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Autore: Ink Voice    04/01/2016    2 recensioni
Niente sarà più come prima. Forse è meglio così, pensa Eleonora, mentre si chiede esasperata quale sia il prossimo compito da portare a termine. È una domanda retorica che si pone solo per rispondersi subito dopo: “Salvare il mondo”. Una frase da supereroe, da film, che invece le tocca pronunciare per autoconvincersi che il momento è giunto e che lei, fino a qualche anno prima una ragazzina normale che non conosceva la realtà in cui è improvvisamente finita, è una delle più importanti pedine nel triste gioco della guerra.
Dalla parte di chi schierarsi e perché, quando ogni fazione ha numerosi difetti, che rendono l’una indistinguibile dall’altra? Troverà mai dei motivi che la spingeranno a non chiudersi in sé stessa e a non tirarsi indietro? Perché dover rischiare la propria vita per una causa che non si conosce davvero e per una verità svelata sempre poco per volta?
Queste domande l’accompagneranno mentre cercherà la forza per non arrendersi. È l’ultima parte di Not the same story.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Manga, Videogioco
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- Questa storia fa parte della serie 'Not the same story'
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NOT THE SAME STORY
III - L’Impero Vittoria



 
Prologo
Battiti

Ripresi conoscenza solo quando un tuono proveniente dal mondo reale mi riportò sulla Terra. Mi ci volle un po’ di più per contattare tutti i miei sensi e decifrare qualche dettaglio della mia condizione: fu un’operazione lenta ma fortunatamente indolore. I boati fragorosi nel cielo arrivavano come attutiti alle mie orecchie e non riuscii nemmeno a sobbalzare dalla paura appena ci fu un ruggito di forza impressionante.
Ero rannicchiata in una penosa posizione fetale e avevo a malapena la forza di sgranchirmi le mani - non volli figurarmi gli arti interi. Eppure in qualche modo riuscii a sdraiarmi supina, tenendo le gambe ancora piegate un po’ lateralmente, ma in modo tale che il torso e la testa fossero rivolti al cielo. Dischiusi gli occhi, che incontrarono un soffitto plumbeo di nubi temporalesche e castano, visti i rami completamente spogli degli alberi. Non c’era una vera e propria oscurità: immaginai che non fosse passato neanche molto tempo e che quindi fosse all’incirca l’alba.
D’un tratto fecero capolino nella mia visuale due Pokémon più che conosciuti: Altair mi guardava con gli occhietti neri pieni di preoccupazione, mentre quelli rossi di Aramis erano piuttosto freddi e distaccati, come se, senza scomporsi, si volesse accertare delle mie condizioni. La loro apparizione mi smosse un po’, accelerando la ripresa del contatto con la realtà, e le mie mani sentirono il bisogno di esplorare il terreno su cui ero sdraiata: le poche parti non coperte da un fine strato di neve erano ciuffi d’erbetta umidi, bagnaticci.
Chiusi di nuovo gli occhi e la mia Altaria mormorò qualcosa. La ignorai e mi sforzai di richiamare alla mente le cose più importanti: feci per parlare, ma prima dovetti sopportare qualche colpo di tosse che sapeva di sangue - la mia voce era spaventosamente arrochita. Quando fui in grado di dire qualcosa senza essere ostacolata da alcunché, mormorai: «Mi chiamo Eleonora. Ho sedici anni e mezzo e appartengo alle Forze del Bene. I Comandanti gemelli del Victory Team hanno distrutto la base nel Monte Corona… e una dei due si chiama Nike. Hanno cercato di catturare me, Bellocchio e Daniel. Il portale creato da Daniel è stato manomesso dall’altro Comandante… ma lui e Bellocchio dovrebbero essere andati dove volevano… io invece che ad Amarantopoli sono finita nel… nel…»
Mi concentrai e raccolsi quel poco di forze riavute al mio risveglio per tirarmi su a sedere. Feci qualche smorfia per il disagio ma individuai il cartello che avevo fugacemente letto prima di svenire. «Bosco Smeraldo.»
