I volti del fuoco

di Applepagly
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Prima parte - Missioni ***
Capitolo 3: *** Prima parte - Memoria ***
Capitolo 4: *** Prima parte - Guai ***
Capitolo 5: *** Prima parte - Sorridere e sciogliersi ***
Capitolo 6: *** Prima parte - Allontanarsi ***
Capitolo 7: *** Prima parte - Colori ***
Capitolo 8: *** Seconda parte - Il bambino ***
Capitolo 9: *** Seconda parte - Ordine ***
Capitolo 10: *** Seconda parte - Eroismo ***
Capitolo 11: *** Terza parte - Cambiare ***
Capitolo 12: *** Terza parte - Prigionia ***
Capitolo 13: *** Terza parte - Verità? ***
Capitolo 14: *** Terza parte - I volti del fuoco ***
Capitolo 15: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Rainbow S.r.l.; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
 
 
Prologo
 

 
  Mosse qualche passo, appoggiandosi al muro.
Era ormai sfinita; ed era stato tutto inutile. Non aveva riacquisito i suoi poteri, anzi, forse non li avrebbe mai avuti indietro.
Continuò a vagare per le vie della città, fino a che non scorse delle creature d'ombra. Le si mozzò il respiro; cosa ci facevano, lì?
Sky...
Prese a correre, disperata, sperando di aver torto a pensare che fossero là per lui; ma, ad ogni falcata, quella consapevolezza s'insinuava sempre più nella sua mente.
Il terrore strisciava silenzioso man mano che lei si avvicinava a quel luogo, quel luogo da cui sentiva provenire un tacito lamento; e, forse, avrebbe urlato straziata dal dolore, se quel che vide non le avesse strappato anche l'ultimo briciolo di forza.
  Si accasciò al suolo, accanto al corpo esanime di Sky, il suo bel principe azzurro; quello delle fiabe, quello che proteggeva sempre la sua principessa; lo stesso che, alla fine del racconto, trovava il modo di rendere felice la sua dama. Sempre.
Allungò la mano, scostando una ciocca chiara dalla fronte di lui. L'attenzione corse al petto del giovane, la tuta dilaniata ed impregnata di un rosso vivido, che quasi avrebbe fatto sfigurare i capelli di lei.
Perché?
Intrecciò le dita sottili a quelle del biondo, ricordando la prima volta che si erano incontrate timidamente, in una danza, come fanno due amici che sanno di non essere solo amici.
E' colpa mia.
Ed era colpa sua, sì.
Era colpa sua se Magix riposava in un sonno eterno; colpa sua se un potere così pericoloso era finito nelle mani sbagliate. Non avrebbe mai dovuto svegliarsi così tardi, quella mattina: non avrebbe fronteggiato Knut, andando al parco, e non avrebbe incontrato Stella; non avrebbe scoperto i propri poteri.
In quel modo, non avrebbe mai saputo nulla, di fate e streghe, che andasse oltre i libri che leggeva e alla sua fervida immaginazione. No, lei avrebbe dato una mano a sua madre in negozio ed avrebbe continuato la sua vita di tutti i giorni.
Perché non è andata così?
La risposta stava in quel cadavere che Bloom stringeva a sé.
Perché sono solo una sciocca; ecco perché.
Sky era morto aspettando lei, aspettando che lei tornasse dal lago di Roccaluce, che ricorresse all'aiuto di una ninfa, anzi, al fantasma di sua sorella.
Ma sua sorella non c'era. Bloom non lo sapeva ancora, ma era finito il tempo delle ninfe, il tempo di Dafne.
Patetica.
Strinse i pugni. Davvero aveva creduto che bastasse quello?
La Fiamma del Drago non sarebbe tornata con due parole magiche pronunciate da una creatura che viveva di ricordi.
Si alzò, a capo chino. Cosa doveva fare? Tornare ad Alfea? Tornare a Gardenia?
Ovunque fosse andata, non avrebbe fatto altro che calamitare dissenso e rancori, tutti l'avrebbero additata; e, d'altronde, come poteva biasimarli? Aveva causato una disgrazia indelebile.
No, questa volta doveva sbrigarsela da sola, senza Stella, senza le Winx né Faragonda; senza nessuno che corresse l'ennesimo rischio per lei.
Sarebbe andata alla ricerca di qualcuno, qualcuno di cui aveva letto sin da piccola e di cui aveva sempre dubitato; fino a quel momento, almeno. Perché quella era la sua ultima possibilità, la sua ultima carta da giocare.
Diede un ultimo sguardo a quel ragazzo che era morto per lei. Una sola lacrima le rigò una gota.
Addio, Sky.
Poi volse gli occhi al cielo e si accorse della nube scura, dipintasi al posto dell'azzurro delle giornate serene; una nube che portava con sé e in sé tutto il male che era capace di provare il mondo.
Un forte boato la fece rinsavire dai suoi pensieri; uno scoppio ed una luce che provenivano da Alfea.
La battaglia imperversa.
  Si decise ad andare, a seguire quei sentieri che portano ai meandri più profondi della terra, nel buio e nel freddo; lontana da Magix, lontana da tutti.
 

 
 
Noticine:
Sì, il prologo è breve, ma mi rifarò con i capitoli successivi.
Ciao, ti ricordi di me? Forse no, ma non importa: sono tornata con una nuova avventura che ho iniziato a progettare circa un anno fa e che mi è possibile pubblicare perché, beh, la scuola è tiranna e non promuove iniziative in favore delle Winx.
Ad ogni modo, ho ucciso Sky e sogno di farlo da quando ero piccola... ma non pensare che questo omicidio dipenda esclusivamente dalla mia antipatia nei confronti del principe azzurro, perché la sua morte era necessaria ai fini della trama. Ho sempre creduto che, se Bloom non avesse riacquisito i suoi poteri, le cose sarebbero andate diversamente.
Ah, non voglio anticipare nulla, ma la storia sarà divisa in tre parti: le prime due vedranno i nostri protagonisti in azione gli uni lontani dagli altri; la terza sarà la reunion, il Club riunito, insomma... la battaglia finale.
Come ultima cosa, volevo dirti che dovrei pubblicare un nuovo capitolo ogni martedì, perciò se ti ho incuriosito magari passa a dare un'occhiata!
Che dire? Spero ti possa divertire!
TheSeventhHeaven 

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Capitolo 2
*** Prima parte - Missioni ***


 


Prima parte -
Missioni
 
 
  Era stata posta di guardia a quella stanza, la giovane Vera. Un po' la seccava, stare lì.
Era passato qualche anno dall'ultima volta che aveva attraversato quei corridoi angosciosi; angosciosi per lei, almeno.
Sin da quando era bambina, l'aveva sempre affascinata il pensiero di frequentare una scuola per fate, una scuola dove avrebbe imparato a controllare la magia. Fantasticava su come sarebbe stato attraversare le ali del castello facendo comparire ogni genere di cosa, trasformandolo in ciò che più le aggradava, compiendo gli incantesimi più disparati...
Ma Vera era subito apparsa... strana. Lei non aveva mai dato dimostrazione di possedere alcun potere magico e, se inizialmente i suoi genitori non si erano preoccupati più di tanto, col passare degli anni divenne un problema sempre più evidente.
E, in effetti, sarebbe stato un grande disonore avere un membro come lei, per la sua famiglia.
" Vera non riesce neppure a far levitare un bicchiere! Credi ancora che abbia qualche dote?"
Scosse forte la testa, scacciando quei cattivi ricordi. Si appuntò una lunga ciocca scura dietro le orecchie, sbuffando appena.
« Non sapevo che Fonterossa accogliesse anche ragazze » fece l'altra ragazza, richiamando la sua attenzione.
Vera fece spallucce, ridendo. « Il buon vecchio Saladin mi ha dato la possibilità di fare un tentativo come maga » ricordò, evitando di ammettere di avere solo avuto la fortuna di essere sua nipote.
« Capisco. Hai idea di cosa possa essere custodito qui, di tanto prezioso? » le chiese l'allieva di Alfea.
Il tono di voce calmo ma incredibilmente freddo, la curiosità scientificamente morbosa con cui poneva le sue domande... sì, le era proprio simpatica, quella Tecna.
« Non saprei » ammise. « I segreti di questa scuola li conosce solo Faragonda. Per il breve periodo in cui ho studiato qui, sono stata un disastro totale, perciò dubito che avrebbe rivelato qualcosa del genere proprio a me »
Lei parve riflettere. A Vera piaceva il suo modo di analizzare accuratamente ogni singolo dettaglio: prestare attenzione ai termini usati, al perché di quelle scelte lessicali; perfino la loro posizione, in una frase, poteva conferire un significato nascosto.
Persone così, pensava, erano formidabili; però si facevano troppi problemi, spesso.
« Di certo si tratta di qualcosa che potrebbe tornare utile al nemico » considerò la fata, volgendo lo sguardo alla finestra. Proprio in quel momento, una creatura d'ombra veniva disintegrata dal dardo di un arciere. « Ma non capisco la necessità di conservarlo proprio ad Alfea, se potenzialmente pericoloso »
« Sono tante, le scelte senza senso della vostra preside » rise l'altra.
Tecna la guardò, interrogativa. « Cosa vorresti dire? »
« Beh... » sospirò « Faragonda sembra sempre un pozzo di sapere, alle studentesse; e in parte lo è, ma... ciò che tutti si dimenticano troppo spesso è che rimane pur sempre una persona, che come le altre commette errori di calcolo » concluse.
« Senza dubbio. Però stiamo parlando di una donna che ha una vasta esperienza in tutto ciò che concerne la magia » affermò Tecna. « La sua decisione avrà dietro un motivo ben preciso »
Mentre rimuginava sulle ragioni della compagna, la fata avvertì una presenza ostile. Non avrebbe saputo come descriverla; in genere, quel "sesto senso" era peculiarità di Bloom.
Chissà dov'è...
« Lo senti anche tu? » chiese, in guardia. « Il nemico »
L'altra scosse la testa, perché non aveva mai avuto quel tipo di dono. « Io non sento nulla, Tecna » strinse il manico dell'alabarda che aveva con sé.
Stava di fatto che un terribile olezzo di malvagità si stava avvicinando e Tecna era già pronta a balzare addosso alla nuova venuta, se quella non fosse stata Flora.
Vera tirò un sospiro di sollievo, andandole in contro. « Cosa ci fai, qui? »
La fata dei fiori le sorrise, placida. « Volevo accertarmi che steste bene... »
« Ah, davvero? » fece la sua compagna di scuola, scettica. « Mi pareva che le direttive fossero diverse, Flora»
« Lo so, » le si avvicinò, scrutando la porta dietro alle sue spalle. « ma mi è stato detto di venire a controllare che le Trix non fossero già arrivate. Tecna... ti direi mai una bugia? »
Lei non seppe come rispondere. Perché, no, Flora non le avrebbe mai detto una bugia, però...
Fidati, una buona volta.
« Ti credo » annuì infine. Eppure... ancora sentiva quel puzzo di oscurità di prima. Forse, essere stata a lungo contatto con le creature d'ombra produceva quegli effetti.
« Meno male! Sentite... » riprese Flora. « Penso che sarebbe meglio aspettare i nemici dentro la stanza. Stando qui fuori, daremmo nell'occhio »
« Non ha tutti i torti » ammise Vera, tracciando uno stemma sul legno della soglia, che la fece momentaneamente dissolvere.
Le lasciò passare, ma rimasero tutte e tre piuttosto deluse dal locale che le accolse. Era una sorta di sgabuzzino, troppo piccolo per custodire qualcosa di molto importante.
« Ma è uno scherzo? » fece la guerriera, confusa. Si guardò attorno, valutando le crepe sul soffitto e la carta da parati ingiallita.
Ad un tratto, un cigolio sinistro risuonò grave; e, prima ancora che potessero domandarsi cosa stesse accadendo, una botola si spalancò sotto i loro piedi, catapultandole in uno stanzone buio.
« Tutto questo non mi convince » borbottò la Specialista, massaggiandosi la schiena. Era stata una caduta piuttosto dolorosa. « Che significa? »
« Significa che quel che c'è qui è ben più importante di quanto credessimo » affermò Tecna. Ma che posto era mai quello? « Avresti una torcia? »
« Noi Specialisti ne abbiamo sempre una » gliela porse, rialzandosi. La vide manovrare quell'aggeggio per un po', fino a che lo stesso non rischiarò buona parte dell'ambiente.
« Ci vorrebbe Stella, per questo » scherzò. « A proposito, Flora, sta ancora combattendo? »
Quella non rispose; era come ipnotizzata da uno... specchio. Incuriosite, le altre due si avvicinarono al piedistallo su cui lo stesso era posto.
Le superfici riflettenti erano cinque, piccole e di forma ovale, eccezion fatta per quella che risiedeva al centro, circolare; erano disposte come a formare la sagoma di un fiore. « E' molto bello » asserì Vera. « Però è... strano. Non riflette nulla »
Era questo, ad aver colpito Flora? Tecna la osservò bene, e colse un guizzo ambiguo, nei suoi occhi smeraldini. Decise di dar voce ai suoi pensieri.
Le posò una mano sulla spalla. « Flora, stai bene? »
Di nuovo, lei non rispose. Lentamente, voltò il capo; e subito fu chiaro il motivo del suo strano comportamento.
Perlomeno significa che ho anch'io il "sesto senso".
« Tu... » sussurrò la fata. « Tu non sei Flora »
Il viso di quella si piegò in un sorriso agghiacciante, che mise in allarme anche Vera. « Che succede, Tecna?»
« Quella non è la vera Flora » si levò in aria. La scusa con cui si era presentata da loro, la sua idea di abbandonare il posto di guardia... « Avrei dovuto capirlo prima »
Scagliò un incantesimo contro l'impostora, mancandola di poco. « Dammi una mano, Vera! »
La falsa Flora riuscì ad evitare anche gli attacchi successivi, dando il via ad un vero e proprio inseguimento per quella stanza che pareva quasi immensa; intanto, la Specialista supportava Tecna come meglio poteva, benché non fosse in grado di volare.
Allacciò una corda alla caviglia della nemica, cercando di tirarla a terra; in tutta risposta, questa l'aggredì, rivelando la sua vera natura. Ai lineamenti morbidi e paciosi della fata dei fiori, andarono sostituendosi quelli minacciosi di Darcy.
« Tu sei una delle Trix! » realizzò Vera, lanciando due lacci che s'incontrarono sulla gamba di lei. In un lampo, Tecna riuscì ad elettrificare le funicelle.
Questo stordì momentaneamente la strega, dando il tempo alla sua principale avversaria di confinarla in una rete elettronica. « Bel lavoro! » commentò la mora.
Ma l'altra scosse la testa. « Non è ancora finita »
A riprova di ciò, infatti, Darcy si liberò. Sprigionò un'energia tale da costringere le due ragazze a terra, inermi, come fossero state pupazzi; era un'energia calda e misteriosa, illusoria: l'energia oscura che risiedeva in lei e che ben sposava la Fiamma del Drago.
Questa s'insinuò nelle loro menti, rovesciandole e rivangando tra i ricordi più vecchi, distorcendoli, facendo dubitare le proprietarie della loro veracità.
Era una magia che colpiva la loro integrità e che Vera faticò a sopportare, più di Tecna, perché troppo affezionata al suo passato; spalancò gli occhi e fece per urlare, ma dalle sue labbra non volò alcun suono.
Mentre lei agonizzava sul pavimento, vide l'altra strisciare verso il piedistallo su cui era lo specchio, perché era proprio quello, ciò a cui mirava Darcy. Quel che i presidi avevano ordinato loro di proteggere era un semplice specchio?
In un ultimo, vano, tentativo per impedirle di impossessarsene, Tecna evocò un lampo che abbagliò la strega, fino ad accecarla. Fece per strapparle di mano l'oggetto, ma quella le assestò un colpo che la spedì nel mondo dei sogni.
La vista di Vera veniva sempre meno, tra il tonfo del corpo della compagna, che si accasciava a terra, e le risate crudeli della loro aguzzina.
Alla fine, calarono le tenebre anche sui suoi occhi.
  Quando rinvenne, la prima cosa che Tecna vide furono gli occhi stanchi di Faragonda, nascosti appena dagli occhiali; l'anziana aveva un'espressione corrucciata, a metà tra il preoccupato e il contrariato.
Alla sua destra vi erano Musa e Stella. La ragazza sentì che chiedevano qualcosa alla loro preside, ma le loro parole le giungevano distorte, confuse, come fossero state frutto di un'illusione.
Riconobbe l'ambiente attorno a loro: era il portichetto che dava accesso all'atrio, ma era stato trasformato in un'infermeria improvvisata. « Che cosa è successo? » domandò, tentando di alzarsi dalla barella su cui era stata posta.
Messasi seduta, scorse decine di studenti e studentesse accasciati al suolo, moribondi. Saladin ed alcune fate dai poteri curativi si facevano strada tra quelli, cercando di risanarli o quantomeno di alleviarne il dolore prima che spirassero. Accanto ad un giovane, Flora stava preparando uno strano intruglio di erbe, tentando di rassicurare quel poveretto che, in realtà, sarebbe morto di lì a poco.
Tecna rabbrividì a quella vista. « Che cosa è successo? » chiese nuovamente alle amiche.
« Le Trix hanno teso una trappola a te e a Vera » affermò Musa, grave. « Ora che hanno ottenuto ciò che vogliono, hanno battuto in ritirata insieme ai mostri. Però... non si sono risparmiati »
Adesso cominciava a ricordare. Lo sgabuzzino, lo specchio, la falsa Flora e... « Come ti senti, Tecna? » fece Faragonda.
« Ho un forte dolore alla tempia destra, ma per il resto credo di non aver riportato altri danni » replicò.
Sì; adesso ricordava lo sguardo di Darcy, l'incantesimo oscuro che aveva evocato e che, per qualche istante, aveva riportato alla luce ciò che Tecna non voleva vedere.
« Dov'è Vera? » il potere della strega doveva aver avuto un effetto ancor peggiore sulla Specialista, perché Griffin e le sue allieve stavano attuando una pratica esorcistica attorno a lei, poco distante da loro.
La fata riuscì a rialzarsi e volle andare a vedere.
  Il corpo di Vera giaceva a terra, al centro di un cerchio di sole studentesse di Torrenuvola; queste danzavano, sussurrando sillabe sibilanti e ballerine, come a voler intonare una canzone, che giungeva agli altri inquieta.
Nel mentre, la loro insegnate imponeva le mani sugli occhi della Specialista, chiusi. Nessuna delle Winx aveva mai assistito a niente di simile.
« Sembra piuttosto grave... » realizzò Stella, giocherellando con l'anello che teneva al dito.
Faragonda annuì. « Un incantesimo terribile si è impossessato della sua mente, e ha creato scompiglio. E' molto probabile che ora la sua memoria sia stata in qualche modo danneggiata » spiegò, sospirando. « Anche Tecna ne è stata vittima »
« Ma lei non sembra avere alcuna lesione » contestò Musa, guardando l'amica.
« Questo perché la nostra Tecna sa che i ricordi sono belli, ma... » iniziò l'anziana, zittendosi nel momento in cui la collega dell'altra scuola le andò in contro. Sembrava seccata.
« Abbiamo fatto il possibile, ma le mie allieve sono stremate, e la maledizione è ben radicata nella mente della giovane apprendista di Saladin » disse Griffin. « Sicuramente si sveglierà, però non posso assicurare nulla sulla sua stabilità »
Stabilità...
« Che intende dire? » domandò Tecna, confusa. Nessuno si premurò di darle risposta, così come non lo fecero alle sue domande successive.
Nessuno sapeva dove fossero Bloom e Sky, se le Trix avessero intenzione di tornare, cosa se ne facessero di uno specchio. Però, se aveva ricevuto l'ordine di proteggerlo, significava che gli insegnanti dovevano essere a conoscenza di qualcosa, su quel curioso fiore di vetro.
  « E' un vecchio oggetto che fu affidato alle nostre cure diversi anni fa » spiegò Faragonda, una volta che furono arrivate nel suo studio. Anche Brandon, Riven e Timmy le avevano raggiunte.
« Non abbiamo idea della sua funzione né del motivo per cui quelle tre lo cercassero; sappiamo solo che in qualche modo ha a che vedere con la Fiamma del Drago e che va protetto » continuò, sedendosi. « Per questo avevamo chiesto a te e a Vera di fare la guardia alla stanza in cui era custodito, Tecna »
Lei scosse la testa. « Ha riposto la sua fiducia nella persona sbagliata, per quanto mi riguarda » un po' la infastidiva che stesse girando il coltello nella piaga, seppur involontariamente.
Non era riuscita a proteggere quello specchio, perciò era anche colpa sua se la dimensione magica si trovava in una situazione ancor peggiore.
« Non sentirti in colpa » le sorrise. « Sono stata io l'irresponsabile; ma ora non è il momento di accusarci »
Quindi Vera aveva ragione...
« Non si sa proprio nient'altro su quest'oggetto? » la incalzò Brandon. Anche lui era provato dalla lunga battaglia, sebbene cercasse di non darlo a vedere. « Ve lo hanno affidato così, perché ne avevano voglia? »
« In effetti no. Ci dissero solo che era meglio fossimo noi, a proteggerlo, ma non diedero ulteriori informazioni » raccontò. « Proviene da Zenith »
Tecna si rianimò, a quella notizia. « Zenith? » le sembrava strano che un talismano del genere fosse stato realizzato proprio sul suo pianeta natio. Più che altro, l'aveva osservato bene e tutto le era parso, fuorché di manifattura zenithiana.
« Proprio così. Perciò la mia priorità è quella di recarmi lì appena possibile e cercare di scoprire qualcosa di più » proseguì Faragonda.
« Andrò io » affermò allora la fata della tecnologia, in un tono che quasi non ammetteva repliche. «Conosco molto bene il luogo e le fonti cui è possibile fare riferimento. E poi... »
E poi, in qualche modo, sperava di potersi riscattare. « E' il minimo che io possa fare, signora. La prego, mi lasci andare »
L'anziana esitò. « Non lo so, Tecna »
« Non la deluderò nuovamente » l'anticipò. « Se non si fida, mi affianchi un aiutante per la missione »
Non avrebbe demorso, e Faragonda lo sapeva bene; perciò sospirò, in segno di resa. « Sia come vuoi. Con te verrà il giovane Brandon »
« Che cosa? » domandarono all'unisono Tecna ed il diretto interessato.
« Brandon e le sue risorse saranno preziose alleate per la magia tecnologica » affermò, scrutando il lago oltre la finestra. Il cielo era ancora cupo. « Sono sicura che sarete un valido duo »
Tecna dovette nascondere il suo disappunto. Non che avesse qualcosa contro lo Specialista, ma il suo ruolo appariva insensato perfino a lei, che solitamente era in grado di cogliere motivazioni laddove gli altri non le vedevano.
Perché lui? Perché non un'altra fata? Due ali in più non le sarebbero state scomode; e poi, se proprio voleva appiopparle uno Specialista, perché non Timmy, che senz'altro se ne intendeva più del compagno?
Dal canto suo, invece, Brandon avrebbe preferito restare a Magix e prendere parte all'incarico che la preside assegnò ai suoi compari. Difatti, la sua Stella, Riven e Timmy sarebbero andati alla ricerca di Sky e Bloom, seguiti da una squadra di ricognizione.
« E noi? » fece allora Musa, scocciata. « Io e Flora che facciamo? Ci giriamo i pollici? »
« Calmati, Musa » la ammonì Faragonda. « Voi andate » disse, rivolta al resto del gruppo. Ruppero le righe; chi preoccupato, chi contrariato. Solo la musicista e Flora rimasero.
  « Flora ha in sé poteri che fatico a comprendere » iniziò dunque, attirando l'attenzione della stessa fata dei fiori « La forza che la natura le concede la rende un'ottima guaritrice. I suoi incantesimi non si basano esclusivamente su nozioni apprese, bensì su un richiamo naturale; così come i tuoi »
Musa aspettò che andasse avanti. Tutto ciò le sembrava solo un vano tentativo di rabbonirla.
« Per questo motivo, voi due avete il compito di aiutare Vera nella sua guarigione. Deve recuperare totalmente i suoi ricordi »
« Non capisco... » sussurrò la fata dei fiori. « Insomma... è più urgente che salvare degli amici in difficoltà? »
Faragonda sospirò, esasperata. « Fidatevi se vi dico che una ragione c'è ed è più che valida. Lei ha bisogno di voi, e l'aiuto che potete darle non è da poco »
Musa si sentì ribollire dalla rabbia. Aveva sempre saputo di non essere un elemento di chissà quale importanza, ma adesso... adesso ne aveva avuto conferma.
Uscì dall'ufficio di Faragonda come una furia, accelerando quando si accorse che Flora la stava chiamando. Non aveva la minima voglia di parlare, ora, e men che meno di ascoltare.
 
*
 
  Intanto, Tecna procedeva a passo spedito per i corridoi della scuola, diretta verso la sua stanza. Dietro, Brandon la seguiva, nel disperato tentativo che gli desse retta.
« Dobbiamo partire proprio adesso? » domandava ogni tanto, al vuoto. « Oggi o domani... cosa cambia? »
« Appunto; cosa cambia se partiamo oggi? »
Touché...
Il giovane si arrese. « E come hai intenzione di arrivarci, a Zenith? » fece, fermandosi appena nel piccolo atrio che collegava le stanze delle cinque fate. « Ci vorrà comunque qualche ora, prima che riusciamo a reperire un mezzo, senza contare che le nostre navette sono fuori uso. Ed io devo raccogliere la mia roba »
La ragazza sbuffò; ma quanto parlava? Ecco perché non voleva proprio lui, con sé.
Ma le decisioni di Faragonda non si discutono, perciò...
« Lo farai una volta là » replicò severa, digitando qualcosa su uno strano aggeggio; e, prima che Brandon potesse rendersene conto, erano stati catapultati in un luogo completamente diverso.
« Ma che diamine...? » mormorò infatti, frastornato.
« Questa è casa mia » fece Tecna, con non curanza.
Si guardò attorno e lì per lì rimase un po' deluso; insomma, aveva sempre immaginato Zenith come un pianeta iper tecnologico, addirittura più di Magix, e invece...
Alzò lo sguardo, osservando con insistenza il cielo e domandandosi a che cosa fosse dovuta quella tonalità così scura. Era pieno giorno!
« Qualcosa non va? » domandò lei, aprendo il cancello che dava su un vasto giardino.
« Beh... » cercò le parole adatte. Faceva anche freddo. « Non è esattamente come nella mia mente. E poi... potevi almeno aspettare che salutassimo gli altri! »
Tecna sbuffò di nuovo, facendogli strada. « Il tempo stringe, Brandon. E comunque di certo  non staremo qui a lungo »
Il ragazzo sospirò. « D'accordo, però... » però avrebbe voluto salutare almeno Stella, la sua Stella.
Magari stringerla a sé, inebriarsi del suo ammaliante profumo, passare le dita tra i lunghi capelli di lei... Durante la battaglia avevano avuto pochi momenti per scambiarsi qualche parola, che riguardava comunque Bloom e Sky, per lo più. Non che lui non fosse preoccupato per loro, anzi.
« Cosa sono quelle? » chiese, indicando delle strane aiuole i cui fiori parevano piccole lastre di metallo.
« Oh, quelle? Fanno parte dell'impianto di sicurezza notturno » spiegò, con tono disinteressato. « Sembrano piante puramente ornamentali, ma in realtà creano un campo di forza che respinge eventuali intrusi »
Lui rise tra sé e sé a quel " puramente ornamentali", come se tutte le aiuole fossero così. « Sembra piuttosto efficiente »
« Lo è, infatti. L'ho inventato io » affermò, lasciandolo entrare nella sua dimora. « Sbrighiamoci »
Brandon annuì, ma non fece in tempo a mettere piede nel piccolo atrio, che subito il sorriso di una donna occupò la sua visuale.
Una donna sulla quarantina scrutava lui e la ragazza, accorata; era magra, dalla corporatura così sottile che le sue braccia, coperte appena da un paile, sembravano sul punto di spezzarsi.
I suoi grandi occhi scuri erano incorniciati da una zazzera corta, arruffata, dello stesso colore di quella di Tecna. Tutte quelle caratteristiche gli fecero pensare ad una bambina mascalzona che si era rovesciata il gelato alla fragola in testa.
« Cara, sei tornata! » la sentì esclamare, rivolta a Tecna; subito l'abbracciò, e Brandon si accorse di quanto fosse alta. Al confronto, lui si sentiva un nanetto. « Che sollievo! Sono stata molto in pensiero per te »
« Ehm... » balbettò la ragazza, imbarazzata. « Mi... dispiace »
Lo Specialista ridacchiò: immaginava la madre di quella fata più... beh, come Tecna. Fisicamente la somiglianza era impressionante, ma caratterialmente parevano essere agli antipodi.
Questo pianeta è pieno di sorprese.
« Sono così contenta che tu sia tornata... ho seguito le ultime notizie riguardo quel che è successo a Magix e... » sospirò. « Temevo ti fosse successo qualcosa »
« Sto bene » la interruppe « Però ho un importante compito da svolgere e non ho molto tempo »
« Sì, lo so... tu hai sempre importanti compiti e poco tempo per portarli a termine » la prese in giro. « Ma lui chi è? »
« Oh, lui è Brandon » lo presentò, titubante. « E' un... un... »
Come avrebbe dovuto definirlo? Amico? Erano veramente poche, le persone che Tecna considerava amiche. Un conoscente? Era forse la cosa più vicina alla realtà.
Però non mi sarebbe mai permesso di ospitare una pura conoscenza.
Brandon intuì la difficoltà della fata nel fornire spiegazioni, e salvò la situazione. Certo, forse avrebbe potuto intervenire in maniera migliore. « Sono il suo fidanzato » mentì, ricevendo due occhiate incredule.
« Davvero? » domandò sorpresa la donna, sorridendo. « Cara, mi avevi detto di aver stretto un buon legame con un ragazzo di Fonterossa, ma non immaginavo fosse un così bel giovanotto! »
Lui la ringraziò, mordendosi la lingua per l'idiozia appena commessa. L'aveva sparata grossa.
Tecna abbozzò una risata, rivolgendo però all'altro con gli occhi una stilettata che lui non avrebbe mai dimenticato. « Già... » disse, a denti stretti. « Chi l'avrebbe mai detto...? »
« Come sono contenta! Per quanto vi fermerete qui? » cinguettò, stringendosi nel suo paile.
« Te l'ho detto, ho poco tempo » ribadì la figlia, salendo le scale. « Per qualche giorno, forse. Ah... » si rabbuiò. « Lui... è in casa? »
Sua madre scosse la testa e lei tirò un sospirò di sollievo, seppure impercettibilmente. « Vado a sistemare i miei bagagli » la informò allora.
Quali bagagli?
Brandon la seguì, e nella sua mente si sovraffollarono decine e decine di scuse idiote con cui giustificare la propria demenza.
« Senti... per prima... » iniziò. « Non è che mi voglia approfittare della situazione o che cosa, ma... »
Tecna si voltò, aspettando una spiegazione valida. Lui la osservò bene per la prima volta, e non poté negare a se stesso di trovarla carina, quando assumeva quell'espressione corrucciata.
Ovviamente non regge il confronto con Stella.
« Beh, non possiamo rischiare che qualcuno venga a sapere della nostra missione. Le voci corrono e potrebbero arrivare ad orecchie indiscrete, quindi... » spiegò. In realtà si stava un po' arrampicando sugli specchi. « Ho inventato una scusa »
E, sempre in realtà, non sapeva perché avesse inventato proprio quella. Si aspettava che lei gli inveisse contro anche se, effettivamente, non ricordava di aver mai visto Tecna sbraitare o scomporsi per qualcosa.
Infatti lei soppesò le sue parole, cercando di convincersi che il suo fosse un ragionamento logico. In realtà, era piuttosto turbata: le parole di Brandon l'avevano totalmente spiazzata, e non accadeva molto spesso. Forse era per questo che la preside lo aveva scelto per fare coppia con lei? Per la sua abilità nel sorprendere anche la più imperturbabile delle creature?
E' questo che piace tanto a Stella, di lui?
« ...D'accordo » decretò, aprendo la porta della sua stanza. Che razza di pensieri andava a fare? « Ma niente smancerie »
« Lo prometto! » esclamò il moro, entrando.
  Come sospettava, l'ambiente in cui Tecna alloggiava era... asettico.
Un armadio, un'ordinata scrivania, un letto spartano e svariati apparecchi tecnologici componevano il tutto. Non un poster né qualche fotografia, e neppure la più idiota delle cose che ci si aspettava dalla stanza di una ragazza.
Non sarebbe di certo nel suo stile.
« Adesso mi occupo di... com'è che l'avevi definita? » ridacchiò lei, sfoderando un curioso dispositivo. Uno dei tanti. « Ah, sì. "La tua roba" »
« Grazie... »non sapeva esattamente come comportarsi, con lei. Aveva già oltrepassato un confine che forse non avrebbe dovuto scavalcare; o, almeno, così credeva.
Anche perché, sicuramente, Tecna non provava il benché minimo interesse, nei suoi confronti.
Meglio così.
« Posso sedermi? » le chiese, anche se lo stava già facendo. Trovò il letto sorprendentemente morbido.
« Sì » rispose, distrattamente.
« Posso farti una domanda? » sospirò lui dopo un po', esitando. La vide annuire. « Beh... il ragazzo di cui hai parlato a tua madre e Timmy, vero? »
Lei interruppe quel che stava facendo, diventando paonazza in viso.
Che domanda idiota, ho fatto.
« So che non sono fatti miei, scusa » disse, più in fretta che poté. Non riusciva a combinarne una giusta.
Lei prese a balbettare, tentando di ricomporsi.
« E' solo che... beh... » fece una pausa. Ma perché poi gliene parlava proprio adesso? Non erano fatti suoi e, soprattutto, non era il caso di ciarlare di ciò di cui non era nemmeno sicuro.
Sta' zitto, Brandon. Zitto.
Tecna aspettava che continuasse, trattenendo il respiro. Non sapeva mai come affrontare quegli argomenti, ed aprirsi ad un ragazzo che a malapena conosceva era... illogico.
Ora tu ti tappi quella bocca e la pianti di straparlare. Muto.
« No, no... niente » decise di dare ascolto al suo buonsenso. Qualcosa gli diceva che fosse meglio non dire nient'altro di sbagliato, per quel giorno.
  Lei, d'altra parte, si sentì urtata. Non era una stupida, capiva quando qualcuno le nascondeva qualcosa, e Brandon non sembrava particolarmente abile a mentire.
Era a conoscenza di qualcosa, su Timmy, che lei non sapeva? Quello sarebbe stato più che logico... dopotutto, quei due si conoscevano da più tempo, era naturale...
No, non si trattava di quello... Brandon doveva conoscere qualche verità scomoda che, per un attimo, aveva pensato di rivelarle; poi doveva aver cambiato idea, forse perché la questione era troppo personale, o magari perché avrebbe potuto ferirla.
Ferirmi... da quando in qua importa a qualcuno?
« Sto scaricando i tuoi averi da qui, ma ci vorrà un po' »lo informò lei, riprendendo in mano il suo alambicco, nel disperato tentativo di cambiare discorso. Anche se non poteva negare di essere terribilmente curiosa di sapere che cosa lui si fosse trattenuto dal dirle.
« Non fa niente » disse lui, chinando il capo. « E invece... per la missione... sai già che pista seguire? »
La missione... in fin dei conti, era di quello, che avrebbero dovuto parlare. Missioni, salvataggi, battaglie; quelli erano i loro impegni.
« Sì. Mentre Faragonda raccontava, mi è tornato in mente che negli archivi del palazzo reale sono custoditi file tra i più antichi ed oscuri » fece una pausa, voltandosi verso di lui. « Sono certa che ci verrà consentito l'accesso, data l'urgenza, e poi... conosco qualcuno che potrà aiutarci. Adesso, però, devo mettermi in comunicazione con la preside »
« Certo... vuoi che esca? » domandò. Aveva come l'impressione che l'avrebbe infastidita, restando lì.
« Come vuoi. Mia madre sarà senz'altro lieta di rifilarti la sua torta alle carote, se hai fame » lo disse seria, con il suo solito tono indifferente, ma Brandon la trovò spiritosa.
Ora che ci pensava, sapeva proprio poco, su di lei. Stella ne parlava raramente, se non per dipingerla come un genio informatico o una grande rompiscatole; mentre Timmy... beh, Timmy era un vero idiota.
A Fonterossa nessuno era riuscito a trattenersi dal ridere quando era saltato fuori che lui, il bambinone con gli occhiali, si era preso una cotta per una fata di Alfea. Perfino lo stesso Brandon era rimasto allibito, ma aveva subito tentato di dargli una mano, per quanto potesse.
Poi aveva realizzato chi fosse la fantomatica ragazza in questione, perciò aveva spronato il suo compagno a farsi avanti, dal momento che era più che palese che il suo interesse fosse più che ricambiato.
Ma quel babbeo non si farà mai avanti.
Su Zenith era pomeriggio. Passeggiava per le strade della cittadina rimuginando su quel pensiero, domandandosi perché, in parte, un po' lo sollevasse la consapevolezza che tra Timmy e Tecna non sarebbe mai accaduto nulla.
Non sono fatti tuoi. Ricordatelo, quando ti verrà di nuovo in mente di aprire quel forno.
Svoltò l'angolo e si scontrò con una ragazza.
« Scusami tanto » sorrise, tendendole la mano. La osservò bene e la trovò carina, con quei corti e arruffati capelli color glicine che ben risaltavano sulla sua pelle scura.
Quella gli rivolse un'occhiata truce e saltò in piedi, scansando la mano di lui; e Brandon avrebbe anche trovato la cosa divertente, se non si fosse subito accorto che quella ragazza così carina era in realtà un ragazzo.
« Oh... » ma come diamine aveva potuto scambiarlo per una donna? « Ehm... »
« La prossima volta sta' attento a dove cammini, tappo » lo apostrofò il nuovo venuto, guardandolo dall'alto verso il basso. L'altro non si scompose minimamente.
« In realtà mi pare fossi tu, quello che stava correndo » lo punzecchiò. Alto, mingherlino, dai lineamenti angelici e dalla chioma di una tonalità assurda.
Non so perché ma mi ricorda tremendamente Riven.
Quello non si degnò di rispondere e lo oltrepassò con una spallata, sbuffando.
Ora capisco perché mi ricorda tremendamente Riven.
Brandon continuò il suo giro d'ispezione come se nulla fosse, ridendo ogni tanto al pensiero di quello sbruffone; e fu un'orribile sorpresa rincontrarlo a casa di Tecna.
  « E lui cosa ci fa, qui? » sbraitarono l'uno contro l'altro, additandosi. Si fissarono in cagnesco sotto il ciglio divertito della fata.
« Brandon » sorrise lei. « Questo è Blade. Ci aiuterà a consultare l'archivio di palazzo »
« Non mi avevi detto di avere un rincitrullito, come compagno di missione » ridacchiò lo spilungone, cercando di provocarlo. « Beh, poco importa. Forse hanno fatto bene a mandare un mister muscolo senza cervello insieme a te, Tec »
Brandon rise tra sé e sé appena un rapido guizzo infastidito sul volto della ragazza. Non dovevano piacerle per niente, i soprannomi.
« E tu? » chiese il moro, con un sorrisetto beffardo. « Sarai utile quanto dice lei, o sei bravo solo a parlare? »
Bah, non c'è nemmeno gusto, se sai già come farlo uscire dai gangheri.
Osservando Blade alterarsi si chiese se lui e Tecna fossero amici di lunga data; come poteva lei sopportare un pallone gonfiato del genere?
Quelli così mi fanno solo ridere.
« Finitela, voi due » li rimproverò, prima che potessero avventarsi l'uno sull'altro. « Non vi conoscete da neppure un'ora e già battibeccate? Vi ricordo che dovremo collaborare »
« E allora collaboriamo » sospirò Brandon, lasciandosi cadere su una poltrona del salotto. Guardò la fata di sfuggita, domandandosi se i suoi amici di Zenith fossero tutti così... antipatici. « Qual è il piano, grande Blade? » disse con un tono che colava di sarcasmo.
Quello parve non notarlo. « Non c'è nessun piano. Domani si controllano i file più datati e stop » fece, infastidito.
" E stop". Che Tecna sia l'unica a parlare forbito, su tutto Zenith?
« Detto così è riduttivo » intervenne Tecna. « Blade è uno degli addetti all'archiviazione, perciò ha accesso a qualsiasi dato. Tuttavia, le informazioni di cui siamo alla ricerca sono custodite in aree della reggia in cui non sono ammessi esterni non autorizzati. Ne stavamo giusto discutendo prima »
« Nessun incantesimo può eludere la sorveglianza, a palazzo, anzi... è più corretto dire che nessun incantesimo può andare a buon fine » asserì Blade, facendosi serio. « E ovviamente credo che la vostra missione sia top secret, perciò non se ne può far parola neppure con il re »
" Top secret". Bah.
« Ed è qui che entrano in azione gli Specialisti! » esclamò Brandon, issandosi in piedi. « Vedete, le tute di Fonterossa sono imbarazzanti quanto pronte ad ogni necessità di mimetizzarsi con l'ambiente »
Fece scorrere le dita sul blasone verde che serrava la sua mantella e, sotto gli occhi sgomenti degli altri due, scomparve.
« Ho già detto che nessun incantesimo funziona. L'effetto della tua calzamaglia svanirà non appena metterai piede delle mura del castello » disse lo zenithiano, riprendendosi dallo stupore iniziale.
« Oh, ma non c'è alcun incantesimo » spiegò il moro, ritornando visibile. « È un particolare materiale che imita la peculiare caratteristica dei camaleonti di mimetizzarsi con l'ambiente. La durata dell'effetto è regolabile » anticipò, prima che Blade potesse contestare. « Tecna, basta che tu realizzi una tuta uguale o che ce ne facciamo inviare una da Alfea ed il gioco è fatto »
La fata studiò attentamente la spilla color smeraldo; senza che quasi lo Specialista se ne accorgesse, lei s'alzò e la sganciò dalla veste, lasciando cadere in terra il mantello.
« Ehi! » biascicò quello, imbarazzato. La ragazza non gli diede retta e scannerizzò l'aggeggio con il palmare che aveva tra le mani.
Rimase sorpresa dalle numerose potenzialità di cui disponeva quel blasone: oltre a trasformare la tuta in pelle di camaleonte, essa poteva diventare incandescente senza ardere il corpo ospitante; poteva rendere quasi nulla l'attrazione gravitazionale nel raggio di un chilometro o aumentarla; poteva fare una miriade di cose di cui, come Tecna era pronta a scommettere, più della metà degli Specialisti non era a conoscenza.
« Si può fare » riprese, senza allontanare gli occhi dai dati che fluivano rapidi sullo schermo del suo strumento. « Contatterò Faragonda richiedendo il suo supplemento » informò, spostandosi nella stanza accanto.
I due ragazzi la videro scomparire sulla soglia e ricomparire pochi istanti dopo.
  « Voi due... Che non vi venga voglia di fare a botte. Vi tengo d'occhio »
 

