Memorie da Montpellier

di Daleko
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Pagina 1 ***
Capitolo 2: *** Pagina 2 ***
Capitolo 3: *** Pagina 3 ***
Capitolo 4: *** Pagina 4 ***
Capitolo 5: *** Pagina 5 ***
Capitolo 6: *** Pagina 6 ***
Capitolo 7: *** Pagina 7 ***
Capitolo 8: *** Pagina 8 ***



Capitolo 1
*** Pagina 1 ***


Memorie da Montpellier
 

Alla fine mi sono trasferito in Francia, a Montpellier. I sensi di colpa mi attanagliano ogni volta che quei ricordi mi sovvengono alla mente e forse mi riterrete un pazzo per essere venuto qui; probabilmente la pazzia mi muove sin da quando ho cominciato a scrivere questi diari, più di due anni fa, ma non riesco a liberarmi dei miei demoni attribuendoli a qualche tipo d’insanità mentale; no, quelle sono faccende da arcaico simbolismo russo e di certo non tangono me, stupido venticinquenne di provincia troppo impegnato a crogiolarsi in realtà passate per agire nel presente. Se voglio confessare tutta la verità, mio malgrado, devo ammettere d’agire in modo insensato più che disattento: e così, nella mia giovanile noncuranza verso il rischio e la stoltezza che mi muovono, m’è d’uso ormai farmi chiamare John.
“Ma come, Federico! Attribuisci a te stesso il nome di Steinbeck?” è la frase che sorgerebbe spontanea sulle labbra di chiunque dopo aver letto i miei diari: e sia, lo citerò per rispondere a questo comprensibile interrogativo. “Ho finito per persuadermi che un uomo deve lasciarsi vivere”, scrive Steinbeck nel suo romanzo da Pulitzer. “Prendere la vita come viene, e non cercare di modificarla”: come potrei rimuovere questo nome dalla mia mente, dalla mia vita, dalla mia esistenza dopo che è stato sillabato più volte dalle labbra più dolci e dannate di questa Terra? Mi calza come una veste troppo stretta e spesso temo di soffocarci all’interno; quando pronuncio questo breve, falso nome che mi appartiene come il frutto proibito d’un furto artistico, ecco: l’aria mi manca e annaspo alla ricerca di essa. “John!” mi presento mentre la stessa parola mi esplode esclamata nei ricordi, da una voce giovanile e cristallina che mi procura dolore ogni giorno, ogni notte, ogni istante in cui la mia mente provata ritorna lontano nel tempo e nello spazio alla ricerca del suo viso.

Marie.
Riesco appena a balbettare il suo nome nei miei pensieri senza perdere il senno, anche se le ginocchia nivee mi tormentano ogni volta che le palpebre pesanti tentano di procurarmi un po’ d’immeritato ristoro. Le strade di Montpellier sono così ampie da accendere i fantasmi delle mie paranoie; occasionalmente mi fermo nei pressi d’un luogo imprecisato, uno come un altro, e penso: “Avrà visto quello che sto guardando adesso? Ha mai calpestato questo identico suolo, udito queste stesse voci nell’aria?”.
Forse, nonostante le mie speranze, alla fine impazzirò davvero. Ho tentato, con l’allontanarmi, di dimenticare il suono della sua voce e di cancellare la sua risata dal mio mondo onirico; tutto inutile, che sforzo vano! Al mattino, così come alla sera, il suo ricordo incastrato fra le ore della mia giornata è terribilmente presente. Perché ne scrivo ancora, perché? Ho solo bisogno d’uno sfogo, d’un piccolo spazio ove io possa rigurgitare questi pensieri e queste terribili parole d’odio e d’amore che non trovano più agio in me.

