Keiran: il lupo rosso di tectonik978 (/viewuser.php?uid=883970)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 1 *** 1 ***
Capitolo 1
Mi
chiamo Keiran Nightingale, e sono un…, e difficile
trovare una vera definizione, per quello che sono diventato nel corso
della mia
vita, quindi lascerò a voi il compito di immaginarvi un
nome. Sto per
raccontarvi la mia storia è di quelli che mi hanno
conosciuto, amici o nemici.
Appartengo a una
delle tante tribù di Lycan sparse per il continente. Siamo
una delle poche
razze senzienti che popolano il nostro mondo. I Lycan sono un popolo
solitario,
non amano radunarsi in una nazione o unirsi alle altre razze che invece
hanno
deciso di costruirsi i loro paesi. Le nostre tribù sono
sparse essenzialmente nelle
più grandi foreste del mondo. Ogni tribù ha un
numero di Lycan abbastanza
piccolo dai duecento a cinquecento abitanti, per questo le altre razze
più
numerose come gli umani e gli deva a volte dimenticano persino la
nostra
esistenza.
Siamo
molto legati alla natura, tanto che
persino i nostri corpi hanno subito un cambiamento per adattarsi molto
bene a
quel ambiente. Al contrario dei umani che hanno sempre cercato a
cambiare
l’ambiente circostante per adattarsi meglio e per agevolare
il loro stile di
vita, noi Lycan abbiamo fatto la stessa cosa con i nostri corpi.
Non
si sa quando ma ha un certo punto nella
nostra storia, sono cominciati a nascere dei bambini ibridi di umani e
lupi. Al
inizio la cosa fu preoccupante, perché la gente si ritrovava
figli con una
corporatura umana ma dalle sembianze di un lupo, con pelliccia,
artigli, coda e
persino un muso. All’inizio questi ibridi furono allontanati
e persino uccisi,
per la paura di quello che potevano rappresentare o semplicemente per
l’ignoranza che mostravamo nel non sapere quello che stava
succedendo.
Con
gli anni sempre più famiglie davano alla
luce dei ibridi, fino a quando questi non sostituirono del tutto gli
umani da
cui discendiamo. Con il passare delle generazioni siamo riusciti a
trovare un
equilibrio tra la nostra parte umana e quella selvaggia, imparando a
cambiare la
nostra forma a nostro piacimento. Fu in questo periodo che abbiamo
assunto il
nome di Lycan.
La nostra forma
selvaggia ci permisero di sopravvivere facilmente nella foresta, ed a
collegarci ad essa come nessun’altra specie. Avendo ricevuto
dalla natura delle
armi come gli artigli e le zanne, abbiamo deciso che come
ringraziamento per
questo donno di abbandonare per sempre le armi, ed allenare e sfruttare
al
meglio i nostri sensi e il nostro corpo per sopravvivere in quel
ambiente
selvaggio.
Ogni popolo ha
bisogno di un’abilita o uno strumento con cui combattere
contro chi li
minaccia, gli umani avevano dalla loro parte il numero e le armi.
Vivendo una
vita abbastanza breve, la natura li ha resi estremamente fertili, per
questo
attualmente sono la razza più diffusa sul nostro continente.
Al
contrario i deva hanno dalla loro la longevità
ed i poteri dei cinque elementi eterni: l’acqua, il fuoco, la
terra, l’aria e
lo spirito. Ma al contrario dei umani e dei Lycan, sono decisamente
poco
fertili. Nella loro lunga vita le femmine deva, possono al massimo
partorire
due, tre volte nella vita. E ancora peggio non possono nemmeno
programmare
l’arrivo di un figlio. Le donne deva, diventano fertili per
la prima volta
verso i ventiquattro, venticinque anni, ma solo per un brevissimo
periodo, e il
processo si ripete ogni dieci anni circa, fino al compimento dei
duecentocinquanta anni.
L’ultima
delle
razze senzienti che popolano queste terra sono le ninfe. Al contrario
dei deva,
umani e Lycan, le ninfe sono molto più speciali. Le ninfe
sono la
personificazione stessa della natura, o almeno di un suo ambiente. Come
ad
esempio una foresta oppure un fiume o una montagna. Sono essenzialmente
tutte
delle bellissime fanciulle, con poteri mistici sconosciuti e
pressoché
immortali, fino a quando il loro ambiente e in vita.
E
infine ci siamo noi i Lycan. Come ho già
accennato siamo dei ibridi, e per questo abbiamo sia caratteristiche
umane sia
quelle di un lupo. Abbiamo la stessa longevità dei umani e
la stessa capacita
di riprodurci. Ma al contrario di loro, siamo molto bellicosi, e
vivendo in
ambienti molto pericolosi, e per questo motivo il nostro numero e
sempre
limitato. La nostra parte lupo, ci ha donato invece dei sensi
sviluppatissimi,
come quelli di un animale predatore. Ma anche gli artigli e le zanne,
che
usiamo per cacciare. Essendo per metta animali, siamo la razza
più forte e più
veloce di tutte, e da trasformati questo divario di forza e persino
più grande.
Come
ho già detto il mio popolo ha abbandonato
le armi come strumenti di caccia e di combattimento, arrivando persino
a
considerarle un tabù o un reato se qualcuno le usava per
questi scopi. Per
compensare questa mancanza di armi, abbiamo sviluppato e raffinato
diversi
stili di combattimento corpo a corpo, che ci permettono di cacciare e
affrontare avversari che brandiscono qualunque tipo di armi. Un ultimo
dettaglio importante che riguarda il mio popolo sono i capelli.
I capelli per
noi
sono più di un simbolo, sono un marchio che ci portiamo
dalla nascita fino alla
morte. Tutti i Lycan hanno i capelli scuri che vanno dal castano ad un
nero
assoluto. Anche questi colori sono un frutto della nostra evoluzione
che ci ha
permesso di cacciare di notte e mimetizzarci con le ombre. Come dicevo
il
colore dei nostri capelli e molto importante, più e scuro
più il Lycan sarà
forte e veloce, per questo quasi tutti i nostri capi erano Lycan dai
capelli corvini,
cosi come anche tutti i loro consiglieri. Sfortunatamente ne nascevano
ben
pochi di bambini dai capelli neri, una decina per ogni generazione.
I capelli li
portiamo
tutti lunghi, non per una tradizione o un gesto simbolico, ma solamente
per
praticità. Quando ci trasformiamo i nostri capelli crescono
fino a una
lunghezza ben precisa, quindi se anche lì si tagliassero
nella forma umana
questi tornerebbero alla loro lunghezza iniziale alla prima
trasformazione.
Il
capo tribù e quasi sempre un Lycan dai
capelli neri, ma non si decide quella posizione sono in base al colore.
Quando
un capo tribù comincia ad invecchiare, ogni due anni si
organizza un torneo nel
quale possono partecipare tutte le persone che hanno compiuto i
diciotto anni,
sia uomini che donne. Al vincitore del torneo viene concessa la
possibilità di
sfidare il capo, e se riesce a sconfiggerlo prende il suo posto.
E
in uno di questi tornei che mio padre
guadagno quella carica, e divenne il leader della nostra
tribù, all’età di
diciotto anni, fu uno dei capi più giovani che la nostra
tribù ha avuto nelle
ultime generazioni.
Fisicamente
tutti gli Lion hanno una
muscolatura ben definita grazie agli allenamenti a cui ci sottoponiamo
ogni
giorno, ma e anche asciutta. Il nostro corpo viene allenato in modo da
sfruttare il massimo della nostra potenza fisica ma allo stesso tempo,
quei
muscoli non devono impedire la nostra velocita, agilità e
flessibilità.
Come
ho detto siamo un popolo molto bellicoso,
ci piace combattere sia amichevolmente tra di noi per migliorarci, sia
contro i
nostri nemici. Grazie a questa indenne bellicosa, molte nostre
tribù hanno
cominciato a lavorare come mercenari con gli umani ed i deva. Ogni
Lycan che
accetta di diventare mercenario deve pero mantenere un giuramento,
quello di
non mostrare mai ad un estraneo la nostra forma selvaggia.
La
nostra tribù era situata nella Foresta Nera,
nel regno di Alberon la nazione dei. Questa foresta aveva una terribile
reputazione, essendo popolata da diverse belve feroci, tra cui noi, e
per
questa ragione era considerata un posto di morte, e quasi nessun umano
aveva il
coraggio di addentrarsi. Ed i pochi sfortunati che ci entravano,
facevano una
brutta fine. Potevano morire sbranati dai animali, oppure cadere
vittima dei
incantesimi delle ninfe, e se riuscivano ad avvicinarsi al nostro
territorio,
morivano per mano nostra.
Mio padre si
chiamava Aaran Nightingale e come ho accennato prima era il capo della
nostra
tribù. Era il guerriero più forte e veloce che al
momento abitava in quelle
foreste. Ad eccezione di una persona, mio padre non aveva mai perso un
combattimento contro nessuno. Quella persona era mia madre, la donna
più bella
e più forte che ogni uomo potesse desiderare. Il suo nome
era Leah Nightingale,
e anche lei come mio padre era una dei pochi Lycan dai capelli neri.
Sposando
mio padre sfortunatamente non ha mai
avuto l’occasione di sfidarlo per il ruolo di capo
tribù, anche se a lei quella
carica non era mai interessata. I miei genitori avevano solamente
vent’anni
quando hanno avuto me, e la mia nascita diede una grande scossa a tutta
la mia
tribù.
Nacqui
nel primo giorno di febbraio, sotto la
luce di una luna rosso sangue, e nel giorno più freddo
dell’anno. Il destino ha
voluto che il colore di quello bellissima luna in cielo, si
rispecchiasse nei
miei capelli e occhi. Nessuno nella nostra storia ha mai avuto quel
colore,
ogni tanto anche se molto raramente poteva nascere un bambino Lycan
biondo
scuro, ma uno con i capelli rossi era una assolta novità.
Le
anziane che avevano aiutato mia madre a
farmi nascere, quando videro i miei capelli e occhi rimasero
spaventane. Da lì
ha poco la notizia si sparse in tutta la tribù e in poche
ore davanti a casa
nostra quasi un centinaio di persone si raduno. In molti urlavano che
la mia
nascita era un segno di sventura o sciagura, altri suggerivano di
portarmi nel
cuore della foresta e abbandonarmi li nella balia dei animali.
A
quelle parole mio padre esplose per la
rabbia e sfido chiunque mettendo in gioco la sua carica, il vincitore
avrebbe
ottenuto la nomina del capo, e in quel caso la nostra famiglia avrebbe
abbandonato la tribù, invece se mio padre riusciva a
sconfiggere i suoi
sfidanti questo dovevano starsene zitti e continuare le loro vite. Per
le
successive settimane mio padre accetto tutte le sfide che li venivano
lanciate,
riuscendo a vincerle tutte, e mettendo tacere tutti gli abitanti della
tribù.
Mia
madre decise di chiamarmi Keiran, e sia
lei che mio padre provavano per me un amore che trascendeva la mia
piccola
diversità. Per i primi anni della mia vita fui una continua
sorpresa per i miei
genitori. Da quello che mi hanno raccontato ho detto le mie prime
parole all’età
di dieci mesi, per poi cominciare a correre per la nostra casa
già ad un anno.
Si resero subito conto che ero molto intelligente molto più
dei altri ragazzi
della mia età.
Crescendo
mi resi conto che mostrare alla
gente quanto ero intelligente, non faceva che aumentare la diffidenza
che già
mostravano verso di me, e per non dare altre preoccupazioni ai miei
genitori
cominciai a osservare i ragazzi della mia età e a
comportarmi come loro. Purtroppo
mentre imitavo i bambini della mia età scopri la
più grande diversità tra me e
il resto della mia gente. Al contrario dei altri ragazzini io ero
debole, in
termini di forza ma allo stesso tempo molto più agile e
veloce di loro.
Il nostro
villaggio come ho già accennato era nel cuore della Foresta
Nera. Solo il
centro del villaggio era sprovvisto di alberi, il resto delle case
erano
costruite in modo da integrarsi perfettamente con la foresta. La
tribù era
sparsa in un raggio di qualche chilometro, in modo che ogni famiglia
avesse i
suoi spazi. La nostra casa era vicino al centro ed era enorme. Veniva
usata
dalla famiglia di ogni capo tribù, ed ormai era molto
antica. L’albero intorno
al quale era costruita, doveva avere molti secoli ormai, ma era ancora
in forze
e ben sviluppato. Le altre case della tribù, erano costruite
intorno ad un
albero antico. Tranne la piazza della tribù, che era deserta
da vegetazione. Di
solito nel mezzo della piazza si accendeva il fallo nei momenti di
festa,
oppure per cremare i nostri morti.
La piazza veniva
usata anche per un altro scopo. Era il posto ideale dove addestrare i
piccoli
Lycan, o svolgere i vari tornei di lotta. E in alcune serate, sentire
le nostre
donne suonare gli strumenti musicali e cantare con le loro voci
d’angelo.
La
trasformazione
nella nostra parte selvaggia avveniva casualmente già da
quando eravamo
neonati. Quando siamo stressati, arrabbiati o proviamo emozioni molto
forti ci
trasformiamo per istinto. Servono molti anni di meditazione e di
autocontrollo
per riuscire a controllare la trasformazione, e persino riuscire a
modificare
solo alcune parti del nostro corpo. Come ad esempio, far spuntare
solamente gli
artigli, o risvegliare i nostri sensi.
Per quando
riguarda me, io adoravo rimanere nella mia forma selvaggia, sentire i
miei
sensi al massimo, e riuscendo a percepire tutto quello che mi
circondava, e in
speciale andavo matto per la mia folta coda. Uno dei miei passatempi
preferiti
nell’infanzia, mentre ero trasformato era arrampicarmi su
ogni albero, oppure
correre a più non posso nella foresta.
Al
compimento dei miei cinque anni di età,
cosi come tutti i piccoli Lycan della stessa età, li si
cominciarono ad
insegnare le tecniche di combattimento e della caccia. Solidamente
tutti i
ragazzini più o meno della stessa età, venivano
radunati tutti insieme intorno
ad uno o più anziani oppure un insegnante scelto dalla
tribù. Loro avevano il
dovere di insegnare ai piccoli i primi passi nel mondo del
combattimento corpo
a corpo.
Sfortunatamente
sia per le proteste dei
genitori, che per il disgusto che i miei coetanei mi mostravano, non
fui
accolto nel gruppo, e quindi tocco ai miei genitori a prepararmi. Fu
più o meno
in questo periodo della mia vita che mi resi conto di quanto il mondo
poteva
essere crudele.
I miei genitori,
essendo i leader della nostra gente, non avevano moltissimo tempo da
dedicarmi.
Era sempre occupati in qualche situazione che chiedeva la loro
attenzione. E le
cose peggioravano ancora di più quando scoprirono quanto ero
debole
fisicamente, rispetto agli altri. Una sera quando io ormai dovevo
essere a
dormire, senti i miei genitori parlare preoccupati. Dicevano che ero
debole
come un deva, anche se a quel tempo non sapevo cosa era veramente un
deva, ma
da tono con cui l’ho disse mio padre sembrava una creatura
molto debole.
Non mi persi
d’animo, da quando ho ricordo, sono sempre stato molto
testardo, e sentendo
quelle parole in me era nato un sentimento di sfida. Volevo dimostrare
a tutti
che si sbagliavano sul mio conto, e quando sarei diventato forte avrei
richiesto il loro rispetto.
Imparai
ben presto che non sarebbe mai stato
facile come avevo pensato. Appena avevano un po di tempo i miei
genitori mi
insegnavano passo per passo le tecniche di combattimento corpo a corpo.
Pretendevano da me il massimo impegno, attenzione e disciplina. Avendo
poco
tempo a disposizione con loro dovevo memorizzare subito ogni piccolo
movimento,
perché non me lo mostravano una seconda volta.
Memorizzare quei
schemi e tecniche di combattimento, non era un grosso problema. Il vero
problema
era metterle in pratica e insegnare al mio corpo ad eseguirle. Essendo
tutte
tecniche in cui si impiegava la forza, per me eseguirle era assai
difficile. E
di questo dettaglio non furono solo i miei genitori a rendersene conto.
Per aiutarci a
migliorare e metterci alla prova, tutti i ragazzi di ogni
età ogni tre mesi
dovevano partecipare a un piccolo torneo tra i coetanei. Purtroppo per
questa
attività non fui tenuto in disparte, e nel mio primo torneo
tutta la tribù
scopri quanto potevo essere debole.
Sui visi della
maggior parte del pubblico, si intravedeva un sorriso di soddisfazione,
e nei
occhi dei altri ragazzi, una consapevolezza di aver trovato una preda
da
sbranare. E cosi fu. Da quel torneo ogni volta che i miei genitori non
erano
nei paraggi, gli altri piccoli Lycan si divertivano a darmi la caccia.
Anche se
ero più veloce di loro a scapare, loro riuscivano sempre ad
accerchiarmi e a
prendermi. Gli insegnamenti di caccia che venivano insegnati loro, li
usavano
per me.
Ogni sera
tornavo
a casa con dei nuovi graffi, lividi o ossa inclinate. E ogni sera i
miei
genitori non dicevano niente. Vedevo nei loro sguardi la tristezza e la
rabbia per
quello che mi stava succedeva, ma sapevo benissimo da solo che non
potevano
fare niente per aiutarmi. In fin dei conti eravamo metta animali, se
non
imparavi a sopravvivere da solo, non si aveva diritto di far parte
della tribù.
Questa legge valeva anche per le litte dei bambini, te la dovevi sempre
cavare
da solo. E cosi ogni mattina, anche se ero dolorante e sofferente, mi
alzavo
dal letto e cominciavo i miei esercizi. Se mai volevo prendermi la
rivincita
per tutte quelle ingiustizie, dovevo diventare più forte, e
per farlo dovevo
allenarmi il più possibile.
E cosi feci,
ogni
mattina mi svegliavo prima di tutti, per fare i miei esercizi per
rafforzare il
mio corpo, e quando finalmente i miei si mettevano in piedi, li
supplicavo di
insegnarmi qualcos’altro. Anche scapare e incassare le botte
dei ragazzini ben
presto divenne un ottimo allenamento per me. E dopo mesi quando
finalmente
riuscì ad atterrare di loro, le cose peggiorarono di nuovo.
Avendo riagito e
persino ferito uno di loro, gli altri si erano vendicati a dovere,
andandoci
molto più pesante rompendomi persino un braccio. Quella sera
quando rientrai a
casa, mia madre alla vista del mio braccio si spavento, al contrario
mio padre
noto solo il mio sorriso di compiacimento e il furore che avevo nei
occhi.
Penso che quella volta lo vidi per la prima volta orgoglioso con tutto
sé
stesso di me.
Il
braccio ci mise quasi un mese a guarire del
tutto, e tutto grazie alle cure che mi diede mia madre. Leah
Nightingale era
un’ottima curatrice, specializzata nel velocizzare il
processo di guarigione
tramite i punti di pressioni del nostro corpo. Anche con il braccio
fuori uso,
non trascurai i miei allenamenti, e nemmeno i miei
“amici” trascuravano di
darmi problemi.
Scopri presto
che
gli allenamenti su di me avevano un effetto tranquillante. Riuscivano a
prendermi interamente, isolandomi da quello che mi circondava. Lo
stesso
effetto mi facevano le meditazioni, era forse l’unica pratica
che i miei
genitori mi avevano insegnato è nella quale ero portato. Ci
misi pochissimo ad
imparare a controllare la mia trasformazione, e le mie emozioni.
Ormai erano
passati quasi quattro anni da quando avevo cominciato
l’addestramento, e non
ero ancora riuscito ad arrivare al livello dei miei coetanei. La mia
forza
fisica continuava ad essere inferiore a quella di un normale Lycan, ma
al contrario
la mia velocita era di gran lunga superiore. L’unica
disciplina che mi
avvicinava a loro anche lontanamente era la caccia.
