Non Dimenticare il Tempo del Nostro Amore

di FlyingBird_3
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


23 Settembre, 1938
 
Sentii i passi leggeri di mia madre venire verso la mia stanza; il pavimento di legno scricchiolò un pochino quando si fermò davanti alla porta. Feci finta di essere ancora addormentata quando la aprì.
< < Gerda, è ora di alzarsi > >
La sua voce era un po’ troppo forte per essere svegliati dolcemente, e il modo in cui successivamente mi apriva le finestre, non era da meno.
Un venticello fresco entrò subito nella stanza, portando con sé l’odore dei fiori ancora freschi del giardino.
Vidi mia madre uscire dalla camera, lasciandomi il tempo di alzarmi e prepararmi per andare a lavoro: era ancora Settembre, quindi il distacco dalle coperte non era difficile.
Senza appoggiare i piedi a terra, presi le scarpe e me le infilai; andai a sciacquarmi il viso ed il petto con l’acqua fresca che avevo preparato la sera prima, e infine aprii l’armadio. Quel giorno scelsi un bel completo beige in cotone, comodo ma elegante: era venerdì, e come ogni venerdì sarei rimasta fuori dopo l’orario di lavoro per andare al bar con le mie colleghe.
Misi un velo di rossetto rosso mela sulle labbra, un tocco di nero sulle ciglia e abbastanza cipria per sistemare le imperfezioni della mattina.
Mentre mi guardavo allo specchio, mi fermai un attimo ad osservare la foto autografata di Marlene Dietrich, che mio padre mi aveva fatto miracolosamente trovare per il mio compleanno, tre anni prima.
È inutile, per quanto passi ore ed ore davanti a questo specchio, non sarò mai bella come te.
Le mie labbra erano troppo fini per essere dolci e piene come le sue; gli zigomi non erano abbastanza pronunciati, e il viso era troppo tondo per assomigliare a quello della diva.
Nonostante ciò, continuavo ostinatamente ad ispirarmi a lei per curare la mia persona; in quel periodo lavoravo in un elegante negozio di abbigliamento per donna, quindi la mia apparenza doveva essere curata nei minimi dettagli, se volevo che la clientela mi prendesse sul serio quando affermavo che una pelliccia di visone era molto più azzeccata di un semplice ed economico mantello di lana per l’inverno.
Tolsi la retina dai capelli, li ravvivai con un gesto e finalmente andai al piano di sotto per la colazione: scesi le scure scale di legno, facendo scorrere la mano sull’imponente corrimano di mogano, arrivando nella sala da pranzo. Trovai mio padre già seduto in cucina che sorseggiava il caffè, leggendo il giornale e ascoltando la radio, contemporaneamente. Si perché, ogni volta che si mangiava, i momenti di silenzio dovevano essere riempiti dalle notizie dell’ultima ora.
< < Gerda, prendi il pane finché è ancora caldo. Non puoi uscire anche oggi bevendo solo caffè > >
La mamma stava armeggiando con i mille utensili che papà le aveva comprato per la cucina; dopo che nacqui io, abbandonò la sua carriera di attrice di cabaret per prendersi cura della sua nuova famiglia.
I capelli corti e scuri non si muovevano di un millimetro mentre correva da una parte all’altra della cucina; e nonostante indossasse un vestito di buon mercato e un grembiule macchiato di caffè, ancora conservava quella eleganza magica che hanno di natura le attrici.
< < Mi hanno invitato ancora a quella conferenza, come l’anno scorso. Guarda ne parlano proprio qua. Non so ancora se andarci o no, sai Charlotte? Lo sai che odio stare in mezzo a troppa gente > >
Mia madre non smise di andare avanti e indietro per la cucina mentre mio padre le parlava: si era messa in testa che i fiori sul davanzale dovessero essere annaffiati a specifiche ore della giornata.
< < Caro, lo so bene. È per questo che ti trovavo sempre al bancone del bar quando venivi a vedermi > >
Lo vidi abbassare il giornale e successivamente la testa, osservando prima me e poi mia madre da sopra gli occhiali, in quel modo che mi faceva sempre sorridere.
< < Ti ho spiegato molte volte che ero là solo perché era il posto in cui ti vedevo meglio > >
Tornò a leggere il giornale, ed io, dopo aver aspettato che il latte si scaldasse, mi sedei a tavola spalmando della marmellata su una fetta di pane.
< < Certo, certo > > rispose intanto mia madre, sventolando una mano per aria come se fosse una cosa di poco conto.
< < Comunque, prima che mi dimentichi… Gerda, non fare troppo tardi stasera. Lo sai che dobbiamo andare a teatro, e per fortuna tuo padre ha trovato i biglietti per quello spettacolo. Dio solo sa la fortuna che abbiamo di uscire ogni tanto da questa casa > >
Prima che potessi rispondere, mio padre iniziò a parlare da dietro il giornale.
< < Non fare la vittima Charlotte. Ti ho portata al cinema lo scorso mese. Lo sai che sono stanco alla sera > >
Mia madre si fermò di colpo in mezzo alla stanza, ed in quel momento capii che era ora di andare.
< < Mamma, papà, io vado… > >
Finii in velocità il caffèlatte, alzandomi e sgattaiolando fuori dalla cucina, proprio mentre mia madre cominciava con le lamentele sul fatto che papà non la portava mai fuori la sera.
Mi avvicinai all’appendiabiti dell’ingresso e presi una giacca leggera, i guanti di cotone morbido nero, ed il mio cappello preferito, nero con un po’ di velo per coprire il viso.
Lo sistemai di traverso sul capo, combattendo con alcune ciocche di capelli che non ne volevano sapere di rimanere al loro posto; mi diedi, poi, un’ultima occhiata allo specchio vicino alle scale per controllare se tutto fosse in ordine.
< < Gerda? > >
Mio padre comparve dal nulla, facendomi sussultare.
< < Papà! Cosa c’è? > >
Lui si tolse gli occhiali dal naso, con fare un po’ sorpreso.
< < Mi chiedevo se devi vedere qualcuno di… particolare oggi > >
Lo guardai dubbiosa; perché gli era venuta in mente un’idea del genere?
< < No perché? > >
Lui alzò le spalle e le sopracciglia, guardandomi da capo a piedi.
< < Sei molto bella oggi. Tutto qua. > >
D’istinto sorrisi e lo abbracciai, e lo sentii darmi dei colpetti sulla schiena.
< < Grazie papà, ma non preoccuparti, non devo vedere nessuno… vado solo a lavoro. Saluta mamma, ci vediamo stasera > >
Aprii la porta prendendo al volo la borsetta e mi strinsi nella giacca, sentendomi più serena dopo quel complimento che avevo appena ricevuto.
Camminando lungo il marciapiede, vidi gli abitanti della mia via prepararsi per la nuova giornata lavorativa: anziane signore mettevano fuori casa bottiglie di latte vuote, pronte per essere riempite; padri di famiglie ricche scaldavano le macchine che li portavano a lavoro, e gente normale come me andava a prendere la metropolitana.
Adoravo quella parte di Berlino, la sentivo familiare non solo perché c’era casa mia, ma perché era la più verde e colorata. Splendidi edifici della fine dell’Ottocento riempivano la strada alla mia destra e sinistra, con rampicanti appesi alle facciate; vetrate rimandavano luci allegre all’interno di alcuni dei palazzi più aristocratici.
Gli alberi si piegarono un po’ alla brezza settembrina, e alcune foglie caddero davanti a me; quella mattina mi sentivo particolarmente allegra, e Karl, il collega che aspettava papà al bar della metropolitana, se ne doveva esser accorto, appena mi vide.
< < Signorina Pfeiffer! È splendida oggi! Qualche buona nuova? > >
Scossi la testa, e lo salutai educatamente con un cenno: dovevo muovermi se non volevo perdere la metro.
Scesi le scale che portavano sottoterra, e vidi la locomotiva che rombava sui binari; feci in fretta i pochi metri che ci separavano e presi finalmente posto, sistemandomi i capelli ed il trucco attraverso il portacipria a forma di conchiglia che la nonna mi regalò tempo prima.
Feci un profondo respiro e girai la testa verso il finestrino, ammirando lo spettacolo del giardino e degli alberi in autunno, attraverso i vetri della fermata di Schönberg.
Ripensai al complimento di papà, e poi al signor Karl. Fu lui a trovare il nuovo lavoro di papà.
Quando avevo diciassette anni, giusto un anno prima di riuscire a finire il liceo, mio padre perse il lavoro come banchiere alla Darmstätter und Nationalbank , ed io e mia madre dovemmo trovarci un’occupazione.
A fatica riuscii a finire la scuola superiore, passando da quella privata a quella pubblica, e contemporaneamente sgobbai come una domestica dal pomeriggio alla sera.
Ero sempre stata abituata ad una vita agiata: mia madre era riuscita a mettere via abbastanza soldi per contribuire alla nuova casa e mio padre, uomo molto benestante, ci ha sempre viziate in tutto e per tutto. Sembrava che nulla potesse rompere quell’idillio, invece non fu così.
Nei primi tempi fu davvero duro: non sapevo cosa volesse dire lavorare, e la sola cosa che mi impedì di non licenziarmi fu la minaccia della mancanza di un tozzo di pane a casa.
Passò circa un anno, nel quale mio padre non uscì di casa per la vergogna di farsi mantenere dalle donne della sua famiglia; poi mia madre incontrò un vecchio amico (Karl appunto), ed egli propose a mio padre un lavoro in una nuova banca. Non era un posto di prestigio come quello che aveva prima, ma di certo era meglio della situazione in cui stava vivendo.
Io non volli lasciare il lavoro per continuare a studiare: il fatto di guadagnare dei soldi e riuscire a metterli da parte per pagare le cose che volevo, mi dava un po’ alla testa. Mi sentivo indipendente e forte, quindi decisi di trovare un lavoro più consono a me: dopo aver lavorato in un panificio, una profumeria e come cameriera in un ristorante, finalmente trovai il posto giusto. Nella boutique di Madame Stephanie Chevalier per l’appunto.
Madame (io e le mie colleghe la chiamiamo così), un’elegante donna di origini francesi, sposò un commerciante tedesco, conosciuto in una cittadina vicino a Parigi. Trasferitasi a Berlino con il marito, aprì la boutique vicino ad Alexanderplatz, uno dei posti più frequentati della capitale; il negozio non era molto grande, ma comunque non potevo negare che Madame avesse buon gusto in fatto di arredamento e scelta dei capi.
Ci lavoravo da quasi un anno, insieme a Beth, una ragazza riccia e minuta di diciannove anni, e Jutte, una ragazza un po’ più grande di me, bionda e dal fare un po’ libertino.
Tutte e due le ragazze sono simpatiche a loro modo, e abbiamo trovato un equilibrio di lavoro nella boutique, sopportando insieme i giorni lunatici di Madame.
Alla fermata di FriedrichStrasse, la carrozza della metropolitana era talmente piena che dovetti trattenere il respiro per poter uscire dalla folla che si stava riversando sui binari; salii le scale di buona lena e arrivai ai tornelli dove mostrai il biglietto al bigliettaio.
Fui fuori in una manciata di minuti, mentre la boutique di Madame mi stava aspettando per una nuova giornata di lavoro.
Appena arrivai, vidi Beth spazzare il pavimento dell’entrata: era sempre lei che arrivava per prima alla mattina.
< < Buongiorno Gerda > > disse, in quel suo tono sempre dolce e pacato.
La salutai a mia volta, appoggiando i guanti, il cappello e la borsetta nel retro, dove trovai anche Jutte.
< < Oggi Madame arriverà un po’ in ritardo… > > disse quest’ultima, appena mi vide arrivare.
Ci scambiammo un’occhiata d’intesa: Madame era sempre in ritardo, per un motivo o per un altro.
Senza che dicessi niente, Jutte continuò il suo discorso.
< < Ha detto che doveva convincere una sua cara amica, moglie del console tedesco in Francia, a venire a provare la nuova collezione invernale… anche se personalmente non credo che accetterà. Ricordi l’anno scorso come è finita? Madame le aveva fatto vedere tutta la collezione, e alla fine non ha provato neanche un vestito. Secondo me ha comprato quel completo solo perché non voleva andare via senza comprare niente e dare un dispiacere a Madame. Tu che dici? > >
Mi avvicinai a Jutte, aiutandola a tirare fuori dagli scatoloni appena arrivati, i vestiti per la nuova stagione.
< < Anche secondo me. Qualche volta Madame è talmente insistente che se le dici di no, potrebbe prendersela veramente tanto > >
< < A proposito di prendersela… Beth! Ora che c’è Gerda puoi dirci questa “grande” notizia? > >
Mi girai verso Beth che stava chiudendo la porta d’entrata; il dolce campanellino risuonò all’interno, sovrastando sorprendentemente la confusione del centro città.
Mentre si avvicinava a noi, la vidi passarsi i palmi delle mani sulla gonna a tubo grigia, come se fosse nervosa.
< < Beh ecco, in verità avrei voluto aspettare fino a stasera per dirvelo… > >
Mi girai verso Jutte senza capire; lei continuava a fissare Beth con aria ovvia e un po’ annoiata.
< < Hasso mi ha chiesto di sposarlo > >
Rimasi a bocca aperta, e scommetto che lo stesso fece anche Jutte; ci lanciammo di scatto ad abbracciarla, a farle le congratulazioni e a tempestarla di domande.
Così, tra le chiacchiere delle mie colleghe e qualche cliente, passò un’altra giornata alla boutique.

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


< < Ancora non ci credo che la nostra piccola Beth si sposa > >
Erano le sei e mezza di sera ed io, Beth e Jutte eravamo sedute fuori da un piccolo bar sull’Unter den Linden, la via principale della città che collegava alla Porta di Brandeburgo.
< < Anch’io non ci credevo quando me l’ha chiesto. Insomma… siamo fidanzati ufficialmente da poco… > >
Beth continuava a guardare il liquido scuro che ondeggiava da una parte all’altra dentro il suo bicchierino; da quando eravamo arrivate al bar teneva costantemente la testa bassa, come se si sentisse in colpa per qualcosa.
Era indecisione quella che le si leggeva sul viso?
Dopo vari minuti di silenzio, aspettando che la nostra amica continuasse a parlare, Io e Jutte ci scambiammo uno sguardo eloquente di sottecchi.
Cercai di usare il tono più gentile ed innocente che conoscessi.
< < Beth ma tu sei sicura che vuoi sposarlo? Lo ami davvero? > >
Prima che Beth potesse rispondere, Jutte sospirò rumorosamente al mio fianco.
< < Gerda! Più che amare… Beth sei sicura che vuoi fare una famiglia con questo… signore? È molto più grande di te e sappiamo che la tua famiglia ha problemi economici, ma… non ti devi sacrificare per loro, ci sono anche i tuoi fratelli prima di te > >
Qualcosa in quello che disse Jutte, mi fece sentire a disagio per Beth.
Sbandierare i suoi problemi economici non era tanto carino, ma alla fine era la verità; il fatto, però, che lei dovesse sposare un uomo con cui non voleva mai uscire, né tantomeno amava la sua compagnia, era triste ed aveva bisogno di un po’ di tatto.
Lo sapevamo entrambe, ma dato che Beth non parlava esplicitamente di quello che pensava in merito, Jutte pensò bene che sbatterle in faccia la realtà fosse meglio, come d’altronde era sua abitudine fare.
Le tirai una gomitata, e lei mi guardò come per dire “che c’è? È la verità!” ed io non potei biasimarla. Nonostante questo, cercai di rassicurare Beth che dopo l’uscita di Jutte si era scolata tutto il bicchiere di amaro e ne ordinò un altro.
< < Beth… sono sicura che Jutte voleva dire un’altra cosa… > >
Mi girai verso di lei che mi guardò alzando le spalle, come se ferire i sentimenti della sua amica non fosse tra i suoi problemi. Ma, per quanto Jutte fosse stata indelicata, non potei che darle ragione.
< < Ascolta, non sembri molto contenta della proposta, e dato che ci hai sempre detto che Hasso è un po’… troppo vecchio per divertirsi e viscido per presentarlo alle proprie amiche… > >
Mi fermai, sperando che Beth dicesse qualcosa; finalmente, dopo alcuni secondi di silenzio, disse la sua.
< < Avete ragione ragazze. Io… non so se amo Hasso. Ma devo farlo per la mia famiglia… > >
Jutte la interruppe bruscamente.
< < Beth! Non devi fare l’eroina! Se siete riusciti a vivere fino ad adesso, ci riuscirete ancora! Come pensi di condividere il letto con un uomo che ripudi e avere dei figli da lui solo per avere più soldi? > >
Beth sembrò sul punto di avere un attacco di panico.
< < Lo so Jutte, ti ho detto che hai ragione! > > disse sussurrando e sporgendosi sul tavolo, < < Ma non è tutto così semplice. Mio padre ha bisogno di cure, ed i farmaci costano! I miei fratelli devono sfamare anche le loro di famiglie… sono sicura che io ed Hasso riusciremo a trovare un equilibrio. Infondo l’amore non nasce che con il tempo che si passa assieme… > >
La vidi abbassare lo sguardo sulle mani che aveva in grembo, e d’istinto mi fece tanta pena: forse, non ne voleva parlare semplicemente perché sapeva che era una cosa che doveva fare, ma che non voleva assolutamente. D’altronde, noi tutti vorremo trovare la persona giusta con cui passare l’intera nostra vita, ma la fantasia e la realtà sono due cose ben diverse.
Presi una sua mano tra le mie, e lo stesso fece poco dopo Jutte, dall’altra parte del tavolino: aveva capito anche lei che era il momento di fare un passo indietro e appoggiare la nostra amica.
< < Se avrai bisogno di noi ci saremo per darti una mano Beth > > dissi.
Finalmente fece un sorriso, e dopo averci rassicurato che stava bene, chiamò il cameriere per pagare e disse che doveva andare a casa.
La vidi darci le spalle lungo la via, con i ricci neri che le andavano su e giù ad ogni passo.
< < È meglio che vada anch’io > > dissi poco dopo, guardando l’ora sul vecchio orologio da polso della mamma.
< < Ma è ancora così presto Gerda! E poi… guarda quante persone stasera. Non vorrai mica essere l’unica che torna a casa… > >
Jutte si sventolò con il tovagliolo del bar, guardandosi intorno. Il suo modo appariscente e accattivante di muoversi e parlare, stava attirando lo sguardo degli uomini attorno a noi, cosa che mi dava un po’ fastidio.
< < Devo andare a teatro stasera, e se non mi muovo non arriverò in tempo a casa per prepararmi e mangiare qualcosa. Ci vediamo lunedì Jutte, perdonami > >
Lasciai i soldi sul tavolino e salutai la mia amica; camminai lungo il viale, circondata da alberi dai mille colori e uomini e donne che tornavano a casa da lavoro, nella luce del giorno che piano piano si spegneva.
A mano a mano che mi avvicinavo alla Porta di Brandeburgo, lasciandomi alle spalle file di lampioni già accesi e colonne bianchissime che il Fuhrer volle costruire in onore delle olimpiadi qualche anno prima, rallentai il passo per vedere lo spettacolo davanti a me. La Porta svettava imponente in mezzo al via vai di macchine, e le bandiere, rosse come il sangue con ricamata la svastica del Reich, sventolavano con prepotenza al di sotto. Berlino di sera era magnifica, e vidi altre persone come me fermarsi ad osservare lo spettacolo che offriva ad ogni tramonto.

