Aline

di luuucc_21
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ALINE 1 ***
Capitolo 2: *** ALINE 2 ***
Capitolo 3: *** ALINE 3 - Cracks ***



Capitolo 1
*** ALINE 1 ***


Buongiorno a chi sa ascoltare.

Mi chiamo Aline Watson. Già, che nome inusuale, originale direte. Insomma una merda. Beh, non posso darvi torto, cari ascoltatori. Come fanno ad uscire buoni nomi da due menti distanti dal mondo come quelle dei miei genitori. Infatti Jean Janney e Rob Watson non sono del tutto centrati, come si suole dire. Lei aveva lavorato come segretaria in una ditta parecchio importante, fino a quando non le era partita le vena creativa e non si era ritrovata a pitturare sui muri di casa Gesù e Maria. Lui era il solito tipo professionale, divorziato con due figli ventenni, lavorava come manager, ma dopo aver incontrato mamma, ha mandato a fare in culo tutto per diventare un aspirante hippie. Fantastico, non trovate? Nonostante questo, i miei non mi hanno mai fatto mancare niente, essendo straricchi, neppure un fratello. Ecco, questa se la potevano tenere per loro. Sto parlando di Sam. Lui è sempre sorridente, gentile ed attraente. Tutti lo amano, lo acclamano e lo festeggiano. Lo detesto. Ha un anno meno di me, anche se non sembra. Mi fa sembrare la sorella capricciosa, a cui non va bene niente di quello che le viene proposto. Non che sia falso, però.

Ma tornando a me, ho 17 anni e vivo in una schifosa cittadina nei pressi di Atlanta: Sandy Springs. Penso che sia una delle città più inutili del mondo. Prima abitavamo ad Atlanta, una fantastica città, piena di cose e opportunità. Ma quando papà decise di licenziarsi, mamma decise che sarebbe stato meglio muoversi verso una città meno caotica. Diceva che Atlanta le affollava i pensieri e non la lasciava concentrare nell'amore di Dio. E poi aveva finito lo spazio sui muri per ritrarre l'Onniscente. Quindi ci trasferimmo qui, in via Cherry Tree, una via fatta da case basse e bianche. Ovviamente, data la ricchezza della famiglia e la grande religione che presiede, non potevano lasciare che io mi mischiassi con i normali e sfortunati ragazzi che popolano questo posto, ma hanno deciso di mettermi in una scuola privata. Una scuola piena di ricconi con la puzza sotto il naso, che odorano di ville e di figli di papà. Persone che si fanno le canne con un pezzo da 100. Insomma l'orrore. Il palco delle mie disavventure è chiamata Brandon Hall School. L'unica cosa positiva è che qui praticamente ci vivo. Già, ci sono le camere, c'è il campus, c'è tutto. Ci sono stanza ricreative, campi da calcio, da tennis e una palestra per il football e la pallavolo. Peccato che finora io non abbia mai lasciato la mia stanza. La stanza, già. Io mi sono battuta per giorni con i miei genitori, cercando di convincerli ad assegnarmi ad una camera singola, dove non avrei condiviso l'aria con un'oca tettona. E invece no, devo "cercare di socializzare, di farmi delle amiche" dicono loro. E quindi arrivata qui, mi hanno assegnato una camera da due, molto spaziosa, con una grande finestra che dava sulla zona negozi della campus, con due letti matrimoniali e la moquette sul pavimento.
La "fantastica" compagna con cui la condivido è Lidsey Smith. Lindsay Smith. L'oca più intrattabile e cretina dell'intera Brandon. Colei che si spalmerebbe pure merda di cavallo in faccia se facesse chiudere i pori dilatati. La odio. Le uniche cose che sa fare sono truccarsi e snellire il suo grosso culo con il suo tapis roulant rosa. Sì, perché sua madre ha insistito per portare qui la sua attrezzatura da ginnastica, dicendo che la figlia è un'aspirante modella e quindi che deve tenersi in forma. Ogni volta, quando guardo quell'aggeggio per la tortura, mi si brucia la cornea. Ovviamente ci sono state discussioni la prima volta che ci siamo viste, ovvero tre giorni fa. A lei non andava bene che la parete fosse color tortora, la voleva rosa antico, così che si abbinasse alla sua vestaglia da notte. Assurdo. Poi si è lamentata del fatto che il materasso fosse troppo duro e che il cuscino fosse troppo morbido. Dopo ha profumato quest'ultimi con del profumo alla rosa. Vomitevole. Mi ha guardato ha borbottato per il fatto che io fossi cinque centimetri più alta di lei e ha commentato sgradevolmente l'ombretto nero che mi contornava la palpebra, definendolo volgare e pesante. Mi ha chiesto se avevo messo il fondotinta e io ho, ovviamente, risposto di no, allora lei ha sgranato gli occhi ed è scappata via. Ma come si fa ad essere il mio esatto contrario. Non è possibile che di tutte le persone che frequentano questo campus, proprio lei mi doveva toccare. L'unica cosa buona che riesce a fare è passare meno tempo possibile in camera, e per questo non potrei essere più grata. Ovviamente anche Sam frequenta questa scuola. Lui ne è entusiasta e mi sembra di aver capito che ha già una probabile fidanzata. Lo odio.




