I luoghi a cui apparteniamo

di petitecherie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Preludio ***
Capitolo 2: *** Il mago ***
Capitolo 3: *** L'incontro ***
Capitolo 4: *** Ritorno ***
Capitolo 5: *** Attraverso lo specchio ***
Capitolo 6: *** Il Re ***
Capitolo 7: *** La Regina ***
Capitolo 8: *** Un nuovo giorno ***



Capitolo 1
*** Preludio ***


cronache del labirinto


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Dalle Cronache del Labirinto, parte XVIII, p.783V




6°giorno del Mese di Luna


  • Invocazione ai Guardiani e agli Spiriti Ancestrali

(dal Libro dei Rituali, parte I, p. 22R) -



Sulle mie esili spalle ricade il compito di vegliare sul Labirinto, ormai senza padrone. Credemmo che la Vista di Sarah, la sua capacità di evocarci nel Sopramondo, volesse dire qualcosa, ma, nel momento in cui Ella crebbe, il rifiuto fu tale che noi fummo dimenticati e ridotti ad una mera fantasia infantile.

Quale sorte ci attende?

Io conosco il mio compito: le sacre stelle hanno mostrato la via.

Quest'anno, quando il velo tra i Mondi sarà più sottile, dovrò lanciare la Sfida dei Tredici Rintocchi. Due anime troveranno finalmente la strada... o la perderanno definitivamente.

E' tempo di narrare una nuova storia.


****


Quella notte, Sarah Williams sognò il Labirinto.

Le capitava di rado, ormai: con gli anni, i suoi sogni di adolescente si erano concretizzati in solidi obiettivi. Lei stessa stentava a riconoscersi nelle vecchie foto, che la ritraevano in lunghi abiti bianchi e fiori tra i capelli: una Proserpina infantile e saggia che recitava nella solitudine del parco.

Eppure, talvolta, il sogno tornava e di nuovo, davanti al suo sguardo, si spalancavano i sentieri già battuti.

Camminava a piedi nudi per i corridoi, sfiorando i muri di pietra con la punta delle dita. La fragile sottoveste che indossava non offriva riparo dal gelo della notte, ma Sarah avanzava senza prestarvi attenzione, i capelli sciolti sulle spalle e gli occhi verdi sgranati nel buio.
Il corridoio in cui si trovava si apriva su un piazzale deserto, inondato di luce lunare.
Ninfe di marmo biancheggiavano fra le siepi: i visi rivolti al cielo, le palpebre abbassate, le labbra carnose dischiuse in silenziosi gemiti di piacere... o forse di estrema agonia.
Una strana vitalità animava quei volti, come se la pietra in cui erano scolpiti fosse sul punto di divenire carne, o la carne di cui erano composti si fosse appena tramutata in pietra.
Sarah si strinse le braccia intorno al corpo, rabbrividendo nel silenzio irreale.
La fontana sorgeva al centro del piazzale come un fiore gonfio, malato.
I raggi lunari le conferivano il candore spettrale di una catasta di ossa.

Luce e ombra si posavano irregolari sulle superfici scolpite, svelando sirene, tritoni, strani putti dagli occhi di falena che stringevano al petto…
Una delle statue si mosse.
La ragazza spalancò gli occhi e premette le mani contro le labbra, trattenendo il fiato.

Un istante dopo esalò un sospiro; una punta di sollievo la invase, mischiandosi ad un nervosismo diverso: non era una scultura, era lui.

Il suo tormento, il suo vecchio nemico. L'enigma mai risolto.

Stava accovacciato sulla sommità della fontana, nudo dalla cintola in su, la pelle così pallida che non c’era da stupirsi se sulle prime lei lo aveva scambiato per una figura di marmo.
Lui teneva la schiena curva per ripararsi dalla luce lunare, e stringeva nel pugno un piccolo animale.

Sotto gli occhi di Sarah, lo portò alla bocca e lo azzannò.

Il sangue spillò su due labbra sottili, una lingua appuntita guizzò tra i denti affilati.

Lui non sollevò mai lo sguardo, e Sarah continuò a fissarlo mentre consumava in silenzio la sua preda.

I capelli dorati scarmigliati sulla schiena nuda, la bocca sporca di sangue, gli occhi luminosi e sperduti di un demone.

Avrebbe dovuto essere spaventata, almeno inorridita.

Invece una compassione più grande di lei la fece vacillare.

Si svegliò di soprassalto, con il cuore in gola.
La luce lunare filtrava attraverso le tende come una benedizione. Era nel suo letto, nella sua stanza.
Era al caldo, al sicuro.
Si asciugò una lacrima all'angolo del viso, e scivolò di nuovo nel sonno.


****


Quella notte lui sognò la Foresta. La sognava quasi ogni notte, da quindici anni a questa parte. Aveva la certezza di essere stato lì – lì dove, poi? - e che quel sogno custodisse la chiave della sua identità, il se stesso che aveva perduto e non riusciva a ritrovare.
Sognò le cime degli alberi dispiegarsi nel buio, il freddo della notte sulla faccia, sulle piume del ventre e delle ali.

In quei sogni lui era un uccello - un gufo, forse – e l'aria profumava di resina e foglie, e la notte era un grembo oscuro e accogliente, tenebra azzurra sfumata d’argento.

Un movimento, molto più in basso, attirò la sua attenzione.
Lui raccolse le ali attorno al corpo e piombò nell’intrico di alberi, gli artigli protesi nel buio con precisione infallibile.

Un trillo sommesso squarciò il silenzio, simile al singulto di un bambino. Una piccola nube di piume si levò nell’aria.

Un attimo dopo lui volava oltre la Foresta, con la piccola preda stretta fra gli artigli robusti.

Si posò sulla sommità della fontana e tornò in forma umana.

Si accovacciò fra le statue di pietra e affondò i denti in quel pasto senza memoria.

Non aveva bisogno guardarsi intorno per sapere che la ragazza era lì: udiva il battito accelerato del suo cuore.

Non aveva idea del perché, ma lei c’era sempre. Forse, al pari della Foresta, quella donna era legata a lui: al lui che era stato e che ora non era più. Forse anche lei era una chiave per capire dove avrebbe dovuto andare o dove avrebbe dovuto tornare.

Lei, il suo spettro bianco. Lei, che cammina con grazia inconsapevole sul confine sottile tra odio e amore.

Se si concentrava abbastanza, riusciva a indovinare il suo respiro.
Chiuse gli occhi, lasciandosi cullare da quel suono.

Li aprì di scatto su una stanza buia e fredda, 'ché scioccamente aveva lasciato la finestra aperta, ingannato dal clima ancora mite di Ottobre.

I Sogni, che luoghi interessanti! avrebbe esclamato il suo vecchio psicologo.
Si voltò verso la finestra: la luna spiava attraverso le tende come l'occhio bianco di un morto.
Lui affondò il viso nel cuscino, cercando di non pensare al gelo che lo stringeva.

Infine si alzò e raggiunse la finestra; la chiuse con uno scatto secco, incrociando per un istante il riflesso dei propri occhi spaiati.

Anisocoria, gli aveva spiegato l’oculista. Significa che hai le pupille di diametro differente l’una dall’altra. Devi aver ricevuto un violento trauma all’occhio sinistro, che ha causato una paralisi del muscolo sfintere dell’iride. Ricordi per caso qualcosa di simile?

No, non ricordava.

Abbassò lo sguardo sulla proprie mani: un verme tatuato su un palmo, una stella tatuata sull’altro, significati oscuri di una vita dimenticata.

Si portò le mani al petto nudo e le sfregò contro la pelle, come a ripulirle da un sottile strato di sangue.

-Chi sei davvero? Desidero che i nostri cammini si incrocino di nuovo.-

Non sapeva a chi avesse rivolto quella preghiera: se al vecchio se stesso o alla fanciulla bianca dei suoi sogni, ma alla fine non importava.

Poiché aveva detto le parole giuste, la Magia lo ascoltò.




***

NdA

Salve a tutti :)  spero che il prologo vi sia piaciuto e che vi abbia incuriosito.

Questa storia nasce da una chiacchierata fatta con Saliman lo scorso anno. All'inizio avevamo pensato di scrivere questa ff assieme ma, a causa di varie vicende personali e non, abbiamo deciso di cambiare i piani: Pepe avrebbe portato avanti la storia e Sale sarebbe stata la fida beta. E la sua manina santa si vede eccome <3 Grazie, tesora!
Per i vecchi lettori del fandom Labyrinth, una parte di questo prologo non sembrerà così nuova. Effettivamente, io e Saliman l'abbiamo ripreso, rielaborandolo, da una sua vecchia storia "Labirinto di Specchi" che al momento non è presente sul sito (ma io spero nel suo ritorno). Le due storie sono scollegate e non hanno nulla in comune ma queste parole ci sono sembrate così adatte alla vicenda che intendevamo narrare che ci siamo affrettate a riutilizzarle. Stessa cosa vale per il dettaglio dei palmi tatuati di Jareth, dettaglio ripreso dalla storia "Le cose che perdiamo nel fuoco" sempre di Saliman.

Voglio dedicare questo racconto in primis a Sara Saliman in quanto è una della mamme di queste parole e si merita gran parte del plauso. Come sai, aspetto sempre i tuoi lavori e sai quanto li ammiro. "Le cose che perdiamo nel fuoco" è la mia ff preferita in assoluto :)
Poi, voglio dedicare tutto ciò a David Bowie, il nostro amatissimo Re dei Goblin. Dovunque tu sia ora, caro Jareth, sono sicura che sarà un'avventura magnifica. Grazie per tutto, Duca Bianco.


Pepe

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Capitolo 2
*** Il mago ***


L'incantatore
But,
I nearly forgot.
You must close your eyes.
Otherwise...
you won't see anything.
Lewis Carroll, Alice in Wonderland
 

 

La voce di David, morbida e un po’ roca, graffiava l’aria come l’artiglio di un gatto.

-Certo che ci sarò, Maggie. Facciamo alle quattro e mezzo, allora!-

-Sicuro che non sia un problema aver posticipato?- dall’altro capo del cellulare, la voce della donna trasudava efficienza. David udì un fruscio in sottofondo, come se la donna stesse sfogliando l’agenda. -Perché altrimenti possiamo… -

-Tranquilla, Maggie: nessun problema! Spostare la tua riunione sul bilancio dell’intero ospedale mi sembra un filo più impegnativo che spostare il mio spettacolo per i bambini della pediatria.-

Silenzio. A David pareva di sentire le rotelle girare nella testa di Maggie.

-Non ne sarei così sicura, sai? Abbiamo un totale di trenta piccole pesti che ti adorano. Più relative madri che potrebbero adorarti ancora di più, se solo ti decidessi a indossare i pantaloni di scena che ti avevo suggerito...-

-…sei molto cara, ma erano un po’ troppo attillati…-

-…per non parlare dei tuoi fan nel personale medico e paramedico. Se il tuo spettacolo venisse sospeso, rischierei un’insurrezione, altrochè!-

-Amministrare un ospedale è un mestiere pericoloso!-

-Puoi dirlo forte, ragazzo!-

David sollevò un biondo sopracciglio.

-Credo che nemmeno mia madre mi chiamasse così, sai?-

-Finchè non ti torna la memoria, non possiamo esserne sicuri,- sentenziò Maggie, pragmatica. -E in ogni caso qualcuno dovrà pur farne le veci, no? A dopo!-

David chiuse la chiamata con un ghigno ironico stampato sul volto affilato.

Si passò una mano tra i corti capelli biondi e si chinò sul borsone aperto sul letto, riprendendo a fare l'inventario.

Bacchetta? . Cappello? Ovvio! Cristalli? Li ho inseriti prima e… sì, ci dovrebbe essere tutto.

-Valigia da lavoro: mission accomplished!-

Inserì nel borsone la camicia dalle ampie maniche che costituiva il suo costume di scena, e da ultimo pigiò dentro il mantello nero, punteggiato di strass talmente piccoli da sembrare parte della trama stessa del tessuto. Come sempre, ebbe un brivido sfiorando quella stoffa così particolare.

La restante parte della sua tenuta era molto semplice, ma quel mantello...

Il pubblico deve essere partecipe e lasciarsi incantare, sussurrò a se stesso.

Si guardò intorno, indeciso se portarsi dietro qualcos'altro, ma finì per lasciarsi distrarre dalla propria immagine, imprigionata nella cornice del grande specchio decorato, posto al centro del monolocale. La funzione dell’oggetto era quella di convogliare più luce possibile dall'esterno e far sembrare l'ambiente più spazioso, ma a David ricordava lo specchio magico di Alice nel paese delle Meraviglie: quasi un portale per un'altra dimensione, se solo avesse conosciuto le parole giuste.

Sorrise al proprio riflesso. Non sapeva con esattezza quanti anni avesse: doveva andare per i quaranta, forse: di certo più di trentacinque primavere se le portava addosso. Il suo riflesso mostrava un uomo curato, dal portamento elegante e dall'atteggiamento sicuro, ma non arrogante. La sua particolarità più affascinante stava senza dubbio negli occhi spaiati.