Noticine:
E così, eccoci al secondo capitolo... come va?
Innanzitutto, so che nella sesta serie ( o forse era la quinta?) vengono presentati i genitori di Tecna, ma io ho preferito mostrare sua madre come la immagino, così come Zenith. Insomma, l'ho sempre immaginato come un pianeta in cui la magia tecnologica " c'è ma non si vede".
Poi avrei voluto indicare anche Brandon, tra i protagonisti, visto che spesso la narrazione seguirà il suo punto di vista... ma non importa.
Ci vediamo martedì prossimo, ciao!
TheSeventhHeaven
 

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Capitolo 3
*** Prima parte - Memoria ***


 
Prima parte - Memoria
 
 
  Si era rintanata sull'unica torre della scuola ancora intatta.
Seduta sull'ampio davanzale, faceva dei respiri profondi, nel tentativo di riacquistare un briciolo di calma. Ma, dopotutto, come poteva mantenere i nervi saldi?
Ora aveva la prova di non valere nulla. Sì, avrebbe aiutato quella Vera ha riacquisire i suoi ricordi, ma quanto poteva servire a salvare la dimensione magica?
Mentre Tecna e Brandon si davano da fare per scoprire qualcosa su quello specchio, lei e Flora sarebbero rimaste a marcire tra quelle mura devastate dalla morte, a vegliare su una ragazza che non si sarebbe ricordata neppure il proprio nome, una volta sveglia.
Come poteva, l'altra, vivere serena nonostante la certezza di essere inutile?
E poi, come si può pretendere che noi aiutiamo Vera, se non sappiamo praticamente nulla di lei?
Come se non bastasse, chissà come doveva apparire agli occhi di Riven. Ancora una volta doveva aver fatto la figura di una sciocca ragazzina, così inutile da dover restare a scuola, sotto la protezione dei professori; così inutile da non essere buona neppure a trovare Bloom e Sky.
Eppure la sua magia poteva rintracciare chiunque semplicemente sfruttando il suono; non era forse più adeguata alla missione, rispetto a quella di Stella?
Ma tanto anche se fossi andata con loro, lui non mi avrebbe certo degnata di uno sguardo.
Strinse le ginocchia al petto, digrignando i denti di fronte a quell'amara consapevolezza. Quando aveva inviato la richiesta di ammissione non si sarebbe immaginata di diventare l'allieva buona a nulla, e invece...
« Musa? » era la voce del professor Palladium?
L'elfo le andò vicino, come a volersi accertare che fosse davvero lei. Musa avrebbe tanto voluto che se ne andasse via, ma evidentemente lui non doveva essere molto per la quale.
« Musa, ma che ci fai qui? » le chiese, con tono conciliante. « Può essere pericoloso »
« Sono una fata, me la saprei cavare » rispose, masticando quelle parole. « Al contrario di quel che si può pensare »
Lui rimase interdetto; poi sorrise e si sedette accanto a lei. « Faragonda ci ha raccontato »
Lei chinò il capo, infastidita. Ma che avevano, tutti? Anche lui era lì per rigirare il dito nella piaga e ricordarle di essere un elemento poco valido? « Bene » commentò « Allora vi avrà senz'altro confessato di aver confinato qui noi inetti per evitare di mandare all'aria le sue magnifiche missioni »
L'insegnate scosse la testa, comprensivo. « So che è difficile accettare le scelte della preside, talvolta. Ti confesso che spesso nemmeno io riesco a cogliere le sue ragioni »
« Già... se ogni tanto evitasse di usare mezze parole e si esprimesse chiaramente... » ironizzò la mora, sprezzante. « Cerca sempre di... come dire... pararsi il culo »
« Musa... modera i termini » lui la rimproverò fiaccamente, perché sapeva che lei stava dicendo il vero.
« Mi scusi » borbottò. « Ma è quello che penso veramente. Perfino nel dirmi di farmi da parte ha cercato di rabbonirmi »
Palladium annuì. « Lo immaginavo. Lo fa spesso, ma ignora che alcune allieve possano sentirsi urtate ancor di più, da questo modo di fare »
Ma tanto a lei che cosa importa? Basta che stiamo al suo gioco, no?
« E lei? Che cosa fa, di questi casi? » domandò al professore.
Lui parve rifletterci un po' su. « Io prediligo la verità, bella o brutta »
« E nel mio caso qual è, la verità? » chiese, senza aspettarsi una vera e propria risposta. Credeva che lui parlasse così, tanto per dire.
Perché non aveva mai incontrato qualcuno che dicesse la verità sempre e comunque, per quanto potesse rivelarsi spiacevole; perciò le parole schiette del suo insegnante la sorpreso e la ferirono.
« La verità è che tu sei meno portata per la magia di alcune tue compagne, Musa » ammise, senza mezzi termini. Lei si sentì mancare l'aria. « Sei stata mia alunna per un anno solo, ma mi sono già accorto dell'abisso che c'è, a livello di apprendimento, tra te ed altre »
Musa boccheggiò. Ora capiva per quale ragione tutti le avessero sempre risparmiato la loro sincerità.
« Tu studi e ti impegni molto di più, ottieni risultati eccellenti nelle prove scritte, il che è lodevole » continuò l'elfo. « Tuttavia è evidente che non sei ancora pronta per missioni troppo importanti o pericolose, come non lo è la tua compagna Flora »
Ora è tutto chiaro.
Qualcosa di umido le solcava la gota, e si maledisse quando realizzò che si trattava di una lacrima. C'era sempre quel dannato orgoglio, quell'orgoglio che rendeva tutto più difficile; ma non avrebbe lasciato che Palladium la vedesse piangere.
« Perché? » domandò, tentando di mascherare i singhiozzi. « Perché io e lei siamo inferiori? »
« Oh, è molto semplice, Musa » rise lui, facendo apparire un fazzoletto. Musa saltò in aria per la sorpresa, quando lui glielo porse. « Esistono due tipologie di incantesimi: richiami naturali e artificiali. Ciascuna fata predispone di un richiamo naturale che varia in base alla fata stessa; per alcune, il richiamo è molto forte, animalesco ed istintivo, come il fuoco di Bloom o la luce di Stella »
Mentre il professore spiegava, Musa iniziò a comprendere.
« Per altre ci vuole più tempo, più esperienza »
« Ma perché? » protestò lei, asciugandosi gli occhi. « Io e Flora ci siamo applicate molto di più. Io e Flora abbiamo sempre studiato, abbiamo sempre seguito le indicazioni che ci davate per utilizzare al meglio i nostri poteri! »
« Musa, i vostri poteri sono più complessi! » esclamò Palladium.
" Flora ha in sé poteri che fatico a comprendere... I suoi incantesimi non si basano esclusivamente su nozioni apprese "... Era questo che voleva dire, Faragonda? È per questo che io e lei facciamo più fatica?
« So che è difficile. Anche io ero sempre un passo indietro ai miei compagni, sai? » rise l'elfo. « Facevo tanti sforzi e sacrifici, eppure non ero mai allo stesso livello degli altri »
« Sì, ma poi lei è... come direbbe Flora " sbocciato" in barba a tutti » commentò Musa, calmandosi. « Mentre io... io... »
« Tu devi solo avere pazienza e fiducia » la interruppe. « Pazienza, perché arriverà il tuo momento; fiducia in Faragonda e soprattutto in te stessa. La missione che vi è stata affidata è di vitale importanza, e solo voi due potete occuparvene »
Lei annuì, sentendosi un po' sciocca per aver contestato una decisione che di sicuro aveva le sue ragioni e per essersela presa tanto per un'idiozia del genere. Aveva perfino fatto perdere del tempo a Palladium, con le sue paturnie.
« Dobbiamo avere fiducia e restare uniti, specialmente ora » continuò il professore, scrutando pensoso il cielo scuro. « Due dei nostri allievi sono dispersi e le forze del male gravano su di noi come molto tempo fa... »
Talvolta Musa si chiedeva come fosse in realtà quell'uomo. In alcuni momenti sembrava quasi che una creatura di qualche tipo s'impossessasse di lui, mettendogli in bocca parole di chi aveva già vissuto e visto troppo. Poi tornava l'allegro e timido professore di sempre.
« Ad ogni modo » riprese infatti, voltandosi verso di lei. « È davvero rischioso stare qui ora; e da sola, per giunta! Forza, hai bisogno di mettere qualcosa sotto i denti, dopo quella battaglia »
Lei annuì, alzandosi. Almeno avrebbe evitato di pensare ai suoi amici, che rischiavano la vita per cercarne altri che forse l'avevano già persa.
Non devi neppure pensarlo. Stanno senz'altro tutti bene.
Mentre scendevano, Flora li raggiunse rapidamente.
« Musa! » la chiamò, affannata. Dal suo tono di voce parve allarmata. « Musa, Vera si è svegliata! »
  La ragazza stava seduta su un lettino montato nell'atrio ad occhi vuoti e sgranati, pensando a chissà che.
Flora e Musa si scambiarono un'occhiata preoccupata. « È peggio di quanto ci aspettassimo » mormorò la fata dei fiori, avvicinandosi a Vera. Le poggiò una mano sulla spalla, ma quella non si mosse di un millimetro. « Vera? Vera, mi senti? »
« Non può farlo » la voce di Griffin alle loro spalle le fece trasalire. La donna si avvicinò ad un armadietto, prendendo con sé un flaconcino. « Dev'essere ancora bloccata in uno dei meandri più profondi della sua mente »
« E noi cosa possiamo fare? » intervenne l'altra fata.
« Provare a riportarla qui sarebbe già un inizio » suggerì la strega, allontanandosi poco dopo. Musa la vide dirigersi verso una delle barelle arrangiate nel cortile; vi riconobbe uno dei ragazzi di Fonterossa, quello che combatteva con gli artigli.
« Okay, concentriamoci » iniziò, ponendosi di fronte alla Specialista. « Dobbiamo riportarla qui. Hai qualche idea? »
Flora scosse la testa. « No, io... forse conosco un modo, ma è magia dell'ultimo anno. È un metodo complicato e... non è meglio chiedere a Faragonda? »
« No » ribatté subito, infastidita. «Flora, non importa quanto sia complicato. Dobbiamo provarci, almeno »
Dobbiamo dimostrare di essere all'altezza almeno di questo compito.
La guardò e si accorse di essere stata un po' brusca. « Senti... facciamo un tentativo. Se proprio non va chiediamo aiuto » le sorrise.
Quella annuì, poco convinta. « Sul manuale che avevo letto era scritto che è necessario evocare un potente incantesimo di richiamo che penetri nella mente di colui o colei che si desidera riportare nella realtà. Però esistono svariati modi e... »
« ... La voce » realizzò Musa, sorpresa. « Attraverso la voce possiamo richiamarla »
« Sì, ma dev'essere potente » le ricordò l'altra. « Abbastanza da superare le barriere psichiche che Darcy deve averle imposto »
« Beh, è perfetto » si convinse la mora. « Dobbiamo solo isolare questo posto da rumori esterni. Riesci ad avvolgerci con delle liane o qualcosa del genere? »
Flora si concentrò e all'improvviso delle forti radici iniziarono a ribaltare le mattonelle della sala, con vigore. Una grande pianta prese a svilupparsi attorno a loro, levandole al cielo ed aprendosi poi in ampi petali che si richiusero a cupola sulle loro teste. « Può andare? »
Musa sorrise. Faragonda aveva proprio ragione sulla sua compagna. « È grandioso. Non avresti potuto fare di meglio, davvero » si trasformò e subito dopo tornò a concentrarsi su Vera, cercando di memorizzarne le fattezze.
Chiuse gli occhi.
  Quando li riaprì Vera era ancora lì, seduta e con gli occhi spalancati, ma attorno a loro non c'era nulla, nemmeno Flora. Musa batté le mani ed udì il loro suono riprodursi in un'eco infinita.
Perfetto.
« Svegliati! » gridò, con tutte le energie che aveva in corpo. Il suo urlo rimbombò tra di loro e lei fu rapida a richiamarlo a sé, racchiudendolo tra le dita sottili; poteva avvertirle vibrare, come se la sua voce stesse ancora echeggiando lì dentro e premesse per uscire.
Devo concentrarmi. Devo dimostrare di essere all'altezza.
Chiuse gli occhi di nuovo e si concentrò sulla propria voce, su Vera, sull'energia che sentiva fluire da ogni lembo del suo corpo verso le mani; si concentrò su quello che voleva fare.
Io sono all'altezza.
« Svegliati! » gridò una seconda volta, più forte che poteva. Nello stesso istante separò le mani, liberando quell'eco che aveva racchiuso e che aveva amplificato con la sua magia.
« Svegliati! » continuò ad urlare più e più volte, fino a che non divenne un tutt'uno con le sue grida.
Si sentiva sfinita. Barcollò appena, prima di cadere a terra.
Si rialzò poco più tardi, ma ora era di nuovo nell'atrio, sdraiata a ridosso di una delle radici della grande pianta; alla sua destra giaceva anche Vera, priva di coscienza.
« Oh, Musa! » Flora s'inginocchiò su di lei. « Mi hai fatto preoccupare così tanto... hai iniziato ad urlare e poi... poi ad un certo punto sei svenuta ed è svenuta anche Vera... »
« È tutto apposto. È normale... credo » disse, massaggiandosi le tempie. Non era più trasformata. « Spero solo abbia funzionato perché, beh, ci ho messo tutta me stessa »
E perché sono all'altezza. Devo esserlo.
Cercò di rimettersi in piedi, ma si accorse di non riuscire a muoversi come avrebbe voluto. Erano dunque queste le potenzialità della sua magia? Cosa le sarebbe accaduto, se mai fosse riuscita a sviluppare i suoi poteri fino al massimo?
« Comunque, qualche ora fa ho visto Stella e gli altri rientrare... e mi sembravano piuttosto cupi » continuò l'altra.
« Qualche ora fa? » fece Musa, confusa. « Per quanto ho riposato? »
« Un bel po'. È quasi l'alba e quando vi siete accasciate a terra era primo pomeriggio »
« Accidenti... pensavo fosse stata una cosa rapida... » constatò lei. « E tu sei rimasta qui ad aspettare per tutto questo tempo? Scusami... » mormorò, vedendola annuire.
L'altra scosse la testa, sorridendo. « Non fa nulla, davvero. Preferivo badare a voi che... a chi sta per andarsene » sospirò, con infinita tristezza. « E dalle facce dei nostri amici, dev'essere successo qualcosa di serio. Non volevo altre brutte notizie... anche se detta così suona come una cosa molto egoista »
Oh, Flora... sapessi cos'è il vero egoismo...
« Tranquilla; nemmeno io avrei subito voluto sapere cosa sia accaduto » cercò di rincuorarla. Un movimento davanti a lei catturò la sua attenzione ed identificò la figura che procedeva verso di loro in Faragonda.
La preside avanzava nervosamente, con aria funerea e con uno stuolo di persone dietro di sé. Stella, Riven, Timmy ed alcune guardie di Fonterossa camminavano a capo chino, dilaniate dal dolore.
Che diavolo è successo?
« Ragazze... » iniziò l'anziana, una volta che l'ebbero raggiunte. « Qualcosa di orribile è avvenuto nella periferia di Magix, ormai deserta »
Le due fate cercarono gli sguardi dei loro amici, ma li trovarono vuoti; un po' come quello di Vera quando si era svegliata. I grandi occhi scuri di Stella erano rigati dalle lacrime, e così quelli di Timmy.
Musa si soffermò a scrutare l'altro ragazzo, perché a prima vista sembrava indifferente; ma lei lesse in quell'ostentata indifferenza la sofferenza per la perdita di qualcosa di prezioso ed indefinibile.
« Ragazze... » Faragonda cercò le parole giuste.
« Sky è morto » la anticipò lo stesso Riven, rapido, diretto; come un proiettile.
Oh...
« Abbiamo trovato il suo cadavere nella piazza delle nove Muse » proseguì, avvertendo la gola inaridirsi e il fiato mancargli. Faceva male. « Sono state le creature d'ombra »
Non riuscì ad andare avanti. Si allontanò da loro prima che poté, perché non voleva farsi vedere in quelle condizioni, sebbene sapesse che loro lo avrebbero capito e che non lo avrebbero schernito in alcun modo. No, solo Sky si era sempre divertito a punzecchiarlo, per vendetta.
Ma Sky non c'era più.
  Musa seguì Riven con lo sguardo fino a che non scomparve in cortile. Non lo aveva mai visto così.
« È terribile... » sussurrò Flora, portandosi le mani alla bocca. Nonostante la furia delle Trix avesse già devastato il castello, tutta Magix e chi vi abitava, loro fecero ancora fatica a credere che davvero l'odio di quelle tre ragazze potesse aver portato via un loro caro.
Odio per che cosa, poi? Che cosa abbiamo fatto, noi, a loro?
« E... e Bloom? » domandò la mora. « L'avete trovata? »
Stella scosse appena il capo, senza energia. « È sparita. Abbiamo usato ogni mezzo per rintracciarla, ma è come se fosse in un'altra dimensione, una dimensione lontana » spiegò, rianimandosi appena. « Questo significa che ci sono ancora buone possibilità che sia viva, ma... »
« E se le Trix l'avessero portata con loro? » avanzò l'ipotesi.
Fu Faragonda a rispondere. « È difficile. Bloom ormai era solo un involucro vuoto, ai loro occhi; per i loro scopi non sarebbe servita più a nulla » la donna si avvicinò alla figura esanime di Vera. « Sono sicura che Bloom ha trovato un modo per mettersi in salvo »
Poteva sentirla, sentiva la debole energia della sua giovane allieva rinascere a poco a poco, e sapeva che quando sarebbe tornata sarebbe stata ancor più forte ed incandescente. « Dobbiamo solo attendere notizie da Tecna e Brandon. Poco fa mi hanno richiesto di inviare loro una tuta di Fonterossa » disse, non nascondendo un sorriso.
« Una... tuta di Fonterossa? » fece Musa, incredula. Che cosa stavano combinando, quei due?
« Proprio così » ribadì l'anziana, rimanendo vaga. « In ogni caso, tra poco io, Griffin, Saladin e Codatorta ci recheremo su Eraklion per riportare la tragica notizia ai genitori del ragazzo... saranno gli altri insegnanti, ad occuparsi di voi » soggiunse. « Ah, e ho dato disposizioni per ripristinare la scuola. Stella, Timmy... voi andate a riposarvi. Avete affrontato una dura giornata »
Il ragazzo annuì, uscendo dall'atrio; ma la fata decise di rimanere lì, con le sue amiche. Guardò Faragonda tornare indietro, affiancata dalle guardie, e si chiese come facesse a mantenere la calma, qualunque cosa accadesse. Dopotutto, era appena morto un ragazzo, un ragazzo che tra l'altro era loro responsabilità.
Musa... senti, posso chiederti un favore? » fece alla compagna, flebilmente. Andò a sedersi accanto a lei e Flora, con fatica. « Puoi andare a cercare Riven? »
Musa avvertì qualcosa svolazzarle nello stomaco non appena udì il nome del ragazzo. « Certo... cosa devo dirgli? »
« Non lo so » sospirò l'altra, accoccolandosi su una radice. « Qualsiasi cosa credi possa tirarlo un po' su di morale. È distrutto »
La mora annuì, incamminandosi.
Stella sorrise. Sapeva che nessun altro, meglio di Musa, avrebbe potuto avvicinarlo; perché loro due erano così simili, da un certo punto di vista...
Chiuse un attimo gli occhi e le parve di essere di nuovo a Magix, di fronte al corpo inerme di Sky. Rivedeva se stessa scoppiare in un urlo straziato ed accasciarsi a terra all'idea che la sua amica potesse aver fatto la stessa fine. Ora le girava la testa.
« Stella, ti senti bene? » fece Flora, preoccupata.
« No » ammise. « Ma passerà, forse »
Chi è che diceva che il tempo è la medicina per tutti i mali? Oh, al diavolo. Il tempo non ci ridarà Sky, e se continuiamo così ci porterà via Bloom.
« Voi che avete fatto, intanto? » chiese, dando una rapida occhiata alla maestosa pianta e a quella ragazza che giaceva su un lettino, quella Vera.
L'altra si sentì un po' ferita. Forse aveva inteso male, ma le era sembrato che la bionda insinuasse chissà cosa... o forse...
No, cosa andava a pensare? Come poteva dubitare di lei? Scosse rapidamente la testa, come a voler scacciare quei brutti pensieri.
« Abbiamo cercato di risvegliare Vera. La preside Griffin ci ha spiegato che l'incantesimo di Darcy ha confinato questa ragazza nella sua mente; come se fosse intrappolata nei suoi ricordi » spiegò. « In realtà, ha fatto quasi tutto Musa, infatti era esausta »
« Oh... sembra complesso... » rifletté Stella. Le tre streghe avevano dunque acquisito un simile potere grazie a quello di Bloom? « E ci siete riuscite? »
« Non lo sappiamo. In ogni caso, credo che quando si sveglierà avrà dei vuoti di memoria » sospirò.
Un po' si domandava come avrebbero dovuto agire, per aiutarla nella guarigione. Faragonda aveva parlato di poteri di guarigione ma, oltre a semplici incantesimi di trasmissione, Flora non sapeva fare un granché; senza contare che non sapeva nulla, sul passato della Specialista.
« Vorrei che tutta questa storia fosse solo un brutto sogno » asserì la bionda, piano. « Vorrei svegliarmi domattina e ascoltare Wizgiz che ciarla di un argomento che di sicuro non studierò... vorrei... vorrei ridere, come facevamo prima »
« Lo faremo. Vedrai, tutto si sistemerà e... »
« No, Flora. Non si sistemerà » fece. « Dovremo sistemarlo noi, e anche quando lo avremo fatto le cose non saranno più come prima. Sapremo sempre che un nostro amico se n'è andato, e non voglio nemmeno pensare a cosa possa essere successo a lei, o a Brandon... »
All'improvviso, si sentiva fiacca. Le facevano male gli occhi e il cuore bruciava solo all'idea di venire a sapere che qualcun altro era morto; stava male al pensiero che, qualsiasi sforzo potessero fare, i loro tentativi si rivelassero vani.
« Sai che è in buone mani. È con Tecna » cercò di rincuorarla.
« Già... » mormorò. Aveva bisogno di dormire. « Con Tecna... »
  Si assopì così, pensando a Brandon ed al suo sorriso.
 
*
 
  In quel mentre, Musa era alla ricerca di quell'ombroso e solitario ragazzo che, poco prima, le era sembrato una persona completamente diversa. Ma come poteva fare, per aiutarlo?
Tirare su di morale Riven non era facile normalmente... e non lo sarebbe stato nemmeno in quelle condizioni. Anche lei era addolorata per... per Sky; ma alla fine non lo conosceva neppure.
Non avrebbe saputo come intervenire, da quel punto di vista. Cos'era stato, il principe di Eraklion, per Riven? Un amico? Un fratello? Un rivale? O forse tutte queste cose insieme?
Forse lui ora si sentiva a pezzi anche per questo, anche per il fatto di essersi sempre comportato male con uno che, alla fin fine, lo aveva sempre aiutato, aveva sempre cercato di riportarlo sulla strada giusta. Dopotutto, non era forse per salvarlo, che Sky si era catapultato a Torrenuvola?
Mentre rimuginava su questo sentì dei piccoli passi farsi vicini e poi fermarsi ad un metro da lui. Non alzò neanche il capo per vedere chi fosse. Non ne aveva bisogno.
« Credevo saresti scappato in un posto più isolato » iniziò Musa, sedendosi sul bordo del pozzo.
« Tanto sono tutti morti. Non fa differenza » replicò, asciutto. Lei non si sorprese più di tanto della sua risposta.
Almeno ha cercato di fare un po' d'ironia... è già un buon segno. Però ora io non so come continuare.
Riven aveva l'innato dono di troncare le conversazioni ancor prima che iniziassero; il che, insieme alla scarsa capacità di lei di essere se stessa in sua compagnia, era male.
Ma in quel momento, la fata comprese che non avrebbe mai concluso nulla, se avesse continuato a nascondersi dietro alla timidezza. Perciò decise di fare un tentativo, perché sapeva di essere all'altezza di lui, delle sue aspettative; doveva capirlo anche lui.
« Senti, Riven... »
« Mi dispiace, Musa » la interruppe, a bruciapelo. « Mi dispiace »
Per che cosa?
Attese che continuasse, curiosa.
« Io... sono stato uno stupido. Mi dispiace » ripeté, guardandola negli occhi. « Io... ho creduto a cose che erano solo frutto di... di un'illusione. Ho tradito voi e... » lei avvertì nuovamente qualcosa svolazzarle nello stomaco. Come farfalle, o come coriandoli, o fuochi d'artificio che esplodevano.
« Va tutto bene » disse più a se stessa che a lui. Non andava tutto bene, non andava tutto bene per niente.
Lui non diede segno di averla ascoltata. « Per colpa mia Sky... lui... »
« Non puoi pensare che sia stata colpa tua, Riven! » esclamò, incredula. « Lui... voleva ritardare l'arrivo dei nemici e... beh... »
Le parole le morirono in gola. Voleva ritardare l'arrivo dei nemici ed era morto da eroe, come avrebbe voluto? Era questo, quello che stava per dire?
Si sentì davvero insulsa e spregevole; e le fu finalmente chiaro che non era lei, quella designata per salvare Riven. Salvare... chi le diceva poi che lui avesse bisogno o voglia di essere salvato?
Si chiamava " sindrome della crocerossina", e lei ne soffriva in maniera esagerata. Quel ragazzo forse non la voleva, non voleva una ragazza o anche solo un'amica che fosse esattamente come lui.
E se fosse stata lei, quella da salvare?
« Scusa, io... devo chiedere una cosa a Flora » disse, allontanandosi. Non sperava nemmeno che la trattenesse.
È tutto finito. Non sono io, quella che deve stare con lui.
Tornò rapidamente nell'atrio, dove c'era la grande pianta, evitando gli sguardi indagatori dei pochi già svegli e ancora vivi. Trovò le sue amiche addormentate a ridosso del grande fiore che Flora aveva evocato.
Dov'è Vera?
Il lettino era curiosamente vuoto e di lei non c'era traccia, nel grande salone. L'allarmava l'idea che potesse girovagare per la scuola mezza devastata e correre il rischio di farsi male.
  « Vera! » provò a chiamarla in un corridoio vuoto, ma poi si ricordò che, con tutta probabilità, quella ragazza non avrebbe saputo nemmeno come si chiamasse.
Cercò di trasformarsi ma si rese conto di essere ancora troppo debole.
Forse conviene chiedere aiuto a qualcuno.
Oltrepassò una porta scardinata e gettò un'occhiata aldilà dei vetri crepati della finestra; fu lì che vide Vera.
La ragazza si guardava attorno, spaesata. Musa utilizzò quel poco di energia che le era rimasta per amplificare la sua voce. « Ehi, tu! » gridò, verso l'altra. Quella si girò e si indicò, confusa. « Sì, proprio tu! Resta dove sei! »
Si precipitò al piano di sotto ed attraversò i portici. « Ehi! » ripeté, fermandosi di fronte a lei a riprendere fiato. « Accidenti... è pericoloso andare a zonzo per la scuola ora. Mi hai fatto prendere uno spavento »
« Scu... scusami » disse quella.
« Tu sai come mi chiamo? » domandò, senza perdere altro tempo. Lei scosse la testa, ma l'altra non si sorprese più di tanto: dopotutto, non è che avessero parlato un granché. « Sai come ti chiami? »
« Sì. Non... dovrei? » fece, confusa. Perché mai quella ragazza la fissava con tanto stupore?
« No... no, è solo che... si pensava... » evidentemente Griffin doveva aver sbagliato le sue previsioni. Poi, fu assalita da un forte dubbio, una sorta di presentimento che la mise in allarme. « Qual è il tuo nome, allora? »
Quella titubò e, per un attimo, Musa vide i suoi occhi farsi più scuri, come fossero risucchiati in un buco nero. La risposta la lasciò sconcertata. « Io... sono Darcy »
 
*
 
  « Sei sicura che funzionerà? » ormai Brandon continuava a domandarglielo da quando erano entrati nel castello. Zenith non gli era parso un pianeta iper tecnologico, di primo impatto; ma, man mano che procedevano per le diverse ali del castello, doveva ricredersi.
Gli sembrava di trovarsi in uno di quei laboratori scientifici che aveva visto dalle parti di Timmy. Quasi quasi aveva paura che da qualche angolo sbucasse qualche pazzo cervellone schizzoide.
« Quante volte dovrò ripeterlo? » sbuffò Tecna. Un po' la inquietava, l'idea di essere invisibile; non riusciva a vedere neppure un lembo della propria pelle ma poteva percepirne la consistenza. Era straordinario. « La mia tuta è identica alla tua. Evitiamo gli schiamazzi, Brandon. Tecnicamente, noi non esistiamo »
« Giusto. Ehi, grande Blade » lo chiamò. Il ragazzo era qualche metro più avanti, alla guida. « Quanto manca? »
Quello si voltò, seccato. « Tec ti ha detto di evitare gli schiamazzi. Vuoi farci beccare subito? »
Simpatico come un'ustione.
« Per di qua » informò lo zenithiano, svoltando a sinistra.
Percorsero un lungo tratto che dava su un vicolo cieco. Blade poggiò le mani su quello che pareva un grande specchio; esso scorse verso l'alto, svelando un curioso macchinario di identificazione che sottopose il giovane ad una sorta di interrogatorio.
« Ogni volta che vieni qui a lavorare devi fare questa cosa? » chiese lo Specialista. « Non è rischioso? Qualcuno potrebbe semplicemente appostarsi qui e sentire cosa dici »
L'altro si limitò a sbuffare in risposta. Il marchingegno scomparve dietro alla parete, consentendo loro l'accesso ad una scalinata a chiocciola. « Esistono due archivi, a palazzo. Voi consulterete l'archivio Est, mentre io consulto l'Ovest. Non dovrebbe infastidirvi nessuno, è notte fonda » spiegò. « Tec, teniamoci in contatto. Se trovo qualcosa vi informo »
« D'accordo » disse lei, iniziando a scendere. « Andiamo, Brandon »
Prima ancora di mettere piede sull'ultimo gradino, il ragazzo si guardò intorno e rimase sconvolto da ciò che vide.
Di fronte a lui si elevavano i più ampi ed alti scaffali che avesse mai visto; anche se si trovavano diversi metri sotto terra, essi dovevano arrivare fino alle torri del castello. Su ogni ripiano era disposta una gran quantità di schermi, che sicuramente custodivano un migliaio di file a testa.
« Okay... » biascicò, senza staccare gli occhi da quello spettacolo raccapricciante. « Okay, senti... hai qualche idea? No, perché... voglio dire... passeremo qui l'eternità prima di trovare ciò che cerchiamo »
« Il manufatto dev'essere antichissimo. Circa sei anni fa fu rivista l'archiviazione dei documenti, ma dal catalogo principale furono esclusi quelli che riguardavano i saperi più datati » spiegò Tecna, disattivando l'invisibilità. Doveva ammettere che quella tuta era davvero comoda. « Ciascun impiegato d'archivio riceve una speciale scheda che contiene ciascun dato catalogato; la scheda è particolare... non sto qui a dirti ogni dettaglio, ma si tratta di un incantesimo speciale che si imprime nella memoria »
Ora era più chiaro.
Come la fata raccontò, il loro amico Blade aveva spolverato ogni informazione che aveva registrato, ma non aveva rinvenuto nulla che potesse centrare con lo specchietto rubato dalle streghe; per questa ragione era necessario consultare direttamente le fonti originarie.
« I database che si trovano in cima dovrebbero custodire i file più antichi » continuò, avvicinandosi ad una scala d'appoggio. « Iniziamo? »
Il problema non è iniziare.
Salì anche lui, cominciando a consultare un modello che Tecna definì " desueto". Dopo un'ora non era nemmeno alla metà.
« Proprio non si può usare la magia? » borbottò, disperato.
« Sì, si può. Ma ci sono migliaia di impianti di sicurezza che captano un incantesimo ancor prima che la sua esecuzione sia completata » fece lei, senza fermarsi un attimo. « Non mi va di mandare tutto a monte e di far finire Blade nei guai »
Brandon sospirò. « No, certo. Senti... toglimi una curiosità » chiuse l'ennesima cartella vuota. « Tu e Blade vi conoscete da molto? »
Quella annuì. « Siamo amici d'infanzia, sì. Anzi, a dire il vero, è stato il mio primo ed unico amico » raccontò. « Come mai me lo chiedi? »
« Così » fece spallucce. « Mi domandavo perché tu fossi tanto amica di un... beh, di un Riven come lui »
Tecna cercò di trattenere le risate. « Lui è completamente diverso da Riven, in realtà. Ha solo un modo un po' brusco di porsi con chi non conosce »
« Oh, ma anche Riven è completamente diverso da Riven, solo che bisogna scavare a fondo per trovare quello vero, cara Tec » scherzò. « E toglimi un'altra curiosità: su Zenith avete tutti quest'assurdo colore di capelli? All'inizio avevo scambiato Blade per una ragazza »
« Per noi sono assurdi i vostri, di capelli » commentò lei, atona. « E Blade mi ha prima fatto notare che hai un taglio da donna »
Lui sussultò, avvampando. « Non... non è un taglio da donna. Mi sono andati a fuoco l'estate scorsa, mentre mi esercitavo! » sbottò. Levò le mani in aria e per poco non perse l'equilibrio; si arpionò allo scaffale e sfiorò le dita di lei. Tecna arrossì impercettibilmente. « Si vede che lui non sa proprio cosa sia, l'attività fisica »
« Non devi prendertela, non lo ha detto con cattiveria »
Oh, no di certo.
  Borbottò qualcosa mentre si spostava verso un altro schermo. Si preparò al peggio, non sapendo che il peggio dovesse ancora venire.
 