Angolo Dell'Autrice

OK. Sono luuucc_21 (grazie al cazzo) e questo è il primo capitolo (arigrazie al cazzo). In questo capitolo abbiamo l'introduzione della storia, dove conosciamo Aline, questa ragazza fredda e insensibile, che odia il mondo. Il ritratto dell'adolescente. Non c'è da dire molto su questo primo capitolo perché, ripeto, è solo un'introduzione. Aggiornerò appena potrò (visto che ora dovrei studiare greco invece di pubblicare lol). E niente, ciaooo e grazie per aver letto. p.s per favore recensite, devo sapere se devo continuare ad aggiornare oppure se devo smettere right now. Grazie!

p.s. non vi fermate alla superficialità del primo capitolo. Qui non ho potuto parlare del passato di Aline, mi sembrava troppo immaturo. Prima vorrei che i lettori conoscano il personaggio superficialmente, per poi scoprire ciò che nasconde in profondità. Quindi i primi capitoli saranno piuttosto leggeri, ma non vi ci abituate. Baci!

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Capitolo 2
*** ALINE 2 ***


Tac tac tac. Una pausa. Tac tac tac. Mi giro nelle coperte. Apro gli occhi e vedo Lindsey camminare per la stanza. Ovvio che i rumori siano stati causati dai suoi tacchi a spillo rosa. Guardo l'orologio e constato che sono le 7.00. Ho lezione alle 8.00. Sbuffo. Avevo puntato la sveglia alle 7.30 per un motivo. Le scarpe di TetteRifatte non smettono di infastidismi. Quindi mi alzo dal letto guardando Lindsey colma di odio in volto. "Cazzo Lindsey, levati quei maledetti trampoli" dico alludendo alle scarpe. Lei sembra non aver capito il mio riferimento.
Mi alzo, prendo le mie cose ed entro in bagno. Finalmente una bella doccia calda prima di un altro giorno schifoso. Entro in acqua e urlo quando il Mar del Nord mi bagna la pelle: "CAZZO LINDSEY L'ACQUA!" mi affretto a lavarmi ed esco con i brividi a fior di pelle. Quella stupida aveva consumato l'acqua calda. Ma quanto cazzo c'era stata in doccia.
Mi specchio. L'immagine che mi appare davanti è quella di una ragazza magra, la pelle che si avvolge alle ossa come una patina di plastica, alta 1.80 con i capelli neri e ricci in contrasto con la pelle candida e piena di lentiggini chiare. Mi tocco una lentiggine più scura delle altre nella sulla clavicola sporgente. Le gambe lunghe prendono due terzi dello specchio a parete. Le odiavo, mi fanno somigliare ad uno sgabello. Tutti dicevano quanto fossi fortunata ad essere alta. No. Io odiavo essere alta. Era utile solo per mettere in confronto la forfora altrui.
Mi vesto, con i miei soliti jeans sgualciti, una maglietta nera e la mia fantastica camicia a quadri e passo un velo di mascara sulle ciglia già scure. Sono le 7.30. Esco dal bagno e fortunatamente non vedo TetteRifatte in camera. Meglio per lei, sennò le avrei già sgonfiato il culo a suon di calci. Decido di esplorare il campus. Scendo le scale del dormitorio B e percorro un vialetto che mi porta in una strada sterrata affiancata da alberi immensi.
Il sole è ancora basso, ma il caldo tipico di settembre è già presente. Decido di andare a prendermi un caffè. Un bel caffè nero che risveglia il cervello. Mio padre dice molto spesso che il caffè rappresenti le persone. Dice che io, prendendo il caffè nero, sia una persona insensibile, mentre mio fratello, prendendo il caffè con tre cucchiaini di zucchero e con un litro e mezzo di latte, sia una persona gentile e gradevole. Cazzate. Mio fratello non è gradevole. Nascosto in una angolo della piazza si trova un piccolo e isolato bar italiano. Non ci penso due volte, ed entro nel bar spopolato.
