Keiran: il lupo rosso

di tectonik978
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Capitolo 1

 

Mi chiamo Keiran Nightingale, e sono un…, e difficile trovare una vera definizione, per quello che sono diventato nel corso della mia vita, quindi lascerò a voi il compito di immaginarvi un nome. Sto per raccontarvi la mia storia è di quelli che mi hanno conosciuto, amici o nemici.

   Appartengo a una delle tante tribù di Lycan sparse per il continente. Siamo una delle poche razze senzienti che popolano il nostro mondo. I Lycan sono un popolo solitario, non amano radunarsi in una nazione o unirsi alle altre razze che invece hanno deciso di costruirsi i loro paesi. Le nostre tribù sono sparse essenzialmente nelle più grandi foreste del mondo. Ogni tribù ha un numero di Lycan abbastanza piccolo dai duecento a cinquecento abitanti, per questo le altre razze più numerose come gli umani e gli deva a volte dimenticano persino la nostra esistenza.

   Siamo molto legati alla natura, tanto che persino i nostri corpi hanno subito un cambiamento per adattarsi molto bene a quel ambiente. Al contrario dei umani che hanno sempre cercato a cambiare l’ambiente circostante per adattarsi meglio e per agevolare il loro stile di vita, noi Lycan abbiamo fatto la stessa cosa con i nostri corpi.

   Non si sa quando ma ha un certo punto nella nostra storia, sono cominciati a nascere dei bambini ibridi di umani e lupi. Al inizio la cosa fu preoccupante, perché la gente si ritrovava figli con una corporatura umana ma dalle sembianze di un lupo, con pelliccia, artigli, coda e persino un muso. All’inizio questi ibridi furono allontanati e persino uccisi, per la paura di quello che potevano rappresentare o semplicemente per l’ignoranza che mostravamo nel non sapere quello che stava succedendo.

   Con gli anni sempre più famiglie davano alla luce dei ibridi, fino a quando questi non sostituirono del tutto gli umani da cui discendiamo. Con il passare delle generazioni siamo riusciti a trovare un equilibrio tra la nostra parte umana e quella selvaggia, imparando a cambiare la nostra forma a nostro piacimento. Fu in questo periodo che abbiamo assunto il nome di Lycan.

   La nostra forma selvaggia ci permisero di sopravvivere facilmente nella foresta, ed a collegarci ad essa come nessun’altra specie. Avendo ricevuto dalla natura delle armi come gli artigli e le zanne, abbiamo deciso che come ringraziamento per questo donno di abbandonare per sempre le armi, ed allenare e sfruttare al meglio i nostri sensi e il nostro corpo per sopravvivere in quel ambiente selvaggio.

   Ogni popolo ha bisogno di un’abilita o uno strumento con cui combattere contro chi li minaccia, gli umani avevano dalla loro parte il numero e le armi. Vivendo una vita abbastanza breve, la natura li ha resi estremamente fertili, per questo attualmente sono la razza più diffusa sul nostro continente.

   Al contrario i deva hanno dalla loro la longevità ed i poteri dei cinque elementi eterni: l’acqua, il fuoco, la terra, l’aria e lo spirito. Ma al contrario dei umani e dei Lycan, sono decisamente poco fertili. Nella loro lunga vita le femmine deva, possono al massimo partorire due, tre volte nella vita. E ancora peggio non possono nemmeno programmare l’arrivo di un figlio. Le donne deva, diventano fertili per la prima volta verso i ventiquattro, venticinque anni, ma solo per un brevissimo periodo, e il processo si ripete ogni dieci anni circa, fino al compimento dei duecentocinquanta anni.

   L’ultima delle razze senzienti che popolano queste terra sono le ninfe. Al contrario dei deva, umani e Lycan, le ninfe sono molto più speciali. Le ninfe sono la personificazione stessa della natura, o almeno di un suo ambiente. Come ad esempio una foresta oppure un fiume o una montagna. Sono essenzialmente tutte delle bellissime fanciulle, con poteri mistici sconosciuti e pressoché immortali, fino a quando il loro ambiente e in vita.

   E infine ci siamo noi i Lycan. Come ho già accennato siamo dei ibridi, e per questo abbiamo sia caratteristiche umane sia quelle di un lupo. Abbiamo la stessa longevità dei umani e la stessa capacita di riprodurci. Ma al contrario di loro, siamo molto bellicosi, e vivendo in ambienti molto pericolosi, e per questo motivo il nostro numero e sempre limitato. La nostra parte lupo, ci ha donato invece dei sensi sviluppatissimi, come quelli di un animale predatore. Ma anche gli artigli e le zanne, che usiamo per cacciare. Essendo per metta animali, siamo la razza più forte e più veloce di tutte, e da trasformati questo divario di forza e persino più grande.

   Come ho già detto il mio popolo ha abbandonato le armi come strumenti di caccia e di combattimento, arrivando persino a considerarle un tabù o un reato se qualcuno le usava per questi scopi. Per compensare questa mancanza di armi, abbiamo sviluppato e raffinato diversi stili di combattimento corpo a corpo, che ci permettono di cacciare e affrontare avversari che brandiscono qualunque tipo di armi. Un ultimo dettaglio importante che riguarda il mio popolo sono i capelli.

   I capelli per noi sono più di un simbolo, sono un marchio che ci portiamo dalla nascita fino alla morte. Tutti i Lycan hanno i capelli scuri che vanno dal castano ad un nero assoluto. Anche questi colori sono un frutto della nostra evoluzione che ci ha permesso di cacciare di notte e mimetizzarci con le ombre. Come dicevo il colore dei nostri capelli e molto importante, più e scuro più il Lycan sarà forte e veloce, per questo quasi tutti i nostri capi erano Lycan dai capelli corvini, cosi come anche tutti i loro consiglieri. Sfortunatamente ne nascevano ben pochi di bambini dai capelli neri, una decina per ogni generazione.

   I capelli li portiamo tutti lunghi, non per una tradizione o un gesto simbolico, ma solamente per praticità. Quando ci trasformiamo i nostri capelli crescono fino a una lunghezza ben precisa, quindi se anche lì si tagliassero nella forma umana questi tornerebbero alla loro lunghezza iniziale alla prima trasformazione.

   Il capo tribù e quasi sempre un Lycan dai capelli neri, ma non si decide quella posizione sono in base al colore. Quando un capo tribù comincia ad invecchiare, ogni due anni si organizza un torneo nel quale possono partecipare tutte le persone che hanno compiuto i diciotto anni, sia uomini che donne. Al vincitore del torneo viene concessa la possibilità di sfidare il capo, e se riesce a sconfiggerlo prende il suo posto.

   E in uno di questi tornei che mio padre guadagno quella carica, e divenne il leader della nostra tribù, all’età di diciotto anni, fu uno dei capi più giovani che la nostra tribù ha avuto nelle ultime generazioni.

   Fisicamente tutti gli Lion hanno una muscolatura ben definita grazie agli allenamenti a cui ci sottoponiamo ogni giorno, ma e anche asciutta. Il nostro corpo viene allenato in modo da sfruttare il massimo della nostra potenza fisica ma allo stesso tempo, quei muscoli non devono impedire la nostra velocita, agilità e flessibilità.

   Come ho detto siamo un popolo molto bellicoso, ci piace combattere sia amichevolmente tra di noi per migliorarci, sia contro i nostri nemici. Grazie a questa indenne bellicosa, molte nostre tribù hanno cominciato a lavorare come mercenari con gli umani ed i deva. Ogni Lycan che accetta di diventare mercenario deve pero mantenere un giuramento, quello di non mostrare mai ad un estraneo la nostra forma selvaggia.

   La nostra tribù era situata nella Foresta Nera, nel regno di Alberon la nazione dei. Questa foresta aveva una terribile reputazione, essendo popolata da diverse belve feroci, tra cui noi, e per questa ragione era considerata un posto di morte, e quasi nessun umano aveva il coraggio di addentrarsi. Ed i pochi sfortunati che ci entravano, facevano una brutta fine. Potevano morire sbranati dai animali, oppure cadere vittima dei incantesimi delle ninfe, e se riuscivano ad avvicinarsi al nostro territorio, morivano per mano nostra.

   Mio padre si chiamava Aaran Nightingale e come ho accennato prima era il capo della nostra tribù. Era il guerriero più forte e veloce che al momento abitava in quelle foreste. Ad eccezione di una persona, mio padre non aveva mai perso un combattimento contro nessuno. Quella persona era mia madre, la donna più bella e più forte che ogni uomo potesse desiderare. Il suo nome era Leah Nightingale, e anche lei come mio padre era una dei pochi Lycan dai capelli neri.

   Sposando mio padre sfortunatamente non ha mai avuto l’occasione di sfidarlo per il ruolo di capo tribù, anche se a lei quella carica non era mai interessata. I miei genitori avevano solamente vent’anni quando hanno avuto me, e la mia nascita diede una grande scossa a tutta la mia tribù.

   Nacqui nel primo giorno di febbraio, sotto la luce di una luna rosso sangue, e nel giorno più freddo dell’anno. Il destino ha voluto che il colore di quello bellissima luna in cielo, si rispecchiasse nei miei capelli e occhi. Nessuno nella nostra storia ha mai avuto quel colore, ogni tanto anche se molto raramente poteva nascere un bambino Lycan biondo scuro, ma uno con i capelli rossi era una assolta novità.

   Le anziane che avevano aiutato mia madre a farmi nascere, quando videro i miei capelli e occhi rimasero spaventane. Da lì ha poco la notizia si sparse in tutta la tribù e in poche ore davanti a casa nostra quasi un centinaio di persone si raduno. In molti urlavano che la mia nascita era un segno di sventura o sciagura, altri suggerivano di portarmi nel cuore della foresta e abbandonarmi li nella balia dei animali.

   A quelle parole mio padre esplose per la rabbia e sfido chiunque mettendo in gioco la sua carica, il vincitore avrebbe ottenuto la nomina del capo, e in quel caso la nostra famiglia avrebbe abbandonato la tribù, invece se mio padre riusciva a sconfiggere i suoi sfidanti questo dovevano starsene zitti e continuare le loro vite. Per le successive settimane mio padre accetto tutte le sfide che li venivano lanciate, riuscendo a vincerle tutte, e mettendo tacere tutti gli abitanti della tribù.

   Mia madre decise di chiamarmi Keiran, e sia lei che mio padre provavano per me un amore che trascendeva la mia piccola diversità. Per i primi anni della mia vita fui una continua sorpresa per i miei genitori. Da quello che mi hanno raccontato ho detto le mie prime parole all’età di dieci mesi, per poi cominciare a correre per la nostra casa già ad un anno. Si resero subito conto che ero molto intelligente molto più dei altri ragazzi della mia età.

   Crescendo mi resi conto che mostrare alla gente quanto ero intelligente, non faceva che aumentare la diffidenza che già mostravano verso di me, e per non dare altre preoccupazioni ai miei genitori cominciai a osservare i ragazzi della mia età e a comportarmi come loro. Purtroppo mentre imitavo i bambini della mia età scopri la più grande diversità tra me e il resto della mia gente. Al contrario dei altri ragazzini io ero debole, in termini di forza ma allo stesso tempo molto più agile e veloce di loro.

   Il nostro villaggio come ho già accennato era nel cuore della Foresta Nera. Solo il centro del villaggio era sprovvisto di alberi, il resto delle case erano costruite in modo da integrarsi perfettamente con la foresta. La tribù era sparsa in un raggio di qualche chilometro, in modo che ogni famiglia avesse i suoi spazi. La nostra casa era vicino al centro ed era enorme. Veniva usata dalla famiglia di ogni capo tribù, ed ormai era molto antica. L’albero intorno al quale era costruita, doveva avere molti secoli ormai, ma era ancora in forze e ben sviluppato. Le altre case della tribù, erano costruite intorno ad un albero antico. Tranne la piazza della tribù, che era deserta da vegetazione. Di solito nel mezzo della piazza si accendeva il fallo nei momenti di festa, oppure per cremare i nostri morti.

   La piazza veniva usata anche per un altro scopo. Era il posto ideale dove addestrare i piccoli Lycan, o svolgere i vari tornei di lotta. E in alcune serate, sentire le nostre donne suonare gli strumenti musicali e cantare con le loro voci d’angelo.

   La trasformazione nella nostra parte selvaggia avveniva casualmente già da quando eravamo neonati. Quando siamo stressati, arrabbiati o proviamo emozioni molto forti ci trasformiamo per istinto. Servono molti anni di meditazione e di autocontrollo per riuscire a controllare la trasformazione, e persino riuscire a modificare solo alcune parti del nostro corpo. Come ad esempio, far spuntare solamente gli artigli, o risvegliare i nostri sensi.

   Per quando riguarda me, io adoravo rimanere nella mia forma selvaggia, sentire i miei sensi al massimo, e riuscendo a percepire tutto quello che mi circondava, e in speciale andavo matto per la mia folta coda. Uno dei miei passatempi preferiti nell’infanzia, mentre ero trasformato era arrampicarmi su ogni albero, oppure correre a più non posso nella foresta.

   Al compimento dei miei cinque anni di età, cosi come tutti i piccoli Lycan della stessa età, li si cominciarono ad insegnare le tecniche di combattimento e della caccia. Solidamente tutti i ragazzini più o meno della stessa età, venivano radunati tutti insieme intorno ad uno o più anziani oppure un insegnante scelto dalla tribù. Loro avevano il dovere di insegnare ai piccoli i primi passi nel mondo del combattimento corpo a corpo.

   Sfortunatamente sia per le proteste dei genitori, che per il disgusto che i miei coetanei mi mostravano, non fui accolto nel gruppo, e quindi tocco ai miei genitori a prepararmi. Fu più o meno in questo periodo della mia vita che mi resi conto di quanto il mondo poteva essere crudele.

   I miei genitori, essendo i leader della nostra gente, non avevano moltissimo tempo da dedicarmi. Era sempre occupati in qualche situazione che chiedeva la loro attenzione. E le cose peggioravano ancora di più quando scoprirono quanto ero debole fisicamente, rispetto agli altri. Una sera quando io ormai dovevo essere a dormire, senti i miei genitori parlare preoccupati. Dicevano che ero debole come un deva, anche se a quel tempo non sapevo cosa era veramente un deva, ma da tono con cui l’ho disse mio padre sembrava una creatura molto debole.

   Non mi persi d’animo, da quando ho ricordo, sono sempre stato molto testardo, e sentendo quelle parole in me era nato un sentimento di sfida. Volevo dimostrare a tutti che si sbagliavano sul mio conto, e quando sarei diventato forte avrei richiesto il loro rispetto.

   Imparai ben presto che non sarebbe mai stato facile come avevo pensato. Appena avevano un po di tempo i miei genitori mi insegnavano passo per passo le tecniche di combattimento corpo a corpo. Pretendevano da me il massimo impegno, attenzione e disciplina. Avendo poco tempo a disposizione con loro dovevo memorizzare subito ogni piccolo movimento, perché non me lo mostravano una seconda volta.

   Memorizzare quei schemi e tecniche di combattimento, non era un grosso problema. Il vero problema era metterle in pratica e insegnare al mio corpo ad eseguirle. Essendo tutte tecniche in cui si impiegava la forza, per me eseguirle era assai difficile. E di questo dettaglio non furono solo i miei genitori a rendersene conto.

   Per aiutarci a migliorare e metterci alla prova, tutti i ragazzi di ogni età ogni tre mesi dovevano partecipare a un piccolo torneo tra i coetanei. Purtroppo per questa attività non fui tenuto in disparte, e nel mio primo torneo tutta la tribù scopri quanto potevo essere debole.

   Sui visi della maggior parte del pubblico, si intravedeva un sorriso di soddisfazione, e nei occhi dei altri ragazzi, una consapevolezza di aver trovato una preda da sbranare. E cosi fu. Da quel torneo ogni volta che i miei genitori non erano nei paraggi, gli altri piccoli Lycan si divertivano a darmi la caccia. Anche se ero più veloce di loro a scapare, loro riuscivano sempre ad accerchiarmi e a prendermi. Gli insegnamenti di caccia che venivano insegnati loro, li usavano per me.

   Ogni sera tornavo a casa con dei nuovi graffi, lividi o ossa inclinate. E ogni sera i miei genitori non dicevano niente. Vedevo nei loro sguardi la tristezza e la rabbia per quello che mi stava succedeva, ma sapevo benissimo da solo che non potevano fare niente per aiutarmi. In fin dei conti eravamo metta animali, se non imparavi a sopravvivere da solo, non si aveva diritto di far parte della tribù. Questa legge valeva anche per le litte dei bambini, te la dovevi sempre cavare da solo. E cosi ogni mattina, anche se ero dolorante e sofferente, mi alzavo dal letto e cominciavo i miei esercizi. Se mai volevo prendermi la rivincita per tutte quelle ingiustizie, dovevo diventare più forte, e per farlo dovevo allenarmi il più possibile.

   E cosi feci, ogni mattina mi svegliavo prima di tutti, per fare i miei esercizi per rafforzare il mio corpo, e quando finalmente i miei si mettevano in piedi, li supplicavo di insegnarmi qualcos’altro. Anche scapare e incassare le botte dei ragazzini ben presto divenne un ottimo allenamento per me. E dopo mesi quando finalmente riuscì ad atterrare di loro, le cose peggiorarono di nuovo. Avendo riagito e persino ferito uno di loro, gli altri si erano vendicati a dovere, andandoci molto più pesante rompendomi persino un braccio. Quella sera quando rientrai a casa, mia madre alla vista del mio braccio si spavento, al contrario mio padre noto solo il mio sorriso di compiacimento e il furore che avevo nei occhi. Penso che quella volta lo vidi per la prima volta orgoglioso con tutto sé stesso di me.

   Il braccio ci mise quasi un mese a guarire del tutto, e tutto grazie alle cure che mi diede mia madre. Leah Nightingale era un’ottima curatrice, specializzata nel velocizzare il processo di guarigione tramite i punti di pressioni del nostro corpo. Anche con il braccio fuori uso, non trascurai i miei allenamenti, e nemmeno i miei “amici” trascuravano di darmi problemi.

   Scopri presto che gli allenamenti su di me avevano un effetto tranquillante. Riuscivano a prendermi interamente, isolandomi da quello che mi circondava. Lo stesso effetto mi facevano le meditazioni, era forse l’unica pratica che i miei genitori mi avevano insegnato è nella quale ero portato. Ci misi pochissimo ad imparare a controllare la mia trasformazione, e le mie emozioni.

   Ormai erano passati quasi quattro anni da quando avevo cominciato l’addestramento, e non ero ancora riuscito ad arrivare al livello dei miei coetanei. La mia forza fisica continuava ad essere inferiore a quella di un normale Lycan, ma al contrario la mia velocita era di gran lunga superiore. L’unica disciplina che mi avvicinava a loro anche lontanamente era la caccia.

  Dopo tutti quei anni di botte il mio corpo, era già segnato con molti segni di graffi e zanne ed avevo già collezionato un bel po’ di ossa rotte, ma allo stesso tempo mi ero irrobustito e avevo imparato a sopportare molto bene il dolore.