 


Noticine:
Rieccomi qua!
Musa si sente una fallita. Ricordo che anche nella seconda serie Faragonda le lasciava ad Alfea perché i loro poteri non erano adatti alla missione, e anche lì aveva l'impressione di essere inutile.
Sì, lo so, ha detto una parolaccia, ma non sarà l'unica, e poi è frustrata.
Intanto, Vera fa da Mary Sue, con il cervello e la personalità di un'ameba. Perdonala, ha un bel pasticcio nella testa.
Che ne sarà di loro, e del povero Brandon? Riuscirà, il nostro bello scudiero, a sopportare le frecciatine di Tecna? Lo sapremo presto, anzi, forse prima del previsto. Sabato dovrei pubblicare un altro capitolo, perciò ci vediamo lì?
Colgo l'occasione per ringraziare chi mi ha lasciato un piccolo commento, chi ha inserito la storia nelle seguite o nelle preferite e, soprattutto, chi legge!
TheSeventhHeaven

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Capitolo 4
*** Prima parte - Guai ***


Prima parte - Guai
 
 
  Era stato tutto molto rapido. Blade aveva rintracciato Tecna per dirle di aver trovato il file, ma subito il contatto era stato interrotto da qualcosa, o qualcuno.
« Non arriva più alcun segnale dal suo dispositivo » fece lei, preoccupata. Corse sulle scale. « Brandon... dobbiamo andare a cercarlo, potrebbe essere stato aggredito »
Lui la seguì. « E da chi? »
« Non ne ho idea. Riattiva l'invisibilità » disse, facendo lo stesso. Ma la tuta del ragazzo doveva essersi rotta, perché non successe nulla.
« Fantastico... il blasone si è pure spento » avrebbe tanto voluto imprecare con le peggio cose. « Senti, tu va' avanti, aprimi la strada e dammi il via quando vedi che non arriva nessuno »
Lei annuì, andando per prima. Estrasse il palmare dalla tasca e fece comparire una piantina del castello; l'archivio Ovest appariva identico all'altro.
Corse per i corridoi, constatando stranamente che erano deserti. C'erano solo due guardie. « Sbrigati! » sussurrò al ragazzo che, furtivo, la raggiunse.
Ora le sentinelle puntavano verso di loro. « Maledizione! » inveì Tecna, prendendo Brandon per un braccio e trascinandolo in uno sgabuzzino alla loro destra.
Era un ripostiglio per le scope, a quanto pareva, ed era anche piuttosto angusto. La ragazza socchiuse la porta e si ritrovarono l'una tra le braccia dell'altro. « Cavolo... su Zenith avete i migliori gioielli tecnologici ma le pulizie le fate ancora a mano, eh? » sussurrò lui. Poteva avvertire il respiro alterato di lei sul suo collo e sospettava anche gli avesse rivolto un'occhiataccia.
Meno male che non posso vederla...
« Con tutte le aree del castello da ispezionare dovevano scegliere proprio questa... » sbuffò lei, cercando di sbirciare attraverso la fessura. « L'unica soluzione è metterle fuori gioco »
Fuori gioco?
« Tecna, che diamine hai intenzione di fare? Potrebbe essere pericoloso e potrebbero scoprirci » fece lui.
« Oh, non temere per la mia incolumità » replicò, svogliata. « Frequento corsi di arti marziali da quando avevo quattro anni »
Prima che lui potesse replicare qualsiasi cosa, lei uscì e dopo qualche istante si udì un tonfo. Brandon si sporse appena, quando bastava per vedere una delle guardie a terra, come un tappeto.
D'un tratto si sentì nuovamente trainare per un braccio verso quello che aveva l'aria di essere un cunicolo.
« Scorciatoia! » esclamò Tecna. Attraversarono quello stretto passaggio e quando ne uscirono lui si massaggiò le spalle. « Non c'è tempo per trattamenti ortopedici » lo apostrofò. « Sbrighiamoci, dovrebbe ess... ma... lo specchio che da accesso all'archivio è in frantumi! »
Si avvicinò all'entrata, sospettosa, e dalle condizioni in cui era ridotta comprese ogni cosa.
« Brandon... è opera di una delle streghe... di una Trix » sussurrò, sgomenta. La parete era stata folgorata ed ora lei temeva potesse essere stato lo stesso per Blade. « Come ha fatto ad entrare e non essere scoperta? Ha adoperato un incantesimo... ma non è possibile... »
Lui corse in avanti, senza pensarci un attimo. Per quanto quel cervellone non gli fosse particolarmente simpatico, non poteva lasciarlo nelle grinfie del nemico.
Impugnò la spada, procedendo con cautela.
« Vengo con te » affermò lei, ma fu prontamente trattenuta.
« È pericoloso più per te che per me. Non puoi usare la magia, ricordi? » fece, con aria da finto saputello.
« Dubito che, una volta arrivato lì, brandirai realmente le tue armi contro una donna, sai? » Tecna accennò un passo in avanti. « È un mio amico, Brandon. Lascia che lo aiuti! »
Lui sorrise, stringendole forte una mano. « Non oggi »
Aveva cercato di mantenere un atteggiamento fiero e pavido, ma doveva ammettere, scalino dopo scalino, di avere l'angoscia addosso. Perfino lui, che di incantesimi e sortilegi non se ne intendeva, riusciva a percepire il maligno, quando l'aria ne era così impregnata.
Dal canto suo, Tecna non si trattenne dal correre in soccorso dello Specialista quando, poco dopo, udì un tonfo ed una risata sguaiata.
  Raggiunto il piano inferiore non nascose neppure a se stessa lo sgomento alla vista di Blade, adagiato ad una parete, e della pozza vermiglia accanto a lui. Quella strega doveva averlo colpito alla testa.
Brandon era invece costretto a terra, intrappolato in quella che pareva una rete elettrica. Per un attimo la fata pensò che l'idea della strega fosse molto valida.
Oh, ma per favore. Nessuna idea può essere valida se partorita da quella zucca vuota di Stormy.
Le si avvicinò furtivamente, ringraziando la tecnologia di Fonterossa; Stormy stava consultando quelle che dovevano essere le informazioni sul manufatto, ma non sembrava si parlasse della sua origine o della sua funzione. Vi erano solo le istruzioni per l'attivazione, a quanto pareva.
« Guarda guarda... Cos'abbiamo, qui? » scandì quella, con la sua voce gracchiante. Tecna l'associava ogni volta all'immagine di un pezzo di gesso che sfrega su una lavagna. « Una fatina di Alfea... »
Maledizione.
« Credevi forse che non mi sarei acc... » la strega non fece in tempo a concludere la frase che subito l'altra la zittì con un calcio volante. Doveva assolutamente leggere che cosa diceva quel file e capire come fermare le Trix, o quantomeno rallentare la realizzazione delle loro intenzioni.
Davanti allo schermo piatto del database, Tecna non comprese molto. Era scritto che per l'utilizzo dello specchio era necessaria la primaria infusione di energia... energia appartenente al grande potere della fiamma del Drago.
" Tuttavia... non è possibile, per una creatura che ha sottratto tale potere, attivare il talismano. È richiesto l'intervento di una fata o un mago custodi... "
Cosa significava? Le Trix non potevano attivare quell'oggetto se non tramite qualcuno che possedesse quel potere fin dalla nascita?
Un terribile sospetto le balenò in mente.
E se rintracciassero Bloom?
D'un tratto, avvertì un fastidioso prurito irradiarle tutto il corpo. Si faceva sempre più forte, e ben presto la ragazza si accorse che si trattava di abrasioni.
Stormy doveva essersi ripresa ed averle scagliato delle folgori, così ora non solo non era più invisibile ma si ritrovava con buona parte della tuta a brandelli e le spalle completamente ustionate. Urlò dal dolore.
« Tecna! » fece Brandon, flebilmente.
« Brava, piangi. È quello che riesce meglio a voi fatine, vero? » cinguettò la ricciolina. Posò una mano sulla carne viva di lei, costringendola a gridare con più violenza. « Questo è ciò che succede a chi si intromette negli affari delle Trix »
Gettò un altro sortilegio, e questa volta Tecna vide con chiarezza dei lampi scuri, rapidi come un guizzo, scaturire dai palmi della nemica; fece appena in tempo a lasciar cicatrizzare quell'immagine nella sua memoria, che di nuovo fu investita dal prurito. Questa volta la sua gamba destra era stata presa di mira.
Mentre gemeva, contorcendosi sul pavimento, i grandi occhi blu della strega le sorrisero, maligni.
« Sai, alla fine un po' mi dispiace per voi: state solo agli ordini di quei vecchi bacucchi » fece, fingendosi intenerita. « Almeno è bene che tu sappia cosa avete cercato di proteggere invano »
Le diede le spalle, con fare teatrale. Si apprestò a raccontare. « Voi fate avete, per natura, una sorta di catalizzatore. Esso amplifica la potenza dei vostri incantesimi e vi conferisce capacità straordinarie, all'infuori delle potenzialità di una strega » borbottò. Doveva costarle parecchio ammettere una cosa del genere. « Lo chiamano " Charmix" »
Tecna cercò di concentrarsi sulle sue parole, registrando ogni preziosa informazione che quella brutta pazzoide vomitava fuori.
Charmix... Ne ho sentito parlare...
« Ma questo non ci stava bene, naturalmente. Perciò noi streghe escogitammo diversi stratagemmi per ottenere lo stesso risultato di quelle idiote » continuò. « Così nacquero i talismani catalizzatori. Ogni strega ne costruiva uno appositamente per il suo potere preponderante; ma, ben presto, le fatine si offesero per essere state " plagiate" e così tentarono di distruggere ognuno di quegli oggetti. Solo uno sopravvisse »
Quello specchio... ma su Zenith... perché?
« Alcune di noi, particolarmente astute, avevano plasmato un talismano che rispondesse a qualsiasi potere di qualsiasi creatura. Per farlo avevano sfruttato la tecnologia di Zenith e la potente Fiamma del Drago, poiché ogni essere vivente, seppur in piccolissima parte, ne è impregnato » il suo viso si piegò in un sorriso agghiacciante. « Purtroppo però, pare che esso possa essere rianimato solo da coloro che custodiscono la fiamma da generazioni, e non da noi »
Cercheranno Bloom. Devo... devo avvertire Faragonda... dobbiamo trovarla.
« Sapete cosa significa, vero? » trillò Stormy.
« Siete delle stronze schifose » tuonò il ragazzo, cercando di rialzarsi.
Lei sghignazzò, avvicinandosi a lui. « Ormai non puoi più fare nulla, rassegnati » ancheggiò poi fino al cantuccio dove giaceva Blade; gli scoccò un sonoro bacio sul capo, proprio dal punto in cui sgorgava il sangue. « È stato un piacere caro. Grazie per aver fatto tutto il lavoro al posto mio »
La strega scomparve, lasciando Tecna in preda al dolore e allo sgomento per quel che sarebbe potuto succedere; e tutto per colpa sua, perché non era stata capace di proteggere quello specchio la seconda volta come la prima.
« Tecna... » Brandon strisciò a fatica verso di lei. Si era liberato dalla rete, eppure le sue gambe continuavano a muoversi in uno spasmo unico. « Tecna, scusami... io... non avrei dovuto fare l'eroe »
Lei annuì, con poca convinzione. Non ascoltò nient'altro di quel che lui le disse, perché ora le ustioni le stavano dilaniando la pelle e lei aveva l'impressione di sentirla tirarsi in ogni direzione.
Con la vista appannata dalle lacrime, vide appena la mano nervosa del ragazzo rovesciare una strana fialetta sulle pieghe della carne. Urlò ancor di più.
« Andrà tutto bene, Tecna » cercò di rassicurarla; si mise a sedere, avvolgendola tra le sue braccia. Sapeva che avrebbe fatto molto male. « Da quando sono andato a fuoco l'estate scorsa, come ti dicevo prima, ne porto sempre un po' con me. Certo, le cicatrici mi donavano eccome, ma erano piuttosto scomode, con i vestiti »
Lei rise forte, per lo più tremando per il dolore.
« Ancora un po', dai » la rabbonì lui, versando il liquido anche sulla sua gamba. « Andrà tutto bene, vedrai »
Tecna annuì ancora, mordendosi la lingua per non urlare nuovamente. « B-Brandon... hai qualcosa del genere anche per... per Blade? » domandò, voltandosi appena a guardare l'amico. Aveva paura che potesse morire dissanguato.
« Io... no » realizzò. « No. No, ma se ci sbrighiamo riusciamo ad uscire di qui e a salvarlo. Tecna, tu... quel tuo marchingegno che avevi usato per portarci qui... ecco... »
Prima che continuasse gli porse il suo palmare. « Questo è... un " Filo di Arianna". È un modello vecchio... io l'ho modificato ed ora funge anche come cerca persone, ma in generale... » esalò a fatica. « Questo aiuta a non perdere mai la strada di casa. Devi premere il tasto centrale »
Con uno sforzo sovrumano, Brandon si mise in piedi e si issò in spalla il corpo di Blade, barcollando appena un po'. Seguì le istruzioni della fata e presto si ritrovarono tutti e tre di fronte al colorato giardino di Tecna.
  « Hai una chiave? » domandò. Lasciò il dispositivo tra le mani della ragazza. « Non mi va di scassinare la serratura a notte fonda... »
Lei mosse le dita in un gesto stanco, aprendo la porta di fronte a loro. « Fa' piano »
Lo Specialista indugiò qualche istante sul da farsi.
« Porta su Blade, ne ha bisogno. Nel bagno accanto alla mia stanza ci dovrebbe essere tutto l'occorrente e... sai come muoverti? »
« Uhm... più o meno. Tu ce la fai da sola? »
« Sbrigati! » sbraitò, sorreggendosi alle inferriate della cancellata. Si sentiva ancora terribilmente indolenzita, ma le gocce di Brandon avevano un effetto quasi miracoloso.
Sospirò, digitando sul palmare le coordinate di Alfea e sperando che la preside fosse ancora sveglia.
A quest'ora lì dovrebbe essere già sorto il sole...
« Tecna? » la voce di Faragonda richiamò la sua attenzione. La vecchia espressione della donna s'incupì, vedendo la sua allieva così sfinita. « Ma cosa è successo? »
Tecna prese un respiro profondo, iniziando a raccontare. Ad ogni parola si sentiva sempre più colpevole, temendo il biasimo dell'anziana, dei suoi amici, di tutti coloro che probabilmente non sarebbe riuscita a salvare.
Stava male al solo pensiero di quel che le streghe avrebbero potuto fare a Bloom, del male che le avrebbero arrecato; come se l'averle strappato ciò che le apparteneva di diritto non fosse abbastanza.
Sono inaffidabile.
« Ne discuteremo meglio al vostro ritorno » disse l'altra, sbrigativa. « Avete fatto il possibile e le atrocità che hai subito avrebbero distolto ogni fata dalla prontezza di spirito che hai dimostrato »
Oh, non cerchi di rincuorarmi così, perché non ci riuscirà.
« Riposatevi » concluse Faragonda. « E non temere per la tua amica: sono certa che sia riuscita a mettersi in salvo, in qualche modo. Perdonami, ma ora devo recarmi su Eraklyon »
La preside interruppe il contatto e Tecna non poté fare a meno di domandarsi se fosse turbata per ciò che era accaduto a loro due o per chissà che altro. Per un attimo l'altra le era sembrata riluttante, come se non sapesse se aggiungere qualcos'altro. Che fosse successo qualcosa, ad Alfea? Perché doveva andare su Eraklyon?
  In quel mentre, Brandon stava mettendo a soqquadro il bagno.
Dando di tanto in tanto qualche rapida occhiata a Blade, seduto a ridosso del gabinetto, aveva trovato un paio di bende, garze e qualche unguento. Iniziò a sudare freddo, richiamando alla memoria qualsiasi insegnamento di Codatorta sulle ferite che potesse tornargli utile, ma l'unica cosa che ricordava avergli sentito dire era che un vero guerriero doveva riuscire a sopportare tutto.
Si accovacciò accanto al giovane, cercando di capire quanto fosse profondo il taglio. Spostò le ispide ciocche di lui, osservando meglio la lacerazione.
Poteva andare peggio.
Sollevò il ragazzo e lo posò nella stretta vasca. Puntò il getto d'acqua calda sul capo di Blade, facendo attenzione a non ustionarlo. Si chiedeva se e quando si sarebbe mai ripreso... forse avrebbero dovuto chiamare i soccorsi.
Sì, così ci avrebbero sottoposti ad un interrogatorio e addio Blade. Sei geniale, Brandon.
« Lo so » disse a voce alta, tamponando la lesione dell'altro.
« Ma che fai, parli da solo? » intervenne una voce alle sue spalle. Tecna si precipitò da Blade. « Com'è la situazione? »
« Drastica. Ho sciacquato la ferita, ma... il sangue non si coagula » spiegò Brandon. Le porse le bende « Se gli fasciassimo la testa migliorerebbe? »
Lei parve riflettere per qualche istante. « Non... non lo so, io... »
« Ragazzi, cos'è tutta questa confusione? » la figura assonnata della madre della fata comparve sulla soglia. Appena si accorse di cos'era accaduto, sgranò gli occhi. « Ma dove siete stati? »
« Ehm... è complicato... » balbettò la figlia, lasciandole spazio. Cercò di nascondere alla vista le ustioni.
« Avreste dovuto chiamarmi subito » li rimproverò, tastando delicatamente il capo del ragazzo. « Io mi occupo di queste cose, lo sai »
Mentre la donna assisteva Blade, Tecna si diede della stupida. Avrebbe dovuto mettere da parte l'orgoglio, per una volta, e chiedere aiuto a sua madre. Dopotutto, era uno dei medici più rinomati di tutto Zenith.
« Mi spiegate come mai vi presentate qui sfiniti, nel cuore della notte e per giunta con un ragazzo in fin di vita? » borbottò quella, imponendo dei sigilli medici. « Non so che genere di missione sia, la vostra, ma non voglio che tu abbia ulteriormente a che fare con qualcosa di pericoloso, Tecna! »
La ragazza chinò lo sguardo. Era per quello che non aveva voluto rivolgersi a lei: sapeva che non avrebbe capito e le avrebbe tarpato le ali ancora una volta.
Ricordava bene quel che le aveva fatto passare, prima di accordarle il permesso di iscriversi ad un istituto eccellente quanto distante come Alfea... e non si aspettava di ricevere il suo consenso per un'operazione rischiosa come quella.
Provando una sensazione umana come l'imbarazzo per la prima volta in vita sua, la fata lasciò la stanza. Si rintanò sul balcone della sua camera, osservando in piedi il silenzioso panorama della sua città.
Si vergognò, si vergognò come un ladro per la propria incapacità, per tutto quello che non era stata in grado di fare; e adesso, per colpa della sua arroganza uno dei suoi unici amici rischiava la vita. Non era così che pensava sarebbero andate le cose.
« Fa' un po' freddo, qua fuori. Un po' tanto » commentò Brandon. « Eppure dovrebbe essere estate »
Lei lo guardò con la coda dell'occhio, mascherando la sorpresa. Aveva forse creduto che lui se ne sarebbe andato a dormire senza sincerarsi delle sue condizioni? Non sarebbe stato nel suo stile, sebbene lei non lo avrebbe certo potuto biasimare.
Sono io, quella superficiale.
« Qui fa sempre freddo » replicò, atona. Ma cosa le stava succedendo? Lei non era così; lei non era sentimentale e avrebbe dovuto analizzare tutta quella situazione con occhio scientifico.
E invece si stava abbandonando alle emozioni. Non trovava il coraggio di smentire il fatto di essersi sentita sollevata, di aver percepito chiaramente il suo cuore perdere un battito, quando aveva sentito la voce di lui.
« Pensa che su Eraklyon si muore sempre di caldo » sbuffò quello, mettendosi goffamente a sedere sulla ringhiera. « Beh, questo bel fresco non può che far bene alle tue ustioni. Come ti senti? »
Tecna si sentiva male, molto male; ma, forse, dirlo non avrebbe fatto altro che accrescere l'opinione che lui doveva sicuramente essersi fatto su di lei: era un'egoista. « Sto meglio, ti ringrazio » disse solo. « E tu, invece? »
Lo Specialista si strinse nelle spalle. « Mah, non posso lamentarmi... certo, ogni tanto mi viene ancora qualche spasmo » rise. « Però a voi due è andata peggio. Credi che Blade si rimetterà? »
« Non lo so » ammise dopo un po'. « Non so come lo abbia colpito, né cosa gli abbia fatto prima... e mi domando come sia possibile che quella strega ci abbia manipolati così »
« Dai... non dannarti per questo. Non ci pensiamo » disse. « Troveremo una soluzione »
« L'unica soluzione possibile dipende da Bloom. Ma le probabilità che sia salva sono scarse, e per di più... »
S'interruppe, non sapendo come continuare. Perché aveva avuto l'impressione che Faragonda le nascondesse qualcosa?
Anche se fosse, ne avrebbe tutte le ragioni. Sono inaffidabile...
« Io... prima, ho contattato Faragonda » prese a spiegare. « Le ho raccontato ogni cosa e ad un certo punto mi è parso che lei volesse dirmi qualcosa, ma poi si è trattenuta. Lei... lei mi sembrava distrutta; i sentimenti non sono la mia specialità, ma ho creduto di vederla... come dire, addolorata »
Brandon ascoltava con attenzione.
Anche lui aveva l'impressione che qualcosa non andasse. Certo, era solo un presentimento, qualcosa che sentiva a pelle; ma quella era sempre la premessa da cui scaturivano i suoi guai.
Era come se avesse un radar, e fin da piccolo le sue predizioni si avveravano. Questa volta, i suoi timori riguardavano i suoi amici, le persone a cui teneva; e a quanto diceva Tecna i sospetti erano fondati.
« Brandon, noi dobbiamo tornare a Magix al più presto » fece la ragazza.
Lui scosse la testa. « Prima devi, anzi, dovete ristabilirvi. Non saresti molto d'aiuto, in queste condizioni »
« Credi che non ne sia consapevole? » rispose, stizzita. « Lo so benissimo, non ho alcun bisogno che tu lo ribadisca »
Gli voltò le spalle, aprendo la porta-finestra.
« Tecna, aspetta » la chiamò. Fece per posarle una mano sulla spalla, ma poi si ricordò. « Io... non volevo offenderti. Dico solo che hai bisogno di rimetterti »
Lei richiamò a sé tutta la sua peculiare calma, sperando che quell'orribile giornata si concludesse al più presto e che, l'indomani, si svegliasse come la solita, fredda e riflessiva Tecna. « Lo so... è solo che... oh, Brandon » sospirò. Poteva veramente aprirsi così a qualcuno che era poco più di uno sconosciuto?
O, forse, proprio per questa ragione sarebbe stato più semplice?
« Brandon, io... ho deluso molte aspettative » iniziò. « Ho deluso Faragonda per due volte di seguito, ho deluso mia madre per colpa del mio... del mio orgoglio. Ho deluso Blade, e anche te »
Lui si mise in piedi, sorridendo. Capiva bene quella ragazza, perché in passato anche lui aveva attraversato la stessa situazione; non era stato in grado di proteggere il suo migliore amico e, al contempo, proprio per questo aveva tradito la fiducia dell'unica ragazza che per lui non era stata solo un passatempo.
« Tecna... sei sicura che sia questo, il vero problema? » chiese allora, guardandola negli occhi. « Sei sicura che il vero problema siano gli altri? »
Lei abbassò lo sguardo, capendo a cosa alludesse.
« Il vero problema è che tu non vuoi deludere te stessa, le tue aspettative » continuò. « Perché? »
« Io... »
« Perché hai troppa fiducia nelle tue capacità » asserì, facendola inalberare. « Non negarlo. Tu pensi di non poter sbagliare, vero? È questo, il vero problema »
« Sono per metà androide, Brandon! » esclamò. Si rese conto di aver alzato un po' troppo la voce. « Un androide non può, non deve commettere errori » soggiunse poi, piano.
Lui rise. « Hai detto bene: sei per metà androide. Per il resto, per l'altra metà sei proprio come me, come chiunque altro. Tecna » proseguì. « Queste sono cose... complicate, ed è normale fallire. Ma non per questo ti devi abbattere »
Tecna era forse quel tipo di persona che metteva tutta se stessa in quel che faceva, e la prospettiva di una falla nel suo operato la straziava.
« Nessuno nutrirà del biasimo nei tuoi confronti » fece, con tono conciliante. « Perciò, cerca di non nutrirne tu » non si aspettava certo che la ragazza gli desse retta subito, ma intuì di averla almeno aiutata a riflettere su un problema che lei si trascinava dietro da anni, con tutta probabilità.
La vide annuire, abbassando lo sguardo. « Ehi, non fare quella faccia » scherzò. « Sei più carina quando sorridi, o quando ti arrabbi. Ecco, proprio così! »
In realtà, lei stava cercando di camuffare le risate sotto un'espressione seccata. Quel ragazzo... forse non era poi così male. « Brandon, posso farti una domanda? » fece, dopo un po'.
« Spara »
« Cosa ti sei trattenuto dal dirmi, prima? » domandò, non riuscendo più a trattenere la curiosità. « Appena arrivati, tu avevi iniziato un discorso su... su Timmy »
Lui sussultò. « Beh, ecco... » come poteva affrontare un argomento del genere? In fondo, non erano fatti suoi e avrebbe rischiato di compromettere qualcosa che non doveva interessargli.
Ma ormai sentiva che tutto quel che riguardava Tecna riguardava anche lui.
« Tu piaci molto, a Timmy » iniziò, mozzando il fiato della ragazza. « Dai, non mi dirai che non te lo aspettavi! »
In verità, lei non avrebbe saputo rispondere.
« Tuttavia » continuò. « Lui non si farà mai avanti. Questo è quanto »
« Tutto qui? » fece lei, un po' confusa. Era questo, ciò che si era trattenuto dal dirle? « Se la metti così, lo sapevo già »
Era ovvio che quel ragazzo non ci sapesse fare, con il gentil sesso, ma non le sembrava nulla di così scandaloso, forse perché lei si era sempre trovata più o meno nella stessa situazione.
« Oh... davvero? » sospirò Brandon. Da una parte lo sollevava il fatto di non averle dovuto rivelare qualcosa che avrebbe potuto turbarla, ma dall'altra... perché gli dava fastidio l'idea che quella fata potesse effettivamente coronare il suo sogno d'amore? « Beh, meglio così. Dovrai essere tu a farti avanti, allora»
Lei annuì, sorridendo. C'era qualcosa che l'aveva fatta sentire in subbuglio; ma non era stata quella confessione.
  Rientrò. « Vado a disattivarmi, Brandon. Buonanotte »
 
*
 
  Vera seguiva Musa, scavalcando ogni tanto le macerie del soffitto crollato.
Avrebbe avuto tante domande da fare, ma non sembrava il momento più opportuno; quella ragazza con i codini doveva essere molto di fretta e anche piuttosto preoccupata.
Dal canto suo, la fata non sapeva che fare. La situazione era ben peggiore di quanto avessero previsto e, se le sue deduzioni erano corrette, le tre streghe erano diventate così abili da poter distruggere e manipolare i ricordi altrui a loro piacimento.
Fece irruzione in presidenza senza neppure bussare, chiamando con urgenza Faragonda. Ma lei non c'era, doveva essere già partita.
« E tu chi sei? »domandò ad una ragazza stava in piedi, di fronte ai larghi scaffali di manuali. Pareva alla disperata ricerca di uno di essi, ma quella libreria era così vasta che le ci sarebbero volute ore, per consultare tutti quei tomi.
La giovane si voltò. Di una bellezza disarmante, inarcò le sottili sopracciglia, sorpresa. « Oh... cerchi la preside Faragonda? È già andata »
« Sì, lo vedo... » sbuffò in risposta. Come doveva fare, ora? Lei e la Griffin erano forse le uniche in grado di trovare una soluzione a tutto quel pasticcio.
Si sedette su uno dei lastroni crollati dal soffitto, ragionando. Se era riuscita a risvegliare Vera imponendoglielo, forse potevano cercare di riaddormentarla e convincerla di avere dei ricordi falsi... ma quanto era potente, l'incantesimo di Darcy?
E poi non può certo essere così semplice... si parla di una persona che è sicura di esserne un'altra, e convincerla del contrario potrebbe avere forti ripercussioni, su di lei.
« Va... tutto bene? » la Specialista si sedette accanto a lei.
Eppure sembra così... così diversa, da Darcy. Quasi come se fosse la stessa Vera di prima, solo con un passato diverso... oppure anche quella strega era così, prima?
« Avevi bisogno di qualcosa? » anche l'altra le si avvicinò, tenendo tra le mani un libro sottile. « Se vuoi, posso cercare di fare qualcosa... »
Musa sorrise, scuotendo la testa. « No, ti ringrazio » doveva svegliare Flora ed escogitare qualcosa insieme a lei... dopotutto, Vera era sotto la loro custodia. « E tu? »
« Io ho l'incarico di mettere a posto questa scuola » spiegò, aprendo il volumetto. « Oh, sono Maria, allieva di Torrenuvola »
« Io sono Musa, e lei... lei è... » cercò di cambiare argomento. « Torrenuvola? Come mai proprio tu hai questo incarico? »
« L'ordine è la mia specialità » disse, con semplicità, mentre sfogliava le pagine logore. « E voi? Siete fate? »
Musa annuì. « Io sì, lei... » non sapeva come proseguire. Quanto ricordava, quella finta Darcy, dei suoi trascorsi? C'era qualcosa di molto strano, in tutta quella situazione. « Beh, lei no »
« Capisco » disse Maria, richiudendo il libro. Quella strega aveva qualcosa di diverso, da quelle con cui le Winx avevano avuto a che fare.
Quasi le sarebbe parsa una di loro, una fata, per la sua... se così poteva essere definita, umanità. Non uno straccio di crudeltà né cinismo; ma la mora cercò di ricordare a se stessa che, se quella ragazza studiava a Torrenuvola, una ragione doveva pur esserci. « State indietro »
Le due si fecero da parte, confuse; all'improvviso, l'altra pronunciò una lunga e cacofonica formula che accompagnò un particolare incantesimo: esso scaturì dalle dita di lei ma si diffuse rapidamente in tutto l'ambiente circostante, ripristinandolo allo stato in cui si trovava prima della grande battaglia contro i mostri nati dalla follia delle Trix.
Musa si affacciò sui corridoi, trovando i vetri intatti, le travi ai loro posti ed una rinomata luce che irradiava la scuola. Sorrise, sorpresa. « Come diavolo hai fatto? »
« In verità, non credevo nemmeno ci sarei riuscita » fece in risposta, non senza imbarazzo.
Scesero in cortile, constatando che l'intero castello era tornato a splendere e che, almeno apparentemente, la tempesta era passata. Nel grande atrio troneggiava ancora la grande pianta a ridosso della quale riposavano Flora e Stella.
Vera intanto si guardava attorno, stranita. Era lì che si era risvegliata, anche se non riusciva a ricordare cosa fosse quel posto; ma non poteva chiederlo a quella ragazza con i codini. Aveva come l'impressione di essere un peso, per lei, come se ci fosse qualcosa che non andava e che quella Musa doveva sistemare.
Però, in effetti, lei stessa sentiva di avere qualcosa di diverso. Le sembrava che mancasse qualcosa, una parte del suo passato che le appariva sfocata ed incerta e che, sicuramente, era legata alla sua presenza in quel luogo, Alfea.
Contemporaneamente, la fata della musica ragionava proprio su quel problema. Se l'altra era convinta di essere una strega, non si supponeva che le attaccasse come avrebbe fatto la vera Darcy o che, quanto meno, le odiasse tutte? « Maria... » fece, dopo un po'. « Tu hai detto che l'ordine è la tua specialità, vero? »
Lei annuì. « È una cosa complessa, che la preside Griffin stessa mi aiutava a tenere sotto controllo » specificò, vergognandosi.
Una cosa complessa... un po' come i poteri miei e di Flora?
Si volse in direzione dell'amica, osservando il suo petto alzarsi ed abbassarsi piano. In viso aveva un'espressione tranquilla e riposata, quasi incurante di ciò che succedeva ne mondo reale.
Quanto è pericoloso, il potenziale di una fata che controlla il terreno su cui camminiamo?
« Perché me lo chiedi? »
Musa sospirò. La prese in disparte, raccontandole la tremenda situazione in cui la povera Vera si trovava ed il ruolo che lei e la sua compagna dovevano avere in tutta quella vicenda.
« Io non ho idea di come muovermi. La cosa è ben peggiore di quanto si credesse e... beh » era difficile ammetterlo, soprattutto ad una strega. « Per quanto la preside possa dire, va ben oltre le facoltà mie e di Flora. Perciò pensavo: se riesci a "ripristinare" l'ordine, puoi riuscire a fare lo stesso nella mente di una persona? »
Maria rifletté. Come spiegò, i suoi poteri erano legati perlopiù allo spazio, allo spostamento di atomi nell'immediata realtà in cui si trovavano ad operare; cercare di applicarli anche in un contesto complicato come la psiche umana sarebbe stato rischioso sia per lei che per l'altra ragazza.
« Io posso aiutarvi ad addormentarla e a penetrare nella sua mente, ma... il resto è nelle vostre mani. Sono sicura che Faragonda avesse le sue ragioni, per riporre la sua fiducia in voi » sorrise. « Vado a dare una mano ai soccorsi, Musa. Quando la tua amica si sarà svegliata vieni a chiamarmi »
La vide andare via, rendendosi conto di non aver mai pensato che qualcuno potesse aver incontrato lo stesso tipo di problema che aveva lei. Forse, anche quella ragazza era sempre stata etichettata come la più debole del suo corso nonostante gli sforzi, nonostante l'impegno. Anche lei custodiva abilità che a prima vista apparivano futili e che, in verità, si sarebbero rivelate indispensabili?
Eppure, dalle parole di Maria traspariva che non si sarebbe mai arresa ed avrebbe continuato per la sua strada. Ora capiva cosa aveva voluto dire Palladium. Ognuno aveva i suoi tempi.
Quante volte se l'era già sentito dire? E quante volte aveva effettivamente riflettuto sul significato di quell'affermazione? Rise della propria ingenuità.
  « Allora... Darcy » iniziò, chiamandola. Usare quel nome aveva un certo impatto su di lei, considerato che quella era forse la persona che più aveva disprezzato, nella sua intera esistenza. « Ti va di parlarmi un po' di te? Immagino avrai qualche fratello, qualche... sorella »
Innanzitutto, doveva capire quanto, della vera strega, avesse intaccato l'integrità della Specialista. Cominciò a farle delle domande, domande che alludessero al suo presunto passato senza risultare troppo dirette.
Sedettero su una delle radici del fiore e quella ragazza svelò un mondo che nessuna delle Winx avrebbe mai potuto pensare esistesse.
Da ciò che raccontò Vera quel giorno, le Trix non erano sempre state così come allora.
Un passato di povertà e di sacrifici: ecco cosa doveva aver indotto quelle tre sorelle a divenire tanto perfide. E chissà che Darcy non avesse compromesso la sua memoria con l'effettiva intenzione di svelare qualcosa di sé..
« Icy è tutto, per noi » spiegò, incupendosi. « È nostra sorella maggiore, e si è sempre presa cura di noi come se fosse stata nostra madre. Le dobbiamo ogni cosa che abbiamo »
Forse ora era tutto più chiaro. Come Musa apprese, ciò che aveva fatto di Icy la più crudele delle tre era stata la consapevolezza di essersi sempre impegnata con tutte le sue forze senza però ottenere alcun risultato.
All'improvviso, fu come se le loro intenzioni di distruggere la dimensione magica non fossero più così insensate. Dopotutto, lei stessa lo aveva sperimentato, no? Era davvero frustrante farsi in quattro per raggiungere un obiettivo inarrivabile e, alla fine, di fronte al potere, di fronte alla possibilità di cambiare le cose era difficile restare impassibili.
La Fiamma del Drago si era prospettata come l'espediente più valido per regolare i conti, ma nella maniera sbagliata: facendola pagare a chiunque, perfino e specialmente a chi non c'entrava nulla.
Era quindi la cosa giusta, condannare quelle tre? Perché nessuno si era mai fermato a riflettere, a chiedersi se le loro azioni non fossero altro che l'effetto di brutte esperienze?
Profondamente scossa, Musa ragionava ed immaginava; immaginava come doveva essere stato, per tre orfane, tirare avanti in una società che le avrebbe calpestate.
« Darcy... perché non riposi un po'? È stata una lunga giornata » sorrise, tentando di scacciare tutti i dubbi che le avevano attanagliato la mente pochi istanti prima.
  L'altra annuì, accoccolandosi meglio sulla pianta; poco dopo, la fata fece lo stesso, cadendo in un sonno fatto di parole che aveva già sentito, parole che la mettevano in guardia dai guai in cui tutti loro si stavano mettendo.

 

 Noticine:
Come promesso, il quarto capitolo!
Ora sappiamo qualcosa di più riguardo al manufatto, ma... le Trix non lo vogliono solo perché sono delle megalomani assetate di potere.
Blade starà fermo per un po', poveretto... anche Tecna e Brandon se la sono vista brutta, ma mi piace farli soffrire, anche se sono tra i miei personaggi preferiti. Anche Maria mi piace, principalmente perché come aspetto assomiglia molto a Maria di Final Fantasy II... chissà come andrà a finire.
Ci vediamo martedì!
TheSeventhHeaven

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Capitolo 5
*** Prima parte - Sorridere e sciogliersi ***


