Lo podras alcanzar.

di _Ruggelaria
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I°-Prologo ***
Capitolo 2: *** II° ***
Capitolo 3: *** III° ***
Capitolo 4: *** IV° ***
Capitolo 5: *** V° ***
Capitolo 6: *** VI° ***



Capitolo 1
*** I°-Prologo ***


I°-Prologo
 
 Quella sera non era una delle migliori. Buenos Aires fu ricoperta da nuvole nere e bagnata dalla pioggia. Nelle strade e sui marciapiedi si erano create delle enormi pozzanghere, che le macchine schizzavano ogni qualvolta che ci passavano sopra.
Francesca Cauviglia, Maximiliano Ponte e Federico Rossi erano seduti al bar di un pub, un posto asciutto e caldo rispetto all’esterno.
Francesca corrugò la fronte e scosse la testa più volte. “Deve esserci un modo. Non può andarle tutto così liscio!” esclamò stizzita. Afferrò il suo bicchiere di Cola che avevano appena ordinato e ne bevve un lungo sorso.
“Francesca, lo sai che Camilla Vargas è e rimarrà sempre una vipera alla quale filerà tutto liscio” la voce del suo amico italiano, Federico, la fece riprendere dal sonno che pian piano la stava trascinando con la testa sul tavolo.
Era quasi mezzanotte, e il giorno dopo sarebbero dovuti andare a scuola. Avevano deciso di fare una passeggiata insieme, dopo cena, ma si erano ritrovati nel bel mezzo di una tempesta, così entrarono in quel pub che non conoscevano molto, era la prima volta che vi entravano e da quanto avevano notato non era frequentato da gente ‘per bene’, se capite cosa intendo.
“Non può andarle tutto bene. Prima o poi verrà scoperta, ed io intendo farlo il prima possibile”.
“Sai benissimo che non c’è un modo per incastrare Vargas. E, sai che noi ti crediamo sul fatto di Violetta e Leon –e tutto il resto-, ma sinceramente… se lei ti ha detto quelle cose significa che le sta bene così” sintetizzò Maxi battendo una mano sul tavolo di legno ed alzando le spalle. “Giusto. Io sto con lui” concordò l’italiano.
Francesca sbuffò scuotendo nuovamente la testa e passandosi una mano fra i capelli corvini. Non era della stessa opinione dei suoi amici. Violetta era la sua migliore amica, ed anche se avevano litigato lei continuava a volerle bene e la voleva aiutare. Sapeva che Leon Vargas nascondeva qualcosa, sapeva che sua sorella, Camilla, aveva un piano in mente. Doveva assolutamente scoprire di cosa si trattava… doveva farlo per Violetta.
“Però… ieri sono usciti insieme, giusto?” domandò Maxi alzando l’indice destro. Francesca e Federico alzarono lo sguardo contemporaneamente, un luccichio nei loro occhi.
“Sì, ma sono sicura che Vargas ha qualcosa in mente” ripeté Francesca.
“Quale dei due?”.
“Entrambi”. Tutti e tre cacciarono l’aria dai polmoni, le braccia strette al petto per la sensazione di gelo che avevano avvertito quando la porta in legno del pub era stata aperta appena qualche secondo prima.
“E poi dove hai preso quest’idea che hanno qualcosa in mente?”.
“Ho sentito i due fratellini parlare” chiarì la Cauviglia lanciando un’occhiata al suo amico con il capello in testa.
“E’ stato Vargas a chiederle di uscire, ieri?”. Francesca scosse la testa per poi alzarla quando un ragazzo, con un sorriso da far invidia al mondo intero, si avvicinò al loro tavolo poggiando le mani sul legno vecchio ed ammaccato. I tre alzarono lo sguardo verso di lui, le sopracciglia aggrottate ed uno sguardo curioso ma allo stesso tempo in guardia.
“Ciao” disse il ragazzo, sempre con quel sorriso che, ogni volta che Francesca guadava, sentiva di essere in paradiso.
“Che vuoi Casal?”.
“Ma quanta maleducazione, Rossi. Sai che non è cortese rispondere in mal modo ad una persona che si presenta al tuo tavolo?”.
“Una persona non gradita”. Diego Casal alzò leggermente gli angoli della bocca, gli occhi ridotti a due fessure. “Vi piace se mi siedo con voi?”.
“Sì!” esclamò Federico incenerendolo con lo sguardo.
“Sto aspettando Leon, e il pub è pieno” commentò.
“Non ci interessa, Casal. Sparisci!”.
Lo spagnolo lanciò uno sguardo provocante a Francesca, che in quel momento lo stava ammirando in tutta la sua bellezza. Era cotta di Diego Casal da tanto, troppo tempo, che oramai l’intera scuola sapeva della sua ‘passione segreta’ per lo spagnolo. “Non c’è problema” disse spostandosi di lato, di fronte al suo amico Maxi, facendolo accomodare affianco a sé. Federico e Maxi sgranarono gli occhi, l’italiano le lanciò un’occhiataccia degna di farla sentire uno scricciolo. Ma lei sapeva che quella era un’ottima occasione per sapere di più sul piano di Camilla Vargas, e se Leon stava davvero prendendo in giro Violetta, o era innamorato sul serio.
“Perché quelle facce? E’ un nostro compagno di classe… in fondo”. Francesca strizzò l’occhio verso Federico, il quale colse al volo il suo stratagemma, e decise di tenerle il gioco.
Un compagno di classe…? Spero scherzi, Francesca!”. Casal rise alzando la mano verso una cameriera decisamente poco casta, da quello che indossava; qualche secondo dopo arrivò, e Diego ordinò un boccale di birra per poi accendersi una sigaretta.
“Cos’hai contro di me, Rossi?”.
“Spero scherzi” ripeté Federico aggrottando le sopracciglia, ovviamente sorpreso dalla domanda ‘del suo compagno di classe’, come aveva detto Francesca. Diego scosse la testa portando la sigaretta alle labbra ed inspirare una buona dose di fumo. “Davvero devo elencarti tutte le motivazioni del perché mi stai sul cazzo?”.
“Come sei volgare”.
“Tu non sei proprio in condizione di parlare, Casal!” s’intromise Maxi alzando una mano. “E se proprio devi, dicci almeno cos’ha in mente Vargas!”.
“Leon?”.
“No. Sua sorella”
“Camilla?”. Maxi annuì e Diego alzò le spalle espirando una nube grigia. “Perché questa domanda?”.
“Non si risponde ad una domanda con un’altra. E adesso parla” lo ribeccò Federico battendo la mano sul tavolo in legno.
Un secondo dopo arrivò la cameriera ancheggiando, proprio come aveva fatto quando Diego le aveva fatto un cenno con la mano. Poggiò sul tavolo il boccale di birra dello spagnolo sorridendogli maliziosamente. Diego le strizzò l’occhio, senza dopo aver guardato il suo fondoschiena che si muoveva al ritmo dei tacchi che indossava.
Francesca sentì, dentro si sé, ribollire una rabbia mescolata alla gelosia mai provata prima… sapeva che sbagliava nel provare qualcosa per quello spagnolo seduto accanto a lei, ma non poteva farne a meno.
“D’accordo… ci avete scoperti” sbuffò alla fine Diego sorseggiando un po’ della sua birra; Francesca fece lo stesso perché in quel momento aveva un assoluto bisogno di sentir qualcosa di fresco scenderle giù per la gola rovente. Fuori echeggiò un tuono, e lei saltò sul posto, cercando di non far la figura della bambina piccola.
“Abbiamo intenzione di dar fuoco al municipio, alla scuola e se ci avanza tempo anche alla casa di Galindo. Metteremo una bomba in centro e scapperemo in un altro Paese. Ma mi raccomando…” si portò l’indice sulla bocca “…non fatene parola con nessuno, altrimenti verremo scoperti!”.
Detto questo scoppiò in una risata, ingurgitando gran parte della sua birra e ricevendo delle brutte occhiate dai due ragazzi seduti di fronte a lui. Francesca, invece, cercò di trattenere un sorriso, cosa che le fu praticamente impossibile.
“Inizia a correre, Casal”.
“Non minacciarmi. Non ti conviene… so cose su di te che i tuoi amici qui faticherebbero a credere”. Federico e Diego si lanciarono degli sguardi intuitivi… non come fanno i migliori amici, che si capiscono con solo –appunto- degli sguardi. Ma Francesca lo aveva capito… che quei due s’erano intesi.
La porta del pub si aprì ancora una volta, accogliendo pioggia e vento a braccia aperte e facendo drizzare la peluria del collo a tutti i presenti, che –oramai- si erano abituati al piacevole tepore del locale.
Leon Vargas tolse il cappuccio da sopra la testa, passandosi poi una mano fra i capelli bagnati, facendo volare gocce di pioggia sul pavimento in legno del locale.
Casal ingurgitò l’ultima sorsata di birra, infilando poi una mano nella tasca posteriore dei jeans e tirando fuori il suo portafoglio di Calvin Klein ed estraendo una banconota da cinque. “Dovrebbero bastare” si alzò dalla panca facendo l’occhiolino alla ragazza italiana, guardando poi Maxi Ponte ed infine Federico, il quale teneva la testa bassa e lo sguardo puntato sulla sua Cola. “Ci si vede domani”. E si allontanò, raggiungendo il suo migliore amico.
“Contenta? Cos’abbiamo scoperto!” esclamò Federico -con un velo di rabbia- una volta essersi assicurato che Diego Casal si fosse allontanato.
Francesca restò a fissarlo, decisamente arrabbiata. “Che tu e Casal nascondete qualcosa” rispose decisa, ed un tratto l’espressione di Federico si tramutò da arrabbiata a sorpresa. Decisamente non si aspettava una risposta del genere.
 
 
Angolo autrice:
Buonsalve (?) a tutti. eccomi di nuovo. Vi siete stancati di me? Io credo di sì, ahahahahah. Comunque passiamo al capitolo. Non so se qualcuno di voi leggeva la mia vecchia storia, ‘Me gustan tus defectos’ (che ho cancellato), ma comunque questo blocco viene da uno dei capitoli di quella storia. E’ un capitolo che avrà molta importanza, anche se è solo il primo. Scopriamo che Leon e Camilla sono fratelli (mi piacciono come fratelli, scusate), che hanno un piano contro Violetta… forse, che forse Leon la prende in giro, che Violetta e Francesca hanno litigato, che Leon e Diego sono migliori amici, ed infine che Diego e Federico nascondono qualcosa… secondo Francesca. Chissà… a voi le idee migliori! Spero che continuerete a seguire la storia, e so che è solo il primo capitolo, ma vi scongiuro, mi lasciate una recensione? *prega, prega, prega* Ho bisogno di un parere e soprattutto di consigli ^-^ Vi mando un grosso bacio!
_Ruggelaria

 