La mia mente, di colpo, smise di essere sonnacchiosa e si riappriopriò dei vividi, turbolenti ricordi delle ultime cose successe, e per qualche momento i battiti del mio cuore accelerarono nel rivivere l’incontro con i Comandanti, il breve combattimento contro di loro fatto insieme a Daniel - per poco non ci avevano pure rapiti - e la fuga non riuscita al meglio. Ma almeno non ero in qualche regione spaventosamente lontana da Johto: tutto sommato il Bosco Smeraldo era anche relativamente vicino alla mia meta, Amarantopoli.
Appena ero stata teletrasportata lì, qualcosa che avevo identificato come un Velenospina mi aveva colpito la spalla. Siccome non avevo sentito niente quando mi ero sdraiata mezza supina, non avrei dovuto disturbarmi di controllare che non ci fosse ancora; ma portai comunque una mano al punto interessato e non lamentai alcun dolore, trovando un buco non indifferente che l’ago aveva praticato nel morbido maglione azzurro, mia unica difesa contro il gelo invernale insieme agli stivali e ai pantaloni neri. Eppure non sentivo freddo - non ancora, ma di lì a poco ero certa che sarei stata travolta da veri e propri spasimi a causa della bassa temperatura.
Ricordai Cynthia, che avevo vista, nell’oscurità della notte, quel poco che mi era bastato per riconoscerla e implorarle di aiutarmi. Ma mi aveva abbandonata a me stessa: avevo la netta sensazione che ad avermi tolto l’ago avvelenato dalla spalla non fosse stata lei, appassionata di Pokémon Veleno e quindi sicuramente in grado di aiutarmi. Neanche il tempo di finire di formulare quel pensiero che una delle mie Poké Ball si aprì e ne uscì la mia Roserade, segno che aveva sentito, grazie all’intimo contatto tra squadra e Allenatore, i miei pensieri.
«June» sospirai. Con Aromaterapia e altre mosse Erba e Veleno non doveva aver avuto difficoltà per togliere la Velenospina. Sfiorai con una mano le sei Poké Ball attaccate alla cintura che avevo intorno alla vita: quelle di June, Altair e Aramis erano vuote, e riconobbi le altre tre presenti come quelle di Saphira, Rocky e Nightmare. Potevo affermare di aver praticamente detto addio a Diamond, Pearl e Noctowl, gli altri miei Pokémon rimasti nella base segreta. Sperai di averli depositati in un box ma era molto improbabile: non ci mettevo mai nessun membro della mia squadra perché non ne avevo bisogno, in genere mi portavo appresso, quando avevo modo, tutti e nove i miei Pokémon. Non fui investita da un moto di preoccupazione, stranamente: l’unico a cui non ero affezionatissima era Noctowl, l’ultimo arrivato nella squadra e il meno allenato e utilizzato, ma Staraptor e Luxray erano tra i miei primi compagni di avventure, da quando ero entrata nel mondo dei Pokémon, e non capii perché non avessi avuto una dolorosa fitta al petto al pensiero di non averli più con me.
Mi alzai in piedi con meno fatica di quanta ne avessi avuta per muovermi fino ad allora. Richiamai nelle rispettive sfere sia Altair, che, da Swablu, era stata il mio primo Pokémon, e June. Rimasi sola con Aramis, che continuava a studiare con attenzione i miei movimenti, accertandosi che fossi ancora tutta intera - fisicamente e mentalmente - e forse non capendo perché non mi fossi già messa a piangere per tutto ciò che ci era accaduto.
«Brutta situazione, eh, Aramis?» Il Gallade nemmeno mi rispose. Avevo tenuto lui fuori dalla Ball perché il suo aspetto e i comportamenti umani mi erano più familiari, anche se la mia Altaria sarebbe stata molto più partecipe e affettuosa di lui, che era sempre di poche parole. «Siamo soli e abbandonati a noi stessi, con tre compagni in meno, l’inverno sulle spalle e un Legame che so gestire a malapena. C’è solo da sperare che Ho-Oh, almeno lui, non mi abbandoni e mi indichi la strada più breve per Amarantopoli.»
