Figli del Nord

di Ormhaxan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01. Prologo ***
Capitolo 2: *** 02. ***
Capitolo 3: *** 03. ***
Capitolo 4: *** 04. ***
Capitolo 5: *** 05. ***
Capitolo 6: *** 06. ***
Capitolo 7: *** 07. ***
Capitolo 8: *** 08. ***
Capitolo 9: *** 09. ***
Capitolo 10: *** 10. ***
Capitolo 11: *** 11. ***
Capitolo 12: *** 12. ***
Capitolo 13: *** 13. ***
Capitolo 14: *** 14. ***
Capitolo 15: *** 15. ***
Capitolo 16: *** 16. ***
Capitolo 17: *** 17. ***
Capitolo 18: *** 18. ***
Capitolo 19: *** 19. ***
Capitolo 20: *** 20. ***
Capitolo 21: *** 21. ***
Capitolo 22: *** 22. ***
Capitolo 23: *** 23. ***
Capitolo 24: *** 24. ***
Capitolo 25: *** 25. ***



Capitolo 1
*** 01. Prologo ***


NORD_3

Disclaimer: La storia che state per leggere è di proprietà della rispettiva autrice, non vuole avere alcuno scopo di lucro, e ha come fonti principali i seguenti testi: The Tale of Ragnar’s Sons, © Peter Tunstall, 2005; Ragnars Saga Loðbrokar, tradottuzione di © Chris Van Dyke; The Jomsviking's Saga, traduzione di © N.F. Blake, 1962.

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AD 865, Sjælland, Scandinavia.





    I serpenti tornarono a strisciare nella sua mente quella notte. Al di fuori della dimora vichinga il bosco era silenzioso, il cielo privo di nubi, e solo il verso lontano dell’allocco cacciatore disturbava la tranquillità del villaggio.
Sigurd si muoveva irrequieto nel suo giaciglio di paglia, spostando le pesanti pellicce di lupo e orso dal suo corpo slanciato, mentre poco distante il grande focolare continuava a bruciare al centro della stanza fatta di pietra, argilla e legno di quercia secolare.
I serpenti tornarono nuovamente quella notte, tormento dei suoi sogni, presagio di sciagura e di morte; ombre si mossero attorno a lui, dentro di lui, mentre il serpente incoronato stringeva sempre più forte le sue spire attorno al cinghiale che un tempo era stato il terrore dei boschi e di quello stesso serpente che lentamente lo stava soffocando.
Aprì di scatto gli occhi, madido di sudore e ansimante, scostando quello che rimaneva delle coperte dal suo corpo, osservando con occhi pallidi come le nebbie d’autunno la penombra della dimora in cui era nato e cresciuto.
Rabbrividì percependo il vento entrare dalla grande porta lignea alla sua destra, gelida carezza dei fantasmi che un tempo avevano riempito quella stessa sala adesso vuota, bevuto alla tavola di suo padre, festeggiato vittorie oltre il mare: adesso quei fantasmi dei giorni passati festeggiavano e lottavano tra di loro nelle grandi sale di Valhalla, bevevano idromele insieme a Bragi1 e Odino, con le Valchirie condottiere.
   E un giorno, non troppo lontano, anche lui avrebbe bevuto alla tavola di Odino insieme ai suoi defunti fratelli, Eric e Agnar2, per la cui morte aveva pianto e giurato vendetta.

Il cielo si stava schiarendo a Est, presto il sole sarebbe sorto e il villaggio avrebbe ripreso nuova vita.
Per Sigurd il tempo del sonno e del riposo era passato, la sua mente era troppo lucida per riuscire a dormire nuovamente, e il sogno, che sogno poi non era, lo aveva turbato.
Non era la prima volta che sognava sogni premonitori: nel suo sangue, più che in quello dei suoi fratelli, scorreva il dono della preveggenza, lo stesso che era stato donato a sua madre Aslaug, la splendida dama figlia del leggendario eroe Sigurd e della sua moglie di lancia, Brunhilde; non era la prima volta che vagava silenzioso come un felino dei boschi tra le case di fango e pietra o si ritrovava, a ridosso dell'alba, a osservare le onde del mare infrangersi in un eterno andirivieni sul bagnasciuga della spiaggia, cullato da quel melodioso suono increspato che aveva imparato a conoscere e amare ancor prima di apprendere l'antica arte della spada.
Decise, seduto con le gambe strette attorno al petto nudo e segnato da cicatrici di guerra, di dover affrontare la verità di quel sogno e recarsi da colui che possedeva le risposte.

Il Veggente era nella sua capanna dal tetto semicircolare dal cui centro usciva del fumo grigiastro, il corpo scheletrico coperto da strati di pellicce, cieco come il primo giorno che lo aveva visto.
Suo padre era solito recarsi da lui prima di ogni battaglia, ascoltare i suoi oracoli, il futuro che era già stato scritto; Sigurd, invece, aveva evitato il Veggente e le sue predizioni, preferendo ad esse i propri sogni e l’ignoto delle spedizioni oltre il freddo mare del Nord, a Ovest verso le terre degli Angli e dei Sassoni3.

“Entra dentro, Sigurd Ragnarsson4, non temporeggiare. – lo invitò il vecchio con voce rauca ma solenne, percependo la sua presenza, muovendo lentamente le mani rugose e dalle lunghe dita ossute per sollecitarlo – L’ora è tarda e il serpente sta stringendo le sue spire.”
Gli occhi del Veggente erano pallidi come il riflesso della luna sul mare, potevano vedere ogni cosa senza vedere niente, e la sua mente era sempre lucida e pronta.
“Cosa sapete del serpente?” chiese il giovane vichingo, interessato e allo stesso modo preoccupato, accovacciandosi accanto al modesto fuoco e prestando attenzione.
“Io so molte cose, Sigurd Orm-ì-auga5: cose che sono, cose che sono state e quelle che devono ancora accadere. – rispose semplicemente l’altro – So che tuo padre si è recato in Northumbria contro il mio volere, spinto dall’orgoglio ferito e dalla volontà di dimostrarsi migliore dei suoi figli, dei figli che sono diventati più grandi di lui."
Ci fu un lungo momento di silenzio, in cui l'anziano guardò il giovane sanza vederlo davvero; poi, la sua voce tornò a riempire la capanna: "Vedo il serpente strisciare nella tana del cinghiale, e la sua prole dilaniarlo, vendicando il proprio nome; vedo un’aquila ricoperta di sangue sorvolare i cieli oltre il mare, un giovane serpente venire addomesticato da una principessa dagli occhi tristi e i figli del Nord prosperare per mille anni. Questo, Sigurd Ragnarsson, io vedo e molto altro ancora.”
Il Veggente gli porse il palmo della mano senza attendere alcuna reazione da parte del giovane condottiero, concludendo così la sua profezia e quell'incontro.
Sigurd avrebbe voluto ribattere, chiedere spiegazioni, ma sapeva bene che altre parole non sarebbero state pronunciate in quella notte diventata oramai giorno: con rispetto leccò il palmo della mano del Veggente, assaporandone con disgusto il sapore di terra e spezie marce misto a quello della vecchiaia e della morte che stava sopraggiungendo, e si allontanò dalla capanna lasciando una scia di polvere dai colori dell’alba.




*


 
1: Nella mitologia norrea, Bragi era considerato il dio della poesia e consigliere di Odino nel Valhalla.
2: Figli maggiori di Ragnar e Þóra, sua prima moglie, morti nella battaglia contro Eysteinn Beli e poi vendicati dai fratelli minori e da Aslaug.
3: Angli e Sassoni: i primi governavano i regni di Mercia, della Anglia orientale e della Nothumbria; i secondi, invece, governavano i regni dell'Essex, del Sussex e del Wessex.
4: Ragnarsson, letteralmente figlio di Ragnar.
5: Orm-ì-auga, appellativo dato a Sigurd, letteralmente significa "Occhio di Serpente".
 

   
Angolo Autrice: Salve, gente! Questa è la mia prima storia ambientata in questo periodo, una storia che non ha come protagonista personaggi inventati ma eroi semileggendari della mitologia norrea. Da tempo sono appassionata di questa popolazione, sono una grande fan della serie televisiva Vikings, e in particolare mi sono interessata alla figura di Sigurd, uno dei figli i Ragnar e di cui si conosce ben poco. Le vicende saranno ispirate, come anticipato anche nella presentazione, alle Storie dei figli di Ragnar (Ragnarssona þáttr) ma ovviamente ci metterò molto del mio analizzando - o almeno cercando di analizzare - la psiche dei personaggi e narrando al meglio la loro vita.
Spero, dunque, che questa storia possa piacere e vi invito a lasciarmi una recensione.
Alla prossima,
V.

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Capitolo 2
*** 02. ***


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Capitolo revisionato e ampliato: 10/04/2017



"The young pigs would squeal
if they knew the state of the boar;
of the injury done to me
."*

Ragnarssona þáttr, XV.
 






Lo trovò seduto in riva al mare, a fissare le onde e ammirare il sorgere del sole, immerso nei suoi pensieri.
Non aveva trovato riposo quella notte, in nessuna delle notti che avevano seguito la partenza del suo sposo, terrorizzata dalle visioni notturne e dalle profezie del Veggente.
Il sole le accarezzò il viso, i suoi pallidi raggi arancioni le illuminarono i lunghi capelli sciolti, dando loro una parvenza d’oro, rendendola bellissima come il primo giorno in cui era arrivata al fianco di Ragnar e aveva preso posto accanto a lui come sua diletta moglie.
“Il serpente è tornato a strisciare nei tuoi sogni. – disse solenne, in un’affermazione dalle sfumature funeste, catturando l’attenzione del figlio – E’ anche nei miei.”
Sigurd era il più giovane dei suoi figli, quello a cui lei era più affezionata, poiché suo era il nome che un tempo era stato di suo padre; la sua nascita era stata profetizzata, così come il marchio che giaceva nel suo occhio, e tra tutti i figli di Ragnar Loðbrók1 era il solo ad aver ereditato il dono della preveggenza.
“Madre… - Sigurd si alzò dal suo giaciglio di sabbia bagnata – Come fate a sapere?”
Aslaug sorrise: “So molte cose, Ragnarsson, conosco il tuo dono dal momento in cui ti ho messo al mondo. – rispose – Tuo è il marchio del serpente che io ho profetizzato a tuo padre quando tornò dalla corte del Re Eystein2 con la promessa della mano di sua figlia; tuo il marchio della gloria e della grandezza."
Non era la prima volta che gli raccontava quella storia, ma fu la prima in cui il figlio l'ascoltò con una nuova consapevolezza: "Il sangue del leggendario Sigurd scorre nelle tue vene tanto quanto nelle mie e attraverso la sua discendenza anche quello profetico del drago Fafnir3. Conosco ciò che ti affligge e ti sta lentamente consumando.”
“Il Veggente mi ha profetizzato la morte del cinghiale per mano del serpente, - confessò con un filo di voce – dell’aquila di sangue che sorvola i mari in cerca di vendetta e ho il terrore di essere io quel serpente.”
“Cos’altro ti ha detto il Veggente?”
La fronte del giovane vichingo si aggrottò e i suoi occhi si velarono di un'ombra nefasta: “Mi ha parlato di una principessa e un serpente, profetizzato la gloria dei figli del Nord, ma nessuna delle sue parole ha per me senso.”
“Tutto avrà senso a suo tempo, vedrai. – rassicurò – Noi siamo esseri mortali, non è nostro compito scrivere il destino, tantomeno impedire ciò che deve essere: non avvelenare dunque il tuo spirito e festeggia insieme ai tuoi fratelli le vostre vittorie.”

Un corno risuonò lontano, un suono lungo e duraturo totalmente diverso da quelli che si udivano in battaglia, e pochi istanti dopo una nave lunga fece capolino all’orizzonte dipinto con le sfumature calde del mattino: stendardi sventolarono nella brezza mattutina, scudi dalle tonalità calde appesi a decorazione dei fianchi delle drakkar presero una luce ancora più intensa e vivace in quel preciso momento del giorno nascente e un vociare allegro arrivò presto alle orecchie di Sigurd e sua madre.
Gorm!” esclamò il giovane, euforico, riconoscendo immediatamente lo stemma ricamato minuziosamente sul vessillo che garriva sull’albero maestro, lo stesso che durante molte battaglie aveva fiancheggiato il suo.
Gorm Hinn Riki4  era il figlio di Knut, uno dei re di Danimarca alleato – nonché compagno di razzie – di Ragnar Loðbrók; sin dall’infanzia, il principe dello Jutland e Sigurd erano divenuti ottimi amici, avevano condiviso il cibo e un giaciglio sopra la testa, imparato le nobili arti della spada e della politica.5
Con il suo aiuto e quello di molti altri, i figli di Ragnar erano riusciti a vendicare la morte dei loro fratelli maggiori, e per questo avrebbero festeggiato insieme con abbondanti banchetti e fiumi di birra dal biondo malto la tanto agognata vittoria.

“Sigurd! – il vichingo dalla fluente chioma rossa scavalcò con agilità il fianco della nave lunga e i due amici si salutarono con una reciproca pacca sulla spalla – E’ bello rivederti, amico mio, questa volta non per portare vendetta ma per festeggiare insieme.”
Gorm si guardò intorno, ammirando dopo tanto tempo quella che era stata per quasi dieci anni la sua casa, il luogo in cui era divenuto un principe degno di quel nome, e con un lieve sorriso dipinto sulle labbra sottili sentì di aver ritrovato quella parte di se che aveva lasciato su quelle placide sponde del mare. Per quanto lo Jutland fosse il regno dei suoi avi, la terra che un giorno avrebbe comandato in quanto sovrano, quel pezzo di terra sarebbe stato per sempre il suo porto sicuro, il luogo dove sentirsi accolto e in famiglia.
“Sei in anticipo! Ti aspettavamo tutti domani, ma non per questo sei meno il benvenuto. – confessò Sigur mentre, fianco a fianco, si incamminavano verso la lignea e imponente dimora che troneggiava sugli altri edifici – Bjorn e gli altri miei fratelli sono nella sala grande e come me saranno più che felici di rivederti: è giunto finalmente il tempo di alzare al cielo i calici ambrati e banchettare riuniti attorno al grande fuoco come un'unica grance famiglia.”



 
**



Nel grande salone della dimora vichinga riecheggiavano canti e voci allegre: Ivar, il maggiore di figli di Ragnar, sedeva sullo scranno che era di suo padre; poco lontano, Bjorn stava incidendo l’impugnatura lignea di una lancia e conversava tranquillamente con uno dei commensali, mentre Sigurd e Hvìtserk erano impegnati in un’avvincente partita di Hnefatafl6.
Quella appena trascorsa era stata una giornata festosa, ricca di musica, danze, buon cibo e corni straripanti di idromele e birra; tutti erano euforici, felici di essersi ricongiunti con il loro vecchio amico, il loro fratello di scudo, con il quale avevano ricordato vecchi aneddoti legati alla loro infanzia, giorni trascorsi nella spensieratezza tipica dei giovani.
Persino Þyri, sorella minore dei quattro e unica figlia di Ragnar e Aslaug, si era aggiunta ai festeggiamenti, attirando immediatamente l’attenzione dei presenti. Nessuno escluso.
Quando, solenne, aveva fatto il suo ingresso al fianco di sua madre, bellissima come una mattina di Primavera, la sala era piombata nel silenzio più totale; gli occhi erano stati tutti per lei, principessa norrena in età da marito, rara bellezza da tutti desiderata, ambita, ma da nessuno ancora conquistata.
Molti inverni erano trascorsi dall’ultima volta in cui Gorm l’aveva vista, allora piccola e curiosa, sempre vogliosa di scoprire qualcosa di nuovo, sempre tra i piedi; all’epoca lui stava per diventare un uomo e lei era una bambinetta che desiderata diventare una moglie di lancia, somigliare alla madre di sua madre, la valchiria Brunhilde. Quando Gorm l’aveva rivista, però, nulla in lei sembrava essere rimasto di quella bambina, una bambina che aveva lasciato il posto a una donna fatta e finita. Eppure, qualcosa nel suo sguardo color zaffiro apparentemente distaccato ricordò al principe danese forza, una forma di orgoglio che raramente aveva visto in una donna.
Una bellezza — aveva pensato Gorm quando, senza degnarlo di uno sguardo, Þyri gli era passata accanto — Þyri è diventata una bellezza rara, da molti desiderata. — Una bellezza rara, certo, ma che, si ripromise il principe, solo lui avrebbe conquistato, facendo valere e mantenendo la promessa fatta, anni prima, dai loro padri.
La placida quiete portata dalla figlia di Ragnar aveva continuato ad ammantare gli animi dei vichinghi ancora per molto e, ammaliato, Gorm si godette quei fugaci istanti pensando che, mai prima, un silenzio era stato così incantevole.


Ben presto la consueta euforia dei banchetti ritornò prepotente a riempire l'aria: per tre giorni andarono avanti i festeggiamenti, durante i quali i norreni consumarono cibo prelibato e birra che scorreva a fiumi tra i calici; la musica, poi, rallegrava i cuori di tutti e lasciava libere le menti da ricordi spiacevolo.
Tali era stati festeggiamenti che nessuno di loro aveva notato quel pomeriggio la nave straniera che, silenziosa, si era avvicinata alla riva e aveva attraccato al porto; persino i soldati con i loro elmi di ferro e i loro corpi slanciati ricoperti dalle cotte di maglia spesse erano passati inizialmente inosservati. I guerrieri dell'Anglia si fecero strada attraverso la sala, silenziosi raggiunsero la piattaforma su cui, intento a sorseggiare dell'idromele, era comodamente seduto Ivar Ragnarsson: una volta al suo cospetto, i due uomini si rivolsero a lui con rispetto e malcelato timore.
“Mio signore Ivar!” i due uomini accennarono un inchino, prostrandosi nella speranza che quella riverenza bastasse al vichingo.
Il condottiero norreno li osservò con i suoi occhi freddi come il mare dello stretto di Kattegat, riconoscendo immediatamente nei loro costumi e nel loro accento la loro provenienza e con voce incolore domandò da dove venissero e quali notizie portavano dalla Britannia.
“Veniamo dalla Northumbria, Milord. Siamo emissari del Re Aelle. – rispose uno dei due – Il nostro Signore ci ha mandato fin qui con notizie riguardanti vostro padre, Ragnar Loðbrók.”
“Parlate, dunque!” esortò con apprensione Ivar, scambiandosi uno sguardo fugace con suo fratello Bjorn, il quale ancora stringeva tra le mani la lancia.
“Milord, vostro padre è giunto sulle nostre coste tre mesi fa, dopo che le sue navi mercantili si sono arenate sulla spiaggia dopo una crudele tempesta; lui e i suoi uomini hanno radunato un piccolo esercito e ci hanno attaccato, così il nostro Signore ha chiamato a raccolta i vessilli e li ha affrontati, sconfiggendoli e catturando vostro padre vivo.”
“Non sapevamo chi lui fosse, - aggiunse l’altro timoroso – solo dopo lo abbiamo compreso…”
Dopo? – Ivar inarcò un sopracciglio e strinse con forza il bracciolo dello scranno – Cosa è capitato a nostro padre? Parlate, prima che decida di tagliare le vostre lingue!”
“E’ morto, Milord, perito tra le spire dei serpenti.” Rispose in tutta fretta uno dei soldati, balbettando e sudando, terrorizzato dall’ira dei figli di Ragnar.
“Il nostro Signore lo ha torturato per farlo parlare, ma lui non ha proferito parola, almeno non prima che fosse tardi…”
“Solo allora il nostro Signore ha capito, quando era troppo tardi e Ragnar era già spirato a causa della morsa del serpente: immediatamente ci ha inviati qui da voi per recarvi il messaggio di pace, nella speranza che voi comprendiate che nessun male è stato recato intenzionlmente e perdoniate.”

Sigurd aveva lasciato cadere il suo pezzo di tafl non appena l'uomo aveva iniziato a raccontare la funestra sorte del padre, imitato da suo fratello maggiore; sfilata la daga che teneva in uno dei suoi stivali, aveva puntato il suo sgurdo su Ivar, in attesa di un minimo segnale per scattare felino sul soldato e prendersi la sua vita.
Dall'altra parte della sala, pervasa da un freddo silenzio, Bjorn si era alzato di scatto, troneggiando su coloro che gli stavano accanto in tutta la sua possenza, stringendo tra le mani la lancia con così tanta forza da lasciare su di essa l’ombra delle sue dita; quando il racconto terminò, la spezzò in due con una forza selvaggia, mostrando a tutti la rabbia mista a dolore.
Il fratello minore, d’altro canto, si accorse di aver affondato la lama nella sua stessa carne solo quando il sangue iniziò a scorrere sul suo gomito e gocciolare sulle sue braghe di pelle; avrebbe voluto sgozzare quei britannici con le sue stesse mani, rimandare le loro teste ad Aelle come risposta, eppure nulla di tutto questo accadde.
Ivar non reagì, accogliendo la notizia passivamente, e dopo aver rifocillato gli sciagurati messaggeri li invitò a ritornare nella loro terra natia con parole di pace, mettendo a tacere le minacce di suo fratello Hvìtserk, desideroso di vendetta.

Nella mente di Sigurd ritornarono le immagini dei suoi sogni, del cinghiale stritolato dai serpenti, e in quel momento tutto fu chiaro: il cinghiale era suo padre e il serpente incoronato non era lui stesso, come aveva temuto, ma il Re Aelle di Northumbria.
Le parole del Veggente si erano dimostrate ancora una volta vere, così come quelle di sua madre – non spettava a loro cambiare il destino, loro che erano umani, destinati alla morte – e per la prima volta nella sua vita si sentì impotente e rassegnato.


“Li hai lasciati andare! – esclamò rabbioso Hvìtserk, quando gli uomini di Aelle furono andati via – Perché li hai lasciati andare? Non desideri vendetta, non vuoi anche tu vendicare nostro padre, la sua morte ingloriosa?”
"Gli hanno negato la morte in battaglia, la morte che ha sempre cercato, quella degna di Odino e del Valhalla! – si aggiunse Bjorn – Ivar, io voglio vendetta!”
“E vendetta avrai, fratello. – rispose calmo il maggiore – Ma a suo tempo: Aelle non deve sospettare un nostro attacco, dobbiamo prenderlo alla sprovvista, e quando il momento arriverà lo attaccheremo e distruggeremo lui e il suo esercito, pagando così il debito.”
“Quando, fratello, quando? – ruggì Sigurd – Non hai sentito quello che hanno detto, non nutri vendetta, non piangi per nostro padre?”
“Ragnar è stato sciocco, è salpato per questa missione impreparato, con delle navi non adatte: tre knarr, ecco il numero della sua flotta, tre navi mercantili inadatte alla guerra. – rimembrò Ivar – E’ morto per la sua invidia, per la sua gelosia nei nostri confronti, per la sua cocciutaggine. Piangerlo? Sì, certo, ma non rischierò i miei uomini e le mie navi per vendicare uno sciocco.”
“Radunate i vostri vessilli, se è questo che volete, – proseguì – chiedete ai vostri uomini e agli alleati di nostro padre di veleggiare e brandire le asce al vostro seguito, ma non a me. Le mie navi non parteciperanno alla vostra spedizione folle: dopo tutto, ho dato la mia parola agli uomini di Aelle, e quindi ad Aelle stesso, che non avrei cercato vendetta. – un sorriso scaltro e sornione apparve sul viso di Ivar – Ma non ho mai detto che i miei fratelli non l’avrebbero cercata.”

Una nuova luce comparve negli occhi di Hvìtserk e di Bjorn, ma non in quelli di Sigurd, il quale lanciò bruscamente quella stessa daga con cui si era ferito una mano contro una delle travi in legno, mostrando ai suoi fratelli maggiori il suo disappunto, uscendo furente dalla dimora che era stata di suo padre seguito dal suo migliore amico, Gorm.
“Lascialo andare! – esclamò piccato Ivar a Hvìtserk, quando quest’ultimo cercò di inseguirlo – Nostro fratello è ancora giovane, il suo legame con nostro padre era forte. Ha bisogno di tempo per accettare la situazione.
Gorm lo aiuterà, come sempre e quando la rabbia sarà scemata comprenderà la mia decisione.”
“E se non dovesse farlo?” chiese con una punta di preoccupazione Bjorn.
“Lo farà, fratello, vedrai che lo farà. – rispose sicuro – Ma adesso basta parlare del nostro fratellino: preparate le navi per Uppsala, fatelo nel minor tempo possibile e senza dare nell’occhio. Se davvero vogliamo vendicare nostro padre ci servirà l’appoggio degli Dèi, di tutti gli dèi, e quale posto migliore se non il Grande Tempio di Uppsala per far si che questo avvenga?”

 

*





*I giovani cuccioli urlerebbero [di dolore] se sapessero la condizione del cinghiale; o dei torti che mi sono stati fatti. 



1: Loðbrók: letteralmente signidica calzoni villosi.
2: Re Eystein fu uno dei re di Svezia, precisamente a Uppsala, amico e alleato di Ragnar, a cui cercò di dare in moglie sua figlia.
3: Le vicende di Sigurd, conosciuto meglio come Sigfrido, e del drago Fafnir sono narrate nella celebre opere tedesca "Canto dei Niebelunghi" e nell'opera norrena "Völsunga saga" a cui si ispira Wagner nell'Anello del Nibeluno, dramma musicale diviso in quattro parti.
4: Hinn Riki, aggettivo spesso dato ai condottieri nordici, letteralmente significa "Il Possente".
5: Secondo da Saga di Olaf Trygvason, Gorm Knutsson e Sigurd, Occhio di Serpente, erano molto amici.
6: Hnefatafl: gioco da tavolo antico, diffuso specialmente nell'Europa del nord, simile ai moderni scacchi.
 





Angolo Autrice: Salve, gente! Eccomi qua, con il nuovo capitolo di questa storia. Come avete visto, la prima parte della profezia si è avverata: Ragnar era il cinghiale, ucciso dalle spire del serpente, che nel sogno di Sigurd è incoronato e rappresenta appunto Re Aelle di Northumbria.
I Ragnarsson hanno giurato vendetta, mentre Ivar non si è voluto esporre, ma tutto è ancora da stabilire. E credo che, presto, la protagonista femminile farà la sua comparsa! :D

Ringrazio, infine, tutti coloro che hanno deciso di seguire la storia e quelli che hanno lasciato una recensione. Grazie, davvero! ;)
Alla prossima,
V.

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Capitolo 3
*** 03. ***





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Capitolo corretto e ampliato: 13/o4/17

 

 
Jorvik1, Northumbria





Il cielo era plumbeo in quel giorno d’autunno e la corte era riunita a York per rendere grazie a Dio per la vittoria sui barbari vichinghi e festeggiare il decimo anno di regno di Re Ælle, un regno – a detta dello stesso sovrano – benedetto dal Signore e legittimato nonostante i vani tentativi del deposto Osberth di riconquistare il trono di suo padre.
In occasione di questo importante evento, l’unica figlia del sovrano, Heluna2, fu chiamata a presenziare accanto al padre nel ruolo non solo di principessa reale, ma anche di simbolo vivente della sua discendenza e dei suoi imminenti piani: il sovrano, infatti, era impaziente di darla in sposa ad uno dei suoi più potenti e fedeli nobili, stringere attraverso la sacra unione un’alleanza che avrebbe saldato ancor di più la sua posizione e messo a tacere per sempre i sussurri dei traditori che, continuando ad appoggiare Osberth, lo appellavano tiranno e sanguinario.
Heluna aveva da poco compiuto sedici anni, da due era diventata donna e dei figli di Ælle e della sua defunta moglie, Ælhswith3, era l’unica ad aver raggiunto l’età adulta.
Era una bellezza unica, con i suoi lunghi capelli di un biondo così chiaro da ricordare il bianco e gli occhi di un blu scuro da troppo tempo tristi; come tutte le figlie dei nobili, anche lei mostrava una forte pietà cristiana verso i più sfortunati e un’indole ubbidiente e pacifica, accettando suo malgrado il futuro che l’attendeva: avrebbe sposato un uomo più grande di lei, molto probabilmente vedovo e con dei figli della sua stessa età; sarebbe stata una moglie sottomessa e a sua volta gli avrebbe dato altri figli nella speranza di non perdere la vita nel darne alla luce uno come era accaduto a sua madre.


“Il Conte Æthelred vorrebbe prenderti in sposa. – le disse suo padre mentre si avviavano, fianco a fianco, verso l’imponente chiesa adiacente la fortezza – E’ un buon partito, ha cinquecento spade al suo servizio, ma non sono sicuro che sia quello adatto.”
“Diventerei la sua terza moglie…” fece notare con un filo di voce la principessa, camminando lentamente e con sguardo basso, seguendo il tempo della musica che proveniva dalla navata orientale della chiesa.
Aye, hai ragione figlia mia, ma in un certo senso saresti la prima: il suo erede è morto combattendo contro i pagani, e la sua seconda moglie è stata consumata dalla febbre ancor prima di potergliene dare uno, il che farebbe dei vostri figli gli eredi della sua fortuna.”
Il Conte era vecchio, pensò Heluna, di quasi vent’anni più grande, e non era noto per il suo aitante aspetto o per la sua pacatezza: la sua indole era iraconda, la sua avidità superava quasi quella di suo padre e la sua casa era fredda e inospitale. Il solo pensiero di trascorrere un solo giorno con lui, vedere ogni sera prima di addormentarsi il suo viso butterato a causa di una malattia, che lo aveva colpito in età infantile, la fece rabbrividire e sperò con tutta se stessa che suo padre scegliesse un altro partito.
Arrivati davanti all’altare e alla presenza del Vescovo, Heluna si inginocchiò e intrecciò le mani al petto, pregando con tutte le sue forze affinché la sua esistenza trovasse un senso e un briciolo di felicità.


Stavano banchettando con cibo e vino speziato quando i messaggeri, di ritorno dalle terre vichinghe, fecero il loro repentino ingresso nella vasta sala principale gremita di nobili e clerici intenti ad abbuffarsi di carni prelibate e pasticci speziati. Immediatamente porsero i loro omaggi al sovrano, il quale fu colpito nel vedere che il manipolo di uomini mandati verso morte certa era tornato senza neanche un graffio. A quanto sembrava, aveva sopravvalutato i norreni e la loro sete di sangue.
Erano passati quasi due mesi da quando Ælle aveva ordinato di portare il messaggio della morte di Ragnar ai suoi figli, spedito la solitaria nave nelle fredde e impervie terre da loro abitate: per mote settimane settimane il re aveva trattenuto il fiato, immobile nella sua perenne paura di una spietata vendetta e un attacco vichingo a sorpresa.

“Milord! – il comandante del gruppo prese la parola dopo essersi inginocchiato ai piedi dello scranno – Siamo appena giunti a York, di ritorno dalle terre dei pagani, e portiamo importanti notizie.”
Ælle si guardò attorno, notando come gli sguardi dei nobili fossero tutti su di lui, e pensò di non poter correre il rischio che orecchie sgradite udissero le parole che stavano per essere pronunciate: con un veloce gesto ordinò che la sala venisse sgombrata, che tutti, ad eccezioni dei suoi più fidati consiglieri e di sua figlia, uscissero repentinamente e solo quando anche l’ultimo dei commensali fu uscito e la porta chiusa alle sue spalle si sentì abbastanza sicuro da parlare.
“Quali notizie dai figli di Ragnar? – tuonò imperiosa la sua voce – Parlate, presto!”
“Abbiamo consegnato al maggiore, Ivar, il vostro messaggio e raccontato loro di come Ragnar Loðbrók sia morto; abbiamo più volte ribadito che voi, Sire, eravate all’oscuro della sua identità e che la sua dipartita non è stata direttamente voluta da voi.
Ivar e gli altri hanno ascoltato in silenzio, Sire, e benché i minori hanno minacciato vendetta ed espresso il desiderio di prendersi la nostra testa, il Senz’ossa4ha giurato di non cercarla e di volere solo un pagamento in argento per questo suo atto di clemenza.”
“Ma i fratelli non hanno mai giurato. – disse con rispetto un altro uomo, sussurrando appena quelle parole per timore dell’ira del suo signore, continuando a tenere lo sguardo basso e puntato al pavimento – E i loro occhi erano così pieni di rabbia, specialmente quelli del più giovane, il ragazzo con quel terribile occhio di serpente.”
Heluna, immaginando un simile sguardo, rabbrividì: quale essere vivente avrebbe mai potuto avere uno sguardo simile? Il serpente era il simbolo del peccato, del male, del demonio tentatore e chiunque fosse costui, pensò, era un uomo da temere e crudele.
“In questo caso voglio che ogni uomo del regno sia preparato per combattere: non sappiamo se e quando i pagani attaccheranno, ma se dovessero attaccare saremo pronti, e li annienteremo come abbiamo già annientato il loro stolto padre.”



**


“Pensi che possa nuovamente accadere, Judith?"
Chiese Heluna alla sua dama di compagnia quando, quella sera, si ritrovò finalmente sola nelle sue stanze. Judith, oltre ad essere la sua dama, era anche una delle sue più care amiche: le due fanciulle si conoscevano sin da quando erano piccole, essendo il padre della fanciulla dai capelli mori e gli occhi da cerbiatto un fidato consigliere del sovrano di Northumbria; avevano anche la stessa età e Heluna considerava Judith come la sorella amatissima che non aveva mai avuto.
"La guerra, intendo. – proseguì, spiegandosi meglio – Sai, oggi hanno fatto ritorno delle terre del freddo Est gli uomini di mio padre, e le loro parole mi hanno fatto gelare il sangue.”
Heluna aveva ascoltato attentamente ogni parola pronunciata in quella sala vuota, al suo sguardo vigile non era sfuggita la preoccupazione che, celata ma non completamente celata agli occhi più attenti, trapelava dal suo sguardo corrucciato e dall'improvviso muoversi nervosamente sullo scranno.
“E’ probabile, Milady, sì.  – rispose schietta com'era sempre stata l’altra ragazza – I vichinghi hanno un’indole guerriera, hanno già messo in ginocchio alcuni regni vicini, e con la primavera torneranno a razziare come hanno fatto in tutti questi anni.”
“No, non per razziare, - la corresse Heluna – ma per vendicarsi. I figli di Loðbrók vogliono la testa di mio padre, non importa quali parole colme di menzogne abbiano detto, e ho paura che possano riuscire ad averla.”
“Vostro padre li sconfiggerà, non dovete temere. – cercò di rassicurare Judith, posando delicatamente una mano sulla spalla coperta dai lunghi capelli biondi di Heluna – Lui è un sovrano scelto da Dio e dal popolo, ha già respinto la loro temibile avanzata, e lo farà nuovamente se la situazione dovesse ripresentarsi.”
Aye, avete ragione, ma per respingerli avrà bisogno di alleati e quale miglior modo di legare i propri sudditi se non un matrimonio? – chiese retorica – Io sono la sua unica figlia, Judith, e i lord che bussano alla porta di mio padre per chiedermi in moglie si moltiplicano ogni giorno di più. L’ultimo è stato il Conte Æthelred, quell’uomo spregevole e infido, un uomo molto più grande di me che ha già seppellito due mogli.”
“Non fraintendere, - proseguì la giovane principessa – so qual è il mio posto e sono sempre stata consapevole del mio destino, eppure non posso tollerare di essere una pedina in un gioco più grande di me; non posso evitare di sentirmi come mi sento adesso, misera e infelice, figlia di un uomo che non mi ha mai mostrato affetto e mi vede come il fallimento di mia madre nel dargli un figlio maschio che possa succedergli.”
In verità, c'erano stati dei figli maschi, bambini nati sani e forti, battezzati e designati a succedere al padre; poi era arrivato l'inverno, la febbre, una malattia a cui i medici non avevano saputo dare nome e i bambini erano morti nella culla, poco dopo aver mosso i primi passi e imparato a parlare. Solo lei era rimasta, femmina inadatta alla politica, alla spada, al potere, per cui nessuno si era mai troppo preoccupato o aveva dimostrato affetto.
“Ma vostra madre è morta da quasi cinque anni oramai e se il sovrano avesse davvero voluto un figlio maschio si sarebbe risposato, iniziato delle trattative con la Mercia o il Wessex.”
“E chi dice che non siano già in corso? – Heluna si allontanò dal focolare e si avvicinò alla finestra ogivale della sua stanza – Prima mi venderà come fossi del bestiame a qualche lord, così da mandarmi lontano, potersi risposare con una giovane fanciulla così da avere l’erede tanto agognato."
Rabbrividì al pensiero delle mani raggrinzite e affette da artrite di qualche lord che si posavano sulla sua pelle. "Presto sarò dimenticata, relegata in un luogo freddo e inospitale per il resto della mia vita, fino a quando i lunghi anni della mia vita non saranno consumati e la mia bellezza svanita lontana, così come la speranza di provare anche solo ogni briciolo di felicità.”
La sua voce si spezzò, e improvvisamente priva di forze Heluna si accovacciò su se stessa e scoppiò in un pianto disperato, simbolo di quel malessere più pesante di lei.


 
**


Nello stesso momento a Gamla Uppsala3 i fuochi stavano squarciando la notte con le loro alte fiamme e i tamburi suonavano incessantemente tra le ombre dei possente alberti, così forte che pareva che i giganti, rilegati nel regno di Jötunheimr, uno degli otto mondi separato da quello degli uomini, stessero cercando di distruggere con la loro forza bruta le alte montagne che dividevano i due regni.
Erano trascorsi anni dall’ultima volta in cui Sigurd si era recavo nel grande tempio che, come la leggenda narrava, era stato eretto dal dio Frey, il quale aveva trovato in Uppsala la sua principale dimora; erano anni che non si ritrovava in quel sacro luogo insieme ai suoi fratelli. L’ultima volta in cui aveva raggiunto quelle sponde della Svezia era stato suo padre a condurre là le barche, a capeggiare la fila ordinata di uomini per il ripido sentiero che, dal fiume Fyrisån, si prolungava per chilometri attraverso la tetra foresta, tra gli alberi sempreverdi di cui era impossibile vedere la cima.
Sacrifici erano stati fatti in quei giorni appena trascorsi, bestie sane e forti erano stata immolate sotto le statue d’oro di Odino, Thor e Frey4,  al cospetto dell’intera popolazione svedese – non solo jarl e re ma anche pescatori e guerrieri – accorsa per i consueti riti consumati attorno all’imponente dimora dalle catene dorate.
I figli di Ragnar erano giunti con le loro drakkar come si erano ripromessi, con il solo scopo di pregare Odino e Thor affinché riuscissero con la loro benedizione a vendicare il loro grande padre da sempre devoto agli Æsir, renderli onore nel modo in cui meritava.
In quella sera privi di stelle, in cui la Luna era solo una sottile lama argentata nel cielo e l'aria era pregna dell'odore della terra ancora bagnata dopo giorni di pioggia, Sigurd osservava in silenzio i fuochi che scintillavano nei suoi occhi colmi di rabbia, andando ad alimentare quello che da settimane bruciava al centro del petto in attesa di essere consumato nel sangue dei suoi nemici: solo il pensiero della vendetta lo faceva sentire vivo e solo le promesse fatte da coloro che per lui erano le persone più care al mondo erano riuscite a calmare momentaneamente la sua sete di sangue, del sangue dei messaggeri inglesi e di ogni persona in quel momento presente in città che avesse sangue sassone.
Ripensò alle parole di Gorm, ai suoi occhi tristi e disperati quanto i propi; lo osservò mentre se na stava seduto poco distante da lui e si tranquillizzò ricordandosi che sarebbe stato al suo fianco come sempre, così come anche Bjorn e Hvìtserk, i suoi fratelli maggiori che avrebbero presto preso il largo con i loro uomini verso la Northumbria.
Il momento era propizio, il Veggente stesso lo aveva dichiarato più volte; il regno a Nord della Mercia era dilaniato dalla guerra civile, dal malcontento della popolazione e la loro furia sarebbe bastata per disintegrarlo per sempre.
Presto, molto preso, l’aquila e il corvo si sarebbero levati in cielo, conficcato i loro artigli nella schiena di Ælle, dilaniato le sue carni e banchettato con il suo cuore.




 

*



1: Antico nome della città di York.
2: In molte fonti storiche e letterarie il suo nome norreno è Blaeja, più tardi conosciuta con il nome anglosassone di Heluna. In questa mia storia, io ho scelto di utilizzare il secondo nome.
3: Non è noto il nome della moglie di Ælle, quindi il suo nome è stato ispirato al telefilm Vikings, in cui la moglie del sovrano di Northumbria porta quel nome.
4: Senz'ossa: soprannome attributo a Ivar che, secondo fonti più o meno storiche, era affetto da Osteogenesi Imperfetta e non aveva l'uso degli arti inferiori.
5: Gamla Uppsala, letteralmente Vecchia Uppsala.
6: Frey, Dio nordico della poesia, della fertilià e della bellezza. Può identificarsi nell'Apollo dei Greci/Romani.

 


 
Angolo Autrice: E riccomi con il terzo capitolo in cui finalmente conosciamo Heluna e tutte le sue sciagure. Ma, non a caso, nella profezia lei viene descritta dal veggente come "principessa dagli occhi tristi", e qui lo si capisce meglio.
Sigurd sta arrivando in Northumbria, ancora un paio di capitoli e i due giovani si conosceranno, e chissà cosa accadrà.
Infine, come sempre, ringrazio tutti voi che avete deciso di seguire questa mia storia e avete lasciato un commento. Grazie, grazie, grazie.
Alla prossima,
V.

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Capitolo 4
*** 04. ***




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Capitolo corretto e ampliato: 24/04/17




Il vento di Nord-Ovest accarezzava le vele della nave lunga e il corvo nero sbatteva le sue ali spiegate.
Þyri stessa aveva ricamato quelle vele per le sinuose drakkar dei suoi fratelli, così come le aveva ricamate tempo prima per quelle del suo defunto padre, nella speranza che portassero vendetta agli Angli e vittoria alla sua gente.1               
Il momento era propizio, i sacrifici erano stati compiuti a Uppsala, e al solstizio d’inverno la flotta guidata dai suoi fratelli avrebbe fatto rotta verso l’Inghilterra e la Northumbria; il momento tanto atteso e temuto era oramai alle porte e lei, ultima e unica figlia di Ragnar Loðbrók e della sua seconda moglie Aslaug, sarebbe rimasta in attesa con il cuore colmo di preoccupazione.



«Vedo un’aquila di sangue, – le aveva predetto il Veggente – un nuovo inizio dopo la morte e la distruzione, un principe con i capelli di fuoco e una principessa dagli occhi tristi, e i figli del Nord prosperare per mille anni.»        




