My new moon

di endif
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La fine, l'inizio ***
Capitolo 2: *** Il tempo nemico giurato ***
Capitolo 3: *** Infinita ... forza di volontà ***
Capitolo 4: *** Realtà o illusione? ***
Capitolo 5: *** Allucinazioni ***
Capitolo 6: *** Una nuova dimensione ***
Capitolo 7: *** Voglia di libertà ***
Capitolo 8: *** La dura realtà ***
Capitolo 9: *** Speranza ***
Capitolo 10: *** Incubi ***
Capitolo 11: *** Pensieri ***
Capitolo 12: *** Incontro-scontro ***
Capitolo 13: *** Risveglio ***
Capitolo 14: *** Rivelazioni ***
Capitolo 15: *** Impasse ***
Capitolo 16: *** Finalmente un po' di pace ***
Capitolo 17: *** A casa ***
Capitolo 18: *** Dubbi e paure ***
Capitolo 19: *** Scoperta ***
Capitolo 20: *** LA VERITA’ ***
Capitolo 21: *** VIA DA QUI ***
Capitolo 22: *** RAPIMENTO ***
Capitolo 23: *** GOAT ROCKS ***
Capitolo 24: *** APPUNTAMENTO SPECIALE ***
Capitolo 25: *** LEZIONI PRIVATE ***
Capitolo 26: *** NOTTE PRIMA DEL DIPLOMA ***
Capitolo 27: *** FESTEGGIAMENTI ***
Capitolo 28: *** VENERDI SERA ***
Capitolo 29: *** PARADISO O INFERNO? ***
Capitolo 30: *** SABATO ***
Capitolo 31: *** UNA GITA INASPETTATA ***
Capitolo 32: *** DOMENICA ***
Capitolo 33: *** UNA PROPOSTA INATTESA ***
Capitolo 34: *** ISTINTI NASCOSTI ***
Capitolo 35: *** INDIMENTICABILE ***
Capitolo 36: *** OBBLIGHI E SCELTE ***
Capitolo 37: *** INSIEME, PER SEMPRE ***
Capitolo 38: *** AVVISO ***



Capitolo 1
*** La fine, l'inizio ***


EDIT: La storia verrà corretta e revisionata, perché ho notato un'enormità di errori ortografici a cui in passato non prestavo molta attenzione. Per i capitoli corretti, inserirò un edit ad inizio pagina. La trama, per quanto semplice ed un po' ingenua, non verrà modificata. My new moon è stata la mia prima storia su questo sito ed ho con essa un debito di riconoscenza. Per questo non la cancellerò, limitandomi solo ad alleggerirla del superfluo.
Grazie a tutti.

CAP.1
LA FINE, L’INIZIO


BELLA
Bella, ce ne andiamo …
Non voglio che tu venga con me …
Non sei la persona adatta a me …
Mi dispiace … ti prego, promettimi che non farai nulla di stupido, io ti prometto che sarà come se non fossi mai esistito … addio.
E poi, quel vento gelido che aveva portato via le sue parole e con esse anche lui.
Le mie mani che avevano cercato di afferrarlo, avevano ghermito solo l’aria, quell’aria che d’un tratto sembrava essermi stata aspirata dal corpo con la forza. Boccheggiavo nel tentativo di respirare. Non so, forse la forza della disperazione, la speranza che l’avrei raggiunto, che avrei potuto chiarire tutto, ma avevo cominciato ad inoltrarmi nel bosco seguendo la direzione che mi pareva avesse preso lui.
Non so da quanto tempo stavo camminando, ore credo, ma d’un tratto mi accorsi che intorno a me era buio, forse stavo girando intorno … forse quegli alberi, li avevo già visti … Mi fermai, tremante.
«Edward …» sussurai. «Edward … ti prego …».
Era mia quella voce? Mi osservai le mani. Mi sembravano lontane, distorte. Tremavano. Le vedevo, ma sembravano non appartenermi. Era come se le osservassi da un’angolazione diversa, era come se tutto intorno a me avesse subito una distorsione. La testa prese a girarmi, sempre più vorticosamente e persi l’equilibrio. Scivolai in ginocchio, con la guancia su un tronco. Mi lasciavo scorrere inerme su quell’albero, le braccia lungo il corpo, ferendomi le guance, senza avere la forza di alzare una mano per sorreggermi, afferrarmi a qualcosa. Mi accorsi solo del freddo umido delle foglie e dell’odore di terra bagnata, quando il mio viso affondò in essa.
Il buio si fece più buio.
Una voragine si spalancò nel mio petto.
All’improvviso sentii il dolore, immenso, pulsante, invadermi la testa.
«Non c’è più…» mormorai.
Chiusi gli occhi e con tutto il fiato che avevo in gola urlai tutta la mia disperazione.
Poi, finalmente, svenni.

EDWARD
Correvo ad una velocità mai sfiorata prima. Le gambe si muovevano da sole senza che la mia volontà potesse interferire, perché se l’avesse fatto non avrei mosso nemmeno un passo lontano da lei. Non avrei mai pronunciato quelle parole che da giorni mi ripetevo ininterrottamente affinché risultassero credibili almeno alle sue orecchie. Tutta la scena si era svolta in maniera surreale, le parole erano fluite dalla mia bocca senza inflessioni, il mio viso non aveva tradito alcuna emozione, i miei occhi erano rimasti fissi su di lei, ma senza vederla. Non potevo permettermi errori, non potevo vacillare nemmeno per un attimo, altrimenti avrei fallito e non sarei riuscito a lasciarla.
Mentre correvo senza voltarmi indietro, sentivo ancora nella testa le parole che Alice aveva pensato qualche giorno fa, quando avevo maturato la decisione di lasciare Bella.
“Non farlo Edward, te ne prego. Non si riprenderà mai. Morirà, lo sento.”
L’avevo osservata con uno sguardo freddo,vitreo.
“Morirà se non lo faccio, invece. Così, forse, le lascio la possibilità di avere una famiglia, una vita normale, la vita che merita, quella che avrebbe dovuto avere senza di me.” Avevo detto.
“Ma forse, se …” aveva tentato Alice.
“BASTA” tuonai io “ma cosa credi, che sia facile per me, che io non soffra al pensiero che le farò del male, quando mi guarderà negli occhi, mentre le pugnalo il cuore, nella speranza di scorgervi la menzogna, o quando ascolterà le mie parole, la mia voce cercandovi l’indecisione e il dubbio? IO L’AMO ALICE, E’ PER QUESTO CHE LA LASCIO.” Conclusi urlando.
“E’ per colpa di Jasper…” aveva pensato affranta. “Ci parlerò io, non accadrà più, vedrai le cose si sistemeranno”.
Mi ero preso la testa fra le mani, gemendo, e avevo continuato in un sussurro “Jasper non c'entra, Alice.”
“La notte la guardo mentre dorme, osservo il suo viso disteso, ascolto il suo respiro tranquillo e profondo, il suo battito dolce e regolare. Resto ore così, solo guardandola, piccola, fragile, indifesa. Parla nel sonno, sai? A volte si agita, in fondo Forks non è il suo ambiente ideale, ma spesso, negli ultimi mesi, l’ho sentita tremare, l’ho vista piangere nel sonno. E’ a causa di James, di quello che stava per accadere. E’ rimasta traumatizzata, ma non l’ammetterebbe mai con me. Come se servisse a qualcosa, come se non mi accorgessi di nulla solo perché non posso leggerle nel pensiero. Piccola mia, quanto è dolce …” mi riscossi da quei ricordi scrollando la testa.
Fissai Alice negli occhi, era angosciata, lo si vedeva chiaramente. Sapeva che ormai avevo deciso.
“Devo farlo, Alice. La amo più di me stesso, è tutta la mia vita. Ma cosa le offro io? Una vita fatta di menzogna, di segreti, di paure, di spostamenti. Non avrà mai una famiglia, non potrò mai stringerla a me con passione, farle sentire quanto la desidero. Il suo profumo, la tentazione del suo sangue … che abbia resistito una volta non significa che possa trattenermi sempre. Posso a stento sfiorarla, baciarla con la più lieve delle carezze. E’… è così delicata” sospirai riprendendomi il capo tra le mani.
“Edward, potresti sempre trasformarla” aveva pensato lei.
“No Alice, nessuno di noi ha avuto scelta, ma per lei io voglio di più. Lei merita di più di questa vita che posso darle. Lei merita il meglio, merita tutto. Chi sono io per mettere fine al battito del suo cuore? Sono un essere tendenzialmente egoista, è vero, ma l’amore per lei mi ha cambiato. Non è a me che penso ogni minuto, ma è il suo bene che cerco con disperazione. La mia parte l’ho già rubata: tutto il tempo che finora mi ha concesso, l’amore che mi ha donato … li porterò con me fino a che non esalerà il suo ultimo respiro. Ecco quello sarà, finalmente, il momento in cui potremo riunirci, perché anche io, allora, troverò la morte il più velocemente possibile.”
Stavamo per andare a scuola, quindi ci apprestammo alla Volvo. Mi sentii sfiorare un braccio da Alice mentre aprivo la portiera del guidatore.
Non mi voltai, ma lessi nei suoi pensieri “Lasciala sì, ma solo scegliere quale vita vuole.”
Quelle erano state le ultime parole che ci eravamo scambiati io e mia sorella, ma avevo preteso da tutti che nessuno avrebbe interferito mai nella vita di Bella e, soprattutto, che Alice non sbirciasse mai nel suo futuro. Dovevamo farci solo dimenticare.
Doveva trascorrere un po’ di tempo, certo. Ma Bella avrebbe reagito, si sarebbe ripresa e avrebbe vissuto una vita lunga e felice da umana. Doveva farlo.
Mi bloccai improvvisamente.
E se non fosse andata così? Potevo esserne certo?
Una sensazione di disagio mi percorse. Un brivido lungo la schiena.
Calma Edward, hai fatto la cosa giusta. Pensavo febbrilmente, voltandomi indietro, lì da dove ero venuto.
Sì, ma ero stato davvero giusto o, piuttosto, ero stato spietato?
Fissavo gli alberi, lo sguardo perso lontano, il mio cuore lacerato, ora dolorosamente muto.
Qualcosa in lontananza … sembrava … l’eco di un urlo.
Mi voltai, sul viso la maschera della morte. E ricominciai a correre lontano da Forks.



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Capitolo 2
*** Il tempo nemico giurato ***


EDIT: Capitolo revisionato e corretto.



CAP. 2

IL TEMPO NEMICO GIURATO

BELLA

«Bella!»

Voci indistinte, lontane, agitate.

«Bella!»

Stavo sognando? Non riuscivo a muovermi, ad aprire gli occhi. Ero distesa a faccia in giù nella terra bagnata, il volto coperto di fango, i capelli mi ricadevano fradici sulle guance. Tentai di spostare il viso di lato, ma lo sforzo mi sembrava immane. Non mi ero mossa che di qualche centimetro, ma smisi subito, sfinita.

Mi stavano cercando.

Cercai di alzare una palpebra, ma non ci riuscii. Aprii la bocca, ma nessun suono ne uscì.

Stavo morendo? Dal dolore che mi pulsava nel petto, credetti di sì. Le labbra si piegarono in quello che avrebbe potuto passare per un sorriso triste. Non ci sarebbe voluto ancora molto, e, tanto ormai, a cosa mi serviva vivere?

Lui non c’era più. Io non c’ero più, non esistevo davvero prima di incontrarlo e ritornavo nel nulla ora che non sarebbe più stato al mio fianco. L’idea del tempo senza di lui mi sembrò insopportabile.

Mi uscì un gemito strozzato dalla gola.

All’improvviso dei passi affrettati calpestarono i rami poco distanti da me, si fecero sempre più vicini, più veloci, più chiari.

«L’ho trovata!»

Il sollievo nella voce dello sconosciuto era evidente. Qualcosa mi sfiorò i capelli, una mano mi girò delicatamente verso l’alto.

«Bella … Dio ti ringrazio!» Due braccia forti mi sollevarono senza sforzo.

«L’HO TROVATA!»

Le voci si fecero più concitate, più vicine. Lo sconosciuto si faceva strada nel bosco senza sforzo reggendo il mio peso, come fossi un ramoscello. La mia testa e il mio braccio penzolavano inermi.

«Non avere paura, è tutto finito, sei salva» mi mormorava lo sconosciuto dolcemente all’orecchio.

Già è tutto finito, e no, non sono affatto salva. Quanto alla paura, quella che più di tutte temevo si era concretizzata … quanto tempo fa ormai? Mi sembravano giorni. No, di sicuro non avevo più paura ora che lui se n’era andato per sempre.

Tenevo gli occhi chiusi, il respiro un flebile alito.

Sentivo le voci non più confuse, ma sempre più distinte, più chiare. Altre mani mi toccavano, una voce fra tutte si fece largo.

«BELLA, piccola mia …» Charlie aveva la voce rotta dall’emozione, credetti che stesse piangendo.

«Pa … pà, non … c’è … più» balbettai, sconnessa, con un mormorio indistinto.

«Shh, non ti sforzare, tra poco sarai a casa tua.» Sussurrò lo sconosciuto al mio orecchio.

Quella voce … mi sembrava di conoscerla. Sì l’avevo già sentita, ma non apparteneva a qualcuno che conoscevo bene, non riuscivo ad associarvi un volto.

Sentii chiaramente il rumore dei passi sulla veranda, qualcuno teneva aperta la porta, forse era Charlie.

Passi veloci sulle scale. Poi, le forti braccia che mi stavano reggendo da non so quanto tempo, mi depositarono sul letto come se fossi fatta del più delicato dei cristalli.

Lo sconosciuto disse con voce appena udibile, rivolto a mio padre «Non mi pare che sia ferita, ma sarebbe meglio che la visitasse un medico, credo che sia in stato di shock.»

«Certo, certo … un medico. Lo chiamo subito, ti prego aspetta con lei fino a che non ritorno.»

Silenzio. Passi di Charlie verso il basso.

«Bella, Bella mi senti?» Delle dita morbide, mi sfiorarono la fronte.

«Ti ha lasciato sola nel bosco, vero?» Era rabbia repressa quella che sentivo nella sua voce?

Un sospiro basso, poi: «Glielo concedo, basta che si sia tolto di mezzo per sempre.»

Ma chi diavolo era costui? Come faceva a sapere tutte queste cose di me, di noi?

Non trovavo la forza di aprire gli occhi, volevo guardare il viso dell’uomo che mi aveva soccorso, ma la stanchezza pesava sulle mie palpebre come un macigno, e dei brividi cominciarono a scuotermi violentemente. Sembrava che fossi in preda a delle convulsioni.

Mi sentii avvolgere da una coperta pesante e stringere forte.

Tra i miei capelli un sussurro: «Calmati, calmati … Con il tempo passerà, dimenticherai tutto. Nessuno ti farà più del male, lo giuro.»

Il tempo, ancora lui, ancora una volta mio nemico.

Altri bisbigli, sussurri incomprensibili, un dolce dondolio. Scivolai lentamente nell’incoscienza e nel torpore.


EDWARD


Ero all’aeroporto. Non mi interessava davvero raggiungere una meta precisa.

Avevo scelto l’America Latina. Abbastanza caotica, affollata da derelitti e disperati da poter passare di sicuro inosservato. Uno in più non faceva di certo differenza. In fondo un posto valeva l’altro.

Era notte, vagavo tra un terminal ed un altro assente, fino a che non mi lasciai cadere su una poltroncina in una piccola ed anonima sala d’aspetto. Dovevo attendere la coincidenza con Rio, il display segnava un’ora di attesa. Erano le 2.23. Ma tanto il tempo non era più un problema, ed io sapevo essere molto paziente.

Non ero tornato a casa, ma mi ero diretto subito all’aeroporto. Non stavo raggiungendo la mia famiglia, no, credo che loro si fossero diretti ad Ithaca. Non potevo restare vicino ai miei familiari, non l’avrei sopportato. Sentire i loro pensieri, ascoltare il loro biasimo, la loro compassione … non ero da compatire, ma solo da condannare. Ero io la causa del mio male, io mi ero cacciato in questa situazione, avevo cacciato entrambi in questa situazione. Non mi importava di soffrire e di ardere all’Inferno per l’eternità, ma trascinare Bella con me era tutto un altro discorso. Non avrei mai potuto permettere che succedesse: essere io la causa della sua sofferenza, il motivo per cui avrebbe abbandonato tutto senza battere ciglio, famiglia, amici, la possibilità di avere figli, il motivo per cui avrebbe rinunciato alla sua anima … la sua anima, la più pura tra tutte, la più meritevole … No, non l’avrei mai fatto.

Aprii gli occhi, osservando l’orario sul tabellone elettronico.

Le 2.45. Sospirai, abbandonandomi allo schienale della mia seduta e reclinando la testa all’indietro. Chiusi gli occhi. Da lì dietro vedevo chiaramente il sorriso di Bella, sentivo perfettamente il suo profumo.

Altra occhiata all’orario.

Le 2.47. Era morbida, calda. Le sue labbra sulle mie, il più gentile e soave dei tocchi …

Mi agitai sulla poltroncina, divenuta improvvisamente scomoda.

Le 2.48 . L’avevo desiderata con ardore, ma avevo saputo celare bene i miei sentimenti ed ero riuscito sempre a ritirarmi quando la situazione si faceva troppo … incandescente.

Ora la poltrona era diventata carbone ardente. Con uno sforzo immane della mia residua volontà cambiai il corso delle mie riflessioni.

Pensare a lei mi faceva male, mi scoppiava il cranio. Ma non pensarla era ancora peggio, era solo tormento senza un attimo di sollievo. Quanto male le avevo fatto? Non ci eravamo allontanati troppo dal sentiero che conduce a casa sua, ma se non fosse riuscita a ritrovare la strada? Avrei dovuto aspettare nell’ombra, per assicurarmi che stesse bene.

Scossi il capo, raddrizzandomi. No, non avrei resistito alla tentazione di avvicinarmi, implorarla di dimenticare tutte le terribili bestemmie che avevo proferito poco prima e stringerla a me.

Avevo lasciato un biglietto a Charlie in cucina, giusto per sicurezza. Poi, ero salito in camera di Bella, nascondendo alla sua vista tutto quello che, in futuro, avrebbe potuto ricordarle la mia presenza, senza indugiare troppo. Mi ero voltato lanciando un ultimo, fugace sguardo al mio santuario personale. Avevo inspirato profondamente un’ultima volta, registrando l’immagine della stanza, memorizzando il suo odore, ed ero fuggito via.

Altra occhiata all’orologio, altro sbuffò.

Le 3.14. La speranza che il mio gesto avrebbe permesso a Bella di vivere la vita che meritava, era l’unico balsamo che avrebbe potuto lenire le mie ferite, e che mi avrebbe dato la forza per restarle lontano. Mi torturava, però, l’incertezza.

Forse, quando fosse trascorso un tempo ragionevole, sarei potuto andare a dare un’occhiata, solo per assicurarmi che stesse bene … e se l’avessi trovata felice, mi sarei eclissato immediatamente.

Le 3.20. L’ora era finalmente passata.

Sospirai, alzandomi e dirigendomi al mio imbarco. Il tempo non sarebbe stato più un problema, è vero, ma, lontano da Bella, sarebbe diventato il peggiore di miei tormenti.

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Capitolo 3
*** Infinita ... forza di volontà ***


EDIT: Capitolo revisionato e corretto.




CAP.3

INFINITA … FORZA DI VOLONTA’

Un mese dopo…

BELLA

La sveglia suonò.

La lasciai suonare senza accennare ad un minimo movimento per farla tacere.

Che Charlie pensasse che stavo ancora dormendo era diventata un’abitudine, lo faceva stare bene e faceva sembrare tutto normale.

Oggi io sarei dovuta ritornare a scuola e Charlie a lavoro.

Credo che mi avesse detto di aver preso un mese di ferie arretrate da trascorrere un po’ con me.

Penso che temesse per me, per quello che avrei potuto fare, forse fuggire, commettere qualche sciocchezza …

In realtà se fosse andato a lavorare un mese prima e, poi, tornato solo ora, credo che mi avrebbe trovato nella medesima posizione in cui mi aveva lasciata. A letto, raggomitolata su me stessa in posizione fetale.

La prima settimana dal mio ritrovamento nel bosco la trascorsi chiusa a chiave in camera mia.

Mi rifiutavo di uscire, mangiare, lavarmi …

Dopo un iniziale e goffo tentativo di invitarmi a confidarmi con lui, Charlie aveva rinunciato a bussare alla mia porta.

«Bella, quando vorrai, io ci sarò sempre» disse solo.

Non riuscivo a provare tenerezza per lui, comprensione, affetto …

In realtà, non riuscivo a provare nessun sentimento: rabbia, sofferenza, dolore, mancanza, frustrazione.

Nulla.

La mia mente era sprofondata in una specie di limbo, in una nebbia perenne che mi avvolgeva fitta e mi estraniava dal resto del mondo. Il tempo trascorreva lento. Non sapevo l’ora, non sapevo che giorno fosse. Le tende sempre chiuse, non sapevo se fosse giorno o notte. Passavo da uno stato di veglia ad uno di incoscienza senza averne la minima percezione.

Era trascorso un mese così.

Mi alzai e mi trascinai in bagno. Distrattamente lanciai uno sguardo allo specchio per la prima volta da un mese a quella parte. Avevo il viso stravolto, pallido, gli occhi ancora rossi e gonfi dalle lacrime versate, cerchiati di lividi bluastri. Posai le dita tremanti su quei segni sotto agli occhi, quelle ombre così simili alle sue quando era assetato …

Una lacrima mi bagnò la mano. Strano, avevo ancora lacrime da versare. Silenziose ormai, ma brucianti come scie infuocate. Mi accasciai sulle ginocchia, tremando come una foglia, una mano stretta forte al bordo del lavabo come a un ancora di salvezza.

“Come se non fossi mai esistito.” Ma davvero credeva che l’avrei potuto dimenticare, fosse anche tra un milione di anni? Dimenticare lui, il suo mezzo sorriso, la sua voce dolce e melodiosa? Bastava non vederlo più, non avere più alcun oggetto materiale che potesse farmelo tornare a mente per impedirmi di pensare a lui? Avevo il suo viso, il suo odore marchiati a fuoco nel cuore e nella mente.

Il battito cominciò a galoppare furiosamente, la testa a girarmi vorticosamente, il respiro a farsi sempre più affannoso.

Basta, basta, BASTA! Sarei impazzita, ne ero sicura. Ero in caduta rapida verso l’Inferno e non sapevo se sarei mai stata capace di emergere dal baratro in cui ero sprofondata. Tutto pur di far cessare questo dolore al petto, tutto pur di avere un po’ di sollievo.

Nebbia, oblio, nulla circondatemi, non mi lasciate sola con i miei pensieri …

Respirai profondamente cercando di calmarmi. Se mi impegnavo potevo farcela, potevo far tacere il dolore, potevo scivolare nel mio limbo, nel mio niente, fingere un’apparente tranquillità.

Dovevo farlo, almeno per Charlie. Sarebbe finalmente tornato al lavoro, risparmiando a me le sue occhiate sfuggenti al cibo intatto nel mio piatto, al pallore del mio viso e risparmiando a lui la parte dell’agente segreto mentre origlia alla porta della mia camera, o addirittura cerca delle tracce della regolarità del mio corpo in bagno. Povero Charlie, era disperato, vedevo che non sapeva più cosa fare.

Due respiri, tre …

Lavarsi, vestirsi, scendere in cucina e cercare di buttare giù qualcosa sotto lo sguardo indagatore di mio padre, salutare e filare via come un proiettile.

Potevo farcela.

Mi alzai e aprii il rubinetto.


EDWARD

Il capo tra le ginocchia, me ne stavo rintanato in un angolo buio di una soffitta sporca e maleodorante. Un posto dimenticato da Dio e dagli uomini. Il posto ideale per me.

Le voci nella mia testa parlavano tante lingue, non provavo neppure a cercare di distinguere quelle della mia mente da quelle reali che raggiungevano le mie orecchie. Un unico, indistinto, confuso mormorio sopraffaceva i miei pensieri. Gli odori più disparati dalla strada raggiungevano le mie narici: sudore, unto, cibo andato a male. I miei abiti avevano assorbito lo sporco e la polvere della stanza. Da un mese, ormai, li avevo indosso, ma la cosa non mi turbava minimamente. Pensai alla faccia di Alice se fosse stata qui: sarebbe inorridita come minimo. Al pensiero di mia sorella, un sorriso triste, la prima smorfia che mi permettevo da quando avevo raggiunto quel paesino sconosciuto un mese fa, mi attraversò il viso. Probabilmente Alice mi aveva già visto in una delle sue prime visioni quando avevo deciso di raggiungere Rio.

Da allora niente era cambiato nelle mie decisioni.

Nessuno della mia famiglia aveva cercato di contattarmi, e di questo ero grato. Esme era stata l’unica, oltre ad Alice, ad aver tentato di dissuadermi dai miei propositi. Era stato difficile dirle addio, dire addio a colei che consideravo mia madre a tutti gli effetti … E Carlisle, non aveva pronunciato una parola, si era impedito di formulare qualsiasi tipo di pensiero in mia presenza, ma nei suoi occhi avevo letto il dispiacere e la contrizione. Un po’ si riteneva responsabile per il fatto che una volta di più mi trovavo a lottare contro la mia vera natura, contro tutti i miei istinti più egoistici che mi urlavano di prendere ciò che volevo, anche a scapito della vita della mia amata, con il risultato che in fine mi sarei odiato per non essere riuscito a proteggerla.

Mio amore, mia ossessione, mio tormento … l’incertezza mi dilaniava. Se io mi ero ridotto in questo stato per amore, cosa aveva impedito a lei di perdersi nell’oblio? Chi c’era a prendersene cura, a coprirla la notte nei suoi sogni agitati, a difenderla dalla sua adorata sbadataggine, a cogliere il rossore delle sue guance, a infervorare il suo cuore, ad assaporare la dolcezza delle sue labbra? L’idea di un altro uomo al suo fianco mi era insopportabile almeno quanto la lontananza da lei, ma ero cosciente che si trattava di più di una semplice eventualità. Non appena Bella si fosse sentita pronta non avrebbe dovuto fare altro che guardarsi intorno, scegliere, accettare colui che le avrebbe fatto battere il cuore nuovamente, accogliere l’uomo che io non avrei mai potuto essere.

La mia Bella, tra le braccia di un altro, tra le braccia di un uomo che le avrebbe dato tutto quello che meritava.

La tortura che mi infliggevo con questi pensieri mi ripagava un po’ del dolore che sapevo di averle procurato. Più era intensa la sofferenza che provavo, più efficacemente espiavo la colpa di aver osato a lei apprestarmi, entrare nella sua vita e violare la pace del suo cuore.

Ma, sebbene per poco, Bella era stata solo mia, aveva dato alla mia vita un significato che non avevo il diritto di pretendere.

Era stata il sole nella mia eterna mezzanotte. Mai avrei creduto possibile che il mio cuore tornasse a battere, ma lei era entrata nella mia vita, e niente sarebbe più stato come prima di conoscerla. Per un breve momento mi permisi di vagare con la mente ad altezze che non mi ero mai sognato prima di raggiungere. I ricordi, i nostri ricordi presero il sopravvento, mi sovrastarono: Bella seduta al mio fianco in aula, a mensa, nella mia auto; per mano nella nostra radura; sulle mie spalle di corsa nel bosco, solo per il piacere di stare a contatto l’uno con l’altra; la notte mentre sul suo letto la tenevo stretta e le cantavo la sua ninna nanna …

Chiusi gli occhi per perdermi in quel dolce tormento.

Ah, che scotto avrei dovuto pagare più tardi!

Ma per ora “il naufragar m’è dolce in questo mar …”


ALICE

Alzai gli occhi, cercando di avere uno sguardo tranquillo. Sospirai, affranta.

«Mi dispiace, davvero … Vedrai, domani andrà meglio» dissi, mortificata, con flebile convinzione.

«Alice, tesoro, non cercare di mentirmi. Lo sai che è inutile. Sento chiaramente il tuo stato d’animo.» Tentò di consolarmi Jasper.

Eravamo sul divano della nostra casa di Ithaca, un braccio mi circondava le spalle in un gesto amorevole, il mio capo poggiato sulla sua spalla.

Jasper era stato fantastico. Da quando avevamo lasciato Forks, aveva sopportato il mio malumore crescente senza reagire. Nei momenti più difficili avevo sentito la calma invadermi, ma sempre con discrezione, senza eccessi, senza clamori.

Avevo promesso ad Edward che non avrei sbirciato nel futuro di Bella e con uno sforzo notevole cercavo di rispettare la parola data, anche se farlo mi costava davvero. Ero andata via senza neanche salutarla e non sapevo ora come stava. Era mia amica e non potevo nemmeno esserle vicino per consolarla adesso che stava soffrendo …

Arricciai il naso infastidita. Non guardare nel futuro di Bella non implicava escludere anche Edward. Quando aveva deciso il luogo dove la sua fuga l’avrebbe portato, ero stata colpita da una visione orribile. L’avevo visto rannicchiato sul pavimento di una bettola fatiscente, con gli occhi neri come la pece per la sete ignorata dal troppo tempo, un’espressione tormentata sul volto.

Per non parlare dei suoi abiti, poi!

Mi sembrava impossibile che avrebbe potuto ridursi in quello stato e non osavo pensare alle condizioni in cui avrei potuto vedere Bella …

Mi accorsi di avere lo sguardo di Jasper fisso intensamente sul mio viso. Sussultai e mi riscossi dai miei pensieri tentando di sorridere.

«Alice, che ne dici se andiamo a fare un viaggetto?» disse improvvisamente, sorprendendomi.

Mi concentrai cercando di vedere qualcosa del nostro futuro. Niente.

«E dove, vorresti andare?» mi arresi in fine a chiedere, un po’ seccata.

«Non lo so, non ho ancora deciso di preciso …» e mi sorrise furbescamente.



NOTA DELL'AUTRICE: Ho deciso di eliminare le note alla storia, ma mi dispiace togliere anche le risposte alle vostre recensioni, che ho tanto apprezzato. Al tempo di My new moon non c'era ancora la funzione "rispondi alla recensione", quindi le inserisco qui. Non posso proprio cancellarle *__*

Confusina_94: Sono contenta che ti sia piaciuto, ma forse per sapere la fine è ancora presto!Ciao

Goten: Grazie per il complimento, ma zia Stephie forse non apprezzerebbe …!Ciao

Arnald: Anche a me piacciono molto i pov Edward, e continuerò a scriverli quando possibile … e per quanto riguarda l’altra domanda, il salvatore si farà vivo presto!Ciao

francy79: Come te anche io ho desiderato che Jacob sparisse, ma ho capito che un po’ di sana competizione era funzionale alla storia … ma tranquilla, anche se Jacob ci sarà, nella ff apparirà un po’ diverso che nel libro. Ciao

single93: sono contenta di incontrare il tuo apprezzamento, e armati di pacchetti di fazzoletti perché le lacrime non si fermeranno qui…! Ciao



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Capitolo 4
*** Realtà o illusione? ***


EDIT: Capitolo revisionato e corretto

CAP. 4

REALTA’ O ILLUSIONE?

BELLA

Il ritorno a scuola si era rivelato meno complicato di quanto mi aspettassi. Pochi convenevoli con i miei amici, rassicurazioni sulla mia salute un po’ cagionevole, ma nessun accenno al legame tra la misteriosa partenza dei Cullen e la mia assenza prolungata da scuola.

Era stato facile. Rispondevo a monosillabi, un sorriso stampato sul volto e tanti cenni con il capo.

In poco tempo, tutto era tornato più o meno al solito tran-tran scolastico.

Passavano i giorni e non facevo alcun progresso. Se possibile, stavo sempre peggio. Mi cibavo con il minimo indispensabile per la sopravvivenza, ma non uscivo più, non parlavo più con nessuno se non direttamente interpellata. E molto presto tutti coloro che mi rivolgevano la parola, smisero di farlo, scoraggiati dalla mia freddezza. Non mi interessava, in verità, ciò che succedeva intorno a me e la cosa mi stava bene. Gli unici occhi che davvero mi turbavano erano quelli di Angela. A mensa mi guardava silenziosa e si vedeva benissimo che non riuscivo a darle a bere la mia apparente tranquillità. Appena le lezioni finivano sgattaiolavo al mio pick-up strisciando lungo i muri, per confondermi tra gli studenti e sfuggire ad eventuali approcci della mia amica. Non penso di essere mai stata molto abile nel mimetismo, ma piuttosto credo che Angela fosse troppo corretta per spingermi a confidenze che non sarei mai stata pronta a farle.

Ben presto mi isolai dal resto del mondo, pur svolgendo ogni compito che mi spettava. Andavo a scuola, facevo la spesa, cucinavo e riassettavo casa, facevo i compiti e stiravo gli abiti di Charlie.

In verità la casa non era mai stata tanto lustra come adesso. Non lasciavo mai nulla fuori posto, con un’attenzione maniacale all’ordine. Non era un atteggiamento che mi apparteneva, ma Charlie ne sembrava soddisfatto.

In realtà cercavo di sfinirmi, perché la notte era per me un vero tormento. Se non ero fisicamente abbastanza stanca da piombare in un sonno senza sogni, restavo ore sveglia a fissare il soffitto al buio. Mi giravo e rigiravo nel letto agitata, e con timore aspettavo il sopraggiungere dell’incoscienza. E con essa inevitabilmente arrivava anche il mio incubo ricorrente. Rivivevo quel giorno nel bosco, quegli ultimi attimi insieme a lui e immancabilmente mi svegliavo tremante, sudata e in preda alle urla.

Quel pomeriggio ero intenta a preparare la cena per Charlie, quando udii il rumore dell’auto della polizia che si fermava nel vialetto. Poco dopo anche un’altra auto si fermava fuori casa nostra, ma non mi soffermai troppo sul vociare intenso di fuori. Una fragorosa risata, mi riscosse dai miei pensieri. Presi uno strofinaccio per asciugarmi le mani, e mi voltai quando Charlie aprì la porta.

«Ehi, Bella dove sei?» urlò mio padre con un tono un po’ troppo alto per le mie orecchie.

«In cucina, papà.» Risposi con il massimo della forza che i polmoni riuscirono a permettermi. Ne uscì un suono poco più intenso di un bisbiglio.

Altre voci si sovrapposero a quelle di mio padre e sospirai. Perfetto, ci mancavano solo gli ospiti.

«Indovina chi ti è venuto a trovare?» Era sull’uscio della cucina e sorrideva incerto della mia reazione. Cercai di nascondere l’espressione seccata e sfoderai il mio sorriso finto migliore, simulando quasi curiosità.

Dietro Charlie vedevo stagliarsi una sagoma enorme che portava avanti una carrozzella con un uomo. Rimasi a fissarli perplessa, poi, i miei occhi parvero schiarirsi e li riconobbi.

«Billy, che piacere rivederti.» Mi sforzai di produrre un tono cordiale. Alzai lo sguardo sul giovane uomo che lo accompagnava e dissi: «Caspita, ma sei davvero tu … Jacob?»

La sagoma che osservavo era semplicemente … impressionante. In pochi mesi Jacob aveva superato il metro e novanta di altezza, ed era letteralmente enorme. I lunghi capelli corvini e la pelle del colore della terra bruciata gli conferivano un’aria selvaggia e misteriosa. Ma ciò che mi colpì fu il senso di autorità che scaturiva da ogni fibra del suo corpo. La cucina mi parve improvvisamente minuscola, ed io con essa.

Una risata profonda uscì dal petto del giovane appoggiato alla carrozzella. «Notevole, non è vero Bella?» disse con voce roca e bassa. Una voce da uomo, non del ragazzo che ricordavo.

E fu quello il momento in cui una pugnalata mi colpì in pieno petto. Quella voce … ecco a chi apparteneva quella voce. Un velo scese sui miei occhi e un flashback improvviso squarciò la perenne, ma rassicurante nebbia che avvolgeva la mia mente. Era tutto terribilmente vivido, come se fossi tornata indietro nel tempo. Rivedevo il bosco, ne percepivo chiaramente i colori, gli odori. Impallidii nello scorgere tra gli alberi quel dolce viso che ero tanto bramosa di poter ammirare ancora, ma che al contempo mi struggeva l’anima. Mi sembrava di averlo davvero dinnanzi a me, che avrei dovuto solo allungare una mano per poterlo toccare ancora … ancora una volta soltanto. Automaticamente alzai la mano, cercando nel suo tocco gelido il refrigerio per la mia anima torturata dalle fiamme. Poi, il mio angelo parve muoversi, ma invece di venirmi vicino mi diede le spalle.

Stava per lasciarmi di nuovo, per scomparire.

«No, no … resta … con me … ancora un pò» bisbigliai io.

«Bella, ma cosa …?» Charlie era perplesso, mi fissava interrogativo.

«Aspetta Charlie, forse Bella ha bisogno di distendersi un po’, si sarà stancata ai fornelli …» Jacob mi afferrò giusto prima che scivolassi senza forze sul pavimento. Mi trascinò letteralmente sul divano blaterando un “ricordate i bei vecchi tempi” ai nostri rispettivi padri.

Mi ritrovai distesa con il viso sull’enorme petto di Jacob, le mani aggrappate febbrilmente alla sua maglietta, gli occhi spalancati e il respiro affannoso.

«Piano Bella, respira lentamente, sta passando. Ci sono io qui. Non ti lascio sola, se lo vuoi non ti lascio nemmeno un attimo.» Stava sussurrando piano al mio orecchio, in modo che non potesse sentirci nessuno, e contemporaneamente mi accarezzava i capelli come ad una bambina. Prese a mormorarmi qualcosa in una lingua sconosciuta, forse l’antico quileute, ma il suo respiro caldo e la sua voce melodiosa pian piano permisero alla mia schiena rigida di rilassarsi, le mie mani lasciarono la presa ferrea alla sua maglia e i miei occhi lentamente si chiusero.

Per la prima volta da mesi, dormii.


EDWARD

La sete era diventata nuovamente insopportabile.

Avevo perso memoria dell’ultima volta che avevo cacciato, forse due o tre settimane prima. La mancanza di nutrimento regolare era pericolosa. Mi rendeva irrequieto sapere che l’istinto avrebbe potuto avere la meglio sulla ragione, ma quelle lame che mi trafiggevano la gola mi ricordavano la sofferenza fisica ed il patimento psicologico che avevo imparato ad ignorare in presenza di Bella. La sete di adesso era niente in confronto a quanto il richiamo del suo sangue era stato intenso, a quanto il suo delizioso profumo mi avesse più di una volta spinto al punto di non ritorno. Avevo cercato sempre di minimizzare in sua presenza l’enorme sforzo che mi costava trattenermi, ma Bella era arguta, e più di una volta mi ero accorto di quanto si sentisse tesa con me, titubante nei gesti e restia nel lasciarsi andare. Quella che inizialmente avevo inteso essere paura di me, era in realtà dispiacere per la mia sofferenza, e l’imbarazzo che a volte la frenava era dovuto solo al tentativo di alleggerire il mio pesante fardello. Il fatto che desiderasse la mia presenza, che non considerasse il mio tocco gelido repellente mi riempiva di una compiacenza indescrivibile. Non le importava di mettere a rischio la sua vita pur di starmi vicino e ciò mi rendeva furioso, ma al contempo mi … eccitava.

Sospirai. Avere tra le mani il destino di una persona era inebriante, ma reggere le fila della sorte della donna che ami era terrificante. Se avessi perso il controllo solo per un attimo avrei potuto ucciderla, anche solo per sbaglio, per semplice distrazione.

Tremai a quel pensiero, all’immagine di Bella morta tra le mie braccia, morta per causa mia.

Ero riuscito a salvarla da James per un soffio, e da me stesso per un milionesimo di secondo. Anche se la cosa peggiore era stata non sapere se sarei riuscito a fermarmi, mi ero sentito trionfante quando l’avevo fatto, quando mi ero fermato giusto un attimo prima di dissanguarla irrimediabilmente.

Ricordo che ero sfinito, ma soddisfatto.

Quello che non riuscivo a superare era, invece, il senso di enorme frustrazione che mi invadeva quando mi controllavo in sua presenza, nella quotidianità. Il desiderio di bere il suo sangue, pur rimanendo sempre in sottofondo, si mescolava e confondeva con altre pulsioni che Bella scatenava in me.

Ne avevo parlato con Carlisle, che non era parso affatto sorpreso. Mi aveva guardato con condiscendenza, annuendo ed aveva pensato “Figliolo, tu non sarai umano, ma sei pur sempre un uomo. E Bella è una donna, la donna che ami e che suscita in te delle emozioni forti. E’ normale ciò che provi ed ora più di prima devi tenere sempre a mente la disparità delle vostre forze e resistenze.” Avevo apprezzato molto la sua schiettezza, ma la verità che avevo colto nei suoi pensieri mi aveva rattristato.

Ecco un’altra cosa che Bella si sarebbe persa per causa mia: l’amore fisico, la passione, il piacere sessuale le sarebbero stati per sempre preclusi se ci fossi stato io a condividerli con lei.

Non ci eravamo mai spinti oltre qualche bacio e qualche casta carezza, il massimo che potessi permettermi se volevo conservare un barlume di lucidità e ritrarmi in tempo. La sicurezza di Bella era più importante del più intenso dei piaceri. Mi ripetevo sempre queste parole quando ero con lei, soprattutto quando ero in certe situazioni, tipo in camera sua, specie sul suo letto.

Ero sempre preparato, misurato nelle reazioni, troppo preso dalla smania di protezione nei suoi confronti da sottovalutare i desideri più che legittimi di Bella. Mi desiderava con ardore, almeno quanto io volevo lei, ed aveva un odore così buono, una pelle così morbida … soffrivamo entrambi quando mi staccavo da lei, non solo io.

E la sua frustrazione ogni volta si aggiungeva alla mia cementando in me la consapevolezza che la nostra storia fosse un susseguirsi di sacrifici troppo grandi che, sebbene non avessi alcun dubbio di voler affrontare pur di starle vicino, non avevo alcun diritto di pretendere da lei.

Con un movimento aggraziato mi alzai in piedi. C’era quiete intorno alla soffitta che mi ospitava, il caos e il trambusto del giorno avevano lasciato il posto alla tranquillità ed al silenzio della sera.

Erano più di tre mesi che mi trovavo lì, che non vedevo il suo volto, non udivo la sua voce. Pensare così intensamente a Bella mi provocava una strana sensazione. La testa mi doleva.

Mi avvicinai all’unica, piccola finestrella della stanza ed alzai un braccio appoggiandolo sul vetro sporco. Vi posai sopra la fronte, guardando distrattamente la strada buia di sotto. Un cane scheletrico annusava con la testa bassa tra i rifiuti. D’un tratto raddrizzò il capo e si voltò proprio nella mia direzione, mettendosi in posizione di difesa. Alzò il muso al cielo ed emise un lungo, disperato guaito.

In quel momento una scossa mi percorse la schiena. Sentii come un’aria gelida alle spalle, come quando una porta viene aperta in pieno inverno in una casa riscaldata ed udii un sussurro lieve, lontano.

« No, no … resta … con me … ancora un po’». Strabuzzai gli occhi.

Mi girai di scatto, tremante. Quella era la voce di Bella.

Ma come dal nulla era emersa, nel nulla si era già dissolta.


NOTA DELL'AUTRICE:
Goten: Grazie, mi sa che ti classifichi sempre prima tra le recensioni ….!

Hele91: In realtà non seguo molto il libro riguardo la trama, se non per grandi linee, ma i personaggi e le loro emozioni saranno quelli grosso modo. Sono contenta che apprezzi la mia ff.!

single93: Grazie mia proselita! Continua a leggere!

Megga_Cullen: Cara, certo che sei presa! Sono onorata di riuscire a coinvolgerti tanto, e sai ci ho pensato molto prima di cimentarmi nel pov E. Ma io adoro questo personaggio e quando scrivo lo vedo e lo sento davvero… spero di non deludervi! Non anticipo nulla, chissà potresti aver ragione riguardo a Forks, ma farebbero mai questo ad Edward? Ciaooooo!

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Capitolo 5
*** Allucinazioni ***


EDIT: Capitolo revisionato e corretto.

CAP. 5
ALLUCINAZIONI

EDWARD

Quella era la voce di Bella.
Non l’avevo immaginata, non era stata un’eco della mia mente. No, io l’avevo sentita, sentita con le mie orecchie,  intendo.
Con i sensi all’erta, immobile e teso, mi accorsi a malapena del cellulare che squillava. Guardai il display e non mi stupii nel riconoscere quel numero.
Pigiai il tasto della risposta.
«Alice» dissi piatto, poi silenzio.
«Edward … stai bene?» la sua voce era un po’ incerta, mi fece tenerezza.
«Sì Alice, sto bene». Per quanto permettessero le circostanze era vero, anche se credo che scioccato rendesse meglio l’idea.
«Mi sono spaventata, ho … ho avuto una visione … no, non era proprio una visione …, beh sì, insomma io …» Sospirò pesantemente. «Ecco, stavo guardando il tuo futuro, e …»
«Alice, ma cosa ti …» iniziai, stancamente.
«Oh, insomma Edward, non inquietarti! Ti ho promesso che non avrei sbirciato nel futuro di Bella, ma non nel tuo. Esme mi tormenta ogni giorno, sai? E’ preoccupata, siamo TUTTI molto preoccupati per te. E … e io, poco fa, ho visto che tu …»
«COSA, Alice, cosa hai visto?» Stavo per spazientirmi. Risentire la voce di quel piccolo folletto petulante non mi era indifferente come volevo convincermi e con l’accenno a nostra madre aveva toccato un tasto doloroso. Ero irritato.
«Edward tu sei …» fece una pausa per scegliere con cura la parola giusta «sei SCOMPARSO» disse, quindi, in un fiato.
Poi partì a raffica «Che stai tramando, eh? Vuoi commettere una sciocchezza? Non ho visto chiaramente, ma c’è un’unica spiegazione a ciò. TU VUOI SPARIRE. Non puoi, capito! Non pensi a noi? Non pensi a me?» La sua voce si era fatta acuta e stridula.
«Alice, smettila ti prego. Hai frainteso, non sono queste le mie intenzioni. E’ vero, è appena successo qualcosa di strano, ma, in verità, credo che sia stata un … un’allucinazione, ecco.»
Silenzio da entrambe le parti. Ammutolire Alice era un risultato insperato.
«Come un allucinazione?» Il tono era perplesso.
«Sì, Alice. E’ molto che non vado a caccia, probabilmente troppo. La mia mente mi ha giocato un brutto scherzo, niente di più.» Terminai io.
«Mmm …, mai sentita una cosa del genere, ma Carlisle lo saprà di certo, all’inizio della sua nuova vita anche lui era un po’… sì, beh, hai capito cosa intendo.»
«Un po’ fuori?!» accennai appena un sorriso involontario. Quel mostriciattolo era davvero impossibile. Espirai e con l’ultimo briciolo di pazienza che mi restava dissi: «E’ tutto a posto Alice, ok? Sto bene, tranquillizza anche Esme e … e saluta tutti per me.» E senza attendere una risposta chiusi la comunicazione.
Avevo nostalgia della mia famiglia, era inutile negarlo. Ammetterlo mi faceva provare un senso di libertà e un certo sollievo, ma non cambiava affatto la situazione. Al momento i loro pensieri erano troppo per me, ed io avevo bisogno di far pace con me stesso prima di riuscire ad interagire di nuovo con altri individui.
Ripensai allo scambio di battute avuto con Alice e cercai di analizzare con obiettività l’accaduto.
Allucinazioni … ero curioso anch’io di sapere se era possibile per un vampiro essere provato a tal punto da sentire delle voci immaginarie. In effetti io leggevo nel pensiero, Alice prevedeva il futuro …, c’era davvero qualcosa di impossibile nel mio mondo, qualcosa che potesse stupirmi?
Ah, che meraviglia se avessi trovato la maniera di rievocare queste stupende allucinazioni! Se era stato lo stress della sete prolungata ad averle provocate, qualcosa di più incisivo mi avrebbe, magari, permesso anche di vederla Bella, non solo di sentirla …!
Scossi la testa, alzando gli occhi al cielo.
Stavo vaneggiando sul serio, meglio andare a caccia.
Mi diressi veloce sulle scale, ma una strana sensazione di disagio che mi accompagnava.

BELLA

Mossi una mano intorpidita con lentezza, poi, spostai il braccio che tenevo appoggiato sotto la testa a mò di cuscino ed aprii un occhio.
Ero nel mio letto, la sveglia segnava le quattro del mattino.
Mi sentivo in una sorta di beatitudine precaria e sapevo che era solo in minima parte dovuta al sonno che mi aveva finalmente ristorata.
Avevo avuto una specie di visione, un’allucinazione, ma era stata così realistica, vivida, e avevo rivisto lui, come se fosse a meno di un metro da me.
Ne avevo percepito l’odore.
Mi era apparso con il volto teso, gli occhi scuri come quando era assetato. Il mio cuore aveva esultato alla sua vista, ma aveva perso un battito quando si era voltato.
Credevo che l’annebbiamento dei sensi, il limbo in cui ero precipita da mesi, avesse creato una sorta di protezione per la mia anima flagellata, ma era bastato risentire la voce di colui che mi aveva soccorso nel bosco per farmi piombare nella dura realtà. La mia visione era chiara e orribilmente veritiera. Lo desideravo ancora con tutta me stessa, una brama di tale struggente potenza da evocarlo nella mia mente con scherzi sensoriali. Caldo balsamo ristoratore aveva lenito per un attimo le mie ferite, ancora completamente aperte, macabramente esposte.
Ed ora cosa mi restava? Quel fragile equilibrio che avevo cercato di costruirmi, i pezzi di me che avevo creduto di poter mettere nuovamente insieme, tutto era solo una stupida illusione.
Tutto era sempre stato un’illusione. Io e lui insieme per sempre, per una vita lunga e felice, addirittura oltre la morte, per l’eternità. Ma cosa avevo creduto di fare? Mi ero sempre chiesta l’oscura ragione che lo aveva spinto ad interessarsi a me, e, in fondo, avevo sempre saputo di non essere abbastanza per lui.
Lo avevo amato, lo amavo ancora disperatamente e, in fondo, avevo sperato che anche lui potesse amare me, una semplice, stupida umana.
La speranza, un veleno lento che ti corrode ed invade il corpo, il cervello … Si infrange a lungo contro gli scogli della realtà e ti rimane solo sabbia fra le dita. Questo mi era rimasto di quella che avevo creduto una incredibile, ma stupenda storia d’amore.
Cominciai ad affannare. Avevo bisogno di lui, di rivederlo. Volevo credere che la nostra storia avesse avuto un senso, non solo per me, ma anche per lui. Ero stata così deludente per lui, addirittura si era scusato con me per aver fatto passare troppo tempo prima di dirmi che era finita. Era stato un modo come un altro per farmi sapere che si era annoiato insieme a me.
Mi sentii estremamente in imbarazzo. Stavo avvampando dalla vergogna e dall’umiliazione. Chissà da quanto era che mi considerava un peso? Quando eravamo seduti insieme a mensa, quando uscivamo per Port Angeles, o andavamo a casa sua, tra i suoi familiari … ?
Un singhiozzo strozzato si liberò dalla mia gola. Era stato anche per Alice così? Era questo il motivo per cui era andata via senza neanche dirmi addio? Credeva che avrei scorto la verità nei suoi occhi e che avrei sofferto nel comprendere che anche lei, come suo fratello, si era stancata di me?
Mi alzai, in preda ad un’agitazione febbrile. Cominciai a sentirmi soffocare nella mia stanza e mi diressi alla finestra per spalancarla alla ricerca di un po’ d’aria. Fuori era tutto immobile, il mio pick-up parcheggiato di fianco al vialetto.
Pioveva.
Decidere fu solo un attimo.
Con gli abiti che ancora indossavo nel letto scesi in silenzio le scale dopo aver afferrato le chiavi dell’auto.


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Capitolo 6
*** Una nuova dimensione ***


EDIT: Capitolo revisionato e corretto.

CAP. 6

UNA NUOVA DIMENSIONE

BELLA

Guidavo con le lacrime che mi offuscavano gli occhi, senza una direzione.
Il pick-up ondeggiava da una corsia all’altra. La fortuna era, per una volta, dalla mia parte perché credo che sarei incorsa in un incidente frontale se nel senso inverso fosse sopraggiunta un’altra auto, ma ero troppo sconvolta per rendermene pienamente conto.

Il viso stravolto, impiastricciato di lacrime represse che straripavano ora che sembrava avessero trovato una via di fuga dal mio corpo sofferente, mi resi conto di un brusio all’interno dell’abitacolo. Cercai di concentrarmi. E mi accorsi di sentire in continuazione il nome del mio amore e carnefice.
«Edward … Edward … Edward» ero io a mormorare con voce irriconoscibile.
Chiusi gli occhi.
«Bella stai attenta, ti prego» Riaprii immediatamente gli occhi. Sapevo a chi apparteneva quella voce e sorrisi nella certezza di essere finalmente impazzita. Quella era una dimensione dove io lui potevamo coesistere senza farci del male a vicenda, dove potevo amarlo e lui l’avrebbe, forse, fatto a sua volta. In fondo la mente che stava dando di matto era la mia e la più grande e dolce follia che potessi immaginare era proprio che lui mi ricambiasse.
«Ciao … » Non mi sembrò sbagliato rispondergli.
«Mi sei mancato … sai?» Gli occhi si richiusero di nuovo. La sua voce. Sì, la memoria umana è davvero poco più che un colino, perché non la ricordavo così chiara, come un coro di campanelli suonati da angeli.
«Oddio no, non farlo …» Non era arrabbiata, sembrava piuttosto … spaventata.
Con gli occhi ancora chiusi, non mi accorsi del tir che a tutta velocità proveniva proprio frontalmente alla mia direzione.
Sentii un ringhio furioso che si sovrappose ad un clacson che suonava all’impazzata e allo stridio dei freni sull’asfalto.
«ATTENTA!! » La voce sembrava impazzita. Aprii gli occhi e tutto accadde improvvisamente. Sentii un tonfo pesante sul tetto e la portiera fu letteralmente strappata via dal furgone. Due braccia mi afferrarono stringendomi con forza quasi da stritolarmi e mi trascinarono fuori appena giusto un attimo prima che avvenisse l’impatto tra le lamiere.
Rotolai nella terra bagnata ferendomi le braccia ed il viso, fino a che un albero non fermò il mio ruzzolio. Le braccia mi avvolgevano ancora come a proteggermi, a farmi scudo. Mi colpì l’innaturale silenzio dopo tutta la confusione che aveva invaso la mia testa pochi secondi prima.
«Bella, Bella stai bene?» Le braccia mi scostarono dolcemente e vidi due occhi scuri e preoccupati scrutarmi ansiosamente.
«Ti sei rotta qualcosa? Sei ok? Adesso ti porto in ospedale, non temere, andrà tutto bene …»
«Edward …» espirai in un sussurro di sconforto. «Non sei tu …» terminai affranta.
Mi sentii afferrare improvvisamente con rabbia e strattonarmi in piedi con violenza.
Jacob mi fissava con una furia negli occhi che non avevo mai visto prima. «Pensi ancora a quello schifoso succhiasangue? Ma che volevi fare, ucciderti per lui? Pensi che gliene sarebbe fregato qualcosa? Ti ha abbandonato, Bella, non ti avrebbe salvata stanotte e non ci sarà mai più al tuo fianco.» Prese fiato un attimo, poi, cercando di calmarsi aggiunse: «Lo capisci questo?»
Lo fissavo imbambolata. Aveva detto succhiasangue? Jacob la sapeva molto più lunga di quanto non volesse rivelare, altro che leggende per spaventare i bambini …
Mi accorsi di avere la gola secca e la consapevolezza di aver sfiorato per un soffio la morte, cominciò a far sentire tutto il suo peso. Iniziai a tremare come una foglia e a singhiozzare convulsamente.
«Il … conducente, il tir … dov’è? » sentii di balbettare flebilmente.
«Quel bastardo è scappato via, penso che, visto l’impatto tremendo in cui è stato coinvolto, credesse di averti uccisa ed è fuggito. Lo sai che ti avrebbe ucciso, vero? Che ti avrebbe lasciato in agonia sull’asfalto?» Jacob tremava vistosamente, i pugni chiusi, le braccia lungo il corpo. Poi, scrollò il capo avanti e indietro e si tranquillizzò. Mi si avvicinò piano e parve considerare solo in quel momento il reale stato in cui dovevo essere.
Non smettevo di piangere e tremare. «Io … non … mi … mi dispiace». Vacillai.
«Bella, vieni qui» disse e visto che i miei piedi non si mossero, si avvicinò lui e prontamente mi afferrò tra le braccia.
«Quando ti ho vista prendere l’auto fuori casa tua, mi sono preoccupato. Ti ho seguita e mi sono accorto che non eri in te. Quando ho visto il tir, sono quasi impazzito. Se ti fosse successo qualcosa io … io … » la voce gli si ruppe.

Mi carezzava i capelli ed io lo lasciavo fare. Rimanemmo così, per un bel pezzo, poi, lui parve riscuotersi e mi allontanò un po’ da sé. Lo fissai terrorizzata, scuotendo il capo con forza.
«No, ti prego. Stringimi ancora.» Dissi ansimando.
Sobbalzò come se l’avessi schiaffeggiato. Mi guardò con un misto di perplessità e … tormento? Mi sfiorò la guancia con una mano calda, chiuse gli occhi e deglutì.
«Bella, tu sei sotto shock.» Disse con la voce malferma.
«Ti prego, non … mi … lasciare» dissi con sforzo, la voce disperata. Abbassai gli occhi, per paura di leggervi il rifiuto. Che diavolo stavo dicendo? Sentivo il bisogno irrefrenabile di essere stretta da qualcuno, tenuta insieme per non frantumarmi in milioni di pezzi. Il desiderio di Edward aveva lasciato in me il sapore amaro della delusione e il mio corpo non ne accettava la mancanza.
Ma, poi, accadde qualcosa di inaspettato.
Come se d’un tratto Jacob avesse rinunciato alla sua battaglia interiore, mi afferrò per la nuca e mi baciò con violenza.

EDWARD

Ero accovacciato sul ramo di quell’albero in silenzio, seguendo il movimento aggraziato e flessuoso di quel grosso puma maschio. Chiusi gli occhi e inspirai gli odori della jungla, così simili eppure tanto più intensi rispetto al bosco di Forks. La tensione della caccia amplificava i miei sensi fino all’inverosimile. Mi ero già nutrito di piccole prede insignificanti e stavo per ritirarmi. Poi, avevo sentito il sangue di quel magnifico animale pulsare lento e un fiotto di veleno mi aveva invaso la bocca. Potevo concedermi quel piccolo lusso, in fondo non mi sentivo ancora del tutto soddisfatto. Mi concentrai sul punto più caldo e superficiale sul manto nero cobalto della mia vittima e spostai il peso sulle punte in posizione di attacco. Scoprii i denti tra le labbra preparandomi ad affondare nella sua carne tenera e a farmi scorrere la sua vita nella gola, quando fui distratto da un altro suono, un altro battito rapido e leggero come di un uccellino. Le mie narici furono colpite da un profumo umano, innocente. Seppi che si trattava di una bambina prima ancora che i miei occhi la scorgessero. Il recente nutrimento che mi scorreva in corpo mi diede la freddezza necessaria per non lanciarmi all’attacco su di lei.
Una piccola mezzosangue apparve in basso tra il fogliame. Camminava esitante guardandosi intorno, un lungo ramoscello tra le mani per farsi strada più agevolmente. Ma cosa ci faceva così addentrata nella jungla, sola?
La guardai con tenerezza. Nella stessa frazione di secondo, mi resi conto che la mia vittima, da preda si era trasformata in predatore e stava puntando la piccola con circospezione. Sondai i pensieri della giovane. Era totalmente inconsapevole del pericolo cui si era esposta. D’un tratto parve sentirsi osservata ed alzò i suoi occhi incrociando i miei.
Occhi nocciola, colore del cioccolato caldo, profondi.
Oddio, sembravano gli occhi di Bella … fui colpito dalla orribile consapevolezza che proprio in questo istante stesse correndo un grave pericolo, così come quella giovane ora.
«Bella stai attenta, ti prego» mi ritrovai a sussurrare colto da un’ansia improvvisa. Il puma si voltò nella mia direzione. Non eravamo molto vicini e mi mossi fulmineo, pronto a ghermirlo. Ma, invece, di attaccarmi come avevo preventivato, si girò pronto a spiccare un balzo verso la fanciulla qualche metro più giù. L’istinto di non lasciarsi sfuggire la preda, l’aveva portato a considerarmi un altro predatore in competizione con lui.
«Oddio no, non farlo …» ero in preda ad una violenta emozione. I volti della mezzosangue e di Bella si sovrapponevano nella mia mente, sentivo che stava per accadere qualcosa di orribile. Vidi a rallentatore l’animale far forza sulle zampe posteriori e abbandonare il ramo che l’aveva ospitato fino a quel momento. Un ringhio mi gonfiò il petto inconsapevolmente.
«ATTENTA!» Urlai e contemporaneamente mi lanciai sulla traiettoria del felino. Era stato davvero molto veloce e approfittando del momentaneo offuscamento dei miei sensi aveva ottenuto un discreto margine di vantaggio.
Lo afferrai proprio mentre la piccola alzava un braccino al volto per proteggersi, e con una secca rotazione gli spezzai il collo in un sol gesto. L’animale si accasciò tra le mie mani, gli occhi spalancati nella sua ultima visione, divennero fissi e vitrei.
Lo lasciai cadere a terra con un tonfo.
Mi voltai verso la giovane tremante che aveva sporto un po’ il viso da sotto il braccio interrogativa, aspettandosi un impatto che non era avvenuto. Guardò con gli occhi spalancati, prima me, poi, il puma e, poi, di nuovo me. Sembrava perplessa. Dubito che avesse mai visto qualcuno avere la meglio su un animale di quel tipo con la nonchalance che avevo mostrato io. Si era resa conto che c’era qualcosa di non naturale e mormorando la parola “stregone” nella sua lingua, fuggì via, come una gazzella.
Ascoltai i suoi passi rapidi perdersi in lontananza, poi, più nulla.
Stavo ansimando, ma non per lo sforzo fisico. Era successo qualcosa, ne ero certo. Quella sera una strana corrente mi aveva attraversato, qualcosa che andava oltre lo spazio ed il tempo. Le situazioni che avevano scatenato quelle che avevo definito allucinazioni, la sete insopportabile e ora la tensione del pericolo durante la caccia, avevano aperto una specie di varco, di porta.
Non so cosa fosse, di che natura o come funzionasse, ma sentivo che era accaduto in me.