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Capitolo 2
*** II° ***


II°
 
 
 Fuori si era scatenato un temporale con lampi accecanti sul mare e un fragore irresistibile. I lampi illuminavano a tratti il colonnato di Villa Vargas, generalmente protetto dai venti di tramontana e di ponente, ma ora percorso da mulinelli di vento che alzavano la terra e trascinavano le foglie in un ballo spettrale.
Camilla Vargas trasalì un paio di volte, mentre cercava di intrecciarsi i suoi capelli rossi, strappandoli involontariamente. Vedeva il suo riflesso nello specchio in camera sua, e non poté non constatare che le piaceva quel che vedeva.
Ad un tratto, un fulmine si abbatté proprio vicino casa sua, un rumore sinistro. Camilla non poté trattenere un grido, saltando sul posto e portandosi una mano al cuore, rinunciando ad intrecciare i suoi capelli. Sbuffò, gettandosi sul suo letto matrimoniale ricoperto da un costosissimo copriletto celeste.
Improvvisamente la porta si aprì bruscamente, rivelando un ragazzo a petto nudo ed un paio di boxer, che la guardava torvo, i capelli spettinati.
“La pianti o no, di gridare?”.
“Come se tu non avessi paura dei tuoni!” lo incalzò Camilla sedendosi a gambe incrociate sul suo letto.
Leon Vargas, suo fratello maggiore.
Avevano solo un anno di differenza, ma frequentavano lo stesso gruppo di amici. In realtà –e Leon faticò molto ad ammettere questo- sua sorella Camilla, era quella che prendeva le decisioni più importanti, all’interno del gruppo.
“Almeno io non urlo. E non ho paura dei tuoni!”. La rossa agitò una mano con noncuranza, come a dire che gli credeva, passandosi poi l’altra mano fra i capelli, delicatamente, con una femminilità che solo lei possedeva.
“Ad ogni modo… mi hai risparmiato il viaggio nella tua ‘lussuosissima’ camera”.
“E per quale motivo saresti dovuta venire in camera mia?” domandò Leon con aria annoiata, poggiandosi allo stipite della porta, le braccia incrociate al petto nudo.
“Dobbiamo parlare…”.
“Di cosa?”. Camilla sbuffò nuovamente alzando gli occhi al cielo e scuotendo la testa. Possibile che suo fratello fosse così stupido?
“Della Castillo, Leon!”. Ed in quel momento Leon Vargas fu percorso da un brivido lungo la schiena, tutti i muscoli gli impedirono un qualsiasi movimento, ed il cuore cessò di battere, ripartendo ad una velocità forsennata, le unghie conficcate nel palmo della mano.
Un altro tuono echeggiò nell’aria, questa volta più distante, ma allo stesso tempo, Camilla Vargas sussultò portandosi una mano al cuore.
“Non ho voglia di parlare di Violetta” rispose Leon afferrando la maniglia in ottone della porta di sua sorella, e cercando di chiuderla, ma Camilla fu più veloce e con un’agilità e destrezza si alzò dal letto e la bloccò con il piede.
“Adesso la chiami anche per nome?”.
“Ti ho detto che non ne voglio parlare, Camilla. Piantala”. Gli angoli della bocca di Camilla Vargas si alzarono leggermente, sul suo viso un’espressione di compiacimento, gli occhi ridotti a due fessure le quali emanavano una lucentezza malvagia.
“E io ti ho detto che dobbiamo parlare, Leon!”. Gli occhi verdi del ragazzo si alzarono verso il cielo, lasciando la maniglia ed aprendo nuovamente la porta.
“Due minuti”. Camilla rise di nuovo, la testa poggiata da un lato.
“Basteranno due secondi…”.
Le sopracciglia di Leon si abbassarono, l’intuito che gli sussurrava che sua sorella stava per dire qualcosa di suo poco gradimento, ed un paio di secondi dopo la risposta arrivò.
“Cambio di programma: ora lei è il nostro bersaglio”.
 
 
 “Fammi capire bene… vuoi chiedere a Leon Vargas di uscire?”.
La voce di Francesca Cauviglia si spanse per tutto il corridoio della scuola; fortunatamente nessuno le prestò attenzione, ma gli occhi nocciola di Violetta Castillo si accesero come fuoco alla domanda –decisamente a voce troppo alta- della sua migliore amica.
“Perché non urli un po’ di più? Le classi al piano superiore non ti hanno sentita! Ma come ti salta in mente di urlare in questo modo in corridoio!”.
Francesca rise all’espressione che aveva sul viso la sua amica, portandosi una mano davanti alla bocca.
“Se permetti, cara… stai urlando molto più tu di me”. Violetta Castillo sbuffò passandosi una mano fra i capelli, le braccia incorniciate al petto e la schiena contro gli armadietti. Alzò le sopracciglia, sapendo che avrebbe –sicuramente- continuato con quella discussione, conoscendo Francesca. Ma quel giorno la sorprese, l’argomento del quale stavano parlando doveva essere molto di suo gradimento.
“Comunque… stavamo dicendo…?”.
“Stavamo dicendo che ho intenzione di chiedere a Leon di uscire, oggi pomeriggio”. Francesca storse la bocca, l’indice destro su di essa. “Ma solitamente non dovrebbe essere il maschio a chiedere di uscire… alla femmina?”. Automaticamente a Violetta scappò una risata, guardandosi poi intorno per notare –per sua sfortuna- che l’intero corridoio si era voltato a fissarla.
La zona guance-orecchie era diventata rossa, mentre dentro di sé l’imbarazzo ed il disagio crescevano a dismisura. Le capitava molto spesso di trovarsi in quelle situazioni, ed infatti l’intera scuola si ricordava di lei non appena la vedevano passare per i corridoi.
“In teoria sì… ma non dovrei?”.
“Non so… io aspetterei che facesse lui la prima mossa”. Sul viso di Violetta Castillo apparse un’espressione confusa. “Non sono d’accordo con te, Vilu. Lo sai come la penso”.
“Basta con quella tua stupida teoria, Francesca!” esclamò la mora uscendo gli occhi fuori dalle orbite e le braccia aperte davanti a sé.
“Non è affatto una stupida teoria! E’ la verità!”.
“No, che non lo è!”.
Francesca Cauviglia tirò un sospiro, passandosi la mano destra sul viso. “Vilu, ascoltami… Leon ti sta solo usando. Sua sorella, Camilla, ha qualcosa in mente, te lo assicuro… li ho sentiti parlare”. Violetta si accigliò, le braccia incrociate sotto al seno prosperoso. La sua amica le aveva già riferito quell’informazione, ma lei l’aveva data per scontata, passandola in secondo piano.
“Hanno fatto il mio nome?”.
“No”.
“Hanno detto qualcosa riferente a me? Al fatto –come dici tu- che Leon mi sta usando?”. Francesca si morse il labbro inferiore, esitando qualche secondo sapendo che la sua risposta non avrebbe convinto Violetta; ma era vero, lei aveva sentito Camilla e Leon Vargas parlare di un qualche piano.
“No” sussurrò lievemente, abbassando la testa “ma penso davvero che abbiano un piano in testa. Non ti direi queste cose se…”.
“Sai cosa penso io, invece…? Penso che sei gelosa, Francesca. Sei solo gelosa, perché sai che Diego non ti guarderebbe neanche per sbaglio!”. Sapeva che stava dicendo delle cose che avrebbero ferito la sua migliore amica, sapeva che stava sbagliando, e dentro di sé si sentì talmente disgustata da se stessa, che non poté trattenere le lacrime.
“Vilu, io…”. Un singhiozzo echeggiò nelle orecchie di Francesca, ed improvvisamene si sentì tremendamente in colpa per ciò che le aveva detto.
“Tu niente, Francesca! Tu niente! Sai che non ho mai avuto un ragazzo, sai che non sono mai piaciuta a nessuno… e adesso che un ragazzo s’interessa a me tu mi dici che mi sta solo usando…?”. Il viso rigato dalle lacrime di Violetta Castillo diventò l’incubo di Francesca. Erano poche le volte che l’aveva vista piangere, ed ogni volta che era presente le si spezzava il cuore… soprattutto se era lei la causa.
“Non intendevo dire che… ti sta usando. Intendevo che non è sincero”. Un’espressione triste, dispiaciuta era stampata sulla faccia della ragazza italiana. Non avrebbe mai voluto dire che Leon Vargas la stava usando, che non era interessato a lei… ma l’aveva detto.
Violetta restò a fissarla in silenzio, le lacrime avevano cessato di bagnarle il viso, ma dentro di sé avvertiva comunque quel senso di disgusto, ma anche di tradimento verso la sua persona.
Non avrebbe mai pensato che, Francesca –la sua migliore amica-, sarebbe stata in grado di dirle mai una cosa del genere. Le lanciò un ultimo sguardo, prima di staccarsi con la schiena dagli armadietti ed avviarsi verso la sua classe, con il pollice che si asciugava il delicato viso dai tratti molto simili a quelli di sua madre.
Inutile dire che quel giorno Francesca sedette accanto a Natalia Perez.
 
 
 Quando la campanella che segnava la fine della terza ora e l’inizio dei venti minuti di ricreazione suonò, gli studenti sgusciarono fuori dalle loro aule con molta fretta. C’era chi si affettava per essere in coda alle macchinette, chi correva nelle altre classi per incontrarsi con degli amici, e chi… come Ludmilla Ferro, Diego Casal, Leon e Camilla Vargas, erano riuniti in giardino, seduti su delle panchine.
Il tempo non era proprio tra i più gradevoli, nubi nere che cominciavano a compattarsi formando uno strato simile a carbone, minacciando di piovere da un momento all’altro. Un tuono esplose non molto lontano dall’edificio scolastico; Camilla Vargas lanciò un urlo, saltando sulla panchina sulla quale era seduta e portandosi una mano al cuore chiudendo gli occhi.
“Se non la pianti ti arriva un pugno in piena faccia”.
“Ma come sei fine, fratellino”. La rossa arricciò il naso, riducendo gli occhi a due fessure.
“Ti ricordo che sono più grande di te, sorellina”. Camilla Vargas mosse la mano, spostando lo sguardo da suo fratello alla bionda seduta accanto a lei, la quale si portò una sigaretta fra le labbra rosse.
“Quanto manca per poter finalmente iniziare il piano?”. Ludmilla Ferro espirò una densa boccata di fumo grigio alzando la testa verso l’alto.
“Quasi pronto.” commentò lanciando uno sguardo intuitivo alla sua amica, entrambe alzarono gli angoli della bocca.
“Perfetto. Una volta che Cauviglia sarà caduta nella trappola tu, Leon, ti occuperai della Castillo. D’accordo?”.
Vargas annuì deciso, prestando molta attenzione a sua sorella minore…
‘Un anno.’ si ripeteva Leon. “E poi?” domandò.
“Un passo alla volta. Tu pensa a questo… e tu, Diego, mi hai capita? Non un passo falso con la Cauviglia, anche la tua parte dovrà essere così convincente da poterti prendere per interpretare un ruolo!”.
“Ho capito, non serve che urli!” gridò lo spagnolo.
“E voi…? Cosa farete?” chiese Leon Vargas alzando le sopracciglia e squadrando le due ragazze con la sigaretta in bocca.
“Noi ci occuperemo della seconda parte del piano; ma solamente dopo che voi avrete fatto il vostro lavoro”. Diego e Leon si lanciarono uno sguardo interlocutore, pronti ad affrontare quella nuova ‘avventura’. Ne valeva davvero la pena?
“Mi spieghi, ancora una volta, perché facciamo tutto questo?”.
“Perché, caro fratellino, la Castillo è un pericolo per noi tutti, e più lontano la teniamo, meglio è”.
“E non basterebbe evitarla?” domandò semplicemente Nata, ricevendo subito uno sguardo gelido da parte di Camilla “Insomma… facciamo tutto questo solo per evitare che ci si avvicini, ma non servirebbe tutto ciò se non la degnassimo di uno sguardo, no?”.
Nel frattempo la ragazza rossa aveva alzato un sopracciglio, un’espressione incredula… “Chi ti ha chiamata in causa, Natalia? Fai parte del gruppo, ciò non significa che devi sentirti Dio sceso in Terra…”.
Ludmilla non ne era sicura, ma Diego aveva riso debolmente, come a dire ‘senti chi parla!’.
“…e poi no, non basterebbe solamente evitarla, come dici tu, perché a quanto pare, la nostra piccola ed innocua Violetta si è presa una bella cotta per Leon…”
Il ragazzo dagli occhi verdi si era tinto di un leggero rossore sugli zigomi, le gambe aperte e le braccia poggiate sui gomiti. “…secondo te resterebbe lontana da noi? Ragiona con quel poco di cervello che hai, Nata. Lo dico per il tuo bene”.
Diego Casal e Leon Vargas si lanciarono un’occhiata, ma non fecero in tempo a dire nulla perché la campanella della fine della ricreazione suonò.
I cinque si alzarono dalle panchine, varcando la soglia dell’edificio scolastico. Notarono una ragazza dai lunghi capelli castani venirgli incontro e fermarsi davanti al ragazzo dagli occhi verdi.
“Ciao, Leon!” esclamò Violetta Castillo, un sorriso che andava da orecchio a orecchio.
“Ehi, Vil… Violetta! Come stai?”.
“Tutto bene. Ti volevo chiedere –ovviamente se non hai impegni- se questa sera, dopo cena ti andrebbe di andare a fare una passeggiata al parco”. Il cuore di Leon Vargas esplose letteralmente dentro la gabbia toracica, un sorriso si fece largo sulle sue labbra.
“Certo! Con piacere”.
“D’accordo, allora… ci vediamo più tardi!”. Leon annuì, ancora felice. Ma quel che successe appena un secondo dopo lo fece saltare di gioia che non poté essere di mal umore neanche sapendo che era iniziata l’ora di matematica.
Violetta Castillo si alzò sulle punte, puntando le mani sulle spalle del ragazzo, lasciandogli poi un dolce bacio sulla guancia sinistra. Si dileguò in classe senza degnarlo di uno sguardo, ma con un sorriso imbarazzato e vittorioso sul viso.
Gli angoli della bocca di Camilla Vargas si alzarono leggermente, guardando la ragazza entrare nell’aula. “E’ già caduta in trappola”.
Il gruppo si avviò verso la loro classe, e –Leon non ne era sicuro- ma gli parve di sentir sussurrare Diego qualcosa molto simile a: “Già… e non è la sola”.
 