Come farò? Je suis si fatigué…



 

1



 

Note dell'Autore
Sì, "Memorie da Montpellier" è il seguito di "Queste non sono le mie memorie". Credo che Federico abbia ancora qualcosa da dire, qualcosa da fare e decisamente ancora molto da comprendere. Non so quanti capitoli durerà questo continuo di una storia già di per sé difficile, ma so che era necessario cominciare a mettere nero su bianco, per iscritto, le riflessioni di Federico e il seguito della sua "non-storia" con Marie. Non so nemmeno se questa storia sarà più cruda della precedente, se più drammatica o più romantica; dopotutto questo è il presente, e Federico non ha ancora vissuto alcuna nuova avventura...
Spero di leggere i vostri commenti, le vostre recensioni e, in generale, qualsiasi cosa abbiate da dire ora o in futuro riguardo la storia. Vi ringrazio di aver letto fin qui e, ancora una volta, v'invito a ricordare che Nomi, luoghi e fatti narrati sono totalmente frutto della fantasia dell'autore. Riferimenti a persone, luoghi o eventi realmente accaduti è puramente casuale. Grazie ancora una volta per la vostra attenzione; a presto,
Dal.

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Capitolo 2
*** Pagina 2 ***




L'aria era fredda, ma non ho potuto esimermi dal forte bisogno di passeggiare che mi è solito attanagliare la mente dopo il lavoro. Con indosso la camicia immacolata che s’addice a un insegnante e una cravatta Hermès color prugna, oggi ho però preso un taxi e mi sono diretto fuori città: non potevo resistere oltre al dolce richiamo della plage de l’Espiguette. Sono ormai settimane che il pensiero della sabbia bianca e soffice mi lambisce con voluttà, e quasi tremavo dal desiderio di affondare in essa. Ho sfilato lentamente i Karl Moc di Rautureau color pece e, denudati i miei piedi, ho calpestato quella candida rena nella più profonda solitudine. Nessun uomo all’orizzonte, in alcuna direzione: vi eravamo io e le grida acute dei gabbiani, i soli oltre me a godersi il lento sciabordare delle onde sulla riva. La vista delle dune carezzate dal vento e il progressivo tingersi del cielo d’un colore vermiglio m’infondevano un vago senso d’angoscia; mi sono seduto, quasi accasciandomi, a qualche metro dall’acqua cristallina e, allentando il nodo alla cravatta, ho lasciato che le palpebre scivolassero verso il basso. I mocassini accanto a me gettavano ombra sulla mia mano ossuta, e il vento agitava pigramente l’Hermès come una inusuale bandiera di cachemire. Il bagliore del crepuscolo filtrava tra le ciglia portatrici d’oscurità, donando un’ombra purpurea ai miei pensieri.

È da quel giorno che ho smesso d'intrattenermi con la pipa, da quella spiacevole cena. Quando le memorie di quella sera irrompono nella mia mente non posso far altro che cercare di allontanarle, rinchiuderle in qualche angolo remoto dei miei ricordi… Ma poi, ecco: sono seduto lì, sulla tiepida sabbia al calar della sera e la mia mano, fuggendo alla candida rena corre a sfiorare le labbra secche che giacciono inaridite sul mio viso. Sospiro mentre il gracchiare d’un gabbiano si trasforma nel dolce suono della sua risata: la mano trema e le mie membra, d’un tratto, sono deboli e bisognose d’un comodo giaciglio dove trovare ristoro. Cos’altro posso fare? All’imbrunire dedico un ultimo, malinconico sguardo alla riva solitaria e, nell’oscurità della notte, siedo qui: uno gelido scotch, Schubert sul giradischi e io, febbricitante, intento a battere antichi tasti per comporre queste desolanti parole. Ancora una volta devo ammettere, a me stesso come a queste pagine lattee, di subire fortemente e ineluttabilmente il suo fascino: Marie, Marie, Marie. Posso davvero scriverlo? M’è lecito pensarlo? Temo di no, ma devo lo stesso: Marie… Torna da me!