 
Prima parte - Sorridere e sciogliersi
 
 
  Delle voci familiari giungevano ovattate all'orecchio assopito di Musa.
Le sembrò di riconoscere Tecna, mentre confabulava con qualcuno... Brandon, forse. Parlavano con i professori, raccontavano quel che era successo loro... stavano dicendo qualcosa in merito ad un file, quando fecero il nome di Stormy.
Questo fece risvegliare di colpo la fata della musica, che ripercorse in un guizzo tutto ciò che Vera le aveva raccontato. Ma quando si svegliò era sola e nella sua stanza.
Si alzò, esaminando ogni dettaglio della camera e trovandola esattamente identica a com'era prima della grande battaglia.
Questo significa che Maria non me la sono sognata... E, di conseguenza, nemmeno l'orribile storia sul passato delle Trix...
Gettò un occhiata aldilà della porta di Stella e poi quella di Flora, trovandole deserte.
« Sei sveglia » la voce di Riven la fece sussultare.
Proprio lui, ci voleva...
« Che cosa ci fai, qui? » domandò senza voltarsi e tentando di mantenere la calma.
« Mi hanno detto di badare a te » fece, fingendo un disinteresse che gli riuscì male. Prese a camminare per l'appartamento, osservando quell'ambiente che, qualche tempo prima, aveva ospitato una festicciola abusiva.
Ricordava bene quella sera; era stato allora che tutto era partito, che aveva cominciato a dubitare di sé, della propria vera natura... ma aveva anche iniziato a dubitare della propria impassibilità. Era stato sempre allora, che aveva inconsciamente seguito la danza di Musa, i suoi passi leggeri e leggiadri che, sicuri, gli avevano provocato delle vertigini, per qualche istante.
Ma poi si era detto che, in fondo, quella era solo una fatina di Alfea; troppo inesperta ed innocente, per uno che, come lui, l'innocenza forse non l'aveva mai avuta.
Sciocco...
In quel momento, si soffermò ad osservare quella ragazza, accarezzandone con lo sguardo l'esile e slanciata figura. Le spalle strette, la vita sottile ed i pantaloni larghi che certamente nascondevano dei fianchi ossuti...
Così bella... così fragile...
Eppure era diversa. Poteva percepire quel malcelato distacco che poco aveva a che fare, con le abitudini passate di lei, di assecondare ogni suo capriccio; e, sorprendentemente, quel distacco lo infastidiva. D'un tratto capiva molte cose.
Dal canto suo, lei stessa avrebbe avuto migliaia di interrogativi da porgergli, se solo non si fosse ricordata di quali fossero le sue priorità. « Tecna e Brandon sono tornati? Dov'è Flora? » chiese infatti, senza perdere altro tempo.
« Figurati, non c'è di che » borbottò il ragazzo, un po' risentito. Sembrava essersi un po' ripreso e le lasciò intendere che lei non avrebbe mai dovuto far parola con nessuno del suo momento di debolezza.
Le si strinse il cuore; ma poi ricordò a se stessa ciò che aveva realizzato il giorno prima. « Riven, è una questione urgente » disse quindi, spazientita. « Puoi aiutarmi? »
Quello grugnì qualcosa in risposta, scortandola nell'aula in cui i due ragazzi stavano esponendo il resoconto sulla loro missione. Seduti sui banchi, con loro c'erano anche Stella, Timmy, Flora e quella bellissima ragazza, Maria.
  « Musa! » esclamò Tecna. Le quattro fate le andarono in contro, preoccupate. « Come ti senti? »
« Bene... perché, come mi dovrei sentire? » disse, confusa.
« Pensavamo stessi male... non riuscivamo a svegliarti e temevamo ti fosse successo qualcosa » intervenne quindi Maria, sentendosi in colpa. « Non avrei dovuto lasciarvi sole così... »
Musa scoppiò a ridere, stranita. « Sto bene, dico davvero! Non avreste dovuto preoccuparvi... avevo solo bisogno di dormire un po'! » spiegò. « Ma dov'è Vera? »
« Nelle mani di Palladium e gli altri » iniziò Flora, sospirando. « Loro preferirebbero attendere il ritorno di Faragonda, ma... »
« ... Faragonda non tornerà se qualcuno non va a riprenderla » concluse Brandon, avvicinandosi. « La navetta su cui viaggiavano lei e gli altri presidi è stata attaccata ed ora sono precipitati su un pianeta sconosciuto. Non hanno alcuna risorsa e adesso il segnale del dispositivo da cui ci hanno contattato è assente »
La notizia turbò tutti quanti. « Pensiamo siano state le Trix, ma non abbiamo idea del perché » continuò il ragazzo. « Sappiamo solo che il tempo stringe e l'ambiente in cui si trovano è ostile »
« I professori non possono intervenire, dal momento che la protezione della scuola e degli studenti è affidata a loro » Tecna riprese la parola. « Ma fortunatamente noi siamo già pratici di spedizioni di soccorso, perciò sarebbe l'ideale organizzarne una »
Attraverso il sistema di localizzazione sarebbero stati in grado di individuare le coordinate esatte del gruppo disperso. « Brandon, Timmy e Stella potrebbero recarsi sul posto. L'intera faccenda dovrebbe necessitare di qualche ora, un giorno al massimo; ma è necessario che qualcuno resti qui a monitorare la missione... per quello posso pensarci io » concluse la ragazza.
« No, Tecna » intervenne prontamente Timmy. « Me ne occupo io. Tu sarai più d'aiuto con gli altri »
In quel momento, Riven rise sguaiatamente, ancora fermo sullo stipite della porta. Non era difficile intuire quel che doveva aver pensato, ma Brandon fu più veloce di lui. « Ehi, Riven... meno male che tu sei un pavido eroe e verrai con noi, eh? » lo punzecchiò svogliatamente, sapendo che lui non se ne sarebbe accorto e avrebbe creduto che le sue parole fossero sincere. Non aveva voglia che scoppiasse l'ennesima lite, non dopo essere appena venuto a sapere che il suo migliore amico era morto.
« Tsk... certo che sì » replicò, con ovvietà. « Così siamo io, tu, la principessina e la cervellona. Bene, come ci arriviamo? Non ci sono navette funzionanti »
« Alcuni dei nostri compagni se ne stanno occupando proprio ora » fece, stancamente.
« E per quanto riguarda il manufatto, invece? » chiese Stella.
Tecna celò a malapena uno sbuffo. « Al momento non sappiamo come procedere, in merito. Ne ho brevemente discusso con la preside, ma ho intuito che nemmeno lei è certa sul da farsi... » spiegò. « So solo che tutto dipende da ciò che ne è di Bloom... oh, Musa » disse. « Dopo ti racconteranno tutto Flora e Maria »
« Direi che può andare » ragionò Brandon. Aveva bisogno di stare solo, di riflettere... perché la notte prima la fata della tecnologia aveva avuto ragione, e anche il suo sesto senso « Ora, se potete scusarmi... »
La fata di Zenith fece per andargli dietro, ma Stella la precedette. Era giusto, no? Doveva ricordarsi che certe cose non le spettavano... non era lei la fidanzata di quel ragazzo. Non era lei che doveva consolarlo per la morte di quella pover'anima di Sky.
No... lei era solo quella che gli aveva fatto da compagna in una missione di... quanto, un giorno?
Certo, ventiquattr'ore erano servite ai due per socializzare al di fuori della rispettiva cerchia di amici, ma non stabilivano certo chissà quale vincolo.
Si voltò verso Timmy, osservandolo mentre annotava qualcosa su un database. Lui era tutto quel che voleva, giusto? Era l'unico per cui fosse stata certa di provare qualcosa, l'unico per cui sarebbe anche stata disposta a rompere le barriere della razionalità... almeno, fino a quel momento.
Ma cosa andava a pensare? Quell'altro non avrebbe fatto al caso suo, comunque. Erano semplicemente troppo diversi.
In quello stesso momento, il fulvo alzò il capo, incrociando il suo sguardo. Le sorrise, timidamente.
È lui che vuoi. Solo lui.
« Timmy... allora sei certo di voler restare ad Alfea? » iniziò, andandogli accanto. In fondo, aveva avuto conferma di dover essere lei, a fare il primo passo con lui.
Lui annuì. « Sarei solo d'intralcio, con loro, mentre tu... sei anche un'ottima combattente, oltre che un'eccellente informatica » fece, alzandosi. « Io sarei di peso »
« Non parlare in questo modo » cercò di rincuorarlo. « Ognuno ha i suoi pregi ed i suoi difetti... c'è chi ha il cervello... »
...E chi i muscoli, spavalderia e tanto coraggio.
Scosse la testa, sorprendendosi dei suoi stessi pensieri.
  Usciti tutti dall'aula, Flora e Maria vollero subito tentare ciò che avevano architettato per aiutare Vera.
Vedendo Riven allontanarsi, però, Musa non riuscì a resistere alla prospettiva di fare un altro tentativo. Non come ragazza, non come... salvatrice; ma come una semplice amica. « Arrivo subito » si affrettò a dire alle altre due.
« Riven! » lo chiamò, seguendolo.
« Oh, adesso hai voglia di parlare? » fece, fingendosi sorpreso. « Che c'è? »
« Io... volevo ringraziarti. Per aver badato a me e... » sorrise. « Beh, per tante altre cose »
Era quella, la ragione per cui lo aveva fermato?
No.
Se fosse stata la stessa che aveva conosciuto mesi prima, forse si sarebbe chiusa in sé, aprendo un imbarazzante silenzio che, sicuramente, lui non avrebbe osato interrompere per darle false speranze. Ma, come ebbe piacere di ricordare, lei non era più quella Musa.
Gli regalò un altro sorriso, prima di raggiungere le altre due; e qualcosa, in tutta quella vicenda, turbò il rosso più di quanto avrebbe dovuto.
Ma la fata non aveva più tempo da perdere in idilliache illusioni; anzi, ora spettava proprio a lei, riparare ai danni che queste avevano arrecato alla mente di una povera ragazza.
Risoluta più che mai a tentare in tutto e per tutto, corse per le scale. Trovò le compagne nell'aula in cui generalmente Wizgiz teneva le sue lezioni; Vera fluttuava a mezz'aria, probabilmente addormentata da un incantesimo di Maria. « Da qui in poi come volete procedere? »
« Io un'idea l'avrei » iniziò la mora, spiegando loro ciò che era venuta a sapere sui trascorsi delle Trix.
Tra lo stupore delle due, come prima cosa propose di esplorare ciascuno dei ricordi falsi imposti alla Specialista da Darcy; così facendo, forse avrebbero potuto scovare un modo, o anche solo un dettaglio, che potesse ricondurre loro alla soluzione per fermare le loro nemiche prima che commettessero una catastrofe.
« Maria, tu... puoi fare una cosa del genere, giusto? Puoi penetrare nella mente di Vera? » domandò alla strega. Lei annuì, concentrandosi.
Come in uno stato di trance, la ragazza socchiuse le palpebre, dischiudendo le labbra ed emettendo un sinistro soffio, un soffio che parve prendere forma e che avvolse lei e le allieve di Alfea.
  In un lampo, tutte e tre si trovavano in una tetra radura; potevano udire delle risate fanciullesche provenire dal folto della foresta. Musa adoperò un incantesimo che sfruttò quel leggero suono per condurle dove, come avevano ragione di credere, dovevano trovarsi le Trix, ancora bambine.
E Vera era lì, accanto ad una piccola casetta tra gli alberi, mentre si divertiva insieme ad una Stormy che non doveva avere più di otto anni e ad un'appena adolescente Icy. Si lanciavano un rospo, trasformandolo a turno nel meglio che la loro fervida immaginazione poteva concepire.
« Questo è il primo ricordo che Darcy ha affidato a Vera » spiegò Maria. « O, almeno... è il primo che mi è accessibile. Però è strano... noi dovremmo assistere alla scena dal suo punto di vista... »
Flora osservò la Specialista, in quello che doveva essere il suo ricordo di sé da piccola. I suoi gentili lineamenti alabastrini erano incorniciati da un corto caschetto scuro, e nel complesso pareva quasi una bambola di porcellana. « Chissà... magari, in cuor suo, sa di non aver mai realmente preso parte a questo momento... » ipotizzò, continuando a sorridere alla vista del gioco delle sorelle. « Però interpreta comunque il ruolo di Darcy... e sembra una Darcy completamente diversa, da quella che noi conosciamo »
« Quando è in compagnia di Icy, diventa un'altra. Ma vi assicuro che non è affatto come appare... si fa solo... condizionare troppo dalla sorella, credo. Lei non è come si è presentata a voi » e così, esisteva un'altro lato, di quella giovane? La sua era quindi tutta una recita, un comportamento imposto dalla circostanza? Era difficile, da credere.
Quante cose ancora non sapevano, sulle loro nemiche?
« Forza, è ora di andare a dormire » fece la maggiore, con tono autoritario. Sequestrò il rospo, lasciandolo libero. Le due fate si sarebbero quasi aspettate che lo congelasse, al contrario. « È molto tardi e io devo lavare i panni »
Stormy provò a protestare, ma l'altra non volle sentir repliche. Vera e la minore rientrarono ma, evidentemente, Darcy doveva essersi trattenuta a spiare la più grande dalla finestra. Icy era infatti rimasta fuori, ad occuparsi dei loro abiti; doveva essere una strega già piuttosto abile, data la naturalezza con cui eseguiva ogni incantesimi. Era questa vita, che aveva reso quella ragazza quel che era diventata?
All'improvviso, percepirono un fruscio, tra le foglie e la Trix che intimava a qualcuno di andare via. Una voce delicata ma decisa le rispose, facendosi avanti; era un bambino.
Musa e Flora avvertirono qualcosa di familiare propagarsi da lui, dalla luce calda dei suoi occhi ardenti; era qualcosa con cui erano certe di aver avuto a che fare spesso, ma che non avrebbero saputo identificare.
  « Ti stai mettendo su una strada sbagliata, Icy » le disse il nuovo venuto. « Così non fai altro che peggiorare la situazione. Perché non ti decidi ed accetti la mia proposta? »
« Mai » rispose, in un ringhio. « Io troverò un'altra soluzione »
« Quella che ti ho suggerito è l'unica, dammi retta »
Lei scosse la testa, senza neppure voltarsi a guardarlo. « Va' via. Sparisci, non tornare mai più. E se scopro che hai parlato nuovamente a mia sorella... »
« Io non sparirò, perché è sempre il tuo cuore, a chiamarmi. Se proprio non vuoi ascoltare me, ascolta lui, o la tua stessa sorella » sorrise il bimbo, dissolvendosi poco dopo. Le tre rimasero a bocca aperta.
Che cosa intendeva per soluzione? A cosa si riferiva? In un primo momento, Musa pensò stesse parlando delle condizioni in cui quella piccola famigliola si trovava; ma poi rifletté e ricordò a sé che le cose non erano mai così semplici e scontate come potevano apparirle, in quei casi.
« Maria, riesci a mostrarci un altro ricordo? Uno in cui questa storia venga nuovamente affrontata » chiese, mentre osservava Icy calciare una pigna, in preda alla rabbia. « Dovrà pur essercene uno »
Quella ripeté l'azione che aveva compiuto la prima volta per portarle lì; e subito dopo si trovavano nello stesso posto, ma sembrava essere trascorso qualche anno. L'abitazione delle tre pareva più grande, e la foresta aveva un aspetto meno spaventoso.
Vera, che nei panni di Darcy doveva avere circa tredici anni, discuteva animatamente con la sorella maggiore di un argomento che si mostrò presto collegato all'episodio appena vissuto.
La più giovane insisteva sulla necessità dell'altra di riconoscere, una volta per tutte, di aver bisogno di aiuto, dell'aiuto che quel misterioso personaggio le aveva offerto. « Il suo potere ha effetti curativi! » la sentirono esclamare. « Può aiutarti a guarire »
Una malattia...
L'idea che Icy potesse essere malata non aveva mai sfiorato la mente di nessuna di loro. Qualcosa di serio... qualcosa di serio che, come ragionò ciascuna delle tre, poteva aver a che fare con il cambiamento della ragazza.
« Allora è così... Darcy voleva realmente mostrarci qualcosa... » realizzò la fata della musica. « Ma perché? Perché a noi? Perché metterci al corrente di tutto ciò, della sua reale natura e di qualsiasi cosa che possa darci qualche indizio per fermarle? »
« Spesso è più semplice confidarsi con degli sconosciuti » replicò Flora, sorridendo mestamente, come se parlasse per esperienza personale. « Il loro giudizio non è importante, perciò viene più facile aprirsi »
« Sì, ma noi siamo le persone che lei dovrebbe voler morte »
« Hai detto bene » s'intromise Maria. « " Dovrebbe". Ma chi ci assicura che sia quel che lei vuole realmente, Musa? Io credo... credo che lei non abbia mai trovato la forza per opporsi ad Icy, semplicemente perché ci tiene troppo »
" Icy è tutto, per noi. È nostra sorella maggiore, e si è sempre presa cura di noi come se fosse stata nostra madre. Le dobbiamo ogni cosa che abbiamo."
D'un tratto, la strega dei ghiacci abbassò il tono, come a voler parlare con circospezione. « Giù, alla taverna di Mirtan, dove lavoro... ieri c'era una strega. Non come quelle fattucchiere da quattro soldi che trovi in città, no... una strega potente; potevo percepirlo perfino io » raccontò, lasciando trasparire un brivido di eccitazione. Certo, non era la stessa Trix che conoscevano loro, ma l'ambizione al potere c'era tutta; ed ecco cosa faceva di lei una strega e non una fata.
Musa guardò la loro nuova compagnia. Il suo aspetto angelico non avrebbe mai tradito la sua vera natura; ma, forse, quei piccoli riccioli lilla e quei sottili occhi oltremare erano studiati per irretire. Anche lei era dunque alla ricerca della forza, del riconoscimento?
Una cosa è certa... come me, anche lei avverte la necessità di affermarsi.
E quel bisogno spasmodico di dimostrarsi adatta ad ogni situazione non era forse lo stesso che desideravano le loro rivali. Come si sarebbe trovata, lei, a Torrenuvola?
« È stata lei a venirmi a parlare » proseguì Icy. « Ha detto che nei miei occhi leggeva un grande fardello abbinato ad un grande potenziale. Lei è a capo di una scuola per streghe, sai? »
Vera chinò lo sguardo, temendo di aver intuito dove quella volesse andare a parare.
« Dice che la stregoneria può spalancare molteplici porte, guidare lungo svariate vie. Dice che la stregoneria ha la soluzione a qualsiasi problema » continuò. « Quella donna lo sa, Darcy! Conosce la mia malattia ed il suo rimedio; per questo mi ha offerto un posto in quella scuola, e lo ha offerto anche a te e Stormy »
L'altra scosse la testa, esitando. « Non lo so, Icy... se lei ha la soluzione, perché non ti aiuta e basta? »
« Non capisci? » sorrise. Quella era forse la prima volta che le Winx videro le sue labbra piegarsi in un sorriso sincero e non irrisorio. « Mi ha... ci ha proposto di abbandonare questo posto, questa vita, per seguirne una migliore! »
« Icy... io credo che dovresti ripensarci... »
Si fece improvvisamente seria. Odiava già allora che le sue parole venissero messe in discussione. « Non ho intenzione di farlo. Non posso accettare l'aiuto di chi ha sterminato la nostra famiglia » disse. « Io ho già deciso »
E ciò a cui aveva portato la sua decisione si vedeva bene.
Il ricordo svanì, e le ragazze si trovarono nuovamente nell'aula di Alfea. Erano molto scosse, da quell'esperienza; eppure... c'era qualcosa che non quadrava, in tutta quella faccenda.
« Come ti senti? » chiese Flora a Maria. Lei si sedette, spossata.
« Sono un po'... stanca. Scusatemi, ma ora non ce la faccio, a mostrarvi qualcos'altro »
« Stai scherzando? Sei stata eccezionale » commentò Musa. « Quel che hai fatto è già tanto. Grazie, Maria »
Lei sorrise, rallegrandosi al pensiero di aver probabilmente trovato qualcuno che l'apprezzasse per com'era.
  Tecna era invece rimasta in cortile, a parlare con Timmy; da lontano, vide Brandon e Stella abbracciarsi. Si concesse un sorriso sghembo.
È giusto così. Sono le parole di Stella, a doverlo rincuorare.
Ma, se la ragazza avesse capito sin da subito che le parole non erano l'unico mezzo per comunicare, allora forse le cose sarebbero andate diversamente. Non poteva sapere che la stessa principessa di Solaria trovava ora difficile confortare il ragazzo che amava.
Lo sentiva irrimediabilmente distante, ed aveva la consapevolezza che non si trattasse solo della morte di Sky. Brandon era divorato dai sensi di colpa, sensi che perfino lei era arrivata ad attribuirsi, ma che lui faceva propri come se ne avesse bisogno per sopravvivere.
Aveva bisogno di quella sofferenza, di sentire il dolore attanagliargli l'anima ed il corpo, perché si supponeva che fosse lui a proteggere il suo principe, lui a rischiare la vita al posto suo. Ancora un volta, aveva dimenticato di non essere un semplice sedicenne e, come tale, di non poter vivere con la stessa spensieratezza che accompagnava i suoi coetanei.
No, lui aveva sempre dovuto recitare la parte di un impostore, dell'ombra di colui che compariva sulla lista nera di molti oppositori al potere di Eraklyon; aveva sempre dovuto compiere delle rinunce in più, per adempiere ai suoi doveri. Eppure, non riusciva a considerare quel che era successo come una liberazione.
Perché Sky era stato l'inizio e la fine delle sue giornate. Si spalleggiavano, sempre; si difendevano, sempre; si leccavano le ferite a vicenda ed erano felici della felicità dell'altro, fosse anche per la minima cosa.
Perché Sky era l'unico che lo avesse sin da subito accettato ed accolto; non come amico, ma come fratello. E gli aveva ripetuto più volte che lui era un guerriero e che i guerrieri dovevano essere in grado di sopportare qualsiasi dolore. I guerrieri dovevano sorridere, dovevano tentare di infondere coraggio e speranza a coloro che proteggevano.
Ma quello che avrebbe dovuto proteggere era proprio lui. Non c'era più nessuno a cui infondere coraggio, né speranza. Non c'era più nessuno a cui sorridere.
Sorridere...
Sopportare qualsiasi dolore...
Qualsiasi dolore...
No, mi spiace. Non credo di esserne in grado.
E poi era arrivata lei; lei, che non aveva pronunciato neppure mezza parola, da quando si erano fermati. Lei, che era stata in grado di stupirlo, di mostrarsi che si sbagliava, ancora una volta.
Lo aveva abbracciato, e in quell'abbraccio si era sentito sereno e al sicuro da ogni minaccia, da ogni pena e da ogni consapevolezza. Come se il tempo si fosse fermato; come se lei fosse la madre di cui non era mai riuscito a ricordare gli abbracci.
Quel pomeriggio si amarono, e Brandon compì ogni gesto con coscienza e con rinnovata forza, come se in quell'atto racchiudesse tutto il suo desiderio di riscattarsi, di dimostrare di poter ancora salvare ciò che gli stava a cuore, incluso se stesso. Si amarono, nel modo più dolce e genuino con cui possono amarsi due giovani che si aggrappano al loro sentimento per dimenticare.
Perché forse, alla fine, qualcuno a cui infondere coraggio e speranza c'era ancora. Che fossero stati gli impetuosi baci della principessa, lo sguardo magnetico di Tecna o la complicità di tutti i suoi amici, a farglielo capire, poco importava: lui avrebbe fatto tutto ciò che era nelle sue facoltà, si sarebbe messo di'impegno; per Sky e per tutti coloro che se n'erano già andati.
Perché c'era ancora qualcuno, a cui sorridere.
 
*
 
  Brandon diede un'ultima occhiata in giro, controllando di non aver dimenticato nulla. « Direi che possiamo andare »
« Fate attenzione » sorrise Timmy, guardando Tecna. Lei distolse lo sguardo, imbarazzata, sebbene una vocina continuasse a ripeterle che avrebbe dovuto sentirsi in estasi, o quantomeno felice, dell'occhio di riguardo per quello che doveva essere il suo Specialista.
Invece, l'unica cosa che le dava pensiero sin da quando avevano messo piede su quella navetta era la consapevolezza di doversi tenere a debita distanza da lui, dall'altro, benché si sarebbero ritrovati negli stessi spazi per qualche ora.
Era quello, il problema. Quel ragazzo era passato dall'essere " il tipo logorroico che ha un taglio da donna ", come lo aveva definito Blade, a " il tipo che è capace di far ridere la fata sempre seria ". E lui era strano, era più sereno e radioso del giorno prima, come se qualcosa lo avesse spronato a dare il meglio.
Sospirò forte contro il vetro del finestrino, che rapidamente condensò. Riven aveva acceso l'aria condizionata, visto che aveva perennemente caldo. « Che succede, fatina? » le domandò, senza distogliere l'attenzione dai pannelli di controllo.
Erano soli, sul punto di comando; e la cosa l'angosciava. Perché sapeva che la nuova grinta di Brandon era dovuta a sviluppi, nella relazione con Stella, che Tecna poteva solo sognarsi. « Nulla » rispose subito, un po' sorpresa per l'improvviso interesse dell'altro.
Fece una smorfia. « Quel modo di sospirare è cattivo presagio, sai? » scherzò. « Che c'è? Non dirmi che senti la mancanza di quel fesso? »
Sbigottita, per un attimo temette che lui si potesse riferire allo scudiero. O meglio, ex scudiero. « Prego...? »
« Ma sì... Timmy »
Pericolo scampato... qual è la percentuale che Riven possa comprendere?
Lo ascoltò in un lungo monologo in cui raccontava imbarazzanti aneddoti su quel maldestro di Timmy e sulle sue stramberie. Non perdeva mai un'occasione per sminuirlo.
Direi piuttosto bassa. Forse dovrei curarmi di stilare un calcolo in percentuale e...
« Però ha un gran cuore; questo glielo concedo » terminò il pilota, sempre con il suo solito sorriso di scherno stampato in viso. « Ah, Tecna? »
« Certo... » ma come diamine faceva, quell'energumeno, a piacere a Musa? Gretto ed eccessivamente sarcastico; ecco com'era. Non si sorprese neppure troppo del fatto che si fosse lasciato abbindolare dalle Trix; anche se, a quanto pareva, perfino loro non erano in verità quel che sembravano.
Tecna non pensò neppure per un istante che lui, proprio come lei, potesse essere assillato da qualcosa che non avrebbe mai confessato. Gli era difficile ammetterlo perfino a se stesso, ma era innegabile che quel qualcosa avesse a che vedere proprio con la fata della musica.
All'inizio aveva cercato di sfruttare quella chiacchierata per estorcere alla zenithiana qualche informazione a riguardo. Ma lei non sembrava molto propensa a parlare, e così doveva rassegnarsi all'idea di brancolare nel buio... come al solito.
« Ti spiace andare a chiamare Brandon? » le domandò allora, facendola trasalire. « Ho bisogno che dia un'occhiata alla rotta indicata da Timmy sulla mappa »
« Posso... occuparmene io » fece lei, a disagio al solo pensiero di vedere il brunetto e, magari, interrompere le sue interessanti attività con la fidanzata.
« Non credo » ribatté, duro. Lei non aveva nemmeno voglia di aprire una questione e di ribadire, ancora una volta, che nessuno avrebbe potuto superarla quanto a conoscenza tecnologica.
Era così ottuso, Riven...
S'alzò, andando a cercare Brandon. La navetta su cui viaggiavano aveva più scomparti delle altre, perciò dovette setacciarla da cima a fondo, prima di trovare il ragazzo nella stiva.
Curiosamente, era solo.
« Oh, Tecna » sorrise, vedendola. Stava impilando delle casse dal contenuto a lei sconosciuto. « Se cerchi Stella è su una branda di là » disse, indicando una piccola cabina.
Ma certo... la principessa riposa...
« A dir la verità, sono qui per conto di Riven. Devi dare " un'occhiata alla rotta indicata da Timmy sulla mappa" »
« Scusa, ma non potevi farlo tu? » fece notare, passandosi una mano tra i capelli.
« Ho suggerito lo stesso, ma è stata avanzata l'ipotesi che non ne sia capace » riferì, irritata. « Fossi in te, non lo farei attendere troppo »
Lui rise, incamminandosi con lei. « È proprio un despota... simpatico come pochi... ah, a proposito di persone simpatiche! » esclamò allora. « Hai più avuto notizie di Blade? »
Annuì. « Non si è del tutto rimesso, ma almeno ha ripreso conoscenza. Mi ha spiegato che, non appena ha trovato il file che cercavamo, Stormy è comparsa alle sue spalle e lo ha attaccato » sospirò. « Avrei dovuto affidarlo subito alle cure di mia madre »
« Dai, è tutto passato » si diede dell'idiota per aver nuovamente tirato in ballo un argomento che, come sapeva, era il tallone d'Achille della ragazza.
Si fermarono nell'anticamera del ponte di controllo, e per un attimo Tecna ebbe l'impressione che lui volesse dirle qualcosa; ma poi, come se nulla fosse, la oltrepassò. Le porte scorrevoli si richiusero alle sue spalle e lei vi si accasciò contro.
Con le ginocchia strette al petto, udì Brandon confabulare con Riven. Si rannicchiò ancor di più, domandandosi cosa le stesse succedendo.
Era così che ci si sentiva, a non essere ricambiati?
Ricambiati...
Dunque era così. Perché continuare a nasconderlo?
Non posso, non voglio credere di essere innamorata di lui. È il fidanzato di Stella e non appartiene al mio mondo.
Eppure, come le rammentò la solita vocina, non apparteneva neppure al mondo di Stella: lui era un semplice ragazzo e lei una principessa. Quindi non sussistevano problemi di quella natura.
Lo conosco troppo poco.
Era innegabile; ma lo era anche il fatto che si sentisse comunque attratta da quel giovane dal taglio di capelli da donna. Ma a lei piaceva Timmy, no?
Stava bene, con lui, si trovava a suo agio e... che fosse quello, il guaio? Era il fatto che, stando in sua compagnia, non avvertiva quasi alcun brivido, alcuna emozione?
S'alzò, prendendo a vagare per la navetta. Quell'atroce incognita aveva ormai assunto il controllo della sua mente, impedendole perfino di seguire una meta precisa con consapevolezza.
Ad un certo punto, nella sua frenesia quasi andò a sbattere addosso alla principessa di Solaria.
« Tecna, ti senti bene? » fece, scrutando la sua espressione, che appariva a metà tra il buffo ed il beota.
Lei non seppe come rispondere; perché non stava bene per niente e non si era mai sentita così.
Decise di chiedere proprio a lei, con le dovute precauzioni affinché non venisse a sapere i retroscena. « Senti, Stella... ti è mai capitato di provare per qualcuno un sentimento ricambiato e di accorgerti più tardi di provarne uno simile anche per qualcun altro? » domandò allora, in difficoltà. Non sapeva esattamente come spiegare la situazione, dato che era ingarbugliata perfino nella sua mente. « So che è un quesito insolito, da parte mia, ma sei più esperta di me, in materia »
L'altra la guardò sorpresa, non aspettandosi che problemi del genere potessero affliggere anche la fata della tecnologia; ma lei restava pur sempre una ragazza, dopotutto. « Più o meno. Avevo circa tredici anni e c'era questo tipo, Lars, con cui stavo da un mesetto - un record incredibile, mi piaceva davvero. Con lui mi divertivo un mondo e non dovevo nemmeno preoccuparmi della sua condizione sociale... ma sto divagando. Beh, dicevo » prese a raccontare, ricordando quei tempi con nostalgia.
« Un bel giorno, a corte tornò un ragazzino che era stato con suo padre, consigliere, su un altro pianeta per qualche anno. Io lo conoscevo solo di vista, ma quando lo rividi ne rimasi... ehm... folgorata. Non sto qui a descrivertelo, ma aveva qualche anno in più e quando ci avvicinammo di più scoprii che oltre ad avere un bel faccino era pure simpatico e spassoso. Insomma... » Tecna stava perdendo la pazienza. Sbuffò sonoramente.
« Uffa, come sei noiosa... vabbe', in sintesi: mi presi per lui una sbandata celestiale, più forte che per quello con cui stavo, ma non mi ricambiava. Non mi guardare così, lo so che è quasi impossibile che qualcuno rifiuti una bellezza come me, ma all'epoca la tua amata genetica mi assicurò un'esplosione acneica che non hai idea e... sì, lo so, anche questo è incredibile » scherzò. « Ma lui non provava lo stesso principalmente perché c'erano alcune cose, nel mio carattere, che a sua detta non sarebbe riuscito ad apprezzare se fossi stata la sua fidanzata. Ovviamente ora si mangia le mani »
La glaucopide soppesò ogni parola, analizzando la situazione da un lato più freddo e razionale. Dunque, per Brandon poteva essere lo stesso; d'altronde anche lei sapeva che i loro caratteri erano contrastanti, sotto diversi punti di vista, ma il problema non era nemmeno quello.
Quello che era capitato a Stella era simile, ma non compariva nessuna ragazza a fare da "ostacolo". Perché il guaio era principalmente quello, e lei doveva sapere come risolverlo.
« Perché me lo chiedi? Ti sei presa una cotta per qualcuno che non è Timmy? » rise, civettuola. Pareva quasi contenta. « Oh, Tecna, questo è un bene. Certo, se ti piace okay, però puoi avere di meglio, dai... aspetta, ma non sarà mica quel bel biondino con cui ti ho visto parlare spesso negli ultimi tempi... aspetta... Alan? Dai, stareste benissimo, insieme! »
Iniziò un lungo sproloquio su quel "bel biondino", che in realtà era solo un amico di Timmy con il quale lei aveva progettato alcuni sistema di difesa, durante la grande battaglia; andava bene, come copertura.
« Stella » la interruppe, ad un certo punto. « È lui; ma ti prego di non farne parola con chicchessia. Il fatto è che lui è felicemente impegnato in una relazione sentimentale da parecchio tempo, perciò... mi sono rivolta a te perché ho bisogno di sapere come dimenticarmene, come... "togliermelo dalla testa" » le costava molto ammettere una cosa del genere, perché l'unica volta che si era sentita attratta da qualcuno, in passato, era riuscita a lasciar perdere piuttosto in fretta. Ora non ricordava nemmeno il nome di quel ragazzino.
Ma sapeva che quella era stata solo una cottarella infantile; adesso le cose stavano diversamente e rischiavano di aggravarsi.
« Uhm... beh... fammi pensare... innanzitutto, non dovresti rinunciare solo perché lui è fidanzato. Insomma, puoi comunque fare un tentativo, le relazioni finiscono » suggerì. « Ma è anche vero che senz'altro tu non vorrai fare da guastafeste... quindi o aspetti che si mollino loro o ti metti il cuore in pace. Come? È molto semplice, ma dipende dai casi e da quanto ci tieni: puoi rassegnarti ad esserne amica o allontanarti da lui e troncare ogni rapporto se non necessario »
Ma certo... è logico. Perché non ci ho pensato da sola?
Limitarsi a stare accanto a Brandon come amica, come confidente, rischiando di infatuarsene ancor di più? Rise della propria stupidità; la "fredda Tecna" sapeva sin da subito come fare, per riportare tutto alla normalità.
Quando lo Specialista le raggiunse, informandole dell'imminente tempesta di meteore che avrebbero attraversato, lei stabilì che avrebbe dato ascolto alla sua parte razionale, alla "fredda Tecna". Avrebbe nuovamente eretto la stessa barriera di formale distacco che s'interponeva tra loro prima di tutta quella vicenda.
  Annuì a se stessa, senza rendersi conto che la "fredda Tecna" aveva già iniziato a sciogliersi.
 
 
 

Noticine:
Chiedo scusa per il ritardo di un giorno, ma ieri non ero a casa e non mi è stato possibile aggiornare.
Comunque... sì, voglio complicare la vita alla povera Tecna e, allo stesso tempo, Brandon e Stella mi piacciono troppo, perciò ho dedicato loro un piccolo momento speciale.
Siccome, se ben ricordo, era nella seconda serie che Riven iniziava a comprendere di più i suoi sentimenti... beh, mi sembrava opportuno aiutarlo a riflettere già qui. E, sempre parlando della seconda serie, presto farà la sua comparsa un personaggio che da piccola ho adorato e che ormai forse sarà morto!
Comunque, ringrazio tutti coloro che seguono la storia, la recensiscono o anche solo la leggono; sono davvero contentissima!
A sabato con il prossimo capitolo!
TheSeventhHeaven

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Capitolo 6
*** Prima parte - Allontanarsi ***


Parte prima - Allontanarsi
 

  Chiuse la conversazione, augurandosi che i ragazzi riuscissero a raggiungere la loro destinazione senza che il velivolo riportasse altri danni.
Si accorse che la batteria del telefonino era quasi scarica. Se ci fosse stata Tecna, forse avrebbe provveduto con un semplice schiocco di dita.
Un nodo si strinse attorno alla sua gola. Era difficile da ammetterlo, ma il solo pensiero di lei lo turbava e gli impediva di continuare quel che stava facendo.
Non era esperto in quel genere di faccende ma, se aveva inquadrato bene quella ragazza, le sue deduzioni erano corrette. L'ultima volta gli era parsa diversa, e non in bene.
Era come se fossero tornati agli inizi, quando a malapena si conoscevano e l'unica cosa che avevano in comune era l'elettronica. D'accordo, restava comunque l'argomento protagonista delle loro "chiacchierate", ma ormai sapevano di poter discutere di qualsiasi cosa... o forse era lui, a darlo per scontato?
In fondo, non aveva mai dato alla fata alcuna ragione di credere di volere qualcosa di più, di una semplice amicizia; l'iniziativa non faceva per lui, ma in quel momento si rese conto che forse avrebbe dovuto fare violenza a se stesso ed agire, prima che qualcuno potesse portargliela via?
Ma come doveva fare?
Si fermò così, sotto un pannello della navetta che stava riparando; cacciavite in mano, doveva aver assunto un'espressione a dir poco imbambolata, perché quando Maria e Flora lo trovarono in quello stato scoppiarono a ridere.
Rialzandosi bruscamente diede una sonora testata al metallo, sospirando all'idea di aver rimediato una figura ancor peggiore. «Ragazze» borbottò Timmy, massaggiandosi il capo. «Come posso esservi utile?»
«Hai visto Musa? Aveva detto che sarebbe venuta da te per vedere se avevi bisogno di aiuto» spiegò la prima. «In realtà credo che il suo fosse solo un tentativo di ammazzare il tempo. Voglio dire... non credo che ne sappia molto di...»
«...Barre di comando. O se vuoi puoi chiamarla cloche» concluse per lei, con un sorriso. «In ogni caso, no, non so dove lei sia... aspetta; credo di averla vista parlare con un altro ragazzo di Fonterossa»
Le due si scambiarono un'occhiata perplessa. In quel breve periodo, la strega si era avvicinata molto alle due fate e, ovviamente, era venuta a sapere di Musa e Riven; perciò ad entrambe parve strano che lei rivolgesse la parola a qualche allievo dell'accademia che non fosse lui, più che altro perché, come specialmente Flora sapeva, la sua amica considerava un po' tutti i maschi degli imbecilli patentati e cercava di averci a che vedere il meno possibile.
Però, dopotutto, si trattava solo di due studenti che scambiavano quattro chiacchiere! Non era nulla di formale. «Lo conosci?»
«Uhm... non troppo bene» rispose, tornando alle sue mansioni. «Si chiama Jared. Lui ed Alan si sono occupati della riparazione della navetta su cui viaggiano Brandon e gli altri»
«Grazie, Timmy» sorrise Flora, mentre tornavano in cortile. Maria le era sembrata turbata, ma non ebbe il tempo di domandarle spiegazioni; era il momento di investigare ancora un po' nella memoria fasulla di Vera, perché il tempo stringeva e chissà cos'avrebbero potuto trovare.
Musa era poco più avanti di loro; rideva, forse per una battuta fatta da quel bel giovane dagli occhi d'ambra.
Jared...
La strega si sentì in imbarazzo, quando lui si voltò verso di loro. Tra tutte le persone che avrebbe voluto incontrare, proprio lui... certo, dal momento che sia Fonterossa che Torrenuvola erano state accolte lì, avrebbe dovuto sapere che prima o poi sarebbero stati faccia a faccia, però...
«Oh, Jared... queste sono Flora e Maria, due mie amiche» spiegò la fata. «E lui è... beh, in realtà lo conosco solo da qualche minuto»
Jared sorrise, facendosi un po' malinconico quando fu di fronte alla bella streghetta dai capelli del colore dei lillà. Questo non passò inosservato allo sguardo attento di Flora che, sebbene la conoscesse a malapena da due giorni, aveva già sviluppato una profonda simpatia per quella ragazza.
In lei rivedeva un po' se stessa; forse perché avevano un temperamento simile che puntualmente portava entrambe a dubitare delle proprie capacità, sebbene queste fossero, a detta delle rispettive presidi, straordinarie. Però c'era qualcosa di indefinito che spesso rendeva Maria meno allegra del solito; come un brutto ricordo che persisteva e che le impediva di godersi a pieno i pochi momenti di serenità.
«Tanto piacere» fece il ragazzo. «Ora è meglio che vi lasci. Alan mi starà cercando»
Si congedò, e la voce di Musa apparve un po' più calda, nel salutarlo. «È un tipo un po' strano. Magari dopo vi racconto. È timido, però è simpatico»
Già... alla fine forse ha coronato il suo sogno... ha fatto amicizia con una fata e se n'è invaghito.
Ma non aveva importanza. Di certo non avrebbe permesso a simili sciocchezze di intralciare in quello che era ormai anche un suo compito.
«Comunque, immagino che mi steste cercando per Vera, giusto?»
Le altre due annuirono. «Maria ha ritrovato le energie e Vera è di nuovo pronta a mostrarci il passato delle Trix» disse Flora.
«Allora non aspettiamo oltre»
  Vera fluttuava ancora nella stessa aula del giorno precedente. Chissà cosa doveva provare, a restare addormentata... la strega aveva spiegato che era necessario affinché, una volta sveglia, non riportasse danni cerebrali dovuti alla loro intromissione nella sua mente.
«Iniziamo» annunciò Maria, mentre ripeteva l'incantesimo della volta prima.
Furono catapultate a Torrenuvola. Darcy le aveva condotte nel dormitorio; accostando l'orecchio alla porta che recava i nomi delle sorelle, sentirono che confabulava con Stormy.
Senza neanche rendersene conto, le tre ragazze attraversarono le pareti della stanza come fossero diventate immateriali.
Seduta sul bordo di un letto, la giovane figura di Vera cercava di consolare la minore. Sembrava che entrambe avessero un paio di anni in più, eppure la ricciolina appariva la stessa bimba allegra della casetta nel bosco.
Le Winx si chiesero che cosa potesse averla mai spinta a diventare quel che era ai giorni loro. Aveva semplicemente cambiato musica dall'oggi al domani o aveva semplicemente lasciato germogliare i semi del male che erano in lei?
«Non devi prendertela, Stormy» fece la maggiore. «È normale che le nostre compagne siano un po' più avanti, rispetto a noi. Hanno sempre vissuto in una casa vera, con i loro genitori, maghi e streghe con anni di allenamento alle spalle»
«Non è giusto!» piagnucolò l'altra. I suoi magnetici occhi cerulei sembrarono emanare scintille, e fu facile cogliere l'ombra che li aveva attraversati. «Si credono tanto brave solo perché hanno avuto fortuna!»
All'improvviso, le due fate realizzarono che quel che poteva aver portato Stormy sulla strada sbagliata era il desiderio di riscatto. Se per Darcy si era trattato dell'esigenza di seguire le uniche persone che amava, per la più piccola era stata la voglia di mettersi alla prova e dimostrare di valere quanto gli altri, se non di più, nonostante la condizione di svantaggio da cui era partita; e tutto ciò era alla fine sfociato in una crudeltà matta.
Ma era lo stesso per Icy? Senz'altro anche lei aveva sempre serbato in cuore l'ambizione di affermarsi al di sopra di coloro che, come emerse dalle lamentele che mosse dopo la minore, le avevano sbeffeggiate dalla prima volta che avevano messo piede nella scuola.
Eppure non poteva essere solo quello. Ancora non sapevano chi fosse il misterioso bambino e per quale ragione la strega del ghiaccio si ostinasse a rifiutare la sua proposta.
«Abbi pazienza. È vero: noi non conosciamo tutte le loro formule, senz'altro. Ma non dimenticare quello che facesti una volta, nella foresta accanto a casa» disse Vera, sfoggiando una sorta di ghigno che non le apparteneva. «Ogni volta che ti senti inferiore, ricorda da chi discendiamo e cosa siamo. Loro, al confronto, valgono ben poco»
E così, sin da piccole le Trix erano state educate al culto delle tre Antenate. Non sapeva perché, ma Musa aveva sempre creduto che avessero scoperto le proprie origini solo durante la loro permanenza a Torrenuvola; e invece le sorelle erano sempre state consce del sangue che scorreva nelle loro vene, ma non di quel che avrebbe comportato.
Che cosa aveva voluto dire, Icy, parlando di "accettare l'aiuto di chi aveva sterminato la loro famiglia"? Il misterioso bambino era dunque un assassino? Perché? Perché Darcy mostrava loro tutto ciò? Voleva che le fate si ricredessero su di loro?
Pensandoci bene, cosa sarebbe accaduto, qualora avessero fatto luce sulle loro ragioni? Se il motivo di tanta malvagità erano i trascorsi turbolenti, avrebbero davvero potuto condannarle?
Però tutti abbiamo sempre la possibilità di fare diversamente... no? Avrebbero potuto cercare di risparmiare ad altri quel che loro stesse avevano passato, e invece... hanno preferito condannarli a quel destino.
Musa scosse la testa. No, non potevano passarci sopra, qualsiasi cosa fosse saltata fuori da quei ricordi. Nessuno avrebbe mai potuto cancellare i loro errori o, se anche ci fossero riusciti, lei non era disposta a concedere il proprio perdono.
Stormy stava per ribattere qualcos'altro, ma il trio non seppe mai che cosa disse. All'improvviso, la scena fu squarciata e si ruppe in mille pezzi, come uno specchio contro cui veniva gettato un sasso.
Le tre ragazze precipitarono in un baratro profondo, fino a che la caduta si arrestò in una serra.
«Che cosa sta succedendo?» domandò Musa, spaesata. «Dove siamo?»
Maria si guardò attorno, confusa a sua volta. «Non lo so... io credo che la mente di Vera sia consapevole di aver ereditato un ricordo fasullo. Lo ha interrotto perché non sa come proceda... e questo significa che forse il sortilegio di Darcy si può contrastare più facilmente di quanto credessimo» constatò. Si chinò, osservando un'aiuola. «Questo dev'essere parte della memoria assopita, ma... non ho idea di cosa sia»
«Questo posto è... la serra a casa di mia nonna» realizzò Flora, sconvolta. «Su Linphea»
Vera, poco più che ragazzina, rincorreva una bambina, ridendo. E quella bambina aveva un volto noto.
«Flora, la conosci?»
Lei annuì, sconvolta. Era sua sorella.
Perciò si conoscevano? Ora che ci pensava, spesso Miele le aveva raccontato di una sua amica, ma non aveva mai ricollegato le due cose. E così, quella ragazza proveniva da Linphea?
Il breve ricordo svanì, ma forse Flora aveva trovato la soluzione a tutta quella storia.
«Musa... ricordi che l'incantesimo che hai usato per svegliare Vera era scritto sul libro di cui ti parlavo?» iniziò, pensierosa. In genere tendeva a sottovalutarsi, ma quella volta comprese di aver avuto una trovata che avrebbe potuto funzionare davvero. «Ricordo di aver letto che è possibile ricreare un ambiente nella memoria di qualcuno. È una procedura complicata, ma con l'aiuto di Maria penso si possa fare!»
«Ricreare un ambiente... non potremmo usare il simulatore di Palladium?» fece l'altra.
La fata dei fiori scosse la testa: il simulatore avrebbe potuto ricostruire un luogo generico di Linphea e comunque loro avevano bisogno di ricercare quel frammento di memoria di cui erano state testimoni. «In questo modo potremmo riuscire a far leva sul suo subconscio per aiutarla a ricordare»
Musa si concesse qualche istante per riflettere. Valeva la pena di provare, no? E poi lei non aveva idee migliori. «Per me va bene. Oh, Tecna mi sta telefonando...» cosa poteva essere successo?
Flora annuì. «D'accordo. Vado in biblioteca per saperne di più! A dopo»
Maria la seguì, ma per tutto il tragitto fu assente. La preoccupava l'idea di non riuscire in quel che le sue due nuove amiche si aspettavano da lei, di deluderle.
Sapeva, aveva sempre saputo, che la natura del suo potere un giorno le avrebbe permesso di manipolare le menti altrui proprio come faceva Darcy, ma per guidare la loro coscienza verso la retta via. Avrebbe potuto risolvere quella situazione se solo avesse avuto abbastanza fiducia in se stessa ma, come al solito, quella stupida insicurezza minava ogni sua azione.
E adesso... adesso che aveva rivisto Jared aveva conferma di quanto fossero vani i suoi tentativi di dimostrare che anche una strega poteva essere "buona".
Tacque, per non dar voce a qui pensieri che chissà come l'avrebbero fatta apparire agli occhi degli altri - di quella dolce e gentile fata. Ma se c'era qualcosa che quella dolce e gentile fata aveva imparato, era che erano proprio quei pensieri ad aver bisogno di essere condivisi; e questo perché chi, meglio di lei, avrebbe potuto capire qualcuno che dubitava di sé?
Parlò per prima, convinta che quel forte turbamento fosse dovuto anche e soprattutto al loro incontro con quello Specialista, Jared. Prima di allora, non aveva mai visto Maria così assorta.
«Senti... va tutto bene?» chiese dunque, una volta raggiunta la cima delle scale.
Come avrebbe dovuto risponderle? Perché no, non andava tutto bene, ma non era sicura che lei potesse capire. «Beh...» oh, per una volta avrebbe anche potuto provare ad aprirsi! «Hai presente Jared?»
Lei sorrise. Aveva inteso bene, quindi.
«Vedi... io lo conosco... eravamo nello stesso orfanatrofio. Oh, ma non sentirti in colpa!» disse, allegra. «Da quel che so, mi abbandonarono perché non mi volevano, perciò non credo sia una gran perdita non conoscere i miei genitori. E poi lì mi trovavo bene e avevo molti amici, tra cui Jared»
Maria raccontò che Jared era sempre stato affascinato da quelle che erano le fate nell'immaginario comune: abiti brillanti, ali aggraziate ed un dolce sorriso che avrebbe tranquillizzato perfino un uomo ad un passo dalla morte.
Per tutta un'infanzia aveva creduto, o meglio sperato, che anche lei sarebbe diventata così. Aveva così tanto cercato di riempirle la testa di Alfea e di tutti i bei sogni che si concretizzavano lì dentro, da non accorgersi che la natura di lei non avrebbe mai potuto combaciare con quello che lui voleva fosse.
Non era mai riuscito ad accettare la sua decisione, perché non era mai riuscito a capire che non tutte le streghe erano cattive; e, per lo stesso motivo, non era stato capace di amarla, di apprezzarla per com'era.
E adesso, forse, avrebbe avuto quel che voleva. Riconosceva la lunga occhiata che aveva lanciato a Musa, perché era la stessa che, tanto tempo prima, riservava solo a lei.
«Mi hanno adottato quando avevo dieci anni. Io non volevo abbandonare quella che avevo sempre considerato come una famiglia, ma mi dissero che sarei stata bene» disse, abbandonandosi per un po' alla malinconia.
Si appoggiò alla parete, riportando alla mente i pomeriggi trascorsi tra le risate, i giochi sull'erba e le storie della buonanotte. «I miei genitori adottivi sono persone fantastiche. Loro potevano capirmi, sai? Non credevano affatto che una strega fosse per forza destinata a seguire la via del male e per questa ragione mi accontentarono. Io ed Icy avevamo la stessa età, quando ci iscrivemmo a Torrenuvola»
Flora sorrise, comprensiva. «E Jared...»
«...Jared non mi parla da allora» concluse, con un sospiro. «Sapevo che avrei potuto incontrarlo in qualsiasi momento, dato che frequentiamo due accademie vicine, ma... non credevo avesse questo impatto, su di me. Però non importa, ha scelto lui di allontanarsi. Io ho fatto le mie scelte, giusto?»
Annuì. Capiva bene la situazione di Maria... quel ragazzo significava molto per lei, eppure non era stato in grado di cogliere quello splendido fiore che sarebbe diventata. Che importanza aveva se si trattava di petali bianchi o scuri?
Ma l'importante era che la ragazza ne fosse consapevole. Era questo, che mancava a Flora: la sicurezza nelle sue scelte. Le piaceva la compagnia della strega, le ricordava un po' Bloom, sebbene quest'ultima fosse molto più insicura, quando c'erano in ballo le decisioni.
Chissà dov'era, e cosa stava facendo...
 