Dopo tutti quei
anni di botte il mio corpo, era già segnato con molti segni
di graffi e zanne ed
avevo già collezionato un bel po’ di ossa rotte,
ma allo stesso tempo mi ero irrobustito
e avevo imparato a sopportare molto bene il dolore.
Non avevo
passato
tutto il mio tempo nei allenamenti e nella caccia, ho dovuto anche
imparare
molte altre discipline, come ad esempio riconoscere la maggior parte
delle
piante che si trovavano nella Foresta Nera. Anche lo studio delle
stelle era
una cosa fondamenta per riuscire ad orientarsi. Avevo cominciato
persino a
imparare le tecniche di mia madre nel preparare medicinali e trovare i
punti di
pressione. Nelle discipline dove dovevo usare la testa non ero secondo
a
nessuno, ma la preoccupazione principale dei miei era comunque la mia
preparazione nel combattimento.
I miei genitori
ormai non sapevano più che cosa insegnarmi in modo che
riuscissi finalmente a cavarmela
da solo. Era ormai rimasta una sola arte di combattimento da provare.
Fu in
questo periodo che mia madre comincio ad insegnarmi l’arte
assassina, basate
principalmente sulla furtività e velocita, piuttosto che
sulla forza.
Erano tecniche
di
combattimento per lo più femminile, che venivano insegnate
solo alle ragazze
molto deboli, ma in sostanza la conoscevano tutte le donne. Per questo
insegnarla ad un maschio era segno di debolezza e del fallimento come
Lycan. Ma
visto che le altre non si adattarono molto bene al mio corpo, quella
era
l’unica possibilità che mi rimaneva. Sapevo
già che se avessi mai usato quella
arte in un combattimento, tutta la tribù mi avrebbe deriso,
e ancora peggio
avrebbe messo in ridicolo i miei genitori.
Finalmente stavo
scoprendo un stile di combattimento molto adatto a me. Si bassava
principalmente su movimenti molto fluidi quasi senza rumore, da usare
per
prendere il tuo avversario alle spalle oppure per ucciderlo ancora
prima che
lui se ne accorga. Tra queste tecniche cera anche la cancellazione
della
propria presenza, della quale fui subito affascinato. In questo stile
di
combattimento, cerano anche tecniche per affrontare un avversario
faccia a
faccia, se riuscivi a muoverti velocemente e con morbidezza, potevi
sfruttare
la potenza del attacco del tuo avversario contro sé stesso.
Fu così che mi
dedicai in quella arte quasi interamente, ma senza pero scordare anche
le altre
tecniche che mio padre aveva faticato ad insegnarmi.
Nei tornei e di
fronte alla gente continuavo sempre a usare le tecniche basate sulla
forza,
arrivando sempre allo stesso risultato, cioè perdere contro
tutti. Pero in
privato stavo cominciando a migliorare nel cancellare la mia presenza
ed a
muovermi con furtività. Erano tecniche molto utili,
specialmente se non volevi
farti trovare da una banda di ragazzino, oppure se provavi a scapare da
loro.
Passai tutto
quel
anno ad impegnarmi al massimo, in tutte le tecniche che i miei mi
stavano
insegnando. La maggior parte della gente aspettava con impazienza il
mio decimo
compleanno, quasi tutti tranne i miei genitori. Si stava avvicinando la
prova
decisiva che avrebbe deciso se ero degno di farmi chiamare Lycan
oppure se
era arrivata l’ora della mia morte.
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Capitolo 2 *** 2 ***
Capitolo 2
All’età
di dieci
anni, e dopo cinque anni di addestramento, ogni giovane Lycan doveva
sottoporsi
ad una prova che testava le sue capacità di sopravvivenza.
La prova consisteva
nel sopravvivere sei mesi interamente da soli in mezzo alla natura con
solo gli
abiti addosso. Sfortunatamente io compievo i miei dieci anni a
febbraio, nel
cuore dell’inverno quando esso era più freddo e
violento.
Prima
di intraprendere quella lunga missione,
dovevo fare un’ultima cosa. In quell’impresa avrei
avuto bisogno di vestiti
molto pesanti, e i miei ormai erano sia abbastanza piccoli che ridoti
un po’
male dalle continue risse. Per questo motivo mia madre aveva intenzione
di
portarmi con lei a raccogliere il filo con il quale si tessevano i
nostri
vestiti.
Avendo come armi
principali gli artigli, la nostra gente aveva sempre cercato un
materiale molto
resistente ai graffi e ai tagli, ma doveva essere anche molto
flessibile in
modo da non limitare i nostri movimenti. Quindi un’armatura
in ferro, per noi
era fuori discussione. Così dopo molti tentativi abbiamo
trovato quello che
cercavamo.
Il materiale che
cercavamo l’ho trovammo nel fillo di un ragno. Avevo gia
specificato che la
Foresta nera era un luogo molto pericoloso, in cui si trovavano belve e
creature abbastanza insolite, questo ragno era una di esse. Veniva
chiamato
Atrax, ed era giusto definirlo il re della sua specie.
Essendo ancora
un
cucciolo, non mi era stato ancora permesso di allontanarmi dalla
tribù per
conto mio. Le uniche eccezioni erano quando andavo con mio padre a
caccia,
oppure quando mia madre mi insegnava a riconoscere le piante, quindi
quella fu
la prima volta che incontravo quel animale.
Faceva il nido
in
una caverna sotterranea, molto buia e umida. Scendemmo fino a quando
anche
l’ultimo spiraglio di luce non ci abbandono, e fino a quando
persino con la mia
vista sviluppata non riuscivo più a vedere niente. Riuscivo
a seguire mia
madre, basandomi solo sul suo odore e il rumore dei suoi passi, ma
questo non
basto per non finire nella ragnatela di quel ragno. Il ragno
l’aveva tessuta in
modo da coprire interamente tutta l’apertura della caverna, e
io mi ci ero
appiccicato, e più provavo a liberarmi più mi si
stringeva intorno. Non avevo
di certo la forza per spezzare quei fili, e i miei artigli non
riuscivano a tagliarli.
Quando finalmente mi calmai, capi di non
sentire più la presenza di mia madre, e al suo posto sentivo
muoversi qualcosa
attraverso quelli fili. Rimassi immobile per la paura trattenendo
persino il
fiato. Ad un tratto mi senti sorpassare, e percepivo la presenza di
qualcosa
d’avanti a me. Non vedevo niente, quindi non potevo sapere
quello che stava
succedendo. Al contrario sentivo benissimo che qualcosa mi stava
fasciando i
piedi con immobilizzandomi ancora di più. Continuo fino a
quando non mi arrivo
fino al petto. In pratica aveva creato un bozzolo intorno al me. Il mio
sangue
era del tutto congelato e io mi stavo quasi per arrendere.
Solo quando il
bozzolo arrivo al mio colo, senti finalmente mia madre che comincio ad
attaccare la cosa che dovevo avere d’avanti. Riuscivo a
sentire solo i versi di
dolore della creatura, mentre si stava lentamente allontanando da me, e
andava
verso l’uscita. Qualche istante più tardi senti un
strillo agghiacciante prima
che tutto cadesse in un silenzio tombale.
Fu solo quando
mia
madre mi parlo all’orecchio che io cominciai di nuovo a
respirare. Con un
coltello comincio a tagliare il bozzolo in cui ero imprigionato. Quando
finalmente mi libero, con voce severa mi ordino di uscire, mentre lei
raccoglieva tutto il filo della ragnatela. Sapevo di essere in guai
grossi.
Prima di entrare mi aveva avvertito di stare sempre dietro di lei e
tenere le
orecchie aperte. Mentre io ero andato avanti e avevo combinato quel
piccolo
pasticcio.
Quando usci
dalla
caverna, aveva in spalle il grosso bozzolo nero e dentro di
sé un enorme
ragnatela dello stesso colore. Mi beccai subito uno ceffone in piena
guancia, e
subito dopo una carezza sulla testa e un bacio sulla fronte. Io per la
vergogna
abbassai la testa, non per il fatto che non ero riuscito ad eseguire
quelle
poche indicazioni che mi aveva dato. Oppure per non essere riuscito a
combinare
niente, ma per il semplice motivo di aver spaventato mia madre a morte.
Si
riusciva ancora a vedere sul suo volto la preoccupazione e il terrore
che aveva
provato.
Quindi per farmi
rendere conto di quello che avevo rischiato mi mostro un enorme
carcassa, poco
lontano da li. Appena la vidi divenni pallido come la nave. Davanti ai
miei
occhi avevo il corpo di un ragno mostruoso. Era grosso come una
persona, e le
sue falci come minimo avrebbero potuto inghiottire un bambino senza
problemi.
Era orribile, le zampe cosi come la testa erano coperte di una
sottilissima
peluria nera, mentre il corpo era ricoperto di placche dure come
l’osso, che
proteggevano i suoi punti vitali. Tra due placche notai un foro delle
dimensioni di una mano, e dentro cera il cuore del ragno fatto a pezzi.
Mia
madre doveva aver colpito quel punto con una forza e velocita
incredibile, per
non parlare che doveva aver sfoderato i suoi artigli.
Quando
finalmente
riuscì a staccare gli occhi da quel ragno, ci incamminammo
verso la tribù.
Quella sera mi beccai un'altra ramanzina da mio padre, una volta che
aveva
sentito come era andata. E come se non fossi abbastanza stanco, mi
beccai anche
una lunga lezioni dei animali più pericolosi di quelle
foreste. È quella
lezione continuo per tutta la successiva settimana.
Per il mio
compleanno quel anno ricevetti un po’ di cose. Per iniziare
mi regalarono un
nuovo paio di stivali, per poi continuare con due paia di pantaloni,
due
canottiere su misura e una tunica pesante con una cintura. E infine
tiro fuori
un lungo cappotto che mi arrivava fino ai polpacci, e con il cappuccio.
Tutti
quei vestiti erano neri così come era anche il filo di ragno
con il quale erano
stati tessuti. Per questo quasi tutti i Lycan vestivano di nero,
dipingere il
filo e farli cambiare colore, richiedeva molta fatica, quindi a meno
che un
vestito non dovesse essere usato per un’occasione speciale
non ci si provava
nemmeno a darli un altro colore.
Tutti quei
regali
erano anche per la mia partenza per il giorno dopo. Si vedeva
chiaramente che
erano tutti e due molto preoccupati e spaventati per quello che mi
poteva
capitare nei prossimi sei mesi. Già per un giovane Lycan
normale, quella prova
era assai rischiosa, e in molti ogni anno non ce la facevano. Per me
che ero
molto più debole dei altri in pratica era
pressoché una condanna a morte.
Festeggiamo quel giorno con allegria. Mia madre mi preparo tutti i miei
piatti
preferiti, mentre mio padre passo tutto il giorno con me a giocare ed a
raccontarmi le sue battaglie.
Così
il due di
febbraio io mi addentrai nella foresta con indosso solo i miei vestiti
e un
coltellino da cucina da usare per pulire gli animali, che avrei dovuto
cacciare.
La foresta era interamente ricoperta di neve, mi arrivava fino alle
ginocchia.
Ad accompagnarmi fu mio padre, non voleva rischiare a mandarmi con
qualcun
altro. Viaggiamo attraverso la foresta e la neve per ben due giorni,
fino a
quando secondo lui ero abbastanza lontano da casa. Mi saluto con un
bacio sulla
fronte prima di partire, e mi disse le ultime raccomandazioni e che mi
avrebbe
aspettato in estate a casa.
Passai il resto
della giornata nel cercare qualche animale con cui cenare e sfamarmi.
Mio padre
prima di andarsene si era preso tutte le nostre scorte, e i aveva
lasciato
senza niente. Purtroppo quel giorno non riuscì né
a fiutare né a vedere nessun
animale da cacciare. Cosi prima che il solo tramontasse mi arresi e
cominciai a
cercare della legna per accendere un fuoco con cui riscaldarmi.
Riuscì ad
accenderne uno giusto prima del tramonto, ma era piccolissimo
abbastanza da
riscaldarmi le mani. E come se quella giornata non potesse andare
peggio, le
temperature scesero di botto, e un vento gelido e tagliente mi colpiva
da tutte
le parti.
Fu una
notte tremenda nella quale non riuscì a chiudere
un’occhio per via del rumore
che i miei denti facevano mentre battevano, nemmeno la pelliccia che mi
cresceva quando mi trasformavo era riuscita a proteggermi dai venti
freddi e le
basse temperature. Con il sorgere del sole decisi di darmi da fare, se
non
altro muovermi mi riscaldava. Cercai dei lunghi e robusti rami lunghi
più o
meno due metri, quelli che non trovavo per terra o sotto la neve li
rompevo dai
alberi. Una volta che ne raccolsi diversi ne presi uno leggermente
più robusto
e alto. Con il mio piccolo coltellino scavai una buca dove infilai il
ramo più
lungo e lo fissai saldamente. Sempre con il coltello andai a tagliare
delle
lunghe e spesse strisce di corteccia che usai per legare gli altri rami
a
quello che avevo impalato. Li legai in cima e li misi uno vicino al
altro in
modo da formare un cono con una piccola apertura su un latto per poter
entrarci.
Sempre
con il coltellino tagliai abbastanza
corteccia da rivestire l’intera tenda di legno che stavo
costruendo. E quando
finalmente fini lo ricopri interamente di neve per isolarla ancora di
più dal
freddo. Quando fini era quasi sera, e io non avevo ancora mangiato
niente e per
di più ero stanco morto. Avevo mantenuto vivo il fuoco per
tutto il giorno cosi
prima di rifugiarmi nella mia nuova casa lo portai
all’interno per riscaldarmi
meglio. Quella notte la passai al caldo e beatamente con
l’unica preoccupazione
di svegliarmi ogni tanto per alimentare il mio fuoco.
Il
giorno dopo mi risvegliai riposato e
riscaldato con l’obiettivo di mettere qualcosa nello stomaco.
Prima di
allontanarmi raccolsi un tronco e con il coltello scavai un piccolo
buco nel
quale missi della brace. In questo modo la brace consumava lentamente
il tronco
e io non dovevo poi faticare ad accendere un altro.
Se
si sapeva cercare attentamente, del cibo lo
si poteva trovare abbastanza facilmente, serviva solamente molta
fortuna. La
mattinata la passai nell’esplorare la zona circostante al mio
accampamento,
trovai diverse tane di coniglio a cui missi delle trappole. Nel
pomeriggio
raccolsi qualche castagna e altre proviste che gli scoiattoli avevano
messo da
parte. Non erano un pasto abbondante ma doveva darmi qualche energie.
Quando
verso sera fini la mia perlustrazione
trovai finalmente un ruscello, e prima di ritornare alla mia tenda
controllai
le mie trappole nella speranza di trovare la cena, sfortunatamente non
cera
nemmeno l’ombra di un coniglio. Quella notte andai a dormire
con il rumore del
mio stomaco che brontolava visto che non li erano bastate le castagne
che avevo
trovato.
Nell’attesa
che qualche trappola scattasse io
mi ero tagliato un bel mucchio di strisce di corteccia e portate nella
mia
tenda, dove al caldo cominciai a costruire delle trappole per i pesci.
Me
l’aveva insegnato mio padre, in pratica si costruiva dei
contenitori cilindrici
con un buco ad una estremità, per entrare il pesce era
facilitato dalla
corrente, quindi riusciva ad allargare il buco. Ma una volta al interno
il buco
tornava normale e il pesce non riusciva più ad uscire. Ne
costruì parecchie e
verso sera andai a piazzarle nel piccolo fiume che avevo trovato.
Entrare
scalzo in quelle acque gelide fu una vera tortura, ma riuscì
a piazzarle nel
modo giusto.
Mentre
ritornavo al mio accampamento,
ispezionai di nuovo le mie trappole per i conigli, e finalmente dentro
uno di
esse cera una bella preda. Quella sera feci quasi un vero e proprio
banchetto
con la carne del coniglio, e finalmente dormi sia al caldo che con la
pancia
piena.
Il resto
dell’inverno non assai più buono me. Mi sfamavo a
malapena con quello che le
mie trappole riuscivano a prendere. Ma non fu il cibo ad essere il mio
problema
principale. Molti animali erano andati in letargo in quella stagione,
ma
altrettanti erano ancora in giro per la foresta in cerca di una bella
preda. E
di sicuro un cucciolo di Lycan come me era molto invitante. Passai
molte
giornate e notti in cima agli alberi cancellando la mia presenza per
riuscire a
sfuggire a questi animali. È il tempo non era decisamente
dalla mia parte.
Molte notti avevo pensato che sarei morto assiderato, ma in qualche
modo grazie
alla mia pelliccia mi ero salvato.
Con
l’arrivo della
primavera, la neve comincio a sciogliersi e gli animali a uscire dal
loro
letargo permettendomi di trovare il cibo più facilmente. E
con grande sollievo
anche le temperature cominciarono a salire. Alcune notti faceva ancora
molto
freddo, ma niente in confronto a quelle invernali.
Riuscendo a
cacciare e a procurarmi il cibo più facilmente, in poco
tempo ritornai
perfettamente in forma e riuscivo persino a trovare il tempo per
allenarmi. In
verità gli allenamenti non erano proprio necessari visto che
tutto quello che
avevo imparato lo ripetevo mentre cacciavo. Muoversi in modo furtivo e
cancellare la propria presenza, combinati ad attacchi veloci e letali,
erano
un’ottima arma per cacciare. Mi permettevano di confrontarmi
con animali molto
più grossi di me, con i quali in uno scontro diretto non
avrei avuto nessuna
possibilità.
Quella prova e
il
vivere nella natura più selvaggia, piano piano mi stava
cambiando. Con il
passare dei giorni e delle settimane, stavo diventando sempre
più veloce e
vigile, ed i miei sensi erano sviluppati che mai. Ormai ogni notte
quando
dormivo, se nelle vicinanze si avvicinava una belva, riuscivo a
percepire la
sua sette di sangue e presenza molto prima che mi raggiungesse. E
furono
proprio questi sensi che mi salvarono la vita una sera.
Era appena
tornato
dal fiume, dove avevo pulito un pesce e stavo tornando alla mia piccola
tenda
per cucinarlo e andare a dormire. Mentre tornavo avevo raccolto anche
qualche
pianta commestibile e aromatica, per dare più sapore alla
carne. Stavo
diventando un cuoco discreto, e mi piaceva viziarmi quando ne avevo la
possibilità. Quella sera il cibo fu squisito, mi sentivo
felice come non mai.
Quella serata poteva essere perfetta solo se con me ci fossero stati i
miei
genitori. Cominciavano già a mancarmi, e sempre
più spesso pensavo a loro.
Finito di
cenare,
entrai nella mia piccola tenda e mi sdraiai sul cappotto. Ormai faceva
abbastanza caldo, e per stare bene mi bastava la mia pelliccia ed i
vestiti che
avevo addosso, con il cappotto faceva già caldo. Tenevo gli
occhi chiusi ed
ascoltavo la melodia che la natura produceva di notte, e piano piano mi
stavo
addormentando.
Non so quanto
tempo passo, ma un certo punto averti un enorme sete di sangue che si
avvicinava nella mia direzione. Ebbi solo il tempo di uscire, prima che
il mio
rifugio andasse in pezzi. Quando alzai la testa per vedere chi mi aveva
attaccato vidi un viso conosciuto.
Quello che mi
aveva attaccato era un Lycan, e non uno qualsiasi ma il miglior amico
di mio
padre, e suo consigliere più fidato. Il suo nome era Amdir,
per esse preciso lo
zio Amdir. Per me era come un membro della mia famiglia, forse
l’unico della
tribù a parte i miei genitori che pensavo mi volesse bene. E
invece in quel
momento, me l’ho trovavo davanti trasformato e con un intento
omicida rivolto
verso di me.
Ero terrorizzato
e
molto confuso, non riuscivo a capire cosa ci facesse lì, e
ancora di più perché
mi stava attaccando. Cominciai a urlare dicendo che ero io, e
chiedendoli
perché mi stava attaccando. Ma da lui non senti nemmeno una
parola, tutto
quello che fece fu attaccarmi.