Il bar è piccolo ed accogliente. Le pareti rosse scure rendono il posto molto gradevole. I tavolini sono pochi e neri, ognuno comprende due sedie abbinate. Mi avvicino al bancone e chiedo: "Una caffè nero per favore" Il tipo al bancone chiude il quotidiano che ha in mano e si alza. E' più alto di me di circa dieci centimetri e i capelli castani ricadono senza una logica davanti agli occhi grigi. Tossisco imbarazzata, perchè il tipo mi sta fissando. Noto una targhetta sul petto che recita "Peter". "Nero?" mi chiede. Mi riprendo ed annuisco. Lui si avvicina alla macchinetta. Prendo posto su uno sgabello e attendo. "Deve essere audace, per una ragazzina come te, prendere un caffè nero alle 7.40 del mattino" sghignazza. Come scusa? Da quando l'età di una persona influenza i gusti personali?. E come osa chiamarmi ragazzina. "Non mi piaceessere catalogata in modo così netto" rispondo acida. Detesto le persone che dicono cose futili. "Fai bene" esordisce. Si gira e punta gli occhi nei miei. Già mi sta antipatico. "Com'è che ti chiami, ragazzina?" Ma cosa? Per quale motivo dovrei dirgli il mio nome. Chido gli occhi irritata e rispondo seccata: "Non sono fatti tuoi". Peter mi guarda e sorride. Questo tipo mi fa venire le bolle. "Non è giusto che tu possa sapere il mio nome ed io non possa sapere il tuo" si lamenta. "Tu vieni pagato; io ti pago" sibilo. L'espressione gioviale scompare dal suo volto e io mi sento vittoriosa. Mi offre il caffè, che trangugio in una nano secondo. "Che tipetta niente male" ammicca. Mi alzo e me ne vado, non prima di avergli lasciato due dollari e uno sguardo di disapprovazione. Consulto l'orologio. 7.45. Allora mi avvio in classe, dove la prima ora di matematica mi aspetta.
Devo dire che l'unica cosa buona di questa scuola sono gli insegnanti. Beh, apparte la Greenwich, soprannominata GreenWitch, ovvero, la strega verde. L'unica cosa che sa fare sono compiti a sorpresa, per il resto è un vero schifo. E' polacca, quindi non parla neanche bene l'inglese, l'inserviente messicana del primo piano, che letteralmente non sa l'inglese, spiega meglio di lei e disprezza ogni suo alunno. Il motivo per cui abbia preso la cattedra rimane ancora una leggenda, alcuni dicono che sia figlia illegittima dell'ex preside, che, volendo piazzare la figlia in una posizione di alto rango, la assunse come Professoressa di Biologia. Pessima idea Igor.
Esco dal padiglione destinato alle lezioni e mi ritrovo in un'enorme folla di ragazzi che corrono di qua e di la, chi è in cerca di un posto decente al fast food, chi è in ritardo per le lezioni. In tutta questa confusione, vengo buttata a terra da una ragazza. "Ma ti sembra il modo?!" sbraito e lei mi rivolge uno sguardo supplichevole scusandosi. La ragazza è molto singolare e mi chiedo come abbia fatto a non notarla prima. Porta una maglietta che lascia scoperte le spalle a maniche corte, ripresa in vita, con stampata una fantasia ad elefanti. Lascia scoperto l'ombelico, dove noto un piercing vistoso. I pantaloni sono larghi e gialli, e sono ripresi con un elastico in vita e sulle caviglie. Porta dei sandali di cuoio e ha i capelli castani raccolti in mille treccine spettinate. Mi ricorda un'indiana.
"Oh mio Dio, scusami! Jeff mi ha spinto per scherzo, ma io sono cascata sul serio e Jeff se n'è andato. Insomma, io non lo conosco nemmeno Jeff, cioè, è un gran pezzo di gnocco, ma non lo conosco. Oh scusami, mi chiamo Cassandra Milmous, già, tu come ti chiami?" Dio mio. Ma questa non aveva un filto cervello-bocca? Rimasi ad osservarla per un po' e poi risposi senza entusiasmo "Aline Watson" "Ma che bel nome! Io mi volevo chiamare Adele, che è Aline in inglese, no? Ma sei di origine francese? Io sono Canadese, mi sono trasferita qua a tre anni quindi non ricordo bene Montreal" Stò per scoppiare.
Ci sedemmo ad un tavolo piuttosto distante al fast food. Mi presi un bel panino consistente, saggiai l'hamburger fino in fondo, e constatai quanto fosse buono. Mi girai verso Cassandra, che aveva preso solo un'insalatina smilza e la trovai a guardarmi con uno sguardo di disapprovazione. "Che c'è?" Le chiesi seccata con la bocca ancora piena. "Sono vegetariana" rispose a voce bassa. Roteai gli occhi e continuai a mangiare noncurante dello sguardo penetrante della ragazza.
 