 
*


Io e mia madre prendemmo posto quasi al centro della platea; Lilian e sua madre ci aspettavano già lì.
La sala non era molto grande, ma l’acustica e la vista erano perfetti.
Ci accomodammo su delle morbide poltrone rosse in velluto, circondate da un soffice chiacchiericcio di sottofondo; uomini in frac e donne in abito da sera lungo, facevano la loro apparizione da ogni angolo della sala.
Mi sedei accanto a Lilian, la mia migliore amica; ci conoscevamo sin da piccole. Mia madre e la sua strinsero amicizia quando lavoravano insieme nei cabaret, e dopo il loro ritiro, la madre di Lilian comprò uno spazio dove aprire un cabaret tutto suo.
Il Jockey Bar (così si chiamava) era carino, ma nulla di speciale; non avevano nessun ospite famoso, e le persone che lo frequentavano erano per lo più impiegati o normali borghesi.
Nonostante questo, la madre di Lilian non pensò mai di chiuderlo, perché “se dovessi smettere con il cabaret, smetterei di vivere molto presto”.
Lilian era per certi aspetti simile a me, di buona famiglia e molto perspicace; l’unica sua pecca era il fatto di innamorarsi ogni cinque minuti di un uomo diverso. Diceva sempre che se non aveva qualcuno da amare, la sua vita era vuota.
Quella sera era più splendente di una stella, in un vestito oro lungo fino ai piedi, leggermente largo e probabilmente ricamato da qualche angelo in cielo.
Portava i capelli biondissimi raccolti sul capo, con delle onde sulla fronte come andava di moda qualche anno prima. Era sempre in ordine, ed un trucco leggero quasi impalpabile la rendeva praticamente perfetta.
< < Gerda! Questi giorni senza vedersi sono stati interminabili. Devi proprio lavorare tutti i giorni in quel negozio? > >
Ignorai le sue solite lamentele sul fatto che non ci potevamo vedere spesso a causa del mio lavoro, facendola arrivare a notizie più succose.
< < Cara amica mia, prima di tutto, devo darti una notizia. La settimana prossima sono stata invitata ad una festa al Riviera Palace e… > >
Rimasi a bocca aperta; volli subito chiedere di più, ma Lilian me lo impedì.
< < Lo so, lo so. Aspetta. Ovviamente capisco che una settimana sia troppo poco per scegliere cosa metterti e come prepararti ma… tu DEVI venire con me! Non possiamo perderci questa occasione Gerda. Il Riviera Palace! > >
Il Riviera Palace era un’elegante palazzo nel centro di Berlino, che si affacciava sul grande fiume Sprea; aveva varie stanze dove si poteva giocare d’azzardo, ballare, mangiare o solamente chiacchierare.
Lo spettacolo alla notte, con candele che illuminavano il giardino e si specchiavano sul fiume, era mozzafiato.
Ovviamente solo i più ricchi frequentavano assiduamente il posto, e qualche volta durante l’anno veniva data una festa dove gli invitati erano tra le più alte cariche ed esponenti della Germania; ma non mancavano attrici, banchieri, sportivi, artisti, uomini politici… c’era di tutto e di più. La crème de la crème.
Il fatto di essere tra quelle persone, era una proposta che non si poteva rifiutare; Lilian era figlia di un politico, per cui poteva ricevere spesso degli inviti come questo.
Ma io?
< < È una notizia fantastica Lilian! Come hai fatto ad avere l’invito? > >
Lei si abbassò un po’, con fare cospiratore.
< < Mio padre è spesso invitato a queste feste, ma sai che la mamma non vuole che ci andiamo. Li ho sentiti litigare molto la settimana scorsa, ma non ho capito il perché… si sono chiusi dentro lo studio di papà, e da lì non si percepisce neanche un urlo. Credo che lo abbia fatto per farsi perdonare dalla mamma, anche se lei ha già detto che non viene > >
All’improvviso le luci si abbassarono, e il sipario piano piano si aprì. Feci un cenno con la testa alla mia amica, facendole capire che avevo compreso quello che mi aveva appena detto.
I genitori di Lilian litigavano spesso, ma in quel periodo succedeva quasi tutti i giorni, da quello che mi raccontava quest’ultima.
Lui era spesso lontano per lavoro, e quando era a Berlino, non mancavano le volte in cui non tornava nemmeno a dormire a casa.
Girai con discrezione la testa per osservare la madre di Lilian che guardava attenta lo spettacolo: non c’era segno di rabbia o tristezza sul suo viso.
Era identica in tutto e per tutto alla mia amica, e sembrava perfetta sotto ogni aspetto: un marito ricco e potente, un passato da acclamata attrice, una bellezza prorompente alla sua età e un patrimonio da far gola anche alla più facoltosa persona di Berlino. Eppure, anche se dalla superficie non si scorgeva nessun graffio, quella donna doveva averne passate molte, e molte ne stava ancora passando.

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Il Riviera Palace era uno di quei luoghi in cui ogni persona vorrebbe essere invitata almeno una volta nella vita: sale e saloni sfarzosi, pieni di ogni ben di Dio, donne con magnifici vestiti da sera e scintillanti gioielli che facevano invidia anche alle stelle più brillanti; uomini impomatati in eleganti smoking, o in qualsivoglia abito da grande occasione. Niente era fuori posto al Riviera: tutto era perfetto, tutto doveva essere bello.
Gli ospiti che di solito allietavano il posto non erano persone venute solo per ascoltare buona musica, ballare e conversare con nuova gente; erano persone con mille segreti, pronti a risolvere problemi nazionali tra un drink e un altro, oppure ad osservare colleghi sospetti e far nascere dissapori.
In ogni caso, nessuno di questi era un mio problema: essendo un’invitata di Lilian, dovevo solo pensare a godere di uno dei luoghi più affascinanti di Berlino.
Sarà stata per la voglia di far arrivare presto il fine settimana, ma i giorni sembravano non passare più; solo quando arrivò sabato mattina, mi accorsi che il tempo era volato.
Quella sera mia madre non faceva altro che parlarne, andando avanti ed indietro per le stanze del primo piano; mio padre era seduto nel salotto al piano di sotto, ascoltando la radio e fumando la pipa.
Io ero nella mia camera con solo un asciugamano addosso, seduta davanti alla toeletta, ed aspettavo mia madre per farmi sistemare i capelli appena lavati.
Sfogliavo di controvoglia un giornale che mi avevano regalato in metropolitana quella mattina, ma non riuscivo a capirci niente: volevo solo che tutto fosse perfetto per quella sera.
< < Non so se abbiamo abbastanza forcine cara, ma queste dovrebbero bastare… > >
Mia madre era appena entrata con un astuccio nero, pieno di accessori per capelli; sbuffai, guardandola con un misto di pietà e disperazione.
< < Mamma ti ho detto che voglio i boccoli! > >
< < Ma starai meglio con i capelli raccolti Gerda… tutte le signorine per bene portano i capelli raccolti nelle grandi occasioni, vuoi andare lì e fare brutta figura? Questa è anche la tua buona occasione per trovarti marito > >
Mi girai sulla sedia mentre lei si sistemava dietro di me; non gliel’avrei data vinta facilmente.
< < Io voglio farmi i capelli così > > dissi, mostrandogli una foto della Dietrich, < < che tu lo voglia o no. Ci sarà già Lilian che sarà bellissima con i capelli raccolti, non voglio sembrare la sorella brutta > >
Lei si fermò, appoggiando le mani piene di spazzole sullo schienale della sedia; mi guardò a lungo dallo specchio.
< < Non volevo dire questo Gerda. Lilian è una bellissima ragazza, ma non la cambierei mai con te. Tu sei molto più matura… la bellezza non è tutto, tesoro > >
Non capii se volesse farmi un complimento oppure ribadire, come al solito, il fatto che Lilian era più bella di me; la sentii accarezzarmi la testa come quando ero piccola, e con la coda dell’occhio la vidi prendere il ferro per fare i boccoli. Non portai avanti il discorso, ma tirai un sospiro di sollievo, rilassandomi sulla sedia.
Osservai intanto il mio riflesso allo specchio, controllando di nuovo il trucco: mi ero disegnata le sopracciglia, facendole un poco più ampie di quelle naturali; avevo piegato le ciglia, colorandole di nero ed allungandole; infine avevo applicato un rossetto rosso scuro e brillante sulle labbra e cipria sul viso.
Il risultato era soddisfacente, ma mancavano ancora i capelli ad incorniciare il tutto.
Mentre mia madre scaldava le ciocche, osservai il vestito che avevo affittato dalla boutique di Madame: era rosa confetto, lungo ed aderente. Sul davanti aveva una scollatura a cuore per mettere in risalto il seno, e una spilla di diamanti proprio al centro. Mia madre l’aveva completato con una stola di pelliccia di ermellino, tirata fuori dai suoi vecchi abiti di scena.
Era tutto semplice ma elegante, come piaceva a me.
 
Dopo circa mezz’ora, ero pronta; scesi dalle scale, e vidi mio padre osservarmi con accuratezza.
< < Come sto papà? Ti piaccio? > >
Feci una piroetta, e per qualche motivo sconosciuto non riuscii a smettere di ridere.
< < Stai molto bene figliola. Ma fai la brava stasera, mi raccomando! La testa sulle spalle! Sei sicura che sarà presente anche il padre della tua amica? Perché non mi fido… > >
Roteai gli occhi al cielo, ascoltando le solite prediche che papà mi faceva prima di uscire la sera.
< < Mi vengono a prendere, quindi se non credi a me puoi chiedere a loro > >
Il campanello suonò proprio in quel momento, e mia madre andò ad aprire; io intanto mi avvicinai allo specchio dell’ingresso per vedere un’ultima volta se era tutto apposto.
< < Tesoro, Lilian è qua > >
Sbirciai fuori dalla finestra del salotto, e vidi la lussuosa macchina del padre di Lilian scintillare in strada. Mia madre mi abbracciò forte e mi fece le ultime raccomandazioni, tra cui quella di guardarmi bene intorno per vedere se c’era qualche ricco scapolo libero.
 
Lo chauffeur mi aprì la porta della Volkswagen nera e incrociai subito lo sguardo splendente di Lilian; davanti a lei sedeva il suo fidanzato del momento, Joseph.
Joseph era un impiegato del ministero per gli affari interni del Reich, e Lilian l’aveva conosciuto una delle tante volte che andava a trovare suo padre a lavoro.
Era un ragazzo tranquillo, perbene, moro con dei begl’occhi azzurri; era sempre impeccabile in quelle poche volte che l’avevo visto, e sapeva bene come riempire i silenzi tra un discorso ed un altro.
Mi sedei accanto a Lilian che, come da mia previsione, aveva i capelli raccolti in una magnifica acconciatura, tanto semplice alla vista quanto difficile nel farla; indossava anche lei un abito lungo ed aderente, color crema. Sulle spalle una mantellina di seta le copriva le spalle gracili ma toniche.
I suoi vispi occhi grigi sorrisero d’affetto quando mi videro.
< < Gerda, sei stupenda! Allora sei pronta? Non vedo l’ora di sapere come sarà… > >
Sorrisi scoprendo che l’ansia che avevo avuto durante la settimana, era stata condivisa dalla mia amica; salutai Joseph, che in risposta mi baciò delicatamente la mano.
< < Non c’è tuo padre? > > chiesi, mentre la macchina ripartiva a volta del Riviera.
< < No, ha detto che preferiva andare prima, per sbrigare delle faccende. Sai com’è… lavora sempre, anche in queste occasioni > >
Il tono di Lilian risultò un po’ deluso, quindi decisi di non chiedere di più; mentre Joseph si dilungava in descrizioni dettagliate su come comportarsi una volta dentro al palazzo, io girai il volto verso il finestrino e guardai i lampioni fiochi illuminare le strade buie e affollate di gente in cerca di divertimento.
 
Quando la macchina si fermò davanti all’entrata, l’emozione salì alle stelle; Joseph scese per primo, porgendo una mano a me e poi a Lilian.
Dal palazzo con mattoni a vista marroni, provenivano musica e risate; direttamente sulla strada si affacciavano le grandi arcate di una delle sale, e tra le pesanti tende color oro, si potevano scorgere abiti eleganti danzare a ritmo di musica.
Un ragazzo basso, vestito di tutto punto come i portabagagli dei grandi hotel, ci accolse alla grande porta d’entrata; ci fece dire il nostro nome e fece prendere i nostri soprabiti.
Io e Lilian non aspettammo Joseph che si era fermato a parlare con lo chauffeur, e ci dirigemmo subito nel lungo e stretto corridoio che portava alle numerose sale; alla nostra destra e sinistra uomini e donne elegantissimi sbucavano da ogni dove.
L’atmosfera era elettrizzante, vivace, piena di aspettativa; ogni sala sembrava più bella e sfavillante della precedente.
Lampadari di cristallo scintillavano al centro di ogni stanza, circondati da muri rossi e tende tra l’oro e il rosa; file e file di banchetti con delizie e camerieri con piatti colmi di drink dissetavano i ballerini più accaniti. Sembrava di essere tornati alla Belle Époque.
< < Lilian, mi concedi questo ballo? > >
Joseph era riuscito a trovarci, e con mia somma delusione, dovetti lasciar andare la mia amica.
I due fidanzatini ballarono uno, due, tre balli; alla fine persi la speranza di vederli tornare, e decisi di andare ad esplorare il palazzo da sola.
Lasciandomi alle spalle le file di sale e arrivando alla fine del corridoio, trovai una rampa di scale che portava di sopra; decisi di salire, per vedere quante altre stanze magnifiche potevano ancora esserci.
Con un po’ di disappunto notai che il primo piano era quasi deserto; le porte erano tutte chiuse, e solo in lontananza, si sentiva il rumore di un pianoforte.
Percorsi il corridoio, stretto e lungo anche questo; arrivai alla fine, scoprendo una meravigliosa veranda con un tetto a vetri.
Al centro di questa veranda c’era un pianoforte azzurro, suonato da un abilissimo pianista; forse era una specie di sala prove, ma ad ascoltarlo non c’era nessuno.
Io rimasi alle sue spalle, ad ascoltare le dolci note dello strumento suonate da quelle abili mani; presi ad osservare il cielo nero dalle grandi finestre della veranda, sentendomi un tutt’uno con quell’atmosfera magica.
Quando il pezzo finì, applaudii al musicista; lui si girò sorpreso e quando mi vide mi fece un sorriso di cortesia e un piccolo inchino.
Lo vidi prendere gli spartiti e chiudere la tastiera del piano; si alzò e se ne andò senza dire una parola.
Camminò piano lungo il corridoio, con un’andatura un po’ ciondolante; quando sparì al piano di sotto, mi avvicinai allo strumento che ora giaceva in silenzio.
Toccai la sua superficie liscia e fredda, facendo scorrere le mie dita sui suoi bordi; mi sedei sulla morbida sedia e rialzai il coperchio della tastiera.
Da quant’è che non toccavo quei tasti? Non lo ricordavo. Eppure quando le mani andarono a premerli, fu come se non fossero passati poi così tanti anni.
Mi fermai di colpo, nel mezzo di quello che era sempre stato il mio pezzo preferito, pensando che era meglio così; richiusi la tastiera e tornai anch’io al piano di sotto.
Visitai ancora tutte le stanze del palazzo, non ricordando esattamente dov’era quella in cui avevo lasciato Lilian e Joseph; alla fine, dolorante a causa dei tacchi, mi fermai nella sala principale.
Mi avvicinai al banchetto delle bevande e presi un bicchiere a caso, guardandomi intorno; circa un centinaio di persone stavano conversando amabilmente ad ogni angolo.
Nel mezzo della sala finalmente scorsi Lilian, che stava ridacchiando con il suo amato a ritmo di valzer, e mi chiesi istintivamente quanto sarebbe durata tra i due; l’ultimo che aveva avuto (quasi un mese prima) era durato meno di due settimane.
Tolsi lo sguardo dalla coppietta e lo rivolsi alle alte finestre: fuori era diventato completamente buio, ed ormai si vedevano solo le immagini riflesse delle persone nella sala.
Vidi passare dei musicisti e dei camerieri indaffarati, da un vetro ad un altro; poi il mio sguardo cadde su un gruppetto di quelli che sembravano militari.
Li osservai con discrezione, ed una strana sensazione iniziò a muovermisi dentro; un senso di familiarità mi costrinse a tenere lo sguardo su di uno di loro, in particolare.
Era alto, fasciato nella solita divisa verde che si vedeva spesso passare per le strade in quel periodo; teneva il cappello dietro alla schiena, tra le mani. In quel modo, metteva in risalto con un po’ d’arroganza il petto, grande e probabilmente senza un filo di grasso.
Feci finta di essere indecisa su quali manicaretti scegliere, mentre li seguivo da una finestra all’altra: si stavano avvicinando piano piano. Il mio istinto mi disse di andare via, ma invece rimasi ferma come un sasso, paralizzata da chissà quale forza superiore.
Il gruppetto si mise quasi affianco a me al bancone, mentre io sapientemente mi misi di spalle, riuscendo ad ascoltare qualche pezzo della conversazione.
< < L’hai detto proprio bene eh? Peccato che ci non ci vediamo spesso, ma adesso che sei di nuovo qui… sembra che non sia passato nemmeno un giorno, vero Andreas? > >
Sentire quel nome fu come uno schiaffo in pieno viso: era lui? Era davvero Andreas?
Appoggiai il drink che avevo preso pochi secondi prima, per prenderne un altro esattamente uguale; fu quando riconobbi le sfumature della sua voce che per poco non mi cadde il bicchiere a terra.
Sentii il cuore battermi più velocemente in petto; presi un profondo respiro ed uscii piano dalla stanza, senza dare nell’occhio, dirigendomi nel giardino.
Cercai un posto isolato, nel buio più profondo e provai a schiarirmi le idee, cercando di calmarmi: non potevo farmi sconvolgere da una cosa successa più di sette anni prima. Eppure lo stavo facendo.
Andres. Era così che lo chiamavano quelli che lo conoscevano quando era ancora un bambino.
 
Rimasi per quelle che mi sembravano essere ore, in quel posto; quando finalmente decisi di tornare tra la folla, incontrai Lilian ed il suo fidanzato nel giardino.
Appena la mia amica mi vide, mi riservò un’occhiata di disappunto, come se mi avesse colta nel fare qualcosa di sbagliato.
< < Ma dov’eri? Ti abbiamo cercata per tutto il palazzo… hai conosciuto qualcuno? Perché eri là al buio? > >
Lilian mi tempestò di domande, facendomi quasi venire mal di testa.
Alzai le mani, per farle capire di calmarsi un attimo.
< < Non ho conosciuto nessuno, ero solo uscita a prendere un po’ d’aria fresca > >
Vidi i due scambiarsi uno sguardo complice, cosa che mi urtò i nervi.
< < Come ti avevo detto amore mio, la tua amica deve essere presentata a qualcuno se vuole attirare l’attenzione di qualche uomo > >
Mi accigliai a quell’affermazione: voleva per caso dire che avevano passato la serata parlando del fatto che dovevo trovarmi compagnia maschile?
< < Gerda vieni dentro, dobbiamo presentarti degli amici di Joseph > >
Lui mi porse gentilmente il braccio libero, ed io non potei rifiutare. Lo sapevo benissimo che Lilian lo faceva per farmi piacere (e perché così potevamo fare uscite a quattro), ma io non ero lì per quello. Non ero mai neanche stata sicura di volerlo trovare, un marito.
Mentre tornavamo dentro al Riviera, pregai di non incrociare Andres; Lilian conosceva tutta la storia, ma di certo non potevo raccontarle di averlo visto, con il suo fidanzato quasi sconosciuto lì affianco che sentiva tutto.
Quando rientrammo nella sala principale, notai subito che era più affollata di prima; il chiacchiericcio superava di gran lunga la musica dell’orchestra.
Joseph non perse tempo, e trovò immediatamente dei suoi colleghi di lavoro: tre uomini, praticamente quasi uguali con smoking e sguardo languido, si affrettarono a salutare me e la mia amica.
Il più vecchio dei tre, un uomo quasi stempiato con dei baffi troppo lunghi e visibilmente brillo, iniziò a fare avances a Lilian, facendomi sentire come al solito fuori luogo.
< < Che splendida ragazza. Come mai portare ad una festa una donna così? Io la terrei chiusa nella mia villa, sarei geloso se qualcun altro potesse vederla > >
Il gruppetto rise per cortesia, e lo stesso feci io anche se preferivo di gran lunga andarmene; colsi l’occasione per guardarmi intorno, ma non vidi Andres da nessuna parte.
Dopo qualche minuto, Lilian ci trascinò via da lì, con grande sollievo di tutti e tre.
< < Joseph, vorrei qualcuno di normale per la mia Gerda. Possibile non ce ne sia neanche uno? > >
Joseph mi presentò altri cinque, sei uomini, e tutti non facevano altro che fare complimenti alla mia amica; avrei voluto dirle che non volevo più conoscere nessuno e che stavo bene così, ma non riuscivo a trovare nessun momento opportuno.
Quando uno dei tanti amici di Joseph andò a prendere da bere, colsi l’occasione per andare anch’io; mentre sgattaiolavo via, sentii qualcuno afferrarmi una mano.
< < Dove vai? Joseph è stato gentile a presentarti quelle persone, e tu te la fili così? > >
< < No… non… > >
Balbettai, incerta, ed alla fine cedei.
< < Si va bene, hai ragione. Me ne stavo andando. Però non puoi costringermi a conversare con uomini che hanno occhi solo per te. Non mi sento a mio agio qui Lilian… > >
Prima che potessi continuare, Joseph ci raggiunse.
< < Eccovi! Avanti venite dentro! Ho appena… oh! > >
Il ragazzo guardò dietro le nostre spalle, sorridendo; quando mi girai anch’io, vidi arrivare due militari. Il mio stomaco fece un balzo quando li riconobbi: erano loro.
< < Caro Stephan, da quanto tempo! > >
Joseph strinse la mano all’amico di Andres, e successivamente a quest’ultimo, facendo la sua conoscenza.
< < Posso presentarvi la mia fidanzata Lilian e la sua amica Gerda? > >
Salutai l’amico di Joseph, cercando di rimanere il più distaccata possibile. Io ed Andres rimanemmo stranamente un poco separati dagli altri; quando lui si girò verso di me, il cuore iniziò a battermi più forte di prima.
Era diventato un uomo sotto ogni aspetto; aveva un’eleganza e una virilità che esplodeva da ogni poro.
I suoi occhi azzurri si fermarono nei miei, facendomi tornare alla mente tempi lontani.
< < Gerda… sei tu? È incredibile dopo tutto questo tempo… > >
Era diventato molto più alto, all’incirca un metro e novanta; era più muscoloso e grosso. I capelli biondi e ribelli erano rasati fino alle orecchie, e portati da una parte come voleva la moda, impomatati.
< < Si sono io… già, da quanto tempo. È bello rivederti > >
È così che si dice in quei casi, giusto? Ero profondamente a disagio, ed avevo paura che si potesse cogliere qualcosa dall’esterno.
I suoi occhi non facevano altro che squadrarmi da capo a piedi, come d’altronde avevo fatto poco prima anch’io. Probabilmente stava valutando cosa fosse cambiato in me.
Sperai che Lilian dicesse qualcosa, mi portasse via di lì, ma lei non l’aveva mai visto, quindi non poteva sapere che era lui; al contrario, appena vide che Andres parlava con me, colse l’occasione e con una scusa mi lasciò da sola con lui.
< < Frequenti spesso posti di questo tipo? > >
Si guardò intorno, annoiato, come se essere al Riviera Palace fosse cosa di tutti i giorni.
< < No, non è mia abitudine venire in posti del genere… > > dissi, evasiva.
Andres riprese a guardarmi, stavolta con sguardo strano.
< < Tu invece? È tua abitudine venire a eventi del genere? > > continuai, cercando di riempire l’imbarazzante silenzio.
Lui sorrise leggermente, sistemandosi la giacca.
< < Non proprio. Vengo invitato qualche volta, ma sempre per lavoro > >
Non capii a cosa si stesse riferendo, perché normali soldati solitamente non venivano invitati al Riviera Palace… a meno che lui non fosse poi così normale come immaginavo io.
Davanti a noi una ragazza bionda arrivò, disturbando un gruppetto di uomini in giacca e cravatta; ne attirò uno maliziosamente a sé, bisbigliandogli qualcosa all’orecchio. Prima di andarsene nuovamente, la ragazza gli dette un bacio sulle labbra, dopodiché lo lasciò a cuocere nel suo brodo.
Con la coda dell’occhio vidi che Andres stava guardando la scena; quando la ragazza scomparve tra la folla della sala, lui si rivolse di nuovo a me.
< < Perdonami, ma devo andare. È stato bello rivederti > >
Senza aspettare una risposta da parte mia, se ne andò; mentre lo guardavo una sensazione, che non sentivo più da tanto tempo, si fece strada in me, facendomi venir voglia di tornare indietro e abbracciarlo, come quando eravamo piccoli.
Ma non potevo. Non ero più una bambina che perdona gli screzi con facilità. Ero ormai una donna, una donna coscienziosa della sua indipendenza, malgrado tutto.
E nonostante questo, a mano a mano che mi allontanavo da quella sala, un sentimento di mancanza ed inquietudine mi accompagnarono a casa.