Queste e solo queste erano state le parole, risposte nebbiose alle domande che, al calare delle tenebre del giorno in cui era giunta per mare la funesta notizia della morte del padre, la fanciulla aveva porto al cieco indovino con voce spezzata e le guance rigate da lacrime, nella speranza di dare un senso a tutto quel dolore che solo gli dei avrebbero potuto giustificare.
Þyri non aveva il dono della vista come sua madre, i sogni premonitori di suo fratello Sigurd, e persino i suoi sforzi di diventare una moglie di lancia e seguire le orme di suo padre e dei suoi fratelli si erano dimostrati vani.
Lei, diciassettenne principessa norrena, aveva solo la bellezza – una bellezza che, si diceva, non aveva eguali in alcun regno – e ben presto sarebbe andata in sposa ad un nobile guerriero degno di lei e del suo grande nome.      
Suo fratello Ivar avrebbe pensato a quello, o il sempre allegro Bjorn, così da incrementare le alleanze in un momento tanto incerto come quello posteriore alla morte di Ragnar: probabilmente sarebbe stato Ingjald di Uppsalla o Olaf Olstensson2, o ancora a…

“Non dovreste essere triste, Þyri Ragnarsdottir3, tantomeno essere preoccupata per i vostri fratelli. – una voce che non sentiva da tanto la destò dai suoi pensieri – Avranno alleati al loro fianco, una flotta ben addestrata e amici fidati.”     
“Gorm! – esclamò sorpresa – Cosa ci fate voi qui?”  
“Volevo stare solo e riflettere prima della partenza. Pensavo che questa torre vedetta abbandonata fosse un buon posto, ma a quanto sembra è già occupata.”
“Non temo la sorte dei miei fratelli, se è questo che credete, - disse piccata, rispondendo all'insinuazione fatta appena prima dal principe - confido nella loro esperienza e nei loro amici, ma non posso non pensare a tutti coloro che perderanno la vita e pregare Odino affinché li accolga nel Valhalla insieme ai guerrieri meritevoli.”
Gorm annuì distrattamente, ritenendo più che giuste le parole della fanciulla e, senza poterlo impedire, diede voce ai pensieri che da giorni affollavano la propria mente: “Siete cresciuta molto dall’ultima volta che ci siamo visti. Quando vi ho rivista ho stentato a riconoscervi, ma poi mi avete sorriso e ho capito. – confessò – Siete molto bella.”
Quando lo aveva rivisto dopo anni, seduto in un angolo non troppo distante dalla grande pedana riservata alla sua famiglia, anche Þyri aveva in un primo momento faticato a riconoscerlo: il suo corpo non era più gracile, ma slanciato e muscoloso, e il suo viso non era più quello di un bambino, ma era contornato da una folta barba rossiccia degna di un vero vichingo; eppure, per qualche strano motivo, il suo sguardo era rimasto intatto ed erano stati proprio i suoi occhi a farle nascere un fugace sorriso sul viso di porcellana, un sorriso che lei aveva prontamente nascosto dietro un’espressione severa e impassibile.
Il suo cuore, però, non riusciva a nascondere la gioia per quell’incontro, la sua gratitudine agli dei per aver fatto nuovamente incontrare le loro strade.           
“Preferirei essere impavida e coraggiosa, una moglie di lancia; preferirei solcare i mari con i miei fratelli e non cucire le loro vele. – confessò, anche se erano ben altre la parole che avrebbe voluto rivolgergli, tante le domande che avrebbe voluto porre  – La bellezza è effimera, con il tempo scomparirà, sono la forza e la fedeltà dei propri uomini che durano e contano davvero.”      
“Capisco… - le si affiancò -  Le vostre parole sono giuste e sbagliate allo stesso tempo, poiché credo che anche la gentilezza e la compassione siano doti nobili in una donna come voi: tutti qui vi amano, Þyri, hanno solo parole gentili e di encomio per voi sin da quando eravamo bambini e dividevamo il pane nel salone di vostro padre.”         
Una folata di vento più potente delle altre entrò dalla finestra diroccata, andando a scompigliare i lunghi capelli di Gorm, dando loro le sembianze di lingue di fuoco che si sprigionavano dal cuore di una pira di legno, e fu quello il momento in cui Þyri capì: era lui, lui era il principe con i capelli di fuoco di cui aveva parlato il Veggente, il prescelto dei suoi fratelli.
“Perché siete qui? – chiese con improvviso astio – Cosa volete davvero da me e chi vi ha detto che mi avreste trovata in questo luogo tra tutti?”
Bjorn sapeva del suo nascondiglio segreto, e anche Sigurd, lo stesso Sigurd che era da sempre il migliore amico del principe danese che le stava davanti e che con molta probabilità muoveva i fili invisibili legati al corpo del giovane come una divinità burlona e annoiata.
“Ve l’ho detto, cercavo un posto in cui riflettere in pace e…”         
“Bugiardo! – lo apostrofò – E’ uno dei miei fratelli che vi manda, il vostro amico Sigurd, che tanto brama per creare alleanze a suo favore; è lui che ha deciso il mio futuro senza neanche consultarmi, che mi ha venduto come una bestia da soma, senza pensare per un secondo ai miei desideri.”                 
“No, vi sbagliate: sono stato io a chiedere la vostra mano, lui non ha mai pensato ad un tale accordo e neanche Ivar o Bjorn conoscono le mie intenzioni. Sigurd non vi ha venduta, lascerà a voi l’ultima parola, vi vuole bene e non vorrebbe mai vedervi infelice.”
Þyri trattenne il fiato, sentendosi improvvisamente sciocca, e abbassato lo sguardo poggiò una mano sul viso arrossato.  
Che sorella ingiusta era stata, pensò, quali accuse spregevoli aveva mosso al suo povero e innocente fratello: Sigurd voleva la sua felicità, da sempre voleva per lei il meglio, e quale partito e uomo migliore del gentile e nobile Gorm?  
Dopo tutto, un tempo erano state molte le voci che li volevano promessi sposi, che sussurravano di segreti accordi tra i loro padri per rafforzare attraverso un matrimonio i legami tra i due regni. Eppure, niente di tutto ciò era mai stato annunciato ad alta voce…
Fece un passo nella sua direzione, poi un altro, intrecciando tra le dita tremanti della propria mano una ciocca dei lunghi capelli rossi dell’altro e osservandoli mentre nella sua testa rimbombavano ancora una volta le parole del veggente.     
“Come sono sciocca. – disse – Mi dispiace per avervi offeso, Principe, per aver messo in dubbio l’onore vostro e dei miei fratelli. Vi chiedo perdono.”          
“E io accetto le vostre scuse. – rispose posando la propria mano su quella più esile di lei – Mi accetterete come marito, Þyri?” 
Þyri alzò lo sguardo, indecisa su cosa rispondere, confusa da quella nuova situazione, dai suoi sentimenti e da quelli che avrebbe potuto provare per Gorm; certo, lui era stato suo amico un tempo, tra loro non c’era molta differenza di anni – sette era un numero accettabile – ma lei era pur sempre la figlia di Ragnar Loðbrók e chiunque, anche il giovane danese un tempo suo compagno di avventure, avrebbe dovuto combattere per meritarla e averla in sposa. 
“Questo dipende da come tornerete dalla battaglia, se tornerete, e da quanto i vostri sentimenti per me sono sinceri. – rispose in tono provocatorio – Non posso darvi il mio cuore come se questo non significhi nulla, ma posso dirvi che durante la vostra assenza ci rifletterò."
"Inoltre, - aggiunse la fanciulla, sfilandosi dal polso sinistro un bracciale d'oro e argento dalle trame intrecciate – posso darvi questo come pegno di questa mia promessa.”  
Gorm accettò il bracciale, stringendolo con orgoglio nella sua mano, indossandolo a sua volta e soddisfatto le sorrise e le baciò entrambe le mani con devozione.
"Che ci crediate o meno, non mi aspettavo altre risposte se non questa. – rivelò sornione – Siete molto più saggia di me, dolce Þyri. So che prenderete la decisione migliore per voi stessa e per il vostro futuro."
"Dunque giurate di non cercare vendetta qualora io dovessi rifiutare?"
"Mi credete tanto spietato da muovere guerra contro coloro che considero sangue del mio sangue?"
Gorm parve profondamente offeso da quella insinuazione e Þyri, che aveva mosso quelle accuse, si pentì immediatamente di aver accusato l'amico d'infanzia di tale calunnia, di aver pensato anche solo un momento che si fosse trasformato in uno di quei tanti jarl assetati di sangue e pronti a dichiarare guerra per qualsiasi futile motivo pur di accrescere il proprio potere.
"No, non lo credo, non adesso che sono riuscita finalmente a parlare con voi e capire che nulla è cambiato nel vostro animo: siete sempre voi, il giovane gentile da cui non riuscivo a separarmi quando ero piccola, che per me era come un fratello."
Trovò il coraggio per alzare lo sguardo e fu sollevata nel vedere il giovane principe sorriderle. Di rimando, anche lei sorrise. "Mi racconterete dei vostri sogni quando tornerete? – chiese, una domanda che lasciò inizialmente perplesso Gorm – Cercate di ricordare chiaramente tutto ciò che sognate e poi raccontatemi di quei sogni. Lo farete, Gorm Knutsson?"
“Sì, lo farò. Darò attenzione a ogni sogno che Odino mi concederà e, quando avrò aiutato i vostri fratelli a vendicare vostro padre, state cerca che tornerò da voi e riuscirò a conquistare la vostra ammirazione e il vostro cuore, persuadendovi a sposarmi.”
Con ancora l’ombra di un sorriso sul volto prese congedo da lei e svelto scese la scale a chioccia e tornò dai suoi compagni e amici per bere insieme a loro e trascorrere la penultima serata prima della partenza.        



 

**



I lunghi capelli sciolti, mossi dalla fredda brezza del mare del Nord, gli solleticarono il viso eppure Sigurd non se ne curò.     
Era l’alba che anticipava la loro partenza e, come tutte le notti che precedevano una spedizione, non era riuscito a trovare riposo: combattendo contro la necessità di recarsi dal Veggente per chiedere consiglio e cercare risposte tra le sue parole nebulose, aveva trascorso la notte a bere fino a stordirsi ed essere condotto di peso al suo giaciglio sul quale si era dibattuto irrequieto, senza trovare pace.           
Sigge! – suo fratello Bjorn si portò al suo fianco e gli sorrise sghembo - Anche tu sveglio prima dell’alba?”    
“Non riesco mai a dormire prima di una spedizione o di una battaglia, la mia mente mi preclude il sonno e mi fa rimuginare e dubitare sulle decisioni prese.”           
“Non temere, fratellino, tutto andrà secondo i piani e la Northumbria cadrà ai nostri piedi. – rassicurò il maggiore – Siamo pur sempre i figli di Ragnar e tu, più di tutti, garantisci la vittoria.4
“Con il tuo fianco di ferro posso dirmi tranquillo.5 – scherzò l’altro giocando con il suo nome come aveva fatto Bjorn – Non fraintendermi, fratello, sono fiducioso e so che riusciremo a vendicare nostro padre, ma non posso fare a meno di essere turbato dai miei sogni e dalle parole del Veggente.”           
“Sono tornati, dunque? – chiese retoricamente – Avevo il sentore che lo avessero fatto ma non ne ero sicuro. Dimmi, cosa hai visto?”           
“Inizialmente non avevo capito, il sogno e quel cinghiale ucciso dai serpenti non aveva alcun senso, ma poi i messaggeri di Aelle sono giunti e tutto è stato chiaro. – lo guardò con la coda dell’occhio – Ecco perché ero così furioso, assetato di vendetta, pieno di rancore verso Ivar: la sua decisione è stata per me un tradimento, un segno di debolezza, e non so se potrò mai dimenticare.”
“Ivar è più furbo di quanto tu creda, Sigurd, al momento giusto farà la sua mossa e vendicherà il suo nome. – disse sicuro – Che altro hai visto?”       
“Corvi, stormi di corvi neri, e un’aquila imbrattata di sangue.  ̶  sospirò – E poi ci sono gli occhi, quegli occhi così freddi e tristi da spezzarmi il cuore, da tormentarmi anche da sveglio. Ma è tutto nebuloso, inspiegabile, e quel vecchio non fa altro che confondermi.”
“Ti ha parlato dei figli del nord, non è così? – chiese sbalordendo Sigurd – Ne ha parlato anche con me, preannunciandomi la loro gloriosa sorte, ma non capisco se saremo noi i figli che intaglieranno l’aquila oppure la nostra progenie.”      
“Aquila intagliata?” chiese Sigurd aggrottando la fronte.   
“Un’aquila intagliata nel sangue, 6, e un florido regno a sud della Francia. – disse senza staccare i suoi occhi dal mare – Quando tutto sarà finito partirò alla ricerca di quel regno e conquisterò i loro territori e le loro ricchezze come abbiamo tante volte fatto in passato.”
I due fratelli si scambiarono un’occhiata complice, rimanendo in silenzio ad osservare il sole sorgere e specchiarsi sul mare increspato, godendo della rassicurante presenza dell’altro e di quello spettacolo che non avrebbero rivisto tanto presto.   

Il corno risuonò due ore più tardi, infrangendo il silenzio del villaggio, e da ogni parte iniziarono a riversarsi uomini vestiti di pelle e cuoio bollito che brandivano asce e scudi colorati; l’esercito era pronto alla partenza, silenzioso riempì le navi lunghe ormeggiate sulle banchine, acclamando con vigore i loro capitani.        
Sigurd guardò il suo esercito, i suoi amici di una vita, i suoi fratelli di spada e quelli di sangue e con sguardo fiero si accinse alla partenza.   
“Arrivederci, madre mia. – salutò con devozione la donna che l’aveva messo al mondo, porgendo i suoi rispetti come da tradizione, come ogni buon figlio – Porterò onore al nostro nome e alla memoria del vostro defunto sposo.”     
“So che lo farai, figlio mio. – sorrise lievemente – Possa Odino proteggerti e Thor darti la forza.”
Dopo Aslaug fu il turno di Þyri, la quale aveva avuto fino a quel momento occhi solo per Gorm, attirato con timidi sorrisi l’attenzione non solo di quest’ultimo ma anche di suo fratello.   
Sigurd era stato il primo a cui Gorm aveva rivelato le sue intenzioni, l'unico al quale il principe dello Jutland aveva rivelato i forti sentimenti provati quando, giorni prima, aveva rivisto, dopo tanti anni, la bella figlia di Ragnar e Aslaug. Solo e soltanto a lui aveva chiesto il permesso di avvicinare la giovane, parlarle per poter imparare a conoscersi nuovamente, e benché geloso come ogni fratello della propria sorella, Sigurd aveva accettato di buon grado, rimembrando i voleri di suo padre, il desiderio di Ragnar di dare in sposa sua figlia al figlio di Knut, al giovane che era stato suo figlioccio.
“So cosa hai fatto. – gli disse la sorella in un sussurro quando Sigurd l’abbracciò – Sappi che non ho intenzione di rendere facile la cosa al tuo amico: dovrà combattere per avermi, per avere la figlia di  Ragnar Loðbrók come sua sposa.”     
“Non ne ho mai dubitato. – confessò sornione prima di baciarle il capo – Prenditi cura di nostra madre, mia amata sorella, e se puoi cerca di persuadere Ivar a venirci in aiuto.”
“E tu non essere imprudente o stupido: sei giovane, il Valhalla può attendere, così come nostro padre.”          

Sigurd prese posto sulla sua nave lunga, osservò le vele venire spiegate e il corvo sbattere le sue possenti ali in segno di buon’auspicio, e con un cenno autorevole diede ordine di suonare un ultima volta il corno e remare verso il mare aperto.

 


*



 
1: Nel Ragnarssona þáttr si narra che furono le figlie di Ragnar a decorare le vele delle navi lunghe che partirono alla volta della Northumbria.
2: Ingjald di Uppsalla o Olaf Olstensson furono due eroi della Saga di Thorstein. Il primo, in particolare, era il nipote del Re Eystein già citato nel secondo capitolo.
3: Ragnarsdottir, corrispettivo femminile del termine Ragnarsson, letteralmente significa figlia di Ragnar.
4: Letteralmente il nome Sigurd significa guardiano della vittoria, nome composto da Sigr, vittori,  e varðr, guardiano.
5: Si riferisce al soprannome di Bjorn, detto Fianco di ferro.
6: jú, antica forma della parola sì. Sarebbe il corrispettivo dell’aye inglese-britannico.

 
 
Angolo Autrice: Salve, gente! Rieccomi con il nuovo capitolo, in cui ho dato spazio alla figura di Gorm e a quella ti Þyri - si legge Thiri, con il th - che, in questa mia storia, è la sorella di Sigurd. Nella Saga dei Jomsvikings, infatti, Gorm sposa sì Þyri, ma lei è la figlia dello Jarl Klakk-Harald dello Holstein; in questa mia versione, invece, ho voluto prendermi la libertà di cambiare la paternità della ragazza così da semplificarmi la narrazione e farla fluire in maniera più facile da seguire. Sempre nella saga, inoltre, lei chiede a Gorm, ovviamente in diverse circostanze, di ricordare i suoi sogni e di raccontarle ciò che ha sognato durante il loro successivo incontro.

Alla prossima,
V.

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Capitolo 5
*** 05. ***




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La tempesta arrivò tre giorni dopo e fu violenta e spietata.
Onde alte e temibili si riversarono sulla flotta vichinga, facendo oscillare le navi lunghe, strappando vele e lasciando imprecazioni sulle labbra dei soldati dal viso oramai provato. Ad ogni più piccolo movimento le assi scricchiolavano pericolosamente sotto il peso delle onde e di quello dei norreni dai polmoni saturi del forte odore salmastro che impregnava non solo i loro capelli inzuppati di acqua piovana mista a quella marittima, ma anche il legno sempre più ingrossato dal mare.
Sigurd faceva del suo meglio per impartire ordini abbastanza acuti da sovrastare il tuonare delle tetre nubi illuminate solo dai lampi, scrutare il cielo grigio attorno a lui alla disperata ricerca della tanta agognata terra; instancabile, remava da ore insieme ai suoi uomini cercando di contrastare la marea che, più di una volta, avevano tentato di farli affondare spezzando le assi di legno sotto i loro colpi.
Anche Bjorn e Hvìtserk facevano del loro meglio per tenere insieme le navi, mentre Gorm stava iniziando la tragica conta dei uomini già dispersi in mare, e tutti loro pregavano Odino e Thor affinché la tempesta cessasse al più presto: non mancava molto oramai, le coste dell’East Anglia1 erano oramai prossime, e con un po’ di fortuna avrebbero risalito il fiume Humber2 nel giro di quattro giorni.
Urla disperate sovrastarono il rumore del mare e del temporale: Gorm dovette disporre di tutta la sua forza per aggrapparsi ad una robusta fune e non venire risucchiato nel torbido vortice oscuro che si apriva sotto di lui, fu costretto, occhi sgranati dal terrore, a guardare impotente alcuni dei suoi uomini venire inghiottiti nella penombra del crepuscolo nascosto.
Ubbe!” cercò invano di afferrare la mano del ragazzo, fallendo nell'afferrarla con la sua scivolosa e tremante, si ritrovò incapace di fare altro se non vederlo mentre cadeva in acqua e scompariva per sempre alla vista di tutti loro.
Aveva da poco compiuto vent’anni, pensò amareggiato, quella era stata la sua seconda spedizione; aveva tutta la vita davanti, una famiglia da creare, una madre che non lo avrebbe mai più rivisto o abbracciato ad aspettarlo con impazienza nel suo villaggio di pescatori.
Troppo presto, si disse il principe danese, era morto troppo presto.
I pensieri del guerriero andarono alla sua casa, a suo padre, a Þyri: le aveva solennemente giurato che sarebbe ritornato sano e salvo per aver una sua risposta, che l’avrebbe convinta a sposarlo, a diventare sua moglie, formare con lei una famiglia e avrebbe mantenuto quella promessa.
Avrebbe rivisto Þyri, giurò mentre osservava il bracciale che lei gli aveva donato; l’avrebbe nuovamente stretta tra le braccia e baciato quelle morbide labbra piene che non riusciva a non sognare ogni notte.
Sì, sarebbe tornato, e anche Sigurd e Bjorn e Hvìtserk: avrebbero compiuto la loro missione, la loro vendetta, fatto ritorno vittoriosi ai loro amati fiordi.
“Remate! – urlò con tutta la forza che ancora aveva nei polmoni saturi dell'aspro odore di salsedine – Remate, amici miei, non permettete a Hel3 di sedurvi con il suo fascino infernale.”
Nello stesso momento, sulla nave lunga comandata da Sigurd, uno dei suoi uomini avvistò tra il manto di nubi grigie lo sbatter d’ali di un candido gabbiano.
“Einar, sei sicuro?” chiese con occhi socchiusi il giovane vichingo.
“Un gabbiano, l’ho visto! – esclamò di rimando il norreno, pregando Odino affinché quello non fosse uno dei tanti trucchi di Loki per prendersi gioco dei mortali – Un gabbiano oltre le nubi, mio principe, un gabbiano! La terra è oramai prossima.”
L’entusiasmo si diffuse tra gli uomini, che si concessero un urlo liberatorio dopo quasi un giorno di disperazione e sconforto, ma non in Sigurd, il quale continuò a scrutare attentamente il cielo ammantato di grigio: se c’era una cosa che aveva imparato durante gli anni passati al fianco di suo padre Ragnar, era che la fame e la speranza spesso ingannavano gli occhi degli uomini, mostrando loro cose non vere.
Eppure, in quel momento, sperò con tutto il suo stanco cuore che il gabbiano che Einar aveva giurato di aver visto fosse reale: la flotta era allo stremo, le perdite erano state troppe per una tempesta e l’assenza di sonno e forze li stava consumando velocemente.
Guardò il corvo, ricamato minuziosamente sulle vele da sua sorella poco prima della loro partenza, sbattere le ali come impazzito. Ricordò le parole che gli aveva detto il Veggente e i sogni che avevano abitato la sua mente: avrebbe avuto la sua vendetta, suo padre sarebbe stato vendicato; l’aquila era pronta ad attaccare e poi c’erano quegli occhi…
Avrebbe trovato anche quelli nella terra degli angli, insieme a loro le risposte alle domande che lo tormentavano, ma prima era suo compito portare i suoi uomini in salvo raggiungendo le coste dell’Est Anglia e della Northumbria.

 

 

**



Suo padre entrò nelle sue stanze senza essere annunciato. Nonostante il solito aspetto impeccabile e gli abiti dalle fogge preziose che avvolgevano la sua massiccia figura, il suo andamento nervoso e i suoi occhi sgranati erano presagio di cattive notizie, di giorni difficili e minacce al suo regno.
Heluna smise immediatamente di leggere, osservando mortificata la sua amica Judith e le altre ancelle venire bruscamente cacciate come delle serve qualsiasi, suo padre riempirsi una coppa di vino e berla in un lungo sorso.
“Padre. – lo salutò con un’accennata riverenza, alzandosi dalla lignea sedia quando rimasero soli – Cosa vi porta nelle mie stanze?”
Ælle la guardò di sbieco, ammirando il candore del suo viso accentuato dalla veste bianca, i suoi lunghi capelli biondi raccolti in trecce, e posata la coppa sorrise algido. Un sorriso che fece rabbrividire Heluna.
Quella mattina erano giunti a York dei messaggeri proveniente dal confine sud con funeste notizie circa lo sbarco di navi lunghe appartenenti ai pagani vichinghi nelle coste dell’Est Anglia: attraverso i loro dettagliati racconti, il sovrano della Northumbria era venuto a conoscenza del pagamento di cavalli e cibo fatto dal codardo Re Edmund affinché non attaccassero le sue terre appena riconquistate, delle possenti drakkar dalle prue a testa di drago che si stavano preparando a risalire il fiume Humber per attaccare la Northumbria.
Gli stendardi con i corvi dalle ali spiegate avevano dichiarato la loro provenienza, tradito la loro identità e adesso Ælle sapeva chi fossero e il motivo del loro inaspettato attacco – solo la vendetta avrebbe potuto spingere i figli di Ragnar Loðbrók ad attaccare in inverno e non in primavera.
Il sovrano sapeva di essere impreparato, di non avere abbastanza uomini a sua disposizione, di avere solo una possibilità per sconfiggere i pagani: chiedere aiuto a Osberth, l’uomo che per anni aveva cercato di riprendersi il trono che gli era stato strappato dalla sua stessa gente e formare con lui un’alleanza di sangue che avrebbe portato una pace duratura nel regno.
“Devo parlare con te, Heluna, e voglio che tu mi ascolti attentamente. – rispose incolore – I pagani hanno infranto la loro parola menzognera, sono sbarcati contro ogni nostra previsione due giorni fa sulle coste dell’Est Anglia. Come avevo temuto, vogliono vendetta per la morte del loro signore Ragnar e questo significa che metteranno il nostro amato paese in ginocchio e non esiteranno a chiedere la mia testa.”
“No! – Heluna sgranò gli occhi e si coprì la bocca con le mani al sol pensiero della furia che accompagnava quegli uomini simili a demoni – Dovete fermarli a qualunque costo, padre!”
“Fermarli è quello che ho intenzione di fare. Fermarli e sconfiggerli è ciò che farò, ma prima ho bisogno di richiamare i vessilli e fondare delle alleanze stabili e durature per assicurarmi la vittoria e la pace. – si avvicinò a Heluna guardandola con occhi talmente freddi da farla indietreggiare – Ho bisogno di Osberth, dei sui sostenitori, e quale modo per assicurarmi la sua totale fedeltà se non dargli in sposa la mia unica figlia con la promessa del frutto della loro unione come mio erede al trono?”
“O-Osberth? – balbettò incredula Heluna – Padre, egli è stato per anni un vostro nemico, ha fatto di tutto per screditarvi e spodestarvi e…”
“E ora diventerà un prezioso alleato. – concluse al posto suo – Non posso affrontare i pagani da solo, verrei annientato alla prima occasione, e anche tu con me. E’ questo che vuoi, Heluna? Vuoi diventare una schiava e passare il resto della tua vita in miseria?”
“No, certo che no… - rispose sommessa – Tuttavia Osberth è anziano, il suo cuore è diventato pietra dalla morte della sua amata moglie, e per questo vi supplico di ripensarci e non condannarmi a questo futuro infelice.”
Ælle contrasse la mandibola, per nulla contento di sentire tali obiezioni, e senza dire nulla si avvicinò ancor di più a sua figlia.
“Mia cara, - sussurrò mentre alzava una mano per sfiorarle una guancia – pur di assicurare il mio potere sulla Northumbria e la fedeltà dei lord sarei disposto a fare qualsiasi cosa: vederti infelice, darti in sposa ad uno di quei barbari come fio da pagare per la morte del loro dannato padre, persino permettere al loro esercito di svagarsi con il tuo virgineo corpo.”
Le afferrò il viso con forza, trasformando la precedente carezza in una violenza, spingendola all’indietro e costringendola a sorreggersi al ligneo tavolo alle sue spalle per non perdere l’equilibrio.
“Il fidanzamento sarà annunciato tra due giorni! – esclamò piccato mentre due dei suoi segugi facevano capolinea guaendo dalla porta semiaperta – Sono fiducioso che sarai tornata alla ragione in tempo per l’evento e che non ci saranno drammi di alcun tipo.”
Heluna percepì la propria bile risalirle la bianca gola ancora nella stretta di suo padre; gli occhi le si velarono con lacrime che ricacciò indietro con ogni grandello di forza di volontà e solo quando accennò un lieve movimento di assenso suo padre la liberò dalla morsa della sua callosa mano. Con un fischio allegro richiamò i due cani che, scodinzolando, lo seguirono ubbidientemente mentre usciva dalla stanza come se nulla fosse accaduto.
Heluna rimase da sola, lo sguardo perso nel vuoto e il cuore che le batteva forte nel petto, e quando le sue ancelle ritornarono da lei non disse una sola parola: tornò a sedersi composta accanto alla finestra, al suo libro, ignorando le occhiate colme di sospetto e domande di Judith e le sue fredde mani tremanti.



 
**



“Siamo sicuri che questi ronzini siano abbastanza robusti?” chiese Bjorn accarezzando il morbido manto del cavallo che il re Edmund aveva donato loro in cambio della pace.
Alla fine le parole del loro compagno d'armi si erano rivelte veritiere e i norreni erano sbarcati sulle coste straniere, in quella che gli angli chiamavano Est Anglia. Dopo qualche razzia nei villaggi vicini, in cui i norreni si erano procurati cibo e viveri di varia natura non senza spargimento di sangue: saputo del loro arrivo, il sovrano di quelle terre aveva chiesto un frettoloso parlè tra i norreni e alcuni suoi messaggeri, uomini di chiesa rachitici e dallo sguardo arcigno colmo di disprezzo. Attraverso di loro, emissari di un re senza volto rinchiuso dietro delle alte mura sicure, era stato concesso ai norreni quanto avevano chiesto e anche di più, armi finamente forgiate per combattere e legno per riparare le navi lunghe. Non contenti, i figli di Ragnar avevano preteso anche robusti cavalli da utilizzare nella terra ferma e argento per riempire i loro forzieri.
Erano riusciti con il minimo sforzo nel loro intento: Re Edmund era ricorso a qualsiasi vigliacco stratagemma in suo potere per sbarazzarsi dei pagani il più velocemente possibile, ben consapevole della natura bellicosa e iraconda dei vichinghi, la quale avrebbero potuto condurre a un bagno di sangue e mesi di guerra aperta.
I figli di Ragnar e i loro alleati ripartirono con la flotta non appena ripararono l'ultima drakkar alla volta del fiume Humber, pronti pià che mai alla battaglia che li attendeva più a nord, in Northumbria.
“Non sarà il cavallo più maestoso che abbia mai visto, - rispose Sigurd dando una pacca sul fianco dell'animale – ma è in ottime condizioni e se spronato percorrerà molto terreno. Se invece dovesse morire lo macelleremo e ne ricaveremo in ogni caso beneficio per noi stessi e per i nostri compagni.”
“Il mio fratellino, - lo apostrofò scherzosamente Bjorn – sempre pronto a vedere il lato positivo delle cose.”
Sigurd sorrise di rimando, senza ribattere, e incrociate le braccia al petto riprese ad osservare con attenzione la costa verdeggiante poco lontana.
“Ælle sarà stato avvisato del nostro arrivo: non lo coglieremo di sorpresa e risalire il fiume non sarà facile o privo di pericoli.”
“Lo so bene. Edmund non è tanto stolto: se la Northumbria dovesse cadere il suo regno sarebbe il prossimo e poi toccherebbe alla Mercia, a tutti gli altri regni che oseranno sfidarci. Ha bisogno di Ælle, del suo esercito, spera che sia abbastanza lungimirante da mettere da parte i dissidi interni per combattere il nemico comune.
Coglierà qualsiasi opportunità gli si presenterà, - proseguì il maggiore – non si farà scrupoli pur di distruggerci ed è proprio questa sua cecità che potrebbe essere la sua vittoria più grande o la sua totale rovina.”
Bjorn posò una mano sulla spalla di Sigurd e concluse: “Vieni, fratellino, torniamo dai nostri uomini. La battaglia è prossima e gli animi sono furenti; non manca molto, è questione di pochi giorni oramai, e spetta a noi infondere forza e sicurezza.”
“Proprio come dei degni Ragnarsson.”
Ju, come dei degni Ragnarsson.”




 
*




1: l'Est Anglia comprendeva gli attuali territori del Norfolk, Sussex, Essex e del Cambridgeshire.
2: Il fiume Humber delimitava il confine sud della Northumbria con la Mercia.
3: Hel era figlia di Loki e dea degli inferi. Nel suo regno venivano accolte tutte le anime di coloro che non entravano nel Valhalla, ovvero coloro che morivano per malattia, vecchiaia, o per un incidente. Sarebbe il corrispettivo dell'Ade/Plutone per i greci/romani.

 
Angolo Autrice: Salve, gente! Buone feste a tutti e auguri di buon anno anticipati.
Prima di continuare, vorrei fare delle premesse: le vicende di Heluna sono, almeno in questa prima parte iniziale, TOTALMENTE inventate da me: della vera Heluna non ci sono fonti, non ho idea se sia stata promessa a Osberth, il suo ruolo durante l'attacco vichingo alla Northumbria. Ergo, tutto quello che leggerete nei prossimi capitoli sino a più o meno metà della trama non ha alcuna base storica. Al contrario, le vicende di Sigurd hanno una base storico-letteraria.
E, nulla, il banner è tratto da un dipinto di Edmund Blair Leighton, pittore di fine '800, e appena l'ho vista mi ha ispirato ciò che accade ad Heluna in questo capitolo.
Infine, come sempre, ringrazio tutti coloro che leggono in silenzio, seguono e recensiscono. Grazie, davvero.

Alla prossima, V.

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Capitolo 6
*** 06. ***



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Risalire il fiume fu facile, le sue acque si dimostrarono clementi, placide sotto il tocco dei remi delle navi lunghe che ne risalivano il corso.
Erano arrivate nella terra degli angli e dei sassoni da settiman, alcune più danneggiate di altre, tutte rimesse in sesto in pochi giorni: le vele erano state quasi interamente ricucite, le falle nella struttura lignea erano state risanate con delle grezze assi di legno ricavate da alcuni alberi abbattuti con il consenso del debole sovrano dell’Est Anglia, le ceste riempite nuovamente con cibo e bevande.
Nessuno li aveva disturbati sul confine a sud, quello che divideva i territori della Northumbria della Mercia, ma movimenti sospetti erano stati intercettati a nord, nelle terre invernali che conducevano alla città conosciuta anche come Eoferwic.
Ælle aveva mandato scaltri esploratori all’avanscoperta; voci erano giunte alle sue orecchie sull’arrivo inaspettato dei vichinghi, circa i figli di Ragnar Loðbrók in cerca di vendetta.
Andarono avanti finché il fiume lo permise, silenziosi come dei giunchi trasportati dalla corrente: trovato un attracco ideale, le navi vennero ancorate placidamente vicino alla costa, permettendo agli uomini di Sigurd e dei suoi fratelli di raggiungere quest’ultima con delle scialuppe più piccole.
Una manciata di uomini fu mandata a perlustrare la zona, nella ricerca di cibo e di villaggi, di un posto sicuro in cui accamparsi durante i giorni successivi: non erano molto distanti da York, meno di ottocento miglia dividevano la città fortificata e l’esercito venuto dai fiordi, e con un po’ di fortuna avrebbero accerchiato le sue mura entro due settimane.

“Ælle non ci farà così temerari,  - disse quella sera Bjorn ai suoi fratelli, mentre sbocconcellavano pigramente del pesce sotto sale attorno a un fuoco e pensavano ad una strategia – non penserà mai a una presa della città da parte nostra e porterà i suoi uomini in campo aperto. Dopo tutto, nostro padre lo ha sempre attaccato sul terreno, mentre noi lo taglieremo fuori dalla sua stessa dimora e lasceremo il suo esercito a morire di fame.”
“Stai proponendo una distruzioni dei campi e dei villaggi?” chiese Gorm, anche lui partecipe di quella discussione in quanto comandante di tre drakkar1, amico fidato dei principi svedesi.
“Solo alcuni di noi lo faranno. Ci divideremo: una parte dell'esercito espugnerà la città di York e l’altra si occuperà di bruciare i campi e tenere occupato il sovrano e i suoi nobili. – spiegò Bjorn – Io e Hvìtserk lo faremo, mentre tu e Sigurd prenderete la città, impossessandovi non solo delle sue mura ma anche del tesoro di Ælle, di tutto ciò che gli appartiene.”
“Non resisteranno molto con questo freddo, la prima neve è oramai prossima; moriranno di fame o assiderati nelle fredde ore della notte. – concordò Sigurd – Dovranno ripiegare verso ovest o arrendersi, comunque vada ci daranno campo libero per saldare la nostra presa fino alla primavera.”
“Ed è proprio per questo che non ucciderete i cittadini di York! – esclamo Bjorn stupendo tutti – La nostra furia è famosa in queste terre, ma se ci dimostreremo magnanimi e risparmieremo le loro vite, dando così loro la possibilità di mantenere le loro umili case e le poche cose che possiedono, allora li avremo in pugno e, cosa più importante, avremo braccia forti da utilizzare quando lo scontro decisivo con Ælle arriverà.”
“Vuoi che insegniamo loro a combattere?” chiese sbigottito Gorm.
“Perché no? – Bjorn scrollò le spalle – Ci serviranno altri uomini, quindi arruolatene il più possibile, prendete anche le donne se lo vorranno. Insegnate loro a utilizzare una spada, uno scudo, una lancia, ma prima assicuratevi di conquistare la loro fiducia.”
“Cosa ne facciamo dei nobili? – chiese ancora Sigurd – Ælle lascerà qualcuno a difendere la città, nobili e preti, i suoi figli.”
“Ælle ha solo una figlia, di cui ignoro il nome. – lo corresse Hvìtserk – Non ci importa di loro, uccideteli o fate loro degli schiavi, poco importa. Potreste rendere la dolce principessa una donna di piacere, o un ostaggio, o entrambe.”
Hvìtserk guardò Bjorn e i due sogghignarono; Sigurd, al contrario, rimase serio e aggrottò la fronte: qualcosa nelle parole del fratello maggiore lo avevano turbato, lui che non era estraneo alla violenza in battaglia, che aveva razziato e ucciso gente innocente di ogni sesso e religione.
Eppure, quella volta, qualcosa nel tono della voce di Hvìtserk lo infastidì: non seppe dire cosa fosse, a dire il vero non ci diede più di tanto peso e ben presto tornò a discutere di piani d’attacco con gli altri tre e fare stupide battute insieme a Gorm.
Quella notte, alcune ore più tardi, sognò nuovamente gli occhi della ragazza senza volto.


 
**



Osberth arrivò a York con il suo seguito di nobili e il suo esercito tre giorni dopo, pronto ad attaccare i comuni nemici, a suggellare il patto con Ælle e riunire il regno con un matrimonio.
Heluna avrebbe potuto essere sua figlia, si ritrovò a pensare l'uomo quando incontro la figlia del suo vecchio nemico per la prima volta, aveva solo due anni in meno della maggiore delle sue, ma la sua bellezza era rara come un fiore in inverno. Tutti in città erano affascinati da lei, dalla sua compostezza e dalla sua regalità e il vecchio sovrano deposto non fu un’eccezione.
Benché nelle sue vene scorresse il sangue dell’uomo che più aveva odiato in tutta la sua vita, si ripromise di non essere crudele con quella fragile e innocente creatura che non aveva colpe per i soprusi commessi dal padre, di rendere gli anni che avrebbero trascorso insieme il più possibile piacevoli per entrambi.
Tutto ciò che bisognava fare era sposarsi e procreare un erede maschio in salute: una volta adempiuti questi compiti la loro vita sarebbe tornata alla normalità, loro due dei semplici estranei, non più legati da vincoli fisici e carnali.
“Principessa, è un privilegio per me conoscervi, avere l'onore che molti hanno tentato invano di avere: essere la mia futura sposa.”
Heluna si sforzò di sorridere, seduta immobile come una statua di marmo sullo scranno che, per decenni, era stato occupato da sua madre, sebbene nel suo cuore si sentisse affranta e immensamente triste. Osservò impassibile l'uomo un tempo re baciarle la piccola mano con labbra screpolate dal freddo e con garbo rispose: “Lo stesso vale per me, Mio Signore.”
Suo padre era stato irremovibile, quando lei aveva cercato nuovamente di supplicarlo a cambiare idea era incorsa nelle sue ire, si era ritrovata scaraventata a terra dolorante e mortificata.
Il suo destino era segnato, niente e nessuno lo avrebbe cambiato: sconfitta nell’animo, recitò alla perfezione la parte che le era stato chiesto di imparare e per tutto il giorno cercò di apparire felice, di mangiare quello che le veniva servito, ballare insieme al suo futuro sposo e a tutti coloro che le chiedevano un ballo.

Che si prendano pure la vita di mio padre e la mia, si ritrovò a pensare in un momento di sconforto, che i pagani si prendano tutto. Non mi importa, non mi importa, niente ha importanza davanti al futuro che attende questa mia vita infelice.

Sì rimangiò tutto l’istante dopo: Osberth, alla fine, non sembrava una persona malvagia e suo padre era sempre il suo sovrano e il suo signore. Tali pensieri non erano accettati, erano peccato, andavano contro tutto ciò che le era stato insegnato.
Era stata una figlia ingrata, pensò, aveva infranto uno dei dieci comandamenti, disonorato il padre e la madre, e per questo avrebbe pregato Dio e confessato i suoi peccati al prete nella speranza della loro infinita misericordia.

 
  **
 


“Skjaldborg!2urlarono all’unisono Sigurd e i suoi uomini nel cuore della buia notte, portando in alto gli scudi circolari per proteggersi dalle frecce scoccate da chissà dove tra gli alberi ammantati dalla coltre di bassa nebbia notturna.
Mentre a York si stava festeggiando il futuro matrimonio di Heluna e Osberth, un manipolo di uomini fedeli a quest’ultimo era stato mandato a sud per prendere di sorpresa i vichinghi e contrastare, seppur di poco, la loro avanzata.
Gli uomini si unirono in posizione difensiva, coprendosi gli uni con gli altri grazie al muro di scudi, avanzando spalla contro spalla e lentamente verso le frecce assassine.
Le prime file erano occupate dagli húskarlar, guerrieri al servizio dei propri lord e attendenti, mentre dietro i comandanti davano disposizioni su come procedere.
Sigurd era tra questi ultimi, impaziente di far scorrere sangue della Northumbria, di sentire ancora una volta il brivido che la battaglia infondeva.
I soldati erano pochi, la maggior parte arcieri poco esperti, uomini di evidente ceto sociale basso – contadini, forse anche schiavi, qualche esploratore – e non fu difficile per loro sconfiggerli: il muro di scudi fu resistente, anche se accerchiati riuscirono a caricare e farsi valere, colpire con le loro asce e le loro spade mulinate nell’aria.
I loro urli rimbombarono nella foresta deserta, il nome di Odino fu gridato a squarcia gola, i loro corpi mezzi nudi o coperti di pelle bollita iniziarono a colorarsi di sangue umano e piano piano i nemici iniziarono a cadere uno dopo l’altro.
Quando tutto fu concluso, e solo tre uomini furono lasciati andare affinché consegnassero lo sventurato messaggio ai loro signori, un urlo collettivo di gioia si alzò prepotente e la ferocia lasciò posto alle risate e alla gioia.
“Ben fatto, ragazzo. – disse Sigurd a uno dei suoi uomini – Visto, Gorm, non è stato poi così difficile? Abbiamo chiesto agli dei sangue e sangue abbiamo avuto.”
“Erano impreparati, vittime sacrificali, sconfiggerli è stato fin troppo facile. – il principe danese ripulì la sua spada e la rinfoderò – La prossima volta sarà più difficile, le perdite saranno maggiori, e sarà meglio per noi non farci cogliere nuovamente di sorpresa.”
“No, infatti, non lo sarà, ma noi vinceremo comunque. – Sigurd ghignò – L’aquila di sangue ha spiccato il volo, sento le sue grandi ali sbattere nei miei sogni, e presto vendetta sarà fatta: prenderemo York, questo debole regno, e uccideremo il suo sovrano.”
“Spero tu abbia ragione, amico mio.”
“Ho ragione! – esclamò sicuro – Gli dei ci sorridono, Gorm, sorridono a me e alla nostra causa: Odino mi ha dato la vista, i miei sogni non mentono, e presto anche tu riuscirai a vedere ciò che vedo io. La Northumbria è nostra, mio caro amico, e con essa tutti i suoi più preziosi tesori.”



 
**
 

“E così, quando la guerra sarà finita e i miscredenti sconfitti, sposerete il nobile Osberth. – disse a fine serata la sua amica mentre le scioglieva la complessa acconciatura – I vostri figli saranno i sovrani di questa terra e voi diverrete madre di re, ricordata per sempre. Non ne siete contenta e fiera, Principessa?”
Judith era sempre stata una ragazza positiva, che vedeva il lato buono in tutto, ma spesso si dimostrava sciocca: lei, Heluna, sarebbe stata una pedina nei piani di suo padre e del suo promesso sposo, un accidente come un altro, nulla di più.
“Lui è vecchio, mi domando se sia ancora capace di concepire un erede, e temo che quando il giorno arriverà i nobili avranno da ridire sulla successione.”
Nota era l'avidità dei nobili che popolavano la corte di suo padre, la loro indiscussa fedeltà era soltanto una farsa da guitti e ben pochi avrebbero seguito le ultime volontà del sovrano circa la successione dopo la sua morte. Si sarebbero scagliati sul trono come un branco di belve feroci sulla carcassa di un animale, nessuno escluso.
“Siete preoccupata per la battaglia, Milady?” chiese Judith cambiando discorso.
“Ho paura per l’incolumità di mio padre, aye, e per il futuro del nostro paese. – rispose con calma – Ho paura che il nostro esercito non sia abbastanza forte; temo la furia dei barbari venuti dai fredi fiordi, la loro sete di vendetta nei confronti di mio padre e della sua progenie.”
“Non dovete temere per voi, Principessa, siete al sicuro nel castello. – tranquillizzò l’ancella, ignara dei piani dei vichinghi, di ciò che sarebbe accaduto nei prossimi giorni – I vichinghi non oseranno attaccarci dentro le mura, non sono abbastanza forti: si scontreranno con l’esercito di vostro padre sul campo di battaglia, questo è ciò che tutti dicono, in un luogo a miglia e miglia da qui.”
“Sì, hai ragione Judith. – Heluna si concesse un sorriso – Sono state due lunghe giornate queste, domani mattina all’alba ci sarà la partenza dell’esercito, e in quanto principessa sarò chiamata a salutare gli uomini: prepara il letto, dunque, e il mio migliore abito per domani.”
“Come la mia signora comanda. – Judith fece una riverenza – Buona notte, Milady.”

Quella notte sognò oscurità e caos, sangue e morte, nebulose figure urlanti: tutto era distrutto, ogni sua certezza, ogni luogo sicuro. Era sola, era impaurita, era prigioniera nella sua stessa dimora. Le urla aumentarono, divennero talmente forti da farle coprire le orecchie con le mani, chiudere gli occhi per non assistere al massacro.
E poi lo vide: il serpente stava strisciando nella sua camera, nel suo letto, infido e allo stesso tempo affascinante; era giunto da lontano per lei, la bramava, la desiderava.
Le sue spire si tramutarono in mani, erano ovunque sul suo corpo, la stringevano marchiandola a fuoco: la sua pelle bruciava, dalla sua gola non usciva alcun suono e neanche quando il serpente iniziò a sibilare al suo orecchio prima di chiudere possessivamente la sua bocca sulla propria provò a divincolarsi.
Orm-ì-auga. – sussurrò l'uomo che era stato serpente, parole che non significavano nulla, che lei non comprendeva. Presto. Presto le mie mani si stringeranno intorno alla vostra bianca gola e saprete che la profezia si è compiuta.”

Heluna si svegliò di soprassalto, madida di sudore, mentre fuori iniziava ad albeggiare: le urla erano cessate, il fuoco estinto, il serpente svanito.
Era sola nella sua stanza, sola come quando si era addormentata, eppure il suo cuore non la smetteva di martellare impazzito nel suo petto.
“Presto.”
Le parole rimbombarono nella sua testa, le poteva ancora udire lontane, e sfiorandosi le guance le sentì umide, come se avesse pianto per tutta la notte.
“Mani si stringeranno intorno alla vostra gola e la profezia sarà compiuta.”
Era solo un sogno: quell’uomo-serpente non esisteva, era frutto della sua fantasia, dei suoi sogni più contorti.
Avrebbe sposato Osberth a guerra terminata, tutto il regno era stato informato della notizia, e il suo destino sarebbe stato quello di diventare sua moglie e dargli figli.
“E’ stato un sogno. – si disse ad alta voce, per calmarsi, auto convincersi – Non esiste un uomo del genere, non è mai esistito, mai esisterà. E’ stato un sogno, un sogno, nulla di più.”
 
 

 
*



1. Drakkar: imbarcazione militare di forma allungata usata principalmente dai vichinghi  e dai sassoni.
2. Skjaldborg: nell’antica lingua scandinava significa letteralmente “muro di scudi” ovvero la tattica militare più diffusa in quel periodo non solo dai vichinghi ma anche dagli anglosassoni.  




Angolo Autrice: Salve, gente! Eccomi di ritorno con un nuovo aggiornamento in questo triste giorno - ci mancherai, David.
Non ho molto da dire, se non che l'incontro dei nostri protagonisti è vicino, molto vicino.
Forse avverrà già nel prossimo, chissà...
E, se ve lo state chiedendo, sì ho cambiato il banner e i prestavolto a Sigurd e Heluna. Ho scelto dei volti non noti, essendo questa una storia originale, e non volendo richiami ad altri attori o altre serie televisive. Quindi no, non ho idea di chi siano i due ragazzi, ho trovato le foto girando per il magico mondo di internet.
Infine, ringrazio tutti voi che leggete, seguite e recensite.

Alla prossima,
V.

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Capitolo 7
*** 07. ***


 




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Riaprì gli occhi e fissò le ombre della foresta sopra di lui.
Aveva sognato di essere un serpente, di strisciare in una stanza semi buia, intrufolarsi tra coperte e pellicce e stringere possessivamente il corpo candido e virgineo di una fanciulla, mentre il suo riprendeva le fattezze di uomo; aveva baciato le sue labbra, gustato il loro sapore, sussurrato parole che non ricordava mentre lei lo guadava con i grandi occhi sgranati in un misto di paura e attrazione.
Avrebbe voluto farle mille domande, una parte di lui avrebbe voluto chiudere le mani attorno al suo collo e soffocarla, mentre l'altra avrebbe solo voluto amarla; avrebbe voluto questo e molto altro, ma il sogno era svanito e lui si era svegliato più bramoso e confuso che mai.
“Chi sei? – si chiese in un sussurro rivolto al cielo – Chi sei tu che ti celi dietro occhi del colore del fondale marino più scuro?”

