La regina delle streghe

di Nemainn
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 - Iraen, l'hilm'een ***
Capitolo 2: *** 2 - La via dellla pace ***
Capitolo 3: *** 3 - Il Druido ***
Capitolo 4: *** 4 - Venti di guerra ***



Capitolo 1
*** 1 - Iraen, l'hilm'een ***







 


«Sei la Cail’ka?»
La domanda sembrò rimanere sospesa nel tempo. Le due donne si guardavano e la nebbia, che bassa sembrava inerpicarsi lungo le loro gambe, rendeva quell’incontro irreale.
Colei che aveva posto il quesito si mise l’arco di tasso in spalla, scrutando la donna vestita di nero davanti a sé. Fischiò piano, un suono sottile e acuto, e immediatamente, come se fosse stato creato dalla foschia stessa, un enorme segugio bianco dagli occhi rossi come braci arrivò, portandosi al suo fianco.
«Quelli che cercano i miei servigi mi chiamano così, quindi sì, direi di sì, che sono io.»
La cacciatrice annuì, accennando appena un sorriso che si intensificò quando la Cail’ka, con un gesto, dissipò la nebbia tra di loro.
«Vi stavamo aspettando.»
«Lo so.»
La cacciatrice si strinse nelle spalle, scuotendo appena la testa. Le Cail’ka erano strane, misteriose, al di fuori di ogni legge, ma, soprattutto, pericolose. La donna davanti a lei vestiva di cuoio rinforzato da capo a piedi e il volto era celato dal cappuccio. Al fianco portava una spada corta dall’aria rozza, e dagli stivali spuntavano le impugnature di un paio di pugnali. Una balestra pendeva dalla spalla e la cacciatrice era certa che quello che vedeva, fosse solo una piccola parte delle armi di quella donna.  
«Seguitemi, allora. La porta del Palazzo di Pietra è poco lontano. Non ho cacciato selvaggina, oggi, ma direi che è stata lo stesso una giornata fruttuosa.»
La cacciatrice s’incamminò con la chioma rossa che ondeggiava libera, piena di treccine a cui erano legate piume di diversi rapaci. Gli abiti erano morbidi, di pelle, comodi, e in vita aveva un’alta cintura a cui erano legate la faretra e un lungo pugnale.
Le due camminarono tra le conifere profumate di resina, dai cui rami lunghi licheni pendevano come festoni. I loro passi non producevano alcun rumore: erano ombre effimere che si confondevano con l’essenza stessa della foresta.

 

 

Il collare era estremamente elaborato; il metallo era inciso finemente e arabeschi e intrecci, con eleganti volute, facevano di quel simbolo di schiavitù un’opera d’arte. L’uomo camminava a testa bassa, fissando con occhi pieni di odio la catena lucida agganciata all’anello che gli cingeva il collo.
«Non sei più così battagliero, ora. Vero, umano?»

Guardando la donna che teneva l'altro capo della catena rimase in silenzio, mentre lei continuava a parlare. «Mi hai dato un sacco di problemi, sai?»
«Morto non saresti stata pagata, immagino.»
«Meno.» La donna in nero sorrise dall'ombra del cappuccio, una ciocca così chiara da sembrare candida si intravedeva tra le pieghe di stoffa alla luce delle torce. «Se mi dai altri problemi, però, non vali lo sforzo che richiede consegnarti vivo, ricordalo. La scelta è tua.»L’uomo non rispose, guardandosi attorno in quella via illuminata a stento. Era poco più di un villaggio con case di pietra e legno dai tetti spioventi da cui l’umidità sembrava gocciolare, mentre la sottile foschia allungava qua e là i suoi tentacoli come dita carezzevoli. La Cail’ka l’aveva trovato pochi giorni prima, nascosto nella foresta e stremato da un lungo inseguimento. Lui era l’ultimo sopravvissuto del suo villaggio ed era scappato dalla legge della Regina delle Corna per mesi, rifugiandosi sempre più in profondità in quel cuore verde e antico del regno.
Da lontano lei l’aveva osservato, invisibile, catturandolo quando si era arreso al sonno. Si era svegliato mentre il collare si chiudeva attorno alla sua gola.
«Quindi mi consegnerai qua?»
La Cail’ka scosse il capo, fermandosi davanti alla porta di una locanda. «No. In questi piccoli insediamenti non c'è nulla di che, se non qualche strega che cerca di vivere in superficie. Sei un umano che la regina stessa vuole vedere. Non capisco perché, avrei fatto un piacere al mondo uccidendoti nella foresta, ma mi paga per averti.» Gli occhi gialli e dalle pupille verticali della donna si posarono su di lui, fissandolo. «Vivo o morto.» Aggiunse con voce bassa e dura.
«Ho capito il messaggio.»
La Cail’ka strattonò la catena, tirandosi dietro l’umano nella locanda semi deserta. Il fuoco era acceso nel camino e qualche lanterna illuminava la stanza. Poche donne dall’aria stanca bevevano e mangiavano e qualche hilm'een serviva ai tavoli, nulla di più. Si sedette in un angolo, costringendo l’umano ad accucciarsi per terra, tra la paglia sporca, legandogli meglio le mani dietro la schiena.
Uno degli hilm'een si avvicinò con aria dimessa, parlando poi con voce rispettosamente bassa: «Cosa desiderate, maestra?»
La Cail’ka fissò l'hilm'een che le aveva parlato. Come tutti i suoi simili era stato un umano, prima di essere mutato. Non gli piacevano, nessuno di loro le piaceva, né umani, né hilm'een, ma una volta addomesticati e addestrati erano utili e, purtroppo, essenziali alla continuazione della loro specie.
«Cibo, abbondante. Niente birra, solo acqua.»
Abbassando il capo in un assenso l’hilm’een se ne andò verso la cucina.
«Potresti avere salva la vita, la regina potrebbe decidere di avere un nuovo hilm'een nel suo palazzo.»
«Preferisco morire che diventare uno di quelli.» Il sibilo pieno di collera e disgusto fece ridere la Cail’ka, che strattonò la catena costringendo l’uomo a fissarla. Aveva occhi verdi, profondi, orgogliosi e pieni di rabbia. Erano però anche colmi di astuzia e lei sapeva quanto fosse abile. Avevano dovuto chiamare lei, la migliore tra le cercatrici, una delle maestre dell’ordine, per trovarlo. Era riuscita a coglierlo di sorpresa, stremato dopo una lunga fuga, inconsapevole che non era una sola Cail'ka a dargli la caccia e, seminata quella che credeva essere l’unica inseguitrice, si era lasciato vincere da un sonno profondo.
Aveva lottato non appena il collare si era chiuso attorno al suo collo, ma la magia aveva iniziato a fare immediatamente effetto, rallentandolo. Con il tempo gli incantesimi del collare avrebbero raggiunto la loro piena potenza, radicandosi in lui ma, fino ad allora, era ancora pericoloso.
«Non sarai tu a scegliere. Domani arriveremo al Palazzo di Pietra, io prenderò i miei soldi e tu scoprirai quello per cui sei tanto desiderato.»
«Uccidimi.» Gli occhi dell’uomo la fissarono, seri. «I soldi li prendi lo stesso, no? Allora fallo.»
«E risparmiarti quello che hanno in mente per te?» Il sorriso della Cail’ka divenne crudele, assaporando il lampo di disgusto e paura che passò negli occhi dell’uomo. «La morte è un premio che meriterai con lunghi anni di fedele servizio alla tua nuova padrona, magari. Ora però taci, voglio mangiare in silenzio.»
«Uccidimi! Cazzo, un po’ di pietà! Ti prego!» Il sibilo dell’uomo aveva un che di disperato, mentre guardava l’hilm'een consegnare il cibo al tavolo. Il collare che portava, gli occhi spenti, i segni della magia sul corpo vagamente androgino che lo legavano e marchiavano al contempo. Una schiavitù a cui tutti i maschi che erano stati mutati dalle streghe dovevano piegarsi, da quando poco più di un centinaio di anni prima le streghe avevano vinto la lotta senza tempo tra le loro specie e avevano iniziato a catturare maschi, senza nessun ritegno. Inizialmente nei piccoli villaggi gli uomini e le donne venivano lasciati vivere in pace, purché pagassero un tributo, ma con il tempo quel dazio era stato versato con sempre più insofferenza e, quando quei piccoli abitati avevano visto i propri figli maschi portati via ancora piccoli, per essere asserviti ed educati come hilm’een, la ribellione era iniziata. Se prima il rapimento dei bambini da parte delle streghe era una spaventosa leggenda, vedere i propri figli sottratti aveva dato il via all'odio più puro. Uomini e donne che non accettavano di diventare schiavi, di vedere quel fato ghermire i loro figli, e ragazze che non volevano mutare e diventare streghe a loro volta. Nel tempo le sacche ribelli erano state cacciate e all’apparenza sterminate; gli uomini che si arrendevano venivano piegati fino a spezzarli con la magia e le donne sottoposte alla mutazione, ma poche sopravvivevano.
Lui stesso aveva visto le streghe dare fuoco al suo villaggio e non credeva a quello che quelle donne avevano detto, che c'era stata una ribellione.
L'uomo aprì la bocca per parlare, ma la Cail’ka lo fulminò con lo sguardo.
«Se non vuoi che ti metta una museruola, stai zitto. Mi stai dando fastidio.»
L’uomo strinse i denti: le minacce della Cail’ka, lo aveva imparato a sue spese, non erano mai a vuoto.

 

 

Lo avevano chiamato Palazzo di Pietra perché scendeva nelle viscere della terra, serpeggiando attraverso la roccia con le sue sale rischiarate da torce, lanterne, ed enormi colonie di funghi luminosi. I pavimenti erano lisci, le pareti piene di dipinti e bassorilievi, sale enormi si aprivano ospitando veri e propri villaggi sotterranei. Colonne di stalattiti che univano soffitto e pavimento erano scalpellate in forme che ricordavano gli alberi, mentre piccoli animali delle profondità, simili a farfalle luminescenti, volavano tra i tronchi di quella foresta di pietra. Ovunque l'uomo guardasse c'erano solo streghe dagli occhi dalle pupille verticali e pervasi di magia, dall'aspetto fiero e selvaggio.
Camminava strattonato dalla catena, guardandosi attorno in quella scarsa penombra e incontrando raramente la sagoma di un hilm'een.

