si scoprì stupito di notare la realtà di quella goccia, concreta e umana. Non sapeva che gli angeli potessero piangere.
Ma c’era Naruto. C’era sempre, era ovunque, in ogni dove, in ogni cosa, in ogni persona. C’era Naruto, e lo guardava, e soffriva a causa sua. Ritrasse la mano.
A quel gesto, un’altra lacrima scivolò via, seguita da un’altra, e un’altra ancora, più veloce. Sempre la stessa strada da percorrere.
«Perché mi lasci sola, Sasuke?» la voce timida, quasi increspata dalla rabbia, e le sue mani a scacciare via con forza quelle lacrime che la disonoravano.
Perché ti amo. Dirglielo?
«’kaa-chan?» un richiamo, tra il divertito e il preoccupato «Dove sei, okaa-chan?» un risolino «Giochiamo a nascondino?»
Gli occhi grandi di Sasuke si sgranarono, mentre assistevano alla trasformazione: una giovane donna, fragile e insicura, si ricompose in piccoli pezzi, asciugando le lacrime, sistemando i capelli, scacciando via dalla pelle il calore di una mano estranea, trasformandosi in una madre forte e amorevole.
«Certo, birba, fra poco.» affermò, allontanandosi dall’ingresso «Sono qui.»
E lui, come un automa, la seguì, stupendosi di dover abituare gli occhi alla luce diversa del soggiorno.
«’ji-chan!»
Kurama, con le sue piccole manine, tirò un lembo dei suoi pantaloni, per poi flettere le braccia verso di lui. Si abbassò al suo livello e gli accarezzò i capelli, guardandolo negli occhi azzurri – un’altra coltellata brusca inferta al suo già malandato cuore.
«Ciao, ometto.»
«E lui cosa ci fa qui?» una voce imperiosa, cattiva, riecheggiò nell’aria. Alzò gli occhi, riconoscendo subito il padrone di quel fastidioso rumore: Neji.
«Potrei farti la stessa domanda, Caino*.» rispose, alzandosi nuovamente in piedi.
«Stro..»
«Calmatevi!» tuonò Hinata, perentoria «Vorrei ricordarvi che non siamo soli. E va tutto bene, non dovete scannarvi fra di voi. »
I due si guardarono comunque con astio e Hanabi, per alleggerire la tensione, intervenne.
«Sasuke, hai visto?» chiese, trattenendo Neji con la mano, tenuto sott’occhio anche da Kiba «C’è Gaara!»
Il moro voltò il capo, vedendo il sopracitato avvicinarglisi. Erano più di cinque anni che non lo vedeva, e si stupì di incontrarlo proprio lì, a casa Hyuuga.
«Gaara!» i due si salutarono con una stretta di mano e varie pacche, da veri uomini. Si scambiarono qualche frase, e in cucina sembrò tornare la tranquillità. Appena ebbero un secondo libero, presi dalla conversazione, Sasuke si avvicinò con fare circospetto ad Hanabi.
«Mi vuoi dire perché è qui?» sussurrò appena, interrogandola sulla presenza del Sabaku.
«Insomma, non trovi abominevole che una persona comune flirti con la fidanzata del proprio migliore amico defunto?» rispose lei, e Sasuke, confuso e inconsapevole, pensò di essere stato beccato dall’occhio di falco della ragazza, e si rabbuiò subito «Attento Sasuke, potresti aver appena scambiato un bacio di Giuda col nostro Gaara!»
Allora, Sasuke, capì come stavano le cose, e si perse ad osservare Hinata impegnata in una fitta discussione col cugino e con l’ospite. Così, insieme a tutte le stravolgenti emozioni di quelle ultime settimane, un nuovo mostro incombeva sulla sua sanità mentale, gesticolando con un grosso coltello da cuoco pronto ad infilzarlo: la gelosia.
 
«Ah, non ti sopporto, Nara, giuro che ti ucciderò!» Ino stava andando in escandescenza, inseguendolo furiosa «Siamo in ritardo per il pranzo domenicale, ed è tutta colpa tua, che diamine!»
«Mia?» Shikamaru sbuffò una nuvola di fumo, mentre cominciava a scendere le scale «Sei tu che ci hai messo un’ora per scegliere un vestito, Mendosukee.»
«E tu ti sei addormentato, baka! Baka! Baka! BAKA!» urlò, facendo attenzione ai tacchi vertiginosi «E la vuoi smettere di fumarmi addosso? Voglio profumare, non puzzare come te! Giuro che ti farò smettere, baka!»
«E che motivo avrei, per smettere di fumare?» disse ironico Shikamaru, ormai a metà scala «Tu, Ino?»
«Sì, me!» altre grida «Perché sono incinta, coglione!»
«Cos…?» Shikamaru cercò di girarsi verso di lei, enormemente stupito, ma mise male il piede e cadde all’indietro, scivolando giù dalle scale con un rantolo lamentoso.
«Shikamaru!» Ino scese di corsa le scale, non con poca difficoltà, e si accostò al moro, a terra «Stai bene?»
«No.» sbuffò, mugolando dolorosamente, incapace di muoversi «Cosa hai detto, Ino?»
«Che presto diverrai padre, Mendosukee.» disse con dolcezza, sorridendogli felice «E adesso dobbiamo andare in ospedale. Visto, Nara? Mi fai sempre fare tardi!»
 
Per l’ennesima volta, quella mattina, Hinata si ritrovò ad aprire la porta, e sussultò appena vide Shikamaru davanti a lei, uno zigomo gonfio e un tutore stretto ad una gamba, sorretto da due stampelle.
«Shikamaru!» lasciò la porta aperta e lo abbracciò, impaurita «Ma che ti è successo?»
«Hinata?» lo sentì mugolare dolorante «Fa ma… male tutto.»
Lo liberò in fretta e lo fece entrare, seguito da una donna bionda e una rosa che ben conosceva. Entrambe avevano il sorriso stampato in viso.
«Su su, smettila di lamentarti, bakaiko.» Ino gli diede una forte pacca sulla spalla, infierendo su di lui «Sei proprio un piagnone.»
«Qualcuno una volta mi chiamava crybaby, Ino.» rispose il Nara, alludendo a Temari, e quindi facendo subito zittire Ino, che si arrabbiò.
«Sei proprio uno stronzo.» affermò a labbra strette, pestandogli subito dopo un piede, con fare cattivo.
Hinata rise, un poco stralunata, e li invitò a sedersi a tavola.
«Avevamo appena cominciato a mangiare.» soggiunse, indicando loro la grande tavolata «Ho ricevuto il tuo messaggio e mi sono molto preoccupata, Ino. Cos’è successo?»
Tutti si riaccomodarono a tavola, imbandita con sashimi di ogni tipo e varie prelibatezze. Erano tutti molto incuriositi dallo stato di Shikamaru, che sembrava piuttosto infastidito e, perciò, taciturno.
«Dovete sapere che il nostro caro Shikamaru si è lussato una caviglia e una costola, questa mattina, e inoltre ha tanti bellissimi ematomi sparsi sul corpo!»
«Poteva finire peggio, Ino, smettila di sfottere.» rispose il moro, guardandola in modo decisamente incazzato.
Lei lo ignorò completamente e cominciò a tagliare a pezzetti piccoli la carne che aveva nel piatto, guardando gli altri con un gran sorriso in volto e un’aria molto furba.
«Il nostro intelligentissimo e geniale Nara ha avuto il coraggio di ruzzolare giù dalle scale dopo che…» appoggiò per un momento forchetta e coltello al piatto «… gli ho detto di essere incinta.»
«Per tutti i Kami, Ino!» esultò Hanabi «E’ fantastico! Congratulazioni»
«Congratulazioni!» dissero tutti entusiasti, tranne Kiba, che mormorò un «Non oso immaginare come possa essere un figlio vostro… un mostro!»
«Grazie, grazie.» sorrise, felice, per poi indicare con la forchetta un certo uomo «E tu, Gaara, non so perché tu sia qui, ma dì alla tua carissima sorellona che stavolta è tuuuuutto vero, c’è un bambino in arrivo!»
 
 
 
Note*: Nelson, nei Simpson
Note**: Caino, traditore della famiglia (Riferimento a Dante)
 


Angolo Autrice ~
Buondì! Eccomi tornata con l'appuntamento settimanale!
Innanzitutto mi scuso per essere mancata la scorsa volta e per
non aver risposto a tutte le recensioni, gommenè ç.ç Ma lo 
studio chiama! Capitolo breve dove non avvengono molti eventi
ma dove sicuramente c'è una forte introspezione emotiva: una
notte normalissima per Hinata, e una domenica passata in 
famiglia. Notato come Hinata non riesca a confidarsi con tutti,
mentre con Sasuke cadono le maschere? 
Detto questo, ho bisogno di chiedervi un immenso favore.
Ricordate l'anno scorso, quando vi chiesi di inserire, nelle 
recensioni, qualche domanda che volevate porre al gruppo
e ai singoli personaggi? Ecco, vi ripropongo la stessa cosa n.n
Recensori abituali e non, cimentatevi nel creare qualche domanda
per i Post Apocalypse/Hinata/Sasuke/Kiba/Shikamaru! Ne 
vedrete delle belle!
Bye!
 

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Capitolo 18
*** Erase this. ***


Gli ultimi sognatori.
Occhi Paradiso.
Erase This.
[ Difficile ]

 
[Evanescence: Erase this]
«Avanti gente, datevi una mossa!»
Davanti all’ingresso di casa, un gran via vai travolgeva tutti in un ampio trambusto, e Hanabi, dal canto suo, già pronta e organizzata da almeno un’ora, era impaziente. Se ne stava con le braccia conserte, in piedi davanti all’uscio, le scarpe già infilate e aspettava, urlando di tanto in tanto giusto per far presente che lei era lì, pronta, e stava aspettando. Era partita numerose volte, nella sua vita, e perciò aveva fatto il callo ad un certo numero di fattori che potevano rallentare la tabella di marcia: cosa portare, cosa non dimenticare, il peso della valigia straboccante che non aveva voglia di chiudersi, l’orario dell’aereo, quanto tempo prima essere in aeroporto per fare il check-in… tutte cose che davano non pochi pensieri e per cui anni e anni di partenze per la Svizzera, verso un imperioso e freddo collegio, l’avevano resa preparata. Non che avesse imparato molto altro, in quell’austero castello, ecco. 
Tutti gli altri comunque, e questa è la cosa importante, non erano affatto pronti, nonostante avessero intrapreso un tour cinque anni prima, e quindi già abituati al ritmo frenetico di chi, per qualche mese, si ritrova ad essere senza radici.
«’ba-chan!» il piccolo di casa le corse incontro, trascinandosi dietro una piccola valigia «Io sono pronto!»
Il suo sguardo furente si addolcì nel vedere Kurama già pronto con la sua piccola manina avvinghiata saldamente alla maniglia del suo bagaglio, il sorriso tirato in viso e gli occhi assonnati, data l’ora esageratamente mattutina. Erano appena le sei del mattino. Intenerita, si abbassò alla sua altezza, e lo strinse a sé, strofinando la guancia a quella di lui.
«Ma quanto sei doooolce mio piccolo Kura-chan!» affermò, con voce smielata.
Qualcuno scese lentamente dalle scale trascinandosi dietro un altro pesante bagaglio, mentre con una mano si stropicciava gli occhi. Kiba sembrava quasi la versione adulta di Kurama, o forse era lui che con quel modo lento di svegliarsi assomigliava a un infante.
«Lascialo stare, povero bambino.» disse, superandoli a passo di lumaca «Fallo respirare.»
«Lui mi riempie d’amore, a differenza tua.» gli rispose, stizzita.
«Sì, certo, perché non sa cosa lo aspetta, da grande.» non la guardava nemmeno in faccia, troppo stanco «Vado a mettere questa nel taxi.»
Lasciò la porta aperta e, nonostante questo, non entrò molta luce nell’ingresso: il sole non era ancora sorto del tutto.
«Kurama-chan?» chiamò Hanabi « Dov’è la tua ‘kaa-chan?»
«Ha detto che arriva subito.» rispose il bambino.
«Infatti sono qui.» Hinata si avvicinò, portandosi dietro un’altra valigia «Abbiamo fatto tutto? Abbiamo chiuso il gas? Inserito l’antifurto?»
«Sì, sì e sì.» replicò la minore, per poi posare una mano sulla sua spalla «Hinata, perché sei così ansiosa?»
La donna si stupì per quella domanda e aprì la bocca, incerta su cosa dire. La richiuse un paio di volte, prima di riuscire a trovare le parole giuste.
«Ecco…» giocò con le dita «Sto lasciando troppe cose importanti, qui, in balia di se stesse e…»
«Hinata, non ti devi preoccupare. Hai fatto le scelte giuste.» le sorrise, mentre il nipotino si spingeva sulle gambe della madre, che prontamente lo prese fra le braccia «La Moon’s eyes è nelle mani di Itachi e Neji. Anche se non è esattamente il loro lavoro, hai lasciato tutto pronto, hai lavorato tantissimo per evitargli problemi di sorta, e ci fidiamo di loro. E questa piccola pulce qui » fece il solletico a Kurama, che rise « si divertirà un mondo con Ino-ba-chan, vero?»
«Sì!!» esultò il piccolo, ridendo.
Hinata sorrise «Grazie, imoto.»
 
Kurama stringeva a sé un grosso mazzo di fiori di tutti i colori, che quasi gli impediva la vista, mentre passeggiava tenendo la mano della madre, guidato da lei. Era taciturna, sua madre, e sapeva perfettamente perché. Né comprendeva il motivo, e anche lui sentiva il peso dell’importanza che quel posto aveva per tutti loro sulle spalle, e infatti rimaneva in un religioso silenzio, continuando a guardare a destra e a sinistra ciò che lo circondava. Alberi in fiore, petali profumati, lapidi marmoree. Stavano andando a trovare ‘tou-chan.
Quel giorno però, era più particolare. Fuori dalla cancellata del cimitero, innumerevoli persone si dibattevano e si agitavano, gridando spasmodicamente i loro nomi. Qualcuno aveva una fotocamera, altri uno strano aggeggio longilineo, di cui non conosceva la natura. Non sapeva perché fossero lì, né che ruolo avessero, ma sapeva che sua madre voleva che gli stessero lontano, e che fosse ben nascosto. Infatti, nonostante il caldo di inizio giugno, lo aveva avvolto in una spessa sciarpa arancione, che aveva visto spesso indosso a lei. «E’ di ‘tou-chan.»  gli aveva detto la madre, stringendolo affettuosamente «Così ti protegge.» 
Lui l’aveva guardata in quegli occhi bianchi che gli facevano battere il cuore – perché sua mamma era bella, bella davvero, e lui l’amava, col suo piccolo cuoricino gonfio d’affetto – e le aveva sorriso, felice. «Lo fa sempre.» aveva risposto candidamente, sicuro di quello che stava dicendo, sicuro dell’affetto del padre defunto. Lei aveva sorriso, ma sembrava triste. I suoi occhi non si erano illuminati.
Ma non era solo questo che destava la sua curiosità. ‘kaa-chan gli aveva detto che ci sarebbero andati tutti insieme, quella mattina, a salutare ‘tou-chan, perché quel giorno sarebbero partiti per suonare in giro per il mondo e non lo avrebbero visto per un po’.
«Ma tu puoi andare a trovarlo quando vuoi, Kurama-chan.» gli aveva spiegato la madre «E’ per questo che non vieni, amore mio, devi venire a trovare ‘tou-chan quando io non posso farlo!»
Lui si era sentito fiero di quel compito, e nonostante gli dispiacesse non poter andare con lei, il suo petto si era svuotato un po’ dalla sua rabbia infantile.
In lontananza, vide il grande salice piangente riversarsi sul prato. Erano arrivati. All’ombra, appoggiato al tronco, un uomo vestito di scuro li aspettava, e alzò appena il capo quando li vide arrivare. Era ‘suke-ji-chan. Sorrise, pensando che forse anche lui aveva litigato con ‘tou-chan, come facevano a volte lui e Masashi. Come migliori amici.
Appena lo raggiunsero, gli sorrise, in segno di saluto. Non aveva il coraggio di parlare, di spezzare quell’atmosfera assurdamente surreale. Anche Sasuke gli sorrise, ricambiando, ma il suo non era un sorriso vero, divertito, e non aveva illuminato quegli occhi neri che lo incuriosivano così tanto. Come ‘kaa-chan.  Si chiese se anche lui, in quel momento, aveva gli occhi tristi.
Sua madre gli lasciò dolcemente la mano, ma a lui sembrò quasi improvviso. La guardò, incuriosito, le guance rosse per il caldo e per il tepore trasmesso dalla sciarpa arancione.
«Su, vai da ‘tou-chan, Kurama.» lo incoraggiò, sospingendolo appena «Dagli i fiori.»
Kurama guardò di fronte a sé, scostando appena i fiori dal viso. Un petalo di un giallo caldo cadde a terra, ai suoi piedi, ma non ci fece caso. Fissò ciò che aveva davanti e, come sempre, socchiuse la bocca. Le emozioni soffuse di pochi istanti prima si gonfiarono nel suo petto, esplosero, insieme ai suoi occhi gonfi di lacrime. Kurama non piangeva mai, come sua madre, ma in quel momento, mentre posava delicatamente i fiori ai piedi della lapide, non riuscì a trattenersi. Non succedeva sempre, ma era quello l’effetto che gli provocava andare in quel luogo, e l’atmosfera che lo circondava non aiutava affatto.
Sfiorò con le piccole dita della mano le lettere stampate in color oro, accarezzando il nome: il cognome era lo stesso che portava lui, lo conosceva bene. Fissò i suoi occhi in quelli del padre, identici, e tentò di sorridergli.
«Ciao, ‘tou-chan.»
Su di sé, sentiva tutti gli occhi dei presenti, della sua famiglia: sapeva che qualcuno stava piangendo proprio come lui, e per un secondo cercò di immaginare chi fosse. Ino-ba-chan? Kiba-ji? Probabile, ma non sarebbe mai riuscito a indovinare: chi piangeva, quella mattina, erano proprio quelli che considerava più forti – ‘suke-ji-chan e ‘kaa-chan.
«Stiamo realizzando i tuoi sogni, Naruto-kun.»
 
L’aeroporto era affollato come al solito. Negli ultimi cinque anni ha viaggiato spesso: la sua è stata una vita in movimento, senza radici, una casa dimenticata. Ha visto molti porti, molti aeroporti, tantissime stazioni, di pullman o di treni, e ancor più benzinai, caselli e stazioni di servizio. Ha vissuto portandosi dietro meno di un borsone di vestiti e la chitarra, il suo fedele taccuino e il lettore musicale. Ha incontrato tante persone, innumerevoli, nonostante non fosse propenso a parlare con la gente: ha stretto legami, usufruito di conoscenze in ogni campo, discusso con uomini saggi e dato cazzotti in più di una rissa a qualche idiota. Un paio di volte è finito in questura, qualche altra in pronto soccorso per suturare qualche ferita. Sa bene di aver vissuto più esperienze della stragrande maggioranza degli uomini di ceto medio, ma ciò non può inorgoglirlo. In molti direbbero che ha sperimentato la libertà sulla propria pelle, rubando le ali agli angeli e ignorando tutte le regole istituite dall’uomo, ma lui sa perfettamente che non è così. Non è mai stato libero. Spesse e forti catene allacciate al suo cuore con più di un lucchetto lo hanno legato a Tokyo, a un certo cimitero, a più di un defunto. La sua famiglia, Naruto. Non è mai stato libero perché su di lui gravavano e pesano ancora i desideri di più di una persona, atroci sofferenze relegate in un cassetto a doppio fondo nel suo petto, promesse mai mantenute. Non è mai stato libero perché tutto ciò che ha affrontato aveva come unico motivo a spingerlo ad andare avanti la causa stessa del suo viaggio: scappare. Ma quel moto perpetuo non gli ha dato salvezza, né consolazione. Incredibile come fosse riuscito a trovare tutto ciò in un’unica persona dagli Occhi Paradiso, afflitta dal suo stesso male, lasciata indietro pur di fuggire. Ma non poteva ottenere quella persona, né la salvezza e la consolazione, no: con lui il destino era crudele e la dea della fortuna sicuramente bendata o cieca, perché quella persona era irraggiungibile, apparteneva a qualcun altro, a un angelo che ben conosceva, e non possedeva il coraggio di rubare, non più. Le catene si erano rafforzate e fatte più strette: stavolta era impossibile scappare. Qualcuno lassù doveva volergli molto male, perché lo costringeva ad assistere al suo degrado, alla sua distruzione sempre più lenta e dolorosa. Perciò, in quell’aeroporto, ebbe una strana sensazione di déjà-vu. Una nuova partenza, un nuovo tuor, ma stavolta portava con sé il suo assassino.      
«E’ il nostro volo, ragazzi.» 
La voce di Hanabi lo risvegliò dalle sue riflessioni di colpo, violentemente. Strano come in quell’ultima ora passata a chiacchierare niente fosse riuscito a farlo riemergere dal suo subconscio, mentre quella notizia – la più importante, l’inizio della fine – aveva avuto il particolare potere di ridestarlo. Si sgranchì le spalle e il collo, facendoli schioccare. Poi si guardò intorno. Ino e Shikamaru erano a un paio di metri da loro. Lei rideva, mentre lui le mormorava qualcosa all’orecchio, accarezzandole il ventre ancora tanto piatto da rendere impossibile il riconoscimento di ben due mesi di gravidanza. Lui si reggeva su una stampella sola, in bilico, mentre l’altra era abbandonata su un fianco della donna, instabile. Seduta a un paio di sedie alla sua destra, il suo personale assassino stringeva a sé il figlio, seduto sulle sue gambe snelle.
Aveva le lacrime agli occhi, il volto leggermente arrossato. Era la prima volta che Hinata e Kurama si separavano. Il piccolo doveva ancora finire i suoi giorni di scuola: mancavano due settimane. Hinata non aveva ritenuto opportuno portarlo con sé. Il ritmo sfrenato, dover continuamente spostarsi con mezzi di tutti i tipi, le ore piccole a cantare o a provare: non era l’ambiente adatto per un bambino abituato a seguire certi schemi, certi orari. Sarebbe stato stressante.
«Non fare arrabbiare Ino-ba.» da quella distanza, poteva sentirla mormorare al figlio le sue raccomandazioni «E’ delicata in questo periodo, c’è un bambino che cresce dentro di lei, sai? Come tu sei cresciuto dentro di me.» una carezza su una guancia, fra i capelli «Devi prenderti cura di lei, e proteggerla.» fronte contro fronte «E devi andare da ‘tou-chan, dirgli che stiamo bene, altrimenti si preoccupa. Portagli dei fiori, sceglili con Ino-ba.» una lacrima scivolò lentamente  sulla gota del più piccolo «Ti chiamerò tutti i giorni tesoro mio, tutti i giorni! Non devi preoccuparti, andrà tutto bene!»
Il bambino si strinse contro la madre: in una mano stringeva una ciocca di capelli blu notte. Sasuke voltò il capo, affranto. Non aveva più nessuna voglia di assistere a quella scena straziante. Si alzò in piedi e raggiunse Kiba e Hanabi, pronto a partire.
Anche Hinata e Kurama si alzarono, e il bambino, dopo essersi guardato intorno, corse da lui. Incuriosito, Sasuke si abbassò alla sua altezza e lo guardò negli occhi. Il bambino tese le braccia e gli si strinse contro.
«Buon viaggio, ‘ji-san.» lo salutò, incredibilmente serio «Io proteggo ‘ba-chan, tu proteggi ‘kaa-chan.»
Quelle parole gli fecero a pezzi l’anima. Gli accarezzò i capelli e la schiena e lo abbracciò, per la prima volta.
«Certo, Kurama, te lo prometto.» mentalmente si giurò di mantenere almeno quella promessa «Tu rendimi orgoglioso, fa il bravo ometto.»
Hinata si avvicinò a loro e prese per mano il figlio, avvicinandosi poi a Ino e Shikamaru. La mora si strinse alla giovane donna, abbracciandola forte.
«Abbi cura di te.» le disse, facendole per l’ennesima volta le congratulazioni per la gravidanza.
Il moro si avvicinò alle due e cinse i fianchi di Ino con dolcezza.
«Ti amo.» le disse Shikamaru, baciandola «Ti chiamo appena arrivo, mi raccomando.»
Ino sorrise «Non sclerare per l’ansia, papino.»
 
C’era qualcosa che lo turbava costantemente durante quel viaggio.  Non che qualcosa fosse andato storto, anzi, tutto liscio con l’olio… forse era proprio questo a inquietarlo. Ricordava come, cinque anni prima, aveva dovuto urlare contro un’assistente di volo per ore, imbucarsi in un aereo merci – folle idea di un folle ragazzo biondo – e cambiare tre taxi per arrivare al loro primo concerto in tempo – e interi. Adesso, invece, era stato quasi fin troppo semplice. Un lieve scossone movimentò il mezzo e per un attimo temette che il loro volo sarebbe caduto. Un tempo avevano avuto un nemico potente: se lo ricordò soltanto in quel momento. Hiashi Hyuuga, uomo di successo, multimiliardario, imprenditore, discografico, editore… e chi più ne ha più ne metta. Dai suoi racconti, era sempre stato ostile nei confronti delle figlie, soprattutto della maggiore, che intorno ai vent’anni – in contemporanea con la conoscenza di Naruto e del resto del gruppo – aveva avuto il coraggio di ribellarsi. Sentiva che di fondo ci fosse una storia più profonda, cause più dure, di cui però non era partecipe. Sapeva soltanto che l’uomo aveva disereditato la figlia che, appena punta sul vivo, aveva raccolto le proprie forze, sua sorella da un collegio in Svizzera e l’eredità della madre per aprire da sola, e totalmente inesperta, una sua casa discografica: la Moon’s eyes. Una impresa non da poco, di cui aveva assistito soltanto alla lenta nascita e di cui non aveva saputo più nulla. Una ventunenne, giovanissima, inesperta… eppure Hinata ce l’aveva fatta, con le sue sole forze, e adesso l’azienda prosperava, mentre il suo marchio era fra i più conosciuti e i più richiesti. Una prova concreta dell’intelligenza e della forza di Hinata, ora seduta al suo fianco.
Bella sfortuna.
Più cercava di evitarla, più il destino gliela metteva davanti. Era un caso che fossero seduti insieme, nella fila centrale del volo di prima classe verso Istanbul, in compagnia di quell’essere letargico di Shikamaru che non spiccicava parola nemmeno sotto tortura?
Si sentiva incredibilmente a disagio. Lui, Sasuke Uchiha, a disagio. Si chiese se stesse bene, e per un attimo sfiorò la propria fronte, tentando di capire se fosse in preda ai deliri della febbre. Ma niente. Imparare a convivere con i propri sentimenti – sentimenti! – gli risultava più difficile del previsto. Mascherare la propria attrazione, così come accettare di provare qualcosa di mai provato prima – febbricitante amore – era un’impresa ardua. Erano partiti da meno di un’ora e già si era costretto a chiudere gli occhi e fingere di dormire, pur di non sentire il suo sguardo addosso o trovarsi ingarbugliato in una chiacchierata indesiderata. Il viaggio da Tokyo a Instabul era lunghissimo. Come avrebbe fatto a superare tutto questo tempo con lei a pochi centimetri?
«Non pensi che sia strano?»
La voce profonda, e stranamente non annoiata, di Shikamaru destò la sua attenzione all’istante. Aprì appena gli occhi e osservò con la coda dell’occhio la scena. Non poteva vederlo in viso, perché fra loro c’era Hinata, adesso voltata verso il moro.
«Che cosa intendi, Shikamaru-kun?»
Il moro si strofinò gli occhi, nervoso, e poi si appoggiò col mento al palmo, quasi stanco.
«Cinque anni fa abbiamo rischiato di non fare nessun concerto.» appena udite quelle parole, Hinata sembrò irrigidirsi «Invece adesso… è tutto fin troppo tranquillo.»
La mora abbassò lo sguardo e strinse le mani attorno all’orlo della sua maglietta azzurro cielo. Sasuke notò come quel gesto racchiudesse in sé molteplici significati: scaricare la tensione, trovare la forza di parlare, raccogliere i pensieri. Infatti, dopo poco Hinata alzò gli occhi, ma non poté dire se il suo sguardo adesso era più deciso, arrabbiato, perché lei si era subito voltata verso Shikamaru.
«Ha già fatto abbastanza per rovinarmi la vita, cinque anni fa. » affermò, con durezza tale da far rabbrividire il ragazzo «E in questi anni non si è mai fermato, ma ho sempre saputo gestire la cosa è mandato avanti la mia impresa. Anche questa volta ha tentato di boicottarci, ma io non l’ho permesso.»
Ci fu qualche breve istante di silenzio. Shikamaru aveva chiesto spiegazioni sullo stesso dubbio di Sasuke, e sapeva perfettamente che in quel momento stavano di nuovo pensando alla stessa cosa.
«Hinata…» sembrava non aver neanche il coraggio di parlare «Pensi che tuo padre sia responsabile dell’incidente di cinque anni fa?»
Da quell’angolazione, Sasuke riuscì a vedere solo la mascella sottile di Hinata contrarsi, rabbiosa. Una tremenda sensazione lo invase.
«Lui non è più mio padre. »
                                                                                                                                                    
«La scaletta vi sembra adatta, quindi?»
«Sì, secondo me non c’è nulla da cambiare.»
I ragazzi parlavano fra di loro, a pochi minuti dall’inizio del loro primo concerto, a Istanbul. Hinata non riusciva a seguire il filo del discorso, nelle orecchie le esultanze della folla in fermento e il cuore a mille, assordante.
«E l’entrata?» Shikamaru pose l’ennesima domanda «Siete sicuri di voler iniziare con questa canzone?»
«Io la trovo fantastica!» Kiba.
«Va bene.» Sasuke.
«E tu, Hinata?» un’improvvisa domanda rivolta a lei la scosse notevolmente, ed era sicura che in quel momento la sua faccia fosse l’emblema del comico «Che ne dici?»
Era troppo tardi per cambiare idea,  ironico come la canzone con cui doveva iniziare il concerto si aprisse proprio con questo pensiero, ma Hinata sentiva l’irrefrenabile desiderio di fuggire via.
Prima, quando Hanabi l’aveva portata dietro le quinte dicendole di tenersi pronta, ad appena dieci minuti dall’inizio del concerto, aveva scostato appena il tendone e gettato un occhio all’esterno.
Il palco su cui avrebbero dovuto esibirsi era semplicemente enorme, d’altronde doveva contenere la batteria, un pianoforte a corda e un piano semplice e modificato, voluto da lei, più tutte le chitarre, le casse e i microfoni. Ciò che l’aveva veramente preoccupata – e agitata, agitata come un milkshake – era il pubblico: una folla di persone in visibilio che si estendevano per oltre un miglio, a perdita d’occhio, confondendosi con l’orizzonte.
Lei, Hinata Hyuuga, vocalist da poco più di un mese, che in quanto a esperienza in quel campo era anche meno di quindici minuti, si apprestava a cantare davanti a una folla di innumerabile grandezza. E allora aveva pensato: ma che sono, matta?
Era andata in ansia e sapeva che in quel preciso istante non sarebbe riuscita nemmeno a spiccicare parola, figurarsi a cantare. Cantare. Lei.
«Hinata?» stavolta fu Kiba a rivolgerle la parola, scuotendola appena per un braccio, cercando di richiamarla «Stai bene?»
«Io…» si meravigliò anche solo di essere riuscita a mormorare quella parola. Trasse un lungo respiro e cercò di parlare, ancora «…non…» aprì e chiuse la bocca, incapace di continuare «…non credo di riuscire…» ci fu bisogno di un altro sospiro «… a farlo.»
Per un momento, le sembrò che tutti e tre i suoi amici sbiancassero. Cioè, Sasuke era sempre bianco, e il pallore non si notava, quasi lo stesso valeva per Shikamaru, ma la pelle di Kiba, da bronzea, divenne letteralmente bianca.
«Come, scusa?» era stato Shikamaru a parlare, sorpreso.
«Io…» non sembrò affatto più semplice ridirlo «… non credo di riuscire a cantare.»
«Hai paura, Hyuuga?» chiese Sasuke, tentando di sdrammatizzare con un tono irrisorio che mal celava la preoccupazione.
«Ecco… sì.» arrossì immediatamente «E se sbagliassi? Se stonassi? Mi lancerebbero addosso pomodori.»
«A me piacciono.» mormorò l’Uchiha, pensieroso.
«Idiota.» affermò Kiba, con uno sguardo d’odio, per poi rivolgersi a Hinata più dolcemente «Se hai paura, c’è solo una cosa da fare.» Hinata a questo punto pendeva dalle sue labbra, attratta da quel tono serissimo «Non li guardare!»
Sasuke si schiaffò una mano in faccia, non sapendo se ridere o piangere per la stupidità dell’amico, mentre Hinata era rimasta di stucco, con uno sguardo da pesce lesso.
«Non prendermi per il culo.» l’Inuzuka gli calpestò un piede, con forza «Funziona! Giuro!»
«In effetti, potrebbe.» concordo Shikamaru « Anche se io ti consiglierei soltanto di essere sicura di te. »
«Sì, ma…»
Un coro che citava il loro nome si levò forte nell’aria. Karin sbucò dal palco e con un gran sorriso augurò buona fortuna a tutti loro. Un uomo, con un microfono che partiva all’orecchio, si avvicinò a loro.
«Tocca a voi, sapete tutti cosa fare!» afferrò Hinata, per le spalle, senza darle via di scampo, e la trascinò lontano dal gruppo, su un’impalcatura dove il suo piano speciale la attendeva. All’improvviso l’impalcatura cominciò ad elevarsi nell’aria e lei, dopo pochi secondi, si ritrovò a cinque metri dal palco, dove i suoi compagni erano pronti per cominciare a suonare. Davanti a lei, tutto il pubblico in fermento gridava e la guardava. Il cuore le vibrò nel petto e le faceva così male che pensò che entro un secondo sarebbe morta d’infarto.
Vide un cenno da parte di Shikamaru e si ricordò che era lei a dover dare il via, e così appoggiò le dita sui tasti e cominciò a suonare con impeto. Il resto non esisteva più.