   Non avevo passato tutto il mio tempo nei allenamenti e nella caccia, ho dovuto anche imparare molte altre discipline, come ad esempio riconoscere la maggior parte delle piante che si trovavano nella Foresta Nera. Anche lo studio delle stelle era una cosa fondamenta per riuscire ad orientarsi. Avevo cominciato persino a imparare le tecniche di mia madre nel preparare medicinali e trovare i punti di pressione. Nelle discipline dove dovevo usare la testa non ero secondo a nessuno, ma la preoccupazione principale dei miei era comunque la mia preparazione nel combattimento.

   I miei genitori ormai non sapevano più che cosa insegnarmi in modo che riuscissi finalmente a cavarmela da solo. Era ormai rimasta una sola arte di combattimento da provare. Fu in questo periodo che mia madre comincio ad insegnarmi l’arte assassina, basate principalmente sulla furtività e velocita, piuttosto che sulla forza.

   Erano tecniche di combattimento per lo più femminile, che venivano insegnate solo alle ragazze molto deboli, ma in sostanza la conoscevano tutte le donne. Per questo insegnarla ad un maschio era segno di debolezza e del fallimento come Lycan. Ma visto che le altre non si adattarono molto bene al mio corpo, quella era l’unica possibilità che mi rimaneva. Sapevo già che se avessi mai usato quella arte in un combattimento, tutta la tribù mi avrebbe deriso, e ancora peggio avrebbe messo in ridicolo i miei genitori.

   Finalmente stavo scoprendo un stile di combattimento molto adatto a me. Si bassava principalmente su movimenti molto fluidi quasi senza rumore, da usare per prendere il tuo avversario alle spalle oppure per ucciderlo ancora prima che lui se ne accorga. Tra queste tecniche cera anche la cancellazione della propria presenza, della quale fui subito affascinato. In questo stile di combattimento, cerano anche tecniche per affrontare un avversario faccia a faccia, se riuscivi a muoverti velocemente e con morbidezza, potevi sfruttare la potenza del attacco del tuo avversario contro sé stesso. Fu così che mi dedicai in quella arte quasi interamente, ma senza pero scordare anche le altre tecniche che mio padre aveva faticato ad insegnarmi.

   Nei tornei e di fronte alla gente continuavo sempre a usare le tecniche basate sulla forza, arrivando sempre allo stesso risultato, cioè perdere contro tutti. Pero in privato stavo cominciando a migliorare nel cancellare la mia presenza ed a muovermi con furtività. Erano tecniche molto utili, specialmente se non volevi farti trovare da una banda di ragazzino, oppure se provavi a scapare da loro.

   Passai tutto quel anno ad impegnarmi al massimo, in tutte le tecniche che i miei mi stavano insegnando. La maggior parte della gente aspettava con impazienza il mio decimo compleanno, quasi tutti tranne i miei genitori. Si stava avvicinando la prova decisiva che avrebbe deciso se ero degno di farmi chiamare Lycan oppure se era arrivata l’ora della mia morte.

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Capitolo 2
*** 2 ***


Capitolo 2

 

   All’età di dieci anni, e dopo cinque anni di addestramento, ogni giovane Lycan doveva sottoporsi ad una prova che testava le sue capacità di sopravvivenza. La prova consisteva nel sopravvivere sei mesi interamente da soli in mezzo alla natura con solo gli abiti addosso. Sfortunatamente io compievo i miei dieci anni a febbraio, nel cuore dell’inverno quando esso era più freddo e violento.

   Prima di intraprendere quella lunga missione, dovevo fare un’ultima cosa. In quell’impresa avrei avuto bisogno di vestiti molto pesanti, e i miei ormai erano sia abbastanza piccoli che ridoti un po’ male dalle continue risse. Per questo motivo mia madre aveva intenzione di portarmi con lei a raccogliere il filo con il quale si tessevano i nostri vestiti.

   Avendo come armi principali gli artigli, la nostra gente aveva sempre cercato un materiale molto resistente ai graffi e ai tagli, ma doveva essere anche molto flessibile in modo da non limitare i nostri movimenti. Quindi un’armatura in ferro, per noi era fuori discussione. Così dopo molti tentativi abbiamo trovato quello che cercavamo.

   Il materiale che cercavamo l’ho trovammo nel fillo di un ragno. Avevo gia specificato che la Foresta nera era un luogo molto pericoloso, in cui si trovavano belve e creature abbastanza insolite, questo ragno era una di esse. Veniva chiamato Atrax, ed era giusto definirlo il re della sua specie.

   Essendo ancora un cucciolo, non mi era stato ancora permesso di allontanarmi dalla tribù per conto mio. Le uniche eccezioni erano quando andavo con mio padre a caccia, oppure quando mia madre mi insegnava a riconoscere le piante, quindi quella fu la prima volta che incontravo quel animale.

   Faceva il nido in una caverna sotterranea, molto buia e umida. Scendemmo fino a quando anche l’ultimo spiraglio di luce non ci abbandono, e fino a quando persino con la mia vista sviluppata non riuscivo più a vedere niente. Riuscivo a seguire mia madre, basandomi solo sul suo odore e il rumore dei suoi passi, ma questo non basto per non finire nella ragnatela di quel ragno. Il ragno l’aveva tessuta in modo da coprire interamente tutta l’apertura della caverna, e io mi ci ero appiccicato, e più provavo a liberarmi più mi si stringeva intorno. Non avevo di certo la forza per spezzare quei fili, e i miei artigli non riuscivano a tagliarli.

   Quando finalmente mi calmai, capi di non sentire più la presenza di mia madre, e al suo posto sentivo muoversi qualcosa attraverso quelli fili. Rimassi immobile per la paura trattenendo persino il fiato. Ad un tratto mi senti sorpassare, e percepivo la presenza di qualcosa d’avanti a me. Non vedevo niente, quindi non potevo sapere quello che stava succedendo. Al contrario sentivo benissimo che qualcosa mi stava fasciando i piedi con immobilizzandomi ancora di più. Continuo fino a quando non mi arrivo fino al petto. In pratica aveva creato un bozzolo intorno al me. Il mio sangue era del tutto congelato e io mi stavo quasi per arrendere.

   Solo quando il bozzolo arrivo al mio colo, senti finalmente mia madre che comincio ad attaccare la cosa che dovevo avere d’avanti. Riuscivo a sentire solo i versi di dolore della creatura, mentre si stava lentamente allontanando da me, e andava verso l’uscita. Qualche istante più tardi senti un strillo agghiacciante prima che tutto cadesse in un silenzio tombale.

   Fu solo quando mia madre mi parlo all’orecchio che io cominciai di nuovo a respirare. Con un coltello comincio a tagliare il bozzolo in cui ero imprigionato. Quando finalmente mi libero, con voce severa mi ordino di uscire, mentre lei raccoglieva tutto il filo della ragnatela. Sapevo di essere in guai grossi. Prima di entrare mi aveva avvertito di stare sempre dietro di lei e tenere le orecchie aperte. Mentre io ero andato avanti e avevo combinato quel piccolo pasticcio.

   Quando usci dalla caverna, aveva in spalle il grosso bozzolo nero e dentro di sé un enorme ragnatela dello stesso colore. Mi beccai subito uno ceffone in piena guancia, e subito dopo una carezza sulla testa e un bacio sulla fronte. Io per la vergogna abbassai la testa, non per il fatto che non ero riuscito ad eseguire quelle poche indicazioni che mi aveva dato. Oppure per non essere riuscito a combinare niente, ma per il semplice motivo di aver spaventato mia madre a morte. Si riusciva ancora a vedere sul suo volto la preoccupazione e il terrore che aveva provato.

   Quindi per farmi rendere conto di quello che avevo rischiato mi mostro un enorme carcassa, poco lontano da li. Appena la vidi divenni pallido come la nave. Davanti ai miei occhi avevo il corpo di un ragno mostruoso. Era grosso come una persona, e le sue falci come minimo avrebbero potuto inghiottire un bambino senza problemi. Era orribile, le zampe cosi come la testa erano coperte di una sottilissima peluria nera, mentre il corpo era ricoperto di placche dure come l’osso, che proteggevano i suoi punti vitali. Tra due placche notai un foro delle dimensioni di una mano, e dentro cera il cuore del ragno fatto a pezzi. Mia madre doveva aver colpito quel punto con una forza e velocita incredibile, per non parlare che doveva aver sfoderato i suoi artigli.

   Quando finalmente riuscì a staccare gli occhi da quel ragno, ci incamminammo verso la tribù. Quella sera mi beccai un'altra ramanzina da mio padre, una volta che aveva sentito come era andata. E come se non fossi abbastanza stanco, mi beccai anche una lunga lezioni dei animali più pericolosi di quelle foreste. È quella lezione continuo per tutta la successiva settimana.

   Per il mio compleanno quel anno ricevetti un po’ di cose. Per iniziare mi regalarono un nuovo paio di stivali, per poi continuare con due paia di pantaloni, due canottiere su misura e una tunica pesante con una cintura. E infine tiro fuori un lungo cappotto che mi arrivava fino ai polpacci, e con il cappuccio. Tutti quei vestiti erano neri così come era anche il filo di ragno con il quale erano stati tessuti. Per questo quasi tutti i Lycan vestivano di nero, dipingere il filo e farli cambiare colore, richiedeva molta fatica, quindi a meno che un vestito non dovesse essere usato per un’occasione speciale non ci si provava nemmeno a darli un altro colore.

   Tutti quei regali erano anche per la mia partenza per il giorno dopo. Si vedeva chiaramente che erano tutti e due molto preoccupati e spaventati per quello che mi poteva capitare nei prossimi sei mesi. Già per un giovane Lycan normale, quella prova era assai rischiosa, e in molti ogni anno non ce la facevano. Per me che ero molto più debole dei altri in pratica era pressoché una condanna a morte. Festeggiamo quel giorno con allegria. Mia madre mi preparo tutti i miei piatti preferiti, mentre mio padre passo tutto il giorno con me a giocare ed a raccontarmi le sue battaglie.

   Così il due di febbraio io mi addentrai nella foresta con indosso solo i miei vestiti e un coltellino da cucina da usare per pulire gli animali, che avrei dovuto cacciare. La foresta era interamente ricoperta di neve, mi arrivava fino alle ginocchia. Ad accompagnarmi fu mio padre, non voleva rischiare a mandarmi con qualcun altro. Viaggiamo attraverso la foresta e la neve per ben due giorni, fino a quando secondo lui ero abbastanza lontano da casa. Mi saluto con un bacio sulla fronte prima di partire, e mi disse le ultime raccomandazioni e che mi avrebbe aspettato in estate a casa.

   Passai il resto della giornata nel cercare qualche animale con cui cenare e sfamarmi. Mio padre prima di andarsene si era preso tutte le nostre scorte, e i aveva lasciato senza niente. Purtroppo quel giorno non riuscì né a fiutare né a vedere nessun animale da cacciare. Cosi prima che il solo tramontasse mi arresi e cominciai a cercare della legna per accendere un fuoco con cui riscaldarmi. Riuscì ad accenderne uno giusto prima del tramonto, ma era piccolissimo abbastanza da riscaldarmi le mani. E come se quella giornata non potesse andare peggio, le temperature scesero di botto, e un vento gelido e tagliente mi colpiva da tutte le parti.

   Fu una notte tremenda nella quale non riuscì a chiudere un’occhio per via del rumore che i miei denti facevano mentre battevano, nemmeno la pelliccia che mi cresceva quando mi trasformavo era riuscita a proteggermi dai venti freddi e le basse temperature. Con il sorgere del sole decisi di darmi da fare, se non altro muovermi mi riscaldava. Cercai dei lunghi e robusti rami lunghi più o meno due metri, quelli che non trovavo per terra o sotto la neve li rompevo dai alberi. Una volta che ne raccolsi diversi ne presi uno leggermente più robusto e alto. Con il mio piccolo coltellino scavai una buca dove infilai il ramo più lungo e lo fissai saldamente. Sempre con il coltello andai a tagliare delle lunghe e spesse strisce di corteccia che usai per legare gli altri rami a quello che avevo impalato. Li legai in cima e li misi uno vicino al altro in modo da formare un cono con una piccola apertura su un latto per poter entrarci.

   Sempre con il coltellino tagliai abbastanza corteccia da rivestire l’intera tenda di legno che stavo costruendo. E quando finalmente fini lo ricopri interamente di neve per isolarla ancora di più dal freddo. Quando fini era quasi sera, e io non avevo ancora mangiato niente e per di più ero stanco morto. Avevo mantenuto vivo il fuoco per tutto il giorno cosi prima di rifugiarmi nella mia nuova casa lo portai all’interno per riscaldarmi meglio. Quella notte la passai al caldo e beatamente con l’unica preoccupazione di svegliarmi ogni tanto per alimentare il mio fuoco.

   Il giorno dopo mi risvegliai riposato e riscaldato con l’obiettivo di mettere qualcosa nello stomaco. Prima di allontanarmi raccolsi un tronco e con il coltello scavai un piccolo buco nel quale missi della brace. In questo modo la brace consumava lentamente il tronco e io non dovevo poi faticare ad accendere un altro.

   Se si sapeva cercare attentamente, del cibo lo si poteva trovare abbastanza facilmente, serviva solamente molta fortuna. La mattinata la passai nell’esplorare la zona circostante al mio accampamento, trovai diverse tane di coniglio a cui missi delle trappole. Nel pomeriggio raccolsi qualche castagna e altre proviste che gli scoiattoli avevano messo da parte. Non erano un pasto abbondante ma doveva darmi qualche energie.

   Quando verso sera fini la mia perlustrazione trovai finalmente un ruscello, e prima di ritornare alla mia tenda controllai le mie trappole nella speranza di trovare la cena, sfortunatamente non cera nemmeno l’ombra di un coniglio. Quella notte andai a dormire con il rumore del mio stomaco che brontolava visto che non li erano bastate le castagne che avevo trovato.

   Nell’attesa che qualche trappola scattasse io mi ero tagliato un bel mucchio di strisce di corteccia e portate nella mia tenda, dove al caldo cominciai a costruire delle trappole per i pesci. Me l’aveva insegnato mio padre, in pratica si costruiva dei contenitori cilindrici con un buco ad una estremità, per entrare il pesce era facilitato dalla corrente, quindi riusciva ad allargare il buco. Ma una volta al interno il buco tornava normale e il pesce non riusciva più ad uscire. Ne costruì parecchie e verso sera andai a piazzarle nel piccolo fiume che avevo trovato. Entrare scalzo in quelle acque gelide fu una vera tortura, ma riuscì a piazzarle nel modo giusto.

   Mentre ritornavo al mio accampamento, ispezionai di nuovo le mie trappole per i conigli, e finalmente dentro uno di esse cera una bella preda. Quella sera feci quasi un vero e proprio banchetto con la carne del coniglio, e finalmente dormi sia al caldo che con la pancia piena.

   Il resto dell’inverno non assai più buono me. Mi sfamavo a malapena con quello che le mie trappole riuscivano a prendere. Ma non fu il cibo ad essere il mio problema principale. Molti animali erano andati in letargo in quella stagione, ma altrettanti erano ancora in giro per la foresta in cerca di una bella preda. E di sicuro un cucciolo di Lycan come me era molto invitante. Passai molte giornate e notti in cima agli alberi cancellando la mia presenza per riuscire a sfuggire a questi animali. È il tempo non era decisamente dalla mia parte. Molte notti avevo pensato che sarei morto assiderato, ma in qualche modo grazie alla mia pelliccia mi ero salvato.

   Con l’arrivo della primavera, la neve comincio a sciogliersi e gli animali a uscire dal loro letargo permettendomi di trovare il cibo più facilmente. E con grande sollievo anche le temperature cominciarono a salire. Alcune notti faceva ancora molto freddo, ma niente in confronto a quelle invernali.

   Riuscendo a cacciare e a procurarmi il cibo più facilmente, in poco tempo ritornai perfettamente in forma e riuscivo persino a trovare il tempo per allenarmi. In verità gli allenamenti non erano proprio necessari visto che tutto quello che avevo imparato lo ripetevo mentre cacciavo. Muoversi in modo furtivo e cancellare la propria presenza, combinati ad attacchi veloci e letali, erano un’ottima arma per cacciare. Mi permettevano di confrontarmi con animali molto più grossi di me, con i quali in uno scontro diretto non avrei avuto nessuna possibilità.

   Quella prova e il vivere nella natura più selvaggia, piano piano mi stava cambiando. Con il passare dei giorni e delle settimane, stavo diventando sempre più veloce e vigile, ed i miei sensi erano sviluppati che mai. Ormai ogni notte quando dormivo, se nelle vicinanze si avvicinava una belva, riuscivo a percepire la sua sette di sangue e presenza molto prima che mi raggiungesse. E furono proprio questi sensi che mi salvarono la vita una sera.

   Era appena tornato dal fiume, dove avevo pulito un pesce e stavo tornando alla mia piccola tenda per cucinarlo e andare a dormire. Mentre tornavo avevo raccolto anche qualche pianta commestibile e aromatica, per dare più sapore alla carne. Stavo diventando un cuoco discreto, e mi piaceva viziarmi quando ne avevo la possibilità. Quella sera il cibo fu squisito, mi sentivo felice come non mai. Quella serata poteva essere perfetta solo se con me ci fossero stati i miei genitori. Cominciavano già a mancarmi, e sempre più spesso pensavo a loro.

   Finito di cenare, entrai nella mia piccola tenda e mi sdraiai sul cappotto. Ormai faceva abbastanza caldo, e per stare bene mi bastava la mia pelliccia ed i vestiti che avevo addosso, con il cappotto faceva già caldo. Tenevo gli occhi chiusi ed ascoltavo la melodia che la natura produceva di notte, e piano piano mi stavo addormentando.

   Non so quanto tempo passo, ma un certo punto averti un enorme sete di sangue che si avvicinava nella mia direzione. Ebbi solo il tempo di uscire, prima che il mio rifugio andasse in pezzi. Quando alzai la testa per vedere chi mi aveva attaccato vidi un viso conosciuto.

   Quello che mi aveva attaccato era un Lycan, e non uno qualsiasi ma il miglior amico di mio padre, e suo consigliere più fidato. Il suo nome era Amdir, per esse preciso lo zio Amdir. Per me era come un membro della mia famiglia, forse l’unico della tribù a parte i miei genitori che pensavo mi volesse bene. E invece in quel momento, me l’ho trovavo davanti trasformato e con un intento omicida rivolto verso di me.

   Ero terrorizzato e molto confuso, non riuscivo a capire cosa ci facesse lì, e ancora di più perché mi stava attaccando. Cominciai a urlare dicendo che ero io, e chiedendoli perché mi stava attaccando. Ma da lui non senti nemmeno una parola, tutto quello che fece fu attaccarmi.

   Schivai il suo attacco rotolando per terra, e ci riuscì per miracolo ed all’ultimo minuto. Mi alzai in piedi e feci l’unica cosa sensata per quella situazione scapai. Correvo con tutta la forza che le mie gambe riuscivano a darmi, e per mia fortuna lui non riusciva a raggiungermi.