REVISIONATA IL 27/04/16

 
 

Angolo Dell'Autrice

Ma buongiorno a tutti! Sì, sto aggiornando alla velocità della luce, vi dico che ho già il prossimo capitolo pronto :P. Bene, questo capitolo descrive un po' la routine di Aline. Abbiamo, inoltre, due nuovi personaggi: Cassandra, che, come si sarà capito, è una ragazza chiaccherona e socievole, piuttosto bizzarra, ma ehi, chi è normale in questo mondo? Poi abbiamo Peter, un personaggio secondario, non ho ancora deciso che ruolo dovrà svolgere nella storia... Il prossimo capitolo sarà abbastanza importante, perchè da lì inizieremo a capire il passato di Aline. Beh, cosa resta da dire se non Ciaoo e alla prossima people!!

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Capitolo 3
*** ALINE 3 - Cracks ***


La sua mano che percorre la mia schiena. Il suo sguardo. Le sue labbra che premono dietro al mio orecchio. I suoi sussurri. Il sangue. Il vuoto.
Mi alzo dal letto come una molla, con i coniati che stavano salendo l'esofago. Corro subito in bagno, ma loro mi raggiungono troppo in fretta e vomito si riversa sulla moquette bianca. Sto tremando e ne sono consapevole. Entro in bagno proprio mentre un'altra ondata di vomito mi assale feroce. Il sapore acre mi invade la bocca e rimango piegata sul gabinetto fino a quando le mie gambe non decidono di essere abbastanza forti per sorreggermi. Mi specchio.
Nell'immagine davanti a me appare una ragazzina di circa quattordici anni che, terrorizzata, sgrana gli occhi. Le cade un arnese dalle mani tremanti. Subito il panico prende possesso del mio corpo e si dilania senza pietà infettando tutte le mie membra. Sembra di aver appena preso una pallonata nello stomaco. Sento le sue dita percorrermi la schiena. Sento il suo alito sulla mia faccia. Urlo, ma un urlo muto, quasi supplichevole, che chiede pietà. Ormai le lacrime mi bagnano il volto, rendendo la visuale molto più distante ed irreale.
La paura mi attraversa come un fulmine. Le mie braccia si muovono senza che io le comandi, strappano la maglia. Le mie mani graffiano la pelle cercando di far uscire tutto quel male che è in me, di mandarlo via. La pelle inizia a lacerarsi, le unghie a spezzarsi ed io comincio a non avere più fiato. Un urlo straziante esce dalle mie labbra. Il sangue scorre tra i miei seni, ma non me ne curo. Le unghie affondano ancora una volta nella carne fresca prima che le mie gambe cedano. Mi accascio a terra e piango lacrime amare, amare quanto la consapevolezza di ciò che feci. Sento la sua voce. Rimango in posizione supina fino a quando non mi accorgo che un rivolo d'acqua sta scendendo silenziosamente dal lavandino, bagnandomi i capelli e la leggera maglia stracciata che indosso.
Cerco di alzarmi per chiudere il rubinetto. Mi guardo ancora in quello schifoso specchio che riesce a farmi ricordare.
"Aline, Aline, Aline, Aline..." ripeto il mio nome fino a quando questo non perde senso diventando semplicemente un ammasso di sillabe formate da un ammasso di consonanti e vocali. Così smetto di ricordarmi chi sono. Così smetto di essere me e divento solo un ammasso di cellule e di cromosomi. Sospiro quando capisco che la crisi è finita. Solo ora noto che Lindsey non è in camera, avrà passato le notte con uno dei tanti ragazzi dell'ultimo anno superficiali, che la degnano un minimo di attenzione. Cerco di ripulire velocemente la moquette dalla macchia verdastra di vomito, senza successo. Inventerò qualcosa per giustificarla. Le ferite si stanno coagulando. Rimuovo l'eccesso di sangue dal mio petto. Le 4.55. So già di non riuscire a prendere sonno.
Apro il terrazzo e mi accendo una sigaretta, l'unico antidoto che riesce a calmarmi. Sento il fumo entrare in circolo nei miei polmoni e lo vedo dissolversi nell'aria. Il cielo è completamente buio questa notte e riesco ad sentire le mie preoccupazioni spegnersi.
 