ERASE THIS

It’s too late to change your mind
Even though this fragile world is tearing apart at the seams
You can’t wash these sins away
The sinking feeling every day
I’m waking up in someone else’s life

Is it so hard for you?
Cause it’s so hard for me?
To believe in what we dreamed
Could ever come to life again
Cause I cannot erase this lie

I’m not gonna let this day go by
I’m gonna save this wasted life
And nothing can stand in my way
Not enough to say goodbye
Run until there’s nothing left
I’m drowning in the mess that I have madeIs it so hard for you?

Cause it’s so hard for me?
To believe in what we dreamed
Could ever come to life again
Cause I cannot erase this…

Someone hear me
The water’s rising around us
There is no other way down
I only have myself to blame
For it all… all…

Is it so hard for you?
Cause it’s so hard for me?
To believe in what we dreamed
Could ever come to life again
If I could just erase my mind
But I cannot erase this lie


 

È troppo tardi per cambiare idea
Anche se questo fragile mondo si sta sfaldando
Non puoi lavar via questi peccati
L’impressione di affondare ogni giorno
Mi sto risvegliando nella vita di qualcun altro

È così difficile per te?
Perché è così difficile per me
Credere in quello che abbiamo sognato
Potrà mai tornare di nuovo in vita?
Perché non posso cancellare questa bugia

Non ho intenzione di lasciare che questo giorno passi
Salverò questa vita sprecata
E niente mi potrà ostacolare
Non è abbastanza per dirsi addio
Corri finché non è rimasto più nulla
Sto annegando in questo casino che ho fatto

 

È così difficile per te?
Perché è così difficile per me
Credere in quello che abbiamo sognato
Potrà mai tornare di nuovo in vita?
Perché non posso cancellare questa…

Qualcuno mi ascolti
L’acqua si sta alzando intorno a noi
Non c’è un altro modo
Posso dare la colpa solo a me stessa
Per tutto quanto… tutto…

È così difficile per te?
Perché è così difficile per me
Credere in quello che abbiamo sognato
Potrà mai tornare di nuovo in vita?
Se solo potessi cancellare la mia mente
Ma non posso cancellare questa bugia


 



E’ così dura anche per te?
Sasuke se lo chiese, finalmente steso sul letto della sua lussuosa camera da letto. Il concerto era andato a meraviglia, Hinata aveva superato le sue paure e, dopo il bis e varie foto con i fan, sono riusciti a sgattaiolare via tutti insieme per andare a festeggiare. Kiba si era sbronzato fino allo sfinimento, Shikamaru era abbastanza brillo da telefonare a Ino senza calcolare le ore di fuso orario e Hinata era così stanca che non serviva lo champagne per vederle gli occhi lucidi.
Alla fine, erano rientrati in albergo mentre albeggiava sulla città, incontrando comunque qualche fan lungo il cammino. Ognuno si era ritirato nelle proprie stanze, e allora Sasuke aveva smesso la sua maschera di freddezza e si era steso a letto, sfinito. Stare tutto quel tempo con Hinata senza poterle parlare con franchezza era stressante. La amava così tanto da tenerla lontana da sé. Aveva senso? Forse no, ma era l’unica cosa da farsi. La amava così tanto da portarsi all’autodistruzione.
È così difficile anche per te? 
Una domanda a cui lei non avrebbe mai avuto modo di rispondere.
«Perché è troppo dura per me.» sii sentì stupido a mormorare quelle parole ad una stanza vuota, e il tono della sua voce gli sembrò strano, anzi, straniero, sconosciuto, come se non gli appartenesse.
Si rendeva conto di essere cambiato, talmente era afflitto dal dolore.
Nella sua mente, la voce di sua madre gli parlò, in un ricordo lontano.
«Quando sei innamorato, diventi più bello, migliore.»
Ma lui non si sentiva per nulla più bello, né migliore, perché non era affatto abituato a sentire, a provare, ad amare.  Non c’erano mai state tante sensazioni in lui, tanti sentimenti, se non quando era bambino e non capiva molto del mondo: il suo cuore in quegli anni aveva subito una grossa siccità, a cui ormai si era abituato, diventando una persona arida, sì, ma forte, solida, stabile. Adesso invece vacillava, perché tutte quelle emozioni erano troppo per lui ed erano capaci di stordirlo, come dopo aver bevuto troppo: semplicemente, non sei addestrato a marciare in questo senso.
Si chiese se fosse possibile tornare quello di un tempo, quello di cinque anni prima, e quando formulò questo pensiero si rese conto che in effetti la sua era stata una lenta e continua trasformazione, di cui subiva gli effetti soltanto in quel momento. 
Comunque, ipotizzò che se fosse tornato a fare quello che fino a cinque anni prima lo aveva reso immune da ogni sentimento, forse sarebbe riuscito a rendere quella maschera di freddezza di nuovo affine a se stesso. Significava regredire, ma, forse, stare bene. E chissà, magari i suoi demoni si sarebbero assopiti e i fantasmi avrebbero smesso di perseguitarlo.
E cosa faceva cinque anni prima?
Si faceva le canne. Tante, per non pensare a niente. Se ne fregava della gente, usava chiunque per ottenere i suoi scopi, e sicuramente non offriva una spalla su cui piangere alle ragazze con cui stava.
Ogni sera una ragazza diversa. A volte più di una. Solo sesso, nessun sentimento, nessun legame e chi se ne importava se rimanevano ferite. Il suo cuore era chiuso, ermetico.
Provò quasi disgusto quando, dopo quell’analisi, gli venne in mente Karin. Karin che suadente cantava, Karin che si avvicinava al suo orecchio e con tono sexy mormorava: «La mia camera è la 227, poco lontano dalla tua, vienimi a trovare quando vuoi.»
In seguito si ricordò che quello era l’unico modo per dimenticare, per tornare ad essere Sasuke Uchiha, e quindi si sforzò di alzarsi e darsi una sistemata. C’erano moltissime donne, là fuori, che avrebbero fatto di tutto per lui. Tante che non lo attraevano nemmeno e che quindi non implicavano legami. Avrebbe soltanto dovuto evitare l’unica che non poteva ottenere.
Uscì dalla sua camera e si guardò intorno. Individuò la 227 a qualche metro, camminò e cominciò a rinchiudere il suo cuore in un angolo buio del suo essere.
Bussò.
 
 
«Oh, Elena, come fai a perdonare sempre Damon! Allora sei scema! Torna da Stefan!»
Imboccò un altro cucchiaio di gelato alla stracciatella, il suo gusto preferito, e continuò a guardare la televisione, ascoltando i vaneggiamenti della sorella.
«Non pensi che Elena si faccia abbindolare troppo da Damon?» le chiese la minore, guardandola con i suoi stessi occhi.
«Lo perdona perché è vero amore.» mormorò Hinata, ben convinta di ciò che diceva, affatto dimentica della sua unica esperienza amorosa.
«E quindi con Stefan non era vero amore?» Hanabi sembrò schifata per quanto detto, e si sistemò meglio sull’enorme letto, mangiando il suo gelato alla nocciola «Non è tutto così, Hinata, non esiste solo il bianco e il nero.» diede un’occhiata al gelato della sorella «Non esiste il vero amore, ma tanti amori di diversa forza. » chiuse gli occhi mentre infilzava il dolce con il cucchiaio «E anche se fosse, non deve sopportare tutte le stronzate di Damon e perdonarlo. Non è che anche se è vero amore deve stare con lui e ignorare le sue cazzate.» Hinata notò che la sorella diventava piuttosto scurrile quando si infervorava, anche se per un motivo banale. Poi la minore le diede un’occhiata, alzando il cucchiaio col gelato alla nocciola «Esistono anche i grigi.»
Hinata sospirò, internamente provata da quel discorso, mentre nella mente la sfiorava un nome piuttosto conosciuto, di cui non comprese l’esistenza nel suo subconscio proprio in quel momento: Sasuke.
«Non capisco perché devi essere sempre improvvisamente così teatrale, imoto.» rispose senza pensarci, cercando di distrarre la mente «Perché hai riadattato questo discorso scampanato presente in libri e riviste proprio adesso?» domandò, facendo un’espressione piuttosto saccente, come per dire “per te non c’è speranza” «Inserendo nella stessa frase riferimenti a The Vampire Daires e al gelato. Che già fra loro non c’entrano niente. » sottolineò.
Hanabi gonfiò le guance, indispettita. « Sei una guastafeste. Devi sempre farmi nota…»
Un singhiozzo piuttosto acuto le fece interrompere la frase. Hanabi si voltò alle sue spalle, dove Kiba riposava – e russava – sdraiato scompostamente su un divano, dove la fidanzata lo aveva mollato appena arrivati in camera. Il singhiozzo era venuto da lui… era sul punto di cadere per terra.
«Quell’ubriacone.» mormorò stizzita la mora, alzandosi «Credo che dovrò metterlo a letto.»
«Vuoi una mano?» chiese la maggiore, seguendola immediatamente.
«No, ce la faccio, tranquilla.» la accompagnò alla porta della stanza e l’abbracciò «Sarai stanca, va a dormire, Hinata. Buonanotte, ‘nee-san.»
Hinata la strinse a sua volta «Buonanotte, imoto.»
La maggiore uscì quindi dalla stanza e si chiuse la porta alle spalle. Si incamminò nel corridoio, verso la sua camera, la mente meno lucida a causa della stanchezza, del poco alcool che aveva bevuto e per quel discorso finale che l’aveva lasciata con l’amaro in bocca, anche se non sapeva bene perché. A causa di tutto ciò, si rese conto solo con un secondo di ritardo quello che stava accadendo davanti a lei.
Sasuke era ubriaco. Molto. Ciondolava per il corridoio reggendo una bottiglia di whisky in una mano, mentre con l’altra porgeva la chiave elettronica della propria stanza a Karin, che scomparì dietro l’angolo poco dopo. Sasuke fissò il di dietro della rossa, e dentro le si rimescolarono le viscere. Il cuore cominciò a battere a mille e si agitò, aumentando il passo per raggiungere l’amico.
«Che stai facendo?» chiese, ansiosa, afferrandolo per una manica della sua camicia nera.
Lui la guardò, gli occhi vacui, per un momento incapace di riconoscerla. Assente. Poi tracannò dalla bottiglia, senza smettere di guardarla, e infine si esibì in un ghigno degno del Damon più stronzo.
«Non vedi?» chiese, irrisorio, indicando incerto la porta della sua camera poco distante da loro, aperta, dove Karin era entrata da qualche minuto «Vado a scopare!»
Hinata aprì la bocca, stupita. Perché quanto stava accadendo la sorprendeva così tanto? In fondo, Sasuke aveva esordito con tanta strafottenza già dai loro primi incontri: prima le aveva detto che era una snob, facendola soffrire, e poi le aveva chiesto di rimediarle un’amica con cui fare sesso a Capodanno. Sasuke, il sciupafemmine. Sapeva perfettamente che era così da molto tempo prima del loro primo incontro, eppure ormai si era abituata a pensarlo come una persona affidabile, gentile, sotto sotto buona.  Era stato con Sakura, avevano avuto una relazione seria, avevano costruito progetti: poco importava come fossero finite le cose, lui sembrava essere cambiato. Lui le aveva permesso di conoscere il vero Sasuke, quello amico, quello fedele, quello dolce, magari un po’ incapace, goffo, inesperto. Ed invece eccolo lì, Sasuke Uchiha: ubriaco, stronzo, sciupafemmine. E lei si sentì sciupata, e non seppe spiegarsi il motivo.
«Perché lo fai?» mormorò, la voce rotta dall’emozione, stringendo maggiormente sul suo polso - perché lui le sfuggiva, scappava via da lei, la allontanava «Perché ti riduci così, Sasuke?»
Gli occhi neri di Sasuke, per un momento, si fecero più lucidi, più grandi, più tristi. Le sembrò di poter essere risucchiata in quell’oblio da un momento all’altro, tanta fu l’emozione. Credette di intravedere un’ombra di sofferenza, di dolore molto più profondo di quegli ultimi mesi e, per una volta, a lei incomprensibile. Sembrava star male, malato di un morbo incurabile.  Poi lui scacciò la mano, mettendo fine ai suoi pensieri, sfuggì, e con rabbia le si avvicinò a un palmo dal naso, portando con sé una zaffata al sapore di alcool, che Hinata inspirò addolorata.
«Perché ti amo.»
Hinata sgranò gli occhi, spalancò la bocca. Si dice che non si possa smettere di pensare, ma nella sua mente, in quel secondo, ci fu il vuoto. Non poteva crederci.
Sasuke la guardò furioso, le labbra strette in un’espressione furiosa. Poi si voltò e la lasciò lì, senza aspettare una risposta, chiudendosi la porta della stanza alle spalle sorseggiando un altro sorso di whisky.
La mora cadde sulle ginocchia, inerte. Forse sarebbe stato meglio non aver mai chiesto nulla, non sapere. In quel preciso istante tutto, dentro di lei, si era fermato, e non c’era più neanche un cenno di vita nel suo cuore, bloccato. Le sembrò di morire di nuovo.
Nella testa, l’eco di quella voce continuava a ripeterle le parole che l’avevano scioccata.
«Perché ti amo.»
Pianse.
 
 
 


 
Angolo Autrice~ 
Sono in ritardo, lo so, ma di appena un giorno! Mi perdonate?
In questo capitolo sono successe molte cose. Vorrei partire dalla
mattina, quando tutti vanno da Naruto, perchè vorrei precisare
ancora che non è la prima volta che Kurama si reca lì. Ho cercato
di descrivere la scena dal suo punto di vista, intellengte sì, ma 
comunque fanciullesco. Ci sono riuscita? 
I PA (usiamo questa abbreviazione!) sono partiti per il loro tour,
è il debutto è difficile, soprattutto per Hinata. La parola d'ordine è,
in effetti, "difficile": lo è far visita Naruto, lo è lasciare Naruto e
Ino a casa, lo è il primo concerto e lo è vedere il distacco di Sasuke.
Sasuke che, come sempre, per distrarsi si rifugia nell'alcool (e non
nella droga!), perdendo così quella lucidità che gli permetteva di
tenersi i propri sentimenti per sè. Come reagirà Hinata?
Il prossimo capitolo è già pronto, ed è uno dei più lunghi che ho fatto,
di ben 12 pagine di word. Stavo pensando di suddividerlo in due 
parti e di darvelo un poco alla volta, anche per darmi il tempo di 
scrivere capitoli futuri. Cosa ne pensate? Fatemi sapere!
 

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Capitolo 19
*** Il giorno dei morti. ***


~Omake.
Gli ultimi sognatori.
Occhi Paradiso.
Il giorno dei Morti.
[Dire ciao.]


 
[Nessuna song,
ma sono consigliati i Linkin Park]
[...]: Flashback

 
[Con un leggero tremolio nelle tende di tessuto rosso scuro, dalla finestra entrò uno spiffero d’aria, un soffio di vento, una carezza dall’aldilà. Naruto la sentì sfiorargli le guance irsute lentamente, come se lo spostamento d’aria si fermasse su di lui appositamente. La sua espressione non cambio, né la sua posizione; con gli occhi aperti, un polso appoggiato sulla fronte madida e la bocca socchiusa, Naruto si lasciò cullare da quel dolce movimento, in una attesa pensierosa.
Non ha mai creduto realmente in un essere superiore, un Dio, o in qualche Kami – la sua fede è stata altalenante, vacillante, come è giusto che sia in chi si porge delle domande – ma ha sempre creduto ciecamente nell’esistenza dell’aldilà, di un posto migliore, da dove i suoi cari lo guardassero divertito. Si è aggrappato a quella speranza con tutte le sue forze fin da bambino, quando più si sentiva solo, sicuro che ci fosse sempre qualcuno al suo fianco, a proteggerlo.
Quella convinzione non l’aveva mai abbandonato, neanche quando ne aveva passate di tutti i colori, neanche quando il suo pensiero maturo e critico era ormai all’apice. Aveva attribuito l’arrivo di certi angeli nella sua vita – come Sasuke, Hinata e gli altri – a certi altri che invece erano rimasti al limite, all’orizzonte, a osservare silenziosi lo spettacolo della sua vita. Gli angeli lo avevano salvato più di una volta, e continuavano a farlo, e si chiese se, quando lui sarebbe passato oltre, sarebbe stato in grado di proteggere i suoi cari come avevano fatto suo padre, sua madre e suo nonno con lui. Era passato poco più di un mese da quando era venuto a sapere di quella verità atroce che, da quando si era intrufolata nella sua mente, non l’aveva mai abbandonato: un male incurabile, un cancro all’ultimo stadio, nulla da fare. Morte. Presto sarebbe morto.
Osservando distrattamente il rettangolo di luce disegnato sulle lenzuola che attraversava la finestra, Naruto ricordò quel giorno doloroso quanto il sapore acre che aveva in quel momento nella gola: una giornata triste, ansiosa, solitaria. Seduto davanti alla massiccia scrivania di fattura costosa del medico, con gli occhi spalancati e il cuore a pezzi: aveva smesso di ascoltare quando l’uomo, con finto e costernato dolore, aveva pronunciato le parole «cancro incurabile». In quel momento, non era successo niente di quello che aveva visto nei film: nessun pianto, nessuna visione mentale di tutta la propria vita, nessuno scatto d’ira, nessuna rivelazione. Naruto, mentre sentiva il cuore ridursi in minuscoli frammenti sottili come sabbia fine,  nel momento in cui il petto divenne improvvisamente vuoto ma al contempo stranamente pesante, riuscì solo a pensare: è così che paghi tutto questo ben di Dio, la casa per i tuoi figli, i gioielli per tua moglie, questa immensa scrivania: con il mio cancro.
Erano passati minuti interi ti spiegazione specifica e incomprensibile, buona solo a riempire quel tempo ansioso e vuoto, un ottimo espediente da dottore specializzato e plurilaureato.
Si era sentito immensamente stupido quando all’improvviso gli era venuto da vomitare. Sapeva di essere diventato bianco come un cencio, ma i pensieri di quei minuti lo fecero distrarre da tutto ciò.
Ricordava solo di essersi alzato lentamente, la morte nel cuore, ed essersi chiuso la porta alle spalle, senza dare cenni di saluto. Si sentiva già morto.
In quei giorni era stato scostante, poco coinvolto nell’entusiasmo della band, poco amorevole nei confronti di Hinata. La sua bella, dolce Hinata… l’aveva sorpresa a guardarlo ansiosa, quando si appoggiava a una parete o si sedeva cercando di non svenire per il dolore, o di cadere a causa delle vertigini. Si sbrigava subito a sorriderle, o a cambiare argomento, cercando di non farla preoccupare. Altre volte, quando il dolore era troppo da sopportare, si sfogava su di lei: la svegliava di notte con baci passionali, senza darle il tempo di replicare, e lei era sempre premurosa e accogliente. Sulle prime non capiva perché si comportasse così, perché non fosse riuscito a dirle: «ho un cancro.» In quelle giornate solitarie, quando si ritirava prima a casa con la scusa di avere da scrivere, ci aveva riflettuto a lungo, riscoprendosi codardo. Non voleva dirglielo. Le aveva giurato amore eterno, con che faccia le avrebbe comunicato di avere solo pochi mesi di vita, forse un anno? Un  per sempre che dura un anno non è un per sempre. E poi gli veniva in mente una foto di una donna bella, dal sorriso dolce e maturo, leggermente stempiata: Hoshiko Hyuuga, la sua storia di dolore, la tristezza di Hinata. Con che coraggio sarebbe riuscito a dirle che la storia si stava ripetendo?
Naruto scostò la mano dalla fronte per portarla a coprire le palpebre chiuse, dove gocce di rugiada ristagnavano, pronte a piovere. Il dolore gli lacerava il cuore e la mente, dove un martellio perpetuo gli provocava un gran mal di testa: le medicine non bastavano. Era difficile nascondere i flaconi e flaconi di pillole e bustine, così come la loro assunzione: nascoste in una scatola sotto il letto, assunte a intervalli regolari, appena Hinata si dileguava per una telefonata di lavoro.
Vivere nascondendosi pur di vivere: Naruto non avrebbe mai pensato di essere costretto a farlo. Custodiva un segreto incredibilmente grande, desideroso di vivere una vita normale che ormai si era già dissolta in minuscoli frammenti che lui si ostinava a raccogliere. Una lacrima si scivolò sulla gota, lesta.
«Naruto-kun?»
Non l’aveva neanche sentita arrivare. Si mosse veloce mettendosi su un fianco, dandole le spalle, asciugandosi velocemente le guance. Sperò che Hinata non se ne fosse accorta.
«Naruto-kun… » esalò ancora lei in un sospiro dalla trista sonanza.
Il biondo si mise a sedere, buttando fuori dal letto le gambe, le spalle incurvate. Sentì il materasso abbassarsi leggermente – come se Hinata non avesse peso, inconsistente – e il tocco di un bacio umido alla base della nuca. Le mani fredde e bianchissime di Hinata gli sfiorarono la pelle nuda del torso, e poi quella del torace, mentre lo stringeva in un abbraccio: Naruto ne osservò il profilo allungato, le unghie perfettamente quadrate, le dita affusolate. Decise che le avrebbe messo un anello al dito il prima possibile.
«Buongiorno, Naruto-kun.» la mano destra di Hinata salì e gli accarezzò lentamente il petto, mentre si appoggiava con la fronte contro la sua schiena «Ho preso i fiori da Ino-chan.» si mosse appena e il biondo rabbrividì al breve contatto con la punta del naso di lei, congelato «Se non ti va di uscire, posso andare da sola…»
«No.» Naruto le afferrò le mani, cullandosi insieme ai suoi pensieri macabri in quelle braccia delicate «Vengo. Dammi il tempo di vestirmi.» - e di prendere mezza dozzina di pillole.
Lei annuì contro la sua spalla, i lunghi capelli gli solleticarono un fianco «Grazie, Naruto-kun.»
 
Hoshiko Hyuuga aveva soltanto 29 anni quando era sopraggiunta la morte.
Aveva partorito due figlie, una da poco, a cinque anni di distanza: era giovane per avere una famiglia così solida, ma lo era molto di più per aver sconfitto per ben due volte il cancro. Hinata gli aveva raccontato tutta la storia nei minimi dettagli, durante notti insonni, e lui aveva prestato attenzione, ma non pensava che un giorno quella storia potesse essere motivo di ispirazione per lui.
Hoshiko Hyuuga aveva avuto il coraggio di combattere con forza e sconfiggere il cancro per una famiglia che l’amava. C’erano notti in cui si svegliava urlando per il dolore e, quando Hinata aveva origliato, preoccupata, sussurrava al marito che aveva troppo da perdere, mordendosi forte la mano pur di non urlare ancora e svegliare le sue bambine: gocce di sangue colavano sul pavimento e sul lenzuolo azzurro. Passavano giorni in cui non riusciva neanche ad alzarsi dal letto; vietava alla figlia maggiore di andare a trovarla, pur di non mostrarsi debole e pallida ai suoi occhi. Poi, di punto in bianco, una mattina dopo settimane e settimane di sedentarietà, la trovavi intenta a preparare la colazione per tutta la famiglia, nonostante avessero cuochi e camerieri. Lei li mandava tutti a fare altro per un paio d’ore, si metteva ai fornelli e canticchiava canzoni degli anni cinquanta. Hinata ricordava quelle mattine come le più belle della sua vita, con in mente la figura della madre impressa a fuoco: alta e magrissima, un tailleur rosa antico, le spalle leggermente ricurve, una bandana sempre di un colore diverso a coprire la nuca liscia, occhi ridenti e un gran sorriso sulle labbra.
Hoshiko Hyuuga era stata una grande combattente. Era riuscita a sconfiggere il cancro, i capelli le erano ricresciuti, era riuscita a mettere di nuovo su un po’ di peso, le guance si erano arrotondate. Ma a volte, il destino era davvero crudele, e un secondo cancro, più forte di prima, l’aveva stesa. A quel tempo Hinata era più grande, i suoi sette-otto anni le consentivano di fare ciò che la mamma non poteva più, si prendeva cura della sorellina minore, preparava la colazione salendo su un grosso sgabello, cercando di sembrare felice come Hoshiko ma riuscendo solo a piangere con un sorriso finto e tremolante. Hoshiko, ora, le consentiva di raggiungerla nella sua camera. Col senno di poi, Hinata capì che l’unico motivo per cui ciò le era permesso era che la madre sapeva perfettamente che non sarebbe riuscita a sconfiggere il suo male, non ancora. Non c’era più nessuna bella immagine di se stessa da conservare – sua figlia minore non sarebbe neanche riuscita a ricordarla felice – né tempo. E così Hinata suonava per lei in camera – ballate al pianoforte, musica jazz col sassofono, un Verdi in andante con il flauto traverso – e se era fortunata, sua madre in cambio cantava per lei, dolcemente, delicata. Aveva letto che la musica fosse in grado di aiutare i malati, ma Hinata non vedeva risultati, se non qualche raro sorriso.
Ci fu una volta, verso la fine di marzo, in cui  sostava al pianoforte a coda nella camera da letto della madre, intenta a esercitarsi su una canzone di Mozart. Continuava a sbagliare sempre lo stesso passaggio, sempre lo stesso, ancora e ancora… passò un’ora senza ottenere risultati.
Hoshiko Hyuuga buttò lentamente le gambe fuori dal letto. Si avvicinò il bastone e fece leva per alzarsi. Hinata se ne accorse solo quando la sentì mugolare, cercando di flettere gli arti sottilissimi. Osservò le sue ossa fragili – ormai era rimasto solo quello – non più nascoste dal lenzuolo ed ebbe paura, ma non si mosse. Le sembrava di assistere a un miracolo: erano tre mesi che sua madre non si muoveva dal letto.
Hoshiko mosse passi incerti cercando di aggirare il letto, che ormai era diventato unicamente suo, dato che il marito si era trasferito nella camera degli ospiti. Hinata la osservava a occhi sgranati, e stava ormai piangendo quando lei raggiunse il piano.
«Okaa-chan?» aveva mormorato fra le lacrime, mentre sua madre, ansante e distrutta, la schiena piegata in due, si sporgeva oltre di lei per raggiungere i tasti d’avorio. Hoshiko eseguì il passaggio lentamente, ma Hinata non osservò le sue dita scheletriche muoversi adagio, e non seppe mai come si dovesse svolgere quella battuta. Sentì le note, dolci e lente, melodiose, ma continuò ad osservare il volto grigio di sua madre, piangendo. Aveva un sorriso tirato e stanco, ma sorrideva.
«Si fa così, Hina-chan.» aveva mormorato, prima di lasciarsi andare sul pavimento, mugolando e ansando. Hinata urlò, disperata, piegandosi su di lei per accarezzarle il viso, mentre la donna sveniva, dolorante. Ben presto arrivarono i camerieri, il medico che ormai viveva con loro per dedicarsi alle cure di Hoshiko, e infine suo padre. Quando incontrò il suo sguardo, duro e arrabbiato, raggelò. Le stava dando la colpa.
Un cameriere la prese fra le braccia e la portò via dalla stanza. Non rivide più sua madre.
Morì a metà aprile.
La data, incisa su una lapide di marmo lavorato con disegni di angeli, sostava immobile davanti ai suoi occhi. Il dodici aprile del ’95, mentre i fiori del suo amato giardino sbocciavano, Hoshiko Hyuuga morì, a soli ventinove anni, lasciando una figlia di sette anni e una di due.
Con la testa che gli girava, Naruto si inginocchiò accanto alla fidanzata, le cui spalle tremavano, scosse da singhiozzi muti. Allungò la mano per posare una rosa bianca fra i gigli e le gardenie già poste da Hinata.
«Sua figlia è la mia unica ragione di vita, signora Hoshiko.» perché se non fosse per lei, mi sarei già suicidato, ponendo fine a questi dolori atroci. Pregò in silenzio, sperando che Hoshiko gli desse metà della sua forza per andare avanti. In fondo, era per la stessa persona che avevano lottato.
Dopo alcuni minuti, Hinata si alzò. Tremava.
Naruto la seguì a ruota. La osservò, incontrò il suo sguardo. Aveva gli occhi lucidi e le lacrime ingrandivano i suoi occhi perlacei. I denti battevano in modo irregolare. Nonostante il maglione e i pantaloni pesanti – completamente vestita di nero, per la prima volta da quando stavano insieme – Hinata tremava. Si tolse la giacca di pelle – rosso scuro, come sangue – e gliela posò sulle spalle. Si sfilò la spessa sciarpa arancione e gliela pose intorno al collo, per poi abbracciarla.
«Ti amo, Hinata.» mormorò, dandole un bacio fra i capelli. Hinata si lasciò cullare, ma non disse nulla.
Si incamminarono verso la collina. Gli alberi perdevano le loro foglie, rendendo tutto molto più triste. C’era molta gente, quel giorno, al cimitero. C’era chi piangeva, chi pregava silenziosamente, chi porgeva un fiore e fuggiva via velocemente, senza fermarsi a salutare. Era il giorno dei morti.
Naruto stringeva Hinata a sé, avvolgendole le spalle con un braccio. Non aveva smesso di tremare.
Percorsero molti metri prima di intravedere una collinetta più alta, ombreggiata da un salice piangente. Con gli scarponi che sfrigolavano a ogni passo nell’erba umida, i due raggiunsero l’albero.
Quattro lapidi dai volti ridenti sembrarono salutarlo. Naruto, tristemente, pensò che aveva molti morti da onorare. Passò lo sguardo sulle foto, sui nomi incisi: Kushina Uzumaki Namikaze, Minato Namikaze, Jiraiya Namikaze, Konohamaru Sarutobi. Pensò alla storia particolare di quest’ultimo. Quando era morto, i suoi genitori non avevano abbastanza soldi per dargli una sepoltura decente e Naruto, piuttosto che lasciare che venisse tumulato in un padiglione comunale, aveva pagato di tasca sua, spendendo tutti i suoi risparmi. Aveva deciso di porlo lì, vicino alla sua famiglia. Konohamaru ne faceva parte.
Mentre Hinata lo osservava, silenziosa, Naruto pulì le lapidi, scostò le foglie secche e appoggiò i mazzi di fiori colorati. In ognuno di essi, c’era almeno un girasole.
«Sono come li volevi?» chiese Hinata, infilando le mani nelle tasche, il naso affondato nella sciarpa.
«Sì, grazie.» mormorò lui, in risposta. L’abbracciò. «Perdonami, Hinata. Io… vorrei rimanere solo, per qualche minuto.»
Hinata sembrò sconvolta, all’inizio, ma poi annuì, dolcemente «Lo capisco. Va bene. Ma posso tornare più tardi?»
«Perché?»
«Voglio rivolgergli anche io una preghiera.» un delicato sorriso affiorò sulle labbra di lei «Voglio dirgli che persona meravigliosa sei.»
Naruto sorrise, le accarezzò una guancia. «Certo. Grazie, Hinata.»
E mentre Hinata andava via, lo sguardo gli cadde su un posto vuoto, all’ombra, apparentemente normale. Sarà lì che mi farò seppellire.
 
