Not the same story - III: l’Impero Vittoria

di Ink Voice
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Battiti ***
Capitolo 2: *** I - Equilibrio precario ***
Capitolo 3: *** II - La storia di più vite ***
Capitolo 4: *** III - Partenza all’alba ***
Capitolo 5: *** IV - Clandestini aggressivi ***
Capitolo 6: *** V - Le due facce di una stessa medaglia ***
Capitolo 7: *** VI - Chi non muore si rivede ***
Capitolo 8: *** VII - Al settimo cielo ***
Capitolo 9: *** VIII - Un frammento di prisma ***
Capitolo 10: *** IX - Convivenza ***
Capitolo 11: *** X - L’Impero Vittoria ***
Capitolo 12: *** XI - Il guardiano del tempo ***
Capitolo 13: *** XII - Sulle tracce di (quasi) nulla ***
Capitolo 14: *** XIII - L’anello mancante ***
Capitolo 15: *** XIV - Il labile confine tra umano e leggenda ***
Capitolo 16: *** XV - La strada percorsa con te ***
Capitolo 17: *** XVI - Il canto della fenice ***
Capitolo 18: *** XVII - Conflitto secolare ***
Capitolo 19: *** XVIII - Occhio per occhio ***
Capitolo 20: *** XIX - Fuoco e Veleno ***



Capitolo 1
*** Prologo - Battiti ***


NOT THE SAME STORY
III - L’Impero Vittoria



 
Prologo
Battiti

Ripresi conoscenza solo quando un tuono proveniente dal mondo reale mi riportò sulla Terra. Mi ci volle un po’ di più per contattare tutti i miei sensi e decifrare qualche dettaglio della mia condizione: fu un’operazione lenta ma fortunatamente indolore. I boati fragorosi nel cielo arrivavano come attutiti alle mie orecchie e non riuscii nemmeno a sobbalzare dalla paura appena ci fu un ruggito di forza impressionante.
Ero rannicchiata in una penosa posizione fetale e avevo a malapena la forza di sgranchirmi le mani - non volli figurarmi gli arti interi. Eppure in qualche modo riuscii a sdraiarmi supina, tenendo le gambe ancora piegate un po’ lateralmente, ma in modo tale che il torso e la testa fossero rivolti al cielo. Dischiusi gli occhi, che incontrarono un soffitto plumbeo di nubi temporalesche e castano, visti i rami completamente spogli degli alberi. Non c’era una vera e propria oscurità: immaginai che non fosse passato neanche molto tempo e che quindi fosse all’incirca l’alba.
D’un tratto fecero capolino nella mia visuale due Pokémon più che conosciuti: Altair mi guardava con gli occhietti neri pieni di preoccupazione, mentre quelli rossi di Aramis erano piuttosto freddi e distaccati, come se, senza scomporsi, si volesse accertare delle mie condizioni. La loro apparizione mi smosse un po’, accelerando la ripresa del contatto con la realtà, e le mie mani sentirono il bisogno di esplorare il terreno su cui ero sdraiata: le poche parti non coperte da un fine strato di neve erano ciuffi d’erbetta umidi, bagnaticci.
Chiusi di nuovo gli occhi e la mia Altaria mormorò qualcosa. La ignorai e mi sforzai di richiamare alla mente le cose più importanti: feci per parlare, ma prima dovetti sopportare qualche colpo di tosse che sapeva di sangue - la mia voce era spaventosamente arrochita. Quando fui in grado di dire qualcosa senza essere ostacolata da alcunché, mormorai: «Mi chiamo Eleonora. Ho sedici anni e mezzo e appartengo alle Forze del Bene. I Comandanti gemelli del Victory Team hanno distrutto la base nel Monte Corona… e una dei due si chiama Nike. Hanno cercato di catturare me, Bellocchio e Daniel. Il portale creato da Daniel è stato manomesso dall’altro Comandante… ma lui e Bellocchio dovrebbero essere andati dove volevano… io invece che ad Amarantopoli sono finita nel… nel…»
Mi concentrai e raccolsi quel poco di forze riavute al mio risveglio per tirarmi su a sedere. Feci qualche smorfia per il disagio ma individuai il cartello che avevo fugacemente letto prima di svenire. «Bosco Smeraldo.»
La mia mente, di colpo, smise di essere sonnacchiosa e si riappriopriò dei vividi, turbolenti ricordi delle ultime cose successe, e per qualche momento i battiti del mio cuore accelerarono nel rivivere l’incontro con i Comandanti, il breve combattimento contro di loro fatto insieme a Daniel - per poco non ci avevano pure rapiti - e la fuga non riuscita al meglio. Ma almeno non ero in qualche regione spaventosamente lontana da Johto: tutto sommato il Bosco Smeraldo era anche relativamente vicino alla mia meta, Amarantopoli.
Appena ero stata teletrasportata lì, qualcosa che avevo identificato come un Velenospina mi aveva colpito la spalla. Siccome non avevo sentito niente quando mi ero sdraiata mezza supina, non avrei dovuto disturbarmi di controllare che non ci fosse ancora; ma portai comunque una mano al punto interessato e non lamentai alcun dolore, trovando un buco non indifferente che l’ago aveva praticato nel morbido maglione azzurro, mia unica difesa contro il gelo invernale insieme agli stivali e ai pantaloni neri. Eppure non sentivo freddo - non ancora, ma di lì a poco ero certa che sarei stata travolta da veri e propri spasimi a causa della bassa temperatura.
Ricordai Cynthia, che avevo vista, nell’oscurità della notte, quel poco che mi era bastato per riconoscerla e implorarle di aiutarmi. Ma mi aveva abbandonata a me stessa: avevo la netta sensazione che ad avermi tolto l’ago avvelenato dalla spalla non fosse stata lei, appassionata di Pokémon Veleno e quindi sicuramente in grado di aiutarmi. Neanche il tempo di finire di formulare quel pensiero che una delle mie Poké Ball si aprì e ne uscì la mia Roserade, segno che aveva sentito, grazie all’intimo contatto tra squadra e Allenatore, i miei pensieri.
«June» sospirai. Con Aromaterapia e altre mosse Erba e Veleno non doveva aver avuto difficoltà per togliere la Velenospina. Sfiorai con una mano le sei Poké Ball attaccate alla cintura che avevo intorno alla vita: quelle di June, Altair e Aramis erano vuote, e riconobbi le altre tre presenti come quelle di Saphira, Rocky e Nightmare. Potevo affermare di aver praticamente detto addio a Diamond, Pearl e Noctowl, gli altri miei Pokémon rimasti nella base segreta. Sperai di averli depositati in un box ma era molto improbabile: non ci mettevo mai nessun membro della mia squadra perché non ne avevo bisogno, in genere mi portavo appresso, quando avevo modo, tutti e nove i miei Pokémon. Non fui investita da un moto di preoccupazione, stranamente: l’unico a cui non ero affezionatissima era Noctowl, l’ultimo arrivato nella squadra e il meno allenato e utilizzato, ma Staraptor e Luxray erano tra i miei primi compagni di avventure, da quando ero entrata nel mondo dei Pokémon, e non capii perché non avessi avuto una dolorosa fitta al petto al pensiero di non averli più con me.
Mi alzai in piedi con meno fatica di quanta ne avessi avuta per muovermi fino ad allora. Richiamai nelle rispettive sfere sia Altair, che, da Swablu, era stata il mio primo Pokémon, e June. Rimasi sola con Aramis, che continuava a studiare con attenzione i miei movimenti, accertandosi che fossi ancora tutta intera - fisicamente e mentalmente - e forse non capendo perché non mi fossi già messa a piangere per tutto ciò che ci era accaduto.
«Brutta situazione, eh, Aramis?» Il Gallade nemmeno mi rispose. Avevo tenuto lui fuori dalla Ball perché il suo aspetto e i comportamenti umani mi erano più familiari, anche se la mia Altaria sarebbe stata molto più partecipe e affettuosa di lui, che era sempre di poche parole. «Siamo soli e abbandonati a noi stessi, con tre compagni in meno, l’inverno sulle spalle e un Legame che so gestire a malapena. C’è solo da sperare che Ho-Oh, almeno lui, non mi abbandoni e mi indichi la strada più breve per Amarantopoli.»
Non feci in tempo a finire quella frase che trasalii visibilmente nell’udire una voce maschile rimbombare, parlando con tono grave, nella mia mente. Aramis quasi si slanciò verso di me appena feci per inginocchiarmi a terra, senza trovare un albero o qualcosa a cui appoggiarmi; lo fermai con inaspettata decisione alzando di scatto una mano, mentre tenevo l’altra sul petto come se servisse a calmare il mio cuore impazzito. Il mio compagno indietreggiò. La voce di Ho-Oh mi aveva invaso la mente con veemenza e in un modo del tutto inaspettato quando ancora stavo parlando ad Aramis con toni di noncuranza. Quella specie di colpo mi aveva fatto mancare l’aria nei polmoni per un infinito secondo e cercai di riprendere fiato mentre mi sforzavo di ascoltare il Leggendario.
“Non avresti dovuto farti prendere dal panico all’arrivo dei nemici.”
A quella breve frase seguì una pausa piuttosto lunga. Alla fine me ne uscii con una specie di sorrisetto, e, siccome era un’espressione inquietante in una situazione del genere, continuai a tenere la testa bassa per non farmi vedere da Aramis, sicura che avrebbe creduto che i miei nervi stessero cedendo. Con un’ironia irrispettosa dissi: «Proprio ora devi farmi la ramanzina?»
Subii un altro duro colpo quando il Leggendario alzò la voce - voce che rimase sempre confinata nella mia mente: “Non dovrà accadere mai più! Ricordati chi sei e quali sono i tuoi doveri!”
«V-va… va bene» balbettai con le mani tra i capelli, strizzando gli occhi, che sicuramente si erano tinti di rosso appena ero bruscamente entrata in contatto con Ho-Oh. «Non succederà più… non avrò più paura in futuro. Ma ora ti prego, ti prego, Ho-Oh, aiutami a trovarti… indicami la via per Amarantopoli, ti prego…»
“Ora non serve. Ci incontreremo presto.”
Se n’era già andato quando mi resi conto di star bisbigliando altre preghiere, chiedendogli di aspettare e non lasciarmi. Non riuscii ad arrabbiarmi nei suoi confronti per la sua ritirata, che era stata silenziosa ed indolore, tanto che a malapena mi ero accorta della sua assenza. Senza dare spiegazioni ad Aramis, lo feci rientrare velocemente nella sua Poké Ball: ebbe abbastanza tatto da non uscire di nuovo per cercare di capire cosa fosse preso alla sua pazza, emotivamente sconvolta Allenatrice.
Nel giro di un minuto riuscii a ritrovare la calma e il mio modo di pensare e di agire, non più intimorita dalla presenza del Leggendario a cui ero, a tutti gli effetti, sottomessa. Pensai addirittura che la prossima volta che ci fossimo “sentiti” avrei dovuto chiedergli di non entrare più nella mia mente in modo così violento, cortesemente. Era stato laconico e severo e non ero in grado di contattarlo di nuovo a causa dei miei limitati poteri psichici, che non ero sicura si sarebbero evoluti una volta ottenuta la forma materiale del Legame, quando mi fossi ricongiunta al mio Leggendario.
«Avresti almeno potuto dirmi se ti troverò sulla Torre Campana, Ho-Oh» borbottai. Percepii un vago sentore della sua presenza grave, che non era possibile ignorare, ma fu talmente fuggevole che mi convinsi di essermelo immaginato, ancora un po’ intontita - era meglio dire annichilita - dalla pesantezza del contatto.
Le prime gocce di pioggia iniziarono a cadere e cominciai a sentire freddo. Mi sforzai di usare il potere della mente per capire se ci fosse qualcuno nelle vicinanze, e siccome non percepii nessuno mi concessi di creare un po’ di fuoco per scaldarmi. Inizialmente mi limitai a sbuffare qualche fiammella arcobaleno per il mio viso già freddo, poi anche le mie mani si ritrovarono a sostenere dei fuocherelli sgargianti e allegri. Non era ancora abbastanza.
Infilai nelle tasche dei pantaloni le mani, avvolte in delle specie di mezziguanti fiammeggianti che avrebbero fatto impressione a chiunque, ma in quel momento non mi volevo curare di alcunché. La vera cosa che mi sorprese fu trovare nella tasca destra un foglietto di vitale importanza per i miei spostamenti e per la mia sopravvivenza, pure: non mi ero accorta di averlo con me, essendo stata occupata a sopportare la gravità della presenza di Ho-Oh e a riprendere i contatti con la realtà.
Sul biglietto c’erano scritti i nomi delle maggiori basi segrete delle Forze del Bene e lo portavo sempre con me da quando Bellocchio me l’aveva consegnato, pochi giorni prima di allora. Tenni il foglietto vicino al viso per continuare a scaldarmi le mani soffiando fuoco dei colori dell’arcobaleno, riuscendo a non bruciare la carta perché mi limitai ad usare le funzioni curative e inoffensive, non aggressive, del fuoco dai due volti di Ho-Oh.
“Monte Corona, e va be’, ce lo siamo giocato stanotte… la Fossa Gigante non mi sembra dietro l’angolo, quindi scartiamola. Ah, c’è una base da cui si accede dal Sentiero Ding-Dong che porta alla Torre Campana… cercherò di appoggiarmici quando sarò ad Amarantopoli.” Quella notizia mi fece stare un po’ meglio: sapere che il luogo abitato dalla Fenice dell’Arcobaleno era nelle mani della mia fazione fu di grande conforto. Cercai qualche base delle Forze del Bene nel territorio di Kanto e trovai che ce n’era una nella Grotta Celeste, collegata ad un’altra più piccola nel percorso 25, poi una ad Aranciopoli e… “… E basta. Solo queste tre, una più lontana dell’altra.”
Avrei voluto andare a Biancavilla ma qualche tempo prima era giunta la triste notizia della morte di Oak, arrivata poco tempo dopo quella del professor Rowan, e la cittadina non era più sotto il controllo delle Forze del Bene: il laboratorio di Oak non era più attivo e il nipote Green non poteva prendere il suo posto. Non avevo con me né il PokéGear né altri strumenti con mappe delle regioni, perciò mi sforzai di ricordarmi altre città raggiungibili tramite il Bosco Smeraldo. A nord c’era Plumbeopoli ma la esclusi appena un pensiero mi attraversò la mente: “Il Capopalestra Brock è morto da chi si ricorda quanti anni.”
Perciò, senza uomini delle Forze del Bene ancora in vita nelle immediate vicinanze, l’unica città che mi rimase era Smeraldopoli. Tra l’altro era pure più vicina di Biancavilla al Bosco Smeraldo. Il problema era che una grande metropoli come quella, che in passato era stata controllata da Giovanni, del Team Rocket, in qualità di Capopalestra, poteva essere pericolosa per me. Non ero affatto indifesa ma ero pur sempre sola - e avrei smesso di temere l’assenza di compagni umani solo quando avessi ottenuto la forma materiale del Legame tra me e Ho-Oh. Potevo anche attaccare con i miei poteri sovrannaturali di fuoco, aria e mente, ma rimanevo un solitario obbiettivo sensibile del Victory Team.
«Sicuramente hanno mobilitato un sacco di reclute un po’ ovunque per trovare sia me che Daniel… e gli altri Legati» mormorai. «Ma almeno lui può teletrasportarsi e fuggire quando vuole. Nike e suo fratello… Nike e il suo gemello sono sicuramente sulle mie tracce, in qualche modo, e faranno qualsiasi cosa in loro potere per catturarmi, ora che sono sola e in procinto di mettermi in viaggio verso la Torre Campana.»
“D’altronde cos’altro posso fare?” Continuai il discorso nella mia mente. “La situazione può solo peggiorare se continuo a star ferma qui, ad aspettare il nulla e a prendere freddo. Muovermi mi mette a rischio ma non farlo è ancora più pericoloso. Ho sei Pokémon con me… gli altri tre già cominciano a mancarmi… ma comunque ho anche tre elementi ai miei comandi. Posso affidarmi sia sulla pirocinesi che sull’aerocinesi. Un po’ meno sul potere della mente, ma se mi attaccassero dei Victory che non siano Nike e il suo gemello posso considerarmi quasi in vantaggio su ogni nemico sprovvisto di poteri, visto quello che posso fare.”
L’ombra di un sorrisetto svanì dal mio viso appena ricordai le ultime battute dell’incontro-scontro con i due bellissimi e spaventosamente potenti Comandanti. Non mi fu difficile tirare le somme della situazione, nonostante i pochi elementi di cui disponevo, che potevano comporre solo una piccola parte del gigantesco quadro che rappresentava il conflitto tra i Victory e le Forze del Bene.
«I Comandanti gemelli sono molto legati a Vì, in qualche modo.» Il ricordo della bambina dai capelli ricci e biondi e gli spettrali, vitrei occhi grigioverdi mi fece rabbrividire per un momento. «Vista la somiglianza tra tutti e tre… sarà una specie di sorella minore? Mi sembra comunque una relazione che ha dell’assurdo…»
Feci una pausa. Le domande che avrei voluto pormi erano tantissime, ma mi impedii di farmene anche una perché di risposte non ne avevo. Sbuffai e qualche lingua di fuoco mi scappò sia dalle narici che dalla bocca. Mi ero rassegnata a sopportare il freddo senza coprirmi di fiamme: di lì a poco avrei cominciato a muovermi.
«Vì…» mormorai soprappensiero.
Trasalii appena una voce inaspettata mi toccò le orecchie: era abbastanza vicina perché potessi scattare all’erta e avventarmi contro il proprietario di essa, temendo che fosse un nemico.





Manca poco, forse…




Angolo ottuso di un’autrice ottusa che cercherà di non chiacchierare troppo almeno per una volta nella vita ma sta già parlando un sacco nel titolo dell’angolAAAAAH
Cominciamo bene.
Ho iniziato a scrivere il prologo la sera di Natale, dopo che tutti i parenti se n’erano andati. E oggi, giorno in cui il mio account di EFP compie due anni *lacrimuccia* pubblico questo prologo della terza e ultima - ma quel forse nella frase in corsivo ??? - parte di Not the same story. È un modo per festeggiare. Festeggiare due anni di torture inflitte al sito da parte mia.
È stato molto difficile scrivere queste poche pagine di prologo. Il dizionario dei sinonimi e contrari è diventato il mio migliore amico nelle ore che mi sono servite per buttar giù tutto - già eravamo in buoni rapporti prima, voi tutti lettori di Not the same story sarete invitati al nostro matrimonio quando scoppierà la scintilla (???)
Be’, non so che dire - e se chiacchiero così tanto senza sapere cosa dire... eh, scappate prima che sia troppo tardi. Non so se questa storia continuerà ad essere seguita o se gli unici lettori saremo io e il dizionario di sinonimi e contrari, appunto, ma non demorderò in nessun caso e porterò a termine questa malbenedetta storia. Molte scene di questa terza parte sono nate nella mia mente quando ancora stavo scrivendo la prima parte, perciò nel 2014 - qualcosa anche verso la fine del 2013. Non penso di cambiarle più di tanto perché mi ci sono affezionata, chi mi conosce sa quanto sono sentimentale e romanticona, anche se cerco di non darlo a vedere ; _ ;
Nonostante abbia in mente a grandi linee la trama della terza parte, sono molto insicura sugli sviluppi. A parte che non avere la maggior parte dei titoli dei capitoli pronti mi preoccupa-- ma ci sono molti capitoli che non so come scrivere, non so cosa scriverci. L’unico conforto è che anche con Ntss2 era così, e alla fine penso sia venuta fuori una bella seconda parte, anche se man mano ho cambiato molte cose, inserito nuovi avvenimenti, tagliati alcuni, copincollato, fatto pratica di decoupage ecc ecc
Insomma, mi sento di dire soltanto che chi vivrà vedrà, e soprattutto vedrà chi leggerà (???)
Direi che sto delirando fin troppo, capitemi, l’emozione di pubblicare questo prologo mi sta uccidendo. È meglio che tolga il disturbo e torni a scarabocchiare - lo stava scrivendo con due b, la burina !! - su uno sfortunato album da disegno :°°° Quando avrò tempo, voglia e forza pubblicherò il prossimo capitolo. Sembrano premesse terribili, ma il mio maso spirit è tornato e non ci metterà molto a superarle.

Edit: PIANGO TUTTE LE MIE LACRIME ho dimenticato il titolo della storia ecc prima del titolo del prologo-- li ho aggiunti btw sono scema
Guess why there's a rainbow #pacchianostyle

Perciò a presto!
Eleonora - Ink Voice

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Capitolo 2
*** I - Equilibrio precario ***


I
Equilibrio precario
 
«Ehi, ehi, scusa tanto!»
Avevo appena atterrato un biondino alto almeno venti centimetri in più di me, e gli tenevo una mano sul petto e una pericolosamente vicina al collo. Non avevo nemmeno sentito le parole con cui aveva cercato un approccio, fossero state le sue intenzioni buone o cattive. Fissai le mie pupille nelle sue, che erano circondate da iridi di un bel grigio azzurro, e mi sentii improvvisamente molto meno ostile nei suoi confronti. Non potevo affidarmi alle mie sensazioni in un momento così delicato, in cui potevo essere ancora allarmata per la comparsa improvvisa di quel ragazzo.
«Chi sei?» gli chiesi, cercando di essere distante e severa.
«Perché dovrei dirtelo? Ti leveresti, cortesemente?»
Socchiusi leggermente le palpebre e continuai: «Vorrei che mi dicessi il tuo nome. Chi ti manda?»
«Ma che…?»
Sbuffai, senza ben sapere cosa stessi provando durante quel breve scambio di battute. Smisi di tenerlo inchiodato a terra - stavo praticamente inginocchiata sopra di lui; perciò mi alzai e lui fece lo stesso, sgrullandosi dalla schiena e dal sedere quel po’ di neve, terriccio e simili su cui l’avevo steso senza tanti complimenti. Appena realizzai la sua effettiva statura feci un passo indietro, non riuscendo a non sentirmi un po’ a disagio al cospetto di persone tanto più alte di me. «Puoi dirmi almeno che ore sono?» gli chiesi.
Lui mi guardò in un modo un po’ storto, come se non volesse neanche rivolgermi la parola - e non aveva tutti i torti dopo il bel metodo adottato per presentarmi, pensai immedesimandomi in lui; ma alla fine guardò il cellulare e mi rispose con tono noncurante: «Le sei meno un quarto.»
«Del mattino, giusto?»
«Sì, ce… no, aspetta, le sei meno un quarto?!» quasi strillò: spalancò gli occhi, basito. Io ero sicura che fosse l’alba e ne ero anche abbastanza contenta, ma lui per primo sembrava non voler credere alle sue stesse parole. Inarcai le sopracciglia per la sua reazione.
«Cosa ci fai nel Bosco Smeraldo alle sei meno un quarto del mattino?» sussurrai.
Lui riportò gli occhi azzurri su di me; sembrava un po’ indispettito per quella domanda, a cui di sicuro non poteva dare una risposta. «Potrei chiedere la stessa cosa a te!» ribatté, arrossendo lievemente. Aveva una carnagione molto chiara e anche nella penombra del cupo temporale si vedeva molto bene la tinta assunta dalle sue guance. Le gocce di pioggia si stavano facendo sempre più insistenti, ma ci trovavamo sotto un albero dalle ampie fronde che ci offriva un minimo di riparo, pur essendo spoglio.
Feci per rispondere ma il ruggito di un tuono mi impose di riprovare a parlare un momento dopo. Il biondino trasalì e quasi alzai gli occhi al cielo. Alla fine riuscii a dire: «La storia su come io sia finita qui è piuttosto lunga e penso che raccontartela sia una perdita di tempo.»
«Non mi interessa sapere i fatti tuoi» borbottò il ragazzo. Era sempre più infastidito dalla pioggia e solo allora notai che aveva con sé un ombrello. Lo aprì e la mia espressione un po’ diffidente - come la sua, d’altronde - si fece sorpresa nel vederselo porgere. Ero sempre più sicura delle mie idee ad ogni sua azione e parola.
«È abbastanza grande per tutti e due» dissi, dopo averlo preso, avvicinandomi a lui.
«Ah, dopo avermi buttato a terra in un modo che neanche…» Non trovò una persona a cui paragonarmi, probabilmente andando in cerca di un nome di un agente segreto di qualche film, e continuò, semplicemente: «Be’, basta che non… che non mi tramortisci.»
Mi misi a ridere e anche lui sorrise, meno teso vedendo che non ero del tutto ostile. Tenni l’ombrello abbastanza in alto anche per il biondino, che mi si affiancò di buon grado.
Sentivo una sensazione di familiarità che si faceva sempre più convincente e che non riuscivo ad ignorare. Era la stessa impressione che avevo sentito altre volte negli anni a servizio del Bene, all’interno del mondo Pokémon: subito la mia mente trovò il ricordo del contatto con il Chiarolite e l’attrazione verso la forma materiale del Legame di Sara - il ciondolo con il fiocco di neve in cui era letteralmente incastonato un cristallo nel quale si trovava Articuno. Non era da escludere che il biondino spaventato dai tuoni fosse una persona come me, che fosse Legato ad un Leggendario, anche perché era l’unica spiegazione che potevo dare a quella sensazione di familiarità, come se lo conoscessi da sempre. E poi non era proprio normale che un ragazzo andasse a passeggiare nel Bosco Smeraldo alle sei meno un quarto della mattina, soprattutto durante un temporale sempre più intenso, e che rivolgesse la parola a una ragazza perfettamente sconosciuta. Chiunque, dopo essersi visto atterrare in un modo come quello che avevo fatto io, sarebbe scappato senza cercare di continuare una conversazione. Poi mi stava offrendo un riparo dalla pioggia, e il fatto che l’ombrello fosse perfetto per due persone mi convinceva ancora di più sulla mia teoria. Dovevo comunque andarci piano: sicuramente non mi dava l’impressione che sapesse anche solo cos’erano i Pokémon - per accertarmene non mi negai un aiuto con i poteri psichici.
«Mi chiamo Eleonora. Ho sedici anni» gli dissi.
Lui sembrò sciogliersi ulteriormente grazie alla mia presentazione. «Io sono Hans, ho diciannove anni.»
«Però!» esclamai. «Non sembri così grande… se non fosse per l’altezza.»
«Anche tu non sembri una sedicenne, soprattutto per l’altezza.»
«Ma che!?» La mia espressione era una via di mezzo tra il divertito e lo stupito. Hans scoppiò a ridere appena mi guardò in faccia e per dispetto gli tolsi l’ombrello per alcuni lunghi secondi, facendolo strillare come una ragazzina, finché non mi decisi a riprendere la condivisione.
«Non sono così bassa» borbottai dopo un po’, facendo finta di essere indispettita.
«Sarà» ribatté serenamente lui. Mi sembrava di essere insieme a quello scemo di Daniel.
Quest’impressione e il ricordo del mio migliore amico mi rabbuiarono un po’. Mi sembrava di non vederlo da mesi, invece eravamo stati separati soltanto la sera precedente. Il fatto che proprio lui avesse un Legame, quello di Dialga, fu una prova ulteriore dell’identità che stavo ipotizzando per Hans, che mi aveva fatto pensare così intensamente ad un Legato. E poi come aveva fatto, il biondino, a trovarmi nel Bosco Smeraldo? Non poteva trattarsi di un caso. La sensazione di conoscerlo benissimo, come fossimo amici da tempo, era forte più di prima; e una prova ulteriore era il fatto che si era messo a scherzare con me dopo l’approccio non troppo amichevole.
“Non posso credere che sia un Legato” pensai, “ma come spiegare altrimenti tutto questo?”
E se per me il quadro che avevo ricostruito poteva essere perfettamente normale - anche se sulle prime ero sorpresa anch’io, Hans non aveva idea di chi fosse e quindi perché fosse in piedi alle sei di mattina, nel Bosco Smeraldo e sotto un temporale. Lo avevo studiato abbastanza a lungo - anche con il potere della mente, che avevo sfruttato parecchio nel giro di qualche minuto - per essere sicura che, nonostante il viso un po’ ingenuo che lo faceva sembrare più piccolo e l’espressione e l’aspetto altrettanto innocenti, il ragazzo si fosse fatto non poche domande sui suoi comportamenti e che non avere spiegazioni lo facesse stare a disagio. In mia presenza si stava inconsapevolmente sentendo meglio. “Ci manca solo che mi tocchi insegnare ad un quasi perfetto sconosciuto chi è e qual è il suo ruolo in una guerra di cui non sospetta minimamente l’esistenza! Dov’è Bellocchio quando serve?”
«Senti» dissi dopo un po’, «qual è la città più vicina al Bosco Smeraldo?»
«In teoria Plumbeopoli, ma io vivo a Smeraldopoli e sono venuto qui con la macchina. Credo proprio ti serva un passaggio da qualche parte, anche per non morire di freddo» rispose. La sua simpatia era quasi innaturale - anzi, lo era eccome: dava una strana sensazione anche a me, che pure pensavo di sapere da dove derivasse. “Chissà lui come si sente a fare così…”
«Sì… diciamo che non me la sto spassando» mormorai.
«Allora ti accompagno!» Mi prese allegramente sottobraccio e portò l’ombrello al posto mio.
“Potrebbe anche essere un malintenzionato, non devo abbassare la guardia solo perché mi ha ricordato Daniel o perché ha la faccia da pupo! Forse è un Victory ben addestrato, perché no? Nike e suo fratello potrebbero avermi rintracciata tranquillamente nel giro di una notte… O, peggio ancora, potrebbe cercare di rimorchiarmi!” Nella confusione che mi faceva brutti scherzi solo una cosa era chiara: quel ragazzo aveva qualcosa che non andava, nel bene o nel male. Poteva essere un Legato o un Victory - o entrambe le cose, perché no? Non potevo difendermi da ogni membro del Team avverso alle Forze del Bene, l’avevo già appurato. Non riuscivo a pensare a Hans come a qualcuno con cattive intenzioni, o addirittura come a un Victory, ed ero sempre più sicura che avesse un Legame; ma chi mi assicurava che non fosse un attore eccezionale e che tutte le mie sensazioni non fossero frutto dell’emozione? Potevo essermi illusa del fatto che non sapesse niente dei Pokémon, quando avevo sbirciato nella sua mente, perché ero distratta dal freddo e turbata.
«Se posso chiedertelo» esordì dopo un po’, «cosa intendevi prima con “Chi ti manda”?»
«Non puoi chiedermelo» replicai. Hans ammutolì e non riuscii a non sospirare. “Come potrebbe non essere un Legato?” «Diciamo che ho qualche nemico. E mi sembrava strano che un perfetto sconosciuto mi avesse rivolta la parola durante un temporale all’alba.»
Il biondino continuò a non proferir parola. Diedi un’occhiata alle sue condizioni e lo vidi più rosso in faccia di com’era stato poco prima, visibilmente a disagio ora che avevo toccato dei tasti sensibili. Decisi di aspettare che fosse lui a riprendere il discorso o a cambiare argomento, come più avrebbe preferito; la sua reazione sincera mi era sufficiente per confermare una volta per tutte la sua buona fede.
«Senti, non so spiegartelo. Mi sono svegliato alle cinque e un attimo dopo ero già per strada.» Attesi pazientemente, ma incuriosita, che andasse avanti. «E poi in questi giorni sono a casa da solo, quindi non ho avuto problemi… ma mi ha fatto un po’ paura. Molta paura. Non sapevo nemmeno dire dov’ero diretto, però quando sono arrivato al bosco sentivo di essere nel posto giusto. Sono entrato che avevo sempre più ansia e paura, ma… non riuscivo ad andare indietro. Poi ti ho vista e ho capito che eri tu la cos… la persona per cui sono uscito e tutto. E per cui ho preso una giacca in più quando andato via di casa» continuò con un po’ di imbarazzo.
«Ah! Meno male, grazie» esclamai, affatto sorpresa per quello che aveva detto Hans.
Il ragazzo era basito per la mia reazione tranquilla. «Come, meno male? Del resto non te ne importa niente?»
«Guarda che ti credo. Penso di sapere perché ti sia successo tutto questo, ma non sono sicura di potertelo dire» aggiunsi di fretta appena mi accorsi che il ragazzo era lì lì per interrompermi e chiedermi spiegazioni.
«Ma! Mi dici che lo sai e poi non parli?» protestò.
«Mi dispiace» dissi, parlando con una certa leggerezza.
Hans sembrava pronto a ribattere, ma alla fine sbuffò e cambiò discorso: «Hai un posto dove andare?»
«In effetti sì, ma ho paura che Amarantopoli sia troppo lontana per il momento.»
«Porca miseria! E come hai intenzione di arrivarci?»
Scrollai le spalle. «Mi fermerò il meno possibile a Smeraldopoli, pregherò perché trovi qualche persona amica e poi partirò, sperando di arrivare in qualche modo.» Avrei voluto rispondergli semplicemente “volando”, ma non era ancora il momento di raccontargli che esistevano degli esseri chiamati Pokémon che, tra le varie cose, avevano la facoltà di volare. «Per il momento scrocco un passaggio da te. Poi si vedrà.»
Hans ci mise un po’ a rispondere. «Puoi fermarti da me. Finché vuoi.»
«Davvero?!» esclamai.
«Visto cosa ho fatto stamattina, immagino di potermi fidare di te» borbottò il ragazzo. Non era più timido e imbarazzato, sembrava a suo agio. «O comunque, penso sia il caso di restare con te e sperare che mi dica cosa mi è successo, appena puoi. Non sono più preoccupato» confessò, «sapendo che qualcuno mi può dare spiegazioni.»
Sorrisi nel sentirlo parlare così.
La pioggia sembrava aver raggiunto il massimo della sua forza: ogni passo mio e di Hans era a rischio a causa delle innumerevoli pozzanghere che si erano create nel giro di pochi minuti. Il sottobosco era divenuto una melma scivolosa. Avevo davvero tanto freddo, anche se ero riuscita a distrarmi un po’ parlando con il mio nuovo amico - ero abbastanza sicura di poterlo definire così. L’unico conforto in quella situazione, a parte avere un alleato, fu che eravamo vicini all’uscita - me lo disse Hans pochi minuti prima che quel supplizio finisse.
Ci mettemmo poco per trovare la macchina dei genitori di lui, che aveva preso per arrivare il prima possibile al Bosco Smeraldo. Mentre prendevamo la via per Smeraldopoli, mi raccontò che i suoi erano andati in vacanza in montagna come facevano, di consueto, le prime due settimane dell’anno, e che lui era rimasto in città a studiare per gli esami imminenti, i primi che avrebbe dovuto dare - era iscritto alla facoltà di psicologia.
Il ragazzo continuò a ricordarmi Daniel per parecchie cose, anche se caratterialmente erano molto diversi: persino il loro sguardo era davvero differente - gli occhi grigioazzurri del biondo erano ingenui e dolci, mentre quelli blu, scuri, dell’altro erano spesso ghignanti, beffardi. Hans teneva i capelli più corti ai lati della testa e si riavviava in continuazione quelli sopra, abbastanza lunghi, e quella piccolezza bastò per farmi ripensare al Legato di Dialga. Il loro modo di esprimersi era pressoché lo stesso, anche se il mio nuovo compagno era un po’ frenato dal tatto e dalla premura, entrambe le cose perfettamente sconosciute all’altro. Le battute di Hans mi ricordavano - soprattutto quella sulla mia modesta altezza - le stupidaggini che uscivano di bocca al mio migliore amico, che trovava tanto divertente prendermi in giro ogniqualvolta gli si presentasse l’occasione.
In linea di massima erano entrambi dei Legati, quindi era inevitabile che Hans mi ricordasse qualcun altro. Non mancai di pensare anche ad Oxygen, alla sua gentilezza e dolcezza, a causa del bel carattere del biondo, che ogni tanto si trasformava, grazie a uno dei suoi scherzetti, in quel simpaticone del mio migliore amico - che comunque non potevo fare a meno di amare, nel vero senso della parola.
Hans chiacchierava senza darmi un attimo di tregua. Siccome si fidava di me per quello che gli era successo ed era contento di poter ricevere, prima o poi, le spiegazioni che cercava, non ci aveva messo molto a sciogliersi e a trovarsi l’obbiettivo di farmi sanguinare le orecchie prima che il temporale fosse finito. Non facevo interventi che non fossero qualche “mh” o “sì” isolato per fargli capire che non stava parlando con il volante, sforzandomi così di essere gentile e di non dare a vedere la fatica che facevo per seguirlo, ma la mia scarsa loquacità non lo intimorì per niente. Anzi, sembrava che cercasse di chiacchierare per due.
Dopo una mezz’oretta in macchina arrivammo a Smeraldopoli. La città era molto grande e Hans la dovette attraversare quasi tutta per arrivare alla zona di periferia in cui viveva. Non ci volle tanto, perché era presto e pioveva ancora - anche se non c’era più l’acquazzone, perciò le persone e le macchine per strada erano poche. Fui ben felice, scesa dall’auto, di accettare la giacca in più che Hans aveva preso: era sua e quindi mi stava larghissima, ma finalmente avevo qualcosa con cui tenermi al caldo.
Quando arrivammo al suo appartamento, il ragazzo mi avvertì: «Scusa se c’è un po’ di confusione. Stare a casa da soli non fa bene a nessuno, soprattutto in periodi di esami!»
Ridacchiai ed entrai dopo di lui. La casa era effettivamente un po’ in disordine, ma ero abituata a cose peggiori, viste le mie capacità di mettere a soqquadro ogni tipo di ambiente. Imitai Hans togliendomi la giacca e mettendola sull’appendiabiti: quando lui si tolse la sua rivelò un fisico piuttosto asciutto. Nel complesso era un ragazzo carino: però di veramente belli aveva giusto i capelli e gli occhi.
Seguii con disattenzione il tour della casa che mi fece Hans. Quando vidi il telefono fui tentata di chiamare uno dei numeri sul biglietto che Bellocchio mi aveva dato, su cui erano scritti, appunto, sia vari contatti sia le basi segrete maggiori delle Forze del Bene. La paura di poter essere intercettata e rintracciata dai Victory mi frenò e mi strinse il cuore. “Non è detto che sia così facile per loro trovarmi… ma non so nemmeno che mezzi hanno, quanto sono potenti. Possono arrivare alla casa di uno studente e dei suoi genitori in una metropoli come questa?… In ogni caso, è meglio aspettare prima di prendersi un rischio del genere… sarà l’ultima spiaggia.”
«Posso offrirti qualcosa?» mi chiese mentre io stavo ancora fissando il telefono di casa con aria di malinconico desiderio, sentendo che le mie speranze di entrare in contatto con i miei colleghi delle Forze del Bene erano diventate ceneri fumanti.
«Solo se prendi anche tu qualche cosa, grazie» risposi automaticamente. Annuii quando mi propose un caffè e mi disse che mi avrebbe lasciata per fatti miei per un po’.
La situazione era talmente assurda e precaria che mi sembrava irreale. Valutai serenamente l’ipotesi di fare degli accertamenti sulla mia salute mentale, senza escludere la possibilità che il Legame avesse compromesso la mia psiche. In un momento ringraziavo il cielo per aver mandato il tenero Hans in mio soccorso; in quello dopo quasi mi convincevo che fosse tutto una costruzione della mia fantasia, che non esistessero possibilità come quella, ovvero di incontrare un mio simile alle sei di mattina, in pieno inverno, in un bosco distante chilometri dalla città più vicina e sotto un temporale spaventoso. “A pensarla così mi chiedo davvero se questa cosa assurda sia reale…”
Sospirai. Hans non mi aveva nemmeno chiesto cosa fosse la cintura che portavo alla vita. L’aveva guardata con curiosità e stupore ma una mia occhiata eloquente era stata sufficiente per farlo desistere da ogni domanda. “Adesso che faccio? Come gli spiego del Legame, dei Pokémon… come faccio a dirgli tutto quando per spiegargli cosa ha fatto stamattina? Non posso andare avanti da sola con lui, qualcuno più esperto di me deve aiutarmi, io non so come trattare in situazioni del genere…”
Meccanicamente tornai nella stanza in cui c’era il telefono fisso. Continuai a studiarlo come fossi caduta in trance, senza riuscire a muovermi, mentre in me combattevano due idee: alzare la cornetta e digitare il primo numero scritto sul biglietto o starmene buona e scervellarmi su un’altra soluzione del problema. Di contattare Ho-Oh non se ne parlava: a che pro? Il contraente attivo del Legame non poteva certo darmi un dispositivo a prova di intercettazioni e un piano per arrivare da lui, altrimenti l’avrebbe già fatto e io non mi sarei trovata in quelle condizioni. E poi non ero in grado di chiamare il mio Leggendario: comunque, anche se ne fossi stata capace, difficilmente mi avrebbe parlato chiaro una volta per tutte.
“Ci incontreremo presto.” Sbuffai amareggiata. «Presto quando?»
«Hai detto qualcosa?» Hans fece allegramente capolino nella mia realtà mentre mi porgeva una tazzina di caffè e mi indicava la zuccheriera.
«Eh? Può… sì, scusa» mi arresi, «sono davvero in una situazione di… una situazione schifosa.»
«Posso aiutarti in qualche modo?» chiese timidamente.
Scossi la testa. Poi mormorai: «Hai idea del perché tu ti stia interessando così tanto a me? Lo fai perché è così che tratti gli ospiti o senti di dover…»
«Non risponderò» disse con fermezza, «finché non sarò sicuro di avere una spiegazione.»
Mi voltai verso di lui. Il suo sguardo era molto intenso e mi stava veramente mettendo alla prova: abbassai gli occhi, imbarazzata e dispiaciuta. La tensione che venne a crearsi era insopportabile ma non sapevo come fare per rimettere a posto le cose. Mi sentivo inetta e indifesa, ora che non avevo più la solida base segreta del Monte Corona a difendermi da ogni male esterno. Non riuscivo a credere di essere così esposta e vulnerabile, incapace di muovere un solo passo per la paura di finire in trappola, solo perché ero fuori da quello che era diventato, da tanto tempo, il mio universo.
Ero nel mondo reale. Nel mondo umano! Mi sembrava di non entrarci da una vita. Non sapevo più come funzionavano le cose lì, o meglio, non avevo idea di come accordare il mio ruolo nelle Forze del Bene con la brutta situazione in cui ero finita. Volevo dire tutto a Hans sui Pokémon e sulla guerra, sperando che potesse aiutarmi in qualche modo, ma temevo di fare la cosa sbagliata. Ma dovevo fidarmi almeno di Hans che era un Legato, non sapevo a chi, ed era stato condotto verso di me.
«Vorrei raccontarti tutto» sussurrai, «ma mi prenderesti per pazza.»
«Non ho preso per pazzo me per tutto questo tempo» replicò lui. «Non penso che mi stupirò troppo del racconto di una sedicenne che ho trovato non so come.»
Sbirciavo dalla finestra continuamente punzecchiata dalle gocce di pioggia. Sentivo che Hans evitava di guardarmi, teso e preoccupato molto più di me: aveva perso il buonumore di prima ed era diventato serissimo. Più momenti passavano, più cresceva l’indecisione: quando stavo per aprire bocca, decisa a parlargli di me, dei Pokémon e della guerra, sentivo mancarmi il fiato e la sicurezza. Mi riavviai più volte i capelli, con poca eleganza viste le condizioni pessime in cui erano - pieni di nodi, spettinati e anche piuttosto sporchi.
«Allora non interrompermi, anche quando sei basito. Ti racconterò tutto» dissi infine - avevo abbandonato il caffè a sé stesso. Quando mi voltai a guardare Hans mi parve che fosse trasalito, ansioso com’era, ma fece di tutto per non darlo a vedere e riprendere la sua compostezza. «La mia storia è davvero lunga.»
«È meglio che mi siedo?» mormorò.
Scrollai le spalle. «Penso di sì. Sia perché ci vorrà parecchio tempo, sia perché certe cose sono… eh, sono difficili da raccontare» sbuffai. «Non credo tu sia una spia Victory o che abbia i mezzi per attaccarmi.»
«Eh? Che…»
«Adesso ti spiego» lo interruppi.
Hans si era seduto su un divano, palesemente teso e nervoso. Prima di imitarlo e cominciare la mia lunga storia, guardai un’altra volta dalla finestra. Le gocce di pioggia impedivano la vista dell’esterno, perciò la aprii un po’. Osservai con attenzione i dintorni, come a volermi assicurare di non vedere nessuna tuta nera, bianca, rossa e grigia, e - rabbrividii - nessuna bambina con i capelli biondi e ricci e gli occhi spettrali.
Vidi qualcos’altro - qualcun altro, anzi, e mi vidi costretta a decretare, sussurrando - persi il fiato a causa dello stupore, basita com’ero: «Ho le allucinazioni.»
Hans mi chiese di ripetere perché non mi aveva capita. «Dove vai?! Aspetta! Eleonora!…» esclamò un momento dopo, alzandosi di scatto.
Uscii di corsa dalla stanza e ritrovai in un momento la porta di casa sua. Non mi premurai di prendere la giacca né di chiudere la porta alle mie spalle: non mi curai nemmeno di Hans, senza sapere se mi avesse seguita o no. Mentre mi precipitavo per le scale mi sembrava di essere sola, ma non potevo esserne sicura.
Arrivai in strada e mi misi a correre, fermandomi a pochi metri di distanza dalla ragazza che aveva sconvolto i miei programmi. Era più protetta dal freddo di me ma sprovvista di ombrello: i lunghi capelli bianchi e blu erano appiccicati ai suoi vestiti a causa della pioggia. Mi individuò subito e corse verso di me - sul suo viso era dipinta un’espressione sollevata ma irrimediabilmente mesta.
 
 
 
 
 
 
Angolo ottuso di un'autrice ottusa
Ciao people!
Questo capitolo è un’enorme chiacchierata. Mi sarebbe completamente indifferente se non fosse che trovo carinissimo Hans, rido
Eleonora è diventata una ragazza parecchio ironica - almeno credo - e non so se questa cosa sia bella o no (?): il cambiamento l’ho messo un po’ anche nella seconda parte, che sto rivedendo pian piano. Ditemi se preferireste una narrazione più seria e oggettiva o se così non vi risulta odiosa… a me non dispiace, anche perché quelle poche volte in cui le situazioni non sono serie e/o drammatiche, vorrei allentare la presa, per quel poco che posso, viste le mie scarse capacità di far ridere.
Smeraldopoli è una cittadina, da quello che ho capito guardando su internet, ma una metropoli faceva al caso mio, quindi ecco qua la mia versione della città (?)
È ora di un paio di cose di cui avrei dovuto scrivere nell’angolo del prologo ma di cui mi sono puntualmente dimenticata: 
- rating: arancione, perché non si sa mai. Sicuramente il finale non sarà il massimo dell’allegria e vorrei inserire anche scene con sangue e urla (wat), spero di avere modo e di essere in grado di farlo! Al massimo, se andando avanti capirò che non avrò questa possibilità, cambierò mettendo il rating giallo - le situazioni psicologiche sono sempre quelle che sono…
- titolo della parte: l’Impero Vittoria. Un titolo, un programma. Spero di non combinare casini.
- generi: azione, drammatico, introspettivo. Niente da dire, questi sono i più adatti - ci sarebbe stato bene anche “Avventura” ma non importa dai (?). Inizialmente avevo una mezza intenzione di mettere addirittura “Guerra” ma ci ho ripensato, visto che il conflitto tra Forze del Bene e Victory non è una guerra nel vero senso della parola.
E niente, smetto di chiacchierare, ci rivediamo verso la fine del mese con questa storia e un po’ prima con la mitica Ribellione.
No, non è uno scherzo, torna davvero
OMG sono serissima, giuro giurin giurello
A presto!
Ink

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Capitolo 3
*** II - La storia di più vite ***


II
La storia di più vite

Mi ritrovai letteralmente avvinghiata a Sara, sull’orlo delle lacrime per la felicità di rivederla. Non avevo idea di come fosse possibile un miracolo del genere: l’alternativa era che avessi davvero le allucinazioni e che stessi abbracciando il nulla sotto la pioggia battente. Ma non potevo esserne più sicura, erano i miei sensi di Legata a dirmelo: Sara era lì, anche lei quasi commossa di avermi trovata, scossa per chissà quanti eventi avevano costellato le sue giornate di ricerca dei Legati di Kanto, da quando era partita dalla base segreta.
Non riuscimmo a dirci niente. Continuammo a stringerci con forza, entrambi incuranti dell’acqua che scendeva impetuosa dal cielo - e io, in più, non facevo caso al freddo penetrante che mi avrebbe sicuramente procurato, in seguito, un malanno indimenticabile. Mi sembrava di fremere per l’emozione di non essere sola, di avere una guida: Sara, per me, era un punto di riferimento stabile e sempre presente: mi avrebbe aiutata con Hans e di sicuro sarebbe venuta con me ad Amarantopoli, sostenendomi nella ricerca del Legame.
La sentii sussurrare per miracolo - la sua voce bassa e flebile dovette gareggiare con lo scrosciare della pioggia: «Ho-Oh ha detto ad Articuno che ti avrei trovata qui, e sono venuta subito.»
Solo in quel momento ci separammo. I miei occhi grigi, o rossi - chissà?, incontrarono i suoi, celesti. La sua espressione era triste e nostalgica come suo solito, ma sorrise dolcemente, sempre con quella sua aria malinconica. Sbuffai. «Gentile da parte sua filarsi più voi che la sua Legata.»
Sara scoppiò a ridere, non aspettandosi una risposta del genere in un momento come quello. «Be’, diciamo che io e Articuno abbiamo mezzi più affidabili. Tu sei sola, in pieno inverno, e non sai nemmeno dove ti trovi! Almeno io ho avuto un po’ di tempo per conoscere Kanto e capire come orientarmi.»
«Non sono sola, Sara» mormorai, guardandola intensamente. Lei spalancò gli occhi, capendo subito cosa volevo dire - ovvero che c’erano dei Legami di mezzo. «Vieni con me.»
La presi per mano e tornai indietro di pochi metri. Neanche il tempo di arrivare che Hans si affacciò al portone del condominio, agitando un pugno con aria minacciosa: capii che si era preoccupato per la mia fuga improvvisa, perché la sua faccia non era affatto intimidatoria come i suoi gesti - pure e soprattutto perché sembrava un po’ un ragazzino. Si calmò del tutto alla vista di Sara. Mi domandò, dopo averla studiata con attenzione, diventando più diffidente appena si accorse che la ragazza a malapena lo stava guardando: «E lei chi è?»
«Sara, Hans. Hans, Sara» dissi brevemente mentre entravamo e, con un Hans sempre più stupito, tornammo al suo appartamento. La mia amica sembrava un po’ agitata: evitava di guardarlo ma non sapevo dire perché.
«Lui è davvero…»
«Sì, lo è» la interruppi con decisione.
Hans aveva sentito benissimo e puntualmente si incuriosì. «Io sono davvero cosa?»
«Dobbiamo dirglielo, Eleonora.»
«Con calma» ribattei. «Vorrei anche darmi una sistemata, e pure tu non è che sia nelle tue condizioni migliori.»
Sara mi afferrò per le spalle e mi scrollò con talmente tanta foga che non sembrava nemmeno lei: non ero abituata a vederla così rossa in viso per la rabbia. Sembrava che rischiasse di perdere il controllo. Iniziò a strillarmi contro, continuando a scuotermi, mentre io non sapevo se la stessi fissando basita o, esattamente al contrario, se la guardassi con distacco e freddezza, come se quello che mi stava facendo non mi toccasse minimamente. «Che diavolo hai per la testa?! Da quando in qua possiamo permetterci di aspettare? Che razza di idea ti sei fatta della situazione per viverla con così tanto menefreghismo, Eleonora?!»
Prima che continuasse la allontanai, guardandola veramente, alla fine, in un modo distante e quasi indifferente. Sapevo benissimo che Ho-Oh stava avendo la sua parte in quella reazione così gelida, opposta alla rabba di Sara. «Datti una calmata e basta» le dissi. Lei si tormentava le labbra sottili e pallide, mordendosele con forza. «Non andremmo molto lontano in queste condizioni. Non parlo solo del fatto che c’è un acquazzone là fuori. Sai che me ne frega della pioggia» aggiunsi a bassa voce. Poi le chiesi, serissima: «Allora, che ti prende?»
Lei sbuffò amareggiata e si allontanò di qualche passo da me. Hans ci guardava con tanto d’occhi: non aveva la più pallida idea di cosa ci stessimo dicendo, doveva starci prendendo per pazze.
«Complimenti. Non ci hai messo niente a capirlo…» mormorò lei.
«Non ci voleva granché per vedere che qualcosa non va. Va be’, solo una spintarella, lo ammetto: chiedo venia» abbozzai un mezzo sorriso, sperando di alleggerire un po’ la pressione fortissima. Lei scosse leggermente la testa, senza curarsi del fatto che avessi guardato nei suoi pensieri senza che lei se ne fosse accorta. «Allora?»
Sara strinse i pugni, iniziando a tremare - per la frustrazione, la rabbia, la paura; sussurrò: «La mia missione è fallita ancor prima di cominciare.»
Persi la mia compostezza e spalancai le palpebre. Feci per parlare ma lei proseguì, evitando accuratamente di incrociare i miei occhi sconvolti: «Articuno mi ha detto che Zapdos e Moltres erano irrintracciabili praticamente appena ho messo piede a Kanto. Sarà una settimana che giro per la regione, sono passata da tutte le basi segrete dei nostri ma è stato tutto inutile. Non trovo i due Legati e Articuno non trova i suoi… fratelli.»
«Li hanno presi i Victory?»
«Quale altra possibilità potrebbe esserci?» ribatté subito, andandosi a sedere.
Hans provò, timidamente, ad intervenire: «Ragazze, io…»
«Lasciaci sole, Hans» lo interruppi, decisa a discutere con Sara sul da farsi senza sentirmi costantemente fissata da una persona che non stava capendo niente di quello che dicevamo.
«Eh? No!»
Cercai di insistere ma Sara mi precedette: «No, non importa. Diciamogli quello che deve sapere e muoviamoci il prima possibile. Non possiamo aspettare, Eleonora!» esclamò, vedendo che non ero per niente contenta di quella decisione. «Non abbiamo tempo da perdere.»
«Prima stavi per raccontarmi tutto» borbottò Hans.
«Prima non avevo altra scelta, ora sì» replicai. Poi sbuffai: «Come vuoi, Sara! Io volevo tanto che ci mettessimo comode prima di raccontare una storia così lunga, ma mi affido completamente a te.»
La verità era che avevo nuovi pensieri per la testa e Hans non era più tra le mie personalissime priorità. Sapere che una Legata era riuscita a trovarmi, che Ho-Oh si era potuto mettere in contatto con qualcuno, mi aveva riempita di nuove speranze ed era come se la mia mente si fosse ricollegata del tutto al mondo dei Legami: la voglia di trovare i miei alleati mi faceva fremere, e il primo a cui pensavo era ovviamente Daniel. E poi Ilenia, che era Legata a Lugia e che quindi mi era vicinissima. Il ritorno di Sara mi aveva completamente fatta abbandonare Hans e sapevo di avere un appoggio più valido di un ragazzo ignorante di tutto, incapace di usare, anche volendo, i suoi poteri. Era piuttosto crudele da parte mia ma non potevo nascondermi certi pensieri. Volevo andare ad Amarantopoli senza perder tempo a ripercorrere la mia lunga e difficile storia - mi sarebbe successo appena avessimo cominciato a spiegare a Hans la situazione di conflitto e di menzogna che avvolgeva il mondo umano.
“Che poi, chissà se Sara ha sentito, solo grazie all’attrazione che c’è tra Legati, che lui è come noi, o se si sta solo fidando di me?” mi chiesi. Mi affacciai un’altra volta alla finestra, come se, ingenuamente, sperassi che sotto la pioggia apparisse anche Daniel. Quando la mia attenzione tornò sul salotto della casa di Hans, lui aveva lo sguardo perso nel vuoto a forza di essere ancora in attesa e Sara, seduta sul divano a gambe incrociate, mi dava tutti i segni necessari per farmi capire che non aveva voglia di essere lei a cominciare a raccontare.
Mi impedii di borbottare, seccata. “Non sei l’unica che ha paura di rivivere momenti dolorosi, Sara…” «Allora, Hans caro!» dissi, battendo le mani una volta. Quel suono secco fece quasi sussultare il diretto interessato. «Spero tu sia pronto per sentire la verità. Non metterti a ridere per il nervosismo e non fare domande personali. O almeno, abbi la decenza di aspettare la fine del racconto prima di rompere le scatole.»
«Prima di arrivare in questa casa eri più simpatica» mormorò.
Sorrisi, affatto offesa. Poi mi rivolsi a Sara e decisi di passarle la patata bollente. «A te l’onore di iniziare, principessa delle nevi.»
Lei fece uno dei suoi sorrisini timidi e sospirò.



Finisco di raccontare a Hans le ultime cose successe con un disinteresse spettacolare: «Poi Sara se n’è andata a Kanto per la Missione Leggendaria, e come ha già detto non ha concluso niente. Io ho aspettato che mi facessero partire, ho rotto con il mio ragazzo e più o meno il giorno dopo i Comandanti dei Victory ci hanno sgamati nella base del Monte Corona. Daniel mi ha aiutata a scappare ma il gemello di Nike mi ha messo i bastoni fra le ruote e sono finita nel Bosco Smeraldo… fine. Il resto è successo con te.»
La storia è stata talmente lunga che nel frattempo mi si sono pure asciugati quasi del tutto i capelli. Inizialmente la faccia di Hans mi ha quasi fatta scoppiare a ridere, ma è rimasta la stessa per tutta la durata del racconto e alla fine sia io che Sara abbiamo fatto l’abitudine alla sua espressione. È incredulo, basito, sconvolto all’ennesima potenza. Non trovo parole veramente adatte a descrivere il suo stato. Alla fine l’unica domanda che riesce a fare mi fa venir voglia di sbattere la testa al muro: «Tu avevi un ragazzo?»
Lo mando rozzamente a quel paese cercando di incenerirlo con gli occhi e Sara si esibisce in una risatina assurda per la mia reazione. Hans ci tiene a ricomporsi: «No, cioè, scusa! È che… senti, non ci ho capito nulla.»
«Io non ripeto. Mi si è seccata la gola! Si è fatta mattina per raccontarti dei Pokémon, della vita di Sara e della mia.» Guardo l’orologio sulla parete. «Mpf! Ci sono volute più di due ore.»
«Mi… mi dispiace per qu-quello che vi… le cose che vi sono successe» balbetta imbarazzato, cambiando completamente discorso all’improvviso.
«Non è importante.» “Non più…”
«Però sentite, ci sono davvero delle cose che non ho capito. Non tutte, eh, anche se alcune cose sono complicate, tipo la faccenda delle barriere, il fatto che voi capite dove si trovano e che siete immuni ai loro effetti di confusione e di illusione, mentre noi comuni mortali no.»
Vorrei correggerlo e dirgli subito che non è un comune mortale, ma rimando il resto delle spiegazioni a un altro momento. Sara non sembra per niente in vena di parlare e quindi sono io a chiedere a Hans: «Cosa non hai capito, a parte la storia delle barriere? Se può consolarti, non la capisce benissimo nessuno che non sia un tecnico.»
«Ecco, alcune cose mi hanno un po’ stupito.» “Mannaggia a te e a quanto chiacchieri, Hans…” «Anzitutto, fammi capire bene: tu e Sara avete dei poteri soprannaturali?»
Per tutta risposta alzo una mano e sul mio palmo si materializza una fiammella arcobaleno che fa sgranare gli occhi di Hans. Sara sospira e il vento gelido che ha creato spazza via il fuocherello, senza che io opponga resistenza per tenerlo acceso. «Non ci credo! Non posso crederci! Che figo!!» quasi strilla, emozionato come un bambino. Alzo gli occhi al cielo, non riuscendo però a non sorridere. «Con voi sono perfettamente al sicuro!»
«Cerca di non starci troppo tra i piedi, eh.»
«Ma smettila, Eleonora!» ridacchia Sara. «Lo tratti malissimo.»
Hans annuisce con vigore e io scuoto la testa, nonostante tutto divertita. Il biondino però ha ancora parecchie cose di cui discutere: «Due persone che mi hanno veramente perplesso sono Bellocchio e Camille.»
«Ah, quei due perplimono anche me, ogni giorno della mia vita» borbotto, rabbuiandomi subito nel sentire i loro nomi. È da una vita che Camille se n’è andata dalla base segreta: pare che l’abbia fatto per rincongiungersi al suo Leggendario, Xerneas. Visto il rapporto che ha con il suo Legame, che in effetti ha scombussolato non poco la sua salute mentale, non posso fare a meno di chiedermi se la loro sarà una felice riunione. Non so immaginare, poi, la situazione di Bellocchio: Daniel l’ha messo in salvo e l’unica cosa che mi sento di pensare, sul suo conto, è soltanto augurarmi che stia lavorando al piano di attacco al Victory Team che dovrebbe sconfiggerlo una volta per tutte, grazie al coinvolgimento di noi Legati, che saremo gli elementi decisivi dello scontro che verrà. La prospettiva mi sembra comunque così incredibile, inverosimile, che a malapena mi emoziono al pensiero che dovrò combattere come mai ho fatto prima d’ora, e che al mio fianco avrò un Leggendario.
«Comunque» mi sta dicendo Hans, «tu adesso mi lancerai qualche frecciatina perché sono uno studente di psicologia e penserai che dovrei saperle certe cose, ma scherzi a parte: il carattere di Bellocchio mi ha davvero stupito! Non riesco a capire perché fosse così volubile e mi sembra sia stato, molto spesso, piuttosto incoerente.»
Scrollo le spalle. «Cosa posso dirti, Hans? Ha subito un grande trauma quando una persona a lui cara gli ha voltato le spalle: lui era convinto che l’avrebbe sostenuto nella guerra, invece… invece questo suo amico non ha voluto immischiarsi in certe faccende ed è rimasto neutrale. Ricevere continui tradimenti e dover gestire l’arrivo di fantomatici nuovi alleati, magari finti pentiti dei Victory… la pressione deve averlo piegato fin troppo.»
«Pensa se per tutti questi anni fosse stato da solo al comando delle Forze del Bene» interviene Sara a bassa voce, «cosa gli sarebbe successo. La guerra che non finiva mai, le persone scontente, i ragazzi come noi che volevano ribellarsi e cercare di capire cosa quelli più in alto stessero facendo con le loro vite… non c’è una spiegazione che sia convincente, Hans. È lui che ha sofferto innumerevoli perdite e ha reagito così: non so cosa farebbe qualcun altro al posto suo, dipende strettamente dall’individuo, ecco. Quando Eleonora mi ha raccontato di cosa è successo alla famiglia di lui…» Scuote la testa e smette di parlare.
«Va bene, va bene tutto questo, ma una cosa veramente assurda è il fatto che abbia messo a rischio la vostra vita un sacco di volte, o almeno l’ha fatto con quella di Eleonora! Siete dovute andare in una centrale nucleare, avete incontrato quel Comandante nemico, quand’era ovvio che avrebbe cercato di portare Ele dalla sua sfruttando la questione dell’identità segreta e tutto… perché ha rischiato di perdere così spesso dei Legati? Le missioni erano veramente pericolose… la centrale nucleare, poi, porca miseria! Non voglio crederci!»
«I Legati sono immuni alle radiazioni» risponde Sara.
«Davvero?» Sia io che Hans la interrompiamo.
Lei inarca le sopracciglia, un po’ divertita dalla nostra reazione sorpresa. Non lo sapevo nemmeno io, non me l’ha mai detto nessuno. «Certo che è vero. Comunque, Bellocchio ci ha mandato in situazioni al limite per due motivi: anzitutto, le persone che non sapevano di avere un Legame non potevano essere escluse dalle attività delle basi segrete senza che avessero dei sospetti in seguito, e già sappiamo la posizione di Bellocchio in merito al segreto. E poi ha la certezza, giustamente, che se la missione fosse arrivata a condizioni estreme i Leggendari sarebbero intervenuti per salvare il proprio Legato. Non possono permettersi di lasciarlo morire, sapendo quanto bisognerebbe aspettare per un altro contraente.»
«Ma scusa, la missione in Via Vittoria, l’ultima che avete fatto?» chiede Hans. «Lì era ovvio che avreste trovato quel Comandante, o chi caspita è, non ho capito la gerarchia dei Victory…»
Gli spiego velocemente: «Ci sono i Generali che sono sei, anzi, erano sei, e tra questi c’è pure Cyrus, che io e Sara abbiamo incontrato in Via Vittoria. Poi ci sono i loro sottoposti, divisi per gradi che non è importante sapere. Infine i Comandanti sono Nike e suo fratello gemello, quelli che ci hanno attaccato nel Monte Corona.»
Il biondino annuisce e continua la sua domanda di prima: «In poche parole, perché ha mandato Eleonora in quella missione? Era quasi sicuro che vi sareste imbattute in quel Cyrus.»
«Io penso» interviene Sara, «che Bellocchio avesse iniziato a desiderare, da qualche tempo, di rivelare a tutti i Legati la loro identità.» Faccio un cenno d’assenso con la testa, d’accordo con lei. «Non penso lo ammetterà mai, ma ha bisogno di tutte le persone come noi che sono disposte a collaborare. Alla fine ha capito che non poteva continuare così, non poteva permettersi di risparmiare un dolore come quello di avere un Legame a dei ragazzi, perché siamo in guerra. È vero che così siamo molto più esposti e vulnerabili, perché siamo di fondamentale importanza per le sorti della guerra e siamo contesi tra le Forze del Bene e i Victory… ma bisogna farci l’abitudine, Bellocchio si è deciso a lasciar da parte la comprensione, anche vista la pressione dei suoi colleghi. Poi, be’, non per tutti è una notizia funesta! A me ed Eleonora non dispiace per niente avere dalla nostra dei Leggendari.»
Il viso di Hans si fa pensieroso per qualche secondo. Poi chiede: «E quindi ha appioppato a Cyrus il problema di far scoprire ad Eleonora del suo Legame?»
«Così pare» mormoro. «Non è che me ne importi più molto. Cyrus gli serviva solo per spingersi a parlarmi con chiarezza della mia identità… a farlo una volta per tutte. Non doveva essere lui a spiegarmi nei dettagli cosa sono i Legami e chi sono io. Ha creato una situazione senza via d’uscita, in cui era obbligato a parlare e non aveva più giustificazioni per proteggermi, o qualsiasi altra cosa volesse fare. Si è costretto da solo, in pratica.»
«Era comunque una cosa rischiosissima, anche se fatta consapevolmente…»
Scrollo le spalle. «C’erano Sara, Ho-Oh e i nostri Pokémon a difenderci.»
«Sì, ma…» Il ragazzo scuote la testa e infine decide di arrendersi: la questione è complessa e bisogna decidere se vederci più lati positivi o negativi. Io, che ci sono dentro fino al collo, mi sforzo di assecondare le decisioni prese da Bellocchio - ho altre scelte?, mentre Hans è ancora libero di studiare la situazione e cercare ogni stranezza. Ma cambia discorso, perché ha capito che i punti di vista, a tal proposito, sono innumerevoli e inconciliabili: «Devo dire che mi stupisce che tu abbia accettato così di buon grado il Legame, Eleonora. Sara ha parlato del suo trauma ed è facile capire perché ami tanto Articuno, che l’ha salvata… ma sinceramente… il tuo Legame ti ha rovinato la vita. Le Forze del Bene ti hanno fatta sparire dalla memoria dei tuoi genitori proprio per la tua identità, e i Victory li hanno uccisi per lo stesso motivo, immagino. Se non fosse stato per il Legame non avresti mai avuto a che fare con questa situazione di guerra, non saresti in pericolo in ogni momento della tua vita.»
«Hans, cosa faresti al posto mio?» sospiro, sempre più stanca. Ci manca solo che mi venga sonno mentre il Sole si muove sempre più in alto nel cielo. «Se vedessi la situazione come la vedi tu, l’unica via d’uscita sarebbe morire per smettere di avere sofferenze. Anche qui bisogna guardare da un’altra prospettiva e convincersi di qualcosa, fare affidamento su qualcosa che ci mandi avanti. Personalmente, mi sono convinta che la mia vera vita ruoti intorno al Legame, anzi, all’intero mondo Pokémon, e che tutto quello che mi è successo prima di entrarci dentro non meriti di essere ricordato. Che non meriti il mio affetto.»
Il ragazzo è molto colpito dalle mie parole e non riesco a sostenere il suo sguardo pieno di sincera incredulità. Non reggo nemmeno, in realtà, il contatto con gli occhi cristallini di Sara, perché è seria come non mai. Che effetto le fa sentirmi parlare così, quando fino a qualche settimana prima, al posto mio, c’era una ragazza completamente diversa? A malapena mi sembra di ricordare quella persona. Ho fatto del tutto l’abitudine al mio ruolo e al nuovo modo in cui devo comportarmi e agire - o almeno così mi sembra: è quello che spero ogni giorno.
«Ehm… è difficile capirti» ridacchia Hans dopo qualche momento di silenzio, grattandosi la nuca imbarazzato.
Faccio un sorriso ambiguo. Se solo sapesse che dovrà capirmi appieno tra poco, quando io e Sara gli riveleremo che anche lui ha un Legame e che, esattamente come me, deve sacrificare la realtà umana in favore del suo vero ruolo a questo mondo! Già immagino la sua reazione sconcertata e subito mi ritrovo a provare pena per lui. Dubito, viste le premesse, che accetterà la sua identità felicemente come l’ho fatto io.
Siccome non riesco ancora a dire a Hans che è un Legato, gli domando: «Cos’era che ti stupiva di Camille?»
«Ah, lei! Be’, in realtà tutto» risponde, facendo un’altra piccola risata.
«Non c’è molto da dire» ribatte Sara. «Camille non ha mai voluto disaffezionarsi dalla vita che le è stata strappata dai Victory a causa della sua identità, e accettare il suo ruolo come ragione di vita. Quindi è impazzita, molto semplicemente. Ha sofferto tantissimo perché non si è mai decisa ad abbandonare i suoi ricordi per andare avanti. È una cosa molto stupida che chi non ha un Legame la trova facilmente comprensibile.»
«In effetti…» mormora Hans. Abbasso lo sguardo, sempre più a disagio: il ragazzo non sospetta minimamente di essere uno di noi, è convinto della sua normalità e non ha capito che, se stamattina si è comportato in un certo modo, è perché questa normalità non esiste. «Comunque vi stavate proprio antipatiche, eh, Eleonora?» riprende lui più allegramente. «Meno male che tra Legati c’è attrazione!»
Gli rispondo con un semplice sorriso, non riuscendo a comportarmi normalmente visti i pensieri di dispiacere per Hans che ho in mente. È Sara a dirgli: «Diciamo che tra Ho-Oh e Xerneas non scorre proprio buon sangue, perché hanno gli stessi domini. La vita» fa una precisazione. «Ho-Oh poi è piuttosto rancoroso, perciò Eleonora non può evitare un’antipatia di fondo nei confronti di Camille.»
«Ciò non toglie» mi intrometto, «che ci siano stati dei periodi non troppo brevi in cui non ho avuto problemi con Camille. Non è mai stata tra le mie persone preferite, ma… be’, il rapporto tra noi due è complicato» borbotto. «Lei ha sempre voluto tenere tutti distanti per paura di affezionarsi e soffrire ancora, è evidente: si è fatta pochi amici, se così possiamo chiamarli. Io non sono tra le persone con cui ha voluto costruire un’amicizia soprattutto per il fatto che Ho-Oh e Xerneas sono rivali, ma la relazione tra Leggendari non influenza più di tanto quella tra i loro Legati: quindi per qualche tempo siamo state abbastanza bene insieme, forse anche per la questione dell’attrazione inevitabile tra Legati. In questi periodi, in genere, non pensavo troppo al segreto. Infatti se lo facevo sentivo subito una scarica di astio nei confronti di Camille, che non mi ha mai detto niente sulla questione della mia identità. In sintesi: ci sono un sacco di fattori che quando si presentano ci fanno stare reciprocamente sui cosiddetti, altre volte riusciamo a stare insieme, altre qualcuna si allontana, a seconda se questi fattori entrano in gioco oppure no.» Spero di aver riassunto al meglio il discorso con quest’ultima frase.
Hans sembra aver capito ma annuisce in modo un po’ disorientato, come se stia ancora elaborando la lunga descrizione del mio rapporto con Camille. «In linea di massima» borbotta poi, «non vi piacete.»
«Per niente.»
Scende il silenzio. Io e il ragazzo sembriamo stremati, mentre Sara è imperturbabile: non riesco proprio a capire come si senta. Spero solo, piuttosto codardamente, che sia lei a dire al biondino del suo Legame. Ma capisco molto presto che sta a me farlo: è me che Hans ha trovato e da me si aspetta delle spiegazioni, non dall’ultima arrivata. Perciò, con uno sforzo veramente immane, riprendo a parlare, cercando di sorridere amabilmente: «Non ti sarai mica scordato delle spiegazioni che ti spettano per le cose che hai fatto stamattina, vero?»
Hans non nota la falsità della mia espressione ed esclama: «Ah, no no! Allora mi dici cosa mi è successo?»
Mi costringo ad essere breve e diretta. Forse risulto troppo dura e insensibile ma glielo rivelo senza usare mezzi termini: «Anche tu hai un Legame, Hans.»
Lui inarca le sopracciglia bionde e sbatte le palpebre un paio di volte. Fa un mezzo sorriso e, come purtroppo avevo immaginato, ribatte: «Ma che stai dicendo?»
«La verità» rispondo.
Hans cerca l’aiuto di Sara ma lei scuote la testa, confermandogli che non sto mentendo. Torna a guardare me ed è molto spaventato, ma fortunatamente non ha reazioni violente - è la mia più grande paura - e, pur con voce tremante, chiede: «Come lo sai? È quella faccenda dell’attrazione? Non sarà troppo poco affidabile?»
«La vera risposta sta in quello che hai fatto stamattina, Hans» replico. «Sei venuto da me senza sapere cosa stessi facendo, mentre sapevi solo che ti stavi muovendo nella direzione giusta. Non avevi idea di chi fosse a muovere le tue gambe, a dirti, senza che te ne accorgessi, dove andare. Quello che hai fatto stamattina non è normale e si può spiegare solo pensando ad un’identità particolare… quella del Legame, che ti ha mandato fino al Bosco Smeraldo, nonostante il tempo ostile e l’orario assurdo. So che è difficile accettarlo…» Mi sporgo verso di lui rimanendo seduta, stavolta sforzandomi di guardarlo negli occhi, nella speranza di rassicurarlo - e rassicurare pure me, ad essere sincera; ma nonostante distolga subito lo sguardo, non smetto di cercarlo. «Ti sentirai di sicuro in pericolo, non sai come muoverti né come sia potuto accadere tutto questo. Ti insegneremo tutto. L’unica cosa che so di preciso è che non puoi più stare qui: dovremo portarti insieme a noi.»
Hans rialza gli occhi, espressivi come non mai: trasudano paura, disorientamento, ma anche malinconia al solo pensiero di dover abbandonare la sua quotidianità. «E dove andrò? Non so nemmeno se sono in grado di dire addio alla mia vita di tutti i giorni. Forse è per merito di questo Legame che non mi sento del tutto riluttante a seguirvi, nonostante la guerra e tutto… ma se ci penso da solo, senza questo Pokémon ad intervenire, non so…»
«Guarda che Pokémon è, Eleonora» mi ordina Sara.
Annuisco e mi rivolgo di nuovo al biondino. «Ti spiace se mi impiccio dei fatti tuoi per qualche momento?»
«Co… cosa devi fare?» Già è preoccupato: mi intenerisce un po’.
«Faccio capolino nella tua mente e cerco di leggerti l’aura. Non sentirai niente, sta’ tranquillo» gli sorrido nel modo più dolce possibile e arrossisce un po’. «Forse sarai a disagio perché non avrai pieno controllo di te, ma ci metterò poco.» Ho già provato qualcosa del genere in passato: l’ho fatto con Sara, per esercitarmi, quando eravamo nella base delle Forze del Bene presso la sede della Lega Pokémon di Sinnoh. Mi è capitato pure di essere indelicata e di colpirla un po’ duramente, facendola sussultare quando vagavo per la sua mente, ma sono riuscita a padroneggiare quest’abilità prima del previsto. È da un po’ che non lo faccio ma non dovrei aver problemi.
Hans acconsente a farsi esaminare senza nascondere disagio e timore. Mi alzo in piedi e, per essere sicura di non sbagliare, poggio il palmo della mano destra sulla sua fronte - anche per avere un contatto diretto. Entrambi chiudiamo gli occhi e, senza dovermi sforzare troppo, un momento dopo sono nella mente del ragazzo.
C’è una specie di pesantissima atmosfera che inizialmente mi fa indietreggiare: le mie sopracciglia si corrugano e forse anche Hans ha avuto un momento di tensione, ma mi abituo presto a stare nella sua testa. Questa forte pressione, come se un’incredibile forza di gravità mi impedisse i movimenti, mi fa capire istantaneamente che c’è di mezzo un Legame di tipo Psico. Non so quale altro tipo di Pokémon, altrimenti, potrebbe esercitare un potere così intenso, in un certo senso aggressivo, su un intruso nella mente del suo contraente passivo. Quando ho fatto pratica con Sara è stato molto più facile farmi gli affari suoi, perché non era in grado in alcun modo di ostacolarmi.
Perciò il primo annuncio che do, interrompendo per qualche secondo il contatto con Hans e tornando alla realtà per riferire a Sara, è: «Il Legame è di tipo Psico.»
«Cerca un altro potere. Escludi dai possibili contraenti Mewtwo, Deoxys e gli altri Leggendari maggiori.»
Annuisco e torno nella testa di Hans, che ora se ne sta buono buono visto che si è abituato a questa presenza estranea nella sua mente, e mi metto in cerca della sua aura speciale. Siccome sono Legata a Ho-Oh, le riconosco abbastanza facilmente perché visualizzo in modo chiaro e vivido dei colori, che rimandano a uno dei Tipi che un Pokémon può assumere. Nel caso dell’aura di Hans, essa è prevalentemente rosea e argentata: i due colori si mescolano di continuo e nella mia immaginazione assumono la forma di una spirale. Sono presenti solo queste due tinte, a tratti più vivide e brillanti: non vedo alcuna macchia di un altro colore che indichi un terzo elemento.
«Psico e Acciaio. È Jirachi, no?» chiedo a Sara.
«Senza dubbio» risponde lei in tono soddisfatto. «Cerca il terzo potere del Legame.»
«Non sto trovando niente» replico, un po’ delusa.
La ragazza mi dice di interrompere il contatto con Hans: lo faccio prima mentalmente e poi fisicamente, staccando il palmo della mano dalla sua fronte. Il ragazzo prima strizza gli occhi e poi mi guarda con aria un po’ disorientata. «Non ho sentito niente. Cosa hai scoperto? È successo qualcosa?» domanda subito.
Prima che Sara dia una spiegazione al fallimento nella ricerca del terzo potere, dico a Hans: «Sei Legato a un Pokémon di nome Jirachi. È il Leggendario deputato alla realizzazione dei desideri delle persone. Si relaziona principalmente con i bambini ed è a metà strada tra l’essere un Leggendario maggiore o un minore. Il fatto che ami i più piccoli spiega anche il tuo aspetto da marmocchio.»
«Ehi!» protesta, arrossendo di colpo.
Presto di nuovo attenzione a Sara, che, indifferente alle mie ormai solite prese in giro nei confronti di Hans, mi spiega: «Non è detto che ci sia un terzo elemento. A volte la caratteristica principale del Leggendario sostituisce il terzo potere: per esempio Dialga, quindi Daniel, ha potere sul tempo oltre che sul tipo Drago e Acciaio. Lo stesso vale per Palkia con lo spazio e Giratina… non lo so, non ci sono mai stati molti Legati a Giratina e non so che genere di potere sia l’antimateria.»
«Insomma, Hans ha poteri Psico e Acciaio e… non so, esaudisce desideri?»
Sara fa spallucce e risponde, semplicemente: «Probabile.»
«Ma io non so fare niente di tutto questo» interviene Hans, «quindi anche io dovrò andare in cerca della… come dite che si chiama? Forma terrena del Legame?»
«Forma materiale» lo correggo. «Comunque sì; tra l’altro Jirachi non si è nemmeno rivelato. Dovremo decidere i nostri spostamenti prima che Bellocchio si muova una volta per tutte contro i Victory.»
Hans non sembra convinto di quello che abbiamo palesemente intenzione di fare - come biasimarlo, d’altronde? La specie di sceneggiata a cui sta forzatamente prendendo parte è piena di pericoli e sarà accompagnato da poche sicurezze. Per il momento si potrà affidare solo a me, Sara e ai Pokémon di noi due, perché lui è completamente sprovvisto di poteri, di compagni come i nostri e, probabilmente, di qualsiasi abilità per combattere.
Ripenso subito a com’è stato, per me, entrare a far parte del mondo dei Pokémon. Ho già ripercorso, durante il racconto per Hans, tutta la mia vita da più di due anni fa ad ora. All’epoca avevo poco più di quattordici anni, ora ne ho sedici e mezzo e sto chiedendo ad un diciannovenne di fare come la me del passato. Peccato che quella situazione fosse più tranquilla e protetta, con la promessa di andare all’Accademia e stare al sicuro - e soprattutto senza sapere chi ero veramente, cosa mi sarebbe successo se fossi finita tra le mani del Victory Team. Hans invece ha avuto cinque anni in più per costruirsi un’esistenza solida e piacevole, sta effettuando un percorso di studi, magari ha pure una storia d’amore. Inizio ad avere tanti dubbi sulla possibilità che si unisca a noi - di sua spontanea volontà, intendo; ovviamente, qualsiasi cosa decida, dovremo portarlo altrove: come minimo in una base delle Forze del Bene in cui sia al sicuro e, magari, possa conoscere un po’ meglio il nostro mondo.
Il ragazzo ormai è stato incastrato e, volente o nolente, verrà con noi. Spero solo che in qualche modo accetti il suo nuovo ruolo, che ci veda più lati positivi di quanti ne vedo io. Esattamente come ci siamo detti poco prima: io sono contenta del Legame e ho imparato a considerarlo come mia unica ragione di vita, mentre Hans ha visto solo eventi negativi, guai, pericoli. La situazione, per funzionare, deve essere necessariamente capovolta.
Quasi trasalisco quando il ragazzo dice, dopo un lungo silenzio: «Quindi io dovrei venire con voi, quasi di sicuro in un’altra regione, trovare questo Jirachi, ottenere i poteri e combattere la guerra?» Già a sentire il suo tono temo per quello che dovremo fargli per portarlo con noi. Faccio un cenno d’assenso con la testa e aspetto che sia lui a continuare, perché non so proprio cosa dirgli per convincerlo - sono certa che peggiorerei la situazione.
Quando Hans parla di nuovo faccio una risatina stranissima, simile a quella di Sara di poco fa, perché il nervosismo gioca brutti scherzi e dubito seriamente di aver sentito un “Va bene”.
«Cos’hai da ridere?» scatta il ragazzo, arrossendo.
Di colpo divento rossa pure io - sarà l’empatia, sarà perché mi vergogno di non avergli creduto, visto che mi ero già del tutto convinta che non avrebbe mai accettato di venire con noi. «Ma sei serio?» gli chiedo, piuttosto seccata nei miei stessi confronti per aver reagito in quel modo e per essere, ora, così in imbarazzo.
«Vuoi guardarmi di nuovo in testa per vedere se dico la verità? Fai pure!»
«Calmatevi» interviene Sara quando io sono già pronta per ribattere. La guardo e vedo che con una mano si sta coprendo gli occhi: le dita magroline spariscono sotto la frangetta candida. Dev’essere un tantino esasperata dagli scambi tra me e Hans. Il ragazzo si indispettisce in continuazione e di conseguenza arrossisce: lo fa talmente tanto che mi imbarazzo, preoccupandomi subito di aver detto qualcosa di inadatto. E poi non c’è niente da fare: mi ricorda fin troppo, quando scherza o mi sfida, Daniel, e questo non mi aiuta affatto ad essere calma e indifferente.
Improvvisamente Sara si toglie la mano dagli occhi e sfoggia un adorabile sorriso rivolto a Hans, che, come da copione, si stupisce e si fa un po’ rosso. Sono tentata di gridarle qualcosa di cattivo ma mi trattengo, evitando così di rovinare la situazione. «Non so come ringraziarti per la collaborazione, Hans! Spero solo tu abbia capito a cosa stai andando incontro e che sia riuscito a superare la paura. È di questo che si tratta.»
«Ci ho pensato e, dopo aver sentito parlare Eleonora del suo rapporto con il Legame…» Il ragazzo fa una breve pausa. «Be’, sulle prime mi ha inquietato parecchio sentirle dire certe cose, come il fatto che la sua vera vita ruota intorno al suo Leggendario e che quello che ha fatto fino a scoprirlo era solo una falsa realtà. Ma sento che quel che ha detto è giusto. Forse è il mio Legame a decidere… però non credo sia solo questo a farmi accettare. Non posso sottrarmi al mio destino: prima o poi verranno a prendermi i vostri nemici, e preferisco un futuro con le Forze del Bene che con questi Victory.»
«Ehi, Eleonora, a quanto pare anche tu sai renderti utile» dice Sara, improvvisamente allegrissima.
«Ma la smettete di prendermi in giro ogni momento, voi due?!»
Lei ride serenamente, al contrario mio che sono sempre più irritata. Hans, come se niente fosse, chiede: «Avete già qualche idea su dove andare, come andare e con chi andare?»
«Noi tre, sui Pokémon Volante, ad Amarantopoli.»
«Ma certo che no!» esclamo; Sara mi guarda stupita. «Se usiamo i Pokémon non arriviamo più, ed è facile che i Victory vedano, nei cieli, qualche cosa di strano. Anche perché abbiamo solo Altair e Noivern, visto che ho perso sia Diamond che Noctowl.» La ragazza sgrana gli occhi; le spiego velocemente come ho fatto a perderli e continuo: «Dobbiamo prendere un altro tipo di mezzo che ci faccia arrivare prima e che sia più sicuro. Che siamo solo noi tre mi va bene, ma prima voglio passare da una base qualsiasi per avere un mezzo per contattare qualcuno senza la paura di essere intercettata.»
«Possiamo prendere una nave ad Aranciopoli» propone Hans.
«Stai scherzando? Questo sarebbe meno pericoloso, Eleonora?» sbotta Sara.
«Certo che sì. Non penso che i Victory siano in grado di controllare un mezzo pubblico così grande, soprattutto se, facendoci aiutare dai nostri, otterremo le misure di sicurezza che ci servono. Tra cui un biglietto regolare. Andiamo, Sara! Il nemico non è ovunque: è molto più facile che riconosca dei Pokémon Volante che trasportano delle persone, e non che ci trovi su una comune nave piena di persone. E in ogni caso, di Pokémon Volante ne abbiamo solo due; vuoi fartela a piedi? Ci vorrebbe un sacco di tempo solo per capire la direzione.»
Alla fine Sara cede con un sospiro: «Vada per la nave, allora.» Vorrebbe dire che il suo Noivern è perfettamente in grado di andare da Smeraldopoli ad Amarantopoli anche in meno tempo di quando impiegherebbe la nave, ma la mia Altair non sarebbe comunque in grado di stargli dietro. Rallenteremmo ulteriormente se dovessimo caricarci pure Hans, perché i Pokémon si stancherebbero molto presto.
Il ragazzo capisce subito che partiremo in giornata, perciò si appresta a chiudere per bene la casa, senza curarsi di far sapere ai suoi genitori dove andrà, con chi, perché. Lascia il telefono e qualsiasi apparecchio che lo renda rintracciabile da chiunque lo voglia riportare alla sua vecchia vita.
Nel frattempo io e Sara ci mettiamo in contatto con le Forze del Bene. Lei ha ancora il PokéGear a prova di intercettazioni e aspetta pazientemente che Bellocchio, o qualcun altro al posto suo, le risponda. Sta ancora seduta sul divano, compostamente, mentre io non posso fare a meno di girare in tondo per la stanza. Dopo un po’ mi dice che ha male allo stomaco solo a guardarmi e, sbuffando, mi appoggio con la schiena al muro. Non ho per niente smaltito il nervosismo: voglio partire, trovare il maledetto Ho-Oh… e poi non so, sinceramente, cosa verrà dopo. So solo - o forse è soltanto una mia speranza - che queste sono le battute finali, gli ultimi atti del conflitto tra Forze del Bene e Victory Team, e che io ho avuto la fortuna di vivere solo due anni e poco più di esso.
Sara continua a sorridere imperterrita vedendomi così agitata. «Non oso immaginare come diventerai appena ti dovrai portare sempre appresso il Legame, mia cara Eleonora.»
«Perché?» le chiedo, corrugando le sopracciglia.
«Ti monterai la testa e vorrai spaccare quella degli altri, proprio come fa chi ha un Legame di Fuoco» ride lei.
«Ma che ti inventi? Non mi cambierà così tanto» borbotto. «Non sarò così nevrotica e irascibile.»
«Lo spero, altrimenti diventeresti insopportabile» quasi cinguetta lei - ancora non le rispondono al Gear. Cerco di fulminarla con lo sguardo ma riesco solo a farla sorridere ancora di più. «Sei già cambiata tanto, anche solo da quando Ho-Oh si è rivelato.»
«Sono cambiata da quando ce ne siamo andati dall’Accademia, Sa’» cerco di contrastarla. «E non essere più piena di insicurezza e timidezza non può avermi fatto che bene.»
Sara sicuramente capisce che l’argomento mi mette a disagio e che pure io so bene di essere stata condizionata moltissimo dall’influsso del Legame. Non è più nella mia natura abbattermi, deprimermi: le uniche volte in cui ho pianto, da quando Ho-Oh si è rivelato, sono state le crisi per la perdita dei miei genitori, e più che di tristezza, in quei casi, piangevo di rabbia. Ero furiosa con me per non averli salvati, nei confronti dei Victory che me li hanno portati via e con le Forze del Bene che, in fin dei conti, hanno fatto la stessa cosa. Poi non mi è successo più niente. Però pensare che avere la forma materiale del Legame possa cambiarmi ancora di più e ancor più nel profondo mi agita davvero: sono piuttosto preoccupata. Spero che le previsioni di Sara si rivelino sbagliate. Non voglio attaccar briga ogni due per tre con qualcuno solo perché sarà nel mio carattere arrabbiarmi facilmente e accanirmi su qualsiasi cosa; non voglio “montarmi la testa e desiderare di spaccare quella degli altri”.
Sono talmente tanto presa dai miei pensieri che nemmeno mi accorgo nel fatto che Sara abbia finalmente ricevuto una risposta e che stia parlando, tutta tranquilla, con qualcuno delle Forze del Bene. Quando la chiamata finisce, però, capisco subito che abbiamo finalmente una strada da percorrere e un obbiettivo: la ragazza sa come arrivare alla base delle Forze del Bene che si trova ad Aranciopoli.









Angolo ottuso di un'autrice ottusa
Buonciao a tutti! Spero abbiate passato un gennaio felice e che siate pronti a ingozzarvi di frappe e castagnole per Carnevale 
( ´ ▽ ` )ノ ☆
Btw, sorpresa, narrazione al presente! Esatto, è come se quello che avete letto finora fosse un lungo flashback della protagonista, e la vera storia cominciasse adesso. La narrazione in prima persona e al presente è difficilissima, non è la prima volta che la uso ma finora mi sono limitata alle one shot, perciò vedremo se riuscirò a mantenere un buon livello per altri trenta capitoli circa… improvvisamente Eleonora non vide l’ora di arrivare all’extra
Continuano i capitoli-chiacchierata, ma va be’, per ora accontentiamoci… ci tenevo a mettere le domande di Hans su Bellocchio e ne approfitto per avvisarvi che alcune cose sono cambiate: mi sto ancora occupando di rivedere la seconda parte, ma il carattere e gli scatti assurdi di Bellocchio saranno rivisti, nella speranza di rendere il tutto meno inverosimile. Camille invece è proprio fuori di capoccia, quindi non serve a granché farsi domande.
Il titolo del capitolo si riferisce al racconto di Ele e Sara, che è a tutti gli effetti la storia di tante persone, tante vite. Mi piace abbastanza, invece il prossimo l’ho scelto totalmente a caso.
Una cosa che mi è piaciuta di questo capitolo è il netto contrasto iniziale tra Eleonora e Sara: la Legata a un tipo Ghiaccio si scalda, arrabbiandosi tantissimo, mentre quella con un Legame di tipo Fuoco è fredda, controllata e distaccata. E poi va be’, trovo meraviglioso il fatto che all’inizio siano commosse per essersi ritrovate e tutto, poi due righe sotto quasi si pigliano a sganassoni.
Tornando a discorsi più o meno seri, una curiosità che non sarà interessante per nessuno: devo dire che, nella mia immaginazione, Ho-Oh è sempre serissimo e severo. Altro che vitalità e allegria del fuoco…
Spero che il capitolo non sia troppo lungo, o che sia almeno scorrevole; e soprattutto che la situazione sia chiara e che le premesse presenti, che considero una (luuunga) piattaforma di lancio per i prossimi capitoli, siano interessanti :3 Con ogni probabilità il prossimo sarà breve e di transizione, ma non importa (??)
A presto!
Ink

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Capitolo 4
*** III - Partenza all’alba ***


III
Partenza all’alba

Arriviamo ad Aranciopoli quand’è ormai pomeriggio inoltrato: aver preso l’autostrada non ha abbreviato i tempi, perché partire da Smeraldopoli garantisce un giro larghissimo che passa per il nord della regione. Sarebbe stato anche interessante costeggiare città in cui non sono mai stata in vita mia, neanche in vacanza con i miei genitori quand’ero più piccola, come Zafferanopoli e Celestopoli; peccato che i morsi della fame mi abbiano tenuta occupata tutto il tempo, finché Sara, decisamente più resistente di me, non ha trovato un posto di suo gusto in cui fermarci per la bellezza di dieci minuti. La sua prudenza è quasi eccessiva: Hans non si lamenta, intimidito com’è dalla prospettiva degli eventi futuri, ma io sono stata scalpitante per tutto il tempo. Lei, com’è ovvio, ha trovato assai divertente vedermi irritata per la fame.
Il nostro biondo compagno di squadra lascia la macchina dei genitori fuori dalla città di Aranciopoli su ordine dell’albina, che si sente molto a suo agio a comandarci come più ritiene opportuno. Non ho altra scelta che affidarmi a lei, ma desidero ardentemente farle cascare le orecchie a forza di dirle che sono stanca e ho ancora fame. Penso che aspetterò almeno fino al momento in cui saremo nella base delle Forze del Bene di Aranciopoli e avrò un PokéGear a prova di intercettazioni, completo di mappe e quant’altro.
«Dove dobbiamo andare?» chiedo immediatamente a Sara appena scesi dalla macchina.
«La base segreta è nella zona portuale della città. Dobbiamo andare verso l’uscita che dà sul percorso 11, infilarci in un paio di vicoli e siamo arrivati» mi risponde allegramente. «Sarà una bella passeggiata.»
«Fai tanto la caposquadra circospetta e zelante, però adesso parli di passeggiata, eh?» borbotto.
«Sei diventata buona solo a lamentarti» replica con altrettanta spensieratezza. Hans non interviene, poco a suo agio ora che si è definitivamente allontanato dalla sua città. Lo vado ad affiancare, lasciando a Sara il compito di stare in testa al nostro piccolo gruppo e di guidarci. Spero solo che sappia dove andare.
A quanto pare lo sa, perché si fa tutta soddisfatta quando ci indica una stradina in cui dobbiamo entrare. Siamo nella zona portuale con pochi chilometri ci separano dal percorso 11, proprio come ha detto Sara. È quasi un’ora che camminiamo con un passo piuttosto sostenuto: Hans si lamenta in continuazione mentre io e la mia amica, che ci siamo allenate a lungo, non abbiamo problemi dopo aver attraversato quasi tutta la città. Siamo rigorosamente passati per il lungomare ma non abbiamo sprecato neanche un minuto a guardare il cielo e il mare. La notte scende velocemente, perché è inverno, ma fortunatamente il freddo non è penetrante e insopportabile come a Smeraldopoli. Il cielo è quasi del tutto scuro - poche tinte calde sopravvivono a contatto con l’orizzonte - quando entriamo nella prima viuzza del paio di vicoli a cui Sara ha accennato.
Hans sembra sul punto di mettersi a rantolare per la fatica, ripete in continuazione che le sue gambe stanno facendo giacomo-giacomo, ma grazie al cielo ci risparmiamo la parte peggiore delle sue querimonie perché siamo arrivati alla nostra meta. Tocca a Sara spiegarmi che stiamo per entrare in una zona protetta dalle barriere che separano la realtà Pokémon da quella umana, e Hans in effetti è diventato più distratto da qualche momento a questa parte. Mi chiedo se abbia smesso di lamentarsi perché Sara ha detto che siamo arrivati o perché le pareti invisibili stanno facendo effetto. È normale che non riesca ad opporre resistenza: ci riuscirebbe se Jirachi si fosse già rivelato, ma così non è, e quindi il biondino ha improvvisamente voglia di tornare sui suoi passi.
Sara mi ordina di trattenerlo mentre chiede l’accesso alla base segreta. Afferro Hans per il polso e gli do qualche strattone ogniqualvolta cerchi pigramente di liberarsi. La mia amica, comunque, riceve subito una risposta al Gear. «Buonasera. Mi chiamo Sara. Il codice che mi ha dato Bellocchio è quattro uno cinque…» Hans si fa man mano leggermente più intrattabile e mi distraggo. Torno ad ascoltare Sara quando sta per finire di recitare una lunga sequenza di numeri: «… tre uno dieci zero due. La prego di riferire al suo superiore le lettere esse elle emme elle prima di farci entrare, o di accertarsi che qualcuno nella base segreta sia a conoscenza del loro significato. Sono qui fuori con due compagni, sì, dovreste riuscire a vederci senza problemi. Aspettiamo.»
«Dov’è la barriera?» chiedo a Sara appena riaggancia.
«Ci devono aprire il portone e siamo dentro la base.» Passa una manciata di secondi, o almeno questo è quello che mi sembra mentre cerco di convincere Hans che non sia una buona scelta fare dietrofront; dopodiché il Gear di Sara trilla, come se le fosse arrivato un comune messaggino. Lo guarda e, felicemente, dice: «Tale signore dallo pseudonimo di Eisenhower autorizza l’entrata!» Un momento dopo il portone si schiude, come se qualcuno dei condòmini lo avesse aperto a qualcuno che ha suonato il citofono.
«Eisenhower, hai detto? Non mi è nuovo come nome.»
«Personalità del Primo Mondo» ribatte lei.
Hans si è calmato, ora che è decisamente all’interno delle barriere, ma pare ancora un po’ disorientato: non fa caso alle stranezze che io e Sara sembriamo dirci, non chiede cosa sia il Primo Mondo né, tantomeno, dove stiamo andando. Non sentirlo porre domande su domande è veramente strano.
«Pensi che questo tizio sia nella base segreta?»
«Ne dubito, lo avranno contattato e avrà accordato di farci entrare a distanza, perché questo posto è minuscolo. Serve più che altro per controllare il traffico al porto di Aranciopoli.»
«Non è stata una cattiva idea venire qui, allora» mormoro.
Sto ancora tenendo Hans per un polso e lo guido, seguendo Sara: entrambi ci guardiamo intorno, lui con aria sognante, io un po’ soprappensiero: la mia espressione deve essere vagamente sospettosa. Non è che mi senta proprio al sicuro a vagare per quelli che sembrano i normalissimi corridoi di un condominio come tanti. L’unico suono che si sente è quello disordinato e svelto che fanno i piedi di noi tre. Mi sento un po’ un’intrusa: tutto mi è estraneo, non sono abituata a nessuna base segreta che non sia quella del Monte Corona, con i cristalli azzurri e rossi e i sei corridoi, le porte infinite che si affacciavano su di essi… tutti i ricordi della mia vecchia casa sembrano lontanissimi nel tempo, eppure solo ieri vagavo per la base segreta insieme a Chiara, la mia migliore amica.
Mi incupisco un po’ mentre la penso. “Se la sarà cavata. Deve essersela cavata!” I Victory si sono appostati fuori dal Monte Corona e hanno attaccato la popolazione in fuga dalla base segreta, mentre i Comandanti hanno cercato di catturare me, Daniel e Bellocchio. Non voglio credere che a Chiara sia successo qualcosa, che sia ferita o peggio. Ma devo fare l’abitudine al fatto che, ora più che mai, apparteniamo a due mondi completamente separati: io sono una Legata, ricercata dal nemico, mentre lei è una normale spia delle Forze del Bene. La missione finale contro i Victory, se ci sarà, ci vedrà sicuramente separate - mi chiedo quale occupazione troverà Bellocchio per i comuni mortali e quale sarà la nostra. Spero solo di poterla incontrare di nuovo, il prima possibile.
«Ele, svegliati. Entriamo, su.» La voce di Sara mi riporta con i piedi per terra; meccanicamente varco la soglia della porta che ha aperto, che ha l’aspetto di un ripostiglio. Non mi faccio più ingannare dalle apparenze fin da quando sono nelle Forze del Bene, perciò non mi sorprendo affatto di ritrovarmi in una base segreta della mia fazione. L’ambiente è molto più chiaro e luminoso di quello nel covo del Monte Corona: non mi sembra nemmeno di essere in una base delle Forze del Bene, tanto sono abituata all’aspetto della mia vecchia casa.
Sara fa entrare Hans e poi chiude la porta alle sue spalle. Nello stesso momento arriva una recluta, un giovane ragazzo - sicuramente è più piccolo di tutti noi - che dice di chiamarsi Spencer. Ci presentiamo anche noi e lo seguiamo quando ci chiede di andare con lui dal sovrintendente della base segreta. È l’ex Capopalestra della stessa Aranciopoli, Lt Surge, un omaccione dai muscoli spaventosi e dal forte accento di Unima che di rado ho visto, sia all’Accademia che nel Monte Corona. Evidentemente non ha mai voluto abbandonare la città della sua Palestra.
«Che vi serve?» A malapena ci saluta.
«Tre biglietti della prima nave in partenza per Olivinopoli, signor Surge» risponde allegramente Sara.
«Ma per chi mi avete preso, per un bigliettaio?!»
La principessa delle nevi risponde con tutto il buonumore del mondo all’irascibile ex Capopalestra, i bollenti spiriti del quale si placano subito grazie ai toni di lei. Se parlassi io al posto suo non farei altro che arrabbiarmi, di fronte a un tipo del genere, e far arrabbiare lui. «No, signor Surge. Dobbiamo partire al più presto per Johto. Sono ordini di Bellocchio, può chiedergli conferma. Credo che anche il signor Eisenhower sia a conoscenza di questo.»
Così, nel giro di una decina di minuti, dagli uffici in cui lavorano i tecnici ci arrivano tre biglietti assolutamente perfetti della M/N Acqua - probabilmente la nave sarà mezza vuota, visto che siamo in pieno inverno. Non ci vuole molto perché non riceva anche un PokéGear nuovo di zecca, su cui mi appresto subito a registrare tutti i contatti che posso, guardandoli sul dispositivo di Sara. Lei, nel frattempo, dà un’occhiata ai nostri biglietti.
«La partenza è alle cinque del mattino. Stasera si va a letto presto, ne’?»
Scrollo le spalle. Hans chiede: «Quando è previsto l’arrivo?»
«Durante la notte del giorno dopo.»
Non faccio in tempo a mettermi a fantasticare su quali saranno le nostre occupazioni fino a domattina che Sara ha già un programma da proporci. Non ho altra alternativa che accettare le sue idee: insegneremo qualcos’altro a Hans sul mondo dei Pokémon, se ci sarà bisogno daremo risposte a sue eventuali domande - sono sicura che ne abbia fin troppe ancora da porre - e io mi dovrò sottoporre a qualche controllo da parte della mia amica, che non mi vede addirittura da quasi una settimana e deve controllare che sia ancora abile nel combattimento, nella gestione dei miei poteri e quant’altro. Mi terrà occupata per un sacco di tempo - quelle poche ore che abbiamo prima di andare a dormire, per riuscire a svegliarci presto senza troppe difficoltà.
Ciononostante trovo il modo per fare la cosa che, momentaneamente, mi preme di più. Voglio controllare che Diamond, Pearl e Noctowl siano effettivamente dispersi - altrimenti li ritroverò nel box pc - e poi stare un po’ con i miei Pokémon, come non faccio da tantissimo tempo, per un motivo o per un altro.
Non riesco a non sentire una fitta di dolore al petto quando vedo il box pc completamente vuoto, segno che i miei tre Pokémon sono chissà dove, morti o, peggio ancora, nelle mani dei Victory. Spengo di fretta il computer, non sopportando l’idea di non avere più alcuni dei miei compagni di squadra, tra cui due dei primi che ho catturato da sola quand’ero ancora una quattordicenne ignara di tante verità, più tranquilla e allegra.
Qualcosa mi dice, quando mi decido a fronteggiare i sei Pokémon che ho ancora, che loro sanno già cos’è successo ai loro compagni, che lo sapevano anche prima che mi accertassi della perdita. Eppure ho tanta difficoltà a sostenere sei paia di sguardi completamente diversi tra loro, appena mi ritrovo sola, a sera, con i miei amici, in una delle tre stanze che la piccola base segreta ha reso disponibili per noi ospiti.
C’è Altair che non aspettava altro che di essere liberata dalla sua Poké Ball per stringersi accanto a me, in cerca di un po’ d’affetto e nella speranza di darne a me; i suoi occhi hanno la stessa espressione sincera di quelli di June, che però ha uno sguardo meno dolce e più astuto, ma che comunque mi sta vicina allo stesso modo della mia prima compagna di squadra. Un po’ più freddi sono Saphira e Rocky ma, alla fine, gli unici che non si ritrovano attaccati a me, che me ne sto seduta sul letto, sono Aramis e Nightmare. Non mi aspettavo niente di diverso.
Non mi metto a chiacchierare con i miei compagni perché non credo che ce ne sia bisogno. Ho maturato la convinzione che il Legame con Ho-Oh si sia esteso anche agli altri miei Pokémon, con cui già bastava poco per capirsi grazie al contatto, telepatico ed empatico, creato dalla Poké Ball di ognuno di loro. Nessuno di noi piange per Diamond, Pearl e Noctowl, anche perché sarebbe come crederli persi per sempre, mentre sono certa che tutti e sette i presenti nella stanza siano in trepidante attesa del giorno in cui rivedremo i tre compagni che ci siamo soltanto lasciati indietro. O almeno è così che mi piace pensarla.
Sarà passato un lungo quarto d’ora quando mi decido a far rientrare i miei Pokémon nelle rispettive sfere. Però non riesco a richiamare, almeno non subito, anche Aramis e Nightmare che se ne sono stati un po’ per fatti loro. È così che mi torna la voglia di chiacchierare, restando da sola con i miei compagni meno comprensivi e partecipi, di qualunque cosa si tratti. Mi lascio sfuggire un sospiro e sto per fingere di rimproverare Nightmare, ma lo Spiritomb improvvisamente lancia un gridolino e, per quanto può fare uno spettro come lui, mi si lancia addosso come fosse un cane. Mi irrigidisco e inizio a tremare come una foglia. «Ni-Nightmare, ti prego… non fare così… mi sento male… sei u-uno spettro e… e…»
Ed entrare in contatto con uno spettro non è mai piacevole: i risultati sono tremarella - ma anche spasimi non poco imbarazzanti - e un gelo interiore spaventoso. Per quanto apprezzi l’improvviso affetto del mio assurdo Spiritomb, ancora non so come fargli capire che deve dimostrarmelo in modi diversi, se non vuole tramortirmi. Reclama coccole fin troppo spesso e, se provo ad accarezzargli la testa - la sommità del suo corpo tondeggiante, insomma, la mia mano sprofonda dentro di lui e me la ritrovo, a coccole finite, tutta pallida e tremante.
Nightmare mi si scolla di dosso e ho modo di rimettermi a sedere, anche se con qualche difficoltà. Lo ritrovo accanto a me sul letto, appena riesco a mettere di nuovo a fuoco l’ambiente circostante. Per qualche secondo ci guardiamo negli occhi - ormai ho fatto l’abitudine al suo sguardo demoniaco, anche se i primi tempi avevo sempre qualche problema a scambiare un’occhiata con lui. Ancora trovo difficile, però, non rabbrividire quando si mette a ridere con la sua “voce” dissonante e diabolica; esattamente come sta facendo ora, tutto divertito per lo scherzo che mi ha fatto. Le sue intenzioni erano assolutamente buone, voleva tirarmi su di morale per quello che è successo a Diamond, Pearl e Noctowl; peccato solo che sia una sorta di Pokémon maledetto.
Un po’ imbarazzata gli dico, in risposta alla sua risata: «G-grazie, Nightmare…»
Alla fine mi ritrovo sola con Aramis. Ci vuole un po’ perché trovi il modo di avviare una “conversazione” con lui, con cui è sempre piuttosto difficile trattare. Mi gratto la nuca e guardo altrove, mentre lui mi studia senza distogliere un momento gli occhi rossi da me. Raccolto il coraggio necessario per parlare al mio Gallade, gli chiedo con un mezzo sorriso, cercando di suonare ingenua: «Qualcosa non va, Aramis?»
Ovviamente non ottengo risposta. Continua a guardarmi nello stesso modo di prima, senza batter ciglio e senza dare segni di partecipazione o di affetto. Sbuffo leggermente. «So che ti stai preoccupando per me, ma non credo ci sia niente per cui essere così teso, amico mio.»
Lui scuote la testa e chiude gli occhi, dandomi le spalle. «Allora dimmi cos’è che non capisco.»
Mi lancia un’occhiata un po’ storta. «Non guardarmi così. Non ho voglia di usare la telepatia o che altro per capire cosa ti passa per la testa, Aramis. Dimmelo tu e basta, fammelo capire in qualche modo. Anche se qualche idea già ce l’avrei…» aggiungo in un mormorio.
È proprio l’ultima frase che lo fa voltare di scatto. Il suo sguardo è molto più intenso, vigile ed espressivo, ha gli occhi bene aperti, sta all’erta. Non so perché ma non ho problemi a sostenere il contatto visivo con un’espressione neutra, quasi indifferente alla sua improvvisa scarica di attenzione.
«So che ti manca la tua vecchia Allenatrice, Aramis» sussurro, «ma sforzati di capire che sono sempre la stessa Eleonora. Molte cose sono cambiate, in me e nel mio futuro, è vero… ma se ti rifiuti di riconoscere in me la persona che ha preso la tua Poké Ball quand’eri ancora un Ralts, che ti ha dato un nome e che ti ha allenato con impegno e passione… mi fai un grandissimo torto. Mi fai male, Aramis» bisbiglio.
Lui abbassa lo sguardo, d’un tratto preda di un grande senso di colpa, ora che gli ho detto queste cose. Faccio un respiro profondo ed alzo un po’ la voce. «Di Eleonora ne è sempre esistita solo una, però ha conosciuto diverse influenze e ha ricevuto novità che non la hanno lasciata indifferente. Non ti opporre al mio Legame, a Ho-Oh. È tutto inutile, Aramis. Non essere stupido.»
Il suo silenzio e il fatto che sia così docile e più tranquillo mi fa capire che sta cambiando, seppur lentamente, idea. Da quando Ho-Oh si è rivelato lui è diventato ancora più freddo e distaccato, insinuando così che non riconoscesse più la sua Allenatrice, ma sono certa che pian piano si abituerà anche lui, così come hanno fatto tutti gli altri miei Pokémon. Altair ovviamente non ha fatto altro che sostenermi, cercando di starmi vicina più che mai.
Mi alzo in piedi con un lieve sospiro e vado ad abbracciare Aramis, che ricambia. È alto quanto me e, anche se i primi tempi mi metteva un po’ a disagio stringere il suo corpo esile, non mi sembra più che ci sia niente di strano. Dopo un po’ sciogliamo l’abbraccio: lui continua a non guardarmi, come se si stesse vergognando. Odio vederlo così ma non posso fare altro che lasciar trascorrere un po’ di tempo per fargli metabolizzare le mie parole.
«Buonanotte, Aramis» mormoro, richiamandolo nella sua Poké Ball.