Dopo aver lasciato l'ospedale, costretto a doversi inventare da capo una vita e un’identità, David aveva puntato tutto sul proprio carisma e sulla strana, apparentemente innata abilità per i giochi di prestigio.  La sua abilità nel contact juggling, l'arte di manipolare le sfere, l'aveva reso abbastanza rinomato nel suo ambiente e gli aveva garantito il companatico. Insomma, per essere la vittima di un misterioso incidente affetta da un'amnesia irreversibile – quindici anni e nemmeno un dejà vu - David King si era ripreso abbastanza bene.

Oltre a una reputazione nel proprio campo, aveva creato una stabile rete di amicizie: con esse curava la solitudine e il sottile senso d'abbandono, pressoché inevitabile visto che nessuno l'aveva mai cercato in quegli anni.

Le congetture sulla sua vera origine, sulla sua vita e la sua identità di prima, si sprecavano, ma il dottor Cavendish, il suo psichiatra, gli aveva consigliato di non tormentarsi più di tanto: la sua vicina di casa gli preparava un'apple pie fantastica, di che si doveva lamentare?

Persino il suo nome sembrava portargli fortuna.

Non che fosse davvero il suo – non aveva la più pallida idea di come si chiamasse – ma, per una serie di fortunate coincidenze, sembrava calzargli a pennello. Proprio Maggie l'aveva soprannominato “David” notando la sua somiglianza con David Bowie, e “King” se l’era scelto da solo, perché gli pareva adatto alla propria persona. Durante gli spettacoli si presentava come King David, il Re Davide, citando così il personaggio della Bibbia, a cui si sentiva vicino per modi di fare e complessità psicologica.

Il suo cellulare emise un beep e David si trovò davanti l'ennesimo messaggio di auguri per il suo compleanno. Scosse il capo. Non amava più di tanto la ricorrenza in questione, anch'essa fittizia, perché gli ricordava tutto ciò che gli mancava. Sui documenti, comunque, doveva comparire un’ipotetica data di nascita, e David aveva optato per il giorno in cui era stato trovato privo di sensi in un parco della città, un Halloween di quindici anni prima. L'unica cosa rimasta del suo passato era il mantello nero come la notte, che lo ricopriva mentre sotto era nudo come un verme.

Chi, come e perché fosse finita così, rimaneva un mistero e David esorcizzava le paure legate a quella notte nell'unico modo possibile: ringraziare per la nuova vita coloro che l'avevano salvato. Così, da parecchi anni a questa parte, organizzava un piccolo spettacolo nel reparto di pediatria dell'ospedale e ciò lo faceva sentire utile, oltre che vivo.

David sorrise tra sé, chiudendo il borsone.

Tutto pronto: si va in scena!

 

*

 

Io sono un guerriero,
veglio quando è notte

Ti difenderò da incubi e tristezze,
ti riparerò da inganni e maldicenze
e ti abbraccerò per darti forza sempre.
Ti darò certezze contro le paure
per vedere il mondo oltre quelle alture.
Non temere nulla io sarò al tuo fianco
con il mio mantello asciugherò il tuo pianto.

Marco Mengoni, Guerriero

 

-Posso andare allo spettacolo, allora?- chiese Liza.

Un lento sorriso affiorò alle labbra di Sarah.

-Prima sentiamo come respiri.- disse, infilando il fonendo nelle orecchie e poggiando la campana sul torace della bambina.

La piccola paziente tacque immediatamente, respirando a bocca aperta come ormai aveva imparato a fare. Sarah socchiuse gli occhi e si concentrò sul suono regolare e leggermente aspro del suo respiro.

Niente fischi o sibili, prese nota mentalmente.

-Fai un colpo di tosse, tesoro.-

Liza obbedì diligentemente.

Ancora qualche crepitio sotto i colpi di tosse, nettamente migliorato rispetto ai giorni scorsi.

Sarah sfilò il fonendo dalle orecchie e se lo sistemò attorno al collo.

-Insomma, posso?- pigolò Liza, piantandole in faccia due occhi scuri da cerbiatto.

-Puoi… MA starai seduta tutto il tempo, da brava bambina, e dopo dovrai subito tornare a letto. Intesi?-

La bimba battè le mani, raggiante.

-Promesso, dottoressa campionessa!- e le allungò il mignolo.

Sarah strinse il piccolo dito con il proprio, l'espressione seria di chi fa un voto solenne. Era tornata nella propria città natale da una manciata di mesi, dopo gli studi e la specialistica che aveva seguito a Boston, ma le stanze colorate della pediatria e i corridoi dalle pareti dipinte erano già diventati la sua seconda casa. Anzi, a dir la verità passo molto più tempo qui, che a casa, pensò distrattamente.

-Campionessa di cosa?- domandò Marika dall’angolo opposto della sala, cambiando una flebo.

-Campionessa di storie!- trillò Liza.

-È il mio secondo lavoro. – sorrise Sarah.-Non lo sapevi?-

L’infermiera scoppiò a ridere e Sarah scrollò le spalle.

Era stata davvero una campionessa, una volta: aveva battuto un pericoloso avversario in un Labirinto che si trovava oltre il tempo e lo spazio.

Ciò che ti chiedo è così poco! Lascia solo che io ti domini e potrai avere tutto quello che desideri. Non hai che da temermi, amarmi, fare ciò che io ti dico e diventerò il tuo schiavo!

Sarah rabbrividì un attimo, la penna sospesa a mezz’aria sopra il foglio degli ematochimici.

Un nome le affiorò alle labbra, ma lei lo ricacciò indietro, sul fondo della propria mente, e lasciò che la realtà prendesse il sopravvento. Ripiegò la scheda dei parametri e scorse la tabella di terapia, tagliando via la fisiologica delle 8 e la glucosata delle 16.

-Perfetto. Abbiamo finito, Liza.- disse alla bambina, che la scrutava con leggera apprensione.

-Niente più punture per oggi?-

-Niente più punture. –

-Verrai anche tu, oggi?- Liza fece una piccola smorfa. –Devi venire per forza: il Re David è bravissimo! È un mago vero!-

Sarah sollevò le sopracciglia scure.

-Davvero?-

-Sì, fa le magie sul serio! Vieni a vederlo anche tu, dottoressa campionessa!-

-Mi hai quasi convinta!- Sarah si sporse verso Liza con aria da cospiratore. –Vuoi sapere un segreto?-

Gli occhi castani della bambina si spalancarono, facendosi grandi e attentissimi.

-Tantissimi anni fa,- sussurrò Sara -anch'io ho un incontrato un mago vero! Sono proprio curiosa di scoprire se questo Re David è alla sua altezza!-

-Hai incontrato un mago vero? Come? Quando?-

-Oh, tanto tempo fa, in un sogno.- Sarah accarezzò i morbidi capelli chiari di Liza e le tirò la coperta sotto il mento. -Allo spettacolo manca ancora un'oretta: fino ad allora voglio che riposi.-

La voce di Liza la raggiunse che era già sulla soglia.

-D'accordo, Lady Sarah.-

-Come?- Sarah restò immobile.

-Saresti una bellissima principessa di fate, dottoressa.- sussurrò Liza, già mezza addormentata.

Sarah uscì dalla stanza lentamente, quasi temesse che un'orda di Goblin si manifestasse all'improvviso e la riportasse nel vortice di fantasie infantili da cui tanto faticosamente era uscita.

Fin dall’adolescenza, la realtà in cui viveva le era sempre stata stretta: da ragazzina, rifugiarsi in un mondo di fate e folletti la faceva sentire completa e meno sola. Almeno finchè non aveva incontrato il Re dei Goblin. Da lì, da quell'assurda avventura degna di Alice, la sua bussola interiore si era come stabilizzata. Si era cullata un altro po' in quei sogni – ricordava ancora i suoi amici di quelle notti: Hoggle, Bubo, Sir Didymus, i Fireys... dèi, i Fireys! – fino a che non aveva avuto il coraggio di stare in piedi da sola e li aveva relegati in una scatolina della sua mente.

Aveva colmato quel vuoto scrivendo racconti, avvicinandosi al mondo del teatro, tentando di creare un legame con sua madre Linda, ma oramai ognuna di loro correva su un binario diverso, e Sarah si era sorpresa, incredibilmente, a preferire la compagnia di Karen, la sua matrigna, ben più affidabile e materna della sua vera madre.

Le fiabe e i balocchi erano stati messi da parte nel momento in cui aveva accettato la sua nuova famiglia e il suo ruolo di sorella maggiore. Non che non avesse mai raccontato favole a Toby, solo che non le considerava più così reali.

Al college, sorprendendo tutti, aveva scartato letteratura inglese e folklore e scelto di studiare medicina. Non se n’era mai pentita, anzi: il suo lavoro la teneva ancorata al reale. Per un medico, il corpo umano è qualcosa che bisogna ispezionare, palpare, auscultare; un meccanismo delicato e preciso con esigenze molto concrete.

I pazienti di Sarah erano vivi, veri, reali: quando stava in mezzo a loro, anche lei lo era.

Andò in cucina e si servì un caffè, generosamente addolcito con zucchero e latte.

Da quando era tornata a casa, i ricordi riguardanti il Labirinto avevano iniziato a far capolino, come se la sua città fosse intimamente legata al Sottosuolo.

Sarah sbuffò e lo sguardo le cadde sul volantino che sponsorizzava lo spettacolo: “Il grande Re David si esibirà nella saletta A di pediatria, per inaugurare Halloween in grande stile”.

Un prestigiatore fanatico di sfere e Halloween alle porte, tutto nello stesso pomeriggio.

Quando si dice il destino! si lamentò Sarah alzando gli occhi al soffitto.

 

*

 

- Ehi, Sarah, sei ancora qui? Pensavo fossi già andata via!- disse Marika, incrociandola in spogliatoio.

Sarah incrociò nello specchio lo sguardo dell’infermiera e arricciò il naso, facendole una piccola smorfia.

-Non infierire, please: sono di guardia fino alle 20.30!-

Marika sollevò le mani mostrando i palmi.

-Tranquilla, non infierisco: giungo in pace! Hai programmi per cena?-

-Più o meno: i miei mi hanno chiesto di mangiare da loro stasera.- borbottò Sarah pettinandosi i capelli scuri. Li portava ancora lunghi, ma con un taglio più scalato. Il viso aveva perso la rotondità infantile, ma i lineamenti dolci e gli occhi verde menta le conferivano un’aria eterea, quasi irreale.

Era diventata una bella donna e lo sapeva, ma nessuno era riuscito a stregarla al punto da farle desiderare un matrimonio e dei figli. Aveva avuto le sue storie, alcune anche serie, ma alla fine preferiva sempre passare una serata con i suoi che uscire a caccia di un ipotetico fidanzato.

-Se non sei troppo stanca, sul dopocena potresti venire con me e le altre a prendere una birra!- buttò lì Marika. -Sai, giusto per festeggiare Halloween!-

-Non siamo un po' cresciute per fidarci degli uomini mascherati?- scherzò Sarah, rimettendo il pettine a posto nell'armadietto.

-Oh, andiamo, che male c’è? Cosa vuoi diventare, una zitella con i gatti?-

-Preferisco i cani!- scoppiò a ridere Sarah. -Comunque, visto che il reparto è tranquillo passo un attimo dalla saletta per controllare Liza. Si è sfebbrata e gli esami vanno bene, ma voglio essere sicura che dopo lo spettacolo torni dritta nella sua stanza. E poi, voglio dare un'occhiata allo show di magia.-

-Ah, allora vai a vedere David!- Marika le lanciò uno sguardo malizioso. -Stai attenta a che non ti rubi l'anima: quell'uomo è un incantatore nato!-

-Tranquilla, con gli incantatori ho già dato!-

Sarah mise piede nella saletta quando lo spettacolo ormai si avviava alla fine. I bambini erano seduti in cerchio –chi in sedia a rotelle, chi sulle sedie di plastica. Il mago vestito di nero dava le spalle alla porta e camminava in mezzo ai bambini, chinandosi felino sui loro volti rapiti. Con un gesto che doveva essere talmente studiato da apparire del tutto naturale (o talmente naturale da apparire studiato? Sarah non riusciva a capirlo) il mago si sfilò il cappello a cilindro e lo lanciò ad un bambino, che tese le manine e lo afferrò al volo.

Sotto lo sguardo del pubblico, il cappello si sfaldò al tocco delle piccole dita, diventando un mantello nero.

-Ah! Ecco dov’era finito!- disse il mago, trionfante, e gettò il capo all’indietro, i capelli di un biondo iridato sotto le fredde luci a neon.

Il mantello dell’uomo parve fluttuare un istante nell’aria – una notte scura, trapuntata di stelle – poi lui lo afferrò al volo, prima che si adagiasse a terra. Le sue movenze, feline ed aggraziate, fecero indietreggiare Sarah per la sorpresa.

E poi la voce limpida del mago iniziò a graffiare l’aria.