 
2

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Capitolo 3
*** Pagina 3 ***




Non sono più solito riposarmi al parco da non so neanche più quanto tempo. Provo una strana soggezione verso quel posto, adesso, anche se è molto diverso da quello della mia città natia: è l'idea stessa di parco, di giardino pubblico dove poter incontrare un'altra deliziosa ninfetta a trattenermi fra le mura domestiche.
Mi sento così solo, è come una condanna. Ma che cos'è l'autunno se non l'inizio della fine? Morire lentamente, lasciarsi appassire come una foglia infiammata dai colori del sole... L'attimo che precede il sonno eterno è l'essenza stessa della poesia, della letteratura, della vita. In qualche modo questo pensiero, il pensiero che l'intensità del dolore non sia al suo culmine e che possa esplodere in tutta la sua forza l'istante prima del nulla, mi consola. Marie non è la mia fine, Marie non è stata che una lieve stretta al cuore nell'immensa sofferenza che l'approssimarsi della morte provoca nell'Uomo.

Che discorsi tristi, quest'oggi. Forse dovrei mettere da parte questi fogli, questi pensieri e il passato per ricominciare una vita diversa; forse dovrei cominciare a uscire di casa, frequentare locali giovanili e persone con cui discorrere lietamente nelle fresche sere autunnali. Sono solo pigri e vaghi progetti, più eterei di un sogno dimenticato... So bene che non riuscirò a cancellare queste memorie, ché sono ancora troppo vivide e allettanti per non essere continuamente rimembrate.

Oh, quanto desidero del tabacco! Quanto desidero le sue gambette magre stringersi contro il mio busto.
L'ho scritto davvero... L'ho scritto davvero?
Sto perdendo il senno, sto completamente perdendo il lume della ragione. Io non sono così, lo giuro davanti a Dio. Io non sono così e quella ragazzina, quella mente di donna rinchiusa in un corpo da bambina, è il mio maleficio!

È giunto il momento, è veramente l'ora di obliare tutto ciò, di gettarlo violentemente nel passato e rinchiuderlo lì nell'attesa che appassisca come me e come la Natura che mi circonda. Devo uscire, devo andar via! Il prossimo scotch mi pizzicherà la gola in un bar dove potrò guarire circondato, com'è giusto che sia, da adulti e coetanei con cui deliziarsi lontano, meravigliosamente lontano da Marie.

La dimenticherò!

 


3

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Capitolo 4
*** Pagina 4 ***





Il destino è raramente benevolo.
Allego ciò che ho trovato quest'oggi, al mio rientro a casa, infilato nella cassetta della posta a mio nome. Dapprima è stata la lingua italiana ad accigliarmi, poi ho commesso l'errore di terminare la lettura. Neanche quel piccolo errore, quel "fortuito" trasformato con una "u", è riuscito a farmi sorridere; l'angoscia che mi stringeva la gola era eccessiva anche per me.

Per il momento non ho null'altro da dire.
 
4


 

Gentile Federico, 
qualche giorno fa ero in libreria a cercare Printemps noir alla Bibliothèque Jean-Paul Sartre. Non è un quartiere che mi piace, ma è vicino al Parc de la Guilarde che personalmente adoro, così ho pensato di dirigermi alla Jean-Paul Sartre invece di tornare subito a casa.
Papà ci ha lasciato quattro mesi fa. Stava facendo colazione e io ero in bagno a lavare i denti, ho sentito un rumore di tazzine rotte ma mi sono preoccupata solo quando ho sentito la mamma urlare. Papà era a terra e poi l'hanno portato via. Mamma dice che è stato un infarto e che non aveva più senso restare in Italia, così siamo tornate in Francia assieme ad Alberto. Non fa che piangere, è un tale frignone ma ha solo sette anni, quindi non mi arrabbio con lui.
Lo so, ho sbagliato, non avrei dovuto seguirLa fino a casa, ma quando l'ho vista mi è sembrato tutto così assurdo! RitrovarLa di nuovo nella mia vita dopo più di due anni e rivederLa per prima senza che Lei si accorgesse di me. L'ho osservata e a ogni Suo gesto mi sembrava sempre più bello, sempre... Più sicuro di sé. Credo ci sia un motivo preciso se Lei è venuto a Montpellier e non può essere solo un caso furtuito se ci siamo ritrovati qui, in questo modo.
Mi dispiace per questa lettera, forse non vorrà più avere mie notizie, forse riterrà sgradevoli le mie attenzioni ma non potevo non provare a contattarLa un'ultima volta. Non mi sentirà più pronunciare quel nome né ricordare il passato in modo doloroso: mi piacerebbe solo guardarLa negli occhi ancora una volta.