Un rumore di foglie raggiunse immediatamente le sue orecchie, annunciò il ritorno di uno degli esploratori che il giorno prima lui e Gorm avevano mandato in avanscoperta per avere preziose informazioni sulla città fortificata.
Alle loro spalle stava albeggiando, il bosco da cui si potevano intravedere le mura della città di York stava riprendendo i suoi colori originali, dei colori meno spettrali di quelli che aveva assunto con i freddi raggi della luna piena.
Lasciò il suo posto accanto al piccolo fuoco ormai spento, scattando in piedi, osservando con curiosità la figura dal volto coperto di fango e terra approcciarsi a lui e parlare:
Minn Herra1! – esclamò rivolgendosi al suo signore con rispetto – Le notizie che ci hanno dato sono giuste, la città è quasi del tutto priva di uomini, all’interno delle mura ce ne saranno al massimo cinquecento.”
“Pensi che potremmo farne uscire qualcuno con l’inganno?” chiese Sigurd con voce appena rauca per il sonno ancora presente nella sua mente e sui suoi occhi.
“Se provocassimo un incendio fuori le mura… - azzardò il vichingo – Potremmo provare!”
“Potremmo provare stasera, quando calerà nuovamente la notte, così da poter incombere su di loro senza essere visti e passarli facilmente a fil di spada con l'aiuto delle tenebre.”
Successivamente si rivolse a Gorm, il quale aveva ascoltato in silenzio il piano dell’amico, e chiese: “Cosa ne pensi?”
“E’ rischioso ma potrebbe funzionare. – rispose – Attaccandoli in quel modo, però, perderemo l’effetto sorpresa e dubito che saranno così sciocchi da lasciare i cancelli aperti: sospetteranno immediatamente di una trappola, e forse sarebbe meglio se infiltrassimo qualcuno nel castello, una delle nostre donne.”
“Guthrun e Halla hanno dei lineamenti tipici di questa zona, conoscono abbastanza la lingua degli angli per poter farsi comprendere, e  se trovassimo delle vesti adatte potrebbero facilmente entrare dentro le mura e farci entrare di soppiatto quando la città sarà addormentata.”
“Asbjorn e suo fratello minore hanno preso delle schiave dall’ultima razzia: potremmo prendere i loro vestiti e sotto di questi nascondere delle armi. – propose l’esploratore – Non metteranno mani sotto le pellicce, non se i loro vestiti saranno imbrattati di sangue, se una delle due si fingerà addirittura gravida.”
I tre uomini si scambiarono un sorriso sornione e un’occhiata complice: avevano trovato finalmente il modo per entrare a York: il racconto delle donne circa la ferocia dei vichinghi avrebbe convinto le guardie, la loro disperazione sarebbe stata la loro forza e con astuzia e ingegno dalla loro avrebbero presto banchettato nelle grandi sale di Ælle.



 
**



“Principessa, queste due giovani sono giunte alle nostre mura chiedendo ospitalità, dicono di essere scappate all’attacco dei pagani!”
Uno dei soldati aveva condotto di tutta fretta le due guerriere al cospetto di Heluna, la quale aveva preso posto sullo scranno ligneo di suo padre, di cui avrebbe fatto le veci fino al suo ritorno.
Era la prima volta dalla partenza dell’esercito che si trovava ad adempiere al compito di reggente; era una situazione nuova e la vista di quelle due giovani poco più grandi di lei, vestite di stracci insanguinati e con il volto dipinto dalla paura, le riempì il cuore di pietà e orrore.
“Avvicinatevi, fanciulle, e ditemi i vostri nomi.”
“Il mio nome è Agatha, Principessa, e lei è la moglie del mio defunto fratello, Agnes.”
A parlare fu Guthrun, la quale aveva scelto per lei e la sua amica due nomi cristiani, molto diffusi in quelle terre; fu lei a parlare per entrambe, lei che era figlia di un nobile vichingo e della donna che prima era stata sua schiava e poi la sua amante, una donna che aveva le proprie radici in quelle stesse terre e che le aveva insegnato la sua lingua madre sin da quando era piccola.
“I pagani sono giunti di notte, mentre il villaggio dormiva, hanno ucciso quasi tutti e rubato il bestiame. – continuò con flebile voce – Io e la mia dolce sorella ci siamo nascoste, e quando i vichinghi hanno abbandonato il villaggio siamo sgattaiolate in silenzio dal nostro nascondiglio, trovando la nostra famiglia massacrata.”
Halla si circondò il ventre con entrambe le mani e improvvisò un singhiozzo mal celato: non era la prima volta che vestiva i panni di una contadina indifesa, con il tempo era diventata brava in quella parte, tanto che nessuno più sospettava di lei.
“Agnes è incinta, presto darà alla luce il figlio di mio fratello, e per questo chiediamo umilmente alla nostra gentile e buona principessa di accoglierci tra le vostre mura.”
“La vita non è stata misericordiosa con voi, vi ha tolto i vostri affetti e la vostra casa, ma io non vi negherò la protezione del vostro sovrano: siate benvenute, dunque, e siate libere di mangiare una zuppa calda nelle cucine del castello prima di andar via.”
“Vostra Grazia è troppo buona. – Guthrun, seguita da Halla, fece una riverenza impacciata – Le vostre azioni non saranno dimenticate, verranno udite da molti, di questo potete esserne certa.”


 
**



Due giorni e due notti passarono prima che il segnale di fuoco fosse acceso.
Guthrun e Halla dovettero conquistare la fiducia dei soldati, i quali le guardavano con diffidenza, e solo la notte del terzo giorno osarono sfidare la sorte e agire: con le ombre della notte ad abbracciarle come un morbido mantello, le due norrene prima sgozzarono le guardie, poi alcune sentinelle sulle torri di guardia; infine accesero un fuoco e aprirono una porta laterale delle mura, ingresso questo che permise a un centinaio di uomini esperti e ben armati di intrufolarsi di soppiatto nelle mura della città profondamente addormentata.
Sigurd comandava il manipolo di uomini, i quali si fecero strada, grazie all'oscurità che gli copriva, tra le vie della città e passarono a fil di spada le guardie che incrociarono il loro cammino di morte. Al contrario, Gorm e i suoi uomini rimanevano vigili al confine del bosco, in attesa di un segno da parte dei loro compagni; fu uno dei popolani a dare l’allarme, un uomo dalla schiena ricurva che ferrava i cavalli, svegliando i cittadini e mettendo in allerta le guardie, suonando la campana prima di essere a sua volta ucciso da uno dei guerrieri vichinghi.
Le prime luci dell’alba iniziavano ad illuminare la vallata quando il cancello principale fu aperto, permettendo agli uomini di Gorm di entrare a York, partecipare a quello che fu una carneficina fatta con il sangue di uomini d'arme, e quando il sole fu alto nel cielo quasi tutti i soldati e alcuni nobili erano stati uccisi o presi prigionieri.

Heluna osservò, chiusa nelle sue stanze insieme alle sue dame di compagnia, l’orrore che si stava compiendo e nonostante le forti immagini che si susseguivano davanti ai suoi occhi puri non diede mai segno di debolezza o cedimento: non avrebbe pregato per la sua vita, implorato di essere risparmiata, piuttosto si sarebbe immolata per risparmiare quella della sua gente.
I vichinghi si muovevano feroci, sembravano privi di paura, benché i loro corpi fossero coperti da semplice cuoio bollito e in piccola parte da metallo andavano incontro alla possibile morte con serenità; molti di loro erano persino a torso nudo, sfoggiavano tatuaggi che si estendevano su tutto il corpo, rune antiche di cui la principessa ignorava il significato.
Nulla in loro ricordava la disciplina dei soldati della Northumbria, la disciplina del suo popolo, e finalmente riuscì a capire le parole che spesso suo padre utilizzava per descrivere quel popolo abitante delle lontane terre ghiacciate: dentro di loro sembrava bruciare un fuoco invisibile, una forza degna degli orsi e dei lupi della foresta; le loro urla non erano di paura, ma di rabbia mista a una strana forma di coraggio che rasentava la follia.

“Principessa, dovete nascondervi! – esclamò Judith, la sua fidata ancella – Non devono catturarvi, capire chi voi siate, altrimenti tutto sarà perduto. Permettete a una di noi di prendere il vostro posto, indossare i vostri vestiti, e nascondetevi in una delle rientranze del muro, dietro agli arazzi secolari.”
“Come potrei nascondermi quando il mio popolo viene massacrato?”
“Se vi troveranno uccideranno anche voi: se qualcosa dovesse succedervi l’alleanza sugellata da vostro padre con Osberth svanirà e con essa la possibilità di sconfiggere il nemico e portare pace.”
Le parole di Judith erano vere: lei, Heluna, era la chiave della pace e se fosse caduta nelle mani del nemico tutti i sacrifici sarebbero stati vani.
Per quanto quella decisione fosse difficile, per quanto si sentisse codarda e traditrice nei confronti della sua gente, Heluna accettò e di tutta fretta si scambiò d’abiti con Judith, la quale avrebbe preso il suo posto.
Venne nascosta dietro un arazzo, in una rientranza nascosta della sua stanza, appena in tempo per evitare di essere vista dai vichinghi, i quali entrarono, giusto pochi minuti dopo, prepotentemente nelle sue stanze da letto.

Judith e le altre ancelle sussultarono quando la porta si spalancò, cercarono di mantenere la calma e il decoro degno delle donne quando i vichinghi – due uomini, uno biondo e uno rossiccio, accompagnati da due donne – entrarono e perlustrarono con i loro sguardi freddi come le terre da cui provenivano la stanza.
“Chi di voi è la principessa?”
Fu Sigurd a parlare, Sigurd che sin da piccolo aveva studiato la lingua degli angli e dei sassoni, che aveva avuto come precettori i monaci che suo padre Ragnar aveva riportato come schiavi nel suo regno dopo aver saccheggiato i monasteri, affinché istruissero lui e la sua progenie in cambio della vita e del permesso di adorare il loro falso dio.
Ragnar Loðbrók era sempre stato un uomo diffidente, non aveva mai tollerato che qualcuno mediasse al posto suo con i nemici, e per questo motivo aveva imparato con non poca fatica le lingue dei suoi nemici, costringendo anche i propri figli a fare lo stesso.
“Sono io! – esclamò la ragazza al centro – Sono Heluna, figlia del sovrano di queste terre, Ælle.”
“Lo sarà ancora per poco. – sussurrò con un ghigno Sigurd, che con non poca difficoltà stava riprendendo confidenza con quella lingua allo stesso tempo simile e diversa dalla sua; si avvicinò alla ragazza, la quale stava tremando leggermente, provocandole un urletto strozzato quando afferrò il suo mento con la sua mano incrostata di sangue – Avete un viso regale, Principessa, ma mi perdonerete se non mi fido delle vostre parole.”
Con la coda dell’occhio guardò la donna che era stata Agatha, il cui vero nome era Guthrun, e con quello stesso sguardo le porse una muta domanda a cui lei rispose con un leggero cenno di dissenso.
“Bugiarda! – esclamò colpendola in pieno viso e facendola cadere a terra – Voi non siete la principessa, probabilmente non siete neanche nobile, ma poiché oggi sono generoso proverò a chiedervelo nuovamente: dov’è la vostra principessa?”
Sigurd la prese per i capelli, costringendola ad alzarsi sotto lo sguardo pietrificato delle altre ancelle, ed estratto il coltello lo puntò alla bianca gola di Judith: “E’ in questa stanza, è una di queste sciocche terrorizzate, oppure è scappata? – chiese senza ottenere risposta – Parlate o sarò costretto a disegnare un sorriso rosso sulla vostra calda gola o, meglio ancora, a darvi ai miei soldati affinché si divertano: oggi è stata una lunga giornata e hanno bisogno di un premio per il loro coraggio e la loro vittoria.”
“Lasciatela andare! – Heluna uscì dal suo nascondiglio ed esclamò con disperazione quelle due parole – Non fatele del male, Mio Signore, vi supplico.”

Sigurd lasciò andare bruscamente Judith: non appena incontrò gli occhi velati di lacrime di Heluna si sentì come stregato, percepì il suo cuore chiudersi in una morsa che gli fece mancare il respiro.
«Vedo un giovane serpente venire addomesticato da una principessa dagli occhi tristi.»
Le parole della profezia del Veggente tornarono prepotenti a riempire la sua mente, così come i sogni che lo avevano tormentato, lasciandogli un senso di vuoto nel petto.
Lasciò cadere il pugnale che aveva in mano e con poche falcate azzerò la distanza tra di loro, afferrando la bianca gola della fanciulla come aveva fatto con quella di Judith poco prima e incatenando il suo sguardo con quello più scuro di lei.
Heluna.
Udì la sua stessa voce pronunciare il nome della principessa, non in quel momento ma nel suo sogno, quello stesso sogno che lo aveva turbato profondamente cinque notti prima.
Era lei, era lei la fanciulla dagli occhi tristi, lei che era la figlia del suo nemico e che avrebbe dovuto disprezzare e odiare.

— Dei, perché mi fate questo? Perchè ridete di me? — pensò maledicendo il suo stesso destino.

Heluna rimaneva immobile, gli occhi fissi su quelli di lui, sull’occhio allo stesso tempo terribile e affascinante in cui era racchiuso un uroboro, il serpente che si morde la coda in un eterno cerchio senza fine.
La mano che la stringeva era calda seppur ruvida, la sua stretta era decisa ma non soffocante, così simile alle mani che aveva sognato e che l’avevano fatta fremere, che le avevano vaticinato quel momento, il momento in cui la profezia si sarebbe compiuta. Quelle mani adesso tinte con il sangue del suo popolo.
Orm-ì-auga.”
Una delle due donne ferme sullo stipite della porta spalancata lo chiamò utilizzando il suo soprannome, pronunciando la stessa parola che lei aveva udito nel sogno e per Heluna tutto fu chiaro: era lui, era lui il serpente che stringeva ogni notte le spire attorno al suo esile corpo e lei sarebbe stata la sua vittima.

— Dio misericordioso, aiutami e assistimi in questa ora buia! —

Sigurd si staccò da lei come scottato, ricordando le parole del sogno, il della profezia nel momento in cui le sue mani si sarebbero chiuse attorno al collo di Heluna.
Furioso e spaventato allo stesso momeento, fece un passo indietro e la guardò con occhi più freddi: doveva mantenere il controllo, si disse, non doveva far trapelare alcuna emozione.
“Ponete due guardie all’ingresso della porta. – ordinò parlando nella sua lingua, in modo che nessuno potesse capirlo, neanche Heluna – Scortate fuori le sue ancelle, non fate entrare nessuno che non sia un nostro fidato, e solo se questo porta del cibo.”
“Venite, – proseguì concludendo – abbiamo molto a cui pensare, nobili di cui dobbiamo decidere la sorte, un esercito da avvisare e una vittoria da festeggiare.”
 

*




1: Nella lingua norrena significa letteralmente "Mio Signore."






Angolo Autrice: Salve, gente! Per quanto riguarda la presa di York, non avendo fonti esautive sull'accaduto, ho lavorato di fantasia: nell'esercito vichingo le donne erano numerose, anche se in numero minore rispetto agli uomini, e ho pensato che utilizzarle in questo modo fosse originale.
Infine, come sempre, ringrazio tutti voi che leggete in silenzio, seguite e soprattutto recensite! Grazie, davvero.

Alla prossima,
V.

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Capitolo 8
*** 08. ***





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“Cosa significa quello?”
Gorm non era stato estraneo a quel singolare scambio di sguardi avvenuto pochi istanti prima tra Sigurd e la principessa e dal momento in cui avevano lasciato le stanze di quest’ultima aveva osservato con circospezione ogni singola mossa dell’amico.
Stavano camminando con passo svelto verso il cortile esterno, dove la popolazione di York era stata riunita dai vichinghi al comando dei due condottieri, quando la curiosità del rosso aveva preso il sopravvento e quella domanda gli era sfuggita dalle labbra sottili.
“Di cosa stai parlando, minn vinr1?” chiese a sua volta, continuando a camminare.
“Parlo di quello che è accaduto nella stanza che abbiamo appena lasciato, il modo in cui hai afferrato il viso della principessa, dello sguardo che le hai riservato.”
“Ero furioso per essere stato preso in giro, lo sono ancora, e forse ho esagerato. – tento di sdrammatizzare lui – Probabilmente Víðarr2 ha sussurrato troppo forte al mio orecchio, cogliendomi di sorpresa, e la mia sete di vendetta per la morte di mio padre si è manifestata precocemente, riversandosi sulla persona sbagliata.”
“Non era vendetta quella che ha brillato nei tuoi occhi, ma altro, qualcosa di più profondo. – lo contraddisse Gorm, il quale in quei mesi aveva più di una volta visto bruciare il desiderio di vendetta negli occhi del suo amico; lui stesso era stato presente quando gli uomini di Ælle erano giunti con la funesta notizia della morte di Ragnar e aveva assistito alla furia dei suoi figli che, con occhi pieni di dolore e rabbia, avevano chiesto a gran voce giustizia. – Sigurd!”
“Ti prego, Gorm, non adesso. – lo supplicò il biondo guerriero ritraendo il braccio – Abbiamo altre cose di cui preoccuparci: capire come guadagnare la fiducia della popolazione, come tenere questa città senza il rischio di venire uccisi scioccamente e non possiamo perdere tempo prezioso parlando di un’inutile principessa tenuta prigioniera.”

Così dicendo, chiuse quella irritante discussione e riprese la sua andatura veloce: Gorm non era uno sciocco, Sigurd lo sapeva bene, e negli anni era diventato la persona che meglio sapeva leggergli l’animo dopo sua madre.
Tenergli nascosto i suoi sogni e tutto ciò che questi significavano sarebbe stato difficile, specialmente ora che era certo di aver trovato la fanciulla che gli era stata profetizzata, la stessa da cui era fuggito repentinamente – e che avrebbe continuato a fuggire – ancor prima di poter udire la sua voce.


La popolazione di York era stata radunata con non poca fatica, gente di ogni età era stata ammassata in ogni dove, chi di spontanea volontà e chi cercando di ribellarsi senza successo.
I cittadini rimasti erano per la maggior parte donne, anziani, e giovani ritenuti ancora acerbi per prende in mano una spada; gli uomini erano andati a ovest con il loro sovrano e il di lui esercito per contrastare i guerrieri comandati da Bjorn e Hvìtserk, lasciando la città con una manciata di soldati – la maggior parte era stata uccisa durante l’incursione notturna avvenuta poche ore prima – a difendere le mura.


“Cittadini di York, la città è nostra! – esordì con il suo accento spigoloso, cercando di ricordare le parole, quelle più adatte – Il vostro sovrano vi ha lasciato da soli, vi ha consegnato ai pagani che tanto disprezzate, ma non dovete temere: non abbiamo intenzione di farvi alcun male, vogliamo preservare le vostre vite, sfruttarle al meglio.
Chi di voi vorrà, - proseguì – potrà combattere al nostro fianco, uomo o donna che sia, così che quando la Northumbria cadrà voi diventerete dei vichinghi, e con voi i vostri figli.”
Un boato di disapprovazione si levò, parole di sdegno e disgusto furono pronunciate, ma queste non intaccarono l’animo trionfante di Sigurd: aveva previsto una tale reazione, l’odio da parte di quelli sciocchi nei cui animi ardeva ancora forte la speranza dell’arrivo salvifico dell’esercito del loro sovrano.
“Miei soldati, fratelli miei, - continuò rivolgendosi nella sua lingua norrena ai vichinghi – oggi è un giorno propizio: sacrifici saranno fatti in onore degli dei, i quali ci sorridono e benedicono questa nostra spedizione, ma prima un banchetto sontuoso sarà dato al calare delle ombre. Quindi mangiate, bevete, cantate e festeggiate come meglio credete, poiché la vita è brave e il Valhalla presto ci aprirà le sue porte.”
Orm-ì-auga! – una voce si levò tra la folla, uno dei suoi sottoposti prese la parola, un soldato valoroso che aveva combattuto per tanti anni al fianco di Ragnar Loðbrók – Cosa ne sarà dei nobili catturati, dei preti, di tutti coloro che ci disprezzano?”
Sigurd tentennò solo per un secondo, riflettendo su cosa fosse più giusto risponde, conscio di non avere scelta: “Saccheggiate le loro dimore, impossessatevi dei loro tesori: quello che un tempo apparteneva a loro ora appartiene a voi, e quando la battaglia ultima sarà prossima prenderemo anche le loro vite, così da compiacere Odino.”
Un ultimo boato euforico si levò, insieme ad esso si levò anche un rumore di spade cozzate contro gli scudi colorati, e senza aggiungere altro Sigurd ritornò dentro il castello seguito dai suoi più fedeli compagni.


 
**



La sala grande riecheggiava di musica, canti, del vociare allegro dei vichinghi.
Il fuoco ardeva vivo nel camino in pietra, piatti prelibati erano stati preparati dagli stessi cuochi al servizio di Ælle, e vino dolce era stato versato in coppe d’argento.
Tutti erano euforici, brindavano alla salute degli Æsir3, signori del cielo, dei loro comandanti che avevano condotto tutti loro verso la prima delle tante vittorie.
Sigurd guardava compiaciuto quello spettacolo seduto sull'alto scranno che era appartenuto all’uomo che più odiava al mondo, eppure la sua mente era lontana da quella sala; la sua mente era nella stanza situata più sopra, dove la Principessa Heluna era stata relegata, e improvvisamente realizzò che nessuna disposizione era stata data affinché qualcuno le portasse da mangiare e si accertasse delle sue condizioni.
Senza dire nulla, il giovane Ragnarsson allontanò la sedia dal massiccio tavolo ligneo, afferrò un piatto vuoto su cui mise del cibo, una coppa di vino, e si allontanò dalla sala grande sotto lo sguardo perplesso dei suoi commensali e amici.
Risalì le scale, arrivando davanti alla porta di legno che aveva scardinato lui stesso quella mattina, e trovate le due guardie ordinò loro di andare a festeggiare con gli altri: questi, senza farselo ripetere una seconda volta, ubbidirono all’ordine e lo lasciarono solo.

La trovò rannicchiata in un angolo della finestra, intenta a fissare un punto indefinito oltre i vetri leggermente appannati; addosso aveva ancora i vestiti della sua ancella e il suo stanco viso era illuminato dalla fioca luce di una singola candela quasi del tutto consumata.
Sussultò visivamente non appena lo vide, nei suoi occhi lesse chiaramente il terrore, e scattata in piedi cercò di nascondersi con l’aiuto del buio nell’angolo più remoto della stanza.
“Non abbiate paura! – le disse con il suo modo di parlare affilato e reso leggermente sbiascicato dal vino bevuto – Vi ho portato del matr… cibo!”
Le parole faticavano a ritornare alla mente di Sigurd: erano passati anni dalle ultime lezioni con i suoi precettori e la birra e il vino bevuti nel corso dei festeggiamenti non aiutavano affatto.
La stanza era gelida, il camino era completamente spento nell’angolo alla sua estrema destra, e non ricevendo alcuna risposta da parte di lei – continuava a fissarlo intimorita e terrorizzata come una cerva in attesa di essere sbranata dal lupo – lasciò il piatto su di un mobile e, messi dei ceppi di legno nel suddetto camino, iniziò ad accendere un fuoco.
Heluna lo osservò con occhi sgranati: i capelli biondi, precedentemente raccolti in una lunga coda, adesso ricadevano sciolti lungo la schiena e sul viso dai tratti spigolosi a sua volta ricoperto da una folta barba biondiccia; indosso aveva delle braghe di cuoio bollito che aderivano sulle gambe e una tunica di colore tenue stretta in vita da una cintura di metallo.
Era più alto di lei di quasi venti centimetri, più alto rispetto agli altri uomini della sua razza che aveva intravisto fuori la sua porta o attraverso la finestra, e questo gli conferiva un aspetto regale ma anche intimidatorio.
A pensarci bene, si disse, non sapeva neanche il suo nome o chi lui fosse.

“Come vi chiamate? Chi siete?” chiese prendendo coraggio, parlandogli per la prima volta, cercando di non mostrarsi intimorita.
Sigurd la guardò con la coda dell’occhio, stupito ma piacevolmente sorpreso nel sentirla parlare, e dopo essersi rimesso in piedi rispose: “Sigurd Ragnarsson, signore di Skane, della Zeland e di Halland4, figlio minore del grande condottiero Ragnar Loðbrók.”
“Loðbrók… - Heluna trattenne il fiato – Voi siete il figlio di Ragnar Loðbrók, il vichingo che mio padre ha messo a morte inconsapevolmente, colui che aveva giurato di non cercare vendetta.”
Sigurd sorrise algido: “Ivar ha fatto quella promessa, ma il Senz’Ossa non ha mai promesso per noi, per i suoi fratelli giunti in Northumbria per riscuotere il pagamento di sangue.”
Sul viso di Heluna si dipinse il terrore: “Ci ucciderete tutti, non è così? Ucciderete i nobili che avete imprigionato, i preti, le mie ancelle e infine anche me.”
Sigurd aggrottò la fronte e con voce pacata disse: “Nessuno vi farà del male, Principessa, di questo non dovete temere. Le vostre ancelle saranno liberate domani mattina, darò ordine che vengano nelle vostre stanze per prendersi cura di voi, che non sia fatto loro alcun male.
Per quanto riguarda i nobili… - lasciò in sospeso la frase, soppesando le giuste parole da utilizzare, incerto se rivelare i suoi piani o meno – Presto verranno messi a morte, ma non subito, solo quando il momento sarà propizio e Odino richiederà sangue.”
Una lacrima solitaria rigò il viso di Heluna: “E cosa ne sarà di me?”

– Voi sarete mia, così com’è stato stabilito dagli déi. –

Avrebbe voluto dirle quelle parole, confessarle il suo più profondo segreto, invece quello che disse fu ben altro: “Non lo so, solo gli Æsir e i Vanir5 lo sanno, mostreranno i loro piani quando il momento sarà propizio.”
“C’è un solo e unico Dio, vichingo, ed è il Padre misericordioso dei cieli. – precisò piccata – Nelle sue mani è il nostro destino, in Lui che vede e sente tutto, e presto la sua ira si abbatterà su di voi e giustizia sarà fatta.”
La fanciulla era spavalda, dovette ammettere Sigurd, non aveva paura di contraddirlo e di farsi avanti quando il momento lo richiedeva: lo aveva già dimostrato ampiamente quella mattina e l’atteggiamento di quella sera ne era la conferma.
, giustizia sarà fatta, ma non la vostra. – le diede le spalle e si avviò verso la porta – Mangiate, Principessa, prima che si freddi. Farvi morire di fame non mi provocherà alcun piacere: benché siate la figlia dell’uomo a cui toglierò ogni cosa, non ho intenzione di farvi del male, sottoporvi ad angherie di ogni sorta.”

Così dicendo, aprì la malmessa porta lignea e, abbandonata la stanza, si mise alla ricerca di una donna – Guthrun, magari, lei che aveva gli stessi capelli color del grano di Heluna – che lo riscaldasse nelle fredde e solitarie ore che lo separavano dall’alba.

 

**


Il nudo e caldo corpo di Guthrun era ancora stretto possessivamente al suo quando il sole si fece strada nel cielo terso del mattino e i suoi occhi grigio-azzurri si aprirono con fatica.
La guerriera vichinga era stata un’amante passionale e carnale, tutto ciò di cui lui aveva bisogno e a cui era abituato sin da quando era ancora un ragazzo, ma quando il sonno e la stanchezza ebbero la meglio fu il viso di un’altra fanciulla a riempire i suoi sogni; furono le labbra appartenenti alla principessa rinchiusa nelle stanze poco lontane dalle sue ad inebriare la sua mente e addomesticarlo come un cucciolo di lupo, e senza neanche accorgersene o poterlo impedire, Sigurd realizzò amaramente di essere stato stregato da lei nel momento esatto in cui i loro sguardi si erano incrociati.
Senza svegliare la donna al suo fianco si liberò dalla sua presa e, scostate le pesanti coperte del letto, si infilò frettolosamente le braghe di cuoio e uscì a piedi e toso nudi in cerca di qualcosa da mangiare e qualcuno che gli portasse dall’acqua calda per lavare superficialmente il viso e il corpo.
Fu proprio durante il tragitto che si ritrovò davanti alle stanze di Heluna, alla porta lasciata aperta, ad una scena che attirò la sua attenzione: le ancelle erano state rilasciate, erano tornate da lei come lui aveva promesso, e in quel momento stavano abbracciando apparentemente contente la loro amata principessa.
Non riuscì a fare a meno di sorridere: quella visione gli ricordò sua sorella, la testarda e intraprendente Þyri, e per un attimo ebbe nostalgia della lontana casa.   
Heluna si sentì improvvisamente osservata e, distolto lo sguardo dalle sue ancelle, lo spostò oltre la porta, verso il corridoio in penombra, irrigidendosi all’istante nel riconoscere immobile la figura di Sigurd.
Il vichingo indossava solo delle braghe, il suo torace e le sue spalle ampie erano nude, mostravano dei tatuaggi scuri che spiccavano persino sulle rosee cicatrici in rilievo; i suoi capelli erano sciolti come la sera prima e nel suo sguardo l’uroboro era ancor più visibile del solito, sembrava avere vita propria.
Lui le sorrise lievemente seppur freddamente, riuscendo a farle battere forte il cuore e, anche se successivamente si sentì un’ingenua sciocca, senza volerlo ricambiò con un sorriso colmo di gratitudine: dopo tutto, lui aveva rilasciato come promesso le sue ancelle e amiche, non aveva fatto loro alcun male.
Forse, pensò, non era come i barbari vichinghi assetati di sangue da cui tante volte suo padre l’aveva messa in guardia, di cui aveva sentito parlare i nobili, i sacerdoti che durante le lunghe omelie li descrivevano come figli del demonio.
E poi c’erano i sogni…
Se avesse chiuso gli occhi avrebbe potuto nuovamente percepire il contatto delle sue mani sul suo corpo, il sapore delle sue labbra, la sua stessa voce che sussurrava il suo nome.
Sigurd. Sigurd. Sigurd.
 
“Sigurd!” la voce di Gorm riecheggiò nei corridoi, grave e preoccupata, rompendo quello strano incantesimo che, seppur per brevi secondi, si era creato.
“Un messaggero è giunto, - proseguì senza neanche accorgersi della porta alla sua destra, della principessa al suo interno, di quella delicata situazione che avrebbe potuto confermare i suoi sospetti – è stato inviato dai tuoi fratelli.”
“Quando?” chiese preoccupato.
Lui stesso aveva mandato il giorno precedente un messaggero – lo stesso che era tornato con nuove notizie – ai suoi fratelli per annunciare la presa di York e la resa della città.
“Pochi minuti fa. Adesso è nella sala grande, ti sta attendendo.”
“E cosa rivelano le sue parole? Dimmelo, Gorm, ho bisogno di saperlo adesso.”
“Guerra.”

 


*


 
1. Minn virr: in norreno significa letteralmente amico mio.
2. Víðarr era, nella mitologia nordica, il dio della vendetta.
3. Æsir, ovvero il nome con cui veniva chiamata una delle due stirpi degli dei nordici. Erano comandati da Odino ed erano signori assoluti del cielo.
4. Sono le terre sparse nella penisola scandinava che, alla morte di Ragnar, Sigurd ha ereditato e governato fino alla sua morte.
5. I Vanir sono una seconda stirpe di dei nella mitologia nordica. A differenza degli Æsir, i Vanir sono associati alla fertilità, alla terra, ai mari, e alla stagioni.





Angolo Autrice: Salve, gente! Rieccomi, puntale, con il nuovo aggiornamento.
Sigurd e Heluna iniziano a conoscersi, lei non si fida di lui e lui cerca di allontanarsi da lei, ma come avete ben notato nell'ultima parte del capitolo alla fine l'attrazione ha, almeno per un momento, la meglio sulla ragione.
Avviso già da ora che almeno fino al 15 di febbraio gli aggiornamenti si fermeranno, e questo vale per tutte le mie storie. Gli esami univesitari sono alle porte e non avrò più tempo da dedicare alla scrittura.
Infine ringrazio tutti voi che leggete, seguite la storia e recensite.

Alla prossima,
V.
 

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Capitolo 9
*** 09. ***




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Guerra.
Sigurd aveva sempre saputo che sarebbe giunta, che con essa sarebbero giunte anche sua sorella morte e la vendetta, ma non pensava che sarebbe accaduto così presto.
Percepì il suo corpo fremere in un misto di paura e piacere, e repentino ordinò che tutti i comandanti si riunissero nella sala grande e che i nobili imprigionati fossero condotti al cospetto suo e di Gorm per essere interrogati.

“Quali notizie dai miei fratelli?” chiese Sigurd al messaggero non appena mise piede nella sala in cui i suoi alleati si stavano radunando.
“Mio Signore, - iniziò il messaggero, un uomo dal fisico asciutto e dai capelli color della terra, accennando un rispettoso saluto con il capo quasi del tutto rasato – il mio signore Bjorn, Fianco di Ferro, mi manda da voi per avvertirvi che la guerra è oramai prossima: gli uomini di Ælle si sono accampati oltre il fiume Wharfe, a circa venti miglia sud-ovest da qui. Sono solo una parte dell’esercito del sovrano, dell’altra metà comandata da Osberth non si hanno notizia, e i vostri fratelli temono un attacco a sorpresa.”
“E cosa vogliono che faccia, dunque?” chiese con voce algida.
“I vostri fratelli hanno mandato circa tre giorni fa un messaggero a Kattegat, a vostro fratello Ivar e vostra madre Aslaug, affinché ella convinca il suo primogenito a remare con i suoi uomini verso la Northumbria, giungere in aiuto a tutti noi.
Inoltre, - proseguì – i vostri fratelli pensano che, attraverso i nobili prigionieri, potreste venire a conoscenza dei piani di Ælle e dei suoi alleati.”
Proprio in quel momento, dalla porta laterale, sei vichinghi entrarono nella sala scortando i nobili che erano stati imprigionati nelle celle dei sotterranei: a vederli, smagriti e con in dosso delle vesti sporche e consunte, difficilmente qualcuno li avrebbe distinti dal resto degli abitanti – contadini e allevatori per la maggiore – di York.
Sigurd ghignò, quella visione patetica lo riempì di soddisfazione, era un primo assaggio di ciò che sarebbe arrivato dopo: Ælle sarebbe stata la portata principale, il piatto forte, ma questo non avrebbe impedito ai nobili di essere, per il giovane Ragnarsson, uno sfizio altrettanto succulento. 
“Voci ci sono giunte riguardo un imminente attacco del vostro sovrano Ælle, riguardo il suo esercito accampato sulle sponde del fiume Wharfe, e sono sicuro che voi non siate estranei ai suddetti piani. – esordì Sigurd, rivolgendosi per la prima volta agli angli -  Ditemi, dunque, quale sarà la sua prossima mossa? Collaborate e vi verrà risparmiata la vita.”
“E condannare a morte certa il nostro signore, i nostri giovani, il nostro popolo? Mai! – il nobile che prese la parola sputò in terra, guardò Sigurd con occhi pieni di odio e di disgusto, nonostante la sua età avanzata dimostrò la tempra di un giovane. – Prendetevi pure la mia testa, se volete, poiché non ho paura di morire.”
“Un uomo coraggioso. – intervenne Gorm, parlando per la prima volta nella lingua degli angli, quella lingua che lui stesso aveva in parte studiato ma della quale non aveva buona padronanza – Un uomo morto.”
“E voi altri? – chiese ancora Sigurd allungando leggermente il collo per osservare meglio gli altri nobili rimasti in disparte – Anche voi siete dello stesso parere?”
Aye, noi tutti siamo uomini fedeli, non tradiremo mai il nostro sovrano.”
“Deduco, dunque, che voi siate il loro portatovoce Lord… come vi chiamate?”
“Sono il Conte Æthelnoth, consigliere del re di Northumbria, suo fedele suddito.”
“Un nome altisonante, un nome stupido, un nome da morto. – sussurrò in norreno Sigurd, provocando il riso in Gorm, nei vichinghi che si trovavano accanto a lui sulla pedana lignea – Ditemi, Conte, rimarreste fedele anche a costo della vita di vostra figlia?”

Sigurd fece un cenno ad uno dei suoi uomini e, un istante dopo, nella sala fecero il loro ingresso Heluna e le sue ancelle. Tra queste ultime, oltre a Judith, spiccavano alcune delle figlie dei nobili, tra le quali anche la figlia del Conte Æthelnoth, Mary.  
L’espressione del Conte mutò immediatamente nel vedere sua figlia, la sua apprensione per le sorti di quest’ultima fu per tutti inconfondibile, e per un istante Sigurd pensò di averlo in pugno.

“Aiutateci a vincere questa guerra, Conte Æthelnoth, e prometto solennemente che a voi e alla vostra famiglia sarà risparmiata la vita, che il vostro aiuto non sarà dimenticato. – il suo gelido sguardo si spostò dall’uomo alle fanciulle, dal Conte a Heluna, la quale stava assistendo incredula a quello scambio di battute – Cosa rispondete?”
“Cosa sono due vite in confronto alla pace della nostra amata terra? Nulla. Polvere e cenere, un sacrificio che il Signore riterrà degno del Regno dei Cieli, un fio che vale la pena di esser pagato. – rispose senza smettere di guardare la sua sfortunata figlia – No, Vichingo, la mia risposta non cambia.”
“Stolto! – il viso di Sigurd si sfigurò in una smorfia di ira e disappunto – Preferite davvero che i miei uomini disegnino un sorriso rosso sul collo di vostra figlia, che il suo caldo e giovane sangue scorra in questo giorno, in questa sala?”
L’uomo non rispose, continuando a mostrare un atteggiamento fiero, impassibile: era deciso a non piegarsi, a non darla vinta a quei barbari pagani, a rimanere fedele ai suoi principi e alle promesse fatte.
“Bene, allora: che così sia! – Sigurd si alzò con scatto repentino dallo scranno e, sfilato il coltello da pasto ben affilato, ultima arma usata dal suo popolo durante la battaglia, dalla cintura di cuoio, lo conficcò dritto nel petto del Conte. Dalla sua sbiadita sopratunica color porpora iniziò a sgorgare sangue che, copioso, andò a formarmare una chiazza concentrica sempre più larga. – Possa il vostro Signore accogliervi nel suo regno e avere pietà di voi, poiché io non ne ho alcuna.”

Un rantolo orribile fuorì uscì dalla bocca del conte, il suo corpo cadde privo di vita in terra con un suono sordo e nella sala si levò un grido acuto: Mary urlò con tutte le sue forze, il suo viso rubicondo divenne pallido come la luna, le sue ginocchia cedettero e cadde in terra.
Heluna guardò la scena senza emettere un fiato, terrorizzata da tanta crudeltà, dalla facilità con cui Sigurd aveva conficcato il coltello nel cuore del Conte Æthelnoth, di quell’uomo gentile che l’aveva sempre trattata con rispetto.
Non poteva credere che lui, l’uomo che popolava i suoi sogni e che era stato premuroso con lei fosse uno spietato assassino, capace di azioni degne del Demonio; non poteva credere a quello che era successo, sembrava un incubo, eppure era tutto vero: il sangue, le urla, la morte che aleggiava su tutti loro.

“Che sia un esempio per tutti voi! – esclamò con rabbia Sigurd, rivolgendosi ai nobili terrorizzati – Vi concederò una notte per cambiare idea: al sorgere del sole tornerò da voi e, se non avrò le risposte che cerco, disegnerò sulla vostra schiena un’aquila di sangue e vi sacrificherò a Odino.
Per quanto riguarda voi, Lady Mary, - continuò rivolgendo la sua attenzione alle giovani e alla principessa – non vi farò alcun male. Al contrario, mi assicurerò che abbiate un futuro degno del vostro rango, con un uomo fidato."
"Olaf Bjornsson! – esclamò chiamando uno dei suoi comandanti, un suo vecchio amico di razzie, Jarl1 rinomato in tutta la Zeland. Da due anni era rimasto vedovo, sua moglie era perita dando alla luce una figlia morta, e dal tragico evento non si era più risposato. – Ti andrebbe di diventare conte e sposare una lady?”
“Voi mi onorate, Minn Herra, e sarei più che felice di accettare il vostro dono.”
“E’ stabilito, dunque: – proseguì continuando a parlare norreno – presto celebreremo un matrimonio, un sontuoso matrimonio, e brinderemo alla salute dei promessi sposi.”
Si rivolse poi a Mary: “Jarl Olaf è un brav’uomo, non dovete temere nulla da lui, vi tratterà come meriterete e da lui avrete figli forti e sani.”
“Voi non potete farlo, non ne avete alcun diritto! – esclamò furente Heluna, intervenendo per la prima volta da quando quell’assurda faccenda era iniziata – Lei non sposerà mai il vostro Jarl, non sposerà nessuno dei vostri luridi pagani, non lo permetterò!”
“E come lo impedirete, Principessa? – Sigurd si avvicinò a lei ghignando – Non avete alcun potere, siete prigioniera nella vostra stessa casa, impotente come un neonato. Una sola parola e potrei far sposare anche voi con uno dei miei alleati, magari potrei decidere io stesso di sposarvi, così da insegnarvi a tenere a freno la lingua!”

Heluna deglutì nervosamente: Sigurd Ragnarsson era a pochi passi da lei, troppo vicino, e la sovrastava come già una volta aveva fatto.
Il suo petto era ancora nudo, coperto da una leggera pelura biondiccia, e nonostante le sue fredde parole il suo fiato era caldo.
Il pensiero di diventare sua moglie era, per Heluna, paradossalmente allettante, niente affatto disgustoso; nonostante l’atto barbarico e sanguinario a cui aveva appena assistito, la giovane non riusciva a provare avversione o odio per il vichingo, e questo la sconvolgeva.
Perché non lo odiava, perché non riusciva a smettere di essere affascinata da lui, perché il Demonio continuava a tentarla?
Era sempre stata una devota fedele, aveva sempre pregato tre volte al giorno, preso la comunione ogni domenica, confessato i suoi peccati, eppure il Signore continuava a metterla alla prova.
Doveva fuggire il peccato, si disse facendosi forza, doveva rinunciare a Satana e alle tentazioni che metteva sul suo cammino.
“Mai! – sibilò a denti stretti – Preferirei lanciarmi dalle mura più alte di York, morire da martire, piuttosto che sposare voi. Siete il Demonio, Sigurd Ragnarsson, e io vi maledico!”
 




*



1: Jarl era, nella nobiltà scandinava, il corrispettivo titolo di Earl/Conte nella nobiltà inglese o europea. Egli era, oltre che amministratorie di un determinato terrotorio per conto del suo sovrano, anche un capo militare.





Angolo Autrice: Salve! La sessione d'esami è terminata - festeggia! - e puntuale io sono tornata ad aggiornare.
In questo capitolo leggiamo di un Sigurd più severo, dipinto come un uomo intransigente e all'occorrenza spietato, ben lontano da quello descritto nei precedenti.
Ma, dopo tutto, la guerra sta entrando sempre più nel vivo, i suoi fratelli sono in una situazione complicata e rischiosa, e di certo non è il momento adatto per la misericordia e le debolezze.
Spero che la storia vi stia piacendo, e come sempre ringrazio tutti voi che leggete, seguite, e recensite!

Alla prossima,
V.

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Capitolo 10
*** 10. ***


 




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Tre settimane più tardi...




S
igurd giaceva insonne tra le coperte di pelliccia del letto di cui si era appropriato; da ore indefinite i suoi freddi occhi erano spalancati e fissavano l’oscurità attorno a lui, e neanche il sinuoso corpo di Guthrun era riuscito a scacciare dalla sua mente i pensieri che lo stavano tormentando, il ricordo di Heluna che lo disprezzava e lo paragonava a un demone.
Maledetto.
Sì, Sigurd era stato maledetto sin dal giorno della sua nascita, l’uroboro che giaceva nel suo occhio ne era il simbolo, lo stesso che sua madre Aslaug riteneva una benedizione: il marchio del serpente, era solita dirgli la donna, annunciava la sua grandezza, le sue vittorie, l’immortalità del suo nome.
Maledetto.
Erano stati i sogni a farlo sentire per la prima volta maledetto, condannato sin dalla giovane età a vedere ciò che ai mortali era precluso, eventi di morte e distruzione, a provare quel dolore che, più di una volta, gli aveva quasi lacerato l’anima: aveva visto la morte dei suoi fratelli, quella di suo padre, e poi Heluna, la principessa dagli occhi tristi che lo stesso Veggente gli aveva predetto.
La fanciulla aveva abitato i suoi sogni per mesi, portandolo quasi alla pazzia, e ora che l’aveva trovata il suo tormento non era scemato come lui aveva sperato, ma era aumentato e lo stava condannando a notti insonni come quella e a dubbi e incertezze sulle sue azioni passate e future che lo facevano sentire uno sciocco ragazzino insicuro – uno di quelli che suo padre Ragnar aveva sempre disprezzato.

L’alba era ormai prossima, pensò, e presto uno dei suoi uomini avrebbe bussato alla sua porta per destarlo dal lungo sonno – un sonno che gli era stato nemico quella notte – e scortarlo fino ai sotterranei del castello, alle celle in cui erano rinchiusi i nobili fedeli alla Northumbria e al loro signore.
Li avrebbe interrogati, ancora una volta, avrebbe cercato di farli parlare con ogni mezzo e poi…
Sigurd grugnì nervoso, scostò bruscamente le coperte, e aperta la finestra lasciò che l’aria fresca del mattino accarezzasse il suo viso e gli desse un po’ di sollievo: sapeva quello che andava fatto, i nobili dovevano morire, essere sacrificati a Odino così da ottenere la protezione degli dei, la vittoria dei suoi fratelli contro l’esercito nemico.
Si domandò se il messaggero incaricato da Bjorn e Hvìtserk fosse arrivato sano e salvo alla presenza di suoi fratello maggiore, Ivar, e dalla loro madre Aslaug; si domandò se, almeno quella volta, la richiesta di aiuto avrebbe smosso l’animo austero di suo fratello – in caso contrario, solo le lacrime e le suppliche della loro carismatica madre e della loro dolce sorella, Þyri, avrebbero potuto riuscire dove tutto il resto aveva fallito.
 