Si addentrarono sempre di più, fino a quando la luce non divenne abbagliante come quella del giorno e il suono di acqua corrente non giunse alle orecchie dell'uomo. Una guardia, una strega con indosso un'armatura nera e in mano una lunga lancia, si fece avanti. Lanciò solo un'occhiata alla Cail'ka e fece loro cenno di proseguire.
In quella parte delle caverne, nella zona del palazzo vera e propria, non c'era una chiara fonte per quella luminosità; sembrava semplicemente esistere, delicata e dorata, illuminando ogni cosa a giorno. Attraversarono un'arcata scolpita e in cui sbocciavano fiori d'oro e di gemme colorate, proseguendo lungo corridoi e stanze dove guardie e alcune streghe vagavano, fino ad arrivare davanti a una porta di piccole dimensioni, modesta in confronto a molte altre che avevano oltrepassato. Una guardia era sull'attenti davanti a essa e nel vedere la Cail'ka bussò all'entrata, per poi aprirla per permettere loro di entrare.
«Avete fatto un ottimo lavoro, maestra.»
La Cail'ka si tolse il cappuccio mettendo in mostra la chioma candida, chinando il capo in un assenso rispettoso a colei che l'aveva apostrofata. «Ho solo fatto quello che mi avete ordinato, mia regina.»
«Lo avete fatto in fretta, portandolo vivo. Avete meritato ogni grammo del vostro oro.»
Nella stanza di pietra chiara, con il soffitto a volta dipinto come un cielo stellato, la donna era seduta su una panca, accanto a un braciere magico che spandeva calore senza produrre fumo. L'uomo non poté fare a meno di fissarla: se l'era immaginata più imponente, con lo sguardo crudele, malvagio, una donna che si poteva odiare e temere con una sola occhiata. Quello che vedeva, invece, era una donna minuta, dall'aria seria e con un portamento fiero e nobile. Aveva come ogni strega le pupille verticali, ma aveva occhi di un azzurro profondo, vibrante, e una chioma corvina a cui erano intrecciate piume e pietre preziose, sulla cui sommità piccole corna di cervo spuntavano. L'uomo non poté fare a meno di chiedersi se fossero della strega o un ornamento ben camuffato dall'acconciatura.Uno strattone lo costrinse a inginocchiarsi e il piede della Cail'ka dietro il collo lo fece abbassare fino a schiacciargli il viso sul pavimento.
«Posso chiedervi perché lo volevate vivo?»
«Sì, potete. Non avrete risposta, però. Il vostro lavoro è concluso, il compenso vi aspetta nella sala delle guardie. Andate e sentitevi libera di rifocillarvi nelle cucine.»
L'uomo sentì la pressione sul collo svanire e la porta chiudersi un attimo dopo. Alzò la testa, notando come l'altra estremità della catena del collare pareva fusa con il pavimento, di sicuro non avrebbe potuto andarsene a piacimento. Lentamente drizzò la schiena, quello poteva farlo, ma la lunghezza di quel guinzaglio era appena sufficiente per quel movimento e mettersi in piedi era fuori discussione.
«Sei uno degli ultimi umani dei nuclei ribelli, un esemplare degno di nota, nonostante lo sporco che hai addosso.»
«Non immaginavo la cosa potesse disturbarvi, a saperlo avrei sicuramente fatto un bagno e mi sarei sistemato la barba.» La voce dell'uomo era ironica, tagliente, e la strega sorrise. Nuda dalla cintola in su, portava una collana di denti e zanne con al centro un teschio di corvo. I seni erano dipinti con una fascia nera, orizzontale, che passava sui capezzoli e le braccia erano tatuate con dei rampicanti che sembravano nascere dalle mani. Sorrideva appena, fredda, continuando a studiarlo.
«Come ti chiami?»
Scostando con un soffio i ciuffi di capelli rossi dagli occhi, l'uomo fissò quella strega, la regina di quelle maledette creature che avevano vinto la guerra cent'anni prima. «Iraen.»
«Bene, Iraen, hai idea del perché ti ho voluto qua?» L'uomo scosse il capo, stringendo gli occhi. «Una malattia, diciamo. A quanto pare nessuno degli hilm'een è in grado di generare una figlia con me. Tu, invece, sembra che ne sarai in grado. Stando a quello che mostra l'oracolo, almeno.»
«Mi taglio l'uccello, piuttosto.» Iraen ringhiò, fissando con odio la strega. «Cosa ti fa pensare che lo farò?»
La Regina rise, avvicinandosi e sfiorando con un dito il volto dell'uomo. «Quando avrò finito con te, farai qualunque cosa, per me. Obbedirai, come ogni hilm'een non avrai scelta, o altro posto dove andare. Una volta trasformati la vostra stessa razza vi disprezza, ricordalo.» L'uomo cercò di sottrarsi al tocco di lei, ma la catena era già tesa al massimo e dovette stringere i denti. «Perché credi che abbia personalmente fornito il collare alla Cail'ka? Ho infuso in questo pezzo di ferro molti incantesimi, semi che già iniziano a mettere radici in te. Mi amerai, o magari mi odierai, eppure non saprai vivere senza di me.» Il dito continuò il suo percorso fino a toccare il collare che divenne improvvisamente gelido attorno al collo di Iraen. «I mutamenti hanno già iniziato a prendere piede, presto sarai un hilm'een e non avrai altra scelta che piegarti al tuo destino.»
«Siete tutte delle schifose puttane!» L'uomo alzò la mano per colpire quella della regina, ma un'improvvisa scossa di dolore gli attraversò il braccio lasciandolo come morto a penzolare dalla spalla.
«Vedi, inizia già. Non alzerai la mano sulla tua padrona, come su nessuna strega. Non importa quanto ci proverai, quanto lotterai e ti opporrai. Lo sai, vero? Non sarà solo il dolore a piegarti, non potrai mangiare, o bere, o fare nulla se non sarò io a dartene il permesso.»
La regina si alzò sorridendo, osservando l'uomo. Sulla sua pelle già iniziavano ad apparire i primi segni bluastri, le pupille stavano prendendo una forma vagamente ovale e con il tempo il corpo si sarebbe fatto più sottile. Avrebbe perso molto dell'aspetto di un tipico maschio, ma del resto per loro l'accoppiamento con un umano di razza pura era infecondo; avevano bisogno di rendere quei maschi dei mezzi sangue, per far sì che fosse loro possibile generare. Ogni hilm'een assumeva un aspetto quasi androgino nel perdere parte della sua umanità, manteneva una forza fisica mediamente superiore a quella di una strega, ma non era in grado di entrare in contatto con le forze che scorrevano nella terra e da cui la sua gente traeva l'energia magica.
«Preferisco morire che diventare il tuo cane!»
«Lo dicono in molti, quasi tutti a dire la verità. Però, sai, alla fine non si lascia morire nessuno. Forse uno su cento, gli altri muoiono perché non sopportano il mutamento, il loro corpo marcisce e cede. In pochi però scelgono volontariamente la morte. Essa è la fine di tutto, mentre nella vita c'è sempre la speranza; essere un hilm'een non è la peggiore delle disgrazie.»
«Morire è meglio che vivere da schiavo.» Iraen ringhiò, fissando con odio la strega. «Cosa ti fa credere che io vivrò e che ti accontenterò?»
«La profezia.» Passandogli accanto con passo leggero la strega si diresse alla porta. Con la mano posata sulla maniglia voltò il capo verso l'umano. «D'ora in poi non parlerai con nessuno, solo con me e solo se vorrò sentire la tua voce.»
La strega uscì e Iraen alzò gli occhi a quel soffitto che riproduceva la volta celeste.
Quanto tempo passerà prima che possa rivedere il cielo vero? So che quello che devo fare è importante, ma il sacrificio che mi è stato chiesto è enorme.”
Passandosi la mano dietro l'orecchio sentì sotto la pelle del lobo la piccola pallina. Quella minuscola cosa era la sua speranza, in quella pietra che si nascondeva sotto la sua pelle c'era un incantesimo. Gli avrebbe consentito di mantenere intatta la sua anima, nonostante il mutamento inevitabile, in modo da poter agire quando ormai l'avrebbero creduto innocuo.
Ho giurato sulle ceneri del mio villaggio e sulla tomba di mia moglie che l'avrei vendicata, che avrei avuto giustizia per tutti loro. Avrei dovuto morire con lei, difendendola, invece ero lontano a caccia. È morta senza di me, da sola. Ero così disperato... è stato allora che quel vecchio si è fatto avanti e mi ha portato dalla resistenza. Anche gli uomini hanno la magia, lo credevo impossibile, ma c'è e grazie a essa abbiamo una possibilità. È stata quasi dimenticata, eppure quel vecchio sa il fatto suo, devo solo sperare funzioni.”
La luce della stanza lentamente si abbassò, lasciando solo un vago chiarore e all'uomo non rimase altra scelta, dopo un po', che raggomitolarsi sul pavimento di pietra. Passarono le ore e si trovò ad addormentarsi, per poi svegliarsi, assetato e affamato, molto tempo dopo. Era ancora solo, in penombra, e il bisogno di acqua e cibo non era il più grande dei problemi.
La sabbia della clessidra continuò a scorrere e quando la porta si aprì la luce divenne improvvisamente forte, abbagliandolo. Una strega vestita con un abito nero, bordato da un ricamo di viticci verdi e oro, gli si avvicinò, sfiorò la catena che scivolò fuori dal pavimento e lo guardò, inespressiva.

«La regina ordina che tu sia portato in un luogo più appropriato, seguimi.»
A quelle parole rabbrividì. Voleva chiedere dove, ma le labbra parevano cucite tra loro. Riuscì ad alzarsi e seguì la donna lungo molti passaggi e scale che andavano verso il basso, fino ad arrivare a quello che sembrava un corridoio, dove a intervalli regolari profonde nicchie si aprivano. Avanzarono di poco, la donna gliene indicò una con un gesto annoiato. «Lì, quello è il tuo posto.»
Iraen strinse i pugni, fissando con odio la strega. Avrebbe volentieri reagito, ma se solo cercava di muoversi con intenti aggressivi verso di lei il suo corpo si rifiutava di obbedirgli. Con gli occhi pieni di rabbia entrò in quella specie di stanza senza porta, la catena che spinta dalla donna nel pavimento ancora una volta si fuse con esso. Senza dire altro lei si allontanò e, una volta solo, Iraen scoprì nella poca luce che in un angolo c'era un secchio vuoto. Almeno una delle necessità venne soddisfatta, lasciandogli solo la fame e la sete.
Il tempo scorreva, ma l'uomo ne aveva perso la percezione. Notte, giorno, ore... tutto era uguale. A volte vedeva la regina in piedi contro il leggero chiarore del corridoio: lo studiava, valutava, poi se ne andava.
Aveva continui dolori al corpo, sentiva che cambiava sotto l'influenza della magia delle streghe e la sete, ancor più della fame, lo torturava. Sentiva i denti così secchi da scricchiolare, la lingua gonfia e deglutire era inutile: il suo corpo pareva secco come la sabbia del deserto.
Come posso essere vivo? Sono passati giorni senza una sola goccia d'acqua, ma sono ancora qua. Che faccia parte del mutamento che trasforma un uomo in un hilm'een?”
Nel buio non poteva vedersi, ma passandosi le mani sul volto aveva sentito la pelle liscia; la barba non c'era più e le sue braccia sembravano diventate più esili.
Sto cambiando, sapevo sarebbe successo, mi sono lasciato catturare per quello. Ho dovuto fingere di fuggire, essere convincente. Ho obbedito al vecchio druido, ma non mi ha detto tutto. La regina ha parlato di una profezia. Lui doveva sapere, ma non ha detto nulla, mi ha solo detto che io ero l'uomo giusto, che nel mio futuro c'era la possibilità di far crollare la tirannia delle streghe.”
«Iraen.»
Avrebbe riconosciuto quella voce ovunque, l'aveva sentita solo per pochi minuti, ma sapeva che era lei, la regina. Aprì gli occhi: non l'aveva sentita arrivare eppure, nella penombra, la figura della donna coronata di corna era davanti a lui. Un bagliore delicato, che non gli feriva gli occhi, prese forma sul palmo di lei che lo posò, come fosse stato un oggetto, sulla parete. Il quel chiarore argenteo la vide prendere una grossa ampolla da una sacca che aveva con sé, vuotando il liquido in una coppa che aveva estratto da quello stesso contenitore.
La sete dell'uomo sembrò farsi di colpo più intensa e la sua attenzione fu completamente calamitata dai movimenti della strega. Agitò il liquido con un sottile rametto d'edera con ancora alcune foglie attaccate, poi con un falcetto di pietra si ferì il palmo della mano e tre gocce di sangue caddero nel liquido.
«La mano, Iraen.» Senza una vera intenzione si trovò a porgere il palmo alla regina, che lo incise e fece cadere lo stesso numero di gocce del suo sangue. Lei mescolò di nuovo, soffiando poi sulla superficie e mormorando parole che lui non comprese, poi sorrise. «Sei pronto. Lo sento e lo vedo, la trasformazione è compiuta e tu sei vivo, come mi aspettavo. Bevi, così sarai mio. Bevi, Iraen, e potrai rivedere il cielo, mangiare e bere.»

Lui la guardò per un lungo istante, passandosi la lingua sulle labbra piene di tagli e secche.
Bere, quella prospettiva lo monopolizzava.
Gli sembrava di sentire il liquido scendere lungo la gola, dissetarlo.
Bere.
La regina inghiottì un sorso, poi gli porse il calice e lui lo afferrò; un vago profumo di spezie gli sfiorò l'olfatto. Sapeva che quello era il punto di non ritorno.
Non ritorno a cosa, però? A una vita senza felicità, senza Ynis, perennemente nascosto per paura di vedere di nuovo la morte attorno a me e su chi amo. Se accetto avrò la mia vendetta e porterò la fine della tirannia delle streghe. Il druido ha detto così. Non mentono, mi hanno detto. Quelli come lui non dicono mai bugie, ma non è detto che dicano tutta la verità, però.”
Guardò per un istante ancora le iridi della regina, azzurre come il cielo, e si decise.
Per i dubbi è tardi, non ho scelta.”
Si portò la coppa alle labbra e il liquido scese dolce e fresco lungo la gola. Sembrò dissetare ogni parte del suo corpo, dissolvendo la sete e la fame, come se non ci fossero mai state. Finì di bere e si passò la lingua non più gonfia sulle labbra ora sane.
«Dimmi il mio nome, Iraen.»
Lui la fissò, vedendoci in quella luce lunare come se fosse giorno. Lo sapeva, conosceva il nome di lei. «Aislin.»

La strega sorrise, avvicinandosi fino a sfiorare la catena attaccata al collare, che si aprì. «Seguimi.»
E così Iraen fece, conservando desta una parte della sua antica natura umana che si mescolava a quella che gli aveva inoculato la strega.
Era un hilm'een, ora. Eppure, allo stesso tempo, non lo era.

 


Grazie a tutti quelli che hanno letto la storia, se vi piace fatemelo sapere, fa bene alla mia autostima!
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Capitolo 2
*** 2 - La via dellla pace ***