-Nessuno vide il barbagianni: bianco al chiar di luna, nero sotto le stelle. Nessuno lo sentì planare su ali di velluto. Il barbagianni vide tutto. Si piazzò su un albero, artigliato a un ramo, e fissò la ragazza nella radura sottostante.- La sua voce era roca e invitante e sempre più familiare, mentre intrecciava una parola all’altra, tessendo una storia che Sarah conosceva troppo bene. Il mago sollevò una mano guantata verso il soffitto. Una sfera baluginò tra le sue dita e lui la fece scivolare nel palmo, e poi sul dorso della mano, come non facesse altro da tutta la vita. -Il vento mugghiava, faceva dondolare il ramo, trasportava di qua e di là le basse nubi nel cielo crepuscolare. Sollevò i capelli della ragazza. Il barbagianni guardava con occhi impenetrabili e scuri. La ragazza si allontanò lentamente dagli alberi verso il centro della radura, dove luccicava uno specchio d'acqua. Era immersa nei suoi pensieri. Ogni passo la portava più vicino al suo scopo. Teneva le mani aperte, appena tese in avanti. Il vento sospirò fra gli alberi: il mantello le si avvolse attorno al corpo; i capelli si scompigliarono, coprendole in parte il volto illuminato dai grandi occhi verdi. La ragazza aveva le labbra socchiuse. Si voltò verso il barbagianni e disse…-

-Jareth!-

Il nome sfuggì dalle labbra di Sarah in un sussurro, ma risuonò nel silenzio della sala come una scudisciata. Il mago trasalì e si voltò di scatto verso di lei, catturando nel suo sguardo spaiato il verde dei suoi occhi. Le sfere gli sfuggirono di mano, ma non raggiunsero mai il pavimento. Sotto lo sguardo incantato dei bambini, esplosero nell’aria in una lenta pioggia di piume bianche.

°°°

NdA: Eccomi di ritorno! 

Un doversoso ringraziamento a tutti coloro che hanno inserito la storia tra le preferite, seguite, ricordate e che hanno recensito lo scorso capitolo. Siete davvero uno sprone ad andare avanti :*

Disclaimer: non scrivo a scopo di lucro, nessun Re dei Goblin è stato maltrattato. Tanti saluti dal Labirinto!

 

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Capitolo 3
*** L'incontro ***


incontro

La fuga di Sarah -perché era una fuga a tutti gli effetti!- fu meno rapida di quanto avesse previsto. Le bastò mettere piede nel corridoio per essere avvicinata da due genitori che le chiedevano informazioni. Li guidò verso la sala medici, stando ben attenta a non voltarsi nemmeno per sbaglio verso la saletta A, e si chiuse la porta alle spalle. Solo allora tirò interiormente il fiato e ritrovò la lucidità necessaria per rispondere alle domande.

Quando rimise il naso fuori dalla porta, era ormai alla fine del turno e il corridoio era deserto. Con la scusa di andare a salutare gli infermieri, passò davanti alla saletta A: le luci erano spente, l’attrezzatura dello spettacolo sparita. Sarah trasse un sospiro di sollievo e proseguì dritta verso la sala infermieri, congedandosi da Marika.

Uscì dal reparto appena in tempo per sentire il trillo dell’ascensore che ripartiva e il lento ronzio delle porte che si chiudevano. Corse verso quella direzione, premendo una mano contro la fotocellula per farle riaprire… e si ritrovò faccia a faccia con il Re dei Goblin.

O Jareth.

O David King, il suo alter ego finto mortale che adesso si pavoneggia con abiti dal gusto sartoriale invece di un mantello degno del peggior fantasy che mi possa venire in mente.
Piuttosto che mostrare debolezza, Sarah Williams si sarebbe fatta precipitare nella Gora.

Entrò nell’ascensore con nonchalance e si posizionò il più distante possibile da lui, evitando di incontrare i suoi occhi spaiati.

-Dottoressa Williams? Sarah Williams?- chiese l'uomo.

Sarah si morse la lingua e annuì con un cenno del capo.

-Ci conosciamo?- si informò l’uomo, in un tono così incuriosito e rilassato che Sarah non riuscì nemmeno a trovarlo sgradevole. Se possibile, questo la irritò ancora di più.

Gli piantò in faccia gli occhi verdi, scintillanti di scherno.
-Non sei affatto divertente,- lo informò.

L'uomo rimase di sasso, ma si riebbe subito.
-Scusa se ti sono sembrato invadente: non era mia intenzione. Permettimi di presentarmi: mi chiamo David King e, come hai visto, sono un prestigiatore.- L'uomo le porse la mano destra: sul suo palmo Sarah notò un tatuaggio a forma di stella.

Le mani di Jareth erano sempre rimaste coperte e, adesso, Sarah si scopriva a osservarle incuriosita: erano prive di anelli, maschili e nodose, con unghie corte e ben curate.
Seppur con titubanza, si ritrovò a stringere quella mano: la presa forte e calda la confuse ulteriormente.

-Oggi durante lo spettacolo mi hai chiamato Jareth. E ora, che ti ho domandato se ci siamo mai incontrati, mi sei sembrata così perplessa che... - l’uomo stava parlando in tono perfettamente rilassato ma la mano che si passò nei capelli tradiva un certo nervosismo. - Vedi, quindici anni fa ho subito un grave incidente ed ho una forma di amnesia piuttosto grave. In pratica non so chi sono e mi è parso che tu oggi mi abbia riconosciuto. Tra l'altro, e questo ti sembrerà ridicolo, faccio dei sogni nei quali c'è una ragazzina che ti assomiglia moltissimo e...-

Sarah si perse il resto della conversazione, intenta com'era a riflettere sulle prime parole pronunciate da Jareth. Fece mente locale su tutte le leggende che ruotavano attorno ad Halloween: in quella notte il varco tra i mondi era più sottile e gli spiriti dei morti e le creature del Sottosuolo potevano camminare tranquillamente sulla terra. Jareth doveva averne approfittato per raggiungerla ed escogitare chissà quale inganno per vendicarsi.

D'accordo, Jareth: se questo è il gioco, giochiamo, pensò, un lampo di sfida negli occhi verdi, quasi fosse tornata ad essere la ragazzina del Labirinto.
-Credo di aver dato adito a false speranze, Mr King. Però, devo ammettere che somigli terribilmente ad un mio vecchio amico. Anche lui aveva quel problemino agli occhi.- disse, ben sapendo di essere scortese. -Però, vede, io ho conosciuto Jareth anni fa e adesso dovrebbe andare per la settantina, più o meno. Potrebbe essere suo padre.-
Beccati questa, Re dei miei stivali!

Più che un'espressione ferita, Sarah poté leggere negli occhi spaiati di David un misto di curiosità ed apprensione.

-Potresti aver conosciuto mio padre? Lo pensi sul serio?-

Sarah iniziò a sentirsi a disagio. Pur tenendo presente che Jareth era un Sidhe pericoloso, l’espressione di quell’uomo era così vulnerabile da lasciarla confusa.

-Anche lui se la cavava nella contact juggling, la capacità di manovrare le sfere a quel modo...come fai tu.- buttò lì, cercando di valutare che reazione avrebbe sortito.

L’uomo si morse il labbro con ferocia

-Dottoressa Williams… Sarah… posso invitarti a prendere un caffè? Ho quindici anni di domande qui con me e forse solo lei può rispondere. –

 

*

 

Fu l'invito più strano che a Sarah fosse mai capitato di accettare. Non ci fu nemmeno bisogno di prendere l'auto: si fermarono giusto il tempo necessario a lasciare il borsone di David nel bagagliaio.

Il caffé era a pochi metri dall'ospedale. Era un posto abbastanza noto tra i dottori e gli specializzandi e Sarah ne aveva sentito parlare, ma era la prima volta che vi metteva piede: rimase incantata dai dipinti affissi alle pareti e dagli interni che le ricordavano alcune patisserie francesi. David sembrava conoscere l'intero personale e quando Sarah glielo fece notare, lui fece spallucce. -Non ricordavo chi ero ma le gambe mi funzionavano ancora, e così ho scoperto questo posto e sono quindici anni che vengo sempre qui.- le raccontò. -Adoro i dolci alla mela e qui preparano uno strudel fantastico.-

Mele, uno dei cibi preferiti dei Sidhe, si rese conto Sarah.
Eppure, notò con una punta di invidia, David sembrava molto umano e reale di lei che, se chiudeva gli occhi, poteva udire il richiamo del Labirinto.

David possedeva un'intelligenza acuta ed uno spirito arguto, trasudava fascino, ma non la metteva a disagio. Ben presto Sarah si ritrovò a ridere delle sue battute e a scambiare con lui piccoli aneddoti della sua vita. Dopotutto, Jareth o David che fosse, era una presenza familiare, che non la metteva a disagio.

Non era così sciocca da cadere nella sua malia, tipica di ogni creatura del Reame Fatato, ma aveva deciso di godersi la serata e considerare l'episodio come un gradevole armistizio tra Sopramondo e Sottosuolo.
L'unico dubbio che le restava riguardava David/Jareth. Fingeva così bene di aver perso la memoria, che Sarah avrebbe potuto cascarci con tutte le scarpe, se solo non avesse saputo quanto il Re dei Goblin fosse abile a mentire e manipolare.
Eppure, con sua somma sorpresa, Sarah si lasciò accompagnare a casa quando David venne a sapere che, per andare dai suoi genitori, Sarah avrebbe dovuto chiamare un taxi.

-Eccoci arrivati.- lo informò, non appena imboccarono il viale alberato e scorse la casa della sua infanzia -Quella lì è casa mia.-

Gli diede appena il tempo di accostare, poi aprì lo sportello e sgusciò fuori.

-Sarah, aspetta!- Anche David uscì dall’auto e la raggiunse in poche falcate. -Abbiamo parlato tanto, ma non ho avuto il coraggio di chiederti ciò che mi premeva di più! Quell'uomo di cui mi hai parlato, Jareth, potrebbe essere un mio parente. Non che mi interessi conoscere la mia famiglia ma mi piacerebbe sapere chi sono davvero. Ho bisogno di sapere come e dove l'hai incontrato!-

Sarah lo guardò perplessa e infastidita. La recita stava durando un po' troppo e virava verso il melodramma, ma se il Goblin King voleva una fiaba, beh, gliel'avrebbe raccontata. - Sei certo di volerlo sapere, David? - sottolineò il suo nome, in quanto i nomi avevano un grande potere.

- Sono quindici anni che aspetto. -

Sarah prese fiato e si concentrò. Non recitava quelle parole da anni e voleva essere certa di saper ancora interpretare la sua parte, come quando giocava con Tobia al parco, stringendo tra le mani il Libro Rosso - Ebbene...c'era una volta una ragazza tanto carina che la matrigna lasciava sempre a casa con il bambino. Il bambino era tanto viziato e voleva tutto per sé, e la ragazza era praticamente una schiava in quella casa. Ciò che nessuno sapeva, era che il re dei Goblin si era innamorato della ragazza e che le aveva dato certi poteri. Così una notte che il bambino fu oltremodo crudele con lei, lei chiamò in suo aiuto i Goblin. “Dì le tue parole magiche”, dissero i Goblin,  “e porteremo il bambino nella città di Goblin e tu sarai libera”. Però lei sapeva che il re dei Goblin avrebbe tenuto il bambino al castello per sempre, trasformandolo in gnomo, e così preferiva soffrire in silenzio. Finché una notte che era stanca dopo una giornata di faccende, che era ferita dalle dure parole della sua matrigna e sentiva che non ne poteva più, pronunciò le parole fatidiche: “desidero proprio che i Goblin ti portino via, all'istante!”-

E, poiché aveva detto le parole giuste, la Magia la ascoltò.

***

NDA

Eccoci di ritorno qui :)
Spero che il nuovo capitolo vi sia piaciuto e se volete, lasciate pure un commentino!

A presto!

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Capitolo 4
*** Ritorno ***


la sala di escher

 

“No, they never end as tales,' said Frodo

'but the people in them come and go

when their part's ended.

Our part will end later – or sooner.”

J.R.R. Tolkien, Le due torri

 

 


 

Solide scale di arenaria fluttuavano nell’aria, come appese al cielo arancione. Muri di pietra galleggiavano nel nulla e ruotavano lentamente attorno al loro asse, come se un’esplosione le avesse smembrate ma le macerie non fossero mai piombate a terra.

Le piattaforme sospese non proiettavano alcuna ombra: su ogni superficie si spandeva una luce esangue, che riverberava intorno a loro senza alcuna direzione.

C’era qualcosa di infinitamente triste nella curva degli archi che galleggiavano sopra le loro teste, divelti. La gravità li ha dimenticati, pensò Sarah confusamente.

Una faccia piena di rughe si chinò su di lei: due occhi azzurri profondamente espressivi occuparono per intero il suo campo visivo, nascondendo la devastazione circostante.

-Sarah, stai bene?- gracchiò una voce familiare.

Sarah sentì la sua mente prendere coscienza di quanto la circondava e inserire ogni elemento in un’unica, inevitabile spiegazione coerente.

Scattò a sedere come una molla.

-Per tutti i santi, Gogol! Ma ti sembrava il caso? Mi hai fatto prendere un infarto!-

Il nano balbettò qualcosa, che lei era troppo agitata per ascoltare. Battè i palmi contro il pavimento di pietra: una, due volte.

Sfregò le dita, sentendo contro la pelle la polvere di arenaria che il contatto aveva lasciato.

-No…- gemette.-Non di nuovo!-

Aveva archiviato interi capitoli della propria vita, ma, a quanto sembrava, quella continuava ad aprirsi sempre lì: sulle pagine che parlavano del Labirinto.

Istintivamente si guardò intorno, cercando il dannato Re dei Goblin. David giaceva disteso accanto a lei, un braccio ripiegato sotto il capo e l’altro abbandonato sul fianco. Il suo viso era immobile, pallido quanto la camicia bianca che aveva indossato nel Sopramondo e che portava tutt’ora.