   Avevo il vantaggio di conoscere molto bene quella zona, ed a quanto pare ero leggermente più veloce di lui, forse sarei riuscito a seminarlo. Era inutile nascondere la mia presenza, il vento mi soffiava contro e lui mi seguiva con l’olfatto. Mi diressi verso il fiume, e li passai attraverso cercando di nascondere il mio odore. Ma non servi a molto, il mio inseguitore era un Lycan di tutto rispetto, forse sarebbe riuscito a dare problemi persino a mio padre, io per lui non ero più pericoloso di un inseto.

    Stavo cercando di scapare non so più da quanto tempo, e non ero ancora riuscito a seminarlo. Mi rimaneva solo un’ultima possibilità nel seminarlo. Nell’esplorare la zona avevo trovato la tana di un’orsa. La prima volta che l’avevo vista rimasi paralizzato per quanto era enorme, e da quel momento avevo fatto tutto il possibile nel evitarla. Pero in quella situazione, forse quella orsa era l’unica mia speranza di salvezza. Cosi puntai in quella direzione senza più guardarmi indietro.

   Riuscì a guadagnare un po’ di vantaggio, quando finalmente ero arrivata alla tanna dell’orsa. Ero terrorizzato, davanti a me cera la casa di una delle creature più pericolose di quella foresta, ed alle mie spalle se ne avvicinava un'altra altrettanto pericolose, se non di più. Sentendo che lo zio Amdir si stava avvicinando entrai nella tana.

   Mentre mi addentravo nella tana, avvertivo l’odore della orsa da per tutto, ma non riuscivo ancora a sentirla. Invece senti Amdir, seguendomi nella tana. Aumentai il mio passo, cercando di trovare la orsa. Ma quando arrivai finalmente in fondo alla tana tutto quello che trovai furono solo i suoi due cuccioli. Mi ero messo in trappola da solo, e ormai non avevo più vie d’uscita.

   Amdir mi aveva raggiunto e mi stava guardando furioso, ma allo stesso tempo ispezionava la tana in cerca di qualche trappola. E quando non ne trovo, comincio a ridere. Non riusciva a capire quanto fossi idiota per mettermi con le spalle al muro da solo. Comincio a ridere per un po’, per poi tornare subito serio e concentrando di nuovo la sua attenzione su di me.

   Uno dei cuccioli di orso, mi si mise davanti ed era pronto ad attaccare. Amdir non lo considero nemmeno e li tiro un forte calcio che lo fece volare e sbattere contro una delle pareti. Il piccolino si alzo più, ma non era ancora morto, riuscivo a vedere ancora che respirare. L’altro cucciolo al contrario di suo fratello si nascose dietro di me, cercando un minimo di protezione.

   A quel punto, non mi restava che lottare, e morire come mi aveva insegnato mio padre, con orgoglio e solamente in battaglia. Sfoderai i miei artigli e mi misi in posizione d’attacco. Lui mi guardava quasi divertito, il solo pensiero di attaccarlo per lui era divertente. Feci io la prima mossa, con un salto puntai i miei artigli proprio alla sua gola. Ma lui con tutta calma si sposto di latto, e mentre ero ancora in aria mi sferro un forte pugno sulle costole facendomi volare contro un muro.

   Il suo pugno mi rompe qualche costola come minimo, e la mia vista era già sfocata e le gambe mi tremavano, ma in qualche modo mi rialzai e li ringhiai contro. Mi si avvicino con tutta calma, e quando mi fu al tiro provai a ferirlo con i miei artigli, ma l’unica cosa che colpivo era l’aria. Fu allora che mi prese per il colo e mi solevo di peso. Io mi dimenavo e con i miei artigli provavo a scavare nel suo braccio, ma lui non mostro segno di volermi lasciar andare. Con un pugno mi colpi il plesso solare, facendomi espellere tutta l’aria che avevo nei polmoni, e visto che mi teneva per la gola non riuscivo più a respirare.

   Quel attacco mi aveva privato delle mie ultime forze, e le mie mani persero la forza sul suo braccio e caddero penzolanti. Piano piano anche la mia vista si stava annebbiando, e sentivo che tra qualche momento avrei perso i sensi per poi morire soffocato nella sua presa. Non chiusi gli occhi, se voleva uccidermi doveva fisarmi nei occhi fino a quando il mio spirito non avesse abbandonato il mio piccolo corpicino.

   Fu mentre mi stava tenendo per la gola aspettando che io mi spegnessi che lo senti parlare per la prima volta quella sera. Mi disse solamente: “Con la tua morte il mio amico Aaran riuscirà di nuovo a farsi rispettare. Al inizio soffrirà, ma quando avrà un altro figlio si dimenticherà di te. E in fine tutta la nostra tribù non si dovrà più preoccupare dell’arrivo di qualche sventura.”

   Una volta che fini di parlare, io ero sul punto di svenire. Tutto quello che mi ricordo prima di perdere i sensi fu un aroma dolce nell’aria. E poi fu tutto buio.

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Capitolo 3
*** 3 ***


Capitolo 3

 

   Ripresi i sensi solo grazie al sole che mi riscaldava la faccia. Mi ritrovai con un mal di testa tremendo, e la vista mi era ancora offuscata. Mi misi seduto, mentre aspettavo che il mondo mi si chiarisse. La prima cosa che distinsi, una volta che ripresi a vedere bene, fu una ragazza con un cucciolo di orso sulle gambe.

   La ragazza che avevo d’avanti era di una bellezza eterna, riusciva a farmi dimenticare persino di respirare. A prima vista doveva avere sui vent’anni, ma più la si guardava più diventava difficile capirlo. Aveva dei lunghissimi capelli che le arrivavano fino al sedere, e da lì si propagavano in giù come se fossero rami di un’albera. Erano i capelli più insoliti che io avessi mai visto, erano verdi con sfumature di un marrone simile alla terra. Anche i suoi occhi avevano i stessi colori, ma erano profondi ed antichi. Non avevo mai visto nessuno con occhi cosi saggi, dolci ed allo stesso tempo terrificanti. E per finire, aveva le orecchie leggermente più lunghe ed a punta.

   Era alta all’incirca un metro e sessante, difficile capirlo visto che stava seduta per terra. Pero si vedeva benissimo il suo fisico. A quel tempo ero troppo piccolo, per capire a pieno la sua sensualità, ma una cosa la intuì, era il sogno di ogni uomo. Aveva delle curve ben proporzionate ad un fisico minuto e asciutto, e con un seno molto abbondante.

   E per finire, per coprirsi indossava un lungo vestito molto aderente alla pelle, talmente tanto che potevi benissimo pensare che le fosse cresciuto addosso. Sembrava fatto da uno strato sottile di corteccia, muschio ed erba, e verso l’orlo il vestito si trasformava in legno. Tutto in lei si mimetizzava benissimo con l’ambiente.

   Mentre la stavo fissando come se fossi incantato da quella bellezza, lei stava massaggiando e curando il piccolo orso. Con una mano stava applicando delle erbe medicinali sulle ferite dell’orso, e con l’altra lo massaggiava per tenerlo docile e mansueto. Avevo la sensazione che persino l’orso era ammagliato da quella creatura, ed era per questo motivo che stava buono e si lasciava coccolare.

   Stavo guardando come medicava l’orso, quando mi ricordai che anche io ero ferito e dovevo avere come minimo un paio di ossa rotte. E sempre in quel momento mi accorsi che ero mezzo nudo, e sul mio torace cera la stessa erba con la quale curava l’orso. Sentivo ancora un po male alle costole, ma in qualche modo stavo bene. Il mio pensiero successivo fu Amdir.

   Mi guardavo in giro alla sua ricerca, cercavo persino il suo odore senza trovarlo. Infine vedendomi agitato e in cerca di qualcosa, la ragazza mi indico con un dito un grosso cespuglio. Ci andai quasi riluttante, avevo un po paura di vedere quello che avrei potuto trovare dietro a quel cespuglio.

   Disteso per terra, cera Amdir immobile ma ancora vivo. Sul so viso cera un’espressione di puro terrore, e ogni tanto si dimenava, come se fosse inseguito dai suoi demoni. Lo guardai intimorito, fino a non molto tempo fa quel uomo aveva cercato di uccidermi, e prima ancora pe me era come un membro della mia famiglia. Ma quella che mi faceva ancora più paura, era la ragazza che l’aveva ridotto in quel stato.

   A quanto pare aver ridotto una persona in quel stato, non la preoccupava minimamente e non sembrava avesse qualche rimorso. Deglutendo lasciai Amdir li distesso e mi avvicinai un po a lei. più la guardavo più ne rimanevo affascinato, ma allo stesso tempo non riuscivo a capire come ci era riuscito. Mi sedetti davanti a lei, e cercai la forza di rivolgerle la parola.

-       Se posso, vorrei chiederle che cosa e successo. E chi e lei? Dissi intimorito e cercando di non mostrare la mia paura.

-       Non devi avere paura di me piccolo cucciolo, a te non faro nessun male. Per quanto mi riguarda sono una ninfa, una Driade per la precisione. Sono la ninfa di queste foreste. Sai cos’e una ninfa cucciolo? Mi chiese lei con un sorriso, che mi mise subito a mio agio.

-       Solo quello che mi ha raccontato mia madre. Diceva che siete delle creature in perfetta sintonia con gli ambienti. Ma secondo lei siete solo delle leggende, cosi come i draghi ed altre creature mitologiche. Le dissi io, mentre lei fece una piccola risata.

-       Non sono una leggenda, come puoi vedere sono una persona viva in carne e ossa. E tua madre si sbagliava su una cosa, noi non siamo in sintonia con gli ambienti. Noi ninfe siamo la coscienza di questi posti, in parole semplici sono la foresta una sua emanazione vivente. Mi disse, mentre con le mani indicava l’intera foresta.

-       Non penso di capire quello che mi stai dicendo, ma forse e un discorso fuori dalla portata di un bambino. Ma se lei e la foresta, vorrei ringraziarla per tutto quello che ci offre, e per permetterci di abitare nei suoi territori. La ringraziai inchinando leggermente la testa.

-       Non servono tutte queste formalità piccolo cucciolo. Io amo tutte le creature che vivono nella mia foresta, e tra di loro ce anche la tua gente. Anche se non tutti hanno il tuo rispetto per gli altri animali, che vivono qui. Disse lei mentre guardava nella direzione di Amdir.

-       Si riferisce a lui? Indicai il punto in cui si trovava. – Che cosa gli avete fatto? Sembra in preda a terribili incubi.

-       Si stavo parlando di lui. Sai voi Lycan di solito prendete dalla natura, solo quello che serve per sopravvivere, e raramente la danneggiate. Per questo in molti anni non sono mai intervenuta contro di voi. Ma quando ho sentito il lamento di questo cucciolo, ed assistito con quanta brutalità ha ferito lui e te, non sono riuscita a trattenermi. Gli ho fatto inalare un profumo che alcune piante producono. E adesso e sprofondato in un profondo incubo da cui non si sveglierà mai più. Mi disse lei severa.

-       Quindi stara in quel stato fino a quando non morirà di sette o qualche animale non lo ucciderà. Che fine miserabile per un Lycan. Dissi rammaricato.

-       Non essere triste piccolo, ha avuto quello che si meritava. Nessun adulto dovrebbe trattare i cuccioli cosi, si merita il peggio di quello che avrà. E poi cosa mai potra averlo spinto ad aggredire un cucciolo della sua stessa razza in quel modo brutale. Mi chiese lei severa.

-       Pensavo lui fosse diverso, ma a quanto pare mi odiava come tutti gli altri della mia tribù. Dissi abbassando la testa e guardando per terra triste.

-       Come possono odiarti, sei cosi carino e non penso tu abbia fatto qualcosa di male.

   Non so perché ma con lei mi sentivo in vena di confidenze, cosi cominciai a raccontarle più o meno tutto. Di come le persone mi evitavano solo per il fatto che i miei occhi e capelli erano rossi. O di come gli altri ragazzi mi picchiavano per la mia debolezza fisica. In pratica per la prima volta in vita mia mi sfogai con qualcuno, e tirai fuori tutto quello che mi ero tenuto dentro. Lei mi ascolto con attenzione, e ogni tanto mi diceva parole di conforto e persino mi accarezzo la testa.

   Passai tutta la giornata a parlare con lei, a lamentarmi ed a farmi coccolare da lei. Mi aveva preso tra le sue braccia e mi teneva stretto a lei, dandomi calore e comprensione. Con lei per la prima volta in vita mia, riuscì a sfogarmi e a piangere fino a quando non fini le lacrime e il mio animo non si svuoto di tutto l’odio e la rabbia che avevo dentro di me. E quando fini, mi addormentai tra le sue braccia.

   Dormi beatamente come mai in vita mia, senza preoccupazioni e senza pensieri. Quando mi svegliai era gia mattina e lei non si era mossa per niente, mi teneva ancora stretto forte tra le braccia. Mi alzai in piedi e lei fece lo stesso, poi mi invito a seguirla per cercare qualcosa da mangiare per me. Ero esitante nell’andarmene da li. Cera ancora la faccenda di Amdir da risolvere.

   Per quanto Amdir era odioso e falso verso di me, rimaneva ancora un Lycan. E come tale meritava una morte dignitosa, e non una per colpa della sete o dei animali. Mi avvicinai a lui timoroso e mi preparai a fare quello che ogni Lycan aveva il dovere di fare nei confronti di un nostro simile, per darli una morte dignitosa.

   Mi feci crescere gli artigli e gli avvicinai alla sua gola. La mano e tutto il mio corpo stavano tremando per quello che stavo per fare. Mi concentrai e feci molti respiri profondi, e senza guardare li squarciai la gola con tutta la forza che avevo nel corpo. Lo guardai dissanguarsi, fino a che non si spense ed emise l’ultimo respiro.

   Feci qualche passo, e quando vidi il sangue sulla mia mano, mi prese la nausea e vomitai tutto quello che avevo ancora nello stomaco. Camminavo barcollando, ad ogni passo stavo sempre più male e la mia mente era offuscata.

   Per i successivi tre giorni non riuscì a mangiare niente, e nemmeno a dormire. Ogni volta che chiudevo occhio, rivedevo Amdir con la gola squarciata in piedi che mi soffocava. Ogni sera mi svegliavo gridando per il terrore, e ogni volta la Driade mi tranquillizzava. Con il passare dei giorni, il senso di colpa diminuì, e io ripresi a mangiare. Ma le mie nottate non volevano migliorare.

   La compagnia della Driade miglioro di molto le mie giornate. Mi aiutava a trovare frutti e piante con cui sfamarmi, e mi teneva compagnia con racconti, storie e persino giochi. Uno di questi giochi era una specie di nascondino, in cui la mia amica era imbattibile. Scopri molto presto che anche lei riusciva a cancellare la sua presenza, ma al contrario di me e di mia madre, lei era su un tutt’altro livello. Lei quando non voleva farsi notale, scompariva proprio. Non si riusciva a individuarla né con il suono del suo respiro o dei suoi movimenti e nemmeno con l’odore. Nella foresta si muoveva con una grazia e una velocita impressionante, i suoi movimenti non producevano nessun rumore, e appena li toglievi gli occhi di dosso, poteva scomparire da un momento ad altro.

   Le chiesi di insegnare anche a me a muovermi ed a cancellare la mia presenza in quel modo, e con un gran sorriso accetto. Le sue lezioni erano più che altro giochi, un modo di divertirsi piuttosto che un allenamento duro e stancante.

   La sera invece ci sedevamo vicino al fuoco e mi raccontava storie antiche e ormai dimenticate sulla sua specie. Mi racconto che le ninfe erano praticamente immortali, fino a quando l’ambiente da cui avevano preso vita esistevano, loro continuavano a vivere. Molti secoli prima, ancora prima dei Lycan e i deva, quando il mondo era governato dai draghi. Gli umani erano una razza ancora giovane, le ninfe erano molto conosciute e molto più diffuse.

   A quel tempo esistevano molte più foreste, fiumi e pianure. La natura non era contaminata dalle città, e gli boschi non venivano tagliati del tutto per far spazio o usati per nuove costruzioni. Le interazioni fra umani, draghi e ninfe erano abbastanza frequenti, ed in un primo momento persino amichevoli. Al contrario dei draghi che erano molto più solitari e interagivano poco con gli umani, le ninfe erano amichevoli e gli aiutavano.

   Mostrarono agli uomini come coltivare i campi, e con il loro potere facevano prosperare i raccolti. Gli aiutavano nella pesca, oppure a raccogliere piante e frutti. Al inizio le cose andavano molto bene, ma con il tempo le cose cominciavano a cambiare. Gli uomini diventavano sempre più egoisti e avidi, provando a chiedere alle ninfe sempre di più. E se non venivano sodisfati diventavano aggressivi e rabbiosi. Un altro fattore che scateno la rottura tra i loro rapporti, fu l’invidia di quest’ultimi per l’immortalità delle ninfe.

   Come me, nemmeno quei umani non riuscivano a comprendere fino in fondo cos’erano veramente le ninfe. Pensavano fossero delle persone immortali, con il potere sulla natura. L’uomo era invidioso e desiderava ardentemente anche lui quei poteri, gli bramava e non si accontentava più solo del loro aiuto, voleva il loro potere per se stessi.

   Le ninfe, non avendo mai dovuto combattere, non riuscivano a difendersi dall’uomo e in molte venero catturate. Furono torturate e maltrattate decine di ninfe, nella speranza che esse rivelassero il secreto dei loro poteri. Purtroppo non potevano rivelare qualcosa che non conoscevano neppure loro.

   La frustrazione nel scoprire che non avrebbero mai ottenuto quello che desideravano, si trasformo in una rabbia accecante che distrusse tutto quello che potevano. L’uomo comincio a bruciare intere foreste e campi, e con la loro scomparsa, morivano anche le ninfe. Senza foreste e campi, anche il suolo divenne sempre più sterile, e i fiumi si essiccarono e ben presto una buona parte del mondo si trasformo in deserto.

   Dopo moltissimi anni, la rabbia si arresto, e con il tempo le persone dimenticarono persino il motivo per cui avevano cominciato quella distruzione. Fu solo allora che le ninfe sopravvissute, uscirono dai loro nascondigli e cominciarono a far tornare in vita le terre morte. Ci vogliono centinaia di anni per rimediare agli errori e disastri che gli uomini avevano fatto, e comunque non riuscirono a portare tutto come era prima. Era rimasta ancora una lunga distesa di deserto, che nemmeno le ninfe riuscirono a riportare in vita.

   Da quella volta nessuna ninfa entro più in contatti stretti con le altre razze. Erano passati secoli e persino millenni, ed erano nati gli deva e poi i Lycan, ma loro erano rimaste sempre in disparte. Osservavano come le razze si stavano evolvendo, e solo in rare occasioni si mostravano a loro. Di solito capitava quando una persona si perdeva nelle foreste, oppure quando nuotavano o scalavano una montagna. Quei incontri non finivano quasi mai bene.