L’alba invernale sul mare di Aranciopoli è bianca di foschia: non la trovo per niente bella quanto il tramonto che abbiamo visto ieri sera - anche perché il cielo è ancora in gran parte oscuro, visto che non sono nemmeno le cinque del mattino. Hans ha gli occhi talmente impastati dal sonno che a malapena si renderà conto di dove stiamo andando; neanche Sara fa caso all’ambiente circostante, presa da chissà quali pensieri: fissa la strada davanti a sé, mentre andiamo al porto, senza cercare di iniziare una conversazione - è strano da parte sua. Io me ne sto con le mani in tasca, respirando con la bocca semiaperta per creare nuvolette di vapore.
Sara consegna i biglietti, perfettamente in regola nonostante la bella e buona contraffazione: ero talmente sicura che fossero perfetti che nemmeno mi sono preoccupata quando la mia compagna li ha mostrati al controllore, un uomo piuttosto giovane che ci ha cordialmente augurato buon viaggio. Aspettiamo sul molo, dove c’è pochissima gente in attesa di partire. Per recitare il ruolo dei giovani turisti e non destare sospetti, ci siamo portati una valigia e uno zaino, entrambi non troppo grandi, che Hans si è caricato di malavoglia.
L’attesa per imbarcarci è abbastanza breve: ce ne andiamo ad occupare una cabina vicina alla prua. Non mi è mai piaciuto viaggiare per barca o per nave, perché mi viene sempre il mal di mare: perciò già prevedo una bella corsa sul ponte per evitare il peggio. Tra questa prospettiva che già mi fa avere lo stomaco in subbuglio, anche se a malapena ho fatto colazione, Sara che è impaziente di iniziare il resoconto degli allenamenti di ieri sui miei poteri e Hans che annuncia di avere qualche domanda da farci, prevedo, seccata e anche un po’ sconsolata, che quello di oggi sarà un lungo viaggio.

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Capitolo 5
*** IV - Clandestini aggressivi ***


IV
Clandestini aggressivi

Sono passate solo due ore ma mi sembra di essere a bordo di questa maledetta nave da secoli. La colpa è di Hans che pretende di chiacchierare - di qualsiasi stupidaggine gli passi per la mente - e di Sara che vuole discutere con me di cosa ho fatto in sua assenza, gli ultimi giorni nella base segreta, e di come sono andata nella specie di verifica a cui mi ha sottoposta ieri sera, per vedere se qualche progresso l’ho fatto anche per conto mio.
«Mi aspettavo di più, ad essere sincera» esordisce subito, candidamente. Credo che la nausea si stia facendo più acuta per un’ondata di sconforto. «Ma comunque sei riuscita a migliorare qualcosa anche da sola. Ti ho vista più scattante e reattiva, ma allo stesso tempo più controllata: ti sei misurata nella portata delle fiamme e del vento, quindi brava. Si vede da lontano un miglio che sei assolutamente priva di tecnica, eppure quando non usi i poteri per combattere sei così composta… ma non importa. Al massimo imparerai altro quando ti ritroverai con Ho-Oh.»
«Che… che significa?»
«Potrebbe trasmetterti la conoscenza di uno stile di combattimento. Sai che io sono capace di tirare con l’arco? Me l’ha insegnato Articuno. O meglio, l’ho imparato automaticamente ottenendo la forma materiale del Legame.»
«Wow. Non me l’avevi detto» mormoro con scarso entusiasmo.
«Però seriamente, non potresti combinare uno degli stili che hai imparato nel gruppo dei guerrieri con i tuoi poteri? Sarebbe molto meglio, anche perché se ti affidassi all’istinto e ti ritrovassi improvvisamente in difficoltà, chissà se poi ti tireresti fuori da sola o se andresti in confusione! Invece, seguendo una linea di pensiero precisa e conoscendo dei movimenti su cui fare affidamento in ogni situazione, non rischieresti quasi mai.»
«Ho capito, ho capito…»
«Ma ti stai sentendo male? Soffri di mal di mare?» Il tono di voce di Sara si fa improvvisamente premuroso e preoccupato. Annuisco debolmente. Lei si mette a ridacchiare e mi sento molto meno nauseata quando la fulmino con lo sguardo. «Che carina, proprio come i tipi Fuoco! Devi proprio odiare l’acqua!»
«So anche nuotare, per tua informazione» borbotto, andandomi a sedere sul letto della cabina, accanto a Hans che ci sta disteso e legge un libro, finalmente senza parlare. Beato lui che non ha alcun minimo malessere derivato dalla lontananza dalla terraferma. «Però ho sempre sofferto di mal di mare.»
«Dai, non ero seria. Sarà una coincidenza» sorride lei.
Forse ho sperato troppo in un silenzio decentemente lungo del nostro compagno di sventure, però quando il biondino mi dà qualche dritta per farmi sentire meglio, con la speranza di farmi passare la nausea, sono molto più contenta. Sto ancora meglio quando, su consiglio di Sara, libero Aramis, Altair e June - gli unici Pokémon che mi è possibile tener fuori senza procurare danni, vista la stazza di Rocky, le abitudini assurde di Nightmare e la difficoltà di Saphira a non stare in un ambiente acquatico - e mi distraggo con loro. Abbiamo serrato la porta della cabina: non si dovrebbe fare, in realtà, ma non è che ce ne importi granché.
Sono felice di vedere Aramis più rilassato rispetto a ieri sera: la sua espressione è molto più calda e gentile di quanto mi sia abituata a vedere negli ultimi tempi. June trotterella per la cabina, esplorandola quasi a passo di danza, e questa sua caratteristica incuriosisce parecchio Sara, che prende a studiarla interessata. La quiete regna sovrana nella stanza principale, separata dal bagno; il silenzio sarebbe totale, se non fosse per lo scrosciare delle onde del mare. Così, mentre coccolo un po’ Altair, sono certa che, se qualcuno si avvicinasse alla porta, riuscirei addirittura a sentire i suoi passi sul pavimento rivestito di legno del corridoio.
Però mi distrae il pensiero che domani, quasi sicuramente, sarò faccia a faccia con il mio Leggendario. Non ho idea di come avverrà quest’incontro: non è che mi abbia fatto una grande impressione, caratterialmente parlando, vista la gentilezza dei suoi modi appena mi sono svegliata nel Bosco Smeraldo. Però è stato carino da parte sua avvertirmi dell’arrivo dei Victory nel Monte Corona, anche se non sarebbe stato male se l’avesse fatto con qualche minuto di anticipo - non mentre Nike e suo fratello stavano già buttando giù il muro dietro me e Daniel.
Non so perché pensi in termini così poco seri ad un Leggendario, sinceramente. Sara direbbe di sicuro che è perché i tipi Fuoco sono simpatici e allegri, e qualche altra stupidaggine a cui non voglio credere neanche se fosse vera, anche perché non mi ritengo né simpatica né allegra, nonostante il mio Legame. Credo di pensare a Ho-Oh in questo modo perché mi sono abituata a vedere i Pokémon, i miei compagni di squadra, come amici con cui scherzare e non come dei superiori a cui portare rispetto o, viceversa, dei sottoposti da bacchettare. E soprattutto penso di comportarmi così per sdrammatizzare e per contrastare la severità che il Leggendario ha mostrato finora. Spero si rilassi un po’, una volta che ci saremo riuniti.
Chissà com’è Articuno con Sara. L’ho vista solo una volta ed ero talmente tanto emozionata di essere vicina ad un Leggendario che potrei aver frainteso l’espressione dei suoi occhi cremisi; in ogni caso mi è sembrata gentile, ma il suo sguardo era velato da tanta tristezza e malinconia. Ora che ci penso è esattamente la stessa espressione di Sara, che negli ultimi tempi, più “in confidenza” grazie al fatto che ho scoperto cosa sono i Legami, è diventata molto più allegra, spensierata e loquace. Ma quando è seria ha sempre quell’aspetto profondamente malinconico.
Così passo il tempo mentre aspetto che, lentamente, si faccia pieno giorno. Sono le sette di mattina o poco più: in alcuni momenti sbadiglio vistosamente, d’un tratto assonnata, a forza di accarezzare in continuazione la mia Altair - che non ne ha mai abbastanza di coccole. L’unica cosa che mi trattiene dallo sdraiarmi su un altro dei tre letti della cabina è la consapevolezza che, se lo facessi, mi sentirei malissimo e la situazione si farebbe brutta assai.
Le mie condizioni però stanno peggiorando sempre più, inevitabilmente, anche se non sto facendo niente che dovrebbe farmi star male; perciò annuncio: «Ragazzi, io vado sul ponte a prendere un po’ d’aria.»
«Vengo con te» dice subito Sara, che penso si stia annoiando.
Hans risponde di voler leggere un altro po’, quindi al massimo ci raggiungerà più tardi: ma sono abbastanza sicura che abbia voglia di farsi una pennichella. Lo conosco da poco più di un giorno ma fin dalle prime ore insieme mi è stato chiaro il tipo che è, e nelle sue caratteristiche rientra quella di essere un dormiglione. Richiamo i miei Pokémon nelle rispettive sfere e le metto nella cintura, poi indosso sia questa che la giacca. Sara fa lo stesso.
Usciamo sul ponte e veniamo investite da una folata di vento gelido che sulle prime mi annichilisce, ma subito dopo mi sento pervadere da un’energia che mi rianima. Il cielo è luminoso e incredibilmente terso. Mi sembra di non essermi mai sentita male, sono del tutto rinvigorita. Dentro la cabina era un supplizio pensare di essere in balia delle onde in mare aperto, così selvagge e potenti grazie alla spinta del vento, ma ora che sono fuori diventa quasi divertente. L’aria e l’acqua fanno un caos assordante: se io e Sara dovremo dirci qualcosa, dovremo strillare.
Mi avvicino alla ringhiera del ponte, seguita dalla mia amica, evitando le numerose panchine verniciate di bianco e di blu; non c’è nessun altro, fortunatamente. La nave non è neanche tanto grande, dopotutto.
«Che bella giornata» commenta Sara. «Saremo sicuramente puntuali.»
«Dobbiamo trovare Ilenia, una volta arrivati a Johto. Poi andremo alla Torre Campana.»
«Sei emozionata?»
Mi giro verso Sara, che sta sorridendo. Anche le mie labbra si incurvano leggermente. «Abbastanza. Non quanto mi aspettassi, in ogni caso! Credo di star prendendo l’incontro con Ho-Oh con parecchia leggerezza… non so se è un bene o se mi sgriderà un’altra volta. Spero non sia così antipatico.»
«Un’altra volta?» Sara sembra sorpresa un pochino.
Scrollo le spalle. «Non gli è andata giù quando ho avuto un po’ di tremarella per l’arrivo dei Comandanti.»
«Oh, ho capito. A proposito, vorrei che mi dicessi qualcosa su di loro. Non è che tu sia stata molto esaustiva quando hai raccontato a Hans le ultime cose che ti sono successe.»
«Eh, va be’, mi ero stancata di parlare! Mi sembrava di non arrivare mai alla fine» mormoro. Me ne sto con le braccia incrociate che poggiano sulla ringhiera; il mio viso è schiaffeggiato dal vento teso e mi chiedo come faccia la mia voce ad arrivare a Sara, e viceversa. «Comunque lei si chiama Nike e lui non lo so. Sono alti, hanno i capelli biondi e ricci, gli occhi verdi, la pelle chiara… hanno l’aspetto di statue classiche. Sono così belli che per un po’ né io né Ho-Oh, né Daniel… nessuno di noi è riuscito a concentrarsi. Quando ho provato ad attaccarli hanno respinto quasi a mani nude i miei colpi. Daniel li ha ostacolati comandando l’acciaio sulle pareti, sbarrando il corridoio per separarci da loro, ma mentre cercavamo di fuggire ce li siamo ritrovati un’altra volta davanti.»
Mi giro a guardare Sara. I suoi occhi azzurri, molto più chiari della volta celeste, sembrano fissare il mare, ma sono vitrei e pensierosi. Le sue piccole mani stringono con poca forza la ringhiera. «Insomma, è evidente che abbiano dei poteri. Anche perché le loro aure erano talmente potenti che, se adesso fossero nelle vicinanze, se ora si trovassero su questa nave… li sentirei chiaramente. Li sentiresti tu, qualunque Legato si accorgerebbe di qualcosa che non va, e probabilmente anche Hans. Pure mentre si fa una pennichella.» Sara sbuffa, sorridendo appena. Le chiedo: «Sei proprio sicura che non si possa avere più di un Legame?»
«Sì, certo. Pare che una volta, quando due Leggendari si contesero un contraente passivo per creare un Legame, quello morì appena nato per il peso di due contratti, che si respingevano per prendersi quel corpo.»
Sono tentata di chiederle quali Leggendari furono coinvolti ma il mio sesto senso mi dice che non sono sicura di volerlo sapere. Perciò le domando soltanto: «Allora come te lo spieghi?»
«O eri confusa, ma penso che Ho-Oh, a questo punto, ti avrebbe corretta, oppure hanno soltanto l’alleanza di qualche Leggendario. È possibile che condividano i loro poteri, anche se in modo limitato, finché l’umano stesso non decide di finire quest’altro tipo di rapporto; oppure fino alla morte dell’individuo.»
«Molti Leggendari sono scomparsi anche prima che scoppiasse la guerra» replico. «Potrebbe essere che si siano uniti a Nike e al gemello? Anche Moltres e Zapdos…»
«Moltres e Zapdos hanno dei Legati. O li hanno catturati per avere il loro potere, o li hanno uccisi per costringere i Leggendari a stare con loro» mi interrompe lei in tono lugubre. Abbasso lo sguardo, smettendo di guardarla. «Comunque sono tutte ipotesi, Eleonora. Non so nemmeno se qualcosa del genere sia possibile, sono fatti mai visti prima. Credo sia abbastanza stupido ridursi in queste condizioni, noi Legati siamo estremamente preziosi, quindi penso sia più probabile che abbiano cercato l’alleanza di quelli di Moltres e Zapdos… ma se non avessero accettato, chissà come si sono comportati quei due.»
Non posso fare a meno di chiedermi da dove provengano i Comandanti gemelli. Mi sfiora il pensiero che non siano nemmeno del tutto umani, anche a vedere la loro bellezza e la forza, entrambe straordinarie: se però hanno dei genitori mi chiedo chi questi siano. Ed è pensando ad una loro famiglia che, come se l’avessi dimenticata, mi torna in mente la bambina a loro collegata, “Vì”. A Sara non ho ancora detto nulla.
«Ti ricordi quando abbiamo incontrato Cyrus in Via Vittoria, quando ci ha detto che Nike e l’altro sottostanno al volere di qualcuno ancora più in alto di loro?» La ragazza annuisce, facendosi improvvisamente attenta, quasi sospettosa. «Ho incontrato una ragazzina che deve stare molto a cuore a quei due, Sara. Ero nel bosco vicino a Giubilopoli, quando l’Accademia fu presa di mira: scappai lì per nascondermi. Salii sugli alberi e vidi, dall’alto, questa bambina con i capelli biondi e gli occhi grigioverdi. Seguiva un Victini e poi lo prese in braccio. Penso pure che mi videro, ma qualcuno li richiamò indietro. Credo fosse il gemello di Nike. Lui non doveva sapere che c’era qualcun altro, perché altrimenti sarebbe sicuramente arrivato pure lui… mi avrebbe catturata e chissà come sarebbero andate le cose. Comunque… la bambina esitò un po’, ma poi andò via. Mi mise un sacco di inquietudine addosso, soprattutto i suoi occhi, erano… spettrali.»
Sara ha le sopracciglia sottili corrugate, un po’ incredula e un po’ pensierosa. Ho quasi la sensazione che non riesca a credermi. «Stai dicendo» mormora, «che quella bambina sarebbe la persona al di sopra dei Comandanti?»
Sospiro, sconfortata. «Non sarà il vero vertice dei Victory, ma deve essere importantissima per i Comandanti. Quando mi sono resa conto della somiglianza tra lei, Nike e l’altro, durante lo scontro nella base segreta… ho detto quello che dovrebbe essere il suo soprannome, Vì. È così che è stata richiamata indietro, quella volta. Nike era sconvolta e lui si stava infuriando, ma almeno si sono distratti e io e Daniel siamo riusciti a scappare.»
«È così che è andata» bisbiglia Sara - non sono nemmeno sicura di aver sentito bene.
«Se c’è una cosa che sento davvero, è che quella ragazzina ha il Legame di Victini.»
«Può darsi, ma che ne sai? Di lei hai solo un ricordo, tra l’altro nemmeno eri influenzata dal Legame, all’epoca. Sì, è probabile che quel Victini abbia creato un Legame con lei, ma andiamoci piano con le ipotesi.»
«Bellocchio deve sapere di lei, comunque» ribatto. «Una ragazzina con un Leggendario non mi ispira niente di normale, soprattutto in un luogo come quello, in una giornata come quella…»
«Certo, certo» si affretta a dire Sara, che deve sopportare tutte le mie congetture su Vì. Non posso farci niente: quella bambina mi fece un’impressione incredibile due anni fa e, se ripenso a lei, ancora mi sento a disagio o in soggezione. Soprattutto per colpa di quegli occhi veramente vitrei, come se fossero sprovvisti di pupille.
«Ti senti meglio? Vorrei andare a vedere cosa combina Hans» dice Sara dopo un lungo mezzo minuto di silenzio e di riflessione.
«Si sarà addormentato sicuramente. Comunque sì, andiamo. Anche se penso che dopo mi farò un’altra passeggiata su questo ponte…»
Prima di rientrare diamo un’occhiata all’orizzonte, e Sara, vedendo chiaramente la linea della costa, mi spiega: «Quello dovrebbe essere il percorso 1. Tra poco passeremo vicino a Biancavilla e dovremmo arrivare al percorso 27 intorno all’ora di pranzo. Nel pomeriggio saremo davanti a Fiorpescopoli e…»
«Come fai a sapere tutto questo?» la interrompo - non me ne importa granché del programma del viaggio, ma non riesco a non stupirmi per le conoscenze della mia amica. Lei fa spallucce, sorridendo, e dice vagamente di essersi informata ieri sera alla base segreta.

Non ci vuole molto perché inizi a sentirmi di nuovo poco bene, ma faccio di tutto per resistere il più a lungo possibile. Hans sta dormendo da un pezzo e Sara gli ha rubato il libro per vedere cosa stesse leggendo: mi sembra pure che si sia appassionata alla lettura, perché non alza lo sguardo neanche per caso - neanche quando me ne esco con qualche lamento sgraziato, quando la nausea pare farsi insopportabile. All’ora di pranzo, come previsto da Sara, passiamo nelle vicinanze del percorso 27, vicino alle cascate Tohjo, e tra poco le supereremo. Sono veramente in crisi: non posso mangiare niente perché altrimenti finirei molto male, ma stare a digiuno non è affatto una gran prospettiva. Non voglio che i miei Pokémon mi vedano in questi momenti di debolezza e mi costringo a soffrire in solitudine, evitando Hans che mi darebbe alla testa con la sua parlantina.
Nel primo pomeriggio sono dilaniata dai morsi della fame e dalla nausea. Sara finalmente se ne accorge e ha un’idea per tenermi ancora in vita: andremo di nuovo sul ponte e lì mangerò qualcosa, nella speranza che non mi senta male appena rientrata. Stavolta Hans, abbastanza sveglio, è dei nostri.
Gli effetti benefici dell’aria aperta entrano in azione appena mettiamo piede sul ponte della nave. Stiamo costeggiando un promontorio a metà strada tra Borgo Foglianova, che non abbiamo visto perché troppo distante dal litorale, e Fiorpescopoli. Hans e Sara chiacchierano in modo sommesso mentre io, che me ne sto seduta su una delle panchine, mi ingozzo rozzamente e velocemente con qualche piccola porcheria comprata al bar della nave. Il vento impetuoso rischia di strapparmi dalle mani il tramezzino di turno, ma la mia fame, risvegliatasi, è talmente forte che anche la presa che ho sul mio pranzo è salda come non mai.
Durante la notte arriveremo a Olivinopoli e dubito che cercheremo un posto dove dormire, anche se la nave attraccasse alle tre del mattino: Sara trascinerà me e Hans ad Amarantopoli senza tanti complimenti, tirannica come si è dimostrata certe volte. Ma mi correggo: è stata dispotica davvero molto spesso. Sbuffo con un sorrisetto, però, pensando che presto rivedrò Ilenia e che otterrò i pieni poteri del mio Legame, che diventerò una specie di supereroina e che, insieme ai miei compagni, troveremo presto eventuali altri Legati nei territori di Johto. Questa missione, cosiddetta Leggendaria, sarebbe anche facile se non fosse per la minaccia costante del Victory Team, sempre in agguato. L’idea mi rabbuia un po’, ma la mia immaginazione continua a lavorare sul momento in cui mi ritroverò con Ilenia e, soprattutto, su quando sarò di fronte a Ho-Oh.
«Ele, non metterci troppo a finire. Dare di stomaco è molto meglio di prendersi un raffreddore o ammalarsi!» esclama dopo un po’ Hans. In effetti è da parecchio che siamo fuori ma non ho per niente voglia di rientrare e avere subito la mente annebbiata dalla nausea. Mi sento a mio agio qui sul ponte.
«Questo è come la vedi tu» ribatto. «Meglio un po’ di febbre che fare quella cosa schifosa e indicibile…»
«Vomitare?» ride Sara, sedendosi accanto a me.
Le mie guance si fanno un po’ rosse. «Sì! Almeno con la febbre produci anticorpi.»
«Quante scemenze arrivi a dire pur di non rientrare…» borbotta Hans. Cerco di fulminarlo con lo sguardo ma riesco solo a farlo ridere - non è una gran cosa il fatto che la mia faccia irritata sia così divertente.
Riesco a trattenerli per un altro po’ qua fuori ma alla fine, quando sono ormai passate le tre del pomeriggio e, passato il promontorio, Fiorpescopoli è in vista, mi rassegno a tornare a soffrire.
Mentre andiamo alla nostra cabina incontriamo un paio di ragazzi che devono avere l’età di Hans o qualcosa di meno, quindi devono essere appena maggiorenni. Sento chiaramente che qualcosa di strano sta succedendo: i due individui ci studiano vistosamente, squadrandoci da capo a piedi come se stessero cercando di riconoscerci, ma i loro sguardi non sono affatto curiosi né amichevoli. Il sospetto cresce quando, chiedendomi se li ho visti sul molo prima di imbarcarci, mi rispondo di no. Potrei non averli notati anche a causa della poca luce che c’era, ma le persone in attesa di salire sulla nave erano talmente poche che è impossibile che non le abbia guardate tutte.
I due stanno andando nella direzione opposta alla nostra. Penso che volessero trovarci sul ponte e non dentro la nave. Vedo Hans che si gira, quando li abbiamo sorpassati, e che inarca le sopracciglia con una strana espressione sul viso. Sicuramente ha incontrato un’altra volta i loro occhi. Abbiamo poco tempo per tornare in cabina e decidere il da farsi, ma siccome sia io che Sara ci siamo accorte che qualcosa non quadra, acceleriamo il passo e Hans ci viene dietro di buon grado. Anche il battito del mio cuore si sta facendo più veloce e un lieve tremore mi prende le mani: non so se sia per una certa paura o se non veda l’ora di confrontarmi con i due ragazzi sospetti.
Entriamo in cabina e chiudiamo a chiave la porta alle nostre spalle, sperando solo che questo non ci faccia finire in trappola. Setacciamo la zona, io con il potere della mente e i miei compagni di persona, in cerca di un eventuale pericolo, ma fortunatamente non percepiamo né vediamo niente di preoccupante.
«Che si fa?» chiedo dopo poco. «Quei due stanno tornando.»
«Li senti?» replica Hans, pallido per la paura crescente.
«Anche se non li sentissi, è prevedibile.»
«Scappiamo dall’oblò» mormora Sara, serissima.
«Sei pazza o scema?! Io nemmeno so nuotare!» sbotta Hans.
«In quel caso devi buttarti, caro, e uno dei nostri Pokémon si farà carico di te» rispondo. Subito dopo aggiungo, prendendo una Ball dalla mia cintura e porgendogliela: «Tieni, questa è Saphira, un Pokémon di tipo Acqua che è anche in grado di combattere mentre ti porta in groppa. Tu cerca di non ostacolarla e tieniti stretto.»
«Ma denunciate quei due e basta! Dove andremmo, se non a Olivinopoli?»
«Ormai Fiorpescopoli è in vista» replico. Mi sto occupando io di tenere a bada Hans, che ancora non accetta la mia Kingdra, mentre Sara avvisa qualcuno dei nostri che probabilmente abbiamo dei problemi. «Quindi andremo là. Perché non prendi Saphira? Preferisci volare?»
«Peggio mi sento!» esclama teatralmente lui, mentre io tengo il sangue freddo e aspetto, come una scema, che prenda la Ball che continuo a tenere in mano davanti al suo naso. «Anche se sicuramente riuscirei a scappare più in fretta… ma non possiamo evitare di fuggire?»
«Più fai storie più tardi partiamo, Hans. Decidi, Altair o Saphira? Volare o nuotare? Ormai quei tizi sono a due o tre metri dalla porta.»
«Stai scherzando?!» strilla.
«Certo che no» dico in tutta tranquillità. A Sara non serviva che confermassi le mie parole: ha già chiamato il suo Lucario fuori dalla Ball e gli ha ordinato di usare Forzasfera verso l’oblò.
Da una parte della cabina il vetro si frantuma in mille pezzi, liberando un passaggio prezioso che qualcuno non si decide a sfruttare; dalla parete opposta proviene il suono di una piccola esplosione. La porta è stata fatta saltare in aria e, prima che arrivi addosso a me e a Hans, esattamente sulla sua traiettoria, innalzo un muro di fiamme arcobaleno che la incenerisce al contatto. Dirado il fuoco, con il Legato di Jirachi che cerca di nascondersi dietro di me, tutto tremante, e mi ritrovo faccia a faccia con i due ragazzi di prima e un Magmortar dall’aria poco simpatica.
Il Pokémon sta per caricare un altro colpo ma decido che è meglio giocare sporco contro i clandestini sulla nave: mi ricordo di quando ho fatto svenire l’Houndoom di Cyrus estraendo le sue energie dal suo corpo, sottoforma di fiamme, e faccio lo stesso. Stavolta il fuocherello che fuoriesce dalla bocca spalancata di Magmortar, al comando delle mie dita, non è oscuro come quello dell’altra volta. Il Pokémon fa una faccia sconvolta e subito dopo le forze lo abbandonano: anche i ragazzi Victory non sembrano del tutto pronti a riprendere lo scontro, dopo avermi vista fare una cosa simile.
Sara approfitta della loro lunga esitazione per dirmi: «Io e forse te riusciremmo a uscire dall’oblò, ma Hans no. Lo spazio è troppo piccolo, dobbiamo andare sul ponte.»
Annuisco e mando il palmo della mano avanti a me, con le dita tutte attaccate, come se dovessi spingere con forza qualcosa: una folata di vento investe i due Victory e li sbatte contro il muro di fronte alla nostra cabina. Afferro Hans per un polso, ancora stringendo nell’altra mano la Ball di Saphira, e lo costringo a correre dietro a Sara: ci segue il suo Lucario e dopo poco gli si aggiunge Vaporeon. Mentre io e Hans proseguiamo, infatti, la ragazza ordina alla sua prima compagna di squadra di usare una mossa di tipo Acqua e, sfruttando questo elemento, lo trasforma in ghiaccio dopo averlo condotto verso i nemici, imprigionandoli in un piccolo complesso di cristalli gelidi. In un attimo ci ritroviamo sul ponte.
«Mi auguro che tu non faccia storie» borbotto, rivolta più a me che a Hans, il quale è pallido come un cencio. Non trova nemmeno la forza di rispondermi, tanto è impaurito. Sembra così poco stabile sulle sue gambe - me ne sono accorta anche mentre correvamo via - che ho paura che il forte vento possa buttarlo a terra senza fatica.
Sara ha fatto rientrare Lucario e Vaporeon nelle rispettive sfere e ora ha chiamato Noivern. «Intanto mandiamo Hans verso Fiorpescopoli su di lui» mi dice. «Tu puoi prestarmi Altaria o Kingdra. Posso anche volare da sola ma vorrei evitare, visto che la situazione non è il massimo.»
Hans ritrova la sua voce: «Da solo no!»
«Non sei da solo, c’è Noivern» ribatto serenamente.
«Ma che?! Chi??»
Il grosso Pokémon di Sara, che gli ha velocemente spiegato cosa deve fare, dove deve dirigersi e magari anche come trattare il suo passeggero. Non mi preoccupo di rispondergli perché un momento dopo Noivern se l’è caricato sulla schiena, incurante dei suoi strilli e delle sue proteste. Penso che il biondino, comunque, si tenga ben stretto a lui, perché il Pokémon vola via a gran velocità e non mi sembra che Hans abbia problemi.
Li guardo andar via con aria quasi interessata, poi torno seria e mi concentro sulla situazione mia e di Sara, che già abbiamo perso troppo tempo. «Andiamo anche noi. Stanno tornando quei due.»
Sara non si stupisce, come me, del fatto che si siano liberati. «Allora prima mettiamoli fuori gioco e speriamo di non procurare troppi danni a questa povera nave.»
Percepisco i Victory che si stanno avvicinando - e anche qualcun altro, credo. «Forse sono in arrivo anche gli uomini della nave. Dobbiamo mandarli via e cancellargli la memoria di queste cose.»
«Io ti copro mentre tu pensi alle persone normali, va bene?»
«Sì. Cerchiamo di buttare i Victory in mare.»
Adesso la porta del ponte si spalanca e, anche a distanza, vedo una specie di braccialetto fumante al polso di un ragazzo. Quella cosa deve aver sprigionato calore, o anche fiamme, per sciogliere il ghiaccio. Sara si trasforma rapidamente e questa cosa mi fa sorridere - non di gioia: ha intenzione di fare sul serio per liberarsi in fretta dei nemici. I suoi capelli si accorciano, arrivando poco più sotto delle sue spalle, e si tingono di azzurro; delle ciocche sono blu scuro. Cambiano anche i suoi vestiti e, da che indossava una giacca, dei jeans e degli stivali, si ritrova addosso degli abiti che rimandano a quelli tradizionali della zona dell’Estremo Oriente nel Primo Mondo - però non ha esattamente un kimono addosso o cianfrusaglie tra i capelli, anche perché non ha alcuna acconciatura elaborata. Il suo vestito è apparentemente scomodo per lottare, piuttosto elaborato e in certi punti un po’ largo - la gonna e le maniche; ma so bene che la ragazza abbatterà in poco tempo i ragazzi nemici.
Per il ghiaccio attinge dall’acqua marina ma, quando vede che il bracciale sputafuoco al polso di una recluta Victory è più problematico di quanto pensassimo, si rassegna a utilizzare l’acqua pura per colpire il bersaglio. Fa numerosi movimenti circolari con le braccia che talvolta coinvolgono anche il resto del corpo, anche per restare in equilibrio - è difficile con la nave in movimento e il vento così forte.
Io per il momento me ne sto tutta tranquilla con i gomiti sopra la ringhiera, a cui do le spalle, e guardo Sara che si dà da fare contro i nemici. Sono armati ma riesce a impedir loro di sparare qualsiasi colpo, che sicuramente sarebbe mirato a immobilizzarci per portarci, vive, dai loro superiori. Alla fine, a forza di colpirli con l’aria e con l’acqua, li disarma: le loro pistole sono cadute in acqua e le uniche armi che rimangono loro sono i Pokémon.
Nel frattempo mi tocca intervenire, perché sono arrivati alcuni controllori. Uno di loro sviene alla vista di Sara che comanda gli elementi e una creatura sconosciuta comparsa all’improvviso, denominata Greninja: l’altro pure non sembra in buone condizioni, di fronte a questo spettacolo. Scatto verso di loro e, con l’aiuto del fuoco e dell’aria, supero i nemici nel giro di un secondo ritrovandomi quasi addosso al controllore ancora in sé.
Gli piazzo un palmo della mano sulla fronte e quello, automaticamente, mi punta una pistola contro ma gliela faccio volare via quasi schioccando le dita, grazie a un colpetto di aerocinesi. Tutta sorridente, quasi malignamente divertita dalle misere condizioni del giovane uomo, attivo il potere della mente e non incontro alcuna resistenza da parte sua. Gli dico: «Di’ ai tuoi superiori che non è successo niente.»
Mentre quello aspetta, imbambolato, che gli dica anche di andare, faccio rinvenire l’altro e ripeto le stesse cose anche a lui. La sua espressione, da sconvolta, si fa docile e sognante. «Adesso andate! E non preoccupatevi per la porta saltata in aria e l’oblò rotto. Non c’è mai stato nessuno in quella cabina, chiaro?»
I due confermano le mie parole e se ne vanno. Torno a fare attenzione al combattimento in corso appena in tempo per evitare che il Greninja dei nemici mi tagli un arto con un Nottesferza; Sara, nel frattempo, sta pensando ai suoi padroni. Non sono sicura che la psicocinesi e la pirocinesi abbiano effetto su un Pokémon di tipo Acqua e Buio, perciò cerco di sbatterlo al muro con l’altro potere che mi rimane. Funziona ma si rimette subito in piedi. In ogni caso ho già pensato a trovargli un altro avversario, la mia Altair, perché non ho tanta voglia di mettermi a lottare contro un Pokémon. Mandarlo a tappeto mi dispiacerebbe molto di più di farlo con un umano. È comunque un avversario tosto e, per finire in fretta, mi costringo ad aiutare Altair con i miei poteri.
Appena abbiamo finito raggiungiamo Sara: anche lei ha messo fuori gioco i suoi avversari e finalmente possiamo muoverci e raggiungere Hans, che sicuramente sta morendo di paura, ora che l’abbiamo lasciato solo. Altair si prende Sara sul dorso e io scavalco la ringhiera, ritrovandomi con i piedi sul bordo estremo della nave e con le mani che stringono con forza le sbarre d’acciaio. Non è facilissimo prendere la Ball di Saphira e farla uscire da essa in modo tale che non venga investita dalla nave: comunque il contatto telepatico che si realizza attraverso la sfera fa sì che, appena esce da essa - ed è già in acqua, la Kingdra sappia che si deve levare dalla traiettoria della M/N Acqua. Sbuffo, improvvisamente insicura di volermi buttare in acqua, anche se sono sicura che Saphira riuscirebbe a riprendermi al volo.
La spinta per fare il grande passo la trovo appena mi giro e vedo che i Victory si stanno riprendendo. In realtà sono quasi tentata di dir loro qualcosa, chiedere cosa vogliano da noi - anche se la risposta, ovviamente, la conosco già - o al contrario di far vedere con chi hanno a che fare, ma sia io che Sara abbiamo già dato ampiamente prova delle nostre abilità e non c’è bisogno che perda altro tempo. Concentro il potere dell’aria sotto i miei piedi e in questo modo spicco un balzo lungo e abbastanza preciso, mirando con attenzione e precisione su Saphira per non atterrare nell’acqua gelida.
Sarebbe a dir poco doloroso l’impatto che dovrei avere con la mia Kingdra, perciò non mi nego un altro aiutino con l’aerocinesi, frenando leggermente la mia discesa: mi aggrappo alla sua lunga, ampia schiena - è un Pokémon piuttosto grosso - quasi con leggerezza. Sprofondiamo leggermente, di primo acchitto, ma era inevitabile che così fosse. «Andiamo, Saphi» mormoro, facendole un paio di carezze.
La mia compagna si è allenata duramente per affrontare situazioni come questa, nelle simulazioni alla base segreta, perciò ha già conosciuto la forza del mare in tempesta e ha affrontato prove peggiori di questa qui. Però non posso fare a meno di preoccuparmi: il tratto che ci separa da Fiorpescopoli è molto lungo, il vento è a sfavore e le onde sono molto grosse. Kingdra è per natura forte e resistente ma sento chiaramente che, dopo qualche minuto, la stanchezza è molta e i progressi fatti non sono abbastanza.
Cerco di aiutarla infondendole energie attraverso i miei poteri e per il momento funziona. L’alternativa è cercare di darci una spinta ulteriore con il potere dell’aria, ma sprecherei tantissime energie per un risultato molto peggiore. Una specie di torpore si fa lentamente strada in me, man mano che presto le mie forze a Saphira, ma mi sforzo di tenere duro finché non ci avviciniamo ulteriormente alla costa: cerco di non chiudere gli occhi perché mi addormenterei, o peggio ancora potrei perdere i sensi. Il mare ruggisce con veemenza e anche questo complica la situazione. La mia compagna fa del suo meglio per evitare le onde più grandi e, per quanto può, nuotare con dolcezza nell’acqua aggressiva, ma mi sento comunque scombussolata, sballottolata da ogni parte senza un attimo di respiro: dal mio punto di vista sembra di stare in mare aperto durante una burrasca.
Fortunatamente la mia stanchezza crescente viene compensata dal fatto che la costa si sta rapidamente facendo più vicina, e perciò il mare è più calmo. Non ci vuole molto perché Saphira mi faccia capire che posso smettere di prestarle le mie energie e dopo questa bella notizia praticamente mi accascio su di lei: mi sforzo soltanto di abbracciarla stretta per evitare di finire in acqua. Alzo gli occhi al cielo, dopo un po’, e vedo Sara, ancora mezza trasformata, in groppa ad Altair che vola esattamente sopra me e Saphira: pare che ci abbiano volute aspettare. Le mie labbra si incurvano, anche se la mia espressione è distrutta dallo sfinimento.
Saphira accelera più che può finché non rallenta di nuovo, visto che ci stiamo avvicinando alla spiaggia - praticamente deserta - di Fiorpescopoli e che il fondale è sempre più basso. Va più avanti che può per farmi fare meno strada possibile in acqua, che ora come ora sarebbe un’impresa titanica per me: già mi sento le gambe di piombo per la stanchezza, per di più la parte rimasta immersa in acqua è atrofizzata per il freddo. Non sento niente almeno dalle ginocchia in più: penso che dovrei scaldarmi con il fuoco, i cui poteri curativi farebbero effetto, ma appena scendo dalla groppa di Saphira, che mi ha praticamente portata fino al bagnasciuga, cado in ginocchio nell’acqua trasparente, calma e bassa. Il freddo è l’ultimo dei miei problemi e quasi non mi accorgo di star congelando per metà.
Sara scende da Altair prima ancora che quest’ultima si posi a terra, e corre verso di me per aiutarmi a tirarmi fuori - inizialmente faccio quasi fatica a riconoscerla, con i capelli azzurri, gli occhi rossi e i vestiti di questa foggia così insolita. Vedo chiaramente Hans che si avvicina di corsa, seguito da Noivern. Non mi sembra che ci sia nessun altro su questa spiaggetta nelle vicinanze di Fiorpescopoli, chiusa in una piccola baia in cui le onde sembrano non esistere. Sara mi aiuta a rialzarmi e mi fa appoggiare a lei, ma non credo proprio di essere in grado di muovere un passo.
«Coraggio» soffia, «adesso arriva anche Ilenia…»











Angolo ottuso di un'autrice ottusa
Che dopo aver aggiornato correrà a finire di studiare biologia, che insieme a storia l'ha tenuta in casa tutto il weekend ; __ ; Btw here I am!
Sapete quelle scene che avete in mente da secoli per una storia e il senso di liberazione quando finalmente potete scriverle? Ecco, sarà dall’inizio di Ntss1 - la primissima versione! - che ho ideato la fuga per mare, apportando cambiamenti minimi - praticamente solo la presenza di Sara, visto che in origine tutti questi capitoli di Ntss3 erano su Eleonora e Hans da soli.
Il titolo del capitolo non mi piace per niente… non sapevo se cambiarlo con qualcosa che si riferisse alla fuga per mare, ma mi sembrava ancora più banale come idea e alla fine non mi è venuto in mente niente di meglio. In origine avrebbe dovuto chiamarsi "Buttati, Hans!" per una battuta di Eleonora, quando appunto viaggiavano da soli, ma non ho più avuto l'occasione di metterla quindi mi è crollato il mondo addosso, e ho messo un titolo bruttissimo :c
Pensate, Eleonora avrebbe dovuto catturare Spiritomb in presenza di Hans, proprio nell’ultima parte della storia - mi sembra che in origine fosse addirittura divisa in quattro. L’accademia, la base segreta, le peregrinazioni su questa stessa lunghezza d’onda… e poi non ricordo. Forse un’intera parte per l’attuale finale, cielo.
Mi ha divertita abbastanza il comportamento di Eleonora durante lo scontro, che spiega tutta tranquilla le cose a Hans che invece è in preda al panico :3 ormai il suo carattere è così, fa un po’ l’antipatica/scontrosa, ironica; in queste situazioni è poco seria - per l’adrenalina?; a volte ho paura di mandarla OOC rispetto alle altre due parti, perché io stessa mi faccio prendere dalla narrazione… ma immagino faccia parte della crescita del personaggio, insomma, sono passati due anni e mezzo dall'inizio della storia. E poi nella seconda parte, sempre lentamente in fase di riscrittura, il suo carattere sta diventando così.
Stavolta i miei compagni di stesura del capitolo sono stati sia il DSi, con le mappe di Johto e Kanto su SoulSilver, che il carissimo dizionario dei sinonimi e contrari; però l’ho usato poco e niente, al contrario delle mappe. Quando descrivo un viaggio, oppure se devo vedere com’è fatto un luogo che devo descrivere, ho sempre un videogioco di riferimento alla mano. Lo preferisco al guardare su internet, e avendo cartucce che vanno dalla quarta alla sesta generazione, posso dare un’occhiata a praticamente tutti i luoghi che voglio. (Ho rigiocato Nero di recente, devo ancora finire la parte post-Lega - ma non ho tempo per mettermi a giocare ;; prima per Unima dovevo guardare su Internet.) Comunque, in tutto ciò, volevo solo fare un appunto *kill me plz*: mi ricordo chiaramente che nei giochi di prima generazione si può andare all’esterno della nave, sul ponte insomma; però su SoulSilver no! Ci sono rimasta malissimo…
E poi, cosa peggiore di tutte: non so se è un problema della narrazione al presente o addirittura è solo una mia impressione, ma i capitoli vengono fuori - o rischiano di venire - pieni di dialoghi. Ho cercato di metterne il meno possibile, spero di esserci riuscita, perché non mi va giù questa cosa. La lunghezza media è più breve rispetto a quelli della seconda parte, infatti penso che, se questa verrà più lunga, a livello di pagine, dell'altra, sarà solo perché ha dei capitoli in più.
Detto ciò torno nel magico mondo delle cellule *kill me plz pt2*
A presto!
Ink

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Capitolo 6
*** V - Le due facce di una stessa medaglia ***


Sinceramente non so perché stia scrivendo questa specie di angolo, visto che ho la quasi totale certezza che non ci sia praticamente più nessuno a seguire questa storia - o meglio, a seguire me. Non mi dilungherò in uno sfogo senza fine che ho già fatto con qualcun altro e che tanto non risolverebbe niente, visto che una soluzione ai miei problemi, chiamiamoli così, non c’è, a meno che non inizi a ricevere minimo quattro recensioni a capitolo.
Non so se la carenza di lettori, recensori e quant’altro sia colpa mia, forse scrivo malissimo e non me ne rendo conto, ma come farlo se nessuno si prende la briga di darmi un’opinione sincera, il più possibile completa, sul mio lavoro? In questi ultimi tempi scrivere non è esattamente un divertimento: certo, lo faccio perché lo amo, sempre e comunque, ma in questo periodo non sono granché soddisfatta con ciò che sto facendo. Lo sarei molto di più se riscontrassi dei risultati, non un totale silenzio e assenza di “followers” - come si potrebbero definire ora - che mi fanno quasi pensare che stia facendo talmente schifo da allontanare ogni lettore.
Sarei veramente sicura di tutto questo solo se vedessi che sono l’unica nella sezione Pokémon che si ritrova con un pugno di mosche in cambio di ore ed ore spese a stendere capitoli e trame. La generale moria - credo sia evidente, parliamoci chiaro - del fandom mi sta scoraggiando enormemente e se continuo a pubblicare su EFP è perché voglio vedere le mie storie - Ribellione e Ntss - portate a termine, ma in realtà non ho alcuna motivazione per andare avanti.
Dubito che spenderò il mio tempo a scrivere altri “angoli ottusi”: la sensazione di parlare al nulla è talmente forte che mi sentirei una stupida a commentare i miei stessi capitoli con la mia opinione, inserire dettagli e curiosità, spiegazioni… sarebbe così inutile, dal mio punto di vista, che preferisco smettere. Non so se ci sia qualcuno che effettivamente sta seguendo la storia e se ne dispiacerà, in tal caso mi spiace per loro, ma ho seri dubbi sull’esistenza di queste persone.
Detto ciò, Ink Voice si ritira dietro le quinte delle sue storie, con la pallida speranza di poter riuscire allo scoperto, prima o poi.





 
V
Le due facce di una stessa medaglia

Mi ci vuole un po’ per controllare il mio corpo squassato dai brividi di freddo, per ricordarmi dove sono, cosa sto facendo e perché sia finita in questo stato, con le gambe zuppe fin sopra le ginocchia. Appena ho ripreso i contatti con me stessa, nonostante la stanchezza, mi avvolgo, laddove sto gelando a causa del bagnato e del vento che ci soffia sopra, in un bozzolo di fiamme arcobaleno. Hans quasi salta indietro per la sorpresa; spero solo non ci sia nessun altro a guardare. La spiaggia, a una prima fugace occhiata, mi è sembrata del tutto deserta.
Sara però mi intima di spegnere il fuoco e io le obbedisco docilmente. Mi aiuta a camminare e arriviamo alle panchine vicine al limitare della spiaggia, su cui crollo senza tanti complimenti. Mi ritrovo ad ansimare anche se non ho avuto problemi di respirazione fino ad un momento fa: mi piego sulle mie gambe e stringo la destra tra le mie mani. È così fredda e immobile da provocarmi dolore: digrigno i denti e corrugo le sopracciglia, cercando di farmi forza, anche se mi sfogherei volentieri con qualche lamento penoso. Non riesco a trattenermi del tutto; mi faccio compassione da sola quando sento Hans che mi dà leggere pacche di supporto su una spalla.
«E quando dovrebbe arrivare?» chiedo a bassa voce, riferendomi a Ilenia.
«A breve. L’ho contattata con il Gear mentre volavo con Altaria: sarà qui a momenti.»
«Come si suppone che possa attraversare Johto in cinque minuti…» borbotto in modo stranamente seccato.
«Ha i poteri derivati dal tipo Psico» replica Sara con lo stesso tono mentre riprende la sua forma normale: però i vestiti del Legame restano, cambia solo il suo aspetto fisico.
«Chi è Ilenia?»
Forse Hans si sente in dovere di distrarmi con le sue solite domande, ma non ci penso neanche a rispondergli: le gambe mi funzionano a malapena e non posso rischiare che qualcuno mi veda usare il fuoco. Sara gli spiega chi è e il rapporto che ha con noi: il contraente del mio Legame è la controparte del suo e quest’ultimo è a capo del trio Leggendario di cui fa parte Articuno, a cui Sara è Legata. Non ho mai pensato alle amicizie tra di noi in questi termini, ma forse è proprio grazie a tutto questo che ci siamo avvicinate, e l’attrazione tra Legati ci ha rese amiche. Mi torna alla mente la chiacchierata con Rosso avuta poco prima della distruzione della base nel Monte Corona: si era stupito nell’apprendere che, nonostante Ho-Oh e Lugia non siano particolarmente affiatati, io e Ilenia quasi ci possiamo definire migliori amiche. Aveva detto anche che era giusto che i Legami non condizionassero troppo profondamente i rapporti tra umani, i contraenti passivi, e sono convinta che avesse ragione.
Chissà dov’è ora il Master. Ho perso i contatti con praticamente tutte le persone con cui mi frequentavo nella base segreta e mi sento un po’ fuori dal mondo: non vedo l’ora di incontrare Ilenia, anche se non sono nelle mie condizioni migliori, e spero di avere presto notizie di Daniel, Chiara, Gold e tutti gli altri, tra cui anche quello strano soggetto di Rosso. C’è pure Oxygen che mi impensierisce un po’: nonostante mi sia convinta che tra di noi non ci sia più niente, provo comunque un grande affetto nei suoi confronti. A ripensare alla conversazione in cui abbiamo rotto sento i sensi di colpa sopraggiungere: vorrei rivederlo e fare un passo indietro per chiarire.
Dopo un po’ vengo distratta dai pensieri sui miei amici da una strana sensazione, che prende il sopravvento su tutto il resto dentro di me. Smetto di lavorare sulle mie gambe - che fortunatamente sembrano un po’ meno atrofizzate - e alzo la testa, con un’espressione di sorpresa sul viso: sto all’erta, come se captassi dei movimenti sospetti nelle vicinanze. Non è di questo che si tratta: avverto una presenza. Mi metto a sedere correttamente, non più piegata sulle mie gambe, e cerco di concentrarmi su quello che sto percependo. Sento la sensazione crescere finché non sono abbastanza sicura di sapere cosa sta succedendo.
«Sta arrivando» mormoro. Sara e Hans si voltano di scatto verso di me.
Il mio sesto senso dimostra di non aver fallito quando, un attimo dopo, un lampo di luce sfavilla poco distante da noi e lascia il suo posto a una figura apparentemente sconosciuta. Ha una silhouette alta e slanciata, magra, e i capelli non molto lunghi, chiari, sono sciolti al vento e vorticano impazziti al suo comando. Sara si alza in piedi e le va incontro: lo farei anch’io volentieri ma non riesco proprio a muovermi. Man mano che la figura si avvicina capisco che è una ragazza; ha un sorriso gentile, non troppo ampio, sul viso, che mi ricorda quello che di solito mostra Sara, incurvando appena le labbra e socchiudendo gli occhi in modo enigmatico.
«Ma guarda come ti ha conciata Lugia» borbotto senza farmi sentire, fingendo disinteresse per l’arrivo di Ilenia. Fallisco miseramente nel mio intento - non che mi aspettassi chissà cosa da una pessima attrice come me: anch’io sorrido, con aria meno gentile di Ilenia e Sara, in modo molto più di sfida e deciso. Mi sembra di non sentire più alcun male alle gambe, come se l’arrivo della ragazza avesse risolto ogni problema - anche se non è affatto così, tant’è che non riesco ad alzarmi in piedi.
L’espressione di Ilenia cambia repentinamente appena vede che ho qualcosa che non va: abbandona Sara senza dirle una parola e corre verso di me, poi si china a terra e mi esamina le gambe. Mi siedo più compostamente e la guardo: i suoi capelli sono bianchi, lisci, corti fino alle spalle e tagliati in modo disordinato, ma il loro aspetto non è niente male. Sono arruffatissimi e le danno un look un po’ selvaggio. I suoi occhi sono rossi, come i miei quando uso i poteri, e le sopracciglia sottili blu. I lineamenti sono completamente diversi da quelli del suo vero aspetto: sono più affilati e maturi, ora ha gli zigomi più alti e non c’è più neanche una delle milioni di lentiggini che tanto mi piacevano. Ha la pelle chiarissima, come quella di Sara, ed è diventata incredibilmente alta - la corporatura, per il resto, è piuttosto magra, come prima. Se non sentissi chiaramente che la giovane donna che ho davanti è Ilenia, non penserei mai che sia la stessa persona che ho conosciuto e a cui ho voluto tanto bene.
«Cosa hai fatto per ridurti in questo stato?» sospira. La voce è rimasta uguale e questo mi riscalda un po’.
«Sono scappata da un paio di clandestini Victory sulla M/N Acqua, insieme a Sara e Hans» rispondo.
Ilenia si gira a guardare il ragazzo in questione, che quasi trasalisce alla vista di una persona che non sembra neanche del tutto umana. Gli chiede se è lui Hans e il biondino annuisce ripetutamente, un po’ nervoso: mi chiedo se la presenza di due Legami in forma materiale e del mio, ancora da ottenere, non stia producendo qualche effetto collaterale su di lui, totalmente nuovo a questa realtà che deve sembrargli ancora assurda, incredibile.
La ragazza Legata a Lugia si rivolge di nuovo a me, sospirando: «Mi auguro che le tue gambe siano migliorate almeno un po’ prima che arrivassi io.»
«Un po’, mi sto riprendendo» ribatto. Ilenia si alza in piedi ma un momento dopo mi stringe in un abbraccio che, per la sorpresa e per la sua forza, mi lascia momentaneamente senza fiato. Però mi ritrovo subito a sorridere dolcemente, sempre più felice ed emozionata di riavere accanto a me una delle persone che più mi stanno a cuore al mondo. Per certi versi mi sembra di essere a casa, o qualcosa del genere. Sicuramente ho la sensazione di essere completamente tornata in forze, ancor più di prima - ma le mie condizioni, in pratica, sono rimaste le stesse.
Ci vuole un po’ perché Ilenia molli la presa e lasci che l’aria circoli di nuovo nei miei polmoni: Hans si è curato di guardare altrove, imbarazzato, mentre io e lei ci ricongiungevamo dopo settimane di lontananza. Sara invece è l’esatto contrario del ragazzo: sorride appena ma è come se non gliene importasse granché di questo. Forse ora che c’è Ilenia si sente in dovere di muoversi, di agire, mentre io vorrei solo parlare con lei finché non esaurisco il fiato che ho in gola. Vorrei raccontarle dei progressi fatti, delle impressioni che ho avuto riguardo Ho-Oh dai veloci, sporadici contatti che lui è riuscito a realizzare, di cosa è successo alla base segreta in sua assenza e con chi ho parlato; o forse, e me ne rendo conto solo ora, vorrei soltanto dirle che mi è mancata da star male. Penso che queste poche parole siano più difficili da pronunciare rispetto al resto di cose che vorrei dirle.
Ile mi passa affettuosamente una mano tra i capelli, spettinati quanto i suoi - il che è tutto dire. L’impressione che mi dà è sempre quella di una sorella maggiore ma molto diversa dalla Ilenia che ho sempre visto in giro per la base segreta - e, ancor prima, per l’Accademia: nei mesi prima della sua partenza dava l’idea di essere molto meno matura e responsabile di quanto sembri ora, con questo viso così diverso. I suoi occhi rossi sono incredibilmente seri, non riescono a sorridere tanto quanto facevano prima, quando erano più piccoli e colorati di marrone e verde. Sono abbondantemente truccati con il blu, sia sulla palpebra mobile che su quella inferiore. L’unico momento in cui mi è sembrata davvero felice, in cui il suo sguardo è riuscito a far trasparire qualche emozione proprio umana, è stato dopo che ha sciolto l’abbraccio e mi ha sorriso davvero intensamente.
«Sara, non vi siete accorte prima della presenza nemica?» Il tono di Ilenia quando si rivolge a Sara è molto diverso da quello che usa con me. Nei miei confronti è molto più affettuosa e fraterna, protettiva, premurosa: con lei il rapporto non sembra essere alla pari, e la cosa mi stordisce un po’. Forse mi ci vorrà un po’ per abituarmi all’idea che Articuno sia, per così dire, sottoposta a Lugia, e che la stessa relazione si crei automaticamente - anche se potrebbe essere evitata - tra le loro Legate.
«No. Penso siano arrivati sulla nave clandestinamente, quando era già salpata. Ce ne saremmo accorte prima, altrimenti, anche perché Eleonora avrebbe avvertito delle presenze ostili.»
«E come avete risolto l’inconveniente?»
Sara fa un breve resoconto delle nostre azioni - di come abbiamo messo fuori gioco le reclute Victory e alcuni loro Pokémon, del fatto che ho rimosso dalle menti dei controllori della M/N Acqua i ricordi dello scontro e qualcos’altro. Nel frattempo Hans, inevitabilmente tagliato fuori da ogni conversazione, si interessa timidamente delle mie condizioni. Sorrido per i suoi tentativi continui, che a volte risultano un po’ seccanti ma che lo rendono davvero tenero e gentile: è un ragazzo dolcissimo e ingenuo. A pensarci bene, forse è proprio per questo che mi è naturale maltrattarlo un po’, prendendolo in giro, e le poche volte in cui tira fuori le unghie e fa battute alla Daniel non riesco a non ricollegarlo proprio a lui - e a sentire una fitta preoccupante nel petto.
Lentamente e con l’appoggio di Hans, mentre Sara e Ilenia programmano i nostri prossimi spostamenti, riesco a far muovere di nuovo le gambe. Il sangue riprende faticosamente a circolare e a scaldarle finché non sono in grado di reggermi in piedi - anche se mi fanno parecchio male: mi sembrano progressi considerevoli. Non avrei mai creduto, ad essere sincera, che il congelamento potesse essere così problematico, visto che non avevo mai sperimentato sulla mia pelle, in vita mia, qualcosa come questo. Però le ragazze non vogliono che mi sforzi subito così e dicono che è meglio che aspetti un altro po’ e mi riposi, perché appena sarò di nuovo relativamente in forma inizieremo a muoverci: cerco di insistere, ma sono irremovibili.
Il Sole fa in tempo a iniziare la sua discesa sull’orizzonte prima che si decidano a farmi fare anche soltanto una passeggiatina sulla spiaggia. Non è per niente gradevole affondare con tutti gli stivali nella sabbia umida e sottile, devo fare grossi sforzi per camminare e ora non è proprio il momento di mettere a dura prova le mie gambe. La volta celeste inizia a cambiare colore appena Sara e Ilenia acconsentono a farmi muovere. Ma evidentemente le mie aspettative erano fin troppo rosee, perché prima devono illustrare a me e a Hans, nei minimi dettagli, il viaggio che hanno pianificato basandosi sulla Missione Leggendaria svolta dalla Legata di Lugia.
«Ho speso parecchio del mio tempo qui a Johto cercando tracce del Legame di Celebi» esordisce, «ma ogni mio tentativo non è andato a buon fine. Ho dato per scontato che almeno una delle Bestie Leggendarie abbia creato un Legame, ma per trovarlo sei essenziale tu. O meglio, è essenziale che tu ottenga la forma materiale del Legame di Ho-Oh, così lui ci sarà sempre e ci darà subito qualche dritta.»
«Perciò adesso andiamo ad Amarantopoli?»
«Ora è meglio di no» ribatte Ilenia. «Ci teletrasporteremo domani, vi aiuterò io. Di notte non è una buona idea mettersi a cercare il proprio Leggendario: Amarantopoli pullula di Victory ed è meglio muoversi di giorno.»
Le mie sopracciglia si inarcano e spalanco gli occhi per la sorpresa. «Come mai la città è piena di Victory?»
«Già, è così» sorride, amareggiata, Ilenia. «La loro presenza costante mi ha convinta del fatto che, a parte te, ci sia qualcun altro Legato ad uno dei Leggendari di Amarantopoli, cioè ad una Bestia Leggendaria. Con Ho-Oh poco possono fare: sanno chi sei tu e soprattutto temono la potenza di lui, che probabilmente non esiterà a dare alle fiamme tutta la regione se si infuria nei confronti di qualcuno. E poi la Torre Campana è sotto il controllo dei nostri, che hanno una base nel Sentiero Ding-Dong e… be’, i loro metodi quando si tratta di allontanare il nemico non sono molto discreti. Ho notato più volte squadre intere che dovevano risolvere questioni con gli abitanti di Amarantopoli dopo scontri tra Victory, che comunque non demordono dal cercare di darci filo da torcere anche se sanno che Ho-Oh è praticamente irraggiungibile, e Forze del Bene. Rimozione di ricordi, ricostruzione di barriere, allestimento di protezioni solide per i propri territori, e così via. 
«Comunque, stavo dicendo… ci rimane la Torre Bruciata, esposta sia ai Victory che ai turisti. Probabilmente questi sono un pericolo di gran lunga maggiore dei nemici, visto che ficcano il naso dove non devono e si prendono sempre più spazio con le loro stupide visite guidate» borbotta; faccio un mezzo sorriso, sbuffando. «So che ho detto che ci serve il Legame di Ho-Oh per individuare con precisione quelli delle Bestie, però mi è stato chiesto, a dir la verità, di provare, inizialmente, quando ci sei soltanto tu, perché è possibile che eventuali Legami reagiscano anche con la tua sola presenza. Se il tentativo fallirà andrai a prendere la forma materiale del tuo Legame e poi torneremo, sperando che almeno una delle Bestie si sia messa in gioco.»
«Ma perché non possiamo andare a prendere il mio Legame e solo dopo andare a colpo sicuro?» chiedo. «Non capisco perché dovremmo perdere tutto questo tempo.»
Ilenia sospira. «Perché per ottenere la forma materiale del Legame può volerci del tempo, anche per imparare a gestirlo: è un afflusso enorme di potere in arrivo che deve abituarsi a un contatto costante con un corpo umano, e allo stesso tempo il Leggendario deve vivere in una condizione piuttosto scomoda dopo tantissimi anni passati nella sua forma normale, di Pokémon. Prima di tutto questo, però, bisogna essere messi alla prova.»
«Cioè?» chiedo, un po’ sconfortata - non credevo fosse tutto così difficile.
«Il tuo Leggendario vorrà sicuramente farlo: quando sarai nella Torre Campana dovrai affrontare degli ostacoli e superarli per procedere e arrivare dove solitamente appare Ho-Oh, cioè all’ultimo piano. È una cosa rituale, non è di particolare importanza per noi, visto che è evidente che tu sia la sua Legata… però bisogna farlo, e può richiedere del tempo. Possono volerci pure più giorni per completare la tua prova.»
Sbuffo, seccata per questa novità, che mi sembra solo un inutile impiccio. «Tu cosa hai dovuto fare per andare da Lugia? E quanto tempo ti ci è voluto?»
«Molto» sospira lei. «Gran parte del periodo che ho passato qui a Johto l’ho dedicato alla ricerca della Campana Onda e dell’Aladargento, e non è stato per niente facile trovarle. La Campana era custodita nella Tana del Drago, e i saggi anziani sono stati molto restii a donarmela, anche perché Lugia non si è mai rivelato e non potevo dare una dimostrazione della mia identità, ad esempio con i miei poteri, che ho ottenuto solo dopo aver incontrato Lugia e aver preso la forma materiale del Legame. Bellocchio è arrivato tempestivamente e mi ha autorizzata di persona, per fortuna. Poi ho dovuto cercare l’Aladargento: mi sono rivolta agli anziani della Torre Sprout che mi hanno indirizzata verso Fiorlisopoli, ma mi è toccato andare oltre: sono arrivata nel percorso 47, ho girato parecchio per la Grotta Falesia… ero tentata di andare alla Torre Occulta, quasi ero sicura che fosse nascosta lì, l’Ala… ma alla fine si trovava semplicemente in una stanza remota, molto ben nascosta, peraltro protetta da barriere firmate Forze del Bene. Dopodiché mi sono finalmente diretta verso le Isole Vorticose.
«Ho dovuto passarci più di un giorno, sottoterra. O meglio sotto il mare. Meno male che mi ero portata un bel po’ di cibo, anche se non avevo un grande appetito nel passare in quelle stanze e corridoi bui, umidi, chiusi… c’era una puzza di pesce…» Sia io che Hans ci mettiamo a ridere per la faccia accartocciata di Ilenia - la sua espressione schifata è davvero esilarante. «Vi assicuro che non sono mai stata peggio in vita mia, non dovreste proprio ridere delle mie disgrazie! Mi sembrava di non arrivare più al luogo d’incontro con Lugia. Ma alla fine, in un modo o nell’altro, quando persino Char che mi faceva luce con il fuoco sembrava essersi perso d’animo come me, siamo arrivati nella parte più mistica delle Isole Vorticose, l’enorme sala sotterranea con quella cascata spettacolare…» mormora con trasporto. Il suo tono pieno di sentimento mi fa venire i brividi: mi chiedo se avrò mai la possibilità di vedere questo scenario eccezionale, in futuro.
«E poi» riprende Ilenia con voce completamente diversa, molto più squillante, «è arrivata la parte nettamente peggiore della mia eroica impresa. È vero che la scomparsa delle Kimono Girls è stata una gran perdita, non si sa dove siano finite, non c’è alcuna traccia di loro né tra i nostri né nelle fila del nemico… se ci fossero state loro non avrei avuto tanto da fare per recuperare l’Ala e la Campana, dato che sono le loro custodi. Ma non potevo davvero immaginare quanto mi avrebbe addolorata la loro assenza, arrivata a quel punto!»
«Ma che…?» mormoro, stupefatta per le parole di Ilenia, che hanno lasciati interdetti anche Sara e Hans.
«Ho dovuto ballare!» Ilenia si mette le mani tra i capelli e china la testa, ingobbendosi tutta. Noi tre ci stiamo capendo ancor meno: forse si aspettava che scoppiassimo a ridere e la prendessimo in giro, perciò è un po’ meno disperata quando ci spiega: «Ho dovuto inscenare una danza rituale che normalmente dovrebbe essere svolta dalle Kimono Girls. Dovevo far rintoccare la Campana a intervalli regolari, far volteggiare l’Aladargento e riafferrarla mentre ballavo prima che toccasse terra… anzi che mi è riuscito tutto al primo tentativo!»
«Come hai ballato?» chiede puntualmente Sara, incuriosita, visto che la danza è la sua più grande passione. «Come facevi a sapere di dover ballare, e di doverlo fare in un certo modo?»
L’espressione di Ilenia si fa improvvisamente serissima, da che era giocosa nel raccontare le sue disavventure prima della riunione con Lugia. «Non lo so, mi hanno ispirata la Campana Onda e l’Aladargento. Non ricordo per niente i passi fatti… ho ballato su una piattaforma di fronte alla grande cascata. Una volta arrivata lì ho soltanto sentito che era necessario comportarmi in un certo modo e fare certe cose: tutto mi è stato chiaro all’improvviso e ho solo dato retta a quello che sentivo. È difficile da spiegare, ma credo che Lugia stesso mi abbia guidata, mentre provavo a ballare. Non so per quanto tempo ho fatto tutto questo, ma mi sembra che siano passate ore, prima che Lugia arrivasse infrangendo il muro d’acqua della cascata. A quel punto mi sono fermata, l’Aladargento si è polverizzata e la Campana si è spaccata a metà, e all’improvviso mi sono ritrovata dei vestiti assurdi addosso.»
Pian piano Ilenia è tornata a raccontare con un tono più allegro e in modo più colloquiale. «Avevo questa sorta di fascia, pure abbastanza stretta, che va più o meno da metà del seno fino al punto vita. Stava sopra a una maglia azzurra con decorazioni argentate, tutta unita a dei mezziguanti, sempre argento, ed era sopra anche a una specie di giacca… no, è più simile a un cardigan. È tutto bianco e ha delle maniche larghissime, con delle frange alla fine che mi ricordano le zampe di Lugia… e poi è piuttosto lungo, mi arriva quasi fino alle ginocchia. Poi avevo dei pantaloni bianchi e blu, ed ero scalza. Non riesco ad usare i miei poteri senza ritrovarmi addosso quella roba!»
In effetti Ilenia, sotto un lungo piumino scuro che avrà rimediato chissà dove, indossa i pantaloni cui ha accennato e non ha scarpe: i lunghi piedi affondano leggermente nella sabbia chiara. Le frange delle maniche sono piuttosto vistose e sembrano i petali di un fiore candido - petali parecchio mosci, in realtà. Ha anche i mezziguanti argentati che lasciano scoperte tutte le falangi.
«Immagino sia scomodo» mormora Sara.
La guardo con un’espressione interrogativa. «Ehi, ma perché tu non ti trasformi appena usi i poteri, e lo fai a tuo piacimento? E nemmeno a me succede!»
«Tu non hai ancora la forma materiale del Legame. Io… be’, a me l’ha data direttamente Articuno, visto che è stata lei a trovarmi e a difendermi, quella volta.» Allude all’episodio in cui lei e un altro gruppo di bambini avevano corso grossi pericoli con dei malintenzionati. «Ero ancora una bambina e, per sostenere il peso della forma materiale del Legame, Articuno mi aiutò a modificare il mio corpo dandomi quest’aspetto, quindi è come se fossi già parzialmente trasformata, simile a lei, e perciò non è strettamente necessario cambiare ancora. Nessuna persona al mondo nasce con i capelli bianchi striati di blu, né ha gli occhi che ogni tanto cambiano colore: è un segno distintivo, un marchio che segna che non sono del tutto umana, ma che c’è qualcosa che non quadra.»
Ha uno strano sorrisetto sulle labbra pallide e sottili. In risposta a quest’espressione io la guardo intensamente, mezza imbambolata - non riesco a distogliere lo sguardo. Sto ripensando alle sue parole: mi chiedo se Rayquaza si sia rivelato - o rivelata - a Oxygen quando lui era ancora un bambino, viste le sue caratteristiche fisiche: non solo i capelli di strano colore, cioè acquamarina, ma semplicemente il fatto che sia così dissimile dai suoi fratelli mi fa pensare che una volta sia stato più somigliante ai suoi fratelli. È anche vero però che il mondo dei Pokémon fin da subito mi è sembrato un’enorme tavolozza piena di colori di ogni tipo, quanto a occhi e capelli: suo fratello Argon li ha - o forse aveva, dato che è stato rapito dal Victory Team insieme a Kripton - grigi. Penso anche a Gold, che da quel che so ha sempre avuto i capelli blu, perciò chiedo a Sara spiegazioni.
«Gold si è sempre fatto la tinta, non lo sapevi?» risponde. Scuoto la testa e le faccio subito l’esempio di Argon, o di tutti i Capopalestra che mi vengono in mente. Alla fine di tutto ciò mi è chiaro che tinte per capelli, parrucche e lenti a contatto sono sempre in voga nel mondo Pokémon.
«Comunque, a parte descrizioni di vestiti, capelli strani e cose varie» cambio finalmente discorso, «io come faccio a incontrare Ho-Oh, se non ho né la Campana né l’Ala che servono per lui?»
«Si chiamano Ala d’Iride e Campana Chiara, capocciona» mi rimbecca Sara.
«Ci ho già pensato io per te, tesoro bello» mi risponde Ilenia fingendo di mandarmi bacini volanti. «Comunque sarebbe stato facile trovarle, erano custodite entrambe nella base segreta del Sentiero Ding-Dong. Non le ho prese per evitare di correre rischi, ma non ci sono problemi, vista la specie di fortezza che è quel posto: prima di andare da Ho-Oh, prenderai tu stessa l’Ala e la Campana.»
Annuisco. Come se me ne fossi dimenticata, rivolgo la mia attenzione a Hans: la sua espressione è attentissima, anche ora che abbiamo smesso di parlare. Appare molto preso dalla conversazione, anche per imparare qualcosa di più da quello che ci siamo dette, ed è stranamente rimasto in silenzio tutto il tempo, senza intervenire.
Ilenia ci intrattiene un altro po’ con le sue avventure per Johto, in cui si sono susseguiti incontri più o meno gradevoli, ma grazie alla sua squadra potentissima e iperallenata pare non abbia mai trovato grosse difficoltà sul suo cammino. Sembra che Char e la sua compagnia di draghi e Pokémon Fuoco siano in ottima forma: d’un tratto mi viene voglia di sfidare Ilenia in una lotta, ma altrettanto velocemente mi ricordo che non siamo in una qualsiasi base segreta e che daremmo fin troppo spettacolo, anche se ci troviamo in una spiaggetta racchiusa in una baia che la nasconde egregiamente, ed è un po’ distante pure dalla stessa Fiordoropoli.
È proprio in città che decidiamo di andare. Ilenia annuncia di aver rinunciato a convincere con i suoi poteri mentali i commessi dei negozi a regalarle nuovi vestiti ogniqualvolta finisce di usare i suoi poteri, ritrovandosi addosso gli strani abiti di cui ci ha ampiamente parlato; però ha urgente bisogno almeno di un paio di scarpe, non tanto per il freddo - che in questa forma neanche sente - ma per non dover camminare scalza. Inizialmente non le dispiaceva scegliere i vestiti che più le piacevano, ma non otteneva buoni risultati, visto che sparivano nel nulla all’improvviso. Le prime cose che dobbiamo fare, a parte prenderle delle scarpe, sono trovare un luogo in cui passare la notte e anche e soprattutto mangiare qualcosa, sperando che questo non ci riservi un altro incontro con i Victory. È preoccupante il fatto che abbiano rintracciato me, Sara e Hans così presto sulla nave: io non so spiegarmi come ci siano riusciti, non so se Ilenia e Sara abbiano qualche idea.
Le due camminano davanti a me e Hans, che fingiamo di interessarci alle vetrine dei negozi e ci guardiamo intorno, recitando la parte dei turisti - che non è molto efficace in pieno inverno in una cittadina di mare. Ci sono poche persone per strada e questo renderebbe l’aspetto sia di Ilenia che di Sara ancor più appariscente e fuori luogo, perciò la Legata di Lugia nasconde i capelli con il cappuccio del piumino, quella di Articuno fa lo stesso e, siccome sono più lunghi, li fa entrare tutti dentro la giacca, senza lasciar sfuggire alcuna ciocca.
Il tramonto sull’orizzonte di Fiordoropoli mi sembra quasi del tutto uguale a quello visibile da Aranciopoli. La sera è scesa velocemente, tra una cosa e l’altra, e ormai il cielo è scuro. Ci tocca perdere parecchio tempo in giro, a bighellonare, per colpa di Ilenia che si è impuntata sul fatto che dobbiamo andare ad Amarantopoli per forza con la luce del Sole. Nel frattempo passiamo da un piccolo bed and breakfast, siccome gli hotel sono tutti chiusi e pure più pericolosi di questi posti più piccoli, a detta di Sara. Ilenia si prende l’impegno di preoccuparsi di contattare il proprietario, una volta che ci siamo accertati che il locale è vuoto, e in un modo che non fatico ad immaginare riesce a rintracciarlo per incontrarlo di persona. Non le va di andare da sola e, prima che si metta a fare i capricci, affido Hans a Sara: i due ci aspetteranno praticamente davanti alla porta del bed and breakfast, visto che siamo tutti sicuri dell’esito dell’incontro, che sarà a nostro favore.
Il proprietario abita nelle vicinanze e non ci vuole molto perché si presenti al punto concordato. Mi è piaciuto molto il fatto che il potere della mente di Ilenia sia così sviluppato da funzionare anche a distanza e attraverso la cornetta di un telefono - abbiamo chiamato, da un telefono pubblico, il numero di cellulare lasciato su un cartello che segnala la presenza del bed and breakfast. Io e Ilenia non ci diciamo niente né durante il tragitto né mentre aspettiamo il tizio in questione: ci scambiamo occhiate d’intesa e numerosi sorrisetti, che penso valgano per mille parole. Molti dei miei sguardi le hanno detto che mi è mancata da morire.
L’uomo che arriva è di mezza età e non ha un’aria molto simpatica quando vede che a chiamarlo all’improvviso sono state una ragazzina e una sua amica, forse maggiorenne, che ha un cappuccio calato quasi fin sugli occhi in modo piuttosto sospetto. Ma proprio l’amica della ragazzina riesce a convincere il signore, senza che il diretto interessato se ne accorga, a darle le chiavi di due stanze doppie con il bagno in comune - il tutto gratuitamente, come c’era da immaginarsi. Finisce le sue raccomandazioni con un cordiale: «Grazie mille per la disponibilità! Si ricordi di non fare parola con nessuno del fatto che le stanze sono occupate e non fornisca descrizioni su chi le ha prese… e domani mattina si occupi lei di sistemare, grazie!»
Il propietario, tutto sorridente, conferma utilizzando le stesse parole di Ilenia e se ne torna a casa tutto allegro. «Anch’io sarei riuscita a manovrarlo in questo modo» commento.
«Immagino, ma io ci sono riuscita senza difficoltà, senza spendere energie e in modo sicuramente efficace, perché ho dei poteri psichici che i tuoi impallidiscono» ribatte candidamente, passandomi un braccio intorno alle spalle. È più alta di Hans e mi sento davvero tanto a disagio con una persona che sfiora il metro e novanta: mi mancano i giorni in cui mi superava di non troppi centimetri, quel tanto che mi bastava per rafforzare l’immagine che avevo - e avrei ancora - di lei di sorella maggiore.
«Sono già pallidi di loro…» borbotto mentre ci avviamo verso la nostra residenza per una notte.
Ci dividiamo in coppie, per quanto riguarda le stanze: Sara, che è la più esperta di tutti noi, difenderà il povero e vulnerabile Hans da ogni eventuale pericolo, mentre io e Ilenia ci daremo manforte. I suoi poteri sono molto più sviluppati dei miei ma credo sia solo perché ha la forma materiale del Legame.
Non sono per niente preoccupata per il ricongiungimento con Ho-Oh, ormai alle porte, ma non so spiegarmi tutta questa tranquillità da parte mia. Se c’è una cosa che mi agita parecchio, tenendomi sulle spine, è il flusso di energia che quattro Legati così vicini devono emanare: se Nike, suo fratello o qualunque Victory invischiato nella faccenda dei Legami passasse nelle vicinanze… non voglio immaginare le conseguenze. Sara mi ha detto, una volta, che si può nascondere la traccia lasciata dai Legati, che altro non è che l’aura, ma in ogni caso lei è la sola tra noi quattro in grado di farlo. Se anche Ilenia ci riuscisse saremmo già a buon punto: i due flussi maggiori, che scaturiscono dalle forme materiali dei loro Legami, sarebbero così non percepibili. Concentrandomi riesco a distinguere ogni aura di noi quattro, compresa la mia, e quelle più forti appartengono proprio a Sara e Ilenia.
Andiamo a dormire presto dopo aver fatto un salto nel bar più vicino al bed and breakfast, già decisi a partire il prima possibile, domani mattina, per andare ad Amarantopoli. E così sono già due giorni che mi tocca svegliarmi all’alba… ma forse stavolta Ilenia sarà più clemente della dispotica Sara e ce la prenderemo più comoda - per la gioia di quel dormiglione di Hans; anche perché non rischiamo di perdere nessuna nave.
Ci accorgiamo all’ultimo secondo di non esserci procurati un pigiama, ma credo che io e Hans siamo gli unici a cui dia fastidio l’idea di non averne uno. Ilenia dice che si toglierà la spessa cintura che le va dal seno alla vita e il cardigan - così lo chiamiamo per comodità, ignoranti in materia di kimono e simili. Sara non batte ciglio quando io e Hans protestiamo per il pigiama ma non specifica come passerà lei la notte, visto che ha dei jeans e un maglione, ed entrambi non sono buoni per dormirci. Immagino che sia lei che Hans si ritroveranno in mutande: mi trattengo dal ridere nel figurarmi il biondino, che tutto dev’essere meno che intenzionato ad approfittarsi della situazione. Per metterlo ancora più a disagio lo guardo nel modo più minaccioso che mi è possibile e gli mormoro: «Attento a te, perché se alle mie orecchie arriva qualcosa che non mi piace tu fai una brutta fine.»
Dopodiché gli sbatto la porta della camera mia e di Ilenia in faccia, lasciandolo con un palmo di naso quand’era lì lì per protestare, tutto rosso in viso. La mia compagna sta ridendo senza ritegno. «Ma quanto lo tratti male? Povero Hans, lo fai sembrare un bambino quando ti rivolgi a lui così!»
«Sembra un bambino anche normalmente» ridacchio, appoggiandomi alla porta con la schiena e incrociando le braccia. «Non posso farci niente, mi diverto troppo a prenderlo in giro. E poi non possiamo essere sicure del fatto che, sotto quella faccia da marmocchio, non sia un pervertito!»
«Ma dai, smettila! E poi è un ragazzo tanto caro. E bellino» aggiunge con un sorriso furbo.
«Allora passaci tu la notte con lui.»
«L’unica persona con cui voglio passare le mie notti sei tu, zuccherino
Seguono lunghi, teatrali secondi di silenzio. Non so dire quale sia la mia espressione in questo momento, ma Ilenia è distesa trasversalmente sul letto, a pancia in giù, e tiene il mento sulle mani intrecciate. Credo stia facendo un’espressione sensuale, e forse ci riesce benissimo, visto l’aspetto straordinario donato dal Legame; ma io non riesco proprio a vederla in questo modo. Poi lei sorride e mi fa: «Dovresti vedere la tua faccia in questo momento.»
«Eeehm…» Non so bene come rispondere. «Facciamo che fingerò che tu non abbia detto niente, va bene?»
«Ma guarda che sono seria, honey.» Sorride di nuovo, rotolandosi per mettersi supina e distendendo le braccia facendole passare accanto alla testa. «O forse volevo solo farti ridere.»
«Non è che ci sia riuscita benissimo» ribatto. «Quello zuccherino mi ha leggermente interdetta.»
Ilenia se ne esce con qualche altra stupidaggine delle sue - anche se sa meglio di me che il suo umorismo è quasi peggiore del mio, il che è tutto dire - e le battute ambigue si intensificano mentre mi tolgo i jeans: passerò la notte in mutande ma il maglioncino me lo tengo stretto. Non sia mai che nel levarmelo la situazione peggiori: Ilenia fa la scema per un altro po’ e mi tocca darle corda, finché, con il tempo che passa, le nostre conversazioni non prendono una piega più seria. Mi chiede se sia emozionata per domani, e anche a lei, come ho già fatto con Sara, dico che non lo sono per niente. Le parlo un po’ di Ho-Oh, della sua serietà che spero se ne vada via presto e del fatto che lo percepisca come un maschio: Ilenia dice che pure Lugia le si è presentato come maschile.
Dopo un po’ le chiedo: «Ho osservato un po’ te e Sara mentre parlavate e ho avuto una sensazione stranissima nel vedere lei così… non so, diciamo docile, visto che Lugia è a capo del trio di cui fa parte Articuno. E anche tu mi sembravi molto diversa da come ti rivolgi a me. Ho intravisto chiaramente il tipo di rapporto che c’è tra te e Sara ma questo mi ha anche stupita, perché non vi ho mai viste parlare in questo modo. Con me invece sei amichevole come sempre, e recuperi tutte le battute idiote che con Sara non ti metti a fare.»
Ilenia ridacchia. «Stai immaginando quello che vivrai anche tu se troverai un Legato di una Bestia, vero?» Annuisco: mi aspettavo che Ilenia mi capisse subito. Scrolla le spalle magre e continua: «Purtroppo è inevitabile cambiare il modo di rivolgersi a qualcuno dopo che un Leggendario convive con te. Io credo che tra me e Sara non sia successo niente di che, prima non eravamo troppo in confidenza. Figurati tu, che probabilmente ti ritroverai ad essere, involontariamente, il punto di riferimento di un perfetto sconosciuto, o di due o di tre!»
Annuisco, stendendomi accanto a lei. In effetti, ora che ci penso, non credo che Ilenia e Sara si frequentassero granché: all’Accademia si conoscevano un po’, ma i loro rapporti devono essersi fatti quasi del tutto superficiali con la divisione tra gruppi al Monte Corona. Mi giro verso Ilenia e scatto a sedere di colpo, spalancando gli occhi. 
Ha tirato fuori, da sotto la maglia azzurra e argento, la forma materiale del Legame, la cui apparizione fisica - non l’avevo ancora visto - mi ha scombussolata, tutto d’un tratto. È un piccolo cilindro di vetro, con le basi d’argento, al cui interno vive un vortice d’acqua, in continuo movimento grazie ad una corrente d’aria. È attaccato a una collanina con la corda dello stesso metallo del cilindro. La presenza di Lugia ha prodotto un effetto non indifferente su di me, insomma, ma credo sia stata la parte di me più vicina a Ho-Oh a reagire così bruscamente. Fosse stato per la parte ancora vicina al mondo umano, mi sarei “semplicemente” emozionata, come farebbe qualunque individuo alla vista di un oggetto Leggendario, o di un Leggendario stesso.
Ilenia sorride in modo strano, senza allegria né dolcezza, che sono le espressioni che è sempre pronta a dedicarmi. Sono pronta a scommettere che i miei occhi si siano repentinamente tinti di rosso.
«Che bello» mormoro con voce atona, anche se le mie palpebre sono ancora spalancate, a dispetto del tono.
«Già» replica semplicemente lei.
Ci vuole qualche secondo perché mi sdrai di nuovo - ovvero perché Ho-Oh si calmi definitivamente. Non mi trattengo dal pensare che abbia rovinato, con questa sua reazione incontrollata, la serata con una delle persone che più mi stanno a cuore. Ci mormoriamo a vicenda “buonanotte” e poi spegnamo le luci, immergendoci nel silenzio e nell’oscurità.

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Capitolo 7
*** VI - Chi non muore si rivede ***