Mi farò viva.

 
À bientôt,
M. Conti-Bertrand




 

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Capitolo 5
*** Pagina 5 ***



L'angoscia di vivere.
Sono seduto a udire il rumoreggiare della macchina da scrivere, che mi accompagna a ogni carattere con un altro metallico "tac". Sono stato terribilmente passivo in questi giorni, passivo e con un peso nel cuore che speravo di non provare mai più. Gli adolescenti del mio corso di Letteratura sono spesso annoiati dalle mie parole; io sono tediato dalla loro stessa noia, così ogni tanto interrompo il mio parlare per accarezzare con gli occhi il paesaggio visibile dalle finestre dell'aula. C'è stato qualcosa di profondamente masochistico nella scelta dell'istituto privato cui mi sono presentato alla ricerca di un lavoro; l'edificio sorge proprio a fianco di un bellissimo parco, di quelli con più alberi che distese d'erba. So che in molti non apprezzano l'estendersi delle ombre tra le panchine e i lampioni spenti, ma io non riesco a immaginare un posto più bello di quello ove, tra una quercia e un fruscio di rami mossi dal vento, si possa camminare in un silenzioso viale alberato al riparo dal sole invitato solo ogni tanto, sulle distese erbose lontane dalla buia tranquillità dei viali, a brillare nella sua pienezza.

Sto divagando, lo so. Da quanto non accadeva un virare improvviso nella mia narrazione dei fatti? Forse da quando quella ragazzina è entrata impetuosamente nella mia vita. Quale tragedia! Penso nuovamente a lei. Non che fossi riuscito a chiuderla fuori dalla mia mente, non del tutto, ma...
Sto divagando di nuovo; non c'è neanche la musica a farmi coraggio. Racconterò cos'è accaduto due giorni fa, ma mi serve ancora qualche momento; ho bisogno di versarmi qualcosa di forte.
*
 
«Federico?»
Non riesco a voltarmi. Sapevo che sarebbe accaduto lì, doveva accadere lì. In mano stringo un libro che ho portato più per vezzo che per reale praticità: come potrei leggere con una tale tensione che mi stringe le viscere? Le mani si aggrappano convulsamente al tomo e gli occhi non riescono a staccarsi dal viale lastricato. Ho la bocca secca, un movimento alla mia sinistra dovrebbe farmi voltare ma le orecchie mi ronzano e forse sto per svenire; non svengo, ma tremando trovo il coraggio necessario a voltarmi, come tanto tempo fa, nuovamente alla mia sinistra.