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Capitolo 7
*** Voglia di libertà ***


EDIT: Capitolo revisionato e corretto.

CAP.7
VOGLIA DI LIBERTA’
Qualche tempo dopo …

ALICE
Mi aveva tenuto all’oscuro di tutto ed era stato veramente molto abile. Nessuna visione mi aveva colto nonostante mi fossi concentrata fino all’inverosimile e avessi, infine, deciso di passare alle suppliche. Ma Jasper non si era lasciato commuovere e ad ogni preghiera aveva risposto con un bacio e con un laconico «E’ una sorpresa».
Poi, eravamo partiti.
Avevamo viaggiato per gli Stati Uniti per un po’, girato luoghi incantevoli e vissuto una vera, meravigliosa, nuova luna di miele. Di giorno, quando il tempo lo permetteva, ci dedicavamo a passeggiate ed escursioni. Jasper era un compagno di viaggio straordinario, profondo conoscitore della storia e mio mentore la mattina, ed amante dolce e appassionato la notte. Ero costantemente avvolta da una nuvola di benessere, ma sapevo che in gran parte era dovuta alle sue doti.
Quella mattina stavamo poltrendo a letto nella suite presidenziale del più lussuoso albergo di Port Angeles. Nuda sul letto a pancia in giù, mi lasciavo accarezzare la schiena dal mio compagno, disteso al mio fianco, completamente rilassato. Sentivo le sue mani scorrere leggere e sensuali.
«Jasper?» dissi
«Mmm?» rispose fissando il soffitto.
«Perché tutto questo?» chiesi assorta.
«Questo cosa?» continuava ad accarezzarmi lento.
«Beh, per cominciare il viaggio» appoggiai il mento sul palmo della mano per guardarlo meglio.
«Perché ti amo, e avevamo bisogno di distrarci un po’ » la sua fu una risposta misurata, ma aveva capito che ero turbata.
«Sì, ma perché tenermi all’oscuro, perchè tutta questa segretezza?» Non ero disposta a lasciare cadere il discorso.
«Non mi pare che ti sia dispiaciuto tanto.» Disse ironico inclinando gli occhi verso il mio corpo risalendo lentamente fino a fissarsi nei miei.
«Non fare lo scemo, sai cosa intendo.» Ero seccata, ma non insensibile al tocco delle sue dita che si erano soffermate un po’ sulle natiche, stringendo leggermente.
«Sei adorabile quando ti arrabbi.» Si era messo di fianco e mi ammirava rapito. Cercai di non lasciarmi ammaliare evitando con cura di vagare con lo sguardo sul suo corpo nudo e meraviglioso e continuai a fissarlo cocciuta.
«Non mi hai risposto.» Quando prendevo una direzione poche volte mi lasciavo sviare.
«Sì, invece, sei tu che non mi hai ascoltato.» Jasper sapeva tenermi testa, e non conosceva il significato della parola “ritirarsi”. Si stava per preparare una battaglia coi fiocchi.
Ci misurammo con lo sguardo entrambi tesi. Poi, lui balzò in piedi e aprì fulmineo l’armadio.
«Avanti sputa il rospo, non perdiamo tempo … so io di cosa hai bisogno … allora, cosa indosserò?»
Trascorse un secondo in cui i miei occhi si offuscarono, poi eruppi in un gridolino di gioia. Mi alzai con un delicato passo di danza e con una piroetta volai tra le sue braccia «Pantalone blu notte e dolcevita panna. Ah, scarpe comode. Ho intenzione di svaligiare tutte le migliori boutique della città!»

BELLA

Mi torturavo le mani nervosa, seduta sulla scomoda seggiola nella sala d’aspetto.
Charlie era stato svegliato nel cuore della notte da una chiamata della centrale di polizia. Aveva dato di matto quando si era reso conto che non ero nel mio letto, che il mio furgone era sparito e che doveva recarsi sul luogo di un incidente dove erano stati rinvenuti i pezzi di un pick-up rosso coinvolto in uno spaventoso scontro frontale. Avevo preteso di aspettarlo sul luogo dell’incidente prima di essere condotta in ospedale per un controllo. Era arrivato con la giacca infilata sopra al pigiama, il viso terreo, bianco da far paura. Quando mi aveva scorto seduta tra i portelloni di un’ambulanza, aveva fatto qualche passo maldestro e aveva guardato incerto verso due infermieri. Uno di loro mi stava medicando le escoriazioni sulla fronte, l’altro mi aveva messo tra le mani una bevanda bollente. Fecero un cenno di rassicurazione e si spostarono un po’ per permettergli di avvicinarsi a me. Senza dire nemmeno una parola, Charlie mi aveva abbracciato goffamente, ma con delicatezza. Ero profondamente mortificata nel sapere che stava male per colpa mia, e avrei voluto dire qualcosa, ma non trovavo la forza per pronunciare nessuna scusa. Jacob si era allontanato poco prima che arrivasse la polizia, dicendomi che sarebbe stato più facile per entrambi non dover dare troppe spiegazioni aggiuntive alla vicenda e rassicurandomi sul fatto che sarebbe rimasto nelle vicinanze e che ci saremmo chiariti in un momento più tranquillo.
Nei giorni seguenti Charlie non mi aveva fatto alcuna domanda riguardo quella notte, ma sapevo che si trattava solo di una calma apparente. La sera prima a cena, infatti, disse con tono basso, ma fermo: «Domani mattina abbiamo appuntamento con un medico a Port Angeles alle dieci, Bella».
Lo guardai interrogativa. «Perché?» chiesi esitante.
«E’ uno psicologo, cercherà di capire come possiamo aiutarti …» Sull’ultima parola la sua voce si incrinò un poco e io abbassai la testa imbarazzata. Charlie era più che preoccupato per me, era a dir poco terrorizzato. Cosa avrei potuto dire? Che non mi serviva uno strizzacervelli perché stavo bene?
Anche un cieco si sarebbe accorto che stavo più che male, che ero praticamente uno straccio.
Cercai di vedermi con gli occhi di mio padre, ed ebbi un brivido. Avevo perso molti chili, il viso era pallido e non riuscivo neanche a ricordare come si sorrideva. I capelli dovevano essere un nido di topi e dovetti abbassare lo sguardo sui miei vestiti perché non ricordavo cosa avessi indossato quel giorno.
Avevo annuito stanca e mi ero alzata per lavare il piatto di Charlie. Su una cosa sola avevo puntato i piedi: desideravo che Jacob ci accompagnasse. Mio padre aveva alzato un sopracciglio, ma non aveva avuto nulla da obiettare.
Dalla sciagurata sera dell’incidente, Jacob era divenuto un ospite fisso di casa Swan. Capivo perfettamente quanto irrazionale fosse il mio atteggiamento verso di lui, ma mi sentivo meglio quando era nei paraggi. Mi distraeva con le sue chiacchiere, era premuroso e gentile, ma soprattutto fungeva da cuscinetto ammortizzatore nei rapporti con Charlie che si erano fatti piuttosto tesi.
E adesso mi trovavo fuori lo studio di questo dottore, sotto lo sguardo speranzoso di Charlie, quello nervoso di Jacob, ed ero agitata. Cosa dovevo dire a questo dottore? Che il mio ragazzo vampiro mi aveva lasciata perché non mi amava più, ma che io ero irrimediabilmente perduta nel ricordo di noi? Che a volte lo vedevo e lo sentivo come se fosse vicino a me? Che avrei preferito morire piuttosto che vivere senza lui al mio fianco? Sapevo di non avere vie di fuga e la cosa mi toglieva il fiato.
Sobbalzai sentendo aprire la porta dello studio.
Non c’era nessuno oltre a noi, ma attesi ugualmente che la segretaria pronunciasse il mio nome prima di alzarmi.
«Prego, signorina Swan.»
Charlie e Jacob non potevano entrare, e mi rallegrai per questo. Un problema in meno a cui pensare.
Entrai, richiusi la porta e mi girai in attesa.
«Si accomodi, prego.» Disse una voce femminile, ma con solo la parvenza di un tono gentile.


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Capitolo 8
*** La dura realtà ***



EDIT: Capitolo revisionato e corretto.


CAP. 8

LA DURA REALTA’

BELLA

«Si accomodi, prego.» Disse una voce femminile, ma con solo la parvenza di un tono gentile.

Mi avvicinai ad una poltroncina vicino ad una lunga scrivania di legno cercando di avere un passo sicuro e mi lasciai cadere su di essa. La situazione era molto peggio di quanto mi aspettassi.

Dinnanzi a me c’erano non uno, ma tre visi che scrutavano con distrazione dei fogli dinnanzi a loro. Erano due uomini ed una donna. Mi guardai in giro nervosa: la stanza non era affatto accogliente. Ma come poteva esserlo un posto dove si concentravano le angosce, gli intimi problemi e le paure delle persone? Notai distrattamente un lungo specchio riflesso in uno dei vetri dei tanti diplomi incorniciati affissi dinnanzi a me. Sembrava che stessimo per prepararci ad un interrogatorio più che ad una seduta di terapia d’analisi e che quelli fossero giudici in attesa di emettere un verdetto, piuttosto che medici aperti ad accogliere e districare le reali ed immaginarie difficoltà dei loro pazienti.

Mi riscossi dal corso dei miei pensieri quando l’uomo alla destra della dottoressa si schiarì la voce e disse «Signorina Swan, io sono il dottor Grange, lui è il dottor Peterson, e lei la dottoressa Oliva. Io e la dottoressa Oliva siamo psicologi, e siamo molto contenti che a questa seduta sia riuscito ad intervenire anche il collega Peterson, che vanta una lunghissima esperienza in questo campo … »
Osservai l’esperto. Era anziano, basso e tarchiato. Sembrava annoiato da sotto gli occhialini cerchiati d’oro. Al momento lo ritenni inoffensivo, senza neanche immaginare che a breve si sarebbe rivelata una valutazione clamorosamente sbagliata.


«Allora signorina Swan, ci parli un po’ della sua vita a Forks.» Mi incoraggiò la dottoressa.

Inspirai e cominciai a descrivere a grandi linee una mia giornata tipo. Ogni tanto il dottore che mi aveva parlato per primo e la dottoressa mi interrompevano per chiarire qualche passaggio, ma mi stupii di riuscire a parlare così fluidamente. Mi complimentai con me stessa. Stavo andando alla grande. Ero la tipica adolescente in crisi per la separazione dei suoi genitori, non adattatasi al recente trasloco, che aveva fatto un colpo di testa per la fine della sua storia con il suo ex-ragazzo.

Presi coraggio e continuai ancora più spedita.

Mi stavo lamentando della perenne umidità di Forks, con aria veramente afflitta, quando il dottor Peterson che era rimasto in silenzio fino a quel momento parlò:

«Allora Bella, la pioggia non ti piace?» Il suo commento mi spiazzò. Mi riportò alla mente l’aula di biologia, lo sguardo del mio compagno di banco su di me, l’oro caldo dei suoi occhi fissi nei miei …

«No, direi di no.» Risposi automaticamente e la voce mi si fece d’un tratto un sussurro.

«Avrei detto il contrario, vista la tua passeggiata notturna dell’altra sera.» Continuò imperterrito il dottore.

«Sì, beh avevo bisogno di un po’ d’aria …» Mi concentrai con attenzione sulla “versione ufficiale” che avevo maldestramente fornito a Charlie in veste da lavoro.

«Capisco.» Disse lui ed ero certa che le sue parole stessero nascondendo qualcosa.

Continuava a fissarmi da dietro gli occhialini con sguardo determinato. Non era assolutamente predisposto a farsi rifilare la mia interpretazione da attricetta di terza serie e sotto l’aspetto compito mi sembrava provare disprezzo nei miei confronti. Arrossii fino alla punta dei capelli. Quell’uomo non mi conosceva, eppure aveva già deciso che fossi da condannare … non avevo bisogno anche del suo sguardo sprezzante, mi bastava quello che ogni giorno mi lanciavo allo specchio da sola a farmi sentire ripugnante.

«Allora, cosa hai escogitato per la prossima volta? Taglio delle vene? Avvelenamento da sonniferi?» La sua voce era di ghiaccio. I suoi colleghi lo fissavano allibiti, io avevo aperto la bocca per ribattere, ma l’avevo richiusa immediatamente. Quel Peterson pensava che avessi tentato di suicidarmi. Compresi d’un tratto la delicatezza della situazione in cui mi trovavo. Quegli individui dinnanzi a me dovevano decidere della mia salute mentale e la situazione aveva preso una piega pericolosa.

«Niente di tutto ciò, dottore, le assicuro che non intendo affatto togliermi la vita.» Sfoderai un tono che voleva essere sicuro, convincente, ma che alle mie stesse orecchie suonò implorante.

«Volete seguirmi nella stanza affianco colleghi?» Il dottor Peterson si rivolse agli altri due, senza staccare gli occhi da me. Io avevo abbassato i miei, incapace di reggere l’accusa nei suoi.

Si alzarono e uscirono dicendomi di attendere lì per qualche minuto.

Quando udii chiudersi la porta, mi appoggiai stanca allo schienale della poltrona e chiusi gli occhi. Mi abbandonai allo sconforto. Avevo voglia di fuggire da tutti e, invece, mi sentivo in trappola. Sospirai ed aprii gli occhi. Avevo bisogno di muovermi. Mi diressi alla finestra che dava sulla strada e guardai le auto scorrere veloci. Chissà cosa si stavano dicendo, cosa dicevano di me in quel momento, cosa avrebbero detto a Charlie.

Non mi importava nulla del loro giudizio, ma mi dispiaceva che mio padre potesse soffrire per me. Era solo per lui che stavo affrontando tutto questo, per tranquill … Mi bloccai rigida e sbarrai gli occhi.

Li sbattei un paio di volte per mettere a fuoco e, poi, con entrambi i palmi sul vetro mormorai debole il nome della persona che avevo riconosciuto uscire da un noto atelier di moda

«Alice».


CHARLIE

Mi ero alzato in piedi non appena i tre dottori erano emersi dalla stanza. Bella era rimasta lì dentro per un bel pezzo, ma non uscì con loro. Li guardai in preda all’ansia, ma la donna mi sorrise con fare rassicurante e mi fece cenno di aspettare che mi chiamassero. Poi, si chiusero in una stanzetta attigua. Ritornai a sedermi e guardai Jacob. Sembrava che stesse seduto sui carboni ardenti. Quel ragazzo era davvero un cuor d’oro, si stava facendo in quattro per Bella, niente di nemmeno paragonabile a quell’altro, quell’Edward …

Sentii crescere in me la rabbia, un lusso a cui quelli che facevano il mio mestiere non potevano abbandonarsi neanche un attimo, e la soffocai. Era l’ennesima volta che Bella aveva rischiato la vita in circostanze a dir poco ambigue, circostanze che vedevano più o meno direttamente coinvolto anche Cullen. Il ragazzo apparteneva ad una famiglia di tutto rispetto, si era comportato sempre in modo irreprensibile, con fare compito, educato … quasi un gentiluomo d’altri tempi! Ma, poi, l’aveva abbandonata e Bella era come morta. Lei non ne aveva fatto mai parola con me ed io avevo rispettato il suo dolore senza forzarla ad alcuna confidenza. Non ne aveva voluto sapere di ritornare da sua madre a Jacksonville e non l’avevo obbligata in alcun modo, ma adesso la situazione mi stava sfuggendo di mano. Bella era diventata un pericolo per se stessa, aveva bisogno di aiuto.

La porta della stanza in cui i tre medici si erano riuniti si aprì e fui invitato ad entrare.

Avevo un’orribile sensazione, ma mi alzai lanciando uno sguardo eloquente a Jacob indicando la porta della stanza in cui si trovava ancora Bella. Il ragazzo annuì appena con un cenno del capo.

Entrai nella stanza dei medici.

La stanza era in penombra e loro erano in piedi vicino a quello che avevo riconosciuto essere un finto specchio, di quelli che si usano in alcuni distretti per osservare il comportamento degli indiziati sottoposti ad interrogatorio. E loro stavano osservando mia figlia. Mi venne la nausea al pensiero che la mia bambina fosse all’oscuro di tutto e trovai la cosa una terribile violazione della sua privacy.

«Ma è proprio necessario?» Ed indicai il vetro con un cenno del capo.

«Si tranquillizzi, Sig. Swan, siamo medici, non guardoni. E questo si rivela a volte un utile strumento diagnostico.» Aveva parlato un individuo bassino, doveva essere il pezzo da novanta di cui mi erano state decantate le lodi in centrale.

Annuii e attesi. Con un cenno mi fecero segno di avvicinarmi.

«Dunque, Sig. Swan, sua figlia è in discrete condizioni psichiche. Ha mantenuto una buona capacità di ragionamento e lucidità durante tutto il colloquio, e non ha evidenziato gravi disturbi emotivi, tuttavia, …» la dottoressa che stava parlando con tono che pareva rassicurante, tentennò lanciando uno sguardo a quello bassino. «Tuttavia la lunga esperienza del dottor Peterson nel campo adolescenziale e psichiatrico, ci suggerisce di essere molto cauti nella valutazione di una giovane che ha vissuto traumi ravvicinati.» Terminò più convinta.

Il dottor Peterson mi guardò dritto negli occhi e sembrò avere mille anni. «Le suggeriamo un ricovero preventivo in una struttura adeguata dove potrò io stesso seguire la ragazza con una terapia di sostegno psicologica ed eventualmente farmacologica.» Disse senza mezzi termini.

Volevano ricoverare Bella? Mi girai a guardarla interdetto. Si era avvicinata alla finestra distratta e guardava la strada. La mia bambina in un manicomio?

«So cosa pensa, Sig. Swan, ma mi creda non è quello che immagina. Le strutture di cui le parlo non sono quelle in cui venivano abbandonati i pazienti decenni addietro. Sono strutture moderne, con personale qualificato che sa far fronte alle situazioni di emergenza. Sua figlia soffre di un disturbo di personalità, direi che si tratta di un soggetto bipolare, alterna, cioè fasi positive con fasi depressive.» Il dottor Peterson mi guardava condiscendente, con compassione. Nei suoi occhi passò un’ombra, ma poi si girò fissando Bella attentamente.

«Sig. Swan, so cosa prova. Ho avuto una figlia nelle stesse condizioni di Bella, solo che a quel tempo non c’erano tutte le tecniche attuali e non è stato possibile salvarla da se stessa. Sarà in ottime mani, mi creda, noi …» si bloccò, i suoi occhi divennero due fessure.

«MALEDIZIONE, PRESTO!!» e si precipitò nell’altra stanza. Lo osservai con perplessità, ma, poi, guardai Bella e capii.

Singhiozzava agitata e tentava di aprire istericamente le ante della finestra del sesto piano di quel palazzo.



NOTA DELL'AUTRICE:

cloe cullen: Benvenuta nel nostro club di piccole disperate!! Spero che non ti abbia ispirato una storia troppo triste, la mia in fondo è piena di amore… Baci

elenapg: purtroppo Bella è destinata ad altre dure prove… non mi picchiare! E hai ragione, Alice e Jasper sono una forza, io li adoro.

keska: la penso proprio come te. Non era possibile che due persone che si amano tanto non abbiano un legame oltre il tempo e lo spazio … Grazie per la tua recensione, non sei obbligata a commentare sempre, ma mi fa piacerissimo quando leggo le vostre opinioni! Baci

goten: su, non fare così…! Per la legge di Murphy se qualcosa deve andare storto, andrà storto di sicuro! Baci

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Capitolo 9
*** Speranza ***


EDIT: Capitolo revisionato e corretto. Ringrazio moltissimo Nais che mi ha dato preziosi consigli per riscrivere le frasi in portoghese corretto.

CAP.9
SPERANZA

JASPER

Non c’era nulla che potesse far cedere quel folletto di Alice come del sano shopping. Non era difficile capire che avevo tentato in tutti i modi di nasconderle qualcosa, avevo cambiato decisione con enorme rapidità, di modo che lei non avesse una visione chiara delle mie scelte e non potesse prevedere l’immediato futuro che mi riguardava. Sorrisi leggermente. Alice odiava non avere tutto sotto controllo, ma a volte questa cosa era necessaria per il suo stesso bene.
La mancanza di Edward la faceva stare male. Girava per casa sempre di umore tetro, non parlava quasi mai, non sorrideva più spontaneamente. Oh, quando sentiva il mio sguardo su di lei si sforzava di apparire allegra, ma il suo stato d’animo mi era chiaro come un libro spalancato. Odiavo usare il mio potere su di lei e non sopportavo più di vederla così. Rispettavo il desiderio di Edward di restare da solo, e non sarebbe servito a nulla cercare di convincerlo a tornare. Avevo percepito la sua determinazione. Ma io dovevo fare qualcosa per Alice. Al pari della mancanza di nostro fratello, Alice soffriva anche per la lontananza da Bella. Era angustiata e combattuta per la promessa che avevamo fatto ad Edward, ma desiderava vederla e sapere come stava. Ma la lealtà di Alice era encomiabile, non avrebbe mai fatto nulla che rischiasse di farlo stare ancora più male, ed, inoltre, ne aveva anche un po’ paura.
Sorrisi tra me. Edward non avrebbe mai fatto del male alla sua diletta, io lo sapevo bene, ma le sue sfuriate erano piuttosto … teatrali.
Mi riscossi sbattendo le palpebre quando la mia amata mi guardò con uno sguardo interrogativo, in trepida attesa. Mi aveva chiesto qualcosa e sentii che si stava spazientendo.
Era quasi un’ora fa che quella boutique ci aveva spalancato le porte, e cominciavo a perdere colpi.
«Ho detto, ROSSO CARDINALE O ROSSO CILIEGIA?» Scandì le parole una ad una come ad un ritardato mostrandomi due foulard praticamente identici.
Li presi in mano avvicinandomeli al volto e strabuzzando gli occhi assorto. Sì erano proprio identici.
«Oh Rosso cardinale, tesoro, senza dubbio.» Con grazia Alice lasciò andare il foulard che avevo indicato e prese l’altro porgendolo alla commessa che la guardava inebetita.
«Allora prendo questo, lui non ha il minimo senso estetico.» Disse Alice ed io sorrisi al mio piccolo folletto dispettoso.
«Che ne dici, se ci incontriamo tra un paio d’ore alla Mercedes?» Si rivolse a me esasperata. La cosa che Alice odiava sopra tutte le altre era un compagno di shopping negligente, che non avesse quelle che lei considerava essere qualità indispensabili: occhio, gusto e resistenza. Ero irrimediabilmente carente nelle prime due, quindi, perlopiù inutile. Poi, mi colpì un’idea. Era perfetto!
Mi affrettai ad uscire dal negozio con passo non proprio umano, mormorando un «Ok, a dopo».
Decisi, prima che Alice mi smascherasse miseramente, di dirigermi verso un negozio di motociclette che avevo notato di fianco alla boutique più di un’ora prima. Dovevo agire in fretta per raggiungere Forks, prima che Alice mi intercettasse. Mi fiondai alla Mercedes. Che avesse una visione in seguito, quando ero già di strada, mi andava più che bene. Avrebbe finalmente visto Bella attraverso i miei occhi, si sarebbe messa un po’ l’anima in pace, e, nello stesso tempo non avrebbe infranto la promessa fatta ad Edward. L’ira di nostro fratello si sarebbe scatenata solo su di me, e questo l’avevo messo in conto. Ero preparato ad affrontarlo, anche se l’idea di contrastarmi con lui mi turbava. Edward era sempre molto riservato riguardo la nostra intimità perché suo malgrado era testimone involontario di ogni evento che sfiorasse le nostre menti. Ed io stavo per violare la promessa che gli avevo fatto immischiandomi negli affari suoi.
“Mi dispiace Edward, ma è per Alice, e lei E’ AFFAR MIO” pensai, tuttavia, più determinato che mai accelerando al massimo.

ALICE

Lo guardai allontanarsi scuotendo il capo.
Era davvero un caso disperato. Meglio continuare da sola.
Mi diressi alla cassa, porgendo alla commessa una carta di credito ultra platinata in maniera distratta. Pensavo agli altri quattro o cinque negozi da svaligiare che avevo adocchiato e al tempo che mi rimaneva prima di rincontrarmi con Jasper. Forse avrebbe atteso un pochino … Non mi piaceva restare sola, ma trascinarmelo dietro per altre due ore non mi allettava affatto. E, poi, avevo visto lo sguardo che aveva lanciato a quelle moto nel negozio lì all’angolo. Afferrai le buste che la commessa mi porgeva e uscii a passo spedito dal negozio. Sorrisi sentendo l’odore di Jasper provenire dalla direzione che avevo intuito. A volte non era necessario essere una veggente per prevedere il futuro …
Mi fermai un attimo sul marciapiede, indecisa verso quale negozio dirigermi per primo.
Una fitta mi trafisse la testa e mi bloccai, lasciando cadere tutti i pacchetti che reggevo tra le mani.
Stavo per avere una visione. La vista si offuscò improvvisamente. Provavo sempre una sensazione di dolore quando le visioni mi arrivavano inaspettate e non ero io a concentrarmi per evocarle.
Jasper in macchina
Il cartello di Forks
La stanza di Bella vuota
Ma neanche un secondo dopo la visione stava già cambiando.
Jasper al cellulare che parlava con voce concitata e sterzava bruscamente per cambiare direzione.
Poi, ancora altre immagini
Me stessa, ferma sul quello stesso marciapiedi, vista da lontano, dagli occhi di qualcuno che mi avrebbe scorta tra pochi attimi, vista dagli occhi di Bella!!!
Poi, voci concitate, le urla di Bella, mani che l’afferravano, la tenevano ferma mentre si dibatteva.
La visione cominciò a sfocarsi, come se ci fosse un’interferenza.
Una siringa, lacrime, tanto dolore …
E poi, il buio.
Afferrai il cellulare con mano tremante e composi il numero di Jasper. Alzai lo sguardo verso il palazzo che dall’angolazione della visione doveva essere quello in cui Bella si trovava. Lessi con angoscia sul cancello l’insegna piccola e discreta “Centro di salute mentale”.
«Già finito?» rispose lui sorpreso.
«E’ inutile Jasper. Torna indietro, tra qualche momento Bella mi vedrà dalla finestra del palazzo di fronte. L’hanno portata in manicomio.» Dissi io senza la minima inflessione nella voce.
Attaccai e composi un altro numero.

EDWARD
Fissavo il soffitto da ore senza vederlo.
Ero disteso a terra con le braccia sotto la testa con gesto meccanico e riflettevo assorto. Da tempo avevo imparato a controllare le mie emozioni e non sarebbe servito a nulla agitarmi.
Dovevo solo aspettare. Qualcosa sarebbe successo, un cenno, uno sprazzo, un mormorio.
Niente. Ormai, niente da giorni. Dopo l’ultima potente visione non avevo avuto più alcun segno di Bella e cominciavo a domandarmi seriamente se davvero nella mia mente fosse tutto a posto. Desideravo fortemente una nuova “allucinazione”, il nutrimento del mio spirito, ed, inoltre ero in uno stato di ansia parossistica.
Il mio ultimo contatto con l’altra dimensione mi aveva lasciato un’orribile sensazione di disagio, anche se la sensazione di pericolo non l’avvertivo più. Purtoppo non avvertivo più niente e questo mi preoccupava.
Bella, Bella, Bella come stai in questo momento? Pensai angosciato.
Ero profondamente combattuto. In me si lottava da sempre una battaglia interiore tra la parte razionale e quella istintiva, due contendenti di ugual valore e tenacia. Ma dentro bruciavo dal desiderio di prendere il primo aereo e ritornare a Forks.
Solo per vedere se sta bene. Poi, scomparirai per sempre, davvero Edward. Mi ripeteva la mia mente con la voce che usavo quando volevo affascinare e circuire gli umani.
Mi ero ritrovato già per le scale almeno una mezza dozzina di volte, ma poi, ritornavo nuovamente al mio covo maleodorante a testa bassa. Non potevo vanificare tutti gli sforzi che avevo fatto in questi mesi, tutti i sacrifici che avevo fatto affrontare a Bella, solo per soddisfare ancora un mio egoismo.
Chiusi gli occhi. Forse avrei potuto chiedere ad Alice, solo per questa volta, solo una rapida sbirciatina, ne sarebbe stata contenta …
Sentii dei passetti esitanti salire l’ultima rampa che portava solo alla soffitta. Mi giunsero dei pensieri delicati e dolci in portoghese.
Tomara que ele não me mande embora como a outra vez. - Speriamo che non mi cacci via come l’altra volta.-
Sorrisi. Quella ragazza era testarda.
Aveva fatto capolino un pomeriggio di una settimana fa, timidamente, presentandosi.
«Olá, estrangeiro. Meu nome é Adélia, se tu quer comer alguma coisa a minha mãe prepara boa comida barata …» - « Ciao, forestiero. Mi chiamo Adélia se vuoi mangiare qualcosa mia madre prepara buon cibo a poco prezzo …» -
In Brasile era tutto in vendita, te lo proponevano ad ogni angolo di strada, fino alla porta della tua abitazione: cibo, sesso, droga, qualsiasi cosa pur di fare qualche spicciolo per lenire l’estrema povertà.
L’avevo guardata con fastidio e le avevo risposto sgarbatamente «Eu não preciso de nada.» -« Non mi serve niente.»
Era fuggita via, ma sapevo che prima o poi sarebbe tornata.
Ed eccola al contrattacco.
Mi faceva tenerezza quella ragazza dagli occhi neri acuti e fieri. Non voleva la carità. Si capiva che, da sotto quegli stracci, doveva essere molto carina, ma i miei occhi non riuscivano più ad abituarsi ad altro dopo che il mio sole mi aveva abbagliato.
Bussò alla porta e, senza attendere risposta, l’aprì. Io non mi ero mosso di un millimetro.
«Nada, Adélia.» Dissi sperando che desistesse. Ma poi, mi accorsi dai suoi pensieri che mi stava fissando con … desiderio? Non era solo questo, c’era anche calcolo. Sospirai triste. Quell’innocente voleva vendersi a me anche per pochi soldi, ma in fondo era anche attratta dal mio corpo. Avrebbe unito l’utile al dilettevole.
« Quer company?» - «Vuoi compagnia?» - aveva fatto un passetto nella mia direzione.
«Vai embora, pequena.» - « Vai via, piccola»- dissi a voce bassa. Aveva incontrato una persona dalle maniera gentili ora, ma domani? Domani avrebbe infoltito le strade di disperati che vendevano piacere a persone ancora più disperate di loro.
«Pouco dinheiro, estrangeiro, não se preocupe.» -«Pochi soldi, forestiero, non preoccuparti»- e si denudò rapidamente il seno pieno e sodo a pochi passi da me. La guardai. Mio malgrado, ne ammirai la linea delicata e le punte ancora più scure. Mi alzai lentamente dal pavimento e mi avvicinai, misi le mani in tasca e le diedi quei pochi soldi che avevo con me.
Lei mi guardò sorridendo, liberò le mie mani dalle banconote e mi guidò il palmo verso la sua nudità. Le bloccai i polsi, portandole le braccia lungo il corpo.
«Vá-se embora, eu disse.» -«Vai via, ho detto»- Il mio tono era diventato freddo.
All’improvviso sentii un dolore profondo nella piega del braccio. Me lo tenni con l’altra mano avvicinandolo al corpo e mi piegai in preda di una fitta lancinante alla testa. Nella mia mente vidi un ago e sentii le urla disperate della mia amata. Mi accasciai al suolo in ginocchio.
Adélia fece per avvicinarmi, ma io ringhiai furioso prendendomi la testa tra le mani «FUORI !!!».
Non servì il portoghese per farmi capire. Fuggì lasciandomi solo.
Il dolore scomparve in un attimo. Mi alzai con le gambe un po’ tremanti.
Ora sapevo cosa fare. Nello stesso istante squillò il cellulare.
«Stiamo venendo a prenderti.» La voce di Alice, tetra, sembrava provenire dall’aldilà.


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Capitolo 10
*** Incubi ***


EDIT: Capitolo revisionato e corretto.


CAP. 10
INCUBI

EDWARD

Avevamo convenuto di vederci all’aeroporto di Rio. Non avrei potuto raggiungere Forks più velocemente che con i mezzi tradizionali, ma nelle condizioni in cui ero ridotto e senza soldi, non avrei potuto fare molto. Alice aveva fatto più in fretta possibile, riuscendo a beccare tutte le coincidenze. Il suo aereo sarebbe atterrato tra pochi minuti. Me ne stavo nascosto in un angolo della sala di aspetto. Non ci eravamo detti nulla riguardo Bella al telefono, eravamo entrambi troppo tesi, ma non mi servivano altre informazioni. L’eco delle sue urla nella mia mente non mi aveva abbandonato un attimo.
Mi maledissi, cosciente davvero per la prima volta, di aver commesso un tragico errore, un errore per il quale Bella stava pagando al mio posto. Il mio desiderio di evitarle future, possibili sofferenze se mi fosse restata vicina l’aveva, invece, esposta a dei tormenti certi per il presente. Dovevo rimanerle accanto, magari nell’ombra per il resto della sua vita, ma avrei dovuto proteggerla a tutti i costi. Avrei resistito dall’avvicinarmi a lei, l’avrei fatto contro ogni possibile logica, ma sarei dovuto rimanere a vegliare su di lei.
Ringhiai a denti stretti senza rendermene conto. Una signora mi fissò terrorizzata e si allontanò rapida. Sentivo la rabbia scorrere lì dove avrebbe dovuto esserci il sangue. Il mio autocontrollo stava per vacillare …
Alice, dove diavolo sei? Pensai quasi al limite.
Calma fratello, stai calmo. I pensieri di Jasper mi giunsero insieme ad un’aura di tranquillità.
Mi voltai e li vidi avvicinarsi rapidi quanto l’affollamento del luogo lo permetteva. Osservai Alice. Lessi nella sua mente preoccupazione ed ansia, per me, per Bella … Il cuore mi si strinse in una morsa. Ci voleva bene e aveva sofferto molto in questi mesi a causa della forzata lontananza, a causa mia. Sentii un’altra ondata di calma pervadermi.
Basta Edward. Dobbiamo pensare a Bella ora. Jasper mi fissava attento ed io annuì impercettibilmente.
Alice ruppe la nostra silenziosa conversazione e disse con leggerezza forzata: «Cavolo Edward, sei davvero un disastro.» Poi, mi sorrise teneramente. «Andiamo, il mio fratello preferito non può essere ricoperto di stracci.»
«Alice, mi dispiace … sono stato un idiota. Avrei dovuto ascoltarti.» Dissi afflitto.
«Finalmente! Mr. Perfettino è una frana in qualcosa!» Poi, con voce sibillina «Saprai farti perdonare» e mi fece l’occhiolino complice.
Nell’attesa della coincidenza per Houston Alice mi trascinò in un paio di negozi che reputava essere abbastanza all’altezza, e in meno di mezz’ora ero lindo e vestito di tutto punto. Invero dovevo ammettere di sentirmi molto meglio.
Dovevamo attendere ancora una decina di minuti, quindi ci appartammo silenziosi. Osservai Alice. Lei mi fece appena un cenno del capo ed io chiusi gli occhi concentrandomi sui suoi pensieri. Vidi i ricordi di Alice delle visioni avute, e, poi, la terribile immagine di Bella urlante che si dibatteva furiosamente tra due uomini che cercavano di bloccarle le braccia e le gambe. Nella mia allucinazione l’avevo solo sentita, ma vederla fu terribile.
Cominciai ad ansimare affannosamente. Strinsi forte i pugni e mi appoggiai al muro dietro di me. Mi sembrava di precipitare. «E’ già accaduto?» chiesi in un sussurro, pur conoscendo la risposta.
Sì Edward, circa un giorno fa, pensò lei dispiaciuta.
«Non puoi dirmi qualcosa in più?» Chiesi perplesso, aprendo gli occhi e fissandomi nei suoi «Perché ora non riesci a vederla?»
Non lo so, c’è come un’interferenza. Era desolata. Jasper le circondò le spalle amorevolmente e la guardò concentrato. Sentii il sospiro di Alice e istantaneamente i suoi muscoli si rilassarono.
«Non preoccuparti, tra poco saremo a Forks e sistemeremo tutto.» Le dissi cercando di fare coraggio a lei, ma forse, di più a me. Sicuro che avrei sistemato tutto. Per cominciare avrei staccato quelle braccia che avevano osato sfiorare Bella contro la sua volontà, dal corpo cui erano attaccate. Poi, mi sarei inginocchiato ai suoi piedi chiedendole perdono e sperando di non essere fuori tempo massimo.
Idiota, sono solo un idiota. Avrei strisciato ai suoi piedi per l’eternità se poteva essere d’aiuto.
Alice e Jasper si scambiarono un’occhiata fugace, che non mi sfuggì. Prendendo un respiro profondo Jasper mi guardò e disse: «Edward, cerca di controllarti, ma devi sapere che Bella non è più a Forks. L’ultimo posto in cui sappiamo che è stata è Port Angeles. Non l’abbiamo seguita perché abbiamo pensato di aggravare la situazione, se ci avesse visto o se ci avesse visto qualcun altro …»
Assorbii quelle informazioni con un groppo alla gola. Bella scomparsa? D’un tratto mi sentii quasi sollevato. Ciò significava che era riuscita a fuggire. Ma da chi? E ora dov’era?
«Non importa la ritroveremo, potremmo rivolgerci a Charlie, ci darà qualche informazione in più, magari andrà Alice, poi …» Jasper interruppe il mio fiume di parole agitate. «Aspetta Edward, non è così semplice. Bella non è fuggita. E noi non conosciamo la città in cui si trova, ma conosciamo il genere di posto in cui la tengono.»
«Che posto?» Allora era stata rapita, ecco. La rabbia cominciò a montarmi dentro. Iniziai a tremare nello sforzo di controllarmi.
«Jasper, dov’è? Dimmelo.» La mia voce era diventata pericolosamente bassa.
Sentii il tentativo di mio fratello di usare la sua capacità su di me.
«NON MI CALMO, JASPER. DIMMELO. ORA!» Scandii le parole una ad una lentamente.
I pensieri di Alice mi colpirono come uno schiaffo. La voce nella mia testa era un sussurro ed era intrisa di dolore.
L’hanno portata in un manicomio Edward. Irruppe in un gemito e si appoggiò a Jasper in cerca di sostegno.
Contemporaneamente dagli altoparlanti «IMBARCO IMMEDIATO PER HOUSTON, GATE 9.» La voce metallica indicava il nostro volo.
Ebbi bisogno di un attimo umano per acquisire la consapevolezza della portata delle parole di Alice.
Manicomio? Manicomio.
Bella in un manicomio? IN MANICOMIO!!! I miei pensieri erano confusi e disordinati. Ero nel panico.
Non riuscii a sostenere il peso della rivelazione e, senza curarmi, della persone che avrebbero potuto notarmi, schizzai come un lampo all’aereo.
Alice e Jasper mi seguirono con passo rapido, ma umano, e l’aria apparentemente tranquilla, constatando che l’unico segno visibile del mio accesso d’ira era solo il cemento che si sbriciolava sulla parete dove erano bene evidenti le impronte dei miei palmi.

BELLA
Fluttuavo leggera come se non avessi più un corpo materiale che mi imprigionasse. Era una sensazione strana, ma piacevole. Dopo tutto il dolore che mi aveva schiacciato in questi mesi, per la prima volta mi sentivo una piuma, mi sentivo bene.
Forse ero morta. Ero morta quel giorno nel bosco ed ora esistevo solo come uno spirito. Non provavo più alcun dolore fisico e la mia mente era come avvolta in una nuvola di zucchero filato. Tutto era ovattato: i suoni, gli odori, le luci.
O forse era un sogno. Uno di quei sogni dove la mente si rifugia in un anfratto sicuro e non provi alcuna sensazione negativa. Strano, però, che nel mio sogno non ci fosse Edward. Lo sognavo sempre.
Allora era un incubo. Ecco cos’era. Il mio amore mi era ancora vicino nei sogni e sentivo di non riuscire a sopportare questa specie di inconscia veglia senza di lui. Già vivevo senza di lui ogni giorno, non poteva essersene andato anche dalla dimensione onirica.
Mi mossi agitata e mi uscì un singhiozzo strozzato.
Come da dietro una porta pesante sentii delle voci.
«Si sta risvegliando.»
«E’ ancora molto agitata, forse sarebbe meglio darle un’altra dose.»
«Vado a dirlo al dottore» Silenzio.
Percepii d’un tratto qualcosa che mi pizzicava il braccio.
«Fatto, ne avrà per un bel pezzo»
«Hai visto com’è carina?»
«Sì, ma è magrissima, e, poi, è solo una ragazzina Duke … non mi pare proprio il caso.»
Erano due persone? Forse, ma le voci erano confuse, sempre più lontane, lontane …
No, non era nemmeno un incubo perché sapevo che da quello prima o poi mi sarei risvegliata, da questo, invece, ero consapevole che non sarei riemersa più.


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Capitolo 11
*** Pensieri ***


EDIT: Capitolo revisionato e corretto.

CAP. 11
PENSIERI

EDWARD

Il viaggio in aereo era stato un vero incubo. I secondi sembravano distillarsi goccia a goccia nell’enorme ampolla del tempo con una lentezza esasperante.
Jasper ed Alice erano seduti nei posti dietro al mio. Mi ero rassegnato ad essere paziente non potendo fare null’altro, ed avevo apprezzato molto che i miei fratelli durante tutto il tragitto non avessero formulato alcun pensiero su quella che poteva essere la situazione attuale di Bella. Cercavo disperatamente di non soffermarmi troppo sugli scenari più terrificanti che potessi immaginare e che avevano Bella come soggetto principale. Sapevo che dovevo essere preparato ad affrontare situazioni difficili. La prima con cui mi sarei dovuto scontrare era Charlie. Direi che odio dovesse, probabilmente, rendere bene il sentimento che avrebbe provato per me a quest’ora. Non che potessi dargli torto, ma avevo bisogno di sapere da lui dove trovare Bella, visto che Alice non riusciva a vederla.
Già che cosa strana. Alice aveva detto che la visione su Bella aveva come avuto un’improvvisa interferenza e poi si era dissolta. Io d’altro canto non riuscivo più ad avere alcuna percezione su di lei.
Amore mio resisti. Avevo pensato per tutto il tempo in aereo intensamente sperando di riuscire ad infondere alla mia amata la forza necessaria a sostenere questa situazione. Ero stato distratto solo una volta dai pensieri di Alice che mi mostrava una visione di lei che discuteva di Bella con Charlie nella sua cucina. Io ero di fuori in ascolto. Pensi che potrebbe funzionare, Edward?
«Credo di sì» avevo mormorato e ora eravamo quasi fuori casa di Charlie.
Sarei rimasto nei paraggi abbastanza vicino da leggergli nella mente le informazioni che ci servivano. E se Alice non fosse riuscita a farglielo anche solo pensare, mi sarei appostato giorno e notte di fuori e l’avrei seguito. Prima o poi sarebbe andato a trovarla.
Ero sceso dalla Mercedes appena passato il cartello di Forks e seguivo l’auto con i miei fratelli correndo attraverso il bosco.
Jasper si fermò proprio dove Bella usava parcheggiare il suo pick-up e provai una stretta al cuore non vedendolo al suo solito posto. Forse Charlie l’aveva portato in qualche garage preventivando un lungo allontanamento del suo proprietario.
Mi posizionai dietro un albero di fronte alla cucina. Ero abbastanza vicino che avrei potuto sentire anche le voci dall’interno.
Alice salì i gradini della veranda da sola. Jasper l’aspettava in macchina.
Inspirò e bussò al campanello. Sentii i passi pesanti del capo Swan apprestarsi alla porta e la vidi aprirsi.
«Ciao Charlie.» La voce di mia sorella tradiva emozione. Era molto legata al padre di Bella.
Nella mente di Charlie lessi un susseguirsi di sensazioni forti e contrastanti. Sorpresa, dolore, rabbia, rassegnazione. Poi, gioia.
Mi rilassai, almeno le avrebbe permesso di parlare.
«Oh Alice, quanto tempo …» la voce di Charlie si era incrinata. Esitò, poi, l’abbracciò e si scostò per farla entrare.
Acuì tutti i miei sensi e attesi.
Vedevo il volto stanco di Charlie attraverso gli occhi di Alice e sentivo i pensieri dispiaciuti di mia sorella. Quell’uomo aveva passato, e stava passando tuttora, dei brutti momenti. Isolai tutti i pensieri e le immagini superflue e mi concentrai su Charlie. Parlarono per un po’ del più e del meno. Per la nostra partenza, Alice aveva sfoderato la scusa della manifestazione di una rara sintomatologia che l’aveva obbligata a degli esami speciali eseguibili solo a Los Angeles. Lui le prese la mano toccato e le chiese delle sue attuali condizioni di salute. «Ora sto bene, ma ti prego, Charlie, parlami di Bella. Mi è mancata tanto, sapessi quanto è stato difficile per me non averle potuto più parlare. Come sta, dov’è?»
Lui la guardò con sofferenza e disse solo: «E’ stata molto male Alice e non si è ancora ripresa.» Mi colpirono dei ricordi di Charlie che osservava Bella.
Bella seduta in cucina sciupata, il capo chino e gli occhi tristi persi nel piatto intatto davanti a sé.
E ancora
Charlie che si alzava la notte per controllarla e la sentiva singhiozzare dietro la porta.
Serrai forte la mascella.
Presi un paio di respiri per calmarmi.
«Capisco.» Il tono di Alice si era fatto serio. Aveva capito che non sarebbe stato facile estorcere a Charlie qualsivoglia informazione che potesse esporre la figlia ad un possibile ritorno al passato che avrebbe riacutizzato il dolore. Poi, la dolcezza fatta persona, continuò in tono dimesso e implorante: «Ah come vorrei poterla rivedere! Ma mi rendo conto che potrebbe essere un po’ prematuro se non è in condizioni di salute ottimali. Magari potrei scriverle una lettera? Pensi che potrebbe farle piacere?»
Mi protesi un po’ in avanti per ascoltare la risposta di lui. Attesi impaziente, ma i suoi pensieri mi raggiunsero per primi.
Mi dispiace tesoro, ma non esporrò Bella ad alcun trauma a causa di voi Cullen. Lo so che tu sei in buona fede, ma quell’altro … No, non posso darti l’indirizzo della clinica. Decise infine.
Sospirai affranto. Ci sarebbe voluto più tempo di quanto avessi immaginato.
«Non lo so, Alice, non so se gliela farebbero recapitare. E’ in una clinica dove si stanno prendendo cura di lei, ma è ancora molto debole, ha bisogno di tranquillità …» le parole di lui erano gentili, ma il tono era fermo. Vidi un’immagine della clinica nella mente di Charlie
Un palazzo a sette piani, un giardino dinnanzi, un cancello verde … Mi sarebbe stato utile.
«Certo, mi rendo conto perfettamente.» Alice si era alzata e si avviava alla porta. Lui l’accompagnava e disse esitante con aria preoccupata: «Scusami se te lo chiedo Alice, ma non tornerà anche lui vero?»
Lei ritenne più cauto mentire in questo frangente. «Non per il momento credo» Poi, si girò e disse furba:« Magari la lettera potrei darla a te domani, così potresti portargliela tu la prossima volta che vai a trovarla!»

Lui la guardò teneramente. Gli dispiaceva mentirle, lo leggevo chiaramente, ma per Bella avrebbe affrontato le peggiori torture. Si affrettò a dire:« Certo cara, dalla pure a me quando l’avrai scritta, gliela consegnerò io.» Intanto aveva aperto la porta e la salutava dispiaciuto per lei. Pensieri contriti accompagnavano i convenevoli.
Poveretta, so che le vuole bene, ma non credo che porterò la sua lettera con me, la prossima volta che andrò a Seattle.
SEATTLE!
Mi voltai e cominciai a correre come il vento.

JACOB
Me ne stavo nascosto fuori al giardino della clinica. L’orario di visite era finito e non mi permettevano più di rimanere con Bella. Di ritornare a casa non se ne parlava proprio. Non la lasciavo lì da sola. Avrei trascorso tutta la notte fuori, ma non mi sarei allontanato da lei di un altro metro.
Piccola Bella, piccola mia.
In realtà non è che potessi proprio usare l’aggettivo mia, ma avevamo fatto notevoli progressi in quel senso. Andavo a casa sua tutti i giorni, chiacchieravamo, e lei desiderava la mia compagnia. Mi pareva proprio che le cose stessero andando meglio. E poi, c’era stato quel bacio, quell’unico meraviglioso bacio. Forse era stato un po’ prematuro, ed io un po’ impetuoso, ma lei mi aveva chiesto di non andarmene, di stringerla. Lei me lo aveva chiesto. Ed io non sarei riuscito a resisterle ancora per molto.
Stava andando tutto per il verso giusto fino a quando Charlie non l’aveva portata a Port Angeles da quegli strizzacervelli e lei aveva visto quella piccola sanguisuga.
Mi sentivo un po’ in colpa, a dire il vero.
Quel giorno quando i medici erano piombati nella stanza dove si trovava Bella, mi ero precipitato anch’io dentro. Lei era quasi riuscita ad aprire una finestra ed era agitatissima. Mormorava il nome della succhiasangue tra le lacrime. Poi, l’avevano afferrata e lei aveva cominciato ad urlare e a dibattersi. Mi ero avvicinato anche io e dalla finestra mi era giunta chiaramente la scia puzzolente di quegli schifosi vampiri. Senza pensarci molto, senza smentire i loro sospetti di un tentativo di suicidio avevo lasciato che la sedassero e la ricoverassero qui a Seattle.
Non sapevo se quell’Alice l’avesse vista o sentita ma, nel dubbio, la possibilità di allontanarla da Forks mi sembrava un’occasione capitata proprio a fagiolo. Sarebbe trascorso un lasso di tempo utile ad accertarmi dell’eventuale ritorno dei Cullen e in quel caso li avrei affrontati. Non avrei permesso che facessero ancora del male a Bella. Al diavolo il patto, gli avrei sciolto tutti i lupi addosso e li avrei fatti a polpette!
Non mi piaceva l’idea di Bella chiusa in un manicomio, ma quelli erano medici, giusto? Aiutavano le persone non facevano loro del male. Era di certo più sicuro tenerla qui dentro che a casa sua a Forks. Almeno per il momento. Almeno fino a quando non avessi avuto più tempo a disposizione per rafforzare il nostro legame nascente.
Restavano ancora troppe questioni irrisolte. Non le avevo ancora spiegato la mia natura di lupo. Benchè avessi accennato a qualche leggenda che narrava delle trasformazioni dei licantropi, e, inconsapevolmente avessi fatto riferimento al patto che i miei avi avevano stipulato con i Cullen, non mi ero rivelato nella mia vera natura, perché allora io stesso credevo che quelle fossero solo storielle. Ma l’anno prima era avvenuta la mia trasformazione. Sam mi aveva aiutato, confortato e spiegato che l’aumento dei vampiri nella nostra zona aveva innescato la mia trasformazione. Mi aveva parlato dell’alpha e mi aveva detto che nel branco attuale io ero l’alpha per diritto di nascita, ma che lui mi avrebbe aiutato e sostenuto fino a quando non mi sarei sentito pronto ad accettare il comando.
Beh, ora mi sentivo pronto.
Mi appoggiai al tronco di un albero con stanchezza. Non mi facevo una dormita decente da un po’, magari avrei schiacciato un pisolino … già solo qualche minuto per far riposare gli occhi … neanche mi resi conto di scivolare nel sonno.


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Capitolo 12
*** Incontro-scontro ***


EDIT: Capitolo revisionato e corretto.


CAP. 12
INCONTRO - SCONTRO

EDWARD

Arrivai a Seattle in un lampo. Avevo avvertito Alice durante il tragitto e per lei era stato semplice fornirmi gli indirizzi delle cliniche con centri psichiatrici della città. Erano quattro, ora mi ci voleva solo un po’ di fortuna. Rievocai l’immagine della clinica che Charlie aveva ricordato parlando con lei.
Un palazzo a sette piani, un giardino dinnanzi, un cancello verde …
Era notte fonda, le strade quasi vuote. Forse per la prima volta in vita mia avrei preso una multa per eccesso di velocità …
Il primo indirizzo corrispondeva ad una villetta di tre piani, non rallentai neppure passandoci davanti. Avanti il prossimo.
Scivolando silenzioso per le strade di Seattle meditavo sul da farsi.
Avrei dovuto fare irruzione in un posto ben sorvegliato, ma erano le fughe quelle che volevano impedire, non le incursioni e non avrei dovuto trovare, quindi, grossi problemi. Certo nessuno sarebbe riuscito a fermarmi anche se avessero chiamato l’esercito, ma non era una buona idea dare troppo nell’occhio. E, poi, non sapevo come Bella avrebbe reagito rivedendomi dopo tutto questo tempo, Alice non era riuscita a vedere nulla.
Fissavo la strada e pensavo intensamente. Mi sfuggiva qualcosa d’importante, lo sentivo.
Scorsi il cancello verde appena dietro una curva e inchiodai.
SI’, L’AVEVO TROVATA!!!
Scendere dalla Volvo e scavalcare il cancello fu tutt’uno.
Ora veniva la parte che poteva rivelarsi più seccante, trovare la sua stanza. Speravo che il sentore dei farmaci che con ogni probabilità le avevano somministrato non avesse alterato troppo il suo odore …
Odore … camminavo attraverso gli alberi rapidamente ma con tutti i sensi tesi fino al parossismo e percepii chiaramente un odore tremendo infestare il giardino! Mi pizzicai la base del naso con pollice ed indice. La puzza che sentivo era familiare, mi ricordava la foresta, un tempo lontano, decenni orsono. L’avevo già sentito …
Mi accovacciai dietro un grosso tronco d’acero in posizione di difesa automaticamente. C’era qualcosa di strano lì intorno.
Smisi di respirare e chiusi gli occhi.
Il battito di un cuore si avvicinava. Era sempre più forte, potente.
Non era possibile che mi avessero scoperto! Socchiusi gli occhi, scoprii i denti e il veleno mi riempì la bocca. Nessuno mi avrebbe fermato, anche se avessi dovuto commettere un gesto estremo …
Poi, dei pensieri rabbiosi mi colpirono.
Sapevo che quel succhiasangue schifoso sarebbe arrivato, ma non ha fatto i conti con me.
Mi raddrizzai stupito. Io quella voce mentale l’avevo già ascoltata e questo tipo mi conosceva, sapeva cos’ero!
«Fatti vedere, Cullen.» Sentii chiaramente la sua voce furiosa e poi, scorsi quella montagna umana, o meglio quasi-umana … un licantropo! Ecco l’odore, i ricordi lontani.
Lo riconobbi all’istante, benché dall’ultima volta che l’avessi visto avesse sostituito l’aspetto di un sedicenne con quello di un maturo e muscoloso venticinquenne. Non doveva essere licantropo da molto, era ancora giovane. Trovarlo qui non mi faceva presagire nulla di buono, mi avrebbe solo fatto perdere altro tempo prezioso lontano da Bella.
Uscii da dietro al tronco a braccia conserte, ma pronto a scattare in caso di necessità. La posizione di difesa non mi si addiceva, non ero lì per affrontarlo.
«Jacob.» Feci un cenno con la testa. Sapevo che aveva da sempre una cotta per Bella, ma il suo sguardo furioso, che mandava lampi di disprezzo in mia direzione mi infastidì. Aveva l’aria di saperla lunga, ma non poteva essere a conoscenza delle miei doti. Rimanevo sempre io quello con il vantaggio maggiore. Sondai la sua mente. Vi lessi un odio e una determinazione che mi lasciarono perplesso. Era da sempre nota la reciproca antipatia tra vampiri e licantropi, ma questa situazione mi era nuova: quale torto pensava gli avessi fatto per essere così astioso nei miei confronti? Non avevo tempo da perdere in questo frangente, mi ci sarei soffermato in un altro momento.
Feci per aggirarlo, ma lui si spostò di un passo nella stessa direzione. «Hai capito male Cullen, qui tu non passi.» La sua voce tremava di rabbia repressa.
Inclinai il capo di lato e lo fissai negli occhi con freddezza. «Hai detto, scusa?» La mia voce si era fatta affilata come un rasoio.
«Sturati le orecchie succhiasangue, TU NON PASSI. Dovrai camminare sul mio cadavere prima di poter respirare la stessa aria che respira Bella nella medesima stanza.» Pronunciò il nome di lei con possessività. La cosa mi turbò, ma non lo diedi a vedere. Era evidente che in mia assenza c’erano stati degli sviluppi di cui non ero a conoscenza. Mi concentrai sui suoi pensieri.
L’hai abbandonata schifoso, pensavi che sarei stato a guardare mentre soffriva senza fare niente? Immagini veloci mi scorsero nella mente.
In ognuna Bella stava sempre peggio, sempre più magra, senza accennare ad un sorriso, gli occhi sempre tristi e spenti.
Poi, qualche parola scambiata con lui, lui a casa sua, che cercava di farla ridere.
Ancora altre immagini sfocate, come se chi guardasse stesse correndo. Il pick-up di Bella che sbandava sulla strada di notte. Un tir di fronte che veniva a tutta velocità.
Mi presi il capo tra le mani scuotendolo, il viso contratto in una smorfia di dolore.
Le immagini si bloccarono improvvisamente.
Ma che gli prende a questo qui? I pensieri di Jacob erano assordanti.
«Bella è stata coinvolta in un incidente? E’ rimasta ferita?» La voce mi tremava impercettibilmente, gli occhi ancora chiusi. Li riaprii lentamente e lo fissai. Gli occhi di Jacob si erano ridotti a due fessure, mi guardava di rimando assorto.
Ma che fai, leggi nella mia mente? I pensieri del giovane quileute erano intrisi di stupore.
«Rispondimi, Black.» Dissi io impaziente.
Bene, bene un succhiasangue con poteri speciali. Vediamo se riesco a rinfrescarmi un po’ la memoria. Dunque …
I suoi ricordi mi piovvero addosso come macigni. Strinsi la mascella con forza.
Il ritrovamento di Bella nel bosco.
L’attacco di panico la prima volta che Jacob era andato a trovarla a casa sua con suo padre Billy.
Bella la notte che piangeva ed urlava nel letto.
Jacob e Bella che si baciavano appassionatamente.
Sull’ultima immagine indugiò per un po’, di modo che mi fosse ben chiara.
«Come hai potuto vedere con i tuoi stessi occhi ne sono successe di cose da quando hai avuto l’ottima idea di toglierti dai piedi. Bella ha sofferto molto, ma si sta riprendendo con il mio aiuto. Fra di noi c’è molta … complicità.» Calcò la voce sull’ultima parola e continuò: «Quindi, faresti bene a tornartene nel buco schifoso da cui sei venuto.» Guardò beffardo alla mia volta.
«Si è ripresa così bene da finire in manicomio!» Le mie parole lo colpirono come una frustata. Continuai sibilando velenoso. «Ascoltami attentamente moccioso. Puoi mostrarmi tutte le immagini che la tua mente perversa riesce ad elaborare, ma io non me ne andrò da qui senza Bella stanotte. E sia chiaro che non è tua la decisione di mandarmi via. Non è mia intenzione far del male a Bella e me ne andrò solo se sarà LEI a chiedermelo quando, a tempo debito, si sarà realmente ripresa sotto la MIA supervisione. Sono stato abbastanza comprensibile per il tuo cervello canide? Saresti così cortese, ora, da scostarti affinché possa raggiungerla?» Terminai con un tono pericolosamente gentile, preludio alla perdita di tutti i freni inibitori.
Il viso del mio interlocutore aveva assunto durante la mia tirata tutti i toni della scala cromatica, per poi trattenere il verde rabbia insistentemente. Si sentiva chiaramente in soggezione, ma era fin troppo calato nei panni del protettore-giustiziere di donzelle.
Rimase fermo, senza accennare un passo, con aria di sfida.
«Non metterti sulla mia strada Jacob Black, sei avvertito.» Scoprii i denti in un sorriso feroce.
Ci misurammo con cattiveria, non sarei stato clemente con quel bambino testardo.
Edward devi far presto. I pensieri di Alice mi raggiunsero agitati e con essi una visione dell’immediato futuro di Bella.
Un uomo nella sua stanza la guardava mentre dormiva, si avvicinava, le scopriva una gamba dal lenzuolo, le alzava la camiciola leggera sopra le ginocchia …
Il ringhio dal mio petto fuoriuscì con tutta la furia che avevo in corpo. Non provai nemmeno a dosare la potenza quando il mio piede colpì Jacob in pieno petto e lo fece volare di una ventina di metri spedendolo contro un massiccio albero. Il rumore secco di un paio di ossa rotte fu appena udibile al di sopra dei mio verso animalesco.
Con la vista bordata di rosso, il capo leggermente inclinato, avanzai verso l’entrata della clinica.
Uno schianto fortissimo, eruppe alle mie spalle. Non mi voltai neanche a controllare cosa fosse. Poi, un pezzo di tronco si frantumò dietro la mia testa. Con un ghigno terrificante che mi scolpiva il viso mi girai. Ora quel cane avrebbe capito che avevo finito di giocare.
Neanche trovarmi di fronte un enorme lupo dal pelo lungo e bronzeo, con gli affilatissimi denti tutti scoperti nel muso arricciato, riuscì a scalfire la mia determinata furia. Ero pronto a combattere, così come lo era anche il lui. Cominciammo a girare intorno con passi lenti.
Un bagliore fulmineo dietro al mio avversario mi preannunciò che non ero più solo. In un attimo Alice e Jasper si disposero rispettivamente uno alla sua destra e uno alla sua sinistra. Lo avevamo accerchiato, non avrebbe avuto la minima possibilità di fare neanche più un passo.
«Non ci provare cane, o sarà il tuo ultimo movimento su questa terra. Non intrometterti, Bella ha bisogno di lui.» Alice parlò con voce affilata. Jacob si bloccò incredulo. Ululò, capendo di essere in trappola.
Sentii Jasper che infondeva in lui la calma. Il lupo rilassò i suoi muscoli. Mi girai, non erano passati che pochi minuti, meno di cinque. Sperai che non fosse accaduto ancora nulla e, senza perdere di vista Jacob, dissi «Alice tra quanto? Dove?»
Alice mi guardò frustata e indicando Jacob disse «E’ lui la mia interferenza, credo che fosse la sua vicinanza a Bella ad impedirmi di vederla e in questo momento … ha come svuotato la mia mente, non vedo nessuno».
I pensieri di mio fratello si imposero concitanti. Lo fissai negli occhi.
Edward, c’è qualcosa che non va, sento Bella, ha paura, forse sta scappando, è confusa … strizzò gli occhi e mi guardò scuotendo il capo.
Ricominciai a correre, avevo già perso troppo tempo.