 
"Insomma, non ti sembra sbagliato? Cos'ha fatto di male la mucca per meritare di essere uccisa e macellata?! Poi non pensi ai poveri vitellini? Non potranno più giocare spensierati nell'erba dopo che l'uomo, uccidendoli, li priverà della vita. Chissà che dolore devono provare le madri..." "Tanto il giorno dopo vengono uccise pure loro, quindi il dolore è breve" Cassandra mi guarda stupita. Inchioda, incrocia le mani sui petto e mi mette il broncio. " Sei maledettamente superficiale e bruta!" Roteo gli occhi e la incito a sbrigarsi se vuole presentarsi in orario per Inglese. "Senza cuore" sbuffa riprendendo il passo.
La professoressa di inglese è una dea. Tutti i ragazzi hanno una cotta per lei, o se non l'hanno, avranno avuta. Ha i capelli di un angelo e i lineamenti nordici le fanno somigliare ad una ninfa. Il corpo snello e slanciato è avvolto in un leggero vestito color azzurro pastello. Forse è per questo che non vola una mosca durante la sua lezione. "Allora ragazzi, oggi introduciamo Shakespeare" annuncia con voce flautata. Tutti si mostrano interessati. Adoro Shaekespeare. Romantico ma tragico. Come la vita.
La lezione passa veloce ed in un batter d'occhio sono già le 15.00. Esco dal padiglione delle lezioni da sola. Cassandra deve tenere un discorso nel club degli animalisti o qualcosa del genere chiamato: "SALVIAMO GLI ORSI POLARI: lo scioglimento dei ghiacciai ci sta uccidendo!" Martha, una ragazza vegana che sembra allevare tre specie diverse di api in stanza e DJ, un ragazzo bassino e brufoloso, che ama i Narvali, sono gli unici che partecipano periodicamente a questi insensati incontri. Mi sono rifiutata categoricamente di partecipare, evitando così di sentir parlare per due ore dell'effetto serra.
Prendo un vialetto che conduce il Padiglione alla strada principale, da dove si districano tutte le varie stradine sterrate secondarie. La strada principale (o Brandon Street) porta alla zona negozi. Dal negozio di scarpe esce una fila esagerata, forse a causa di un nuovo paio di scarpe décolleté in svendita.
Entro nel solito bar, piena della speranza di non trovare Peter, il tipo rompipalle dell'altro giorno. Il bar sta chiudendo. Entro e trovo al bancone un ragazzo con una sigaretta accesa tra le labbra, impegnato ad aspirare la nicotina che questa produce. Appena mi vede, si affretta a spegnerla sul bancone e mi offre uno sguardo carico di preoccupazione: "Ti prego, non dire nulla a Peter, sono di prova e non voglio subito perdere il lavoro" mi supplica. Adoro vedere le persone che mi supplicano. Sorrido. "Il tragitto dal bancone alla porta è troppo lungo per te?" Ribatto. "Fuori fa caldo e qui c'è l'aria condizionata" dice indicando una scatola di plastica appesa proprio sopra di lui. Sembra dei tempi del Dopoguerra, sono stupita che funzioni.