 
Angolo autrice:
Ciao a tutti! Come va? Che pensate di questo secondo capitolo? Inizialmente troviamo Camilla e Leon che parlano… Leon in boxer… ve lo immaginate? *sbava* Poi c’è un ricordo riguardante la discussione fra Violetta e Francesca, ed infine i nostri amati amici che discutono sul da farsi del piano e Violetta che chiede a Leon di uscire *---* Che intenderà Diego con quell’ultima frase finale? Vedremo… Vi volevo ringraziare per le quattro recensioni ricevute, e per le numerose visite!! Non me lo aspettavo, davvero! E poi in meno di 24 ore! GRAZIE, GRAZIE!! Bene, vi mando un grosso bacio!
_Ruggelaria

 

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Capitolo 3
*** III° ***


III°
 
 
 La pista di motocross non era mai stata così affollata. Leon ricordò che quel giorno si sarebbe svolta una gara molto importante, la quale sarebbe stata trasmessa quasi in tutto il mondo… ed avevano scelto la loro pista per gareggiare!
Scese dalla moto ed inserì il cavalletto, facendosi spazio fra la folla ed entrando poi nei box.
Quello era uno dei suoi posti preferiti, un posto dove poteva essere se stesso, dove si sentiva in pace e libero, senza pensieri e pressioni. Poteva lasciarsi andare, correre per ore ed ore senza che nessuno lo fermasse o gli dicesse cosa fare.
L’immagine di sua sorella gli balenò subito in testa, ma la ricacciò scuotendo il capo.
L’odore della benzina, il rumore delle ruote che graffiavano il terreno, il rombo della moto... era tutto ciò di cui aveva bisogno in quel momento. Voleva smettere di pensare per qualche ora, voleva liberarsi di quel grande peso che aveva il compito di portarsi sulle spalle, non pensare più a niente e nessuno prima dell’appuntamento con Violetta Castillo.
“Ciao!” esclamò una voce familiare da dietro le sue spalle. Voltandosi, riconobbe i capelli castani, i due grandi occhi verdi e quel tenero e dolce fiocco fra i capelli che l’aveva fatto innamorare.
Sorrise dolcemente alla ragazza di fronte a lui, poi l’attirò a sé prendendola per la vita, e lentamente, come se avesse tutto il tempo del mondo per godersi quel momento, posò delicatamente le proprie labbra su quelle della ragazza.
Il baciò durò qualche secondo, o minuti… potevano addirittura essere giorni.
“Mi sei mancato.” confessò Lara Valente sorridendo al suo fidanzato, il quale rispose lasciandole ancora un dolce bacio a stampo sulle labbra. “Ieri sera ti ho chiamato tre volte… come mai non mi hai risposto?”.
Il sorriso di Leon scomparve dal volto, trasformandosi in una linea sottile sul viso. Abbassò lo sguardo e voltandosi per cercare la sua tuta per correre e tutto l’occorrente.
“Non… non ho sentito il cellulare squillare” mentì.
Le sopracciglia di Lara si abbassarono, raggiungendo il ragazzo dagli occhi verdi “Beh, ma potevi richiamarmi, questa mattina.”
“Ho avuto molto da fare, scusa. Mi sono svegliato tardi e sono arrivato in ritardo a scuola. Ecco… in prima ora avevamo il compito di matematica, e sai… sono davvero pessimo! Devo recuperare!” e sorrise, ma questa volta non fu un sorriso dolce, amorevole come i precedenti; fu un sorriso freddo, distaccato ma soprattutto nervoso.
“Da quando ti preoccupi della scuola, Leon? Quando mai te ne è importato!” esclamò Lara aprendo le braccia davanti a sé.
“Da quando i miei genitori mi hanno minacciato che mi avrebbero tolto tutto…” rispose tranquillo il ragazzo, continuando a prendere tutto ciò che gli serviva per correre.
Lara alzò un angolo della bocca, spostando lo sguardo altrove ed inchiodando le mani sui fianchi… Perché Leon le stava mentendo?
“Ma per favore! Leon Vargas che si fa ‘ricattare’ dai suoi genitori. Io… davvero non ti credo, Leon. Mi spiace, ma non ti credo! Dimmi la verità…”.
“Beh, d’accordo! Vuoi la verità?” sbottò finalmente il ragazzo, gli occhi brillanti e fuori dalle orbite “Ieri sera non avevo voglia di parlare!”.
“Non avevi voglia di parlare, o non avevi voglia di parlare con me?”.
“Non avevo voglia di parlare con te, contenta?”.
Lara non disse nulla, ancora le mani sui fianchi, le gambe leggermente divaricate e lo sguardo fisso negli smeraldi verdi del suo ragazzo… o meglio, del suo ex-ragazzo. Da tutto ciò aveva intuito che fra loro era finita. In effetti, nelle ultime settimane il loro rapporto non andava molto bene; discussioni e litigate erano sempre dietro l’angolo, ed entrambi soffrivano.
Forse era meglio finirla lì.
“Già. Immaginavo.” sussurrò abbassando lo sguardo, gli occhi che pizzicavano e la vista che si offuscava.
Leon, notando l’espressione della ragazza, sentì un nodo al cuore, un forte dolore proprio al centro del petto che lo fece sentire tremendamente in colpa. “No, Lara… ascolta.” cercò di dire, ma Lara Valente aveva alzato la testa, il viso rigato dalle lacrime.
“No, Leon… ascolta tu. Mi sta bene, tranquillo. Dico sul serio, va’ e vivi la tua vita, io starò bene.” detto ciò fece dietrofront e raggiunse i limiti dei box, al di là la folla. “…ah, quasi dimenticavo… buon divertimento questa sera, salutami la Castillo.” e varcò la soglia, mescolandosi con la gente.
 
 
 La moto che rallentò progressivamente davanti Villa Castillo, fece intendere a Violetta che la sua uscita con Leon Vargas si stava concludendo.
Scese rapidamente dalla sella e si sfilò il casco, porgendolo a Leon, che nel frattempo si era liberato del suo. Oramai le stelle brillavano alte nel cielo, ma non s’intravedeva più neanche una nuvola.
“Beh… grazie per avermi accompagnata…” disse Violetta tremando per il freddo; indossava solo una leggera maglia a maniche lunghe. “…e grazie anche per la bella serata.” continuò sorridendo.
Leon si limitò ad annuire ed entrambi rimasero in silenzio per alcuni secondi. Parecchie volte, durante quella sera, c’erano stati dei momenti d’imbarazzante silenzio, come quello. “Perché quella faccia? Non ti sei divertito?”.
Leon Vargas alzò rapidamente la testa, incrociando il suo sguardo verde smeraldo con quello da cerbiatta della ragazza di fronte a lui. Non le voleva mentire… certo che si era divertito, ma lei non sapeva tutta la verità. Non sapeva che quell’uscita era capitata a fagiolo nel piano di sua sorella, Camilla... un piano che avrebbe previsto ‘l’abbattimento’, per così dire, di Violetta Castillo.
Vargas alzò gli angoli della bocca, cercando di risultare il più naturale possibile, ma sapeva che quella era un’impresa ardua agli occhi di Violetta. “Sì, certo… mi sono divertito molto. Sono stato molto bene.”
Violetta annuì, accigliandosi anche. “Sicuro? Non mi sembri molto convinto…”.
“No, no. Ovvio che mi sono divertito!”.
“D’accordo, ne sono felice. E pensare che Francesca diceva che mi stai solo usando per un piano di tua sorella!” rise la ragazza.
A Leon si gelò il sangue, paralizzandosi all’istante, il sorriso scomparso dalle sue labbra.
Francesca Cauviglia aveva capito il loro piano?
“Francesca… Francesca cosa?”.
Violetta lo fissò seria, le sopracciglia aggrottate con un leggero presentimento. “Francesca pensava, anzi… pensa che tu e tua sorella tramiate qualcosa, ed io… io sono una pedina.” spiegò, le sopracciglia aggrottate notando l’espressione di stupore del ragazzo dagli occhi verdi.
Leon deglutì rumorosamente, i capelli leggermente mossi dal vento, il cuore che batteva contro la gabbia toracica. “Ah…” disse cercando di sorridere, un sorriso senza emozioni. “…ah, ok. Io… beh, non è vero. Ovvio che non è vero.”
“Ne sei sicuro Leon?”.
“Certo!” esclamò in preda al panico.
“Per quale motivo hai accettato di uscire con me, questa sera?”.
Il ragazzo deglutì ancora una volta, una goccia di sudore che scendeva dalla fronte.
Leon Vargas nervoso?
“Ecco, io ho accettato perché… sì, perché…” ma non riuscì a trovare una scusa plausibile, una scusa a cui potesse credere. Avrebbe potuto inventare di tutto, ma non gli venne in mente nulla.
Nulla.
“Aveva ragione? Mi stai usando, Leon? Tua sorella ha in mente qualcosa?” urlò.
“Cosa? No! Certo che no! Non farei mai una cosa del genere, Violetta! Soprattutto con…” te. Ed in quel momento si sentì sporco, un vigliacco. Stava mentendo spudoratamente, e lo stava facendo maledettamente bene! Sapeva che non appena sarebbe arrivato a casa avrebbe iniziato ad urlare, a mettere a soqquadro la sua stanza… finché non si sarebbe sentito in pace con se stesso, finché non avrebbe rimediato a quella bugia che gli stava facendo tremendamente male; ma lui lo sapeva: non sarebbe mai più stato in pace con se stesso dopo quelle parole.
Un tuono lontano echeggiò nell’aria, facendo saltare Violetta sul posto, ma a lei non importava nulla dei tuoni, né tantomeno se avrebbe cominciato a piovere a dirotto… voleva sapere la verità. Leon la stava davvero usando?
“Dimmi la verità, Vargas.” ribatté Violetta incrociando le braccia sotto al seno, mentre il vento si era alzato di più facendo spettinare i suoi capelli.
“Ora sono ‘Vargas’?”.
“Come vuoi che ti chiami? Leon?”.
“Forse ti sfugge che è il mio nome!” esclamò il ragazzo aprendo le braccia davanti a sé, il casco nero che penzolava dal gomito.
“Sai… penso che abbiamo fatto un grosso sbaglio ad uscire, stasera!”.
Se prima a Leon si gelò il sangue, in quel momento ribolliva così tanto da mandarlo al cervello.
“Mai stato più d’accordo!” gridò prima di lanciarle uno sguardo di fuoco ed infilarsi il casco, accendendo il motore della moto e dando gas.
“Ci vediamo a scuola, Castillo!”.
“Prego Dio che non sia così!”
 
 
 Ludmilla Ferro si svegliò di soprassalto, in preda al panico più totale. Non riusciva a credere che quell’incubo l’aveva perseguitata anche quella notte. Aveva la fronte sudata, il battito cardiaco accelerato e il respiro affannoso.
Si portò una mano sul petto respirando profondamente, cercando di tranquillizzarsi e di far tornare il cuore ad una velocità normale. Passò l’altra mano sulla faccia, sulla fonte, per poi passare alla pancia e alle gambe. Chiuse gli occhi, -ancora un volta immaginando quello che voleva vedere- ed alzò leggermente gli angoli della bocca.
Mise i piedi a terra, trascinandoli verso lo specchio della sua camera, e restando in piedi a fissare il suo ‘brutto’ –come diceva lei- riflesso. Scoprì la pancia, ispezionandola per bene, come un agente di polizia sulla scena di un crimine. Passò la mano sul ventre piatto, passando ai fianchi e terminando sulle snelle cosce. Si voltò più volte per controllare che era tutto esattamente come la sera prima, quando aveva passato più di quarantacinque minuti a fissare il suo riflesso.
L’aspetto fisico era diventato la sua più grande ossessione.
Non ne aveva mai parlato con i suoi amici, tantomeno con Camilla Vargas, perfetta nella sua perfezione. Non aveva mai un capello fuori posto, il trucco era sempre perfetto e mai abbondante; vestiva con abiti alla moda, per non parlare della personalità e del fisico!
Ludmilla l’aveva sempre invidiata, anche se questo la rossa non lo aveva mai saputo, anche se era la sua migliore amica.
Analizzò con cura anche la circonferenza delle braccia e si strinse i polsi fra due dita per capire se la sua massa fosse aumentata. Si rilassò appena quando vide che era tutto regolare.
Perché era così fissata con la sua bellezza?
Continuò a fissarsi le gambe, le unì constatando che le ginocchia si sfioravano fra loro e le cosce no. Tirò un sospiro di sollievo, ringraziando il cielo che durante la notte non era ingrassata.
Tutti i giorni cercava di essere precisa, perfetta, chiara e limpida come l’acqua. Voleva che il mondo la vedesse perfetta… proprio come Camilla Vargas.
 