Hinata camminava nel cimitero, incerta sul da farsi. Ormai era un quarto d’ora che aveva lasciato Naruto solo. Non aveva pensato di chiedergli quanto tempo gli servisse, e non voleva interromperlo nella sua riflessione solitaria. Osservava le lapidi mentre camminava, leggeva date e nomi – bambini, ragazzi della sua età, adulti, anziani – dedicando a tutti una piccola preghiera, delicata e silenziosa, augurandogli che i loro cari, almeno quel giorno, andassero a trovarli.
Svoltò l’angolo, spingendosi nel corridoio più esterno del cimitero, fiancheggiando la cinta muraria.
Una figura scura e solitaria si ergeva al fondo di esso. Era molto lontano, ma le sembrò di conoscerlo. A passi leggermente più veloci, Hinata si incamminò, incerta, in direzione dell’uomo.
Quando fu a qualche metro, Hinata si rese conto che non era un uomo, ma un ragazzo della sua età.
I capelli neri, che gli arrivavano alle spalle, per una volta erano spazzolati e ordinati, tirati indietro, lasciando scoperto il volto dai lineamenti delicati, quasi femminei, se non fosse stato per la mascella massiccia e forte. I vestiti erano quelli di sempre, ma sembravano più ordinati e ben stirati: lunghi pantaloni neri a sigaretta, maglia nera aderente, giacca di pelle. In un certo senso, si somigliano, lei e il ragazzo.
«Sasuke?»
Lo vide voltarsi verso di lei quasi spaventato, lo sguardo frastornato: non si era accorto della sua presenza, troppo immerso a osservare le lunghe lapidi davanti a lui. Aveva uno sguardo che non gli aveva mai visto: occhi grandi, sgranati, da bambino, da ragazzo perso e confuso, lucidi e intrisi di un dolore difficile da notare sul volto gelido dell’Uchiha.
Lui sembrò accorgersene, chiuse gli occhi e si massaggio le palpebre con indice e pollice.
«Hinata…» sembrava incapace di parlare «…che ci fai qui?»
La ragazza si voltò, guardò le lapidi: Mikoto Uchiha e Fugaku Uchiha, i genitori di Sasuke. Gli si avvicinò a passi lenti.
«Quello che ci fai tu.» rispose la ragazza, tristemente, per poi sfiorargli un braccio, ormai vicina «Non ti ho mai detto che… che mi dispiace molto per i tuoi genitori.»
Sasuke si tolse la mano dal viso, con un gesto stanco, lasciando che gli ricadesse lungo un fianco. I suoi occhi erano cambiati ancora, ma soltanto leggermente: non apparivano più persi, ma rassegnati. Il dolore era lo stesso.
«Dispiacersi è inutile, ormai. Sono parole vuote.» disse, duramente. Ma notando l’espressione intristita di Hinata, cercò di addolcire la voce «Scusami.» mormorò «Non sono abituato a… parlare di queste cose.» a parlare di me.
Hinata annuì debolmente «Lo capisco. Ti capisco, Sasuke.»
Sasuke, a quelle parole, cambiò espressione. Osservando il volto delicato della Hyuuga, capì quanto fosse sincera. Dolce, sincera, ingenua, eppure così matura, forgiata dalla tristezza. Una tristezza così simile alla sua che, per la prima volta, Sasuke pensò che esistesse davvero qualcuno al mondo che potesse capirlo con tale facilità, oltre a Naruto. Sentì gli occhi inumidirsi, commosso da quella scoperta, e si detestò per questo. Forse era l’atmosfera malinconica, l’argomento macabro, o quel giorno particolare, ma qualsiasi cosa fosse, aveva reso il cuore di Sasuke più malleabile, abbassandone le difese e permettendo così ad Hinata di entrare. Di entrargli dentro, sotto la pelle, nel cuore, nell’anima. Osservò la mano di Hinata ancora avvolta attorno al suo braccio, in una carezza delicata.
Si allungò in avanti, mise una mano sulla sua spalla e se la tirò contrò, avvolgendo le sue scapole in un abbraccio che la sorprese infinitamente, ma le fece altrettanto piacere. Si appoggiò nell’incavo del suo collo, sul tessuto morbido della sciarpa arancione, cercando di nascondere le lacrime. Inspirò il suo profumo di lavanda, dolce e sinuoso, per calmarsi.
«Scusami, Hinata.» la voce non tradì la sua emozione «Mi spiace per tua madre.» e poi, un sussurro «Grazie.»
Hinata sorrise, stringendolo a sua volta.]
 
Kono-ji-chan assomiglia a Kiba-ji. E’ diverso. Sembra piccolino.
Ojii-san ha i colori di ‘tou-chan.
Seduto sull’erba, un blocco di fogli in mano, i pastelli sul prato, Kurama disegnava, osservando le immagini che aveva davanti. Stele marmoree, adombrate dal salice, intagliate con disegni di angeli e note musicali.
Obaa-san ha il sorriso di ‘tou-chan. Ha i capelli rossi. Nessuno li ha così.
Ojii-Jiraiya-sama è l’ojii di ‘tou-chan. E’ strano. Ma sorride anche lui.
Ohayò, oji-chan, obaa-san, ojii-san, ojii-sama.
Io sono Kurama.
                                   Sono piccolo, ma tanto forte. 





 

Angolo Autrice~
Mi scuso infinitamente per il mio ritardo. Il periodo è strano e coinvolgente e mi è difficile scrivere,
quanto pubblicare. Una passione improvvisa per Shadowhunter (proprio a me che odiavo i fantasy!)
mi ha tolto più tempo del previsto, fatto sta che sono al quinto libro in due settimane. Non riesco
più nemmeno a visitare EFP quanto vorrei e me ne dispiaccio molto, quindi, scusatemi.
Non avrei neanche aggiornato per questa settimana se non fosse l'improvvisa voglia di scrivere
trascinata dai sentimenti che il giorno dei morti mi porta vicino al cuore. Quest'omake, che in quanto
tale è solo un bonus per conoscere meglio (e in un'altra prospettiva) i nostri personaggi, si colloca
nell'ottobre di Filosofia di vita, cinque anni prima di questa storia. L'ultimo pezzo, invece, è un 
momento di Kurama che, probabilmente accompagnato da Ino, trascorre del tempo con "la sua 
famiglia" in assenza della madre, in tour. Tutto un pò triste, malinconico, come d'altronde sono io,
soprattutto in questi giorni. Spero che la storia vi sia piaciuta!

 
 
Mi 

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Capitolo 20
*** October. ***


Gli ultimi sognatori.
Occhi Paradiso.
October.
[ Il tempo non basta mai. ]
 
[Evanescence: October]
 
 
Era strano.
L’unica cosa a cui riusciva a pensare, in quei giorni, era a quanto tutto quello fosse strano. E problematico.
Dopo quella dannata sera del loro primo concerto insieme, Hinata non si era vissuta il tempo che aveva avuto bene come avrebbe voluto. Erano passate tre settimane, giugno era quasi al termine e loro avevano concluso quattordici delle date confermate, e quindi erano stati in altrettante città. Dopo i concerti, andavano a bere qualcosa tutti insieme, ma non era mai successo che fosse riuscita a scambiare due parole con Sasuke, ed anche le occhiate adesso erano rare, ma i suoi occhi la tormentavano, se li sentiva sempre e comunque addosso, come una carezza sulla pelle nuda - tanto intima da farle provare imbarazzo -, il suo corpo all’improvviso bruciava e lei non riusciva ad alzare lo sguardo. Si evitavano spesso, facevano entrambi l’impossibile per non incontrarsi, cercando di non destare nessun sospetto nel gruppo. Questo era relativamente semplice, data la notevole riservatezza che aveva sempre caratterizzato i due. Ciò comunque non voleva dire che Hinata non osservasse Sasuke, di tanto in tanto, e che quindi lo scopriva il più delle volte a flirtare o ad imboscarsi con Karin, abitualmente accompagnato da una bottiglia del malcapitato alcool di turno.
Hinata stava male. Soffriva. Non riusciva a spiegarsi perché, ma accadeva che osservandosi intorno si ritrovasse a chiedersi dove fosse il moro e che subito dopo venisse travolta da una marea, uno tsunami, che le colpiva forte il corpo e le faceva venire il mal di mare. Si era buttata a capofitto nel lavoro, spesso la si ritrovava al telefono ed era addirittura riuscita ad organizzare la realizzazione di un loro video inedito a Parigi e a concordare un’intervista nella stessa città.
Ma non era questo il motivo per cui quella notte le era impossibile dormire. Seduta sul pavimento freddo della veranda della sua camera d’albergo, osservava il cielo stellato della città che presto avrebbe lasciato, mentre fra le mani girava e rigirava un plico di lettere. Il cuore le batteva forte nel petto, incontrollato e implacabile. Si sentiva quasi svenire, mentre pensava a quanto era successo.
«Perché ti amo.»
Era così semplice. Una frase di tre parole, che a suo modo spiegava tutto – o niente. Detta con leggerezza quasi, in un singolo respiro, senza bisogno di incanalare altro ossigeno, eppure così profonda, fragile, struggente. Lo dicevi con un respiro e subito dopo ti lasciava senza fiato: « Ti amo.»
E in quel lungo tempo di riflessione, Hinata aveva capito tutto, col tempo ogni cosa si era fatta chiara. Quel sentimento era nato con l’amicizia, cotto su quel fuoco lento e perpetuo che era il bisogno. Bisogno di un amico, di una spalla su cui piangere, di uno sfogo, di comprensione, di una vita nuova, di felicità. Un affetto nutrito, calibrato, preciso, in continua crescita. E alla fine si erano avvicinati così tanto che il suo cuore aveva ceduto.
Ma lei? Possibile che anche dentro il suo cuore albergasse il desiderio di un nuovo amore?
Era confusa, incredibilmente, e con difficoltà cercava una risposta. Ironico come in quel momento tutto ciò che desiderava fosse un consiglio proprio da parte della persona che aveva amato di più nella sua vita – quella stessa persona che, fosse stata ancora viva, con la sua sola presenza avrebbe impedito la nascita di quei sentimenti. Per questo motivo, reggeva fra le mani un plico di lettere e un grosso diario, destinati a lei, che non aveva mai avuto il coraggio di aprire. Sentiva il bisogno di sentire più vicino Naruto, di sentire un suo consiglio dalla sua voce, o dalla sua penna, eppure era bloccata, traumatizzata quasi, e le era completamente impossibile riuscire anche solo a immaginare di poter aprire e leggere le ultime parole che il suo amato aveva per lei.
Si chiese se, invece di incontrare Naruto, quel giorno di Dicembre di sei anni prima, avesse incontrato Sasuke, cosa fosse successo. Si sarebbero innamorati? Anzi, sarebbero riusciti a parlarsi? Probabilmente no. Naruto li aveva cambiati completamente, rendendo così possibile un loro avvicinamento: sei anni prima erano solo una giovane lavoratrice frustrata e vuota e uno strafottente ventunenne cinico e altezzoso. Sarebbe stato come innamorarsi del cattivo della storia, ma a lei certe scemenze moderne non erano mai piaciute. Non tollerava quelle persone che si innamoravano dell’uomo rude e sopportavano la freddezza e il risentimento perché innamorate di un ideale allo stato puro. Lei, l’unica volta che si era davvero innamorata, era caduta vittima di un principe azzurro della stirpe dei stramboidi: infinitamente buono, spesso goffo e inopportuno, estremamente divertente e a volte malizioso. Il suo principe aveva un cuore grande, occhi azzurri e cappelli dorati, rispondeva al nome di Naruto e adorava il sorriso, suo e quello degli altri. Hinata non aveva mai creduto nelle favole, eppure il suo primo amore era stato qualcosa di molto simile, anche se privo di un lieto fine.
Naruto.  Ogni volta che pronunciava mentalmente quel nome sentiva una fitta al petto che era tanto forte da straziarla. Con il tempo tutto passa, lui glielo diceva sempre, ricordò, ma era soltanto una bugia, una delle tante -  lui lo sapeva bene che il tempo non basta, lo sapeva perché le sue perdite ancora ardevano, appena sotto la pelle.   
«Se io morissi », una voce trapelò in un sussurro in mezzo ai suoi pensieri, « non rimanere sola, trova qualcun altro, vai avanti con la tua vita, sii felice.»
Ricordò di essersi messa a ridere come una bambina rispondendo con un «Ma tu non morirai tanto presto, Naruto-kun, non ci pensare neanche!»,  ma adesso, soltanto a quel pensiero, il cuore cessò di battere e  il respiro le si mozzò in gola. Quanto era stata superficiale nel liquidare un discorso tanto serio così velocemente! Quanto male aveva sfruttato il poco tempo che avevano avuto per vivere insieme!
Calde lacrime scivolarono giù dalle sue guance bianche, mentre si abbracciava le gambe, in balìa della solitudine. Non c’era il suo amato Kurama da stringere durante la notte, né… Sasuke. Non c’era più quella sensazione tranquillizzante nel sapere di potergli parlare liberamente, senza freni, senza limiti. Non c’era più Sasuke.
Non seppe spiegarsi perché, ma questa consapevolezza, le inflisse un altro colpo al petto, forte e infimo allo stesso modo del primo. Fu allora che capì che per lei, senza Naruto e senza Sasuke, non c’era più speranza di un futuro migliore.
 
Il loro concerto era stato fissato a circa quattro giorni dal loro arrivo in città, aumentando così l’attesa e l’emozione per i fan. Quando arrivarono all’aeroporto, c’era così tanta gente ad attenderli che alcuni agenti della sicurezza avevano dovuto transennare il luogo d’arrivo, così, mentre scendevano le scale, vennero fotografati da una folla urlante. Salutarono molto gentilmente, Kiba per poco non venne risucchiato dalla gente, dato che tutto felice e contento si era avvicinato troppo alle transenne, incurante, e così più mani poterono afferrarlo. Per poco Hanabi non sbroccò quando più d’una aveva cercato di stampargli baci a destra e a manca.
Dopo una breve sosta in albergo, anch’esso sotto assedio dei fan, la prima tappa era alla sede locale di MTV, per un’intervista e una esibizione esclusiva che sarebbe andata in onda in più nazioni.
Il gruppo era molto in ansia per quella fatica: non solo perché la loro prima e ultima intervista come Origin aveva avuto un finale tragico e scottante, ma anche perché sarebbe stato difficile rispondere a domande delicate sul loro passato e, probabilmente, sul loro futuro. Era per questo che avevano deciso che l’avrebbero fatto insieme, sorreggendosi l’un l’altro.
Perciò, Hinata non si stupì di sentirsi tremendamente agitata, mentre Hanabi tentava di truccarla, nel camerino.
«Sta ferma, così mi fai sbagliare!» la rimproverava la sorella, sempre più spesso «Perché tremi?»
Hinata ignorava la domanda – non poteva dirle la verità – e rispondeva mentalmente al quesito: perché tutti guarderanno me, perché tutti mi faranno domande, perché sono vedova. Hinata sapeva benissimo che passare da produttrice a cantate era un avvenimento alquanto insolito e quindi soggetto a domande, soprattutto quando prendi il posto del tuo defunto fidanzato nella band fondata da lui. L’avrebbero martoriata di domande, facendo riemergere il passato e ricordi brucianti. Vorrebbe morire.
E nonostante sapesse perfettamente di aver concordato con i suoi amici di affrontare le domande insieme, previde che da un certo momento in poi sarebbe stata sola. Si diede della matta per aver accettato quella intervista, pensando solo al profitto e alla visibilità che avrebbe portato ai Post Apocalypse e alla Moon’s eyes. Si era messa nei guai da sola e non ci sarebbe stato nessuno a prenderla al volo quando sarebbe caduta: né Naruto, né Sasuke.
 
[Il salotto di casa Uchiha sembra grande e accogliente, ma non lo è sicuramente quanto quello delle Hyuuga. E’ ottobre e un vento alto e rumoroso si è alzato sulla città, sollevando le prime foglie che l’autunno ha portato alla morte. Sasuke continua a pensare a quanto sia comodo il divano dove è disteso a fumare e a quanto lo sia quello delle Hyuuga, finendo poi per asserire mentalmente che qualunque divano era più comodo dello scatolone o della panchina dove ha vissuto per anni. Ricorda il freddo di quell’epoca, la pelle screpolata e bianca,  e gli è inevitabile pensare che lui, quel pallore, se lo porta ancora addosso, come fosse ancora in mezzo ad una strada, mentre Naruto pian piano ha ripreso un colorito che erano più di dieci anni che non vedeva. Lo osserva, coricato sul tappeto proprio accanto al divano, e nota la malinconia che lo avvolge come la sciarpa del caldo arancione autunnale che porta al collo: sembra accoglierlo dolcemente, ma potrebbe anche soffocarlo. Una malinconia che lo riporta a tutti gli autunni e agli ottobre passati insieme, ai giorni in cui Naruto aveva colto una foglia d’un arancione appassito, quasi marroncino, portata dal vento fino a lui, tutti gli anni. E come sempre, recita le stesse parole: « E’ passato un altro anno, ‘kaa-chan, ‘tou-chan.». E Sasuke sa bene che Naruto raccoglie ancora una foglia ogni ottobre, aggiungendola a quelle raccolte negli anni, stipate in una scatola da scarpe che più di una volta aveva subito insieme a loro pioggia e vento. Non sa dove essa sia in questo momento, ma immagina che sia riposta sotto il letto, o in un cassetto, vicino al luogo in cui dorme. Sasuke osserva le labbra strette e gli occhi chiusi del suo amico, nonché la rabbia con cui stringe un lembo del tappeto scuro, e pensa di rivedere ancora una volta le emozioni che hanno contraddistinto quel mese fatidico, dove una passeggiata fino al cimitero è d’obbligo, per l’Uzumaki. Si sbaglia, ma non lo sa.
«Sai, Sas’ké… » Naruto tiene ancora gli occhi chiusi «Ripensandoci, non credo che Hinata possa mai stare con Kiba, la gelosia si è completamente dissolta, e sono stato stupido a non pensarci, mesi fa.» Sasuke si volta su un fianco, incuriosito e stranito dal discorso che Naruto ha intrapreso dopo ore di silenzio «Adesso, invece, mi incute più paura il rapporto che lei ha con te.»
Cercando di soffocare la risata che gli nasce spontanea, Sasuke ingloba del fumo che non avrebbe voluto respirare, e tossisce. Gli occhi si arrossano e inumidiscono per lo sforzo, e le parole che vorrebbe dire fanno tanta fatica ad uscire che rinuncia a parlare quasi subito.
«Lo so che ti sembra assurdo, Sasuke.» gli occhi di Naruto sono ancora chiusi, ma le palpebre tremano in modo impercettibile «Ma voi vi assomigliate molto più di quando pensiate. Io vi conosco entrambi, e vedo le vostre similitudini, così come le vostre differenze, e le mie con le vostre.» cieli azzurri si socchiudono, ma Sasuke nota che quest’oggi sembrano un po’ annuvolati: altro geroglifico della malinconia e di una tristezza che stavolta non riesce a capire «Siete entrambi così riflessivi, così riservati, misteriosi… vi tenete dentro un mondo meraviglioso.» un battito di ciglia che sembra durare all’infinito «E’ stato un piacere osservare il vostro grande mondo segreto dallo spiraglio che mi avete offerto, non dimenticarlo mai, Sas’kè.» gli occhi di Naruto si chiudono ancora, e mentre la confusione dentro il moro cresce, un rumore sordo gli vibra nel petto «Sento che se io non ci fossi, tu e Hinata sareste sicuramente finiti insieme. Nemmeno Sakura ti ha mai capito al volo come fa lei, ed è questo di cui tu hai bisogno, mentre lei ha la necessità di riscoprirsi, di rischiare, di migliorare, e solo tu puoi spingerla oltre i suoi limiti.» un sorriso amaro affiora fra le sue labbra e Naruto apre ancora gli occhi, colorati da una tristezza infinita «Per tutti i Kami, Sasuke, so benissimo quanto tutto questo possa sembrarti assurdo, ma ti prego, devi promettermi una cosa: se io morissi, tu devi fare di tutto per dare a Hinata la vita che ha sempre desiderato, devi renderla felice, e solo amandola puoi farlo. Promettimi che lo farai.»
Naruto non attende una risposta, chiude gli occhi e torna alle sue riflessioni. Sasuke ha la sensazione che ci sia qualcosa di tanto grande quanto invisibile davanti a lui, che riesce solo a percepire, ma non a vedere. Ricorda la promessa di anni prima, di quando Naruto aveva solo diciotto anni e pensava di morire davvero: « Sotterra con me le mie foglie. ».
Per un momento lo sfiora il pensiero che Naruto sia troppo melodrammatico e preso da l’atto finale della promessa sul punto di morte, ma un secondo dopo la paura e la tristezza lo avvolgono, trafiggendolo con abile precisione. La sigaretta si è spenta e la cenere cade, e in quell’istante Sasuke sente che c’è qualcosa di diverso stavolta, un alone di verità e dolore che il suo subconscio ha già compreso ma che il suo intelletto non vuole accettare. Si sente improvvisamente vuoto dal suo essere e al contempo privo di forma: solo emozioni, tante e diverse, ma forze uguali e contrarie si annullano e alla fine non riesce a sentire – né a capire – niente. E mentre tutto questo dentro di lui accade, si evolve e si trasforma, non può fare a meno di notare che per l’intera durata di quel discorso, Naruto non l’ha mai guardato. Naruto ha gli occhi chiusi, vacui, ciechi. E non lo guarda.]
 
«Sasuke?» la voce di Hanabi gli giunse alle orecchie proprio mentre il dolore stava per sfociare in pianto «Ti stiamo aspettando tutti.»
Desiderò immensamente che fosse stata Hinata a chiamarlo, ma anche se non era affatto bravo a mantenere le promesse, doveva esaudire quella che aveva fatto a se stesso: starle lontano.
Si guardò allo specchio del camerino che aveva riservato a lui e agli altri due, cercando nei propri occhi una minima traccia dell’Io che aveva imparato a conoscere in quegli anni e che da un po’ di tempo a questa parte sembra essersi dissolto, ma non riuscì a trovarla. Allora osservò i propri abiti, e nella giacca di pelle nera borchiata come i pantaloni e gli stivali e la maglia bordeaux che Hanabi gli aveva dato ritrovò l’uomo forte e detestabile d’un tempo, ma era solo un’immagine riflessa nello specchio, un’illusione, non la verità.
Senza rispondere, Sasuke si alzò e andò verso la porta, dove Hanabi lo aspettava, appoggiata allo stipite. Per un attimo soltanto incrociò il suo sguardo, e un espressione docilmente preoccupata si dipinse sul suo volto, ma invece di parlare girò i tacchi camminò, percorrendo un sentiero tracciato mentalmente attraverso gli apparecchi e le macchine della sala dove si terrà lo show televisivo.
Si accostò ad un’altra porticina e la socchiuse, invitandolo ad oltrepassarla, ma prima che possa farlo lo afferrò un lembo della giacca di pelle. Si guardarono, Sasuke inarcò un sopracciglio, Hanabi stringe le labbra, poi parla.
«Come tua stylist sono fiera di te perché questo tuo cipiglio aggressivo e misterioso piace da morire ai fan » disse, con una nota di ironia ben marcata « ma come tua amica non posso che essere preoccupata per te. Che ti succede? »
Sasuke per un momento pensò di essere davvero in grado di risponderle, ne sentiva quasi il bisogno, ma il suo lato peggiore riemerse e, finalmente, si riconobbe.
«Tu non sei mia amica.» asserì, scacciando malamente la mano che lo tratteneva «Sei solo la sorellina della mia…» per un attimo gli manca il termine, non sa se dire produttrice, amica o amante «… cantante.» finì, e nonostante la voce sembrasse morirgli in gola, cercò di rendere più duro e cattivo che mai quell’ultimo aggettivo.
Per un attimo Hanabi socchiuse la bocca, stupita, e un turbinio che sapeva di comprensione gli balenò negli occhi; poi strinse le labbra e storse il naso, mortalmente infastidita, assestandogli un colpo alla spalla.
«Bene, buona fortuna, coglione. » sono le uniche parole che riuscì a dire, prima di andar via.
Sapeva perfettamente di aver agito male, ma era così che si comportava Sasuke Uchiha. Un tempo non avrebbe provato nessun rimorso, invece in quel momento un lieve senso di colpa lo invase.
Continuava a chiedersi ossessivamente quando e cosa lo aveva cambiato – o meglio chi aveva rimesso in moto il suo cuore – ma le risposte che si dava le trovava impossibili, o delle volte incredibili. Istintivamente, per non pensare attraversò la porta dove è stato portato, come gli è stato detto di fare, ritrovandosi in uno studio televisivo colorato e appariscente, con un finto sfondo che da su NY, e un pubblico di giovani e non che appena lo vide cominciò ad esultare e gioire.
Si guardò intorno e immediatamente gli saltò all’occhio un personaggio: il giornalista che intervistò Naruto anni addietro. Lo stavano truccando e preparando, nonostante le sue reticenze, e ciò bastò a far capire a Sasuke che sarebbe stato proprio lui, Rock Lee, a intervistarli. Cercò gli altri con lo sguardo, confuso: Kiba saltellava dietro a un cameramen, incuriosito dalla telecamera; Shikamaru sostava in un angolo, la testa appoggiata al muro e la sigaretta fra le labbra, nonostante il grosso divieto che pendeva proprio accanto alla sua testa; Hinata se ne stava immobile, seduta sulla poltroncina che le era stata destinata per lo show. Guardava verso Rock Lee, e il suo sguardo sembrava perso, quasi impaurito, a tratti folgorato da un breve barlume di gioia, più spesso scolorito da tristezza. Poi, come attratta improvvisamente, voltò il capo, ritrovandosi ad osservare colui che la guardava, e i loro occhi si incontrarono. Per un attimo, Sasuke desiderò soltanto starle vicino, aiutarla ad affrontare i ricordi; quello dopo, l’imbarazzo lo invase a tal punto da costringerlo a voltarsi nuovamente, quasi freddamente.
«Signor Uchiha!» all’improvviso una voce stridula ed eccessivamente agitata gli tuonò davanti, e per un attimo Sasuke pensò di essere diventato pazzo, dato che non vide il suo interlocutore «Qui giù!» il moro abbassò lo sguardo e si vide di fronte una ragazzetta minuta, fin troppo minuta «La… la stavamo aspettando! Venga con me, le mostro dove sedersi.»
La donna (?) gli fece strada e Sasuke la seguì, pensando distrattamente che, quando guardava a quella “altezza”, solitamente non era per osservare teste, ma sederi. Lo strano personaggio lo accompagnò al centro dello studio, dove erano posizionate le varie poltroncine per loro e per il conduttore, e lo fece accomodare proprio accanto a Hinata, che lo guardò sedersi accanto a lei quasi intimorita. Sasuke a sua volta la osservò, ma con la coda dell’occhio, ma ebbe tutto il tempo di notare i capelli lunghissimi e abboccolati, il vestito nero e morbido, stretto in vita da una fascia arancione acceso,  i tronchetti neri e borchiati, il leggero rossore sulle guance, gli occhi persi e ben truccati.
La donna minuta si guardò intorno, ed improvvisamente urlò: «Adesso è ora di cominciare! Tutti a lavoro!»
Non si aspettava una tale forza e aggressività da quello strano personaggio, che comunque venne obbedita immediatamente da tutti. Ci pensò vagamente, senza smettere di osservare di nascosto Hinata, mentre Shikamaru e Kiba si sedevano al suo fianco.
Rock Lee si sedette insieme a loro dopo pochi minuti: pareva agitato. Si sistemò il cravattino verde che portava mentre si schiariva la voce, per poi guardare i suoi interlocutori quasi con timore.   
«Spero vi siano arrivate le mie condoglianze.» disse con imbarazzo, mentre un tenue rossore gli colorava le guance «Non ho mai ricevuto risposta.»
Hinata abbassò immediatamente lo sguardo, ricordando le sue assurde reazioni a quella morte, vergognandosi in modo incredibile. Sasuke deglutì, incapace di rispondere. Shikamaru pareva semplicemente scioccato.
«Oh, sì, sì. » intervenne Kiba, imbarazzato a sua volta «Deve essersi persa, con tutte le lettere che abbiamo mandato e ricevuto in quel periodo!»
Gli occhi incredibilmente tondi del giornalista si abbassarono, dispiaciuti.
«Mi addolora quello che avete dovuto passare, credetemi.» continuò «L’ho conosciuto per poco, ma è stato un incontro che mi ha cambiato la vita. Spero che rivedermi qui non vi turbi troppo e che riusciremo a fare una bella intervista come lo è stata la sua.»
La situazione non cambiò, i quattro rimasero senza parole, esattamente come prima: addirittura Kiba per un attimo si era ammutolito.
«Oh sì, sì.» ripeté, come un automa «Lo speriamo anche noi!»
Lo stesso strano personaggio di prima intervenne, portando a Rock Lee la solita scheda rigida zeppa di fogli con cosa dire, che ringraziò lievemente.
«Allora ragazzi, adesso vi spiegherò come funzioneranno le cose.» s’incurvò leggermente verso di loro, accavallando una gamba «Non sarà un’unica ripresa e non andremo in onda ora. Vi farò molte domande ma manderemo in onda solo quelle che ci soddisferanno di più, per un colloquio di circa un’ora, perciò, se non volete rispondere, non importerà, ma sarebbe meglio che rispondeste, anche se brevemente, a tutte le domande. Sono state raccolte dai fan, sono loro che vogliono chiedervi queste cose, e in quanto loro riferimenti nella vita, non solo a livello musicale, credo che glielo dobbiate, almeno questo.» accennò ad un sorriso «Lo dico anche in quanto fan!»
I quattro acconsentirono, la donna di piccola statura diede il via e le telecamere si accesero.
«Buongiorno, buon pomeriggio e buonasera cari telespettatori! Siamo qui con gli “Post Apocalypse”, attualmente occupati in un tuor piuttosto impegnativo! » i quattro salutarono «Che dite, cominciamo?» sorrise alle telecamere, per poi leggere la prima domanda «Bene ragazzi, avete voglia di fornici qualche dettaglio in più sulla nascita della vostra band?»
I membri del gruppo si guardarono, e con un cenno d’intesa fu Kiba a raccontare, tutto pimpante.
«Beh, è cominciato tutto quando Sasuke è tornato dal suo viaggio in giro per il mondo!» affermò «E’ tornato con tantissimi pezzi e tutti noi avevamo voglia di suonare, di sfogarci con la musica, come avevamo sempre fatto, ma ci mancava il cantante, dato che nessuno di noi… beh, nessuno di noi si ritiene all’altezza.» guardò Hinata trattenendo le risate «Quasi per caso abbiamo scoperto la potentissima voce di Hinata, nostra carissima amica, nonché produttrice e manager. Insomma, lei è in grado di fare tutto, ma non lo sapeva e ancora non ci crede!»
«Vuoi farmi credere che sei ancora alle prime armi?» Rock Lee sembrava notevolmente stupito «Non hai mai studiato canto? Non ti sei mai esibita?»
La Hyuuga scosse il capo «No, non ho mai studiato canto e non mi sono mai esibita davanti ad altre persone prima di incontrare Sa…» s’interruppe «…i Post Apocalypse. Sono loro che mi hanno iniziato a questa avventura. Prima cantavo solo per me stessa, suonando di tanto in tanto il piano, ma non mi è mai piaciuta a mia voce. Ancora adesso ripongo poca fiducia in essa.»
«Eppure non sembrerebbe, sei così abile, così talentuosa! Sei un’autodidatta allora, ultimamente ce n’è sempre meno.» si voltò verso Sasuke « E tu, Sasuke? Posso darti del tu? Dicevo, prima Kiba ci ha accennato che sei tornato a Tokyo con tantissimi testi. Era la prima volta che scrivevi?» 
«Sì e no.» rispose Sasuke, di getto «Naruto mi ha insegnato molto, e io ho semplicemente messo in pratica i suoi consigli.»
Hinata si sentì raggelare quando l’Uchiha pronunciò quel nome davanti alle telecamere, con tranquillità e superbia. Si immobilizzò, come una statua e, facendo scorrere lo sguardo sui suoi compagni, vide le stesse reazioni. Anche Sasuke, adesso, sembrava essersi pentito di quanto detto: non che non fosse la verità, ma dire quel nome in un’intervista, condividere con qualcosa di tanto superficiale tutto quel dolore pareva assurdo. E inaccettabile, per Hinata, che cominciò a innervosirsi.
«Beh, raccontatemi un po’.» Rock Lee sembrò aver colto la tensione che li aveva sopraffatti in quel minuto di silenzio «Cosa avete fatto in questi cinque anni?»
Kiba decise di prendere la parola, lesto, tentando di riempire quel vuoto con scemenze, in modo che i suoi amici avessero il tempo per riprendersi «Beeeeh, io ho fatto tante cose!» esordì, prendendo a contare con le dita «Ho prestato il mio volto per alcune organizzazioni no profit, ho dato concerti insieme ad altri artisti per raccogliere soldi per varie cause, una cosa deliziosa, direi, ho fatto qualche arrangiamento e, soprattutto, ho cominciato a insegnare musica qui e lì, dove mi chiamano!»
«Oh, ne sono felice. Il tuo interessamento al sociale è stato spesso sotto il mirino dei giornalisti, e ha reso felice i tuoi fan.» Rock Lee cambiò pagina «Ma dimmi, in questi anni sei stato spesso paparazzato con la giovane Hanabi Hyuuga e, anche se non l’avete mai dichiarato, è chiaro che voi due stiate insieme. Come vanno le cose fra voi?»
L’Inuzuka arrossì di colpo, in imbarazzo «Oh, beh, cavolo… credo che.. dovresti chiederlo a lei, insomma…!»
Neanche Kiba sapeva più cosa stava dicendo, ma il giornalista riuscì comunque a cavarci fuori qualcosa «In effetti, noi uomini possiamo pensare che vada tutto a gonfie vele, mentre le nostre donne alla fine ci riservano le vendette più atroci! » rise «E tu, Shikamaru? Cosa hai fatto in questo periodo?»
«Ho abbandonato per un po’ la musica e ho realizzato un altro mio sogno, diventare commissario.» affermò annoiato, sperando vivamente che l’uomo non indagasse anche nella sua vita sentimentale – Ino non gli avrebbe mai perdonato di aver annunciato a tutti la loro dolce attesa senza il suo permesso «E ho sistemato casa.»
«Ah, beh, wow.» Rock Lee si sentì leggermente a disagio con quella risposta annoiata, e non seppe come reagire. Cambiò interlocutore «E tu, Sasuke?»
«Ho viaggiato molto.» affermò l’Uchiha «Posso dire di aver visto l’85% del mondo. Mi manca L’Australia e il Polo Sud.» si prese una piccola pausa «Ho scritto e imparato a suonare nuovi strumenti, cercando di incrementare la mia conoscenza musicale.»
«Capisco, davvero interessante.» mormorò, per poi sorridere dolcemente a Hinata «E adesso veniamo a te, milady. Cosa hai fatto in questi cinque anni?»
Hinata cercò di calcolare le parole giuste, salvaguardando la propria famiglia. «Beh, credo che lo sappiate già, dato che la Moon’s eyes si è affermata anche nel mondo.»
«Già, già, in effetti sappiamo già tutto!» Lee rise ancora «Beh, Post Apocalypse, vi aspettavate tutto il successo che avete guadagnato in così pochi mesi?»
«Credo che agli inizi, l’unico ad esserne già sicuro fosse Kiba.» Shikamaru prese subito parola «Noi altri eravamo molto insicuri sulla riuscita di questo progetto, avevamo poche speranze, specialmente io.» si schiarì la voce «Vedi, si tratta di un album scritto per sfogo. Abbiamo fatto scelte stilistiche diverse che non sono piaciute a tutti i nostri fans di cinque anni fa, e me ne dispiaccio molto.»
«Come mai avete scelto di cambiare stile?»
«Come detto prima, si tratta di uno sfogo, e quindi è stato un riflesso incontrollato cambiare genere. Solo il metal e il gothic rock riescono a esplicare al meglio le nostre emozioni.»
«In compenso, però, avete conquistato una notevole somma di fans in più, così tanti che hanno addirittura scelto un nome, facendosi chiamare Hurricanes. Ne eravate a conoscenza?» I quattro negarono «Beh, da come mi è stato spiegato, rimarca uno degli eventi apocalittici, ma si tratta soprattutto di un tributo a Naruto. Era stato lui a scegliere il simbolo del vortice per gli Origin, poiché vi rappresentava, ma soprattutto lui, al meglio. I vostri fans ci tenevano a dimostrarvi di esservi vicini nella vostra perdita. E lo sono, davvero, e ciò che colpisce di più è l’affetto che vi lega a voi e a Naruto.» 
Hinata si commosse, e con le lacrime agli occhi disse: «E’ un gesto meraviglioso, che mi commuove davvero. Ringrazio tutti gli Hurricanes per il loro amore incondizionato. Davvero!»
Alle sue parole seguì un caldo applauso che sembrava non voler finire mai. Hinata sentì il proprio cuore vibrare forte, e per un attimo le sembrò che qualcuno le accarezzasse i capelli, ma non ebbe la sensazione di una mano concreta su di sé. Pensò che fosse solo uno spiffero.
«Non credevate di poter avere tutto questo successo?» chiese Rock Lee ridendo, indicando maliziosamente la folla entusiasta.
Kiba rise «Io ne ero certo!»
La mora si mise una mano davanti alla bocca, commossa, cercando di trattenere il pianto. Shikamaru la guardò, preoccupato e provato anch’egli, e si rivolse al conduttore. «Possiamo fare una pausa?»
Quest’ultimo acconsentì e immediatamente Hinata si alzò e corse verso il proprio camerino, seguita a passo svelto dal resto della band, che s’infilò nella stanza riservatele senza il suo permesso.
Hinata si appoggiò con i reni alla toiletta e, con il volto fra le lacrime, cominciò a piangere sommessamente. Fosse accaduto un mese prima, Sasuke non avrebbe perso tempo e l’avrebbe abbracciata, anche se goffamente, tentando di consolarla come meglio poteva – cioè rimanendo in silenzio e incapace di fare qualsiasi cosa. Gli altri due, invece, non osavano avvinarsi per darle conforto, memori di eventi passati in cui, in quei momenti di inafferrabile disperazione che Hinata era riuscita a superare soltanto grazie al figlio e alle medicine, erano stati brutalmente respinti da una donna che pretendeva di essere stretta soltanto dal suo defunto amato.
Sasuke non ne era a conoscenza e, con sguardo rabbioso, osservò gli altri due che se ne stavano impalati senza sapere che fare. Tutti e tre l’avevano seguita per un motivo – consolarla – a cui nessuno riusciva ad adempire.
Shikamaru si accese una sigaretta e Kiba provò l’incredibile desiderio di avere un po’ più del tatto che Hanabi gli rimproverava sempre.
Sasuke camminò e si sedette alla poltrona davanti a Hinata. Sperò che le bastasse sentirli attorno a lei, per calmarsi. Hinata piangeva piano e silenziosamente, non gli era possibile neanche vedere le lacrime, e se non fosse stato per il tremolio delle spalle non avrebbe mai riconosciuto in lei una donna piangente. Desiderava ardentemente stringerla a se e fermare quel tremore, ma la promessa che si era fatto gli rendeva difficile anche solo limitarsi a quella distanza, rendendolo impotente.
«Hinata.» richiamò, e non seppe dire se la sua voce risuonasse più fredda o più dolce del solito. Le spalle della donna smisero all’istante di scuotersi «Proviamo tutti la tua stessa tristezza…»
Qualcosa, nell’aria, rese l’atmosfera agghiacciante. Sasuke osservò la scena e spalancò gli occhi come avesse visto un alieno. Hinata tolse lentamente le mani dal volto scoprendo un volto segnato dal dolore, solcato da lacrime lucide. Gli occhi erano spalancati, sgranati su di lui, e nel bianco latteo non c’era neanche un sentimento. Accanto all’angolino esterno del destro, una macchia di trucco disegnava una lacrima perfetta, nera e arrotondata, quasi fosse stata fatta apposta. Sasuke pensò che la donna davanti ai suoi occhi fosse bellissima, potente e funerea come la dea Atena, ma non riconobbe in lei la sua Hinata, quella che aveva stretto fra le braccia, quella che le aveva chiesto aiuto. Si maledì mentalmente quando con una fitta al centro del petto si rese conto non era mai stata sua, affatto.   
«Come osi?» le parole pronunciate in un sibilo sembrarono provenire da tutt’altra parte, ma non da Hinata, che lo guardava astiosa «Proprio tu, che hai pronunciato il suo nome per primo quando per mesi non sei riuscito a farlo, osi dirmi che provi il mio stesso dolore?»
Sasuke socchiuse la bocca, stupito dalla rabbia ceca della donna. «Io…»
«Tu sei uno stronzo.» sbottò lei «Non mi parli da giorni e giorni e ti permetti di dire che provi il mio stesso dolore? Quando se non fosse stato per te, che ti sei azzardato a pronunciare il suo nome, probabilmente non avremmo neanche dovuto parlarne in un’intervista?»
«Hinata, non sai se…» provò Kiba.
«Non lo difendere!» lo interruppe subito lei «Lo sai perfettamente che se lui non ne avesse parlato, Rock Lee non si sarebbe mai permesso di rimarcare così questa ferita!»
«Io non volevo nominarlo!» intervenne Sasuke «E’ stato involo-…»
«Va’ fuori di qui, Uchiha.» Hinata non lo fece parlare «Subito.»
«Hinata io…»
«Fuori!»
Sasuke strinse le labbra, arrabbiato. Hinata era diventata improvvisamente irragionevole, come mai l’aveva vista prima. Sapeva che aveva ragione, ma non accettava quel comportamento aggressivo che non era assolutamente da lei. Con quelle parole, però, aveva compreso anche quanto fosse insopportabile per lei quella situazione che si era venuta a creare con il suo allontanamento.
Trovava comunque inaccettabile il modo con cui lei gli si era rivolta contro. Non si aspettava una tale aggressione, soprattutto da parte sua, e si sentì offeso. Si alzò repentinamente e uscì dal camerino, chiudendosi la porta alle spalle.
 