Schivai il suo
attacco rotolando per terra, e ci riuscì per miracolo ed
all’ultimo minuto. Mi
alzai in piedi e feci l’unica cosa sensata per quella
situazione scapai. Correvo
con tutta la forza che le mie gambe riuscivano a darmi, e per mia
fortuna lui
non riusciva a raggiungermi.
Avevo il
vantaggio
di conoscere molto bene quella zona, ed a quanto pare ero leggermente
più
veloce di lui, forse sarei riuscito a seminarlo. Era inutile nascondere
la mia
presenza, il vento mi soffiava contro e lui mi seguiva con
l’olfatto. Mi
diressi verso il fiume, e li passai attraverso cercando di nascondere
il mio
odore. Ma non servi a molto, il mio inseguitore era un Lycan di tutto
rispetto,
forse sarebbe riuscito a dare problemi persino a mio padre, io per lui
non ero
più pericoloso di un inseto.
Stavo
cercando di
scapare non so più da quanto tempo, e non ero ancora
riuscito a seminarlo. Mi
rimaneva solo un’ultima possibilità nel seminarlo.
Nell’esplorare la zona avevo
trovato la tana di un’orsa. La prima volta che
l’avevo vista rimasi paralizzato
per quanto era enorme, e da quel momento avevo fatto tutto il possibile
nel
evitarla. Pero in quella situazione, forse quella orsa era
l’unica mia speranza
di salvezza. Cosi puntai in quella direzione senza più
guardarmi indietro.
Riuscì
a
guadagnare un po’ di vantaggio, quando finalmente ero
arrivata alla tanna
dell’orsa. Ero terrorizzato, davanti a me cera la casa di una
delle creature più
pericolose di quella foresta, ed alle mie spalle se ne avvicinava
un'altra
altrettanto pericolose, se non di più. Sentendo che lo zio
Amdir si stava
avvicinando entrai nella tana.
Mentre mi
addentravo nella tana, avvertivo l’odore della orsa da per
tutto, ma non
riuscivo ancora a sentirla. Invece senti Amdir, seguendomi nella tana.
Aumentai
il mio passo, cercando di trovare la orsa. Ma quando arrivai finalmente
in
fondo alla tana tutto quello che trovai furono solo i suoi due
cuccioli. Mi ero
messo in trappola da solo, e ormai non avevo più vie
d’uscita.
Amdir mi aveva
raggiunto e mi stava guardando furioso, ma allo stesso tempo
ispezionava la
tana in cerca di qualche trappola. E quando non ne trovo, comincio a
ridere.
Non riusciva a capire quanto fossi idiota per mettermi con le spalle al
muro da
solo. Comincio a ridere per un po’, per poi tornare subito
serio e concentrando
di nuovo la sua attenzione su di me.
Uno dei cuccioli
di orso, mi si mise davanti ed era pronto ad attaccare. Amdir non lo
considero
nemmeno e li tiro un forte calcio che lo fece volare e sbattere contro
una
delle pareti. Il piccolino si alzo più, ma non era ancora
morto, riuscivo a
vedere ancora che respirare. L’altro cucciolo al contrario di
suo fratello si
nascose dietro di me, cercando un minimo di protezione.
A quel punto,
non
mi restava che lottare, e morire come mi aveva insegnato mio padre, con
orgoglio e solamente in battaglia. Sfoderai i miei artigli e mi misi in
posizione d’attacco. Lui mi guardava quasi divertito, il solo
pensiero di
attaccarlo per lui era divertente. Feci io la prima mossa, con un salto
puntai
i miei artigli proprio alla sua gola. Ma lui con tutta calma si sposto
di
latto, e mentre ero ancora in aria mi sferro un forte pugno sulle
costole
facendomi volare contro un muro.
Il suo pugno mi
rompe qualche costola come minimo, e la mia vista era già
sfocata e le gambe mi
tremavano, ma in qualche modo mi rialzai e li ringhiai contro. Mi si
avvicino
con tutta calma, e quando mi fu al tiro provai a ferirlo con i miei
artigli, ma
l’unica cosa che colpivo era l’aria. Fu allora che
mi prese per il colo e mi
solevo di peso. Io mi dimenavo e con i miei artigli provavo a scavare
nel suo
braccio, ma lui non mostro segno di volermi lasciar andare. Con un
pugno mi
colpi il plesso solare, facendomi espellere tutta l’aria che
avevo nei polmoni,
e visto che mi teneva per la gola non riuscivo più a
respirare.
Quel attacco mi
aveva privato delle mie ultime forze, e le mie mani persero la forza
sul suo
braccio e caddero penzolanti. Piano piano anche la mia vista si stava
annebbiando, e sentivo che tra qualche momento avrei perso i sensi per
poi
morire soffocato nella sua presa. Non chiusi gli occhi, se voleva
uccidermi
doveva fisarmi nei occhi fino a quando il mio spirito non avesse
abbandonato il
mio piccolo corpicino.
Fu mentre mi
stava
tenendo per la gola aspettando che io mi spegnessi che lo senti parlare
per la
prima volta quella sera. Mi disse solamente: “Con la tua
morte il mio amico
Aaran riuscirà di nuovo a farsi rispettare. Al inizio
soffrirà, ma quando avrà
un altro figlio si dimenticherà di te. E in fine tutta la
nostra tribù non si
dovrà più preoccupare dell’arrivo di
qualche sventura.”
Una volta che
fini
di parlare, io ero sul punto di svenire. Tutto quello che mi ricordo
prima di
perdere i sensi fu un aroma dolce nell’aria. E poi fu tutto
buio.
|
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Capitolo 3 *** 3 ***
Capitolo 3
Ripresi i sensi
solo grazie al sole che mi riscaldava la faccia. Mi ritrovai con un mal
di
testa tremendo, e la vista mi era ancora offuscata. Mi misi seduto,
mentre
aspettavo che il mondo mi si chiarisse. La prima cosa che distinsi, una
volta
che ripresi a vedere bene, fu una ragazza con un cucciolo di orso sulle
gambe.
La ragazza che
avevo d’avanti era di una bellezza eterna, riusciva a farmi
dimenticare persino
di respirare. A prima vista doveva avere sui vent’anni, ma
più la si guardava
più diventava difficile capirlo. Aveva dei lunghissimi
capelli che le
arrivavano fino al sedere, e da lì si propagavano in
giù come se fossero rami
di un’albera. Erano i capelli più insoliti che io
avessi mai visto, erano verdi
con sfumature di un marrone simile alla terra. Anche i suoi occhi
avevano i
stessi colori, ma erano profondi ed antichi. Non avevo mai visto
nessuno con
occhi cosi saggi, dolci ed allo stesso tempo terrificanti. E per
finire, aveva
le orecchie leggermente più lunghe ed a punta.
Era alta
all’incirca
un metro e sessante, difficile capirlo visto che stava seduta per
terra. Pero
si vedeva benissimo il suo fisico. A quel tempo ero troppo piccolo, per
capire
a pieno la sua sensualità, ma una cosa la intuì,
era il sogno di ogni uomo.
Aveva delle curve ben proporzionate ad un fisico minuto e asciutto, e
con un
seno molto abbondante.
E per finire,
per
coprirsi indossava un lungo vestito molto aderente alla pelle, talmente
tanto
che potevi benissimo pensare che le fosse cresciuto addosso. Sembrava
fatto da
uno strato sottile di corteccia, muschio ed erba, e verso
l’orlo il vestito si
trasformava in legno. Tutto in lei si mimetizzava benissimo con
l’ambiente.
Mentre la stavo
fissando come se fossi incantato da quella bellezza, lei stava
massaggiando e
curando il piccolo orso. Con una mano stava applicando delle erbe
medicinali
sulle ferite dell’orso, e con l’altra lo
massaggiava per tenerlo docile e
mansueto. Avevo la sensazione che persino l’orso era
ammagliato da quella
creatura, ed era per questo motivo che stava buono e si lasciava
coccolare.
Stavo guardando
come medicava l’orso, quando mi ricordai che anche io ero
ferito e dovevo avere
come minimo un paio di ossa rotte. E sempre in quel momento mi accorsi
che ero
mezzo nudo, e sul mio torace cera la stessa erba con la quale curava
l’orso.
Sentivo ancora un po male alle costole, ma in qualche modo stavo bene.
Il mio
pensiero successivo fu Amdir.
Mi guardavo in
giro alla sua ricerca, cercavo persino il suo odore senza trovarlo.
Infine
vedendomi agitato e in cerca di qualcosa, la ragazza mi indico con un
dito un
grosso cespuglio. Ci andai quasi riluttante, avevo un po paura di
vedere quello
che avrei potuto trovare dietro a quel cespuglio.
Disteso per
terra,
cera Amdir immobile ma ancora vivo. Sul so viso cera
un’espressione di puro
terrore, e ogni tanto si dimenava, come se fosse inseguito dai suoi
demoni. Lo
guardai intimorito, fino a non molto tempo fa quel uomo aveva cercato
di
uccidermi, e prima ancora pe me era come un membro della mia famiglia.
Ma
quella che mi faceva ancora più paura, era la ragazza che
l’aveva ridotto in
quel stato.
A quanto pare
aver
ridotto una persona in quel stato, non la preoccupava minimamente e non
sembrava avesse qualche rimorso. Deglutendo lasciai Amdir li distesso e
mi
avvicinai un po a lei. più la guardavo più ne
rimanevo affascinato, ma allo
stesso tempo non riuscivo a capire come ci era riuscito. Mi sedetti
davanti a
lei, e cercai la forza di rivolgerle la parola.
-
Se
posso, vorrei chiederle che cosa e successo. E chi e lei? Dissi
intimorito e
cercando di non mostrare la mia paura.
-
Non
devi avere paura di me piccolo cucciolo, a te non faro nessun male. Per
quanto
mi riguarda sono una ninfa, una Driade per la precisione. Sono la ninfa
di
queste foreste. Sai cos’e una ninfa cucciolo? Mi chiese lei
con un sorriso, che
mi mise subito a mio agio.
-
Solo
quello che mi ha raccontato mia madre. Diceva che siete delle creature
in
perfetta sintonia con gli ambienti. Ma secondo lei siete solo delle
leggende,
cosi come i draghi ed altre creature mitologiche. Le dissi io, mentre
lei fece
una piccola risata.
-
Non
sono una leggenda, come puoi vedere sono una persona viva in carne e
ossa. E
tua madre si sbagliava su una cosa, noi non siamo in sintonia con gli
ambienti.
Noi ninfe siamo la coscienza di questi posti, in parole semplici sono
la
foresta una sua emanazione vivente. Mi disse, mentre con le mani
indicava l’intera
foresta.
-
Non
penso di capire quello che mi stai dicendo, ma forse e un discorso
fuori dalla
portata di un bambino. Ma se lei e la foresta, vorrei ringraziarla per
tutto
quello che ci offre, e per permetterci di abitare nei suoi territori.
La ringraziai
inchinando leggermente la testa.
-
Non
servono tutte queste formalità piccolo cucciolo. Io amo
tutte le creature che
vivono nella mia foresta, e tra di loro ce anche la tua gente. Anche se
non
tutti hanno il tuo rispetto per gli altri animali, che vivono qui.
Disse lei
mentre guardava nella direzione di Amdir.
-
Si
riferisce a lui? Indicai il punto in cui si trovava. – Che
cosa gli avete
fatto? Sembra in preda a terribili incubi.
-
Si
stavo parlando di lui. Sai voi Lycan di solito prendete dalla natura,
solo
quello che serve per sopravvivere, e raramente la danneggiate. Per
questo in
molti anni non sono mai intervenuta contro di voi. Ma quando ho sentito
il
lamento di questo cucciolo, ed assistito con quanta
brutalità ha ferito lui e
te, non sono riuscita a trattenermi. Gli ho fatto inalare un profumo
che alcune
piante producono. E adesso e sprofondato in un profondo incubo da cui
non si
sveglierà mai più. Mi disse lei severa.
-
Quindi
stara in quel stato fino a quando non morirà di sette o
qualche animale non lo
ucciderà. Che fine miserabile per un Lycan. Dissi
rammaricato.
-
Non
essere triste piccolo, ha avuto quello che si meritava. Nessun adulto
dovrebbe
trattare i cuccioli cosi, si merita il peggio di quello che
avrà. E poi cosa
mai potra averlo spinto ad aggredire un cucciolo della sua stessa razza
in quel
modo brutale. Mi chiese lei severa.
-
Pensavo
lui fosse diverso, ma a quanto pare mi odiava come tutti gli altri
della mia
tribù. Dissi abbassando la testa e guardando per terra
triste.
-
Come
possono odiarti, sei cosi carino e non penso tu abbia fatto qualcosa di
male.
Non so
perché ma
con lei mi sentivo in vena di confidenze, cosi cominciai a raccontarle
più o
meno tutto. Di come le persone mi evitavano solo per il fatto che i
miei occhi
e capelli erano rossi. O di come gli altri ragazzi mi picchiavano per
la mia
debolezza fisica. In pratica per la prima volta in vita mia mi sfogai
con
qualcuno, e tirai fuori tutto quello che mi ero tenuto dentro. Lei mi
ascolto
con attenzione, e ogni tanto mi diceva parole di conforto e persino mi
accarezzo la testa.
Passai tutta la
giornata a parlare con lei, a lamentarmi ed a farmi coccolare da lei.
Mi aveva
preso tra le sue braccia e mi teneva stretto a lei, dandomi calore e
comprensione. Con lei per la prima volta in vita mia, riuscì
a sfogarmi e a
piangere fino a quando non fini le lacrime e il mio animo non si svuoto
di
tutto l’odio e la rabbia che avevo dentro di me. E quando
fini, mi addormentai
tra le sue braccia.
Dormi beatamente
come mai in vita mia, senza preoccupazioni e senza pensieri. Quando mi
svegliai
era gia mattina e lei non si era mossa per niente, mi teneva ancora
stretto
forte tra le braccia. Mi alzai in piedi e lei fece lo stesso, poi mi
invito a
seguirla per cercare qualcosa da mangiare per me. Ero esitante
nell’andarmene
da li. Cera ancora la faccenda di Amdir da risolvere.
Per quanto Amdir
era odioso e falso verso di me, rimaneva ancora un Lycan. E come tale
meritava
una morte dignitosa, e non una per colpa della sete o dei animali. Mi
avvicinai
a lui timoroso e mi preparai a fare quello che ogni Lycan aveva il
dovere di
fare nei confronti di un nostro simile, per darli una morte dignitosa.
Mi feci crescere
gli artigli e gli avvicinai alla sua gola. La mano e tutto il mio corpo
stavano
tremando per quello che stavo per fare. Mi concentrai e feci molti
respiri
profondi, e senza guardare li squarciai la gola con tutta la forza che
avevo
nel corpo. Lo guardai dissanguarsi, fino a che non si spense ed emise
l’ultimo
respiro.
Feci qualche
passo,
e quando vidi il sangue sulla mia mano, mi prese la nausea e vomitai
tutto
quello che avevo ancora nello stomaco. Camminavo barcollando, ad ogni
passo
stavo sempre più male e la mia mente era offuscata.
Per i successivi
tre giorni non riuscì a mangiare niente, e nemmeno a
dormire. Ogni volta che
chiudevo occhio, rivedevo Amdir con la gola squarciata in piedi che mi
soffocava. Ogni sera mi svegliavo gridando per il terrore, e ogni volta
la
Driade mi tranquillizzava. Con il passare dei giorni, il senso di colpa
diminuì, e io ripresi a mangiare. Ma le mie nottate non
volevano migliorare.
La compagnia
della
Driade miglioro di molto le mie giornate. Mi aiutava a trovare frutti e
piante
con cui sfamarmi, e mi teneva compagnia con racconti, storie e persino
giochi.
Uno di questi giochi era una specie di nascondino, in cui la mia amica
era
imbattibile. Scopri molto presto che anche lei riusciva a cancellare la
sua
presenza, ma al contrario di me e di mia madre, lei era su un
tutt’altro
livello. Lei quando non voleva farsi notale, scompariva proprio. Non si
riusciva a individuarla né con il suono del suo respiro o
dei suoi movimenti e
nemmeno con l’odore. Nella foresta si muoveva con una grazia
e una velocita
impressionante, i suoi movimenti non producevano nessun rumore, e
appena li
toglievi gli occhi di dosso, poteva scomparire da un momento ad altro.
Le chiesi di
insegnare anche a me a muovermi ed a cancellare la mia presenza in quel
modo, e
con un gran sorriso accetto. Le sue lezioni erano più che
altro giochi, un modo
di divertirsi piuttosto che un allenamento duro e stancante.
La sera invece
ci
sedevamo vicino al fuoco e mi raccontava storie antiche e ormai
dimenticate
sulla sua specie. Mi racconto che le ninfe erano praticamente
immortali, fino a
quando l’ambiente da cui avevano preso vita esistevano, loro
continuavano a
vivere. Molti secoli prima, ancora prima dei Lycan e i deva, quando il
mondo
era governato dai draghi. Gli umani erano una razza ancora giovane, le
ninfe
erano molto conosciute e molto più diffuse.
A quel tempo
esistevano molte più foreste, fiumi e pianure. La natura non
era contaminata
dalle città, e gli boschi non venivano tagliati del tutto
per far spazio o
usati per nuove costruzioni. Le interazioni fra umani, draghi e ninfe
erano
abbastanza frequenti, ed in un primo momento persino amichevoli. Al
contrario
dei draghi che erano molto più solitari e interagivano poco
con gli umani, le
ninfe erano amichevoli e gli aiutavano.
Mostrarono agli
uomini come coltivare i campi, e con il loro potere facevano prosperare
i
raccolti. Gli aiutavano nella pesca, oppure a raccogliere piante e
frutti. Al
inizio le cose andavano molto bene, ma con il tempo le cose
cominciavano a
cambiare. Gli uomini diventavano sempre più egoisti e avidi,
provando a
chiedere alle ninfe sempre di più. E se non venivano
sodisfati diventavano
aggressivi e rabbiosi. Un altro fattore che scateno la rottura tra i
loro
rapporti, fu l’invidia di quest’ultimi per
l’immortalità delle ninfe.
Come me, nemmeno
quei umani non riuscivano a comprendere fino in fondo
cos’erano veramente le
ninfe. Pensavano fossero delle persone immortali, con il potere sulla
natura.
L’uomo era invidioso e desiderava ardentemente anche lui quei
poteri, gli
bramava e non si accontentava più solo del loro aiuto,
voleva il loro potere
per se stessi.
Le ninfe, non
avendo mai dovuto combattere, non riuscivano a difendersi
dall’uomo e in molte
venero catturate. Furono torturate e maltrattate decine di ninfe, nella
speranza che esse rivelassero il secreto dei loro poteri. Purtroppo non
potevano rivelare qualcosa che non conoscevano neppure loro.
La frustrazione
nel scoprire che non avrebbero mai ottenuto quello che desideravano, si
trasformo in una rabbia accecante che distrusse tutto quello che
potevano.
L’uomo comincio a bruciare intere foreste e campi, e con la
loro scomparsa,
morivano anche le ninfe. Senza foreste e campi, anche il suolo divenne
sempre
più sterile, e i fiumi si essiccarono e ben presto una buona
parte del mondo si
trasformo in deserto.
Dopo moltissimi
anni, la rabbia si arresto, e con il tempo le persone dimenticarono
persino il
motivo per cui avevano cominciato quella distruzione. Fu solo allora
che le
ninfe sopravvissute, uscirono dai loro nascondigli e cominciarono a far
tornare
in vita le terre morte. Ci vogliono centinaia di anni per rimediare
agli errori
e disastri che gli uomini avevano fatto, e comunque non riuscirono a
portare
tutto come era prima. Era rimasta ancora una lunga distesa di deserto,
che
nemmeno le ninfe riuscirono a riportare in vita.
Da quella volta
nessuna ninfa entro più in contatti stretti con le altre
razze. Erano passati
secoli e persino millenni, ed erano nati gli deva e poi i Lycan, ma
loro erano
rimaste sempre in disparte. Osservavano come le razze si stavano
evolvendo, e
solo in rare occasioni si mostravano a loro. Di solito capitava quando
una
persona si perdeva nelle foreste, oppure quando nuotavano o scalavano
una
montagna. Quei incontri non finivano quasi mai bene.