I passi tra lui e l'esterno erano sempre uno in più di quelli che aveva il permesso di fare. Per quanto cercasse di rendere ampia la falcata, il massimo risultato era stato intravedere una lama azzurra oltre le porte della città sotterranea, sfiorando la soglia con la punta delle dita, dopo essersi teso al massimo. Gli mancava immensamente l'aria profumata della foresta, il sole, la volta stellata e il vento sul viso. Gli mancava la sua libertà. Una parte di lui urlava e soffocava a causa di quello, mentre quella completamente hilm'een amava la vita sotterranea che conduceva, con le sue catene. In lui convivevano e si intrecciavano le due nature. Quella hilm'een, a causa dell'incantesimo del druido, non era diventata l'unica in lui. Doveva celare i sentimenti che la parte umana scatenava, ubbidendo ad Aislin in tutto e per tutto. Era stato difficile, a volte gli pareva di vedere il volto di sua moglie, Ynis, fissarlo con tristezza quando condivideva il letto della regina. Aveva amato, e tutt'ora amava, la donna che aveva sposato anni prima. Ricordava perfettamente la sua chioma così chiara da sembrare fatta di raggi di luna, soffice e sempre profumata. Aveva avuto occhi grigi, espressivi e grandi, dolci e colmi di gentilezza. Era stata tutto, per lui. Quando aveva trovato il suo cadavere aveva urlato, in preda al dolore e alla furia, sfiorando la pazzia.
Se non fosse stato per la sua parte hilm'een non avrebbe potuto trattenersi dal rivoltarsi contro ogni strega. Invece docilmente chinava il capo, ubbidendo a ogni ordine, sorridendo e chiamando Aislin regina, padrona, signora.
Guardò con occhi malinconici la porta che dava all'esterno, che si intravedeva oltre la curva del grande cunicolo, per poi voltarsi. Non era stata una passeggiata fortunata, neanche quel giorno aveva potuto rubare un frammento di cielo. Sbuffò, i piedi nudi che non facevano nessun rumore su quella pietra levigata e gli occhi, che ora vedevano benissimo in quella luce che appena arrivato aveva giudicato scarsa, che coglievano distintamente ogni particolare che lo attorniava. Erano passati mesi e mesi, quasi un anno da allora, eppure non era ancora riuscito nel suo intento. Si rendeva conto che l'incantesimo del vecchio druido non era fallace, non del tutto, almeno. Eppure se cercava in qualche modo di nuocere ad Aislin gli incantesimi del collare si attivavano e lo rendevano inoffensivo, fino a ridurlo a una palla urlate di dolore che si dibatteva al suolo.
“Pensavo che la soluzione fosse ucciderla, eppure non riesco a nuocere né a lei né a nessuna strega. Quel maledetto vecchio e i suoi enigmi!”
Continuò a camminare tenendo lo sguardo basso e muovendosi ai margini delle strade, il collare lo identificava come l'hilm'een della loro sovrana e per quello nessuno gli dava noia, se si comportava in modo da non dare nell'occhio. Sperò nessuno gli chiedesse dove era stato; a volte Aislin sembrava vedere oltre le apparenze e aveva paura che conoscesse il suo segreto, la presenza di quella parte ancora umana in lui.
Arrivò al palazzo vero e proprio e, entrando dalle vie riservate ai servitori, si diresse alle cucine. Era quasi ora di pranzo e uno dei suoi doveri era servire Aislin. Che fosse un pasto solitario nelle sue stanze o condiviso con la corte, era lui a doverle portare il cibo e versarle acqua e vino.
«Dov'eri?»
«Fuori.» Iraen sorrise appena all'hilm'een che lo guardava con aria inquieta. Non riusciva più a odiarli o a provare ribrezzo, non si poteva davvero rifiutare quello che veniva fatto. «Baor, ora sono qua, non è tardi e non è ancora l'ora del pasto.»
«Lo so, ma non è normale che tu esca. Non è vietato, ma...»
Sorridendo appena Iraen si appoggiò contro il muro, srotolando le ampie maniche della camicia immacolata e chiudendole ai polsi. L'altro strinse gli occhi di un colore castano intenso, quasi dorato, osservandolo con attenzione.
«Ti ho detto di non preoccuparti.»
Baor annuì, si guardò attorno e certo di essere solo con Iraen lo fissò, afferrandogli i lati del capo. «Iraen, non so cosa tu faccia e perché, ma non farti mai scoprire. Ho visto hilm'een implorare di morire sotto le mani delle streghe eppure continuare a vivere, urlando di dolore fino a perdere la voce, l'anima e impazzire. Tu non hai visto, non voglio perdere un amico.»
Qualcosa nel modo in cui l'altro gli parlò lo mise in allerta. «Cosa intendi?»
«Credi di essere l'unico a conservare qualche traccia del proprio passato? Io non ricordo molto, solo qualche vaga immagine, però penso tu abbia conservato molta più memoria di me di quando eri umano. Non assecondare quella parte, è pericoloso. Se continuerai a scavare verrà a galla, lo scopriranno e sarai torturato per giorni, settimane, a volte mesi. Ti terranno in vita con la magia usandoti come esempio per tutti noi. Non voglio che ti succeda quindi dimentica, Iraen.»
Pallido, decise di dire all'altro una mezza verità. Sapeva di potersi fidare di lui, aveva scoperto che tra gli hilm'een c'era una sorta di silenzioso cameratismo e Baor era fidato. «Ricordo il cielo, mi manca, cerco di vederlo attraverso la porta.» Era la verità, ma non certo tutta, e poteva spiegare benissimo le sue assenze sempre più frequenti, tanto che avevano spinto l'altro a scoprirlo e a parlargli. «Le stelle, le nuvole, la luna e il sole... voglio solo cercare di rivederli.»
Dopo un lungo istante l'altro gli lasciò il volto e annuì. Come tutti gli hilm'een, lui compreso, aveva tratti androgini, delicati, privo di barba e di corporatura sottile. «C'è altro, vero?» Baor sorrise appena, con un angolo delle labbra. Gli si fece più vicino, posandogli una mano sulla spalla e portandosi con le labbra al suo orecchio, così vicino che le sentì sfiorarlo. «So che non mi stai dicendo tutto, Iraen. Non so spiegarmelo, ma tu sei diverso. A volte nei tuoi occhi c'è una luce che riconosco, un fuoco che in me è stato spento. Vedo i desideri che si agitano dentro di te, le ombre che nascondi. Noi siamo fiammelle, candele in una grotta oscura... tu ardi. Sei un fuoco potente che cerca di nascondere il suo splendore.»
«Baor, cosa...»
«Zitto, Iraen.» Gelato dall'apprensione, rimase immobile quando Baor si appoggiò a lui, sentendo le labbra che gli sfioravano di nuovo l'orecchio e il fiato caldo accarezzarlo, mentre riprendeva a parlare con voce sussurrata e quieta. «Tu sei una luce senza cui non potrei più vivere. Manterrò il tuo segreto, però stai attento.»
Afferrando con gentilezza una ciocca rossa dell'altro, Baor se la girò attorno alle dita, seguendone la lunghezza per poi scostarsi con un mesto sorriso sul volto.
Iraen, immobile, fissava l'altro che ancora teneva tra le dita la sua ciocca. Sapeva che tra gli hilm'een certe amicizie erano decisamente intime, ma la cosa non lo interessava e non ci aveva mai pensato. Affetto e amore erano sentimenti che un hilm'een poteva riceve solo da un altro della stessa razza, le streghe non provavano nulla, per loro. Li possedevano, li usavano per procreare e negavano loro di considerarsi padri del frutto che avevano contribuito a creare. Erano animali da compagnia, schiavi, erano trattati bene sotto molti aspetti eppure non erano loro concessi veri diritti. Erano creature che avevano plasmato con la magia, togliendo loro ogni ricordo e identità per renderli docili.
Sapere che Baor provava qualcosa, per lui, l'aveva spiazzato.
«Io, io non... non...»
«So benissimo che è no.» L'altro lasciò cadere i suoi capelli e sogghignò. «Magari prima o poi ti sentirai solo e cambierai idea, ma non è questo il punto. Non farti scoprire, testa rossa.»
«Se continuiamo a rimanere nascosti in questo angolo qualcuno scopre qualcosa di sicuro.» Sbottò Iraen, imbarazzato, uscendo da quel punto in ombra. La cosa, però, poteva rivelarsi interessante, pensò con mente fredda mentre oltrepassava l'ultima svolta per le cucine. Se tutti avessero pensato che lui e Baor erano una coppia di amanti, se fosse stato assente come quel mattino avrebbero pensato che era con lui. Poteva, però, coinvolgere l'altro, ingannarlo e usarlo?
“Baor è prima di tutto un amico, mi ha aiutato così spesso... senza di lui sarei impazzito, lo so. Non posso fargli questo, non posso usarlo e mentirgli.”
Entrò nell'enorme cucina, dove i camini senza fumo producevano un calore decisamente fastidioso. La grande tavola poco lontano cominciava a caricarsi di vassoi che la cuoca e le sue aiutanti, tutte streghe a parte qualche hilm'een, riempivano di cibo sistemandolo in modo da presentarsi artisticamente.
«Sei qua, finalmente!» Era stato apostrofato dalla cuoca, una strega con un viso morbido e fiammeggianti e corte ciocche scarlatte che sembravano vive sul suo capo. «Avevo una mezza intenzione di mandarti a cercare da una guardia, vuoi essere punito?»
«Chiedo scusa, signora. Ero distratto e non mi sono accorto dell'ora.»
«Prendi il vassoio della regina e portaglielo immediatamente! Se non ci sei tu non possiamo iniziare!»
Chinando la testa assunse un'espressione contrita, prese il vassoio di lucido argento su cui era sistemato il cibo e si avviò, indossando al suo meglio la maschera mite e docile che era il volto di ogni hilm'een.


 



Le luci della camera da letto della regina erano basse, il soffitto di pietra era di liscio quarzo rosato, inciso a motivi spiraleggianti intrecciati tra loro. Odiava quando veniva convocato lì, lo detestava. Non sopportava di dover tenere tra le braccia Aislin come se fosse il suo amante innamorato, ma era quello che lei voleva e a un ordine non poteva disubbidire. Nel tempo il senso di colpa nei riguardi di Ynis aveva smesso di tormentarlo ferocemente. Sua moglie era morta, non poteva rammaricarsi vedendolo con la strega, non poteva soffrirne, eppure, se dall'Aldilà lo vedeva, era certo che avrebbe compreso. Non aveva smesso di amarla, anche se quel sentimento non era più quello di una volta. Non era meno forte, era solo diverso, mitigato dal tempo che aveva sciolto gli spigoli del suo dolore, posando con dolcezza il nucleo di quell'amore in un punto della sua anima dove avrebbe vissuto per sempre.
«Vieni qua.»
La voce di Aislin era melodiosa come sempre, mentre lo invitava a salire sul letto coperto di pellicce. Ubbidiente, si sedette sul bordo, osservando di sfuggita la sua figura nel grande specchio mentre passava davanti a quella superficie argentea. Quella era un'altra delle ragioni per cui odiava essere convocato in quel luogo, uno dei pochissimi di tutto il Palazzo di Pietra in cui ci fosse uno specchio.
Vedersi era stata, agli inizi, un'esperienza terribile.
Non si riconosceva nel suo riflesso, non era più un uomo, non era più Iraen: ne aveva perso le fattezze mutando in quell'aspetto delicato. I suoi occhi erano diventati di un verde più chiaro e la pupilla si era fatta verticale; la pelle era coperta da sottili linee blu, appena visibili in realtà, che creavano un disegno simile a un rampicante.
«Volete che vi baci, padrona?»
«No, oggi no. Voglio solo che tu mi dia piacere, dopo avrò una notizia per te.»
Lui ubbidì, giacendo con la regina delle streghe come faceva da lunghi mesi, fino a quando non fu lei ad allontanarlo, soddisfatta, con un leggero sorriso.
Iraen aveva scoperto quasi subito che le corna erano solo un abbellimento, trovando che senza la pittura e quelle collane di ossa e zanne fosse simile a ogni altra donna. Con lentezza scese dal letto; non era stato congedato, ma sapeva che non poteva rimanere su quelle pellicce. Si portò quindi verso la porta, aspettando di essere accomiatato. A volte accadeva che non lo mandasse via subito, facendolo aspettare anche ore, completamente dimentica di lui. Mentre attendeva la strega però gli fece un cenno e Iraen si avvicinò, inginocchiandosi accanto al lato del letto, guardando Aislin sedersi e stiracchiarsi.
«Hai finalmente compiuto il tuo dovere, la profezia si è compiuta e nessuno, ora, potrà più cercare di minare o intralciare i miei piani. Attendo una figlia e pensavo fosse giusto informarti.»
Qualcosa, in Iraen, si incrinò. Nella sua anima, con il rintocco potente e fastidioso di una campana crepata, quelle parole risuonarono. Aislin era incinta. La strega che odiava più di chiunque altra, a cui si era piegato per perseguire solamente i suoi scopi, attendeva una figlia ed era anche sua.
“No... il druido non aveva detto questo, aveva detto che avrei vendicato chi amavo, che avrei portato la pace tra le due razze.
Le sue parole esatte, però, sono davvero state quelle, o ha lasciato che le interpretassi come volevo io? Ha voluto che seguissi il suo scopo credendolo mio? Non posso ucciderla, gli incantesimi mi vincolano. Non posso fare nulla, imprigionato con catene invisibili. Il druido mi ha ingannato, è in combutta con le streghe?”