Note: il Riviera Palace è esistito veramente. Il suo vero nome è Ballhaus Riviera, e si possono vedere ancora delle sue foto su internet, anche se ormai è in stato di abbandono.

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


La domenica pomeriggio seguente, io e Lilian venimmo invitate da sua madre per un tè all’Haus Vaterland, un cabaret/ristorante/bar, locale alternativo di Berlino.
Quasi ogni domenica ci ritrovavamo là, a chiacchierare della sera precedente mangiando piatti esotici oppure fumando il narghilè.
Come al solito, la macchina del padre di Lilian con quest’ultima e sua madre vennero a prendermi a casa, ed insieme ci dirigemmo verso il centro città.
Quando entrammo, io e Lilian andammo subito nel nostro angolino preferito, la riproduzione di un bar italiano in riva al mare; avevamo tante cose da dirci riguardo alla sera prima perché, a causa del suo fidanzato, non avevamo potuto parlarne.
Ordinammo un bicchiere di vino bianco, e prima ancora di toglierci il soprabito, Lilian mi fece proprio la domanda che volevo evitare.
< < Allora, raccontami! Chi era quel bel soldato che ti ha parlato? > >
Si sporse sul tavolo, tutta in fremito nel voler conoscere la mia probabile tresca.
Ma possibile che proprio non se lo ricordava?
< < Joseph ti ha detto qualcosa su di lui? > > chiesi.
Lei scosse la testa, bevendo un sorso di vino.
< < In verità non molto. Però abbastanza da informarmi sul fatto che lui ed il suo amico sono visti di buon occhio da von Osten in persona > >
Von Osten… l’avevo già sentito dire quel nome da papà, qualche tempo prima. Era famoso, si, ma per cosa?
< < Chi è? > > chiesi, sperando di non risultare stupida agli occhi della mia amica.
< < È il capo della polizia, Gerda. Un tipo abbastanza importante. Quindi quel tuo caro ragazzo dev’essere un pezzo grosso… ed ha messo gli occhi su di te! > >
Lilian sorrideva e mi incoraggiava come una brava amica dovrebbe fare.
< < Ti stai sbagliando Lilian. Lui è Andres. Quel Andres. Capisci? > >
In pochi secondi la vidi passare dall’allegria allo stupore.
< < Stai dicendo che dopo tutti questi anni hai rincontrato quel mascalzone? Ma se se n’era andato… > >
Bevvi un lungo sorso di vino, guardando una cameriera anziana pulire i tavoli in fondo al bar.
< < Scusami Gerda, non avrei mai pensato che quell’uomo fosse proprio lui. Se l’avessi saputo non ti avrei mai lasciata sola in sua compagnia… > >
Fermai Lilian con un gesto della mano.
< < Non preoccuparti, non potevi saperlo. È andata, quel che è stato è stato. Siamo tutti e due grandi ormai, non dobbiamo rivangare troppo il passato > >
< < Ma… sicura? Insomma, hai sempre dato la colpa a lui della tua freddezza con gli uomini… > >
Lilian stava tirando fuori un argomento spinoso, ed occorrevano almeno tre bicchieri di vino per parlarne: ero solo al primo.
< < Lui ha la sua vita, io la mia. Sono andata avanti dopotutto > >
La mia amica capì che non avevo voglia di parlarne, ed in quattro e quattr’otto girò la conversazione sui noiosi amici di Joseph.
Eppure, mentre lei parlava, non riuscivo a non pensare a lui. Era lì, a Berlino, da qualche parte vicino o lontano da me. Cosa ci faceva nella capitale dopo tutto quel tempo?
< < Gerda mi stai ascoltando? > >
Tornai per un secondo alla realtà, facendo un segno di assenso alla mia amica; non era per maleducazione, ma qualunque argomento era migliore della lunghezza giusta dei baffi del capo di Joseph. E così non potei costringere il mio pensiero a non tornare da lui.
Io ed Andreas ci conoscevamo da quando eravamo piccoli, ancora prima di conoscere Lilian: io e i miei genitori abitavamo fuori Berlino, in un posto isolato simile ad un villaggio, dove abitavano ancora i miei nonni.
Le nostre madri strinsero amicizia, abitando l’una vicino all’altra: mia madre mi portava spesso a casa loro e, dato che in quel periodo eravamo entrambi figli unici, giocavamo spesso assieme.
Andres era un bambino un po’ scalmanato, ma anche buono e gentile; io lo seguivo dappertutto, perché riusciva sempre a trovare posti particolari in cui giocare, anche se abitavamo in un posto che sembrava dimenticato da Dio.
Nell’ultimo periodo dell’infanzia di Andres, sua madre era sempre triste e aveva una brutta cera; mia madre le stette parecchio vicino, ma questo non sembrò aiutarla.
I suoi genitori non andavano molto d’accordo, e spesso lui la trattava male anche davanti ad altre persone. Fatto sta che in un giorno qualsiasi, venimmo a sapere che sua madre decise di spararsi con la pistola d’ordinanza del marito.
Fu uno shock per tutti, ma più di tutti lo fu per Andres; era molto legato a sua madre. Si trasferì da un suo zio in centro a Berlino, mentre noi vivevamo da poco a Schönberg; qualche volta lo ospitavamo a casa nostra, per farlo sentire in famiglia.
Fu in quel periodo che ci avvicinammo sempre di più: nonostante avesse dodici anni, parlava già come un uomo. Mi disse che odiava suo padre, che gliel’avrebbe fatta pagare; che non avrebbe mai scelto la carriera di militare e che non avrebbe mai voluto nessuna donna affianco a sé, per non farla soffrire a causa del sangue di suo padre.
Io intanto stavo crescendo, scoprendo come quel bambino stesse diventando uno splendido ragazzo; piano piano ci accorgemmo l’uno dell’altra, e di quante cose importanti avevamo costruito negli anni.
A tredici anni mi disse che appena avrebbe finito la scuola, avrebbe trovato un buon lavoro e saremo andati a vivere a nord, in un posto tranquillo vicino a qualche lago, perché a lui piaceva il freddo e l’acqua.
Io ero al settimo cielo, non ricordo anni migliori nella mia vita; eppure non successe niente di tutto questo.
A mano a mano che Andres finì gli ultimi anni di liceo, le cose cambiarono; suo padre lo obbligò a tornare a vivere da lui, che intanto aveva avuto dei figli da un’altra donna. Diventò più sfacciato, arrogante, una specie di principino viziato.
Ci vedemmo sempre meno, riconoscendolo a malapena quando uscivamo assieme.
Il colpo di grazia me lo dette quando mio padre perse il lavoro: erano ormai tre, quattro mesi che non ci vedevamo più, ma pensai lo stesso di contattarlo. Avevo bisogno di conforto, di qualcuno che capisse la situazione, e lui conosceva la storia della mia famiglia come io conoscevo la sua; avevo bisogno di una figura maschile, di qualcuno che mi spronasse in un momento difficile dato che mio padre non voleva quasi uscire di casa per la vergogna. E poi, infine, speravo mi potesse dare una mano a trovare un lavoro, qualsiasi cosa pur di portare a casa un po’ di soldi.
Gli scrissi tre lettere, ma non ebbi mai risposta; addirittura quando passai per casa sua nessuno mi aprì mai.
E così sparì, in un soffio di vento: tutto quello che c’era stato, che avevamo passato, sembrava non essere mai avvenuto.
< < Ma non lo biasimo, sai? D’altronde con tutti i soldi che fa con il suo lavoro, i baffi li può mantenere della lunghezza che vuole > >
Mi accorsi che Lilian aveva appena speso venti minuti a parlare dei baffi del capo di Joseph; ed io ero già alla fine del mio terzo bicchiere.
< < Non starai bevendo un po’ troppo, Gerda? > >
< < Prometto che questo è l’ultimo… > >
Ero pronta nell’intraprendere la descrizione del mio cambiamento d’umore grazie al vino, quando dall’entrata entrarono due uomini, due uomini terribilmente familiari.
< < Dio mio Lilian, sono loro. Sono qui! > >
Lei in risposta si girò per vedere chi fosse, ma io la trattenni per un braccio.
< < No, no non girarti. Sono Andres ed il suo amico, come si chiama? > >
Lei sbarrò gli occhi, balbettando.
< < Loro? Ora... non ricordo come si chiama, ho sentito tanti nomi ieri sera… ma cosa fa, ti sta seguendo? Vuoi che ce ne andiamo? > >
Avrei voluto tanto andarmene, ma Andreas ed il suo amico erano fermi davanti all’entrata del bar; se fossimo uscite ci avrebbero visto.
< < E quindi cosa facciamo? > >
< < Stiamo qui e speriamo che non ci vedano, o per lo meno non ci riconoscano > >
Finiti i probabili convenevoli con il barista, i due si sedettero ad un tavolino dall’altra parte del bar, ed io tirai un sospiro di sollievo.
< < Facciamo finta di niente Lilian. Tua madre ne avrà ancora per mezz’ora, poi potremo andarcene > >
Neanche a farlo apposta, dopo circa una decina di minuti di illuso scampato pericolo, un cameriere si avvicinò porgendoci due drink.
< < Offerto da quei gentiluomini > >
Avrei voluto sprofondare. Andreas ed il suo amico stavano arrivando al nostro tavolo, il secondo con un sorriso smagliante sul viso, il primo non molto allegro.
< < Signorine, che coincidenza! Possibile che questa grande città sia così piccola? > >
Io e Lilian lo salutammo gentilmente porgendogli la mano prima a lui poi ad Andreas; quando toccò a me, un brivido di ansia mi percorse la schiena.
< < Posso chiedervi cosa fate da sole in un bar in un bel pomeriggio come questo? > >
No, non puoi, pensai. Cercai di mantenere la calma, non facendomi sopraffare dalle emozioni.
Sorprendentemente Lilian riuscì a trainare la conversazione per dieci minuti buoni, lasciando me e Andreas in un silenzio imbarazzante.
Lo vidi vestito con un maglioncino beige e un paio di pantaloni neri, facendolo sembrare un ragazzo qualsiasi in mezzo alla folla; i capelli erano sempre impomatati, e lo sguardo basso.
< < Quindi voi signorine vi conoscete da molto. Io ed il mio amico ci siamo conosciuti a Bad Tölz. Posto squisito, il sud della Germania è in assoluto il mio luogo preferito. Caldo, sole e buon cibo… d’altronde sto convincendo Andreas a comprare una casa vicino alla mia a Monaco, così se dobbiamo ritornarci per lavoro possiamo godere anche della bellissima città > >
Senza pensarci troppo, sputai fuori il pensiero che mi era passato per la testa in quel momento.
< < Impossibile, lui odia il caldo > >
Andreas si girò verso di me, e il suo amico si mise a ridere.
< < No, no mi dispiace contraddirti ma sono ben certo che il mio caro amico non ama altro posto che non sia il caldo e soleggiato sud… ma voi vi conoscete? > >
Io abbassai lo sguardo, non sapendo se dire la verità sarebbe stata la giusta mossa; quello che sentii dopo me lo fece però capire.
< < No, non ci conosciamo > >
Mi girai a guardarlo, e non riuscii a comprendere la sua spudoratezza in quell’affermazione; stava bevendo una birra e non riuscii a cogliere nessuna particolare espressione sul suo viso.
Perché aveva mentito in quella maniera?
< < Scusateci signori, ma ora dobbiamo proprio andare. Grazie per la vostra gradevole compagnia > >
La mia amica salvò la situazione in maniera aggraziata e senza dare nell’occhio; i due ci salutarono con un cenno del capo, anche se vidi gli occhi dell’amico soffermarsi un po’ troppo in quelli di Lilian.
Mentre uscivamo nel grande e colorato atrio dell’Haus Vaterland, Lilian mi fermò.
< < Vado a chiamare mia madre. Ti porteremo subito a casa > >
La vidi salire le scale di fretta, appoggiando la sua piccola mano sul corrimano dipinto d’oro.
< < Gerda > >
Mi girai sorpresa: dall’entrata del bar era uscito Andreas. Non ebbi il coraggio di dirgli niente, così aspettai che dicesse qualcosa lui.
< < Perdonami per prima… però ho avuto le mie buone ragioni, credimi > >
Chiusi gli occhi a fessure, squadrandolo da capo a piedi.
< < Come, ad esempio, rinnegare le persone che ti hanno aiutato? > >
Lui mise le mani in tasca, sorprendentemente rilassato.
< < Non posso parlartene ora. Perché non usciamo una sera? Ti spiegherò tutto > >
Alzai gli occhi verso le scale, ma Lilian non si fece vedere. Dovevo accettare? Avrebbe veramente avuto delle buone ragioni o solo delle buone scuse?
In ogni caso non potevo negargli il diritto di spiegarmi.
< < Va bene. > >
Vidi Andreas tornare nel bar e chiedere qualcosa all’uomo dietro al bancone; quando tornò da me, mi porse un biglietto.
< < Spero di vederti > >
Non ci salutammo né altro, e lui ritornò dentro la sala del bar come se avesse gran fretta.