Nascondendosi ed
evitando
tutti, la loro specie divenne dimenticata, o considerata solo una
favola. E per
mantenere la loro esistenza nascosta, chi aveva la sfortuna di
incontrarle di
solito moriva, oppure tornava indietro da pazzi.
Cerano pero
anche
casi speciali, e io ero uno di questi. Una sera mi aveva confessato il
motivo
per cui si fidava di me, e per il quale mi raccontava tutte quelle
cose. La
prima impressione positiva che gli ho dato, fu quando ho protetto la
cucciola
di orso. La buona impressione aumento quando avevo mostrato rispetto
per lei e
per la foresta. Infine il fatto che ero ancora vivo, mostrava che ero
degno
della sua fiducia.
La prima volta
che
avevo mangiato un frutto raccolto da lei, ignoravo che era una prova.
Il frutto
che mi aveva tesso era, carico di magia. Se l’avessi mangiato
e morto,
significava che avevo un animo corrotto e non ero una persona di
fiducia. Al
contrario sopravvivendo avevo dimostrato che il mio animo era puro, e
per
questo la foresta mi considerava come suo figlio.
Non mi
stupì molto
di quella prova, mi aspettavo che mi avesse messo alla prova in qualche
modo,
senza che io me ne accorgessi. Era molto difficile che qualcuno si
fidasse così
facilmente di una altra persona. Non cambiai opinione di lei, in fin
dei conti
lei era la mia prima amica, e fin a quel momento era sempre stata
gentile nei
miei confronti.
|
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Capitolo 4 *** 4 ***
Capitolo 4
I
giorni e le settimane passarono, e furono i più belli
della mia vita. Ogni giorno con i giochi che mi insegnava la mia
abilita nel
muovermi nella foresta diventava sempre più affinata. In
qualche piccola
occasione, ero persino riuscito a individuarla. Ma in qualche modo,
riusciva a
scomparire e apparire un istante dopo dalla parte opposta.
Un giorno al
inizio dell’estate la Driade volle presentarmi le sue
sorelle. La Foresta Nera,
di qui lei era la ninfa, comprendeva un territorio molto vasto con
molti
ambienti diversi. Per questo in quella foresta giravano anche altre
ninfe.
La sorella che
mi
presento fu una Naiade, la ninfa del fiume più grande che
attraversava la
foresta. Come la sorella, anche la Naiade era una ragazza che mostrava
la sua
stessa età e bellezza, ma si distingueva dalla sorella per
altri versi. I suoi
capelli ed occhi erano di un azzurro cristallino, mentre le sue
orecchie
assomigliavano a delle piccole pine, e dietro di esse cerano delle
branchie. Le
mani e i piedi erano palmati, mentre il vestito era corto e azzurro,
fatto di
alghe, conchiglie e coralli di ogni colore.
Al contrario
della
Driade, la Naiade era più seria e severa, e molto meno
giocherellona. Ma dopo
un po di tempo che passammo insieme, si sciolse e comincio anche lei a
divertirsi con noi. Era rigida solo su un solo particolare, la mia
pulizia.
Ogni giorno all’alba, appena sveglia mi portava al fiume e mi
faceva lavare da
capo ai piedi. Non che mi lamentavo, le sue acque erano fresche e
rinvigorenti,
erano quello che ci voleva nelle giornate calde d’estate.
Dentro la
foresta
cera anche una grande raduna, circondata da alberi. La raduna era
formata da campi
e prati, e piena di animali che pascolavano. Fu in questa raduna che la
Driade
mi presento altre due sue sorelle, una Lemoniade e una Agrostine. La
Lemoniade
era una ninfa dei prati, invece la Agrostine una ninfa dei campi. E
inutile
ripetere che avevano la stessa bellezza fisica e la stessa aura antica
e
vissuta.
La Lemoniade
aveva
i capelli e gli occhi verdi chiari, e indossava un lungo vestito
intrecciato
d’erba. Le sue orecchie erano a punta come quelle della
Driade e
dell’Agrostine. Di carattere era gioiosa e spensierata,
proprio come una
bambina. Sembrava molto unita alla sua sorella Agrostine, forse
perché avevano
sempre vissuto insieme.
La Agrostine era
molto simile alla sorella, si poteva persino considerarle identiche se
non
fosse per i suoi capelli ed occhi, che erano dorati. Il suo vestito era
intrecciato con fiori e spicchi di grano. Anche tra i suoi capelli
sembravano
crescere dei piccoli fiori. Per di più sembravano fiorire
ogni mattina, mentre
di sera si chiudevano in un bulbo.
Al
contrario della Naiade che era seria,
oppure della Driade che mostrava una certa intimidazione, visto il
vasto
territorio di cui disponeva. Le due sorelle erano più serene
e spensierate, e
si vedeva benissimo nel loro rapporti con gli animali.
In quella raduna
si radunavano innumerevoli tipi di animali erbivori, ma nessuna ombra
di quelli
carnivori. A quanto pare le due ninfe della raduna, avevano una
preferenza per
gli erbivori e per questo, quando questi venivano a pascolare li,
tenevano alla
larga i carnivori.
Un giorno mentre
sonnecchiavo sul prato, vidi entrare nella raduna una mandria di
cavalli
selvaggi. Erano bellissimi e maestosi, e avevano un’aria
nobile e libera. Al
capo della mandria cera un bellissimo ed enorme stallone di colore
nero. Era
alto quasi un metro e ottanta, con un manto e una coda lunga folta e
liscia.
Mentre le femmine della mandria pascolavano, lui stava
all’allerta e
sorvegliava tutta la raduna. All’ombra dello stallone girava
un piccolo puledro
appena nato.
Era bellissimo,
ed
aveva lo stesso colore del stallone, con l’unica differenza
del pelo intorno
agli zoccoli, che era bianco. Era molto giocoso, curioso e pieno di
energie,
trottolava intorno al stallone e a una cavalla bianca. A un certo punto
mi
noto, distesso sull’erba e con coraggio mi vene incontro. Si
muoveva con molta
attenzione, e lo stallone non lo perdeva un attimo di vista.
Mi si avvicino
cauto, e io rimassi immobile per non spaventarlo. Con il musetto mi
tocco prima
un braccio, per poi colpirmi leggermente il viso. Aveva voglia di
giocare, e a
quanto pareva non aveva paura di me. Mi alzai in piedi, e lui mi
osservo
incuriosito. Mi fiutava e mi studiava con attenzione, aveva uno sguardo
molto
intelligente e sveglio. Li carezzai il musetto e lui mi diede una
leggera
spinta con la testa, per poi nitrare e corrermi intorno.
Giocammo quasi
tutto il giorno, fino a quando verso sera con un nitrito dello stallone
lui si
allontano per raggiungere la mandria, e andarsene nella foresta. Lo
vidi
entrare nella foresta al fianco di sua madre, e ogni tanto voltava la
testa
nella mia direzione, fino a quando non scomparve del tutto.
Anche nei
successivi giorni, tornai nella raduna per incontrare quel puledro.
Eravamo una
gioia per gli occhi delle due ninfe, che stavano a osservarci mentre
giocavamo
oppure giocavano con noi. Avrei voluto cavalcarlo volentieri, ma era
ancora
troppo piccolo.
Infine, la
Driade
mi fece conoscere l’ultima delle sue sorelle presenti nel suo
territorio. Era
un Oreade una ninfa di una montagna di media grandezza. Al contrario
delle
altre quattro ninfe, lei era un po’ più matura,
dimostrava all’incirca
trent’anni, più o meno la stessa età di
mia madre. Anche se mostrava più anni,
la sua bellezza era immutata come quella delle sue sorelle.
Aveva gli occhi
e
i capelli di un marone scuro, mentre il vestito era ricamato in fili di
vari
minerali, come l’oro, argento e molti altri. Aveva un
carattere più materno
rispetto alle altre, e una sera vicino al fuoco scopri anche
perché. Le Oreadi erano
le ninfe più antiche di tutte, talmente antiche che avevano
visto intere razze
nascere ed estinguersi. Lei di persona, non si ricordava più
quante ere erano
passate dalla sua nascita. Ma ne erano passate moltissime, visto che la
sua
montagna in origine aveva delle cime talmente alte da non riuscire a
vederle.
Mentre adesso, bastavano due giorni di arrampicata per arrivarci in
cima.
Il resto
dell’estate e della mia prova di sopravvivenza la passai
nella più totale
spensieratezza. Ogni giorno mi faceva insegnare dalle ninfe ogni genere
di
cosa. La Driade mi addestrava nel cancellare la mia presenza, ad un
livello del
tutto superiore alla tecnica che i Lycan avevano sviluppato. Mi
aggiusto anche
tutti i miei movimenti, facendoli diventare molto più fluidi
e quasi senza
rumore.
La Naiade mi
insegno a nuotare, e avere sempre cura del mio aspetto, e di non
saltare mai un
bagno. Ormai per me era diventata un’abitudine farne uno al
giorno. Mi insegno
anche a pescare, e a riconoscere molti tipi di piante ed alghe
acquatiche, che
potevano servire sia per sfamarmi sia come medicinali.
Le due ninfe
della
raduna, mi istruirono sulla vegetazione nel loro ambiente. Ma
l’argomento
principale della loro istruzione erano gli animali. Mi raccontavano
tutto
quello che sapevano sui animali che popolavano quella foresta. E fu una
lista
molto lunga, ma alcuni dettagli erano molto utili.
Infine Oreade la
più antica e saggia delle cinque, mi istruì sui
pericoli delle montagne, sui
suoi minerali e sulla sua fauna. Ma non fu l’unica cosa che
mi insegno. Era
un’esperta nello studio delle stelle, e dei loro movimenti.
Mi istruì sulla
loro posizione, e sul loro significato, ma anche come strumento di
riferimento.
Di notte grazie ai suoi insegnamenti, riuscivo a capire da che parte si
trovava
la mia tribù e persino il periodo esatto dell’anno
in cui ci trovavamo.
Fu il periodo
più
bello della mia vita, finalmente ero felice e avevo delle amiche che mi
apprezzavano. Ma prima o poi tutto deve finire, e la mia prova si era
ormai
conclusa e io dovevo tornare a casa.
A parte la
Driade,
che mi avrebbe accompagnato per la maggior parte del mio viaggio di
ritorno, le
altre ninfe le dovetti salutare li. Furono molto triste della mia
partenza, ma
mai quanto lo ero io. Persino il piccolo puledro con cui o giocato,
quando se
ne e reso conto che non mi avrebbe più visto, divento triste.
Per il mio
viaggio
di ritorno ci avrei messo qualche giorno, e per fortuna non avevo
nessun
bagaglio con me. Il cappotto l’avevo ormai perso quando Admir
mi aveva
attaccato, e la tunica era ormai ridota male, per cui l’avevo
buttata.
Grazie alla sua
presenza, gli animali più pericolosi si tenevano alla larga
da noi, e per di
più mi procurava da mangiare, quindi potevamo camminare
quasi senza sosta. Era
bello camminare nella foresta in sua compagnia ed osservare come gli
alberi e
la vegetazione cambiavano in basse alla zona. La mia cara amica, ogni
volta che
vedeva un albero millenario ci si avvicinava e cominciava a raccontare
una
storia che l’ho riguardava. E ne aveva una per ognuno di
quelli che
incontrammo.
La sera ci
accampammo vicino a un albero, non accendemmo un fuoco, ma ci sedevamo
per
terra e parlammo del più e del meno. Sapevo che il giorno
dopo ci saremmo
dovuti separare, lei non si sarebbe mai avvicinato di più al
territorio della
mia tribù. Mi tenette stretto tra le braccia quella sera, e
io mi addormentai
al ritmo di una canzone che lei canticchiava.
Al mattino mi
svegliai da solo, la mia amico se ne era andata e io sapevo di dover
riprendere
il mio viaggio. Quella giornata fu lunghissima, senza la compagnia
della mia
amica, il tempo sembrava non passare mai.
Oltre i confini
della mia tribù cerano molti animali feroci, che venivano
tenuti fuori solo
dalla minaccia che la mia gente emanava, ma già a qualche
ora di camino nella
foresta li si poteva incontrare. Io sono stato molto fortunato
perché
all’andata cera mio padre ad accompagnarmi e bastava la sua
presenza a far
scapare anche l’animale più feroce nelle
vicinanze.
Più
mi avvicinavo
al mio villaggio più dovevo stare attento alle presenze che
sentivo intorno a
me. Sentivo gia molti animali feroci che mi avevano fiutato e stavano
cercando
le mie tracce. Quello era il test finale da portare a fine per superare
la
prova a cui ero stato sottoposto.
Nel pomeriggio
senti la presenza di un branco di lupi. Erano ancora molto lontani, ma
li
sentivo che mi stavano accerchiando e stavano puntando dritti a me.
Evitai di
trasformarmi, nella mia forma selvaggia la mia presenza esaltava, e
anche la
mia sete di sangue. Se volevo far perdere le mie tracce dovevo
scomparire.
Cancellai la mia
presenza come mi aveva insegnato la Driade, ma ormai era troppo tardi,
mi
avevano fiutato e ormai non mi avrebbero più perso. A un
certo punto, mi
ritrovai circondato del tutto senza più via di fuga. Erano
un branco di lupi
bruni, tutti intorno a me e aspettavano la mia più piccola
reazione per
attaccare.
Con un salto
abbastanza veloce riuscì ad afferrare un ramo
dell’albero sotto cui mi trovavo,
e mi tirai su. Mi arrampicai sull’albero fino a quasi in
cima, e mi sedetti
aspettando che i lupi si stancassero e se ne andassero.
L’attesa fu lunga,
passarono delle ore e i lupi stavano ancora camminando in cerchi
intorno
all’albero. Avevo cercato anche di saltare su un altro
albero, ma loro mi
avevano seguito. Non mi perdevano un attimo di vista.
Con i ultimi
raggi
di sole era arrivato un grosso e magnifico lupo bianco, aveva una lunga
cicatrice di artigli sull’occhio destro e sul naso. Al suo
arrivo gli altri
lupi indietreggiarono e lo fecero passare per farli raggiungere il
punto dove
mi trovavo. Quel lupo doveva essere il loro alfa, il capobranco.
Mi guardava con
un’aria di sfida ma allo stesso tempo sembrava che mi volesse
pure mettere alla
prova. In quel momento capi che potevo rimanere appollaiato su quel
albero per
giorni e loro non si sarebbero mossi da nemmeno di un passo.
Così decisi di
sfidare la sorte ancora una volta, e con un salto atterai davanti al
alfa. Lui
fece un ringhio e gli altri lupi indietreggiarono lasciandoci un
po’ di spazio.
Appena
lo spazio intorno a noi fu sufficiente
l’alfa fece un lungo balzo verso di me. Puntando le sue zanne
verso la mia
gola. Io per istinto saltai all’indietro evitando le sue
falci per miracolo, ma
riacquistai subito la concentrazione e girando su un piede li sferrai
un calcio
in testa. Il colpo lo fece cadere di latto, e anche io sferrandolo
persi
l’equilibrio e cadi a mia volta. Ritorniamo in piedi
simultaneamente e
riprendemmo il combattimento.
Provo ad
azzannarmi
e colpirmi con gli artigli, sia alla gola che ai piedi, ma io fui
abbastanza
veloce da schivare i suoi attacchi più pericolosi. Ma alcuni
andarono comunque
a segno, graffiandomi i piedi e il colo. Riuscendo
a stare al suo passo, la mia fiducia
nelle mie capacita aumento e fui abbastanza arrogante da pensare di
riuscire
persino a uscirne indenne.
Con
i miei artigli riuscì ad infliggerli una
grossa ferita su un fianco, illudendomi che sarebbe bastato per
vincere. La mia
inesperienza e sfacciataggine mi fecero avvicinare un po’
troppo a lui, e il
vecchio lupo saggio ne approfitto. Con la sua zampa e i suoi artigli mi
colpi
profondamente sulla spala destra. L’attacco a sorpresa mi
fece retrocedere di
qualche passo, e il lupo sfrutto quel lasso di tempo per colpirmi con
la testa
sul petto.
Il colpo fu
così
forte, da farmi volare e sbattere contro l’albero
stordendomi. Ero inerme sotto
di lui, disteso per terra e aspettando che mi desse il colpo di grazia.
Il lupo
invece non mi attacco mi osservo per qualche istante mentre io mi
tenevo
stretto la ferita. Invece di finirmi si giro e ringhio agli altri lupi,
che scomparirono
nella foresta. Prima di scomparire nell’oscurità
della notte anche lui, mi fiso
per un ultimo momento, per poi lasciarmi da solo.
La
ferita sulla spalla era molto profonda, ed
io cominciavo a perdere sangue in abbondanza. La testa comincio a
girarmi, e
feci molta fatica ad alzarmi. Camminai tra gli alberi alla ricerca di
qualcosa
per fermare la mia emorragia, e dovevo trovarla in fretta le forze
cominciavano
ad abbandonarmi.
Mi lasciai
cadere
vicino a una pianta, l’avevo riconosciuta e sapevo che le sue
radici avevano un
effetto antidolorifico. Con i miei artigli scavai intorno ad essa e
presi le
radici. Cominciai a masticarle e me la spalmai anche sulla ferita.
Presi una
foglia e la misi sopra la ferita, la tenevo stretta fino a quando il
sangue non
si fermo.
Ripresi fiato
per
un po’ appoggiandomi ad un albero. Sapevo che non potevo
rimanere li, l’odore del
sangue avrebbe attirato altri animali selvatici e dovevo anche pulire
la mia
ferita. Mi alzai a fatica e ripresi a camminare, ma non sapevo nemmeno
in che
direzione stavo andando. Camminai per un tempo che a me sembro
un’eternità,
fino a quando finalmente arrivai alle sponde di un lago.
Non mi ricordava
che nelle vicinanze della mia tribù ci fosse un lago, il
più vicino doveva
essere a molti giorni di cammino. Pero ero messo troppo male per
pensare ad una
spiegazione plausibile. Mi pulì velocemente la ferita con
acqua limpida e dopo
aver messo delle foglie medicinali a coprirmi la ferita, mi tolsi la
canottiera
e la legai intorno al braccio prima di svenire.
Quando
mi svegliai avevo una brutta febbre, e
la testa mi girava in modo vertiginoso. Mi alzai a fatica in piedi e
per poco
non ricadi a terra. La notte prima avevo raccolto più erbe
mediche in modo da avanzarmene
anche per questa occasione. Molto lentamente raccolsi un po’
di legna e mi
accesi un fuoco, mi sarebbe servito per quello che avevo intenzione di
fare. Quando
tolsi la benda sul mio braccio vidi che emanava un odore un
po’ acre, era uno
dei segni che mia madre mi aveva insegnato per riconoscere di
un’infezione.
Mettendo il
coltello sul fuoco lo feci arroventare e pulire la lama, poi con un
gran
orrore, tagliai piccoli pezzi di carne intorno alla ferita in modo da
rimuovere
quella infetta. Il sangue ricomincio a scorrere, ma lo fermai
appoggiando la
lama rovente sulla ferita cauterizzandola. Tutta quella medicazione mi
fece
urlare come un forsennato, e in più di
un’occasione stavo per svenire ma tenetti
i denti stretti portandola a termine. Una volta finito la bendai di
nuovo, e mi
lasciai cadere vicino al fuoco.
Dormi
tutto il giorno e tutta la notte e
quando mi svegliai al mattino stavo già meglio, ancora
debole ma abbastanza in
forze da cercarmi qualcosa da mangiare e riprendere il mio ritorno a
casa.
Studiai molto bene l’ambiente che mi circondava, volevo
ricordami benissimo
come ritrovare il lago. Quando pero usci dai suoi confini mi imbatti in
una
fitta nebbia, nella quale camminai per un po’, per poi uscire
proprio ai
confini del mio villaggio.