Non feci in tempo a finire quella frase che trasalii visibilmente nell’udire una voce maschile rimbombare, parlando con tono grave, nella mia mente. Aramis quasi si slanciò verso di me appena feci per inginocchiarmi a terra, senza trovare un albero o qualcosa a cui appoggiarmi; lo fermai con inaspettata decisione alzando di scatto una mano, mentre tenevo l’altra sul petto come se servisse a calmare il mio cuore impazzito. Il mio compagno indietreggiò. La voce di Ho-Oh mi aveva invaso la mente con veemenza e in un modo del tutto inaspettato quando ancora stavo parlando ad Aramis con toni di noncuranza. Quella specie di colpo mi aveva fatto mancare l’aria nei polmoni per un infinito secondo e cercai di riprendere fiato mentre mi sforzavo di ascoltare il Leggendario.
“Non avresti dovuto farti prendere dal panico all’arrivo dei nemici.”
A quella breve frase seguì una pausa piuttosto lunga. Alla fine me ne uscii con una specie di sorrisetto, e, siccome era un’espressione inquietante in una situazione del genere, continuai a tenere la testa bassa per non farmi vedere da Aramis, sicura che avrebbe creduto che i miei nervi stessero cedendo. Con un’ironia irrispettosa dissi: «Proprio ora devi farmi la ramanzina?»
Subii un altro duro colpo quando il Leggendario alzò la voce - voce che rimase sempre confinata nella mia mente: “Non dovrà accadere mai più! Ricordati chi sei e quali sono i tuoi doveri!”
«V-va… va bene» balbettai con le mani tra i capelli, strizzando gli occhi, che sicuramente si erano tinti di rosso appena ero bruscamente entrata in contatto con Ho-Oh. «Non succederà più… non avrò più paura in futuro. Ma ora ti prego, ti prego, Ho-Oh, aiutami a trovarti… indicami la via per Amarantopoli, ti prego…»
“Ora non serve. Ci incontreremo presto.”
Se n’era già andato quando mi resi conto di star bisbigliando altre preghiere, chiedendogli di aspettare e non lasciarmi. Non riuscii ad arrabbiarmi nei suoi confronti per la sua ritirata, che era stata silenziosa ed indolore, tanto che a malapena mi ero accorta della sua assenza. Senza dare spiegazioni ad Aramis, lo feci rientrare velocemente nella sua Poké Ball: ebbe abbastanza tatto da non uscire di nuovo per cercare di capire cosa fosse preso alla sua pazza, emotivamente sconvolta Allenatrice.
Nel giro di un minuto riuscii a ritrovare la calma e il mio modo di pensare e di agire, non più intimorita dalla presenza del Leggendario a cui ero, a tutti gli effetti, sottomessa. Pensai addirittura che la prossima volta che ci fossimo “sentiti” avrei dovuto chiedergli di non entrare più nella mia mente in modo così violento, cortesemente. Era stato laconico e severo e non ero in grado di contattarlo di nuovo a causa dei miei limitati poteri psichici, che non ero sicura si sarebbero evoluti una volta ottenuta la forma materiale del Legame, quando mi fossi ricongiunta al mio Leggendario.
«Avresti almeno potuto dirmi se ti troverò sulla Torre Campana, Ho-Oh» borbottai. Percepii un vago sentore della sua presenza grave, che non era possibile ignorare, ma fu talmente fuggevole che mi convinsi di essermelo immaginato, ancora un po’ intontita - era meglio dire annichilita - dalla pesantezza del contatto.
Le prime gocce di pioggia iniziarono a cadere e cominciai a sentire freddo. Mi sforzai di usare il potere della mente per capire se ci fosse qualcuno nelle vicinanze, e siccome non percepii nessuno mi concessi di creare un po’ di fuoco per scaldarmi. Inizialmente mi limitai a sbuffare qualche fiammella arcobaleno per il mio viso già freddo, poi anche le mie mani si ritrovarono a sostenere dei fuocherelli sgargianti e allegri. Non era ancora abbastanza.
Infilai nelle tasche dei pantaloni le mani, avvolte in delle specie di mezziguanti fiammeggianti che avrebbero fatto impressione a chiunque, ma in quel momento non mi volevo curare di alcunché. La vera cosa che mi sorprese fu trovare nella tasca destra un foglietto di vitale importanza per i miei spostamenti e per la mia sopravvivenza, pure: non mi ero accorta di averlo con me, essendo stata occupata a sopportare la gravità della presenza di Ho-Oh e a riprendere i contatti con la realtà.