VI
Chi non muore si rivede

Ilenia può teletrasportare una persona per volta a parte sé stessa, esattamente come succede per i Pokémon, a meno che, in cambio di un notevole e improvviso dispendio di energie, non si faccia carico di due passeggeri. Non possiamo permetterci che uno dei membri più validi del nostro gruppo si affatichi troppo, perciò la prima ad essere accompagnata nei pressi di Amarantopoli con questo mezzo tempestivo è Sara; dopodiché Ilenia si prende anche Hans e, per finire, me.
Il teletrasporto è piuttosto soffocante e sgradevole ma fortunatamente dura poco: dopo alcuni secondi di apnea si apre davanti ai miei occhi lo scenario di un percorso bianco di neve nel mezzo di un bosco completamente spoglio. Appena poggio i piedi a terra mi ritrovo a barcollare e finisco addosso a Hans, che sfortunatamente si trova accanto a me: per poco non cadiamo a terra tutti e due, come nelle gag più squallide e prevedibili. Ritrovo velocemente l’equilibrio e passo a Ilenia il suo impermeabile, che ha evitato di tenersi addosso mentre usava i suoi poteri, perché altrimenti l’avrebbe visto sparire per sempre. Sara le porge scarpe e calzini ma la ragazza, scalza, inizialmente non si cura di questo dettaglio e prende le sue cose solo dopo un po’.
Ci troviamo nel percorso 37, sotto Amarantopoli, immerso in un’enorme selva situata tra Violapoli, le Rovine d’Alfa, il Parco Nazionale di Johto e la nostra meta, a nord. Questa strada e il percorso 36 sono del tutto preclusi alle macchine e ad altri mezzi di trasporto: tutti se li fanno a piedi, nella bella stagione, per godersi il verde del bosco. Ora che è inverno dev’essere del tutto deserto: non percepisco nessuno nelle vicinanze.
Siamo in prossimità dell’entrata di Amarantopoli: mi basta voltare la testa per vedere i variopinti cancelli antichi che segnano l’ingresso nel territorio cittadino, che deve distare al massimo un chilometro. Mi metto a fantasticare su ciò che vedremo in città mentre Ilenia spiega i nostri prossimi spostamenti, come se credessi di poter prevedere quali saranno; nel frattempo Sara si è trasformata e il suo aspetto è nello stadio intermedio tra quello più umano e quello più vicino al Legame. L’ha fatto perché i suoi capelli bianchi e blu sono fin troppo conosciuti, così come il suo viso, tra quelli del Victory Team; solo due persone in tutta l’organizzazione nemica hanno visto queste altre sue sembianze, e in ogni caso coprirà i capelli azzurri con il cappuccio della giacca - che ho momentaneamente tenuto io per evitare che la perdesse, esattamente come ho fatto con Ilenia.
«Per non far riconoscere te» mi addita lei quando ci addentriamo nell’argomento “girare per Amarantopoli in incognito”, «ho preso questa bella mascherina da malato terminale, un paio di occhiali e una parrucca. Così sarà come se avessi il raffreddore e fossi un topo di biblioteca che non cura i suoi capelli.»
«Non voglio conoscere i mezzi adottati per procurarteli» mormoro mentre prendo il mio “travestimento”. La mascherina è una di quelle che si usano in ospedale, le lenti degli occhiali - non manco di protestare con Ilenia che ne ha rubato un paio con la montatura enorme - sono semplicemente di vetro e la parrucca è a dir poco terrificante. È una matassa di capelli rossicci, gonfi e plasticosi, cui vorrei dar fuoco almeno in parte per ridurne il volume e la lunghezza, ma ho la sensazione che sia di un materiale infiammabile o che potrebbe, peggio ancora, esplodermi in mano: non ha per niente un aspetto rassicurante. In qualche modo riesco a nasconderla tirando su il cappuccio della giacca nera che ho preso da Hans - o meglio, che lui mi ha portato quando ci siamo visti per la prima volta.
Ci avviamo verso Amarantopoli dopo aver riassunto il programma della giornata: andremo alla Torre Bruciata in cerca di Legati delle Bestie Leggendarie; se falliremo andremo alla Torre Campana - dopo essere passati dalla base segreta nel Sentiero Ding-Dong - e il prima possibile, dopo che avrò ottenuto la forma materiale del Legame, ritenteremo con le Bestie sperando di ottenere buoni risultati.
Man mano che ci avviciniamo sento il mio battito cardiaco farsi più veloce per l’impazienza di arrivare: ho un’improvvisa voglia di correre e oltrepassare i bei cancelli. Non mi ci vuole molto per capire che tutto questo desiderio di trovarmi ad Amarantopoli è dovuto a Ho-Oh, all’effetto del Legame, ma non appena entriamo in città mi rendo conto che c’è qualcos’altro sotto. Il primo passo mosso nel territorio di Amarantopoli mi fa realizzare che mi sento a casa: mi ricordo com’è stato tornare per un po’ - pochissimo - a Nevepoli dopo i mesi all’Accademia, e la sensazione di familiarità e felicità di quella volta non è niente in confronto all’ondata di calore e di benessere che mi travolge ora. Non voglio soltanto correre, voglio sorridere e ridere, per quanto la cosa possa sembrare strana a chi mi sta intorno: non posso farci niente se sono improvvisamente preda dell’euforia…! Dovrei contentermi ma lo faccio a fatica, è un’emozione grandissima e da un momento all’altro potrei scoppiare in una risata all’apparenza immotivata, dovuta a questo sentimento di essere rimpatriata dopo anni di esilio dalla mia città natale.
Per di più, Amarantopoli è meravigliosa - e meravigliosamente deserta, all’alba, quindi posso guardare quasi con avidità ogni centimetro e ogni angolo delle vie che percorreremo mentre andiamo alla Torre Bruciata. Alcune zone di periferia che attraversiamo camminando a passo svelto - con sommo dispiacere di Hans - sono tutte piene di cemento e di appartamenti anonimi e semplici; ma via via che ci addentriamo nella città, le case si fanno sorprendentemente variopinte, piccole e basse - avranno al massimo quattro piani, ma nella maggior parte dei casi sono a due piani o per una sola famiglia. Il Teatro di Danza, celeberrimo, conosciuto in tutto il mondo, fa capolino tra le innumerevoli case con i suoi colori caldi e accesi. È una gioia per gli occhi guardarsi intorno: le costruzioni si fanno più antiche e tradizionali, l’ambiente è perfetto per i “vestiti assurdi” di cui si lamenta Ilenia e che ha pure Sara. Chissà come saranno gli abiti che mi spetteranno con la forma materiale del Legame di Ho-Oh? Trovo che i loro siano molto belli, averne di una foggia simile non mi dispiacerebbe affatto.
La Torre Campana svetta, non troppo in lontananza, a nord della città, dove questa pone i suoi confini e lascia spazio al Sentiero Ding-Dong e alla foresta di aceri rossi e dorati, attrazione unica di Amarantopoli. Vederla non accresce la sensazione di essere a casa: piuttosto mi mette sotto pressione, come se lì, sulla sua cima, mi aspettasse un giudizio incredibilmente gravoso e temuto. Una nota di agitazione rovina la mia meraviglia per lo spettacolo offerto da ogni via della città, ma riesco a distrarmi appena intravedo la Torre Bruciata. Sarà alta la metà della meravigliosa gemella al suo fianco, peccato però che lo sia soltanto perché arroccata su una collina. Solo due piani, infatti, sono sopravvissuti all’incendio di centinaia di anni fa. Mentre la Torre Campana è coloratissima e sembra brillare di luce propria, la Bruciata è diventata incredibilmente scura, nera, a causa del fuoco.
La prima delle due è inglobata all’interno di barriere gigantesche e potentissime, che noi Legati riusciamo a vedere - Hans no, perché non ha la forma materiale e Jirachi non si è nemmeno rivelato. Stando alle descrizioni di Ilenia sulla base segreta del Sentiero Ding-Dong, essa è una vera e propria fortezza e uno dei più importanti covi delle Forze del Bene. Riesce a gestire queste barriere incredibili, a contrastare la minaccia costante dei Victory e a proteggere il complesso delle due torri e del Sentiero; l’addestramento alla base segreta del Monte Corona deve sembrare ridicolo a chi lavora stabilmente qui. I quartieri nel Monte, nel Sentiero Ding-Dong, nella Fossa Gigante e in tutti i luoghi appartenenti alle Forze del Bene legati a dei Leggendari sono indubbiamente i migliori e i più impegnativi in cui lavorare. Il Sentiero è più esposto del Monte Corona, ma la base di quest’ultimo è andata perduta con un solo attacco dei Victory, mentre quella di questa città resiste fin quasi a farli demordere. Forse però non si troverebbe in buone condizioni neanche questa se all’aggressione nemica partecipassero anche i Comandanti gemelli, che sono convinta abbiano fatto la maggior parte del lavoro, quella volta.
Di tanto in tanto Ilenia, mentre camminiamo, rivolge cenni di saluto a persone a me perfettamente sconosciute e che mi sembrano anche assolutamente normali, ma mi è chiaro subito, da questo suo atteggiamento, che sono uomini della nostra organizzazione che hanno riconosciuto il suo viso e i suoi occhi rossi truccati di blu oltremare. Passa il tempo e il Sole si alza sempre più nel cielo - Amarantopoli è comunque una grande città, anche se non popolosa né esageratamente estesa. Non mi sembra di vedere persone sospettabili di appartenere al nemico sui nostri passi, ma se i nostri alleati riescono a confondersi così bene tra gli abitanti di Amarantopoli - che stanno scendendo per le strade, ora che si è fatta mattina - non vedo perché non dovrebbero riuscirci anche i Victory.
Prima di addentrarci nel territorio delle torri, in particolare di quella Bruciata, facciamo velocemente colazione - come al solito senza pagare un centesimo di dollaro: ormai quella di Ilenia è diventata un’abitudine. Hans, sempre puntuale con le sue domande, ci chiede se sappiamo dove stiamo andando e perché non veda neanche l’ombra di una torre, perciò gli ricordiamo che dal punto di vista della faccenda delle barriere è ancora un misero comune mortale. Probabilmente sarà un po’ sgradevole per lui dover passare attraverso di esse per forza, ma l’ha già fatto una volta - peraltro senza nemmeno accorgersene.
Quando abbiamo finito e il caffè ha avuto effetto - soprattutto su di me, ci dirigiamo verso la Torre Bruciata. Mi aspetterei di percepire qualcosa, se ci fossero tracce di un Legame nella zona, ma non mi sembra di sentire nulla. È ancora presto per parlare ma sono impaziente di trovare questo Legato o questi Legati - se ce n’è - per poi andare dal mio Leggendario: è da fin troppo tempo che aspetto questo giorno.
Una lunga scalinata di gradoni rocciosi, anneriti anch’essi dalla fuliggine - che forse nessuno, per mantenere viva la storia dell’antica costruzione, ha mai voluto seriamente pulire, ci divide dall’ingresso, che consiste in una porticina di legno assolutamente consona, quanto a condizioni, materiale e stile, al resto della Torre. I turisti sono onnipresenti ma per fortuna in questo periodo dell’anno non c’è quasi nessuno, se non qualche gruppetto di persone perlopiù anziane, silenziose e riservate. Ci rivolgono pochi sguardi fugaci, forse interessati nel vedere un quartetto di giovanotti deciso ad avventurarsi nella Torre Bruciata in una rigida mattina di gennaio, ma tornano praticamente subito a badare ai fatti loro. Dobbiamo comunque assicurarci di essere completamente da soli e in pace all’interno della Torre Bruciata, ed è quello di cui Ilenia si vuole occupare.
Sostiamo per qualche secondo all’entrata, osservando l’ambiente circostante. L’odore acre del fumo impregna l’aria e il legno, tutto, senza difficoltà, e forse io che sono vicina al fuoco lo sento anche più intensamente degli altri - oppure è solo una mia idea perché mi sento molto in soggezione. Pochi metri di pavimento ci separano da una voragine che ha fatto sparire gran parte di esso, lasciandone intatte, ma irrimediabilmente rovinate, solo alcune parti. Gruppetti di turisti infreddoliti - il vento entra dal soffitto sprovvisto di tetto - scattano fotografie a qualsiasi angolo annerito della Torre e camminano lentamente e con cautela.
Mentre Ilenia parte in direzione di qualche visitatore, Sara mi dà una leggera spintarella per farmi riscuotere da un piccolo momento di vuoto nella mia mente. Mi giro di scatto verso di lei, che sorride appena. «Tutto a posto?»
Annuisco soltanto, e lei prosegue: «Adesso Ile ci lascerà campo libero, ma è comunque meglio fare in fretta. Se riuscissimo a concludere la faccenda entro un’ora o due non sarebbe male.»
Ilenia passa da un gruppo all’altro di turisti e in breve li persuade ad abbandonare ogni progetto di visitare la Torre, raccontando qualche scemenza e sfruttando il potere della mente per convincerli. Il vero problema, però, sono le persone che potrebbero entrare tra poco: la ragazza si pone in prossimità dell’ingresso e decide di erigere una barriera, di natura simile a quelle che separano il mondo Pokémon da quello umano, che allontani chiunque abbia intenzione di avvicinarsi e perciò tenga alla larga i turisti desiderosi di visitare questo incredibile edificio. Prima di mettersi in azione ci avvisa: «Non so quanto riuscirò a reggere. Non per mettervi pressione, ma da un momento all’altro, passata forse un’ora, ma anche meno, potrei allentare la presa per la fatica.»
Hans, preoccupato dalle condizioni precarie della Torre, va a far compagnia ad Ilenia, che sembra contenta per questo, e si nasconde con lei dietro alla porta. Lei chiude gli occhi, congiunge le mani davanti al viso e dopo un paio di secondi apre le braccia; un muro luminoso si allarga dalla sua figura e le due estremità, dopo aver tracciato il perimetro della Torre, si ricongiungono dalla parte opposta del piano. La barriera smette di splendere e diventa più simile a una cupola di vetro. Io e Sara ci scambiamo un veloce sguardo e ci incamminiamo a passo svelto.
Scendiamo una rampa di scale e, appena metto piede al piano inferiore, sento subito che qualcosa nell’aria è cambiato. Non so descrivere questa sensazione ma immediatamente scatto all’erta: Sara lo nota e si prepara a seguire ogni mio movimento, senza parlarmi né fare rumore per non distrarmi. Prima di scendere qui, anche sforzandomi al massimo, non percepivo niente, nessuna aura né traccia di un Legame che non fossero quelle dei miei compagni - e la mia. Ora dovremmo essere soltanto io e Sara ad emanare l’energia di un Legame e il resto dell’ambiente dovrebbe permearsi appena delle nostre aure. Invece dev’esserci qualcun altro, assolutamente non un comune mortale - come direbbe Bellocchio, che elettrizza l’atmosfera del buio piano sotterraneo della Torre.
«Non vedo nessuno» mormoro.
«Però avverti qualcosa, no?» Annuisco. «Allora prenditi il tempo che ti serve e fa’ quello che devi.»
Tra Ilenia che già da qualche minuto sostiene la barriera e la mia naturale, innata impazienza, il tempo che mi serve vorrei fosse poco. Il pavimento, stavolta di pietra, saltato in più punti e con numerosi massi ad ostruire il passaggio, è scuro e aiuta il buio a diffondersi per tutto il piano: quello in cui si trovano Hans e Ilenia è molto più in alto - la scala di legno per cui Sara ed io siamo scese era lunghissima, e mi dava poca sicurezza.
Inizio a muovermi, scavalcando i massi che ostacolano la nostra strada. Il piano va in depressione, attraverso gradoni e scalette di pietra, fino al centro, in cui si trova un piccolo spiazzo quadrato. Appena lo noto capisco che è quello il punto a cui dobbiamo arrivare prima che la situazione si faccia più chiara.
Il silenzio è terribilmente opprimente e i nostri passi risuonano in modo inquietante, rendendomi più vigile e tesa che mai. Guardo in continuazione l’orologio al mio polso e, anche se è trascorsa giusto una decina di minuti, non posso fare a meno di sentir crescere la fretta e una preoccupazione quasi morbosa nei confronti di Ilenia. Affretto il passo e Sara si vede costretta ad improvvisare una corsetta per starmi dietro, mentre salto da un masso all’altro con l’aiuto dell’aerocinesi e faccio rapidamente lo slalom tra i vari ostacoli sul nostro cammino. Non se ne lamenta, anzi, credo sia contenta di vedere che sto reagendo così decisamente alla presenza di un Legame.
I miei occhi si spostano veloci da un angolo all’altro del piano e più volte rischio di non vedere persino grosse pietre, su cui vado a sbattere un paio di volte, facendo ridere allegramente Sara e temendo di rovinare tutto. Sto cercando qualcuno, una Bestia o il suo Legato, e l’ultimo dei miei problemi è vedere dove metto i piedi, anche se corro il pericolo di finire lunga distesa per terra. Però sembra proprio che non ci sia nessuno nei dintorni. Di certo l’oscurità diffusa per tutto l’ambiente non aiuta affatto.
Mi pare di arrivare allo spiazzo quadrato al centro del piano dopo un’eternità. Ho pure un po’ di fiatone - non quanto Sara, che sembra essersi sforzata parecchio: aspettiamo un attimo, chinate e con le mani sulle ginocchia, per regolare il respiro e tranquillizzarci. Mi sembrava, infatti, di essere in pericolo al di fuori di quest’area magica circoscritta nel terreno: la suggestione mi fa brutti scherzi.
Mi sposto al centro esatto del quadrato e percepisco molto più intensamente le tracce di un Legame. Ora è come se l’aria intorno a me sfrigolasse, scoppiettasse qua e là all’improvviso: mi sento su di giri. Sara si è fermata un gradino più in alto di me e avverto il suo sguardo penetrante e profondo ben fisso su di me: segue ogni mio spostamento e cerca di decifrare le espressioni del mio viso. Ho gli occhi piuttosto spalancati e le sopracciglia ben inarcate: la mia faccia sembra comunicare sorpresa, più che attenzione. Non mi aspettavo, in effetti, che d’un tratto e per due volte - quando siamo scese sul piano e appena mi sono messa al centro dello spiazzo - l’intensità del Legame di una Bestia si sia moltiplicata così tanto. Immagino sia un buon segno.
Continuo invano a guardarmi intorno, senza la collaborazione di Sara che mi osserva quasi con severità. Non vedere niente mi sta facendo innervosire: sono stanca di percepire e basta, vorrei che anche i miei occhi fossero soddisfatti - qualsiasi cosa, ora come ora, mi andrebbe bene, anche il più piccolo movimento della presenza che sto percependo: l’essenziale è che le sue tracce non siano solo nella mia mente ma anche nel mondo materiale.
«Pensi che serva la forma materiale per proseguire le ricerche?» chiedo ad alta voce a Sara. C’è un po’ d’eco e la mia domanda si ripete per un paio di volte, risuonando per tutto il piano, costituito da un’unica stanza.
«Fatti venire qualche idea migliore» ribatte lei seccamente. «Se hai trovato qualcosa così facilmente non penso ci voglia molto di più per far uscire allo scoperto la Bestia in questione - o le Bestie.»
Non le rispondo e dopo un po’ mi chiede se abbia qualche idea sull’identità del Legame. A giudicare dalle strane sensazioni che mi hanno trasmesso le sue tracce, che però sono per natura simili a quello che ho con Ho-Oh, le dico: «Sicuramente non è Suicune. Questo straccio di aura è troppo… caldo, agitato… ed elettrizzato. Troppo per essere di un Pokémon come Suicune. Forse… Raikou?»
Un campanello suona nella mia mente appena pronuncio questo nome. Mi blocco per un attimo, irrigidendomi, e subito capisco che aver chiamato a voce alta il Pokémon è stato sufficiente perché questi rispondesse, sentendosi forse chiamato in causa. Non è successo nessuna delle due volte in cui ho proferito il nome dell’altra Bestia. Alla fine mormoro, certa di aver capito: «Deve essere lui. Raikou.»
Una leggera scarica elettrica mi percorre la spina dorsale, senza farmi reagire visibilmente. Sara non dice nulla, quando la guardo annuisce e mi fa: «Ora vediamo di farlo uscire allo scoperto.»
Credo di avere una mezza idea su come richiamarlo nella Torre Bruciata e Ho-Oh mi aiuta prontamente a realizzare i miei progetti. Mi lascio guidare da lui per quanto riguarda i movimenti, ma ero già decisa a tracciare dei disegni di fuoco per tutta la stanza come per evocare il Pokémon Elettro. Lui li rende precisi, li conosce, sa cosa si deve fare per portare Raikou da noi: guida le mie braccia in movimenti circolari e anche le dita mentre giro lentamente su me stessa, sempre stando ai suoi comandi, perché visualizzi meglio il resto del piano e riesca a tracciare un disegno in tutta la stanza. Inizialmente non succede nulla, sembra che stia ballando sommessamente, quasi con discrezione e riservatezza; appena mi fermo, però, tutto il pavimento del piano viene attraversato da sottili linee luminose, bianche, da cui poi sprizzano fiamme arcobaleno. Fuoriescono sempre più alte, creando come delle pareti sottili.
Sarà passato un lungo secondo dalla nascita del fuoco, che divide in sezioni circolari e non il piano, quando risuona un potente ruggito, non so se soltanto nella mia mente o se lo sente anche Sara. Mi giro di scatto verso di lei e la vedo tesa: deve averlo udito. Il vento proveniente dal tetto della Torre si intensifica improvvisamente e ci fa turbinare i capelli; la luce donata dal luminoso fuoco arcobaleno si affievolisce per un attimo.
Dopodiché un lampo, un fulmine vero e proprio attraversa il mio campo visivo e, come se si fosse aperto, senza che me ne accorgessi, un portale, appare Raikou a pochi metri di distanza da me. La Bestia ruggisce con veemenza in mia direzione: sosta un gradone più in alto di me e mi squadra dalla testa ai piedi, con occhi severi e ostili. Ha un portamento fiero, tiene una delle zampe anteriori più avanti dell’altra, e il collo ben disteso. Il fuoco arcobaleno che decora la stanza si riabbassa leggermente.
Non ci metto molto a trovare le parole con cui presentarmi a Raikou, anche perché è Ho-Oh a parlare attraverso di me, rivolgendosi direttamente a lui - o lei. «È da tanto che non ti fai vedere, nevvero, Raikou?»
Non so come sia possibile ma subito dopo, scuotendo la testa, scaccio letteralmente il Leggendario da me stessa e lascio che la domanda indirizzata alla Bestia cada in sospeso. Non ho mai fatto niente del genere ma Ho-Oh non protesta, non mi rimprovera in alcun modo, stranamente. Chiedo a Raikou: «Dov’è il tuo Legato?»
La mia domanda non fa in tempo a concludersi che un secondo fulmine percorre la stanza allo stesso modo del lampo da cui si è presentata la Bestia. Alla sua destra si apre un altro portale che si dissolve immediatamente, giusto il tempo di buttar fuori il Legato di Raikou.
È un ragazzo che dovrà avere la mia stessa età. Non è troppo alto - certamente lo è più di me - e il bel kimono che indossa - simile a quello di Ilenia quando si trasforma, con un modello “maschile” che prevede pantaloni larghi e morbidi, colorato soprattutto di nero e oro con parti bianche e grigie - non mi fa capire il suo tipo di fisico. Ha i capelli lunghetti, spettinati, sono biondo cenere; i suoi occhi grandi e plumbei spiccano sulla sua carnagione abbastanza chiara. Appena il suo sguardo incrocia il mio - è andato subito a cercare una corrispondenza - inarca le sopracciglia e sorride ampiamente, palesemente pieno di gioia, di piacevole sorpresa.
«Eleonora!»
È già saltato dal gradone per venirmi incontro, atterrando con grazia sullo spiazzo quadrato in cui mi trovo io. Sembra volersi trattenere dall’abbracciarmi o anche solo dall’avvicinarsi di un altro passo: si ferma con riluttanza ma subito dopo riprende a sorridere, arrossendo immediatamente in viso.
Ho già sentito la sua voce da qualche parte, molto tempo fa. Non riesco a ricordare dove, perché, non riesco a farmi un’idea su chi possa essere questo ragazzo, né perché conosca il mio nome o perché io debba conoscere lui. I miei lunghi momenti di perplessità lo imbarazzano un po’ e fa per ricordarmi chi è, ma l’illuminazione mi arriva gentilmente da Ho-Oh. Ora sono sbalordita mille volte più di lui.
«Tu sei Luke
Il mio strillo deve aver raggiunto pure Hans e Ilenia al piano di sopra - ma con ogni probabilità anche l’esterno dell’edificio, vista la voce acuta e forte che ho fatto, basita come sono. Il mio infinito stupore è più che giustificato, visto che Luke lo credevo morto per mano dei Victory da ormai un anno.
Per qualche secondo non facciamo altro che guardarci negli occhi e basta, sotto lo sguardo meravigliato di Sara. Prima che il ragazzo possa aprire bocca, istintivamente gli vado incontro e lo abbraccio con forza: gli ci vuole un po’ per rendersi conto che sarebbe carino ricambiare, quindi mi stringe anche lui, ma con meno decisione rispetto a me - che sicuramente lo sto stritolando. Lo lascio respirare dopo qualche istante e lo guardo con attenzione, tutta sorridente come una scema: i miei occhi vanno dall’alto al basso della sua figura, come se avessi ancora bisogno di accertarmi di non star vedendo il fantasma di una persona morta.
«Sei vivo» mormoro infine. Gli parte una risatina nervosa e fa un passo indietro, senza rispondere. Allora gli domando: «Non posso crederci… sei pure un Legato!»
«A… anche tu» replica semplicemente.
Capisco subito che non sarà per niente facile fargli dire più di due parole per volta. Mi inquieta un po’ il fatto che mi fissi e basta, in continuazione: non ha degnato Sara di uno sguardo. In effetti non sono neanche sicura che abbia mai saputo il mio nome: non credo di averglielo detto quando tentammo di sfuggire ai Victory. Gli chiedo, decisa a tornare da Ilenia il prima possibile: «Anche Entei e Suicune hanno un Legato, che tu sappia?»
Lui scuote la testa. «Soltanto io. Ma quindi tu… eh, tu, hai un Legame.»
La sua difficoltà a parlare mi fa sorridere in modo perplesso. «Sono Legata a Ho-Oh. Se ci assicuri che né Entei né Suicune hanno creato un Legame, allora direi che possiamo andar via di qui e dirigerci alla Torre Campana.»
Non si è nemmeno accorto del fatto che abbia parlato a nome di più persone, che abbia usato il “noi”; piuttosto, interviene lo stesso Raikou. Il suo sguardo è meno ostile ma comunque severo e distante. La sua voce profonda e cupa si fa strada nella mia mente. “Sei venuta qui senza neanche la forma materiale del Legame?”
Annuisco, e la Bestia socchiude le palpebre in un’espressione che non saprei se definire di sospetto o di freddo stupore, come se non volesse credere di essere stato chiamato in mancanza della presenza del suo superiore. Poi il suo sguardo si posa su Sara, che è nello stadio somigliante ad Articuno già da quando siamo entrati in città: la collana con il fiocco di neve e il cristallo di ghiaccio brilla, illuminata dalle fiamme arcobaleno. Solo adesso Luke si accorge di lei e quasi sobbalza per la sorpresa. Le sue reazioni a tutto ciò che lo circonda mi straniscono un po’.
«Io sono Sara, Legata ad Articuno» sussurra lei per presentarsi, sorridendo in modo enigmatico. L’imbarazzo costante di Luke, l’espressione di Sara e Raikou così distaccato mi mettono un po’ a disagio: sento che l’atmosfera si è fatta particolarmente tesa. È proprio il momento di ricongiungersi con Ilenia e Hans.
«Dobbiamo lasciare la Torre» annuncio. «C’è una base segreta delle Forze del Bene, la nostra fazione, proprio nel Sentiero Ding-Dong. Ci stabiliremo lì, poi io personalmente salirò sulla Torre Campana per trovare Ho-Oh.»
“Perché mai dovrei ridurmi a prendere ordini da una ragazzina?”
La voce di Raikou si sente chiaramente in tutte e tre le nostre teste. Io rimango attonita, così come Luke, mentre Sara assottiglia lo sguardo e si avvicina alla Bestia in modo quasi minaccioso. Un momento dopo, però, la mia espressione diventa anche peggiore di quella severa e freddissima della Legata di Articuno: i miei occhi si sono certamente tinti di rosso per segnalare la presenza di Ho-Oh, che ha preso momentaneamente il mio posto e mi fa dire, con una voce talmente gelida e grave da non sembrare la mia: «Ricordati qual è la tua posizione, Raikou, e non ripetere i tuoi errori.»
Luke mi fissa con le palpebre così spalancate che mi stupisce che i suoi occhi grigi non abbiano abbandonato il loro posto. Raikou è impassibile e per molto tempo ci guardiamo intensamente, finché lui non borbotta qualcosa che, se fosse umano, suonerebbe come uno sbuffo. Non ho idea di quali siano i suoi pensieri, neanche con l’aiuto di Ho-Oh - che comunque mi abbandona subito dopo aver rimproverato Raikou. Subito mi sorge spontanea una domanda: di quali errori ha parlato il mio Leggendario, che la Bestia sta commettendo un’altra volta?
Il Pokémon Elettro, senza aggiungere altro, assume la forma materiale del Legame di Luke: un bracciale metallico, grigio e con venature certamente in rame, che va a sparire sotto la larga manica del kimono nero e dorato. Ha una maglia più aderente sotto che è grigia scura. «Immagino» sospiro, un po’ stanca per la situazione, «che questo voglia dire che possiamo andarcene dalla Torre.»
Sara annuisce e anche Luke conferma, perciò faccio strada verso la scala per il piano superiore. È un po’ strano essere in compagnia di due persone vestite in un modo piuttosto inusuale, mentre io sono perfettamente normale e anonima - se non fosse per i miei occhi che tutto d’un tratto, almeno dal punto di vista di chi non conosce i Leggendari e i Legami, cambiano colore da grigio a rosso.
Ilenia sembra sorpresa di vederci di ritorno così presto: ci saranno voluti venti minuti, mezz’ora a voler essere generosi, per trovare il Legato che cercavamo. Non appare molto affaticata ma è molto sollevata quando abbassa la barriera protettiva; velocemente faccio le presentazioni: «Luke, loro sono Ilenia e Hans, rispettivamente i Legati di Lugia e Jirachi. Ile, Hans, lui è Luke, Legato di Raikou.»
Il più grande del gruppo tende la mano al nuovo arrivato, che la stringe velocemente: non so dire chi dei due sia più imbarazzato dell’altro, o che ne so io - si comportano in modo fin troppo strano per me. Ilenia gli rivolge soltanto un lieve sorriso, gentile ma distaccato, e prende immediatamente le redini della situazione: «Siamo in tre ad essere vestiti come a una fiera del fumetto, quindi è meglio che ci nascondiamo. Sara e, ehm… Luke» non è sicura di ricordarsi il suo nome, «venite con me e statemi appiccicati il più possibile, userò i miei poteri psichici. Ele, Hans, voi dovrete seguirci a poca distanza, ma vedete di non interagire con noi: saremo invisibili e se qualcuno vi noterà parlare con il vuoto, be’, non penso sarà una bella esperienza.»
Così Ilenia crea un’altra barriera, una vera e propria bolla dell’invisibilità, che ingloba lei stessa e gli altri due Legati. Non sarà certo un problema individuarli e stare costantemente dietro a loro, vista la quantità di energia che emanano tutti e tre così vicini: se mi concentro troppo su questi flussi mi arrivano fitte sporadiche, ma fastidiose, alla testa. Luke, prima di sparire nella bolla invisibile insieme a Ilenia e Sara, cerca il mio sguardo e, una volta trovato, distoglie subito il suo lasciandomi un po’ confusa. Nella sua espressione si mescolano ansia, timore e qualcos’altro che non riesco ad identificare.
Mi sento una stupida a pensarci solo ora, ma in effetti non ho perso tempo a invitare Luke dalla nostra parte. A malapena ho controllato che le sue intenzioni siano veramente benevole, che non sia ancora membro dei Victory; e comunque è talmente difficile interpretare i pensieri altrui che sarebbe stato qualcosa di fin troppo labile. Se non ci fosse stato Ho-Oh, che in caso mi avrebbe avvertito tempestivamente di ogni problema, non avrei avuto alcuna certezza e avrei potuto commettere un madornale errore, entrando in un’eventuale trappola nemica. Un altro aiuto viene dal fatto che Luke non è mai stato in buoni rapporti con il Victory Team, nonostante in passato ne fosse parte pure lui; devo proprio chiedergli cos’è successo dopo la nostra separazione.
Ilenia è ovviamente diretta al Sentiero Ding-Dong, per fermarci alla base segreta che lì si trova. A pensarci bene, però, non ho per niente voglia di passarci: non sono stanca dopo aver preso con noi Luke, personalmente non ho fatto niente di impegnativo stamattina, perciò il desiderio di incontrare Ho-Oh mi spinge a salire direttamente sulla Torre Campana. Più che un desiderio, però, è diventato un vero e proprio bisogno: devo riunirmi con la Fenice al più presto possibile, e se potessi evitare di perdere tempo alla base segreta… se solo non ci fosse bisogno di prendere la Campana Chiara e l’Ala d’Iride! Voglio soltanto vedere Ho-Oh e ottenere la forma materiale del Legame: mi sembra che ogni “inutile” tappa da fare ci costi ore ed ore.
La Torre Campana è a due passi da quella Bruciata e ben presto ci ritroviamo all’interno delle famose barriere iperefficaci che nascondono il territorio sacro a Ho-Oh. Si presenta un problema con Hans, su cui esse hanno fin troppo successo: Ilenia deve fare avanti e indietro per l’entrata del Sentiero Ding-Dong e ottiene che le pareti difensive vengano leggermente rilassate, quel poco che serve perché il biondino, Legato ancora da confermare, passi senza intoppi. Visto da fuori sembrava che stesse andando a sbattere il muso contro una parete invisibile.
La base segreta del Sentiero Ding-Dong si è messa in movimento da quando siamo entrati nella sua zona. Ilenia deve aver annunciato a gran voce che la Legata di Ho-Oh in persona è giunta, e che ha poco tempo per ottenere la forma materiale del suo Legame. Infatti, appena ci avviciniamo al primo edificio facente parte del complesso che occupa il Sentiero e che comprende la Torre, un paio di uomini delle Forze del Bene ci si avvicinano con aria poco simpatica: pretendono prove sull’identità di tutti noi, con il sospetto che non siamo tutti Legati e che potremmo pure non essere delle Forze del Bene. Non è sufficiente vedere due ragazze e un ragazzo vestiti come asiatici del Primo Mondo e con capelli di colori che non stanno né in cielo né in terra.
Perciò, con una faccia a metà tra la seccatura e l’indifferenza, mi metto davanti al nostro gruppo e accendo una fiammella arcobaleno sul palmo della mano destra. La cosa che convince veramente le due guardie è il cambio di colore effettuato dalle mie iridi, perché anziché concentrarsi sul fuoco sono andati subito a guardarmi gli occhi. «Permesso di accesso accordato» dice formalmente uno di loro, facendoci segno di seguirli.
Passiamo attraverso un portone, ligneo come tutta la struttura che lo circonda, ed entriamo in una grande sala calda e ben illuminata dalla luce del giorno. Ci sono altre stanzette in cui trafficano persone di tutte le età: appena ci notano - si girano tutti teatralmente verso di noi, quando mettiamo piede qui dentro - fanno un’accennata riverenza solo con il capo per poi tornare alle proprie occupazioni. «Mi stupisce che tutti qui sappiano dei Legami, credevo fosse un segreto» borbotto, rivolta a nessuno in particolare, irritata dal fatto che io abbia dovuto aspettare anni per sapere la verità su di me, che gente mai vista prima magari già mi conoscesse proprio per la mia identità.
«Il Sentiero Ding-Dong è fatto così» mi risponde Ilenia. «Credo sia una delle pochissime basi in cui la faccenda dei Legami è nota anche a chi non è personalmente coinvolto. Forse solo la base nella Fossa Gigante a Unima è in questa stessa situazione… qui si tratta proprio di una tradizione però. Ci sono ancora i monaci che attendono la venuta di Ho-Oh e la persona a lui Legata, quindi figuriamoci. Non si può mantenere il segreto con quei tizi, te lo assicuro, perciò le persone che lavorano qui non possono mai spostarsi: non sia mai che rivelino qualcosa in altre basi! E ovviamente gli arrivi in questo posto sono quasi pari a zero.»
«Allora le guardie di prima non sanno niente di più rispetto agli altri, qui» mormoro. Ilenia annuisce.
Proseguiamo, sempre seguendo i due uomini che ci hanno dato il benvenuto - per così dire, e passiamo accanto a due dei monaci cui ha accennato Ilenia. Appena mi vedono poco ci manca che si gettino ai miei piedi: è a dir poco imbarazzante, per me, ricevere così tanta attenzione tutto d’un tratto. Si inchinano profondamente e in continuazione, strillando talmente tanto che non si direbbe mai che stiano parlando solo due persone. Sono tentata di chiedere loro di placarsi ma mi trattiene la visione di come obbedirebbero docilmente ai miei comandi: perciò me ne sto zitta e arrossisco per conto mio, paonazza come non lo ero da tanto tempo. Mi sembra di sentire i pensieri di Sara: “Strano che ancora non ti sia venuta voglia di dare ordini a destra e a manca, con la rivelazione di Ho-Oh… sei un tipo Fuoco un po’ strano… mah…”
«Sara, ti prego…»
«Eh?»
Il suo tono mi basta per capire che ho davvero, senza volerlo, sbirciato nella sua mente. Scuoto la testa e riporto l’attenzione sui due monaci appena in tempo per sentir recitare un’ode al mio Legame e a Ho-Oh, tanto sono reverenziali e poetici i loro schiamazzi.
«Diamoci un taglio» brontola Ilenia, «mi dà fastidio che non ci fossero dei monaci a venerare me, alle Isole.»
«Ehm, scusate… scusatemi, un attimo solo…» Fortunatamente basta un filo della mia voce - che i due non hanno nemmeno mai sentito prima di adesso - per fermare all’istante i monaci. Di sicuro Ilenia voleva solo che li facessi smettere di parlare per poter proseguire verso la base, ma ne approfitto per esprimere il mio desiderio: «Non vorrei dover passare dalla base per recuperare la Campana Chiara e l’Ala d’Iride. Se possibile, vorrei che mi fossero portate entrambe prima che inizi a scalare la Torre.»
Neanche c’è bisogno di giustificare questa mia voglia - mi vergogno di quello che ho detto, mi sembra di aver impartito comandi a dei subordinati e non ci sono affatto abituata - che i monaci mi promettono che i due oggetti mi saranno consegnati subito, il tempo di recuperarli dalla base segreta.
Percorriamo un pezzo di strada insieme: scendiamo delle scale ed entriamo in un corridoio sotterraneo, largo e non troppo lungo, che ha due uscite: una porta al Sentiero Ding-Dong ed è la scalinata in fondo al corridoio, l’altra alla base segreta vera e propria ed è nascosta: ovviamente ci si può accedere solo conoscendo la parola d’ordine e fornendo le impronte digitali. Quest’entrata è immediatamente adiacente alle scale che prenderò io, ed è qui che il nostro gruppo, ormai abbastanza folto, si divide - o meglio, io soltanto mi separo dagli altri: le guardie e i miei compagni Legati entreranno e aspetteranno il mio ritorno dentro la base segreta, mentre i monaci faranno avanti e indietro per esaudire il mio capriccio.
Alla fine, però, Ilenia e Luke rimangono con me, per tenermi compagnia finché non andrò definitivamente da sola. Già mi aspettavo che lei rimanesse con me fino all’ultimo, ma mi sorprende che Luke non abbia seguito gli altri e, senza dire niente a nessuno, non sia entrato - me ne sono accorta quando ormai gli altri erano già tutti dentro. Subito mi viene da pensare a Sara e all’espressione enigmatica, solo apparentemente indifferente, che deve aver fatto nel vedere Luke comportarsi così. Sono abbastanza sicura che si sia insospettita.
Ilenia, dal canto suo, fa finta di niente e mi sorride con aria di sfida. Anche qui, però, sono certa che ignorando Luke voglia sottolineare qualcosa. «Allora, signorina? Ancora non te ne importa niente di quello che ti sta per succedere o un po’ di adrenalina è entrata in circolo?»
«Non me ne frega niente» ribatto, mostrandole la lingua.
Luke sbuffa con un mezzo sorriso, forse un po’ imbarazzato. Mi giro verso di lui e lo tiro in ballo: «Poi mi devi- cioè, ci devi raccontare cosa ti è successo.»
Lui annuisce e dice soltanto: «Sì, certo.»
«Cosa ti è successo a proposito di cosa?» si intromette Ilenia.
«Oh, è una lunga storia. Magari te la può raccontare lui mentre io sono via» rispondo distrattamente. «Tanto quei due saranno di ritorno tra qualche secondo. Non sia mai che lascino insoddisfatta la Legata di Ho-Oh!»
«Non posso credere che tu abbia dei servi e io no» brontola lei, «e che tu abbia la Campana e l’Ala subito a portata di mano, mentre io ho dovuto setacciare metà Johto per trovare tutto l’occorrente.»
Sono tentata di tirarle qualche frecciatina per farla indispettire, soprattutto a proposito dell’importanza e della popolarità che Ho-Oh, stando a questi fatti, sembra avere rispetto a Lugia nel mondo Pokémon. E infatti: «Non è colpa mia se il tuo compare Pokémon si è rintanato nelle Isole Vorticose, mentre il mio veglia senza sosta su tutta la regione.»
«Ma ti prego!» esclama, a metà tra il seccato e il divertito - infatti mi pare che non sia molto contenta di sentirmi dire qualcosa del genere. Che abbia toccato, senza volerlo, un tasto dolente?
Fortunatamente il ritorno tempestivo dei monaci mi solleva da qualsiasi responsabilità e mi risparmio qualche altra brutta figura - o qualsiasi cosa abbia scatenato quella nota d’irritazione nella voce di Ilenia. I due, che non sono neanche troppo anziani per essere monaci della Torre di Ho-Oh, mi consegnano ossequiosamente la Campana Chiara e l’Ala d’Iride. Appena entrambi gli oggetti sono nelle mie mani, sento un fremito attraversarmi prima la schiena e poi le gambe, e chiudo gli occhi per riprendermi: si è visto chiaramente il brivido che mi ha percorsa. Mi ricompongo quasi subito ma la Campana e l’Ala hanno prodotto uno strano effetto su di me: sento i nervi tesi e il battito del cuore si è fatto leggermente più veloce. Avverto gli occhi di Luke su di me - soltanto i suoi, perché i monaci hanno distolto lo sguardo appena ho reagito ai due oggetti, e come loro ha fatto Ilenia.
Ringrazio gli uomini che si congedano rapidamente, con un altro inchino, e tornano all’edificio da cui si accede in questo corridoio. Mi sento un po’ giù di tono: senza sapere cosa dire, saluto i Legati con un misero “A dopo”, pronunciato con voce più che flebile, e mi allontano a passo svelto. Quelli che escono di scena per primi, però, sono proprio Ilenia e Luke, che subito entrano nella base segreta.
Appena rimango da sola, la Campana e l’Ala mi inviano una scossa di energia che mi risveglia del tutto. Forse stavano aspettando che non ci fosse nessun altro - non mi sembra per niente folle pensare ai due oggetti come esseri parzialmente senzienti, anzi. Salgo gli scalini a due a due e la Campana, stranamente, non emette alcun suono, nonostante stia praticamente correndo. È piccola, dorata e decorata con motivi fiammeggianti e floreali, colorati di bianco e di rosso. Stringo l’Ala d’Iride nell’altro pugno senza preoccuparmi del fatto che possa stropicciarsi: appena mi viene il dubbio, apro la mano per poi trovarla perfettamente liscia e lucente. È colorata di rosso a un’estremità e di verde all’altra, e nel mezzo sfuma nel bianco. Al tatto è soprendentemente morbida ed emana un lieve e confortevole tepore.
Senza accorgermene mi sono messa a contemplare i due oggetti, e perciò mi sono fermata qualche gradino prima dell’uscita sul Sentiero Ding-Dong. Alzo la testa rivolgendo lo sguardo alla semplice porta in legno in cima alle scale e riprendo a correre, per poi aprirla quasi di scatto per un’improvvisa ondata di emozione.

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Capitolo 8
*** VII - Al settimo cielo ***


VII
Al settimo cielo

I primi passi mossi per il Sentiero Ding-Dong mi danno l’idea di star facendo un bagno nei colori del tramonto. Le foglie degli aceri sono colorate di ogni sfumatura di rosso, arancione e giallo, e la luce del Sole che passa loro attraverso fa sì che anche i tronchi sembrino tinti d’oro. Tutto sfavilla nel silenzio più totale e mi vedo costretta a strizzare le palpebre fin da subito per non essere accecata, finché non mi abituo alla luce eccezionale del Sentiero.
Resto per un minuto buono - probabilmente molto di più - ferma a pochi metri dalla porta da cui sono passata, a coprirmi gli occhi con la mano che tiene l’Ala d’Iride e a osservare a bocca aperta gli alberi colorati di fiamma. Quando si alza il vento, che qui è al massimo una brezza e rimane tale durante tutto l’anno, sembra davvero di essere in una foresta di fuoco, con piante dalle fronde ardenti. Le foglie cadute sul suolo, ora sollevate dal vento, si librano come lingue infiammate, ma placidamente e in modo incantevole. Abbasso lo sguardo e la luce è comunque terribilmente forte: la pavimentazione è del tutto ricoperta da uno spesso manto rosso e dorato.
È impressionante il contrasto tra questo scenario e quello vissuto da Ilenia per trovare Lugia, avventurandosi nelle Isole Vorticose buie, inquietanti e soffocanti. Però le due situazioni sono accomunate dalla totale assenza di un qualsivoglia essere vivente: fatta eccezione per gli alberi - che però, viste le loro caratteristiche, non devono essere normali organismi - del Sentiero, non c’è proprio nessuno qui, così come nelle Isole.
Lentamente riprendo a camminare. Sono svuotata di ogni pensiero ed emozione: tutto ciò che mi riempie la mente è lo spettacolo degli aceri di fuoco e le uniche, sporadiche frasi che la mia testa riesce a formulare sono “Non ci credo”, “Dev’essere un sogno” o altre sulla stessa linea. Non sono mai stata così incredula in vita mia e non ho nemmeno il coraggio di andare a toccare il tronco di un albero per accertarmi di trovarmi nel mondo reale. Eppure, e questo mi sorprende ancora di più, dopo Ho-Oh sono io a dominare su questo territorio, perché sono la sua Legata. La sola idea di ciò è talmente lontana da me che la rifiuto a priori. Forse Sara dimostrerà di aver ragione e una volta ottenuta la forma materiale del Legame sarò fin troppo dispotica. In questo momento mi sembra di infima importanza pensare a questo, però la mia mente ha preso una certa direzione ed è irremovibile.
Svolto un paio di curve e mi ritrovo davanti al portone della Torre. Finora non ho alzato lo sguardo oltre le cime degli alberi e non ho intenzione di farlo neanche adesso, per qualche ragione che non so spiegarmi - non lo voglio fare e basta. Dopo qualche momento di esitazione, come se fossi indecisa sul da farsi, metto una mano sul legno della porta e spingo piano, quel poco che basta per aprire un passaggio.
Il mio cuore salta un paio di battiti quando, appena il portone si richiude alle mie spalle, mi ritrovo nell’oscurità più totale. Un mormorio attonito mi muore in gola; fino a un secondo fa il piano era normalmente illuminato dalla luce del mattino, tant’è che ho scorto l’interno completamente in legno e qualche statua di Ho-Oh su alcuni piedistalli. Ricostruisco velocemente quello che è successo sperando di trovarmi delle spiegazioni: apro la porta, faccio un passo in avanti, mi guardo intorno… poi il portone si richiude immediatamente, senza che io lo senta sbattere, e la notte prende il sopravvento.
Fin da bambina non ho mai amato il buio. Anzi, ne ero terrorizzata fino a non troppi anni fa, quando mi sono sforzata di affrontare questa mia paura e lentamente l’ho superata. So che non devo temere nulla, anche se ci fosse qualche Pokémon Spettro sono comunque nel mio regno, per così dire, e niente può farmi del male. Almeno spero - infatti ciò non toglie che mi senta estremamente a disagio: ho un’improvvisa voglia di andarmene.
La mia situazione psicologica peggiora quando cautamente faccio un paio di passi indietro, aspettandomi di ritrovarmi con la schiena al muro, anzi, attaccata alla porta, e invece dietro di me non c’è niente. Porto una mano dietro e la agito nel vuoto. Inspiro ed espiro rumorosamente per più volte nel tentativo di calmare il battito del mio cuore, ma mi sembra che il tempo passi e che io non faccia alcun progresso. L’unica alternativa che mi rimane è proseguire, non posso tornare indietro finché non avrò ottenuto la forma materiale del Legame.
E se fosse necessario rimanere qui dentro più di un giorno? Se ci fosse qualche enigma da risolvere che non sono in grado di affrontare? Se a ogni piano si presentasse una prova da superare e io non fossi all’altezza? Diventerei prigioniera della Torre? Le domande che si accumulano nella mia mente confusa sono tante e piene di ansia: tutte offrono una prospettiva terribile del mio avvenire se non trovo il modo di uscire da qui. Eppure deve esserci un modo per salire al primo piano senza andare a tentoni. Mi farò luce con il fuoco, nella speranza che le scale siano ben visibili. Passo l’Ala d’Iride alla mano che tiene pure la Campana Chiara per accendere una fiamma di buona portata che illumini almeno la parte del piano nelle immediate vicinanze. Alzo la mano davanti al mio viso e creo il mio fuoco arcobaleno.
O almeno, questo è quello che vorrei fare. La pirocinesi non reagisce al comando della mia mente: sulle prime mantengo la calma, anche se mi sento sempre peggio, e mi convinco a riprovare - forse il disagio che provo in questa totale oscurità mi sta ostacolando. Faccio più tentativi, mi sforzo come se fossi ancora ai primi tentativi con il fuoco, ma è tutto vano. Provo a sputare fiamme dalla bocca come mi è capitato di fare una volta con Sara anche se in maniera puramente istintiva; il risultato è sempre lo stesso. Neanche con l’aria ottengo niente.
Un gelido panico mi congela quando mi rendo conto di essere stata spogliata dei miei poteri. Non strillo, non inizio a tremare in modo incontrollato: sono bloccata sui miei piedi e sulle mie gambe, con gli occhi sgranati per una terrorizzata incredulità e le braccia abbandonate lungo i fianchi. Non ho più nessuno dei miei mezzi: la speranza di trovare una via d’uscita viene meno, così come il mio respiro. Non so per quanto tempo rimango in apnea, lo sono almeno finché il mio cervello non riprende a funzionare. Mentre cerca una soluzione è però ostacolato dalle mie emozioni tempestose, e il conflitto tra di loro mi paralizza del tutto.
Alzo lo sguardo al cielo e il nodo che mi stringe i polmoni si allenta un po’. Non sono nell’oscurità più totale se i miei occhi non si limitano a restare incollati al terreno: il soffitto, sempre che sia esistito, è stato sostituito con una notte di luna nuova. Il buio totale del cielo consente alle stelle di brillare al massimo delle proprie possibilità. Mi tranquillizzo all’istante nel ricevere questo aiuto, o qualsiasi cosa sia, e il mio cuore riprende a battere come di consueto, libero dall’angoscia. La Via Lattea scintilla come non mai: non ho mai avuto visione di una notte tanto limpida, neanche nella quiete di Nevepoli, dove l’inquinamento luminoso è sempre stato pressoché inesistente.
Mi siedo a terra a gambe incrociate, senza ben sapere perché lo stia facendo, senza scollare gli occhi dal soffitto - o meglio, dal cielo. Una leggera brezza ha cominciato a soffiare e mi accorgo senza stupore di non avere più la mia giacca addosso, come se fossi stata privata di quest’ingombro in vista di ciò che mi aspetta.
Non riconosco nessuna delle costellazioni nel cielo, per quanto sia sempre stata incuriosita dall’astronomia fin da bambina. Il mio orientamento non è granché quanto alle stelle dell’emisfero boreale, ma non trovando neanche uno dei due Carri penso che stia osservando l’emisfero australe - che non ho mai avuto l’occasione di vedere, non essendo mai stata al di là dell’Equatore. Continuo a studiare, forse inutilmente, il cielo e a respirare con lentezza, segno che sono del tutto calma nonostante non abbia nessun mezzo per aiutarmi. Magari dovrei davvero alzarmi e camminare per la stanza finché non trovo, a tentoni, le scale per il primo piano.
Ma c’è qualche stella che attira particolarmente la mia attenzione. Sono degli astri come gli altri ma per me non sono muti e anonimi come il resto degli abitanti del cielo notturno. Il che potrebbe sembrare strano, perché queste tre o quattro stelle - poche, è vero - formano una costellazione talmente semplice che passerebbe inosservata a chiunque non sia uno studioso attento di geografia astronomica, che tra l’altro dovrebbe prima prendersi dei punti di riferimento per riconoscere questo piccolo disegno notturno.
È la Fenice. Quando il suo nome arriva nella mia mente penso che avrei dovuto aspettarmi una traccia del genere da parte di Ho-Oh - solo lui può avermi mostrato la costellazione e detto il suo nome, senza che io mi accorgessi di nulla. Mi alzo lentamente, continuando a fissare le stelle della Fenice, e una linea bianca e luminosa si accende per unire gli astri che la compongono: mentre appare anche un disegno dello stesso Ho-Oh contenente le stelle - che brillano sempre più intensamente, io rivolgo la mia attenzione alla linea di prima, che sta tracciando un percorso nel cielo. È una strada dritta che mi appresto a seguire, sapendo dove mi guiderà.
Mi ritrovo a salire una scala a chiocciola prima del previsto. I miei passi non emettono suono e, se la cosa normalmente mi inquieterebbe, adesso mi sembra quasi normale. I gradini sono tanti ma resisto, in modo stranamente paziente, rincuorata anche dal fatto che la luce stia tornando.
Quello che mi stupisce è che arrivo al primo piano quando mi aspettavo che l’illuminazione fosse come quella del giorno, mentre la luce è poca. Alzo gli occhi e ora il soffitto mostra un cielo plumbeo: le nuvole sono alte e molto lontane; con la volta stellata di prima non mi sono resa conto della grandezza di queste illusioni - non so come definire altrimenti ciò che vedo a ogni piano della Torre.
Sobbalzo quando il mio sguardo torna sull’ambiente circostante. Sono nel mezzo di una pianura sconfinata, sulla linea dell’orizzonte i nuvoloni carichi di pioggia si fondono con il verde vivo dell’erba di altezza regolare, che mi arriva almeno a metà delle cosce. Mi giro e delle scale che mi hanno condotta qui non c’è più alcuna traccia: è la cosa che mi sorprende di meno. Il senso di essere in trappola fa di nuovo capolino nella mia testa ma non essere completamente al buio fa sì che non mi paralizzi dalla paura, fortunatamente.
Rivolgo di nuovo la testa al cielo per sentire qualche goccia d’acqua schiantarsi sulle mie guance o sulla fronte - o peggio nei miei occhi, quando ne arrivano più numerose. È questione di pochi secondi perché la pioggia diventi bella battente e antipatica e sono pronta a scommettere che tra poco inizierà un vero e proprio acquazzone.
Come previsto, diviene tanto fitta e violenta che non solo non vedo niente a un palmo dal mio naso, ma quasi fa male: ogni goccia mi colpisce con forza inaudita. Digrigno i denti per sopportare sia i mille ticchettii dell’acqua sulla mia pelle che per reagire a tutta quella che mi va negli occhi, e cerco di muovermi anche se lentamente. Non so dove andare, probabilmente mi toccherà aspettare che a Ho-Oh venga voglia di mandarmi un indizio, di segnalarmi la strada da percorrere per arrivare al secondo piano, ma star qui a infradiciarmi senza sapere dove andare a sbattere la testa è quasi peggio di ritrovarmi sola al buio e sprovvista di poteri. Ovviamente neanche adesso funzionano, lo sento con chiarezza: grazie al cielo non fa freddo, nonostante mi stia inzuppando.
Controllo che almeno la cintura con le mie Poké Ball ci sia, e quasi maledico Ho-Oh - non sia mai che lo faccia davvero! - quando mi tasto la vita e i fianchi senza conseguire risultati. Le tasche dei miei jeans neri sono vuote e tutto ciò che ho addosso è una maglietta bianca, un cardigan blu notte e un paio di scarpe da ginnastica. Non solo senza poteri, ma anche nella più completa solitudine… se me ne fossi resa conto al piano di sotto sarei certamente andata in crisi; ora invece sento una grande irritazione che potrebbe sfociare nella collera, se al Leggendario prende la fantasia di giocarmi un altro colpo basso.
Mi fermo - non che prima riuscissi a muovermi granché, con quest’acquazzone - per riordinare i miei pensieri e allo stesso modo le emozioni: cuore e cervello sono in conflitto fin da quando ho messo piede nella Torre. Direi che il primo dà proprio del filo da torcere all’altro, visto che ora sono di nuovo turbata dal mio stato d’animo turbolento e incoerente e che, se al piano di sotto non ci fosse stato l’aiuto di Ho-Oh, adesso sarei piegata in due dalle lacrime nell’oscurità più totale. Questa maledetta pioggia mi sta distruggendo e non riesco a concentrarmi.
Come faccio ad affrontare il diluvio a mani nude? Già mi è stato assegnato l’elemento agli antipodi dell’acqua, il fuoco; se non ho nessuna cinèsi né Pokémon su cui fare affidamento potrei rimanere… no, mi rifiuto di riavere i dubbi di prima: cerco di confinarli al piano di sotto per impedire loro di assalirmi. Così come, anche se grazie ad un aiuto, sono riuscita a superare l’oscurità del piano terra, sarò in grado di affrontare questa pioggia terribile. Devo solo capire come… no, non sono proprio in una situazione felice. Alzo di nuovo lo sguardo al cielo e mi copro gli occhi con le mani - i risultati ottenuti non sono quelli sperati ma riesco a vedere abbastanza bene le gocce infinite che precipitano dai nuvoloni grigi. Mi sembra di essere tornata al Bosco Smeraldo di qualche mattina fa, anche se in quell’occasione stavo morendo di freddo: almeno questo Ho-Oh me lo sta risparmiando.
I minuti passano e l’acqua negli occhi è sempre di più, perciò smetto di scrutare il cielo e, come ho fatto prima, mi siedo a terra. L’erba alta mi fa un po’ impressione così, la mia testa emerge appena da questo mare verde. Pensavo che ripetere lo stesso schema per entrambi i piani fosse la cosa giusta, cioè guardare in alto e ricevere l’illuminazione; ora mi sono seduta allo stesso modo, ma mi sembra che il tempo scorra inutilmente. Forse è solo una sensazione che ne stia passando più di quanto ci abbia messo al piano terra per trovare la soluzione, perché di sicuro essere flagellata dall’acquazzone un po’ mi spazientisce, un po’ mi mette in difficoltà. In seria difficoltà.
Provo a ragionare, sperando che almeno stavolta riesca a dare un senso compiuto ai miei pensieri. Ora come ora sono una comune mortale in una situazione schifosa, cioè sotto un diluvio tremendo in un luogo desolato, e non ho niente con me. Faccio qualche tentativo con le mie conoscenze degli elementi ora in ballo, acqua e fuoco - il secondo sono io, la prima è mia avversaria: esaminando quello che so spero di trovare una risposta alla mia domanda “come combattere l’acqua?”; però più ci penso meno mi avvicino ad un’eventuale responso. Quando il fuoco e l’acqua si incontrano, l’una l’ha vinta e dell’altro non rimane che fumo. Fiamme di grande portata possono rivelarsi indifferenti al cosiddetto oro blu, è vero, ma io ora sono una misera umana in balia del diluvio universale.
Be’, come non detto: è inutile usare la testa perché ogni strada che imbocco si rivela essere un vicolo cieco. Forse la risposta non devo cercarla con la mente ma con le emozioni che mi stanno dando tanti problemi - con il cuore, insomma, e anche l’istinto. D’altronde Ho-Oh è conosciuto dappertutto proprio perché legato al cuore, sede delle emozioni e dei sentimenti, e il suo tipo Fuoco lo rende massimo alleato dell’istinto. È l’esatto opposto di Lugia, l’altra faccia della medaglia: un tipo riflessivo e misterioso, silenzioso, che nell’immaginario collettivo è collegato all’anima. Lugia e Ho-Oh, anima e cuore, acqua e fuoco: cosa posso ricavare da queste considerazioni? Da qualche parte dovranno pur portarmi; non mi sembra, poi, che il mio Leggendario stia intervenendo nelle mie riflessioni.
Se piovesse un po’ di meno riuscirei pure a rilassarmi mentre mi dedico a questi collegamenti - forse sono privi di senso, non ne ho idea. Mi stupisce che il problema non sia più ritrovarmi in una pianura sconfinata totalmente da sola: è l’acqua, che è rimasta allo stesso livello di forza fin da prima, a irritarmi non poco. Non avrei niente da ridire nei confronti di una normale pioggia - anzi, ad essere sincera non mi è mai dispiaciuto questo tipo di tempo. D’altronde ho passato quindici anni e mezzo della mia vita senza l’influenza del Legame e dei suoi elementi, perciò perché mai dovrei essere stata contraria ai giorni di pioggia? Se solo adesso fosse un po’ di meno, quel poco che mi serve per concentrarmi decentemente e trovare una risposta agli “enigmi” di Ho-Oh…
Mi sembra di sognare quando l’acquazzone allenta la presa fino a scomparire nel giro di qualche istante. Non posso credere che il Leggendario abbia esaudito il mio desiderio di calmare almeno un po’ il diluvio, è impossibile che abbia superato la prova in questo modo; ma allora perché adesso posso proseguire? Se mi giro vedo una scala di legno, anche stavolta a chiocciola, che spunta a caso nella pianura e sale verso il cielo - è una visione piuttosto assurda. Mi alzo titubante, chiedendomi se non sia un inganno di Ho-Oh, ma quando salgo i primi scalini non accade niente di strano; anzi, i dintorni mutano e, prima che mi renda conto di come sia successo, mi ritrovo circondata da pareti di legno che direi appartengano alla Torre Campana stessa.
Non capisco perché mi abbia lasciata passare, ma forse è meglio che mi sbrighi ad arrivare in cima alla Torre e che ottenga presto la forma materiale del Legame: sarà direttamente Ho-Oh a spiegarmi il perché. Nel frattempo devo solo affrettare il passo e ricordarmi di mantenere la calma, qualsiasi ostacolo si presenti davanti a me nei prossimi piani: non devo farmi prendere dall’angoscia né tantomeno irritarmi. Devo restare con il sangue freddo e far lavorare la testa - Ho-Oh sarà anche il Leggendario del cuore ma non posso proseguire affidandomi a ciò che provo. O almeno credo: in tal caso non ho capito cosa posso farmene di istinto ed emozioni.
Ovviamente dopo qualche gradino sono di nuovo completamente asciutta, come se non fossi mai stata minuti interi sotto il diluvio. L’aria però si sta raffreddando a dismisura e la luce sta aumentando: ho già una mezza idea su quale potrebbe essere il prossimo scenario offerto dalla Torre e non mi piace per niente. Purtroppo, e direi anche puntualmente, le mie previsioni si rivelano esatte quando trovo gli ultimi scalini coperti di neve.
Il secondo piano è teatro di una bufera come non ne vedo da anni. A Nevepoli ci sono stati - e ci sono - spesso allarmi meteo in vista di questo tipo di tempo, anche se le tempeste bianche che hanno luogo nella zona della cittadina non sono niente in confronto a quelle del percorso immediatamente adiacente, che porta, prima di arrivare in città, al Lago Valore, dal canto suo piuttosto indifferente al cattivo tempo.
Mi guardo bene dal superare l’ultimo gradino per impedire alle scale di sparire almeno un altro po’: ho bisogno di riflettere sul da farsi prima di buttarmi nella bufera. Le uniche cose che mi vengono in mente sono quelle da fare in caso di un tempo meteorologico come questo, che fortunatamente non ho dimenticato nonostante gli anni passati lontana da casa: peccato solo che la prima cosa da fare sia trovarsi in un luogo riparato o meglio ancora chiuso, come la propria abitazione, insomma.
Qui di posti chiusi non ce n’è. E anche se ce ne fossero, la neve e il vento sono talmente forti che è impossibile vedere: davanti a me c’è solo una miriade di frammenti bianchi turbinanti e impazziti. Devo escogitare qualcosa: Ho-Oh non mi grazierà di certo per la terza volta di fila, da adesso in poi devo mettermi in gioco in prima persona una volta per tutte. Perciò faccio un respiro profondo e metto piede nella bufera: potrei rimanere quanto voglio sull’ultimo gradino prima del piano innevato, ma una soluzione non la troverei mai se esitassi ancora.
Certo non è per niente piacevole immergersi nella tempesta. Per un momento sono tentata di tornare indietro ma so che le scale sono già sparite: tanto vale proseguire, per quanto sia difficoltoso camminare. Il vento rende le mie gambe pesanti e in ogni momento mi spinge ad arrendermi, ma non posso cedere perché sento che ne va direttamente del mio futuro. Non credo di essere mai stata così determinata in vita mia. Tengo un braccio davanti agli occhi per non essere accecata - sia dalla luce spropositata che direttamente dalla neve - e stringo i denti, cercando di resistere al freddo. Mi sembra che stia cercando di consumarmi, tanto è forte.
Non ho mai sofferto così tanto le basse temperature ma non posso fare a meno di andare avanti: un lento passo dopo l’altro, con i piedi che affondano nella neve alta fino alle ginocchia. Ho male ovunque e mi stupisco di non essere ancora congelata… di non essere ancora morta. Tutto ciò che posso fare per sfogarmi è gemere, lamentarmi, senza riuscire ad articolare parole sensate. Non so spiegarmi dove trovo la forza per muovere le gambe, né tantomeno so dire come faccia il mio corpo a muoversi ancora. È un supplizio ma è stranamente sopportabile - solo in un certo senso: come se provassi dolore in terza persona e perciò spingessi il mio corpo a proseguire, senza soffrire veramente e fino in fondo, come invece dovrebbe essere. Dovrei arrendermi, per forza di cose, a questo spietato gelo divoratore; eppure vado avanti, combattendo senza alcun’arma, supplicando le mie membra di tener duro. Loro cercano di dissuadermi, di lasciarle in pace, ma una tregua sarebbe senz’altro la fine e non posso permettere loro di prevalere: perciò proseguono al comando della mia forza di volontà. E anche della mia paura di rimanere qui per sempre, che a sua volta ha potere sul mio volere. Sono queste le cose di cui Ho-Oh si “occupa” come Leggendario: le emozioni, i sentimenti - che risiedono nel cuore - e la volontà - l’elemento del fuoco.
Un suono leggerissimo prevale sui ruggiti della bufera. Si trova nella mia mente, non proviene dall’esterno, ma sono sicura che la fonte sia la Campana Chiara che tengo con forza in una mano. Mi fermo e improvvisamente la tempesta mi è indifferente: sto in piedi, non più piegata in due dal vento impetuoso, e nessun fiocco di neve pare avvicinarsi ai miei occhi. Sento di essermi riappropriata dei miei poteri, il fuoco, l’aria e la mente. Però non credo che adesso mi servano: non ho più freddo e la bufera sembra starsi calmando. Nel frattempo è come se il mio corpo fosse protetto da uno scudo invisibile che tiene a distanza il gelo e la neve: il vento mi frusta i capelli ma non mi fa male, ora è completamente innocuo.
Pian piano della tempesta non rimane più nulla. Un po’ di neve scende dal cielo, dalle nuvole bianche appena appena tinte di grigio, placida e tranquilla. Il panorama si sta rischiarendo e mi ritrovo in un paesaggio montano - sono proprio su una montagna. Mi giro e vedo un’entrata, o forse un’uscita, che non ho mai attraversato; quando torno a guardare davanti a me, certa che non sia lì che devo andare, trasalisco alla vista di una figura umana. È voltata di spalle e osserva, sull’orlo di una rupe - su cui mi trovo anch’io, la vista nebbiosa e turbolenta sottostante a questa passerella di roccia incredibilmente alta. Quasi ho le vertigini. Sotto di me, anzi, sotto di noi imperversa la bufera; siamo su un livello sopraelevato, più o meno al sicuro.
Mi avvicino alla persona che è veramente a un passo dal cadere nel vuoto. È un po’ distante e cerco di affrettare il passo, però non riesco ad essere veloce più di tanto. Ma a una decina di metri di distanza realizzo chi è e mi manca il fiato per l’incredulità.
«Rosso!»
Il mio grido lo raggiunge e lentamente inizia a voltarsi. Ma non vedrò mai il suo viso: mentre si sta girando la sua figura si frantuma in una miriade di frammenti bianchi. Altri fiocchi di neve, che inizialmente restano a vorticare veloci attorno a una luminosa nebbiolina bianca che si trova dove prima stava il Master. Poi una folata di vento disperde nell’etere la bruma e sospinge verso di me la neve, che mi sfiora senza attaccarsi ai miei vestiti o finirmi tra i capelli. Sono semplicemente basita. Non mi capacito di questa apparizione di Rosso.
Meccanicamente mi sposto dove si trovava lui fino a un momento fa. Guardo il mare di nebbia al di sotto della rupe: il vento laggiù soffia con veemenza e sento anche numerosi tuoni. Se facessi un passo in avanti basterebbe perché precipitassi. Questo è il Monte Argento, alto e impervio come poche vette in tutto il mondo, assolutamente precluso alla maggior parte della popolazione. Non posso credere che Rosso abbia vissuto qui per più di vent’anni e per giunta da quando era ancora un bambino. Dev’essere per forza un mito costruito intorno alla sua persona, leggendaria per il suo rapporto con i Pokémon e il suo talento come Allenatore.
Torno indietro, terrorizzata all’idea che ancora un passo e Rosso - o la sottoscritta in questi lunghi istanti - sarebbe finito nel vuoto. Non posso proseguire per la rupe perché le scale per il prossimo piano mi sbarrano la strada: sono un ostacolo a dir poco gradito, e quasi di corsa le salgo, terribilmente angosciata dai miei stessi pensieri. Immediatamente lo scenario del Monte Argento viene sostituito dal ben più piacevole legno delle pareti della Torre, mentre la scala si avvolge come al solito nella sua forma a chiocciola.
Non so cosa aspettarmi dal prossimo piano: non è stato per niente bello provare a immedesimarmi nella testa di Rosso, che per aver costruito la sua storia attorno a quel Monte dev’essere semplicemente pazzo; ma se in qualche modo che non riesco a immaginare è veramente riuscito a sopravviverci per più di venti anni, nonostante sia un umano normale che non è Legato a nessuno, allora sono ancor più sconvolta. Mi è bastata un’occhiata alle nuvole ruggenti e vorticanti da quella maledetta rupe per decidere che sul Monte Argento non ci andrò mai tanto presto. Ho paura che al terzo piano la prova sia ancora peggiore.
Vi metto piede praticamente ad occhi chiusi, un po’ per calmare il fiato e il cuore dopo la corsa fatta per le scale, un po’ perché sono turbata per quello che potrei vedere se li aprissi. Lascio che le scale scompaiano e aspetto che il coraggio di spalancare le palpebre arrivi; quando ho chiamato a raccolta tutte le mie forze mi decido a guardarmi intorno. Tutto mi aspettavo meno che lo spettacolo che si presenta tutt’intorno a me.
Sono praticamente nel mezzo di una giungla. È sorprendentemente silenziosa per essere una zona che dovrebbe pullulare di animali ma bastava già l’ambiente in sé, anche senza che fosse del tutto muto, per lasciarmi interdetta. Mi aspetto che da un momento all’altro spuntino da ogni dove insetti di dimensioni spropositate, che non se ne vedrebbero neanche nei film, ma per quanto attenda non succede nulla. Mi inoltro per l’unico sentiero presente, che finché è visibile sembra non biforcarsi, attenta a non toccare alcuna pianta di quelle che mi circondano. Gli alberi sono altissimi ma dalle fronde basse, dappertutto penzolano liane che non avrei mai creduto di poter vedere “dal vivo” - come se fossi veramente in una foresta.
Soffia un leggero, gradevole venticello in mio favore. Se mi giro di spalle, cambia direzione ed è nuovamente favorevole. Immagino sia una buona cosa ma mi mette anche un pochino a disagio: ho sempre paura che compaia d’un tratto un qualche coleottero mostruoso. Eppure il tempo passa, il paesaggio non cambia nonostante mi stia facendo una passeggiata che sembra non trovare mai la sua fine, e l’unico problema che incontro per la strada è rappresentato dalle fronde più basse di alcune specie di alberi che riescono a costringermi a piegarmi, sebbene la mia altezza non si possa certo dire invidiabile.
Dopo un po’ faccio l’abitudine a questo tipo di ambiente e mi rilasso notevolmente, senza essere più preoccupata per l’eventuale presenza di insetti terrificanti. La foresta è attraversata da svariati, limpidi torrenti più o meno grandi che, a meno che non siano fiumiciattoli, hanno una portata d’acqua piuttosto buona, e perciò sono presenti dei piccoli ponti di legno per attraversarli. Mi avvicino alla riva di uno e, accovacciata, metto dentro una mano per sentire se l’acqua è calda o fredda: con mia sorpresa è piacevolmente tiepida.
Quando inizio ad avere dubbi sull’effettiva presenza di un’uscita da questo posto, svolto un angolo e mi ritrovo davanti alla ormai familiare rampa di scale a chiocciola. Finora ho cercato di capire quale prova dovessi superare, non trovando alcun ostacolo, e perciò mi sono rapidamente distratta, dedicandomi semmai a studiare le infinite specie di piante incontrate per la mia strada. Le larghe fronde degli alberi impedivano a gran parte della luce del sole di arrivare al suolo e quei pochi raggi che riuscivano a filtrare irradiavano appena l’ambiente di una curiosa luce dorata. Salgo le scale senza esitazioni, sperando solo che, dopo questo piano di pausa, non ci sia una prova pressoché impossibile da dover superare entro la fine della giornata.
Lo scenario del quarto piano, quinto se considero il piano terra come primo, si rivela simile a quello del diluvio, e questa prospettiva non mi allieta. Almeno non mi trovo in una radura in cui è presente solo erba alta: il terreno è piuttosto variegato e ci sono parecchi alberi. Credo di trovarmi su una collina; guardandomi intorno confermo la mia ipotesi e noto anche che sono nelle immediate vicinanze di una catena montuosa.
Il primo suono che odo è il vento; dapprima si limita a sospirare annoiato, ma mi tocca farmi venire in fretta qualche idea su questo quarto piano quando inizia a sbuffare sempre più forte, sempre più rabbioso, annunciando una tempesta imminente. Non riesco più a riflettere quando alla corrente impetuosa si aggiungono dei profondi ruggiti provenienti dal cielo nero di nuvole.
Una luce accecante che arriva da quest’ultimo mi fa distogliere l’attenzione da tutto il resto. Lo spettro di un fulmine lampeggia una volta o due in tempo perché mi renda conto di quello che sta per succedere. Gli segue poco dopo il più spaventoso, possente e inibitore tuono che le mie orecchie abbiano mai accolto. Riecheggia nella mia testa e mi sembra che lo faccia con ancora più forza del suono che ho effettivamente sentito, tant’è che mi tappo, ingenuamente, le orecchie con le mani. Più che i nervi su questo piano saranno messi alla prova i miei timpani.
I minuti passano ma la pioggia che mi aspettavo non arriva, perciò inizio a credere che avrà luogo “soltanto” una tempesta di fulmini. Il cielo ne manda tanti e io continuo a tenere le mani sulle orecchie, ottenendo ben poco con questo tentativo di proteggerle. Non mi fanno paura le saette né le loro urla tremende, ma essere da sola in un luogo sconosciuto, deserto, e rischiare di beccarmene una in testa non è decisamente nelle mie prossime intenzioni. Il problema è che non c’è neanche un posto riparato, come durante il diluvio del primo piano e la bufera di quello successivo. Devo inventarmi qualcosa prima di essere colpita da un fulmine - di morire, ecco. Rabbrividisco, non per il vento neanche troppo freddo: semmai per l’inquietudine.
Corro giù dalla collina, rischiando di scivolare e di scendere di sedere a ogni passo, per ritrovarmi davanti agli occhi la stessa situazione, soltanto in pianura: tanti alberi, abbastanza bassi e dalle fronde ricche di fogliame, disseminati qua e là come in una coltivazione di ulivi. Non conosco queste piante, però. L’erba che ricopre tutto il terreno a perdita d’occhio è abbastanza bassa - mi arriva alle caviglie - e di un brutto colore giallognolo, grigiastro.
Guardando gli alberi mi viene un’idea che non mi attira per niente, come la maggior parte di quelle che mi sono fatta durante la mia permanenza nella Torre. Da qualche parte dovranno pur esserci le scale per il prossimo piano, non penso - non me lo auguro! - che Ho-Oh pretenda da me una battaglia contro i fulmini, perché con o senza poteri la mia condizione sarebbe a dir poco svantaggiata. Sarei folgorata e ammazzata in un istante, insomma.
Ma allora queste scale dove possono trovarsi, da cosa sono celate? La mia mente corre subito a questi alberi bassi e dalle fronde larghe e piene. Sapendo però il rischio che correrei a salire su un albero, su cui sarei molto più esposta che da terra, mi guardo ulteriormente attorno in cerca di un riparo che possa anche nascondere l’accesso al quinto piano. Corro intorno alla collina per un po’ in cerca di una grotta o qualcosa di simile, però è veramente troppo grande per osservarla tutta; non vale la pena sprecare tempo prezioso in questo modo, e le saette si fanno sempre più frequenti e minacciose, sfogandosi, anche se molto in lontananza, sulla terra stessa.
Sono costretta a tornare alla mia idea iniziale: le scale nascoste negli alberi. Mi appropinquo quatta quatta all’albero più vicino a me e mi arrampico, aiutata dai suoi rami bassi, ma poco dopo scendo a terra con un balzo silenzioso, non avendo avuto successo. Riprovo più volte e, al terzo o quarto tentativo, quando le mie orecchie sono piene di tuoni e gli occhi ancora non abituati al fulgore dei fulmini sul cielo nero, trovo una scala scavata nel tronco, del tutto simile a quelle salite finore. Felicissima di avere una via d’uscita, mi sposto dal ramo, arrivo sul primo gradino e salgo di corsa, impaziente di superare, poi, l’ultimo piano prima della prova sulla cima.
Ma con grande sconforto e delusione scopro di aver gioito troppo presto. Esco dalla scala e mi scopro su un altro albero della landa colpita furiosamente dai fulmini, in un posto completamente diverso da quello di prima. Sono anche più vicina alla tempesta e immediatamente brividi angosciati mi muovono rapidi le gambe per andare a cercare un altro albero. Almeno ho avuto conferma che il passaggio per il prossimo piano si trova in una di queste piante - magra consolazione se penso che di alberi da esaminare ne ho a centinaia.
Dev’esserci un modo per uscire senza provarli tutti, un criterio da seguire, un disegno da tracciare. Ma come orientarsi in una situazione del genere per scegliere gli alberi giusti? La prima cosa che mi viene in mente è creare di nuovo la costellazione della Fenice, ma a malapena ricordo com’è fatta; e in ogni caso mi è impossibile capire con estrema precisione la posizione in cui dovrebbe trovarsi l’albero ricercato. Mentre cerco di farmi venire un’idea continuo ad andare a tentoni. Le mie speranze si rianimano quando trovo un’altra scala; peccato che anche questa poi mi riconduca all’ennesimo albero, ancora più vicino alla tempesta di fulmini.
Il mio cuore si ferma per alcuni lunghi secondi quando una folgore accecante colpisce una pianta a neanche troppa distanza da me. Ero appena saltata a terra quando questa luce devastante ha sconvolto il mio campo visivo, e le gambe non mi hanno retto: mi ritroverei a mangiare erba se un fortunato riflesso istintivo non mi avesse fatto mettere le mani avanti. Appena ho il coraggio, sposto il mio sguardo dal terreno - le braccia mi tremano follemente per la paura, e per poco non vengono meno anch’esse - all’albero che è stato colpito. Una larga parte delle sue fronde sembra essere stata incenerita e che si sia volatilizzata senza lasciar traccia. Il legno è stato squarciato e la pianta è nettamente divisa in due metà fumanti; il tronco è tutto annerito e bruciato ma non ha preso fuoco.
E se il prossimo fulmine dovesse colpire un albero accanto al quale cerco riparo? Per me sarebbe certamente la fine. Mi alzo in piedi con grande difficoltà e lentamente cammino, tanto per fare qualcosa. Un secondo fulmine colpisce un’altra pianta e così si ripete per un paio di volte, sempre cogliendomi alla sprovvista e quasi facendomi pentire di essermi avventurata nella Torre Campana senza un minimo di preparazione in più. Sono sicura che nella base del Sentiero Ding-Dong ci sia una biblioteca in cui sono custoditi tutti i segreti della dimora di Ho-Oh, ma sono stata così arrogante e allo stesso tempo ingenua da credermi in grado di scalarla senza dover provare alcuna paura! Certo non mi sarei mai aspettata una struttura come questa, ma sono stata una sciocca a pensare che fosse una normale Torre. Mi chiedo se anche le Isole Vorticose siano così insidiose, nella realtà: mi sembra che Ilenia ne abbia parlato come dei luoghi piuttosto normali.
Una volta che ho ripreso a pensare senza essere del tutto terrorizzata dai fulmini, mi avvicino ad ognuno degli alberi colpiti da essi, favorita da qualche minuto di bontà del cielo che non vuole tartassarmi in ogni momento. Provo a collegare i punti della radura in cui le saette sono cadute in vari disegni, che però ancora non mi dicono niente. Aspetto, anche se spaventata, che qualche altro fulmine scelga la sua prossima vittima, e quando arrivo a sei alberi colpiti riprendo le mie congetture.
Ma è al settimo fulmine che capisco dove cadrà il prossimo, e prima che sia troppo tardi scatto verso l’albero che ho individuato come sicuro passaggio per il quinto e ultimo piano prima della cima. Vi salgo con un salto, insicura che l’aerocinesi mi risponda in un momento di agitazione e angoscia come questo; e mentre corro per le scale odo in lontananza una forte scarica elettrica, che mi fa rabbrividire, e una pungente puzza di bruciato mi arriva alle narici. Arriccio il naso per il fastidio e rallento il passo, certa di essere fuori pericolo.
Fortunatamente è così. La prossima prova che mi attende, vedo appena metto piede sul nuovo piano, è una tempesta di sabbia. Questa novità quasi mi rende sollevata, dopo le brutte sensazioni provate nella radura colpita dai fulmini. Il disegno che questi tracciavano era una specie di rappresentazione di Johto: sono convinta di essermene resa conto non perché sia un asso in geografia, ma perché questa regione non dovrebbe avere segreti per me - o almeno non ne avrà quando otterrò la forma materiale del Legame e sarò a stretto contatto con Ho-Oh. Le città che i fulmini hanno scelto di rappresentare sono Borgo Foglianova, Violapoli, Fiordoropoli, Amarantopoli, Mogania, Olivinopoli e Fiorpescopoli. L’albero su cui sono salita io era poco distante da quello che simboleggiava Mogania: era Ebanopoli.
Prima che mi addentri nella tempesta di sabbia, un brivido - l’ennesimo nel giro di pochissimo tempo - mi blocca e mi tiene, spaventata, ferma sui miei piedi. Ho la netta sensazione che non sia una casualità, o meglio, uno scherzo di Ho-Oh - sarebbe anche di cattivo gusto - il fatto che i fulmini abbiano scelto di colpire degli alberi che rappresentassero le città di una regione. Ho il presentimento che le saette, in qualche modo, simboleggiassero una terribile minaccia - rappresentata ovviamente dal Victory Team - che non troppo lentamente divorerà la regione. Johto può essere, inoltre, una sola parte di ciò che i Victory devasteranno. Cercheranno di prendersi il mondo intero, come le Forze del Bene hanno appurato fin dalla sua nascita.
Ho-Oh sta cercando di mettermi in guardia, è evidente. I Leggendari sanno qualcosa che le Forze del Bene non conoscono ma non ne fanno parola, se non con i loro Legati, che poi non hanno il diritto di rivelare il tutto ai loro superiori nell’organizzazione. Mi chiedo se anche il mio Leggendario mi metterà a parte di qualche segreto che poi sarò costretta a non svelare - cosa mi succederebbe se lo facessi? Probabilmente lui sfrutterebbe i suoi poteri in modo tale da cucirmi la bocca su questi argomenti, e perciò non ci sarebbe alcun pericolo di parlare troppo. Dev’essere così, altrimenti non mi spiego l’assoluto silenzio di Legati e Leggendari su faccende che potrebbero essere spiegate solo da loro, come la selezione di una nuova generazione di “prescelti” avvenuta ancor prima della nascita dei Victory. E chissà se anche i miei nemici sono in una condizione simile, di avere a portata di mano persone che ne sanno molto più di loro, su di noi del Bene, ma che non apriranno mai bocca su questo.
Sospiro e mi rassegno ad ignorare tutto questo almeno per qualche altro tempo. Mi troverò con Ho-Oh tra poco e immagino che prima o poi mi confiderà qualcosa di cui potrò parlare, al massimo, tra altri come me. Prima però devo pensare ad arrivarci, da lui: se resto ferma sull’ultimo scalino e non mi avventuro nella tempesta di sabbia, non giungerò mai a destinazione. Non realizzo ancora quanto sia effettivamente vicina al traguardo.
Inizialmente riesco anche a camminare nonostante il tempo, che mai in vita mia ho sperimentato; sono nel bel mezzo di un deserto pieno di dune piuttosto alte. La sabbia non è terribile come mi aspettavo: è evidente che il peggio verrà tra poco, e che prima di non riuscire neanche più a muovermi devo trovare un modo per superare la penultima prova per poi ottenere la forma materiale del Legame. Devo coprirmi già gli occhi, però, quindi l’unico strumento che mi rimane per cercare l’uscita è la mia testa, povera di idee e di immaginazione fin da quando ho messo piede nella Torre. Solo nel precedente piano posso dire di aver lavorato abbastanza bene, e forse al primo, peccato che - mi vergogno un po’ a pensarlo - non abbia ancora capito perché Ho-Oh mi abbia lasciato proseguire, se non ho fatto niente a parte pensare al rapporto tra acqua e fuoco e a quello tra Lugia e Ho-Oh.
La tempesta di sabbia si sta facendo sempre più forte e non so come combatterla. Sono ormai convinta che usare i miei poteri sarebbe scorretto perché dovrei farcela con le mie sole forze, non con l’aiuto del Legame, come se fossi ancora una normale ragazza che non può contare su niente e nessuno all’infuori di sé stessa. Gli unici mezzi che ho sono il bisogno di andare avanti e la volontà di farlo: come se non bastasse e dovessi dimostrarmi che le mie intenzioni sono ferree, riprendo a camminare, per quanto muova ogni passo con difficoltà sempre crescente. Mi ripeto più volte che devo farcela, devo proseguire per dar prova sia a me che a Ho-Oh di non volermi arrendere.
Ed è questa la chiave che fa apparire, a poca distanza da me, le tanto agognate scale. Ho-Oh mi fa questa grazia di poter superare il piano a tempo record. Ma proprio ora che devo dare il meglio di me, continuando sulla stessa lunghezza d’onda fiera e pronta, inizio a vacillare. Vorrei poter salire questi ultimi scalini con disinvoltura e sicurezza, le stesse con cui ho affrontato la tempesta di sabbia, ma dopo qualche gradino mi fermo. Le mie forze vorrebbero darsela a gambe per non affrontare l’enorme problema rappresentato da Ho-Oh, che dovrei incontrare tra pochissimo per la prima volta in vita mia.
Se fino ad ora volontà ed emozioni hanno collaborato e mi hanno portata fin qui, adesso il mio codardo stato d’animo sta ingaggiando una lotta senza esclusione di colpi contro l’altra mia comandante. È un duello terribile e per questo chiudo gli occhi - tattica che finora ha funzionato quando ho cercato di calmarmi - e li copro con le mani. Devo proseguire, per quanto la riunione con Ho-Oh mi stia terrorizzando; non capisco come abbia fatto finora a dormire sonni tranquilli senza essere divorata dalla paura di questa prova! Mi sento attirata dalla cima della Torre ma adesso vorrei semplicemente andarmene.
Riapro gli occhi e trattengo un’esclamazione stupefatta: mi trovo sì sulla scala per la vetta, ma è come se le pareti di legno fossero scomparse e la scala a chiocciola si arrampicasse nel vuoto. Attorno a me c’è il cielo e sono molto in alto rispetto alla città di Amarantopoli e alla zona del Sentiero Ding-Dong. Non credevo che la Torre fosse così alta né tantomeno che fossero già passate tante ore: è il crepuscolo. Devo averne trascorse almeno sei o sette qua dentro senza farci caso, ma molto più probabilmente il tempo della Torre Campana è diverso da quello del resto del mondo. Grazie al cielo non soffro di vertigini, perché anche così è davvero impressionante la vista di Amarantopoli da chilometri di altezza - e non sto esagerando.
Forse è questa novità che mi spinge a riprendere la salita. In un certo senso mi ha distratta dalle preoccupanti congetture che finora ho fatto sulla prova con Ho-Oh, una peggiore dell’altra. So che è tutta un’illusione, come ogni scenario che ho trovato per ciascun piano della Torre… o almeno credo. Di una cosa sono sicura: non mi sarei mai aspettata né una struttura del genere per la mia prova, né che fossi in completa solitudine e che l’unico avversario da affrontare, ogni volta, fosse un diverso tipo di situazione. La notte al piano terra, il diluvio al primo, poi la bufera, la foresta, il temporale e infine la tempesta di sabbia… diversi tipi di ambiente e di condizioni atmosferiche, in effetti. C’è da aspettarsi che l’ultimo piano simuli un’eruzione vulcanica o che ci sia un sole forte come nel deserto. È l’unico tipo di tempo che finora non ho incontrato e si sposerebbe bene con il fuoco di Ho-Oh.
Fuoco all’ultimo piano, perciò alte temperature e sole a picco. Al quinto la tempesta di sabbia… perciò la terra. Fulmini al quarto per l’elettricità, natura - quindi erba - al terzo, l’aria e la neve al secondo, l’acquazzone al primo e la notte al piano terra. Rosso per il fuoco, la terra arancione, giallo a simboleggiare la saetta, verde per le piante e poi azzurro, blu e, in un certo senso, viola per l’oscurità. I piani totali della Torre sono sette e rispecchiano più o meno lo spettro dell’arcobaleno, collegando ad ogni colore uno o più tipi Pokémon.
Ecco il segreto della struttura di questo luogo leggendario: avrei dovuto capirlo prima - magari ci sarei pure riuscita, se non fosse stato per il continuo sentimento di stupore che si rinnovava ad ogni piano, e anche ad ogni passo - visto che Ho-Oh è il Leggendario dell’arcobaleno. Faccio un respiro profondo: sono molto più tranquilla dopo essermi dedicata a un po’ di riflessione, che mi è mancata per tutto questo tempo. O meglio, non è che mi sia calmata; però sono riuscita a mettere da parte l’agitazione quel tanto che basta per riuscire a muovere le gambe, che fino a poco fa sono state preda di una leggera ma imbarazzante tremarella.
Guardo in alto mentre cammino: la piattaforma della cima sembra sospesa nel vuoto dato che le pareti attorno a me si sono mimetizzate con il cielo del tramonto. Ancora qualche dozzina di scalini e sarò lì; non mi sembra vero. Inizio a preoccuparmi dell’espressione con cui dovrò presentarmi a Ho-Oh, come se fosse la cosa più importante a cui pensare: dovrei essere sicura di me, magari anche un po’ arrogante, giusto per mostrargli che non ho paura di quello a cui potrebbe sottopormi come prova finale prima dell’acquisizione della forma materiale del Legame. Molto più probabilmente però sarò semplicemente terrorizzata o come minimo basita.
Alla fine tuttavia sono “soltanto” svuotata dalla stanchezza, sopraggiunta dopo i sei piani superati, e dalle troppe emozioni provate. Perciò l’aspetto indifferente e freddo che traspare è lo specchio di quello che ho dentro, cioè niente. E con un viso così apatico salgo gli scalini rimanenti e arrivo all’ultimo piano della Torre Campana.
La volta celeste è del tutto tinta di oro e rosso, come le foglie degli aceri rossi nel Sentiero Ding-Dong. Prima che arrivassi qui il cielo visibile dagli ultimi scalini era un normale tramonto. Tutta la cima della Torre rifulge di questi due colori caldi e meravigliosi; e così come anch’io devo essere tinta da essi, una persona che sosta davanti ad una sorta di altare qui sulla vetta è loro soggetta. I capelli biondi, leggermente ricci, sono pieni di riflessi di fuoco; un lungo mantello cremisi, con le maniche larghe e tutto decorato d’oro e di bianco, è rischiarato opportunamente dall’altro colore del cielo. La schiena del mantello, che si avvicina però a una vestaglia dal sapore orientale, presenta un motivo dorato dalla forma vagamente a cuore.
È una figura maschile, molto alta, ed è voltata di spalle. Contempla la costruzione che si erge fino al cielo: dalla base sembra sbocciare un enorme fiore in legno che mi ricorda vagamente il loto, sui cui petali ci sono rappresentazioni sgargianti di Ho-Oh circondato da altissime fiamme. Una colonna nasce dal centro di questo fiore e una serie di esagoni, sette per la precisione, si arrampica per tutta la sua altezza. Ognuno è ricoperto di diversi disegni e contrassegnato da un ideogramma risalente a chissà quale civiltà del Primo Mondo. Il primo sopra al loto di legno è avvolto da fiamme arcobaleno.
«È un peccato che tu sia arrivata quando la notte si appresta a scendere su di noi. I nostri poteri darebbero il meglio di sé in pieno giorno.»
Ha parlato con una voce virile abbastanza profonda, quasi baritonale, e non c’è bisogno di dire che è bella, semplicemente bellissima. Non è quella con cui Ho-Oh si presenta nei miei pensieri, che non è umana e sembra la sovrapposizione di una voce maschile e di una femminile - anche se quest’ultima è molto meno presente dell’altra. Eppure sono sicura che quest’uomo biondo altri non sia che la leggendaria Fenice, sia per le parole che mi ha rivolto che confermano la sua identità, ma anche perché già da prima sentivo che Ho-Oh è proprio lui.
Si volta verso di me, ma forse non vedrò mai il suo viso - proprio com’è successo con Rosso. Delle fiamme arcobaleno avvolgono il suo corpo impedendomi di vederlo frontalmente; dopo poco dalle spire di fiamme sorge, imponente, Ho-Oh nel suo aspetto di Pokémon, spiegando le importanti ali e cacciando un grido acuto che risuona per chilometri e chilometri. I suoi occhi rossi, dalla forma ed espressione umane, cercano subito i miei. Quando le fiamme si dissolvono, Ho-Oh fa qualche giro intorno all’altare fino ad arrivare alla sua cima, permettendomi di vedere bene il suo corpo forte, le zampe robuste con gli artigli d’acciaio e la coda piena di piume lunghissime, tutte dorate. È eccezionale; non riesco a staccare gli occhi, pieni di stupore ed ammirazione, da lui.
Indietreggio di un paio di passi quando Ho-Oh atterra davanti a me, conficcando gli artigli ricurvi e affilati nel legno antico del pavimento. È talmente grande che quasi si deve chinare, nonostante abbia già piegato il collo abbastanza lungo, per creare un fermo contatto tra le mie pupille e le sue. Il suo petto si muove velocemente quanto il mio e questo mi fa pensare che i battiti dei nostri cuori e i nostri respiri siano perfettamente sincronizzati, e che magari lo siano sempre stati anche prima che lui si rivelasse. Continua a tenere le ali spiegate; la loro apertura è impressionante, non credo esista un Pokémon, anche Leggendario, con delle ali così grandi e lunghe. Presentano gli stessi colori dell’Ala d’Iride ma sono piene di riflessi che comprendono tutto lo spettro dell’arcobaleno. Non riesco a pensare a niente: sono completamente occupata a ricambiare il suo sguardo finché lui non avrà piacere di distogliere le pupille strette dalle mie, altrettanto piccole a causa dell’emozione e della luce dorata che Ho-Oh stesso irradia. Non ho voce per dire niente.
La Fenice ripiega le ali e questo riesce a tranquillizzarmi un po’, vista l’apertura alare che, combinata con il resto del suo aspetto, mi ha tolto il fiato. Insieme a quest’azione si muove anche il cielo che riprende i colori di un normale tramonto invernale. L’unica cosa che io riesco a fare è inginocchiarmi a terra, tenendo in grembo l’Ala e la Campana che mi impediscono di congiungere le mani, come in preghiera. Chino il capo e aspetto che sia Ho-Oh a parlare, perché io non so proprio cosa fare.
“Alzati” dice. La sua voce si fa strada nella mia mente già svuotata; ora che non ha una forma umana non può parlare come ha fatto prima. Obbedisco e solleva anche la testa, riprendendo il contatto visivo che, se non fosse stato per me, sarebbe rimasto intatto.
«Ho-Oh…» mormoro semplicemente.
“È il momento della tua ultima prova. Finora per superare i primi sei piani è stato quasi sempre essenziale fermarsi a pensare, a meditare. È qualcosa che si avvicina molto alla natura di Lugia, esercitare la mente e riflettere prendendosi il proprio tempo. Sei piani della Torre Campana sono profondamente legati alla mia - alla nostra controparte, così come tutto il percorso delle Isole Vorticose fino alla vera dimora di Lugia è intriso della mia presenza, e i miei elementi sono strettamente necessari per proseguire: te ne accorgeresti se ti facessi raccontare nei dettagli dalla Legata di Lugia il suo percorso, e sarebbe ancora meglio se tu stessa le attraversassi. Ma ora è il mio turno, com’è giusto che sia, com’è anche per l’altra faccia della medaglia nell’ultima sala delle Isole. È il momento di affrontare il cielo di fuoco.”
Annuisco. Ho-Oh usa cielo e piano come fossero sinonimi. Allora adesso sono letteralmente - in senso metaforico proprio no - al settimo cielo. Dischiudo la bocca per sussurrare qualcosa in risposta, ma non trovo niente di appropriato da dire. Serro nuovamente le labbra e sento una specie di sbuffo di disapprovazione nella mia mente. “Certo, non è che finora tu abbia fatto granché, eh. In condizioni normali non ti avrei lasciata proseguire con così poco, avresti dovuto far lavorare molto di più il cervello. Tuttavia ho bisogno di te tanto quanto tu ne hai di me. Il tempo stringe e siamo tremendamente in ritardo.”
«In ritardo per cosa?» chiedo subito, per niente colpita dal commento piuttosto acido del Leggendario - è come se non l’avessi neanche sentito. Ma lui non risponde a questa domanda. Mi guarda con grave intensità e mi dissuade dal porla nuovamente, cosa che altrimenti avrei fatto. Abbasso lo sguardo, stanca di queste pesanti occhiate intimidatorie. «Allora, che devo fare adesso?»
“Cos’è stato richiesto alla Legata di Lugia?”
«Ehm… ha cominciato a danzare come fosse in uno stato di trance, senza rendersene conto, e ha utilizzato la sua Campana e l’Aladargento.» Mi mette un po’ a disagio il pensiero di dovermi mettere a ballare anch’io. «Quando ha finito si è ritrovata trasformata e poco dopo è arrivato Lugia.» Faccio un’altra breve pausa; Ho-Oh non sta battendo ciglio. «Devo… devo ballare?»
“C’è qualcosa che sai fare molto meglio” ribatte lui.
La sua risposta mi lascia lievemente interdetta ma non ci metto neanche un secondo per capire a cosa sta alludendo. E solo ora capisco da dove proviene veramente il mio talento per il canto. «Ma certo. Il leggendario canto della fenice» mormoro. «Sarà passato più di un anno dall’ultima volta in cui ho cantato qualcosa che non fosse una canzone casuale nella mia testa… e dire che negli ultimi tempi, proprio quelli di maggiore vicinanza a te, mi sono praticamente dimenticata di saper cantare.»
“Non si è mai immuni all’influenza del Legame, anche se questo non dovesse mai esplicitarsi per tutta la vita dell’umano Legato. Ti è stato detto dalla Legata di Articuno che il suo aspetto è fortemente cambiato dalla vicinanza con la forma materiale del Legame; a lungo andare questo succederà anche a te, in modo molto meno brusco. Ciò non toglie che il tuo Legame con me si sia manifestato fin da sempre anche se in maniera quasi del tutto insospettabile. La tua voce imita il canto di una fenice.”
«Capisco» sussurro, guardando la pavimentazione in legno con occhi vitrei. Dunque prima della mia ultima prova dovrò far sentire la mia abilità a Ho-Oh. So già che nessuno dei brani che conosco è adatto a questa situazione mistica - di certo non posso mettermi a cantare la prima cosa che mi passa per la mente. Se c’è in ballo il mitico canto della fenice vuol dire che dovrò farmi ispirare, esattamente come Ilenia all’improvviso ha cominciato a ballare per richiamare l’attenzione di Lugia. Devo farmi guidare dal mio cuore, che attraverso la mia voce avrà tante cose da dire a Ho-Oh.
È quasi senza rendermene conto che comincio a toccare le prime note. Vibranti ma ancora flebili, presto acquistano più forza e si arrampicano su un pentagramma immaginario, scrivendo uno spartito che probabilmente non ricorderò mai. La Campana Chiara inizia a rintoccare a tempo e altri strumenti invisibili si aggiungono al suo suono cristallino e dolce. Non ne conosco nessuno: vanno perfettamente d’accordo con la mia canzone, di cui non capisco alcuna parola. Canto senza sapere che lingua sia quella che arriva alle mie orecchie.
Non comprenderò mai il significato preciso delle parole, delle frasi intere, ma so dire con certezza qual è l’oggetto della canzone: me stessa. La mia storia entro certi limiti, perché gran parte del brano descrive a Ho-Oh i miei sentimenti per lui, per le persone che ho conosciuto, per il mondo in cui vivo e per quello in cui ho vissuto finché non sono stata chiamata in una nuova realtà. I miei pensieri, le mie idee, per quanto poco maturi alcuni - magari la maggior parte - possano ancora essere… non importa: riverso tutto ciò che ho nel cuore, più che nella testa, in questo canto incredibile, che non riesco ad ascoltare veramente, ma che so essere inimitabile se non da una fenice. Queste sensazioni mi fanno continuare con fierezza e sicurezza crescenti.
Non so quanto a lungo vada avanti. Il cielo non mi dà indicazioni perché da quando ho cominciato si è nuovamente colorato di rosso e oro, e poi sono talmente intenta in quello che sto facendo, con gli occhi chiusi per darmi maggiore concentrazione, che il tempo è l’ultima delle mie preoccupazioni. Mi fermo solo quando sento che Ho-Oh ha ascoltato abbastanza, perché altrimenti penso che potrei proseguire per giorni.
Lui si solleva di nuovo in volo e la corrente prodotta dai potenti battiti delle sue forti ali mi agita i capelli e i vestiti. Senza realizzarlo pienamente mi rendo conto di aver cambiato aspetto mentre cantavo per lui: finora davanti ai miei occhi, quando soffiava il vento, si agitavano ciocche castane leggermente ondulate, e i miei vestiti scuri erano abbastanza aderenti. Ora ho i capelli raccolti in una coda, salvo un unico folto ciuffo, abbastanza lungo e arricciato soprattutto verso le punte, e un abito sicuramente simile, come fattezze, a quelli di Sara, Ilenia e Luke. Le maniche larghe e lunghe sono rosse, con luminose decorazioni auree, collegate a una sorta di giacca, a maniche corte, bianca e con parti cremisi. Sotto indosso una semplice maglia verde mela a maniche lunghe. Ho una grande fascia simile a quella di Ilenia, però dorata ed elaborata con disegni che non mi soffermo a guardare; e poi c’è l’ampia gonna bianca, a frange, lunga fin sotto il ginocchio, coperta in parte da un’altra specie di gonna più lunga, dorata e con i bordi sempre decorati, che la copre dietro a partire dai miei fianchi. Indosso dei sandali blu, con i lacci che si intrecciano lungo tutto il polpaccio, e delle calze bianche abbastanza spesse. Credo di essere dimagrita.
Questa metamorfosi non mi fa batter ciglio, né mi stupisce la sensazione di aver del tutto cambiato la mia forma mentis e il mio stesso carattere. Sono decisamente più simile al Leggendario che mi sovrasta, mantenendosi fermo nell’aria battendo regolarmente le ali, e che mi scruta con il suo sguardo umano. Non mi sento in soggezione e non provo paura, segno lampante del mio mutamento. Penso di sapere già cosa mi aspetta con quest’ultima prova.
Ho-Oh non mi chiede se sia pronta né mi fa altre domande. Semmai caccia un grido, il suo secondo strillo, che mi fa soltanto preparare una posizione come d’attacco. Socchiudo leggermente le palpebre, sferrandogli un serio sguardo di sfida, che subito dopo viene sostituito da un sorrisetto quasi di scherno. È un modo per dirgli che può farsi avanti, e il Leggendario coglie la palla al balzo, dando il via alla prova del settimo cielo.
Batte le ali con ancora più forza rispetto a quanto abbia mai fatto finora, e oltre al vento che si è sollevato mi sembra che abbia tremato tutta la Torre e la terra stessa. Indietreggio di un paio di passi e cerco di ritrovare l’equilibrio, poi ricambio il colpo ricevuto con qualche rapido e ben assestato pugno, che colpisce il nulla, ma che sprigiona una corrente da far invidia a quella del Leggendario. Mi sento più forte, come se il mio corpo rispondesse meglio e più rapidamente perché duramente allenato; mi trovo anche più agile e veloce e al contempo più pronta a ricevere colpi e reattiva nel rispondere. Questa nuova forma sta facendo miracoli, per quanto, grazie agli allenamenti nella base del Monte Corona, fossi diventata una buona - ottima, a sentire più d’uno - guerriera.
Dopo un altro paio di botta e risposta a suon d’aerocinesi, viene il turno tanto atteso del fuoco: Ho-Oh scende a terra e, con un altro grido, spalanca le ali e molte piste di fiamme si fanno strada per tutto il piano. Spicco un balzo per evitarle e contrattaccare ma quelle si staccano dal pavimento e, afferrandomi per le caviglie, mi sbattono sul pavimento senza tanti complimenti. Il dolore si fa sentire ma, dopo un breve lamento e stringendo i denti, mi rialzo subito in piedi per vedere un’altra ondata di fiamme in arrivo.
Stavolta cambio tattica: appena si avvicinano cerco di comandarle io al posto di Ho-Oh e, in qualche modo, riesco a strappargli l’autorità su di esse. Con movimenti circolari le plasmo come argilla e, quando arrivano a toccarmi le mani, si trasformano in un paio di ventagli da combattimento. So già come usarli - esattamente come Sara mi ha raccontato di saper tirare con l’arco grazie al Legame di Articuno. Perciò, impugnandoli come si deve e maneggiandoli con sicurezza, inizio a sferrare una serie di colpi da cui prende vita altro fuoco arcobaleno e ventate d’aria, che Ho-Oh evita o neutralizza con le ali o con gli stessi suoi poteri.
È una battaglia senza dubbio lunga: andiamo avanti senza prevalere l’una sull’altro, probabilmente perché Ho-Oh non sta cercando di mandarmi al tappeto - una Legata novellina come la sottoscritta non può averlo davvero messo in difficoltà. E infatti sta man mano alzando il tiro, e allo stesso tempo io mi sto inevitabilmente stancando: ho maggiore resistenza e fiato rispetto a prima ma non ho mai combattuto tanto a lungo. Ho perso la cognizione del tempo ma ne sta passando tanto. Sono visibilmente più lenta, per quanto decisa a tenergli testa il più possibile, ma appena do prova di una forza ancora da scoprire del tutto, lui mi mette alle strette superandomi ancora. Alle lunghe diventa frustrante e i miei attacchi si caricano non di forza di volontà e di volontà di dar prova di quello che posso fare, ma di un bisogno quasi lacerante, poco sportivo, di non farmi mettere i piedi in testa.
Quando quest’atteggiamento si fa proprio palese, Ho-Oh mal lo sopporta e decide che è ora di finirla. L’ennesimo attacco di aerocinesi mi fa finire con il sedere a terra e sento un acuto, stringente dolore ovunque; sembra volermi bloccare con qualche altro mezzo ma non ho ancora intenzione di arrendermi. Prima che mi incateni al pavimento con il potere della mente o con dei lacci di fuoco, mi rialzo di scatto - soffocando i gemiti provenienti da tutte le mie membra - e creo di nuovo dei ventagli con qualche fiamma arcobaleno.
Se avesse un viso umano, il Leggendario mi mostrerebbe i denti, ringhiando, e socchiuderebbe le palpebre scagliando fulmini dagli occhi per intimidirmi. Mi sfugge un altro sorrisetto, stanco ma soddisfatto di non avergliela data vinta - non ancora, perlomeno. Purtroppo non posso dire quando resisterò ancora, sicuramente non a lungo. Sono le battute finali della battaglia, queste, e devo fare del mio meglio per dimostrarmi degna, agli occhi critici e severi di Ho-Oh, di possedere il suo Legame.
Descrivo ampi movimenti circolari con braccia e mani, stringendo i ventagli momentaneamente chiusi, per creare una serie di serpenti di fuoco - la stessa cosa che il Leggendario ha fatto prima con me, mettendomi in difficoltà; però le sue piste erano molto più grandi e minacciose. Le mie serpi fiammeggianti cercano Ho-Oh per afferrarlo e strattonarlo, magari metterlo in catene; non devono fargli del male, esattamente come finora lui non ha cercato di ferirmi seriamente. La Fenice non si lascia stupire e, dopo aver scansato più tentativi di attacco, mi strappa il comando delle fiamme. Immediatamente, senza darmi il tempo di prepararmi per reagire, spalanca il becco e dalla bocca fuoriesce una vampata di dimensioni colossali.
Le spire mi avvolgono e temo che non siano inoffensive: mi nascondo il viso con le mani, perdendo ovviamente i ventagli; soffoco uno strillo sperando di non bruciarmi niente. Ma a parte un calore terribile, direi quasi infernale, non mi sento toccata da alcuna lingua di fuoco, e se succede senza che io me ne accorga vuol dire che le fiamme sono innocue, in fin dei conti. Apro gli occhi spostando leggermente le mani al sopraggiungere di una nuova sensazione: non mi voglio nascondere da quest’attacco e aspettare che finisca. Devo, voglio reagire, voglio liberarmi dalla gabbia colorata ma anche odiosa in cui Ho-Oh mi sta tenendo prigioniera.
Spalanco le braccia quasi ringhiando per lo sforzo, investita da un’improvvisa ondata di, credo, rabbia - non so bene che emozione sia. Le fiamme si allontanano da me e si dissolvono nel nulla, estinguendosi davanti agli occhi impassibili e gelidi del Leggendario. Per l’impiego di energie che mi ci è voluto per far questo, cado a terra ginocchioni e metto le mani avanti per sostenermi. Ho il fiatone e non me ne stupisco. Mi sento prosciugata e svuotata di ogni risorsa; molte ciocche di capelli biondi e leggermente ricciuti sono sfuggite alla coda che le legava.
Faticosamente rialzo la testa, sempre ansimando, e vedo Ho-Oh atterrare vicino a me. Riabbasso il capo e bisbiglio: «Mi hai messo proprio alle strette… hai voluto sfinirmi, Ho-Oh…»
Nella mia testa lo sento intimarmi di fare silenzio, con uno “Shh” appena udibile. Il suo tono però è dolce: non ho mai percepito la sua voce farsi così paterna e calda, quasi premurosa. Mi copre con un’ala e il torpore scende su di me: mi stendo su un fianco, sul pavimento, e non riesco ad alzare gli occhi per vedere il suo sguardo, capire cosa sta facendo, perché le palpebre mi si chiudono e mi addormento all’istante.