Ero
molto confuso e sbalordito, dovevo essere
ancora a mezza giornata di cammino dal punto in cui mi trovato e non mi
ricordavo che la sera prima avessi camminato così tanto. Ma
ormai ero troppo
impaziente di rivedere i miei genitori ed accantonai quel pensiero in
fondo al
mio cervello.
Quando entrai
nel
villaggio era ancora mattina, e per mia fortuna le guardie che
pattugliavano i
confini mi lasciarono entrare. Nessuna di loro vene a darmi una mano,
visto che
ero ferito e molto debole. Come loro nemmeno gli altri abitanti della
tribù,
non si degnarono di aiutarmi, ma su molte facce che vedevo cera
un’espressione
di delusione quando mi videro vivo.
Quando arrivai
nei
presi di casa mia, ero ormai esausto. In pratica cadi sulla porta.
Senti mia
madre che venne ad aprire la porta e vedere chi aveva fatto quel
rumore. Quando
mi vide semi nudo e pieno di sangue secco su tutto il corpo, gli venne
un colpo
al cuore.
Si inginocchio
subito vicino a me, e mi prese tra le braccia piangendo. Sembrava
preoccupata
da morire, ma allo stesso tempo era sollevata nel rivedermi. Mi prese
in
braccio e mi porto in casa. Mi lascio solo per qualche minuto da solo,
mentre
lei usci per ritornare con un secchio di acqua.
Comincio a
lavarmi
dal sangue secco, e pulire gentilmente tutte le mie ferite. Con molta
gentilezza mi tolse la canottiera dal graffio che avevo sulla spala, e
la
esamino con attenzione. Mia madre non era solo una eccellente
guerriera, ma
anche una delle guaritrici più capacci della
tribù.
Con
del ago e
filo comincio a cucirmi le lacerazioni più profondi, mentre
sulle altre ferite
spalmo un unguento. Mi lavo il sudore sulla fronte, per poi darmi un
bacio
affettuoso sulla fronte, era contenta del mio ritorno e che ero
più o meno
tutto intero. Per finire il mio trattamento mi preparo un infuso di
erbe, per
prevenire infezioni ed alleviare la mia febbre.
La notizia del
mio
ritorno fecce precipitare mio padre a casa per vedermi e congratularsi
con me.
Pero quando mi vede pallido e con il braccio fasciato si sedete sul
letto
vicino a me per chiedermi che cosa era successo, e come avevo passato
gli
ultimi mesi da solo. Quando li raccontai dei lupi, e di come avevo
affrontato
il loro alfa, vidi i miei genitori impallidire persino più
di me, ma restarono
in silenzio finché io non fini. Poi cominciai a raccontarli
della mia
esperienza nella foresta da solo, tralasciando il mio incontro con le
ninfe
visto che più di una volta avevano accennato al fatto che
sarebbe stato
pericoloso per loro se si venisse a sapere che si trovavano nelle
vicinanze.
Non
pensavo che raccontandolo ai miei genitori
potesse rappresentare un pericolo per loro, ma non lo feci lo stesso,
avevo
fatto una promessa a loro e intendevo rispettarla. Quando fini di
raccontare
chiesi a loro se nelle vicinanze cera un lago, ma a quella domanda mi
guardarono confusi e mi dissero di no. Lasciai perdere
l’argomento non volevo
preoccuparli.
Quando fini di
parlare, mio padre comincio a parlare di Amdir e della sua scomparsa.
Mi disse
che era uscito da solo, per andare a caccia nella foresta da solo.
Sarebbe
dovuto rimanere fuori un paio di giorni, ma lui non era più
tornato.
Non era una cosa
insolita per la nostra gente, molti andavano a caccia da soli, ed
alcuni
rischiavano di non tornare più indietro. Molti anziani, che
ormai non erano più
in grado di cacciare da soli, avevano l’abitudine di
addentrarsi nella foresta
e trovare una morte dignitosa nella caccia.
Per le prossime
due settimane dovetti starmene tranquillo e sotto lo sguardo attento di
mia
madre, che controllava la ferita e le mie condizioni giornalmente. La
ferita
era guarita benissimo, lasciandomi solo una cicatrice bianca a forma di
artigli
sulla spala. Una volta guarito del tutto ripresi con entusiasmo la mia
vecchia
quotidianità, concentrandomi del tutto sui miei allenamenti.
La sconfitta che
il lupo mi aveva inflitto mi bruciava ancora molto, sapevo di essere
stato uno
sciocco. Per una volta che mi ero trovato in vantaggio, aveva perso la
mia
lucidità, e con essa mi ero montato la testa. Adesso
quell’imprudenza me la
sarei per sempre ricordata, ogni volta che il mio sguardo
cadrà sulla
cicatrice.
Avendo superato
la
prova di sopravvivenza, i membri della mia tribù non
potevano più dire niente
contro di me e sul fatto che non ero degno di essere un Lycan. Adesso
quello
che rimaneva da fare, era coltivare le mie capacita e migliorarle fino
all’estremo. Le tecniche di basse ormai le conoscevo, quindi
i miei non avevano
più niente da insegnarmi, dovevo essere io migliorarmi e a
smentire chi ancora
dubitava delle mie capacita.
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Capitolo 5 *** 5 ***
Capitolo 5
Erano ormai
passati quattro anni da quando la mia prova di sopravvivenza era
finita. E le
cose erano di certo cambiate intorno a me. Per prima cosa ero
cresciuto. Non
ero più il piccolo bambino che tutti prendevano di mira.
Adesso ero un ragazzo,
alto all’incirca come mia madre, su un metro e sessanta.
Avevo presso tutta la
sua bellezza, e da mio padre il suo sguardo tagliente e serio. I
capelli erano
lunghi come quelli di mio padre, non superavano le spalle.
Fisicamente
grazie
agli intensi allenamenti, il mio fisico si sviluppo molto, concedendomi
la
miglior combinazione possibile di abilità. La mia forza
fisica era rimasta
molto inferiore a quella di un Lycan, e su quel punto ormai non ci
speravo più
in un miglioramento. Al contrario la mia velocita, agilità e
flessibilità erano
aumentate vertiginosamente, non cera nessuno nella tribù che
potesse
eguagliarmi.
Anche il mio
tenore di vita era cambiato. Ormai non venivo più preso di
mira dagli altri
ragazzi. Dopo il mio ritorno dalla prova, avevo cominciato a combinare
le
tecniche che la Driade mi aveva insegnato con quelle che i miei
genitori mi
avevo mostrato sin da piccolo. Il risultato fu sorprendente, ogni
tecnica
divento silenziosa, talmente tanto che nemmeno l’udito fine
dei Lycan non
riusciva a sentire i miei movimenti.
Ci avevo messo
circa due anni per combinare e creare il mio stile di lotta, ma i
risultati si
videro molto presto. All’inizio cominciai a reagire contro i
miei aggressori, e
dopo essere riuscito a mettere fuori gioco due di loro, gli attacchi
cominciarono a diminuire. Smisero di tutto, quando nei tornei davo
segno di
vittoria. E con il passare del tempo miglioravo sempre di
più. Nell’ultimo ero
arrivato persino in finale, perdendo all’ultimo momento.
Durante gli anni
avevo cecato diverse volte il lago dove mi era rifugiato quando stavo
male, ma
non ero mai riuscito a trovarlo. Era come scomparso, oppure io me lo
ero solo
immaginato. Era una possibilità viste le condizioni in cui
mi trovavo. Potevo
benissimo essermelo immaginato.
Fu
nell’estate del
mio quattordicesimo anno di vita che successe l’inevitabile.
Era una notte
senza luna, ed io come quasi tutta la tribù stavo dormendo
beatamente nel nostro
letto. A svegliarmi fu un enorme boato, simile a un tuono, che mi fece
saltare
giù dal letto. Andai subito alla finestra per vedere se
stava arrivando un
temporale, ma l’unica cosa che vidi furono alcune case che
bruciavano.
Presi un paio di
pantaloni e corsi subito per le scale scendendo in cucina. Come mi
aspettavo
mio padre era già uscito a vedere come era la situazione e
chi ci stava attaccando,
mentre mia madre era sul portico di casa nostra che mi aspettava.
-
Madre,
si puo sapere che cosa sta succedendo? Chiesi io preoccupato.
-
Non
so
ancora niente. Qualcuno ci sta attaccando, tuo padre e gia uscito per
coordinare i nostri uomini. Dovremo andare anche noi, non dimenticare
il
cappotto. Se quelli che ci attaccano sono umani o deva, ti
proteggerà un po’.
Segui il suo
consiglio senza discutere e indossai il mio cappotto, lo abbottonai per
poi
seguirla fuori di casa. La maggior parte dei Lycan erano trasformati,
non ne
avevo mai visti così tanti nella forma selvaggia tutti
insieme. Solo quelli più
adulti ed esperti erano riuscito a rimanere nella forma umana. Quasi
tutti
erano rabbiosi e furiosi, e la loro sete di sangue era palpabile.
Con lo sguardo,
cercai chi ci stava attaccando, ma tutto quello che riuscì a
vedere erano lampi
azzurri venire dalla foresta. Da dove mi trovavo non riuscivo proprio a
vederli, ma sentivo uno strano rumore, simile a quelle delle rane.
Corsi verso
i confini, lì dove la maggior parte dei uomini si erano
fermati, e quello che
vidi quando li raggiunsi mi lascio senza parole.
Davanti a me
cera
un uomo muscoloso alto più di un metro e ottanta con dei
strani tatuaggi che li
ricopriva tutto il corpo. Non era il suo fisico imponente la cosa
peggiore, ma
quello che mi terrorizzo era il suo aspetto. Era pallido come la neve,
e dello
stesso colore erano i suoi capelli. Ma erano i loro occhi che ti
facevano
congelare il sangue nelle vene, erano tutti bianchi senza pupille.
Mi
ripresi dallo shock solo quando mia madre
si trasformo e mi mise una mano sulla spala. Grazie allo spavento i
miei sensi
erano al massimo e finalmente vidi chiaramente quello che cera ai
margini del
villaggio. Eravamo circondati da tutti i latti da quei esseri
spaventosi, e si
stavano avvicinando sempre di più.
I maschi Lycan
fecero un ululato tutti insieme dando via al contrattacco. Ci scagliamo
tutti
insieme contro quei esseri spaventosi, attaccandoli con gli artigli e
mirando
alla gola con le nostre zane. Cera qualcosa di strano nei nostri
nemici, per
quanto lì si colpivano con pugni, calci e li squartavamo con
gli artigli, loro
non smettevano di avanzare. E se non bastasse questa loro quasi
invulnerabilità,
avevano anche dei strani poteri.
Quella
fu la prima volta che assistevo alla
manifestazione dei poteri elementari. Molti di loro riuscivano a
lanciare palle
di fuoco, raffiche di vento e persino fulmini. E altre variazioni dei
cinque
elementi, e le combinazioni tra di essi. Fu mia madre a scoprire per
prima il
modo di fermarli.
Mentre attaccava
uno di quei esseri alle spalle, lo colpi con tutta la forza al colo
spezzandoli
la colona vertebrale uccidendo l’essere al istante. Quelli
che videro
l’attacco, capirono subito che l’unico modo di
fermarli era ucciderli subito. Quindi
cominciarono tutti, ad attaccare i punti più vulnerabili del
corpo umano, e
applicare mosse e tecniche che uccidevano all’istante. I
nostri artigli
combinati alla nostra forza fisica, furono molto utili, riuscivano
persino a
perforare la gabbia toracica di un uomo.
Per un
po’
funziono, ed il morale della tribù era cresciuto. Ma ben
presto ci rendemmo
conto che loro erano molti più di noi, e che ci voleva un
po’ per ucciderli
all’istante. Serviva molta concertazione e forza, per usare
tecniche omicide. E
tutti gli attacchi dovevano essere fatti, mentre evitavamo i loro.
Avevano
capacita fisiche molto simili alle nostre e riuscivano anche a tenerci
testa.
Cera qualcosa di
strano in loro, a parte l’aspetto. Si muovevano ed
attaccavano tutti insieme,
con le stesse mosse e in perfetta sincronia. Era come se nessuno di
loro avesse
il controllo del proprio corpo. Mi sembravano delle bambole che
venivano mosse
da un burattinaio.
Uno di loro mi
venne incontro con in mano una grossa spada. Io mi trasformai subito, e
mi
preparai al combattimento. Mi attacco con un fendente laterale che io
schivai
facendo una capriola all’indietro. Il successivo colpo lo
anticipai, e li afferrai
la mano sull’impugnatura riuscendo a bloccarlo per un
istante. Lui per
liberarsi cerco di colpirmi con un pugno sulla tempia. Spostai
leggermente la
testa e gli azzannai la mano con un morso.
Intanto
avevo contrato a dovere i muscoli
della mia mano destra, e mettendola a forma di punta lo colpi con tutta
la mia
forza al cuore. Era la prima volta che provavo una tecnica omicida e
non sapevo
se avrebbe funzionato. La forza con cui lo colpi era abbastanza da
spezzarli le
costole e grazie ai miei artigli riuscì ad entrare con la
mano nella sua gabbia
toracica. Riuscì ad afferrare il suo cuore con la mano, e
quando lui solevo un
braccio, gli l’ho strappai. Lui cade per terra senza vita e
senza fare nessun
movimento.
In
molti stavano cadendo quella sera, molti
conoscenti e amici dei miei genitori. Quella sera stavano combattendo
tutti,
uomini, donne, anziani e persino ragazzi della mia età. Ma
il nemico ci era di
gran lunga superiore, e se ne rese conto subito anche mio padre.
Da lontano lo
vidi
dare istruzioni a un gruppo di uomini. Appena fini di parlare questi
corsero in
tutte le direzioni del villaggio. Un momento più tardi vidi
e capi quello che
mio padre aveva ordinato. I guerrieri che aveva scelto, erano senza
dubbio
alcuni dei più forti della tribù, e i migliori
per quel tipo di lavoro. Aveva
ordinato loro di radunare tutti i bambini e portarli in salvo, fuori
dai
confini del villaggio. Il più lontano possibile da
quell’inferno.
Tutti gli altri,
incluso me e i miei genitori avevamo il compito di facilitare la loro
fuga. Non
fu facile, appena i bambini si riunirono in gruppo, i nostri nemici
puntarono
nella loro direzione. Erano esperti di combattimento, sapevano che
puntando ai
nostri figli, molti dei adulti avrebbero usato persino il loro corpo
per
proteggerli. Ed e proprio quello che successe. Durante la loro fuga,
morirono
diversi Lycan, e molti altri vennero feriti.
Ritornammo in
noi,
solo quando i bambini e quelli che li accompagnarono furono scomparsi
nella
foresta. Io nel fra tempo ne avevo uccisi qualcuno, e stavo cominciando
a sentire
la stanchezza di quei combattimenti. Avevo ferite superficiali su tutto
il
corpo. Il cappotto mi aveva salvato la vita un paio di volte da dei
colpi
mortali. Fortunatamente fu abbastanza resistente da non far affondare i
colpi
di spada e le frecce nella mia carne.
Ero appena
riuscito ad ucciderne un altro, quando per la fatica cadi in ginocchio.
Mi
guardai in giro alla ricerca dei miei genitori. Non li perdevo mai di
vista, e
non volevo allontanarmi troppo da loro. Quando vidi mia madre mi si
fermo il
cuore per un momento.
Una sua mano era
nel torace di un uomo, e quello lì afferro il braccio e la
blocco per un
momento. Riuscì a bloccarla per il tempo necessario, che un
suo compagno la
sorprese alle spalle e la infilzo con la sua spada. La spada aveva
trafitto mia
madre da parte a parte, colpendo persino il suo compagno.
Quella scena mi
fece congelare il sangue nelle vene, e non fui il solo ad assistere.
Anche mio
padre aveva visto e si precipito in suo soccorso, prese quella creatura
per il
colo, e gli lo spezzo. Poi con la sua forza lo solevo di peso e la fece
volare
il più lontano possibile. Per poi inginocchiassi davanti a
mia madre e con cura
e mani tremanti li solevo la testa.
Io
invece camminavo nella loro direzione,
senza rendermi veramente conto di quello che stava succedendo. La mia
testa si
svuoto del tutto, non vedevo ne sentivo più niente intorno a
me. Tutto quello
che riuscivo a vedere erano i miei genitori che uno vicino ad altro.
Mia madre
che sputava sangue, mentre mio padre aveva un’espressione di
puro terrore.
Vidi da lontano
gli ultimi attimi di vita di mia madre. La osservai mentre sussurrava a
mio
padre le sue ultime parole, per poi emanare l’ultimo respiro
e morire. Per la
prima volta in vita mia vidi mio padre che versava delle lacrime piene
di
dolore. Vedendolo in quel stato capi che era morta e quella tristezza
mi contagi.
Dopo averla
abbracciata per un’ultima volta si alzo in piedi e fece il
più terrificante e
forte ululato che io abbia mai sentito. Fu carico di dolore e di
rabbia, tanto
da contagiare sia gli altri Lycan e persino me che ululammo con tutta
l’aria
che avevo in corpo. Quel grido di dolore e di disperazione che fece mio
padre
diede una nuova carica a tutta la tribù.
Tutti gli Lycan
attaccavano come se fossero presi da una frenesia, uccidendo tutti quei
mostri
senza ripensamenti, ma allo stesso tempo anche noi cademmo uno dopo
l’altro.
Anche io mi stavo battendo con tutte le forze che il mio corpo mi
permetteva.
Non sentivo più ne stanchezza ne dolore, tutto a quello che
pensavo era
uccidere i nostri nemici. Ucciderli fino all’ultimo.
I morti
aumentarono per tutte e due le fazioni, ma nessuna delle due aveva
intenzione
di molare. I Lycan cominciarono a dare segno di stanchezza e di
cedimento. Al contrario
i nostri nemici, non si stancavano e non provavano niente per i loro
compagni
morti. Anzi era tutto il contrario, se uno di loro era
d’intralcio lo
uccidevano senza pensarci due volte.
La battaglia
stava
diventando un massacro a senso unico, dove solo i Lycan stavano
cadendo. Io
ormai ero all’estremo contro uno dei nemici. Dopo averlo
ucciso, ero esausto,
non riuscivo più nemmeno a rimanere in piedi. Basto quella
mia spossatezza a
segnare il mio destino per sempre.
Un lampo
abbagliante mi colpi in pieno petto, passandomi da parte a parte. Fu
talmente
rapido che non mi resi nemmeno conto del dolore che dovevo provare.
Sentivo
solo l’odore della carne arrostita, un odore acre e simile a
quello di un
cinghiale arrosto. Quando abbassai lo sguardo per guardarmi il petto
vidi un
buco grosso quanto una noce, tutto nero e carbonizzato.
Per la seconda
volta quella notte, mio padre assistete alla fine di chi amava di
più nella sua
vita. Senza più curarsi di se, corse nella mia direzione. Il
suo sguardo parve
stanco e ormai rassegnato, e non smetteva un attimo di piangere. Quando
mi
raggiunse si inginocchio d’avanti a me e mi prese tra le sue
braccia. Ormai
quella battaglie era sul punto di finire. Quasi tutti i Lycan erano
morti, e
quelli rimasti erano feriti e stanchi, e avrebbero raggiunto i loro
cari nella
morte molto presto.
Per questo mio
padre non si sposto più dal mio fianco, spettava che
qualcuno li desse il colpo
di grazia e morire vicino a suo figlio. Con questa rassegnazione non
evito nemmeno
i successivi colpi di spada che quei mostri li scagliarono. Venne
colpito
numerose volte, ma lui non si mosse di un passo dal mio fianco. Mi
guardava nei
occhi sorridendomi, mente la vita stava scorrendo via da tutti e due.
L’ultima
cosa che mi ricordai furono le sue lacrime che mi
bagnarono il viso e il suo sorriso che dissipava le mie paure.
Così quando gli
occhi di mio padre si spensero, lui mi cade addosso e io mi lasciai
andare al
mio destino, verso l’oblio.
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Capitolo 6 *** 6 ***
Capitolo 6
Pensavo di
essere
morto, e che la mia essenza fosse stata inghiottita in un mondo di
oscurità,
senza un corpo e una coscienza, dove regnava una pace eterna. Purtroppo
non fu
quello il mio fato, mi aspettava un nuovo capitolo della mia vita.