   Nascondendosi ed evitando tutti, la loro specie divenne dimenticata, o considerata solo una favola. E per mantenere la loro esistenza nascosta, chi aveva la sfortuna di incontrarle di solito moriva, oppure tornava indietro da pazzi.

   Cerano pero anche casi speciali, e io ero uno di questi. Una sera mi aveva confessato il motivo per cui si fidava di me, e per il quale mi raccontava tutte quelle cose. La prima impressione positiva che gli ho dato, fu quando ho protetto la cucciola di orso. La buona impressione aumento quando avevo mostrato rispetto per lei e per la foresta. Infine il fatto che ero ancora vivo, mostrava che ero degno della sua fiducia.

   La prima volta che avevo mangiato un frutto raccolto da lei, ignoravo che era una prova. Il frutto che mi aveva tesso era, carico di magia. Se l’avessi mangiato e morto, significava che avevo un animo corrotto e non ero una persona di fiducia. Al contrario sopravvivendo avevo dimostrato che il mio animo era puro, e per questo la foresta mi considerava come suo figlio.

   Non mi stupì molto di quella prova, mi aspettavo che mi avesse messo alla prova in qualche modo, senza che io me ne accorgessi. Era molto difficile che qualcuno si fidasse così facilmente di una altra persona. Non cambiai opinione di lei, in fin dei conti lei era la mia prima amica, e fin a quel momento era sempre stata gentile nei miei confronti.

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Capitolo 4
*** 4 ***


Capitolo 4

 

   I giorni e le settimane passarono, e furono i più belli della mia vita. Ogni giorno con i giochi che mi insegnava la mia abilita nel muovermi nella foresta diventava sempre più affinata. In qualche piccola occasione, ero persino riuscito a individuarla. Ma in qualche modo, riusciva a scomparire e apparire un istante dopo dalla parte opposta.

   Un giorno al inizio dell’estate la Driade volle presentarmi le sue sorelle. La Foresta Nera, di qui lei era la ninfa, comprendeva un territorio molto vasto con molti ambienti diversi. Per questo in quella foresta giravano anche altre ninfe.

   La sorella che mi presento fu una Naiade, la ninfa del fiume più grande che attraversava la foresta. Come la sorella, anche la Naiade era una ragazza che mostrava la sua stessa età e bellezza, ma si distingueva dalla sorella per altri versi. I suoi capelli ed occhi erano di un azzurro cristallino, mentre le sue orecchie assomigliavano a delle piccole pine, e dietro di esse cerano delle branchie. Le mani e i piedi erano palmati, mentre il vestito era corto e azzurro, fatto di alghe, conchiglie e coralli di ogni colore.

   Al contrario della Driade, la Naiade era più seria e severa, e molto meno giocherellona. Ma dopo un po di tempo che passammo insieme, si sciolse e comincio anche lei a divertirsi con noi. Era rigida solo su un solo particolare, la mia pulizia. Ogni giorno all’alba, appena sveglia mi portava al fiume e mi faceva lavare da capo ai piedi. Non che mi lamentavo, le sue acque erano fresche e rinvigorenti, erano quello che ci voleva nelle giornate calde d’estate.

   Dentro la foresta cera anche una grande raduna, circondata da alberi. La raduna era formata da campi e prati, e piena di animali che pascolavano. Fu in questa raduna che la Driade mi presento altre due sue sorelle, una Lemoniade e una Agrostine. La Lemoniade era una ninfa dei prati, invece la Agrostine una ninfa dei campi. E inutile ripetere che avevano la stessa bellezza fisica e la stessa aura antica e vissuta.

   La Lemoniade aveva i capelli e gli occhi verdi chiari, e indossava un lungo vestito intrecciato d’erba. Le sue orecchie erano a punta come quelle della Driade e dell’Agrostine. Di carattere era gioiosa e spensierata, proprio come una bambina. Sembrava molto unita alla sua sorella Agrostine, forse perché avevano sempre vissuto insieme.

   La Agrostine era molto simile alla sorella, si poteva persino considerarle identiche se non fosse per i suoi capelli ed occhi, che erano dorati. Il suo vestito era intrecciato con fiori e spicchi di grano. Anche tra i suoi capelli sembravano crescere dei piccoli fiori. Per di più sembravano fiorire ogni mattina, mentre di sera si chiudevano in un bulbo.

   Al contrario della Naiade che era seria, oppure della Driade che mostrava una certa intimidazione, visto il vasto territorio di cui disponeva. Le due sorelle erano più serene e spensierate, e si vedeva benissimo nel loro rapporti con gli animali.

   In quella raduna si radunavano innumerevoli tipi di animali erbivori, ma nessuna ombra di quelli carnivori. A quanto pare le due ninfe della raduna, avevano una preferenza per gli erbivori e per questo, quando questi venivano a pascolare li, tenevano alla larga i carnivori.

   Un giorno mentre sonnecchiavo sul prato, vidi entrare nella raduna una mandria di cavalli selvaggi. Erano bellissimi e maestosi, e avevano un’aria nobile e libera. Al capo della mandria cera un bellissimo ed enorme stallone di colore nero. Era alto quasi un metro e ottanta, con un manto e una coda lunga folta e liscia. Mentre le femmine della mandria pascolavano, lui stava all’allerta e sorvegliava tutta la raduna. All’ombra dello stallone girava un piccolo puledro appena nato.

   Era bellissimo, ed aveva lo stesso colore del stallone, con l’unica differenza del pelo intorno agli zoccoli, che era bianco. Era molto giocoso, curioso e pieno di energie, trottolava intorno al stallone e a una cavalla bianca. A un certo punto mi noto, distesso sull’erba e con coraggio mi vene incontro. Si muoveva con molta attenzione, e lo stallone non lo perdeva un attimo di vista.

   Mi si avvicino cauto, e io rimassi immobile per non spaventarlo. Con il musetto mi tocco prima un braccio, per poi colpirmi leggermente il viso. Aveva voglia di giocare, e a quanto pareva non aveva paura di me. Mi alzai in piedi, e lui mi osservo incuriosito. Mi fiutava e mi studiava con attenzione, aveva uno sguardo molto intelligente e sveglio. Li carezzai il musetto e lui mi diede una leggera spinta con la testa, per poi nitrare e corrermi intorno.

   Giocammo quasi tutto il giorno, fino a quando verso sera con un nitrito dello stallone lui si allontano per raggiungere la mandria, e andarsene nella foresta. Lo vidi entrare nella foresta al fianco di sua madre, e ogni tanto voltava la testa nella mia direzione, fino a quando non scomparve del tutto.

   Anche nei successivi giorni, tornai nella raduna per incontrare quel puledro. Eravamo una gioia per gli occhi delle due ninfe, che stavano a osservarci mentre giocavamo oppure giocavano con noi. Avrei voluto cavalcarlo volentieri, ma era ancora troppo piccolo.

   Infine, la Driade mi fece conoscere l’ultima delle sue sorelle presenti nel suo territorio. Era un Oreade una ninfa di una montagna di media grandezza. Al contrario delle altre quattro ninfe, lei era un po’ più matura, dimostrava all’incirca trent’anni, più o meno la stessa età di mia madre. Anche se mostrava più anni, la sua bellezza era immutata come quella delle sue sorelle.

   Aveva gli occhi e i capelli di un marone scuro, mentre il vestito era ricamato in fili di vari minerali, come l’oro, argento e molti altri. Aveva un carattere più materno rispetto alle altre, e una sera vicino al fuoco scopri anche perché. Le Oreadi erano le ninfe più antiche di tutte, talmente antiche che avevano visto intere razze nascere ed estinguersi. Lei di persona, non si ricordava più quante ere erano passate dalla sua nascita. Ma ne erano passate moltissime, visto che la sua montagna in origine aveva delle cime talmente alte da non riuscire a vederle. Mentre adesso, bastavano due giorni di arrampicata per arrivarci in cima.

   Il resto dell’estate e della mia prova di sopravvivenza la passai nella più totale spensieratezza. Ogni giorno mi faceva insegnare dalle ninfe ogni genere di cosa. La Driade mi addestrava nel cancellare la mia presenza, ad un livello del tutto superiore alla tecnica che i Lycan avevano sviluppato. Mi aggiusto anche tutti i miei movimenti, facendoli diventare molto più fluidi e quasi senza rumore.

   La Naiade mi insegno a nuotare, e avere sempre cura del mio aspetto, e di non saltare mai un bagno. Ormai per me era diventata un’abitudine farne uno al giorno. Mi insegno anche a pescare, e a riconoscere molti tipi di piante ed alghe acquatiche, che potevano servire sia per sfamarmi sia come medicinali.

   Le due ninfe della raduna, mi istruirono sulla vegetazione nel loro ambiente. Ma l’argomento principale della loro istruzione erano gli animali. Mi raccontavano tutto quello che sapevano sui animali che popolavano quella foresta. E fu una lista molto lunga, ma alcuni dettagli erano molto utili.

   Infine Oreade la più antica e saggia delle cinque, mi istruì sui pericoli delle montagne, sui suoi minerali e sulla sua fauna. Ma non fu l’unica cosa che mi insegno. Era un’esperta nello studio delle stelle, e dei loro movimenti. Mi istruì sulla loro posizione, e sul loro significato, ma anche come strumento di riferimento. Di notte grazie ai suoi insegnamenti, riuscivo a capire da che parte si trovava la mia tribù e persino il periodo esatto dell’anno in cui ci trovavamo.

   Fu il periodo più bello della mia vita, finalmente ero felice e avevo delle amiche che mi apprezzavano. Ma prima o poi tutto deve finire, e la mia prova si era ormai conclusa e io dovevo tornare a casa.

   A parte la Driade, che mi avrebbe accompagnato per la maggior parte del mio viaggio di ritorno, le altre ninfe le dovetti salutare li. Furono molto triste della mia partenza, ma mai quanto lo ero io. Persino il piccolo puledro con cui o giocato, quando se ne e reso conto che non mi avrebbe più visto, divento triste.

   Per il mio viaggio di ritorno ci avrei messo qualche giorno, e per fortuna non avevo nessun bagaglio con me. Il cappotto l’avevo ormai perso quando Admir mi aveva attaccato, e la tunica era ormai ridota male, per cui l’avevo buttata.

   Grazie alla sua presenza, gli animali più pericolosi si tenevano alla larga da noi, e per di più mi procurava da mangiare, quindi potevamo camminare quasi senza sosta. Era bello camminare nella foresta in sua compagnia ed osservare come gli alberi e la vegetazione cambiavano in basse alla zona. La mia cara amica, ogni volta che vedeva un albero millenario ci si avvicinava e cominciava a raccontare una storia che l’ho riguardava. E ne aveva una per ognuno di quelli che incontrammo.

   La sera ci accampammo vicino a un albero, non accendemmo un fuoco, ma ci sedevamo per terra e parlammo del più e del meno. Sapevo che il giorno dopo ci saremmo dovuti separare, lei non si sarebbe mai avvicinato di più al territorio della mia tribù. Mi tenette stretto tra le braccia quella sera, e io mi addormentai al ritmo di una canzone che lei canticchiava.

   Al mattino mi svegliai da solo, la mia amico se ne era andata e io sapevo di dover riprendere il mio viaggio. Quella giornata fu lunghissima, senza la compagnia della mia amica, il tempo sembrava non passare mai.

   Oltre i confini della mia tribù cerano molti animali feroci, che venivano tenuti fuori solo dalla minaccia che la mia gente emanava, ma già a qualche ora di camino nella foresta li si poteva incontrare. Io sono stato molto fortunato perché all’andata cera mio padre ad accompagnarmi e bastava la sua presenza a far scapare anche l’animale più feroce nelle vicinanze.

   Più mi avvicinavo al mio villaggio più dovevo stare attento alle presenze che sentivo intorno a me. Sentivo gia molti animali feroci che mi avevano fiutato e stavano cercando le mie tracce. Quello era il test finale da portare a fine per superare la prova a cui ero stato sottoposto.

   Nel pomeriggio senti la presenza di un branco di lupi. Erano ancora molto lontani, ma li sentivo che mi stavano accerchiando e stavano puntando dritti a me. Evitai di trasformarmi, nella mia forma selvaggia la mia presenza esaltava, e anche la mia sete di sangue. Se volevo far perdere le mie tracce dovevo scomparire.

   Cancellai la mia presenza come mi aveva insegnato la Driade, ma ormai era troppo tardi, mi avevano fiutato e ormai non mi avrebbero più perso. A un certo punto, mi ritrovai circondato del tutto senza più via di fuga. Erano un branco di lupi bruni, tutti intorno a me e aspettavano la mia più piccola reazione per attaccare.

   Con un salto abbastanza veloce riuscì ad afferrare un ramo dell’albero sotto cui mi trovavo, e mi tirai su. Mi arrampicai sull’albero fino a quasi in cima, e mi sedetti aspettando che i lupi si stancassero e se ne andassero. L’attesa fu lunga, passarono delle ore e i lupi stavano ancora camminando in cerchi intorno all’albero. Avevo cercato anche di saltare su un altro albero, ma loro mi avevano seguito. Non mi perdevano un attimo di vista.

   Con i ultimi raggi di sole era arrivato un grosso e magnifico lupo bianco, aveva una lunga cicatrice di artigli sull’occhio destro e sul naso. Al suo arrivo gli altri lupi indietreggiarono e lo fecero passare per farli raggiungere il punto dove mi trovavo. Quel lupo doveva essere il loro alfa, il capobranco.

   Mi guardava con un’aria di sfida ma allo stesso tempo sembrava che mi volesse pure mettere alla prova. In quel momento capi che potevo rimanere appollaiato su quel albero per giorni e loro non si sarebbero mossi da nemmeno di un passo. Così decisi di sfidare la sorte ancora una volta, e con un salto atterai davanti al alfa. Lui fece un ringhio e gli altri lupi indietreggiarono lasciandoci un po’ di spazio.

   Appena lo spazio intorno a noi fu sufficiente l’alfa fece un lungo balzo verso di me. Puntando le sue zanne verso la mia gola. Io per istinto saltai all’indietro evitando le sue falci per miracolo, ma riacquistai subito la concentrazione e girando su un piede li sferrai un calcio in testa. Il colpo lo fece cadere di latto, e anche io sferrandolo persi l’equilibrio e cadi a mia volta. Ritorniamo in piedi simultaneamente e riprendemmo il combattimento.

   Provo ad azzannarmi e colpirmi con gli artigli, sia alla gola che ai piedi, ma io fui abbastanza veloce da schivare i suoi attacchi più pericolosi. Ma alcuni andarono comunque a segno, graffiandomi i piedi e il colo.  Riuscendo a stare al suo passo, la mia fiducia nelle mie capacita aumento e fui abbastanza arrogante da pensare di riuscire persino a uscirne indenne.

   Con i miei artigli riuscì ad infliggerli una grossa ferita su un fianco, illudendomi che sarebbe bastato per vincere. La mia inesperienza e sfacciataggine mi fecero avvicinare un po’ troppo a lui, e il vecchio lupo saggio ne approfitto. Con la sua zampa e i suoi artigli mi colpi profondamente sulla spala destra. L’attacco a sorpresa mi fece retrocedere di qualche passo, e il lupo sfrutto quel lasso di tempo per colpirmi con la testa sul petto.

   Il colpo fu così forte, da farmi volare e sbattere contro l’albero stordendomi. Ero inerme sotto di lui, disteso per terra e aspettando che mi desse il colpo di grazia. Il lupo invece non mi attacco mi osservo per qualche istante mentre io mi tenevo stretto la ferita. Invece di finirmi si giro e ringhio agli altri lupi, che scomparirono nella foresta. Prima di scomparire nell’oscurità della notte anche lui, mi fiso per un ultimo momento, per poi lasciarmi da solo.

   La ferita sulla spalla era molto profonda, ed io cominciavo a perdere sangue in abbondanza. La testa comincio a girarmi, e feci molta fatica ad alzarmi. Camminai tra gli alberi alla ricerca di qualcosa per fermare la mia emorragia, e dovevo trovarla in fretta le forze cominciavano ad abbandonarmi.

   Mi lasciai cadere vicino a una pianta, l’avevo riconosciuta e sapevo che le sue radici avevano un effetto antidolorifico. Con i miei artigli scavai intorno ad essa e presi le radici. Cominciai a masticarle e me la spalmai anche sulla ferita. Presi una foglia e la misi sopra la ferita, la tenevo stretta fino a quando il sangue non si fermo.

   Ripresi fiato per un po’ appoggiandomi ad un albero. Sapevo che non potevo rimanere li, l’odore del sangue avrebbe attirato altri animali selvatici e dovevo anche pulire la mia ferita. Mi alzai a fatica e ripresi a camminare, ma non sapevo nemmeno in che direzione stavo andando. Camminai per un tempo che a me sembro un’eternità, fino a quando finalmente arrivai alle sponde di un lago.

   Non mi ricordava che nelle vicinanze della mia tribù ci fosse un lago, il più vicino doveva essere a molti giorni di cammino. Pero ero messo troppo male per pensare ad una spiegazione plausibile. Mi pulì velocemente la ferita con acqua limpida e dopo aver messo delle foglie medicinali a coprirmi la ferita, mi tolsi la canottiera e la legai intorno al braccio prima di svenire.

   Quando mi svegliai avevo una brutta febbre, e la testa mi girava in modo vertiginoso. Mi alzai a fatica in piedi e per poco non ricadi a terra. La notte prima avevo raccolto più erbe mediche in modo da avanzarmene anche per questa occasione. Molto lentamente raccolsi un po’ di legna e mi accesi un fuoco, mi sarebbe servito per quello che avevo intenzione di fare. Quando tolsi la benda sul mio braccio vidi che emanava un odore un po’ acre, era uno dei segni che mia madre mi aveva insegnato per riconoscere di un’infezione.

   Mettendo il coltello sul fuoco lo feci arroventare e pulire la lama, poi con un gran orrore, tagliai piccoli pezzi di carne intorno alla ferita in modo da rimuovere quella infetta. Il sangue ricomincio a scorrere, ma lo fermai appoggiando la lama rovente sulla ferita cauterizzandola. Tutta quella medicazione mi fece urlare come un forsennato, e in più di un’occasione stavo per svenire ma tenetti i denti stretti portandola a termine. Una volta finito la bendai di nuovo, e mi lasciai cadere vicino al fuoco.

   Dormi tutto il giorno e tutta la notte e quando mi svegliai al mattino stavo già meglio, ancora debole ma abbastanza in forze da cercarmi qualcosa da mangiare e riprendere il mio ritorno a casa. Studiai molto bene l’ambiente che mi circondava, volevo ricordami benissimo come ritrovare il lago. Quando pero usci dai suoi confini mi imbatti in una fitta nebbia, nella quale camminai per un po’, per poi uscire proprio ai confini del mio villaggio.

   Ero molto confuso e sbalordito, dovevo essere ancora a mezza giornata di cammino dal punto in cui mi trovato e non mi ricordavo che la sera prima avessi camminato così tanto. Ma ormai ero troppo impaziente di rivedere i miei genitori ed accantonai quel pensiero in fondo al mio cervello.