[L’aria era fredda e il vento sibilava minaccioso. Hinata rammentava chiaramente, come fosse stato il giorno prima, l’aria calda e umida dell’estate in giro per il mondo.  
Passeggiava con Naruto nel parco centrale, dopo una cena che, in teoria, doveva essere romantica. In pratica, aveva cenato silenziosamente l’uno davanti all’altro, scambiando poche parole e qualche sorriso forzato. Anche adesso, Hinata sentiva una malinconia concreta, una tristezza in ogni gesto, in ogni silenzio. Era raro che Naruto si chiudesse in sé in quel modo, ma quando accadeva, la fortezza di silenzio diventava impenetrabile, finché non era lui stesso ad aprire uno spiraglio.
Si teneva stretta al suo braccio, imbacuccata in un cappotto lungo e nero, riparandosi dal freddo nel suo maglio col collo alto e spesso, che le copriva anche il naso. Non indossavano travestimenti, diversamente da un po’ di tempo a quella parte avevano cominciato a fare, perché in giro, a quell’ora e con quel freddo, c’era pochissima gente. Assaporavano un poco di libertà, ma non come avrebbero dovuto. Le braccia rigide di Naruto non trasmettevano calore, e il suo sguardo non si fermava mai su di loro. Si fermarono vicino a un chioschetto, e Hinata, storcendo le labbra in disappunto, decise di andare a prendere qualcosa di caldo.
«Vuoi un caffè?» il biondo annuì, e Hinata si allontanò, sperando che gli facesse bene.
Prese una cioccolata e un caffe lungo e pagò velocemente, cercando di non farsi riconoscere – non che fosse famosa quanto gli Origin, certo. Pagò con una banconota, lasciò il resto e si rimise in cammino.
Quando tornò indietro, Naruto era seduto su una panchina verde scuro, sotto ad un albero quasi nudo. Si rigirava fra le dita un oggetto indistinto, sottile e appuntito, che riconobbe soltanto quando gli fu a poco più di un metro: una foglia di un rosso caldissimo, quasi appassito.
Si sedette accanto a lui e gli porse il bicchiere di plastica. Naruto non si preoccupò neanche di togliere il tappo dal bicchiere, completamente disinteressato a sorseggiare la bevanda. Osservò la foglia, né traccio le venatura con il pollice e continuò a rigirarla fra le dita. Hinata lo osservò, accigliata. Sul suo volto mancava espressione, ed anche un po’ di colore. Le labbra erano strette in una piccolissima fessura, quasi fosse arrabbiato, e gli occhi erano socchiusi, stanchi e scuri. Le dita affusolate erano quasi divenute bianche a causa del freddo, e fra di esse il rosso della figura morta risaltava, quasi fosse un film girato con un tremendo color seppia. Più osservava la foglia in quella mano e più l’ansia il lei cresceva. A quel punto distolse lo sguardo, concentrandolo sul proprio bicchiere, dove la sua cioccolata da due soldi fumava, riscaldandole le membra, ma non il cuore, che durante quella sera si era soltanto impietrito.
«Hinata.»
La voce era roca, calda e greve. Richiamò immediatamente la sua attenzione, facendola voltare, ma Naruto si ostinava a non guardarla. Ebbe la tentazione di strappargli via di mano quella foglia assurda e di dirgli il fatto suo, ma le era stato insegnato a mantenere la calma, anche con i nervi a pezzi. Nella vita non aveva ricevuto comprensione, né una apertura abbastanza grande per cercare di spiegare, e così adesso riservava quegli elementi ad ogni suo interlocutore.
«Se io morissi…» nuovamente Hinata lo osservò, agitata più di prima, e trovò i suoi occhi chiusi «… devi promettermi che ti occuperai di Sasuke.»
Sbigottita, la ragazza sgranò gli occhi. La situazione stava diventando sempre più strana e… le faceva paura.
«Co-come scu-scusa?» improvvisamente tornò a balbettare.
Naruto smise di giocare con la foglia e piegò la testa all’indietro, gli occhi chiusi, stanco.
«Sasuke non riuscirebbe a sopportare un’altra morte, nella sua vita. Non è così forte come fa pensare.» sospirò, massaggiandosi gli occhi con pollice e indice «Devi assicurarti che non beva e che non si droghi. Potrebbe farsi del male. E’ già successo, so cosa potrebbe accadere. Potrà essere freddo e scostante, oppure la persona più bisognosa del mondo. In ogni caso, stagli vicino. Non lo lasciare solo. Avrà bisogno di te, degli altri.» sembrava esausto «Ma soprattutto di te, Hinata… perché con te non avrà bisogno di sfogarsi, lo capirai con uno sguardo. Aiutalo a rialzarsi, non lasciare che si distrugga, che distrugga la sua vita.» una lacrima scivolò silenziosa «E’ mio fratello. Non sopporterei di vederlo stare male a causa mia. Fallo per me. Amalo.»
Hinata aveva socchiuso la bocca, stupita e amareggiata. Non capiva la causa di quei discorsi, non la vedeva. Il suo cuore, però, le sussurrava che c’era qualcosa di grosso sotto, che rendeva verosimile quello sfogo apparentemente privo di senso. C’era qualcosa, ma non lo vedeva.
Avrebbe voluto chiedere, fare domande, ma quando vide un’altra lacrima scivolare giù dalla sua gota, capì che non era il momento. Semplicemente, lo strinse a sé cercando di dargli conforto.
Nel cuore, imperversava un uragano.]
 
«Hinata-san.» Rock Lee la richiamò dolcemente, ormai agli sgoccioli «Volevo farle una domanda molto particolare. Con la creazione di questo nuovo gruppo, dopo ciò che avevate passato, volevate dare un qualche messaggio al pubblico? Un insegnamento per chi potrebbe aver vissuto una situazione simile?» ritrasse fiato «O comunque, è venuto fuori in modo inconscio una morale?»
Hinata si sentì particolarmente colpita da quella domanda. Personalmente, la loro storia e quel modo strano che avevano trovato per venirne fuori le aveva e le stava tuttora insegnando molto.
Non avevano riaperto il gruppo appositamente per insegnare qualcosa al resto del mondo con la loro storia: era un fine secondario, venuto fuori poco a poco, in contemporanea con le loro scoperte. Lo disse.
«In ogni caso, posso dire ciò che questa situazione sta insegnando a me.» chiuse per un attimo gli occhi, alla ricerca delle parole giuste «Avere intorno persone che hanno passato le mie stesse situazioni, provando lo stesso identico dolore, mi è stato di grande aiuto.» lasciò scorrere il proprio sguardo sui suoi amici, soffermandosi per qualche secondo in più su Sasuke, nonostante la collera «E la musica… le passioni in generali, ma soprattutto la musica… è l’unico mezzo con cui sono capace di sfogare un po’ della mia disperazione, lasciandola scivolare via da me. Grazie ad essa ho capito che non devo dimenticare, ma ricordare il mio passato per affrontare meglio il mio futuro. Ho capito che la mia sofferenza non se ne andrà mai del tutto… devo imparare a conviverci, per tornare ad essere felice, prima o poi. E soprattutto, non devo arrendermi. Non posso permettermi di farlo.» pensò a suo figlio, alla sua vita «Ho troppo da perdere.»
Un forte applauso rimbombò nello studio, e con il suo fragore alleggerì il cuore di Hinata.
E’ tutto merito tuo, Naruto, pensò, con un sorriso delicato in volto, la lacrima nera accanto all’occhio, grazie.
«Che ne dite, pubblico?» Rock Lee si voltò verso le video camere, verso la platea «E’ ora di fare un po’ di Rock?»
Il fragore aumentò e Kiba rise, divertito, facendo sorridere anche gli altri, anche se quello di Sasuke sembrava un po’ smorto, da cattivo ragazzo.
«Post Apocalypse, è ora di fare rock!» annunciò il conduttore, indicando ai quattro la loro postazione live, che i quattro raggiunsero velocemente.
Quando furono tutti pronti, Sasuke osservò Hinata, di fronte a lui, le mani aggrappate saldamente al microfono posto sull’asta, come fosse l’unico mezzo per tenersi saldi e si sedette sullo sgabello. Il cuore gli tremava forte. Quella canzone significava molto per lui, che l’aveva dedicata a lei, e sapeva che la mora l’avrebbe cantata al meglio, capendone il significato a pieno. Cantava la verità. Gli tremavano le mani per l’emozione, ma le pose sulle corde della sua chitarra e cominciò a suonare, ascoltando la voce melodiosa e triste di Hinata, a cui si unì in coro.
 
OCTOBER
 
I can't run anymore, 
I fall before you, 
Here I am, 
I have nothing left, 
Though I've tried to forget, 
You're all that I am, 
Take me home, 
I'm through fighting it, 
Broken, 
Lifeless, 
I give up, 
You're my only strength, 
Without you, 
I can't go on, 
Anymore, 
Ever again. 

My only hope, 
(All the times I've tried) 
My only peace, 
(To walk away from you) 
My only joy, 
My only strength, 
(I fall into your abounding grace) 
My only power, 
My only life, 
(And love is where I am) 
My only love. 

I can't run anymore, 
I give myself to you, 
I'm sorry, 
I'm sorry, 
In all my bitterness, 
I ignored, 
All that's real and true, 
All I need is you, 
When night falls on me, 
I'll not close my eyes, 
I'm too alive, 
And you're too strong, 
I can't lie anymore, 
I fall down before you, 
I'm sorry, 
I'm sorry. 

My only hope, 
(All the times I've tried) 
My only peace, 
(To walk away from you) 
My only joy, 
My only strength, 
(I fall into your abounding grace) 
My only power, 
My only life, 
(And love is where I am) 
My only love. 

Constantly ignoring, 
The pain consuming me, 
But this time it's cut too deep, 
I'll never stray again. 

My only hope, 
(All the times I've tried) 
My only peace, 
(To walk away from you) 
My only joy, 
My only strength, 
(I fall into your abounding grace) 
My only power, 
My only life, 
(And love is where I am) 
My only love, 
My only hope, 
(All the times I've tried) 
My only peace, 
(To walk away from you) 
My only joy, 
My only strength, 
(I fall into your abounding grace) 
My only power, 
My only life, 
(And love is where I am) 
My only love. 


[Affettava con cura le carote, cercando di distrarsi. Il clangore del coltello che colpiva il mattoncino di legno suonava ripetuto e preciso, ma non le lasciava scampo: continuava a pensare e ripensare a quanto accaduto nei giorni precedenti, ansiosa. Naruto dormiva al piano di sopra, nonostante fosse l’ora di pranzo, memore della brutta sbronza che si era preso il giorno prima, disperato e stupido.
Hinata aveva paura. Temeva che il lato oscuro del biondino, fino ad ora sconosciuto, fosse riemerso più forte di prima dalle segrete in cui era stato rinchiuso: temeva che, col tempo, fosse andata sempre peggio. Naruto non aveva giustificato in alcun modo il suo comportamento; semplicemente era fuggito, lasciandola sola, abbandonandola, senza pensare a lei. E se fosse capitato ancora?
Una mano si pose su una sua spalla e lei sobbalzò, spaventata: credeva di essere sola in casa. Non erano le dita calde e rassicuranti di Naruto, ma quelle fredde e affusolate di Sasuke. Alzò lo sguardo, sapendo già chi trovarsi di fronte.
«Non volevo spaventarti.» la voce roca e grave le sfiorò il volto come una carezza «Hinata… perché piangi?»
Socchiuse la bocca, stupita, rendendosi conto solo in quel momento di avere il volto bagnato. Abbandonò il coltello e con un unico gesto si sfiorò la pelle, scacciando dalle sue guance le lacrime appena versate.
«Che idiota.» bisbigliò Sasuke, riferendosi al fratello «Non avrebbe dovuto neanche osare di farti piangere.»
Il cuore di Hinata vibrò, mentre lentamente i pezzi e le briciole si ricomponevano nell’organo originale, e di slancio si spinse in avanti, appoggiandosi all’ampio petto del ragazzo, aggrappandosi con le dita alla maglietta. 
Sasuke per un attimo rimase a braccia aperte, stupito e meravigliato, ma soprattutto in preda alla difficoltà. Non era affatto abituato a certi gesti, non sapeva come comportarsi, ma con Hinata, lentamente, stava imparando. Goffamente, strinse la ragazza in un abbraccio, passando i polpastrelli fra i morbidi capelli lisci.
«Gliela farò pagare.» bisbigliò, più diretto a se stesso che alla ragazza, che comunque lo sentì.
«Pensi che… » le tremava la voce, la gola stretta in una morsa di fuoco « lo farà di nuovo?»
«Non preoccuparti.» rispose, non sapendo che altro dire, in dubbio anch’egli «Me ne occuperò io.»
Hinata si strinse maggiormente al corpo dell’amico, e nonostante quest’ultimo fosse freddo e goffo, per la prima volta si sentì accolta e capita da quelle braccia.
«Te lo prometto, Hinata.»
E intanto, qualcuno li osservava da dietro l’angolo.]
 
Hinata era stanca. Stanchissima. Si sentiva sfinita e distrutta, e non perché fosse stata una giornata particolarmente dura, ma a causa di tutte le sollecitazioni emotive che aveva dovuto subire.
Sostava distesa sul letto, ancora perfettamente vestita, le gambe che oscillavano fuori dall’alto materasso, una mano che massaggiava gli occhi, lentamente. Quel gesto… con pollice e indice, sulle palpebre chiuse… era Sasuke a farlo, non lei. Un’abitudine che si era spesso fermata ad osservare, ma che non le era mai capitato di sperimentare. Era così che si sentiva Sasuke ogni volta che lo faceva? Smembrato?
Il telefono della camera suonò, ma lei non si mosse. Non ricordava di aver dato quel numero a qualcuno, anzi, a nessuno. Continuò a trillare e trillare, ancora e ancora. Non aveva intenzione di rispondere, ma quell’insistenza la preoccupò e si costrinse a fare lo sforzo, più mentale che altro, di alzarsi a sedere per prendere la cornetta posta sul comodino di ciliegio posto accanto al letto.
«Pronto?» mormorò, forse non abbastanza forte per essere sentita dall’altro capo dello telefono.
«Pronto, signorina Hyuuga?» chiese una voce maschile sconosciuta, forte ma leggermente imbarazzata.
«Sì, sono io.»
«Mi dispiace disturbarla a quest’ora, Hyuuga-sama, ma c’è un problema, qui al bar del ristorante.» Hinata si agitò, e si alzò in piedi «Vede, Uchiha-san è qui e…»
«Ho capito.» l’interruppe Hinata, bestemmiando mentalmente per quell’ennesimo inconveniente «Scendo subito.»
Hinata abbassò la cornetta e chiuse la telefonata, per poi indossare scarpe più comode, cercando di fare in fretta. Uscì dalla camera di corsa e si infilò nell’ascensore, dove attese ansiosa di arrivare al proprio piano. Le porte dorate dell’ascensore si aprirono nuovamente dopo diversi minuti e Hinata uscì velocemente, cercando di orientarsi alla ricerca del bar. Un uomo, probabilmente il recempionist con cui aveva parlato al telefono, le venne incontro, facendole strada e profondendosi in mille scuse, che la donna ignorò completamente. Attraversarono il ristorante e si sbucarono nel bar, dove il barman, le mani strette a pugno sui fianchi, parlava con un Sasuke diverso, irriconoscibile. Hinata si bloccò e lo osservò, notando subito il ghigno smorto, la pelle bianchissima tendente al giallo, gli occhi lucidi, i capelli arruffati. La cravatta era più snodata e lasciata libera sulla camicia rossa, la giacca e pantaloni spiegazzati e rovinati. Tentava di parlare, formulando frasi che nella sua mente non lucida avevano un senso, ma che si srotolavano fuori dalla sua bocca disordinatamente.
Gli andò vicino e gli alzò il viso, facendo incontrare i suoi occhi con quelli di lui.
«Hi…ta» mormorò quello, mentre il sorriso di pochi secondi moriva. Hinata si arrabbiò, ed ebbe voglia di tirargli uno schiaffo, ma non lo fece. Invece, usò quell’ira contro il barman e l’altro uomo.
«Voi non avete visto nulla.» affermò, con voce quasi crudele. Allungò duo banconote verso gli uomini «Sono stata chiara?»
I due, che per un attimo la guardarono stupiti, annuirono, prendendo le banconote.
«Volete che vi dia una mano?» chiese uno, alludendo al moro.
«No.» rispose la donna, tornando a guardare Sasuke «Ci penso io.»
Si mise un braccio del moro intorno al collo e lo issò su dallo sgabello. Lentamente, cominciarono a fare qualche passo, compiendo la strada al ritroso. Nell’ascensore, Hinata appoggiò l’uomo alla parete di ferro e cercò nelle tasche della giacca la chiave della camera dell’Uchiha, non trovandola, quindi decise che lo avrebbe portato nella propria. Sasuke cercò di alzare il volto per guardarla, ma questo ondeggiava lentamente.
«Non volevo…»
Hinata chiuse gli occhi e si voltò da un’altra parte, arrabbiata. Non capiva come potesse una persona così meravigliosa come Sasuke ridursi in quel modo. E ciò… le ricordava terribilmente Naruto.
«…rti pian…gere.» finì di formulare il moro, e Hinata spalancò gli occhi e lo guardò, stupita. Si stava scusano per quella mattina, per l’intervista?
Uno scossone colpì l’ascensore e Sasuke, non riuscendo a sostenersi da solo, le finì addosso, stringendola contro la parete opposta. Odorava di alcool e di tabacco, ma al tempo stesso di un tenue odore di menta fresca, che arrivava dalla pelle del suo collo. Le mani di Sasuke le afferrarono i fianchi con una forza che Hinata non pensava che avesse, dato che non riusciva a tenersi in piedi, e sussultò.
Lo sentì mormorare qualcosa, ma gran parte della frase volò via, non la capì.
«…scusa.» fu l’unica cosa che riuscì a comprendere.
Le porte dell’ascensore si aprirono e Sasuke cercò di fare leva contro la parete per scostarsi da Hinata. Lei lo aiutò, avvolgendolo nuovamente, facendogli da stampella. Fortunatamente la sua suite non era molto lontana dall’ascensore, e riuscì con poca difficoltà ad aprire la porta per fare entrare Sasuke. Lo accompagnò fino al letto, dove lasciò che si stendesse in modo irregolare. Lo sostenne, lasciando che la sua testa si appoggiasse al suo ventre, e gli tolse la giacca e la cravatta.
«Hinata…» Sasuke mormorò ancora il suo nome, cercando un appiglio sicuro nel suo vestito.
Era tanto tempo che non era così vicina a l’Uchiha, e quando lui chiese nuovamente scusa, un’onda di malinconica tenerezza la avvolse. Strinse il suo capo contro la sua pancia, accarezzandogli i capelli.
«Va tutto bene, sistemerò tutto io.» lo abbracciò dolcemente, mentre la voce tremava «Io… vorrei solo… sapere, capire perché fai tutto questo.»
Si mise inginocchiò e cominciò a sfilargli le scarpe eleganti. Sasuke allungò una mano e prese un ciuffo di capelli blu notte fra le dita.
«Perché…» tentò di formulare. Hinata finì quello che stava facendo e alzò lo sguardo su di lui, sui suoi occhi lucidi «…ti…» la mora non lo fece finire, abbracciandolo di slancio nel tentativo di soffocare quelle parole.
«Non dirlo adesso.» mormorò, mentre lacrime calde gli sgorgavano dagl’occhi candidi.
Non avrebbe sopportato altro, per quella sera. Non avrebbe sopportato un altro ti amo.
 
 



 
Angolo Autrice.~
Dopo più di un mese torno a pubblicare... su facebook avevo dato l'avviso, ma qui, su EFP, no.
Purtroppo, per vari problemi, non ho potuto nè scrivere nè aggiornare. Non ho avuto tempo per
nulla, causa lutto in famiglia. Come promesso però torno a pubblicare per augurarvi buone feste,
con il capitolo più lungo che io abbia mai scritto, e a cui tengo davvero molto. Dentro, ci sono
alcune delle vostre domande. Spero che nelle prossime recensioni, che mi auguro lascerete,
vorrete indicarmi qualche tema o particolare su cui la storia non si è ancora soffermata (es: 
come Shikamaru abbia cominciato a suonare ecc). Vi auguro BUONE FESTE, con tutto il cuore!
 

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Capitolo 21
*** Anywhere ***


Gli ultimi sognatori.
Occhi Paradiso.
Anywhere.
[Ho sognato di non poter sognare più.]


 
[Anywhere: Evanescence. Da ascoltare.]
 