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Capitolo 13
*** Risveglio ***


EDIT: Capitolo revisionato e corretto.


CAP. 13
RISVEGLIO

BELLA

Sentivo la testa pesante. Le illusorie sensazioni che avevo provato sino a quel momento avevano lasciato spazio all’amara consapevolezza della crudezza della realtà. Quando avevo finalmente aperto gli occhi, mi ero resa conto di essere sola, in una stanza d’ospedale. Mi erano occorsi circa dieci minuti per focalizzare lo spazio intorno a me, freddo, disadorno, essenziale. Niente immagini alle pareti, niente telefono, niente orologio. Da quanto ero lì? Alzai il capo con enorme fatica e mi voltai verso la finestra. Attraverso le grate notai che era notte fonda. Mi riadagiai sul cuscino e sospirai. Dovevano avermi sedata, per questo avvertivo quel senso di pesantezza generale. Sbattei le palpebre un paio di volte come a schiarirmi la vista. Roteai gli occhi per guardare nuovamente verso la finestra e li strabuzzai.
GRATE? Ma quale ospedale aveva le grate alle finestre?

Dei flashback passarono veloci nella mia mente ripercorrendo gli ultimi avvenimenti: Port Angeles, i tre medici, quel mastino dagli occhialini dorati, Alice … ALICE! L’avevo vista in strada, non potevo essermi sbagliata e, giuro, che aveva lo sguardo rivolto alla mia direzione! Quella maledetta finestra che non si apriva, le lacrime che mi offuscavano la vista e che mi impedivano di vedere ancora la mia amica, la mia confidente, unica prova dell’esistenza del legame che ancora mi tratteneva alla realtà, a questa terra.
Una lacrima rotolò sulla guancia e mi bagnò l’angolo delle labbra. Dovevano avermi rinchiusa in qualche centro speciale per fuori di testa, vedendomi arrancare intorno ad una finestra, ripetendo il nome della sorella del mio amore perduto dopo l’exploit di qualche sera prima con il mio pick-up. Alice perché non mi hai portata via, perché permetti che mi facciano tutto questo? Nemmeno la visione di ciò che mi sarebbe accaduto, nemmeno il mio intenso pensarti ha potuto farti cambiare idea, farti ritornare sui tuoi passi?
Mai come adesso, con tutta la gente che “voleva prendersi cura di me” mi ero sentita più sola in vita mia. Non sarebbe venuto nessuno in mio aiuto, chissà quanto tempo sarebbe passato prima che fossi lasciata libera …
Sentii il rumore della maniglia della porta che veniva abbassata lentamente. Stava entrando qualcuno.
Fui presa dal panico, ma capii che agitandomi avrei solo peggiorato la situazione. Decisi di chiudere gli occhi e fingere di dormire, magari, vedendomi ancora addormentata, chiunque si stesse avvicinando al letto, sarebbe andato via subito.
Avvertii la porta chiudersi, ma un respiro pesante si fece più vicino al letto.
Ma perché non andavano via, dopo essersi accertati che riposavo ancora?
Approfondii il respiro per apparire più credibile, ma non mossi un muscolo. Dei passi che volevano essere silenziosi si fermarono vicino al letto. Sentii un tintinnio. Qualcosa era stato deposto sul ripiano di fianco al letto. Sbirciai il riflesso sul vetro della finestra con un occhio solo appena socchiuso. Mentre focalizzavo il viso di un infermiere alto e grosso, un odore sgradevole di fumo e birra mi colpì il naso. Un’ondata di nausea mi assalì, ma fu niente rispetto a quando mi resi conto che una mano aveva scostato il lenzuolo che mi copriva la gamba sinistra e stava alzando piano la mia camicia da notte sopra le ginocchia.
Realizzai che la sensazione di umido e viscido sull’interno coscia appena sopra il ginocchio fosse collegata al calore della mano sudaticcia di quell’uomo e non riuscii più a controllare il terrore. Un conato di vomito partì dal mio stomaco e un’acquetta acida raggiunse la mia gola. Mi girai automaticamente sul fianco con il viso fuori dal letto in cerca d’aria.
«Volevi fare la furba con me?» La voce dell’infermiere era roca, il fetore del suo alito mi raggiunse anche di spalle. Una mano mi voltò e un braccio si distese in orizzontale da una spalla ad un’altra del mio busto per bloccarmi. Sgranai gli occhi leggendo l’espressione lussuriosa sul viso dell’uomo. Con la bocca completamente asciutta, riuscii solo a scuotere il capo in segno di diniego. Feci un rapido bilancio delle forze in gioco e capii che non avevo scampo.
«Non temere, io ti sono amico, puoi ottenere tanti favori da me qui dentro se anche tu mi dai qualcosa in cambio …» avvicinò la sua bocca al mio orecchio mentre io automaticamente piegavo il viso in senso contrario stringendo forte gli occhi e biascicò: «Ci divertiremo tanto insieme, ti insegnerò molte cose, scommetto che sei ancora vergine … eh?». Accompagnò le sue parole rivoltanti e puzzolenti con un movimento della mano che frugava tra le mie cosce in cerca degli slip.
«Lasciami stare, non mi toccare, NON MI TOCCARE!» Decisi che se ero chiaramente in svantaggio fisico, non mi restava che urlare a squarciagola. Strinsi convulsamente le gambe e tentai di divincolarmi raccogliendo tutta l’aria che potevo. Spalancai la bocca pronta a gridare, ma quell’essere vi posò sopra la sua, spingendo dentro la lingua con violenza. Con la forza della disperazione, a corto di ossigeno, la vista che cominciava ad offuscarsi, serrai i denti con rabbia e sentii il sapore pungente del suo sangue. Gli avevo morso la lingua.
Immediatamente avvertii la leggerezza dovuta al ritrarsi del suo peso dal mio corpo e presi dei veloci respiri. «Mi hai morso, puttana!» La mano sulla bocca a constatare il danno, la furia negli occhi, l’uomo mi mollò un potente manrovescio in pieno viso, talmente ben piazzato da farmi rotolare giù dal letto. Avvertii ora anche il sapore ferroso del mio sangue e mi rivenne da vomitare. Sentivo le forze abbandonarmi, stavo per svenire, quasi non mi accorsi che l’infermiere mi sovrastava con una siringa in mano e, sogghignando, aggiungeva: «Avrei preferito che tu fossi cosciente, ma mi accontento ugualmente» e afferrandomi il braccio calò la siringa violentemente sulla parte superiore. Mi piegai mentre una scossa mi trapassava la spalla raggiungendo il collo e mi parve di sentire suonare una specie di campanello.
«Merda!»
L’uomo si raddrizzò e alzò il viso. Aveva lasciato la siringa ancora conficcata nel mio deltoide con metà del farmaco ancora dentro.

Senza riflettere l’afferrai strappandomela via per conficcargliela sulla mano e con tutta la forza spinsi fino in fondo lo stantuffo.
Soffocando un’imprecazione, disse: «Faremo i conti dopo, vedrai.» Si alzò, massaggiandosi la mano e prendendo la direzione della porta.
Appena fu uscito capii che dovevo andarmene a qualsiasi costo. Mi alzai con le gambe che tremavano e mi avvicinai alla porta aprendola un poco con le mani malferme.
Il corridoio era in penombra, la mia stanza più o meno al centro. In fondo a sinistra la porta a vetri principale chiusa, in fondo a destra l’uscita di sicurezza con l’insegna rossa bene in vista. Sperai che in un posto del genere non chiudessero anche quelle. Sapevo che per legge non potevano farlo, ma la realtà, poi, era tutt’altra cosa.
A piedi nudi scivolai lungo il muro in quella direzione, pregando silenziosamente che nessuno mi scoprisse. Approfittai del campanello che ancora suonava e detti un colpo secco alla porta.
ERA APERTA!!
Gli occhi mi si riempirono di lacrime per la gioia e uscii sulla scala antincendio. Mi fermai cercando di calmare il battito forsennato del mio cuore che mi rimbombava nelle orecchie, quando uno schianto tremendo proveniente dal giardino mi fece sobbalzare. Decisi d’impulso di salire la scala.
Un vento freddo mi sferzò la faccia e mi fece rabbrividire, ma anche risvegliare. Mi ero resa conto, dopo aver inciampato due volte negli scalini, di essere un po’ più goffa del solito. Il farmaco stava cominciando a sortire il suo effetto. Mi accorsi di essere sul tetto solo quando notai lo svolazzare dei capelli intorno al viso. Nello stesso momento dal piano inferiore un rumore di vetri frantumanti mi raggiunse. Passò un lungo minuto in cui mi scordai di respirare, poi, ancora vetri che si rompevano e un tonfo sordo.
Cominciai ad indietreggiare singhiozzando, ormai completamente fuori controllo.
Non sarei mai ritornata lì dentro.

ALICE
Tenevo d’occhio il licantropo insieme a Jasper, ma avevo una maledettissima sensazione di disagio che non voleva abbandonarmi. Essere cieca a causa del cane mi innervosiva e, poi, quelle visioni di poco prima … Non ricordavo nulla della mia vita da umana, e sicuramente da allora erano stati fatti notevoli progressi, ma se il posto dove mi avevano portato assomigliava un po’ a quello dove ora stava Bella, non mi rammaricavo affatto di non averne alcuna memoria. Rabbrividii e mi accorsi che Jasper mi fissava. Doveva aver percepito il mio turbamento, perché i suoi occhi si addolcirono e mi disse «Non temere, Edward la troverà e la porterà in salvo».
Già, ma lui non poteva sapere cosa avevo visto. Bella avrebbe subito un trauma fortissimo se si fosse risvegliata trovando un uomo nella sua stanza con chiare intenzioni di … no, non potevo rimanere con le mani in mano, e poi, lontano da Jacob avrei potuto vedere qualcosa.
«Jazz, pensi di farcela a tenerlo a bada?» Gli chiesi con impazienza nella voce.
Lo vidi alzare gli occhi al cielo e poi, annuire rassegnato.
«Stà attenta e cerca di tenere calmo Edward».
Mi mossi veloce in direzione della clinica.

JASPER
Fare il babysitter non mi piaceva affatto, mi annoiava e rendeva nervoso. Ero cosciente che in questo frangente le mie doti erano fondamentali per non aggravare la situazione anche con un combattimento, ma avrei preferito che Alice non andasse da sola. Era molto turbata e in ansia perché la vicinanza con il lupo le bloccava le visioni.
Un licantropo.
Lo osservai minuziosamente e ne ammirai le potenzialità in un eventuale scontro. Era indubbiamente molto potente, i suoi muscoli ne erano la chiara testimonianza, ed era agile, oltre che resistente.

Ero perso in queste riflessioni quando Jacob riprese le sue sembianze umane e rimase completamente nudo davanti ai miei occhi. Mi guardò infastidito e disse: «Se hai finito di fissarmi come un fenomeno da baraccone, io ne approfitterei per mettermi qualcosa addosso ora che la piccoletta se l’è svignata.»
«Oh, certo fai pure» dissi rapidamente.
Si avvicinò ad un albero e prese dei larghi pantaloni, una maglietta e delle scarpe da ginnastica. Alzai un sopracciglio e lui spiegò: «Sto andando avanti e indietro da un po’ di giorni, e in forma di lupo è più comodo. Per questo tengo qualche ricambio pronto.»
Annuii con un cenno del capo. Quel tipo in fondo non mi era antipatico, anche se puzzava da morire.
«Che intendeva la tizia con la storia dell’interferenza?» sembrava sinceramente curioso. Dirglielo non poteva fare alcun danno.
«Alice prevede il futuro e tu la blocchi in qualche modo.» Risposi, laconico.
«Ehi, ma che siete succhiasangue bionici? Uno legge nella mente, l’altra fa la chiromante e tu che sai fare? Volare?» il suo tono voleva essere sarcastico, ma era impressionato.
«Modifico gli stati d’animo, li calmo o li esalto a seconda della situazione. In questo momento sei più tranquillo grazie a me.» Chiarii con un sorrisetto. Quel tipo non era affatto male, in altre circostanze sarebbe potuto essere uno spasso.
«E perché la piccoletta si è defilata, andava alla toilette?» Chiese lui.
«Idiota, ha avuto una visione di Bella in pericolo, ma con te nelle vicinanze non ha potuto vederne l’evoluzione. Si è spostata per concentrarsi meglio.» Conclusi frettolosamente. Stavo cominciando ad innervosirmi ripensando ad Alice.
«Bella potrebbe essere in pericolo e noi rimaniamo qui a conversare?!» Avanzò verso di me con un colorito cereo, ma padrone di se stesso. «Ah, non provare a fermarmi, se vuoi vieni anche tu, ma io non rimango qui neanche un secondo di più.»
E prese la direzione che aveva poco prima percorso Alice.

Sospirai e lo seguii, in fondo avrei potuto essere utile viste le condizioni in cui poteva versare Bella.


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Capitolo 14
*** Rivelazioni ***


EDIT: Capitolo revisionato e corretto.


CAP. 14
RIVELAZIONI

EDWARD

L’aria all’interno della clinica era satura di molteplici odori e pensieri. Tra tutti, spiccava l’odore acre di disinfettante e detersivo profumante di marca scadente che tentava di mascherare il ristagno penetrante di corpi sudati e trascurati. Mi resi conto che l’igiene personale non doveva essere una delle priorità dei pazienti con turbe psichiatriche e cercai di concentrarmi per isolare l’odore di Bella. Il suo profumo era buono, sapeva di viole e lillà, di cura e di pulizia. Non avrei avuto difficoltà a riconoscerlo in mezzo a quel fetore. Mi trovavo nella tromba delle scale, dopo essermi fiondato attraverso l’atrio a velocità della luce per boicottare le videocamere.
Cominciai a salire rapido, ma guardingo.
Avevo raggiunto il quinto piano, quando cominciai ad avvertire una debole scia. Affrettai il passo, veniva dal piano superiore.
Mi trovai davanti ad una porta a vetri chiusa. Anche da lì dietro sentivo chiaramente il profumo della mia amata. Fremetti dalla voglia di spaccare il vetro e irrompere nel reparto. Inspirai una volta e cercai di ragionare. Dovevo agire rapidamente, ma senza essere eccessivamente impulsivo. Allertare l’intera clinica non mi avrebbe aiutato, ma avrebbe creato solo scompiglio.
Osservai l’anticamera in cui mi trovavo. La soluzione al mio problema era davanti ai miei occhi.
Mi avvicinai alla finestra e con un pugno mandai il vetro in pezzi, poi, piegai le grate quel tanto che consentisse il passaggio del mio corpo. Uscii e percorsi il perimetro esterno dal lato delle finestre laterali delle stanze, guardando all’interno.
Mi bloccai fuori ad una stanza vuota. Il letto era disfatto, come se qualcuno ci si fosse agitato dentro, il lenzuolo era finito per terra, sopra c’era una goccia di sangue. Seppi con sinistra certezza che quel sangue era di Bella. Con un movimento inconsulto, poco attento sradicai la grata dal muro e passai direttamente nel vetro incurante delle centinaia di piccoli frammenti di silice che mi piovvero su capo e vestiti. Chiusi un attimo gli occhi sentendomi colpire dall’odore del sangue di Bella e inghiottii il veleno che mi aveva invaso la bocca. Avvertivo anche altro e strinsi i pugni con rabbia: puzza di birra, fumo, un odore dolciastro, probabilmente un farmaco e poi … eccitazione maschile.
Sentii dei passi strascicati avvicinarsi alla stanza, passi di un uomo, un uomo con ancora fortissimo addosso l’odore della mia Bella.
Mi acquattai dietro la porta e aspettai che si aprisse. La bestia che dimorava in me aveva obnubilato la razionalità. Stavo per uccidere ancora, come negli anni della mia ribellione, stavo per fare giustizia di chi aveva osato violare la mia amata. Sentii l’eccitazione far guizzare i muscoli, l’istinto appropriarsi della mia mente e guidare le mie azioni.
I miei occhi divennero neri.
Non avrei bevuto da lui, non mi sarei insozzato con il suo sangue, ma avrei goduto nel leggere il terrore nella sua mente e nel suo sguardo.
La porta si aprì, l’uomo avanzò incerto. Sobbalzò quando sentì lo stipite chiudersi e si girò.
Lessi nella sua mente pensieri lenti e confusi. La paura si insinuò strisciante nel suo corpo. Con una sola mano lo alzai da terra issandolo per il collo e guardandolo negli occhi mentre boccheggiava in cerca di ossigeno. Percepii la liberazione dei suoi sfinteri e repressi il disgusto per quell’essere ripugnante. Scoprii i denti in un ghigno e avvicinai le mie labbra al suo collo.
Edward, Bella ha bisogno di te.
Alice, mi stava parlando attraverso i suoi pensieri.
Sorrisi sinistro. L’avrei fatto in fretta, ma nessuno mi avrebbe impedito di eliminare quel rifiuto della società.
Edward devi fermarla. E’ sul tetto. Penso che abbia deciso di buttarsi di sotto.
Abbassai il braccio che teneva sospeso quel corpo inerme. Lo lasciai cadere con un tonfo lungo il muro, riverso, privo di sensi nella sua stessa urina.
Per una frazione di secondo lo osservai e interiorizzai le parole di Alice.
Ritrovai per miracolo la lucidità e la freddezza. Uscii dalla stessa finestra da cui ero entrato, senza rendermi conto di avere iniziato a pregare. Non credo di aver mai raggiunto una tale velocità mentre mi accingevo a salire sul tetto. Tuttavia, con ogni passo che facevo mi sembrava di coprire solo pochi centimetri dello spazio che mi separava da Bella. Nel breve tempo che impiegai, anche la mia mente velocizzò i pensieri. Ero perfettamente cosciente con macabra lucidità che ogni attimo trascorso poteva essere l’ultimo della sua vita. Bastava un passo falso, o peggio un atto della sua volontà e sarebbe stata la fine.
Realizzai con orrore che lo sarebbe stato davvero. Un volo dal settimo piano poteva significare solo la morte sul colpo. Niente, neanche il tentativo di trasformarla avrebbe sortito alcun effetto se il suo cuore avesse cessato di battere.
Sarebbe stata la fine di Bella, di me, del nostro tempo insieme, di tutto …
Lasciai vagare lo sguardo per tutta la lunghezza dell’attico.
E finalmente la vidi sul bordo opposto al mio.

JASPER
Mentre correvo sulle scale della clinica seguendo la scia del lupo, ma, soprattutto, quella di Alice, constatai di dover aggiungere un’altra qualità ai licantropi: erano davvero veloci. Jacob era schizzato via da me non appena avevo cessato di usare il mio potere su di lui.
Arrivai nell’anticamera del quinto piano e notai il muro della finestra ormai a brandelli. Scossi il capo. Quel lupo non aveva certo delicatezza. Mi accorsi che l’odore di Alice si era fatto più intenso e lo seguii di fuori fino ad una stanza più o meno centrale e quello che vi scorsi all’interno mi fece immobilizzare di colpo. Entrai lentamente e mi soffermai su ogni dettaglio cercando di collegarli. Un uomo era riverso a terra, privo di sensi ma ancora in vita, Alice era raggomitolata in un angolo con le ginocchia al petto e stringeva convulsamente un lenzuolo dondolandosi avanti e indietro. Non era in stato di trance, ma evidentemente sotto shock.
«Alice, ma cosa è successo?» sussurrai avvicinandomi a lei. Sobbalzò e mi fissò negli occhi. Male, significava che non mi aveva sentito nemmeno arrivare. Mi bloccai annusando l’aria. Registrai odori vari, ma mi colpirono quello dolciastro tipico di alcuni anestetici e soprattutto un odore di sangue, sangue invitante, un profumo che mi aveva già infiammato tempo addietro.
Il sangue di Bella.
Deglutii con forza il veleno che mi aveva riempito in un istante la bocca e mi accovacciai a lei stringendomela forte al petto. La tenni stretta quasi da stritolarla, poi, la sentii mormorare con voce tremula contro il mio petto:«Jazz, ho visto Bella cadere giù dal tetto.»
Silenzio.
«La visione si è dissolta quando il cane si è avvicinato, ed ora non vedo niente … niente.» la voce le si ruppe. La scostai leggermente e mi concentrai per calmarla. Poi dissi con fermezza: «Alice non devi preoccuparti, Edward è su con lei e la porterà via con sé.»
La vidi scuotere il capo vigorosamente «No, non capisci. Nella visione che ho avuto qualche minuto fa, Edward era già con lei, Jasper.» Fece una pausa e poi terminò in un soffio: «Non riuscirà a salvarla.»
Arretrai come se avessi ricevuto un pugno allo stomaco. La mia mente prese a ragionare freneticamente e guardai un’altra volta la stanza. Incastrai ogni tassello al suo posto e capii.
Mi accovacciai di nuovo al mio amore e prendendola per le spalle le dissi: «Alice ascoltami bene. Devi alzarti e andare sul tetto. Io non posso accompagnarti, Bella è ferita, ma tu puoi essere la sua unica speranza.» E velocemente la misi al corrente delle mie deduzioni.


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Capitolo 15
*** Impasse ***


EDIT: Capitolo revisionato e corretto.


CAP. 15
IMPASSE

EDWARD

Bella era girata verso di me dal lato opposto a quello in cui mi trovavo.
Era a piedi nudi, con indosso una corta camiciola leggerissima, i capelli che le svolazzavano scomposti intorno al viso. Feci qualche passo nella sua direzione, poi mi fermai.
Non dovevo essere troppo irruente, rischiavo di spaventarla.
Fremetti valutando quanto fosse vicina al bordo del tetto, non più di cinque passi, mentre io ero ancora troppo distante. Dovevo avvicinarmi, ma con cautela.
«Bella, amore …» sussurrai con dolcezza. Continuava ad essere girata verso di me, e mi accorsi che aveva chiuso gli occhi per un attimo. Li riaprì senza vedermi e con voce appena appena udibile, persino per le mie orecchie, mormorò il mio nome: «Edward.»
Sorrise tra sé ed il suo volto si schiarì nell’innocenza dei bambini.
Mi aveva sentito, ma non si era accorta che ero lì.

Feci qualche altro passo alla sua volta. Volevo che fosse a portata di sicurezza, i suoi occhi vacui mi spaventavano.
Mi parve che ondeggiasse un attimo, come se le fosse mancato l’equilibrio e capii che c’era qualcosa che non andava, oltre al fatto che versasse in stato di shock. Aveva gli occhi dilatati, il battito accelerato e la sua temperatura corporea doveva essere bassissima. Era sconvolta e tremava dal freddo.
«Amore, Bella, tesoro mio sono qui» e tenni le mani lievemente aperte e distaccate dal corpo, come in segno di resa. Un altro passo.
Finalmente i suoi occhi si posarono su di me, ma non mi focalizzarono realmente. Mi osservava compiaciuta, come se guardasse un film su uno schermo molto distante. Annuì con il capo.
Era distrutta, tutto in lei urlava sfinimento. Il pallore, le guance scavate, la magrezza eccessiva. Ma la cosa che mi spaventò oltre ogni modo fu la sua reazione. Lacrime silenziose avevano preso a scorrerle sul viso atteggiato in un triste sorriso: «Avevo paura di andarmene senza vederti un’ultima volta. Ti prego, non scomparire prima che sia tutto finito. Resta con me, resta ancora un po’. » La sua voce era dolce e stanca come chi raggiunge una vetta dopo aver affrontato una scalata impervia. Pareva che parlasse a se stessa, non a me.
Fece un passo indietro.
Automaticamente io avanzai verso di lei. Mi sentii prendere dal panico. Bella era convinta che fossi un sogno. Deglutii e sentii freddo per la prima volta.
«Bella ti prego, vorresti venire verso di me molto lentamente?» Mi bloccai realizzando che aveva fatto ancora un passo indietro.
«BELLA, GUARDAMI.» Il mio tono si era fatto più intenso, reso duro dalla paura.
«No, per favore. Non ho più la forza di soffrire, non posso morire ancor prima di saltare giù. Ho … ho paura che scomparirai se cerco di toccarti.» Scuoteva la testa come a scacciare un’immagine dolorosa.
Le parole che aveva pronunciato nella nostra radura mi tornarono alla mente. Lì ci eravamo dichiarati il nostro amore per la prima volta.
Adesso ho paura, ma non di te, sento che scomparirai.
Ed io ero scomparso davvero, l’avevo lasciata sola. Bella non si sarebbe mai avvicinata a me, non si fidava più. Piegai le spalle sotto il peso di questa rivelazione. Le avevo inferto una ferita troppo profonda. E adesso?
Impasse.
Mezzo metro la separava dal bordo.
Non sarei riuscito a raggiungerla.
Mi mancò la terra sotto ai piedi, bastava che si sbilanciasse un poco e …
«Bella, non avere paura, ci sono io qui con te. Io non ti lascerò sola.» La voce di Jacob provenne dalle mie spalle. Bella sgranò gli occhi.
«Jake!» disse con sollievo. Provai fastidio, ma gli fui grato perché Bella fece un passetto incerto in avanti. Poi, si bloccò.
«NO, io là dentro non ci torno, tu … perché mi hai fatto questo, perché non mi hai aiutata?» Singhiozzò forte, disperata «Eri lì, perché non mi hai aiutata? Io non torno lì dentro, quell’uomo mi ha toccata, MI HA TOCCATA!» urlò sconvolta, l’isteria nella voce.
Ansimai terrorizzato, sperando che Jacob non muovesse nemmeno un muscolo.
D’un tratto i pensieri di Jasper mi arrivarono come un’onda. Edward le hanno somministrato della ketamina, devi fare molta attenzione.
Ketamina … I libri di medicina parvero aprirsi nella mia mente.
La usavano come anestetico per i cavalli, ma un tempo anche sugli uomini per interventi in luoghi di guerra poiché permetteva di agire mantenendo il paziente sveglio senza necessità di intubazione. Jasper doveva averne riconosciuto l’odore. Negli anni ’70 veniva usata a dosi non anestetiche a scopo voluttuario per le sue proprietà psichedeliche. Richiamai alla mente i suoi effetti: perdita del senso del tempo, allucinazioni, distorsioni visive ed uditive che si aggravavano se lo stato emotivo del paziente era instabile. Avevano cercato di drogarla in modo che non reagisse, ma che al contempo rimanesse sveglia. Inspirai e ricacciai indietro la rabbia con sforzo titanico.
Dovevo restare lucido.
«Jacob, non è in sé, non ragiona. L’hanno drogata.» Dissi piano.
Bella pensava alla morte come ad una liberazione. Dovevo fare in modo che si sentisse sicura, protetta. Dovevo allontanarla dal bordo ad ogni costo.
«Bella. Io ti amo.» Dissi con calma, gli occhi fermi nei suoi. La vidi sussultare, lo sguardo incatenato al mio.
Perfetto, avevo la sua attenzione.
«Non puoi morire così, lanciandoti nel vuoto. E’ molto alto sai, ma potresti non morire subito, potresti soffrire molto.» Parlavo con il mio tono suadente di quando volevo ammaliare le persone.
Sentii accelerare un po’ il suo battito.
«Non vuoi rimanere con me per sempre? Non vuoi più che ti trasformi?» Incalzai, muovendo un passo in avanti.

«Sarà indolore, te lo prometto … un bacio, un solo bacio e staremo insieme per sempre.» Sapevo che l’avrei fatto davvero. Non potevo perderla così.
Ce l’avevo quasi fatta, ancora un passetto e sarei potuto piombare su di lei per afferrarla.
Poi, per una frazione di secondo il suo sguardo lasciò il mio e vide Jacob dietro di me. Vidi i suoi occhi spalancarsi e perdersi in un ricordo legato a lui. Le sue guance si colorarono appena di rosa. Poi, riportò il suo sguardo su di me. Lessi nella mente di Jacob lo stesso ricordo, uno stupido bacio rubato, ma seppi di aver perso il mio momento propizio.
Bella indietreggiò ancora di mezzo passo sotto il peso della vergogna.
Scossi il capo, terrorizzato.
«Mi avevi lasciata, non c’eri più … io … io» balbettava incoerente.
«Amore, non è niente, non significa niente. Vieni da me, ne parliamo con calma.» Il mio tono di persuasione non servì a niente.
Mi zittii, Bella aveva ripreso a piangere e a singhiozzare forte.
Capii che era la fine.
Sentii un fruscio lieve accanto a me.
«Bella.»
La voce delicata di mia sorella scampanellò nella notte. Notai con la coda dell’occhio Jacob defilarsi veloce dal lato opposto. Lo ringraziai mentalmente.

«Alice!» Nel tono di Bella sentii la gioia. «Io ti avevo vista, ma non mi credevano, non mi lasciavano venire da te … ho urlato, ma non mi sentivi, non venivi da me. Eri la mia sola amica, ma anche tu …» le mancò la voce.
«Shh, Bella, sono corsa appena ho potuto, sono sempre stata tua amica, lo sarò sempre. Nessuno si frapporrà più nella nostra amicizia, non lo permetterò. Perdonami se ti ho fatta soffrire, sei una sorella per me.» Scandiva piano le parole, ma il suo tono era così accorato che seppi con certezza che dalla sua bocca usciva solo la verità, nessuna persuasione, nessun ammaliamento. Mentre parlava Alice si era avvicinata con fare sciolto. Le era più vicino di tutti noi. Il battito di Bella rallentò un poco, di Alice non aveva timore.
Ricominciai a sperare.
Vidi mia sorella tenderle la mano lentamente e trattenni il respiro.
«Bella, nessuno ti farà mai più del male, lo giuro.» Alice stese ancora un po’ la mano e tremante lei fece scivolare sopra la sua.
Nello stesso istante, le braccia di mia sorella la accolsero mentre il corpo di Bella si afflosciava su se stesso.
Alice la prese tra le braccia e si girò.
Avevo fatto un passo in avanti pronto finalmente a riabbracciare la mia amata, felice come non ero mai stato, quando lo sguardo infuocato di Alice mi bloccò.
Senza darmi il tempo di leggere nella sua mente disse: «Tu, tu e anche tu» rivolgendosi rispettivamente a me, a Jacob e verso il basso, a Jasper che sapevo essere in ascolto «Se osate anche solo cercare di avvicinarvi a meno di dieci metri da lei senza il suo consenso, vi prometto che vi stacco un arto a morsi.» E detto questo, avanzò con passo risoluto dinnanzi ai nostri sguardi sbalorditi.


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Capitolo 16
*** Finalmente un po' di pace ***


EDIT: Capitolo revisionato e corretto.



CAP. 16
FINALMENTE UN PO’ DI PACE

JASPER

Ero seduto con grazia sul divano bianco di casa nostra a Forks, a tenere compagnia al padre di Bella, ma soprattutto a mantenerlo calmo, con la chiara percezione del fermento che mi si era creato intorno. Era pomeriggio inoltrato, nuvoloso al punto giusto da impedire che i raggi del sole riuscissero a penetrare le ampie vetrate del salone. Tutto era tranquillo e silenzioso, ma solo in apparenza.
Sbuffai, nessuno aveva un po’ di rispetto per me, mi piombavano addosso tutte le emozioni più intense che potevo immaginare da parte di ogni componente della mia famiglia.
Il capo della polizia mi fissava con sguardo imbambolato ed io gli sorrisi affabile. Seduto sul bordo della poltrona di fronte a me, la schiena tesa, ancora indosso la divisa e la pistola d’ordinanza, veniva a trovare la figlia appena smontato dal lavoro. Era preoccupato per Bella, ma fiducioso in Carlisle per il quale nutriva una specie di venerazione. Ed era stato più che sollevato, quando mio padre si era offerto di seguire la figlia nella sua convalescenza, dopo che gli fu assicurato che Edward era ancora a Los Angeles e dopo quello che aveva saputo della clinica.
Edward era nascosto nel bosco, camminava avanti e indietro in ansia come un leone in gabbia. Gli era stato vietato l’accesso in casa fino a quando il capo Swan non se ne fosse andato, ma sapevo che in realtà era da Bella che non riusciva a stare lontano. Provavo dispiacere per lui.
Alice era su di giri, euforica come poche altre volte l’avevo vista. Era intenta a rendere il più confortevole possibile la nostra nuova sistemazione. Mi investiva con l’intensità dei suoi sentimenti ad ondate, e sorrisi tra me e me. Quando stava bene lei, io la riflettevo come la luna con il suo sole, il mio sole.
Carlisle era su con Bella e la stava visitando nella sua nuova stanza, quella che era stata la stanza mia e di Alice. Noi ci eravamo temporaneamente trasferiti nella camera di Emmet e Rosalie, in giro per l’Europa. Ovviamente Alice aveva disposto così, ritenendo che trovarsi in camera di Edward l’avrebbe turbata e che la camera di Emmet e Rosalie fosse troppo ehm… appariscente per i poveri nervi di Bella.
Esme era intenta in cucina a preparare qualcosa di leggero da mangiare per la nostra ospite. Dalla puzza direi che doveva trattarsi di brodo. Canticchiava felice. I suoi sentimenti erano i più innocui.
In verità, spiegare la fuga di Bella dalla clinica non era stato molto semplice.
Quella notte non si era conclusa con il suo salvataggio, ma tutti i Cullen si erano messi in moto per occultare le prove più evidenti del nostro passaggio e sistemare la faccenda legata alla tentata violenza su Bella.
Con l’intercessione di Carlisle non fu difficile arrivare direttamente al direttore sanitario della clinica, denunciare l’infermiere, che in evidente stato stuporoso ascritto alla ketamina presente nel suo corpo, blaterava di un mostro che aveva tentato di ucciderlo. Ottenemmo il silenzio su tutto l’accaduto, tutti e due gli occhi chiusi sul muro a brandelli, barattandoli con la mancata denuncia all’intera clinica. Il direttore fu ben felice di accontentarci e ci scortò personalmente alle nostre macchine prostrandosi in centinaia di scuse.
A Charlie fu raccontato lo stretto indispensabile, ma uno sguardo alla figlia profondamente addormentata con l’espressione serena sul volto, lo aveva fatto desistere dallo strapparla dalle braccia di mio padre. Veniva a trovarla tutti i giorni, ancora diffidente, ma era immensamente grato a Carlisle per l’evidente ripresa della figlia. Solo questo gli aveva impedito di riportarla a casa sua, ma continuava a vigilare attento.
Mi raddrizzai sul divano per non apparire troppo immobile ed accavallai la gamba. Annuii alla volta di Charlie che, con evidente sforzo, cercava di non sembrare troppo a disagio, e sospirai quando sentii che Carlisle aveva finito il suo controllo.
«Charlie ora puoi salire da lei. Oggi sta molto meglio, ma cerchiamo di non affaticarla troppo, d’accordo?» La voce di mio padre lo fece sobbalzare perché proveniva proprio dalle scale dietro di lui. Si alzò un po’ goffo dal divano e salì veloce.
Osservai Carlisle e dal suo sguardo e dalla pacatezza dei suoi sentimenti capii che era soddisfatto. Non c’era nulla come riuscire ad aiutare una persona bisognosa di cure che lo potesse rendere più felice.
Dopo una decina di minuti, Charlie ridiscese con l’espressione beata. Disse teneramente a voce bassa come se stesse confessando un segreto: «Si è addormentata mentre parlava con me. Ora vado. Ci vediamo domani.» E se ne andò in punta di piedi, producendo dei sinistri scricchiolii con i suoi stivali, chiaramente udibili anche dalle orecchie umane del piano superiore.
Appena la macchina si allontanò, Edward entrò dalla portafinestra, i capelli tutti spettinati come se non avesse smesso un attimo di passarvi dentro le dita, lo sguardo allucinato e a passo spedito si diresse su per le scale. Immediatamente Alice comparve e gli sbarrò la strada.
«Alice, non la disturbo, rimango fuori la porta!» La voce di mio fratello era esasperata e supplichevole allo stesso tempo, mentre la fissava scuotere la testa in segno di diniego. Quel folletto dispettoso gli rispose silenziosamente con i suoi pensieri, sorridendo malefica. Non avevo bisogno di ascoltare, conoscevo fin troppo bene la sua determinazione. Prima che cominciasse un lungo battibecco che in realtà sarebbe stato per noi il monologo implorante di Edward, mi alzai e mi fiondai nel bosco.
Finalmente un po’ di pace!

BELLA
Riaprii gli occhi non appena sentii la porta chiudersi dietro Charlie.
Inspirai stanca, non ero ancora abbastanza in forze per sostenere una qualsiasi conversazione che richiedesse una partecipazione seppure minima da parte mia.
E, poi, mi sentivo in imbarazzo. Mio padre non poteva sapere che anche con le porte chiuse, ogni singola parola che pronunciavamo era chiaramente udita da ogni componente della famiglia Cullen, e volevo evitare che qualche commento sconveniente potesse uscire dalla sua bocca.
Oggi l’avevo anticipato appena si era seduto di fianco al letto, lo sguardo ansioso.
«Papà, non avere l’aria preoccupata. Carlisle si sta prendendo cura di me ed Esme mi rimpinza di cibo salutare» lo rassicurai subito.
Come se gli avessi letto nel pensiero, lo avevo visto rilassarsi sulla sedia.
«Lo so piccola, è che non vorrei che pensassero che stiamo approfittando della loro gentilezza. E’ vero che non è che abbiano problemi economici nel prendersi a carico un’altra persona, ma non vorrei che Esme si stancasse a cucinare per tutta la ciurma …» aveva detto Charlie con fare cospiratorio.
Ero arrossita come un gambero.
«Papààà, ti prego, non possiamo evitare di parlare di loro? Non mi sembra proprio il caso …» avevo borbottato a fatica. Ci mancava solo che commentasse il lusso della casa, o il loro stile elegante e dispendioso nel vestire ed era fatta, sarei morta di vergogna.
«Certo che hanno una casa davvero eccezionale, è così, così … luminosa. Ti farà bene stare a contatto con la natura per un po’, lontana dal caos e dal rumore e, poi …» Charlie aveva continuato a parlare ancora per cinque minuti buoni guardandosi intorno. Mentre sprofondavo sotto le lenzuola, alzando per un attimo gli occhi al cielo per poi richiuderli lentamente, mi augurai che notasse che mi ero addormentata e andasse via.
E così era stato.
Dieci lunghi minuti di terrore, ma ne eravamo usciti indenni salvando la faccia.
Sentii la porta aprirsi e Alice sgattaiolò all’interno.
«Stavi dormendo? » chiese dolce.
Con la pelle di porcellana, i capelli spettinati ad arte, un jeans sbiadito che sembrava esserle stato cucito addosso ed una camicetta bianca stile country era praticamente perfetta. Si avvicinò danzando al letto a passo umano.
La guardai commossa.
Si stava prendendo cura di me come una sorella. Non mi lasciava mai sola, si assicurava che non mi mancasse niente, dalle riviste di moda (ovviamente) ai dvd di film di tutti i generi, nonché tutti i migliori prodotti per la cura della persona che praticamente ricoprivano ogni superficie libera del suo immenso bagno. Asciugamani e accappatoi profumati di bucato fresco erano appoggiati ogni giorno sulla poltroncina fuori dalla porta del bagno da cui si accedeva direttamente dalla stanza.
Esme si occupava del mio rifocillamento materiale e, precisa come un orologio, mi portava dei cibi delicati e leggeri appena il mio stomaco accennava ad un brontolio, perché sapeva bene che non sarebbe mai uscita dalla mia bocca una richiesta in tal senso, un po’ perché il mio appetito non era granchè, un po’ per timore di creare disturbo dato che doveva farlo appositamente per me.
Sorrisi alla mia amica che mi guardava interrogativa.
«No, Alice siediti un po’ con me» dissi raddrizzandomi a sedere sul letto.
Non ero ancora molto in forze, ma avevo bisogno di porle alcune domande che mi facevano stare sulle spine da un po’.
Si accoccolò con grazia sul bordo del letto acciambellando le gambe, come un gattino, sotto di sé.
«Sì, è di sotto.» Sospirò e mi guardò teneramente, giustificandosi subito dopo dicendo: «Avevi deciso di farmi questa domanda da quando hai aperto gli occhi, perciò …»
«Come … come sta?» La voce mi tremò un po'.
Deglutii. Saperlo a pochi passi da me, mi confondeva ed emozionava.

«Date le circostanze direi abbastanza bene, ma non temere, non gli permetterò di avvicinarsi fin quando non ti sentirai pronta a parlargli.» Non aveva staccato gli occhi dal mio volto e si era resa perfettamente conto che il respiro mi si era un po’ accelerato, così come il mio battito. Poi continuò «Bella, tu hai subito un forte trauma, hai bisogno di tempo per elaborare ciò che è successo in tutti questi mesi. Riprenditi con calma, avrete tempo per i discorsi. Credimi, non muoverà un passo se prima non ti avrà parlato.» Le sue parole mi invitarono alla riflessione.
Mi mordicchiavo il labbro nervosa.
«Alice, io …» sospirai e dissi d’un fiato «... io vorrei vederlo.» Ecco l’avevo detto.
«Non mi sembra una buona idea.» Aveva risposto lei con tono glaciale, ma invece di rivolgersi a me, s'era voltata verso la porta.
Nello stesso istante in cui pronunciai quelle parole, fremetti. Non ero davvero sicura di ciò che volevo. Desideravo vederlo, toccarlo, ma ... parlargli? Ero pronta a sentire cosa mi avrebbe detto?
Era accorso a salvarmi, certo, ma ciò non significava che sarebbe restato al mio fianco.
In fondo era stato chiaro prima di andarsene: io non ero la persona adatta a lui e non ero affatto cambiata in questi mesi. Ero sempre la stessa e lui … non mi pareva che i vampiri subissero cambiamenti, almeno in apparenza.
Cosa volevo sentirmi dire, che si era sbagliato, che mi amava e aveva preso una sbandata?
Oh, sì. E’ proprio quello che vorresti sentirti dire. Pensai di getto.
In realtà tutto il mio essere bramava la sua presenza e mi odiai per questo. Quanto male mi potevo fare ancora? Era così difficile capire che in questo momento lui era ancora qui solo perché spinto dal senso di colpa? Che come tutti aveva creduto che volessi mettere fine alla mia vita e si sentisse responsabile per me?
No, era tipico di Edward farsi carico dei miei problemi.
Era questo il motivo per cui lo volevo al mio fianco? Per pietà?
No, non sapevo dove avrei trovato la forza necessaria, ma l’avrei lasciato libero dalla responsabilità che sentiva di provare nei miei confronti, libero di vivere la sua vita lontano da me. Lo amavo troppo per non desiderare che fosse felice, anche se ciò equivaleva a lasciarlo andare.
Un groppo mi chiuse la gola e mi si riempirono gli occhi di lacrime. Cominciai a vedere Alice sfocatamente e a sentire il peso della giornata. Ero stanca, ma volevo restare sveglia! Percepii dal basso il suono del pianoforte. Edward stava suonando la mia ninna nanna, stava suonando perché si era accorto che ero turbata.
«Gnaccio un pignolino, magauvi.» Dissi con la voce già impastata di sonno, scivolando distesa nel letto.
«Brava, vedrai che domani ti sentirai un’altra» e mi rimboccò le coperte come una madre affettuosa.



NOTA DELL'AUTRICE:

Bellas: che piacere le tue recensioni! Anche io mi sono commossa nello scrivere il cap precedente e spero che questo ti piacerà, anche se è un po’ di passaggio! Baci
damaristich: colpo di classe eh?! Spero che il seguito ti appassioni, stiamo per cambiare un po’ registro. Baci
zafry: per ora continuo, fin quando ho l’ispirazione, ma tu continua a seguirmi, ci conto!
Anna cullen: certo che ritornava, mica che sono folle! Continua a leggere i prossimi cap sono carini!
Giulia miao: benvenuta Giulia, ti ringrazio per i complimenti, ma non temere, ci saranno delle svolte intriganti!
Keska: Intenso eh? Un po’ di sana suspance non guasta mai, adesso navigheremo verso acque più tranquille, almeno per il momento. Baci

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Capitolo 17
*** A casa ***


EDIT: Capitolo revisionato e corretto.


CAP. 17
A CASA

EDWARD

Non avevo smesso di suonare neanche dopo che si era addormentata. Volevo che sentisse la mia presenza, nonostante quella perfida di Alice mi impedisse l’accesso alla sua stanza. Non avrebbe potuto tapparle anche le orecchie.
Erano ormai tre giorni che Bella si era trasferita a casa nostra, ma non mi era stato possibile avvicinarla. Dormiva quasi tutto il giorno ed Alice la sorvegliava come un mastino. Aveva preso a cuore la salute di Bella come se ne andasse della sua vita e di questo le ero grato. Se non fosse stato per lei … scossi la testa scacciando via i pensieri negativi, sapevo dove mi avrebbero condotto. Il desiderio di uccidere non si era ancora placato dentro di me, ma ero cosciente che la vendetta avrebbe creato un varco insormontabile tra me e Bella, che si sarebbe aggiunto alle già profonde cicatrici che le avevo inferto.
Sì, ma lei non lo verrà mai a sapere. Sussurrò il mostro dentro di me.
Forse lei no, ma lo avrei saputo io e già adesso non avevo il coraggio di guardarla negli occhi.
E, poi, Bella si stava riprendendo.
Avevo ascoltato la conversazione tra lei e mia sorella e l’avevo vista attraverso lo sguardo di Alice.
Quel giorno aveva le guance colorite e gli occhi le si erano accesi quando aveva detto che voleva vedermi. Il mio cuore morto mi era quasi volato via dal petto quando l’avevo sentita, e mi ero fiondato sulle scale, la mano già sulla maniglia della porta, ma le parole di Alice mi avevano bloccato.
«Non mi sembra affatto una buona idea» aveva detto e sapevo che era a me che si stava rivolgendo.
L’avevo già mandata silenziosamente al diavolo, quando i suoi pensieri mi avevano invaso la mente. Non erano imperativi, ma piuttosto supplichevoli.
No Edward, guardala. Sta solo un pochino meglio. Non vanificare la riuscita della sua ripresa. E’ ancora così fragile, scossa … Dalle un po’ di tempo, in fondo qui con noi è al sicuro.
Avevo abbandonato le mani lungo il corpo e sospirato afflitto. Aveva ragione, ma Dio, come era difficile ascoltarla! Ero stato lontano da lei fin troppo a lungo e non sopportavo di non poterla ancora abbracciare, immergere il viso nei suoi capelli, baciarla. Dovevo parlarle, chiedere il suo perdono per il male che le avevo fatto.
Ma dovevo anche darle tempo, rispettare il suo dolore ed accettare le sue scelte. Io avevo commesso un errore e non potevo non assumermene le conseguenze. C’era la possibilità che Bella non mi volesse più al suo fianco, che non fosse più mia, ed io dovevo essere pronto ad accettare quest’eventualità, senza farle pressioni di alcun tipo.
Volevo che si sentisse libera di decidere. L’avrei accettato, anche se mi avesse voluto per un anno, un mese, un solo altro giorno. Non avrei saputo negarle niente.
L’agnello aveva battuto il leone, ed io ero completamente ed incondizionatamente alla sua mercè.
Svolazzai sui tasti in un ultimo accordo di chiusura e mi alzai diretto alla mia stanza. Da lì riuscivo a sentire meglio il battito lento e regolare del suo cuore mentre dormiva e, disteso sul mio divano, l’avrei ascoltato tutta la notte.
Passai davanti alla sua camera resistendo alla tentazione di sbirciare all’interno. Alice era andata a caccia con Jasper, ma sapeva che non sarei entrato mentre lei dormiva. Ascoltai il battito del suo cuore appoggiandomi con le spalle alla porta e chiudendo gli occhi.
Che suono per le mie orecchie! Nessuna sublime composizione di musica avrebbe mai potuto eguagliarlo!
Mi accorsi che era un po’ più accelerato del solito.
Forse stava sognando.
Riaprii gli occhi e feci per dirigermi verso la mia stanza accennando un sospiro rassegnato. Dopotutto anche il mio controllo aveva un limite.
E fu allora che la sentii urlare.
Senza dosare la mia potenza, scardinai la porta dallo stipite ed entrai. Bella si contorceva nel letto, ancora con gli occhi chiusi, le lacrime le bagnavano il viso ed i capelli.
«No, non mi toccare, NON MI TOCCARE, NON MI TOCCARE!!» gridava affannosamente, spostando l’aria intorno a sé con i movimenti forsennati delle braccia. La mia mente registrò ogni dettaglio: le lenzuola erano scivolate dal letto, i capelli le ricadevano sul viso in ciocche scomposte e la camicia da notte le si era alzata fino alla vita, scoprendo le gambe lisce e sode.
Fui vicino a lei in una frazione di secondo e la presi delicatamente fra le braccia.
La sua pelle morbida …
«Shh, calmati Bella, non c’è nessuno qui. Nessuno ti può fare del male, tranquilla.» Inspirai profondamente a pieni polmoni e mi beai che il suo profumo e l’odore del suo sangue mi potessero incendiare ancora la gola ed i sensi.
Avevo rischiato di perderla, ma adesso era fra le mie braccia e solo questo contava.
Presi a cullarla dolcemente sussurrandole parole all’orecchio per confortarla. Con mano leggera le sistemai la camicina a coprirle un po’ le gambe.
Il suo respiro si fece più lento, la paura liberò il suo cuore che riprese pian piano un battito regolare.
La sentii inspirare intensamente e affondare di più il viso nell’incavo del mio collo. I capelli le si erano spostati sulla spalla, scoprendole la nuca e una parte del collo candido. Non resistetti alla tentazione e vi appoggiai sopra leggermente la punta delle dita.
Quanto mi era mancata!
La sentii trattenere il respiro, ma non si era mossa, il mio tocco non le era dispiaciuto. Non seppi trattenermi e d’impulso posai le mie labbra lì dove un attimo prima si erano soffermate le mie dita. La sentii rabbrividire. Una scossa mi percorse.
Fremetti dell’audacia del mio stesso gesto e della risposta più che invitante del suo corpo.
Ma che diavolo stavo facendo? Bella era ancora sconvolta per l’incubo che l’aveva strappata al sonno ed io ne approfittavo per baciarla, compiacendomi che avesse una reazione più che naturale date le circostanze? Non ero migliore del mostro che aveva turbato i suoi sogni …
Mi irrigidii e mi scostai un po’ da lei per guardarla negli occhi. Mi accorsi che era in imbarazzo, perché si stava mordicchiando il labbro inferiore, con lo sguardo rivolto in basso.
Le misi un dito sotto al mento e la costrinsi delicatamente a guardarmi: «Bella non vergognarti con me, te ne prego. Negli incubi si riversano le tensioni e lo stress che abbiamo accumulato, e direi che tu ne devi smaltire parecchio. E’ perfettamente normale. Non devi sentirti in imbarazzo …» mi guardò sbattendo le palpebre, come a riscuotersi dai suoi pensieri. Il nocciola dei suoi occhi era intenso, reso brillante dalle lacrime.
«Lo so, è solo che … scusami, non volevo che ti preoccupassi per una cosa così futile, mi sento così stupida …» sospirò e riabbassò gli occhi.
«Ti … ti ringrazio per essere venuto in mio aiuto, ora mi sento meglio. Credo che mi riaddormenterò» e sprofondò nel letto riacciuffando le lenzuola cadute e tirandosele su fin quasi sopra la testa.
Mi stava congedando.
Mi alzai rapidamente e le sorrisi sfoderando un atteggiamento rilassato. Mi abbassai repentinamente e la presi tra le braccia con tutta la coperta e mi diressi con passo sicuro fuori dalla stanza.
«EDWARD, ma cosa fai?» Bella lanciò un gridolino non appena si accorse che l’avevo alzata di peso.
«Ti scorto nella mia stanza, ovviamente. Non potrei mai lasciarti in una camera con la porta divelta, privandoti della tua privacy» e naturalmente che chiunque passando potesse guardare la mia Bella mentre era incosciente nel sonno, era decisamente fuori questione.
Si agitò un po’ tra le mie braccia e sentii il calore salirle al viso.
Era arrossita!
«Oddio, non preoccuparti. Non … non è necessario. Davvero» le sue proteste si affievolirono contro il tessuto della coperta. Poi, sconfitta, borbottò piano «Alice mi ucciderà».
Feci un sorriso. «Non temere, sarà comprensiva» e pensai che se si fosse mantenuta anche ragionevolmente alla larga l’avrei ricompensata con un bel regalo. Spalancai la porta della mia camera e la depositai sul divano. «Sono mortificato se stanotte starai un po’ scomoda. Domani rimedieremo». La guardai accoccolarsi in un angolino con le coperte strette attorno a sé.
Con le guance in fiamme, gli occhi brillanti e i capelli in disordine non mi era mai apparsa tanto incantevole. La desideravo come non mai.
Sospirai piano e mormorando un «Buonanotte, allora» uscii chiudendomi piano la porta dietro di me.
Bella era sulle sue, era confusa e timorosa. Avremmo dovuto chiarire parecchie questioni, ma per adesso era nella mia stanza, circondata dalle mie cose, dal mio odore.
E, per stanotte, era ancora mia.

Sorrisi beato sentendola sospirare.

BELLA
Mi dibattevo come un leone. Non avrei ceduto senza resistere, ma non avevo tenuto in conto la forza delle sue braccia. Quel mostro voleva abusare di me, farmi del male.
Ma le braccia forti, fredde che mi stringevano, non mi forzavano in alcun modo … no, QUELLE braccia non avrebbero potuto farmi del male. Mai. Di questo ne avevo sempre avuto la certezza.
Edward non avrebbe mai usato la sua forza fisica contro di me.
Ascoltavo le sue parole affannosamente, ma erano dolci, calme, rassicuranti. Mi tranquillizzai presto non appena realizzai che avevo avuto solo un incubo. Ma con la calma, arrivò anche la consapevolezza che dall’incubo ero passata al Paradiso.
Edward mi cullava dolcemente ed io avevo la testa appoggiata sulla sua spalla. Inconsapevolmente presi un respiro profondo, per apprezzare appieno il suo odore e mi accoccolai meglio vicino a lui, strofinando il naso contro il colletto della sua camicia.
Il suo odore di miele, di sole, di lillà, mi riempì la testa. Ebbi un capogiro.
Non avevo alcuna voglia di allontanarmi da lui, anche se sapevo che c’erano tanti sospesi tra noi, anche se domani mi avrebbe lasciato per andarsene di nuovo. Ero fra le sue braccia, l’unico posto al mondo dove mi sentissi realmente bene, realmente a casa.
Sentii qualcosa di freddo sfiorarmi il collo. Trattenni il respiro. Forse mi ero sbagliata, forse era solo il suo fiato gelido che aveva raggiunto la pelle scoperta del capo. Ma poi, avevo sentito le sue labbra morbide posarsi sulla base della mia nuca e il mio corpo era stato scosso da un brivido di piacere.
Oh al diavolo i buoni propositi, adesso mi giro e lo bacio. Pensai febbrilmente.
Ma proprio mentre formulavo questo pensiero, lo sentii scostarsi da me. Ecco ora mi chiedeva scusa per essersi fatto tentare dal mio sangue e se ne andava per sempre. Senza avere il coraggio di guardarlo negli occhi attendevo le sue parole nervosa, lo sguardo in basso sulle mie mani.
«Bella non vergognarti con me, te ne prego. Negli incubi si riversano le tensioni e lo stress che abbiamo accumulato, e direi che tu ne devi smaltire parecchio. E’ perfettamente normale, non devi sentirti in imbarazzo …» mi persi un attimo nella sua voce melodiosa. Mi accorsi di come dovevo apparire ai suoi occhi: isterica, fuori controllo, pronta ad assalirlo, praticamente … umana.
Raccolsi le briciole della mia dignità ormai sparse per terra, lo guardai e dissi «Lo so, è solo che … scusami, non volevo che ti preoccupassi per una cosa così futile, mi sento così stupida …». Non riuscivo a vederlo bene perché eravamo in penombra, ma i suoi occhi luccicavano e la sua pelle diafana riluceva al chiarore dei raggi lunari che penetravano dalla finastra. Non riuscii a leggere la sua espressione, ma sentivo il suo respiro gelido vicino al mio viso. Sospirai e riabbassai gli occhi. Temevo che vi leggesse il mio desiderio di lui.
Che idiota che ero! Volevo che mi rifiutasse ancora?
«Ti … ti ringrazio per essere venuto in mio aiuto, ora mi sento meglio. Credo che mi riaddormenterò» e mi tirai le lenzuola quanto più su era possibile raccogliendole a tentoni dal pavimento dove erano cadute. Magari il letto mi avrebbe inghiottito …, ma con orrore mi resi conto che stavo volteggiando a mezz’aria.
Mi aveva preso in braccio, ma dove mi stava portando? Mi sbatteva fuori di casa?
«EDWARD, ma cosa fai?» chiesi con voce stridula, un po’ timorosa, il cuore che voleva uscirmi dal petto. E lui serafico «Ti scorto nella mia stanza, ovviamente. Non potrei mai lasciarti in una camera con la porta divelta, privandoti della tua privacy»
Il solito galantuomo, l’avrei dovuto immaginare. Cercai di protestare, ma senza risultato e, soprattutto senza convinzione. Pensai ad Alice, e rabbrividii. Mi avrebbe fatto la pelle. Non mi ero neanche accorta di aver dato voce ai miei pensieri, ma dovevo averlo fatto perché lui mi disse con voce allegra «Non temere, sarà comprensiva.» Comprensiva? Mi avrebbe torturata!
Mi appoggiò delicatamente sul divano della sua stanza e mi guardò con gli occhi scuri, intensi. Arretrai cercando di darmi un contegno e divenni di un brillante rosso scarlatto quando, con cavalleria, mi disse «Sono mortificato se stanotte starai un po’ scomoda. Domani rimedieremo». Non riuscii a pronunciare alcuna parola. Ci fissammo per un breve attimo, i suoi occhi si addolcirono e si schiarirono, poi uscì dalla sua camera.
Rimasi immobile.
In fine, un sospiro uscì dalle mie labbra.


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Capitolo 18
*** Dubbi e paure ***


EDIT: Capitolo revisionato e corretto.



CAP. 18

DUBBI E PAURE

BELLA

Aprii gli occhi e strizzai bene le palpebre.

Allora non l’avevo sognato!

Lanciai uno sguardo tutt’intorno alla stanza e percepii una sensazione di benessere pervadermi i muscoli del corpo. Mi stiracchiai come una gatta e scostai le lenzuola. Mi accorsi che sull’estremità del divano c’era il mio beauty e lo presi alzandomi.

Aprii piano la porta.

Di sicuro si erano accorti che ero sveglia, ma nessuno fece capolino. Da Edward me lo sarei anche aspettato, ma mi stupii di Alice. Quasi mi immaginavo di trovarla nella stanza al mio risveglio.

Meglio così.

Feci una corsetta in punta di piedi fino al bagno, proprio a due porte da me. Esultai quando la raggiunsi e l’aprii. Stavo sgattaiolando all’interno, quando una mano gelida mi toccò la spalla e inarcai schiena e collo come colpita da una fucilata.

«Io e te dobbiamo fare quattro chiacchiere.»
Piegai le spalle sotto le parole di Alice, tutt’altro che comprensiva.


«Dammi il tempo di vestirmi!» Dissi spazientita e le chiusi la porta in faccia.

Mi guardai intorno. Quello era il bagno di Edward.

Era molto più contenuto di quello della sorella, con le piastrelle di un delicato color crema e, invece, dell’immensa vasca da bagno di Alice, c’era solo una spaziosa doccia a doppio vano. Nel complesso era decisamente più discreto e di mio gradimento. Mi ci sentivo a mio agio. Con delicatezza sbirciai i pochi prodotti su un ripiano di fianco ad uno specchio rettangolare. Qualche doccia schiuma, uno shampoo, un’acqua profumata.