 
Angolo autrice:
Ciiiao! Come state? Spero bene!! Cosa pensate di questo terzo capitolo? In primis troviamo Leon e Lara… pensavate che li facessi restare insieme… ma no. Leon ha bisogno di cambiamenti ;) insomma, poi rompono e chissà come, ma Lara già  sapeva dell’appuntamento di Leon e Violetta… come avrà fatto? A proposito dell’appuntamento… pare che si sia concluso davvero male… Violetta avrà capito tutto? E Leon, cosa farà? Francesca aveva ragione? Infine troviamo Ludmilla con l’incubo ‘dell’ingrassare’… volevo aggiungere un personaggio sofferente, ma che fuori fosse forte e dignitoso… e tadan! Ludmilla Ferro! Che ne pensate? Insomma, fatemi sapere cosa ne pensate. Scusate se il capitolo è un po’ corto, ma mi rifarò con i prossimi ;) Vi mando un grande bacio! Alla prossima!
_Ruggelaria

 

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Capitolo 4
*** IV° ***


IV°
 
 
Leon Vargas sbatté la porta di casa con tanta violenza da far tremare i vetri della porta-finestra che dava sul giardino posteriore, e i vasi ai lati dei divani. Aveva guidato così velocemente da andar –quasi- a sbattere contro un camion della spazzatura mentre svoltava l’angolo di una via.
Salì velocemente –a due a due- le scale che portavano al piano superiore dove erano collocate le camere da letto e tre bagni. Aprì la porta della stanza, chiudendola con altrettanta violenza della porta di casa.
Perché non gliene andava bene una?
Afferrò il cuscino ed iniziò a lanciare pugni su di esso, le lacrime di rabbia che gli rigavano il viso. Colpì ancora più forte, finché la fodera non si ruppe facendo volare dappertutto le piume, allora afferrò le coperte del suo letto per poi gettarle a terra.
Perché aveva tutto il mondo contro?
Rovesciò la sedia della scrivania, gettò il computer dalla finestra (atterrò sul prato distruggendosi in mille e più pezzi).
Perché non poteva decidere della sua vita?
Aprì l’armadio scaraventando ogni indumento sul pavimento, schiacciandolo poi con i piedi. Si tolse le scarpe, tirandole contro la porta e facendo cadere il tirassegno con il quale giocava insieme a Diego il sabato o la domenica pomeriggio. Prese tutti i suoi libri di scuola, li strappò uno ad uno lasciando che le pagine volassero per tutta la stanza.
Perché non poteva innamorarsi della persona giusta?
Si gettò sul letto a pancia in giù, lanciando pugni sul materasso oramai nudo, ed iniziò a scalciare come un burattino guidato dai fili.
D’un tratto la porta della sua camera si aprì con molta fatica, e Camilla Vargas si accigliò squadrando la stanza a soqquadro di suo fratello maggiore.
“Ma che diavolo è successo qui dentro?”.
“Vattene!”. La voce roca di Leon Vargas, spezzata dalle lacrime, si disperse nel materasso sul quale era ancora disteso.
“Ehi, calmo… che ti prende…? Hai perso una partita alla play-station?” ridacchiò la rossa incrociando le braccia al petto e poggiandosi con la spalla allo stipite della porta.
Una rabbia assalì Leon, tanto da farlo alzare di scatto e bruciare con lo sguardo sua sorella, tanto da farla sentire più piccola di una formica.
“Io mollo.” recitò categorico Leon, un’espressione seria che fece intendere a Camilla che era davvero arrabbiato.
“Piano, piano, piano… che significa ‘io mollo’?”.
Leon allargò le braccia davanti a sé storcendo la bocca “Che ho chiuso con te. Scordati di me per il tuo patetico piano, vendetta… o come cazzo vuoi chiamarla! Basta, ho finito!”.
Camilla Vargas aprì la bocca per ribattere, ma non uscì nient’altro che un grido di stupore che non ebbe alcun effetto sul Leon arrabbiato di quel momento. “E non fare quella faccia! Lo sai anche tu che è un piano patetico, Camilla!”.
“Primo: Non è patetico! Secondo: Tu non molli affatto, non puoi lasciarmi proprio adesso, nell’occhio dell’uragano, Leon!”
Leon sorrise scuotendo la tesa, le braccia incrociate al petto. “Non è un mio problema. Decido io della la mia vita… non tu. Sei mia sorella minore, ed esigo che mi porti rispetto!”.
“Abbiamo solo un anno di differenza, imbecille!”.
“Sono sempre più grande di te!”.
Nel frattempo fuori si era scatenato un temporale con i fiocchi, ma Leon sentì dentro di sé le sensazioni di un uragano.
“Piantala, Leon! Dobbiamo attenerci al piano!”.
“Non mi frega un cazzo del tuo piano! Non lo hai ancora capito, Camilla! Non ti aiuterò più, fine della discussione… e adesso esci dalla mia stanza!”. La rossa restò a guardarlo, un’espressione di tradimento era comparsa sul suo viso, poi si girò di scatto e raggiunse a grandi falcate la porta che dava sul lungo corridoio, ma prima di uscire afferrò la maniglia e disse: “Sei solo un bambino. Fai tutto questo per una ragazza che non ti merita.”
E uscì.
 
 
 Diego Casal stava percorrendo il corridoio che portava alla sua classe, quando scorse un’ondulazione di capelli castani e si accorse che Violetta Castillo era ancora al suo armadietto. La raggiunse con un sorriso malizioso sulle labbra, appoggiandosi accanto all’armadietto della ragazza.
“Ehi, Castillo.”
 Quando Violetta incontrò lo sguardo del giovane Casal, un’espressione di compiacimento si stampò sul suo viso. Leon aveva mandato il suo migliore amico a parlarle?
“Cosa vuoi, Casal?”.
“Solo fare due chiacchiere.” rispose Diego facendo spallucce. “Ti va?”.
“In realtà no.”
“Andiamo, Castillo… non vuoi sapere cos’ha detto Leon dopo il vostro appuntamento di ieri?” la stuzzicò lo spagnolo alzando gli angoli della bocca in modo vittorioso.
“In realtà no.” ripeté lei afferrando un quaderno da dentro lo zaino e riponendolo affianco al libro di chimica quantistica, nell’armadietto. “Bugiarda.”
Violetta sbuffò voltandosi –per la seconda volta da quando era arrivato- verso Diego Casal. “Piantala, Casal. So che Leon non ti ha detto niente, e vuoi sapere se m’interessa. Beh, la risposta è no!”.
“Aspetta… chi ti dice che Leon non mi abbia detto niente?”.
“Forse perché ieri abbiamo litigato?”. Diego fu colto alla sprovvista da quella domanda, ma doveva inventarsi subito qualcosa.
“Sì, lo so.” mentì “Sul serio non t’interessa cosa pensa di te Leon Vargas?”. La Castillo scosse la testa, chiudendo il suo armadietto e serrandolo con il lucchetto. “Bugiarda.” ripeté Casal.
“La vuoi smettere di darmi della bugiarda!”.
“No. Almeno non finché non ammetterai che sei innamorata di lui.” Violetta spalancò gli occhi, la bocca leggermente aperta. Faceva sul serio?
“Ci vediamo in classe… eh!”. Casal scosse ancora la testa, un sorriso vittorioso stampato sulle labbra.
Il piano di Camilla Vargas procedeva alla grande.
Violetta entrò nell’aula e non appena incrociò lo sguardo della sua migliore amica, il senso di disgusto e tradimento si risvegliò dentro di lei. Le lanciò un’occhiata, sentendosi sempre più in colpa, perché in parte Francesca aveva ragione: Leon Vargas non era interessato a lei.
Si diresse all’ultimo banco, accanto a Tomas Hereida. “Ciao.” salutò il ragazzo sorridendole. Lei gli rispose con un sorriso, prendendo l’occorrente per la lezione di poesia di Angela Saramego, sua zia.
Qualche minuto dopo, Leon e Camilla Vargas varcarono la soglia dell’aula, seguiti da Ludmilla Ferro e Diego Casal. Lo spagnolo le lanciò un’occhiata vittoriosa, e non si poteva dire il contrario del sorriso sfacciato –che avrebbe irritato qualsiasi persona sulla faccia della Terra, a parte forse la sua migliore amica- che aveva stampato in faccia.
Sederono ai soliti posti, ma –Violetta non ne era sicura- prima di sedersi, Leon l’aveva guardata di sfuggita.
 
 
 “Leon e Diego?” domandò Natalia Perez voltandosi e non vedendo i loro due amici. Automaticamente anche le altre due si girarono, facendo poi spallucce. “Saranno rimasti in classe” commentò Ludmilla accomodandosi sulla panchina dove il giorno precedente avevano discusso del loro piano contro Violetta Castillo.
“Io e Leon abbiamo litigato, ieri sera…”. Camilla Vargas si accese una sigaretta, inspirando ed espirando una densa boccata di fumo, per poi continuare “…ha mollato il piano.”
Ludmilla sgranò gli occhi voltandosi di scatto verso la ragazza seduta alla sua sinistra. “In che senso?”.
“Non vuole più partecipare.”
“Ma non può!”. La rossa fece spallucce, portandosi nuovamente la sigaretta alle labbra. “E’ ancora per la Castillo?”. Camilla annuì espirando del fumo. Leon, suo fratello, continuava a negare –o nascondere, come diceva sempre Diego- di avere una cotta per Violetta Castillo; ma l’intero gruppo si era reso conto da tempo che più continuava a negare, più faceva notare di essere ‘innamorato’, per così dire.
Camilla la trovava una cosa sciocca… innamorarsi di una ragazza come quella… di una sempliciotta come la Castillo.
Patetico, pensò riferendosi al ragazzo dagli occhi verdi con il quale viveva da sempre.
Ma –sempre ripetendo a se stessa- non si può decidere di chi innamorarsi, e quello lei lo sapeva bene.
Federico Rossi varcò la soglia della porta d’ingresso della scuola, chiacchierando animatamente con il suo amico, Maximiliano Ponte, per il quale Natalia aveva una cotta praticamente da sempre!
Il cuore della Vargas batté contro la gabbia toracica, mentre vedeva il sorriso del ragazzo italiano dileguarsi lontano da loro. Scosse leggermente la testa, riprendendosi dal suo stato di trans, ripetendosi –ancora una volta- che stava sbagliando.
In classe, invece, Leon Vargas e Diego Casal erano impegnati in un’animata discussione sulla loro prossima partita a biliardino, la quale si sarebbe svolta quel fine settimana a Villa Casal.
“Perfetto. Birra, pop-corn, Cola, patatine, cioccolato e…?”.
“…Nachos!” esclamò Leon alzando la mano guardando il suo migliore amico che appuntava tutto su una ‘lista della spesa’ improvvisata al momento.
“D’accordo.”
Leon si passò una mano fra i capelli, lasciandosi andare sullo schienale della sedia e chiudendo gli occhi; ma ogni volta che li chiudeva un’immagine gli si stampava davanti, al punto da farglieli riaprire all’istante.
Cacciò l’aria dai polmoni incrociando le braccia al petto, ripensando al giorno precedente.
 
“Ci vediamo a scuola, Castillo!”.
“Prego Dio che non sia così!”
 