*
 
  «La tempesta è passata e credo che siamo prossimi all'arrivo»
«Ho capito, allora ti lascio» annuì Musa al telefono. «Ah, Tecna... non abbiamo avuto modo di parlare molto, ma mi spiace davvero per come sono andate le cose su Zenith. Quando tornerete dobbiamo farci una bella chiacchierata»
«Certo. A presto»
Tecna sospirò forte davanti allo schermo, sola nella stiva. Aveva bisogno di parlare con Musa, di confrontarsi con lei... anche se raramente avevano toccato l'argomento "ragazzi" sapeva che solo l'altra avrebbe potuto capire cosa provava e mantenere quello che era ormai diventato uno sciocco tormento.
Immersa nei suoi pensieri, il tocco delle dita raggiunse le spalle nervose e sobbalzò di fronte alla strana consistenza che aveva la pelle cicatrizzata. Appena due giorni prima avrebbe pensato che non vi fosse modo di guarire, e invece... ed era tutto merito di Brandon.
È sempre merito di Brandon.
Quanto, della loro missione, era riuscito grazie a lui? Era uno dei pochi a conoscere l'effettiva utilità delle tute di Fonterossa ed era stato lui, a farsi avanti per primo contro Stormy, a creare un diversivo affinché la fata avesse tutto il tempo di fare ciò che doveva.
Era coraggioso, ed era questo a piacerle. Per tutta la vita aveva rincorso la logica e l'aveva cercata ovunque, perfino nelle relazioni. Solo ora si rendeva conto che stare con Brandon significava rischi, imprevisti, avventure ed emozioni che aveva provato solo la prima volta che aveva volato con le proprie ali.
Stare con Timmy era diverso, bello, ma diverso. E lei non era sicura di ciò che voleva.
Però aveva stabilito di riportare la situazione al suo stato iniziale, e così avrebbe fatto.
Guardò oltre il vetro. Si trovavano in una regione buia, le stelle non erano molte ed erano piuttosto anziane; era quindi facile perdersi lì, come era accaduto ai presidi.
Ma ancora non era chiaro perché fossero stati attaccati. Tecna osservò il piccolo pianeta su cui erano precipitati: sembrava prevalentemente roccioso e le diverse tempeste che imperversavano sul terreno e che erano visibili anche da fuori lo rendevano inospitale.
«Tecna, stiamo per sbarcare» la informò Stella, affacciandosi. La lontananza dal Sole si faceva già sentire, e la fata aveva un'aria sciupata come non mai. Ora capiva perché avesse passato buona parte del viaggio a riposare.
L'altra annuì, seguendola sul ponte di comando. I ragazzi stavano pensando ad un modo per scendere dalla navetta senza venire spazzati via dai cicloni. «La navetta resisterà, ma noi no. Ci vorrebbe un campo di forza, uno scudo...»
Tecna sorrise. «A quello ci penso io. Avete già individuato la navicella di Faragonda e gli altri?»
Riven indicò un punto più avanti; anche se le forti correnti impedivano di vederlo, erano lì. Con cautela si apprestarono a scendere, avvolti da una barriera eretta dalla zenithiana, che intanto si era trasformata.
Stella rimase a bordo, stringendo il suo anello per riguadagnare un po' di energia. Li osservò mentre avanzavano verso il velivolo, o quel che ne era rimasto.
All'improvviso, una folata di vento più forte fece tremare la fitta rete che la fata della tecnologia aveva intessuto per proteggerli. Doveva resistere, o sarebbe stata la fine. «Sbrighiamoci!» urlò al vento, procedendo con fatica.
Era come se il pianeta avesse riscontrato sulla sua superficie delle presenze ostili ed avesse messo in atto un meccanismo di difesa. Quelle tempeste le fecero pensare a Stormy, al fallimento della missione e... sì, era stata sicuramente quella maledetta strega, ad attaccare i professori.
Ebbe conferma dei suoi sospetti quando riuscirono ad introdursi nella navetta precipitata. Il solido e scintillante metallo era come liquefatto, deturpato da una violenta scossa.
Ma perché?
Che lo avesse fatto per puro divertimento? No, non avrebbe avuto alcun senso... e se avesse pensato che stessero scortando Bloom in un luogo più sicuro?
Ma per quale ragione Stormy si trovava lì? Era possibile che fosse diretta nel loro covo?
«Chi è là?» il lugubre timbro di Griffin risuonò tra le pareti. Dalla penombra emersero i penetranti occhi nocciola, felini. «Chi siete?»
«I soccorsi da Alfea» replicò Brandon, irradiando la stanza con la luce della sua torcia. «Siamo Brandon, Riven e Tecna»
La strega parve rilassarsi, lasciandosi andare ad un sospiro di sollievo. «Siano benedetti gli allievi di Saladin e Faragonda. Loro vi rimprovereranno perché non avreste dovuto esporvi così in una missione di salvataggio, ma sarebbe ipocrita dirvi che non avevamo bisogno» iniziò, scortandoli nella stiva. «Siamo stati attaccati da quelle tre. Da Stormy. Era in fuga da Zenith, molto probabilmente... e ho la certezza che sia diretta sul suo pianeta natale»
Le mie deduzioni erano corrette...
«Mi è stato raccontato ciò che avete scoperto sullo specchio. Come voi, anch'io ho il timore che le Trix siano alla ricerca della custode della Fiamma del Drago, ma Faragonda fa fatica a percepire la sua forza vitale» continuò.
«È... è morta?» balbettò Tecna, disorientata.
La strega scosse la testa. «Crediamo di no. Semplicemente, si trova in un'altra dimensione... il che è senz'altro un bene» si scostò, lasciando passare i giovani.
Nella stiva stavano gli altri due presidi e le guardia, provati tutti dalla terribile esperienza. Quando li videro si rianimarono; come previsto, elargirono una serie di rimproveri poco sentiti circa i rischi che avevano corso allontanandosi dalla scuola, ma era chiaro che ne fossero felici.
Dopo un po' fu stabilito di scortarli su Eraklyon come da programma, per riportare ai sovrani la notizia della triste dipartita del loro erede. Sulla navetta, Stella cercò di infondere loro un po' di calore, ma era visibilmente stanca.
Fu un attimo, una frazione di secondo in cui lei si voltò verso l'amica; subito, Brandon strinse le spalle della principessa, riscaldandola, spronandola a farsi forza. Di nuovo, Tecna ebbe l'impressione di avvertire un senso di fastidio nel constatare quanto quei due fossero semplicemente perfetti, insieme.
Distolse subito lo sguardo, ricordando ciò che aveva stabilito. Sarebbe stata bene, se si fosse dimenticata di quella faccenda, se l'avesse chiusa ancor prima che iniziasse.
Ma il ragazzo non doveva essere della stessa idea; o, più semplicemente, non si faceva tutti quei problemi perché non provava il benché minimo sentimento, per lei, che andasse oltre a... a niente. Non erano neanche amici, in verità.
Le si avvicinò, sorridendo. «Va tutto bene?»
Lei si sforzò di indossare la sua solita maschera impassibile, intenzionata a mostrarsi indifferente e non sapendo che quegli stessi dubbi che attanagliavano lei avevano iniziato a distrarre anche lui, nonostante fosse certo di amare Stella come non aveva mai amato nessuno.
«Sì» replicò, lapidaria.
«Sei sicura? Mi sembri un po' giù. Ti fanno male le cicatrici?» insistette si sporse come a voler esaminare le grinze delle sue spalle esposte, ma lei si ritrasse bruscamente, come scottata.
Brandon non lo diede a vedere, ma rimase scosso da quel gesto. Cosa stava succedendo?
«Sto bene, Brandon» ripeté, a disagio. Finse di avere qualcosa da fare con il suo palmare, lasciandolo solo e ripetendosi quella convinzione un po' infantile ma pur sempre vera per la quale se non si fosse avvicinata non avrebbe potuto allontanarsi.
 
 

Noticine:
Ebbene, i nostri quattro amici sono riusciti a trovare le cariatidi, perciò ora li attende Eraklyon, mentre le due fatine si apprestano a sistemare Vera.
Sì, il personaggio di cui parlavo è Jared. Un po' per pigrizia e un po' perché mi è sempre piaciuto molto, l'ho riportato qui come vecchia conoscenza di Maria che, anche se involontariamente, la sprona ad inseguire il suo sogno e dimostrare che non tutte le streghe sono cattive.
Comunque, con il capitolo di martedì si chiude la prima parte e non vedo l'ora!
A presto e grazie a chi legge!
TheSeventhHeaven

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Capitolo 7
*** Prima parte - Colori ***


Prima parte - Colori
 
 
  Posò lentamente la spazzola sul tavolo. Lo specchio rimandava l'immagine di una bella ragazza, dai lunghi e lisci capelli dorati e gli occhi d'ambra viva.
Aveva contemplato molte volte quel riflesso. Lo aveva visto contrarsi nelle espressioni più sciocche, in sorrisi maliziosi, soddisfatti, o allegri... aveva ammirato la proiezione del proprio aspetto così spesso che ora non riusciva a riconoscervi per nulla quello sguardo spento che le stava davanti.
Era stanca, ma non solo per l'energia che aveva perso allontanandosi dal Sole. No, era stanca per colpa di tutto ciò che era successo, perché sentiva che, in qualche modo, la colpa era anche sua.
Si chiese, mentre infilava il solito cerchietto, cosa ne fosse stato di Bloom, della sua migliore amica. Si era parlato di un'altra dimensione, un luogo in cui, in qualche modo, era riuscita a mettersi in salvo; ma non era questo, a preoccuparla: sapeva bene che lei sarebbe riuscita a cavarsela in ogni caso, perché era una ragazza intelligente e versatile.
Stella aveva paura di quel che poteva essere successo alla sua integrità, alla Bloom che conosceva. Perché lo stava sperimentando già su se stessa, no? Quegli eventi stavano mutando tutti loro nel profondo, e sapeva che non sarebbero riusciti a tornare indietro. Aveva paura che Bloom potesse trascorrere il resto della sua vita tra i sensi di colpa, che perdesse il suo calore, proprio come temeva accadesse a Brandon; non si accorse che lei stessa aveva già perso il proprio
In quel preciso istante, quasi chiamato dalla voce dei suoi pensieri, il ragazzo entrò nella stanza in cui alloggiava la fidanzata. Quel giovane, quel giovane era l'unico calore rimasto; ma chissà, forse non sarebbe durato per sempre.
Si alzò, andandogli in contro ed abbracciandolo, in silenzio; aveva imparato che, in quei frangenti, il silenzio poteva valere più di mille parole, parole che lei non avrebbe mai saputo dirgli. Lui era cambiato, qualcosa si muoveva nella sua mente e di certo non era dovuto solo a quella grave perdita; Stella lo sapeva, sentiva che, pian piano, si sarebbe allontanato, sarebbe scivolato via da lei.
Fu lui a rompere quella quiete.
«L'udienza con il re di Eraklyon è terminata» disse infatti.
Lei scosse la testa, senza permettergli di liberarsi da quell'abbraccio in cui avrebbe voluto tenerlo per sempre, vicino al suo cuore. «Lo so»
E sapeva anche che il sovrano aveva proclamato lutto nazionale e per il dolore non era stato in grado di fare altro, nei confronti di Brandon, che ringraziarlo di tutto e dirgli che sarebbe sempre stato il benvenuto, a corte; eppure, il ragazzo non avrebbe mai più voluto mettere piede lì.
Così, mentre passeggiavano per le ali del castello, tenendosi per mano e facendosi forza l'uno all'altra, lui non riusciva a smettere di pensare a tutte le volte che aveva attraversato quei corridoi insieme a Sky, ridendo per qualche marachella che avevano combinato, lamentandosi di qualche cosa, giocando a fare gli eroi.
Era sempre stato quello, il suo sogno: essere un eroe. E ci sarebbe riuscito, perché ormai lo aveva promesso a quel fratello che lo aveva lasciato prima del tempo.
«Sarebbe bello poterti far visitare Eraklyon, prima di ripartire» sorrise lui. «La galleria delle fontane, il parco dei colori, la sala del tè amaro...»
«Mi hai preso per Flora?» scherzò, fingendosi altezzosa.
«Hai ragione...»
Lei si fermò, posandogli una mano sulla spalla. «Stavo scherzando, Brandon. Qualsiasi posto andrebbe bene, con te» disse. «Però dovremmo portarci anche Tecna e Riven»
Il ragazzo alzò un sopracciglio. «Riven li troverebbe noiosi e Tecna pure... senza contare che...» ricordò come lei lo aveva liquidato, il giorno prima.
In genere Brandon non era il tipo che passava troppo tempo a riflettere prima di agire ma, grazie all'esperienza su Zenith, aveva imparato che bisognava andarci con i piedi di piombo, quando si aveva a che fare con la fata della tecnologia. Per questa ragione si era scervellato tutta la notte sul significato di quell'improvvisa freddezza e, siccome lui non era certo uno stupido, era giunto alla conclusione che non si trattava solo di stanchezza o apprensione.
Credeva di aver commesso qualche sbaglio, o di averla in qualche modo infastidita; e tutto quel distacco lo feriva, sebbene fosse difficile capacitarsene. « ...Beh, non credo abbia voglia di passare del tempo con me, con noi. È strana, negli ultimi giorni »
«Di solito ti direi che lei è sempre strana, ma questa volta ha un valido motivo per esserlo, ed è proprio per questo che dobbiamo aiutarla a distrarsi!» esclamò, sorprendendolo. Nonostante fosse abbastanza sicuro di amarla e in lei vedesse tante buone qualità, non si era mai aspettato che Stella potesse provare compassione perfino per Tecna, che era quella con cui andava meno d'accordo.
«Tutti e due sono un po' giù. Non conosco le ragioni di Riven e credo non le svelerà mai, ma... un po' di aria fresca non può che fargli bene, mentre lei ha solo problemi di cuore» spiegò.
Problemi di cuore?
«Sì, insomma... sai che a lei piace Timmy, no?»
Brandon annuì, curioso. Lui stesso le aveva detto di farsi avanti per prima perché l'altro era troppo timido; però le aveva dato la conferma del sentimento che provava.
Non capiva, ma il racconto di Stella gettò luce sui meccanismi della mente fredda e calcolatrice di quella ragazza. Tecna era quindi combattuta tra Timmy e Alan         ? Lo stesso Alan che conosceva lui?
Qualcosa non quadrava. «Stella, non so se ti ha raccontato una balla o ha informazioni sbagliate, ma so per certo che quel tipo non è impegnato. Ad Alan... non interessano le ragazze» fece, non sapendo bene come dirlo.
«Oh, nemmeno a Tecna interessavano i ragazzi, ma poi...»
«No, Stella...» la interruppe, imbarazzato. «Intendevo dire che non gli piacciono»
Mentre lei mimava un "oh", Brandon si chiedeva come fosse possibile tutta quella storia. Ci erano voluti mesi di conoscenza e di dialogo tra i due appassionati di informatica del gruppo, prima che potessero concepire un sentimento di reciproco; come poteva, quindi, essere vero che Tecna si fosse infatuata di un ragazzo con cui aveva parlato sì e no due volte?
Da quel che gli aveva raccontato Stella, sembrava qualcosa di serio, che non si limitava a pura attrazione fisica. C'era un dettaglio, nella vicenda, che sembrava poco plausibile e che gli fece pensare ad una bugia.
Ma perché avrebbe dovuto mentire? Le due fate non andavano certo a braccetto, ma erano amiche; perciò, perché vergognarsi di dire la verità?
«Poco importa, comunque. Lei ha bisogno di tirarsi su di morale, e noi possiamo aiutarla» concluse la bionda, con determinazione.
L'altro cercò di convincersi che, di qualsiasi cosa si trattasse, non era colpa sua. Accolse l'idea di Stella, pensando che comunque non fosse male distrarsi un po'.
  La loro prima tappa fu il parco dei colori: era il più vicino alla reggia ed era stato raccomandato loro di non allontanarsi troppo. Si trattava di un'enorme distesa dove i colori tingevano a chiazze il fresco prato estivo; la peculiare temperatura del pianeta pareva essersi rinfrescata, ma il Sole risplendeva in egual modo, riscaldando le loro ossa e facendo brillare l'erba come non mai.
«In questa zona, il terreno ha subito delle mutazioni dovute ad un antico duello tra fate ed è questo che ha conferito le diverse colorazioni. Almeno, così dice la leggenda» spiegò Brandon, procedendo per primo di fronte allo stupore delle due ragazze.
Colse un piccolo fiore dai toni del celeste e lo porse alla fidanzata.
«Queste smancerie sono proprio necessarie?» grugnì Riven, infastidito. «Non datemi subito un buon motivo per tornare indietro»
L'altro Specialista si strinse nelle spalle, facendo come se non avesse sentito; il rosso sbuffò, seguendo piuttosto Tecna. Gli era parso di cogliere qualcosa, negli occhi chiari di quella fata, che non aveva mai visto prima in lei e che, ne era sicuro, l'aveva portata ad allontanarsi da quella scena smielata.
Quel che aveva visto era un guizzo di rimprovero; nei confronti di se stessa - lui ne sapeva qualcosa - e della propria incapacità di far andare le cose come voleva. Un guizzo di gelosia, forse, di rassegnazione; e allora capì.
Sulle prime, infatti, si era irrigidita nell'assistere a quel dolce quanto inconcepibile gesto; ma poi aveva cercato di contenersi, di tornare in sé ed applicare tutti i suoi buoni propositi. Era stata una sorpresa ricevere quell'invito, e fu ancora più una sorpresa quando Riven le andò vicino, chinandosi accanto a lei.
Non proferì parola, si limitò ad osservarla mentre programmava una sonda per scansionare il suolo. Ma lo stupore durò poco, perché sapeva bene che lui non si sarebbe mai avvicinato a qualcuno per semplice curiosità; e forse aveva fatto male i suoi conti, perché le probabilità che lui capisse erano molto più alte di quanto si aspettasse.
Per un attimo si scambiarono un lungo sguardo; e non ci furono più segreti.
La fata rivolse nuovamente la sua attenzione verso la sua ricerca, non sapendo cosa dire. Perché? Perché tutta quell'empatia, all'improvviso?
«Tecna» la chiamò, con quella sua voce calma. «Brandon sta facendo segno di andare da lui»
Placido com'era arrivato, s'incamminò verso di loro.
«Non dirò nulla» fece, mentre si allontanava.
Cameratismo. Qualcosa che aveva voluto condividere con lei.
Ti renderò il favore, un giorno.
C'erano delle novità, novità positive: Vera aveva riacquisito la memoria e Bloom... era tornata. E aveva di nuovo i suoi poteri.
 
*
 
  Piccoli passi rimbombavano nelle loro menti e si presentò la stessa scena a cui avevano assistito il giorno prima: Vera rincorreva Miele nella serra su Linphea.
Maria era riuscita a potarle nel ricordo sopito e a trattenerle lì; ma del resto si sarebbero occupate le due fate.
Flora richiamò a sé tutto il suo potere. Si chinò, affondando le dita tra le radici di un piccolo arbusto che stava all'ingresso; e lo aiutò a vivere.
Il respiro di lei divenne il respiro di quello e, soffiandovi appena sopra, la vita passò anche alle altre piante. Pian piano, il respiro rese vero tutto l'ambiente che le circondava e con esso i suoi colori, più vividi, meno sfocati; il ricordo si rischiarava e si svegliava.
Poi venne il turno di Musa. Il cinguettio degli uccelli, il fischio della brezza leggera e lo scroscio dell'acqua di un ruscello vicino; si concentrò su quei suoni, facendoli apparire meno ovattati, più squillanti: presto l'opera fu completa e con essa la prova che la complessità di alcuni aspetti della natura non li rende meno importanti.
La scena si ripeteva, e Miele entrò nella serra, seguita di nuovo da Vera. Flora le posò una mano sulla spalla, fermandola; quella si voltò, a metà tra il sorpreso ed il curioso.
«Come ti chiami?» chiese la ragazza. L'altra non seppe rispondere, confusa da quell'improvvisa domanda.
Guardò la bambina che correva, dubbiosa; e quella scomparve, come se non fosse mai esistita. Il ricordo stava svanendo, ma Maria cercò di trattenerlo con tutte le sue forze.
La fata dei fiori abbassò lo sguardo, con un sorriso pieno d'amarezza. Si era forse aspettata che, anche una volta apprese tutte quelle nozioni riguardo alla procedura da seguire, sarebbe davvero riuscita a metterla in atto?
Anche Musa andò vicino a Vera. S'inginocchiò, in modo da guardarla dritto negli occhioni cerulei. «Come ti chiami?» ripeté, con un tono più convinto e persuasivo.
È così che si fa. La sicurezza... la fiducia in me stessa. Perché non ci riesco?
Quella non rispose, non a parole.
Era strano, ma fu come ritrovarsi in uno di quei sogni in cui i protagonisti non parlano con la bocca, ma con la coscienza; e la coscienza di lei aveva detto di chiamarsi Darcy.
«Oh, ma tu sai che è una bugia» continuò la fata della musica, senza interrompere il contatto visivo. «Cerca di ricordare»
Fece cenno a Flora di intervenire, ma lei esitò. Ne avevano già parlato, non si sentiva pronta per farlo; perché Faragonda aveva parlato di poteri curativi e lei sapeva di averli, ma non come usarli.
Il blocco era tutto lì, nella sua testa; doveva solo trovare il modo di scioglierlo, di ritrovare la fiducia.
Ma come?
Poi Musa le prese una mano, la strinse e si specchiò nei suoi occhi di giada.
Noi siamo all'altezza, Flora. Dobbiamo solo dimostrarlo.
Come se lo avesse detto a voce alta, annuì. Poteva farcela... doveva farcela.
«Lei si chiama Miele» iniziò quindi, rivolta alla ragazzina, che l'ascoltava. «È mia sorella, sai? Lei... non ha molti amici, un po' come me, ma quei pochi che ha... sono quelli a cui tiene di più. Stava giocando con te, e le gioca solo con le persone di cui si fida» sorrise. «Miele è tanto dolce, ma non mi ha quasi mai parlato di te. Perché?»
La coscienza di Vera sussultò, e parve far riaffiorare qualcosa che aveva taciuto per molto tempo; e rispose che era una promessa che Miele le aveva fatto, perché lei... perché lei...
«Perché lei...?» insistette.
E allora la coscienza di Vera si risvegliò, perché era stata forzata a ricordare qualcosa che le aveva permesso, tanti anni prima, di non perdersi mai d'animo, di fare sempre un tentativo; di impuntarsi, una volta scoperto di essere negata come fata, per seguire le orme del nonno e dimostrare che non era necessario studiare ad Alfea, per essere d'aiuto.
La scena si ruppe in migliaia di piccoli frammenti, e tutte e quattro si trovarono in uno spazio completamente nero; proprio come quella volta che Musa aveva riportato la Specialista nella realtà.
Proprio lei stava ora di fronte alle due fate e alla strega, adulta, come la Vera che avevano conosciuto.
Era una semplice ragazza dai lunghi capelli d'ebano, che oscillavano leggeri in cima al suo capo; e nella sua statuaria figura, sorrideva di gratitudine.
«Vi ringrazio. Avete rotto il sigillo che Darcy aveva imposto su di me» spiegò, sorridendo loro. «Aveva provato ad applicarlo anche alla vostra amica Tecna, ma lei era più resistente agli attacchi magici e meno... legata al suo passato. Tuttavia, anch'io ho opposto resistenza e sono riuscita a mantenere intatto un ricordo»
Chiuse gli occhi, proiettandole nella sua memoria ristabilita. Di nuovo, una Vera bambina inseguiva una più piccola Miele.
«Miele ed io giocavamo di nascosto, perché con noi c'era mio fratello » parlò, calma. «Mio fratello era innamorato di Flora, ma non aveva il coraggio di dirglielo, né di farsi vedere da lei. Così Miele aveva promesso di non farne parola. Ora ricordo tutto.»
All'improvviso, dietro alle due ragazzine spuntò anche un bambino. Rideva anche lui, assistendo però passivamente.
«Non esserne così sorpresa, è la verità. Mio fratello è sparito da un anno a questa parte, ma sta arrivando, e non è da solo» proseguì, sempre sorridendo. «Non ho mai manifestato alcun potere magico, ma Miele mi ha insegnato ad ascoltare ciò che ci circonda e... posso percepire chiaramente una cosa: sta per arrivare il momento»
«Il... momento?» domandò Flora, ancora incredula. Erano davvero riuscite a curare quella ragazza dalla sua amnesia? E tutto questo solo perché aveva demolito quella barriera che da sempre l'attanagliava e le impediva di avere fiducia in se stessa?
Basta questo?
Vera non si spiegò oltre; semplicemente, l'incantesimo di Maria che teneva tutte loro in quel continuo flusso di ricordi s'interruppe, e loro tornarono alla realtà, in quell'aula in cui Wizgiz teneva le sue lezioni.
Musa stropicciò gli occhi un paio di volte, come a volersi accertare che fosse tutto vero. Ma la scena non si dissolse, né s'interruppe.
«Ce l'abbiamo fatta!» esclamò, abbracciandole tutte e tre per la gioia. Ora capiva, capiva nel senso più concreto quello che sia Faragonda che Palladium avevano voluto dirle; e fu in grado di perdonare se stessa per essere stata così cieca da non capire che dentro ognuno risiede qualcosa di speciale, ma per emergere ha bisogno di cure diverse. «Ci siamo riuscite per davvero! Flora, Maria... siete state fantastiche!»
Loro due risero, lasciandosi contagiare dal suo entusiasmo. Il peggio era passato, ed ora si sentivano pronte ad affrontare qualsiasi ostacolo.
Ad un tratto, però, le due fate avvertirono un cambiamento, come un perturbamento dell'aria: qualcosa di straordinario si stava avvicinando loro; era un'energia che conoscevano, ma molto più intensa e sicura di prima. Proveniva dai cancelli d'ingresso.
«Potete... sentirlo?» fece Musa, in un sussurro. Sciolse l'abbraccio, affacciandosi alla finestra; e per poco il suo cuore non ebbe un attacco. «Non posso crederci»
Le altre si avvicinarono, restando incredule a loro volta.
Non avrebbero saputo spiegarlo, ma quell'apparizione pareva aver riportato al suo splendore l'essenza della scuola, l'atmosfera serena e mistica che si viveva prima dell'attacco; era come se i colori fossero tornati al loro posto e con essi anche la vita di Magix.
Senza perdere un istante di più, le due Winx si precipitarono fuori, felici come non mai.
Maria invece era confusa. Anche lei aveva percepito un cambiamento, ma non capiva.
«Quella ragazza che è appena arrivata; la vedi?» indicò la Specialista alla strega. «E la loro amica che davano per dispersa e con lei...» anche Vera era contenta. La prese per mano e la trascinò in cortile; voleva riabbracciare lui. «...C'è mio fratello»
Bloom era tornata.
 
 

Noticine:
E così, eccoci arrivati alla fine della prima parte.
Riven ha capito, non poteva non farlo, ma almeno avrà la decenza di tenere la bocca chiusa. Mi piaceva l'idea di un po' di cameratismo tra lui e Tecna.
Vera si riprende, ma non ha tempo da perdere e presto avrà il suo bel da fare, mentre Bloom è tornata. Sì, è ancora viva e tra poco partirà il racconto delle sue avventure.
Avrete senz'altro capito chi è il fratello di Vera San.
Ringrazio Delavega, Great_Gospel e Tressa per i loro commenti che mi fanno sempre sorridere e mi invogliano ancor di più a scrivere. Oh, e naturalmente grazie anche a chi legge!

A sabato!
 
TheSeventhHeaven

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Capitolo 8
*** Seconda parte - Il bambino ***




Seconda parte –
Il bambino

 

 

Non sapeva da quanto stesse vagando per quell'antro; le pareva fossero trascorsi giorni, eppure, molto probabilmente, non ne era passato neppure uno. Soffriva il freddo, benché la tuta della Wind Rider fosse omologata per resistere alle basse temperature.

Lungo la strada aveva dovuto imboccare dei sentieri alternativi per non trovarsi faccia a faccia con spiacevoli creature.Era poi così sicura che fosse la strada giusta? In fondo, nessuno era mai stato nel luogo dove era diretta, e nessuno era certo della sua esistenza.

Si parla di uno spirito che risiede in questo mondo dagli albori dell'universo... Da che il grande dragone lo creò... Il grande dragone...

«C'è qualcuno?» udì improvvisamente una voce maschile, flautata, da cui non traspariva neppure un briciolo di agitazione. «Potete sentirmi?»

Bloom si mosse in direzione della fonte di quel tono così calmo, prestando bene attenzione a non inciampare tra le tenebre che avvolgevano il sentiero. «Chi... chi sei?»

«Chi sei tu, semmai» replicò quello. La ragazza scorse una figura, nell'ombra; man mano che questa avanzava, lei riuscì a distinguerne i tratti.

Un giovane, dal corpo allenato e dallo sguardo magnetico la scrutava, probabilmente domandandosi se fosse l'ennesimo nemico o se venisse in pace. La principessa rimase affascinata dai lunghi capelli di lui, scuri, che quasi si confondevano con l'ambiente.

«Io mi chiamo Bloom» iniziò. «Sono una fata»

O meglio, lo ero...

Lui parve piacevolmente sorpreso. «Davvero?» era sollevato. «Una fata?»

Lei annuì. «E tu? Sei di Magix?»

Il giovane esitò a rispondere. «Più o meno...» le tese la mano. «Helia»

Helia...

«Posso chiederti come mai ti trovi in un posto come questo?» domandò. Diede una rapida occhiata al cunicolo dietro di lui; su una roccia erano appoggiati una sacca ed un blocco. Aveva un bel tratto. «Sei in... in gita?»

Lui rise appena. Se Bloom non fosse stata distrutta, avrebbe pensato che avesse davvero una bella risata. «No, no...» smentì il ragazzo. «Sto cercando una persona. Però mi sono perso»

Anche lui cerca qualcuno...

«E tu?» chiese, tornando a sedersi sulla roccia.

«Io...» iniziò, sfregando le mani tra loro. Le veniva freddo solo a guardarlo, con quella camicia leggera. Helia si accorse che tremava ed estrasse dalla sacca qualcosa di vagamente rassomigliante ad una lanterna, accendendola.

Gliela porse, sorridendo. «Tieni; è fatta apposta. Ti riscalderà»

Bloom lo ringraziò, scrutando il piccolo bocciolo di rosa tra le ante sottili che emanava tutto quel calore.

Che fortuna, averlo incontrato!

«Anche io sto cercando una persona» riprese. «Ecco... hai mai sentito parlare di una creatura che vive nelle profondità della terra da millenni?»

Quello annuì. «Lo chiamano "lo Spirito". Dicono si mostri solo a chi ha veramente bisogno di lui, ma è una vecchia leggenda... come mai lo stai cercando?»

Poteva fidarsi di lui? «Lui... potrebbe essere l'ultima possibilità per avere indietro qualcosa che ho perso» spiegò. «Ho letto che è considerato uno dei sapienti della dimensione magica, quindi... forse può aiutarmi»

Chissà come doveva apparire, a lui. Doveva sembrare una sciocca credulona, per essersi andata ad imboscare in quelle gallerie nella speranza di incontrare qualcuno che, con ottima probabilità, nemmeno esisteva.

Oppure la vedeva buffa, o coraggiosa, o che altro.

Eppure...

Lui continuava a sorriderle, senza lasciar trapelare alcuno dei suoi pensieri.

Era calmo, Helia, quasi imperturbabile; a tratti le ricordava un misto tra la razionalità di Tecna e la pacatezza di Flora. Le mancavano, le sue amiche.

«Se proprio vuoi saperlo... anche io sono sulle sue tracce» disse lui, issandosi in spalla i suoi averi. «Forse potrebbe aiutare anche me. Lo cerchiamo insieme?»

Bloom ricambiò il sorriso, contenta di non essere più sola. S'incamminarono verso un cunicolo stretto, parlando del più e del meno; lei cercava di non pensare, di non ricordare e di fingere che andasse tutto bene.

Rideva, scherzava, indossava la sua maschera; finché non giunsero ad un punto morto.

Una luminosa distesa d'acqua si prospettava alla fine dello stresso sentiero che i due ragazzi avevano seguito. Avvicinandosi, Bloom si accorse che la conca di quel laghetto era profonda metri e metri.

«Che facciamo?» domandò al giovane. «La strada finisce qui»

Lo vide riflettere qualche istante. «Credo sia una sorta di canale marino. L'unica soluzione è tuffarsi» si chinò, bagnandosi appena le dita. «L'acqua è molto calda. Per qualche tempo dovremmo resistere»

Lei annuì, immergendosi per prima.

Mentre avanzavano, a Bloom pareva di sentire delle voci. Cantavano insieme, meravigliose, in una melodia che aveva in sé qualcosa di mistico e malinconico.

Cercò lo sguardo di Helia, come a volergli chiedere spiegazioni; eppure, questi sembrava non essersi accorto di nulla: proseguiva imperterrito, in ampie bracciate.

Mi chiedo chi stia cercando...

Forse, lo Spirito avrebbe potuto aiutare anche lui, qualora lo avessero trovato.

Più scendevano in profondità, più il canto si rinvigoriva e alla ragazza pareva di conoscere quelle parole lente, così coinvolgenti da farle quasi dimenticare del freddo che pian piano le stava entrando nelle ossa.

Queste raccontavano di un giovane e delle sue quattro qualità, tutte rette da una quinta inestinguibile. Ad un certo punto, però, lei non riuscì più a seguire le voci, perché il suo compagno aveva individuato un passaggio sul fondo del lago.

Lo seguì, fino a che non riemersero in un antro molto diverso da quelli precedenti. Sembrava quasi un ambiente estraneo al resto della grotta.

«Tutto bene?» le domandò. Le tese una mano per aiutarla a risalire, vedendo che per il freddo non ce la faceva.

Si direbbe che lui abbia quasi caldo...

«S-sì...» non sapeva se dar voce ai propri pensieri o tacere. Dopotutto, se quelle voci le aveva sentite solo lei, forse si trattava di una sua elucubrazione mentale.

Forse tutta quella storia della Fiamma del Drago le aveva fatto perdere il senno. «Che posto è, questo?» chiese, mentre lui le porgeva nuovamente la lanterna.

«Beh...» Helia proseguì per primo, appoggiandosi alla roccia. Sollevò lo sguardo e dovette coprirsi per la luce che lo investì.

«Accidenti!» esclamò Bloom, una volta che l'ebbe raggiunto.

Davanti a loro si proiettava una folta foresta, dalle fronde alte e violacee, tra le quali rimanevano incastonati i raggi dorati di un sole che non somigliava minimamente a quello di Magix, né, come constatò lei, a quello sulla Terra.

Delle risate allegre si propagavano per l'aria, calma e profumata.

Flora amerebbe tutto questo.

Si inginocchiò a scrutare una curiosa pianta dagli ampi petali, che sembravano trasparenti. «Non ho mai visto niente di simile» disse a voce alta.

«Però mi chiedo proprio come una radura possa trovarsi appena dentro... o meglio fuori da una caverna»

Ha importanza?

«D'altra parte...» proseguì il giovane. «Dev'esserci senz'altro un motivo, se resta nascosta qui. Senti...»

Bloom si sentiva strana. Vedeva le labbra di Helia muoversi, parlare; ma lei non sentiva nulla e, ad un tratto, si trovava nelle cucine di Alfea, davanti ai fornelli.

Stava preparando una frittata, o qualcosa di simile, e accanto a lei c'era Sky, che intonava la stessa nenia che lei aveva udito nuotando nel laghetto della grotta: di nuovo parole su un giovane e le sue cinque qualità; ma ora, Bloom riusciva a comprendere il loro significato, in parte.

Sky sorrideva, cantando del giovane, del calore e della luce che emanava il suo sorriso , della fiducia che riponeva in sé e negli altri e, allo stesso tempo, del perdono che concedeva anche al più infimo dei criminali, e del suo gran cuore che amava ogni cosa del creato.

Lei non riuscì a sentire della quinta qualità, quella inestinguibile, perché il defunto principe era scoppiato a piangere, e adesso sembrava più piccolo, un bambino; un bambino che Bloom non aveva mai visto, dai morbidi boccoli castani e due vulcani come occhi, un bambino che accusava la fata di averlo ucciso.

E anche lei piangeva ed intanto udiva la voce di Helia intimarle di svegliarsi, agitata.

«Un calabrone... con... insegue... e credo...» pareva sussurrarle all'orecchio.

Un calabrone?

Bloom aprì gli occhi, tastando la soffice erbetta fredda.

Sono svenuta? O mi sono addormentata?

«Bloom!» ora poteva vedere e sentire il moro, e capì di non esserselo immaginata: c'era davvero un calabrone, un calabrone enorme, scuro e dall'aria minacciosa, che avanzava verso di loro.

Prima che lei potesse accorgersene, il ragazzo le aveva già lasciato la sua sacca in mano e l'aveva sollevata con facilità, prendendo a correre più veloce che poteva. «Che cosa vuole, da noi?» domandò la fata, ancora intontita. Le immagini di Sky in lacrime si erano ormai impresse nella sua mente, e non riusciva a smettere di rivederlo mentre la accusava.

«Non ne ho idea, ma qualcosa mi dice che non siamo i benvenuti, qui» ansimò lui. «Guarda nella mia sacca: dovrebbe esserci un guanto»

Quel che la ragazza vide le insinuò un dubbio atroce. Il guanto di cui Helia parlava era un guanto della divisa degli Specialisti.

Anche lui è uno di loro? E' fuggito? ...Conosceva Sky?

Lui la pose a terra, infilando la mano nel tessuto. «Ti ringrazio» le sorrise, prima di gettare il braccio in avanti.

Dalle nocche di lui partirono dei lacci che andarono a stringere il calabrone in una morsa portentosa, costringendolo a terra. Bloom lo vide agonizzante, e finalmente comprese che quell'animale non era pericoloso. «Lascialo andare!» lo supplicò, alzandosi.

«Che dici?» sussurrò, confuso. «Bloom, no!»

Andò in contro all'insetto e s'inginocchiò accanto a lui, tentando di slegarlo da quelle corde; Helia sospirò, sconsolato, e mollò la presa. «Sappi che se dovesse inseguirti non ti salverò» borbottò, chinandosi vicino a lei.

«Non sarà necessario» sorrise. «Lui non è cattivo»

«Mi spieghi come fai a dirlo?»

Lei parve riflettere. «Uhm... sesto senso» rispose semplicemente. «E poi, l'ho visto nei suoi occhi. Non so come spiegarlo»

Helia inarcò il sopracciglio, volgendo la sua attenzione sull'animale. Tutto gli sembrava meno che mansueto. «Cose da fata, suppongo»

Già... da fata...

«Penso che volesse avvertirci di qualcosa» cambiò argomento, nervosa. Come gli avrebbe spiegato di aver perso i poteri? Era anormale.

«Come... di una minaccia?» esitò lui, osservando il calabrone muovere flebilmente le ali.

Lei scosse la testa. «No... non credo. Credo... credo volesse portarci da qualche parte. Proviamo ad andare con lui, Helia»

Il giovane fece spallucce, richiamando a se i lacci partiti dal guanto. Aiutò il calabrone a rimettersi in piedi e quello si librò in aria; li condusse per un lungo sentiero e per tutta la durata del tragitto, i due ragazzi tacquero, restando sulle proprie.

Lei rifletteva, pensava a Sky, a quel sogno e a quel bambino, quel bambino che l'aveva guardata negli occhi e che aveva evocato in lei una sensazione particolare, come se si conoscessero già. Si domandava poi chi fosse veramente colui con cui viaggiava, quali fossero le ragioni del suo errare, se in qualche modo lui stesso fosse collegato ai suoi amici.