Con un sospiro rilassato, lasciai scivolare la mise notturna sul pavimento, mi feci una doccia, mi lavai con cura i capelli e li passai con la spazzola. Mi lavai i denti due volte e mi spalmai di crema idratante alla lavanda tutto il corpo con un solerzia da fare invidia alle migliori massaggiatrici. Ero disposta a tutto pur di non incontrare Alice nel ritorno in camera di Edward, ma non avevo considerato di essere senza abiti. Non volevo rimettere quella camicia da notte, ma se volevo indossare qualcos’altro potevo solo rivolgermi a lei. Non avrei potuto evitarla comunque.

Mi feci coraggio e, stretta in un morbido accappatoio bianco, socchiusi la porta.

Nessuno.

Misi un po’ fuori una gamba e la testa per guardare meglio … e mi scontrai con un paio di ridenti occhi color miele. Sobbalzai.

«Buongiorno!» Edward era appoggiato al muro appena dietro la porta e mi osservava, divertito, in una posa rilassata con le braccia incrociate al petto.

Sgranai gli occhi. Era bello da togliere il fiato. Jeans e maglietta a mezza manica di una indefinita tonalità di grigio leggermente aderente al suo torace, sembrava un modello venuto fuori dalle pagine di una delle riviste di moda di Alice.

«B … buongiorno» mi uscì la voce roca.

Deglutii pur avendo la gola completamente asciutta.

«Ti sei data allo spionaggio industriale?» Sembrava che stesse per scoppiare a ridere, ma i suoi occhi erano dolci mentre lo fissavo ancora persa.

«La megera è di sotto, non preoccuparti. In camera ci sono degli abiti e la colazione. Fa' con comodo. Carlisle mi ha detto di riferirti che se te la senti puoi fare una passeggiata in giardino. Lei ti aspetta da basso.» La sua voce calda mi fece sciogliere le braccia che mi si abbandonarono lungo il corpo. Mi appoggiai mollemente allo stipite, delusa e un po’ pallida.

Non mi avrebbe accompagnato.

Il suo sguardo seguì ogni mio più piccolo movimento e ogni variazione della mia espressione, ma fraintese e mi chiese preoccupato: «Che hai, non ti senti bene?» Si raddrizzò immediatamente.

Che potevo dirgli? Che avrei voluto solo lui al mio fianco e nessun altro?

Stavo cercando una scusa plausibile da fornirgli, ma lui spalancò la porta del bagno e m'incalzò: «Bella ti prego parla! Così mi uccidi!».

Nel movimento mi trovai improvvisamente senza appiglio e mi sbilanciai pericolosamente in avanti. Sarei rovinata lunga sul pavimento se lui non mi avesse prontamente afferrata, sostenendomi al suo torace.

L’accappatoio mi scivolò da una spalla, rivelando la pelle liscia dell’omero e quella ancora più candida della parte superiore del petto, e si fermò pericolosamente in bilico tra la punta del mio seno destro e il suo busto. Se uno dei due si fosse scostato anche di un solo millimetro, sarebbe scivolato fino al fianco.

Al contatto con il gelo del suo corpo, chiaramente percepibile fin da sopra i suoi abiti, il mio rispose immediatamente. I capezzoli si indurirono e rabbrividii di eccitazione. Chiusi gli occhi inspirando il suo odore e poi, li riaprii.

Il suo sguardo si era fatto d’un tratto serio, comprendendo la delicatezza della situazione. Gli occhi gli si erano scuriti fino ad assumere il colore della notte senza stelle e sentii il suo respiro farsi più veloce. I nostri visi erano vicinissimi, ma non osavo muovere nemmeno un muscolo. Tutto era sparito intorno a me. Esistevamo solo noi, solo questo momento … ma dopo?

Dopo sarei stata disposta a lasciarlo andare come mi ero ripromessa?

«Bella».
Fissai le sue labbra sussurrare il mio nome roco, non avevo la forza di alzare lo sguardo nei suoi occhi.


«Bella, se non lo vuoi, fermami ti prego.» Il suo respiro era un rapido battito d’ali d'usignolo contro le mie labbra.

Chiusi gli occhi, deglutii e schiusi un po’ la bocca.

«No» presi fiato e decisi «non ti fermare» conclusi, la voce ridotta ad un sussurro.

Non volevo pensare, volevo annullare tutto il mondo, tutti i dubbi, perdermi in lui, far scomparire tutto il dolore che era stata la mia vita in questi mesi.

Sentii le sue labbra gelide posarsi esitanti sulle mie.

Mi parve che il tempo si fermasse e tutto l’universo si concentrasse su di noi. Rimasi ferma, immobile, con il cuore che mi batteva all’impazzata, il suo rimbombo fin nelle orecchie.

La mente si svuotò, ma il vuoto che l’occupò mi oppresse l’anima.

C’era desiderio in questo bacio, dolcezza e brama, ma amore? Io l’amavo, non avevo mai smesso di farlo, ma lui? Ora mi voleva, lo sapevo, ma domani?

Per tutto il tempo che mi vorrà, fosse anche solo adesso. Pensai frastornata.

Tremai. Una lacrima bagnò il mio viso e la sua guancia.

Provai compassione per la ragazza che ero stata, per la sofferenza che avevo provato e che mi aveva segnato così profondamente. Strinsi forte gli occhi. Non dovevo pensare a queste cose, non ora.

Lo sentii staccarsi da me con sforzo e riaprii gli occhi. Lessi nei suoi un dolore e una contrizione profondi. Non spostava lo sguardo dal mio viso e con un dito mi raccolse un’altra lacrima che era strabordata.

«Bella, perdonami. Per tutto.» Inspirò e si passò una mano fra i capelli.

Mi stava chiedendo scusa, ma scusa di che, di desiderarmi, ma di non riuscire più ad amarmi? Di essersi pentito di avermi baciata?

Lo guardai confusa, le lacrime ormai sgorgavano copiose.

Lo vidi scuotere il capo. «Ti prego, ti prego Bella non piangere più per colpa mia.» Anche i suoi occhi mi parvero lucidi.

Non riuscii più a sostenere il suo sguardo e tenendomi stretto l’accappatoio addosso fuggii nella sua stanza. Non mi trattenne, e mi lanciai sul divano in preda ai singhiozzi.

Un attimo dopo, lo sentii parlare dietro la porta con voce sofferente e rassegnata: «Bella, quando vorrai io ci sarò sempre. Non ti farò mai più del male, non ti forzerò mai più a cose che non ti senti di darmi. Quando ti sentirai pronta, parleremo.»

Non riuscii a fermare i singhiozzi, ma registrai le sue parole senza coglierne il vero significato.


EDWARD


«Bella, quando vorrai io ci sarò sempre. Non ti farò mai più del male, non ti forzerò mai più a cose che non ti senti di darmi. Quando ti sentirai pronta, parleremo.»
Questo le avevo detto, con la morte nel cuore, dopo averla vista fuggire in lacrime via da me. Ero rimasto impotente fuori la porta della mia camera a sentirla singhiozzare e ad ogni singulto una lama mi trapassava il petto. Le braccia lungo il corpo, aprivo e chiudevo i pugni nel tentativo di calmarmi.


Sei contento adesso?

Cosa credevi di dimostrare con quella scena di seduzione? Che lei ti desiderava, che era attratta da te?

E con ciò?

Il desiderio da solo non significava nulla, nulla se non c’era la fiducia, la complicità, il rispetto, in una parola l’amore.

Amare Bella per me era stato facile, avevo tutto da prendere e nulla da dare.

Per questo mi ero imposto di lasciarle vivere la sua vita, per dare pieno significato al mio amore per lei. Ma da quando avevo rischiato di perderla, il senso di egoismo aveva preso il sopravvento. Non potevo fare a meno di lei, starle lontano era una tortura a cui non riuscivo a sottopormi.
E la volevo.
Volevo tutto di lei: la sua mente, il suo cuore, il suo corpo.


La violenza dei miei stessi sentimenti mi terrorizzò. Fin dove mi sarei spinto pur di averla?

Ero disposto ad assumermene le conseguenze?

Ma, soprattutto, ero disposto ad accettare le sue scelte, quali che fossero?

E se non avesse scelto me? Se avesse deciso di affidarsi all’amore di Jacob, più rassicurante, più umano?

Sentii attraverso la porta che il respiro di Bella si era fatto più tranquillo. Si era appisolata.

Scesi le scale, diretto alla portafinestra. Dovevo cacciare se volevo essere padrone di me in sua presenza, non volevo rischiare di spaventarla anche in questo modo.

Attraversai la portafinestra e guardai il cielo. Era nuvoloso, ma non molto. Non mi sarei potuto allontanare troppo.

L’hai fatta piangere. Di nuovo.

Non ebbi bisogno di girarmi per sentire la rabbia di Alice. Mi sarebbe giunta anche senza poterle leggere nel pensiero.

«Non ti immischiare, Alice.» Mormorai senza voltarmi, continuando a camminare.

«Oh, sì, invece, mio caro fratellino. Io le voglio bene e non ho intenzione di vederla soffrire ancora a causa tua.» Era passata alle parole per dare più vigore ai suoi sentimenti e mi seguiva imperterrita. Non mi avrebbe mollato se prima non mi avesse estorto una qualche confessione. Mi bloccai, eravamo ad un centinaio di metri da casa, e la guardai con occhi fiammeggianti.

«D’accordo, cosa vuoi da me, Alice?» le domandai battagliero.

Soppesò con calma le mie parole, poi, puntandomi il dito indice al petto, disse :«Voglio sapere se hai intenzione di dare a Bella una possibilità.»

Una possibilità IO A LEI? Ma era impazzita?

Parve riflettere un attimo e, senza darmi il tempo di frugare nella sua testolina malata, continuò: «Avete entrambi la mente confusa, mi state facendo impazzire con la velocità con cui mi arrivano le visioni più contrastanti. Prendete un DECISIONE, maledizione. Siete in attesa delle mosse dell’altro, e, intanto, continuate a farvi del male.»
Ascoltavo le sue parole a bocca chiusa, constatando che quando perdeva le staffe la sua voce diventava tagliante come una lama.


Sapevo che aveva ragione, ma ammetterlo mi costava.

«Io … io non voglio farla soffrire, non l’ho mai voluto. Ma è che … è che non so cosa pensa e ho paura di spaventarla se le dico cosa provo per lei, dopo tutto quello che le ho fatto passare» sospirai affranto. «Alice io non so più dove sbattere la testa, so solo che la voglio e basta. Ma so che non posso obbligarla ad amarmi, e adesso non sono più sicuro che mi voglia ancora …» Mi ero appoggiato al tronco di un albero come a cercare un appiglio e non annegare nelle mie stesse parole.

La vidi scuotere il capo dapprima esterrefatta, poi, passò alla circospezione ed, infine, allo scetticismo. «Ma cos’hai nella testa? Segatura? Paura di spaventarla? Non sai SE TI AMA ANCORA?» Il suo tono era stato un crescendo di acuti e, detto questo, prendendo un profondo respiro come quando si sta per ripetere ad un bambino testardo l’ennesima spiegazione, continuò più pacata: «No, Edward. La devi smettere. Così tu la stai uccidendo. Devi piantarla di avere paura e di non voler rischiare niente. Amare significa anche mettersi in gioco, esporsi. E tu devi dare a Bella queste possibilità. Anche se questo implicherà la sua trasformazione.» Un lampo di timore passò nei suoi occhi, ma terminò decisa: «Tu sai che è così, devi solo accettarlo».

La guardai per un po’. Sentivo il mio autocontrollo vacillare sotto i colpi della determinazione di mia sorella. «Rischio? Tu mi stai dicendo che devo mettere a rischio l’incolumità di Bella, tutta la sua vita per soddisfare i miei capricci?» Ero sbalordito da quello che udivo, ma anche arrabbiato con me stesso perché tentato dalle sue parole.

Lei mi fissò comprensiva. «Se tu hai deciso di non poter vivere senza di lei, se è lei tutta la tua vita, devi dare anche a Bella la possibilità di fare altrettanto, consapevole dei pro e dei contro. Lei deve avere libertà di scelta e tu devi accettarlo. Non l’amerai mai davvero se le camminerai sempre davanti per impedirle di inciampare, ma solo se sarai al suo fianco per sostenerla se deciderà di saltarlo il fosso, piuttosto che aggirarlo».

Quando terminò, il silenzio intorno a noi divenne assordante, ma le sue parole mi rimbombarono per molto tempo ancora nelle orecchie.

Non mi ero accorto che se n’era andata, a passo di danza, verso casa, lasciandomi solo e pieno di più dubbi di prima.



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Capitolo 19
*** Scoperta ***


EDIT: Capitolo revisionato e corretto.


CAP. 19

SCOPERTA


BELLA


Mi ero barricata in camera e non avevo la minima intenzione di mettere il naso di fuori.

Quando tutte le lacrime che mi opprimevano finalmente avevano abbandonato il mio corpo, mi ero alzata e mi ero vestita. Alice mi aveva procurato dei jeans e una deliziosa camicia sagomata blu elettrico. Ai piedi un paio di ballerine argentate, molto simili a quelle che spesso indossava lei, ma chiaramente nuove di zecca.

L’effetto d’insieme era davvero gradevole.

Feci una smorfia osservandomi abbigliata e sospirai. Ah, se avessi avuto un pizzico della grazia di Alice e dell’avvenenza di Rosalie, sarei stata uno schianto! E allora sì che sarei stata in grado di essere all’altezza di Edward Cullen, la persona adatta a lui … quelle parole avevano colto veramente nel segno.

Avevo lasciato intatto il vassoio con la colazione fuori dalla porta, ma non ero scesa dabbasso. Non volevo rischiare di incontrare Alice, ma soprattutto Edward.

Della prima non avrei sopportato le chiacchiere, mentre del secondo … non avrei resistito a stare nella stessa stanza insieme a lui, così come due amici, due estranei. Volevo di più, il mio corpo lo reclamava e il desiderio si mischiava al dolore per l’incertezza dei suoi sentimenti. Mi aveva detto che quando sarei stata pronta avremmo parlato, ma sarei mai stata in grado di sostenere la verità?

Mi sentivo insicura e fragile, ma mi rendevo conto di essere anche alle strette. Non potevo certo rimanere chiusa lì dentro in eterno, dopotutto ero nella camera di Edward, lo stavo privando dei suoi spazi e limitandone la libertà. Mi guardai intorno, triste. Le sue cose erano tutte lì, intorno a me, i suoi cd, il suo sofisticato impianto stereo, i suoi libri. Mi avvicinai un po’ per leggerne i titoli, alcuni erano vecchissimi, forse prime edizioni, altri erano in lingua e mi parve di riconoscere il portoghese, il francese, l’italiano ed altre davvero strane. Ma quante lingue conosceva? Scossi il capo rimproverandomi mentalmente. Non erano affari miei. Ma la curiosità prese il sopravvento e continuai nella mia esplorazione dei volumi in inglese. Classici, alcuni d’avanguardia, gusti molto eclettici, non c’è che dire. Ma poteva anche starci, in fondo con tutto il tempo che aveva avuto a disposizione avrà anche cambiato preferenze abbastanza spesso.

Improvvisamente mi bloccai e spalancai gli occhi. Shakespeare, Romeo e Giulietta? Ma lui non disprezzava Romeo? Passai a fianco, ancora lo stesso autore, ma erano i Sonetti. Senza rendermene conto presi il volumetto tra le mani.

Era consunto, ma in buono stato, conservato benissimo. Un’edizione rilegata davvero deliziosa. Me lo rigirai delicatamente tra le mani osservando le incisioni dorate degli angoli un po’ scurite dal tempo, il rosso della copertina in pelle un po’ sbiadito. Lo spostai in una sola mano e automaticamente il libro si aprì in una pagina segnata con un rametto ormai talmente secco da rendere impossibile risalire alla pianta d’origine. Ebbi paura di sfiorarlo temendo che potesse rompersi alla pressione delle mie dita, ma fui attratta dalle parole che lessi sotto.

Forks, 20 settembre 2000

Vergogna! Dì che nessuno tu ami

se così improvvido sei con te stesso,

dì, se vuoi, che da molti sei adorato

ma amore non dai tu ad alcuno, è certo.

Tanto odio assassino ti possiede

che ti sospiri contro senza posa

ruinare tentando il tetto splendido

che restaurar dovresti ad ogni costo.

Cambia pensiero, e cambierò

sentenza:

l’odio avrà dunque dimora più dolce

d’amore? Sii generoso qual sembri,

o per te almeno generoso mòstrati.

Fà di te un doppio per amore mio,

che in te o in un tuo beltà sopravviva.

sonetto 10


Lessi la data vergata nella bella grafia di Edward. Era il giorno in cui aveva deciso di andarsene da Forks, di lasciarmi. Deglutii e cercai l’appoggio del divano dietro di me. Presi a sfogliare delicatamente il volume. Altri sonetti recavano delle date in intestazione, tutte seguenti a quella della partenza da Forks, ma con la trascrizione Rio.


Era a Rio che Edward aveva trascorso tutti quei mesi di lontananza?

Leggevo le date cercando di rammentare cosa stessi facendo io in quei giorni. Era tutto avvolto nella nebbia, non riuscivo ad isolare un giorno dall’altro. Mi colpì la data del 20 gennaio, quattro mesi esatti dalla partenza, sembrava quasi che avesse voluto ricordare un anniversario.

Lessi avidamente.

Rio, 20 gennaio 2001

Quanto pesante percorro il cammino

e quel che cerco – la fine del viaggio,

quando riposerò – mi farà dire:

«Di tante miglia il mio amico è lontano».

La bestia che mi porta, stanca della

mia pena, arranca piegando al mio carico,

quasi d’istinto sapesse che fretta

non posso avere, se di te son fatto.

Neppure lo sprone sanguigno lo pungola,

che la rabbia talor le ficca in fianco:

con un lamento mi risponde, crudo

per me più che il ferro alle sue carni:

entrare in mente mi fa quel

lamento

che innanzi ho doglia, e la mia gioia è

indietro.

sonetto 50


Rilessi perplessa due volte. Quei versi parlavano di nostalgia, sofferenza per la mancanza di un amore lontano, lasciato indietro, unica gioia nel faticoso percorso del viandante.


I conti non mi tornavano. Quello che stavo leggendo non combaciava con il ricordo di quello che Edward mi aveva detto andandosene. Non erano questi i sentimenti di un uomo che ha voglia di cambiare, di cercare distrazioni. Questi erano i versi di un uomo che soffriva per amore.

Beh, forse per lui non era stato facile come non lo era stato per me. Forse, non era stata solo illusione il nostro amore, una mia illusione, per essere precisi. Tuttavia, questo poteva significare che mi aveva amato, ma adesso? Sfogliai ancora le pagine cercando le più recenti, una fiammella si accese nel mio cuore.

Mi sbalordì leggere la data del giorno prima su un sonetto. Il mio cuore prese a battere all’impazzata.


Forks, 23 maggio 2001

Come il cibo alla mia vita sei per me,

come alla terra acquazzoni di maggio,

e per tuo amore così mi tormento

come per l’oro suo pena l’avaro

che del possesso ora esulta, ma già

teme che i suoi tesori involi il tempo:

e ora bramo di starti unico accanto

ora che il mondo ammiri il mio piacere,

sazio talor solo del vederti,

poi subito affamato di uno sguardo;

e non v’è gioia ch’io tenga o insegua,

se da te non l’attendo o non m’avanza.

Così divoro e languo ognor, vorace

tutto afferrando o morendo di fame.

sonetto 75


Chiusi il libro di scatto, il respiro affannoso come dopo una lunga corsa.


Sobbalzai allorchè mi accorsi che qualcuno bussava alla porta. Il libro mi scivolò di mano e cadde a terra con un tonfo.

«Bella, cara, è tutto a posto? Se desideri qualcosa posso cucinare altro, che ne dici?» La voce preoccupata di Esme mi fece salire le lacrime agli occhi. Quanto era dolce con me!

«Ehm sì, non avevo appetito prima, ma ora scendo giù in cucina. Mi è venuta una certa fame …» e riponendo il libro con cura al suo posto, mi ravvivai i capelli, lisciai la camicia sui fianchi e mi voltai pronta finalmente ad uscire.




NOTA DELL'AUTRICE: Le poesie riportate sono tratte da “I Sonetti” di William Shakespeare”.


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Capitolo 20
*** LA VERITA’ ***


EDWARD

Cominciai ad avvertire qualcosa di insolito molto prima di essere nelle vicinanze di casa di ritorno dalla caccia. Mi ero nutrito giusto l’indispensabile, un po’ svogliatamente, turbato dalle parole di Alice, un po’ perché non mi sentivo a mio agio sapendo che Bella avrebbe potuto risvegliarsi da un momento all’altro ed ero ancora preoccupato per il modo in cui ci eravamo lasciati un paio d’ore prima. Nello stato d’animo in cui ero non mi sfuggirono i pensieri gioiosi di mia madre che mi raggiunsero investendomi in pieno, così contrastanti rispetto ai miei. Quando, poi, fui anche a portata d’orecchio, cominciai a sentire le risate. Riconobbi quelle di Esme e di Alice, ma mi parve che il mio cuore sobbalzasse quando udii la risata dolce e sommessa di Bella. Affrettai leggermente il passo incuriosito e mi diressi dall’esterno verso la direzione da cui provenivano i suoni, il primo piano, la cucina. Mi arrampicai velocemente sull’albero che ne fiancheggiava il finestrone e rimasi a guardare la scena che si presentava ai miei occhi con la bocca spalancata. Alice ed Esme stavano preparando una sorta di intruglio strano in una ciotola d’acciaio sommerse dagli ingredienti disposti sparsi sulla penisola della cucina. Alle narici mi arrivarono odori dolciastri, speziati e capii che stavano preparando qualcosa di dolce per Bella. Pareva che si divertissero un mondo.

Lei se ne stava seduta di profilo dall’altro lato del bancone, accoccolata su uno sgabello con una gamba piegata sotto di sé e l’altra che scendeva penzoloni. Ammirai le sue gambe ancora un po’ troppo magre, fasciate in quei jeans aderenti, la camicia blu che le aderiva morbida sulla vita seguendo la linea delicata del suo seno, il suo piede che dondolava avanti e indietro lento. Era appoggiata con la schiena alla spalliera dell’alta sedia.

La sua espressione mi riscaldò il cuore. Ero stato in ansia fino a quel momento convinto di non poter accertarmi delle sue condizioni reali se non affidandomi a terze persone, e, invece, la vedevo dinnanzi a me, con le guance colorite e gli occhi allegri, il viso e la postura rilassate. Mi godevo quella scena di assoluta serenità con l’aria imbambolata quando i pensieri di Alice si rivolsero a me.

Attento.

Contemporaneamente mia madre diceva a voce alta: «Edward tesoro, non è educato starsene appollaiati su un albero ad origliare. Entra caro, questa non è una riunione massonica.»

E, dopo aver sobbalzato al mio nome, Bella si voltò nella mia direzione, con uno sguardo mozzafiato. E non solo.

I suoi occhi nocciola erano spalancati, tesi a cercarmi tra i rami. Quando mi scorse da limpidi che erano si fecero brillanti e, poi, capii perché Alice mi aveva messo in guardia. La camicia che Bella indossava si apriva in un scollatura a punta che le lasciava scoperto il collo e terminava nel’incavo dei seni. Girandosi un bottoncino si era aperto e mi ritrovai con lo sguardo cristallizzato su una generosa porzione di pelle candida che si offriva spudoratamente ai miei occhi rapaci. Se non mi fossi messo sulla difensiva automaticamente ai pensieri di mia sorella, probabilmente sarei caduto dall’albero.

Mi ripresi istantaneamente, inspirai una bella boccata d’aria e con grazia atterrai nell’ampio spazio antistante il bancone, a due passi da lei. Non sarebbe stato affatto carino fiondarmi su di lei per annusarle il collo come un pervertito, per questo assunsi un’espressione scettica e con aria indolente chiesi:« Riunione tra donne?»

Vidi mia madre sorridere a testa bassa, Alice mettersi una mano sulla bocca a soffocare una risatina sussurrando un «più o meno» e Bella arrossire con grazia abbassando gli occhi. Alzai un sopracciglio lanciando un’occhiata alle tre cospiratrici e mi soffermai su quest’ultima osservandola con malcelato compiacimento.

Sembrava diversa dal nostro ultimo incontro, più distesa, meno insicura, meno sulle sue.

Rimasi immobile in piedi vicino a lei, quando Esme mi offrì l’occasione che stavo aspettando.

«Edward, caro, perché non accompagni Bella a fare quattro passi in giardino, qui ci vorrà ancora un’oretta per la torta. » poi, aggiunse «Alice dopo che avremo finito qui, mi devi accompagnare giù in città, devo fare un po’ di provviste per Bella.» e si voltò senza aggiungere altro insieme ad una Alice stranamente e solo apparentemente silenziosa. In realtà nei suoi pensieri stava canticchiando l’inno nazionale partendo dall’ultima strofa. Feci una smorfia con la bocca, quello era il modo di mia sorella di tenermi all’oscuro dei suoi pensieri. Voltai gli occhi verso Esme, ma niente, i pensieri di mia madre erano candidi e senza segreti.

Guardai Bella con un misto di speranza e timore, non sapendo come avrebbe reagito, ma con mia grande sorpresa lei era già scesa dallo sgabello, pronta per uscire in giardino. Teneva ancora gli occhi abbassati e sembrava profondamente in imbarazzo.

Mi diedi dell’idiota per aver dato l’impressione di tentennare e dissi con un sussurro: «Se a te fa piacere, sarei lieto di accompagnarti.» Annuì con un cenno del capo e ci avviammo verso l’esterno.

Camminavamo fianco a fianco in silenzio. Bella mi pareva pensierosa, come se stesse rimuginando su qualche cosa di importante valutando il modo giusto di affrontare una situazione. Si stropicciava le mani nervosa, ma non accennava a parlare. Decisi di rompere il ghiaccio.

«Mi pare che tu stia meglio. Ne sono contento» le lanciai uno sguardo per cogliere la sua reazione.

«Già, infatti.» rispose.

Laconica.

Non mi piaceva.

Continuammo a camminare per un po’ in silenzio, poi aggiunsi «A cosa pensi?», come al solito ero curioso e non sapere mi faceva sentire frustrato.

La osservai lanciarmi un’occhiata, prendere un respiro e dire «A tutto quello che è successo, ai mesi che sono trascorsi, ai cambiamenti …». Rallentò ancora, benchè stessimo già passeggiando e aggiunse d’un fiato: «In realtà ero curiosa di sapere dove fossi stato tu, cosa avessi fatto in tutto questo tempo.» abbassò un po’ il capo.

Annuii. Logico, eravamo al dunque.

«Niente di particolarmente avventuroso. Sono stato al sud, a Rio per esattezza.» mi interruppi, dandole il tempo per assimilare le mie parole. Vidi colorirsi un po’ le sue guance, non volevo che si sentisse in imbarazzo con me e allora mi affrettai ad aggiungere: «Bella, puoi farmi qualsivoglia domanda, non temere.»

«Io …sì, insomma …sei stato bene?» balbettava, più in imbarazzo che mai.

Sospirai. «No, Bella non sono stato bene. E lo sono stato ancora di meno quando ho visto cosa mi ero lasciato alle spalle.» il fatto che pensasse che potevo essere felice senza di lei mi sconcertava e intristiva. Ma come darle torto?

«Nessuno ti ha obbligato.» disse con amarezza nella voce.

«Già, nessuno.» assentii con voce bassa. «Bella, io credo di doverti delle spiegazioni» dissi con urgenza nella voce fermandomi e obbligandola a fare altrettanto.

«No, Edward. Tu non mi devi nulla. In realtà è proprio questo il punto.» cercò di riprendere fiato e come se avesse pensato molto a ciò che voleva dire e volesse togliersi il peso cominciò: «Edward quello che è successo dopo che sei andato via non è colpa tua, non devi sentirti responsabile per me in ogni circostanza. Io sono una persona adulta che prende delle decisioni e se ne assume le conseguenze, anche se negative. Tu non devi sentirti in obbligo con me perché non provi più gli stessi sentimenti di prima. Non devi. Io me ne farò una ragione prima o poi …» la voce le si ruppe in un singhiozzo smorzato, e con gli occhi rivolti a terra ma ben aperti come a voler distendere le lacrime che minacciavano di ricaderle giù strinse forte i pugni per farsi coraggio.

«Bella guardami.» dissi con voce carezzevole e visto che non accennava a farlo insistetti con più dolcezza: «Guardami, ti prego.»

Lei alzò lo sguardo fiera, mi fissò per un lungo istante e mi disse: «Ti guardo»

«No, tu non mi stai guardando. Perché se lo facessi capiresti quanto ti desidero» dissi con voce roca prendendole un braccio e stringendola più del dovuto. Non mi domandai se le stessi facendo male, mi sembrava di aver perso il lume della ragione.

«Bella io ho commesso un terribile errore e ti ho fatto del male contro la mia volontà. Mi sono odiato ogni minuto che ho trascorso lontano da te, ma ti scongiuro di credermi se ti dico che l’ho fatto solo per te, per darti l’opportunità di vivere una vita normale, con un umano che potesse darti tutto quello che io non potrò mai … Io ti mentito Bella, lo sai che so farlo molto bene, ma non potevo permetterti di buttare la tua vita con me senza fare nemmeno un tentativo. Ti ho lasciato credere che non ti amassi, ma non c’è mai stata bestemmia più terribile profferita al mondo.» mi fermai vedendola sbianchire in volto. I suoi occhi si spalancarono, poi si strinsero forte e ne uscì una lacrima. Aveva preso a tremare e con voce bassa e vibrante di collera disse: «Una vita normale con qualcuno che non fossi tu? Come hai potuto pensare che potessi volere qualcosa di diverso, tu … tu eri tutta la mia vita. Morii quando mi abbandonasti.» deglutì quell’amara verità.

«Bella credimi, morii anch’io quel giorno.» le dissi in un sussurro sostenendo l’accusa nei suoi occhi con il coraggio che solo l’amore riesce a dare.

Le lacrime che cercava in vano di trattenere cominciarono a scivolarle sul viso e mi sembrò di sprofondare nell’inferno più cupo. Non mi era sfuggito che lei avesse usato il passato, e sentivo che le ferite erano davvero profonde. Non c’è che dire, avevo fatto davvero un ottimo lavoro.

«Bella, io devo sapere. Sono ritornato troppo tardi, tu … tu e Jacob, forse? So che non ho più il diritto di chiedertelo, ma dimmelo. Dimmi che non mi ami e ti lascerò andare, hai la mia parola.»

Certo che non ti ama più, stupido succhiasangue! I pensieri di Jacob si imposero nella mia mente come il volume di uno stereo spinto al massimo. Era rabbioso. E non c’era niente di più pericoloso di un giovane licantropo fuori controllo. Eccetto che un vampiro irritato, così come mi sentivo io in quel momento. Strinsi gli occhi e ricacciai indietro il ringhio che mi era nato dal petto. Automaticamente mi parai dinnanzi a lei a farle da scudo. La vidi indietreggiare confusa.

«Ma cosa …?» cominciò, ma io la interruppi. «Non muovere un passo lontano da me, fidati, ti supplico.» riuscii a dire in un sussurro prima che il giovane quileute sbucasse da dietro un albero. Lei lo riconobbe all’istante, benché le fossi davanti e prorompendo in un gioioso «Jake!» che le morì sulle labbra non appena notò la sua espressione, aveva fatto contemporaneamente un passo nella sua direzione. Le afferrai un braccio per trattenerla.

Lui notò la mossa e disse «Lasciala subito, non osare toccarla con i tuoi artigli d’assassino!»

Misurai la situazione in un attimo, non mi sarebbe stato difficile metterlo fuori gioco, ma con Bella presente, non sarebbe stato affatto uno spettacolo piacevole. Mi misi sulla difensiva sempre tenendola per il braccio ma con più delicatezza, e la tirai un po’ di più dietro di me. Sembrava un po’ intimorita dalla furia che vedeva trasfigurargli il viso.

«Jake, stà calmo, stavamo solo parlando, lui non mi farà del male.» disse lei con voce un po’ debole.

Lo vidi alzare un sopracciglio scettico, gli occhi iniettati di sangue, le mani e il tronco scossi da brividi «Ah no?!» il suo tono era sarcastico. Fece un passo verso di lei.

«Jacob, questo non è il luogo e, soprattutto non è il momento giusto. Come vedi Bella si sente perfettamente al sicuro in mia compagnia e non ha nulla da temere. E’ ospite in casa mia e sarà trattata con il massimo riguardo.» il mio tono era calmo, non volevo turbarla più di quanto non fosse già.

«Allora è vero! Chissà cosa penserebbe Charlie se sapesse chi sono davvero i padroni di casa, magari la prossima volta potreste invitarlo a cena! » disse lui con cattiveria. Mi accorsi che il cuore di Bella aveva perso un battito e strinsi i pugni per non assalire quel cane idiota.

«Jacob, và via. Spaventarla non la farà avvicinare a te.» e soprattutto farlo ancora mi avrebbe portato ad un passo dall’assalirlo.

Hai paura che scelga me eh? Non me ne andrò se lei non verrà con me, non la lascio nelle tue luride mani, sanguisuga. Pensò lui con rabbia.

«Jake, non fare così, ti prego. Sei il mio migliore amico, cerca di capirmi. Ho bisogno di parlargli, di chiarirmi con lui. Sai come sono stata nei mesi scorsi, non peggiorare la situazione.» la voce di Bella era passata all’implorazione. Non voleva ferirlo, e non sarebbe servito dirle che il cucciolo non avrebbe desistito.

«Amico?! Io ti amo Bella, puoi essere sicura di me, ma di lui? Sei certa che non ti abbandonerà ancora? Che uno di questi giorni non ti morda per averti per sempre al suo fianco, o peggio che nel farlo non ti uccida? Vieni via con me, dimenticalo, ti renderò felice, lo giuro» e dicendo ciò allungò una mano verso di lei.

Mi impietrii quando mi accorsi che lei aveva scostato la mia mano dal suo braccio e, dopo aver girato intorno al mio corpo si stava avvicinando a lui titubante e con passo malfermo.

Lessi l’esultazione nella sua mente e divenni un blocco di ghiaccio.

Aveva scelto, e io non ero quella scelta.

Capii con terrore che la mia vita non sarebbe più stata la stessa, non senza di lei.

Raddrizzai la schiena e guardai il mio amore allontanarsi per sempre da me.

Avrei voluto sapere come trattenerla, saperla rendere felice come lei aveva fatto con me, ed, invece le avevo donato solo dolore e sofferenza. Solo questo.

Tremai quando la vidi fermarsi di fronte a lui, alzarsi in punta di piedi e poggiargli le mani sulle spalle.

Stava per baciarlo.

Rischiavo di impazzire a vedere quella scena ma i miei occhi non riuscirono a spostarsi da loro. Meritavo tutto il dolore che potevo infliggermi per essere stato così stolto e imprudente.

Bella avvicinò piano le sue labbra a quelle di Jacob che era restato immobile per la sorpresa, e gli sfiorò piano l’angolo della bocca.

Poi con un dolce sussurro disse: «Sarei felice anche di morire per mano sua. Mi dispiace, Jake, ma io lo amo più della mia stessa vita. Non ce la faccio senza di lui.»

Lei si voltò verso di me, e vidi Jacob chiudere lentamente gli occhi. Contemporaneamente il suo dolore mi investì con una potenza inaudita e mi accorsi che si stava trasformando.   



NOTA DELL’AUTRICE: Miei valorosi guerrieri lettori, che ne dite di questa svolta?

Cappy carino mi pare, abbastanza lungo, e d’aggiornamento rapido. Spero di non avervi deluso e ringrazio le mie recensioniste che mi incoraggiano sempre affinchè la storia continui. I 400 lettori circa che leggono la ficcy dovrebbero essere loro davvero molto grati, perché è per loro merito se l’ispirazione non mi è ancora svanita …! Un bacione sincero a tutti voi e a chi vorrà lasciare un commento sia in bene che in male.

Endif (Maria Luisa per coloro che mi hanno chiesto un appellativo più confidenziale. Kiss Gazy, stò leggendo la ficcy che hai completato di recente. Ora capisco molte cose …!)


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Capitolo 21
*** VIA DA QUI ***


NOTA DELL’AUTRICE: Mie valorose, eccoci con un nuovo cappy!! Non posso non sottolineare quanto i vostri commenti mi abbiano rallegrata e ringrazio di cuore gli altri lettori che mi stanno via via aggiungendo tra i loro preferiti – seguiti. Spero di non deludervi …

Baci endif

Anna cullen: Grazie cara, ma i colpi sono dietro l’angolo, non demordere!!!

Gazy: Allora Rita, è un autentico piacere aver fatto la tua conoscenza seppure solo nel web! Hai ragione come al solito quasi su tutto ed è con vero interesse e spirito critico che leggo e rileggo i tuoi commenti. Dunque, la storia doveva evolversi in qualche modo altrimenti ristagnavamo tra una Bella gocciolante che usciva da bagni altrui e un Edward che origliava dietro le porte. Non sapevo come uscirmene e volevo che i sentimenti da raccontare seppur carichi di tensione, malizia, desiderio ed emozione mutassero un po’. Ma non troppo vedrai. Per ciò che riguarda il cap precedente concordo pienamente sul periodo confusionario e troppo lungo iniziale: sebbene descriva un animo un po’ confuso e turbato, deve essere comunque comprensibile agevolmente dal lettore. Pardon! Per il dialogo tra Bella e Eddy in realtà seppur grammaticalmente scorretta, l’impressione che volevo dare era proprio questa: un tempo mooooolto lungo che non da a Bella un colpo deciso con un “sono morta quando mi hai abbandonato”. Dopo sarebbe tutto finito. No è una lenta agonia, uno spegnersi piano, giorno dopo giorno, goccia dopo goccia; è un morire sempre un po’ di più. Non è soltanto morire e basta, è qualcosa di più totalizzante… non so se mi spiego! Per ciò che riguarda la tua ficcy “l’adesso capisco molte cose” si riferisce al fatto che dal tuo modo di scrivere, si evincono tante cose di te che già avevo avuto modo di notare leggendo i commenti: sei una ragazza molto sensibile ed attenta ai particolari. Scrivi con cura soppesando le parole e modellandole bene tra le tue mani per far loro assumere l’importanza più appropriata al momento. Nulla è lasciato al caso, non lo fai così per passare il tempo, ma lo fai con passione. Sei la tipica scrittrice da rilettura, per poter apprezzare davvero tutte le sfumature che vuoi dare ad una storia. Per questo non ti recensisco ancora, perché, per la mia mancanza di tempo non ho ancora catturato tutti i dettagli con cui hai plasmato le tue storie.

 Credo forse di aver sforato un po’come risposta ad un commento, ma come altro contattarti?

Attendo con impazienza le tue impressioni su questo cap.

 Nel frattempo ti invio i miei più calorosi saluti.

Bacioni M.Luisa

Giulia miao: Ciao Giulia, purtroppo non potevo far evaporare Jacob in una pentolaccia d’acido bollente, anche se un po’ lo speravamo tutte…! Cmq non temere, che Edward avrà la sua vendetta. Kiss endif

Bellas: Ciao carissima, sono davvero lieta che il cap ti sia piaciuto, e hai proprio ragione, le donne stanno proprio spettegolando sugli uomini Cullen…! Aspetto di sapere se anche questo cap ti coinvolgerà… baci endif

Lory lost in her dreams: grazie per la tua recensione, sono contenta di averla ricevuta, con l’andare avanti ci si demotiva…, spero che gli altri ti piacciano ugualmente, anche se ci sono cambiamenti in vista… endif

Ale78: perfida vero la scena con Jacob… dite la verità, vi ho fatto tremare le ginocchia, ma tenetevi forte, che il bello deve ancora venire! Bacioni endif

CAP. 21

VIA DA QUI

 

BELLA

«Sarei felice anche di morire per mano sua. Mi dispiace, Jake, ma io lo amo più della mia stessa vita. Non ce la faccio senza di lui.» e dopo aver spezzato il cuore del mio migliore amico mi ero voltata verso il mio vero amore.

Avevo fatto appena un passo, quando Edward era scomparso improvvisamente dalla mia vista e mi ero sentita sbalzare rapidamente ma con delicatezza da una spinta gelida verso un materasso di foglie secche di fianco a me. Caddi con un tonfo e con molta poca grazia per terra e sentii uno schianto tremendo lì dove un attimo prima ero io.

Che fosse caduto un albero proprio a due passi da me?

Con la mia proverbiale fortuna non era affatto improbabile, ma fui investita da dei ringhi spaventosi, a cui seguirono degli ululati feroci. Mi raddrizzai alla ricerca di Edward, timorosa che potesse essergli accaduto qualcosa nello stesso frangente.

E finalmente lo vidi.

Lo vidi solo dinnanzi ad un lupo enorme con le zanne affilate che stava ritto su due zampe ed era sul punto di attaccarlo. Spalancai la bocca come un’ebete. Non avevo mai visto una cosa del genere. Era … era spaventoso. Impallidii come un lenzuolo e mi si mozzò il respiro in gola.

Cercai maldestramente di alzarmi, il panico si era impadronito di me. Ma dove diavolo era Alice quando c’era bisogno di lei? Aveva detto che sarebbe rimasta nei paraggi e che sarebbe andato tutto bene. Bene un corno! E Jacob, dove era andato a cacciarsi? Dovevo raggiungere Edward, fare qualcosa per aiutarlo, distrarre quell’animale in qualche modo.

Alice, Alice ti prego vieni qui, non so che fare. Come un flashback mi ritornò in mente la conversazione avuta con lei appena qualche ora prima.

“Ero appena uscita dalla camera di Edward dopo che Esme era venuta a bussare alla mia porta. Stavo scendendo le scale con circospezione, quando la voce di Alice mi aveva fatto sobbalzare.

«Finalmente hai lasciato la tua NUOVA camera! Dormito bene?» la sua voce sarcastica era un tintinnare di cristalli.

«Alice, tu mi farai venire un infarto» avevo detto in un sospriro scendendo gli ultimi gradini della scalinata con passo esitante guardandomi intorno attentamente e  cercando di stabilizzare il cuore impazzito.

«Tranquilla, lui non c’è.» e vedendo il mio improvviso pallore si era affrettata ad aggiungere «E’ andato a caccia.»

Avevo rilassato i muscoli delle spalle istantaneamente. Non se n’era andato via per sempre, dunque.

Lei mi aveva fissato a lungo e poi aveva detto scuotendo il capo decisa e con aria di rimprovero: «TU hai bisogno di tirarti su. Vedamo … Che ne dici di fare un po’ di sano, rinvigorente  shopping?» la speranza nella voce, gli occhi che le si erano improvvisamente accesi.

Avevo aperto la bocca per ribattere, ma ero rimasta così a bocca spalancata, incapace di replicare. Mi stupii con infinita gratitudine di sentire la voce di Esme provenire dalla cucina. «Alice, tesoro non mi pare proprio che Bella sia sufficientemente in forze per accompagnarti. Ci andiamo insieme più tardi, vuoi?»

Alice aveva spinto in fuori il labbro inferiore imbronciata e aveva borbottato: «Forse hai ragione, ma dobbiamo rimanere fino a chiusura dei negozi!» Sembrava un’adorabile bambina che fa i capricci e a cui non si può negare nulla. Si era diretta intanto in cucina ed io la seguivo un po’ in imbarazzo. Appena varcata la soglia avevo visto Esme districarsi con una quantità impressionante di ingredienti e chiedere ad Alice di aiutarla. Volevano prepararmi una torta e guardandole mi ero accorta che mi erano mancate indicibilmente. Gli occhi avevano preso a pizzicarmi e mi ero lasciata cadere su uno sgabello di fronte alla penisola dove loro armeggiavano per darmi un contegno.

Avevano preso a chiacchierare di futilità senza coinvolgermi direttamente. Le avevo ringraziate mentalmente. Quando mi ero sentita abbastanza stabile avevo puntato lo sguardo sui loro visi e avevo detto: «Ho bisogno di un consiglio».

Si erano girate verso di me zittendosi di botto.

Esme era stata la prima a riprendersi «Certo tesoro, riguardo cosa?»

«Riguardo i problemi di cuore direi …» aveva risposto Alice per me, con sguardo ammiccante verso Esme. Quest’ultima, dopo averle lanciato un’occhiataccia, mi aveva guardato con un’espressione materna e comprensiva e mi aveva invitato a confidarmi. La mezz’ora successiva era stata scandita solo dai miei sfoghi, riguardo i miei dubbi sui sentimenti di Edward, sulla sua decisione irremovibile di non trasformarmi, sulle paure per il futuro. Mi avevano lasciato parlare senza interrompermi e da sola la mia voce era andata spegnendosi man mano che le parole sgorgavano come un fiume, allontanandosi dal mio cuore che aveva ospitato questi sentimenti negativi per troppo tempo. Mi ero sentita leggera come una piuma, quando aveva concluso dicendo: «Io lo amo, e non credo di poter vivere senza di lui.» Ammetterlo a voce alta era stata una liberazione.

 Avevo preso un bel respiro e alzato gli occhi verso di loro. Erano immobili come solo i vampiri sanno fare e mi guardavano con espressioni contrastanti: Esme aveva un’espressione tenera e affettuosa, Alice, invece, quasi furibonda.

«Io glielo avevo detto a quello là che stava facendo una sciocchezza, ma ormai la frittata è stata fatta. Lo sai che può essere di una testardaggine spaventosa … Comunque, non tutto è perduto, ma se fosse solo per le vostre teste dure … Allora posso darti un consiglio?» la  mia amica, una mano poggiata sul fianco, l’altra che brandiva un mestolo di legno, sembrava piuttosto battagliera, ed avevo quasi timore nel dirle: «Bhè certo, l’ho chiesto io dopotutto …»

«Andate a fare una passeggiata insieme e parlatevi, parlatevi fino allo sfinimento.» alle sue parole l’avevo guardata con terrore scuotendo il capo. Lei allora aveva insistito con aria saccente: «Ma di cosa hai paura? Lui ti ama quanto te, solo che ha bisogno di uno scossone ecco tutto. Fidati, fra poco sarà di ritorno, andrà tutto bene, non preoccuparti. Se ti senti più tranquilla sarò nelle vicinanze.» concluse serafica. Mi ero voltata verso Esme in cerca di conforto, ma con orrore avevo visto che annuiva. «Certo Bella, gli uomini a volte hanno bisogno di un piccolo incoraggiamento, ed Edward non fa eccezione. Inoltre tieni conto che è molto turbato per averti fatto soffrire così tanto. Non credo che se lo perdonerà molto facilmente. Anche lui è insicuro, nonostante tu fatichi a crederlo.»

 L’avevo fissata assorta.

Edward insicuro proprio non ce lo vedevo. Quale donna avrebbe potuto resistergli?Ma forse … forse Esme non aveva tutti i torti, in fondo lo conosceva bene.

Avevo ripensato ai sonetti che avevo letto nella sua camera. Quelle parole dolci e struggenti erano dedicate a me sul serio?

Ero così confusa! Una parte di me voleva buttarsi tra le sue braccia, ma l’altra titubava, nel terrore di un rifiuto. Non riuscivo a togliermi dalla testa la sua espressione quel giorno nel bosco, le sue parole che avevano spezzato tutta la mia fiducia.

Avevo paura. Di non essere abbastanza, di non essere alla sua altezza, di non riuscire a catalizzare la sua attenzione su di me. Forse paure naturali, ma in una coppia normale, non in una come la nostra.  

L’atmosfera si era fatta notevolmente più distesa quando Esme era passata a confidarmi alcuni episodi della sua vita con Carlilse in cui l’insicurezza aveva avuto la meglio su di lui, e così Alice con Jasper. Edward era arrivato proprio mentre sorridevamo al racconto di come Jasper avesse trascorso una settimana fuori dalla loro stanza per aver confuso l’anniversario del loro matrimonio con il compleanno di Alice.

Quelle chiacchiere avevano avuto il merito di alzarmi il morale e farmi rilassare, ma sentire che lui era arrivato mi aveva fatto tornare immediatamente con i piedi per terra.”

Ero riuscita, intanto, ad alzarmi in maniera traballante e fissavo muta la scena che si presentava ai miei occhi. Edward e quell’animale si misuravano con furia, ma non mi sfuggì che lui si era posizionato in modo da frapporsi fra me e il lupo. Ciò nonostante non potei non notare la stranezza di alcune circostanze: quel lupo che stava ritto comodamente sulle due zampe posteriori sembrava avesse un aspetto “umano”. I suoi occhi castani mi scrutavano attenti, sembravano … addolorati.

Riflettevo su cosa fare per poter aiutare Edward, quando una voce profonda mi raggiunse dal bosco dinnanzi a me.

«Fratello devi farti da parte. Lei ha scelto e tu devi ritirarti. Non complicare le cose». Non conoscevo la persona che aveva parlato e non riuscii neanche a vederla. Vidi il lupo scuotere il capo, scoprire di più le zanne con il muso arricciato, e fare un passo verso di noi. Sentii il ringhio di Edward e capii che non si sarebbe fatto indietro. Tuttavia …, tuttavia sembrava che fosse titubante nell’attaccarlo e me ne chiesi il motivo, in fondo come vampiri vegetariani gli era capitato di uccidere molti tipi di animali, perché questo faceva differenza? Perché questa esitazione?

«Ascoltalo, è meglio per te. Non riuscirai mai ad avvicinarti a lei.» la voce di Edward era suadente, rilassata, ma non aveva mosso un passo. Ma che cosa succedeva, si metteva a parlare con quel mostro ora? Scossi il capo e feci un passo incerto indietro. I conti non tornavano, la testa cominciava a girarmi e sentivo che il respiro stava diventando difficoltoso.

Un rametto si ruppe sotto al mio piede e trattenni il respiro quando gli occhi dell’animale si posarono su di me. Sembrava che volesse sbranarmi.

D’un tratto altri due giganteschi lupi apparvero di fianco al primo.

Vidi la scena con terrore, il mio amore solo contro tre feroci animali nel tentativo di difenderci.

Il pensiero che potesse accadergli qualcosa, che potesse rimanere ferito nello scontro, mi gelò il sangue.

Una goccia di sudore mi imperlò la fronte. Non potevo rimanere lì impalata, dovevo agire.

Con la forza della disperazione mi gettai in avanti, non so con quale coraggio e con quali intenzioni, ma sapevo solo che non potevo sopportare l’idea di perdere Edward così, sotto ai miei occhi senza fare un tentativo per smuovere la situazione.

Successe tutto con una rapidità sorprendente. Le zampe del primo lupo furono su di me in un lampo e vidi solo di sfuggita l’occhiata d’orrore di Edward che non si era assolutamente aspettato la mia mossa e il suo grido straziante: «NOOOO!» nello stesso momento in cui un artiglio mi feriva il braccio. Sentii un strappo doloroso nel braccio, un calore viscido raggiungere la mano in un attimo, l’odore ferroso del sangue arrivare al mio naso e farmi girare ancor più la testa.

La presa del lupo si fece salda su di me.

Ghignò malignamente nel mio orecchio.

Morirò, pensai, ma se Edward si salverà allora  sarà il miglior modo per andarsene.

Riuscii solo a vederlo mentre alzava in alto i palmi delle mani con uno sguardo atterrito e pronunciava delle parole a voce bassa non so bene a chi, ma non riuscii a sentire nulla per il forte ronzio che avvertivo nelle orecchie.

Gli altri due lupi che si erano prostrati con il muso atterra e prima di perdere i sensi fissai bene nella mente gli occhi del mio amore nella speranza di riuscire a trasmettergli per una volta i miei pensieri:

Và amore mio, salvati e non pensare a me.

L’oro nel suo sguardo si cristallizzò fissandomi.

Poi, divenne via via più sfocato.

Fui inghiottita dal buio e svenni.

 

JASPER

Sul letto della nostra camera finalmente ritornata ai legittimi proprietari guardavo Alice di spalle frugare come un’ossessa nella sua enorme cabina armadio. Non mi stupiva affatto che non trovasse qualsiasi cosa stesse cercando. Se mi fossi avventurato lì dentro, mi sarei perso nelle centinaia di copriabiti, porta accessori, scarpe e scatole che ricoprivano ogni centimetro utile di spazio disponibile della cabina.

La sentii sbuffare e sorrisi. Stava per perdere la pazienza, era quasi al limite.

«Ma insomma era qui, ne sono sicura! Tu non è che ne sai qualcosa, vero?» Mi guardò da sotto il braccio lanciandomi un’occhiata sbieca.

«Ma figurati, io lì non ci metterò mai piede, puoi starne certa.» ero un po’ seccato con lei. Da quando Bella era nostra ospite mi aveva praticamente ignorato, presa dalla sua opera di riappacificazione. Non che avessi qualcosa da ridire, ma mi sentivo un po’ messo da parte e la cosa mi infastidiva. Sapevo che aveva fatto in modo di lasciarli soli, affinchè potessero finalmente parlare un po’ in pace, ma ero un po’ a disagio. Mi misi su un fianco e poggiai la testa sul palmo della mano. La osservai trafficare china tra delle buste enormi e la ammirai estasiato.

Era deliziosa. Con una gonnellina in jeans veramente striminzita, una impalpabile blusa bianca e le immancabili ballerine ultimo grido era semplicemente l’eleganza e la grazia fatte persona. Preso da un fremito incontrollabile mi alzai e mi diressi verso di lei. «Ma si può sapere cosa stai cercando?» le chiesi spazientito ed eccitato nello stesso tempo. Volevo che la sua attenzione fosse rivolta a me non a dei pacchi inanimati.

«E’ un regalino che ho preso a Bella ieri … l’avevo messo qui, ne sono sicura, o forse, dietro la Gucci nuova …» mi rispose lei sempre con la testa tra i pacchi. Inclinai i capo verso il basso e chiusi gli occhi. Non c’erano speranze per quella vampira.

«Che ne pensi di andare a fare un giro fuori, magari andiamo a dare un’occhiata ai due piccioncini, giusto per sicurezza, potrebbero avere bisogno di un accelerata …» suggerii io speranzoso. In realtà percepivo chiaramente lo stato d’animo di mio fratello, molto meglio di quello di Bella, probabilmente per una questione di affinità. Edward era molto emozionato, speranzoso e preoccupato, ma era più che naturale. Speravo solo di suscitare la curiosità di Alice e riuscire ad allontanarla dalla camera, visto che ci stavamo intrattenendo lì solo per motivi futili …

«Ok, dammi ancora un attimo …» si affrettò a dire lei.

Mi incamminai verso la porta e la stavo aprendo, quando Alice si raddrizzò, tirò un forte respiro e mormorò con gli occhi vacui: «Bella …».

Fui subito vicino a lei e l’aiutai a sedersi sul letto. Stava avendo una visione.

«E’ … sparita.» sussurrò con un filo di voce. La guardai e un momento prima che mi arrivasse la cascata di emozioni dall’esterno mormorai tra i denti: «I licantropi.»

Mi fissò e disse: «Jazz oltre il fiume, dobbiamo sbrigarci».

Corremmo come il vento ma arrivammo tardi.

Sentimmo nelle vicinanze solo la voce di Edward che ci diceva di essere cauti, quindi rallentammo l’andatura e ci avvicinammo a passo più lento.

Scorsi Jacob in versione licantropo con Bella svenuta tra le sue braccia, Edward a mani alzate in segno di resa e due lupi che erano evidentemente sotto il comando di un ordine alpha, perché erano accucciati come trattenuti da una forza invisibile.

Sentii nell’aria un vago odore ferroso, anche se ero contro vento e mi bloccai.

Sangue. Non potevo proseguire, smisi di respirare.

Sondai le emozioni di Jacob, ma era totalmente fuori di sé. Non appena mi vide, si rizzò sulle zampe, si voltò e fuggì via nel bosco.

Accidenti a me e alla mia boccaccia, se non gli avessi detto del mio potere … ebbi solo il tempo di  pensare con sincero rammarico.

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Capitolo 22
*** RAPIMENTO ***


NOTA DELL’AUTRICE: Alleluia, alleluia!!! Per la prima volta ho ricevuto ben otto, no dico OTTO recensioni! E, a parte le mie fedelissime, anche nuove commentatrici, si aggiungono alla lista. Grazie, me felice …

Allora mi sono detta: M.Luisa, che fai non aggiorni? Vorrei rispondere con maggiore dettaglio alle vostre recensioni, ma stamane il tempo mi è contro. Mi sono alzata alle sei e ho preso subito a scrivere. Perdonatemi se non sono così accorta come voi …

keska, Giulia miao, Ale78, lory_lost_in_her_dreams: Raga, che dirvi, siete la mia gioia. Godetevi questo cap. è bello lungo. Kiss endif

Bellas, StElLiNa_LoSt, anna cullen: Su, non prendetevela con Jacob, è un lupacchiotto in fondo, in balia dei suoi ormoni impazziti … Senza di lui Edward sarebbe un po’ “moscetto”. Cmq abbiate fede, non vi deluderò. Baci endif

Gazy: Mia cara Rita, è vero su tuo consiglio faccio occhio a più dettagli. Grazie davvero. Non so bene come gestire il mio Jacob furioso, ma non ho per lui tutta la passione che invece nutro per Jasper. Hai ragione ancora una volta, secondo me è uno dei personaggi più affascinanti, criptici, tormentati e passionali della saga di zia Stephie. Mi serve per cambiare registro quando la storia si impantana un po’, è il mio Deus ex machina. Lo adoro letteralmente. Per ciò che riguarda la tua ficcy, non mi sento affatto costretta a leggerla solo perché mi commenti, e non ho pensato neanche per un istante che tu volessi farti pubblicità. Sei troppo corretta. Ma sai, leggendo i tuoi commenti mi sono chiesta “quanta passione alberga nel cuore di una ragazza così attenta e sensibile?” E sono andata alla ricerca delle tue storie. Ora sto preparando la mia recensione sferzante, non sarò clemente … Scherzo ma ho divorato la tua ff con voracità ed ora mi sento ubriaca …

Bacioni M. Luisa

CAP. 22

RAPIMENTO

 

ALICE

Non appena Jacob si era allontanato, i due lupi accasciati a terra si erano alzati e dopo essersi ritrasformati nel bosco poco distante da noi, erano subito ricomparsi sul luogo del misfatto.

Jasper si era fatto vicino ad Edward che aveva il viso livido dalla rabbia e dalla furia e non aveva ancora mosso un passo. Si era impietrito non appena Bella era stata afferrata da Jacob nel timore che quest’ultimo, sentendosi braccato, avrebbe potuto farle del male anche senza volerlo, ma tale decisione, seppur razionale l’aveva lasciato con un senso di impotenza e frustrazione più che comprensibili. Sentii Jasper che cercava di infondergli un briciolo di calma, ma lui si voltò verso di noi, con gli occhi neri e spalancati e con un rapido scatto si fiondò verso l’albero più vicino. Mise il palmo sinistro aperto sul tronco e con un grido di rabbia lo passò da parte a parte con l’altra mano chiusa a pugno.

I due Quileutes lo osservarono muovendosi un po’ agitati, ma non fuggirono via.

«Edward, la ritroveremo, vedrai …» cercai di consolarlo io.

«Puoi scommetterci. Non avrò pace fino a quando non staccherò la testa dal corpo di Jacob Black …» la sua voce era tetra, gutturale, gli occhi erano allucinati, non sembrava lui.

Mi girai verso i due giovani. Erano poco più che ragazzi.

«Sapete dove potrebbe essersi diretto?» chiesi con voce tagliente. Io ero completamente cieca in questo frangente e non avrei potuto vedere nulla neanche con la massima concentrazione.

«Possiamo essere in contatto mentale con lui solo quando è in forma di lupo. Adesso si è ritrasformato, è tutto inutile. Paul ed io non abbiamo potuto far nulla quando ci ha intimato di non interferire, siamo mortificati. Davvero.» disse il più grosso. Poi, rivolgendosi ad Edward aggiunse: «Mi chiamo Sam, ho guidato io Jacob nella sua trasformazione, ma lui è un alpha per diritto di nascita, se non ritorna in sé non potrò far molto per aiutarti. La sua volontà è per me un ordine a cui non posso sottrarmi. Ma farò qualunque cosa per evitare uno scontro tra le nostre fazioni. Conosco molto bene il patto e desideriamo rimanere in pace.»

Edward lo guardò con freddezza, con alterigia e disse con voce a malapena contenuta: «Io me ne infischio del patto, quando ritroverò quel cane lo ridurrò a brandelli con autentico piacere.» si voltò e sparì diretto verso casa.

Presi il cellulare e composi un numero mentre lo seguivo insieme a Jasper. Al secondo squillo una voce rassicurante rispose: «Ciao Alice, c’è qualcosa che non và?»

«Carlisle abbiamo un problema. Anzi due. Credo che faresti meglio a rientrare.» uno schianto tremendo sottolineò le mie parole, poi, un rumore di vetri infranti e aggiunsi repentinamente: «Jacob Black ha rapito Bella ed Edward stà demolendo casa.»

 

ESME

Ero rimasta in un angolo vedendo mio figlio rientrare come una furia da solo passando attraverso la portafinestra chiusa, mandando il doppio vetro in frantumi e cominciando a fare a pezzi i mobili di casa. Non avevo pronunciato nemmeno una parola, conoscevo abbastanza Edward da sapere che era inutile in questo momento cercare di calmarlo. Il cuore mi si spezzò quando il mio splendido tavolo di ebano intarsiato si accasciò di lato sotto un suo pugno.