**


Ivar Ragnarsson tamburellò le pallide dita affusolate contro lo scranno ligneo del padre; durante il monologo, tenuto da quell’anonimo messaggero dalla voce rauca arrivato dinanzi a lui dopo giorni di difficile traversata in mare, ascoltò con attenzione ogni singola parola.
Bjorn e gli altri suoi fratelli erano arrivati sani e salvi in Northumbria, avevano dato battaglia sin da subito, e suo fratello minore Sigurd era addirittura riuscito ad espugnare la possente città di Jorvík con un espediente alquanto astuto e pochissime perdite tra i suoi uomini.
Ivar era rimasto impressionato dalle parole del messaggero, nonostante l’espressione algida dipinta in viso si sentiva orgoglioso dei suoi fratelli, eppure non era ancora certo che dare il suo aiuto a quella delicata e quanto mai incerta missione fosse la scelta più saggia: Ælle non era uno sciocco, aveva sicuramente un piano in mente, e si stava circondando di alleati scaltri tanto quanto lui.
Era pronto ad agire, Ivar lo sapeva, e ben presto l’esercito dei suoi fratelli si sarebbe trovato circondato: sarebbero stati decimati, uccisi senza pietà, sarebbe stata una carneficina.
“I vostri fratelli vi supplicano, Minn Herra, hanno bisogno di voi e dei vostri uomini: Sigurd non può lasciare Jorvík in questo momento, lui e i suoi uomini sono impotenti, e solo il vostro repentino arrivo potrebbe portare una decisiva vittoria al vostro popolo.”
Il maggiore dei figli di Ragnar guardò con la coda dell’occhio in direzione di sua madre e di sua sorella: la prima si mostrava dignitosa e austera come sempre, sebbene il suo movimento impercettibile delle mani che sfregavano contro il vestito dai colori scuri facesse trasparire apprensione per i figli lontani e la loro incerta sorte, mentre sua sorella lo guardava con grandi occhi chiari che imploravano comprensione e pietà per i suoi adorati fratelli, per il giovane principe danese che, al suo ritorno, l’avrebbe resa sua moglie.
Þyri aveva sognato molto in quelle settimane, la sua mente assopita dal torpore della notte era stata invasa da corvi; il loro gracchiare e i loro artigli conficcati nella carne fresca, insieme all’odore del sangue ancora caldo che si espandeva come l’alta marea per i verdeggianti campi circostanti, l’avevano fatta svegliare madida di sudore e urlante.
Era la prima volta che il dono giungeva a lei, non si era mai mostrato prima di quell’inverno dei suoi diciassette anni, ed era stata sua madre Aslaug a farle comprendere per la prima volta il significato più profondo di quelle immagini.
Þyri, come Sigurd prima di lei, aveva ereditato il dono della loro madre e con esso il fardello che ne derivava.
“Lasciatemi solo con mia madre e mia sorella, affinché io possa conferire con loro in privato. – ordinò algido il vichingo – Avrete la vostra risposta al calare del sole, messaggero, fino ad allora vi prego di essere paziente.”


“Sei sicura dei tuoi sogni, sorella? – chiese Ivar una volta restati soli – Hai conferito con il Veggente?”
“I corvi sono il simbolo di Odino, sono stati gli stessi Huginn e Muninn1 a venirmi in sogno, mandati dal loro Signore affinché io potessi avvertiti, bróðir.2 – rispose senza indugio alcuno la fanciulla – Ho visto la vittoria dei figli di Ragnar in Northumbria, ho visto i neri messaggeri banchettare con i cadaveri dei loro nemici, i becchi dilaniarne la carne fresca e bere il sangue ancora caldo; ho visto i figli del Nord prosperare nelle terre degli Angli.”
Ivar chiuse gli occhi, portò le mani alla bocca, prese un profondo respiro e disse: “E sia, allora. Se questo è il volere di Odino non posso sottrarmi: radunerò i vessilli, riempirò ogni drakkar a mia disposizione con i guerrieri più forti, e lascerò che i corvi sbattano le loro oscure ali verso le terre della Northumbria.”



 
**



Sigurd chiuse repentinamente gli occhi quando uno dei nobili rispose alla sua domanda con uno sputo sul suo viso: erano nuovamente nella sala grande del palazzo di York, come era accaduto il giorno prima i nobili erano stati condotti al suo cospetto, ma senza alcun risultato.
Erano testardi, orgogliosi, non avevano paura della morte; erano tutti uomini fedeli al loro signore, alla loro terra, alla loro fede, o almeno quasi tutti.
“E’ un trappola! – esordì ad un certo punto uno dei nobili, un ragazzo poco più grande di Sigurd, con capelli castani tagliati corti e un viso scavato – Il Re e il vecchio sovrano, Osberth, accerchieranno l’esercito dei vichinghi da due punti: il primo da Nord e il secondo da Sud. Sarà impossibile per loro scappare, in mezzo ci sarà il fiume che, in questo periodo, è in piena e non permette un passaggio facile se non in alcuni punti strategici. Ne moriranno in centinaia, nessuno sarà risparmiato, tantomeno i vostri fratelli.”
“TRADITORE!” urlò uno dei nobili, un uomo molto più anziano, cercando invano di scagliarsi contro il più giovane: uno dei soldati vichinghi lo fermò e, colpendolo violentemente al viso, lo mise a tacere.
“Molto bene. – Sigurd increspò le labbra in un sorriso compiacente e si avvicinò al giovane nobile senza nome – Come vi chiamate?”
“Sono il Conte Ecgbert,  uno dei consiglieri di Re Ælle, o almeno lo ero. – rispose con voce alta e senza paura di guardare l’altro negli occhi – Ho una moglie e una figlia ancora in fasce qui nel palazzo, e prego voi affinché non sia fatto loro del male, per aver risparmiata la nostra vita.”
“Nessun male è stato fatto alle donne o agli infanti, Anglo, e nessun male sarà fatto a voi. – Sigurd posò una mano sulla spalla dell’altro – Avete preso una saggia decisione, la vostra vita sarà risparmiata, e questo gesto non sarà dimenticato.”
Poi, rivolgendosi ai restanti nobili, ordinò: “Che la metà di loro sia portata fuori, nel cortile, affinché tutti possano assistere alla loro decapitazione. Riportate gli altri nei sotterranei.”

A quella frase seguirono urla, proteste, pianti da parte delle mogli e insulti da parte dei cittadini di York che, sia per curiosità sia per forza, si erano ammassati intorno al luogo in cui erano stati posti dei ceppi di legno e alcune asce ben affilate.
Furono Sigurd, Gorm e altri importanti condottieri vichinghi a compiere il sacrificio in quel giorno privo di nubi, nella speranza che Odino ascoltasse le loro preghiere, fosse compiaciuto da quelle offerte di sangue umano.
Sigurd fece inginocchiare davanti al ceppo posto al suo fianco uno dei nobili sacrificati, un uomo tozzo dal collo taurino, con capelli radi e quasi del tutto bianchi, il quale cercò di ribellarsi senza mai supplicare; lo tenne fermo più volte con un piede e imprecò contro di lui a denti stretti quando questo oppose resistenza: nello stesso momento, la folla composta dai popolani che si era radunata attorno a lui e agli altri vichinghi continuò a sibilare parole velenose, a fissare quella scena con occhi carichi di odio.
“Alla presenza degli Dei, e in loro onore, io, Sigurd Ragnarsson, offro questo sacrificio! – esclamò senza alcun indugio il giovane vichingo, scambiandosi una sfuggente occhiata e un cenno d’intesa con gli altri, calando subito dopo l’ascia sulla nuca sfuggente del nobile: la lama dell'arma dal manico intarsiato vibrò nel freddo del mattino, in un solo, secco colpo si prese la vita dell'uomo, e in un istante tutto fu compiuto. – Possa Odino, padre degli Dei, signore di Asgard, volgere il capo verso di noi e darci la sua protezione.”
Urla cariche di orrore e odio si levarono tra le gente quando la testa mozzata dagli occhi vitrei rotolò verso di loro, sangue iniziò a scorrere sulla pedana di legno, raggiunse il bordo e gocciolò impregnando la polverosa terra; Sigurd lasciò cadere l’ascia, la quale toccò terra provocando un rumore sordo, e intinte due dita nel sangue le portò al viso, passandole su entrambe le guance e fino al collo, in modo da dipingersi due linee rosse simili a delle lacrime, traendone così forza.
In quel momento, un enorme corvo volò sopra di loro, andandosi a posare sul tetto di una delle dimore più umili, iniziano a gracchiare sempre più forte.
Huginn e Muninn avevano assistito ai sacrifici, pensò compiaciuto Sigurd, presto avrebbero sussurrato alle orecchie di Odino la notizia, e i suoi fratelli avrebbero sconfitto gli eserciti della Northumbria.


 


*



1. Huginn e Muninn erano, nella mitologia nordica, i due corvi che, associati ad Odino, viaggiavano per il mondo portando notizie al loro padrone. Nell'iconografia, erano quasi sempre rappresentati posati sulle spalle di Odino, e i loro nomi significano rispettivamente Pensiero e Memoria.
2. Parola norrena ch significa fratello.

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Capitolo 11
*** 11. ***


 


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Heluna si coprì il viso con i palmi delle mani quando l’ascia calò sul nobile condannato e, repentina, si allontanò dalla finestra delle sue stanze private.
Non era la prima volta che un’esecuzione veniva eseguita in pubblica piazza a York, suo padre aveva messo a morte molti dei suoi nemici durante gli anni del suo burrascoso regno, ma era la prima in cui le vittime erano persone che lei conosceva sin da quando era una bambina.
Si inginocchiò accanto al suo letto, puntando i gomiti sul bordo, e con tutte le forze iniziò a pregare per l’anima di quegli uomini e per le loro famiglie, per le loro mogli straziate dal dolore e per i loro figli ancora troppo piccoli per capire; pregò Dio affinché li accogliesse in Paradiso insieme agli angeli e i santi, desse loro la pace eterna, la misericordia di cui i preti erano soliti parlare in ogni loro omelia.

Sub tuum praesidium confugimus, Sancta Dei Genetrix,  – sussurrò recitando quell’antica preghiera, nella speranza che la Vergine udisse la sue parole e invocando il suo aiuto in quell’ora buia della sua vita - Nostras deprecationes ne despicias in necessitatibus, sed a periculis cunctis libera nos semper, Virgo gloriosa et benedicta. 1

La porta alle sue spalle si aprì e, furtive, fecero il loro ingresso Judith e altre due fanciulle: una di queste era sconosciuta alla principessa, aveva caratteristiche fisiche simili a lei e, dal modo nervoso in cui si guardava attorno, Heluna capì immediatamente che stava succedendo qualcosa di strano.
“Dobbiamo andare via di qui, Principessa, subito! – esclamò impaziente Judith, iniziando a rovistare in una cesta di vestiti – Mettete questi vestiti, scambiateli con quelli di Æthelhild, affinché lei possa prendere il vostro posto.”
“No, Judith, no! – si oppose Heluna – Una volta abbiamo provato ad ingannare i vichinghi con questo stratagemma e abbiamo fallito; non permetterò che le vostre vite vengano messe a repentaglio una seconda volta, non per me almeno.”
“Principessa, non avete assistito a ciò che è appena successo? – chiese retorica Judith, mostrando tutto il suo orrore – Sono selvaggi, non mostrano alcuna pietà, le loro parole solo veleno e menzogna: le prossime saremo noi, sarete voi, e per l’affetto che vi portiamo non lo permetteremo.”
“Judith…”
“Vi prego, Principessa, non opponetevi. – Judith si avvicinò a lei e le strinse le mani – Abbiamo già sacrificato la dolce Mary, la quale è stata costretta a vedere il suo amato padre venire assassinato a sangue freddo, a sposare un barbaro; non permettete a voi stessa di cedere, di darla vinta a loro, non adesso. E’ stato tutto organizzato: una mezza dozzina di uomini e donne vi condurranno fuori dalle mura di York, al sicuro, vi stanno aspettando con cibo, acqua e cavalli freschi.”
Heluna prese un respiro profondo, si fece il segno della croce, e infine disse: “Cosa devo fare?”

 


**



Era stato strano togliere nuovamente la vita ad un uomo indifeso, specialmente dopo i sanguinosi avvenimenti di Svíþjóð2 che, per mesi, lo avevano tormentato di giorno e di notte, lui che all’epoca era ancora un ragazzo inesperto nell’arte della guerra e della vendetta.
Non era pentito di quello che aveva fatto, no, eppure sapeva che lei lo avrebbe odiato e avrebbe riversato su di lui la sua collera.
Ancora macchiato di sangue in viso e sul corpo, fu condotto dai suoi stessi passi davanti alle stanze private di Heluna, trovandole misteriosamente prive della presenza dei soldati che lui stesso aveva messo a guardia della principessa; questo lo fece insospettire, arrabbiare anche, e senza indugiare si precipitò all’interno, trovando accovacciata sotto le coperte del letto una ragazza simile in tutto a Heluna – tutto eccetto negli occhi.
“Maledizione!” imprecò il vichingo, scaraventando con forza la giovane a terra, correndo fuori dalle stanze e dando l’allarme.
In un batter d’occhio ogni guerriero si riversò per le strade e per il castello di York, incaricato di ritrovare la principessa, di cercare in ogni angolo della città; tutti divennero nervosi, - non solo i vichinghi, ma anche i cittadini, i quali temevano una qualche ripercussione su di loro - ma nessuno era più furente di Sigurd Ragnarsson.
“Coma ha fatto a fuggire?” chiese Gorm, affiancando l’amico.
“I soldati incaricati di sorvegliarla hanno partecipato al sacrificio disubbidendo agli ordini, l’hanno lasciata da sola, e qualcuno deve aver approfittato della situazione. – ruggì Sigurd – Devono essere state le sue dame: non c’è da fidarsi di loro, sono più scaltre delle gatte di Freyja3, molto più subdole, e sono stato uno sciocco a permettere loro di uscire dalla cella in cui le avevo rinchiuse e riunirsi con la loro adorata signora.”
“Non possono essere fuggite, non così in fretta, non con i cancelli chiusi. – tentò di tranquillizzare il rosso – Devono essere ancora qui, da qualche parte, e presto le ritroveremo.”


Furono i suoi uomini a ritrovarla, insieme alle sue dame, nascosta in un carretto pieno di barili di vino e sempre loro la scortarono, con non troppa eleganza, verso la sala grande in cui Sigurd li stava aspettando: nel vederla entrare, vestita come una plebea e rossa in viso, il giovane si mosse improvvisamente scomodo sullo scranno ligneo, sopprimendo la voglia di alzarsi e iniziare ad inveire contro di lei e le sue sciocche ancelle a pieni polmoni.
Uno dei vichinghi la spintonò in avanti, facendole perdere l’equilibrio, ma neanche quando cadde rovinosamente in ginocchio Sigurd si scompose; non avrebbe ceduto, si disse, il tempo della gentilezza e della comprensione era finito con la sua fuga da sciagurata.
“Davvero pensavate di poter scappare, di lasciare sana e salva questa città? – iniziò con apparente calma – Eravate davvero convinta di ingannarci, a nulla sono serviti gli avvertimenti, i fallimenti già subiti?”
“E aspettare impotente il destino che ci attende? – sussurrò Heluna, alzando lo sguardo fiero verso di lui – So quale sarà la vostra prossima mossa, ho capito le vostre intenzioni, le vostre vere intenzioni: ci renderete tutte schiave, ci sacrificherete come avete fatto con i nobili, e non mostrerete alcuna pietà.”
“Pietà… - Sigurd sorrise algido – Questa è la guerra, Principessa, e in guerra non è concessa alcuna pietà per il nemico. Dubito che vostro padre ne dimostrerebbe verso di me, i miei fratelli o il mio popolo; dubito che quei nobili ci avrebbero riservato un trattamento diverso se i ruoli fossero stati invertiti; dubito che voi sappiate di cosa state parlando.
Schiave? – proseguì – Certo, potrei rendervi tutte schiave, così da dilettare me e i miei uomini, soddisfare i nostri carnali piaceri…”
Gli occhi di Heluna si riempirono di terrore alla sola idea di diventare sollazzo di quei barbari, tremò al pensiero delle loro mani che la toccavano, che si prendevano non solo la sua innocenza ma anche la sua stessa esistenza.
Cosa aveva fatto? si chiese miseramente, iniziando a singhiozzare, oramai certa di aver scritto la sua condanna a morte.
Sigurd era stato magnanimo con lei, era stato gentile, ma adesso ogni gentilezza sembrava essere svanita come rugiada al sorgere del sole: l’avrebbe umiliata davanti a tutti, l’avrebbe resa una schiava come tante, e poi…
Il figlio di Ragnar si pentì di quello che aveva detto, in cuor suo sapeva che non avrebbe mai avuto la forza di farle del male, – il solo vederla piangere in quel modo lo faceva sentire terribilmente misero - eppure in qualche modo doveva impartirle una lezione che non avrebbe mai scordato: colto da un lampo di genio, il vichingo ghignò sornione, trovando la giusta punizione per la bella principessa.
“Sapete che giorno è oggi, Gorm?” chiese al suo amico.
Laurdag, il giorno della pulizia.4” rispose perplesso l’amico, non capendo cosa l’altro avesse in mente.
, er idag Laurdag!5 E’ l’ora di un bel bagno! – esclamò euforico in norreno, affinché lei non capisse, provocando nei suoi soldati una fragorosa risata che rimbombò nel palazzo dopo che, repentino, si avvicinò a lei e se la caricò con sorprendente facilità sulle spalle larghe; in risposta Heluna urlò, terrorizzata all'idea di ciò che Sigurd avrebbe potuto farle. – Coraggio, Principessa, torniamo nelle vostre stanze.”


 

**



La fanciulla si andò a rannicchiare contro la testiera intagliata del suo letto non appena Sigurd le permise di posare i piedi per terra, osservò con occhi sgranati e pieni di paura i pagani trasportare con non poca fatica una vasca da bagno lignea nella stanza da letto, versare acqua calda contenuta in giare di terracotta al suo interno e infine lasciarli soli.
Senza dire una parola, Sigurd iniziò a sfilarsi il Kyrtill6 di lana dai bordi decorati, facendo lo stesso procedimento con la sotto-tunica di lino, con i calzari, e solo quando raggiunse la braghe di pelle venne interrotto dalle proteste di Heluna.  
“Fermo! – ordinò sconvolta – Cosa state facendo?”
“Non avete sentito quello che ho detto prima nella sala grande? – chiese retorico lui, ben conoscendo la risposta – E’ laurdag, il giorno della pulizia, e in questo giorno noi norreni ci dedichiamo alla cura del corpo.”
Sigurd afferrò un pettine e un sapone, li lanciò malamente verso Heluna, e proseguì: “E oggi sarà ancora più spaciale, perchè sarete voi a provvedere alla cura del mio corpo, lavandomi accuratamente la schiena e pettinandomi i capelli proprio come una vera servetta ubbidiente.”
“Mai! – obbiettò scattando in piedi e buttando a terra i suddetti utensili da bagno – Io sono una principessa, non una schiava, e siete uno sciocco se pensate che potrei anche solo sfiorarvi con un dito. Io vi odio!”
“Bugiarda! – Sigurd fece un balzo in avanti, le circondo la vita con un braccio, tenendola ferma – Io conosco il vostro segreto, posso leggervelo negli occhi; so cosa alberga nella vostra mente, perché è anche nella mia.”
“Di cosa state parlando?” chiese Heluna, deglutendo a fatica per la troppa vicinanza con il giovane vichingo, per la spudoratezza di quest’ultimo. A così breve distanza poteva sentire l'odore agrodolce della sua pelle, il calore della sua bocca che le sfiorava appena la guancia sinistra. Mai nessun uomo le era stata così vicina, aveva osato tanto.
Dal canto suo, Sigurd non era certo di ciò che stava per fare o dire, non avendo la sicurezza che i sogni che riempivano la sua mente fossero gli stessi di quelli di Heluna, ma si disse che doveva comunque provare se voleva creare una concreta possibilità di un futuro con lei.
Sì, provare era la sola soluzione possibile; dopo tutto, cosa aveva da perdere?
Orm ì auga – sussurrò al suo orecchio, sfiorando la guancia morbida della fanciulla con la sua molto più ispida, utilizzando di proposito quella parola – So che un giovane uomo dalle fattezze si serpente viene a farvi visita ogni notte e striscia nel vostro letto.”
“C-cosa? Come? – Heluna rabbrividì, non di paura ma di piacere, puntò i suoi occhi in quelli di lui – Come fate a sapere?”
“Perché, ogni notte, una principessa dagli occhi tristi viene a far visita nei miei, di sogni; ogni notte, da mesi oramai, vi sogno e non ho avuto pace fino a quando non ho capito che eravate voi. – confessò – Onestamente, neanche adesso riesco a trovare pace, poiché sapere che voi siete la figlia del mio peggior nemico, dell’uomo che presto ucciderò, e che per questo non potrò mai avervi, mi avvelena l’anima come il morso di un serpente.”
“Sigurd… - era la prima volta che lo chiamava per nome in un contesto privato, il suo tono di voce uscì basso e incerto, mostrava il proprio tormento interiore – Perdonatemi, ma io... io non so cosa dire o fare.”
Il biondo norreno le sorrise, fece un passo indietro e recuperati da terra pettine e sapone glieli porse nuovamente dicendo: “Perché non incominciamo con un bagno caldo?”

 
 
*



1: Il "Sub tuum praesidium" è una delle più antiche preghiere di devozione alla Vergine, risalente addirittura al III secolo, e scoperta per la prima volta ad Alessandria d'Egitto. La traduzione letteraria è: "Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio: non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, ma liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta."
2: Durante la guerra che i figli di Ragnar combatterono contro il Re Eystein di Upsalla per vendicare la morte dei loro fratelli maggiori, Eirik e Agnar, rasero al suolo la città di Svíþjóð e ne uccisero la popolazione. Di questa strage e di questa guerra più in generale si parla nella Ragnarssona þáttr.
3: Freyja era la dea norrena dell'amore, della fertilità e della guerra. Il suo animale sacro era appunto il gatto, il quale trainava in coppia il suo carro.
4: Per riferirsi al sabato, la lingua norrena parla di Laurdag, ovvero “giorno della pulizia”; in islandese “laug” significa ancora “bagno” o “pozza d’acqua”, invero tuttora il sabato è chiamato in islandese laugardagur, in svedese lördag e in danese e norvegese lørdag.
5: Letteralmente: "Sì, oggi è Laurdag/Sabato!"
6: Kyrtill, sopratunica fatta di lana: la parte superiore del capo era relativamente aderente, mentre le maniche erano cucite in modo da permettere il movimento ed erano solitamente abbastanza lunghe da coprire i polsi e parte della mano. Variava di lunghezza dalla coscia al ginocchio in base alla ricchezza di colui che indossava il capo. Poteva essere decorata ai bordi della maniche e della scollatuta con intrecci di lana colorata; i più ricchi decoravano anche il bordo della gonna.
 

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Capitolo 12
*** 12. ***




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Passò per la terza volta il pettine dalla setole larghe tra i biondi capelli di Sigurd, sciogliendo l’ennesimo nodo in cui era incappata e stando bene attenta a non fargli male; nella sua breve vita si era ritrovata molte volte a spazzolare lunghi capelli, – la prima era stata sua amata madre, tanto tempo prima – ma mai aveva visto un uomo con capelli tanto lunghi e ben curati come quelli del giovane vichingo.
In Northumbria, così come nelle altre terre degli Angli e dei Sassoni, gli uomini potavano capelli in stile bizantino molto più corti di quelli dei norreni e, come il resto del corpo,  erano meno curati1 : questo, con l’aggiunta di avere per la prima volta un contatto tanto intimo con un uomo, rendeva quella situazione ancora più strana di quanto già non lo fosse.
Non avevano parlato molto dopo la rivelazione fatta dal ragazzo, in verità non avevano parlato affatto, e Heluna si chiese se anche lui provava le stesse sensazioni contrastanti che stava provando lei in quel momento: confusione, per tutti quei singolari sogni dal significato ancora nebuloso che li accumunavano; timore, per il loro essere che li costringeva a guardarsi con reciproco sospetto; paura, per le forti sensazioni che provavano l’uno per l’altra e che non riuscivano a mascherare neanche con parole velenose e azioni barbare.
La principessa continuava a ricordare a se stessa i suoi doveri, chi lei fosse, a chi dovesse la sua indiscussa fedeltà; il suo popolo aveva bisogno di lei, lei che era la chiave per accedere ad un regno finalmente libero da guerre civili, alla pace tra suo padre e quello che sarebbe diventato il suo futuro sposo: non poteva mostrare cedimenti, incertezze, non in quel momento così delicato e incerto.
Avrebbe messo in secondo piano i suoi desideri, come aveva sempre fatto, e una volta vinta la guerra contro i vichinghi si sarebbe sposata, assolvendo così al suo dovere di donna, e avrebbe dimenticato per sempre il misterioso principe norreno dai lunghi capelli biondi.

Minn kœrr.2 - Sigurd posò il palmo bagnato della mano destra sul polso di lei – Va tutto bene?”
Heluna si ridestò dai suoi pensieri e sussultò appena, abbassando leggermente il capo in direzione del giovane vichingo, incontrando i suoi occhi chiari.
“Come? – chiese sbattendo un paio di volte le palpebre – Perdonatemi, mio signore: ero assorta nei miei pensieri e non era mia intenzione farvi alcun male.”
“Cosa vi fa pensare che mi abbiate fatto male?” chiese curioso Sigurd, sorridendo lievemente.
“Il tono con cui avere pronunciato quella strana parola che presumo sia un rimprovero e il modo poco gentile con cui ho sciolto l’intricato nodo tra i vostri capelli.”
Sigurd scosse la testa e fece un’enorme sforzo per non ridere di gusto – lui non l’aveva insultata, tutt’altro, aveva pronunciato senza neanche pensarci un appellativo che lasciava trasparire ciò che provava per Heluna, quel sentimento ogni giorno più chiaro e forte.
Ringraziò Odino che lei non conoscesse neanche una parola di norreno, altrimenti non avrebbe avuto scampo, si sarebbe coperto di ridicolo – ecco cosa sono diventato, pensò, uno smidollato, un debole.
“Non mi avete fatto male, Principessa, il vostro tocco è delicato come quello di un fiocco di neve candida sul viso.”

Heluna arrossì lievemente, abbassando repentina il viso e coprendolo con ciocche di capelli che ricaddero morbide sul suo ovale perfetto, e quando lui tornò a guardare davanti a se ricominciò il suo minuzioso lavoro.

“E’ vero quello che dicono? – riprese poco dopo lui – Sposerete Osberth, il nemico di vostro padre, nonché suo predecessore, quando la guerra finirà?”
“Non è più suo nemico, ora è un suo prezioso alleato; e sì, lo sposerò quando la guerra sarà finita e il vostro popolo sarà rispedito nelle gelide terre a est a cui appartiene.”
“Siete molto sicura di ciò che dite, Principessa, e questo lo ammiro, ma dubito che sposerete mai il vecchio Osberth: i miei fratelli e il loro esercito prevarranno, lo sconfiggeranno come sconfiggeranno vostro padre, e voi sarete libera dalle catene del vincolo che vi lega.”
“Libera di essere incatenata ad altre catene molto più robuste, intendete. – puntualizzò piccata – Non sarò mai libera, Ragnarsson, né con Osberth né con voi e il vostro esercito; diverrò una schiava, sarò denigrata e venduta come una qualsiasi bestia, e passerò il resto della mia vita nell’ombra di qualche freddo focolare.”
Sigurd sospirò, osservando con aria appena corrucciata le increspature d’acqua che continuavano a formarsi al più piccolo movimento del suo corpo nella tinozza da bagno; non aveva certezze sul suo futuro, la gloria dei figli del Nord profetizzata dal Veggente mesi e mesi prima avrebbe potuto significare per loro sia vittoria che morte, poiché non c’era gloria più grande per un vichingo di una morte in battaglia degna del Valhalla.
“Cosa ne sarà delle mie amiche?” chiese con timore, cambiando argomento.
“Se pensate che permetterò a quelle stolte di rimettere piede in queste stanze, di starvi nuovamente vicino, vi sbagliate. – rispose freddamente Sigurd – Sono stato fin troppo paziente con loro, ma adesso sono stanco, e per questo le lascerò a meditare sulle loro azioni nei sotterranei fino a quando non deciderò altrimenti.
Non preoccupatevi, - proseguì – avranno due pasti al giorno e delle coperte che le terranno al caldo; nessun male sarà loro fatto, non da me o dai miei uomini almeno, ma nessun contatto con voi o con qualsiasi altra persona amica avrà luogo.”
“Dunque neanche io…”
“No! – esclamò bruscamente – Non vedrete altre persone all’infuori di me; non avrete contatti con l’esterno, solo con me; non lascerete questa stanza, mai e sarò io e solo io la vostra unica connessione con il mondo là fuori. Inoltre, da oggi in poi mi obbedirete senza obbiettare o mettere nuovamemte in discussione la mia posizione di comando.”
Facendo leva sulle braccia uscì dalla tinozza da bagno, rovesciando acqua tutto attorno, acqua che iniziò a grondare copiosa dal suo stesso corpo: velocemente il vichingo si avvolse in un telo di lino poggiato poco distante e in tutta fretta si asciugò alla bell’e meglio. Datto ciò, si liberò del telo e a peso morto si distese sul letto poco lontano, ignorando l'espressione sbigottita della fanciulla ancora inginocchiata accanto alla tinozza.


“Cosa state facendo?” chiese Heluna.
“Non è abbastanza ovvio? – chiese a sua volta Sigurd, retorico, portando le braccia dietro la testa e intrecciandole – Il sole sta calando, il giorno è terminato, e io sono stanco: quale momento migliore se non questo per riposare in attesa della cena?”
“Ma questa non è la vostra stanza! – esclamò piccata, stringendo i pugni – E’ la mia, e non vi permetto di profanarla come avete fatto con quella di mio padre, con il resto della dimora.”
Sigurd rise: “E cosa vorreste fare, se posso saperlo? – si portò a sedere – Siete la mia serva ubbidiente, ora, quindi vi consiglio di non ribellarvi ancora e di starvene quieta.”
“E’ così che trattate le vostre donne nel luogo da cui provenite? Senza dignità, senza considerazione alcuna, come un essere sottomesso e inutile?”
“Al contrario, Principessa, le donne norrene sono trattate con il massimo rispetto: sono guerriere, come avete potuto vedere voi stessa, sono mogli rispettate, possono persino ereditare le terre dei loro padri se considerate degne di possederle. – le spiegò – In verità, ritengo che siano le vostre donne ad essere trattate in tutti quei modi indecorosi che avete appena elencato, e voi ne siete la prova.”
Ancora una volta Heluna fu punta sul vivo, toccata nel punto più fragile della sua anima; ancora una volta non seppe come replicare e questo la fece sentire ingenua e sciocca – proprio come l’aveva sempre fatta sentire suo padre.
“Quindi le vostre sorelle sono libere di sposare chi vogliono?”
“Þyri, mia sorella, sposerà Gorm Knutsson se questo sarà il suo volere; non posso parlare per tutte le donne nobili norrene, questo no, ma posso dire con certezza che non darei mai mia sorella in sposa ad un uomo dell’età di suo padre, al mio più acerrimo nemico, solo per compiacere me stesso e i miei piani.”
“E cosa fareste, Ragnarsson?”
Sigurd ghignò: “Ucciderei il mio acerrimo nemico con le mie stesse mani, conquistando le sue terre e il suo esercito, e con quest’ultimo sconfiggerei coloro che mi ostacolo e  invadono il mio regno mettendo a repentaglio tutto ciò che ho di più caro al mondo.”
“Fortunata la donna che diverrà vostra moglie, dunque, e le figlie che lei vi darà.”
“Parlando di questo, non mi avete ancora detto cosa pensate del sogno, e…”

La porta si aprì in quel momento, lasciando entrare nella stanza due vichinghi, ai quali Sigurd ordinò di posare ai piedi del letto la cena e di andarsene repentinamente.
“Ha un ottimo aspetto, non trovate? – chiese il norreno riferendosi alla carne speziata accompagnata da verdure, alla frutta, all’idromele che riempiva la caraffa d’argilla. – Perché non vi sedete qui accanto a me, a bordo letto, così da dividere la pietanza?”
“Non ho fame.”
“Certo che avete fame, siete solo troppo orgogliosa per ammetterlo e dividere il cibo con me. – disse piccato, staccando a mani nude un pezzo di pollo e portandoselo alla bocca – Buono, davvero buono.”
Heluna si morse un labbro e strinse le braccia attorno allo stomaco brontolante – aveva fame, molta fame, ma condividere la cena con il giovane vichingo avrebbe comportato una maggiore intimità e questo lei non poteva permetterlo.
“Sapete, a volte mi domando se vi divertiate a tormentarmi, a confondermi con i vostri modi di fare ambigui. – confessò – Non riesco a capire chi siate, Ragnarsson, se uno spietato assassino che si diverte a tormentare le proprie vittime prima di ucciderle oppure un giovane uomo che, per qualche strano motivo, tiene alla mia incolumità.”
“Sono l’uno e l’altro, temo; sono un vichingo che ha ucciso donne e bambini accecato dalla vendetta e dal dolore, un essere tormentato costretto a dividere una gabbia di mattoni con la fanciulla che dovrebbe disprezzare, dalla quale dovrebbe tenersi ben lontano. – sospirò – Avete paura di me, Heluna?”
“Qualche volta, sì. – rispose – Stamattina, quando vi ho osservato dalla finestra mentre giustiziavate quegli uomini, ho avuto paura di voi, di quello che avreste potuto farmi; ho avuto paura quando avete ucciso a sangue freddo il padre di Mary, quando subito dopo vi siete avvicinato a me ancora imbrattato di sangue e  mi avete minacciato.”
“Vorrei dirvi che mi dispiace, che sono pentito di ciò che ho fatto, ma non è così: ho ucciso il mio primo uomo all’età di quattordici anni, dieci anni fa, e per me morte e vita sono due fili che è impossibile sciogliere; i miei fratelli maggiori hanno conosciuto la morte troppo giovani, mio padre troppo avventatamente, e so che anche io, un giorno, incontrerò prematuramente quella stessa sorte. – disse senza mai distogliere il suo sguardo da lei – Nonostante questo, vi chiedo perdono se vi ho in qualche modo intimorito, se sono sembrato feroce o collerico nei vostri confronti; sappiate che farò di tutto per tenervi al sicuro, che non sarete mai la schiava che temete di diventare un giorno non molto lontano, e che quando questa guerra terminerà farò in modo che i vostri desideri siano il più possibile rispettati.”
“Siete così misterioso, così imprevedibile, e mi confondete. – confessò sedendosi vicina a lui – Non ho mai conosciuto nessuno come voi, Sigurd, e benché io voglia credere alle vostre parole non riesco a fidarmi completamente.”
“Non pretendo che voi vi fidiate, al posto vostro neanche io mi fiderei: dopo tutto siamo nemici, voi stessa avete tentato di sfuggirmi appena qualche ora fa, e chissà domani cosa potrebbe succedere. – prese il piatto ancora pieno di cibo e lo adagiò tra di loro – Ed è per questo che dobbiamo mangiare, tenerci in forza e riposare il più possibile adesso che ne abbiamo la possibilità.”
“Non avrete intenzione di dormire nel mio letto, spero.”
“E lasciarvi così da sola? – scosse la testa – No, Principessa, non correrò questo rischio: passeremo la notte insieme, e anche quella dopo e quella dopo ancora, fino a quando non saremo costretti a separarci. Inoltre, come entrambi ben sappiamo, sono già strisciato nel vostro letto e non ricordo alcune obiezioni da parte vostra.”
 
Heluna arrossì per l’ennesima volta, maledicendosi per aver confessato con i soli gesti del corpo quel suo indicibile segreto, e pur di non guardarlo si avventò sul piatto e si riempì la bocca con un notevole pezzo di pollo e del pane appena abbrustolito.
Presto le candele si consumarono, la loro luce fioca iniziò ad estinguersi, e giunse il tempo di dormire: sotto le pesanti pellicce, i due giovani fecero ben attenzione a rimanere distanti l’uno dall’altro, riavvicinandosi solo molte ore dopo, quando il sonno prese il sopravvento sulla ragione e i loro corpi bramosi di un contatto si cercarono – e trovarono – nell’oscurità della notte.





*



1: la grande pulizia dei norreni è citata in molte fonti, una delle principali è quella del chierico e priore inglese Giovanni di Wallingford, il quale descriveva la loro minuziosa pulizia e il frequente cambio di abiti di lana allo scopo, sempre secondo le sue teorie, di compiacere le nobili inglesi.
2: in norreno significa letteralmente "Mia cara."

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Capitolo 13
*** 13. ***





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I loro corpi assopiti emanavano un tiepido calore: Sigurd lo percepì immediatamente, nonostante l’esile figura della fanciulla sfiorasse appena la sua, e aperto pigramente un occhio lanciò uno sguardo alle sue spalle, intravedendo le loro gambe intrecciate e i lunghi capelli color dell’oro che ricadevano come onde sulla schiena appena ricurva della principessa.
Il viso di Heluna gli era precluso, poiché ella era distesa sul fianco opposto al suo, in posizione fetale, eppure dal suo respiro regolare il giovane capì che era ancora profondamente addormentata.
Si portò a sedere, distendendo le braccia e la schiena per scacciare dal suo corpo anche gli ultimi torpori dovuti al sonno, e girato lentamente lo sguardo osservò Heluna e ripensò alla notte appena trascorsa: per la prima volta dopo mesi, il più giovane dei figli di Ragnar era riuscito a dormire sogni tranquilli, a liberarsi dalle turbolenti visioni che avevano gravato sul suo corpo e sulla sua mente; probabilmente, pensò, questo era dovuto alla vicinanza della principessa, dell’oggetto dei suoi desideri, e curioso si domandò se anche lei fosse riuscita a dormire placidamente – dal suo volto rilassato ed etereo, si disse che così era.
Fuori la fortezza non si era destata del tutto, fatta eccezione delle guardie che controllavano il perimetro e della servitù impegnata in cucina tutto era quieto, e Sigurd si ritrovò sollevato al pensiero di avere del tempo per poter osservare Heluna dormire e, forse, svegliarsi.
Ivar gli avrebbe consigliato di destarla bruscamente e farla sua, così da soddisfare una volta per tutte i suoi desideri e le sue voglie, pensò; Bjorn, al contrario, gli avrebbe consigliato di ammaliarla, prenderla con dolcezza, abbandonandola subito dopo; Hvìtserk, invece, avrebbe… cosa avrebbe detto di quella situazione? A dire il vero, Sigurd non sapeva cosa Hvìtserk avrebbe potuto dirgli, poiché il suo terzo fratello non era il tipo che parlava di donne, preferendo a queste la guerra e questioni più pragmatiche.
Il giovane norreno aveva scoperto in tenera età le doti nascoste delle fanciulle, non aveva mai avuto difficoltà nel corteggiamento e nel farle cadere ai suoi piedi, – persino le donne guerriere più intransigenti avevano ceduto al suo fascino, permettendogli di entrare nei loro letti e tra le loro calde cosce – eppure quella situazione era diversa.
Come avrebbe potuto approcciarsi a Heluna senza terrorizzarla, senza violarla come aveva fatto in altre occasioni con alcune prigioniere provenienti dalla sua stessa terra; come avrebbe fatto a far cedere le sue barriere, le sue mura impossibili da espugnare, quando era chiaro come il sole che lei sarebbe sempre stata fedele alle sue promesse di figlia di un sovrano, preferendo così un vecchio guerriero a lui?
Forse, pensò, prenderla in quel preciso momento, nel chiarore dei primi raggi del sole, era la soluzione migliore; forse, facendola sua, sarebbe stato libero dai suoi tormenti, concentrato su l’unica cosa che davvero contava: la guerra.
Sei un debole!
La voce severa di suo padre riecheggiò nella sua mente, riportò a galla le sue più profonde paure: lui non voleva essere un debole, non  era un debole, eppure si stava comportando come tale.
Uno stolto, ecco cos’era diventato da quando aveva preso possesso della città di York; ecco in cosa si era trasformato da quando aveva messo gli occhi addosso sulla principessa per la prima volta, da quando le aveva permesso di prendere il controllo sul suo animo nei momenti più intimi della sua giornata, tanto da non permettergli di trovare pace neanche nel letto di altre donne.
Si avvicinò a lei, si chinò sul suo corpo morbido e virgineo, e posata una guancia sul suo capo ispirò a fondo l’odore dei suoi capelli – camomilla e lavanda, un connubio che fece aumentare il suo desiderio.
Iniziò a rigirarsi tra le dita affusolate e callose delle ciocche dorate, mentre il suo viso si spostava più in basso, perdendosi nell’incavo del suo collo, e i suoi polmoni si riempivano dell’odore della sua pelle candida: la desiderava, ora ne era certo, doveva averla.
Heluna mugugnò, mosse impercettibilmente le spalle e allungò il collo come a volergli dare permesso di proseguire, lasciando così scoperta un’ampia porzione di pelle lattiginosa.
Era sbagliato, si disse il vichingo scostanosi leggermente da lei, era tutto sbagliato: non avrebbe risolto nulla aggredendola nel sonno, avrebbe rovinato ogni cosa; avrebbe infranto ogni sua promessa, ogni suo buon proposito, eppure…
Così bella; così innocente; così vicina!

Si inebriò del profumo dei suoi capelli biondi e della sua pelle; audace, risalì con la punta delle dita il suo collo fino ad arrivare alla mandibola, alla guancia su cui posò un bacio umido; aveva un ottimo sapore, si disse, era calda ed invitante, lo faceva impazzire completamente.
“Heluna.” sussurrò al suo orecchio, come tante e tante volte aveva fatto nei loro sogni, pregando che lei si svegliasse e lo fermasse – non ci sarebbe riuscito più avanti, era sul punto di perdere il controllo, di svegliare il serpente dal sangue freddo che giaceva da qualche parte nel suo animo macchiato di sangue.
“Heluna.” la chiamò ancora, mentre il desiderio cresceva, iniziava a manifestarsi sul suo corpo, nei suoi occhi lucidi, nel suo cuore che batteva come impazzito.
La principessa si mosse nuovamente tra le coperte, iniziando a prendere coscienza del suo corpo e di ciò che stava succedendo attorno a lei e piano aprì gli occhi e mise a fuoco il viso di Sigurd a pochi centimetri dal suo.
“Sigurd… - sussurrò, credendo di star sognando, di essere nuovamente in uno dei suoi sogni. – Sigurd, sto sognando?”
“Non lo so. – rispose lui, iniziando a credere che fosse davvero un sogno, di non essersi mai svegliato – So, però, che vi desiderio, minn kœrr, e questo mi sta facendo impazzire.”
Sigurd si avventò sul suo collo, mordendolo come un lupo affamato, assaporando nuovamente il gusto della sua carne e provocando in lei un gemito di dolore.
In quel momento, Heluna ebbe la certezza che quello non era un sogno – era tutto troppo vivido, troppo diverso dal solito, troppo reale – e repentina espresse il muto desiderio di Sigurd: facendo forza su entrambe le braccia, lo allontanò bruscamente da lei; successivamente, scese da letto e si portò una mano al collo, sul lembo di pelle su cui spiccava un profondo marchio rossastro – il marchio del serpente.

“Siete un barbaro! – esclamò oltraggiata – Cosa pensavate di fare?”
“Non lo so. – rispose con un filo di voce il norreno – In effetti, dubito di aver pensato affatto; ad essere onesti, volevo solo soddisfare un desiderio della carne nella speranza che la mia ossessione per voi sparisse per sempre.”
“Nonostante questo non avete opposto resistenza quando vi ho respinto; non avete in alcun modo tentato di farmi tornare da voi o di continuare con la forza il vostro intento barbarico. Perché?”

Con un balzo repentino, Sigurd si alzò dal letto, e con passo deciso camminò per la stanza annullando nuovamente le distanze tra loro: quando le fu abbastanza vicina, chiuse in una morsa fatta dalle sue possenti braccia il corpo della principessa, stringendola senza farle alcun male.
“Ditemi, Heluna, avete sognato nelle ore precedenti all’alba? – chiese – Per la prima volta da mesi, la mia mente non è stata tormentata da sogni che mi parlano di voi, e credo che anche voi abbiate dormito pacificamente.”
La principessa ripensò alla notte appena passata, si sforzò di ricordare qualsiasi cosa simile ad un sogno, non riuscendo a rimembrare nulla: Sigurd aveva ragione, pensò, anche lei era riuscita a liberarsi da quei sogni.
“Non vi sbagliate, Norreno.” rispose algida.
“E non vi domandate il perché? Perché, tra tutte le notti, proprio in questa appena passata i nostri sogni hanno deciso di concederci pace?”
“Perché… - iniziò lei, tentennando – Perché avevo già fatto strisciare il serpente nel mio letto molte ore prima.”
“Siete una fanciulla perspicace, Principessa. – la provocò di proposito – Ed è per questo che voglio rispondere alla vostra domanda: perché, nonostante il desiderio che provo per voi, non sarebbe stato giusto; perché io non sono così, non voglio essere così, e se vi avessi violato, dando ascolto al mio animo di serpente, alle voci dei miei fratelli e di mio padre che riempivano le mie membra, voi mi avreste per sempre odiato e io non mi sarei mai perdonato per il torto a voi recato.”
Heluna lo guardò con espressione indecifrabile, lei che a sua volta stava tentando di dare un senso alle parole da lui pronunciate: uno strano essere, pensò, ecco chi era Sigurd Ragnarrson; uno strano essere dalle fattezze di uomo, imprevedibile come pochi, spietato e misericordioso allo stesso tempo; odiato e amato allo stesso tempo – perché una parte di lei, seppur piccola, stava iniziando ad amarlo.
“Avete paura di me, Principessa?”
“No. – rispose sicura – No, non ho paura di voi, in verità sono affascinata da voi e mi domando se, anche dopo cento anni spesi insieme, sarei in grado di conoscervi davvero.”
“Spendereste cento anni della vostra vita insieme a me?” chiese ammiccando.
“Ora state diventando impudente, Ragnarsson, e desidererei che voi la smetteste di pormi certe domande e di tenermi prigioniera in questa morsa solo apparente simile ad un abbraccio.”
 “E sia, ma prima voglio che voi rispondiate ad una mia domanda; che rispondiate sinceramente.”
Heluna annuì senza aggiungere altro.
“Anche voi, come me, avete la sensazione di essere una pedina di un gioco più grande di noi? Un disegno superiore, se così vogliamo chiamarlo, una volontà divina. Anche voi, come me, avete la sensazione che la vostra vita sia già scritta, non importa cosa facciate?”
“Sin dal giorno della mia nascita. – un sorriso amaro comparve sul suo viso pallido – Sono una nobile, una donna nobile, e non ho mai avuto scelta; non avrò mai scelta, non importa quanto la mia avita sia agiata, la mia forza di volontà o i miei desideri.”
“E quali sono i vostri desideri?”
Heluna posò il palmo della mano destra sulla guancia coperta di barba di Sigurd, senza mai smettere di guardarlo, e gli sorrise come mai gli aveva sorriso prima.
“Una sola domanda, ricordate? – chiese retoricamente – Ora lasciatemi libera dalla vostra presa, concedetemi del tempo da sola, per un bagno caldo e per mettermi qualcosa di pulito.”
Sigurd sciolse il contatto lentamente, lasciandola così libera di muoversi, e annuendo leggermente concluse: “Manderò qualcuno a prepararvi il bagno quanto prima. – raccolse da terra il suo kyrtill e se lo infilò dalla testa – E non preoccupatevi, con un po’ di fortuna non mi rivedrete prima di stasera, forse non prima di domani.”
Detto questo, si avviò verso la porta e, uscito dalle stanze riservate alla principessa, si mise alla ricerca di aria fresca e di un po’ di pace per la sua mente turbata. 
 