I suoi amici... erano ancora vivi, i suoi amici? Come se la cavavano? Di nuovo, si sentì in colpa per non essere con loro, ad aiutarli; ma poi si ricordò, ricordò quanto fosse inutile una fata senza poteri.

Che avrebbe detto, Helia, se mai fossero riusciti a trovare lo Spirito e lei gli avesse chiesto aiuto? E se quest'aiuto non fosse stato concedibile?

«Penso che siamo al capolinea, Bloom. Il nostro amico si è fermato» la ridestò lui.

Si trovavano davanti ad una sorta di alta muraglia di grandi foglie color amaranto e, attraverso quella specie di parete, i due udirono un canto lento che Bloom riconobbe subito. Di nuovo, quelle sillabe danzarono nel suo cuore e fece sua ogni parola.

Helia ascoltava quella nenia ammaliato, ma non poteva cogliere ciò che le voci pronunciavano. Piano, cercò di scostare qualche foglia, per scorgere che cosa stava succedendo aldilà del muro; e il muro mostrò loro quello stesso bambino che la ragazza aveva sognato e che sentiva inspiegabilmente vicino a sé.

Giaceva sdraiato al centro di una cerchio in cui sottili figure femminili e maschili si ritrovavano a volteggiare, sussurrando nuovamente ciò che lei aveva già ascoltato.

Il giovane, le sue cinque qualità; ma il canto s'interrompeva sempre prima che la fata riuscisse a carpire quale fosse la quinta. O, forse, essa veniva specificata ed era lei a non essere in grado di farla propria.

Come Bloom mosse un passo in avanti, la danza si arrestò. I suoi protagonisti si voltarono verso i nuovi venuti, e lei rimase sorpresa dalle loro fattezze, a cui prima non aveva fatto caso: ciascuno di loro era identico agli altri e, mentre sui loro volti volpini si dipingevano espressioni minacciose, i due si domandarono se fosse tutto frutto della loro immaginazione.

Uno dei danzatori, quello che indossava un copricapo di foglie d'amaranto, sibilò parole che giunsero intimidatorie alle orecchie della ragazza ed incomprensibili a quelle del ragazzo. Si ritrovarono ad indietreggiare, di fronte all'avanzata di coloro che ormai, com'era intuibile, li consideravano nemici.

Ma poi una voce si levò, serafica. Era il bambino.

A fatica si mise in piedi, e parve uno di quei meravigliosi angioletti dai bei riccioli morbidi. Appoggiandosi ad un bastone, annaspò verso quegli ospiti apparentemente indesiderati, che non potevano fare a meno di domandarsi come mai l suo viso di porcellana apparisse spento.

L'unica cosa in grado di spezzare l'aria sciupata che il bimbo portava con sé erano i rubini incastonati sulle gote immacolate. Due occhi vividi che Bloom avrebbe ricordato per il resto della sua vita.

Le sue sottili labbra si piegarono in un sorriso stanco, e allora lei intuì che, a discapito della giovane età che dimostrava, quella creatura era ben più anziana di quanto sembrasse.

«Ti aspettavo» le disse, lentamente. «Sapevo che non gli avresti fatto alcun male»

In quello stesso momento, il calabrone che li aveva attaccati volò verso il suo padrone.

«Chi sei?» domandò Helia, non aspettandosi realmente una risposta.

«Sapete, se siete giunti fin qui significa che mi avete sentito. Avete sentito la mia richiesta d'aiuto»

Una richiesta d'aiuto?

Non erano forse loro, ad aver bisogno d' aiuto? «Che intendi?» chiese la ragazza. Quello fece loro un cenno con la mano.

Sotto gli sguardi attenti dei danzatori, i due giovani seguirono il bambino in un ambiente angusto e freddo. Nel buio tra le pareti rocciose, le iridi vitali di lui risplendevano talmente tanto da essere l'unica fonte luminosa.

«Che cosa significa che hai bisogno d'aiuto? Non stai bene?» insistette allora Bloom, cercando di decifrare la sua espressione. Chi era, lui?

«Sai, Bloom» iniziò, sorprendendola. Conosceva il suo nome... «Da qualche tempo mi hanno rubato qualcosa di prezioso... era ciò che mi permetteva di sopravvivere. Mi conferiva tutto ciò di cui avevo bisogno per guidare gli abitanti di questo posto»

«Scusa l'interruzione» s'intromise Helia. «Prima dovresti spiegarci cos'è esattamente, questo posto. Dovresti dirci perché qui sono tutti uguali e... beh, chi sei tu»

Rise di cuore, seppur flebilmente. «Povero Helia... l'idea di non conoscere l'identità di chi hai di fronte ti spaventa quasi più di non conoscere la tua, vero?»

La fulva lo guardò, interrogativa. Che cosa voleva dire?

«Questo posto è lo Spirito. Non guardatemi così, vi sto dicendo la verità»

Come spiegò, era vero: lo Spirito si mostrava solo a coloro che avevano realmente bisogno di trovarlo e, forse, l'apparizione di quel ragazzino era l'aiuto che quel luogo avrebbe fornito loro.

Quel bambino sarebbe stato giovane per sempre. Sin dal principio, era stato concepito per guidare il suo popolo in eterno e, per farlo, chi l'aveva creato aveva tentato di conferirgli una giovinezza interminabile.

Mentre egli raccontava, Bloom pensò che lo Spirito e quel bambino dovessero essere una cosa sola; ma come potevano, loro, essere utili ad un'essenza che popolava quelle terre dalle origini del mondo e che era nata con lo scopo di aiutare essa stessa le creature che un giorno vi avrebbero abitato?

«Tuttavia, perché la mia giovinezza duri in eterno, ho sempre avuto con me qualcosa che, come vi ho anticipato, mi è stato sottratto» sospirò, tossendo.

«Che cos'è? Chi lo ha rubato?»

«È questo, il problema. Non so cosa fosse... è sempre stato con me e non me ne sono mai reso conto. Ma ora che non l'ho più... la sua assenza si fa ogni giorno più nociva, e non ho nemmeno idea di chi sia il responsabile. Quei giovani... la loro danza imita ciò di cui sono stato privato ed è l'unica cosa che possa infondermi energia» concluse. «Ma so che voi potete aiutarmi... dopotutto, anche voi avete perduto qualcosa che determinava la vostra esistenza, giusto? Se lo farete, io ricambierò il favore»

I due ragazzi si scambiarono uno sguardo, non sapendo cosa fare.

Helia era piuttosto riluttante. Da quando, circa un anno prima, si era svegliato in una foresta solo e senza nome, non sapeva più di chi fidarsi; dubitava perfino di quella ragazza che aveva incontrato nella grotta, sebbene gli sembrasse un po' ingenua.

E quel bambino, il fatto che loro so fossero sentiti attratti da quel luogo specialmente per soccorrere lui... e se si fosse trattato di una trappola? Se lui avesse solo avuto intenzione di approfittarsene?

Bloom, invece, avrebbe volentieri accettato la sua richiesta, se soltanto avesse saputo come fare. Da soli non avrebbero scoperto né che cosa era stato rubato né chi lo avesse fatto.

Fu allora che le balenò in mente l'unica soluzione possibile.

«Ti porterò ad Alfea, la scuola per fate che frequento. Lì ci sono alcuni tra i migliori maghi di tutta la dimensione e sono sicura che troveranno un modo» gli sorrise, anche se l'idea di tornare là ed essere nuovamente un peso la infastidiva. «Credi di farcela?»

Lui annuì, ringraziandola. Poi guardò il ragazzo e, immersi nell'oscurità, gli occhi scarlatti dialogarono con Helia, come se volessero garantirgli la fedeltà che lui tanto cercava.

«Lo comunicherò alla mia gente» informò il bambino, allontanandosi. «Voi fate come foste a casa vostra, anche se... vi sarei grato se vi premuraste di non attaccare nessuno. Riposatevi, magari. Ah, potete chiamarmi Solo, se vi va»

La sua piccola sagoma li lasciò, e il moro si rannicchiò in un angolo, tirando fuori dalla sacca la lanterna. La pose sul terreno secco, perdendosi ad osservare i caldi bagliori che provenivano da essa.

Nella penombra, Bloom gli si avvicinò, sorridendo. «Ce l'hai da tanto tempo?»

Lui scosse la testa. «Non lo so. Io... io ho perso la memoria, credo» raccontò. «Un anno fa mi sono risvegliato in un... bosco. Lo chiamano " Selvafosca", se non sbaglio. Perdevo molto sangue, non sapevo chi ero e cosa mi fosse successo; ma con me avevo la sacca, e la prima cosa che ho trovato al suo interno è questa»

Fece scorrere i polpastrelli sul vetro lavorato delle ante, sorridendo. «E mi è venuta in mente la voce di una ragazzina che correva e che chiamava il mio nome. Così me ne sono ricordato» estrasse il bocciolo, rigirandoselo tra le dita. «Con lei c'era forse anche un'altra bambina, ma era più piccola di noi. Era sorella di un'altra che... è sciocco, lo so. Mi piaceva. Sai... in quel modo un po' devoto con cui i bambini si prendono le cotte. Credo che la sua sorellina mi abbia regalato questo bocciolo »

La ragazza si sedette accanto a lui. «Scusami. Non volevo farti rievocare tutto ciò»

Lui si strinse nelle spalle, senza spegnere il suo sorriso. «Non è niente. Ho vagato a lungo senza scoprire nulla... e sono riuscito a salvarmi dall'attacco a Magix per un soffio. Però... devo sapere chi sono, anche se le uniche persone che possano rivelarmelo potrebbero trovarsi ovunque... per questa ragione ero alla ricerca dello Spirito, come te» si voltò. Alla fine, dal suo sguardo limpido comprese di potersi fidare di lei «E tu?»

Bloom sospirò, prendendo coraggio. In fondo, lui le aveva aperto il suo cuore, sarebbe stato ingiusto nascondersi dietro ad una bugia. «Io ho... perso i miei poteri. È colpa mia se la dimensione magica è in pericolo»

Helia chinò gli occhi, disorientato. «Non capisco... è colpa tua se delle orribili creature devastano questo mondo?» fece, con tono scherzoso.

«Helia, ho perso davvero i miei poteri, li hanno rubati. Hanno rubato la Fiamma del Drago»

A quel punto, lui assunse un'espressione incredula. Nel suo viaggiare l'aveva spesso sentita nominata come "l'entità creatrice dell'universo".

Così quella ragazza ne era stata custode? Com'era possibile che gliel'avessero sottratta?

«Perdonami» si scusò; lei sorrise a sua volta, non nascondendo un velo di tristezza.

Perché era vero: forse aiutando Solo sarebbe riuscita a riottenere quanto le spettava di diritto, ma questo non avrebbe potuto mai cancellare la tragedia cui la sua inettitudine aveva portato.

 


Noticine:

Ebbene, la seconda parte è iniziata e consiste, sostanzialmente, nel resoconto di Bloom su tutto quel che le è successo. Ero molto indecisa su come presentarlo, ma alla fine ho scelto di raccontare i fatti come fossero paralleli (e, in fin dei conti, è così). Non sarà una parte molto lunga e, a tal proposito, siccome non mi sarà possibile aggiornare fino a sabato prossimo, accorperò due capitoli per sbrigarmi un po'.

Beh, qualcuno si ricorderà senz'altro del bambino!

E, sì, Helia. Anche lui ha perso la memoria, ma per ragioni del tutto differenti e... sì, la sua amnesia ha uno scopo ben preciso. Almeno, credo.

Come sempre, ringrazio che recensisce e chi legge!

A sabato prossimo!

TheSeventhHeaven

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Capitolo 9
*** Seconda parte - Ordine ***


Noticine:

Sì, posso rompere le scatole anche prima della lettura.

Ebbene, come prima cosa vorrei ringraziare chiunque legga e commenti questa storia; chiedo scusa per il ritardo con cui risponderò, ma questa settimana sono stata poco bene e non mi è stato possibile.

In ogni caso, beh... ecco il secondo capitolo della seconda parte. È un po' più lungo del solito perché ho cercato di accorparne due. Il prossimo dovrei pubblicarlo mercoledì (martedì sarò via tutta la giornata).

Qui troviamo un po' di spiegazioni anche per quanto riguarda la storia di Helia, ma ci tengo a precisare che è tutto un lavoro di pura fantasia anche per quanto riguarda i segreti dell'accademia di Fonterossa (le tutine speciali e qualcosa che troverete leggendo).

Bene, ora la smetto di assillarvi e vi lascio al capitolo. Grazie ancora a tutti e a presto!

TheSeventhHeaven



Seconda parte - Ordine

 

 

  Dopo l'iniziale difficoltà nel trascinare Solo sino alla sponda della grotta da cui si erano tuffati, i due ragazzi cercarono di ripercorrere il tratto che li aveva condotti lì.

Il bambino camminava a fatica, sebbene avesse il sostegno del suo bastone e di Bloom. Di tanto in tanto lei gettava qualche occhiata per accertarsi che non fosse troppo stanco, anche se quello trovava sempre la forza per sorriderle e rassicurarla.

«Hai trovato la strada, Helia?» gli domandò la ragazza. Lui stava qualche metro più avanti, facendo affidamento sulla sua memoria sebbene, come ricordò a se stesso, non c'era molto altro che lui avesse da tenere a mente.

«Da qui si apre un bivio. Io vado in avanscoperta; voi non muovetevi» raccomandò, indossando il suo guanto. Quel ragazzo doveva avere a che fare con Fonterossa, ne era sicura. Una volta arrivati ad Alfea, qualora qualcuno fosse stato ancora vivo, forse lo avrebbero riconosciuto.

Solo si guardava attorno spaesato e, per la prima volta, le sembrò fosse realmente ingenuo ed inesperto del mondo come chiunque avrebbe pensato, alla vista di quelle paffute guance. Sorrise. «Come ti senti?»

Lo adagiò su un cantuccio, calandogli sulle spalle la mantella che aveva portato con sé. Dalle galleria aveva iniziato a salire una corrente gelida che certo non avrebbe giovato alla salute di lui.

«Non preoccuparti, ho soltanto bisogno di riprendermi. Mi spiace essere di peso»

La ragazza scosse la testa, guardandolo negli occhi. Ogni volta che lo faceva veniva scossa da un violento brivido. «Non dire così... e poi sei piccolo, sono certa che Helia non si sia affaticato troppo»

Proprio in quel momento, il moro li raggiunse, annunciando di aver riconosciuto la strada. Si issò il ragazzino in spalla, non badando alle sue proteste, e proseguirono.

Bloom stava davanti e aveva il compito di tenere in mano la lanterna con il bocciolo, in modo da illuminare la via; dopo qualche ora, fu investita da un'inaspettata luce che segnava l'ingresso della cava.

Felice, corse fuori; la grande nube nera era sparita dal cielo, e al suo posto faceva da spettacolo uno splendido tramonto. Tirò un sospiro di sollievo, convinta che, se l'ambiente era tornato sereno, significava che il peggio era passato.

Tuttavia, la scuola distava molto e non era comunque prudente addentrarsi a Selvafosca con il buio. Decisero di accamparsi lì, accanto alla grotta.

Helia si premurò di imbastire il fuoco, dal momento che la lanterna non avrebbe riscaldato tutti e tre.

Nel momento in cui la scintilla provocò la combustione, i rubini di Solo brillarono più che mai; e la fata rimase turbata nel vedere che le fiamme venivano come attirate da quello che riconoscevano come padrone e padre.

Chi è Solo, in realtà?

«Ecco qua» fece il ragazzo, gettando a terra gli ultimi rami che era riuscito a trovare. «Dovrebbe bastare per tutta la notte. Vado a setacciare l'area»

«Aspetta, Helia! Posso andare io, tu riposati»

Lui storse un po' il naso, senza però cancellare il sorriso dalle labbra.

Helia sorride sempre... chissà com'è, quando si arrabbia.

«Non prenderla sul personale, ma senza poteri è un po' rischioso» disse. La vide incupirsi. «Hey, cosa ho detto? Non prendertela»

Quella annuì, prendendo posto accanto al bambino.

Era lei, quella di peso. Quanto a lungo sarebbe rimasta senza poteri? Perché Dafne era scomparsa? Era strano. Avrebbe giurato di sentire la sua voce chiamarla, quel giorno... o forse...

Forse l'aveva scambiata per quella di sua sorella, ma in realtà era stato Solo. E chissà quanto tempo ci sarebbe voluto, prima che trovassero una soluzione al problema di quel piccoletto, che pure appariva in quel momento tremendamente forte.

Scrutava il fuoco oscillare di vita, mentre questo si sporgeva verso i piccoli palmi delle sue mani. Che fossero... parenti? Da quel che sapeva, era lei l'ultima erede della Fiamma del Drago...

Ma se lui fosse stato davvero un membro della sua famiglia, questo avrebbe spiegato la certezza ostentata dalle parole di lui nel dirle che poteva aiutarla a riottenere quel che era suo sin dalla nascita. Eppure, se era stato creato per guidare coloro che abitavano lo Spirito, significava che egli stesso esisteva sin dal principio dell'universo...

«Dimmi, Bloom...» sussurrò lui, facendola sussultare. «Cos'è, per te, il fuoco?»

Presa alla sprovvista da quella domanda, non avrebbe saputo come rispondere. Già... cos'era, il fuoco?

«Calore? Pericolo?» continuò quello, apparendo ora molto meno infantile. La luce calda si rifletteva sulla sua carnagione diafana, facendola in qualche modo brillare. «Forza?»

«Non saprei...» non aveva mai riflettuto sulla vastità del suo dono, un dono a cui aveva sempre pensato come la capacità di sparare fiamme dalle mani. Sin da quando aveva scoperto di non essere una normale ragazza, aveva pensato al suo potere come a qualcosa che era scritto nel suo destino e non aveva mai considerato l'eventualità di dover lottare, per averlo.

Ma ora... ora forse avrebbe capito che cosa significasse essere una fata per davvero.

Cos'é? Che cos'é?

Vedendola in difficoltà, Solo scosse la testa. «Non importa, riprenderemo il discorso un'altra volta. Che ne dici di dormire un po'?»

Lei annuì, sdraiandosi; portò il braccio dietro la nuca a mo' di cuscino. Cercò di prendere sonno, ma le parole del ragazzino continuavano a rimbombare nella sua mente, come un'eco.

I passi leggeri di Helia la raggiunsero presto, e i due ragazzi si ritrovarono chiacchierare del più e del meno, a bassa voce, accompagnati dallo scoppiettio del fuoco; e a Bloom sembrava quasi di essere tornata quella di sempre.

Ad un certo punto, senza nemmeno accorgersene, iniziò a parlargli di Alfea, delle lezioni, delle sue amiche. Gli parlò di Stella, di come come fosse stato grazie a lei, che aveva scoperto di essere una fata; gli parlò del suo carattere solare ed irruente, di quel suo impicciarsi che era spesso, in verità, un goffo tentativo di aiutare coloro che amava.

Gli parlò di Tecna e Musa, le due così simili, così riservate e dai caratteri un po' bruschi, talvolta; gli parlò dei contrasti che aveva avuto, specialmente con la prima e, nonostante tutto, gli parlò di quanto tenesse a loro, al loro senso dell'umorismo e alle loro parole che cercavano di infondere conforto, sempre.

Infine, gli parlò di Flora, di quella che sentiva più vicina, subito dopo Stella.

«“Flora” hai detto..?» fece Helia, subito. Si passò una mano tra i fluenti capelli, confuso. Dove aveva già sentito quel nome?

«Sì. Lei... è la mia compagna di stanza. È sempre gentile e premurosa con chiunque e... è una persona fantastica. Credo andreste d'accordo» disse con un sorriso.

Lui annuì, sdraiandosi poco dopo. Ancora scosso e chiedendosi perché non riuscisse a fare a meno di associare quella Flora ad un odore dolce, di quelli che si ha sempre l'impressione di avvertire solo nei sogni.

Il tragitto da compiere era ancora lungo ma, appena svegli, era stato deciso di fare una piccola deviazione a Magix per arrangiare un pasto. A Bloom venne il magone non appena misero piede in città, memore di quel che era successo l'ultima volta che vi era stata.

Passarono per la piazza delle Nove Muse, il punto in cui lei aveva rinvenuto il corpo senza vita del ragazzo che le era piaciuto sin dal loro primo incontro; con sua grande sorpresa, il cadavere non c'era più. Inorridita all'idea che le creature d'ombra potessero averlo divorato, si sentì svenire.

Si trovava nuovamente nelle cucine di Alfea, anche se questa volta non stava preparando nessuna frittata ed era sola. Sentiva le voci delle sue amiche, mentre scherzavano del più e del meno; ma quelle risate potevano solo attraversare le spesse pareti senza porte.

Poi si era accorta di una presenza, di una donna. Era molto alta e il suo volto rotondo era incorniciato da una ciocche colore della notte che, ribelli, sfuggivano all'alta coda.

Aveva degli occhi limpidi, a metà fra il cielo sereno e quello in tempesta; e le sembrava di conoscerla.

Chiamava continuamente il nome di Helia, con un tono tra il supplichevole ed il nostalgico; e la voce somigliava a quella di Dafne. Mentre lo ripeteva, a Bloom parve che il viso di lei si sovrapponesse a quello del ragazzo; ecco dove aveva già visto quei lineamenti... che fosse la madre del giovane? Eppure sembrava essere appena più grande di loro.

La sorella...

«Helia...» sussurrò, tendendo una mano verso quell'immagine sfocata che si faceva sempre più nitida. Era svenuta di nuovo.

«Bloom! Ti senti male?» la sorreggeva tra le braccia, preoccupato. Forse era colpa dei suoi poteri perduti, forse era normale che avesse quel genere di crollo...

Lei scosse la testa, mettendosi seduta. Qualche metro più in là, Solo la scrutava con un indecifrabile sorriso sulle labbra sottili.

È lui a farmi questo? È la sua vicinanza?

Dopotutto, aveva iniziato a sentirsi spossata solo una volta giunta nello Spirito; non si sorprese quindi più di tanto, nel vedere che il bambino annuiva, come se le avesse letto nel pensiero. O magari era solo una sua convinzione.

«Forza... ti sentirai meglio dopo aver messo qualcosa sotto i denti» disse il moro, più per rassicurare se stesso. L'aiutò a mettersi in piedi e di lì il trio cercò nella caffetteria più vicina qualsiasi cosa avesse un aspetto ancora decente.

C'erano delle pagnotte nel retro dell'edificio, anche se un po' stantie. Mentre Helia stava di guardia e Bloom si dava da fare per trovare del burro da spalmarvi, Solo le stava dietro.

La scrutava con i suoi luminosi rubini e, dandogli uno sguardo con la coda dell'occhio, la ragazza non riuscì a non paragonarlo ad uno di quegli elfi o di quei dispettosi folletti di cui i romanzi fantasy terrestri erano pieni.

Da una parte, la metteva a disagio. Benché lei non fosse più munita di ciò che le aveva dato la forza di evocare incantesimi, riusciva ancora a percepire la portata del potere che quel bambino aveva in sé, e non poteva fare a meno di domandarsi se davvero una creatura millenaria avesse bisogno di due adolescenti, per salvarsi.

Dall'altro lato, c'era qualcosa, in quella particolare aura, che l'avvolgeva e l'attirava proprio come era successo al fuoco imbastito la notte prima.

«Sei sicura di sentirti bene, Bloom?» fece, alle sue spalle. Le dita affusolate del bambino andarono a stringersi sull'avambraccio di lei, e la ragazza sentì un'incredibile ed improvvisa energia attraversarla.

Cos'era? Le pareva fin troppo familiare... sì... la conosceva... ma com'era possibile?

«Bloom, cos'è il fuoco?» chiese, serio. Adesso quella forza si era fatta troppo pressante; investiva ogni fibra del suo corpo e la riempiva, dandole quasi l'impressione di essere sul punto di esplodere. Faceva male.

«Non... non lo so...» biascicò, in una smorfia di dolore. «So-Solo... che cosa stai...?»

La zittì con un sorriso. «Abbi fiducia, starai meglio. E forse sarai in grado di rispondere alla mia domanda»

Mollò la presa, ma non le parve per nulla che quel curioso processo d'infusione perdesse vigore, anzi... anzi, ora si sentiva diversa. Era come quando compiva la trasformazione, come quando il suo corpo raccoglieva a sé tutto se stesso per spiccare il volo con le sue ali.

Stava per chiedere spiegazioni, quando Helia rientrò. «Niente burro?»

Ancora frastornata, non riuscì a formulare alcuna frase di senso compiuto.

«No, ma lì c'è del miele» Solo indicò un recipiente posato su uno scaffale. Si mise in punta di piedi e lo afferrò. «Poco male»

L'altro emise una sorta di grugnito di dissenso. L'unica volta che aveva assaggiato il miele ricordava di essere stato male. Addentò un pezzo di pane come se non mangiasse da giorni; il bambino rise.

«Se avessi saputo che avevi tutta questa fame, ti avremmo offerto qualcosa da mangiare mentre eravamo nello Spirito»

Helia fece per rispondere, ma ad un tratto un clangore lo fece balzare in piedi, sull'attenti. Proveniva dal retro dell'edificio.

Con passo felino, cercò la causa di quel rumore, seguito a ruota da Bloom e dall'altro. Che fosse una creatura d'ombra? Eppure, il cielo di Magix aveva ripreso a brillare, seppure ancora debole; e quel cielo era come il cuore della dimensione, sapeva bene quando le sue creature soffrivano o meno.

La battaglia ad Alfea doveva essersi conclusa per il meglio, o il cielo ne avrebbe risentito; questo non significava quindi che quei mostri erano sconfitti?

Spaventata al pensiero che uno di loro potesse fare la stessa fine di Sky, tirò un forte sospiro di sollievo quando scoprirono che il nuovo venuto era solo un ragazzo, che doveva avere pressappoco la loro età.

Sorrise, sicura che non rappresentasse una minaccia; ma Helia non doveva essere dello stesso parere, perché subito tempestò il giovane di domande, come volesse sottoporlo ad un interrogatorio.

Quello non sapeva rispondere. Si esprimeva in mugolii soffocati e nei suoi occhi bruni si poteva chiaramente leggere la tragedia che aveva colpito l'intera città. «Non penso che sia pericoloso...» iniziò, chinandosi verso il ragazzo, che intanto si era rannicchiato in un angolo, vicino a delle vecchie pentole. «Sembra sconvolto per quello che è accaduto a Magix. Può essere che abbia perso l'uso della parola?»

«Talvolta succede» annuì Solo, avvicinandosi anch'egli. Sorrise e, di nuovo, Bloom percepì quell'energia che doveva esserle stata infusa prima; questa volta, però, non era indirizzata a lei.

Il custode dello Spirito stava cercando di instaurare un dialogo con quell'anima spaventata, che presto si ammansì come la più docile delle creature. Teneva lo sguardo fisso in quello del bambino, avvolto dal conforto e dal calore che quei rubini gli concedevano.

«È come dice Bloom. Ha subito un trauma pesante» disse, dopo un po'. «Si chiama Levi, ed è cresciuto sulla Terra proprio come te, Bloom»

Helia era perplesso, mentre lei aveva già capito che, qualsiasi cosa fosse, il potere di Solo andava ben oltre ogni altro mai visto. E questo non faceva altro che alimentare i suoi dubbi riguardo l'aiuto che egli aveva chiesto loro.

«Così vieni anche tu dalla Terra, eh?» iniziò. «Tanto piacere! Sono Bloom»

Levi abbozzò un buffo sorriso, curvando appena le sottili labbra in quella che era un'espressione impacciata piena di gratitudine. Faceva tenerezza, tutto ricurvo sulle sue ginocchia benché, come constatarono poco più tardi, in piedi fosse più alto di tutti loro.

Cercava di sorridere il più possibile, con quei suoi occhi grandi che saettavano da Bloom a Solo, evitando accuratamente Helia. Infatti, alla fine avevano deciso di portare ad Alfea anche quel giovane spaurito ma, per qualche ragione, sembrava temere l'altro ragazzo. Chissà, forse era perché lo aveva tempestato di domande senza un briciolo di scrupolo; ma la cosa sembrava essere reciproca.

Quella sera, fermatisi a Magix prima di riprendere il viaggio, Bloom perlustrò l'area insieme al presunto ex-Specialista. Questi, dal canto suo, non riusciva a spiegarsi la strana sensazione che lo aveva investito nel momento in cui aveva trovato Levi, la stessa che aveva provato quando, il giorno precedente, aveva sentito il nome “Flora”.

Era come se li conoscesse entrambi e, nel passato che non riusciva a ricordare, quei due avessero avuto un ruolo importante. Senz'altro, se le capacità di Solo erano così sconfinate da poter leggere i precedenti di un individuo appena conosciuto, di sicuro doveva sapere qualcosa; ma non sembrava disposto a parlare né a fingere di essere all'oscuro di quel che doveva aver scoperto.

Tutto quel gioco di intrighi lo stava confondendo più che mai, perché Helia era stanco di non sapere mai nulla, neppure se questo nulla lo riguardava in maniera diretta. Da quando aveva ripreso conoscenza, circa un anno prima, Bloom era stata l'unica persona veramente sincera con lui sin dall'inizio, o quasi.

Forse era la sola di cui potesse fidarsi e, tra l'altro, se entrambi conoscevano quella Flora c'erano alte probabilità che potesse ricordare qualcosa.

E, una volta espressi i suoi dubbi ed apertosi con la fata senza poteri, qualcosa ricordò, in effetti.

Si ricordò di una splendida bambina, che spingeva la sorellina su un'altalena e che, ad ogni movimento, faceva oscillare i morbidi codini che troneggiavano sul suo capo del colore del caramello. Si ricordò di averla osservata spesso, quella bambina, e di non aver mai trovato il coraggio per andare a giocare con lei.

Quella bambina, Flora; era lei, quella che aveva amato da piccolo. La sorellina, lei... gli aveva regalato il bocciolo di rosa, perché era stata proprio la piccola Flora a renderlo sempre luminoso, e la sorellina sapeva bene che ad Helia avrebbe fatto piacere.

Ma ancora non riusciva a ricordare chi fosse Levi e, soprattutto, chi fosse l'altra bimba che giocava sempre con lui e con la sorella di quella Flora.

 

*

 

Nelle cucine di Alfea c'era Levi, stavolta.

Si destreggiava tra i fornelli con sicurezza, privo di quella timidezza e quell'impaccio che caratterizzavano il vero Levi, quello che avevano trovato tremante nella periferia di Magix.

Il ragazzo canticchiava con una voce sdoppiata, come se fosse il canto unanime di più persone. E quelle persone cantavano una melodia che Bloom aveva imparato a riconoscere, quella del giovane e le sue cinque qualità.

Di nuovo, il calore, la fiducia, il perdono ed il suo gran cuore; ma perché non le veniva permesso di scoprire l'ultimo suo pregio? La sua mente ragionava e inconsciamente le poneva la stessa domanda che Solo le aveva rivolto: cos'era, il fuoco?

Emanava calore, in effetti, e tanta luce. Fiducia? Si poteva intendere come fiducia il suo essere sempre uguale e fine a se stesso, il suo movimento perpetuo e determinato?

E il perdono? Il fuoco accoglieva sempre e comunque, nel bene e nel male. Abbracciava chi cercava di sopravvivere e anche chi cercava la morte, non voltava mai le spalle a chi chiedeva il suo aiuto.

Il fuoco... sembrava quasi quel giovane di cui parlava la cantilena. Era... era una persona, a vederla sotto quella luce. Sì, una persona; una persona che aveva un gran cuore e che amava ogni cosa del creato, scaldandola o bruciandola, portandola a rinascere.

Perché il fuoco rinasceva sempre, prima o poi, e proprio quella sua scintilla dava vita anche a tutto il resto. Non esisteva forse una teoria, sulla Terra, per la quale tutto aveva avuto origine da uno scoppio, da una scintilla?

Il fuoco era quello?

Mentre questi pensieri affollavano il suo sonno, Bloom aveva l'impressione di sentire il proprio corpo in fiamme, come se si logorasse dall'interno; ma non era nulla di malevolo. Come quando il bambino le aveva infuso la propria energia, si sentiva forte, capace di compiere ogni impresa.

Ci pensò un urlo a svegliarla e riportarla nel mondo della realtà. Aprì gli occhi e si issò in piedi di scatto, all'erta.

Anche Helia e Solo dovevano aver sentito quel grido ed avevano fatto due più due, dal momento che all'appello mancava Levi. Lo cercarono, preoccupati, per le vie di Magix, e lo trovarono in un vicolo stretto, accucciato contro il muro.

Di fronte a lui, una creatura si apprestava a sfoderare un colpo che lo avrebbe sicuramente stroncato, se non fosse stato per il pronto intervento dell'altro ragazzo.

Questi cercò infatti di trattenere il braccio del mostro – che si era rivelato essere un mostro d'ombra – avvolgendogli attorno i lacci del suo guanto e fece forza, scaraventandolo al suolo. «Da dove è sbucato? Ieri abbiamo controllato e non c'era» biascicò, rinsaldando la presa.

Con uno strattone dilaniò la carne del nemico, pronto a far saltare anche gli altri arti.

Intanto, Bloom e il bambino sollevarono Levi, che non riusciva a muoversi per lo sgomento. «Helia, è tutto inutile!» lo avvertì la ragazza. «Si sta rigenerando!»

E, infatti, un istante dopo la creatura era di nuovo in piedi, sana e, soprattutto, più minacciosa che mai; il ragazzo dovette ingaggiare con lui una furiosa lotta per permettere loro di nascondersi. «Occupatevi di Levi, io... cercherò di distrarre questo coso»

Solo fece come era stato detto, tenendo per mano il giovane e trascinandolo sotto la saracinesca di un negozio; la fata li seguì, nascondendosi a sua volta. Ma mentre era lì, nel buio del locale, qualcosa le logorò l'anima, piano piano.

Vedere Helia alle prese con una creatura d'ombra aveva innestato in lei una strana sensazione. Rivedeva in lui Sky, Sky che combatteva e che finiva a baciare il suolo per colpa sua; le cose sarebbero dunque andate così anche questa volta?

No. Non posso lasciarlo solo, qualsiasi cosa accada.

«Non abbandonerò Helia» disse. «Devo aiutarlo. Solo...»

Guardò negli occhi il bambino che, curiosamente, non si oppose. Le sorrise, e ancora una volta lei si sentì... ardere, infiammata da una nuova forza.

Tornò sui propri passi, risoluta. Il ragazzo era a terra, esausto e sfigurato in volto da una serie di graffi che avrebbero senz'altro lasciato un segno. Sapendo di star per compiere un gesto eroico quanto stupido, Bloom sollevò con fatica una sedia di un bar lì accanto, tentando di colpire il mostro alle spalle.

Come la vide, Helia le urlò di non avvicinarsi, ma era tardi: la creatura si voltò di scatto, sorprendendo la ragazza ed assestandole un colpo che quella non vide nemmeno.

Poteva sentire il sangue sgorgarle da un braccio, unirsi all'insistente formicolio delle gambe e alle fitte sempre più persistenti al polso che le fecero intuire di averlo rotto. E poi i lividi, tanti lividi; ma non le importava, perché non percepiva soltanto il dolore.

Quell'energia che Solo le aveva dato le permetteva di avvertire ogni singola parte del proprio corpo, come se avesse vita propria. I muscoli erano in tensione, il respiro era più pesante e il cuore batteva all'impazzata in un ritmo che conosceva già e di cui, per breve tempo, aveva dimenticato l'essenza.

Ricordava la prima volta che si era trasformata.

Era stato un gesto dettato dalla rabbia e dalla paura, emozioni forti che provocavano l'istinto. E l'istinto aveva provveduto donandole un paio di ali che s'intrecciavano alle scapole ed un vigore che le dava l'impressione di essere invincibile; ma adesso era diverso.

La rabbia e la paura erano svanite, rimpiazzate da una nuova consapevolezza: la consapevolezza di essere se stessa. Perché finalmente aveva compreso le parole di quel bambino eterno, aveva compreso le parole di quel canto che si ripeteva nelle sue orecchie ed era riuscita a carpire l'ultima qualità del giovane, del fuoco.

Si trasformò ancora una volta, bruciando dal desiderio di essere come il fuoco; e quella forza disintegrò la creatura d'ombra, non lasciandone traccia.

Non badava al dolore perché il fuoco, che accoglieva e risanava, curò tutte le sue ferite, come se non fossero mai esistite.

Io... ce l'ho fatta?

«Bloom...» mormorò Helia, alzandosi. Le si avvicinò meravigliato da quel che aveva appena visto – oltretutto, per lui era la prima volta che assisteva alla metamorfosi di una fata – e sorrise. «Tu... sei riuscita ad ottenere indietro la magia!»

Lei annuì, con poca convinzione. No, i conti non tornavano ed era certa che si fosse trattato solo di un effetto temporaneo dovuto esclusivamente a Solo e all'ascendente che aveva su di lei il suo misterioso potere.

Proprio in quel momento, il ragazzino spuntò dalla via che aveva imboccato per mettere in salvo Levi. Avanzavano con passo lento, quasi stanco; eppure il bambino sembrava aver ripreso colore, mentre l'altro aveva fatto sparire l'espressione di puro terrore che aveva dipinta in viso da due giorni.

«State bene?» domandò Solo. Il suo sorriso tradiva soddisfazione.

«Sì. Ed è tutto merito suo» iniziò il moro. Raccontò l'episodio e, ad ogni sua parola, i dubbi strisciavano nella mente di Bloom.

Era bastato quello? Era bastato dare una definizione al fuoco, per renderla di nuovo fata?

Certo, lì per lì non ci aveva mai pensato. Non lo aveva considerato come tutte quelle cose, ma le aveva sempre riunite sotto un'unica entità: la vita.

Era quello, era vita; eppure lei lo sapeva già, inconsciamente.

Ma, forse, ciò che Solo aveva cercato di dirle sin dall'inizio era che solo prendendo consapevolezza della propria vera natura l'avrebbe padroneggiata; e se non avesse mai ricordato al suo cuore i molteplici volti del fuoco, forse non sarebbe mai tornata quella di prima.

Ora che aveva ritrovato il fuoco, anche il bambino sembrava rinato; e lei capì molte cose.

Ciò che gli avevano rubato gli era necessario, ma non se n'era reso conto finché non lo aveva perso; era come lei, ma lui non aveva mai perso nulla, non per davvero.

Tutta quella storia... era stata una semplice finzione?

 

*

 

  Helia procedeva per i boschi con cautela e teneva il braccio teso in avanti, sorreggendo la lanterna.

Sorrideva tra sé e sé, al pensiero di ricordare qualcosa del proprio passato, finalmente; e chissà, forse una volta ad Alfea avrebbe rivisto quella Flora e tutto si sarebbe sistemato.

Tuttavia, il fatto che Bloom avesse riottenuto i suoi poteri lo faceva sentire uno sciocco che, in un anno, non aveva concluso praticamente nulla, mentre per lei era stato sufficiente scavare un po' in se stessa per trovarsi.

Si sentiva stupido, soprattutto perché aveva sempre avuto la soluzione a due passi e non era stato in grado di cercare nei posti giusti. Per un anno intero aveva vagato nei meandri più oscuri e sperduti della dimensione quando gli sarebbe bastato camminare un po' fino a quel castello oltre il lago.

Adesso che mancavano pochi chilometri alla destinazione si malediceva per la propria impulsività, che gli aveva portato solo guai; e questo sospetto veniva rinnovato ogni volta che incrociava lo sguardo sincero di Levi.

Quella sera, il ragazzo lo aveva accompagnato nel suo ormai rituale giro di perlustrazione. Era un gesto che compiva spinto dalla curiosità, più che dall'effettivo desiderio di prevenire ospiti indesiderati.

Gli piaceva stare solo e riflettere, cercando di memorizzare quelle fronde e, al tempo stesso, di sollecitare la mente a ricordare se ci fosse mai stato o meno; ma aveva apprezzato la compagnia di Bloom, la volta precedente.

Oltre ad averlo aiutato a far riaffiorare due volti importanti, lo aveva fatto sentire... normale. Certo, dalla voce di lei trapelavano sempre molte incertezze, ma aveva cercato di rassicurarlo, di convincerlo che le cose si sarebbero rimesse al loro posto.

Aveva un potere tranquillante, come di una speranza immortale.

Levi invece lo agitava, e il fatto che non avesse mai spiccicato mezza parola lo insospettiva.

Stava dietro di lui, mantenendo il passo e guardandosi attorno. Helia si sarebbe aspettato che si rifiutasse di andare con lui, o che quantomeno mugolasse un po' di dissenso, ma quello non si era tirato indietro e, anzi, sembrava più che sicuro di non essere in pericolo.

Chissà che non si fosse calmato per merito di Solo. Anche lui, come Bloom, aveva un certo carisma se si trattava di rasserenare qualcuno.

«Sei stanco?» domandò al brunetto, guardandolo con la coda dell'occhio.

Il passo di Levi era leggero, silenzioso, e faceva da sottofondo a quella conversazione che, sicuramente, sarebbe stata costituita ancora una volta da domande e sillabe mugolate.

È un po' strano che si muova così. Sembra goffo, ma ha un passo insolitamente felpato.

«No, non sono stanco. Ma grazie per averlo chiesto» una voce dura gli rispose, costringendolo a voltarsi.