Sospirai.

Ero ormai avvezza agli scoppi d’ira dei miei figli, e, nonostante sapessi che Emmet sarebbe ritornato da un giorno all’altro dall’Europa, ero riuscita a bearmi di un lungo periodo di pace. Scossi leggermente il capo afflitta. Ovviamente qualcosa era andato storto. Lui parve riscuotersi un attimo recuperando un barlume di lucidità e mi fissò.

Era il momento giusto.

«Edward …» lo chiamai con voce dolce, mi rattristava vederlo così in pena. « Le cose non sono andate bene con Bella?».

Pur desiderando la felicità dei miei figli li rispettavo troppo per interferire con le loro vite e mi ero mantenuta debitamente a distanza sapendo che lui e Bella erano andati a passeggiare oltre il giardino. Avevano bisogno di ritrovarsi, di perdonarsi a vicenda e troppe voci in mezzo non avrebbero fatto altro che rendere le cose più complicate di quello che erano già. La strada che avevano deciso di percorrere insieme era fino ad ora già stata dura e si prospettava ancora più irta per il futuro. Ma quei due giovani si amavano, ed Edward era rimasto solo così a lungo …

«Io lo ammazzo, lo ammazzo con le mie mani …» parlava molto velocemente segno della sua grande agitazione e saettava nervosamente da un lato all’altro del salone fermandosi di tanto in tanto per battere il pugno su qualche mobile o sui muri.

Cercai di mantenere la calma. Era un atteggiamento che avevo imparato ad usare da Carlisle in casi di emergenza, dove la confusione poteva definitivamente segnare le sorti di una situazione piuttosto che un’altra. Se mio figlio voleva uccidere qualcuno le mie urla isteriche non avrebbero certo contribuito a farlo ragionare.

Non mossi neanche un muscolo, ma non gli tolsi gli occhi di dosso. Era davvero sconvolto, sembrava impazzito.

«Edward, è successo qualcosa a Bella?» a parte la preoccupazione per lui, cominciai ad andare in ansia per lei. Solo una tale evenienza poteva spiegare lo stato in cui era mio figlio in questo momento.

«Sì maledizione, quel bastardo l’ha portata via contro la sua volontà! E poi, le ha … ferito un braccio.» parlava a fatica, cercando di deglutire il veleno che sapevo gli stava invadendo la bocca. «Se la tocca, se le fa del male, io …, io …». Si appoggiò al muro con una mano e si prese il capo nell’altra. Mi avvicinai silenziosamente e, appoggiandogli una mano sulla spalla, gli chiesi con un filo di voce un po’ tremula: «Chi l’ha portata via?»

«E’ stato quel cane di Jacob Black e non abbiamo potuto fare nulla per impedirlo.» mi rispose Jasper buio entrando in salone dalla nuova apertura creata da Edward e calpestando i frammenti di vetro sparsi a terra. Osservai Alice che lo seguiva a testa bassa e pur non disponendo di alcun potere capii subito che si sentiva tremendamente in colpa per l’accaduto.

«Oh Alice, tesoro, non è colpa tua. Quando ci sono i licantropi sai bene di non riuscire ad avere visioni e di non poter cogliere gli eventi futuri con un anticipo discreto. Non affliggerti così, aspettiamo che arrivi Carlisle, lui saprà cosa fare.»

Nei seguenti dieci minuti ringraziai Jasper e il giorno in cui aveva incontrato Alice, poiché il più incontenibile dei miei figli presenti era rimasto immobile sul divano con lo sguardo perso nel vuoto e la mascella serrata, senza minacciare la sua incolumità, la nostra e quella del mobilio sopravvissuto a questo uragano.

Quando mio marito entrò e si diede una rapida occhiata intorno, con la calma e la freddezza di nervi che lo contraddistinguono disse ad Edward e a Jasper di seguirlo nel suo studio. Non che questo servisse a dare loro riservatezza, ma permetteva a me e ad Alice di riportare una parvenza di ordine nella casa, mentre loro cambiavano aria e decidevano il da farsi.

Ci mettemmo subito all’opera e dopo circa mezz’ora loro riemersero dallo studio.

Edward sembrava aver ripreso un po’ di lucidità, ma con la vicinanza di Jasper non potevo immaginare il contrario. Subito dopo Carlisle uscì di casa con la sua valigetta lanciando una lunga occhiata in direzione del figlio che annuì impercettibilmente e con fare rassegnato. Jasper lo seguì dopo un istante. Non avevamo potuto cogliere tutta la conversazione dato che ad Edward si erano rivolti con il pensiero, ma dalle parole di Jasper e Carlisle era chiaro che in quel frangente quest’ultimo avrebbe dovuto agire in prima persona.

Edward non si trattenne neanche un secondo dopo che suo padre e suo fratello erano usciti, e a passo umano lo vidi avviarsi lungo le scale diretto in camera sua.

Non avrei potuto piangere, ma guardandolo andar via a capo chino, sentii ugualmente il mio cuore stritolarsi in una ferrea morsa di dolore.

 

CARLISLE

Avevamo preso la Mercedes e avevo lasciato che mio figlio si mettesse alla guida. Rimpiansi la mancanza di Edward ma solo per un attimo. Le sue capacità ci sarebbero state davvero utili, ma non potevo fare completamente affidamento su di lui perché era troppo coinvolto e furioso con il giovane Black.

L’auto scivolava silenziosa lungo l’autostrada.

Ritornai con la mente al giorno in cui stipulammo il patto proprio con l’antenato di Jacob, Ephraim Black.

“Quel giorno di circa settanta anni prima ci eravamo spinti a caccia fino alla riserva di La Push. Era un ottimo posto per cacciare soprattutto per Emmet, perché da neonato qual era da poco, aveva una forza e velocità impressionanti e lì c’era davvero un’ampia scelta di animali da cacciare che potevano tenerlo occupato per un po’. Ricordai con un sorriso la sua espressione quando aveva avvertito l’odore del sangue umano per la prima volta, proprio lì alla riserva. I suoi occhi da rosso diluito per la recente e abbondante caccia erano diventati neri e aveva annusato l’aria con ingordigia. Edward ed io ci eravamo guardati con ansia, perché sapevamo che non avremmo potuto far nulla per fermarlo se si fosse lanciato al seguito della scia. Nello stesso tempo anche noi due e Rosalie che ci aveva accompagnati ci sentivamo tentati, ma non quanto avremmo dovuto in quelle circostanze.

La caccia, la perdita della razionalità ed il sopravvento dell’istinto più puro … Qualcosa non andava, che non fosse sangue umano?

La risposta venne al nostro cospetto subito dopo. Si trattava di licantropi.

Ero l’unico tra di noi ad averne mai visto uno grazie alla mia permanenza a Volterra e all’odio che Caius provava nei loro confronti, e sapevo che erano i soli esseri in grado di poterci ferire o uccidere, a parte i vampiri stessi.

Avevo lasciato i miei figli, così li avevo sempre considerati, un po’ in disparte e mi ero fatto  innanzi per parlare al capobranco, sperando di riuscire in tempo ad evitare uno scontro. Con la coda dell’occhio avevo visto Rosalie ed Edward pararsi di fronte ad Emmet. I miei ragazzi avevano coraggio, era innegabile.

Ephraim Black mi aveva guardato con circospezione. Al suo seguito c’erano altri due licantropi in forma di lupo che tremavano tesi rimanendo in disparte. Lo osservai anche io con sguardo fermo. Era inutile chiedere se fosse lui il capo.

Aveva l’espressione autoritaria a fiera di chi aveva molto combattuto senza risparmiarsi mai e l’atteggiamento protettivo nei confronti della sua gente, che lo rendeva disposto anche al sacrificio pur di difenderli. Non aveva spinto i lupi innanzi per intimidirci, no si era fatto lui avanti, e per giunta in forma umana. Lo apprezzai per questo.

Avevo chiesto mentalmente ad Edward se riuscivano a tenere Emmet e lui aveva annuito impercettibilmente.

Io ed Ephraim avevamo parlato per poco tempo e a debita distanza. Il patto fu una scelta conveniente per entrambi: noi saremmo potuti rimanere a Forks e anche ritornarci, i quileutes avrebbero mantenuto il loro diritto sovrano all’interno di La Push e salvaguardato l’incolumità degli umani. Ovviamente avremmo dovuto rispettare entrambi un confine di separazione ed evitare gli scontri tra le nostre due specie.  

Ci stavamo allontanando comunque con circospezione dai lupi quando mi ero chiesto cosa fosse riuscito a trattenere Emmet dall’attacco. E, dopo avermi letto nel pensiero Edward mi aveva risposto così: «Ha pensato che se questo è l’odore degli umani, non gli dispiace poi tanto diventare vegetariano …».”

Mi riscossi accorgendomi che eravamo entrati a La Push.

Era stato deciso di recarci a casa di Billy Black, valicando il confine in via eccezionale, e avevamo già preso accordi con Sam per organizzare l’incontro. Sapevo che Jacob non avrebbe fatto del male a Bella intenzionalmente, ma sapevo anche che adesso era ferita e che era necessario che la visitassi. Una volta sul posto avrei cercato di far ragionare il giovane quileute con calma, sperando che la corsa gli avesse già schiarito le idee.

Parcheggiammo l’auto dietro l’abitazione dei Black. La porta in veranda era socchiusa. Entrammo, eravamo attesi e trovammo Billy sulla carrozzina con sguardo afflitto, Sam e Paul seduti in cucina che ci fissavano tesi.

«Billy, ragazzi …»feci io a mò di saluto. I giovani mormorarono un saluto un po’ imbarazzati, Billy non si mosse. Attendemmo fin quando Sam disse: «Billy sa dove è andato suo figlio, ma ha deciso di non dirci nulla se non gli promettete che sarà solo lei, dottor Cullen, ad andare lì.»

Guardai Jasper e velocemente lui uscì.

Mi voltai verso l’anziano quileute e dissi «E sia, lo prometto.»

Alzò verso di me i suoi occhi acuti immersi nel viso arso dal sole e pieno di rughe profonde. Mi scrutò attentamente probabilmente chiedendosi se poteva fidarsi e sospirando disse in fine:

«E’ sulle montagne di Goat Rocks.» Poi aggiunse con sforzo evidente: «Non fargli del male, è soltanto giovane e crede di amarla.»

«Non è mai stata mia intenzione, hai la mia parola». Dissi io deciso.

Mi voltai e mi diressi all’auto dove sapevo che Jasper mi stava aspettando. Aveva sentito tutto naturalmente e salimmo in macchina insieme partendo alla volta della strada per le montagne rocciose. Alla prima diramazione sotto l’insegna Forks – Goat Rocks lo feci scendere.

Dovevo proseguire da solo.

Non erano trascorsi neanche cinque minuti che il telefono cominciò a squillare. Lessi sul display il nome di Alice. Non era affatto un buon segno.

«Carlisle, devi sbrigarti. Edward mi ha letto nella mente la visione di te che lasciavi Jasper all’incrocio con la strada per Goat Rocks e si è fiondato fuori dalla finestra. Non siamo riuscite a trattenerlo, mi dispiace.» la sua voce agitata mi fece capire che la presenza di Jasper in casa avrebbe forse avuto maggior utilità che a La Push in quel frangente.

Strinsi i denti e spinsi a fondo l’acceleratore.   

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Capitolo 23
*** GOAT ROCKS ***


NOTA DELL’AUTRICE: grazie a tutte per gli splendidi commenti che mi avete lasciato. L’Edward furioso vedo che riscuote un gran successo! Accogliendo i consigli che molte mi hanno dato ho cercato di mantenere un buon livello di suspence, ma non riesco ad immaginare i miei amati lontani per troppo tempo, quindi questo cap è risultato un po’ più lungo degli altri e un po’ più movimentato. Forse avrei dovuto maleficamente dividerlo in due cap separati, ma già vedevo le accette volare dal mio monitor verso la mia testa…! Abbiate pietà del povero Jacob e anche del mio amato Jasper (ehi Rita, lui E’ funzionale alla storia, altrimenti vediamo solo Alice farla da padrone!! Un Kiss speciale per te per la tua sagace recensione. Uffi, mi fai sudare freddo quando leggo quanti orrori ho fatto!!! Ti mando una mail a breve).

Non mi dilungo ulteriormente, oggi mi aspetta una giornataccia.

Bacioni

endif

CAP. 23

GOAT ROCKS

JACOB

Avevo corso in forma di lupo per un bel pezzo, Bella svenuta tra le mie braccia, il vento che mi sferzava la faccia e mi accarezzava il lungo pelo dandomi un po’ di sollievo dal calore bruciante del mio corpo ancora molto teso per lo scontro sfumato.

Ripensai febbrilmente agli eventi delle ultime ore.

Ormai deciso a vedere la mia amata, mi ero spinto fino a casa Cullen, dopo che Charlie mi aveva ripetuto per l’ennesima volta al telefono che Bella non era in casa e che era in convalescenza presso amici. Avevo insistito a tal punto che lui, sfinito, mi aveva rivelato che si trovava presso i Cullen, ma che lì era perfettamente al sicuro e che Edward non era ancora tornato da Los Angeles.

Uno sbuffo stizzito mi era uscito dalle labbra. Perfettamente al sicuro, tra una setta di vampiri compiacenti e con il succhiasangue -pericolo numero uno- nella stessa casa, magari nello stesso letto?!!!

Il cranio mi era quasi scoppiato pensando a tutte le scene che potevano creare per ammaliare Bella, al lusso con cui le avrebbero accecato lo sguardo, nascondendosi per quello che erano in realtà.

Solo degli assassini senza scrupoli.

Quando avevo sentito che lei stava parlando con la sanguisuga nel bosco, oltre il fiume, mi ero bloccato. Quel tipo leggeva nel pensiero, forse poteva avermi già scoperto, e avevo atteso, ascoltando in più la loro conversazione.

Lui non si era accorto di me, forse perché era davvero molto preso dal discorso, fatto stà che avevo sentito nella voce di Bella il tentennamento quando le aveva chiesto di rivelarle se lo amasse ancora.

Che faccia tosta quel viso pallido! Dopo tutto quello che le aveva fatto passare! L’avevo vista deperire giorno dopo giorno, farsi sempre più taciturna, più triste, più spenta. E tutto solo a causa SUA! L’ira mi aveva accecato ed ero piombato in mezzo a loro come una furia.

A quei ricordi strinsi un po’ più la presa su di lei, ma mi fermai subito. Potevo farle male, le avevo già ferito un braccio che perdeva molto sangue. Cosa diavolo mi era preso? Allontanai quei ricordi dalla mia mente, una pioggerellina fine aveva preso a scendere e ci stava inzuppando pian piano.

Decisi di trasformarmi, per lei sarebbe stato molto più sicuro e la depositai con delicatezza su una roccia livellata.

In forma umana, ma completamente nudo a causa della trasformazione repentina, mi guardai intorno. Ero arrivato nei pressi di Goat Rocks, non mi sarebbe stato difficile trovare un ricovero vuoto, di quelli che i cacciatori usano di solito come luogo di rifocillamento durante  i lunghi giorni di caccia.

Camminai ancora per un po’, ne vidi uno in lontananza. Mi affrettai annusando l’aria intorno.

Nessuno. Bene era perfetto.

Entrai, le porte di quei luoghi non sono mai chiuse a chiave, e diedi una rapida occhiata in giro. Il posto sembrava non essere occupato da molto tempo, c’era polvere ovunque. La stanza era disadorna e scarna, con giusto l’essenziale per potervi trascorrere qualche giorno per riposarsi. Un tavolo di legno quadrato era al centro e due seggiole con la seduta in paglia ormai tutta sfibrata erano ad esso appoggiate. Addossato ad una parete vicino ad una finestrella con il vetro tutto sporco ed opaco c’era un armadio piccolo, dall’altro lato una brandina.

Mi avvicinai al giaciglio e scossi vigorosamente la coperta con una mano. Una nuvola di polvere si alzò facendomi pizzicare il naso.

Bhè non era certo l’Excelsior, ma almeno sarebbe stata al coperto.

Adagiai Bella sulla brandina che avevo appena sistemato. Guardai nel piccolo armadietto di legno sgangherato e vi trovai dei vestiti che, sebbene un po’ a fatica, mi sarebbero entrati. Decisi di mettermi solo i pantaloni.

Della camicia strappai una manica e cercai di pulire un po’ il suo braccio dal sangue rappreso. Appena la sfiorai, la ferita riprese a sanguinare. I segni delle mie unghie erano ben evidenti sulla carne tenera e bianca di Bella. Cercai di calcolare l’entità del danno, ma il sangue che riempiva i solchi non mi permetteva di fare una valutazione obiettiva. Presi l’altra manica e l’avvolsi dal lato più pulito intorno alla ferita. Strinsi bene e sperai che non si infettasse, ma sapevo che sarebbe stato difficile.

Fissai il suo viso. Era ancora priva di sensi, il colorito appena un po’ più pallido del solito, ma il respiro era regolare. Le scostai una ciocca di capelli umida attaccata al viso, e con la punta delle dita le carezzai una guancia. Piccola Bella, cosa ci stava succedendo? Tutto stava cominciando a girare per il verso giusto, fino a quando non era ricomparso quel vampiro da quattro soldi. La mascella mi si irrigidì al pensiero di quanto Bella doveva essere spaventata per non riuscire a dirgli di andarsene e di lasciarla stare, ma adesso, con me al suo fianco, le cose sarebbero andate diversamente. Non avrebbe dovuto temere di dirgli la verità, l’avrei difesa io.

La vidi rabbrividire e mi accorsi che doveva essere zuppa. Dovevo toglierle quei vestiti di dosso, altrimenti si sarebbe beccata anche una polmonite.

Mi resi conto che le mani mi tremavano un po’, mentre le slacciavo i bottoncini della camicetta. Mi pareva di stare per violare un santuario. Inspirai profondamente e continuai.

In fondo lo stavo facendo per il suo bene.

Dopo la camicetta venne il turno dei jeans. Li sbottonai e con molta cautela glieli sfilai. Non ebbi il coraggio di toglierle l’intimo, non credo che il mio cuore avrebbe retto, ma mi permisi una lunga occhiata al suo corpo quasi del tutto nudo e alla mia mercè.

Era stupenda, forse troppo magra, ma di una bellezza da mozzare il fiato. Il petto si alzava ed abbassava sotto il suo respiro, la curva morbida dei fianchi sembrava il dolce declino di una collina, le gambe, due lunghi e delicati fusi … La mia mano si era avvicinata inconsapevolmente al suo ventre piatto. Se l’avessi toccata solo una volta, lì in mezzo alle montagne chi l’avrebbe mai saputo? Con le dita tremanti le sfiorai la pelle vicino all’ombelico. Al contatto Bella si agitò un po’ e mi raddrizzai trattenendo il fiato. Presi la camicia da cui avevo strappato le maniche e gliela infilai. Raccolsi subito la coperta e la tirai su di lei coprendola del tutto.

Basta fantasie erotiche su di lei incosciente, le avrei solo mancato di rispetto comportandomi come uno scellerato. No, io Bella la volevo sveglia tra le mie braccia, volevo sentirla contorcersi sotto le mie carezze, urlare sotto i colpi della passione …

Mi alzai di scatto e uscii fuori a cercare un po’ di legna.

Avevo bisogno di schiarirmi un po’ le idee e accendere un fuoco nel vecchio focolaio tutto annerito, l’avrebbe tenuta al caldo, ora che era scesa la sera.

 

CARLISLE

Ero arrivato a Goat Rocks in tempo di record, ma sapevo che non potevo perdere nemmeno un attimo se volevo evitare uno scontro tra i due ragazzi. Edward era davvero molto veloce, ma io avevo il vantaggio di sapere precisamente dove era Jacob, dato che mi tenevo in contatto con Sam che mi aveva aggiornato non appena si era ritrasformato in lupo per cercare della legna intorno ad un ricovero per cacciatori a nord di Long River.

Lontano dall’influenza calmante di Jasper, Edward non era riuscito a trattenersi dopo essere venuto a conoscenza del luogo in cui Jacob doveva essersi rifugiato con Bella. Il suo comportamento impulsivo, dopo che mi aveva assicurato che se ne sarebbe stato ad attendere a casa, mi intristiva e non mi faceva presagire niente di buono. E, poi, sapevo che l’odore di Bella era molto più riconoscibile per lui che per chiunque altro.

Dovevo sbrigarmi. Ormai era scesa la notte.

Mi ero avvicinato ad un capannone dal cui comignolo usciva del fumo e dalla cui finestrella si notavano le ombre danzanti di un fuoco acceso. Sentivo chiaramente due battiti cardiaci, di cui uno molto accelerato, ma anche molto debole.

Mi affrettai.

Non ero neanche arrivato alla porta che questa si aprì e ne uscì il giovane quileute con gli occhi spalancati, le narici dilatate ed il respiro affannoso, chiaramente sulla difensiva. Mi aveva sentito arrivare e, vedendolo tremare vistosamente mi fermai lì dov’ero e dissi: «Pace Jake, sono qui per solo per aiutare Bella, non vogliamo che muoia dissanguata, giusto?»

Lui mi osservò di rimando e sarcastico disse: «Oh, no di certo, con me questa evenienza è sicuramente impossibile. Vorrei proprio dire lo stesso di voi vampiri…»

«Sono qui solo per visitarla e curarla. Sono un medico e sono completamente assuefatto all’odore del sangue umano, non temere. E direi che lei ne deve avere perso anche parecchio. E poi, ha la febbre. Molto alta credo. Deve essere curata subito, Jake.» continuai io ignorando la sua ironia. Quel ragazzo era solo molto spaventato dal gesto che aveva fatto rapendo Bella, e, in più era preoccupato per l’incolumità della ragazza. In fondo volevamo le stesse cose.

Riparare ai danni.

Inoltre era sfinito, dovevano essere giorni che non dormiva. Sostenni il suo sguardo ormai vacillante con fermezza e, non appena si fece di lato per farmi passare, entrai con rapidità all’interno.

La stanzetta era davvero fatiscente, l’aria impregnata di polvere e muffa e Bella era su un lettino malandato che si agitava tutta sudata.

Mi avvicinai e non ebbi bisogno di toccarle la fronte per valutare l’entità della febbre. A occhio e croce doveva superare i quaranta. Le presi delicatamente l’avambraccio tra le mani e lo sentii gonfio e bollente. Tumor e calor, i primi due sintomi dell’infezione …

Posai la valigetta ai piedi del letto e l’aprii per prendere una lunga forbice sterile e tagliai la benda intrisa di sangue rappreso. Scoprii la ferita che pur non essendo troppo profonda e necessitando di punti di sutura, non sarebbe stata poi gravissima, se non fosse stata completamente ricoperta di pus purulento. Era vistosamente infetta. Non me ne stupii, considerando la mancanza di disinfezione e la sporcizia cui era stata esposta. Mi misi rapidamente all’opera: lavai, disinfettai e chiusi i lembi con il minor numero di punti possibili. Il braccio era troppo gonfio per poter agire in maniera più approfondita, ma nessun tendine era stato reciso, sarebbero rimaste solo un paio di cicatrici. Le feci una iniezione di antibiotico e una di antipiretico, la ricoprii con la coperta sudicia e mi volsi verso Jacob.

Mi osservava seduto su una sediolina sgangherata, minuscola davvero per lui, con il capo tra le mani. Raccolsi tutti gli stracci che avevano un qualche sentore di sangue e li buttai nel focolare acceso. Adesso veniva la parte difficile, ma il tempo a mia disposizione era ormai davvero poco.

«Jake, ascoltami attentamente. La ferita di Bella si è infettata, le ho somministrato dei farmaci che le saranno utili, ma non può rimanere qui dentro, altrimenti peggiorerà. La febbre è molto alta e potrebbe avere le convulsioni …» mi morsi un po’ la lingua a questa mezza verità. In realtà le convulsioni febbrili sono indipendenti dalla temperatura raggiunta, anzi in chi è predisposto possono comparire anche a valori inferiori ai 38º C. Tuttavia c’erano altri tipi di complicazioni più difficilmente comprensibili per i non addetti ai lavori che potevano comunque sopraggiungere ed essere infinitamente più gravi, lesioni meningee e via dicendo … Speravo di intimorirlo vista la giovane età ed infatti impallidì visibilmente. Incalzai evitando di menzionare l’arrivo imminente di Edward per non scatenare l’istinto di competizione.

«Ho l’auto qui vicino, la portiamo insieme all’ospedale dove la sorveglierò personalmente.»

Jacob mi guardava come ipnotizzato e continuava a non profferire parola. L’impazienza cominciava ad impadronirsi di me. Sentii il cellulare vibrare nella tasca interna della mia giacca. Lo afferrai e risposi: «Tra cinque minuti il suo futuro scomparirà» la voce di Alice fu chiaramente udita anche da Jacob che scattò in piedi. Era chiaro ad entrambi che stava parlando di Edward. Lui mi guardò con astio e cominciò a sibilare contro di me: «Mi ha mentito, volevate prendermi in trappola, ecco cosa volevate fare lei e suo figlio …»

«No, Jake ascoltami. Bella è davvero in condizioni gravi ed io voglio evitare uno scontro tra voi due. So che non era tua intenzione farle del male e so che vuoi solo proteggerla, ma conosco mio figlio e vuole per lei le stesse cose che vuoi anche tu. Lascia che la porti via in macchina con me, cercheremo di risolvere la faccenda tra uomini quando la mente sarà più lucida …» cercai di non tradire la minima agitazione, ma se si fosse giunti ad uno scontro non credo che sarebbe stato di Edward che mi dovevo preoccupare.

Jacob scuoteva il capo con gli occhi allucinati e iniettati di sangue. Guardava in direzione di Bella e guardava la porta in rapida successione.

Stava valutando la possibilità di fuggire via con lei.

Mi frapposi tra lui e la brandina.

«Stammi a sentire, Jacob, è meglio che vai via. Non posso permetterti di fare ciò a cui stai pensando. Hai la mia parola che ti terrò informato sulle sue condizioni di salute e quando starà meglio …» non riuscii a terminare la frase che la porta volò via verso l’esterno ed Edward si stagliò sull’uscio. La sua espressione furente mi diede l’esatta percezione della gravità di quello che sarebbe accaduto a breve.

Sentii un boato e vidi la trasformazione di Jacob avvenire tra un svolazzare di brandelli di tessuto di cui era composto il pantalone che indossava poco prima.

Senza emettere alcun suono, nel silenzio più totale vidi chiaramente mio figlio piombare sul lupo, prenderlo per il collo e scaraventarlo oltre la finestra. Per un occhio umano tutta la scena sarebbe stata invisibile, un veloce flash sfocato, ma io riuscivo a vedere tutti i loro movimenti distintamente.  La miriade di frammenti di vetro che si nebulizzò nell’aria come tanti piccoli diamanti, Jacob che faceva un volo di una decina di metri fino ad un albero, e un urto violento in cui dovette rompersi qualche costola perché ne sentii chiaramente il rumore e l’ululato di dolore.

Edward si girò verso di me e mi guardò con la furia negli occhi. Era una maschera di pazzia. Credo che mi avrebbe potuto attaccare automaticamente se non mi avesse riconosciuto, solo per il fatto di essere vicino a Bella. Fiutò l’aria e percepì i vari odori, ma, sebbene avessi cercato di eliminare quello che più di tutti sapevo l’avrebbe fatto impazzire, non ero riuscito ad allontanare il sentore di sangue che aleggiava nella stanza. Decisi che fosse meglio uscire all’aperto, nella speranza che l’aria fresca riuscisse a calmarlo.

Mi fiondai fuori e vidi Jacob che cercava di rialzarsi a fatica in forma umana. Non era riuscito a mantenere la sua trasformazione in lupo. Se ci fosse stato un altro impatto simile questa volta non si sarebbe più alzato.

Cercai di comunicare con Edward tramite pensiero.

Edward, dobbiamo portare Bella in un luogo adeguato. Le ho medicato la ferita, ma l’infezione è estesa. Non perdiamo altro tempo. Mentire con lui sarebbe stato inutile, le sue lauree e la possibilità di leggermi nel pensiero mi avrebbero smascherato in un attimo. E non avrei mai potuto non rivelare la verità completa sulla sua salute e lui lo sapeva.

Lascia perdere Jacob, lei non ti perdonerebbe se gli facessi del male. Continuai battendo sul tasto Bella. Sarebbe stato l’unico modo per far nascere in lui un po’ di compassione.

Lo vidi uscire a passo lento dal capannone, ma la sua espressione era alterata. Temetti, seppi che l’avrebbe ucciso. Si avvicinò a Jake che si reggeva a malapena in piedi e disse: «Potrei ucciderti con una sola mano e lo meriteresti. Ma per te ho altri progetti. Ci vedrai insieme giorno dopo giorno e questo per te sarà un castigo peggiore della morte. Ogni minuto della tua vita lo trascorrerai sapendo che ha scelto me e che lei è MIA. MIA E’ CHIARO!!» terminò con cattiveria.

Il giovane quileute lo guardò con un sorriso beffardo mentre faceva un paio di passi nella sua direzione. Vidi Edward stringere gli occhi in due fessure e cominciare a respirare più velocemente. Evidentemente Jacob gli stava mostrando delle immagini mentali che lo infastidivano.

Decisamente quel lupo non sapeva cosa significava battere in ritirata.

«Tu le hai tolto gli abiti …» il sibilo di Edward era terrificante, e vidi Jacob che, invece di indietreggiare gli si avvicinava ancora di più. Capii al volo ciò che mio figlio evidentemente non riusciva a focalizzare lucidamente.

Figliolo calmati, stà cercando solo di provocarti, vuole che tu perda le staffe. I miei pensieri erano pressanti.

Ma lui senza neppure guardarmi, con un sorriso sinistro e la voce glaciale disse: «A volte non si riesce a trovare ciò che si cerca …» si fermò un attimo, prese un respiro profondo e poi, continuò: «ma ci si imbatte in molto, molto di più …» e gli scaricò un potente manrovescio in pieno volto. Il viso di Jacob si spostò insieme al suo intero corpo facendo due giravolte su se stesso e nello stesso momento Edward disse: «Questo è per averla ferita involontariamente.» Avanzò lentamente verso di lui, mentre un rivolo di sangue colava tra le labbra del giovane quileute, riverso in terra che cercava di rialzarsi a fatica. «Ma per averla sfiorata intenzionalmente mentre era incosciente invece … invece, ti riserverò un trattamento davvero speciale.». Terminò la frase afferrando i suoi lunghi capelli e trascinandolo vicino ad un tronco d’abete. Lo portò con il viso all’altezza del suo viso e gli mise una mano alla gola.

«Hai paura di morire Jacob Black?» il capo inclinato leggermente di lato, gli occhi neri senza più alcun velo di lucidità, sembrava l’angelo vendicatore che interroga le sue vittime prima di sacrificarle.

Sentivo che tutti i tentativi fatti per scongiurare l’evento mi si erano frantumati tra le dita. Avevo sperato che i miei insegnamenti avessero lasciato un segno più profondo nell’animo di mio figlio. Guardai la scena rattristito: non sarei intervenuto mio malgrado. Avevo tracciato un sentiero per le loro esistenze, fatto di comprensione e compassione per la nostra natura che non doveva necessariamente alimentarsi di violenza e sangue innocente. Una strada difficile, piena di sacrifici,   ma batterla doveva essere una scelta autonoma dei miei figli, non un obbligo per loro da me imposto.

Sentii Jacob rispondere con la voce strozzata: «No, non temo la morte, se questo servirà a far aprire gli occhi a Bella …»

Dopo di ciò silenzio.

Ero in attesa di sentire lo scricchiolio dell’osso del collo di Jacob, quando la voce di Bella si udì flebile ma chiara alle nostre orecchie:

«Edward fermati, ti prego.» la guardai distesa in terra appoggiata con un braccio alla parte inferiore della porta. Si era trascinata fin lì con le poche forze che le erano rimaste. Guardai mio figlio e lo vidi immobilizzarsi. Ricominciai a nutrire qualche speranza.

«Tu non devi farlo … non sei un mostro.» le sue poche parole sortirono l’effetto che avrei voluto avessero avuto tutte le mie. Edward lasciò andare il corpo di Jacob all’istante e parve riacquistare un barlume di lucidità. Lo osservò dall’alto e disse con voce bassa ma udibile per lui e per me: « Ti giuro sull’amore che ho per lei che se la tocchi ancora, non ci sarà nessuno che potrà più fermarmi dall’infliggerti le più sordide torture prima di toglierti la vita. E ti assicuro che ne conosco davvero parecchie.»

Si girò, mi lanciò un’occhiata fugace e si diresse verso Bella che aveva perduto i sensi.

Si accovacciò su di lei. Con riverenza e delicatezza le scostò i capelli che le si erano attaccati al viso sudato e febbricitante.

Avvicinò le sue labbra alla sua fronte con gli occhi lucidi e dilatati.

Rimase così, immobile per un attimo.

Poi, presa Bella fra le sue braccia si diresse verso la mercedes senza dire una sola parola.

  

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Capitolo 24
*** APPUNTAMENTO SPECIALE ***


CAP. 24

APPUNTAMENTO SPECIALE

NOTA DELL’AUTRICE: Mie adorate e miei adorati, sono davvero lusingata dalle ben nove recensioni che avete deciso di donarmi, molte delle quali sono di nuovi commentatori. Grazie davvero, la storia procede ed è sempre bello sapere che l’interesse si mantiene vivo. Vorrei rispondervi singolarmente, ma ho impiegato il poco tempo a disposizione per completare un nuovo cap. Non me ne vogliate, vi prego, ma non posso proprio trattenermi, mi sono collegata solo per postare. Approfitto dell’aggiornamento per una piccola comunicazione: Cara Rita, ti ho inviato la mail che ti avevo promesso.

Vi bacio e vi abbraccio tutti: i 31 seguiti, gli 85 preferiti e tutti quelli che leggono.

Endif

 

 

EDWARD

Seduto sullo sgabello del mio pianoforte nel salotto di casa Cullen stavo intonando la melodia preferita da Esme in attesa che le ombre della sera si allungassero abbastanza da permettermi di rispettare quello che ormai era diventato il mio appuntamento serale fisso.

Fremetti di impazienza notando gli ultimi raggi del sole perdersi in lontananza tra gli alberi e creare dei giochi di colore strani e affascinanti sui mobili del salotto esposti alla luce dalla grande portafinestra spalancata. Le mie dita scorrevano rapide e sicure sui tasti del lucido pianoforte a coda, gli occhi chiusi a godere appieno di un raro momento di pace mentale. Carlisle era in ospedale, Esme in giardino a curare il suo adorato roseto, con la mente rivolta unicamente ai boccioli nascenti, Rosalie ed Alice a fare spese, Emmet e Jasper a caccia.

Ed io ero solo. Sorrisi tra me e me. Ancora per poco naturalmente.

Dopo gli eventi un po’ movimentati occorsi negli ultimi tempi, il ritorno alla “normalità” non era stato affatto semplice.

Durante tutta la convalescenza di Bella in casa nostra mi ero sforzato di mantenermi a distanza, rimanendo, però, sempre disponibile e facendole sentire costantemente la mia presenza. Ora che sapevo che la parola fine non era stata ancora scritta per noi due, avevo cominciato a pensare a come sistemare le cose per il meglio. Innanzitutto dovevo riapparire nella vita di Bella agli occhi di un padre che aveva visto la figlia soffrire per mesi. Non volevo aggravare il peso che il nostro rapporto aveva sulle spalle di lei che, ovviamente, stava male a dover mentire di continuo anche per cose banali come una passeggiata, uno scambio di parole in classe, o sedersi vicini a mensa.

Iniziai a corteggiarla come un innamorato folle e la cosa non mi dispiaceva affatto. Bella doveva ricominciare a sentirsi amata e desiderata con ardore dopo aver creduto per mesi che non l’amassi più e che l’avessi lasciata per questo motivo. Pur sapendo adesso razionalmente che non era la verità, il mio comportamento aveva minato la sua fiducia in se stessa e, inconsapevolmente tendeva a sottovalutarsi più di quanto non facesse già prima. Paradossalmente questo suo atteggiamento aveva attirato su di lei le attenzioni di un nugolo di ragazzetti col moccio che frequentavano la stessa nostra scuola.

Anche a questo andava posto rimedio. Non mi piaceva l’idea che Bella dovesse scorazzare sola su quel vecchio macinino che si ostinava a chiamare “la mia auto”, e volevo che fosse ben chiaro a tutti che non potevano osare troppo su quella che era la MIA donna.

Tempestavo la sua casa di telefonate nelle ore più assurde, le inviavo fiori rari, lettere d’amore … Bella era di una ritrosia affascinante. Sapevo che si compiaceva di essere trattata come una persona speciale, ma mi stupivo ancora di vederla meravigliarsi di fronte ai miei gesti, a volte anche un po’ troppo plateali, come amava ricordarmi Alice e sbeffeggiarmi Rosalie.

Come l’ultimo che avevo fatto.

“Due giorni prima le avevo ricoperto il pick-up di petali di rosa rossi e le avevo lasciato una poesia sul volante il cui foglio era trattenuto dal gambo di una rosa bianca piccola e delicata come lei. Mi ero appostato sul ramo dell’albero opposto al vialetto, da cui potevo avere un’ottima visuale senza rischiare di venire scoperto. Quando l’ispettore capo Swan era uscito per recarsi a lavoro era rimasto cinque minuti buoni con la bocca spalancata, immobile a fissare la distesa di fiori. Nei suoi pensieri c’erano fastidio, irritazione, incredulità, ma avevo letto anche compiacenza e ammirazione. Poi, scuotendo la testa si era infilato nella volante e si era avviato al lavoro.

Ma l’espressione di Bella quando era uscita rimaneva davvero impagabile. La sua deliziosa sbadataggine l’aveva portata persino ad aprire la portiera di quel vecchio macinino prima di notare la distesa di petali che le cadeva innanzi e che stava calpestando. Il suo sguardo aveva seguito la scia dall’asfalto, alle ruote, al copri motore e al parabrezza. Come suo padre la bocca le era rimasta spalancata per qualche minuto, l’aria imbambolata. Con una mano aveva sfiorato un piccolo petalo in bilico sullo specchietto laterale. Poi, notata la rosa ed il biglietto all’interno dell’abitacolo, aveva aperto un po’ di più lo sportello. Vi si era infilata a mezzo busto e preso entrambi con la mano che le tremava leggermente. Si era appoggiata al sediolino con le gambe ancora di fuori. Da dove mi trovavo potevo notare ogni dettaglio: il soffuso rossore alle guance che si andava man mano intensificandosi, il respiro un po’ più accelerato, gli occhi luccicanti …

Era emozionata, e nel notarlo avevo sorriso anch’io del suo stesso fremito.

Nello stesso momento in cui aveva aperto il biglietto l’avevo sentita inspirare profondamente.

Cercava il mio odore. Ma il suo olfatto umano non avrebbe potuto distinguerlo nel mezzo dell’intensità del profumo delle rose, al contrario di me che avvertivo il suo dolorosamente chiaro.

Quasi la sentivo sussurrare mentre leggeva piano le righe che poche ore prima avevo trascritto e che le avevo dedicato:

Alle nozze sincere di due anime

impedimenti non so. Non è amore

l’amor che muta se in mutare imbatte

o, rimovendosi altri, si rimuove,

oh no: è faro che per sempre è fisso

e guarda alle bufere e non dà crollo,

amore, è stella ai vaganti navigli,

nota in altezza, nel valore ignota.

Non è zimbello al tempo, s’anche a teneri

labbri s’incurva quella falce e chiude,

non tramuta con l’ore e i giorni brevi

ma inoltra sino all’estrema sventura

Se errore è questo, e su di me provato,

io mai non scrissi, e mai nessuno ha amato.

E.

L’avevo vista e sentita sospirare. Poi, come improvvisamente riscossasi da un sogno, si era raddrizzata e aveva cominciato a scrutare con occhi attenti il bosco proprio dalla mia parte. Non sapeva che ero lì, ma lo sentiva. Dopo pochi minuti, scuotendo un po’ il capo era salita in macchina ed era partita per la scuola.”

Sentii in lontananza il rumore della nuova auto di Alice avvicinarsi a casa. La sua mente era tanto gioiosa da sovrastare persino il turbo di un motore così potente quale poteva essere quello di una Porsche. E, il colore, poi …

“Mi era balenata in mente, solo la vaga idea di comprarle quell’auto e valutavo indeciso l’eventuale  colore, che lei si era fiondata sulle mie spalle con leggiadria. Con quelle due piccole e affusolate morse d’acciaio che aveva al posto delle braccia mi aveva arpionato il collo e, scoccandomi un bacio sonoro sulla guancia, aveva sussurrato solo una parola: «Gialla» ed era fuggita via come una saetta.” Questo accadeva dieci giorni prima.

Adesso mi trovavo ad osservare, attraverso la mente di Esme, il loro arrivo al garage. Sorrisi vedendo mia madre scuotere impercettibilmente il capo all’esaltazione di questa figlia un po’ scapestrata che cantava a squarciagola le parole di una canzone pop le cui note si diffondevano già alte nell’aria.

Mi alzai e mi diressi velocemente verso l’uscita opposta, ossia la porta d’ingresso. Se ero abbastanza fortunato …

Di partenza eh fratellino? Continuai a correre senza degnarmi di rispondere ai suoi pensieri.

Si, decisamente giallo era il colore che si addiceva ad un mostriciattolo come Alice …

 

BELLA

La mia ossessione, il mio tormento, il mio punto debole.

Tutte queste cose insieme erano per me la trigonometria, una materia che per quanto tempo e sforzi le dedicassi, sfuggiva inesorabilmente ed inevitabilmente alla mia comprensione.

La finestra spalancata per fare entrare la freschezza della sera, me ne stavo rinchiusa dal primo pomeriggio in camera mia, con una matita che mi infilzava i capelli tirati su in una specie di chignon da cui ricadevano ciocche ribelli, e un’altra che rosicchiavo disperatamente tenendola tra i denti.

La mia tenuta di battaglia consisteva in un corto pantaloncino grigio da ginnastica e un vecchio ma comodissimo toppino azzurro. Era la mise dei momenti difficili, una di quelle in cui mi ci trovavo veramente a mio agio. Alice sarebbe impazzita se mi avesse sbirciato in una delle sue visioni. Sorrisi maligna. Almeno in camera mia non aveva potere decisionale.

Mi agitai nervosa sulla sedia dinnanzi alla scrivania ed appoggiai la testa di lato, sul palmo di una mano. Il movimento creò ombra nel cono di luce proiettato dalla mia lampada da studio, e per un breve attimo il problema di trigo su cui rischiavo di bruciarmi gli ultimi neuroni sani, si oscurò anch’esso nella mia mente che prese a battere destinazioni più piacevoli.

Decisamente più piacevoli.

Aprii il cassettino laterale della scrivania e da sotto una pila di quaderni di scuola, estrassi l’ultima poesia che Edward mi aveva mandato il giorno prima. L’avvicinai al naso aspirando il profumo di carta pergamena ed un vago sentore di miele …

Che dolce che era stato a dedicarmi uno dei miei sonetti preferiti, quello che viene citato anche in Ragione e Sentimento, uno dei miei libri prediletti. E lui, non tralasciava niente, nemmeno il più piccolo dettaglio. L’auto ricoperta di delicati petali di rosa poi, un vero tocco di classe …

Gettai uno sguardo alla rosa bianca che aveva posto come fermo al foglio sul cruscotto e che avevo posizionato in un bicchiere sulla scrivania di fronte a me.

Candore, purezza, innocenza ... Forse era così che lui mi vedeva, ma io mi sentivo ardere di desiderio. Dopo che eravamo stati “interrotti” nel pieno delle nostre confessioni, gli eventi erano precipitati vertiginosamente. Il mio ritorno a casa era avvenuto non appena mi ero rimessa in salute, ma troppo rapidamente per i miei gusti. Per tutto il tempo Edward era stato presente, ma non quanto avrei desiderato. Era sempre attento ad ogni dettaglio, ad ogni mia necessità, ma era come se rimanesse in disparte in un certo senso. Non accennò neanche di sfuggita a ciò che era accaduto, a quello che ci eravamo detti, anzi che avevo detto, agli strani lupi … I miei ricordi del seguito erano sfocati, sbiaditi, avvolti in una nuvoletta di nebbia fitta e, tecnicamente, non eravamo più rimasti soli.

Sapevo da Charlie che Jacob aveva deciso di prendersi un po’ di tempo da trascorrere via. Non chiesi dove e lui non si domandò come mai Billy fosse stato così evasivo.

Chiusi gli occhi. Ripensare a Jake mi faceva male al cuore, ciò che gli avevo detto, la sua reazione alle mie parole … In effetti avevo sulla punta della lingua un milione giusto di domande, ma ero  anche molto presa dai nuovi eventi che si sovrapponevano ai vecchi interrogativi. Non avevo tanto tempo per riflettere e giravo per casa in ogni momento libero con un libro o degli appunti tra le mani. Tuttavia, Edward non permetteva che mi sentissi mai sola. C’era sempre un biglietto, un fiore, una poesia da qualche parte che mi aspettava: in cucina, nell’auto, in camera mia.

Mi sentivo lusingata. Era come un farmi partecipe, con il massimo della delicatezza e della grazia, che ero sempre nei suoi pensieri in ogni istante della giornata. Lui aveva un terrore maniacale di essere troppo pressante, ed io non avevo il coraggio di rivelargli che, invece, volevo proprio questo. Anelavo ogni minuto del tempo che potevamo trascorrere insieme, ogni respiro che potevo fare in sua presenza, ogni sguardo che avevo la fortuna di potergli lanciare. Ero io che avevo paura di svelare una natura eccessivamente ossessiva nei suoi confronti.

Ecco cos’era per me. Un’ossessione allo stato più primitivo. E adesso che ero sotto pressione lo era diventato ancora di più.

Guardai distrattamente l’orologio sul comodino. Le nove e ventisette. Già così tardi e non avevo combinato granchè … Sobbalzai mentre mi rigiravo verso la scrivania, perché nel farlo la finestra era entrata nel mio raggio visivo e mi ero accorta che non era l’unica cosa che vedevo in quella direzione.

Appoggiato al davanzale della finestra con una grazia ed un’indolenza tipiche dei più affascinanti ed eleganti felini mai esistiti, Edward Cullen mi guardava con un’espressione assorta, negli occhi un fuoco ed un calore che avrebbero potuto bruciarmi già da lontano, tanto erano intensi.

 

PS: Ovviamente la poesia è un sonetto di Shakespeare…!

endif

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Capitolo 25
*** LEZIONI PRIVATE ***


NOTA DELL’AUTRICE: Mie carissime commentatrici, devo dire che mi avete davvero stupito. Ho letto delle appassionate recensioni che mi hanno davvero riscaldato il cuore. Vi ringrazio. Vedo che ogni giorno c’è un seguito o un preferito in più e allora mi appresto con più zelo a scrivere un nuovo cap. Desidero rispondervi, nonostante abbia pochissimo tempo.

_zafry_: Grazie, sei un tesoro. Ormai è un bel pezzo che non macino più trigo, ma ricordo con orrore le mie lotte con la materia… non mi è stato affatto difficile impersonarmi in Bella! Ci fosse stato un bell’Edward con me! Baci

vasq: Grazie davvero per la tua recensione, sono molto contenta che ti sia piaciuta la mia versione di New Moon, penso anche io che sia uno snodo cruciale della saga della zia Stephie. E’ di sicuro il più complicato dei quattro libri, quello con tematiche più complesse da gestire … Da ora in poi, tuttavia dovrei cambiare titolo … ormai i nostri eroi si sono ritrovati! Ma si sa, certe esperienze ti cambiano e ti segnano profondamente… Potranno ancora essere quelli di una volta?! Spero che continuerai a seguirmi, ci conto! Kiss endif

Meticcia: Ehi cara piacere di ritrovarti!!! Concordo con te per l’opinione su Bella del day after Twilight. Ma in effetti l’esperienza di New Moon la marchia anche a fuoco, non trovi? A dirla tutta un paio di sberle gliele avrei suonate volentieri in alcune parti dei libri di zia Stephie, per questo ho preferito descriverla a modo mio. Felice che apprezzi!!!!! Gli altri personaggi, bhè Alice come non inserirla, e poi movimentano la storia. Jacob, effettivamente dà un po’ l’idea del bimbone cavernicolo, ma nel cap precedente credo di averlo riscattato un po’. Ue, era disposto a farsi massacrare da Ed pur di farlo scadere agli occhi di Bella…! Di sicuro un vero fissato!!! Cmq, ti ringrazio dello stoicismo con cui ti sei propinata tutti quei cappy insieme, sei una temeraria!!! Aspetto altri tuoi commenti, ci conto!!!! Baci endif

Gazy: Carissima Rita, non ti azzardare a dire che ti senti inutile!!!! Io ho preso ad immergermi nella storia come dici tu, solo da quando hai preso a recensirmi! Non mi abbandonare proprio ora che stiamo al giro di boa e si cambia rotta verso lidi nuovi e sconosciuti!! I tuoi consigli tecnici sono molto apprezzati ed utili, ma la storia ha bisogno di te, di una delle mie maggiori sostenitrici e critiche. Vero che Eddy è romantico da morire?!! E siamo solo all’inizio del loro ritrovarsi! Non è mia intenzione stillarvi anche l’unica goccia di pazienza che avete in corpo, ma a volte mi rendo conto che ne escono fuori dei cap enormi, di otto pagine, che si scrivono da sole, non appena mi decido a mettere nero su bianco. Pensi che dovrei postarli insieme? Mi sento in effetti un po’ sadica, ma non so proprio come fare, altrimenti rischio di aggiornare una volta al mese. Tu capisci, scrivo, poi rileggo, correggo, rileggo, aggiusto il paragrafo, rileggo … Help me, mi stò incasinando!!! Baci Maria Luisa

Bellas: Grazie cara, il tuo commento mi fa capire che sei una delle mie fedelissime, sempre presente e con una parola di incoraggiamento che mi aiuta ad affrontare la stesura di un nuovo cappy…Baci endif

titty88: Eh già, cosa faranno? Ma studieranno, è ovvio!!! Non posso farti soffrire ancora, leggi dai!!!

anna cullen: Magari lo avessi avuto anche io al liceo, e chi si diplomava più, facevo la ciuccia a vita pur di continuare lezioni private così, ma , soprattutto, con questo professore!!!!! Baci endif

CAP. 25

LEZIONI PRIVATE

 

BELLA

Lo fissavo inebetita mentre con un equilibrio chiaramente sovrannaturale se ne stava appollaiato sulle punte dei piedi, sul davanzale della finestra della mia camera.

«Scusami se ti ho spaventata, forse avevi dimenticato che dovevo darti una mano con trigonometria …» il suono della sua voce limpida che pronunciava quelle semplici parole sembrava conferire alla materia che tanto odiavo una magia ed un fascino tutte particolari. Era come se avesse detto che dovevamo sfogliare insieme il libro degli incantesimi di un mago misterioso …

«No, è che non mi sono ancora riabituata al silenzio con cui riuscite a muovervi.» adottai il plurale nel tentativo di usare il massimo della delicatezza possibile per non fargli notare che era al SUO movimento silenzioso che non sarei mai riuscita ad abituarmi, dopo che era stato via tanti mesi.

Lo vidi inarcare un sopracciglio e balzare agile e silenzioso sul pavimento. Mi sorrise e senza staccare gli occhi dai miei si avvicinò lentamente «Capisco.» disse.

Eh no caro Cullen non capisci proprio un cavolo, e se mi guardi ancora così non rispondo più di me. Ti stavo aspettando da tutto il pomeriggio … Pensai deglutendo piano.

Mi raddrizzai con la schiena sulla sedia e lo guardai afflitta. Dio come era bello! Avrei lanciato in aria i libri e mi sarei gettata su di lui come un’affamata, ma non potevo non apprezzare la galanteria con cui si era offerto di darmi lezioni private per non farmi perdere il diploma.

Il diploma! Mancava ormai una settimana agli esami finali ed io ero sempre più sconfortata. Avevo perso troppe lezioni, ma lui era convinto che non avrei avuto problemi.

Gli gettai uno sguardo nervoso senza avere il coraggio di mantenere i miei occhi sui suoi. Già, proprio nessun problema, eccetto che in questo momento avrei voluto avventarmi sul mio insegnante e mandare alle ortiche libri, lezioni e diploma …

«Vogliamo cominciare?» mi chiese con allegria chinandosi sul libro aperto sulla scrivania. Nel farlo avvicinò la sua spalla all’altezza dei miei occhi. Il suo odore mi stordì. Espirai, chiusi gli occhi e mormorai «Se proprio non possiamo fare altro …»

«Perché c’è qualche altra materia che ti dà noie?» corrugò la fronte ed una piccola, familiare ruga gli comparve in mezzo agli occhi.

Lo guardai stralunata. Ma che cavolo combinavo, gli stavo facendo delle proposte osè?! «No, no. Trigonometria è più che sufficiente. Cominciamo.» e sprofondai il volto paonazzo nel libro, sperando che la luce soffusa mi desse un po’ di privacy.

Passammo le successive due ore immersi nello studio.

La notte intorno a noi era quieta e silenziosa, la luce nella stanza proveniente solo dalla piccola lampada da tavolo creava strane ombre illuminando a malapena gli angoli più lontani e conferendo al suo viso un pallore ancora più accentuato. La mia tenuta succinta, ma comoda e fresca, mi faceva sentire completamente a mio agio.

Edward era di una pazienza e di una calma straordinarie. Aveva un talento innato nel rendere semplici anche le regole più ostiche, ma il problema non era lui, ma io. La mia concentrazione mi aveva salutato parecchio tempo prima e lo ascoltavo per il puro piacere di udire la sua voce melodiosa. Aveva lo sguardo professionale, e gli occhi seri e attenti. Il bronzo dei suoi capelli spettinati riluceva quando muoveva un po’ il capo indicando un passaggio sul libro. La maglietta nera a mezza manica ed i jeans strappati alle ginocchia gli conferivano un ricercato aspetto trasandato.

Bello e dannato … mi venne da pensare proprio come un’adolescente idiota.

Ad un tratto, si interruppe.

Lo guardai.

Panico. Mi aveva fatto una domanda e non avevo sentito un’acca.

«Bella se ho non mi sono spiegato interrompimi, non temere.» disse lui dolce e, dando un’occhiata all’orologio aggiunse: «forse è ora di riposare. Sarà meglio che vada. Continueremo domani sera.» E si alzò in piedi.

«NO!» dissi con troppa veemenza aggrappandomi ai braccioli della poltroncina da studio, quindi inspirai e aggiunsi con più pacatezza allentando la presa delle mie dita: «Non sono stanca, davvero. Continuiamo ancora un po’.»

Lui mi guardò con una strana espressione, si avvicinò piano e mettendomi da dietro le mani sulle spalle in un tocco leggero sussurrò chinandosi al mio orecchio: «Non sarai stanca, ma molto tesa sì. E’ da tanto che non ti prendi una pausa …».

I suoi pollici cominciarono a percorrere la base del mio collo scoperto in movimenti circolari, lenti e sensuali.

«Mmmm, in effetti una pausa non ci starebbe poi male.» E se la facciamo insieme, poi, è ancora meglio … i miei pensieri cominciarono a sbandare in direzioni pericolose. Chiusi gli occhi e lasciai che il suo tocco gelido e ristoratore mi desse un po’ di sollievo.

Calma Bella o rischi di non sapere più come fare retromarcia. Una vocina nella mia testa mi suggeriva di essere razionale, ma decisi che non mi importava … non più.

Le sue dita continuavano a danzare sulla mia pelle con una pressione lievemente più intensa, a voler sciogliere i muscoli. Un piccolo gemito di piacere mi uscì dalle labbra.

Lui si fermò e mormorò preoccupato: «Ti ho fatto male?»

«No, continua sei un mago …» pronunciai quelle parole in preda ad un’estasi sconosciuta. Lo sentii ridere sommessamente e riprendere il movimento. Chinai un po’ il collo in avanti effettuando una mezza torsione. Lo sentii esitare un attimo, poi il tocco cambiò impercettibilmente, si fece più profondo, più carezzevole. Ora le sue dita scorrevano dal collo alla schiena passando sulla spina dorsale.

Mai gelo fu più bollente di quello che le sue mani trasmettevano al mio corpo. Lì dove lui passava la pelle sembrava vibrare piano. Il mio respiro prese a velocizzarsi, ma a farsi anche meno profondo quando le sue mani dalla schiena scivolarono lievi davanti, sul collo. La punta delle sue dita dalla mascella percorreva il collo in tutta la sua lunghezza. Tutto con una lentezza esasperante, un erotismo tale che pensieri lussuriosi cominciarono a vorticarmi in testa.

Presi ad ansimare.

Poi, dopo un breve istante in cui sembrò fermarsi del tutto, la sua mano scese ancora un po’, fermandosi all’altezza del mio seno.

Il respiro mi si mozzò del tutto.

«Bella calma, il tuo cuore stà galoppando» cercò di dire con un po’ di leggerezza, ma non mi sfuggì il tono roco della sua voce. Era eccitato quanto lo ero io. Mi voltai lentamente e lo fissai negli occhi, due pozze nere e misteriose.

Mi voleva, glielo leggevo in viso con chiarezza. Era ancora chino vicino a me e, senza dar ascolto alla mia voce razionale che in questo momento mi urlava di scostarmi, allungai le braccia verso il suo collo e distesi il mio bacino in modo che il mio viso fosse quanto più possibile vicino al suo.

Non riuscivo a staccare gli occhi dalle sue labbra piene e carnose. Mi morsi il labbro inferiore, e piano, gliele sfiorai. Lo sentii trattenere il respiro.

Tentai ancora, non potevo essermi sbagliata. Volevo anche io una sua reazione. Mi avvicinai più decisa, ma con le labbra leggermente dischiuse. Il mio respiro, unito all’umidità della porzione socchiusa delle mie labbra sembrò non essere abbastanza coinvolgente per lui. Stavo per ritrarmi afflitta, non ero ancora pronta ad osare di più perché temevo troppo un suo rifiuto, ma la sua mano mi trattenne il capo con fermezza.

«Dio, sei così bella …» Nella tensione quasi tangibile tra di noi, inclinò il capo e cominciò a tempestarmi di piccoli baci sul percorso creato prima dalle sue dita. Lo sentivo diventare sempre più vorace, più impaziente, meno delicato. Si tratteneva a stento. Ero rimasta inizialmente perplessa, ma poi, l’esaltazione mi colse. Avevo deciso che non mi sarei accontentata. A qualunque prezzo.

Volevo di più. Mi inarcai verso di lui offrendogli meglio la porzione candida del mio collo.

Lo volevo e sentivo che anche per lui era così. 

Aprii gli occhi e lessi nel suo sguardo un desiderio di possesso e di violenza che non avrei mai creduto potesse albergare in lui. Sprofondò il viso nel mio collo ed inspirò profondamente una volta. Un’altra ancora e, poi, un’altra.

Rimanemmo così, sospesi tra la terra ed il cielo per un lunghissimo attimo.

Poi, si raddrizzò, ad occhi chiusi. Rimase immobile una frazione di secondo, li riaprì e guardandomi con calore mi prese una mano tra le sue. Avvicinò alle labbra il polso ed inspirò ancora, sempre con gli occhi fissi nei miei.

Infine, sussurrò: «Buonanotte, amore mio.» e, voltandomi il palmo all’ingiù si chinò con delicatezza a depositare un lieve bacio sul dorso della mano. Me la riposò con grazia sul ventre e sparì dalla finestra in un attimo.

Stavo per aggrapparmi alla sedia per darmi lo slancio necessario per fiondarmi alla finestra, ma solo allora mi accorsi che un bracciolo della poltroncina era scomparso, ridotto in polvere sul pavimento.

 

ALICE

Dopo una soddisfacente giornata all’insegna dello shopping sfrenato, mi stavo godendo il giusto relax in compagnia di Jasper. Ce ne stavamo seduti entrambi sulla stessa poltrona bianca del salotto. Le sue gambe erano distese al lato della mia spalla sinistra, le mie erano una piegata sotto il braccio di lui, l’altra distesa di lato alla sua spalla. L’uno di fronte all’altra ci guardavamo negli occhi da un paio di ore senza stancarci di quello che ci stava davanti. Le sue mani mi carezzavano lente e sensuali il ginocchio.

Lo adoravo. I suoi occhi ardevano della stessa passione ormai da decenni, non aveva mai avuto un cedimento, un tentennamento.

Quando i vampiri si uniscono, lo fanno per l’eternità e osservando il mio amore pensai che la nostra eternità non sarebbe stata abbastanza per contenere tutto l’amore, la passione, la felicità che ogni giorno lui sapeva donarmi. Ripensai al giorno in cui mi ero svegliata in forma di vampiro.

“Non ricordavo nulla della mia vita precedente, ma sapevo solo che delle lame arroventate mi dilaniavano la gola. Avevo sete, una sete incontrollabile. Mi ero lanciata su un gatto che passava vicino ad un cassonetto dell’immondizia nella lurida strada in mezzo a cui mi ero risvegliata. L’avevo dilaniato con le mani senza riuscire a riflettere sulle mie azioni, ma agendo puramente d’istinto. Quando avevo finito di bere anche l’ultima goccia del suo sangue, mi ero raddrizzata, avevo gettato quel corpicino esanime lontano da me e mi ero osservata le mani.

Le mie mani avevano appena ucciso, per quanto ne sapessi, per la prima volta.