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Era rimasto tra le mie mani per quasi tutto il giorno; il biglietto di Andreas pesò come un sasso quando lo riposi nella tasca della giacca.
Non ne avevo parlato con nessuno del nostro appuntamento; non volevo dare spiegazioni, o forse più semplicemente non volevo sentirmi dire che ero stata ingenua nell’accettare il suo invito.
Dal mio canto era giusto che mi desse delle spiegazioni, soprattutto dopo l’uscita fatta davanti ai nostri rispettivi amici all’Haus Vaterland; sono sempre stata dell’idea che nulla succede per caso, tantomeno due incontri casuali dopo sette anni di lontananza.
Quando scoccarono le sei sul vecchio orologio a pendolo della boutique di Madame, non persi tempo ed andai nel retrobottega a prendere il mio soprabito; diedi una controllata al trucco, misi in ordine il tailleur nero e sistemai il rossetto con un’altra passata fresca di rosso.
< < Come mai tutta questa fretta? > >
Vidi Jutte spuntare dalla porta del retrobottega, i capelli biondi un po’ scompigliati; si appoggiò allo stipite, guardandomi da capo a piedi.
< < Ho un appuntamento stasera. Ma non quel genere di appuntamento a cui pensi tu… > > precisai subito.
Sorprendentemente Jutte non fece nessun tipo di battuta; anzi, mi ignorò completamente.
< < Come vuoi, ma domani ci resti tu qui a pulire. Sono stufa di questo lavoro… > >
La vidi prendere scopa e secchio e ritornare nel negozio, mentre la dolce voce di Beth salutava l’ultima cliente che usciva dalla boutique.
Salutai tutte senza dilungarmi, lasciando dietro di me solo lo squillante campanellino della porta; in un attimo il traffico dell’ora di punta mi sovrastò, assieme ad un gelido e fastidioso vento.
Mi strinsi nel lungo soprabito nero che mi stava perfettamente in figura, seguendo l’onda umana di gente che si riversava sulle scale della metropolitana di FriedrichStraße; feci il biglietto all’entrata e aspettai con ansia l’arrivo della carrozza.
Nell’attesa ripresi a guardare il biglietto, notando come fosse cambiata la scrittura di Andreas: era diventata più sottile, aguzza a tratti, anche se non si poteva negare che era molto elegante. Era forse abituato a scrivere molto?
Poche parole riportavano il nome di una via vicino al centro, il giorno e l’ora dell’appuntamento.
Ero in gran anticipo, erano solo le sei e lui mi aspettava per le sette e mezza; ma dato il traffico ed il fatto che non conoscessi esattamente il posto, decisi che fu meglio così.
Quando finalmente la metropolitana mi sballottò alla fermata, assieme a quelli che sembravano essere un centinaio di altri passeggeri, tirai un sospiro di sollievo.
Uscii di fretta, ritornando nell’aria frizzantina di ottobre; rimasi subito colpita dal silenzio che incontrai, una volta fuori dalla fermata.
Non conoscevo il posto, ma sapevo benissimo che ero ancora, se non proprio in centro, molto vicino; sembrava tutto immobile, stranamente quieto e tranquillo, come se poche persone abitassero quelle vie.
Mi guardai intorno, per quello che si poteva vedere col buio, e notai subito molti edifici con cupole adornate da statue; fermai un vecchietto con una tuba (fuori moda) per strada, e gli chiesi se potesse indicarmi la via.
L’uomo parlò velocemente, cosa che non mi aiutò a ricordare le indicazioni stradali; presi per buono il suo consiglio di andare dritta e svoltare per la grande strada, anche se non sapevo minimamente di che grande strada stesse parlando.
Camminai per venti minuti circa, iniziando a pensare di essermi persa; ma proprio quando stavo per perdere la speranza, riconobbi uno squarcio del fiume Sprea, sentendomi subito più a mio agio. Diedi un’occhiata all’orologio: segnava le sette meno dieci.
Presi l’occasione per fare una passeggiata vicino al fiume, e riflettere sulle cose che volevo sapere da Andreas; assieme ad un strana pace e a qualche faro di macchina, mi incamminai dall’altro lato della strada, guardando il fiume splendere nella sera in ogni suo luccichio.
Sarebbe stato fuori luogo chiedergli subito perché se n’era andato via in quel modo? Avrei forse fatto meglio ad aspettare e sentire cosa lui aveva da dirmi?
Mi sarei dovuta comportare come se non fosse successo niente? Avrei dovuto tenere il broncio?
Troppe domande.
Sospirai, ascoltando il rumore cadenzato dei miei tacchi sul marciapiede.
C’era un’altra domanda che mi premeva fargli, ma non avrei mai avuto il coraggio di tradurla in parole: era sposato?
Andreas era più grande di me, aveva già ventisei anni; tutti sapevano a memoria le regole per essere dei perfetti uomo e donna nazisti. Sposarsi il più presto possibile e fare tanti figli; le donne così rimanevano a casa a curare la casa e la famiglia, mentre gli uomini lavoravano per loro e per il Reich.
Un clacson mi riportò alla realtà: in quel periodo ero eccessivamente tra le nuvole, mi stavo perdendo in troppi pensieri.
Guardai l’orologio: le sette e un quarto.
Mi fermai a chiedere informazioni appena vidi un senzatetto; in fondo loro vivono per strada, quindi avrebbe dovuto conoscere quel posto come le sue tasche.
Quello che pensavo fosse un uomo, in verità era una donna anziana: mi disse che tra due vie, sulla destra, avrei trovato il posto che cercavo. Mi strinse il cuore vederla tornare a dormire per terra, così le lasciai tutte le monete che avevo, anche se a mia madre non sarebbe piaciuto.
Tornai così sui miei passi, e dopo poco trovai finalmente il bar: era un posto piccolo, in legno scuro. Sembrava più una birreria che un bar, e tra i suoi clienti c’erano solo dei vecchi che giocavano a carte, probabilmente un po’ brilli.
Mi guardai attorno per assicurarmi che Andres non fosse già arrivato, ma non vidi nessuno; ordinai un liquore leggero, e mi sedei in un angolo appartato e silenzioso.
Quello che doveva essere il proprietario arrivò poco dopo, con una grande pancia da bevitore e il mio bicchierino; mi chiese se volevo dell’altro ma io scossi la testa.
Persi del tempo a leggere il giornale che avevo comprato quella mattina, sperando che non dovessi aspettare ancora tanto.
Dopo un po’ guardai nuovamente l’orologio: le sette e quaranta.
Andreas era in ritardo, ma a quell’ora della sera è difficile arrivare da una parte all’altra della città puntuali.
Iniziai a pensare dove potesse lavorare: Lilian mi aveva detto che era visto di buon occhio dal capo della polizia, ma a me non sembrava fosse vestito con l’uniforme da poliziotto al Riviera.
Alzai gli occhi quando vidi la porta aprirsi, ma non era lui; sperai vivamente che mantenesse la sua promessa, stavolta.
Dopo quella che sembrò un’eternità, finalmente sentii la sua voce salutare il proprietario; mi fece un sorriso quando mi vide, e non potei non ricambiarlo.
< < Perdona il mio ritardo, ma c’è stato un contrattempo a lavoro. È da tanto che aspetti? > >
Lo vidi togliersi la giacca, rimanendo in camicia; era in divisa, simile a quella che indossava la prima volta che l’ho rivisto, e la cosa sorprendentemente mi fece sentire un po’ a disagio.
< < Non ti preoccupare. Sarai rimasto imbottigliato nel traffico a quest’ora, è normale > >
Buttai giù un sorso del –secondo- bicchierino di liquore quando vidi che lui non rispose, ma continuava a guardare ogni mio gesto come ipnotizzato; dovevo solo mantenere la calma, e l’alcool mi avrebbe aiutata.
Mai far sapere agli uomini quello che pensi e provi!, diceva mia madre.
< < Sei venuta in taxi? > >
< < No, ho preso la metropolitana > > risposi, stranita da quella domanda; la metro costava molto meno di un taxi. Quello me lo riservavo per qualche venerdì o sabato sera.
< < Tu sei venuto in taxi? > >
< < No, ho la mia macchina. Qualche volta Georg mi accompagna a lavoro, nelle emergenze. Oggi ho preferito andarci da solo, così ha avuto la giornata libera > >
Lo guardai dubbiosa.
< < Chi è Georg? > >
Lui prese la birra che aveva appena ordinato e ne bevve un sorso.
< < Il mio autista > >
Il suo autista?! Che razza di persona era diventato se si poteva permettere un’autista personale?
Andreas iniziò a descrivermi cosa aveva fatto a lavoro quel giorno, ma io non lo stetti più ad ascoltare; cominciai a riflettere su quello che avevo appena saputo.
Lilian mi disse che era visto di buon occhio dal capo della polizia di Berlino, ma lui non aveva l’uniforme da poliziotto; quella era un’informe anonima, verde scuro come quella dei soldati appena entrati nell’esercito. Lo sapevo perché se ne vedevano tantissime in giro per Berlino, notte e giorno.
Credevo fermamente che fosse stato via per sei o sette anni dalla capitale, quindi come mai il capo della polizia locale era interessato a lui?
C’era qualcosa che non riuscivo ad afferrare.
Diedi un’ennesima occhiata all’orologio e vidi che si erano fatte le otto; era passato pochissimo tempo e avevo solo più dubbi di prima. In più dovevo essere a casa per le nove, il giorno dopo sarei dovuta andare a lavoro prima del solito.
< < Andres scusa se ti interrompo, ma dovrei andare tra poco… > >
Sentirmi pronunciare il suo nome mi fece strano, come se fosse una cosa a cui non ero mai stata abituata.
Avrei voluto dirgli di parlare, darmi tutte le spiegazioni, ma non ne avevo il coraggio; c’erano così tante cose da dire che forse una sera non sarebbe bastata.
Lo vidi un po’ sorpreso quando vide che stavo raccogliendo le mie cose.
< < Aspetta, devo dirti una cosa prima che te ne vada > >
Mi fermai paziente, sentendo il mio cuore battere più veloce. Era paura?
< < Mi dispiace per domenica pomeriggio, non avrei dovuto dire che non ti conosco. Però è stato meglio così, credimi > >
Rimasi perplessa: era solo questo tutto quello che aveva da dire?
< < Perché è stato meglio così? Ti vergogni di dire che mi conosci? > >
La mia voce uscì un po’ più debole di quello che avrei voluto; non volevo abbandonarmi alla rabbia, ma sapevo che prima o poi sarebbe successo.
< < No, assolutamente. Gerda… > >
Andres si sistemò meglio sulla sedia, come se si sentisse scomodo sia fuori che dentro.
< < Non voglio che i miei capi sappiano di mia mamma. Non verrei visto con gli stessi occhi. E se non ti fai coinvolgere da queste cose, è meglio per te > >
Aggrottai la fronte, non riuscendo a capire.
< < Perché dovrei raccontare un episodio del genere in una domenica pomeriggio? > >
Andres si passò una mano sul viso.
< < Non capisci… io non sono nella tua testa, non potevo sapere cosa stavi per dire… > >
Lasciai i soldi sul tavolino e per un’ultima volta mi girai verso di lui, fumante di rabbia.
< < Ti pare che sia quel genere di persona che racconta in giro queste cose? Tu invece, perché non hai mai risposto alle mie lettere? Lo sai che avevo bisogno di aiuto, perché non ti sei fatto più sentire? > >
Vidi Andreas alzarsi dalla sedia, sovrastandomi di un bel po’ di centimetri, e mi prese senza troppi complimenti per un braccio, trascinandomi fuori nello stupore dei presenti; nell’aria fredda della sera mi dimenai, riuscendo a staccarmi da lui.
< < Adesso ti calmi e ne parliamo > >
Cercai di metterlo a fuoco, ma non c’era neanche un lampione nelle vicinanze; riuscii a vedergli bene solo i capelli biondissimi.
< < Calmati tu! > >
Lo sentii sospirare e prendermi per le braccia, stavolta più piano: il suo viso fu illuminato dai fari di una macchina, e riuscii così a puntare i miei occhi nei suoi.
< < Stavi urlando dentro al bar Gerda… calmiamoci tutti e due > >
Presi un profondo respiro, mentre ritornavamo nell’oscurità.
< < Andiamo verso la strada, non si vede niente qui > >
Iniziai a camminare e lui mi seguì, paziente.
Appena arrivammo vicino al fiume, mi fermai, appoggiando i gomiti sul parapetto in pietra.
< < Cos’è questa storia delle lettere? > > disse lui, alle mie spalle.
Chiusi gli occhi, non sapendo se ridere o piangere: stava negando il fatto che io gliele avessi spedite?
< < Quando mio padre perse il lavoro ti spedii tre lettere, Andreas. TRE LETTERE. Venni a casa tua, per avere una parola amica, un aiuto. > >
< < Io non ho ricevuto nessuna tua lettera Gerda, mi dispiace… > >
Mi girai verso di lui, guardandolo disperatamente.
< < Ma le ho mandate a casa tua! Sono venuta personalmente a casa tua! > >
Lui rimase impassibile.
< < Io non c’ero più. Mi sono arruolato il giorno dopo aver finito la scuola > >
Spalancai gli occhi, incredula.
< < Perché non mi hai avvisato? Almeno potevi dirmelo… sparire così, da un momento all’altro… > >
Andreas strinse le sottili labbra, distogliendo lo sguardo dal mio.
< < Gerda, non è così semplice… credo semplicemente di aver preso la strada più facile, andandomene dove nessuno mi conosceva > >
Rimasi in silenzio, riflettendo su quello che mi aveva appena rivelato; tornai a guardare il fiume, sempre più confusa. Perché non mi aveva mai parlato del suo disagio? Avevo sempre cercato di stargli vicino, di capire.
Io e i miei genitori abbiamo cercato di aiutarlo più che potevamo; ma se una persona non vuole farsi aiutare, nessuno può farlo al suo posto.
Questo non toglieva il fatto che mi aveva messo nello stesso piano della gente che non voleva più vedere, gente che l’aveva fatto stare male.
< < Se può farti sentire meglio io non ti ho dimenticata, e quando ti ho rivista al Riviera Palace, non credevo ai miei occhi. Sono davvero felice di averti ritrovata > >
Continuai a rimanere nel mio silenzio, non sapendo se essere contenta o no di quello che aveva appena detto.
< < Forse è difficile da capire per te, ma non sai quante persone mi hanno giudicato per la morte di mia madre. Dicevano che ero figlio di una pazza, e che sarei potuto esserlo anch’io. Con mio padre abbiamo concordato di dire che la mamma è morta per un colpo accidentale, sparato mentre puliva le sue pistole. Ti prego, se qualcuno dovesse chiedertelo, mantieni questa versione > >
Tornai a guardarlo, scoprendo che tutte le ombre che poco prima gli aleggiavano attorno, erano svanite.
< < Capisco. Se per te è importante, ti prometto che lo farò. Ma… quindi tu non sei mai stato a conoscenza di quello che mi è successo? > >
Andres alzò lo sguardo verso l’orizzonte.
< < In verità lo ero venuto a sapere. Però non potevo fare niente per te Gerda. Non potevo tornare a Berlino, ero dall’altra parte del paese. Tu sei una ragazza forte, lo sapevo che te la saresti cavata comunque > >
Sentii un peso premermi sul petto: lui lo sapeva, lo sapeva.
Avevo passato notti insonni per la fame, avevo grattato via i calli del lavoro col sangue; e in tutto questo lui aveva sperato.
Guardai l’orologio e vidi che erano le otto e mezza: non sarei mai arrivata in tempo a casa.
< < Non sai quanto bene mi ha fatto sapere la verità. Se quello che ti preoccupa è la storia di tua madre, tranquillo, con me è al sicuro. Scusami ma domani devo alzarmi presto > >
Lo salutai in fretta con un cenno della testa, e lui rimase interdetto.
< < Aspetta, ti accompagno… > >
Mi girai, aumentando la velocità del passo.
< < No, grazie… vado da sola > >
Un pensiero mi ronzava fastidiosamente per la testa, mentre cercavo di trattenere le lacrime.
Lo sapeva e non aveva fatto niente. Lo sapeva e neanche una lettera, una parola.

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Erano passati un po’ di giorni dall’incontro con Andreas, ma ancora non riuscivo a passarci sopra; raccontai tutto alle mie colleghe e a Lilian, ma non ai miei genitori, non mi sentivo ancora pronta.
Dopo esattamente tre giorni, il venerdì della settimana della nostra prima uscita, dentro la boutique di Madame entrò un ragazzino che non poteva avere più di dodici anni, vestito con una larga palandrana marrone e un cappello nero troppo grande per la sua testa. Si presentò in negozio tutto trafelato, tenendo tra le braccia un grande pacco che a stento riusciva a reggere.
< < Buongiorno signore > > disse, cercando di mascherare il fiatone.
Io, Jutte e Beth ammutolimmo, girandoci simultaneamente verso la porta d’entrata.
< < Chi di voi è la signorina Pfeiffer? > >
Guardai le mie colleghe, ma loro sembrarono più stranite di me.
< < Sono io. Hai bisogno di qualcosa? > >
Lui si avvicinò al bancone della cassa, appoggiando il pacco.
< < No, la ringrazio. Questo è per lei. Spero che passi una buona giornata > >
Si tolse il cappello, a mo di saluto, dopodiché si avviò verso la porta, veloce come era entrato; diedi un’occhiata al pacco, poi istintivamente lo fermai prima che se ne andasse.
< < Aspetta! Chi lo manda? > >
Lui di risposta mi sorrise, calandosi ancora di più il cappello sugli occhi.
Lo vidi sparire dietro l’ultima vetrina, poi tornai verso il bancone.
< < Che cos’è? Dici che è da parte sua? > > disse Jutte, avvicinandosi a me.
Insieme a lei arrivò anche Beth, entrambe curiose di sapere cosa conteneva il pacco; scorsi una piccola etichetta che riportava il nome di una delle più famose cioccolaterie di Berlino, la Fassbender & Rausch.
Levai la carta scura che lo proteggeva, scoprendolo stranamente pesante; una volta aperto, ne venne fuori una specie di cupola in vetro, completamente bianca. Tolsi quello che sembrava un coperchio, e con mia grande incredulità, scoprii la più grande torta Sacher che avessi mai visto.
< < Gerda! Chi mai potrebbe averti inviato un regalo del genere? > >
Beth guardava estasiata la torta, come se non ne avesse mai vista una in vita sua; d’altronde neanch’io ne avevo mai vista una così.
< < Forse io lo so… > >
Jutte mi porse un biglietto, dove c’era semplicemente scritto “Perdonami”; rimasi ad osservare quelle lettere, riconoscendo la sua scrittura elegante. La prima cosa che mi venne in mente in quel momento, fu che si era ricordato che la Sacher era la mia torta preferita. Erano anni che non la mangiavo, mia madre sin da piccola mi puniva se mi vedeva prenderne più del dovuto, ma solo per impedirmi di ingrassare troppo.
< < Forse è veramente dispiaciuto Gerda. Tutti sbagliano nella vita, poi crescono e se ne rendono conto > > disse Jutte, facendo pulizia sul bancone.
Mi passai una mano tra i capelli, all'improvviso nervosa.
< < Se n'è andato senza dire nulla, nonostante quello che c'era tra noi... o almeno che credevo ci fosse. Come faccio a passarci sopra? > >
Jutte alzò le spalle, guardando la strada affollata da dietro la vetrina.
< < Fa come vuoi. A me non è mai successo che un uomo abbia speso il suo tempo per ordinare nella più costosa cioccolateria della città la mia torta preferita, per poi spedirmela al negozio dove lavoro con un bigliettino con su scritto perdonami > >
Colsi una vena di gelosia nel suo tono, così decisi di starmene zitta per non far nascere dissapori.
Mi girai verso Beth, che aveva appena portato la torta nel retrobottega; mi guardò con un’espressione dolce, e la percepii quasi come fosse una madre amorevole che rassicura la figlia.
< < Sei una donna intelligente Gerda, sono sicura che prenderai la giusta decisione > >
Mi diede un colpetto sulla spalla, dopodiché tornò a sistemare i maglioni di cachemire invernali.
Io andai nel retrobottega e staccai un pezzo di torta: era più buona che mai.
Morbida e dolce al punto giusto, appena mi scese in gola sentii dei brividi percorrermi il corpo; fu come se avessi accettato che una parte di lui facesse parte di me.
Lo sapevo, era lì, nel suo ufficio da qualche parte nel centro di Berlino, che forse stava pensando se mi fosse già arrivato il suo pacco. Me lo immaginai seduto alla sua scrivania, per poi alzarsi ed andare avanti ed indietro per i corridoi; e nel mezzo del suo lavoro il suo pensiero che andava a me. Come il mio andava a lui.
Non mi aiutò neanche l’incontro con Lilian, il sabato dopo, al Jockey Bar.
< < Sei sicura che respingerlo sia la giusta mossa da fare? > > disse lei, sorseggiando svogliatamente un drink.
Sul palcoscenico si stavano esibendo delle ballerine magrissime, in un ballo che stava diventando sempre più sensuale, per il piacere degli uomini nella sala.
< < È quello che mi sento di fare ora, Lilian. Davvero, non riesco a vedermi a ridere e scherzare con lui come se niente fosse successo > >
< < Ti capisco, ma da una parte capisco anche lui. Magari è solo una persona che voleva cancellare una parte della sua vita, o almeno non riviverla più per un po’ di tempo > >
Alzai gli occhi al cielo, scuotendo la testa.
< < Com’è che anche tu dai ragione a lui? Non dovresti essere dalla mia parte almeno tu? > >
Lilian si sistemò un ricciolo dietro l’orecchio prima di rispondermi.
< < Non sto dando ragione a lui. Cerco solo di dirti che se insiste nel voler cercarti un motivo ci sarà > >
< < Ad esempio? > >
< < Non lo so, sai gli uomini come sono fatti. Un giorno voglio questo, un giorno vogliono quello. Guarda mio padre. Sta via settimane, anche quando è qui in città, e poi quando torna pretende che la mamma sia sempre presente per lui > >
Osservai un gruppetto di uomini che giocavano a carte nel tavolino vicino al nostro, circondati da una nuvola di fumo causata dai loro lunghi sigari.
< < E comunque non è indifferente nemmeno a te. È da un’ora che sei arrivata, ed è da un’ora esatta che non fai altro che parlare di lui… > > disse Lilian, lanciandomi un’occhiata ovvia.
Io abbassai lo sguardo, improvvisamente imbarazzata.
< < Scusa… immagino sia un po’ noioso sentirmi parlare sempre della stessa cosa > >
< < Non preoccuparti Gerda. A proposito, ti ricordi dell’amico di Andreas? Quello che abbiamo incontrato al Riviera e al Vaterland? Si chiama Stephan. Non ci crederai ma lo incontro ovunque, sembra che mi stia pedinando > >
Lilian aveva una vita sociale molto più prolifica della mia, era invitata molti pomeriggi e sere della settimana a partecipare a eventi, nuove aperture, mostre, avendo così l’opportunità di conoscere sempre gente nuova.
< < Ti ha rivolto ancora la parola? > >
Ordinò altri due drink al bancone.
< < Si… è una persona interessante, ma sembra un po’ fanatico. Dev’essere uno dedito cento percento al suo lavoro… e non ci potrai mai credere, ma mi ha invitata ad una festa nella sua casa la settimana prossima. Ha detto che non posso mancare, ci saranno un sacco di persone che contano nel panorama del cinema di questi anni > >
Strabuzzai gli occhi, quasi strozzandomi col drink fresco appena arrivato al tavolo.
< < Ha invitato anche Joseph? Mi pareva che fosse suo amico… > >
Lilian stava iniziando ad agitarsi, e non capivo se fosse scandalizzata oppure onorata dell’invito.
< < Non ha fatto cenno a Joseph. È un pazzo a rischiare così, non trovi? Però lo trovo affascinante, insomma, chiedere alla fidanzata di un suo amico di andare nella sua casa per una festa… da sola… > >
Chiusi gli occhi, sorridendo tra me e me: sapevo benissimo come sarebbe andata a finire. Lilian si sentiva attirata da quella situazione e avrebbe finito per cadere in tentazione. Avrebbe tradito Joseph come aveva fatto con tutti gli altri prima di lui.
< < Non provare a trascinare anche me, capito? > > le dissi per scherzare, ma speravo vivamente non l’avrebbe fatto.
< < Ma va, che dici? Io non ci voglio andare… voglio dire, se proprio non avrò niente da fare magari ci penserò… > >
Perdemmo la serata a chiacchierare del più e del meno, finché non decisi di andare a casa.
Presi la metropolitana deserta e in circa venti minuti ero già nella mia solita via; con sorpresa trovai mia madre ancora in piedi a sistemare la casa, già perfetta.
< < Gerda fai piano che tuo padre sta dormendo > > disse, mentre chiudeva le luci della cucina.
Appoggiai il soprabito col cappello ed i guanti sull’appendiabiti e mi tolsi con cautela le scarpe.
< < Novità al Jockey? > > chiese.
< < No… solito > >  dissi, riponendo le scarpe nell’armadietto.
Guardai mia madre mentre chiudeva le tende del salotto, e un pensiero passò dritto nella mia testa: devo dirglielo.
< < Mamma, puoi venire nella mia camera quando hai finito? > >
Lei fece un cenno d’assenso con la testa, mentre finiva di piegare alcune tovaglie; io andai di sopra, e finalmente mi tolsi i vestiti che avevo dal mattino.
Cercai di fare il più veloce possibile, così quando entrò nella mia stanza, mi trovò pronta a raccontarle tutto; non ci girai molto intorno, arrivando subito al punto.
< < Ho incontrato Andreas al Riviera Palace. E l’ho incontrato anche il giorno dopo, al Vaterland. Mamma non capisco cosa devo fare… > >
Le raccontai tutto quello che era successo, e poi aspettai paziente la sua risposta.
< < Cara… cosa ti aspettavi che facesse? > >
Di risposta scossi la testa, arricciando le labbra.
Mia madre sospirò, piegando alcune lenzuola.
< < Gerda, non devi fare del bene solo per aspettare che ti sia ricambiato al momento giusto. Immagino che per te fosse stato importante averlo vicino, eravate quasi fidanzati. Andreas avrebbe potuto spedirti qualche lettera, farti sapere che lui era sempre lì per te, in qualche maniera. Però non lo biasimo per la sua scelta > >
Rimasi scioccata dall’affermazione di mia madre.
< < Stai dicendo che ha fatto bene a non rispondermi, ad ignorarmi? > >
< < No, non quello. Ma a diciotto anni si cambia, si diventa improvvisamente grandi. Tieni presente che lui è un uomo Gerda, loro ci tengono alla loro libertà e mascolinità. Ricordi tuo padre che non voleva nemmeno uscire di casa per la vergogna di farsi mantenere da noi? > >
Certo che lo ricordavo. Era stato un’enorme colpo per il suo ego.
< < Credo che abbia voluto ricominciare daccapo lontano da qui. Ora che è tornato sta cercando di ricucire lo strappo che ha causato. Non ti sto dicendo di perdonarlo, ma di capirlo. Alla fine lui è quasi solo a parte suo padre, tu hai una grande famiglia intorno a te > >
Non risposi, ma riflettei sulle parole di mia madre.
Era giusto che mi concentrassi solo su me stessa, continuando ad incolparlo per aver abbandonato una ragazza innamorata?
Oppure potevo comportarmi da persona matura e perdonarlo, facendogli però capire che ero stata male per il suo atteggiamento?
Tempo. Avevo bisogno di tempo per digerire tutte quelle emozioni e capire come comportarmi.
< < Gerda, voglio solo dirti di non vivere nel rancore. Sei una brava ragazza, non farti trascinare da cattivi sentimenti > >
Mi diede la buonanotte, chiudendo la luce della camera che scese all’improvviso nell’oscurità.
Non sapevo quando l’avrei rivisto, quindi decisi di rimandare il da farsi a quel momento: quando l’avrei guardato negli occhi, avrei saputo la risposta ai miei dilemmi... forse.