Sorpreso e allibito, non sapeva esattamente cosa dire.

«Ora che siamo soli, potremo parlare» continuò, sorridendo. «Una persona in vita si comporterebbe così dopo uno shock, giusto?»

Una persona... in vita?

«Se fossi ancora vivo, avrei reagito così. Il silenzio sarebbe stato l'arma migliore per impedirmi di pensare a certi orrori. Helia» fece, amaramente. «Non ti ricordi di me, eh?»

«No...» ammise, perplesso. Levi era un fantasma, nient'altro che un fantasma, quindi. «Ma so di conoscerti. Da qualche parte, io... so che sei stato importante»

Il ragazzo sospirò, mestamente. Si appoggiò alla ruvida corteccia di un albero; e fu allora che Helia si accorse dell'opacità della sua pelle.

Pareva una pallida ombra, fatta di acqua eterea che sotto la luce lunare brillava e cessava di nascondere la vera essenza di lui.

«Beh, per lo meno sei ancora vivo. Non sarei mai riuscito a perdonarmi se non fossi stato in grado di salvarti» affermò, ripercorrendo mentalmente degli eventi che nella coscienza dell'altro erano mere immagini sfocate.

«Chi sei?» chiese allora Helia, senza ulteriori indugi.

Fremeva all'idea di scoprire qualcosa, finalmente; ma quel che scoprì lo lasciò con l'amaro in bocca.

Ricordò ogni cosa che le parole di Levi gli mostrarono: era un allievo di Fonterossa, uno Specialista, e uno dei più promettenti, anche. Ma questo lo aveva nel sangue, perché era nipote di Saladin, di uno dei maghi più potenti che esistessero.

Saladin...

Sì, quel nome tornava. Saladin era “il suo nonnino”, quello che andava a trovare ogni pomeriggio d'estate, quando era piccolo; quello che gli insegnava tutto quel che sapeva sul mondo e, allo stesso tempo, lo lasciava giocare e godersi gli anni che non sarebbero tornati.

Era stato “il suo nonnino” ad accorgersi del suo potenziale, e i primi tempi lo aveva allenato personalmente.

Poi era arrivato il giorno del test di ferro. Così veniva chiamata, a Fonterossa, la prova che ogni Specialista doveva affrontare al termine del primo anno: una missione più pericolosa delle altre, in cui nessun docente o studente più anziano avrebbe potuto intervenire per salvare la vita ai cadetti.

«Eri il mio migliore amico ed io il tuo» sorrise Levi. «Tutti ti prendevano in giro, ti davano del raccomandato; ma io sapevo che valevi davvero. Avevo un po' più di esperienza alle spalle, rispetto a te, però non ero mai stato capace di passare il test di ferro»

La prima volta che aveva fatto l'esame, aveva ricevuto l'ordine di togliere di mezzo un pericoloso criminale che da un po' di tempo tormentava Magix, anche se era stato fatto il possibile per mettere a tacere le notizie. Levi non ce l'aveva fatta, perché non avrebbe mai potuto uccidere nessuno.

«Così ritentai insieme a te l'anno successivo» continuò. «Quella sera avremmo dovuto sventare un gruppo di mercanti d'armi modificate illegalmente, ricordi?»

Forse sì, forse iniziava a ricordare di come fosse elettrizzato all'idea di diventare un vero Specialista, quando in realtà il suo entusiasmo sarebbe stato stroncato poco dopo.

Sembrava strano e nessuno, all'infuori dell'accademia, lo sapeva; ma era così: gli Specialisti non erano buoni solo a dimenare spade colorate ed indossare tutine aderenti.

Quel che facevano era quasi un segreto, e quella vita da pseudo spie li rendeva perennemente in pericolo; eppure, chi avrebbe potuto immaginare che qualcuno potesse fare una soffiata a quei contrabbandieri, il giorno del test?

«Ci pensi? Cinque mesi di lavoro andati in fumo. Eravamo stati noi a proporci volontari per quella missione, e invece...» sospirò. «È così che sono morto. Almeno sono riuscito a metterti in salvo, anche se pare tu sia ruzzolato giù da un'altura, dopo» rise forte, cercando di mascherare la nota di tristezza che aveva intriso la sua voce di malinconia.

«Mi dispiace» fu tutto ciò che riuscì a dire di fronte al ricordo di quel che era stato. Si specchiò negli occhi caldi dell'altro, rivedendovi il passato che aveva creduto perso per sempre.

Levi scosse appena la testa. «Va tutto bene. Sai... io... non dovrei essere qui. Solo mi ha chiamato»

Solo?

«Lui non ha davvero bisogno di aiuto, Helia. Eravate tu e Bloom, ad averne» spiegò. Come aveva potuto non arrivarci prima? «Vi ha fatti incontrare, perché sapeva che lei ti avrebbe permesso di ricordare Flora»

«Tu ne eri innamorato perso. Credevi fosse solo una sciocchezza di quando eri bambino, ma più andavi avanti più ti rendevi conto che non era così» continuò dopo un po', in una risata. «E Bloom la conosce. Poi Solo ha trovato il modo di far rinsavire sia te che lei: ed ecco che sono arrivato io»

«Levi, io-»

«Lo so, Helia. Non posso fartene una colpa» lo interruppe, avvicinandosi a lui. Avrebbe voluto abbracciarlo, perché avevano condiviso tutto; ma era vicino ad andarsene, a togliersi quel peso per sempre. «Volevo solo dirti addio. E Solo... o meglio, il grande dragone mi ha dato la possibilità di farlo» concluse, sorprendendolo con quell'ultima rivelazione.

Sentendosi in qualche modo più leggero, chinò il capo per nascondere i suoi occhi, perché non voleva far uscire allo scoperto quelle lacrime che avrebbe pianto.

«Helia» lo chiamò. «Salutami tua sorella. Dille che non potrò mai dimenticarla»

Mia sorella?

«Vera...» sussurrò, senza nemmeno rendersene conto.

Mentre Helia cadeva a terra, come colpito da un incantesimo, vedeva Levi dissolversi senza smettere di sorridere; e quei due nomi, Flora e Vera, presero a vorticargli in mente come una dolce ninnananna a cui aggrapparsi.

Quando si svegliò, sdraiato accanto a Bloom, anche Solo era sparito e i due si trovavano sulla riva di quel lago profondo che, nella grotta scura, li aveva portati nello Spirito.

Quando si svegliò, si chiese se fosse stato un miraggio o la verità; eppure in volto portava ancora i graffi vivi che gli aveva inferto la creatura d'ombra.

Quando si svegliò, aveva l'impressione di aver fatto ordine nella propria mente.

 

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Capitolo 10
*** Seconda parte - Eroismo ***


Seconda parte - Eroismo


Bloom ed Helia conclusero così il racconto di quel viaggio – forse immaginario, forse no – che li aveva portati lì, ad Alfea.

Tutti si erano lasciati andare all'entusiasmo quando li avevano visti davanti ai cancelli della scuola, e la squadra su Eraklyon aveva fatto ritorno apposta per loro, perché dopo i brutti momenti passati negli ultimi giorni c'era bisogno di un po' di serenità, e quell'inaspettata comparsa aveva alzato il morale di tutte e tre le scuole.

Certo, dopo aver fatto un quadro generale dell'intera situazione, i due nuovi venuti si sentivano parecchio storditi. C'erano molte cose che ad Helia parevano insolite e a cui avrebbe dovuto riabituarsi.

Erano tutti sembrati entusiasti di vederlo vivo. Suo nonno, Saladin, aveva mostrato un lato di sé che nessuno conosceva: aveva pianto, e con lui anche alcuni di quelli che dovevano essere stati i suoi amici dell'accademia.

Perfino quei tre ragazzi amici di Bloom – anche quello che sembrava meno propenso a farlo – gli avevano sorriso, lieto che le fonti che lo avevano dato per disperso si fossero sbagliate.

Ognuno aveva voluto conoscere le sue peripezie, le sue avventure dopo il fallimento del test d'acciaio, dopo la morte di Levi; ma Helia, che aveva appena ricordato l'affetto che aveva provato per quel giovane, non riusciva proprio a comprendere quegli sguardi ammirati che gli venivano rivolti, come fosse stato un eroe.

No, l'eroe non era lui. L'eroe era Levi.

Sapeva che addossarsi il peso della sua morte sarebbe stato davvero sciocco, ma preferiva avere la decenza di riconoscergli al meno i meriti. Cosa poteva mai esserci di eroico, oltretutto, nell'essere scampato alla morte per un soffio?

Non era nemmeno sicuro che quella che aveva condotto nell'ultimo anno fosse definibile come “vita”. Aveva semplicemente vagato alla ricerca di qualcosa, senza nemmeno sapere di cosa si trattasse.

Ed era stanco di ripetere quei racconti che per lui erano solo momenti bui ed insipidi; e per questa ragione, presto, si allontanò da tutti loro, perfino da Saladin.

Era strano.

Sapeva che quel mondo gli era appartenuto, ma ora aveva come l'impressione di non farne più parte. Quell'esperienza lo aveva privato dei suoi ricordi e poi glieli aveva restituiti, eppure si sentiva come se non fossero i suoi.

Si sentiva inadeguato.

Per di più, c'era ancora qualcosa di cui non riusciva ad avere memoria. Quando quella ragazza, Vera, gli era corsa contro e lo aveva abbracciato, era stata sicura che lui si ricordasse di lei.

Sì, ora sapeva di avere una sorella, sapeva che si chiamava Vera e che lei e Levi erano stati molto più che amici; ma non la sentiva parte di sé. Lo aveva angosciato osservare i suoi occhi, così simili ai propri, e trovarli delusi.

Da quel che gli avevano detto, lei stessa era appena tornata da una sorta di limbo in cui le sue memorie erano state cancellate e riempite con altre fasulle e, nonostante questo, pareva che quella Specialista si fosse subito ripresa.

Da qualche parte, nel suo cuore, Helia era riuscita ad identificarla come la misteriosa figura che giocava con lui e con la sorellina di Flora. Lo sapeva, ne aveva una pallida idea, ma... non era abbastanza.

Gli spiaceva allontanarsi così, senza nemmeno lasciarle il tempo di parlare e, magari, rispolverare un po' i loro trascorsi – perché, tra tutti, Vera era quella che lui ricordava di meno.

Aveva bisogno di tempo, molto tempo, per abituarsi a quella situazione nuova che, in realtà, conosceva già. Così come gli ci sarebbe voluto del tempo per abituarsi a Flora, ad averla a pochi metri da sé e poterle parlare.

In verità, era stata lei ad andarlo a cercare. Lui sapeva che ormai era al corrente di quei teneri sentimenti che aveva provato per tutta l'infanzia, ma ora aveva l'impressione che fossero mutati.

Durante quel lungo periodo che era stata la sua amnesia, era stata l'immagine di quella dolce bambina e della sua risata, a spronarlo a cercare le risposte. In qualche modo, era stato proprio quel che aveva nutrito nei suoi confronti ad ancorarlo alla sua esistenza passata.

Flora era stata il suo unico appiglio durante e dopo quell'esperienza e anche mentre lo tempestavano di domande, guardava lei e nessun altro. Soltanto lei, perché gli infondeva la sicurezza di cui aveva bisogno.

Un po' come avevano fatto Bloom e Solo, ma in una maniera che gli avrebbe fatto desiderare di annegarci, in quella fiducia.

Tuttavia, ora non avrebbe saputo cos'altro pensare, di quella fata.

Era bella, certo. Di quella bellezza spontanea ed elegante che fioriva silenziosa, sebbene fosse innegabile che la morbidezza e l'abbondanza delle sue forme fossero dolcemente invitanti.

Insieme a Bloom era la più bassina di quel bizzarro gruppo, eppure tutto, in lei, lo faceva sentire bene.

Ed era una persona attenta. La sua attenzione l'avevano portata a cogliere il disagio che Helia aveva provato nel ricevere tutte quelle domande; e sempre la sua attenzione l'aveva spinta a seguirlo e tenergli compagnia, in silenzio.

Forse era mossa anche da una sorta di senso di colpa per non essersi mai accorta di lui, quando avrebbero avuto la possibilità di giocare insieme. Averla lì, adesso, seduta accanto a lui su uno dei gradoni del cortile, era strano.

L'amava ancora? L'aveva mai fatto per davvero?

Avrebbe potuto riuscirci, ora?

Lei, invece, aveva smesso di porsi troppe domande nel momento stesso in cui lo aveva visto incupirsi. Per la prima volta nella sua vita sentiva che i dubbi potevano aspettare, perché lui ne aveva abbastanza per tutti e due e perché voleva essere forte, essere qualcuno a cui aggrapparsi per stare bene.

Non conosceva Helia.

Sì, aveva scoperto che lui, Miele e Vera giocavano spesso insieme e la sua stessa sorellina le aveva raccontato qualcosa di quei suoi due amici, tanto tempo prima. Ora era venuta a sapere che il ragazzo era stato infatuato di lei, da bambino.

Era stata una sciocchezza, lo sapeva, e non aveva alcun diritto da rivendicare su di lui o chissà quale altra cosa che lo tenesse avvinghiato alle sue catene, certo.

Però.

Però lo sentiva vicino e sentiva che anche lui la voleva vicina. Quei suoi sorrisi mesti, quelle sue smorfie amare, che a tratti ricordavano quelle della sorella, le facevano intendere di essere la sola a non metterlo a disagio.

E Flora avrebbe fatto di tutto per aiutare chi ne avesse avuto bisogno.

Perciò lo prese per mano, forte di una sicurezza e di una fiducia in se stessa che non aveva mai provato prima di allora; e camminarono per la scuola, soffermandosi su ogni dettaglio, su ogni cosa che potesse distrarlo e farlo ridere, e lei con lui.

Voleva avere l'occasione di conoscerlo e di farsi conoscere, di permettergli di sentirsi a casa. Voleva permettergli di sentirsi a suo agio non solo con lei, ma con tutti.

«Oh, Flora!» sentì Musa chiamarla. C'era Maria con lei. «La preside ha detto che vuole vederci nel suo ufficio»

Scambiò una rapida occhiata con Helia, che si strinse nelle spalle. «D'accordo... arrivo»

Sorrise al ragazzo per rassicurarlo, per dirgli che non lo stava abbandonando, che sarebbe tornata.

 

*

 

Bloom sapeva di essersi persa un bel po' di cose, a cominciare da quella che sembrava essere la spiegazione alla ferocia delle Trix. Mentre vagava per il castello, come a voler constatare che tutto fosse davvero tornato alla normalità, si sentiva una sciocca. Non si era mai lontanamente chiesta che cosa potesse esserci alla base di quella perfidia che le tre sorelle ostentavano.

A dire il vero, nessuno si era mai preoccupato troppo delle persone che potevano stare dietro a quelle espressioni contrite nel cinismo e nelle risate sadiche... semplicemente perché nessuno aveva mai creduto ci fossero davvero.

Ma la questione, ora, andava risolta. La storia di Icy... il bambino che le offriva il suo aiuto e che altri non era che Solo, il Grande Dragone, colui che era parte e padrone dello Spirito che aiutava tutte le sue creature...

Era contorta come cosa, ma la strega si era rifiutata di accettarne la proposta per il fatto che proprio quel potere che avrebbe potuto guarirla era anche ciò che aveva portato alla follia le sue antenate, e tutto il resto della famiglia. Era a causa della ricerca della Fiamma del Drago, che lei e le altre due erano rimaste orfane.

Ma allora perché? Perché hai passato l'ultimo anno ad inseguirla, causando un disastro?

La fata non capiva; e più tentava di mettersi nei suoi panni, più si sentiva lontana dalla soluzione. Sarebbe stato molto più semplice lasciare le cose come prima, fingere che Darcy non avesse mai voluto mostrare loro i suoi ricordi e che le Trix fossero ancora le stesse squinternate che avevano seminato solo desolazione.

Eppure, non avrebbe mai potuto far finta di nulla. Se fosse stata la stessa di qualche tempo prima, forse, avrebbe potuto continuare a comportarsi così, pensando esclusivamente a scoprire il mondo fatto di magie e novità che aveva sempre voluto conoscere; però aveva imparato che non sempre le cose sono quel che sembrano e che è necessario riflettere, andare fino in fondo, per conoscerle davvero.

Alle sue odissee personali avrebbe pensato un'altra volta, perché ora c'erano questioni più importanti.

Come fare?

«Bloom!» la voce di Stella la sorprese, e non fece in tempo a voltarsi che quella l'abbracciò. «Ma insomma! Sei appena tornata e già te ne vai?»

Ha ragione. Che egoista, che sono...

«Scusami» rispose. « Sono un po'... frastornata, ecco. Ma non fa niente»

«Oh, Bloom... mi dispiace tanto per quello che è successo. Noi...» sospirò la bionda, sciogliendo l'abbraccio e guardandola negli occhi. Era strana, sembrava spenta. «..Non avremmo dovuto lasciarvi da soli»

«Non importa. Non è colpa vostra» affermò lei, con decisione.

Era brutto pensarci, pensare che non avrebbe più visto Sky, udito la sua voce, riso con lui; non avrebbe più potuto avvertire il suo delicato ma maschile profumo, né il calore della sua pelle. Però, non era colpa di Stella, né di Brandon, né di nessuno che non fosse lei stessa.

Forse avrebbe imparato, si sarebbe abituata. Non sapeva se sarebbe mai stata in grado di perdonarsi e di dimenticarlo per sempre, ma era certa che in futuro non avrebbe mai più lasciato che accadesse una cosa del genere.

«Perché non vai a riposarti un po'?» suggerì Stella, con un sorriso. «Le stanze sono come nuove»

Bloom annuì, contenta di riavere la sua amica, di poter godere ancora una volta della sua allegria.

In verità, era felice di poter godere di tutti loro, perfino di chi conosceva poco. La consapevolezza di essere di nuovo lì e di essere viva...

Entrò nell'appartamento sorridente e rimase piacevolmente sorpresa trovandovi Tecna. Non erano mai state chissà quanto affiatate, divergevano su molti aspetti; ma lei le voleva un gran bene e giorni prima stava male, al pensiero che avrebbe potuto non rivederla più.

Era stesa su un divanetto, con lo sguardo fisso sul soffitto. Non era da lei.

«Oh, Bloom» saltò sui cuscini, mettendosi a sedere in un guizzo e cercando di apparire composta come sempre. Ma non lo era.

«Scusami. Ti ho svegliata?» domandò, sedendosi accanto a lei. L'altra negò subito, visibilmente agitata.

I pensieri di Tecna erano sempre stati difficili da interpretare, ma quel suo bizzarro comportamento tradiva qualcosa che, sicuramente, assillava la sua mente e che non si poteva risolvere affidandosi solo alla logica.

«Tecna, è... tutto okay?» le chiese allora.

Lei, dal canto suo, sapeva di aver raggiunto un limite. Qualcosa la stava scombussolando, ma non le piaceva ammetterlo.

Era stato difficile raccontarlo a Musa. L'aveva ascoltata attentamente, senza ridere di lei o mostrare lo stupore che sicuramente provava, ma che era certa avrebbe scoraggiato l'altra ancor di più.

Tuttavia, non era stata in grado di darle un consiglio che sistemasse tutto, e non poteva fargliene una colpa, in fondo. Sapeva sola di essere confusa come non lo era mai stata e, per una rigorosa come lei, era un gran guaio.

Ma poteva parlarne con Bloom? La guardò, incontrando quegli occhi che erano così simili ai suoi, seppur molto più timidi e sinceri.

Quella ragazza aveva dei difetti considerevoli. Tratti di un carattere con cui Tecna faceva fatica ad incastrarsi e che le avevano fatto perdere la calma spesso; eppure, se c'era qualcosa che non poteva non riconoscerle, era la lealtà.

Come direbbe lei... Che cos'ho, da perdere?

«È... complicato» iniziò, non riuscendo a credere di starlo facendo per davvero. «Preferirei non scendere nei particolari, ma... si è venuta a creare una situazione piuttosto... ambigua con una persona e... forse sono io che... che ho immaginato tutto, però...»

Però era convinta di non essere stata la sola ad avvertire quella strana complicità che si era instaurata tra loro. Anche mentre facevano ritorno ad Alfea lo aveva percepito, aveva percepito lo sguardo di Brandon che cercava sempre il suo e... era arrivata a riconoscerlo perfino a metri di distanza.

Riconosceva il suo passo, il suo profumo; e anche se lo aveva visto scrivere solo una volta, sapeva che avrebbe sempre ricordato la sua grafia squadrata.

«Io... avevo stabilito di farmi da parte per svariati motivi» continuò, vomitando fuori le parole più per condividerne il peso, che per spiegarsi.

Aveva deciso di allontanarsi da Brandon e si era convinta di poterci riuscire. Ma quando si era ritrovata a pochi metri da lui e Stella, nel meraviglioso parco dei colori, aveva avvertito un vuoto che non avrebbe potuto colmare in nessun altro modo se non con i sentimenti che si era costretta a rinnegare.

«Non ne sono stata capace. Mi sembra di... avere con questa persona un'intesa che non ho con nessun altro. Forse solo... solo con Musa, ma è diverso»

Bloom si concesse parecchi istanti per riflettere. La stupiva che Tecna si stesse confidando proprio con lei, ma doveva essere una cosa davvero seria, se ne soffriva in quel modo.

«E se... non fosse diverso? Se quella per questa persona fosse un'affinità come quella che hai con i tuoi amici più cari?» ipotizzò.

Amici...

Tecna non aveva mai avuto amici. Sì, c'era Blade, ma quello con lui era più un rapporto basato sul fatto che si conoscevano fin da bambini e non su chissà quale intesa.

C'erano le Winx, c'era Musa, ma erano unite da un grande rispetto ed una grande fiducia, come quella che potevano avere due sorelle. Si intendevano anche senza il bisogno di parlare, ma tra loro non c'era quel qualcosa che rendeva la presenza di Brandon una maledizione e, al tempo stesso, una benedizione.

«Potresti soltanto... aver fatto confusione con i tuoi sentimenti ed esserti lasciata abbagliare da queste nuove emozioni. Può capitare, però non dovresti abbatterti così, forse» sorrise.

«E cosa dovrei fare, allora?» domandò, un po' risentita.

Bloom si strinse appena nelle spalle. «Non lo so... potresti parlarne direttamente con il ragazzo o la ragazza in questione. Se riusciste a chiarire avresti delle risposte»

Era dura ammetterlo, ma aveva assolutamente ragione. Aveva fatto un giro dell'oca quando la soluzione era più ovvia di quanto sembrasse. Forse era vero e ciò che provava per Brandon era solo amplificato dal fatto di non averlo mai sentito per nessun altro.

Alla fine della conversazione, Tecna sentì il proprio cuore più leggero, anzi, sentì il proprio cuore. Erano giorni che tentava di metterlo a tacere, ma solo in quel momento capì che sarebbe stato impossibile farlo, perfino per lei.

E perché avrebbe dovuto, poi? Perché non poteva abbandonarsi all'emotività, ogni tanto?

«Hey, Tecna» fece Bloom, alzandosi. «Dove sono Musa e Flora?»

«Musa è con Maria, sai... quella strega con i capelli lilla» rispose dopo un po'. «Flora invece non ho idea di dove sia»

«Ho capito. Io... vado a dormire un po'» si avviò verso la propria camera. «Ci vediamo dopo. O domani»

In un certo senso, tornarvici era come svegliarsi da un brutto sogno. Tra quelle mura si sentiva al sicuro.

«Ehm... Bloom?» la chiamò l'altra, con voce incerta. «Grazie»

La fulva sorrise, scuotendo la testa; quando si chiuse la porta alle spalle, Tecna tirò un sospiro di sollievo.

Entrò nel piccolo bagno che condivideva con le altre, osservandosi allo specchio.

Ora che so come agire devo solo stabilire il momento più adatto.

Ma aveva l'impressione che fosse più facile a dirsi che a farsi. Parlare chiaramente con Brandon sarebbe significato confessare i propri sentimenti, e quello non era il suo forte.

Come potrei esordire? “Senti, Brandon... nell'ultimo periodo mi sono affezionata a te e...”- no, che sciocchezza. “Credo di essermi presa una cotta per te”... no, è ridicolo!

La superficie liscia le mostrava l'espressione di pura esasperazione che aveva assunto. Ma quali parole avrebbe dovuto usare, per non apparire ridicola?

Si portò un mano dietro la nuca e all'improvviso constatò di aver urgentemente bisogno di una seduta dal suo apparecchio taglia-capelli personale.

Potrei lasciarli crescere.

Si sorprese di quel pensiero, perché non le erano mai piaciuti i capelli lunghi. Oltre ad una questione di praticità, credeva che un taglio corto esprimesse maturità e, allo stesso tempo, fosse sempre giovanile.

Spesso le sembrava surreale che qualcuno potesse andare in giro con una chioma che arrivava oltre le ginocchia e che, oltretutto, sembrava una tenda. Ma chissà, forse sarebbe stata più femminile, così.

Forse a Brandon potrei piacere di più.

Era un'idea sciocca, un po' infantile. Rise, e si ricordò di quell'unica volta che aveva affrontato con Timmy una specie di conversazione proprio su quello.

Anche lui aveva riso, credeva che una persona meritasse di essere semplicemente se stessa, di essere come preferiva. Le aveva fatto intendere, con una certa timidezza, che lui avrebbe saputo apprezzare chi amava aldilà del suo aspetto.

Le si sciolse il cuore – sì, quello che aveva appena scoperto di avere – pensando a quanto quel ragazzo fosse buono, senza rendersene conto. Forse non lo meritava.

Con la sua freddezza, le sue manie di controllo... non era un granché neppure esteticamente parlando.

Era magra, sì, e alta; ma se c'era una cosa che aveva sempre odiato e cercato di ignorare erano quei fianchi eccessivamente... stretti. Pensava a quando avrebbe avuto un bambino – perché, strano a dirsi, ma lei ne aveva sempre incluso almeno uno, nel suo futuro da ricercatrice – e, oltre alla fatica, al materiale genetico che gli avrebbe lasciato.

Anche quelli erano pensieri sciocchi, ma ricorrenti in tutta la sua infanzia.

Diede un'ultima occhiata allo specchio, prima di leggere il messaggio che Musa le aveva appena inviato. La preside le aveva convocate tutte da lei, ad eccezione di Bloom.

Quando raggiunse la presidenza, non nascose di essere sorpresa. Oltre a loro quattro e Maria, c'erano anche Riven, Brandon – Oh, no! - e Timmy.

Faragonda, affiancata da Saladin e Griffin, aveva un cipiglio molto serio.

«Dovete scusarmi se vi ho chiamate qui così all'improvviso» iniziò l'anziana, alzandosi. «È bene approfittare di questi attimi di quiete, per risolvere la situazione»

Pausò, come a voler fingere di star cercando le parole che, in realtà, aveva già stabilito.

«Ora che Bloom è tornata non possiamo correre il rischio che le Trix possano sottrarle nuovamente i poteri. Grazie all'impegno di tutti voi abbiamo scoperto che il talismano rubatoci può amplificare qualsiasi incantesimo a condizione che sia attivato da un legittimo erede della Fiamma del Drago» prese a spiegare. «Bloom e il redivivo nipote di Saladin sono stati catapultati da un'entità superiore in una dimensione irraggiungibile, ma ora che sono qui niente impedirà a quelle tre di rintracciare la vostra amica e-»

«Faragonda» Griffin la interruppe. Non si spiegò oltre, ma l'altra doveva aver compreso anche senza che parlassero.

Annuì. «Quel che vi chiedo è di raggiungere le Trix e scoprire per quale ragione hanno bisogno di quello specchio» rivelò. «Se non fosse stato per ciò che avete scoperto, avremmo pensato si trattasse di sete di potere, ma... stando così le cose non sappiamo cosa aspettarci»

«Uno di voi dovrà assumere le sembianze di Bloom» intervenne il mago. «Il prescelto verrà camuffato alla perfezione e faremo in modo di rendere il tutto credibile ma, ovviamente, sarà l'abilità dell'impostore a determinare l'esito»

Per qualche minuto nessuno fiatò. Tutti riflettevano; ma chi di loro avrebbe potuto fare una cosa del genere?

«Credete che Bloom se ne starà zitta a guardare?» chiese Musa, che più degli altri si rivedeva in quella situazione. «Non lascerà che uno di noi rischi la vita al posto suo»

«Proprio per questo nessuno le dirà nulla. Fingeremo che la squadra designata debba semplicemente recarsi su un altro pianeta per ulteriori ricerche» disse la preside di Torrenuvola, alzando la voce. «Alcuni di voi resteranno qui, ovviamente»

«Ma Bloom non è così stupida! Presto si accorgerà della bugia» esclamò Stella.

Aveva ragione, ma quella farsa avrebbe potuto reggere abbastanza a lungo da permettere la riuscita della missione. «È per il suo bene e forse anche per quello dell'intera Magix. Cercate di capire»

Le Winx capivano, capivano eccome, perché volevano bene alla loro amica. Ma, un po' perché la conoscevano e un po' perché temevano anche per la propria incolumità, nessuna di loro aveva il coraggio di accettare l'incarico.

«Lo farò io, se per voi va bene» tutti gli occhi si posarono su Maria.

Subito le quattro fate cercarono di dissuaderla perché, sì, avevano paura di fare una brutta fine, ma non era giusto che ci rimettesse lei, che con Bloom non aveva praticamente nulla a che vedere.

Ma la strega era fermamente convinta di possedere i requisiti adatti; e poi era la sua occasione per far valere la causa di tutte coloro che, come lei, erano vittime di uno sciocco pregiudizio.

Non avrebbe lasciato spazio alle insicurezze questa volta, perché avrebbe dimostrato di essere alla pari di qualsiasi altra fattucchiera; e chissà, forse anche Jared sarebbe stato capace di ricredersi.

Griffin sembrava insieme sorpresa e compiaciuta. «Immagino sia la scelta migliore. Sei una delle mie allieve più promettenti» disse infatti. «Ma sii prudente. Mi spiacerebbe non vederti tornare»

Maria sorrise. Alla fine, doveva molto a quella donna.

La preside di Torrenuvola sembrava sempre lo stereotipo della strega con una grande esperienza alle spalle, poteri spropositati e un'elevata dose di misantropia, di primo impatto; ma era molto più di quello.

La saggezza che aveva acquisito col tempo non corrodeva in alcun modo il ricordo che aveva della sua gioventù, portandola spesso a fare anche dell'umorismo. E, soprattutto, era generosa.

Di fronte al problema di Maria, si era schierata in prima linea e l'aveva aiutata lei in persona a controllarsi; non aveva mai rifiutato la richiesta d'iscrizione di nessuna candidata a prescindere dalla condizioni sociali o economiche e ne erano prova proprio le Trix. Ed era abbastanza sicuro che Griffin sarebbe anche stata disposta a perdonare quelle tre e riammetterle nella sua scuola, nonostante quel che era accaduto.

Perché le streghe erano così: per prime serbavano rancore e per prime lo dissipavano. Non tutte, certo.

«Farò attenzione» annuì quindi. «Ma dove si trovano le Trix?»

«Si sono rifugiate sul pianeta in cui le trovai... non molto lontano da Zenith e da quell'orribile luogo da cui siamo stati prelevati...» spiegò Griffin. «Si tratta del loro pianeta natale»

«Una volta che vi sarete messi in viaggio riceverete nuove disposizioni» concluse Saladin. «Io metterò a disposizione la navetta e gli studenti migliori...»

«...Che siamo noi» gongolò allora Brandon, orgoglioso.

L'anziano sbuffò, sorridendo. Si avviò verso la porta, massaggiandosi la schiena.

Nessuno riuscì a comprendere di preciso quel che borbottò.

Si decise di non perdere altro tempo.

Era stato stabilito che restassero ad Alfea Flora, Stella, Timmy e Musa, ma quest'ultima insistette a lungo per seguire Tecna e gli altri, e alle fine Faragonda si vide costretta ad acconsentire.

Gli altri tre non erano molto entusiasti di rimanere a terra, ma ciascuno di loro avrebbe avuto un compito ben preciso e, mentre era in corso la manutenzione della navetta più veloce ed accogliente di Fonterossa, Maria, Brandon e Riven furono costretti ad una lunga ed estenuante seduta in cui i professori delle scuole di fate e streghe avrebbero dovuto trasformarli, letteralmente.

Per la prima non fu un processo molto impegnativo. La sua statura combaciava quasi alla perfezione con quella di Bloom e anche la fisionomia del corpo era simile; restava solo qualche modifica di poco conto.

Gli altri due... l'uno sarebbe diventato la fidanzata. Stella non era tanto più bassa di Brandon, ma recargli le sembianze di lei sarebbe stato un lungo lavoro; per non parlare poi di Riven, che dallo scorbutico combattente sarebbe diventato una piccola, formosa e dolce fata della natura.

Lo scimmiottavano, i suoi due compagni. Giurò a Timmy che gliel'avrebbe fatta pagare.

E tra una risata e l'altra sembrava che le cose stessero davvero per trovare una degna conclusione.

 

 


Noticine:

Purtroppo, per ragioni a me oscure, ieri la connessione era del tutto assente, perciò mi ritrovo a pubblicare oggi. Chiedo scusa e prometto che risponderò al più presto (possibilmente questo pomeriggio) a tutte quelle anime pie che mi hanno lasciato un commento.

E così, tutto all'oscuro di Bloom. Beh, succede.

Per quanto riguarda Flora ed Helia, so che sono diversi da com'erano nel cartone. Ho voluto far sì che comparissero insieme e presentare la loro possibile relazione in modo diverso, perché lui è leggermente confuso e lei non ha avuto quel colpo di fulmine che nel cartone l'aveva un po' portata ad idealizzarlo, secondo me. Insomma, qui è Flora ad avere un po' più di sicurezza e... beh, l'idea che lui fosse innamorato di lei è nata perché, se non sbaglio, Helia e Miele si conoscevano già.

Ah, e poi ho cercato di attribuire ad ogni Winx una corporatura diversa. Per esempio, Bloom la immagino come una tappetta un po' acerba (e con le lentiggini), Aisha con un corpo molto atletico e muscoloso (e, per coloro che se lo stessero domandando sì, Aisha comparirà), Flora prosperosa come la Natura e via dicendo. Spero che la cosa non rechi fastidio, perché questa è pur sempre solo una fanfiction.

Qui si chiude la seconda parte; ci rivediamo sabato con la terza.

Ciao!

TheSeventhHeaven

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Capitolo 11
*** Terza parte - Cambiare ***




Terza parte – Cambiare

 

 

  Quella mattina, Flora si alzò molto presto.

Ridestandosi, la prima cosa di cui si accorse fu di aver dormito sopra le coperte. Gettando un'occhiata sul lato opposto della sua stanza, vide che anche Bloom aveva fatto lo stesso per il caldo.

S'alzò, sorridendo alla vista della tenera espressione della sua amica, che riposava da un bel po' di ore. Sembrava dovesse ritrovare tutte le forze che quell'anno difficile le avevano sottratto, e le dispiaceva sapere di essere costretta a mentirle.

Flora non avrebbe mai voluto trovarsi costretta a raccontarle una bugia ma, come era stato detto il giorno prima, era per il suo bene. Sapeva che lì sarebbe stata al sicuro e che i professori avrebbero fatto tutto ciò che era in loro potere per proteggerla e mascherare la sua presenza.

Dopo essersi lavata, decise di scendere a fare colazione. Lungo il tragitto diversi pensieri le solleticarono la mente, fastidiosi; a cominciare dal fatto di essere stata nuovamente relegata ad Alfea.

Non era mai stata una ragazza polemica e, anche quando aveva avuto l'impressione di sentirsi inferiore, cercava comunque di farsi da parte e di attenersi alle indicazioni di coloro che avevano più esperienza di lei. Ma ora provava le stesse emozioni che aveva provato Musa all'inizio, quando era stato affidato loro un compito meno pericoloso.

Perché poi non poteva andare con gli altri? Forse se si fosse impuntata come l'altra le avrebbero accordato il permesso?

No, Faragonda aveva espressamente nominato lei e Stella, per restare lì. Certo, loro due erano le più vicine a Bloom e avrebbero saputo distrarla, mentre la missione veniva portata a termine; ma Flora aveva sempre più la convinzione di essere inutile.

E tutta quella fiducia che le sembrava di aver ritrovato qualche ora prima, beh... stava svanendo.

Si sedette ad una delle tavolate, e subito manicaretti e teiere comparvero davanti a lei. La sala era quasi vuota, perché i vari presidi avevano mandato a casa la maggior parte degli studenti.

Insomma, le vacanze estive erano già iniziate e sarebbe stato inutile costringere anche gli allievi meno coinvolti a rimanere nel luogo che li aveva visti combattere e subire diverse perdite.

Impugnò un coltello per spalmare della marmellata su una fetta biscottata, quando Vera si sedette di fronte a lei. «Buongiorno!» esordì, energica.

Flora ricambiò. Dalla prima volta che l'aveva vista, la Specialista le sembrava una persona totalmente diversa. Le si poteva leggere in faccia la felicità per il fratello ritrovato, sebbene questi si ricordasse poco di lei.

Contrariamente a quel che poteva sembrare, Vera era logorroica. Durante la colazione parlò del più e del meno, dei suoi tristi giorni trascorsi come studentessa di Alfea e di quelli felici a Fonterossa.

Parlava del saggio dell'accademia e rideva di quel bizzarro alterco tra Bloom e l'antipatica fidanzatina del principe di Eraklyon... era come se volesse esercitare la propria memoria e ripercorrere quei momenti, per accertarsi che fossero stati reali.

L'altra si domandava come dovesse sentirsi dopo aver creduto di essere un'altra persona. La sua allegria non lasciava che trapelasse l'inquietudine che in realtà provava; e quell'inquietudine era dovuta anche ad Helia perché, quando questi fece il suo ingresso nella sala, Vera si rabbuiò, anche se tentò di non darlo a vedere.

«Hey, Helia» lo chiamò, attirando l'attenzione dei pochi studenti presenti. «Vieni a sederti con noi?»

Il ragazzo annuì, inizialmente un po' disorientato. Prese posto accanto a loro, a quelle due giovani che sembravano giocare un ruolo chiave per lui.

«Hai dormito bene?» gli chiese Flora, accortasi del pallore di lui e di quei segni scuri che si intravedevano sotto i suoi occhi. Helia era bello anche così, con le occhiaie e delle cicatrici fresche, doveva ammetterlo.

«Sì» mentì lui, distogliendo lo sguardo. Non aveva affatto dormito. «Anche se mi sono perso un paio di volte per arrivare qui»

La fata rise, con quella sua risata cristallina che aveva il potere di contagiare gli altri. Raccontò dei suoi primi giorni lì, delle sue amiche, delle cucine; mentre i due fratelli l'ascoltavano e Vera di tanto in tanto si lasciava andare ad una distorta forma di nostalgia per i suoi tempi peggiori.

«Ho bruciato tante di quelle frittate che una volta per punizione mi furono assegnati doppi turni» ricordò. «E, naturalmente, era stata quella megera di Griselda a volerlo»

«Anche tu... studiavi qui?» domandò il ragazzo, sorpreso.

La sorella si curvò in un sorriso sghembo. «Già... non te lo ricordi, eh?»

Helia chinò il capo e, per un attimo, un'ombra attraverso il suo volto. Si alzò di scatto, allontanandosi senza dire una parola; e Vera si rese conto dell'errore.

Non avrebbe dovuto infierire così su di lui. Perché lo aveva fatto?

Sotto lo sguardo attento di Flora, la Specialista corse dietro al fratello, chiamandolo più volte e chiedendogli di fermarsi. «Helia... non volevo» si scusò, una volta che si decise a starla a sentire.

Lui, dal canto suo non se l'era presa, né avrebbe potuto farlo. Le parole di lei lo avevano ferito solo in virtù del proprio senso di colpa, della consapevolezza di vedere come un'estranea colei che più gli era stata vicina.

«Non sono arrabbiato» affermò in un sospiro.

Ma perché non riusciva a ricordarsene? Dopo la conversazione avuta con Levi, Helia aveva ricordato quasi tutto. I ricordi si erano trascinati tra di loro, come una catena invocata dalla voce di quello che era il suo migliore amico; e alla fine era arrivato a riconoscere perfino alcuni dei suoi compagni, sebbene sentisse che quelli che potevano essere stati i loro rapporti si erano ormai interrotti.

Conosceva di nuovo le proprie abitudini, i propri gusti; era stato semplice a colazione, no? Non aveva nemmeno dovuto pensarci, aveva bevuto il solito caffé, addentato i soliti dolcetti che si erano materializzati davanti a lui senza che nemmeno dovesse articolare la voce.

Era stato tutto così... “solito” che per un attimo non vi aveva nemmeno badato. Era riuscito a ricordare simili sciocchezze abitudinarie e non sua sorella.

«Perché non riesco a ricordarmi di te, Vera?» chiese allora, trovandosi a fissare il soffitto del corridoio. «Che cosa è successo, prima che io scomparissi?»

Lei non seppe rispondere. Cosa poteva essere accaduto?

Era come se avesse un blocco, una barriera che la sua mente aveva creato per impedirgli di lasciare che qualcosa di doloroso lo ferisse di nuovo.