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Capitolo 9
*** VIII - Un frammento di prisma ***


VIII
Un frammento di prisma

Il vento che soffia diventa la mia sveglia in questa gelida mattina di gennaio e in un luogo così incredibile ed inusuale come la cima della Torre Campana. Riprendo velocemente tutti i contatti con la realtà e mi metto a sedere con le gambe incrociate, sommerse dalla gonna a pieghe - dalle due gonne a pieghe, e con le mani dietro la schiena. Mi guardo intorno con circospezione ma è quasi del tutto buio: le prime luci dell’alba brillano timidamente cercando di farsi forza nonostante l’imponenza della notte. Poi abbasso lo sguardo per dare un’occhiata, anche superficiali, alle mie condizioni. Trovo subito qualcosa degno di essere studiato accuratamente.
La fascia piuttosto stretta che mi copre dal petto fino alla vita presenta ora la forma materiale del Legame. È una stella nera a sette punte nel cuore della quale è incastonato un cristallo, un frammento di prisma, che nonostante l’oscurità circostante brilla screziato di ogni colore dell’iride. È legato alla fascia con quattro nastri, neri pure questi, che si diramano dal centro della stella come raggi. Tocco la forma materiale che attesta il mio Legame con Ho-Oh e che racchiude pure il Leggendario - una sorta di mistica Poké Ball, mi viene da pensare; appena le mie dita la sfiorano sento un fremito di emozione percorrermi la mano e tutto il braccio, e un attimo dopo mi ritrovo adagiato sul palmo il Legame stesso, sottoforma però di collana, con un nastro di seta nera che passa attraverso la punta “settentrionale” della stella.
Mi metto per bene la collana e mi alzo in piedi. Il Sole fa timidamente capolino sulla linea dell’orizzonte, sorprendentemente basso rispetto alla Torre Campana, e inizia a rischiarare il cielo. Senza esitazioni mi dirigo alle scale per uscire dalla dimora di Ho-Oh e andare alla base segreta nel Sentiero, dove sicuramente mi staranno aspettando. Normalmente mi chiederei se Ilenia e gli altri siano preoccupati, visto che mi sono assentata per quasi un giorno, ma adesso scopro che non me ne importa granché. Gli effetti del Legame sulla mia personalità si sono già verificati senza che io potessi stabilire se accogliere o no i vari cambiamenti, ma automaticamente scrollo le spalle e decido - o forse è Ho-Oh a scegliere per me, ora? - che va bene lo stesso; forse è anche meglio.
Adesso i piani della Torre Campana si rivelano per quello che sono: semplici stanze, neppure granché grandi, in cui trionfa il legno, che nonostante sia molto antico è in ottime condizioni, e ci sono delle grandi finestre velate con leggere tende bianche. Un robusto pilastro attraversa ogni sala nel suo centro, mentre ad ogni angolo si trovano statue sempre lignee di Ho-Oh, sia nella sua forma Pokémon che in quella umana - della quale è occultato il volto, privo di tratti somatici. Rabbrividisco un po’ all’idea che magari nell’aspetto umano del Leggendario sia veramente assente il viso, ma mi convinco che non è possibile. Mi sembra di sentire uno sbuffo divertito nella mia testa: forse è Ho-Oh che si prende gioco dei miei pensieri inquieti.
Ho camminato piuttosto lentamente fino ad arrivare al piano terra, ma appena giungo a questo accelero il passo e quasi mi metto a correre verso il portone. Questo inizia ad aprirsi ancor prima che io ci arrivi e appena lo varco si richiude alle mie spalle di colpo, come a volermi cacciare per sempre dalla Torre - e dire che credevo che anche le travi della costruzione sapessero chi comanda in questa zona!
Con mia sorpresa individuo immediatamente una figura alta e luminosa, tutta bianca, che sosta a pochi metri dall’uscita della Torre e mi dà le spalle: si gira appena mi accorgo di lei. Ilenia sorride e io ricambio con più calore di lei, facendomi più vicina. «Ma come siamo belle» esordisce, «mia cara compare. Questa chioma bionda da dove salta fuori? E vedi di sciacquarti il viso, non ti si può vedere tutto quel nero in faccia.»
«Scommetto che invece risalta il mio sguardo ardente e la mia candida pelle» ribatto allegramente, anche se non sapevo fino ad un momento fa di avere del trucco. «Tutta invidia la tua… prima i monaci, ora la mia bellezza…»
«Senti, biondina, non ti allargare troppo. Ti butto giù con mezza Idropompa.»
«Provaci! Sono alta quasi quanto te, ora» ribatto con un po’ di malizia, sorridendole in modo beffardo. È il più bel giorno della mia vita: il mio sogno di superare la mia solita modesta altezza si è finalmente realizzato. Non tornerei mai al mio aspetto normale solo per questo motivo. Ilenia mi fa la linguaccia e dopo un attimo di silenzio torniamo serie; le chiedo: «Come mai stavi qui fuori ad aspettarmi?»
«Mi sono svegliata poco fa con Lugia che mi avvertiva che tu avevi finito la tua prova. Perciò senza dire niente a nessuno sono uscita e cinque minuti dopo sei arrivata tu, tutta tronfia nella tua Forma di Mezzo.»
Immagino che la Forma di Mezzo sia, come dice il nome, lo step intermedio tra quella umana e quella “vicina al Legame”, come l’ho sempre sentita nominare da Sara: lo stadio in cui il Leggendario e il contraente passivo si uniscono in un individuo estremamente potente che non è né del tutto Pokémon, né del tutto umano. Stranamente non mi metto a far congetture sulla mia possibile Forma Legame, di cui, può darsi pure, potrei non aver mai bisogno. Mi chiedo, però, se mi ritroverò mai a riassumere la mia Forma Umana.
«Smettila di prendermi in giro, so che l’invidia è una brutta bestia ma i tuoi eccezionali poteri Psico dovrebbero tenerti a bada» rispondo serenamente alla sua ennesima, amichevole frecciatina.
«Va bene, allora permettimi di darti una notizia terrificante. Sara ha intenzione di allenarci entrambe.»
Inizialmente pensavo ad un altro suo scherzo assolutamente stupido e poco divertente, ma questa è veramente una nuova terribile. Non voglio allenarmi con la tirannica Sara neanche per mezz’ora, mai più. «Non ci penso nemmeno, costringerò Ho-Oh pur di non stare con lei. Quella ci ammazza a tutte e due.»
“Cos’è che avresti intenzione di fare?” La voce di Ho-Oh si fa sentire nella mia mente - ma credo anche in quella di Ilenia, perché mi lancia un’occhiata intensa ed eloquente - all’improvviso, facendomi sobbalzare appena. Però sembra abbastanza divertito dal mio misero tentativo di sfruttarlo. “Guarda che sono vecchio. Vedi di lasciarmi in pace, ragazzina. Altrimenti mi toccherà farti rimpiangere gli allenamenti della tua amica.”
Automaticamente gli rispondo con la voce della mia mente, senza parlare: “Chiariamo queste cose importanti fin da subito: io non sarò l’unica parte del Legame a sgobbare. Devi come minimo aiutarmi.”
“Ti aiuterò, ti aiuterò.”
«Però, che feeling» commenta Ilenia senza sorridere.
La sua espressione, con questi occhi un po’ vacui e vitrei, non mi piace per niente e neanche Ho-Oh è entusiasta del tono e dell’aspetto della ragazza. Lui non dice niente e si ritrae nel frammento di prisma, chiudendosi insomma nella forma materiale del Legame; io esito, chiedendomi se sia il caso di indagare sull’atteggiamento di Ilenia, ma prima che possa decidere di fare qualsiasi cosa si riprende e cambia totalmente discorso.
«Era sveglio anche Luke, prima. Credo volesse venire pure lui, ma alla fine ci ha ripensato.»
Per un momento aggrotto le sopracciglia: non sono certa del fatto che mi sarebbe piaciuto che ci fosse stato pure il Legato di Raikou ad aspettarmi. «Gli devo fare un po’ di domande» mormoro, «soprattutto su quello che è successo con i Victory dopo che è stato ripreso da loro.»
Ilenia non conosce la storia del ragazzo, del tentativo di fuga e del rapimento; è molto curiosa di saperlo e in breve, senza condire il racconto con le forti emozioni da me provate quella volta, le spiego cosa accadde ormai più di un anno fa. «Capisco» dice alla fine del racconto. «In effetti è il caso di fare qualche accertamento sulla sua effettiva buona fede, anche se credo che se ci fosse stato qualcosa di strano Ho-Oh ci avrebbe avvertito.»
«L’ho pensato anch’io. Quello che mi ha lasciata veramente interdetta è stato il comportamento di Raikou: si è rifiutato categoricamente di darmi retta finché non è intervenuto Ho-Oh stesso, dicendo che non voleva prendere ordini da una ragazzina. Non mi ha fatta arrabbiare, mi ha proprio perplessa però.»
«Non si è comportato in modo ostile come un Victory» nota Ilenia.
«No, solo in maniera arrogante e presuntuosa» sibilo.
Proseguiamo in silenzio verso il passaggio che porta sia all’ingresso del complesso del Sentiero Ding-Dong, sia a quello della base segreta. La mia compagna sembra del tutto indifferente allo spettacolo degli aceri di fuoco, pur essendo probabilmente la prima volta che mette piede su questa stradina quasi del tutto coperta dalle foglie rosse e dorate, che non sembrano nemmeno secche: laddove non hanno sepolto il sentiero si vede nera ardesia a fare contrasto con i colori di questo leggendario bosco. Come tante cose nel territorio di Ho-Oh e come il Pokémon stesso, anche gli aceri, nonostante non sia ancora pieno giorno, sembrano emanare una luce propria.
Ilenia mi fa strada per arrivare alla base segreta: nemmeno faccio attenzione a come si fa autorizzare l’accesso ad essa e pochi secondi dopo siamo dentro. Mi aspettavo di ritrovarmi in un luogo fotocopia del covo nel Monte Corona, ma sono costretta a ricredermi e anche a riproverarmi, perché sono sempre convinta che ogni base delle Forze del Bene sia scavata in una montagna, che le pareti, il soffitto e il pavimento siano ricoperti di sottile acciaio scuro, che delle striscie azzurre e rosse che si illuminano ad intermittenza attraversino i muri prendendo le loro tinte da cristalli di uguale colorazione. La base del Sentiero Ding-Dong è molto diversa e non credo mi ci abituerò mai, anche perché dubito che resterò qui per molto tempo prima che mi venga affidato un altro incarico - o che mi si richieda di proseguire con la Missione Leggendaria all’estero, in cerca di Legati in altre regioni. Ho la sensazione che non passerà molto tempo prima che riveda Bellocchio: il pensiero mi strappa un involontario mezzo sorriso.
Questa base segreta non ha un ingresso ben delineato come quella in cui sono sempre stata. Un corridoio largo e lungo prosegue sia a destra che a sinistra e si dirama di tanto in tanto in vie di simili dimensioni. Una di queste è esattamente di fronte a noi e sembra più ampia anche di questo corridoio stesso. Tutto è ben illuminato e bianco, esclusivamente bianco, a parte il pavimento che, questo sì, è uguale a quello della vecchia base segreta. Le porte sono scorrevoli, automatizzate, e presentano tutte vetri più o meno grandi, di forma rettangolare o circolare come degli oblò, che consentono all’occhio di osservare l’interno delle innumerevoli stanze. Ilenia mi dice subito che la base è costruita su più piani, al contrario di quella nel Monte Corona che aveva in più soltanto i sotterranei, in cui sgobbavano i tecnici. Mi sembra di essere in un ospedale e di potermi perdere facilmente.
«Dove dovremmo andare?»
«Be’, è presto: per ora da nessuna parte. Ci sono le stanze riservate per degli ospiti speciali, che ovviamente siamo noi Legati, e ce n’è una libera tutta per te. No, non ci fanno dormire neanche in due nella stessa camera.»
Non mi importa molto di questo dettaglio, anzi, sono contenta di potermene stare da sola e al massimo in compagnia di Ho-Oh. Fino a pochissimo tempo fa - fino a ieri, ecco - avrei fatto di tutto per sgattaiolare in stanza di Ilenia o Sara per stare insieme a loro.
Mi blocco improvvisamente, scossa da un pensiero estremamente ansioso e preoccupante, ed esclamo: «I miei Pokémon!» Ilenia mi guarda interrogativa. «Appena sono entrata nella Torre Campana, la cintura con le Ball è scomparsa. Ora però deve trovarsi da qualche parte!»
Ho-Oh si risveglia prontamente per rassicurarmi, anche se con un tono un po’ polemico, come se fosse seccato di non poter stare in pace neanche per dieci o quindici minuti di fila. “La troverai in camera tua… la tua scarsa fiducia nelle mie straordinarie capacità quasi mi offende.”
«Straordinarie capacità un corno!» sbraito apparentemente rivolta al nulla, impedendo ad Ilenia, che stavolta non è stata inclusa nella breve conversazione tra me e Ho-Oh, di darmi una spiegazione - non credo, comunque, che l’avesse. Mi guarda stranita per un attimo ma subito dopo capisce, e distoglie lo sguardo altrettanto in fretta. Vado a toccare un po’ nervosamente il frammento di prisma, in un moto che non so come definire - forse istintivo.
Ci separiamo: lei va nella sua stanza e io nella mia - siamo comunque vicine. Quando richiudo la porta alle mie spalle vado subito in cerca della cintura con le Ball, come Ho-Oh mi ha promesso, e non ci metto niente a trovarla perché è esattamente dove lui ha detto: aperta sul letto, con tutte e sei le sfere al loro posto. La metà nera di quella di Nightmare sembra un’intrusa in mezzo alle altre, di cui si vede o una semisfera bianca o una rossa. Ci penso due volte prima di chiamare tutta la squadra fuori per qualcosa che si avvicini ad un abbraccio di gruppo e alla fine rimando a chissà quando il momento in cui mi confronterò con i miei sei compagni. Mi chiedo se potrebbero riconoscermi ugualmente nonostante abbia un aspetto così diverso, e ho qualche dubbio sul fatto che riuscirebbero ad accogliere con benevolenza questo drastico cambiamento fisico, caratteriale e comportamentale.
Sono a tutti gli effetti una persona diversa dalla loro Allenatrice, e allo stesso tempo sono sempre quella ragazzina bassetta di nome Eleonora, con i capelli castani e gli occhi grigi che li ha allevati ed allenati con amore. Dovrei essere disorientata e avere difficoltà nell’accettare una realtà così assurda, direi paradossale, invece non ho alcuna reazione: la me di circa mezza giornata fa continua a stupirsi di questa metamorfosi e cerca in ogni modo di chiedere spiegazioni alla signorina alta e bionda che d’un tratto ha preso il suo posto nel mondo. Potrei sempre tornare nella mia Forma Umana per qualche minuto, rassicurare i miei Pokémon che tutto va bene e poi recuperare l’aspetto della Forma di Mezzo, ma qualcosa - o qualcuno; forse Ho-Oh mi vieta di farlo, e io non posso far altro che obbedire in silenzio.
La mia stanza dev’essere sicuramente uguale alle altre e nello stesso stile della base segreta: pavimento scuro e pareti e soffitto bianchi, un letto semplice dello stesso colore e pochi mobiletti che non la rendono completamente spoglia - un comodino con un’abat-jour, una toeletta dallo specchio piuttosto grande… e basta. C’è una porta che dà sul bagno striminzito. Vado subito a sedermi alla toeletta per vedere com’è diventato il mio viso.
Non mi sono mossa senza un po’ di emozione, anzi, una certa ansia mi ha fatto tremare leggermente mentre mi spostavo davanti allo specchio. Rimango ugualmente scossa, sorpresa - non so dire se piacevolmente o meno, nel constatare il radicale cambiamento esteriore avvenuto in me, che quasi mi convince - se non fosse per la coscienza, che mi ricorda di essere più o meno la stessa persona - di aver perso la mia identità di umana in favore di quella di Legata. I miei capelli biondi assumono riflessi rossi in continuo movimento, che cambiano appena la mia chioma si muove e danno l’idea di essere un fuocherello agitato. Prima di sedermi passo un dito attorno alla ciocca libera dalla coda e seguo il percorso di questo mezzo ricciolo che mi incornicia il viso.
E questo non è di certo il mio vecchio volto. I lineamenti sono più affilati e maturi, regali, non ho più le guance tonde e gli zigomi ancora da scoprire; le labbra, rosse, si sono assottigliate, mentre prima erano piuttosto grandi. Il naso è ora all’insù ed è diversa anche la forma degli occhi: sono vagamente a mandorla e la loro espressione naturale è ostile, poco amichevole ma allo stesso tempo terribilmente attraente, magnetica. Le mie ciglia si sono allungate e sono diventate bionde, ma quasi non si vedono nel mare scuro che mi circonda gli occhi: le palpebre sono completamente ricoperte di ombretto nero che sfuma, fondendosi con il chiarore della pelle, su quelle immobili, sotto le sopracciglia bionde e arcuate; dell’eye-liner, sempre nero, disegna una lunga ed elegante coda abbastanza spessa che quasi supera la punta delle stesse sopracciglia, ed è presente, seppur sottile, anche sulla palpebra inferiore.
Non c’è niente che sia rimasto uguale a prima se non la mia voce. Mi tocco il viso per almeno qualche minuto, incredula; le mie unghie non sono corte come prima ma rimangono ugualmente prive di smalto. Le dita delle mie mani, ora meno piccole ma più magre, sono diventate affusolate. Una di esse, tremante, va all’elaborato fermacapelli in oro, che somiglia vagamente a un fiore: ha tre “petali” in alto e quattro “foglie” ai lati, due a destra e due a sinistra; un petalo è al centro e indica il cielo. In questo è incastonata una pietra rosea; se ne alternano tre rosse e tre azzurrine sulle altre parti dell’accessorio, stranamente leggero, che mi lega i capelli.
Appena lo tocco intenzionata a toglierlo in qualche modo, questo sparisce e la mia nuova chioma bionda mi si appoggia morbidamente sulle spalle, solleticandomi appena il collo con i suoi mezzi riccioli. Non mi sembrava così lunga e folta quand’era tenuta su dal fermacapelli. Me la riavvio, spettinandomela un po’, poi esco dalla stanza, intenzionata a incontrare Sara per parlarci e distrarmi - Ilenia, con i suoi strani sbalzi d’umore quando si parla di Legami, non mi sembra la persona più adatta da cercare in un momento di agitazione come questo. Nel frattempo la forma materiale del Legame è tornata al suo posto sulla fascia dorata.
Richiudo la porta alle mie spalle con troppa forza e nel corridoio vuoto è assordante pure l’eco di questo suono. Un’altra se ne apre in risposta al forte sbattere che c’è stato e mi aspetto di vedere Ilenia far capolino, il più ironica e sorridente possibile, che mi chiede per favore di non sfruttare inutilmente la forza arrivata con il Legame. Invece scopro, tutto sommato con sorpresa, che se la porta alla mia sinistra è occupata dalla Legata di Lugia, quella immediatamente a destra ospita Luke.
Il ragazzo apre bocca per dirmi qualcosa ma appena mi vede bene sembra essere istantaneamente fulminato da qualche emozione e pensiero che preferisco non immaginare. I suoi occhi grigi studiano fin troppo nei dettagli il mio nuovo aspetto, muovendosi dalla mia testa ai piedi. La sua bocca rimane aperta e questo mi irrita abbastanza.
«Hai visto Sara?» gli chiedo seccamente, affatto intenzionata a scambiarci più di qualche parola, visto il suo atteggiamento e la sua incapacità a trattenersi.
Dopo qualche secondo, in cui riesce soltanto a sporgere un po’ di più dalla porta della sua camera e si decide a guardarmi solo negli occhi, l’unica cosa che riesce a dire alla sua crucciata interlocutrice è: «Eleonora?»
«No, Sara.»
Lui si rende conto, imbarazzandosi più che mai, che dovrebbe darsi un contegno e rispondermi. Ma continua a non farlo - non ci riesce proprio. «Scusa… non mi aspettavo che… eh, sei cambiata del tutto.» Mi impedisco di alzare gli occhi al cielo e mi trattengo dal ribattere qualcosa, attendendo impazientemente una risposta decente. E per grazia divina arriva, alla fine: «Comunque, ehm, la sua stanza è accanto a quella di Ilenia.»
«Va bene. Grazie, ci vediamo.»
«Aspetta!»
Mi giro quasi di scatto, mio malgrado stupita che la sua voce abbia trovato improvvisamente tanta forza e pure decisione. Si morde per un momento le labbra e poi parla: «Mi sono ricordato, a proposito di Sara… ha detto che entro oggi cominceremo ad allenarci tutti insieme. A parte il tuo amico, com’è che si chiama…? Hans? Comunque, lui ha già ricevuto qualche Pokémon e sta imparando ad allenarli e a combattere. È pure piuttosto bravo.»
«Ah, già, Ilenia mi ha dato la funesta notizia delle intenzioni di Sara poco fa» replico. Lui ride appena e anch’io sorrido un po’. «Sai dirmi che ore sono?»
«Le sei e mezza.»
«Oh… non ci scommetterei, ma immagino che Sara stia ancora dormendo, o che comunque tutto voglia fare meno che stare appresso a me.» Faccio un altro sorrisino enigmatico e un po’ scostante che lo dissuade dal farmi qualsiasi domanda a tal proposito. Se c’è una cosa che conviene fare ora, semmai, è sottoporre Luke ad un interrogatorio che mi sembra di star rimandando da secoli. Non voglio chiedergli perché sia sveglio a quest’ora, anche perché, pensandoci, già so il motivo - stando a quanto detto da Ilenia, sembra che volesse addirittura “venirmi a prendere” con lei una volta scesa dalla Torre Campana. «Ti andrebbe di raccontarmi cos’è successo con i Victory e la storia del Legame?»
Lui annuisce e mi invita silenziosamente ad entrare nella sua stanza; lo seguo dentro e scopro che è identica in ogni aspetto alla mia, perciò anche le altre avranno questo stesso aspetto. Stavolta mi preoccupo di chiudere la porta senza essere troppo rude, mentre Luke si accomoda sul letto. Forse vorrebbe che mi sedessi accanto a lui, ma incrocio le braccia al petto e appoggio la schiena alla porta: arriccio leggermente un angolo della bocca e questo basta per fargli capire che sto aspettando il suo racconto. «L’ultima volta ci siamo lasciati con te che venivi ripreso da alcune reclute Victory e riportato alla base nel Monte Luna, e io che piangevo disperata per questo.»
L’incipit che gli ho dato gli è d’aiuto, perché non sapeva bene come cominciare. «Sì, giusto. Quei ragazzi non sembravano molto disposti a farmela passare liscia senza neanche menarmi qualche colpo ben assestato, però ricevettero ordini diversi da Giovanni in persona. Non dovevo essere toccato, soltando messo in cella: l’unica cosa che dovevano fare era assicurarsi che fossi ben chiuso là dentro e che ci fosse sempre un paio di sentinelle a fare la guardia. Presto sarebbe venuto lui a farmi visita e questa prospettiva mi consumava dalla paura… non ero forte, né fisicamente né a livello psicologico. Finché non ho ottenuto il Legame sono stato sensibile, impressionabile da un sacco di cose, e sentivo che l’unica cosa che mi riusciva veramente bene era stare con i Pokémon. Allenarli mi piaceva ma preferivo semplicemente starci insieme.
«Giovanni venne da me uno o due giorni dopo l’inizio della prigionia, ma mi sembrava fossero passati secoli da quando ero stato chiuso in una cella. Le sbarre andavano dal soffitto al pavimento e mi ricordano ancora le gabbie degli animali in un circo» mormora tristemente; l’immagine descritta mi fa rabbrividire, spero non visibilmente. «Prese la poco saggia decisione di parlare con me faccia a faccia, senza alcuna recluta a controllare che tutto fosse tranquillo e che, soprattutto, intervenisse in caso di pericolo. Non sapevo di essere un Legato ma proprio quella volta, la prima in vita mia in cui rischiai veramente grosso, Raikou si rivelò e fece in modo di farmi scappare.
«Ad ogni modo, dovettero passare lunghi quarti d’ora prima che tutto questo avvenisse.» Luke giocherella nervosamente con la forma materiale del Legame, il braccialetto in acciaio e rame che presenta numerosi motivi, sulla parte grigia, che rappresentano chiaramente dei fulmini. «Giovanni mi disse che questo trattamento gli era stato imposto da dei doveri nei confronti dei suoi superiori, che altrimenti, nonostante la mia identità, avrebbe avuto piacere nel farmi pagare a caro prezzo il mio comportamento inaudito. Non capivo di quali superiori stesse parlando perché ero sicuro che i Comandanti del Team fossero lui, Ghecis, Elisio e gli altri. Ieri ho parlato anche con Sara e mi ha detto che le Forze del Bene hanno scoperto giusto qualche mese fa l’esistenza dei veri vertici.»
Glielo confermo. «E dire che c’è qualcuno ancora più in alto di questi stessi vertici.»
Luke abbassa la testa e sospira: evidentemente sa pure lui - forse è stato messo a conoscenza di questo dal suo Leggendario - che i Comandanti gemelli obbediscono, a loro volta, a qualcun altro. Prima o poi gli dirò chi sono loro e magari gli farò qualche accenno alla strana bambina a loro legata.
«Non ricordo chiaramente le parole di Giovanni, anche se i primi tempi ero sicuro che sarebbero rimaste nella mia memoria come se me le avesse marchiate con il fuoco. In generale accennò alla mia speciale identità che aveva costretto questi suoi misteriosi superiori a risparmiarmi qualsiasi violenza. Questo mi sollevò un pochino, perché avevo passato più di ventiquattr’ore a tremare al pensiero di cosa mi aspettasse: non lo fece abbastanza, però, per far sì che Raikou non intervenisse, perché gli occhi di Giovanni erano pieni di odio e di disprezzo. La situazione degenerò sempre di più: lui parlava, parlava, parlava in continuazione e io stavo zitto a rabbrividire e a trattenere ogni segnale di debolezza. La mia espressione però era a dir poco eloquente. Credo di poter affermare che si stancò di spendere il suo tempo con me, un ragazzino che potrebbe essere suo nipote, ed irascibile com’è, perse le staffe e si preparò alla violenza fisica. Non ci era andato piano con le parole… fortunatamente la mia memoria ha conservato solo alcuni stralci, alcune frasi, a cui ho fatto l’abitudine.
«Raikou non gli diede il tempo di cominciare a infierire su di me. Credo di aver gridato e un momento dopo, in un lampo, veramente, ottenni i poteri e li utilizzai contro di lui. Non mi resi conto di cosa stesse succedendo: ero… non in trance, perché ero consapevole di star facendo quelle cose, di dominare i fulmini e di averci attaccato Giovanni. Però era come se vivessi tutto quanto in terza persona e allo stesso tempo considerassi il tutto naturale: non me ne stupii finché non fui fuori dalla base dei Victory, lontano da ogni pericolo.»
Riconosco nella descrizione di Luke quello che ho provato io quando Ho-Oh si è rivelato: la sensazione di star guardando la scena della battaglia contro l’Houndoom di Cyrus in terza persona, senza stupirmi di cosa il mio corpo stesse facendo o di chi lo guidasse. Mi porto una mano al collo, un po’ turbata dalle parole di Luke e anche e soprattutto dai miei ricordi. Il ragazzo prosegue.
«Il mio secondo potere, dopo l’elemento del fulmine, è quello dei metalli. Piegai le sbarre della cella con facilità estrema e inchiodai Giovanni al pavimento, approfittando del fatto che fosse mezzo svenuto dopo la mia scarica elettrica e dell’acciaio che rivestiva il terreno roccioso della base. Delle reclute si precipitarono da lui, da me, ma erano troppo lontane, e comunque non potevano star dietro alla velocità impressionante che mi ha donato Raikou con il Legame. La velocità del fulmine.» Fa un mezzo sorrisetto che tutto è meno che contento o divertito. «Corsi, non ricordo dove: lanciai qualche saetta per mettere fuori gioco eventuali ostacoli e poi Raikou mi aprì un portale - il potere dell’elettricità gli consente di crearne di tanto in tanto, hanno forma di fulmini - che mi teletrasportò fuori da quell’inferno. Per sempre, posso dire adesso.»
Si ferma, ma gli concedo solo qualche momento di pausa perché voglio sentire anche la storia del suo Legame. Devo dire che a parlare è veramente bravo: sarà perché sono partecipe del suo racconto visto che ho provato le sue stesse esperienze ed emozioni, ma in qualche modo mi ha messa a disagio. «E poi cosa successe? Quale fu la tua reazione alla scoperta del Legame… come facesti a metterti in contatto con Raikou in modo tale che sapessi che avresti dovuto andare alla Torre Bruciata per ottenere la forma materiale del Legame?»
«Ero terrorizzato» risponde immediatamente con sincerità. «Appena gli effetti della rivelazione si dissolsero… l’adrenalina, il senso di forza, anzi, direi addirittura di onnipotenza… tutto tornò alla normalità e mi sconvolse. Ero all’interno della Torre Bruciata, per di più di notte, e al buio e al freddo visto che era inverno: non avevo nemmeno i miei Pokémon, me li avevano sequestrati prima di mettermi in prigione. Non li ho mai più rivisti» aggiunge a bassa voce. «E poco dopo aver realizzato quel che era successo, quello che io ero riuscito a fare, mi apparve Raikou davanti agli occhi e subito fece in modo di farmi ottenere la forma materiale del Legame.
«La prova a cui mi sottopose fu abbastanza semplice. Insomma, non dovetti far altro, se così si può dire, che lasciarmi guidare da lui per prendere confidenza con le mie capacità, con chi ero davvero. Dopo un po’ mi abituai e non fui più dipendente da lui per quanto riguardava l’utilizzo dei poteri, quindi cominciammo la prova per ottenere la forma materiale. Ero sotto la sua influenza, perciò fu tutto molto più indolore di quanto sarebbe stato normalmente, se non avessi avuto lui a sostenermi… avevo rischiato grosso anche per quei pochi istanti passati da solo, o almeno quando credevo di esserlo completamente. Mi aiutò molto anche dopo essere passato in maniera definitiva alla Forma di Mezzo - non ho più riacquistato la Forma Umana da quel giorno - perché mi insegnò a sfruttare al meglio le mie capacità, a conoscere il mio nuovo corpo e, soprattutto, a conviverci.»
«E dove hai vissuto finora?»
«Ho passato il mio tempo a gironzolare» sorride lui, ridacchiando appena. «Sono bravo a nascondermi e non mi feci mai trovare dai Victory, ma neanche dalle Forze del Bene.»
«Per volere di Raikou, immagino.»
Luke ci pensa due volte prima di stupirsi della mia intuizione. Poi annuisce, forse un po’ intimorito da quella che potrebbe essere la mia opinione sul conto del suo Leggendario e dei suoi comportamenti assai sospetti. Però adesso non ho per niente voglia di mettermi a fare congetture su Raikou, anche perché in compagnia del suo Legato sarebbe sgradevole - più per lui che per me.
Però di domanda ne ho ancora una. «Perché Raikou non ti ha permesso di uccidere Giovanni?» Lui inarca le sopracciglia sottili, come se non capisse. «Lo avevi in pugno. Però lui ha fatto in modo che non usassi i tuoi poteri in modo sregolato arrivando ad uccidere Giovanni. So quel che dico, anche a me è successo: Ho-Oh si è rivelato quando ero faccia a faccia con Cyrus e ha fatto in modo tale che non lo ammazzassi. C’era anche Sara con me e pure lei non era intenzionata a farlo fuori, nonostante in quel momento desiderassi ardentemente farlo.»
Luke sembra messo un po’ a disagio dal tono freddo con cui ho pronunciato queste ultime parole e mi risponde in maniera piuttosto schiva: «Non lo so, non ci ho mai pensato. Tu invece sai il perché?»
«No, altrimenti non te lo avrei chiesto.»
Fa un cenno d’assenso con la testa. «Sembra proprio… sembra che tu creda che ci sia qualcosa sotto.»
Scrollo le spalle. «Non capisco ancora la posizione dei Leggendari nella guerra tra Forze del Bene e Victory Team. Anche se sono sempre più convinta che sia più corretto dire il contrario: qual è il ruolo di questo conflitto nelle relazioni tra Leggendari?» Gli occhi di Luke scintillano di attenzione e intelligenza, perciò decido di andare avanti con le poche idee che sono riuscita a farmi su questa situazione. «Credo che i Legati di questo periodo siano nati al massimo venti anni fa. Se non tutti, almeno gran parte di noi è ancora formata da ragazzi adolescenti: il più grande che conosco è Hans, che di anni ne ha diciannove. Però la guerra tra Victory Team e Forze del Bene è scoppiata dieci anni fa, e da quello che so la questione dei Legati da trovare è sorta qualche anno dopo ancora. In più è quasi del tutto accertato che i Leggendari formino Legami solo in periodi di guerra: è strano che si siano messi in moto dieci anni prima dello scoppio dell’unico conflitto conosciuto in questi ultimi anni. Il mondo esclusivamente umano vive da decenni un periodo di pace. Parecchie domande arrivano spontaneamente.»
Faccio una pausa. «Ad ogni modo, c’è qualcosa che impedisce ai Leggendari di schierarsi in modo netto da una parte o dall’altra: nessun Legato finora ha mai ucciso un nemico, che sia di una fazione o dell’altra. Una mia… amica» ho qualche ripensamento a chiamarla così, «stava per far fuori Elisio. Sono abbastanza convinta, ora come ora, che la barriera comparsa improvvisamente a proteggerlo fosse di natura Pokémon, Leggendaria: è impossibile che abbiano creato degli scudi come quello.» Non so perché sia così convinta di quello che sto dicendo: ho sempre dubitato della qualità delle informazioni sui Victory in possesso delle Forze del Bene. Eppure il mio sesto senso di Legata, o qualsiasi altra cosa, mi dà sicurezza sul fatto che quella barriera non fosse stata creata artificialmente.
«Se anche avessero creato qualcosa del genere» aggiungo all’ultimo, interrompendo Luke che stava per parlare, «sono comunque certa che, almeno in quel caso, ci sia stato l’intervento di un Leggendario. Questa ragazza aveva ricevuto la rivelazione di Xerneas, perciò lui - o lei - poteva tranquillamente intervenire. E, infine, è troppo strano che tre dei più importanti esponenti dei Victory siano scampati alla morte, nonostante fossero nettamente inferiori rispetto ai Leggendari che manovravano dei ragazzini con poteri eccezionali.»
«Sono d’accordo» afferma Luke.
A malapena gli do il tempo di rispondere che ricomincio a fare ipotesi e supposizioni, riversando tutti i dubbi di settimane, finora rimasti in silenzio, addosso al povero Luke che è costretto ad ascoltarmi - non so quanto la cosa gli faccia dispiacere. Questo pensiero mi mette un momento a disagio. «Comunque, anche se Ho-Oh, Raikou o altri fossero disposti a rivelarci qualcosa, temo che ogni informazione dovrebbe rimanere tra noi Legati e non giungere né alle orecchie di Bellocchio… e degli altri vertici nelle Forze del Bene… né a quelle dei Victory. Questo è quello che voglio capire. E vorrei anche sapere cosa mi farebbe Ho-Oh se invece raccontassi tutto a Bellocchio… se questo comportasse la fine della guerra, se portasse alla vittoria le Forze del Bene…» mormoro.
Finora mi sono rivolta più a me stessa che a Luke - mi sono quasi dimenticata della sua presenza. Mi aspetterei di sentire da un momento all’altro Ho-Oh rimproverarmi duramente per questi pensieri così arditi e trasgressivi rispetto a come un Legato dovrebbe di norma comportarsi. Invece non si fa vivo e sono costretta a rivolgere la mia attenzione a Luke, che dice timidamente: «È… è, ecco, è molto coraggioso da parte tua. Il conflitto, o meglio, il trionfo delle Forze del Bene sui Victory… deve starti molto a cuore per portarti a queste decisioni.»
Mi giro di spalle, rendendomi conto - e vergognandomene parecchio, perciò non voglio guardare Luke nei suoi occhi sinceri - che nemmeno io, probabilmente, sarei disposta a disobbedire al mio Leggendario per offrire un vantaggio, un valido aiuto alla mia fazione. Non so se è Ho-Oh a intervenire silenziosamente, ma all’improvviso sento che il conflitto tra Forze del Bene e Victory non ha alcuna importanza per me. C’è qualcos’altro a cui devo dedicare la mia attenzione, qualcosa di spaventosamente più grande, e questa guerra ne è solo una minima parte. Ma prima ancora devo aspettare che Ho-Oh si decida a parlarmi di queste cose che finora si è limitato ad insinuare nella mia mente, divisa tra i pensieri di quand’era interamente umana e quelli influenzati dal Legame.
«Penso che adesso andrò da Sara. Scusa se ho chiacchierato tanto.»
«Ma va’, figurati. Anzi, mi fa piacere che tu abbia condiviso con me le tue idee…!»
Mi giro. Luke sta sorridendo e stranamente non è imbarazzato: rispondo con la stessa espressione e lo saluto a bassa voce con un semplice “A dopo”, per poi uscire richiudendo la porta alle mie spalle.
Di nuovo cambio idea nel giro di cinque minuti e scelgo di rinviare ulteriormente la visita da Sara. Ad essere sincera, parlare con Luke sotto questo nuovo aspetto, la Forma di Mezzo, è stato sufficiente per farmi abituare un altro po’ alla persona che sembra aver preso il posto di Eleonora, che però rimane sempre Eleonora. Non so se riuscirò mai a spiegarmi questa situazione così assurda mentre mi trovo nella Forma di Mezzo.
Mi metto a gironzolare indisturbata per la base del Sentiero Ding-Dong, tranquilla perché qui tutti sanno dei Legami e non dovrebbe esserci alcun problema se la contraente di Ho-Oh si fa una passeggiata di prima mattina per questi corridoi luminosi. Questi minuti di vuoto sono perfetti per esplorare un po’ l’ambiente in cui passerò i prossimi giorni - forse settimane? - della mia vita e prevenire qualsiasi spiacevole inconveniente, tra cui sbagliare l’eventuale stanza che era mia destinazione o più semplicemente perdermi, vista la mia scarsissima capacità d’orientarmi, a volte anche nei luoghi più conosciuti - come la base del Monte Corona.
Decido, stavolta nella speranza di non cambiare idea all’ultimo per l’ennesima volta, di andare in cerca della personalità più importante all’interno di questo posto - un equivalente di Bellocchio per il maggiore covo delle Forze del Bene in tutta Sinnoh. Avventurandomi per i corridoi mi capita più volte di incrociare qualche persona che lavora qui, che però riesce a rivolgermi solo uno sguardo fugare, riconoscendo subito la Legata di Ho-Oh. Non mi fa né caldo né freddo, ma sarebbe carino se si avvicinassero in modo tale che possa chiedere a qualcuno dov’è “l’ufficio del capo”, senza correre dietro a nessuno - non so che impressione farei. Ho una faccia piuttosto seria e aggressiva, con la Forma di Mezzo, che a primo impatto comunica qualcosa come “Levati o ti incenerisco”, “Cedi il passo prima che chiami Ho-Oh ad arrostirti”… mi passo una mano tra i capelli, un po’ in difficoltà.
Svoltando l’angolo di un corridoio quasi vado a sbattere contro una ragazza che avrà più o meno la mia età, se non fosse che io, con quest’aspetto, sembro almeno una ventenne. Lei trasalisce appena si rende conto di chi ha appena incontrato e cerca di andarsene in fretta e furia balbettando qualcosa di impreciso - mi sembra di capire che mi si stia rivolgendo dandomi del “lei”. Inizialmente il suo comportamento mi lascia un po’ disorientata, come è successo ieri con quei rispettosissimi monaci; poi mi ricordo di avere una domanda per la testa.
Mi giro verso di lei, che sta correndo via per la sua strada, ed esclamo: «Aspetta!»
Si volta di scatto, fortunatamente incuriosita dal fatto che le abbia rivolto la parola in un certo tono e non intimorita dai miei occhi, dalla nuova espressione naturale che caratterizza questo viso. «Le serve qualcosa?»
«Può dirmi dove trovare la persona ai comandi di questa base segreta? Un collega di Bellocchio o simili.»
Lei sorride nel sentirsi rispondere con lo stesso tono rispettoso e capisce al volo - anche grazie a un mio sorriso dello stesso tipo del suo - che non c’è bisogno che utilizzi tanta formalità. «Devi soltanto andare in fondo a quel corridoio che stavi per prendere. La porta del capo di questa base la riconosci da te.»
«Grazie mille. Buona giornata» rispondo, seguendo le sue indicazioni - se non mi fossi quasi scontrata con la signorina avrei comunque, con qualche difficoltà in più, trovato il posto che cercavo.
A passo svelto vado diretta all’unica porta sulla parete in fondo al corridoio: si distingue dalle altre a destra e a sinistra per una stellina nera che una persona non troppo attenta neanche noterebbe. Busso un paio di volte, anche se dubito che a quest’ora del mattino ci sia qualcuno; invece, in un modo che mi ricorda molto Bellocchio, una voce femminile mi invita ad entrare. Non riesco a capire il suo stato d’animo.
I miei occhi trovano subito corrispondenza in un paio di iridi scure, nere, racchiuse in occhi a mandorla dalle lunghe ciglia; occhi che un momento dopo vengono contagiate dal sorriso, direi beffardo, che le incurva le labbra sottili. «Immaginavo che a quest’ora solo qualcuno dei nostri ospiti speciali potesse venire a farmi visita. Ed è arrivata nientepopodimeno che la Legata di Ho-Oh.»
«Eleonora» dico, accennando appena la sua stessa espressione. «Mi chiamo Eleonora.»
«E tu puoi chiamarmi Hei Feng, bambolina» ribatte lei. Si alza: ha un fisico atletico, non è molto alta e i capelli neri sono tagliati piuttosto corti - le arrivano sotto la mascella del viso perfettamente tondo. È chiaro fin da subito che il suo caratterino, se qui vuole divertirsi con me, dà del filo da torcere quando la proprietaria si ritrova faccia a faccia con un nemico. «Qual buon vento ti porta qui?»
«Sono arrivata da poco, volevo farmi un giretto e osservare la base.»
«Che ne dici, è di tuo gusto?»
«Preferisco quella che si trovava nel Monte Corona a Sinnoh. È il posto in cui ho imparato a combattere e ci ho passato una parte importante della mia vita, per quanto breve.»
«Quindi hai passato parecchio tempo a stretto contatto con il caro vecchio Bellocchio! Mi chiedeva poco tempo fa se si avessero notizie di te, e ieri sono stata lieta di fargli sapere che sei viva e attiva. Sarà ancor più felice di venire a conoscenza del fatto che hai ottenuto la forma materiale del tuo Legame. Eleonora, hai detto?»
«Bellocchio sta bene?» le chiedo senza curarmi della sua ultima domanda.
«Sì sì, adesso si trova ad Unima.» Hei Feng - questo nome mi suona vagamente familiare, nonostante la lingua mi sia del tutto sconosciuta - è in piedi da un pezzo dietro la sua scrivania: le passa davanti per mettersi proprio di fronte a me. Nonostante sia più bassa della sottoscritta - che fino a ieri sarebbe stata a sua volta più bassa di lei - ha un’espressione decisa, di sfida, che in qualche modo sembra elevarla parecchi centimetri più in alto.
«Pensa che si farà vedere dalla sua pupilla prossimamente?»
La donna sorride. Avrà al massimo trent’anni. «Non credo, ma per la sua pupilla e la sua fantasmagorica compagnia sarebbe disposto a fare qualsiasi cosa.» Le sto per rispondere che non avevo alcun dubbio ma la sua espressione cambia nel ricordarsi qualcosa: «A proposito della tua compagnia, avvisa i tuoi amici che in giornata arriveranno un altro paio di ragazzi del vostro entourage. Dovrebbero chiamarsi Lewis e Laura, sono i Legati di Latios e Latias, rispettivamente. Li conosci?»
Le rispondo con un semplice gesto di diniego del capo; poi, siccome non ho altro di cui parlarle e anche lei non sembra avere qualcosa di importante da dirmi, scelgo di andarmene ad avvertire gli altri, sempre che siano svegli, di questa piacevole novità. Hei Feng mi guarda con occhi divertiti quando le comunico che la lascio in pace per un po’ e non dice niente, a parte un saluto veloce. Richiudo la porta alle mie spalle e mi incammino verso le stanze dei Legati, gli ospiti speciali come li chiama il capo di questa base segreta; il suo sguardo, beffardo e al contempo indagatore, me l’ha fatta risultare simpatica, perciò penso che tornerò presto a scambiarci due parole.
Mi chiedo per tutto il tempo che tipi siano questi Lewis e Laura. Ho la sensazione, però, di sapere già chi sia lui.

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Capitolo 10
*** IX - Convivenza ***


IX
Convivenza

«E chi sarebbero costoro?»
La domanda che Sara mi pone appena le comunico la gradita novità - due nuovi compagni di Legame - è più o meno la stessa che mi sono fatta io appena Hei Feng, il capo di questo posto, mi ha detto di tali Lewis e Laura. «Non lo so. I Legati di Latios e Latias, comunque» le preciso.
È ancora mezza addormentata e averla trovata così mi ha stupita un po’ - non mi sono nemmeno preoccupata di controllare, quando sono entrata, se fosse sveglia o meno. Ho girato la maniglia e sono entrata normalmente, senza fare eccessivo rumore, ma la signorina ha il sonno fin troppo leggero: il primo sguardo della giornata l’ha rivolto a me ed è stato inceneritore. Le ho risposto con un sorriso innocente, sapendo che non è colpa mia se non dorme pesantemente come, ad esempio, la sottoscritta. È da quando siamo andati alla Torre Bruciata che continua a stare nella Forma di Mezzo: la normale espressione del suo viso è seria quanto la mia.
«Latios?» borbotta: si mette a sedere sul letto e si stiracchia, sbadigliando vistosamente.
«E Latias.»
«Il Legato di Latios…» insiste lei, pensierosa. «Tu sai chi è?»
«Sara, svegliati, ti ho detto neanche un minuto fa che non so chi sono questi due ragazzi.»
Lei mi lancia un’occhiata di traverso. «Intendo dire che Gold è il Legato di Latios.»
Quest’affermazione mi lascia subito attonita. Sapevo che Gold è Legato a qualcuno ma non mi sono mai chiesta chi fosse il suo Leggendario - anche perché sarà almeno un mese che non lo vedo, a causa degli allenamenti con il Legame e il bisogno, ancora prima, di conoscere il mondo dei Leggendari e di noi contraenti… mi sembra davvero strano, però, che sia stato così impossibile vedermi con lui, anche solo per scambiarci un saluto. Se non l’ho mai visto nemmeno per caso vuol dire che Gold dev’essere stato lontano dalla base segreta del Monte Corona.
«Allora Gold, ovvero Lewis, è partito per Hoenn almeno un mese fa, andando a prendere la forma materiale del suo Legame. E lì ha trovato anche la sua… controparte, questa Laura, Legata a Latias.»
«Cosa significa “Gold ovvero Lewis”?»
«Non lo sai? Il nostro Goldino ha sempre avuto paura a dire il suo nome vero perché non gli piaceva, e perché amava identificarsi con il Campione Gold. Mi auguro che averci fatto sapere come si chiama veramente significhi che ha superato questa fase infantile.» Lewis non è neanche un nome brutto. Mi chiedo perché abbia continuato a farsi chiamare così per anni… forse ci si è abituato talmente tanto che si sarà convinto, pian piano, di chiamarsi in un modo e non in un altro.
«Non lo sapevo. Wow» dice Sara a bassa voce.
«Comunque, non sono venuta qui per questo: Hei Feng mi ha informata della novità poco fa, ma prima volevo parlarti per confidarti un paio di cose.» Sara si fa più attenta, sembra che il mio tono serio l’abbia svegliata del tutto. Mi guarda intensamente e i suoi occhi cremisi ricevono una risposta del medesimo colore. Apro bocca per parlare e all’improvviso mi rendo conto di quanto sia difficile riversare all’esterno di me i pensieri un po’ angosciati, sicuramente molto turbati, che stamattina affollano la mia mente. Le mie labbra si serrano un’altra volta e Sara corruga le sopracciglia, capendo che c’è qualcosa che mi ha di colpo bloccato le parole in gola. Aspetta senza mettermi fretta, mentre io cerco un modo per esprimermi nel modo che mi metta meno a disagio. Alla fine riesco a dire, quasi balbettando: «Credo di avere una crisi d’identità.»
Adesso le sopracciglia azzurre della mia compagna si inarcano di sorpresa. «Spiegati meglio.»
Un’altra lunga pausa segue la sua richiesta. Mi tormento imbarazzata le labbra sottili, non ritrovando quelle più grandi e dolci a cui ero abituata, e se possibile il mio disagio aumenta. In qualche modo però capisco cosa mi sta così fortemente preoccupando, perché fino a poco fa non sapevo bene come spiegarmi tanto malessere, e parlo a bassa voce: «È come se in me, ora, abitassero due personalità. Una è quella di sempre, umana, e fino alla rivelazione del Legame era l’unica che avessi. Poi quando Ho-Oh prendeva possesso di me, momentaneamente, mi trasformavo in una persona completamente diversa nel modo di pensare, di parlare, di agire… e adesso che ho la forma materiale del Legame, queste due personalità, quella umana e quella più vicina a Ho-Oh, si alternano. In un momento, ora per esempio, mi comporto come la ragazza di sempre, quella che sono stata per più o meno sedici anni e mezzo. Ma fino a poco fa… stamattina, quando ho parlato con Luke, in particolare… ero una persona completamente diversa. Più fredda e meno insicura di adesso, più severa e matura, adulta. Avendo cambiato anche aspetto è impossibile collegare questa persona» contemporaneamente mi porto una mano al petto, «alla ragazza di nome Eleonora. Dovrei essere sempre la stessa, però… sento che non è assolutamente così. Da una parte c’è una personalità, dall’altra la seconda. Non capisco più chi sia quella che dovrebbe predominare, se l’una o l’altra. Non so nemmeno quale vorrei io!» esclamo all’improvviso, esasperata. «C’è quella di sempre che è mia, la percepisco come unico mio carattere, modo di pensare e di fare, e non posso credere di poter vivere senza dar retta a questa personalità: ci ho convissuto per troppo tempo. Però l’altra è più conveniente, perché è caratterialmente più forte e anche più intelligente, immagino, e soprattutto asseconda il Legame, quindi di sicuro il volere stesso di Ho-Oh. Però, però…» mi porto le mani tra i capelli biondi e subito le tolgo, come se la mia chioma scottasse. È che mi sembra di toccare la testa di un’altra persona. «Sono sempre io, sia con un aspetto che con un altro, sia con un carattere che con un altro. Ma non è vero, è una contraddizione! Questi elementi creano due persone diverse… eppure io sto ospitando sia un fisico che una mentalità differenti, che nemmeno posso cambiare a piacimento. Ma questo cosa vuol dire? Non è una cosa normale. Non capisco cosa devo fare, più penso a questa situazione paradossale e più mi confondo. E poi» aggiungo ancora, «mi sembra di essere la sola ad avere questo problema. Tu e Ilenia non cambiate repentinamente carattere quando passate da una forma all’altra, lo stesso immagino valga per Luke, per quanto poco ricordi del nostro primo incontro sembra solo più riservato, ma niente di più! Un conto è cambiare il proprio aspetto, un conto è che la metamorfosi coinvolga anche ciò che è dentro della persona. Non capisco perché solo io abbia questo problema.»
Lo sfogo finalmente finisce e mi ritrovo quasi ad ansimare. Sara ha abbassato lo sguardo verso le battute finali, immersa nei suoi pensieri, e anch’io mi metto a guardare il pavimento con aria smarrita e ferita. Adesso mi sono comportata come la Eleonora di sempre: ho parlato, pensato e anche gesticolato come la sedicenne bassetta dai capelli castani; ma tra cinque minuti, anche meno, potrebbe prendere il sopravvento la Eleonora del mondo dei Pokémon Leggendari. Se almeno potessi controllare questi cambiamenti, invece sono pure improvvisi! È stato da un momento all’altro, prima, che mi sono ritrovata con la gola annodata al pensiero di esternare i miei problemi.
Quando Sara apre bocca la guardo con tanto d’occhi, ansiosa di sapere il suo responso. Ma le poche parole che dice sono estremamente deludenti. «Devi parlarne con Ho-Oh.»
«Non hai una risposta? Non hai idea di cosa mi stia succedendo?»
Scuote la testa in un gesto di diniego. Sbuffo rumorosamente - già percepisco la presenza della me Leggendaria. Non so bene come distinguere le due parti di me - non mi piace pensare di essere divisa in due, mi sembra di star impazzendo. «Parlando per me, non mi è mai successo niente di simile. Ma ho passato più anni della mia vita con il Legame che senza, quindi non ricordo nemmeno come fosse il mio carattere prima di allora. Per quanto riguarda Ilenia e Luke, può darsi che ti stia lasciando trascinare dalle tue paure e che queste ti abbiano annebbiato la vista. Ti consiglio di osservarli con attenzione, lei in particolare, visto che è la persona che conosci meglio. Siete state migliori amiche, in pratica, forse lo siete ancora: potresti trovare qualcosa di diverso in lei che magari sta cercando di nascondere, e ci riesce meglio di te, che con la finzione fai pietà, lo sappiamo tutti.» Mi regala un sorrisetto infame che mi appresto a ricambiare allo stesso modo. «E adesso rivedrai anche Gold, o come cavolo si chiama quel ragazzo. Però ti invito di nuovo a parlarne con Ho-Oh, che sicuramente ne sa più di te. E di me.»
Meglio che non mi metta a parlare anche di quanto mi preoccupi un colloquio con il severo Leggendario, credo che le orecchie di Sara potrebbero iniziare a sanguinare. Me ne resto in silenzio a rimuginare a tal proposito e alla Legata di Articuno non sfugge lo sguardo pensieroso, sempre più teso e preoccupato, nei miei occhi; sospira e mi dice: «Qualcos’altro ti mette a disagio, cara Ele?»
«Ho-Oh mi mette a disagio. Ho-Oh» ripeto. «Mi mette a disagio anche il fatto che ora sia inerte, impassibile e zitto nella forma materiale del Legame, e non si disturbi a rassicurarmi o a darmi le spiegazioni che cerco. Potrei iniziare ad insultarlo e non farebbe niente!»
«Pensaci bene, su; anche perché adesso sei con me, è normale che non voglia parlarti in presenza di una persona estranea al vostro Legame» ribatte lei. «Ma che significa che ti mette a disagio?»
«Niente. Lascia stare.» La ragazzina schiva e riservata ha ripreso il sopravvento.
Sara non si stupisce di quest’improvvisa riluttanza a parlare. È chiaro più a me che a lei che è meglio finire di parlare e magari rivederci più tardi, possibilmente con Lewis - o Gold? Sono indecisa se chiamarlo in un modo o nell’altro - e la sua compagna, Laura. La saluto con voce sommessa e lo stesso fa lei; esco frettolosamente dalla sua camera, più confusa di quando sono entrata in cerca di una consulenza efficace, e ringrazio il cielo che nessuno faccia capolino dalla sua porta e cerchi di contattarmi, perché ho voglia di stare da sola finché mi è possibile.
L’unica compagnia che accetterei è quella di Ho-Oh, che immagino si farà vivo a momenti: devo solo trovare un posto in cui non ci sia nessuno, che lo invogli così ad aiutarmi a fare chiarezza. Non voglio andare nella mia stanza perché chiunque mi troverebbe troppo facilmente, e non voglio - non devo - essere disturbata; perciò comincio la seconda peregrinazione della giornata per questa ancora sconosciuta base segreta. Mi tornano alla mente i ricordi dell’immensa biblioteca nel Monte Corona - il respiro mi manca per qualche secondo nel realizzare per l’ennesima volta che è stata del tutto distrutta dai Victory - e mi rendo conto che sarebbe il luogo ideale in cui cercare riparo.
Ovviamente non poteva non esserci anche qui; e con sommo piacere scopro che, se possibile, è pure più grande di quella labirintica che ho sempre frequentato nella mia vita a Monte Corona. Si somigliano anche nell’aspetto: gli scaffali arrivano fino al soffitto - piuttosto basso anche qui - e sono organizzati in modo pressoché uguale all’altra biblioteca. Se le pareti non fossero bianche e se parte degli scaffali fosse in metallo - qui sono tutti costruiti con un legno scuro - avrei l’idea di essere tornata alla mia vecchia base segreta, a cui mi sono affezionata profondamente, nonostante sia stata teatro di molti eventi negativi, molte crisi, momenti di difficoltà inimmaginabili; ma a quel luogo che non esiste più sono legati anche periodi felici, di crescita e maturazione.
La biblioteca è attualmente incustodita e a passi svelti e silenziosi mi addentro tra le strette fila di scaffali, ricolmi di libri di ogni colore e dimensione. Mi sembra che la gonna del mio vestito sia smossa da un vento che non c’è, ma deve ondeggiare solo per la mia camminata naturalmente rapida. Era così anche prima che mi trasformassi: questo pensiero mi rincuora enormemente.
È proprio ora che Ho-Oh si fa sentire. La sua presenza non emerge con veemenza, né arriva carico di intenzioni severe e negative. Ha il tono paterno che ha utilizzato prima che perdessi i sensi sulla cima della Torre Campana - o che mi addormentassi? Sinceramente non riesco a ricordare bene cosa mi sia successo.
“Perché ti metto a disagio?” chiede subito, diretto.
«Non mi metti davvero a disagio. Devo solo abituarmi a queste condizioni» mormoro in risposta. Un momento dopo mi passa per la mente che potrei anche rispondergli con il pensiero, esattamente come lui comunica con me.
“Sii sincera, Eleonora. Hai paura di non abituarti mai.”
“È vero, ma dovrò riuscirci presto, no? O comunque me lo imporrai tu.” Lui non risponde niente, avendo capito che sto riflettendo; subito dopo, infatti, aggiungo: “In effetti è proprio questo mi mette a disagio: il potere che tu hai su di me. Potrebbe evolversi in una vera e propria paura di perdere la mia forza di volontà e di diventare completamente dipendente da te. In ogni momento potresti trasformarmi in un burattino nelle tue mani… o qualsiasi cosa tu abbia che funga da mani… e io non potrei più tornare la stessa di sempre, perché come umana non sono utile quanto una ragazza che si comporta come vuole un Pokémon Leggendario. Non sarei efficace.”
Evito di aggiungere “un’arma” prima di quell’“efficace”, ma penso che Ho-Oh abbia un accesso talmente libero ai miei pensieri che devono arrivargli ancor prima che io li traduca in parole. Però non dice niente a proposito di quest’omissione. Anzi, cerca di rassicurarmi con tono paterno e gentile - non riesco ad ammettere quanto sia bello quando mi parla in questo modo. “Non mi permetterei mai di intervenire così fortemente nelle tue questioni, mia cara… Eleonora.” Sembra che abbia esitato prima di dire il mio nome. “Non è detto che la tua parte umana sia così problematica come credi. È vero che è molto più emotiva e…” Ho la sensazione che voglia dire “primitiva”, ma continua con: “… e che si affida all’istinto più di quanto converrebbe. Però non c’è niente che non vada nel tuo essere umana che debba venire immediatamente soppresso dalla forza del Legame.”
“Allora spiegami cosa mi sta succedendo.” Non mi piacciono per niente i momenti, fin troppo numerosi, di esitazione che hanno interrotto il suo tentativo di calmare il mio animo preoccupato e ansioso.
“Lo hai capito da te cosa sta succedendo. La tua persona è divisa tra due poli: quello umano e quello Pokémon che è sopraggiunto da poco, e tu stessa prima, con la Legata di Articuno, hai ben analizzato le fasi del periodo in cui è andata sviluppandosi questa seconda personalità, come ti piace chiamarla.”
“Come dovrei indicarla altrimenti?” Sarebbe bello davvero se ci fosse un altro modo, perché così mi sembra di essere bipolare. “Le chiamo personalità perché appartengono a due persone completamente diverse. Non puoi dirmi che sia l’una che l’altra sono sempre me stessa, perché non ci posso credere.” I miei pensieri, man mano che si intrecciano, rovinano anche la loro forma e me ne esco con frasi mal costruite e affrettate.
Un lungo, terribile silenzio segue questa battuta. Purtroppo non sono tanto brava a leggere le emozioni e i pensieri di Ho-Oh quanto lui lo è con me, perciò l’attesa è angosciante; sbuffo rumorosamente, dopo aver, senza volerlo, trattenuto l’aria nei polmoni, quando lui si decide a parlare. Le sue sono parole misurate e pronunciate con sfiancante lentezza, accuratamente scelte per nascondermi qualcosa. “Chiamale come preferisci, non fa differenza. Ti do un consiglio spassionato…”
“Basato sull’esperienza?”
Lui mi ignora - cosa che mi insospettisce e preoccupa ancor di più - e prosegue: “Non abbandonare mai la tua parte umana. Mantieni viva più che puoi la persona che sei stata finché il Legame non è arrivato nella tua esistenza e non dimenticare mai chi sei stata, come sei stata e come e perché sei arrivata fino a questo punto. Io non voglio intervenire nei tuoi modi di fare e di essere, ma se, erroneamente, si ritenesse necessario trasformarti nel burattino di cui hai tanta paura… tutti possono sbagliare. Stranamente anche noi Leggendari.” L’ultima ironica frase non è per niente utile a risollevarmi il morale, dopo quel “si ritenesse” impersonale che ha fatto nascere in me un brutto presentimento. Il Leggendario precisa: “Volevo dire, quindi, che per errore si potrebbe cercare di sostituire la persona che sei sempre stata con qualcun altro. È vero che adesso in te ci sono due…”
«E chi è che sta cercando di cambiarmi?» lo interrompo a voce alta.
Di nuovo una pausa silenziosa. Mi sento improvvisamente sola quando oltrepasso una porta sconosciuta e mi ritrovo in una sala vuota che ha l’aria di essere una stanza per gli allenamenti secondaria. È piuttosto piccola e del tutto vuota, spoglia. Forse Ho-Oh sente che vorrei un po’ di compagnia anche nella realtà, non solo nella mia testa, e perciò decide di materializzarsi davanti ai miei occhi spaventati. Un filamento di luce fa capolino dalla forma materiale del Legame e velocemente cresce, allungandosi; poi si stacca dal frammento di prisma e prima che cada a terra si trasforma in un serpentello di fiamme arcobaleno, la cui portata aumenta finché Ho-Oh non è in grado di sorgere da esse, aprendo le ali dai riflessi dell’iride. Sembra ancora più grande in questa piccola stanza. 
“Quando sei la te stessa di sempre, anche il tuo viso sembra più simile a quello della Forma Umana” annuncia con tono dolce dopo qualche secondo in cui i nostri occhi sono in contatto.
«Sai che non sei per niente d’aiuto? E poi lasciati anche dire che non sei proprio un campione a eludere le domande scomode. Allora, chi è che sta cercando di cambiarmi?» La mia voce trema un po’ verso la fine.
“È giusto che tu sappia che la tua domanda è precisa: c’è qualcuno che sta intervenendo senza il tuo né il mio permesso. Ma non è ancora opportuno che ti dica cosa sta succedendo: concentrati su quello che ti ho detto prima, ovvero conserva nelle migliori condizioni la parte di te umana e mostrala anche quando sei nella Forma di Mezzo. Nella Forma Umana sei al riparo, nel resto delle condizioni no. Però hai la forza per sopportare e vincere.”
«Chi è questo qualcuno? Come fa a… a entrare dentro di me?»
“Non è bene che le tue idee si confondano ancora di più. Sii paziente e, fidati di me, ti spiegherò tutto quando sarà ora di farlo. Ti prego di darmi retta, mia cara. Eleonora” aggiunge alla fine. Sembra che abbia difficoltà a ricordarsi il mio nome, come se gli ci volesse chissà quanto per impararlo: eppure dovrebbe conoscerlo da sempre.
Non riesco a ribattere nulla alla sua ostinazione a non dirmi nulla, che ha cercato di addolcirmi per quanto gli è stato possibile. Non sono per niente tranquillizzata e, come al solito, l’ignoranza mi spaventa ancora di più. Mi sembra di essere tornata ai tempi in cui Bellocchio, Camille e compagnia mi nascondevano la mia vera identità e l’esistenza dei Legami: non capisco perché Ho-Oh sia così deciso a non essere del tutto aperto e sincero con me, perché abbia paura di rivelarmi chi è questo qualcuno che cerca di manovrarmi come più gli conviene, che però va a tutti gli effetti a favore di lui stesso.
Dopo un po’ Ho-Oh riprende, mentre rientra nella forma materiale del Legame - con un processo inverso a quello con cui si è materializzato nella realtà: “C’è una cosa che ti devo insegnare il prima possibile, che sarà di vitale importanza per la tua sopravvivenza e che dovrai gestire con attenzione. Non ora, però: stanno arrivando i due Legati di Latios e Latias.”
Non fa in tempo a finire che sento bussare alla porta. Mi giro e hanno già aperto: è Ilenia, che inizialmente mi scruta da capo a piedi nel tentativo di capire cosa stessi facendo da sola in una stanza vuota; poi si rassegna e indossa il suo sorriso migliore. Ormai non mi chiedo nemmeno più se lei abbia qualche crisi d’identità dovuta alla convivenza con il Legame: è evidente che il mio sia un caso particolare, ambiguo e forse preoccupante. Per ora non dirò niente a riguardo: chissà se invece Ilenia mi spiegherà cosa le sta succedendo, perché si comporta in modo un po’ strano da quando, ho ragione di credere, ha ottenuto la forma materiale del Legame.
«Ehi, signorina. Ho fatto un pisolino e poi Sara mi ha svegliata e mi ha dato la buona nuova.»
«Vedendoti qui, immagino che Lewis e Laura siano arrivati» replico con un sorriso poco convinto.
«Precisamente!» esclama scandendo bene le sillabe. «La sua perspicacia è invidiabile, signorina. Se vuol farmi il piacere di seguirmi, la porterò a fare la conoscenza delle due new entry.»
Le vado appresso senza aggiungere nulla: il suo tentativo di essere simpatica e, credo, divertente è del tutto fallimentare, sia a causa dei miei sospetti sia perché è visibilmente contraddittoria: in un momento è pensierosa e tesa, nel successivo si finge la persona più aperta, solare e alla mano del mondo. Mi chiedo se non sia il caso di parlargliene chiaramente e dirle di smettere questa continua sceneggiata, sarebbe bene anche spiegando cosa la spinga a comportarsi così. Adesso però mi trovo costretta a rimandare il tutto in un secondo momento.
«Tu li hai già visti?» le domando alla fine.
«Sì. E indovina chi è in realtà quel Lewis! Non ci crederai mai!»
L’ho già interrotta a metà frase per dirle, con un sorrisetto furbo: «Il buon vecchio Gold. Sono informata molto più di te, cara: mi spiace darti questa delusione.»
 Lei in effetti è piuttosto sorpresa, ma si riprende subito annuendo vigorosamente: «Esatto, è proprio lui. Era proprio incredulo quando ha visto me e Sara, e ha pure riconosciuto il tuo amico, Luke, appena gli ha detto chi era - si è ricordato subito della missione in cui lo avete incontrato!»
«A proposito… a proposito di nulla, in effetti; Hans si è svegliato?»
«Pian piano si sta riprendendo dal coma» ride Ilenia, e subito mi ritrovo ad imitarla, immaginando le pietose condizioni in cui ritroveremmo Hans appena alzato se entrassimo, non invitate, nella sua stanza.
Ilenia continua a parlare e parlare e parlare di Gold - anzi, Lewis - e di Laura, dicendo che questa ragazza, di un anno o poco meno più piccola di me, è proprio carina e allegra e che vede nei due Legati una coppia “affiatata assai”. Pare anche che entrambi siano diventati proprio bravi ad utilizzare i loro poteri, che Gold - “Lewis!” mi rimprovero subito, ma dubito che mi abituerò tanto presto a chiamarlo così - in particolare abbia fatto grandi passi rispetto alle ultime volte in cui l’abbiamo visto allenarsi alla base segreta. È sempre stato eccezionale ad allenare i Pokémon ma egualmente in difficoltà quando si trattava di mettere in gioco sé stesso, le capacità del suo corpo. Per questo motivo non è mai stato a capo di una missione, limitandosi a fare da spalla agli altri, e non si è mai visto assegnare compiti terribilmente gravosi - come ad esempio la missione alla centrale di Flemminia: nonostante sia un Legato e perciò sia immune alle radiazioni, evidentemente Bellocchio e il suo staff non erano sicuri che sarebbe stato in grado di affrontare così tanta pressione.
Ilenia mi conduce in una zona della base segreta in cui nella mia breve permanenza qui dentro ancora non mi ero mai inoltrata; me la descrive come una sezione privata di essa, a cui hanno accesso solo persone strettamente coinvolte nella storia dei Legami, perciò i Legati stessi e qualche personalità - non tutte - nelle Forze del Bene. È lì che troviamo radunati, a chiacchierare sommessamente, Luke, Sara e i due nuovi membri del gruppo.
La prima persona che i miei occhi sono andati a cercare è stato ovviamente Gold, che, dal canto suo, appena ha sentito la porta aprirsi si è rivolto verso di essa. Un grande sorriso si apre sia sul mio che sul suo volto e in un lampo, dopo esserci corsi incontro, ci ritroviamo abbracciati stringendoci con inaudita forza. L’unico neo di questo felice momento di riunione è che Gold, me ne sono accorta subito con una lieve ma importante fitta allo stomaco, tremendamente invidiosa, non è cambiato poi tanto neanche nel suo aspetto fisico pur trovandosi nella Forma di Mezzo. I suoi capelli scuri, un po’ lunghetti, sono pieni di riflessi blu e i suoi occhi hanno la stessa forma e colore di sempre - cioè zaffiro. Ha un viso più bello, come ci si aspetta da un Legato, ma non ha perso quei tratti più infantili come invece succede a me, Sara, Ilenia e anche a Luke quando cambiamo forma. È rimasto magrolino ed è leggermente più basso di me, ora, mentre prima era lui ad essere più alto di qualche centimetro.
Subito ci si avvicina, prima che riusciamo a dirci qualcosa, la ragazza di nome Laura. La mia immaginazione non è andata molto lontana dalla realtà, quando Ilenia me l’ha descritta: il suo viso tondo e sorridente, un po’ da bambina, è circondato da una gran quantità di mossi capelli rosso fuoco che le arrivano alla mascella. Gli occhi, abbastanza grandi, sono praticamente dello stesso colore, e ha un pochino di lentiggini sulla pelle chiara del naso piccolo. È bassetta ed ha un fisico forte, molto più robusto della sua controparte, Gold.
«Tu sei Eleonora?» mi chiede, esclamando, con voce acuta e squillante. «Lewis mi ha parlato un sacco di te! Più degli altri, devo dire» aggiunge dopo un momento, scoppiando in una risatina e arricciando il naso.
Un infinito istante di perplessità, suscitata dalla sua vocetta e da queste risa, mi tiene inchiodata dove sono con un’espressione di puro disorientamento: mi ricordo appena in tempo - gli altri si sono accorti della mia reazione ma lei, per fortuna, no - di partecipare al suo accesso di ilarità, non potendo fare a meno di chiedermi, intanto, se la sua sia una presa in giro o no. Prima che questo imbarazzante e strano momento finisca, continua: «Molto più degli altri!» e riprende con la sua assurda risatina acuta.
«Be’, piacere» le dico appena sembra essere tornata una persona normale, sorridendo cautamente, non sapendo cosa aspettarmi in risposta. Fortunatamente mi stringe la mano che ho teso e mi bacia entrambe le guance, senza fare niente che metta a disagio chiunque meno che lei - le espressioni dei presenti parlano chiaramente. Gold pare sul punto di scoppiare: si è fatto tutto rosso in volto. È proprio a lui che mi rivolgo, diventando all’istante molto più rilassata: «Prima di tutto, come vuoi che ti chiami? Gold o Lewis?»
«Fa lo ste-»
«Lewis, dai! Non fare lo sciocco» si intromette Laura, stavolta serissima. «E poi il tuo è un nome così bello!»
«Vero» confermo con un sorriso gentile. «Raccontateci un po’ come ve la siete cavata finora, piuttosto.»
Mi ritrovo a ringraziare il cielo quando è Lewis e non Laura a prendere la parola. «Sono partito da Sinnoh nei giorni in cui tu e Sara vi stavate allenando alla base nella Lega Pokémon, a quanto ho capito da quello che mi ha raccontato lei. Mi hanno mandato a Hoenn senza spiegarmi il motivo del trasferimento, e durante il viaggio, in un momento… in un momento un po’ così,» dice in fretta, «Latios si è rivelato. Le mie facoltà sono aumentate a dismisura anche se non avevo ancora la forma materiale del Legame e ho capito subito che, se mi avevano inviato a Hoenn, era proprio perché trovassi Latios. Appena messo piede nella regione mi hanno affiancato Laura, che già aveva ottenuto la forma materiale del Legame. Da non molto tempo, devo dire.» La diretta interessata ridacchia, stavolta più sommessamente. «Dopodiché abbiamo passato qualche settimana ad allenarci. Fino a stamattina, a dirla tutta: ci hanno detto di andare in questa base segreta, che è un po’ il punto di ritrovo di ogni Legato visto che è interamente nel territorio di un Leggendario, e ci siamo teletrasportati qui.»
«Bene. Sono contenta» replico con sincerità. «Spero che Latios non ti abbia messo troppo duramente alla prova, visto che si era rivelato da pochissimo.»
«No no, anzi, praticamente non mi ha fatto fare niente, a parte una battaglia contro di lui in cui mi ero pure già trasformato! Però, per compensare, è stato proprio esigente con me in seguito.»
«Latias invece mi ha fatto penare da morire, prima di concedermi la forma materiale del Legame» interviene Laura con un sospiro.
«E poi, giustamente, ti ha consentito di guardarmi sgobbare mentre cercavo di stare al passo con il programma di Latios!» esclama Lewis, facendo ridere un po’ tutti. «Ve lo giuro! Mentre mi allenavo come mai nella mia vita - in confronto i corsi a Sinnoh erano uno scherzo! - lei mi guardava, chiacchierava in continuazione e più volte si è sentita in dovere di correggermi e rimproverarmi, senza mai preoccuparsi di dare l’esempio. Ma ditemi voi!»
«Ho in mente qualcuno che la imiterà alla perfezione» ribatto quasi cantilenando, beccandomi una gomitata da Sara, che ha capito subito - e l’ha presa bene, dai - a chi mi stavo riferendo.

Non so se abbia voluto farmi pagare la frecciatina, ma la Legata di Articuno ha deciso di farci sgobbare più di quanto credessi. Ben presto, nel momento di maggiore stanchezza, ho la grandiosa idea di allearmi con Ho-Oh che decide di collaborare: mi piace molto il fatto che sia così allettato dalla prospettiva di dare del filo da torcere alla signorina che vuole atteggiarsi a tiranna - lui rivela di esserlo decisamente di più.
Perciò non passa molto tempo che diventiamo noi - e Ilenia ci si aggiunge- i professori della situazione, con grande disappunto della principessa delle nevi, come mi piace apostrofarla in continuazione. Gli altri inizialmente si disperano, ma io e Ilenia ci riveliamo ben presto molto più bonaccione e accomodanti di Sara, a cui tutto sommato - anche se non lo ammetterà mai - non dispiace assistere ad una “lezione” - se così possiamo definire il teatrino montato da me e Ilenia - una volta tanto, anziché stressarsi a fare la maestra. Siccome si prende fin troppo sul serio, si stanca molto più facilmente di me e della mia compare, che non facciamo altro che prenderci gioco di noi e dei nostri “studenti”. Non potremo andare avanti così per molto, però: la situazione degenera e quasi scoppia una ribellione nella sala di allenamento privata per Legati quando il tirannico Ho-Oh si fa prendere un po’ troppo la mano - e io non mi faccio troppi problemi a dargli retta.
Le giornate passano e sono impegnative dalla mattina alla sera, perciò il tempo vola e non ne ho per rimuginare sulla faccenda delle due personalità, né tantomeno il problema si presenta: mi comporto come la parte umana di me vuole, e riesco a divertirmi molto di più. I nostri poteri sembrano dare il meglio di sé stessi quando siamo in gruppo, come se l’energia dei Legami fosse in costante condivisione, e credo proprio sia così. Le mie fiamme arcobaleno fanno ben presto la conoscenza dei poteri idrocinetici di Ilenia, di quelli psichici di Lewis e Laura e dei fulmini di Luke, che, veramente, è eccezionale. Abbiamo tutti tanta strada da fare e ogni giorno impariamo l’uno dai punti di forza dell’altro.
Spero solo che questo equilibrio quasi perfetto duri abbastanza a lungo prima che la situazione torni tesa e si sposti sull’orizzonte turbolento della guerra, o della stessa missione Leggendaria.

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Capitolo 11
*** X - L’Impero Vittoria ***


X
L’Impero Vittoria

Non avrei mai creduto che nel giro di neanche una settimana la situazione di equilibrio che credevo di aver raggiunto, dopo giorni interminabili in cui ho conosciuto la sola compagnia dell’ansia e dell’angoscia, potesse capovolgersi e arrivare ad annunciare la salita dell’inferno, senza esagerazioni, sulla terra. Ma tant’è: è successo ed io non ero minimamente preparata ad affrontare niente del genere, perché non l’avrei mai immaginato. Scoprirmi ancora così ingenua non è stato per niente piacevole. L’unica consolazione, che però mi lascia in bocca uno sconfinato senso di amarezza e mi fa sentire tradita e presa in giro per più di un anno, è che la colpa non è soltanto mia, anzi, difficilmente avrei potuto prevederlo da sola.
Una mattina mi sveglio non perché Ilenia, Sara o chi per loro bussa insistentemente alla mia porta per dirmi che un’altra dura giornata di lavoro è alle porte, ma perché la stessa Hei Feng si disturba di venire a farmi alzare. La sua faccia, solitamente allegra e beffarda, non promette niente di buono. Resta impassibile di fronte alla mia faccia perplessa, già ripulita da ogni traccia di sono alla sua vista, e a voce bassissima dice qualcosa che non riesco ad afferrare: di sicuro però è implicato l’alzarsi dal letto.
Mi precipito fuori dalla stanza senza preoccuparmi di vedere in che condizioni mi trovo, cioè in pigiama: ho la maglia verde mela che ho sempre sotto il kimono e un paio di larghi pantaloni che normalmente mi levo prima di eseguire una mezza trasformazione e riprendere gli abiti del Legame, per poi presentarmi al mondo ristretto della base segreta. Per la fretta, adesso, nemmeno mi sono messa un paio di scarpe, ma appena sono fuori noto che Ilenia è nella mia stessa situazione. Credo che i miei capelli siano arruffati quanto i suoi, il che è tutto dire.
«Dove…» faccio per chiedere, ma ammutolisco e le vado dietro appena lei mi fa cenno, serissima, di seguirla. Le porte degli altri sono quasi tutte schiuse, segno che già si sono avviati sulla strada che ora percorriamo io e lei.
Ad un certo punto inizia a correre ed io, non senza un certo senso di paura, la imito: il cuore mi batte forte non per lo sforzo ma per il timore. Non riesco a memorizzare il percorso fatto: Ilenia continua a svoltare, sembra che lo faccia ad ogni angolo, e mi chiedo se sappia veramente dove stiamo andando. Ci infiliamo in uno stretto corridoio in cui è presente un’unica porta, e proprio qui incontriamo Hans, Lewis e Laura, che ci informano che Luke e Sara ci raggiungeranno a breve; io ed Ilenia non riusciamo a ribattere con nulla. Nel frattempo il Legato di Latios apre la porta, che dà direttamente sul Sentiero Ding-Dong.
Il bosco di aceri rossi è infiammato dei suoi colori magici come al solito, ma non c’è tempo di stare ad ammirare il paesaggio. Mi accorgo solo ora che è pressoché l’alba, infatti il rosso e l’oro delle foglie sono un po’ spenti rispetto a come si mostrano in pieno giorno. Subito noto che questo non è il percorso che porta alla Torre Campana - anche perché me ne sarei accorta dalla strada fatta per arrivare qui. Lewis sembra immediatamente un po’ spaesato ma pare che Ilenia sappia dove andare: prende le redini del gruppo e a passo svelto, anche se non più di corsa, si inoltra per un sentierino in cui siamo costretti a procedere uno alla volta.
Raggiungiamo una costruzione separata dal resto della base segreta, che ha l’aspetto di una casetta ad un solo piano simile a tante di quelle che si vedono per le strade di Amarantopoli. Prima di entrare Ilenia si preoccupa di assumere l’aspetto della Forma di Mezzo, e tutti noi, a parte Hans, la imitiamo - mi rassegno perciò a perdere i pantaloni che usavo come pigiama. Fa per aprire ma la porta si rivela chiusa: la maniglia si muove senza rispondere, e la cosa divertente è che non c’è una serratura e nemmeno qualcosa come un tastierino in cui inserire, eventualmente, un codice. La prima della fila sbuffa rumorosamente e si passa, innervosita, una mano tra i capelli, che si ferma ben presto a causa dell’esorbitante quantità di nodi.
«Aspetta. Fa’ vedere» intervengo, scostandola leggermente e prendendo in esame la maniglia. Trovo subito un foro neanche troppo piccolo: ci poggio la punta dell’indice e lo riempio con un po’ di fiamme arcobaleno. La mia intuizione si rivela corretta e la chiave che ho utilizzato funziona: la porta si schiude e la spingo con troppa forza, facendola sbattere contro la parete e producendo un rumore poco rassicurante.
Hei Feng è dentro e sembrava sul punto di venirci ad aprire lei stessa: è un miracolo che non le abbia appiattito la faccia con un colpo letale. La sua espressione corrucciata mostra disappunto, e con voce polemica borbotta: «Dovevo immaginare che fossi tu per spalancare la porta in questo modo.»
«Dove siamo?» le chiedo subito.
«In una struttura che si sperava di non dover utilizzare mai, ma c’è qualcosa di importante che non deve essere udito dall’altra parte.» Con la testa fa un cenno verso la direzione da cui siamo venuti, cioè la base segreta stessa. «Voi continuate, c’è la sala sotterranea, sedetevi là. Io aspetto gli altri due.»
La stanza in cui ci troviamo è del tutto spoglia ma, anche con le fioche luci dell’alba, si vedono sulle pareti di legno affreschi parecchio vetusti che devono rappresentare - non posso soffermarmi a guardare - l’esistenza di Ho-Oh e qualche avvenimento mitico a lui collegato. Sulla parete opposta c’è un varco che dà su delle scale, queste in cemento, per scendere a un qualche piano inferiore. La discesa è al buio e, siccome sono già abbastanza agitata senza che ci si metta anche la mia inimicizia con l’oscurità, faccio luce quanto basta per vedere dove metto i piedi - visto che ormai mi trovo in testa alla fila - con delle sfavillanti fiammelle arcobaleno.
Proseguiamo per parecchio mantenendo un silenzio totale, quasi inquietante. I gradini non terminano mai; mi sembra pure che la temperatura si stia abbassando piuttosto rapidamente. Quando arriviamo alla fine le gambe mi tremano, un po’ per tutto il tempo passato a scendere le scale, un po’ per la paura di quello che ci sta aspettando, qualsiasi cosa sia. Ci ritroviamo su un minuscolo pianerottolo che dà su una stanza grande e ben illuminata, che nell’aspetto è simile alla base segreta del Sentiero Ding-Dong. È quasi del tutto occupata da un tavolo metallico e rotondo con un buon numero di sedie di uguale fattura; c’è pure un altro paio di porte.
Come ci ha detto Hei Feng, prendiamo posto come scolaretti diligenti in attesa dell’inizio di un’importante lezione. Non ci rivolgiamo ancora la parola tra di noi; non so se gli altri si stiano come minimo scambiando qualche sguardo ma io non riesco ad alzare gli occhi dal centro del tavolo, anche se il mio sguardo si è perso e non sa cosa stia esaminando. Cerco di farmi venire qualche idea sul perché siamo stati chiamati a quella che ha l’aria di essere una riunione segreta, ma le possibilità sono talmente tante che la loro quantità mi dissuade dal proseguire. Ho un brutto presentimento e non riesco a capire perché in me alberghino, in questi lunghi minuti, tanta ansia e altrettanto timore. Sarà stata l’espressione della direttrice ad influenzarmi.
Fin dai primi tonfi prodotti da alcuni passi per le scale mi accorgo che sta arrivando il resto della compagnia - mi sembra che cammini in modo mortalmente lento. Il viso di Hei Feng è ancora corrucciato mentre le facce di Sara e Luke sono serie e, soprattutto quella di lui, piuttosto preoccupate. Si siedono vicino a me, mentre la donna prende posto di fronte a noi Legati, che ci siamo automaticamente disposti a semicerchio lungo il tavolo. Dà velocemente un’occhiata ad ognuno di noi, che al contrario la fissiamo con insistenza.
«Bene. Dovete sapere che nel giro di una notte è successo l’inimmaginabile.» Questa è la sua secca frase d’esordio. Credevo di dover assistere ad un lungo discorso ma lo stile della donna nelle comunicazioni è molto diverso da quello un po’ noioso e molto prolisso di Bellocchio, a cui mi sono abituata in due anni passati ad ascoltarlo. «Il Victory Team si sta preparando a prendere il comando del mondo.»
«Questa è una cosa che sta facendo da dieci anni a questa parte» risponde freddamente Sara dopo alcuni attimi di silenzio. In effetti l’annuncio di Hei Feng ha lasciato perplessi un po’ tutti i presenti.
«Ci ha provato per dieci anni e ora ha attuato il suo piano. Stanotte le reti televisive, le radio, la rete e qualsiasi altro mezzo di comunicazione possiate immaginare è stato preso d’assalto per una rivelazione scioccante. Non credo che vi dobbiate mettere d’impegno per capire quale possa essere.»
«L’esistenza dei Pokémon» sussurro, insieme a qualcun altro, passandomi stancamente entrambe le mani sul viso. Riguardando i palmi immacolati capisco che il trucco nero degli occhi non è per niente facile da rovinare.
La donna annuisce e apre bocca per riprendere a parlare, ma Lewis la interrompe, con una nota furente che non ho mai sentito nella sua voce: «E come può essere successo tutto questo senza che noi ci accorgessimo di nulla, o che fossimo così sprovveduti da bloccare l’accesso dei Victory alle telecomunicazioni?»
«Ve lo stavo per spiegare. Anzitutto, né noi né tantomeno il nemico abbiamo un totale controllo dei mezzi di comunicazione: possiamo intervenire in qualche modo, influenzare la diffusione di informazioni e bloccare quel che c’è di sconveniente che può mettere a repentaglio la situazione della realtà dei Pokémon… il problema è che i Victory hanno operato su scala globale. Tutto il mondo, stanotte, quando si è svegliato o quando si sveglierà, vedrà su ogni schermo e sentirà da tutte le parti la stessa cosa: nel giro di poche ore sono comparse delle creature non meglio identificate sul nostro pianeta. E la notizia ce l’hanno portata degli uomini sconosciuti, a quanto pare grandi amici dei nostri governi. Ma c’è di più, purtroppo: queste persone hanno individuato dei nemici che potrebbero usare queste importanti creature per minare alla sicurezza nazionale. Andiamoglielo a spiegare, alle masse, che il nostro nome è “Forze del Bene” e che non siamo terroristi: semmai i soggetti pericolosi sono i messia dei Pokémon, come ormai li hanno già battezzati.»
«I Victory vogliono fare leva sulle masse per combatterci?»
Non riesco a capire, disorientata come sono, chi sia stato a parlare. Non mi sono nemmeno resa conto se fosse una voce maschile o femminile.
«Sì, ma abbiamo qualche dubbio sul fatto che fosse questo il loro obbiettivo principale. Anzitutto si sono tolti di mezzo l’impiccio delle loro barriere, adesso sopravvivono solo le nostre… chissà però quanto poco ci vorrà perché comincino a provare ad abbatterle. Poi sì, adesso hanno accesso a grandi masse che possono reclutare… ma ora, e questa è la cosa peggiore, hanno un potere enorme sulla popolazione, sulle reti di comunicazione, hanno accesso a strumenti che prima potevano sognarsi, vivendo in uno stato di assoluta segretezza, e possono manovrare molto più facilmente i governi. Di infiltrati già ne avevano e per poco noi, colti alla sprovvista ed impauriti, non abbiamo ritirato i nostri. Adesso non possiamo fare altro che aspettare che la situazione si stabilizzi e solo dopo, quando ci sarà maggiore chiarezza, studiare alcuni movimenti. Il problema è che adesso abbiamo pochissimo tempo.»
«Non è stata mai presa in considerazione l’idea di una mossa simile? Perché siamo stati colti impreparati?»
«L’idea è stata presa in considerazione e subito, a ragione direi, bollata come folle. Non so se vi rendete conto della portata di quest’azione, ragazzi. Non sappiamo cosa si inventeranno per giustificare decentemente tutta la segretezza di cui si lamenteranno le masse: ci aspettiamo manifestazioni in piazza, tante grida, voci contrarie e movimenti incontrollabili, che toccherà reprimere con la violenza. È per questo che le Forze del Bene non si sono mai mosse in questa direzione: i Victory hanno fatto un azzardo molto grosso. Infatti questo, oltre ad essere il momento in cui sono più forti, è anche l’apice della loro vulnerabilità. Bisogna vedere se la fortuna li favorirà o se questa mossa li condannerà… siamo indecisi sul da farsi, se muoverci subito o no. Rischiamo allo stesso modo.»
«Su cosa siete esattamente indecisi?» chiedo a bassa voce.
Hei Feng sbuffa e si riavvia i capelli liscissimi. «Sono stati terribilmente imprevedibili e temiamo che si siano tenuti qualche asso nella manica. Abbiamo avanzato varie, numerosissime teorie, e le plausibili sono fin troppe: potrebbero volerci attirare in trappola, come se questa mossa sia stata solo un’esca, potrebbero aver veramente azzardato in un modo del tutto assurdo, potrebbero conoscere la situazione meglio di noi e per questo motivo hanno deciso di agire in questo modo. Perciò ripeto, a meno che non abbiano altre carte da giocare contro di noi, sono in una condizione precaria quanto la nostra. Potrebbero avere le masse nelle loro mani o potrebbero essere nelle mani delle masse… potrebbero essere una preda facile per noi o potremmo essere noi la loro preda, una stupida e impotente preda che corre in tondo senza capire perché…» Alla fine il tono della sua voce si è abbassato e si è fatto molto più inferocito: sta praticamente ringhiando tenendo i denti serrati e i pugni stretti.
È visibilmente frustrata dalla posizione di inferiorità in cui le Forze del Bene sono state ridotte da questa mossa assurda e misteriosa del nemico. Lo sono anch’io, così come altri dei presenti: alcune facce sono sconsolate, altre terribilmente serie; la mia, dopo la preoccupazione e lo sconvolgimento, ha preso una forte sfumatura rabbiosa.
«L’annuncio è stato inviato alla mezzanotte di Unima, perciò alle sei del pomeriggio qui a Sinnoh» riprende lei.
«E non è stato detto niente.» La voce di Luke è atona, e quindi colma di delusione. Lo capisco perfettamente: le notizie passate ai membri delle Forze del Bene sono sempre filtrate, non esistono televisioni nelle basi segrete, perciò si combatte quasi sempre all’oscuro di cosa stia succedendo al di fuori del proprio covo.
«Non era il caso di affrettarci prima di aver analizzato attentamente la situazione. Abbiamo passato in tanti una notte in bianco e non abbiamo fatto nemmeno tanti progressi.»
«Quanto tempo vi date per prendere qualche decisione?» chiedo.
Hei Feng mi scocca un’occhiata eloquente, irritata dalla mia domanda scomoda. «Quanto tempo ci diamo, semmai. Non vi ho chiamati solo per farci una chiacchierata e mettervi al corrente delle notizie: sarete anche degli adolescenti ma avete dalla vostra i Leggendari. Immagino sia chiedere troppo interpellare loro, ma voi qualcosa ci potrete pur dire, o no?» Aggrotto le sopracciglia, non capendo, e Ilenia prima di me la esorta a spiegarsi meglio. «Come minimo avete parte della loro saggezza ed esperienza. In più siete i soggetti più importanti all’interno della nostra organizzazione, il nemico si sogna una quantità simile di alleati come voi, e di questo ce ne vantiamo. E allora perché non mi dite un po’ voi, che siete così vicini ai Leggendari, cosa pensate che possa essere successo perché i Victory si muovessero in questa direzione? Cosa vi suggerisce la vostra natura?»
«Non suggerisce un bel niente» ringhio. La presenza che tanto temevo e da cui Ho-Oh stesso mi ha messa in guardia è tornata, ma non la rifiuto stavolta, perché affronterà egregiamente questa brutta situazione. «Possiamo collaborare con le Forze del Bene, ma visto che non siamo in una posizione di comando vi potete tranquillamente scordare che saremo noi a prendere decisioni al posto vostro.»
Hei Feng sta in silenzio per un po’, così come gli altri, poi ribatte: «Questa mi sembra collaborazione.»
«No. Dietro le sue richieste, Hei Feng, si cela un tentativo di controllare noi e i Leggendari, ed è questo che non accettiamo. Siete voi al vertice a dover decifrare le mosse del nemico e comportarvi di conseguenza. Noi siamo ben felici di accettare le vostre decisioni in merito, per quanto ci facciano rischiare la vita,» la sfido con un sorriso ironico, «ma non facciamo niente di più. Ci date dei comandi e noi eseguiamo: qui finisce la collaborazione.»
«Veda di fare attenzione, signorina, perché altrimenti questo rapporto di collaborazione si rovescerà, per lei» mi risponde con un sorriso più irritato e cattivo. «I comandi diventeranno ordini e vedrai com’è essere a completo servizio delle Forze del Bene.»
«Dimentica forse che…»
Sto per far valere la mia posizione di Legata, e in quanto tale posso decidere da quale parte stare e se continuare a lavorare per questa fazione, quando vengo bloccata da un improvviso calo di tensione che mi fa ammutolire. Le luci bianche appassiscono, danno un paio di sporadici segni di vita e, dopo un lungo secondo di buio, riprendono ad illuminare l’ambiente come di consueto. Hei Feng fa in tempo a sbuffare e ad esibire un sorrisetto non più arrabbiato prima che nel nulla dietro di lei si apra uno squarcio luminoso.
Manda un bagliore che mi fa socchiudere gli occhi e un momento dopo è apparsa una figura umana, che poggia i piedi per terra con un tonfo quasi impercettibile. I suoi occhi rossi ispezionano velocemente la sala, fermandosi brevemente sui presenti. Fanno un’eccezione con la sottoscritta, a cui dedicano un’occhiata un po’ più lunga, e il nuovo arrivato arriccia un angolo delle sue labbra sottili in modo quasi imbarazzato, forse a causa della sua entrata in scena a dir poco spettacolare. Poi riabbassa lo sguardo e, mormorando un “buongiorno” impacciato, va a sedersi accanto a Hei Feng.
Non riesco a scollargli gli occhi di dosso. Credo che la direttrice abbia notato la mia reazione e l’espressione basita che ho sul viso, perché quando riprende a parlare - e io non la ascolto minimamente - sembra divertita, forse soddisfatta, perché l’arrivo di Daniel mi ha praticamente sedata. Neanche mi pongo il problema di come sia arrivato qui, cosa fosse quello squarcio, come facesse a sapere che in un posto così nascosto era in corso una riunione; non avrei mai capito che si tratta di lui se non fosse stato per la sua aura, che non so come ricordo tanto bene da averla riconosciuta. Come si può ricondurre al ragazzo bassetto - che ciononostante aveva il coraggio di prendere in giro me per la mia modesta statura - e bellino, dagli occhi blu e gli arruffati capelli castani un po’ scuri, al giovane incredibilmente alto, muscoloso, con gli occhi rossi e i capelli blu striati di grigio argento che è appena apparso nella stanza? Il problema è sempre lo stesso: due persone esteriormente completamente diverse, che però appartengono ad un unico ragazzo poco più che diciassettenne.
Mi sembra di non vederlo da una vita. Daniel indossa un paio di pantaloni formali, di quel genere che non avrei mai creduto potesse indossare perché da ufficio. Sono di colore blu scuro e un po’ stretti, così evidenziano le gambe forti e lunghe. Su una semplice camicia bianca è abbottonata una giacca dello stesso colore dei pantaloni, e come questi presenta decorazioni argentate: questa sul bavero, gli altri sulle caviglie. Anche i bottoni della giacca, sui polsi e sul davanti, sono d’argento. La cosa che più colpisce - a parte, ovviamente, la bellezza sconfinata del Legato di Dialga - è la cravatta, realizzata con toni del celeste, del bianco e del grigio chiaro che la fa sembrare un diamante: ogni colore ha un frammento per sé sulla stoffa e ricrea proprio l’aspetto della più preziosa delle pietre. Non so come siano le scarpe, ma immagino molto eleganti, accordate con il resto dell’abbigliamento.
Che abisso tra i nostri aspetti fisici nella Forma di Mezzo e in quella Umana! Immagino mi abbia riconosciuta dallo sguardo che mi ha lanciato, a meno che le sue tendenze da cascamorto siano rimaste intatte e mi abbia trovata particolarmente attraente tra tutte le altre signorine Legate qui presenti. Ma vista la sua espressione stranamente riservata ne dubito: deve aver capito che sono io Eleonora. Inizio a provare ansia per la prossima conversazione che ci sarà tra di noi.
Non so quanto tempo passi prima che mi ricordi di essere a una riunione, e con immane difficoltà torno con i piedi per terra. Qualcuno fa una domanda che non colgo e Hei Feng risponde, seccata: «Lo ripeto per l’ultima volta, e toglietevi dalla faccia quell’espressione di accusa che mi sta facendo saltare i nervi, perché non abbiamo alcuna colpa. I Victory sono stati talmente imprevedibili e avventati che noi, già da tempo, avevamo scartato ogni possibilità che una mossa del genere potesse essere fatta, sia da parte loro che dalla nostra.»
«Ma andiamo! Ci sarà qualcuno che avrà riflettuto comunque sulla situazione. Non potete essere stati così sprovveduti da non prendere in considerazione ogni possibile circostanza!» scatta Ilenia, che finora credo non abbia mai parlato, quasi senza lasciarle il tempo di finire.
«Abbiamo cose più importanti a cui pensare, non c’è tempo per mettersi a fare congetture su situazioni che non si sarebbero, quasi sicuramente, mai presentate» risponde Hei Feng, freddamente rabbiosa.
«Ed è qui che sta l’errore» interviene Daniel prima che Ilenia, probabilmente, abbia uno scatto d’ira contro la direttrice. La sua voce è un po’ più profonda e virile, ora: è bellissima, neanche a dirlo. «Come se nelle Forze del Bene non ci fossero intellettuali che si sono dedicati a circostanze di questo tipo. Non è assolutamente plausibile: ci sarà qualcuno che avrà pensato qualcosa… il problema, semmai, è che nessuno gli ha dato retta. Forse perché non è stata ritenuta credibile una situazione del genere,» aggiunge prima che Hei Feng ribadisca per l’ennesima volta questa cosa, «ma questo non fa che mettere in ridicolo le intere Forze del Bene.»
«La parte delle Forze del Bene che aveva accesso a queste informazioni, semmai.» La mia voce risuona rigida, quasi cinica. Questo sarebbe rimasto un pensiero nella mia mente confusa se la presenza che convive con la mia vera personalità non si fosse messa in mezzo un’altra volta.
Hei Feng mi scruta, un po’ stordita e un po’ irata, con le guance colorite di imbarazzo e collera. Anche Daniel e tutti gli altri rivolgono i loro sguardi su di me, che però sono intenta a ricambiare quello della donna. E senza abbassare gli occhi continuo, con un sorriso sarcastico e terribilmente accusatore: «Che peccato, le Forze del Bene hanno sempre filtrato le notizie e non hanno mai fatto chiarezza sui loro progetti interni, sui documenti in loro possesso, sulla reale situazione dello scontro con il Victory Team! Che disdetta! Chissà perché i comandanti Victory invece rendono tutto pubblico, ma perché mai avranno la totale fiducia dei loro sottoposti e non hanno problemi di scontento e lamentele nelle loro fila?»
Aggrotto le sopracciglia e perdo del tutto quell’espressione crudele nel suo essere così sarcastica e beffarda. La rabbia sta sopraggiungendo e ha un viso serissimo, ma devo riuscire a controllarmi. «Questo è il risultato di anni passati a tacere con noi, poveri membri senza faccia né nome. Siete stati in silenzio su cosa è accaduto e sta accadendo in dieci anni di guerra, sempre che di questo di tratti. Non siete andati a cercare, voi che siete al vertice, l’affetto di ragazzi che brancolavano, anzi, brancolano tutt’ora nel buio e nell’ignoranza di cosa succede attorno a loro. Cyrus e compagnia hanno fatto della propria immagine e persona un culto, e sono l’idolo dei loro sottoposti; lei, Hei Feng, come Bellocchio e tanti altri… siete sempre rimasti nell’ombra. I più giovani li tenevate al posto loro nelle Accademie sperando non si facessero troppe domande, lasciandoli in compagnia di Capipalestra e persone che ne sapevano quanto i ragazzi di cosa si discutesse ai piani alti. E nelle basi segrete che cosa avete fatto? Mi stupisce che nessuno abbia mai protestato, se non quando avete dato prova di tutti i vostri fallimenti, come organizzazione quando avete annunciato l’esistenza di altri Comandanti, ma anche quella volta sono state poche le voci a farsi sentire. E mi lascia ancora più sorpresa il ricordo della faccia di Bellocchio quando osai solo insinuare che i Victory non sono un brutto partito, rispetto alle Forze del Bene.»
Hei Feng sembra altrettanto offesa da quest’affermazione, proprio come lo fu Bellocchio ai tempi. Però ha la risposta pronta, per quanto sappia già che chi sta parlando per conto mio le darà ancora parecchi problemi. La guardo intensamente e con enorme severità: la sua voce trema un po’, mentre la mia è andata facendosi più forte e sicura man mano che parlavo. «Non pensi al divario abissale che c’è tra voi e le reclute del Victory Team! Al contrario di quei ragazzi a cui viene fatto quotidianamente il lavaggio del cervello e che sono ridotti a condizioni di impotenza con i loro superiori, voi avete teste pensanti e non possiamo permetterci di togliervi questa libertà. Ma diffondere troppe notizie avrebbe portato scompiglio: non potevamo conciliare i troppi pareri contrari che ci sarebbero stati e le contestazioni a ogni mossa programmata, le domande sulle strategie da attuare, più in generale sulla situazione del conflitto… tenervi all’oscuro di tutto sarà stato sbagliato, secondo voi» sottolinea con forza queste parole, «ma purtroppo necessario.»
Qualcuno scuote la testa e mi viene da sorridere. «C’è chi non è d’accordo con questa storia delle teste pensanti. Io, prima di tutti, non sono assolutamente d’accordo. Lei è mai stata, anche solo di passaggio, in un’Accademia?» Hei Feng non risponde, preferisce continuare a guardarmi male. Io sorrido ancor di più. «Se ci fosse stata avrebbe visto le condizioni in cui erano ridotti gli studenti. Per carità, erano tutti in salute e allegri, contenti di starsene sotto la campana di vetro confezionata dalle Forze del Bene, nella speranza che la guerra non li toccasse mai… ricordo bene come mi occupassi soltanto dell’allenamento della mia squadra di Pokémon, perché era l’unica cosa che ci dicevano che contasse, all’Accademia! Non mi facevo domande sulla guerra in corso e gli altri allievi non erano da meno: tutti a pensare ai loro Pokémon, del conflitto praticamente non se ne parlava. Si figuri, Hei Feng, che ho cominciato ad oppormi a Bellocchio solo quando i Victory hanno rapito i miei genitori, segno inequivocabile del fatto che le Forze del Bene non li avessero protetti a sufficienza! Già un anno prima, quando ero ancora all’Accademia e avevano cancellato i ricordi della propria figlia e della vita a Nevepoli dalle menti dei miei genitori, non me l’ero assolutamente presa con questa operazione di… censura? Sì, direi che si può dire così… da parte delle Forze del Bene.
«Perciò come può osare parlare di teste pensanti, Hei Feng,» la mia voce inizia a scaldarsi, «se nessuno ha ma levato la voce contro il silenzio imperterrito di voi capi, che avete davanti agli occhi la realtà e la nascondete ai vostri sottoposti? Persino io ho iniziato a ribellarmi solo quando sono stata toccata sul personale, e vedendomi ora non si direbbe di certo! Mi sta dicendo che questa è una testa pensante?» Mi tocco un paio di volte la tempia con l’indice. Poi aggiungo, approfittando di un momento di silenzio: «E mi perdoni se non includo né me né gli altri Legati tra i membri delle Forze del Bene, avrà notato questa mia preoccupazione… ma credo sia comprensibile questa scelta, non la prenda a male» la sfido con un altro sorrisetto.
Hei Feng sembra veramente sul punto di dare di matto. Mi meraviglia che non mi abbia messa a tacere quando la conversazione stava andando a toccare punti scomodi per lei, che fa parte dell’élite delle Forze del Bene. Sono abbastanza sicura che la presenza dentro di me l’abbia ipnotizzata in qualche modo, e che solo ora le conceda il lusso di provare a farsi valere. «A voi Legati non importa niente delle sorti della guerra, del mondo intero ormai!»
Prova a cominciare una frase successiva, ma quasi impallidisce quando Daniel inizia a ridere. Sommessamente, sì, e forse è proprio questo modo di ridacchiare che l’ha ammutolita: sembra, anzi, sono abbastanza sicura che sia una presa in giro. E infatti: «E perché mai dovremmo interessarcene?»
Hei Feng non riesce a dire “Come, prego?”, ma la sua espressione basita parla da sé. Non che Daniel la stia degnando di uno sguardo: tiene le braccia conserte sul petto ampio e con una mano nasconde parte del viso; adesso sta semplicemente sorridendo. Poi sospira e alza la testa, incrociando completamente le braccia e tenendo gli occhi fissi sul centro del tavolo. «Mi spiace, Hei Feng, ma è proprio così: noi siamo le ultime persone a cui sta a cuore l’esito di questa guerra. Siamo, con ogni probabilità, gli individui più distaccati dal mondo terreno che lei potrà mai conoscere in vita sua. Non ci chieda di collaborare in nome del nostro amore per il pianeta.»
«E allora cosa dovrei fare? Mi sembra chiaro che siate intenzionati ad abbandonare il conflitto!» esclama la donna con voce acuta, nervosa com’è.
Daniel, continuando a guardare il nulla, scuote leggermente la testa e replica: «Purtroppo non possiamo. E non si preoccupi di chiederci il perché, tanto non riceverà risposta da nessuno di noi.»
«Non potete impedirmi di farvi domande, almeno sul perché non mi dite nulla!»
«Perché ce lo vietano i nostri superiori, che di certo non siete voi delle Forze del Bene.»
Hei Feng non sa più con cosa mandare avanti una conversazione che, d'altronde, non può avere alcun esito soddisfacente per lei. Si passa una mano tra i capelli e sbuffa rumorosamente, mantenendo però un’espressione seria e piena di dignità, come se ci volesse far capire, così, che non si è affatto arresa. «Va bene» dice allora, semplicemente. «Be’, passiamo oltre, visto che non abbiamo altro da dirci. Vi farò vedere il messaggio trasmesso stanotte dai Victory. Per quello di Sinnoh se n’è occupato Cyrus, Elisio di Kalos e Hoenn, Ghecis di Unima e Giovanni di Kanto e Johto… ditemi pure quale preferite visionare» conclude in tono polemico.
Un sommesso coretto, di cui anch’io faccio parte, esprime la sua preferenza per Sinnoh; perciò Hei Feng accontenta la maggioranza. Mentre parlava ha fatto qualcosa che è sfuggito ai miei occhi - perché erano tornati a concentrarsi su Daniel, che dal canto suo evita con cura di incrociare lo sguardo di chiunque dei presenti - e una tastiera è fuoriuscita dal tavolo davanti a lei. Le sue dita si muovono rapide su di essa e, prima che me ne renda conto, il centro del tavolo si è aperto rivelando una specie di schermino circolare, la cui natura è a me del tutto sconosciuta. Non so bene come faremo a guardare il messaggio di Cyrus alla regione di Sinnoh da una cosina così piccola - sarà grande la metà di un normale foglio di carta - e peraltro in una posizione tanto scomoda.
Però non mi stupisco nemmeno più di tanto quando, dopo qualche istante di impaziente attesa, da esso prende vita una proiezione olografica a cui non sono abituata e che dovrebbe sorprendermi. Invece, con occhi vitrei, fisso senza mostrare alcuna emozione lo schermo piatto che emana una tenue luce azzurrina, una gradita nota di colore nel bianco fastidioso e accecante della stanza. Sciami di pixel viaggiano impazziti sulla sua superficie astratta in attesa che il video venga caricato. Lentamente la loro corsa si fa meno frenetica e febbricitante, finché non escono tutti dallo schermo lasciandogli solo un contorno celeste che aspetta di accogliere l’aspetto di Cyrus. Non so quanto durerà questo messaggio ma di sicuro saranno minuti sgradevoli.
L’uomo si materializza di colpo nella proiezione. Sembra un giornalista che tiene un notiziario: seduto al tavolo di uno studio, con il solo busto visibile e le mani intrecciate avanti a sé, guarda negli occhi chiunque sia davanti allo schermo con un’espressione apatica, come se da tempo non avesse il piacere di provare un’emozione, come se non avesse più vitalità. Questo lascia indifferente la presenza meno umana che è in me, mentre la parte “normale” non può nascondersi di provare un po’ di pena, anche se non dovrebbe avere motivo di farlo: non so nemmeno cosa abbia fatto sì che Cyrus, il cui volto è diventato per me, nel tempo, sinonimo di Victory e di nemico, si ritrovi con una faccia così poco felice. Dietro di sé troneggia lo stemma del Victory Team.
Aspetta strategicamente qualche secondo prima di cominciare a parlare, per assicurarsi di aver catturato l’attenzione di uno spettatore basito, perché magari è stata improvvisamente interrotta la trasmissione della sua serie televisiva preferita o perché, mentre giocava al cellulare o al computer, si è visto spuntare quest’uomo mentre forse non era nemmeno connesso a Internet. Io mi trovo in una posizione in cui non mi è possibile scambiare una precisa occhiata con Cyrus, e nonostante mi faccia un po’ pena mi sento molto più sollevata così.
«Buonasera, cittadini di Sinnoh.» La sua voce suona più flebile di come io la ricordi: mi chiedo se sia in forma. Inizio ad avere qualche dubbio. «Il mio nome è Cyrus e sono uno dei Comandanti di un’associazione segreta strettamente collegata e vicina ai governi delle regioni di tutto il mondo. Il nostro è il Victory Team e noi che ne facciamo parte svolgiamo ricerche scientifiche sia su stadi avanzati della tecnologia e dell’informatica che su forme di vita distanti da ognuno dei regni in cui gli esseri viventi sono stati suddivisi: non è possibile inserirli tra gli animali, tra le piante, né tantomeno in altri gruppi, nonostante somiglino molto alle forme di vita da noi conosciute. Questi esseri si chiamano Pokémon.»
Al posto dello stemma dei Victory dietro di lui appare l’immagine di un Dragonite. Capisco questa scelta: è un Pokémon molto forte, uno dei cosiddetti pseudo-Leggendari, ma ha una natura pacifica che non incontrerà grandi opposizioni tra gli spettatori. Il muso del drago è infatti amichevole e ingenuo, con gli occhi intelligenti che sembra stiano ammiccando al pubblico sconvolto per cercare di rassicurarlo.
«Esistono centinaia di specie di Pokémon e se ne scoprono spesso di nuove grazie al meticciato continuo che avviene tra di esse. Alcuni hanno aspetto di comuni animali o piante, anche che avremmo creduto potessero esistere solo nelle favole o negli immaginari collettivi come draghi o uccelli mitologici, altri possono sembrare organismi invisibili all’occhio nudo ma in scala più grande, e ce ne sono molti ancora che hanno addirittura forma umanoide. Le caratteristiche che distinguono i Pokémon da qualsiasi altro essere vivente sono molteplici: in primo luogo le loro capacità fisiche e mentali, che li rendono in grado di avere controllo su elementi naturali e anche su forze sovrannaturali; in secondo luogo, ma non meno importante, la loro eccezionale intelligenza che li rende compagni fidati dell’essere umano. Non esistono Pokémon indomabili o aggressivi nei nostri confronti: possono essere ostili, ma non è nella loro natura aggredire altri esseri viventi cercando di provocarne la morte. Peraltro sono la minoranza le specie di Pokémon sospettabili di comportamenti violenti, e in ogni caso un buon Allenatore sarà in grado di renderli dei compagni innocui e obbedienti. Perché è questo che fanno gli umani che hanno a che fare con loro: li allenano perché diventino forti e siano validi combattenti nelle lotte tra Pokémon, una disciplina che si potrebbe definire di tipo sportivo.
«Sono state elaborate svariate teorie sulla provenienza e sull’evoluzione di questi esseri. Quelle di tipo scientifico sostengono tutte che abbiano seguito un percorso come quello di tutte le specie che hanno conosciuto il suolo di questo pianeta, e che la selezione naturale abbia fatto il suo corso in un modo del tutto particolare, dal punto di vista di noi umani, che non possiamo far altro che cercare la collaborazione di queste straordinarie creature. Ma esiste anche una teoria, peraltro molto accreditata, che sostiene l’esistenza di una divinità della natura dei Pokémon, che li abbia creati molto prima che l’essere umano e le altre specie viventi arrivassero sulla Terra seguendo un’altra strada. E allora c’è chi sostiene pure che gli animali, compresi l’uomo, e anche molte piante trovino i loro antenati nei Pokémon stessi, e che abbiano perso le loro capacità sovrannaturali.
«I Pokémon, creature così eccezionali e dal passato terribilmente oscuro, sono rimasti nell’ombra di questo pianeta per centinaia di anni: le barriere in cui si sono rinchiusi sono state studiate ed emulate dai nostri ricercatori, e abbiamo passato l’ultimo decennio in laboratori nascosti in queste stesse barriere, per rimanere a contatto con i Pokémon e non essere disturbati da chi non li conosce. Questo perché hanno cancellato ogni traccia di sé, grazie ai loro poteri psichici, dal passato del nostro mondo… per motivi tutt’ora sconosciuti. A causa di quest’operazione dalla portata inimmaginabile, abbiamo veramente pochi elementi per studiare la loro decisione di isolarsi dal resto del mondo: sono riusciti a cancellare tutto, ogni traccia, dando prova della loro intelligenza e dei loro grandiosi poteri. Ma non ci fermeremo, ed è per questo che, dopo anni di negoziazione con i vostri governi, abbiamo finalmente deciso di uscire allo scoperto e di allargarci a tutta la popolazione mondiale, abbassando le barriere di separazione tra umani e Pokémon.
«Comprenderemo la paura iniziale che vi attanaglierà, ma siete totalmente al sicuro. Non solo queste creature, come ho già detto, sono del tutto innocue e pacifiche; ma le forze militari sono già pronte a intervenire se accadesse qualcosa di inaspettato - anche se siamo assolutamente convinti che, se nessuno provocherà i Pokémon a tal punto da scatenare in loro un vero moto di violenza, si tornerà a convivere in modo pacifico così come si era nella notte dei tempi. Non siamo noi a dover fare attenzione ai Pokémon, sono loro a rischio, con noi…»
La trasmissione viene bruscamente interrotta da Hei Feng, che asserisce: «È più o meno così che va avanti per altri dieci o quindici minuti.»
«Sembra un discorso più realistico e serio di quelli tenuti dai professori ai nuovi alunni di un’Accademia» mormora Ilenia. Annuisco leggermente, imitata da qualcun altro.
«Cyrus non manca di insinuare, in qualche modo, che non è del tutto vero che i Pokémon siano così pacifici» continua la direttrice. «Un elemento che manca in tutti gli altri messaggi, anzitutto nell’espressione e nella presentazione del Generale di turno, che cerca di essere il più possibile accattivante e rassicurante. In più, Cyrus non ha con sé un Pokémon a tenergli compagnia per ottenere ancora di più la fiducia del pubblico: Giovanni, per esempio, ha il suo vecchio fidato Persian in una postazione completamente diversa da quella di Cyrus, che sembra di uno studio di un telegiornale. Abbiamo preso in esame il messaggio di Cyrus molto più attentamente di quelli degli altri; in più, se riusciamo a sorvegliare almeno in minima parte i movimenti dei Generali, lui da più o meno le sei e mezza di ieri, quando è finita la trasmissione, è del tutto scomparso. Non sappiamo cosa pensare.»
«I Comandanti lo hanno costretto a fare qualcosa che non voleva» affermo. Hei Feng mi guarda intensamente, interrogativa, insicura se fidarsi o meno della ragazza che le ha causato tanti problemi fino a dieci minuti prima. «Non è molto contento della sua posizione, Cyrus. Gli manca il comando di un Team, gli mancano i sottoposti suoi e solo suoi, la posizione più in alta in un’organizzazione.»
La donna continua a osservarmi: normalmente mi sentirei a disagio e abbasserei lo sguardo, ma continuo a ricambiare finché non è lei ad interrompere il contatto visivo. Mi chiede comunque come faccio ad esserne sicura e, in poche parole, le racconto i punti salienti del mio ultimo incontro con Cyrus, in cui era presente anche Sara e che, soprattutto, è stato il momento in cui si è rivelato Ho-Oh. Hei Feng è molto stupita di come l’uomo sia stato relativamente disponibile a parlare dei veri Comandanti: non le dico, però, della persona misteriosa superiore anche a loro. Forse già lo sa grazie a Bellocchio, o forse - è molto probabile, ma non ne sono sicura - non l’ho detto neanche a lui, e dell’esistenza di questa persona siamo a conoscenza solo io, Sara e pochissimi altri, tra Legati e Forze del Bene.
«È molto strano da parte di un Generale nemico» mormora la donna.
«Non è per niente strano, visto che Cyrus vuole con tutto sé stesso il comando di un Team solo suo, in cui non sia sottoposto a nessuno. La sua ambizione è spaventosa, ma non può fare niente contro i Comandanti.»
«Perché ne sei così sicura? Conosci i loro mezzi?»
«So che hanno poteri simili, se non superiori, a quelli di noi Legati. Di certo hanno la collaborazione di alcuni Leggendari, non so se anche dei Legati siano arrivati a lavorare per loro. Voi non avete traccia di nessun contraente tra i Victory, no?»
Hei Feng scuote la testa. «Questo lo sapremmo già, visto che abbiamo i documenti di praticamente tutti i membri del Victory Team - perlomeno dalle reclute ai Generali. Voi sapete se ci sono dei Legati che mancano all’appello e che potrebbero essere con loro?»
«Quelli di Zapdos e Moltres» mormora Sara. «Inoltre è scomparso, tempo fa, anche Shaymin.»
«Sono certo» interviene Daniel, «che nessuno dei Leggendari dei laghi di Sinnoh ha creato un Legame. Neanche Palkia lo ha fatto, né Giratina. Ma finora non ho trovato tracce di Cresselia, Darkrai, Manaphy, Phione e Heatran.»
«Regigigas invece è sotto la nostra protezione, pur non avendo un Legato» completa Hei Feng.
Lewis descrive la situazione a Hoenn: «I Regi dovrebbero aver creato Legami, ma non c’è traccia neanche di loro. Kyogre e Groudon non hanno cercato un contraente, mentre Oxygen delle Forze del Bene è il Legato di Rayquaza. Deoxys non ha creato Legami, mentre Jirachi è il Leggendario di Hans.»
«Qui a Johto ci siamo solo io, Eleonora e Luke come Legati» aggiunge Ilenia.
Annuisco. «Nessun’altra delle Bestie, e neanche Celebi, ha trovato un contraente.»
«Mewtwo e Mew?» domanda Hei Feng. Sara fa un cenno di diniego con il capo, facendo capire che non hanno creato Legami. La donna prosegue: «Abbiamo i Legati di Xerneas e Yveltal a Kalos, che ci hanno detto di non aver trovato altri come loro… come voi. Perciò togliamo dalla lista anche Diancie, Hoopa e Volcanion.» Questa novità mi stupisce, perché non avrei mai creduto che Camille sarebbe tornata a lavorare per le Forze del Bene.
«Manca Unima» nota Luke.
Hei Feng annuisce. «E qui veniamo ad una questione che intendevo sottoporvi tra non molto. Qualcuno di voi, un gruppetto di quattro o cinque persone, deve andare ad Unima per proseguire con la Missione Leggendaria. Non ci sono tracce di Legati a Leggendari di Unima né tra le Forze del Bene, né tra i Victory. Gli altri che non partiranno dovranno accompagnare il nostro Hans alla ricerca del suo Jirachi.»
Il biondino sobbalza quando si sente coinvolto. Non ha spiccicato parola per tutto il giorno; in effetti è da quando siamo qui che si è fatto molto taciturno. Il momento in cui l’ho visto più vivo è stato quando per poco non dava di matto mentre allenava i suoi Pokémon - ha già una squadra completa che aspetta di evolversi del tutto - e quando mi sono presentata davanti a lui nella Forma di Mezzo come la ragazzina che ha raccattato nel Bosco Smeraldo un paio di giorni prima. Lì per poco non sveniva.
«E chi dovrebbe partire per Unima?» chiede subito Sara.
«Quelli che non conoscono Hoenn abbastanza bene da poter guidare Hans nella sua ricerca. Perciò Lewis e Laura andranno con lui. Tu, Daniel, Eleonora, Ilenia e Luke andrete ad Unima, a meno che non sia necessario che un altro di voi si aggiunga all’altro gruppo.»
Di certo non mi aggiungerò io, e spero con tutte le mie forze che non lo faccia neanche Daniel. Ma dubito che inseriranno qualcun altro nel gruppetto dei Legati di Hoenn: Lewis e Laura sono abbastanza esperti da poter guidare e proteggere Hans per conto loro. Li ho visti allenarsi in questi giorni e sono davvero forti, soprattutto lei. Ma la mia avversaria peggiore rimane Ilenia, e anche Luke rende vani molti miei sforzi con i suoi dannati poteri del fulmine - non tanto quelli dell’acciaio, invece. Mi chiedo come siano le capacità di Daniel: l’ho visto a malapena piegare il metallo alla base segreta del Monte Corona, e finora le “mosse di tipo Drago” di Lewis e Laura sono state solo un supporto dei loro poteri psichici, rendendoli, quanto alle abilità fisiche, semplicemente più veloci e forti: non hanno mai usato, perlomeno in mia presenza, una vera mossa di questo elemento.
I Legati di Latios e Latias annuiscono quando nei fatti ricevono l’ordine di andare appresso a Hans; Laura sorride al biondino in un modo che mi fa venire qualche sospetto, sinceramente - non mi sono ancora chiare le intenzioni della signorina, che finora è sempre stata molto attaccata a Lewis ma che ha spesso fatto la civetta sia con Hans che con Luke, il quale ha cercato di evitarla, allenandosi con lei un paio di volte al massimo. Le sue assurde risatine hanno spesso ridotto al silenzio la stanza riservata agli allenamenti di noi Legati, imbarazzando in particolar modo Lewis. Ha sempre uno strano sorriso sul faccino tondo e tenerlo mentre combatte fa sì che l’avversario sia un po’ intimorito, temendo che la ragazza abbia qualche micidiale asso nella manica. All’inizio ci sono cascata anche io, ma ci ho fatto altrettanto presto l’abitudine, e riesco a mettere al tappeto praticamente sempre la piccoletta - non senza una grossa soddisfazione. Mi auguro per lei che non stia troppo appiccicata anche a Daniel, perché se lo facesse potrei per errore smettere di usare fiamme innocue quando combattiamo io e lei.
Adesso Laura mi sta guardando con un visetto interrogativo e leggermente divertito. Smetto di fissarla: non mi ero resa conto di averla studiata così a lungo. Immagino di non aver fatto una delle espressioni più amichevoli per tutto questo tempo. Mi sono persa l’ennesimo botta e risposta tra Hei Feng e qualcuno dei Legati, e l’unica cosa che capisco è che stiamo per guardare qualcuno dei notiziari più recenti sul televisore-ologramma.
«La rivelazione shock trasmessa contemporaneamente in tutto il mondo ha segnato un punto di rottura assolutamente non riparabile nel rapporto tra i governi e i cittadini di ogni regione…»
«I primi Pokémon, così si chiamano le creature studiate dal fantomatico Victory Team, hanno creato disordini inauditi nella maggior parte dei centri abitati in cui sono penetrati, e molti di essi hanno mostrato un lato violento che i presidenti dell’associazione che li studia avevano assicurato, proprio al contrario, che non avrebbe dovuto esserci. Allo stesso modo, però, i tentativi di approccio più tranquilli hanno dato risultati molto positivi, che confermano effettivamente le affermazioni degli uomini del Victory Team, secondo i quali i Pokémon risponderebbero con la violenza solo sentendosi provocati.»
«Sempre più accreditate teorie del complotto e voci che sostengono che già da tempo, nella società, avevano avuto luogo strani fatti che solo ora possono essere spiegati, con l’esistenza di questi Pokémon, che sarebbero responsabili di situazioni pericolose per l’intera umanità tanto quanto di condizioni favorevoli, soprattutto per l’ambiente. Innumerevoli domande sono state inviate agli indirizzi delle sedi del Victory Team, e tra queste se ne ripete sempre più spesso una in particolare: perché tanta segretezza, se parlate dei Pokémon come di validi amici e alleati per gli esseri umani?»
«Soprattutto i più giovani hanno cercato di fare amicizia con queste creature, e già hanno trovato dei compagni più intelligenti dei classici animali da compagnia e in grado di aiutarli con le loro facoltà incredibili. Molta diffidenza, invece, da parte di adulti e anziani.»
«I Pokémon continuano a dimostrare capacità intellettive paragonabili solo a quelle della specie umana: alcuni di essi sono più vicini al mondo animale, altri si trovano in uno stadio intermedio, alcuni addirittura sono alla pari dell’essere umano. Il Victory Team ha portato esempi di Pokémon simili a calcolatori, dall’aspetto artificiale, che arrivano al livello delle funzioni più avanzate dei supercomputer governativi. Sempre più persone si stanno convincendo della natura buona di queste creature e chiedono a gran voce ulteriori informazioni, che provengano esclusivamente dall’organizzazione Victory Team.»
«Saranno davvero le creature che ci vengono descritte nei messaggi o si tratta di forme di vita aliena, su cui i nostri governi hanno taciuto, talmente a lungo da essere arrivati ad una situazione intollerabile?»
Hei Feng smette di fare zapping tra i notiziari di tutto il mondo: alcuni giornalisti sono riusciti a mantenere un aspetto professionale e quasi del tutto indifferente, altri sembravano letteralmente in preda al panico, ma ne abbiamo visti anche di entusiasti. «Adesso concentriamoci su uno di questi.» Va a scegliere il telegiornale più serio e affidabile, che analizza la situazione con occhi critici anche se non del tutto oggettivi: d’altra parte è semplicemente impossibile in una situazione come questa. Nello studio televisivo è protagonista della scena un uomo di mezza età dall’aria seria e imperturbabile, con un paio di occhialetti ben sistemati sulla gobba del naso. Appena apre bocca, però, Hei Feng manda avanti il filmato borbottando che l’argomento dei primi minuti di trasmissione è prevedibile, e in effetti abbiamo avuto un’infarinatura più o meno sufficiente della situazione.
Il telegiornale riprende il suo corso normale appena comincia il primo servizio, con una voce maschile abbastanza giovane e agitata come sottofondo. Sullo schermino scorrono immagini di Pokémon in ogni tipo di ambiente, dal cittadino a quello di campagna, o anche marittimo. Non riesco a vedere molto bene dalla proiezione olografica di sua natura un po’ confusionaria, ma riesco a farmi un’idea generale delle riprese: dapprima vengono mostrati ragazzi in contatto amichevole con i Pokémon, poi le certezze e la sicurezza dello spettatore vengono demolite con spezzoni di boschi dati alle fiamme da creature arrabbiate e di fiumi straripanti, sempre per colpa di qualche essere mostruoso che può comandare l’acqua a suo piacimento; ma a passarsela peggio di tutti sono i Pokémon Veleno, Spettro, Buio e anche Psico, che vengono indicati come i colpevoli di ogni brutta situazione, anche se in gran parte sono innocui tanto quanto i loro simili identificati con altri tipi.
«La situazione è estremamente precaria» balbetta il giovanotto che ha offerto, forse non volontariamente, la sua voce per il servizio. «Abbiamo su alcuni fronti l’esempio della natura pacifica dei Pokémon di cui gli uomini del Victory Team hanno parlato, ma su altri vengono distrutte le affermazioni di questo tipo. L’organizzazione segreta che si dedica alle ricerche sui Pokémon sta diffondendo in rete le informazioni su ogni specie conosciuta, dividendo le creature in “tipi” e le famiglie in “stadi evolutivi”. Molti concetti sono ancora totalmente oscuri e in attesa di una spiegazione esaustiva, ma al momento l’unica cosa che sembra contare è il modo in cui bisogna comportarsi con i Pokémon: la paura detta violenza nei loro confronti e in molti sono convinti che sia per questo che alcuni di loro stiano rispondendo allo stesso modo, sentendosi aggrediti dagli esseri umani.»
Il servizio prosegue per un altro po’ e, nei fatti, non fa che lamentare la scarsità di informazioni sui Pokémon ed enunciare ogni dubbio, anche banale, sorto con l’annuncio dell’esistenza di queste creature. Il successivo va a toccare un tasto a mio parere ancor più sensibile, ovvero come i governi di tutto il mondo, forse veramente affiliati al Victory Team, si stiano comportando di fronte alle molteplici reazioni della massa: pochi sono i moderati ed i curiosi, la gran parte della popolazione è impaurita, si è barricata nelle proprie case e non è intenzionata ad uscirne, come se fosse stato proclamato lo stato d’emergenza; e, come si è capito, non mancano i violenti che pare stiano provocando i Pokémon a tal punto da scatenare il lato distruttore che è in loro.
Sinceramente non so quale specie si siano fin da subito mostrate disposte a stringere amicizia con gli esseri umani: finora ho sempre visto, allo stato selvatico, creature terrorizzate dall’uomo che le ha segregate in un complesso di barriere, impedendo loro di vivere il mondo al di fuori di esse. E siccome sono terrorizzate, non sono in grado di entrare in contatto con l’essere umano se non attaccandolo: solo dopo la cattura capiscono le intenzioni del loro nuovo Allenatore, che siano queste buone o cattive. Perciò ho qualche dubbio sulla natura pacifica di cui si parla tanto: sono più propensa a pensare, semmai, che dei Pokémon siano stati liberati di proposito tra la gente con il solo scopo di mostrarsi amichevoli e docili, e che ora il Victory Team abbia un bel po’ di lavoro da sbrigare dopo aver abbassato le barriere e aver quindi liberato la maggioranza dei Pokémon presenti sul pianeta, che di certo non sono intenzionati a “fare amicizia”.
«Tutti i governi danno le stesse identiche risposte alle domande che arrivano senza sosta, spingendo così molte persone a credere che il Victory Team stia dettando loro le cose da dire alla popolazione spaventata. Non è un’ipotesi da bocciare in partenza, anche perché le teorie del complotto stanno trovando terreno fertile in questa situazione che mai avremmo potuto prevedere. Davanti ai palazzi governativi già hanno luogo manifestazioni non organizzate, e mano a mano che vengono rivelate le sedi del Victory Team la massa si sposta davanti ad esse ed intensifica la sua protesta, mostrando tutta la sua rabbia, e inevitabilmente il terrore, del tutto comprensibile. Per mezzogiorno in punto, fuso orario di Unima, è già prevista un’intervista a due degli uomini dell’organizzazione, Elisio e Giovanni, che sono stati visti da tutta la popolazione delle regioni di Kanto, Johto, Hoenn e Kalos. Si parla di una conferenza stampa nei giorni a venire, ma i luoghi in cui si terranno questa e l’intervista di oggi sono del tutto segreti, così come non si sa chi avrà il privilegio di intervistare i messia della venuta dei Pokémon.»
Hei Feng interrompe il servizio appena la frase finisce e subito domanda: «Qualche considerazione da fare?»
Qualcuno scrolla le spalle, altri sospirano, c’è chi, come me, scuote la testa. Ma comincia Luke a dire la sua: «Premetto che non ho passato abbastanza tempo con i Victory per poter dire con certezza quali siano i loro piani… ma sono sicuro che sappiano cosa stanno facendo e che abbiano qualche altra carta da giocare. Altrimenti non mi spiego neanch’io una mossa tanto pericolosa e avventata. E poi sono sicuro che siano pronti ad usare la violenza contro gli oppositori, che come abbiamo visto si stanno facendo sentire parecchio - anche perché non hanno idea di cosa li aspetta. I Victory sono intenzionati a creare un impero, lo sappiamo bene tutti.»
«Se parli di violenza, allora si tratta di un regime» mormora Sara. «Non che avessi tanti dubbi in proposito, però…» Sembra che rabbrividisca e non finisce la frase.
«Dubbi non ce ne sono neanche sulla violenza come mezzo di repressione» borbotto a voce talmente bassa che non credo mi abbiano sentito più di due o tre persone.
«La cosa che più mi preoccupa» interviene Ilenia, «è che ora i Pokémon siano nelle mani degli umani… di tutti gli umani. Non ho mai immaginato che potesse verificarsi un evento del genere e ora non so cosa ne sarà dei Pokémon, vista la scarsa affidabilità di alcuni soggetti, anzi, di parecchi.»
«Vedrai che finiranno sotto il controllo dei Victory» ribatte Luke. «Avranno già messo in conto il… passatemi il modo di esprimermi… pessimo utilizzo che certi uomini faranno dei Pokémon, sfruttando la loro potenza e le loro capacità. Ora il mondo crede di trovarsi in una realtà fantastica, anzi, fantascientifica, appena i Victory riveleranno la tecnologia avanzata che hanno sviluppato… e che d’altronde abbiamo anche noi. Si sono presentati come un gruppo di ricerca sui Pokémon ma anche dedito al progresso informatico e tecnologico, no? Quindi vedremo come se la giocheranno su quest’altro versante. Però quello più pericoloso e ambiguo è quello dei Pokémon.»
«Più pericoloso di poco» gli risponde la stessa Ilenia. «Credi davvero che i cattivi di turno ignoreranno le innovazioni portate dai Victory in favore di bestiole che non capiscono bene come gestire? Sarà molto più facile, sulle prime, puntare sulle altre novità. In parte sono d’accordo con te a proposito del controllo che eserciteranno su queste persone, quelle che cercheranno di sfruttare in ogni modo tecnologia e Pokémon, insomma; ma ho anche seri dubbi sulle loro possibilità. Tu che sei stato con loro ne saprai più di me, anche per affermare certe cose, ma non starai ingigantendo fin troppo il potere dei Victory? Hanno vissuto nell’ombra finora, si saranno pure insinuati nei governi a tal punto da organizzare uno spettacolo come quello di oggi, ma rimangono delle specie di parassiti che solo adesso sono usciti allo scoperto. Non è tutto nelle loro mani, non ancora, perlomeno: penso che i politici e gli intellettuali di spicco saranno quelli messi alla prova dalla paura e dalle domande della massa, non loro. Al massimo daranno direttive agli interpellati, ma ci vorrà ancora del tempo prima che acquisiscano tanto controllo da ridurci in condizioni di clandestinità. E questo tempo dobbiamo usarlo nel migliore dei modi.»
Luke la guarda amareggiato. «Forse sono io il pessimista, ma anche tu potresti essere troppo ottimista. Ho una grande paura delle possibilità del Victory Team: temo che sia più forte di quanto chiunque di noi possa pensare, soprattutto dopo aver destabilizzato la situazione con una mossa del genere.»
«Forse vogliono intimidirci per indebolirci il prima possibile. Ma potrebbero essere impediti nei movimenti da tutte le persone che, come ho già detto, dovranno dare risposte soddisfacenti alla popolazione, che sicuramente li assilleranno in ogni momento, così come loro stessi sono pressati dalla massa.»
«Un’azione di portata così grande e che ha rotto definitivamente l’equilibrio tra il mondo umano e quello dei Pokémon, solo per intimidirci?» Luke fa un gesto di negazione con la testa. «Avevamo già abbastanza paura di loro dopo aver saputo dell’esistenza dei Comandanti e dopo che hanno distrutto una delle basi segrete meglio protette e nascoste del mondo. C’è qualcos’altro sotto e me lo spiego solo con un tentativo di presa di potere in tutto il mondo, per quanto sia un po’ goffo, vista la quantità di problematiche che presenta.»
La sicurezza di Luke riguardo allo strapotere - ancora da vedere dei Victory - ha disarmato un po’ tutti. Credo che la presenza dentro di me se ne sia andata, perché sono attanagliata da uno sconforto indicibile che non sarebbe mai sopraggiunto con il sostegno, se così si può definire e se la si può ritenere una cosa gradita, di quel qualcuno che cerca di manovrarmi come conviene a Ho-Oh - e per quanto quest’ultimo nemmeno apprezzi gli sforzi della persona misteriosa. Cerco di passarmi una mano tra i capelli ma mi ricordo all’ultimo di averli legati durante l’ultimo passaggio nella Forma di Mezzo.
«Presto saremo presentati per bene come il nemico da combattere.» È stato Daniel a rompere il silenzio teso e aggressivo che ha succeduto le affermazioni di Luke.
Hei Feng annuisce vigorosamente. «Questo è un tasto dolente… finora i Victory hanno solo accennato l’esistenza di questo nemico.»
Nessuno aggiunge nient’altro a riguardo del nuovo, enorme problema che ci è stato presentato, perché non ce n’è bisogno, semplicemente: tutti vediamo le stesse difficoltà arrivate. Le Forze del Bene non si trovano per niente in condizione di uscire allo scoperto e recitare una propria parte come hanno fatto i Victory, perché sarebbero troppo deboli e verrebbero subito aggredite da ogni dove: dal nemico di sempre, dai media, dalle “persone comuni” che, vedendo un’altra organizzazione invischiata nella faccenda dei Pokémon, non farebbe che spaventarsi ancora di più e non sarebbe in grado di vedere una differenza tra una fazione e l’altra. D’altronde la vedo a fatica io, figurarsi un individuo spaventato che vede spuntare da ogni dove questi esseri probabilmente pericolosi, che trova su tutti gli schermi i volti di giornalisti più o meno preoccupati o, peggio, quelli degli esponenti del Victory Team. Non invidio per niente, il che è tutto dire, i membri della “massa”.
Lewis si permette di sfidare il silenzio con qualcosa che tutti abbiamo già pensato: «Ci presenteranno come terroristi, pericoli per la sicurezza nazionale… e noi Legati saremo ricercati insieme ai massimi esponenti delle Forze del Bene. Se otterranno l’appoggio del popolo, ci metteranno un attimo a catturarci.»
«Voi sarete richiesti vivi» sbuffa Hei Feng, «mentre noi comuni mortali saremo sacrificabili.» Incrocia le braccia e mostra un’espressione di grande disappunto, come se le trovasse ingiusta la prospettiva di non essere trattata al pari dei Legati. «Cosa credete che dovremmo fare ora?»
Questa domanda mi risveglia da una sorta di sconsolato torpore in cui ero caduta, immergendomi nel vuoto della mia testa. Un incendio scoppia nel mio animo, provocato da un interrogativo tanto impertinente - è persistito pure dopo tutto quello che ci siamo detti sul fatto che i Legati non si immischieranno nelle decisioni delle Forze del Bene, che dovranno essere prese soltanto dalle persone deputate a queste faccende! Ma stavolta non me ne sto in silenzio, per quanto mi piacerebbe alzarmi e abbandonare Hei Feng e i suoi colleghi ai loro problemi, che mi riguardano in minima parte ormai. Non che quello che dirò sarà tanto d’aiuto alla donna e ai suoi, anzi, sono abbastanza sicura che la mia posizione radicale non sarà presa in considerazione - semmai verranno pure a farmi la predica, convinti di essere i miei superiori; ma proprio per questo farò sentire la mia voce contrariata dal comportamento delle Forze del Bene e lancerò loro l’ennesima sfida.
«Direte la verità a tutti, e non vi nasconderete dietro scuse assurde per gli sbagli di cui sarete incolpati.»
Suona proprio come volevo che fosse, cioè un ordine, non un consiglio. Mi rilasso notevolmente, perdendo un po’ dell’autorità che queste parole mi hanno fatto guadagnare, quando Daniel - come molti - fa un cenno d’assenso, pur continuando a non guardare né me, né altri dei presenti. La persona più importante ora non dovrebbe essere lui, ma Hei Feng; perciò dedico la mia attenzione a lei, che per l’ennesima volta in questa lunga giornata - ma mi si stringe il cuore al pensiero che sia appena cominciata - mi fissa con un’espressione affatto benevola, come invece ha fatto la prima volta in cui ci siamo incontrate. Ha pure la faccia tosta di sbottare: «Questo mi sembra il minimo.»
«Lo sembra anche a me» dico di rimando, anche se senza un particolare motivo.
E prima che qualcun altro provi a metterla ancor più in difficoltà, la donna pone fine alla riunione alzandosi dalla sedia, senza aggiungere una parola e senza ringraziarci della nostra partecipazione - che strano! La imitiamo tutti subito, desiderosi di lasciare questa stanza, in cui l’atmosfera si è fatta a dir poco opprimente; ma la direttrice mi lancia un’occhiata perentoria e fulminante che mi fa capire chiaramente che noi due saremo le ultime a lasciare questa stanza.