Mi ero toccata un labbro e raccolto una gocciolina di sangue che stava colando giù. L’avevo leccata avidamente, poi mi ero fermata osservandomi le dita ancora sporche.

Avevo appena bevuto del sangue animale, anche questo, forse, per la prima volta.

Che razza di essere faceva queste cose?

Non avrei saputo dire quando avevo avuto l’esatta percezione della mia nuova natura, ma sapevo solo che era strana, nuova e, soprattutto pericolosa. Avevo vagato per non so quanto tempo in mezzo a boschi e luoghi solitari per mantenermi il più possibile lontano da altri individui, che sapevo essere diversi da me e per i quali avevo capito di essere letale.

Ma anche io ero spaventata da morire. Per non parlare di quando delle strane visioni avevano cominciato ad affollare la mia mente. Non dormivo mai, non mi stancavo mai, non mi ferivo, ma quando mi colpivano quelle immagini sentivo tutto: la mente si annebbiava come in un sogno, un atroce dolore mi avvolgeva e mi lasciava inerme e tremante. Rapidi flash si susseguivano, alcuni erano sempre simili, altri variavano di volta in volta. Su tutti l’immagine di una chioma leonina, un volto simile al mio, pallido, ma con gli occhi rosso cremisi.

La pace mi invadeva, la paura scompariva.

Era lui il mio destino, non avrei saputo dire con precisione quando, ma ero certa che prima o poi il nostro cammino dovesse procedere insieme.

Man mano che il tempo passava avevo capito che le visioni riguardavano il futuro. La maggior parte delle volte c’era il riscontro reale delle mie immagini, altre, invece, non si avveravano.

La sera che avevo incontrato Jasper avevo visto la bettola dove si era rifugiato proprio in una visione. Era molto turbato, con l’animo distrutto e il peso di troppa violenza vissuta sulla propria pelle da reggere sulle spalle. Quando ero entrata in quella locanda dello Yorkshire, sapevo di avere incontrato l’uomo della mia vita. Nessuna chiacchiera inutile, nessun convenevole. Mi ero avvicinata a lui e gli avevo chiesto il suo nome. Lui mi aveva risposto drizzando le spalle ed alzandosi in piedi da perfetto gentiluomo del sud che era il maggiore Jasper Witlock, ed era al mio servizio.

Che romantico che era!

Gli avevo preso la mano ed eravamo spariti nel buio della notte, consapevoli che ogni tassello era finalmente andato al posto giusto.

Da allora non ci eravamo mai separati.”

La mente corse immediatamente ad Edward e Bella. La loro era una storia complicata, anime gemelle, fatte l’una per l’altro come me e Jazz, ma appartenenti a due mondi diversi. Le mie visioni avevano percepito Bella diventare una di noi, ma Edward si era intestardito e si opponeva  con forza ad un evento che ritenevo ormai inevitabile. Se fossi stata sicura che avrei resistito, l’avrei fatto io stessa. Ma forse, era meglio che toccasse a Carlisle, con lui non avrebbe corso alcun pericolo.

Sorrisi tra me e me. Edward non avrebbe resistito per molto tempo ancora. Il suo desiderio di lei stava rasentando l’impossibile ed anche lui se ne stava rendendo conto pian piano. L’attrazione tra di loro era ormai palpabile a chiunque stesse nei paraggi. Per quanto si sforzasse di controllarsi ogni carezza, ogni bacio, poteva trasformarsi in un atto di violenza su di lei, così fragile, così umana.

Io gli avevo consigliato di trasformarla direttamente prima di rischiare di farle del male, ma lui mi aveva risposto che avrebbe trovato una soluzione alternativa.

Si, ma se si comportavano ancora come questa sera …

Mi ero stupita dell’autocontrollo di Edward, ma soprattutto della goffaggine di Bella! Quella ragazza era totalmente inconsapevole dell’effetto che gli faceva e del fatto che l’avrebbe potuto far capitolare con un niente.

La mano di Jazz si fermò sulla mia coscia, i miei occhi si strinsero in due fessure.

L’immobilità divenne assoluta.

Il silenzio fu interrotto dallo sbattere della porta d’ingresso. Un Edward in evidente stato d’agitazione piombò nel salone e si diresse in due falcate senza alcuna esitazione sul divano di fronte alla nostra poltrona. Vi si tuffò letteralmente sopra e, dopo aver inspirato ed espirato un paio di volte disse guardando Jazz dritto negli occhi: «Tu, devi usare un bel po’ del tuo potere sui miei nervi, e tu …» si girò con occhi fiammeggianti nella mia direzione « … tu non devi far vibrare nemmeno la più piccola e nascosta delle tua corde vocali per almeno due ore.».

Senza muovere null’altro che non fossero i nostri bulbi oculari, avevamo seguito la scena impassibili. Poi, all’unisono i nostri sguardi si incrociarono e una muta conversazione avvenne tra di noi.

«No, che non sono impazzito. Ma stasera c’è mancato un soffio che non le saltassi addosso per farla mia, senza curarmi delle possibili conseguenze.» disse lui affranto rispondendo ad entrambi i nostri pensieri e chinando il capo in segno di sconfitta.

Poi, l’alzò di scatto con gli occhi fiammeggianti e sembrò voler saltare addosso a Jazz: «Che significa “e allora”? Jasper, avrei potuto morderla, maledizione!» la sua voce era vibrante e su di tono.

Guardai mio marito osservare mio fratello con gli occhi colmi di comprensione. Lui più di tutti si  rendeva conto perfettamente del tormento che dilaniava l’animo di Edward.

Quando mi accorsi che quest’ultimo aveva chiuso gli occhi ed aveva appoggiato stancamente le spalle allo schienale del divano, mi sciolsi dalla posizione intrecciata in cui ero e, proprio senza muovere nessuna corda vocale pensai

E’ inutile che ti tormenti, fratellino. Ho già avuto una visione, solo il tempo è incerto, ma se vuoi potrei organizzare qualcosa … E gli mandai l’immagine che avevo avuto poche ore prima di Bella che ansimava e gemeva sotto il peso del suo corpo. non si riusciva a capire se era in forma umana o vampira. Ebbi giusto il tempo di scattare fuori dal salotto prima che lui allungasse una mano verso il mio collo e sbraitasse più agitato di prima: «ALICE, TIENI PER TE QUESTE VISIONI!»

La mia risata scampanellò a lungo mentre correvo via.

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Capitolo 26
*** NOTTE PRIMA DEL DIPLOMA ***


NOTA DELL’AUTRICE: Carissime, chiedo venia per il ritardo, ma l’importante è esserci. Vi rispondo velocemente, scusate la fretta, ma la mia chiavetta malefica salta in continuazione, ed ho paura di non riuscire a postare.

Meticcia: uela paesà, napoletana come me? Hai ragione tu eri la sadica, ma chi riconosce questa caratteristica negli altri lo è ancora di più (nella fattispecie io)… !!!!!! Abbi pazienza, il peggio deve ancora venire hi,hi,hi (anche se qui ci stava meglio la tua risata malefica!). Per quanto riguarda Alice, forse hai ragione: un po’ perversa, ma non è colpa sua. Per il gatto mi dispiace, ma mi sarebbe dispiaciuto ancora di più per un cane… Grazie per la lode, se viene da te ha un peso più che rilevante! Bacioni endif

vasq: Grazie cara, il tuo sostegno mi è di conforto.  A volte ho paura di incasinare tutto…!Baci endif

Gazy: Carissima, non so se ti sono arrivate le mie mail, c’era un piccolo consiglio che ti chiedevo, ma posto lo stesso con i tuoi suggerimenti preziosissimi, dato che ho terminato il cap successivo a questo. Sono felicissima che il cap precedente ti sia piaciuto tanto, ma penso che sia inevitabile affrontare il tema della trasformazione di Bella, anche se lo farò a modo mio… Ti saluto caramente M.Luisa

free09, titty88, Confusina_94: Raga, Eddy è un vero gentiluomo, non un arr…, date tempo al tempo. Sono felice che formiate un Alice’s  fan club, è uno dei miei personaggi preferiti. Fra un po’ vedrete cosa combinerà a Bella e ad Ed… Baci endif

CAP.26

NOTTE PRIMA DEL DIPLOMA

 

BELLA

Guardavo con aria costernata il letto sommerso dai miei abiti.

Nulla di ciò che ero riuscita a tirare fuori dall’armadio sembrava essere adatto all’occasione. In realtà non è che si dovesse vedere poi molto, con quelle orrende toghe che dovevamo indossare, ma sarei arrivata a scuola con i miei abiti e solo dopo mi sarei “intonacata”. Per la prima volta mi dispiacque non aver provveduto a comprare qualcosa di carino. Ci sarebbero stati anche Edward ed Alice per il loro ennesimo diploma, ma neanche con il più costoso degli abiti sarei riuscita a non sfigurare in loro presenza. Ero certa infatti, che non si sarebbero lasciati sfuggire l’occasione per starmi entrambi vicino, Charlie permettendo.

Mi morsi il labbro inferiore. Non ero stata così in tensione neanche per gli esami che avevo affrontato da sola! Quella volta, la “S” del mio cognome mi aveva relegata in un gruppo molto distante da quello in cui era contenuta la” C” di Cullen. Con mia enorme sorpresa, il compito di trigo era andato benissimo e  anche per le altre materie non avevo di che preoccuparmi.

Ero, quindi, giunta alla sera prima del diploma. Sbuffai seccata guardando tutto il disordine che avevo creato. Ancora speravo che qualche capo a me sconosciuto potesse miracolosamente fare la sua apparizione dall’angolo più nascosto del mio guardaroba.

E ora?

Storsi un po’ la bocca osservando la camicetta rossa con la gonna marrone che avevo appoggiato allo schienale della sedia senza braccioli della scrivania.

In mancanza di altro …

Feci spallucce e ripensai a quando Charlie, attirato da degli strani rumori, era entrato in camera mia qualche giorno prima, trovandomi seduta a terra che strattonavo con forza l’unico bracciolo sano dalla poltroncina.

“«Che fai di interessante, Bella?» Mi aveva chiesto con un falso tono noncurante. In realtà, dalla sua voce traspariva chiaramente tutta l’ansia di un’eventuale ricaduta emotiva, magari dovuta allo stress per gli esami. Non potendo certo rivelargli la verità, mi limitai a scuotere la testa e a dire: «Nulla papà, è che questi braccioli mi davano fastidio …». Lui aveva lanciato uno sguardo perplesso ai frammenti di tessuto ed imbottitura sparsi intorno a me. Poi, dopo avermi osservato per un lungo minuto, aveva deciso che non c’era nulla di che preoccuparsi se la mia isteria si riversava sul mobilio. Così girò sui tacchi e se ne andò aggiungendo solo un laconico «Evidentemente …»”.

Sospirai affranta. Ero molto stanca e ora mi toccava anche riordinare prima di potermi abbandonare al sonno. Afferrai il beauty e mi diressi in bagno. Avevo bisogno di una rinfrescata, il caldo era davvero insopportabile. A peggiorare il tutto, c’era una cordiale emicrania, che mi stava torturando da quel pomeriggio, quando, dopo aver riordinato la mia camera, ero scesa giù in cucina. Lì avevo trovato una lettera appoggiata allo sportellino del microonde. Era indirizzata a me e veniva da parte di Jake.

Non l’avevo letta che un’oretta fa.

Cara Bella,

mi sono deciso a scriverti questa lettera dopo una lunga riflessione. Sono andato via da Forks perché avevo bisogno di recuperare un po’ di lucidità dopo tutto ciò che è successo. Non arrabbiarti se ti scrivo queste poche righe, ma ho bisogno di chiederti perdono per il male che ti ho fatto. Nonostante non abbia giustificazioni per il mio comportamento, voglio solo dire a mia discolpa che ho agito sotto l’impulso dell’amore. Sì Bella, io ti amo e non posso più nascondermi. Ti prego, cerca di ragionare. Cullen non è la scelta giusta per te. Se non fossi intervenuta tu, lui non avrebbe esitato ad uccidermi, lo sai bene. Questo non ti fa capire nulla? E’ un violento, un essere ignobile che non è degno del tuo amore. Ti scongiuro, stai attenta, ne và della tua stessa vita. Io aspetterò per tutto il tempo che riterrai necessario, e se lo desideri, darò il benservito al nostro “amichetto”.

Ti penso ogni giorno.

Auguri per il tuo diploma.

Jake

 

Leggere quelle parole mi aveva fatto male al cuore. Jake non voleva accettare che avessi scelto di ritornare con Edward, perciò continuava a sperare e, dunque, a soffrire a causa mia.

In bagno, mi infilai sotto la doccia e lasciai scorrere a lungo l’acqua sulla mia testa.

Ah, perché la mia vita doveva essere così difficile! Se solo Edward non fosse stato così restio alla mia trasformazione, tutto sarebbe molto più semplice. Ma non ne avevamo più parlato, anzi! A dirla tutta, non ci eravamo proprio detti un bel niente.

Chiusi il rubinetto e mi asciugai i capelli con cura. Indossai una canottierina bianca senza reggiseno con una coulottina anch’essa bianca e a piedi nudi ritornai in camera mia sospirando. Non ero troppo bendisposta al riordino del letto...

Non appena richiusi la porta dietro di me, guardai perplessa la camera in perfetto ordine. Sbattei le palpebre un paio di volte e mi girai verso la sedia a dondolo, da cui provenne uno schiarirsi di gola.

In perfetta immobilità, con lo sguardo sorridente così come le sue labbra, Edward mi aspettava comodamente seduto; un braccio dietro la testa e le gambe distese davanti a lui. La mia testa registrò ogni particolare con una velocità strabiliante. Le braccia dure e possenti facevano  bella mostra da sotto una t-shirt blu notte, e dei morbidi pantaloni di canapone fasciavano le sue gambe lunghe e muscolose.

Il fascino fatto persona.

«Ciao, Edward.» perché la voce mi doveva sempre uscire così roca in sua presenza?

« Bella» fece lui di rimando a mo’dì saluto, per poi regalarmi uno dei suoi sorrisetti a fior di labbra.  «sono in visita ufficiale.» disse serio serio. Poi aggiunse: «sono stato incaricato, per non dire minacciato, da un folletto di nostra comune conoscenza di consegnarti questo pacco, che non chiamerò dono perché so che così scateneresti la tua ira.» e con la mano indicò il letto in un gesto aggraziato.

Mi voltai con lentezza nella direzione indicata, dove notai un enorme scatola dorata satinata con un vistoso fiocco rosso sopra. Era appoggiata sul letto perfettamente in ordine.

«La minaccia riguardava l’obbligo da parte mia di non sbirciare, e giuro solennemente che non l’ho fatto» concluse lui, mettendosi teatralmente una mano sul petto.

Mi avvicinai e sfilai il costoso cartoncino ripiegato con cura. Lo aprii e lessi la grafia leggera e nervosa di Alice:

 

Mia adorata, non sono riuscita a trattenermi dal prenderti qualcosa per un giorno così memorabile, quale sarà domani per te. Non arrabbiarti, ti prego. E’ davvero solo una sciocchezza. Troverai due pacchetti. Il più piccolo ti consiglio di aprirlo lontano da sguardi indiscreti … E per carità, passi la camicetta, ma disfati di quella orribile gonna marrone!

Ti voglio bene

Alice

Sospirai. Avrei dovuto aspettarmelo conoscendo la mia migliore amica.

Aprii la scatola. Lanciai uno sguardo ad una nuvoletta di impalpabile seta blu elettrico, che non ebbi neanche il coraggio di sfiorare nel timore di sgualcirla. Poi notai un minuscolo sacchettino di seta porpora con un cordoncino dorato. Lo presi tra le mani. Era leggerissimo. Chissà cosa c’era dentro! Guardai Edward di sottecchi e sorrisi vedendo che si era messo i palmi delle mani sugli occhi, per evitare di guardare.

Avrei dato solo una rapida sbirciatina …

Allentai i cordoncini e aprii un po’ il sacchetto con il dito indice.

Pizzo blu in coordinato con l’abito.

Richiusi di scatto e infilai il sacchetto sotto l’abito, nell’angolo più nascosto della scatola. Sentii le mie guance divenire scarlatte e non potei evitare di lanciare uno sguardo imbarazzato in direzione di Edward, che ancora con gli occhi coperti, sorrideva apparentemente ignaro di tutto.

Con Alice avrei fatto i conti molto presto …

 

EDWARD

Ovviamente, mi ero ben guardato dall’impedirmi la visuale quando avevo poggiato i palmi delle mani sugli occhi, per non perdermi Bella che scartava il suo regalo. In realtà non era il dono che desideravo vedere, ma la sua espressione. Non me la sarei persa per niente al mondo. Bella era di una dolcezza disarmante: non sapeva come accettare un regalo senza sentirsi in imbarazzo e diventare di tutti i colori. Era davvero adorabile.

L’abito - perché di quello doveva trattarsi - l’aveva colpita. Le piaceva davvero! Mi aveva fatto fremere l’esitazione con la quale l’avevo vista avvicinare piano le dita al tessuto, per poi ritrarle subito. Pensava di rovinarlo con il suo tocco? Che sciocchina che era! Non sapeva che anche le stelle, al suo cospetto, non sarebbero mai state più luminose e brillanti dei suoi occhi? Che le sete e i broccati più costosi non avrebbero avuto nessuna morbidezza e pregio, se non avessero almeno potuto sfiorare la sua pelle delicata?

Quando, poi, aveva preso tra le mani quel sacchetto minuscolo, non mi era sfuggita la curiosità nei suoi occhi, ma anche la titubanza. Avevo sorriso nel vedere come si era accertata che non stessi guardando. Immediatamente un odore poco conosciuto, tuttavia familiare, mi colpì le narici non appena aprì il sacchetto. L’avevo sentito addosso alle mie sorelle in più di un’occasione e sapevo che i miei fratelli ne andavano letteralmente pazzi.

Quello era intimo di pizzo, ci avrei scommesso qualsiasi cosa.

Deglutii piano ed ebbi la conferma alle mie supposizioni quando notai la fretta con la quale Bella nascose il sacchetto. Le sue guance si tinsero immediatamente di un acceso rosso porpora.

Non avevo ancora tolto le mani dagli occhi, perché volevo dare a Bella il tempo di recuperare un po’ di controllo. Era profondamente in imbarazzo, con quella scatola in mano, senza sapere dove farla sparire.

Alice, ma che diavolo ti era saltato in mente! Un moto di impazienza mi scosse.

Come se lei avesse bisogno di quei gingilli per rendersi desiderabile! Bastava che la vedesse come la vedevo io in quel momento: con una canottiera striminzita, e una specie di minuscolo pantaloncino - o sarebbe più appropriato chiamarlo slip di dimensioni accettabili? - per capire che lei era già sexy da morire …

La osservai mentre decideva infine di riporre la scatola sotto il letto e sedersi sopra quest’ultimo con le gambe incrociate.

Mi guardò nervosa.

Si morse il labbro e si lisciò i capelli un paio di volte.

Afferrò un cuscino e se lo pose in grembo.

Si era messa chiaramente sulla difensiva.

Abbassai lentamente le mani e la guardai.

«Bella, cosa c’è che non và?» chiesi perplesso, ma senza accennare ad alzarmi. «Il regalo di Alice non ti è piaciuto?» decisi di prenderla alla larga. Non volevo che si sentisse in obbligo di mettermi al corrente di cose che desiderava tenere per sé.

«Oh, no, no. Anzi è … è perfetto.» rispose riscuotendosi dai suoi pensieri. Poi aggiunse: «Sono un po’ nervosa, ho mal di testa dal pomeriggio … Sarà la tensione per domani.» concluse, toccandosi con dita delicate la fronte.

Mi alzai e mi avvicinai a lei sedendomi al suo fianco. «Hai anche nausea, capogiri, offuscamento della vista?» chiesi, dopo aver modulato la voce con un tono che voleva essere calmo e rassicurante.

Mi guardò perplessa, poi sorrise impercettibilmente «Edward, non temere, è solo mal di testa. Passerà con una buona dormita.»

La scrutai negli occhi. Mi stava nascondendo qualcosa. Sorrisi di rimando e feci per alzarmi, ma lei mi prese la mano e mi disse con un sussurro: «No, non andartene. Fammi compagnia, non voglio rimanere sola stanotte.»

Un brivido mi percorse la schiena. Era la prima notte che avremmo trascorso insieme da quando ero ritornato da Rio. Insieme nella stessa stanza. Anche nello stesso letto? Lanciai uno sguardo alla sedia a dondolo, ma lei, senza lasciare la presa dalla mia mano, si distese sul letto trascinandomi con sé. La seguii docilmente e mi allungai al suo fianco.

Bella spense la luce e rimase al buio. Potevo vedere il suo petto alzarsi ed abbassarsi. Si girò di fianco e con fare naturale mi mise una mano sul petto. Deglutii e trattenni il respiro. Come se fosse la cosa più giusta al mondo, la coprii con la mia in una dolce carezza. Presi a lisciare lentamente il dorso della sua mano con le dita. Perché era turbata?

«Posso farti una domanda?» mi chiese dopo un po’.

«Certo, lo sai che puoi chiedermi tutto.» risposi, rimpiangendo di non poterle leggere nel pensiero.

«Tu credi nel destino?» la voce seria e curiosa.

«Bhè, non penso che potrebbe chiamarsi diversamente la forza invisibile che ci ha fatto incontrate.» risposi dopo una breve esitazione.

«Dunque pensi che, se siamo destinati a stare insieme, niente potrà mai dividerci, giusto?» continuò lei.

«Esatto, penso che niente e nessuno riuscirà mai a dividerci, se è ciò che vogliamo. Ma visto che è già cosa certa per me, devo dedurne che tu hai qualche dubbio?» avevo la voce ferma, ma tremai dentro di me al suono delle mie stesse parole.

«No, no. E’ solo che … si, insomma … Edward, tu sei sempre convinto di non volere che io sia trasformata?» disse in un sol respiro.

Silenzio.

Restai un minuto immobile, poi decisi di rispondere.

«Il nostro periodo di separazione è stato anche per me molto difficile e duro. Ad un certo punto mi è sembrato quasi di impazzire. In alcune occasioni ho avuto delle visioni di te o della tua voce che invocava il mio nome» la sentii trattenere il respiro, mentre il suo battito accelerava un po’. «Non sono mai riuscito a spiegarmi la natura di questi fenomeni, ma la cosa accadeva solo quando sentivo che eri in pericolo. E’ stato terribile. Per non parlare di quando ho rischiato di perderti sul cornicione di quel palazzo!» mi interruppi un attimo. Non volevo turbarla ulteriormente con ricordi che non fosse stata lei a voler rievocare. Poi aggiunsi: «Bella, se mi stai chiedendo se voglio restare con te per l’eternità, la risposta è certo, non c’è altra cosa che vorrei di più al mondo. Ma non ti chiederei mai di sacrificare nulla, neanche un tuo solo giorno da umana, per soddisfare questo mio egoismo. La decisione è tua Bella, non mia. E’ della tua vita e dei tuoi affetti che stiamo parlando, e solo tu puoi scegliere cosa sia più giusto fare. Io non vorrei privarti di niente, delle gioie che solo la vita da umana potrà donarti, delle esperienze che quelli come noi non possono più fare. Non sarò io ad obbligarti, né in un senso, né nell’altro, e ti sosterrò qualunque sia la tua scelta. Ma voglio che tu sappia, che per me non farà mai alcuna differenza che tu sia umana o vampira. Tu sei Bella, e questo mi basta.»

Alle mie parole seguì un silenzio teso. Poi lei si alzò su un gomito e cercò il mio viso nell’ombra.

«Edward, lo … lo sai che anche io ti ho visto, e che ho udito la tua voce in alcune occasioni, diciamo un po’ difficili?» la sua voce era un lieve mormorio. Continuò: «All’inizio credevo che si trattasse di suggestione, ma io ti sentivo e vedevo sul serio, e solo in quei momenti stavo bene! La prima volta che mi è successo, sì è stato quando Jake è venuto a farmi visita …» Si bloccò di colpo accorgendosi che mi ero irrigidito a sentire pronunciare quel nome.

Non volevo che pensasse di dovermi tenere nascosto qualcosa, perciò mi affrettai a dire: «Continua, ti prego.» La sentii rilassarsi immediatamente tra le mie braccia e godetti del contatto che cercò, avvicinandosi maggiormente a me.

«Io amo solo te, sei il mio destino e vorrei tanto diventare come te, così davvero nulla potrà mai separarci.» in una sola frase aveva sintetizzato fiumi di parole inutili. Le sue intenzioni erano molto più che chiare, erano lampanti. Non riuscii a dire nulla: le parole mi morirono in gola, ma nello stesso tempo il mio cuore egoista esultò di gioia. Mi costrinsi, tuttavia, a parlare: «Bella, anche io ti amo più della mia stessa vita, ma desidero che tu mi prometta solo una cosa.» attesi paziente che acconsentisse.

«Dipende.» rispose lei con circospezione.

Sorrisi tra me e me. La mia piccola stratega aveva imparato a tenermi testa in questi frangenti: «Vorrei che riflettessi con calma su quando compiere questo passo, che sei certa di voler fare. Non potrai più tornare indietro, Bella, una volta che sarai come me. E’ importante che non ti lasci dei sospesi alle spalle, che ti siano ben chiari i sacrifici cui andrai incontro e le cose a cui dovrai rinunciare. Solo allora acconsentirò alla tua trasformazione, non un solo giorno prima. Soprattutto, prima che non ti sia più concesso, voglio che tu viva ogni esperienza umana che desideri fare.»

Lasciai che le mie parole penetrassero bene nella sua mente.

La sentii sospirare di sollievo

«Ci stò, affare fatto» disse, e nella sua voce lessi il trionfo.

 

PS: APPROFITTO DI QUESTO PICCOLO SPAZIO PER RINGRAZIARE RITA CON TUTTO IL CUORE. GRAZIE ALLA TUA PAZIENZA COME BETA, IL CAP HA ACQUISITO UNA NOTEVOLE FLUIDITA’ E SCORREVOLEZZA. BACI M.LUISA

 

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Capitolo 27
*** FESTEGGIAMENTI ***


NOTA DELL’AUTRICE: Ringrazio molto coloro che hanno recensito questo cap, vi rispondo velocemente:

Confusina_94: Bella la tua one-shot, neanche a farlo apposta il risveglio della tua Alice assomiglia a quello della mia… baci endif

titty88: tieniti forte, sono in arrivo delle novità piacevoli …

anna cullen: sai cara, a volte i sentimenti non sono così chiari come si vorrebbe e capita che anche se non espresso direttamente ed esplicitamente la voglia di stare insieme sia più forte di qualunque altra cosa … credo che sia questo che succede ai nostri  eroi …

lory_lost_in_her_dreams: grazie tesoro, apprezzo tanto la tua assiduità nel leggermi e commentarmi. Baci endif

Ho notato con un po’ di dispiacere che i commenti sono diminuiti … Se comincio ad essere un po’ noiosa, fatemelo sapere, non sono solo i complimenti che mi interessano…!

Vorrei approfittare di questo spazio per ringraziare Davide, che mi ha inviato una mail molto carina. Non sono riuscita a rispondergli perché pare che il suo indirizzo non sia corretto.

Davide: Ciao, ti ringrazio davvero tanto per i tuoi complimenti. In genere mi rivolgo sempre al femminile quando ringrazio attraverso le note autori, ma sono piacevolmente colpita dal fatto che sono riuscita a suscitare anche il tuo interesse. Non è facile scrivere dal punto di vista maschile, forse potresti darmi qualche dritta ... Vado bene con i pov maschili?

Non ho mai scritto nulla, ma sono una lettrice accanita. Trovo che i libri siano magici, un mondo parallelo dove perdersi all'infinito.

Ti saluto e spero che continuerai a seguire la mia ff.

Ciao

Maria Luisa

CAP. 27

FESTEGGIAMENTI

 

BELLA

«Ehi Bella!» sentivo la voce scampanellante di Alice ma, tra tutte le toghe che mi si paravano davanti, non riuscii a localizzarla. Avevo perso di vista anche Edward, ed ero in balia di spintoni, abbracci, lacrime e congratulazioni, che piovevano da ogni parte. Poi vidi Mike farsi largo tra la folla per venire proprio verso di me.

Ci mancava solo questo. Cercai una rapida via di fuga.

Era ormai a un passo dal saltarmi letteralmente addosso, quando sentii una stretta afferrarmi dolcemente, ma con fermezza, il braccio. In un attimo mi ritrovai in un angolo della palestra, dove si era svolta la cerimonia di proclamazione, con Alice che mi abbracciava tutta trafelata.

«Uff, che fatica venirti a prendere, stando attenta a non rompere un braccio a qualcuno mentre chiedevo gentilmente permesso!» mi guardò con sguardo eloquente. Poi si fece di lato, e vidi Edward avvicinarsi a me lentamente, un sorriso caldo e sensuale sulle labbra.

Le ginocchia presero a tremarmi e, quando mi si avvicinò abbastanza da permettermi di sentire il suo respiro freddo sulla guancia, mi appoggiai al suo braccio per paura di cadere. Mi mise due dita sotto il mento e mi guardò negli occhi. «Auguri, amore mio» mi sussurrò un istante prima di abbassare il suo viso su di me e sfiorare con le sue labbra marmoree le mie, del tutto secche. Istintivamente allungai le braccia per cingergli il collo. Volevo assaporare la sua bocca: lo sfiorarsi delle nostre labbra non mi bastava… Con mia sorpresa non si staccò, ma mi strinse tra le braccia con maggior ardore. Le nostre bocche si dischiusero e così sentii chiaramente la sua lingua toccare la mia.

Credo che ci mancasse davvero poco prima di svenire, ma Alice prese a schiarirsi forte la voce e a dire: «Charlie, che piacere rivederti!» dando una gomitata ad Edward. Lui si staccò da me con una lentezza esasperante, poi mi fissò negli occhi e mi sussurrò all’orecchio: «Dopo avremo tutto il tempo che vogliamo.» e scese con le labbra a sfiorarmi delicatamente il collo, proprio sotto la mascella.

Chiusi gli occhi roteandoli in alto, mentre ringraziavo il suo braccio che mi cingeva la vita, sostenendomi. Dopodiché sbattei le palpebre per focalizzare le persone davanti a me e vidi Charlie che parlava a un paio di metri di distanza con Alice. Evidentemente, mio padre non si era reso conto di nulla.

Più tardi? Non è che in camera mia ci lasciamo mai andare in maniera particolare …

Sentii Edward stringermi con una pressione più accentuata e mi parve di udire un basso ringhio provenire dal suo petto. Mi voltai a guardarlo, seguendo i suoi occhi neri e incupiti per arrivare a Mike Newton, il quale mi stava fissando con aria vogliosa. Chiaramente aveva osservato il nostro scambio di effusioni, ma non si era accorto che Edward gli avrebbe volentieri risparmiato altri sguardi indiscreti  indirizzati a me. Magari strappando i suoi occhi dalle cavità orbitali…

Ringraziai mentalmente Alice che veniva nella nostra direzione seguita da mio padre, il quale mi abbracciò con le lacrime agli occhi, senza riuscire a profferire alcun complimento di rito.

Lo ricambiai teneramente, incapace di parlare. In questo io e mio padre eravamo molto simili: i convenevoli ci confondevano e imbarazzavano, quindi ne facevamo volentieri a meno. Si schiarì la gola e fece dei complimenti gentili ad Edward.

Caro papà, si sforzava di essere cortese, anche se ben sapevo quanto gli era costato cercare di non interferire quando lui era riapparso nella mia vita. Nonostante fosse evidente che non poteva soffrirlo, si sforzava di trattenersi, vedendo quanto era importante per me. Edward, d’altro canto, non se la passava meglio, potendogli leggere nella mente chissà quali torture l’ispettore capo gli avrebbe volentieri riservato. Ma mai aveva tradito il più impercettibile fastidio o ritrosia! Era sempre di una gentilezza e cortesia senza paragoni.

Charlie si schiarì un po’ la gola, e disse: «Non state alzate fino a tardi ragazze, e soprattutto, non bevete alcolici, ok?» mi guardò in attesa di una risposta, mentre lo fissavo inebetita. Poi una spintarella da Alice mi fece assentire vigorosamente con il capo, benché non avessi la minima idea di ciò che stava succedendo. 

Guardai di sottecchi Edward, che aveva un’espressione beata sul volto.

Prima di andarsene mio padre gli lanciò uno sguardo e aggiunse: «Fate attenzione voi a Goat Roks, è periodo di orsi questo. Dillo a tuo padre, mi raccomando».

«Certo capo Swan, la ringrazio» rispose Edward, inclinando leggermente il capo, con un sorriso che prima di comparire sulle labbra aveva già raggiunto e fatto sciogliere l’oro dei suoi occhi.

Rimanemmo così, soli, in mezzo alla folla, con Alice che saltellava felice mentre mormorava “Sono un genio” ed io che la guardavo come fosse un’aliena.

«Dove siamo attese stasera, Alice? Non avrai mica organizzato una festa per il diploma?» chiesi con circospezione e terrore nella voce.

«Ufficialmente i Cullen vanno in campeggio per il fine settimana a festeggiare il diploma, ma dato che io sono ancora mooolto cagionevole di salute, a causa della rara malattia che mi ha colto questo inverno, non potrò andare. Quindi, tu mi terrai compagnia per tutto il week-end, per gentile concessione di Charlie. Incominceremo da stasera, in cui ci attende un fantastico pigiama party tra sole donne!» parlò a raffica senza fermarsi.

«E ufficiosamente?» chiesi, lanciando un’occhiata ad  un Edward dagli occhi brillanti e luminosi.

«Ops, devo scappare, altrimenti andranno senza di me!» drizzò le spalle, salì con grazia sulle punte e mi scoccò un bacio in piena guancia. Mi strizzò con fare complice l’occhio, prima di sussurrarmi un “divertitevi” a fior di labbra e sgattaiolare via come un lampo verso Jasper, che l’aspettava poco lontano.

Mi girai allora per guardare Edward e ripetei con la speranza nella voce: «Ufficiosamente?»

«Ufficiosamente sarai mia gradita ospite in casa Cullen, mentre tutti gli altri si spingeranno in Canada per la caccia grossa.» rispose lui, con voce bassa e roca.

 

EDWARD

Non appena ebbi via libera, la trascinai letteralmente sulla mia Volvo. Desideravo stare solo con lei in maniera spasmodica. Non sopportavo più tutta la gente che ci circondava.

“Quando era arrivata con suo padre in palestra, avevo immediatamente colto i pensieri di quei mocciosi che le sbavavano dietro.

Bella era deliziosa.

Avanzava con passo incerto, reggendo la sua toga su un braccio ed il cappello del diploma con l’altro. Mi avevano colpito innanzitutto i capelli, raccolti morbidamente sulla nuca, che le lasciavano il collo ben in vista. Sentivo l’odore della sua pelle da lontano. Ma quell’abito completava il quadro divinamente. Era di una particolare tonalità di blu che le stava d’incanto. Sembrava un angelo.

Le spalline leggere le scendevano con grazia sugli omeri lasciando scoperte completamente le spalle e le clavicole. Un corpetto stretto le fasciava il bacino, sottolineando la linea dei suoi seni, e una nulovetta di impalpabile seta le scendeva sulle cosce senza raggiungere le ginocchia.

Non ero riuscito ad avvicinarmi, in balia degli studentelli confusi ed agitati, ma avevo letto i pensieri di molti di loro… se non fosse stato per Alice, quella palestra sarebbe diventata un mattatoio. Mike Newton avrebbe aperto le macabre danze. Avevo scoperto i denti mentre il veleno mi gocciolava in bocca immaginando la sua testa tra le mie mani, con quei suoi occhietti viscidi e disgustosi con cui lanciava sguardi lascivi su Bella, farsi vitrei e immobili nel fissare il vuoto … Alice mi aveva strattonato con forza dicendomi di piantarla. Avevo cercato di darle ascolto, ma stare lontano da lei, seduto nel posto che mi avevano assegnato per la cerimonia, era stata una autentica tortura. Fortuna che era finita presto.”

Avviai l’auto in pochi secondi e, con ancora indosso le toghe, uscimmo dal parcheggio prima di ogni altra auto. Solo dopo aver imboccato la statale, rilassai un po’ le mani sul volante.

Finalmente un po’ di silenzio nella mia mente!

Misi una mano sul dorso di quella delicata di Bella, che teneva in grembo, e dissi «Questo abito ti dona davvero molto, sei incantevole.»

Arrossì chinando gli occhi in un gesto che mi fece fremere. Sempre ritrosa e timida, incapace di godere di un complimento sincero, non come tutte quelle donnette volgari che si svendevano anche per uno sguardo lussurioso, senza l’ombra della minima gentilezza.

Non si tratta una donna con così poco rispetto. Leggere i pensieri della maggior parte dei miei “coetanei” riguardo le ragazze, era una cosa che mi rivoltava lo stomaco. E se quei pensieri erano rivolti alla ragazza che sedeva al mio fianco, poi …

Inspirai profondamente, cercando di calmarmi e beandomi al contempo del bruciore che il profumo di Bella mi provocava alla gola. Vidi che mi lanciava uno sguardo interrogativo, così le sorrisi di rimando. Eravamo insieme, soli per un intero fine settimana… solo questo contava. Il suo respiro accelerò e il cuore perse un battito: anche lei era emozionata come lo ero io.

Mi portai il dorso della sua mano alle labbra senza staccare gli occhi dai suoi e vi deposi un bacio lieve. «Signorina Swan, che ne pensa del suo sequestro?» le chiesi con voce seriosa, desiderando stemperare un po’ l’imbarazzo che avvertivo in lei.

Decise di stare al gioco e con sguardo malizioso mi rispose portandosi una mano al petto: «Oh, la prego signor sequestratore, non mi faccia del male. Ho un fidanzato alquanto protettivo, non credo che apprezzerebbe. Sa, è un vampiro.» pronunciò le ultime parole con voce bassa e cospiratrice.

Sorrisi con garbo: «Ma davvero! E mi dica, di grazia, non la spaventa mai rimanere sola con lui?»

«Niente affatto! E’ un vampiro per bene, cosa crede? Lui non farebbe mai niente che possa farmi del male. Credo che sia innamorato di me …» la sua voce era diventata un sussurro. Strinsi con più forza la sua mano e aggiunsi:

«Su questo puoi scommetterci, mia cara» dissi a voce bassa, poi continuai, un po’ incerto: « E lei lo ricambia?»

Silenzio. Mi voltai verso di lei e il suo sguardo mi bloccò il respiro.

I suoi occhi avevano perso la nota giocosa che aveva fatto da sfondo al nostro scambio di battute. Ora erano profondi, più caldi e sensuali. La bocca mi si asciugò completamente, e così deglutii a vuoto. La sua voce uscì fuori roca e flebile: «Non c’è niente che desideri di più che appartenergli completamente, corpo ed anima, per l’eternità.»

Serrai forte i denti e strinsi il volante. Non so quale forza mi trattenne dall’accostare l’auto sul ciglio della strada per avventarmi su di lei e possederla, morderla, farla mia, così, in quel momento, sul sedile dell’auto.

Calmati Edward, non è così che deve andare, non essere impulsivo. Cercai di ammansire la belva che si era risvegliata dentro di me. Quel fine settimana era un dono, un regalo che ci facevamo per recuperare un po’ di serenità e di felicità. Niente gesti estremi, niente colpi di testa, niente tragedie.

Spinsi a fondo il piede sull’acceleratore. Meglio arrivare presto a casa.        

   

 

 

 

PS: COME SEMPRE DESIDERO RINGRAZIARE LA MIA BETA RITA. CON MOLTA PAZIENZA E PROFESSIONALITA’ STA REVISIONANDO QUESTI NUOVI CAPITOLI. BACI

M.LUISA

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Capitolo 28
*** VENERDI SERA ***


NOTA DELL’AUTRICE: Carissimi ho ricevuto diverse e-mail di sollecito e mi scuso per avervi fatto attendere per questo cappy. Spero che vi piaccia.

sweetmoon: Ciao cara, sono davvero contenta che hai deciso di recensire. Sapessi come mi fa piacere ricevere dei nuovi commenti… ma ti capisco se non l’hai fatto fino ad adesso, sembra che ci si senta un po’ in soggezione! Grazie per i complimenti che mi hai fatto , mi piace molto scrivere, ma non l’avevo mai fatto prima di adesso. Forse, mi mancava il coraggio! Non preoccuparti per Jacob, un cuore innamorato non è sempre molto razionale, ma uno non corrisposto può essere difficile da gestire! Non lo farò soffrire molto, credimi. Spero davvero che continuerai a leggermi e se vuoi lasciami anche solo un saluto, ne sarò contentissima!!! Endif

keska: Ciao cara, sono felice di risentirti. Capisco che tu abbia avuto da fare, io sono in un turbine di impegni che non mi lascia mai tempo! E per ciò che riguarda l’età, anche se credo che da ragazzina fossi più incasinata di adesso, è più che probabile che di anni ne abbia abbastanza per occuparmi della mia famiglia, piuttosto che scrivere e scrivere e scrivere …! Ti ringrazio per la tua opinione sulla ff, credo di capire cosa tu intenda, ma avrai sicuramente notato che nel riavvicinamento di Ed e Bella, che deve per forza di cose essere progressivo e non “lampo”, ci sia un nuovo elemento in più per ogni capitolo che scrivo… Mi serve un po’ di sana suspance, capisci cosa intendo?! Lasciami ancora qualche tuo saluto, mi fanno immensamente piacere! Endif

zafry: Ehi piccola, non preoccuparti se non riesci a commentare sempre, mi basta un salutino ogni tanto per tirarmi su di morale! Ti regalo un cappy ricco di emozioni, e sapessi il prossimo! Forza con lo studio, dacci dentro che poi sarai libera come una libellula!!! Bacioni Endif

1404: Ciao, grazie per la tua recensione. E sappi che nei cappy piccoli c’è il vino buono!! Ue, ma mica sono così brevi!!!Endif

Meticcia: Paesà, no problem! Mica che hai sottoscritto un patto con il sangue: se non commenti tutti i cappy sarai dannata per l’eternità….*muhahahahahahaha* (Permettimi la citazione presa da una vera sadica che lascia me “puverella” ad aspettare una recensione!!). Scherzo! Per il seguito spero di essere stata abbastanza malvagia. Vedrai da te.

Bacioni Endif

titty88: Che ne diresti se giocassero ad una salutare partitina a scacchi!!!?Baci Endif

anna cullen: Gioia, so che stavi attendendo con ansia il mio aggiornamento. Pardon, spero che questo cap ti piaccia, e prometto un aggiornamento lampo per il prossimo. Fidati! Baci Endif

Confusina_94: Sarà un luuuuungo weekend, non ti deluderò!!! Baci Endif

lory_lost_in_her_dreams: grazie cara, mi rincuora sapere che sto mantenendo vivo l’entusiasmo. Sai a volte ci vuole qualche piccola conferma…!Baci endif

CAP. 28

VENERDI SERA

 

BELLA

Arrossii violentemente all’audacia delle mie stesse parole.

Mi ero fatta trascinare dal gioco che avevamo ingaggiato, e le parole erano uscite fuori da sole, come se a pronunciarle non fossi stata io, come se non era ad Edward che mi stessi rivolgendo, ma davvero ad un sequestratore gentiluomo.

Cielo, chissà adesso che pensa di me … magari teme che lo violento. Pensai confusa, mentre un silenzio teso era sceso nell’abitacolo.

Edward guardava fisso davanti a sé, e mi sembrava che avesse spinto l’auto ad una maggiore velocità. La sua espressione era impenetrabile. Avrei voluto chiedergli se avessi detto qualcosa di troppo, ma le parole mi morirono in gola. Cosa sarebbe successo in questo fine settimana? Ero pronta sul serio ad assumermi tutte le conseguenze che ne potevano derivare? Mi morsi il labbro in un gesto inconsapevole che mi veniva spontaneo quando mi sentivo particolarmente nervosa.

Ma nervosa di che? Di rimanere sola con il mio amore? Mi chiesi scuotendo il capo.

No, rimanere sola con Edward non mi spaventava affatto, anzi.

Lo desideravo tantissimo.

Forse è proprio questo il problema, pensai.

Ritornai con la mente all’impulsività che mi aveva colta poche ore prima, e che mi aveva portata ad indossare quel minuscolo completino di pizzo coordinato con l’abito del diploma.

“Quando avevo toccato il pizzo delicato, una scossa mi aveva percorso. L’avevo annusato portandolo al viso e la sua morbidezza mi aveva colpito. Quando l’avevo fatto scivolare sul mio corpo, mi ero sentita diversa, mi ero sentita sensuale.

E lo specchio aveva riflesso un’immagine stupefacente. Il reggiseno a balconcino sembrava essermi cucito addosso, e la morbida rotondità del seno si stagliava acerba e soda da esso velata appena. Lo slippino era così piccolo che l’avevo guardato con sospetto, rigirandolo per un po’ tra le dita, per capire quale fosse il davanti ed il dietro. Indossarlo mi aveva fatto diventare color prugna, che con il blu si sposava davvero magnificamente. Non avevo osato girarmi per guardarmi il fondoschiena, ma un brivido mi aveva percorso la schiena quando avevo sentito delicata e fresca la seta dell’abito scivolare su di esso.”

E ora, seduta sul sedile dell’auto di Edward mi chiesi cosa mi stava prendendo sapendo che i miei desideri si potevano realizzare.

“Soprattutto voglio che tu viva ogni esperienza umana che desideri prima di non poterlo fare più”  sorrisi tra me e me alle parole che lui mi aveva detto la sera prima.

Oh, non c’era dubbio su alcune delle esperienze che non volevo assolutamente perdermi prima di essere trasformata. Ma chissà se anche lui sarebbe stato d’accordo …

Mi accorsi che l’auto si era fermata solo quando Edward mi aprì la portiera e mi porse una mano per aiutarmi a scendere. L’aria era più fresca quella sera e involontariamente rabbrividii appena fuori dall’abitacolo.

«Vieni» mi disse cingendomi la vita con un braccio e accompagnandomi su per le scale della veranda. Notai che le luci erano accese e la casa sembrava molto accogliente seppur silenziosa.

«Se vuoi rinfrescarti un po’, puoi servirti delle stanze al piano di sopra, io ti aspetto in giardino.» e mi accompagnò su per le scale che portavano ai piani superiori.

Entrai nel suo bagno e accesi la luce. Mi osservai allo specchio e quel che vidi non mi rassicurò affatto. Avevo gli occhi brillanti, le guance sfumate di rosa e le labbra dischiuse e invitanti. Scossi la testa.

No,no, così non ci siamo, pensai.

Le mie intenzioni erano lampanti come un neon sul mio viso. Aprii il rubinetto e mi tamponai le guance con una salvietta umida. Mi bagnai i polsi, cercando di rallentare un po’ il battito feroce del mio cuore e mi lisciai il corpetto sulla vita. Inspirai un paio di volte per regolarizzare il respiro e scesi dabbasso.

Le luci erano state spente e solo delle piccole candele segnavano il cammino dal salone al giardino, attraverso la portafinestra aperta. Una dolce melodia si diffondeva nell’aria, non riuscivo a distinguerne la provenienza. L’acustica mi fece capire che si trattava di una diffusione stereo particolarmente sofisticata. Non poteva essere altrimenti.

Attraversai le vetrata e mi incamminai per il sentiero segnato dalle fiammelle.

L’odore che aleggiava intorno a me era di aranci in fiore e gardenie. Le candele facevano un improvvisa svolta, per poi terminare nei pressi di un gazebo decorato da morbide tende bianche, sotto il quale un meraviglioso tavolo in ferro battuto era apparecchiato e illuminato da candelabri d’argento. Mi fermai interdetta e mi guardai attorno. Lo vidi apparire da dietro una tenda e materializzarsi immediatamente al mio fianco.

Con galanteria mi prese una mano e ne baciò il dorso.

«Posso avere l’onore di scortarla al tavolo mademoiselle?» mi chiese con voce calda e suadente.

 Mi lasciai condurre sotto quell’ondeggiare delicato di bianco e mi accomodai sulla comoda poltroncina in vimini che aveva opportunamente spostato un po’ dal tavolo.

«Ti piace?» mi chiese dolce.

Riuscii a balbettare con un alito di voce: «E’ meraviglioso. Tutto questo ti … ti toglie il fiato.»

Si chinò fino a sfiorarmi un orecchio con le labbra e disse: «Sei tu che togli il fiato.»

Chiusi gli occhi nell’avvertire il suo respiro gelido così vicino a me, ma quando li riaprii non era più al mio fianco, ma seduto di fronte a me.

Dinnanzi avevo una portata di antipasto ovviamente proveniente da una nouvelle cuisine. Di quei piatti in cui c’è un amore per il dettaglio e una cura della presentazione del cibo, che solo a guardarli ti accorgi che costano un occhio della testa. Alzai lo sguardo ed incontrai il suo.

Esperienze umane indimenticabili.

Inarcai le sopracciglia e gli chiesi esitante: «E tu?»

Forse che qualche cervo o qualche puma, data la ricorrenza speciale, sarebbero apparsi magicamente sulla immacolata tovaglia bianca?

Mi guardò con il sorriso negli occhi e rispose: «Non preoccuparti per me, il mio corpo è già stato abbondantemente nutrito qualche ora fa, ma adesso tocca allo spirito. Mi sazierò completamente beandomi della tua presenza, del tuo odore e dei tuoi occhi.»

Lo fissai allibita.   

Mi sarei mai abituata a tanta delicatezza, galanteria ed eleganza? Presi a spiluccare nel mio piatto, felice di poter abbassare lo sguardo su qualcosa che non fosse lui, ed avere un po’ di tempo per riprendermi. Averlo dinnanzi a me, con gli occhi fissi su di me, come se fossi la cosa più bella ed interessante della terra, mi sconvolgeva. Lui, nel suo abito dal taglio classico, ma con gli immancabili capelli spettinati ed il solito sorrisino sulle labbra, che corteggiava me, sciatta ragazzina in preda ad una bufera ormonale?!

E sì, l’amore era decisamente cieco. Ma non so perché questa sera mi sentivo speciale, lui rendeva tutto speciale. Parlammo ininterrottamente per tutta la cena. L’atmosfera era rilassata e confidenziale, le mie risate si confondevano con le sue cristalline e limpide, mentre la musica continuava ad accompagnarci discreta in sottofondo. Le luci delle candele danzavano sul suo viso perfetto e contribuivano a creare un immagine surreale.

Sembrava davvero di essere in paradiso.

Non ero abituata all’alcool, ma era stato automatico accompagnare la cena con un delicatissimo vino francese. Una cena che era magicamente scomparsa dal mio piatto, lasciandomi in bocca una meravigliosa sensazione di benessere. Era stato tutto perfetto. La testa mi girava un poco, ubriaca di lui, della sua voce, del suo odore, più che del vino.

Involontariamente tremai. Lui se ne accorse e in un attimo me lo trovai di fianco con la sua giacca appoggiata sulle mie spalle.

«Sono imperdonabile, scusami. La temperatura non deve essere più tanto gradevole per te, vogliamo rientrare?» mi sussurrò piano tenendomi delicatamente per le spalle.

Mi alzai e barcollai un po’. Lui mi sostenne e lo guardai sorridente con aria sognante.

Ci avviammo verso l’interno lasciandoci il paradiso alle spalle.

O, piuttosto, stavamo dirigendoci verso di esso …

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Capitolo 29
*** PARADISO O INFERNO? ***


NOTA DELL’AUTRICE: Con cinque minuti giusti di tempo a disposizione mi sono chiesta cosa fosse meglio fare. Postare un nuovo capitolo (direi abbastanza atteso) o rispondere in maniera esauriente alle vostre recensioni? Non sono riuscita a decidermi, così ho optato per postare il cap 29 con solo una piccola nota di ringraziamento. Grazie a tutti voi, lettori, commentatori, seguiti e preferiti. Vi regalo un cap molto intenso a pov unico Edward. Spero vi emozioni così come ha emozionato me scriverlo. Un bacio a tutti.

Nota particolare per Meticcia: credo di aver superato me stessa e te messe insieme ...

Endif

CAP.29

PARADISO O INFERNO?

 

EDWARD

La serata era stata perfetta. Bella si era rilassata e divertita mentre l’osservavo portare alle labbra tutti quei manicaretti che erano stati consegnati da un rinomato ristorante poche ore prima. Alla luce delle candele, con gli occhi brillanti e le guance rosee era di una bellezza sconvolgente. Eterea e innocente, sembrava un angelo venuto per sconvolgere la mia esistenza, il mio equilibrio. Ne ero deliziato e torturato al tempo stesso.

Festeggiare il nostro, ma, soprattutto il suo, diploma era una di quelle cose che ritenevo fondamentale non si perdesse. Se l’avesse desiderato avrei chiesto ad Alice di organizzarle una festa degna di uno sceicco, ma lei aveva scosso la testa dicendomi che in realtà Bella sarebbe stata molto più felice nel trascorrere la serata insieme a me da sola.

La sorreggevo delicatamente per la vita mentre ci dirigevamo in salotto e sentivo il calore della sua pelle attraverso la seta.

Rischiò di inciampare nei suoi piedi e strinsi un po’ di più la presa su di lei. Prese a ridere sommessamente appoggiandosi un po’ di più al mio torace.

Era chiaramente su di giri.

«Credo che il vino mi stia facendo effetto.» soffocò una risata con la mano come una bimba colta con le dita nella marmellata.

«Decisamente sì» sorrisi a mia volta. Era più che giusto che Bella si lasciasse un po’ andare il giorno del suo diploma, e poi non sarebbe potuta essere più al sicuro di com’era qui con me.

Ci fermammo nel salone ancora avvolto nella penombra per la gran parte, fatta eccezione per le fiammelle delle candele accese che indicavano la strada dalla scalinata al giardino. Lei appoggiò la testa sulla mia spalla e sospirò beata.

Farla stare bene era di importanza vitale per me, rappresentava lo scopo della mia esistenza. Inspirai profondamente girando il capo verso i suoi capelli. L’odore di fresia e lavanda non aveva perso la minima intensità.

«Come potrei ringraziarla per la gentilezza che mi ha usato questa sera?» il suo fiato mi riscaldò la stoffa della camicia e fremetti di piacere a sentire la sua voce dolce e un po’ impastata.

«Potrebbe onorarmi della sua presenza questa notte nella mia umile dimora.» risposi sullo stesso tono da lei usato.

«Solo se mi promette di farmi compagnia in quel grande letto vuoto.» la sua voce aveva tremato un po’. Sentii che il suo corpo stava abbandonandosi contro il mio e decisi che non sarebbe stato affatto sicuro per lei salire le scale con i suoi piedi. La presi senza il minimo sforzo tra le braccia e mi avviai alla mia camera.

Il divano bianco era stato sostituito da un grande letto a due piazze e mezzo da quando Bella aveva trascorso la convalescenza da noi, ed era rimasto nella mia stanza da allora. La deposi delicatamente al centro del letto e feci per discostarmi da lei, quando sentii un mugolio sommesso di protesta.

Sorrisi e mi chinai a sfilarle le scarpe. In quello stesso istante lei si girò di schiena e l’abito le si attorcigliò fin quasi sulla vita.

Smisi di respirare.

E mi trovai a fissare lo spettacolo più sensuale cui avessi mai assistito in tutta la mia vita umana e vampira. Il fondoschiena di Bella si mostrava ai miei occhi praticamente quasi del tutto nudo, coperto solo da un sottilissimo triangolino di pizzo dello stesso colore dell’abito. Sentii crescere prepotente in me la bramosa frenesia di doverla sfiorare, annullare la spazio tra di noi, toccare la pelle liscia e soda che si esponeva maliziosamente al mio sguardo.

Mi detti mentalmente dello stupido e del pervertito. Lei era mezza ubriaca nel mio letto, si fidava di me ed io fantasticavo su come poterle saltare addosso? Il mio autocontrollo sembrò sgretolarsi del tutto nel momento in cui sentii la sua voce sussurrare dolce e sensuale: «Edward, vieni vicino a me.»

Magnifico, pensò la belva dentro di me, è lei che ti stà chiamando. Vai Edward, dalle ciò che ti chiede.

Come in trance accostai la mia schiena alla sua e con le dita le sfiorai la coscia, risalendo piano su per il profilo dei suoi glutei, fingendo di aiutarmi con quel gesto per sistemarmi meglio vicino a lei. Si mosse un po’ strofinandosi al mio corpo. La sentii chiaramente strusciarsi contro di me e chiusi gli occhi mentre un ringhio incontrollabile nasceva nel mio petto e si faceva largo tra i miei denti serrati per lo sforzo di controllarmi.

«Edward, vorrei chiederti una cosa.» la sua voce esitante, mi ridiede un barlume di lucidità.

Cercando di non inspirare ancora, mi immobilizzai completamente e le risposi «Dimmi amore.»

Lei, ancora dandomi le spalle disse «Per quanto riguarda le esperienze che non voglio perdermi da umana, c’è n’è una a cui terrei molto»

Parlava lentamente, le costava fatica articolare delle frasi compiute.

Era molto emozionata e turbata.

Mi diedi dell’imbecille pensando di averla imbarazzata con la mia audacia e dissi «Tutto ciò che vuoi, Bella, lo avrai.». Feci per scostarmi un po’ da lei, ma la sua mano scattò all’indietro afferrandomi alla vita e trattenendomi verso di lei.

«Voglio te» mormorò decisa.

«Tesoro, io sono già tuo. Non ti lascerò mai, lo sai bene.» risposi esitante. Non capivo pienamente i suoi timori. Cosa la spaventava?

La sentii deglutire, poi, si girò verso di me, prima con il capo, e dopo con il resto del corpo. Si acciambellò al mio torace, nascondendo la testa nell’incavo della mia spalla e disse con la voce soffocata dalla camicia: «Voglio stare con te. Fisicamente, intendo. Come … come una donna con un uomo.»

Mi accorsi del rossore che doveva averle imporporato il viso dal calore bruciante sul mio collo.

Mia dolce Bella! Quanta ritrosia, quanta delicatezza nell’esprimere lo stesso desiderio che stava divorando anche me in quel momento …

Inspirai con forza. Sentire pronunciare quelle parole dalle sue labbra era un vero tormento. La mia piccola era vittima dei suoi sensi, confusa e turbata. Toccava a me rassicurarla, farle capire che queste erano pulsioni più che naturali che avremmo soddisfatto a tempo debito.

E come se le avremmo soddisfatte!

Presi a carezzarle i capelli con dolcezza, cercando di ignorare il calore delle sue ginocchia scoperte che premevano pericolosamente sulla porzione alta delle mie cosce «Tesoro mio, non devi spaventarti dal desiderio che provi, è più che naturale. Vedrai che tutto avverrà molto spontaneamente e con notevole piacere dopo la tua trasformazione. Quando ti terrò tra le mie braccia in quel momento, non ci sarà uomo più felice di me.»

Sentii che scuoteva piano il capo contro il mio collo e allora mi scostai leggermente per cercare il suo sguardo. Ma lei si nascose ancor di più, immergendo il viso più profondamente nella mia spalla. «Edward io voglio stare con te adesso, da umana.» pronunciò quelle parole tutte d’un fiato, e, in fine, emise un lungo respiro.

Mi raggelai.

Nessun muscolo, nessun nervo del mio corpo riuscì a muoversi. Ripercorsi nella mante rapidamente la nostra conversazione e trovai la frase che avrebbe dovuto illuminarmi subito.

“Per quanto riguarda le esperienze che non voglio perdermi da umana, c’è n’è una a cui tengo molto.”

Io e lei insieme? Da umana e vampiro? DA UMANA E VAMPIRO?!

Con uno sforzo davvero sovrannaturale, non le urlai contro, ma mi limitai a scostarla lentamente, ma con decisione dalla mia spalla. Volevo guardarla negli occhi.

Incontrai due gemme grandi e luccicanti che mi scrutavano tese.

Dovevo essere delicato, come mai prima d’allora. Non volevo che Bella fraintendesse, ma non potevo permettere che ci fossero delle incomprensioni fra di noi.

«Amore, lo sai che sono molto più forte di te, vero?» Ovviamente lo sapeva.

Vidi che annuiva impercettibilmente, ma i suoi occhi già cominciarono a luccicare.

Strinsi forte le labbra, non volevo farle del male, in nessun senso …

Sospirai.

«Bella, in una circostanza come quella di cui stiamo parlando, nel migliore dei casi potrei romperti solo un braccio, o un qualsiasi osso del corpo, con la più delicata e controllata delle mie carezze. Ma se perdessi la ragione, anche solo per una frazione di secondo, potrei ucciderti.» L’immagine del suo corpo nudo, pallido, esanime tra le mie braccia mi riempì di orrore, ma non permisi alla mia espressione di far trasparire una tale emozione.

Mantenni fisso il mio sguardo nel suo. Lasciai che le mie parole facessero effetto.

I suoi occhi si riempirono di lacrime. Il mio cuore si strinse in una morsa.

«Bella, non piangere ti prego. Quando sarai una vampira, potremmo amarci come desideriamo senza timori, senza limiti.» sussurrai raccogliendo con le labbra la prima lacrima che strabordò sulla sua guancia. Era salata e mi incendiò la bocca.

«S … scusa, è che ti desidero così … così tanto!» balbettava aggrappandosi al mio collo in maniera incontrollabile. Un’ondata di tenerezza e passione mi invase.

Oh, amore, sapessi quanto ti voglio io, invece! Sapessi come è difficile far tacere la bestia che mi incita a farti mia, a strapparti questo straccetto che ti ricopre e di prenderti facendoti urlare e gemere di piacere tra le mie braccia …

Chiusi gli occhi e tentai di riprendere la calma, scacciando i pensieri che minacciavano di farmi vacillare.