Sarah realizzò che l’aspetto del mago non era cambiato, e a quel punto non seppe più cosa pensare.

-Gogol, che scherzo è questo?- domandò la Campionessa, indicando Jareth o David King o chi diavolo fosse e la sala di Escher attorno a lei. -Perché questo posto è così strano? Sembra così diverso da quando…da quando ho battuto il Re.-

Gogol si puntellò le mani sui fianchi.

Era vero, quale guardiano del Labirinto aveva usato una formula per richiamare i due contendenti al trono, ma non si era aspettato certo che, nel bel mezzo del rituale, la voce di Sarah risuonasse forte e chiara nel comando di tornare laggiù. Men che meno si aspettava di trovare Jareth assieme a lei. E adesso, per colmo di sventura, toccava a lui spiegare i fatti anche se ne avrebbe fatto volentieri a meno. Dopotutto, forse era giunto il momento di affrontare con Sarah il suo compito e perché fosse toccato a lui guidarla durante il suo primo viaggio. Sarah aveva anche avvertito i cambiamenti che si erano ripercossi sul Labirinto quando quest'ultimo si era trovato senza padrone.

-Questo? Questo non è affatto uno scherzo, signorinella, ed è tutto colpa tua!-

Sarah spalancò gli occhi, sgomenta, ma prima che potesse porre ulteriori domande, David emise un flebile gemito.

-Jareth?- Sarah si chinò su di lui, accarezzandogli lievemente il viso. –Mi senti?-

David aprì gli occhi azzurri e Sarah gli sventolò due dita davanti al viso.

-Sai dirmi quanti sono questi?-

-Venticinque.- borbottò il mago, con una piccola smorfia. –Dov’è finito il camion che mi ha travolto?-

-Non c’è nessun camion, ovviamente.- puntualizzò Sarah, fissandolo con un misto di collera e apprensione.-Cerca di non muoverti potresti avere…-

Prima ancora che finisse di parlare, David si era levato a sedere e si era preso testa fra le mani.

-Ragazzi, che botta… Cos’è successo? A volte ho lievi capogiri ma non ricordo di essere mai svenuto...-

-Jareth, basta con questa storia! Hai ottenuto ciò che volevi, sono di nuovo nel Labirinto. Ora, per favore, smettila di fingere!-

Il mago si sollevò il volto dalle mani tatuate e la fissò con sconcerto.

-Labirinto? Ma di che diavolo stai…- posò lo sguardo su Gogol, e non finì nemmeno la frase. Lentamente, come avesse paura di ciò che avrebbe visto, percorse con lo sguardo la sala sventrata e i blocchi di pietra che fluttuavano contro il cielo arancione. Il suo viso divenne, se possibile, ancor più pallido. Posò di nuovo gli occhi azzurri su Sarah, smarrito.

-David.- disse in un soffio. -Il mio nome è David.-

La ragazza arrossì. Il mago aveva un’aria umana e sperduta, e questo la fece arrabbiare ancora di più.

-Smettila! Credi davvero che ci sia cascata? Credi che sia ancora la quindicenne che sfidasti?- lo aggredì. -Sarah, calmati.- intervenne Gogol. –Sta dicendo la verità: non ricorda niente.-

 

****

 

Un nodo gli serrava la gola e dovette deglutire più volte per mandarlo giù. Tuttavia, quando parlò, la sua voce suonò sorprendentemente ferma persino alle sue stesse orecchie.

-Dove ci troviamo?-

Il nano –era proprio un nano come quello del signore degli anelli: c’era poco da discutere- incrociò le braccia al petto e lo guardò senza alcuna simpatia.

-Siamo nel Labirinto, Re che fu.-

David si sentì montare dentro un improvviso, genuino fastidio.

-Il mio nome è…-

-Non ha impotanza il tuo nome di adesso, e nemmeno quello di allora. Sei quello che ho detto: il Re che fu. Il vecchio Signore di questo posto. Perdesti la sfida contro Sarah e il Labirinto ti ripudiò. Il tuo corpo, privo di memoria, precipitò nel Sopramondo, condannato ad una vita mortale.-

-E' vero allora?- domandò Sarah -Davvero non ricorda nulla?-

Lo sguardo del nano si addolcì quando si posò sulla ragazza: una cosa che David notò quasi senza volerlo.

-Sì, è la verità. Jareth fu esiliato e privato di memoria.- sospirò Gogol -Sono le regole del Labirinto: se il Re o la Regina vengono sfidati e perdono, essi sono ripudiati e il Campione diventa il nuovo sovrano. Quale Custode del Labirinto il mio compito è guidare il Campione, ma il sesto senso di Jareth lo mise in guardia, per questo cercò in ogni modo di bloccarti, Sarah. -

Sarah osservava il nano stranita, cercando di assorbire la nuova informazione. 

In fondo non sembra messa meglio di me, riflettè David.

Gogol continuò – Io sono l'unico, a differenza dei Goblin, a potermi muovere liberamente per il Labirinto e il mio continuo brontolare non era dato altro che dalle sfide che venivano lanciate e che per il Custode sonoo un’enorme rogna. La volontà di Sarah eguagliava quella di Jareth e ciò ha portato ad uno sconvolgimento degli equilibri e tutto il peso del Labirinto è caduto su di me.- sbuffò -…ma Jareth era un Unseelie, troppo orgoglioso e testardo per capire quando fermarsi.- concluse il nano, lanciando a David uno sguardo di biasimo.

-Aspetta un momento.- David si portò le dita alle tempie ed iniziò a massaggiare, cercando di alleviare la pressione -Voi due vorreste dirmi che tutto questo, tutto ciò che vedo, è reale e che io sono una dannata fatina dei boschi?!-

- No di certo, le fatine sono molto diverse! - chiarì Gogol mentre.

Sarah annuì con cinvinzione.

-E non fanno affatto cose carine.- puntualizzò.

David fu preso dall'assurda voglia di mettersi a gridare, lui che si era sempre ritenuto una persona estremamente pacata nelle proprie reazioni.

- Jareth...David, se preferisci, - si intromise Sarah - so che tutto ciò può sembrarti assurdo ed incredibile, ma davvero credi che sia impossibile? Tu stesso mi hai raccontato che la tua amnesia era atipica, che sebbene fossi capace di leggere e scrivere, niente, né una canzone né un libro, hanno mai risvegliato un ricordo. E poi, io ho visto ciò che fai durante gli spettacoli: i cristalli che si trasformano in piume non sono esattamente un trucco illusorio, quanto vera magia. -

David sorrise, sarcastico.

- Sarah, ti prego! Secondo te, se stendessi una mano e desiderassi stringere nel palmo la mela avvelenata di Biancaneve, questa apparirebbe? -Stese davvero una mano e con suo sommo scorno la mela,rossa e sanguigna. apparve sul serio - Ma che diavolo?! -

Sarah incrociò le braccia sotto il seno.

-Non mi piace dire “te l'avevo detto” ma te l'avevo detto. - e, per la prima volta da quando si erano svegliati, le sue labbra si incurvarono in un sorriso.

David ci mise un po' a tirar su la mascella e chiudere la bocca, cercando di raccattare i pensieri e dar loro un senso logico. Ok, la situazione era surreale e sembrava quasi un'allucinazione da LSD ma David a malapena prendeva le aspirine quando stava male, quindi, escludeva l'ipotesi a priori.

Poi, c'era la probabilità che fosse diventato pazzo di colpo e che stesse immaginando tutto e allora cosa c'era di male a credere di essere un re degli elfi potentissimo? Insomma, se doveva scegliere tra credere di essere Napoleone o Thranduil preferiva di gran lunga quest'ultimo.

Oppure ciò che stava capitando era la verità, lui era davvero questo Jareth, questo Re dei Goblin, e la sua amnesia irreversibile finalmente trovava una spiegazione. Se ascoltava l'istinto, si spiegava la sua improvvisa attrazione per Sarah, perché i suoi occhi verdi sembravano aprirgli porte sulla coscienza che non aveva il coraggio di richiudere.

Sarah sollevò lo sguardo verso in nano.

- Gogol, capisco che ho combinato un bel pasticcio anni fa, ma non intendo diventare la vostra Regina. Per quanto l'offerta sia allettante, io ho percorso il Libro Rosso dalla prima all’ultima pagina, e ne sono uscita. Questo - indicò la sala - non è il mio posto. E poi che bisogno hai di me? Te la sei cavata bene finora, no? -

- Il Labirinto ha bisogno di unsovrano, Sarah, e io non sono che un custode. Jareth ti ha lanciato una sfida e tu hai vinto, ma non hai reclamato il trono. Adesso io devo richiedere il prezzo di quello vittoria. -

- Dev’esserci un’alternativa! - gemette Sara.

-Hogwarts,- si intromise David. Uno sguardo compiaciuto attraversò lo sguardo del nano, ma il mago scelse di non notarlo. - e se volessi reclamarlo io? Se mi state raccontando la verità, ho vissuto come un Sidhe per secoli e da umano meno di quindici anni...nessuno sentirebbe la mia mancanza se dovessi sparire all'improvviso.-

David tacque e strinse i pugni. In base al racconto, il responsabile vero e proprio di quell'assurda situazione era proprio lui che, anni prima, aveva provocato Sarah fino al limite delle proprie possibilità: era giusto che ora si prendesse le proprie responsabilità.

Vide Sarah abbassare in fretta lo sguardo, muovendo appena le labbra.

A me importerebbe, gli parve che dicesse.

Per un istante l’idea lo riempì di calore e lo fece tremare, ma subito dopo la accantonò.

Perché mai Sarah avrebbe dovuto curarsi della sorte del Re di Goblin?

La voce del nano troncò in fretta il filo dei suoi pensieri.

- Una possibilità ci sarebbe, ma devo avvertirvi che mai nessuno l’ha tentata. Dovreste ripercorrere il Labirinto al contrario, dal tredicesimo rintocco al primo, ed arrivare alle porte. In quel modo la sfida sarà cancellata e ognuno di voi tornerà al suo mondo. Così, Jareth tornerà ad essere se stesso e Sarah sarà libera di proseguire la sua vita mortale. -

David annuì, deciso.

-Va bene.-

Sarah gli lanciò un’occhiata cauta.

- David, ne sei certo? Tutto ciò che hai fatto in questi anni... -

David fece spallucce, quasi fosse indifferente.

-Sì. Quel che è detto è detto. Google, indicaci la strada.-

-Direi che già funziona…- si lasciò sfuggire il Custode, e schioccò le dita.

Davanti a loro si materializzò un enorme orologio a pendolo, costituito da tredici ore. Come aveva detto Gogol, la prima lancetta partiva dal tredicesimo rintocco.

-Questo è l'Orologio del Tempo Riverso, e ha già iniziato a ticchettare. Il Labirinto ha accettato la vostra sfida. Andate!-

David si levò in piedi e tese una mano verso la ragazza.

-Andiamo, Sarah.-

La ragazza fissò per un lungo istante il tatuaggio a forma di stella impresso sul dorso, infine la prese.

-Sarà un gioco da ragazzi.- scherzò, e David ebbe l’impressione che cercasse di nascondergli una qualche forma di imbarazzo.

Insieme, si avviarono verso la porta della sala.

 

****

 

Gogol li osservò sparire sotto l’arco, e sospirò.

Sollevò lo sguardo: intorno e sopra di lui, la sala era tornata integra. Era bastato che i due iniziassero il loro viaggio e se la lasciassero alle spalle, perché la stanza si ricomponesse.

-E’ già iniziato.- sussurrò.

Aveva nascosto una verità fondamentale che riguardava la sfida, ma nemmeno l'amicizia che lo legava a Sarah poteva cancellare il suo ruolo di Custode. Ed il Labirinto, ormai, esigeva il suo tributo.

**

NdA

Rieccomi  e bentornati a voi :) 

Spero che il nuovo capitolo vi piaccia. In queste ultime settimane sono stata impegnata e l'uscita del capitolo è slittata di giorno in giorno! Ringrazio tutti quanti voi che avete inserito la storia tra le preferite/seguite/ricordate e grazie soprattutto per le belle parole nelle recensioni <3 Grazie mille!

Disclaimer: non scrivo a scopo di lucro,etc etc...

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Capitolo 5
*** Attraverso lo specchio ***


Gioco di specchi

-Così, questo è il Labirinto.- esordì David dopo un lungo silenzio, le mani ancora intrecciate a quelle di Sarah.

-Già. O meglio, questa è la città di Goblin dove io, Gogol, Sir Didimus e Ludo abbiamo combattuto contro i goblins per arrivare a mio fratello Toby. Tra l'altro, se tu non mi avessi portato allo stremo, dubito che saremmo arrivati a questo punto.-

-Ad un me incredulo e ad una te con un principio di emicrania?- ironizzò David.

-Anche.- rise lei e poi lo guardò seria -E' strano,sai, discutere con te civilmente. Scherzare e ridere. Quando ci siamo affrontati, sì, affrontati -Sarah scelse la parola con cura - tu eri l'infido Re di Goblin che mi aveva messo in un bel pasticcio. Avrei pur dovuto spiegare a mio padre e Karen cosa fosse successo a Toby e, piuttosto, il Labirinto era molto più semplice.- Sarah scosse i capelli scuri -Ho capito dopo che ero in un bel guaio. Tu non avevi certo chiesto di consegnarti mio fratello... te l'avevo regalato io, in pratica.- La voce le si incrinò di colpo e prima che potesse bloccarle, le lacrime iniziarono a scorrere copiose dagli occhi.