Eppure non era possibile che lo fosse. Aveva difeso durante tutta la sua vita quelle terre, celandole agli occhi delle Cail'ka, delle maestre delle cacciatrici. Lui, e gli altri druidi, erano sparsi nelle terre di confine dove la vita era dura, in bilico, ma dove potevano garantire la libertà degli uomini che si avvicinavano ai loro sacri cerchi di pietre.
«Non hai nulla da dire? Mi pari sorpreso, non pensavi che sarebbe accaduto?»
Aislin vide quelle iridi dello stesso colore delle piccole foglie primaverili guardarla piene di confusione, odio e angoscia. Non si era mai illusa di avere meno dell'odio da parte di Iraen, nessuna strega poteva essere amata da un hilm'een. «Pensi che non veda la tua anima, Iraen? Sono la regina, la più potente del mio popolo, la più vecchia. Non si direbbe, vero? Ma ho più di trecentocinquanta anni di vita. Ho visto il nostro popolo uscire dalle ombre e riprendersi ciò che li spetta di diritto: voi avete dimenticato, noi no.»
«Padrona, io...»
«Taci, Iraen. La verità non mi è mai stata celata, vedo perfettamente l'uomo, in te. Non so come sia stato possibile, o perché, ma tu sei diventato un hilm'een senza dimenticare la tua vita umana, mantenendo quella parte di te intatta. La vedo nei gesti, negli occhi, la sento nella tua voce. La Cail'ka mi aveva avvertito che non eri domato, ma volevo osservarti e gli incantesimi ti impediscono di nuocermi. Il tuo popolo non ricorda, vero, quello che ci avete fatto?»
«Siete uscite dalle ombre della foresta, cavalcando orsi e cinghiali, lupi e cervi, armate di una magia che avevamo dimenticato. Avete ucciso i nostri eserciti evocando creature mai viste prima, facendo piovere maledizioni dal cielo e oscurando il sole. Siete uscite dal ventre della terra come una malattia, strappandoci la vita e la libertà!» Strinse i pugni, mentre dimentico di tutto fissava senza celare più la sua natura umana la strega. Non poteva neppure toccarla senza il suo permesso e mai come in quel momento aveva desiderato ucciderla, vedere il suo sangue e la luce abbandonare quello sguardo.
La risata di Aislin era triste, bassa, mentre si alzava dal letto e si avvolgeva una sottile stoffa verde attorno ai fianchi. «Credete di sapere tutto, stupidi umani. Vivete così poco, per pochi anni in confronto a noi, eppure avete l'arroganza e la pretesa di essere i detentori dell'unica verità.
«Voi non ricordate più chi ci spinse nel cuore oscuro della Madre. Chi ci costrinse a scomparire nei cunicoli di pietra. Ci avete chiamato il popolo delle tenebre, raccontando ai vostri figli favole di malvagie donne che uccidevano e si cibavano di neonati per nascondere la vostra colpa. Siete stati voi umani a darci la caccia, a ucciderci, a strapparci dal ventre le nostre figlie. Ciò che è differente fa paura. Bisogna voler comprendere, capire, essere aperti al diverso e voi non lo siete mai stati. Siete arrivati nelle nostre terre da oltre le nebbie, fuggendo a un conquistatore che vi aveva strappato la libertà, bruciando le città dove vivevate e i vostri boschi. Eravate qua come mendicanti, supplici, e vi abbiamo accolto, dandovi terre e vivendo con voi sotto il sole. La prima piaga che avete portato alla nostra gente è stata la malattia: ogni maschio della nostra razza iniziò a morire, nulla che potevamo fare fermava l'epidemia. Lentamente, senza uomini, la nostra razza si stava estinguendo. Trovammo il modo di generare nuove vite e alcuni di voi, inizialmente, si offrirono per il mutamento. I primi hilm'een erano uomini liberi, che mantenevano memoria e umanità intatte. Ciò portò a un certo equilibrio, ma nascevano solo femmine, dovevamo quindi affidarci sempre a voi per poter avere nuove vite dentro di noi. Eravamo pacifiche, schive, mentre voi eravate un popolo di guerrieri alti e forti, eppure c'era equilibrio.
«Volevate di più, però. Avevate iniziato a guardare alle nostre città, ai nostri poteri, alle nostre conoscenze, pretendendo di avere quello che sarebbe bastato chiedere con gentilezza. Dimenticaste di essere stati accolti con benevolenza e alzaste le armi centro di noi, iniziando a darci la caccia. Improvvisamente i nostri poteri non erano più comodi, per voi, ma fonte di paura. Nacquero storie su rituali crudeli, su malvagità e atrocità che le streghe commettevano ai danni degli umani. Noi, che mai avevamo impugnato un'arma, ci trovammo braccate, assediate in città prive di mura, ridotte a un numero sempre più esiguo fino a quando mia nonna, riunendo tutte le superstiti, non creò la prima città sotterranea nascosta dagli occhi degli uomini.»
«Non può essere vero, tu menti!» Iraen ringhiò. Tutto quello era impossibile!
«Mento? Hai in te la memoria del mio popolo, come ogni hilm'een. Devi solo volerla vedere.»
Iraen si alzò, sentendo le catene della magia che gli impedivano di avanzare verso la strega e colpire quella bocca menzognera. «Quindi noi saremmo arrivati da qualche altro posto, e saremmo noi ad aver iniziato tutto questo? Ad avervi perseguitato per prime?»
«Esatto.» Aislin strinse una larga fascia di un verde più cupo attorno al seno, legandone i capi al di sotto. «Abbiamo dovuto sopravvivere nel sottosuolo, uscendo di notte nei luoghi più selvaggi, imparando a sopravvivere, combattere, a modificare la nostra magia in mondo che fosse anche offensiva. Rapivamo bambini e bambine, mutandoli per non estinguerci, quando era necessario, questo è vero. Però la malattia è stata portata da voi. Mia madre credeva che fosse stata creata con la magia: era un male inspiegabile, che nulla poteva fermare. Uccideva ogni maschio, uno dopo l'altro, senza pietà. Lei era piccola, ma aveva visto morire il padre, gli zii e i fratelli. Aveva ancora nelle orecchie le grida disperate, il dolore, i fuochi delle pire funerarie che sembravano non spegnersi mai. Anche voi avevate una specie di magia, i vostri saggi sono chiamati druidi e in quel lontano passato vi hanno guidato attraverso le nebbie che uniscono e separano i mondi, in un tentativo disperato di fuga. Questa è stata la gratitudine di un popolo che ha morso la mano di chi gli ha offerto ospitalità, terre, e un nuovo inizio.»
Sentendosi assalito da tutto quello, incredulo, l'hilm'een si trovò a scivolare di nuovo in ginocchio. La consapevolezza di cui la strega aveva parlato, quella memoria comune a chiunque avesse il sangue delle streghe nelle vene, era emersa.
“Vero, è tutto vero. Siamo noi ad aver iniziato e ora non posso più pensare che siano loro il male. Certo, ci braccano, ma cosa abbiamo fatto noi, a loro?
Il druido sapeva. Quel vecchio conosceva benissimo tutto questo! Perché mi ha mandato qua, allora? Non era per ucciderla, ora ne sono certo. Me lo ha lasciato credere per spingermi lungo questa strada. Mi ha ingannato, ma qual è il suo vero scopo?”

«Pensi che non sappia, Iraen, che il tuo unico desiderio è uccidermi? Ma ho voluto credere che ci fosse un'altra strada.» La strega si avvicinò, sedendosi sul bordo del letto e posando la mano sul capo dell'hilm'een, dal volto pallido e angosciato. Sentiva i dubbi che lo attanagliavano, le sue certezze sgretolarsi.
Vedeva, nella sua mente, quello che lei aveva narrato.
La memoria ancestrale del suo popolo era alla portata di tutti, streghe e hilm'een, una volta che la via fosse stata indicata. Le sue parole l'avevano evocata e ora le vite delle streghe del passato vibravano in lui, confondendolo e sopraffacendolo.
«Potrebbe esserci una strada pacifica, che unisce uomini e streghe. Questa figlia potrebbe inaugurarla, ma ho bisogno del tuo aiuto. La profezia è oscura, come ogni predizione confonde e agita le acque del futuro, dandoti una visione nebbiosa di quello che potrebbe essere. Però sono incinta e tu sei rimasto in parte umano, come i primi hilm'een.»
Iraen alzò gli occhi, guardando quelli della regina.
Non l'aveva mai vista così.
Non l'avevi mai voluta vedere così.
“Era solo e sempre la strega da uccidere e odiare, ora è solo una vittima quanto me. Una donna che non vuole vedere il suo popolo perire, che sente le grida di ogni altra strega morta, del lutto, del dolore di generazioni. Ora vedo una regina lungimirante che vuole il meglio non solo per la sua gente, ma un futuro pacifico. Era meglio non sapere tutto questo, ma ora che lo so, tutto è cambiato, tutto è difficile. No, non è vero, sono io a essere diverso.”
«Cosa dice la profezia?»
«Non sono parole, è un'immagine.» Aislin sospirò appena, lo sguardo stanco. «Ci sono io con una giovane strega dai capelli rossi, e poi ci sei tu. Attorno a noi c'è quello che rimane di una battaglia, ma uomini e streghe sembrano uniti.»
Annuendo appena, Iraen si passò la mano sul volto. «Non aiuta molto.»
«No, ma quando ti vidi nella mente di una delle streghe che aveva avuto il compito di inseguire e fuggitivi di un villaggio, capii subito che l'hilm'een della profezia eri tu. Ti ho fatto catturare dalla migliore delle Cail'ka e ora sono incinta. Se fino a qua è tutto vero, quello da capire è come sia possibile quell'alleanza, e come mai siamo su un campo di battaglia. Voglio la pace, Iraen. Voglio che che ci sia almeno una tregua tra umani e streghe, in modo che nessuno debba più schiacciare l'altro per poter sopravvivere. Il mio popolo ha paura, però, che lasciando la libertà al tuo si ripeta di nuovo tutto e si comporta con crudeltà. Gli uomini dimenticano, sono preda di paure e viltà più di chiunque altro. Eppure sono in grado di sentimenti nobili quanto quelli di qualunque strega.»
«Perché mi stai dicendo ora tutto questo, Aislin?»
«Perché ho bisogno di te, Iraen. Del tuo aiuto per un progetto così grande da essere spaventoso. La pace.»
«Di me? Cosa posso fare, io? Sono uno schiavo che può solo assecondare ogni tuo volere, ordina e obbedirò lo stesso, che lo voglia o no.»
L'amarezza nella voce di lui colpì la regina. Era vero. «È per questo che ho bisogno del tuo aiuto spontaneo, il primo passo per la fiducia è che gli hilm'een non ci odino. Noi abbiamo paura di voi, ma abbiamo bisogno di uomini, di mutarli; ne cancelliamo la memoria per assicurarci che non ci tradiscano e li vincoliamo all'ubbidienza. Questa è paura. Il primo passo è la fiducia, costruire con gli hilm'een una tregua, un patto. Sarai tu a mettere le basi.»
«Certo, ora vado da ogni altro hilm'een e gli dico che dobbiamo metterci una pietra sopra, volervi bene e che così andrà tutto a posto. Non possiamo toccare voi, ma credo che mi sveglierei con la gola tagliata. Cioè, non mi sveglierei più.» La risata di lui era amara, scettica.
«Abbiamo molto tempo davanti, se condividerai il mio sogno possiamo farcela. Non vuoi la pace, Iraen? Non vuoi che gli uomini e le streghe tornino a convivere senza paura, senza morti e in piena armonia? Ora sai anche tu com'era un tempo; noi tutte lo sappiamo, ma abbiamo paura. Se vedendo che voi, per primi, non vi rivolterete contro di noi, forse potrò avere vero sostegno in consiglio e muovere i primi passi.»
«Parliamo di anni, Aislin.»
Lei annuì, accennando un sorriso. «Non abbiamo molto altro da fare, però, no?»
Iraen rifletté, mentre la memoria delle streghe e le parole della Regina delle Corna si mescolavano e il suo dolore, il suo rancore, assumevano una dimensione diversa.
Sorridendo a sua volta, annuì.
La pace non era un brutto ideale a cui dedicarsi.

 

 

 


Grazie a tutti quelli che hanno letto la storia, se vi piace fatemelo sapere, fa bene alla mia autostima!
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Capitolo 3
*** 3 - Il Druido ***