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


In quei giorni si percepiva una strana sensazione nell’aria autunnale di inizio novembre: un’inquietudine che aleggiava sopra le nostre teste, proprio come la calma prima della tempesta.
Una nuova settimana era appena cominciata, uguale a tutte le altre, eppure avevo l’impressione che tra le strade gli uomini della sicurezza fossero aumentati. Non che la cosa mi desse fastidio; vedere bei ragazzi giovani in divisa era sempre un piacere per gli occhi.
Nulla, in ogni caso, cambiò nella mia routine quel lunedì mattina, se non un leggero mal di testa che mi picchiettava sulle tempie e sembrava non avesse l’intenzione di sparire.
< < Perché non vai a prenderti qualcosa nella farmacia qua vicino? Sono sicura che sapranno consigliarti bene > >
Beth stava infilando il suo solito cappottino nero, pronta ad andare a pranzo con Jutte; quel giorno decisi di non seguirle temendo che, se avessi mangiato qualcosa, avrei buttato fuori tutto.
< < Grazie Beth, andrò sicuramente > >
Le vidi uscire e dirigersi verso la parte est di FriedrichStraße, mentre io rimasi seduta dietro il bancone; presi un profondo respiro e chiusi gli occhi, facendo un massaggio alle tempie con gli indici. All’improvviso era calato un silenzio perfetto, proprio quello di cui si ha bisogno durante un’emicrania.
Rimasi immobile per una decina di minuti, godendo di quel momentaneo stato di benessere; i muscoli si distesero, la mente si liberò dai pensieri. Stetti in quello stato di trance finché non sentii delle inaspettate urla provenire dalla strada. Le ignorai, fino a quando un rumore di vetri non mi costrinse ad aprire gli occhi: aldilà delle vetrine, dei gruppetti di persone rallentavano il passo, allungando il collo verso qualcosa che io non riuscivo a scorgere da dentro.
Corsi nel retro per prendere il mio soprabito, ma non persi tempo ad indossarlo; aprii la porta, prendendo le chiavi con me e chiusi il negozio. Subito sentii le urla farsi più chiare: mi feci strada tra la gente, scoprendo la vetrina di un negozio ebreo vicino al nostro, completamente in frantumi.
Un poliziotto, un uomo sulla quarantina, aveva il manganello sfoderato, ed urlava ordini all’uomo in lacrime sul marciapiede: all’interno dovevano esserci dei suoi dipendenti o familiari, ma non voleva farli uscire.
In quel momento ad aiutare il poliziotto ne arrivarono altri tre, e tennero subito a bada alcune delle persone tra la folla che chiedevano di smetterla.
Per quanto la situazione fosse umiliante ed estremamente disagevole, non riuscivo a staccare gli occhi dalla scena: all’improvviso mi sentii come nuda, vulnerabile.
Ero consapevole delle leggi razziali, dei divieti e restrizioni a cui le persone ebree dovevano sottostare, ma assistere a momenti come quelli non era niente che avevo mai avuto nella mia testa.
Avrei voluto aiutarlo, porre fine a quello scempio, ma per quanto mi sforzassi nel pensare a qualcosa, tanto più tempo passavo immobile ad osservare quello che succedeva.
Io e le altre ragazze conoscevamo quell’uomo, un tipo abbastanza schivo ma sempre disposto ad aiutarti in caso di aiuto; vederlo umiliato nel mezzo della via più conosciuta dell’intera Germania, era qualcosa di fastidiosamente inquietante.
Dopo alcuni minuti di altre urla e minacce, dalla strada arrivarono altri uomini in divisa, a cavallo; diradarono la folla, costringendoci ad andare via dal posto.
Tornai indietro stringendomi nel soprabito, girando ogni tanto la testa per vedere se l’uomo stesse bene; dei brividi mi percorsero la schiena, ripensando alla scena.
Andai dritta in farmacia a comprare dei rimedi al mal di testa, e quando uscii tutto sembrava essere tornato alla normalità. Mi guardai intorno, ma nessuno più sembrava notare quello che era appena successo; scossa, attraversai la strada, decidendo di andare al bar lì vicino per bere qualcosa di caldo, ma appena toccai il marciapiede incrociai uno sguardo troppo familiare.
Sorprendentemente, sentii che la morsa del mio stomaco si allentava, mentre lui si staccava dai suoi colleghi per venire a salutarmi.
< < Gerda… > >
Si tolse il cappello, scoprendo i suoi occhi lucenti che non smettevano neanche stavolta di squadrarmi.
Lo salutai a mia volta, dando un’occhiata ai suoi amici che sembravano non avermi nemmeno notata.
< < È tutto apposto? Sei un po’ pallida… > >
Istintivamente portai le mani al viso.
< < È appena successo… > >
Mi girai, indicandogli il punto in cui era accaduto il fatto, ma non riuscii a dire nient’altro.
< < Ti è accaduto qualcosa? > >
Sembrava prendere la cosa seriamente, così cercai di spiegargli meglio.
< < No. Hanno rotto la vetrina di un negozio vicino al mio. È gestito da ebrei, ma la polizia è stata così dura… non avevo mai visto niente del genere. Mi ha sconvolto > >
Andreas alzò lo sguardo, dopodiché mi mise una mano sulla schiena, invitandomi ad entrare nel bar.
< < Hai già mangiato? Io stavo per rientrare, ma posso rimanere un po’ con te se vuoi > >
Mi bloccai a metà dell’entrata: era per caso un modo per chiedermi se ero ancora arrabbiata con lui?
Ci avevo riflettuto molto, ed alla fine feci quello che il mio cuore mi disse in quel momento.
< < Lo apprezzerei molto > >
Vidi qualcosa simile ad un sorriso sulla sua bocca, quando mi rispose di prendere posto che lui sarebbe arrivato subito.
Scelsi un tavolino vuoto verso l’angolo più silenzioso del bar, se un bar all’una del pomeriggio si può definire “silenzioso”; mi sedei, ma nonostante non avessi ancora mangiato, ordinai solo un panino leggero.
< < Sicura di stare bene? Ti vedo strana > > disse, appena fu di ritorno.
< < Si, non ti preoccupare. Quello che è successo poco fa mi ha scosso molto. Forse sarà anche questo mal di testa… > >
Andreas rimase in silenzio, osservandomi.
< < Ti assicuro che sto bene > > dissi, cercando di chiudere in velocità il discorso.
Lo sentii sospirare, e allo stesso tempo si guardò intorno come se la gente presente gli desse in qualche modo fastidio.
< < Stai attenta in questi giorni. Non so se hai sentito cosa sta succedendo in altre città della Germania, ma credo che nei prossimi giorni non mancherà qualche episodio anche qui che è la capitale. Non devi temere nulla, ma presta attenzione quando sei fuori casa > >
Lo guardai, un po’ confusa.
< < Secondo te dovrà succedere qualcosa di brutto? > >
Andreas bevve un sorso di birra, asciugandosi poi la schiuma dalle labbra con il tovagliolo.
< < Non lo so, ma se ci sono rivolte nelle altre città, capiterà qualcosa anche a Berlino. Nella capitale gli avvenimenti sono amplificati, ricordalo > >
Decisi di assaggiare il panino che aspettava paziente nel mio piatto; magari mangiare qualcosa mi avrebbe fatto davvero bene.
Scese un’imbarazzante silenzio tra di noi, in cui lui era perso nell’osservare il fumo che usciva dalla sua sigaretta; decisi così di affrontare piano piano l’argomento che mi premeva di più.
< < Grazie della sorpresa, l’ho apprezzata molto > >
Lui di risposta strinse le labbra e fece un cenno d’assenso col capo; speravo dicesse qualcosa, ma rimase ancora in silenzio, intento a fumare.
< < Come hai fatto a sapere dove lavoro? > >
Lo vidi spegnere la sigaretta prima di rispondermi.
< < Non è stato poi così difficile. Abbiamo alcuni amici in comune, e… è un po’ il mio lavoro > >
Aggrottai la fronte, non capendo cosa volesse dire.
< < Quindi sei un poliziotto? > > chiesi, confusa.
< < Non proprio, lavoro al servizio di sicurezza della Germania > >
Spalancai gli occhi, mentre ogni tassello tornava al suo posto: ecco perché era stato invitato al Riviera Palace. Ecco perché è stato via così tanto da Berlino. Ed ecco spiegato il motivo per cui ho subito pensato che non era un normale soldato…
< < Così hai informazioni su di me? > >
Andreas rise, prendendo con mia sorpresa un’altra sigaretta dalla tasca della giacca.
< < Ma no, che dici. Io lavoro qua vicino e ti ho vista qualche volta al bar con le tue amiche. È abbastanza simpatica quella ragazza bionda… non ricordo il nome… > >
Ragazza bionda? Aveva forse parlato con Jutte? O si stava riferendo a Lilian?
Decisi più per la prima, Lilian non si ricordava nemmeno dove si trovava la boutique, figurarsi spiegarlo a qualcuno.
< < Jutte? Hai parlato con lei? > >
Andreas fece un cenno d’assenso, scrollando la cenere della sigaretta nel posacenere.
< < Esatto. Comunque… stasera parto per Monaco, tornerò verso fine settimana. Ti andrebbe di andare al lago domenica? > >
Alzai di scatto gli occhi dal piatto quando sentii quella domanda: lo vidi sistemarsi la giacca, segno che probabilmente era arrivata l’ora in cui doveva andare.
< < È da molto che non faccio un giro con la barca, ma se non ti va possiamo andare da qualche altra parte. Avviserò Georg di venire a casa tua domenica, se sei libera ci porterà dove vuoi. Ora devo lasciarti > >
Lo vidi infilarsi il cappello militare un po’ di sbieco e salutarmi con un cenno del capo; uscì dal bar dirigendosi probabilmente verso la metropolitana.
Rimasi sola al tavolino, un po’ scioccata dal modo in cui mi aveva chiesto di uscire di nuovo; perché insisteva così tanto nel rivedermi?
 
*
 
Il giorno dopo nessuno immaginava quello che era successo, men che meno noi che abitavamo fuori dal centro.
Per chissà quale ragione, mio padre non accese neanche la radio quella mattina, per cui mi diressi come ogni giorno tranquilla verso la metropolitana; ma fu proprio una volta dentro che colsi pezzi di conversazione da altri passeggeri. Doveva essere accaduto qualcosa di grosso, perché quasi tutti non facevano che parlare di fumo, incendi e vetri; capii cosa fosse successo solo una volta uscita.
Del fumo nero si levava da qualche edificio vicino Alexanderplatz, e tutti i negozi che recavano la stella di David sulla porta erano distrutti.
Sul marciapiede c’erano i segni della barbaria, mille e più cristalli di vetro che i negozianti cercavano di ripulire dalla loro entrata; trovai Beth e Jutte fuori dalla boutique che discutevano con altri commercianti.
< < È andata a fuoco la sinagoga, per questo vedete quel fumo nero così vicino. Meglio tornare dentro, sembra che il nemico debba essere fatto fuori da qui > >
Un uomo sulla cinquantina che teneva una piccola drogheria ci lasciò, e noi entrammo dentro il negozio.
< < Cosa è successo? Cosa vuol dire il nemico deve essere fatto fuori? > > chiesi alle ragazze.
< < Non lo so, sai che quello è paranoico. Comunque, da quello che ho sentito, tutti i negozi ebrei sono stati distrutti e hanno dato fuoco alla sinagoga > > disse Jutte.
< < Ma chi è stato? > >
Beth mi guardò scrollando le spalle.
< < Io non lo so. Non sapevo neanche cosa fosse successo. Comunque meglio stare attente stasera, torniamo a casa insieme… > >
Mentre mi cambiavo nel retrobottega, le parole di Andreas mi ritornarono alla mente.
 
Stai attenta in questi giorni. Non so se hai sentito cosa sta succedendo in altre città della Germania, ma credo che nei prossimi giorni non mancherà qualche episodio anche qui che è la capitale… se ci sono rivolte nelle altre città, capiterà qualcosa anche a Berlino. Nella capitale gli avvenimenti sono amplificati…
 
Certo, un soldato della sicurezza avrebbe dovuto immaginarla una cosa del genere. Invece io cosa avrei dovuto aspettarmi di più spaventoso di quello?