Stai avendo un attacco di panico, sciocca, si rimproverò mentalmente. Avanti, Sarah, puoi fare di meglio!

-Sarah, tranquilla. - con grande sorpresa della Campionessa, David l'afferrò e la tirò a sé, abbracciandola, calmando gli improvvisi singhiozzi della dottoressa. -Respira, piano. E' normale, è tutto così inaspettato, diciamo. Non lasciare che il panico prenda il sopravvento. Ricorda che io ho perso la memoria e tu sei l'unica che ricorda la strada.- scherzò il mago, premendo le mani sulla sua spalla.

-Scusa.- mormorò lei dopo un po'- Non so cosa mi sia preso. Di solito, non sono così emotiva ma non è l'esatta serata di Halloween che mi ero prefissata.- Sarah si staccò lentamente da David.

-Non preoccuparti,- David agitò la mano -Credo sia normale, tu stessa l'hai detto a Gorgole.-

-Gogol.-

-Glinda o quello che è. Hai ribadito di aver chiuso questo capitolo della tua vita. Essere catapultata qui, scoprendo di esserne la sovrana non è qualcosa che sia semplice da accettare di colpo.-

-Non posso più essere quella Campionessa.- precisò Sarah – La me adolescente viveva  in un mondo completamente diverso, fatto di corone di fiori e corse sul prato. L'unica cosa che potrei fare ora è misurare la pressione dei goblins.-

-Potresti farci un saggio, una volta ritornata nel Sopramondo. Malattie ed infezioni derivanti da un'alta pressione nei goblins.- David le sorrise e i suoi occhi da gatto sembrarono scintillare. I tratti Sidhe erano ben visibili in lui e nel Labirinto sembravano risplendere ancora di più. A Sarah venne in mente il sogno che l'aveva accompagnata nell'ultimo periodo e si rese conto che l'uomo che aveva davanti l'affascinava.

E' come se vedessi attraverso uno specchio, pensò. Se io avessi ceduto, Jareth sarebbe stato così? E' questa la sua vera natura?

Scosse la testa. La Sarah quindicenne era stata attratta dal Re dei Goblin ma aveva avuto abbastanza volontà da sconfiggerlo: la Sarah di ora doveva ripeterne i passi, se voleva tornare a casa.

-Dobbiamo cercare dell'acqua e del cibo. L'ultima volta ho avuto una brutta esperienza con delle pesche.- buttò lì.

-La città sembra disabitata, però.- David si guardava in giro.-Non credo che qualcuno si offenderà se prenderemo in prestito alcune cose. - L'uomo sbirciò all'interno dell'abitazione più vicina e, appena fu certo che la casetta fosse vuota, si affrettò a metter mano al chiavistello che cedette con facilità. L'interno presentava una stanzetta misera, un camino spento e pieno di cenere, un paiolo arrugginito e un minuscolo letto posto nell'angolo più buio. La polvere e l'umidità regnavano sovrane, rendendo l'aria stantia. Alcuni utensili erano stati lasciati sparpagliati su un tavolo, forbici, aghi di pino e qualche filo colorato e David comprese di trovarsi nella casa di un sarto. Nella sua mente si formò un'immagine vaga, di una creatura buffa con degli occhialetti storti sul naso.

-David?- lo riscosse Sarah – Ho trovato qualcosa che può esserci utile. Guarda qui, è una bisaccia. E' un po' malmessa ma sono sicura che reggerà. Se ricordo bene, ci dovrebbe essere una fontana da qualche parte. Cibo non ce n'è, ma nel Labirinto troveremo sicuramente qualcosa.-

-Va bene. Mi era sembrato di vedere... ah, ecco qua. Un coltellino. Può sempre tornare utile.-

Sarah gli sorrise. - Andiamo ora.-

 

 

*

 

Avevano lasciato alle spalle la città dei Goblin da almeno un'oretta e si erano addentrati nel Labirinto ma Sarah era confusa. Se pensava al suo primo viaggio lì, qualcosa non quadrava. L'intero luogo sembrava addormentato, non si udiva un suono se non il fruscio leggero del vento tra gli alberi. Il Labirinto era pacifico, non toccato dalle cose del mondo, quasi aspettasse un bacio, come la bella addormentata, per svegliarsi ancora una volta. Tra l'altro, si era aspettata di incontrare il villaggio-spazzatura subito ma di quel luogo assurdo non vedeva assolutamente traccia. E pensandoci bene, non aveva visto nulla che le richiamasse la sua precedente avventura. I muretti del Labirinto erano più bassi, pieni di aiuole ricche di fiori rossi e bianchi e di erbette. Il vento era dolce e profumato e le ricordava i pomeriggi estivi in giardino con Karen a sorseggiare tè alla menta. Intuiva ora quella sensazione che l'aveva colpita dopo aver lasciato Gogol: il Labirinto non era più così estraneo ed astratto come le era parso quando aveva salvato Toby ma le sembrava una piccola parte di sé, il rifugio adolescenziale delle sue fantasie e dei suoi giochi nel parco. Le parve di sentire abbaiare un cane in lontananza ed il pensiero corse subito a Merlino, il suo cane e compagno di avventure di tanti anni prima. No, non era una semplice illusione, adesso lo capiva. Ora sapeva perché il Labirinto le sembrava vicino e lontano allo stesso tempo.

Bene, riflettiamo: il Labirinto era di Jareth e dunque si era adattato al suo essere. Quando io ho vinto la sfida, il Labirinto ha cercato di adattarsi a me… ma, siccome io non ho reclamato il trono, il Labirinto si è come resettato, rilasciando però un'immagine simile a quella che io, a quindici anni, avrei potuto desiderare.

-David!- esclamò. Il mago si fermò di scatto -Credo che ci sia un piccolo problema che abbiamo sottovalutato.-

-Ovvero?-

-Questo Labirinto non è quello di Jareth ma non è nemmeno il mio, visto che non ne sono mai stata la sovrana. Gogol ha detto che mai nessuno ha percorso la via al contrario ma allo stesso tempo nessuno ha mai rifiutato il trono. Credo sia un gioco di specchi tra ciò che ero e sarei dovuta essere se fossi rimasta qui.-

-Il Labirinto dorme ma sogna una realtà.- riassunse David.

-Ecco, è un'immagine poetica di ciò che volevo dire.-la Campionessa annuì -Non incontreremo chi ho incontrato io, né finiremo negli stessi posti. Il Labirinto ci metterà alla prova. Dopotutto, solo alla fine di questo viaggio tu troverai te stesso.-

-Il vero me stesso, vuoi dire. Jareth.-

-Non era tanto male, a parte i capelli cotonati e l'uso intensivo di eyeliner.-

David scoppiò a ridere -Niente di più di ciò che faccio quando vado in scena. Però, se posso, credo che questo viaggio non riguardi soltanto me, ma anche te. E' il tuo sogno, in parte.-

-Cosa vuoi dire?-

-Non credo che il Labirinto possa richiamare indietro qualcuno. E se ha ragione Genoveffa, neanche il tuo compito qui è finito.-

-Da sfidata a Campionessa e non-Regina, che altro potrei essere? -

-Diciamo che diventerai altro, perché non sempre capiamo la natura dei sogni che facciamo e dove essi ci portano. Anche questo luogo è in continuo mutamento.-

-Lo avverti anche tu?-

-In parte. E' come se avessi un senso aggiunto che finalmente si sta risvegliando. E' come se io veda al di fuori della vista normale.- le spiegò il mago. Per quanto avesse a che fare con “magie” sceniche, in questo momento David si sentiva a disagio con se stesso. Certo, sapeva bene di essere sempre stato dotato, ma pensava di avere un talento naturale, non una natura al di fuori dell'umano.

-E' la Vista. La Vista dei Sidhe. E' parte di te.- gli spiegò Sarah.

-Anche tu ce l'hai? Cioè, è normale che un essere umano ce l'abbia? Ok, detto da me e visto il lavoro che faccio, può sembrare assurdo, ma ho sempre diffidato di coloro che ritenevano di vedere e parlare con gli spiriti e adesso mi sento confuso.-

-Se Gogol ha ragione, ho mantenuto questa capacità perché il Labirinto mi ha scelto. – gli rispose Sarah, osservando il Labirinto - E' un potere di cui farei a meno. Però, credo che nel Sopramondo ci siano persone dotate... dopotutto i nostri mondi erano collegati un tempo. Ci saranno delle discendenze, tratti ereditari, cose così. -

-Non riesci proprio a considerare l'idea di essere una regina?-

-No. E' stata una bella avventura, un bel sogno, ma non è la mia realtà. Preferisco essere una campionessa in una corsia d’ospedale.- gli confidò Sarah e David poté leggere la sincerità nei suoi occhi. Sarah era stata una bambina immersa nelle fiabe ma poi aveva abbandonato quelle fantasie. Eppure quei sogni erano parte di lei e relegarli ad un semplice mero ricordo era stata la decisione sbagliata. Era come se Sarah, abbandonando il ruolo di campionessa, fosse incompleta. E forse, il nodo della questione era proprio lì. -Il tuo lavoro è così importante?-

-E' ciò che mi tiene ancorata alla realtà ed è una cosa a cui non voglio rinunciare. E tu? Hai costruito qualcosa in questi 15 anni... vuoi davvero buttare via tutto? -

-Nel mio caso, è una ricerca, Campionessa. Devo scoprire chi sono per diventare reale, questa è la differenza tra noi. Devo risognare il sogno.-

Sarah annuì e procedettero in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri, a riflettere sulle parole dell'altro. Il Labirinto sembrava accogliere i loro passi pacificamente e a volte Sarah avvertiva un lieve frinire di cicale e l'odore di agrumi. Il suo primo viaggio era stato tanto diverso che adesso le sembrava di stare sognando e forse era davvero così. David l'aveva detto chiaramente: bisognava sognare il sogno e adesso doveva abbandonare alle spalle le sue paure.

 

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Capitolo 6
*** Il Re ***


Il Re

David guardò le proprie mani con attenzione.

Un verme ed una stella… cosa significavano per me?

Un’altra domanda sul suo passato a cui non riusciva ancora a dare risposta.
Jareth - il suo vero se stesso?- era uno sconosciuto di cui non conosceva la storia, i pensieri, le contraddizioni: riusciva appena a scorgere il riflesso di sé nella polla d'acqua che aveva di fronte.
Lui e Sarah si erano fermati nei pressi di una fontana in marmo rosa che mostrava una bellissima sirena intenta a fare la guardia su coloro che si fossero avvicinati alla sua fonte.

Per tutto il tragitto fin lì Sarah gli era sembrata una bambina ostinata che si rifiutasse di arrendersi. Ad ogni bivio si fermava esitante, mordendosi il labbro e giocando con i capelli scuri, indecisa sulla strada da prendere.
A volte si portava una mano sul cuore e chiudeva gli occhi, ascoltando un qualche suggerimento del Labirinto; poi sceglieva un sentiero e poi un altro, ma la confusione nei suoi occhi cresceva ad ogni passo.

-Sono confusa,- ammise ad un certo punto. -Non capisco dove stiamo andando e non c'è nessuno a cui chiedere aiuto... non c’è nemmeno nessuno che tenti di depistarci.-

-E questo è un male?- indagò David.

-Sì… cioè, no, non lo è, ma voglio dire: non abbiamo trovato nemmeno i Falsi Allarmi!-

-Che sarebbero?-

Sarah si affondò una mano nei capelli, guardando i muri di arenaria.-I Falsi Allarmi erano enormi massi con delle facce scavate al loro interno, che davano falsi consigli e indicazioni sbagliate a chiunque si avvicinasse. –

-Simpatici, non c’è che dire!- ironizzò David con un sorrisetto sghembo.