La voce di Violetta Castillo gli rimbombava nelle orecchie, ma cercava in tutti i modi di dimenticarsene. In fondo era stata solo un’uscita sbagliata, un grandissimo errore… aveva abbandonato il piano di sua sorella Camilla, e finalmente era libero.
Ma non in pace con sé stesso.
“Cos’hai?” domandò lo spagnolo al suo migliore amico notando l’espressione affranta che aveva.
“Nulla.” Diego restò a fissarlo, le sopracciglia aggrottate. Non gliela raccontava giusta.
“Potevi anche risparmiartelo!”. La voce che qualche secondo prima Leon aveva nella mente, ora era di fronte a lui. Violetta Castillo aveva gettato sul suo banco una rosa rossa, con un fiocco viola ed un biglietto attaccato con so scritto ‘Per Violetta’ in una calligrafia davvero perfetta. La ragazza aveva un’espressione arrabbiata, la bocca storta da un lato, le mani ben inchiodate sui fianchi e il piede sinistro che picchiettava contro il pavimento.
Leon lanciò uno sguardo alla rosa, poi alla ragazza… senza ombra d’espressione. “Non sono stato io.” rispose flebile e senza emozioni. Violetta Castillo alzò un sopracciglio, palesemente più arrabbiata.
“Non sei stato tu? E allora chi?”. Vargas fece spallucce storcendo la bocca.
“Non ne ho idea.”
“Perfetto!”.
Trema la mammoletta verginella con occhi bassi, onesta e vergognosa; ma vie più lieta, più ridente e bella, ardisce aprire il seno al sol la rosa; questa di verde gemma s’incappella, quella si mostra allo sportel vezosa, l’altra, che ‘n dolce foco arde pur ora, languida cade e ‘l bel pratello infiora”.
Violetta Castillo si accigliò giocando la mascella. “Poliziano?”.
“Esatto.” commentò Leon annuendo leggermente. E senza dire nient’altro, la ragazza si dileguò ma senza prima aver ripreso la rosa. Una volta che Violetta uscì dall’aula (diretta alle macchinette), Diego Casal si avvicinò al suo migliore amico, sussurrandogli: “Sei stato tu, vero?”.
Leon annuì.
 
 
 Quel pomeriggio a Villa Castillo c’era una particolare tranquillità.
Violetta se ne stava in camera sua a leggere un libro, German e Roberto erano usciti perché dovevano partecipare ad una riunione molto importante, Olga –la domestica- era in cucina a preparare sicuramente qualche dolce, mentre Federico Rossi, seduto sul divano in pelle bianca, guardava tranquillamente la televisione.
Era da parecchie settimane che oramai viveva a casa di una delle sue migliori amiche. Sua madre e suo padre erano tornati in Italia, avevano molte cose da sbrigare ancora, ma lui non poteva lasciare Buenos Aires, ciò significava abbandonare i suoi amici, lasciare la scuola, dimenticarsi di quel posto per molto tempo… e ciò non poteva accadere.
German Castillo, molto amico dei suoi genitori, offrì la sua casa come ‘luogo d’appoggio momentaneo’ per Federico. Ovviamente lui era sempre il benvenuto.
La sua famiglia doveva molto ai Castillo. Molto.
Sentì il campanello della casa suonare, e –ormai come un gesto istintivo e quotidiano- andò ad aprire, ma si bloccò sull’uscio squadrando chi aveva davanti.
Il sorriso irritante e vittorioso di Diego Casal lo faceva sentire a disagio, fuori posto.
“Cosa fai tu qui?” domandò schietto e freddo il giovane ragazzo italiano.
“Oh, ma ciao anche a te. Sì, anch’io sono contento di vederti!”.
Cosa diavolo fai tu qui?” chiese ancora una volta Federico, i denti stretti e la mascella contratta. Avvertiva il cuore accelerare, le pulsazioni aumentare e il respiro stava diventando irregolare.
“Sono venuto per parlare con Violetta, ma solo ora mi accorgo che in realtà è te che voglio.” e ridusse gli occhi a due fessure; incrociò le braccia al petto ed alzò le sopracciglia. “Non mi fai entrare?”.
“No.”
Un sorriso sghembo apparve sulle labbra del ragazzo spagnolo “Non ti ricordavo così antipatico e maleducato.”
“Qualcuno mi ci avrà fatto diventare.” lo ribeccò l’italiano.
“Già. Immagino di sì.”
Passarono i secondi, forse addirittura un minuto buono senza alcuna parola, solo i loro sguardi, chi di fuoco e chi di ghiaccio, che s’incrociavano. Entrambi sapevano, stavano ricordando. “Me lo vuoi dire cosa vuoi da me?”.
“Sì. Sì, certo… Vorrei che lasciassi in pace Leon.” rispose.
Federico Rossi cercò di trattenere una risata. Sì, sembrava divertito, ma il cuore gli faceva male, avvertiva un qualcosa allo stomaco, e –non ne era sicuro- ma le gambe stavano per cedergli. “Spero tu stia scherzando, Casal”.
“Nient’affatto. Sono serissimo. Non tormentate Leon, lasciatelo fuori da tutta questa storia. Ha già troppo a cui pensare, ed un altro peso sulle spalle non gli farà bene.”
“E sentiamo… come mai il tuo amichetto…” sputò fuori quella parola come fosse veleno, come un qualcosa che gli avesse punto o bruciato la lingua “…non sta bene? Una ragazza ha declinato un suo invito?”.
Lo sguardo di fuoco che Diego Casal lanciò al ragazzo di fronte a sé, fu uno dei peggiori che avesse mai fatto. “Non devo spiegazioni a nessuno, specialmente a te. Te lo ripeto: lasciate Leon fuori da questa storia, non ha nulla a che fare con tutto quello che sta succedendo.
L’espressione sul viso di Federico era… affranta? Triste? Dispiaciuta? Sofferente? Diego Casal che si preoccupava del suo migliore amico.
“Non so di cosa parli, e non m’interessa niente di Vargas, faccia ciò che vuole.”
“Bene. Perché non voglio che soffra ancora.”
Rossi annuì leggermente, gli occhi lucidi ma spenti “Neanche io ti ricordavo così premuroso verso qualcuno.”
Il piccolo sorriso che si era formato sulle labbra di Diego scomparve, ed improvvisamente anche lui avvertì una strana sensazione allo stomaco e all’altezza del cuore.
Deglutì rumorosamente, passandosi una mano dietro al collo che –e Federico lo sapeva bene- era segno di nervosismo. “Qualcuno mi ci avrà fatto diventare.” e si voltò raggiungendo a grandi falcate l’auto parcheggiata fuori, sgommando sull’asfalto, rovente come il fuoco contro l’aria, fredda come il ghiaccio.
 
 
Angolo autrice:
Ciao a tutti! Che dite? Che ve ne pare di questo capitolo? Si comincia a scoprire qualcosa in più. Inizialmente troviamo Leon che torna a casa arrabbiato dopo l’appuntamento con Violetta e distrugge tutto (se lo facessi io i miei mi caccerebbero di casa, ahahahah); litiga con Camilla e lascia il piano. Poi c’è Diego Casal in versione ‘bad boy’ che stramo! Terzo blocco Camilla, Nata e Ludmilla e Diego e Leon che parlano, finchè non interviene Violetta con la rosa regalatagli da Leon!!! Awwww *--* quarto ed ultimo  blocco troviamo Federico e Diego che… beh, parlano. Ancora non si capisce cosa nascondo quei due, ma presto saprete di più. Lasciatemi consigli e pareri. Io vi mando un grandissimo bacio!
_Ruggelaria

 

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Capitolo 5
*** V° ***




“La Cauviglia cosa?” per la prima volta Camilla Vargas sembrava davvero sorpresa dalle parole del suo amico. Diego le aveva raccontato che qualche sera prima –mentre aspettava Leon- si era seduto al tavolo con Francesca, Maxi e Federico, e che avevano parlato un bel po’. 
“Te l’ho detto… ci ha scoperti.” ripeté lo spagnolo portandosi alla bocca una sigaretta, un’espressione vuota. “Sarebbe meglio che rinunciassimo al piano.”
“Non se ne parla nemmeno!”.
“Io… io sono con Dieg-go.” s’intromise Natalia alzando appena la mano ed abbassando la testa. Il gruppo si voltò verso di lei con un’espressione come a dire ‘non t’intromettere, non sei in condizioni di parlare, tu’.
“Zitta.” ordinò Camilla prima di voltarsi nuovamente verso lo spagnolo e la sua amica bionda che sedeva accanto a lui. “E per quanto riguarda il piano non ho nessuna intenzione di abbandonarlo. Si va avanti.”
“Ma come facciamo senza Leon?”. Camilla alzò leggermente gli angoli della bocca dello stesso colore dei suoi capelli, le lentiggini che la facevano sembrare una dea greca. Ludmilla moriva d’invidia.
“A Leon ci penso io. Lo conosco, e so che riuscirò a convincerlo.”
“Ne dubito.” Diego cacciò il fumo dalla bocca gettando il mozzicone della sigaretta per terra,  per poi calpestarlo con il piede. Le ragazze si accigliarono nel sentir pronunciare quelle parole, mentre dalla bocca della Vargas uscì: “Che intendi?”.
Diego rise appena, le braccia incrociate al petto per il vento che si stava alzando. “Lo sai meglio di me, Camilla.” un attimo di pausa mentre guardò la rossa negli occhi “Leon non accetterà di prendere in giro la Castillo, e sappiamo tutti il perché, non bisogna essere Einstein per capirlo.” e rise nuovamente scuotendo appena la testa.
“Leon deve capire che non può avere sempre tutto quello che vuole.”
“E perché per te non dovrebbe valere lo stesso?” domandò lui giocando con la mascella ed alzando le sopracciglia. “Mi sembra che questa sia il tuo piano contro la Castillo. Pare che noi stiamo facendo tutto questo per te… perché per una volta non lo lasci decidere della sua vita?”.
Ed in quel momento, uno dei rari, forse unici momenti, nei quali Camilla Vargas non sapeva come ribattere. Era vero che lei aveva tutto quello che voleva, tutto quello di cui aveva bisogno… ma era anche vero che Leon aveva deciso di unirsi a quel piano.
“Voglio parlare con Ludmilla. Andatevene.”
Diego sorrise scuotendo la testa, ed alzandosi di scatto dalla panchina sulla quale era seduto. Camilla era furba, ma in quel momento non poteva prender in giro nessuno dei presenti. Perfino lei sapeva che quello che aveva detto lo spagnolo era vero.
Natalia Perez seguì il suo ‘amico’ dentro l’edificio scolastico, dirigendosi nella loro classe dove Leon –in quel momento- era impegnato a disegnare.
“Cosa c’è?” domandò apaticamente Ludmilla Ferro accomodandosi di fronte alla sua amica rossa, la quale aveva la testa bassa, le braccia incrociate sotto al seno e le gambe snelle –che facevano invidia alla maggior parte delle ragazze- accavallate. Ludmilla notò con dispiacere che i jeans che indossava Camilla la facevano apparire ancora più magra di quanto già non lo fosse, il nero cappotto che indossava metteva in risalto il suo ventre piatto ed il seno prosperoso. I capelli erano raccolti in una lunga treccia che le scendeva delicatamente sulla spalla, e il trucco non aveva una sbavatura… perché era così difficile essere come Camilla Vargas?
“Diego si sbaglia.”
“Diego ha ragione, Camilla!”
“No. Leon tornerà a far parte del piano, fidati. Conosco mio fratello, e so come convincerlo.”
Ludmilla rise. “Come ricattarlo, vorrai dire…”
“Leon cederà… lo riavremo fra noi.”
Dei secondi di silenzio assoluto regnarono fra loro, gli sguardi incrociati ed il vento che si alzava ancora. Le prime gocce di pioggia iniziarono ad infrangersi contro la tettoia del cortile della scuola, e gli alberi cominciarono a bagnarsi, come anche il terreno e le strade. Buenos Aires era ricoperta da un denso strato di nubi, che nel pomeriggio –secondo i metereologi- sarebbero dovute scomparire lasciando spazio al primo sole d’Aprile.
“Beh… fare tutto questo solo per evitare che ci stia intorno mi sembra davvero sciocco e poco logico da parte tua.” la stuzzicò la bionda
 “Sai benissimo che non sono quelle le ragioni di questo piano, Ludmilla.” 
La Ferro alzò gli angoli della bocca, gli occhi ridotti a due fessure. Amava quando Camilla cominciava ad alterarsi. “Già. Stai facendo tutto questo perché il tuo caro Federico vive sotto lo stesso tetto di Violetta, e tu hai paura che lui possa venir a conoscenza di qualche tua vecchia cattiveria da Violetta. Il tuo piano contro Violetta è perché molti anni fa i vostri genitori litigarono, e da allora fecero finta di non conoscersi. Ma cosa più importante: perché Leon è innamorato di lei." sussurrò avvicinandosi alla sua amica e facendole venire i brividi.
“Esatto, Lud. Ma Federico non m’interessa più, e questo lo sai. Ho commesso un errore, ma anche i più grandi leader possono sbagliare. Federico Rossi non farà parte della mia vita. E per quanto riguarda Leon, sì, hai ragione anche sotto quest’aspetto. Non voglio una come lei nella mia famiglia, la metterebbe solo in ridicolo ricoprendola di fango. E non voglio infangare in nome dei Vargas.” 
Ludmilla si accese una sigaretta portandola fra le labbra. “Strano. Molto strano. Solitamente se hai un fratello innamorato dovresti esserne solo felice, basta. Ovviamente c’è la gelosia, perché è tuo fratello, ma non puoi non essere contenta per lui.”
“Io non lo sono. E’ Violetta Castillo! Se si fosse trattato di te sarei stata –come dici tu- felice per mio fratello, ma non sei tu… è Violetta Castillo”.