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


Inutile dire che non mi scordai facilmente della proposta di Andreas quel fine settimana; ero in giardino con mamma a raccogliere rami secchi, quando una macchina nera si fermò davanti a casa. Non ci diedi molto peso, ma nel momento in cui un uomo con una pipa si affacciò dal cancello chiamandomi, capii che probabilmente era il suo autista.
< < La signorina Gerda? > >
Io e mia madre ci fermammo nello stesso momento, guardando quell’uomo elegante: indossava un completo nero e un cappello dello stesso colore calato sugli occhi. L’unica cosa che riuscii a scorgere furono due enormi baffi rossicci.
< < Si? > >
Sul suo viso vidi apparire un sorriso di vittoria, mentre fece segno verso la macchina.
< < Prego. Salga pure > >
Sentii il cuore accelerare un po’ di più in petto, mentre appoggiavo i rami a terra e mi avviavo verso casa per vestirmi; in tutto quello però mia madre rimase impietrita, con uno sguardo che era passato rapidamente dal dubbio alla sorpresa.
< < Gerda, lui chi sarebbe? Dove dovrebbe portarti? > >
Prima che potessi rispondere, l’autista di Andreas mi anticipò.
< < Non abbia paura. La signorina ha un appuntamento > >
Mia madre sembrò sempre più confusa, e non riuscii a capire se la stava prendendo bene o male.
< < Gerda non ha nessun appuntamento. Forse la sta scambiando per qualcun’altra > >
L’autista si accigliò un poco, e passò nuovamente a guardarmi.
< < Lei non è la signorina Gerda Pfeiffer? > >
< < Si, si sono io. Metto qualcosa sopra ed arrivo subito > > dissi, entrando in casa.
Lasciai la porta socchiusa, in modo da riuscire a sentire il discorso tra mia madre e l’autista.
< < Se posso sapere… Chi la manda? È il nuovo autista di Lilian? E dove dovrebbe portare mia figlia? > >
Non riuscii a trattenere un sorriso mentre indossavo le scarpe: mia madre era sempre un’impicciona. Buona, ma impicciona.
< < Mi manda il signor Lehmann, signora. Mi ha chiesto di portarla da lui> >
Uscii giusto per godermi l’espressione allibita di mamma dopo aver sentito la sua frase: nessuno, nemmeno io mi sarei mai aspettata che Andreas fosse arrivato così in alto da avere un’autista.
< < Ci vediamo più tardi, non ti preoccupare. Non dire niente a papà, preferisco parlargliene io > >
Le diedi un bacio e feci per uscire dal cancelletto, quando lei mi fermò per un braccio, avvicinandosi al mio orecchio.
< < Tesoro, ti fidi? Perché non è venuto lui, qui… > >
La fermai con un cenno della mano.
< < Ti ho detto che non devi preoccuparti mamma. Mi aveva chiesto di andare al lago, almeno ha mantenuto la sua promessa > >
Mia madre fece per controbattere, ma fui più veloce di lei e sgattaiolai fuori dal cancelletto in men che non si dica.
Trovai l’autista vicino alla macchina, e appena mi vide aprì la porta posteriore; mi sedetti, notando con piacere le eleganti rifiniture in pelle dei sedili beige.
Mentre ripartivamo ed io salutavo mamma dal finestrino, i miei occhi caddero sul posacenere davanti a me: era colmo, ed infatti un forte odore di tabacco impregnava il veicolo. Sarà andato ai laghi prima di accompagnare me? Oppure mi aspettava già lì? Diedi un’occhiata all’orologio e vidi che erano le cinque passate; un po’ tardi per arrivare fino alla periferia di Berlino.
Iniziai a diventare piano piano più nervosa, così decisi di parlare con l’autista per vedere se lui aveva qualche informazione in più su Andreas di cui io non ero ancora a conoscenza.
< < Lo fa spesso? > > chiesi all’improvviso.
< < Cosa? > > rispose, colto probabilmente alla sprovvista.
< < Andreas gli chiede spesso di andare a prendere ragazze e di portarle… dove mi sta portando? > >
Lo vidi sorridere sotto i baffi, attraverso lo specchietto retrovisore.
< < Non posso svelare i segreti del mio mestiere signorina. Posso solo dirle che è la prima volta che mi chiede di portare qualcuno dove la sto portando ora > >
Mi voltai verso il finestrino, guardando la città scorrere davanti a me; nonostante erano passati solo una decina di minuti, continuavo a vedere il solito paesaggio urbano.
< < Posso chiederle che tipo di rapporto ha con Andreas? > >
< < Siamo vecchi amici > >
Rimasi sorpresa della risposta, tanto che dovetti riflettere qualche minuto prima di rispondere.
< < Ma lei non lavora per lui? > >
< < Si signorina. Ma siamo diventati amici. Ho un profondo rispetto per il signore, farei per lui qualsiasi cosa mi chiedesse > >
Lo guardai stranita, dopodiché sospirai, guardando fuori. Solo a me sembrava che non fosse più la persona che era una volta? O magari non era mai cambiato, ma l’avevo semplicemente visto con occhi diversi.
< < Mi lasci dirle una cosa… Penso ci sia molto di più in lui di quello che lascia trasparire. Non si lasci persuadere dall’esterno. Siamo arrivati. > >
La macchina si fermò improvvisamente davanti ad una fila di case molto eleganti; sembrava che fossimo arrivati nel quartiere di Charlottenburg. Ma non dovevamo vederci ai laghi?
L’autista mi chiese di aspettarlo dentro la macchina, ma io non l’ascoltai minimamente, aprendomi la portiera da sola. Non avevo bisogno di quelle accortezze in quel momento.
< < Signorina… ah, va bene come vuole. Prego mi segua > >
Mi fece segno di andare verso un grande palazzo: era a quattro piani con mattoni a vista rosso scuro, e magnifiche balconate in ferro bianco. Da ogni balcone si ergevano bellissime piante colorate, nonostante fossimo già a metà novembre. Lo seguii e lo vidi aprire un piccolo cancello d’ottone; salimmo quattro scalini e successivamente aprì il grosso portone di legno scuro.
< < Prego, dobbiamo salire al terzo piano > >
Esitai, spostando lo sguardo dall’autista alla tromba delle scale: era casa sua quella? Perché mi aveva fatta andare lì quando aveva detto che ci saremmo visti al lago?
Sapermi nella sua casa, da sola con lui, mi fece indugiare.
< < C’è qualcosa che non va? > > chiese l’autista togliendosi il cappello e sfoggiando due magnetici occhi azzurri e una lucida pelata.
< < No… no. Mi faccia pure strada > >
Salimmo tre piani di scale, quando finalmente l’uomo bussò ad una grande, e alla vista, pesante porta in mogano scuro.
Aspettammo in silenzio, mentre mi guardavo nervosamente intorno in cerca di qualcosa che attirasse la mia attenzione; tutto sembrava fastidiosamente lindo e pulito.
Quando finalmente la porta dell’appartamento si aprì, apparve l’alta figura di Andreas in tenuta civile: sembrava indossasse gli stessi vestiti del giorno in cui lo incontrai all’Haus Vaterland. Gli occhi parevano stanchi, come se avesse passato la notte sveglio.
< < La ringrazio Georg. Ci vediamo presto > >
L’autista abbassò leggermente il capo a mo di saluto, e si congedò da me con un piccolo sorriso.
Andreas era in piedi sull’uscio che teneva aperta la porta.
< < Entra pure > > disse.
Io ammutolii improvvisamente, incapace di pensare a qualcosa di giusto da dire; mi tolsi il cappotto all’entrata e lo appesi vicino alla porta, dove un austero copri divisa grigio spiccava nel vuoto.
Osservai la casa, estremamente grande, e allo stesso tempo estremamente spoglia. Spiccavano i colori scuri dei mobili in legno, vuoti, e qualche quadro insignificante sulle pareti.
Ci accomodammo in quello che doveva essere il salone: due vetrine vuote erano poste sulla parete a destra, mentre sulla parete a sinistra c’era solo il caminetto con due poltrone e un tavolino. Due grandi tende scure impedivano alla luce riflettente di quel pomeriggio di entrare, così da far sembrare il tutto scuro e vuoto.
Mi sarei aspettata tutt’altra cosa come casa di Andreas. Tutto era così… spoglio. E triste.
< < Perdonami se non siamo andati al lago oggi, ma purtroppo ho dovuto lavorare. Ho ancora parecchio da fare, ma per ora può aspettare > >
Mi sedetti su una poltrona rossa notando che era dura e immacolata, come se non fosse mai stata usata.
< < Sei solito invitare donne a casa tua? > >
Lo so che non avrei dovuto esordire con una domanda del genere, ma la curiosità e la sorpresa erano al culmine.
Lo vidi sorridere leggermente, mentre si accendeva una sigaretta; ne porse una a me ed io la accettai volentieri. Feci per prendere l’accendino dalla borsetta quando lui mi porse il suo, già acceso; vidi la fiammella scoppiettare dentro i suoi occhi azzurri, e non potei non avvicinarmi già con la sigaretta tra le labbra. L’improvviso incantesimo si spezzò nel momento esatto in cui richiuse, con quella che mi sembrava una violenza inaudita, l’accendino.
< < Ti piace casa mia? > > disse, senza rispondere alla mia domanda.
Feci l’azione di guardarmi intorno, ma in realtà non c’era proprio nulla da guardare.
< < Si… beh diciamo che sarebbe più interessante con qualche mobile e tappeto… > >
Lui fece un cenno d’assenso con la testa.
< < Si, hai perfettamente ragione, ma quelle sono cose da donne. Non ci sono quasi mai in casa, figurati se avrei tempo per arredarla > >
Lo vidi osservare il caminetto spento, come se la sua mente fosse altrove; un silenzio imbarazzante calò tra noi, e mi sbrigai a trovare qualcosa di cui parlare.
Girai la testa per osservare le vetrate coperte dalle pesanti tende: sono sicura che se fossero state aperte, tutta la stanza avrebbe avuto un aspetto diverso.
< < Sai cosa ci starebbe bene là? > > dissi, indicando un punto vicino alle finestre completamente vuoto.
Andreas mi guardò in attesa della risposta.
< < Un pianoforte > > dissi, sognante. < < È proprio il posto giusto. Mi immagino che bello sarebbe suonarlo la sera, quando le luci del tramonto si riflettono sulla superficie > >
Tornai a guardarlo, mentre lui spostava lo sguardo da me alle vetrate.
< < Già, avevo dimenticato che a te piace suonare il pianoforte. Lo fai ancora? > >
Scossi la testa.
< < No purtroppo. Sono molti anni che non ne ho più la possibilità > >
Pensai tra me e me che forse quel discorso stava andando a finire in un punto critico; davvero non avevo voglia di tornare a parlare di quello che era successo. Lui però sembrava non farci caso.
< < Mi dispiace per come sia andata a finire tra di noi. Dopo la morte di mia madre… il trasferimento, il cambio di scuola… tutto è cambiato. Probabilmente è brutto da dire, ma a quel tempo continuare a vederti per me significava continuare a tenere aperta quella parte della mia vita che apparteneva al passato > >
Rimasi impietrita nel sentirgli pronunciare improvvisamente quelle cose; sembrava davvero essere diventato un uomo grande e maturo.
< < Ed è ancora così per te? Appartengo ancora al passato che vuoi chiudere? > >
Lui finalmente si girò verso di me, guardandomi intensamente negli occhi.
< < Ad un certo punto della vita accetti il tuo passato per quello che è stato, e lo fai diventare parte di te. A causa del mio lavoro devo spesso nasconderlo, tenerlo segreto. Però c’è stato un periodo che mi manca molto, quando abitavamo al villaggio. Prima le cose erano così semplici, ora sono solo tanto complicate. Quando ti ho vista al Riviera Palace è stato come riprendere fiato, una boccata di aria fresca > >
Alzai un sopracciglio, sorridendo.
< < Davvero? Nonostante tutto questo tempo non hai mai pensato che potessi essere cambiata dall’ultima volta che ci siamo visti? > >
< < Ho sempre pensato che sei una donna intelligente. E se uno è intelligente da piccolo, lo è anche da grande > >
Mi sorpresi un poco nel sentire quel complimento: spesso vengono fatti apprezzamenti sulla bellezza, ma sono rari i complimenti sull’intelligenza.
< < Ti manca tua madre? > > chiesi, sperando di non fare una domanda spinosa.
Lui si grattò la fronte, allungandosi sulla poltrona.
< < Sempre. Mi sono abituato al fatto che non ci sia più, e avere un lavoro impegnativo mi aiuta a non pensare a tante cose, forse troppe… La cosa che mi premerà sempre è il fatto che se ne sia andata via così presto, soffrendo così tanto > >
Rimase ad osservare davanti a sé per un po’, e così non notò la cenere della sigaretta che si posava sul bracciolo della poltrona.
< < Andreas, la sigaretta… > >
Lui seguì il mio dito e si alzò di scatto quando si rese conto che stava quasi per bruciare il divanetto; andò a sbattere contro il tavolino facendo cadere il posacenere che finì in mille pezzi al suolo.
< < Lascia faccio io > > dissi, aiutandolo.
< < Aspetta vado a prendere la scopa… dovrebbe essere qui da qualche parte… > >
Lo vidi dirigersi in una stanza adiacente il salone, e affacciandomi notai che si trattava di una piccolissima cucina.
< < Tieni la scopa in cucina? > > dissi sorpresa.
< < Si perché? È il posto in cui la trovo quando serve > >
Non potei fare a meno di scuotere la testa e sorridere; sarà che la mamma aveva una scopa diversa per ogni zona della casa, ma mi ha sempre proibito di tenerne una in cucina.
< < Perché ridi? > > disse quando tornò nel salone, aprendosi anche lui ad un sorriso e rendendolo molto più bello di quello che già non fosse.
< < Niente. Ma sei buffo con la scopa in mano… > >
Gliela tolsi dalle braccia e in pochi secondi ripulii il pavimento dalle schegge del posacenere.
< < Sono rimasti alcuni segni per terra… > > dissi, riportando il tutto in cucina.
Lo trovai che scrutava dentro alla dispensa sopra i fornelli.
< < Si, non importa. Stavo guardando se c’è qualcosa da mangiare, ma sembra non essere rimasto niente… > >
Mi avvicinai a lui guardando all’interno, ed effettivamente le dispense sembravano vuote, a parte dell’olio e del sale.
< < Non mangi mai a casa? > > gli chiesi.
< < No, di solito sono sempre al ristorante. Però aspetta… > >
Uscì dalla cucina e si diresse di gran passo verso l’entrata.
< < Dovrei… ah ecco. > >
Lo vidi tornare con una busta piena di dolcetti, tipici della Baviera, ed una bottiglia.
< < Li ho presi questa settimana, sono buoni. Li hai mai assaggiati? > >
Me ne porse uno con scritto Buona fortuna!.
< < Credo di no… > >
Finimmo per mangiarli tutti e finire un’intera bottiglia di vino rosso.
< < Beh non sapevo che ti piacesse così tanto il vino… la prossima volta ne prenderò di più allora… > >
Io mi misi a ridere senza motivo, complice l’alcool che mi stava dando alla testa.
Mi alzai dalla poltrona e mi diressi quasi volteggiando verso le finestre, scostando le pesanti tende.
< < Guarda che bella vista, perché non lasci aperto? > >
Lui si alzò e si avvicinò a me, guardando fuori.
< < Perché se avrei voluto dormire, mi sarei dovuto alzare a chiudere le tende… > >
Non sapevo perché ma anche quello che disse mi fece ridere, quasi a crepapelle: dovevo davvero smetterla di bere così tanto.
Quando mi calmai, presi ad osservarlo in ogni suo lineamento, mentre lui guardava fuori.
< < Cosa c’è? > > disse lui, sorpreso.
< < Sai cosa mi piaceva di più di te quando ero piccola? Il tuo sorriso. Non sorridevi spesso, ma quando lo facevi era come se all’improvviso uscisse il sole… e tutto il tuo viso ne prendesse la luce. Non ne ho visti parecchi di sorrisi così, sai? > >
Lui mi guardò, scostando un ciuffo di capelli dal mio viso.
< < Sei ubriaca? > >
Lo guardai con espressione ammonitrice.
< < Ubriaca? No… Un poco alticcia forse… Guarda riesco ancora a toccarmi la punta del naso con la punta del dito… > >
E ci riuscii, finché il dito non mi finì dentro un occhio.
< < Ti sei fatta male? > >
Lo sentii ridere, mentre io imprecavo tra me e me.
< < Dai fai vedere > >
Mi avvicinò mettendomi una mano dietro la nuca, e tutto all’improvviso si fece più silenzioso. Mi girò verso la luce, cosicché i suoi occhi poterono scrutare dentro i miei: due pozzi infiniti d’azzurro, questo è tutto quello che ricordo di quel momento. I suoi occhi e le sue labbra morbide che accoglievano pazienti le mie.
La sua mano mi stringeva così forte la nuca che non riuscivo a muoverla, lasciando condurre i giochi a lui.
E poi come iniziò, finì anche presto: un’insistente squillo di telefono ci obbligò a separarci.
< < Scusa, ma devo rispondere > >
Mi lasciò andare, ancora un po’ scossa dal suo bacio.
Si intrattenne al telefono per quelle che sembrarono ore, ma in verità furono solo venti minuti; venti minuti in cui mi passò leggermente la sbornia e mi accorsi che erano le nove e mezza di sera. Mia madre mi avrebbe uccisa.
Presi la borsetta e scrissi un biglietto ad Andreas: non sapevo per quanto ancora si sarebbe trattenuto, ma avrei già dovuto essere a casa da un bel pezzo.
Lo lasciai sul tavolino davanti alle poltrone, in modo che lo potesse vedere; presi le mie cose e silenziosamente uscii di casa, senza farmi sentire.
Corsi a perdifiato verso l’uscita di quella via, scoprendo che mi trovavo vicino al Jockey Bar. Tirai un sospiro di sollievo e mi diressi verso la più vicina fermata della metropolitana, con le farfalle nello stomaco per la felicità.

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Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


Il martedì seguente non dovetti prepararmi per andare a lavoro perché ci sarebbe stato il matrimonio di Beth.
Mi svegliai un po’ di controvoglia quella mattina: mi trascinai davanti alla toeletta e mi bagnai il viso con l’acqua ghiacciata, rabbrividendo. Optai per un tailleur blu scuro in lana e un paio di calze nere, dato che iniziava a fare abbastanza freddo.
Diedi un tocco di nero alle ciglia e ridisegnai le sopracciglia; ravvivai i capelli che avevo arricciato la sera prima e fui pronta per scendere al piano di sotto.
In cucina trovai mamma che preparava una sostanziosa colazione; ci salutammo, dopodiché la stanza ritornò nel silenzio. Da quando ero tornata tardi la domenica prima, non ci parlammo più molto: io mi ero presa una bella ramanzina, una di quelle che te le ricordi per un bel po’, e mia madre si offese perché pensava avessi tradito la sua fiducia. Per fortuna non aveva detto niente a papà, lui non avrebbe perdonato il fatto che abbia passato così tanto tempo a casa di un uomo, nemmeno se quell’uomo era una persona di sua conoscenza.
Ma, comunque, avrei dovuto parlargli prima o poi; cosa avrei dovuto dirgli? È tornato Andreas e me ne sono infatuata come quando ero ragazzina?
Mi bloccai improvvisamente con la mano, che sorreggeva una fetta di pane, a mezz’aria: forse non avevo mai smesso di amarlo. Era plausibile anche dopo tutto il tempo trascorso?
Forse non era amore, forse era solo trasporto momentaneo. Attrazione fisica.
Sospirai, tornando alla mia fetta di pane: in ogni caso, mi ero ripromessa di non pensarci su troppo.
 
*
 
Arrivai in centro circa venti minuti più tardi; trovai Jutte che -come d’accordo- mi aspettava sulla piattaforma della metropolitana. Per quello che riuscivo a scorgere da sotto il cappotto anche lei indossava un tailleur, ma beige, con vistosi orecchini che le risaltavano il biondo perfetto dei capelli; uscimmo insieme nel freddo autunnale, che sembrava fosse arrivato prima quell’anno. Ci dirigemmo con calma verso lo stabile descritto da Beth, lottando contro il vento avverso.
< < Allora con il tuo uomo come sta andando? L’hai finalmente perdonato? > >
Dopo tutti gli avvenimenti che si erano susseguiti la settimana prima, mi ero completamente dimenticata di aggiornare le mie colleghe sulle novità. Descrissi così a Jutte quello che era successo la domenica precedente, tralasciando il fatto che ero stata quasi ubriaca.
< < Sei scappata dopo averlo baciato? > > disse, sorpresa.
< < No, non sono scappata! Abbiamo dovuto fermarci perché ha ricevuto una telefonata. È andato in un’altra stanza e non è più uscito... Era troppo tardi per rimanere, sarei andata via in ogni caso > >
Jutte non rispose, sistemandosi il cappotto nel riflesso di una vetrina mentre aspettavamo di attraversare la strada trafficata.
Dopo qualche minuto arrivammo finalmente al punto d’arrivo: un’enorme ed imponente palazzo dominava completamente la piccola via in cui era collocato; sulla facciata sventolavano le solite sgargianti bandiere dalla croce uncinata.
All’entrata venimmo subito accolte dalla numerosa famiglia di Beth, portandoci in una grande sala dove il futuro marito di quest’ultima la stava aspettando assieme al funzionario che li avrebbe sposati.
Ci accomodammo su delle sedie dietro i parenti di Beth, aspettando che lei facesse la sua entrata; a mano a mano che il tempo passava, sentivo crescere dentro di me una strana sensazione.
< < Si può sapere cos’hai? > > disse Jutte.
Io mi avvicinai al suo orecchio, in modo che solo lei mi potesse sentire.
< < Sono un po’ agitata. L’ho sempre vista come una bambina, venire al suo matrimonio è un po’… strano. Mi sembra che il tempo stia passando in fretta. > >
La cosa che mi stava facendo riflettere era che eravamo entrambe senza marito e Beth invece, nonostante fosse molto più piccola di noi, era pronta a farsi una famiglia.
< < È così che va la vita. C’è chi ha tutto subito, e chi deve aspettare tempo > >
La sposa entrò qualche minuto dopo, fasciata in un semplice abito bianco che faceva risaltare i suoi ricci neri.
La cerimonia fu corta e per i miei gusti troppo fredda e burocratica; quando uscimmo dallo stabile per vedere gli sposi andarsene, all’improvviso sentii una stretta allo stomaco.
Nonostante Beth non voleva unirsi a quell’uomo, quel giorno sembrava davvero felice; un sorriso abbagliante e due occhi allegri riempivano il cuore di chiunque incrociasse il suo sguardo.
Una lacrima rotolò giù per la mia guancia quando la vidi partire, salutandoci da lontano con la piccola mano.
 
*
 
Beth sarebbe mancata per un’intera settimana da lavoro, così quel venerdì sera io e Jutte cambiammo un po’ i programmi, andando in uno dei bar più divertenti di Berlino: il Resi Bar era speciale, perché all’interno ogni tavolo aveva un telefono con cui ci si poteva mettere in contatto con altri tavoli.
Lilian ci aspettava già sul posto; un cameriere dal forte accento del sud ci portò nella sala principale, dove dopo pochi secondi, scorsi la sagoma della mia amica.
Passammo un migliaio di tavolini rotondi che riempivano tre quarti del posto; un bar serviva i clienti ed uno sfondo teatrale aspettava i suoi attori per intrattenere il pubblico.
Lilian ci salutò con fare annoiato, fumando distrattamente una sigaretta; quando le presentai la mia collega la sua espressione non cambiò di molto, e questo era un brutto segno.
Conoscevo bene la mia amica, e se rimaneva con la testa fra le nuvole per tutta la sera significava che aveva qualcosa d’importante a cui pensare.
< < Hanno già chiamato due volte, per carità non ne posso più! > > disse, liquidando il discorso con un gesto della mano.
Jutte mi guardò con espressione stranita, e andò a prendere da bere; io colsi l’occasione per chiedere a Lilian se andasse tutto bene.
< < Ho appena litigato con Joseph, e quindi non è la serata giusta per parlarne. Voglio solo pensare a divertirmi > >
La guardai scuotendo la testa.
< < Come fai a divertirti se hai quell’atteggiamento scontroso? > >
Lei non rispose, prendendo in mano il drink che erano appena arrivati.
Non passò molto tempo prima che Lilian iniziasse a bere troppo ed essere completamente brilla: stava parlando con dei giovani che ci erano venuti a trovare al tavolo e ad un certo punto monopolizzò completamente la conversazione, lasciando me e Jutte nel completo imbarazzo.
< < Ne devi fare ancora di strada per poter arrivare ad una come me ragazzino. Forse lei potrebbe fare al caso tuo, è volgare abbastanza > > disse con superiorità, indicando Jutte.
Lei fece per ribattere, ma io fui più veloce.
< < Si può sapere che ti prende? > >
Lilian mi guardò con sguardo innocente.
< < Siete voi due che siete noiose stasera > >
< < La tua amica dovrebbe imparare a chiudere la bocca > > disse Jutte, come al solito senza mezze misure.
La vidi raccogliere le sue cose ed allontanarsi, e a nulla servirono i miei tentativi per convincerla a rimanere.
I giovanotti che erano seduti al nostro tavolo si dileguarono silenziosamente, lasciandomi da sola con Lilian.
< < Se non mi dici che cosa hai giuro che me ne vado anch’io > > dissi, cercando di essere il più minacciosa possibile.
< < Joseph mi ha lasciato > > disse, semplicemente.
< < Perché? > >
Lei mi guardò con sguardo assente: sembrava completamente annebbiata dall’alcool, o da qualunque altra cosa avesse ingerito.
< < Perché ho passato la notte con Stephan > >
L’unico Stephan di cui avevo memoria era l’amico invadente di Andreas. Quello che l’aveva invitata alla festa… in pochi secondi collegai il tutto. Ma come aveva fatto Lilian a cadere nella rete di quel pallone gonfiato?
< < Cosa intendi per passare la notte…? > > dissi, pregando che non intendesse quello che stavo pensando.
< < Oh Gerda, lo sai benissimo cosa intendo. Mi aveva invitata alla sua festa, e alla fine sono rimasta con lui fino alla mattina dopo. Lui è così… perfetto. Bravo, intelligente e bellissimo… gli piace stare in società e uscire tanto quanto me. Sembriamo veramente fatti l’uno per l’altra > >
Presi un profondo respiro prima di risponderle con qualcosa che la facesse tornare con i piedi per terra.
< < Lilian… questa frase l’avrò sentita almeno un centinaio di volte. Io ti voglio bene, ma non puoi lasciarti trascinare dai sentimenti in questo modo. Perché se non sei più interessata a Joseph eri così scontrosa stasera? Ti dispiace che ti ha lasciata? > >
< < Joseph non c’entra niente. Ero solo pensierosa perché non ho più sentito Stephan da quella sera > >
Chiusi gli occhi, mentre pensavo che era accaduto proprio quello che avevo immaginato.
< < Mi dispiace Lilian, ma questo non è una giustificazione per offendere le mie amiche oppure ubriacarti in questo modo > >
Lei sembrò risentirsi del mio commento, guardandomi con espressione offesa.
< < Ma guarda un po’! Uno vorrebbe un aiuto dalla propria amica, ed invece ha solo critiche! Beh sai cosa ti dico? Neanche la tua vita sentimentale è perfetta. Il tuo caro Andreas è un frequentatore del Salone Kitty, e sai cosa vuol dire > >
Spalancai gli occhi, sentendo una morsa allo stomaco.
< < E tu come fai a saperlo? > >
La vidi scolarsi l’ultimo bicchiere, non riuscendo nemmeno a stare seduta sulla sedia.
< < Me l’ha detto Stephan. Quindi mia cara, scordati di poter avere uno come lui. Di certo non sarà mai interessato a te dopo tutte le bellezze del Salone Kitty > >
Quella era la goccia che fece traboccare il vaso. Mi alzai dal tavolo, ignorando le sue improvvise richieste del rimanerle a fianco, ed uscii col cuore che batteva all’impazzata.
Sul marciapiede incontrai con sorpresa Jutte che fumava una sigaretta.
< < Si è calmata la tua amica? > >
Scossi la testa, raccontandole quello che era successo.
< < Oh beh, le passerà prima o poi. Andiamo a casa? > >
Mentre eravamo sedute alla fermata della metropolitana, mi raccontò di come -nonostante quello che era successo- si fosse divertita quella sera, e di come aveva conosciuto nuovi uomini, anche se troppo giovani per lei.
Quando ci separammo, prendendo ognuna la propria strada, mi ritrovai a camminare da sola con i miei pensieri.
Non ci credevo che Andreas frequentasse un bordello, eppure Lilian non era il tipo di persona che mentiva su cose del genere.
Si raccontavano storie su quel posto, cose oscene. Le ragazze che ci lavoravano erano tra le più belle di tutta la Germania, tanto che uomini famosi furono visti uscire dal bordello.
Possibile che Andreas fosse cambiato così tanto? Perché la sua immagine non corrispondeva a quella che avevo sempre avuto?
Decisi di tenere il fatto per me, sarebbe stato troppo umiliante rivelare che la persona che stavo frequentando andasse a prostitute. Eppure, per quanto conoscessi bene Lilian e le credessi, il mio cuore diceva che si sbagliava, e si sbagliava di grosso.