Sarah si voltò verso di lui, lasciando ricadere le braccia lungo i ifianchi. -In effetti nemmeno io li avevo apprezzati molto, ma non è questo il punto. Il fatto è che, se non ci sono loro, forse non ci saranno nemmeno i Fireys, la Gora dell'eterno fetore e tutte le strane creature che ho incontrato.-

David la ascoltò con attenzione, tamburellandosi le labbra con la punta delle dita.
Poi, senza apparente motivo, iniziò a frugarsi nella tasche.-Come avresti voluto che fosse il tuo Labirinto, Sarah?-

-Io non lo so… credo di non averci mai veramente pensato. Scusa, ma che stai facendo?-

Con un leggero sorriso, David tirò fuori un mazzo di tarocchi piuttosto liso.-Bello, vero? È un mazzo Haindl, basato sull'astrologia e le rune.-

-Quella sarebbe la tua risposta al nostro problema?-

Invece di rispondere, David prese a mescolare le lame con dita agili.-Sai, me li regalò uno dell'Accademia, a New York: diceva che mi sarebbero stati utili.- Il suo sorrisetto cambiò diventando una smorfia. -In realtà li mescolo e li rigiro ogni volta che sono nervoso, ma non sono mai stato in grado di leggerli: ogni volta che ci provavo, mi distraevo guardando le figure. E ora che mi trovo qui, capisco anche il perché.-Aprì le carte a ventaglio e fissò Sarah negli occhi.- Probabilmente mi ricordavano questo posto. Haindl deve essersi fatto un giro nell'Underground.-
Il suo tono era leggero, persino allegro, ma il suo sguardo era serissimo.-Coraggio, Sarah, divertiamoci un po' con queste lame. Pescane una.-

Sarah si chiese se ci fosse davvero un’ombra di sfida nella voce del mago, o se l’avesse solo immaginata. Tese la mano e prese una carta.
-Devo darti un merito, Jareth-David. Sarà la mancanza di memoria, ma sei il miglior compagno di viaggio che mi potesse capitare: sai mantenere un equilibrio invidiabile!-

-E' la prerogativa dei pazzi, mia preziosa.- se ne uscì lui e Sarah lo fissò sorpresa – La mia carta è sempre stata la 0, il Matto. Invece la tua è… il Carro, mmh.-

-Che vuol dire?-

-Se non ricordo male, i cavalli indicano due strade ed il conducente devi guidarli in una direzione.-

-E' un po' difficile scegliere la strada giusta in un Labirinto.-

-…o, se è per questo, nella vita. -

-Adesso tocca a te, David.- Sarah gli prese il mazzo e lo mescolò -Avanti, scegli. Oh, la Luna.-

David scosse la testa. -L'autoinganno e l'illusione. Credo che questo viaggio ci porterà molte risposte.-

-Se riusciamo a completarlo.-

-Ovviamente.- David le diede le spalle, voltandosi verso uno dei sentieri. -Su, rimettiamoci in viaggio! Hai detto che non incontreremo niente di strano, però un Labirinto è un Labirinto e non possiamo sapere cosa ci aspetta, no?-
David si girò di scatto verso la dottoress e per poco non sbatté il naso contro un’altissima parete di roccia, sbucata da chissà dove.

-Sarah?- chiamò. –Sarah!-

Picchiò sul muro, ma nessun suono giunse dall'altra parte.

 

Il Labirinto era cambiato.

I muri si erano fatti più alti, con pinnacoli sulle cime; i pavimenti di pietra apparivano sbrecciati; una vegetazione ispida aveva preso a farsi strada nelle fessure tra i lastroni: quasi volesse allargarle, forse divellerle.

Persino il cielo che prima era limpido, adesso era diventato plumbeo e minaccioso.

David udì delle risatine cattive raggiungerlo alle spalle: piccoli suoni acuti simili a squittii o alla caduta di mille piccoli aghi acuminati. Si voltò di scatto, trovandosi solo. Immersa nel silenzio, la strada che aveva appena percorso pareva deriderlo ancora più forte.
-E così, -disse a voce alta, -questo non è solo il viaggio di Sarah.-

Era anche il suo viaggio alla riscoperta di Jareth.

Se quello che vedeva era opera del Re dei Goblin, David si domandò quali grossi problemi avesse il vecchio se stesso: se l’incuria e la tortuosità che quei sentieri rispecchiavano dipendesse solo dal suo essere Unseelie, o se la devastazione indicasse piuttosto qualcosa di diverso.

I tatuaggi sui palmi delle mani pizzicavano come se li avesse appena fatti e David si chiese cosa ciò volesse dire.

Da quel che aveva scoperto quando aveva potuto lasciare l'ospedale, il verme indicava la Terra, il ciclo continuo di rinascita e putrefazione. Forse non a caso, era posto sulla mano sinistra, il lato femminino, più legato alla fecondità. Secondo l’Ebraismo la mano sinistra era anche la mano di Dio, la mano della giustizia.
La stella, di contro, indicava la luce, lo spirito e gli ideali, ed era posta sulla mano destra, quella sacerdotale e della misericordia. La mano creatrice, quella che più spesso utilizzava nei suoi giochi di contact juggling.

-Allora, re dei Goblin: eri un Unseelie o un Seelie?- David lo chiese tra i denti, scegliendo di proseguire verso nord, sicuro che sarebbe riuscito a ritrovare Sarah e a scoprire il mistero che lo attorniava. Jareth era un Sidhe, una creatura fatata, un essere che non poteva essere legato totalmente ai principi duali che aveva dovuto imparare quando si era svegliato nel Sopramondo.
-Fingiamo che tu sia qui e possa ascoltarmi: ho una storia che forse ti suonerebbe familiare. Secondo il custode, Gregorio o Gorgoglio o come si chiama, il Labirinto è di chi lo vince e a te è capitata la stessa cosa. Un Re fatato ancora più potente di te ti ha affidato il Labirinto o piuttosto ti sei ritrovato ad essere re, dopo aver sconfitto il precedente sovrano?-

David si umettò le labbra. I re e le regine lanciavano una sfida da risolvere in tredici rintocchi – e tra l'altro, a lui e Sarah mancavano solo nove ore per uscire dal Labirinto – e se perdevano, erano costretti ad abbandonare il regno.
-Cos'hai perso, vincendo? Cos'hai sacrificato al nuovo te stesso?-

La storia dei labirinti aveva radici profondissime nella mitologia e gli venne in mente il Minotauro e la brutta fine di Icaro, la sorte infausta di Dedalo.

Il nano aveva detto di essere il semplice custode di una realtà in grado di mutare, e David intuì che i goblins ce li aveva portati Jareth, in modo o nell'altro e che anche la sua sfida era un inganno crudele. Sarah aveva definito il Labirinto un gioco di specchi e c'era da chiedersi se non fosse altro che questo: Jareth aveva perso qualcosa e riempiva il proprio vuoto con ciò che gli altri abbandonavano.

-Devo ammettere di essere diventato un fine lettore d'animo a furia di stare nel Sopramondo.- sussurrò una voce carezzevole ma pericolosa.

David si impietrì dov’era.

Si girò lentamente e quasi non si sorprese di ciò che vide.

Un uomo di pari altezza, abbigliato in maniera eccentrica e con lunghi capelli biondi gli stava davanti, languidamente appoggiato a una parete di roccia.
L'espressione di condiscendenza negli occhi spaiati rimandava a quella consapevole di David, i cui occhi felini si erano socchiusi, quasi volesse mettere a fuoco ogni dettaglio del Sidhe che gli stava davanti.

-Tu sei Jareth.- esalò.

-Ciao, nuovo me stesso. Sei così dannatamente ordinario che mi fai venire il voltastomaco.- lo salutò il re.

-Sei una sorta di comitato di benvenuto?- gli domandò David, ignorando le occhiate del suo riflesso.-Cosa è successo? Come mai il Labirinto è mutato così all'improvviso? Io non ho certo recuperato la memoria.-

-No, effettivamente no, altrimenti non andresti in giro così. - sottolineò il Re, staccandosi dal muro con un movimento elegante. -Tu e Sarah non vi siete resi conto di un piccolo dettaglio, ma non posso certo farvene una colpa. Il custode è immune ai suoi poteri ma, se il Labirinto dorme, cosa credi che accada a chi lo attraversa?-

-Sono semplicemente addormentato?- David lo guardò perplesso.

-Sciocco, vero? Insomma, non che mi dispiaccia... in questo modo le tredici ore passeranno ed io ritornerò ad essere me. A quel punto, volente o nolente, Sarah sarà costretta a restare qui. Per sempre.- Jareth lanciò una sfera in aria e la riprese agilmente.

Davide strinse i pugni. -Lei non vuole restare qui! Dannazione, come faccio a svegliarmi?-

-E' un incantesimo, mio stupido me di Sopra: cosa vuoi fare quando non hai nemmeno risvegliato la tua vera natura? -

-Ci sarà un modo per spezzarlo, no? Ogni incanto ha un contro incantesimo, è scritto su ogni dannato libro fantasy che mi sia capitato di leggere!-

Jareth sembrava ascoltarlo appena, assorto come’era nei movimenti ipnotici della sfera.

-La lettura è così sopravvalutata. La pratica è tutto nella vita.-

-Non sei molto d'aiuto!-

Il Re sollevò lo sguardo spaiato dal cristallo. -Tu non sei d'aiuto! Non hai fatto nessuno sforzo per ricordare: ti guardi intorno spalancando gli occhi e ti limiti a prendere atto dei mutamenti del Labirinto, ma non ti degni un secondo di concentrarti su te stesso.- Lo guardò disgustato. -Come ti aspetti di riappropriarti del tuo ruolo se prima non interroghi te stesso?-

-Un ruolo?-

-Esattamente, il tuo ruolo di Re di Goblin e Signore del Labirinto! Non vorrai che Sarah ti sconfigga ancora?-

L’acrimonia nelle parole di Jareth spinse David a fare un passo indietro.

Per contro, Jareth fece un passo avanti, la voce morbida e suadente come le movenze di un gatto.
-Pensaci: finalmente ricorderai tutto e sarai libero dallo sciocco senso di abbandono che ti porti dietro. Avrai il potere di sfidare chi vuoi e di comandare legioni di goblins. Avrai una consorte e potrai tornare alla corte di Avalon ricoperto di onori. Avrai finalmente sottomesso colei che ci sconfisse.-

-Perché dovrei volere una cosa del genere?-

Il Re si ritrasse da lui, repentino.
-Perché non dovresti volerlo?- spalancò le braccia e il mantello color della notte vorticò attorno al suo corpo -Cosa c'è nel Sopramondo che ti ha ottenebrato così tanto i sensi?-

David rimase immobile a quelle parole.

Il sorriso di Maggie gli venne subito in mente e, assieme a quel ricordo, mille altri sgorgarono fuori. Tutti coloro che lo avevano fatto sentire parte di una realtà ben definita, che gli erano stati accanto con dedizione nei suoi momenti di sconforto, quando non ricordare chi fosse e cosa gli fosse successo apriva in lui una voragine talmente profonda da non lasciarlo quasi respirare.
Attacco di panico, aveva sentenziato Maggie durante i suoi primi mesi in ospedale, quando lo chiamava David per gioco, per via di quell'assurda somiglianza con Bowie. E poi, il mago lo ricordava ancora, il piglio deciso con cui gli aveva puntato l’indice sul petto e aveva proclamato che da quel giorno si sarebbe chiamato così e che il giorno in cui si era perduto, non era altro che il giorno in cui era nato.

Era rinato ed il mondo aveva risposto a quella rinascita.

Il suo lavoro, i bambini dell'ospedale, gli amici, tutti coloro che oramai erano per lui come una famiglia. I sentimenti che aveva perduto e poi ritrovato.

La vita, ecco cosa c'era nel Sopramondo.

Tutti quei colori che cozzavano contro il mantello nero indossato da Jareth e contro il cielo grigio del Labirinto.

-Di cosa ho paura?- David lo chiese sinceramente, abbassando le proprie difese. -Cosa ho lasciato dietro di me quando sono diventato sovrano del Labirinto?- domandò a Jareth.

 Il Re sollevò il mento.-Se tu ricordassi, lo sapresti.- rispose, e quella voce carezzevole non conteneva altro che veleno. Cosa ho perso?, si domandò ancora David, e questa volta chiuse gli occhi, ascoltando il proprio consiglio, e si concentrò su di sé.
Rilassò il respiro e pensò alla carta dei tarocchi che gli era toccata in sorte –no, non in sorte: la carta che lui, sia pur inconsapevolmente, aveva scelto.

C’era la Luna, piena e tonda come un ventre gravido di segreti, e poi… poi c’erano i tatuaggi impressi sui suoi palmi.

Il verme, la stella.

Ideali che una volta lo avevano animato e che, da quando era diventato Re, aveva coperto, perché nel Labirinto non avrebbero potuto sopravvivere.

Aspetta, c'è stato un momento in cui ho sognato ancora!, gli sovvenne d'un tratto.

Il sogno di Sarah, il ballo presso la corte Unseelie, i suoi tatuaggi ben visibili e quelle parole: benché non ci conoscessimo finora, stiamo scegliendo il cammino tra le stelle.

Jareth poteva avere il trono, poteva avere i goblin e tutte le altre strane creature che popolavano il Labirinto, ma era solo.
Per questo aveva affidato quella particolare storia al Libro Rosso, in cui chiedeva di essere amato. Per questo Sarah aveva trovato il libro ed aveva risolto l'enigma.

-Adesso lo so, mio vecchio me stesso. Era la solitudine a farmi paura. Sarah non mi ha sconfitto: ero io che volevo essere battuto!- David riaprì gli occhi e si avvicinò al Re di Goblin, che rimase immobile a farsi osservare, quasi fosse una bellissima statua. -Credevo di dover riscoprire me stesso, invece ho sempre saputo chi sono.-

Abbracciò Jareth, ed il mondo attorno a loro scomparve.

***

Scusate per la lunga attesa! In quest'ultimo periodo io e Saliman siamo state impegnatissime :( Spero che questo nuovo chap ci faccia perdonare^^

Alcune spiegazioni rapide:

- I tarocchi di Haindl  sono un mazzo di lame dal fascino evocativo incredibile, utilizzando continui richiami all'astrologia e al mondo esoterico, traendo spunti da ogni parte del mondo, dall'Egitto agli Indiani d'America.

- La frase "benché non ci conoscessimo finora, stiamo scegliendo il cammino tra le stelle" è la traduzione delle lyrics di As the world falls down, una delle title tracks della colonna sonora di Labyrinth.

- L'idea dei tatuaggi sui palmi di Jareth proviene da una storia di Saliman, Le cose che perdiamo nel fuoco. I riferimenti al suo passato, se sia un Seelie o un Unseelie, e come sia finito a fare il re del Labirinto sono una mia idea. Mi sono fatta troppe domande sul suo passato xD

Disclaimer: i protagonisti appartengono a chi di diritto e non si scrive a scopo di lucro :) nessun figodidio è stato maltrattato!