 
Il sole, caldo e luminoso, gli sfiorava le ciocche di capelli scuri. Un raggio, più forte degli altri, si allungò sul suo viso, facendolo mugolare infastidito. Cominciò lentamente a riappropriarsi dei propri sensi, intorpiditi a causa delle lunghe ore di sonno e, probabilmente, dei danni causati dalla sbronza della sera prima. Se ne ricordava appena, di quella notte, e ripensarci gli faceva venire il mal di testa. Si costrinse mentalmente a fare mente locale e a tornare in se stesso; con un brontolio sonoro si massaggiò le palpebre, per poi aprire gli occhi, intorpiditi. Il sole gli arrivò dritto alle pupille, totalmente privo di pietà per lui e il suo mal di testa, e lo costrinse a voltare di lato il viso. Sul comodino, un bicchiere d’acqua sembrava esser stato poggiato lì per lui o, per meglio dire, per la sua bocca impastata. Allungò una mano e, alzandosi su un gomito, bevve l’acqua in unico sorso.
Appena il liquido lo dissetò, un brivido di lucidità gli pervase le membra. Cominciò a riappropriarsi dei propri sensi: sentì un vago profumo di lavanda, le lenzuola calde inumidite dal suo sudore, vide abiti femminili appoggiati con delicatezza su una poltroncina in stile rococò.
Abiti femminili? Sasuke si guardò intorno: nessuna differenza con la sua camera, se non quel drappo rosso scuro, intarsiato da un disegno color oro lungo l’orlo. Riappoggiò il bicchiere sul comodino, pronto per alzarsi a indagare, e finalmente vide un bigliettino bianco, ripiegato su se stesso, dove il suo nome affiorava citato da una scrittura sottile, affilata, elegante, ma priva di svolazzi. L’aveva vista più volte sui documenti che aveva dovuto firmare, sugli assegni dei guadagni delle vendite: Hinata.
Prese il biglietto e lo aprì. Con la stessa scrittura, da cui trapelava un leggero senso di indecisione, Hinata scriveva: «Non ho voluto svegliarti, perché sei stato male. Noi abbiamo fatto colazione, e ci avviamo per cominciare a realizzare il nuovo video. Chiedi alla reception. Non fare tardi!»
Era stato male? Non se ne ricordava. Si alzò per andare in bagno e, incontrando il suo riflesso nello specchio, notò i segni della notte appena trascorsa: aveva gli occhi gonfi e occhiaie spesse, la carnagione non era più candida, ma tendente al giallo. Erano già le dieci, eppure si sentiva come se non avesse dormito affatto. Si lavò il viso con acqua fredda, sfregando con tanta forza, quasi a farsi male. Voleva punirsi. Come aveva potuto perdere il controllo in quel modo? Farsi vedere ubriaco da Hinata? Chissà cosa le aveva detto, delirando. In vino veritas, dicevano i latini… e lui? Cosa aveva detto?
Smise di chiederselo e tornò in camera, cercando un cambio d’abiti. Aveva perso la chiave della sua stanza, non riusciva a trovarla da nessuna parte. Sconsolato, e abbastanza stanco di cercare, alzò la cornetta e chiese alla receptionist.
«Hyuuga-sama ha pensato a tutto.» asserì la donna all’interfono. Per un attimo, ancora frastornato, Sasuke si chiese a chi si riferisse con tanta formalità, poi ricordò: Hinata era diventata un personaggio importantissimo, nonostante la sua giovane età «Le faccio mandare il cambio d’abito che la signorina Hyuuga ha scelto per voi e le faccio chiamare un tassì che la porterà sulla Senna. A revoir!»
Sasuke interruppe la telefonata senza neanche ringraziare, come suo solito. Ben presto, un cameriere arrivò nella sua camera portando doni, e il moro finse di non notare lo sguardo malizioso, cercando di controllarsi. In fondo, aveva dormito nella camera di una donna che, non solo era appena diventata una famosa vocalist, ma era anche una fra i più potenti discografici a livello internazionale. Ciò non poteva che destare scalpore!
Non diede nessuna mancia e scacciò malamente l’inserviente, innervosito. Si spogliò velocemente, indossando gli abiti puliti senza neanche osservarli per capire se gli piacessero. Si ritrovò addosso un paio di semplici jeans, anche se di marca, quindi costosi, e una T-shirt azzurra, con su scritto VESTITO PIACCIO, NUDO CONVINCO. Benché la scritta gli piacesse – sembrava una frase proveniente dal suo repertorio – i suoi abiti erano troppo chiari, troppo allegri. I suoi capelli sembravano andare verso il blu, e la sua pelle era diventata molto pallida. Terribilmente a disagio, si infilò nell’ascensore e raggiunse il piano terra, dove la receptionist con cui aveva parlato lo accompagnò fuori, dove un tassì lo aspettava, con la corsa già pagata.
Si appoggiò alla portiera e, mentre il veicolo si faceva strada nel traffico di Parigi, prese ad osservare gli scenari che gli passavano davanti. Vide una coppia che portava a spasso un cane, due ragazzine sorridenti con dei croissant fragranti in mano, un gruppo di persone a sorseggiare champagne – nonostante l’ora – e un panino fatto con la baguette, con come sfondo la Tour Eiffel e l’Arc du Trionfe… tutti quei francesismi gli ricordarono la canzone Bonjour, e la voce allegra di Naruto riecheggiò nella sua mente, forte come il suono di martello elettrico. 
Pensare a lui, dopo tutto quello che era successo, gli provocò una fitta acuta al petto, che lo fece restare senza fiato. Appoggiò la fronte contro il vetro e cercò di riprendersi. Fortunatamente, arrivarono alla Senna soltanto dopo un quarto d’ora di viaggio.
«Mi hanno detto di dirle che i suoi amici non si trovano sul ponte.» disse il tassista, tentando di farsi capire, nonostante la lingua straniera «La aspettano lì, dove la Senna è più bassa, dove è possibile camminare fiancheggiando il letto del fiume.» si sporse dal finestrino per indicare con la mano.
Sasuke guardò in lontananza, dove una rampa di scale ripide e rurali costeggiavano il fianco della rive droite, dove la riva, accanto al letto del fiume, era più spessa di qualche metro rispetto al resto del canale. Intravide macchine da ripresa, strumenti musicali, sgabelli e persone: il volto bianchissimo di Sai, Hinata che passeggiava mimando la canzone con la bocca,  Kiba e Shikamaru che sembravano discutere animatamente. Si sorprese nel vederli in un tale atteggiamento, e così si incamminò. Scese le scale con nonchalance, come sempre, e a metà scalinata incrociò gli occhi di Hinata, che si era accorto di lei prima degli altri. Non smise di guardarla nemmeno quando le riprese vennero interrotte, causa sua arrivo, né quando tutti si rivolsero verso di lui.
«E’ arrivata la principessa.» disse Sai, ma la sua offesa cadde nel vuoto, sovrastata dalla voce di Kiba, più alta e furente.
«Ti sembra ora di arrivare?» sbraitò avvicinandosi al moro, che lo guardava impassibile, con i suoi dieci centimetri in più «Abbiamo pochissimo tempo per le riprese e tu ti presenti a mattina inoltrata? Sei diventato matto?!»
«Qual è il problema, Kiba?» chiese Sasuke, atono.
«Kiba…» tentò Shikamaru.
«No, per tutti i Kami!» urlò «Sta andando tutto male e questo si permette di arrivare adesso!»
«Ma di cosa parli?» l’Uchiha alzò un sopracciglio.
«Smettetela di dare spettacolo.» intervenne Hinata, appena emersa dalla folla di cameramen, fonici e quant’altro. Sasuke la osservò: era completamente vestita di nero, ma per la prima volta non indossava abiti, come aveva sempre fatto per ciò che la legava al gruppo: una camicia svolazzante sotto una giacca di pelle, pantaloni a vita alta, aderenti, tronchetti borchiati, altissimi. Sembrava la regina delle tenebre, un angelo vendicatore: era bellissima. Il suo cuore galoppò.
 «Facciamo una piccola riunione, dobbiamo parlare.» poi Hinata si voltò verso quelli che, in definitiva, erano tutti suoi dipendenti «Dieci minuti di pausa per tutti.»
Si avvicinò ai ragazzi e sospinse Kiba di lato, accompagnandolo, con una mano sulla sua schiena fremente, lontano di dieci metri, dove non c’era nessuno. Gli altri due la seguirono.
«Ci sono delle discordanze sul pezzo.» esordì Shikamaru. Sasuke seguì Hinata con lo sguardo, mentre si avvicinava alla riva, lo sguardo perso lontano, sui bagliori della Senna. Sembrava incredibilmente triste, eppure forte, come se stesse lottando contro tutti i suoi demoni interiori nello stesso istante «Tutti e tre crediamo che così non vada bene. Ce ne siamo accorti troppo tardi, quando ormai è stato venduto nell’album, ma non rende come dovrebbe.» arricciò il naso, infastidito dall’olezzo del fiume «Io penso che ormai sia inutile modificarlo. Hinata dice che possiamo renderlo un bonus, e farne il video. Kiba è combattuto.»
«Perché?» chiese, in un soffio «Cosa c’è che non va?»
«L’arrangiamento.» affermò Kiba «Non ha il pathos che ha il testo.»
E questo termine chi glielo ha insegnato? Suggerì la voce del suo daemonio, ma non c’era abbastanza tempo per chiederlo, perciò evitò e disse: «Quindi?»
«Io penso che dovremmo aggiungere una voce maschile.» annunciò Hinata, senza neanche voltarsi.
Tutti rimasero in silenzio, Sasuke, addirittura, si congelò sul posto.
«E’ ciò che manca a questa band. Queste canzoni sono state scritte da te, Sasuke, è ciò che tu vorresti dire. Io cerco di renderlo mio, ma non sempre l’effetto è lo stesso. Se tu o Kiba cantaste…»
«No.»
«Ecco.» Hinata scosse il capo «E’ proprio questo il punto. Siete fossilizzati. Non capite cosa potrebbe darci la svolta definitiva.» sospirò «Voi non volete occupare il suo posto, ma quel posto non esiste già più. L’ho distrutto quando mi avete chiesto di cantare per voi.» alzò il volto verso il cielo, che stava, lentamente, coprendosi di nuvole grigie e minacciose. Lo osservò per un attimo, poi chiuse gli occhi «Naruto non avrebbe accettato la vostra testardaggine. Vi avrebbe chiesto di tentare, di non arrendervi, in nome della musica.»
«E’ inaccettabile.» mormorò Shikamaru.
«Mi sembrerebbe di tradirlo.» disse Kiba, commosso.
«Voi non capite… basterebbe un coro per rendere la canzone perfetta.» riaprì gli occhi, si voltò verso di loro «Cercate di ricordarvi com’era il vero Naruto, invece di farvi ingabbiare dalle vostre paure.» guardò alla sua destra, piegando leggermente il capo «Sasuke, almeno tu… sai perfettamente cosa avrebbe detto Naruto. Sarai d’accordo con me.»
Sasuke strinse i pugni. Essere d’accordo? In nome della musica? Superare i propri limiti? Tutte parole e frasi che aveva sentito pronunciare da Naruto e da lui soltanto. Naruto non avrebbe accettato la vostra testardaggine. Hinata aveva pronunciato il suo nome, e sentirlo era stato come infilzarsi con un macete.  Sapeva perfettamente che se Naruto fosse stato ancora vivo, si sarebbe imposto e loro si sarebbero lasciati piegare senza dire nulla. Naruto non era un presuntuoso, ma quando si parlava di musica la sua autorità diventava palese, di una grandezza incalcolabile. Avevano sempre dibattuto a lungo, dandosi consigli a vicenda, cercando compromessi, ma Naruto aveva sempre avuto ragione. Il suo istinto, in materia musicale, non sbagliava mai. E Hinata aveva la stessa dote, e possedeva anche un orecchio maggiore, raffinato dall’esperienza, in quanto polistrumentista. Ma qualcosa lo bloccava. La paura di sbagliare. Di usurpare il suo posto – vuoto. Di mettere in ombra la sua immagine a tal punto da dimenticarla.
«Non posso.» la voce sottilissima, quasi inudibile, si fece più forte «Non lo permetterei mai. Non ne sarei in grado.»
«Naruto diceva di sì.» Hinata strinse i pugni contro il bacino «Mi disse che, in qualsiasi evenienza, tu eri l’unico che fosse stato in grado di sostituirlo, dalla musica alla vita, l’unico di cui si fidasse ciecamente. Credeva nel tuo talento, ti incitava a fare di più, a cantare.»
«Smettila, Hinata.»
«Ma diceva anche che per cantare, per mettersi davanti a tutti, in prima linea, ci voleva coraggio, la voglia di mettersi in gioco. E tu hai paura.»
«Smettila.»
«Sei solo un vigliacco.»
«Basta!» Sasuke urlò, guardandola con occhi di fuoco «Smettila di tirar fuori questi vecchi discorsi! Perché diamine vuoi che lo faccia io?!»
«Smettetela, entrambi.» Shikamaru intervenne, guardandoli duramente «Sono stanco di questi giochetti. Conoscete la mia opinione, come quella di Kiba. Vince la maggioranza. Se Sasuke vuole farlo, si farà, ma non resterò qui un attimo di più a sorbirmi i vostri litigi.»
Shikamaru tornò da dove era venuto, seguito da Kiba. Hinata rimase a fissare lo spazio lasciato vuoto dai due, ferita. Sapeva di essersi comportata male, ma a volte, non poteva evitarlo. Sasuke fissava lei, soffermandosi sulle sue labbra strette.
«Rispondimi.» disse.
«A cosa?» domandò lei.
«Perché vuoi che io canti?»
Lei si strinse nelle spalle «Business.»
Sasuke si arrabbiò, sentendosi preso in giro. D’istinto, la afferrò per il polso, e lei lo guardò sbalordita.
«Non fare la dura con me.» sibilò «Quello è il mio campo.»
Hinata si fermò a guardarlo negli occhi. Per un attimo, a Sasuke sembrò di guardarsi in uno specchio, che però aveva il potere di metterlo a nudo: la rabbia nella mascella contratta, il terrore nello sguardo, la tristezza nelle occhiaie. Gli sembrò che lei fosse capace di vedere tutte le sue debolezze, con quegli occhi angelici, capace di vedere le crepature della sua fortezza, capace di passarci attraverso. Poi lei voltò il capo, e la magia ebbe fine.
«Perché al gruppo manca qualcosa, ed è la tua voce.» titubò «Perché…» mi manchi tu. Sussultò.
«Hinata…»
«Lascia stare.» lei si liberò dalla sua stretta, senza neanche guardarlo «Hai poco tempo per prendere una decisione. Sbrigati.»
Sasuke la osservò andare via, i capelli al vento, subito riappropriatasi del comando, ordinando di riprendere le riprese. Hinata con lui era diventata fredda, arrabbiata, a tratti distante, eppure, in certi momenti, nei suoi occhi c’era una dolcezza infinita, capace di disarmarti. Hinata stava diventando come lui, lo feriva pur di allontanarlo.
E lui l’amava.
 
 ANYWHERE
 Dear my love, haven't you wanted to be with me
And dear my love, haven't you longed to be free
I can't keep pretending that I don't even know you
And at sweet night, you are my own
Take my hand

We're leaving here tonight
There's no need to tell anyone
They'd only hold us down
So by the morning's light
We'll be half way to anywhere
Where love is more than just your name

I have dreamt of a place for you and I
No one knows who we are there
All I want is to give my life only to you
I've dreamt so long I cannot dream anymore
Let's run away, I'll take you there

We're leaving here tonight
There's no need to tell anyone
They'd only hold us down
So by the morning's light
We'll be half way to anywhere
Where no one needs a reason

Forget this life
Come with me
Don't look back you're safe now
Unlock your heart
Drop your guard
No one's left to stop you
Forget this life
Come with me
Don't look back you're safe now
Unlock your heart
Drop your guard
No one's left to stop you now

We're leaving here tonight
There's no need to tell anyone
They'd only hold us down
So by the morning's light
We'll be half way to anywhere
Where love is more than just your name

Caro mio amore non sei voluto essere con me 
e caro mio amore non hai desiderato essere libero 
non posso incatenarti fingendo di non conoscerti 
e in una dolce notte tu sei l'unico 
prendi la mia mano. 

CORO 
ci stiamo lasciando qui stanotte 
non c'è bisogno di dirlo a qualcuno 
loro ci abbattono solo 
così dal giorno luminoso 
noi saremo a metà strada per "dovunque" 
dove l'amor è molto più che solo il tuo nome 

Ho sognato un posto per te e me 
nessuno sa che noi siamo lì 
tutto quello che voglio è dare la mia vita solo a te 
ho sognato spesso di non poter più sognare 
corriamo via ti porterò lì 

CORO 
Dimentichiamo questa vita 
vieni con me 
non guardare indietro tu sei salvo adesso 
apri il tuo cuore 
piangi la tua difesa 
nessuno è qui per fermarti 

Dimentichiamo questa vita 
vieni con me 
non guardare indietro tu sei salvo adesso 
apri il tuo cuore 
piangi la tua difesa 
nessuno è qui per fermarti 

CORO 
ci stiamo lasciando qui stanotte 
non c'è bisogno di dirlo a qualcuno 
loro ci abbattono solo 
così dal giorno luminoso 
noi saremo a metà strada per "dovunque" 
dove l'amor è molto più che solo il tuo nome 

Realizzare il video, cercando oltretutto di sistemare la canzone, fu molto difficile, ma non impossibile.
Alla fine della giornata, verso le dieci di sera, il gruppo era stato richiamato dai tecnici. Si erano seduti davanti a uno schermo molto grande, e il video era partito. Hinata, vestita di nero, passeggiava accanto al letto del fiume, da sola, cominciando a cantare. La sua voce era perfetta, il suo sguardo sembrava perso, vacuo, ma il suo passo era sicuro. E mentre camminava con le mani nelle tasche, a lei si unì prima Shikamaru, con le immagini di lui in trasparenza mentre suonava la batteria, i capelli liberi al vento, non più legati in una coda. Camminavano insieme, vicini, entrambi con le mani nelle tasche, finché a loro non si aggiunse anche Kiba. Il suo sguardo era più duro, e la pelle risaltava a contrasto con i suoi abiti neri, completamente diversi da ciò che soleva indossare.
In trasparenza, sullo sfondo di un cielo grigio e triste, Kiba suonava il basso, gli occhi chiusi.
A loro, alla fine, si aggiunse Sasuke. La sua figura in trasparenza, mentre nella scena madre continuavano a camminare con aria triste, si librava nel cielo, suonando disperatamente la chitarra Naruto. E poi Sasuke e Hinata, da soli, l’uno davanti all’altra, le loro voci che si univano e si slegavano, mentre in trasparenza Shikamaru e Kiba continuavano a suonare.
Ebbene sì, Sasuke, alla fine, aveva deciso di cantare. Era stata una scelta sofferta, che ancora ora, mentre si riascoltava e si vedeva nel video, rimpiangeva. Ma avevano fatto un patto: Sasuke non sarebbe stato l’unico a cantare. Infatti, nella parte finale del video, dopo la canzone, tutti e quattro insieme, compreso Shikamaru che da sempre era restio ad adoperare la propria voce, avevano creato un meraviglioso coro. Gli occhi di Naruto in trasparenza.
Quando il video finì, tutti applaudirono. Loro, i protagonisti del video – Sasuke, Hinata, Kiba e Shikamaru – rimasero paralizzati. Non c’era più nulla per cui applaudire: in nome della Musica, in nome di ciò in cui credeva Naruto, avevano sacrificato il suo posto vuoto.
Dopo quella scena triste, tutto il gruppo venne trascinato via da Hanabi. Seduti nel pub del livello più basso di tutta Parigi – cosicché nessuno fosse in grado di riconoscerli, diceva la Hyuuga minore -  attorno ad un tavolo troppo piccolo per essere capace di contenere tutti i loro bicchieri. Non parlarono molto, anzi, affatto. Fra di loro si era venuta a creare una particolare situazione di tensione. Hanabi, quella sera, cercò di risollevare il morale a tutti, ma non era molto brava a farlo. L’esperto, un tempo, era Naruto – il perfetto capitano di una squadra di calcio – mentre adesso rimaneva solo Kiba, che ben presto, però, si era ubriacato.
«Tu…» disse a un certo punto Kiba, col singhiozzo, indicando Hinata «… sei diventata… hic… fortissima…!» rise «Però… rimarrai per sempre sola…»
Hinata sbiancò, incapace di rispondere, totalmente scioccata. Hanabi diede un buffetto al suo fidanzato, cercando di scusarsi al suo posto.
«Credo che io e Kiba adesso torneremo in hotel.» scosse il capo, guardando il suo fidanzato «E’ andato KO.» poi si rivolse verso la sorella maggiore «Qualsiasi cosa sia successa fra voi… risolvetela. Siete una band. Non potete sciogliervi nel bel mezzo del vostro primo tour.»
Hanabi si alzò e, cercando di sorreggere Kiba, iniziò a camminare verso l’uscita.
«Ti aiuto.» si offrì Shikamaru, prendendo l’altro braccio dell’Inuzuka. I tre si defilarono dietro l’angolo, dove uscirono dal pub. Hinata rimase a guardare la loro sagoma che scompariva nel Pub poco illuminato. Quando si voltò e si rese conto di essere rimasta sola con Sasuke, gli prese un colpo. Era più di un mese che non rimanevano soli – ed entrambi lucidi – e ciò la destabilizzava.
Lo osservò, rendendosi conto che lui non l’avrebbe saputo, dato i suoi occhi bassi: aveva ordinato un whisky, ma non lo aveva neanche assaggiato, memore della sera prima. Stringeva il bicchiere con entrambe le mani: le sue dita lunghe disegnavano ragnatele sull’ombra dello stesso, intrecciandosi e slegandosi. Hinata si soffermò su quelle mani: anche senza toccarle, sapeva benissimo quanto fossero ruvide e callose, ma al contempo forti e delicate. Quelle mani l’avevano sfiorata più di una volta, con una leggerezza che non si poteva credere possibile da Uchiha Sasuke, notoriamente strafottente e menefreghista: le avevano anche salvato la vita.
«Hinata…» sentire il suo nome la riscosse, smise di guardare Sasuke e osservò il proprio bicchiere di gin e cola «Ho fatto quello che mi hai detto, ma perché mi sento soltanto peggio?»
Uchiha Sasuke che parlava di sentimenti, ecco un’altra cosa totalmente incredibile, nel significato stretto della parola. Hinata tornò a fissarlo, ma stavolta in viso: il suo atteggiamento non era cambiato, continuava a fissare il liquido bronzeo sotto di sé – sapeva che mai e poi mai avrebbe sollevato lo sguardo sui di lei, rischiando di incontrare i suoi occhi e mostrandole, così, tutto il dolore del mondo.
«Perché pensi ancora che sia una cosa che ho voluto solo io, ma non è così.» mormorò ancora prima di formulare il pensiero «Pensaci, Sasuke: quante volte Naruto ti ha incitato a dare di più alla band? Quante volte ti ha chiesto di scrivere e di cantare?»
Il volto di Sasuke scattò all’improvviso di lato, verso l’entrata del bar: adesso Hinata poteva vedere la mascella contratta, l’arteria gonfiarsi, il collo nudo.
«Continui a pronunciare quel nome con leggerezza, quando mi hai rimproverato quando sono stato io a farlo.» rispose seccamente.
«Io non lo sto facendo davanti alle telecamere, Sasuke, ma davanti a te.» bevve un sorso della sua bibita, lentamente, e quando riappoggiò il bicchiere disse: «Sei abile nel cambiare discorso.»
Sasuke grugnì. «E’ vero, mi ha detto spesso che avevo un grosso potenziale. E’ stato lui a insegnarmi a scrivere canzoni.» si voltò nuovamente, adesso la guardava negli occhi, cercando di dimostrarsi sicuro «Ma cantare… è diverso.»
«No, non lo è affatto.» rispose duramente lei «Secondo la vostra logica bacata, secondo questo sillogismo capzioso che voi tre vi siete messi in testa, fare ciò che faceva Naruto vuol dire usurpare il suo posto. Eppure tu, Sasuke, stai scrivendo i testi delle nostre canzoni. Fai quello che faceva lui.»
Sasuke spalancò gli occhi, stupito. Non aveva mai pensato a questo e, osservando la situazione da questo punto di vista, tutto gli fu più chiaro. Per un momento, si arrabbiò con se stesso per aver osato scrivere testi di canzoni, usurpando il posto di Naruto. Ma era accaduto per sfogo, per istinto, per desiderio di essergli più vicino e fino a quel momento non gli era mai sembrato un errore. Scriveva a causa di Naruto, in suo ricordo… perché doveva essere diverso dal cantare?
Si rese improvvisamente conto di essersi estraniato dalla realtà con un’espressione incredula che non apparteneva al suo repertorio e quindi si ricompose, indossando nuovamente la sua maschera.
«Basta.» bisbigliò, in un soffio che sembrava quasi dolorante «Andiamocene.»
I due si alzarono e si divisero: Hinata uscì, aspettando Sasuke all’entrata, mentre quest’ultimo andava a pagare. Quando la raggiunse, era tornato perfettamente nella sua parte cruda e severa, in quel teatro di finzione che era la loro vita.
«A causa di Kiba non mi è rimasto un centesimo.» disse, seccato.
Hinata lo guardò, alzando il mento per accorciare la differenza di altezza. «Ricordi la strada per arrivare al nostro hotel?»
«No, perché?» chiese, incamminandosi.
«Temo che dovremo tornare a piedi.» rispose, titubante.
«Come, scusa?» Sasuke si voltò verso di lei, sbalordito.
«I soldi che avevo con me li aveva Hanabi.» si guardò intorno, stringendosi nelle spalle «E beh, non c’è.»
«Quindi…»
«Quindi non possiamo prendere un tassì.»
Sasuke si schiaffò una mano in viso, scioccato, e sospirò. Sembrava completamente sconfitto. Hinata non riusciva a capire quella reazione strana, ma Sasuke sapeva benissimo che tornare in hotel a piedi comportava metterci molto più tempo. Di conseguenza, era molto più tempo passato da solo con Hinata… sarebbe riuscito a controllarsi?
Hinata lo affiancò, tirandogli una manica del lungo cappotto nero che aveva indossato quella sera e che, in un certo senso, lo faceva sembrare il re delle ombre, del male, dell’oscurità. Era estate, ma si trovavano a Parigi, e la notte non era così calda.
«Cosa facciamo?» chiese, quando ottenne la sua attenzione.
«Cerchiamo di andare verso il centro della città e da lì chiediamo informazioni.» rispose lui
«E a chi?» domandò ancora la Hyuuga «A quest’ora ci saranno solo malviventi in giro.»
Sasuke si strinse nelle spalle. «Non preoccuparti.»
Cominciarono a camminare, vicini. Il quartiere di Parigi in cui si trovavano era poco illuminato, probabilmente era quello più povero e, Hinata temeva, quello più difficile. A volte, però, si dimenticava di chi avesse al suo fianco: Sasuke aveva vissuto quasi tutta la sua vita in un quartiere anche peggiore di quello, era abituato a certe cose, eppure non riusciva ad accomunarlo con una vita così dura. Il suo portamento elegante, i suoi lineamenti perfetti, anche il modo di camminare: tutto in lui avrebbe fatto pensare – a un perfetto sconosciuto così come ai suoi fan – a una persona cresciuta in una famiglia ricca o dell’alta borghesia o, meglio ancora, a un principe azzurro. Nonostante questo, attorno alla sua figura c’era un’aura misteriosa e cattiva, tenebrosa: era qualcosa radicato nei suoi mezzi sorrisi, negli occhi scurissimi – una luce particolare, un ghigno unico, dove solo chi lo conosceva bene era capace di riconoscere il dolore.
Una goccia le colpì il naso. Le ci volle qualche secondo per capire che si stava mettendo a piovere. Si arrestò di colpo e guardò il terreno di fronte a sé. In pochi secondi, un temporale si scagliò contro l’asfalto e contro di loro, fermi sotto la pioggia, forte e improvviso come un temporale estivo.
Sasuke imprecò, si tolse il cappotto e lo usò per riparare Hinata e se stesso dalla pioggia, anche se ormai si erano bagnati.
Mormorò qualcosa che la mora non capì e poi cominciarono a correre per strada, le gambe agili, alla ricerca di un riparo. Sasuke afferrò Hinata per una spalla e la spinse sotto al balcone di una casa malconcia.
«Chiama un tassì.» le ordinò. Poi riprese a correre sotto la pioggia, lasciandola sola.
Hinata rimase paralizzata. Cosa diamine stava facendo Sasuke? Dove andava? Perché l’aveva lasciata lì da sola?
Passarono diversi minuti di totale sconforto e paura, in cui Hinata avrebbe voluto correre, seguire Sasuke, ormai già scomparso dietro l’angolo. Sapeva bene però quanto sarebbe stato facile perdersi e quanto sarebbe stato ancora più complicato ritrovarsi. Era sconvolta.
Ad un tratto, in lontananza, vide un uomo camminare, per strada, incurante della pioggia. Si stava avvicinando a lei. Sulle prime pensò fosse Sasuke, ma dopo un attimo si rese conto che non aveva lo stesso portamento elegante, né l’ampia falcata: un brivido le corse lungo la spina dorsale.
Prese il telefono e chiamò il tassì, come Sasuke le aveva detto. Forse, se avesse visto che era al telefono, l’uomo l’avrebbe lasciata in pace, ma una brutta sensazione le correva nelle vene.
Lesse la via dove si trovavano lungo la fiancata di un muro e la diede alla donna con cui era al telefono quando le venne chiesta, parlando francese in modo impeccabile, se non fosse stato per la paura. L’uomo si avvicinava, ormai era a una decina di metri. Hinata poté vedergli finalmente il volto: capelli neri corti, cicatrice che passava dal naso e terminava sulla guancia destra e labbra strette, minacciose. Finse di parlare al telefono anche quando la chiamata terminò, con un sonoro clack. L’uomo, ormai, le era vicino, a un metro di distanza. Si guardarono negli occhi. I suoi erano di un grigio perlato, sinistramente agghiaccianti. Per un attimo Hinata smise di parlare, impaurita. E lui agì.
Le afferrò il polso con cui teneva stretto il telefono e lo fece cadere, spingendola poi contro il muro.
«Chi volevi prendere in giro?» disse l’uomo in un francese che non suonava più delicato ed elegante. Hinata urlò, mentre l’uomo la stringeva contro il muro, bloccandole i polsi, mentre lei, inutilmente, scalciava.
Poi, improvvisamente, l’uomo si staccò da lei e cadde a terra, dolorante.
Hinata si voltò e vide Sasuke, completamente bagnato, le labbra strette, il pugno ancora sollevato. Era furente. Si avvicinò ancora all’uomo e, di colpo, gli tirò un calcio, che lo fece ribaltare.
«Sasuke!» urlò Hinata, mentre il grido si confondeva a quello dell’uomo. Il moro sembrava impazzito. La donna accorse e lo prese per mano, tentando di strattonarlo, di portarlo via «Ti prego, Sasuke, andiamo!»
Sulle prime, il moro non si mosse. Poi sputò sull’assalitore, disgustato, e si lasciò portare via.
Hinata cominciò a correre, compiendo la stessa strada che aveva visto percorrere da Sasuke poco prima. Appena girò l’angolo, si fermò, lasciò la mano di Sasuke – che aveva tenuto fino a quel momento per portarlo via – e cominciò a colpirlo con i pugni chiusi sul petto.
«Sei impazzito?» urlava.
«Smettila…»
«Sei completamente fuori di testa!»
«Basta!» urlò Sasuke, bloccandole i polsi «Che diamine ti prende?»
«Avresti potuto ucciderlo!»
«Ti stava facendo del male!»
«Anche tu.»
Sasuke guardò le sue mani e la liberò. «Mi dispiace.»
«Come hai potuto lasciarmi lì da sola?» urlò Hinata.
«Sono andato a prendere dei soldi al bancomat…» rispose Sasuke.
«Non mi interessa!» urlò ancora Hinata, mentre il temporale la bagnava da capo a piedi, appiccicandole i lunghi capelli ai lati del volto «Dovevi rimanermi vicino!»
«E come dovrei fare se tu mi allontani?» urlò lui.
«Cosa?» Hinata lo guardò sbalordita «Di cosa stai parlando?»
«Sono settimane che ogni volta che arrivo io tu te ne vai!» sibilò, stanco e arrabbiato «E poi stamattina ti sei presa cura di me, con l’acqua e… e questa stupida maglietta!»
Hinata gli diede uno schiaffo. Il suo sguardo trasudava rabbia e delusione. Lui la guardò esterrefatto. Sentiva la parte lesa dolergli, bruciargli come fuoco vivo sulla pelle. Sapeva che si stava arrossando, ma rimase impassibile, non provò neanche a sfiorarsi la gota.
«Quella maglia è un regalo di Natale
che Naruto  si era dimenticato di darti. L’ho trovata facendo le valigie prima di partire.» anche lei era furente, ma già si pentiva del suo gesto «Vorrei ricordarti che sei stato tu ad allontanarti da me, più di un mese fa, dopo avermi appena promesso che ci saresti stato per me.» abbassò lo sguardo sui suoi piedi, mortalmente offesa «Non te lo ricordi, vero?»
«Cosa…?» cercò di capire lui.
«Mi hai detto che…» inspirò, qualcosa la trafisse nel petto – era quel ricordo o la paura di essere stata dimenticata? «che mi ami.»
«Cosa…?» Sasuke sembrava totalmente stralunato «Ieri, io…?»
«No, non ieri.» alzò nuovamente lo sguardo su di lui «Due settimane fa. Eri con Karin e… avevi una bottiglia in mano. Non sembravi così ubriaco. Pensavo che te ne ricordassi ma poi non hai mai detto nulla e…»
«Non lo ricordavo.» Hinata notò che aveva gli occhi lucidi «Hinata io… mi dispiace così tanto e…»
Stava mormorando quelle parole: mi dispiace. Proprio lui, Sasuke Uchiha, sotto alle mani abili di Hinata si era lasciato modellare come creta.
«Come può dispiacerti?» era fredda, arrabbiata, e il suo tono di voce si alzò nuovamente, in modo graduale «Come puoi ignorarmi per giorni e poi dirmi che mi ami? Come puoi dimenticartene? Come puoi essere freddo con me? Come hai potuto lasciarmi da sola?! Come…»
Smise di parlare di colpo. Il tocco leggero delle labbra di lui sulle sue la stupì, arrestando le sue parole, ogni suo gesto, ma non il suo cuore, che invece ingranò la marcia e cominciò a battere all’impazzata. Sasuke sembrava… indeciso, addirittura impaurito. Come un ragazzo alla suo primo bacio, l’uomo fremeva, avventurandosi incuriosito nel mondo dell’amore, ma spaventato dalle conseguenze. Con quel tocco leggero e fresco – le sue labbra erano fredde e umide a causa della pioggia, ma le mani che lui aveva appoggiato ai lati del suo viso erano bollenti, parevano ardere – sembrò quasi chiedergli il permesso. Hinata, confusa, si lasciò guidare dall’istinto e socchiuse la bocca. Sasuke colse il segnale come un via libera e la baciò dolcemente, unendosi a lei, quasi volesse respirare la sua stessa aria. Il corpo di lei si rilasso all’istante, ma al contempo era pervaso da elettricità pura, brividi e fremiti. Non osava toccarlo, ma sapeva perfettamente quanto il corpo di lui stesse tramando, pervaso da emozioni incredibilmente simili alle sue, che passavano fra di loro attraverso le loro labbra.
Poi, il bacio si fece più intenso.
 
 
 
 


 Angolo Autrice.~
Cari lettori, mi dispiace essere scomparsa per così tanto tempo. 
I problemi sono gli stessi di sempre, e il tempo sempre minore.
Leggere le vostre recensioni mi incoraggia, ma vederne sempre
meno mi demolisce. I miei lettori fedeli sembrano essere scomparsi...
Spero di vedervi presto qui, anche perchè sono molto curiosa di
sapere cosa potreste pensare di questo capitolo. Litigi, e poi... un bacio!
Fatemi sapere presto :)
Kiss!


 

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Capitolo 22
*** Weight of the world. ***


Gli ultimi sognatori.
Occhi Paradiso.
Weight of the world.
[
"è come il peso del mondo 
come tutte le mie urla che sono rimaste inascoltate
]

 
[Evanescence: Weight of the world]
Sasuke non sapeva perché avesse avuto il bisogno di baciarla. Semplicemente si era fatto palese, all’improvviso, mentre lei parlava ansiosa, ponendogli domande a cui si era dato delle risposte che in quel momento gli sembravano un tantino stupide. Aveva sentito il bisogno di calmarla, o di zittirla, e quel gesto era stato automatico. Aveva osservato le sue labbra per un momento e poi ci si era calato, immergendosi nell’avventura, e si era sentito un bambino alla sua prima esperienza: goffo, incapace, idiota. Quella ragazza, minuta ed esile, lo faceva sentire piccolo come una formica – indegno delle sue attenzioni, del suo affetto, dei suoi pensieri. L’aveva baciata con dolcezza, con la sensazione di star commettendo il più grande dei peccati, e per un attimo l’aveva sentita irrigidirsi sotto il suo tocco leggero, ma dopo qualche secondo si era rilassata, abbandonandosi in quell’alta marea d’amore che la stava avvolgendo. Le sue labbra erano fresche, quella vicinanza permetteva al suo profumo di lavanda di insinuarsi nelle sue narici. La sentì sospirare nel bacio, in debito d’ossigeno, e qualcosa dentro di lui si mosse, divampando all’improvviso come fuoco su un fiammifero: desiderava di più.
Le mani callose, dai lati del suo viso, scivolarono leste dietro alla nuca: intrecciò le dita ai lunghi capelli color notte, morbidi e sinuosi, amati, e l’attirò maggiormente a sé. La sentì mugolare appena ed egli stesso sospirò di piacere nel trovare l’accoglienza calda e seducente della sua lingua – ogni movimento gli provocava un fremito.
Le fredde e sinuose mani di Hinata si appoggiarono sul suo petto e bastò che uno dei suoi polpastrelli gli sfiorasse la pelle liscia del collo per congelarlo sul posto. Come se fosse partito da lì, la consapevolezza risalì sotto forma di un brivido dal collo fino al cervello, percorrendo la giugulare. Sasuke si fermò, improvvisamente conscio di quanto fosse sbagliato quello che stava facendo. Si era dimenticato di tutto: di Naruto, della loro vita insieme, dell’amore del biondo e di Hinata, di loro figlio. Come aveva potuto?
Dopo un attimo di esitazione, si staccò da Hinata con un gesto secco, compiendo due passi indietro.
Lei aveva ancora le labbra socchiuse e gonfie, il volto arrossato, gli occhi pieni di stupore. Mentre la osservava avvenne un cambiamento: il suo sguardo perlato si rabbuiò, diventando triste, nonostante vi fosse rimasta una scintilla.
Si sentiva accaldato ed eccitato – probabilmente aveva per la prima volta in tutta la sua vita le guance rosse – e pensava di aver distinto, nel suo cuore, un momento di felicità. Questo però era stato troppo breve, troppo veloce: era fuggito via, lasciandolo con l’amaro in bocca, subito sostituito dal senso crudo della colpa. Che rumore fa la felicita? Non avrebbe mai smesso di chiederselo. Forse quello del battito di un cuore.
«Sasuke…» tentò di richiamarlo lei, la voce dolce e melodiosa, ma appena udibile.
Lui rialzò lo sguardo su di lei ed ancora una volta l’istinto di prenderla fra le braccia e baciarla si impossessò di lui: era troppo bella, troppo dolce, troppo fragile, troppo perfetta. Ma un errore è tale finché non è voluto, e Sasuke Uchiha non sbagliava mai due volte. Voltò lo sguardo di lato e deglutì, cercando di resistere alla tentazione.
«Va via.» pronunciò quelle parole con voce greve.
«Cosa? Sasuke, tu-»
«Va in hotel, Hinata.» le disse freddamente lui, senza guardala «Lasciami solo. »
Proprio dalla strada da cui erano finiti, con un gran rumore di lamiere che cozzano l’un l’altra, una vettura di foggia d’epoca percorse la strada, avvicinandosi ai due. Era un tassi vecchio stile, notò Sasuke, che stava guidando da quella parte: quello chiamato da Hinata.
«Noi… noi dobbiamo tornare in hotel, Sasuke. Noi.» mormorò Hinata, che aveva notato anche lei la vettura, confusa, cercando di sottolineare quel pronome. Gli fece quasi male sentire la sua voce melodiosa p ronunciare quel noi che non avrebbe mai avuto condizione d’esistere «Il tassì..»
Sasuke strinse i pugni e infilò una mano nella tasca dei pantaloni. Era sul punto di piangere e sperava che la pioggia nascondesse il suo segreto. Un tempo non avrebbe mai pensato di poter arrivare a tanto. Adesso… si rendeva conto di quanto Naruto, e la sua morte, fosse stato capace di distruggere il muro che si era costruito intorno con una semplice molotov. Prese il portafogli e glielo porse, tornando a guardarla per un breve istante. Gli occhi lunari continuavano a fissarlo, tremando appena. Gli parve di scorgere un’ombra strana… una tristezza diversa.
«Prendi questo e vai, Hinata.» ordinò.
Dopo un breve istante, la donna scosse il capo. «Non lo prenderò.» annunciò «Sarai tu stesso a pagare il tassista.»
La sua voce era modulata in modo da suonare forte, imperiosa, salda, ma i suoi occhi tradivano incertezza e paura. Amava quella Hinata: quella che, dopo le intemperie, era capace di dimostrarsi tenace e coraggiosa come un leone – ma se avevi voglia di ritrovare la vecchia ragazzina d’un tempo, quella dolce, ingenua e troppo buona, la vedevi sempre lì, nei suoi occhi. Era come un tortino dal cuore morbido: fuori compatto e asciutto, dentro dolce, liquido e squisitamente caldo. Sorrise internamente per quella similitudine, mentre con pochi passi la raggiungeva, abbassando lo sguardo, le infilava il portafoglio nella tasca della giacca e proseguiva oltre, senza fermarsi.
Hinata era troppo scioccata dallo sguardo che aveva visto sul suo viso per cercare di fermarlo.
Era quello di un uomo povero che aveva perduto tutto.
 