Dio, quant'è bella; rassomiglia a un angelo! Mi sorride imbarazzata e gli occhi mi si riempiono di lacrime. Sono le sei e quaranta del mattino, il viale è nostro e io non riesco a ritirare il mio sguardo dai suoi occhi magnetici. Le labbra sottili sono arricciate all'insù mentre l'espressione timida si trasforma lentamente in qualcosa di meraviglioso, l'essenza stessa della gioia trattenuta a stento. Mi accorgo di non star più respirando; i capelli mogano sono lasciati liberi nella brezza del mattino, e le ricadono dolcemente sulle spalle senza alcun fermaglio. Non ha perso la sua abitudine nel portare vestiti anche nelle ore meno calde della giornata: il mio sguardo guizza sulle figure del suo corpo nel tentativo di cibarsi di lei. Quanto sono affamato di questa piccola figura! Quanto tempo è stata lontana dai miei occhi! Sul suo ginocchio destro c'è una nuova, piccola cicatrice. Come se l'è procurata? Le gambe cominciano a ricoprirsi di una leggera e chiara peluria; posso notarla dai lievi riflessi che mi segnala qualche sporadico raggio di sole, che riesce a penetrare le fronde degli alberi in queste prime ore del giorno. Non riesco a trattenere gli occhi impazziti: lambisco il suo piccolo corpo con lo sguardo, l'accarezzo, la stringo nella mia mente, la posseggo, è acqua per la mia anima assetata. Le mani sono strette pudicamente davanti al ventre e riesco a notare, sotto la lieve stoffa del vestito blu notte, le forme che l'accolgono nella pubertà. Quanti anni ha adesso? Tredici, ne ha tredici ed è già l'angelo più bello della Terra. Riprendo a respirare con un rantolo che mi schiude le labbra secche; sono impotente e senza forze. Non so cosa dire, non so cosa fare, non so nemmeno cosa pensare: la bambina abbassa il capo e i capelli scuri le scivolano sulla pelle candida del viso, ricadendo in avanti. Rialza lo sguardo dopo un momento, quasi scrutandomi da quella posizione di vergognose scuse. Cos'è che posso dire? Cos'è che dovrei dire? Le labbra schiuse si chiudono e si riaprono per un paio di volte mentre il cuore comincia a dolermi nel petto, a causa della terribile forza con cui vi batte contro. Non riesco a muovere neanche un muscolo: la ragazzina ha un fremito e nei suoi occhi grigi scorgo un lampo di tristezza. Alzo lentamente una mano di qualche centimetro, intenzionato a porgergliela per chissà quale motivo, ma non riesco a fare null'altro. La prima lacrima mi colpisce come uno schiaffo: le sue guance si rigano di malinconia e in pochi secondi il suo singhiozzare cancella ogni residuo della parola che mi stringeva le membra.
«Marie!» esclamo a voce alta. Mi alzo come spintonato, non ho più il controllo di me stesso. Cado in ginocchio davanti a lei, le mie braccia si stringono dietro la sua esile schiena. «Marie, piccola Marie» mormoro angosciato mentre lei continua a piangere sulla mia spalla. Le sue braccia nivee mi cingono il collo e le sue lacrime battezzano la mia pelle: la respiro, accarezzo i suoi capelli, sono inerme ormai sconfitto da quelle lacrime. «Mi sei mancato, John...» mormora tra i singhiozzi. Il respiro mi si mozza con violenza mentre anche i miei occhi, d'un tratto, ricominciano a brillare dell'acqua più preziosa al mondo. «Anche tu» balbetto semplicemente mentre un suo sospiro mi sfiora con delicatezza. Chiudo gli occhi, rinunciando al futuro e ad ogni controllo su di esso: illudersi è inutile. «Anche tu, piccola Marie» ripeto in un mormorio senza più alcuna remora. 

 

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Capitolo 6
*** Pagina 6 ***




"Il guaio è che quando si è sobri non si ha voglia di veder nessuno, e quando si è sbronzi nessuno ha voglia di vedere noi".
F.S. Fitzgerald

È stata una pessima idea.
Dovevo semplicemente rifiutarmi di vederla, rifiutarmi di aiutarla. Rifiutare quei suoi occhi penetranti come aghi, cercare un modo per sfuggirle... Invece mi sono ritrovato a piegare nuovamente la mia volontà al desiderio di riempirmi l'anima di lei, della meraviglia che scatena in me. Quella passeggiata terminò con una promessa che ieri ho dovuto onorare, colmo di rimorsi e paure anche se non completamente infelice. Temo che sia proprio la mancanza d'infelicità a scatenare questo disgusto verso di me che ogni tanto, a fiotti, mi riempie fino alla nausea.
Di seguito, la cronaca destinata ai posteri delle angoscianti ore seguenti il meriggio, narrata dal me più turbato e reale.
 