 

 

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Capitolo 7
*** La Regina ***


La Regina

Sarah osservò il proprio riflesso nello specchio e si complimentò con se stessa.

Il primo fu un pensiero positivo: dopo quindici anni, il vestito bianco del ballo della corte unseelie le andava ancora benissimo.

Il secondo fu un pensiero negativo: la situazione era ancora più incasinata di ciò che si era aspettata.

Adesso sapeva che ciò che stava accadendo non era un inganno di Jareth-David. Quando per la prima volta si era trovata lì era stato per colpa del Re di Goblin, ma Jareth non aveva il potere di alterare la realtà, quanto piuttosto di indurla al sogno. Ed ecco cosa stava succedendo: stava sognando. Stava sognando il momento esatto in cui aveva deciso il suo destino, in cui aveva rifiutato l'offerta d'amore di Jareth per salvare Toby e riportarlo a casa. Era stata coraggiosa come il suo fido Lancillotto ed aveva resistito all'inganno come una grande eroina.

Il Labirinto è addormentato, le aveva detto Gogol e, poiché aveva rifiutato il suo ruolo di Regina, Sarah era soggetta ai suoi incanti.
-Però se ho trovato la forza di svegliarmi la prima volta, ce la farò anche in questo caso.- si disse fiduciosa. -Dopotutto, devo tornare a casa dai miei pazienti e dalla mia famiglia.-

-E basta… Ma che noia!- esclamò una voce petulante alle sue spalle.

Sarah trasalì. 
Non è possibile…
Si voltò lentamente e si trovò a fronteggiare un paio di occhi verdi, incastonati nel viso delicato di una quindicenne. E non una quindicenne qualsiasi.

-La te stessa di tanti anni prima.- confermò la ragazzina in tono languido, sfiorando con la punta dell’indice lo stelo scintillante di un candelabro.
Si differenziavano, oltre che per l'età, anche per il colore dell'abito. Sarah adulta vestiva ancora di bianco, mentre la ragazzina indossava una variante nera, tempestata di tantissimi punti luce. Abbracciò la sala da ballo deserta con un unico sguardo pieno di rimpianto.
-Allora, hai davvero abbandonato tutto ciò per una vita così noiosa?-

Sarah sentiva la gola secca. Deglutì e si costrinse a parlare. -Chi sei?-

La ragazzina la oltrepassò senza degnarla di uno sguardo. -Quello che saresti tu, se avessi deciso di restare.- le rispose, contemplando la propria acconciatura nello specchio -Ora saresti giovane, immortale e parteciperesti a questi balli, come faccio io.-

-Sei un sogno, non una realtà alternativa.- puntualizzò Sarah con durezza.

-O un incubo, Sarah.- la ragazzina ebbe una risata sprezzante.- Quale sarebbe il problema in ogni caso? Ascolta questo finale: tu odiavi Karen e Toby. Nella sala di Escher, dopo le parole di Jareth, hai stipulato un nuovo patto: hai chiesto di restare nel Labirinto al posto di Toby. Jareth ti amava, a che serviva il resto? Nel Sopramondo potevi solo sognare di essere una Regina, qui lo sei davvero.-

Sarah si osservò lungamente: il suo riflesso da trentenne e la ragazzina che era stata. La ragazzina vestita di nero era bellissima: molto più bella di quanto lei fosse mai stata alla sua età… o dopo. -Allora perché non sei felice?- si trovò a chiederle.

-Potrei farti la stessa domanda, Sarah. Tu sei felice?- la ragazzina le sorrise triste -Io non sono che un desiderio irrealizzato. Mille volte ti sei chiesta cosa sarebbe successo se avessi abbandonato tutto e hai temuto la risposta, impedendoti di sognare. E adesso Vedi. Non c'è pace se non si è onesti con se stessi, Sarah.-

Sarah grande afferrò le mani guantate del suo riflesso infantile. -Dove abbiamo sbagliato? Qual è la paura che ci ha frenato?-

La ragazzina fece una smorfia amara, ma non si sottrasse al suo tocco. -Io volevo essere amata per quello che ero e sono rimasta,  ma il Labirinto non mi basta.-

-E Jareth?- chiese Sarah incuriosita.
Jareth doveva essere lì da qualche parte, a ridere come un matto di quel suo scherzo.

La ragazzina le lanciò un’occhiata colma di compassione.-Jareth è stato sconfitto, Sarah. Non c'è nessun Re nel Labirinto.-

-Come? Perché?- la dottoressa sgranò gli occhi sorpresa -Jareth ti aveva promesso il suo amore!-

La ragazzina sorrise, triste.-Lui ha espresso il suo amore a te, non a me. Il mio Labirinto è quello degli amori disillusi. Qui raccolgo le pene d'amore e me ne cibo. Nella mia corte gli amanti si aggirano solitari fino a trasformarsi in soffi di vento. Jareth fu il primo a cadere. -

-Sei crudele.-

-No, Sarah. Io ripago con la stessa moneta il torto che ho subito. Papà avrebbe voluto a casa Toby, non me. La mamma non si è mai interessata di noi: era sempre in giro per lavoro, ogni volta con un uomo diverso. Jareth voleva la sua umanità indietro e io invece volevo dimenticare tutti quanti. Il Labirinto me l'ha concesso.-

-Ed è davvero quello che vuoi?-

-Io volevo solo essere amata.- rispose la ragazzina e l'abito nero sembrò scintillare come una notte di stelle cadenti.

-Hai avuto tanta paura di quell'amore da credere che Jareth, dopo tutto ciò che aveva fatto, ti avrebbe lasciata… e così l'hai condannato.-

-Non è molto diverso da ciò che hai fatto tu nel Sopramondo, Sarah. Hai avuto tanta paura del Labirinto da dimenticare tutte le filastrocche, tutte le fiabe. Hai nascosto in bauli chiusi in soffitta corone di fiori e farfalle. Hai ucciso Proserpina vestita di bianco credendo che sarebbe sbocciata la primavera, e invece ti sei appropriata di uno sterile inverno.-
La ragazzina le puntò un dito contro e la Campionessa poté avvertire la stessa energia che tanti anni prima aveva attraversato il suo corpo quando aveva ballato con Jareth
-Sei cresciuta, Sarah, ma hai dimenticato la vera te stessa. Quanto a lungo vuoi ancora rinnegare te stessa e l'eco delle parole del Re di Goblin? “Ciò che ti chiedo è così poco! Lascia solo che io ti domini e potrai avere tutto quello che desideri. Non hai che da temermi, amarmi, fare ciò che io ti dico e diventerò il tuo schiavo!”-

Le parole che Sarah aveva cercato di dimenticare la colpirono con una forza, pronunciate dalla sua stessa voce quindicenne. Assieme alle parole le si riversavano addosso tutti i ricordi del Labirinto, i suoi amici e compagni di avventura, gli indovinelli, i pomeriggi al parco con Merlino e le lunghe vesti bianche che aveva amato.

Quando era tornata dal Labirinto aveva lentamente smesso di parlare con Gogol e tutti gli altri. La scuola le aveva sottratto molto tempo e poi aveva deciso di approfondire i rapporti con Karen, scoprendo in lei la madre che da sempre aveva desiderato. Il suo desiderio d'affetto era stato colmato ed un inaspettato premio scientifico vinto a scuola aveva riempito la voglia di essere importante per qualcuno. Sarah aveva accettato le sfide che il suo professore di biologia le aveva lanciato e il mondo reale aveva preso sempre più spazio nei suoi pensieri, relegando il Labirinto ad un semplice ricordo.

Il college, le prime delusioni amorose, lo sport, Toby... Sarah ricordava bene come avesse evitato di ricadere nella trappola del Libro Rosso, popolando i suoi giorni di documentari, concerti, romanzi storici, evitando tutto ciò che avesse un minimo richiamo a mondi incantati. E poi, quando si era sentita abbastanza sicura di se stessa, si era concessa di pensare al Labirinto ancora una volta, ma mai al suo Re.

Solo la notte, quando dormiva e la coscienza era inibita dal sogno, allora Sarah sognava il suo vecchio nemico. Il più delle volte lo vedeva come un barbagianni, e lo osservava da lontano, senza provare ad avvicinarsi, a parlargli, temendo di aprire l'anfora di Pandora delle proprie paure.
La realtà era confortevole, perché abbandonarsi alla fantasia?

Il Labirinto, però, non aveva mollato la presa.
David.
L'incantatore era entrato nella sua vita da poche ore, nel giorno di Samhain, ed in pochi secondi aveva ribaltato la sua perfetta realtà che tanto perfetta non era.
David le aveva mostrato come la quotidianità e la fantasia potessero convivere senza aver paura di se stessi, senza temere di essere diversi. Sarah aveva avuto paura di questo, dopotutto, e tutto ciò che era seguito non era che un riflesso di ciò che più aveva temuto: essere diversa. David le aveva nuovamente mostrato la strada, accogliendo le sue lacrime e facendole capire che il loro viaggio non era altro che la riscoperta di loro stessi.

Ciò che sono diventata non può escludere ciò che ero. Se sono di nuovo qui, è proprio per capire questo. No, non ti combatterò più Labirinto. Abbraccerò ciò che sono!

Si avvicinò alla ragazzina vestita di nero che era vicino allo specchio e la guardò con affetto, prima di abbracciarla dolcemente. Quando si staccò da lei non si stupì di vederla in lacrime e né si stupì di sentire le proprie guance bagnate.
-Ora ho capito e mi dispiace di averci messo così tanto tempo. Io mi voglio bene e me ne vorrò sempre. Non c'è alcun bisogno di avere paura, Sara. Io sarò sempre legata al Sopramondo ed il Labirinto sarà sempre parte di me. Sarò sempre divisa tra i due mondi ma questa divisione non è altro che l'insieme di un uno che forma la Campionessa. E' tutta questione di volontà, alla fine.- Sorrise.

Anche la giovane Sarah sorrise, priva finalmente di quell'aura crudele che sembrava circondarla. L'invitò a posare le mani sullo specchio e con voce solenne iniziò a declamare, seguita da Sarah grande

-Con rischi indicibili e traversie innumerevoli io ho superato la strada per questo castello oltre la città dei Goblin, per riprendere il bambino che tu hai rapito. La mia volontà è forte come la tua e il mio regno altrettanto grande. Non hai alcun potere su di me!-

E finalmente lo specchiò si frantumò in un milione di petali bianchi.

 

**

 

-Sarah? Sarah, svegliati!-

David era inginocchiato su di lei, gli occhi spaiati che la fissavano con trepidazione.

-Non è un sogno, vero?- gli domandò, e vide l'uomo sospirare con sollievo.

-No, credo che siamo tornati entrambi alla realtà. Stai bene?-

-Abbastanza. E tu?-

-Non si vede?- David indicò se stesso e Sarah poté notare il cambiamento che era avvenuto in lui. I capelli erano più lunghi e vagamente selvaggi e l'intero abbigliamento era stato rivoluzionato, facendolo assomigliare molto di più al Re di Goblin incontrato tanti anni prima.

-Jareth.-

-Sono tornato, mia preziosa.-la salutò il Re e Sarah quasi gli rise in faccia. Poteva anche aver recuperato la memoria ma in lui c'era così tanto di David che a Sarah  si strinse il cuore. -Adesso potrò recuperare il mio regno e rimandarti in salvo nel tuo, se è ciò che desideri.-

-Niente bambini rapiti e niente goblins?-

-Sono un re riformato, mia cara. Mi dispiace solo informarti che il nostro sonnellino pomeridiano ci ha sottratto parecchie ore e che ci conviene sbrigarci, se vuoi uscire da qui.-

I tatuaggi sui suoi palmi sembravano brillare; pareva si fosse tolto un grosso peso da sopra le spalle.

-E il mio re riformato ha una vaga idea di come portarci fuori dal Labirinto? Da quel che mi pare, non è molto diverso da come l'abbiamo lasciato. Questo vuol dire che non conosciamo nemmeno la giusta direzione verso l'uscita.-

Sarah stava osservando il panorama e il Labirinto non aveva subito particolari variazioni anche se i rumori erano aumentati, segno che quella parte di Sottomondo si stava svegliando.

-Io no ma lui sì.- le disse il Re.

Sarah vide il grosso bestione che Jareth le indicava e balzò in piedi in un lampo, gettandosi tra le braccia dello strano animale.

-Ludo!- esclamò -Com'è possibile?-

-Il Labirinto è ancora scisso tra entrambi ma sta facendo riapparire alcune creature. Devo dire che ho rischiato l'infarto quando me lo sono trovato davanti appena sveglio.-

-Sara… amica! Io… aiutare!- farfugliò Ludo, chinandosi in avanti per consentirle di arrampicarsi sulla sua schiena. –Ludo… fuori!-

-Lo so, Ludo. Contiamo su di te.- Sarah lo abbracciò ancora con lo stesso entusiasmo di tanti anni prima e poi gli si arrampicò in spalla, seguita da Jareth. -Ludo ci porterà fuori, lo so!-

E così fu.

La fiducia di Sarah fu ricompensata ed in meno di due ore, Ludo riuscì a portare il Re e la Campionessa all'ingresso del Labirinto. Le porte massicce erano spalancate e brillavano vermiglie al sole del Sottomondo.