 Violetta Castillo sentiva la testa girare, avvertendo le prime vertigini che la stavano facendo sentir male. Sicuramente la lezione di biologia non era fra le sue preferite, soprattutto se si parlava di rane. 
Roberto Benvenuto, che tutti chiamavano ‘Beto’ –l’insegnante di scienze e matematica-, aveva assegnato loro un lavoro a gruppi, il quale consisteva nell’esaminare un animale a piacere e descriverne tutti i particolari: dal colore all’aspetto, da quello che mangiava a quello che aveva dentro.
Violetta non era molto forte di stomaco, ed infatti non appena Maxi propose al gruppo di lavorare su delle rane, lei si era categoricamente rifiutata; ma la maggioranza vinse e quindi le toccò esaminare l’interno dello stomaco di una rana.
“No, non ce la faccio!” esclamò alzando la mano destra, mentre la sinistra era premuta forte sulla bocca. 
“Si, Castillo?”.
“Posso andare in bagno? Non mi sento bene”. Beto annuì, e Violetta sgusciò destramente fra i banchi dell’aula, uscendo dalla porta e correndo nel bagno delle ragazze.
Venti minuti dopo la campanella della fine della lezione iniziò a squillare, e Violetta si diresse al suo armadietto per poggiare il libro ed il quaderno di biologia, portati a lezione praticamente per bellezza. Aprì l’anta e li ficcò dentro, afferrando l’occorrente per la lezione successiva.
La sua attenzione fu catturata da qualcosa di rettangolare incollato all’anta di ferro. Spostò lo sguardo sulle due ragazze sorridenti ritratte nella foto.
Ricordava perfettamente quel giorno.
Sorrise al ricordo di quando lei e la sua migliore amica, Francesca Cauviglia, avevano scattato quella foto. In realtà era stata scattata dal padre di Francesca, il ventiquattro Ottobre dell’anno passato. Era un giorno che non avrebbe mai dimenticato.
Il loro primo concerto.
Avevano fatto di tutto per trovare i biglietti per l’ultimo concerto a Buenos Aires di Tiziano Ferro. Era tutto esaurito, ma il cugino di Francesca, che lavora come tecnico nell’Arena, gli aveva procurato dei posti dove con una vista pazzesca! 
A quel concerto si erano divertite come pazze, si erano scatenate ed avevano cantato. Nulla le avrebbe mai fatto dimenticare quel giorno.
Chiuse l’anta dell’armadietto, saltando sul posto e portandosi una mano al cuore per lo spavento nel vedere Leon Vargas a pochi centimetri da lei.
“Scusa.” sussurrò flebile il ragazzo dagli occhi verdi; le braccia incrociate al petto e la schiena contro gli armadietti. “Non volevo spaventarti”.
Violetta si portò una mano sulla fronte, chiudendo gli occhi. Cacciò l’aria dai polmoni per poi fissare lo sguardo negli smeraldi del ragazzo di fronte a lei. “Cosa c’è?”.
“Nulla. Volevo solo assicurarmi che stessi bene.”
Violetta si accigliò “Perché non dovrei stare bene?” e Leon fece spallucce.
“Ti ho vista correre fuori dall’aula, eri pallida.” ed improvvisamente si ricordò che era stata male durante la lezione di biologia. 
“Oh, sì, certo. Le rane non sono il mio forte. Ma sì, sto bene.” 
Leon Vargas serrò le labbra fra loro, annuendo leggermente, lo sguardo a terra. “D’accordo”.
“Grazie… per esserti preoccupato.” e strinse i libri al petto, la zona guance-orecchie che si stava tingendo di rosso. Sorrise leggermente incrociando i piedi, perdendo quasi l’equilibrio.
Chiare, fresche, e dolci acque, ove le belle membra pose colei che sola a me par donna; gentil ramo ove piacque (con sospir mi rimembra) a lei di fare al bel fianco colonna; era e fior che la gonna leggiadra ricoverse co’ l’angelico seno; aere sacro, sereno, ove Amor co’ begli occhi il cor m’aperse: date udienza insieme a le dolenti mie parole estreme.
Violetta alzò gli angoli della bocca, leggermente in imbarazzo. “Petrarca.” Leon annuì, un lieve sorriso stampato sulle labbra.
“Mi piace quando citi versi lirici.”
“Non è un verso lirico, questo. E’ un esempio di canzone petrarchesca."
Violetta si stupì della conoscenza del ragazzo che aveva di fronte. Alle interrogazione ed ai compiti in classe di poesia, Leon Vargas, non era proprio il primo della classe; ed invece adesso… le citava versi di Petrarca.
“Ne vuoi un altro? Silvia, rimembri ancora quel tempo della tua vita mortale, quando beltà splendea* negli occhi tuoi ridenti e fuggivi, e tu, lieta e pensosa, il limitare della gioventù salivi?”.
“Questa non la conosco.” 
“Leopardi.
“Giusto.
La campanella squillò un’altra volta; Leon e Violetta restarono a fissarsi. L’odio del loro primo ed unico appuntamento era sfumato non appena i loro occhi si erano incrociati e i loro sguardi s’innamorarono.
“Credo sia ora di andare in classe.
“Già, credo che sia proprio ora."
Ed insieme si avviarono verso la loro aula, dove furono accolti dallo sguardo di fuoco di Camilla Vargas, e da quello di soddisfazione di Diego Casal, che diede una pacca sulla spalla al suo migliore amico non appena si fu seduto al suo fianco.
Lo spagnolo gli sussurrò qualcosa, così Leon si voltò ed incrociò ancora una volta lo sguardo da cerbiatta di Violetta… il cuore che gli martellava contro la gabbia toracica.
Tornò a guardare il suo compagno di banco, ed annuì.
Angela Saramego fece il suo ingresso nell’aula, e tutti si alzarono in piedi. Quindici minuti dopo disse: “Errai nell’oblio della valle tra ciuffi di stipe fiorite, tra quercie** rigonfie di galle; errai nella macchia più sola, per dove tra foglie marcite spuntava l’azzurra viola; errai per botri solinghi: la cincia vedeva dai pini: sbuffava i suoi piccoli ringhi argentini. Io siedo invisibile e solo tra monti e foreste: la sera non freme d’un grido, d’un volo. Io siedo invisibile e fosco; ma un cantico di capinera si leva dal tacito bosco. E il cantico all’ombre segrete per dove invisibile io siedo, con voce di flauto ripete, io ti vedo!”.
Il silenzio era caduto nell’aula, ascoltavano tutti la dolce voce della professoressa. “Chi scrisse questo?”
E Violetta si stupì –come anche il resto della classe- quando la mano di Natalia Perez non si alzò, ma invece fu data parola a Leon Vargas. “Pascoli."
“Esatto, Leon."

*La poesia è scritta così, non è un errore di battitura.
**Si legge quercIe e non querce. Anche questa è scritta così.


 La serata non era iniziata proprio nel migliore dei modi. Leon e Camilla erano stati a discutere per più di venti minuti e, ok che il parco giochi alle undici di sera era chiuso, ma Diego, Ludmilla e Nata erano rimasti tranquilli senza intromettersi… sapevano che quelle erano ‘cose di famiglia’ com’aveva detto Camilla Vargas più volte.
“E adesso non ne voglio più parlare!” gridò Leon alzandosi improvvisamente dalla panchina, e per calmarsi si accese frettolosamente una sigaretta. Il fumo grigio che si mescolava alla condensa della sua bocca con il freddo d’aprile. 
“Possibile che tu non capisca che quella ragazza è solo uno spreco di tempo?”.
“Ho detto che non ne voglio più parlare!”. Camilla Vargas imitò il fratello maggiore, alzandosi veloce dalla panchina e parandosi –con le mani inchiodate ai fianchi- davanti a lui. 
“Non ne vuoi parlare? Bene. Allora raccontami...cos'è questa storia che adesso reciti poesie?"
Leon lasciò andare i due angoli della bocca, i quali si alzarono lievemente verso l’alto, la sigaretta –tra il secondo e terzo dito della mano destra- che poi venne portata alle labbra, nuovamente. 
In lontananza un tuonò avvisò che presto sarebbe venuto a piovere, come del resto anche le nuvole grigie –tendenti al nero- che si erano stagliate su Buenos Aires quel pomeriggio. 
“Cosa c’è da ridere?"
“Nulla. Semplicemente ti trovo buffa” commentò il ragazzo. Camilla alzò gli occhi al cielo, assieme alle sopracciglia. 
“Ah davvero?” Leon annuì “Sai, Leon… credo che tu non stia andando nella giusta direzione. Credo che tu stia sbagliando tutto.”
Una risata uscì dalla bocca di Leon, assieme al fumo che poco prima si trovava nei suoi polmoni. “Tu non sai niente di me, sorellina. Niente.”
La zona guance-orecchie di Camilla Vargas iniziò a tingersi di rosso per la rabbia. Odiava suo fratello quando la chiamava in quel modo, odiava quando le dava della sorella minore. Era vero, lei era più piccola di lui, ma non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno… specialmente da suo fratello. “Sbagliato. Ti conosco meglio di chiunque altro. So ogni tuo punto debole, so tutti i tuoi segreti… Leon. Vuoi davvero stare dall’altra parte?”.
Gli occhi verdi di LeonVargas si accesero di rosso, rosso fuoco. Quel pomeriggio sua sorella era entrata in camera sua con ‘l’intenzione di far pace’, aveva detto; ma era finita che lei gli aveva proposto di rientrare a far parte del piano… ma aveva rifiutato. 
“Eh, Leon? Davvero credi che quella provincialotta sia innamorata di te? Ma per favore!”
“Siamo noi che la stiamo ingannando! Siamo noi che le stiamo facendo credere tutto questo!”
Sul volto della rossa apparve un’espressione vittoriosa, lo stesso sorriso di quando, qualche mattina prima, Violetta Castillo aveva invitato ad uscire suo fratello. 
Leon aveva detto ‘noi’.
“Bentornato nel gruppo, fratellino”. E gli diede una pacca sulla spalla, accendendosi una sigaretta e tornando seduta sulla panchina accanto alla sua amica bionda, che –stranamente- non aveva ancora proferito parola.
“Bentornato un cazzo, Camilla! Te l’ho detto, e te lo ripeto per l’ultima volta… non parteciperò al tuo stupido piano! Discorso finito!”.
E per quanto le volesse bene, per quanto amasse sua sorella, in quel momento avrebbe preferito essere figlio unico. Sapeva che quel pensiero era sbagliato, perché lei era sua sorella, sangue del suo sangue, la sua famiglia, la sua sorellina minore… ma stava davvero superando il limite. 
Violetta era semplicemente una ragazza dolce e fragile che presto avrebbe subìto le cattiverie di Camilla Vargas; e Leon questo non poteva accettarlo. 
Ma alla fine vogliamo tutti un mondo dove la cioccolata non faccia ingrassare e l’amore non faccia soffrire, ma purtroppo questa è la vita vera; quindi ci resta solo che mangiare poca cioccolata e sperare di non soffrire se ci innamoriamo. Ma Leon sapeva che ancora una volta stava sbagliando… lui amava la cioccolata ed ogni volta che s’innamorava soffriva come un cane bastonato, ma questa volta era diverso. Non gli importava, avrebbe mangiato barrette di cioccolata fino a scoppiare, e si sarebbe innamorato altre cento, mille volte… ma solo se si trattava di Violetta Castillo.