Sul biglietto c’erano scritti i nomi delle maggiori basi segrete delle Forze del Bene e lo portavo sempre con me da quando Bellocchio me l’aveva consegnato, pochi giorni prima di allora. Tenni il foglietto vicino al viso per continuare a scaldarmi le mani soffiando fuoco dei colori dell’arcobaleno, riuscendo a non bruciare la carta perché mi limitai ad usare le funzioni curative e inoffensive, non aggressive, del fuoco dai due volti di Ho-Oh.
“Monte Corona, e va be’, ce lo siamo giocato stanotte… la Fossa Gigante non mi sembra dietro l’angolo, quindi scartiamola. Ah, c’è una base da cui si accede dal Sentiero Ding-Dong che porta alla Torre Campana… cercherò di appoggiarmici quando sarò ad Amarantopoli.” Quella notizia mi fece stare un po’ meglio: sapere che il luogo abitato dalla Fenice dell’Arcobaleno era nelle mani della mia fazione fu di grande conforto. Cercai qualche base delle Forze del Bene nel territorio di Kanto e trovai che ce n’era una nella Grotta Celeste, collegata ad un’altra più piccola nel percorso 25, poi una ad Aranciopoli e… “… E basta. Solo queste tre, una più lontana dell’altra.”
Avrei voluto andare a Biancavilla ma qualche tempo prima era giunta la triste notizia della morte di Oak, arrivata poco tempo dopo quella del professor Rowan, e la cittadina non era più sotto il controllo delle Forze del Bene: il laboratorio di Oak non era più attivo e il nipote Green non poteva prendere il suo posto. Non avevo con me né il PokéGear né altri strumenti con mappe delle regioni, perciò mi sforzai di ricordarmi altre città raggiungibili tramite il Bosco Smeraldo. A nord c’era Plumbeopoli ma la esclusi appena un pensiero mi attraversò la mente: “Il Capopalestra Brock è morto da chi si ricorda quanti anni.”
Perciò, senza uomini delle Forze del Bene ancora in vita nelle immediate vicinanze, l’unica città che mi rimase era Smeraldopoli. Tra l’altro era pure più vicina di Biancavilla al Bosco Smeraldo. Il problema era che una grande metropoli come quella, che in passato era stata controllata da Giovanni, del Team Rocket, in qualità di Capopalestra, poteva essere pericolosa per me. Non ero affatto indifesa ma ero pur sempre sola - e avrei smesso di temere l’assenza di compagni umani solo quando avessi ottenuto la forma materiale del Legame tra me e Ho-Oh. Potevo anche attaccare con i miei poteri sovrannaturali di fuoco, aria e mente, ma rimanevo un solitario obbiettivo sensibile del Victory Team.
«Sicuramente hanno mobilitato un sacco di reclute un po’ ovunque per trovare sia me che Daniel… e gli altri Legati» mormorai. «Ma almeno lui può teletrasportarsi e fuggire quando vuole. Nike e suo fratello… Nike e il suo gemello sono sicuramente sulle mie tracce, in qualche modo, e faranno qualsiasi cosa in loro potere per catturarmi, ora che sono sola e in procinto di mettermi in viaggio verso la Torre Campana.»
“D’altronde cos’altro posso fare?” Continuai il discorso nella mia mente. “La situazione può solo peggiorare se continuo a star ferma qui, ad aspettare il nulla e a prendere freddo. Muovermi mi mette a rischio ma non farlo è ancora più pericoloso. Ho sei Pokémon con me… gli altri tre già cominciano a mancarmi… ma comunque ho anche tre elementi ai miei comandi. Posso affidarmi sia sulla pirocinesi che sull’aerocinesi. Un po’ meno sul potere della mente, ma se mi attaccassero dei Victory che non siano Nike e il suo gemello posso considerarmi quasi in vantaggio su ogni nemico sprovvisto di poteri, visto quello che posso fare.”
L’ombra di un sorrisetto svanì dal mio viso appena ricordai le ultime battute dell’incontro-scontro con i due bellissimi e spaventosamente potenti Comandanti. Non mi fu difficile tirare le somme della situazione, nonostante i pochi elementi di cui disponevo, che potevano comporre solo una piccola parte del gigantesco quadro che rappresentava il conflitto tra i Victory e le Forze del Bene.