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Capitolo 12
*** XI - Il guardiano del tempo ***


XI
Il guardiano del tempo

La ramanzina che Hei Feng mi farà da un momento all’altro non mi spaventa, sebbene sia decisa ad affrontarla senza l’aiuto di nessuno. Anzitutto perché ho altri pensieri per la testa - in primis Daniel - e poi non credo sarà in grado di dirmi qualcosa che desterà in me la benché minima preoccupazione. Si sarà pure stancata di combattere con il nostro vero ruolo - che non è quello di membri, per quanto particolari, speciali e magari privilegiati, delle Forze del Bene. Le è ormai chiaro che il tipo di collaborazione che credeva si fosse creata con i Legati non fosse quello che si aspettava, che noi non dobbiamo niente nei loro confronti e che siamo soltanto degli esecutori dei loro comandi - sempre che questi non si scontrino con i comandi dei Leggendari.
Mi sono alzata anch’io insieme agli altri ragazzi, ma dopo aver mormorato a Ilenia che li raggiungerò in seguito quasi non mi muovo dal mio posto, sotto gli occhi attenti e ostili della direttrice. Appoggio la schiena al muro e incrocio le braccia al petto, aspettando che la donna si ritenga abbastanza a suo agio da poter, magari, anche insultarmi, adesso che non è più sotto il tiro di una decina di esseri sovrumani. Non riesco a nascondere un momento di debolezza, che si manifesta in un brivido e in un’espressione leggermente sofferente, appena questo pensiero mi attraversa la mente: ed è proprio adesso che mi sono un po’ distratta che lei decide di attaccare.
«Il comportamento di voi Legati è semplicemente inaccettabile, e il tuo soprattutto» esclama. «Non puoi far finta di non ricordare cosa le Forze del Bene hanno fatto per te, Eleonora. Se sei arrivata fino a questo punto, e fossi in te non mi lamenterei, è solo grazie all’intervento fatto da Bellocchio per non farti cadere nelle mani dei Victory.»
«Non l’ho dimenticato, ma non ho motivo di essere riconoscente, a tal punto da dover dedicare la mia esistenza e le mie possibilità alla sua causa, a qualcuno che mi ritiene, nei fatti, un’arma in più da usare contro il proprio nemico. E poi ci sono molto cose che sono cambiate e fatti che, allo stesso modo, non posso scordarmi.»
«Cioè?»
Lei finge di interessarsi e per questo le lancio un’occhiata che spero sia sufficiente ad ammonirla, ma fa finta pure di non accorgersene. «Non sono veramente affari suoi, Hei Feng, visto che qui si va a parare sulla mia famiglia e la mia vecchia vita a Nevepoli. E se permette, be’, non ho alcuna intenzione di raccontare la mia storia e le controversie con Bellocchio a una perfetta sconosciuta.»
«Mi sono fatta tempo fa qualche idea sui litigi con il tuo superiore…»
«Non è il mio superiore.»
«Lo è, dannazione!» Hei Feng alza di colpo la voce e, avvicinatasi al tavolo, ci sbatte le mani e mi guarda con furore. Io non batto ciglio, restando immobile. «Tutta questa storia dei vostri veri superiori… non è mai uscita fuori prima di stamattina! Non mi sembra che gli altri Legati, a parte te e quello di Dialga, abbiano mai fatto i capricci a proposito di questa faccenda. Hanno sempre obbedito e non si sono mai lamentati della loro posizione, anche dopo aver ottenuto la forma materiale del Legame hanno continuato a collaborare con noi. Spiegami perché tu e Daniel, invece, fate tante storie! Pensa solo alla Legata di Articuno: lei non ha mai fatto niente per remare contro di noi. Eppure lavora per le Forze del Bene da molto più tempo di voi e ha anche la forma materiale del Legame da parecchi anni. Non rispondermi che quello che fanno gli altri non ti riguarda, mentiresti.»
«Non lo farò» ribatto con aria quasi annoiata, «ma lei, direttrice, saprà che i Leggendari hanno comportamenti e caratteri molto diversi tra loro: quello che Articuno potrebbe aver ordinato di fare a Sara, in questo caso ipotizziamo che sia servire sempre e comunque le Forze del Bene, può essere radicalmente diverso dalle direttive che mi dà Ho-Oh: ciò non toglie che Sara vi obbedisca solo perché sta a sua volta eseguendo un ordine della sua Leggendaria.» Non che il mio, in effetti, mi dia esattamente delle indicazioni: al massimo questo compito se l’è preso la seconda personalità che abita in me, che comunque dovrebbe assecondare il suo volere. In ogni caso, anche lasciando stare questo, il Legame di Ho-Oh mi ha conferito un’indole ancora più ostile alle posizioni di comando di quanto non fossi già io normalmente, non solo quelle delle Forze del Bene, escludendo ovviamente il Leggendario stesso. Sono diventata così perché lui è un essere libero da ogni vincolo e indipendente, proprio come io ho sempre voluto essere e come sono spesso stata anche prima della sua rivelazione.
«A questo punto viene il dubbio sul fatto che ci sia unione tra voi Legati.»
«Non abbiamo mai detto che ce n’è» mormoro.
«E invece dovrebbe!» scatta Hei Feng con voce acuta per l’irritazione, iniziando a camminare avanti e indietro oltre il tavolo che ci separa - e che probabilmente le impedisce di saltarmi addosso con le mani al collo. «Sono veramente stufa del tuo comportamento, Eleonora: datevi una regolata, tu e il tuo Leggendario. Tu rientra nei ranghi, torna al tuo posto, riprendi a lavorare per noi come hai sempre fatto; lui non dovrebbe interferire nel tuo rapporto con l’organizzazione per cui lavori. Il suo unico compito, dal nostro insignificante punto di vista, è quello di darti poteri in grado di mettere in difficoltà il nemico. E questo nemico è anche il tuo.»
«Per l’amor del cielo, direttrice…» Porto una mano al viso e, abbassata la testa, mi nascondo gli occhi.
«Con te ho finito di parlare, Eleonora» mi interrompe lei. «Non posso sapere come funziona il tuo rapporto con Ho-Oh, ma vedi di chiarire con te stessa e con lui la situazione in cui ti trovi. Dovete entrambi abbassare la cresta. E tu soprattutto non ricominciare con i tuoi soliti capricci, non fare polemiche sul fatto che le Forze del Bene e il Victory Team abbiano pochi elementi di differenza e tutte le cose che provi gusto a dire per sfidare i tuoi unici e veri superiori. Pensa soltanto ad aiutarci a far finire questa guerra e poi sarai libera di fare ciò che ti pare e di scorrazzare dietro al tuo Leggendario, che solo allora sarà il tuo capo: adesso sono le Forze del Bene quelle a cui devi rispondere, e soprattutto in questo periodo sono io il tuo punto di riferimento.»
Hei Feng termina la sua esasperata ramanzina: gira i tacchi e lascia la stanza, senza ovviamente salutare. Una parte di me è quasi disposta a rinunciare alla sua natura libera e ribelle per tornare a collaborare con l’organizzazione; un’altra, un po’ più forte e determinata, ritiene che la donna sia insopportabile da morire e che avrebbe dovuto pensarci due volte prima di criticare a tutto spiano non solo la contraente passiva del Legame, ma anche il creatore di esso. Eppure Ho-Oh non sembra per niente offeso dalle parole della direttrice: se ne sta zitto, ora, così come la persona misteriosa che fino a poco fa teneva di nuovo le redini di me stessa.
È proprio pochi secondi dopo l’uscita di scena della donna che le mie orecchie sentono di nuovo la voce di lei e invece la mia mente viene riempita da quella del Leggendario. All’inizio non riesco a capire né quello che Ho-Oh sta cercando di dirmi, né le parole di Hei Feng; e continuo bellamente ad ignorare la fenice quando sento che a rispondere alla donna non è altri che Daniel.
“Ascoltami!” sbraita Ho-Oh, impedendomi di afferrare qualche stralcio della conversazione tra i due, che sono fuori dell’ingresso, in una posizione dove i miei occhi non arrivano. Mi sforzo di rinunciare ai miei intenti e gli do retta: “Non avresti dovuto lasciare che quella persona prendesse di nuovo il controllo di te. Te l’avevo ordinato e te l’ho ricordato spesso in questi giorni, Eleonora: perché non l’hai fatto?”
“Perché era meglio così” ammetto, rispondendogli mentalmente. “Io non sarei stata in grado di affrontare Hei Feng se non fossi stata guidata da… da quel qualcuno.”
“Ma ti prego!” sbotta lui. “Quanti anni hai, tredici o sedici? Quella persona non ha fatto altro che tirar fuori la negatività proveniente dal tuo animo e dai tuoi pensieri, tutta l’ostilità che hai accumulato in questi anni ogniqualvolta le Forze del Bene sono andate a ferirti, volenti o nolenti. Ringrazia che non possono buttarti fuori neanche se ammazzassi uno dei vertici, ma non devi per alcuna ragione al mondo continuare a comportarti nel modo che la tua direttrice ti ha rimproverato.”
Non mi aspettavo che Ho-Oh fosse così deciso a collaborare con l’organizzazione, a tal punto da chiamare pure lui Hei Feng come la mia direttrice: pensavo che il suo carattere orgoglioso e affatto docile non gli permettesse di arrivare a questo punto, invece ho sbagliato di parecchio. “Quindi vuoi che non mi opponga più?”
“Certo che lo voglio! Non devi assolutamente essere tentata di passare dalla parte dei Victory, devi smetterla pure di affermare che non siano tanto peggio delle Forze del Bene con i tuoi capi. È vero che sono io il tuo unico e vero superiore e che devi dare retta solo a me: d’altronde non è escluso che ti chieda di opporti a qualche cosa di cui potresti essere incaricata, in futuro; ma in linea di massima devi restare a servizio di quest’organizzazione finché la guerra non sarà finita. Le critiche che hai fatto sono fondate, ma il tuo comportamento è stato esagerato e fuori luogo: che non si ripeta mai più, altrimenti prenderò provvedimenti, dal momento che io posso farlo.”
“E Daniel?” obietto, ignorando la minaccia finale. “Lui si è comportato come me. Evidentemente Dialga…”
“Non importa a me di quello che Dialga ordina al suo Legato, men che mai dovrebbe interessare a te, per giunta solo per giustificarti. Mi auguro solo che anche lui abbia rimproverato il suo Legato, perché entrambi avete parlato in modo inaccettabile. Se invece Dialga avesse qualche problema con le Forze del Bene, ci scambierò qualche parola e probabilmente lo inviterò a passare dall’altra parte” ringhia Ho-Oh.
“No!…” Un momento dopo aver esclamato questo, inoltre con il tono di un lamento, mi pento di aver fatto sentire al Leggendario quanto mi angosci l’idea di perdere Daniel, e soprattutto di ritrovarmelo come nemico. Ma non ribatte niente, lasciandomi sola con la paura che abbia ragione, e che Dialga sia pronto a mandare il contraente del suo Legame a combattere per il Victory Team. Non so se sarei in grado di sostenere un peso simile: se accadesse qualcosa del genere mi dovrei costringere a lottare seriamente contro Daniel, perché ci ritroveremmo in due fazioni diverse e nemiche; ma come mi comporterei una volta di fronte a lui? Riuscirei davvero ad attaccarlo o sono veramente innamorata a tal punto da non poterlo toccare con l’intenzione di ferirlo? La personalità che prende possesso di me potrebbe pure approfittare della mia debolezza per farmi abbandonare le Forze del Bene.
Mi costringo a non pensarci, perlomeno non ora, e affino l’udito per afferrare qualche frase di quelle che i due si stanno dicendo: Hei Feng ha puntualmente alzato la voce, mentre quella ormai matura di Daniel rimane bassa e pacata, perciò capisco a malapena quello che dice.
«Non farmi ripetere quello che ho detto alla tua amica, se sei rimasto qua fuori tutto il tempo dovrebbe bastarti avermi sentita una volta sola! Pure tu, Daniel, fino a ieri sera eri il ragazzo più disponibile, volenteroso e collaborativo del mondo: non mi sembra tu abbia avuto contatti con la Legata di Ho-Oh, che invece è sempre stata così nevrotica e ostile, quindi non mi spiego come tu sia cambiato così tanto senza nessuna influenza!»
Non sento la breve replica del ragazzo, un po’ perché parla piano, un po’ perché mi ha irritata non poco il fatto che Hei Feng mi abbia chiamata nevrotica. Mi stacco finalmente dal muro e mi allungo per vedere i due, mentre la donna tronca definitivamente anche questa conversazione: a guardare dalla mia posizione mi sta dando le spalle e non riesco comunque a vedere Daniel. Ma non è più un problema, perché la donna se ne va e mi lascia campo libero - o forse è meglio dire che lo lascia al ragazzo. Ancor prima che io gli vada incontro, lui emerge dall’oscurità del pianerottolo e torna alla luce asettica e intensa della stanza.
Con due passi di corsa copro la distanza che ci separa e gli getto le braccia al collo, nello stesso momento in cui lui stringe me con le sue braccia forti. Il suo naso e la sua bocca affondano nei miei capelli mentre il mio viso cerca un riparo sicuro accanto alla sua testa, arrivando appena a poggiarsi sulla sua spalla. Il mio respiro si ferma, al contrario del suo: il petto ampio si alza e si abbassa, dapprima velocemente e poi rallentando. E per me rallenta anche il tempo, che proprio lui dovrebbe controllare, fino a fermarsi per lasciarmi assaporare questo momento così atteso e così temuto. Perché mai ho avuto così tanta paura di reincontrare Daniel? Ma lo so benissimo, è perché dovrò controllarmi e fare molta attenzione, a causa dei sentimenti ardenti che mi infiammano il cuore e cancellano ogni pensiero razionale dalla mia testa appena lui mi sfiora o mi rivolge la parola.
Non so bene chi dei due lasci la presa per primo, ma mi piace immaginare che ci siamo separati all’unisono, che la sua stretta si sia allentata nello stesso momento della mia. Spero di non tremare sotto lo sguardo profondo dei suoi occhi ormai adulti, di un rosso poco meno brillante del mio: non posso sostenere oltre un contatto come questo, è troppa l’emozione e dovrò riprendere l’abitudine di comportarmi in modo naturale in sua presenza. Faccio un passo indietro e le sue braccia tornano lungo i suoi fianchi stretti, mentre io le mani le tormento; per nascondere il nervosismo le copro con le lunghe e larghe maniche del kimono. La differenza di comportamento tra noi due è impressionante in questi pochi movimenti, eppure abbiamo sostenuto entrambi la stessa causa contro Hei Feng. Fingo di non sapere che qualcun altro al posto mio abbia usato la mia voce per esprimere il suo furore.
Restiamo in silenzio, entrambi sperando che l’altro dica o faccia qualcosa prima che l’imbarazzo sopraggiunga e rovini la bellezza di questo momento di riunione. Daniel curva non troppo le labbra e io, per questo sorriso appena accennato, mi ritrovo ad arrossire e sorridere irradiando calore e felicità allo stato puro. Mi sembra di non provare tanta gioia da una vita: e dire che ho reagito così solo per un minimo movimento delle sue labbra!
«Finalmente si ragiona» sono le sue prime parole.
Il mio ampio sorriso si attenua notevolmente e la mia espressione si fa interdetta. «Che… che intendi dire?»
«Intendo dire che finalmente non sei più una tappa.»
Un infinito secondo di silenzio gli basta come risposta, insieme alla mia espressione basita e paralizzata: l’idiota scoppia a ridere e mi riabbraccia velocemente, e appena riacquisto le mie facoltà mentali non mi appresto di certo a muovere anche un solo braccio per ricambiare; anzi, lo spintono via, strepitando cose che rimangono indefinite ma che, nei fatti, sono proteste e insulti rivolti a Daniel, accavallati gli uni sulle altre, formando così parole incomprensibili. Questo non fa che continuare a farlo ridere: si appoggia al tavolo per calmarsi, mentre io lo studio con attenzione, una volta smesso di essere mortalmente indispettita, chiedendomi perché si stia così tanto sbellicando. Non ci trovo niente di particolarmente divertente: penso che il Legame gli abbia fatto saltare qualcuno dei pochi neuroni di cui disponeva già come normale essere umano. O forse - ma lo voglio credere meno probabile - si continua a prendere gioco di me, soprattutto nella sua mente avariata.
«Scusa.» Ora che ha smesso di ridere mi rivolge un altro mezzo sorriso, però più pronunciato di prima. «Non ho resistito» aggiunge un attimo dopo.
«Dovresti parlare per te. Tu sì che eri un tappo, almeno le ragazze basse sono carine.»
«Eeh, ma che sarà mai… era il mio unico difetto» dice lui, strizzando furbamente un occhio. Scuoto la testa, sorridendo mio malgrado. «Devo ammettere che mi ci è voluto un po’ per abituarmi a questa nuova prospettiva… il mondo è così diverso visto da venti centimetri più in alto…»
«Diciamo anche venticinque» ribatto. Lui fa un gesto come a voler dire che sono solo dettagli e io mi metto le mani sui fianchi. Mi sembrava così maturo e riservato, prima che aprisse bocca e se ne uscisse con una delle sue solite stupidaggini… è proprio il caso di dire che il lupo perde il pelo, ma non il vizio: Daniel sarà pure cambiato radicalmente nell’aspetto ma è rimasto l’adorabile - quanto odio doverlo ammettere con me stessa! - cretino che conosco da più di due anni. Questo ovviamente non può far altro che scaldarmi ulteriormente il cuore, ma allo stesso tempo ritrovare il ragazzo di sempre mi ha resa meno agitata. Ha un’espressione più riflessiva e sembra un po’ impacciato quando parla, come se avesse paura di dire qualcosa di inappropriato od offensivo - il che è strano, dopo la testardaggine di cui ha dato prova durante la riunione.
«Come sei arrivato qui?»
«Conoscevo già Hei Feng, l’ho incontrata un paio di settimane fa mentre giravo per Sinnoh alla ricerca di altri Legati. Non ti sto a spiegare i motivi, comunque mi aveva detto di essere a capo della base segreta nel Sentiero Din Don e mi aveva chiesto di riaccompagnarla lì, anche perché voleva che, per qualsiasi evenienza, sapessi dove trovarla, visto che è una delle roccaforti più importanti delle Forze del Bene. Perciò sono già stato qui: la prima volta sono arrivato attraverso un portale insieme a lei, appunto. Stamattina mi ha contattato dicendomi di raggiungerla il prima possibile, e mi ha spiegato come arrivare fino a questo posto.» Aspetto a rispondergli, perché sembra che non abbia ancora finito; e infatti: «Certo che è proprio un bel posto, la foresta del Sentiero…»
Il suo tono improvvisamente trasognato e distratto mi lascia un po’ perplessa, ma faccio finta di nulla e torno al discorso vero: «Ho capito. Non so bene come tu faccia ad aprire portali e questo genere di cose, ma spero di non essere da meno neanche io e di imparare a teletrasportarmi.»
«Io non mi teletrasporto» ribatte. «Non posso farlo perché non ho un potere Psico. Però ho il privilegio di essere il Legato di Dialga, cioè il guardiano del tempo, e quindi per spostarmi rapidamente da una parte all’altra del globo posso aprire dei portali che ignorano lo spaziotempo, e mi conducono dove voglio.»
«Quindi i tuoi elementi sono Drago, Acciaio e tempo e spazio, anche se questo è di competenza di Palkia?»
«No, non ho controllo sullo spazio. Scusa, mi sono spiegato male, ma è difficile spiegare. In pratica, spostarsi nel tempo a volte significa anche muoversi nello spazio: sono due concetti strettamente legati, ma se io volessi muovermi solo nello spazio non potrei: devo sempre attraversare un varco temporale. Devo fare una sorta di compromesso, ecco: mi voglio trasferire da tutt’altra parte, ma per farlo devo per forza decidere un momento, passato o futuro, in cui arrivare in un determinato posto.» Non sono sicura di aver capito, ma lo lascio andare avanti. «Quello sul tempo è il mio potere più importante e quello che so usare meglio; l’altro elemento è l’Acciaio, a cui contribuisce, nei fatti, il Drago, che non ha un vero e proprio dominio su cui ha influenza.»
«Ah, sì. Anche Lewis e Laura hanno come elemento il Drago, ma in pratica li rende solo più veloci e forti, e li aiuta con gli altri poteri… Psico e un po’ di Volante.»
Daniel non ha idea di chi siano - conosce Lewis come umano e sotto il nome di Gold - ma non chiede niente su di loro. Aggiunge distrattamente, continuando poi a parlare di sé: «Però posso usare le mosse Drago che Dialga conosce.» Fa una pausa e neanche io so rispondere: inizio a dubitare che abbia sentito quello che ho detto quando l’ho interrotto. Sembra che di tanto in tanto si immerga in un mondo tutto suo, e questo spiegherebbe l’aria trasognata di prima e il carattere un po’ - poco: è lo stesso di sempre, nei fatti - più riservato, riflessivo. Alla fine è lui a riprendere, stavolta con una domanda: «Tu invece quali poteri puoi vantare, cara Eleonora?»
«Fuoco, Volante e Psico.»
“Sbrigati a concludere questa conversazione.” Improvvisamente Ho-Oh torna a farsi sentire, facendomi sussultare leggermente: Daniel non se ne sarà nemmeno accorto. “Devo insegnarti una cosa di vitale importanza.”
“Ti sembra questo il momento di…?”
Non finisco il mio pensiero seccato e nemmeno ascolto quando Ho-Oh mi risponde, avendo già capito cosa intendevo dire, perché sono tutta attenta a sentire Daniel: «Però! Mi piacerebbe vedere come te la cavi.»
«Tu sarai senza dubbio un campione» lo prendo in giro.
Lui ridacchia, portandosi una mano la nuca e annuendo. «Sono davvero curioso… la Legata di Ho-Oh non dev’essere affatto male nel combattimento, e poi eri brava già da prima.»
Cerco di rispondergli ma Ho-Oh stesso, sorprendentemente, si prende la briga di farlo: Daniel scatta all’erta quando la voce profonda del Leggendario risuona anche nella sua testa. “Vedrai, vedrai. Ma per stamattina è occupata con un’altra faccenda.”
Ad ogni modo il ragazzo si rilassa e gli risponde, con uno strano sorriso sul bel volto: si gira a darmi le spalle e dice: «Come lei desidera, Ho-Oh. Anzi, non sarò più di disturbo. Sempre che Eleonora sia d’accordo.»
Mi sorprendo di non riuscire in alcun modo a schierarmi dalla parte di Daniel, che Ho-Oh ha provato a cacciare per rimanere solo con me, nonostante i miei sentimenti per lui siano terribilmente trascinanti ora che ci siamo ricongiunti. «Ma sei serio?» gli chiedo: il suo strano tono mi ha lasciato un’impressione affatto positiva dell’influenza che Dialga ha su di lui. «Sono io o c’è qualcosa che non va?»
Daniel sembra altrettanto sorpreso di queste domande. Si rigira a guardarmi e ha completamente perso quell’espressione poco benigna e l’atteggiamento scontroso: sbatte le palpebre un paio di volte con aria spaesata, con le sopracciglia inarcate, e tentenna prima di chiedermi con aria perplessa: «Perché, cosa ho detto?»
«Be’, ehm…» Non so bene come descrivergli il suo comportamento, ma improvvisamente pare che non ce ne sia più bisogno: Daniel si riavvia i capelli, abbassando la testa e scuotendola come a voler cacciare qualche pensiero dalla sua mente, e quando torna a guardarmi ha di nuovo un sorriso un po’ imbarazzato. Si dirige verso la porta e, non sapendo che fare, lo seguo.
«Scusami» dice dopo un po’, mentre stiamo salendo le scale: ci manca poco per arrivare fuori. «Il Legame con Dialga mi condiziona moltissimo, non so se è lo stesso per te. Diciamo che ha proprio un caratteraccio e non mi lascia un attimo in pace: sta sempre a dirmi qualcosa, a parlarmi di un argomento che gli preme molto in quel momento, e mi suggerisce come parlare e anche come comportarmi e presentarmi. A volte non posso oppormi perché mi dà proprio degli ordini. Quindi se ti dovessi rispondere male, se mi vedessi pensieroso o scontroso, non è per te. E ovviamente nemmeno per Ho-Oh, non potrei mai. Ma spero che Dialga parlerà con Ho-Oh direttamente d’ora in poi, senza farmi apparire come un personaggio irrispettoso e maleducato.»
«Non è proprio lo stesso per me» replico a voce bassa quanto la sua, «ma anche io ho qualche problema con il Legame. Credo che non siamo gli unici, spero sia così perché dobbiamo abituarci a convivere con i Leggendari…»
«Sono a contatto con Dialga da novembre scorso, Eleonora, avrei dovuto imparare a relazionarmi con lui, ma ho sempre più la sensazione che a volte mi manovra come se fossi un essere senza volontà. Pur avendo ottenuto la forma materiale del Legame dopo quasi due mesi dalla sua rivelazione, essendo molto vicino alla base segreta, lì sulla Vetta Lancia, poteva contattarmi come se già avessi questo.»
Non so bene cosa sia “questo”, anche se sono certa che stia parlando della forma materiale del Legame: non mi mostra niente, per il momento. Arriviamo alla stanza nella casetta immersa nel bosco di aceri rossi e qui si ferma, infilando la mano nella tasca destra della giacca e tirandone fuori qualcosa, mettendosi a contemplarlo, ancora senza rendermi partecipe. Perciò mi muovo io stessa e faccio capolino da dietro di lui per vedere. I miei occhi si spalancano, esattamente come quando hanno visto Daniel materializzarsi nel mezzo della riunione, nel ritrovarsi ad ammirare un orologio da taschino in diamante. Il quadrante bianco è incastonato in un cerchio della più rara e preziosa delle pietre, che costituisce la maggior parte dell’oggetto, tra cui le tre lancette e persino i numeri in rilievo, scritti con caratteri del Primo Mondo*. Una catenella d’acciaio lega l’orologio alla tasca della giacca.
Sono rimasta senza parole: è un oggetto bellissimo. Daniel si risveglia da una sorta di trance, in cui è caduto dopo aver preso la forma materiale del Legame, e finalmente si accorge della mia reazione e di cosa sto facendo, aggrappata al suo braccio muscoloso come se rischiassi di cadere per la meraviglia. Si mette a ridere sommessamente e questo riporta anche me con i piedi per terra; mi stacco da lui e cerco di articolare una frase di senso compiuto, fallendo miseramente nell’intento.
«Che dire, sono onorato che ti piaccia così tanto…»
Porto una mano alla fascia del mio vestito e, appena ho toccato l’attestazione materiale del mio Legame con Ho-Oh, me la ritrovo adagiata sul palmo sottoforma di collana, come mi era già successo il giorno dopo aver superato la prova del Leggendario alla Torre Campana. Le punte della stella nera con sette raggi sono in oro, ma la presenza del metallo rispetto al diamante dell’orologio di Daniel è veramente minima.
Il ragazzo nota la stessa cosa che sto osservando io: «Strano che non ci sia più oro, visto che è il metallo a cui Ho-Oh è strettamente collegato.»
«Già» mormoro, osservando la pietra incastonata nella stella nera. Credo sia fatta pure questa di metallo, ma non ne sono sicura: è liscia e calda al tatto. «Semmai il prisma…»
«E quindi è più legato al simbolo e alla mitologia dell’arcobaleno che a quella dell’oro?»
Aspetto qualche secondo prima di ribattere, semplicemente, con un “Può darsi” leggermente tremante. Percepisco una sorta di movimento da parte di Ho-Oh, che sta facendo grande attenzione, pur senza farsi sentire, a quello che ci stiamo dicendo io e Daniel e alle mie considerazioni sulla forma materiale del mio Legame. Il Leggendario sa che mi sto domandando, agitata dalla domanda del ragazzo, se il fatto che sia più presente l’immagine dell’arcobaleno rispetto all’oro non significhi qualcosa; e probabilmente riuscirei pure a rispondermi se sapessi qualcosa di più sul valore degli elementi dell’oro e dell’arcobaleno per Ho-Oh.
Mi guardo intorno: le pareti della costruzione di legno sono completamente ricoperte di disegni elaborati e colmi di allegorie e simboli ricorrenti. Dovrei veramente fermarmi a studiare queste pitture sgargianti e luminose che potrebbero aiutarmi con questo nuovo problema sorto e, credo, anche quello della seconda personalità in me stessa. Ma Daniel sta lasciando la stanza e, come se fosse una calamita che mi attira, lo seguo verso l’uscita: stavolta il movimento di Ho-Oh che percepisco è carico di disapprovazione. Nonostante mi senta in colpa e sappia che dovrei tornare dentro e mettermi a studiare gli affreschi, continuo ad andare dietro al ragazzo.
Sembra affascinato dallo spettacolo degli aceri rossi che si agitano leggermente per una flebile brezza, ma non quanto lo ero io la prima volta che ho messo piede nel Sentiero Din Don. «Mi faresti da guida? Mi piacerebbe dare un’occhiata in giro. È così bello qui.»
«Non c’è molto da vedere» rispondo, sebbene sappia che potrei restare a guardare gli aceri di fuoco per giorni interi e dimenticarmi di vivere in una realtà in movimento. Per me la distesa sconfinata del bosco rosso e oro è più che sufficiente, ma forse per Daniel è vero che non c’è molto da vedere, se non la Torre Campana, in cui sono certa che Ho-Oh non lo lascerebbe entrare. Ad ogni modo lo supero e mi inoltro nel bosco dove non c’è nemmeno un sentiero tracciato, sentendomi però sicura di poter tornare alla base segreta anche senza sapere dove sto andando. Mi lascerò guidare da una brezza amichevole e da quello che mi suggerirà il cuore, traboccante di felicità per essere sola con Daniel in uno dei luoghi più incantevoli del mondo.

«Ancora non ho capito cosa c’entro io» sbuffa Ilenia per la terza o quarta volta nel giro di cinque minuti.
“C’entri, c’entri” risponde Ho-Oh, materializzatosi nel suo maestoso aspetto di fenice nella piccola stanza in cui anche qualche giorno fa, quando gironzolavo spaesata per la base cercando di capire perché il Legame mi stesse cambiando così tanto, si è fatto vedere sottoforma di Pokémon. “Ti ho già detto che devi aiutare la signorina qui presente” con un’ala mi sfiora la sommità della testa e istintivamente la chino appena, “perché si suppone che tu qualcosa lo sappia combinare con i tuoi poteri psichici, al contrario suo.”
Mi offendo mortalmente e lo guardo davvero male, mentre Ilenia esclama: «Hai voglia se sono capace!»
«Guarda che secondo Sara vado più che bene» mi lamento.
“Sara non ha il potere della mente e non ha idea di come debba essere applicato per bene. Ai tuoi compagni, i Legati di Latios e Latias, basta un niente per superarti se devono scontrarsi i tuoi poteri psichici con quelli di uno di loro. Per non parlare di come diventi dolorante e sottomessa quando Ilenia, dal suo punto di vista, sta soltanto stuzzicandoti un po’. Ecco perché abbiamo bisogno di te” si rivolge alla contraente di Lugia, che finalmente sta ricevendo una risposta. Siamo qui da un po’, tutti e tre, e lui ha passato la maggior parte del tempo a sminuire i miei poteri derivati dal tipo Psico - facendo toccare alla mia autostima livelli mai raggiunti prima - senza dire nulla a tutti gli effetti: nemmeno io so perché avesse tanta urgenza, già da quando stamattina ero con Daniel, di passare un pomeriggio con me; né tantomeno mi aspettavo che coinvolgesse anche Ilenia.
«Me lo dici questo perché, allora?»
Ho-Oh alza gli occhi al cielo, poi le spiega: “Visto che sai fare un buon uso del tuo potere della mente, devi aiutare Eleonora a sviluppare il suo, perché dev’essere in grado al più presto di combinarlo con quello del fuoco.”
Ilenia sembra capire e annuisce vigorosamente, mentre io non so proprio cosa intenda dire il Leggendario con “combinare” i due poteri. «Che significa? Che devo fare?»
«Devi imparare a usare il fuoco con la sola forza della mente, senza perdere tempo con movimenti strani delle braccia e delle gambe. Per esempio, dovresti sapere come appiccare fuoco a una recluta Victory senza muovere un dito, guardandola soltanto insomma» mi risponde Ilenia.
«Ah però» mormoro. «Ed è tanto difficile?»
“Vista la tua inabilità con il potere Psico, be’, sì.”
«Ma ti prego!» Inizio ad essere veramente seccata. «Non è neanche il mio elemento più sviluppato, e ti ricordo che tu stesso finora mi hai spinta a concentrarmi sul fuoco e sull’aria, non sul potere della mente.»
«A proposito di aria» dice Ilenia prima che Ho-Oh si giustifichi in qualche modo assurdo, «puoi combinare anche l’elemento Psico con quello Volante. Così potresti spazzar via i nemici iniziando a far soffiare un vento terrificante che non è dato loro sapere da dove arrivi, ma noi sapremo che proviene dalla tua capoccia.»
«Meraviglioso» borbotto. «E tu combini Psico con Acqua, a parte il Volante? Quali torture infliggi ai nemici, gli fai fare la pipì addosso?»
“Come sei inelegante…”
«Ma statti zitto, una volta tanto!»
«Potrei» risponde Ilenia, «ma pare sia più utile fargli scoppiare l’aorta e farli cominciare a sanguinare da ogni orifizio.» Il suo tono così tranquillo, come se parlasse di cose normali, è a dir poco lugubre.
Ho-Oh ci riporta all’attenzione e riprende il suo discorsetto, che si spera non includa altre critiche alle mie, così sembra, pessime capacità psichiche: “Serve grandissima concentrazione per questa tecnica, privilegio di chi ha il potere della mente ed altri elementi a disposizione. Ho chiamato Ilenia non solo perché è già capace di utilizzare questa tecnica, ma pure perché è una ragazza tranquilla e non ti distrarrà, come invece succederebbe se cercassi di imparare nel mezzo di un allenamento tra tutti i Legati.
“Combinare il fuoco e la mente significa piegare il primo al volere della seconda, senza farsi aiutare con una mossa fisica. Per te è automatico tirare un pugno ed evocare una vampata di fiamme, o una forte corrente; prova a creare qualcosa dal nulla, senza alcuna spinta come, appunto, un pugno. È difficile che diventi un automatismo, soprattutto per te e per chi come te non ha, come potere principale, quello della mente: quando avrai intenzione di usare questa tecnica dovrai isolarti dal mondo reale e concentrarti al massimo. Ciò non significa che tu possa prendertela comoda, anzi, devi impegnarti al massimo delle tue forze per imparare ad applicarla con velocità. In più dubito che abbiamo molto tempo prima di rimetterci in cammino, quindi dovrai allenarti tutti i giorni.”
«Non è un problema» ribatto, seria. «Ho capito in cosa consiste questa faccenda, ma non so da dove partire.»
Ilenia mi mette una mano sulla spalla: mi volto a guardarla e la trovo sorridente, e stavolta vengo contagiata dalla sua espressione. «Non preoccuparti, carissima, io ci sono apposta per aiutarti.»
“Dalle una dimostrazione, Ilenia, per piacere” le chiede Ho-Oh, ritornando nella forma materiale del Legame, lasciandole così campo libero per sfogare i suoi poteri combinati.
«Allora, qui non c’è traccia d’acqua e non voglio sfruttare il tuo o il mio sangue per darti una dimostrazione» dice serenamente lei, e io annuisco con un’espressione che afferma chiaramente “e ci mancherebbe pure”. «Perciò dovrai accontentarti dell’aria. Ti spiace se ti prendo come bersaglio?»
«Ti prego solo di non esagerare» borbotto.
Ilenia si allontana e anch’io mi sposto: alla fine ci ritroviamo l’una opposta all’altra, vicine alle due pareti più lontane. La Legata di Lugia mi fa un sorrisetto e dopo qualche secondo, prima che me lo aspetti, inizia a soffiare un vento affatto leggero: mi tendo e cerco di legarmi il più possibile al terreno; è difficile, però, per una ragazza che ha come punti di forza elementi mobili e volatili come il fuoco e l’aria. D’un tratto Ilenia aumenta l’intensità del suo attacco e vengo sbattuta contro il muro: mi lamento parecchio, formulando frasi insensate poco carine nei confronti della mia compagna, la quale sogghigna come a voler prendere in giro la mia incapacità di difendermi.
«Grazie per avermi fatto avere un’idea chiara di questa tecnica» brontolo massaggiandomi la schiena. «Adesso dovresti spiegarmi come imitarti.»
Prima di fare qualsiasi cosa, Ilenia corre a procurarmi un bersaglio, lasciandomi momentaneamente sola nella stanza minore per gli allenamenti. Quando torna si scusa dicendomi che non ha trovato niente di meglio di un normale bersaglio simile a quelli per il tiro con l’arco: il fatto che ne abbia preso solo uno la dice lunga sulle sue aspettative per la “lezione” di oggi. Nei fatti dubita seriamente che io riesca anche solo a scaldare il mio obbiettivo.
Mi fa prendere posizione a pochi metri dal bersaglio e si sposta dietro di me; poi mi mette entrambe le mani sulle spalle, forse perché vuole infondermi sicurezza, e mi dice a bassa voce: «Dimentica la forza di volontà che hai usato finora per il potere del fuoco e dell’aria, e anche per quel po’ di cose che sai fare con quello della mente. Sara mi ha detto che le prime volte che ti sei allenata con lei ti ha insegnato a svuotare la testa da ogni pensiero e pure emozione, per renderti di fatto inattaccabile. Lo rifai adesso, per favore?»
Eseguo subito, non avendo dimenticato come si fa a ripulire la mente - checché ne possa pensare qualcuno, ho continuato ad allenare questa tecnica. Anche per evitare di essere decapitata dalla principessa delle nevi, che con tanta fatica e senza poterlo applicare lei stessa mi ha insegnato questo strumento di difesa. Ilenia evidentemente si accorge subito del fatto che ora la mia testa sia priva di pensieri ed emozioni, e infatti è con totale indifferenza che raccolgo le sue parole successive. «Perfetto. Adesso devi trovare la fonte dei tuoi poteri, tra cui quelli psichici. È più facile di quanto pensi, la parte complicata viene dopo: dove credi possa trovarsi la fonte delle tue capacità, tu che sei nientepopodimeno che la Legata di Ho-Oh?»
«Nel cuore.»
«Esatto!» esclama tutta contenta. «Vai, provaci. Appena hai trovato gli elementi, fammi un fischio.»
Mi costringo a non chiederle subito come si suppone che io trovi, senza alcuna esperienza, la fonte dei miei poteri, e quantomeno a provarci da sola ragionandoci un po’ su. La prima cosa che mi sento di fare, dopo aver chiuso gli occhi, è concentrare la mia energia e la mia attenzione al livello del petto, ovvero del cuore; quando credo di essere in grado di proseguire, inizio a fare pressione su quel punto.
Non so bene neanche io come faccia: è come se stessi cercando di penetrare una barriera che isola il mio cuore, la parte più intima di me stessa, dal resto. Non mi sono neanche accorta di aver incontrato un ostacolo mentre cercavo di entrare dentro il mio stesso cuore in cerca della fonte dei miei poteri: però ho scoperto che c’è, e in qualche modo la devo abbattere per trovare ciò che mi serve per combinare, in qualche modo, il fuoco con la mente. Mi chiedo di che natura sia questa barriera, da chi sia stata posta e perché.
«Ilenia, è possibile che ci sia un… un qualcosa a proteggere il cuore, per separarlo dal resto?»
«Sì, ma non è una cosa che si genera normalmente. Evidentemente una parte di te ha chiuso i tuoi poteri dentro una cassaforte, per qualche motivo che devi indagare tu stessa, senza farne parola con me. E magari neanche con Ho-Oh. Appena capirai cosa ti separa dal raggiungimento del tuo obbiettivo, ti sarà chiaro come proseguire.»
Quando ha detto “una parte di te” il mio pensiero è subito corso alla presenza alternativa che è arrivata con la rivelazione di Ho-Oh, ma subito dopo mi sono ricreduta: non penso sia possibile che un esterno, pur abitando la mia persona, possa impedirmi a tal punto di raggiungere i miei poteri. Credo non ne avrebbe neanche motivo: mi vuole più forte, pronta a combattere al meglio per il mio Leggendario, quindi non può essere questa presenza a ostacolarmi. È stata veramente una parte di me ad aver diviso il cuore dal resto, senza che me ne accorgessi o che capissi cosa fosse successo. Mi sarebbe d’aiuto capire quando l’ha fatto per trovare la ragione.
Sono abbastanza sicura che sia accaduto proprio in questi momenti. Prima non sapevo nemmeno dell’esistenza di una fonte dei poteri interna a me stessa, credevo derivassero dal Legame; come potevo bloccare una parte di me che credevo fosse soltanto il luogo dove dovrebbero risiedere le mie emozioni, come in un normale essere umano? Non l’ho fatto per paura, perché non ne ho, e a questo punto la barriera sarebbe già scomparsa, visto che non temo nulla; non mi sto opponendo a Ho-Oh, se non per finta quando mi irrita particolarmente con le sue critiche; allora cos’è che mi impedisce di raggiungere la fonte degli elementi che posso comandare? Per quale motivo una parte di me dovrebbe rifiutare l’acquisizione di maggiori poteri? E qual è questa parte?
“La parte di te che ti sei dimenticata.”
Cosa?
“Quella umana.”
Non è vero, non ho… chi è che parla?
“La parte di te che ti sei dimenticata.”
Apro gli occhi. Ilenia capisce subito che qualcosa non va e mi leva le mani dalle spalle.
“Riportami indietro! Non ti vuole nessuno, né a te né all’altro Legato. Voglio rivedere i miei Pokémon, tu non sei me, non ti riconoscerebbero!”
«Sì che lo sono…» sussurro. Non mi sono dimenticata della me di un tempo, puramente umana, anzi, sto facendo di tutto per non lasciarmela scivolare via dalle mani… o forse ha ragione?
“È così. Pensa soltanto a stamattina. Hai ceduto il posto a quello sconosciuto perché avevi paura che io non fossi in grado di affrontare Hei Feng, e guarda cos’è successo: hai perso tutte le tue capacità di quando non avevi questo dannato Legame. Se ti fossi fidata di me non ti saresti mai rivolta in quei termini a Hei Feng e non avresti avuto alcun rimorso: almeno il coraggio di ammettere che non avresti detto veramente quelle cose! La colpa nemmeno è del tutto tua. Se non ci fosse il Legame, saremmo in una situazione migliore. Saremmo rimaste la stessa persona. E  adesso paghi le conseguenze del tuo comportamento! Non ti farò proseguire per questa strada, ne andasse della mia esistenza già così fragile, ormai. È sempre per colpa tua!”
“Eleonora, basta! Hai capito abbastanza bene cosa sta succedendo. Puoi rompere la barriera, in fretta!”
La voce di Ho-Oh, che mi ripete più volte di sbrigarmi e di riprendere a lavorare con il cervello, cerca di farmi tornare nel mondo reale, ma invano. Non posso credere che stia succedendo davvero, eppure è così ed è davvero soltanto colpa mia se non riesco a trovare i miei poteri. Faccio un passo avanti, con gli occhi stralunati e leggermente tremante; le mie mani iniziano a protendersi verso il nulla, ma è come se davanti a me stesse prendendo forma una persona che conosco troppo bene, o forse, esattamente al contrario, troppo poco.
«Allora sei tu…»
«Eleonora, cosa…?»
«Eleonora…»
Perdonami. È soltanto colpa mia, lo sappiamo tutte e due. Non volevo, è stato più forte di me, non voglio rifiutarti in alcun modo: non cacciarmi via, sono comunque io, siamo la stessa persona.
“Quel che hai fatto è stato imperdonabile.”
Ti prego, non accadrà mai più… è colpa mia, ed è colpa sua
“Vuoi soltanto quei poteri per accontenare lui e Ho-Oh. E di me cosa te ne farai, dopo avermi chiusa a chiave in un angolo remoto di te stessa per dimenticarti della mia esistenza? Sono inutile per i vostri scopi e ormai anche tu la pensi come lui. Non lo accetto: non ti lascerò mai prendere questi poteri per farmi sparire.”
«Non voglio… no, no, ti prego…» Le mie ginocchia urtano improvvisamente il pavimento duro e freddo e lo stesso fanno i palmi delle mani un attimo dopo, per impedire che il mio corpo stramazzi a terra. La testa rimane bassa, rivolta al pavimento, e ora le lacrime che già da qualche secondo avevano iniziato a corrermi lungo le guance raggiungono più facilmente il terreno, sempre più numerose.
«Eleonora!» Ilenia si china accanto a me e mi scrolla ripetutamente, cercando di farmi tornare alla normalità.
Perché ogni volta che il potere della mente si mette di mezzo arrivano per me i momenti peggiori della mia esistenza? Svuotare la mente è significato, tempo fa, lasciarmi assalire dal ricordo dei miei genitori morti e dai più terrificanti sensi di colpa per non aver mai dedicato loro un pensiero; e adesso questo, il conflitto tra la me del passato, prima che arrivasse il Legame con tutti i suoi problemi, e la me attuale, infestata da un tale lui, che altri non è che la presenza che cerca di manovrarmi come meglio crede e preferisce.
Ma io ti giuro, Eleonora, giuro sullo stesso Legame che mi ha separata da te che sono disposta a scontare qualsiasi punizione hai previsto per me pur di tornare indietro. Sto venendo a prenderti, e finalmente dirò addio ad ogni divisione che c’è stata, per un motivo o per un altro, all’interno di me stessa. Recupererò ogni frammento per ricomporre la persona che sono stata e che voglio essere di nuovo. Se mi accetti, se vuoi anche tu ritornare alle origini, allora corrimi incontro e torniamo insieme. Stavolta per sempre.

La barriera si frantuma in migliaia di schegge di non so cosa, ma prima che possano conficcarsi da qualche parte nel mio animo e farmi impazzire di dolore si dissolvono, come mucchi di cenere che una sorta di vento porta poi via con sé. Non so quando e come abbia cambiato posizione, ma quando riprendo i contatti con la realtà fisica e il mio corpo mi accorgo di essere semplicemente inginocchiata, le mani in grembo, a guardare il vuoto con una faccia colpevole e sconvolta, il viso rigato da vecchie lacrime, perché improvvisamente hanno smesso di scorrere e non ce ne sono state altre. Ilenia ha già smesso di scrollarmi senza che me ne rendessi conto.
Una pista di fiamme arcobaleno, alte e crepitanti, divide a metà parte della stanza, da me fino al muro che ho di fronte. Appena mi rendo conto di cosa è successo e riprendo a respirare pesantemente, come se finora fossi rimasta in apnea, il fuoco si estingue senza lasciare traccia di sé sul terreno stesso: il bersaglio di prima è rimasto intatto, segno che le fiamme evocate erano inoffensive. Dopo un po’ riesco a riconoscere anche la voce di Ho-Oh, ma ci vuole qualche secondo perché sia in grado di capire cosa mi sta dicendo, con tono freddo, senza riuscire a celare una punta di apprensione: “Per adesso è meglio rimandare.”
Scuoto la testa. «Ho trovato la fonte. Andiamo avanti.»
«Eleonora, non credo sia il caso…» mormora Ilenia con difficoltà.
Faccio di nuovo un gesto negativo con il capo. Mi alzo in piedi, stranamente senza barcollare, anche se Ilenia si era già slanciata verso di me, immaginando che non fossi nelle migliori delle condizioni. «Dimmi cosa devo fare.»
«Veramente, Eleonora, sei già provata abbastanza da quello che è successo, qualsiasi cosa sia stata. Sei stata bravissima, non mi sarei mai aspettata che affrontassi fin da subito il problema della barriera, figurati se mi sarei mai immaginata che l’avresti superata e che avresti trovato i tuoi poteri!»
«Ilenia, per favore: insegnami questa cosa e facciamola finita il prima possibile.» Solo adesso mi accorgo di quanto la mia voce sia orribile, priva d’intonazione. Abbozzo un sorriso, pur ostinandomi a non guardare la mia compagna, che invece mi studia con attenzione cercando un punto debole per convincermi a riprovare un’altra volta, che sia anche oggi pomeriggio: per lei l’essenziale è che io abbia una pausa. «Ho passato momenti peggiori. È finito tutto, non preoccuparti: magari te lo spiegherò più tardi, cos’è successo.»
«Non puoi chiedermi di non preoccuparmi!»
«Non te lo chiederò allora, ma mi insegni questa benedetta tecnica, così ci leviamo di dosso questo peso?»
Ho-Oh non è intervenuto finora nel piccolo dibattito tra me e lei, ma adesso si fa sentire da entrambe: “Fa’ come vuole lei, Ilenia. Se se la sente, e se la sente, te lo garantisco, tanto meglio.”
La ragazza è più tentata che mai di opporsi anche al Leggendario, ma proprio quando sembra sul punto di prorompere con tutte le sue proteste, emette solo un sospiro deluso e apprensivo. «Allora cominciamo.»
Prende posizione di fronte a me, sedendosi a terra a gambe incrociate, con i piedi che poggiano sulle cosce. Non sono sicura di poterla imitare, ma sono piacevolmente sorpresa di constatare che la Forma di Mezzo ha migliorato di molto la mia scioltezza, altrimenti veramente pietosa. Mi sistemo l’ingombrante gonna e alla fine io e Ilenia, così messe, siamo l’una lo specchio dell’altra. Peccato che io me ne stia rozzamente con le braccia pure incrociate e mezza ingobbita, mentre il dorso delle sue mani è sulle sue ginocchia e la sua postura è impeccabile. Al contrario della tirannica Sara, però, non mi rimprovera niente.
«La prima cosa che devi fare è esaminare la zona circostante con il potere della mente. Le prime volte ti ci vorrà un po’ per farlo, dovrai imparare a sveltirti, altrimenti è inutile che stiamo qui a insegnarti qualcosa di fin troppo difficile. Peccato che abbiamo pochissimo tempo.» Evito di commentare dicendo che Ho-Oh le ha trasmesso tutta la sua antipatia e una punta del suo cinismo. «Se ti aiuta a concentrarti, chiudi gli occhi e sforzati di ricreare nella tua mente il luogo in cui ti trovi, o come minimo il tuo obbiettivo. La cosa a cui dovrai dar fuoco, insomma.»
«Perciò mi dovrebbe bastare un’occhiata per appiccare un incendio a una qualsiasi cosa… o persona?»
«Se hai uno spirito d’osservazione invidiabile e sei abbastanza brava da memorizzare l’obbiettivo e subito dopo darlo alle fiamme, be’, sì, ti basta un’occhiata. Altrimenti concentrati e basta.»
Mi sforzo di pensare al bersaglio che dovrei colpire, ma ricordo a malapena com’è fatto. Apro gli occhi e, con un po’ d’impaccio, chiedo a Ilenia di spostarsi perché possa ridargli un’occhiata; lei sospira di nuovo, disapprovando quest’inizio poco promettente, ma non dice nulla e, stavolta accanto a me, riprende la stessa posizione di prima. Mi preoccupo di fissare nella mia mente l’immagine del bersaglio, con i cerchi concentrici colorati e le gambe di legno che lo tengono sollevato da terra; mi auguro che non sia passato troppo tempo fin quando sono sicura di poter proseguire con l’apprendimento. «E adesso?»
«Devi attingere alla fonte dei tuoi poteri, prendendo in questo caso il fuoco, ma senza distrarti dal bersaglio. È solo questo quello che devi fare: collegare il fuoco al bersaglio, e se avrai successo inizierà a bruciare. O almeno, visto che siamo solo ai primi tentativi, si scalderà.»
La mia espressione non le nega che sono sorpresa. Non che questo mi convinca della facilità dell’esercizio, anzi: è un procedimento breve solo in teoria, perché nella pratica sarà molto difficile sveltirmi. Devo per forza distrarmi dal mio obbiettivo perché devo provare per la prima volta ad “attingere alla fonte dei miei poteri”, e subito vengo ostacolata dalle mie effettivamente non eccezionali capacità psichiche: devo usarle contemporaneamente per il bersaglio e per cercare gli elementi che mi servono, che altrimenti se ne resteranno indisturbati nel mio cuore. E poi mi distrae, ma non dovrebbe assolutamente, il fatto che Ilenia non mi stia dicendo nulla, senza chiedermi come vada o a che punto stia. Non sono mai stata granché a mantenere un’attenzione costante sulle cose, nonostante sia migliorata da questo punto di vista durante la permanenza nella base segreta del Monte Corona.
Appena trovo l’elemento del fuoco - e ne ho la conferma dal fatto che lo senta riscaldarmi il petto, devo fare di tutto per non lasciarmelo sfuggire e nel frattempo far rimaterializzare nella mia mente l’immagine del bersaglio. Il primo tentativo va a vuoto e mi ritrovo a pensare intensamente all’obbiettivo senza che questo subisca la benché minima influenza dal mio potere del fuoco, ormai scappato; quando mi rendo conto delle mie condizioni sbuffo pesantemente, scuoto la testa e apro gli occhi, senza avere il coraggio di guardare Ilenia. «Non ci riesco.»
«Nessuno si aspettava che ce la facessi, amore mio. Riprovaci, e non perdere la pazienza e neanche le staffe.»
Mi passo una mano tra i capelli sciolti e, radunate sia le forze fisiche che mentali, chiudo di nuovo gli occhi; aggiustata la postura, faccio un altro di quei tentativi che, lo sento, mi occuperanno gran parte della giornata.
Le prove falliscono una dopo l’altra, perdo pure il conto dopo quasi un’ora in cui mi sono ostinata a non demordere. Più volte è stata troppo forte la tentazione di parlare a Ilenia, in cerca di rassicurazioni e magari di un qualche consiglio che può essere di vitale importanza, e lei mi ha assecondata con pazienza e partecipazione - e ovviamente affetto; ma alla terza o quarta occasione che mi sono interrotta mi ha fatto presente che non potevo andare avanti così. «Non dirmi che dobbiamo ripartire dalle basi, Ele.» Le sue parole tornano nella mia mente affaticata e mi fanno sentire un’inetta - non dovrei nemmeno ripensare a quello che ci siamo dette, ma non riesco più neanche a concentrarmi! «Dimenticati della mia presenza, altrimenti mi toccherà uscire dalla stanza.»
Mentre continuo a tentare, lei si alza e va a fianco del bersaglio, che si starà facendo beffe di me visto che non riesco ad appiccargli fuoco. Sulle prime penso che Ilenia rischi la pelle così vicina alla cosa che prima o poi si infiammerà, ma inizio a ridere stanca e innervosita quando mi rendo conto che è altamente improbabile anche solo che riesca a riscaldare il bersaglio. La ragazza preferisce non chiedermi il motivo di questa risatina assurda: anzi, sono convinta di avere i suoi occhi rossi puntati addosso, e che mi stiano più che mai rimproverando.
«Basta, basta. Ora mi concentro. Mi concentro, mi concentro, mi concentro» mormoro, stavolta impegnandomi a non mollare la presa, per quanto sia stressata e, puntualmente, piuttosto affamata. Credo di non aver ancora fatto colazione e soltanto tra poco più di un’ora ci sarà il pranzo…
Ma diamine! Mi sono appena detta di concentrarmi!
L’elemento del fuoco continua a scivolare dalle dita psichiche di una mano che tenta di afferrarlo, e se riesce a trattenerlo con sé non è in grado di collegarlo all’immagine del bersaglio, che sfugge dalla sua presa. Pian piano, però, mi sembra di acquisire più sicurezza: so cosa devo fare, sono più che convinta che manchi pochissimo per esaudire il desiderio di Ho-Oh di abbinare il fuoco al potere della mente. Mi prendo una pausa, non per riposarmi - non solo, almeno - ma per analizzare più accuratamente il problema, e dopo essermi chiesta cosa mi manca per realizzare questa tecnica, mi convinco che dovrei andarci più calma. È vero che già sono mortalmente lenta così, ma mi sto mettendo troppa fretta a causa dell’impazienza, e non sto abbastanza attenta a tenermi stretto né il bersaglio, né l’elemento del fuoco. Devo procedere con più sicurezza, adesso il tempo non conta.
Al primo tentativo dopo aver accertato questo, non cambia nulla; ma sono sicura di essere sulla buona strada e riprovo immediatamente. Stavolta sono sicura di aver avvicinato molto il fuoco all’immagine del bersaglio, e ne ho la conferma - il mio cuore palpita più velocemente e le mie labbra si incurvano - quando Ilenia mi dice: «Direi che si è scaldato parecchio.» Non riesce a nascondere una nota di sincera contentezza: già la immagino che sorride per il mio piccolo successo.
Stando a quanto mi annuncia in seguito, sto man mano aumentando la temperatura del bersaglio, sempre di più; e lo riconosco anch’io, dato che capisco chiaramente quand’è che mi manca poco perché l’immagine nella mia mente e il potere delle fiamme arrivino, in un certo senso, a toccarsi. Si sfiorano più d’una volta, l’uno impaziente di raggiungere l’altra, che è la parte che mi sfugge più facilmente.
Rinvigorita e orgogliosa per i progressi che sono infine arrivati, prima che l’immagine dell’obbiettivo sfumi e mi costringa a provare per l’ennesima volta, le fiamme arcobaleno prendono un grande slancio e, finalmente, la afferrano e la aggrediscono in tutta la loro potenza. Nello stesso momento il crepitio del fuoco mi pizzica le orecchie e riempie la stanza priva di suono; o almeno è quasi del tutto silenziosa finché Ilenia non batte le mani e non strilla come una ragazzina, e quasi saltellando mi piomba addosso: riapro gli occhi, piacevolmente stupita e disorientata, con un sorriso ebete sulla faccia, incerta se credere o meno di esserci riuscita.
È la Legata di Lugia a darmi la conferma. «Ci sei riuscita! Guarda, guarda! Sei stata bravissima!»
Non riesco a vedere nulla finché lei non si toglie dalla mia visuale; subito lascia campo libero all’immagine reale e gradita del bersaglio infiammato da un fuoco vivido e sgargiante. Il mio sorriso si fa meno stupido e mi alzo in piedi, quasi tentata di andare a verificare con mano quello che i miei occhi mi comunicano. Ilenia però mi trattiene, strattonandomi e facendomi dozzine di complimenti; non si zittisce finché non le dedico le mie attenzioni. Mentre io sono incredula, lei sprizza gioia da ogni dove, e un sorriso meraviglioso le abbellisce ancora di più il viso.
Improvvisamente non ha più alcuna importanza, per me, essere riuscita nella tecnica che dovevo imparare. Ilenia sta finalmente sorridendo con sincerità, non più per cercare di rallegrare gli altri quando lei è visibilmente in difficoltà per qualche oscuro motivo. Questo mi porta a dire spontaneamente, senza riuscire a controllare le parole che mi escono di bocca: «È così bello vederti sorridere davvero, Ile. Ultimamente non ti riconoscevo più.»
Il suo bellissimo sorriso si spegne puntualmente, lasciando il posto dapprima ad un’espressione di confusione, poi a una sconcertata appena capisce il significato di ciò che ho detto. Mi lascia le mani e arrossisce violentemente, poi si volta di scatto, cercando una giustificazione, una spiegazione.
«Mi dispiace» riesce soltanto a dire alla fine. Anche a me dispiace che stia così male e che non voglia dire niente a nessuno, ma ora che le ho fatto capire chiaramente che so che qualcosa non va nella sua vita, cercherò di tirarle fuori i problemi che la affliggono.
Nel frattempo dovrò pensare a risolvere i miei: la parte umana di me me lo impone. Anzi, me lo impongo io stessa, perché ormai sono un’unica persona, come avrei dovuto essere sempre. Inizio fin da subito a prefigurarmi la mia seconda visita alla Torre Campana, che svolgerò domattina all’alba: andrò in cerca della persona che infesta la mia esistenza di Legata, e Ho-Oh - sento che lo ha deciso già adesso - mi aiuterà a fugare ogni dubbio. 



*ovvero caratteri romani.

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Capitolo 13
*** XII - Sulle tracce di (quasi) nulla ***


XII
Sulle tracce di (quasi) nulla

I primi raggi del sole tingono il cielo notturno di colori più caldi: i miei occhi si erano abituati ad un’oscurità quasi totale e la luce mi è per il momento estranea. Le stelle cominciano a dissolversi, di gran lunga sovrastate da quella più vicina alla Terra, che porta oltre al chiarore anche un po’ di calore: questa notte invernale dev’essere stata terribilmente gelida, come tutte le altre, ma non ci ho fatto nemmeno caso. Il Legame con Ho-Oh mi rende nei fatti insensibile a certi fattori climatici, o almeno fa sì che mi siano facilmente sopportabili; ma penso che sarei stata comunque immune al freddo, durante le parecchie ore passate a meditare tutta sola, con lo sguardo perso nell’orizzonte oscuro o nel cielo quasi del tutto buio.
“Forse è opportuno rientrare?” chiede Ho-Oh. Era praticamente scomparso: non ho percepito la sua presenza agli inizi, e poi ho proprio smesso di cercarlo. “Se qualcuno ha visto la tua porta aperta e la stanza vuota, si starà di certo preoccupando. Non hai detto niente a nessuno sul tuo… impegno.”
«Non dovevo avvisare» mormoro. La mia voce si sente benissimo nel silenzio dell’alba, pare che neanche il vento - sempre che ci sia: non so bene perché, ma non lo sento - cerchi di superarla. «Era una cosa tra me e me stessa. E prima di rientrare vorrei parlarne con te, ora.»
“Dimmi.” Penso che si sia rassegnato: sa già dove voglio andare a parare ed è disponibile ad assecondarmi, mentre fino a poco tempo fa - fino a ieri, immagino - si sarebbe categoricamente rifiutato di parlarmi di certe cose.
«La forma materiale del Legame mi ha divisa in due persone: una umana, l’altra più vicina al mondo dei Pokémon, soprattutto a quello dei Leggendari. E in questo non c’è niente di normale. Avere la forma materiale del Legame non significa cambiare carattere, atteggiamenti e modo di pensare: non può influenzare a tal punto il Legato, dovrebbe trasformare solo l’aspetto fisico. Certo, l’umano viene contagiato dal carattere del Leggendario, dai suoi pensieri… come è successo a Daniel, che dice che Dialga lo influenza molto e senza che lui possa opporsi, e anche Sara diventa più seria e matura nella Forma di Mezzo. Ma il mio caso non rientra in questa situazione, me lo hai detto tu stesso. E quindi spiegami perché un tuo Legato del passato, che è vissuto chissà quanti secoli prima di me, è riuscito a fare tutto questo: come ha fatto a entrare, perché dopo la sua morte la sua anima non si è trasferita altrove, e allora perché è venuta ad infestarmi. È stato lui a scindermi in due persone: lui si è preso la parte più influenzata dal Legame, rendendola quella dominante, mentre dovrebbe essere secondaria a quella umana. Questa infatti l’ha messa da parte, e me ne sono riappropriata con difficoltà, ieri.» Ricorderò per sempre la piccola crisi che ho avuto, e quanto sia stato mortificante scoprire di aver assecondato l’estraneo e di aver relegato altrove la me umana. «Però temo che lui tornerà.»
Ho-Oh ci mette un po’ per rispondere. “Niente lo fermerà dall’intervenire nuovamente, in futuro. Ha preso delle decisioni e ha un certo carattere che lo portano, talvolta, a comportarsi così: non sei la prima dei miei Legati ad avere problemi con lui, e non so se questa sia la situazione più preoccupante di tutte quelle a cui abbia mai assistito, ma sicuramente è un grosso problema in un periodo come quello attuale.
“Lui si chiamava, anzi… si chiama Helenos. È il primo essere umano con cui abbia mai contratto un Legame, quando la Terra era ancora nella fase del Primo Mondo. Viveva in una società arcaica e la sua era una posizione triste e piuttosto sfortunata: eppure aveva un carattere forte, come non ne ho mai visti in tutta la mia esistenza, e di volta in volta vado cercando un Legato che gli sia paragonabile… ma è stato veramente un caso unico. Nonostante le dure condizioni di vita in cui era stato costretto, nonostante la cattiva fama che gli era stata riversata addosso, lui non ricorse al suicidio per liberarsi, mentre era una prassi in quella società afflitta da una cultura di vergogna, basata sull’onore, che gli altri, esterni, costruivano per ogni individuo. Mi ricordo bene di quel giorno.”
Ho-Oh ha stranamente voglia di parlare e raccontare, e stavolta non ha scuse per tornare ad essere di poche parole: il tempo c’è e il desiderio di ascoltarlo pure. “Camminava a testa alta per le strade della sua città. Ancora era un giovanotto, poteva avere qualche anno in più di te. Non so dove fosse diretto, credo non lo sapesse neanche lui: aveva le vesti lacere dopo uno scontro con qualcuno, i passanti cercavano di intimorirlo o di annichilirlo con occhiate cariche di odio, disprezzo e diffidenza. Ma lui avanzava incurante di tutto ciò, lo sguardo fisso avanti a sé con gli occhi che non degnavano nessuno della loro serietà nobile. Aveva un passo deciso e quasi solenne, come a farsi beffa di chi gli voleva del male. Però non riuscì ad evitare me.
“Non mi piace trasformarmi in essere umano, saranno secoli che non lo faccio a parte il giorno in cui sei arrivata tu sulla Torre Campana, e lui fu una delle prime volte in cui mi costrinsi a presentarmi in quel modo: ma ero certo che ne valesse la pena. Avevo creato il Legame quasi per caso, non aspettandomi di certo che il neonato dai capelli rossi che avevo scelto avrebbe rivelato un carattere così resistente e orgoglioso, perfetto per me. Ero emozionato e curioso di rivelarmi, devo ammetterlo. Mi camuffai con i vestiti del luogo e dell’epoca, e cercai di passare inosservato agli occhi di tutti. L’unico momento in cui uscii volontariamente allo scoperto fu quando lo sentii vicino, e lo riconobbi subito. Lui fu ovviamente attratto, nonostante me ne fossi stato piuttosto in disparte e mi fossi limitato a studiarlo meno aggressivamente degli altri che c’erano… e subito capì che quell’uomo era diverso da chiunque altro avesse mai incontrato in vita sua. Fece un’espressione stupita e si agitò un po’, e qualcuno che credeva di essere l’oggetto del suo sguardo gli lanciò una provocazione gratuita; ma fu come se avesse dimenticato l’esistenza di tutto e tutti, meno che la mia. Fu tentato di fermarsi e raggiungermi ma, incredibilmente anche per me, riacquistò il suo contegno e, seppur turbato, proseguì per la sua strada, sforzandosi di non posare nuovamente il suo sguardo su di me, o di ricambiare il mio. Ero davvero meravigliato.
“Lo seguii a una certa distanza e feci in modo che non si accorgesse di me finché non si infilò in un vicolo: lo imitai e solo allora gli feci percepire la presenza di qualcun altro, qualcuno di speciale, quell’uomo che lo aveva guardato in modo diverso e che, soprattutto, era diverso da tutti gli altri esseri umani esistenti. Mi avvicinai in silenzio, rapidissimo, arrivando a un paio di passi da lui: si girò, mi vide e lanciò un grido, perdendo l’equilibrio e cadendo a terra. Mi ritrovai a sovrastarlo e, per la prima volta dopo tanto tempo, Helenos provò paura di qualcun altro: non era mai stato in soggezione da quando non era più un ragazzino, stavolta aveva paura di ricambiare lo sguardo di un altro, ma allo stesso tempo sentiva di non poter staccare i suoi occhi dai miei, mezzo disteso per terra, immobile se non per qualche inevitabile brivido.
“Aspettai per alcuni secondi e, appena il suo cuore si calmò, mi mossi per primo, tornando al mio aspetto di Pokémon. Helenos svenne e al suo risveglio si ritrovò ad indossare la forma materiale del Legame: il suo aspetto fisico non era cambiato di molto nella Forma di Mezzo, ma le sue abilità sì. Fin da subito si rese conto di avere dei poteri e dei mezzi a cui gli altri esseri umani non potevano avere accesso, e si allontanò dalla sua città.”
Ho-Oh ha raccontato così appassionatamente che in più punti ho avuto dei fremiti emozionati, ma sono stata altrettanto a disagio: la bestia dell’invidia mi fa provare un po’ di rabbia nei confronti di questo Helenos e del suo rapporto con il Leggendario, che di sicuro non potrò mai eguagliare: se non ci sono riusciti i miei “predecessori”, tra cui ci sono stati certamente uomini di gran lunga migliori di me, come posso sperare di essere paragonata al primo Legato di Ho-Oh? Il Leggendario sa cosa provo e nemmeno cerca di consolarmi o di rassicurarmi: entrambi sappiamo che è così che stanno le cose e nessuno dei due ha qualcosa da aggiungere in merito.
«La forma materiale del mio Legame.» Sospiro. «C’è poco oro perché stavolta ti è capitata una Legata che non è pura di cuore, vero?»
“Il tuo cuore non è marcio.”
«Ma non è neanche del tutto degno di questo Legame. Tu dovresti legarti a persone pure di cuore, forti ed eroiche… ma a questo giro ti è andata male, temo.» Faccio un mezzo sorriso amareggiato. «Hai scelto una ragazza comune. Chissà se l’hai fatto inconsapevolmente o meno.»
Ho-Oh non risponde; mi alzo in piedi, stiracchiandomi un po’ troppo rumorosamente, facendo finta di non curarmi della verità, anche se è difficilissimo.
Quando mi giro, facendo per scendere la Torre Campana, per poco non ricado a terra. Un uomo alto, dai capelli rossi un po’ ricciuti e ordinati, mi fissa con occhi severi a un paio di metri di distanza.
Mi chiedo se Helenos sappia che sta replicando la scena nel vicolo di quando Ho-Oh gli si rivelò, ma stavolta io sono al posto suo e lui mi studia, mettendomi alla prova, come fece il Leggendario a suo tempo. Dello stesso colore della chioma sono le sopracciglia e la barba folte; le prime sono corrugate e induriscono ancor di più l’espressione dei suoi occhi, forse castani, insieme al naso un po’ aquilino che dà al suo viso un cipiglio austero. L’elaborata, meravigliosa armatura d’oro che indossa gli copre il torso, gli avambracci e la metà inferiore delle gambe, e sembra brillare più di quanto dovrebbe nella semioscurità dell’alba; lascia scoperta metà delle braccia muscolose. Sotto di essa c’è una tunica non troppo lunga - si vedono un po’ le cosce forti - del colore del sangue, come l’ampio mantello che il vento fa frusciare più silenzioso del normale.
Non c’è bisogno di far notare a me stessa che il signore è molto, molto bello; peccato solo che sembri desiderare di vedermi sparire all’istante grazie alla forza del suo sguardo, iniettato di sangue. Non so se la soggezione mi stia giocando brutti scherzi ma l’impressione è che abbia davvero cattive intenzioni. L’armatura e la tunica sono spezzate da un cinturone che riconosco subito come la forma materiale del Legame di Helenos: un grande prisma brilla al centro di essa, altri più piccoli sono disseminati per tutta la sua lunghezza, ed è decorata ancor più finemente del resto delle parti in oro che veste.
Helenos incrocia le braccia e smette finalmente di fissarmi; non so come, ma ho sostenuto il suo sguardo per tutto il tempo, anche se il mio era notevolmente sconcertato e intimorito. Quando torna a guardarmi è solo leggermente meno cupo e aggressivo di prima.
«Non puoi avere la presunzione di sapere cosa vuole da te Ho-Oh, e di poterlo servire decentemente. Sei solo una ragazzina… e persino tu sei arrivata a capire che è un caso che ti abbia scelta.»
Sapevo che non era granché simpatico già dai suoi modi invasivi e logoranti, ma è comunque un brutto colpo sentirsi rivolgere certe parole in un tono così aspro e freddo. Ma in qualche modo gli rispondo quasi subito: forse non è vero che sono così inadatta al Legame di Ho-Oh. «Puoi dirmi davvero che la scelta di un Legato avviene casualmente?» gli chiedo. «Tu hai visto arrivare tutti i suoi Legati, visto che sei il primo. Sei in una posizione diversa rispetto a quella degli altri, forse Ho-Oh ti ha messo a conoscenza di questo segreto.»
«Anche se lo sapessi, non te lo rivelerei neanche se questo mi portasse a sparire definitivamente» ribatte lui. «Ne parleresti con qualcun altro, e i danni che causeresti sarebbero irreparabili.»
«Per esserti intromesso in me senza tanti complimenti, non sei stato un grande osservatore. Altrimenti sapresti che non farei mai una cosa del genere.» La mia voce inizia a scaldarsi e ad alzarsi. «O forse non vuoi ammettere che se Ho-Oh mi ha scelta ha avuto le sue ragioni, e forse anche tu le hai viste, ma vuoi farmi credere che io non abbia qualità per questo Legame.»
«Non rivolgerti a me in questo modo.» Le braccia di Helenos tornano lungo i suoi fianchi. Appesa alla cintura c’è una spada. «Non illuderti di…»
«Non mi sono illusa di niente» lo interrompo. Lui si irrigidisce: so che si sta innervosendo, ma provo un gusto strano, quasi perverso, al pensiero di poterlo provocare. «Sei tu che ti sei costruito un’immagine falsa e negativa di me, e non vuoi abbandonarla. Ho-Oh stesso però non vuole che tu cerchi di manovrarmi come preferisci.»
«L’idea che mi sono fatto di te è confermata da quel che dici, e dal tuo comportamento» risponde. «Hai appena affermato qualcosa che Ho-Oh non ha mai detto, ti sei convinta di sapere cosa voglia da te e per te. Non dimenticare che sei una ragazzina, e una dei Legati meno validi che abbia visto finora, se non la peggiore.»
Cerco di farmi scivolare addosso le sue offese, di non vacillare sotto i suoi occhi cattivi, ma dubito di essere in grado di darmi un contegno. «L’unico presuntuoso qui sei tu: hai totalmente perso il mio rispetto, puoi essere il miglior Legato di Ho-Oh, ma non mi interessa, se i ragionamenti del tuo cervello sono così chiusi e limitati.»
Helenos mette mano sull’impugnatura della spada, la sfodera; un sibilo metallico accompagna il gesto e una vampata di fiamme arcobaleno si sprigiona dalla lama interamente d’oro. Stavolta le gambe mi cedono veramente e cado con il sedere per terra, ma il fuoco prende il posto dell’intera figura dell’uomo e si dissolve dopo pochi secondi. La sua era una minaccia, solo una minaccia… ma entrambi sappiamo quanto abbia paura di lui, non posso farne a meno; lo sanno anche Ho-Oh e tutti i suoi Legati, se ce ne sono ad assistere e se sopravvivono dentro di me, ma loro senza farsi sentire, al contrario di Helenos.
Sto ansimando e tremando senza ritegno, ma in qualche modo riesco a calmarmi, anche se ci vuole del tempo. Mi alzo barcollando un po’, vado un momento ad appoggiarmi alla specie di altare al centro del tetto della Torre, in cerca di un minimo d’aiuto. «P-per… perché…» balbetto. «Perché… s-se l’è presa… con me…»
“Helenos non ama le donne.”
«Ah, ci mancava… che fosse misogino» ansimo. «Quindi mi disprezza anche per questo? Non solo perché sono assolutamente incapace come Legata?»
“Sei affatto incapace, Eleonora: hai sorpreso sia me che Ilenia ieri stesso quando hai appreso nel giro di qualche ora come combinare due dei tuoi poteri. Helenos non è mai stato ostile con i miei Legati, semmai li ha presi per mano e li ha guidati come un fratello: ma con le Legate è sempre stato particolarmente insofferente. Tu non devi sottometterti a lui e allo stesso tempo non devi dimostrargli niente. Devi far finta che non esista, devi impedirgli di entrare in contatto con te, perché potrebbe soltanto arrecarti dei danni.”
«Se è già stato così in passato, immagino tu lo abbia rimproverato almeno una volta. Perché non smette?»
“È testardo e disobbediente da questo punto di vista. Così come da altri, in effetti, ma sono piccole cose della sua personalità, rispetto al resto, che è sempre stato perfetto per rivestire il ruolo di Legato di Ho-Oh.”
«Non puoi fare a meno di amarlo, eh?» mormoro. «Per quanto tu voglia aiutarmi…»
Non mi aspetto una risposta e Ho-Oh non me la dà. Mi ci vuole ancora qualche istante per sentirmi sicura sulle mie gambe e per dirmi di non avere paura, ma Helenos potrebbe materializzarsi da un momento all’altro come ha fatto prima: non mi farebbe del male perché andrebbe contro il nostro Leggendario, ma la paura è tanta e rende ogni mio movimento esitante, cauto; dopo ogni battito di ciglia il cuore accelera aspettandosi di vedere il primo Legato di Ho-Oh che mi guarda male, e forse stavolta con la spada in mano per minacciarmi ancora. Di cosa non lo so, e dubito che lui lo sappia: sarà il suo disprezzo, sempre che non sia addirittura odio, a comandarlo.
A passo lento scendo i primi piani della Torre Campana, finché non sono abbastanza sicura sulle mie gambe - e non vedere né percepire Helenos aiuta - da accelerare: inizialmente gli scricchiolii del legno sotto i miei piedi sembravano grida, nel silenzio totale del luogo. L’interno di esso è appena rischiarato dalle timide luci dell’alba e le tende bianche alle finestre si appropriano di quasi tutti i raggi che arrivano.
Le pareti spoglie della Torre sono in totale contrasto con quelle della casetta apparentemente insignificante in cui è nascosto il passaggio per la sala riunioni segreta, che sono invece ricoperte di immagini coloratissime e che a tratti sembrano essere in movimento. Guardando Helenos, prima, mi è subito tornata in mente la prima figura umana che appare nella sequenza di affreschi: un uomo con un mantello rosso, anzi color sangue, e un’armatura d’oro, che si inginocchia davanti alla fenice Leggendaria, già ritratta molte volte prima di lui - ogni tanto con Lugia a bilanciare, per dargli una controparte. Helenos non torna mai nei disegni, ma gli altri umani rappresentati servono soltanto a mostrare il potere di Ho-Oh di restituire la vita e di regalare gioia a chi lo vede attraversare in volo il cielo, lasciando dietro di sé un arcobaleno dei più nitidi. Nessuno di loro è un suo Legato e questo dà ancora più importanza all’uomo del Primo Mondo che ebbe l’onore di essere il primo contraente del Leggendario.
Ricordo come stanotte non sia riuscita a prendere sonno e, seguendo un qualche istinto sconosciuto, me ne sia andata a guardare quegli affreschi, facendomi strada nel buio con il fuoco e, una volta arrivata, illuminando i disegni con una fiamma arcobaleno sospesa sul palmo della mia mano; e ricordo ancora meglio la sensazione di vuoto e allo stesso tempo di oppressione al petto quando la luce è arrivata alla fine della sequenza di immagini, mostrandomi come le rappresentazioni dell’epoca attuale siano state del tutto cancellate. Non so da chi o da cosa, né perché, ma un paio di metri prima di tornare al punto di partenza degli affreschi, i disegni non sono più visibili. Alcuni sono molto sbiaditi, altri del tutto scomparsi. Ho capito che sono cancellati a partire da poco tempo prima dalla mia nascita perché ho visto il disegno della mia forma materiale del Legame, che è diversa per ogni Legato; e fra l’altro anch’esso era rovinato, come se qualcuno l’avesse graffiato e dopo un po’ avesse lasciato perdere.
Non sono giorni tranquilli quelli del conflitto tra Forze del Bene e Victory Team, ma non dovevano esserlo nemmeno quelli precedenti. La matematica non è un’opinione e io sono nata cinque o sei anni prima che le due fazioni si dichiarassero guerra, e Ho-Oh aveva deciso il suo prossimo Legato in tempi ancor più lontani. Questo perché, e perché gli affreschi sono parzialmente cancellati?
Il Leggendario mi ignora del tutto, cercando di dissuadermi dal continuare a farmi domande a cui non può rispondermi, perlomeno non ancora; ma ripenso di continuo a quel che ho visto, sentendo ogni volta il cuore tremarmi per l’immagine delle rappresentazioni quasi del tutto scomparse, addirittura graffiate laddove entra in ballo il mio Legame.
Ho-Oh torna a farsi sentire quando sono fuori dalla Torre. “Più tardi va’ da Ilenia ed esercitati con lei per tutta la mattina. Nel pomeriggio puoi stare con gli altri, e cerca di sfruttare il nuovo potere mentre ti alleni con loro, sempre che tu faccia progressi sensibili in mattinata. Ovviamente non ti conviene usare quella tecnica se sei ancora troppo lenta, perderesti solo tempo in uno scontro con un avversario in movimento che aspetta solo che tu ti fermi, anche solo per un attimo, per mandarti al tappeto.” Smette di parlare; io annuisco e riprendo a camminare. “Mi spiace che quella ragazza stia così male per il suo Legame.”
Mi blocco dopo due passi, stavolta per la sorpresa: «Ti dispiace?»
“Sì. I Legati di questo periodo non sono in condizione di poter apprezzare la relazione tra loro e un Pokémon Leggendario: tu per prima hai problemi con Helenos e ritieni me un grandissimo rompi…”
«Ma no, ma no» ridacchio. «Sei solo un po’ troppo serio, come direbbe Sara, per essere un tipo Fuoco.»
“Ho i miei motivi per esserlo, e qualcosa puoi benissimo immaginarlo anche tu” bofonchia lui. “Beata lei che si gode il suo Legame con Articuno! E più o meno sono nella stessa condizione i ragazzi scelti da Latios e Latias. Ma i Legati di Dialga e Raikou non ci sono sembrati granché felici della loro identità, vero?”
«E neanche… neanche quello di Rayquaza.»
“Di lui non so niente. Ad ogni modo mi preme che tu faccia attenzione ai Legati di Raikou e Lugia: devi capire cosa c’è che non va nel loro rapporto con il Legame e cercare di risolvere, perché sono le persone che ti saranno più vicine nel futuro prossimo e dei contrasti con i loro poteri non possono ostacolare la squadra che formerete. Io farò di tutto per tenere lontano Helenos da te, ma non ti assicuro niente.”
«Sinceramente, Ho-Oh, non credo sia un bene intromettermi negli affari dei miei compagni. A loro non ho detto niente su Helenos e nemmeno dirò a nessuno di lui, e già questo mi impedisce di fare quello che vorresti. E poi tu stesso, poco tempo fa, hai affermato che certe cose vanno discusse tra Leggendario e Legato e devono rimanere tra loro due, e nel frattempo nessuno può mettersi in mezzo. La tua richiesta è un po’ assurda e contraddittoria, per dirla in poche parole. Poi ovviamente cercherò di capire come sta Ilenia, ma dal punto di vista di un’amica. Con Luke non sono in confidenza come con lei, non gli chiederò nulla… non mi sembra nemmeno che stia tanto male con il Legame. Semmai in futuro indagherò, se sarà palesemente in difficoltà.»
Mi chiedo se non mi sia spinta troppo oltre con il mio personalissimo punto di vista, che va allegramente contro il desiderio di Ho-Oh, che potrebbe trasformare la sua richiesta in un ordine. Il suo silenzio mi preoccupa, ho paura che si possa innervosire per il mio rifiuto; e non mi risolleva per niente, anzi, peggiora la situazione la sua risposta finale: “Vedremo. Adesso rientriamo.”
Dopo un po’, prima ancora di essere rientrati, chiedo a bassa voce: «Tu sai già perché Ilenia sembra stare male? Hai mai dei contatti con Lugia, anche se ora siete occupati con i vostri Legami?»
“Penso di sapere perché lei stia così, e no, non ci parliamo quasi mai.”
«Perché? Per entrambe le cose.»
“La risposta è una sola: Lugia ha un carattere strano. Non gli piacciono gli umani né i Pokémon: i suoi Legati si contano sulle dita di una mano e non sono rinomati per essere sopravvissuti a lungo, al contrario dei miei, che sono sempre stati molto longevi e sono sfuggiti alla morte più a lungo e più facilmente. Se non fosse stato per…” All’improvviso si blocca e automaticamente mi fermo anch’io, spingendolo a continuare la frase, ma invano. “Be’, mi stupisce che abbia creato un Legame, anche perché in genere lo fa quando io non ne ho creato uno. Non mi ama e io non amo lui: gli piace starsene da solo sul fondo del mare, presso le Isole Vorticose. Non si arrabbia mai e non si diverte mai, non cerca esperienze con gli esseri umani e non sfida altri Pokémon, neanche Leggendari.”
«Di quali esperienze stai parlando…?»
“A me piace parlare di esperienze erotiche, ma altri Leggendari hanno preferenze diverse.”
Ammutolisco, trovata la conferma a una mezza idea che mi ero già fatta: ma non volevo credere davvero che Ho-Oh se la spassasse in questo modo ogni tanto, certamente - me lo auguro! - sfruttando il suo aspetto umano.
“Comunque” prosegue con indifferenza, “pensa soltanto che Lugia non si è mai nemmeno rivelato. Ha creato un Legame ma era palesemente speranzoso, te lo assicuro, di non dover ricorrere mai ad esso. A Ilenia è stato ordinato di trovare il suo Leggendario dalle Forze del Bene, ma sono certo che se Lugia fosse stato in grado di contattarla senza doversi per forza rivelare, le avrebbe detto di stare alla larga da lui.”
«Quindi ha creato un Legame per sicurezza, e lo avrebbe voluto usare come ultima spiaggia?»
“Esatto, invece si è ritrovato a dover addestrare una giovanotta con nessuna esperienza con i poteri del Legame, solo un po’ di abilità nel combattimento. Immagino sia molto freddo e distante nei suoi confronti, esattamente come lo è con ogni altro umano e Pokémon: potrebbe pensare che si comporti così soltanto con lei, e per questo ci rimane molto male ed è abbattuta come noi la vediamo in questo periodo. Ma siccome non mi confronto con Lugia da tantissimo tempo, nei fatti da quando abbiamo creato i nostri Legami, non ho idea di come sia diventato, se sia cambiato in questi anni oppure no: per questo devi parlarne con la tua amica, non puoi basarti sulla mia esperienza, che potrebbe non coincidere più con l’attuale carattere di Lugia.”
«E in questo caso Ilenia potrebbe star male per qualche altro motivo.»
Ho-Oh assentisce e si ritira dalla mia mente appena apro la porta della base segreta e vi metto piede all’interno, richiudendola silenziosamente alle mie spalle. Un paio di ragazzi che girano per il corridoio principale sobbalzano appena mi notano, non aspettandosi che qualcun altro all’alba fosse in piedi e gironzolasse per la struttura, né che questo qualcuno fosse proprio la Legata di Ho-Oh. Me ne torno in camera - a fare cosa, non lo so neanch’io: mi sdraio sul letto, anzi, mi ci butto senza tanti complimenti, spalancando le braccia e fissando il soffitto con sguardo vitreo per alcuni minuti. Se avrò la possibilità, chiederò a Ilenia del suo Legame oggi stesso; altrimenti lo farò alla prima occasione possibile nei prossimi giorni.
Improvvisamente è come se un lampo mi attraversasse la mente e con la sua luce rischiarasse un pensiero che in questo periodo era stato del tutto oscurato: i miei Pokémon! È da quando sono ad Amarantopoli, se non prima, che non passo un po’ di tempo con loro, con la mente del tutto rivolta al Legame, ai miei compagni di sventura e agli allenamenti costanti, individuali e in gruppo. Le loro Poké Balls non sono nella mia stanza, altrimenti li avrei già fatti uscire e ci avrei fatto una delle mie chiacchierate quasi a senso unico: tutti abbiamo dovuto affidare fin da subito, perché ci potessimo concentrare solo sui nostri allenamenti, le nostre squadre al box PC della base segreta, e ci è stato richiesto di farlo talmente velocemente che non abbiamo avuto il tempo di salutarli prima di poterli rivedere chissà quanti giorni dopo; o almeno, io non ho avuto modo di farlo.
Mi precipito fuori dalla stanza, dimentica di quanto fossi svuotata di ogni energia fino a poco fa e incurante del fatto che vada a disturbare qualcuno all’alba per un capriccio che potrei esaudire più tardi; ma non faccio in tempo a inoltrarmi per il corridoio che, per la seconda volta in meno di due giorni, rischio di appiattire la faccia a uno sfortunato qualcuno sbattendogli una porta in faccia. E anche stavolta, con mia sorpresa, si tratta della direttrice Hei Feng: alla sua espressione di disorientamento risponde il mio stupore, e appena lei riprende il suo contegno anche io divento imperturbabile. Ad essere sincera, però, sono curiosa di vederla in piedi fuori dalla mia camera.
«Buongiorno, Eleonora» mi saluta con freddezza.
«Buongiorno a lei, Hei Feng» rispondo con meno distacco. «Come mai…»
«Mi hanno detto che eri sveglia e a zonzo per la base segreta. Ho il diritto e il dovere di controllare cosa facessi a quest’ora in giro: pare che ti sia alzata nel cuore della notte per rientrare all’alba, nessuno ti ha notata uscire.»
«Ma certamente, ci mancherebbe altro» replico, esagerando, non so se volutamente o no, e non so nemmeno se sono stata ironica o seria: la donna sbuffa ma la ignoro e domando: «E lei non dorme mai, Hei Feng?»
Sorride appena: è un’espressione strana, credo di coglierci una punta di amarezza che non so spiegarmi. «Ogni tanto sì, quando serve. Altrimenti campo a caffeina.»
Le direi che la capisco benissimo, perché anch’io sono sempre stata una caffeinomane mancata, ma mi freno: ancora non voglio essere simpatica con lei e penso che potrebbe credere che sia diventata una leccapiedi all’improvviso. Perciò continuo a imitare le sue espressioni e accenno un sorriso simile al suo, privo però di ogni sfumatura di emozione. «Deve dirmi qualcosa o vuole solo controllarmi?»
«Volevo vedere cosa facessi e poi invitarti a parlare con me più tardi, ma già che ci siamo, seguimi ora.»
Ce ne andiamo nel suo ufficio senza scambiare una parola; solo quando arriviamo e ho accostato la porta dietro le mie spalle, lei dice: «Abbiamo deciso che tu, Daniel, Ilenia e Luke partirete per Unima per trovare i Legati dei Leggendari di quella regione, mentre Sara andrà con Lewis, Laura e Hans alla ricerca di Jirachi. Poi anche loro vi raggiungeranno alla base segreta della Fossa Gigante una volta che avranno portato a termine il loro compito. Tuttavia, pensandoci bene, è molto più facile che ci arriveranno prima di voi.»
«Questo perché non abbiamo alcuna idea su quanti e quali siano i Legati dei Leggendari di Unima, vero?»
Hei Feng scrolla le spalle. «Non del tutto. Non sappiamo se abbiano creato un Legame la maggior parte di quei Leggendari, ma di recente siamo stati più o meno indirettamente contattati da quelli di Reshiram e Zekrom.»
Inarco le sopracciglia. «Davvero?»
«Sì, ma stiamo ancora facendo degli accertamenti, per capire se è una trappola tesa dai Victory per rapire chi andrà a proseguire la Missione Leggendaria o se sono veramente i Legati di Reshiram e Zekrom. Ti faccio vedere le loro foto e i dati che abbiamo raccolto finora, mi dirai tu se possiamo fidarci tanto da mandarvi subito o se dobbiamo continuare a fare ricerche.»
«Per subito cosa intende?» chiedo mentre lei si inginocchia davanti una specie di comodino e fruga tra i cassetti, aprendone uno dopo l’altro.
«Domani o dopodomani.»
«Ah…» mormoro. Non è una bella notizia e me lo fa sentire pure Ho-Oh: il tempo a disposizione per allenare l’unione tra il potere della mente e quelli di fuoco e aria sarebbe davvero poco, così stando le cose. Per le Forze del Bene sarebbe un problema dover continuare a lavorare sugli eventuali Legati di Reshiram e Zekrom, ma per certi versi spero che ci diano ancora qualche giorno di tempo.
«Ecco qua» esclama dopo alcuni secondi Hei Feng, tirando fuori un sottilissimo fascicolo dal cassetto più in alto nel mobiletto. «Rongyin, Legata di Reshiram, e Anyang, Legato di Zekrom.» Non ho assolutamente capito come si chiamino costoro, ma faccio comunque un cenno affermativo con la testa. «Sono cugini di primo grado, poco più grandi di te. Apparentemente non hanno alcuna relazione con il Victory Team e, a quanto dicono, sono riusciti a mettersi in contatto con le Forze del Bene grazie ad un altro Legato. Anzi, due.»
«Allora è probabile che qualche altro Leggendario di Unima…»
«In realtà» mi interrompe, «si sono incontrati con i Legati di Xerneas e Yveltal, che erano di passaggio per andare alla base segreta nella Fossa Gigante e poi a Kalos, cercando la forma materiale del loro Legame. O meglio, la Legata di Xerneas già ce l’aveva: le è stato affidato quello di Yveltal.»
«Lei è Camille, no?» Hei Feng conferma. «E lui come si chiama?»
«George. Proviene da Sinnoh e pare fosse un amico stretto di Daniel.»
La notizia inizialmente mi stupisce, ma subito mi ricordo che anche George era stato mandato alla centrale nucleare di Flemminia l’anno scorso, e Sara mi aveva detto che erano stati inviati soltanto dei Legati, perché siamo immuni a ogni tipo di radiazioni nocive. Il fatto che ami i Pokémon Buio conferma benissimo il tipo del suo Legame e adesso capisco anche perché non mi stesse affatto simpatico - anzi, lo trovavo davvero insopportabile: i nostri Leggendari hanno poteri, capacità e tipi praticamente opposti. Lui è il Legato della distruzione, io della vita.
«Strano che Camille si sia rimessa in contatto con le Forze del Bene.»
«Sì, si comporta addirittura peggio di te.» Sorrido mio malgrado e anche Hei Feng si rilassa un po’ di più. «A detta sua, sta collaborando con noi solo perché ha un conto in sospeso con suo padre, Elisio, e noi possiamo aiutarla a compiere la sua vendetta. Si è fatta sentire di nuovo, sempre parole sue, pure perché aveva bisogno della sua controparte, il Legato di Yveltal, perché doveva aiutarla a cercare altri Legati a Kalos.»
Credo che, paradossalmente, tra i due sia Camille la vera folle distruttrice assetata di sangue, perché George mi è sempre sembrato calmo e posato da questo punto di vista: la ragazza vuole staccare la testa al suo papà con le sue stesse mani e non ho difficoltà a immaginare che voglia anche giocare con il suo cadavere prima di essere rintracciata e sbattuta in manicomio. E dire che pure lei, come me, è la Legata di un Leggendario che ha potere sulla vita - nel suo corso e nei suoi periodi di massimo splendore, mentre Ho-Oh ha potere su di essa in tutti i suoi aspetti e momenti. Dubito che George, senza magari una spinta da parte di Yveltal, sia in grado di uccidere qualcuno, o perlomeno di farlo a sangue freddo - oppure arrivando a provarci gusto.
Pensando a Camille, inizialmente mi è venuta voglia di rivederla; un momento dopo mi sono augurata di non doverci scambiare più di qualche convenevole prima di attaccare il cuore del Victory Team, e una volta finito tutto di non incontrarla più in vita mia. Dubito che sarò mai in grado di sopportarla, è un miracolo che ci sia riuscita per qualche tempo: non invidio per niente George. I due Legati più antipatici del mondo in un’unica coppia…
Hei Feng mi sottopone le fotografie dei due possibili Legati di Reshiram e Zekrom. I loro nomi sono scritti sotto le foto e ce ne sono due: una più piccola per la sola testa e una piuttosto grande a figura intera. Lei, Rongyin, ha i capelli neri, incredibilmente lisci e lucidi, che le arrivano alla vita: una frangetta le copre la fronte e tutte le sopracciglia, lasciando poi spazio a un viso tondo e pallido: ha il naso piccolo, schiacciato, le labbra a forma di cuore e gli occhi neri a mandorla. Dall’espressione sembra astuta e sveglia; quella di Anyang invece è ingenua e riservata. Anche lui ha gli occhi a mandorla e i capelli scuri, i suoi sono corti e ordinati: si somigliano parecchio. La maggiore differenza è il colore della pelle: quella di lui infatti è piuttosto scura. Entrambi sono magrolini e nessuno dei due sembra granché alto.
“Sono dei Legati” dice Ho-Oh. Anch’io ho avuto questa situazione ma non ero sicura di dovermi fidare del mio sesto senso, dopo aver soltanto visto un paio di foto ciascuno. “Non importa se hai ancora bisogno di alcuni giorni per esercitarti: lo farai direttamente a Unima, se necessario. Visto che non c’è tempo, tutta la giornata di oggi la passerai a lavorare sui tuoi poteri, con o senza Ilenia: se lei vorrà allenarsi anche con gli altri, ci penserò io a te.”
“Fantastico” gli rispondo mentalmente; lui borbotta qualcosa mentre io dico a Hei Feng: «Sono loro. Sono tutti e due Legati, lei a Reshiram e lui a Zekrom.»
La donna sorride. «Perfetto. Appena vedi i tuoi compagni mandali da me, così informerò anche loro. In giornata deciderò con i miei colleghi il momento migliore per farvi partire, sperando che nel frattempo riusciremo a localizzare di nuovo i due Legati… dopo averci contattati hanno fatto perdere le loro tracce. È tutto per ora… Eleonora» aggiunge dopo un attimo di esitazione, come se temesse di darmi troppa confidenza.
«Va bene. Allora buona giornata, Hei Feng» la saluto, arrivando pure a chinare il capo.
Lei sbatte un paio di volte, velocemente, le palpebre e non risponde. Giro i tacchi, fingendo che non me ne importi del fatto che non abbia ricambiato il saluto - anche se mi dà un po’ fastidio, e apro la porta per uscire. Il rumore di essa mentre si chiude interrompe a metà l’“arrivederci” della donna.