Era stata una lunga giornata, le streghe si erano riunite e le reggenti del Palazzo di Fuoco e d'Acqua, gli altri due insediamenti sotterranei, avevano dopo lunghe discussioni accettato il piano di Aislin.
Iraen si era tenuto in disparte, seduto con altri hilm'een nel punto più lontano del consiglio aperto a tutti. L'enorme caverna che ospitava la più grande piazza del Palazzo di Pietra era gremita. Streghe e hilm'een da ogni Palazzo erano arrivati lì. In quei sette anni era cambiato molto, ma solo quel giorno aveva capito davvero quanto il sogno suo e di Aislin potesse davvero funzionare.
Sospirando si incamminò lungo i corridoi della corte interna, dirigendosi verso le stanze di Enda. La bambina aveva sette anni ora, una fiammeggiante chioma rossa e iridi dello stesso blu profondo della madre. Sorridendo appena, Iraen aprì la porta e la vide addormentata al centro del letto, circondata di pupazzi e con la sua volpe acciambellata al suo fianco.
L'animale aprì gli occhi per un solo istante, per poi tornare a sonnecchiare. Sedendosi al bordo del letto scosse piano la piccola, che dopo qualche momento aprì gli occhi, illuminandosi nel vederlo.
«Iraen!» Lei tese le braccia e lui la prese, facendola sedere sulle sue ginocchia. «Mi sei mancato. Bawi diceva che saresti arrivato, ma mi sono addormentata aspettando. Ho fame adesso.»
Guardando la volpe, lui annuì. Che le streghe parlassero con gli animali a quel modo era un fatto che suscitava ancora una certa meraviglia in lui, anche se potevano comunicare solo con quelle bestie con cui avevano stretto un legame.
«Bawi è una volpe saggia, dovresti darle più ascolto.»
«Sì.» La piccola si guardò in giro, posando distrattamente un bacio sulla guancia di Iraen. «La mamma dov'è?»
«Ora andiamo da lei.» L'hilm'een si alzò, incamminandosi con la piccola tra le braccia.
La sentì accarezzargli il collo, sospirando piano. Come ogni strega aveva accesso alla memoria ancestrale del suo popolo, anche se essendo così piccola ancora ne aveva una visione limitata. «Perché non posso chiamarti papà?»
Iraen si irrigidì, ma fortunatamente non c'era nessuno in giro. «Sai che non puoi. Sono Iraen, solo Iraen.»
«Però sei il mio papà. So cosa sono i papà, lo ho visto. Una volta tutte le bambine avevano un papà.»
«Enda, non dirlo più. Se non siamo soli, non dirlo più. Ci sono stati tanti problemi e i papà sono andati tutti in un posto da dove non si può tornare. La regina di allora ha...»
«...ha chiesto agli uomini chi tra loro volesse il nostro sangue, diventare hilm'een. Però erano troppo pochi per essere un papà per ogni bambina.» La piccola, che lo aveva interrotto, lo fissò con uno sguardo particolarmente saggio e antico, che non le si addiceva affatto. «Lo so che non è tutto così. Faccio tanti sogni, ultimamente. Mi fanno paura, ma Bawi dice che sono cose che non possono farmi male e su cui devo pensare. Io mi ricordo quando portavi il collare. Ricordo che poi anche tutti gli altri non lo hanno più portato e che la mamma piangeva. Tu eri con lei e le dicevi di non aver paura.»
Iraen rabbrividì. Come poteva ricordarlo? Era accaduto quattro anni prima!
Aislin aveva lavorato duramente in modo che i consigli dei tre palazzi accettassero di vivere in una sorta di parità con gli hilm'een. La paura era stata una nemica dura da sconfiggere mentre lui lavorava sul fronte degli altri suoi simili cercando di far vedere loro le possibilità che quella nuova strada dava a tutti. Potevano scegliere se rimanere o andarsene, anche se purtroppo il processo non era reversibile: una volta mutati in hilm'een non si poteva tornare umani. Così erano emersi sentimenti tenuti celati, non tutti loro odiavano le streghe. Tutto sommato non erano mai stati maltrattati davvero, solo la mutazione era stata dolorosa e le punizioni avvenivano solamente quando si compiva un atto di aperta disubbidienza che poteva risultare dannosa all'intera comunità. Certo, il vincolo di non poter nuocere alle streghe era doloroso se si cercava di aggirarlo, ma non avevano mai davvero motivo di farlo. Una volta che i collari erano stati tolti, la mancanza di problemi aveva rafforzato la posizione di Aislin e il suo progetto aveva iniziato ad apparire meno impossibile. Gli hilm'een rimanevano ancora il gradino più basso della società, eppure la differenza era notevole. Lavorare con le streghe per un obbiettivo comune stava aprendo possibilità che nessuno di loro credeva possibili. Agognavano il cielo e l'aria libera, poter uscire senza temere gli umani. Perché, anche se un tempo lo erano, erano temuti e odiati al livello delle streghe e lo avevano imparato a loro spese. Gli uomini non capivano, non sapevano, e quando avevano cercato di tornare alle loro vecchie case erano stati scacciati, torturati o uccisi.
Non si poteva tornare indietro, si poteva solamente andare avanti.
Ecco perché ora ogni hilm'een desiderava quanto lui quella pace, l'unica direzione rimasta a ognuno di loro era quella.
Iraen si sistemò meglio la bambina tra le braccia, attraversando corridoi ora più affollati, fino alle porte degli appartamenti personali di Aislin. Bussò e gli venne aperto da una delle sue dame.
Mise giù la piccola che corse dalla madre, riempiendole il viso di baci.
«Ho fame.» disse con voce decisa. «Anche Bawi vuole mangiare!» Aggiunse dopo un attimo, indicando la volpe rossa che li aveva seguiti, seduta poco lontano.
«Allora vai con Morwen, credo che in cucina ci siano ancora dei dolci, ma solo se prima mangi il resto.»
La bambina annuì, l'ancella le tese la mano e, a un gesto della loro regina, ogni altra strega uscì dalla stanza.
Aislin guardò con un sorriso stanco eppure colmo di entusiasmo l'hilm'een davanti a lei. «Vogliono anche loro fare il passo della fiducia. Presto anche nel Palazzo di Fuoco e al Palazzo d'Acqua gli hilm'een saranno liberi dai collari.»
«Ci abbiamo messo solo quattro anni a convincere le altre due città.» Iraen s sedette accanto alla strega, fissandola. Non c'era più odio nel suo cuore, tutt'altro. «Ora qual è il prossimo passo?»
Aislin si alzò, andando al tavolo della stanza accanto su cui erano aperte alcune mappe.
«Le Cail'ka ci riferiscono di una divisione tra gli uomini. Il tuo consiglio di iniziare un dialogo con i capi dei rispettivi villaggi sotto il nostro dominio sembra avere successo. In questi anni abbiamo ottenuto una certa collaborazione dai più. A quanto pare avevi ragione, i druidi hanno qualcosa a che fare con il mutamento. Lavorano da dietro le quinte influenzando il popolo per invogliarlo a collaborare e a guardare avanti, senza affondare nella melma del rancore e dell'odio.»
«Sono serpi.»
«Questo è un complimento, Iraen»
L'hilm'een sorrise, osservando la mappa su cui con diverse scritte Aislin teneva aggiornato l'andamento delle ostilità. «Lo so. Lo ho detto come lo direbbe una strega, non un uomo. I serpenti custodiscono i segreti della terra ed escono dal suo ventre, figli di una madre antica e potente. Così sono i druidi, credo abbiate molto in comune.»
«Resta il fatto che gli uomini si stanno dividendo in due fronti, ai confini dove non possiamo permetterci di agire, nei punti più lontani, si radunano dando forza a quelli che chiamano i territori liberi. Stanno dando inizio a un vero e proprio regno.»
«Lasciali fare.» Iraen disse, stringendosi nelle spalle. «Che vivano come vogliono, quel territorio è lontano, inclemente e duro. Se riusciranno a prosperare lì, se lo saranno guadagnato.»
«Non guardi abbastanza lontano.» Aislin si sedette al bordo del tavolo, il viso dipinto con una larga linea rossa orizzontale che prendeva gli occhi. «Non agire alla lunga darà loro il modo di rafforzarsi. Sarebbero una minaccia continua e costante, ricorda che non abbiamo un vero esercito come lo intendono gli uomini. Noi streghe combattiamo, ma non siamo veri soldati.»
«Ci avete decimato e soggiogato, però.» L'ombra dell'antico rancore sfiorò la voce di lui e la regina sospirò.
«A quale prezzo, Iraen? Mosse dalla disperazione e dal dolore ci siamo spinte oltre il punto che rende una strega ciò che è, seminando morte e corrompendo la nostra magia perché fosse in grado di dar luogo al male, forgiandola in un'arma. Siamo morte, dimezzando il nostro numero, crescendo nel ventre della terra nuove generazioni che vivevano l'orrore della guerra e il suo dolore. Bambine che si svegliavano urlanti rivivendo il sangue sulle punte delle lance e l'agonia di una ferita mortale. No, Iraen, non vivremo con le zanne di quegli uomini sul collo.»
La mano di lui si mosse in un gesto carico di amore e con dolcezza sfiorò il viso di Aislin, avvicinandosi fino a posare un bacio lieve sulle labbra di lei.
«Quindi li ucciderai tutti?» la voce di lui si abbassò, dura e dolce. «Sai meglio di me che non è quello che vuoi.»
«Quello che voglio e quello che devo raramente coincidono.» Alzò il mento, guardando con occhi duri come zaffiri quelli di smeraldo di Iraen. «Se accetteranno la tregua, di vivere nei loro territori mantenendo dei rapporti pacifici con noi, allora non muoverò guerra. Il mio dovere è però proteggere chi si porta all'ombra delle corna del grande padre, del cervo re. Sono sul mio capo, e sono io che devo fare da spada e scudo a chi desidera la pace.»
«Un tempo ero io a parlare di guerra, ora sei tu.» Iraen sospirò. «Sei la mia regina delle corna, Aislin. Hai tutto di me, e ti seguirò ovunque tu andrai.»
«Sai che il mio dovere viene prima di qualunque altra cosa, che non posso... non potrò mai, in nessun caso, metterti davanti al mio popolo.»
«Questa è una delle ragioni per cui ti amo. Nonostante il dolore, il cuore spezzato, farai sempre e soltanto il bene degli indifesi, del tuo popolo. A qualunque prezzo.»
«Spero solo di non dover mai testare i confini della mia volontà, Iraen. Non abbandonarmi mai.»
«Mai, Aislin. Mai.»

La corda dell'arco vibrò, un suono che era gli diventato tristemente conosciuto. Il conflitto era iniziato, una guerriglia che si svolgeva tra le ombre dei boschi e con incursioni nel nuovo territorio degli umani che non accettavano la pace con le streghe.
«Iraen, un gruppo sta cercando di barricarsi nel fienile.» La Cail'ka che gli aveva parlato era giovane, poco più di un'adolescente, ma aveva lo sguardo duro di chi aveva visto già troppa morte e dolore. «Usa le frecce per incendiarlo; se non usciranno, moriranno bruciati.»
«La regina ha detto che ne vuole alcuni vivi.»
«Quelli che verranno fuori saranno risparmiati.» Gli occhi dorati, simili a quelli di un felino, si fissarono sull'hilm'een con decisione. Sospirando Iraen annuì, era agli ordini di quella giovane Cail'ka come le altre streghe del drappello. Le Cail'ka erano diventate l'emblema di quella guerra: vestite di nero e con il cappuccio perennemente tirato sul volto, erano le ombre della regina delle corna. Assassine silenziose e letali, in grado di muoversi sole tra le file nemiche spargendo morte per poi sparire, così come di guidare altre streghe in battaglia. Erano le armi più letali di Aislin, donne che avevano affinato la corruzione delle arti della loro razza sacrificando completamente la luce che ogni strega aveva in sé.
Iraen si mosse, andando poco distante dove la fattoria già era in fiamme, prendendo una delle frecce incendiarie dalla faretra, accendendola e scagliandola contro il tetto di paglia del fienile. Una sola non sarebbe mai bastata, ma era quello di cui le streghe avevano bisogno per usare la magia. Una luce vermiglia piena di scintille si materializzò attorno alle dita di una di loro e la fiammella, a un passo dall'estinguersi, divampò. Si innalzò, divorando il legno e la paglia, mentre dall'interno provenivano urla sempre più forti. Non ci volle molto prima che una manciata di uomini e donne si lanciasse fuori in un tentativo disperato; alcuni si opposero alla cattura e morirono, i tre sopravvissuto finirono legati e disarmati.
Iraen si avvicinò, rimanendo alle spalle della Cail'ka, e vide negli occhi di quelle persone lo stesso disgusto che c'era stato nei suoi alla vista di un hilm'een. Distolse lo sguardo, mentre le parole di alcuni di loro, sussurrate, gli giungevano all'orecchio.
Parole come abominio, mostro, traditore.
«Trascinateli al campo, la regina vuole parlare con i ribelli.» La voce della Cail'ka era piatta e dura mentre dava gli ordini. «Avvisate che tornerò tra due notti, vado a esplorare i territori più all'interno per cercare altri insediamenti.»
Obbedirono, il piccolo drappello tenne al centro i prigionieri precedendo svelto attraverso i sentieri della foresta. Snidavano e abbattevano i piccoli stanziamenti ribelli sul confine, uno dopo l'altro, da mesi ormai; da quando tutto ciò che era tornato delle streghe mandate in missione diplomatica erano le teste tagliate e infilate in un sacco.
Il così detto “Regno Libero” aveva posto insediamenti armati in punti strategici. Scendevano da nord e non erano ancora arrivati così in profondità nelle loro terre da minacciarli, ma stavano compiendo un'opera di lenta distruzione delle fattorie e dei villaggi periferici sotto la protezione delle streghe. Si insediavano, poi, al loro posto creando punti d'appoggio per quell'avanzata.
Allo stesso tempo i simpatizzanti dei ribelli nei territori controllati dalle streghe cercavano di minare dall'interno la loro forza. Fortunatamente la divisione era sempre più netta: la pace era voluta da tutti, la politica di Aislin degli ultimi anni aveva fato sì che fosse amata.
Arrivarono all'accampamento e vennero acconti da una delle Cail'ka che proteggeva la regina.
Davanti alla sua tenda, identica a quella di ogni altra strega se non per un grosso palco di corna fissato all'entrata, Aislin li attendeva seduta su uno scranno coperto di pellicce immacolate. Iraen la fissò, era maestosa e splendida.
La chioma era intrecciata con piume di civetta candida e piccole gemme lattee, una striscia nera era dipinta sul volto e una mezza armatura di cuoio la copriva.
«Potrete avere salva la vita se collaborerete.» esordì, rivolgendosi ai prigionieri in ginocchio davanti a lei, sfiniti dalle ore di marcia. «Ci serve la posizione precisa della vostra città e sapere come fate a nasconderla alla nostra magia.»
I prigionieri si guardarono tra loro.
«Se non lo sai non saremo noi a dirtelo. Preferisco morire che tradire!»
Aislin fissò l'uomo, socchiudendo le labbra. Fece un gesto alla Cail'ka che aveva accompagnato i prigionieri e la strega afferrò il davanti della tunica dell'uomo.
«Sei tanto fiero, vero? Coraggioso.» Iraen a quel tono rabbrividì, distogliendo lo sguardo. «Sai, non è detto che tu non voglia tradire, è più facile che tu non possa, che non sappia quello che ci interessa. Ora però lo scopriremo...»
La Cail'ka estrasse un coltello dalla lama di ossidiana. Brillava nero alla luce delle fiaccole che attorniavano quello spazio nel chiarore sempre più fioco del tramonto. Sussurrando qualcosa soffiò sulla lama che assunse un colorito rossastro, come se linee di fuoco liquido viaggiassero sulla superficie di pietra. «Guarda bene questo coltello, non si limita a tagliare, a bruciare, ma fa in modo che il dolore non si spenga mai. Quanta voce hai, umano? Per quanto puoi urlare prima che la gola si consumi?»
L'uomo cercò di sputare in faccia alla Cail'ka, che con il viso celato dalle ombre del cappuccio posò la lama di piatto sulla guancia dell'uomo per un istante. Ci volle un lungo attimo prima che sul volto dell'umano apparisse un'intricata ragnatela di linee violacee e lui iniziasse a urlare.
«No!» Chi aveva urlato era però una donna del gruppo e Iraen capì.
«Allora diccelo tu, quello che vogliamo sapere!» disse, avanzando verso di lei.
«Non lo sappiamo, non lo sa nessuno di noi!» La donna farfugliò, isterica, mentre cercava di andare dall'uomo urlante, trattenuta da una strega. «Non ce lo dicono così non possiamo riferirlo! Ti prego basta, basta!»
Aislin fece un cenno e la Cail'ka posò le dita sulla guancia ustionata, le linee violacee svanirono e con un gemito roco e ansante l'umano si raggomitolò al suolo. La donna riuscì a lanciarsi su di lui, piangendo.
«Mael! Mael ti prego, Mael!» Invocò disperatamente fino a quando lui non alzò lo sguardo carico di biasimo su di lei.
«Cosa ne facciamo di loro?»
Aislin fissò la Cail'ka per un lungo istante, ponderando la questione. «Lasciateli andare nella foresta. Se sopravviveranno se lo saranno meritato.»
I prigionieri vennero allontanati e Aislin entrò nella sua tenda, Iraen la seguì, abbracciandola non appena furono soli.
«Non li troveremo mai di questo passo.»
L'hilm'een sospirò, annuendo. «Aislin, puoi sempre lasciarmi andare...»
«No, è troppo pericoloso, sei un hilm'een e da solo, così a nord, finiresti ammazzato.»
«Non per forza ed è l'unica speranza. Devo trovare quel druido, se c'è qualcuno che può capire quella magia è lui, ne sono certo. Non siamo riusciti a scovarne nessun altro, ma lui... lui sono certo di poterlo trovare. O farmi trovare da lui.»
«No.»
«Andrò senza il tuo permesso, allora.»
«È in questi momenti che un po' rimpiango il collare...» Aislin sospirò al sorriso impertinente dell'altro. «Una Cail'ka ti seguirà, però.»
«Se lo farai sarà il modo più rapido per venire ucciso, Aislin. Fidati di me, ti prego.» La mano di lui si posò sulla guancia della strega in una carezza. «Questa guerra fatta di incursioni e schermaglie, in cui non riusciamo ad arrivare al punto nevralgico, al cuore della ribellione, ci sta logorando. È più di un anno che vaghiamo lungo i confini e tu hai un popolo che ha bisogno di te. Enda ha bisogno di te.»
«Ama anche te, cosa le dirò?»
«La verità. Sarà regina, ed è intelligente. Non mentirle, ma portale le mie parole: dille che tornerò da lei, a ogni costo.» Sorrise. «Da lei e da te.»
Aislin si spostò, andando a prendere da una borsa di cuoio appesa a una dei pali della tenda un cristallo. Sembrava un'ametista dalle sfumature di un viola così cupo da apparire nero, lei lo strinse nel pugno e poi glielo consegnò. «Tienilo sempre con te, finché sarai vivo io lo saprò.»
«Te lo prometto.»
La strega annuì, per poi osservarlo con attenzione. «Sei così certo che quel druido ti aiuterà? Sempre che si faccia trovare.»
«Aveva detto che avrei portato la pace, mi ha manipolato spingendomi in una rete che aveva tessuto lui stesso. Credo abbia i nostri stessi obbiettivi, anzi, ne sono certo. Non avrebbe senso, altrimenti.»
Aislin annuì. «Quando pensi di partire?»
«Non credo ci sia motivo di aspettare, domani all'alba andrò verso l'insediamento da cui ero partito ormai più di otto anni fa.»
«Sarai un bersaglio.»
«So difendermi.»
Lei annuì, sfiorando l'arco che Iraen aveva sulle spalle. «Sei un ottimo arciere e sai combattere, ma... non sei più umano.»
Lui la guardò, ferito nell'orgoglio. «Intendi dire che valgo meno perché ho il sangue delle streghe? Beh, dovrei arrabbiarmi, mi sa.»
«Intendo dire che sei fin troppo riconoscibile, Iraen. Non hai modo di camuffarti per davvero e ogni passo che farai sarà rischioso. Inoltre chi ti assicura che ti riconosceranno e accetteranno quando arriverai a destinazione?»
«Se non ci provo non lo sapremo mai. Ti ho detto che ce la farò, non voglio che questa guerra continui.»
La regina annuì, il peso delle corna che portava sul capo non le era mai parso così greve.