Quando
ripresi i sensi mi trovavo in riva a
quel lago in cui mi ero imbattuto quattro anni prima. Tutto il mio
corpo era
ricoperto di acqua e di una strana resina verde, che si concentrava
soprattutto
sulla ferita che avevo sul petto. Provai ad alzarmi, ma un dolore
tremendo mi investi,
e io non riuscì a muovere nemmeno un dito. A quel punto mi
guardai in giro in
cercare di qualcuno vagamente famigliare, o almeno della persona che mi
aveva
portato li.
Quando
guardai verso la foresta vidi le mie
cinque vecchie amiche le ninfe che mi fisavano con un dolce sorriso
caloroso. Era
molto strano che tutte e cinque si trovassero in un posto
così lontano dai loro
ambienti. Fu la Driade che mi fece segno di guardare verso il lago.
Quando
girai la testa vidi che emergere dalle acque un enorme drago azzurro.
Era
stupendo e maestoso. Emanava un’aura
intimidatoria e un fascino antico, molto simile a quelle delle ninfe,
ma molto
più potente. Aveva le scaglie dello stesso colore
dell’acqua limpida, mentre le
sporgenze a forma di corna sulla testa di un bellissimo bianco. Gli
occhi e la
membrana delle ali erano di un azzurro più chiari, ricordava
vagamente il
colore del ghiaccio. Aveva dei denti affilati e lunghi, in grado da
dividere in
due un cervo adulto con un solo morso.
Il drago era
messo
se possibile quasi peggio di me. Aveva un’ala spezzata in
più punti, e anche la
membrana sembrava lacerata. Il suo corpo era ricoperto di morsi
terrificanti, e
segni di artigli, per non parlare di altre ferite che non
riuscì a
indentificare. Li mancava persino una zampa, e la punta della coda.
Mi guardava con
uno sguardo terrificante, tutto quello che stavo pensando e che da un
momento
all’altro sarei diventato la sua cena. Si vedeva benissimo
che non mangiava da
molto, ed era affamato. Non riuscivo ad emettere nessun suono. Tutto
quello che
riuscivo a pensare era “Che cosa mai poteva andare ancora
storto nella mia
vita?”. Stavo cominciando a pensare che la gente aveva
ragione su di me. E che
la mia nascita era veramente un segno di calamita e di cattivo auspicio.
Alla
fine fini per guardare quel drago con la
sessa intensità con cui lui guardava me. Ormai non provavo
più paura, non
pensavo ci fosse qualcosa peggiore della situazione a cui avevo
assistito. Il
mio sguardo era più che altro una sfida nei suoi confronti.
Ero stanco di
tutto, e in un certo modo volevo che lui mi mangiasse. Così
il dolore che
provavo nel petto potesse finalmente finire, e io trovare un
po’ di pace.
Il
drago a quel punto mi si avvicino e mi
tocco con il suo muso la fronte. Quel contatto mi dava una sensazione
di fresco
e rinvigorente, e con esso senti la voce femminile del drago nella mia
mente.
·
Sai
che cosa sono ragazzo? Mi chiese la
dragonessa con una voce calma e tranquilla.
·
Siete
una dragonessa, una creatura che esiste
solamente nelle leggende. Pensai io nella mia mente, ed a quanto pare
lei riuscì
ad ascoltare la mia risposta.
·
Come
puoi vedere, non sono per niente una
leggenda, ma un essere in carne ed ossa.
·
Oppure
sono già morto, o mi sto immaginando
tutto e tu sei una creazione della mia mente.
·
Non
credo tu sia cosi fortunato da riuscire a
rifugiarti in un sogno.
·
Che
cosa mi e successo? E come sono finito in
questo posto? Le chiesi io ormai stanco e rassegnato.
·
Penso
che tu abbia ricordo di quello che e
successo al tuo villaggio, mi rincresce dirti che ogni membro della tua
tribù e
stato ucciso, tu sei l’unico sopravvissuto.
·
Non
può essere vero. Ci deve essere qualcuno
ancora in vita. Cosa e successo ai bambini che sono stati mandati fuori
dal
villaggio? Chiesi disperato, quando avevo sentito quella risposta.
·
Sono
morti anche loro. Tutto il villaggio era
circondato. Vi hanno fatto credere che erano riusciti a scapare per poi
poterli
finire in tranquillità. Mi disse lei con tono dolce.
·
Non
e possibile, perché e successo tutto
questo? E perché io sono ancora vivo? Mi misi una mano sui
occhi, cercando di
fermare le lacrime.
·
Non
so come ma sei riuscito a rimanere in vita
fino all’alba. E un vero miracolo che tu sia resistito. E
stata la Driade che ti
ha trovato. Eri più morto che vivo quando ti ha portato da
me, nella speranza
di riuscire a salvarti. Mi disse lei. In quel momento tutte le
terribili cose
che avevo visto quella notte li rividi in un istante. Riprovai
sentimenti di
ogni genere, dolore, rabbia, rammarico, impotenza e un vuoto in fondo
all’anima.
·
Quindi
e stata lei a salvarmi. Posso chiederle perché
l’ha fatto e che cose questo posto? Mi ero fatto forza e gli
l’ho chiesto.
·
O
povero ragazzo, non ti ho ancora salvato. Si
sei vivo ma la tua ferita e ancora molto grave, quel colpo ha colpito
il tuo
cuore e nessuna medicina o unguento riuscirebbero a salvarti. Per
quanto
riguarda questo posto e la mia casa. Io sono un drago d’acqua
ho il potere di
dominare questo elemento, e in ogni posto dove io mi fermo per riposare
si
forma un lago fino alla mia partenza. Mi disse lei.
·
Quindi
sto ancora morendo, ma ce qualcosa che
non mi convince. Se fosse cosi perché una creatura tanto
nobile come lei
starebbe ancora a parlare con un moribondo, ci deve essere ancora
qualcosa che
lei non mi ha ancora detto. Dissi io con un po’ di
impertinenza.
·
La
Driade aveva ragione, sei un ragazzo molto
intelligente, dalla mente aperta e dal animo nobile. Hai ragione ce un
altro
motivo per cui ti sto parlando in questo momento. Sta il fatto che come
te
anche io sto morendo, come puoi vedere anche io sono reduce da uno
scontro
mortale. Ormai sono in questo stato da moltissimi anni, e le mie ferite
non
guariranno mai più. Sto morendo lentamente di fame e le
forze mi stanno
abbandonando ogni giorno di più. Purtroppo ho ancora un
obiettivo che non sono
ancora riuscito a portare a termine. E non ho intenzione di morire fino
a
quando non l’avrò fatto. E qui entri in gioco tu
mio caro ragazzo.
·
E
come può un ragazzo giovane come me, e per di
più moribondo poter aiutare un drago come lei? Chiesi io
quasi sarcastico.
·
Io
potrei fare in modo che tu sopravviva, ma lo
farò solo se sarai disposto a portare a termine i miei
obbiettivi. Potrebbe richiedere
anni e molta pazienza. Per non parlare che il metodo per salvarti non e
per
niente sicuro. Ci sono poche probabilità che funzionare.
L’unica sicurezza che
ti posso dare e soffrirai molto, più di quanto puoi anche
lontanamente
immaginare. E se anche funzionasse il dolore del trattamento ti
potrebbe
benissimo portare alla pazzia. Mi disse lei.
·
Non
vorrei essere scortese, ma perché dovrei
voler sopravvivere? Tutto quello che avevo in questa vita e andato
perduto in
una sola notte. Non ho più niente, ne famiglia ne una casa,
e neppure tanta
voglia di vivere. Perché dovrei voler soffrire ancora di
più? Non sarebbe più
facile lasciarmi andare e morire tranquillamente? E poi sono stanco
vorrei che
questa sofferenza andasse via e mi lasciasse solo. Dissi io girando la
testa
dall’altra parte per la vergogna delle mie parole.
·
Finché
sarai in vita quella sofferenza non se
ne andrà mai. Con il tempo potrà attenuarsi e tu
imparerai a conviverci
insieme. Ma ci sarà sempre, da qualche parte infondo al tuo
cuore. Io posso
darti solo un'altra possibilità, e con essa uno scopo se
vorrai. Io so cosa
sono i mostri che vi hanno attaccato, e sono sicura che il loro
mandante sono
li stessi che io sto cercando. Quelle creature si chiamano Shura. una
volta
erano umani, su cui sono stati fatti dei esperimenti grazie al potere
di noi
draghi. Una pratica molto antica, corrotta e disumana, che nessun
essere
dovrebbe mai usare. Purtroppo quelle creature non hanno nessuna colpa
in quello
che e successo alla tua gente. Loro non hanno né coscienza
né volontà, sono controllati
dal loro creatore e seguiranno sempre i suoi ordini.
·
Quindi
tu vorresti spingermi verso una strada
della vendetta. Cercare i responsabili del massacro della mia gente e
ucciderli. E uccidendoli avrò portato a termine anche i tuoi
obiettivi. Mi
dispiace darti una delusione, ma la mia gente non ha mai avuto
sentimenti di
vendetta. Se moriamo combattendo e con dignità, ce ne
andiamo felici al altro
mondo. Se io decidessi di vivere e accettare la tua offerta di
vendetta,
dimostrerei che i miei genitori e la mia gente, e morta nella vergognai
e loro
non potranno mai riposare in pace. Mi dispiace dragonessa ma ancora non
mi hai
convinto a voler vivere.
·
Questi
esseri non si fermeranno solo con la
distruzione di qualche tribù. Continueranno a uccidere,
massacrare e
sottomettere tutti gli essere di questo mondo. Non ti ho chiesto di
continuare
al lottare per vendetta ragazzo. Ti chiedo di lottare in modo da fare
la
differenza in questo mondo, di rendere i tuoi genitori e i tuoi avi
orgogliosi
che porti il loro sangue nelle vene.
·
E
perché dovrebbe importare ad un drago, quello
che succede agli Umani, Deva, Lycan e Ninfe?
·
Sinceramente
non mi importa delle altre razze,
voglio solo fermare quei individui. E una missione che la nostra specie
si e
prefissata a portare a termine, ma ormai siamo rimasti troppo pochi,
potrei
essere persino l’ultima della mia specie.
·
Non
mi hai ancora detto il perché li volete
fermare. Le dissi io ormai stanco di tutti quei giri di parole.
·
Va
bene ragazzo te l’ho dirò, ma prima ti
rivelerò come potrei salvare tutte e due. Per guarirti io
dovrò abbandonare il
mio corpo materiale e diventare parte di te ragazzo. E una magia molto
antica e
molto pericolosa, che la mia razza aveva creato avendo paura della
morte.
Diventare parte di te vuol dire fondere le nostre essenze e diventare
una
creatura con un unico corpo con due spiriti ben separati. Non aver
paura, il
corpo sarà sempre il tuo, la mia essenza ti
conferirà solo la guarigione di cui
hai bisogno e accesso ai miei poteri. E cosi che sono nati gli Deva
dall’unione
di un umano ed un drago. Non farti illusioni gli Deva di oggi non hanno
loro
interno i spiriti dei miei simili. I deva di oggi sono solamente i
discendenti
che hanno ereditato una parte dei poteri dai loro avi.
L’unione tra noi e un
umano ha dato la vita a un essere molto più forte,
intelligente e con una vita
molto più lunga quasi immortale. Con queste nuove
abilità e poteri, in alcuni hanno
cominciato a credere di essere dei esseri superiori. Con il tempo
questi deva e
il loro draghi si sono corrotti e presero il nome di Ashura. Pensando
di essere
superiori e di avere il diritto di essere venerati dagli umani. A
questi
individui gli altri Deva originali si opposero, e con la loro
opposizione si
scateno una sanguinosa guerra, uccidendo quasi tutti gli Deva
originali,
lasciando alle loro spalle solo i loro discendenti mortali. Non
morirono tutti,
alcuni Ashura sono sopravvissuti e sono ancora in giro per il mondo, in
cerca
di un modo per riprendersi il loro potere. I draghi che non avevano
fatto
l’unione con un umano, giurarono tutti di dare loro la caccia
e ucciderli fino
alla fine dei nostri giorni. Ti faccio presente che questo successo
moltissime
ere prima che la tua razza nascesse. E ormai gli Ashura sono rimasti
solo una
manciata. Purtroppo dando la caccia a loro anche molti della mia razza
sono
morti. Come puoi vedere anche io ne porto le ferite di quelle
battaglie. Ormai
non posso più farcela da sola, e tu sei la mia ultima
speranza.
·
Quindi
il tuo obiettivo e quello di porre
rimedio all’errore che la tua razza fece in passato, e per
farlo sei disposta a
fare il loro stesso errore.
·
Per
porre fine a questa storia sono disposta a
fare di tutto, persino questo. Mi disse lei con voce triste.
·
E
poi, poniamo il caso che riusciamo a trovarli
e ucciderli, che faremo? Hai detto che l’unione tra un drago
e un umano dava
quasi l’immortalità, cosa faremo per il resto dei
nostri giorni? Le chiesi
curioso io.
·
Mi
dispiace deluderti ragazzo ma noi non
diventeremo come loro. Basta guardarci. Tu sei un ragazzo moribondo e
io mi
trovo più o meno nella tua stessa situazione. Usando la
forza delle nostre vite
per guarire il tuo corpo, ci rimarrà da vivere al massimo
trecento,
quattrocento anni, una vita di un normale Deva di
quest’epoca. A quella
rivelazione cominciai a ridere, ignorando il dolore che mi provocava la
risata.
·
Trecento,
quattrocento anni, li descrivi come
se fossero un battito di ciglia, ma per me sono circa cinque o sei
volte di più
della vita che un Lycan normale avrebbe condotto.
·
Per
un drago, cosi come anche per le ninfe,
quei anni sono proprio un battito di ciglia anche se a te potrebbero
sembrare
moltissimi. Allora ragazzo dopo aver sentito il mio racconto che cosa
hai
deciso?
·
Sei
sicuro di volerlo fare? In fondo sono solo
un ragazzo, e dubito che anche con i tuoi poteri potremmo tenere testa
a tutte
quelle schiere di Shura, per non parlare di arrivare agli Ashura e
ucciderli.
Li dissi io.
·
Hai
ragione sei ancora un cucciolo di Lycan, ma
come mi hai fatto notare abbiamo ancora molto tempo davanti a noi. Tu
crescerai
e diventerai sempre più forte, e se sei intelligente solo la
metta di quello
che credo, riuscirai a farti dei alleati. E stai tranquillo gli Ashura
prima o
poi faranno la loro mossa e dovranno uscire allo scoperto.
·
Capisco
dragonessa, allora accetto la tua offerta
fai di me un Deva e io ti giuro che proverò a portare al
termine la missione
della tua vita, e forse quando lo farò il mio animo
tornerà sereno.
·
Sono
contento di sentirtelo dire. Puoi
chiamarmi semplicemente Aqua, se sopravvivrai sarò la tua
compagna, amica e
maestra per il resto dei nostri giorni.
·
Io
invece sono Keiran Nightingale, vediamo di
cominciare prima che ci ripensi.
Con il mio
consenso
Aqua mi solevo lentamente con una delle sue zampe, e con
l’altra mi ricopri. Prima
che il buio mi inghiottisse, diedi un’ultima occhiata nella
direzione delle
ninfe. Sembravano fiduciose e mi salutarono dolcemente. Mi lasciai
avvolgere
dall’oscurità, e Aqua comincio a sedersi sul fondo
del lago, ricoprendoci
d’acqua.
Per qualche
istante tenetti il respiro, ma ben presto comincio a mancarmi
l’aria, e io dovetti
provare a respirare. Tutto intorno a me cera solo acqua e
oscurità, e quando
non riuscì più a trattenere il fiato, cominciai
ad affogare. Ogni boccata
d’acqua che prendevo mi bruciava i polmoni, era una delle
esperienze peggiori
che potessi provare.
Anche
con il corpo ferito e del tutto incapace
di muoverlo, l’istinto mi obbligava a nuotare verso la
superfice, in cerca di
una boccata d’aria. Passai qualche minuto in quello stato,
con i polmoni che andavano
a fuoco e io mi disperavo per una boccata d’aria. In qualche
modo, anche non
respirando non stavo morendo, era solo un’agonia senza fine.
E fu allora che
tra quelle immense zampe si creo una piccola sfera luminosa di colore
azzurro.
La sfera si vicino lentamente verso il buco che avevo ne petto.
Appena
quella piccola sfera luminosa tocco il
mio petto, un dolore allucinante mi trapasso ogni fibra del corpo. E ad
ogni
millimetro che avanzava nella mia ferita il dolore era sempre
più forte e
straziante. Persi il conto di quanto tempo fosse passato da quando ero
sotto
quella tortura. Mi dimenavo come un matto cercando di fuggire da quel
dolore,
sperai persino che la trasformazione fallisse e che la morte mi
prendesse.
Ma
quando la sfera ricopri tutta la mia
ferita, il dolore si attenuo per un lungo istante. Mi sembrava di
essere in
pace con me stesso, e il mio unico pensiero era “se ero
riuscito a supportare
quel dolore, avrei supportato di tutto, perché niente poteva
essere peggio”.
Non potevo nemmeno immaginare quanto mi stavo sbagliando.
Intorno a me si
erano create centinaia di altre piccole sfere luminose, ma questa volta
stavano
assumendo la forma di lunghi e sottili aghi, e si stavano posizionando
intorno
al mio corpo. Uno a uno gli aghi entrarono in punti ben specifici del
mio
corpo. Entravano uno alla volta, facendo in modo che il dolore si
amplificasse
ad ago.
Dopo una decina,
sia il mio corpo che la mia mente erano devastati. Riuscivo a sentire
ogni
fibra del mio corpo che gridava di dolore. Era come se ogni ossa,
legamento,
muscolo e nervo si stessero rompendo simultaneamente. Per poi venir
ricuciti
uno a uno, e questo procedimento si ripeteva sempre più
forte ad ogni ago che
si aggiungeva. Tra un ago e l’altro passava un po’
di tempo, abbastanza da
riprendermi e addormentarmi per brevi periodi.
Dopo
un po’ di tempo cominciai ad estraniarmi
dal dolore che il mio corpo provava e rifugiarmi in un angolo felice al
interno
del mio cervello. Solo li riuscivo a mettere insieme un pensiero
coerente, e di
solito era una supplica a dio di farmi morire. Notai che quei aghi non
entravano in modo casuale nel mio corpo, ma colpivano dei punti di
pressione
molto accurati.
Ne
conoscevo alcuni grazie alle tecniche di
sottomissione che imparai da mio padre. Sapevo che se venivano premuti
nel modo
giusto, potevi immobilizzare un avversario, o perfino farli provare un
dolore lacerante.
Ma se venivano massaggiati e premuti con cura e con poca forza, si
riusciva
persino a velocizzare il processo di guarigione. Quelle tecniche
venivano usate
da mia madre, quando curava le mie ferite o quando alleviava i miei
dolori,
dopo un allenamento troppo intensivo.
Ma non avevo
idea
che nel nostro corpo ce ne fossero così tanti, e che
potessero provocare tutta
quella sofferenza. Il dolore era immenso e io in quel buio non sapevo
se al
esterno fosse passato un giorno o una vita. Piano, piano tutti gli aghi
trovarono la loro posizione all’interno del mio corpo fino a
quando non ne
rimasse solo uno. Questo era un po’ diverso dai altri, era
più grosse e lungo,
ma aveva anche un colore azzurro più vivido quasi pulsante.
Quando entro nel
mio cuore, mi uccise per un lungo istante.
Solo
quando l’ago venne assorbito dal mio
corpo, il mio cuore riprese di nuovo a battere e io senti tutto il
dolore che
avevo percepito fino a quel momento, tutto concentrato in una volta.
Questa volta
non era solo un dolore fisico, ma spirituale. Sentivo che metta della
mia essenza
veniva strappata via pezzo per pezzo. Quei pezzi andavano ad
appoggiarsi sul
mio corpo rafforzandolo. Al posto dell’essenza che venne
strappata, un'altra ne
prese il posto, unendosi alla metta che era rimasta intatta.