«I Comandanti gemelli sono molto legati a Vì, in qualche modo.» Il ricordo della bambina dai capelli ricci e biondi e gli spettrali, vitrei occhi grigioverdi mi fece rabbrividire per un momento. «Vista la somiglianza tra tutti e tre… sarà una specie di sorella minore? Mi sembra comunque una relazione che ha dell’assurdo…»
Feci una pausa. Le domande che avrei voluto pormi erano tantissime, ma mi impedii di farmene anche una perché di risposte non ne avevo. Sbuffai e qualche lingua di fuoco mi scappò sia dalle narici che dalla bocca. Mi ero rassegnata a sopportare il freddo senza coprirmi di fiamme: di lì a poco avrei cominciato a muovermi.
«Vì…» mormorai soprappensiero.
Trasalii appena una voce inaspettata mi toccò le orecchie: era abbastanza vicina perché potessi scattare all’erta e avventarmi contro il proprietario di essa, temendo che fosse un nemico.





Manca poco, forse…




Angolo ottuso di un’autrice ottusa che cercherà di non chiacchierare troppo almeno per una volta nella vita ma sta già parlando un sacco nel titolo dell’angolAAAAAH
Cominciamo bene.
Ho iniziato a scrivere il prologo la sera di Natale, dopo che tutti i parenti se n’erano andati. E oggi, giorno in cui il mio account di EFP compie due anni *lacrimuccia* pubblico questo prologo della terza e ultima - ma quel forse nella frase in corsivo ??? - parte di Not the same story. È un modo per festeggiare. Festeggiare due anni di torture inflitte al sito da parte mia.
È stato molto difficile scrivere queste poche pagine di prologo. Il dizionario dei sinonimi e contrari è diventato il mio migliore amico nelle ore che mi sono servite per buttar giù tutto - già eravamo in buoni rapporti prima, voi tutti lettori di Not the same story sarete invitati al nostro matrimonio quando scoppierà la scintilla (???)
Be’, non so che dire - e se chiacchiero così tanto senza sapere cosa dire... eh, scappate prima che sia troppo tardi. Non so se questa storia continuerà ad essere seguita o se gli unici lettori saremo io e il dizionario di sinonimi e contrari, appunto, ma non demorderò in nessun caso e porterò a termine questa malbenedetta storia. Molte scene di questa terza parte sono nate nella mia mente quando ancora stavo scrivendo la prima parte, perciò nel 2014 - qualcosa anche verso la fine del 2013. Non penso di cambiarle più di tanto perché mi ci sono affezionata, chi mi conosce sa quanto sono sentimentale e romanticona, anche se cerco di non darlo a vedere ; _ ;
Nonostante abbia in mente a grandi linee la trama della terza parte, sono molto insicura sugli sviluppi. A parte che non avere la maggior parte dei titoli dei capitoli pronti mi preoccupa-- ma ci sono molti capitoli che non so come scrivere, non so cosa scriverci. L’unico conforto è che anche con Ntss2 era così, e alla fine penso sia venuta fuori una bella seconda parte, anche se man mano ho cambiato molte cose, inserito nuovi avvenimenti, tagliati alcuni, copincollato, fatto pratica di decoupage ecc ecc
Insomma, mi sento di dire soltanto che chi vivrà vedrà, e soprattutto vedrà chi leggerà (???)
Direi che sto delirando fin troppo, capitemi, l’emozione di pubblicare questo prologo mi sta uccidendo. È meglio che tolga il disturbo e torni a scarabocchiare - lo stava scrivendo con due b, la burina !! - su uno sfortunato album da disegno :°°° Quando avrò tempo, voglia e forza pubblicherò il prossimo capitolo. Sembrano premesse terribili, ma il mio maso spirit è tornato e non ci metterà molto a superarle.

Edit: PIANGO TUTTE LE MIE LACRIME ho dimenticato il titolo della storia ecc prima del titolo del prologo-- li ho aggiunti btw sono scema
Guess why there's a rainbow #pacchianostyle

Perciò a presto!
Eleonora - Ink Voice
  
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