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Capitolo 10
*** Capitolo X ***


Prima parte

Il disco di Robert Schumann gracchiava debolmente nel vecchio grammofono di Madame; sedevo assieme a Beth sulle scale che portavano al primo piano del negozio, guardando le pesanti gocce di pioggia che si infrangevano sulle vetrine.
Pioveva dalla mattina, e non aveva mai smesso per tutto il giorno; erano solo le cinque del pomeriggio e sembrava già notte fonda. Nessun cliente aveva fatto capolino nel pomeriggio, ed io e Beth non sapevamo più cosa inventarci per passare il tempo; rimanemmo così sedute in disparte, parlando di tutto quello che ci passava per la mente. Proprio in quel momento la mia collega stava raccontando di come procedeva la vita coniugale, e di come era cambiata la sua quotidianità dopo il matrimonio.
< < Lui vorrebbe che io lasciassi questo lavoro… per ora ho deviato la domanda, ma temo che si farà più insistente. Soprattutto se rimarrò incinta > >
La osservai e, tra me e me, mi chiesi com’era possibile cambiare così velocemente: un attimo prima sembrava una ragazzina appena maggiorenne, un attimo dopo era diventata una donna sposata e grava di problemi coniugali.
< < Non penso che vorrai fare per sempre questo lavoro Beth. È giusto che tu rimanga a casa ad occuparti di tuo marito e dei tuoi figli, se li avrete > >
Lei mi guardò con uno sguardo che trovai innocente, come se non sapesse cosa la aspettasse.
< < Hai ragione. Però mi sembra che stia accadendo tutto così in fretta… sai, all’inizio mi sentivo parecchio a disagio stare da sola a casa con lui. Poi non so cosa sia successo… quasi mi piace preparargli la colazione, aspettare che venga a letto. Non è come sembra Gerda. Credo che abbia un lato nascosto che mi sta piacevolmente impressionando > >
< < Ho notato che sei più rilassata in questi giorni > >
Lei fece mezzo sorriso, abbassando gli occhi.
< < Già. Dovrò solo farci l’abitudine. Vado a prendere un caffè, che dici? > >
Veloce come l’aveva pronunciato, Beth si era già messa il cappotto e i guanti, pronta per uscire a prendere da bere.
La osservai dalle scale mentre chiudeva dietro di sé la porta del negozio, e si mischiava alla macchia scura dei passanti e dell’oscurità.
C’era un vago senso di malinconia in me quel giorno, quella malinconia che accompagna i giorni di festa passati in solitudine; avevo litigato con Lilian, ed ero venuta a scoprire delle “discutibili” abitudini di Andreas.
Possibile che non me ne andasse bene una ultimamente?
Beth tornò poco dopo con due tazzine fumanti di caffè.
< < Non sai che ressa al bar. Sembra che tutta la popolazione di Berlino abbia deciso di ripararsi lì dentro > >
Passò un’ora ancora prima di decidere di chiudere in anticipo il negozio.
< < Ma sei sicura Gerda? E se all’improvviso avessi bisogno di me… > >
Roteai gli occhi al cielo, sospirando.
< < Non è entrato nessuno per l’intero giorno, vedrai che per mezz’ora non cambierà la situazione. Va a casa, hai sicuramente più da fare lì che qui. Non lo dirò a Madame > >
Beth mi abbracciò forte prima di andarsene, lasciando un improvviso vuoto nel negozio.
Tornai a sedermi sulle scale, mentre il disco ricominciava a riempire con le sue sottili note l’ambiente attorno a me.
Sfogliai il quotidiano di quel giorno, saltando appositamente tutte le notizie importanti ed arrivando a quelle più futili ma interessanti. Dopo una decina di minuti in cui ero immersa nella lettura dell’avventurosa vita di una nuova star del cinema, sentii il campanello della porta tintinnare.
Sbirciai dal corrimano delle scale, e quando vidi la sagoma del cappello militare il mio stomaco fece un balzo; senza pensarci su mi lisciai la gonna e ravvivai i capelli, scendendo i pochi gradini.
Nel momento in cui i nostri sguardi si incrociarono, il suo viso si aprì in un piccolo sorriso, uno di quelli che sembrava riservare il capitano ai suoi cadetti.
< < Andreas! Cosa ci fai qua? > > dissi, un po’ sorpresa.
< < Ciao Gerda > > disse, togliendosi il cappello e appoggiando il cappotto vicino alla porta d’entrata.
Quando si girò rimasi di stucco: quel giorno indossava una divisa nera, totalmente diversa da quelle che gli avevo visto fino a quel momento. Doveva essere una divisa da cerimonia, elegantissima e rifinita in maniera ottima. Indossava addirittura un paio di guanti bianchi.
< < Disturbo? > >
Feci segno di no con la testa, osservando come i suoi occhi sembrassero più chiari con la pioggia. Perché continuavo a perdermi dietro al suo fascino?
< < Volevo invitarti a teatro stasera. C’è la prima di un’opera e… ecco… > >
Lo vidi frugarsi nella tasche, come se stesse cercando qualcosa. Poi si fermò e rise, come se fosse imbarazzato.
< < Beh non me ne intendo molto di queste cose, perdonami, ma dovrebbe essere scritto sul giornale. A fine serata ci sarà anche un rinfresco, una specie di banchetto per gli invitati. Hai voglia di accompagnarmi? > >
Il mio cuore fece un doppio salto nel sentire quelle parole, tant’è che per qualche secondo rimasi in silenzio.
< < Forse te l’ho detto un po’ in ritardo, mi spiace, l’ho saputo anch’io all’ultimo… > >
< < È per questo che sei così elegante stasera? > > dissi, interrompendolo.
< < Si, dovevo indossare la divisa per i grandi incontri. Allora, potrai farmi compagnia stasera? > >
Abbassai lo sguardo, sorridendo: certo che avrei voluto, ma non ero vestita in maniera appropriata per una prima a teatro!
< < Sarebbe fantastico. Però dovrai aspettare un attimo, non posso venire così… > >
< < Puoi scegliere un vestito qui, no? > >
Già, quello che stavo pensando. L’avevo già fatto una volta, ma in questa occasione era diverso: c’era il rischio che la pioggia rovinasse il vestito, e quegli abiti non erano certo alla mia portata economica. D’altronde però l’alternativa sarebbe stata perdermi l’occasione di un’eccezionale prima a teatro, al suo fianco, al fianco di un bellissimo e importante soldato. Meglio che nelle più fervide fantasie, no?
Sapevo esattamente che vestito avrei preso: lo sognavo da mesi, da quando era entrato in quel negozio. Un semplice abito nero, a sirena, con un poco di strascico al dietro. Lo so che rischiavo, ma non potevo non provarci.
Tolsi il rossetto, e frugai tra i trucchi che avevo in borsetta; dopo una rapida sistemata mi osservai, e rimasi piacevolmente colpita dall’effetto semplice ed elegante.
Presi una delle pellicce bianche dagli armadi (se Madame lo sarebbe venuto a scoprire mi avrebbe uccisa per davvero) e fui pronta.
Quando uscii dal retro, una piccola parte di me si aspettava che Andreas dicesse qualcosa sul mio aspetto, invece vidi solo i suoi occhi squadrarmi, e nessun commento.
E fu così per tutta la serata.
In macchina chiacchierammo un po’, ma una volta scesi era come se fosse da un’altra parte; tutto era perfetto, luci, colori, persone, ma era come se io non ci fossi fisicamente.
Una volta dentro il magnifico teatro, Andreas si fermò a parlare con alcune persone, molte volte dimenticandosi di presentarmi; altre volte sembrava scordarsi completamente della mia esistenza.
Per noi erano stati prenotati due posti in galleria, quasi davanti al palcoscenico; mi sedetti, salutando cortesemente i nostri vicini, una coppia di anziani signori.
Dopo poco il brusio si spense, e le luci si abbassarono; cercai di concentrarmi sullo spettacolo, dimenticandomi del flop della serata.
Verso metà, mentre gli attori annunciavano una pausa, dissi ad Andreas che sarei andata a chiamare a casa, per rassicurare i miei genitori che avrei fatto tardi.
Lui fece un cenno, continuando a guardare insistentemente in un punto tra la platea.
Sospirai, sperando che la serata finisse presto.
Scesi le scale, tenendo il vestito tra le dita; cosa stavo facendo? Perché non me ne tornavo a casa e basta?
Aspettai a qualche metro di distanza dal telefono che un uomo che occupava in quel momento, arrovellandomi sui buoni motivi per cui non riuscivo a prendere le mie cose ed andarmene.
< < Signorina! Come ha trovato la prima parte dello spettacolo? > >
Mi girai sorpresa, notando l’uomo anziano che occupava il posto in galleria vicino al nostro. Sembrava un signore distinto, pieno di orgoglio e fierezza nello sguardo. Era strano da spiegare, ma si riuscivano a carpire molte sensazioni sul suo conto da un solo guizzo dei suoi brillanti occhi verdi.
< < Molto avvincente finora. Lei come l’ha trovato? > >
< < Estremamente coinvolgente. Hanno scelto degli interpreti eccezionali, non c’è di che dire > >
Annuii, un po’ in imbarazzo non sapendo nemmeno chi fosse quell’uomo.
< < Deve usare il telefono? > > chiesi, notando che qualcuno aveva già preso il mio posto.
< < No signorina > >
Lo vidi prendere una sigaretta dal taschino della elegante divisa nera, molto simile a quella di Andreas, ma piena zeppa di medaglie e nastri colorati. Immaginai fosse una specie di soldato in pensione, o qualcosa di simile.
< < Vuole favorire? > >
Mi porse una sigaretta, ed io la accettai volentieri.
< < Credo che nessuno ci abbia presentato: io sono l’ammiraglio Wilhelm Meyer > >
Mi porse la mano, ed io gliela strinsi delicatamente: all’improvviso mi sentii stupida per ignorare sempre le notizie importanti sui giornali o dalla radio. Doveva forse dirmi qualcosa quel nome?
< < Gerda Pfeiffer, signore. Sono… veramente lieta di fare la sua conoscenza > >
L’uomo non smetteva di fissarmi, ed in questo mi ricordò molto i modi di fare di Andreas.
< < Il telefono si è liberato > > disse, fermando con un gesto della mano un altro uomo che stava per soffiarmi il posto.
Lo ringraziai con un cenno del capo, pensando tra me e me che non esistevano più gli uomini di una volta.
Dall’altra parte della cornetta trovai sorprendentemente papà; non fu molto contento della notizia, ma dovette accettarla lo stesso.
Quando riagganciai, trovai l’ammiraglio che mi aspettava vicino alle scale; quando mi vide mi porse il braccio, invitandomi a salire con lui.
< < Non ho potuto notare che ha accompagnato il soldato Lehmann. Quel ragazzo è davvero sbadato qualche volta, non ci ha neanche presentato > >
< < Già > > risposi semplicemente.
< < È la prima volta che lo vedo accompagnato ad una donna. Devo dedurre che dev’essere una persona importante per lui se ha deciso di portarla con sé ad un evento del genere > >
Ci fermammo davanti alle entrate dei nostri posti, in attesa di una mia risposta.
< < Si… possiamo dire così. Le auguro una buona visione > >
Entrai nella stanzetta, salutando con più quanta cortesia possibile l’ammiraglio; quando aprii la porta trovai i posti vuoti. Rimasero così per quasi la metà del secondo tempo.
Per quanto mi sforzassi di cercarlo nel buio della sala, non riuscivo a scorgere il suo profilo in nessun luogo; poi all’improvviso, nel mezzo di un acuto strabiliante, la porta si aprì, mostrando la sua figura che si avvicinava.
< < Perdonami per il ritardo > > disse, sottovoce.
Sospirai a fondo, tamburellando nervosamente le dita sulle gambe incrociate; poi mi piegai leggermente verso di lui e gli dissi quello che pensavo.
< < Credevo saremo rimasti insieme stasera, non pensavo che sarei dovuta rimanere da sola in mezzo a un gruppo di milionari sconosciuti > >
< < Devo intrattenere rapporti di lavoro Gerda, non posso stare sempre con te > >
< < Lavoro, lavoro, sempre lavoro… io immaginavo… > >
Mi bloccai perché un cameriere entrò per portarci da bere; quando richiuse la porta continuai il mio discorso.
< < Pensavo tu fossi interessato a me in un’altra maniera. Non mi piace questo tira e molla Andreas > >
Lui mi ascoltò in silenzio, poi prese una mia mano tra le sue, stringendola forte.
< < Ti assicuro che non sto giocando. Lo so che è difficile per te, ma è difficile anche per me. Tutto quello che ti chiedo è di portare pazienza… riuscirò a trovare del tempo per stare assieme, te lo prometto > >
Le sue parole mi confortarono, mentre lo spettacolo ormai sembrava solo un rumore di sottofondo.
Sembrava sincero, ed io gli volevo credere, solamente che le parole di Lilian tornarono a bussare nella mia mente. Presi il coraggio a due mani, e glielo dissi.
< < C’è una cosa che ti devo dire… > >
Mi schiarii la voce prima di continuare.
< < Sono venuta a sapere che frequenti il Salone Kitty. Prima che pensi che io ti stia seguendo, me l’ha detto una mia amica. Che frequenta quel tuo amico Stephan. Io non voglio giudicarti, ma vorrei sapere se è vero > >
Andreas si girò verso di me, guardandomi con un’espressione che mi mise paura.
< < Stephan ha detto che frequento il Salone Kitty? > >
Mi morsi la lingua per la mia impulsività, avrei dovuto farmi semplicemente i fatti miei; in fin dei conti non ero né la sua fidanzata né sua moglie.
< < Si… > >
< < Hai chiesto informazioni su di me a lui? > >
Spalancai gli occhi.
< < No, no!… io non c’ero quando lui l’ha detto > >
< < E allora com’è andata? > >
< < Lui e lei hanno… passato la notte assieme. Lei deve avergli chiesto qualcosa su di te, e lui le ha detto quello. Niente di più > >
Vidi la linea della sua mascella delinearsi a tratti, segno che probabilmente era nervoso.
< < Se vuoi sapere qualcosa su di me, basta che me lo chiedi. E per la cronaca si, è vero che ci sono andato al Kitty. Ma devi credermi se ti dico che è stato solo per lavoro. Ora per favore non voglio più parlare di questo argomento > >
Chiuse la conversazione con un tono talmente risoluto, che non ebbi il coraggio di chiedergli altro. Possibile che tutta la sua vita girasse sempre e solo intorno al suo lavoro?

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Capitolo 11
*** Capitolo XI ***


Seconda parte
 
Mezz’ora più tardi ci trovavamo in una splendida stanza laterale del teatro, circondati da lunghi tavoli pieni di delizie. Da ogni dove spuntavano uomini in divisa o in abito da sera, tutti recanti la vistosa fascia rossa con il simbolo del Reich.
Donne eleganti, per lo più anziane, accompagnavano quelli che dovevano essere mariti o parenti, e tutti sembravano conoscersi, in un modo o nell’altro; io e Andreas stavamo scegliendo un drink quando una voce familiare ci fece voltare.
< < Andreas! Signorina… > >
L’ammiraglio ci sorrise, e quasi non notai Andreas che gli fece il saluto militare, al mio fianco.
< < Riposo, riposo! Caro Andreas, ti sei dimenticato di presentarmi la tua accompagnatrice… ma non ti disturbare abbiamo già risolto da soli > > disse, facendomi l’occhiolino.
< < Spero le sia piaciuto lo spettacolo di questa sera > > disse Andreas, porgendogli un bicchierino.
< < Magnifico, una prima eccezionale… > > l’uomo si girò giusto un attimo controllare dietro di sé, < < Vorrei presentarvi un mio caro amico > >
L’ammiraglio ci introdusse ad un uomo basso e grassoccio, quasi insacchettato dentro il suo smoking nero, e con un paio di occhiali che continuavano a scendergli dal naso. Appena strinsi la sua mano, una scossa di spiacevole mi attraversò il braccio; gli occhietti iniettati di sangue dell’ometto mi squadrarono da capo a piedi, facendomi sentire stranamente vulnerabile.
Gli altri comunque sembravano non averlo notato, e dopo alcuni minuti di soliti convenevoli, l’ammiraglio mi prese sottobraccio.
< < Spero che non ti dispiacerà se chiedo alla tua compagna di fare un ballo > > disse.
Io mi girai verso Andreas, sorpresa: sembrava che mi stesse portando via per lasciarli parlare da soli.
< < Vi guarderò da qui > > disse, guardando prima lui poi me.
L’ammiraglio Meyer mi portò al centro della piccola pista da ballo, ed iniziammo un lento valzer in mezzo ad altre coppie.
< < Lei dev’essere una ragazza molto perspicace > > disse tra un passo ed un altro.
Io risi, trovando l’intera situazione irreale.
< < Come fa a dirlo? Non mi conosce neanche > >
Lui annuì, osservando un punto alle mie spalle.
< < Posso dirle che ho un occhio allenato nel capire queste cose > >
Scossi la testa ringraziandolo, nonostante non ci stessi capendo proprio niente della sua persona; in alcuni aspetti continuava a ricordarmi Andreas.
Mi girai a guardarlo dall’altra parte della stanza, e lo vidi impegnato in una fitta conversazione con l’ometto di poco prima; Meyer doveva averlo notato, poiché subito dopo mi chiese di lui.
< < Quanto le ha raccontato del suo lavoro il signor Lehmann? > >
< < In verità non molto. Sembra che assorba gran parte del suo tempo, ma non ne vuole parlare… > >
L’ammiraglio mi strinse più forte mentre ondeggiavamo da una parte all’altra della pista.
< < Saprebbe dirmi di cosa si occupa quell’uomo con cui sta parlando Andreas? > >
La curiosità fu troppa, e non riuscii a impedirmi di chiedergli chi fosse quell’uomo.
< < Quello signorina è il braccio destro di von Osten. Non c’è decisione che von Osten prenda, senza aver prima consultato quell’uomo. > >
Alzai gli occhi dalla pista per cercare di ricordare dove avevo già sentito quel nome… von Osten… Lilian mi aveva detto qualcosa su di lui. Andreas era visto di buon occhio da quell’uomo.
Per un attimo persi il filo del discorso con Meyer, e dato che sembrava non sfuggirgli niente, pensò bene di concludere lui la conversazione.
< < Signorina, gli stia accanto il più possibile. Andreas è un soldato che ha una grande carriera davanti, ma un uomo ha bisogno anche di altro nella sua vita oltre al lavoro. Diciamo che… ultimamente ha preso delle decisioni che per alcuni potrebbero risultare grandi errori > >
Lo ascoltai attenta.
< < Non posso dirle di più. Sono sicuro che lei lo aiuterà a prendere decisioni migliori per lui, nel futuro. Ora mi scusi… > >
Prima ancora che potessi fare qualsiasi domanda l’ammiraglio mi lasciò, riservandomi un piccolo inchino.
Qual’era il vero significato dietro quelle parole? Qual’era l’errore che aveva appena commesso Andreas?
Qualcosa in quello che era successo in galleria mi spinse a non chiedergli nulla; quando gli tornai vicino, notai che il suo interlocutore se n’era andato.
< < Sembra che tu piaccia molto a Meyer > > disse, invitandomi a spostarci dalla calca del banchetto.
< < È un uomo misterioso. Da quanto vi conoscete? > >
< < È stato il mio capo fino a poco tempo fa. Lo considero come un secondo padre… cosa ti ha detto? > >
Ecco perché Meyer dava del tu ad Andreas… doveva essere stato una persona importante nella sua vita se lo stesso ammiraglio si preoccupava per lui.
< < Abbiamo parlato dello spettacolo. Nulla di particolarmente interessante > > dissi, facendomi tentare da piccole fette di Sacher.
 