Probabilmente girare da solo per le strade di una città semisconosciuta non era un bene, per di più se erano le tre di notte. Aveva cominciato a quell’orario improbabile e si era perso per ore nelle strade del borgo antico di Parigi, tentando di dare pace ai propri pensieri. Ricordava quando, a diciotto anni, la sua vita era stata sconvolta dal ritorno del fratello e per non pensarci correva per ore nelle strade della sua città, senza fermarsi mai. Era diventato talmente iperattivo che raramente chiudeva occhio, così insensibile da non fermarsi neanche se i suoi muscoli imploravano pietà, e cedevano. Si era fatto tanto del male in quel periodo – cominciando con una cosa piccola come la corsa e finendo per drogarsi – che aveva perduto il suo vero se stesso: no, non quello strafottente e cinico, ma il Sasuke sepolto sotto strati e strati di scudi, quello buono, protettivo e a volte infinitamente dolce. Soltanto Naruto aveva avuto accesso a quella parte nascosta così in profondità, così intima, e soltanto di rado. Ancora si pentiva di tutte le volte in cui avrebbe potuto dirgli che gli voleva bene, senza mai farlo. Si dava colpe che in realtà non esistevano. Svoltando un angolo vecchio e buio di una strada che lo condusse nella via maestra di Parigi, decise di raggiungere la Senna. Mentre camminava senza posa, si era ormai abituato all’acqua che continuava a sfregiargli il volto e a inzuppargli i vestiti, tanto che non si accorse che il temporale si stava ormai esaurendo. Riusciva solo a sentire i propri pensieri e le coltellate che essi gli procuravano nel petto. Una volta, lo ricordava come se fosse accaduto appena il giorno prima, mentre camminava incessantemente per Praga a notte fonda come faceva adesso, aveva immaginato cosa fosse accaduto se cinque anni prima fosse accorso da Naruto, tentando di salvarlo. Magari lui sarebbe stato ancora vivo, si sarebbe pentito di non aver detto nulla sul suo cancro e, sinceramente grato di avere qualche anno in più, avrebbe vuotato il sacco e sarebbero riusciti a regalargli, tutti insieme, l’ultima felicità. Hinata lo avrebbe abbracciato, gli avrebbe dato un figlio, si sarebbero sposati. Naruto avrebbe potuto vedere suo figlio fare i primi passi, dire le prime parole, magari. Avrebbe avuto più tempo.
Si sentiva terribilmente in colpa per non aver agito così, ma… ciò sarebbe potuto accadere soltanto se le ferite di Hinata non fossero state così gravi come erano in realtà. L’aveva vista perdere flotti e flotti di sangue, talmente tanti da non crederci, troppi per una persona minuta ed esile come lei. L’aveva vista chiudere gli occhi ed esalare l’ultimo respiro. Aveva pianto come un bambino. Forse... già l’amava? Era possibile che si fosse già innamorato di lei, senza accorgersene? Aveva visto la sua anima scivolare via velocemente dal suo corpo: aveva creduto di essere riuscito a riacciuffarla giusto in tempo. Probabilmente, non l’aveva più lasciata, cercando di tenerla collegata alla Hinata terrena.
Raggiunse la Senna. Il grande fiume scorreva sotto di lui impetuoso, gorgogliando forte, in piena dopo il temporale. Il suo rumore sordo e scrosciante sembrò affievolire l’urlo dei suoi pensieri, annegarli, almeno per qualche istante. Davanti a lui, Parigi si risvegliava. I panettieri uscivano fuori di casa e si mettevano all’opera per creare le baguette. Era l’alba. Un fievole color rosso si espanse fra le nuvole, rischiarando il cielo notturno. Sembrava sangue che affluiva con nuova forza nel viso di qualcuno, imporporandone le guance. Il solo pensiero di lasciar morire Hinata lo investiva come un fiume in piena, come avere la Senna addosso, forte e soffocante.
Se avesse salvato Naruto e non Hinata, lei sarebbe morta e lui avrebbe vissuto il poco tempo che gli rimaneva da solo, come lui adesso. Sarebbe morto di crepacuore. Non poteva immaginarlo così disperato, il solo pensiero lo distruggeva… il viso del suo fratello di sangue era nato per ridere, non per piangere. Era stato così strano, conoscere Hinata. Una volta, Naruto gli aveva detto che prima di incontrare Hinata, aveva creduto di essere sereno. Ma era ignorante, e non capiva cosa fosse la vera tranquillità… Hinata lo aveva reso felice, e si era dimenticato di come si sentisse nella sua vita precedente. Adesso lui provava la stessa cosa. Hinata gli aveva insegnato ad amare, e non sarebbe più riuscito a tornare indietro, a prima che la baciasse. Perché adesso sapeva. Sapeva cos’era l’amore.
 
Nella sua vita, Hinata si era sentita sola tante volte. Aveva solo ventisette anni, la vita davanti, eppure aveva più esperienze personali della maggior parte delle persone che conosceva. Contando solo quelle negative, certo. Sua madre le aveva insegnato a mischiare dolcezza e forza in unico mix che aveva creduto di non saper riprodurre. Nessuno poteva essere come lei, sempre disposta ad una carezza, e nonostante ciò contenere nel proprio esile corpo una tale forza d’animo da intimidire i più con la sua sola presenza. Era minuta, delicata ed esile, ma quando entrava in una stanza tutti la notavano, tutti le davano ascolto. C’era qualcosa di mistico e di… ineguagliabile. Aveva desiderato a lungo essere come lei – forgiata dalla forte intolleranza che il padre provava nei suoi confronti – e solo ultimamente aveva creduto di aver raggiunto un obbiettivo abbastanza alto per lei, seppur minimo al confronto. Eppure era bastato passare una serata con Sasuke per cancellare tutti i suoi sforzi.
Hinata sostava nella sua camera, le spesse tende di broccato bianco chiuse sulle finestre. Quella notte non era riuscita a chiudere occhio. In una giornata normale si sarebbe buttata sul lavoro per non pensare, ma quel giorno era stato davvero difficile per lei fare qualche attività che richiedesse uno sforzo da parte del suo intelletto. Nemmeno una doccia bollente della durata di un’ora era stata capace di ritemprarla. Aveva lasciato detto a Hanabi che non si sentiva bene e aveva affidato tutto a lei, pur di chiudersi nel mutismo riflessivo che quella situazione richiedeva. Non si era rivestita dopo la doccia e, completamente nuda nella sua stanza, si era infilata sotto le lenzuola fresche tipiche dell’Europa e aveva chiuso gli occhi, tentando di rilassarsi. In realtà, aveva passato ore a ripescare nella mente frasi di canzoni scritte da Sasuke alla ricerca di una rivelazione, un sentimento, qualcosa per lei. Si era resa conto di aver cantato per mesi dediche al suo dolore, alla sua forza, al suo amore. Eppure, di tutto ciò che Sasuke aveva detto di lei nei suoi testi, non le era rimasto nulla. Lui era stato capace di toglierle tutto con un bacio. Le aveva strappato l’anima.
Se lo sentiva ancora sulle labbra, quel bacio. Le sentiva bollenti e tremanti, quasi ne desiderassero ancora. Era come se fossero incapaci di vivere normalmente, come avevano sempre fatto, adesso che avevano conosciuto la vera felicità. Le aveva raggiunto il cuore, seppur delicato.
Ma c’era Naruto. Tutto il suo corpo si riscaldava al sol pensiero. Naruto che le sorrideva, Naruto che le confidava di essere un senzatetto, Naruto che piangeva, Naruto che la portava in braccio in casa e la buttava in una vasca per farla riprendere, Naruto che le insegnava a sognare, Naruto che la baciava, la sfiorava, la rendeva donna, l’amava... Il ricordo delle sue mani su di sé, la sensazione inebriante che gli davano i suoi baci impallidiva lentamente, anno dopo anno, ma si poteva dire lo stesso del suo amore? Lui le aveva insegnato tutto, ad amare, a vivere. Questo non se lo sarebbe mai dimenticato. Era stato l’anno più felice della sua vita ed era stato lui a renderlo tale. Le aveva regalato un figlio che amava.
Ormai si era rassegnata al fatto che non sarebbe mai stata felice come lo era stata con lui, ma qualcosa di nuovo stava nascendo in lei a cui non riusciva a dare un nome. Ne aveva paura.
Come sempre, tornò a chiedersi cosa avrebbe avuto da dire Naruto sulla sua condotta. Certo, se lui ci fosse stato, il suo comportamento non sarebbe cambiato così tanto in quegli anni. L’avrebbe spronata, incitata, aiutata a migliorare. E se quel sentimento che stava nascendo il lei la avesse invasa ugualmente… avrebbe capito? L’avrebbe perdonata?... sarebbe stato così difficile se Naruto fosse stato ancora lì con lei?
Aveva passato il tempo a scandagliare nella propria mente anche le sue canzoni in cerca di un suggerimento, un appiglio. Ma non c’erano parole che Naruto aveva cantato che non conoscesse, non c’era più nulla che lui potesse dirle che non sapesse già. Il vuoto l’avvolgeva e la testa cominciava a vorticare quando pensava a quel plico di fogli, lettere e diari che lui le aveva lasciato: una miniera d’oro in una situazione come quella. Se li portava sempre vicino, per avere qualcosa di suo – talmente sconosciuto e pauroso – costantemente affianco. Ma non aveva ancora avuto il coraggio di aprire una qualunque di quelle lettere.
Un lieve raggio di sole sfuggì dalle tende e le colpì gli occhi. Ormai doveva essere pomeriggio, e Hinata non era scesa neanche per pranzare. Udì qualcuno accostarsi alla sua porta, chi con passi leggeri, chi con camminata più pesante, e infine qualcuno bussare alla porta.
«Onee-san. » chiamò Hanabi «Stai bene? Posso entrare?»
Senza rispondere, Hinata si coprì gli occhi con un braccio. La feriva far preoccupare i suoi familiari, ma il suo desiderio di pace e serenità, delle volte, la portava a chiudersi nella solitudine. Che stesse ricadendo nella depressione?
«Yò, Hinata!» urlò Kiba «Guarda che spalanco la porta!»
Non era depressione… era un sentimento diverso, più naturale. La paura la portava a non voler dire la verità nemmeno a se stessa. Ricordò il sogno che aveva con Naruto che le chiedeva perché si fosse innamorata di qualcun altro. Possibile che fosse stato lui a rendersene conto per primo?
«Ehi, Hinata.» la voce calma e piatta di Shikamaru oltrepassò la porta «Tranquilla, porto via questi casinisti. Spero solo che tu stia bene, perché stasera dobbiamo suonare, ricordi? Facci sapere se hai bisogno di qualcosa…»
C’erano proprio tutti, allora, eh? Si chiese se con loro anche Sasuke fosse venuto per vedere se stesse bene. Lui c’era sempre.  Con il suo silenzio, il suo mutismo… era capace di comprenderla, di affievolire il suo dolore. Sentiva sempre i suoi occhi su di sé, le sue premure nascoste, il suo affetto segreto. Il suo amore.
Sasuke c’era sempre, Naruto non c’era più. Con questo pensiero nella mente, il suo subconscio cadde nell’oblio del sonno.
 
Lui osservò la sua pelle candida e delicata. Aveva il colore del gelato alla panna… non sapeva perchè un pensiero così stupido lo sfiorasse, ma gli piaceva quel gusto. E gli piaceva lei. Si sporse un poco sul divano e gliela sfiorò, per poi baciarle la spalla delicatamente. Lei sorrise.
«Kiba…» lo riprese, dolcemente «Non ne hai abbastanza?»
Lui sorrise contro la sua spalla, lasciando le labbra appoggiate alla pelle.
«Pensi sempre a male, nanetta.» rispose lui, accarezzandole delicatamente la pelle sensibile del braccio, facendola rabbrividire «Volevo solo un po’ di coccole.»
Hanabi si voltò verso di lui, mostrandogli un sorriso dolce che gli illuminava anche gli occhi. La prima volta che l’aveva vista, per un attimo aveva accomunato quegli occhi a quelli della sorella maggiore, suo primo amore, senza notare quanto fossero diversi. Hanabi aveva un taglio più affilato, che la maggior parte delle volte rendeva il suo sguardo furbo e cattivo, come un gatto. E poi c’erano quelle volte, quelle in cui la dolcezza del momento li raggiungeva, rendendola più giovane ma stranamente più matura, rilassando tutto il viso. Ogni volta che lei lo guardava così, gli faceva battere forte il cuore, come quando si era reso conto di amarla.
Con un sorriso sulle labbra, le accarezzò i capelli scompigliati e lasciò la mano sulla nuca.
«Vieni qui.» mormorò lui, la voce bassa e roca.
Lei puntò le ginocchia sul divano dove lui era coricato e lo affiancò, lasciandosi abbracciare. Alzò il viso appena per permettergli di baciarla, lentamente, assaporando il momento. Hanabi sapeva sempre di zucchero, fragole e aria pulita, come in un bosco.
«Ti amo, piccolina mia.» disse riprendendo respiro, passandole un polpastrello su una guancia.
Lei sorrise «Non smetterai mai di prendermi in giro per la mia statura, vero, Kiba?»
«Mai.» le schioccò un bacio sulle labbra, facendola ridere «Perché mi piace, e so che piace anche a te.»
«Non è vero!» protestò lei, dandogli un colpetto su un braccio «Idiota!»
«Dì la verità, vieni nel mio camerino solo dopo che hai già sistemato gli altri solo per fare l’amore, vero?» chiese, lanciandole uno sguardo languido «Farlo nel camerino ti eccita, eh? Porc-»
Hanabi gli diede un altro colpo, più forte, premendo una mano sul divano per alzarsi un poco.
«Quanto sei idiota!» affermò, interiormente divertita.
Lui osservò il suo volto e poi il suo seno, nudo, e mugolò «E tu quanto sei bella!» la riacciuffò e la baciò con passione, passando le sue mani bollenti sul suo corpo, ovunque.
Lei si lasciò baciare per un po’ e appena ebbe l’occasione si scostò, accaldata. «Si sta facendo tardi!» affermò, alzandosi e infilandosi contemporaneamente la maglia di Kiba, ripescata da chissà dove.
Kiba la osservò, guardandola innamorato, mentre si avvicinava a uno stendino e scorreva la mano fra i vestiti, scostandoli rumorosamente. Pescò un paio di pantaloni eleganti con delle fibbie marroni e una maglia dello stesso colore, più una cravatta nera, e gli passò tutto.
«Indossa questi.» osservò l’orologio sulla parete «Hai solo quindici minuti.»
«Basteranno.» la osservò dirigersi verso il bagno per lavarsi, mentre si alzava e cominciava a infilarsi i boxer «Lo sai, Hanabi? Dicono che i calciatori non debbano fare sesso nelle 48ore prima di una partita per non influenzare la prestazione.»
«E quindi?» chiese lei, infilando il reggiseno senza togliere la maglietta, con un’abilità unica «Tu non sei un calciatore.»
«Però sono stanco!» protestò Kiba, affacciandosi sulla porta del bagno mentre chiudeva i bottoni dei pantaloni. Mise su un broncio molto dolce «Guardami! Vero che mi fai le coccole dopo il concerto? Vero?»
Hanabi sorrise, già rivestita «Hai ventisette anni e fai ancora il bambino!»
«Sono il tuo bambino, però, vero, Hana-chan?» miagolò lui, facendola ridere.
«Sì, Kiba.» disse avvicinandoglisi, per aiutarlo a prepararsi «Sei tutto mio.» prese la cravatta e cominciò ad annodargliela al collo «Anche se a volte ti strozzerei.» poi si fece pensosa, concentrata sul nodo «Ascolta, Kiba… volevo chiederti…»
«Se ho notato qualcosa di strano in Hinata e Sasuke, oggi?» finì la frase per lei, infilandosi dei bracciali di pelle intorno ai polsi, mentre Hanabi finiva con la cravatta «Sì, l’ho notato. Sono giorni che si evitano. E ieri… in effetti volevo lasciarli sola appositamente per vedere le loro reazioni.»
«Kiba!» Hanabi gli diede un colpo sulla spalla, sbalordita «Mi stai dicendo che hai finto di essere ubriaco?»
«Proprio finto no, ma non ero neanche così conciato male. Ed ero sicuro che tu e Shikamaru avreste tentato di portarmi a casa!» sorrise, fiero di sé, incamminandosi verso la postazione davanti allo specchio, dove si sedette per lasciarsi sistemare dalle abili mani di Hanabi «Deve essere successo qualcosa, ieri. Hinata non ha mai rinunciato a un giorno di lavoro in cinque anni. Non perché stava male, almeno.»
«Lo so. Mi è sembrato strano. E quando ho chiesto, a lei e a Sasuke, cosa fosse successo, entrambi si sono irrigiditi e sono rimasti in silenzio. Non che di solito sia possibile cavargli qualche parola di bocca.» scosse la testa, sconsolata, sistemando i capelli arruffati del suo fidanzato «Anche stamattina… Sasuke sembrava così spossato. Come se non avesse dormito. Indossava ancora gli abiti di ieri sera. Tu credi che…»
«Che si sia innamorato di Hinata?» sentì Hanabi trattenere il fiato, dietro di lui «Sì, amore, lo credo. E sinceramente, dubito che Hinata non lo ricambi.»
«Ma… non è possibile, Kiba.» la ragazza era sconvolta «Non lo farebbero mai. Naruto…»
«Perché credi che stiano così male?» la interruppe lui «Entrambi non vogliono infangare la sua memoria. Sasuke non riuscirebbe mai a rubare la ragazza del suo fratello di sangue, nemmeno se fosse ancora vivo. E Hinata crede di non dover innamorarsi di nessun altro, se non di Naruto. Crede che ne rimarrebbe ferito. E pensare che lui stesso mi aveva accennato la cosa, qualche settimana prima che… che succedesse.»
«Cosa ti ha detto?»
«Stavamo registrando. In saletta c’erano Hinata e Sasuke che discutevano, e noi li guardavamo attraverso il vetro. Lo ha visto sorridere e sai che mi ha detto?» cercava di creare un po’ di suspense « “Io ci ho messo anni per farlo ridere così”. Capisci? Mi disse che secondo lui, se Sasuke non avesse avuto quelle brutte esperienze che lo hanno portato a costruirsi un muro intorno, se egli stesso non fosse esistito sulla loro strada,  Sasuke e Hinata si sarebbero innamorati e sarebbero stati felici insieme. Un po’, se lo augurava. Non avevo capito che intendesse dopo la sua morte, pensavo si riferisse a un’altra vita.»  le afferrò il polso e la guardò negli occhi «E adesso guarda, Hanabi. Quando Sasuke è tornato, i suoi muri non esistevano più, non per Hinata. Naruto li ha portati via con sé. Solo che adesso si sono innamorati, ma l’amore per Naruto li frena. Non saranno mai felici se non lo supereranno. Mai.»
«Non voglio che Hinata sia infelice.» mormorò tristemente Hanabi, commossa «Non c’è nulla che possiamo fare?»
Kiba ci pensò su un attimo, poi tornò a guardarla, la fiducia ritrovata.
«Una cosa c’è.» affermò «Devi assicurarti che Hinata legga le lettere lasciatele da Naruto.»
 
Hinata era uscita dalla sua camera d’albergo solo per raggiungere, insieme agli altri, l’ultima data di Parigi. Il concerto si svolgeva all’aperto, in un grande campo della periferia della stessa. C’era talmente tanta gente che Hinata sentì, nonostante tutto ciò che le era accaduto in quei giorni, l’ansia montarle su come al primo concerto. Quelle sensazioni si erano affievolite man mano che prendeva mano con i live e con i tour, ma non si stupì di ritrovare quelle emozioni che adesso cominciava ad apprezzare e ad amare – anche perché le distoglievano la mente da ben altri sentimenti, che non voleva ammettere in nessun modo.
«E’ come fare l’amore» le aveva detto Naruto, e lei si sentiva un po’ così: eccitata da morire e piena di passione per ciò che faceva. Aveva la pelle d’oca e i brividi che le salivano sulla schiena, mentre osservava, non vista, l’immensa platea per cui si stava per esibire. Il pensiero di cantare e poter dar sfogo a quel fiume di emozioni che la invadeva era stato capace di svegliarla e tirarla fuori dalla sua solitudine, dalla sua camera, dall’hotel. Improvvisamente si sentiva bene, grazie all’idea del live, e vicinissima a Naruto. Lui cantava, lui suonava, lui scriveva e si sfogava. Aveva sempre descritto quell’atmosfera magica nei dettagli, ma prima d’allora Hinata non riusciva a capire fino in fondo. Adesso condivideva con lui qualcosa di intimo e profondo, che glielo faceva sentire vicino nonostante la distanza inquantificabile. Sentiva, ancora, di amarlo profondamente. Nonostante il cuore spezzato.
«Hinata.»
La donna si voltò, riconoscendo immediatamente la voce. Sasuke la guardava, avvolto nel suo completo scuro, ma con la camicia rossa, come piaceva a Naruto. Ebbe un tuffo al cuore. La guardava con i grandi neri spalancati, meravigliati, ma anche un po’ impauriti. Lesse in quello sguardo un grande amore, e si stupì di essere stata così stupida da non averlo mai notato prima. Lui la guardava sempre così, e riservava quello sguardo solo a lei.
«Sasuke.» tentò «Io…»
«Hinata.» la richiamò ancora lui. La sua mascella si era irrigidita con uno scatto, e Hinata riusciva a vedere i muscoli nello sforzo. Sembrava che le ossa potessero romperglisi da un momento all’altro a causa della forza che ci metteva «Mi dispiace per quello che è accaduto ieri. Vorrei che ti dimenticassi quello che è successo fra… fra me e te.»
Fra noi, pensò Hinata, esiste un noi, Sasuke.  Si stupì di quella vocina che gli suggeriva ciò nella mente e tentò di scacciarla a tutti i costi. Non doveva esistere nessun noi con Sasuke. Rivoleva la sua amicizia, ma lei rimaneva di Naruto. Per sempre. Eppure, le faceva male sapere che lui si stesse pentendo di averle detto che l’amava, di averla baciata. Sembrava che qualcuno le avesse infilato un mano nel ventre e le stesse torcendo le budella.
«Ti prometto che sarò in grado di controllarmi meglio.»
Ma non è stata una perdita di controllo, la voce non voleva saperne di starsene zitta, tu volevi farlo, e lo volevo anche io.
«Sasuke…»
«Siete pronti?» Shikamaru arrivò in quel momento, affiorando dall’oscurità del retroscena, seguito da Kiba e Hanabi. Hinata incontrò i loro sguardi e si stupì di trovarli angosciati, tanto che non notò neanche che la sua sorellina indossava la maglietta di Kiba invece che una tenuta più elegante, come era suo solito, data la sua posizione. In un altro momento l’avrebbe sgridata, ma non disse nulla.
«Certo.» rispose Sasuke, per lei.
«Andiamo, allora. Si comincia.» Shikamaru salì le scale per raggiungere il palco, buio, seguito da Kiba. Hinata rimase per un attimo ad osservare gli occhi stanchi di Sasuke, lo sguardo velato. Poi, ricordandosi della presenza della sorella, ritrovò il suo sguardo accigliato e fuggì via, raggiungendo il microfono, accanto a Kiba. Quando anche Sasuke salì sul palco, alcuni istanti più tardi, sembrava ancora più sconvolto. Probabilmente Hanabi gli aveva detto qualcosa di sconveniente.
Shikamaru batté quattro colpi con le bacchette ed il concerto ebbe inizio. Hinata sentì per tutto il tempo gli occhi pece di Sasuke su di sé, e le capitò di stonare.
 
WEIGHT OF THE WORLD
Feels like the weight of the world, 
Like God in heaven gave me a turn. 
Don't cling to me, I swear I can't fix you. 
Still in the dark, can you fix me? 
 
Freefall, freefall, all through life. 
 
If you love me, then let go of me. 
I won't be held down by who I used to be. 
She's nothing to me. 
 
Feels like the weight of the world, 
Like all my screaming has gone unheard. 
And oh, I know you don't believe in me. 
Safe in the dark, how can you see? 
 
Freefall, freefall, all through life. 
 
If you love me, then let go of me. 
I won't be held down by who I used to be. 
 
If you love me, then let go of me 
I won't be held down by who I was 
 
If you love me, then let go of me 
I won't be held down by who I used to be
 
Quando le luci si spensero, due ore e mezza più tardi, Hinata si sentiva completamente diversa. L’anima in tumulto, le sembrava di aver percorso alla cieca un tratto fitto di nebbia, ed essere stata quindi colpita da oggetti non bene identificati, che l’avevano lasciata ferita e martoriata. Si sentiva stravolta, distrutta e terribilmente confusa. Quando le luci si spensero, insieme alla musica, il sangue le martellava così forte nelle orecchie che a malapena sentì il pubblico invocare in coro il nome dei Post Apocalypse.  Uscì dal palco cercando a tentoni le scale per il retropalco, e quando le ebbe percorse, si fermò, stupita. Davanti a lei, illuminati dalla fioca luce di quell’area di passaggio, vide Shikamaru sfrecciarle a fianco – ciò la sbalordì, dato che non lo aveva mai visto correre in tutti quegli anni – verso una donna bionda che piangeva.
La donna, e lo capì un secondo più tardi, era Ino: aveva i lunghi capelli raccolti in una treccia laterale che poggiava sul seno ora più abbondante, e il ventre rigonfio, anche se non di molto. Ormai stava per finire il quarto mese, ed era bellissima.                                                                             
I due si strinsero in un abbraccio dolcissimo, e Hinata poté vedere le spalle di lui scosse da singhiozzi soffocati. Si commosse.
All’improvviso, un pensiero le sfiorò la mente, fulminandola: lei aveva affidato Kurama a Ino.
Mosse qualche passo verso di loro, tornando finalmente a muoversi, spaventata come una madre che non sa che fine abbia fatto il figlio.
Ed eccolo lì, Kurama, a qualche metro da Ino: reggeva fra le esili braccia un enorme mazzo di rose rosse e bianche, con un girasole piccolissimo nel mezzo. Lo nascondeva a tal punto che, nella penombra delle quinte, il mazzo sembrava fluttuasse.
Guizzò verso di lui mentre una lacrima cominciava a percorrere la solita via sulla sua gota; si inginocchiò davanti a lui – e per una volta benedì i pantaloni stretti a vita alta che Hanabi l’aveva costretta a mettere –, lo liberò dal mazzo di fiori e lo strinse forte a sé, sollevandolo appena.
«’kaa-chan!» il bambino piangeva, singhiozzando forte, e Hinata si ricordò all’improvviso di quanto fosse piccolo suo figlio, nonostante la sua maturità «Mi mancavi così tanto! Scusa se ti ho disubbidito!»
«Disubbidito?» per un attimo la giovane madre non capì, poi ricollegò tutto alla sua partenza, quando gli aveva detto che doveva rimanere a casa perché andasse a trovare il padre «Amore mio, non fa niente! Mi sei mancato tanto anche tu!»
E mentre la donna stringeva a sé il figlio, ignorando la folla che implorava per un bis, Sasuke li osservava, commosso, mentre qualcosa gli corrodeva il cuore.
Desiderava ardentemente che quella famiglia fosse sua.
 


 
  Angolo Autrice.~
Ho scoperto che i miei problemi sono testardi quanto me,
e non hanno voglia di perire tanto facilmente. Aggiornare
dopo un mese mi sembra una vergogna. Lo ammetto, 
sto mollando, ma spero che, con il vostro aiuto, riuscirò a
riprendermi. Il capitolo è uno di quelli decisivi: Sasuke 
comprende il suo errore e si allontana irrimediabilmente
da Hinata, pur continuando a desiderarla con tutto se stesso
Hinata comincia a porsi delle domande. Cosa sceglierà?
 
 

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Capitolo 23
*** Giorni dispari. ***


Gli ultimi sognatori.
Occhi Paradiso.
Giordi dispari.
[Alti e bassi esagerati]
 
[Ludovico Einaudi: Giorni dispari]
Seduti al tavolo del ristorante, consumando un brunch a base di cibo francese, sostava un’allegra famiglia, riunitasi dopo un po’ di tempo trascorso a occuparsi del proprio lavoro.
Ino, che con una mano accarezzava il ventre rigonfio, raccontava allegramente le ultime settimane trascorse lontano da loro: commentava eventi accaduti in negozio o in città, narrava scenette comiche con il piccolo Kurama, citava frasi e frasi di giornali con la fissa dei Post Apocalypse.
Trascinava tutti con la sua allegria e il suo carisma – gli stessi che risultavano fastidiosi a molti a Tokyo, quando Ino non smetteva di parlare per ore – ora apprezzati più che mai. Ma non era quello il motivo per cui Shikamaru la guardava rapito: aveva perduto più di un mese della sua gravidanza, e la dolce attesa aveva già trasformato la bionda, che adesso pareva più dolce, più rilassata, più bella. Una gravidanza diversa da quella sofferta di Hanabi, col volto smagrito e le occhiaie.
«Oh, quella sciocchina di Sakura non è voluta venire, nonostante le mie insistenze. » disse, gesticolando appena con una mano «Sapete, è stata lei a prendersi cura di me in quest’ultimo mese, e ci tenevo che mi accompagnasse, per evitare rischi. Ma voleva tentare di recuperare il rapporto con Sasori… Giusto oggi dovevano vedersi per un caffè!»
«Sono contenta.» commentò Hinata, passando al figlio una fetta di pane imburrata con crema di nocciole e cioccolato «Ma come vanno le cose alla Moon’s Eyes?»
«Tutto tranquillo. Mi sono preoccupata di passarci prima di partire, giusto per avere qualche novità.» si fece pensosa, poi ebbe un’illuminazione, accompagnata da uno schiocco di dita «A proposito, ricordami di prenderti delle scartoffie dalla mia valigia: le manda Itachi-san.»
«Problemi?» fece Hinata, preoccupata.
«Oh no, solo roba da firmare, stai serena. » il suo sguardo si fece malizioso «Sai Hinata, le riviste di gossip giocano ad indovinare con chi tu abbia un flirt. Qualcuno ti ha accostato addirittura Brad Pitt!» lo sguardo si assottigliò, diventando se possibile ancora più accorto «Ma c’è chi ipotizza che tu possa stare con qualcuno della band.»
«Ino!» la riprese Shikamaru, guardandola di traverso. Fu l’unico ad avere un qualche tipo di reazione diverso da uno sguardo preoccupato: Hanabi e Kiba si scambiarono un qualche messaggio con gli occhi, Hinata abbassò il viso e deglutì. Sasuke, per un attimo pensoso, mollò forchetta e coltello e si alzò, lasciando cadere il tovagliolo di raso sul piatto intoccato.
«Che c’è?» domandò Ino, aggrottando le sopracciglia bionde «Che ho detto?»
«Niente.» disse Sasuke, muovendo la sedia per scostarsi dalla tavolata «Ho finito.»
«Sasuke, dove vai?» fece Hanabi, mortalmente preoccupata.
L’uomo abbassò per un attimo lo sguardo sull’altra Hyuuga, che se ne stava con la fronte appoggiata alla mano, fintamente interessata a un bastoncino di carato nel suo piatto illeso. Scosse il capo, deluso: per un momento aveva sperato di trovare il suo sguardo preoccupato su di sé.
«Faccio un giro.» annunciò, defilandosi in fretta fuori dal ristorante altezzoso.
Ino si voltò per guardare il fidanzato, alla ricerca di una qualche risposta. Il moro si strinse nelle spalle: ci aveva capito meno di lei. Ma aveva uno strano balenio nello sguardo…
«Hinata?» chiamò Shikamaru, attirando la sua attenzione – aveva alzato lo sguardo di scatto, quasi impaurita «Ti posso parlare un attimo in privato?»
La donna, ripresasi dal momento drammatico di poco prima  - aveva sentito un brivido sulla pelle, la sensazione che fosse tutto incredibilmente sbagliato – osservò il moro, per un secondo stralunata. Lo trovava quasi strano, fin troppo diverso, illuminato da una particolare euforia che non gli aveva mai visto in tutti quegli anni, né prima che Naruto morisse. In quel particolare stato d’osservazione e analisi, non si rese conto di annuire e seguire Shikamaru verso il bar.
Si fermarono solo quando, girando un angolo, non era più possibile che il resto del gruppo potesse vederli. Shikamaru si appoggiò a una parente, cercando di essere calmo come al suo solito, ma era evidente che fosse agitato.
«So che la partenza per Londra era prevista oggi. » cominciò, imbarazzato «Ma volevo chiederti se potessimo posticipare a domani mattina… tanto in aereo è poco più di un’ora, e avremo molto tempo prima del live. »
Hinata per un attimo rimase sbalordita. Si aspettata una richiesta del genere da Kiba, al massimo: Shikamaru sapeva bene che salvo emergenze era impossibile cambiare la pianificazione del tour, per non rischiare di dover cancellare qualche data.
«Perdonami se te lo chiedo, ma… perché?» domandò la mora, aggrottando la fronte.
«Ecco…» a quel punto le guance di Shikamaru divennero rosse, e per poco Hinata non sbottò in una risata «Volevo fare una cosa a Parigi… per Ino.»
Hinata si sforzò seriamente per trattenere una risata «… cioè?»
«Volevo…» si grattò una tempia, diventando ancora più paonazzo «comprare un anello, ecco.»
La mora sorrise, portandosi una mano alla bocca, stupita. Non aveva collegato il notevole imbarazzo dell’uomo a una richiesta di fidanzamento, eppure avrebbe dovuto pensarci: Shikamaru era così impacciato, per non dire altro, con i sentimenti!
Si avvicinò d’un passo e, con un impeto che era stato raro in quei cinque anni, lo abbracciò, sorridendo. La sua mente volò, e con un battito d’ali si rese conto di quanto le fosse familiare il corpo muscoloso e ardente di Sasuke, a differenza di quello di Shikamaru. Con un brivido, pensò a quante volte aveva abbracciato l’Uchiha in quei pochi mesi, mentre quelle in cui aveva stretto il Nara si potevano contare sulle dita di una mano.
«Sono tanto felice per te!» mormorò, tornando al suo intento originale «Spero che ti dica di sì.»
«Perché?» si agitò il moro «C’è il dubbio?»
Hinata rise, sciogliendo la stretta. Inforcò il cellulare e disse: «Faccio qualche telefonata.»
 