*
 
"S'il vous plaît, je voudrais étudier ton auteur préféré" domandò con garbo, compita e beneducata. La osservavo in quella poltrona rossa che usualmente non ospitava altri che me; l'idea di ritrovarvi il suo profumo mi confondeva in modo terribile. Decisi di rispondere a mia volta in francese. "Mon auteur préféré, en ce moment, est trop compliqué pour toi. Commençons par quelque chose de plus simple" ribattei piccato. "Je voudrais étudier John Steinbeck" mi provocò con un'ombra di malizia nella voce; seduto alla scrivania, ugualmente a ora, m'irrigidii. "Non" scandii gelido. "Aucun de la génération perdue, pour le moment" precisai, scatenando una smorfia di dispiacere sul suo candido viso. "Ce que je vais étudier?" chiese ancora; il labbro inferiore, roseo e spinto verso l'esterno in un fanciullesco capriccio, mi distrasse. "Alexandre Dumas" risposi infine. "Padre" anticipai la sua domanda tornando a parlare in italiano. Lei si limitò a sospirare con mestizia mentre io, alzatomi dalla seduta e direttomi alla pesante libreria, sceglievo un tomo dalla copertina d'un intenso porpora. "Non sono una bambina" si lamentò mentre le gambette nude dondolavano avanti e indietro; non perdeva il vezzo d'indossare quelle vesti colorate, almeno non in mia presenza. Sospirai, poi mi voltai nella sua direzione e la raggiunsi in pochi passi. "Leggi" ordinai in tono neutro. Le sottili mani di Marie sfiorarono le mie, quasi tremanti, e portarono il libro sul grembo della ragazzina. "Les trois Mousquetaires?" lesse con voce delusa; io avevo ritrovato il mio posto sulla sedia mogano al di qua della scrivania, e le scrutavo il viso corrucciato in un'espressione che non l'abbelliva. "Avanti, Marie. Sei stata tu a chiedermi lezioni" la incoraggiai trattenendo a stento il mio impulso d'abbracciarla, renderla felice, farle leggere tutto ciò che desiderava. Continuavo a ripetermi: "Calma, Federico. Ora non sei più John, ora sei solo un professore"; ma era estremamente difficoltoso mantenere quel ruolo con dignità. "Tu non credi che io sia capace" mormorò mestamente Marie. Aveva rialzato i suoi grandi occhi da cerbiatta. "Je connais les novellas de Steinbeck! Je les connais par coeur!" esclamò improvvisamente; sembrava ferita. Sospirai e tentai di risponderle con calma. "So che le conosci, Marie..." e non mettevo in dubbio il suo poterle conoscere a memoria, ma venni interrotto nuovamente. "Je les ai lues pendant des années!" scandì. Rimembrai la sua attenzione per un libro dalle dimensioni generose, quel giorno della cena: forse leggeva davvero quelle poesie da anni. "Pourquoi tu ne pas me aider à améliorer la lecture? Je ne veus pas d'étudier Les trois Mousquetaires, je me ennuie!" terminò con gli occhi colmi di lacrime. Mi sentii impotente e crudele: si annoiava, era vero. Perché non la rendevo felice? Io volevo farlo... Ma volevo davvero?