Angolo autrice:
Buonsalve a tutti! Come state? Vi piace questo capitolo? I Leonetta *---* che ne pensate del vero motivo del piano di Camilla? Un po’ scontato? Troppo banale? Fatemi sapere. E di Leon che difende Violetta da sua sorella? Quant’è dolce! Devo scappare, vi mando un grande bacio e ci vediamo al prossimo capitolo!
_Ruggelaria

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Capitolo 6
*** VI° ***


VI°


 Il temporale era scoppiato da parecchi minuti, oramai. I lampi illuminavano la città, i tuoni brontolavano nel cielo senza nessuna meta, le macchine attraversavano la strada schizzando acqua a chiunque fosse nella loro traiettoria. La pioggia che batteva contro la finestra della camera di Violetta Castillo, scivolava contro il vetro come lacrime su un viso bagnato. A lei piaceva stare in silenzio a guardare la pioggia scendere da dietro il vetro della sua finestra appannata. Le piaceva sentire il rumore delle gocce che arrivavano al suolo, contro il vetro. Le piaceva l’odore, anzi il profumo della pioggia, che rimane dopo nell’aria. E soprattutto le piaceva pensare che dall’altra parte della città c’era Leon Vargas a guardare, sentire e respirare la stessa pioggia. 
Si voltò verso sua nonna, seduta di fronte a lei sul letto della sua camera dalle pareti viola.
“Nonna, ti manca tanto il nonno?”.
“Che domanda sciocca, tesoro.. certo che mi manca.” sussurrò Angelica sorridendo leggermente alla nipote, le rughe sul viso che rappresentavano i segni di una vita vissuta.
“E cosa ti manca di più di lui?”
“I baci, la sua risata, le litigate…”
“Le litigate?”
Angelica sorrise nuovamente annuendo teneramente, come si fa tra nonna e nipote. “Sì, soprattutto le litigate.”
“E perché?”
“Perché vedi, tesoro, quando ti manca una persona, ti mancano i suoi pregi e i suoi difetti. Tuo nonno mi manca, nel vero senso della parola.”
Violetta aggrottò le sopracciglia sistemandosi la coperta fino a sotto il seno. “Spiegati meglio.”
“Hai presente la sensazione che provi quando perdi un autobus? Quando arrivi troppo tardi ad un appuntamento? Quando devi buttare il tuo vestito preferito? Quando litighi con una persona speciale?”
“Sì.”
“Ecco.” sussurrò ancora l’anziana donna dai capelli bianchi “Ora unisci questi sentimenti.”
“Tu provi questo?”. 
“Ogni giorno.”
 In quel momento Violetta provò un sentimento di tristezza, malinconia e perdita, sperimentato poche volte. Ora riusciva a capire come si sentiva sua nonna senza suo nonno… come riusciva a sentirsi suo padre senza sua madre. 
“E come fai a sopravvivere con tutto questo vuoto dentro?”
“E’ facile. Basta pensare che lui sia qui con me.”
“In che senso?”
“Ad esempio, quando la casa è troppo silenziosa, m’immagino la risata di tuo nonno che rimbomba nelle stanze. Mi siedo sul divano, osservo la poltrona dove si sedeva, e cerco di immaginarlo mentre guarda la televisione, o mentre ascolta la sua canzone preferita: ‘Volare’. Dovevi vederlo. Appena metteva su il disco si alzava e m’invitava a ballare, e i suoi occhi s’illuminavano di gioia. Mi posava delicatamente la mano sui fianchi ed iniziavamo a danzare. Lo amavo sempre, anche quando mi urlava che voleva andar via di casa, anche quando mi faceva piangere. Il suo profumo di fumo mischiato al gelsomino; il suo carattere dolce e scorbutico; i suoi occhi marroncino che ti ricordavano l’autunno. Non c’è cosa che non mi manchi.”
Gli occhi di entrambe erano ricoperte da un velo di lacrime, quando si sorrisero a vicenda. “Anche a me manca molto.”
“Fai come me.” propose la donna alzando le sopracciglia. Ma Violetta scosse la testa “Non ne sono capace.”
“Ma tesoro, è così semplice! Basta chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare. Chiudi gli occhi.”
E chiuse gli occhi. “Fatto.”
“Ora pensa a qualche suo ricordo bello.”
“Sì.”
“Apri gli occhi.” ed aprì gli occhi. “Lo vedi?”
“Sì, lo vedo. Ti sta tenendo per mano.”
Angelica sorrise, una lacrima che le rigò il viso. Abbracciò sua nipote tenendola stretta a sé, come faceva ogni volta con le sue due figlie –Angela e Maria, quest’ultima purtroppo morta e madre di Violetta- quand’erano piccole come la nipote.
“Mi racconti la vostra storia?”
Le rughe della donna si mostrarono ancora, annuendo.
“Oh, ma certo, ma prima però c’è un’altra storia che merita d’esser raccontata. Ti va di ascoltarla?”
“D’accordo.”
“Avevo quindici anni, era il 1949 e, sai, all’epoca era tutto diverso. Abitavo in un piccolo paesino, che giravo spesso in sella alla mia bici, per andarmi a rifugiare in un posto che mi piaceva pensare conoscessi solo io; amavo sdraiarmi sull’erba fresca e sentire i raggi del sole riscaldarmi, nelle fresche mattine d’estate. Un giorno, subito dopo esser tornata a casa, mia madre mi mandò a prendere l’acqua al pozzo vicino casa. Mentre riempivo le grandi brocchi, vidi passare un ragazzo che si fermò per chiedermi se mi serviva aiuto. Mi accompagnò fino alla piazza del paese perche, sai, mia madre non voleva che vedessi dei ragazzi. Ci salutammo, propensi ad incontrarci nuovamente. Solo una settimana dopo, ero diretta nel ‘mio posto’, quando vidi in lontananza lui. Solo allora, dopo una settimana, mi resi conto che già lo avevo incontrato, che già avevo visto quegli occhi azzurri. Mi ricordai che qualche settimana prima mi scontrai con lui, che litigammo per moltissimo tempo, e mi augurai anche di non incontrarlo mai più. Ma di quel giorno me ne dimenticai. Così scesi dalla bici, e lui fece lo stesso. Avevo poco tempo a disposizione, dovevo tornare a casa presto, ma quel tempo lo passai tutto con lui. Non gli raccontai mai che mi ero ricordata del nostro primo incontro, e lui neanche se ne ricordò, o forse sì, in ogni caso non me ne parlò. Quel giorno ci mettemmo insieme, ma non come i ragazzi d’oggi, che si baciano tra la folla senza preoccuparsi degli sguardi della gente, no, il nostro era un amore segreto, un amore che conoscevamo solo noi; era il nostro amore! Dopo qualche anno mi giunsero delle voci: dicevano che lui si era messo con un’altra ragazza, che io ormai non ero più niente. Così, all’età di vent’anni, decisi di partire per andarmene lontano da lui; Buenos Aires sarebbe stata la giusta soluzione… e in qualche modo lo fu. Lui continuava a cercarmi, a scrivermi, venne addirittura qui per chiedermi spiegazioni. Io non volevo averci più niente a che fare, lo mandai via. Chiusi così per sempre la nostra relazione. Mi feci una vita, sposai tuo nonno, ebbi tua mamma, che a sua volta mi diede una bellissima nipote, e tua zia. Lui fece lo stesso, rimase in quel paesino, e sposò una donna del posto. Solo tanti anni dopo scoprii che non mi aveva mai tradita e che, le voci che giravano, provenivano dalla gelosia di una mia ‘amica’. Lui provò così tante volte a spiegarmi l’accaduto, ma io non ne volevo più sapere, non l’ho mai lasciato parlare. Con questo non voglio dire che io non abbia amato tuo nonno, l’ho amato, amato sul serio, fin quando non ci ha lasciato, ma il mio grande amore, la mia anima gemella, la persi tanti anni prima. E sai cos’è l’amore, tesoro? Pensare ancora a lui, nonostante siano passati sessantasei anni.”
“E’ davvero una storia bellissima e commuovente, nonna.”
 Il volto della donna anziana si ricoprì –ancora una volta- da rughe, sorridendo alla sola nipote che aveva. “Quindi tu e questo ragazzo inizialmente non vi sopportavate… dico bene?”
“Esatto. Per puro caso l’ho rincontrato. Ma basta rimuginare sul passato, dimmi un po’ di te… la scuola coma va? C’è qualcuno che t’interessa?”
Le orecchie di Violetta diventarono improvvisamente più colorite, mentre sulle labbra si estendeva un sorriso d’imbarazzo. Non era sicura di volerne parlare con sua nonna, ma soprattutto non era sicura di quello che voleva parlare. 
Certo, Leon Vargas era un ragazzo molto bello, dolce quando voleva, educato e sensibile; ma Violetta sapeva che nascondeva anche un altro lato. Non era sicura, ma forse quella sera Leon le aveva dato la conferma che sua sorella, Camilla Vargas, stesse tramando qualcosa contro di lei, usando suo fratello… proprio come aveva detto Francesca.
Già, Francesca. Quanto le mancava! Si sentiva ancora tremendamente in colpa per ciò che le aveva detto qualche mattina prima, perché sapeva che se fosse stato il contrario, se fosse stata l’italiana a dirle che Leon non l’avrebbe mai guardata, Violetta ci sarebbe rimasta molto male, perché sicuramente non si aspettava una cosa del genere detta dalla sua migliore amica.
Ed era proprio così che doveva sentirsi Francesca.
Un vuoto allo stomaco la trafisse improvvisamente, ricordando quel giorno. 
“Tutto ok, tesoro?”
Violetta batté un paio di volta le palpebre degli occhi per risvegliarsi dai ricordi, tornando con lo sguardo su sua nonna. “Certo. E’ solo una sciocchezza.”
“Però non hai risposto alla mia domanda.” sorrise Angelica. A quel punto Violetta lasciò andare la conversazione. Che senso aveva dire di essere innamorata di un ragazzo che la stava solo prendendo in giro?
“Oh no, nonna. Non m’interessa nessuno.”
“Eh! Ma non dirmi che nella tua classe non c’è neanche un ragazzo carino!”. Violetta sorrise appena, la testa bassa mentre si torturava le dita. 
“Di carini ce ne sono… ma non s’interessano molto a me, sai… con Ludmilla Ferro e Camilla Vargas in classe.”
Angelica aprì la bocca, e d’un tratto capì tutto come se le fosse stato appena sbattuto davanti agli occhi. “Certo… ora capisco tutto. Sono due ragazze bellissime, lo ammetto. Ma sai, non credo che a Leon interessi sua sorella o la ragazza che considera un’altra sorella minore.”
Violetta Castillo alzò improvvisamente la testa, un’espressione stupita a confronto di quella furba di sua nonna. 
Sulle labbra della donna apparve un sorriso astuto, gli occhi che la leggevano dentro.
“Come fai a sapere di Leon?” domandò Violetta ancora perplessa.
“Oh, tesoro mio. Conosco la famiglia Vargas da molti anni, e so che sei sempre stata ossessionata da Leon.”
Violetta aggrottò le sopracciglia, ancora più confusa di prima. “Non capisco… cosa intendi?”
Angelica si lasciò andare ad una leggera e sonora risata, sistemandosi meglio di fronte alla nipote. Le poggiò una mano sulla gamba, gli occhi azzurri inchiodati a quelli da cerbiatta della nipote.
“Sicuramente non ricorderai nulla, eri troppo piccola. Quando nascesti tu, tuo padre non era presente a causa di una riunione alla quale aveva dovuto partecipare. Non appena gli arrivò la chiamata di tua zia Angie, si precipitò in ospedale. Accanto al letto di tua madre, c’era una donna che a sua volta aveva partorito. Aveva dei lunghi capelli rossi, e degli occhi verde smeraldo. Me la ricordo perfettamente, perché tua zia mi disse: “Sembra un semaforo!”. Quando tuo padre arrivò, riconobbe il suo amico d’affari, Julio Vargas. Scoprirono che entrambi erano appena diventati papà, solo che Julio era già padre. German, tuo padre, ricordò di quanto Julio gli era stato accanto quando l’azienda colò a picco, e lo invitò nella nuova azienda, molto più forte e potente. I due passavano molto tempo insieme, e prima che se ne rendessero conto, tu e Camilla eravate diventate delle bellissima bambine di cinque anni; Leon ne aveva sei, e quasi tutti i pomeriggi giocavate insieme. Tu eri particolarmente affezionata  a Leon, che quando arrivò il momento –per lui- di andare a scuola, non te ne volli separare più.”
“Cos’è successo poi? Perché le nostre famiglie fanno finta di non conoscersi, di odiarsi?”
Angelica fece un respiro profondo, guardando negli occhi la nipote. “Vedi, qualche anno dopo, tuo padre e Julio litigarono. Davvero una brutta lite che li fece allontanare per tutto questo tempo, ed andaste di mezzo anche voi… ecco perché a Camilla non vai molto a genio… anche lei conosce tutta la storia.”
Violetta non riusciva a credere a quello che sua nonna le aveva appena raccontato. Lei e Leon una volta erano inseparabili, ottimi amici… ed anche con Camilla. 
Perché la vita doveva essere così ingiusta?
“Leon non sa nulla di questa storia?”
Angelica scosse la testa “E ora dimmi… è Leon Vargas il ragazzo che ti piace?”.
Ancora una volta le orecchie di Violetta diventarono più accese del solito, e gli angoli della bocca si alzarono in un sorriso d’imbarazzo. Annuì, vedendo le rughe di sua nonna affusolarsi ancora una volta.