*



Angolo Autrice: Salve, gente! Primo capitolo senza note *festeggia* e primo capitolo in cui si intravedono chiaramente i sentimenti sia di Sigurd che di Heluna. Cosa accadrà ora? Ivar sta arrivando con il suo esercito, la guerra finale è vicinissima, e presto le cose si faranno complicate per entrambi.
Spero, inoltre, che la storia vi stia piacendo, e vi invito a lasciarmi una recensione - nello scorso capitolo sono state scarse, e non vorrei che la storia stia perdendo interesse o diventando monotona.

Alla prossima,
V.

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Capitolo 14
*** 14. ***


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Capitolo revisionato e modificato: 27/08/2017

 


Sigurd osservò, accovacciato tra i merli delle mura est della città, i  rossastri raggi del sole brillare con i loro fasci obliqui sulla superficie candida della neve che, durante quella fredda notte appena trascorsa, si era depositata nella valle circostante.
L’inverno aveva raggiunto il suo apice in Northumbria, eppure il vento gelido che fendeva come una lama affilata l’aria del mattino non provocò alcuna reazione nel norreno: impassibile, continuò ad osservare il paesaggio che si stagliava davanti a lui, ripensando agli avvenimenti che si erano succeduti in quelle settimane.
Bjorn e Hvìtserk erano ancora là fuori da qualche parte, i loro eserciti stavano patendo il freddo e probabilmente la fame, e il minore dei figli di Ragnar si chiese se quella spedizione non fosse stata avventata, se non fosse stato più saggio aspettare la primavera, stagione delle razzie e del raccolto; si domandò se Ivar avesse udito la loro richiesta d’aiuto, pregò affinché le parole del messaggero e quelle della loro madre avessero fatto breccia nel suo animo glaciale, l’avessero persuaso a chiamare a raccolta i vessilli e salpare alla volta della Northumbria.
Chiuse gli occhi, concedendosi qualche momento per ripensare alla sua terra natia, al rumore delle onde del freddo mare di Kattegat che si increspavano sulla spiaggia umida, al vento invernale che ululava tra le fronde della foresta circostante, ai suoi colpi violenti capaci di far scricchiolare persino le travi più forti della loro casa; ripensò alla rugiada del mattino, quella che ricopriva i sempreverdi che crescevano tra le parete lignee della dimora di suo padre, la stessa rugiada che si posava sui pali piantati nel fondale del mare  a cui venivano legate, indistintamente, le knarr e le drakkar.
In un tempo non molto lontano era stato un bambino spensierato, un figlio affettuoso e un fratello complice che si divertiva a pescare tra i laghi ghiacciati della sua terra; un tempo era stato affascinato da quei mondi sconosciuti di cui suo padre non mancava di raccontare a lui e ai suoi fratelli al ritorno da qualche pericolosa razzia.
Per anni aveva sognato con impazienza il giorno in cui sarebbe stato abbastanza grande da seguirlo in quelle avventure, ma ora che quel giorno era arrivato e passato, Sigurd era diventato immune da quel fascino misterioso, stanco di quella terra straniera che gli dava la nausea. 


“Cosa ci fai qui a quest’ora del mattino, Ragnarsson?”
“Potrei chiedere la stessa cosa a te, Knutsson.”
Sigurd ghignò, scendendo dal merlo sul quale si era accovacciato, assumendo una postura più simile a quella di un corvo che di un uomo, con un balzo felino e si domandò cosa avesse spinto Gorm a recarsi fin là sopra.
“Sól ha iniziato la sua fuga da qualche ora1, così mi sono recato nelle stanze della principessa per parlarti, ma mi è stato detto che tu eri andato via e che la verginea Heluna era indisposta e impossibilitata a ricevermi. – face una pausa – Perché è ancora una vergine, vero?”
“Non sono uno stolto, so bene quanto preziosa sia la sua vita in questo momento, e non farei mai nulla che possa mettere a rischio tutto ciò per cui abbiamo lottato.”
“Eppure il desiderio brucia nei tuoi occhi di serpente, la sua fiamma è vivida ora più che mai, diventa fuoco puro quando siete nella stessa stanza. – disse con tono pacato – Ogni uomo la desidererebbe, e come non potrebbe? La sua pelle è candida come la faccia della luna che illumina il cielo notturno, i suoi occhi sono più limpidi del mare che bagna i nostri amati fiordi e i suoi capelli hanno il colore del sidro più puro.”
“Ho detto di non essere uno stolto, non di essere privo di desiderio. – mise in chiaro il biondo – La fanciulla ha messo più volte alla prova il mio istinto, il mio desiderio di uomo, ma non ho permesso e mai permetterò alla bestia di avere il sopravvento sulla ragione.”
“Mi credi uno sciocco, Sigurd? – Gorm si fece più impaziente – Credi che sia cieco, che non veda cosa sta accadendo dentro le mura di York, il modo in cui ti trasformi ogni volta che quella vergine è presente nella tua stessa stanza?”
“Gorm…”
“No, Sigge, no! Sono stanco delle scuse che continui a ripetermi da giorni, stanco di non vedere, di far finta che tutto vada bene. – sospirò – Siamo fratelli di sangue, tu ed io: la nostra carne è stata lacerata dalla stessa athame2; il nostro sangue si è mischiato diventando una sola cosa; le nostre preghiere sono state pronunciate all’unisono durante il Fóstbrœðralagr, udite dalla dea Vár3, quindi adesso mi dirai la verità.”
Il serpente verrà addomesticato da una principessa. – sussurrò con sguardo basso Sigurd – Questo è ciò che mi ha profetizzato il Veggente prima di lasciare il fiordo, questo il mio fato e la mia maledizione. Lei ha il mio cuore, Gorm, e non posso fare nulla per cambiare il destino.”
“Sei innamorato di lei…”
“Questa mattina, quando mi sono svegliato con lei al mio fianco, ho pensato a cosa i miei fratelli avrebbero fatto al mio posto; ho pensato a cosa avrebbe detto mio padre vedendomi così debole, soggiogato ad una donna, e ho detto a me stesso che, se l’avessi presa con la forza, forse sarei riuscito a liberarmi da questo tormento che mi attanaglia l’anima. – fece una pausa – Non ci sono riuscito, non ho potuto; anche il solo pensiero di farle male mi ha fatto mancare il respiro e, come un codardo, sono andato via.”
“E cosa accadrà quando ucciderai a sangue freddo suo padre? – chiese a bruciapelo – Hai mai pensato a dopo, a quando questa guerra mossa da vendetta cesserà e noi tutti torneremo a casa? Pensi davvero che lei ti seguirà di sua volontà, che verrà ben accetta tra il popolo norreno, al tuo fianco come sovrana delle terre che sono state di tuo padre?”
“Certo che ci ho pensato, Knutsson! – esclamò rabbioso il biondo – Credi che sia facile, che dentro di me non si combatta una guerra tra desideri dell’animo e della ragione? Credi davvero che non conosca le nostre differenze, le nostre invalicabili differenze, le loro radici fatte d’odio che hanno spinto per decenni i nostri popoli a combattersi e trucidarsi?”
“Perdonami, non era mia intenzione essere così rude, ma sono preoccupato per te; ho paura di ciò che succederà quando la guerra raggiungerà il suo picco, per come potrebbero reagire i tuoi fratelli, per ciò che questa ipotetica unione potrebbe scaturire…”
“Non c’è nulla da perdonare, Gorm: le tue paure sono le mie e credo che parlare con qualcuno, liberarmi di questo perso, mi abbia fatto bene. – posò una mano sulla spalla dell’amico – Non voltarmi le spalle, te ne supplico. Ho bisogno di te più che mai, amico mio, in questo momento sei l’unico su cui io possa davvero contare.”
“Sei sangue del mio sangue4, Ragnarsson, e non potrei mai dimenticarlo o tradire i giuramenti eterni che ho fatto più di dieci anni fa.”


“Vessilli! Vessilli e uomini all’orizzonte!”
La vedetta urlò per una seconda volta quelle frasi, spostando prepotentemente l’attenzione dei due giovani verso l’orizzonte a sud-est, verso le pianure e i monti che nascondevano la foce del fiume Humber, il mare.
Sigurd e Gorm si arrampicarono sui merli, affinarono la vista per scorgere l’identità dell’esercito che si stava approcciando alle mura: erano molti, più di duecento, e dai loro scudi circolari e colorati e dai canti di guerra che si iniziavano ad udire si potavano dire per certo norreni.
“Ivar!” esclamarono all’unisono i due, scambiandosi un sorriso complice.
Il maggiore dei figli di Ragnar aveva risposto alla chiamata, avrebbe combattuto al loro fianco, e con il suo aiuto gli eserciti nemici sarebbero stati sconfitti.

 
 
**
 

 
Il Senz’ossa fu adagiato sullo scranno ligneo della sala grande che, fino a quel momento, aveva occupato da Sigurd; quest’ultimo, insieme ai suoi uomini, accolse l’arrivo del fratello maggiore e del suo esercito con sommo gaudio, offrendo a tutti loro della birra e del cibo per rifocillarsi dopo una così tortuosa marcia nella neve.
“Mi avevano narrato della possente York, ma mai avrei immaginato di trovare una tale magnificenza al suo interno, bere un caldo idromele sul trono che è appartenuto a quello sciocco di  Ælle. – confessò divertito Ivar – Hai fatto un ottimo lavoro, fratellino: hai portato a termine una missione di cui anche nostro padre sarebbe stato fiero.”
“E io sono lieto che tu abbia risposto al nostro messaggio d’aiuto, che sia arrivato sano e salvo nella terra degli angli per illuminarci con il tuo sapere e la tua saggezza.”
“Ringrazia nostra madre e nostra sorella Þyri, poiché sono state loro a cambiare la mia mente, persuadermi a fare la cosa giusta. – confessò – Nostra sorella è in pena per i suoi adorati fratelli, mi avrebbe odiato se qualcosa fosse accaduta a qualcuno di voi, o peggio al suo adorato principe danese, e per quanto il mio cuore sia impassibile alle lacrime di una donna, non lo è altrettanto a quelle di un’amata sorella.”
“Parlando di donne, - proseguì – ho saputo che hai preso prigioniera la figlia di Ælle, una virginea principessa, e vorrei che tu me la portassi qui, affinché io possa conoscerla e porgerle i miei omaggi.”
Il cuore si Sigurd si fermò per un breve istante nel suo petto: il solo pensiero di Ivar e Heluna nella stessa stanza lo faceva rabbrividire, poiché famose erano le violenze che il maggiore dei due fratelli era solito infliggere alle donne; a lui non importava il loro ceto sociale, chi fossero, il suo unico scopo era umiliarle e, se abbastanza belle, renderle schiave.
“E’ la mia schiava, adesso, la mia concubina. – lo informò piccato – Inizialmente era mia prigioniera, ma quando ha tentato di scappare, due giorni fa, ho deciso di divertirmi con lei e farle capire di cosa sono capaci i vichinghi.”
Ivar rise di gusto, compiaciuto nel sentire e nell’immaginare ciò che suo fratello minore aveva fatto; la pietà gli era sconosciuta, infliggere dolore ai più deboli era qualcosa che lo aveva sempre fatto sentire forte, dimenticare la sua menomazione.
“Bene, allora: cosa stai aspettando? Portami la principessa, così che io possa ammirare il tuo capolavoro.”
Capolavoro…
Sigurd chiuse gli occhi e si maledì per quello che stava per fare: aveva giurato di proteggerla, eppure per farlo sarebbe stato costretto a farle male, a umiliarla e sottoporla allo scherno di suo fratello.
Non ho altra scelta, pensò, se non faccio ciò che devo sarà lui a farlo e non avrà alcuna pietà.
Fece un cenno d’assenso e, con i pugni chiusi per la rabbia, si incamminò verso le stanze di Heluna.


Entrato nelle sue stanze, diede ordine alle donne che si trovavano con lei di lasciarli soli, così da poterle parlare e spiegare cosa stava accadendo.
Heluna lo guardò preoccupata, l’arrivo di un secondo esercito vichingo l’aveva messa in allerta, ma ora che Sigurd era là con lei il suo animo si tranquillizzò.
“Mio fratello maggiore Ivar è giunto in nostro aiuto con il suo esercito. – spiegò algido – Ha preso posto nella sala grande, sul trono di vostro padre, e vorrebbe vedervi.”
La principessa deglutì nervosamente, cercando di immaginarsi il volto del vichingo, chiedendosi se assomigliasse anche solo vagamente a Sigurd.
“Sono pronta a riceverlo.” rispose, mantenendo contegno e la fierezza che la distingueva.
“No, non lo siete. – sussurrò di rimando il norreno, accarezzandole con il dorso della mano il viso – Non sapete di cosa sia capace mio fratello, quale follia malsana alberghi nella sua testa, quindi vi supplico di non parlare in sua presenza e non adirarlo.”
“Perché mai dovrei?” chiese lei, aggrottando la fronte.
“Perché, Principessa, mio fratello ama giocare con la mente delle persone, portarle a limite e poi sferrare un attacco; perché, come voi stessa avete più volte detto, è uno spergiuro che non prova rimorsi nel rompere le proprie promesse o gli accordi presi.”
Heluna rimase in silenzio per qualche secondo, soppesando le parole che il norreno le aveva appena detto: “Mi state dicendo queste cose per quale motivo? – chiese – Perché ci tenete tanto alla mia vita o a quello che potrebbe accadermi?”
Sigurd contrasse i muscoli della mascella squadrata, improvvisamente nervoso, ma non distolse mai lo sguardo da lei: “Non ho mai ritenuto giusto che i crimini di un padre ricadano sui propri figli, specialmente se i figli sono innocenti e buoni come voi, Principessa. Questo, però, è un mio personale pensiero, uno di quelli che molti miei compagni d’arme non condividerebbero; uno che mio fratello non condividerà mai.”
“In questo caso, non dovremo dare ulteriori motivi a vostro fratello di odiarmi ulteriormente.”
“Non temete, non permetterò che vi facciano del male, che qualcuno vi sfiori anche solo con un dito.”

Heluna sorrise sghemba, fidandosi ciecamente di lui, e anche Sigurd ricambiò il sorriso: con un po’ di fortuna tutto sarebbe andato bene; con un po’ di fortuna avrebbe riportato la fanciulla sana e salva nelle proprie stanze e la giornata sarebbe continuata tranquilla. Sfortunatamente per loro, Odino aveva altri piani...

 

 
*
 

 
1. Nella mitologia norrena Sol, la dea che guida il carro del sole trainato da due cavalli, è inseguita dal lupo Sköll; sempre secondo la mitologia, quando il lupo è prossimo alla cattura, avviene un'eclissi solare. Egli riuscirà a catturare Sòl solo quando ci sarà la fine del mondo.
2. Athame è il nome del pugnale usato durante il Fóstbrœðralagr, ovvero il rito della fratellanza di sangue.
3. La dea Vàr, dea dei giuramenti, veniva invocata durante il Fóstbrœðralagr.
4. Si riferisce sempre a uno dei momenti del Fóstbrœðralagr, ovvero al momento in cui le ferite procurate con l'athame vengono a contatto, mischiando così il sangue dei due partecipanti, rendendoli fratelli di sangue.

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Capitolo 15
*** 15. ***


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Capitolo revisionato e modificato: 27/08/2017
 





“Mio caro fratellino! – esclamò Ivar quando i due fecero il loro ingresso nella sala – Finalmente di ritorno: per un momento ho temuto che la principessa vi avesse tramortito.”
Sigurd non rispose a quella provocazione, conscio che in quelle parole fosse nascosto ben altro significato: Heluna non aveva neanche un graffio, non sembrava affatto una prigioniera, anzi si muoveva elegante e regale nella sua tunica variopinta.
In risposta a quel silenzio da parte del fratello, Ivar sorrise in una smorfia e si rivolse alla fanciulla: “Sapete chi sono io?”
“Siete il Senz’ossa. – rispose algida, guardandolo dritto negli occhi – Mio padre, re Ælle, aveva ricevuto, mesi fa, una risposta di pace da voi. Con disappunto, noto che questa non è stata rispettata e che anche voi, come tutti gli uomini della vostra razza, siete uno spergiuro.”
“Credete davvero che mi sia mai interessato mantenere la promessa fatta a colui che si è macchiato del sangue del mio sangue? — chiese retoricamente — Quello che pensate di me non mi tocca, sono qui per solo e soltanto per prestare aiuto ai miei fratelli, alla mia famiglia e al mio popolo: tenete per voi le vostre maledizioni, i vostri peccati cristiani, poiché non hanno alcun potere su di me. Disprezzo il vostro dio misericordioso, il vostro Cristo morto per voi e molto presto vi dimostrerò che egli non è mai stato al vostro fianco.”
“Forse o forse saranno i vostri dei a privarvi della loro benevolenza; magari saranno mio padre e il mio futuro sposo a portarmi la vostra testa. – guardò con la coda dell’occhio Sigurd, conscia di aver parlato troppo e di non poter tornare indietro – La testa di tutti voi.”
“Sciocca impudente! – esclamò spazientito Ivar -  Quando questa guerra finirà, mi assicurerò che veniate venduta come una bestia da soma, o meglio ancora stuprata come una qualsiasi popolana dai miei uomini. Magari lascerò che sia mio fratello qui presente a prendervi per prima come una qualsiasi cagna, e poi gli altri miei uomini, fino a quando non vi avranno consumata.”
 “Non sono la cagna di nessuno! — esclamò Heluna, la testa alta e lo sguardo fiero — Non sarò quella di vostro fratello e, statene certo, non sarò mai la vostra.”
Ivar, in risposta, rise di gusto e nella sua lingua madre si rivolse a Sigurd: “Sembra che tu non l’abbia addomesticata affatto, fratello. Forse, dovrei pensarci io stesso a sottomettere la tua prigioniera britannica, insegnarle a tenere a freno la lingua e ubbidire.”
Sigurd, ancora una volta, non rispose a quella provocazione: Ivar godeva nello stuzzicare persino i suoi stessi fratelli, sin da quando erano piccoli si divertiva a trovare i loro punti deboli e a colpirli dove, sapeva, avrebbe fatto più male. Se si fosse mostrato debole, se avesse anche solo per sbaglio fatto capire che lei era la sua debolezza, il maggiore dei figli di Ragnar lo avrebbe distrutto.
Codardo. Debole. Bestia.
Nella sua mente riecheggiò la voce di suo padre, la voce della propria coscienza che lo malediva per essere ancora succube di quel fratello maggiore che, sin da piccolo, lo intimoriva; quella voce gli ricordava, ancora e ancora, il suo posto, il suo essere un fratello minore indegno di qualsiasi attenzione o importanza da parte del maggiore.
“Ciò che sarà o meno il vostro futuro lo vedremo, Principessa. — Ivar tornò a rivolgersi a Heluna un secondo prima di  ordinare, con un cenno del capo, a uno dei suoi uomini di farsi avanti — Sapete, nel corso degli anni ho piegato molti uomini, jarl molto più forti di voi e dubito che sarà difficile far piegare voi.”

Il pugno che la colpì in piena pancia arrivò così improvvisamente che nessuno, neanche Sigurd, poté in qualche modo impedirlo.
Heluna si piegò in avanti, cercando di respirare, ottenendo solo un rantolo basso e profondo proveniente dai suoi polmoni e dalla sua gola — una gola sulla quale adesso poteva percepire il sapore ferroso del sangue, lo stesso sangue che sputò poco dopo, quando un manrovescio la colpì e le fece gonfiare la guancia sinistra.
Cadde a terra quando le ginocchia cedettero a causa dei violenti colpi, facendosi forza sulle mani tremanti per non colpire il pavimento in pietra con il viso; occhi puntati verso il basso, boccheggiò più e più volte in cerca d’aria come un uomo rimasto troppo tempo sotto la superficie dell’acqua.  
In lontananza, ovattate, percepì le risate di Ivar e delle parole pronunciate in una lingua a lei sconosciuta, la stessa che spesso aveva sentito dalle labbra di Sigurd.
Heluna avrebbe voluto gridare il suo nome, chiedere il suo aiuto affinché fermasse quella violenza inaudita, ma neanche una sillaba uscì dalle sue labbra rotte e sanguinanti.

L’ennesimo calcio la colpì tra le costole, facendole perdere la forza nelle braccia; un singhiozzo scosse il suo corpo, seguito da un acuto urlo provocato dalla vicinanza improvvisa di Sigurd, dal giovane norreno che era a solo pochi passi da lei — Sigurd che le aveva promesso di proteggerla, ma che non aveva neanche mosso un muscolo per andare in suo aiuto mentre l’uomo dal nome ignoto la percuoteva con crudeltà.

“Basta con questa follia! — sibilò a denti stretti il minore, guardando con la coda dell’occhio Heluna – Questa che stai per picchiare a morte è una fanciulla di sangue reale, un prezioso ostaggio che crede ancora nella vittoria di suo padre e nella sua salvezza, che potrebbe tornarci utile nei giorni che seguiranno.”
“Fanciulla, dici? Io vedo solo un cane rabbioso che avresti dovuto addomesticare tu dal principio, fratellino: ovviamente, non ne sei stato in grado e hai lasciato a me il lavoro sporco.”
Il minore dei figli di Ragnar chiuse le mani a pugno, così forte da farsi sbiancare le nocche e riservò al fratello uno sguardo carico di odio — un odio puro, viscerale, che non si sarebbe mai estinto e che per un attimo fece rabbrividire Ivar.
Il Senz’ossa, poi, mosse una mano a mezz’aria con fare seccato, ordinando allo stesso uomo che l’aveva percossa di portare via la principessa: “Riportatela nelle sue stanze, non perdetela di vista; come ha detto mio fratello potrebbe ritornarci utile più avanti, per uno scambio o per soddisfare i nostri bisogni.”
“Tu non l’avrai, mai! – tuonò Sigurd, mettendosi in mezzo tra Heluna e il soldato al servizio del fratello – Lei non è tua, non sarà mai tua. Lei è mia.”
“Mi stai minacciando, Sigge? Mi stai davvero minacciando per una fanciulla senza alcun valore come questa? Per la figlia dell’uomo che hai giurato di uccidere?”
Sigurd la prese tra le sue braccia, stringendola con possessione nonostante tremasse terrorizzata, guardando suo fratello con occhi pieni d’odio: “Avvicinati nuovamente a lei, Ivar, e giuro che ti sgozzerò. – sibilò come un serpente, utilizzando la lingue comune, così che anche Heluna potesse comprendere le sue parole - Sarai pur mio fratello, sangue del mio sangue, ma lei è colei che mi è stata promessa.”

Ivar l’osservò, sbigottito e oltraggiato, dargli la spalle e allontanarsi dalla sala grande. Sigurd era sempre stato il più mite dei suoi fratelli, sin da piccolo pendeva dalle sue labbra, ma adesso quell’uomo che aveva ritrovato a York sembrava essere un estraneo.
Che quella fanciulla l’avesse stregato con qualche rito demoniaco della sua disgustosa religione?
Sarebbe stato saggio, da parte sua, fermarlo e ordinare l’immediata messa a morte di quella meretrice; magari, l’avrebbe sacrificata a Odino, appeso il suo corpo ad un albero com’erano soliti fare ogni nove anni a Uppsala.
O, forse e più semplicemente, avrebbe dovuto parlare con colui che, sicuramente, conosceva meglio di tutti suoi fratello e ciò che stava accadendo: Gorm Knutsson.


 


**



Seduto sul bordo della finestra ad arco a sesto acuto, Sigurd osservò in silenzio una delle serve lenire, con acqua calda ed erbe curative, le ferite che erano state inflitte all’esile corpo di Heluna.
Il suo viso, un tempo bello come quello della luna, era adesso violaceo è gonfio; il suo occhio sinistro era livido e mezzo chiuso, mentre il suo labbro inferiore era rosso e rotto.
Invano aveva sperato di poterla proteggere dai piani folli di Ivar, eppure neanche quello era servito; suo fratello era pazzo, le parole di Heluna avevano espanso come fuoco vivo le fiamme della follia, e quando aveva sentito quelle parole qualcosa in lui si era rotto: non era riuscito a rimanere impassibile, la sola idea dei suoi uomini che la violavano lo aveva fatto divenire rabbioso come un orso dei ghiacci, portandolo a commettere un grosso e irreparabile errore.
Più di ogni altra cosa, però, Sigurd si sentiva in colpa per quello che era successo: era stata colpa sua, solo ed esclusivamente colpa sua e della sua debolezza.
Aveva creduto di essere forte, più forte di così, eppure quando suo fratello aveva dato ordine di picchiarla qualcosa in lui si era spezzato e il suo corpo si era paralizzato — senza impedirlo era ritornato ad essere un bambino, un bambino timoroso del suo fratello maggiore; senza poter fare nulla, aveva osservato quel soldato picchiare la fanciulla di cui si stava innamorando e questo non se lo sarebbe mai e poi mai perdonato.
Codardo. Vile. Debole.

“Il mio lavoro qui è terminato. – disse la donna di mezza età che aveva curato Heluna, raccogliendo le sue cose e le bende intrise d’acqua, sangue e oli naturali – Milady deve riposare per recuperare le forze e per questo motivo le occorre tranquillità.”
“Nessuno la disturberà. – le garantì il norreno – Grazie per i vostri servizi.”


Perdonami fu tutto quello che riuscì a dirle quando rimasero soli.
Sigurd non aveva la forza o il coraggio di avvicinarsi, di alzarsi dal davanzale della finestra e cercare anche solo il più piccolo contatto con lei: come avrebbe potuto?
Dopo quello che era appena successo, ogni suo sforzo per conquistare la fiducia e il cuore di Heluna si era trasformato in polvere, volato via sotto il pungente vento invernale che ululava tra i merli e le feritoie delle mura di York.
Esser nel giusto, questo aveva ritenuto quando aveva accettato di farle incontrare suo fratello, eppure nulla di tutto ciò che aveva sperato era servito: Ivar la desiderava, nonostante la faccia tumefatta e gli avvertimenti la desiderava in modo perverso; Heluna, d’altro canto, non aveva capito e mai avrebbe capito il motivo — no, non il motivo, ma la paura — che lo aveva portato a non intervenire e l’avrebbe odiato per sempre.
Forse, si disse, era meglio così: non era mai stato un ragazzino amabile da bambino, lui che era stato sempre così schivo e guardingo, sempre in mezzo ai piedi e poco incline alla fiducia; non era stato un ragazzo amabile, sempre così freddo e scostante persino con le fanciulle che gli avevano dimostrato amore, quelle stesse che lui aveva rifiutato e abbandonato nei villaggi limitrofi al suo con il cuore spezzato.
No, l’amore non faceva e non avrebbe mai fatto per lui, e forse era giusto così: lui era un vichingo, lei la figlia del suo nemico; i loro popoli erano nemici, le loro culture opposte, e non ci sarebbe mai stata felicità o affetto tra di loro.
La guerra, ecco in cosa eccelleva: in quelle settimane aveva perso di vista la cosa più importante, si era lasciato stregare dagli occhi di quella verginea fanciulla, ma ora era tornato il momento di spezzare l’incantesimo e imbracciare la spada e lo scudo.
Ma prima, prima doveva dire la verità, poiché Heluna meritava di saperla.
“Lui voleva conoscervi, ha insistito e insistito e nonostante io abbia tentato di dissuaderlo lui non ha sentito ragioni. Ero sicuro che le cose sarebbero andate diversamente e invece… - Sigurd si coprì il volto con entrambe le mani – Non posso pretendere il vostro perdono, so di avervi ferito nel profondo del vostro animo quando ho rotto la promessa che vi avevo fatto poco prima, ma cercate di capire che lui ha più potere su di me di quanto io stesso creda. Nonostante questo, io tengo a voi più della mia stessa vita.”
“Voi siete un mostro. – sussurrò voltando lentamente il viso – Uno spergiuro, un barbaro, un demonio! Prego affinché voi moriate insieme al vostro esercito e a quel miscredente di vostro fratello; prego affinché mio padre mi porti le vostre teste in dono.”
Heluna lo guardò con odio, ferita e tradita nella fiducia: come aveva fatto a credergli, a pensare che lui l’avrebbe davvero protetta? Come aveva anche solo pensato di essere al sicuro con un norreno al suo fianco?
Stupida. Era stata una stupida ingenua per non essere riuscita a vedere ciò che si nascondeva dietro le belle parole e i gesti gentili; come Eva, anche lei aveva ceduto alla tentazione del Serpente, alle sue promesse e al suo fascino proibito.
“Vi renderebbe nuovamente felice? – chiese – Avere la mia testa impalata su di una picca, esposta sulle mura di York come cibo per i corvi e diletto della popolazione, vi renderebbe felice?”
“Immensamente.”
“E così sia, dunque. – Sigurd si alzò con un balzo dal cornicione – Stanotte e per tutte le notti che mi dividono dalla guerra decisiva contro gli eserciti di vostro padre, pregherò Odino di accogliermi nel Valhalla, così da poter finalmente bere nelle sue infinite sale dai tetti di scudo il dolce nettare dell’idromele, dare pace alle nostre anime.”

Strinse rabbioso i pugni quando si ritrovò fuori dalle stanze di Heluna: aveva bisogno di imbracciare un’ascia, una spada, una lama qualsiasi, si disse; aveva bisogno di spaccare in due il cranio di un uomo, sentire il suo sangue scorrere sulle sue mani, sulle sue braccia, sentirne l’odore acre inebriare i suoi sensi e la sua mente.
Morte, aveva bisogno di essere nuovamente vicino alla morte, udire le sue nere ali sbattere.
Presto, sentì pronunciare con una sfumatura euforica la sua voce, molto presto: Ivar era arrivato a York, era questioni di giorni prima che ordinasse ai suoi uomini di radunarsi e marciare verso ovest, unirsi agli eserciti di Bjorn e Hvìtserk, e lui si sarebbe unito a loro.



*

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Capitolo 16
*** 16. ***







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La lama della daga continuò a ruotare vorticosamente davanti ai suoi occhi, affondando sempre di più la sua punta affilata nel legno secolare del tavolo attorno a cui si erano riuniti i capi vichinghi, riflettendo opachi i raggi obliqui del sole a est e il suo stesso riflesso; Sigurd continuò a fissarla durante tutto il monologo di suo fratello Ivar, prestando solo in parte attenzione alle sue parole colme di guerra e morte, non riuscendo a pensare ad altro che non fosse la battaglia oramai prossima contro gli eserciti degli angli e la sua Heluna.
Erano passati tre giorni dall’arrivo a York di Ivar, dal giorno in cui quest'ultimo aveva usato violenza contro la principessa, e il giovane norreno si era tenuto ben lontano dalle sue stanze e da lei, che mai era uscita dalla sua camera da letto: voci di corridoio sostenevano che trascorresse tutto il tempo a letto, sotto le pesanti pellicce, senza parlare con nessuno e mangiando appena; altre ancora, sussurravano di quanto il suo corpo fosse provato dalle percosse subite e il suo spirito spezzato.
Sigurd si era rifiutato di prestar loro orecchio, troppo indaffarato a pianificare la guerra alle porte, deciso a ignorare qualsiasi voce pronunciasse il nome della fanciulla e quel senso di colpa che lo attanagliava ogni volta che ripensava a ciò che era accaduto.
Tutto ciò che importava, continuava a ripetersi ancora e ancora, era la guerra e la vittoria: presto tutto si sarebbe concluso per il meglio, con la vittoria dei figli di Ragnar e dei loro alleati, con fiumi di birra e idromele che si sarebbero riversati fuori e dentro le mura di York, accompagnati da canti che celebravano la vittoria del popolo norreno; presto, le drakkar avrebbero fatto ritorno alla loro terra natia, e così i suoi uomini, lasciandosi alle spalle i territori stranieri e ciò che essi custodivano.

“Domani lasceremo York e procederemo verso est! – annunciò solenne Ivar – Io e mio fratello Sigurd comanderemo l’avanzata, mentre Gorm Knutsson e i suoi uomini rimarranno qui a proteggere la città da eventuali tentativi da parte del nemico di riprendersela.  Siete con me?”
Un boato si levò nella stanza, seguito dal cozzare di spade contro il legno del lungo tavolo; solo la voce di Sigurd non si aggiunse a quella degli altri, all’euforia generale, e questo non sfuggì né a Gorm né a Ivar.
“Fratello, sei con noi?”
Sigurd distolse lo sguardo dalla daga e lo spostò verso l’altro capo del tavolo, sul volto corrucciato di suo fratello maggiore: “Sempre. – rispose atono – La mia spada brama il momento in cui verrà nuovamente tinta di rosso e anche il mio animo freme all’idea di combattere e sconfiggere, una volta per tutte, il nemico.”
“Presto, fratello, presto. – Ivar portò le mani giunte sotto il mento – Partiremo domattina alle prime luci dell’alba, con il favore di Thor dalla nostra piomberemo con la stessa forza distruttrice di un fulmine sui nemici al calare delle tenebre, celati e non visti, strappando le loro misere vite al sonno mortale e conducendoli verso quello eterno.”
Sigurd sorrise sghembo in direzione del fratello e, alzato a mezz’aria il suo corno colmo di birra dal biondo malto, esclamò in segno di approvazione: “Skál!”1

 

**



“Ho bisogno di parlare con te, da soli.”
Erano rimasti solo loro due nella sala del consiglio e quando Ivar puntò i suoi pallidi occhi di nebbia su Gorm e gli chiese di restare, per il giovane principe danese non fu una sorpresa: molte cose erano accadute da quando erano arrivati a York, cose strane e inspiegabili anche per uno come lui; altre ancora si erano susseguite quando, acclamato da tutti, Ivar era giunto in loro soccorso e aveva preso il comando.
Gorm Knutsson non era mai stato uno sciocco, sin da quando era un ragazzino i suoi occhi azzurri erano sempre stati attenti, pronti a cogliere qualsiasi movimento furtivo, tutto ciò che succedeva attorno a lui, palese o celato che fosse.
“So di cosa vuoi parlare, Ivar, ma non ho le risposte che cerchi.”
“Non ne sarei così sicuro.” rispose di rimando il Senz’ossa, rimanendo impassibile.
Sigurd era stato uno sciocco, pensò con disappunto Gorm, uno stolto nel pensare di nascondere ciò che stava accadendo tra lui e la principessa degli angli tra quelle mura fatte di solida pietra; era stato uno sciocco a pensare che Ivar, con l’intelligenza e la scaltrezza che da sempre lo contraddistinguevano, non avrebbe colto il modo in cui la guardava, come lei riuscisse cambiarlo ogni volta che si trovavano nella stessa sala.
E poi c’era stata quello spettacolo macabro e violento che aveva portato sotto gli occhi di tutti…
Gorm aveva percepito le sue budella ritorcesi quando aveva visto il modo in cui Ivar aveva ridotto Heluna, in cui il suo uomo si era scagliato su di lei come una bestia, tutto sotto gli occhi di un impassibile e paralizzato Sigurd.
Deluso, ecco come si era sentito, deluso dal suo stesso amico, da quello che era per lui più di un fratello, ma che, giorno dopo giorno, stava diventando un estraneo.
Ivar, da parte sua, aveva contrattaccato, fatto scricchiolare con le sue minacce le poche sicurezze del biondo norreno, rendendolo vulnerabile e portandolo a tradirsi da solo.
“Dimmi, Gorm, cosa sai di questa principessa straniera?”
“Non molto. - iniziò – So che è devota al suo dio, come tutti in questa città; è fedele al suo popolo, al suo regno e a suo padre. I popolani la adorano, sembra sia una fanciulla caritatevole che ha a cuore le opere pie e tutte quelle stupidaggini che, per la loro sciocca religione, fanno guadagnare un posto in quello che loro chiamano Paradiso.”
“Eppure ha grinta da vendere, non sembra un uccellino spaventato. – disse sovrappensiero il figlio maggiore di Ragnar – Nei suoi occhi bruciava un fuoco vivo, un odio profondo, ma anche altro: dolore, forse delusione e un desiderio malsano di vendetta.”
“Ci vuole morti, Ivar, e come darle torto? Siamo il nemico, coloro i quali vogliono distruggere tutto ciò in cui crede; siamo quelli che uccidono la sua gente e la sua famiglia.”
“No, no, non è questo… - la voce di Ivar si fece più dubbiosa, i suoi occhi si socchiusero e la sua fronte si aggrottò, formando solchi profondi sul suo viso spigoloso– Certo, lei ci odia e di questo ne sono sicuro, ma dubito odi tutti noi. Dimmi, Gorm, cos’è accaduto prima del mio arrivo tra la fanciulla e il mio fratellino?”
“Lei è la sua personale schiava, lo è diventata dopo aver tentato la fuga; Sigurd si è infuriato in quella circostanza, quando i nostri uomini l’hanno ritrovata, insieme alle sue dame, l’ha minacciata di darla ai soldati come comune sollazzo, imprigionarla nei sotterranei insieme ai nobili decaduti. Alla fine, però, ha deciso di farla diventare il suo personale passatempo, e da quel giorno non le ha più permesso di lasciare le sue stanze.”
“Ti sta sfuggendo qualcosa, non stai valutando attentamente la situazione. – Ivar sembrò spazientirsi, il suo intuito gli diceva che c’era altro, che il danese non gli stava dicendo tutta la verità – Non prendermi per sciocco, Gorm, nessuno ci è mai riuscito. Voglio la verità, tutta la verità, e se non sarai tu a dirmela allora dovrò cavarla dall’eterea principessa con maniere poco piacevoli, magari minacciando di tagliarle quella sua lingua velenosa.”
“Non sarebbe una scelta saggia, lo sappiamo entrambi. – la voce di Gorm si fece più grave – Sigurd potrebbe perdere la testa se solo tu la sfiorassi ancora, sgozzarti nel sonno e impalare la tua testa tra i merli della città.”
“Così è questo, dunque. Sigurd è innamorato di quella fanciulletta.”
“Erano destinati ancor prima di conoscersi: Heluna è colei che gli è stata promessa, la principessa che il Veggente ha scorto con i suoi occhi ciechi che vedono tutto, la stessa che ha tormentato per settimane i suoi sogni profetici. – confessò – Lui ti ucciderà se tenterai di farle del male e se dovesse chiedere il mio aiuto, anche io parteciperò all’impresa.”
Ivar sorrise in quella che fu una smorfia tetra: “In questo caso farà meglio a non farsi uccidere, perché se dovesse perire sul campo di battaglia, mi prenderò personalmente cura della sua amata e, credimi, sarà per me un piacere vederla urlare e supplicare.”
“Sei una bestia, Ivar Ragnarsson.”
“Sono quello che sono, ciò che mi hanno insegnato ad essere, e a differenza di mio fratello non ho pietà per il nemico. – con un movimento veloce della mano lo invitò a uscire – Vattene, adesso, lasciami da solo: c’è ancora molto da organizzare e il sole sta già morendo ad ovest. Quando risorgerà, saremo pronti a marciare verso la vittoria.”



 
**



La landa attorno a lei era desolata. Una fitta nebbia ricopriva i boschi attorno, il cielo, i sole e la luna.
Heluna si guardò attorno intimorita, girando più volte su se stessa nella speranza di intravedere qualcosa, qualcuno; la natura sembrava morta, così come la terra abbandonata, e nell’aria si respirava un forte odore acre.
Fece qualche passo davanti a lei, stando bene attenta a dove mettesse i piedi, fino ad arrivare ad un albero dall’ampio tronco e dai possenti rami su cui, neri e funesti, erano appollaiati centinaia di corvi: i loro occhi, neri come la notte più buia e lucenti come l’ossidiana, la fissavano; le loro ali, ampie e forti, iniziarono a sbattere come impazzite, creando un turbinio di aria intorno alla sua esile figura, un suono inizialmente basso e cupo, poi sempre più forte, simile ai tamburi da guerra che i soldati erano soliti suonare per infondere forza ai loro compagni d’arme.
Heluna si coprì le orecchie, iniziando a correre lontano dai rapaci portatori di morte, tra la nebbia rossa della notte, fino a quando non le si aprì davanti uno scenario che le fece gelare il sangue nelle vene: morti, decine e decine di corpi senza vita, imbrattati di fango e sangue ricoprivano la landa desolata; i loro stendardi, un tempo colorati e garriti nel vento tiepido del mattino, giacevano strappati e pallidi tra i loro corpi, simili a dei sudari.
I visi di quegli uomini erano sfregiati, irriconoscibili, così come le loro origini: angli o norreni, davanti alla morte erano stati uguali, e ora che i loro corpi giacevano privi di vita e stavano iniziando a decomporsi, nulla più di tutto ciò che erano stati o in cui avevano creduto importava.
Lacrime silenziose iniziarono a rigare il suo pallido viso, a velare i suoi occhi un tempo innocenti e radiosi; le sue gambe continuarono a camminare, mosse da inerzia, tra i corpi massacrati e solo quando il suo sguardo si posò sul corpo senza vita di quello che era stato uno dei più giovani condottieri norreni, dalla sua bocca purpurea si liberò un acuto urlo carico di orrore e dolore.
“Sigurd! – Heluna chiamò il nome del vichingo, le sue ginocchia cedettero al peso della disperazione, e le sue mani circondarono il suo viso pallido e violaceo – Sigurd, no! Vi prego, vi prego, aprite gli occhi.”
Scosse il suo corpo, le sue spalle larghe e possenti, nella vana speranza di infondere nel suo corpo la linfa vitale da tempo perduta.
“Perdonatemi, perdonatemi. – supplicò tra i singhiozzi – Non ho mai voluto la vostra morte, non per davvero; vi prego, tornate da me. Aprite gli occhi! Non potete lasciarmi, non potete. Io vi amo.”


 

**



“Principessa! – una voce la strappò dal suo incubo, delle mani la scossero prepotentemente – Principessa, aprite gli occhi!”
Heluna aprì di scatto gli occhi, ritrovandosi nel suo letto, nella sue stanze, a York: quello che era stato era stato solo un sogno, uno spaventoso incubo, e colui che le si parò davanti era…
“Sigurd… - boccheggiò, non riscendo a credere ai suoi occhi. – Sigurd!”
Lui era morto, pensò con disperazione, era morto e io l’ho visto. Ho pulito il sangue dal suo viso, l’ho stretto tra le mie braccia e ho pianto la sua morte.
“Sigurd, siete vivo!”
Il norreno parve perplesso: di qualsiasi cosa stesse parlando, pensò, sicuramente era collegata all’incubo e alle urla e ai singhiozzi che gli avevano inizialmente fatto temere il peggio quando, indeciso se entrare o meno, si era soffermato davanti alla sua porta.
“Sono vivo. – fece eco lui, algido – Tuttavia, non so per quanto ancora lo sarò: lasceremo York tra meno di un’ora, raggiungeremo gli eserciti dei miei fratelli, e se gli elementi e Odino saranno favorevoli, molto presto metteremo fine a questa guerra.”
Sospirò e proseguì: “Ero venuto a dirvi addio.”
Alzatosi dal letto, Sigurd le diede le spalle, osservando accigliato il panorama esterno attraverso i vetri appannati dal freddo della sua finestra ogivale: il sole stava iniziando ad alzarsi repentinamente in cielo, Ivar e Gorm lo stavano sicuramente cercando, ma lui non era riuscito a non partire senza vederla un’ultima volta.
Se devo prepararmi ad incontrare la morte, il mio signore Odino e le valchirie, pensò, voglio farlo ricordando il suo viso.
“So che mi disprezzate per non avervi difeso quando avevate più bisogno di me e per rotto la promessa; so che la mia sola presenza vi oltraggia, ma prima di andarmene vorrei dirvi quanto io sia pentito di ciò che ho fatto. Spero che, un giorno, riusciate a trovare nel vostro cuore misericordioso la forza di perdonarmi e di far cessare il sentimento d’odio che provate nei miei riguardi.”
“Io non vi odio. – confessò lei, sbalordendolo – Non vi ho mai odiato, non davvero.”
A piedi scalzi scese dal letto e, repentina, annullò le distanze tra loro e circondò le braccia attorno al suo corpo.
Sigurd, preso alla sprovvista da quel gesto tanto inaspettato quanto carico di sentimenti, sussultò lievemente prima di stringerla anche lui tra le sue braccia.
Non mi odia. Non mi ha mai odiato.  
“Ho sognato di vagare per un landa desolata, tra i resti di una battaglia, attraverso i corpi senza vita dei guerrieri. – raccontò con voce scossa – Tutto intorno a me era silenzioso e spettrale, anche l’aria stessa era satura di morte, ma niente è stato terribile come trovare il vostro corpo privo di vita.”
“Pensavate fossi morto?” chiese retoricamente e lei annuì.
“E’ stato un sollievo scoprire che non era così, che ho ancora la possibilità di stare con voi, dirvi che vi perdono e supplicarvi di non andare.”
“Devo andare. – disse severo – Il mio posto è sul capo di battaglia, accanto ai miei fratelli, e nonostante il mio cuore sia colmo di gioia per ciò che le mie orecchie hanno udito, non posso e non voglio sottrarmi dal ruolo che mi spetta.”
“Allora è così che deve andare, non posso fare nulla per impedirlo, per impedire la vostra morte. – Heluna tornò a singhiozzare – Vi perderò ancor prima di avervi avuto.”
“No, no. – Sigurd prese le mani di lei tra le sue – Non mi perderete, non lo permetterò: combatterò con la forza di un orso, con la forza di dieci uomini e tornerò presto da voi. Non permetterò alle valchirie di avere la mia anima2, non ora che so di avere il vostro cuore.”
Aye, lo avete. – annuì, mentre i loro visi si facevano sempre più vicini – Io credo... credo di amarvi, Sigurd.”

Sigurd sorrise come mai aveva sorriso in vita sua e, prepotente, annullò totalmente le distanze e la baciò con passione.
Finalmente, dopo tanto tempo, poté finalmente assaporare le sue labbra, sentire il sapore dolce della sua bocca, giocare con la sua morbida lingua; lei era sua, adesso ne aveva la certezza, e quando tutto si sarebbe concluso l’avrebbe portata con lui nelle terre che erano state di suo padre e l’avrebbe resa la sua consorte e regina.
Minn kœrr… - soffiò tra i suoi capelli quando, privi di fiato, posero fine al bacio – Perdonatemi, ma è giunto il tempo di congedarmi da voi. I miei uomini mi aspettano.”
“No, non lasciatemi…”
“Gorm si prenderà cura di voi, di lui potete fidarvi, poiché egli è più di un fratello per me. – le accarezzò il viso – Tornerò presto, lo prometto, e insieme saremo felici.”
La baciò una seconda volta, in modo fugace ma ugualmente pieno di sentimento.
Fárvel3, Principessa.”
“Arrivederci, Sigurd.”