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Capitolo 14
*** XIII - L’anello mancante ***


XIII
L’anello mancante

Le trafficate strade di Austropoli sono infernali già dalle prime ore del mattino. Gli ampi viali non bastano a contenere le centinaia di migliaia di macchine che si spostano da un lato all’altro della metropoli, alla guida delle quali autisti e tassisti irritati non esitano a far schiamazzare i clacson per ogni minima cosa. Pure i marciapiedi sono larghi e la situazione su di essi è decisamente troppo simile a quella che si presenta lungo le corsie nel mezzo dei vialoni: ragazzi che vanno a scuola in coppia o in piccoli gruppi; altri soggetti solitari che, con le cuffie alle orecchie e il volume della musica a livelli improponibili, non si rendono conto di cosa succede intorno a loro, venendo perciò apostrofati da chi è di fretta e si ritrova con quest’impiccio tra i piedi, e talvolta insultati da chi è particolarmente irascibile; anziane signore che chiacchierano mentre vanno a fare la fila dal medico, alle poste, al mercato o chissà dove… e poi un gruppetto di Legati che cerca di confondersi, con successo, nella marea umana.
Ad Austropoli ci sarò stata una volta sola da piccola, e in estate in vacanza, quando buona parte dei cittadini si era trasferita sulle coste della stessa Unima, di Kalos o Hoenn, sulle montagne di Sinnoh o nelle città d’arte di Kanto e Johto. Per questo sto soffrendo l’inquinamento acustico della capitale di Unima: tutta la mia vita, d’altronde, l’ho passata in luoghi estremamente tranquilli - nella silenziosa Nevepoli, nell’Accademia vicino Giubilopoli, nelle basi segrete delle Forze del Bene. Tutta questa confusione ha anche i suoi meriti, perché fa sì che io, Daniel, Ilenia e Luke possiamo spostarci più o meno liberamente senza essere notati. È vero che rischiamo in ogni momento di perdere uno di noi, ma finora non è successo niente.
Siamo tutti nelle nostre Forme Umane: è stato strano tornare bassina, dopo aver assaporato la magica prospettiva che si ha dall’alto di quasi un metro e ottanta. Alla fine Luke è il più alto di noi, mentre nella Forma di Mezzo è il contrario. Ilenia ha preso la drastica decisione di tagliarsi i capelli e ora la sua grande, folta chioma di ricci castani, un po’ rossi, è andata perduta; io mi sono munita, come Daniel e Luke, di una parrucca; la mia è nera e ho operato di conseguenza con una matita scura sulle sopracciglia. Siamo ben bardati con una serie di cappelli, sciarpe o scaldacolli, e anche truccati per apparire il più possibile diversi da come i Victory ci conoscono. Le nostre facce ora sembrano di ragazzi di più di vent’anni: allo specchio quasi non mi riconoscevo.
Sotto il largo impermeabile che indosso è nascosta una cintura con le mie Poké Ball. È stata una gioia rivedere i miei compagni prima di partire, in più non hanno nemmeno affrontato il trauma di vedermi nella Forma di Mezzo per la prima volta; non so se succederà mai perché voglio fare di tutto per impedirlo. Forse è stupido e infantile, ma ho paura che non siano in grado di riconoscermi. Mi spaventa ancora di più che possano credere che io li abbia abbandonati per seguire Ho-Oh per tutta la mia vita, e che abbia voluto dimenticare il mio passato con loro, il mio passato di Allenatrice e di semplice membro delle Forze del Bene. Certamente non è così, ma a volte mi chiedo se riuscirebbero a credermi, se cercassi di giustificarmi in questo modo: non ho mai fatto niente per dimostrare che voglio loro bene come a dei compagni umani, e che ricordo con una fitta nostalgica i tempi in cui avevano praticamente sostituito, in periodi depressi e passati perlopiù in solitudine, la presenza umana nelle mie amicizie. Ci chiacchieravo come con degli esseri umani e mi sentivo compresa molto meglio e molto più in profondità.
Mi aspettavo che Aramis fosse ancora un po’ freddo e distaccato, invece è stato contento di vedermi almeno quanto lo erano gli altri: i suoi modi riservati lo hanno trattenuto ma sembrava aver voglia di abbracciarmi in modo fraterno. Altair e Nightmare erano impazziti di gioia e quasi li ho dovuti ritirare nelle loro Ball con la forza.
«Mia figlia mi ha raccontato che a scuola hanno parlato dei Pokémon…»
Sarà il terzo o quarto genitore che sento cominciare così una frase, parlando al telefono o con una persona con cui cammina insieme. Inizialmente credevo che le orecchie non mi funzionassero a dovere, poi che fossi impazzita; solo alla fine mi sono ricordata - e con questo è tornato alla mente anche l’aspro diverbio con Hei Feng - che ormai i Pokémon sono sulle bocche di tutti, grazie o per colpa della mossa del Victory Team. Non so se mi abituerò tanto presto a questo cambiamento drastico nel panorama mondiale. Tendo le orecchie per cogliere altri stralci di conversazione che non sia solo un esordio o una premessa.
«Dubito che ci sia da fidarsi.»
«Guarda che carino!!»
«Su Internet c’è gente che li vende. Alcuni a prezzi irrisori, ma certe cifre sono esorbitanti!»
Non credo che si stiano sempre riferendo ai Pokémon, ma mi rendo conto del fatto che è possibile, se le “creature magiche” - come le sento chiamare ogni tanto - stanno entrando nella vita quotidiana di tutti, che ormai possano influenzare qualsiasi argomento. Anzi, è inevitabile: alcune delle tante domande che la gente si pone sono “cosa farò adesso che ci sono i Pokémon nella mia vita?”, “in che modo devo comportarmi con queste creature in circolazione?”, “quanto cambierebbero le mie occupazioni se mi facessi aiutare, sempre che sia possibile, da uno di quegli esseri?”. Le risposte non sono per niente scontate, visto che in questo clima di caos i Pokémon potrebbero rispondere in modo tutt’altro che pacifico, provocati dalla paura e dalla feroce diffidenza di masse di persone.
Negli ultimi giorni alla base segreta abbiamo tenuto d’occhio i telegiornali e ci siamo meravigliati di come, nel giro di pochissimo tempo, si siano fatti grandi progressi, in fin dei conti, nelle relazioni con i Pokémon. È vero che c’è ancora una grossa fetta della popolazione mondiale che mette in crisi l’influenza e il potere dei Victory, ma questi ultimi hanno fatto una pubblicità intelligente, furba, mettendo in luce l’utilità dei Pokémon con i bambini, i ragazzi e gli anziani - tutte le persone che hanno bisogno di assistenza, di essere seguite, insomma. Le critiche si sono fatte meno influenti e sempre più persone si schierano dalla parte del rivoluzionario Victory Team. I Pokémon sono diventati un mezzo di comunicazione, uno strumento per stringere amicizie, e questo aiuta i più piccoli e chi ha difficoltà a socializzare a trovare un argomento di conversazione per dare vita a nuove amicizie.
In televisione, oltre ai notiziari, impazzano programmi divulgativi sulla natura dei Pokémon - ho visto un paio di documentari che mi sono sembrati la versione televisiva del Pokédex - e altri di approfondimento sulle lotte, sull’allenamento per le competizioni e sull’allevamento. Altrettanto spazio è riservato alla riproduzione della specie e all’evoluzione e ai suoi metodi.
I rappresentati del Victory Team, dopo numerose apparizioni in televisione e interviste rilasciate sia sul web che sullo schermo, si sono ritirati dalle scene e sono rimasti a guardare gli effetti della loro efficace propaganda e della pubblicità fatta ai Pokémon. Ci è stato presto chiaro che la loro mossa era stata studiata nei minimi dettagli, forse per mesi, per rendere tutto perfetto: era inevitabile l’ostilità di buona parte della popolazione, ma di giorno in giorno sempre più persone chiedono di “adottare” - questo è il termine più usato - una delle straordinarie creature e finanziano i progetti di ricerca dei Victory stessi, che ormai devono essere economicamente indipendenti da chiunque. Anche questo doveva essere uno dei loro obbiettivi: smettere di essere parassiti dei governi, in cui fin dall’inizio si sono infiltrati, cercando di manovrarli. Adesso sono i governi a dover fare riferimento al Team - se non è così già da adesso, lo sarà presto.
Uno dei pochi vantaggi che i Victory ci hanno regalato è che almeno adesso possiamo usare pubblicamente i Pokémon in caso di bisogno: avendo squadre complete e allenate abbiamo preparato dei documenti falsi che ci identificano come membri dei servizi segreti di Johto. Nonostante questa copertura stiamo comunque facendo di tutto per non farci notare: saremmo sospetti con il nostro normale aspetto - più che altro saremmo ricercati - tanto quanto dicendo ai quattro venti che siamo agenti di un’associazione segreta.
Per il resto, i nemici hanno fatto terra bruciata attorno alle Forze del Bene. Ci hanno subito fatti identificare come pericoli pubblici, definendoci più volte terroristi, che possono distruggere gli ordinamenti costituiti nelle varie regioni per creare un impero internazionale, che sfrutti i poteri dei Pokémon e abbia il controllo totale sulle menti dei cittadini. Hanno praticamente dato la definizione che le Forze del Bene offrono per i Victory stessi.
«Ehi, ragazzi! Concedereste un’intervista a proposito del fenomeno Pokémon? Siamo del sito web…»
Scansiamo, fingendo di non aver sentito nulla, un paio di studenti tutti emozionati per il “fenomeno Pokémon”. I loro colleghi hanno adescato qualche signora e dei ragazzini che andranno al massimo in seconda media e, dal loro look che vuole essere alternativo e trasgressivo, sembra che siano intenzionati a marinare la scuola, quindi si concedono di buon grado alle domande dei ragazzi più grandi. Mi chiedo che razza di risposte possano dare, visto che sono poco più che bambini: le interviste fatte non sono niente di ufficiale, ma vanno ad ingrossare la lista dei siti e dei file che stanno inconsapevolmente al gioco dei Victory.
«Hanno rotto con ’ste interviste» borbotta Daniel camminando al mio fianco. A malapena lo sento, con tutta la confusione e lo scaldacollo che gli copre la bocca. «Il prossimo che cerca di fermarci…»
«Sarà ignorato allo stesso modo» lo interrompo.
Lui sembra sbuffare. «Prima c’era un banchetto che accettava le iscrizioni di reclute al Victory Team. Faranno anche un partito politico Victory, così ho sentito dire a più di una persona.»
«E quel banchetto ce l’aveva un’aria ufficiale o è l’ennesima stupidaggine che Austropoli ci offre?»
«L’ennesima stupidaggine. Nessuno aveva un distintivo né indossava la divisa delle reclute Victory. Ma non si pone mica il problema, eh, basta che andiamo al centro per trovare veri stand e veri Victory.»
«Non vedo l’ora» mormoro.
È proprio verso la zona centrale della città che ci stiamo dirigendo. Ogni tanto, quando la marea umana è abbastanza bassa da consentirmi di guardare, riesco a intravedere l’imponente fontana - che dicono segni il centro esatto della città - e la piazza stessa, la più grande di tutta Austropoli.
Non so quanto a lungo rimarrà così grande, penso una volta arrivati, vedendo le bancarelle spingersi sempre di più verso l’interno della piazza, i negozi espandersi e i palazzi in costruzione farsi avanti. La folla si è dispersa in gran parte lungo la via che abbiamo percorso prima, e ora nella piazza c’è abbastanza spazio libero per non sentirsi oppressi da tutta la gente che correva, in macchina o a piedi, per la strada. Ci avviciniamo alla fontana per evitare i venditori ambulanti con le loro rose, i caricabatterie dei telefoni cellulari e le asticelle per gli stessi, ma ben presto concordiamo nel preferire essere aggrediti da loro che passare vicino agli stand dei Victory in persona: si sono piazzati in due gruppi accanto alla grande fontana e attirano la maggior parte dei passanti.
Mi aggiusto nervosamente la sciarpa sulla bocca. Una recluta Victory, fiera nella sua tuta rossa, grigia, bianca e nera, ci lancia un’occhiata: non sembra sospettare nulla sul gruppetto di quattro ragazzi tutti imbacuccati e palesemente desiderosi di passare inosservati - ora che non c’è più la folla del vialone a nasconderci non siamo più anonimi e confusi con il resto delle persone. Ad ogni modo non ha possibilità di avvicinarci, magari per cercare di esporre un manifesto del Team o addirittura convincerci ad iscriverci ad un corso per il reclutamento di nuovi giovani Victory, perché un paio di uomini le chiedono qualcosa. Lei è tutta felice di poter rispondere.
«Non guardarla così a lungo» mi rimbecca Daniel avvicinandosi il più possibile per parlare a bassa voce.
«Non sospetta nulla. Guardala.»
«Io non la guardo» ribatte, «e lo so che non sospetta nulla, passerebbe per pazza se aggredisse dei ragazzi che camminano per la piazza… ma meglio evitare che ci avvicini, vedendoci che osserviamo lo stand.»
Per un po’ non gli rispondo, poi gli dico: «È solo che mi dà una strana sensazione… è così contenta di servire il Victory Team, se solo vedessi quanto sorrideva facendo il suo lavoro allo stand. Sicuramente non è una novellina, però è così… non capisco, insomma…»
«Certo che c’è parecchia gente per non essere neanche le otto del mattino, eh?» interviene Ilenia, interrompendo una frase confusa che non so neanch’io come sarebbe finita.
«A maggior ragione vediamo di non farci notare» dice Daniel. È palesemente nervoso: risponde sempre male, come se fosse di cattivo umore, quando è agitato. Luke invece se n’è stato in silenzio per tutto il tempo, a malapena parla se interpellato. Cammina a testa bassa e con le mani nelle tasche della giacca. Non so se rischi più lui, come ex recluta Victory e Legato fuggitivo, di noi, membri delle Forze del Bene e comunque Legati.
«Passando alle cose serie» prosegue Ilenia, senza curarsi del tono di Daniel, «da dove cominciamo a cercare?»
«Da nessuna parte, finché non avvertiamo qualcosa con i poteri psichici.»
Le direttive di Hei Feng a proposito della missione Leggendaria a Unima sono state poche e misere - anche un po’ deprimenti, a dirla tutta. Però stavolta non me la sento di incolpare le Forze del Bene per la loro scarsa preparazione, anche se è l’ennesimo punto di vista da cui fanno cilecca. Camille e George non hanno dato alcuna informazione utile all’organizzazione, come la città o anche solo la zona della regione in cui vivono Rongyin Yue e Anyang Zhao, se non delle loro fotografie e delle informazioni basilari. Nemmeno ai due Legati di Reshiram e Zekrom hanno dato indicazioni, né su basi segrete in cui sarebbero stati immediatamente accolti, né su dove farsi trovare appena qualche altro Legato fosse venuto a compiere per bene la missione Leggendaria.
Perciò brancoliamo nel buio: siamo ad Austropoli solo perché è, a quanto risulta, la città natale di entrambi, e perché come ultima spiaggia possiamo ricorrere all’anagrafe. Possiamo anche setacciare tutta la metropoli con la mente, come ci ha detto di fare Hei Feng; potremmo dividerci in due gruppi per essere più veloci, anche se né Daniel né Luke hanno questo potere; ma le probabilità di successo sono in ogni caso tanto basse da risultare ridicole. Sono sicura che dopo una mattinata passata a camminare senza un momento di pausa, anche a passo sostenuto, persino Daniel accetterà di passare all’anagrafe, nonostante sembri intenzionato a seguire rigidamente le direttive dalla base segreta del Sentiero Din Don.
Dalla piazza principale ci spostiamo a Via della Moda, senza trovare niente di utile - e limitandoci pure a una ricerca superficiale, già desiderosi di passare a un piano B più semplice da attuare e che dia risultati immediati. Ci ritroviamo a tornare alla strada accanto alla litoranea e ai vari moli di Austropoli: stavolta ci dividiamo davvero, io caricandomi Daniel e Ilenia Luke, controllando ogni molo nella speranza che i due Legati siano abbastanza sentimentali e romantici da aspettare i loro colleghi in riva al mare. Purtroppo scopriamo che non sono per niente sensibili a questo genere di cose, e rientriamo in città.
Il tempo che passa si porta via la mattina; è con facilità che giungiamo alla conclusione, mentre decidiamo dove prendere qualcosa da mangiare mentre camminiamo, di andare davvero all’anagrafe. Ilenia chiede indicazioni ad un passante che ci indirizza verso Via Austropoli, seconda solo a Via della Moda per grandezza, fama e traffico. Si vede che è l’ora di punta: abbiamo scelto un pessimo momento per avventurarci nelle strade più celebri della metropoli e lo riconosciamo anche vedendo la quantità esorbitante di persone che si dirigono all’ufficio anagrafe; perciò aspettiamo, ciondolando per la via, facendo i vaghi osservando le vetrine dei negozi.
«A che ora chiudono gli uffici?» chiedo.
«Immagino nel tardo pomeriggio, come tutti» risponde Ilenia. «Abbiamo parecchio tempo da perdere. Avevo voglia di passare in libreria a dare un’occhiata, ce n’è una poco più avanti…»
Accontentiamo tutti il suo innocente desiderio perché non abbiamo alternative più allettanti: ci infiliamo con difficoltà nella libreria, affollata tanto quanto la via su cui si affaccia, se non di più. Ci separiamo di nuovo nelle coppie di prima: Luke segue Ilenia nel reparto di letteratura fantasy e fantascientifica, anche se sembra molto più interessato alla sezione dei CD; intanto io e Daniel abbiamo notato una parete tappezzata di schermi televisivi che, com’era prevedibile, sono sintonizzati ognuno su un canale diverso, ma sono tutti notiziari che trattano il tema dei Pokémon - di che altro si può parlare altrimenti in questi giorni?
Ci uniamo alle due o tre persone che si sono interessate a questa parte della libreria. Per sentire la televisione, a ogni modello è collegato un paio di cuffie. Sia io che Daniel scegliamo telegiornali da due differenti emittenti di Sinnoh: prima di indossare le mie lancio un’occhiata a lui e lo vedo crucciato fin dai primi momenti di ascolto.
«… appiccato ieri, alle tre del pomeriggio: gli inquirenti sono concordi nel ritenerlo di natura dolosa, ma sono state avanzate ipotesi molto differenti sui responsabili. Qualcuno suggerisce un ennesimo attacco terroristico delle cosiddette Forze del Bene, altri incolpano un gruppo di persone indipendente, che avrebbe agito di sua spontanea volontà; altri ancora si figurano l’esistenza di un’organizzazione estranea sia al Victory Team che alle Forze del Bene. Una dozzina di civili è ferita, tre gravi; i Victory lamentano ventiré morti e trentasei feriti.»
Cambio più volte cuffie, in cerca di un servizio sulle Forze del Bene; trovo qualcosa in un notiziario di Kalos. «Sono state rese note le identità di alcuni dei maggiori esponenti degli antagonisti dei Victory: la maggior parte di questi è però coperta da nomi in codice. Il più misterioso di tutti è Bellocchio, proveniente da Sinnoh, di cui non si conosce né la posizione attuale, né la storia personale, né la provenienza, l’età, il vero nome o qualsiasi altro dato che aiuti ad identificarlo. A Johto si nascondono Hei Feng alias Aaren Zhang e un tale Kaiser, a Kanto due uomini che si fanno chiamare Eisenhower e Winston…»
La presentatrice, impassibile e professionale, continua per un minuto buono a elencare nomi di personaggi che non conosco neanch’io, mentre sullo schermo si susseguono immagini di ognuno dei vertici delle Forze del Bene - quasi mi rincuora il fatto che i Victory non siano riusciti a rendere pubbliche le foto di ognuno dei nostri, segno che non conoscono l’aspetto di tutti: non eravamo gli unici a ignorare le identità di alcuni boss del nemico.
«Sulla lista nera del Victory Team, come se tutti i precedentemente detti non bastassero, compaiono molti altri nomi di individui potenzialmente pericolosi, i cui nomi ci sono stati dati, sembrerebbe, in ordine di importanza…» prosegue la presentatrice dopo aver ripreso fiato, con un tono ed un’espressione ironici, palesemente poco intenzionati a dar retta più di tanto ai Victory. Non riesco a nascondere un sorrisino, che svanisce appena una foto di Daniel si sostituisce a quella dello studio televisivo.
«Daniel Del Monaco, diciassette anni, nato a Porto Alghepoli, Hoenn, il primo novembre del 320.
«Eleonora Russo, sedici anni, nata a Nevepoli, Sinnoh, il sette giugno del 321.
«Oxygen, questo lo pseudonimo del ragazzo nella fotografia, diciotto anni, nato in una città di Hoenn il diciassette marzo del 319.
«George Halder, diciassette anni, nato a Mistralopoli, Unima, il tredici dicembre del 320.
«Camille Leroy, sedici anni, nata in provincia di Romantopoli, Kalos, il ventitré aprile del 321.
«Ilenia Borghesi, diciotto anni, nata ad Aranciopoli, Kanto, il cinque luglio del 319.
«Sara Cantoni, diciassette anni, nata in provincia di Celestopoli, Kanto, il ventisei gennaio del 320. Non mancheremo di farle gli auguri tra una settimana…
«Luke Holloway, sedici anni, nato a Zafferanopoli, Kanto, il diciotto agosto del 321. Affiliato al Victory Team fino all’inverno del 336, è riuscito a fuggire da solo dopo un breve periodo di prigionia. Non si sa se sia riuscito a mettersi in contatto con le Forze del Bene o se sia ancora in uno stato di vagabondaggio solitario.
«Lewis Jewers, sedici anni, nato a Ferrugipoli, Hoenn, il quattordici ottobre del 321.»
I miei occhi storditi, esterrefatti, fissano lo schermo quasi senza riconoscere i volti conosciuti dei miei compagni e il mio. La presentatrice blatera qualcosa riguardo la perplessità generale di chi ha già visto queste foto da qualche parte e ha constatato come questi “individui potenzialmente pericolosi” siano tutti ragazzi, molti dei quali nemmeno maggiorenni, e come, tralasciando una preparazione militare curata dai migliori istruttori delle Forze del Bene, non sembrino avere un’aria particolarmente minacciosa. Tutti i personaggi elencati, tra capi e ragazzi, sono ricercati assolutamente vivi e in buone condizioni di salute: il compenso per chi li - anzi, ci consegnerà nelle mani dei Victory è incredibile, spropositato per gli standard di chiunque.
Nella lista mancavano Rongyin, Anyang, Laura e Hans. Il sollievo di essere in vantaggio, anche solo di poco, sui Victory mi riporta con i piedi per terra: mi tolgo con uno scatto improvviso e brusco le cuffie dalle orecchie, quasi mandandole a sbattere contro uno degli schermi televisivi. Persino Daniel, che è tutto intento a guardare il suo notiziario, si accorge dei miei movimenti a neanche un metro di distanza da lui, e mi lancia un’occhiata interrogativa che io ricambio con una spaurita ed eloquente. Capisce subito che gli devo parlare, ma è quasi a malincuore che abbandona il suo telegiornale. Guardo velocemente lo schermo su cui lui seguiva il programma ma non c’è nessuna nostra foto ad allarmarmi.
«Usciamo? Troppa gente qui dentro, si soffoca.» Lo prendo per mano e anche lui si mette a recitare la parte del ragazzo ad un appuntamento o in un’uscita con una sua amica.
Una volta fuori aspetto qualche secondo prima di abbracciarlo: con questo pretesto, che una volta tanto non mi fa arrossire di piacere e di felicità per essere a stretto contatto con il ragazzo che amo, avvicino la bocca al suo orecchio, fingendo - purtroppo! - di strofinare il naso tra i suoi capelli.
«Hanno mandato le nostre foto in televisione.»
«E quindi? Siamo coperti, e non sarà nemmeno la prima volta che lo fanno.»
«Entro stasera il trucco sarà rovinato, come se adesso non lo fosse già… è meglio passare nelle nostre Forme di Mezzo. Io non avrò un aspetto particolarmente vistoso, dovrò solo rimettere le lenti a contatto…»
«E io e Ilenia, che diventiamo altissimi e abbiamo anche i capelli di colori improponibili?»
«Ilenia si è tagliata i capelli, può andar bene così, almeno per ora. Ma tu e Luke, è meglio che vi trasformiate.»
«Non capisco a cosa possa servire, siamo perfettamente camuffati così e…»
«E-ehi!»
Mi stacco da Daniel e mi volto a guardare, un po’ sorpresa, Luke, che è corso improvvisamente fuori, e guarda prima me e poi l’altro ragazzo, tutto rosso in viso. Daniel borbotta qualcosa che non capisco, dopo aver degnato il Legato di Raikou di una brutta occhiata arrogante, e poi gli dà le spalle mettendosi le mani sui fianchi, fingendo di guardare i passanti e Via Austropoli con aria disinteressata. «Che c’è, Luke?» gli chiedo.
«Cosa stavate… ehm… cosa ho interrotto?»
Immagino sia meglio non domandargli come mai è uscito fuori così di corsa, perché sarebbe notevolmente in imbarazzo nel dover rispondere e stavolta preferisco evitargli questo problema. «Niente. Dopo ti spiego» dico. «Ilenia dov’è?»
«Sta uscendo… credo» aggiunge a bassissima voce quello che forse avrebbe voluto che rimanesse un pensiero.
«Di certo non è lei la ragazza che lo preoccupa» esclama Daniel continuando a guardare, imperterrito, la strada, standosene con le braccia incrociate. Luke si appresta a ricambiare le spalle che il Legato di Dialga gli offre così volentieri, fingendo però di non averlo sentito. Mi rendo conto all’improvviso di ritrovarmi sola, come una scema, tra due maschi in rapporti poco rosei, perciò esco di scena e mi affaccio alla porta della libreria. Non riconosco subito Ilenia a causa del suo nuovo taglio di capelli, ma sta venendo verso l’uscita.
Continuiamo a fare le vasche per tutta la lunga Via Austropoli, fermandoci a guardare senza alcun impegno le vetrine dei negozi, finché non scende la sera: ci riavviciniamo alla nostra meta e andiamo a chiedere a che ora chiuda l’ufficio anagrafe a un signore lì fuori, che sta fumando una sigaretta mentre, forse, aspetta qualcuno. «Alle sei e mezza. Avete ancora un’oretta di tempo.»
«C’è tanta gente dentro?» domando.
«Eh sì. Ma è sempre così a quest’ora, eh. Dovreste venire di mattina.»
«Perché siamo passati anche nel primo pomeriggio credendo di non trovare quasi nessuno, invece c’erano un sacco di persone.»
«Ah, ma è proprio un periodaccio per venire qui, ho visto. Tra i Pokémon e i terroristi…»
«Grazie mille, buona serata» lo interrompo, decisa a non avventurarmi in alcuna conversazione che verta su uno dei due argomenti - men che meno su entrambi, sia perché non ne ho voglia, sia perché non voglio rischiare di tradirmi e di mettere i Victory sulle nostre tracce.
«Altrettanto, altrettanto. Arrivederci.»
Un’occhiata e un cenno della testa di Daniel, che ha avuto modo di confrontarsi con Ilenia e Luke mentre io scambiavo due parole con il signore, mi fanno capire che hanno deciso di entrare adesso: forse è meglio, in effetti, almeno per evitare delle noie con gli uomini della sicurezza che entreranno in servizio alla chiusura degli uffici.
Non ci prendiamo la briga di metterci a fare la fila, e ignoriamo sia le occhiate interrogative che ci si posano addosso al nostro arrivo - chi mai entra in un ufficio strapieno a meno di un’ora dalla fine del servizio? - che le voci agli altoparlanti che, ogni quarto d’ora, ricordano la chiusura imminente. Ci preoccupiamo soltanto di non farci vedere dagli impiegati e dagli inservienti. Nel frattempo rubiamo alcune riviste da un mobiletto e andiamo a sederci dove troviamo miracolosamente dei posti liberi, nascondendo la faccia con i giornali.
A meno di cinque minuti dalla chiusura degli uffici, ci spostiamo dalle sale d’aspetto ai bagni. Daniel mi si accoda subito, come se non volesse - e penso proprio sia così - che sia Luke a venire con me: questa sua preoccupazione mi fa arrossire, ma contemporaneamente mi spingo a far finta di niente e a credere che non ci sia niente di strano. Ma Luke ci tiene a rendersi utile e persino Daniel, che lo ha proprio preso in antipatia, brontola sommessamente che ha avuto una buona idea a disattivare le telecamere, grazie al suo potere del fulmine e dell’elettricità, quando pochissimo dopo è annunciata la chiusura degli uffici: è veramente una questione di mezzo secondo prima che gli altoparlanti esortino tutti i presenti, i pochi che ancora non se ne sono andati, a lasciare l’anagrafe, che riaprirà alle otto e mezza del giorno seguente.
Così possiamo felicemente chiuderci in bagno sicuri che nessuno ci veda andarci a nasconderci: io e Daniel in uno e Luke in un altro, mentre Ilenia si cela in una barriera d’invisibilità creata con il potere della mente: aspettiamo che arrivino gli inservienti e gli addetti alla sicurezza per toglierli di mezzo e poter agire indisturbati.
Un vociare allegro e ad alto volume arriva alle nostre orecchie ancor prima che la porta dei bagni si apra: sono un uomo e una donna, gli addetti alle pulizie. Non vedo Ilenia ma la percepisco muoversi: si rende visibile solo quando l’uno si piazza inconsciamente davanti alla mia porta, per aprirla e pulire come suo solito, e l’altra davanti quella di Luke, inconsapevole allo stesso modo del suo collega. Appena la ragazza fa per imporre le mani su di loro, i due svengono, istantaneamente privati delle loro energie. È stata talmente rapida che non mi aspettavo di sentire il tonfo dei loro corpi caduti a terra così presto.
«Bene» sentenzio uscendo dal bagno, mentre Ilenia va a chiudere la porta, aspettando che si avvicinino anche gli addetti alla sicurezza. «Io mi vorrei trasformare.»
«E con i vestiti come la metti?» ribatte Daniel. «Non sono più della tua taglia quando cresci di venti centimetri.»
«Ma stai zitto, sono larghissimi.» Rientro nel bagno, svestendomi e poggiando i vestiti - che avevo scelto più grandi di una o due taglie apposta - sopra la porta, poi tolgo le lenti a contatto, mettendole nel piccolo contenitore apposito, e la parrucca mora: una volta pronta passo nella Forma di Mezzo, e con difficoltà mi spoglio dell’ingombrante kimono nello spazio angusto del gabinetto.
«Non abbiamo tutto il tempo del mondo, Eleono’, sbrigati» continua a rimproverarmi Daniel.
«Un attimo, un attimo.» So che però ci sto mettendo un sacco di tempo: appena mi ritrovo con il kimono tra le mani, fortunatamente non si presenta il problema di dove poggiarlo, perché si dissolve nel nulla scomparendo in una fiammata arcobaleno. Mi tolgo dalla testa il vistoso affare che mi tiene i capelli legati e scompare allo stesso modo del kimono.  Riprendo i vestiti normali, che ora mi stanno quasi perfettamente - le maniche del maglioncino e le gambe dei pantaloni sono un po’ corte, ma almeno le scarpe vanno ancora bene.
Esco, scavalco serenamente il corpo privo di sensi dell’inserviente panciuto e vado allo specchio a rimettere le lenti a contatto marroni. «Ile, ti va una parrucca?»
«Volentieri, anche se quei capelli hanno un’aria infiammabile» mi risponde Ilenia andando a recuperare la finta chioma scura e indossandola con facilità, ora che non ha più tutti i suoi capelli ricci.
«Ma che dici, hanno fatto un lavorone per farli sembrare veri.»
Anche Luke si è trasformato mentre mi cambiavo: ora viso e capelli non sono più riconducibili a quelli della sua Forma Umana. Ilenia schiude la porta e osserva la situazione all’esterno: è quasi nello stesso momento che si sentono altre due voci, che inizialmente penso siano degli uomini della sicurezza, ma che risultano nuove quando questi ultimi rispondono loro. La Legata di Lugia richiude la porta silenziosamente e annuncia con in viso un’espressione grave e seria: «Sono arrivati alcuni Victory.»
«Per le telecamere, no?» Daniel fa un cenno stizzito verso l’alto.
«Mi sembra di aver sentito così.»
Il ragazzo sbuffa un “Fantastico” e Luke gli risponde candidamente: «Fatti un’idea migliore della mia e torna indietro nel tempo a mettere a posto la situazione, allora.» L’altro lo ignora, io faccio un sorrisetto.
Ilenia guarda di nuovo fuori e qualche momento dopo ci aggiorna: «Gli addetti alla sicurezza sono usciti.»
«Allora andiamo a sistemare i Victory?» domando.
Ilenia sorride. «Perché no?»
Apre la porta e il rumore fa voltare subito le reclute, che girano a volto scoperto. In un istante estraggono delle pistole dalla fondina e sparano colpi a ripetizione; tutte le pallottole si disintegrano contro una barriera psichica eretta da Ilenia. Nel frattempo io, approfittando della difesa, mi concentro al massimo sulle gambe di una delle tre reclute: questione di pochi secondi - dovrei metterci ancora di meno! - e si ritrova con una gamba avvolta dalle fiamme arcobaleno, strillando per il dolore e abbandonando le sue armi. Gli altri due si precipitano ad aiutarlo quando capiscono che stanno sprecando tempo cercando di colpirci; un’improvvisa folata di vento li investe e li sbatte contro il muro più vicino: uno batte forte la testa e sviene, l’altro la schiena.
Daniel si fa avanti e protende un braccio in avanti, con la mano aperta: quando la chiude a pugno, le pistole dei Victory si accartocciano su sé stesse. Luke non vuole perdere il suo turno e invia delle scariche elettriche ai tre ancora coscienti, abbastanza forti perché perdano i sensi come il loro collega già svenuto.
Io e Ilenia andiamo fuori a sistemare gli addetti alla sicurezza, che appena ci vedono impallidiscono, senza però riuscire a far niente, neanche a dare l’allarme. «Ehi, ehi!» li chiama lei. «Qui non è successo niente, e poi oggi non siete nemmeno mai andati a lavorare.»
«Meglio che vi prepariate al licenziamento imminente» aggiungo.
I due annuiscono con un’espressione ebete in volto, poi girano i tacchi e se ne vanno, in balia dei nostri poteri psichici. Daniel ci raggiunge e sbarra la porta con dell’acciaio, prendendolo direttamente dai rivestimenti metallici delle pareti. Poi si volta verso noi due e fa: «I vostri poteri psichici mi inquietano.»
«Spiace anche a me aver fatto perdere il posto di lavoro a quei due, ma…»
«No» mi interrompe. «Quelle cose con il vento e il fuoco.»
Io e Ilenia ci scambiamo un’occhiata e un rapido sorriso d’intesa, poi torniamo ai nostri affari. Nessuno di noi si è stupito del fatto che i Victory siano riusciti a mettere alcuni dei loro a controllare l’anagrafe e i registri di tutti i cittadini. Sono proprio i luoghi in cui conservano questi ultimi che dobbiamo trovare, per raccogliere tutte le informazioni necessarie sui Legati di Reshiram e Zekrom.
Corriamo come pazzi per l’unico corridoio presente, a parte quello piccolo per il bagno, che parte dalla sala con gli sportelli degli uffici e la zona di attesa. Due o tre porte si affacciano su di esso ma, seguendo un sesto senso che pare sia comune a tutti e tre, ci precipitiamo su quella in fondo, sulla parete di fronte a noi - anche perché è l’unica che, accanto a un paio di avvisi “Riservato” e “Accesso limitato al personale autorizzato”, presenta lo stemma del Victory Team in bella mostra. Ilenia si è curata di controllare se ci fosse qualcun altro nelle vicinanze ma sembra che l’anagrafe non sia ancora nelle mani dei Victory. «Sono sicura che tra poco arriveranno, se sono stati assegnati a questo posto a tempo pieno» dice, ansimando per lo sforzo compiuto. «Si metteranno a lavorare quando crederanno che neanche gli inservienti e gli addetti alla sicurezza siano qui. Abbiamo poco tempo.»
«Ci sarà sufficiente» afferma Daniel. Ha scrutato Luke per tutto il tempo e continua a farlo: il Legato di Raikou, con precisione meticolosa, prima di girare ogni angolo ha individuato e disattivato tutte le telecamere nelle vicinanze, cosicché non ci riprendano. E poi, prima di andarcene dagli uffici, dovremo cancellare la memoria delle reclute che abbiamo lasciato svenute in un angolo della sala principale, visto che l’unica alternativa che altrimenti ci rimarrebbe è ucciderle.
«C’è comunque la possibilità che quelle fossero le uniche reclute che lavorano qui, e che nessun altro arriverà prima di domani» dico, sforzandomi di essere ottimista. La sensazione che i Victory si siano infiltrati ovunque, tuttavia, è troppo forte perché riesca ad avere qualche convinzione a riguardo. Gli altri non mi rispondono, segno che dubitano altamente di questa possibilità.
Daniel si fa avanti e rivolge un’ultima occhiata al gruppetto esiguo dietro di lui, poi apre la porta rimodellando le parti in metallo che la tengono serrata. La situazione non cambia di molto: un corridoio non molto lungo si apre davanti ai nostri occhi, stavolta non vuoto: su un lato, fino alla fine di esso, corre una parete di armadietti piuttosto piccoli. Sulla parete opposta ci sono tre porte, tutte, stavolta, con un’indicazione: la prima recita semplicemente “Servizi”, la seconda “Sala computer”, e infine l’ultima, l’unica senza un cartello, sembrerebbe per questo quella che fa al caso nostro. Daniel sblocca di nuovo l’entrata e varchiamo la soglia.
È come essere entrati in una biblioteca di armadietti. Sono molto più alti e spessi di quelli nel corridoio: sono stretti i passaggi tra l’uno e l’altro, il che la dice lunga su quanti ce ne siano in una stanza che, a occhio e croce, sarà delle dimensioni di una sala per gli allenamenti Pokémon nelle basi segrete delle Forze del Bene. Su uno di essi c’è scritto “Registro popolazione - Censimento straordinario anno 338”. Con un pennarello rosso è stato sottolineato “straordinario” ed aggiunto “in corso su ordine di Alaric Ghecis, 17 gennaio”.
«E adesso?» mormora Luke, sconfortato dal numero inimmaginabile di cartelle contenute in ogni armadietto.
«Cerchiamo alle lettere A, Z, R e Y» risponde Daniel, riferendosi alle iniziali di nomi e cognomi dei nostri Legati, Rongyin e Anyang.
Ci dividiamo, uno per ogni lettera: Ilenia e Luke non trovano niente alla Z e alla Y, finendo subito di cercare visti i pochi cognomi, rispetto alle altre due, che cominciano con queste lettere. Luke mi raggiunge alla R, che ha bisogno di almeno due file di armadietti: ci spostiamo subito ai cognomi in Ro-, poi Ron-, e dopo qualche minuto troviamo finalmente la nostra Rongyin. Rubiamo il suo fascicolo e quello dei suoi genitori e richiudiamo l’armadietto grazie al potere dell’acciaio di Luke, secondario a quello del fulmine, che ci ha pure consentito di aprire i vari cassetti.
Andiamo ad aspettare Daniel e Ilenia davanti la porta e ci raggiungono in neanche un minuto, con le cartelle contenenti le informazioni di Anyang e famiglia. Rongyin non ha fratelli e il suo cognome è unico.
Ci precipitiamo di fuori, io e Luke ad aprire la strada a Daniel e Ilenia che si sono caricati tutte le cartelline: il Legato di Dialga riesce a mettere a posto pressoché alla perfezione la porta, che sembra non essere mai stata aperta in modi affatto convenzionali. Lo stesso si può dire per la successiva, che ci riporta al primo corridoio da quello piccolo con gli armadietti.
«Adesso rallentiamo» dice Luke, voltandosi verso gli altri due mentre io osservo il corridoio. «Potrebbe essere arrivato qualcuno.»
«Dobbiamo anche cancellare la memoria delle reclute» ricorda Ilenia a bassa voce, prima che proseguiamo.
Camminiamo silenziosamente, anche piuttosto lenti, come se avvertissimo la presenza di qualcun altro ma non ne fossimo certi. E ad essere sincera con me stessa, devo ammettere - un brivido mi fa quasi trasalire nel pensarlo - che non mi sento per niente tranquilla: spero sia suggestione, ma è una sensazione davvero troppo forte, quella che qualcun altro sia arrivato mentre noi facevamo le nostre ricerche e si sia appostato da qualche parte, aspettando che cadiamo in trappola.
I miei peggiori sospetti trovano conferma quando passo accanto ad una porta, mentre sono a capo della fila, e la trovo socchiusa. Prima mi ero accorta di come tutte fossero bloccate, sicuramente chiuse a chiave. Inspiro profondamente, cercando di calmare i battiti accelerati del cuore, e mi fermo davanti ad essa. Subito arriva la domanda di Daniel: «Che c’è?»
«Prima questa era chiusa» sussurro, portando lentamente una mano alla maniglia. Sento gli occhi di tutti che mi fissano e tiro a indovinare le loro emozioni: scetticismo e diffidenza da parte di Daniel, preoccupazione e timore di Ilenia e Luke. Sposto la mano sulla porta e spingo, mormorando: «Aspettatemi qui, torno subito.»
Nessuno ci tiene a unirsi a me e per qualche ragione sconosciuta sono contenta di poter andare a curiosare da sola, nonostante la paura, come se fossi convinta che dentro la porta si celi qualcosa che voglio vedere solo io. Lascio la porta spalancata e anche gli altri, così, possono vedere l’ennesimo corridoio degli uffici anagrafe. È sconfortante scoprire di essere in una specie di labirinto, con infiniti passaggi e stanze indistinguibili le une dalle altre, ma la sensazione sparisce all’istante quando vedo un movimento a poca distanza da me. Mi dirigo verso di esso a passo deciso ed entro nella porta in cui sembra essere andata la figura di prima, fingendo di non percepire Daniel che, insicuro sul da farsi, ha preferito seguirmi, mantenendosi però abbastanza lontano.
Il mio cuore deve certamente fermarsi, ma nemmeno gli do importanza, appena i miei occhi riconoscono il Victini cromatico che per la prima - e credevo unica - volta incontrai nel boschetto vicino Giubilopoli, dopo l’attacco improvviso del Victory Team all’Accademia. Il Victini mi dà le spalle, ma sembra capire quando sono sicura di non essere in preda ad una sorta di allucinazione, perché in quel momento si gira e mi osserva con i vispi e intelligenti occhioni azzurri. Fa un sorrisetto che scopre i canini lunghi e appuntiti, per poi correre via. Senza rendermi conto della porta che si chiude alle mie spalle e delle imprecazioni e delle grida di Daniel quando si ritrova chiuso fuori, lo seguo. La stanza non conteneva altro che una rampa di scale che porta verso l’alto.
“Non dovremmo essere qui” dice Ho-Oh. Per tutta risposta lo ignoro: l’incontro con Victini mi ha trasportata in una sorta di trance, e il mio unico obbiettivo e pensiero è raggiungerlo. Se c’è lui, c’è anche la bambina, che di giorno in giorno mi sono convinta sia la chiave per capire l’esistenza e i veri scopi del Victory Team - o meglio, di Nike e del suo fratello gemello. Lei è l’anello mancante per trovare le risposte a tutte le domande sui Victory… e forse anche sui Legami e sul perché siano stati creati molto prima dell’inizio del conflitto. Questa sicurezza mi assale all’improvviso e spinge le mie gambe ancor di più, recuperando il terreno perso con la fuga di Victini.
Rischio di scivolare e finire per terra su ogni pianerottolo, mentre il fiato si fa man mano più pesante a forza di correre a rotta di collo per le scale. Non so dove mi stia portando Victini, in quali guai mi stia cacciando: nessuna porta si affaccia sui pianerottoli e questo dovrebbe insospettirmi, ma non mi importa e cerco di non pensare alla stanchezza crescente.
Al quinto o sesto piano, Victini si ferma: io mantengo una certa distanza per evitare che scappi di nuovo, più rapido di prima. Il mio fiato affaticato fa fin troppo rumore nel silenzio di tomba generale: mi guardo intorno velocemente, cercando di capire qualcosa su dove mi trovo, ma subito Victini riprende la sua corsa e mi costringe a seguirlo, ancora senza aver recuperato le energie. La prima porta che vedo da interi minuti si apre senza che lui faccia niente, sicuramente grazie ai suoi poteri psichici: mi affretto ad oltrepassarla e poco ci manca che mi colpisca mentre, il più velocemente possibile, esco.
Mi ritrovo su una terrazza spoglia, scarsamente illuminata, se non da un paio di lampade accanto alla porta e dal pallido chiaro di luna di questa serata limpida. Per questo motivo ci metto un po’ a distinguere le figure, e nonostante credessi di essermi preparata psicologicamente, sono messa a dura prova quando riconosco la cascata di ordinati riccioli biondi, l’orlo di un vestitino bianco e due gambette magre che l’ultima volta avevo a malapena visto, dall’alto per giunta, nascosta tra le fronte di un pioppo del percorso 203. Il vento che mi aveva investita appena messo piede all’esterno si è acquietato, come per magia, quando i miei occhi hanno individuato “Vì”, e la corrente sospinge con inaudita dolcezza la chioma lucente e il suo abito.
Victini le si affianca e lei, senza girarsi, lo prende in braccio: negli stessi secondi mi avvicino, esitante, cercando di non far rumore quando i miei piedi toccano il terreno. Mi fermo dopo poco, a metà strada tra lei, che si trova pericolosamente vicina al cornicione del palazzo, e la porta. Non so cosa fare, non ho il coraggio di dirle niente, anche se credo stia a me parlare per prima… sempre che ci sia bisogno di scambiare qualche parola.
«No
È l’unica cosa che mi esce di bocca, uno strillo acuto, quando la bambina sale senza preavviso sul cornicione e, senza vacillare sulle sue intenzioni, muove un passo nel vuoto e si lascia precipitare. Il mio scatto fulmineo è del tutto inutile: metto le mani avanti e mi appoggio sul cornicione per evitare di andarci a sbattere, sporgendomi quanto basta per notare che della bionda ragazzina non c’è più traccia. Respiro pesantemente, scandalizzata e svuotata di ogni certezza.
Una domanda si affaccia alla mia mente confusa: era un’illusione? Possibile che sia stata preda di una sorta di allucinazione, dopo settimane passate a ripensare a quell’assurdo incontro nel bosco del percorso 203 a Sinnoh? Eppure era tutto così reale: le mie sensazioni, il sorrisetto astuto del Victini cromatico, il vento che muoveva i capelli e il vestito di “Vì”… e ancor prima la porta che si chiudeva all’improvviso alle mie spalle, separandomi così da Daniel. Non so se sono stata ingannata dalla mia immaginazione o da “Vì” stessa.
Potrei continuare a studiare Via Austropoli sotto di me, affollata dalla marea umana e da quella dei mezzi di trasporto, entrambe caratteristiche dell’orario di rientro a casa, mentre mi chiedo senza avere successo che fine possa aver fatto la ragazzina: ma il rumore della porta sulla terrazza che si apre mi riporta al mondo reale. Mi aspetto di vedere Daniel e gli altri che mi hanno finalmente raggiunta, ma il sangue nelle mie vene si ghiaccia quando mi ritrovo a fronteggiare nient’altri che un ghignante Ghecis, seguito dal fedelissimo Trio Oscuro.
Un istinto primitivo cancella ogni traccia di paura e sconvolgimento, tendendo i miei nervi e mettendomi sull’attenti, pronta a scattare come una molla al primo cenno minaccioso da parte dei nemici.
«Sorpresa di vederci, signorina fenice?» mi apostrofa il Generale, ridacchiando come un pazzo - non che la sua sanità mentale sia integra, da quel che so. «Tu e i tuoi amici puzzate di Legame in modo atroce. Ma è proprio strano che tu sia da sola, nemmeno io mi aspettavo di trovarti qui. Dove hai lasciato i tuoi compari?»
«Sono io a chiedere cosa ne avete fatto.»
«E chi li ha visti!» ride Ghecis, cominciando ad avanzare, imitato istantaneamente dai tre uomini alle sue spalle. «Siamo venuti qui e abbiamo trovato solo te. Mi stai dicendo che non abbiamo cercato con sufficiente cura?»
A malapena l’ho ascoltato mentre parlava: mi sono concentrata al massimo sulle sagome nere del Trio Oscuro, quasi mimetizzate con l’oscurità sempre maggiore. Ghecis sgrana gli occhi chiari e si blocca quando sente tre urli di dolore provenire da dietro di lui, e prima ancora di voltarsi balza in avanti appena percepisce il calore del fuoco scoppiato all’improvviso: le fiamme si sono materializzate addosso ai membri del Trio senza che lui o loro stessi sospettassero nulla. Aver colto alla sprovvista il Generale, però, non è abbastanza per farmi sentire al sicuro e per cantare vittoria: quando Ghecis si concentra di nuovo su di me, con in volto un’espressione spaventosa, gelida, che non credevo fosse in grado di esibire, scaglio un pugno verso di lui da cui si sprigiona una forte corrente d’aria. Gli uomini del Trio Oscuro rovinano a terra, dibattendosi come insetti tra le fiamme; lui si inginocchia, ancorandosi in qualche modo al terreno, scrutandomi con gli occhi minacciosi e improvvisamente pieni di odio.
Un momento dopo, un raggio rosso parte dalla sua figura: è una Poké Ball che si apre, quella di un Hydreigon. La bestia ruggisce e sfoga la rabbia sua e del suo padrone con un velocissimo Neropulsar, da cui mi difendo a malapena con una barriera psichica. Questa si rompe appena l’onda di energia oscura si infrange su di essa, come il mare agitato su uno scoglio, e Hydreigon, avvicinatosi, riparte alla carica con un Lanciafiamme. Mi scosto ma non abbastanza velocemente, e le fiamme mi lambiscono un fianco, bruciacchiandomi i vestiti e strappandomi un grido di lamento e sorpresa per la scottatura. Rialzo lo sguardo sul mio avversario Pokémon e mi evito una seconda fiammata color sangue, che probabilmente mi avrebbe causato un’ustione, con un gesto secco della mano, deviando la direzione del fuoco.
«Lui ti sembra un avversario alla tua portata?» esclama Ghecis. «Non mi sei sembrata contenta dei miei uomini, li hai cacciati subito dal campo di battaglia. Spero che almeno lui riesca a intrattenerti!»
Al Dragopulsar di Hydreigon rispondo con una vampata di fiamme arcobaleno che neutralizzano l’attacco e arrivano a ferire il Pokémon, che normalmente non potrebbe competere con un essere umano con i poteri di un Leggendario. Ma questa sicurezza non mi porta a sottovalutare il mio nemico, anzi: i suoi colpi sono estremamente forti, di sicuro molto più dei Pokémon della sua stessa specie.
Nel frattempo Aramis si è liberato da solo dalla sua Ball: cerco di trattenerlo ma, senza degnarmi di uno sguardo, si lancia contro Hydreigon, scarta di lato evitando un suo Neropulsar e lo attacca con Zuffa, facendolo svenire sul colpo. Ghecis sbuffa e con uno scatto fulmineo prende quella che sembra essere una pistola, ma non è altrettanto svelto a sparare: scaglio un altro pugno, dal basso verso l’alto come un montante, e una forte raffica gli fa mollare la presa sulla pistola, a cui un momento dopo do fuoco.
«Non mi avevano detto che eri così brava. Non ho mai davvero avuto l’onore di combattere faccia a faccia con un Legato… per di più, con la ricercata numero due dei signorini!»
Non so perché, ma l’uomo ha ripreso a sorridere. Io lo osservo con sospetto, le sopracciglia aggrottate e la vista il più possibile affilata, per cogliere un qualsiasi movimento da parte sua, ma sembra essersi calmato. Avrà capito di essere in svantaggio e cercherà di fuggire, nel frattempo cercherà di distrarmi con qualche chiacchiera.
“Dovrei ucciderlo, ora che ne ho la possibilità” dico a Ho-Oh.
“Non puoi.”
“Perché?!” Si ripresenta la situazione vista più volte in passato: Raikou impedì a Luke di assassinare Giovanni quando poteva benissimo farlo, Xerneas non concesse a Camille di vendicarsi di quel che Elisio aveva fatto a lei e alla sua famiglia, Ho-Oh non mi lasciò uccidere Cyrus… e ora vuole fare lo stesso con Ghecis. Senza darmi una risposta, tra l’altro: non mi spiega perché non possa farlo. È proprio questo che accresce in me il desiderio estraneo, ma improvvisamente e inaspettatamente piacevole, di ammazzare uno dei nemici più importati e pericolosi.
«La ricercata numero due» ripeto. «Il numero uno è il Legato di Dialga.»
«Esattamente! Mi sarei preparato meglio allo scontro, se avessi saputo che te la cavi così bene con il tuo Legame. Meno in fretta, sai… ehi, cosa guardi?»
I miei occhi si sono spostati da Ghecis al di sopra di lui, al soffitto della scatola di cemento sulla terrazza da cui, attraverso la porta, sono uscita. Persino nell’oscurità ho colto un movimento con la coda dell’occhio, e ora riesco a vedere “Vì”, leggermente illuminata da una luce che non dovrebbe esserci. Spalanco le palpebre, basita, e i miei occhi cercano i suoi. Sono vitrei, privi di emozioni, di una fiamma di vita, ciechi per l’assenza di una qualsiasi sensazione: non so se stia ricambiando il mio sguardo o se stia osservando grosso modo la zona in cui mi trovo, o anche studiando l’intera scena tra me e Ghecis.
Il Generale, però, ha perso ogni significato: inizio a correre verso di lei, pronta a saltare aiutandomi con il potere dell’aria, dimenticando totalmente l’esistenza del nemico e di Ho-Oh, che invano ha gridato nella mia mente, svuotata di ogni pensiero, ordinandomi di fermarmi.
Ghecis approfitta di questo momento di confusione - o forse “Vì” era solo un’esca - per chiamare un altro Pokémon in aiuto, visto che i suoi uomini sono stati ustionati dalle fiamme arcobaleno: un Bisharp quasi non fa in tempo a materializzarsi dal luminoso raggio rosso che lancia un Nottesferza in mia direzione. Aramis tenta di intercettarlo con una mossa uguale, ma inutilmente: la scena si svolge davanti ai miei occhi come a rallentatore e, disorientata dall’improvvisa gran quantità di movimenti che mi ha distratta dall’apparizione della bambina, non ho avuto il tempo di capire cosa fare.
Il dolore sopraggiunge solo quando realizzo che mi è stato inferto un taglio profondo quasi fino all’osso sulla parte esterna dell’avambraccio. Lo strillo smorzato lanciato prima per la scottatura è un lieve sospiro in confronto all’urlo che mi toglie tutto il fiato dai polmoni e mi graffia le corde vocali. Il sangue sgorga a fiotti e ben presto arrivano le lacrime a gareggiarci, mentre esso inzuppa le maniche strappate dei miei vestiti. Mi piego su me stessa portando una mano alla ferita e nascondendo il braccio, come a volerlo difendere da altri attacchi; rialzo la testa quando sento un tonfo e vedo Aramis a terra dopo un colpo di Bisharp, ma evita subito il successivo e lo manda al tappeto come aveva fatto con Hydreigon, usando Zuffa.
Alzo ancora un po’ lo sguardo e vedo che “Vì” è sparita - o almeno credo, data la vista annebbiata e la mente confusa, rivolta soltanto al dolore e alla sensazione del sangue sulla mia pelle. Aramis indietreggia mentre Ghecis avanza in mia direzione, stavolta ghignando. «E adesso, signorina fenice? Sembra che le tue condizioni non siano più granché! Ma non temere, ti porterò a fare la conoscenza di qualcuno che ti farà sentire come nuova!»
Non fa in tempo a terminare la frase che una pista di fiamme arcobaleno parte dai miei piedi e raggiunge i suoi: balza indietro evitando i danni peggiori, ma le sue scarpe sono ugualmente fumanti. Non sono stata io, ma Ho-Oh, che è uscito dalla forma materiale del Legame: un filo di fuoco è partito dal frammento di prisma ed è cresciuto nell’aria, mentre le fiamme sgargianti si spostavano dietro di me e acquistavano una forma più definita. Un paio di braccia e mani umane mi cingono dolcemente le spalle e nel frattempo Aramis sparisce, sempre trasformandosi in un fuoco arcobaleno che si estingue nel nulla, ma tornando nella sua Poké Ball.
Ghecis non guarda più me con i suoi occhi sgranati e terrorizzati, ma oltre. So già di cosa - anzi, di chi si tratta, però non faccio in tempo a girare la testa per trovare una conferma: non ho nemmeno la forza di farlo, mi sembra di svenire. E vorrei davvero perdere i sensi, almeno per non provare più dolore, ma è proprio questo a tenermi con la mente nel mondo reale e con i piedi per terra, a cercare di frenare il flusso di sangue da quella che, credo, è la più grave ferita che mi sia mai procurata.
Ghecis si cruccia e fa per dire qualcosa, non so se a me o al corpo umano di Ho-Oh; sono già in un vortice di tutti i colori dell’arcobaleno, diretta in un luogo sicuro scelto dal Leggendario.

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Capitolo 15
*** XIV - Il labile confine tra umano e leggenda ***


XIV
Il labile confine tra umano e leggenda

Le immagini prima del vortice pieno di colori brillanti e poi di un percorso fiocamente illuminato si susseguono rapidamente davanti i miei occhi lacrimosi, ma la mia mente non reagisce a quel che vedono. È solo alla ferita che bada: potrebbe accadere qualsiasi cosa nei dintorni e non mi farebbe rendere conto di alcunché. Il contrasto tra il portale terribilmente sgargiante e il buio di ora intensifica per alcuni istanti il flusso delle lacrime.
Mi mordo il labbro inferiore tentando di soffocare gemiti o strilli di lamento, ma non ci riesco e mi sfuggono inevitabilmente degli imbarazzanti mugolii. La mano del braccio sano continua a fare pressione vicino alla ferita, stringendo l’avambraccio. Nella luce debole emessa da alcuni lampioni, la mia pelle sembra ancora più bianca e il sangue totalmente nero. Le gambe non mi reggono più e cado in ginocchio: finirei completamente per terra se non fossi sorretta all’ultimo da qualcuno alle mie spalle. Si sposta lateralmente, continuando a sostenermi, ma io ancora sono troppo concentrata sulla ferita per realizzare appieno cosa succeda. Senza dire una parola mi prende il braccio, e nel mentre riconosco lentamente la larga manica di un kimono.
Una delle sue grandi mani passa sul taglio profondo, sfiorandolo, poi ci ritorna e accende una fiamma chiara e luminosa, che a parte trasmettermi un po’ di calore non mi fa niente a contatto con la cute. Niente di male, perché quando si spegne e la mano si sposta, del taglio non c’è più traccia, e ancor prima se n’è andato via il dolore, tutto insieme, d’un tratto. Sulle prime sono ancora convinta di essere ferita e tengo gli occhi strizzati per non vedere il taglio orribile, ma li apro e noto di essere guarita quando una sua mano, probabilmente la stessa che mi ha risanato il braccio, si infila tra i miei capelli e mi accarezza delicatamente la nuca. È un tocco rassicurante e familiare, anche se è la prima volta che lo sento. L’altra mano tiene una delle mie con la stessa dolcezza con cui la prima mi carezza, mentre la sua testa è appoggiata alla mia, tempia contro tempia.
Rialzo lo sguardo, ancora lacrimante anche se non c’è più ragione di esserlo, e anche lui solleva un po’ la testa per farsi vedere meglio. Ho-Oh come umano è un uomo bellissimo, e non mi aspettavo niente di diverso. Si vede abbastanza bene anche nella poca luce: i capelli biondi e ricci, i lineamenti regolari del viso dalla carnagione diafana, la bella forma degli occhi, truccati di nero quasi quanto lo sono i miei.
Studio per qualche altro secondo il mio braccio rimesso a nuovo - i vestiti sono ancora strappati, ma non importa. Tutto è stato pulito del sangue che era sgorgato copiosamente. La pelle deve essere ancora più pallida di quanto dovrebbe, ma il conforto di non essere più in gravi condizioni mi sta riscaldando e tranquillizzando. Dopo un po’ non ce la faccio più e poso di nuovo i miei occhi sull’aspetto umano del mio Leggendario. Inizialmente Ho-Oh guarda altrove, dall’altra parte di un percorso desolato in terra battuta, poi cede al mio sguardo ammirato e stralunato allo stesso tempo, ricambiandolo con uno molto serio, come c’era da aspettarsi.
Persino nella semioscurità i suoi occhi hanno una nota malinconica, triste e amara, visibilissima anche ora che è quasi del tutto buio. Forse è questo a renderli così magnetici e affascinanti. Mi chiedo se il Leggendario si presenti anche sotto altri aspetti, sempre umani, o se si sia sempre trasformato in questo modo; e a questo punto mi domando anche se i suoi occhi abbiano sempre avuto questa espressione quasi nostalgica.
Interrompe di nuovo il contatto visivo, come se in questa forma fosse più insicuro e a disagio e non volesse guardare nessuno né essere guardato. Seguo la direzione della sua occhiata e arrivo dall’altra parte di un ampio sentiero, un percorso circondato da boschi. È quasi scomparsa la luce proveniente dall’orizzonte. Ci troviamo in un punto troppo anonimo perché possa ricondurlo a un qualche luogo conosciuto.
«Se stai meglio, rimettiamoci in piedi e raggiungiamo gli altri.» Sussurra: non avrei compreso le sue parole se non ci circondasse uno dei silenzi più intensi che le mie orecchie abbiano mai sentito - sempre che si possa udire il silenzio. Sono tentata di chiedergli perché si comporti così, perché sia così schivo ed insicuro tutto d’un tratto, ma lascio perdere e gli rispondo nel modo più semplice possibile. Sono certa, ad ogni modo, che percepisca i miei dubbi e che li fugherà quando o se vorrà farlo.
«Va bene.»
Sono troppo sicura delle mie gambe quando mi alzo in piedi, e inaspettatamente per me barcollo e perdo l’equilibrio. Ho-Oh, tempestivo, scatta a sorreggermi appena le mie ginocchia accennano a cedere, cingendomi con un braccio e tenendo la mano sul mio fianco. Arrivo praticamente ad aggrapparmi a lui, per la sorpresa e per paura di cadere di nuovo, e seguo i passi dell’uomo, lenti e brevi in modo tale che possa imitarlo senza difficoltà finché non sono davvero pronta a camminare per conto mio. Attraversiamo la strada desolata e ci inoltriamo nella vegetazione, spogliata dall’inverno; Ho-Oh non si disturba ad accendere fiammelle per fare luce, in qualche modo saprà dove mette i piedi e dove stiamo andando. Soltanto la luna piena rischiara il cammino, quel poco che basta per distinguere gli alberi dall’oscurità, per vedere un vago bagliore biondo provenire dai folti capelli leggermente ricciuti di Ho-Oh e notare come i suoi occhi siano di un rosso molto intenso, color sangue a causa della penombra.
Faccio di tutto per evitare di inciampare, non osando chiedergli - nemmeno io so spiegarmi il motivo - di illuminare un po’ la via con il suo fuoco colorato, ma dopo poco trovo comunque un modo per porre fine al silenzio. «Come fai a sapere dove siamo diretti, Ho-Oh?»
«Sento Raikou e Dialga. E ci ho scambiato due parole» aggiunge. La sua voce profonda e virile è un po’ più alta ora, quanto basta per cercare di farmi credere che non ci sia niente a turbarlo. Questo pensiero però mi assilla comunque, e lui deve essere così infastidito nel percepirlo che improvvisamente si ferma. Smette di sorreggermi e si passa entrambe le mani sul viso, sospirando rumorosamente, mentre io lo guardo con anche troppa attenzione, cercando inutilmente di capire cosa gli passi per la testa. «Non mi piace farmi vedere in questa forma.»
«Mentire non rientra nelle tue più grandi abilità, credo di avertelo pure già detto» ribatto, ma anch’io a voce piuttosto bassa. «Eri umano pure quando sono arrivata sulla Torre Campana a prendere la forma materiale del Legame, e dubito che tu abbia avuto qualche motivo di farlo, se non per farti vedere così. Non so perché e non so se me lo dirai, ma penso sia stata una decisione semplice e priva di una storia alle sue spalle. Non avevi motivo neanche di farti vedere da me in questo stato.»
«Volevo rassicurarti prima di presentarmi nel mio vero aspetto. La tua agitazione si percepiva da quando hai messo piede nel Sentiero Din Don, all’ultimo piano stava diventando quasi insopportabile.”
“Sarà» mormoro, dubbiosa, «ma io credo che sia un pretesto. Hai voluto farti vedere così e basta. Anzi, non hai voluto farti vedere: hai voluto passare un po’ di tempo in forma umana.»
I miei occhi sono incollati al profilo del suo viso. Alza la testa, inspirando profondamente, e il chiaro di luna sembra concentrarsi tutto su di lui: mette in risalto le lunghe ciglia bionde che fanno contrasto con il nero del trucco, la linea del naso con una leggerissima gobba che gli dà un’aria più austera e importante, le labbra chiare appena schiuse, le ciocche bionde che ricadono sulla sua fronte. Quando abbassa il capo e lo gira a ricambiare il mio sguardo, la luce lunare pare arretrare, tornando alla sua normale intensità. Ci scambiamo una lunga occhiata; io sono ipnotizzata, ma riesco a mantenere un’espressione piuttosto seria. Sicuramente non tanto quanto la sua, composta e autorevole: non sarà bravo a mentire ma riesce a non tradire alcuna emozione quando lo fa. Si riesce a capire che non dice la verità solo se si ha un rapporto abbastanza stretto e se si conosce ciò di cui si parla con lui, andando a cercare le contraddizioni nei suoi discorsi.
Improvvisamente Ho-Oh curva un angolo della bocca e sfoggia un sorrisetto beffardo, capovolgendo l’espressione dello sguardo, che lo fa sembrare un ragazzino, anziché un uomo sui trent’anni. «Forse non è vero che non mi piace apparire così. D’altronde riesco a fare un sacco di conquiste con questo aspetto. Secondo te sono bellissimo o sono bellissimo?»
«Sei bellissimo» fingo di rispondere seriamente alla sua «domanda», «e immagino tu sia un amante molto ricercato, ma tornando a noi…»
«Non torniamo proprio a niente, tesoro mio» mi interrompe. Arrossisco violentemente quando mi afferra un braccio e mi trae a sé, e le sue pupille incontrano le mie. Inizio a chiedermi, sempre più imbarazzata e in ansia, per quanto tempo mi toccherà rimanere così e temere le intenzioni di un Leggendario più umano e più pervertito del previsto. Lui aspetta un secondo in più del necessario, durante il quale spingo a forza l’aria nei polmoni e cerco qualcosa da dire che non sia eccessivamente stupido e confuso; poi molla la presa, gongolando e ridacchiando per qualche ragione che solo lui sa.
«Ti diverti tanto così, eh?! Se scopro che sei un porco con lei ali annullo il Legame!»
«Voglio proprio vederti a provarci» cinguetta lui, per niente preoccupato dall’eventualità che il Legame venga spezzato. È una situazione scherzosa - imbarazzantissima, però scherzosa - ma quella di un Legame che viene annullato è una questione serissima. Le probabilità che sia un maiale sono comunque abbastanza alte.
Riprende a camminare come se niente fosse, e io gli vado dietro un po’ titubante, accendendo una fiammella che faccia luce per alcuni passi intorno a me, avendo già rischiato di finire lunga per terra un paio di volte da quando non sono più aggrappata a Ho-Oh. I suoi scherzi mi hanno distratta e sono ancora piuttosto preoccupata dalle sue abitudini, ma le domande sul suo conto iniziano a riaffiorare nella mia mente. Non è bastato così poco per rimuovere dalla mia testa l’immagine fissa dei suoi occhi malinconici, e non mi sono scordata di quando ha detto di aver sentito Raikou e Dialga, senza neanche aver cercato di nascondere di essere tremendamente distante da Lugia. Non dimentico che ha qualche motivo per cui essere così imbronciato e impensierito per la maggior parte del tempo: la ragione, com’era manifesto fin dall’inizio, non è certo che si sente a disagio sotto forma di essere umano. L’ha ammesso lui stesso e poi ha completamente cambiato discorso.
Mi sforzo di mettermi l’anima in pace, sperando però che prima o poi il Leggendario smetterà di tenere tanti segreti e si aprirà con me… Non in quel senso, dannazione! Sarà tutta colpa sua se la mia immaginazione si orienterà verso determinate direzioni…
Rialzo gli occhi dal terreno, ancora un po’ rossa in viso per gli ultimi pensieri che mi sono corsi per la testa. Ho-Oh mi precede di qualche passo: una gonna dorata a pieghe, uguale alla mia ma lunga oltre le caviglie, fruscia al comando di un vento leggero. Anche la corrente sembra rispettare la presenza imperiosa e importante del Leggendario. Sopra la gonna del kimono indossa una sorta di mantello rosso, un po’ più corto di essa, con fasce bianche a decorazioni cremisi sulle larghe maniche, e rifiniture dorate sull’orlo inferiore. Sulla schiena ha un complesso disegno d’oro che unisce simboli e immagini stilizzate ancora privi di significato per me.
«Ti piace il mio vestito, cara?»
«È un po’ pacchiano.»
«Sei proprio priva di buongusto! Mi auguro che il possesso del Legame ti migliori da questo punto di vista, nel tempo» risponde, fingendosi offeso nel profondo.
«Il mio è più bello» ridacchio mio malgrado. Stavolta si gira e fa una smorfia di disappunto, poi se ne esce con una linguaccia che mi fa ridere di nuovo. Lui sorride, riacquistando una nota malinconica nella sua espressione, ma faccio finta di niente e gli corro appresso, recuperando i metri che ci separavano.
«Dove siamo di preciso?» gli chiedo.
«Non lo so. A Unima.»
«Ma che?! Sei serio? Come fai a non sapere dove siamo, sei stato tu a teletrasportarci qui!»
«Mi sono spostato dove percepivo gli altri Leggendari. Niente di più» dice serenamente. Io sbuffo e allora lui prosegue: «Che c’è, non ti fidi? Siamo quasi arrivati, sta’ buona. Ma prima che tu ti veda con gli altri, tornerò nella forma materiale del Legame.»
«E perché?»
«Sono un timidone!»
«Ma smettila, sei un cretino!» esclamo. La mia voce si propaga per tutto il bosco nudo e una leggera eco torna da noi, portando con sé la mia voce dal tono esasperato.
Ho-Oh, facendo finta di nulla, mi sorride di nuovo. Guarda davanti a sé e dopo qualche passo si ferma. «Sono praticamente lì, puoi proseguire da sola. Ci vediamo presto, forse.»
«Non mi hai detto perché non ti vuoi fare vedere così!»
La mia protesta rimane ovviamente inascoltata: Ho-Oh si trasforma in una grande fiammata arcobaleno, le cui dimensioni si riducono velocemente, finché non è abbastanza piccola da potersi fondere con il prisma della collana con la stella nera a sette punte, la forma materiale del mio Legame. Tanto non mi avrebbe risposto comunque, neanche se non fosse stato occupato a uscire di scena, come al solito in modo scenografico - anche se ormai per me è un po’ prevedibile veder trasformare cose, persone e Pokémon in fuoco dei colori dell’arcobaleno: se accadesse all’improvviso nelle immediate vicinanze, neanche me ne stupirei.
Stavolta cerco di non darmela per vinta: mentre cammino provo a contattare Ho-Oh cercando spiegazioni, nella speranza che, ora che non è più faccia a faccia con me, sia più disponibile a farmi sapere almeno qualcosa delle sue innumerevoli preoccupazioni, a parlare del perché il suo viso esprima una malinconia così grande, che trova tanto necessario nascondere con una maschera provocante e con degli scherzi da ragazzo, non da uomo, come invece lui si manifesta. Ma è tutto inutile: la fenice si è chiusa in sé stessa e non ha alcuna intenzione, a quanto sembra, di lasciare che io la disturbi con le mie domande. Non mi sembra di essere particolarmente assillante, tanto da arrivare ad escludermi e ad evitare ogni tentativo di conversazione. Mica è colpa mia se siamo mentalmente collegati e lui riesce a vedere ogni mio pensiero, ogni dubbio sui suoi comportamenti e sul suo passato, e se questo lo mette a disagio.
Ma perché mai dovrebbe vergognarsi della sua Legata, peraltro una ragazza che conosce molto poco il mondo, dato che ha passato alcuni degli anni più importanti della crescita in luoghi come la fantomatica Accademia e le claustrofobiche basi segrete delle Forze del Bene? Può essere davvero preoccupato dalle mie impressioni su di lui, può temere che io lo giudichi? Non capisco proprio perché si comporti così. Da dove nascono la paura di parlarmi con chiarezza e il bisogno di farmi tanti misteri, di aggirare l’ostacolo della mia curiosità, che penso sia del tutto lecita? Perché si chiude in sé stesso e non mi racconta di cosa è successo in passato, che l’ha portato a cercare un Legato? Cosa sta succedendo con Lugia, la sua controparte, e anche con Raikou che cerca di disobbedire?
Cerco di scacciare tutte queste domande che non troveranno risposta prima di molto tempo, temo; ma continuano ostinatamente a ronzarmi in testa, premendo perché io trovi una risposta che le soddisfi. E ne arrivano altre: perché non si fa vedere nella sua forma umana dagli altri Legati? Di nuovo, di cosa può vergognarsi con dei ragazzi che per la maggior parte trafficano con i Legami da pochi mesi a questa parte?
Mi chiedo se Helenos sarebbe in grado di darmi una risposta, lui che si vanta di essere così a stretto contatto con Ho-Oh tanto da poterne praticamente leggere emozioni ed intenzioni, e di agire di conseguenza su suo volere. Forse sì, saprebbe dirmi qualcosa in più su cosa è successo in passato che ha portato il Leggendario a questo strano stato, a comportarsi in modo contraddittorio, a spegnere una vivida scintilla di passione e vitalità nei suoi occhi rossi - così immagino - per lasciarne una in punto di morte, minuscola, che però mostra una grande malinconia. Ma tanto non mi direbbe niente, perché stando a quanto dice lo stesso Ho-Oh è un efferato misogino e non si fida né di me, né di qualsiasi altra donna; e io sono troppo orgogliosa e offesa per andare a chiedere aiuto a un soggetto del genere. Mi rassicuro dicendomi che presto sarà disposto a confidarmi qualcosa, meno restio, meno timido... forse non scherzava quando ha detto di essere un timidone, l’ha solo detto a sproposito, in un contesto differente da quello in cui probabilmente si vergogna davvero di qualcosa. Con me, poi! Più ci penso e più non capisco perché faccia così, un Leggendario vecchio come lui.
“Vecchio a chi?”
Alzo gli occhi al cielo nel sentirlo di nuovo, sempre poco serio: percepisco chiaramente che scomparirebbe, rapido come non mai, se gli chiedessi un’altra volta di parlare con chiarezza. Perciò mi ritrovo a dirgli, senza avere altre possibilità, d’altronde: «Ma statti zitto, va’.» Come se normalmente non se ne stesse già abbastanza in silenzio, aggiungo nella mia testa… non so se facendomi sentire o no da Ho-Oh, ma lui segue il mio ordine e torna nel suo angolino, nascosto da qualche parte nella forma materiale del Legame.
Quando vedo qualcuno profilarsi all’orizzonte, torno con i piedi per terra: vengo distratta del tutto dai miei dubbi appena le mie orecchie colgono le prime parole di un dialogo a voce non troppo bassa, tra un ragazzo e una ragazza. Saranno Daniel e Ilenia a chiacchierare, mentre Luke se ne starà in disparte come suo solito. Sorrido ripensando alle tensioni tra lui e il Legato di Dialga: non c’è niente di divertente in questo, anzi, non è una bella situazione quella tra i maschi del nostro gruppetto, ma per ora posso soltanto non prenderla troppo sul serio.
Le mie sopracciglia si crucciano non appena mi rendo conto, abbastanza presto in realtà, che ci sono soltanto due persone e che non sono affatto Daniel, Ilenia o Luke, ma dei perfetti sconosciuti che aspettano ad una fermata dell’autobus fuori da qualsiasi città. Tento di parlare a Ho-Oh, che aveva detto di avermi portata sulle tracce dei membri del mio gruppo: non può essersi sbagliato, i suoi poteri psichici sono molto sviluppati, anche se non al pari del fuoco e dell’aria, e non può aver mancato il bersaglio con il teletrasporto. Ovviamente lui non si fa sentire: sbuffo rumorosamente e decido che questo sarà l’ultimo forte rumore che emetto prima di capire dove sono e chi ho di fronte. Cammino in modo più silenzioso, con passo felpato - sono favorita anche dal sottobosco imbiancato di neve, e cerco di passare accanto agli alberi carichi della stessa per improvvisare, se necessario, un nascondiglio. Non c’è più un filo di vento, ora: la serata fredda è perfettamente calma e piatta.
Sono costretta ad avvicinarmi molto per vedere con chi ho a che fare, e sono già uscita allo scoperto prima ancora di capire chi sono i due ragazzi, che nel frattempo si sono accorti che qualcuno è uscito dal bosco del tutto spoglio. Cercando di fare la vaga, vado alla fermata dell’autobus anche io, tenendo le mani in tasca e parte del viso nascosta dalla sciarpa.
Ma spalanco le palpebre e smetto di “nascondermi” appena riconosco i ragazzi davanti ai miei occhi come Rongyin e Anyang, i Legati rispettivamente di Reshiram e Zekrom. Lui, che sembra insospettito, corruga ancora di più le sopracciglia poco folte quando si vede fissato da una perfetta sconosciuta, che pare sia faccia a faccia con un fantasma e non con un normale ragazzo - normale solo all’apparenza. Tuttavia riesco a riprendermi, anche se la mia espressione basita non muta, e attivo i miei poteri psichici per confermare che i due siano i Legati che stavamo cercando dandoci tanta pena. Ritrovo davvero un contegno solo quando le loro aure si mostrano come quelle dei contraenti di Reshiram e Zekrom: la prima, quella di Rongyin, è nera con un cerchio bianco al centro, invece quella di Anyang è l’esatto contrario. Buffo, visto che il Leggendario di lei è tutto bianco e quello di lui interamente nero.
Nel frattempo Rongyin, con un sorrisetto alla Daniel - ovvero di scherno - sul viso tondo e pallido, mi si rivolge con tono altrettanto beffardo, forse intuendo che c’è qualcosa sotto la mia espressione sconvolta di poco fa: «Ha bisogno di qualcosa?»
«Aspetto l’autobus. Come voi, immagino.»
Il viso di Anyang dice chiaramente “e mi spieghi così la faccia di prima?”, ma resta in silenzio; Rongyin risponde: «Qui non passa nessun autobus. La stazione è fuori servizio da anni.»
«E allora che ci fate qui?»
«Potrei chiederle la stessa cosa.»
«Dammi pure del tu, Rongyin.»
Lei inarca le sopracciglia, continuando ad esibire lo stesso il sorrisetto, così come Anyang si ostina a stare zitto e a tenere le sopracciglia corrugate. Lei mi tende la mano. «Con chi ho il piacere di fare la conoscenza?»
«Con la Legata di Ho-Oh. Mi chiamo Eleonora» mi presento, cominciando a sorridere anch’io e ricambiando la stretta di mano: mi comunica simpatia fin da subito.
Anche Anyang mi tende la sua e, mentre ce la stringiamo, mormora: «Ho ragione di credere che tu sappia anche chi sono io.» La sua faccia non è cambiata né in meglio né in peggio. Sembra che l’espressione standard delle sue sopracciglia sia quella crucciata.
«Anyang. Anzi, Zhao, e tu Yue» mi correggo, guardando prima l’uno e poi l’altra. «I Legati di Zekrom e Reshiram.»
«Così sembra» dice lei, tirando su a tre quarti la manica della giacca e quella di un maglioncino, mostrandomi la forma materiale del suo Legame: un bracciale molto semplice, che mette in risalto il Chiarolite, solitario. «D’altronde ho capito che non eri una ragazza qualunque quando mi hai detto di aspettare l’autobus, grazie al potere della Verità. A volte mentire è la cosa migliore!»
Guardo impensierita il bracciale, per poi mormorare lentamente: «Ricordo che dei miei compagni andarono in cerca del Chiarolite e dello Scurolite, e una volta trovati li portarono nella base segreta del Monte Corona...»
«Poi uno dei ragazzi che aveva pure preso parte alla missione si premurò di portarli a chi era giusto che li avesse, anziché lasciarli a fare la polvere sulla scrivania di un comandante delle Forze del Bene in attesa di rintracciare i Legati dei Leggendari in questione.»
Una nuova voce ha risuonato nell’oscurità, proveniente dal bosco alle nostre spalle. Prima che faccia in tempo a girarmi del tutto, con la coda dell’occhio vedo Yue sogghignare e Zhao scuotere la testa in segno di disapprovazione, anche se non sembra troppo serio. Rivolta verso il bosco, non vedo niente: la quasi totale assenza di luce non mi permette di notare niente, è vero, ma quella voce ha risuonato con troppa chiarezza, non poteva essere tanto lontana da rendere il proprietario invisibile. Gli alberi spogli sono immobili, perché non soffia il vento. Proprio per questo è strano che all’improvviso si manifesti un movimento tra la vegetazione poco fitta, un tremolio sospeso a mezz’aria ancora più nero del buio stesso tra le piante. Indietreggio di riflesso, un po’ intimorita.
Il tremolio si interrompe e lascia il suo posto a una figura allampanata che esce dall’ombra. Cammina con le mani nelle tasche di un paio di pantaloni scuri come il resto del suo abbigliamento. I capelli nerissimi, arruffati e lunghetti, incorniciano un viso dalla pelle scura e un po’ emaciato, non bello come ci si aspetterebbe da un Legato. Ha dei tatuaggi rosso sangue e neri sugli zigomi, sulle tempie, sulle mascelle e in generale sulle parti laterali della faccia: i motivi di alcuni ricreano quella che sembra la pelle di un rettile. Incredibili sono i suoi occhi, con una pupilla ristrettissima, quasi sul punto di sparire, nonostante la notte che dovrebbe invece ingrandirla. Un’iride di ghiaccio la fa da padrone, con poca differenza tra il suo azzurro e il bianco del resto dell’occhio. Un sorriso a mezza bocca accresce l’aria ribelle insieme a una barbetta incolta e alle sopracciglia ben marcate.
La sorpresa iniziale sparisce e sbuffo quasi con disappunto. «Chi l’avrebbe mai detto…»
«Cos’è questo tono seccato, Eleonora? Non sei felice di rivedermi?» ghigna.
Alzo gli occhi alle stelle. «Al settimo cielo. Non mi vedi, George?»
«Sono diventato un po’ miope e Yveltal non vuole farmi usare gli occhiali o le lenti a contatto. Vorrebbe che fossi cieco come lui, in realtà» ribatte lui serenamente. «Comunque mi fa piacere che tu sia contenta. Dal tuo tono non si direbbe, ma a questo punto scommetto che hai un sorriso a trentadue denti…»
«Certo, certo» borbotto. Non ho di certo dimenticato, nonostante i giorni impegnati e difficili, quanto poco buon sangue scorresse tra me e George, per una questione meramente caratteriale: io non sopporto lui e lui non può reggere me, non ci piacciamo e basta. Viviamo bene così; peccato per Daniel che è amico di entrambi e ogni tanto per colpa sua ci ritroviamo a dover parlare. «Allora sei stato tu a portare a Rongyin e Anyang le due pietre. Immagino che Bellocchio ti stia dando la caccia.»
«Guarda che i loro nomi sono Yue e Zhao. Comunque Bellocchio non mi ha proprio visto! Tu l’hai notato il trucchetto con l’ombra? Altro che fuoco, Eleono’, il tipo Buio è il più utile e figo in assoluto.» Lo ignoro con una faccia impassibile; dev’essere vero che è mezzo cieco ora, perché non si accorge della mia espressione e prosegue: «Comunque… ho usato praticamente lo stesso trucco con lui, ma non temere, gli ho lasciato un bigliettino in cui gli spiegavo la situazione. Non dev’essere stato scontento del fatto che avessi trovato due Legati e che gli portassi i loro Leggendari impacchettati, no?» Scrollo le spalle, e di nuovo lui non dà prova di accorgersi di nulla.
Yue interviene: «Reshiram sembrava contenta di aver trovato la sua Legata, Zekrom è un po’ più riservato ma scommetto che era felice anche lui di poterlo avere al suo fianco. Tale Leggendario, tale Legato! Sono tutti e due dei musoni, lui e Zhao!»
Il ragazzo in questione lancia un’occhiataccia alla cugina, poi brontola: «Sai meglio di me che non sono aperto con gli sconosciuti.»
«Be’, siamo tutti sulla stessa barca e dobbiamo fare affidamento l’uno sull’altro» replico. «Per quanto mi dispiaccia dovermi fidare di certi soggetti, ma questo è un altro paio di maniche…»
«Ma non eri contenta di rivedermi?» George si finge offeso.
«Ti vedo poco ostile, che ti è preso? Hai scoperto che non sono una persona così terribile in questo periodo di lontananza?»
«È colpa di Camille che mi ha reso più mansueto» sorride lui, più serio.
La mia espressione si indurisce solo nel sentirla nominare. «Lei dov’è?»
«Credo sia già andata dai tuoi amici, adesso li raggiungiamo tutti. E poi ci ridivideremo, altrimenti ci sgamano in quattro secondi, se siamo quasi dieci Legati a muoverci tutti insieme allegramente.»
«Non sono andata da nessuna parte, e lo sai bene, stupido.»
Mi stavo quasi aspettando che Camille facesse la sua comparsa da un momento all’altro, contraddicendo le parole del Legato di Yveltal: non so perché ne fossi così convinta, me lo suggeriva il mio sesto senso. Noto un bagliore rosato dietro un albero a pochi metri di distanza e dopo qualche secondo di attesa, per far tenere a tutti, teatralmente, il fiato sospeso, l’esile Legata di Xerneas compare da dietro un tronco già poco spesso di suo. Si dirige verso di noi a braccia conserte e con un’espressione affatto amichevole, dura e gelida come l’ho conosciuta in questi anni, anzi, di più.
I suoi capelli acconciati in una mezza coda sono più biondi, ora, del color carota di prima ci sono solo dei riflessi; sono mossi, non più lisci, e più lunghi di prima - come se in passato non lo fossero già. Ha la pelle bianca, diafana, e non c’e più traccia di alcuna lentiggine sul suo viso ovale. L’ordine e la precisione del suo aspetto sono in totale contrasto con quello di George, la cui pelle, tra l’altro, si è scurita nella Forma di Mezzo, mentre prima era bianca quanto e più di quella attuale di Camille. Lei in questo aspetto sembra una principessa elfica, bellissima, all’esatto contrario di lui. Le iridi dei suoi occhi, ora leggermente a mandorla, non sono più di quell’azzurro chiarissimo - che ora invece, per l’ennesima botta d’ironia della sorte, contraddistingue quelli quasi ciechi della sua controparte - ma di un blu polvere altrettanto innaturale.
Camille sembrerebbe anche angelica se non fosse per l’espressione a dir poco cattiva che rovina irrimediabilmente i bei tratti del suo viso, e che contagia anche la mia: stavo pensando di mostrarmi più bendisposta e simpatica nei suoi confronti, ora che più che mai dobbiamo collaborare, ma ho perso questa battaglia nello stesso secondo in cui ho visto il suo brutto muso imbronciato.
«Dove sono gli altri?» mi chiede.
«Non ne ho idea.»
Lei, se possibile, si cruccia ancora di più. «Non mi sembra il momento di scherzare, Eleonora.»
«Non sto scherzando» rispondo, ma il sorrisetto che esibisco potrebbe farle credere il contrario. «Ho-Oh mi ha portata qui, anziché farmi tornare da Daniel, Ilenia e Luke.»
Sembra che nessun nome le suoni familiare, eppure dovrebbe conoscerli tutti. «Allora come la mettiamo? Sei venuta qui senza sapere dove sono i tuoi vecchi compagni?»
«Proprio così.»
“Serve qualche informazione?” Ho-Oh sembra ridacchiare nella mia testa. Prima che inizi a lanciargli i primi insulti dettati dall’esasperazione, mi mostra il luogo in cui si trovano i miei tre compagni: una ruota panoramica tutta illuminata si staglia contro il nero del cielo, insieme a tantissimi grattacieli più lontani, e altre strutture, come l’ottovolante e una torre a caduta libera, che mi dicono chiaramente che sono nei pressi o dentro un parco divertimenti. Sono sicura di sapere qual è.
«Sono al luna park di Sciroccopoli» dico improvvisamente, mentre Camille ha smesso di guardarmi e fissa scocciata in un’altra direzione, scuotendo leggermente il capo. Yue e Zhao sembrano un po’ disorientati per la notizia partorita da chissà dove, ma lei e George capiscono che me lo deve aver detto Ho-Oh.
La Legata di Xerneas socchiude leggermente le palpebre, guardandomi come se sospettasse di me, mentre George non smette di prenderla sul ridere: «Ehi, voglia di lavorare saltami addosso, eh? Mentre noi sgobbiamo quel deficiente di Daniel va con gli amici a divertirsi! Questo cambiamento è forse colpa tua, Eleono’?»
«Quel deficiente è già scansafatiche di suo, non serviva l’intervento mio o di chicchessia» borbotto. Poi, a voce più alta e dopo aver passato in rassegna il nostro gruppetto, dico: «Allora, se non c’è niente da sbrigare sul posto, direi che possiamo raggiungerli. Poi vedremo come spostarci prossimamente.» Yue annuisce vigorosamente e George fa un cenno affermativo, mentre sia Camille che Zhao confermano soltanto muovendosi verso di me, l’uno semplicemente silenzioso, l’altra orgogliosa e scorbutica.
Apro bocca per chiedere come dividerci con i teletrasporti, visto che io non sono capace di portare nessuno in un luogo sconosciuto - già temo di non riuscire a mandare me stessa, in un posto che non conosco - ma posso prestare Gallade a qualcuno; mi trattengo dallo sprecare il mio fiato quando Camille estrae una lunga collana da sotto l’impermeabile. Qualcosa brilla alla sua estremità, è un gioiello piuttosto grande e ben lavorato, ma non capisco nemmeno che forma abbia. Prende vita, illuminandosi di un altro bagliore rosato e staccandosi dal filo della collana, e si ingrandisce fino ad assumere la forma della silhouette di Xerneas, che dopo qualche secondo si materializza al posto della luce stessa e si adagia con leggerezza sul terreno. Alza la testa sormontata dalle solenni corna, stendendo il collo lungo e mostrandosi in tutta la sua eleganza.
Poi con voce femminile, limitandosi a guardare solo la sua Legata, parla nelle teste di tutti i presenti, più o meno meravigliati dalla sua comparsa: «Vi porterò io a Sciroccopoli.»
Dice soltanto questo e un attimo dopo si trasforma nuovamente in luce; questa si plasma formando un anello brillante intorno a noi. All’improvviso si restringe repentinamente e ognuno di noi, appena viene attraversato da esso, viene catapultato nel teletrasporto della Leggendaria.
Arriviamo velocemente a destinazione, materializzandoci in un angolo buio da qualche parte nella città. Capiamo di essere proprio nel parco divertimenti dalla quantità di suoni che immediatamente arrivano a tormentarci le orecchie, già troppo abituate al silenzio totale del bosco in cui ci trovavamo prima. Troviamo la conferma di essere nel posto giusto anche alzando il naso all’aria e vedendo così la ruota panoramica, che gira placidamente, un sole artificiale splendente nel cielo di una limpida notte di luna nuova.
Senza dirci niente tra di noi, iniziamo a muoverci in cerca degli altri tre nostri colleghi. Io mi ritrovo subito in testa al gruppo, mentre gli altri Legati si appaiano tra di loro seguendo la complementarietà dei loro Legami: Zhao viene preso energicamente sottobraccio dalla cugina, gasatissima di trovarsi in un luna park - probabilmente non ci andava da anni, da quand’era bambina, come forse tutti noi. Inizio a sentirmi un incomodo, con le due coppie di Legami complementari: d’un tratto non vedo l’ora di tornare con la mia cara controparte, Ilenia, ed essere un po' meno a disagio.
Nonostante quella di oggi sia una serata infrasettimanale, le vie del parco divertimenti sono trafficate a sufficienza per essere in periodo invernale. D’altronde quello di Sciroccopoli è il luna park più famoso del mondo ed è praticamente sempre aperto, lavorando come non mai durante le settimane di vacanze invernali ed estive. Sono stata solo una volta in un parco divertimenti ed ero molto piccola, non ho proprio memoria di questo genere di posti: la mia testa gira da una parte e dall’altra, voltandosi anche alle mie spalle, per osservare ogni attrattiva del luogo e cercare di rievocare qualche ricordo della mia infanzia, ma invano. La ruota panoramica mi affascina più di ogni altra cosa presente e, forse un po’ infantilmente, mi ritrovo a sperare di avere il tempo per farci un giro prima di andare altrove, pur sapendo che ce ne andremo subito da qui, anche se i Victory sembrano non aver infestato anche questo posto.
La forte aura di Ilenia urta la mia senza preavviso, forse senza che lei stessa se ne renda conto. Seguo con la mente la traccia lasciata dalla sua aura rosea e piena di sfumature blu, e i miei occhi a loro volta la seguono: riconosco con enorme sollievo la faccia di Ilenia, preoccupata, immagino per la mia improvvisa scomparsa. Inizio a correre e anche lei ora si accorge della mia presenza, prima ancora di vedermi fisicamente, grazie ad un’ondata di energia che invio in sua direzione. Mi viene incontro alla stessa velocità, ma senza che la sua preoccupazione sia del tutto scemata, seguita a ruota da Daniel e Luke.