Fu
un processo molto lungo e doloroso, ma allo
stesso tempo rilassante. Era diverso dal dolore che avevo provato fino
ad
allora. Faceva male ma allo stesso tempo il mio corpo si rafforzava e
si
riposava. Lo sentivo diverso, più forte e leggere, ma allo
stesso tempo
percepivo che qualcosa mi mancava. In quella trasformazione avevo perso
qualcosa, e non sapevo ancora cosa.
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Capitolo 7 *** 7 ***
Capitolo 7
Quando
la trasformazione fini, con essa
scomparve anche tutto il dolore. Il mio corpo stranamente non era
esausto ma al
contrario riposato e in forza. Durante quel procedimento avevo perso la
cognizione del tempo. con quelle torture avevo l’impressione
che fossero
passati anni, se non decenni. Ma poteva benissimo essere trascorso solo
un paio
di giorni. Quando apri gli occhi, riuscì a vedere solo
alcuni spirali di luce.
Quelli che riuscivano a passare tra le fessure delle ditte di Aqua.
Ci misi qualche
secondo per abituare la mia vista a quella flebile luce. Quello che
vidi, mi
lascio sorpreso. Il corpo di Aqua, era diventato interamente di pietra.
Tra le
zampe in cui ero rinchiuso si era formata una bolla d’aria,
riempita per metta
d’acqua. Io stavo galleggiando sull’acqua, e quando
mi alzai in piedi, e tocai
il fondo della bolla, scoppio sommergendomi d’acqua.
Nuotai e mi
cercai
un spiraglio trai i suoi artigli. Con gran fatica riuscì a
uscire dal interno
delle sue zampe. Prima di risalire in superfice, mi voltai e guardai il
suo
corpo. Era diventato tutto di pietra, e le ali erano spianate,
coprivano quasi
tutto il fondale del lago. La osservai per qualche altro secondo, per
poi
voltarmi e risalire.
Quando emersi la
luce del solo mi abbaglio. Mi ci vogliono diversi minuti per
abituarmici e riuscire
a guardarmi in giro. La prima cosa che notai erano le foglie verdi e i
germogli
sui alberi. Non riuscivo a credere che ero rimasto sott’acqua
per quasi nove mesi
interi senza mangiare o respirare. Mi girava ancora la testa, era
qualcosa che
non riuscivo nemmeno a comprendere come fosse possibile.
Abbassai subito
la
testa per guardare la mia ferita sul petto per vedere se era guarita.
La ferita
si era rimarginata alla perfezione. Era rimasta solo una cicatrice nera
a forma
di sole, con un cerchio perfettamente rotondo al centro e delle saette
di
bruciature intorno. Una copia esatta della cicatrice cera anche sulla
mia
schiena, nel punto d’uscita. Esaminandomi meglio notai che
avevo persino
guadagnato un paio di centimetri in altezza, adesso arrivavo quasi a un
metro e
settantacinque. Mi sentivo più forte e l’acqua del
lago in qualche modo mi
stava attraendo e mi dava un senso di tranquillità.
Per cera
qualcosa
che non andava, sentivo come un enorme vuoto dentro di me. Provai a
trasformarmi e ad assumere la mia forma selvaggia, e fu allora che
scopri
quello che mi mancava. Non riuscivo più a trasformarmi.
Tutto quello che cambio
nel mio corpo erano i miei sensi, gli artigli e le mie zanne, per il
resto ero
un semplice uomo. Mi prese il panico, e persino una tristezza senza
fine. Una
parte del mio essere era stato cancellato, e sostituito con una parte
draconica. Andai vicino al lago per vedere quale altro cambiamento
avevo
ricevuto nel diventare un deva.
Quando
mi ci specchiai nel lago vidi che i
miei occhi non erano più rossi, ma erano dello stesso colore
di Aqua di un
azzurro limpido e con sfumature fredde. Per un momento
impallidì e mi feci
sopraffare delle emozioni. Questa mia tensione fece trasformare i miei
occhi in
quelli di un Lycan, con le pupille sottile e una vista molto acuta. Ma
la cosa
più importante, erano di nuovo rossi. Quel colore a me
nostalgico, odiato ma
allo stesso tempo che avevo imparato ad apprezzato.
Questo mi
tranquillizzai tornarono normali e azzurri. Anche le mie orecchie
cambiarono un
po’, erano a punta, simili a quelle delle ninfe, cosi buffe
da farmi sorridere.
Feci diversi respiri per trovare la mia calma interiore, e con essa
arrivo
anche il suono del mio stomaco che brontolava per la fame. Quella
situazione mi
faceva quasi ridere, con tutto quello che avevo passato, il mio corpo
desiderava
solo il cibo.
Stavo per
addentrarmi nella foresta, quando le mie amiche ninfe arrivarono. La
Driade
aveva tra le braccia della frutta, mentre le altre avevano diversi
oggetti
nelle mani. La Driade mi fece segno di sedermi e mi passo la frutta per
potermi
sfamarmi. Fu allora che provai una piccola fitta di dolore sulla
schiena. Girai
la testa per provare a vederne la causa. Non ci riuscì molto
bene, e l’unica
cosa che vidi fu solo un pezzo di tatuaggio di un’ala.
Mi
alzai in piedi e andai vicino al lago per
guardare il riflesso della mia schiena. Rimasi senza parole quando vidi
il
ritratto identico del corpo di Aqua tatuato sulla mia schiena. Il
disegno era
perfetto in ogni minimo dettaglio, con la sola differenza che era senza
cicatrici e ferite. Mentre osservavo il tatuaggio, mi pare di vederlo
mentre
spostava un’ala. Nel primo momento, pensai di essermelo
immaginato, ma poi il
drago sulla schiena si sposto su una spala, per poi uscire dal mio
corpo.
Al inizio il
tatuaggio si trasformo in acqua, per poi assumere un corpo reale uguale
al
drago che si trovava in fondo al lago. Era uguale in ogni minimo
dettaglio, con
la sola differenza che aveva le dimensioni del tatuaggio, non
più grande della
mia schiena.
·
Vedo
che ripore le mie ultime speranze in te,
non e stato del tutto uno sbaglio. Mi disse Aqua, nel suo nuovo e
piccolo
corpo.
·
Sei
proprio tu Aqua? Che cosa ti e successo? Li
chiesi io sbigottito.
·
Ormai
questa e la forma che posso assumere, ti
ricordo che il mio vecchio corpo e in fondo a questo lago, e adesso io
vivo in
te.
·
Che
cosa faremo adesso? Le chiesi io mentre mi
sedevo e ripresi a mangiare la frutta, con le ninfe che ci guardavano e
Aqua
che volava intorno a noi.
·
Questo
dipende tutto da te, ma se vuoi un
suggerimento ti direi che potremo cominciare a farti usare i miei
poteri. O
forse sarebbe meglio dire i nostri poteri.
·
A
già mi hai accennato che sarei diventato un
Deva. Visto che sei un drago d’acqua, i miei nuovi poteri
dovrebbero avere a
che fare con questo elemento.
·
Proprio
cosi Keiran, adesso dovresti avere un
certo controllo sull’acqua, ma ti servirà un
po’ di tempo per poter attingere
ad esso e controllarlo.
·
E
da dove cominciamo? Le chiesi io quasi
impaziente.
·
Vai
piano ragazzo, non essere così impaziente.
Dobbiamo fare prima un'altra cosa.
·
E
sarebbe?
·
Limitare
il tuo potere, e sigillarne una parte.
Non fare quella faccia, pensi di riuscire a controllare un potere che
prima era
nel corpo di un drago? Guardati
in giro
ragazzo, quel lago l’ho creato mentre dormivo, senza nemmeno
rendermi conto.
Pensi che il tuo corpo appena trasformato, sia in grado di gestire
tutto quel
potere? Dovrai prenderne il controllo un pezzo alla volta. Dovremo
essere
pazienti e stare molto attenti. Se lasciamo il tuo potere come adesso,
e tu lo
usassi interamente, potresti benissimo morire. O anche peggio perdere
un
braccio o una gamba nel tentativo. Ti ricordo che adesso vivo anche io
nel tuo
corpo, e ci tengo che tu rimanga in vita, e possibilmente in salute.
Fu allora che la
Naiade fece un tuffo nel lago. Mi alzai in piedi e andai a guardare.
Vedere una
ninfa nel suo ambiente era sempre uno spettacolo. La vidi andare verso
le
mascelle del drago, e stacco un suo canino. Era una zanna lunga quanto
il mio
braccio, e di un azzurro chiaro quasi bianco trasparente. La vidi
risalire con
quella lunga zanna ed uscire dall’acqua in modo elegante.
La ammirai per
qualche istante prima di ricordarmi che non lontano da lì si
doveva trovare la
mia tribù. Così mi addentrai nella foresta,
lasciando le ninfe a fare quello
che avevano cominciato a costruire. Sorpassando la nebbia arrivai nei
pressi
del villaggio per vedere l’orrore che ci aveva colpiti. Tutto
era rimasto come
mi ricordavo in quella notte. Persino i corpi dei miei genitori erano
nello
stesso posto dove li avevo visto morire.
Se non fosse
stato
per gli oggetti che portavano con loro, avrei potuto anche non
distinguerli
dagli altri visto le loro condizioni. Ormai il loro corpi, cosi come
quasi
tutti gli altri della mia tribù, erano in uno strato
avanzato di putrefazione,
e molti cadaveri erano stati sbranati e mangiati dagli animali. Trovai
resti di
persone, portati dagli animali persino fuori dai confini del villaggio.
L’odore
che si percepiva li era nauseabondo, e il mio olfatto sviluppato non
aiutava
molto a star meglio.
Presi quello che
rimaneva di mia madre e la portai vicino al corpo di mio padre. Poi mi
lasciai
cadere in ginocchio, e per la prima volta da quella tragedia piansi. Un
pianto
pieno di tristezza, rammarico e di impotenza. Odiavo chi aveva fatto
quel
macello, ma allo stesso tempo odiavo me stesso per non aver potuto fare
niente
di più, o per non essere morto con loro.
Diedi sfogo a
tutte
le mie lacrime e frustrazioni, finché il mio cuore non si
alleggerì e la mia
mente non si calmo. Dovevo cominciare a dare una degna sepoltura ai
miei
genitori, e a tutta la mia gente. Con gran fatica mi alzai e cominciai
il
lavoro che dovevo fare.
Cominciai a
entrare in ogni casa della tribù e portare fuori tutto
quello che si poteva
bruciare, tavoli sedie e altri mobili. E allo stesso tempo cercavo cose
che mi
sarebbero potuto servire, come vestiti soldi e mappe. Fu un lavoro
enorme
ammucchiare abbastanza legna da cremare più di duecento
Lycan. Ci missi quasi
una settimana a sistemare la legna ed i cadaveri al centro del
villaggio.
Basto una
piccola
fiamma, per dare fuoco a tutto e far riposare i corpi della mia gente.
Rimasi
li a guardare e a mostrare rispetto per tutti quei guerrieri e persone
valorose
che erano morte combattendo. E solo quando le fiamme diventarono
deboli, mi
avviai verso casa mia. Mi rimaneva solo un ultimo funerale da fare, il
più
doloroso di tutti, quello dei miei genitori.
Avevo posto
quello
che rimaneva dei miei cari genitori nel loro letto, e stavo facendo gli
ultimi
preparativi per il loro funerale. Dal loro armadio presi i vestiti che
mi
potevano stare, come gli stivali di mio padre, visto che il resto era
troppo
grande per me.
Prima
di uscire sfilai a mia madre il suo
bracciale. Era un regalo di mio padre per lei quando io ero nato. Sul
bracciale
era ricucito in maniera sublime un maestoso lupo scarlatto. Un simbolo
di
quello che lui credeva che io sarei diventato. Lo indossai sul polso
sinistro
come un ricordo dei miei genitori prima di uscire da casa mia.
Una volta fuori,
diedi fuoco a tutta la casa e rimasi li a piangere e a temprare il mio
cuore,
con la speranza che nel mio futuro avrei presso solo decisioni per le
quali
loro potessero essere orgogliosi. Fu un supplizio guardare la mia casa
andare a
fuoco, e con essa tutto quello che io amavo al mondo. Ma mi feci forza
e rimasi
immobili finche ultima striscia di fumo non svani.
Mi ero preparato
qualche sacca da viaggio con le cose che avevo trovato nel villaggio.
Erano
piene di vestiti che mi stavano su misura, qualche cappotto e stivali.
Avevo
trovato anche due sacchetti di monete. Su uno sacchetto cera il simbolo
degli
umani e sul l’altro quello dei deva. Fui fortunato a trovare
anche diverse
mappe che conducevano a diverse città nei pressi della
nostra foresta.
Una volta che
fini
tutto, missi le sacche sulla schiena e mi lasciai il mio villaggio alle
spalle
e tornai al lago. Questa volta fu facile da trovare forse
perché era Aqua a
condurmici. Per tutto il tempo che eravamo rimasti al villaggio era
rimasta in
silenzio, lasciandomi a piangere i miei cari in pace. E per questo li
fui
enormemente grato.
Nel tempo che ho
trascorso nel mio villaggio, le ninfe avevano lavorato duramente su
richiesta
di Aqua. Non sapeva di cosa si trattava, ma l’avrei scoperto
molto presto.
Quando tornai al lago, le trovai tutte e cinque che aspettavano il mio
ritorno.
Avevano qualcosa da farmi vedere, cosi posai le sacche e le raggiunsi.
La prima
a parlare fu Aqua, che usci dal mio corpo e si posso sulla spala della
Driade.
·
In
nostra assenza ho chiesto alle tue amiche,
di usare le loro capacita per creare dei oggetti da usare come
catalizzatore
per limitare per il momento i nostri poteri. Spero che ti piacciono. Mi
disse
lei.
La Naiade da
dietro la schiena tiro fuori un
fodero nero, di circa quaranta centimetri. Il fodero era attaccato in
orizzontale a una cintura dello stesso colore, per poter essere legato
alla vita.
All’estremità del fodero usciva il manico di
un’arma, con un bellissimo pomo a
a forma di testa di drago. Il pomo era molto piccolo e discreto, per
non essere
d’intreccio. Era fatto di un metallo a me sconosciuto, e gli
occhi del drago
erano di zaffiro blu.
Il manico era
bianco, un bianco puro come la prima neve dell’inverno. Era
fatto di un unico
pezzo di corno di cervo, e rivestito da una tela di ragno bianchissima.
Era
curvato in modo appena percepibile, e al centro di esso cera un pezzo
rivestito
di un metallo nero. Lo stesso metallo cera alla base del manico, dove
la lama
era incastonata.
Con il consenso
di
Aqua provai a sfoderare l’arma, questa usci solo per un
centimetro per poi
bloccarsi. Ci provai ancora diverse volte, ma la lama non voleva ancora
uscire.
A quel punto alzai lo sguardo e guardai le ninfe incuriosito.
·
Come
mai non vuole saperne di uscire? Chiesi
io, a quel punto.
·
E
un sistema a doppio incastro, pensato apposta
per te che non usi armi. Poi ti spiegheremo meglio. Per sfoderarla devi
estrare
fino a che non si blocca, per poi rinfoderare e solo allora estrare di
nuovo.
Provaci su. Mi disse lei.
Come mi aveva
appena indicato, segui le sue istruzione, e finalmente
riuscì a sfoderarla. Era
una daga bellissima, la lama era lunga circa quaranta centimetri e
larga sei,
sottile e il colore azzurro li permetteva di essere quasi trasparente.
Le
estremità erano incurvate alle punte, dando alla lama una
forma leggermente ad
“S”. Sul dorso della lama cerano due piccole
sporgenze a punta con al loro
interno una goccia d’acqua. Una delle estremità
della lama era collegato al
manico grazie ad un’elsa di metallo nero, che segue la
curvatura della lama per
circa otto centimetri.
Tenerla in mano,
mi dava una sensazione intimidatoria e di pericolo, ma anche di potere.
La
driade mi venne vicino, e mi mise una mano su quella con cui tenevo la
daga. Il
fascino che mi mostrava in quel momento mi svuoto del tutto il
cervello, e non
riuscivo a pensare a quello che stava facendo.
Porto la lama
sul
palmo della mia mano sinistra, e con un movimento brusco mi taglio. Il
dolore
mi riporto alla realtà e cercai di togliermi alla sua presa.
Ma lei insistete
per non muovermi. Stava facendo colare il mio sangue sulla lama,
finché non la
ricopri del tutto. Poi ne verso alcune gocce anche sul fodero. Quando
fini di
ricoprire la daga con il mio sangue, la Oreade mi si avvicino.
Porto la sua
mano
sotto la mia insanguinante e la apri. Nel palmo della mano cera un
grosso
orecchino a forma di orecchio. Intanto che si dipingeva del mio sangue,
osservai alcuni particolari. Per prima cosa era fatto interamente
d’ambra. E
guardandolo meglio si notava benissimo che erano cinque orecchini
distinti.
Erano rotondi e con una larghezza di circa due centimetri, e ognuno si
incastonava nel altro dandoli la forma esatta del mio orecchio.
Quando sia la
daga
che gli orecchini furono totalmente coperti di sangue, successe
qualcosa di
molto strano. All’improvviso mi senti molto debole, tanto da
farmi cadere in
ginocchio. Sia la lama, il fodero e gli orecchini assorbirono al loro
interno
il mio sangue. Su tutti e tre gli oggetti comparve la stessa frase
scritta con
il sangue, in una lingua e con caratteri mai visti prima. Sulla lama la
scritta
era ben visibile, e andava dall’elsa fino quasi alla punta
della lama. Sul
fodero la scritta era in cerchio, mentre sui orecchini la frase era
minuscola e
si poteva leggere solo quando essi erano uniti.
Passarono
diversi
minuti finché io non mi ripresi e ritrovai le forze. Ma
intanto che mi
riprendevo le mie amiche ninfe stavano finendo gli orecchini. Ognuna di
esse si
punse un dito e verso una goccia di sangue su un orecchino.
Il sangue della
Naiade, fece cambiare il colore dell’orecchino in un azzurro
acqua, e al suo
interno si vedeva comparire un bellissimo corallo arcobaleno. Quello
della
Oreade, li diede un colore rossastro scuro, e dentro l’ambra
si vedeva
innalzare una montagna in ogni suo minimo dettaglio, aveva persino la
neve
sulla punta. La Lemoniade trasformo l’orecchino da giallo in
un verde chiaro, e
al suo interno si vedeva crescere un quadrifoglio. Con il sangue della
Agrostine, il colore dell’ambra non cambio per niente, rimase
giallo, ma dentro
l’orecchino stava crescendo un campo di erba e di fiori
selvatici. Per l’ultima
era rimasta la Driade. Il suo orecchino assunse le tonalità
di un verde scuro,
come le foglie dei alberi, e dentro di esso si vedeva crescere un
albero.
I cinque
orecchini
visti insieme, facevano uno strano effetto. Guardandoli si poteva
intravedere
tutto quello che la natura poteva contenere. Una ad una mi venne
vicina, e mi
bucarono l’orecchio sinistro e incastonarono i loro
rispettivi orecchini.
Quando finirono, andai vicino al lago e mi rispecchiai per vederli.
Uniti
insieme gli orecchini mi ricoprivano alla perfezione
l’orecchio, erano fatti su
misura e a quanto pare non si potevano più togliere.
·
Adesso
se non e troppo disturbo per voi, potrei
avere qualche spiegazione su quello che avete fatto? Chiesi io mentre
mi
avvicinavo a loro.
·
Ti
avevo già avvertito che avremo provato a
sigillare parte dei nostri poteri. Stai tranquillo sono tutti sigilli
temporanei. Mi disse Aqua.
·
Potresti
spiegarti meglio? Prima ho avuto un
mancamento. E per via dei sigilli che si sono attivati? Chiesi io.