Con gesti lenti, si abbottonava la camicia davanti al balcone, osservando il panorama spettacolare. Il cielo, dopo il temporale del giorno prima, era lindo e sereno: Shikamaru non poteva sperare in un buon auspicio migliore. Quando il cielo era così, tanto tranquillo da assomigliare ad una tavola infinita, era sempre una bella giornata, per lui, e ancora di più se altri cieli – quelli degli occhi di Ino – erano della stessa tinta felice. La stessa, per l’appunto, stava facendo i capricci come suo solito, ma i suoi occhi, da quando aveva scoperto di essere incinta, avevano una luce particolare, un sole nuovo, più luminoso, che Shikamaru non si sarebbe mai aspettato di vedere. Pensava – quando ci pensava – che Ino, ad una notizia del genere, avrebbe dato di matto per mesi, come una pazza isterica, non sentendosi pronta per fare la madre. Certo, era sicuro che gli ultimi mesi di gravidanza l’avrebbero vista molto isterica – la minaccia non era ancora passata del tutto ­– ma Ino affrontava tutto con serenità e gioia, felice di diventare mamma. Era lui, invece, quello totalmente terrorizzato.
«Sei proprio cattivo, Shika.» sbuffò la bionda, seduta sul bordo del letto, in viso un’espressione triste «Sono arrivata da poco! Dovresti stare con me!»
«Ino, te l’ho detto.» le ricordò lui, atono, cercando di apparire il più credibile possibile «Non dipende da me. E’ una cosa importante, per cui Hinata ha anche posticipato la partenza.»
«Almeno mi dicessi cos’è!» obbiettò la bionda, mugolando infastidita «Io volevo uscire con te!»
«Ah… che seccatura che sei. » sorrise, non visto, simulando un tono annoiato «Usciremo stasera.»
«Ma io non ce la farò! Guarda!» ordinò, alzando un piede. Shikamaru si voltò in sua direzione «Ho già i piedi gonfi!»
Osservò il piede – secondo lui perfetto – e sorrise nel vedere l’espressione bambinesca sul volto di Ino, tenera e imbronciata. Le si avvicinò con poche falcate e si inginocchiò come se fosse sul punto di chiederle di sposarla. Lei spalancò i grandi occhi.
«Ino…» mormorò Shikamaru, tentando di dissimulare il sorriso divertito «…piede.»
«…cosa?» Ino aggrottò le ciglia, confusa.
«Dammi il piede.» ordinò l’uomo «Ti faccio un massaggio!»
«Idiota.» bofonchiò lei, voltando il capo offesa, mentre intanto appoggiava il destro sulla gamba di Shikamaru, che prese a massaggiarla.
Il moro si sporse e, divertito, diede un bacio alla pancia rigonfia.
«La tua mamma si è arrabbiata, Shiori.» comunicò, parlando al pancione.
«Come… come hai detto?» chiese Ino, voltandosi incuriosita – e molto stupita – verso di lui.
«Che sei arrabbiata?» disse il Nara, ignorando volutamente la domanda, sorridendo.
«No, no.» lo guardò dritto negli occhi «Il nome. Che hai detto?»
«Shiori.» pronunciò Shikamaru, dolcemente.
«Shiori?» aggrottò la fronte « E’ femminile. Perché hai detto questo nome?»
«Perché avremo una bambina, te lo dico io.» accarezzò il ventre «E la voglio chiamare così.»
«Come fai a esserne così sicuro?» domandò ancora «Non lo sa neanche il ginecologo ancora!»
Il Nara sospirò «Perché sono sfortunato, ecco perché. E avere un’altra donna Yamanaka… Kami, che tortura.»
Ino lo colpì sul braccio, divertita «Dici così solo perché saresti geloso da morire.»
«Un po’ hai ragione.» mormorò, appoggiando la testa alle gambe di lei, per poi allacciarsi ai suoi fianchi «Spaccherò il culo a chiunque le si avvicini.»
«Shika!» lo riprese lei, ridendo divertita. Quando si calmò, gli accarezzò i capelli, dolcemente «Shiori… che vuol dire? Intreccio?»
«Poesia.» la corresse lui, alzando il volto «Perché qualsiasi cosa venga da te è poesia, per me.» sorrise, appoggiando lievemente le labbra su quelle di lei «Ma mi piace anche intreccio. Rappresenta il nostro legame.»
Ino sorrise, con la bocca su di quella di lui «Ultimamente sorridi troppo, lo sai, Shika?»
«Mendosukee.» unì le labbra a quelle di lei, baciandola dolcemente. Aveva il sapore del latte, del sole e del cielo. Lei si distese sul letto, tenendo stretto Shikamaru per il colletto, che però esitò.
«Potrei farvi del male, Ino.»
«No, invece.» sorrise maliziosa «Mi sono informata. Fare l’amore durante la gravidanza rende il parto meno doloroso.»
«Allora, stasera, vedremo…» le baciò la bocca, la guancia, il collo, il seno e il ventre, mentre scendeva dal letto «Adesso devo proprio andare.»
«Ti odio, Shikamaru Nara.» sbuffò la donna.
«Hai sentito, Shiori?» chiese Shikamaru alzando la voce, mentre si infilava le scarpe «Tua madre mi odia! Ne sei testimone! Povera te, che genitori.»
 
Qualcuno bussò alla sua porta, trascinandola via dalle braccia di Morfeo. Mentre Shikamaru si preparava, Ino era rimasta stesa a letto, e lo aveva guardato vestirsi silenziosamente. C’erano momenti in cui adorava contemplarlo, in quei momenti che condivideva con lei sola: i capelli scompigliati e liberi dalla solita coda, gli occhi pensosi, i muscoli non troppo evidenti che si flettevano nel gesto di infilare i pantaloni o chiudere i bracciali… Quello era il suo Shikamaru, nudo e inedito, riservato solo per lei. Con gli altri, condivideva con difficoltà il Nara serioso, la coda ben stretta, l’abito severo ed elegante. Per lei, esisteva il Shikamaru scherzoso e sorridente.
«Ino?» chiamò la persona che stava bussando alla porta, insistente. Dalla voce, le sembrò Hanabi.
«E’ aperto.» mormorò, tenendo gli occhi chiusi. Adesso che era incinta e che quindi era sempre stanca, capiva le resistenze di Shikamaru ad aprire gli occhi. Divertita, pensò che forse lui si sentisse incinto tutto il tempo…
«Ino-san…» mormorò Hanabi, ormai vicina al suo letto «Mi dispiace disturbarti, ma…»
«Avevi smesso molto tempo fa di usare quel suffisso, Hanabi.» sottolineò lei, voltando il capo dalla sua parte «Più o meno dai tuoi dieci anni, quando hai cominciato a diventare strafottente. Cosa succede?»
«Ecco… sei incinta.» affermò, imbarazzata.
«E quindi?» si mise a sedere, sconsolata «Non fare la sciocca. Vieni qui. Dimmi tutto.»
Hanabi aggirò il letto e si sedette accanto alla bionda. La stanza era disordinatissima, sembrava che ci fosse passato un uragano. Notò, con disgusto, un paio di mutandine ai piedi della poltrona.
«Ti devo parlare di una situazione abbastanza delicata.» cominciò la mora «E ho bisogno che tu mi aiuti a risolverla.»
«Dai, spara.»
«Ecco… ti sarai accorta anche tu che da quando è tornato, Sasuke e Hinata si sono avvicinati molto. Nelle ultime settimane, anzi, durante tutto il tour, il loro rapporto non è andato così bene. Adesso fra loro c’è anche dell’imbarazzo… io e Kiba, ecco… crediamo che si siano innamorati.»
«Oh.» Ino aprì la bocca sorprese « Sembra così strano. All’inizio, lui non poteva vederla. E poi, Naruto…»
«Già, Naruto.» Hanabi abbassò lo sguardo «Pronunciare il suo nome fa male a me, figurarsi a loro due. Il suo ricordo… li blocca e li rende infelici. Non staranno mai insieme se continueranno a pensare che Naruto non lo vorrebbe, ed io non posso permetterlo.» le prese una mano «Non so come spiegarlo, ma io vedo quanto mia sorella è migliorata, quanto sia diventata più serena con la presenza di Sasuke nella sua vita… io credo che, se stessero insieme, col tempo Hinata tornerebbe felice. E non posso permettere che ci rinunci senza neanche provare. Lo so che sembra sbagliato… ma chi dice che esiste un unico vero amore?»
«Oh, Hanabi…» le accarezzò i capelli, cercando di calmarla. Hanabi si era fatta facilmente adorare dalle amiche di Hinata, ma Ino non l’aveva mai vista così fragile e preoccupata.
«Ti prego Ino, aiutami.» mormorò lei, mentre una lacrima le scendeva lungo le gote «Voglio che mia sorella sia felice.» le venne in mente quando aveva pronunciato quella stessa frase spiegando a Naruto perché lo avrebbe aiutato a stare con la sorella. Una lama le trafisse il petto.
«Cosa posso fare?»
«Kiba… lui pensa che Naruto sarebbe felice se Sasuke e Hinata stessero insieme. Naruto glielo aveva detto.» affermò «Pensa che lo abbia scritto anche nelle lettere o nei diari che lui le ha lasciato. Hai presente? Come nelle lettere che ha scritto a ognuno di noi quando aveva saputo del suo cancro terminale. Solo che Hinata non ha mai avuto il coraggio di leggerle. Dobbiamo costringerla a farlo.»
«Tu ci hai provato?» chiese Ino.
«Sì, ma non ha voluto.»
«Hanabi… questa è una cosa troppo intima e profonda. Non so se sia possibile fare qualcosa.» rifletté Ino «Se lei non vuole leggerle… come potremmo costringerla?»
«Non lo so, ma…» si fermò, sentendo bussare alla porta «E’ lei. Si entra in azione.»
Hanabi si sistemò su una poltroncina, simulando un’aria annoiata, mentre Ino rimetteva la stanza a posto, anche se distrattamente. Ciò avvenne in meno di un minuto, mentre la bionda pronunciava, con tono entusiasmante, un «avanti!» spigliato.
Hinata entrò nella camera, raggiante. Teneva in braccio Kurama, che aveva l’aria di aver appena smesso di ridere a crepapelle, con le sue guancette rosse.
«Oh! Il mio nipotino adorato!» esultò la Hyuuga junior. In quel caso, non stava affatto simulando, infatti spalancò le braccia per far capire alla sorella che lo voleva coccolare. Quest’ultima glielo mise tra le braccia, e corse ad aiutare Ino a riordinare.
«Non dovresti affaticarti, Ino.» mormorò gentilmente, poggiandole una mano sulla spalla «Devi sempre ricordarti del tuo nuovo stato di madre, adesso.»
«Oh, Hinata, non c’è bisogno!» sorrise l’altra «Sai bene quanto io sia energica!»
«Non posso fare a meno di preoccuparmi per te.» affermò Hinata «Tu mi hai aiutata tanto quando io…»
Per un attimo, Ino rimase a bocca aperta. Difficilmente l’amica ricordava quel periodo della sua vita, cercava sempre di ignorarlo. Poi le sorrise e, ben conoscendo la sua testardaggine, annuì e le lasciò fare, andandosi a stendere sul letto.
«Spero che Kurama non ti abbia fatto affaticare in queste settimane, Ino.» disse Hinata, muovendosi da un capo all’altro della stanza. Kurama gonfiò le guance, offeso, e la bionda rise.
«Niente affatto. Il tuo piccolo è un gentleman, e si è preso cura di me come meglio poteva.»
Kurama, sorridendo beato per i complimenti ricevuti – anche se non era sicuro di capire cosa significasse gentleman – si fiondò sul letto della bionda e, dopo averle schioccato un bacio sulla guancia, si mise in ascolto con l’orecchio sul pancione. Le Hyuuga scoppiarono in una risata, vedendo quello che, con tutta probabilità, era diventata la norma.
Dopo qualche minuto di silenzio – quel silenzio piacevole di quando sentivi soltanto l’affetto della famiglia, e te ne beavi – Ino si preparò a parlare.
«Hinata…» abbassò gli occhi, poi li rialzò sulla donna, che si era girata a guardarla «… ma… Naruto non ha lasciato nulla per Kurama?»
L’altra, incredula, sgranò gli occhi. Era difficile che le fosse posta direttamente una domanda così complicata, che per giunta conteneva un nome che non doveva essere nominato. Per di più, quello toccato, era un tasto dolente per lei. Parlare del rapporto mai esistito fra Naruto e Kurama, fra sangue dello stesso sangue, era piuttosto doloroso. Delle volte, le montava dentro una rabbia immensa: contro la vita, contro il cancro, contro quella maledettissima macchina… suo figlio non avrebbe mai avuto l’onore – perché in questi termini pensava – di conoscere suo padre. Hinata non aveva niente di suo da dare al figlio, a parte vestiti e testi di canzoni. Niente che fosse pensato per appartenere a Kurama. Rimanevano i disegni di un pancione dipinti a mano sui muri di una stanza, niente di più.
«Cioè…» proseguì la bionda, cercando – con un tatto che usava difficilmente – di spiegarle quello strano concetto senza ferirla «Naruto ha avuto ben quattro mesi per lasciarci le sue ultime parole per iscritto. Ha scritto una lettera per ognuno di noi, anche per me! Da quello che ci dici tu, aveva saputo di Kurama due settimane prima della sua morte. Conoscendolo, quella stessa notte si è messo al lavoro per suo figlio… giusto, Hinata? Tu lo conoscevi meglio di noi. Non pensi che gli abbia lasciato qualcosa?»
Hinata abbassò gli occhi, intristita. Il ragionamento di Ino non faceva una piega. Con un tremito, si rese conto di aver nascosto quella grande verità in uno scompartimento segreto nella sua mente. Desiderava che Kurama avesse un qualche tipo di contatto con suo padre, ma detestava l’idea di separarsi definitivamente da Naruto. Finché restava qualcosa di incompiuto – come una lettera mai letta – lei non si sarebbe separata da lui.
«Magari, la lettera per Kurama si trova proprio in quel plico in tuo possesso… Non credi?» continuò Ino «Hinata…?»
Un brivido le oltrepassò la schiena mentre stringeva con una mano il braccio, camuffando così un abbraccio. Ebbe quasi la sensazione che qualcuno la stesse accarezzando quando una folata di vento le sfiorò la clavicola. Un singulto la risvegliò da quello stato. Ma non era il suo.
Kurama, gli occhi gonfi e imperlati dalle lacrime – risplendevano a tal punto da sembrare l’acqua smossa di un lago – a stento tratteneva i gemiti mordicchiandosi le labbra, ma ormai era diventato paonazzo.
«’kaa-chan!» mormorò piagnucolando, spezzando definitivamente il cuore di Hinata, che corse vicino al letto «’tou-chan ha pensato a me, vero?»
Hinata, sollevandolo dal materasso, lo strinse forte a sé, mentre quest’ultimo cominciava a piangere forte. Kurama non avrebbe mai dovuto sentire quei discorsi. Ino non avrebbe dovuto parlarne davanti a lui e, dalla sua espressione, aveva capito l’errore commesso.
«’tou-chan pensa sempre a te.» disse al bambino, cullandolo dolcemente come quando pesava meno di cinque chili «E’ lui che ti ha dato il nome, ricordi, Kura-chan?»
E mentre il bambino, annuendo, continuava a piangere contro il suo seno, Hinata si alzò e si mosse verso la porta.
«Penso che stasera io e Kurama rimarremo in camera.» annunciò, folle di rabbia, senza voltarsi indietro.
 
Non era stato semplice convincere tutti a uscire, quel pomeriggio, soprattutto per uno svogliato come lui. Stava accadendo tutto così in fretta che non sapeva neanche bene cosa cercare. Sapeva solo che doveva essere tondo, possibilmente con una pietra preziosa: un anello di fidanzamento.
Solo uscendo in strada e seguendo le indicazioni di Hinata si era reso conto che farsi accompagnare da Kiba e Sasuke non era stato un grande affare. Uno sbraitava troppo, l’altro era troppo silenzioso, comunque poco utili al suo fine. Si destreggiò in strada cercando di ricordarsi le informazioni fornitegli da Hinata. La donna, dopo aver spostato la prenotazione per i biglietti dell’aereo – pagando una multa ingente - , si era anche premurata di chiamare in una gioielleria molto famosa e di farsi dare le indicazioni stradali. Era stata incredibilmente premurosa.
Dopo altri seicento metri circa, giunsero finalmente a destinazione. Il negoziante li accolse parlando un inglese perfetto, alludendo addirittura alla “gentile signorina” che lo aveva chiamato quella mattina chiedendogli un trattamento di favore. Senza Hinata, probabilmente, Shikamaru non avrebbe risolto nulla in un pomeriggio.
L’uomo cominciò subito a mostrargli alcuni anelli adornati da pietre preziose. Non aveva ancora spiegato nulla ai suoi due compari e, quindi, si voltò immediatamente versi i due in cerca di una qualche reazione. Il suo sguardo incontrò quello bruno di Kiba, e subito quello inarcò le sopracciglia.
«Che c’è?» domandò il moro, stralunato «Perché mi guardi così?»
Sasuke sospirò, con un mezzo sorriso. Il loro amico delle volte era proprio idiota. Appoggiandogli una mano su una spalla, e con un mezzo ghigno in viso, andò in soccorso a Shikamaru.
«Kiba, Kiba, Kiba… quando imparerai a fare due più due?» chiese, rassegnato «Shikamaru ci ha trascinato in una gioielleria, alla ricerca di un anello femminile…»
«Eh? E quindi?»
«Baka.» Sasuke lo colpì sulla nuca.
«Kiba…» mormorò l’altro «Sto cercando un anello di fidanzamento. Per Ino.»
«Che coooosa?» squittì il bruno.
«Non mi spiego neanche io perché…» continuò Sasuke «Ma il nostro amico vuole sposarsi.»
«Con una bellissima donna.» aggiunse Shikamaru.
«Che urla e ti malmena.» completò l’Uchiha.
«Per tutti i Kami Shikamaru si sposa!» finì Kiba.
Il Nara sospirò.
«Certo che voi due non siete di alcun sostegno.» affermò, negando brevemente col capo «Se ci fosse stato Naruto, sarebbe stato felice per me, mi avrebbe abbracciato e aiutato a scegliere l’anello, facendo un gran baccano.»
E mentre Kiba si fiondava su Shikamaru in un abbraccio da orso che lo aveva fatto pentire di essersi lamentato, Sasuke pensava a quanto fossero vere quelle parole.
 
Nella grande vasca da bagno riempita a tre quarti, Hinata era riuscita a creare tantissima schiuma, proprio come piaceva a Kurama. Nei momenti peggiori – quelli più tristi per uno o per l’altro – avevano l’abitudine di fare insieme un bel bagno caldo. Il piccolo, così, riusciva perfettamente a sentire quel calore materno capace di farlo tornare sorridente e sicuro di sé. Hinata si rinvigoriva, prendendosi cura del suo bambino, nonostante il pensiero, il più delle volte, le andasse a ben altri bagni – quando Naruto, goffo e imbarazzato, l’aveva aiutata a svestirsi e poi l’aveva presa come una principessa per immergerla nella schiuma e aiutarla a riprendersi, o come durante il tour, quando tornavano dai live e dai festeggiamenti, dove si coricavano insieme nelle vasche lussuose degli hotel a cinque stelle e facevano l’amore.
Prese il sapone all’arancia dal bordo e se lo mise sulle mani, cominciando a massaggiare i capelli di Kurama, seduto davanti a lei nella parte più alta della porcellana. Giocava con una barchetta, quella con cui faceva sempre il bagno e che si era portato dietro da Tokyo. Gli occhi, però, erano rimasti cupi e tristi, come quando aveva smesso di piangere. Assomigliavano a un cielo visto da dietro le serrande, scuro e malinconico, in procinto di piovere.
«Kura-chan…» lo richiamò, alzandogli il viso verso di lei dolcemente «…che succede?»
«’tou-chan…» disse solo, abbassando lo sguardo.
«’tou-chan ti amava.» affermò Hinata, cercando di rimanere il più calma possibile «’tou-chan si è sempre preso cura di te. Non vedeva l’ora di conoscerti. Sono sicura che ti ha lasciato qualcosa, devo solo trovarlo. Ti fidi della tua ‘kaa-chan?»
Il piccolo annuì e si protese verso di lei abbandonando il giocattolo, che galleggiò sull’acqua. Hinata lo accolse fra le sue braccia, sicura che il contatto fra loro pelli fosse in grado di consolarlo.
 
Mentre tirava dalla sua sigaretta, appoggiato alla parete esterna dell’hotel, Sasuke rifletteva. Stavolta, nella sua mente, non c’era l’immagine delle labbra di Hinata, o del suo sguardo dopo il loro bacio – nonostante questa continuasse a palesarsi all’improvviso nel suo subconscio – ma un’altra, che forse era capace di provocargli molto più dolore. Mentre seguiva a qualche metro di distanza Kiba e Shikamaru al rientro in hotel – uno piuttosto entusiasmato, l’altro vistosamente agitato – aveva notato una bottega, che prima, presi come erano a trovare la strada giusta, non aveva notato. Era un piccolo negozio di fattura antica, più buio rispetto gli altri. Sembrava essersi fermato a più di sessanta anni prima… e ciò lo incuriosiva. Sembrava la bottega di un vecchio orologiaio, ed infatti, nelle vetrate incorniciate dal legno scuro facevano mostra di sé molti orologi, dalle fatture eleganti. Ma non erano questi ad aver catturato la sua attenzione, piuttosto una fedina, più in basso. Non era un anello semplice: il suo nastro rigido e sottile non era unico, ma girava intorno al dito cinque volte. Le due estremità più esterne erano punteggiate da piccolissimi diamantini, mentre la fascia centrale era impreziosita da quello che sembrava un piccolo diamante. Non era vistoso, ma era molto elegante... e gli faceva pensare subito a Hinata.
«Monsieur! » chiamò una voce grave e bassa «Le interessa quell’anello?»
Sasuke si voltò e si ritrovò davanti un uomo basso e robusto, con i capelli corti e un accenno di barba entrambi bianchi, gli occhi scuri intelligenti e ridenti.
«Io…» per una volta nella sua vita,  era stato estremamente colto di sorpresa.
«Sa, tutto ciò che vede è fatto a mano, anche il taglio di quel bel diamantino.» l’ho interruppe l’uomo «La prego, entri! E’ così raro vedere un cliente che si interessa di questo particolare tipo di oreficeria!»
Sasuke, colui che era sempre imperturbabile, per un attimo rimase così, fra l’allibito e il scioccato. Preso in contropiede, non sapeva come comportarsi. Si guardò intorno: ormai aveva perso di vista Kiba e Shikamaru, perciò, dato che doveva tornare da solo, tanto valeva fare un ultimo giro in città.
Seguì l’uomo sorridente dentro la bottega: effettivamente, pareva molto antica, ricca di vetrine intarsiate in assi di legno con sfregi e volute, un poco gotica per i chiari-scuri che regnavano nel locale.
«Venga, venga!» l’anziano gli fece segno di avvicinarsi, mentre estraeva alcuni recipienti pieni di gioielli e li posava sul bancone «Le mostro qualcosa!» Sasuke si avvicinò, mentre l’uomo continuava a parlare «L’ho vista un po’ dubbioso davanti alla vetrina! Ho pensato che, forse, quel gioiello le è parso troppo costoso, ma ho qui delle valide alternative, più economiche…» prese un anellino fra le dita, simile a quello che aveva visto Sasuke, ma solo con due fasce «per esempio, questo è un modello meno complesso. Vede, ogni pezzo qui è unico, dato che è tutto fatto a mano. Non portiamo i gioielli di altre marche, come fanno tutti gli orafi, ma solo quelli che produciamo noi. Qui è sicuro se volete acquistare qualcosa di raro e originale. Guardi qui, quest’altro anello ha le perle nere…»
«Veramente, io… » cercò di interromperlo Sasuke, non sapendo bene che dire «Ero interessato a quello in vetrina.»
«Oh, davvero? Allora glielo prendo subito!» l’uomo si mosse immediatamente fuori dal bancone «Ma allora non capisco proprio perché aveva quell’espressione titubante in viso…»
Sasuke, colto in fallo,  deglutì, aspettando alla cassa che l’uomo tornasse con l’anello.
L’orafo tornò da lui tenendo l’anello in un drappo blu notte, che poggiò vicino all’Uchiha. Non appena lo sguardo di lui cadde sull’oggetto, notò l’artigiano, la sua espressione cambiò ancora, diventando un misto fra sorpresa e tristezza.
«Forse, non sa se è il momento adatto per fidanzarsi?» chiese l’anziano, indagando con i suoi vispi occhi «Pensa che la rifiuterà?»
Sasuke abbassò la sguardo, che finì sull’anello. Quell’oggetto prezioso… per un attimo lo aveva visto all’anulare sinistro di Hinata, mentre stanavano mano nella mano. Sarebbe stato perfetto, ma impossibile. Aveva potuto amarla liberamente solo una notte, quella in cui aveva compreso ciò che provava per lei, e si era ripromesso di non concedersene altre. Doveva togliersela dalla mente. Eppure… quel bacio…
« Io le consiglio di acquistarlo, in ogni caso, o se ne pentirà. » affermò l’uomo «Non lo faccio nel mio interesse. Ma vede… non ci si interessa ad un anello finché non se ne ha il bisogno. Il suo cuore, forse, ha già deciso per lei, e sarebbe un errore ignorarlo. »
Era vero. Sasuke lo sapeva. Il suo cuore, ormai, sapeva perfettamente cosa voleva, o meglio, chi. Peccato che quella persona fosse l’unica che non avrebbe mai dovuto desiderare.
Ma era solo un anello, eppure non poteva resistergli. Infondo,  acquistarlo non voleva dire doverlo regalare per forza. Lo avrebbe custodito, con cura, senza farne parola con nessuno. Sarebbe rimasto un atroce segreto.
Lentamente, come se fosse ancora indeciso, aveva preso il portafoglio dalla tasca. E così, adesso, fuori dall’hotel, una sigaretta fra le labbra, si ritrovava con l’angolo di velluto del cofanetto a premergli contro il petto. E si dava dello stupido.
«Hai da accendere?»
Si voltò, colto di sorpresa dalla voce calda di Shikamaru, che tradiva una certa insicurezza.
«Tu non dimentichi mai il tuo accendino.» gli fece notare, mentre lo osservava avvicinarsi per appoggiarsi alla parete accanto a lui «Nervoso, Nara?»
«Sempre stronzo, Uchiha?» rispose l’altro «Hai da accendere o no?»
«Perdonami, sposino.» Sasuke gli passò l’accendino «Non pensi che dovresti calmarti?»
Shikamaru si accese la sigaretta con un gesto nervoso, per poi cominciare immediatamente a tirare forte la sigaretta, neanche fosse una cappa fumaria. Dopo pochi istanti, parve acquetarsi.
«Come fai a essere sicuro di volerlo fare?» gli chiese, senza guardarlo in faccia, come suo solito.
«Non sono affatto sicuro. Delle volte penso che io sia un pazzo a voler sposare quella psicopatica.» affermò candidamente Shikamaru, per poi trarre un’altra boccata di fumo «Ma poi la guardo e… mi pare impensabile separarmi da tanta bellezza. Vorrei starle ancora più vicino. E’ questo il mezzo.»
«E’ incinta.» disse Sasuke, ghignando «Direi che le sei stato abbastanza vicino.»
«Idiota.» bofonchiò l’altro.
Sasuke, inspiegabilmente,  rivide l’immagine di sé acquistare quell’anello, per Hinata, promettendosi di non darglielo mai. Era sicuro di volerla sposare quanto consapevole di non poterlo fare. Chissà che avrebbe detto Naruto… per un attimo gli si serrò il respiro.
«Sasuke…» lo richiamò Shikamaru. Tremava «Non l’ho mai detto a nessuno ma… conservo tutt’ora un anello che Naruto aveva comprato per Hinata. Mi aveva chiesto lui di custodirlo, in modo che lei non lo scoprisse. Non ho mai trovato la forza per dirglielo.»
…cosa? Sasuke sgranò gli occhi, sconvolti. Si trattenne dal guardarlo completamente scioccato e, piuttosto che fare ciò, cercando di non insospettirlo, abbassò lo sguardo e si massaggiò le palpebre come faceva sempre, fingendo un mal di testa.
«Lui… voleva sposarla?» chiese «Mi stupisce ancora. Non me ne ha mai fatto cenno. »
«Naruto… pensava che ciò potesse ferirti.» un’altra fitta al petto di Sasuke «Pensavo che potesse essere per quella gelosia che vi legava. E’ così?»
Sasuke boccheggiò, poi deglutì. Grossi lacrimoni premevano contro le sue palpebre, pronte ad uscire. Naruto sapeva. Sapeva.  Conosceva ciò che lui provava ancora prima che fosse lui stesso a capirlo. Naruto, il buono, genuino, altruista Naruto, non gli aveva detto nulla perché non voleva ferirlo dato che sapeva cosa stava cominciando a provare per Hinata.
«Sì, è così.» disse solo, prima che comparisse una smagliante Ino pronta per uscire.
 