 
*


1. Significa "Salute". La stessa perola è ancora oggi usata nelle terre scandinave.
2. Secondo la cultura norrena, erano le Valchirie a condurre i guerrieri caduti in guerra nel Valhalla.
3. Significa "addio". Più in particolare, quella usata qui è una forma usata per congedarsi dalla donna, mentre con un uomo viene aggiunta una elle finale, trasformandola in Fárvell. Dalla stessa radice deriva la parola inglese farewell.




Angolo Autrice: Salve, gente! Siamo al giro di boa, al punto di svolta, a metà della storia. Ancora molto deve succedere, ma posso dire con gioia che questo capitolo ha segnato un punto ben preciso nella trama e nel rapporto tra i due giovani. Inoltre, sono molto soddisfatta dell'esito.
Spero, dunque, che sia piaciuto anche a voi e di leggere presto vostri pareri.
In chiusura, avviso che la storia si fermerà per il resto del mese di Giugno per cause di forza maggiore - leggete esami! - e che la pubblicazione riprenderà dopo il 26 del mese.
Grazie, al solito, a tutti voi che leggete, seguite e recensite.

Alla prossima,
V.
 

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Capitolo 17
*** 17. ***


 


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Impiegarono due giorni a cavallo per raggiungere l’accampamento dell’esercito comandato dai loro fratelli. La neve gli aveva colti a poche ore dall’inizio della loro lenta marcia, ricoprendo interamente il paesaggio circostante e rendendo il compito delle vedette di avvistare possibili movimenti nemici quasi inattuabile.
Il vento aveva soffiato freddo e spietato da nord, stilettando con la sua aria gelida i visi arrossati e screpolati dei norreni, arrivando addirittura a creare, nelle ore più buie della notte, piccoli cristalli di ghiaccio tra le lunghe barbe rese ispide dalle intemperie.
Sul suo cavallo dal bruno manto, Sigurd aveva continuato la sua marcia senza mai lamentarsi, spronando i suoi uomini come meglio poteva, promettendo loro un fuoco caldo attorno al quale riscaldarsi e una grande battaglia in cui avrebbero trovato gloria e onore; in cuor suo, il minore dei figli di Ragnar sperava di impugnare al più presto una spada e uno scudo, sconfiggere definitivamente gli eserciti della Northumbria e tornare a casa.
Tornare da lei, dalla donna amata e che lo amava a sua volta.
Non aveva fatto altro che pensare alla sua principessa in quei due giorni appena trascorsi, a lei che dormiva assopita in un comodo letto, sotto pesanti strati di pellicce e coperte; a lei che spazzolava i lunghi capelli che gli ricordavano l’estate; al suo viso candido come la neve che lo circondava e ai suoi occhi blue come il mare di Kattegat; a lei che lo amava e lo stava aspettando con apprensione.
Ma guardati, gli disse la voce nella sua testa, sei diventato uno stupido! Sei schiavo di quella fanciulla, pendi dalle sue labbra, faresti qualsiasi cosa pur di tornare al più presto da lei e decantare il tuo amore come uno sdolcinato cantastorie.
Scosse la testa: non avrebbe permesso alle sue paure di farlo vacillare, alla voce nella sua testa di mettere in discussione ciò che sentiva per Heluna; nulla sarebbe cambiato, lui era e sarebbe sempre stato lo stesso spietato vichingo temuto da tutti e molto presto avrebbe ottenuto la sua vendetta.

“Fermi! – esclamò all’improvviso, alzando un braccio e iniziando ad odorare l’aria pungente del primo mattino – C’è un nuovo odore nell’aria, un odore di legna bruciata, di fuoco e di cibo. L’accampamento non deve essere lontano, un’ora al massimo.”
Si voltò indietro, verso i suoi uomini dai visi provati ma adesso più sollevati e cercò lo sguardo di suo fratello, anche lui in sella ad un cavallo grazie a dei particolari sostegni che dei fabbri esperti nella lavorazione del metallo avevano creato appositamente per lui sin da quando era un ragazzo.
“Segni di vita, finalmente. – disse Ivar con un sorriso sghembo – Per un momento ho pensato di esserci persi, invece eccoci qui. Speriamo solo che il nostro arrivo sia ancora utile e che gli eserciti dei nostri fratelli non siano stati decimati dalla fame e dal freddo.”


Bjorn fu il primo ad accoglierli: il suo corpo era ricoperto di pellicce, il suo viso sembrava scavato rispetto all’ultima volta in cui i fratelli lo avevano visto, ma il suo fisico era ancora possente come quello di un orso e il suo spirito gioviale e combattivo.
“Stavo per perdere le speranze. – confessò con le braccia conserte attorno all’ampio petto – Ce ne hai messo di tempo per decidere a richiamare a raccolta i vessilli e venire in nostro aiuto, Ivar.”
Il maggiore sorrise algido. Bjorn era sempre stato il più schietto dei suoi fratelli, l’unico capace di tenergli testa; di solo due anni più piccolo, era sempre stato trattato con ogni riguardo da suo padre, che lo aveva sempre considerato il suo degno primogenito di secondo letto; a lui, ragazzo gracile e infermo, non erano rimasti che la mente, l’astuzia, il sapere che i suoi maestri gli avevano trasmesso insieme a quell’odio per i cristiani che da sempre lo contraddistingueva. Solo con il tempo e con molta, molta fatica, Ivar aveva iniziato a combattere in sella al suo cavallo dal bruno manto, a impugnare la spada e uccidere a sangue freddo un uomo al fianco dei suoi fratelli minori.  
“Nostra madre è stata persuasiva e, anche se adesso non mi crederai, non è mai stata mia intenzione lasciar perire i miei fratelli per mano degli eserciti dello stesso uomo che ha ucciso con disonore nostro padre.”
“Allora dovresti unirti al consiglio per decidere la strategia migliore d’attacco. – intervenne Hvítserk, unendosi alla conversazione tra i fratelli – L’esercito di Ælle non è lontano, molto presto ci sarà una battaglia e per allora dovremo essere pronti.”
I quattro vichinghi si scambiarono un’occhiata e poi Sigurd disse: “Fai strada, fratello.”


Discussero fino al calare delle tenebre. Le ore che si susseguirono all’arrivo di Sigur e Ivar furono dedicate a strategie militari, possibili risvolti delle battaglie, ipotesi varie su quale fianco nemico attaccare per primo e in quali circostanze atmosferiche: ognuno di loro aveva delle idee chiare e precise, alcune volte interessanti e altre volte deboli; Bjorn e Hvítserk erano quelli che conoscevano meglio il territorio, che già avevano combattuto contro l’esercito nemico, studiato le loro mosse e le possibili fortezze su cui avrebbero potuto ripiegare in caso di una possibile sconfitta.
Ælle era astuto, conosceva i suoi uomini, ma non era un codardo: avrebbe combattuto fino alla fine, sacrificando anche l’ultimo dei suoi soldati pur di vedere le loro teste su delle picche e rispedire i resti del loro esercito verso le fredde terre a est da cui erano giunti tre mesi prima.
Anche Osberth, un tempo suo nemico, ora suo prezioso alleato, era un uomo segnato da molte battaglie, con la mente di un vero stratega e, più di chiunque altro, forse anche dello stesso Ælle, conosceva ogni piccolo e nascosto anfratto della Northumbria; insieme, i due uomini sembravano quasi invincibili, ma più il tempo passava e più i loro uomini erano deboli e spossati dalle crudeli intemperie dell’inverno.

“Credi che riusciremo a sconfiggerli?” chiese Sigurd a suo fratello Bjorn quando, molte ore dopo, si ritrovarono da soli a bere birra in una delle improvvisate strutture fatte di legno grezzo che avevano il compito di proteggerli dalla neve e dal vento.     
I piani d’attacco erano stati definiti e, poiché molti di loro erano spossati dalla lunga marcia che li aveva costretti ad affrontare intemperie e momenti di incertezza, i vichinghi avevano deciso di comune accordo riprendere il concilio di guerra alle prime luci dell’alba e di trascorrere le ore notturne a recuperare le forze e rifocillarsi di buon cibo.
“Certo che li sconfiggeremo. – rispose Bjorn, bonario – Hai mai avuto dubbi?”
“Quando è giunto il vostro emissario a York, portando notizia di guerra… - Sigurd fece leva sui gomiti e si mise a sedere – Ho temuto per la vostra vita, per il vostro esercito e per quello che sarebbe accaduto. E’ un miracolo che Ælle non vi abbia accerchiato, se le intemperie fossero state meno violente con il territorio a quest’ora sareste morti tutti.”
“Un segno divino per dirci che Thor è dalla nostra parte, che il suo sguardo è puntato su di noi, in attesa di brindare con i più valorosi tra i caduti nel Valhalla.”
“Spero tu abbia ragione, perché non possiamo perdere! – esclamò con rabbia – Cosa ne sarà di Gorm e dei suoi uomini se perderemo, cosa accadrà al nostro popolo? Nostra madre morirebbe di dolore, nostra sorella impazzirebbe nel ricevere la notizia della morte dei suoi fratelli e del suo adorato promesso sposo, e…”     

Cosa accadrebbe a Heluna? Dovrà andare in sposa a quell’uomo più vecchio di lei, diventare la consorte di quell’Osberth che ogni uomo di questo regno considera un eroe?
Ricordò il terrore nei suoi occhi quando, pochi giorni prima, lui l’aveva destata dall’incubo che così profondamente l’aveva scossa; ricordò le sue mani tremanti, la sua voce spezzata, e quello bastò a fargli capire che, se qualcosa gli fosse accaduto in battaglia, Heluna ne sarebbe rimasta segnata a vita.
Sigurd, però, era deciso a mantenere la sua promessa e tornare da lei.

“So che non è ancora giunto il mio momento. – concluse – Un giorno, magari tra qualche anno sarò pronto ad incontrare Odino, ma non ancora.”
“Sei cambiato. – sussurrò Bjorn in quella che non era una domanda ma un’affermazione, guadandolo, forse per la prima volta, con la consapevolezza che quello davanti a lui non fosse un ragazzo, ma un uomo adulto – Cos’è successo a York in questi quasi due mesi?”
Sigurd inarcò un sopracciglio, sorpreso da quella domanda: era cambiato così tanto durante quelle poche settimane passate lontano dai suoi fratelli?
Avrebbe dovuto parlargli di Heluna, confidargli i suoi più profondi segreti? Dopo tutto, lui si era sempre fidato di suoi fratello Bjorn e più volte, prima e dopo la partenza verso il regno della Northumbria, i due avevano discusso sui sogni che avevano afflitto la mente del più piccolo, di quegli occhi chiari come il mare baciato dal sole e tristi come una notte senza luna capaci di tormentarlo anche da sveglio.  
“Ricordi la profezia del Veggente? – chiese Sigurd con voce appena sussurrata – Rimembri le sue parole circa la grandezza dei Figli del Nord; rimembri cosa mi disse riguardo all’aquila di sangue e alla principessa dagli occhi tristi?”
“La ragazza dagli occhi tristi che tormentava i tuoi sogni. Certo che mi ricordo. – rispose pacato il maggiore – Hai finalmente trovato le risposte alle tue nebulose domande?”
“Alcune. – confessò annuendo – Credo… credo di aver trovato la mia principessa; credo, Bjorn, di essermi innamorato di lei e che lei ricambi i miei sentimenti.”
“Amore? – Bjorn aggrottò la fronte, perplesso davanti a una tale rivelazione – Sigge, fratello, ne sei sicuro? E poi chi sarebbe questa fanciulla?”
Sigurd si ravvivò con una mano i capelli biondi, cercando di trovare le parole più giuste: come avrebbe reagito Bjorn sapendo l’identità di Heluna? Lo avrebbe deriso, chiamato folle, minacciato di impedire a tutti i costi quella unione oppure avrebbe compreso e accettato? Non lo sapeva.
La verità era che Sigurd era terrorizzato al sol pensiero di deluderlo, di deludere la persona che rispettava di più al mondo: sin da piccolo aveva sempre aspirato a diventare forte e valoroso come suo fratello Bjorn, seguire il suo esempio; cercare la sua approvazione era ciò che più gli era importato da ragazzo e anche adesso che era diventato un uomo adulto, un vichingo come suo padre e i suoi fratelli, continuava a cercare quella stessa approvazione infantile.
“E’ sua figlia… - rispose finalmente, trovando il coraggio di guardarlo dritto negli occhi, il cui colore era identico ai suoi – E’ la figlia di Ælle, Heluna. Mi sono innamorato del nemico e per quanto io abbia tentato di combattere contro questo sentimento, reprimerlo nella speranza che svanisse con la stessa celerità di un temporale estivo, non ci sono riuscito.”
Bjorn sgranò impercettibilmente gli occhi cerulei, preso completamente alla sprovvista da quella rivelazione tanto inaspettata quanto inconcepibile e, preso il fratello per un braccio, lo condusse fuori l’accampamento e lo trascinò per alcuni metri.
“Sei completamente impazzito? – urlò una volta fermata la sua marcia e dopo essersi accertato di essere abbastanza lontano da orecchie indiscrete – Cosa ti passa per la testa, Sigurd, cosa pensi di fare? Una principessa del popolo anglo, la figlia dell’uomo che ha ucciso nostro padre? Dimmi, come pensi che la prenderanno i tuoi uomini, il nostro popolo?”
“Lei è diversa, non è come suo padre, non…”
“Puoi ben dirlo che è diversa. – sottolineò piccato il maggiore – Lei è diversa perché è una straniera; è una cristiana, una fanciulla che andrebbe bene come tua schiava, non come tua moglie. Non sarà mai accettata nella nostra comunità e non appena si presenterà l’occasione i tuoi alleati, i subdoli jarl che per anni hanno cospirato contro nostro padre, faranno di tutto per screditarti agli occhi del tuo popolo e prendere il tuo posto.”
Bjorn posò una mano sulla spalla del fratello e continuò: “Non metto in dubbio la sincerità e la purezza dei tuoi sentimenti, ti conosco abbastanza per sapere che il tuo cuore e i tuoi occhi non mentono, ma ti supplico di ripensarci: prendi la principessa come tua schiava, come amante, dalle dei figli se vuoi, ma non prenderla in moglie. Sarebbe un enorme errore, Sigge, un errore che con il tempo rimpiangerai di aver commesso.”

Sigurd spezzò il contatto con il fratello e indietreggiò di qualche passo, guardandolo con astio, come se quello davanti a lui fosse un estraneo.
Come poteva Bjorn dire una cosa simile, proprio lui che aveva sempre vissuto a pieno la sua vita, che aveva amato incondizionatamente così tante donne diverse?
Ha ragione, disse chiaramente la voce nella sua testa, le sue parole sono sagge e faresti bene ad ascoltarlo. Se la sposi condannerai te stesso ad una vita infelice, finirai per odiarla, ad accusarla per tutte le sciagure che seguiranno la vostra unione. Lei non sarà mai accettata dai tuoi uomini e, se le permetterai di sedere accanto a te come tua regina, il tuo regno si tingerà del sangue dei suoi figli.
“Ho bisogno di stare da solo. – disse algido – Lasciami da solo, Bjorn.”
Diede le spalle al maggiore, il quale non provò a seguirlo, e con la mente annebbiata da nefasti pensieri e con il cuore pesante si addentrò nel buio della notte, scomparendo ben presto dalla vista del fratello.

 


*


 
Angolo autrice: Hello, folks! Dopo un mese di pausa forzata, sono tornata ad aggiornare la mia storia! Lo confesso, questo capitolo è stato arduo da scrivere, non mi soddisfa pienamente e Sigurd e Bjorn hanno praticamente fatto i fatti loro nella seconda parte. Perchè, ecco, non avevo in mente questo, ma poi è successo a amen!
Spero, comunque, che vi sia piaciuto e di ricevere vostri pareri a riguardo.

In conclusione, vi segnalo la pubblicazione di una mia nuova storia a tema storico, ambientata tra la Scozia e l'Inghilterra del 1100, con protagonisti Edith di Scozia e Henry I d'Inghilterra. La storia si chiama Blessed Memory e, se a qualcuno dovesse incuriosire, sarei ben lieta di ricevere opinioni! ;)


Alla prossima,
V.

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Capitolo 18
*** 18. ***




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Quando riaprì gli occhi, il cielo sopra di lui era terso, di un azzurro così glaciale e pallido da ricordare gli occhi di un cieco. Non aveva nevicato durante la notte, la temperatura mattutina sembrava essersi alzata rispetto a quelle precedenti e i cumuli di neve che coprivano le pesanti e profonde radici degli alberi che si alternavano copiosi nella valle stavano iniziando a sciogliersi lentamente.
Si mise a sedere, portando le lunghe gambe fasciate dal cuoio a sfiorare l’ampio petto e, sovrappensiero, iniziò a rigirarsi uno dei bracciali d’argento che portava al polso: ogni vichingo che si rispettava ne portava almeno uno; alcuni erano fatti di oro o di argento, altri erano costellati di pietre preziose razziate in qualche monastero, ma tutti simboleggiavano i loro successi e la loro forza, le battaglie che avevano combattuto.
Presto ce ne sarebbe stata un’altra, quella che tutti speravano essere la definitiva e che avrebbe dato ai norreni il pieno controllo della regione della Northumbria: le loro spie avevano riportato notizie preziose durante il consiglio di guerra che si era riunito il giorno prima, sussurri che stavano passando di bocca in bocca tra i soldati circa le tensioni che stavano nascendo tra il vecchio Osberth e quello che un tempo era stato il suo aldermanno1, Ælle.
Le voci sostenevano che, se da una parte Osberth era deciso a temporeggiare il più possibile, attuare un piano militare per far indietreggiare l’esercito danese fino a sfiancarlo e prenderlo per fame, dall’altra l’impaziente e spietato Ælle premeva per un attacco al cuore del nostro accampamento, poiché troppo era il tempo trascorso e, giorno dopo giorno, erano sempre di più gli uomini tra i loro ranghi che abbandonavano l’esercito, desiderosi di tornare a casa, lasciarsi il crudele inverno alle spalle e preparare le messi per i loro campi lasciati per troppo tempo incolti.
Tutto si sarebbe deciso là, nelle valli poco distanti da Jorvik, dalla roccaforte costruita centinaia di anni prima dai romani e poi abbandonata.

Decise di tornare dai suoi uomini, dai suoi fratelli, arrendendosi davanti alla consapevolezza che quella notte appena trascorsa non avesse portato alcun consiglio; la sua mente, come il suo cuore, era ancora in tumulto e così decise che avrebbe lasciato decidere al destino ciò che sarebbe stato di lui e della sua vita.
Avrebbe combattuto, si sarebbe preso la vendetta che lo aveva spinto su quelle coste verdeggianti e fertili e solo dopo avrebbe deciso cosa fare di Heluna e dei sentimenti che provava per lei.


“Eccoti, finalmente! – fu Ivar a parlare per primo quando, poco dopo, tornò dai suoi uomini ed entrò nella struttura coperta fatta con dei pali di quercia piantati nel terreno e con delle vele strappate e rattoppate frettolosamente prese da qualche nave – Il sole è sorto da un pezzo: dove sei stato?”
“Avevo bisogno di stare da solo, riflettere.”
Rispose asciutto Sigurd, stando bene attendo a non incontrare lo sguardo di Bjorn; si riempì un boccale con della birra che bevve avidamente e iniziò a sbocconcellare del pesce salato mentre osservava pensieroso i disegni dei piani d’attacco.
“Cosa dicono le rune? – chiese successivamente – Sarà questo il giorno propizio per attaccare e riportare la vittoria tanto attesa sui northumbri?”
Il minore di figli di Ragnar conosceva da tempo la superstizione che contraddistingueva suo fratello Ivar, il quale era solito consultare sempre uno stregone danese di nome Olaf.
Olaf Haldansson era un uomo esile, con un corpo asciutto e alto che lo faceva somigliare ad un giunco verdeggiante che cresceva sulle rive dei fiumi e degli stagni; aveva un viso allungato, scavato, con zigomi alti e degli occhi piccoli e pallidi come la nebbia al mattino. Sigurd non si fidava di lui, benché le sue rune si fossero dimostrate vere in tutti quegli anni sapeva bene che, senza certezze, Olaf non aveva mai azzardato un presagio sicuro, troppo codardo per sfidare l’ira di Ivar.
In silenzio, i vichinghi lo osservarono mentre, senza dire neanche una parola, estrasse dal suo mantello di lana bordato con pelo di volpe delle asticciole bianche, lunghe poco più delle dita di un uomo adulto, sulle quali erano state incise delle rune; con occhi chiusi, alzò in aria le asticciole tenute tra le mani ossute come fossero un fascio di paglia dorata e, dopo aver mormorato con la sua voce bassa e fredda una preghiera ad Odino e a Thor, aprì le mani lasciandole cadere.
Quando ogni singola asticciola toccò il terreno, cozzando con la pedana lignea creando una sottospecie di tintinnio, lo stregone si piegò sulle gambe, girò più volte attorno alle rune e, solo dopo molti minuti, guardò Ivar e annuì.

“Odino ci sorride! – esclamò Ivar, sfregandosi le mani tanto pallide da mostrare, sotto la pelle sottile, le violacee vene – Il giorno tanto atteso è arrivato e con esso la disfatta degli eserciti di Osberth e Ælle.”

 
 

*
 
 

L’esercito dei northumbri era diviso in tre grandi sezioni: la prima, posizionata alla destra dei norreni, annoverava gli uomini da sempre fedeli a Osberth; la seconda, posizionata alla sinistra, annoverava i fedelissimi di Ælle; al centro, c’erano gli uomini degli aldermanni più importanti, giunti da nord e da sud per dare sostegno ai loro signori e ingrossare le loro fila.
Furono proprio quest’ultimi ad avanzare per primi, tenendo una marcia lenta, posizionandosi in una formazione a cuneo e proteggendosi dietro i loro scudi; la maggior parte di loro era composta da quelli che venivano chiamati ceorls, uomini liberi di umili origini: appartenenti al ceto sociale più basso, non disponevano di una maglia cotta o di qualsiasi altra protezione che non fossero i loro poveri indumenti di lana grezza e cuoio malconcio e qualche sgangherata protezione posizionata sulle parti vitali dei loro allampanati e smunti corpi.
I norreni, dal canto loro, aspettavano, immobili dietro le palizzate lignee che avevano costruito per proteggere il loro accampamento, il momento giusto per attaccare, forti nella loro consapevolezza di poter prendere gli angli in contropiede con un numero maggiore di uomini, con l’esercito di Ivar e Sigurd, il cui arrivo era stato prontamente tenuto nascosto.
Tra le fila avversarie iniziarono a sollevarsi urla e un sempre più forte rumore di metallo cozzato contro gli scudi di legno che si andò a fondere con il suono dei corni e creò una musica dalle sfumature tetre e agghiaccianti.
I corni risuonarono ancora, più forti e più a lungo, disperdendosi nell’aria fredda di mezzodì e l’esercito iniziò a muoversi, oscillando come l’acqua del mare sospinta dalla corrente; anche quello norreno avanzò, muro di scudi contro muro di scudi, tra la neve quasi del tutto sciolta, mentre il vento iniziava a soffiare ad est e i corvi iniziavano ad appollaiarsi sugli alberi ancora spogli, pronti a banchettare con la carne dei caduti.
Dardi scoccati dagli arcieri posizionati nelle retrovie vibrarono nell’aria secca, le loro punte di ferro luccicarono alla luce del sole, mandando scintillii simili a quelli che costellano il mare nei giorni più caldi dell’anno, piantandosi nel muro di scudi del nemico e rendendoli simili a dorsi di istrice.

“Manca poco allo scontro decisivo! – esclamò Bjorn a suo fratello Hvitserk, mentre entrambi avanzavano nel muro di scudi – Spero che Ivar e Sigurd siano riusciti ad accerchiare il nemico, che riescano a piombare non visti sugli uomini di Ælle e a distruggerli!”

L’impatto arrivò poco dopo: i due eserciti iniziarono ben presto a fondersi, mentre il fragore di lame contro legno, metallo contro metallo, accompagnato da quello delle urla, diventava sempre più forte.
I norreni sembravano sofferenti, numericamente inferiori e questo diede motivo alle altre due fazioni comandate da Osberth e Ælle, fino a quel momento rimaste indietro, di avanzare a passo di marcia sicuro, allontanandosi così dagli accampamenti rimasti vuoti.
Fu allora che, inattesi, gli uomini di Ivar e Sigurd piombarono dalla collina a ovest, prendendo alla sprovvista il nemico, gli uomini pavidi e con le armi da guerra peggiori che popolavano le retrovie, abbattendosi su di loro come il mare sugli scogli.
Il canto delle lame ebbe inizio: tutt’attorno gli uomini iniziarono a cadere sotto i colpi delle asce, delle spade affilate, ad urlare agonizzanti; sangue iniziò a macchiare la candida neve, ad imporporarla con le sue gocce dense, mentre l’aria veniva saturata dell’odore del ferro.
Sigurd affrontò numerosi nemici, facendoli a pezzi uno dopo l’altro, finché sulla sua strada non si interpose lo stallone da guerra dal bruno manto di Osberth, dell’uomo che un tempo era stato il sovrano di quelle terre, uno spietato combattente, uno dei più invidiati e temuti: gli inverni che si erano susseguiti non erano stati gentili con lui, lo avevano trasformato in un uomo corpulento, con un ampio ventre e un viso scavato da rughe profonde; l’armatura che indossava gli stava stretta, le chiusure in cuoio tiravano sotto le ascelle e la maglia cotta lo rallentava nei movimenti.
Sigurd ghignò aspro nel vederlo, provando un disgusto al pensiero di quelle mani piene di calli e tozze che sfioravano il corpo di Heluna. La sua Heluna.
Il norreno era nel fiore degli anni, il suo fisico, sebbene possente, era scattante come quello di un lupo, e la sua sete di sangue e di vendetta lo rendevano ancor più temibile; il giovane ruotò la lama dall’impugnatura rivestita in cuoio, facendola vibrare nell’aria del mattino, e si beò del tintinnio dei suoi bracciali d’argento, simbolo delle sue vittorie e monito per chiunque osasse sfidarlo.
Spostò il suo peso da un piede all’altro, calibrando ogni minima mossa dell’avversario e, come una furia, scattò all’attacco: Osberth si dimostrò un avversario più temibile di quanto Sigurd avesse ritenuto; i suoi movimenti, benché più lenti di quelli del figlio di Ragnar, erano attenti e ben studiati e anche le parate mostravano una maestria degna di un sovrano. Continuarono a duellare per minuti, spada che cozzava contro spada, scudo che cozzava contro spada, in una danza mortale di cui solo i veri guerrieri sapevano i passi.
Poi Osberth incespicò, la sua stessa terra natia lo tradì nascondendo un masso sotto ad un sottile strato di neve, costringendolo a poggiare un ginocchio a terra e ad alzare lo scudo sul suo capo per evitare un attacco fatale; si rialzò in piedi, incespicando ancora, adesso visibilmente in difficoltà, continuando a parare maldestramente i colpi di Sigur fino a quando la lama del nemico non gli trafisse la pelle dell’addome, squarciandola dall’inguine fino allo sterno.
Le vesti di Osberth si strapparono, impregnandosi del suo sangue che schizzò a fiotti, andando a lordare lo scudo e le braghe del norreno; viscere fuoriuscirono da grosso addome, un urlo di dolore scappò dalle labbra carnose che tante donne avevano baciato, e il suo corpo cadde riverso a terra.
Sigurd lo sovrastò, ridendo in modo sadico, gli occhi spiritati e il viso macchiato del sangue del suono nemico: adesso nessuno avrebbe avuto Heluna, pensò e ripensò mentre lo guardava morire, nessuno avrebbe reclamato la sua mano.
“Avete lottato con onore, Lord – sussurrò mentre si chinava su di lui – e per questo meritate una morte onorevole, una degna del vostro rango.”
La lama della sua spada vibrò per l’ennesima volta nell’aria, sopra la testa di Osbeth, ma fu proprio in quel momento che quest’ultimo, prese le sue ultime energie, sfilò la sottile daga legata alla sua cintura di cuoio e piantò la sua lama nella spalla del norreno, il quale cacciò un urlo animalesco quando il ferro penetrò la sua carne.
“Cane bastardo!” esclamò velenoso, calando senza pietà la spada e spaccando la testa come una mela all’oramai morto Osbeth, i cui occhi rimasero a fissare senza vita il cielo terso sopra di lui.



La battaglia durò fino al calare della sera, la vittoria dei norreni fu decisiva e, mentre ad alcuni degli uomini di Ælle fu risparmiata la vita in cambio della loro sottomissione e di un lauto tributo in oro e argento, il sovrano fu catturato con la promessa di una morte dolorosa.
“Stai sanguinando. – disse molto più tardi Bjorn a suo fratello minore, osservando con preoccupazione la ferita inferta alla spalla di quest’ultimo – Devi pulirla e cucirla.”
“Lo farò quando saremo a Jorvik. – disse tranquillo, reprimendo il dolore e bevendo il suo idromele – Adesso voglio solo festeggiare con i miei fratelli e ringraziare Odino per questa grande vittoria.”
Bjorn guardò accigliato la fasciatura della spalla destra di Sigurd, le bende impregnate di sangue, per nulla contento di quella risposta: il fratello minore era sempre stato incosciente, la sua giovane età gli faceva sottovalutare i pericoli, sfidare la morte.
“Non sei sopravvissuto alla battaglia per morire da sciocco, Sigge! – lo ammonì – Cauterizza e pulisci quella ferita o giuro su Odino che prenderò il primo tizzone rovente che avrò sotto mano e lo farò io stesso.”
“E’ una ferita superficiale, sto bene! – ringhiò seccato Sigurd – Non ho bisogno di una balia, tantomeno di una madre apprensiva.”
“Se è questo ciò che pensi, stupido sciocco, allora vai e permetti alla tua ferita di infettarsi. Io il mio dovere l’ho fatto, il mio animo è in pace.”

Sigurd osservò Bjorn allontanarsi e tornare dai suoi uomini, dandosi dello sciocco per ciò che aveva detto, per avergli mentito: come dirgli che la ferita, nonostante fosse stata pulita e chiusa frettolosamente, stava continuando a sanguinare e bruciare come fuoco vivo le sue carni pulsanti? Come dirgli che aveva il terrore delle febbri che questa avrebbe potuto portare, paura al sol pensiero di morire e non poter mai più tenere una spada in mano, salpare su di una nave con le vele ingrossate dal vento, continuare ad amare per sempre la fanciulla a cui aveva donato il cuore?
Per l’ennesima volta si disse di non cedere a quelle paure, che tutto sarebbe andato bene; continuò a bere il suo idromele, scolandoselo tutto d’un sorso e decise che la cosa migliore da fare fosse quella di festeggiare con i suoi uomini la meritata vittoria.
 


*


 
1. Aldermanno: nell'araldica era il nome con cui gli Anglo-Sassoni chiamavano i conti, i governatori provinciali e altre persone di alto rango.




Angolo Autrice: Buonsalve! La battaglia finale è finalmente giunta e i nostri vichinghi hanno ottenuto una schiacciante vittoria. Questo è stato il mio primissimo capitolo in cui ho descritto così approfonditamente una battaglia, quindi spero di aver fatto un buon lavoro e non aver scritto castronerie.
Mi piacerebbe, proprio per questo motivo, avere vostri pareri. Non esitate a farmi notare qualsiasi cosa, anche degli errori, così che io possa correggermi e migliorare.

Alla prossima,
V.

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Capitolo 19
*** 19. ***


 


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Si risvegliò urlando, ubriaco e con le febbri che stavano infiammando il suo debole corpo.
La ferita alla spalla era peggiorata nel corso della notte, benché avesse smesso di sanguinare l’infezione si stava propagando e a questa si era aggiunta la febbre alta; i suoi lamenti svegliarono i suoi compagni d’arme che stavano dormendo poco lontano, anche loro ancora ebbri a causa della birra che era stata fatta scorrere a fiumi per celebrare la vittoria contro il nemico.
“Sigge! – Bjorn gli fu accanto poco dopo, chiamato dai suoi uomini preoccupati per la sorte del loro comandante – Dèi, la tua pelle è fuoco. Dobbiamo subito portarti via da qui, in un posto riparato dalle intemperie.”
Il norreno diede immediatamente l’ordine di destare tutti quanti, di sgombrare al più presto l’accampamento e di preparare dei cavalli forti e ben riposati affinché questi portassero Sigurd a Jorvik, dove avrebbe ricevuto le cure adatte.
Il viaggio di ritorno verso la città edificata dai romani sarebbe stato meno tortuoso di quello dell’andata, poiché la neve era quasi del tutto sciolta e le strade erano nuovamente praticabili; il cielo era privo di nubi, la temperatura era abbastanza calda da permettere ai vichinghi di mettersi in marcia e la disfatta dell’esercito northumbro rendeva praticamente nulle le possibilità di attacchi o imboscate.

“Credi che resisterà fino a Jorvík? – chiese più tardi Ivar, mentre degli uomini stavano stendendo Sigurd, ancora febbricitante e delirante, su di un carro agreste trainato da due cavalli – La febbre lo sta consumando e temo che il viaggio possa rivelarsi la sua condanna.”
“Deve. – rispose apprensivo Bjorn, non volendo neanche contemplare la possibilità della dipartita di suo fratello – Non abbiamo vendicato nostro padre per far morire nostro fratello. Sigurd non può e non deve morire, non ora che la nostra presa sulla terra degli angli si sta facendo sempre più salda; non ora che Odino ci sorride.”
“La prossima a cadere sarà la Mercia. – annunciò algido Ivar – La conquista dei figli del Nord è appena incominciata, è solo questione di tempo oramai: ogni regno libero di questa isola cadrà. Northumbria, Mercia, Wessex, Aglia Orientale. Ognuno di questi regni conoscerà l’ira dei figli di Ragnar, del popolo danese e della sua grande armata.”
“Quali sono i tuoi ordini, dunque?” chiese Hvítserk, aggiungendo la sua voce in quella conversazione a cui aveva prestato attentamente orecchio.
“Manda messaggeri oltre il mare, nelle terre dei nostri alleati, affinché uniscano le loro asce alle nostre. – annunciò solenne – Arriva fino alle terre a nord sotto il comando del casato degli Yngling, ad Agder1, così che il Nero2 si unisca alla nostra causa; poi a sud, dal nostro fratellastro Ubbe3, perché avremo bisogno della sua mente strategica e della sua crudeltà in battaglia; infine, recatevi all’isola di Fyn, presso la corte del Danese4, che da tempo oramai aspetta di far saggiare il legno dei suoi scudi neri ai nemici di questa terra. Quando le loro risposte saranno state scritte, ordina agli uomini di tornare da me a Jorvik, poiché saranno proprio queste risposte a decidere il nostro futuro se Sigurd dovesse perire e i suoi uomini venire meno.”
Poi si rivolse esclusivamente a Bjorn: “Rimani al suo fianco, veglialo giorno e notte e non lasciarlo mai. So che lui mi ritiene senza cuore, e probabilmente ha ragione, ma è pur sempre mio fratello, il più piccolo e io l’ho amato dal primo momento in cui nostra madre lo ha messo al mondo.”
Una strana malinconia lo assalì: ricordava perfettamente il giorno della nascita di Sigurd, avvenuta dopo un facile parto; quel giorno tutto era stranamente calmo, anche la natura sembrava trattenere il fiato nell’attesa del primo vagito del neonato, eppure lui non riusciva a mostrarsi altrettanto calmo.
Ricordava che suo padre Ragnar era sembrato quasi indifferente alla nascita dell’ennesimo figlio, una nascita che sua moglie aveva profetizzato poco dopo il suo concepimento e che lo aveva tenuto legato a quella casa e a quella promessa fatta davanti agli déi che, in cuor suo, avrebbe voluto sciogliere per prendere in moglie una fanciulla giovane e immacolata.
Ricordò il momento in cui la balia entrò nella sala grande con in braccio il piccolo Sigurd; ricordò il forte lamento che riecheggiò nella sala grande e di aver sorriso quando aveva notato il serpente inciso nell’occhio di suo fratello: lui era destinato a grande cose, questo aveva detto sua madre, e suddetto marchio ne era la prova.
Ragnar, quel giorno, guardò appena il neonato, ma Ivar, di dieci anni più grande, lo tenne tra le braccia e fece cessare il suo pianto rabbioso – il pianto di un vero vichingo, come lo avrebbe definito la loro madre – promettendogli grandi avventure e una vita degna di essere vissuta.
Bjorn semplicemente annuì, poiché altre parole sarebbero state futili e, montato sul suo cavallo, cavalcò verso Jovirk al fianco del carro in cui, delirante, si trovava suo fratello.
 
**




Heluna stava passeggiando per i giardini privati adiacenti all’edificio in pietra. Quella mattina era arrivato un messaggero a Jorvik, il quale aveva annunciato a gran voce la sconfitta dell’esercito di suo padre e del suo promesso sposo, la morte in battaglia di quest’ultimo: la principessa non aveva mai provato amore o affetto per il vecchio sovrano, eppure una parte di lei si intristì al pensiero della sua morte e per questo volle raccogliersi in preghiera per affidare la sua anima alla misericordia di Dio.
Pregò per molte ore; pregò per suo padre, affinché i norreni gli concedessero una morte degna di un sovrano nonostante i suoi atti spregevoli, nonostante la vendetta che li aveva spinti nella sua terra natia. Ælle non era mai stato un buon padre, non le aveva mai dimostrato affetto o amore, poiché Heluna era solo una femmina, una fanciulla inutile per la successione al trono e per questo indegna delle sue attenzioni.
Eppure…
Quell’uomo, per quanto odiato, sarebbe per sempre stato suo padre e i precetti cattolici le imponevano di onorarlo e rispettarlo, di pregare per lui e per la sua anima.
Ringraziò il Signore per aver protetto Sigurd, anche se una parte di lei sapeva che era sbagliato, che non era stato il suo Signore a proteggerlo, ma Odino, la divinità pagana tanto cara al ragazzo che lei amava: sapere che lui era sano e salvo, che stava tornando da lei, aveva placato il suo animo angosciato, era tutto ciò che davvero importava e per questo avrebbe ringraziato e pregato anche Odino… se solo avesse saputo come.

“Principessa, è tempo di tornare nelle vostre stanze.”
Fu Guthrun a parlare: la guerriera norrena era rimasta a Jorvik con l’ordine di sorvegliare ogni spostamento di Heluna e farle da ancella personale; le fanciulle che fino a quel momento si erano prese cura di lei erano state interdette dall’avvicinarsi e a neanche Mary, divenuta alcuni giorni prima moglie di un vichingo, era concesso di rimanere da sola con la principessa northumbra.
Così Guthrun la seguiva come un’ombra, stando attenta a cogliere ogni passo della fanciulla, pronta a riferire ai comandanti che da anni serviva: non si fidava di Heluna, la riteneva una minaccia e in cuor suo sperava che le dicerie che si stavano diffondendo tra l’esercito riguardo Sigurd e una sua possibile unione con la principessa straniera si dimostrassero fasulle.
Sigurd meritava di meglio, aveva bisogno di una donna norrena al suo fianco, specialmente se voleva tenere salda la presa sui suoi domini e sugli jarl al suo servizio; nessuno avrebbe accettato Heluna come loro sovrana, non adesso e neanche in un futuro prossimo e con il tempo lui avrebbe rimpianto quella sconsiderata scelta, probabilmente l’avrebbe ripudiata per prendere come seconda sposa una fanciulla degna di lui.
“Temete che qualcuno possa farmi del male? – chiese piccata la principessa – Ho bisogno di quiete, norrena, di stare da sola e questo è il solo posto in cui voglio stare.”
“Dico solo che, con l’annuncio della vittoria del nostro esercito, qualcuno potrebbe pensare di aggredirvi e questo non posso permetterlo: l’ho promesso al mio amato signore.”
“Amato? – Heluna assottigliò gli occhi e sentì nascere dentro di lei, per la prima volta, il sentimento della gelosia – Voi amate Sigurd?”
“Come ogni fedele soldato ama il suo signore.” rispose asciutta l’altra, screditando il valore delle sue parole.
Per settimana lei, una delle più spietate e forti skjaldmær al servizio dei figli di Ragnar, era stata l’amante di Sigurd; per settimane aveva giaciuto con lui, benché avesse sempre saputo che nessun futuro ci sarebbe stato per loro due, per lei, che era la figlia bastarda di uno jarl minore, nata da una relazione con una schiava di quelle terre liberata solo due anni dopo la sua venuta al mondo.
Eppure, mai avrebbe immaginato che Sigurd avrebbe preferito la principessa straniera, una misera cristiana, a una donna della sua gente; mai avrebbe pensato di disprezzarla tanto, poiché ella aveva ricevuto ciò che lei stessa aveva inizialmente desiderato: il cuore del minore dei Ragnarsson.
“Non vi credo. – sussurrò di rimando Heluna, guardandola con sguardo severo – Ho visto come lo guardate, ho letto desiderio sul vostro viso ogni volta che i vostri occhi si incrociavano.”
“Volete dunque sapere se è stato mio? – Guthrun fece un passo verso di lei, poi un altro e sul suo viso comparve un ghigno trionfante – Sì, per molte notti è stato mio: abbiamo diviso lo stesso giaciglio; persino qui, tra queste mura, abbiamo condiviso un letto. Eppure non c’è futuro per noi, poiché io non sono altro che il frutto di un unione proibita, la figlia di una straniera. E nella nostra terra gli stranieri non sono e non saranno mai ben accetti.”
“La vostra è una minaccia, Skjaldmær?”
“E’ semplicemente la pura verità. – rispose piccata – Nessuno accetterà la vostra unione. Se diventerete la consorte di Sigurd, sappiate che riceverete solo astio dal vostro nuovo popolo: voi siete la figlia di colui che ha ucciso Ragnar Loðbrók, una principessa straniera, una cristiana. La vostra unione porterà solo miseria e guerra.”
Heluna strinse forte i pugni e si impose contegno: benché quelle parole la stessero ferendo nel profondo, fossero colme di odio e gelosia, sapeva di non poter vacillare. Se si fosse mostrata debole, pensò, nessuno l’avrebbe mai considerata degna di Sigurd, una promessa sposa degna di un norreno, una giovane donna coraggiosa e impavida.
Non avrebbe pianto, non si sarebbe scomposta, semplicemente si limitò a guardarla con disprezzo e a rientrare nella fortezza romana, decisa più che mai a combattere per ciò che era e sarebbe sempre stato suo.
 

*



1. Piccolo regno dell'epoca vichinga situato a sud della Norvegia e corrispondente all'attuale regione del Sørlandet.
2. Si riferisce ad Halfdan il Nero, padre del più famoso Harald Fairhair, primo sovrano della Norvegia.
3. Ubbe Ragnarsson fu uno dei capi della grande armata danese che, nel IX secolo, conquistò la maggior parte dei regni anglosassoni; secondo alcune fonti storiche, egli era figlio del leggendario Ragnar Loðbrók. Non essendo però le fonti certe della sua paternità ed essendo la mia storia basata, sull'aspetto parentale, principalmente sulle saghe norrene citate nel prologo, ho deciso che Ubbe sarà il fratellastro di Sigurd, Ivar, Bjorn e Hvitserk.
4. Si riferisce a Guthrum, chiamato appunto Il Danese, il quale fu uno dei condottieri più forti della grande armata e uno dei signori del regno del Danelaw.






Angolo Autrice: Hello, folks! Capitolo di passaggio, in cui vediamo nascere per la prima volta della gelosia in Heluna; anche lei, come Sigurd, è stata messa in guardia sul loro fututo, anche se, proprio come il norreno, neanche lei sembra volere chinarsi davanti agli ostacoli e alle circostanze.
Molto, molto importante è la conversazione tra Ivar e i suoi fratelli, in cui il maggiore confessa per la prima volta i suoi piani futuri e la sua intenzione di conquistare ogni regno degli anglosassoni.
Inoltre, annuncio che da questo capitolo partirà una seconda storia in gran parte collegata e che avrà come protagonisti dei personaggi questa volta originali, oltre che sullo sfondo personaggi storici come Guthrum il Danese e alcuni dei figli di Rangar. La storia si intitola "Figli del Nord: Corvo
e il prologo è stato appena pubblicato! ;)
Grazie, al solito, a tutti voi che leggete, seguite e lasciate una recensione.

Alla prossima,
V.

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Capitolo 20
*** 20. ***







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Chiudendo gli occhi, si inebriò dell’odore del vento. Vento di fine Marzo, primaverile, gonfio come le vele adorne delle drakkar dai musi bestiali1 e pieno di sollievo come l’abbraccio della donna amata che ti aspetta sull’uscio della propria dimora.
Sigurd riaprì gli occhi, pupille scure assottigliate che contemplavano il cielo azzurro sopra di lui, prestando orecchio ai rumori attorno: scalpicciare continuo di zoccoli equini contro il terreno polveroso, vociare lontano e indefinito di uomini, il verso di una tortora tra gli alberi circostanti.
La febbre sembrava aver affinato i suoi sensi eppure il suo corpo era debole e affaticato, le sue palpebre talmente pesanti da risultare quasi impossibili da tenere aperte; voleva solo tranquillità e pace, tornare nella sua dimora lontana, a est, sentire ancora una volta la soave voce della fanciulla amata e percepire la morbidezza delle sue labbra piene contro le sue screpolate e sottili.
Sigge!
Il suo nome, qualcuno lo stava chiamando con quel nomignolo affettuoso che solo i suoi fratelli usavano – persino Ivar, il tanto freddo e scostante Ivar, che nei momenti più impensabili aveva dato prova del suo affetto fraterno.
“Sigge! – una mano dai polpastrelli callosi sfiorò la sua spalla – Apri gli occhi, fratellino e ammira le antiche mura in pietra di Jorvìk: siamo finalmente arrivati!”
“I miei occhi sono pesanti, si rifiutano di vedere. – sussurrò flebilmente – Descrivimi ciò che vedi, come quando eravamo bambini e ci affacciavamo sulle torri vedetta di legno, ma io ero troppo piccolo per arrivare in cima e tu mi descrivevi le navi all’orizzonte accarezzate dalla luce del sole al tramonto.”
Bjorn sorrise sghembo: ricordava bene quei momenti, accaduti tanti anni prima e sapere che anche suo fratello minore custodiva quei preziosi ricordi lo rese felice.
Erano sempre stati curiosi loro quattro, i figli di Ragnar, ma Sigurd aveva sempre dimostrato una curiosità tutta speciale, una fame per la conoscenza quasi comparabile alla sua, che da sempre aveva sognato di visitare e conoscere la più remota delle regioni.
“La strada si apre verso est, il terreno sterrato fa una deviazione e gli alberi si fanno più radi; - iniziò con voce sicura – stiamo per oltrepassare le dimore abbandonate dai contadini prima del nostro arrivo e ora in rovina e mezze bruciate; le mura e le torri fatte di pietra della possente città di Jorvìk svettano sull’orizzonte, nascondono l’architettura fatta di legno robusto costruita dai northumbri e  sullo sfondo le cime delle colline più alte sono ancora spruzzate dalla neve. E’ davvero uno spettacolo!”
“Sì, sembra davvero uno spettacolo!”
“Resisti, fratellino, presto potrai riposare sotto delle calde coperta, all’ombra di un accogliente focolare e avrai le cure dei migliori guaritori. Resisti.”