La sua voce continuò affranta portando il suo respiro caldo ad infrangersi sulla pelle gelida del mio collo: «Ma ti capisco, se fossi vampira non dovresti trattenerti. Non dovresti limitarti e ... e proveresti molto più piacere con me. Non giustificarti, non farlo ti prego. Ho capito perfettamente» concluse tirando su col naso.

Aprii gli occhi di scatto.

Le mie mani divennero due morse d’acciaio sulle sue braccia.

Vidi riflessi nei suoi occhi la rabbia e la furia dei miei, divenuti improvvisamente neri e minacciosi.

« Edward, ma cosa …?» cominciò con la voce perplessa.

«Tu … tu credi che non voglia fare l’amore con te, perché non sei abbastanza attraente, perché non riusciresti a soddisfare pienamente il mio corpo e i miei istinti d’animale? E questo che credi? E’ QUESTO CHE CREDI?» la mia voce aveva perso tutta la calma che l’aveva contraddistinta fino a quel momento. Le ultime parole le avevo urlate e l’avevo vista sobbalzare.

Scoppiai in una risata maligna.

«Pensi che io non ti desideri? Che le mie siano scuse?» il tono era sceso pericolosamente. La mia voce era gelida. Poggiai una mano sul suo collo delicato. Indirizzai il pollice sulla giugulare che guizzò sotto la mia lieve pressione.

Ne accentuai l’intensità. Sentivo il suo sangue scorrere a velocità folle. Con una modestissima stretta le avrei potuto spezzare il collo. Lo avrei potuto fare adesso, una sola mano mi bastava. Il mio respiro aumentò rapidamente. Sentivo chiaro su di lei l’odore della paura.

Bene, era ora che avesse una reazione più che naturale.

La mia mano scese dal collo e si avvicinò al suo seno che si alzava ed abbassava  velocemente. I miei occhi erano rapiti dalle curve che vedevo innalzarsi attraverso la stoffa.

La poggiai sul suo seno e la sentii trattenere il fiato. La stoffa dell’abito si tese sotto il gelo del mio palmo, la punta turgida del capezzolo mi premette in mezzo alla mano.

Ma come poteva pensare che non fossi attratto da lei? Che non potesse darmi piacere, se già così mi sembrava di impazzire, di morire di nuovo?

La rabbia si impossessò del mio corpo, la mia mano, come presa da vita propria, si strinse intorno alla sua morbida rotondità senza controllo.

Il suo gemito mi incendiò ancor di più, sentivo una forza ed una potenza sconosciuta fluire tra i miei muscoli. Percepii chiaramente che il suono da lei emesso non era di piacere, ma di dolore.

La furia mi accecò e la frustrazione per non essere riuscito a controllarmi la alimentò a dismisura.

Con la mano libera le divaricai sgarbatamente le gambe e spinsi prepotentemente il mio bacino contro di lei. Volevo che sentisse l’effetto devastante che mi faceva, che provasse l’intenso dolore che mi dilaniava in quel momento.

«Così io non ti voglio eh? Che c’è non vuoi più concederti a me?» la mia voce cattiva era irriconoscibile. Le baciai le labbra con violenza e la sentii mormorare contro di me.

«Per favore no …, non così.» le sue lacrime silenziose bagnarono il viso di entrambi.

Il suono della sua voce, così timoroso, così impaurito mi schiaffeggiò con violenza. Tremava dalla testa ai piedi.

Ma che diavolo stavo facendo?

Finalmente ritornai in me.

Allentai la presa e scostai il mio corpo dal suo. Riuscii a mettere a fuoco il suo volto sconvolto, i suoi occhi sgranati e sentii esplodermi la testa in milioni di frammenti. Non l’avevo che sfiorata ed ero riuscito già a farle del male.

Mi alzai dal letto con il cuore infranto, disgustato da me stesso.

Le lanciai un ultimo sguardo. Nonostante l’intensità delle sensazioni che ancora aleggiavano nella stanza, non potei che ammirare il suo corpo disteso sulle lenzuola, i capelli sparsi sul cuscino, gli occhi lucidi dalle lacrime, splendida ed acerba esposta ai miei occhi. Mi girai verso la porta e prima di scendere dabbasso,  le dissi con dolore e contrizione:

«Sei contenta adesso?» 

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Capitolo 30
*** SABATO ***


NOTA DELL’AUTRICE: Calma, calma, questa volta c’è mancato davvero poco …! Vorrei chiarire alcuni  particolari che reputo fondamentali dello strano comportamento di Eddy. Mie care è vero che è un supersrtafigo di eroe, è vero che anche a vederlo per strada si rischia il collasso e gli si vorrebbe saltare addosso, ma insomma, è pur sempre un UOMO, con reazioni nuove all’amore e al sesso! Che cosa avreste fatto voi se la persona che amate più di voi stesse, a cui rischiate di spezzare un osso con una carezza, prima vi provocasse apertamente (e non tanto innocentemente, ricordate la premeditazione) e, poi, fraintendesse il motivo per il quale siete restii a “quagliare”(termine napoletano per indicare completamento di un’azione a lungo attesa!)? Qua sembra che vi siete dimenticate che Bella gli dice che capisce che lui non la vuole solo perché, non essendo vampira, non gli permetterebbe di sfogarsi a sufficienza …! Eddy non si infuria perché lei lo vuole, ma perché lui, pur volendola con tutto se stesso, non riesce a spiegarsi, a farle capire che tormento interiore vive. UE LUI POTREBBE UCCIDERLA!!!!  E l’ultima frase si riferisce al fatto che, come lui aveva previsto, era bastato un niente per fargli perdere un attimo di lucidità e far sfuggire al suo controllo la bestia che, ricordatelo sempre, è parte integrante di lui.

Intendiamoci, niente, ma dico NIENTE, giustifica la violenza. Soprattutto sulle donne. Ma mi sembrava doveroso nella mia ff sottolineare quanto sia duro il dilemma interiore di Edward.

Mi faceva gentilmente notare Davide via mail, che sarei riuscita bene ad entrare nella mente di Edward. Grazie, il tuo commento mi è davvero utilissimo. Per quanto abbia tentato (inutilmente) anche nella vita reale, credo che solo in questa ff mi sia riuscito di capire davvero una mente maschile. O almeno ci ho provato.

Vorrei ringraziare tutti coloro che ancora mi seguono, mi aggiungono a preferiti e mi mandano tante mail carine.

E non finisce qua …

Endif

CAP. 30

SABATO

 

BELLA

Aprii gli occhi a fatica, per poi richiuderli subito dopo.

Li riaprii di nuovo e trovai sempre la stessa immagine ad aspettarmi.

Il viso di Edward era a pochi centimetri dal mio e mi osservava rilassato, completamente disteso sul letto al mio fianco.

«Ciao» mugolai io, con la voce ancora impiastricciata dal sonno.

«Ben svegliata» disse lui, regalandomi un sorriso luminoso, gli occhi dolcissimi.

«Che ore sono?» chiesi, cercando di soppesare la quantità di luce che filtrava dalla parete di vetro.

«E’ ora di pranzo per gli umani. Direi che hai dormito per un bel pezzo.» rispose con tenerezza.

Mi drizzai a sedere e mi ricordai che non mi ero cambiata prima di addormentarmi tra le lacrime. Il vestito era tutto sgualcito, ed io dovevo avere un aspetto orribile. Gli lanciai uno sguardo. Edward  era rimasto disteso, ma era impeccabile in jeans e camicia nera rimboccata alla maniche. Lui, evidentemente, si era invece lavato e cambiato.

Mi guardai intorno dubbiosa. Nel “weekend di passione” della mia testa, forse non sarebbero stati contemplati gli abiti, ma nella realtà sì, ed io ne ero praticamente sprovvista. Avevo bisogno urgente di rinfrescarmi, il mio cervello non connetteva senza una doccia ristoratrice.

«Alice ti ha preparato un borsa con dei ricambi e dei vestiti. E’ nell’armadio.» Continuava a guardarmi con espressione dolce ed assorta al tempo stesso.

Ero confusa.

Non mi sentivo ancora padrona di me stessa, inoltre mi vergognavo da morire per la scena della sera prima.

Avevo praticamente implorato Edward di fare l’amore con me! E lui mi aveva rifiutata… Quando, poi, avevo cercato di recuperare i cocci del mio orgoglio e avevo tentato di fornire a lui, ma soprattutto a me stessa, una spiegazione, l’avevo fatto anche infuriare.

Tremai al ricordo.

Non avevo mai visto Edward così alterato nei miei confronti e non riuscivo a comprenderne il motivo. Sapevo che mi amava, ma forse, il fatto che non fossi una vampira poneva dei limiti al nostro rapporto, che non avrei mai potuto apprezzare appieno.

Mi alzai per avvicinarmi all’armadio, e ci ficcai dentro la testa. Il ricordo della sera prima bruciava ancora dentro di me. I miei occhi erano diventati lucidi e non volevo piangere davanti a lui.

Mi dilungai più del dovuto passandomi un fresco vestitino di lino da una mano all’altra, sperando che le lacrime non rotolassero giù. Poi afferrai l’intimo, lo appallottolai nella mano e ci misi sopra l’abito. Drizzando le spalle, sospirai. Non potevo trattenermi all’infinito nell’armadio di Edward.

Mi girai di scatto e andai letteralmente a scontrarmi contro il suo torace. Le sue braccia mi strinsero per non farmi cadere.

«Scusami, non mi ero accorta …» con lo sguardo fisso sulla sua camicia, tentai di divincolarmi, e lui mi lasciò andare subito, allungando le braccia giù per i suoi fianchi. Sempre con gli occhi bassi, feci per aggirarlo e lui non mi fermò. Arrivai alla porta che già una lacrima mi era scesa sulla guancia.

La spalancai e corsi in bagno.

Richiusi la porta e mi lasciai scivolare a terra. A tentoni raggiunsi un rubinetto e lo aprii facendo scorrere l’acqua.

Mi occorreva un diversivo.

Afferrai un asciugamano e ci immersi dentro la bocca per soffocare un singhiozzo che speravo gli sarebbe sfuggito. Tentai di calmarmi. Non aveva senso tormentarmi a quel modo, altrimenti ogni minuto trascorso in quella casa sarebbe stato una tortura.

Presi a dondolarmi avanti e indietro.

Dopo qualche respiro profondo, più padrona di me stessa,  mi rialzai e cominciai a spogliarmi.

Decisi di buttarmi sotto la doccia e lasciai così che l’acqua bollente mi sciogliesse i muscoli. Mi sentivo indolenzita, e faticavo a muovere il braccio sinistro. Chiusi il rubinetto, mi avvolsi in un asciugamano bianco profumato e, prima di farlo cadere a terra, mi frizionai brevemente tutto il corpo.

Completamente nuda, mi guardai allo specchio e spalancai gli occhi. Avevo un livido alla base del collo, lì dove Edward aveva premuto le dita. Lo sfiorai delicatamente. Mi doleva un poco, ma era sopportabile. Poi, il mio sguardo scese più in basso e notai un vistoso ematoma sul seno sinistro. Quello sì che mi faceva male! I capezzoli si inturgidirono mentre sfioravo quell’alone verde-bluastro e il seno mi fece ancor più male. Mi piegai su me stessa cercando di massaggiare la pelle e distenderla, ma non riuscivo neanche a sfiorarla. Pulsava incredibilmente forte.

Un gemito di dolore mi uscì dalle labbra.

All’improvviso sentii bussare alla porta e sobbalzai.

«Bella, è tutto a posto?» la sua voce era preoccupata, tesa.

Afferrai l’asciugamano, stringendomelo al petto. Doveva aver notato sicuramente i segni sul collo, ma non volevo che vedesse anche quelli sul seno. «Sì, ho urtato contro lo sgabello. Niente di grave. Mi vesto e scendo.» dissi, cercando di assumere un tono leggero.

Non sapevo se mi avesse creduto, probabilmente no, però non sentii nessun movimento dietro la porta. Allora mi vestii velocemente e mi sistemai i capelli sciolti sulle spalle in modo che coprissero un po’ il collo. Dopo un’ultima breve occhiata allo specchio, aprii la porta risoluta.

Quasi urlai quando me lo trovai praticamente dinnanzi. Non si era allontanato per niente, e dal suo sguardo si capiva chiaramente che non aveva creduto affatto alla scusa dello sgabello.

Imbarazzatissima, saettai lo sguardo cercando una via di fuga. La sua figura occupava tutto lo stipite della porta perciò, se avessi provato a spingerlo via, probabilmente mi sarei solo slogata un polso. Mordendomi il labbro, spostai il peso da una gamba all’altra. Poi, improvvisamente, lui si voltò per scendere le scale ad una velocità folle, non senza che le sue parole riecheggiassero ancora nell’aria «Ti aspetto alla Volvo.»

Guardai il corridoio vuoto dinnanzi a me e gli occhi cominciarono a pizzicarmi dolorosamente.

Aveva deciso di riaccompagnarmi a casa!

 

EDWARD

Osservai Bella scendere lentamente le scale del portico e dirigersi con aria affranta verso la portiera che le tenevo aperta. Sembrava triste e mi maledissi per questo. Non potevo certo ignorare il peso che il mio riprovevole comportamento della sera prima aveva in tutto ciò.

“Dopo aver sbollito la rabbia, suonando per ore al pianoforte, mi ero diretto verso la mia camera, dove sentivo che lei si era addormentata da un pezzo. Silenziosamente ero entrato e l’avevo osservata a lungo. Era rannicchiata al centro del letto, con le guance ancora un po’ umide per le lacrime versate, e indosso l’abito di seta blu della “nostra” cena romantica. I capelli tutti in disordine le ricadevano sul collo e sul viso. Mi ero avvicinato, distendendomi accanto a lei con estrema attenzione. A vederla così indifesa, incosciente nel sonno, pareva ancor più bella, ancor più innocente.

Sentivo di non meritarla.

Nello scostarle delicatamente una ciocca che le ricadeva sulla guancia, le avevo scoperto anche parte del collo.

Ero rimasto con gli occhi spalancati, vacui mentre fissavo i segni lasciati dalle mie dita che, da rossi, stavano degradando in un inquietante violastro. Avevo serrato forte i denti e ritratto la mano come scottato.

Chi ero io per lasciare quei lividi sulla pelle candida e delicata di Bella? Chi mi dava il diritto di sfiorarla, pur sapendo che un mio tocco poteva procurarle dolore?

Disteso al suo fianco, avevo ascoltato tutta la notte il suo respiro profondo e regolare. Era stato un balsamo per il mio animo ferito.

E avevo riflettuto. Tanto.

La mia amata non aveva fatto altro che dare voce ad un desiderio struggente, inespresso per entrambi, nonché più che legittimo. Non c’era nulla di strano che una ragazza della sua età volesse completare l’amore che la lega al proprio uomo con un rapporto fisico. Era più che giusto, più che naturale.

L’unica nota stonata in tutto questo, era il suo fidanzato vampiro.

Vampiro e maniaco.

Pur cercando di essere comprensivo, i miei tentativi di farle capire esattamente a cosa andavamo incontro, cosa avrebbe rischiato con me in una situazione tanto delicata, erano stati fraintesi.

Bella si era sentita rifiutata e, peggio ancora, aveva cercato di consolarmi, di giustificarmi, ritenendosi inadeguata. Credeva che io non la volessi, perché, essendo lei un’umana, non avrei mai potuto sfogare pienamente i miei istinti più selvaggi.

Non ci avevo visto più, c’era mancato davvero poco che non riversassi su di lei la mia profonda frustrazione! E nonostante mi fossi trattenuto dal compiere qualche gesto sconsiderato, ero riuscito ugualmente a farle del male, sia emotivamente che fisicamente.

No, così non andava affatto bene. Occorreva porvi rimedio.

Non c’era nulla che non avrei fatto per lei.

Non volevo, non potevo perderla così.”

Mi riscossi, accorgendomi che si era seduta a testa bassa al posto del passeggero, le mani in grembo, il viso pallido.

Aggrottai le sopracciglia.

Poi, accovacciandomi sulle punte dei piedi, le presi le mani fra le mie. Erano forse più fredde del mio corpo. Inclinai la testa di lato cercando i suoi occhi e le chiesi: «Bella, cos’è che ti turba tanto?»

Nessuna risposta.

Ecco un’altra splendida occasione mancata, in cui il mio potere sarebbe stato estremamente utile!

Riprovai con tono più dolce e suadente: «Se preferisci rimanere a casa, non hai che da dirlo. Pensavo ti facesse piacere fare una passeggiata, ma se non è così, possiamo fare qualsiasi altra cosa tu desideri.»

La vidi alzare di scatto gli occhi su di me e sbarrarli per la sorpresa.

«Non … non volevi riportarmi a casa mia?» chiese incerta e speranzosa al tempo stesso.

Edward, sei proprio un testone! Mi dissi mentalmente, mimando la voce che avrei sicuramente ascoltato nella mia testa se Alice fosse stata presente.

Dal mio atteggiamento scostante e impacciato, Bella aveva dedotto che avessi deciso di riportarla a casa sua, che non volessi più stare con lei.

Oh, come era facile cadere in errore, interpretando male i segni del corpo …!!!!

«Ma no che non ti riporto a casa sciocchina! Abbiamo ancora due interi giorni da trascorrere ed ho ben altri programmi per noi due …» mi allungai un po’ per sfiorarle le labbra con delicatezza. Osservai i suoi occhi illuminarsi, così lasciai che la loro gioia mi riscaldasse il cuore freddo e immobile.

Mi gettò le braccia al collo, nascondendo il viso nella mia spalla, senza riuscire a profferire parola.

Allora mi scostai leggermente, le sorrisi con calore e mi alzai, dirigendomi poi al volante.

Sì, decisamente avrei fatto qualunque cosa pur di vederla felice.    

 

PS: DOVEROSI RINGRAZIAMENTI ALLA MIA BETA RITA (OSSIA GAZY). SEI UN ANGELO, NONOSTANTE TUTTI I TUOI IMPEGNI DI FINE ANNO SCOLASTICO HAI CONTINUATO A CORREGGERE I MIEI ORRORI. GRAZIE INFINITE ENDIF

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Capitolo 31
*** UNA GITA INASPETTATA ***


CAP. 31

UNA GITA INASPETTATA

 

BELLA

Ero emozionata come una bambina.

Il sollievo della scoperta che Edward non fosse più inquieto con me, mi aveva donato una sensazione di immensa leggerezza. Accanto a lui, benché questo non fosse proprio un giorno da scampagnata, mi sentivo allegra ed euforica.

Non sapevo dove mi stesse portando, ma se anche avessimo fatto ritorno a casa, senza alcuna sosta, non avrei potuto essere più felice.

Stavamo percorrendo una strada che non conoscevo, quando l’auto svoltò in una stradina laterale e si inoltrò su per un tratto non sterrato.

Attorno a noi solo silenzio.

Dopo qualche minuto, Edward fermò l’auto in un piccolo slargo del sentiero.

Il silenzio divenne totale. Osservai il cielo. Le nuvole erano scomparse da un pezzo e il sole era prepotentemente emerso in tutta la sua potenza.

Mi girai verso di lui perplessa.

Ma potevamo rischiare di uscire con tutta quella luce? E se l’avessero visto?

I suoi occhi mi scrutarono divertiti. Aprì la portiera dal suo lato e mise una gamba fuori.

Gli poggiai una mano sul braccio e chiesi preoccupata: «Edward, ma sei sicuro che non ci sia nessuno?»

Per risposta lui mi prese la mano, ne baciò prima il dorso e poi il palmo soffermandocisi sopra un momento ed uscì dall’auto.

In un attimo fu al mio fianco, con la portiera aperta e la mano tesa per aiutarmi a scendere.

Trattenni il fiato osservando la miriade di sfavillii che si diramarono improvvisamente dal suo corpo per riflettersi ovunque. Era di una bellezza da mozzare il fiato.

«Vieni Bella, non avere paura, non c’è nessuno! Alice mi avrebbe avvertito in caso contrario e mi ha già fatto il bollettino meteo per tutto il weekend …» mi chiarì lui con voce rilassata e sicura.

Allora afferrai la sua mano e scesi dall’auto. Poi, osservai i miei sandali che lascavano quasi del tutto i piedi scoperti. Due sottili striscioline di cuoio fasciavano il dorso del piede. Non erano sicuramente adatti al trekking …

Alzai lo sguardo su di lui e dissi mortificata: «Mi sa che non ho scelto la tenuta più adatta per una passeggiata tra i boschi …»

Per tutta risposta lui disse: «Non sarà di certo un problema!» e fulmineo mi passò un braccio dietro alle ginocchia ed uno intorno alla vita facendomi librare nell’aria come fossi stata una piuma.

«Reggiti forte!» e mi fece l’occhiolino con aria maliziosa.

Annuii vigorosamente con il capo e nascosi il viso nella sua spalla. Sentii il suo petto vibrare leggermente sotto la mia guancia in una risata leggera e cominciò a correre.

Sentivo l’aria fresca sulla mia pelle, lo svolazzare del lino intorno alle mie gambe, la sua presa forte e salda sul mio corpo. Non osai alzare lo sguardo, era troppo tempo che non correvamo più così e non volevo rovinare la magia del momento sentendomi male.

D’un tratto ci fermammo. Edward mi tenne tra le sue braccia ancora per qualche secondo, poi, sentendomi in equilibrio posai le gambe a terra senza tuttavia staccare il mio viso dalla sua spalla. Mi azzardai a fare capolino aprendo un occhio.

Vedevo del verde lussureggiante nel mio raggio d’azione.

Qualcosa di luccicante attrasse la mia attenzione. Decisi di alzare del tutto il viso, ma di mantenere le braccia ancora allacciate al suo collo. Presi un respiro profondo che mi si mozzò in gola non appena spostai lo sguardo dal suo petto.

Davanti ai miei occhi si stagliava il lago più azzurro, luminoso ed immenso che avessi mai visto in tutta la mia vita. Era immerso nelle tonalità fresche e vive del verde estivo, ma come protetto dalle montagne che si stagliavano tutt’intorno. Era un vero e proprio paradiso. Feci qualche passo verso la riva.

La calma ed il silenzio erano irreali, sembrava di essere piombati in una favola meravigliosa.

«Ti piace?» il suo fresco respiro mi solleticò l’orecchio, le sue mani si poggiarono da dietro sulla mia vita.

Non riuscii a fare altro che annuire con il capo. Era emozionatissima. Il cuore mi batteva ancora forte nel petto, rimbombando nella mia testa.

All’improvviso vidi ondeggiare davanti agli occhi un bikini celeste.

«Vorresti unirti a me?» disse con voce carezzevole ed accattivante.

Arrossii fino alla radice dei capelli ed abbassai lo sguardo: «Non … non saprei. Magari più tardi …» ma gli schizzi d’acqua che raggiunsero i miei piedi, mi rivelarono che Edward si era già tuffato.

Rimasi con il costumino in mano ad osservare le bollicine d’acqua che si alzavano tutte intorno al punto in cui si era immerso. Lo vidi riemergere a parecchia distanza da me.

«Dai Bella, solo un tuffo prima di pranzo! Prometto che non sbircerò .. » e rise, mentre si scrollava l’acqua dai capelli muovendo con grazia la testa a destra e a sinistra.

Eccolo il mio miracolo personale. Bello come il dio dei mari, sfavillante sotto la luce del sole, con indosso quasi nulla, che mi dava le spalle in attesa che lo raggiungessi in acqua.

Deglutii a secco e cominciai a sfilarmi i sandali.

EDWARD

Appena fui certo che fosse entrata completamente in acqua mi girai e le andai incontro nuotando ad ampie bracciate. Era ferma e tesa dove ancora aveva piede, e muoveva le braccia facendo ondeggiare l’acqua davanti a sé. Non appena le fui vicino le tesi la mano e la invitai a seguirmi. Fece segno con le dita da sotto l’acqua di allontanarmi dando più vigore al gesto dicendo: «Sciò, sciò, non importunarmi, ti prego!». Uno splendido sorriso le comparve sul volto ancora un po’ arrossato.

Mi immersi completamente e riemersi a pochi centimetri da lei. Sentivo il calore della sua pelle attraverso l’acqua. Non riuscii ad impedirmi di toccarle i fianchi ed attrarla a me.

La sentii tremare, pensai per il freddo. Abbassò leggermente il capo ed io inspirai con forza l’odore dei suoi capelli bagnati. L’acqua ne esaltava enormemente la fragranza di pulito e di lavanda.

Ero pienamente cosciente dell’imbarazzo che avvertivo in lei.

Con un dito le carezzai la guancia delicatamente. Mi chinai verso di lei e presi a strofinarle la guancia con il naso. Desideravo che si sciogliesse, che si sentisse più a suo agio.

Lei alzò per una frazione di secondo i suoi occhi su di me, ma spostò subito lo sguardo. Tanto mi bastò per leggerci dentro un vago timore.

Bella aveva paura di me!?

Con un dito la portai a volgere il viso verso di me, tuttavia non riuscii a catturare il suo sguardo.

«Bella, non devi avere paura di me.» Sospirai, passandomi una mano tra i capelli bagnati.

«So che ti sembra assurdo dopo ciò che è successo ieri sera, ma credimi se ti dico che non potrei mai farti del male.» alle mie parole sentii il suo cuore fare una capriola ed accelerare il battito. Continuava a non guardarmi.

«Questo lo so …» disse con una vocina flebile e leggera.

«Bella, ieri sono stato imperdonabile con te.» Finalmente alzò lo sguardo su di me, sembrava perplessa. Fece per dire qualcosa, ma le posai un dito sulle labbra.

«Sono un idiota, amore. Nel mio disperato tentativo di proteggerti, non ho tenuto conto del fatto che avrei potuto ferirti ugualmente. Non volevo, Bella, te lo giuro. Sei tutto per me, tutta la mia vita …» dissi in preda ad un profondo turbamento.

Sentii le sue braccia circondarmi il collo con dolcezza e le sue gambe sfiorare le mie.

«Shh, Edward, non devi darmi alcuna spiegazione …» sussurrò lei sul mio collo. «E, credimi, non è di te che ho paura, ma piuttosto di me stessa, delle sensazioni che provo …» la voce le si affievolì piano piano.

«Amore, anche io provo la stessa cosa. Queste emozioni così … così intense sono anche per me un territorio nuovo ed inesplorato» trassi un profondo respiro e continuai: «Bella anche io ti desidero molto, con tutto me stesso. Pensavo che questo fosse chiaro, lampante non solo per me.» la sentii trattenere il fiato e la strinsi con maggiore ardore.

«Spero che il mio assalto di ieri notte non ti abbia sconvolta, ma per me è molto difficile controllarmi in certe situazioni, e tu sei una tale tentazione …» alzai gli occhi al cielo, solo Dio poteva sapere quanto grande fosse il mio tormento anche in questo momento.

«Davvero?» chiese lei esitante ancora contro la pelle del mio collo.

«Certo. Ogni istante. » confermai io.

«Anche … adesso?» la sua voce era dolce ed titubante.

Espirai con forza, strinsi un po’ le labbra e ammisi: «Sì, Bella, anche adesso». Ancora faticavo a capire come potesse sottovalutarsi a tal punto da ritenersi insignificante. Non c’era essere più meraviglioso, più delicato, dolce e sensuale al tempo stesso, ritrosa e passionale alla stessa maniera, che avessi mai incontrato nella mia vita.

Le sue labbra deposero un timido e lieve bacio nell’incavo del mio collo. Sentii la pelle fremere a quel contatto. Anche lei lo avvertì e divenne più audace.

Cercai di sorridere, ma la tensione per mantenere l’autocontrollo era troppa. La mia piccolina stava prendendo confidenza con le sue arti di seduttrice. Capivo che la cosa la incuriosiva e contemporaneamente la esaltava. Fino a quando riuscivo a resistere, non l’avrei fermata, non potevo rischiare di ferirla di nuovo mentre stava riprendendo fiducia in se stessa. Era importante che capisse quanto piacere sapeva donarmi.

Così, presi un profondo respiro.

Sentii le sue dita scorrere leggere sul mio torace ed un ringhio sommesso mi nacque dal petto. Lo soffocai, non volevo spaventarla.

«Ti … ti piace se ti tocco così?» la sua voce era bassa, lieve.

«Sì» sospirai «Sì … mi piace» la mia voce uscì, invece, roca e gutturale. Voleva delle conferme, ma come rivelarle tutto il mio desiderio senza farla fuggire via a gambe levate? Cercai di essere il più delicato possibile, sforzandomi di trattenere le mani al loro posto. Quello era il suo momento, era lei che doveva condurre il gioco, non dovevo permettere alla mia sensualità di vampiro di confonderla e di alterarne i sensi.

Chiusi gli occhi, mentre le sue gambe si allacciarono ai miei fianchi e la punta delle sue dita prese a scorrermi sulla schiena.

L’acqua tiepida facilitava la nostra vicinanza, ma ai miei sensi particolarmente sviluppati non sfuggirono le differenti temperature delle varie parti del corpo di Bella premute contro il mio. Con l’ultimo movimento che aveva fatto sentii un intenso calore premere contro il mio bacino.

Forse sarei morto davvero, adesso.

Mi irrigidii un po’, e sentii che anche il suo corpo entrava in tensione.

«Ti … ti do fastidio così?» era incerta.

Inspirai profondamente e con un sorrisino appena accennato dissi: «Bella, se potessi sapere cosa provo adesso …» faticavo a riconoscere la mia stessa voce. Scossi con lentezza la testa e deglutii « No, non mi dai fastidio».

Si strinse allora di più a me. Non sarebbe stato possibile nascondere tutta la mia eccitazione con un contatto così ravvicinato, ma lei non sembrava esserne turbata.

Abbassai con lentezza il capo per strusciare il naso sotto la sua mascella. Era fresca e profumata, vedevo la sua giugulare pulsare impazzita, sentivo il suo sangue che mi chiamava. Con la punta della lingua sfiorai la pelle che si rialzava leggermente lì dove ricopriva quella vena.

Il desiderio di fondermi con lei cominciò a diventare doloroso.

Le mie mani scesero giù per la schiena raggiungendo le sue natiche. Le strinsi con quanta più delicatezza possibile, e la sentii gemere.

Di piacere, questa volta.

Fu come un lampo, nella mia testa. Le mie dita si insinuarono sotto il suo costume a cercare un contatto più intimo. La sua pelle era morbida e soda.

Si inarcò contro di me, sporgendosi con il torace verso il mio viso e reclinando la testa all’indietro. Il movimento le espose completamente il collo alle mie labbra.

Sentii i miei occhi incupirsi, le mani cominciarono a tremare nello sforzo di trattenere la loro potenza. Ne staccai una dai suoi glutei per percorrere la meravigliosa e delicata linea del suo collo.

Lentamente, con sensualità le scostai la spallina destra del reggiseno.

Volevo guardarla.

Un tenero bocciolo dalla punta rosea si rivelò ai miei occhi.

Con delicatezza, quasi con riverenza, lo sfiorai a pel d’acqua.

Ne constatai la turgidezza sotto i polpastrelli. Era stupenda.

La sentii strofinarsi contro di me.

Sapevo che non avrei retto ancora per molto, ma ero come ipnotizzato dal suo corpo, dai suoni che fuoriuscivano dalle sue labbra. Sentii che un nuovo impeto stava scorrendomi nei muscoli.

Trovai la sua bocca con la mia e la issai fuori dall’acqua prendendola tra le braccia.

In un attimo fui sulla riva e la distesi sull’erba senza staccarmi da lei un istante.

Con destrezza la sciolsi dall’ingombro del pezzo superiore del bikini. Bella era in balia delle mie mani, della mia lingua. Non connetteva più, il respiro affannoso, gli occhi vitrei, il cuore al galoppo.

Volevo guardarla tutta, nuda, solo per me. Scostai leggermente il mio torace dal suo petto.

E quando i miei occhi si posarono sul lato sinistro del suo corpo mi paralizzai e sgranai gli occhi. Una vistosa lividura violacea occupava tutto il seno, fino a raggiungere quasi il fianco. Trattenni il respiro e rimasi a fissare quello scempio sul corpo della mia Bella, che, ignara di tutto giaceva stesa con gli occhi chiusi totalmente in mio potere.

«Io … ti ho fatto questo?» sussurrai a me stesso con un filo di voce, mentre la frustrazione mi piombava  addosso come una valanga. Lei aprì gli occhi e mi guardò confusa.

Seguì la direzione del mio sguardo e cercò di coprirsi con la mano, imbarazzata. «E’ più brutto di quanto non sia in realtà.» disse cercando di schiarirsi la voce.

«Senti molto dolore? Ti prego, non mentirmi.» le chiesi senza riuscire a staccare gli occhi dalla sua pelle candida deturpata da quell’ematoma che io le avevo procurato.

Scosse la testa in silenzio e si girò sul fianco rannicchiandosi contro di me.

L’enormità del rischio che stavo per farle correre in questo momento mi diede la lucidità necessaria per riacquistare il controllo delle mie azioni.

Con delicatezza le sfiorai una guancia con le labbra e contemporaneamente la coprii con la mia camicia.

La avvolsi, poi, con le mie braccia come se fosse un cristallo, con lentezza e circospezione, e le sussurrai all’orecchio: «Ti prego, perdonami.»

Rimanemmo abbracciati sull’erba fino a quando non la sentii rabbrividire.

Allora la scostai con dolcezza fissando i miei occhi nei suoi: «Giuro che ci proveremo, Bella. Proveremo a fare l’amore, e sarà meraviglioso. Ma dovremo essere molto cauti. Non posso permettermi di perdere ancora il controllo con te. Ti prometto che non ti farò mai più una cosa come questa.»  

 

NOTA DELL'AUTRICE: Scusate il ritardo e soprattutto per non essere riuscita a rispondere alle vostre recensioni. La mia migliore amica si è sposata ieri e sono stata incasinataissima. Posto un capitolo da infarto, ma spero che vi piaccia ... Fatemi sapere. Ringrazio come sempre la mia Beta Gazy. Bacioni a tutti
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Capitolo 32
*** DOMENICA ***


NOTA DELL’AUTRICE: Vado di corsa. Ho qualche idea saporita per i prossimi capitoli. Perdonatemi se non rispondo alle vostre recensioni, ma sapete che le apprezzo tantissimo. Il matrimonio della mia amica è stato bellissimo, grazie per i vostri auguri.

Ringrazio ancora i 104 preferiti e 45 seguiti. Ogni giorno che controllo, quando vedo aumentare questi numeretti mi entusiasmo e mi rigenero … Bacioni

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CAP.32

DOMENICA

 

BELLA

“Correvo a perdifiato in un bosco. Non era quello di Forks, non ne riconoscevo nessun albero. Sentivo i piedi nudi lacerarsi a contatto con i rami e i sassolini che incontravano nel loro movimento.

Dovevo correre. Solo questo sapevo con certezza. Dove, non aveva importanza.

Il respiro insufficiente nei miei polmoni mi aveva portato un dolore al costato che mi rallentava molto, ma avevo ordinato alle mie gambe di non fermarsi e per il momento pareva che mi stessero ascoltando.

Via, scappa Bella. Non ti fermare, non ti girare.

Ripetevo continuamente quelle parole nella mia mente, la sensazione di panico che si radicava nel mio corpo.

Cadevo, mi rialzavo, ricadevo ancora.

Qualcosa di viscido e umido mi toccava una spalla. Venivo strattonata e cadevo all’indietro.

Freddo.

Due occhi azzurri e malvagi si avvicinavano al mio viso. Non potevo alzarmi, non potevo muovermi.

Gli occhi diventavano improvvisamente color miele, poi neri come la notte.

Aprivo la bocca per gridare, ma nessun suono ne usciva.

Il vuoto intorno a me, il buio.

Era la fine.”

Un lieve venticello passò sui miei occhi. Li sentii raffreddarsi immediatamente, ma anche se mi sforzavo, non riuscivo ad aprirli. Erano pesanti, due macigni sul mio viso.

Volevo spostare una braccio, ed esultai quando un dito si mosse. Subito qualcosa di freddo lo catturò, ricoprendo tutta la mano.

«Bella, svegliati …» quel sussurro dolce doveva provenire dalle labbra di un angelo.

O di un vampiro.

Il mio vampiro. Sbattei le palpebre, aprii gli occhi per incontrare altri due dorati e preoccupati che mi scrutavano.

Misi a fuoco i contorni del suo viso, la luce che rischiarava la stanza e che giocava con i suoi capelli ramati.

Inspirai profondamente e sussurrai: «Edward.»

«Sì, amore, sono qui.» la sua mano mi carezzava i capelli. Poi un dito passò sulla mia guancia, come a catturare qualcosa e mi resi conto che stava asciugandomi una lacrima.

Mi toccai il viso con la mano. Era bagnato. Dovevo aver pianto molto.

«Credo che tu abbia avuto un incubo, come ti senti?» mi chiese con fare calmo, ma attento.

 Mi sentivo esausta, come se invece di aver dormito, avessi corso.

Corsa! Sprazzi del sogno mi inondarono la mente. Mi drizzai a sedere e lui si ritrasse un po’ per agevolarmi nel movimento.

«Stò bene, ho fatto solo un sogno strano.» Gli risposi passandomi una mano tra i capelli. Molto strano a giudicare dall’agitazione che doveva avermi fatto dimenare nel letto come un’ossessa. Il groviglio che mi ritrovavo in testa al posto dei miei riccioli morbidi ne era una chiara testimonianza.

«Ne vuoi parlare?» il suo tono era sereno, ma si vedeva chiaramente che era teso. Strano anche questo. Non era la prima volta che Edward dormiva con me, e sapeva perfettamente che spesso mi agitavo nel sonno, parlavo e avevo degli incubi. Ma stavolta sembrava diverso, sembrava scosso.

Lo guardai dritto negli occhi, cercando di cogliere una variazione di espressione. Niente. «Correvo nel bosco, e come sempre inciampavo …» dissi vaga.

Speravo di alleggerire l’atmosfera, ma nel suo sguardo guizzò per un attimo una strana fiammella.

«Fuggivi da qualcosa, o forse dovrei dire, da qualcuno?» chiese con aria noncurante.

Perfetto! Chissà cosa avevo blaterato nel sonno!

Optai per una mezza verità: «Non ricordo, è tutto così sfumato …»

Lui parve soppesare la mia risposta, poi si rilassò e sorrise. «Non preoccuparti, tanto era solo un sogno.» Mi depose un bacio sulla fronte e disse: «Che ne dici di vestirti e scendere giù? Ti ho preparato una colazione coi fiocchi. Ne avrai bisogno, oggi sarà una giornata faticosa!» E mi strizzò l’occhio con fare complice.

Gli sorrisi di rimando e annuii.

Così si rialzò dal letto per avviarsi alla porta. L’aprì ed uscì, non prima di avermi lanciato uno sguardo penetrante, al quale risposi con un debole sorriso.

Ringraziai la mia prerogativa di essere immune alle facoltà mentali di Edward. Non credevo che avrebbe gradito molto leggere nella mia testa che l’incubo riguardava due magnetici occhi dorati …

Quel sogno mi aveva turbata. Avevo paura di lui? Magari una di quelle cose da strizzacervelli, tipo inconscio onirico e roba simile?

No, con Edward mi sentivo al sicuro, non riuscivo a fare a meno di lui, soffrivo quando era via, anche solo per breve tempo. E lo amavo. Di questo ero certa.

Sospirai e afferrai il beauty.

Una doccia era ciò che ci voleva per schiarirmi le idee.

 

EDWARD

Guidare quell’auto era per me un vero piacere, ma non avevo molte occasioni di farlo a Forks, dove avrei dato nell’occhio più di quanto già non capitasse ogni giorno, con la mia sola presenza e con quella della mia famiglia.

L’Aston Martin scivolava per l’autostrada silenziosa e veloce. L’abitacolo era confortevole e saturo del profumo di Bella.

Era pieno giorno, tuttavia la luce non filtrava attraverso i vetri oscuranti.

Mi voltai ad osservarla, addormentata profondamente sul sedile accanto al mio. Aveva gli occhi segnati. La passeggiata fuori porta sarebbe servita a farla rilassare e stemperare la stanchezza della sera prima. Ripensai alle parole che ci eravamo scambiati quella mattina, qualche ora prima, riguardo la sua nottataccia.

Altro che sogno strano! Doveva aver avuto un incubo terrificante, a giudicare dalle urla e dalle lacrime che aveva versato. Era da parecchio che non si agitava nel sonno, e sapere che stava combattendo nel suo inconscio con delle visioni che la inquietavano, mi aveva frustato e incupito.

I sogni di Bella erano molto vividi, ma avrei voluto che fossero sempre dei momenti piacevoli, non degli incubi terrificanti. L’avevo osservata, inerme, contorcersi tra le lenzuola. Avevo percepito il suo cuore battere forsennatamente, i suoi singhiozzi strozzati mi avevano dilaniato il cuore.

Strinsi le labbra contrariato. Non sapevo con esattezza cosa avesse scatenato l’inquietudine di Bella, ma potevo immaginare con discreto margine di sicurezza che c’entravo io.

Tra i singhiozzi e le urla non mi erano sfuggiti i vari “Non mi toccare”, “Lasciami” e “Non voglio”.

Forse, inconsciamente, Bella pensava che volessi farle del male. O forse, aveva dei dubbi su quando realizzare la sua trasformazione. Sarebbe stata una reazione più che naturale, del tutto umana, dinnanzi alla belva che dimorava in me, e di cui le avevo fatto percepire un triste assaggio. Dovevo andarci con i piedi di piombo. Lei mi desiderava fisicamente come suo fidanzato, ma probabilmente mi temeva per la mia natura. Poteva non essere ancora pronta per concedere a me il suo corpo, o la sua vita, e non esserne pienamente cosciente.

Sospirai.

Bella non aveva mai mostrato alcun tentennamento a riguardo, e sapevo che era testarda. Sarebbe andata fino in fondo.

Ed io ero intenzionato a mantenere fede alle promesse che le avevo fatto. Avrei acconsentito alla sua trasformazione a tempo debito e avremmo tentato di condividere un rapporto fisico completo. Solo che le due cose non sarebbero andate di pari passo.

Avevo creduto che la prima potesse precedere la seconda, ma ormai era chiaro che non sarebbe andata in quel modo. Bella aveva insistito per non perdersi l’unico momento da umana che ero titubante a concederle per salvaguardare la sua stessa incolumità. Avrei fatto tutto quanto era in mio potere per rendere quell’esperienza speciale, non un atto sbrigativo consumato in fretta e senza delicatezza. E volevo che lei si sentisse completamente a suo agio, che non avesse nessun dubbio, conscio o meno che fosse.

Un mugolio le sfuggì dalle labbra e lei si accoccolò meglio sul sedile che le avevo reclinato completamente  per farla stare più comoda.

Sorrisi alla curiosità che l’aveva assalita durante le prime ore di viaggio, e che non avrei soddisfatto fino a quando non saremmo arrivati a destinazione. Avevo preso la decisione di portarla lì proprio dopo averla osservata dibattersi come una furia tutta la notte.

La sua agitazione, le sue lacrime, le sue grida, mi avevano spinto a riflettere attentamente. Bella  era combattuta a livello inconscio. Non ne conoscevo con esattezza il motivo, però ero più che deciso a scoprirlo.

Ritornai con la mente alla conversazione che avevo avuto telefonicamente all’alba con Alice e sghignazzai tra me e me a quel ricordo.

“Non appena avevo deciso di chiamarla, il mio cellulare aveva preso a vibrare. Non ero neanche riuscito ad appoggiarlo all’orecchio che la sua voce aveva cominciato a riversare un fiume di parole: «Scusa, ma che ti salta in mente? Ma hai dimenticato che Lunedì mattina deve ritornare a casa? Ti ricordo che ufficialmente è con me che stà, non con un vampiro squilibrato come te …» e aveva proseguito per cinque minuti filati senza prendere fiato nemmeno una volta. Non appena aveva compreso che stavo per spazientirmi, aveva chiesto sospirando: «Allora che vuoi sapere?»

«Aereo o auto?» avevo domandato io telegrafico.

C’era stato un attimo di attesa, poi Alice aveva risposto: «Auto. L’aereo porterà quattro ore di ritardo. E prendi l’Aston, domani di primo mattino dovresti essere di ritorno. Non prendere la 101 per uscire da Forks, perché ci sarà un incidente e sarà chiamato Charlie. Mmmm, penso di averti detto tutto. Ah, se credi che questo la faccia desistere dai suoi propositi, ti sbagli di grosso e, per dirla tutta …»

«Grazie Alice, ci si vede!» e avevo chiuso la comunicazione improvvisamente.”

Il viaggio fu lungo, ma andò molto meglio del previsto.

Eravamo arrivati in perfetto orario. Oltretutto, anche il fatto che fosse domenica ci aiutò non poco.

Quando arrivammo a destinazione, Bella scese dall’auto e sgranò gli occhi.

Per una volta confidai speranzoso nel fatto che, forse, Alice questa volta si sarebbe sbagliata.


PS: GRAZIE INFINITE A RITA (GAZY) LA MIA BETA, I TUOI SUGGERIMENTI MI HANNO AIUTATO A PROCEDERE DOPO ESSERMI IMPANTANATA UN PO'. BACIONI ENDIF

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Capitolo 33
*** UNA PROPOSTA INATTESA ***


NOTA DELL’AUTRICE: Cari lettori, ho deciso di terminare a breve questa ff. Mi sembra giusto avvertirvi che dal prossimo capitolo ci sarà un cambio di rating, da arancione a rosso. Mi dispiace se offenderò la sensibilità di qualcuno di voi, ma i capitoli mi sono venuti così e non posso farci nulla. Questa prova di scrittura è stata per me molto interessante, ma mi stà prendendo troppo tempo e troppo impegno. Mi piace ricordare questa storia con il seguito che ha avuto fino ad adesso, e ritirarmi in buon ordine. Ringrazio già da adesso tutti coloro che mi hanno sostenuto, siete stati molto cari.

Il capitolo che segue non è betato, scusate, ma ho problemi con la lettura delle mail.

Bacioni endif

 

CAP.33

UNA PROPOSTA INATTESA

 

EDWARD

L’osservai attentamente per carpire la sua reazione. Bella continuava a tenere la bocca lievemente aperta per lo stupore.

« Il Dartmouth College?» domandò sbalordita.

«Per l’appunto, il Dartmouth College» mi affrettai io a confermare con un sorrisino.

Si  girò verso di me con gli occhi spalancati, pieni di muti interrogativi. Senza lasciarle il tempo di dar voce ai suoi pensieri, le afferrai una mano e cominciai a camminare dall’area riservata al parcheggio agli enormi giardini che circondavano l’intero complesso. Senza opporre resistenza, mi seguì docile.

Dartmouth era uno dei College che avevo frequentato con maggior soddisfazione e a cui erano legati tanti ricordi.

Membro a pieno titolo della Ivy League, rappresentava una delle più prestigiose università della East Coast. Era composto da diversi edifici: il corpo principale era circondato a raggiera da una struttura che ospitava gli alloggi, una delle biblioteche più antiche e fornite degli Usa, il recente Hood Museum of Art disposto tra i precedenti Hopkins Center for the Performing Arts e la Wilson Hall. La planimetria ricordava un po’ la Chiesa di St. Matthew con un caratteristico vestibolo poligonale, progettato per essere il nodo principale di comunicazione all’interno del campus.

Qui si era infiammato il mio animo seguendo i programmi della Dartmouth Medical School. Qui avevo conseguito la mia prima laurea in medicina. Ricordavo come se fosse stato ieri la gioia di Carlisle quando ero tornato a casa dicendo che era mia intenzione seguire i corsi di medicina. Non aveva detto nulla di particolarmente entusiastico, ma avevo letto la commozione e la gioia nella sua mente al pensiero che qualcuno in famiglia avesse deciso di seguire le sue orme.

E adesso, ripercorrendo i sentieri alberati di quei giardini che ricordavano tanto i suggestivi College inglesi, sentii scorrere nelle mie vene un nuovo entusiasmo, quello che solo lo stupore e la curiosità di chi partecipa per la prima volta ad un evento unico può suscitare. Osservare ogni espressione di Bella, seguire la direzione del suo sguardo mentre si posava su un dettaglio, su un edificio, sui gruppi variegati di studenti che erano rimasti al campus nonostante fosse domenica, suscitò in me un rinnovato interesse, come se anche ai miei occhi apparisse tutto nuovo.

Camminammo tenendoci per mano ed io le descrissi con dovizia di particolari la storia e la funzione di ogni struttura. Ogni tanto mi sovveniva un ricordo o un aneddoto divertente legato ai miei anni di studente e lo raccontavo suscitando le sue risate. Come quando, all’ennesima sua bravata, avevo inseguito Alice  per tutto il campus, ma a velocità umana per non dare nell’occhio.

Bella si immobilizzò al centro di un sentiero lasciando la mia mano e mi chiese stupita: «Anche Alice ha frequentato questo College?»

«Sì, certo. Ed ha conseguito anche la laurea. Anzi due.» risposi io calmo.

Sgranò gli occhi dalla sorpresa «E in cosa?»

«Dunque … una laurea in economia alla Tuck School of Business ed una in arte antica e contemporanea.» dissi riprendendole la mano nella mia e continuando a camminare.

Mi accorsi che era diventata silenziosa e che aveva abbassato gli occhi.

Nonostante non ci fosse il sole, l’aria era pesante, il caldo particolarmente soffocante. Gli umani erano molto sensibili agli sbalzi di temperatura e non volevo che lei ne risentisse.

«Sei stanca?» le chiesi premuroso.

«Un po’» ammise lei.

«Vieni, conosco il posto giusto dove potrai riposarti e rinfrescarti.» e mi diressi verso il parcheggio.

«E ora dove andiamo?» chiese con circospezione.

La guardai con dolcezza e le risposi deciso: «A casa.»

 

BELLA

Sulla comoda Vanquish nera di Edward scivolammo per strade che non avevo mai visto, io che non mi ero mai spostata più in là di Phoenix.

La contea di Hanover era molto suggestiva. Tutto era immerso nel verde e, come avevo avuto modo di apprezzare al campus, in perfetta sintonia con la natura, in uno stretto ed indissolubile connubio. Osservai il paesaggio sfilare velocemente sotto ai miei occhi, fino a quando non arrivammo davanti ad una deliziosa villa su due livelli, con i mattoni a vista, completamente circondata da alte e centenarie querce. Decisamente quella era una giornata piena di sorprese.

Una volta fermata l’auto, Edward mi aiutò a scendere prendendomi la mano.

«Benvenuta a casa Cullen!» le sue parole mi colsero alla sprovvista.

Mi girai a guardarlo e l’osservai con la fronte aggrottata «Avete una casa in Virginia?» chiesi stupita.

 «Certo, e non solo qui. Quando si è costretti a spostarsi con una certa frequenza … Ad Hanover  abbiamo trascorso diversi anni. Ma è successo molto tempo fa. Ora nessuno ci riconoscerebbe. Vieni, ti mostro la casa» e mi scortò all’interno con un gran sorriso.

La villa era arredata con gusto e ricercatezza, ma era molto più country, rispetto a quella di Forks. Un enorme salone con il soffitto fatto di travi a vista era la stanza più ampia del piano terra. Un delizioso camino era disposto al centro della stanza e a semicerchio intorno ad esso uno splendido divano bianco di camoscio. Una parete era completamente ricoperta di libri, un’altra ospitava uno schermo televisivo ultrapiatto. Su un tavolino di legno intarsiato una scacchiera di marmo con dei pezzi alti almeno dieci centimetri e dall’aria molto antica.

L’effetto d’insieme era di grande comfort e calore.

Il piano terra era costituito anche da una cucina moderna e funzionale, che aveva tutta l’aria di essere rimasta inviolata dal giorno della sua installazione, una spaziosa veranda-terrazza che ospitava un giardino d’inverno con delle sedute in vimini, lo studio di Carlisle, e un bagno in tinta crema. Dal salone si accedeva, poi ai piani superiori, dove Edward mi spiegò esserci quattro camere da letto con rispettivi bagni, oltre ad una camera degli ospiti.

Mi spinse verso una di esse dicendomi di fare con comodo.

Nonostante non ci vivesse nessuno la stanza non era per niente inospitale. Tutto era in perfetto ordine, senza un dito di polvere. L’aria era davvero afosa, quindi mi diressi senza esitazione verso il bagno. Dopo essermi rinfrescata, ritornai nella stanza e presi ad analizzarne ogni dettaglio. Ero curiosa di sapere a chi appartenesse. Era luminosa, ampia e avevo notato con stupore un letto matrimoniale. Forse era di Rosalie ed Emmet.

No, non era il loro stile, e neanche quello di Alice e Jasper.

Quella doveva essere la camera da letto di Esme e di Carlisle. Lo sguardo ipnotizzato dal copriletto color panna, mi accorsi di avere gli occhi lucidi. Come avrei voluto che quella fosse la camera mia e di Edward!

A disagio del fatto di trovarmi in un luogo così intimo, mi girai e sgattaiolai fuori ritrovandomi in corridoio. Il mio senso dell’orientamento non mi suggerì la direzione giusta, quindi, decisi che era meglio chiedere aiuto.

«Edward?» sussurrai appena, ma me lo trovai alle spalle prima ancora di cercarlo con gli occhi.

«Sono qui, amore» mi rispose lui pronto.

«Io …, non riuscivo ad orientarmi, scusami» balbettai. Vederlo comparire come una visione di punto in bianco mi confondeva sempre. Ma un giorno mi sarei abituata alla sua presenza?

Il suo sorriso era calmo e rassicurante. Il mio cuore era in tumulto.

Sentivo dentro di me una sorta di tristezza.

Edward mi aveva portato in uno dei più esclusivi College d’America, uno di quelli che non mi sarei mai potuta permettere nemmeno tra un milione di anni. E se anche ne avessi avuto la possibilità economica, mi sarebbe stato precluso dal fatto che presto, come vampira neonata, non mi sarei potuta avvicinare a dei luoghi pubblici per un anno almeno. Ero nella sua meravigliosa villa, una casa lussuosa e raffinata. 

Ma io non stonavo un po’ in tutta questa ricercatezza?

A contatto con una realtà nuova, misteriosa, invitante, tentatrice …

Ripercorsi rapidamente con la mente la nostra visita al campus. Mi aveva descritto con cura ed entusiasmo i dettagli, i particolari. La sua voce era stata suadente, melodiosa, carezzevole.

C’erano poche ragioni che potevano aver spinto Edward a portarmi lì.

E una di queste era che voleva che mi iscrivessi al College.

A quel College, come se fosse stato possibile.

Tutto divenne improvvisamente chiaro. L’avergli rivelato che c’era qualcosa che non volevo perdermi da umana, gli aveva suggerito che poteva convincermi a non volere una trasformazione immediata, magari mostrandomi le bellezze di Dartmouth, mostrandomi quello che mi sarei persa.

Sospirai affranta. La testa mi doleva per il troppo riflettere. Alzai indice e medio e presi a massaggiarmi le tempie.

Lo vidi avvicinarsi a me con occhi attenti.

Abbassai lo sguardo triste.

«Che c’è?» la sua voce era un po’ preoccupata. Il suo tocco gelido lambì i dorsi delle mie mani.

Con gli occhi ridotti a due fessure cercai la verità nella profondità dei suoi.

Vampiro.

Ammaliatore, tentatore, bugiardo.

Mi stava mentendo? Ne sarebbe stato capace?

In fondo l’aveva già fatto una volta, credendo di farlo per il mio bene. E se anche adesso pensasse di voler agire per il mio bene? Meglio ancora, e se a scegliere la strada fossi stata io stessa, di mia spontanea volontà … Lui aveva tutte le capacità per indirizzarmi verso la direzione che voleva, e, in fondo, sapevamo entrambi che poteva convincermi con molto poco sforzo.

Feci un passo indietro, incerta.

Si bloccò.

Alzò le mani lasciandole sospese a mezz’aria, come in segno di resa.

«Bella, cos’hai?» il tono teso, corrugò la fronte e una ruga gli comparve tra gli occhi.

 Cominciai a scuotere la testa, e il mio respiro divenne più affrettato.

«Edward perché mi hai portato qui?» mormorai guardandolo disorientata.

Un attimo di silenzio.

«Se non sei a tuo agio qui con me, andiamo subito via. Non hai nulla da temere, Bella» rispose lui tenendo lo sguardo su di me.

Continuai a scuotere la testa. Non mi ero spiegata bene, cominciavo a faticare a mettere le parole una di seguito all’altra nella mia testa. Mi sforzai di formulare un pensiero coerente. «Perché siamo venuti ad Hanover? Cosa hai …  hai in mente?» la vista mi si appannò un attimo e persi i contorni del suo viso.

Lo vidi fare un passo avanti e spinsi in fuori la mano facendogli segno di fermarsi. Deglutii. La bocca si era fatta improvvisamente secca.

«Bella permettimi di avvicinarmi, ti prego. Non stai bene, sei molto accaldata e non stai respirando regolarmente.» la sua voce mi sembrava lontana lontana.

«N … o, no rispondimi.» insistetti io. Cominciai a sudare freddo e ad avvertire uno strano senso di nausea.

Sentii il suo sospiro :«Ho pensato che potesse piacerti vedere il College. Se lo desideri, potresti frequentare un semestre o due di università. Potrebbe essere interessante.» il suo tono era calmo, ma la sua posa era rigida. Lo vedevo dalla tensione dei muscoli, pronti a scattare.

La rabbia si impossessò della mia ragione, le parole presero ad uscire come un fiume «Così, magari posticipiamo di un paio di annetti la mia trasformazione, vero? Tu … tu non vuoi che diventi come te. Cos’altro hai pensato ancora? Ogni tanto verresti a trovarmi, o speri che mi infatui di qualcun altro?» La testa aveva preso a girarmi, cercai un sostegno cui appoggiarmi con la mano.

Qualcosa di freddo e duro mi sostenne il braccio che si muoveva scoordinato nello spazio e mi ritrovai con le labbra di Edward premute sulla fronte.

«Bella, la tua pelle scotta, vieni a stenderti sul letto.» sussurrò e il suo fiato freddo sugli occhi mi fece rabbrividire.

Con tutta la forza che avevo, e che doveva essere davvero poca, puntai i palmi sul suo torace nel tentativo di allontanarmi. Mi permise di scostarmi da lui non più di qualche centimetro.

«Amore, sono qui. Non potrei essere in nessun posto se non accanto a te…» il suo tono rassicurante nascondeva una certa ansia.

Le gambe diventarono improvvisamente due macigni, tutto cominciò a girare vorticosamente intorno a me e l’ultima cosa che sentii fu la mia voce come in un sogno mormorare: «Non mi lasciare, ti prego …»

 

 

 

 

 

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Capitolo 34
*** ISTINTI NASCOSTI ***


NOTA DELL’AUTRICE: Ciao a tutti! Sono sfinita dalla stanchezza, ma ho deciso di postare prima di tuffarmi nel letto. Ho saputo che molte di voi sono impegnate con gli esami… in bocca a Jake!!!!

Grazie a coloro che ancora mi aggiungono a preferiti e seguiti.

Un grazie speciale a Sweetmoon e a Keska: ogni storia deve avere un termine, anche se mi sono venute in mente tante idee per il seguito, chissà che non decida di continuare con un’altra ff… E purtroppo gli impegni cominciano a diventare troppi, dovrò assentarmi per un po’ per motivi di salute (non temete, niente di grave! Non entro nei dettagli per non annoiarvi…!!!!.), ma sbircerò sempre per vedere se avrò dei commenti “postumi”!!!!

Cmq, adesso non pensiamoci, vi regalo un bel cappy. Fatemi sapere cosa ne pensate, altrimenti non mi date il coraggio per postare il prossimo.

Baci a tutti

endif  

IL CAPITOLO E’ STATO CORRETTO DALLA MIA CARA BETA GAZY, QUINDI E’ STATO LEGGERMENTE MODIFICATO.

Gazy: ti sono debitrice.

 

ATTENZIONE, CAPITOLO CON RATING ROSSO.

 

CAP. 34

ISTINTI NASCOSTI

 

BELLA

«Ormai sono quasi tre ore»

«No, la temperatura è scesa. Ma è stata molto agitata, e continuava a lamentarsi.»

Un sospiro.

«In effetti sono stati un paio di giorni un po’ stressanti, forse non avrei dovuto spingermi fin quaggiù. E non credo che sia in grado di affrontare il viaggio di ritorno in queste condizioni. Probabilmente, domani.»

«Grazie Carlisle, credo che sia la cosa migliore da fare. Mi pare che si stia riprendendo»

«Ok, ti tengo informato»

I sussurri cessarono, ma li avevo percepiti piuttosto chiaramente.

Una mano fredda mi accarezzò la fronte con delicatezza. Non avvertivo che una sensazione di pace in tutte le parti del corpo. Ma avevo la gola riarsa. Feci per inumidirmi le labbra secche con la lingua, nonostante fosse completamente asciutta. Poi, mi sfiorò la bocca qualcosa di freddo e bagnato, che solo in seguito mi resi conto era un panno inumidito di acqua fresca.

Allora aprii gli occhi e misi a fuoco lo sguardo teso, ma sollevato di Edward, disteso sul letto accanto a me.

«Amore, come ti senti?» la sua voce musicale penetrò l’annebbiamento del mio cervello. Lo guardai beata mentre si piegava sul gomito per avvicinare le sue labbra alla mia fronte. Nessun risveglio poteva essere migliore se ritrovavo lui al mio fianco.

Annui con il capo e mi avvicinai al suo collo, che si offriva ai miei occhi duro e liscio. Ci poggiai la guancia contro e lasciai che la freschezza della sua pelle ristorasse la mia ancora un po’ calda.