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Capitolo 16
*** XV - La strada percorsa con te ***


XV
La strada percorsa con te

Non c’è tempo per gli abbracci, secondo la prepotente opinione di Camille; inizia a declamare i suoi piani prima ancora che Ilenia, Daniel e Luke siano effettivamente insieme a noi. I tre restano perplessi dal suo comportamento, ma appena capiscono cosa sta blaterando si fanno più attenti, perché si rendono conto di quanto sia importante l’oggetto delle sue parole.
Mentre andavo incontro a Ilenia, prima che lei e gli altri fossero a portata d’orecchio, lei mi ha raggiunta e non ha mancato di sbottare: «Mi fa enorme piacere che tu abbia ritrovato i tuoi amici, Eleonora, ma ci sono questioni più importanti di cui discutere prima che iniziate ad abbracciarvi con le lacrime agli occhi.» In risposta l’ho soltanto potuta guardare con tutto l’astio di cui sono capace, venendo tra l’altro bellamente ignorata. Mi ero pure presa la briga di fermarmi per sentire cosa volesse, curiosa di sapere perché mi fosse venuta dietro mentre correvo verso la Legata di Lugia… non smetterò mai di chiedermi perché si comporti così.
Ilenia si è trattenuta dal cominciare a parlare appena ha visto la faccia seria e ostile di Camille e la mia, piena di irritazione, e si è a sua volta mostrata contrariata. Daniel era sul punto di fare domande su domande sulla mia scomparsa e sull’identità dei ragazzi che mi sono portata appresso, ma Camille ha appunto preso la parola con la sua dannata aria di superiorità, lasciandolo interdetto.
«Non possiamo stare insieme ancora per molto, credo che questo sia chiaro, ora che siamo tutti riuniti. Muoverci in gruppo sarebbe una follia: è vero che saremmo più potenti, facendo squadra, ma non faremmo in tempo a svoltare un angolo che i Victory ci sarebbero addosso. Già da soli lasciamo tracce ben visibili a chi è in grado di vederle, ovvero i Comandanti e purtroppo, così sembra, anche i Generali. Adesso siamo in otto, e non è proprio il caso di rimanere insieme ulteriormente. Dovremo dividerci in almeno due gruppi, che potrebbero essere benissimo gli stessi che ci sono stati finora. Spostarsi in coppia però rimane la cosa migliore.»
Percepisco che, dopo un po’, Daniel ha capito che la bionda principessa elfica che ha davanti altri non è che la gelida ragazza che aveva - solo superficialmente - conosciuto prima all’Accademia e poi nella base segreta. Mi lancia un’occhiata eloquente e io scuoto la testa, per poi alzare gli occhi al cielo. Nel frattempo Camille prosegue imperterrita: «Direi che, appunto, possiamo dividerci in coppie e darci degli obbiettivi, se ne abbiamo, e di volta in volta darci appuntamento in un preciso luogo e in una data e ora anche più preci-»
«DEFICIENTE!»
Daniel salta addosso a George senza alcun preavviso, se non l’urlo assordante che ha lanciato in molto altrettanto inaspettato, facendo sobbalzare persino l’irremovibile ed irreprensibile Camille. Subito però si ridà un contegno e guarda torva i due, ma senza ottenere risultati. Il Legato di Yveltal, nella sua Forma di Mezzo parecchio più alto dell’altro in Forma Umana, se la ride come un pazzo e respinge facilmente il nanetto che lo ha aggredito tutto d’un tratto. Daniel cerca di spintonarlo ma viene puntualmente scostato, nonostante la sua vittima stia iniziando a tossire, tanto sta ridendo; entrambi sono tutti rossi in viso e il Legato di Dialga ha pure il fiatone. Sono ancora piuttosto perplessa e continuo a non capire i suoi modi di fare, e credo inoltre che abbia salutato i suoi pochi neuroni ancora funzionanti quando si è ritrovato ad avere a che fare con il Legame.
«Ti sembra questo il modo, pezzo di merda!! Sparire all’improvviso senza dire nulla, sei un bastardo!»
«Ehi, abbassiamo i toni…» Anche Ilenia se la ride di gusto per gli strepiti di Daniel, che non ha finito - temo ci vorrà un po’ - di sbraitare contro il suo migliore amico. Questi però sta rischiando veramente grosso, tra la tosse e il ragazzo che, saltellandogli intorno nel tentativo di colpirlo, sembra molto desideroso di pestarlo a sangue. Inizia a calmarsi e arriva quasi ad assumere un’espressione seria appena torna a prestargli attenzione.
«Sono dovuto andare a chiedere a Bellocchio di te! A Bellocchio! E finché non ho ottenuto anch’io la forma materiale del Legame non ho avuto alcuna spiegazione!» È al culmine dell’esasperazione, persino le sue corde vocali iniziano a faticare, mai abituate a toni e volumi così elevati. «E poi ricompari così a caso, idiota, e hai pure il coraggio di guardarmi in faccia e ridere di me! Sei un figlio di…»
«Basta così, basta» intervengo prima che cerchi di tirargli un destro sul setto nasale - sempre che ci arrivi. Metto una mano sulla bocca di Daniel, afferrandolo da dietro e lasciando George fuori dal suo raggio d’azione, approfittando del vantaggio datomi dall’altezza. «Ti devo proprio ricordare della tua scomparsa, cretino? Se ti ho visto prima dell’attacco al Monte Corona è stato per puro caso. Altrimenti te ne ripartivi bello bello per andare a zonzo per Sinnoh, e tanti cari saluti a quella scema di Eleonora.»
Qualche secondo di silenzio segue le mie parole. Poi George ghigna. «Lui sì che aveva capito come doversi comportare.»
Prima ancora che finisca la frase libero Daniel dalla mia presa e mi limito ad osservare lo spettacolo: il Legato di Yveltal che mi manda a quel paese prima di essere quasi buttato a terra da un veemente spintone dell’altro, il quale lo colpisce allo stesso modo un’altra volta mentre ancora barcolla cercando di rimettersi in piedi. Evita per miracolo un calcio nel sedere ma per farlo perde l’equilibrio e cade su un fianco, riuscendo però a frenarsi e a non farsi troppo male. Daniel sembra soddisfatto del risultato e leva il disturbo, allontanandosi dal gruppo e tornando poco dopo, appena Camille prende a parlare. George le strepita sopra e lei, per farsi sentire, gli serra le labbra con un banale schiocco di dita. È una fortuna che gli incantesimi del tipo Folletto abbiano un forte effetto sul Buio.
«Avete dato spettacolo a sufficienza, voi tre.»
«Io che c’entro?» Cerco di fare l’offesa, ma appena lei mi guarda male mi metto a sogghignare.
«Adesso vediamo di dividerci. È meglio che Yue e Zhao si separino e vengano affidati ad almeno un Legato esperto. Direi due, così che abbiano sufficiente protezione.»
«Possiamo occuparci noi due di uno di loro, mia cara.» Le labbra di George sono tornate al lavoro fin troppo presto, per i miei gusti.
«Va bene.» Camille è impassibile. Mi addita e chiede: «Tra voi quattro chi è il più esperto? Anzi, chi sono i due più bravi con i loro poteri?»
Nessuno alza la mano o si fa notare per la propria abilità. Camille sbuffa e George, ridacchiando, indica me e Daniel e dice: «A quei due è meglio non affidare nessuno, basta guardarli quando sono in Forma Umana.»
«Ma taci» replico, imperturbabile. «Mi duole ammettere che ad ogni modo hai ragione, almeno sul mio conto. Sono l’ultima ad aver ottenuto la forma materiale del Legame tra noi, a parte ovviamente Yue e Zhao.»
«Lui è quello che ha il Legame da più tempo.» Daniel non esita a puntare Luke, che per la prima volta nella sua vita alza gli occhi al cielo, mostrandosi una volta tanto esasperato dai modi provocatori ed ostili del Legato di Dialga, che poco lo sopporta - senza, così sembra, una ragione in particolare.
«Allora vai tu con lui, visto che anche senza tanto impegno sei il più potente tra voi quattro» dice Camille.
«Ma non è vero!» esclama Daniel. «Lei è molto meglio di me, voglio dire, almeno sa cosa sta facendo quando usa i suoi poteri!» E intanto addita Ilenia, stavolta. Le mie guance si tingono di un forte rosa, fortunatamente non visibile grazie alla notte, nonostante l’illuminazione delle giostre nel parco divertimenti.
Anche Ilenia alza gli occhi al cielo. «Vado io con Luke, almeno evitiamo omicidi tra consanguinei.»
Il pensiero di Daniel piomba improvvisamente nella mia testa; di sicuro non voleva esternarlo con tanta forza, perché è confuso e poco “leggibile”, ma lo riesco comunque a decifrare quasi subito: “Ci mancherebbe che siamo consanguinei, io e lui.” Mi sfugge una risatina che, nella serietà generale, lascia perplessi gli altri, a parte Camille e Ilenia: la prima scuote la testa, l’altra ridacchia leggermente. Anche a loro dev’essere arrivato il pensiero di Daniel, visto che hanno dei poteri psichici.
«Allora siamo a posto» borbotta Camille. «Yue, con chi vuoi andare?»
«Con loro» risponde senza esitazione la ragazza, accennando con la testa a Ilenia e Luke. Stavolta riesco a trattenermi e mostro solo un sorrisetto furbo quando le palpebre di Camille si assottigliano un po’, capendo che la Legata di Reshiram - che le sorride spudoratamente, serena come pochi sotto il freddo e pressante sguardo dell’altra - la sta in qualche modo prendendo in giro per la sua scarsa, anzi, inesistente simpatia.
Il rosa di prima sulle mie gote è diventato molto più intenso quando ho visto che Daniel ha fatto di tutto per potersi spostare in mia compagnia. Speravo fortemente di poter andare con lui da sola, ma non credevo che si sarebbe impegnato così tanto lui stesso. Getto un’occhiata alla ruota panoramica che spadroneggia sull’intero luna park di Sciroccopoli: forse non è così improbabile poter fare un giro su di essa. I miei occhi devono brillare più per l’emozione che per i riflessi di luce.
«Va bene. Per ora non abbiamo una meta» prosegue la Legata di Xerneas.
«Invece sì.» Ilenia la interrompe con un tono duro che non mi aspettavo. «Ci sposteremo in direzione della base segreta nella Fossa Gigante, dove Yue e Zhao potranno allenarsi con i loro Legami e dove avremo tutti abbastanza protezione.» Camille sbatte le palpebre senza alcuna reazione visibile. Ilenia sbuffa, esasperata: «Per quanto mi riguarda, cara Camille, puoi anche startene lontana da qualsiasi normale membro delle Forze del Bene, ma almeno il favore di accompagnare Zhao in un luogo protetto devi farcelo. Puoi anche sparire di nuovo, dopo, per quanto sia egoista da parte tua. Ma a lui faresti soltanto del male.»
Dall’altra parte continua ad esserci silenzio. Non è ostinato come tutti potevamo pensare, però, perché Camille, per quanto sintentica, acconsente con un secco “va bene”. Ilenia non si mostra soddisfatta ma entrambe dobbiamo essere d’accordo sul fatto che questo sia un gran progresso per la ragazza.
«Allora ci ritroviamo tra tre ore presso il varco tra Città Nera e il percorso 15» decide Camille.
George annuisce e repentinamente sparisce nell’ombra, senza che nessuno capisca bene come abbia fatto a smaterializzarsi così sotto gli occhi di tutti noi. Non sappiamo nemmeno se si sia preso la briga di controllare che nessuno nei dintorni stesse guardando: quando i ragazzi strillavano, parecchi si sono voltati per ficcare il naso nei nostri “affari”. Adesso, però, sono rimaste poche persone a girare per il parco, e sembrano tutte troppo impegnate ad ammirare le attrazioni di esso per interessarsi a noi. Nel frattempo Camille si allontana con Zhao e qualche momento dopo essere sparita dalla nostra vista non percepisco più la sua aura, né quella del ragazzo: si saranno teletrasportati via.
Siamo rimasti di nuovo noi quattro, con l’aggiunta però di Yue. Alcuni secondi di silenzio costruiscono un’atmosfera alquanto imbarazzata. Mi viene da pensare che Ilenia se la prenda con Daniel, ora, per aver fatto i capricci come un bambino, e invece quando apre bocca è tranquillissima. «Allora andiamo anche noi. Tre ore non sono così tante per arrivare a Città Nera senza farci scoprire… ci vediamo.»
«A dopo!» Yue saluta anche con la mano, mentre Luke arriccia un angolo delle labbra, senza sorridere, e fa un lieve cenno con il capo.
«A dopo» replichiamo sia io che Daniel, e ci allontaniamo in direzione opposta rispetto a quella dei tre, diretti verso la normale uscita del parco divertimenti.
Non rivolgo la parola al mio compare, continuando a tenere il naso per aria e a guardare con aria rapita la ruota panoramica. Aspetto che Daniel, se come sembra è diventato meno superficiale e poco sensibile a questo genere di cose, si accorga di cosa sto facendo e mi legga nel pensiero anche senza avere il potere della mente. Le mie aspettative si sono alzate, dopo tutte le storie che ha fatto per non dover andare con qualcuno che non fossi io e per non vedere me in coppia o in gruppo con altri.
Camminando non facciamo altro che addentrarci nel parco, man mano più vuoto: manca poco più di mezz’ora alla sua chiusura, ma ancora c’è qualcuno che si avventura nelle più disparate attrazioni. Smetto di tenere il naso per aria quando mi accorgo che Daniel ha notato e capito cosa sto osservando da tanto tempo. Mi guardo di più attorno, studiando le persone che ci passano accanto, ma soprattutto per constatare che non ci sia alcun Victory in giro: per fortuna è così.
Passiamo accanto all’entrata della ruota panoramica e, teatralmente, tiro dritto senza degnarla di uno sguardo; altrettanto fintamente mi giro stupita a guardare Daniel che studia il cartello all’ingresso della struttura con tutte le informazioni utili. Mi si rivolge con un tono piuttosto indifferente, ma il sangue mi si scalda comunque di piacere e il battito del mio cuore accelera.
«Un giro dura quindici minuti. Ti va di perdere un po’ di tempo?»
«Va bene.» Scrollo le spalle, evitando accuratamente il suo sguardo, che purtroppo è diventato molto acuto per colpa - o grazie, in altri casi - all’intervento del Legame.
Siamo senza biglietto, ma non è un problema per due ragazzi come noi, dato che una di loro è in grado di convincere chiunque con, apparentemente, il solo uso della parola, peraltro senza fallire un colpo. Un utilizzo minimo del mio potere della mente basta perché il controllore di turno ci inviti calorosamente ad accomodarci in uno scompartimento vuoto, approfittando del fatto che non ci sia quasi nessuno a salire, e augurandosi che il giro sia di nostro gradimento. Le porte della cella di vetro e acciaio si chiudono dietro di noi qualche secondo dopo essere saliti, e placidamente la ruota riprende a muoversi come di consueto.
Sciroccopoli sembra sorgere dal nulla, più o meno da sotto di noi, diventando metro dopo metro più grande e luminosa, sempre di più, finché le zone di periferia non arrivano a toccare l’orizzonte stesso. Gli edifici si sono fatti man mano più piccoli e confusi, fino a perdere la loro identità: è diventato impossibile distinguere i campi da tennis nella zona centrale dallo stadio di calcio poco distante, nonostante la differenza che c’è tra i due, che dovrebbe essere ben visibile grazie ad un’illuminazione strepitosa. Ma la nostra cabina sale, indifferente a tutto ciò, e le luci si sfocano, si mescolano tra di loro, così come i pochi colori che sopravvivono all’oscurità ormai totale, la quale invano cerca di soffocare almeno le luci meno potenti, quelle che provengono dalle zone periferiche della metropoli, la città dei divertimenti e della vita notturna per antonomasia.
«Non sono mai salita su una ruota panoramica.»
Daniel è sembrato poco disposto a chiacchierare fin da quando ci siamo divisi in gruppi, e anche sforzandomi sono riuscita a trovare un approccio estremamente goffo per fare conversazione. Però sembra che gli basti, perché gli dà sufficiente spunto per parlare di sé: «Io invece sì. A Porto Alghepoli c‘è un parco divertimenti, neanche lontanamente paragonabile a questo… ma per un bambino era più che sufficiente per passarci intere giornate. E c’era questa ruota panoramica che, almeno secondo la mia memoria, non aveva nulla da invidiare a questa. Se non il panorama. Anche se in effetti sono posti troppo diversi per essere confrontati. Dall’alto della ruota, a Porto Alghepoli, vedevi il mare, e non immagini la ressa che c’era per salire al tramonto, quando era più bello… qui, invece, vedi una delle città più grandi e frenetiche del mondo, con tutte le sue luci artificiali.» Sospira lievemente. «Sarò infantile, ma spesso provo nostalgia di casa. Ora non tanto quanto in passato, però…» Non finisce la frase.
«Ma è normale» replico, con voce ridotta quasi ad un sussurro.
«Per me rimane comunque abbastanza imbarazzante, anche se è una cosa tra me e me stesso… e ormai va be’, l’ho detto anche a te» sorride.
Vorrei dirgli che è diventato estremamente egocentrico con il Legame, che non me ne importa praticamente niente del luna park di Porto Alghepoli e di come lo si possa vedere dagli occhi di un bambino, ma stringo i denti per impedirmi di commentare acidamente questo lato del suo carattere e lo lascio sfogarsi, almeno stavolta. Forse ha parlato troppo poco ultimamente e deve compensare in qualche modo, e io sono la prima cavia che gli è capitata a tiro. Però noto di continuo come, nei momenti in cui sembra più assorto in chissà quali pensieri, non stia facendo altro che rimuginare sulla sua vita e sulle sue condizioni, anche se, con una faccia impensierita come quella, ci si aspetterebbero, semmai, profonde riflessioni sul periodo che stiamo tutti vivendo, su come siamo tutti vittime in qualche modo - perché non è solo lui a subire - e al contempo su come ci dobbiamo comportare aggressivamente nei confronti dei nostri nemici.
«Non c’è niente di male ad ammettere le proprie debolezze con sé stessi» mormoro.
Lui mi lancia un’occhiata vagamente sorpresa, che ricambio con una quasi sconsolata. Poi distoglie lo sguardo e tira fuori dalla tasca l’orologio in diamante, l’attestazione materiale del suo Legame. Contemporaneamente, in un battere di ciglia, passa nella Forma di Mezzo.
«Sembra che tu sappia bene di cosa stai parlando, vista la frase fatta con cui te ne sei uscita» ridacchia.
«Stupido» borbotto, per il resto senza rispondergli.
Il silenzio torna a dividerci. Ci stiamo avvicinando lentamente al punto più alto raggiungibile dalla ruota, e io non faccio altro che guardare Sciroccopoli e le sue luci con occhi ormai vitrei, annoiati della vista sempre uguale. Daniel invece sembra non stancarsi mai di guardare il suo orologio da taschino, nonostante lo tiri fuori spesso: è capace di starsene a studiarlo per interi minuti, dimenticandosi del resto del mondo, quando una persona normale, dopo aver visto per le prime volte un oggetto così bello e di inestimabile valore, ci farebbe man mano l’abitudine e quasi smetterebbe di attribuirgli un prezzo. Ma il diamante è l’ultima cosa a cui il ragazzo fa attenzione, perché lui fissa il quadrante bianco, semplice come quello di ogni altro orologio.
«Sei così attaccato al tuo elemento da poter guardare le lancette senza annoiarti?» gli chiedo, dopo un po’ di indecisione se farlo o no.
Lui sbuffa; fa un mezzo sorriso, senza scollare gli occhi dall’orologio, e scuote la testa. «Non guardo l’orologio.» Aggrotto le sopracciglia e lui risponde alla mia domanda rimasta inespressa: «Guardo cosa sta succedendo e cosa è successo.»
«Non è una spiegazione» dico lentamente.
«Il tempo, Eleonora. Io posso vedere il tempo» ribatte. «Ogni avvenimento passato e in corso, posso decidere di vederlo quando voglio. Riesco ad assorbire tutto quel che accade nel mondo in automatico, senza farci caso, e volendo posso cercare dentro me stesso, non nell’orologio, delle immagini, dei suoni e delle emozioni che non mi appartengono, ma che il tempo ha registrato. È incredibile come siano tutte cose leggere, che posso ignorare finché voglio e che posso chiamare a me quando mi servono, o quando non so cosa fare…»
Lui e solo lui, su quel quadrante così semplice, è in grado di vedere ogni evento passato e presente. Non ha parlato del futuro, ma si ricorda di esso proprio ora, come se mi avesse letto nel pensiero.
«A volte ho cercato di vedere cosa accadrà, anche se Dialga aveva tentato di dissuadermi dal farlo, dicendomi che era inutile provarci. Alla fine l’unica cosa che potevo fare era lanciarmi in previsioni sul futuro, prossimo o lontano… che sono sempre fallite miseramente, anche quelle che all’apparenza sembravano ovvie!» ride. «Dialga non mi spiegherà mai come funziona il futuro, se è già deciso e io non posso in alcun modo avvicinarmi a predirlo, o se è talmente casuale che è quasi impossibile azzeccarci, anche se ci ho provato parecchie volte. Il futuro non si vede. Guardo un evento in corso, smetto di studiarlo e faccio la mia previsione, poi lo riprendo a studiare e vedo quanto largamente mi sono sbagliato. Ormai ci ho fatto l’abitudine.»
È una cosa così intima, irraggiungibile per chiunque non abbia mai avuto il suo stesso Legame, che mi sono arresa praticamente appena ha iniziato a descrivere l’inimitabile potere del tempo. Questa faccenda del passato e del presente che possono essere visualizzati a suo piacere come un qualsiasi filmato è per me incomprensibile. Io non so nemmeno che potere speciale ho, se non quello derivato dal tipo Psico; qualcosa però dovrà pur esserci, perché ricordo come Sara abbia messo a tacere Bellocchio, cambiando esplicitamente discorso, quando l’uomo al vertice delle Forze del Bene stava per rivelarmi quale fosse il mio potere “primitivo” come Legata di Ho-Oh.
Non ho idea di come Daniel faccia a gestire l’immenso flusso di dati provenienti dal tempo, nonostante, a quanto ho capito, abbia accesso “soltanto” a quello che scorre sul nostro pianeta - che è comunque una quantità inimmaginabile. Ha detto che tutto ciò che il tempo registra lo assorbe senza accorgersene, che non gli pesa per niente, che non fa caso a quel che arriva alla sua mente finché non va in cerca di qualcosa.
Non mi stupisco che abbia spesso quella faccia pensierosa e che parli tanto di sé, quando può: non è vero che il Legame lo ha fatto diventare egocentrico, è lui che ha reagito così. Sembra che in questo modo voglia ricordare a sé stesso di esistere, perché altrimenti sarebbe assorto a tal punto nella visione del tempo, in movimento e mutamento costanti… che si dimenticherebbe di essere in vita anche lui. Se ci penso attentamente, la sua aura viene meno, si indebolisce quando il ragazzo si immerge nella visione del corso del tempo, come se si allontanasse fisicamente e mentalmente dal luogo in cui si trova.
In un attimo, in un guizzo che fa la mia mente quando mi chiedo come faccia ad essere così sicura di sapere cosa succeda a Daniel quando fa queste sue cose con il tempo, mi rendo conto che dev’essere un altro il potere che Ho-Oh, il Leggendario in grado di restituire la vita e che rappresenta sia il dolore che il benessere, mi ha donato con il Legame, dato che sto facendo qualcosa a cui nessuna persona sarebbe capace di arrivare. Sotto le mentite spoglie del potere della mente si cela infatti qualcosa di molto più grande di esso, che è la capacità di conoscere le vite degli altri. E così come Daniel può decidere di esaminare un qualsiasi momento del tempo, che sia del passato o del presente, io sono in grado di percepire il corso della vita delle altre persone e le interazioni tra le esistenze di ogni essere vivente sulla Terra, e anche di analizzarle.
Non ho mai provato a farlo perché non ho mai capito che il mio potere della mente è nei fatti finto, ma riesco comunque a spiegarmi tante cose, adesso. Se posso leggere i pensieri degli altri è perché entro in un contatto strettissimo con le loro vite; se posso capire qual è la natura, se Leggendaria o umana, della persona che ho davanti, non è perché ne analizzo l’aura, in teoria rappresentata dalle immagini e dai colori che vedo quando chiudo gli occhi e mi concentro, ma è come se leggessi una breve descrizione della loro natura, della loro esistenza; se posso teletrasportarmi è perché in qualche modo riesco a spostare la mia vita in un altro luogo per farla interagire con esso, e ancora non sono in grado di farmi carico del peso di un’altra; se riesco a incendiare le cose con il pensiero è perché l’elemento del fuoco entra in contatto con la realtà, materializzandosi in essa.
Tutte queste abilità sono cose talmente naturali per me, me ne accorgo solo ora, che non riesco a spiegarmi a parole come funzionino, ma contemporaneamente capisco cosa Daniel abbia cercato di descrivermi finora. Riesco a leggere, come fossero dei libri aperti, il passato e le condizioni attuali di ogni essere vivente, ma sicuramente non posso proseguire con la lettura oltre la situazione presente. Allo stesso modo il guardiano del Tempo non riesce ad andare oltre il presente. Per cercare una conferma provo ad esaminare il cammino futuro del ragazzo al mio fianco e, come immaginavo, vengo respinta da una forza che non conosco e che non riesco a vedere. Neanche a percepire, se per questo: so solo che c’è, e che esiste per impedirmi di guardare avanti.
Ma allora qual è la differenza tra il mio potere fondamentale, legato alla Vita, e quello di Daniel, che riguarda il Tempo?
«Stiamo cominciando a scendere.»
La voce di Daniel mi riporta con i piedi per terra; mi riscuoto visibilmente, ma lui non sembra accorgersene, o forse sta solo facendo finta di niente. La mia espressione stralunata dice con chiarezza che sono reduce da lunghi viaggi all’interno della mia mente e di ricerche sul conto mio e su quello di lui. Ho-Oh, in tutto ciò, non ha spiccicato parola, anche se, ora che ci faccio caso, lo sento un po’ inquieto per chissà quali sue ragioni; tanto, se gli chiedessi spiegazioni, il silenzio non verrebbe meno.
«Ti va di guardare il tempo che abbiamo trascorso insieme, Eleonora?»
I miei occhi si spalancano per le sue parole, inizialmente senza volerle capire, poi per l’incredulità. Daniel non ricambia il mio sguardo, se non velocemente con un sorriso incomprensibile, dopodiché torna al suo orologio di diamante. «Co-come? In che… in che senso?» balbetto.
«Dammi la mano» risponde soltanto, porgendomi la sua. Un po’ titubante gliela prendo, e mentre ancora sto cercando di stabilizzare il respiro emozionato, la mia mente viene invasa da fiotti di immagini confuse e che scorrono troppo velocemente le une sulle altre. Ma altrettanto rapidamente rallentano e acquisiscono una forma quasi tridimensionale; appena sopraggiungono i suoni, gli odori e ogni altra sensazione, fisica e immateriale che sia, gli eventi sembrano davvero prendere il posto della realtà, mentre scorrono nella mia mente come un fiume. Se è così che si sente Daniel ogni volta che si incanta a studiare il tempo, non mi stupisco di come abbia difficoltà a tornare nella sua realtà, anziché rimanere in quella di ciò che visiona.
«Questi sono miei amici… Cynthia, Lorenzo e Daniel.»
La voce squillante della Ilenia di più di due anni fa irrompe nelle mie orecchie prendendo il sopravvento su ogni altro rumore, mentre i miei occhi si riempiono delle immagini dei tre ragazzi seduti ad uno stesso tavolo di quella che ha l’aria di essere una mensa scolastica. Chi più calorosamente, chi meno, salutano tutti. È veramente un colpo al cuore rivedere Daniel a quindici anni, più paffutello e meno espansivo, dato che all’epoca ancora non ci conoscevamo. Scoppierei a ridere in faccia a quello che ho accanto a me e che mi dà la mano, il diciassettenne che ho imparato a conoscere come un fratello, ma sono talmente immersa nel Tempo e presa da quanto che mi mostra che non riesco a muovere un muscolo.
Le immagini del Daniel più piccolo si alternano alle mie degli stessi tempi, ritraendoci mentre ci scambiamo delle occhiate veloci e poco significative. Le mie guance arrossiscono sempre più spesso finché non prendiamo confidenza e finalmente mi abituo a frequentare quel ragazzo tutti i giorni. Sento risate, sento battute che la mia memoria ha rimosso e che non capisco più, sento anche toni e discorsi più seri, ma anche più rari, che riguardano la guerra e il nemico oscuro delle Forze del Bene.
«E poi Daniel è così sbadato che sarà l’ultimo a farci caso, se mai succederà!» esclama Ilenia ridendo, più velocemente di quanto avesse fatto quando mi disse quelle parole.
Il tempo scorre rapido al comando del suo guardiano e ignora i mesi restanti alla finta Accademia, pur di arrivare al primo periodo nella base segreta del Monte Corona. Tuttavia non manco di cogliere l’arrivo di Camille e i commenti fatti tra di noi sulla strana, gelida ragazza appena entrata nelle Forze del Bene. E prima che la stagione estiva venga totalmente saltata, uno straccio di dialogo si appende alle mie orecchie.
«Grazie mille per il tuo aiuto, Dani.»
«Non faccio niente che un migliore amico non dovrebbe fare.»
Il viso pallido di pura angoscia del ragazzo mi occupa la mente per un’eterna frazione di secondo: era il suo viso il giorno in cui cominciammo ad addestrarci come guerrieri, sotto la guida severa di Sandra. Mi vedo lottare a mani nude contro ragazzi di cui non ricordo più il nome, compagni di corso, e impartire ordini ai miei Pokémon durante una lotta; poi torna Daniel, che prende posizione prima di un combattimento, sempre durante le sessioni di allenamento.
Sento sulla pelle la pioggia di vetro del camminamento tra un edificio e l’altro della centrale nucleare, polverizzato dall’urlo terrificante di Giratina; sento la presa protettiva delle braccia di Daniel che si illude così di potermi tenere al sicuro da un eventuale attacco del Leggendario Ribelle; sento l’odore dei miei capelli attraverso il ricordo, rimasto impresso nel tempo, del naso di Daniel. Lo stesso tremore che mi stava distruggendo in quegli istanti infiniti mi prende adesso, e per pochissimo mi concede di riacquistare il contatto con la realtà materiale prima di rituffarmi tra i flutti del Tempo.
«Cosa significa quello che ti ha detto Cyrus?»
«Ti ho detto che non so cosa volesse quell’uomo folle!»
«Non ti crederei neanche se me lo conferma Cyrus in persona! Da come ha parlato non mi è sembrato una persona fuori di testa, anzi… ci dev’essere un motivo se ti ha detto quelle cose!»
«Non lo so, ha spiazzato me per prima. Ti prego, non insistere! Ti giuro che non so niente, è pazzo… non continuare a chiedermi cose che non so, sono stanca, sono distrutta!»
Lo scenario cambia, e dall’infermeria della base segreta passiamo alle pendici innevate del Monte Corona, neanche un anno più tardi: è il giorno del compleanno di Daniel. La neve guidata dal vento non arriva nell’angolo in cui il ragazzo si è infilato e dove io, seguendo il mio istinto, sono in qualche modo riuscita a raggiungerlo per passare del tempo insieme a lui, rovinando i suoi progetti di potersene stare un po’ da solo a riflettere.
«Non mi aspettavo di incontrarti qui.» Una parte successiva della conversazione viene praticamente omessa, finché non arriviamo ad una domanda del ragazzo che ormai sembra fatidica: «Secondo te cos’è il tempo?»
I miei occhi si spalancano per la sorpresa. Lo vedo da quelli di Daniel, prima di uscire dal suo punto di vista. «Il… il tempo?»
«Il tempo… sarà davvero nelle mani di un Pokémon? Come ti senti, sinceramente, a sapere che il suo funzionamento è regolato da una creatura potenzialmente pericolosa, incontrollabile?»
Il resto della conversazione viene risucchiato via e la velocità torna normale appena in tempo per farmi vedere mentre avvampo pietosamente appena Daniel mi stringe a sé, e inizia a farmi domande invadenti e imbarazzanti sulla mia situazione sentimentale. Sono veramente pessima a negare, non solo a recitare: più dico di non essere occupata su questo fronte e più ci si convince di quanto stia messa male. Il mio cuore manca un battito appena il ragazzo mi confessa di essersi messo con Melisse: i miei occhi grigi spalancati sono più che eloquenti, anche se il Daniel sul Monte Corona è convinto che la notizia non mi turbi granché, che anzi sia contenta per lui.
«Hai da pensare al fidanzatino, eh?» mi provoca quando è in piedi.
«Ma vattene.»
Da tanto tempo non vedo il viso di Melisse: la ragazza, più bella e in forma del solito, si materializza insieme alla base segreta. «Ciao, Ele! Per caso hai visto il tuo amico Daniel?»
«Il tuo ragazzo, intendi?» Sul mio volto aleggia una strana espressione, in cui confusamente si mescolano amarezza e gelosia, ma anche senso di colpa per provare le stesse. «Non so dirti dove sia ora, ad essere sincera.»
La scena non cambia molto: Daniel prende il posto di Melisse su uno sfondo praticamente uguale, siamo comunque nella base del Monte Corona. I miei occhi grigi prendono colore mentre si spalancano, attoniti: si tingono di un rosso sanguigno, così innaturale da fare impressione su una faccia normale e un po’ ingenua come la mia. Un filo di voce esce dalle mie labbra, che riescono a muoversi appena. «Tu hai un Legame.»
L’esplosione e gli allarmi esplodono nelle mie orecchie, finora abituate al silenzio: trasalendo riesco a tornare per la seconda volta, sempre per un attimo insignificante, con i piedi per terra. Il paesaggio di Sciroccopoli viene di nuovo spazzato via dalla corrente del Tempo, che stavolta porta con sé le immagini di me e Daniel entrambi nella Forma di Mezzo, irriconoscibili, non riconducibili ai due ragazzi visti finora. Eppure la riunione presidiata da Hei Feng è già finita e io sono tra le sue braccia, con il cuore traboccante di gioia; lui mi stringe felice quasi quanto me.
Dei minuti più tesi e angoscianti che seguono, in cui Daniel confessa di non essere a posto con il suo Legame, vedo solo immagini confuse, come in una vecchia pellicola cinematografica. Allo stesso modo la mia faccia, crucciata e impensierita durante un dialogo mentale con Ho-Oh che verte sul disturbo bipolare che sembro essere convinta di avere, si vede solo per degli attimi brevissimi. Sia io che Daniel veniamo accecati dalla luce del Sentiero Din Don appena usciamo dalla costruzione che nasconde il passaggio per la sala riunioni segreta, e ci inoltriamo nella vegetazione colorata di fuoco e di oro.
Il resto è storia troppo recente, ancora vivida nelle nostre menti, per costringerci a rimanere lontani dal mondo ancora per molto. Non ho idea di quanto tempo sia passato da quando abbiamo cominciato a ripercorrere, seppur molto rapidamente, i quasi due anni e mezzo trascorsi insieme. La ruota panoramica non ha percorso molti metri, eppure il mio viso è inondato di lacrime, che continuano a sgorgare senza pietà, come se piangessi da ore intere.
Daniel lascia la mia mano inerte e il braccio mi ricade lungo il fianco. Proprio adesso che sono in condizioni critiche lui ha il coraggio di guardarmi, mentre quando è lui ad essere in difficoltà trova subito un riparo nel suo dannato orologio, nel suo dannato Legame… Non so spiegarmi perché stia piangendo, ma sono veramente sollevata di farlo nel più totale silenzio.
Forse perché l’amore che provo nei confronti di Daniel mi ha sopraffatta, mentre ripercorrevo le tappe non solo della nostra amicizia, ma, tra le altre cose, anche dei miei sentimenti. Rivederci di due anni più piccoli, ancora ingenui e tutto sommato indifesi, completamente ignari di quale compito gravasse sulle nostre spalle fin dalla nostra nascita, preoccupati solo di vivere spensierati, finché potevamo permettercelo, insieme ai nostri Pokémon, sfuggendo ad una guerra di cui non sapevamo nulla… la consapevolezza di questo ha sortito su di me un effetto sconvolgente. Sono sempre stata molto sensibile ai drammi, alle storie d’amore, a qualsiasi opera che fosse in grado di smuovere l’animo dello spettatore: anche per poco riesco ad emozionarmi, a sentire gli occhi inumidirsi. Adesso non c’è proprio da stupirsi se piango fiotti di lacrime, travolta da ricordi che in quest’ultima parte della mia vita avevo messo da parte ed adottando anche il punto di vista di Daniel. Pure gli ultimi avvenimenti, come la chiacchierata sul Monte Corona dello scorso novembre, sembrano risalire a secoli fa. Mi pare di non vedere il mio volto umano da mesi, eppure ho passato mezza giornata con il mio aspetto normale, per quanto il più possibile confuso da trucco pesante, da una parrucca e quant’altro per potermi camuffare nelle vie di Austropoli.
«Ma che cuore tenero» arriva a commentare Daniel, vedendo che non smetto di piangere.
«Ti odio» ribatto all’istante, con voce ferma.
Le sue labbra si curvano. Sa cosa provo per lui da anni, perché è registrato nel tempo con tutti i dettagli che solo io credevo di poter conoscere. Avrà avuto chissà quante occasioni per accertarsene, e io solo adesso lo vengo a sapere. In che modo, poi! Mentre verso lacrime fino a disidratarmi… eppure non mi stanca piangere, non mi viene il solito mal di testa, la mia espressione non è afflitta o disperata, ma apatica. La mia testa è ancora troppo piena dei ricordi provenienti dal Tempo perché possa stare attenta a qualsiasi altra cosa. La mente cerca disperatamente di trattenere con sé almeno le immagini che le sono passate attraverso, ma per riveder bene il flusso ininterrotto di esse dovrei ributtarmi a capofitto nel fiume del Tempo stesso. Anche senza le originali riesco benissimo a non provare nulla, a rimanere in parte distante dalla realtà: non riesco a realizzare nemmeno il fatto che Daniel sappia che lo amo, che in condizioni normali mi farebbe probabilmente crollare a terra semisvenuta.
«È stato emozionante» continua lui, palesemente sfidandomi a reggere un confronto.
«Non c’è dubbio. Lo vedi come mi sono emozionata.» La mia voce è orribilmente atona.
Stavolta si lascia sfuggire una leggerissima risatina. «Anche a me faceva questo effetto le prime volte, ma solo quando si trattava della mia vita. Se guardo immagini di quella di qualcun altro, per quanto tristi o disperate siano le loro situazioni, non riesco a sentirle vicine e non mi fanno alcun effetto. Scommetto che a te ti manderebbero al tappeto» ridacchia di nuovo. Io non gli rispondo, non lo degno nemmeno di un’occhiata.
La nostra cella della ruota panoramica si inoltra nell’ultimo quarto del tragitto.
«Tempo e Vita… qual è la differenza tra i due?»
È esattamente la stessa domanda che mi sono posta io prima. Sentirla pronunciata dalla bocca del ragazzo è un colpo che mi distrae completamente dalle immagini portate dal Tempo, che sembravano dovermi occupare la mente per il resto dei miei giorni. Mi volto verso di lui, che già non mi sta più guardando. Non so dire chi sia tra i due ad avere più difficoltà a reggere un contatto visivo: entrambi ci sfidiamo a non mollare la presa, ma cediamo troppo presto, a volte lui e a volte io. Il potere della Vita mi comunica con chiarezza inaudita la timidezza di fondo di Daniel, che ha tentato in tutti i modi di affrontarmi senza vacillare pur sapendo dei miei sentimenti, ma molte volte non riesce a sostenere lo sguardo della ragazza che non riesce ad amare allo stesso modo.
Realizzarlo non fa così male come credevo. Ma purtroppo sono sicura che, appena questa situazione troverà la sua fine, sarò messa in crisi dalla convinzione che Daniel, così come in due anni non ha mai provato nulla per me, con ogni probabilità continuerà a vedermi allo stesso modo. Non posso fare altro che accettarlo, e sperare che, se lui non sarà in grado di venirmi incontro, io prima o poi riuscirò a mettere da parte questi sentimenti, nonostante non ci sia mai riuscita per tutto questo tempo.
«Il Tempo può esistere anche senza la Vita. La Vita invece dipende dal Tempo, senza di esso è come sospesa nel nulla» sentenzia lui.
«Ma senza la presenza della Vita che lo decodifica, il Tempo non avrebbe una vera forma.»
Non sembra stupirsi della mia risposta pronta. «Vedremo, vedremo chi ha ragione, Eleonora. Ora è meglio teletrasportarci dove dobbiamo, prima che il controllore mi veda con quest’altro aspetto.»
E mentre lui si sposta nel tempo per andare nel percorso 15, io faccio entrare la mia essenza, la mia esistenza stessa, in contatto con la realtà di quella strada, simulando un teletrasporto grazie al potere della Vita.

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Capitolo 17
*** XVI - Il canto della fenice ***


XVI
Il canto della fenice

I miei piedi atterrano con una certa leggerezza su un terreno brullo, con poche chiazze d’erba. Non distinguo niente ad un palmo dal mio naso: in questo posto all’oscurità si è aggiunta la nebbia.
Anziché mettermi a gridare il nome di Daniel per farmi raggiungere, dato che rischierei in un modo molto stupido di farci trovare da chiunque nelle vicinanze, metto alla prova il potere della Vita su tutta la zona, anche e soprattutto per capire se ci ho visto giusto sul terzo elemento del Legame con Ho-Oh. Libero la mia energia perché entri in contatto con lo spazio circostante, e in un attimo tutto viene irradiato da una luce visibile solo a me, come se il sole fosse allo zenit. Una piccola area di erba alta si estende alla mia sinistra, ma non c’è alcuna presenza nei dintorni, né di umani né di Pokémon. Intorno a me ci sono i muri rocciosi di una depressione nel terreno, e mi dirigo verso la scalinata artificiale che porta al livello superiore. Sono intimamente convinta di essere nel posto giusto, ma di Daniel non c’è traccia: eppure dovrebbe essere arrivato per primo.
Continuo a camminare senza difficoltà grazie alla luce creata dal potere della Vita. Un’altra rampa di scale si inerpica su una parete di roccia, e mentre aspetto Daniel non posso fare altro che accertarmi della direzione per Città Nera. La strada ha solo due uscite, una per la meta del nostro gruppo di Legati e l’altra per il Ponte Meraviglie, che collega i percorsi 15 e 16. Dei ponticelli mi portano da un dislivello all’altro e, una volta scesa all’altezza normale del terreno, vedo un’insegna che mi annuncia a chiare lettere che Città Nera si trova dalla parte opposta, dato che il varco davanti a me conduce al Ponte.
Una vibrazione mi fa sussultare leggermente; cerco di identificarla e capisco che proviene dal contatto stabilito con l’ambiente che mi circonda. Un attimo dopo so che è arrivato Daniel, che si è materializzato pressoché nello stesso punto in cui ero apparsa io: è un po’ lontano da me, eppure sono riuscita a rintracciarlo facilmente lo stesso. Con altrettanta facilità gli comunico mentalmente - in una conversazione a senso unico, dato che solo io posso parlargli così - che sto arrivando da lui. Mi materializzo immediatamente a poca distanza dalla sua figura, e mentre io posso vederlo benissimo, lui è nelle mie stesse condizioni appena arrivata.
«Daniel. Sono qui» bisbiglio, avvicinandomi con lentezza.
Lui si gira verso il punto da cui più o meno proviene la mia voce - guarda almeno un metro alla mia destra anziché dove sono esattamente io. Chiama piano il mio nome e un attimo dopo gli sfioro la mano, facendogli così capire che gli sono accanto. La sua faccia spaesata e intimorita, ora che non riesce a vedere niente, è una visione che non ha prezzo: ho un sorriso stupido sulle labbra, divertita dalla sua espressione.
«Gli altri?»
«L’appuntamento è tra almeno due ore e mezza, Dani. il percorso è completamente vuoto, a parte noi due.»
«Ma quando sei arrivata? Ero sicuro di teletrasportarmi vicino a te. Come fai a sapere che non c’è nessuno? Come fai a sapere dove stiamo andando, soprattutto?» domanda perplesso quando gli prendo la mano e lo porto verso le scale.
«Ho i miei mezzi» rispondo vaga. «Qui c’è una scalinata. Attento a dove metti i piedi.»
Neanche il tempo di avvertirlo che al secondo gradino inciampa. Scuoto la testa, in segno di disapprovazione ma comunque divertita, senza che lui possa vedermi. Delle innocue fiammelle arcobaleno prendono vita lungo la scala, una per gradino, come fuochi fatui sgargianti a mostrare la via. Servono soltanto a non far cadere Daniel lungo per terra, ma la loro aria mistica nell’oscurità - anche se per me sono ormai banali fuocherelli, peraltro alla luce del giorno - dev’essere intrigante.
«Grazie» bofonchia Daniel, accontentandosi di non ricevere una risposta più precisa.
Sono troppo occupata a cercare un luogo riparato per pensare a fugare i suoi dubbi; anche sondando la zona più accuratamente di prima non riesco a trovare un posto in cui nasconderci e aspettare. Ripensando anche alle due ore e mezza che mancano alla riunione di noi Legati quasi mi cedono le gambe per l’attesa che dobbiamo sopportare. «Potremmo entrare in città» sussurro a denti stretti.
Non volevo nemmeno che Daniel mi sentisse, ero rivolta unicamente a me stessa, ma ribatte: «Perché no? Tanto a Città Nera non ci troveremmo di certo i Victory, conoscendo come funziona lì.»
«Lo spero anch’io » mormorai, «ma il rischio è troppo grosso. Siamo due Legati, nella loro per niente appariscente Forma di Mezzo, che lasciano tracce inconfondibili per chiunque sia in grado di vederle… e sarà una mia paranoia, ma sono pronta a scommettere che dentro quelle mura» accenno con la testa ai palazzoni oscuri e inquietanti che costituiscono una sorta di cinta difensiva, «ci sia qualcuno in grado di riconoscerci. E poi non è detto che i Victory non siano penetrati in Città Nera. Per quanto ne sappiamo, i Comandanti potrebbero anche aver stabilito la loro roccaforte qui, in questi giorni.»
«Lo avremmo certamente saputo. I notiziari che abbiamo visto avrebbero parlato di una zona del mondo che già era completamente dentro la realtà dei Pokémon, e che è stata presa di mira dai Victory. Invece non abbiamo sentita una parola di Città Nera, neanche in giro.» Daniel sta prendendo troppo sul serio quello che per me era solo un pensiero senza capo né coda, dettato dall’impazienza e dal bisogno incontrollabile di fare qualcosa, di muovermi verso il nostro obbiettivo, la Fossa Gigante.
«E se i Victory attaccassero una volta appurato che ci siamo noi due? Gli abitanti, in cambio della loro incolumità e della salvezza della loro amata città, non ci penserebbero due volte a barattarci in cambio di esse» ribatto, tentando di dissuaderlo da quest’idea insensata che gli si è fissata nella testa, e che ci metterebbe soltanto in grande pericolo. «Non mi fido di quelle persone» aggiungo. Se non di Enigma, che, lo ammetto, è stata la ragione per cui ho pensato ad alta voce di entrare in città.
«Allora che vuoi fare? Aspettiamo qui nell’oscurità…»
«Esattamente, Daniel. Aspettiamo qui nell’oscurità» lo interrompo con tono perentorio.
Lui sbuffa e porta le mani ai fianchi. Si guarda intorno con quel poco di favore dato dalle fiamme arcobaleno sugli ultimi gradini. Cerca di convincermi per un’ultima volta: «Allora andiamo sul Ponte Meraviglie. So che è l’ora di punta e ci passerà tanta gente, tante macchine, ma siamo anche due dei Legati più potenti in circolazione: io mi gestisco il tempo come voglio e tu dai fuoco a cose e persone con lo sguardo. Non avremmo alcuna difficoltà con delle reclute Victory, e se siamo così sfortunati da essere attaccati dai Generali ce la diamo a gambe teletrasportandoci provvisoriamente a Città Nera. E cambiamo il luogo dell’appuntamento con gli altri, visto che li attireremo in trappola se lasciamo questo come punto di ritrovo.»
«Daniel.»
«Eleonora.»
Inarco le sopracciglia ma lui fa finta di niente. Alzo gli occhi al cielo, decidendo di perdere questa battaglia e assecondando così anche il mio bisogno di passare queste due ore e passa che ci rimangono. «Andiamo» gli dico soltanto, incamminandomi verso l’altra estremità del percorso; le fiammelle arcobaleno si spengono appena anche Daniel se ne allontana, seguendomi silenziosamente, e se ne accendono altre per le scale che portano sopra il dislivello e ai lati dei ponti che attraversiamo.
Interrompo l’utilizzo del potere della Vita - che a lungo andare è senza dubbio stancante, dato che ha prosciugato parte delle mie energie - solo quando entriamo nel varco per il Ponte Meraviglie, dove quindi non mi serve più. Non c’è un gran via vai di persone, perciò i capelli blu e argento e gli occhi rossi di Daniel risultano fin troppo vistosi, così come la sua altezza spropositata; ci si mettono anche i suoi vestiti eleganti, per niente adatti alle temperature di una sera invernale. Anch’io mi guadagno un buon numero di occhiate che mi sforzo di ignorare tenendo lo sguardo rivolto al pavimento, lasciando al mio compagno il compito di vedere se in giro c’è qualche tuta bianca, nera, grigia e rossa. Almeno io sono coperta dalle lenti a contatto e ho ancora i vestiti normali che ho usato per girare ad Austropoli: mi auguro che non sia necessario fare niente che mi costringa a indossare gli abiti della Forma di Mezzo.
Ci infiliamo nell’ascensore che porta alla corsia del ponte riservata esclusivamente ai pedoni, mentre l’autostrada che le scorre accanto prosegue sfiorando Città Nera. Daniel, con il potere dell’acciaio, riesce a chiudere la porta prima che qualcun altro venga a disturbarci con la sua compagnia. Fa una faccia contrariata e mi guarda male appena sente nella sua mente la mia voce: “Guarda te in che razza di situazione ci stiamo infilando.” Il suo sguardo è sufficiente per capire cosa ribatterebbe se potesse: che avrei potuto oppormi ancora e lui avrebbe lasciato perdere, e invece lo avevo accontentato.
Usciamo e sorprendentemente per me ci sono ancor meno persone, a occhio, di quante ne abbiamo viste giù al varco. «Strano che siano così pochi sul ponte» mormoro. Prima ancora che Daniel mi risponda so già spiegarmi la ragione. Le macchine, al contrario, formano due code ininterrotte che scorrono lentamente verso parti opposte.
«Chi vuoi che vada a Città Nera? E chi vuoi che se ne vada da lì?»
Annuisco distrattamente. Questo ponte sospeso è una meraviglia dell’ingegneria e fa onore alla reputazione di Unima come una delle regioni più avanzate, tecnologicamente parlando: pannelli di luce segnano i limiti della strada e sono incorporati anche nel parapetto, e la struttura sopra le nostre teste forma curve longilinee, piuttosto esili, e dalla forma elegante, a cui si legano i cavi che sostengono il ponte. Di giorno deve essere spettacolare, ma anche la sera è eccezionale vedere le scie di luce che seguono il percorso del camminamento.
Una volta arrivati pressoché a metà, mi appoggio alla ringhiera con i gomiti e guardo in basso. Mi sembra di essere sospesi nel vuoto più inquieto. Il corso di uno dei due maggiori fiumi di Unima è completamente nero, così come le rive tra cui scorre: si distingue solo dai riflessi che la poca luce fa sull’acqua. Se non ci fossero tutte queste macchine, si sentirebbe di sicuro l’acqua che scorre molto velocemente, impetuosa.
Il vento è altrettanto veemente e mi costringe a tirarmi indietro. Già i miei capelli erano arruffati prima, non me li voglio figurare ora; anche quelli di Daniel, che nella Forma di Mezzo sono ben acconciati, sono parecchio spettinati a causa della corrente. Mentre guarda l’oscurità come me, al mio fianco, non appoggiato al parapetto di vetro, metallo e luce, si passa una mano tra di essi per riavviarseli, ma non fa che peggiorare la situazione.
Giro il capo e mi incanto per parecchio a guardare le automobili che colmano tutte le corsie dell’autostrada. Sulle prime non mi passa nulla per la testa, piena soltanto dei fanali accesi e del suono dei clacson. Mi sembra che sia passata una vita dall’ultima volta che ho visto un’autostrada così da vicino. È solo uno dei tanti spettacoli che ho dimenticato da quando sono entrata a far parte della realtà Pokémon.
È del tutto impossibile vedere chi sia alla guida o i passeggeri dei veicoli. Un pensiero placido, la cui gravità quasi non si fa sentire, mi attraversa la mente senza che mi allarmi granché: quante probabilità ci sono che dietro quei finestrini, al volante o sugli altri sedili, ci sia una recluta Victory o un sostenitore del Team?
«Ti vedo pensierosa» dice Daniel. «Non è che ti rode perché alla fine siamo venuti qui, eh?»
«Un problema del genere non mi sfiora minimamente.» Lui ridacchia e, prima che mi provochi di nuovo, aggiungo: «Mi chiedo, però, che senso abbia stare qui fermi. Non c’è molta differenza con il percorso di prima.»
«Ce n’è eccome! Qui ci vedo, almeno qualcosa!» ribatte. «E a proposito, non mi hai mica detto come facevi a camminare al buio senza inciampare ogni due passi e a conoscere la strada. Non mi hai nemmeno detto…»
«Non lo so perché mi sono materializzata prima di te» lo interrompo, sapendo dove vuole andare a parare, «mi aspettavo io per prima di trovarti, non credevo fossi tu a raggiungermi. Ma a quanto pare ti ho vinto nel tuo stesso campo» sorrido. Lui fa una smorfia. «E comunque ci vedevo benissimo grazie al mio potere speciale.»
«Cioè?»
«Il potere della Vita.» Ricambio il suo sguardo interrogativo con uno quasi indifferente. «Riesco a entrare in contatto con la realtà che mi circonda. Quando l’ho fatto prima, l’ambiente si è riempito di luce e vedevo come fossimo in pieno giorno. Il potere della Vita può anche portarmi a conoscere il passato e le condizioni attuali delle persone con cui stabilisco un contatto… un contatto tra la mia esistenza e la loro. È difficile da spiegare» sbuffo, con un mezzo sorriso sulle labbra, apparentemente distratta a guardare l’orizzonte - ma la linea di confine tra cielo e terra non si può distinguere benissimo. «Ma penso che in qualche modo lo capirai. È una cosa naturale e automatica per me, ma l’ho scoperta da poco. Pochissimo» mi correggo. «Proprio come è banale per te metterti ad esaminare il Tempo, così per me è estremamente semplice usare la Vita.»
Daniel per un po’ non risponde nulla: anche lui guarda altrove, ragionando sulle mie parole - sempre che si sia degnato di fare attenzione e di non pensare a sé: sarà pure necessario per lui, ma è comunque fastidioso. «E io che credevo che fosse tanto dare fuoco con il pensiero» sentenzia infine. Di nuovo sbuffo, leggermente divertita. «Ma puoi avere tutti i poteri strani e inquietanti che vuoi, tanto io ti batto sempre sul tempo.»
«No, non sempre. Pensa a prima: sono riuscita a superarti senza impegno, senza volerlo neanche, figurati, nel tuo stesso dominio! Non ti vergogni?»
«Ammetto che la verità è che è colpa di Dialga. Ha scelto di trattenere il suo amato Legato e di chiacchierarci amabilmente, come al solito nel momento meno opportuno.» Fa spallucce di fronte alla mia faccia sorpresa e curiosa - anche, se non soprattutto, dal tono ironico con cui ha parlato. «Roba noiosa, tanto per cambiare. È uno vecchio dentro.»
«Ma ti prego…»
«Ho-Oh com’è con te?»
«Lunatico» rispondo immediatamente, appena ripenso a questa sera stessa, quando nel suo aspetto umano si è messo a comportarsi in modo molto strano per sviarmi dai pensieri sulle sue contraddizioni. «Incoerente in quello che dice… e davvero schivo. Ma questo da poco: in genere è molto serio, controllato… quando è di buonumore è piuttosto incline alle battute. Soprattutto a farle sul mio conto.» Daniel se la ride di gusto. «Sei un’infame.»
«Credo che io e Ho-Oh andremmo molto d’accordo!»
“Io credo di no” borbotta il Leggendario nella mia testa, passando sopra alla descrizione poco simpatica che ho fatto di lui. La mia faccia è impassibile, per non far vedere a Daniel che l’altro capo del mio Legame sta blaterando qualcosa a sua insaputa, ma mi chiedo sinceramente cos’abbia il ragazzo che non piace a Ho-Oh.
«Non ne sono sicura» ribatto soltanto. Prima che possa replicare, aggiungo: «Tu invece non me la racconti per niente giusta su Dialga. Non ti piace proprio parlare di lui.»
«Ti ho detto tutto quello che serve sapere: è noioso e si comporta come un vecchio. E poi niente, è quasi sempre serissimo, impeccabile, ma a volte gli si annebbia la vista e monta su tutte le furie. Non è per niente un bello spettacolo.» Il suo tono ha perso tutto l’accento scherzoso di poco fa ed è diventato quasi rattristato. «Per fortuna è successo raramente.» Vorrei chiedergli quando, ma sarei affatto indelicata; è lui infine a parlarne spontaneamente. «Quando faccio di testa mia e vado contro i suoi ordini, mi dice di dargli retta. Di solito lo fa insistendo sempre di più, ma senza arrabbiarsi. È capitato comunque che, per qualcosa di serio in cui non lo ascoltavo, sia diventato veramente terribile. La volta peggiore è stata, senza ombra di dubbio, quando ho guardato tutto quello che è successo durante la guerra tra i Victory e i nostri.»
Spalanco le palpebre, esterrefatta. «Lo sai? Sai cosa è su…»
«Mi ha cancellato la memoria.» I miei occhi si scoprono ancor di più, se possibile - ma forse è solo una mia sensazione, di fronte al suo sorriso amareggiato. Mi guarda con un’espressione velata di tristezza, e non gli manca il senso di colpa. «Non mi ha fatto dimenticare la sfuriata che ha fatto, però. Me la sono rivista anche in sogno, per più notti tra l’altro. A quanto pare c’è qualcosa che riguarda questo conflitto che va oltre la nostra immaginazione… c’è qualcos’altro prima del fatto che le due fazioni sono nemiche.»
«Di questo non dubitavo» bisbiglio. Lui sembra non sentirmi.
Indipendentemente dagli standard di Daniel, che può anche vedere Dialga peggio di quello che è, dubito che Ho-Oh si sia mai infuriato veramente. Mi ha rimproverata quando ho più o meno inconsapevolmente dato retta a Helenos e sono andata contro Hei Feng, e prima ancora quand’ero finita nel Bosco Smeraldo dopo l’attacco dei Victory al Monte Corona; non ricordo altri episodi degni di nota. In ogni caso è stato di gran lunga peggiore il breve incontro con Helenos di qualsiasi cosa la fenice abbia mai avuto da ridire.
«I tuoi predecessori, gli altri Legati di Dialga, ti hanno mai dato una mano?» gli domando.
La sua espressione diventa basita. «Tu sei davvero in grado di parlare con i Legati di Ho-Oh del passato?»
«Be’… no. Non credo di poterli contattare, dovrebbero essere loro a farlo. Però uno di loro si è fatto sentire più di una volta. Il suo primo Legato, che viene dal Primo Mondo. Helenos.» Sospiro il suo nome e ringrazio il cielo di non averci più avuto a che fare da quando l’ho rifiutato apertamente per tornare ad essere, nel comportamento, nel carattere e nel modo di pensare, la ragazza umana di sempre. «Se Dialga riesce ad essere bestiale come dici, allora quell’uomo gli fa concorrenza. È veramente, veramente terribile.»
«E come fa a parlarti? L’hai mai visto?»
«Sì. Si è materializzato davanti a me una volta, sulla Torre Campana, e sembrava sul punto di tagliarmi la gola. Credo lo farebbe volentieri, se Ho-Oh non glielo impedisse» borbotto. «Tanto per cominciare, a detta di Ho-Oh è un misogino. Né più né meno.» Daniel storce la bocca, come a commentare “brutta storia”. «E soprattutto mi considera una totale incapace, inadatta alla mia posizione di Legata di Ho-Oh. Quindi più di una volta, senza che neanche me ne accorgessi, ha preso il controllo e mi ha fatta comportare come non avrei mai osato in vita mia, ad esempio con Hei Feng: è stato lui a darle filo da torcere attraverso me, non io. Alla fine sono riuscita a mandarlo via: l’ultima volta che l’ho percepito è stata proprio la prima e unica in cui l’ho visto.»
«Mi dispiace. Non so che dire… non sapevo nemmeno che qualcosa del genere potesse succedere.»
«Neanch’io, finché Ho-Oh non si è deciso a spiegarmelo. Si è rifiutato di farlo per parecchio tempo.» Il silenzio scende tra di noi, ma c’è poca differenza tra adesso e tra quando stavamo parlando: i rumori più forti provenivano e provengono dall’autostrada.
Mi stupisce che sia riuscita a mantenere il sangue freddo, ad avere un atteggiamento serio e impassibile, mentre parlavo di Helenos. Mi sorprende anche, stranamente in misura minore, che sia in grado di dialogare con Daniel nonostante sappia che lui non ricambi, e forse non ricambierà mai, i miei sentimenti. La delusione e la frustrazione sono distanti da me come se appartenessero a una persona con cui ho poca e nulla empatia, eppure quel che provo rimane molto forte: non mi sto assolutamente disinnamorando di lui. Immagino che abbia soltanto acquisito più autocontrollo, anche se rimango una personcina sensibile a livelli imbarazzanti - sono stati sufficienti pochi primi istanti del viaggio nel nostro passato per iniziare a farmi piangere.
«Comunque piaci davvero, a quel Luke.»
Daniel è davvero in vena di chiacchierare stasera. Non so se sia più fastidioso quando non fa altro che parlare di sé o quando va a toccare argomenti sgradevoli e poco simpatici per me. «Che c’entra adesso?»
«Adesso niente, ma volevo dirtelo da un po’. Si vede a un miglio da distanza che stravede per te, l’ho capito il giorno dopo la prima volta che l’ho incontrato, se non il giorno stesso. Ma perché ti ama, poi?»
Siamo passati dal “gli piaci” al “ti ama” passando per lo “stravede per te”, quasi mi vengono i brividi. «Mi avrà mitizzata ricordandosi di me come la ragazza che lo voleva portare in salvo dai Victory, e che si era disperata di fronte a tutti quando lo ha perso. Magari crede che ricambiassi pure… ad ogni modo, quella è stata l’unica volta in cui abbiamo veramente scambiato qualche parola: da quando ci siamo ritrovati non abbiamo parlato granché, le nostre conversazioni più lunghe riguardavano i Legami. Proprio niente di romantico, insomma… credo anche di essere sempre stata abbastanza scostante con lui, appunto perché fin da quando ci siamo rivisti non ho avuto una grande impressione sui suoi atteggiamenti e sui suoi pensieri… non vedo perché gli piaccia.»
«Neanch’io vedo niente per cui possa amarti» ghigna l’infame, sottolineando le ultime due parole. Alzo gli occhi al cielo, rimanendo però indifferente alla sua provocazione. Normalmente mi sarei offesa a morte e avrei perso la sicurezza in me stessa come un’adolescente in crisi, anche perché, nonostante il tono scherzoso, Daniel ha detto la verità almeno sul suo conto: lui non ha trovato alcun motivo per cui provare qualcosa per me oltre una sincera amicizia. Invece adesso, nonostante sappia cosa c’è dietro quelle parole fintamente innocenti, mi tocca solo in minima parte la situazione con Daniel. Qualcosa mi dice che c’entra Ho-Oh.
«Be’, ad essere sinceri» non posso fare a meno di drizzare le orecchie quando Daniel esordisce così, «mi hanno detto più volte che sei molto brava a cantare, ma non ho mai avuto il piacere di sentirti. Né tantomento lo ha avuto Luke, quindi deve averlo affascinato qualcos’altro.»
«Non c‘è mai stata occasione di cantare con te» mormoro. «E da quando sono entrata nel mondo dei Pokémon, le volte totali in cui l’ho fatto si contato sulle dita di una sola mano. Ma visto che è merito del Legame di Ho-Oh se ho questa capacità, immagino non faccia differenza se non canto per mesi o anni prima di ricominciare.»
«Già. Il famoso canto della fenice» dice Daniel distrattamente. Poi mi sorride. «Non so se hai capito che vorrei avere l’onore di sentirlo.»
«L’avevo capito, ma speravo scegliessi un altro momento e un altro luogo» borbotto. «Devi sempre mettermi in difficoltà, in un modo o nell’altro… che gusto ci trovi, lo sai solo tu.» Lui ridacchia senza però ribattere alcunché, mentre io vado in cerca di una canzone, di cui mi ricordi le parole e la melodia, che lo accontenti e che non sia troppo impegnativa: il vero problema è proprio la mia memoria, non le mie capacità, che per merito di Ho-Oh non mi mancheranno di certo.
Il ricordo inizialmente vago di un brano affiora alla mia mente. Non ci vuole niente perché una delle canzoni che più ho amato in passato torni completamente alla mia memoria: il testo è breve e ripetitivo, ma le poche frasi che contiene sono sempre state più che sufficienti per affascinarmi e immergermi in ingenue riflessioni, quand’ero ancora una ragazzina. Adesso che ho una corazza molto più resistente e che ho tanta esperienza, almeno rispetto a quei giorni di innocenza e tranquillità, trovo le parole più che mai adatte alla situazione che sto vivendo, donandole la magia che le manca per essere un po’ più apprezzabile e piacevole. La malinconia e la nostalgia che sia il ritmo, lento ed emotivo, sia il testo trasmettono sono, ad ogni modo, le stesse che spesso provo anch’io.

«Free… as a bird… it’s the next best thing to be, free as a bird…
«Home… home and dry… like a homing bird I’ll fly, as a bird on wings.»

Una pausa più lunga di tutte quelle che ci sono state finora.

«Whatever happened to the life that we once knew?
«Can we really live without each other?
«Where did we lose the touch that seemed to mean so much?
«It always made me feel so…»

Mi dico che può bastare così, anche se nessuno ha potuto sentirmi, nonostante abbia cantato con voce abbastanza alta. Invece vado avanti, quasi fino alla fine della canzone, che mi trasporta naturalmente contro le mie intenzioni iniziali, senza che io riesca - né voglia farlo - ad oppormi.

«Free… as a bird… like the next best thing to be, free as a bird…
«Home… home and dry… like a homing bird I’ll fly, as a bird on wings…
«Whatever happened to the life that we once knew?
«Always made me feel… so free…»

L’ultima nota vibra dolcemente nell’aria fino a spegnersi, anche se era già diventata inudibile a Daniel, soffocata dai rumori del traffico. I suoi occhi sono rimasti incollati a me per tutta la durata del canto, forse anche più attenti delle sue orecchie, ma appena finisco e faccio per ricambiare lui distoglie lo sguardo. «Wow. Meglio dell’originale» mormora.
«È piuttosto semplice come canzone» replico, scrollando le spalle.
«Sì, va be’… in realtà volevo dire che è difficile che ci sia qualcuno in grado di far meglio di te» ribatte, parlando in modo un po’ esitante, quasi avesse paura di farmi un complimento.
Le mie labbra si curvano: era da tempo che non ricevevo apprezzamenti sulla mia più grande passione e abilità - d’altronde non l’ho messa in pratica per un’infinità di tempo. Le parole di Daniel non mi lusingano, ma mi fanno comunque un grande piacere. Ho voglia di cantare ancora, e subito dopo avverto una sorta di mancanza, una fitta al petto: è come se soltanto adesso realizzassi che non c’è tempo né modo per dedicarsi alle proprie passioni. Abbiamo dovuto tutti rinunciare a qualcosa che praticavamo, a parte forse quanti amavano - e amano - discipline sportive, o altri generi che tornino utili alle Forze del Bene per addestrare le sue reclute.
«Ehi!»
Un saluto fatto da una voce sconosciuta fa voltare di scatto sia me che Daniel. Il mio battito cardiaco viene meno alla vista di una tuta rossa, bianca, nera e grigia: a portarla è una ragazza che avrà la mia stessa età, se non qualcosa di meno. I lunghi, lisci capelli tinti di nero - si vede anche nell’oscurità l’inizio di una ricrescita più chiara - sono raccolti in una coda, ondeggiante sia per la camminata decisa che per il vento affatto calmo.
«Eri tu a cantare?» mi chiede sorridente appena si fa vicina.
Le mie labbra tremano mentre cerco di ricambiare il sorriso. «Sì.»
«Sei bravissima! E quella canzone mi piace da morire! Riuscivi a far vibrare le note come i cantanti lirici, all’inizio pensavo che fosse tratto da un’opera. Invece è Free as a bird… era irriconoscibile! Ho capito che era quella soltanto dal testo!»
Non riesco a spiccicare parola, al contrario della signorina Victory che è tutta emozionata per aver potuto ascoltare una versione più complessa e abile di una delle sue canzoni preferite. L’unica cosa che mi passa per la testa è una domanda: come ha fatto ad avvicinarsi senza che né io né Daniel ci accorgessimo di un’altra presenza? È vero che eravamo entrambi distratti, ma non a tal punto da non far caso ad un unico passante all’infuori di noi. Almeno credo: a pensarci bene ero talmente presa dalla canzone e dal momento che dubito sia stata in grado di stare all’erta. Cos’avesse Daniel a cui pensare, non lo so, ma comunque dubito che la ragazza ci voglia attirare in una trappola. Nemmeno Ho-Oh ha lanciato un allarme, quando invece è sempre pronto a farlo.
«Sei nel Victory Team?» Il tono di Daniel è gelido. La ragazza sembra non notarlo; anzi, quando lo guarda in viso per la prima volta sbatte innocentemente le ciglia e sorride, attratta da lui in men che non si dica.
«Sì! Da qualche tempo, a dirla tutta. So che è stato uno shock sapere che esistono creature chiamate Pokémon, che c’è una guerra in corso tra noi e un’altra organizzazione e che avevamo anche degli accordi con i governi… ma dopo lo spavento iniziale c’è stato un boom di richieste per entrare nel Team! La maggior parte sono state respinte, essere dentro è un privilegio ormai. Ma abbiamo affiliazioni un po’ ovunque. Anche voi siete dei sostenitori?»
«Preferiamo mantenere un profilo basso» rispondo vagamente prima che Daniel dica qualcosa. «Siamo da una parte un po’ neutrale… aspettiamo che la situazione si schiarisca.»
«Ah, certo, certo.» La ragazza annuisce vigorosamente e poi torna a guardare il Legato di Dialga. «Mi auguro che facciate la scelta migliore. Il nemico si fa chiamare Forze del Bene, paradossalmente: si sta opponendo da anni a un regime che farà solo del bene dalla società.»
«Sei molto convinta delle tue posizioni» dice Daniel.
«Assolutamente! Non ho mai vissuto così bene da quando i Victory mi hanno offerto di lavorare per loro. Ero scappata di casa…» mormora, ma non approfondisce questo punto - non che ce ne importi davvero - e prosegue: «Uno dei Capitani mi ha trovata, per fortuna. Gli ho spiegato la situazione e mi ha aiutata, fino a farmi entrare nel Team. Mi hanno insegnato tutto e mi hanno dato dei Pokémon meravigliosi. Ho finalmente avuto una famiglia che mi stesse accanto e mi amasse come avevo sempre desiderato!»
«Le Forze del Bene avranno fatto lo stesso per persone come te» replico. «Avrebbero aiutato anche te, se fosse stato uno di quell’organizzazione a trovarti. A questo punto saresti a loro servizio e odieresti i Victory… a meno che tu, e questa è la cosa più importante di tutte, non condivida l’ideologia del Team, a tal punto che te ne saresti andata dalle Forze del Bene per unirti ad esso.»
«Lo avrei fatto» risponde con sicurezza appena finisco di parlare.
Annuisco leggermente, guardandola negli occhi - stranamente non sta ammirando il volto di Daniel - convinti quanto la sua voce di quello che dice. «Mi dispiace.»
“Creami uno scudo, Daniel.”
«Per cosa?» La ragazza è leggermente sorpresa.
Non fa in tempo a finire di parlare che il tempo si ferma: il vento, le macchine e i rumori dalla strada si bloccano bruscamente, come se qualcuno avesse premuto un pulsante di pausa durante la riproduzione di una scena in un film. La recluta si è bloccata con la bocca aperta e non è in grado di muoversi, eppure i suoi occhi stralunati, vivi, mi fanno capire che è cosciente di quello che le sta accadendo, e che non può fare niente per riprendersi. È intrappolata dalla stasi del tempo, non riesce a muoversi.
Prima che la forza del suo sguardo terrorizzato mi dissuada, traccio con l’indice una linea retta dalla base del suo collo alla punta del mento. Appena il dito si curva, tornando al suo posto insieme agli altri, chiusi in un pugno, una fiammella le abbandona la bocca, accarezzandole il labbro inferiore su cui si poggia per un momento, per poi spegnersi. Nello stesso momento in cui scompare, la ragazza sembra perdere i sensi: il tempo la libera e lascia che cada tra le mie braccia. I suoi vestiti sono freddi, ma mai quanto il suo viso - tengo una mano su una sua guancia - apparentemente addormentato.
«Era la cosa giusta da fare» mi dice Daniel per rassicurarmi, quando mi vede immobile quasi quanto lei.
«Lo so.»
Per alcuni secondi non faccio altro che guardare le sue palpebre chiuse, senza provare alcuna emozione: anche la mia voce è suonata priva d’intonazione. Poi il suo corpo stesso si trasforma in fiamme: le mie braccia, non aspettandoselo, si stringono affondando letteralmente dentro di esso, senza uscirne bruciate. È illesa anche la tuta Victory che rimane appesa alle mie mani.
«Questo potevi risp…»
«Non sono stata io» lo interrompo. I miei occhi vanno fuori fuoco e fissano senza un vero motivo la divisa della ragazza. Mi riscuoto quel tanto che basta per far rifluire pensieri alla mente quando realizzo che sto guardando soltanto il semplice stemma dei Victory, con una V e una T perfettamente sovrapposte, a formare un triangolo isoscele diviso a metà, con il vertice rivolto verso il terreno.
Il tempo riprende il suo corso come di consueto appena abbandono la tuta oltre il parapetto del ponte. Viene inghiottita dall’oscurità e posso solo immaginare che sia caduta in acqua, trasportata dalla corrente che è tornata a scorrere.
«Andiamo a Città Nera, Daniel.»

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Capitolo 18
*** XVII - Conflitto secolare ***


XVII
Conflitto secolare

Non capisco perché, ma sembra che non ci sia nessuno nell’appartamento di Enigma. Ho dato naturalmente per scontato che l’uomo fosse rimasto barricato in casa sua come sempre, da quando vive nella città fuori dal conflitto tra Forze del Bene e Victory; invece, quando per accertarmi che non ci fosse alcuna presenza pericolosa nelle vicinanze ho attivato il potere della Vita, non ho sentito proprio niente.
«Immagino non gli darà fastidio se entriamo e aspettiamo qui» mormoro tra me e me.
«Non darà fastidio a chi?» sbotta puntualmente Daniel, seccato dalla solita scarsità di spiegazioni ogni volta che decido di spostarci in un luogo che lui non conosce. «Di grazia, si può sapere dove siamo?»
«In un luogo sicuro. Mi apri la porta, per piacere?»
Il ragazzo alza gli occhi al cielo ma esgue: dopo che ha sfiorato i due buchi della serratura con la punta delle dita, la porta si schiude accompagnata dal rumore di un chiavistello sbloccato. La sospinge ed entra, seguito da me, che lo supero appena posso per dare, non senza una crescente preoccupazione, un’occhiata all’appartamento.
È tutto fin troppo in ordine per i miei gusti, e probabilmente anche per quelli di Enigma. Non so dire se ricordi meglio il colloquio con l’uomo, quel lontano giorno a Città Nera quasi un anno fa, o l’ambiente tremendamente caotico, pervaso dagli odori pungenti e sgradevoli dell’alcol e del fumo. Sul tavolino da caffè, sistemato mezzo storto rispetto al divano e alle poltrone, giacevano fogli e fascicoli mischiati tra loro, ormai privi d’identità se non agli occhi di Enigma - che chissà cosa ci faceva con quelle scartoffie, quei documenti, dato che se n’era andato dalla Polizia Internazionale, prima ancora essa che scomparisse definitivamente a causa dell’arrivo dei Victory e della nascita tempestiva delle Forze del Bene. È difficile credere che adesso stia guardando il medesimo tavolino, ma sgombro e ben pulito: soltanto un telecomando e un centrotavola vi sono poggiati. Anche la libreria e i mobili del salotto sono stati sistemati - direi più che altro che sono stati svuotati, per prima cosa, e poi messi in ordine. L’appartamento è nelle condizioni di ricevere visite.
Mi chiedo se Enigma sia fuori soltanto momentaneamente o se, anche da poco, abbia abbandonato la sua casa. Quest’idea sopraggiunge quasi senza motivo, anche perché non è mai sembrato intenzionato a lasciare la sua abitazione e la città in cui ha trovato rifugio durante il conflitto: è soltanto una mia sensazione dettata da un sesto senso. Con il potere della Vita potrei analizzare l’ambiente e le “tracce” lasciate da Enigma, e capire così che fine abbia fatto. Ma non voglio, per lo meno non ora.
Daniel si guarda intorno con curiosità e mi fa ripensare - non riesco a nascondere un sorriso al sopraggiungere dei ricordi - a come avessi ficcanasato spudoratamente in giro mentre Enigma leggeva il brevissimo messaggio da parte di Bellocchio, consegnatogli da me e Melisse. Prima che si accorga di essere studiato mentre esamina le fotografie alle pareti e sui mobili, torno a fare attenzione alle condizioni del salotto, l’unica parte della casa che abbia mai visto, in cerca di indizi per non essere costretta ad usare l’elemento della Vita.
«Oh! Ma che…?» esclama Daniel all’improvviso. So già di cosa sta parlando senza aver sfruttato alcun potere. «Può essere che sia Bellocchio questo qui? Non ci credo! Guarda, Eleonora, è proprio lui!»
Sta guardando la fotografia in bianco e nero appesa alla parete che ritrae Enigma, Bellocchio e le rispettive mogli. La sua faccia stupita è leggermente divertita, contagiata dall’allegria espressa da quei quattro volti. Io, quando vidi quella foto, ero molto sorpresa e anche piuttosto intenerita.
«So che è lui. Sono già stata qui» gli rispondo semplicemente, mitigando il suo entusiasmo.
Si volta di scatto: non si capacita della mia calma. «Mi spieghi o no che cosa è questo posto e perché ci sei già stata?»
«Il proprietario di questa casa si fa chiamare Enigma ed era un collega di Bellocchio quando entrambi lavoravano per la Polizia Internazionale. Anche se, più che colleghi, erano amici molto, molto intimi, a tal punto che Enigma parlava di lui come di un fratello minore. Bellocchio mandò me e Melisse a consegnargli un messaggio che non so cosa dicesse, e quando Enigma vide che avevo notato quella stessa foto» con la testa faccio un cenno rivolto ad essa, «si mise a raccontare degli anni di Bellocchio nella Polizia e della loro conoscenza, per poi arrivare alla nascita del Victory Team e delle Forze del Bene.»
«Però. Una persona che sapeva tenere un segreto» commenta Daniel. «Per essere vissuto qui si dev’essere rifiutato di schierarsi da qualunque parte. Nonostante fosse il grande amico di Bellocchio…»
«Non sarà mica morto!» esclamo. «Comunque sì. Si separò da Bellocchio proprio allora, perché non vedeva il motivo di schierarsi con le Forze del Bene, né contro di loro. Ad ogni modo non aveva neanche Pokémon, e non li ha ancora, proprio come Bellocchio.»
Daniel annuisce semplicemente e torna a farsi i fatti di Enigma, non visto dal proprietario della casa. Il contrario mio, che guardai le foto della vita dell’uomo sotto i suoi stessi occhi. Li ricordo bene: azzurri, abbastanza grandi, con un’incredibile espressione profonda che sembrava in grado di leggere nella mente di qualsiasi interlocutore. Mi avevano messa a disagio più volte per quella loro capacità, e allo stesso tempo affascinata proprio per quel motivo. Ricordo altrettanto bene i capelli rossi messi alla prova dall’età in avanzamento e il naso piuttosto lungo, aquilino. Non c’è una cosa di quell’incontro, non un dettaglio che non sia stato marchiato a fuoco nella mia memoria.
Mi sembra così strano, ma a pensarci è comprensibile, che sia precipitata in un periodo di confusione dopo aver conosciuto le posizioni di qualcuno fuori dal conflitto. Enigma era riuscito in circa dieci minuti a far crollare le mie certezze: se inizialmente gli attriti con Bellocchio erano dovuti perlopiù al mio caratterino, dopo qualche tempo di riflessioni sui discorsi dell’uomo di Città Nera trovavo le sue argomentazioni sempre più corrette, e non avevo mancato di farlo sapere al mio superiore. Dalla comprensione ero infatti passata alla condivisione, ed ero rimasta nelle Forze del Bene per una sorta di senso del dovere. L’alternativa era unirmi a gente come Cyrus, che chissà come mi avrebbe fatto conoscere il Legame e in che modo mi avrebbe chiesto di sfruttarlo. Per quanto ardua fosse stata la scelta in alcuni momenti di particolari ostilità e tensione, riuscii sempre a preferire Bellocchio, nonostante tutti i suoi difetti e il cattivo sangue tra noi due, all’ex boss del Team Galassia e alla sua compagnia.
Le Forze del Bene mi hanno procurato tante delusioni, ma il Victory Team mi ha inferto le ferite peggiori. L’ostinazione di Bellocchio, che peraltro è sempre stato in buona fede, a non dirmi niente sul Legame e gli attriti tra noi due non sono niente, se non piccole scintille di rabbia nella storia delle mie emozioni, al rapimento e all’uccisione dei miei genitori, mezzi che le Forze del Bene non avrebbero mai adottato, perché il ricatto non fa parte del loro armamentario. È questa la sostanziale differenza tra le due fazioni, o almeno tra i loro comandanti: Bellocchio ha sempre avuto le sue ragioni per negarmi la conoscenza della mia identità, per allontanarmi dal mio passato nel mondo esclusivamente umano, per riprendermi, quando andavo volutamente contro di lui per fargli un dispetto, anche con maniere più forti - tra cui non mandarmi in missione per più di sei mesi.
A muovere ogni azione dei Victory sono invece Nike e il fratello, spinti da qualcosa che va oltre la sete di potere: sono invischiati, sicuramente insieme a “Vì”, in faccende che riguardano anche e soprattutto i Leggendari, e sono certa che siano mille volte peggiori di quanto chiunque tra noi possa credere, persino noi Legati. Mi viene subito in mente Daniel, a cui Dialga ha cancellato la memoria dopo che era andato ad analizzare cosa abbia diretto le sorti della guerra per quasi dieci anni.
Lo realizzo solo ora, e mi dispiace, ma per poco non tiro un sospiro di sollievo se penso alla fortuna che ho avuto a rimanere sempre dalla parte delle Forze del Bene. Molte reclute dei Victory avranno le loro più che valide ragioni per essere riconoscenti al Team di averle prese con sé, come la ragazza che abbiamo incontrato sul Ponte Meraviglie; ma se per certi versi entrambe le fazioni non presentano tante differenze, ce ne sono alcune sostanziali - come la ragione e le ragioni di Bellocchio - che mi fanno ringraziare il cielo di aver avuto questa possibilità. Certo non ho dubbi che le Forze del Bene abbiano avuto le loro centinaia di prigionieri sotto tortura e che abbiano adottato, talvolta, qualche mezzo poco apprezzabile per sottrarre ai Victory ciò di cui avevano bisogno. Ma, come disse anche Enigma, il fine giustifica i mezzi; e io sto con un uomo che ritengo equilibrato, che è riuscito a superare il desiderio di vendetta nei confronti del nemico nonostante gli abbia portato via le cose e le persone che gli stavano più a cuore.
È paradossale che capisca di essere stata fortunata a ritrovarmi dalla parte di Bellocchio proprio adesso, nel luogo in cui per la prima volta fu instillato in me il seme del dubbio. Non mi nego una certa vergogna di me stessa a ripensare a come mi sia comportata con Hei Feng e come tante volte abbia sfidato Bellocchio, e a come lui, dopo momenti di inevitabile rabbia, sia sempre stato disposto a fare un passo incontro a me e abbia cercato di farmi ritrovare il lume della ragione nei momenti di rabbia, soprattutto nei suoi confronti, come quando mi annunciò il rapimento dei miei genitori da parte dei Victory, di cui accusai lui e le Forze del Bene.
«E così eravate tu e Melisse, eh?»
La voce di Daniel mi riporta alla realtà dopo aver trascorso non poco tempo a immergermi in pensieri e ricordi. Mi giro a guardarlo mentre sprofonda nel divano: mi sta sorridendo con la sua aria beffarda, un po’ sornione. Non so bene cosa rispondergli, dove voglia andare a parare - vorrà soltanto stuzzicarmi come al solito, avendomi sicuramente vista con la testa rivolta a chissà quali riflessioni. «Sì, perché?»
«Niente. È da tanto che non la vedo. O forse è soltanto un paio di settimane, ma sembrano passati mesi.»
So bene come si sente: è esattamente quel che provo io quando penso a Oxygen. Insieme alla comprensione di Bellocchio e del mio passato nelle Forze del Bene, che pesano sulla mia coscienza macchiata da capricci e illusioni, mi assalgono i rimpianti di averlo trattato come una persona di relativa importanza, di avergli detto che non potevamo proprio rimanere insieme, di avergli intimato di accettare il suo Legame e il destino che gli toccava… ritratterei praticamente ogni cosa che mi uscì di bocca in quei momenti. Chissà che quella freddezza, quel distacco non mi siano stati dettati da Helenos stesso già ai tempi, e che non sia stato tutto merito mio aver lasciato andare gli attaccamenti a un mondo terreno, troppo distante per essere conciliato con quello dei Legami e dei Leggendari!
«Non vedrà l’ora di rivederti» mormoro. Mi chiedo se Oxygen desideri incontrarmi di nuovo.
Il sorriso di Daniel si tinge di una nota amareggiata. «Ne dubito. Mi sono impegnato per lasciarla prima di partire per Sinnoh, a prendere il Legame e a trovare altri Legati… ho fatto di tutto per farmi odiare, così non mi ha ostacolato quando sono partito. Quasi quasi mi ci mandava a calci nel sedere lei, in giro per Sinnoh.»
La notizia mi ha sorpresa, non so se negativamente o positivamente: non ho più una rivale, ma al contempo non c’è comunque la possibilità che Daniel si innamori di me. Ho avuto anche la prova della sua indifferenza, suo malgrado. Non mi aspettavo, però, che avesse lasciato Melisse per non avere delle catene a trattenerlo, a cercare di tirarlo indietro, quando ha dovuto dire addio ad una vita normale nella base segreta. Non lo credevo possibile da parte sua, ma ha fatto la cosa giusta; io potevo anche risparmiarmi di mandar via Oxygen, che è un Legato e non un comune mortale. Mi ritrovo a sperare ardentemente che la colpa sia stata di Helenos, ma temo di averci messo molto del mio, convinta che fosse l’unico modo per adempiere appieno ai miei doveri di Legata.
«Che le hai detto?» gli chiedo a bassa voce.
«Che me la facevo con te.»
Segue qualche secondo di silenzio. «Non ci credo.»
«La sostanza è quella» ridacchia Daniel di fronte alla mia faccia seria, che gli intima in silenzio di smettere di prendermi in giro. Alzo gli occhi al cielo e mi ritiro dalla conversazione; il ragazzo prende il telecomando e accende la televisione, mettendosi a fare zapping.
“Ho contattato Xerneas e Raikou.” La voce di Ho-Oh arriva inaspettata nella mia mente appena io e Daniel finiamo di parlare, ma non mi sorprende, dato che ci ho quasi fatto l’abitudine. “Appena sarà loro possibile, verranno a Città Nera, in questa stessa casa.”
“Bene. Grazie” rispondo con semplicità.
“Come ti senti?”
“Lo sai come sto.” Questa domanda invece me l’aspettavo. Ho cercato di non pensare alla ragazza Victory, ma mi è tornata alla mente di continuo mentre ci spostavamo a Città Nera, e adesso che ci siamo sistemati nella casa vuota di Enigma e che Daniel si è anche trovato un’occupazione migliore, non ho fatto in tempo a muovermi che il ricordo di quella recluta mi ha invaso i pensieri.
“Era necessario.” Ho-Oh cerca di essere rassicurante, e gli sono immensamente riconoscente per questo, ma non posso fare a meno di sentire un terribile senso di oppressione nel petto, nelle vie aeree, alla bocca dello stomaco.
“Lo so che era necessario, e non è per questo che sto così. La cosa peggiore di tutto ciò è che non provi alcun rimorso, che non sia sconvolta, neanche turbata, per cosa sono stata in grado di fare. È questa la ragione per cui non mi sento a posto con me stessa, non perché abbia ucciso quella ragazza. Ho pensato che fosse giusto eliminarla perché poteva rappresentare un pericolo, e un momento dopo le ho tolto la fiamma della vita dal corpo senza la minima difficoltà, senza esitare. Non so come sia potuto accadermi. Non avrei mai creduto di poter fare qualcosa del genere: né di uccidere qualcuno, né di restare indifferente alla sua morte, provocata da me… è vero che, in teoria, alla base al Monte Corona ci avevano preparato anche a questo tipo di situazioni, ma è tutt’altra cosa ritrovarsi a farlo davvero, fuori le varie stanze degli allenamenti. Dubito che la maggior parte di quelli che erano nel mio stesso corso avrebbe il coraggio di togliere la vita ad un altro essere umano.”
Ho-Oh ci mette un po’ a rispondere, dopo che mi sono silenziosamente sfogata con lui, riversandogli addosso tutti i miei pensieri. “Non dovresti prenderla male. Dici di sapere che era necessario, ma i tuoi sensi di colpa dimostrano l’esatto contrario. Pensi di aver commesso un’ingiustizia, quando invece hai agito per il bene tuo e di chi è con te. Ma in fondo ne sei conscia anche tu: non sarà l’ultima volta che ti ritroverai in questa situazione, e che dovrai ripeterti, anche più spietata con chi rappresenta un pericolo maggiore.”
“Forse lei non era una minaccia.”
“Ogni tuo nemico rappresenta una grave minaccia, Eleonora. Tutte le reclute che incontri possono arrivare ai Comandanti. Ti prego di metterti l’anima in pace, soprattutto perché sono cose che sai e che, anche se non vorresti, condividi.”
Accarezzo con le dita il dorso del primo volume di una vecchia enciclopedia universale nella libreria. Non c’è molta polvere, quindi Enigma non se ne deve essere andato da molto. Forse è vero che è uscito per un po’, magari è addirittura sulla strada del ritorno. Rischia di ritrovarsi con otto Legati in casa. “Vorrei poter dare la colpa di quest’indifferenza totale a te o a Helenos.”
“Puoi farlo, ma non è intervenuto nessuno di noi due. Se non io per far sparire il corpo di quella ragazza.”
Non riesco a rispondere nulla e dubito ci sia motivo di proseguire: Ho-Oh sa già cosa mi passa per la testa e per il cuore senza che gliene faccia un resoconto. Mi ha costretta a parlargliene solo per farmi ammettere con me stessa quelle cose, che altrimenti sarebbero rimaste pensieri ed emozioni senza forma - non che già sotto un aspetto vago non fossero abbastanza pesanti.
Delle nocche che bussano alla porta sono il suono più gradito del mondo, che mi impedisce di rimettermi a rimuginare su quel che ho fatto; nonostante mi ritrovi faccia a faccia con il muso scorbutico di Camille, il sollievo che provo non viene intaccato. Lascio passare la ragazza senza salutarla, e dopo di lei mi rivolgono un cenno Zhao e un sorriso furbo George; chiudo la porta dietro di lui e torniamo in salotto, accanto all’ingresso.
«Che posto è questo?» chiede allegramente il Legato di Yveltal, mettendosi a curiosare. Sembra che la casa di Enigma sia naturalmente predisposta a far ficcanasare gli ospiti.
«L’appartamento di una mia conoscenza. Adesso non c’è» rispondo. «Non so se sia momentaneamente andato via o se sia proprio partito. Penso sia solo una cosa temporanea, comunque.»
Camille, stranamente, non ha niente da dire né commentare: si guarda intorno senza avvicinarsi a nessuna foto appesa alle pareti o ai libri rimasti negli scaffali, con aria leggermente insospettita. Zhao è diffidente e silenzioso come suo solito, e nemmeno si disturba di dare un’occhiata in giro, andandosi a sedere sul divano ma mantenendo una certa distanza da Daniel. George apre bocca per dire qualcos’altro ma viene interrotto dallo stesso Legato di Dialga, all’improvviso crucciato. «Sentite qua.»
Alza il volume della televisione, a cui prima, mentre parlavo con Ho-Oh, non prestavo attenzione. Si è sintonizzato su uno dei principali canali in chiaro che dà un’edizione straordinaria del telegiornale - anche se, con tutte le notizie che passano sui Victory, sulle Forze del Bene e sui Pokémon in generale, di straordinario ormai ci sono i programmi che non parlano di uno di quegli argomenti.
«… Alghepoli è stata tremendamente scossa dall’attacco: gli abitanti si sono barricati nelle loro case, in attesa di rassicurazioni da parte del governo. Le informazioni principali sono pervenute da parte del Victory Team e anche confermate ai servizi segreti dalle Forze del Bene, tra cui l’identità del gruppo di attentatori e la motivazione della loro mossa… una mossa radicale e terrificante, giunta inaspettata per tutti, che si aggiunge agli elementi del conflitto tra i Victory e i loro oppositori. Dai comunicati di entrambe le parti, però, si lascia intendere che non ci sono ragioni per cui l’attacco, indirizzato alla zona portuale della città, dovesse coinvolgerle: nessuna delle due dovrebbe aver provocato questa decisione da parte del fantomatico Team Idro. È tutto per ora.»
Una lunga pausa segue le parole del presentatore; Daniel abbassa bruscamente il volume della televisione e si porta le braccia incrociate al petto; ha un’espressione contrariata che non gli ho mai visto addosso.
«Non ho capito» mormoro. Anche gli altri sono perplessi: nessuno di noi ha capito cosa c’entri il vecchio Team Idro, scomparso da circa vent’anni, con un attacco di natura terroristica. Ho-Oh è in tensione: se avesse il suo aspetto umano, il suo viso sarebbe crucciato tanto quanto quello del Legato di Dialga.
«Porto Alghepoli è stata attaccata da Ivan e il suo Team Idro.» L’esordio di Daniel non chiarisce affatto la nostra confusione. «Non so cosa è successo di preciso, immagino che i dettagli ce li diranno appena arriveremo alla Fossa Gigante e potremo parlare con qualcuno che ne sa di più. Ma se Ivan ha ricostituito il suo Team dopo essersene andato dai Victory qualche mese fa, ve lo ricordate l’annuncio di Bellocchio, no?…» Lancio una veloce occhiata a Camille, che è imperturbabile: lei di sicuro non se lo ricorda, visto che qualche giorno prima se n’era andata dalla base segreta, facendo un incantesimo a Bellocchio che l’aveva cancellata dai suoi ricordi. «A questo punto dobbiamo aspettarci che anche Max abbia di nuovo i suoi Magma, e che quei due torneranno a farsi la guerra.»
«Due guerre sugli stessi spazi e nello stesso tempo» sentenzio.
«Dopo vent’anni di silenzio, riprendono le ostilità» commenta George. «Non si daranno per vinti finché l’uno dei due non sarà morto. Forse a quel punto saranno abbastanza soddisfatti e lasceranno pure perdere Groudon, Kyogre e i loro progetti di espansione della terra o del mare.»
Non voglio pensare a come ne usciremo ridotti, sia noi che i territori coinvolti - in particolare Hoenn tra tutte le regioni, già in passato teatro dello scontro tra Magma e Idro. Nessuno dei due oserà chiedere un’alleanza con i Victory, perché Max e Ivan verrebbero fatti fuori per il loro abbandono di tempo fa; forse una delle due parti si venderà alle Forze del Bene in cerca di appoggio, offrendo in cambio informazioni sul loro nemico. Di sicuro sarà impossibile tenere i due conflitti separati e finiremo per ritrovarci a stringere momentanee, impropabili alleanze e a subire improvvise aggressioni che magari, originariamente, neanche erano dirette alla nostra fazione. Forse noi Legati saremo ricercati dai Victory tanto quanto dai Magma e dagli Idro. Mi auguro che George abbia ragione e che la guerra infinita tra Ivan e Max si risolva con la morte dell’uno o dell’altro.
Ho-Oh sembra più turbato di quanto lo sia io, ma non mi dice niente: dovrò essere io a chiedergli perché sia così agitato. Non sto assolutamente prendendo alla leggera la novità, anzi, ma lui ha preoccupazioni maggiori delle mie, è evidente, di cui non conosco l’origine. Dubito tuttavia che nel “rapporto” tra Ivan e Max, l’uno più fuori di testa dell’altro, c’entrino le questioni tra Leggendari - sorte, a quanto pare, dopo la soltanto momentanea chiusura delle ostilità tra i due. Anche perché Kyogre e Groudon sembrano essere due dei Leggendari che non hanno scelto un Legato e che quindi sono meno strettamente coinvolti di altri, come Ho-Oh e Dialga.
Sussulto quando sento bussare alla porta per la seconda volta, e ricordo subito che stavamo ancora aspettando Ilenia, Luke e Yue: sono proprio loro che George si ritrova davanti, e che fa entrare con un “Prego, prego!” con il suo solito, caratterizzante tono ironico. La Legata di Reshiram va subito ad affiancarsi al cugino, con cui inizia a parlottare senza risparmiarsi considerazioni sui suoi accompagnatori; Luke è serio e ha l’aria di essere un po’ a disagio - come sembra di solito. Ilenia invece ha un piccolo sorriso gentile sulle labbra, ma si spegne appena vede la mia faccia impensierita. Guardare Camille è inutile, ha un brutto cipiglio come al solito.
«Che succede?» domanda. Anche Luke ora esibisce un’espressione interrogativa.
Apro bocca per risponderle, ma vengo distratta da Daniel che, scuotendo la testa, si alza dal divano ed esce dal salotto. Lo seguo con lo sguardo, sorpresa che si allontani proprio lui, che è quello che ci ha capito di più in questa situazione. Camille e George si ritrovano con il compito di spiegare ai tre appena arrivati cos’abbiamo sentito al telegiornale: non faccio caso alle loro parole e, a mia volta seguita con lo sguardo da Luke, vado a vedere cos’ha Daniel.
Lo trovo nella camera da letto di Enigma. Ha aperto un armadio davanti ai piedi del letto e, con le mani nelle tasche dei pantaloni, è tutto intento a guardare cosa ci sia all’interno. Mi avvicino con cautela, rimanendo però nelle vicinanze della porta, e lui non dà segno di avermi sentita, ma sono certa che sappia che ci sono anch’io.
«Pensi che il signore che abita qui abbia qualcosa della mia taglia?»
«Be’, sarà alto poco meno di te. Vuoi fregargli un po’ di vestiti?»
«Non posso andare in giro conciato così. Passi per i capelli, ma devo cambiarmi» risponde. Si china a terra e tira fuori da un cassetto dell’armadio una camicia bianca. Se la appoggia addosso e mi guarda interrogativamente: io annuisco, vedendo che dovrebbe stargli bene. Nella sua Forma di Mezzo Daniel ha le spalle piuttosto larghe, e anche il petto, ma, prima di diventare un anziano panciuto, Enigma doveva aver avuto la stessa costituzione.
Prende un paio di jeans, che di lunghezza vanno bene ma di larghezza no, perciò si appropria anche di una cintura. Dopo aver sottratto al guardaroba del padrone di casa anche un classico gilet di lana da mettere sopra la camicia, mi lancia un’altra occhiata e mi fa, ammiccando: «Vuoi guardare mentre mi cambio, cara?»
«Ti lascio subito, se vuoi» rispondo con grande serietà, «ma non posso fare a meno di notare come ti stia scegliendo vestiti da vecchio.»
Daniel sbuffa, sorridente. «Non ho altra scelta, se il signor Enigma ha mezzo secolo più di me. E poi immagino che coprirò tutto con… questo qui.» Nel mentre prende e butta sul letto un lungo impermeabile nero. Ce lo vedo proprio Enigma con vestito con esso: un aspetto più stereotipato e comune per un investigatore, o per un agente segreto, non c’è.
Esito per un altro po’, appoggiata con un braccio allo stipite della porta e con l’altra mano sul fianco. Non so se sia più evidente il fatto che si stia vestendo come un vecchio o che stia nascondendo qualcosa - cioè la ragione per cui improvvisamente se n’è andato dal salotto. Daniel sa che lo sto guardando in modo un po’ sconsolato, che c’è palesemente qualcosa che non va, ma fa finta di niente. Non oso farmi gli affari suoi con il potere della Vita; una volta capito che non mi dirà niente e che è inutile che aspetti ancora, mi giro e faccio per andarmene.
È la sua stessa voce a bloccarmi prima che muova un passo: «Ad Alghepoli ci vive la mia famiglia.»
Mi volto di scatto in tempo per vederlo sedersi sul letto, con gli avambracci poggiati sulle ginocchia e gli occhi puntati a terra. Vado subito vicina a lui e gli passo una mano sulla schiena, fermandomi su una spalla. «Dani… mi dispiace» mormoro. «Vivono nella zona del porto, che è stata attaccata?»
«No, però…» La sua voce è ferma, ma continua a guardare il pavimento e non finisce la frase. Quando rialza la testa ha gli occhi lucidi, sta facendo uno sforzo enorme per non concedersi neanche una lacrima, anche se forse dovrebbe dare un minimo di sfogo alle sue paure. Cerca di sorridermi ma gli angoli stiracchiati delle sue labbra non sono per niente convincenti. «Forse non dovrei preoccuparmi così tanto» bisbiglia.
«Non dovresti vergognartene, semmai» ribatto. «Vivessero anche dalla parte opposta della città, hai tutto il diritto di avere paura per loro.»
«Sì, ma…» Si blocca di nuovo. Poi scuote la testa e si siede più compostamente. «Non dovrei essere preoccupato per la mia famiglia perché non dovrebbe importarmene nulla!» esclama. «Non dovrei essere con la testa lì, devo pensare a questo conflitto e al Legame, punto. Anche tu, Eleonora…»
Si interrompe di colpo. La mia mano scivola via dalla sua spalla e me la porto in grembo, mentre guardo il ragazzo, improvvisamente imbarazzatissimo, con serietà. Vorrei chiedergli cosa intende dire con quell’“anche tu” e fargli così ammettere che ha ficcato il naso in tutta la mia vita, anche e soprattutto dove non avrebbe dovuto: non solo nei miei sentimenti per lui, ma anche per le condizioni familiari disastrose con cui mi sono ritrovata - i miei genitori assassinati, neanche da tanto tempo, e il resto dei miei parenti non più a conoscenza del fatto che sia esistita una ragazza di nome Eleonora.
«Scusami» mormora infine Daniel, e so che si sta scusando più per essersi fatto gli affari della mia vita che per essersi quasi fatto scappare delle parole sconvenienti. È sicuramente la cosa più giusta, se non l’unica, da dire, ma non ci sono parole che possano perdonarlo facilmente per quel che ha fatto.
«Ci passerò sopra» replico, aggiungendo nella mia mente: “Soltanto perché si tratta di te.” Improvvisamente mi sento molto a disagio e avvampo, distogliendo lo sguardo, anzi girando tutta la testa. Un attimo dopo sono già in piedi ed evito di voltarmi un’altra volta verso di lui, sicura che troverei i suoi occhi rossi a guardarmi, mentre si domandano cosa fare e se fare qualcosa. Alla fine riesco a borbottare: «Vado a dire agli altri ragazzi che qui c’è qualcosa con cui possono cambiarsi, eventualmente. Sempre sperando che combinino i vestiti meglio di come hai fatto tu.»
Probabilmente sorride appena. «Passeremo la notte qui, no?»
Getto un’occhiata alle grandi finestre della stanza da letto. L’oscurità è totale e sembra voler assorbire qualsiasi fonte di luce, grazie alla tinta monocromatica di Città Nera. «Credo che siamo più al sicuro qui che all’esterno. Di certo circolano meno Victory da queste parti, a meno che non ce ne sia proprio nessuno… dovremo comunque fare qualche turno di guardia.»
«Già.»
Esito per l’ennesima volta sulla porta, mentre do le spalle a Daniel. Mi arrischio a guardarlo di nuovo prima di uscire, con le guance ancora arrossate per una timidezza improvvisa e forte che non dovrei neanche provare - lui sembra meno in imbarazzo, eppure ha molto più di me di cui vergognarsi… sempre che si debba provare qualcosa del genere per i propri incontrollabili sentimenti. Lui è intento a fissare l’interno dell’armadio aperto e ha l’aria di essere molto interessato, perciò mi decido ad abbandonare una volta per tutte la stanza.