 


**



Ricamare era sempre stato per lei un modo per tranquillizzarsi e tenere occupata la mente: aveva imparato sin dalla più tenera età, sotto la guida della sua balia e di sua madre, e negli anni era diventata un’esperta di quell’arte.
Sigurd le aveva detto che, nella loro cultura, le donne ricamavano le vele delle navi dei loro uomini con animali cari alle loro divinità e altri simboli della loro civiltà, in un gesto propizio e di buon augurio e lei, che in quei giorni aveva speso molto tempo a fantasticare sul suo futuro, si era ritrovata più volte a desiderarne uno in cui lei avrebbe cucito quelle stesse vele con le sue mani, salutato il suo amato sposo in procinto di partire verso terre ignote nella speranza e nell’attesa di un suo ritorno sano e salvo da lei e dai loro figli.
Una parte di lei si vergognava per tale pensieri, si rimproverava aspramente e si sentiva traditrice del proprio sangue, ma l’altra, la sua parte da fanciulla innamorata e ardentemente desiderosa di una vita felice non riusciva a non fantasticare sui giorni a venire: Heluna sognava dei figli, un focolare accogliente, banchetti generosi attorno ai quali la gente avrebbe bevuto e scambiato parole di cortesia, la brezza del mare con la sua salsedine che le arricciava i morbidi capelli e le solleticava la pelle lattiginosa.
Sorrise, sguardo sognante perso nel vuoto, coprendosi quello stesso sorriso con una mano, arrossendo sebbene non ci fosse nessuno nella stanza insieme a lei o almeno non prima del brusco aprirsi della porta lignea della sua stanza da letto, dell’ingresso frettoloso di Gorm, sul cui viso era dipinta un’aria trafelata e uno sguardo colmo di paura.
“Mia Signora, - esordì, rimanendo sullo stipite della porta – dovete venire con urgenza.”
Heluna scattò in piedi, lasciando cadere a terra il suo lavoro di cucito, intuendo immediatamente che qualcosa di tremendo era successo.
Dio, pensò, fa che non gli sia accaduto nulla.
“Cosa succede? Quali notizie funeste vi hanno sconvolto?”
“Una piccola parte dell’esercito dei figli di Ragnar è tornato. – annunciò – Bjorn e Sigurd sono tra questi, ma Sigurd…”
“Cosa gli è accaduto?” Heluna sentì il cuore in gola, la paura attanagliarle l’animo.
“Una grave ferita gli è stata inferta durante la battaglia. E’ infetta e la febbre lo sta divorando. -  la voce di Gorm si incrinò leggermente – Non credo sia cosciente ma chiede di voi, non ha mai smesso da quando ha varcato le mura della città.”
“D-devo andare da lui, - disse con voce tremante la principessa, cercando di non cedere alla disperazione – portatemi da lui, presto!”


Lo avevano adagiato nel letto che era stato di suo padre, dell’uomo che ora era loro prigioniero e stava aspettando la morte poco lontano dalla città; accanto a lui c’era suo fratello Bjorn, un paio dei suoi più fidati uomini e delle donne, due mogli di lancia che erano state istruite sin da piccole nell’arte delle erbe e dei loro molteplici usi e che in quel momento erano intente a pulire la ferita infetta e preparare del cataplasmi e infusi per far abbassare la febbre.
“Procuratemi del fiordaliso2, presto!” ordinò severa una delle giovani donne e immediatamente metà dei vichinghi presenti abbandonò la stanza in cerca del fiore dai petali blu che in quel periodo stava iniziando a crescere nei campi poco lontani.
Con passo incerto, Heluna si avvicinò al letto, dove gli altri uomini le fecero spazio affinché potesse sedersi sul bordo e prendere la fredda mano del giovane tra le sue.
“Sigurd, sono io. – si portò la mano di Sigurd sulla guancia rigata da calde lacrime – Sono io, Heluna: puoi sentirmi?”
“È privo di sensi da svariati minuti, non credo possa sentirvi.”
“Com’è potuto accadere? – chiese, senza smettere di guardare Sigurd – Come ha potuto procurarsi una ferita tanto profonda?”
“E’ stato un corpo a corpo con un guerriero esperto e capace, - rispose Bjorn – uno scontro all’ultimo sangue con il vostro promesso sposo e signore, Osberth.”
“Osberth?” Heluna voltò il capo di scatto verso Bjorn, il quale annuì lievemente.
“Egli è morto con onore, sotto i colpi della spada di Sigurd e ora il suo corpo sta viaggiando verso nord per essere sepolto con tutti gli onori.”
Heluna si fece il segno della croce, provocando una smorfia nei visi di molti dei presenti: “Possa Dio avere pietà della sua anima.”

Minn kœrr… - la voce di Sigurd fu un breve sibilo – Heluna, mia amata, mia amata.”
“Sono qui, sono qui! – benché avesse parlato nella sua lingua natia, Heluna capì perfettamente che era lei che il norreno stava chiamando – Va tutto bene, adesso, sei a Jorvìk; sei qui con me.”
“Heluna…” aprì con fatica gli occhi, mise a stento a fuoco, troppo impaurito all’idea che quella davanti non fosse davvero Heluna, ma l’ennesima illusione causata dalla febbre.
“Sono, qui, sono qui. – prese un pezzo di stoffa imbevuto nell’acqua e lo tamponò leggermente su tutto il suo viso, così da dargli sollievo – Non temere, non andrò da nessuna parte. Resterò qui con te, al tuo fianco, per tutto il tempo necessario.”
“Mi dispiace, mi dispiace… - cercò di alzarsi appena, ma senza riuscirci – Perdonami.”
“Non c’è nulla da perdonare, mio caro. – poso un bacio sulla fronte, vicino la tempia – Riposa adesso e sii forte: presto tutto sarà finito e io salperò con te verso le terre che tanto ami, dove diventerò tua moglie come tu desideri.”
“Davvero?”
Il viso di Sigurd si illuminò, il suo sorriso fu talmente luminoso da ricordare a Bjorn il bambino gioioso che suo fratello era stato. L’amava davvero con tutto il suo cuore, pensò il maggiore, di un amore così puro da non poter essere ostacolato.
Dopo tutto, se persino Odino aveva predetto una tale unione, chi era lui per impedirla? In quel momento decise che avrebbe dato il suo consenso a tale unione, che l’avrebbe supportata e, se necessario, avrebbe combattuto insieme a loro, ma prima Sigurd avrebbe dovuto vincere la sua battaglia contro Hel, la divinità sovrana del freddo regno degli inferi che stava tentando di chiamarlo nelle sue corti di ghiaccio.
“Sì, davvero. – ribadì nel frattempo Heluna, gli occhi offuscati dalle lacrime – Diventerò la tua sposa, Sigurd Ragnarsson, ma prima tu dovrai combattere la morte e sopravvivere come mi hai promesso. Combatti, Sigurd, combatti con tutte le tue forze e sconfiggi il nemico come un vero vichingo, come un vero Ragnarsson.”



 

*






1. Sulla prua delle navi vichinghe venivano intagliati degli animali dalle sembianze minacciose, molto spesso sotto forma di serpenti-draghi o di altre bestie.
2. Il Fiordaliso è un fiore famoso per le sue molte proprietà curative, tra cui quella della febbre o dei problemi digestivi. E' ancora usato oggi per rimedi omeopatici.




Angolo Autrice: Hello, folks! Scusate se ci ho messo tanto per aggiornare, ma fino a ieri sono stata impegnata con gli esami e non ho avuto proprio tempo di scrivere. Spero, comunque, che questo capitolo vi sia piaciuto e ringrazio, al solito, tutti voi che leggete, seguite e coloro che vorranno lasciarmi una recensione.

Alla prossima,
V.

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Capitolo 21
*** 21. ***







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“Mi è giunta voce che hai inviato messaggeri oltre il mare, per richiamare sotto il tuo vessillo ogni sovrano danese degno di nota. Mossa astuta, Ragnarsson.”
Gorm era entrato con passo felpato nella sala grande, trovando, senza troppa sorpresa, il maggiore dei figli di Ragnar comodamente adagiato sullo scranno di legno un tempo appartenuto ad Ælle e ai sovrani della Northumbria.
Era giunto a York con il resto dell’esercito nelle ore tarde della sera prima, un giorno dopo rispetto a Bjorn e Sigurd, quest’ultimo ancora costretto a letto dalle febbri che pian piano stavano iniziando a scemare; con lui, Ivar aveva portato l’ormai sconfitto e umiliato Ælle, prontamente rinchiuso nelle segrete più profonde della fortezza di York, dove avrebbe atteso la morte oramai certa.
Finalmente, con grande sollievo di Gorm, quella battaglia era giunta al termine, così come presto sarebbe stato portato a termine il giuramento di vendetta che, insieme al suo fratello non di sangue, aveva pronunciato mesi prima; giustiziato il deposto sovrano di Northumbria, il principe dello Jutland avrebbe potuto far ritorno a casa, dalla fanciulla che amava e che, presto, avrebbe fatto sua sposa con la benedizione di suo padre, davanti ai suoi sudditi che tanto lo amavano.

“Noto che ai corvi di Odino non sfugge mai nulla. – disse con sarcasmo Ivar, increspando le labbra in un sorriso compiaciuto – Ebbene sì, ho mandato messaggeri a Est, a Guthrum il Danese, al Nero e persino al nostro fratello bastardo, Ubbe1.”
“Devi essere davvero bisognoso di uomini per mandare messaggeri anche a Ubbe, al fratello di madre diversa che non ha neanche risposto nel momento del bisogno, quando suo padre chiedeva vendetta. – asserì amaro il principe dello Jutland, che solo una volta aveva incontrato Ubbe, il figlio che Ragnar aveva concepito da una donna figlia di uno jarl minore poco prima del matrimonio con l’eterea Aslaug – Inoltre, ho sempre pensato che provassi ribrezzo per lui.”
“Ripugnanza è la parola giusta. – corresse piccato – Certo, ha preso possesso delle sue terre combattendo e sconfiggendo a duello il precedente jarl, e questo gli fa onore, ma non dimentico le sue origini, tantomeno il modo in cui mi ha sempre guardato. Nonostante questo, ho bisogno di lui, di più uomini possibili per creare una grande armata inarrestabile, un esercito che piegherà ogni regno di questa debole e divisa isola.”
Lo sguardo di Ivar provocò in Gorm un brivido di terrore: era lo sguardo di un folle, lasciava trasparire tutta la sua sete di sangue, non solo nobile ma anche innocente, e il principe si ritrovò a compatire i poveri malcapitati che, molto presto, si sarebbero trovati sul suo cammino fatto di distruzione e morte.
“Se hai bisogno di uomini, allora permetterò a chi vorrà dei miei di unirsi alle tue fila. – annunciò inaspettatamente il rosso – Conosco bene i miei uomini, so che molti di loro anelano la battaglia, una vita e, perché no, anche una morte degna del Valhalla. Il loro posto è con te, Ivar, con uno scudo in un braccio e un’ascia in una mano, non accanto a me, ad un principe che desidera solo la sua casa e la fanciulla che ama.”
Ivar poggiò le spalle contro lo schienale ligneo dello scranno, assumendo un atteggiamento più rilassato, quasi stanco e poi disse: “E lei ama te, Gorm. Credo ti abbia sempre amato nel profondo, nel modo puro in cui può amare una bambina.”

Ricordare sua sorella bambina, il modo in cui seguiva tutti loro con curiosità, affamata di conoscenza, lo fece sorridere in un modo in cui poche volte aveva sorriso: Ivar aveva un debole per Þyri, la dolce e forte sorellina che, a differenza dei suoi fratelli, da piccola cercava la sua compagnia, si appassionava nell’udire le sue storie, imparare da lui come si intagliava il legno e molte altre arti che, nella sua condizione di storpio, per lui erano un modo di passare il tempo e calmare la rabbia.
Aveva provato gelosia quando si era accorto di quanto Þyri fosse legata a Gorm, al principino dalla fluente chioma che suo padre aveva accolto come figlioccio sotto il suo tetto; aveva provato rabbia quando aveva sentito che, un giorno, lei lo avrebbe sposato, si sarebbe unita a quel ragazzino che neanche la considerava, troppo impegnato a giocare con una spada di legno, a sembrare grande.
Si era sentito sollevato quando il ragazzo, oramai pronto a riprendere il posto accanto a suo padre, nello Jutland, aveva lasciato le sponde del freddo anfratto di Kattegat e nessuno aveva più parlato della cosa. O, almeno, fino a quando lui non si era ripresentato molti anni più tardi, desideroso prima di vendicare i figli maggiori di Ragnar e poi Ragnar stesso, caduto nel tranello di Ælle.
Durante il tempo trascorso separati, Þyri era sbocciata come un fiore, il più bello dei fiori, attirando l’attenzione di moltissimi uomini, tutti partiti ideali secondo la loro madre, nessuno abbastanza degno secondo suo padre e secondo lui, il suo fratello storpio che sempre più stava dimostrando un atteggiamento morboso nei suoi confronti.

“La ami davvero? – si ritrovò a chiedergli Ivar, guardandolo sottecchi e con un cipiglio minaccioso – Oppure la tua è solo un’infatuazione causata dalla sua accecante bellezza, un vano sentimento che si affievolirà quando lei diventerà tua, un fiore oramai appassito?”
“Con tutto il mio essere, io la amo. – rispose sicuro – Non ho mai provato nulla di simile per nessun’altra, Ivar, e morirei piuttosto che renderla infelice.”
“Infelice… - si sfiorò con una mano le labbra secche, ponderando su quella singola parola – Se dovessi renderla infelice, io verrò a saperlo; se la renderai infelice, sarò io stesso a porre fine alla tua vita, esaudendo il tuo desiderio.”
Un gelido silenzio riempì la sala grande: Ivar guardò negli occhi Gorm, occhi pallidi come la nebbia al mattino contro occhi azzurri come il cielo a metà mattina; nessuno dei due disse nulla, entrambi consapevoli che quella appena pronunciata da Ivar non era una semplice minaccia, ma una promessa dalle sfumature di profezia. Il Senz’Ossa avrebbe reclamato la testa dell’altro, lo avrebbe sottoposto alle peggiori torture conosciute da uomo, poiché nessuno, neanche il principe e futuro sovrano dello Jutland avrebbe potuto disonorare la stirpe del valoroso Ragnar Sigurðsson2 senza incappare nelle ire del suo sangue.

“Come sta oggi Sigurd? Mi hanno riferito che la febbre sta lentamente cessando.”
“E’ forte, ha superato il momento più difficile e pare che la ferita non sia più infetta. – rispose il rosso – Sono convinto che avere la Principessa al suo fianco abbia aiutato.”
“Ancora non riesco a credere che sposerà quella fanciulla, la figlia dell’uomo che ha ucciso nostro padre, nelle cui vene scorre sangue marcio. – Ivar apparve disgustato – Non nego che sia bella, che abbia un carattere forte, ma non abbastanza da diventare la consorte di un Ragnarsson. Odino lo perdoni, poiché non ha idea dell’ira che scaturirà tra gli Æsir e tra il suo stesso popolo sposando una cristiana, un’adoratrice del falso dio che da anni combattiamo.”
“Credi che sia facile per lui, che non lo sappia? In questi mesi trascorsi a York ho osservato attentamente Sigurd, ho visto con questi miei occhi il tormento interiore, come ha tentato invano di reprimere i suoi sentimenti. Eppure, che tu ci creda oppure no, sono stati proprio gli Æsir a mettere Heluna sul suo cammino, ad annunciarla attraverso sogni e profezie che lo stesso Veggente ha profetizzato ancor prima della notizia della morte di Ragnar. – con un leggero balzò si sedette su di un lungo tavolo di legno, afferrò una mela da un cesto in paglia poco distante e le diede un morso, trovandola croccante e succosa sotto i denti – Che ci piaccia oppure no, quei due sono destinati a stare insieme: sono gli Æsir e i Vanir a volerlo.”


 


**




La mano di Sigurd era calda, stringeva la sua con forza e la faceva sentire al sicuro e tranquilla.
Dopo tanto pregare e tanta apprensione, finalmente la ferita alla spalla sembrava essere guarita grazie alle sapienti cure del popolo norreno e anche la febbre era quasi del tutto scomparsa, benché il corpo del giovane fosse ancora debole e incapace di stare in piedi per più di qualche minuto.
Heluna l’osservò assopito con la coda dell’occhio, seduta sul bordo del letto ricolmo di pellicce, ora più tranquilla e con animo più sereno rispetto ai giorni passati: aveva seriamente temuto di perderlo per sempre, lui che, dopo tanti tormenti interiori, aveva accettato nella sua vita, come l’uomo che sarebbe stato al suo fianco come marito e signore.
Per lui, la principessa di Northumbria era disposta persino a rinnegare Dio, il Padre che sin da piccola le avevano insegnato a venerare e pregare, che aveva nelle sue mani la vita di tutti i mortali – e che non ha mai fatto nulla per me, niente se non guardare impassibile la mia vita andare in pezzi, mio padre umiliarmi e picchiarmi ogni qualvolta la situazione o il suo carattere dispotico lo ritenevano opportuno.
Nel profondo del suo animo, Heluna sapeva che non era stato Dio a mandarle Sigurd, ma le divinità pagane che il suo amato adorava, gli dèi dai curiosi nomi ancora troppo difficili per lei da pronunciare correttamente. Æsir e Vanir, così li aveva spesso chiamati Sigurd, distinguendo le due stirpi spesso in lotta tra di loro.

Dovrò abbandonare la Croce per indossare il bracciale adornato con le teste di drago, celebrare lo Yule e non più il Santo Natale. Ogni cosa sarà diversa, certo, ma credo di essere pronta a questo cambiamento. —

Prima, però, avrebbe dovuto affrontare le ire di suo padre. Per l’ultima volta.
Era stata immediatamente avvisata del ritorno in catene di suo padre dalle sue ancelle, da Mary, adesso diventata anche lei una norrena in quanto moglie di uno jarl della lontana terra chiamata Zeland, di Olaf dal bel sorriso, che, sotto stessa confessione della fanciulla, si stava dimostrando un buon marito.
Le avevano riferito che, su ordine di Ivar, il deposto signore di Northumbria era stato scortato in una delle celle più buie e tetre delle prigioni sotterranee, in attesa della morte che, da ciò che Mary le aveva detto, sarebbe giunta presto e impietosa.

Dovrei essere triste, implorare pietà per lui? Una buona figlia lo farebbe, si prostrerebbe ai piedi del nemico, chiedendo misericordia. Eppure, io non sono sicura che lui ne meriti, poiché mai ne ha dimostrata ai suoi nemici o al sangue del suo sangue.


Sussultò, mugugnando per la sorpresa, quando una mano calda abbassò leggermente la sua tunica di lino, carezzando la sua pelle e destandola dai suoi pensieri.
Labbra morbide si posarono su quello stesso punto, facendola rabbrividire di piacere e sorridere allo stesso momento: non si era neanche accorta che Sigurd si era destato e, lesto, si era portato a sedere, dandole così le spalle.
“Cosa vi turba?” chiese prima di baciarle il collo, proprio sotto l’orecchio destro.
“Dovreste riposare. Non dovete stancarvi o preoccuparvi.”
“State evitando di rispondere alla mia domanda. – la riprese lui, piccato, continuando a tormentarle il collo – Le vostre preoccupazioni sono anche le mie.”
“Mio padre. – rispose, voltando lo sguardo per incontrare quello di Sigurd – Ivar lo ha rinchiuso nelle prigioni, in attesa di giustiziarlo e mi domando se sia giusto o meno andare da lui, parlargli per l’ultima volta.”
“Non può più farvi del male, Heluna e voi lo sapete.”
“Spesso le parole feriscono più della spada o dell’ascia.”
“Solo se diamo loro questo potere. – Sigurd carezzò dolcemente la guancia della fanciulla – Non importa cosa dirà, non importa ciò che pensa, entrambi sappiamo che sono menzogne: voi valete molto di più di ogni prezioso, il vostro animo è puro e il vostro cuore anela l’amore che lui non vi ha mai dato e mai vi darà. Un amore sincero, vero, che vi faccia sentire sempre desiderata, amata.”
“Attento, Ragnarsson, qualcuno potrebbe pensare che stiate parlando di voi stesso e darvi del debole. – lo punzecchiò lei, serafica – Qualcuno potrebbe dirvi che vi ho stregato.”
“Allora prego Odino affinché non trovino mai il modo per spezzare il vostro sortilegio.”

La fece stendere sotto di lui e, piano, la baciò con indescrivibile dolcezza.
Sigurd anelava il momento in cui sarebbe stata sua, il momento in cui sarebbe diventata la sua sposa davanti agli occhi degli dèi, poiché ogni giorno era sempre più insopportabile del precedente. Heluna era sua, eppure lui non poteva ancora farla completamente sua.
Per un momento si concesse di essere audace, osando risalire la sua gamba, sempre più sopra, verso ciò che più di tutto bramava. La sfiorò, accarezzandola dove nessuno l'aveva mai toccata con i polpastrelli callosi, facendola gemere e sgranare gli occhi per la sorpresa quando, fuori dal suo controllo, la sua schiena si inarcò e il suo corpo venne scosso da un leggero tremito.
“Sigurd…”
Con una mano si aggrappò alla sua spalla buona, affondando appena le unghie nella carne quando l'indice di lui la trovò umida e fece una leggera pressione tra le sue pieghe, gemendo una seconda volta a causa di quel tocco nuovo e proibito.
“Vorrei rendervi mia, ma non posso. – confessò il buondo con voce rauca e spezzata dal piacere che stava invadendo anche lui – E non solo perché la mia condizione non me lo permette, ma perché non sarebbe giusto. Sappiate, però, che ciò che state provando non è nulla paragonato a ciò che proverete quando, finalmente, ci uniremo nella carne e nello spirito."
Heluna assottigliò le labbra, cercando di immaginare come sarebbe stato, ciò che avrebbe provato durante la loro prima notte – se questa sensazione svanisce davanti a ciò che mi aspetta, ho paura che il mio corpo possa andare in pezzi.

“Potreste… - sussurrò timida, afferrando con forza il polso di Sigurd quando quest’ultimo ritirò la mano dal suo centro caldo – Non ancora. Vi prego.”
Sigurd sorrise sghembo, ritenendo quella richiesta del tutto innocente seppur inaspettata e, annuendo, nascose nuovamente la mano sotto le vesti della fanciulla.
 



*



 
1. Benchè le fonti principali da cui mi sono ispirata per questa storia non contemplino la figura di Ubbe, nella Gesta Danorum vengono menzionati come fratelli di Ivar anche Ubbe e Eiríkr Väderhatt. Per questo motivo, ho reso Ubbe il fratellastro di Sigurd, Ivar e gli altri. Di lui si parlerà molto meglio in Figli del Nord: Corvo, mia storia in parte collegata in cui ho intenzione di approfondire la conquista dei restanti regni dell'allora Inghilterra da parte di Ivar.
2. Ragnar, secondo varie saghe e il succitato Gesta Danorum, era figlio del leggendario sovrano danese Sigurð Hringr, vissuto intorno al 750.






Angolo Autrice: Hello, folks! Lo so, aggiorno con tempi allucinanti dall'ultima volta, ma mi sono voluta più soffermare su altri miei lavori, come per esempio Corvo, i cui personaggi verranno introdotti, con molta probabilità, anche in questa storia e per pochissimi capitoli. Ho dovuto rallentare gli aggiornamenti, dunque, per non creare spoiler a chi magari segue entrambe le storie, cercando un modo adatto per andare avanti qui senza incasinarmi.
Anyway, spero che, attesa esclusa, questo capitolo, seppur di passaggio, sia stato di vostro gradimenti.
Come sempre, ringrazio tutti voi che leggete, seguite e recensite! ;)

Alla prossima,
V.

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Capitolo 22
*** 22. ***





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Gorm se ne stava seduto, gambe a penzoloni nel vuoto, sulle mura più alte della città da diverse ore. Non aveva partecipato al banchetto, certo che la sua assenza non sarebbe stata notata nel trambusto del primo pranzo ufficiale dalla battaglia che aveva schiacciato definitivamente l’esercito nemico, preferendo a questo la pace e l’aria fresca di mezzodì.  Osservava con disinteresse il paesaggio, chiazze verdeggianti e marroni ricoperte, sulla cima delle colline e dei promontori più alti, da un lieve manto di neve che presto si sarebbe sciolto, lasciando il posto alla stagione più calda.
La stagione del nóttleysi1, in cui le tenebre duravano solo poche ore, era oramai giunta da qualche giorno: Gorm si chiese se, a Kattegat come nello Jutland, la popolazione si fosse già riunita attorno ai grandi fuochi, sacrificato i capi di bestiame migliori, cosparso con il loro sangue i raccolti e il capo delle persone più influenti, compiaciuto gli dèi con quel rito tanto sacro quanto antico.
Immaginò la sua adorata Þyri, tunica bianca e corpo adornato con preziosi, cospargere le terre appena seminate, chiedere, occhi al cielo e braccia spalancate, la benedizione degli Æsier e dei Vanir, di Freyr e Freja, divinità della fertilità.
Si domandò, mentre sovrappensiero si rigirava tra le mani il bracciale che la figlia di Ragnar gli aveva donato come simbolo della promessa che si erano scambiati, se Þyri lo stesse ancora aspettando, se il suo cuore battesse ancora per lui: Gorm era divenuto un estranio per lei, entrambi sapevano che poco era rimasto del ragazzetto per cui lei aveva avuto, tanti anni prima, una cotta puerile; sapevano di avere molto da scoprire l’uno dell’altra, della vita andata inesorabilmente avanti mentre erano separati, degli anni in cui lui aveva quasi del tutto smesso di pensare a lei, alla bambina testarda che voleva diventare una moglie di lancia e che non faceva altro che seguire la sua ombra dovunque andasse.
Il tempo trascorso insieme, poco prima della partenza di lui verso la Northumbria, era stato esiguo, troppo breve per qualsiasi occasione di corteggiamento o conoscenza e, sin da subito, molti avevano tentato di piantare il seme del dubbio nella mente e nell’animo della fanciulla. Un seme che lui era riuscito ad estirpare con una promessa di felicità…


«Ditemi che non è vostro padre a muovere i fili di questa scelta. Ditemi che posso fidarmi di voi, delle vostre parole e della sincerità di queste.»
La voce di Þyri aveva tremato leggermente quando, nelle ore dell’alba precedenti alla partenza, era riuscita a sfuggire dalla custodia di sua madre e raggiungere Gorm, intento a impartire gli ultimi ordini ai suoi uomini, per parlargli lontano da occhi indiscreti.
«Ivar mi ha raccontato del volere dei nostri padri, del matrimonio tenuto nascosto che unirà non solo le nostre anime, ma anche le nostre famiglie. Mio fratello afferma che è solo questo il motivo che vi spinge a chiedermi in sposa, esclusivamente questo.»
Il principe danese aveva immediatamente scorto il dubbio e la paura nel viso dal contorno ovale della giovane, che mai si sarebbe perdonata o avrebbe perdonato una così mortificante beffa; una parte di lui aveva temuto tali dubbi, poiché Ivar, come suo padre Ragnar prima di lui, non avrebbe mai ceduto così facilmente la mano della sua unica sorella, gioiello prezioso per tutti loro.
«Le mie parole e i miei sentimenti sono sinceri, non potrei mai mentirvi: tutto ciò che voglio e desidero siete voi, un futuro insieme, felice.»
Con timore reverenziale prese le piccole mani di lei nelle sue, portandole alla bocca contornata da una folta ma morbida barba rossiccia: «È vero, un tempo i nostri padri hanno desiderato la nostra unione, preso accordi affinché, raggiunta la maggiore età di entrambi, le nostre case si unissero. Nonostante questo, molte cose sono cambiate da allora e pesanti lutti hanno colpito entrambe le nostre famiglie, allontanandoci dal paterno desiderio. – le strinse più forte le mani e per un istante non parlò – Tuttavia, quando vi ho rivisto, bella come una mattina di Primavera e regale quanto e forse anche più della vostra nobile madre, il mio cuore si è riempito d’amore e ho giurato a me stesso che vi avrei avuto. Per sempre.»
«Per sempre è molto tempo. – sussurrò appena Þyri, non ancora convinta – La vostra potrebbe essere semplice brama, un desiderio che potrebbe spegnersi una volta avuto il vostro premio, la mia mano. Come avete ben detto, è stato il mio corpo e non il mio spirito a catturarvi: cosa accadrà, dunque, dopo aver avuto il mio virgineo corpo? Cosa ne farete di me, dopo che vi avrò dato dei figli, provveduto a portare avanti la vostra stirpe? Mi amerete ancora, oppure mi dimenticherete, lasciandomi alla mia solitudine e ai miei rimpianti, trovando in altre donne il calore del corpo e il piacere della carne?»
Nel sentire tali parole, una stretta dolorosa attanagliò il cuore di Gorm: «Non potrei mai rendevi infelice. Preferirei morire piuttosto che vedervi consumata dai rimpianti… — la mano del principe lasciò la sua e si posò sulla candida guancia — Þyri, sul nome della mia famiglia, su Odino e tutti i Vanir, io giuro che non sarete mai infelice con me.»
Adesso entrambe le sue mani dai polpastrelli callosi incorniciavano il viso della figlia di Ragnar: «Noi due ci apparteniamo. Tu sei colei che mi è stata promessa.»
Un sorriso triste si dipinse sul viso di Gorm e Þyri ripensò alle parole del Veggente, il quale le aveva profetizzato la venuta di un principe dalla chioma di fuoco: se, quindi, la loro unione era benedetta dagli dèi, da loro voluta, a cosa sarebbe servito dubitare?
Þyri guardò Gorm negli occhi per la prima volta senza paura, poggiò delicatamente una mano sul suo polso, tastando il freddo metallo del bracciale che lui indossava, il bracciale un tempo appartenuto a lei e che lei stessa gli aveva donato come pegno di una promessa.
«Vi credo. – disse infine, mentre una solitaria lacrima solcava la sua candida guancia —  Vi credo e per questo vi aspetterò, mi concederò in sposa a voi quando tornerete vittorioso dalle terre dell’Ovest e mi impegnerò ad essere una buona moglie, una degna principessa dello Jutland e, un giorno, la vostra regina.»
Þyri finalmente sorrise, il sorriso più sincero e luminoso che Gorm aveva mai visto; senza pensare, oramai privo di paure, la strinse a sé e, piano, la baciò. Aveva desiderato dal primo momento di baciarla, sin da quando Þyri aveva fatto il suo ingresso in quella grande sala divenuta improvvisamente silenziosa al suo passaggio, ma mai avrebbe potuto immaginare un tale turbinio di emozioni nella sua mente e nel suo corpo al solo contatto con le sue morbide e calde labbra.
Avrebbe voluto approfondire il contatto, assaporare ogni più piccolo gusto della sua bocca, invece decise di accontentarsi di quello, del calore delle rosee labbra della fanciulla contro le sue, di tenerla stretta tra le sue braccia, percepire il suo corpo aderire perfettamente contro il suo ampio petto.
«Saremo felici. — sussurrò sulle sue labbra — Vi renderò felice, vedrete.»


Gorm sospirò, ritornando con la mente al presente: quello era stato il loro ultimo incontro, l’ultimo momento trascorso insieme prima della partenza. Quando era giunto il tempo del congedo, Þyri lo aveva salutato con riverenza e distacco, nel modo in cui tutti si aspettavano, ma lui era riuscito ugualmente a scorgere una luce diversa nei suoi occhi, un flebile sorriso che significò tutto: lo avrebbe sposato, sarebbe diventata sua moglie; per questo motivo e per i sentimenti forti che provava, si ripromise di non cedere nuovamente al dubbio, di non permettere a Loki, divinità ingannatrice e fabbricante di trucchi, di far vacillare nuovamente le sue sicurezze.

 



**



“Dove state andando?”
La voce di Sigurd la inchiodò sul posto: Heluna chiuse gli occhi, prese un respiro profondo e si girò lentamente verso di lui, steso sul letto in cui avevano trascorso tutta la mattina e parte del pomeriggio.
Era certa di poter sgattaiolare fuori da quella stanza, convinta che l’altro dormisse profondamente, abbastanza da non svegliarsi e porle domande a cui non era certa di voler rispondere: dopo tutto, quella era una questione privata, che apparteneva a lei e a lei soltanto e per questo era decisa a risolverla senza l’aiuto di nessuno.
“Devo vedere mio padre, ho bisogno di parlare con lui prima… — sospirò — Ho bisogno di risposte, di affrontarlo un’ultima volta e discutere con lui prima della fine.”
Ælle l’aveva sempre terrorizzata, per sedici anni aveva vissuto con il terrore della sua collera, sopportando il suo disprezzo, le sue occhiate colme di disappunto, i suoi sproloqui da ubriaco; aveva subito violenze verbali e fisiche, vissuto una vita che mai aveva sentito sua, ma adesso che aveva trovato Sigurd, che era finalmente libera di seguire il suo cuore, niente di tutto ciò che era stato le faceva più paura.

Non può più farmi del male. È sconfitto, debole, privo di qualsiasi autorità, disposto a tutto pur di avere salva la vita. E io voglio che supplichi, che si prostri ai miei piedi, implori il mio aiuto e si senta umiliato proprio come lo sono stata io per tutta la mia vita. —


In risposta, Sigurd aggrottò la fronte e, scostate le pesanti coperte, si alzò troppo velocemente dal grande letto, rischiando di perdere l’equilibrio a causa del suo ancora precoce stato di salute.
“Vengo con voi! — esclamò piccato mentre Heluna, celere, si portava al suo fianco e lo aiutava a sedersi — Non vi permetterò di andare da sola, di affrontare quel bastardo: non sappiamo di cosa può essere capace, di quali crudeltà potrebbe accusarvi e io non gli permetterò di turbare il vostro animo, riempire la vostra mente di dubbi o insicurezze.”
“No, invece! — rispose con altrettanta enfasi la principessa degli angli, rimettendosi in piedi — Siete ancora debole e questa è una faccenda personale. È qualcosa che devo fare da sola, per me stessa, altrimenti non potrò andare avanti.”
“Temo che possa spezzare ancora il vostro spirito, — confessò con sguardo basso Sigurd — che possa farvi vacillare, dubitare dei vostri e dei miei sentimenti, allontanarvi da me.”
Era stano come Heluna avesse il potere di renderlo fragile e insicuro, come il solo pensiero di perdere tutto proprio ora che era divenuta sua lo riempisse di timori e paure; lui, che era sempre stato un guerriero spietato, che non aveva mai pensato concretamente a una famiglia o a una donna da amare e con cui passare il resto della sua vita, adesso si ritrovava ammaliato da quella principessa, succube e dipendente come un cucciolo di lupo alla madre.
“Cosa mi avete fatto?” chiese retoricamente, questa volta parlando in norreno per non farsi capire, per non mostrarsi ancor più debole di quanto già non lo fosse.
Heluna si lasciò stringere, gli permise di nascondere il viso poco sotto i suoi seni che quella mattina Sigurd aveva accarezzato per la prima volta e, come una madre, accarezzò dolcemente i suoi lunghi capelli color del grano maturo. Sigurd, per la prima volta, le parve fragile, una persona diversa da quella che, in una fredda giornata di qualche settimana prima, aveva strappato alla vita i nobili in pubblica piazza, davanti agli occhi del popolo accorso per assistere a una tale barbarie.
“Non gli permetterò di farlo, - disse e percepì la sua stretta farsi più forte — nessuno potrà allontanarvi da me, convincermi che ciò che provo sia frutto dell’inganno, un sentimento diverso dall’amore incondizionato che provo per voi.”

Ég elska Þú. — disse a voce alta e la bacio famelico per un istante — Ti amo."
“È così che dite nella vostra lingua? – chiese curiosa e Sigurd annuì – Ég elska Þú. Mi piace il suo suono.”
“A me piace come suona sulle vostre labbra. — la baciò ancora, questa volta più a lungo e assaporandola lentamente — E sia: se volete andare da vostro padre allora andate, non vi fermerò in alcun modo. L’unica cosa che vi chiedo è di permettere ad uno dei miei fratelli di accompagnarvi… per sicurezza, solo per la vostra sicurezza.”
Heluna assottigliò le labbra: era una richiesta ragionevole, del tutto comprensibile e, si disse, probabilmente avere qualcuno dei suoi fratelli — magari Bjorn, che tra tutti sembrava il più affabile — avrebbe tranquillizzato anche lei stessa.
“Va bene, accetto. — acconsentì — Mandate pure a chiamare uno dei vostri fratelli e io sarò ben disposta a farmi scortare da lui nelle prigioni dei sotterranei, dove mio padre attende il suo già scritto destino.”

 


**




Hvìtserk era sempre stato il più taciturno e sfuggente dei figli di Ragnar. Per questo motivo, quando, poco più tardi, fu lui a presentarsi alla porta di Sigurd, Heluna ne rimase sorpresa e allo stesso tempo intimorita.
Sigurd aveva parlato spesso dei suoi fratelli in quei giorni trascorsi a letto e, se da una parte era riuscita a farsi un’idea del carattere di Bjorn, l’Orso dal gran cuore e dall’aria gioviale, o di Ivar, lo spietato condottiero dal cuore freddo ma sempre pronto a onorare la sua parola e i suoi fratelli, dall'altra Hvìtserk rimaneva un’incognita per lei: diverso da tutti gli altri fratelli non solo per carattere ma anche fisionomia – inconfondibili erano i suoi occhi scuri, quasi neri, opposti a quelli chiari che caratterizzavano il suo popolo — le aveva rivolto poche volte la parola, rivelando un tono di voce basso e un accento aspro e spigoloso; inoltre, Heluna aveva notato che si teneva sempre in disparte, non solo durante i banchetti, ma anche nelle circostanze di tutti i giorni. Un solitario, ecco chi era Hvìtserk Ragnarsson.
“Non permettetegli di convincervi a fare nulla di strano. — le disse categorico il norreno, che camminava qualche passo davanti a lei — Cerca un modo di evitare la morte, è un codardo e un bugiardo, quindi non permettetegli di convincervi a parlare in sua difesa.”
“Il mio nobile padre ha perso l’affetto di sua figlia anni fa, credetemi. — rispose Heluna — Non può dire o fare nulla per convincermi a persuadere Sigurd o chiunque di voi a lasciarlo libero. Non dopo quello che ha fatto a tutti noi.”
“Attenta, Principessa, state iniziando a parlare come un vero vichingo. — il norreno sorrise — Forse, non siete il fragile uccellino che tutti credono.”
“Per molti anni ho creduto di esserlo, ma poi Sigurd mi ha fatto capire che bisogna essere forti per sopportare ciò che mio padre mi ha costretta a subire. — strinse i pugni — Vostro fratello mi ha fatto diventare forte, o forse già lo ero, ma di una cosa sono sicura: Ælle non mi fa più paura.”
“Bene, — concluse l’altro, guardandola con la coda dell’occhio prima di fermarsi davanti a una delle tante celle dalle sbarre arrugginite — sarà meglio che teniate a mente queste parole, perché siamo arrivati.”


 

*




1. I norreni suddividevano, come noi oggi, l’anno in 12 mesi; tuttavia non avevano quattro stagioni, bensì solo due, inverno ed estate, corrispettivamente skammdegi (giorni brevi) e nóttleysi (senza notte).




Angolo Autrice: Hello, folks! Anche questo capitolo arriva con ritardo, me ne rendo conto. E' un capitolo sicuramente di passaggio, molto intimo, ma a me è piaciuto molto scriverlo. Spero che aver ritrovato Gorm e Thyri vi abbia fatto piacere, perchè personalmente sentivo di averli bistrattati troppo. Nel prossimo avremo il confronto padre/figlia, che avrà dei toni piuttosto forti e accesi, quindi preparatevi psicologicamente.
Come sempre, ringrazio tutti voi che leggete, seguite e tutti voi che mi donate cinque minuti decidendo di lasciarmi una recensione. Per qualsiasi dubbio, curiosità o critica costruttiva sono sempre a disposizione! ;)

Alla prossima,
V.

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Capitolo 23
*** 23. ***


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Non era rimasto molto del sovrano che Heluna conosceva da sempre: vestito con una tunica un tempo candida come la neve, smagrito e a piedi nudi nella fanghiglia terrosa che ricopriva l’intera cella, Ælle sembrava un uomo comune e non l’uomo fiero che era stato.
Accovacciato in un angolo, ginocchia al petto e capelli arruffati e sporchi a ricoprirli il viso teso, guardava un punto fisso davanti a lui, nel vuoto della cella illuminata solo da una pallida torcia fissata sul muro esterno; i suoi pensieri erano confusi, la sua mente stava perdendo lucidità e la pazzia si stava insinuando subdola come un tarlo, consumandolo lentamente.
“Padre…”
Una voce lontana, una figura in penombra oltre le sbarre, un viso che in un primo momento non riconobbe: Heluna, la sua unica figlia ancora in vita, lo guardava con i suoi occhi blu che, in quel momento, gli parvero neri come la notte più buia; contro ogni sua aspettativa era ancora viva, in buona salute, senza un solo capello fuori posto.
Come aveva fatto a restare viva nonostante tutto quello che era accaduto? Come aveva fatto ad uscire illesa dalla presa della città, dalla conquista dei barbari norreni e dalla loro furia?
“Sei viva. - disse con voce rauca, in un’affermazione che non nascondeva stupore – Ti credevo morta, uccisa brutalmente insieme ai nobili e alle tue dame.”
“Gli uomini del Nord mi hanno risparmiata, così come hanno risparmiato le mie amiche… - disse con calma – Non hanno fatto del male alle donne o ai bambini di York.”
“Non ancora, vorrai dire… - la corresse – Sono dei pagani, dei diavoli mandati da Dio per punire i nostri peccati: non hanno una coscienza, non provano pietà, alcun sentimento.”
“Questo non è vero!” esclamò con rabbia la principessa, mordendosi la lingua subito dopo: aveva parlato troppo in fretta, con troppa foga, ma come avrebbe potuto fare altrimenti? Quella gente presto sarebbe diventata il suo popolo, con il passare delle settimane si era affezionata a molti di loro – non solo a Sigurd, ma anche a Gorm, al marito di Mary, Olaf e a tanti altri che si erano dimostrati gentili con lei – e non avrebbe permesso a suo padre, all’uomo che mai l’aveva amata o fatta sentire tale, di denigrarli.
“Solta! Cosa mai puoi saperne tu di questo popolo? Avranno anche risparmiato la tua misera vita, ma questo non significa che non morirai anche tu con me o che ti risparmieranno l’umiliazione di essere venduta come schiava. Vedrai, presto qualcuno di loro si insinuerà nel tuo letto, rubandoti il tuo onore e la sua innocenza e poi, quando saranno stanchi di te, ti venderanno a qualche barbaro straniero.”
“Allora pregate affinché mi risparmino la vita.”
Ælle sorrise algido: “Sciocca bambina, credi davvero che la tua vita valga qualcosa? Per giorni ho provato ad avere salva la mia, cercato di persuaderli con ogni mezzo, offrendo loro tutto ciò che ho… compresa te.”
Heluna sgranò gli occhi e il suo cuore sussulto: così in basso si era spinto suo padre pur di avere salva la vita, a tanto arrivava la sua meschinità, la sua vigliaccheria? Mesi prima avrebbe pianto, si sarebbe disperata e avrebbe pregato giorno e notte Dio per l’amore di suo padre, per quella felicità mai arrivata, ma ora tutto era cambiato. Adesso era forte, aveva superato le paure e, cosa più importante, era amata a felice.
“Non potete vendermi, Padre, poiché sono già loro… — la sua voce era ferma, fredda, sembrava non appartenerle — Sigurd Ragnarsson è il mio amante, un principe a cui ho dato il mio cuore e che mi renderà sua pari. Sarò la sua regina, padre, e sarò felice.”
Heluna osservò impassibile il viso del padre tramutarsi in una maschera d’odio e di disprezzo: la sua mascella squadrata si contrasse, i suoi denti ingialliti dal tempo si digrignarono, creando un suono stridulo e acuto, e il suo occhi… i suoi occhi scuri trapelavano puro odio.
“Sgualdrina! – urlò a pieni polmoni, alzandosi in piedi e scagliandosi contro la cella – Figlia del Demonio, lurida meretrice!”
Heluna fece un balzo indietro, portandosi le braccia al petto per proteggersi, e immediatamente Hvìtserk le fu accanto, ascia in mano, pronto a difenderla e a tranciare di netto una o entrambe le mani del furibondo sovrano che, oltre le sbarre arrugginite, continuavano a torcersi nell’aria fredda del tardo pomeriggio.
“Tu non sei figlia mia, — continuava a urlare – tu non sei mia figlia! Demonio, nelle tue vene scorre il sangue del diavolo. Tu sei la causa di tutte le mie sciagure, dei miei lutti, della morte di tutti noi.”
“BASTA!” urlò con disprezzo il figlio di Ragnar, tranciando parte delle dita della mano destra con la sua ascia, mettendo così a tacere i suoi deliri.
Ælle urlò, non per furia ma per dolore, osservando inorridito e impotente il sangue sgorgare copioso delle tre dita recise: come una bestia ferita si fece indietro, tornando nel suo angolo buio, nel fango e nel sudiciume a cui apparteneva, mentre il sangue continuava a colare sul suo braccio e sulla sua malconcia veste.
“L’unico da biasimare siete voi, padre: non siete mai stato un buon marito, tantomeno un buon padre; in effetti, non siete mai stato un buon sovrano e il tradimento di molti dei vostri uomini ne è la prova. – disse Heluna, impassibile – Meritate la morte che vi attende, così come io merito una vita migliore lontano da qui, da voi e dal male che mi avete fatto per sedici lunghi anni.”
Abbassò il capo, sentendo il suo animo più leggero, e con lo sguardò cercò quello del figlio di Ragnar e lo pregò di scortarla fuori da quel corridoio saturo di aria divenuta malsana.
“Medicatelo e lasciatelo senza cibo. – ordinò repentino Hvìtserk a una guardia poco lontana prima di allontanarsi, a passo veloce, insieme a Heluna dalle prigioni – Venite, sorella, torniamo nelle vostre stanze.”
Heluna annuì, troppo provata da ciò che era appena accaduto per gioire o accorgersi dell’appellativo che il norreno le aveva appena dato, per quella parola che non era una semplice parola, ma una testimonianza di appartenenza e accettazione; senza rispondere, la fanciulla si lasciò condurre fuori, verso la luce del sole morente, dove l’aria non sapeva di rancido e morte.