   Quando entrai nel villaggio era ancora mattina, e per mia fortuna le guardie che pattugliavano i confini mi lasciarono entrare. Nessuna di loro vene a darmi una mano, visto che ero ferito e molto debole. Come loro nemmeno gli altri abitanti della tribù, non si degnarono di aiutarmi, ma su molte facce che vedevo cera un’espressione di delusione quando mi videro vivo.

   Quando arrivai nei presi di casa mia, ero ormai esausto. In pratica cadi sulla porta. Senti mia madre che venne ad aprire la porta e vedere chi aveva fatto quel rumore. Quando mi vide semi nudo e pieno di sangue secco su tutto il corpo, gli venne un colpo al cuore.

   Si inginocchio subito vicino a me, e mi prese tra le braccia piangendo. Sembrava preoccupata da morire, ma allo stesso tempo era sollevata nel rivedermi. Mi prese in braccio e mi porto in casa. Mi lascio solo per qualche minuto da solo, mentre lei usci per ritornare con un secchio di acqua.

   Comincio a lavarmi dal sangue secco, e pulire gentilmente tutte le mie ferite. Con molta gentilezza mi tolse la canottiera dal graffio che avevo sulla spala, e la esamino con attenzione. Mia madre non era solo una eccellente guerriera, ma anche una delle guaritrici più capacci della tribù.

    Con del ago e filo comincio a cucirmi le lacerazioni più profondi, mentre sulle altre ferite spalmo un unguento. Mi lavo il sudore sulla fronte, per poi darmi un bacio affettuoso sulla fronte, era contenta del mio ritorno e che ero più o meno tutto intero. Per finire il mio trattamento mi preparo un infuso di erbe, per prevenire infezioni ed alleviare la mia febbre.

   La notizia del mio ritorno fecce precipitare mio padre a casa per vedermi e congratularsi con me. Pero quando mi vede pallido e con il braccio fasciato si sedete sul letto vicino a me per chiedermi che cosa era successo, e come avevo passato gli ultimi mesi da solo. Quando li raccontai dei lupi, e di come avevo affrontato il loro alfa, vidi i miei genitori impallidire persino più di me, ma restarono in silenzio finché io non fini. Poi cominciai a raccontarli della mia esperienza nella foresta da solo, tralasciando il mio incontro con le ninfe visto che più di una volta avevano accennato al fatto che sarebbe stato pericoloso per loro se si venisse a sapere che si trovavano nelle vicinanze.

   Non pensavo che raccontandolo ai miei genitori potesse rappresentare un pericolo per loro, ma non lo feci lo stesso, avevo fatto una promessa a loro e intendevo rispettarla. Quando fini di raccontare chiesi a loro se nelle vicinanze cera un lago, ma a quella domanda mi guardarono confusi e mi dissero di no. Lasciai perdere l’argomento non volevo preoccuparli.

   Quando fini di parlare, mio padre comincio a parlare di Amdir e della sua scomparsa. Mi disse che era uscito da solo, per andare a caccia nella foresta da solo. Sarebbe dovuto rimanere fuori un paio di giorni, ma lui non era più tornato.

   Non era una cosa insolita per la nostra gente, molti andavano a caccia da soli, ed alcuni rischiavano di non tornare più indietro. Molti anziani, che ormai non erano più in grado di cacciare da soli, avevano l’abitudine di addentrarsi nella foresta e trovare una morte dignitosa nella caccia.

   Per le prossime due settimane dovetti starmene tranquillo e sotto lo sguardo attento di mia madre, che controllava la ferita e le mie condizioni giornalmente. La ferita era guarita benissimo, lasciandomi solo una cicatrice bianca a forma di artigli sulla spala. Una volta guarito del tutto ripresi con entusiasmo la mia vecchia quotidianità, concentrandomi del tutto sui miei allenamenti.

   La sconfitta che il lupo mi aveva inflitto mi bruciava ancora molto, sapevo di essere stato uno sciocco. Per una volta che mi ero trovato in vantaggio, aveva perso la mia lucidità, e con essa mi ero montato la testa. Adesso quell’imprudenza me la sarei per sempre ricordata, ogni volta che il mio sguardo cadrà sulla cicatrice.

   Avendo superato la prova di sopravvivenza, i membri della mia tribù non potevano più dire niente contro di me e sul fatto che non ero degno di essere un Lycan. Adesso quello che rimaneva da fare, era coltivare le mie capacita e migliorarle fino all’estremo. Le tecniche di basse ormai le conoscevo, quindi i miei non avevano più niente da insegnarmi, dovevo essere io migliorarmi e a smentire chi ancora dubitava delle mie capacita.

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Capitolo 5
*** 5 ***


Capitolo 5

 

   Erano ormai passati quattro anni da quando la mia prova di sopravvivenza era finita. E le cose erano di certo cambiate intorno a me. Per prima cosa ero cresciuto. Non ero più il piccolo bambino che tutti prendevano di mira. Adesso ero un ragazzo, alto all’incirca come mia madre, su un metro e sessanta. Avevo presso tutta la sua bellezza, e da mio padre il suo sguardo tagliente e serio. I capelli erano lunghi come quelli di mio padre, non superavano le spalle.

   Fisicamente grazie agli intensi allenamenti, il mio fisico si sviluppo molto, concedendomi la miglior combinazione possibile di abilità. La mia forza fisica era rimasta molto inferiore a quella di un Lycan, e su quel punto ormai non ci speravo più in un miglioramento. Al contrario la mia velocita, agilità e flessibilità erano aumentate vertiginosamente, non cera nessuno nella tribù che potesse eguagliarmi.

   Anche il mio tenore di vita era cambiato. Ormai non venivo più preso di mira dagli altri ragazzi. Dopo il mio ritorno dalla prova, avevo cominciato a combinare le tecniche che la Driade mi aveva insegnato con quelle che i miei genitori mi avevo mostrato sin da piccolo. Il risultato fu sorprendente, ogni tecnica divento silenziosa, talmente tanto che nemmeno l’udito fine dei Lycan non riusciva a sentire i miei movimenti.

   Ci avevo messo circa due anni per combinare e creare il mio stile di lotta, ma i risultati si videro molto presto. All’inizio cominciai a reagire contro i miei aggressori, e dopo essere riuscito a mettere fuori gioco due di loro, gli attacchi cominciarono a diminuire. Smisero di tutto, quando nei tornei davo segno di vittoria. E con il passare del tempo miglioravo sempre di più. Nell’ultimo ero arrivato persino in finale, perdendo all’ultimo momento.

   Durante gli anni avevo cecato diverse volte il lago dove mi era rifugiato quando stavo male, ma non ero mai riuscito a trovarlo. Era come scomparso, oppure io me lo ero solo immaginato. Era una possibilità viste le condizioni in cui mi trovavo. Potevo benissimo essermelo immaginato.

   Fu nell’estate del mio quattordicesimo anno di vita che successe l’inevitabile. Era una notte senza luna, ed io come quasi tutta la tribù stavo dormendo beatamente nel nostro letto. A svegliarmi fu un enorme boato, simile a un tuono, che mi fece saltare giù dal letto. Andai subito alla finestra per vedere se stava arrivando un temporale, ma l’unica cosa che vidi furono alcune case che bruciavano.

   Presi un paio di pantaloni e corsi subito per le scale scendendo in cucina. Come mi aspettavo mio padre era già uscito a vedere come era la situazione e chi ci stava attaccando, mentre mia madre era sul portico di casa nostra che mi aspettava.

-       Madre, si puo sapere che cosa sta succedendo? Chiesi io preoccupato.

-       Non so ancora niente. Qualcuno ci sta attaccando, tuo padre e gia uscito per coordinare i nostri uomini. Dovremo andare anche noi, non dimenticare il cappotto. Se quelli che ci attaccano sono umani o deva, ti proteggerà un po’.

   Segui il suo consiglio senza discutere e indossai il mio cappotto, lo abbottonai per poi seguirla fuori di casa. La maggior parte dei Lycan erano trasformati, non ne avevo mai visti così tanti nella forma selvaggia tutti insieme. Solo quelli più adulti ed esperti erano riuscito a rimanere nella forma umana. Quasi tutti erano rabbiosi e furiosi, e la loro sete di sangue era palpabile.

   Con lo sguardo, cercai chi ci stava attaccando, ma tutto quello che riuscì a vedere erano lampi azzurri venire dalla foresta. Da dove mi trovavo non riuscivo proprio a vederli, ma sentivo uno strano rumore, simile a quelle delle rane. Corsi verso i confini, lì dove la maggior parte dei uomini si erano fermati, e quello che vidi quando li raggiunsi mi lascio senza parole.

   Davanti a me cera un uomo muscoloso alto più di un metro e ottanta con dei strani tatuaggi che li ricopriva tutto il corpo. Non era il suo fisico imponente la cosa peggiore, ma quello che mi terrorizzo era il suo aspetto. Era pallido come la neve, e dello stesso colore erano i suoi capelli. Ma erano i loro occhi che ti facevano congelare il sangue nelle vene, erano tutti bianchi senza pupille.

   Mi ripresi dallo shock solo quando mia madre si trasformo e mi mise una mano sulla spala. Grazie allo spavento i miei sensi erano al massimo e finalmente vidi chiaramente quello che cera ai margini del villaggio. Eravamo circondati da tutti i latti da quei esseri spaventosi, e si stavano avvicinando sempre di più.

   I maschi Lycan fecero un ululato tutti insieme dando via al contrattacco. Ci scagliamo tutti insieme contro quei esseri spaventosi, attaccandoli con gli artigli e mirando alla gola con le nostre zane. Cera qualcosa di strano nei nostri nemici, per quanto lì si colpivano con pugni, calci e li squartavamo con gli artigli, loro non smettevano di avanzare. E se non bastasse questa loro quasi invulnerabilità, avevano anche dei strani poteri.

   Quella fu la prima volta che assistevo alla manifestazione dei poteri elementari. Molti di loro riuscivano a lanciare palle di fuoco, raffiche di vento e persino fulmini. E altre variazioni dei cinque elementi, e le combinazioni tra di essi. Fu mia madre a scoprire per prima il modo di fermarli.

   Mentre attaccava uno di quei esseri alle spalle, lo colpi con tutta la forza al colo spezzandoli la colona vertebrale uccidendo l’essere al istante. Quelli che videro l’attacco, capirono subito che l’unico modo di fermarli era ucciderli subito. Quindi cominciarono tutti, ad attaccare i punti più vulnerabili del corpo umano, e applicare mosse e tecniche che uccidevano all’istante. I nostri artigli combinati alla nostra forza fisica, furono molto utili, riuscivano persino a perforare la gabbia toracica di un uomo.

   Per un po’ funziono, ed il morale della tribù era cresciuto. Ma ben presto ci rendemmo conto che loro erano molti più di noi, e che ci voleva un po’ per ucciderli all’istante. Serviva molta concertazione e forza, per usare tecniche omicide. E tutti gli attacchi dovevano essere fatti, mentre evitavamo i loro. Avevano capacita fisiche molto simili alle nostre e riuscivano anche a tenerci testa.

  Cera qualcosa di strano in loro, a parte l’aspetto. Si muovevano ed attaccavano tutti insieme, con le stesse mosse e in perfetta sincronia. Era come se nessuno di loro avesse il controllo del proprio corpo. Mi sembravano delle bambole che venivano mosse da un burattinaio.

   Uno di loro mi venne incontro con in mano una grossa spada. Io mi trasformai subito, e mi preparai al combattimento. Mi attacco con un fendente laterale che io schivai facendo una capriola all’indietro. Il successivo colpo lo anticipai, e li afferrai la mano sull’impugnatura riuscendo a bloccarlo per un istante. Lui per liberarsi cerco di colpirmi con un pugno sulla tempia. Spostai leggermente la testa e gli azzannai la mano con un morso.

   Intanto avevo contrato a dovere i muscoli della mia mano destra, e mettendola a forma di punta lo colpi con tutta la mia forza al cuore. Era la prima volta che provavo una tecnica omicida e non sapevo se avrebbe funzionato. La forza con cui lo colpi era abbastanza da spezzarli le costole e grazie ai miei artigli riuscì ad entrare con la mano nella sua gabbia toracica. Riuscì ad afferrare il suo cuore con la mano, e quando lui solevo un braccio, gli l’ho strappai. Lui cade per terra senza vita e senza fare nessun movimento.

   In molti stavano cadendo quella sera, molti conoscenti e amici dei miei genitori. Quella sera stavano combattendo tutti, uomini, donne, anziani e persino ragazzi della mia età. Ma il nemico ci era di gran lunga superiore, e se ne rese conto subito anche mio padre.

   Da lontano lo vidi dare istruzioni a un gruppo di uomini. Appena fini di parlare questi corsero in tutte le direzioni del villaggio. Un momento più tardi vidi e capi quello che mio padre aveva ordinato. I guerrieri che aveva scelto, erano senza dubbio alcuni dei più forti della tribù, e i migliori per quel tipo di lavoro. Aveva ordinato loro di radunare tutti i bambini e portarli in salvo, fuori dai confini del villaggio. Il più lontano possibile da quell’inferno.

   Tutti gli altri, incluso me e i miei genitori avevamo il compito di facilitare la loro fuga. Non fu facile, appena i bambini si riunirono in gruppo, i nostri nemici puntarono nella loro direzione. Erano esperti di combattimento, sapevano che puntando ai nostri figli, molti dei adulti avrebbero usato persino il loro corpo per proteggerli. Ed e proprio quello che successe. Durante la loro fuga, morirono diversi Lycan, e molti altri vennero feriti.

   Ritornammo in noi, solo quando i bambini e quelli che li accompagnarono furono scomparsi nella foresta. Io nel fra tempo ne avevo uccisi qualcuno, e stavo cominciando a sentire la stanchezza di quei combattimenti. Avevo ferite superficiali su tutto il corpo. Il cappotto mi aveva salvato la vita un paio di volte da dei colpi mortali. Fortunatamente fu abbastanza resistente da non far affondare i colpi di spada e le frecce nella mia carne.

   Ero appena riuscito ad ucciderne un altro, quando per la fatica cadi in ginocchio. Mi guardai in giro alla ricerca dei miei genitori. Non li perdevo mai di vista, e non volevo allontanarmi troppo da loro. Quando vidi mia madre mi si fermo il cuore per un momento.

   Una sua mano era nel torace di un uomo, e quello lì afferro il braccio e la blocco per un momento. Riuscì a bloccarla per il tempo necessario, che un suo compagno la sorprese alle spalle e la infilzo con la sua spada. La spada aveva trafitto mia madre da parte a parte, colpendo persino il suo compagno.

   Quella scena mi fece congelare il sangue nelle vene, e non fui il solo ad assistere. Anche mio padre aveva visto e si precipito in suo soccorso, prese quella creatura per il colo, e gli lo spezzo. Poi con la sua forza lo solevo di peso e la fece volare il più lontano possibile. Per poi inginocchiassi davanti a mia madre e con cura e mani tremanti li solevo la testa.

   Io invece camminavo nella loro direzione, senza rendermi veramente conto di quello che stava succedendo. La mia testa si svuoto del tutto, non vedevo ne sentivo più niente intorno a me. Tutto quello che riuscivo a vedere erano i miei genitori che uno vicino ad altro. Mia madre che sputava sangue, mentre mio padre aveva un’espressione di puro terrore.

   Vidi da lontano gli ultimi attimi di vita di mia madre. La osservai mentre sussurrava a mio padre le sue ultime parole, per poi emanare l’ultimo respiro e morire. Per la prima volta in vita mia vidi mio padre che versava delle lacrime piene di dolore. Vedendolo in quel stato capi che era morta e quella tristezza mi contagi.

   Dopo averla abbracciata per un’ultima volta si alzo in piedi e fece il più terrificante e forte ululato che io abbia mai sentito. Fu carico di dolore e di rabbia, tanto da contagiare sia gli altri Lycan e persino me che ululammo con tutta l’aria che avevo in corpo. Quel grido di dolore e di disperazione che fece mio padre diede una nuova carica a tutta la tribù.

   Tutti gli Lycan attaccavano come se fossero presi da una frenesia, uccidendo tutti quei mostri senza ripensamenti, ma allo stesso tempo anche noi cademmo uno dopo l’altro. Anche io mi stavo battendo con tutte le forze che il mio corpo mi permetteva. Non sentivo più ne stanchezza ne dolore, tutto a quello che pensavo era uccidere i nostri nemici. Ucciderli fino all’ultimo.

   I morti aumentarono per tutte e due le fazioni, ma nessuna delle due aveva intenzione di molare. I Lycan cominciarono a dare segno di stanchezza e di cedimento. Al contrario i nostri nemici, non si stancavano e non provavano niente per i loro compagni morti. Anzi era tutto il contrario, se uno di loro era d’intralcio lo uccidevano senza pensarci due volte.

   La battaglia stava diventando un massacro a senso unico, dove solo i Lycan stavano cadendo. Io ormai ero all’estremo contro uno dei nemici. Dopo averlo ucciso, ero esausto, non riuscivo più nemmeno a rimanere in piedi. Basto quella mia spossatezza a segnare il mio destino per sempre.

   Un lampo abbagliante mi colpi in pieno petto, passandomi da parte a parte. Fu talmente rapido che non mi resi nemmeno conto del dolore che dovevo provare. Sentivo solo l’odore della carne arrostita, un odore acre e simile a quello di un cinghiale arrosto. Quando abbassai lo sguardo per guardarmi il petto vidi un buco grosso quanto una noce, tutto nero e carbonizzato.

   Per la seconda volta quella notte, mio padre assistete alla fine di chi amava di più nella sua vita. Senza più curarsi di se, corse nella mia direzione. Il suo sguardo parve stanco e ormai rassegnato, e non smetteva un attimo di piangere. Quando mi raggiunse si inginocchio d’avanti a me e mi prese tra le sue braccia. Ormai quella battaglie era sul punto di finire. Quasi tutti i Lycan erano morti, e quelli rimasti erano feriti e stanchi, e avrebbero raggiunto i loro cari nella morte molto presto.

   Per questo mio padre non si sposto più dal mio fianco, spettava che qualcuno li desse il colpo di grazia e morire vicino a suo figlio. Con questa rassegnazione non evito nemmeno i successivi colpi di spada che quei mostri li scagliarono. Venne colpito numerose volte, ma lui non si mosse di un passo dal mio fianco. Mi guardava nei occhi sorridendomi, mente la vita stava scorrendo via da tutti e due.

L’ultima cosa che mi ricordai furono le sue lacrime che mi bagnarono il viso e il suo sorriso che dissipava le mie paure. Così quando gli occhi di mio padre si spensero, lui mi cade addosso e io mi lasciai andare al mio destino, verso l’oblio.

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Capitolo 6
*** 6 ***


 Capitolo 6

 

   Pensavo di essere morto, e che la mia essenza fosse stata inghiottita in un mondo di oscurità, senza un corpo e una coscienza, dove regnava una pace eterna. Purtroppo non fu quello il mio fato, mi aspettava un nuovo capitolo della mia vita.