I lunghi e rossi capelli di Camilla Vargas erano mossi al ritmo del vento che soffiava quel nuvoloso pomeriggio. La sigaretta che portava regolarmente alle labbra, era, oramai, quasi del tutto finita; buttò il mozzicone a terra e lo schiacciò con il piede. 
Per molto tempo aveva riflettuto se chiamarlo o no, ma alla fine si era fatta coraggio ed era riuscita a schiacciare l’icona verde sul suo contatto. 
Doveva assolutamente parlargli, doveva chiarire quel che era successo tra loro qualche settimana prima.
Sapeva, comunque, che non sarebbe mai potuto accadere nulla, quindi cercò di convincersi che quello era solo un incontro per chiarire una situazione passata.
Era stato tutto un grande sbaglio; uno sbaglio che non si sarebbe mai più ripetuto… di sicuro.
Camilla accavallò la gamba destra sull’altra, muovendola nervosamente perché, anche se sapeva che non sarebbe accaduto nulla, che sarebbe tornata a casa perfettamente tranquilla, il pensiero di lei con quel ragazzo, le faceva battere forte il cuore.
Ma sapeva che era sbagliato.
Sentì dei passi avvicinarsi, il rumore delle foglie che veniva calpestato l’aveva sempre divertita, sin da piccola. 
Un ragazzo alto, dagli occhi neri ed i capelli ricci mossi dal vento, si bloccò davanti alla sua figura –seduta sulla panchina-.
Federico Rossi teneva le mani dentro le tasche del giubbotto e lo sguardo fisso sull’esile ma potente figura di Camilla Vargas.
Non l’aveva mai notato, ma sotto la luce di quel tramonto primaverile, attraverso una brezza che soffiava fra gli alberi scompigliandole i capelli, il viso di Camilla era perfetto, in ogni dettaglio, in ogni curva. Quell’ombra di lentiggini la faceva sembrare debole, ma allo stesso tempo la rendeva forte e potente.
Era davvero innamorato di lei.
“Grazie d’essere venuto.”
“Figurati. Non avevo nulla da fare.”
Camilla Vargas si alzò in piedi; con quegli stivali con il tacco che indossava, era della stessa altezza di Federico, finalmente riusciva a guardarlo negli occhi.
Una ciocca di capelli rossi le volò davanti agli occhi, e con un rapido ma delicato gesto della mano cercò di tirarla dietro l’orecchio, ma la mano di Federico fu più veloce.
“Federico… perché pensi che ti abbia chiamato?”
“Credo che tu voglia parlarmi di ciò che è successo qualche sera fa. Sbaglio?”
“In effetti no.”
Il ragazzo italiano fece un lungo e profondo respiro. Sentì l’aria gelida –come lame ghiacciate- entrargli nel corpo attraverso il naso, per poi scendere nei polmoni.
“Parliamo, allora.”
Camilla annuì, sedendosi nuovamente sulla panchina, la quale era diventata di nuovo fredda. Stava tremando, e non solo per il freddo.
Ok, Federico Rossi era uno sbaglio. 
Perfetto.
Ma il suo cuore avrebbe voluto continuare a sbagliare.
“Camilla… quello che è accaduto alla festa, io… non è successo niente.”
“Esatto. Per una volta sono d’accordo con te.”
Decisamente non era il genere di risposta che Federico avrebbe voluto sentir dire.
“Voglio che dimentichi tutto, proprio come farò io. Chiaro, Federico?”
Rossi esitò qualche secondo, la gomma che veniva tranciata dai denti. “Certo. Chiarissimo.”
E gli occhi neri s’infuocarono.
Come poteva Camilla Vargas nascondere ciò che provava! Se n’era accorto da tempo, ma non voleva crederci.
“Qualche problema? Sei stato tu a dire che non è successo niente. Possiamo dimenticarcene entrambi.”
“Non posso credere che tu sia così…”.
“Così come! Arrogante? Egoista? Presuntuosa? Cattiva? Superficiale? Prego, aggiungi un’altra etichetta! Tanto perché me ne hanno date poche!”
“Certo! E lo sai perché? Perché è tutto vero, Camilla! Tutte le cose che la gente pensa di te, sono vere! Sei arrogante, egoista, presuntuosa, cattiva, superficiale, e adesso anche bugiarda!”.
“Sentiamo, perché sarei bugiarda?”.
“PERCHE’ DICI CHE UN BACIO NON E’ NULLA! NULLA! MENTRE SAPPIAMO PERFETTAMENTE ENTRAMBI CHE HA SIGNIFICATO MOLTO SIA PER ME, SIA PER TE!”
Aveva la gola in fiamme, sentiva mille e mille aghi roventi conficcarsi contro le corde vocali… ma non gl’interessava. Si era sfogato, le aveva detto tutto ciò che pensava, tutto quello che sentiva.
“Sì, hai ragione. Ed è proprio per questo, che voglio dimenticarmene…” si alzò dalla panchina, lo sguardo sempre fisso su quello di Federico. “…e faresti bene a dimenticartene anche tu.” 
Detto ciò si voltò per andarsene, fece il primo passo, ma tutto accadde in un secondo: Federico si alzò rapido dalla panchina afferrando la vita della ragazza e facendola voltare. Si trovò improvvisamente il suo petto attaccato a quello di Camilla, e le sue labbra a pochi centimetri… finchè non le toccò con le sue.
Era la seconda volta che baciava Camilla Vargas, ma sembrava come se le porte del paradiso si fossero aperte davanti ai suoi occhi.
Sentiva la morbidezza, la fragilità e la sensibilità di quei due pezzi carnosi che mordeva con i denti. Il potere che avevano su di lui, la potenza e la libertà che provava in quel momento erano qualcosa di inspiegabile.
Era un bacio che toglieva il respiro e dava i brividi.
Le prese il viso fra le mani, passò il pollice sulla sua guancia asciugandole e lacrime, ed infine, allontanandosi di poco, la guardò negli occhi. Sapeva che quello sarebbe stato l’ultimo bacio, l’ultima volta che l’avrebbe baciata, l’ultima volta che l’avrebbe guardata da così vicino, l’ultima volta che l’avrebbe vista piangere per lui. 
Le lasciò il viso passando le mani lungo la sua vita e posandole sui fianchi, ma senza mai staccare lo sguardo da quello di Camilla.
La ragazza avvertì un brivido percorrerle la spina dorsale, e il suo cuore che batteva forte, veloce… inarrestabile.
Non sapeva cosa dire, qualsiasi frase, qualsiasi parola sarebbe stata sbagliata.
Federico sarebbe stato sbagliato.
Ma una cosa che ti fa stare bene, come può essere sbagliata?
Camilla chiuse gli occhi abbassando la testa, il viso contratto in una smorfia di dolore. Le lacrime cominciarono a scendere, bagnavano le sue guance, le labbra che poco prima erano state toccate dal ragazzo del quale era innamorata.
Avvertiva il cuore che faceva male, le gambe tremare e non sapeva se sarebbe riuscita a tornare a casa facendo finta di nulla. Perché tornare a casa significava affrontare i suoi genitori, e Leon… già, Leon. Cos’avrebbe detto se avesse saputo che era innamorata di un ragazzo come Federico Rossi?
“Non deve essere per forza sbagliato.”
“Sì, invece. E’ sbagliato. Molto sbagliato.”
“Camilla, come puoi occultare ciò che provi? Come puoi sopprimere i tuoi sentimenti?”
“Ce la farò.”
Federico cacciò l’aria dai polmoni, chiuse gli occhi e scosse la testa. “Non ti capisco.”
“Con il tempo mi passerà… ed anche a te. E’ giusto così.”
“No, invece! Alla fine scoppierai!”.
Camilla poggiò le sue mani su quelle del ragazzo –ancora sui suoi fianchi-, e le tolse. Scosse le testa e si sistemò la borsa a tracolla. “Mi dispiace. Mi dispiace davvero, Federico.”
“Non mi sembri così dispiaciuta.” commentò il ragazzo.
“E cosa dovrei fare! Federico, io e te non potremmo mai stare insieme! Ti rendi conto di quanto siamo diversi? Di quanto le nostre famiglie siano diverse!”.
“Ah certo, ora mi è chiaro tutto…”. Incrociò le braccia al petto, un’espressione triste, ma allo stesso tempo rivelatrice. “…è tutto per i soldi, non è vero? Certo. Camilla Vargas, una delle ragazze più ricche del mondo, e Federico Rossi, figlio di un fotografo, non potranno mai stare insieme.” storse la bocca, e sentì il cuore frantumarsi in mille pezzi.
“Sai benissimo che i soldi non c’entrano niente.”
“Ah no? E allora spiegami.”
Camilla fece un respiro profondo sistemandosi i lunghi capelli rossi –mossi dal vento- con la mano, per poi infilarla nuovamente nella tasca della giacca.
Era vero, i soldi non c’entravano affatto con la loro relazione; non le importava se Federico era ricco o povero, davvero.
Ma alla sua famiglia sì…
“Ti prego, Federico. Devo andare…”
Il ragazzo italiano non disse nulla al riguardo, annuì senza espressione in viso, anche lui con le mani nella giacca. Camilla restò a guardarlo per qualche altro secondo, per poi voltarsi ed avviandosi a passo veloce verso Villa Vargas.
Sentì una foglia caderle sulla testa, la prese e la fissò attentamente: era secca, strappata, vuota… un po’ come si sentiva lei in quel momento.
Si asciugò una lacrima che era appena scesa sulla sua guancia, con in dorso della mano, e gettò a terra la foglia, calpestandola con il piede.
Il suono che sentì le ricordò molto il suo cuore quando si era voltata, dando le spalle a Federico. Ma in quel momento fece un respiro profondo, iniziò a correre verso casa ripetendosi che lei era Camilla Vargas, e che non poteva permettersi di sbagliare, neanche una volta.
Ma tutte le regole hanno la loro eccezione.


Angolo autrice:
Ciao amici! Come state? Scusate se questo capitolo ha solo 2 blocchi, ma come avete visto sono abbastanza lunghi. Che ne pensate della storia di Angelica? Mi piaceva inserirla perché ricordava un po’ la storia di Violetta e Leon. Poi BUM! Colpo di scena… I VARGAS E I CASTILLO! Che ne pensate? Sorpresa, sorpresa… *faccia maliziosa di WhatsApp* e il blocco di Camilla e Federico? Awww *---* scusate ma, anche se stramo i FEDEMILLA, Camilla e Federico insieme sono meravigliosi! Forse perché mi ricordano i Ruggelaria! Ahahahah, no. Insomma, ditemi che ne pensate e datemi qualche consiglio, mi raccomando. I consigli mi fanno sempre comodo ;) vi mando un grande bacio!
_Ruggelaria

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