Mi siedo al bancone e ordino un caffè nero. Si mette subito all'opera. "Zucchero?" chiede. Ormai il vero senso di un fottutissimo caffè nero è andato perduto in America. Lo guardo roteando gli occhi e gli spiego: "Nero significa SENZA latte e SENZA zucchero OK?" Mi guarda alzando le sopracciglia. "Hey, ti trovo un po' stressata" dice lui avvicinandosi. I suoi capelli color caramello riflettono i raggi del sole, che fanno sembrare gli occhi color nocciola più verdi del necessario. Ha l'alito che odora di tabacco.
Mi allontano in imbarazzo. "Vuoi una sigaretta?" mi chiede con aria preoccupata. Cazzo, questo tipo mi sta facendo le radiografie. Neanche mi conoscesse. "Ho le mie" sussurro aspra. Il tipo alza un sopracciglio e mi offre una Marlboro Rossa. Allettante. Lo scruto un po'. Sembra un tipo apposto, non come quel Peter. Con un gesto veloce prendo la sigaretta e mi tasto le tasche dei jeans alla ricerca di un accendino. Fottutissimo accendino. "Tieni" dice porgendomi il suo. Fin troppo gentile. Accendo la sigaretta, fottendomene del fatto che non potrei fumare in un ambiente chiuso. "Come ti chiami?" mi chiede sorridendo. No. Non gli dirò il mio nome. Non vedo a cosa può tornargli utile. Ma, contando il fatto che mi ha offerto una sigaretta, forse potrei ricambiare così il favore. "Aline" dico atona. Il tipo sorride. Sbuffo. Perchè le persone devono sorridere senza un preciso motivo. Io faccio solamente le cose utili, non capisco l'utilità di quelle futili. "Allora sei tu la ragazza di cui mi ha parlato Peter" dice guardandomi. "Cosa?!" dico riprendendomi dai miei pensieri. Punta gli occhi su di me ed esordisce: "Già. Sembra che tu sia già prenotata" Mi salgono i brividi. Spengo la sigaretta al bancone, rivolgendo al tipo uno sguardo di disprezzo. Prendo la borsa e i libri e mi alzo dallo sgabello. Lui mi guarda interrogativo. "Sarà meglio se dici al tuo capo pervertito di tenere le mani apposto" Dico andandomene. Neppure una conversazione in pace. Quanto odio questa scuola. "Comunque io sono Jamie..." Lo mando vistosemente a fare in culo ed esco di corsa dal bar.
 
 
 

Angolo Dell'Autrice

Bene, allora, questo il capitolo dove possiamo scoprire più cose della protagonista. Come possiamo notare, la ragazza viene assalita dai flashback, in preda ad una crisi. Per la prima volta, si mostra debole. Questa parte è una parte che mi sta molto a cuore, avendola vissuta, non così intensa come racconto, non nello stesso contesto, ma l'ho vissuta. Poi Aline incontra un tipo fin troppo amichevole, fin troppo gentile, che alla fine si scopre chiamarsi Jamie. Poi Peter.... beh, lo scoprirete solo andando avanti! Quindi, ora vi saluto!  Byeee!

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