Sentii la testa dolermi dallo sforzo, così mi alzai nuovamente. Marie mi seguiva con lo sguardo: mi diressi nuovamente verso la libreria, lasciando scorrere lateralmente un'anta del mobile al di sotto degli scaffali. Rivelai molte bottiglie di nettare alcolico.
"Oh" notò la ragazzina; non aveva smesso di stringere il libro a sé. Prelevai una bottiglia piena per metà, un irish whiskey di ottima fattura, e un basso flûte nel quale berlo senza alcun rimpianto per i bar oltreoceano. "Se davvero conosci le storie di Steinbeck a memoria, recitami qualcosa" la invitai senza voltarmi a guardarla: intento com'ero a versare quel liquido inebriante, incrociare il suo sguardo non sarebbe stato d'aiuto. La sentii schiarirsi la voce.
"...e lì era la grande perla, perfetta come la luna. E assorbiva la luce e la filtrava, per rifrangerla in un'incandescenza d'argento..."
Ero colpito. Stava citando davvero Steinbeck, lo citava alla lettera e il romanzo era "La perla". "Elle était aussi grosse qu'un oeuf de mouette", continuò. Mi voltai a osservare il suo viso trasformato dalla sfida lanciatami silenziosamente, quasi per scherzo: continuava in francese, dimostrandomi di averlo studiato in due lingue. Ero profondamente colpito. "C'était la plus grosse perle du monde" terminò con soddisfazione; le sue labbra si arricciarono verso l'alto e le mie sopracciglia seguirono la stessa curva. Portai alle labbra il bicchiere, tornando a darle le spalle; non volevo esprimere più stupore di quanto non avessi già fatto. Ero risentito: sapeva di avermi piegato alla sua volontà, e n'ero uscito offeso.
"Et moi, John?" sentii improvvisamente dietro di me. Non mi voltai; qualcosa nella sua voce aveva raggelato il mio essere. "Je ne suis pas ton petit, précieuse perle?.." domandò in un mormorio; le mani mi tremavano vistosamente. Marie si levò dalla poltrona, poggiando il tomo sulla forma lasciata dietro di sé. "Perché io... Mi ci sento, con te. Preziosa. Speciale..." continuava con voce appena udibile; sembrò strisciarmi nella mente e il bicchiere quasi sfuggì alla presa delle mie mani gelide. Lo riposi sulla libreria. "John... John, parlami" cominciò a singhiozzare e io mi voltai di scatto. "Marie, temo che il nostro tempo sia finito. La prossima settimana, se lo desideri così tanto, potremo iniziare con Steinbeck" le promisi con voce atona e forzatamente calma. Il mio sguardo carezzò il muro e le ombre che vi giocano al di sopra finché la ragazzina non fu oltre la porta d'ingresso. Continuò a parlarmi mentre si allontanava ma in me c'era la consapevolezza che, se solo i miei occhi o la mia mente avessero inciampato un'altra volta nella sua figura, avrei agito in modo amorale e troppo stolto anche per me. Appena mi ritrovai padrone della mia solitudine, cercai nuovamente il bicchiere con la mancina e tornai a sedermi alla scrivania. "Cos'ho fatto...?" mi domandai colmo di risentimento. Ormai è inutile pensarci ancora: cinque giorni ci separano ancora, un'eternità troppo breve per rinsavire e un istante immenso per lambire ancora la sua figura con il mio sguardo assetato di lei.