«Mmm … Sono … stata molto male?» chiesi esitante e lo sentii inspirare ed espirare forte.

«Sì, Bella.» confermò, ma il suo tono sembrava calmo. «Hai avuto quello che volgarmente si suole definire un colpo di calore. La temperatura del tuo corpo è salita moltissimo. Il tuo centro termoregolatore era come impazzito. Inizialmente eri solo pallida e un po’ accaldata, ma i meccanismi di sudorazione erano bloccati e non potevi più regolare la temperatura corporea, che ha iniziato a salire. La vista deve esserti annebbiata, eri tachicardica e confusa.» un nuovo sospiro, poi, continuò: «Bella, ad un certo punto sei collassata.»

«Scusami …, non volevo farti preoccupare …» mi mossi a disagio. Doveva essersi spaventato parecchio, lo sentivo ancora teso e rigido, con la voce priva di inflessioni.

«Io ti dico che hai avuto un colpo di calore e tu ti scusi perché mi sono preoccupato?! Se qualcuno qui deve scusarsi, quello sono io, Bella. E’ colpa mia se sei stata male, non avrei dovuto portarti fuori in un giorno così caldo.» sbottò e mi guardò con un’espressione contrita e dispiaciuta.

«Edward, non è stata colpa tua. E, poi, adesso mi sento molto meglio.» mi agitai sotto il lenzuolo e mossi le gambe alla ricerca di una posizione più comoda.

Solo in quel momento realizzai che lui era sotto le lenzuola come me, e che le sue spalle erano completamente scoperte. I miei occhi vagarono sul mio corpo coperto dal lenzuolo, poi, ritornarono a lui. Mi drizzai a sedere ed il lenzuolo scivolò dal mio busto, scoprendomi il seno completamente nudo.

Lo sentii trattenere il fiato e lo guardai imbambolata, mentre le mie guance arrostivano di un calore mai raggiunto, nemmeno nella precedente ipertermia.

Tirai goffamente il lenzuolo fino al mento, abbassando gli occhi. Non sapevo che dire.

Lo sentii schiarirsi la voce: «La tua temperatura aveva raggiunto i 42ºC.  Le conseguenze potevano esserti fatali se non l’avessi abbassata subito. Ho pensato che non c’era miglior trattamento che tenerti stretta a me … pelle a pelle.»

Pelle a pelle?! Pensai stralunata. Il calore sulle guance minacciò di arrivare fino al cervello. Già lo sentivo fumare …

«Perdonami, ti prego. Volevo che potessi renderti conto pienamente di cosa significasse la vita del campus, volevo mostrarti uno dei College migliori che avessi mai frequentato.» Alzai gli occhi e vidi che mi fissava attento. «Non ho mai pensato di lasciarti lì sola, ma l’avremmo frequentato insieme … sempre che fossi d’accordo a trasferirti in Virginia con me … Non avrei dovuto portarti qui oggi.» lasciò che le ultime  parole riecheggiassero nella stanza.

Troppe informazioni. Dartmouth, trasferirsi in Virginia, vivere in casa Cullen, io e Edward nudi nello stesso letto … il cervello poteva anche fondersi per eccessivo surriscaldamento.

«Io … io non posso permettermi il Dartmouth College …» mormorai, pensando all’unica cosa più ovvia da dire.

«Bella, io ti amo e non c’è niente che non farei per te. Lo sai che i soldi non sono un problema. Diciamo che sarei lieto di concederti un prestito …» disse sorridendo sbarazzino.

«Ma non riuscirei a restituirtelo neanche tra cinquant’anni!!» esclamai esasperata, con il movimento della mano che tenevo sul materasso a dare più enfasi alle mie parole. Con l’altra tenevo ancora il lenzuolo stretto al petto. Nel movimento, però, ne trascinai parte con me e mi scoprii un fianco.

Notai che almeno portavo ancora gli slip.

Io sì, ma LUI?!! Lo sguardo passò involontariamente sul suo bacino nascosto dal lenzuolo.

Lo guardai intimidita. Sentivo che stavo cominciando ad agitarmi, e sapevo che non gli sarebbe sfuggito.

La direzione dei suoi occhi era inequivocabile. Poggiato sui gomiti, con il busto leggermente rialzato dal materasso, guardava il lembo della mia pelle che era esposto dalla vita fino quasi al  ginocchio. Tuttavia ebbe la fermezza di rispondere con voce piatta: «Sì, ma il tempo per noi non sarà più un problema.» alzò lentamente gli occhi puntandoli nei miei, e aggiunse: «Nonostante tu ancora non ci creda, io non sono contrario alla tua trasformazione. Voglio solo che tu sia sicura, che non ci siano dubbi o incertezze.»

«Edward, ma io sono già sicura. Non c’è niente che desideri di più che stare con te. Per sempre.» dissi in un sussurro avvicinando la mano al suo viso per sfiorargli piano la guancia.

«Per sempre.» mi fece eco lui, immobile, come ipnotizzato.

Lo osservai inspirare profondamente e chiudere gli occhi. Constatare quanto il mio tocco lo turbasse mi dava una strana sensazione di potere. Mi confondeva e mi esaltava sapere che anche lui, sempre compito, sempre controllato, non riuscisse a nascondere le proprie sensazioni in determinati frangenti. E sapere che io ero la causa scatenante della sua agitazione mi riempiva di orgoglio. Mi sentivo desiderata, donna.

Come in preda ad una forza misteriosa, le mie dita scesero lentamente sul suo collo e poi, sul torace. Era incredibile quanto la sua pelle fosse liscia ed eccitante, benché fredda e dura.

Aveva  ancora gli occhi chiusi e rimaneva immobile.

Aveva preso a respirare in maniera più lieve e veloce. Un leggerissima peluria delineava il suo torace, per poi scivolare fin sotto il lenzuolo. Arrivai con le dita sui suoi fianchi, dove il lenzuolo si arrotolava. Ne percorsi il bordo con lentezza, con devozione. Fissavo la mia mano che si muoveva esitante, ma nello stesso tempo come presa da vita propria.

Sentii un ringhio sommesso provenire dalle sue labbra. Sembrava un grosso felino che faceva le fusa.

Alzai gli occhi e così lo vidi fissarmi con lo sguardo nero dall’eccitazione.

Senza sapere cosa avrei trovato, spostai il lenzuolo più in giù.

I boxer neri erano tesi e rigonfi della sua eccitazione.

Mai avrei pensato di poter essere così audace, ma lo sfiorai piano da sopra il cotone, e allora lo vidi reclinare la testa all’indietro, stringendo il lenzuolo nei pugni. Il suo corpo vibrava dal desiderio.

«Bella …» disse con voce arrochita.

«Edward, io …, tu …» sospirai, poi, continuai con più coraggio: «Mi vuoi?» chiesi in un fiato, con la voce tremante.

«Sì, sì ti voglio e ti desidero.» e dicendo questo, si alzò puntando i palmi sul materasso per avvicinarsi velocemente al mio viso. Trovò le mie labbra e le dischiuse con decisione con la sua lingua. Penetrò la mia bocca con impeto, baciandomi come mai aveva fatto prima di allora.

 

EDWARD

Questa volta non sarei riuscito a fermarmi. Ne fui cosciente nel momento stesso in cui Bella aprì gli occhi, ed io sapevo che eravamo entrambi quasi del tutto nudi sotto le lenzuola. Rimanere a contatto con il suo corpo per tre ore, mentre il gelo della mia pelle veniva mitigato dal calore della sua bollente, era stato uno strazio. Bella si era agitata molto e, ad ogni movimento, una porzione del suo corpo nudo veniva a contatto con il mio con uno strofinio o con una pressione più o meno intensa. La preoccupazione per la sua salute era andata via via alleviandosi, con la constatazione che la sua temperatura era lentamente scesa a valori normali per un umana.

Ma la mia stava salendo in un modo pericoloso.

Quando i suoi capezzoli erano rimasti premuti sul mio torace per ventisette minuti avevo creduto che sarei andato a fuoco.

Il corpo seminudo di Bella avvinghiato a me, era stata una delle tentazioni più grandi della mia esistenza. I suoi capelli, la sua pelle, e persino il suo respiro profumavano di paradiso. Ed io ci ero proprio sopra. Avevo controllato i miei istinti vedendola indifesa ed incosciente e mi ero sottoposto ad una deliziosa tortura che mi aveva eccitato all’inverosimile.

Ma niente era paragonabile alle dita timide e leggere di Bella sulla stoffa dei miei boxer in quel momento.

Era così innocente, così pura, così timida che pensai di impazzire nel tentativo di controllarmi, di non scatenare la belva che dentro di me stava urlando.

Inspirai profondamente.

La stretta vicinanza con il suo corpo per tutto quel tempo mi aveva assuefatto al suo profumo, e riuscivo a gestire con discrezione il mio desiderio del suo sangue.

Ma per la voglia del suo corpo non avevo freni.

La volevo, tutta.

Mia.

Completamente.

Mentre la baciavo con foga, la distesi sul materasso e allo stesso tempo le scostai il lenzuolo dal corpo. Feci aderire con estrema attenzione il mio torace al suo seno e ringhiai di piacere. Le punte turgide dei suoi capezzoli premevano contro il mio petto. Tenni ben ferme le mani ai lati del suo corpo per non pesarle addosso, ma le sue braccia si alzarono a cingermi il collo e le dita delle sue mani si fecero strada tra i miei capelli disordinati in una sensuale carezza, premendomi il viso maggiormente contro il suo. Adoravo quando lo faceva, mi dava la chiara percezione dell’urgenza del suo desiderio.

Staccai una mano dal materasso - una era più che sufficiente per sostenermi - e azzardai una lieve carezza su per quel lembo di coscia che era rimasto esposto sfacciatamente ai miei occhi, come per invitarmi a sfiorarlo. Era liscia, morbida e calda. Salii lento sul fianco verso l’alto, fino a trovare i suoi slippini di cotone rosa sotto al palmo. Riscesi giù e, arrivato alla piega del ginocchio, la spinsi con dolcezza verso il mio bacino, facendole aprire le gambe per aderire a lei più profondamente.

La sentii sospirare, quando nel movimento l’altra sua coscia si scontrò con la mia eccitazione.

Di nuovo, ripercorsi la gamba fino al fianco e, quando arrivai allo slip, ci infilai le dita sotto per  stringere una natica nel palmo. Mugolò piano ed io allentai un po’ la presa.

Calmo Edward. Ricordati cosa le puoi fare se non mantieni i nervi saldi. Mi dissi mentalmente, con un barlume di lucidità.

Si agitò sotto di me, ma aveva abbastanza spazio per muoversi dato che avevo fatto attenzione a non pesarle addosso. Riuscì, quindi, a divaricare anche l’altra gamba e mi colse decisamente alla sprovvista quando le allacciò entrambe ai miei fianchi, spingendo il suo bacino contro di me.

«Ti voglio …» sussurrò contro le mie labbra appena dischiuse.

«Dio, Bella … Potrei farti del male …,  io …» la mia voce era bassa e rauca.

«No, non succederà. Io mi fido di te.» continuò, suggellando le ultime parole con un tenero bacio.

Sentii allora le sue dita scorrere sull’elastico dei boxer.

Inclinai il capo verso il suo collo e dissi: «Piano amore, non essere impaziente». Subito dopo, con un rapido movimento, le scostai gli slip di lato con le dita. La sentii trattenere il fiato per la sorpresa, ma le rimasi addosso, dandole il tempo di realizzare cosa stava per succedere.

Il suo intimo profumo mi colpì le narici con forza e desiderai prepotentemente qualcosa di più. Così  la sfiorai piano con la punta del polpastrello, sentendola calda e umida. Era molto eccitata e si aggrappò alla mia schiena, divaricando ancor più le gambe.

Non osavo, tuttavia, violare quel santuario. Non consideravo le mie mani degne di sfiorarla. Ma l’urgenza era troppa per entrambi, e la vidi febbrilmente abbassarmi il boxer fino alle ginocchia per poi spingersi verso di me.

La mia eccitazione lambì la sua apertura e la sentii trattenere il fiato.

Prendila, falla tua. Falla godere. E’ questo che vuole. La bestia dentro di me fece sentire chiara la sua voce.

Scossi la testa, irrigidendomi. No, Bella era fragile, delicata.

«Edward …» la sua voce strozzata sembrava provenire da un altro pianeta.

Si spinse verso di me ed io la assecondai afferrandole con forza i glutei con entrambe le mani.

Affonda in lei. Falle sentire quanto la vuoi, falle sentire la tua forza. La mia bestia.

Lei emise un debole gemito.

«No …» mormorai flebile a me stesso. Lasciai con lentezza le sue natiche, inclinando il capo verso l’incavo del suo collo, mentre appoggiavo i pugni sulla testiera del letto.

La sentii protendere dolcemente il collo per accogliermi meglio vicino a sé.

Penetrala con forza e succhia il suo sangue. Lei lo vuole, tu lo vuoi … Ancora la voce della belva dentro di me.

Strinsi la presa e sentii la testiera sbriciolarsi sotto le mie mani. Avrei potuto distruggere quel letto, spaccare tutti i mobili, ma non le avrei torto un capello.

«Edward …, và tutto bene, non fa niente …» la sua voce chiara, pulita e prossima al pianto mi ridiede la giusta lucidità.

Inspirai profondamente e sempre con la testa sul suo collo dissi: «Sì, amore. Và tutto bene.» Quindi le passai una mano sulla schiena ed una sotto le ginocchia, prendendola in braccio.

«Vieni, non voglio che la tua prima volta sia in un letto altrui, mezzo distrutto.» ed uscii risoluto nel corridoio.

 

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Capitolo 35
*** INDIMENTICABILE ***


NOTA DELL’AUTRICE: Carissime e carissimi, penso che mi attendevate con ansia. Non posso spingere oltre il mio sadismo, quindi posto. Vorrei rispondere ai vostri commenti, siete stati davvero carinissimi.

Vorrei dedicare questo cappy a Gazy (la mia Beta) e a Meticcia. Glielo devo!!!

Il cap. non è ancora betato, scusate gli errori.

ch_cullen: Grazie, spero che la tua attesa sia valsa la pena… Baci endif

francef80: Ho fatto di peggio, credimi…! Questo cappy esaudirà i vostri sogni più sfrenati (o quasi) !!!

 sweetmoon: Mi piacerebbe continuare con una nuova ff, in realtà l’avrei già in mente, ma non posso promettere niente, tra un po’ ci saranno un po’ di cambiamenti nella mia vita, quindi…, vedremo! Baci endif

 titty88: E non hai ancora letto questo cappy … sono dolcissimi, Ed in particolare. Fammi sapere che ne pensi! Baci endif

keska: Ciao cara, ho cercato di non cadere nella solita trappola “prima notte  con tanto di pizzi e merletti”. Sono contenta che l’hai apprezzato. Spero anche che la mia visione “dell’esperienza “ sia di tuo gradimento.  Io ho sempre pensato che fra loro sarebbe stato così. Lasciami un commento, mi interessa sapere cosa ne pensi. Baci M.Luisa

mistica88: Tutte sotto il sole cocente eh?! E se questi sono i risultati!!! Grazie per il tuo commento Baci endif

bigia: Continuo, non temere… Ho ancora qualche cartuccia nel mio pc!!!

anna cullen: Non preoccuparti se non hai potuto recensire (sigh!!!!), sono contenta che ti sei tirata tutti gli ultimi aggiornamenti uno dietro l’altro, c’è più gusto no?!!! Ora, però, fammi sapere che ne pensi del cappy saliente!!! Baci endif

lady cat: Abbi fede cara, sono sadica, non st……upida! Ciao endif

Meticcia: Cara, non posso che dedicarti questo capitolo.  Mi sembra giusto, quasi doveroso. Mi spiace se non sarà troppo soft, mi è venuto testè e non credo corretto mitigarlo se è uscito così di getto. Spero che apprezzerai cmq. Finalmente arriviamo al sodo, anzi al sodissimo….  Bacioni endif

Cullenboy:  ma no che non lo fermo, mica che sono così cattiva!!! Leggi questo cappy, vedrai che riusciamo a farli contenti! Baci endif

 

ATTENZIONE CAPITOLO CON RATING ROSSO.

 

CAP. 35

INDIMENTICABILE

 

EDWARD

Capii solo in quell’istante perché quella piccola vampirella aveva insistito tanto con Jasper per voler rimodernare le nostre stanze nella casa di Hanover. Alice doveva aver visto qualcosa nelle sue visioni di cui mi aveva tenuto debitamente all’oscuro, ma in quel momento le fui estremamente grato per aver provveduto a far installare un comodissimo letto matrimoniale nuovo di zecca nella mia stanza.

Con Bella tra le mie braccia, completamente nudi, marciavo alla volta della mia camera da letto.

Con grazia aprii la porta e la deposi delicatamente sulle lenzuola candide, dopo aver scostato il copriletto blu.

La osservai dall’alto per la prima volta completamente svestita. Le sue guance arrossate, il suo respiro affannato che faceva sollevare il suo seno velocemente, le ginocchia leggermente piegate che permettevano ai miei occhi di scorgere i suoi più intimi segreti, Bella sembrava un angelo.

Il materasso si piegò sotto il peso di un mio ginocchio, e mi distesi al suo fianco.

Mi guardava con occhi dolci ed innamorati, emozionata e confusa.

«E’ la tua stanza?» il suo cuoricino batteva impazzito.

Le sfiorai una guancia con delicatezza: «No, è la nostra stanza.» rettificai con un sussurro.

I suoi occhi brillarono di gioia.

Avrei fatto in modo che fosse un’esperienza indimenticabile per entrambi.

Potevo farcela.

Cominciai a percorrere il suo corpo con la punta delle dita, sfiorandolo con venerazione. Lei chiuse gli occhi e dischiuse lievemente le labbra.

Guardai il suo volto rapito dal piacere che vi scorgevo e che sapevo di starle donando in quel momento. Una meravigliosa sensazione di benessere e di appagamento mi avvolse, mentre la sentii ansimare più rapidamente quando le mie dita si chiusero su un suo capezzolo. Desideravo darle di più, farle assaporare un piacere sempre più intenso, sempre più sconvolgente.

Scesi con le mie labbra su quella piccola punta protesa verso di me e la lambii con la mia lingua gelida. Al contatto sentii che Bella si inarcava contro di me, mantenendomi fermo il capo. Spinse il suo capezzolo turgido più profondamente tra le mie labbra e dovetti fare uno sforzo enorme per non morderglielo. Strinsi gli occhi e mi concentrai con evidente difficoltà.

La sua pelle sapeva di buono, sapeva di aria aperta e di freschezza.

Non le avrei fatto alcun male, sarei riuscito a controllarmi.

Le sue gambe si intrecciarono alle mie e la porzione superiore della sua coscia sfiorò la mia eccitazione pulsante. Sempre ad occhi chiusi, corrugai la fronte e le mani mi tremarono impercettibilmente per lo sforzo di trattenere la mia forza.

Lei si fidava di me, aveva messo nelle mie mani non solo il suo corpo, ma tutta la sua stessa vita.

Calmo Edward, stai andando bene. Pensai cercando di tranquillizzarmi.

Ma quando sentii le sue dita impertinenti sfiorarmi intimamente, fui sicuro che non avrei resistito un secondo di più. Già mi si erano formate nella mente delle immagini di inaudita violenza che mi avevano scurito gli occhi e l’animo, quando la sua voce esitante e rotta dall’emozione mi trafisse il cervello: «Posso … posso toccarti?»

Dolce, dolcissimo amore mio! Spostai le mie mani sui suoi fianchi e la issai a cavalcioni su di me. L’accarezzai lievemente sul ventre e terminai la discesa posando i palmi ben fermi sul materasso. Non mi sarei mosso di un millimetro, a costo di morire di piacere.

«Certo che puoi, non c’è nulla che potrebbe farmi più piacere.» la rassicurai con un sorriso e deglutii il veleno che mi era schizzato in bocca un attimo prima. Pensai che in quella posizione Bella si sarebbe sentita più sicura, più padrona della situazione e mi preparai a ricevere il prossimo supplizio.

Così, con i capelli disordinati, gli occhi lucidi, a gambe divaricate su di me, con il suo delizioso e profumato intimo calore che mi schiaffeggiava il viso, Bella era di una bellezza indescrivibile. Se fossi morto in quest’istante, non avrei rimpianto nulla delle mie vite. Scese con i glutei quasi sulle mie ginocchia e accompagnò il gesto con una lieve carezza degradante dal mio torace al mio ventre.

Senza indugiare troppo, le mani della mia amata arrivarono direttamente alla fonte del mio piacere. Timida e delicata per timore di farmi male, sentivo che le muoveva esitante, in una carezza struggente e sensuale. Mi accorsi di aver digrignato i denti e cercai di rilassare l’espressione del volto. Non avrei mai creduto possibile che potesse esserci una tortura più dolorosa dal ricevere un piacere così grande.

Teso fino allo spasimo la fissavo in volto, mentre lei mi osservava con curiosità e desiderio, le labbra lievemente dischiuse.

«Bella, io non … credo di riuscire a resistere se continui ancora, mentre … mi guardi così …» riuscii ad articolare una frase tra un ansito e una parola strozzata.

«Davvero?» la voce le uscì dalle labbra atteggiate in una smorfia maliziosa.

«E, così?» chiese mentre si spostava più in su con il bacino fin quasi a far toccare le nostre intimità.

Contrassi il ventre con forza e le mie mani le afferrarono i fianchi decise.

No, non era ancora il momento. Dovevo prima prepararla.

Con un rapido movimento la portai sotto di me, ma mi mantenni da lei discostato quel tanto da permettermi di poterla toccare e guardare con facilità.

«Tu vuoi farmi impazzire …» le dissi in un soffio. Bella giocava con il fuoco, ma era felice e a suo agio. Proprio ciò che volevo per lei. Pensai febbrilmente che la prima volta di una ragazza poteva essere molto dolorosa se non fosse stata completamente rilassata, e sapevo che mio malgrado avrebbe sofferto per la mia intrusione nel suo corpo. Ma sapevo anche che il mio autocontrollo stava vacillando. Entro breve avrei potuto perdere tutta la delicatezza che mi ero imposto, e sarei potuto diventare brutale.

No, non volevo che Bella ricordasse la sua prima volta come un’esperienza solo dolorosa. Ci avevo pensato ogni attimo da quando avevamo deciso di fare l’amore, chiedendomi come fosse meglio per lei. Non ero riuscito a darmi una risposta. Ma sapevo che il suo piacere doveva venire prima del mio.

Perciò, guidato solo dal mio istinto, scesi con la mano tra le sue gambe e la sfiorai piano. Era molto bagnata e calda.

Si irrigidì un po’.

Introdussi delicatamente un dito che scivolò senza attrito dentro di lei. La sentii ansimare forte e aggrapparsi con le unghie alle mie spalle. Le feci scorrere una mano sulla schiena sostenendola senza sforzo e continuai a toccarla intimamente. Man mano sentivo che Bella si lasciava andare contro di me, che i suoi muscoli si abituavano al contatto con le mie dita e con la mia temperatura, fin quando la sentii sussurrare con voce rotta dall’emozione contro la mia guancia: «Edward, non ce la faccio più …»

Allora le divaricai gentilmente le gambe e mi sistemai con il bacino verso la sua apertura. La guardai negli occhi intensamente, aspettando un suo cenno. Mi guardò con amore ed annuì con il capo.

Presi, quindi, un respiro profondo e le dissi: «Bella, ti amo. Perdonami» e spinsi a fondo, penetrandola in un solo colpo.

La vidi sgranare gli occhi, e mi impietrii afflitto mentre cominciavano a luccicare, colmi di lacrime.

 

BELLA

Una lacrima scese sul mio volto, mentre affondai il viso nell’incavo del collo di Edward mordendomi forte il labbro per non urlare.

Un dolore lancinante mi invase dal centro del mio corpo pervadendomi tutti i muscoli.

Sapevo che avrei provato dolore, ma non ero preparata ad affrontarlo. Il primo istinto fu quello di chiudere le cosce e rannicchiarmi in posizione fetale.

Sentii che Edward si era immobilizzato concedendomi il tempo di far scemare l’intensità del dolore e con una mano mi sosteneva la schiena. Aveva l’altra puntata sul materasso e ci teneva uniti senza sforzo, un po’ rialzati.

 Tratteneva il respiro, non si muoveva di un millimetro.

Cominciò a deporre piccoli baci sulla mia spalla, nel tentativo di rilassarmi. Rimasi ferma per paura di provocare qualche altra fitta e lui fece altrettanto.

Quando mi sentii abbastanza  sicura accennai un timido movimento con il bacino.

Ancora un po’ di dolore ma, per lo più, indolenzimento.

Rilassai le spalle e divaricai un po’ più le gambe. Lo sentii scivolare dentro di me più profondamente. Un gemito mi uscì dalle labbra.

«Amore, è … passato?» mi chiese con voce tesa e tremante.

Senza avere la forza di pronunciare nemmeno una parola, annuii piano con il capo e lo sentii immediatamente rilassarsi. Si mosse un po’ dentro di me e un altro gemito mi uscì dalle labbra. Cominciai a muovermi aumentando un po’ in più il ritmo e ai miei movimenti mi accorgevo che seguiva qualche sua spinta.

Ma era come se Edward trattenesse i suoi muscoli, la sua forza.

Aveva paura di farmi ancora male.

Un calore prese a diffondersi nel mio ventre e mi aprii decisa verso di lui, spingendolo verso di me: «E’ tutto ok, non mi farai male. Mi … mi piace … sentirti.» Percepii un sospiro al mio orecchio e capii che aveva finalmente liberato i polmoni e ripreso a respirare.

«Bella, se provi dolore devi dirmelo subito.» mi disse con voce roca e non appena assentii, prese a muoversi dentro di me, prima lentamente, poi sempre con maggiore foga.

Puntò le mani ai lati del mio viso sul materasso e potei vedere i suoi occhi neri dall’eccitazione.

Della nostra eccitazione.

Senza staccare gli occhi l’uno dall’altra, prendemmo a muoverci in perfetta sincronia.

Il mio respiro divenne il suo respiro, i miei mormorii si fondevano con i suoi, il battito del mio cuore divenne il suo.

Persi la percezione del tempo e dello spazio.

Io e lui. Un solo corpo, una sola anima.

I sospiri divennero ansiti, gli ansiti divennero gemiti.

Il piacere esplose in me e raggiunsi l’orgasmo urlando il suo nome ed il mio corpo accolse il suo piacere esattamente un attimo dopo.

«Sì, Bella …  amore, amore mio …» percepii le sue parole soffocate dall’emozione nell’estasi del momento.

Poi, non ci fu altro nella stanza che non fossero i nostri respiri affannati.

Mi accorsi solo vagamente delle sue mani tiepide che mi stringevano al suo petto, prima di scivolare beata nell’incoscienza.

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Capitolo 36
*** OBBLIGHI E SCELTE ***


NOTA DELL’AUTRICE: Grazie a tutti voi per il sostegno. Posto il nuovo cappy, il penultimo (sigh!!!). Non deludetemi e commentate numerosi….

endif

 

CAP. 36

OBBLIGHI E SCELTE

 

BELLA

Una sensazione di torpore ed indolenzimento si era impossessata del mio corpo. Provai ad aprire gli occhi con lentezza. La stanza era fresca e avvolta dal buio, fatta eccezione per una flebile luce che proveniva dalle mie spalle. Il silenzio era totale.

Ero girata di fianco con il viso rivolto alla finestra. Ebbi la chiara percezione di non essere sola.

Mi voltai con il capo alla ricerca del mio miracolo personale e mi scontrai con due ridenti occhi color miele in un volto incorniciato da una zazzera spettinata di capelli neri.

Sobbalzai trattenendo il fiato.

«ALICE??!!!» la voce mi uscì stridula e gracchiante. Arretrai con velocità disumana al bordo opposto del letto tirandomi il lenzuolo fino sopra la punta del naso e mi misi una mano sul cuore. Aveva perso un battito ed ora cercava di recuperare galoppando come un cavallo da corsa. Lo sentivo fino alla gola.

«Tranquilla, Bella! Ti farai venire un infarto!» la sua voce scampanellante nascondeva una nota gioiosa. Era in estasi.

«Come ti senti? Dormito bene?» ora aveva assunto un tono cospiratore e malizioso.

Arrossii fino alla radice dei capelli e puntai gli occhi sulle lenzuola.

«Che … ci fai qui? Dov’è Edward?» chiesi mentre tentavo di riprendere padronanza di me stessa passandomi una mano tra i capelli.

«E’ dovuto andare a caccia. Lui non voleva, ma gli ho consigliato vivamente di farlo. Con le buone, si intende … Io sono rimasta ad attendere il tuo risveglio.» rispose lei serafica.

La guardai. Era seduta comodamente su una poltroncina nell’angolo della stanza, con gli immancabili jeans sbiaditi e una camicetta color panna tutta intarsiata con motivi tribali.

Impeccabile, come sempre.

Era imbarazzante sapere di essere completamente nuda sotto le lenzuola, ma, soprattutto, sapere che lei ne era perfettamente a conoscenza.

Mi guardai intorno disorientata. Non avevo di certo immaginato così il mio risveglio dopo quella serata indimenticabile, ma conoscendo Alice, doveva esserci di certo qualcosa sotto.

 La osservai con circospezione e lei mi restituì uno sguardo candido e beato.

Sì, decisamente c’era qualcosa che mi stava nascondendo.

«Da quanto sei qui?» le chiesi un po’ infastidita, ma anche un po’ preoccupata.

«Da un po’.» rispose sempre evasiva.

Strinsi le labbra indispettita. «Bhè, ammetterai che non è propriamente la stessa cosa …» mormorai secca.

«Cosa?» fece lei di rimando.

«Svegliarmi e trovare te, invece di lui. Dopo che …, dopo la nostra …, insomma dopo aver …» cominciai ad impappinarmi e ad arrossire.

«… fatto l’amore?» finì lei per me, sporgendosi sulle ginocchia e sorridendomi dolce.

«Infatti, e per la prima volta per giunta.» aggiunsi io e la voce mi si incrinò leggermente. No, non era affatto un bel risveglio non trovare al tuo fianco la persona con cui hai condiviso dei momenti così intimi proprio poco tempo prima.

Cercai di ricacciare indietro le lacrime che sentivo pizzicarmi gli occhi, e presi dei bei respiri profondi per calmarmi. Ad ogni inspirazione sentivo male al fianco.

Mi piegai indolenzita per sciogliere i muscoli. Peggio, il movimento mi faceva stare peggio. Dal mio risveglio idilliaco, stavo lentamente passando alla scomoda realtà. Certo, forse tra vampiri non si usa, ma non avrei mai creduto che Edward mi lasciasse sola proprio dopo aver fatto l’amore con me per la prima volta!

Alla sofferenza fisica si sommò quella morale.

Cominciai ad agitarmi sotto le lenzuola. Aggrottai le sopracciglia e vidi che Alice si era seduta sul bordo del letto dal lato opposto al mio. Mi guardava con occhi dolci ed io non riuscii a trattenere un musetto dispiaciuto.

«Bella, calmati. Se ti agiti, sforzi la costola.» mi disse piano.

«La costola?» le chiesi disorientata.

«E’ incrinata. E hai un labbro tumefatto, oltre ad un po’ di lividi sparsi su tutto il corpo.» aggiunse tranquilla.

Assimilai le sue parole con una lentezza esasperante persino per un umana, poi, mi assalì un dubbio atroce.

«Lui …, lui lo sa?» le domandai sconvolta. Forse per questo era andato via.

«Non precisamente. Ha usato tutto il suo autocontrollo, ma è cosciente che avresti potuto avere delle conseguenze. Non dimenticare le sue lauree in medicina …»

«Peccato che gli manchi quella in psicologia femminile!» non riuscii a trattenermi dal dire stizzita.

Alice sospirò e, guardandomi con tenerezza, disse: «Bella, credo di capire come ti senti in questo momento. Hai tutta la mia comprensione femminile, ma non dimenticare che voi due non siete una coppia come dire …, TRADIZIONALE.» scandì piano l’ultima parola.

La fissai senza capire. Ovvio che non eravamo una coppia come le altre, ma questo che significava? Che lui era autorizzato a disertare il letto subito dopo aver fatto l’amore con me perché era un vampiro? E che lasciandomi la sorella nella stanza, al mio risveglio mi sarei sentita felice come una Pasqua, invece che mortificata ed umiliata come in realtà mi sentivo?

«Alice, non offenderti, ma perché non è qui a dirmele lui queste cose? Perché ha lasciato te a spiegarsi e non c’è lui qui? Se c’è qualcosa che non và, avrei preferito sentirmelo dire personalmente …» la mia voce che era salita di tono progressivamente, si perse in un singhiozzo strozzato.

La vidi scuotere la testa con un sorriso comprensivo dipinto sul volto angelico.

«Bella, non capisci. L’HO OBBLIGATO IO AD ANDARSENE.» scandì lentamente parola per parola. 

E quando la fissai ancora più confusa, la sentii prendere un profondo respiro e scostare il lenzuolo con un gesto deciso.

«L’ho dovuto fare per forza.» disse indicandomi il coprimaterasso.

Pensai che fosse impazzita, ma poi, guardai il punto verso cui era rivolta la sua mano e capii.

Quasi al centro del letto una vistosa macchia di sangue ormai rappreso faceva bella mostra di sé.

Il rosso era di una tonalità molto chiara, viva.

Quello era il sangue proveniente dalla mia verginità.

Fissai imbambolata quel contrasto di colore con il candore del resto del lenzuolo e mi sembrò di andare a fuoco.

Oh, Edward!

Chissà cosa doveva aver sofferto a starmi vicino mentre del sangue vivo fluiva da me!

«Alice, io …» cominciai mentre gli occhi mi si riempivano di lacrime.

Lei ricoprì il lenzuolo e mi accarezzò una guancia.

«Shh, non piangere, Bella. Questa è una cosa meravigliosa, non una tragedia. Ad alcune donne non succede proprio nulla, ma tu perdevi molto sangue. Non avercela con lui. Se ti può consolare, l’ho dovuto letteralmente scaraventare fuori di casa, perché non si sarebbe mai mosso da qui. Che impicciona, penserai tu! Ma ricorda che io ho qualche informazione supplementare …» e si toccò la tempia con l’indice.

«Hai … hai avuto una visione?» le chiesi balbettando.

Mi fissò con occhi vacui per un attimo, poi, scrollò le spalle e mi guardò nuovamente con lo sguardo limpido «Non ci pensare.»

«Quando tornerà?» ero ansiosa di rivederlo, mi mancava terribilmente.

«Fra non più di mezz’ora. Bella, giù c’è anche Carlisle. Se te la senti, vorrebbe darti un’occhiata alla costola. Ma se vuoi possiamo aspettare Edward …» la voce di Alice era dolce e affettuosa.

«Dammi solo un attimo per riprendermi.» risposi io.

«Ma certo, quando sei pronta lo accompagno su da te.» fece lei alzandosi dal letto e dirigendosi verso la porta.

Si soffermò con la mano sulla maniglia, poi si girò e strizzandomi l’occhio disse: «Però, niente male il mio fratellino eh?!»

Il cuscino che le lanciai si scontrò sulla porta chiusa, mentre la risata di Alice scampanellava per le scale.

 

EDWARD

Lo osservai attentamente.

Era sempre un piacere cacciare insieme a lui, ogni volta c’era qualcosa da imparare. La sua esperienza in tattica e strategia era davvero insuperabile. Si accucciò e chiuse gli occhi per farsi guidare essenzialmente dall’udito e dall’istinto, invece che dalla vista.

Anche quando si trattava di prede molto facili, Jasper agiva con cura e precisione. Era nella sua natura. Lo vidi girarsi in maniera impercettibile verso destra e affinai anch’io l’udito.

Il silenzio del bosco era una delle cose che preferivo quando cacciavo. Amplificava la concentrazione e acuiva i sensi.    

Un battito leggero e rapido proveniva da quella direzione. Dopo qualche attimo un giovane stambecco maschio si fece strada tra le rocce. Il ritmico rumore dei suoi zoccoli si era fatto leggermente più intenso ora che non procedeva più sull’erba.

Jasper spostò il peso sulle punte dei piedi e in una frazione di secondo gli fu sopra afferrandolo di lato. Vidi l’animale dibattersi furiosamente tra le sue braccia. Scalciò con tutta la sua forza, quindi Jasper inclinò con grazia la testa verso il suo collo. Lo stambecco si irrigidì un attimo ed infine, si accasciò privo di forze su se stesso.

Lui  lasciò cadere la carcassa con delicatezza per terra.

Nel suo modo di fare, in ogni suo gesto non c’era disprezzo per la vita che aveva preso. Paradossalmente uno dei vampiri più sanguinari che avessi mai conosciuto, di quelli che avevano ucciso nella loro esistenza centinaia e centinaia di esseri tra umani e vampiri, provava rispetto per l’animale che l’aveva nutrito.

Ecco una nuova lezione che si poteva trarre quel giorno dall’aver cacciato con lui. C’è sempre tempo per recuperare, per capire quale sia la strada giusta da percorrere.

Si avvicinò a me con passo lento.

Mi osservò mentre, appoggiato con le spalle al tronco di un quercia, lo guardavo assorto.

Qualcosa non và? Pensò fermandosi a pochi passi da me.

Scossi leggermente il capo. «Jasper, cosa provi quando cacci?»

Spostò il capo di lato e guardò il corpo esanime dello stambecco poco distante da noi. Sospirò e puntò gli occhi su di me: «Non mi piace uccidere, se è questo che vuoi sapere.» Non mi è mai piaciuto. Pensò quasi contemporaneamente.

Continuai a guardarlo. Lui sosteneva il mio sguardo tranquillo. Sentii dalla sua testa che stava cercando di sondare le mie emozioni.

Sorrisi. Lui fece altrettanto. Sapeva che gli stavo leggendo la mente.

Ti stai chiedendo cosa mi ha convinto a cambiare rotta alla mia esistenza? Mi chiese con i suoi pensieri.

Annuii con il capo in maniera impercettibile.

«Alice.» rispose.

Attesi che continuasse. In genere non ci soffermavamo quasi mai in discorsi così confidenziali, ma quella sera le cose per me erano cambiate. Sentivo di essere ad una svolta.

«Come sai, prima di incontrarla ero allo sbando, in un vortice di violenza e di odio.» si interruppe un momento, poi continuò.

«Edward, io ho ucciso molti uomini, e molti vampiri. Troppi. Nella mia mente sentivo le loro emozioni, prima che le loro esistenze finissero. Ho preso le loro vite, ma quello che non riuscirò mai a cancellare dalla mia anima e la perdita della loro speranza. La consapevolezza che il mio viso sarebbe stata l’ultima cosa che avrebbero visto, che non si sarebbero mai salvati e che io ero la loro fine, mi ha marchiato a fuoco. Al pari della loro, anche in me la speranza moriva con ogni vita che stroncavo, con ogni famiglia che distruggevo …» fece un attimo di silenzio, poi proseguì: «Incontrare Alice è stato come un fulmine a ciel sereno. Ho saputo immediatamente che lei era il mio destino, che non sarei mai più stato lo stesso. Lei è stata la cima a cui mi sono aggrappato per risalire a galla. Con lei ho ritrovato la speranza.» disse le ultime parole con un sorriso a fior di labbra.

E’ un po’ come quello che provi per Bella. Ogni cosa al suo posto … terminò la frase pensandola nella sua testa.

Feci un cenno di assenso con il capo. Già ogni cosa al suo posto. Sì, ma lui non rischiava di ucciderla Alice. Erano uguali, loro.

Di certo io potevo considerare lei il sole nella mia eterna mezzanotte, la mia ancora di salvezza. Ma lei? Quella sera avevo reso donna la mia Bella, ma almeno un paio di volte avevo messo a rischio la sua vita. E il suo corpo da umana ne aveva risentito. Non sapevo quanto male le avessi fatto, ma di sicuro non era un caso che con Alice fosse sopraggiunto anche Carlisle.

Jasper mi aveva portato via a forza, proprio quando ero giunto al limite.

“I nostri corpi erano ancora allacciati, i nostri respiri ancora affannati, e mi ero accorto che Bella aveva perso conoscenza tra le mie braccia. Il suo corpo era caldo, un po’ sudato. Il mio si era leggermente intiepidito a contatto con il suo. Le avevo sostenuto il capo con delicatezza appoggiandolo sulla mia spalla, dopo essermi spostato io sotto portandola sopra di me, per non pesarle addosso. Immobile, ascoltavo il battito del suo cuore che da forsennato stava lentamente normalizzandosi. Reazione umana normale, avevo pensato, tranquillizzandomi un po’. Avevo dato uno sguardo rapido alla sua schiena mentre con dita leggere l’accarezzavo. Alcuni segni rossi, sulle braccia, uno più vistoso alla base del fondoschiena, in prossimità della colonna vertebrale. Lì dovevo averle fatto davvero male.

Sospirai. Avevo cercato di essere il più delicato possibile, ma ero consapevole che il mio meglio poteva non essere stato abbastanza.

Dopo un po’, stringendo i denti al pensiero che era giunto il momento di staccarmi da lei, di uscire dal suo corpo, presi un bel respiro e accennai ad un lieve movimento. Ma non avevo tenuto conto della delicatezza del suo organismo. Appena mi ero spostato un po’, ritraendomi, avevo avvertito un caldo fluire dal suo ventre verso di me.

Sangue.

E parecchio anche.

Vivo e caldo sangue.

Bella priva di sensi tra le mie braccia, il richiamo della mia droga preferita che si faceva sentire prepotente, che mi invadeva l’olfatto, il tatto, tutti i sensi.

Gli occhi che si scurivano. La bocca che si apriva leggermente e si avvicinava al suo collo reclinato sul mio petto. I miei denti scoperti, affilati quanto rasoi, che avevano quasi sfiorato la sua carne tenera …”

Ansimai e chiusi gli occhi.  

Calmati, Edward. Stà bene, non temere. Carlisle la starà visitando per sicurezza, ma se le fosse accaduto qualcosa ci avrebbero avvertiti. Sentii la voce mentale di Jasper e un senso di pace mi invase.

“E, poi, come in un sogno la sua voce che sussurrava il mio nome «Edward …»

Mi ero bloccato ad un millimetro dalla sua gola, chiudendo gli occhi.

«Ti amo …» ancora la sua voce nel sonno.

Con gli occhi ancora chiusi, avevo sorriso impercettibilmente.

Non esisteva forza più potente al mondo che potesse piegare la mia belva della voce dolce e angelica di Bella Swan. Specie quando era indifesa, inconsapevolmente innocente tra le mie braccia.

Avevo deglutito il veleno che mi invadeva la bocca, e l’avevo stretta a me teneramente.

Dopo più o meno una trentina di minuti avevo cominciato a sentire i pensieri di Alice. Mi mostrava  me stesso, con gli occhi neri dalla sete e sofferente per la vicinanza con il sangue di Bella e aveva insistito affinchè andassi a caccia con Jasper. Bhè, diciamo che mi aveva praticamente obbligato, dopo avermi mostrato una certa immagine di Bella …”

Non essere così duro con te stesso, in fondo è andata bene, no? Osservai Jasper strizzarmi l’occhio furbescamente.

Bene, non rendeva in realtà l’idea. Era stata un’esperienza indimenticabile, unica e meravigliosa. Una smania incontrollabile di rivederla cominciò a farsi sentire prepotentemente.

Bella, amore mio … Chissà cosa aveva pensato al suo risveglio non trovandomi accanto a lei?

«Jazz, se tu sei pronto, vorrei tornare.» dissi staccando il busto dal tronco e drizzandomi con le spalle.

Annuì, comprensivo.

Ero impaziente di ritrovarmi con Bella.

Dovevamo parlare.

  

 

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Capitolo 37
*** INSIEME, PER SEMPRE ***


NOTA DELL’AUTRICE: Mettere la parola Fine a questa ff non mi è riuscito facile, e per questo ho lasciato aperto un piccolo spiraglio. Non si può mai sapere …

Mi sono divertita un mondo a scriverla, mi ci sono impegnata tanto e ho avuto tanta soddisfazione da voi lettori. Continuerò a frequentare ancora il sito e a commentare le vostre meravigliose storie, ma My New Moon finisce qui. Desidero ringraziare Gazy che mi ha betato per un certo periodo: sei stata impagabile, ma la chiavetta malefica non ci ha facilitato la vita … proprio ora che ho installato la linea veloce! Per Meticcia non posso dire altro che sei stata una delle più spiritose, ironiche e simpatiche delle mie lettrici: i tuoi commenti mi hanno fatto sorridere sempre, e trovo che tu sia una scrittrice davvero promettente. Non continuo con i ringraziamenti ad personam altrimenti non ne esco più, ma stringo in un abbraccio forte tutti coloro che mi hanno commentato, anche solo con una parola. Grazie davvero per non avermi fatto gettare la spugna al secondo capitolo …!

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BACI A TUTTI VOI DA MARIA LUISA –ENDIF-


CAP. 37

INSIEME, PER SEMPRE

BELLA

Toc, toc.

Un lieve bussare alla porta annunciò l’arrivo di Carlisle.

«Bella, posso entrare?» la sua voce era chiara e decisa da fuori la porta della camera di Edward.

Il cuore accelerò un po’ il battito, sospirai e risposi: «Certo»

Non mi piacevano i dottori, ovviamente non “tutti”, e una visita medica mi metteva sempre un po’ a disagio.

Mi sembrava come di essere ad un processo ad attendere la dura condanna.

In questo frangente, poi, ero a dir poco imbarazzata: il padre del mio ragazzo doveva visitarmi per accertarsi che la mia prima volta con suo figlio vampiro non mi avesse arrecato qualche danno fisico grave … Direi che come situazione era abbastanza fuori dal comune.

Già sentivo che le guance si imporporavano.

Ma era molto meglio affrontare questa cosa da sola che insieme ad Edward. Non avrei sopportato il suo sguardo colpevole per anche un semplice livido.

La porta si aprì silenziosamente e Carlisle entrò con la sua valigetta in pelle.

Ero vestita di tutto punto e seduta sul bordo del letto, che avevo cambiato e rifatto. Lo fissai deglutendo leggermente.

Accortosi del mio disagio, o semplicemente forte delle svariate centinaia di anni di esperienza come medico alle sue spalle, mi sorrise tranquillo.

Era la calma e la sicurezza fatta persona.

Mi rilassai un po’ ed accennai anch’io ad un timido sorriso. Lo vidi muoversi con estrema placidità per la stanza, prendere una sedia, accostarla di fronte a me e depositare la borsa sul bordo del letto al mio fianco. Se non fosse stato per il pallore e per la bellezza ultraterrena che lo distingueva, avrei scambiato le sue movenze per quelle di un umano. Pareva che il controllo dei suoi gesti non gli costasse alcuna fatica, che gli venisse davvero naturale.

La sua voce melodiosa mi riscosse dalle mie riflessioni.

«Allora Bella, Edward mi ha detto che hai avuto un colpo di calore. Come ti senti adesso?» mi chiese mentre dolcemente mi sfiorava la fronte e poi, il polso con le dita. Sembrava che mi avesse solo accarezzato, ma sapevo che in realtà la visita era cominciata. Con quei due impercettibili gesti, aveva già registrato temperatura corporea e pressione arteriosa. E la sua domanda apparentemente solo di circostanza aveva, in realtà, lo scopo di sondare la lucidità della mia mente.

Edward mi aveva spiegato tutti quei particolari nelle svariate volte in cui il padre era dovuto intervenire per curarmi: tagli, infezioni, stato stuporoso … Sperava, così facendo, di stemperare un po’ il mio terrore per il camice bianco.

«Un po’ stordita, ma direi bene.» risposi dopo averci riflettuto un attimo.

Prese una penna luminosa dalla borsa e me la puntò prima in un occhio, poi in un altro.

«Mmm, bene.» disse dopo un attimo di silenzio.

Posò con delicatezza la penna nella valigetta e con il tono più naturale possibile, evitando di fissarmi in volto, disse: «Adesso daremo un’occhiata al torace. Distenditi e scopri la pancia».

Ci siamo, pensai.

Feci esattamente come mi aveva chiesto e stesa sul copriletto tirai un sospiro imbarazzato, alzando la camicetta poco sopra l’ombelico.

Con lo sguardo fisso davanti a sé, senza lanciare nemmeno un’occhiata alla mia pelle, mise appena le dita sotto la camicetta, senza spostarla di un centimetro da dove io l’avevo alzata, e risalì un po’, fin quasi sotto al reggiseno. Apprezzai davvero tanto la sua delicatezza nel cercare di non aumentare il mio disagio, più di quanto non fosse necessario, e trattenni un po’ il respiro al contatto con il gelo della sua pelle.

«Cerca di respirare regolarmente e dimmi quando senti dolore.» disse cominciando a tastare con estrema attenzione ogni porzione del mio torace.

«Ahi!» esclamai ad una pressione sulla parte destra.

I suoi occhi si strinsero un po’, spostò indice e medio leggermente più in su e fece nuovamente pressione :«E adesso?»

«E’ indolenzito, ma dolore … no» risposi sicura.

Continuò ancora, per cinque minuti buoni. Me ne stavo in silenzio, mentre fissavo il soffitto come se fosse la cosa più interessante del mondo.

Carlisle continuava nella sua palpazione. Decisamente era un vero professionista. Serio, attento, preciso ma, nel contempo, pieno di tatto.

In una parola, il medico perfetto.

La mia mente cominciò a vagare, e i miei pensieri corsero al mio amore. Mi mancava da morire.

Volevo che mi stringesse a sé, che mi accarezzasse e che mi dicesse che saremmo rimasti così per l’eternità.

L’eternità …

L’eternità …

L’eternità …

«Direi che è tutto a posto.» la sua voce mi riscosse.

«Carlisle?» dissi spostando la sguardo verso la sua chioma bionda.

«Dimmi, Bella.» rispose, abbassandomi la camicetta e aiutandomi a mettermi seduta.

«La trasformazione è davvero così dolorosa?» chiesi, sapendo che avrei ottenuto da lui solo la verità.

Lo vidi puntare gli occhi dritto nei miei «Abbastanza, sì.» confermò senza alcuna inflessione nella voce.

Ebbi un brivido involontario e vidi la sua espressione addolcirsi all’istante: «Ma non devi avere paura. Ne ho discusso con Edward e abbiamo pensato che, quando sarà il momento, ti somministreremo della morfina. E’ un potente antidolorifico che viene usato anche in anestesia. Potrebbe essere d’aiuto. Comunque, tutto finisce più o meno in tre giorni.» la sua voce continuava ad essere calma, misurata.

Mi osservò con attenzione, poi, disse: «Bella, non è mia intenzione interferire, ma ti invito a riflettere senza fretta. Quando Edward ti ha salvato da James, in realtà ti ha fatto un dono unico. Ti ha dato la possibilità di scegliere ed è una scelta importante. Nessuno di noi ha avuto una possibilità simile, ma tu sì. So che adesso il tuo unico pensiero è rivolto a lui, ma non vanificare i suoi sforzi di tenerti in vita, scegliendo d’impulso. E’ la razionalità a dover guidare questa azione, non l’istinto.»

Lo guardai con decisione negli occhi: «Hai perfettamente ragione, Carlisle. Ma io ho scelto tanto tempo fa, e l’ho fatto con il cuore. Ho scelto Edward, e lui ha scelto me. So che se lui avesse potuto diventare umano per me l’avrebbe fatto, ma non è possibile. E non possiamo più stare insieme così, rischiamo di morirne entrambi, io, nel migliore dei casi, di vecchiaia, lui di dolore.»

Tirai un bel respiro: «No, non ho alcun dubbio su ciò che voglio.» e mantenni fissi i miei occhi nei suoi.

Lo vidi sorridere, poi, mettendomi una mano sulla spalla disse: «Bene, allora non mi resta che lasciarvi soli.»

E, detto ciò, si alzò dirigendosi verso la porta sotto il mio sguardo attonito.

L’aprì e potei scorgere la figura di Edward dietro le spalle del padre.

Si scambiarono un sguardo veloce, vidi Edward annuire impercettibilmente.

Chissà da quanto era lì dietro?!

Poi, la porta si richiuse e rimanemmo soli.

EDWARD

Ero rientrato da non più di un paio di secondi in casa e mi ero fiondato al piano superiore, dirigendomi verso le camere da letto. Mi fermai dietro la porta della mia stanza e rimasi in ascolto, per lo più dei pensieri di Carlisle. Sapevo che si era accorto che ero fuori la porta, e provvide subito a rassicurarmi con i suoi pensieri.

Figliolo, stà tranquillo. Hai gestito molto bene il suo colpo di calore, non ci sono esiti importanti. Per il resto, ha solo una costola leggermente incrinata nel quadrante medio-inferiore destro, ma non ha intaccato nessun organo. Fegato e polmoni sono a posto, ha bisogno di stare tranquilla e di non sforzarsi troppo. Niente bendaggio, non è necessario. Il suo resoconto dettagliato mi tranquillizzò.

Rilassai le braccia e inspirai. Almeno non le avevo sbriciolato qualche osso.

Osservai per un attimo la mia Bella attraverso gli occhi di mio padre, distesa sul letto con lo sguardo rivolto al soffitto. Era assorta.

Poi, riscossasi dai suoi pensieri, pose a mio padre quella domanda sulla trasformazione.

Trattenni il fiato. Non mi piaceva stare ad origliare, e mi spostai agitato, facendo per scendere le scale.

Aspetta Edward, non andartene via. La voce mentale di Carlisle era decisa.

Mi bloccai con le spalle alla porta, già un piede sul primo scalino.

Ed udii tutta la spiegazione di mio padre, la nostra idea di somministrarle la morfina, i suoi consigli sull’importanza della scelta che Bella aveva deciso di fare. La guardavo nella mente di Carlisle, gli occhi attenti, vigili. Solo un lieve pallore a sottolineare quanto il discorso la coinvolgesse.

Mi intenerì vederla cercare di essere coraggiosa, ma sapevo che in realtà era spaventata dall’idea di dover provare un dolore così intenso. Ed anch’io ero restio ad accettare serenamente questo aspetto della sua trasformazione. Non respiravo più, timoroso della sua reazione.

Poi, Bella parlò.

Le sue parole mi trafissero il cuore.

«Hai perfettamente ragione, Carlisle. Ma io ho scelto tanto tempo fa, e l’ho fatto con il cuore. Ho scelto Edward, e lui ha scelto me. So che se lui avesse potuto diventare umano per me, l’avrebbe fatto, ma non è possibile. E non possiamo più stare insieme così, rischiamo di morirne entrambi, io, nel migliore dei casi, di vecchiaia, lui di dolore.»

Silenzio.

«No, non ho alcun dubbio su ciò che voglio.» terminò con la fermezza e la determinazione nella voce e nello sguardo.

E quando Carlisle, il sorriso sulle labbra appena accennato, aprì la porta anche i miei occhi avevano assunto una nuova determinazione.

Andò via con un ultimo pensiero. Buona fortuna!

Mi avvicinai ad una Bella attonita e stupefatta, seduta sul bordo del letto.

«Stavi … stavi origliando?» mi chiese con un leggero tono accusatorio nella voce.

Sorrisi. La guardai inclinando un po’ il capo per catturare completamente i suoi occhi nei miei.

«Diciamo che sono stato invitato ad un ascolto silenzioso … Buongiorno, amore. Perdonami se non ero qui al tuo risveglio.» le dissi in un dolce sussurro, senza staccare gli occhi dai suoi.

La vidi deglutire ed alzare il capo verso di me. Aveva gli occhi limpidi e sereni.

Gli occhi di una donna innamorata.

Innamorata e felice.

Seppi con certezza che tutto era corretto, giusto, al proprio posto quando ero vicino a lei. Le presi le mani tra le mie e la invitai con dolcezza ad alzarsi. Le passai le braccia intorno alla vita e la strinsi un po’ a me.

«Sono perdonato?» chiesi con tono dolce.

«Non ancora.» rispose lei fissandomi le labbra.

Una rinnovata corrente passò tra di noi, quando inclinai il capo e la baciai delicatamente.

«Mmm, ci siamo quasi … mi sei mancato tanto, sai?» disse sulle mie labbra.

Sorrisi e la baciai con più passione, senza timore.

La sentii abbandonarsi contro il mio corpo e mi sentii completo. La distanza tra di noi non era plausibile. Eravamo una cosa sola, due entità distinte, ma un unico spirito che si acquietava solo quando non c’era alcuno spazio a dividerci.

«Bella …» mormorai sulle sue labbra. «mi sei mancata anche tu, moltissimo.»

«Mmm …» fece lei con gli occhi chiusi ed un sorriso beato.

Mi staccai leggermente da lei. Volevo parlarle, e non mi sentivo troppo padrone delle mie facoltà intellettive standole così vicino.

«MMMMMmmmm …» fece con tono indispettito, cercando di trattenermi a sé.

«Bella, vorrei chiederti una cosa molto importante …» esordii con tono fermo.

Aprì gli occhi e mi guardò.

«Importante? Ti ascolto, ha l’aria di essere una cosa grave …» e si allontanò ancora un po’ da me, ma questa volta fui io a trattenerla.

«No, non così lontano … E non temere, non è poi così grave.» dissi io con un sorrisino a fior di labbra.

Esitai un po’, le misi le mani sugli omeri e chiesi: «Se non hai cambiato idea sulla tua trasformazione, avrei una proposta da esporti.»

«Certo che non ho cambiato idea, anzi anche io ho una proposta per te …» mi guardò con aria di sfida ed io alzai un sopracciglio con fare interrogativo.

«Per me? Sentiamo …» la invitai con tono suadente, decidendo di darle la precedenza.

Si schiarì la voce.

«Io sono certa di me, di quello che provo nei tuoi confronti. E non ho paura di niente e di nessuno, ma sento che tu sei ancora un po’ titubante nel farmi diventare come te. Correggimi, se sbaglio.» Sorrisi del suo fare determinato.

Annuii senza parlare.

«Ho pensato molto a quello che mi hai detto ieri, e convengo con te che uno semestre di college non mi ucciderà, anzi ti darà la prova concreta che la mia è una scelta ponderata e non impulsiva. Accetto di venire a Dartmouth con te, ma …» e alzò un dito in aria minacciosamente, guardandomi con gli occhi fiammeggianti «a tre condizioni.»

Inarcai entrambe le sopracciglia, trattenendo un sorriso di trionfo.

«Primo: ti restituirò il tuo prestito non appena mi sarà possibile.

Secondo: allo scadere del semestre, scatterà la mia trasformazione, con o senza la tua benedizione.» Prese un bel respiro, e continuai a guardarla senza distogliere gli occhi da lei. Aspettavo la terza condizione, trepidante.

«E terzo … : non accetto di starti lontana nemmeno un secondo, notte o giorno che sia …» e inclinò gli occhi con timidezza.

Lasciò che le sue parole scendessero tra di noi leggere come piume.

«Allora, che ne pensi?» mi chiese con un po’ d’ansia nella voce, visto che non avevo detto nulla, ma senza alzare lo sguardo sul mio volto.

Le misi un dito sotto il mento e glielo alzai leggermente.

La fissai con intensità negli occhi dolci e timorosi.

«Dico che è perfetto.»

Il suo viso si distese in un sorriso, allorchè aggiunsi alzando l’indice in alto: «Ma … avrei anche io una condizione da porre, anche se sei liberissima di non accettarla»

Aggrottò gli occhi: «Sentiamo…» mi disse circospetta.

Dai Cullen, ci siamo … pensai.

Presi un respiro e dissi d’un fiato: «Isabella Swan, io ti amo più della mia stessa vita, e desidero trascorrere l’eternità insieme a te. Vuoi rendermi la persona più felice del mondo e diventare mia moglie?» e le misi sotto al naso l’anello di fidanzamento che era appartenuto alla mia madre naturale.

Deglutii aspettando una sua risposta, mentre osservavo la sua bocca lievemente aperta per lo stupore e gli occhi che si incrociavano a guardare il delicatissimo cerchietto d’oro e diamanti che riluceva tra le mie dita.

Era buffa a vederla così.

Poi, come riscossasi da un trance, chiuse la bocca di scatto, alzò gli occhi lucidi verso di me e sussurrò con un alito di voce:

«Sì , si lo voglio.»

I miei muscoli si rilassarono all’istante, le mie labbra si schiusero in un sorriso radioso e la presi tra le braccia facendola volteggiare come una piuma.

Ridemmo entrambi, felici e beati.

Niente avrebbe potuto incrinare la nostra gioia, nulla avrebbe potuto dividerci.

Insieme.

Per sempre.

FINE


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Capitolo 38
*** AVVISO ***


Solo poche parole per dirvi che la mia passione per la scrittura si è notevolmente rafforzata in questi due mesi di astinenza e che la “scrivite” (grave patologia che affligge molti degli autori che postano su questo sito) è riemersa in me in forma acuta. Meno tempo ho per la scrittura, più aumenta in me il desiderio di dedicarmici. Ho deciso di continuare questa fic con una nuova storia che si intitolerà “In the arms of the angel”. Chi mi conosce noterà alcune differenze nella stesura dei capitoli rispetto alla fiction precedente. Spero che apprezzerete.

Per chi non mi conosce vorrei precisare che non sarà necessario leggere My New Moon per seguire il filo della nuova ff, ma potrebbe essere utile per delineare meglio i caratteri dei personaggi che in alcuni tratti non sono proprio simili a quelli di zia Stephie.

Non vi tedio ulteriormente. A breve posterò. Fatemi sapere cosa ne pensate.

Baci

Maria Luisa

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