·
Proprio
così. Il primo e sulla daga. Quando e
infoderata il tuo potere e al minimo, in questo modo potrai cominciare
ad
imparare a gestire il nostro potere. Quando la estrai, avrai accesso a
un
potere simile a quello di un deva. Visto che tu non sai come usare
un’arma,
abbiamo fatto in modo che il fodero fosse a doppio incastro. In questo
modo non
servirà tenere la daga in mano per attingere al potere. I
sigilli nei orecchini
sono un po diverso. I dei primi quattro, dentro di loro hanno sigillato
un ramo
del potere dell’acqua. Mentre il quinto, ha il resto del mio
potere, quello che
sommato al tuo sprigiona il vero potere di un drago. Il primo sigillo
nell’orecchino azzurro e già sciolto, e ti
dà il controllo sull’acqua liquida.
Quando maturerai nel controllo del potere, e il tuo corpo
comincerà a
supportare lo stress e la fatica, anche gli altri sigilli si
scioglieranno.
·
Va
bene, ho più o meno capito quello che avete
fatto. Adesso da dove inizio con gli allenamenti? Le chiesi.
·
Vedo
che sei ben motivato, mi piace. Penso che
dovremo cominciare con la meditazione. Dovrai immergerti dentro la
nostra
essenza e trovare la fonte del nostro potere e attingerci. Solo quando
questo
esercizio ti risulterà facile potremo cominciare con la
pratica.
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Capitolo 8 *** 8 ***
Capitolo 8
E cosi il mio
allenamento comincio, mi sedetti nell’acqua e chiusi gli
occhi. Mi concentrai
sul rumore dell’acqua mentre sbatteva sulle sponde. Aqua non
mi aveva dato
molti indizi su come trovare la fonte del nostro potere, dentro il
nostro
animo, ma volevo fare un tentativo. Usai una tecnica di meditazione dei
Lycan,
che veniva impiegata per facilitarci le trasformazioni parziali.
Non funziono
molto, dopo due giorni non avevo ancora fatto nessun progresso. La
meditazione
dei Lycan consisteva nel concentrarsi su una parte specifica del corpo
e
provare a farla cambiare. In quel momento io dovevo sprofondare nel
profondo
del mio animo.
Non mi aresi e
ci
riprovai. Questa volta svuotai la mente e rimassi immobile
nell’acqua. La
lasciai fluire intorno a me, coprirmi e bagnarmi le gambe. Dovevo
diventare
tutt’uno con quel lago e con quell’elemento, e allo
stesso tempo scendere nei
meandri della nostra essenza.
Stavo ormai
meditando da un mese ormai senza sosta giorno e notte. Non ero ancora
riuscito
ad arrivare alla fonte del mio potere, ma avevo scoperto alcune
novità sul mio
corpo. Immerso nell’acqua il mio corpo rallentava. Il mio
metabolismo, respiro
e persino il mio cuore, funzionavano a livelli minimi. Mi bastava
mangiare
qualcosa una volta a settimana per essere sazio. Il mio respiro e i
battiti del
mio cuore erano così lievi, che chiunque mi avesse visto in
quel stato avrebbe
pensato che fossi morto. Ma grazie a queste caratteristiche riuscivo a
rimanere
in meditazione per giorni interi senza mai distrarmi, e i frutti del
mio
allenamento sarebbero arrivati presto.
In una notte
candida e senza luna, riuscì ad arriva in fondo al mio
essere. Quello che
trovai era un’immensa stanza bianca. Dentro questa stanza ero
isolato, non
riuscivo più a sentire niente al fi fuori di essa. Il mondo
al di fuori era
scomparso, e li dentro regnava un incredibile silenzio e pace. Non
tutto li
dentro era bianco, al centro di ogni parete cera un enorme runa di
colore rosso
sangue. Ogni parete aveva una runa diversa, ma tutte e tre erano
circondate
dalla stessa frase che si trovava sulla mia daga e sui orecchini. La
stessa
cosa valeva anche per il soffitto e il pavimento.
Intorno alle
rune
sul soffitto e sul pavimento, la frase intorno ad esse era sistemata in
modo
diverso dalle altre. Sul soffitto la frase era ripetuta in cerchio e
intorno
alla runa per ben sei volte. Mentre quella sul pavimento due volte, una
vicina
all’altra e tagliavano la stanza a metta. Dava
l’impressione che il pavimento
fosse fatto da due porte e in quel momento erano chiuse, e che serviva
un
innesco per aprirle.
Intuì
al volo
quello che stavo osservando con tanta attenzione. Le quattro pareti
erano i
rami e i poteri derivati dall’elemento acqua. Mentre il
pavimento era il
limitatore del mio potere che si trovava nella daga. Infine sul
soffitto si
trovava il sigillo che bloccava la maggior parte del potere di Aqua.
Su una delle
pareti la scritta era sbiadita, e stava scomparendo. Mi diressi nella
sua
direzione, e quando li fui vicino toccai il muro con una mano. Dove
avevo
toccato il muro con la mano, parti una sottile linea azzurra e
andò a sbattere
contro la scritta intorno alla runa. La scritta al contatto con la
linea
esplose, lasciando la runa scoperta.
La runa si
illumino di un azzurro chiaro, e dal centro di essa comincio a scendere
un
fiume d’acqua. più che un fiume, era un piccolo
ruscello, che cadeva sul
pavimento come se fosse una cascata. Per poi proseguire fino al centro
della
stanza dove si fermava e si accumulava, cominciando a dare vita a
quello che
sarebbe potuto diventare un lago.
Mentre osservavo
come scendeva l’acqua sulla parete, alle mie spalle senti
apparire una
presenza, e girai subito la testa. Dietro di me cera Aqua. Non era
piccola come
al esterno, ma immenso e possente come il suo vero corpo infondo al
lago.
·
Vedo
che finalmente sei riuscito ad arriva qui.
Sei stato molto bravo, pensavo che ci avresti messo più
tempo. Mi disse lei con
una voce contenta.
·
Devo
dire che non e stato così facile come
immaginavo. Ed una volta arrivato ho trovato questa stanza un
po’ spoglia.
Quelle rune e le scritte sono i sigilli che avete messo su di me, dico
bene? Le
chiesi serio.
·
Proprio
cosi, ci vorrà un po’ di tempo per
toglierli tutti. E dipenderà tutto dal tuo impegno.
·
Adesso
quale il passo successivo?
·
Vedo
che sei impaziente, ma non hai ancora
completato ancora questa prima parte dell’allenamento. Ti
devo ricordare che ci
hai messo un mese interno per arrivare qui. Per usare il tuo potere al
meglio
dovrai trovare questo posto in un istante. Arrivare in questo posto ti
deve
risultare facile come respirare. Deve essere un’azione del
tutto involontaria,
come il battito del cuore. Solo cosi potrai usare il potere in modo
rapido e
senza distrarti durante un combattimento. Parleremo della prossima fase
quando
sarai in grado di raggiungermi qui in soli pochi attimi di
concentrazione.
Quando apri gli
occhi, mi vidi galleggiare sopra l’acqua, ma basto solo il
pensiero di sorpresa
per farmi cadere. Avevo il corpo indolenzito per tutta
l’inattività, ma era
riposato e pieno di energia. La stessa cosa non potevo dirla della mia
mente.
La testa mi stava scoppiando per tutto lo sforzo che avevo fatto, e la
mia
pancia chiedeva qualcosa da mangiare. Erano giorni che non mettevo
qualcosa
sotto i denti, e visto che dovevo sgranchirmi tutto il corpo, decisi di
andare
a cacciare qualcosa nella foresta.
Essere diventato
un deva, le mie doti fisiche non erano diminuite. La forza era rimasta
la
stessa, ma la velocita e l’agilità che prima avevo
nel mio stadio selvaggio,
adesso riuscivo a richiamarle anche quando ero in forma umana. Sentivo
ancora
la mancanza nel trasformarmi in un Lycan, e mi mancava terribilmente.
Non
riuscire a trasformarmi mi dava una sensazione incompletezza, come se
mi
mancasse un braccio o una gamba. Ma cominciavo ad abituarmici a quel
idea, e ad
accettare il mio nuovo corpo.
Continuai i miei
allenamenti con la meditazione, e ogni volta riuscivo a ritrovare
quella stanza
sempre più veloce. Impiegai più di quattro mesi a
raggiungerla solo
concentrandomi per un istante. Non era ancora ad un livello adatto per
un
combattimento, ma per Aqua basto per cominciare la fase successiva del
mio
allenamento.
La fase
successiva
consisteva nel rimanere in contato con la mia fonte di potere, e usarla
per
esercitare un controllo sull’acqua del lago. Non era un
principio molto
difficile, perché lo facevo incoscientemente ogni volta che
meditato. Era per
questo motivo che ogni volta che aprivo gli occhi galleggiavo sulla
superfice
dell’acqua. ma questa volta dovevo rimanere cosciente nella
realtà, e applicare
quel controllo con la mia volontà. Un compito che si rivelo
tutt’altro che
facile.
Le prime volte
che
ci provavo, succedevano due cose. Se ero troppo concentrato
nell’attingere il
potere, la mia coscienza veniva risucchiata in quella stanza e io
perdevo i
contatti con l’esterno. Invece se mi concentravo troppo sulla
manipolazione
dell’acqua, perdevo il contatto con la sorgente del mio
potere e non succedeva
niente.
Riuscivo a
tenere
in equilibrio le due parti per pochissimi istanti, nei quali se ero
fortunato
riuscivo a sollevare qualche goccia d’acqua.
Quell’allenamento richiedeva uno
sforzo mentale tremendo. Ogni sera avevo dei terribili mal di testa,
che pero
venivano alleviati dalle mie amiche ninfe.
Ormai ero
cresciuto, ed ero un ragazzo con un fascino unico, e io di sicuro non
riuscivo
a resistere al loro. Cosi una sera quando stavo riposando, la Driade
decise di
sedurmi ed insegnarmi la bellezza dei rapporti carnali. Da quella
notte, ogni
sera in cui non ero troppo esausto, una di loro mi insegava nuovi
metodi di
dare e ricevere del piacere.
Le settimane e i
mesi passavano, e io cominciavo a prenderci la mano con i miei
allenamenti.
Aqua aveva sempre avuto ragione. Fu solo quando, entrare in quella
stanza e
attingere alla fonte del mio potere, divenne un’azione
involontaria e ormai automatica
come un battito di cuore, o un respiro che cominciai veramente la
seconda fase
del mio allenamento.
Esseno diventato
un gesto automatico attingere al mio potere, ormai potevo chiamare
quella forza
quando volevo e senza sforzi. Questo mi diede la possibilità
di concentrarmi
totalmente sulla manipolazione dell’acqua.
Al inizio
riuscivo
a controllare solo piccole sfere d’acqua e mantenerle in
aria. Ma grazia agli
eserciti e alla persistenza, le sfere diventavano sempre più
grosse. Per
aumentare la difficolta, Aqua mi ordino di dare delle forme a quelle
sfere.
Provare a farle assumere le sembianze di foglie, fiori e persino
animali. Più
miglioravo più i dettagli che Aqua mi chiedeva erano
dettagliati, e non mi
molava finché non facevo tutto alla perfezione.
Quando diventai
abbasta discreto nel manipolare che prendevo dal lago, mi mise
ulteriormente
alla prova. Questa volta dovevo addentrarmi nella foresta, e provare a
raccogliere l’umidità e ogni goccia
d’acqua che avevo nei dintorni. Era una
maestra tremendamente severa e instancabile. Ogni giorno mi spingeva
sempre
oltre i miei limiti. E io grazie alla sua insistenza miglioravo sempre
di più.
Dopo circa dieci
mesi dalla mia trasformazione in un deva. Stavo diventando abbastanza
discreto
nel controllare il mio elemento. Aqua ormai mi aveva tutte le basi di
quel potere,
spettava a me migliorarlo e diventare più forte. Per questo
ogni giorno provavo
a mischiare i miei esercizi di combattimento con quelli
sull’acqua. Dovevo
imparare a combattere al massimo e allo stesso tempo manipolare il mio
elemento. Era una bella impresa, molto difficile, ma con il tempo
cominciavo a
prenderci la mano.
Alla fine passo
un
anno, e io cominciavo a sentirmi pronto ad abbandonare quella foresta.
Fu un
anno molto impegnativo, ma anche molto bello e sereno, gli allenamenti
mi
avevano permesso di non pensare ad altro, che non fosse diventare
sempre più
forte. Con l’arrivo della primavera arrivo anche il momento
che io cominciassi
a intraprendere il mio viaggio.
Nel
corso dell’ultimo anno ho discuso molte
volte con Aqua sui nostri piani futuri, su quello che avemmo fatto o
dove
saremmo andati. Alla fine tutti e due siamo giunti a una conclusione
sensata. Visto
che ero diventato un Deva era logico che io andassi a Drarress. Li con
un po’
di fortuna, sarei riuscito a trovare alleati o un aiuto di qualche tipo.
Sarei partito
quella primavera, e mi aspettava un lungo viaggio. Non sapevo da che
parte era
Drarress, e nemmeno quanto tempo ci avrei impiegato nel arrivarci.
Avevo alcune
mappe, che avevo raccolto nel villaggio. Ma erano un po’
vecchie, e io non
sapevo leggerle. Erano scritte in due lingue diverse, e io non ne
conoscevo
nemmeno una. Questo sarebbe stato il mio primo e il più
grande problema,
imparare le lingue dei umani e dei deva.
Per il mio
viaggio
avevo tenuto solo una sacca con i vestiti che mi stavano meglio, e con
le cose
che mi sarebbero potuto servire. Per ricordare i miei genitori, avevo
tenuto
solo il bracciale di mia madre e il cappotto di mio padre, anche se era
un po
lungo.
Lasciai il lago
di
mattina presto, ma non prima di aver salutato le mie amiche. La Driade
mi
avrebbe accompagnato fino al confine della foresta, mentre con le altre
dovetti
salutarmi li. Sui loro visi si poteva vedere un’ombra di
tristezza per la mia
partenza, ma i loro occhi erano fieri del uomo che ero diventato. In
tutti quei
anni da quando le avevo conosciuto, il mio animo era rimasto puro. Non
ero
cambiato nemmeno quando avevo perso tutto, non avevo macchiato il mio
animo con
la rabbia, il odio oppure con la sete di vendetta.
Dopo tante
parole
di conforto e di speranza, e dopo lunghi abbracci e baci ci separammo.
Io misi
la mia sacca sulla schiena e accompagnato dalla Driade ci inoltrammo
nella
foresta. Quando stavo studiando la mappa con Aqua e le ninfe, la Driade
aveva
individuato con facilita la sua foresta e le strade che ci passavano
vicine. Ci
avrebbe accompagnato ad una di esse, e da li sarei stato completamente
solo.
Comminare con la
Driade al mio fianco nella foresta, mi riportava alla mente moltissimi
e
bellissimi ricordi, di quando ero più piccolo e lei si era
preso cura di me.
Sembrava essere passato una vita da quei tempi, e il ragazzino che
passeggiava
con lei mano nella mano, sembrava essere morto. E al posto su era nato
un
giovane ragazzo, con ferite ancora aperte nel cuore.
Ci misi una
settimana per attraversare la foresta ed arrivare alla strada che
indicava la
mappa. Per tutto il tragitto mentre la driade mi ripeteva fino allo
sfinimento
di non fidarmi mai dei umani e dei deva, io avevo continuato i miei
piccoli esercizi.
Ormai li facevo ogni volta che potevo, erano esercizi semplici come
accumulare
l’acqua presente nell’aria e giocarci.
Era pomeriggio quando uscimmo in strada, e io
non sapevo ancora se ero pronto a salutare la mia amica. Lei e le altre
ninfe,
erano le uniche creature a quel mondo che mi conoscevano, o che io
conoscevo.
Fuori da quella foresta sarei stato da solo, in un mondo a me
sconosciuto, e
con nessuno a guidarmi o da considerare amico.
Prima di
separarci, mi diede un lungo abbraccio per poi mettermi una mano sulla
guancia.
·
Abbi
sempre cura di te, e non dimenticare mai
chi sei. Il mondo qui fuori potrà anche essere crudele e
spietato, ma tu hai la
forza di superare ogni avversità. Gli orecchini che io e le
mie sorelle ti
abbiamo, sono un simbolo per tutte le ninfe di questo mondo. Se mai ti
trovassi
in difficolta e avrai bisogno di un aiuto, grazie agli orecchini tutte
le ninfe
che incontrerai saranno disposte ad aiutarti. Mi disse lei con un
sorriso
radioso.
·
Non
so che cosa dire. E un dono stupendo, e
ogni volta che li toccherò penserò sempre a voi.
In tutti questi anni per me
siete state delle amiche, delle amanti e persino una nuova famiglio.
Non saprò
mai come sdebitarmi con voi.
·
Non
essere sciocco, non ci devi niente. Anche
tu per noi sei molto importante, sei un figlio della mia foresta, cosi
come
tutte le creature che la popolano. Prima di separarci io e le mie
sorelle,
abbiamo pensato di farti donno di un altro regalo. Spero che ti
ricorderai di
lui. Mi disse prima di indicare una parte della foresta.
Dal punto da lei
indicato, usci un enorme e bellissimo stallone nero. Era il cavallo
più grosso
e più imponente che io avessi mai visto. Al garrese arrivava
benissimo a un
metro e novanta, mentre la testa mi superava di un bel po’.
aveva una criniera
molto lunga e liscia, cosi come la coda. E i suoi occhi, erano qualcosa
che io
non avevo mai visto in natura. Erano di un verde simili a quelli della
Driade,
e da essi si percepiva un’intelligenza fuori dal comune. Fu
quando vidi le sue
zampe che capi chi era quel stallone. La pelliccia intorno alle zampe
era
finca, e mi ricordai subito del piccolo puledro con cui giocai quando
ero
piccolo.
·
Dalla
tua faccia vedo che l’hai riconosciuto. E
il piccolo puledro con cui giocavi da piccolo, ma come puoi vedere
ormai e
diventato uno stallone. Mi disse lei sorridendo alla faccia che io
stavo
facendo.
·
Come
mai e qui? Chiesi a lei, mentre lo
stallone si avvicinava a noi.
·
Non
ti ha mai dimenticato in tutti questi anni.
Tra voi due, si e creato un legame molto stretto, per questo e qui. Non
molto
tempo fa, il guardiano di questa foresta e morto, e questo giovane
stallone e
venuto da me per prendere il suo posto.
·
Che
cose un guardiano della foresta? Chiesi io
curioso.
·
Il
guardiano della foresta, e un animale che io
scelgo. Lui ha il compito di mantenere la pace e proteggere tutti gli
animali,
di queste terra. io non posso essere da per tutto, per questo ho
bisogno di un
aiuto ogni tanto. Diventare guardiani della foresta, vuol dire
assumersi quel
compito. E per farlo la foresta ti da un aiuto. Come vedi e molto
più grande di
un cavallo normale, ma e anche più intelligente e
vivrà molto di più,
all’incirca come te.
·
Certo
che e sorprendente. Non avevo mai visto
un animale emanare questa presenza opprimente e reale. Li dissi mentre
accarezzavo il muso del cavallo.
·
E
difficilmente ne vedrai altri. Li ho chiesto
di seguirti e di accompagnarti nel viaggio che intraprenderai nella tua
vita.
Spero che lo tratterai come un compagno fedele, e lo considerai un buon
amico.
Perché lui per te ci sarà sempre. Nella sua
assenza ci occuperemo io e le mie
sorelle dei suoi doveri, quindi spero apprezzerai il nostro regalo.
·
Non
so che dire, e più di qualunque cosa io
potessi mai desiderare. Come si chiama?
·
Lui
e Thalion, abbine cura per me. Mi disse
prima di darmi un ultimo bacio e scomparire tra gli alberi.
Rimasi da solo
con
lui, li accarezzavo il muso e la criniera finché lui non mi
diede un piccolo
colpo con la testa invitandomi a salire. Con un salto, li saltai in
groppa, e
misi la sacca davanti a me. Con le mani mi tenevo alla sua criniera, e
quando
fui pronto lui comincio a galoppare.
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