 


Accucciato lungo la riva di un torrente, osservava le impronte nel terreno morbido.
“Certo che dovermi fermare a cacciare e a raccogliere cibo mi sta rallentando di molto. Fortunatamente siamo in estate, o avrei avuto serie difficoltà.”
Individuò il segno del passaggio di una serie di piccoli erbivori e nell'erba notò i sentieri tracciati dalle lepri. Con l'arco in mano si mosse silenzioso come un'ombra. Il sangue delle streghe l'aveva cambiato, togliendogli molti tratti umani, ma in cambio aveva ricevuto l'abilità quasi ultraterrena di fondersi con la natura. Perfino gli animali selvatici non sempre si accorgevano del suo passaggio e, in un certo senso, percepiva quella che chiamavano l'energia della terra.
Non poteva usarla, era una capacità che si sviluppava solo nelle streghe, ma la percepiva, come una vibrazione che in alcuni punti gli accarezzava la pelle.
Individuò la lepre e con rapidità incoccò la freccia, rilasciandola in un movimento fluido ed elegante.
La bestiola finì trafitta senza un lamento, Iraen recuperò la freccia e si avviò verso la piccola radura che aveva individuato. Lì c'era una grossa quercia e aveva lasciato lo zaino tra le sue radici, nascosto, per il tempo della caccia.
Accese il fuoco, pulì la lepre e la fece a pezzi, infilandone ognuno su un stecco verde e mettendoli ad arrostire. Lì il ruscello creava un'ansa e si lavò, osservando il cielo farsi nero e le stelle comparire.
Era più di un mese che viaggiava cercando di evitare ogni traccia e insediamento umano, Aislin aveva avuto ragione su quello: se l'avessero catturato era poco probabile che ne uscisse vivo. Si era avvicinato un paio di volte a fattorie isolate, la notte, rubando qualcosa dalle dispense quando aveva scoperto che i cani non abbaiavano in sua presenza. Non sapeva il perché, ma la cosa si era rivelata utile.
Guardando la volta stellata, rosicchiando un osso, si orientò. Il sangue delle streghe gli dava una specie di bussola interiore, un istintiva capacità di cogliere le direzioni e di andare nel luogo da lui desiderato. Aislin l'aveva chiamata magnitudine terrestre, dicendo che la sentivano anche le streghe.
“Poco male. Ci vorrà ancora un mese, anche meno se riesco a non fermarmi a cacciare troppo spesso. Però il vecchio druido sarà ancora vivo? Sembrava una specie di rudere già allora, se fosse morto sarei nei guai. Avrei fatto tutto questo proprio per niente, anche se non dover uccidere agli ordini di una qualche Cail'ka non mi spiace.”
Iraen sospirò, finendo di mangiare e sistemando il fuoco per la notte si raggomitolò tra le radici e chiuse gli occhi, certo che l'avvicinarsi di qualunque essere malintenzionato l'avrebbe come sempre svegliato.
Viaggiò per un'altra luna, limitando ogni sosta il più possibile. Avanzando, però, trovava un numero maggiore di tracce di presenza umana e diventava difficile evitare gli insediamenti. A volte aveva dovuto viaggiare di notte, attraversando i campi coltivati e procedendo a poca distanza da villaggi e piccoli centri, camuffandosi con le ombre per evitare di essere visto.
Quando alla fine di una lunga notte di viaggio vide il grande canyon che dava l'accesso all'insediamento ribelle da cui era partito si fermò, cercando di capire cosa fare. Mancava un po' all'alba, il cielo era ancora cupo e solo un vaghissimo chiarore a est indicava che il sole sarebbe sorto. Sapeva che il canyon era sorvegliato e che era l'unico accesso. Se aveva però una speranza di passare era prima che si rendessero conto della sua presenza, stanchi dall'ultima guardia della notte e con il cambio non ancora nelle vicinanze. Iraen sospirò, assottigliando lo sguardo nel cercare di individuarli. Erano sulla sommità, ma non avrebbe saputo dire se guardavano con attenzione o meno il passaggio ancora avvolto dalle tenebre. Avrebbe dovuto rischiare, attendere nella foresta poteva essere ancora più rischioso, quindi si mosse, attento e silenzioso, giungendo al sentiero che si inoltrava nelle tenebre tra le due alte pareti di roccia.
Non usava alcuna luce, procedendo con enorme cautela. Grazie ai suoi occhi quelle tenebre per lui non erano assolute, ma di certo non aveva una visione chiara di ciò che lo circondava. Il sole si delineò come una scia luminosa all'orizzonte e Iraen uscì dalla parte opposta di quel budello, lanciandosi verso la protezione di un boschetto di betulle.
Ce l'aveva fatta.
Si addentrò tra gli alberi, fino a una macchia più fitta dove avrebbe atteso l'oscurità. Il villaggio non era molto lontano e la casa in cui abitava il druido era discosta, ai suoi margini. Sempre se ci fosse ancora stato.



«È dove ha detto il druido!»
Iraen aprì gli occhi di scatto, trovandosi circondato. Com'era stato possibile? Quel sesto senso su cui aveva fatto affidamento per tutto quel tempo, che mai l'aveva abbandonato, l'aveva tradito proprio alla fine del suo viaggio?
Una decina di uomini armati lo circondavano e un di loro gli rivolse contro la punta di una lancia. «In piedi, hilm'een.»
«Uccidiamolo.»
Iraen li fissò uno per uno, cercando di mantenere la calma e di riconoscerne qualcuno.
«Lainor!» Iraen esclamò, fissando il più anziano tra gli uomini. «Lainor, sei tu, vero? Non mi riconosci?»
«Conosci questo schifo, Lainor?»
«Sono Iraen!»
L'uomo si bloccò, fermando la sua negazione a metà e avvicinandosi studiò con attenzione l'hilm'een davanti a lui. I capelli rossi erano molto più lunghi, intrecciati, e gli occhi erano quelli da gatto di ogni hilm'een. Eppure i lineamenti erano quelli. Certo, più sottili e delicati, senza barba, congelati nel tempo come se non fosse invecchiato di un solo giorno, ma rivedeva in lui l'uomo che si era offerto per una missione impossibile, così tanti anni prima.
«Sei davvero tu. Cosa ci fai qua, così?»
«Devo vedere il druido, so che sono passati molti anni, davvero tanti. Fidati, ti prego; devo vederlo. Vi ha mandato lui qua, giusto?» Lainor annuì e Iraen proseguì. «Dovevate portarmi da qualche parte, no? Facciamo giusto sosta dal druido...»
«Uccidiamolo, non possiamo fidarci delle parole di uno di questo abomini!»
Stringendo le labbra Iraen ignorò quelle parole e i vaghi assensi degli altri, concentrando il suo sguardo su Lainor, che alla fine annuì.
«Portiamolo dal druido, vi ricordate che vi ho raccontato dell'uomo che ha provato a infiltrarsi? È lui; immagino abbia molto da dire. Andiamo.»
Lo scortarono fino alla via principale e da lì verso il villaggio. Il sole era alto, aveva dormito alcune ore. Attorno a lui vedeva molte costruzioni che un tempo non erano ancora state erette, l'abitato era diventato un piccolo paese e la casa del druido non ne era più lontana come un tempo. Lo vide, fuori ad aspettarli, sotto le ombre create dalla chioma di un nocciolo.
A Iraen era stato tolto l'arco, il pugnale e lo zaino, guidato attraverso le vie era stato additato e guardato come un mostro. Un tempo anche lui aveva avuto quello sguardo, ma ora che sapeva riusciva solo a sentirsi irritato per quelle occhiate. Non era un mostro, nessuno lo era. Non gli hilm'een, non gli umani, non le streghe.
Il druido si avvicinò e Lainor si fece avanti. «Onorevole Amergin, questo hilm'een dice di essere Iraen. Ecco, un po' me lo ricorda però...»
«Abbassate le armi, è lui.» L'anziano druido fece qualche passo avanti, poggiato al suo bastone intagliato, e gli fecero largo. Vestiva di bianco, come Iraen lo ricordava. La corta barba candida sembrava più bianca di un tempo, nessun filo scuro la disturbava e la chioma era intrecciata, tenuta ferma da un paio di anelli dorati. «Sono passati molti anni, Iraen. Hai ascoltato le mie parole, vedo.»
Individuando una luce divertita sul fondo di quelle iridi scure, l'hilm'een sorrise amaramente.
«Ho sempre avuto il sospetto che avessi guidato i miei passi a modo tuo, vecchio.»
Un colpo deciso alle gambe lo fece cadere in ginocchio, Iraen si voltò e trovò una punta di lancia a poca distanza dal suo viso.
«Porta rispetto, bestia!»
Il druido fissò il giovane che aveva parlato. «Juter, impulsivo come sempre. Iraen non mi farà del male, andate e lasciate che parli con lui.»
«Ma è un hilm'een onorevole Amergin! È frutto della magia delle streghe e...»
«Silenzio!» Autorevole e forte, la voce del druido coprì quella del giovane, che abbassò il capo.
«Sia come volete voi, allora.»
Iraen si alzò, seguendo l'uomo all'interno della sua dimora. Tonda, dal tetto di paglia e dalle mura di pietra era semplice, quasi umile. Attraversarono la casa per uscire sul retro, dove un piccolo orto di erbe medicinali e non dava sul bosco.
«Raccontami, Iraen. Sono passati anni e se sei qua è perché finalmente le linee del destino si sono mosse.»
Il vecchio si sedette su una panca poggiata contro il muro della casa, facendo cenno a Iraen di accomodarsi vicino a lui.
«Mi hai manipolato, spingendomi a credere che mi sarei vendicato uccidendo la regina delle streghe.»
Al tono accusatorio, il vecchio sorrise. «Dovevo spingerti, eri l'uomo adatto, l'unico adatto, forse. A così tanti anni di distanza ti infastidisce ancora?»
«Sì, e no.» Iraen sbuffò. «Molte cose sono cambiate, ora la regina vuole la pace, vuole che umani e streghe vivano in armonia. Però non si riesce a far cessare le ostilità dal nord e non troviamo la loro città. Si nasconde ai poteri delle streghe e non capiamo come.»
«E sei qua per chiedermi aiuto. È magia degli uomini, che sfugge alle conoscenze delle streghe. Magia del nostro popolo che è sopravvissuta e che è stata votata a un intento errato. Di nuovo.»
«Che intendi con di nuovo?»
Amergin sospirò, arricciando la punta della barba tra le dita. «Credo tu sappia già quello che è accaduto dal punto di vista delle streghe. Tra le conoscenze che mi ha tramandato il mio maestro c'è la narrazione di una capacità unica. Le streghe hanno una memoria collettiva, che le unisce attraverso le generazioni, in cui è depositata tutta la sapienza e ogni esperienza, così che nulla vada perduto. Più la strega è potente più in profondità può accedere in queste memorie, fino all'alba dei tempi e della creazione.» Iraen annuì, attento, e il druido proseguì. «Alcuni di noi, molti, molti anni fa, cedettero al male. Non sto a raccontarti i dettagli, ma un piccolo gruppo di druidi decise che queste terre dovevano essere degli umani, completamente. Ambivano al potere delle streghe e capirono che la terra, senza di loro, avrebbe aperto le sue porte anche ai druidi. Non era l'unica via, ma perché dividere il potere e la terra, se poteva essere solo degli uomini? Così diedero vita a una maledizione, ma inaspettatamente le streghe trovarono il modo di aggirarla. Così iniziò tutto.»
«Allora che fosse una malattia di origine magica è vero.» Iraen studiò il vecchio, che ricambiò lo sguardo con aria d'attesa. «Tu cosa vuoi quindi, vecchio? Perché hai messo in piedi tutto questo? Lo sai, vero, che se non mi avessi mandato in bocca alla Cail'ka non sarebbe mai successo nulla di tutto questo.»
«Lo so. Voglio quello che volete voi, la pace. Voglio che lo sbaglio fatto da quei membri dell'ordine sia espiato e che giunga finalmente un'era di pace. Il futuro non è fatto da streghe o umani, ma di entrambi, assieme.» Amergin estrasse dalla tunica bianca un anello d'oro, largo quanto il palmo. «Ho seguito i tuoi passi, Iraen; guardando attraverso il cerchio il velo si dissipa e io ho visto. Ho sofferto per il tuo dolore, ragazzo, ma nulla è stato vano. Purtroppo per quanto io possa parlare, qua in pochi ascoltano parole di armonia, il rancore e l'odio sono profondi, ma non vogliono neppure la guerra; si accontenterebbero di vivere la loro vita in solitudine. Al nord, però, stanno costruendo un esercito per sterminare le streghe, e questa non è cosa che posso accettare. Siamo arrivati qua fuggendo da un invasore e ci comportiamo come loro, pretendendo di schiacciare chi era qua prima di noi e ci ha accolto. Domani partiremo, mi porterai dalla tua regina, vi aiuterò.»
Iraen si alzò, fece qualche passo e poi si voltò verso il vecchio druido.
«Aislin ne sarà contenta.» Sorrise, guardando l'aria soddisfatta dell'altro. «Avevi previsto tutto, vero? Ogni singola cosa.»
«Speravo. Ti ho messo su una strada, ma le scelte sono sempre state solo tue. Sei tu che hai deciso per la pace, alla fine. Diciamo che lo speravo molto, da quando ho iniziato a cercare le risposte tra le nebbie del tempo e gli dei mi hanno mostrato immagini di un futuro che volevo assolutamente evitare.»
«Il viaggio è lungo, sicuro di farcela?»
«Oh, non morirò nel tragitto, mi aspetta altro, ragazzo mio. Ora mangiamo, devo avvisare e convincere il capo villaggio che sono io che vengo con te di mia spontanea volontà. E costringerlo a lasciarci partire in pace.»