Temo d'esser perduto d'un angelo dannato.

 

6

 

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Capitolo 7
*** Pagina 7 ***



Meglio per l'uomo peccare con fervore anziché compiere buone azioni senza entusiasmo.
I.B. Singer

*
 
Le sue gambette sottili e d'un biancore niveo confuse nella luce del mattino, dondolate lentamente come anni addietro, dalle ginocchia ossute mostrate grazie all'assenza dell'abito nuovo. I piedi nudi arricciati, distesi e nuovamente arricciati in un muto invito a rosicchiarli con lo sguardo, con i denti, con il corpo acceso dal suo accanto al mio. La guardo, mi guarda: il bacino stretto e dai fianchi da bambina, il petto quasi inesistente, i capelli confusi tra le lenzuola. Bacio la sua pelle candida, lei sussurra il mio nome, stringe le sue piccole mani sui miei fianchi, intreccia le dita affusolate dietro la mia nuca ispida. La desidero, la mia mente vuole possederla, il mio corpo pure. Sono spento e acceso allo stesso tempo e i suoi occhi scintillanti di vita scavano nei miei, spogliano la mia anima per costringermi ad amarla più di quanto non faccia già. È un angelico demone quello che spinge il suo corpo fresco contro i miei bollori da giovane uomo, questa ninfetta che sussurra ancora il mio nome. La sua voce è scossa da un sospiro, poi da un altro; miagola ai miei lobi, bacia le mie gote mentre muoio sul suo collo di porcellana. Ninfetta crudele che afferri il lenzuolo con un piedino arricciato, lo afferri con una mano peccaminosa e lo stendi sui nostri corpi tremanti: cerchi di nascondere al mondo la nostra follia mentre premi con forza le tue labbra sulle mie, prima che io ricambi con la stessa forza e la stessa paura. Labbra umide, labbra morsicchiate, labbra inesperte come le ricordavo. Labbra che posseggo, posseggo, posseggo con ardore. La sua lingua scivola a lambire la mia e non posso che emettere un sospiro roco nell'assaggiarla, nel ricambiare questo bacio atteso per tutta la vita. Le mie braccia tremano, puntellate sul materasso testimone del nostro segreto. Mi stringe ancora a sé, distruggendo la mia fragile forza di volontà e trascinandomi in un ballo dannato. Le mie labbra scendono sul suo corpo, saggiano il sapore del suo corpo, delle sue forme. Geme, assatanata; forse finge, desidera ch'io le tenga la mano mentre attraversa la soglia per diventare donna. Sono una vittima! Una vittima schiava del suo angelico carnefice. Stringo i suoi lombi, li posseggo con delicatezza: non cessa mai di scrutare la mia anima, gli occhi fissi nei miei nonostante le labbra schiuse e il sospiro leggero, cadenzato dalla passione. È mia, è sempre stata mia e mi costringo a crederci anche conoscendo la verità: è lei, scheggia d'una luccicante stella conficcata nella mia mente, ad avermi posseduto sin dal primo giorno.
 

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Capitolo 8
*** Pagina 8 ***




Mi ha lasciato due settimane dopo.
È tornata da me per una singola lezione, dopo quel tragico quanto meraviglioso pomeriggio. È stata silenziosa per entrambe le ore, annuendo quanto necessario e limitandosi a leggere i passi da me scelti. Era pallida, più pallida del solito, e una ruga sottile le si era dipinta sulla fronte: sentivo il bisogno di baciarla via.
"Marie, alla prossima settimana" le ho detto per congedarla. "Oh, alla prossima non ci sarò" mi ha risposto, e così ho detto: "Fra due settimane, allora". Non so se avessi già paura, ma forse potevo avvertire nell'aria il nostro addio imminente. "A fra due settimane, allora" ha concluso lei, chiudendo la porta alle sue spalle. Sono corso alla finestra e l'ho osservata allontanarsi, poi gli occhi hanno cominciato a perdere acqua. Ho pianto, e tremante ho radunato i miei diari. Era pericoloso tenerli per casa e così li ho infilati nel camino, accendendo un caldo oblio fuori stagione: le nostre memorie sono morte.

Tre giorni fa ho trovato una lettera manoscritta nella posta. Non posso allegarla perché l'ho subito ridotta in cenere, ma la ricordo come una preghiera materna. Diceva:
"John, è stato un errore. John è morto e anche Marie. Sono rimasti in vita Federico e una bambina qualsiasi. Mi hai rubato qualcosa e sono stata io a permettertelo. Non voglio vederti mai più".
Oh, quante lacrime ho versato! Ho anche pensato di togliermi la vita, per un istante o due, ma ogni volta che la lugubre immagine della Fine prendeva forma tra i miei pensieri la sua risata, le sue labbra, i suoi occhi luminosi si affacciavano nella mia mente per dirmi: "Dov'è che vai senza me?".
Marie, Marie, amore mio. Non sono io ad aver rubato la tua anima, ma tu ad aver incatenato la mia. Io sragiono, son diventato pazzo. Pazzo!, e scrivo queste pagine di getto come tale. Ormai temo la galera solo perché le sbarre m'impedirebbero la tua vista.
Mia dolce Marie, ho provato a fuggire per rinsavire e tu hai stretto ancor più le mie catene. Non puoi rimettere uno schiavo d'amore in libertà, perché ucciderebbe chiunque pur di ritornare al proprio posto e quel posto, quello intorno a te e affianco a te, è mio e mio soltanto.
Marie, Marie, io non posso più vivere senza te!!!

 
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