   Quando ripresi i sensi mi trovavo in riva a quel lago in cui mi ero imbattuto quattro anni prima. Tutto il mio corpo era ricoperto di acqua e di una strana resina verde, che si concentrava soprattutto sulla ferita che avevo sul petto. Provai ad alzarmi, ma un dolore tremendo mi investi, e io non riuscì a muovere nemmeno un dito. A quel punto mi guardai in giro in cercare di qualcuno vagamente famigliare, o almeno della persona che mi aveva portato li.

   Quando guardai verso la foresta vidi le mie cinque vecchie amiche le ninfe che mi fisavano con un dolce sorriso caloroso. Era molto strano che tutte e cinque si trovassero in un posto così lontano dai loro ambienti. Fu la Driade che mi fece segno di guardare verso il lago. Quando girai la testa vidi che emergere dalle acque un enorme drago azzurro.

   Era stupendo e maestoso. Emanava un’aura intimidatoria e un fascino antico, molto simile a quelle delle ninfe, ma molto più potente. Aveva le scaglie dello stesso colore dell’acqua limpida, mentre le sporgenze a forma di corna sulla testa di un bellissimo bianco. Gli occhi e la membrana delle ali erano di un azzurro più chiari, ricordava vagamente il colore del ghiaccio. Aveva dei denti affilati e lunghi, in grado da dividere in due un cervo adulto con un solo morso.

   Il drago era messo se possibile quasi peggio di me. Aveva un’ala spezzata in più punti, e anche la membrana sembrava lacerata. Il suo corpo era ricoperto di morsi terrificanti, e segni di artigli, per non parlare di altre ferite che non riuscì a indentificare. Li mancava persino una zampa, e la punta della coda.

   Mi guardava con uno sguardo terrificante, tutto quello che stavo pensando e che da un momento all’altro sarei diventato la sua cena. Si vedeva benissimo che non mangiava da molto, ed era affamato. Non riuscivo ad emettere nessun suono. Tutto quello che riuscivo a pensare era “Che cosa mai poteva andare ancora storto nella mia vita?”. Stavo cominciando a pensare che la gente aveva ragione su di me. E che la mia nascita era veramente un segno di calamita e di cattivo auspicio.

   Alla fine fini per guardare quel drago con la sessa intensità con cui lui guardava me. Ormai non provavo più paura, non pensavo ci fosse qualcosa peggiore della situazione a cui avevo assistito. Il mio sguardo era più che altro una sfida nei suoi confronti. Ero stanco di tutto, e in un certo modo volevo che lui mi mangiasse. Così il dolore che provavo nel petto potesse finalmente finire, e io trovare un po’ di pace.

   Il drago a quel punto mi si avvicino e mi tocco con il suo muso la fronte. Quel contatto mi dava una sensazione di fresco e rinvigorente, e con esso senti la voce femminile del drago nella mia mente.

·         Sai che cosa sono ragazzo? Mi chiese la dragonessa con una voce calma e tranquilla.

·         Siete una dragonessa, una creatura che esiste solamente nelle leggende. Pensai io nella mia mente, ed a quanto pare lei riuscì ad ascoltare la mia risposta.

·         Come puoi vedere, non sono per niente una leggenda, ma un essere in carne ed ossa.

·         Oppure sono già morto, o mi sto immaginando tutto e tu sei una creazione della mia mente.

·         Non credo tu sia cosi fortunato da riuscire a rifugiarti in un sogno.

·         Che cosa mi e successo? E come sono finito in questo posto? Le chiesi io ormai stanco e rassegnato.

·         Penso che tu abbia ricordo di quello che e successo al tuo villaggio, mi rincresce dirti che ogni membro della tua tribù e stato ucciso, tu sei l’unico sopravvissuto.

·         Non può essere vero. Ci deve essere qualcuno ancora in vita. Cosa e successo ai bambini che sono stati mandati fuori dal villaggio? Chiesi disperato, quando avevo sentito quella risposta.

·         Sono morti anche loro. Tutto il villaggio era circondato. Vi hanno fatto credere che erano riusciti a scapare per poi poterli finire in tranquillità. Mi disse lei con tono dolce.

·         Non e possibile, perché e successo tutto questo? E perché io sono ancora vivo? Mi misi una mano sui occhi, cercando di fermare le lacrime.

·         Non so come ma sei riuscito a rimanere in vita fino all’alba. E un vero miracolo che tu sia resistito. E stata la Driade che ti ha trovato. Eri più morto che vivo quando ti ha portato da me, nella speranza di riuscire a salvarti. Mi disse lei. In quel momento tutte le terribili cose che avevo visto quella notte li rividi in un istante. Riprovai sentimenti di ogni genere, dolore, rabbia, rammarico, impotenza e un vuoto in fondo all’anima.

·         Quindi e stata lei a salvarmi. Posso chiederle perché l’ha fatto e che cose questo posto? Mi ero fatto forza e gli l’ho chiesto.

·         O povero ragazzo, non ti ho ancora salvato. Si sei vivo ma la tua ferita e ancora molto grave, quel colpo ha colpito il tuo cuore e nessuna medicina o unguento riuscirebbero a salvarti. Per quanto riguarda questo posto e la mia casa. Io sono un drago d’acqua ho il potere di dominare questo elemento, e in ogni posto dove io mi fermo per riposare si forma un lago fino alla mia partenza. Mi disse lei.

·         Quindi sto ancora morendo, ma ce qualcosa che non mi convince. Se fosse cosi perché una creatura tanto nobile come lei starebbe ancora a parlare con un moribondo, ci deve essere ancora qualcosa che lei non mi ha ancora detto. Dissi io con un po’ di impertinenza.

·         La Driade aveva ragione, sei un ragazzo molto intelligente, dalla mente aperta e dal animo nobile. Hai ragione ce un altro motivo per cui ti sto parlando in questo momento. Sta il fatto che come te anche io sto morendo, come puoi vedere anche io sono reduce da uno scontro mortale. Ormai sono in questo stato da moltissimi anni, e le mie ferite non guariranno mai più. Sto morendo lentamente di fame e le forze mi stanno abbandonando ogni giorno di più. Purtroppo ho ancora un obiettivo che non sono ancora riuscito a portare a termine. E non ho intenzione di morire fino a quando non l’avrò fatto. E qui entri in gioco tu mio caro ragazzo.

·         E come può un ragazzo giovane come me, e per di più moribondo poter aiutare un drago come lei? Chiesi io quasi sarcastico.

·         Io potrei fare in modo che tu sopravviva, ma lo farò solo se sarai disposto a portare a termine i miei obbiettivi. Potrebbe richiedere anni e molta pazienza. Per non parlare che il metodo per salvarti non e per niente sicuro. Ci sono poche probabilità che funzionare. L’unica sicurezza che ti posso dare e soffrirai molto, più di quanto puoi anche lontanamente immaginare. E se anche funzionasse il dolore del trattamento ti potrebbe benissimo portare alla pazzia. Mi disse lei.

·         Non vorrei essere scortese, ma perché dovrei voler sopravvivere? Tutto quello che avevo in questa vita e andato perduto in una sola notte. Non ho più niente, ne famiglia ne una casa, e neppure tanta voglia di vivere. Perché dovrei voler soffrire ancora di più? Non sarebbe più facile lasciarmi andare e morire tranquillamente? E poi sono stanco vorrei che questa sofferenza andasse via e mi lasciasse solo. Dissi io girando la testa dall’altra parte per la vergogna delle mie parole.

·         Finché sarai in vita quella sofferenza non se ne andrà mai. Con il tempo potrà attenuarsi e tu imparerai a conviverci insieme. Ma ci sarà sempre, da qualche parte infondo al tuo cuore. Io posso darti solo un'altra possibilità, e con essa uno scopo se vorrai. Io so cosa sono i mostri che vi hanno attaccato, e sono sicura che il loro mandante sono li stessi che io sto cercando. Quelle creature si chiamano Shura. una volta erano umani, su cui sono stati fatti dei esperimenti grazie al potere di noi draghi. Una pratica molto antica, corrotta e disumana, che nessun essere dovrebbe mai usare. Purtroppo quelle creature non hanno nessuna colpa in quello che e successo alla tua gente. Loro non hanno né coscienza né volontà, sono controllati dal loro creatore e seguiranno sempre i suoi ordini.

·         Quindi tu vorresti spingermi verso una strada della vendetta. Cercare i responsabili del massacro della mia gente e ucciderli. E uccidendoli avrò portato a termine anche i tuoi obiettivi. Mi dispiace darti una delusione, ma la mia gente non ha mai avuto sentimenti di vendetta. Se moriamo combattendo e con dignità, ce ne andiamo felici al altro mondo. Se io decidessi di vivere e accettare la tua offerta di vendetta, dimostrerei che i miei genitori e la mia gente, e morta nella vergognai e loro non potranno mai riposare in pace. Mi dispiace dragonessa ma ancora non mi hai convinto a voler vivere.

·         Questi esseri non si fermeranno solo con la distruzione di qualche tribù. Continueranno a uccidere, massacrare e sottomettere tutti gli essere di questo mondo. Non ti ho chiesto di continuare al lottare per vendetta ragazzo. Ti chiedo di lottare in modo da fare la differenza in questo mondo, di rendere i tuoi genitori e i tuoi avi orgogliosi che porti il loro sangue nelle vene.

·         E perché dovrebbe importare ad un drago, quello che succede agli Umani, Deva, Lycan e Ninfe?

·         Sinceramente non mi importa delle altre razze, voglio solo fermare quei individui. E una missione che la nostra specie si e prefissata a portare a termine, ma ormai siamo rimasti troppo pochi, potrei essere persino l’ultima della mia specie.

·         Non mi hai ancora detto il perché li volete fermare. Le dissi io ormai stanco di tutti quei giri di parole.

·         Va bene ragazzo te l’ho dirò, ma prima ti rivelerò come potrei salvare tutte e due. Per guarirti io dovrò abbandonare il mio corpo materiale e diventare parte di te ragazzo. E una magia molto antica e molto pericolosa, che la mia razza aveva creato avendo paura della morte. Diventare parte di te vuol dire fondere le nostre essenze e diventare una creatura con un unico corpo con due spiriti ben separati. Non aver paura, il corpo sarà sempre il tuo, la mia essenza ti conferirà solo la guarigione di cui hai bisogno e accesso ai miei poteri. E cosi che sono nati gli Deva dall’unione di un umano ed un drago. Non farti illusioni gli Deva di oggi non hanno loro interno i spiriti dei miei simili. I deva di oggi sono solamente i discendenti che hanno ereditato una parte dei poteri dai loro avi. L’unione tra noi e un umano ha dato la vita a un essere molto più forte, intelligente e con una vita molto più lunga quasi immortale. Con queste nuove abilità e poteri, in alcuni hanno cominciato a credere di essere dei esseri superiori. Con il tempo questi deva e il loro draghi si sono corrotti e presero il nome di Ashura. Pensando di essere superiori e di avere il diritto di essere venerati dagli umani. A questi individui gli altri Deva originali si opposero, e con la loro opposizione si scateno una sanguinosa guerra, uccidendo quasi tutti gli Deva originali, lasciando alle loro spalle solo i loro discendenti mortali. Non morirono tutti, alcuni Ashura sono sopravvissuti e sono ancora in giro per il mondo, in cerca di un modo per riprendersi il loro potere. I draghi che non avevano fatto l’unione con un umano, giurarono tutti di dare loro la caccia e ucciderli fino alla fine dei nostri giorni. Ti faccio presente che questo successo moltissime ere prima che la tua razza nascesse. E ormai gli Ashura sono rimasti solo una manciata. Purtroppo dando la caccia a loro anche molti della mia razza sono morti. Come puoi vedere anche io ne porto le ferite di quelle battaglie. Ormai non posso più farcela da sola, e tu sei la mia ultima speranza.

·         Quindi il tuo obiettivo e quello di porre rimedio all’errore che la tua razza fece in passato, e per farlo sei disposta a fare il loro stesso errore.

·         Per porre fine a questa storia sono disposta a fare di tutto, persino questo. Mi disse lei con voce triste.

·         E poi, poniamo il caso che riusciamo a trovarli e ucciderli, che faremo? Hai detto che l’unione tra un drago e un umano dava quasi l’immortalità, cosa faremo per il resto dei nostri giorni? Le chiesi curioso io.

·         Mi dispiace deluderti ragazzo ma noi non diventeremo come loro. Basta guardarci. Tu sei un ragazzo moribondo e io mi trovo più o meno nella tua stessa situazione. Usando la forza delle nostre vite per guarire il tuo corpo, ci rimarrà da vivere al massimo trecento, quattrocento anni, una vita di un normale Deva di quest’epoca. A quella rivelazione cominciai a ridere, ignorando il dolore che mi provocava la risata.

·         Trecento, quattrocento anni, li descrivi come se fossero un battito di ciglia, ma per me sono circa cinque o sei volte di più della vita che un Lycan normale avrebbe condotto.

·         Per un drago, cosi come anche per le ninfe, quei anni sono proprio un battito di ciglia anche se a te potrebbero sembrare moltissimi. Allora ragazzo dopo aver sentito il mio racconto che cosa hai deciso?

·         Sei sicuro di volerlo fare? In fondo sono solo un ragazzo, e dubito che anche con i tuoi poteri potremmo tenere testa a tutte quelle schiere di Shura, per non parlare di arrivare agli Ashura e ucciderli. Li dissi io.

·         Hai ragione sei ancora un cucciolo di Lycan, ma come mi hai fatto notare abbiamo ancora molto tempo davanti a noi. Tu crescerai e diventerai sempre più forte, e se sei intelligente solo la metta di quello che credo, riuscirai a farti dei alleati. E stai tranquillo gli Ashura prima o poi faranno la loro mossa e dovranno uscire allo scoperto.

·         Capisco dragonessa, allora accetto la tua offerta fai di me un Deva e io ti giuro che proverò a portare al termine la missione della tua vita, e forse quando lo farò il mio animo tornerà sereno.

·         Sono contento di sentirtelo dire. Puoi chiamarmi semplicemente Aqua, se sopravvivrai sarò la tua compagna, amica e maestra per il resto dei nostri giorni.

·         Io invece sono Keiran Nightingale, vediamo di cominciare prima che ci ripensi.

   Con il mio consenso Aqua mi solevo lentamente con una delle sue zampe, e con l’altra mi ricopri. Prima che il buio mi inghiottisse, diedi un’ultima occhiata nella direzione delle ninfe. Sembravano fiduciose e mi salutarono dolcemente. Mi lasciai avvolgere dall’oscurità, e Aqua comincio a sedersi sul fondo del lago, ricoprendoci d’acqua.

   Per qualche istante tenetti il respiro, ma ben presto comincio a mancarmi l’aria, e io dovetti provare a respirare. Tutto intorno a me cera solo acqua e oscurità, e quando non riuscì più a trattenere il fiato, cominciai ad affogare. Ogni boccata d’acqua che prendevo mi bruciava i polmoni, era una delle esperienze peggiori che potessi provare.

   Anche con il corpo ferito e del tutto incapace di muoverlo, l’istinto mi obbligava a nuotare verso la superfice, in cerca di una boccata d’aria. Passai qualche minuto in quello stato, con i polmoni che andavano a fuoco e io mi disperavo per una boccata d’aria. In qualche modo, anche non respirando non stavo morendo, era solo un’agonia senza fine. E fu allora che tra quelle immense zampe si creo una piccola sfera luminosa di colore azzurro. La sfera si vicino lentamente verso il buco che avevo ne petto.

   Appena quella piccola sfera luminosa tocco il mio petto, un dolore allucinante mi trapasso ogni fibra del corpo. E ad ogni millimetro che avanzava nella mia ferita il dolore era sempre più forte e straziante. Persi il conto di quanto tempo fosse passato da quando ero sotto quella tortura. Mi dimenavo come un matto cercando di fuggire da quel dolore, sperai persino che la trasformazione fallisse e che la morte mi prendesse.

   Ma quando la sfera ricopri tutta la mia ferita, il dolore si attenuo per un lungo istante. Mi sembrava di essere in pace con me stesso, e il mio unico pensiero era “se ero riuscito a supportare quel dolore, avrei supportato di tutto, perché niente poteva essere peggio”. Non potevo nemmeno immaginare quanto mi stavo sbagliando.

   Intorno a me si erano create centinaia di altre piccole sfere luminose, ma questa volta stavano assumendo la forma di lunghi e sottili aghi, e si stavano posizionando intorno al mio corpo. Uno a uno gli aghi entrarono in punti ben specifici del mio corpo. Entravano uno alla volta, facendo in modo che il dolore si amplificasse ad ago.

   Dopo una decina, sia il mio corpo che la mia mente erano devastati. Riuscivo a sentire ogni fibra del mio corpo che gridava di dolore. Era come se ogni ossa, legamento, muscolo e nervo si stessero rompendo simultaneamente. Per poi venir ricuciti uno a uno, e questo procedimento si ripeteva sempre più forte ad ogni ago che si aggiungeva. Tra un ago e l’altro passava un po’ di tempo, abbastanza da riprendermi e addormentarmi per brevi periodi.

   Dopo un po’ di tempo cominciai ad estraniarmi dal dolore che il mio corpo provava e rifugiarmi in un angolo felice al interno del mio cervello. Solo li riuscivo a mettere insieme un pensiero coerente, e di solito era una supplica a dio di farmi morire. Notai che quei aghi non entravano in modo casuale nel mio corpo, ma colpivano dei punti di pressione molto accurati.

   Ne conoscevo alcuni grazie alle tecniche di sottomissione che imparai da mio padre. Sapevo che se venivano premuti nel modo giusto, potevi immobilizzare un avversario, o perfino farli provare un dolore lacerante. Ma se venivano massaggiati e premuti con cura e con poca forza, si riusciva persino a velocizzare il processo di guarigione. Quelle tecniche venivano usate da mia madre, quando curava le mie ferite o quando alleviava i miei dolori, dopo un allenamento troppo intensivo.

   Ma non avevo idea che nel nostro corpo ce ne fossero così tanti, e che potessero provocare tutta quella sofferenza. Il dolore era immenso e io in quel buio non sapevo se al esterno fosse passato un giorno o una vita. Piano, piano tutti gli aghi trovarono la loro posizione all’interno del mio corpo fino a quando non ne rimasse solo uno. Questo era un po’ diverso dai altri, era più grosse e lungo, ma aveva anche un colore azzurro più vivido quasi pulsante. Quando entro nel mio cuore, mi uccise per un lungo istante.

   Solo quando l’ago venne assorbito dal mio corpo, il mio cuore riprese di nuovo a battere e io senti tutto il dolore che avevo percepito fino a quel momento, tutto concentrato in una volta. Questa volta non era solo un dolore fisico, ma spirituale. Sentivo che metta della mia essenza veniva strappata via pezzo per pezzo. Quei pezzi andavano ad appoggiarsi sul mio corpo rafforzandolo. Al posto dell’essenza che venne strappata, un'altra ne prese il posto, unendosi alla metta che era rimasta intatta.