**



“Meglio?” chiese Sigurd più tardi, mentre le accarezzava affettuosamente un braccio sotto le pesanti coperte che coprivano entrambi.
Heluna gli dava le spalle, da minuti non parlava, ma il norreno sapeva che era sveglia: dopo quello che era accaduto nelle prigioni, difficilmente Heluna avrebbe trovato riposo quella notte, la tranquillità che lui stava cercando di infonderle con tutte le sue forze.
La rabbia aveva preso il sopravvento nel suo animo quando la fanciulla era tornata da lui, visibilmente sconvolta e sull’orlo delle lacrime, raccontando con voce rotta ciò che era accaduto; la rabbia lo aveva quasi spinto a cercare il sangue, a portare morte in quella sera tranquilla, e solo le parole di Heluna e i suoi baci disperati lo avevano fatto desistere.
Presto, molto presto, Ælle sarebbe morto nel modo più atroce possibile, attraverso il rito dell’aquila di sangue, esecuzione inflitta solo a coloro che si macchiavano dei crimini più orrendi: aveva solo sentito parlare di quel rito che si perdeva nella notte dei tempi e che suo padre spesso aveva descritto a lui e ai suoi fratelli come spietato, una delle morti più crudeli e sanguinose che avesse mai visto.

Vedo un’aquila di sangue sorvolare i cieli oltremare

Così il Veggente aveva predetto quella morte tanti mesi prima, utilizzando parole che, solo adesso, dopo la sentenza emanata da suo fratello Ivar, avevano finalmente senso: l’aquila di sangue, attraverso suo fratello maggiore, avrebbe spiccato il volo nel cielo della Northumbria, nei cieli oltre il freddo mare che separava quelle terre dalla Scandinavia, dalla sua casa.
Tassello dopo tassello, ogni parola pronunciata in quella capanna permeata dalla luce del sole nascente stava prendendo forma, acquistando un senso: il cinghiale era stato suo padre, morto in una fosse colma di serpenti che, uno dopo l’altro, lo avevano lentamente stritolato per volere di Ælle; lui stesso, poi, si era fatto serpente nei sogni di una giovane principessa dagli occhi tristi grazie all’uroboro che giaceva sin dalla sua nascita nel suo occhio, grazie al marchio del serpente che gli aveva conferito il suo secondo nome: Occhio di Serpente. Tutti loro erano diventati i Figli del Nord giunti per portare vendetta, condottieri di un’armata che ben presto sarebbe diventata sempre più grande, che avrebbe portato loro vittorie e fama, una gloria tramandata di generazione in generazione, che li avrebbe resi immortali.
“Mín kœrr? – la chiamò ancora, pronunciando parole non più sconosciute alle sue orecchie —  Heluna?”
“Sto bene, davvero. – rispose lei, senza però voltarsi – Stringetemi forte, Sigurd, ve ne prego.”
“Non avrei dovuto lasciarvi andare, farmi persuadere dalle vostre parole e dai vostri occhi blu…” sospirò e affondò il capo tra i biondi capelli di lei.
“Era una decisione che non spettava a voi, ma a me. – Heluna girò piano la testa, quel tanto che bastava per osservarlo con la coda dell’occhio — Dovevo farlo, Sigurd, dovevo affrontare mio padre prima della fine, ma non pensavo che…”
“Le sue parole sono le parole di un pazzo, di un uomo che vede la fine vicina e che non può fare nulla per impedirlo… - le baciò una guancia – Sappiamo entrambi che voi non siete ciò che vostro padre crede, che siete pura e coraggiosa, molto più simile a una di quelle donne morte in modo bislacco per la vostra strampalata fede che ai demoni che popolano il vostro Hel1.”
“Quelle donne sono Sante e sono morte per la loro fede. – lo corresse Heluna – E no, direi proprio che io non sono una Santa.”
“No, infatti. – sorrise – In caso contrario, Odino non ci avrebbe fatti incontrare, tantomeno ci avrebbe dato il dono dei sogni premonitori.”
Anche Heluna sorrise di rimando, avvicinando poi il viso al suo e strofinando in modo quasi infantile i loro nasi: era strano come Sigurd riuscisse a calmarla, come qualsiasi cosa, anche la più tremenda, con lui al suo fianco non sembrasse così tragica o insormontabile.
Sospirò quando Sigurd iniziò a lasciarle piccoli baci sul collo, rabbrividì percependo i polpastrelli callosi delle sue mani farsi strada sotto la tunica, accarezzarle la gamba con lascivia e desiderio.
“Sento il vostro cuore battere forte, - le sussurrò all’orecchio Sigurd – ha lo stesso ritmo del mio.”
Heluna sorrise in imbarazzo, non ancora abituata a quelle carezze, a quei momenti esclusivamente loro: ancora avvampava al ricordo di ciò che era successo l’ultima volta, al pensiero delle affusolate dita di Sigurd dentro di lei, della sua bocca sul suo seno. Ogni volta che ci ripensava, percepiva uno strano calore nel basso ventre, una voglia del tutto nuova che le faceva desiderare ancora una volta quel contatto tanto intimo quanto scabroso per una fanciulla non maritata, per la sua società bigotta e rigida.
“Cosa pensate che dicano gli altri di noi? – si ritrovò a chiedere con imbarazzo – Pensate che sappiano ciò che succede qua dentro, credete che mi ritengano oramai impura?”
“Se fossi la mia schiava, forse, ma siete la mia promessa sposa. I miei uomini mi conoscono abbastanza da sapere che mai e poi mai disonorerei una nobile prima del tempo, specialmente se a questa ho donato il mio cuore.”
“E direi che, all’inizio, vi ritenevo un barbaro pagano senza cuore.”
“Io, invece, vi odiavo per avermi reso debole. – confessò anche lui, continuando ad accarezzarle la schiena nuda da sotto la tunica – Non sono mai stato così, influenzabile e indeciso; al contrario, sono sempre stato forte, disinteressato nei confronti delle donne, che ho sempre utilizzato per soddisfare dei bisogni, esclusivamente desideroso di impugnare un’ascia, andare in guerra e conquistarmi l’ingresso nel Valhalla.”
“La vostra incoscienza vi ha quasi condotto da Odino… - ricordò, sfiorando delicatamente la spalla ancora dolorante del norreno – Ho davvero avuto paura di perdervi, sapete?”
Sigurd sospirò e annuì: era stato un perfetto stolto, un egoista che non aveva pensato lucidamente e a nient’altro che a se stesso e alla sua sete di sangue e vendetta.
“Presumo, dunque, che dovrò essere più accorto da ora in avanti. – disse mentre la faceva accoccolare sul suo petto — Presto sarò un marito e, con il volere degli Æsir e dei Vanir, anche un padre.”
Heluna immaginò un bambino con i lunghi capelli di Sigurd e il suo portamento fiero correre di qua e di là per il villaggio sulle coste del mare che molte volte il principe norreno le aveva descritto con minuzia; immaginò loro due felici, il suo ventre crescere di giorno in giorno e sorrise sognante.
“Dormite, adesso. – le disse subito dopo il norreno – Oggi, nonostante ciò che avete passato, mi avete reso orgoglioso di voi, ma domani sarà una giornata ancor più lunga e difficile ed entrambi abbiamo bisogno di recuperare le forze.”
Domani: Heluna si chiese se sarebbe stata in grado di sopportare l’esecuzione di suo padre, quella morte che non sarebbe stata una semplice morte, ma un vero e proprio rito fatto per compiacere gli dei e ottenere la vendetta tanto a lungo agognata.
Chiuse gli occhi e si strinse meglio a Sigurd, che continuò ad accarezzarle i capelli e baciarle il viso dolcemente fino a quando entrambi non si abbandonarono a un sonno tranquillo e senza sogni.

 


*



Angolo Autrice: Hello, folks! Capitolo di passaggio, inizialmente pensato come unico del precedente, in cui Heluna affronta i propri demoni e, soprattutto, suo padre. Anticipo già che il prossimo sarà abbastanza cruendo e non per i deboli di stomaco; inoltre, credo che rivedremo brevemente Thyri e Aslaug.
Non manca moltissimo alla fine della storia, credo, però posso dire con sicurezza che ho superato la metà. Non so bene quando e come finirà ancora, ma a questo ci arriverò a momento debito...
Spero che la storia, nonostante le poche recensioni degli ultimi capitoli, stia continuando a piacere. Insomma, questo per dire che pareri sono ben graditi, quindi se deciderete di lasciarmene sarò più che contenta.

Alla prossima,
V.

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Capitolo 24
*** 24. ***


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CAPITOLO REVISIONATO E AMPIAMENTE MODIFICATO IL 24/09/18


 


Il sole non era ancora sorto quando si ridestò. Occhi spalancati nella penombra della stanza illuminata solo da una fioca luce che, timida, penetrava delle tende della finestra, Heluna continuava a pensare e ripensare a ciò che sarebbe accaduto dopo poche ore: il suo signore e padre avrebbe incontrato la morte in quel giorno di fine Marzo, sarebbe stato sottoposto ad una condanna a morte crudele, lenta e sanguinosa a cui ogni norreno avrebbe assistito.
Vendetta si sarebbe compiuta, come continuava a ricordarle Sigurd, e l’onore del condottiero Ragnar e quello dei suoi figli sarebbe stato risanato.
Tutto era oramai pronto, al morire del sole nascente il rito avrebbe avuto inizio ed Heluna, unica erede al trono di Northumbria e discendente del condannato sovrano, avrebbe assistito impotente a tutto ciò, cercando di dimostrarsi forte e distaccata.
Non molti anni prima aveva visto sua madre morire dissanguata dopo un parto lungo e complicato, due giorni dopo il bambino nato prematuramente: era una bambina all’epoca, aveva solo dieci anni, ma ricordava ancora vividamente le coperte imbrattate di sangue, la pelle pallida di sua madre da cui si intravedevano le violacee vene; ricordava i suoi lamenti sommessi e, più di tutto, ricordava lo sguardo colmo di terrore che le aveva riservato quando si era accorta della sua presenza nella stanza da letto impregnata dell’odore metallico dal sangue e la sua voce stridula che ordinava alle dame di condurre la sua unica figlia il più lontano possibile da quella stanza in cui, poco a poco, la Morte stava strisciando silenziosa.


Ora lei è in Paradiso, di questo ne sono sicura, — si disse Heluna, prima di voltare il capo verso Sigurd, ancora placidamente addormentato — eppure se diverrò la moglie di Sigurd dovrò abbandonare la mia religione, il mio Dio, e abbracciare quella dei pagani; dovrò credere in un luogo diverso dal Paradiso celeste, popolato dai puri di spirito e dai beati, un posto di cui non possiedo conoscenza…
Sigurd le aveva parlato di un luogo governato da Hel, regina dei morti dal volto per metà livido e dall’animo freddo e impassibile, e poi ovviamente c’era il Valhalla, la grande sala in cui venivano accolti coloro che cadevano in battaglia e a cui ogni norreno aspirava.
Non c’è alcun Paradiso per loro, solo il buio eterno e la fine del mondo… —

 Si mise a sedere e, portate entrambe le mani al petto, cercò di rallentare il battito del suo cuore: una parte di lei, quella che credeva fermamente nel Paradiso, sarebbe per sempre rimasta fedele alla fede cristiana; l’altra, invece, quella che credeva ai sogni voluti da Odino, negli stessi sogni che le avevano concesso di avere Sigurd nella sua vita, sarebbe stata per sempre debitrice agli Æsir e non avrebbe mai messo in discussione la loro esistenza.
Potevano, dunque, esistere entrambi? Poteva Dio convivere con Odino, Thor e tutti gli altri dèi venerati dal popolo giunto da Est? Era giusto credere in entrambi o solo e soltanto uno era la scelta giusta? Heluna non sapeva dare una risposta a tutte queste domande, persino farsele le sembrava sbagliato, un atto di tradimento verso ciò in cui aveva sempre creduto.

«Cosa succede?» chiese Sigurd con voce impastata di sonno.
Qualcosa lo aveva destato, il suo istinto lo aveva prontamente avvertito che qualcosa stava accadendo, che Heluna non era più addormentata al suo fianco e che quest’ultima aveva bisogno di lui e del suo affetto.
«Dove vanno le anime dei defunti quando muoiono?» chiese senza guardarlo «Mi parlate sempre del Valhalla, della dimora che attende coloro che cadono in battaglia, ma non avete mai detto dove vengono portate le altre, quelle che muoiono di vecchiaia o malattia.»
Sigurd si accigliò nell’udire quella domanda, ma senza indugi rispose: «Hella, figlia di Loki l’ingannatore, provvede a quelle anime per volontà di Odino. Lei è signora dell’Niflheirm, il mondo della nebbia e del gelo situato a Nord, e giudica le anime e le trattiene nella sua dimora dalle alte mura.»
«Dunque è l’Inferno, il posto dove vanno le anime dei defunti è l’Inferno?»
Sigurd scosse la testa: «No, poiché per chi ha vissuto nella giustizia e nel rispetto delle leggi non subisce punizioni o la dannazione.» chiarì prontamente «Per i malvagi c’è un altro regno, più oscuro e profondo, dove non c’è luce o speranza alcuna: esso è chiamato Niflhel e ospita le loro anime dopo che queste sono transitate al cospetto di Hella.»
Heluna annuì quasi impercettibilmente, ascoltando quelle ancor confuse spiegazioni e non proferì parola: era ancora tutto troppo nuovo per lei, probabilmente non avrebbe mai accettato totalmente l’idea di un luogo così tetro e raccapricciante, il pensiero di ciò che, se quello che credevano i vichinghi era vero, attendeva le anime dei suoi cari e la propria.
«Perché tali domande, cosa turba la vostra mente?»
Heluna guardò Sigurd con la coda dell’occhio, cercando di osservare ogni sfumatura del suo viso nella penombra che li circondava: «Mi sono destata dal mio sonno pensando a mio padre, a ciò che lo attenderà dopo…» sospirò, cercando a non pensare a ciò che sarebbe accaduto nel giro di poche ore «Poi ho ripensato a mia madre, all’ultima volta che l’ho vista e al giorno in cui e morta; ho pensato a lei, alla sua anima beata in Paradiso, ma poi mi sono domandata…»
La voce della principessa si incrinò leggermente e fu Sigurd a proseguire: «Vi siete chiesta dove vanno le anime dei pagani dopo la morte, se crediamo in qualcosa di simile al vostro Paradiso. Non è così?» chiese retoricamente e lei annuì «Mi dispiace di non aver potuto consolare la vostra anima, darvi delle risposte più liete, ma è in questo che non crediamo. Tuttavia, questo non significa che voi non dobbiate credere nel Paradiso, sperare che l’anima di vostra madre abbia raggiunto il luogo in cui, per tutta la sua vita, ha creduto.»
Heluna sorrise, ma il suo sorriso non conteneva gioia, ma solo tristezza: «Credo di aver iniziato a pensare al dopo a causa di mio padre, ma ora è per la mia anima che temo: sono confusa, sento di aver perso la retta via, di non saper più distinguere ciò che è vero dal falso; ho il terrore di venir condannata alle fiamme dell’inferno per ciò che ho fatto e farò, ma più di ogni altra cosa è la paura di non poter trascorrere l’eternità con voi a farmi spavento.»
I suoi occhi si riempirono di lacrime e, prontamente, Sigurd le circondò il corpo con le braccia e la strinse forte al suo petto: «Non dovete pensare a questo, non adesso: il futuro davanti a noi è così luminoso e non permetterò a queste paure di rovinarlo.»  le asciugò le lacrime con i polpastrelli callosi «Dal canto mio, non permetterò alla vostra anima di essere dannata, come dite voi, tantomeno di entrare nel più buio dei nove mondi.»
«Non spetta a voi decidere della mia anima.»
«No, ma se posso farò tutto ciò che è in mio potere per preservarla… - si accigliò per un istante – Potrei far costruire una piccola chiesa da qualche parte, portare uno o due di quei dannatissimi preti con noi e, non so, permettervi di pregare e continuare a professare la vostra religione se lo vorrete.»
«Lo fareste davvero?» chiese la principessa, sbalordita.
«Suppongo di sì…» scrollò le spalle «Sì, credo di sì.»
 
Heluna posò la guancia contro il petto di Sigurd e sospirò con gli occhi chiusi: forse, per il momento, quelle paure potevano essere messe da parte; forse, la cosa più giusta era non pensarci e concentrarsi sul presente, su ciò che aveva e ciò che presto avrebbe avuto.
«Stendetevi nuovamente al mio fianco, stringetevi a me. C’è ancora tempo prima che la città si svegli e possiamo spenderlo insieme, abbracciati l’uno all’altra come una di quelle coppie di innamorati di cui cantano i menestrelli.»

E così rimasero, abbracciati nella luce dell’aurora: non parlarono per molto tempo, i loro occhi non si incontrarono e le loro menti diventarono due isole distanti, proprio come lo erano le terre in cui erano nati.
Quella stessa distanza avrebbe potuto distruggerli lentamente con il passare degli anni, condannarli ad una vita di rimpianti, in cui l’amore che adesso provavano avrebbe potuto tramutarsi in odio e dolore. Tutto era in bilico, il loro futuro era sospeso su di una linea sottile come quella che divideva il mare dal cielo; stava a loro decidere se tagliarla o renderla più forte, immune alle intemperie e all’erosione delle stagioni.

 

**



Il sole stava morendo ad Ovest con la stessa eleganza con cui, al mattino, era sorto ad Est.
Nell’ampio cortile cinto da mure, alle cui spalle si erigeva la dimora dei sovrani della Northumbria, era stato allestito un altare di legno, attorno al quale erano state accese fiaccole dalle vivide e alte fiamme, disposti suonatori che, con ritmo regolare, battevano con forza contro le pelli dei rudimentali tamburi dai suoi spettrali.
Ogni pagano si era radunato, gremendo ogni più piccolo pezzo di terra bruna, impaziente di assistere all’antico rito dell’Aquila di sangue, alla morte dell’uomo che, più di ogni altro, si era macchiato di una colpa imperdonabile e aveva attirato sul suo capo l’ira degli dèi.
Heluna, come tutti gli altri presenti, era stata convocata a partecipare al rito, a guardare suo padre venir ucciso in un modo barbaro, udire le sue urla strazianti e osservare la sua anima abbandonare lentamente il corpo mortale.
«Credo che possa andare più che bene così.» disse al suo riflesso leggermente opaco nello specchio, sfiorandosi distrattamente i capelli perfettamente acconciati «Grazie, Mary.»
La ragazza, sua coetanea e amica, sorrise: era l’unica di tutte le sue ancelle a cui era ancora concesso di vederla; l’unica, in quanto moglie da quasi due lune di uno dei più fidati uomini dei figli di Ragnar, a cui era permesso di passare del tempo con la principessa e passeggiare indisturbata al suo fianco per il palazzo e i modesti giardini adiacenti.
«Non credo di essere pronta a ciò che accadrà tra poco. – confessò preoccupata la ragazza – Il sol pensiero di tutto quel sangue, del corpo dilaniato del mio sovrano mi nausea.»
«Neanche io trarrò piacere dalla morte di mio padre, ma in quanto futura moglie di Sigurd è mio dovere stargli accanto e dimostrare a tutti i presenti a chi va la mia lealtà. – sospirò – Solo così sarò accettata dal loro popolo, potrò sperare di essere accolta e, un giorno, persino amata.»
«A volte mi domando se queste persone siano davvero capaci di amare…  — sussurrò Mary – Io stessa sono stata data in sposa contro la mia volontà a un uomo che sa essere il più attento degli amanti, ma al tempo stesso il più spietato del soldati. Un attimo prima mi bacia gentilmente una guancia e quello dopo si comporta come un barbaro; inoltre non so mai cosa pensi in realtà e avendo entrambi difficoltà con la lingua dell’altro facciamo molta fatica a comprenderci.»
«Ti ha mai fatto del male?” chiede Heluna, preoccupata.
«No, certo che no!» risponde prontamente l’altra «È un uomo gentile, mi rispetta, eppure insieme a lui non riesco a sentirmi mai totalmente al sicuro, felice. Ho sempre il timore che il suo lato barbaro si scagli contro di me e che un giorno, stanco della mia vista, mi ucciderà nel sonno…»
«Perché mai dovrebbe farlo?»
«Non saprei…» Mary sospirò «Probabilmente penso queste cose a causa di tutte le storie che mio padre era solito raccontarmi su di loro. Racconti orribili, in cui non mancavano i dettagli di come i pagani avessero ucciso senza pietà donne e bambini, ogni cristiano. E io sono sempre una cristiana, una fervente e devota cristiana ed è proprio questo che mi fa temere per la mia sorte futura.»
Heluna posò una mano sulla spalla dell’amica e cercò di tranquillizzarla: «Questo non ha impedito a Olaf di sposarti, di dividere il con te il suo letto; se provasse ribrezzo e odio nei tuoi confronti non ti farebbe visita ogni notte, desideroso di possedervi.»
Mary alzò lo sguardo e assottigliò le labbra: era vero, Olaf non aveva mai mancato di farle visita ogni notte, di dimostrale con i gesti e con le poche parole che conosceva quanto fosse attratto da lei e la considerasse importante; persino la prima notte di nozze si era dimostrato, contro ogni aspettativa, gentile e attento, un balsamo per la sua anima terrorizzata e le sue lacrime copiose.
In quel preciso istante la porta si spalancò, facendo sussultare entrambie, e fu proprio Olaf a fare capolino: “Pronti!»  disse con il suo accento spigoloso, guardando prima la moglie e poi la principessa «Sigurd Ragnarsson e i fratelli stanno aspettando. Venite con me, presto.»
Heluna deglutì a fatica, stringendo di riflesso una mano della sua amica: era troppo presto, lei non era pronta, non ancora. Prese un profondo respiro, cercando in tutti i modi di rallentare il battito del suo cuore e, dopo un frettoloso cenno di assenso, lasciò la stanza.

 


**




Heluna stentò a riconoscere come suo padre l’uomo che venne legato, mani e piedi, all’altare al centro del cortile. Il suo sguardo era vitreo, continuava a fissare un punto indefinito, non osava sollevarsi per guardare in faccia il suo popolo o i suoi carnefici.
Prima del rito era stato lavato e i norreni gli avevano fatto indossare una tunica bianca, come bianca era quella indossata da Ivar Ragnarsson, colui che avrebbe compiuto fisicamente il rito dell’Aquila di sangue.
«Odino, padre di tutti gli Æsir e signore di Asgard, volgi il tuo sguardo su noi tutti e sii testimone di questo sacrificio, della vendetta che noi, figli di Ragnar, compiano in onore di colui a cui, per molte lune, tu stesso hai sorriso. – si fermò, prendendo tra le mani l’athame, il coltello cerimoniale usato dai norreni durante ogni sacrificio, e levandolo al cielo costellato di stelle — Che giustizia sia fatta e che il sangue di questo assassino possa bagnare questa terra e renderla fertile per tutti noi.»
Sentendo quelle parole a lei sconosciute, Heluna girò lentamente il viso, cerando con lo sguardo Sigurd, il quale era concentrato su ciò che stava avvenendo e pregustava il momento in cui il sangue avrebbe iniziato a scorrere copioso.
Egli non rispose alla sua muta domanda, sembrava dimentico della sua presenza e nei tratti del suo viso Heluna lesse euforia, desiderio di vendetta, di sangue: in quel preciso momento, il figlio di Ragnar non era il giovane gentile e premuroso che amava, ma il temuto Occhio di Serpente di cui molti cantavano le gesta e la crudeltà.
In quel momento, per la prima volta da quando si erano confessati reciproco amore, Heluna ebbe paura di lui e comprese le parole che, poco prima, Mary le aveva rivolto.

L’athame iniziò ad incidere la pallida carne, affondare nella pelle della schiena, lungo tutta la colonna vertebrale; gocce di sangue presero a sgorgare, a imbrattare i lembi strappati della tunica indossato dal deposto sovrano della Northumbria, le maniche di quella indossata da Ivar, il quale iniziò a separare lentamente la pelle dal resto del corpo, rivelando piano piano le ossa del costato, le pallide ali dell’aquila che aspettava di spiccare il volo. Rivoli di sangue sgocciolarono sulla pedana di legno, andarono a riempire poco a poco ciotole di terra cotta precedentemente posizionate; il sangue del traditore avrebbe bagnato come da tradizione i campi, sarebbe stato offerto per compiacere la Frey e Freya, divinità fertili.
Ælle urlò, un suono acuto e straziante che rimbombò nella testa di Heluna e la fece impallidire: nulla l’aveva preparata a quelle urla, neanche le storie di Sigurd, il quale le aveva descritto ogni fase di quel sanguinoso rito.
Rumore di ossa spezzate giunsero alle orecchie dei più vicini mentre i tamburi cessavano il loro costante suono di morte ed Heluna pensò di essere in un incubo dal quale voleva risvegliarsi quanto prima — mai, prima d’ora, aveva assistito a una tale violenza; nemmeno le impiccagioni a cui suo padre l’aveva costretta ad assistere sin da piccole si erano dimostrate uno spettacolo così difficile da vedere.
Una dopo l’altra, le costole vennero separate dalle vertebre, rotte con forza per creare il manto dell’aquila, le sue ampie e robuste ali; le urla cessarono, il dolore aveva fatto perdere i sensi all’uomo sul punto di more, ma nessuno smise di infierire: il rito doveva essere concluso, ogni osso doveva essere spezzato, i polmoni presi a mani nude e posti al di fuori del corpo, sulle placide ali fatte di sangue, ossa e carni.
Heluna impallidì, ma non vacillò. Sebbene sentì le forze venirle meno e nonostante quello spettacolo raccapricciante per molti non adatto a una fanciulla delicata come lei, non avrebbe rotto la promessa fatta a Sigurd, non si sarebbe mostrata debole.
Dopo tutto, si disse cercando di mostrarsi forte, era pur sempre figlia di un sovrano inglese - un sovrano che aveva preso il potere attraverso il sangue e l’inganno, che a dire di molti era un traditore e un usurpatore, ma pur sempre un sovrano consacrato.
Un ultimo, spaventoso urlò si levò in cielo, ma questa volta non fu il sovrano morente a lanciarlo: al centro della pedana, la tunica insanguinata e le mani zuppe di sangue, Ivar aveva volto il suo sguardo al cielo e, come un lupo selvaggio e feroce, aveva esternato il suo spaventoso e sinistro grido simile a un latrato.

«Sigurd…» senza accorgersene, la principessa aveva allungato l’esile mano verso il condottiero vichingo, sfiorandola appena con le dita pallide e affusolate.
Il semplice tocco sembrò far risvegliare dal suo torpore il norreno che, sussultando lievemente, rivolse il suo sguardo nuovamente limpido e privo di vendetta verso le loro mani, intrecciando subito dopo le proprie dita callose con quelle molto più piccole della bionda dama alla sua sinistra.
«State bene?» chiese con un velo di preoccupazione nella sua bassa e rauca voce, notando il viso pallido e i grandi occhi sgranati di Heluna.
«Non lo so.» rispose sinceramente, cercando di guardare oltre il cadavere di quello che era stato suo padre, oltre i fuochi e le ombre dei norreni tutt’intorno «L’ultimo componente della mia famiglia è stato appena macellato come un animale e io non provo nulla. Orrore, certo, poiché l’atto è stato sanguinolento e barbarico, ma nient’altro.»
«Heluna…»
«Sto bene.» lo rassicurò ancora, stringendo più forte la sua mano e cercando di sorridere nonostante tutto «Starò bene. Non preoccupatevi per me.»

Ed era vero: in qualche modo, in qualche strano e complesso modo, la morte di suo padre era stata per Heluna una liberazione. Per quanto, si disse, una figlia devota avrebbe pianto e si sarebbe disperata per la perdita di un padre, la giovane principessa provava come un senso di libertà al centro del proprio petto.
Qualcosa, o meglio qualcuno, una voce lontana a cui non avrebbe saputo dare un volto, le diceva che quello sarebbe stato l’inizio di una nuova vita, una vita senza soprusi, senza ingiustizie, in cui sarebbe stata amata e avrebbe amato a sua volta.
Con Ælle anche la piccola Heluna era morta, permettendone a una nuova, più caparbia e forte, di nascere e vivere la vita che era destinata a vivere — e lo avrebbe fatto, ma molto lontano da York, oltre il mare, in una terra lontana non più nemica. Una terra che, finalmente, avrebbe potuto chiamare casa.
 


**




Sognò una terra lontana, montagne dalla cime innevate che si specchiavano nell’insenatura del mare dallo scuro fondale; sognò una dimora fatta di legno secolare e uno scranno ricoperto da pellicce di lupo su cui era intagliato il suo nome; sognò canti, feste, brindisi in suo onore e una madre pronta ad accoglierla tra le sue braccia come una figlia.
Percepì il calore che solo una famiglia sapeva dare, l’affetto di un fratello e, sopra ogni cosa, l’amore incondizionato di un uomo che avrebbe amato solo e soltanto lei per tutto il resto della sua vita.

Heluna riaprì piano gli occhi, infastidita dalla luce del primo mattino che filtrava dalla finestra rimasta aperta, e muovendosi piano sotto le pesanti coperte sfiorò con una gamba il ginocchio della figura ancora assopita alla sua destra.
Per un istante non ricordò altro se non i tamburi, i fuochi e poi le urla strazianti di un uomo morente. Le urla di suo padre.
Rabbrividì, chiudendo gli occhi e cerando di scacciare via quelle immagini che, lo sapeva, per molto tempo avrebbero popolato i suoi incubi e non avrebbero mai lasciato del tutto la sua mente.
«State tremando.» la voce assonnata di Sigurd la liberò dai suoi pensieri.
«No, sto bene. Stavo solo… ecco, ripensavo a quello che è successo e…»
«Siete stata forte, avete dimostrato la vostra lealtà, di essere degna di un condottiero norreno.» Sigurd le sfiorò delicatamente una guancia e sorrise «Mi avete reso fiero.»
Heluna si accoccolò tra le sue braccia, stringendosi e respirando il suo odore divenuto così familiare in quei pochi mesi passati insieme. Il sol pensiero di non svegliarsi più con il giovane vichingo al suo fianco, di non sentire più la sua voce, il calore del suo corpo era qualcosa di insopportabile. Sigurd era tutto per lei: il suo amore, la sua casa, la sua vita.
«Ho fatto un sogno questa notte.» confessò con lieve imbarazzo «Ho sognato una terra lontana, un regno sulle sponde del mare circondato da montagne innevate; ho sognato una donna dal sorriso gentile e i capelli bianchi striati d’argento e… ho udito risate di bambini.»
Sigurd si portò a sedere, guardandola con curiosità e sorpresa: la terra che Heluna aveva appena descritto era così simile a quella che chiamava da sempre casa, mentre la donna ricordava sua madre, Aslaug e i bambini…
«Gli dei ti hanno concesso un fugace sguardo sul vostro futuro, su ciò che vi attenderà adesso che la guerra è finalmente terminata.» Sigurd prese entrambe le mani di Heluna tra le sue e le baciò dolcemente «Mitt Hjärta1, credo che tu abbia sognato la mia casa, la mia nobile madre e… i nostri figli.»
«La tua… i nostri…» Heluna abbassò lo sguardo e arrossì «Ne siete sicuro, Sigurd?»
«Più che sicuro.» il norreno sorrise e, in un impeto, la baciò con passione «Verrete con me adesso che la guerra è terminata? Tornerete a casa con me, così che io possa sposarvi e fare di voi la mia consorte?»
«Sì.» rispose senza dubbi, annuendo con decisione e intrecciando le braccia attorno al collo di quello che sarebbe presto divenuto il suo sposo «Con tutto il mio cuore e la mia anima, Sigurd, è quello che voglio.»

 


*



1. In antico norreno, ma anche in odierno svedese, significa "Mio cuore".

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Capitolo 25
*** 25. ***


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Sognò un tempo lontano. Giorni passati si affacciarono timidi tra le nebbie della sua mente assopita, istanti talmente vividi che le fecero provare nuovamente quel turbinio di emozioni che le avevano scosso l’animo di sedicenne.
Aveva conosciuto Ragnar quasi trent’anni prima, quando lui era ancora un giovane guerriero pieno di vita e di curiosità; lo aveva conosciuto due anni dopo la scomparsa dell’amata moglie Þóra, la cerva di Götland1, che molto aveva amato e pianto e dalla quale aveva avuto due figli ancora infanti.
Erano state le storie sulla sua bellezza a condurla sul sentiero del figlio di Sigurd, lei che si era presentata da lui non vestita, né nuda; non sazia, né digiuna; non sola, ma neanche in compagnia di alcun uomo2.
Il sorriso di Ragnar illuminò con colore i grigi del suo sogno, riscaldò nuovamente il suo cuore nello stesso modo in cui lo aveva riscaldato da fanciulla, quando si era presentata al suo cospetto con indosso solo una rete da pesca, mangiando un porro e con un cane al suo fianco, stupendo e lasciando senza parole tutti i presenti, Ragnar incluso.
Momenti lieti e felici erano seguiti a quel primo incontro, al suo arrivo nella dimora dell’uomo la cui fama non aveva pari in Scandinavia: se tornava abbastanza indietro nel tempo poteva ancora udire i tamburi e i canti delle donne del posto riempire l’aria secca del giorno del loro matrimonio. Per quell’occasione Aslaug aveva indossata una tunica riccamente decorata e una corona di fiori selvatici tra i lunghi capelli color dell’oro, gli stessi capelli che Ragnar tanto aveva amato e che era solito accarezzare quando facevano l’amore, nelle notti più buie prima dell’alba.
Una lacrima solitaria rigò il viso della consorte della dinastia di Munsö, ancora profondamente addormentata sotto le pelli del suo giaciglio in legno, quando nei suoi ricordi tramutati in sogni rimbombarono vagiti di neonato, dei figli che lei stessa aveva predetto a Ragnar e nelle cui vene scorreva sangue vichingo, lo stesso sangue che aveva portato gloria al loro padre e che ne avrebbe portato una ancora maggiore alla sua nidiata.

La mia bellissima moglie. Grazie per avermi amato nonostante le mie mancanze, nel mio essere imperfetto; grazie per esserti presa cura dei nostri figli e anche di quelli che non avevano il tuo stesso sangue.3


Ragnar la baciò come l’aveva baciata la prima volta, facendola sentire sicura tra le sue braccia e per un momento entrambi tornarono giovani, ad essere gli innamorati che erano stati prima dei tradimenti, dei lutti, del dolore.
Aslaug sapeva che quello era il suo modo per dirle addio adesso che lui era stato vendicato, che mai più si sarebbero rivisti tra i confini di Midgard, del recinto di mezzo costruito con i resti del gigante Ymir nel quale erano stati confinati i mortali.
Un corvo gracchiò da qualche parte oltre le nubi, lontano seppur vicino, messaggero e incarnazione di Odino che rimembrava lo scorrere del tempo, il momento del risveglio e della separazione. Il sole stava sorgendo timido a Est, il tempo di destarsi dal lungo sonno era giunto e tutto ciò che rimaneva loro era un ultimo fugace sorriso, una promessa sussurrata piano e quasi impossibile da udire: Ragnar svanì un istante dopo, il suo giovane viso si dissolse come la luce di un fuocherello fatuo nei primi pallidi raggi del mattino, lasciando assenza tutt’intorno.


Aslaug inspirò profondamente, aprendo gli occhi nella semioscurità della stanza e siportando lentamente a sedere.
La dimora era silenziosa, nessuno sembrava essersi ancora svegliato, eppure il sole aveva già iniziato la sua scalata verso il punto più alto del cielo.
Un senso di vuoto le attanagliò il petto: sebbene la consapevolezza che i suoi figli – i loro figli – avessero portato a termine la loro missione e vendicato il padre la riempisse di orgoglio materno, questo pensiero non riusciva a renderla felice, a bastarle.
Chiuse gli occhi, stringendosi le pesanti coperte attorno al corpo, portandone un lembo al viso, nella vana speranza di riuscire a percepire un’ultima volta l’odore del suo sposo, dell’unico uomo che aveva amato nonostante tutto.
“Adesso siete davvero andato via… — sussurrò cercando di trattenere un singhiozzo — Ma non vi dirò addio, mio Ragnar, poiché sono sicura che un giorno non troppo lontano ci rivedremo ancora e che, fino a quel momento, mi attenderai con pazienza nel Valhalla. Arrivederci, dunque, Ragnar Sigurdsson,, mio signore e marito.”


 
**


“Ciò che ho sognato è verità, dunque: i miei fratelli e il mio promesso sono riusciti a vendicare mio padre come avevano giurato?”
I sogni di Þyri erano stati popolati da corvi appollaiati su possenti tronchi, da alte fiamme rosse e gialle che si alzavano da bracieri di ferro mentre tutt’attorno urla di morte rimbombavano nella semioscurità da cui si riusciva a vedere solo una gigantesca aquila intagliata nel sangue.
Come sua madre, anche lei era stata informata del successo dei suoi fratelli, della vendetta che si era compiuta oltremare, ma a differenza della donna che le aveva dato la vita Þyri non era ancora sicura del responso dei suoi sogni, di quelle profezie che da troppo poco tempo l’avevano raggiunta, donando a lei, come a suo fratello Sigurd prima, il dono della preveggenza e della saggezza.
Per questo motivo e per altre domande che ancora attendevano risposta, la figlia di Ragnar e Aslaug aveva camminato tra le ultime ombre della notte fino alla tenda del Veggente, dove aveva trovato il vecchio in attesa.
“Vendetta è stata fatta. Il destino dei tuoi fratelli è compiuto, così come quello del tuo giovane principe dello Jutland, il quale continua a sperare.”
“Cosa accadrà adesso? – domandò ancora – I miei fratelli torneranno a casa?”
Un sibilo simile ad un rantolo di morte strisciò dalle labbra marroni del Veggente e per un attimo Þyri temette il peggio.
“Molto ancora attende il destino dei tuoi fratelli, Þyri Ragnarsdottir, giorni che neanche io riesco ancora a vedere. – rispose solenne – Una grande armata veleggia verso le coste della terra degli Angli e dei Sassoni mentre parliamo e molti sono i vichinghi che bramano di consegnare il proprio nome all’eternità; molto sangue deve ancora essere versato, sangue norreno e sangue straniero, vite che cadranno e avranno un costo molto alto.”
“E di me, Saggio? Cosa ne sarà di me?”
“Tu sei destinata a sedere su di un trono di pietra, come tua madre prima di te. – ghignò – Sì, vedo un trono in una grande sala riccamente adornata e accanto a te un sovrano dalla chioma di fuoco. Posso vedere le vostre mani intrecciate e il popolo chiamare i vostri nomi e osannarvi, poiché voi sarete la saggezza e la gloria dello Jultand e di tutta la Danimarca.”
Il suo futuro era al fianco di Gorm, dunque, era già stato scritto dalle Norme: Þyri sarebbe divenuta regina, un compito questo gravoso, del quale ancora non si sentiva all’altezza. Certo, molti anni ancora sarebbero passati passare di quel momento, poiché Knut era ancora in vita e in buona salute, governava saldamente sulle sue terre ed era molto amato.
Così come amato sarebbe stato il suo promesso sposo; così come lo sarebbe stata lei.
“Altre domande e molti dubbi tormentano la tua mente, figlia di Ragnar, ma non avrai altre risposte da me in questo giorno o nei giorni che ti separano dal tuo futuro lontano da queste terre. — annunciò severo — Solo e soltanto questo ti dirò, poiché già tempo fa ho profetizzato a te e ai tuoi fratelli la grandezza del vostro nome: i figli del Nord prospereranno per mille anni, la loro fama sarà leggendaria, i loro nomi immortali.”

Il Veggente le porse il palmo della mano e Þyri ne leccò la superficie rugosa e callosa con rispetto, percependone il sapore di terra, radici, muschio e spezie.
Quando lasciò la tenda, il sole era già sorto e il villaggio in fermento come ogni mattina: nelle strade terrose era iniziato il quotidiano andirivieni di persone, contadini, fabbri e anche dei mercanti venuti da lontano per commerciare i loro prodotti.
Presto, quelle strade sarebbero state per lei un lontano ricordo, così come lo sarebbe stata la dimora in cui era nata e cresciuta, dalla quale non si era mai allontanata per più di qualche giorno.
Era tempo per lei di diventare donna e abbracciare il suo destino, un destino che per troppo tempo aveva combattuto e che aveva tenuto: per anni il suo nobile padre aveva pianificato nei minimi dettagli quel momento, il giorno in cui lei avrebbe fatto la sua parte di figlia andando in sposa a un uomo degno del suo rango che avrebbe portato lustro al nome di tutti loro e finalmente quel piano era stato portato a termine.

— Il giovane principe dello Jutland continua a sperare. —
Gorm continuava a sperare, questo le aveva detto il Veggente: continuava a sperare in un futuro insieme a lei, come marito e moglie. A lui, Þyri aveva donato il suo bracciale, il simbolo di ciò che era e della sua posizione regale; a lui, Þyri aveva donato il suo primo bacio, un bacio di cui poteva ancora percepire il gusto e il calore.
Aveva giurato di renderla felice, lo aveva giurato sui Æsir e sui Vanir, dichiarando di preferire la morte piuttosto che assistere all’infelicità della giovane donna che amava.
— Tutto ciò che voglio e desidero siete voi, un futuro insieme, felice. —
Un futuro insieme: Þyri sorrise, immobile sulla riva del mare, i piedi nudi che venivano bagnati dal placido andirivieni delle piccole onde che si infrangevano sulla sabbia. Anche lei desiderava quello, ora ne era sicura più che mai: voleva solo e soltanto Gorm al suo fianco; voleva diventare sua moglie, amarlo e dargli dei figli che potessero succedergli.
Distrattamente, una delle sue mani candide si posò placidamente sul suo ventre coperto dalla sovratunica di lino color delle foglie appena nate in Primavera: con le sue parole, il Veggente aveva detto molto di più di ciò che lei stessa aveva sperato, le aveva profetizzato la nascita di figli, la fertilità del suo grembo materno.

“Hai chiesto consiglio al Veggente, dunque.”
“Madre! – Þyri si voltò repentina, trovando sua madre a pochi passi da lei – Non vi ho sentito arrivare.”
“Il vociare dei mercanti mi ha facilitato la cosa. – Aslaug sorrise – Cosa ti turba?”
“Ora più nulla, ma prima ero in pena per i miei fratelli e avevo bisogno di sapere se tutti loro erano sani e salvi, se avessero portato a termine la loro missione.”
“Tuo padre è stato vendicato, ma questo nel tuo cuore lo sapevi già, così come lo ha sempre saputo il mio. Dunque, mia adorata figlia, di cosa avevi bisogno davvero?”
Þyri prese un profondo respiro prima di rispondere: “Rassicurazioni… sui giorni che verranno.”
“Intendi sui giorni che trascorrerai lontano da qui, al fianco del figlio di Knut?”
Þyri annuì: “So che non ne abbiamo mai parlato, Madre, so che avete accettato questa possibilità senza muovere alcuna critica, ma adesso ho bisogno di saperlo: ho la vostra approvazione?”
Aslaug annuì e, come solo una madre sa fare, abbracciò la sua unica figlia: “Quale uomo migliore per mia figlia di colui che, per anni, ho cresciuto come fosse figlio mio?”
Qualcosa simile ad un noto invisibile si allentò al centro del petto della figlia di Ragnar che, finalmente, tornò a respirare senza affanni: sapere che sua madre era dalla sua parte, che era lieta di quella decisione era tutto ciò che desiderava, di cui aveva bisogno in quel momento.
“Il Veggente mi ha detto che la popolazione di Jelling mi amerà e che attraverso di me la nostra stirpe continuerà a prosperare. — sussurrò Þyri, ancora stretta nell’abbraccio della madre — Anche io, come voi, sarò in grado di dare al mio sposo dei figli che conquisteranno gloria e fama, rendendo onore alle proprie origini e al proprio nome.”
“L’ho sempre saputo questo, sin dal primo momento in cui ti ho stretta tra le braccia. – Aslaug accarezzò la bianca guancia della figlia con il dorso della mano – Ho sempre saputo che tutti voi eravate destinati a grandi cose, ma solo tu saresti stata madre di re e di regine, genitrice di una stirpe ancor più grande della mia.”

Genitrice di una stirpe reale: per la prima volta in tutta la sua vita Þyri si immaginò il viso del suo primogenito, quelli di tutti i suoi figli e dei figli dei suoi figli, una vita vissuta nell’amore come quella che aveva vissuto fino a quel momento.
Doveva solo pazientare ancora, solo un altro po’ di tempo prima di ricongiungersi con Gorm, riabbracciarlo e dichiarargli finalmente la sua indiscutibile volontà di partire con lui alla volta di Jelling e sposarlo, passare il resto della sua vita al suo fianco, supportandolo negli anni davanti a loro, in ogni decisione importante e delicata, affrontare allo stesso modo insieme le gioie e le difficoltà che le Norne avevano in serbo per loro.
— Saremo felici. —
Le parole di Gorm risuonarono un’ultima volta nella sua mente. Parole che erano una promessa che, da quel giorno, sarebbe stata anche le sua.



*

1. Il Götaland è una regione storica della Svezia. Si trova a Sud della nazione e si pensa che proprio da qui provengano i Goti (da cui provengono i Visigoti e gli Ostrogoti)
2. Così viene descritto il primo incontro tra Ragnar e Aslaug nella Ragnarssaga loðbrókar. Quando Ragnar seppe della bellezza della futura moglie le chiese, per metterla alla prova, di presentarsi da lui in quel modo e così lei fece, dimostrandosi astuta e degna della sua fama.
3. Aslaug aveva cresciuto come suo anche i figli del primo matrimonio di Ragnar, Eirekr e Agnarr, tanto che saputo della loro morte fu lei a spingere i suoi figli a vendicarli.



Angolo Autrice: Buonsalve, lettori! Mi piacerebbe dire che questo è un nuovo capitolo, ma la verità è che era già pronto da un pezzo e che l'ho pubblicato perchè non mi sembrava giusto tenerlo per me. Non so se e quando arriverà il seguito, ma prometto di sforzarmi e portare a termine questa storia che tanto mi sta a cuore e alla quale sono profondamente legata. Se qualcuno volesse lasciare un commento mi farebbe immensamente piacere.
Alla prossima,
V.

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