 

-Appena in tempo,- mormorò Jareth. Poteva avvertire i rintocchi dell'orologio magico dentro di sé e sapeva che le tredici ore si stavano per concludere, questione di pochi minuti.

-Già.- Sarah sostava sulla soglia, gli occhi fissi in quelli di Jareth. Aveva salutato Ludo con un ultimo abbraccio, sapendo che non l’avrebbe più rivisto, ma adesso non sapeva cosa fare. Era stato così naturale prendere la mano di David all'inizio di questo viaggio che adesso si stupiva di non riuscire a fare lo stesso con Jareth.

-Abbiamo concluso la missione, capitano!- provò a scherzare.

Jareth era stato il suo vecchio nemico, il suo tormento, l'enigma mai risolto e molte altre parole che lei gli aveva costruito attorno. David, invece, era altro ancora. Incantatore, certo, ma anche amico e compagno.
Amante, le venne in mente, e la parola restò tra loro inespressa.

-Tutto ciò che ho fatto, l'ho fatto per te.- Jareth le si avvicinò felino, gli occhi spaiati illuminati da una strana luce che Sarah non riuscì ad identificare. -L'amore non dimentica. Mai. A volte, ha solo bisogno di tempo*. - le confidò e poco prima che potesse baciarla, Sarah aprì gli occhi.

 

*

 

La sveglia emetteva il suo bipbip e segnava le sette precise del 31 Ottobre. Tredici ore prima del momento della sfida lanciata da Gogol.

No, non ho sognato.

La luce solare filtrava attraverso le tende come una benedizione. Era nel suo letto, nella sua stanza.
Era al caldo, al sicuro.
Si asciugò una lacrima all'angolo del viso, e notò il piccolo tatuaggio a forma di stella che era apparso sul palmo destro.

§§§***§§§

NdA.

*la frase in questione è tratta da una mia precedente storia su Labyrinth: Epilogue, what if

Spero che il capitolo vi sia piaciuto :) Il prossimo chap sarà l'epilogo di questa ff! Come sempre, ringrazio la mia adoVata Saliman per la betatura. 

Disclaimer: non scrivo a scopo di lucro, nessun figodiddio è stato maltrattato, Ludo e Gogol vi salutano con affetto <3

 

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Capitolo 8
*** Un nuovo giorno ***


Un nuovo giorno



Stay close to me
Everything you knew left with the wind
In times like these we do
You and me breathe to ignite the feeling
Freedom, scream again

Inside of me doors will stay open
A thousand lives to live
Waiting like universes do without an end
Love break into my innocence

Il Labirinto si era svegliato, aveva notato Gogol, eppure sembrava ancora immerso in una sorta di Limbo.

Certo, al custode aveva fatto piacere rivedere Ludo e Sir Didymus, ma il Re lo preoccupava: si era chiuso nelle sue stanze non appena Sarah era sparita e la sua energia era scomparsa dal Sottosuolo.

A voler essere sinceri, i desideri della ragazza erano in parte rimasti attaccati alla realtà del luogo, ma il Custode riteneva che ciò fosse normale. Tutti coloro che avevano condizionato il Labirinto in un modo o nell'altro vi avevano sempre lasciato una parte di loro stessi, attraverso la quale il Labirinto si era nutrito ed aveva dato forma ai vari luoghi che lo caratterizzavano.

Quanto a Jareth… bah, il Re era sempre stato diverso da tutti gli altri sovrani che avevano vissuto nel Dedalo.

Gogol era impegnato a potare le siepi che si trovavano vicino al portone principale del Labirinto e a scacciare le odiose fatine dei fiori, quando si trovò davanti Jareth, abbigliato ed acconciato come quando era apparso nel Labirinto qualche ora prima.

-Maestà?-

-Trogolo, speravo di trovarti qui. Volevo consegnarti questo.- Jareth gli allungò il Libro Rosso e Gogol lo maledisse mentalmente. Chissà quale altro bell'affare gli si prospettava ora! Non gli era bastata tutta la situazione con Sarah? Voleva già rimettersi nei guai? -Cosa dovrei farci, maestà?-

-Quello che di solito fai, Tralalà. Rimandalo nel Sopramondo affinché trovi, beh... affinché trovi un nuovo sovrano per il Labirinto.-

-Cosa?!-

-Hai capito benissimo, Gable. Il Libro Rosso narra una storia e questa volta non ci saranno Re di Goblin o cavalieri sperduti, ma solo qualcuno che vuole diventare signore di un regno fantastico e che dovrà compiere il suo viaggio per scoprire se stesso. Il Labirinto si adatta alla realtà che gli viene sognata e non dubito che il Libro Rosso saprà costruire il sogno e l'incanto.-

-E la sfida?- domandò il Custode.

-La sfida sarà conquistare il Labirinto, Trogolo. Piazza una spada nella roccia nella sala di Escher e arriveranno a frotte da tutti i mondi, fidati.- Jareth si sistemò meglio il cinturino dell'orologio e controllò l'ora -Bene, se mi sbrigo, arriverò in tempo...-

-Dove? Cosa volete fare, Maestà?-

David si inginocchiò, in modo da poter guardare negli occhi il nano. Notò che al polso il custode indossava ancora il bracciale che Sarah gli aveva donato tanti anni prima e sorrise. -Io intendo tornare nel Sopramondo, Gogol, e questa volta per sempre. Non so dove andrò ma ti prometto che non mi annoierò affatto*.-

E poiché aveva detto le parole giuste, la Magia lo ascoltò.

 

 

*

 

- Sarah, sei ancora qui? Pensavo fossi già andata via!- disse Marika, incrociandola in spogliatoio.

Sarah incrociò nello specchio lo sguardo dell’infermiera e arricciò il naso, facendole una piccola smorfia. Stava armeggiando con il correttore, tentando di darsi un aspetto più umano e meno da zombie, sebbene si adattasse perfettamente alla giornata. Da quando si era svegliata, non aveva fatto altro che pensare a ciò che era successo ed aveva fatto un salto a casa dei suoi, per la gioia di suo padre e di Karen. Era corsa in soffitta, trangugiando un pancake, e si era messa a cercare tra i vari scatoloni quello in cui aveva gettato alla rinfusa tutti i ricordi del suo tempo da Proserpina. E niente, il libro rosso non era balzato fuori e Sarah aveva avuto la certezza che la sua avventura con il Labirinto era definitivamente conclusa e che Jareth era scomparso dal suo mondo.

-Finisco per le 17.-

Marika soppesò il suo viso per un po'.

-Tutto ok? Sembra che tu abbia avuto una pessima nottata, hai gli occhi tutti rossi e due occhiaie da paura. Hai programmi per cena o ti vuoi accodare a me e alle ragazze? Andiamo a festeggiare Halloween giù al Transition.-

-Più o meno: i miei mi hanno chiesto di mangiare da loro stasera.- borbottò Sarah pettinandosi i capelli scuri ed acconciandoli in una treccia morbida. Alla fine, decise di scioglierli.

-Se non sei troppo stanca, sul dopocena potresti venire con me e le altre a prendere una birra!- buttò lì l'infermiera. -Sai, giusto per festeggiare la serata e magari incontrare qualche bel maschione mascherato!-

-Non siamo un po' cresciute per fidarci degli uomini mascherati?- scherzò Sarah, rimettendo il pettine a posto nell'armadietto.  Le venne quasi da ridere al pensiero di aver già vissuto in parte quella giornata e poi le venne una strana nostalgia rendendosi conto di ciò che non sarebbe avvenuto.

-Oh, andiamo, che male c’è? Cosa vuoi diventare, una zitella con i gatti?-

-Preferisco i cani!- scoppiò a ridere Sarah. -Comunque, visto che il reparto è tranquillo passo un attimo dalla saletta per controllare Liza. Si è sfebbrata e gli esami vanno bene, ma voglio essere sicura che dopo lo spettacolo torni dritta nella sua stanza. E poi, voglio dare un'occhiata allo show di oggi pomeriggio, anche se Maggie mi ha detto che hanno dovuto cambiare il programma per non so quale motivo.-

-Ah, allora vai a vedere David!- Marika le lanciò uno sguardo malizioso. -Stai attenta a che non ti rubi l'anima: quell'uomo è un incantatore nato!-

-Credo che il problema riguardi proprio lui,- l'informò Sarah atona -pare che non riescano a contattarlo.-

-Cosa? No, che peccato! David è bravissimo ed i bambini lo adorano. Speriamo che non gli sia successo niente di grave.- gemette Marika.

Sarah accennò un mezzo ghigno, che pareva più la smorfia di un urlo deformato.

Non avrebbe più rivisto David. Non avrebbe potuto più confidargli ciò che aveva capito e ciò che sentiva. Avrebbe vissuto con quel rimpianto, ma almeno adesso era pronta ad abbracciare la sua vita, dovunque l'avesse portata.

Sarah mise piede nella saletta quando lo spettacolo ormai si avviava alla fine. Aveva cercato il più possibile di tenersi lontana, ma alla fine la curiosità aveva preso il sopravvento ed aveva deciso di scoprire come fosse stato risolto il problema dell'assenza di David King.

A giudicare dal silenzio che proveniva dalla saletta, la sostituzione si era rivelata riuscita.

Sarah mise dentro la testa.

I bambini erano seduti in cerchio –chi in sedia a rotelle, chi sulle sedie di plastica. Il mago vestito di nero dava le spalle alla porta e camminava in mezzo ai bambini, chinandosi felino sui loro volti rapiti. Con un gesto che doveva essere talmente studiato da apparire del tutto naturale – chiunque fosse il sostituto, assomigliava a Jareth, almeno visto di spalle… ma di certo, David doveva avere un sostituto - il mago si sfilò il cappello a cilindro e lo lanciò ad un bambino, che tese le manine e lo afferrò al volo.

Sotto lo sguardo rapito del pubblico, il cappello si sfaldò al tocco delle piccole dita, diventando un mantello nero e sollevando un “Oooh” di stupore.

-Ah! Ecco dov’era finito!- disse il mago, trionfante, e gettò il capo all’indietro, i capelli di un biondo iridato sotto le fredde luci a neon.

Il mantello dell’uomo parve fluttuare un istante nell’aria – una notte scura, trapuntata di stelle – poi lui lo afferrò al volo, prima che si adagiasse a terra. Le sue movenze, feline ed aggraziate, fecero indietreggiare Sarah per la sorpresa.

E poi la voce limpida del mago iniziò a graffiare l’aria.

-Nessuno vide il barbagianni: bianco al chiar di luna, nero sotto le stelle. Nessuno lo sentì planare su ali di velluto. Il barbagianni vide tutto. Si piazzò su un albero, artigliato a un ramo, e fissò la ragazza nella radura sottostante.-

La sua voce era roca e invitante e sempre più familiare, mentre intrecciava una parola all’altra, tessendo una storia che Sarah conosceva troppo bene. Il mago sollevò una mano guantata verso il soffitto. Una sfera baluginò tra le sue dita e lui la fece scivolare nel palmo, e poi sul dorso della mano, come non facesse altro da tutta la vita.

-Il vento mugghiava, faceva dondolare il ramo, trasportava di qua e di là le basse nubi nel cielo crepuscolare. Sollevò i capelli della ragazza. Il barbagianni guardava con occhi impenetrabili e scuri. La ragazza si allontanò lentamente dagli alberi verso il centro della radura, dove luccicava uno specchio d'acqua. Era immersa nei suoi pensieri. Ogni passo la portava più vicino al suo scopo. Teneva le mani aperte, appena tese in avanti. Il vento sospirò fra gli alberi: il mantello le si avvolse attorno al corpo; i capelli si scompigliarono, coprendole in parte il volto illuminato dai grandi occhi verdi. La ragazza aveva le labbra socchiuse. Si voltò verso il barbagianni e disse…-

-Jareth!-

Il nome sfuggì dalle labbra di Sarah in un sussurro, ma risuonò nel silenzio della sala come una scudisciata. Il mago si voltò di scatto verso di lei, catturando nel suo sguardo spaiato il verde dei suoi occhi. L'uomo –perché si trattava di un uomo vero, in carne ed ossa- si inchinò di fronte a lei.

-Ben ritrovata, mia preziosa.-

A quelle parole, Sarah si gettò tra le sue braccia ridendo e a David  sfuggirono le sfere di mano, ma non raggiunsero mai il pavimento. Sotto lo sguardo incantato dei bambini, esplosero nell’aria in una lenta pioggia di piume bianche.

 

Let the rain come down
And wash away my tears
Let it fill my soul
And drown my fears
Let it shatter the walls
For a new sun
A new day has come

**°°°**

Eccoci giunti alla conclusione :) Spero che la storia vi sia piaciuta^^

Un grosso bacio a tutti coloro che l'hanno seguita, preferita, ricordata. Grazie di cuore! In particolare, voglio ringraziare ancora una volta l'adoratissimo David Bowie per aver dato vita e colori al nostro amato Jareth e alla mia carissima Saliman che ha betato questa storia con affetto <3

*è una quote dello stesso Bowie

 

Disclaimer: nessun figodiddio è stato maltrattato, io amo i lieto fine, no scopo di lucro (anche se due lire in più fanno sempre piacere :P), le canzoni sono Innocence di Tarja Turunen e A new day has come di Celine Dion.

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