La serata passò e, quando fummo in macchina, nemmeno mi accorsi che era già passata la mezzanotte.
Il suo autista personale non c’era (Andreas disse di avergli dato il consenso di tornarsene a casa prima) e così entrambi sedemmo davanti.
< < Per quanto me ne si dica, il momento migliore di una serata è quando si torna a casa. Tu che ne pensi Gerda? > >
Quasi non lo stavo ascoltando, rapita da una magnifica Volkswagen scintillante che stava facendo salire la più bella coppia che avessi mai visto in quel momento.
< < Cosa? No… no, io preferisco l’inizio invece… i preparativi… > >
Mi girai alla ricerca di quell’uomo e quella donna che facevano aspettare i servitori baciandosi sotto un ombrello nel mezzo del marciapiede.
< < Che c’è Gerda? Hai dimenticato qualcosa? > >
Tornai seduta comoda, vedendo che Andreas mi guardava con sguardo divertito.
< < Perché non facciamo una passeggiata invece di tornare subito a casa? > >
Era troppo tardi per me per fare una richiesta del genere, ma verità era che volevo stare con lui, sola con lui. I miei genitori mi avrebbero punita sicuramente, però non potevo non cogliere quell’occasione.
< < Piove… potresti rovinare il vestito > >
Mi guardai la pelliccia, e in un attimo la tolsi; la buttai nei sedili posteriori e presi una giacca che probabilmente aveva lasciato lì poco prima.
< < Ti dispiace? > > dissi, indossandola.
Lo vidi sorridere mentre mi guardava mettere la sua giacca verde da lavoro; scesi dalla macchina, scoprendo che non stava piovendo affatto. In compenso però, il freddo penetrava fin nelle ossa.
Mentre mi scaldavo le mani guardando se l’orlo del vestito toccava terra, sentii la sua portiera aprirsi e chiudersi, e in pochi passi fu accanto a me.
< < Sicura di non avere freddo? > >
Mi strinsi nelle spalle, affondando nella sua giacca: subito un profumo familiare mi avvolse.
< < Camminando lo sentirò di meno > >
Andreas mi mise un braccio attorno alle spalle, stringendomi al suo petto; piano piano iniziammo a camminare tra le vie sorprendentemente deserte del centro città.
< < Dove vuoi andare? > > mi chiese dopo un po’.
< < Non lo so… non so neanche più dove siamo > >
Camminammo così tanto che arrivammo quasi vicino al palazzo del Reich, o almeno così era sicuro Andreas; con il buio fitto non riuscivo più a distinguere le vie.
< < Ci vengo ogni mattina qui, la conosco come le mie tasche questa strada > >
Mi guardai intorno e mi accorsi che avevamo imboccato un viale: piccoli alberelli spogli alternati a panchine segnavano il percorso, mentre i lampioni illuminavano in modo scarso il marciapiede. Tutta l’atmosfera, complice il silenzio, sembrava completamente surreale. Dov’era finita tutta la gente? Possibile che fossero tutti a dormire con quello spettacolo proprio fuori dalla loro porta?
Un violino gracchiava stonato da qualche parte di quel viale, e colse subito la mia attenzione.
< < Lo senti? > > dissi ad Andreas.
Lasciai la sua mano, addentrandomi nel buio di una stradina; quando fui abbastanza vicino al musicista, questo interruppe bruscamente la canzone. Mi guardai attorno con più attenzione, e notai un fagotto che cercava di nascondersi nell’ombra.
< < Non avere paura, non voglio farti del male… volevo solamente ascoltare la tua musica… > >
Mi avvicinai ancora di più, quando qualcuno mi trattenne da dietro.
< < Stai attenta > >
Tirai un sospiro di sollievo quando vidi gli occhi azzurri di Andreas illuminare il buio.
< < Stai tranquillo > >
In quel momento una luce nel palazzo a fianco si accese, illuminandoci tutti e tre: riuscii a scorgere la figura che si nascondeva tra le vesti. Era una donna. Una donna estremamente familiare, ma non riuscivo a ricordare chi potesse essere.
< < Sta bene? Ha bisogno di qualcosa? > >
Mi avvicinai con cautela alla donna e, spostando la grande sciarpa che le copriva quasi interamente il viso, riuscii a sfiorarle le guancie: erano gelide.
Presi la borsetta e l’aprii, dandole tutto quello che avevo.
< < Prenda. Serve più a lei che a me > >
La donna fece segno di no con la testa, ma io insistetti; alla fine accettò, conservando il denaro in una tasca del suo grande cappotto.
< < Grazie > >
Appena udii la flebile voce della donna, la sensazione di deja-vù ritornò prepotente: l’avevo riconosciuta. L’accento austriaco, gli occhi scuri.
< < Lei è… lei era un’insegnante di violino per caso? Alla scuola di musica di Charlottenburg? > >
La donna sbarrò gli occhi, guardandomi sorpresa.
< < Sapevo di averla già vista, mi ricordo delle sue esibizioni a teatro. Ma come… come ha fatto ad arrivare qui? Era così brava > >
La donna sembrò affondare ancora di più nei suoi stracci, mentre cercava di rispondere.
< < Licenziata… troppo vecchia per lavorare... in poco tempo ho perso tutto e non ho nemmeno i soldi per tornare in Austria… voglio essere lasciata sola. > >
Mi girai verso Andreas che stava in piedi dietro di me, impassibile.
< < Non ha un marito? Un parente? Possiamo aiutarla noi… > >
La donna scosse violentemente la testa, in segno risoluto.
< < Tutti in Austria > > disse, semplicemente.
Mi inginocchiai e posai una mano sulla sua spalla, in segno di conforto. Appena si mosse per soffiarsi il naso, notai il manico del violino accanto a lei.
< < Le prometto che tornerò ad aiutarla. Lei potrebbe farmi un favore? > >
La donna mi guardò un po’ in cagnesco, in attesa della mia richiesta.
< < Potrebbe suonarmi un pezzo di Schubert? Era così brava a scuola… mi incantava > >
Gli occhi della donna scintillarono, come se all’improvviso non sentisse più il freddo e la fame; si girò e prese il violino con gesti sicuri. Io la salutai con un cenno e tornai sui miei passi con Andreas.
< < Credo che quella donna voglia essere lasciata sola > > disse, mentre le note ci accompagnavano.
< < Come fai ad abbandonarla? Un biglietto per l’Austria per quanto possa costare non varrà mai più della sua vita, Andreas. Non hai compassione per lei? > >
Ci fermammo, seguiti ancora dalle malinconiche note di violino.
< < Succede Gerda. Questo non vuol dire che non mi dispiaccia per lei, ma Berlino è piena di barboni. Non possiamo aiutarli tutti > >
Sospirai, sedendomi su una panchina ghiacciata. Quanto durava quella canzone? Tre, quattro minuti?
< < È triste che abbiamo perso l’abitudine di guardare le stelle la notte > > disse Andres, < < È come se mi riportasse indietro di anni. Stesso posto, stessa persona eppure tutto è cambiato > >
Lo guardai mentre osservava il cielo, e nel giro di qualche minuto sembrava aver perso ogni corazza, ogni protezione.
< < Lo faresti un ballo Andreas? > >
Lui mi guardò di traverso.
< < Qui. Balleresti con me? > >
< < Gerda, io non so… ballare… > >
Risi, vedendo che per la prima vera volta sembrava impacciato; gli cinsi le spalle, prendendo una sua mano nella mia.
< < Vedi non è così difficile… basta seguire la musica > >
Le note del violino si facevano sempre più lontane, ma il ritmo che stavamo seguendo era quello del nostro cuore.
Ci guardammo negli occhi per un tempo che non seppi definire, chiusa nel suo abbraccio come in una fortezza inespugnabile; seguì il bacio più bello che possa ricordare.
Le viscere sembravano annodarsi ogni volta che lui mi portava sempre più accanto a sé; tutto il resto sembrava annullarsi al tocco delle sue labbra.
Quando mi lasciò dolcemente, sentivo il corpo tremare: era stato più forte di quanto avrei mai pensato.
< < Vorrei portarti a casa con me stasera > > disse, ma il suo sguardo era triste.
< < Ti prometto che arriverà quel giorno in cui le nostre strade non si divideranno più, nemmeno per tornare a casa > >

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Capitolo 12
*** Capitolo XII ***


15 Maggio 1939
 
Caro diario,
sono cambiate così tante cose dall’anno scorso. I tempi corrono così velocemente che mi accorgo solo all’ultimo dei cambiamenti nella vita di tutti i giorni. Proprio qualche giorno fa sono venuta a sapere che molti cabaret verranno chiusi definitivamente; mi chiedo se anche il Jockey Bar possa fare la stessa fine.
Sono passati più di sei mesi da quando ho incontrato Andreas; circa un mese fa, di ritorno da un viaggio, mi portò in regalo un bellissimo carillon da tasca con incise le mie iniziali sul coperchio.
Mi ha promesso che non ci sarà ancora molto da aspettare: questa settimana ne parlerà con il suo capo, poi si potrà organizzare tutto. Il matrimonio. Il mio matrimonio!
Quasi stento a crederci; se un anno fa mi avessero detto che sarei stata la moglie di Andreas, li avrei presi per pazzi, ed invece eccomi qua.
Mi sento come un uccellino sul ramo nelle prime giornate di primavera; mi sento così viva e felice come non mai…
  
Il rumore degli stivali da lavoro rimbombavano per la via quasi deserta del quartiere del centro; era l’ora di punta, ma se si sapevano scegliere le strade giuste Berlino riservava sorprese inaspettate.
Andreas si era vestito con la sua divisa migliore per andare a incontrare von Osten, deciso finalmente a parlargli del matrimonio con Gerda.
Non succedeva spesso, ma nonostante non avesse un appuntamento ufficiale (era prevista una riunione per quella mattina), sentiva di essere nervoso per quello che avrebbe potuto rispondergli.
Appena svoltò e imboccò la via principale, Wilhelmstraße si presentò pulita e ordinata come ogni mattina; salutò con la mano le guardie all’entrata del Prinz Albrecht Palais e mostrò il suo cartellino.
Dopo il controllo del portiere il soldato si diresse al terzo piano dello stabile, dove erano ubicati gli uffici delle SD, i reparti della sicurezza; al piano terra si trovavano invece i reparti della Gestapo, e al secondo piano gli uffici delle SS.
Da quando era stato trasferito, Andreas non riusciva ancora a sentirsi completamente a suo agio dentro quel posto, abituato alla familiarità dello stabile vicino al Tirpitzufer dove lavorava prima.
Sembrava di essersi tuffati nella vasca degli squali, dove erano pronti a mangiarsi l’un l’altro pur di arrivare al potere. Ma tutto questo era ben chiaro ad Andreas: tutti quegli anni di lavoro dovevano pur portarlo da qualche parte, e soprattutto non avrebbe mollato facilmente.
Quando entrò nella stanza delle riunioni notò che quasi tutti erano già seduti ad aspettare von Osten e il suo braccio destro, Müller; prese posto lui stesso vicino a dei suoi colleghi.
Aleggiava un’atmosfera nervosa, quasi competitiva: tutti sapevano che il capo stava per svelare un’importante notizia, e che tra di loro ci sarebbero stati dei prescelti per far parte della squadra personale di von Osten.
Alle nove spaccate il capo e i suoi seguaci entrarono silenziosi nella stanza, e senza perdersi in chiacchiere, iniziarono a snocciolare una serie di nomi.
< < Questi possono restare. Gli altri sono pregati di lasciare la stanza. > >
Andreas vide tre quarti dei soldati presenti alzarsi e andarsene, alcuni borbottando piano; quando se ne furono andati notò che erano rimasti in tre.
< < Voi siete i soldati scelti per entrare nella mia squadra di protezione. Lealtà, coraggio e determinazione sono le cose che vi saranno richieste; siete tra i migliori soldati di tutta la Germania, mi aspetto che lo rimaniate per lungo tempo. > >
Dopo un piccolo momento di silenzio in cui von Osten e Müller parlarono tra di loro a bassa voce, quest’ultimo iniziò un lungo discorso.
< < Il Führer sta progettando di occupare la Polonia questo autunno. Naturalmente il nostro lavoro di spionaggio lì sarà assolutamente indispensabile. Ci potrebbero essere insurrezioni da parte dei polacchi, attentati in ogni momento. Il vostro compito sarà quello di scortare noi in completa sicurezza. Per ora non c’è altro da aggiungere. Complimenti soldati. > >
Un piccolo applauso si levò tra i presenti, e piano piano la stanza si svuotò; Andreas aspettò paziente fuori dalla porta, cercando il momento giusto per conferire con il capo.
Dopo svariati minuti decise di entrare, bussando cortesemente alla porta: dentro vi trovò inaspettatamente solo il braccio destro di von Osten.
< < Perdoni la scortesia… dovrei parlare con von Osten, è una questione che non richiederà più di qualche minuto > >
L’ometto alzò la testa, guardando Andreas come se l’avesse visto solo in quel momento.
< < Mi dispiace soldato Lehmann, ma il capo è molto impegnato. Tra qualche ora deve essere fuori Berlino, e temo che sia già andato > >
Andreas sentì una fitta allo stomaco, deluso da sé stesso: sapeva che quello era il momento migliore per farlo sapere al capo, ma Müller sembrava non volesse farglielo incontrare.
< < Ripasserò un’altra volta allora > > disse, avviandosi verso la porta.
< < Oppure > > disse l’ometto mellifluo, < < Puoi dire a me. Posso farlo sapere a von Osten da parte sua, se è importante > >
Andreas si fermò, incerto sul da farsi: doveva fidarsi di quell’uomo? In fondo doveva solo fargli sapere del suo matrimonio con Gerda. L’aveva vista, ci aveva parlato.
< < D’accordo. Volevo informarla che sono intenzionato a sposarmi > >
Vide una strana espressione sul viso dell’ometto, come se avesse ricevuto un’improvvisa cattiva notizia; decise di scacciare quel pensiero, dando la colpa al nervosismo.
< < Beh… congratulazioni. Chi sarebbe la fortunata? > >
< < La signorina Pfeiffer, signore. L’ha vista parecchie volte al mio fianco ad occasioni ufficiali > >
Müller sembrò rifletterci sopra prendendo il mento appuntito tra le dita.
< < Ah si, ora ricordo > > disse, sventolando la mano con sufficienza, < < Certo. Lei è sicuro della decisione che ha preso? > >
Andreas mantenne la calma, serrando la mascella.
< < Sicurissimo > >
< < Beh caro Andreas, > > disse, chiamandolo improvvisamente per nome, < < la vita non è così semplice. Quella cara ragazza dovrà passare vari esami prima di poter sperare di diventare tua moglie, ora che sei passato ad un grado più alto. E sono costernato nel dirti che probabilmente non li passerà > >
Andreas sentì una fitta al petto appena Müller finì di pronunciare le ultime parole.
< < Insomma, non pensare che non passiamo in rassegna le vite dei nostri dipendenti, soprattutto degli ultimi arrivati. La ragazza… si… > > si girò, prendendo dei fogli da un cassetto stracolmo, < < la ragazza presenta delle mancanze dal punto di vista fisico caro Andreas > >
Chiuse gli occhi, serrando i pugni dietro la schiena; l’avevano seguita? Pedinata? Immaginava che non sarebbe stato facile, ma mai che non avrebbero accettato il loro matrimonio.
< < E proseguendo… la famiglia appare benestante, nonostante si siano quasi ridotti al lastrico alcuni anni fa. La signorina è una… commessa… > >
Müller si tolse gli occhialetti guardando Andreas con serietà.
< < Mi dispiace deluderla, ma ora che è entrato nella nostra squadra, lei è diventato un membro dell’elite. È giovane e rappresenta al meglio il prototipo che Il Führer vuole per la sua gente. Lei potrà diventare un esempio da seguire, e per questo si deve circondare di persone giuste. A partire dalla sua futura famiglia > >
Andreas iniziò a essere insofferente alle parole di quell’uomo.
< < Vorrei discuterne con von Osten se non le dispiace. Gerda è di famiglia tedesca, non ha nulla che non va > >
Müller si mise a ridere, inforcando di nuovo gli occhialetti.
< < Ma allora non hai capito! La ragazza non è fisicamente conforme. Capelli scuri, troppo bassa… . Non ti puoi presentare con una donna così come moglie, tu che sei così… perfetto > >
Andreas si sentì colpito nell’orgoglio, come se gli avessero portato via qualcosa di importante, di nuovo.
< < Le assicuro che Gerda… > >
< < Sarò sincero con te. Sono sicuro che sarai dispiaciuto, ma sei un soldato e bisogna rispettare le regole. Creare famiglie puramente ariane è il nostro grande obiettivo, e supera di lungo un’infatuazione per una giovane ragazza. Quando ti sarai ripreso, voglio farti conoscere la mia segretaria. È qui fuori, è gentile e perfetta sotto ogni aspetto; ti prego di prenderla seriamente in considerazione, data anche l’importanza dell’incarico che ti è stato affidato > >
Andreas rimase impietrito, sconvolto dall’esito di quella conversazione: era entrato per chiedere del matrimonio con Gerda, e ne stava uscendo greve di un appuntamento con una donna sconosciuta.
< < Ora, parlando di cose più serie… essendo un membro delle SD, e collaborando con una squadra di SS, le chiederei se potrebbe pensare al fatto di indossare una nuova divisa. Naturalmente dovrà passare alcuni test, vedremo anche come si comporterà in Polonia, ma l’ammiraglio Meyer mi ha parlato così tanto di lei e ne sono rimasto così colpito… lei ha un grande futuro davanti > >
Andreas sentiva la testa pulsare, piena di tutte quelle nuove notizie a cui doveva trovare una soluzione il prima possibile, che quasi non fece caso al ritorno al lei che gli aveva dato Müller.
< < Signore, le chiederei del tempo per rifletterci sopra. Sono comunque onorato della sua offerta, come soldato > >
Un sorrisino compiaciuto apparve sul viso dell’ometto, che si alzò in velocità per congedare Andreas.
Quando il soldato uscì dalla porta gettò una rapida occhiata a sinistra, incrociando lo sguardo di una ragazza biondissima e dagli occhi color zaffiro; le sue iridi sembrarono illuminarsi, mostrando infine una fila di denti bianchi e perfetti.
Andreas le rivolse solo un leggero cenno col capo, sentendo morire qualcosa dentro di sé mentre si allontanava da quella stanza: come avrebbe fatto a dirlo a Gerda? Alla donna che amava?

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