   Fu un processo molto lungo e doloroso, ma allo stesso tempo rilassante. Era diverso dal dolore che avevo provato fino ad allora. Faceva male ma allo stesso tempo il mio corpo si rafforzava e si riposava. Lo sentivo diverso, più forte e leggere, ma allo stesso tempo percepivo che qualcosa mi mancava. In quella trasformazione avevo perso qualcosa, e non sapevo ancora cosa.

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Capitolo 7
*** 7 ***


Capitolo 7

 

   Quando la trasformazione fini, con essa scomparve anche tutto il dolore. Il mio corpo stranamente non era esausto ma al contrario riposato e in forza. Durante quel procedimento avevo perso la cognizione del tempo. con quelle torture avevo l’impressione che fossero passati anni, se non decenni. Ma poteva benissimo essere trascorso solo un paio di giorni. Quando apri gli occhi, riuscì a vedere solo alcuni spirali di luce. Quelli che riuscivano a passare tra le fessure delle ditte di Aqua.

  Ci misi qualche secondo per abituare la mia vista a quella flebile luce. Quello che vidi, mi lascio sorpreso. Il corpo di Aqua, era diventato interamente di pietra. Tra le zampe in cui ero rinchiuso si era formata una bolla d’aria, riempita per metta d’acqua. Io stavo galleggiando sull’acqua, e quando mi alzai in piedi, e tocai il fondo della bolla, scoppio sommergendomi d’acqua.

   Nuotai e mi cercai un spiraglio trai i suoi artigli. Con gran fatica riuscì a uscire dal interno delle sue zampe. Prima di risalire in superfice, mi voltai e guardai il suo corpo. Era diventato tutto di pietra, e le ali erano spianate, coprivano quasi tutto il fondale del lago. La osservai per qualche altro secondo, per poi voltarmi e risalire.

   Quando emersi la luce del solo mi abbaglio. Mi ci vogliono diversi minuti per abituarmici e riuscire a guardarmi in giro. La prima cosa che notai erano le foglie verdi e i germogli sui alberi. Non riuscivo a credere che ero rimasto sott’acqua per quasi nove mesi interi senza mangiare o respirare. Mi girava ancora la testa, era qualcosa che non riuscivo nemmeno a comprendere come fosse possibile.

   Abbassai subito la testa per guardare la mia ferita sul petto per vedere se era guarita. La ferita si era rimarginata alla perfezione. Era rimasta solo una cicatrice nera a forma di sole, con un cerchio perfettamente rotondo al centro e delle saette di bruciature intorno. Una copia esatta della cicatrice cera anche sulla mia schiena, nel punto d’uscita. Esaminandomi meglio notai che avevo persino guadagnato un paio di centimetri in altezza, adesso arrivavo quasi a un metro e settantacinque. Mi sentivo più forte e l’acqua del lago in qualche modo mi stava attraendo e mi dava un senso di tranquillità.

   Per cera qualcosa che non andava, sentivo come un enorme vuoto dentro di me. Provai a trasformarmi e ad assumere la mia forma selvaggia, e fu allora che scopri quello che mi mancava. Non riuscivo più a trasformarmi. Tutto quello che cambio nel mio corpo erano i miei sensi, gli artigli e le mie zanne, per il resto ero un semplice uomo. Mi prese il panico, e persino una tristezza senza fine. Una parte del mio essere era stato cancellato, e sostituito con una parte draconica. Andai vicino al lago per vedere quale altro cambiamento avevo ricevuto nel diventare un deva.

   Quando mi ci specchiai nel lago vidi che i miei occhi non erano più rossi, ma erano dello stesso colore di Aqua di un azzurro limpido e con sfumature fredde. Per un momento impallidì e mi feci sopraffare delle emozioni. Questa mia tensione fece trasformare i miei occhi in quelli di un Lycan, con le pupille sottile e una vista molto acuta. Ma la cosa più importante, erano di nuovo rossi. Quel colore a me nostalgico, odiato ma allo stesso tempo che avevo imparato ad apprezzato.

   Questo mi tranquillizzai tornarono normali e azzurri. Anche le mie orecchie cambiarono un po’, erano a punta, simili a quelle delle ninfe, cosi buffe da farmi sorridere. Feci diversi respiri per trovare la mia calma interiore, e con essa arrivo anche il suono del mio stomaco che brontolava per la fame. Quella situazione mi faceva quasi ridere, con tutto quello che avevo passato, il mio corpo desiderava solo il cibo.

   Stavo per addentrarmi nella foresta, quando le mie amiche ninfe arrivarono. La Driade aveva tra le braccia della frutta, mentre le altre avevano diversi oggetti nelle mani. La Driade mi fece segno di sedermi e mi passo la frutta per potermi sfamarmi. Fu allora che provai una piccola fitta di dolore sulla schiena. Girai la testa per provare a vederne la causa. Non ci riuscì molto bene, e l’unica cosa che vidi fu solo un pezzo di tatuaggio di un’ala.

   Mi alzai in piedi e andai vicino al lago per guardare il riflesso della mia schiena. Rimasi senza parole quando vidi il ritratto identico del corpo di Aqua tatuato sulla mia schiena. Il disegno era perfetto in ogni minimo dettaglio, con la sola differenza che era senza cicatrici e ferite. Mentre osservavo il tatuaggio, mi pare di vederlo mentre spostava un’ala. Nel primo momento, pensai di essermelo immaginato, ma poi il drago sulla schiena si sposto su una spala, per poi uscire dal mio corpo.

   Al inizio il tatuaggio si trasformo in acqua, per poi assumere un corpo reale uguale al drago che si trovava in fondo al lago. Era uguale in ogni minimo dettaglio, con la sola differenza che aveva le dimensioni del tatuaggio, non più grande della mia schiena.

·         Vedo che ripore le mie ultime speranze in te, non e stato del tutto uno sbaglio. Mi disse Aqua, nel suo nuovo e piccolo corpo.

·         Sei proprio tu Aqua? Che cosa ti e successo? Li chiesi io sbigottito.

·         Ormai questa e la forma che posso assumere, ti ricordo che il mio vecchio corpo e in fondo a questo lago, e adesso io vivo in te.

·         Che cosa faremo adesso? Le chiesi io mentre mi sedevo e ripresi a mangiare la frutta, con le ninfe che ci guardavano e Aqua che volava intorno a noi.

·         Questo dipende tutto da te, ma se vuoi un suggerimento ti direi che potremo cominciare a farti usare i miei poteri. O forse sarebbe meglio dire i nostri poteri.

·         A già mi hai accennato che sarei diventato un Deva. Visto che sei un drago d’acqua, i miei nuovi poteri dovrebbero avere a che fare con questo elemento.

·         Proprio cosi Keiran, adesso dovresti avere un certo controllo sull’acqua, ma ti servirà un po’ di tempo per poter attingere ad esso e controllarlo.

·         E da dove cominciamo? Le chiesi io quasi impaziente.

·         Vai piano ragazzo, non essere così impaziente. Dobbiamo fare prima un'altra cosa.

·         E sarebbe?

·         Limitare il tuo potere, e sigillarne una parte. Non fare quella faccia, pensi di riuscire a controllare un potere che prima era nel corpo di un drago?  Guardati in giro ragazzo, quel lago l’ho creato mentre dormivo, senza nemmeno rendermi conto. Pensi che il tuo corpo appena trasformato, sia in grado di gestire tutto quel potere? Dovrai prenderne il controllo un pezzo alla volta. Dovremo essere pazienti e stare molto attenti. Se lasciamo il tuo potere come adesso, e tu lo usassi interamente, potresti benissimo morire. O anche peggio perdere un braccio o una gamba nel tentativo. Ti ricordo che adesso vivo anche io nel tuo corpo, e ci tengo che tu rimanga in vita, e possibilmente in salute.

   Fu allora che la Naiade fece un tuffo nel lago. Mi alzai in piedi e andai a guardare. Vedere una ninfa nel suo ambiente era sempre uno spettacolo. La vidi andare verso le mascelle del drago, e stacco un suo canino. Era una zanna lunga quanto il mio braccio, e di un azzurro chiaro quasi bianco trasparente. La vidi risalire con quella lunga zanna ed uscire dall’acqua in modo elegante.

   La ammirai per qualche istante prima di ricordarmi che non lontano da lì si doveva trovare la mia tribù. Così mi addentrai nella foresta, lasciando le ninfe a fare quello che avevano cominciato a costruire. Sorpassando la nebbia arrivai nei pressi del villaggio per vedere l’orrore che ci aveva colpiti. Tutto era rimasto come mi ricordavo in quella notte. Persino i corpi dei miei genitori erano nello stesso posto dove li avevo visto morire.

   Se non fosse stato per gli oggetti che portavano con loro, avrei potuto anche non distinguerli dagli altri visto le loro condizioni. Ormai il loro corpi, cosi come quasi tutti gli altri della mia tribù, erano in uno strato avanzato di putrefazione, e molti cadaveri erano stati sbranati e mangiati dagli animali. Trovai resti di persone, portati dagli animali persino fuori dai confini del villaggio. L’odore che si percepiva li era nauseabondo, e il mio olfatto sviluppato non aiutava molto a star meglio.

   Presi quello che rimaneva di mia madre e la portai vicino al corpo di mio padre. Poi mi lasciai cadere in ginocchio, e per la prima volta da quella tragedia piansi. Un pianto pieno di tristezza, rammarico e di impotenza. Odiavo chi aveva fatto quel macello, ma allo stesso tempo odiavo me stesso per non aver potuto fare niente di più, o per non essere morto con loro.

   Diedi sfogo a tutte le mie lacrime e frustrazioni, finché il mio cuore non si alleggerì e la mia mente non si calmo. Dovevo cominciare a dare una degna sepoltura ai miei genitori, e a tutta la mia gente. Con gran fatica mi alzai e cominciai il lavoro che dovevo fare.

   Cominciai a entrare in ogni casa della tribù e portare fuori tutto quello che si poteva bruciare, tavoli sedie e altri mobili. E allo stesso tempo cercavo cose che mi sarebbero potuto servire, come vestiti soldi e mappe. Fu un lavoro enorme ammucchiare abbastanza legna da cremare più di duecento Lycan. Ci missi quasi una settimana a sistemare la legna ed i cadaveri al centro del villaggio.

   Basto una piccola fiamma, per dare fuoco a tutto e far riposare i corpi della mia gente. Rimasi li a guardare e a mostrare rispetto per tutti quei guerrieri e persone valorose che erano morte combattendo. E solo quando le fiamme diventarono deboli, mi avviai verso casa mia. Mi rimaneva solo un ultimo funerale da fare, il più doloroso di tutti, quello dei miei genitori.

   Avevo posto quello che rimaneva dei miei cari genitori nel loro letto, e stavo facendo gli ultimi preparativi per il loro funerale. Dal loro armadio presi i vestiti che mi potevano stare, come gli stivali di mio padre, visto che il resto era troppo grande per me.

   Prima di uscire sfilai a mia madre il suo bracciale. Era un regalo di mio padre per lei quando io ero nato. Sul bracciale era ricucito in maniera sublime un maestoso lupo scarlatto. Un simbolo di quello che lui credeva che io sarei diventato. Lo indossai sul polso sinistro come un ricordo dei miei genitori prima di uscire da casa mia.

   Una volta fuori, diedi fuoco a tutta la casa e rimasi li a piangere e a temprare il mio cuore, con la speranza che nel mio futuro avrei presso solo decisioni per le quali loro potessero essere orgogliosi. Fu un supplizio guardare la mia casa andare a fuoco, e con essa tutto quello che io amavo al mondo. Ma mi feci forza e rimasi immobili finche ultima striscia di fumo non svani.

   Mi ero preparato qualche sacca da viaggio con le cose che avevo trovato nel villaggio. Erano piene di vestiti che mi stavano su misura, qualche cappotto e stivali. Avevo trovato anche due sacchetti di monete. Su uno sacchetto cera il simbolo degli umani e sul l’altro quello dei deva. Fui fortunato a trovare anche diverse mappe che conducevano a diverse città nei pressi della nostra foresta.

   Una volta che fini tutto, missi le sacche sulla schiena e mi lasciai il mio villaggio alle spalle e tornai al lago. Questa volta fu facile da trovare forse perché era Aqua a condurmici. Per tutto il tempo che eravamo rimasti al villaggio era rimasta in silenzio, lasciandomi a piangere i miei cari in pace. E per questo li fui enormemente grato.

   Nel tempo che ho trascorso nel mio villaggio, le ninfe avevano lavorato duramente su richiesta di Aqua. Non sapeva di cosa si trattava, ma l’avrei scoperto molto presto. Quando tornai al lago, le trovai tutte e cinque che aspettavano il mio ritorno. Avevano qualcosa da farmi vedere, cosi posai le sacche e le raggiunsi. La prima a parlare fu Aqua, che usci dal mio corpo e si posso sulla spala della Driade.

·         In nostra assenza ho chiesto alle tue amiche, di usare le loro capacita per creare dei oggetti da usare come catalizzatore per limitare per il momento i nostri poteri. Spero che ti piacciono. Mi disse lei.

 

   La Naiade da dietro la schiena tiro fuori un fodero nero, di circa quaranta centimetri. Il fodero era attaccato in orizzontale a una cintura dello stesso colore, per poter essere legato alla vita. All’estremità del fodero usciva il manico di un’arma, con un bellissimo pomo a a forma di testa di drago. Il pomo era molto piccolo e discreto, per non essere d’intreccio. Era fatto di un metallo a me sconosciuto, e gli occhi del drago erano di zaffiro blu.

 

   Il manico era bianco, un bianco puro come la prima neve dell’inverno. Era fatto di un unico pezzo di corno di cervo, e rivestito da una tela di ragno bianchissima. Era curvato in modo appena percepibile, e al centro di esso cera un pezzo rivestito di un metallo nero. Lo stesso metallo cera alla base del manico, dove la lama era incastonata.

 

   Con il consenso di Aqua provai a sfoderare l’arma, questa usci solo per un centimetro per poi bloccarsi. Ci provai ancora diverse volte, ma la lama non voleva ancora uscire. A quel punto alzai lo sguardo e guardai le ninfe incuriosito.

 

·         Come mai non vuole saperne di uscire? Chiesi io, a quel punto.

·         E un sistema a doppio incastro, pensato apposta per te che non usi armi. Poi ti spiegheremo meglio. Per sfoderarla devi estrare fino a che non si blocca, per poi rinfoderare e solo allora estrare di nuovo. Provaci su. Mi disse lei.

 

   Come mi aveva appena indicato, segui le sue istruzione, e finalmente riuscì a sfoderarla. Era una daga bellissima, la lama era lunga circa quaranta centimetri e larga sei, sottile e il colore azzurro li permetteva di essere quasi trasparente. Le estremità erano incurvate alle punte, dando alla lama una forma leggermente ad “S”. Sul dorso della lama cerano due piccole sporgenze a punta con al loro interno una goccia d’acqua. Una delle estremità della lama era collegato al manico grazie ad un’elsa di metallo nero, che segue la curvatura della lama per circa otto centimetri.

   Tenerla in mano, mi dava una sensazione intimidatoria e di pericolo, ma anche di potere. La driade mi venne vicino, e mi mise una mano su quella con cui tenevo la daga. Il fascino che mi mostrava in quel momento mi svuoto del tutto il cervello, e non riuscivo a pensare a quello che stava facendo.

   Porto la lama sul palmo della mia mano sinistra, e con un movimento brusco mi taglio. Il dolore mi riporto alla realtà e cercai di togliermi alla sua presa. Ma lei insistete per non muovermi. Stava facendo colare il mio sangue sulla lama, finché non la ricopri del tutto. Poi ne verso alcune gocce anche sul fodero. Quando fini di ricoprire la daga con il mio sangue, la Oreade mi si avvicino.

   Porto la sua mano sotto la mia insanguinante e la apri. Nel palmo della mano cera un grosso orecchino a forma di orecchio. Intanto che si dipingeva del mio sangue, osservai alcuni particolari. Per prima cosa era fatto interamente d’ambra. E guardandolo meglio si notava benissimo che erano cinque orecchini distinti. Erano rotondi e con una larghezza di circa due centimetri, e ognuno si incastonava nel altro dandoli la forma esatta del mio orecchio.

   Quando sia la daga che gli orecchini furono totalmente coperti di sangue, successe qualcosa di molto strano. All’improvviso mi senti molto debole, tanto da farmi cadere in ginocchio. Sia la lama, il fodero e gli orecchini assorbirono al loro interno il mio sangue. Su tutti e tre gli oggetti comparve la stessa frase scritta con il sangue, in una lingua e con caratteri mai visti prima. Sulla lama la scritta era ben visibile, e andava dall’elsa fino quasi alla punta della lama. Sul fodero la scritta era in cerchio, mentre sui orecchini la frase era minuscola e si poteva leggere solo quando essi erano uniti.

   Passarono diversi minuti finché io non mi ripresi e ritrovai le forze. Ma intanto che mi riprendevo le mie amiche ninfe stavano finendo gli orecchini. Ognuna di esse si punse un dito e verso una goccia di sangue su un orecchino.

   Il sangue della Naiade, fece cambiare il colore dell’orecchino in un azzurro acqua, e al suo interno si vedeva comparire un bellissimo corallo arcobaleno. Quello della Oreade, li diede un colore rossastro scuro, e dentro l’ambra si vedeva innalzare una montagna in ogni suo minimo dettaglio, aveva persino la neve sulla punta. La Lemoniade trasformo l’orecchino da giallo in un verde chiaro, e al suo interno si vedeva crescere un quadrifoglio. Con il sangue della Agrostine, il colore dell’ambra non cambio per niente, rimase giallo, ma dentro l’orecchino stava crescendo un campo di erba e di fiori selvatici. Per l’ultima era rimasta la Driade. Il suo orecchino assunse le tonalità di un verde scuro, come le foglie dei alberi, e dentro di esso si vedeva crescere un albero.

   I cinque orecchini visti insieme, facevano uno strano effetto. Guardandoli si poteva intravedere tutto quello che la natura poteva contenere. Una ad una mi venne vicina, e mi bucarono l’orecchio sinistro e incastonarono i loro rispettivi orecchini. Quando finirono, andai vicino al lago e mi rispecchiai per vederli. Uniti insieme gli orecchini mi ricoprivano alla perfezione l’orecchio, erano fatti su misura e a quanto pare non si potevano più togliere.

·         Adesso se non e troppo disturbo per voi, potrei avere qualche spiegazione su quello che avete fatto? Chiesi io mentre mi avvicinavo a loro.

·         Ti avevo già avvertito che avremo provato a sigillare parte dei nostri poteri. Stai tranquillo sono tutti sigilli temporanei. Mi disse Aqua.

·         Potresti spiegarti meglio? Prima ho avuto un mancamento. E per via dei sigilli che si sono attivati? Chiesi io.