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Capitolo 19
*** XVIII - Occhio per occhio ***


XVIII
Occhio per occhio

L’ultimo turno di guardia spetterebbe a Ilenia, ma intorno alle sei, a metà del suo compito, siamo tutti in piedi e vigili, qualcuno anche piuttosto teso. Dopo una notte segnata dalla pressione e dall’atmosfera spiacevole, è arrivato il momento di rimettersi in marcia, con la speranza di non incontrare ostacoli, in modo tale da arrivare alla Fossa Gigante entro questa mattina stessa. Ci scambiamo occhiate più volte senza sapere da che parte cominciare: nessuno propone una linea da seguire per i prossimi spostamenti, né fa domande. Camille rompe il silenzio prendendo in mano la situazione, come è solita fare.
«La Fossa Gigante è praticamente tutta a nord di Città Nera, ed è vicinissima a Fortebrezza.» Yue fa un cenno affermativo con la testa. «Sarebbe meglio evitare i percorsi principali, che portano a Spiraria e poi a Fortebrezza.»
«Potremmo teletrasportarci a brevi distanze, sempre in gruppi» interviene Ilenia, «e di volta in volta incontrarci e darci di nuovo appuntamento. Siamo in quattro a poterci teletrasportare» e intanto indica sé stessa, me, Camille e Daniel, «quindi possiamo andare in coppie.»
«Va bene» acconsente Camille. «George ed io vi apriremo la strada. È meglio che noi due non ci separiamo, dato che i nostri poteri, quando siamo insieme, sono molto più forti. Sarebbe lo stesso per te ed Eleonora, ma voi potete entrambe teletrasportarvi insieme a qualcun altro. A quanto ho capito, Eleonora ha meno esperienza di te e anche di Daniel.» Annuisco, sapendo, mio malgrado, che le cose stanno così. «Allora Ilenia e Daniel si muoveranno l’uno con Zhao, l’altra con Yue. O viceversa. Eleonora e Luke, voi chiuderete la fila: se ci sarà qualche problema ci coprirete le spalle. Manteniamoci in contatto: noi vi diremo di non proseguire se succede qualcosa, Eleonora e Luke ci avviseranno di muoverci più in fretta e tratterranno eventuali aggressori. Raggiungeteci soltanto quando avete sistemato le cose.»
Forse i miei poteri, che vengono da un Leggendario estremamente potente come Ho-Oh, sono più forti di quelli che Luke ha ricevuto dal Legame con Raikou, ma lui ha avuto quasi un anno per fare pratica, mentre io mi sono allenata con i miei elementi per poco più di un mese. Le coppie costituite sono giuste per ogni compito e ben equilibrate: Ilenia e Daniel accompagneranno e proteggeranno i due Legati meno esperti e avranno la strada spianata da Camille e George e le spalle coperte da me e Luke. Temo che Daniel non sia molto contento a vedermi con il ragazzo a cui pare che io piaccia tanto, ma non c’è organizzazione migliore di questa.
Il primo spostamento da fare è uscire da Città Nera, sempre a coppie per evitare di essere notati: Daniel ha abbandonato l’idea di cambiarsi i vestiti, perché il teletrasporto lo farà tornare immediatamente negli abiti della Forma di Mezzo. Dovremo essere veloci: Camille e George aspetteranno Ilenia e Yue - la Legata di Reshiram ha insistito per andare con quella di Lugia, le si è affezionata nel giro di una sola serata - prima di spostarsi di nuovo, le due ragazze a loro volta attenderanno l’arrivo di Daniel e Zhao prima di raggiungere Camille e George, che le avviseranno quando sarà il momento di raggiungerli. E così via fino ad arrivare a me e Luke.
Mi chiedo se non faremmo prima a materializzarci direttamente nei pressi di Fortebrezza, ma la risposta me la do da sola: questi brevi, rapidi spostamenti, anche se numerosi, non comportano un grande dispendio di forze. Uno solo e diretto, compiuto da otto persone tutte insieme, non solo ci stancherebbe di colpo ma, ancora peggio, libererebbe talmente tanta energia - soprattutto se fossimo aiutati dai Leggendari per cambiare di posizione - che l’aria e la terra tremerebbero, seppur leggermente, per le ondate di potere emanate dal nostro gruppo. I Victory ci metterebbero un attimo, sotto la guida dei Comandanti e dei Generali, a mettersi sulle nostre tracce e ad attaccarci.
Camille e George si teletrasportano ai cancelli di Città Nera che introducono alla Foresta Bianca, gli stessi che un anno fa varcai in senso contrario insieme ad Anemone e Melisse. Mezzo minuto dopo, il tempo necessario per la Legata di Xerneas - anzi, per Xerneas stessa a contattare Lugia, li raggiungono Ilenia e Yue. A intervalli più o meno regolari li seguiamo noi quattro rimasti nell’appartamento di Enigma. Prima di abbandonare l’abitazione del grande agente segreto, le dedico una lunga occhiata carica di nostalgia, non potendo fare a meno di chiedermi dove sia finito l’uomo e se mai avrò il piacere di incontrarlo di nuovo in futuro.
«Tutto bene?» mi domanda Luke.
«Sì, sì.» Rispondo come se mi avesse risvegliata di colpo da fantasticherie ad occhi aperti. «Possiamo andare?»
Lui annuisce e io gli porgo la mano;, attivo il potere della Vita e, in neanche un secondo, tant’è breve lo spostamento, ci materializzamo a pochi metri di distanza da Daniel e Zhao. A parte quest’ultimo che non ha attivato alcun potere, siamo tutti nelle nostre Forme di Mezzo. La Foresta Bianca è irrorata appena dalle luci dell’alba: soltanto le chiome degli alberi sono adesso degne del soprannome “Foresta di luce”, perché il resto del paesaggio è un teatro di ombre.
I due devono raggiungere Ilenia e Yue; Daniel ci dice: «Sono all’uscita della Foresta.» Subito dopo Zhao mette una mano sulla sua spalla e i due entrano in un portale, creato dal Legato di Dialga fendendo l’aria con una mano. Ho-Oh poco dopo viene contattato dal Leggendario del Tempo e mi dice che possiamo spostarci anche noi.
Le tappe successive sembrano tutte uguali tra loro e penserei che non ci stiamo muovendo di un metro, ma che ci teletrasportiamo sempre nello stesso punto, se non ci ritrovassimo di volta in volta con gli altri due ragazzi. Il territorio infatti è montuoso, e ci muoviamo sempre sul medesimo lato dei monti che si stagliano a ovest di Spiraria. Grazie all’altezza a cui ci troviamo, in lontananza si riesce a vedere il mare. Ai piedi della catena scorre il fiume di Unima che passa anche sotto il Ponte Meraviglie.
Per due o tre teletrasporti non si presenta nessun problema: ci spostiamo mano a mano di diverse centinaia di metri. Sento chiaramente l’aiuto di Ho-Oh che fa sì che io non faccia finire me e Luke in uno strapiombo, magari materializzandomi a qualche metro di distanza dal terreno. Ma prima che un nuovo spostamento ci porti da Daniel e Zhao, la fenice mi blocca: “Aspettate prima di andare.”
«Che succede?» Lo chiedo ad alta voce e Luke mi guarda perplesso.
“Camille e George hanno trovato un ostacolo. Gli altri quattro sono insieme e stanno aspettando, nascosti. È meglio che anche voi due vi troviate un nascondiglio e aspettiate che vi dica quando potete proseguire.”
«Dobbiamo cercare un luogo nascosto in cui aspettare» riferisco a Luke. «Camille e George hanno avuto qualche problema che non so… Ilenia e gli altri sono insieme.»
Il ragazzo annuisce e, come me, si mette in cerca di un posto riparato in cui sia impossibile che ci trovino. Nelle vicinanze però non c’è neanche una spaccatura nella parete di roccia in cui possiamo infilarci: c’è solo la stradina in terra battuta, leggermente in salita, su cui ci troviamo e che corre lungo il fianco del monte. L’unica possibilità che ci rimane è che io controlli ripetutamente la zona con il potere della Vita per accertarmi che nessuno arrivi.
Sbuffo mentre mi appoggio con la schiena al muro e porto le braccia al petto. Chiudo gli occhi e attivo il potere della Vita: mi ci vogliono pochi secondi per sapere che non c’è anima viva nel raggio di chilometri, se non gli altri Legati che sprigionano un’energia inconfondibile. Apro le palpebre di scatto, preoccupata: quei quattro insieme liberano talmente tanta forza che averli a centinaia di metri o un paio di chilometri di distanza non è molto diverso da parlarci faccia a faccia. A questo punto già tre Legati che si muovono insieme possono lasciare tracce spaventosamente evidenti: è meglio ridurre i tempi di attesa per ogni teletrasporto, non possiamo concederci neanche un minuto da fermi.
«Perché quella faccia?»
La voce di Luke mi riporta con la mente a noi due. Scuoto la testa. «Noi Legati siamo delle… enormi sorgenti di energia. Forse procedendo in coppie non è così brutta, la situazione, ma se i Comandanti dei Victory sono nelle vicinanze, anche non immediate, e se hanno dei poteri grandi come credo, allora non ci metterebbero molto a individuare un continuo, come dire… flusso di energia che si sposta in modo regolare. In questo caso in linea quasi retta, lungo una fila di montagne. È questo che mi preoccupa.»
«Pensi che sarebbe meglio materializzarsi da una parte all’altra per confondere le idee?»
«Penso che sarebbe stato meglio tentare il tutto per tutto e andare direttamente alla Fossa Gigante. Non so se ci saremmo potuti teletrasportare tanto vicino quanto ci serviva, e a quel punto scommetto che i Comandanti ci sarebbero finiti addosso in un attimo. In qualche modo si sarebbero accorti di un’esplosione di energia, derivata da quattro teletrasporti simultanei e otto Legami vicinissimi tra loro… e avrebbero interrotto qualsiasi occupazione per attaccarci. Ci avrebbero individuati abbastanza precisamente da potersi correggere subito, perché in ogni caso si sarebbero avvicinati a sufficienza alla Fossa Gigante.»
Luke riflette per qualche secondo; si mette spalle al muro e porta una mano alla nuca. «Non so come fai ad esserne così convinta» dice. «Non ho idea di che poteri abbiano i Comandanti, a quanto ho capito li avete visti solo tu e Daniel. Ma mi sembra ai limiti dell’impossibile che abbiano i mezzi per rintracciarci anche se fossero all’altro capo del mondo. Forse ti sei talmente spaventata quando li hai incontrati che hai esagerato le loro possibilità.»
«Nike, una dei due gemelli, è abbastanza forte da opporsi al fuoco di Ho-Oh, che non dovrebbe essere soggetto al comando di nessun altro, se non mio. Invece lei ha deviato il colpo e spento le fiamme come se fossero normali, quando la avevo attaccata. Anche il fuoco di Reshiram e degli altri Leggendari con quest’elemento non può essere manipolato da nessuno, è diverso da quello dei normali Pokémon Fuoco, ma a questo punto non credo che avrebbe avuto problemi se si fosse trovata un altro Legato davanti.» Luke non è convinto: le sue sopracciglia sono un po’ corrugate ed è sul punto di ribattere qualcosa. «Se attaccassi Yue con una vampata, lei non potrebbe portare il fuoco dalla sua parte, sarebbe un tentativo inutile e verrebbe bruciata. Lo stesso toccherebbe a me. Se volessi evitare una fiammata di Reshiram dovrei direttamente spostarmi, oppure dovrei contrastarla in un altro modo: una tromba d’aria o un’altra vampata..»
Il ragazzo ha capito e già dal suo sguardo vedo che mi crede. «Forse è comunque un po’ esagerata la tua visione, ma comunque quei due rimangono le persone più pericolose, per noi. Soprattutto se riescono a piegare i nostri poteri personali come se li avessero anche loro.» Annuisco senza rispondere; lui riprende: «Secondo te da dove provengono le loro facoltà? Che Legame possono avere per…»
«Dubito che anche uno di loro abbia un Legame» lo interrompo. «Avranno dei Leggendari dalla loro parte, e che lo vogliano o no gli prestano i loro poteri. Che riesca a utilizzare il fuoco di un altro Leggendario come fosse suo è un problema che io non so risolvere… e Ho-Oh è ben deciso a non parlare di questo genere di cose.»
«Anche Raikou» mormora lui. «Voglio dire, non chiacchiera tanto e quando lo fa non è di grande compagnia. Ogni tentativo di migliorare il nostro rapporto va sempre a vuoto.»
«Anche Daniel parla così di Dialga» dico, soprappensiero. Luke non sa come ribattere; da lui mi aspetto la peggiore delle risposte.
«Tra te e Daniel c’è qualcosa?»
La sua domanda non mi ha affatto delusa. «No.» Apro bocca per continuare ma non trovo niente da aggiungere; mi concentro sul terreno sotto i miei piedi, che può essere affrontato solo con un paio adatto di scarponi, non certo con i sandali di legno che mi ritrovo io o a piedi nudi come Luke. In qualche modo è riuscito a muovere qualche passo senza riportare danni, senza lamentarsi.
«Ma a te piace molto.»
Espiro rumorosamente. «Come fai a dirlo?»
«È palese, Eleonora.» Così come è palese che tu sia cotto di me senza un motivo apparente? «Lo nomini di continuo, è la persona a cui stai più attenta e quella con cui passi più tempo. O meglio, con cui vuoi passare più tempo. E credo proprio che lui ricambi, fa di tutto per stare con te.» Luke fa un sorrisetto e arrossisce. Approfitto del fatto che non mi stia guardando proprio per rifilargli una lunga occhiata, che diventa un po’ triste vedendo lui così abbattuto.
«Ti assicuro che non è così. Lo so» mormoro. Basta sicuramente il mio tono a confermargli che sono innamorata di Daniel. «Ma non deve esserci nulla tra nessun Legato» proseguo, «perché sarebbe soltanto una distrazione dai nostri compiti. Dobbiamo pensare a combattere. Quando sarà tutto finito…» Mi chiedo se sia possibile arrivare a mentire così senza pentirsene pur di tenere a distanza qualcuno. Sono ancora divisa tra due fuochi, anche se non bruciano con uguale intensità: da una parte c’è Daniel, dall’altra Oxygen, di cui sento la mancanza sempre di più ogni giorno che passa. Non provo niente per Luke e non mi capacito del fatto che lui si sia affezionato così tanto a me, quando ci saremo visti nel complesso per due o tre settimane in tutta la nostra vita.
«Sì» sussurra Luke. «Anche Raikou mi ha detto che non posso avvicinarmi a te.»
Non gli rispondo, perché non c’è niente di appropriato da dire. Qualsiasi cosa sarebbe un coltello nella piaga per il ragazzo, che pare davvero sconfortato, completamente arreso al suo Leggendario e a me, che non riesco a capire né ricambiare i suoi sentimenti. Non credo ci sia un modo per consolarlo, perciò non posso fare altro che tacere e sperare che i prossimi discorsi, se ci saranno, vertano su argomenti più felici.
Grazie al cielo sento la voce di Ho-Oh: “Ora potete proseguire.” Il suo tono è più serio di quanto dovrebbe: non nasconde di essere un po’ contrariato, come se volesse impedire a Luke di provare certe cose.
«Possiamo andare» dico al ragazzo, tendendogli la mano. Lui la tocca appena con le dita e nel giro di un paio di secondi, dopo aver attraversato un varco luminoso e sgargiante, ci ritroviamo con Daniel e Zhao, che a malapena reagiscono alla nostra apparizione alle loro spalle. Il più piccolo ci squadra con la sua classica aria sospettosa, che ci augura il bentornati dopo ogni teletrasporto. Daniel ci dà le spalle, con le mani in tasca.
«Sapete cos’è successo?» domando.
Zhao nega con il capo e Daniel scrolla le spalle. «Non ne ho idea. Figurati se Camille perde tempo a dare spiegazioni.» Dopo alcuni secondi di silenzio si riscuote: «Andiamo!» E prende la mano all’altro per smaterializzarsi. Incrocio le braccia al petto e faccio qualche passo avanti e indietro, tenendomi a una certa distanza da Luke.
«Eleonora…»
Alzo la testa con una faccia interrogativa e le sopracciglia aggrottate. Non mi aspettavo che il ragazzo trovasse qualcos’altro da dire, con un tono eloquente tanto quanto le sue guance tinte di rosa, dopo impacciati momenti di imbarazzo come quelli di prima. Non riesce nemmeno a guardarmi, eppure la sua voce è ferma, in qualche modo.
«Prima non hai finito la frase. «Quando sarà tutto finito»… cosa farai quando sarà finita, la guerra?»
Aggrotto le sopracciglia. «Non ci ho mai pensato, non ne ho idea. Sono troppo occupata con quello che succede al momento, come tutti, immagino.»
«Non come me» ribatte, mettendosi a scrutare, o a fingere di farlo, l’orizzonte. «Quando hai iniziato quella frase non ho potuto… ho avuto un po’ di speranza per qualche momento, penso. Forse quando non ci sarà più questa guerra e avremo tempo per pensare, a noi stessi e agli altri, quando cercheremo di rimettere ordine alle nostre vite, o dovremo ricostruirle da zero… andremo in cerca di qualcuno da amare. Io lo farei fin da subito, tu sei così vicina, e sono certo che se fosse possibile stare con te, tutto andrebbe per il meglio, o almeno lo affronterei sapendo che ci sei tu a sostenermi da qualche parte… io sono innamorato di te, Eleonora.»
Il colorito delle sue guance è tornato normale e sembra che Luke abbia trovato il coraggio, ora che si è dichiarato, di mantenere senza paura un contatto visivo con me. La sincerità nelle sue iridi grigie quasi mi fa male, perché so che non posso far altro che deludere le speranze del ragazzo. Ha scelto uno dei momenti più sbagliati e mi ha messa in difficoltà, proprio quando dobbiamo concentrarci sui nostri spostamenti - e da me dipende ogni teletrasporto. D’altronde non ci siamo mai ritrovati veramente soli come adesso; forse avrebbe ammesso i suoi sentimenti anche prima, ma non ne ha avuto modo, soprattutto con Daniel sempre in mezzo. Una parte di me ringrazia il Legato di Dialga, l’altra continua a provare una certa pena per Luke.
«Andiamo» bisbiglio infine, dopo essere stata avvisata da Ho-Oh con una specie di impulso nella mia mente, in seguito a una lunga pausa con cui ho illuso Luke di aver preparato una vera risposta.
«Eleonora…»
«Luke, ti prego, basta così.» Fingo indifferenza di fronte ai suoi occhi molto espressivi, e distolgo lo sguardo per fargli capire che non è il caso di continuare, perché sarebbe inutile. Gli tendo la mano e lui ci mette un po’ a prendermela; quando lo fa me la stringe quasi con forza, ma a parte un minimo di sorpresa iniziale continuo imperterrita a far finta di niente. Attivo il teletrasporto con il potere della vita e in un attimo siamo di nuovo insieme a Daniel e Zhao.
Per fortuna Daniel continua ostinatamente a darci le spalle, altrimenti se vedesse le facce di noi due capirebbe che qualcosa non va, e già immagino come si rivolgerebbe a Luke in quel caso. Gli basterebbe attivare il potere del Tempo per vedere cos’è successo, ma sembra molto interessato a contemplare le pendici della montagna davanti a noi, lungo le quali corre il sentiero che stiamo attraversando a furia di teletrasporti.
Senza dire nulla e continuando a non far caso a noialtri, Daniel si gira verso Zhao e, una volta che ha la sua mano su una spalla, sparisce in un battere di ciglia. Poco dopo Ho-Oh mi dice che anche noi possiamo proseguire, e stavolta anziché offrire la mano a Luke gli tocco una spalla; quasi senza che lui se ne renda conto, ci smaterializziamo per ricomparire qualche centinaio di metri più avanti, sempre quasi addosso agli altri due.
«Ma quanto manca ancora?» sbuffo, rivolta a nessuno in particolare.
«Altri due o tre teletrasporti, se vogliamo coprire distanze maggiori. Altrimenti anche sette o otto, vista la lunghezza della catena montuosa» risponde Daniel. «Perché, sei stanca?»
«No, no. Era una domanda così» borbotto, riprendendo ad esaminare il terreno. Se c’è qualcosa di cui sono stanca, è del senso quasi di oppressione che mi trasmette Luke, forse neanche volontariamente.
“Qualcosa non va.”
Scatto all’erta appena sento le parole di Ho-Oh, e la mia immaginazione ci mette poco a pensare a cosa possa esserci che non va. Rialzo la testa; la mia faccia tesa e guardinga attira l’attenzione di Luke e Daniel, e anche Zhao si accorge che mi sono messa in guardia. Non c’è nessuno nel raggio di chilometri, a parte i quattro Legati che ci precedono, stando a quanto mi dicono sia i miei occhi che il potere della Vita stesso.
«Cosa c’è?» domando mentalmente al Leggendario.
Lui ci mette un po’ a rispondere: “Non lo so. Non capisco bene… forse me lo sono solo immaginato. È intermittente. Ma com’è possibile?…”
Sono troppo perplessa anche solo per ribattere qualcosa. La confusione di Ho-Oh mi stupisce, non perché lo ritenga infallibile ed onnisciente ma perché il suo tono pieno di insicurezza mi turba. Cosa è intermittente e cosa non è possibile?
«Zhao» chiama Daniel, «noi andiamo. Voi due, raggiungeteci appena possibile, se c’è davvero qualcosa che non va» dice a me e Luke. Il Legato di Zekrom fa qualche passo verso di lui, già con la mano tesa per posarsi su una sua spalla.
«Dov’è che ve ne volete andare?»
Il mio cuore salta un battito, per poi darsi a una corsa sfrenata, al suono di una voce femminile; mi volto di scatto, anche se la voce non proviene da dietro di me, per rivedere la solita parete di roccia. Gli altri tre si sono girati in direzioni completamente diverse l’una dall’altra: da tutte è comunque improbabile che sia venuta la voce, come dal cielo bianco di nuvole, o da dietro di me, o ancora da sotto di noi, dalle pendici scoscese della montagna. Ho già sentito questa voce.
«Ho-Oh…!»
“Prendi Luke!”
Afferro il polso del ragazzo accanto a me, mentre Daniel fa lo stesso con Zhao. Entrambi Ho-Oh e Dialga ci teletrasportano via e ci fanno ricomparire in un altipiano della montagna. Il cielo è completamente coperto, poco in contrasto con il territorio sepolto di neve e ghiaccio: il suolo montano riemerge qua e là grazie a un po’ di muschio. Chiunque fosse, se ci fosse vicino, si dovrebbe vedere facilmente; invece sembriamo completamente soli.
«Chi era?» chiede subito Daniel, allarmato, le gambe e le braccia in tensione. Zhao e Luke studiano il cielo nuvoloso, ormai convinti che la voce provenisse dall’alto. Io scruto i dintorni, ma sembra non esserci niente e nessuno a parte la neve, la roccia e i muschi. Nessuno si prende la briga di rispondere a Daniel, come se qualcuno fosse in grado di dire a chi apparteneva la voce.
«Non ti ricordi di me?»
«Dannazione» borbotto a denti stretti, mentre all’angoscia si aggiungono la frustrazione e la rabbia di non vedere ancora nessuno, né di percepirlo con il potere della Vita. Ho-Oh si è zittito ma il suo stato d’animo me lo fa sentire chiaramente: è ancora più preoccupato e alterato di me. Non riesco a ricollegare a nessuno questa voce, perché devo averla sentita al massimo una volta…
«Eppure tu ed Eleonora, caro Daniel, dovreste avermi riconosciuta subito!»
Il Legato di Dialga guarda verso di me e spalanca le palpebre dal terrore, ma quel che vede è oltre di me; mi giro temendo il peggio, preoccupata dal viso di Daniel che non sono abituata a vedere in condizioni come questa, di spavento e vulnerabilità.
Lui deve aver già riconosciuto la voce della sua proprietaria prima che lei si mostri, perché io inizialmente non vedo nessuno. Ma in un attimo, con uno scintillio che quasi si confonde con il bianco del cielo e della neve, compare il Leggendario Cobalion che, dopo essere atterrato con grazia sul terreno, ci corre incontro a gran velocità con un ruggito intimidatorio. Anziché spostarmi gli lancio contro dardi di fuoco arcobaleno; Luke mi aiuta con delle saette, accecanti e velocissime, che scocca come frecce dalla punta delle dita. Cobalion si blocca, vedendosi attaccato, ma ringhia come a volerci dire che non gli abbiamo fatto niente. Anche Zhao vuole avere la sua parte: appena sferra un pugno verso il Pokémon, da cui parte un fulmine molto più grande e potente delle frecce di Luke, passa nella Forma di Mezzo. I suoi capelli crescono e si tingono di bianco, rasati ai lati del capo, e vengono legati in una coda da un nastro nero. La pelle è ancora più scura di prima e i suoi occhi sono diventati come quelli di Zekrom: l’iride bianca e il resto rosso. Indossa una specie di armatura che ricorda chiaramente il corpo del Leggendario, e dalla schiena gli spunta una replica in miniatura delle sue ali.
Cobalion non si risparmia un gemito ma resta fieramente dritto sulle sue zampe. Si mette di profilo e anche a una decina di metri di distanza riconosco la terribile, bellissima Nike, che ci sorride amabilmente, sorniona. Nessuno dei nostri mezzi l’ha lontanamente sfiorata: la sua chioma mossa dal vento di capelli biondi, ricciuti e splendenti, è perfetta come se nemmeno avesse corso sul Pokémon o si fosse dovuta confrontare con una serie di saette di fuoco e fulmini. Indossa l’aderente divisa dei Comandanti e cavalca Cobalion senza sella né briglie; la mano destra è appena poggiata sul collo del Pokémon, l’altra è sull’elsa di una spada appesa alla cintura. Dà un colpetto con il tacco dello stivale al fianco del suo destriero che si avvicina ulteriormente a noi, ma piano, posizionandosi di nuovo lateralmente quando si ferma.
Una goccia di sudore freddo mi scivola lungo la tempia con lentezza esasperante. Mentre Daniel è impaurito come mai prima d’ora, io aggrotto le sopracciglia per non mostrare alcuna debolezza e affronto la donna con aria aggressiva. Aspetto che sia lei a fare la prima mossa e cerco di capire se sia da sola o no: il potere della Vita mi dice che qualcun altro sta arrivando, anche se è ancora distante. Spero non siano troppi, non avremmo speranze noi quattro da soli - non so come ce la caveremmo anche con un intervento dei Leggendari.
«Allora?» Nike continua a sorridere, sicura di sé. «Siete diretti alla Fossa Gigante?» Non le arriva risposta; dopo qualche secondo ride leggermente, mentre ci osserva uno per volta. «Come siete taciturni! Ma la direzione dei vostri spostamenti è inequivocabile. Temo di non poter lasciare che proseguiate.»
Mentre si sistema seduta all’amazzone su Cobalion, ne approfitto per sferrare una vampata che, purtroppo l’avevo immaginato anch’io, la donna scosta con un unico, piccolo gesto della mano. Zhao e Luke scagliano contemporaneamente due saette, quella del primo illuminata di luce blu, l’altra dorata; anche il loro tentativo viene neutralizzato, quando lei devia il percorso dei fulmini con un movimento noncurante simile a quello di prima. «Andiamo, ragazzi» ridacchia ancora, «non attaccatemi mentre ho abbassato la guardia.»
All’improvviso comanda contro di noi una ventata d’aria gelida, più precisamente contro Daniel che è rimasto in disparte, non avendo mai provato ad attaccare. Il ragazzo si difende quasi istintivamente, sparendo in un portale temporale un momento prima di essere investito dalla corrente, e ricompare più vicino a noi. Forse solo il suo potere del Tempo potrebbe mettere in difficoltà la donna, ingannandola, ma il ragazzo non ha il coraggio nemmeno per intimidirla. È sempre più spaventato, e nessuno di noi capisce perché. Ma quando guardo Nike, appena noto la sua espressione, mi rendo conto che lei sa perché lui sia così angosciato.
«Cosa sta succedendo?» chiedo a Ho-Oh.
“Dialga” risponde semplicemente lui, confondendomi così ancora di più. Qual è il problema creato da Dialga, e che ne sa Nike? “Dobbiamo trovare un modo per fuggire” continua il Leggendario. “Non possiamo affrontarla, e stanno arrivando troppi rinforzi.”
Non so dove siano gli altri Victory, quando si decideranno a mostrarsi, e soprattutto non capisco perché Ho-Oh non voglia assolutamente usare una mossa offensiva sulla Comandante.
«Non fatemi usare la forza per farvi venire con me, ragazzi miei» prosegue Nike, scendendo dalla groppa di Cobalion. Ciononostante sguaina la spada con un movimento elegante accompagnato da un sibilo minaccioso. «Vorrei vedervi collaborare, non rischiare in ogni momento di essere ferita da voi. È la scelta più giusta che possiate fare.»
«Perché mai dovremmo?» La mia voce suona forte e sicura.
Le labbra di Nike si curvano ancora di più. «Perché insieme a noi è il posto che vi spetta.»
«Non ti capisco» mormoro lentamente. Nelle mie mani nascono fiamme arcobaleno che formano due ventagli, e li afferro saldamente.
«Tutto vi sarà spiegato a tempo debito, cara Eleonora, e cari Legati!» Nike apre le braccia, poi le lascia ricadere lungo i fianchi. La sua espressione cambia: solo un angolo della bocca ora è arricciato, ci guarda quasi di sottecchi, provocatoria. Alza il braccio armato di spada verso di noi, puntandocela contro: mi sembra che miri a me in particolare. «Ma devo chiedervi di liberarvi del giogo delle Forze del Bene prima di accettare il mio invito.»
«Allora pretendi troppo» sibilo, per poi evocare una fiammata spalancando i ventagli, più grande e veemente di tutte quelle esibite finora.
Nike sferza con la spada la vampata, facendola dissolvere, e con un movimento simile ma rivolto verso il basso fa emergere dal terreno spuntoni di roccia via via più grandi. La terra che si alza crea una fontana di neve che nasconde la donna alla nostra vista, ma siamo troppo occupati a evitare di essere feriti dalle rocce. Io e Zhao riusciamo ad elevarci sopra la nube, Daniel e Luke riescono solo a scansarsi; ma noi due non vediamo la donna da nessuna parte. Scambio un’occhiata eloquente con Zhao, che si sta facendo la mia stessa domanda: perché Nike non è andata in alto, per colpirci più facilmente?
Un secondo dopo, prima di tornare a terra, tiro una ventata d’aria sotto di me per diradare la neve e il ghiaccio ancora in sospensione, appena in tempo per vedere Daniel teletraspostarsi quasi per miracolo via dalla portata di Nike e rimaterializzarsi a qualche metro di distanza: ancora non riesce a tentare un attacco. La donna cambia obbiettivo e punta Luke a sorpresa, quando ancora non avrebbe dovuto vederlo, visto che gli dava le spalle mentre era concentrata su Daniel. Il ragazzo, dopo un “Ooh!” di sorpresa scansando un colpo di taglio che gli avrebbe squarciato il petto, riesce istintivamente a lanciare un fulmine contro Nike, che repentinamente si sposta gettando via la spada: il ferro attira a sé tutta l’elettricità. Luke spera di averla scampata, ma la donna solleva l’arma a distanza, muovendo il braccio e la mano, e la comanda contro il Legato di Raikou.
La traiettoria della spada viene bruscamente deviata e la punta della lama si conficca a terra, nella neve, a un passo dai piedi scalzi di Luke. Nike alza lo sguardo, neanche lei ha capito chi sia intervenuto; un sorriso le incurva le labbra quando individua Daniel, ancora le mani avanti in una posizione che parla chiaro, ansimante. È stato lui a dominare il metallo, e sembra il più incredulo tra di noi per quel che ha fatto.
«Hai ricevuto il permesso di muoverti, Danielino?» esclama Nike, attirando a sé la spada non più carica di elettricità. «Mi ero quasi dimenticata di te.» Senza neanche voltarsi neutralizza l’ennesimo mio tentativo di ustionarla; solo dopo si gira a squadrarmi, con aria quasi scocciata. «Mi hai interrotta mentre stavo parlando… Sei diventata una maleducata.»
«Non mi provocare con le tue battute, Nike!» strillo. «Parla chiaro, se vuoi convincerci a venire con te!»
«Ma tu hai già preso le tue decisioni» replica lei, avvicinandomisi. Solo pochi passi ci separano. «Forse è meglio che ti faccia fuori per prima.»
Farmi fuori?
Nike scatta, silenziosa, veloce e agile come un felino, la spada tesa verso di me. Con la coda dell’occhio, mentre salto in alto per evitarla, vedo Luke tentare di piegare o spezzare il metallo della spada, ma è esterrefatto vedendo che non riesce a interagire con l’arma della Comandante. La donna mi aspetta a terra; prima di scendere vedo i fulmini di Zhao e Luke fallire. Devo usare il potere della Vita e farla finita una volta per tutte.
“Non puoi!”
Ho-Oh mi distrae con il suo grido mentre torno con i piedi per terra. Se non fosse per Zhao e Luke che continuano a cercare di attaccarla, Nike mi avrebbe già trapassata da parte a parte.
«Pe-perché?» balbetto.
“Non funzionerebbe! Non puoi toglierle la fiamma della Vita dal corpo. Dalle fuoco a distanza, è l’unica cosa che puoi fare!”
Vorrei chiedere di nuovo perché, capire il motivo per cui il potere della Vita non avrebbe effetto, ma non posso fare altro che concentrarmi sulla mossa che mi ha consigliato Ho-Oh. Guardo Nike negli occhi mentre procede verso di me e il tempo sembra rallentare: nella mia testa la vedo strillare di dolore per una fiamma piombatale all’improvviso addosso. Un attimo dopo la vedo nella realtà materiale, e soprattutto la sentono le mie orecchie: un grido acuto che si libera dai suoi polmoni, mentre la mano destra molla la spada e va a tentare soffocare il fuoco arcobaleno che copre l’altro avambraccio. È un momento di distrazione sufficiente per sferrare un attacco d’aria e sbatterla contro la parete di roccia che prima lei stessa ha innalzato.
Luke prende la spada che giace a terra, una mano sull’elsa e l’altra sulla lama, e cerca nuovamente di spezzarla, ma invano. Nel frattempo io, lui e Zhao chiudiamo alla donna ogni via di fuga, mentre Daniel, ancora in preda della confusione, se ne sta in disparte ad assistere alla scena, incredulo e spaventato.
Il fiato di Nike è pesante, ma è riuscita a far sparire il fuoco. I bordi bruciacchiati della divisa mutilata sfrigolano, e la pelle è tutta rossa, bruciata. «Non ti bastava aver scottato i palmi al povero Theo? Te la sei voluta prendere anche con me, con le tue dannate fiamme… questo ti costerà la vita, Eleonora.»
«Da quando in qua i Victory hanno intenzione di uccidere i Legati, anziché tenerli in vita dalla loro parte?» È strano che la mia voce suoni tanto ferma, perché sto cominciando a tremare di paura. «Perché prima ci dici che il nostro posto è insieme a voi, se dopo volete ucciderci?»
Nike mi scruta bieca, gelidamente arrabbiata, e sembra assai desiderosa di ridurmi in cenere con la sola forza dello sguardo. «Facciamo quel che è necessario con i Legati disobbedienti.»
«Disobbedienti a chi?» sbotto, esasperata dalle sue parole criptiche.
Sobbalzo quando sento Ho-Oh stesso trasalire dentro di me, orrendamente sconvolto da quel che ha detto Nike: il sangue mi si gela nelle vene, all’unisono con quello del Leggendario. La donna approfitta di questo momento di distrazione, mentre anche Luke e Zhao si sono concentrati su di me quando sono stata percossa da quel fremito. Stacca la mano destra dall’avambraccio, ancora fumante, e la tende davanti a sé: la spada vola via dalle mani di Luke. Insieme alle ultime falangi del mignolo e dell’anulare della mano sinistra, che si trovava proprio sulla lama affilatissima.
Le mie palpebre spalancate si aprono ancora di più alla vista delle dita che vengono mozzate, del sangue che sgorga e macchia la neve, l’erba e i piedi di Luke, e soprattutto dell’espressione incredula del ragazzo. Libera tutto il fiato che ha nei polmoni con un grido appena si rende conto di cosa gli è successo; porta la mano ferita al petto e si piega in due, gettandosi ginocchioni a terra e iniziando a singhiozzare. Nike si scaglia contro di lui e io reagisco in ritardo, riscuotendomi solo quando lei gli è quasi addosso; ma Zhao è riuscito a muoversi anche prima che la Comandante si fosse messa in piedi. Le lancia un fulmine che lei blocca con difficoltà, indietreggiando di nuovo addosso alla parete di roccia, regalando al Legato di Zekrom il tempo per portare Luke in salvo, passando un braccio del ragazzo intorno alle sue spalle e balzando via. Prima che io torni a fare attenzione a Nike, urlo a Daniel, la cui espressione terrorizzata non è cambiata di una virgola: «Vuoi darti una mossa o no?!»
Lui ovviamente non reagisce. Nike ride forte: sta barcollando come se fosse ubriaca, si deve appoggiare alla roccia e poi usa la spada come un bastone, ma si rimette a posto mentre le sue risa si spengono lentamente. «Lascia stare, Eleonora! Non vedi come sta? Non è neanche colpa sua, poverino… dovresti pensare a te stessa, semmai.»
Neanche finisce la frase che mi sta già caricando. Mi scanso e lacero l’aria con i ventagli, ma Nike in qualche modo, mettendo una mano avanti, annulla il mio attacco stringendo il pugno. Sono poi costretta a stare sulla difensiva, a fare un salto indietro, e a spostarmi ancora lateralmente quando lei prova ancora a ferirmi. Incrocio le braccia per preparare un colpo a forma di X contro di lei, ma vengo distratta da forti rumori alle mie spalle e da Nike stessa che si ferma. Mi azzardo a voltarmi, sperando che lei non ne approfitti per tagliarmi la gola.
È il Generale Milas, con al seguito un’intera squadra di reclute; ci sono anche Atena e Archer, tutti come lui in capo a truppe di almeno trenta ragazzi ciascuna. Sento i sensi mancarmi; scuoto la testa con un’espressione quasi implorante, che supplica di essere risvegliata da questo incubo. Non so se è peggio affrontare Nike da sola o questo piccolo esercito che la donna ha chiamato.
La sento ridere: ora ha preso le distanze, forse per un po’ vorrà godersi lo spettacolo di quattro Legati che lottano per non essere uccisi. «Adesso come la mettiamo?» mi fa. «Intendi dar fuoco con il pensiero a tutte le mie squadre?»
Potrei davvero, ma sarei talmente lenta e mi stancherei così velocemente che poi Nike ci metterebbe un attimo a piombare su di me e a farmi volar via la testa. La donna tiene gli occhi incollati a me. «Dimmi la verità, Nike. Cosa volete da noi? Cosa ci guadagnate con la nostra alleanza, e cosa con la nostra morte? Chi è che vi comanda?»
«Sei troppo innamorata delle Forze del Bene per poter ricevere una risposta ad una qualsiasi delle tue domande.»
«Alla base segreta nel Monte Corona…»
«Lì eri in crisi, Eleonora» mi interrompe. «Non sapevi se ti trovassi dalla parte giusta o da quella sbagliata, né se volessi davvero schierarti con una qualsiasi delle fazioni. Adesso non possiamo fare altro che eliminarti.»
«Ma così dovreste rinunciare al potere di Ho-Oh, che è uno dei Leggendari più ricercati.»
Un angolo della bocca di Nike si stira. «Oh, Eleonora. Tra poco vedrai come si prende il potere di un Legame e come muore un Legato.»
Sgrano le palpebre, preparandomi al peggio; ma Nike, dopo avermi dato l’impressione di essersi lanciata contro di me, scompare come un’ombra. Guardo a destra e a manca più volte, in preda al panico, aspettandomi di vederla riapparire all’improvviso e di essere io la dimostrazione pratica di come si uccide un Legato. Ma passano lunghi secondi e nulla accade; quando mi giro completamente mi ritrovo faccia a faccia con Milas, e con le sue trenta e più giovani reclute, che alle sue spalle sono sull’attenti come bravi soldatini.
«Così tu sei Eleonora?» chiede, tutto ghignante e beffardo. «Ho sentito molto parlare di te…»
Qualsiasi cosa dica dopo, non lo sento: mi bastano pochi secondi per appiccare fiamme arcobaleno a tutti e quattro i suoi arti. Appena crolla a terra e tenta invano di spegnere il fuoco, i suoi uomini si mettono a correre verso di me; scaglio una potente ventata che travolge le prime file, circa metà delle reclute, ma quelle nelle retrovie e alcune altre riescono a far erigere ai loro Pokémon una Protezione. Di nuovo faccio un colpo d’aria, ma su quelli ancora a terra, che, sollevati dal suolo, vanno a sbattere la schiena o la testa sulle barriere: molti perdono i sensi. Nel frattempo gli scudi sono calati, ma le reclute preferiscono attaccare a distanza, ora che hanno capito con chi si sono ritrovati ad avere a che fare. Arrivano contro di me mosse Pokémon di ogni tipo, da quelle di fuoco ad altre di ghiaccio e acqua. Riesco a neutralizzarne gran parte, ma non posso sostenere la furia di quasi venti Pokémon pienamente evoluti ed allenati; mi teletrasporto alle spalle della truppa e, spalancando i ventagli, creo un’onda di fuoco che ustiona in modo grave la maggior parte dei ragazzi rimasti. Non percepisco alcun moto di pietà, non esito quando metto a rischio le loro vite: è come quando ho ucciso quella solitaria recluta Victory, l’ho fatto perché era necessario.
Intanto Milas, aiutato dai sottoposti e dai loro Pokémon d’Acqua, ha spento le fiamme sulle braccia e sulle gambe, ma è orrendamente ustionato. Dopo avermi lanciato uno sguardo omicida che ricambio con uno totalmente distaccato e indifferente, perde i sensi; una recluta ancora incolume e il suo Alakazam si teletrasportano via con lui, per trarlo in salvo. Cerco Nike nei dintorni, ma vedo soltanto scenari di battaglia confusi; allora torno a fare attenzione alla squadra che Nike e Milas hanno scatenato contro di me, ma l’ho decimata. Chi può, si volatilizza con l’aiuto dei Teletrasporti dei propri Pokémon; chi è ancora privo di ustioni e lesioni, corre ad unirsi agli altri due gruppi. Con un po’ di aerocinesi faccio finire con il muso per terra un gruppetto folto di reclute, poi mi metto a studiare con più cura i dintorni.
Daniel sembra essersi risvegliato dai suoi peggiori incubi e sta dando il meglio di sé, violento come una furia, con la squadra che si è mobilitata contro di lui. Fa sparire degli uomini in varchi temporali che si spalancano sotto i loro piedi, contro alcuni usa attacchi di Dialga come Dragopulsar e Cannonflash, altri li tramortisce sfruttando il metallo delle loro armi, sfilandogliele a distanza dalle cinture e facendo sì che colpiscano i proprietari sul setto nasale, sulle tempie o sulla nuca. Deve desiderare ardentemente di rimediare alla figura fatta al cospetto di Nike, così tanto che appena il Generale Archer gli si avvicina, convinto che i pensieri del Legato di Dialga siano tutti rivolti alle reclute, il ragazzo gli fa stringere attorno al collo l’orlo metallico della sua tuta, e lo lascia steso a terra quand’è abbastanza, senza aumentare la stretta, aspettando che l’uomo muoia per conto suo. Alcune reclute si danno alla fuga, altre superano le paure e i tentennamenti e riprovano invano a fronteggiare il loro nemico.
Sembra che niente possa fermare Daniel, se non l’apparizione improvvisa di Nike a due o tre passi da lui. Stava caricando un Dragopulsar, ma il fiato gli si mozza in gola e rischia di perdere l’equilibrio sui suoi stessi piedi; la sfera d’energia si dissolve miseramente, mentre lui indietreggia in tutta fretta, di nuovo con quegli occhi pieni di terrore. La Comandante gli sorride, provocante, e d’un tratto scompare proprio come aveva fatto con me. Le reclute, ritrovato il coraggio, caricano il Legato, ancora sconvolto dall’apparizione improvvisa di Nike; mi teletrasporto accanto a lui e gli procuro il tempo necessario a riprendersi, tagliando l’aria per creare una corrente. Senza voltarmi a vedere in che condizioni è il ragazzo, corro verso Zhao e Luke.
Mi paralizzo dalla testa ai piedi appena Zekrom stesso si materializza sul campo di battaglia. Il drago lancia un ruggito terrificante e scatena una tempesta di fulmini che fa quasi del tutto piazza pulita della squadra di reclute e del suo Generale che avevano preso di mira i due Legati. Zhao ha fatto il possibile per difendere Luke e allo stesso tempo combattere, ma rischiava di essere sopraffatto: il suo Leggendario è accorso ad aiutarlo. Il ragazzo è tutto sudato e ansimante, e prima di unirsi a Zekrom per continuare il lavoro dà un ultimo sguardo a Luke. Mi precipito verso il biondo, impaurita per lui e impietosita dalle sue condizioni.
Con un pezzo di stoffa strappato dalla manica del kimono lui e Zhao sono riusciti a fasciare entrambe le dita e a rallentare il flusso del sangue. Sta ancora cercando di calmare il battito cardiaco e il respiro, con la schiena addosso ad una roccia abbastanza alta che spunta dal terreno: è tutto sudato e nemmeno si accorge del mio arrivo. Mi inginocchio accanto a lui e avvicino le mani alla sua ferita: solo adesso, fissandomi pavido, si accorge della mia presenza. Boccheggia, ma lo interrompo prima che dica qualsiasi cosa: «Forse posso fare qualcosa… Cerca di stare calmo, non avere paura! Posso usare i poteri curativi di Ho-Oh… vero?» chiedo ad alta voce al Leggendario.
“È ovvio.”
«Bene» quasi balbetto, angosciata al pensiero delle condizioni delle dita di Luke. I miei ventagli si smaterializzano, lasciandomi le mani libere. Prendo tra le mie quella ferita di Luke, che trema come una foglia e diventa sempre più pallido ogni volta che la parte offesa fa un minimo movimento. Sciolgo il bendaggio e mi impedisco di inorridire di fronte allo spettacolo offerto dalla mano di Luke; mi sbrigo a coprire i punti dolenti con delle fiamme arcobaleno. Si allungano quanto serve per restituire le ultime falangi alle due dita. Dopo qualche secondo scompaiono lasciando il posto ai suoi soliti polpastrelli.
Luke si guarda estasiato la mano, tornata tutta intera, esaminando ogni lato del mignolo e dell’anulare con un’attenzione e un affetto che non ha mai dedicato loro in vita sua. «Oh, Eleonora. Ti amo» balbetta.
«Ma brava!»
La voce di Nike, proveniente da sopra di noi, mi aggredisce le orecchie con la potenza di un tuono. Mi dedica un sorriso provocatorio quando è ancora sospesa per aria, poi piomba su di Luke come un avvoltoio: lo afferra da sotto le braccia e lo tira a sé. Allungo le mani, cerco di prendere il ragazzo e toglierglielo dalle grinfie, ma sembra che vengano risucchiati dal vento che invece spinge me indietro, rendendomi impotente di correre a riprendere il ragazzo. Lui non riesce ad attaccare la donna, neanche ad emanare una scossa elettrica quantomeno per distrarla e liberarsi.
“Raikou, dannazione!” sbotta Ho-Oh, un po’ arrabbiato un po’ angosciato.
«Cosa? Come devo…»
Non finisco la frase che il Leggendario si materializza dietro di me con un’esplosione di fiamme arcobaleno. Strilla e, sbattendo le ali, crea un vento incredibilmente forte che lascia incolume me, mentre travolge Nike e Luke. Ma prima che lei possa allentare la presa e che lui riesca a liberarsi, ci si parano davanti tutti e tre i membri del Trio dei Moschettieri. Cobalion era fino a un attimo fa occupato a tener testa a Daniel, e non so da dove siano usciti fuori Terrakion e Virizion; Ho-Oh mi deve afferrare con una zampa per la collottola per evitare che venga trafitta da parte a parte da tre Spadesolenni. Subisco con occhi sbarrati, risvegliandomi solo quando il Leggendario mi molla di colpo e sono costretta a riprendere contatto con la realtà per evitare di schiantarmi al suolo. L’atterraggio viene ammorbidito dalla neve e ho già i ventagli in mano quando Virizion mi prende di mira con il suo Fendifoglia: basta una fiammata a incenerire il suo tentativo e contemporaneamente a scottare il Leggendario, che strilla di dolore.
«Eleonora, aiutami! Aiutami!»
Mi volto di scatto verso Luke, più disperata del suo grido; Nike gli sta ammanettando i polsi.
«Sei pronta, Eleonora?»
La donna è schifosamente sorridente. Afferra i polsi di Luke con un’unica mano e l’altra la infila poco sotto la manica del suo kimono.
«No!»
Non so se sia più forte il grido mio o di Ho-Oh, che il Leggendario, finito proprio adesso di sistemare i tre Pokémon Leggendari, ha lanciato all’unisono con me. Tutto il campo di battaglia si ferma, attirato dall’urlo, mentre il silenzio improvvisamente calato è disturbato soltanto dalla potente eco che la montagna ci restituisce.
Nike tira via la mano dal polso di Luke, che sbianca come se gliel’avesse mozzata tutta intera. Richiude le dita sul bracciale che gli ha strappato, la forma materiale del Legame tra lui e Raikou. Con un gesto altrettanto repentino estrae la spada e trafigge Luke all’altezza dello stomaco.
La lama riemerge dalla stoffa della sua maglia ricoperta di sangue, che scivola a terra macchiando una lunga striscia di neve. Il ragazzo spalanca le palpebre ed emette un verso soffocato mentre altro sangue gli ostruisce la gola ed esce in una piccola cascata dalla sua bocca semiaperta. I suoi occhi iniziano a rigirarsi verso l’interno della testa prima di chiudersi, e il capo gli crolla sul collo. La spada sibila quando Nike la estrae dal corpo del Legato, che rovina a terra coprendo la striscia e la pozza scure.
La Comandante fa qualche passo avanti per mettersi di fianco a Luke, ed è l’unica in grado di muoversi. Continuo a guardare con le palpebre sbarrate, incredula, il Legato sdraiato con il viso mezzo immerso nella neve, mentre all’altezza della sua pancia si espande un’altra macchia di sangue. Non è possibile che sia successo realmente. I Victory non possono lasciare che un Legato muoia, né tantomeno possono essere loro stessi ad ucciderlo.
Nike giocherella con il bracciale di rame e argento che apparteneva a Luke, la forma materiale del suo Legame con Raikou. «Ecco come muore un Legato senza far danni, Eleonora» dice. «Basta prendere la forma materiale del Legame e ucciderlo subito dopo. Il Leggendario non fa in tempo a tornare dal suo umano e rimane intrappolato qui dentro… in balia del mondo esterno, in attesa soltanto che il suo potere venga spremuto fino alla fine…» Stringe il pugno attorno al bracciale. «Soltanto Ho-Oh, come capo e protettore delle Bestie, può liberare Raikou. E Arceus, ovviamente.»
La fenice lancia un urlo di battaglia a cui si aggiunge quello di Zekrom. Mi giro e mi copro il viso con le braccia, puntando i piedi, quando Ho-Oh spalanca le ali e sprigiona un’onda di energia. Non è né fuoco né aria: è il potere della Vita allo stato puro, e Ho-Oh lo sta utilizzando per risucchiare la fiamma della Vita di tutti i presenti. La terra trema ovunque venga toccata dall’aura, che si espande in modo circolare; e chiunque entri in contatto con la circonferenza dorata che avanza, inesorabile, cade a terra apparentemente privo di sensi. Sento il mio battito cardiaco venir meno, ma non definitivamente come quello di tutti intorno a me; porto le mani alle orecchie e strizzo le palpebre, sconvolta dall’improvvisa mancanza di Vita, che prima scompariva gradualmente man mano che un nemico veniva ucciso.
Quando riapro gli occhi e tolgo le mani dalle orecchie, cerco gli altri, tremante come mai sono stata. Soltanto noi tre Legati siamo rimasti: Daniel non è terrorizzato come avrei creduto. Sembra quasi che secondo lui sia stata io a ritirare la Vita dai corpi delle reclute Victory: l’espressione che mi rivolge ha un’ombra accusatoria. Zhao è semplicemente scandalizzato, sarà la prima volta che lo vedo esprimere con tanta chiarezza un’emozione; apre bocca per dire qualcosa ma non riesce a trovare il fiato per farlo. Scambio uno sguardo con Zekrom, a cui interessa Ho-Oh e non la sua Legata: fa un cenno affermativo con il capo alla Fenice, e scompare volatilizzandosi sotto forma di saetta. L’ultimo a cui mi rivolgo è proprio il mio Leggendario, i cui occhi rossi, dello stesso colore dei miei, sono assolutamente indecifrabili.
Deglutisco senza perdere la faccia esterrefatta e provata che ho esibito finora: sia io e che lui sappiamo che ha completamente perso il controllo, perché, come mi aveva detto lui stesso prima, era inutile utilizzare il potere della Vita contro Nike. La cattura di Raikou e l’uccisione del suo Legato l’hanno sconvolto e fatto infuriare a tal punto. Ora la Comandante è stramazzata al suolo, e voglio tanto sperare che non si rialzi mai più, che Ho-Oh non avesse ragione prima e che il potere della Vita ha avuto effetto anche su di lei. Il pensiero che la sua morte possa essere costata la morte di quasi un centinaio di reclute, però, mi fa venire il voltastomaco.
Sento che la neve viene calpestata alle mie spalle. Immagino che sia Daniel o Zhao ad avvicinarmisi per dire qualcosa, ma i due sono balzati indietro per lo stupore e la paura, immediatamente dimentichi di quel che è successo nell’altipiano innevato. Lo stesso succede a me quando Nike si rimette in piedi. Anche se con difficoltà e con il fiato pesante, la donna è viva e non sembra che sia stata minimamente toccata da quel che è successo, se non nell’espressione: di nuovo è in preda alla collera, e mi fissa con intenzioni assassine.
Un fruscio alle mie spalle mi fa capire che Ho-Oh si è arreso, è tornato nella forma materiale del Legame, e le sue emozioni negative appena ristabilisce il pieno contatto mentale con me quasi mi piegano per quanto sono pesanti, terribili. Non sa più cosa utilizzare contro il nemico, e lascia che i sensi di colpa per aver distrutto inutilmente tante vite prendano possesso di lui, rendendolo quasi impotente. Non può abbandonarmi ora che più che mai ho bisogno del suo aiuto per cercare un’altra carta da giocare contro Nike… ma la donna è palesemente immune al potere della Vita. La speranza si affievolisce anche dentro di me.
«Zhao!»
La voce di Daniel rompe il silenzio tombale e mi volto verso di lui appena in tempo per vederlo teletrasportarsi. Zhao è confuso, perché Nike è ancora barcollante sulle sue gambe e non ha trovato il modo né il tempo di attaccarlo. Il Legato di Dialga si materializza accanto a lui e gli afferra un braccio: un momento dopo si è volatilizzato insieme al Legato di Zekrom.
Mi sembra di sprofondare. Le gambe non mi vogliono reggere più. «Daniel?! Dove…»
«È andato» sbotta Nike. Riesce a trovare la forza per fare un ghigno e rimediare al suo tono brusco. «Gli ordini di un Leggendario sono pur sempre insindacabili.»
Nike mi concede un secondo di stasi prima di aggredirmi. Siamo sole, circondate da un centinaio di cadaveri. Sento chiaramente l’intervento di Helenos e lascio che sia lui a guidarmi nel combattimento, procurandomi il tempo per far ricominciare a lavorare il cervello perché esso ristabilisca i contatti con il resto del corpo. Quando capisco di essere pronta, il primo Legato di Ho-Oh si fa da parte e mi lascia con un paio di ventagli tra le mani e l’avversaria più temibile del mondo davanti a me, mentre cerca in tutti i modi di farmi volar via la testa, infuriando con la spada. È così rapida e furiosa che non posso fare altro che stare sulla difensiva, rinunciando ad ogni tentativo di attacco. Dei colpi della spada, tra gli altri, rischiano di tagliarmi una mano: per eluderli più facilmente, abbandono i ventagli per prendere le distanze.
Non vado molto lontana che mi ritrovo con le spalle al muro. Mi volgo di lato e riconosco uno degli spuntoni di roccia che Nike ha innalzato prima; il tempo di girarmi di nuovo verso la mia nemica che sento la punta della spada pizzicarmi la pelle sotto la mascella, e un pezzo troppo generoso della lama leggermente poggiato sul collo fino alla giugulare. Il volto di Nike è tremendamente vicino, ma non quanto lo fu al nostro primo incontro, quando le punte dei nostri nasi quasi si sfioravano. Riesco a guardarla negli occhi senza che i miei si incrocino: ha un’espressione seria e micidiale. Non posso morire così. Non posso morire ora. La punta della spada è sempre più fastidiosa sulla pelle; quand’è che inizierà a diventare dolorosa?
Nike fa un passo indietro e allenta un po’ la presa, diminuendo la pressione del ferro sul mio collo. Non trovo comunque la forza di ribellarmi: mi sembra che tutti i miei poteri siano scomparsi. Non che servissero a qualcosa, contro questa macchina da guerra inarrestabile, resistente a tutto.
«Hai ragione, Eleonora. Ho-Oh è un Leggendario terribilmente prezioso» mormora. «Il potere della Vita… la Vita di entrambe le facce della medaglia. La Vita che arriva in un corpo e la Vita che se ne va via da esso. È questo che Ho-Oh riesce a fare, che lo rende diverso da Xerneas e Yveltal. Loro si sono aggiudicati una faccia ciascuno.» Fa una pausa e riesce a curvare un po’ le labbra rosse. «Purtroppo il potere di un Leggendario viene meno per qualche anno dopo la morte del suo Legato, e noi abbiamo bisogno di Ho-Oh nel pieno delle sue forze fin da subito. Possiamo rinunciare ai fulmini di Raikou, ma non al controllo sulla Vita.»
«Cosa vuoi… dove vuoi andare a parare?» balbetto.
Nike tende l’altra mano verso di me, ma al contempo la pressione della lama aumenta di nuovo. «Lo sai, Eleonora. Tu devi venire con noi, che ti piaccia o no.»
«Non puoi uccidermi, Nike. Io non tradirò mai le Forze del Bene.»
«Oh! La tua decisione è quasi dolorosa per me… ma il fatto che io non possa ammazzarti non cambia granché. Tu hai le mani nude, e io sto impugnando l’elsa di una spada, premuta sotto la piacevole linea del tuo bel faccino» sibila, inclinando la testa. «Sicura che non possa farti sentir la mancanza di un arto, di un orecchio, o di un occhio?»
La mia visuale si riempie di colori vorticanti. È il fuoco arcobaleno, che mi trasmette un calore rassicurante: lo ha evocato Ho-Oh, che sembrava completamente scomparso da qualche parte nella forma materiale del Legame. Nel giro di un attimo mi ritrovo a guardare la donna da una prospettiva laterale, sbalzata a qualche metro di distanza.
I miei piedi toccano terra nel momento stesso in cui al posto delle fiamme arcobaleno, davanti a lei, appare Ho-Oh nel suo aspetto umano. La spada di Nike gli pizzica la base del collo, anziché la sommità come faceva con me, più bassa di lui. Anche da lontano vedo lo stupore sul viso della donna e lo spettro di un sorriso che inizia a dissolversi, e la freddezza micidiale nelle iridi iniettati di sangue del Leggendario. Solo adesso mi accorgo della katana che lui stringe nella mano destra. Un gesto fulmineo, e la lama dell’arma di Ho-Oh attraversa il polso della mano tesa di Nike.
La donna sposta con spaventosa lentezza gli occhi da quelli dell’uomo al moncherino da cui zampilla sangue. Ho-Oh fa una faccia disgustata quando abbassa lo sguardo sui suoi indumenti, su cui arrivano gli schizzi, di un rosso più scuro e inquietante di quello dei vestiti di lui. Prima che Nike perda la presa sulla sua spada, una goccia del sangue di Ho-Oh fuoriesce da dove la punta dell’arma premeva.
Il Leggendario sparisce in una vampata di fiamme arcobaleno appena l’urlo disumano di Nike sferza l’aria. La donna, come Luke quando lei stessa l’aveva ferito, si piega in due e cadde in ginocchio per terra, portando al petto il moncherino su cui stringe l’altra mano. Dopo il primo grido, ne arrivano altri, che non superano la sua forza ma mi fanno venire la pelle d’oca e mi paralizzano le gambe.
Un momento dopo sento una voce femminile alle mie spalle, ma non capisco le uniche due parole che pronuncia; un suono psichedelico, mi si annebbia la vista, e tutto sprofonda nel…

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Capitolo 20
*** XIX - Fuoco e Veleno ***


A chiunque possa interessare:
Mi scuso per non aver pubblicato per Dio solo sa quanto tempo. Ho partecipato a Inktober (tra l’altro ho mancato tre giorni, piango, li voglio recuperare) e quindi questo mese l’ho dedicato al disegno; e soprattutto fin dall’inizio della scuola mi sono messa sotto con lo studio. Non riuscivo ad accendere il computer per questioni di tempo e di voglia, perché mi mancava l’“ispirazione” per cominciare un nuovo capitolo… e soprattutto per rileggere questo, vecchio di almeno due mesi. Mi sembrava strano che ancora non fosse arrivato il periodo di “blocco dello scrittore” per questa parte, visto che avevo già avuto uno o due mesi di fermo sia per la prima che per la seconda.
Più volte mi sono chiesta se fosse il caso di continuare a scrivere. La risposta è: non lo so, ma questa storia deve trovare una conclusione. Magari ci metterò così tanto che perderò il già piccolo seguito che è rimasto… ma lo farò quantomeno per me stessa. Che cavolo pubblico a fare se sto competendo tra me e me? Bella domanda, e la faccenda è ovvia: se la situazione non cambia, Not the same story sarà l’ultima cosa che pubblicherò. Non che abbia scritto centinaia di storie in vita mia, ma i (pochi) progetti da cui potrebbe nascere una storia (e mi sembra tutti originali) probabilmente non vedranno mai la luce. Forse è solo un periodo un po’ così, ma ci sono altre cose che voglio portare avanti, e che magari un giorno mi condurranno da qualche parte. Chissà che un giorno non vi ritroviate tra le mani un fumetto illustrato da me! Chi vivrà, vedrà.
Per novembre un mio amico mi ha invitata a provare NaNoWriMo, che mi sembra l’Inktober degli scrittori: l’obiettivo è di scrivere cinquantamila parole in un mese. Non so se ce la farò, ma è un buon pretesto per recuperare due mesi di silenzio.
Ringrazio il signor Chiunque Possa Interessare per aver prestato attenzione a queste righe, e lo lascio alla lettura del capitolo.
A presto (stavolta davvero!),
Ink



 
XIX
Fuoco e Veleno

Buio.
Apro gli occhi a fatica e il resto del corpo si risveglia, tutto indolenzito. Un flebile verso di lamento mi esce dalla gola mentre mi rialzo appoggiandomi sui gomiti, e inizio ad abituarmi alla luce, nonostante non sia molta. Viene dalla mia sinistra: mi ci vuole qualche secondo per capire che è l’apertura di una grotta. La neve produce un chiarore che illumina le pareti grigiazzurre, coperte di ghiaccio. La cavità non è molto profonda e il soffitto curvo è un po’ basso. Mi tiro su a sedere e rabbrividisco quando i palmi delle mani toccano il pavimento gelido.
Davanti e intorno a me ci sono delle sbarre. Sono nere, in contrasto con i colori chiari della grotta, conficcate nel pavimento e nel soffitto. Non capisco come abbia fatto a non accorgermene prima, ma adesso che sono completamente sveglia scatto in piedi e mi precipito contro le sbarre: le afferro e le scuoto, poi cerco di coprirmi le mani di guanti di fuoco arcobaleno. i miei poteri non mi rispondono. «Dannazione» borbotto tra i denti. Esamino le sbarre e non c’è neanche una serratura, perciò dev’essere stata creata con l’aiuto di un Pokémon, o con il potere di un Legame. Sono sola.
Non ricordo come sia finita qui, ma prima di perdere i sensi ho sentito una voce femminile diversa da quella di Nike, che adesso starà ancora ad impazzire di dolore per la sua mano, nell’altopiano cosparso di cadaveri di reclute Victory. La mia è una carceriera, e non lavora per conto del Team: in un certo senso mi ha tratta in salvo dalla Comandante. Forse è una dei Magma o degli Idro, ma la prospettiva di dover lottare contro qualcuno di questi non mi turba come quella di uno scontro con i Victory. Non so perché i miei poteri non funzionino.
«Devi ancora rimetterti in sesto, ti hanno fatta svenire» mormora alle mie spalle la voce profonda di Ho-Oh. È nel suo aspetto umano, la schiena al muro e le braccia incrociate al petto. Il sangue scuro di Nike risalta sulle decorazioni rosso fuoco e sul bianco del suo vestito, all’altezza del cuore. La katana è nel suo fodero bianco, appeso ad una specie di cintura. «E poi fa molto freddo. Ma tra qualche minuto riavrai i tuoi poteri.»
Il suo sguardo è rivolto verso il basso, ma sono sicura che sia consapevole della mia faccia contrariata e delusa. «È stato più utile Helenos di te, oggi.»
«Non ti permettere.»
Deglutisco, inevitabilmente messa alla prova dal suo tono severo e freddo, prossimo a uno scatto d’ira. Ma mi riprendo: gli rivolgo ostinatamente le spalle e come lui incrocio le braccia. «Cosa ti è successo prima?»
«Non è qualcosa che puoi capire» risponde a bassa voce. «Si trattava di Raikou.»
«E hai perso il controllo.»
«Tu non puoi capirlo» ripete. «Ci fosse stato Suicune o Entei al posto suo, sarebbe stata la stessa cosa. E si sarebbero comportati ugualmente Lugia, Rayquaza e qualunque altro Leggendario se si fosse ritrovato nella medesima situazione con i suoi sottoposti. E lei questo lo sapeva.»
Non gli rispondo, non riesco più nemmeno a formulare pensieri di senso compiuto. Le gambe mi tremano leggermente, ma sempre più forte, finché quasi non mi cedono : mi aggrappo alle sbarre con entrambe le mani e abbasso la testa, mentre gli occhi mi si riempiono di lacrime. Mi mordo la lingua e stringo con forza crescente il ferro. «Non posso crederci… lo ha fatto davvero, e Luke è… è davvero…» singhiozzo, versando le prime lacrime. Cadono a terra mentre ancora mi attraversano le guance, e si ghiacciano appena toccano il suolo.
«Shh…» Ho-Oh mi mette una mano sulla spalla e mi cinge in un mezzo abbraccio. Non sollevo il capo e non stacco le mani dal metallo. «Purtroppo quella donna ha mezzi troppo potenti anche per tre o quattro Leggendari, figurarsi per uno… Raikou se la caverà, se le Forze del Bene non aspetteranno troppo e se tutti noi Leggendari riusciremo a collaborare. Mi dispiace per il Legato.»
Mi sfugge una risata meccanica e affatto divertita, anzi piena di amarezza. «Non te ne può fregar di meno di lui.» Ho-Oh sta in silenzio, ma non allenta la sua stretta. Forse in questo momento preferirei che mantenesse una certa distanza da me. «Come puoi dire che voi Leggendari dovrete riuscire a collaborare? O magari che anche noi Legati dovremo essere in grado? Non parli con Lugia che è la tua controparte, Raikou è tra quelli che mi considerano una ragazzina senza speranze e senza abilità, Dialga sembra impazzito e sta facendo perdere la testa anche a Daniel, Ilenia è sempre giù di morale… Camille è odiosa e non è disposta ad aiutarci, Zhao e Yue sono due perfetti sconosciuti che non sanno usare bene i loro poteri. E non parliamo degli altri.»
Rialzo la testa e mi metto dritta con la schiena; il braccio di Ho-Oh scivola via, tornando lungo il suo fianco, accanto alla katana. Non avevo mai realizzato tutti i problemi tra noi Legati e tra Leggendari fino ad ora. Guardo negli occhi l’uomo alla mia destra, che apparentemente ricambia; ma la sua espressione impensierita mi fa capire chiaramente che non mi vede davvero, e che è tutto concentrato su quel che gli passa per la testa. Apre bocca per parlare, ma la richiude corrucciando le sopracciglia appena i suoi occhi, casualmente, si posano sull’uscita della grotta. Si trasforma in fuoco arcobaleno e si rituffa nel prisma della forma materiale del Legame. Sto ancora fissando il punto in cui c’era la sua testa fino a un attimo fa. Mi riscuoto e mi rivolgo anch’io all’unica apertura della grotta, da cui entra luce sempre più intensa, man mano che il giorno avanza.
Una figura si profila all’orizzonte. Il cuore mi balza in gola e mi sposto per vedere meglio, ma la situazione non cambia di molto, perché chi si sta avvicinando è vestito di bianco e si mimetizza con la neve e il cielo nuvoloso. Sta correndo, ostacolato dalla neve, ma si avvicina sempre più velocemente. Anche la sua pelle è chiara e i capelli sono proprio come neve, mentre i suoi abiti sono tinti anche di blu e d’argento.
«Ilenia!» esclamo, stringendo e scuotendo nuovamente le sbarre. Nonostante il sollievo di vederla, il mio cuore non si è affatto tranquillizzato.
La ragazza scivola sul pavimento ghiacciato della grotta, ma ritrova l’equilibrio e con un unico balzo, aiutata dal potere dell’aria, è dall’altra parte della “cella”. È ansimante e tremante, sembra sul punto di mettersi a piangere. Mi mette una mano sulla guancia e me l’accarezza, la ritrae e scrolla anche lei le sbarre. «Chi è stato?»
«Non lo so… i miei poteri sono fuori uso! Ho-Oh dice che è per il freddo e perché mi sono ripresa da…»
Mi fermo appena Ilenia si allontana, smettendo di ascoltarmi. Mi metto con le spalle al muro nell’angolo opposto della cella e lascio Ilenia libera di agire. Trasforma il ghiaccio di buona parte del pavimento e sulle pareti in acqua, e la scaglia contro le sbarre sotto forma di una lama affilatissima. Si infrange contro il ferro come un’onda che incontra uno scoglio. La ragazza si morde le labbra trattenendo il respiro, e scuote la testa mentre si riavvicina. «Non è metallo di un Pokémon normale… è di un Leggendario. Il tuo fuoco riuscirebbe a fonderlo…»
Ho immaginato anch’io, visto che non è riuscita a tagliarlo, che questo metallo sia stato creato da un Leggendario. «Ho-Oh era qui fino a un momento fa, se fosse stato possibile ci avrebbe pensato lui a liberarmi. Però non l’ha fatto.» Perché non mi ha fatta uscire? Avrebbe potuto trasformarmi in fuoco arcobaleno e farmi ritrovare fuori dalla cella, esattamente come prima mi ha sottratta alla lama di Nike.
Ilenia si blocca a metà strada, sorpresa. «Non c’è mica spazio per Ho-Oh là dentro!»
Mi mordo il labbro inferiore: solo ora mi ricordo del fatto che Ho-Oh, diversamente dalla maggior parte degli altri Leggendari, stando a quanto dice lui, preferisce stare in forma umana anziché in quella Pokémon. È così strano per Ilenia e per gli altri ragazzi accettare questo suo comportamento? Ma mentre la guardo nei suoi stupiti occhi rossi mi rendo conto che lei non immagina proprio la possibilità, per un Pokémon Leggendario, di farsi vedere sotto forma di essere umano.
«Come hai fatto a trovarmi?» le chiedo.
Ilenia vorrebbe spiegazioni su quel che ho ingenuamente detto prima, ma lascia perdere. «Daniel!» sbotta, passandosi le mani sul viso e poi tra i capelli bianchi. Il trucco blu sugli occhi, uguale al mio tranne che per il colore, è rimasto intatto. «Maledetto Daniel. Fino a qui mi ci ha guidata Lugia.»
“Gentile da parte sua” brontola Ho-Oh nella mia testa. Vorrei mollargli un ceffone.
«Cosa ha fatto Da…» Con la coda dell’occhio noto un movimento nei pressi dell’apertura della grotta: chiudo la bocca e mi giro per capire, imitata da Ilenia.
Una donna completamente  vestita di nero si piazza al centro del varco. È arrivata da destra, non da lontano come Ilenia. È alta, snella, tiene le braccia incrociate al petto e ci fissa con la stessa espressione con cui Nike, appena arrivata con Cobalion, guardava me e i miei altri tre compagni: perfidamente sorridente, beffarda, anche seducente. I lisci capelli biondi sono un po’ più lunghi e ordinati di quelli di Ilenia, ma la pelle è chiara quanto la sua. Quella che ha addosso è una tuta attillata che le slancia ancora di più il fisico, insieme ai tacchi degli stivali.
«Ben svegliata, Eleonora» esclama mentre fa qualche passo verso di noi. «Hai già chiamato un’amica?»
Stringo i denti riconoscendo sia la voce che il viso di lei. Ricordo che le sue iridi sono grigie ancor prima che riesca a distinguerne il colore adesso, che è un’Allenatrice temibile è sempre stata rinomata e ammirata nella base segreta del Monte Corona; una delle guerriere dal sangue più freddo e dalla mente più lucida, ma anche una delle persone più ambigue che abbia mai conosciuto. Non mi è mai andata pienamente a genio e vederla esibire lo stemma dei Victory sulla divisa non mi sorprende più di tanto, ma la collera infuria ugualmente nel mio petto.
«Avrei dovuto immaginarlo» ringhio. Le mie mani stringono così forte le sbarre che è strano che non si siano ancora sgretolate tra le mie dita. «Cynthia.»
Continua a sorridere e si avvicina ulteriormente; Ilenia fa qualche passo indietro, gli occhi sbarrati e la bocca schiusa. Mormora qualcosa che non afferro, ma la bionda le risponde: «In persona. Però non ho idea di chi sei tu.»
«È Ilenia.»
Cynthia inarca le sopracciglia e il suo sorriso si affievolisce. «Ilenia?» La Legata di Lugia continua a guardarla senza risponderle; non l’ho mai vista così esterrefatta. È paralizzata, non trema per la paura paura né per lo stupore. «Questa sì che è una sorpresa» prosegue Cynthia, squadrando da capo a piedi la sua vecchia amica, irriconoscibile nella Forma di Mezzo. «Non mi avevano mica detto che sei una Legata.»
«Dov’eri prima?» chiedo. Spero che Ilenia capisca che siamo in pericolo e che si svegli. «Se fossi stata nelle vicinanze, saresti morta.»
«Non ero nell’altipiano, né mi ero nascosta da qualche parte. Ero in una delle nostre basi quando il Comandante mi ha detto che dovevo correre da voi, altrimenti sua sorella ti avrebbe ammazzata.»
«Theo» borbotto. Cynthia inclina la testa di lato. «Theo è il gemello di Nike. Prima lei ha detto il suo nome.»
«Bah! Poco importa che sappiate come si chiamano i Comandanti o no. Dovresti ringraziarmi per averti salvato la vita, non voglio pensare al macello che starà facendo Nike adesso» ribatte lei. «Strillava come un’ossessa, non ho mai visto nessuno impazzire a tal punto. D’altronde non succede tutti i giorni di vedersi mozzare una mano… tra l’altro, come diavolo hai fatto a tagliargliela?»
«Ha abbassato la guardia» mormoro. Ilenia sposta i suoi occhi scandalizzati su di me.
«Come se la Comandante si potesse ritrovare sprovveduta con voi!» sbotta Cynthia. Porta una mano al fianco ed estrae una pistola dalla fondina della cintura: la punta al petto di Ilenia. La Legata torna finalmente in sé e si mette in guardia, corrugando le sopracciglia bianche.
«Avresti davvero il coraggio di farlo, Cyn?» Il tono della sua voce non tradisce alcuna paura, così come l’espressione dei suoi occhi. Sento i miei poteri rifluirmi dentro il corpo come se scorressero insieme al sangue nelle vene: un’ondata di piacevole calore mi pervade e mi dà sicurezza, ma non posso muovermi troppo, ora che la traditrice ha un dito sul grilletto di una pistola che può uccidere Ilenia. Ho paura che le partirebbe un colpo, se dessi fuoco alla mano che impugna l’arma o ad una qualsiasi altra parte del suo corpo.
«Be’, non proprio. Io non posso uccidere un Legato.»
L’esplosione dello sparo mi sconvolge le orecchie prima che i miei occhi capiscano cos’è successo. Ilenia cade di fianco lanciando uno strillo, ma non c’è alcuna macchia di sangue che le si allarga sul petto. Mentre si lamenta per il dolore porta le mani alla gamba destra, dove i pantaloni sono lacerati. Il proiettile l’ha colpita di lato, ma la ferita è abbastanza profonda.
Mi volto verso Cynthia già con il fuoco tra le mani. Incurante della pistola ora puntata verso le mie, di gambe, tendo le braccia verso di lei e apro le dita: le fiamme divampano riempiendo completamente la mia visuale. Vedo soltanto le mie mani tese, spalancate, violentemente illuminate dalla luce del fuoco arcobaleno. Si rilassano leggermente e questo basta a diminuire la portata delle fiamme, fino a sparire quando le braccia mi ricadono lungo i fianchi. Una pozza scura e densa si allarga sul pavimento: è ciò che rimane delle sbarre della cella investite dalla vampata, scioltesi come ghiaccio. Dal soffitto spuntano stalattiti di metallo gocciolanti.
Un’altra macchia di metallo liquefatto si espande sul pavimento a poca distanza dai piedi di Cynthia, che, ritrovatasi sdraiata, si appoggia sui gomiti. Ha istintivamente mollato la pistola per buttarsi indietro ed evitare il mio attacco: guarda quella che era la sua unica arma con occhi sbarrati, mentre il suo petto si alza e si abbassa rapidamente. Le pupille e le iridi grigie si spostano su di me, poi tornano al punto di partenza. Con passo lento, quasi solenne, oltrepasso i mozziconi di sbarre nel pavimento e il fiumiciattolo plumbeo che scorre nei loro pressi. Mi giro verso Ilenia, che ansima pesantemente: il suo viso è troppo occupato a esprimere dolore per mostrarsi anche, e di nuovo, quantomeno sorpreso.
Cynthia si rimette in piedi rischiando di perdere l’equilibrio, un lieve tremore le ha catturato le gambe. Indietreggia senza staccare gli occhi da me, ma adesso può permettersi un momento di tranquillità: mi inginocchio accanto a Ilenia e le tocco la ferita con una mano avvolta dal fuoco curativo di Ho-Oh. Mi rialzo solo quando anche la Legata di Lugia può farlo, e mi avvicino alla bionda, che fa un altro passo indietro.
Un angolo delle labbra di Cynthia si curva verso l’alto. «Non credere di aver vinto.»
Apro mani e braccia. «Non lo sto pensando.»
Una corrente d’aria gelida entra nella grotta investe tutte e tre, ma Cynthia è l’unica a non piegare le gambe e a non rabbrividire: punto una gamba indietro per non cadere. Il vento si calma, ma un attimo dopo riprende a sferzarci la pelle e i vestiti, sputandoci in faccia della neve. Mi copro il viso incrociando le braccia; quando l’aria sembra essersi placata le abbasso, e ritrovo Cynthia affiancata da una parte da Regice, dall’altra da Registeel.
«Me li ha prestati il Comandante» ghigna. «Trattateli bene, altrimenti se la prenderà con me.»
Registeel allunga le braccia verso di Ilenia; dei serpenti di metallo spuntano dal pavimento, rompendo la roccia e il ghiaccio, e si avventano contro di lei. Balza indietro ma quelli strisciano ancora più veloci per agguantarle una caviglia, sollevandosi e cercando anche di morderla con le zanne d’acciaio. Mi volto verso Cynthia quando già so di aver perso troppo tempo ad accertarmi delle condizioni di Ilenia: muovo un passo in avanti ma del ghiaccio, comandato da Regice, mi intrappola il piede. Quasi cado di faccia, in qualche modo rimetto l’altro a terra - così violentemente da crepare il ghiaccio sul pavimento - e sento il freddo propagarsi anche lungo il polpaccio e lo stinco. La trappola trasparente del golem Leggendario si ferma quando supera il ginocchio.
Regice si scaglia contro di me: tiro un pugno in direzione di lui, evocando una vampata che lo costringe a rinunciare al suo attacco. Ne approfitto per lanciargli un’altra fiammata che stavolta lo colpisce: indietreggia, senza emettere un lamento, e quando riparte alla carica mi ripeto: si ferma, allontanandosi più di prima.
Un dolore acuto mi prende alla nuca e si espande per tutto il collo: qualcosa di appuntito mi si è conficcato nella pelle. Emetto un verso strozzato e cado in ginocchio: metto le mani avanti per non sbattere il muso e non posso usarne una per togliere la fonte di un male che mi afferra il collo e le membra. Sento i muscoli e le articolazioni rammollirsi e, d’un tratto prive di forze, mi cedono le braccia e sbatto il mento sul terreno. Alzo gli occhi su Regice, mentre si volta verso di me, e cerco di rimettermi in piedi. Non riesco a muovermi. Sento Cynthia che ride alle mie spalle. Non posso neanche sollevare la testa per guardare meglio il Pokémon di ghiaccio, che approfitterà della mia paralisi per intrappolarmi definitivamente nel ghiaccio. È tardi per provare a dargli fuoco con il pensiero.
Eppure delle fiamme investono comunque Regice, che spalanca le braccia in segno di sofferenza, sempre muto. Sono normali, non le ha usate Ho-Oh; il golem cade sulla schiena facendo tremare la terra; si crepa il ghiaccio del pavimento e anche quello del suo corpo, ma solo superficialmente. Alzo lo sguardo e riesco a vedere solo la testa di un Charizard. Ha un’espressione amichevole che conosco bene. Cerco di mormorare un “Char”, ma non riesco neanche a usare le labbra. Non so come abbia fatto Ilenia a chiamarlo in aiuto, né da dove sia uscito fuori.
“Lo ha materializzato Lugia, per tua informazione” mi dice Ho-Oh. “Vuoi un tuo Pokémon in aiuto?”
“Magari” borbotto mentalmente.
Il Leggendario sa già quale dei miei compagni di squadra vorrei con me. Sento il calore del fuoco alla mia destra, e un tonfo di piedi che atterrano sul pavimento. Un paio di braccia mi afferrano da sotto le ascelle e mi tirano su. Mi sembra di non vedere Aramis da una vita: vorrei sorridergli e salutarlo, ma il massimo che posso fare è respirare e battere le palpebre. Il Gallade mi fa sedere addosso al muro e finalmente riesco a vedere bene la situazione: Ilenia sta ancora combattendo contro Registeel, ed è palesemente in difficoltà, ma Charizard si sta occupando dello Scolipede di Cynthia che ha cercato di colpire Aramis. Il mio compagno gli comunica di andare ad aiutare la sua Allenatrice e si avventa con le lame sguainate contro il Pokémon nemico, ferendolo con due rapidissimi Psicotagli. La corazza del coleottero si lacera così profondamente da arrivare alla pelle: del sangue nero sgorga dalla ferita e gli cola lungo il corpo. Ma Scolipede sembra incurante del taglio e contrattacca con un Coleomorso; Aramis si sposta di lato e gli colpisce la schiena con un altro Psicotaglio, sbattendolo a terra.
Sposto gli occhi su Ilenia, che con Charizard ha messo in difficoltà Registeel a tal punto da farlo passare completamente sulla difensiva. Il golem sta indietreggiando quando si volatilizza in un lampo di luce bianca, e lo stesso accade a Regice. La Legata di Lugia si blocca, interdetta; Charizard usa Lanciafiamme su Scolipede e solo ora mi accorgo che Cynthia ha mandato in campo anche Crobat, e che Aramis mi sta difendendo da lui. Voglio alzarmi in piedi e combattere, mi sento un peso per tutti, soprattutto per il mio Gallade, a starmene seduta qui, in grado di muovere soltanto gli occhi. Li abbasso sulle mani, che mi giacciono in grembo.
“Ma che furbona” commenta Ho-Oh. L’eco di una lieve risata mi tocca le orecchie dall’interno.
“Fammi concentrare.” L’immagine nella mia mente di due lunghi guanti di fuoco diventa realtà: il loro potere curativo mi restituisce mobilità fino ai gomiti. Mi cospargo di fiamme per tutto il busto e riesco finalmente a togliermi la spina dalla nuca: è così piccola che nemmeno arrivava a toccare il muro, eppure abbastanza velenosa da paralizzarmi dalla testa ai piedi. Il pizzicore un po’ doloroso scompare mentre mi sto ancora passando le mani sul viso, come se me lo stessi lavando con il fuoco; e viene il turno delle gambe. Mi rimetto in piedi con una facilità che mi scalda il cuore di piacere.
Cynthia sta chiamando altri Pokémon in soccorso di Crobat - vedo Scolipede giacere a terra esausto: la sua Allenatrice lo fa rientrare nella sfera. Con un lampo di luce rossa arrivano Toxicroak, Heracross e Floatzel, il quale è addosso a Charizard ancor prima di materializzarsi del tutto fuori dalla Poké Ball.
«Altair!» esclamo, e la Altaria arriva grazie a Ho-Oh. Sembra che già sappia cosa sta succedendo, perché non perde tempo ad avventarsi su Heracross con un Aeroassalto terribilmente efficace.
Cynthia schiocca la lingua e mette una mano su un fianco. Esamina la situazione con le sopracciglia aggrottate. Ilenia chiama a sé Zebstrika, che aiuta Charizard a sostenere l’attacco di Floatzel e Toxicroak. Crobat è in difficoltà in spazi così ristretti, va a sbattere spesso contro il soffitto o le pareti. È una facile preda per Aramis, che infine lo manda al tappeto con l’ennesimo Psicotaglio del combattimento.
«Sbaglio o ti manca ancora un Pokémon, Cynthia?» sbotto. La bionda mi guarda male, ma non fa niente per attaccare me o Ilenia o aiutare la sua squadra.
“Sta aspettando il Comandante Theo” dice Ho-Oh.
“Sai anche come sta messo?”
“Malissimo. La sua gemella sta andando fuori di testa.” Le mie labbra si curvano. Non mi aspettavo neanch’io di essere felice così malignamente di una situazione tanto brutta.
Guardo i Pokémon miei e di Ilenia mettere fuori gioco gli avversari, che appena svengono sono richiamati nelle rispettive sfere: Cynthia fa un passo indietro. Con la coda dell’occhio percepisco un movimento alle mie spalle e contemporaneamente le palpebre della bionda si spalancano. Ilenia, veloce come il vento, le è addosso e la butta a terra, sedendosi sopra di lei. Le porta le mani al collo, ma non la inchioda a terra, non le blocca né le gambe né le braccia. Cynthia potrebbe sfuggirle in qualsiasi momento, in queste condizioni: mi avvicino per evitare che le faccia del male.
Mi blocco quando sento la stessa singhiozzare. Tira su con il naso e butta fuori l’aria con forza, come se fosse stata a lungo costretta in apnea. Cynthia continua a guardarla con gli occhi grigi esterrefatti e non sembra trovare l’energia, né tantomeno la voglia, di liberarsi e darsela a gambe. Le spalle di Ilenia sussultano e tremano, ma le sue mani continuano a minacciare il collo dell’altra.
«Tu!… Proprio tu, tra tutti, ci hai voltato le spalle così!» piange. Stacca una mano, si asciuga il naso con la manica e ritorna nella posizione di prima.
«Ilenia…» la chiama Cynthia.
«Sparendo all’improvviso e facendo perdere le tue tracce, dimenticandoti di me e di chi ti era amico!» continua l’altra, arrivando quasi a strillare. «Come osi ripresentarti con un sorriso e sfidarci senza provare rimorso, senza pensare al bene che ci hai voluto una volta! Dovresti… dovresti vergognarti! Ti odio, Cynthia, ti odio da morire! E non ho mai detestato nessuno in vita mia, almeno non così! Neanche m’importa adesso che tu ora sia una Victory, la cosa che mi fa stare così male è che te ne sia andata senza dire nulla! A me! Avresti dovuto ammazzarti anziché continuare a guardarmi in faccia quando prima hai scoperto che ero io!»
«I-Ilenia…» Lei non sembra sentirmi: non stacca i suoi occhi da quelli di Cynthia. Riprende a singhiozzare forte, ora che ha smesso di parlare. Mi sorprende vedere sul viso della bionda un’espressione dispiaciuta.
«Non avresti accettato la mia scelta» dice. «E poi come potevo parlartene? Mi avrebbero scoperta. Tu stessa per impedirmelo ne avresti parlato, e adesso starei rinchiusa in una cella. Quando ho preso la mia decisione me ne sono andata senza dire niente a nessuno, soltanto con i miei Pokémon. Non sapevo neanche da dove cominciare, sono stati loro a trovarmi e io gli ho dimostrato di voler passare dalla loro.»
«Ma perché?!» sbotta Ilenia.
«Perché le Forze del Bene mi hanno delusa» risponde Cynthia. «Ti ricordi la scoperta dei veri Comandanti? Già lì avevo iniziato a desiderare di essere dall’altra parte. Mi sembrava più forte e più sicura, e ne ho avuto la conferma quando mi sono decisa a fare una scelta. Le Forze del Bene e i Victory, nei fatti, vogliono la stessa cosa: costruire una società ideale. E…»
«Non credo proprio» la interrompo. Ilenia smette di singhiozzare e gira leggermente la testa; Cynthia non può guardarmi in faccia, con lei di mezzo. «Le Forze del Bene sono nate per impedire ai Victory di creare la loro società ideale, che con quei due Comandanti non può diventare altro che una dittatura. Per di più sono invischiati in certe faccende con i Leggendari di cui nessuno vuole parlare. Qualsiasi cosa farà il Victory Team, rovinerà il mondo come lo conosciamo adesso.»
«Come fai a dire qualcosa del genere, Eleonora» il tono di Cynthia è poco serio, non vuole credermi, «se tu per prima non hai alcuna idea sulle faccende che dici?»
«È tutto ciò di cui sono certa» ribatto. «Tu, Cynthia, te ne sei andata perché ti eri stancata di startene con le mani in mano e imbarazzarti per il poco che Bellocchio e compagnia sapevano. Perché eri una semplice recluta. Invece nel Victory Team sei riuscita a farti strada fin da subito e addirittura a far sì che Theo ti incaricasse di catturare una Legata. Se fossi stata una recluta Victory per anni, tanto quanto lo sei stata nelle Forze del Bene, ti sarebbe successa la stessa cosa. Hai voltato le spalle a tutti, a Ilenia, a Bellocchio e all’organizzazione, perché ti annoiavi, perché te lo diceva il tuo orgoglio e perché bramavi la fama.»
Ilenia ha gli occhi stralunati, come se non riesca a comprendere quel che ho detto. Mi metto di fianco a lei per fare attenzione a Cynthia, che si concentra su di me appena entro nel suo campo visivo. Non c’è più alcuna traccia dell’espressione intristita, quasi amareggiata, che aveva mentre la Legata di Lugia si sfogava. «Mi spiace deluderti, Eleonora» dice a bassa voce, «ma queste sono cose che non puoi sapere. Hai sparato un mucchio di stronzate.»
«Purtroppo per te, uno dei poteri del Legame di Ho-Oh mi assicura che tutto quello che ho detto è vero.»
Cynthia non sa che c’è un terzo potere oltre al fuoco e l’aria derivanti dai tipi del Leggendario, e che per di più non è paragonabile ad alcuno esistente nel mondo dei Pokémon. I suoi occhi plumbei mi promettono un temporale in questo momento. Non riesce a reagire contro Ilenia perché sono state care amiche per molti anni, ma con me non ha problemi a mostrarsi la vipera di sempre.
«Dovremmo andare, Ile» dico mettendo una mano sulla sua spalla. Inizio ad avere dubbi sul fatto che sia in grado di lasciare Cynthia, suo malgrado, o anche solo di rispondermi, ma poi sussurra un “sì”.
La bionda sgrana gli occhi. «Cosa?!» grida, divincolandosi; aiuto Ilenia, che si sta sbilanciando per colpa dell‘altra, ad alzarsi ed allontanarsi. Cynthia si mette a sedere e guarda la Legata di Lugia come ad accusarla di qualcosa. «Tu non vuoi lasciarmi qui! Non hai il cuore di abbandonarmi a me stessa senza nemmeno cercare di riportarmi dalla vostra parte!»
Vorrei tanto risponderle io e teletrasportarci via senza aspettare ulteriore replica, ma è una cosa tra loro due. Le mani di Ilenia tremano leggermente. «Mi dispiace, Cynthia» mormora. Percepisco chiaramente un’ondata di sconforto e di senso di abbandono propagarsi dalla diretta interessata. «Sono certa che Eleonora abbia detto la verità. Perciò è inutile che provi a farti ragionare. Ti conosco, Cyn, e sei veramente in grado di spingerti a tanto per dar retta al tuo orgoglio. E poi hai sempre desiderato avere la tua parte di potere. Credo non possa andarti meglio di così, come braccio destro dei Comandanti.» Le sue labbra pallide, leggermente violacee, si stiracchiano in un minuscolo sorriso. «Mi dispiace» ripete, «ma te ne sei andata senza dirmi niente. Hai tradito la nostra amicizia, Cynthia. Forse in futuro ti perdonerò.»
Ilenia mi afferra la mano e mi catapulta insieme a lei in un teletrasporto illuminato di luce bianca, mentre io ancora ho negli occhi l’immagine di quelli sbalorditi, e forse lucidi, di Cynthia.
Il vortice bianco del teletrasporto di Ilenia ci abbandona a un metro da terra: lei atterra con leggerezza mentre io batto con forza i piedi e quasi cado in avanti. Recuperato l’equilibrio, osservo la zona: siamo nel mezzo di una chiazza d’erba alta e la nebbia ci circonda, impedendoci di distinguere qualcosa oltre i nostri corpi e le immediate vicinanze. «Dove siamo?»
«Dovremmo essere nei pressi della Fossa Gigante» mi risponde Ilenia. Il suo tono di voce è tranquillo: se non fosse per gli occhi arrossati e le labbra ancora pallide, non si direbbe che ha finito da poco di piangere a dirotto. Le vorrei chiedere come sta e parlarle di quel che è successo, ma prima dobbiamo arrivare alla base.
Attivo il potere della Vita e la nebbia scompare ai miei occhi, mostrandomi il luogo come se fosse in piena luce. Siamo in una piccola depressione del terreno e davanti a noi, sopra un muro roccioso lungo il quale corre un sentiero, c’è un’apertura nella parete. Prendo la mano ad Ilenia e ci incamminiamo verso di essa, poi ci diamo una spinta con l’aerocinesi e, una volta atterrate, entriamo: la prima cosa che notiamo è una lunga scalinata che conduce verso il basso, da cui proviene una luce bianca. Saltiamo giù da un muretto e scendiamo, varcando un’altra apertura poco più alta e larga di noi.
Mi sembra di essere tornata al quartiere nord di Nevepoli, il giorno in cui io e Chiara ci entrammo, oltrepassando i confini tra il mondo umano e quello Pokémon. Di fronte a noi si estende un manto bianco che altri fiocchi di neve continuano a ispessire; a occhio sembra essere un quadrato perfetto, circondato dalle pareti brulle di colline tutt’intorno. Mi aspetto che da un momento all’altro la neve smetta di cadere, che venga sostituita all’istante dalla nebbia e che in lontananza si scorga quello strano edificio che era la vecchia Palestra di Nevepoli - adesso non riesco a vedere niente di fronte a noi, la roccia sembra priva di aperture. Chissà che non salti fuori uno Snover arrabbiato e che non ci attacchi.
Ilenia mi sfiora la mano e mi fa un cenno per invitarmi a seguirla. Mi stropiccio gli occhi e inizio a camminare, ma al terzo passo lo strato bianco diventa troppo alto per proseguire. La Legata di Lugia si spinge con l’aerocinesi e riesce a procedere a balzi: tocca a malapena la neve e già sta facendo un altro salto, mentre il potere dell’aria ha scavato un buco nel morbido “terreno”. La imito, con qualche difficoltà in più di lei, ma ci prendo la mano. Un rumore mi giunge alle orecchie, alzo lo sguardo: si sta aprendo una fenditura nella parete di fronte a noi. Vado più veloce, cercando di recuperare Ilenia; entra agilmente nella porta, io mi muovo più cautamente.
Il corridoio di roccia in cui ci ritroviamo è illuminato sul soffitto da lampade al neon. Sentiamo dei passi che si stanno avvicinando: non so come faccia Ilenia ad essere così rilassata. Si avvia incontro a chiunque stia arrivando, e io che la seguo riesco a vedere poco oltre ai suoi arruffati capelli bianchi - le pareti sono troppo strette per mettermi di fianco a lei. Si ferma di colpo e le finisco addosso, ma lei sta ben ferma sui piedi.
«Era ora.» Camille. «Cosa vi è successo?»
«Sono andata a recuperare Eleonora» risponde Ilenia, «visto che Daniel e compagnia l’hanno lasciata da sola ed era stata presa.»
Camille si sporge per darmi un’occhiata; ancora la riconosco a malapena nella sua Forma di Mezzo. «Zhao si sta rimettendo in sesto, è molto provato da quel che è successo. Non ha mai affrontato il nemico. La cugina è con lui. Daniel e gli altri stanno aspettando.»
«Gli altri chi?» chiede Ilenia. «C’è solo George, a parte noi.»
«Stanno tornando Lewis e Laura.»
«E Hans?» chiedo, con voce bassa e preoccupata. Mi affaccio da dietro Ilenia per guardare Camille: la sua faccia corrucciata non mi fa presagire niente di buono.
«Non lo so. Ci sarà anche lui con loro, immagino.» Porto una mano alla guancia: ho un brutto presentimento. Ho-Oh non è allarmato, ma d’altra parte non ha con Jirachi un rapporto profondo come quello con Lugia o con le Bestie. «Andiamo» ci dice la Legata di Xerneas. «Sono tutti preoccupati. Compreso Bellocchio, che ci raggiungerà tra poco.»
Gira i tacchi e si incammina lungo il corridoio; io e Ilenia le andiamo dietro. Se non fosse per l’illuminazione, la via per la base sarebbe uguale a quella che conduce al quartier generale del Monte Corona.
«Ma non mi dire. Tutti preoccupati, eh?» borbotta Ilenia.
«Soprattutto Daniel.» Il tono di Camille è colorato da una nota divertita.
«Soprattutto Daniel!» sbotta l’altra. «Non avevo dubbi, guarda.»
«Che è successo con Daniel?» domando.
Ilenia si ferma e quasi le finisco addosso di nuovo. Si gira, stizzita: «Cos’è successo? Ti stava lasciando a morire, lì da sola con Nike! Se l’è data a gambe portandosi appresso Zhao!»
«Daniel dice che gli hai fatto parecchio male, prima.» Non ho mai sentito Camille così viva ed interessata in una conversazione. Si sporge per guardarmi, leggermente sorridente: c’è qualcosa di cattivo nella sua espressione, come se fosse contenta del fatto che i Legati della stessa fazione facciano a botte tra di loro. «Pare che dopo averlo spintonato a terra, Ilenia sia riuscita a tirargli un calcio prima che George e Zhao li separassero.»
«C’eri pure tu, prima.» Ilenia le scocca un’occhiata ostile. «E se ne sarebbe meritati altri dieci, di calci, quell’infame. Soprattutto visto che Eleonora fa l’ingenua e non lo prende a calci lei.» Le emozioni negative hanno preso il controllo sul suo viso, sui suoi gesti e sul tono della sua voce. Aver visto Daniel arrivare e dire che, nei fatti, mi aveva lasciata tra le grinfie di Nike, e poi aver accusato il colpo del voltafaccia di Cynthia… Non riesco a ribattere nulla e distolgo lo sguardo dal suo. Camille, senza aggiungere altro, riprende a camminare, e Ilenia la segue immediatamente. Si allontana di qualche passo prima che mi riscuota e che vada anch’io.
Non riesco a provare rabbia nei confronti di Daniel, perché so che ha fatto quel che ha fatto a causa di Dialga. Come ha detto Nike, gli ordini di un Leggendario non si discutono; se Ho-Oh mi avesse detto di ritirarmi dalla lotta abbandonando tutti gli altri, sarei stata obbligata a farlo - e anche se non avessi voluto, alla fine mi avrebbe fatta teletrasportare lui. Sicuramente è già tanto che Daniel sia riuscito a combattere per qualche minuto, anziché rimanere paralizzato dal terrore - infuso sia da Nike che, ne sono certa, da Dialga - per tutto il tempo.
Quel che mi fa bruciare una fiamma in petto e che mi incupisce il viso è l’atteggiamento del Leggendario. Vorrei sapere cosa sta facendo al suo Legato e perché lo tratta in questo modo: lo tiene incatenato a sé e soffoca ogni suo tentativo di ribellione, di presa d’iniziativa. Daniel non vuole farsi vedere in condizioni di debolezza, e già so come mi sfuggiranno i suoi occhi tra poco - sia per i sensi di colpa per avermi abbandonata, sia perché, orgoglioso com’è, non avrebbe voluto mostrarsi così vulnerabile e atterrito. Se c’è qualcosa che potrebbe irritarmi, anche se adesso non me ne importa nulla, è proprio il fatto che sia così ostinato e voglia a tutti i costi apparire fiero e inattaccabile. È fatto così e da questo punto di vista mi è sempre risultato a dir poco insopportabile.
Fisso il pavimento mentre camminiamo e mi tormento le mani. Ho-Oh non dice una parola e non so, come al solito, in che modo interpretare il suo silenzio: ha accesso ad ogni mio pensiero ed emozione, anche quando io non riconosco immediatamente cosa mi passi per la testa o perché il cuore batta più veloce del normale. Eppure si chiude in un silenzio totale, diventando irraggiungibile, proprio quando ho bisogno di qualche rassicurazione o di spiegazioni - potrebbe dirmi qualcosa a proposito di Dialga, e invece no.
Più silenzioso ed enigmatico di lui è Helenos. Oggi sarà intervenuto in mio aiuto perché attraverso di me può essere utile a Ho-Oh, almeno dal suo punto di vista; ma non ho provato la sensazione opprimente che finora il primo Legato del nostro Leggendario, così ostile e che addirittura dovrebbe odiare il genere femminile, mi ha trasmesso ogni volta che lo riconoscevo mentre manovrava i miei pensieri e le mie azioni. Chissà che Ho-Oh non abbia esagerato la storia di Helenos, descrivendolo come un misogino ed un individuo estremamente severo. Non so perché dovrebbe averlo fatto, ma potrebbe averglielo chiesto lo stesso Helenos. Oppure il Leggendario ha altro ancora da nascondere, in aggiunta alla vera trama della guerra tra Victory e Forze del Bene.
La mancanza di informazioni mi esaspera, oltre che spaventarmi: rabbrividisco ricordando Daniel che, sulla ruota panoramica del parco divertimenti di Sciroccopoli, mi confessava di aver guardato il Tempo per capire le cause del conflitto e perciò di essere stato severamente punito, a detta sua, da Dialga. Qualunque sia il segreto di cui Ho-Oh, Dialga e gli altri Leggendari non vogliono parlare, è fuori dalla portata anche di noi Legati: è questo che mi fa paura, facendomi sentire inerme e vulnerabile, se non inutile.
«Siamo arrivate» annuncia Camille. Alzo gli occhi e osservo da sopra la spalla di Ilenia: la Legata di Xerneas poggia la manina su uno schermo sulla parete a destra. Il sistema riconosce la sua impronta e apre il muro di roccia di fronte a noi - nemmeno mi ero accorta che fossimo, all’apparenza, in un vicolo cieco.
Appena entro anch’io, la parete si richiude alle mie spalle. Non solo il corridoio che abbiamo percorso è simile a quello che porta alla base segreta nel Monte Corona: anche questa struttura è simile al posto in cui ho trascorso l’ultimo anno e mezzo. Mancano i cristalli fluorescenti rossi e azzurri, ma i toni scuri e l’illuminazione asettica - senza note di colore, questo luogo sembra estremamente desolato e spoglio - sono praticamente uguali. Persino l’entrata è simile alla base del Monte Corona: i corridoi sono ben otto anziché sei, infatti l’ingresso in cui ci ritroviamo è più grande dell’altro. Camille imbocca la via tutta a sinistra, a passo svelto. «Dovrebbero essere nei sotterranei» dice tra sé mentre marcia, puntando forse la fine del corridoio. Non c’è nessuno in giro.
La porta in fondo rivela di non dare su delle scale che portano ai piani inferiori, ma su un ascensore. Entriamo e Camille preme il pulsante che recita -2. L’ascensore si chiude e scende piuttosto veloce, ma rallenta sensibilmente prima di fermarsi, una volta giunto a destinazione.
Sentiamo delle voci maschili discutere, alcune calme, altre alterate. Camille, anziché aprire gli sportelli e farci uscire, si gira verso di Ilenia e di me.
«Che c’è?» le domando.
«Credo che sia arrivato Bellocchio.»

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