«Come hai potuto farmi questo, Shikamaru Nara?»
Da più di un’ora, ormai, le orecchie del sopracitato membro della famiglia Nara imploravano per un po’ di silenzio. Aveva colto di sorpresa Ino, portandola a cena nel ristorante più famoso di tutta Parigi – grazie alla fortunata telefonata di Hinata - , l’Ancienne Douanne. Come previsto, invece di ringraziare, Ino aveva cominciato ad urlare contro di lui per il torto commessole, dato che, non conoscendo la loro location, non si era potuta vestire abbastanza elegante per l’occasione. Indossava un lungo vestito estivo di tulle, con una stampa a fiori, che le stringeva il seno in una faccia e che risaltava il suo ventre gravido. I capelli, biondissimi, le ricadevano liberi lungo le spalle. Lui la trovava semplicemente meravigliosa, indimenticabile e naturale… proprio come piaceva a lui. Eppure, tutto quello strepitare era calcolato – dubitava sempre più delle sue facoltà intellettive che lo spingevano giorno per giorno al masochismo – perché così Ino non avrebbe capito le sue intenzioni e, vedendosi l’anello davanti, sarebbe rimasta ancora più stupita.
«Hai ragione.» fece sarcastico lui «Come ho potuto portarti in un ristorante di classe?»
«Ma non vedi? » urlò, per poi farsi più vicina, tentando inutilmente di abbassare la voce «Ho un vestito comprato al mercato e i capelli in disordine. Per non parlare di quanti chili sto prendendo con questa gravidanza…!»
«Sei meravigliosa, Ino.» le disse, avvicinandosi per posarle un bacio nella clavicola scoperta «Come era il tuo dolce?»
«Buonissimo.»
«Ne sono felice.» rispose gentilmente lui – si stava davvero sforzando «Vuoi qualcos’altro?»
«No, grazie.» si appoggiò alla mano, lasciando che i capelli le ricadessero su un lato «Ho capito che devo mangiare per due, ma non devo esagerare!»
«Ricordatelo quando ti verranno le voglie…» bofonchiò lui, per poi prenderle la mano libera, che casualmente era quella sinistra «Ma guarda, Ino, sei diventata proprio una bambina! Ti sei sporcata di cioccolata.»
«Dove?» chiese lei, ma prima che potesse notare qualcosa, Shikamaru prese a strofinarle la mano con il suo tovagliolo rosso. Quando la bionda ritrasse la mano, si ritrovò all’anulare un anello ricco di pietre preziose. Gli occhi le brillarono.
«Shikamaru…?» mormorò, scioccata «Che stai facendo? Come hai fatto a…? Non me ne sono neanche accorta.»
«Un vecchio trucco da mago che ho imparato quand’ero piccolo.» rispose lui, quasi distrattamente «Allora… che ne pensi?»
«Che vuol dire che ne pensi?» chiese lei «E’ un bell’anello, certo.»
«Sì, sì, ma accetti?»
Ino inarcò le sopracciglia bionde «Cosa devo accettare? La legna?»
«Divertente.» commentò Shikamaru «Mi sposi o no?»
A quel punto, Ino, che aveva finalmente realizzato, divenne paonazza.
«Shikamaru Nara! Ma tuo padre non ti ha insegnato nulla? Questa non è affatto una richiesta di matrimonio! Se lo sapesse tua madre…»
«E’ stata mia madre a chiedere a mio padre di sposarla.» specificò lui.
«Per tutti i Kami!» urlò Ino «Quanto meno dovresti inginocchiarti e cercare le parole giuste!»
«Oh no, in ginocchio no. »
«In ginocchio sì!»
«Ma mi fa ancora male!»
«Stamattina non ti faceva affatto male!»
«E’ colpa del tempo!»
«Bugiardo! Inginocchiati!»
Shikamaru, schiaffandosi una mano sulla fronte, si inginocchiò di fronte a Ino. Tutti, nella sala, si voltarono verso di loro.
«Ecco, adesso ci guardando tutti.»
«Ben venga!» commentò Ino «E adesso cerca di essere romantico!»
«Romantico? Ma nemmeno tu sei romantica!» obbiettò Shikamaru, che in realtà si stava divertendo da morire «Sei solo una maiala…»
«Shikamaru, brutto idiota!» si trattenne dal colpirlo dato che tutti li guardavano «Io non ti sposo mica sai?»
«Ma se hai fatto fuoco e fiamme per avermi…»
«E ho fatto male!»
«Mendokusee.» gli disse lui, per poi cominciare, come previsto, il discorso che si era preparato «Sei stata cattiva. Io non direi mai che incontrarti è stato uno sbaglio. Ci conosciamo da così tanto tempo… eppure, ogni giorno te ne inventi una, non mi fai annoiare mai con le tue follie, sei sempre diversa. Mi stai trascinando nella tua pazzia, ma non direi mai che è stato un errore. Perché sono pazzo di te, mendokusee. Ti amo. Mi vuoi sposare?»
Commossa, Ino gli accarezzò una guancia irsuta, ridendo appena.
«Sei proprio uno scemo.» gli disse «Avevi pianificato tutto, vero?»
«Ops.» fece Shikamaru, fingendo di essere stata beccato.
«Beh, questo anello mi piace.» rispose Ino, con un gran sorriso «Quindi credo che lo terrò.»
 
 

 

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Capitolo 24
*** Farther away. ***


Gli ultimi sognatori.
Occhi Paradiso.
Farther away.
[Alti e bassi esagerati]


 
In quegli ultimi giorni stava fumando davvero tanto.
Era passato pochissimo tempo da quando aveva baciato Hinata – un errore madornale, che aveva segnato la sua condanna – e gli sembrava che, almeno per qualche manciata di minuti alla volta, la sigaretta fra le labbra assopisse quel desiderio irrefrenabile di farlo ancora, tanto quanto il sapore dolciastro che gli era rimasto di lei sulla lingua. Era una mera illusione, certo, ma era il suo modo di consolarsi.
Era bello fumare guardando lo skyline di Parigi. In lontananza vedeva Notre-dame, l’Arc du Trionfe, la Tourre Eiffel e una distesa di case eleganti, non troppo alte, colorate, parigine... e la Senna. Quello spettacolo lo faceva sentire un poco più pacato, ma non abbastanza. Era solo metà luglio… davanti a lui si prospettavano altri quindici giorni di tour e sofferenze in costante compagnia del soggetto del suo amore struggente. Ad agosto, poi, sarebbe stato libero: avrebbe anche potuto partire, per un po’, da solo, per allontanare il suo cuore dai patimenti. Scappare ancora era da vigliacchi… ma era l’unica scelta possibile.
«Sasuke… » una voce melliflua gli si avvicinò, ma non destò particolarmente la sua attenzione «Buongiorno…»
Una mano si poggiò candidamente alla sua spalla: le dita era sottili e allungate, fin troppo, tanto da sembrare artigli ossei e macabri. Una folta capigliatura rossa entrò nella sua visuale, insieme ad un sorriso da gatta morta.
«Come stai?» chiese lei, cercando di tenere il tono di voce basso «E’ un bel po’ che non stiamo insieme… ti andrebbe di salire un po’ in camera mia, prima della partenza?»
«Karin…» bofonchiò il moro, mentre questa tentava di sedurlo, baciandogli il collo «Non ho voglia di stare con te.»
«Davvero, Sasuke?» la mano di lei scivolò lungo i suoi muscoli, sfacciata, ma prima che potesse fare qualsiasi cosa, l’Uchiha fece qualche passo indietro, impedendoglielo.
«Ho detto di no.» disse, duramente.
Lo sguardo di lei era passato da mellifluo a risentito in un batter d’occhio. Sapeva già che lo aspettava una sfuriata. D’altronde, aveva usato Karin a proprio piacimento per troppo, troppo tempo.
«’suke-ji-chan?»
Sasuke si voltò verso l’entrata della grande balconata dell’hotel, richiamato dalla voce di Kurama, che aveva ancora la mano appoggiata alla porta finestra semichiusa, mentre nell’altro braccio stringeva il suo giocattolo di Superman. Aveva le guance gonfie e arrossate, gli occhi azzurri più stretti, come se avesse visto qualcosa che non gli era piaciuto.
«’kaa-chan mi ha detto di dirti di scendere per la cioccolata.» disse, mantenendo quell’espressione imbronciata.
«Per la cioccolata?» chiese Sasuke, stranito.
«Sì.»
«Intendi la colazione?»
«Sì, quella.»
Un piccolissimo sorriso affiorò sulle labbra di Sasuke dato che, ovviamente, il piccolo si riferiva soprattutto alla sua colazione. Gli parve di scorgere due occhi bianchi in lontananza… per un attimo si bloccò, confuso.
«Andiamo allora, Kurama.» disse, avvicinandoglisi e porgendogli la mano.
«Ma, Sasuke, noi…» lo richiamò Karin, che fu prontamente interrotta.
«Non vedi che sono impegnato?» rispose solo, prima di voltarsi e rientrare in hotel senza neanche guardarla.
Tenendo la mano del bambino, Sasuke si avvicinò a un ascensore e lo prenotò , pensoso. Aveva notato che Kurama era più taciturno rispetto al solito e manteneva l’espressione imbronciata di prima.
«Kurama?» chiamò, preoccupato «Che succede?»
Proprio in quel momento l’ascensore arrivò e il piccolo aprì bocca soltanto quando, dopo esservi entrati, le porte si richiusero.
«’kaa-chan è triste.» affermò, cupo «Avevi promesso.»
Era vero. Hinata era triste e, forse, anche arrabbiata, ed era tutta colpa sua. Aveva promesso a quel bambino – suo figlio, il suo piccolo e giovanissimo erede, che sembrava voler proteggere la madre con lo stesso coraggio e fedeltà di un cavaliere verso la sua regina – che si sarebbe preso cura di lei, che l’avrebbe protetta, anche da se stessa, e invece era stato solo fonte di un incommensurabile dolore. Quel bambino, così piccolo, così apparentemente indifeso, si faceva in modo continuo carico di un dovere non suo, ed era capace di redarguirlo come un comandante, con poche parole precise e calibrate.
«La tua ‘kaa-chan starà bene.» non ne era tanto sicuro « Farò in modo che lo sia.» non gli restava altra scelta che mentire.
Kurama gonfiò ancora le guance, indispettito. «’kaa-chan ha bisogno di ‘tou-chan.»
Sasuke sgranò gli occhi, stupito. Kurama era capace di dire qualsiasi cosa con semplicità, forse non si rendeva neanche conto della grandezza e dell’importanza di ciò che diceva. Sembrava aver pronunciato una delle più grandi verità del mondo – Hinata ha bisogno di Naruto – con la stessa facilità con cui diceva «Voglio un gelato.». Eppure, qualcosa – molto probabilmente quel lampo di intelligenza che gli vedeva negli occhi – gli diceva che neanche per lui era tutto così semplice, così facile, che in qualche modo capisse. Come se ci fosse qualcuno di più grande – e dannatamente invisibile – a guidarlo nello scegliere i toni, le parole, i gesti.
«Anche io ne ho bisogno, Kurama.» mormorò appena, appoggiandosi alla parete metallica. Gli sembrò di dire altro, di rivolgersi a qualcun altro, in tono disperato dire: «Anche io ho bisogno di te, Naruto.». Per la prima volta, pensò che lui fosse lì, in quel minuscolo corpicino, in quegli occhi azzurri: dentro Kurama. E provò vergogna e senso di colpa – per aver abbandonato Hinata, per essersi innamorato di lei, per averla baciata.
«Tu ami ‘kaa-chan, ‘suke-ji. » affermò il bambino, e la sua voce, per un attimo, sembrò ancora più cupa « E lei ti ama. Ha bisogno anche di te.»
Sasuke fece fatica a non scoppiare in lacrime: qualcosa nel modo di pronunciare quel nomignolo, l’inflessione della voce nel pronunciare il verbo amare, tutto gli era tanto familiare da farli pensare a lui, a Naruto. Dovette ricordarsi con chi stava parlando – chi pronunciava quelle verità immense – per trattenersi dal piangere. Con il cuore in mille minuscoli pezzi – che gli sembrava di lasciare dietro di sé ad ogni passo, mentre i suo piedi li calpestavano riducendoli in polvere – cercò di guardarlo in volto, per ricordarsi che quello era Kurama, che ancora non aveva nemmeno cinque anni compiuti, e non Naruto.
Ma quegli occhi, quegli occhi grandi e azzurrissimi, spalancati, puntati dritti su di lui, gli ricordarono Naruto mentre lo teneva stretto per il bevero, folle di rabbia, mentre gli diceva di smettere di sprecare la sua vita.
«Smettila, stupido teme.» diceva, mentre quegli occhi rimanevano impressi nella sua mente «Tu sei unico. La tua vita è unica. Puoi fare grandi cose. Cerca la felicità invece di buttarti a capofitto nelle sabbie mobili!»
Grossi lacrimoni scivolarono giù dalle sue gote, insieme ad un gemito strozzato, che sembrò distruggergli le viscere.
Con il solito tintinnio e il suono metallico delle lamiere, la porta dell’ascensore si aprì. Kiba, che lo stava aspettando, rimase per un attimo interdetto, il dito poggiato al pulsante di prenotazione. Poi gli occhi si spalancarono alla vista di Sasuke, semi accasciato sulla parete, che sembrava la sua unica fonte di sostegno, in quel momento.
«Kurama, esci.» ordinò, la voce ferrea di chi aveva tutto nelle proprie mani «Va da tua madre. Ora.»
Il piccolo, apparentemente terrorizzato, corse fuori, scomparendo dietro un angolo. Contemporaneamente, Kiba entrò dentro l’ascensore, cliccando in fretta i numeri di piani a caso.
Prese Sasuke da sotto le ascelle – non aveva mai notato quanto fosse diventato più forte, o forse era lui fin troppo leggero, che non ricordava più quando era stato il suo vero ultimo pasto – e lo sollevò un poco, premendolo contro la parete. La testa penzoloni dell’Uchiha – che ormai era vinto dagli spasmi di un pianto tenuto troppo a lungo in fondo al suo cuore – cadde sul petto di Kiba, e lui la lasciò lì, anzi, da quella posizione lo abbracciò, infilandogli una mano fra i capelli scuri, cercando di calmarlo. E Sasuke non era mai stato più fragile, non era mai stato così arrendevole, così delicato, così bisognoso. Nessuno aveva mai potuto abbracciarlo così, se non Hinata.
«So che questa situazione è orribile.» disse Kiba, memore degli insegnamenti di un certo biondino «So anche di non poter capire a pieno quello che stai vivendo, perché non ci sono dentro come te.» deglutì, preoccupato « Ma so anche che una persona che abbiamo conosciuto benissimo ti direbbe di non arrenderti, di tirare fuori i pugni e di conquistare ciò che il tuo cuore desidera.» Sasuke prese un grosso respiro, come se fino a quel momento fosse stato in apnea «Anche se quel qualcosa è sbagliato, o per lo meno non sembra giusto… Se è il tuo cuore a volerlo, sarà l’errore più bello che tu abbia mai fatto.»
Sasuke si aggrappò alla sua maglietta, per poter alzare il viso con più facilità. Lo sguardo che gli mandò era colmo di odio e di collera e, in un altro momento, Kiba sarebbe rimasto davvero terrorizzato, ma sapeva che quello era il vecchio Sasuke che tornava a galla, quello che invece di piangere picchiava, quello che invece di cercare aiuto allontanava tutti gridando.
«So di cosa sto parlando, Sasuke. Non sono stupido quanto pensi.» sorrise appena «Te lo ricordi, vero? Quando Naruto mi picchiò perché ero innamorato di Hinata e avevo rovinato il loro rapporto… pensi che farebbe lo stesso con te, se fosse ancora vivo? Io avevo giocato sporco, e aveva capito prima di me che il mio non era vero amore, ma soltanto una fissazione che mi era rimasta dalle medie… pensi che, guardandoti, vedrebbe la stessa cosa? Io penso che ti avrebbe lasciato provare, seguire il tuo cuore. Io lo vedo, Sasuke, vedo quanto la ami. Naruto lo avrebbe visto prima di me. Ti avrebbe lasciato fare e avrebbe lasciato la decisione a Hinata, perché sarebbe stato giusto così.»
Sasuke grugnì, incapace di parlare, e levò alto il pugno, pronto a colpire. Kiba sorrise.
«Avanti, colpiscimi.» lo incitò «Non servirà a sistemare le cose, ti sentirai solo peggio, dopo. Ma, almeno, capirò che le mie parole hanno avuto qualche effetto su di te. »
Le lacrime riaffiorarono sugli occhi umidi di Sasuke, mentre gli tornava in mente un Naruto che si lasciava colpire con il sorriso sul volto, ridendo addirittura.
«Devi provarci, Sasuke.» continuò Kiba «Non ho voglia di dire cose melense, ma… devi seguire ciò che ti può rendere felice.»
Le porte si aprirono ancora una volta, Sasuke si divincolò e scomparve nel nulla.
 
Fare il check in era sempre un’operazione lunga e noiosa. Hinata era stata piuttosto chiara: avrebbero avuto soltanto il tempo di arrivare a Londra in aereo per riposarsi come si deve, poiché, appena arrivati, sarebbero dovuti fiondarsi allo stadio per prepararsi allo show. Avevano già ritardato abbastanza a causa della richiesta di Shikamaru e, sebbene la gioia negli occhi di Ino mentre sfoggiava il suo anello prezioso fosse una bellissima ricompensa, ciò non poteva che causarle ansie e preoccupazioni. Col senno di poi, non si sarebbe comportata come aveva fatto, cercando di ricordarsi quale fosse il suo ruolo e quali le sue responsabilità. Si era comportata da vera irresponsabile, e dentro aveva sentito una scarica elettrica, la stessa di quando si lasciava coinvolgere dalle pazzie di Naruto.
«’kaa-chan?»
Hinata abbassò lo sguardo, attirata da Kurama, che l’aveva chiamata con una punta di preoccupazione nella voce, tirandola per i jeans. I suoi occhi cerulei sembravano più scuri, più cupi.
«’suke-ji-chan sta male.» affermò, indicando con il dito, coperto dalla folla al gate «Ha la faccia tutta bianca. Prima ha pianto.»
«Ma che dici, Kurama?» fece lei, alquanto stupita, voltandosi per guardare Sasuke. Era effettivamente bianco, mentre reggeva il suo bagaglio a mano, appoggiato ad una parete «’suke-ji non piange mai.» e no, non era vero, ricordava perfettamente le urla, le lacrime e i singhiozzi mentre sferrava pugni contro il volante, la sera del funerale. Come se fosse accaduto il giorno prima.
«Ha ragione.» una voce, dietro di lei, la sorprese. Kiba e Hanabi sostavano dietro di lei, i visi travolti dalla preoccupazione «Sta andando tutto a rotoli, Hinata.»
«Kiba…?» sembrava confusa «Che vuoi dire?»
«Vuole dire» Hanabi prese la parola, lo sguardo duro «che noi sappiamo tutto. Sappiamo cosa sta succedendo fra te e Sasuke. Ma questa… cosa… non può andare bene, se continuate di questo passo. Non vi parlate neanche più. Il gruppo si sta smembrando.»
«Hanabi, tu non sai di cosa stai parlando…»
«Invece lo so, e ti dirò una cosa.» le si avvicinò di un passo, lo sguardo crudele, tentando di essere dura «All’inizio ero preoccupata per te, per voi. Vorrei davvero che voi poteste essere felici, magari insieme, ma così non va. Adesso sono più preoccupata per Kiba.» l’altro, dietro di lei, sembrava perdere colore «Tu non hai idea di quanto in realtà abbia sofferto, di quanto abbia sacrificato, per rimettere al mondo qualcosa di paragonabile agli Origin. Kiba suonava solo per insegnare, aveva smesso di farlo per il proprio piacere, per produrre, per creare arte, e tornare a farlo… con tutti i ricordi di Naruto ad ogni nota, non è stato affatto semplice. Tu, questo, non puoi capirlo.»
«Hanabi…»
«E non ho intenzione- » un singulto le serrò per un attimo il respiro, ed i suoi occhi si riempirono di lacrime «Non ho intenzione di lasciar marcire tutti i suoi sforzi solo perché tu e Sasuke non prendete una decisione. Non lascerò che i Post Apocalypse si sciolgano. Non dopo tutte le lacrime versate. Hai capito?» una lacrima scese, mentre sembrava arrabbiarsi molto di più « Dovete trovare una soluzione, una qualunque. Hai capito bene, Hinata?»  
Hinata rialzò lo sguardo, ed il suo volto sembrò una maschera di cera. La sua pelle bianca era rigida, tanto quanto l’espressione del suo viso.
«Mi dispiace procurarvi tanto dolore.» affermò, ma né il suo viso, né il suo tono lasciarono trasparire alcunché «Giuro che smetterò di provare qualsiasi sentimento per chiunque.»
Hanabi inspirò forte, come se si fosse spaventata per aver appena visto un fantasma. Kiba fece un passo avanti, preoccupatissimo.
«Hinata, non esagerare.» disse, accompagnando le parole ad un tocco della mano.
La donna fece immediatamente un passo indietro. «Sto bene.» disse «Hanno aperto il gate.» comunicò, per poi sparire nella folla, prendendo in braccio Kurama.
Lui allungò una mano, toccò quella maschera di cera, mormorando «’kaa-chan?»
«Va tutto bene, Kurama.» rispose automaticamente la Hyuuga.
«Ti voglio bene.» mormorò ancora, accarezzandola come faceva lei stessa per consolarlo «E anche ‘tou-chan.»
«Lo so, Kurama.» affermò, mentre già la sua muraglia si stava spezzando «Lo so.»
 
Il volo non era durato molto – poco più di un’ora, in realtà – ma tra il ritrovare i bagagli e tutto il resto, avevano finito per fare ritardo. Correre nel traffico era stato da pazzi, e una volta arrivati allo stadio era stato complicato prepararsi così in fretta. Sembrava che nessuno avesse la voglia – e la forza – per prepararsi a dovere. Mentre truccava la sorella, Hanabi aveva le mani tremanti e non aveva osato dire una sola parola. Aveva agito per istinto: un istinto covato a lungo dentro il proprio animo, ma appena un attimo dopo aver parlato si era pentita. Aveva ragione, questo lo sapeva bene, ma ammetteva che i suoi toni – la totale assenza di tatto – erano stati fin troppo alti, tanto da allontanarla dalla sorella. Lei, che amava come fosse stata una madre. Sapeva perfettamente di averla ferita e lei, fin troppo simile a Sasuke per i suoi gusti, si rintanava dietro quella lugubre fortezza. Gli occhi di Hinata, poi, erano diventati opachi – così privi di luce da farla sembrare la dea della morte, insieme a quell’abito scuro e al trucco pesante – e probabilmente tutta la sua rabbia era frenata soltanto dalla presenza di Kurama nello stanzino. Suo nipote era davvero testardo quanto suo padre dato che, nonostante l’ora tarda, non aveva voluto fermarsi in hotel per dormire insieme a una babysitter chiamata appositamente, pur di rimanere accanto a sua madre. Hanabi credeva fortemente che tutto ciò non facesse bene al bambino. Era ammirevole il suo impegno nel volersi prendere cura dell’unico genitore rimastogli, ma temeva che, una volta cresciuto, avrebbe rimpianto quell’infanzia non vissuta. Sentiva tutti i malumori della madre come fossero suoi – e quella depressione l’aveva curata perché gliene aveva strappata via tanta con la forza – e, di sicuro, ne soffriva. Era un bambino forte – era figlio di Naruto e Hinata – ma era comunque un bambino, di nemmeno cinque anni.
«Kura-chan.» chiamò, dolcemente, «Vieni, dammi la mano. Fra poco inizia il concerto. »
Il bambino scese di corsa da divano e raggiunse la zia, sorridendo alla madre, che li stava precedendo. Uscirono dal camerino con passo fermo, raggiungendo poi il retropalco.
«Due minuti e si va in scena!» comunicò un operatore di tutta fretta, scomparendo dietro a delle apparecchiature.
Hanabi si fermò sul posto, guardando Hinata che raggiungeva i ragazzi, già in formazione.
Sasuke era vestito completamente di nero, la cravatta verde scuro, il viso pallidissimo. Non visto – o almeno così credeva – squadrò Hinata da capo a piedi. Il volto gli si contrasse in una smorfia di dolore, come se davvero avvertisse degli spasimi ogni volta che la vedeva, la trovava stupenda e ricordava a se stesso che non poteva averla. Provò dispiacere per lui. Shikamaru, le bacchette in una mano, sembrava intoccato da quella situazione che si era venuta a creare – come se non se ne fosse neanche accorto – e con un sorriso lievemente accennato, sembrava carico per il live. D’altronde, lui ne aveva tutti i motivi: Ino gli aveva detto sì, presto si sarebbero sposati, e prima ancora, probabilmente, avrebbero avuto un figlio.
Kiba sembrava sul punto di vomitare. Il suo volto era più pallido rispetto al solito, e di tanto in tanto chiudeva gli occhi, per riposare. Non stava bene – era doloroso suonare con il pensiero di non poterlo più fare in futuro molto vicino, dopo tutti i tentativi, i sacrifici, il sangue versato.
E Hinata… dal suo volto sembrava che fosse pronta per una battaglia – che in mano tenesse una spada invece di un microfono – tanto era agguerrita. Agguerrita non in senso buono, specifichiamo, non aveva né entusiasmo né sicurezza di vincere: semplicemente, sembrava pronta ad uccidere, tanta era la sua rabbia.
I loro volti, lievemente rischiarati dalle luci provenienti dal palco, sembravano quelli di quattro soldati che in guerra ne avevano visto di tutti i colori – avevano sfiorato la morte per un pelo – e che si apprestavano a ricevere delle medaglie che, in fondo, non sentivano di meritare. Erano insignificanti.
Penso a Naruto e, in realtà, era vero: la morte li aveva sfiorati per un pelo.
 
La band salì sul palco insieme, mentre la folla li acclamava. Shikamaru, seduto al suo strumento, cominciò immediatamente a dare i primi colpi di batteria, con una forza e un impeto che difficilmente si riuscivano a vedere in lui.
Hinata si diresse verso il pianoforte modificato, non quello a coda, ma alla pianola ultimo modello rialzata in modo che lei potesse suonare in piedi. Posizionò il microfono e cominciò a suonare, lasciando che i suoi capelli ondeggiassero a tempo, insieme al basso di Kiba che, suonando, le si avvicinò. Sasuke li raggiunse poco dopo, incrementando la loro forza. Forse, era diventato il loro unico modo per stare insieme. Appena finiva di suonare, Hinata prendeva il microfono e si spostava in giro per il palco, cantando con voce roca e dura, tremendamente arrabbiata, per poi tornare al piano quando ce n’era bisogno. Tutti guardavano quello spettacolo con il fiato sospeso.
In un momento più “dolce” della canzone, Hinata si avvicinò a Sasuke, cantando «don’t leave me here»  guardandolo negli occhi, la chitarra fra di loro. Sembrava che stessero litigando, ma anche facendo l’amore… erano violenti, forti, e incredibilmente tristi. Dopo poco, Sasuke iniziò il suo assolo, ed Hinata ondeggiò i fianchi a tempo, suonando il piano, la voce incredibilmente gotica.
 
FARTHER AWAY
 
I took their smiles and I made them mine.
I sold my soul just to hide the light.
And now I see what I really am,
A thief a whore, and a liar.
I run to you,
(And run away from this hell)
Call out your name,
(Giving up, giving in)
I see you there,
(Still you are)
Farther away.

Im numb to you - numb and deaf and blind.
You give me all but the reason why.
I reach but I feel only air at night.
Not you, not love, just nothing.
I run to you,
(And run away from this hell)
Call out your name,
(Giving up, giving in)
I see you there,
(Still you are)
Farther away.

Try to forget you,
But without you I feel nothing.
Don't leave me here, by myself.
I can't breathe.
I run to you,
(And run away from this hell)
Call out your name,
(Giving up, giving in)
I see you there,
(Still you are)
Farther away.

I run to you,
(And run away from this hell)
Call out your name,
(Giving up, giving in)
I see you there,
(Still you are)
Farther away.
Farther away,
farther away,
farther away,
farther away,
farther away.


Sasuke entrò in camerino dando un calcio alla porta, le mani occupate ad allentare la cravatta, pur di toglierla. Non fece caso alla porta che non si richiuse subito, ma solo dopo qualche tempo. 
Quando si voltò, sbottonandosi la camicia nera, si ritrovò Kurama davanti. Aveva gonfiato le guance in modo molto tenero e gli occhi, umidi, stavano per scoppiare in grossi lacrimoni.
«’ji-chan!» chiamò, allungando le braccia verso di lui e, contemporaneamente, scoppiando a piangere «’ji-chan, mi dispiace!»
Sasuke, guidato da un istinto primordiale, si abbassò subito piegando le ginocchia e lasciò che il bambino gli corresse fra le braccia, stringendolo poi a sé. Tremava tutto.
«Kurama.» chiamò con tono pacato Sasuke, tentando di calmarlo «Che c’è?»
«Mi dispiace se ti ho fatto piangere, stamattina!» aggiunse, fra i singhiozzi.
«Ma no, Kurama, tranquillo, non è stata colpa tua.» disse, accarezzandogli i capelli, identici a quelli di Hinata «Ho pensato a cose a cui non dovevo pensare. Sto passando un periodo difficile. Ti posso confidare un segreto? Non lo dirai a nessuno, vero?» il bambino annuì contro la sua spalla, mentre Sasuke pensava quanto fosse strano che lui, un Uchiha, si lasciasse andare a confidenze, per di più con un bambino «A volte penso di avervi portato solo tristezza. Quando sono arrivato, sorridevate di più, tu correvi ovunque, mentre adesso siete tutti così tristi, ed è solo colpa mia. Penso che andarmene sarebbe la cosa migliore per tutti.»
Il bambino strinse con forza le mani intorno alle sue spalle, facendogli quasi male, guardandolo intanto con occhi sgranati e spaventati. «No!» urlò, per poi ricominciare a piangere forte «Non puoi andartene!» si strinse nuovamente al petto  dello “zio” «Non lasciarmi, ti prego! Ho bisogno di te!»
Sasuke si lasciò abbracciare, profondamente stupito. Quanto tempo era che nessuno gli diceva che aveva bisogno di lui? Quanto tempo era che non si sentiva più di vitale importanza per qualcuno? Ma soprattutto, quanto tempo era che non si sentiva così amato?
«Tranquillo, Kurama.» commosso, ancora una volta, a causa di quel bambino, abbassò il volto e gli lasciò un bacio fra i capelli, come faceva un tempo con sua madre «Non andrò da nessuna parte.»
 
Hinata, stanchissima, per molto tempo era rimasta in camerino senza far niente. Con la testa fra le mani, cercava di dar pace a quelle vocine nella sua testa che non facevano che ricordargli quanto tutto ciò che facesse fosse orrendo quanto sbagliato. Non voleva dar ascolto a quelle voci che continuavano a chiedergli se si era innamorata di un altro uomo, se si era dimenticata di Naruto, dei suoi baci, delle sue carezze. Non riusciva a ricordare la sensazione di quei tocchi premurosi sulla sua pelle, ma avvertiva come un soffio caldo sul cuore ogni volta che ci pensava. Amava Naruto, lo aveva amato con tutta se stessa dal primo momento, senza neanche conoscerlo. Aveva avvertito l’alchimia sulla pelle, con un brivido che le aveva scosso le ossa e le aveva fatto venire la pelle d’oca. Adorava ricordare quei momenti di passione, anche se le procuravano ancora un immenso dolore, eppure, con i suoi patimenti interiori, sentiva in qualche modo di tradirlo.
Pensare a Sasuke, alle sue parole, a quei “ti amo” biascicati, alle sue labbra sulle proprie… vederlo star male, ingrigirsi, preoccuparsi per lui, stare male a sua volta… si sentiva una traditrice nei confronti di Naruto e una ladra della peggior specie per chi le stava vicino. Aveva rubato i sorrisi di Hanabi, di Kiba… e soprattutto quello di Kurama che, ormai, non si comportava più come un bambino, ma come un padre, che si preoccupava costantemente per lei. Si comportava come Naruto. Lui e loro figlio avevano la stessa lucentezza negli occhi, lo stesso sorriso, e lei era stata capace di rubare anche quello. Che madre era?
Cominciò a spogliarsi con questi pensieri nella mente. Si sentiva terribilmente stanca e pesante. Ogni gesto che faceva era lento e scoordinato, come se stesse manovrando un corpo non suo.
Aveva quasi finito, quando la porta si spalancò alle sue spalle.
«Te l’avevo detto di bussare, Kurama.» disse una voce che la fece arrossire, mentre finiva di infilarsi la maglia.
Lui ebbe appena il tempo di vedere la lunga cicatrice bianca che segnava il fianco destro di Hinata, prima che si voltasse per guardarlo, stranamente rossa in viso. Cinque anni prima non sarebbe stato così strano, ma del tutto naturale che una ragazza timida come lei si imbarazzasse nell’avere la pelle scoperta davanti a un ragazzo. Ma lei ormai era diventata una donna – una donna bellissima, cicatrici o meno – e non arrossiva più facilmente, per di più con lui, con cui aveva una situazione piuttosto difficile.
«Sasuke.» disse Hinata, guardando attentamente la cravatta allentata, i primi bottoni della camicia slacciati, i capelli in disordine e la mano chiusa intorno a quella di Kurama. Gli sembrò così bello – e no, non avrebbe dovuto pensarlo – e così dolce mentre, goffamente, si prendeva cura di suo figlio, proprio come avrebbe fatto un genitore. Con lo stesso identico affetto.
«Mi dispiace disturbarti, so che siamo tutti stanchi.» affermò Sasuke, tentando di non lascar trasparire l’agitazione. Era tanto che non si parlavano – solo due giorni, in realtà, ed era assurdo quanto gli pesassero «Kurama vuole andare in hotel. Casca dal sonno.»
«Ovviamente.» mormorò Hinata, guardando il figlio che non accennava a lasciare la mano sicura di Sasuke. Gli sembrava già confermato, con questo gesto, ma chiese comunque «Vieni con noi, Sasuke?» poi tornò a guardarlo negli occhi, una nuova decisione dietro lo sguardo non così certo «Dobbiamo parlare.»

 
 
 

~Angolo Autrice. 
Vi state chiedendo se sono tornata? Beh, in effetti è possibile, ma non
abbiate tante speranze. La verità è che mi sono staccata da EFP per
concentrarmi su lavori più seri - e per seri intendo originali, e per 
originali non intendo la sezione apposita del sito, ma lavoro ORIGINALI
PUBBLICATI
da una casa editrice che si chiama Lettere animate. 
Quando ho ricevuto questa bella notizia, ho ritrovato la fiducia in me,
che avevo perso le ultime volte che avevo pubblicato qui, e ho iniziato
a lavore su un progetto nuovo e più grande, che spero verrà pubblicato
da qualche casa editrice più importante... ma fatto sta che mi hanno
pubblicato, e questo vuol dire che sono diventata una AUTRICE vera,
in piena regola. Però mi dispiaceva tanto lasciare questa storia
incompiuta... anche perchè avevo lasciato nel mio archivio qualche
altro capitolo che, poverino, stava cominciando a prendere la polvere.
Perciò, come minimo pubblicherò questi capitoli "avanzati" e poi... 
chissà... nei momenti di pausa... quando l'ispirazione arriverà...
potrei anche decidere di continuare OCCHI PARADISO.
Detto questo, spero che il capitolo vi piaccia e, se vi va, vi lascio il
link del mio libro, disponibile su Amazon!! http://www.amazon.it/Ombre-Claudia-DAmico/dp/8868825392/ref=tmm_pap_title_0

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