·         Proprio così. Il primo e sulla daga. Quando e infoderata il tuo potere e al minimo, in questo modo potrai cominciare ad imparare a gestire il nostro potere. Quando la estrai, avrai accesso a un potere simile a quello di un deva. Visto che tu non sai come usare un’arma, abbiamo fatto in modo che il fodero fosse a doppio incastro. In questo modo non servirà tenere la daga in mano per attingere al potere. I sigilli nei orecchini sono un po diverso. I dei primi quattro, dentro di loro hanno sigillato un ramo del potere dell’acqua. Mentre il quinto, ha il resto del mio potere, quello che sommato al tuo sprigiona il vero potere di un drago. Il primo sigillo nell’orecchino azzurro e già sciolto, e ti dà il controllo sull’acqua liquida. Quando maturerai nel controllo del potere, e il tuo corpo comincerà a supportare lo stress e la fatica, anche gli altri sigilli si scioglieranno.

·         Va bene, ho più o meno capito quello che avete fatto. Adesso da dove inizio con gli allenamenti? Le chiesi.

·         Vedo che sei ben motivato, mi piace. Penso che dovremo cominciare con la meditazione. Dovrai immergerti dentro la nostra essenza e trovare la fonte del nostro potere e attingerci. Solo quando questo esercizio ti risulterà facile potremo cominciare con la pratica.

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Capitolo 8
*** 8 ***


Capitolo 8

 

   E cosi il mio allenamento comincio, mi sedetti nell’acqua e chiusi gli occhi. Mi concentrai sul rumore dell’acqua mentre sbatteva sulle sponde. Aqua non mi aveva dato molti indizi su come trovare la fonte del nostro potere, dentro il nostro animo, ma volevo fare un tentativo. Usai una tecnica di meditazione dei Lycan, che veniva impiegata per facilitarci le trasformazioni parziali.

   Non funziono molto, dopo due giorni non avevo ancora fatto nessun progresso. La meditazione dei Lycan consisteva nel concentrarsi su una parte specifica del corpo e provare a farla cambiare. In quel momento io dovevo sprofondare nel profondo del mio animo.

   Non mi aresi e ci riprovai. Questa volta svuotai la mente e rimassi immobile nell’acqua. La lasciai fluire intorno a me, coprirmi e bagnarmi le gambe. Dovevo diventare tutt’uno con quel lago e con quell’elemento, e allo stesso tempo scendere nei meandri della nostra essenza.

   Stavo ormai meditando da un mese ormai senza sosta giorno e notte. Non ero ancora riuscito ad arrivare alla fonte del mio potere, ma avevo scoperto alcune novità sul mio corpo. Immerso nell’acqua il mio corpo rallentava. Il mio metabolismo, respiro e persino il mio cuore, funzionavano a livelli minimi. Mi bastava mangiare qualcosa una volta a settimana per essere sazio. Il mio respiro e i battiti del mio cuore erano così lievi, che chiunque mi avesse visto in quel stato avrebbe pensato che fossi morto. Ma grazie a queste caratteristiche riuscivo a rimanere in meditazione per giorni interi senza mai distrarmi, e i frutti del mio allenamento sarebbero arrivati presto.

   In una notte candida e senza luna, riuscì ad arriva in fondo al mio essere. Quello che trovai era un’immensa stanza bianca. Dentro questa stanza ero isolato, non riuscivo più a sentire niente al fi fuori di essa. Il mondo al di fuori era scomparso, e li dentro regnava un incredibile silenzio e pace. Non tutto li dentro era bianco, al centro di ogni parete cera un enorme runa di colore rosso sangue. Ogni parete aveva una runa diversa, ma tutte e tre erano circondate dalla stessa frase che si trovava sulla mia daga e sui orecchini. La stessa cosa valeva anche per il soffitto e il pavimento.

   Intorno alle rune sul soffitto e sul pavimento, la frase intorno ad esse era sistemata in modo diverso dalle altre. Sul soffitto la frase era ripetuta in cerchio e intorno alla runa per ben sei volte. Mentre quella sul pavimento due volte, una vicina all’altra e tagliavano la stanza a metta. Dava l’impressione che il pavimento fosse fatto da due porte e in quel momento erano chiuse, e che serviva un innesco per aprirle.

   Intuì al volo quello che stavo osservando con tanta attenzione. Le quattro pareti erano i rami e i poteri derivati dall’elemento acqua. Mentre il pavimento era il limitatore del mio potere che si trovava nella daga. Infine sul soffitto si trovava il sigillo che bloccava la maggior parte del potere di Aqua.

   Su una delle pareti la scritta era sbiadita, e stava scomparendo. Mi diressi nella sua direzione, e quando li fui vicino toccai il muro con una mano. Dove avevo toccato il muro con la mano, parti una sottile linea azzurra e andò a sbattere contro la scritta intorno alla runa. La scritta al contatto con la linea esplose, lasciando la runa scoperta.

   La runa si illumino di un azzurro chiaro, e dal centro di essa comincio a scendere un fiume d’acqua. più che un fiume, era un piccolo ruscello, che cadeva sul pavimento come se fosse una cascata. Per poi proseguire fino al centro della stanza dove si fermava e si accumulava, cominciando a dare vita a quello che sarebbe potuto diventare un lago.

   Mentre osservavo come scendeva l’acqua sulla parete, alle mie spalle senti apparire una presenza, e girai subito la testa. Dietro di me cera Aqua. Non era piccola come al esterno, ma immenso e possente come il suo vero corpo infondo al lago.

·         Vedo che finalmente sei riuscito ad arriva qui. Sei stato molto bravo, pensavo che ci avresti messo più tempo. Mi disse lei con una voce contenta.

·         Devo dire che non e stato così facile come immaginavo. Ed una volta arrivato ho trovato questa stanza un po’ spoglia. Quelle rune e le scritte sono i sigilli che avete messo su di me, dico bene? Le chiesi serio.

·         Proprio cosi, ci vorrà un po’ di tempo per toglierli tutti. E dipenderà tutto dal tuo impegno.

·         Adesso quale il passo successivo?

·         Vedo che sei impaziente, ma non hai ancora completato ancora questa prima parte dell’allenamento. Ti devo ricordare che ci hai messo un mese interno per arrivare qui. Per usare il tuo potere al meglio dovrai trovare questo posto in un istante. Arrivare in questo posto ti deve risultare facile come respirare. Deve essere un’azione del tutto involontaria, come il battito del cuore. Solo cosi potrai usare il potere in modo rapido e senza distrarti durante un combattimento. Parleremo della prossima fase quando sarai in grado di raggiungermi qui in soli pochi attimi di concentrazione.

   Quando apri gli occhi, mi vidi galleggiare sopra l’acqua, ma basto solo il pensiero di sorpresa per farmi cadere. Avevo il corpo indolenzito per tutta l’inattività, ma era riposato e pieno di energia. La stessa cosa non potevo dirla della mia mente. La testa mi stava scoppiando per tutto lo sforzo che avevo fatto, e la mia pancia chiedeva qualcosa da mangiare. Erano giorni che non mettevo qualcosa sotto i denti, e visto che dovevo sgranchirmi tutto il corpo, decisi di andare a cacciare qualcosa nella foresta.

   Essere diventato un deva, le mie doti fisiche non erano diminuite. La forza era rimasta la stessa, ma la velocita e l’agilità che prima avevo nel mio stadio selvaggio, adesso riuscivo a richiamarle anche quando ero in forma umana. Sentivo ancora la mancanza nel trasformarmi in un Lycan, e mi mancava terribilmente. Non riuscire a trasformarmi mi dava una sensazione incompletezza, come se mi mancasse un braccio o una gamba. Ma cominciavo ad abituarmici a quel idea, e ad accettare il mio nuovo corpo.

   Continuai i miei allenamenti con la meditazione, e ogni volta riuscivo a ritrovare quella stanza sempre più veloce. Impiegai più di quattro mesi a raggiungerla solo concentrandomi per un istante. Non era ancora ad un livello adatto per un combattimento, ma per Aqua basto per cominciare la fase successiva del mio allenamento.

   La fase successiva consisteva nel rimanere in contato con la mia fonte di potere, e usarla per esercitare un controllo sull’acqua del lago. Non era un principio molto difficile, perché lo facevo incoscientemente ogni volta che meditato. Era per questo motivo che ogni volta che aprivo gli occhi galleggiavo sulla superfice dell’acqua. ma questa volta dovevo rimanere cosciente nella realtà, e applicare quel controllo con la mia volontà. Un compito che si rivelo tutt’altro che facile.

   Le prime volte che ci provavo, succedevano due cose. Se ero troppo concentrato nell’attingere il potere, la mia coscienza veniva risucchiata in quella stanza e io perdevo i contatti con l’esterno. Invece se mi concentravo troppo sulla manipolazione dell’acqua, perdevo il contatto con la sorgente del mio potere e non succedeva niente.

   Riuscivo a tenere in equilibrio le due parti per pochissimi istanti, nei quali se ero fortunato riuscivo a sollevare qualche goccia d’acqua. Quell’allenamento richiedeva uno sforzo mentale tremendo. Ogni sera avevo dei terribili mal di testa, che pero venivano alleviati dalle mie amiche ninfe.

   Ormai ero cresciuto, ed ero un ragazzo con un fascino unico, e io di sicuro non riuscivo a resistere al loro. Cosi una sera quando stavo riposando, la Driade decise di sedurmi ed insegnarmi la bellezza dei rapporti carnali. Da quella notte, ogni sera in cui non ero troppo esausto, una di loro mi insegava nuovi metodi di dare e ricevere del piacere.

   Le settimane e i mesi passavano, e io cominciavo a prenderci la mano con i miei allenamenti. Aqua aveva sempre avuto ragione. Fu solo quando, entrare in quella stanza e attingere alla fonte del mio potere, divenne un’azione involontaria e ormai automatica come un battito di cuore, o un respiro che cominciai veramente la seconda fase del mio allenamento.

   Esseno diventato un gesto automatico attingere al mio potere, ormai potevo chiamare quella forza quando volevo e senza sforzi. Questo mi diede la possibilità di concentrarmi totalmente sulla manipolazione dell’acqua.

   Al inizio riuscivo a controllare solo piccole sfere d’acqua e mantenerle in aria. Ma grazia agli eserciti e alla persistenza, le sfere diventavano sempre più grosse. Per aumentare la difficolta, Aqua mi ordino di dare delle forme a quelle sfere. Provare a farle assumere le sembianze di foglie, fiori e persino animali. Più miglioravo più i dettagli che Aqua mi chiedeva erano dettagliati, e non mi molava finché non facevo tutto alla perfezione.

   Quando diventai abbasta discreto nel manipolare che prendevo dal lago, mi mise ulteriormente alla prova. Questa volta dovevo addentrarmi nella foresta, e provare a raccogliere l’umidità e ogni goccia d’acqua che avevo nei dintorni. Era una maestra tremendamente severa e instancabile. Ogni giorno mi spingeva sempre oltre i miei limiti. E io grazie alla sua insistenza miglioravo sempre di più.

   Dopo circa dieci mesi dalla mia trasformazione in un deva. Stavo diventando abbastanza discreto nel controllare il mio elemento. Aqua ormai mi aveva tutte le basi di quel potere, spettava a me migliorarlo e diventare più forte. Per questo ogni giorno provavo a mischiare i miei esercizi di combattimento con quelli sull’acqua. Dovevo imparare a combattere al massimo e allo stesso tempo manipolare il mio elemento. Era una bella impresa, molto difficile, ma con il tempo cominciavo a prenderci la mano.

   Alla fine passo un anno, e io cominciavo a sentirmi pronto ad abbandonare quella foresta. Fu un anno molto impegnativo, ma anche molto bello e sereno, gli allenamenti mi avevano permesso di non pensare ad altro, che non fosse diventare sempre più forte. Con l’arrivo della primavera arrivo anche il momento che io cominciassi a intraprendere il mio viaggio.

   Nel corso dell’ultimo anno ho discuso molte volte con Aqua sui nostri piani futuri, su quello che avemmo fatto o dove saremmo andati. Alla fine tutti e due siamo giunti a una conclusione sensata. Visto che ero diventato un Deva era logico che io andassi a Drarress. Li con un po’ di fortuna, sarei riuscito a trovare alleati o un aiuto di qualche tipo.

   Sarei partito quella primavera, e mi aspettava un lungo viaggio. Non sapevo da che parte era Drarress, e nemmeno quanto tempo ci avrei impiegato nel arrivarci. Avevo alcune mappe, che avevo raccolto nel villaggio. Ma erano un po’ vecchie, e io non sapevo leggerle. Erano scritte in due lingue diverse, e io non ne conoscevo nemmeno una. Questo sarebbe stato il mio primo e il più grande problema, imparare le lingue dei umani e dei deva.

   Per il mio viaggio avevo tenuto solo una sacca con i vestiti che mi stavano meglio, e con le cose che mi sarebbero potuto servire. Per ricordare i miei genitori, avevo tenuto solo il bracciale di mia madre e il cappotto di mio padre, anche se era un po lungo.

   Lasciai il lago di mattina presto, ma non prima di aver salutato le mie amiche. La Driade mi avrebbe accompagnato fino al confine della foresta, mentre con le altre dovetti salutarmi li. Sui loro visi si poteva vedere un’ombra di tristezza per la mia partenza, ma i loro occhi erano fieri del uomo che ero diventato. In tutti quei anni da quando le avevo conosciuto, il mio animo era rimasto puro. Non ero cambiato nemmeno quando avevo perso tutto, non avevo macchiato il mio animo con la rabbia, il odio oppure con la sete di vendetta.

   Dopo tante parole di conforto e di speranza, e dopo lunghi abbracci e baci ci separammo. Io misi la mia sacca sulla schiena e accompagnato dalla Driade ci inoltrammo nella foresta. Quando stavo studiando la mappa con Aqua e le ninfe, la Driade aveva individuato con facilita la sua foresta e le strade che ci passavano vicine. Ci avrebbe accompagnato ad una di esse, e da li sarei stato completamente solo.

   Comminare con la Driade al mio fianco nella foresta, mi riportava alla mente moltissimi e bellissimi ricordi, di quando ero più piccolo e lei si era preso cura di me. Sembrava essere passato una vita da quei tempi, e il ragazzino che passeggiava con lei mano nella mano, sembrava essere morto. E al posto su era nato un giovane ragazzo, con ferite ancora aperte nel cuore.

   Ci misi una settimana per attraversare la foresta ed arrivare alla strada che indicava la mappa. Per tutto il tragitto mentre la driade mi ripeteva fino allo sfinimento di non fidarmi mai dei umani e dei deva, io avevo continuato i miei piccoli esercizi. Ormai li facevo ogni volta che potevo, erano esercizi semplici come accumulare l’acqua presente nell’aria e giocarci.

   Era pomeriggio quando uscimmo in strada, e io non sapevo ancora se ero pronto a salutare la mia amica. Lei e le altre ninfe, erano le uniche creature a quel mondo che mi conoscevano, o che io conoscevo. Fuori da quella foresta sarei stato da solo, in un mondo a me sconosciuto, e con nessuno a guidarmi o da considerare amico.

   Prima di separarci, mi diede un lungo abbraccio per poi mettermi una mano sulla guancia.

·         Abbi sempre cura di te, e non dimenticare mai chi sei. Il mondo qui fuori potrà anche essere crudele e spietato, ma tu hai la forza di superare ogni avversità. Gli orecchini che io e le mie sorelle ti abbiamo, sono un simbolo per tutte le ninfe di questo mondo. Se mai ti trovassi in difficolta e avrai bisogno di un aiuto, grazie agli orecchini tutte le ninfe che incontrerai saranno disposte ad aiutarti. Mi disse lei con un sorriso radioso.

·         Non so che cosa dire. E un dono stupendo, e ogni volta che li toccherò penserò sempre a voi. In tutti questi anni per me siete state delle amiche, delle amanti e persino una nuova famiglio. Non saprò mai come sdebitarmi con voi.

·         Non essere sciocco, non ci devi niente. Anche tu per noi sei molto importante, sei un figlio della mia foresta, cosi come tutte le creature che la popolano. Prima di separarci io e le mie sorelle, abbiamo pensato di farti donno di un altro regalo. Spero che ti ricorderai di lui. Mi disse prima di indicare una parte della foresta.

   Dal punto da lei indicato, usci un enorme e bellissimo stallone nero. Era il cavallo più grosso e più imponente che io avessi mai visto. Al garrese arrivava benissimo a un metro e novanta, mentre la testa mi superava di un bel po’. aveva una criniera molto lunga e liscia, cosi come la coda. E i suoi occhi, erano qualcosa che io non avevo mai visto in natura. Erano di un verde simili a quelli della Driade, e da essi si percepiva un’intelligenza fuori dal comune. Fu quando vidi le sue zampe che capi chi era quel stallone. La pelliccia intorno alle zampe era finca, e mi ricordai subito del piccolo puledro con cui giocai quando ero piccolo.

·         Dalla tua faccia vedo che l’hai riconosciuto. E il piccolo puledro con cui giocavi da piccolo, ma come puoi vedere ormai e diventato uno stallone. Mi disse lei sorridendo alla faccia che io stavo facendo.

·         Come mai e qui? Chiesi a lei, mentre lo stallone si avvicinava a noi.

·         Non ti ha mai dimenticato in tutti questi anni. Tra voi due, si e creato un legame molto stretto, per questo e qui. Non molto tempo fa, il guardiano di questa foresta e morto, e questo giovane stallone e venuto da me per prendere il suo posto.

·         Che cose un guardiano della foresta? Chiesi io curioso.

·         Il guardiano della foresta, e un animale che io scelgo. Lui ha il compito di mantenere la pace e proteggere tutti gli animali, di queste terra. io non posso essere da per tutto, per questo ho bisogno di un aiuto ogni tanto. Diventare guardiani della foresta, vuol dire assumersi quel compito. E per farlo la foresta ti da un aiuto. Come vedi e molto più grande di un cavallo normale, ma e anche più intelligente e vivrà molto di più, all’incirca come te.

·         Certo che e sorprendente. Non avevo mai visto un animale emanare questa presenza opprimente e reale. Li dissi mentre accarezzavo il muso del cavallo.

·         E difficilmente ne vedrai altri. Li ho chiesto di seguirti e di accompagnarti nel viaggio che intraprenderai nella tua vita. Spero che lo tratterai come un compagno fedele, e lo considerai un buon amico. Perché lui per te ci sarà sempre. Nella sua assenza ci occuperemo io e le mie sorelle dei suoi doveri, quindi spero apprezzerai il nostro regalo.

·         Non so che dire, e più di qualunque cosa io potessi mai desiderare. Come si chiama?

·         Lui e Thalion, abbine cura per me. Mi disse prima di darmi un ultimo bacio e scomparire tra gli alberi.

   Rimasi da solo con lui, li accarezzavo il muso e la criniera finché lui non mi diede un piccolo colpo con la testa invitandomi a salire. Con un salto, li saltai in groppa, e misi la sacca davanti a me. Con le mani mi tenevo alla sua criniera, e quando fui pronto lui comincio a galoppare.

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