 


Grazie a tutti quelli che hanno letto la storia, se vi piace fatemelo sapere, fa bene alla mia autostima!
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Capitolo 4
*** 4 - Venti di guerra ***






«Non puoi farlo, Aislin.»
Iraen s'incupì, stringendo la mano sulla spalla della strega seduta sul bordo della piccola panca, dentro la tenda.
Mettendo la propria su quella dell'hilm'een, la regina scosse appena il capo. «Non posso mandare la mia gente a morire rimanendo al sicuro dietro le linee, sono la regina.»
«Per questo non puoi!» esasperato, Iraen scosse la donna che amava. «Non pensi a Enda? Non è abbastanza grande per regnare!»
«Esiste per questo il consiglio. Le reggenti del Palazzo d'Acqua e di Fuoco faranno in modo che le cose continuino a funzionare.»
Scuotendo la testa, Iraen si lasciò cadere in ginocchio davanti a lei. «Non pensi a me? Ho perso Ynis, non posso perdere anche te! Per ogni dio di questa e dell'altra terra, Aislin, non puoi fare una sciocchezza simile! Guidare l'esercito in prima linea è di certo onorevole e coraggioso, ma ti individueranno e tutta la pressione si convoglierà su di te, non capisci che sarai l'obbiettivo principale?»
«Lo so. Penseranno a me, dando meno peso ai drappelli che si muoveranno ai bordi, non li calcoleranno neppure, probabilmente, fino a quando non sarà troppo tardi. I druidi faranno in modo che la magia dei loro rinnegati che presidiano la città non li possa individuare, mentre saranno concentrati su di me riusciranno ad aggirare le mura e fare quello per cui sono stati selezionati. Le più forti tra le Cail'ka e le streghe faranno crollare le mura. La nostra magia parla alla terra: ammorbidiranno il suolo sotto quelle pietre che hanno innalzato a difesa, sgretolerà la calce, basterà a renderle abbastanza fragili perché i wendosh possano tirarle giù.»
A sentire nominare quelle creature, Iraen rabbrividì. Sembravano nati dalla terra e dagli alberi, simili a enormi bestie, i wendosh erano creature senzienti che abitavano le terre a nord che avevano la loro dimora nella parte più settentrionale della foresta, ai confini della tundra. Allevavano renne, erano nomadi e coperti a loro volta di una lunga pelliccia chiara maculata di verde. Aislin aveva mandato una decina di streghe a convincerli, avevano bisogno di alleati.
La prima volta che ne aveva visto uno si era spaventato a morte, doveva ammetterlo. Erano giganti di almeno due metri, con arti lunghissimi. All'apparenza goffi erano invece dotati di un'agilità e di una rapidità spaventosa.
«Sei certa che non ti tradiranno?»
«Gli uomini hanno iniziato a dare loro la caccia.» la voce di Aislin si incrinò, Iraen percepì l'autentico dolore presente in essa. Non erano streghe, ma erano creature legate alla terra, pacifiche, cacciate come animali per la loro pelliccia. «Non ti allei con chi indossa la pelle dei tuoi famigliari come un mantello, Iraen.»
Lui scosse il capo, sospirando. «Non posso lasciare che tu sia un bersaglio, Aislin. Ti prego, ripensaci. Fa indossare a una Cail'ka un paio di corna, ingannali!»
«No. Sono io la regina, sono io che affronterò quel pericolo e non ordinerò a nessuno di svolgere un simile compito.»
«Non servirebbe ordinarlo!» esasperato, strinse le mani di lei fin quasi a farle male. «Ci sono decine di donne che si offrirebbero, perché non accetti!?»
«Ora basta!» Aislin si sottrasse alla stretta dell'hilm'een. «So che per gli umani è diverso, e so che non capisci ancora davvero le nostre usanze, ma una regina non si sottrae alle sue responsabilità, mai. Non posso mettere la mia vita e la mia felicità davanti a quella del mio popolo, della mia terra, di ogni creature che confida in un nuovo equilibrio pacifico. Ci sono decine di creature che gli uomini non conoscono, con una mente, una società, che hanno vissuto nascoste per paura. Gli animali stessi soffrono per il modo in cui la natura viene dilaniata e la foresta piange il suo cordoglio per la caccia senza amore. Non c'è rispetto, non c'è equilibrio, e questa situazione deve essere fermata qua, o non ci sarà mai più futuro.»
«Cosa farò, se tu...»
«Se io morissi? Crescerai Enda, le farai conoscere il mondo degli uomini in modo che possa regnare su entrambi. Se ci sarà pace, la mia vita non sarà stata sprecata invano.» La mano di Aislin scivolò tra le ciocche rosse di Iraen, accarezzando dolcemente quel capo ora posato sul suo grembo. «Hai uno spirito di ferro, come il tuo nome suggerisce. Non si piegherà, né si spezzerà. Sei cambiato così tanto in questi anni, hai cambiato anche me.» Fermandosi sulla guancia di lui, la mano di Aislin sembrò quasi rovente. «Fai attenzione anche tu, Iraen. Sei ciò che scalda il mio cuore e rende luminosa la mia anima, ormai. Senza di te tutto sarebbe tenebra priva di gioia.»
«Credi sarebbe diverso, per me?»
«No, ma tu non sei re. Potrai piangere, ricordarmi, potrai fare quello a che a me non sarebbe permesso: soffrire. Ma non dimenticarti neppure tu di Enda. Quella piccola strega è una promessa per il futuro, da bambina crepita, ma da adulta sarà pura fiamma. Luminosa e calda, il faro che guiderà in una nuova era questa terra.»
Iraen rimase in silenzio, sentendo la morte nel cuore e il gelido avvertimenti del destino. Passò così lunghi minuti, inginocchiato, traendo ogni forza possibile dalla presenza di lei, da quell'amore che li legava, vissuto quasi in clandestinità.
«Non ti farò la domanda che ho nel cuore, so già la risposta, ormai. Tu hai visto, non mi serve chiederti nulla, è inutile che cerchi di combattere contro il fato. Ti amo, Aislin. Ti amo come si ama la luce e il cielo, libero e immenso, senza confini. Non cercherò più di distoglierti dalle tue intenzioni, ma io non sarò nelle retrovie, cercherò di salvarti la vita, a ogni costo.»
«Così sia, allora. Sei stato il germoglio di un sentimento che credevo impossibile, sei diventato l'albero più bello e alla tua ombra ho sempre trovato accoglienza e riparo. Ti amo anche io, Iraen.»
Eppure la straziante e ineluttabile certezza dell'ombra che calava su di loro resero quelle parole amare come il più crudele dei veleni. Era un saluto, l'ultimo che si sarebbero potuti dare davvero.
Iraen sentì i tamburi che svegliavano il campo nell'ultimo velo cupo della notte, si alzò e accarezzò con lo sguardo il volto della donna che amava, della regina forte e decisa davanti a cui si inginocchiava, della potente strega davanti a cui rabbrividiva.
“È proprio vero,” pensò l'hilm'een, “un amore caduto e ricostruito cresce forte, grande più di prima. Pensavo che dopo Ynis non avrei mai più avuto quel calore nell'anima, invece con Aislin ne ho provato uno ugualmente immenso, per certi versi maggiore e per altri minore. L'amore non ha quantità, limiti o peso. Ynis, se vedrai nell'Aldilà Aislin, siile amica. Se vedrai me, accoglimi senza rancore.”
Aislin si alzò mentre le sue ancelle entravano, pronte alla guerra.
Sarebbero state al fianco della loro regina, sarebbero vissute con lei o sarebbero morte con lei.
Iraen uscì dalla tenda, accanto all'entrata Gwin, l'orso di Aislin, riposava. Era primavera, era passato quasi un anno da quando aveva portato Amergin al Palazzo di Pietra. Gwin si era risvegliato dal letargo e ora era pronto a combattere. Non sapeva bene in che modo comunicassero, ma sapeva che una volta legati a una strega non erano più “solo” animali.
L'orso si alzò, enorme, fissandolo con occhi pieni della sua stessa consapevolezza. Posando la mano sul muso bruno, sorrise amaro.
«Amico mio, proteggila.» Il grosso testone si inclinò appena e un lieve colpetto scostò la mano di lui. Iraen annuì. «Devo smettere di dire ovvietà, vero?»
Con un'altra pacca a Gwin, Iraen si allontanò. L'accampamento delle streghe era sorvegliato e circondato da una palizzata. I compagni animali delle streghe erano quasi tutti lì, decisi a lottare al fianco di chi avevano scelto. Gli hilm'een presenti non erano moltissimi, alcuni erano rimasti con chi non poteva combattere, al sicuro. Con chi era malato, debole, troppo giovane o anziano. Chi tra loro non si era sentito di affrontare altri uomini, pur abbracciando la causa della pace, era rimasto ad accudire quella che ormai era casa.
Entrando nella zona dell'accampamento riservata a loro, Iraen vide venirgli incontro un paio di compagni.
«Iraen, siamo pronti.»
«Ottimo.» Li studiò. Gli hilm'een erano per lo più ottimi arcieri, ma ognuno di loro portava anche una sciabola al fianco, se non due.
Si stavano raccogliendo attorno a lui, un centinaio di hilm'een con i visi seri, dipinti con i colori della guerra. Strisce nere e scarlatte sugli occhi, vestiti con armature di cuoio a scaglie, silenziosi, attendevano lui.
“Vogliono che dica qualcosa. Ma cosa? Mi vedono come un capo... ma non l'ho mai voluto.”
Eppure era così che lo consideravano. In tutti quegli anni aveva lavorato per fare in modo che accettassero il cambiamento, avevano riposto la loro fiducia in lui, avevano ascoltatole sue parole facendole loro, i suoi ideali erano stati abbracciati e questo era ciò che ne conseguiva. Lo vedevano come un re senza corona, cosa che non era, in realtà.
«Oggi sarà l'ultima battaglia. Guardiamoci in faccia, l'un l'altro. Abbracciamoci e salutiamoci, potremmo non vedere assieme una nuova alba. Chi di noi però sarà ancora qua vivrà sotto il cielo, senza temere mai più, senza essere cacciato, additato, umiliato. Liberi, in un mondo equo e privo dei rancori e del sangue che ci hanno portato fino a qua. Abbiamo in noi la memoria di due popoli, abbiamo due cuori, due anime. Siamo hilm'een, coloro che stanno nel mezzo. Eravamo nulla, ora siamo il legame tra uomini e streghe, l'inizio di una nuova era.» Il silenzio lo circondava, occhi attenti, pieni di determinazione. «Abbiamo figlie che sarebbero uccise, abbiamo amori, abbiamo vite in entrambi i mondi. Siamo qua, oggi, perché rimangano uniti, perché non ci sia più odio o paura, perché ci sia libertà sotto il sole e nella terra. Non abbiate nessuna remora, nessun dubbio, siamo qua per vincere, e vinceremo!»
Fu il suono dei piedi battuti al suolo il cupo inno alle sue parole. Un tonfo sordo, profondo, che sembrò scuotere la terra stessa. Non urlarono, non applaudirono, fecero sì, però, che la terra rimbombasse come i loro cuori.
Iraen annuì. Era l'ora, l'alba era una fiamma che incendiava l'orizzonte.
Prese le armi e si avviò, seguito da un centinaio di hilm'een silenziosi.
L'esercito di Aislin si mosse, riversandosi al di fuori dell'illusione che aveva creato Amergin, capace di ingannare gli occhi degli uomini all'interno delle mura. Sentirono fin da lì il suono dei corni, i rumori delle entrate che venivano sbarrate e Iraen immaginò ci fosse il panico.
Mai nessuno avrebbe immaginato che in quel fragile vecchio ci fosse tanto potere e tanta conoscenza. Travalicava ogni aspettativa.
Aveva messo al loro servizio i suoi poteri, chiamando accanto a sé una decina di altri druidi, giunti durante l'inverno alle loro porte, silenziosi come tentacoli di nebbia erano comparsi davanti alle entrate del Palazzo di Pietra. Uomini e donne, delle più differenti età, vestiti di bianco e con la stessa aria solenne di Amergin. Aislin li aveva accolti e in quei lunghi mesi di freddo avevano insegnato alle streghe quello che potevano.
Il vecchio canuto rimaneva, però, inequivocabilmente, il possessore di un potere e un talento che travalicava quello di tutti gli altri druidi riuniti. Da solo aveva occultato l'intero cuore dell'esercito, mentre i restanti druidi si erano uniti alle truppe che si nascondevano nella foresta attorno alla città, celando i rispettivi drappelli. Mentre Aislin avrebbe attaccato le mura frontalmente, distraendoli, in un punto opposto i gruppi si sarebbero riuniti facendo crollare le mura, entrando in città. Probabilmente a quel punto gli uomini avrebbero fatto una sortita, immaginando che uccidendo la regina tutto l'esercito si sarebbe disperso o, comunque, trovato in tali difficoltà da poter avere la meglio.
Caricarono, arrivando fin sotto le mura e iniziando l'assalto. I compagni animali delle streghe, quelli in grado di volare, facevano cadere sugli spalti fiale di quello che il druido aveva chiamato fuoco liquido. Era una miscela di sostanze unita a un incantesimo che faceva sì che, una volta infranto il contenitore, prendesse fuoco. Nulla poteva spegnerlo, consumava la carne fino alle ossa e la pietra stessa, scavando e ardendo. Si iniziavano a vedere le prime fiamme e a sentire le grida degli uomini che si consumano come torce, in preda al dolore spesso si lanciavano oltre le mura, cercando un modo per porre fine al supplizio.
I difensori si trovarono a non poter rimanere a baluardo degli spalti sotto quella minaccia che pioveva dal cielo, le alte scale d'assedio non furono sganciate e i primi combattenti corpo a corpo tra streghe e soldati umani erano in atto. Iraen vide Aislin salire tra i primi e si lanciò dietro di lei. Era affiancata da un manipolo di fedelissime e di Cail'ka, tra le più feroci e forti. Eppure era così tanta la pressione a cui erano sottoposte, che fin da subito le prime streghe a difesa della regina caddero.
L'odore del sangue e della carne bruciata, del metallo fuso e quello acre della pietra rovente era disgustoso, il fumo pungente faceva lacrimare gli occhi e rendeva difficile respirare.
Iraen si trovò a gridare, combattendo con ferocia, la sciabola che ruotava tra le sue mani, il piccolo scudo rotondo che parava i colpi delle lame dritte degli umani. Con la coda dell'occhio vide una lunga vipera mordere un soldato, poi un altro, per poi tornare tra gli abiti della sua strega. Dall'alto, con precisione chirurgica, continuavano a piovere le ampolle, ma l'hilm'een sapeva benissimo che non sarebbe durato ancora per molto. Il cielo, fino a poco prima limpido, iniziò a coprirsi di nubi cupe e cariche di pioggia, un vento feroce prese a sferzare il suo volto e il rombo di tuoni scosse la terra per un lungo attimo.
«Sono gli uomini! Sono loro che manipolano il cielo!»
Non sapeva chi lo aveva urlato, ma si trovò perfettamente d'accordo.
«Dalla regina, presto! La regina!»
Quelle urla lo spronarono, non era molto lontano; vedeva le corna sul capo di Aislin svettare e triplicò i suoi sforzi, abbattendo con una rapidità inumana tipica degli hilm'een qualunque avversario. Al centro del vortice caotico di combattimenti attorno alla sovrana delle streghe c'era calma, Iraen percepì sulla pelle stessa il formicolio della magia di lei che si levava a contrastare quella dei druidi rinnegati. Amergin e gli altri non potevano intervenire, avevano un compito, e lei era stata istruita nella magia degli uomini in modo da comprenderla e contrastarla.
Il formicolio si fece quasi doloroso, mentre la regina pareva brillare, le corna sul suo capo luminose al punto di essere accecanti.
Accanto a Iraen apparve Gwin. Non si chiese come il gigantesco orso fosse stato capace di arrivare fin lì, ma ora tutti i compagni animali erano con le loro streghe su quelle mura che si stavano coprendo di fuoco e sangue.
Il clangore delle armi era ovunque, le urla degli uomini, di dolore o di guerra, erano assordanti.
Iraen combatté, colpo su colpo, affondo, parata e stoccata, la lama curva e forgiata dalle streghe che non perdeva mai il suo filo era coperta di rosso come lui.
La voce della regina delle corna si levò in un canto senza parole, sovrastando ogni cosa.
Tutto sembrò azzittirsi: il cielo e la terra, gli uomini e perfino il vento sferzante cessò di colpo. Inumano, potente come la terra stessa e altrettanto antico, quel suono che usciva dalla gola della regina raggiunse il cielo, colpendolo e disperdendo le nubi. Non ci sarebbero stati fulmini ad abbattersi su di loro.
Con urla potenti, esaltate dal successo della loro sovrana, le streghe raddoppiarono i loro sforzi. Come se una diga si fosse aperta, una marea di incantesimi si riversarono sui difensori, facendoli indietreggiare sempre di più e, senza sapere bene come, Iraen si trovò a lottare tra le strade.
Gli ordini erano chiari, non uccidere i civili se non fosse stato necessario, ma su di loro si gettavano anche vecchi e donne con armi improvvisate, costringendoli alla difesa. Squarciando il ventre di una vecchia, Iraen sentì l'orrore che aveva tenuto a bada sommergerlo.
Combatté contro quell'ondata di emozioni e l'allontanò. Non era quello il momento.
Non era mai troppo lontano da Aislin, si muoveva ai confini del compatto muro di difesa attorno a lei.
Sentiva le voci ingiuriare le streghe, chiamandole demoni, mostri, creature malvagie. Vedeva il terrore negli occhi di chi posava lo sguardo su quelle guerriere selvagge e poteva capire come le vedessero. Dipinte, ornate di zanne, teschi e piume, erano spaventose. Come lui, del resto.
Si allontanò, cercando un punto più calmo per respirare. Il sole era quasi al suo culmine, aveva combattuto senza sosta per ore e aveva bisogno di bere. Prese dal fianco il piccolo otre e lo svuotò, ansante.
Li stavano circondando, presto li avrebbero chiusi e non ci sarebbe stato scampo. Sorrise, alzando lo sguardo alla volta celeste di nuovo sgombra.
“Ci sono giornate peggiori per morire, l'importante è lo scopo, no? Spero i druidi si muovano e facciano cadere presto quelle mura.”
Riprese a combattere, entrando in quel vortice che difendeva Aislin con una smorfia ferina.
Perse la cognizione del tempo e solo l'arma, che pareva sempre più pesante tra le sue mani e il dolore delle decine di ferite minori che gli costellavano il corpo, gli ricordavano che era ancora vivo, che lo era anche Aislin.
Un boato colossale attraversò l'aria e la terra sotto i loro piedi tremò: molti caddero al suolo e dopo un istante un suono di corni concitati trasmise nuovi ordini alle truppe della città. La pressione su di loro diminuì e Aislin innalzò un grido di guerra, un urlo di potere che fece scorrere nuova linfa nelle membra stanche delle streghe.
Ogni compagno animale innalzò a sua volta un verso: ululati, ruggiti, squittii o sibili che fossero, e di volta in volta, come un'onda che dilagava dal suo centro quel suono rinvigorì spirito e carne.
Agli incantesimi dei druidi che difendevano la città si era opposta Aislin, dando fondo a ogni briciola di energia che le scorresse nelle vene, dimentica di sé, del suo respiro, del suo corpo.
Nessuna avrebbe dovuto morire, finché il suo cuore batteva ognuna di loro avrebbe dovuto vivere.
Il suo canto dava la vita e la morte, difendeva le sue truppe annullando gli attacchi e colpiva gli uomini.
Impreparati a veder disperdere la loro magia i druidi erano stati inutili, e ora l'attacco che divideva la città in due fronti aveva dimezzato le forze sempre più esigue degli umani.
Combatterono senza posa e il sole si spostò nel cielo fin quasi a toccare l'orizzonte, prima che un lugubre suono si propagasse.
Gli uomini indietreggiarono e abbassarono le armi, mentre bandiere di resa venivano sventolate.
Un grido di vittoria esplose, innalzandosi al cielo e rimbombando contro le mura.
Iraen si mosse per raggiungere Aislin, il bagliore delle corna si era affievolito sempre più e una sensazione fredda gli ghermiva il cuore.
«Come sta la regina?» chiese, facendosi largo a forza.
Poi la vide, sostenuta da due Cail'ka, circondata da altre del loro ordine svenute o talmente prostrate dalla fatica da aver perso la vita e Iraen capì. Non era stata solo il bersaglio di attacchi fisici, ma tutta la magia dei druidi alla fine si era riversata su di lei, cercando di schiacciarla. Sentì i brividi scuoterlo sempre di più mentre si avvicinava. Nessuno lo allontanò, mentre gli occhi della strega incontravano i suoi, illuminandosi nel riconoscerlo in un ultimo bagliore di vita che si spense davanti a lui.
«Aislin! No!»
L'urlo di dolore era come il ruggito di una bestia ferita al cuore, morente. Si lanciò, facendo scivolare tra le sue braccia il corpo della regina delicatamente, negando con tutta la voce che aveva quello che aveva visto.
Luttuosi suoni lo circondarono, il ruggito di Gwin era straziante quanto quello dell'hilm'een.
Negava scuotendo il capo quello che non poteva accettare.
Fino all'ultimo aveva sperato, aveva pregato, di non vederlo accadere, che non succedesse quello che più di ogni altra cosa aveva il potere di dilaniarlo.
Era viva fino a un secondo prima, l'aveva guardato e solo allora aveva ceduto, ogni forza consumata.
Continuò a chiamarla per nome, una cantilena di disperazione e angoscia, stringendo a sé quel corpo che diventava sempre più freddo. Attorno a lui si creò un cerchio del pianto, mentre le reggenti si occupavano della guerra, mettendo il dovere davanti al dolore.
Avevano vinto, ma a un prezzo che all'hilm'een pareva troppo alto.
«Aislin, Aislin, amore mio, ti prego no... no!»
Sentiva le lacrime sul suo volto, le vedeva mentre scivolavano fino sul viso di lei, bianco. Cadevano senza posa, era incapace di fermarle.
«Aislin... amore apri gli occhi, ti prego!»
Singhiozzò, disperato, stordito dal dolore.
Cullò quel corpo come si poteva fare con una bambina, continuando a pronunciare senza posa quel nome, il dolore che gli ghermiva l'anima con artigli affilati, straziandola, spezzandogli il fiato.
Nessuno riuscì a togliergli il corpo della regina dalle braccia, lasciarono quindi fosse lui a trasportarlo fino al campo, dove avrebbero preparato la salma perché tornasse a fare parte della vita.
Rimase in silenzio mentre la notte calava, immobile, vegliando con poche tra le più amate della regina quel corpo che era stato lavato.
Non si mosse, il tempo passò, tutto era confuso per Iraen, l'unica dolorosa certezza era la morte di lei. «Così bella...» sussurrò nella luce dell'alba. Il chiarore illuminava il viso di Aislin, sereno nella pace della morte: aveva compiuto il suo dovere, la sua gente era salva. Aveva visto che Iraen era ancora vivo con i suoi occhi e solo allora aveva ceduto, solo allora aveva abbandonato quelle spoglie mortali.
“Una regina ha due cuori”, gli aveva detto Aislin una volta. “Uno è della sua gente e batte solo per loro, ma l'altro è il suo, quello che ama, quello di donna.”
Aveva salvato il suo popolo e aveva visto che anche lui era incolume. Solo allora si era arresa, pagando il tributo che la sua magia aveva richiesto.
Iraen non sapeva se in quella notte aveva mai smesso di piangere, ricordava confusamente che qualcuno lo faceva bere e mangiare, che gli lavava il viso e le mani, togliendogli l'armatura.
Sapeva di avere abiti puliti addosso, e di non avere più sulla pelle l'odore del sangue.
Però nulla di tutto ciò riusciva ad avere la benché minima importanza.
Vide che un gruppo di streghe spostava la sua amata regina, adagiata su una lettiga piena di fiori e verdi serti intrecciati.
«Cosa le volete fare?» avanzò, allarmato. Cosa volevano fare alla sua Aislin?
«Quello che è giusto.» Alzò gli occhi, trovandosi davanti il viso di Amergin, era stanco e livide occhiaie circondavano gli occhi antichi e profondi. «Lascia che riposi come le sue antenate, Iraen. Merita che tu sia lì con lei in questo ultimo viaggio.»
Silenzioso, seguì il druido, incespicando per un momento nei suoi piedi.
“Ultimo viaggio. Aislin, perché? Non ti sei risparmiata, sapevi. Sei avanzata verso la tua morte con l'orgoglio e la forza di una regina, amore mio. Enda saprà già di te, potrò mai avere la forza di consolarla, nel mio dolore? Aislin...”
Deposero la lettiga sopra una pira, mentre l'alba sorgeva il fuoco incendiò il legno, avvolgendo il corpo della regina delle corna, di Aislin la potente, come ora veniva chiamata.
“Per me sarai sempre Aislin, la mia amata.”
I canti di lutto riempirono la mente di Iraen, erano di conforto in un certo qual modo.
Rimase lì, il calore delle fiamme che gli arrossava il viso e asciugava le lacrime, fino a quando non ci fu che cenere. Solo allora una strega canuta accompagnata da un'altra di poco più giovane si fecero avanti, erano le reggenti.
In silenzio raccolsero le ceneri con la luce della luna e delle stelle che illuminava argentea la terra. Misero il tutto in due grosse ceste e le innalzarono al firmamento. Una magia antica nacque spontanea da ogni strega, dando vita a un vento dolce che sembrava levarsi dalla terra stessa per raccogliere quelle ceneri, spargendole ovunque, ridando una figlia della terra alla creazione stessa.
«Nel vento, nella pioggia, nelle profondità infuocate della terra e sulla foresta, Aislin la potente continuerà a vivere. Parte del tutto, parte di noi, ella non è morta, ma viva.»
Con un ultimo soffio le ultime ceneri si dispersero e Iraen smise di piangere.
Era morto ciò che si dimenticava e Aislin sarebbe vissuta per sempre.
Prese un profondo respiro, guardando la falce argentata in cielo e traendo forza da quelle parole si voltò, andandosene.
Aveva una figlia che aveva bisogno di lui, aveva promesse da mantenere.
La sofferenza non era quieta, non si era sopita, sarebbe sempre stata lì, lo sapeva. Sarebbe solo diventata una presenza fissa nella sua anima, a cui non ci si abituava mai davvero, ma con la quale si imparava a convivere.
Enda l'attendeva, una nuova regina doveva crescere in grandezza, saggezza e amore.
Sua figlia aveva bisogno di lui per continuare quella pace per cui Aislin era morta.
Non sarebbe stato un sacrificio vano, non l'avrebbe permesso.


 

E così la storia è giunta alla sua fine.
Grazie a tutti voi che hanno letto, che l'hanno apprezzata, sono contenta se per un po' vi ho fatto compagnia.
Grazie!

 


Grazie a tutti quelli che hanno letto la storia, se vi piace fatemelo sapere, fa bene alla mia autostima!
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