«Non so dirti cosa sia successo prima, ma quel che è successo dopo sì» iniziò. «So che non riuscivo a crederci. Il nonno urlava contro i suoi uomini, contro Codatorta, ordinando di trovarti... di trovarvi» disse, non nascondendo quella punta di amarezza che le scottò il cuore. «Metteva a soqquadro l'intera accademia e intanto piangeva. Sembrava impazzito»

E come lui, anche lei. Non era riuscita a credere che qualcuno avesse potuto spifferare qualcosa in merito alla missione di Helia e Levi, perché ciò significava che il male era venuto da dentro le mura, e non da fuori.

Non avevano trovato il corpo di nessuno dei due, perciò tutti avevano serbato la speranza che fossero dispersi e che presto si sarebbero fatti vivi. Ma i mesi passavano e, più le giornate volavano, più le speranze si affievolivano.

Avevano individuato il traditore, però. Una sciocca matricola che in un losco sobborgo aveva avuto la brillante idea di spifferare tutti i dettagli sul compito dei due amici e che, ovviamente, non aveva badato alle orecchie indiscrete.

Soltanto il cielo sapeva come ne fosse venuto a conoscenza.

«Per lui era stato uno scherzo, anzi, non ricordava neppure di averlo fatto» raccontò. «Avrei voluto ucciderlo. Purtroppo però, la questione era controversa. Fu aperta una lunga inchiesta e... il fatto è che da allora molte famiglie sono scettiche, riguardo la nostra scuola»

«Poi un giorno una strega di Torrenuvola è corsa da noi, agitata. Diceva di averti visto nei pressi del suo istituto» riprese subito. «Io lo sapevo, sapevo che non potevi essere morto, Helia»

«Già...» constatò, con amarezza. «Non potevo essere morto, perché qualcuno si era sacrificato al posto mio»

Quelle parole fecero male a Vera ma lui non vi badò, perché aveva finalmente capito a chi rivolgersi per far luce su quella vicenda. Era certo che quella matricola dalla bocca larga avesse a che vedere con la difficoltà di lui nel ricordare la sorella.

«Devo parlare con la matricola» disse, senza perdere altro tempo.

«Sarà difficile. È stata espulsa e rimandata sul suo pianeta natale» spiegò. «È molto lontano da qui e... ma... non puoi andarci da solo»

Eccola di nuovo lì, a tentare di dissuaderlo da qualche follia che era intenzionato a compiere; proprio come una volta. Tra loro non vi erano che due anni di differenza; eppure, lei si era incaricata sin da piccola di badare a suo fratello più come una madre, che come una sorella.

«Potresti venire con me» propose. Sperava che, in qualche modo, viaggiando con Vera si sarebbe ricordato e l'avrebbe sentita nuovamente parte di sé. «Dopotutto, tu conosci la rotta e tutto il resto, no?»

«Ma sarebbe pericoloso ugualmente, Helia! Quel posto... non è esattamente raccomandabile e noi...» sospirò. Era dura parlare dei sogni infranti. «...Noi non abbiamo alcun potere magico per tirarci fuori da situazioni spinose»

Helia sorrise, scuotendo la testa.

A quello aveva già pensato e credeva di sapere a chi rivolgersi. Cercò l'appartamento, scorrendo velocemente i nomi colorati affissi alle porte, alla ricerca della dimora di Bloom.

In un limbo tra il sonno e la veglia, diverse immagini sfilavano davanti a lei, confuse. L'unica cosa certa era quel piacevole torpore che aveva sempre accompagnato la sua stanza.

Quando aprì gli occhi realizzò che più che torpore si trattava di afa, perché l'estate a Magix non era così clemente come quella a Gardenia.

Mentre si sistemava, pensava.

Un po' la preoccupava l'idea che le Trix potessero venirla a cercare e mettessero a repentaglio la scuola, di nuovo. Una volta fattovi ritorno, Bloom aveva constatato da sé quanto la loro furia si fosse spinta oltre; e non avrebbe mai pensato di vedere la morte passare a pochi centimetri da lei, verso quei poveri ragazzi e ragazze che non ce l'avevano fatta.

Forse sarebbe stato meglio per tutti se lei non avesse mai trovato Solo, il Grande Dragone: senza la legittima erede della Fiamma del Drago, il talismano non avrebbe mai potuto funzionare.

Oppure la chiave di tutto era proprio quella e consisteva nell'adoperarlo prima che lo facessero loro?

Uscì dalla stanza con questi pensieri ben radicati nella mente, ma l'intero appartamento sembrava deserto. Bussò alla porta di Tecna e Musa, abbassando appena la maniglia quando non ricevette risposta; la loro camera era vuota e le lenzuola dei loro letti impeccabilmente sistemate.

Che siano già scese a fare colazione?

Ora che ci rifletteva, non si era mai soffermata troppo ad osservare i dettagli sulle sue amiche che quel posto nascondeva. Ad esempio, sapeva perfettamente della passione per la musica dell'una, degli strumenti che suonava, ma non aveva mai notato un poster dietro all'armadio che recava quella che poteva essere il suo gruppo preferito.

Studiò l'immagine, e tra i “Rocking Pixies” c'era una ragazza del tutto rassomigliante alla fata. Che fosse lei? Perché non aveva mai fatto caso a tutto ciò?

Perché non si era mai accorta di quello strano aggeggio che Tecna aveva lasciato sulla sinistra della sua scrivania?

Quante cose non mi sono premurata di scoprire, su di loro?

Afferrò quell'arnese tra le mani e, inavvertitamente, lo accese. Aveva la forma di un cubo, ma pareva avesse una sorta di aspirapolvere incorporata... sembrava una strana specie di fono per capelli.

Su un lato, un piccolo schermo si era illuminato, ma Bloom non riusciva a comprendere che cosa dicesse. Curiosa, passò un dito sulla superficie e delle sagome presero a roteare, come in un vortice.

Per lo spaventò premette tasti a casaccio, e una luce simile ad un flash la avvolse. Fu tutto molto rapido; e quando terminò, la ragazza sentì qualcosa di... insolito.

Una sensazione nuova e piacevole, come di freschezza. Che cosa era successo?

Oh, no...

Colta da un orribile presentimento, si passò una mano tra i capelli. Erano... più corti!

A metà tra lo sconvolto e l'incuriosito, Bloom si precipitò davanti allo specchio del bagno, quello stesso specchio che, non poteva saperlo, il giorno prima aveva visto la stessa Tecna protagonista di qualcosa di simile.

Sgranò gli occhi acquosi, non sapendo se ridere o arrabbiarsi. La sua folta chioma focosa brutalmente potata.

Beh, non proprio brutalmente.

Tutto sommato, si piaceva, sembrava più grintosa e, di qualsiasi incantesimo si fosse trattato, era stato preciso. Avrebbe dovuto farci l'abitudine, ma era come se quell'inconveniente fosse capitato di proposito.

Comprese che quelle sagome che aveva visto sullo schermo altro non erano che tagli di capelli; era quello, il modo in cui Tecna risparmiava sul parrucchiere?

Chissà se avessi selezionato qualcosa di simile a quelle creste con cui vanno in giro i ragazzi a Gardenia... Devo ammettere però che è una trovata geniale.

Tutta quella confusione aveva attirato lì Flora, che era appena risalita dalla sala grande e di Stella, un po' preoccupata e un po' infastidita per essere stata bruscamente svegliata. Ferma sulla soglia, rimase a bocca aperta per ciò che vide.

Bloom si accorse di loro e, prima che potesse dare spiegazioni, la principessa sorrise a trentadue denti. «Oh, Bloom... stai benissimo!» cinguettò. «Non vorrei dirlo ma... te lo avevo detto!»

Lei annuì, non sapendo come spiegare l'incidente. «Ragazze» le venne in mente. «Dove sono Musa e Tecna?»

Le altre due si guardarono appena negli occhi, come a darsi reciprocamente il permesso di ricoprire la ragazza di quelle bugie che avrebbero fatto il suo bene. Fu la bionda a rispondere, perché sapeva bene quanto sarebbe pesato a Flora.

«Oh, beh... sono su Zenith, con Brandon e Riven. Stanno cercando altre informazioni sul talismano, per capire perché lo vogliano le Trix» fece, con ovvietà. «La preside ha voluto che non ti svegliassimo perché devi ancora riprenderti, e poi ci impiegheranno poco»

Cercò di apparire convincente, sentendosi un po' in colpa a far leva sulla fiducia incondizionata che Bloom riponeva in lei. Poi, cambiò immediatamente argomento; e, mentre sproloquiava riguardo ad alcune acconciature che aveva visto su Eraklyon, qualcuno bussò alla porta che dava accesso all'appartamento.

«Si può?» sembrava la voce di Helia. Fece il suo ingresso con un'aria allegra come mai prima; con lui c'era la sorella che, al contrario, sembrava esasperata.

Durante tutto il tragitto – un tragitto piuttosto lungo, dato che nessuno dei due sapeva dove alloggiasse Bloom – aveva cercato di farlo ragionare, senza alcun risultato. Sperava che Flora fosse lì e che le desse man forte, dal momento che pareva molto più giudiziosa del suo spasimante.

«Bloom, so che ti sembrerà un'idea folle, ma sei l'unica su cui possa fare affidamento, per questo» iniziò, dopo alcuni convenevoli. «Ho bisogno del tuo aiuto e... beh, anche del vostro, se vi va» fece alle altre due.

Ma cos'aveva?

Tutto d'un tratto sembrava impazzito di gioia. Soprattutto Flora era molto sorpresa di vederlo così, dopo la faccia con cui era sceso a fare colazione quella mattina.

«Non state a sentirlo» intervenne Vera, scuotendo la testa in segno di dissenso. «Cercherà di trascinarvi in qualcosa di estremamente pericoloso»

Le tre fate si scambiarono un'occhiata perplessa.

«Non lo sarà, invece. Ho bisogno di te, di voi, proprio per questo» affermò lui. Prese a raccontare ciò che, a quanto pareva, aveva causato la sua amnesia e la morte del suo migliore amico; dopodiché, animato da una felicità matta, spiegò le proprie intenzioni.

Helia fremeva all'idea di poter scoprire di più, di poter parlare con quel maledetto idiota che aveva rovinato tutto e di poter fare chiarezza; perché ne era certo: quel blocco che gli impediva di ricordare tutto di Vera aveva qualcosa a che fare con la matricola colpevole.

E forse era vero, forse tutto ciò che stava dicendo era assurdo e il suo piano pieno di falle; ma lui lo avrebbe messo in atto, a qualsiasi costo. «Non sarebbe difficile» ripeteva. «Si tratterebbe di rubare una navetta, stanotte. La scuola non ha più alcuna barriera protettiva, dovrebbero innalzarla domattina; perciò avremmo tutto il tempo per imbarcarci»

In un fiume di parole, descrisse tutta l'ipotetica dinamica da seguire, mentre Stella si domandava se la caduta da quel fantomatico dirupo non gli avesse inferto altre lesioni cerebrali.

Più che altro, le disposizioni di Faragonda le rimbombavano in testa e un forte allarme era scattato nel momento stesso in cui Bloom era parsa interessata. Seguire Helia in quella vicenda l'avrebbe trascinata lontano da Alfea, lontano dalla protezione che avrebbero dovuto garantirle.

Non era forse quello, il compito suo e di Flora? Si maledisse, perché non era mai stata troppo brava a tarpare le ali a chi voleva bene; e la sua amica sembrava pendere dalle labbra del ragazzo.

Quei due erano troppo impulsivi, e insieme si sarebbero cacciati in guai seri. Intercettò lo sguardo di Flora, preoccupata.

I due fratelli non ne sapevano niente della missione dei loro amici e, quand'anche qualcuno avesse domandato dove si trovassero, avrebbero dovuto rifilare una bugia. Non potevano metterli al corrente così e mandare a monte tutto quanto.

«Non credo che potremo correre un rischio del genere...» fece infatti Flora, non sapendo esattamente come proseguire. «Voglio dire... le Trix... beh, loro vogliono Bloom e allontanarci dalla scuola potrebbe esporla troppo, per ora»

«Che cosa significa?» replicò la diretta interessata. «Se volessero sarebbero già qui, non credete? Io sono dell'idea che si aspettino che siamo noi, a scovarle; ma i professori non hanno ancora deciso come muoversi, no? E poi sarà una cosa veloce, credo»

Stella sospirò impercettibilmente.

Si trattava di rendersi utili, di dare una mano a qualcuno. Nell'ottica di Stella, come in quella di chiunque altro, restare a terra mentre gli altri si davano da fare era frustrante.

Musa era riuscita a spuntarla solo perché nella missione precedente era rimasta a scuola; ma era chiaro che ormai non fosse l'unica ad essere stufa di sentirsi solo una pedina in mano ai professori. Era stato inutile cercare di dissuaderli, perché loro non potevano capire o fingevano di non esserne in grado.

Bloom avrebbe fatto di tutto per aiutare qualcuno; e se quel qualcuno era un suo amico, la cosa acquisiva una rilevanza maggiore. In particolare, da quando il peso della morte di Sky aveva preso a gravarle sulle spalle, lei era determinata a fare tutto il possibile per chi ne avesse bisogno.

Era questo, ciò che Faragonda e gli altri non avevano voluto ascoltare. Erano convinti che la ragazza se ne sarebbe stata buona e zitta in ogni caso, ma non era così.

Non le piaceva essere controllata e, per quanto sembrasse strano, perfino Flora iniziava a esserne stanca.

Quella che Helia proponeva era una spedizione rischiosa ma, pensandoci bene, Maria e gli altri avevano proprio il compito di spacciarsi per loro, perciò come avrebbero potuto ostacolarli?

Era una pazzia, tutti ne erano consapevoli; perfino quel povero sciagurato di Timmy, che trascinarono con loro. Eppure... eppure lo fecero.

Quella notte una navetta di Fonterossa prese il volo, insonorizzata e sostituita da una sorta di ologramma che certamente non sarebbe stato eterno, ma che avrebbe concesso loro abbastanza tempo perché Helia potesse parlare con colui che aveva distrutto una vita e l'aveva costretto a cambiare

 

*

 

  Vedere Stella pilotare un veicolo – vederla così concentrata e seria, più che altro – sembrava surreale.

Prima di partire, Brandon aveva speso una buona mezz'ora ad osservarsi su ogni superficie riflettente. Trovandosi in lei, doveva ammettere che il corpo della sua fidanzata era davvero mozzafiato.

Certo, si domandava come riuscisse a muoversi così bene su quei trampoli e vestita a quel modo, con i capelli che sembravano fatti apposta per rendere il tutto più difficile. Il cerchietto lilla gli stava facendo venire il mal di testa e ciò che aveva sul petto era più un impaccio.

Però avrebbe potuto andargli peggio. Con la coda dell'occhio guardò Riven, seduto accanto a lui.

«Riven, cos'è quel broncio?» lo stuzzicò, ridendo. «Non sta bene su una signoria bella e dolce come te»

Quella che era una grottesca espressione seccata deformò i lineamenti paciosi di Flora, già deturpati dal solito cipiglio di colui che la impersonava.

Aveva difficoltà ad incrociare le braccia e annaspava peggio dell'altro, per camminare. Quando era salito sulla navetta aveva cercato più volte di sistemarsi la gonna per renderla “decorosa”, come l'aveva definita lui.

Si lamentava in continuazione con un tono che probabilmente non sarebbe mai uscito dalle morbide labbra della fata della natura. «Va' al diavolo, Brandon»

Rise, non aspettandosi una reazione diversa. Se non fossero stati coinvolti in qualcosa di serio, probabilmente avrebbe trovato tutta quella situazione ancor più buffa.

Ma la fredda e controllata voce di Tecna lo riportava alla realtà. Lei discuteva al telefono con Timmy riguardo al monitoraggio dell'intera missione; loro avrebbero cercato di estorcere alle Trix la ragione del furto e quella conversazione sarebbe stata registrata ed inviata seduta stante ad Alfea, dove lo Specialista si sarebbe occupato di riceverla e passarla ai presidi.

Ciò che tutti si stavano domandando e che nessuno aveva il coraggio di chiedere agli altri era: sarebbero usciti vivi di lì?

Era altamente improbabile che le streghe svelassero i propri piani senza ingaggiare una lotta ed era altrettanto improbabile che le nuove Winx potessero vincerla. Sarebbe stato difficile già se ci fossero state le vere Stella e Flora... e, naturalmente, le tre sorelle non li avrebbero lasciati scappare; non tutti, forse.

Maria era quella che correva i rischi maggiori. Lei impersonava Bloom ed era una strega; cosa sarebbe accaduto, se fosse stata scoperta?

Era facile che le Trix punissero lei per quello che potevano considerare un tradimento; eppure la ragazza pareva impassibile. Parlava con Musa di qualcosa e non sembrava minimamente agitata, anzi, sorrideva.

Si trovava perfettamente a suo agio con le fattezze di Bloom e cercava di smorzare un po' l'ansia generale.

«Se volessi ripensarci, noi...» aveva detto Musa, prima.

«Perché dovrei? È stata una mia decisione» replicò, calma. «Anche perché, chi altro lo avrebbe fatto?»

La fata sospirò. Aveva ragione, nessuno di loro aveva avuto abbastanza fegato da offrirsi volontario; mentre lei, che conosceva molto poco la loro amica, non aveva esitato un istante.

«So che sarà rischioso, ma... guarda il lato positivo della situazione» rise, abbassando poi la voce. «Sei in missione con Riven»

«Già...» sì, era in missione con Riven, ma questo non avrebbe cambiato nulla.

Si era decisa a non pendere più dalle sue labbra, a dimostrare il carattere e la grinta che aveva per non sembrare quella ragazzina idiota e accondiscendente che aveva sicuramente dato l'impressione di essere.

Chissà, forse come amica sarebbe andata bene, però... però c'era sempre quel qualcosa che le impediva di convincersene pienamente; perché stava male al pensiero di quel che c'era stato tra lui e Darcy, e di quel che un giorno ci sarebbe stato tra lui ed un'altra.

La infastidiva ed addolorava saperlo con qualcuno che non fosse lei; lei, che era stata un'ingenua e non si era mai resa conto di nulla. E ora che avrebbe potuto sfruttare quel tempo per avvicinarsi a lui, beh... avrebbe sprecato anche quella occasione, perché lui se ne stava imbronciato sul suo sedile, ad osservare la mappa e scostarsi di tanto in tanto i capelli dai lati del viso.

Non poteva in alcun modo sapere che Riven stesse pensando all'incirca le stesse cose. Mentre tornava da Eraklyon aveva riflettuto molto ed era giunto alla conclusione di non potersene stare con le mani in mano.

Aveva escogitato un piano che era, in realtà, così indefinito perfino nella sua mente da cambiare ogni ora. Poi era arrivato ad Alfea e, tra una cosa e l'altra, aveva visto Musa parlare con quello Specialista con cui lui stesso scambiava qualche parola, ogni tanto.

Jared, sì. E si era sentito come pugnalato al cuore perché, a vederli ridere insieme, aveva avvertito come la consapevolezza che lui fosse giusto per lei, con quei suoi modi affabili e la sua indole serena.

Era uno che si lasciava avvicinare, che dimostrava solidarietà e lealtà verso chiunque; un bravo ragazzo, perfetto per una ragazza speciale come lei. Perché era stato proprio questo, a ferirlo, e non l'averli colti così, in un momento di ilarità che poteva benissimo essere scaturito da una semplice battuta.

Perciò, adesso, si domandava come dovesse agire. Probabilmente ci avrebbero lasciato le penne, laddove stavano andando; quindi era arrivato il momento di prendere in mano la situazione.

Mentre rimuginava, un segnale apparve sulla mappa galattica. «Ho individuato il pianeta» avvisò, con un tono talmente lugubre da sorprendere perfino egli stesso.

Tecna gli si avvicinò e Brandon diede uno sguardo al punto in cui la cartina segnalava la presenza di un corpo celeste. Eppure, non vi era nulla se non stelle su stelle. «Sei sicuro?» fece l'altro Specialista. «Non vedo niente»

«Nemmeno io, ma qui c'è scritto così» ringhiò in risposta.

«Io invece sento delle voci» intervenne Musa, concentrata. «Sono poche e molto flebili, ma ci sono. Deve trattarsi di un pianeta con un sistema che allontana gli intrusi o qualcosa del genere»

La fata della tecnologia soppesò bene quelle parole, dandosi poco dopo della stupida per non averci pensato prima. «È un sistema di difesa» iniziò, digitando qualcosa sui tasti accanto alla mappa. «Ma è insito nella composizione del pianeta stesso. Questo posto si chiama Chameleon ed è noto per avere un aspetto che si confonde con l'atmosfera»

I vetri si oscurarono e con essi l'intera navetta, per poi lasciare spazio ad una sorta di mirino che tracciava proprio la sagoma di un piccolo punto. Più che un pianeta, pareva un asteroide. «Ovviamente, il fatto che sia così ben camuffato lo precludono quasi da qualsiasi rapporto con altri» spiegò. «Ed è per questa ragione che è un posto sottosviluppato. Non esattamente l'ideale per trascorrervi l'infanzia»

Dunque era proprio lì, che le Tix avevano avuto i loro natali. Un pianetino che si escludeva da sé dagli altri e che condannava i suoi abitanti fin dalla nascita.

Entrarono in orbita e poco più tardi atterrarono in quella che aveva tutta l'aria di essere una palude.

Le due fate ricordavano l'esperienza vissuta per aiutare Flora, e ricordavano anche la palude delle ninfe d'acqua; eppure, questa era completamente diversa. Sembrava un surrogato di Melmamora ma molto, molto più squallido.

Il fetore era troppo perfino per i ragazzi, che in genere sopportavano certe cose. Misero piede a fatica sul terreno umido e Riven quasi cadde nel fango, maledicendo la ragazza di cui aveva le sembianze.

Si resero subito conto che proprio in quella palude sorgeva un paese. Sembrava impossibile che degli umani potessero sopravvivere in un'aria simile, eppure i pochi abitanti parevano non badarvi.

Forse era la forza dell'abitudine... ma ciò non toglieva che quelle persone avessero un colorito verde e malato. Le tre sorelle non erano cresciute là in mezzo, quindi la malattia di cui si parlava nei ricordi di Darcy non doveva esservi ricollegabile.

Proseguirono, guardandosi attorno.

Sulla riva opposta, un uomo aveva allestito un bancarella dove vendeva quelle che avevano l'aspetto di rane, sgozzate e scuoiate alla meno peggio e inchiodate al legno spento: sosteneva che quegli anfibi potessero risorgere e scappare, o vendicarsi per essere state uccise.

Tra tutto quel trambusto e quel tanfo, l'unico edificio ad avere un'aria vagamente diversa – e sana – era una taverna tanto piccola da sembrare più una casetta. I cinque ragazzi vi entrarono, calamitando subito su di sé l'attenzione di un paio di ubriaconi seduti ad un tavolo e di un ragazzino dietro al bancone.

Dall'incarnato pallido e da uno occhio di un colore diverso dall'altro, guardò i nuovi arrivati sfoggiando il suo evidente strabismo. Fece molta pena vederlo relegato lì, in un posto che probabilmente lo avrebbe ucciso.

Il giovane boccheggiò un po', per poi correre sul retro. Al suo posto si presentò colui che doveva esserne il padre: un uomo massiccio e dallo sguardo indecifrabile, di un tono impastato del fango e del terriccio della palude, come se ne fosse stato un riflesso.

«Cosa ci fanno cinque giovani in un posto come questo?» domandò, sospettoso. Scrutò ciascuno di loro, soffermandosi un po' di più su Tecna. «Conosco i tuoi tratti. Sei di Zenith, non è così?»

Lei annuì, non capendo molto dove volesse andare a parare. Poi, l'uomo mosse un passo in avanti, uscendo dall'ombra e rivelando una rada zazzera dello stesso rosa di quella di lei, seppure molto più spenta.

«Senta...» iniziò Riven, senza perdere altro tempo. «Conosce tre ragazze di nome Icy, Darcy e Stormy?»

Senza dire una parola, fece loro cenno di seguirlo nello stesso ambiente in cui era sparito il ragazzino. Quest'ultimo intese e li lasciò soli, alle questioni importanti.

Parevano una famiglia affidabile e onesta, forse l'unica in quel paese in cui, senza dubbio, la criminalità regnava incontrastata.

Quell'uomo si chiamava Mirtan, ed era il proprietario della taverna. Combaciava perfettamente con il ricordo che Darcy aveva mostrato a Musa e Maria, e quindi egli doveva essere sicuramente a conoscenza di qualcosa che loro non sapevano, sulle Trix.

«Sarebbe stato poco prudente parlarne di là» disse, a mo' di scusa. «Sì, le conosco; ma voi chi siete?»

Cimentatisi nel racconto di tutte le loro peripezie, i ragazzi avevano la certezza di essere sulla pista giusta. Ma non poteva essere tutto così semplice, i problemi dovevano arrivare, prima o poi.

Mirtan ascoltava attentamente carezzandosi i folti baffi. «Capisco» disse, alla fine. «Sì, quelle tre sono sempre state eccentriche ma... non vedo perché dovrei parlarne proprio con voi»

«Signore... è di vitale importanza per il bene di tutti» replicò Brandon. «So che possa essere difficile, per lei, rivelarci quel che sa, ma... per quanto possa essere affezionato a loro, cerchi di capire»

L'uomo sospirò, abbassando lo sguardo. Era la cosa giusta.

«Quand'ero un ragazzo, più o meno della vostra età, lavoravo già con mio padre alla gestione di questo posto» iniziò. «Un giorno, mentre tornavamo al villaggio, ci capitò di sentire delle voci provenire da una radura. Voci giovani, fresche, accompagnate dal pianto di un neonato»

Si erano sporti da dietro un albero e ciò che avevano visto aveva lasciato Mirtan sconvolto. Una donna giaceva a terra inerme e, accasciata su di lei, una bimba piangeva sommessamente.

Un'altra, la maggiore delle tre, aveva voltato le spalle alla scena e sorreggeva un piccolo fagottino nel tentativo di farlo tacere.

«Non avevamo idea di chi fossero né di cosa fosse successo loro, ma già in quel momento la più grande dimostrò subito di essere una bambina diversa» raccontò. «Non versò neppure una lacrima per la madre, anzi, i suoi occhi di ghiaccio ostentavano un'impassibilità ed un sangue freddo surreali. Mio padre non volle che ci trattenessimo oltre, disse che qui cose del genere sono all'ordine dal giorno e che si meravigliava del fatto che non ci avessi ancora fatto l'abitudine»

Ma Mirtan tornò spesso a far visita a quelle tre, osservandole di nascosto e lasciando loro del cibo facendo sì che lo trovassero. «Ero curioso e al tempo stesso non volevo sapere quale fosse l'orribile storia che si celava dietro a quelle bambine che vivevano in una casupola di legno. Avevo già intuito che fossero straniere perché, un po' come me ed i miei genitori, fisicamente non avevano niente a che vedere con la gente di qui, ma...» strabuzzò gli occhi, come a sorprendersi ancora una volta. «Quando vidi Icy lanciare un incantesimo rimasi ancor più basito. Quelle tre avevano qualcosa... qualcosa di misterioso, una magia pericolosamente invitante»

Si era ritrovato a vederle crescere e continuare con la sua opera di bontà; poi la taverna aveva preso a gravare solo sulle sue spalle e l'unica cosa che potesse fare per aiutare le streghe era dar loro un lavoro.

«Darcy si mostrò entusiasta, ma Icy fu da subito diffidente. Non credeva che qualcuno potesse davvero offrirsi di aiutarle senza chiedere in cambio nulla di compromettente» sorrise. «Ma accettò per il bene delle sue sorelle. Il suo spirito di sacrificio, la sua determinazione ed il suo carisma divennero ben presto noti in tutto il paese. Tutti la idolatravano, ma nessuno faceva nulla di concreto»

E, come anche i cinque ragazzi potevano immaginare, Icy disprezzava tutta quella gente. Le uniche in cui riponeva la propria fiducia erano proprio Darcy e Stormy.

«Aveva quasi iniziato a fidarsi anche di me, sebbene le sue indiscrezioni sul suo passato fossero poche. Ma poi arrivò nella mia taverna una donna, una strega, come loro»

Griffin era lì per una questione personale e si era subito accorta dell'elevato potenziale di quella giovane cameriera dallo sguardo tagliente e l'espressione seria. «La strega era preside di una scuola per ragazze come Icy, ragazze dal talento per gli incantesimi più oscuri e pronte a qualsiasi sotterfugio che realizzasse le loro ambizioni»

E da allora non aveva più visto le tre sorelle fino a qualche giorno prima della conversazione che ora stava intrattenendo con quelle giovani venute da lontano.

Quindi era così: le Trix si erano rifugiate sul pianeta in cui erano cresciute; ma per quale ragione?

«Sono venute qui, senza raccontarmi nulla di ciò che mi avete detto voi. Ma erano diverse, potevo intuirlo perfino io. Erano cambiate» concluse. «Non so cosa abbiano fatto loro in quella scuola, ma...»

Lasciò in sospeso la frase, non riuscendo più a continuare.

«Signor Mirtan» lo chiamò Tecna. «Signor Mirtan, dove si sono nascoste?»

Mirtan non rispose. Si alzò, indicando un punto oltre la finestra del cucinino.

Alte fronde scure si stagliavano in quella che sembrava la radura dei ricordi di Darcy; e tra le piante si intravedeva un casolare. Le Trix erano lì.


 


Noticine:

Dunque, ci siamo: inizia il “round finale”.

Da qui in poi sono altri tre capitoli e l'epilogo... un po' mi dispiace concludere la storia, ma le Winx dovranno pur godersi le vacanze estive!

Tra l'altro, mi sono resa conto che proprio un anno fa (giorno più, giorno meno) iniziavo a scrivere l'altra long proprio sull'estate delle nostre fate e mi è venuta una nostalgia... vabbe', tralasciando queste sciocchezze, mi sono divertita nella descrizione di Chameleon.

Sì, forse le Trix venivano da Whisperia o qualcosa del genere, ma qui le faccio crescere in un pianetuccolo melmoso. Bloom si taglia i capelli e ora sappiamo che Helia ci ha davvero rimesso qualche neurone.

Ce la faranno i nostri eroi a fuggire da Alfea? Ce la faranno i nostri altri eroi a spuntarla con le Trix? Ce la farà Tecna a spuntarla con Brandon?

Scopriamolo insieme mercoledì prossimo! Sembra una specie di televendita, ehm...

A presto!

TheSeventhHeaven

 

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Capitolo 12
*** Terza parte - Prigionia ***


 

Terza parte - Prigionia

 

 

  La prima cosa che Tecna, come gli altri, avvertì non appena mise piede lì dentro fu un pungente odore di chiuso. Il casolare nascosto nella radura era perfino più piccolo, se visto dall'interno; le vecchie assi del pavimento di legno scricchiolavano ad ogni passo e nel complesso regnava un'atmosfera di abbandono che non sembrava dovuta solo all'assenza fisica delle tre sorelle.

L'aria non veniva cambiata lì da anni e questo alimentò uno dei sospetti della fata della tecnologia.

Le Trix non si stavano nascondendo lì; non del tutto.

Esaminò accuratamente ogni dettaglio, chiedendosi se e dove potessero aver nascosto l'accesso a quello che doveva essere il loro reale nascondiglio. Controllò sotto il tavolo ingrigito, dietro ad uno scaffale ribaltato... ma niente da fare.

«Non è da considerare la possibilità che siano semplicemente uscite un attimo, vero?» domandò Maria, assistendo alla furia investigativa di Tecna.

«Quelle tre hanno l'abitudine di complicarsi la vita... perciò no, è improbabile» ribatté Musa. Come risvegliato da quelle parole, Riven ebbe l'illuminazione.

Annaspando in avanti, si concentrò sull'unico particolare che era stato trascurato fino a quel momento. Si avvicinò al caminetto nell'angolo della stanza, accucciandovisi accanto. «Trovato niente?» chiese Brandon.

L'altro studiò la cenere sparsa sulla lastra di pietra... o forse avrebbe dovuto dire “disposta”; perché sembrava che qualcuno l'avesse messa lì apposta.

Ormai non aveva più dubbi.

Ammucchiò la polvere da un lato, aspettandosi di svelare una botola o qualcosa del genere; ma, nel momento in cui tutti gli si avvicinarono, furono risucchiati dal conduttore del comignolo.

In quegli attimi, i ragazzi si sentirono come prosciugati, come se la pelle venisse loro tirata via e i loro lineamenti si comprimessero; e alla fine si ritrovarono stanchi come se avessero corso per chilometri e chilometri.

Erano caduti su qualcosa di vagamente rassomigliante a del quarzo, ma di un colore più limpido e opaco. Che fosse ghiaccio? Eppure era diverso.

Maria provò ad accostare la mano ad una stalagmite che spuntava dalla liscia superficie del terreno, ritraendo subito la mano quando si accorse della scossa che sprigionava. Ripeté l'azione con un'altra e, questa volta, poté vedere chiaramente il cristallo farsi più scuro al suo interno, pronto per liberare un'energia che avrebbe potuto ucciderla.

«Le Trix sanno che siamo qui» affermò la strega, con un sospiro. «Questo posto avverte gli intrusi e cerca di farli fuori, perciò credo che gli incantesimi di cui è impregnato permettano ad Icy e le altre di percepire quando ci sono ospiti indesiderati»

«Almeno sapremo la verità. Riven» disse Brandon, allacciando le braccia dietro la testa. Davvero sarebbero durati così poco? «Sei sicuro di non aver mai origliato nulla, di tutta questa storia? Dopotutto, tu stavi con Darcy»

«Se avessi saputo qualcosa lo avrei già detto, non ti pare?» sbuffò, con esasperazione.

Ma, forse, era più che giusto che dubitassero ancora di lui. Era un traditore e, con tutta la bontà del mondo, una cosa del genere non si dimenticava tanto facilmente.

Anche se lo avevano perdonato, era chiaro che gli avrebbero sempre fatto una domanda in più; e come biasimarli? Si chiese se Musa sarebbe mai stata capace di guardare oltre; lei, che più degli altri aveva trattato male.

Eppure, era già da un po' che le cose andavano diversamente. Perfino ora, che non avevano altra possibilità se non quella di proseguire per quel sentiero di cristallo, lei sembrava assolutamente concentrata sulla loro missione, benché quelli potessero essere gli ultimi attimi che trascorrevano insieme. Da vivi, almeno.

Perché c'era da aver paura; oh, se c'era da averne. Perfino lui, poco incline a quell'emozione, perfino Tecna, che di rado si lasciava andare; perfino loro potevano avvertire distintamente il pericolo.

Forse aveva il volto di un mostro, forse di una splendida creatura; o forse di una donna, che non era né l'una, né l'altra cosa, oppure le era entrambe.

Dopo aver errato per quelle che parevano ore, l'avevano trovata; una donna.

I ragazzi avevano attraversato una serie di cunicoli, come parte di un labirinto, e alla fine si erano ritrovati in una grande sala; il cristallo era diverso, pareva immacolato e non vi era più lo stesso freddo penetrante che impregnava le gallerie.

Lì il tempo sembrava essersi fermato, in un tepore piacevole che accarezzava i bei lineamenti della donna dormiente in un morbido giaciglio. Era bella, ancora molto giovane, serena.

I suoi lunghissimi capelli finivano per spargersi a terra, in un crespo groviglio che aveva in sé l'ambra, il legno ed il caramello.

Cosa ci faceva, quella povera creatura, nel covo segreto di tre streghe? Che fosse una loro vittima?

Eppure... eppure aveva qualcosa di familiare. Quei lineamenti... quella corporatura... la sua stessa espressione di pace rimandava a qualcosa che i ragazzi conoscevano bene; soprattutto uno di loro.

«Questa donna...» mormorò Riven, con un filo di voce. «Questa donna è morta»

Colpiti, gli altri quattro si avvicinarono alla figura sdraiata. Aveva ragione.

Il pallore di lei, l'innaturale rigidezza con cui le sue dita s'intrecciavano... era morta. Perché? Perché era lì? Chi era?

«E se fosse...?» Tecna s'interruppe, non volendo davvero credere a quel che stava per dire.

Era davvero possibile che per anni Icy, Darcy e Stormy avessero tenuto rinchiuso in uno stato di letargo il cadavere della loro madre? Come potevano averla confinata là, in quella stanza che sembrava conservare le cose com'erano state un tempo?

«...Se fosse la loro madre?» trovò il coraggio di concludere la frase.

In fondo, era plausibile. Mirtan non aveva mai accennato nulla riguardo a lei, riguardo al destino delle sue spoglie. «Ma per quale ragione avrebbero dovuto tenerla così, come fosse impagliata?» fece Brandon, scosso. «Non credo sia qui a mo' di reliquia»

«Deve avere un significato particolare, per loro... però c'è qualcosa di strano. Questa sala non vi sembra diversa dalle altre?» disse Musa. Toccò la parete, ma il ghiaccio non liberò alcuna scintilla, né s'imbrunì.

Era come se quella stanza fosse impregnata solo di una delle tre sorelle, del suo potere; della sua essenza. Le altre due, loro non avevano nulla a che farci.

«Credete che Darcy e Stormy siano a conoscenza dell'esistenza di questo posto?» continuò, dubbiosa. «È come se non ci fossero mai state»

Tecna scosse la testa. «Per quale ragione a noi dovrebbe essere accessibile, se è rimasto nascosto loro per più di dieci anni?»

Una risata sguaiata proruppe dal fondo della galleria. Era arrivata la loro ora e, con lei, la strega che forse avrebbe messo fine a tutto quel cercare e fare domande.

Icy guardava ciascuno di loro con uno sguardo carico di disprezzo. Un ghigno che aveva in sé sentimenti terribili e che, in realtà, nascondeva una profonda tristezza.

«Vi ci ho portate io, naturalmente. E così, le fatine hanno scoperto la verità» esclamò, in una risata. «O forse dovrei dire “le fatine, gli Specialisti ed una piccola, miserabile traditrice”?»

Maria spalancò gli occhi acquosi per lo stupore. Ma come...?

«Non avrete davvero creduto che i trucchetti da prestigiatore di quegli imbecilli potessero ingannare me o le mie sorelle» scosse la testa, con ovvietà. «Darcy è la regina degli inganni» specificò, lanciando a Riven un'occhiata carica di sottintesi.

«Non dev'essere brava come dici, se riesce a farsi costruire una stanza segreta sotto il naso e non notare che dentro c'è la sua defunta madre» replicò a tono Musa.

Sorprendendosi lei stessa della propria audacia, dovette trattenersi dal tremare. Gli occhi della strega emanavano bagliori terribili e spaventosi, dando un rapido assaggio di quello che era l'odio latente dentro di lei.

Lo stesso che, proprio in quel momento, si risvegliò e in un guizzo scaraventò la fata contro la parete diafana. In un battito di ciglia, l'incantesimo scagliato iniziò il suo lavoro, provocando a Musa dei violenti tremori.

La sua pelle iniziava a scurire, come fosse stata assiderata ed avvelenata insieme. Tecna corse subito da lei, tentando di aiutarla come poteva.

«Che cosa diamine le hai fatto?» tuonò Riven.

«Un piccolo regalo per una piccola fata impicciona. Per tutti voi ho il mio personalissimo dono di benvenuto, solo...» rise, tagliente. «...Perché non mi permettete di vedervi in faccia?»

Schioccò le dita e i tre impostori ritrovarono le loro reali sembianze.

«Non sareste dovuti venire qui. Se vi foste preoccupati dei fatti vostri, avreste la pellaccia salva e non ne avreste più saputo, di me. Né voi, né Magix. Forse» fece. Mossa quasi a compassione, liberò la fata dal suo sortilegio; in realtà era solo stufa dei suoi lamenti.

«Tu menti!» urlò Maria, stringendo i pugni. «Sappiamo cos'avete fatto, abbiamo visto tutto ciò che avete distrutto. E adesso hai il coraggio di dire che non avresti più mosso un dito contro nessuno se non fosse stato per noi?»

Icy aveva un modo tutto suo per far ghiacciare il sangue nelle vene a chiunque. La sua serietà ammazzava anche il più coraggioso degli eroi, ma i suoi sorrisi...

«Povera Maria» sorrise infatti, con una voce piena di pietà. «Una strega che si allea con delle fate, che stringe amicizia con loro. Non hai ancora capito che non ti serve a niente» disse, aspra. «Tu sei esattamente come me, come noi; come qualsiasi altra strega. Non farai la differenza solo perché ti sei circondata di fatine e sei morta con e per loro»

L'altra non seppe cosa dire. Sentiva le lacrime affiorare dai begli occhi blu, le gambe farsi deboli ed i sogni andare in mille pezzi. E se Icy avesse avuto ragione?

«Anche se devo ammettere di essere delusa. Manca qualcuno, o sbaglio?» sghignazzò. «Poco importa. Rivedrò quel qualcuno molto presto e mi darà ciò che voglio, ancora una volta»

«Non potresti nemmeno lontanamente avvicinarti a Bloom. Si trova in un luogo sicuro e, per qualsiasi cosa tu abbia intenzione di usarla, non l'avrai» sorrise Tecna, vittoriosa.

La strega emise un verso di scherno, perché quelle povere fatine non potevano capire nulla. «Un po' mi fate pena. Siete solo delle pedine in mano a quei vecchi. Pensateci bene: perché hanno mandato voi e non sono venuti qui loro stessi?» sussurrò, sibillina. «So bene quel che ha fatto la mia cara sorellina. Ma se vi siete illusi di aver scoperto tutto solo grazie a lei... vi sbagliate. Darcy non conosce tutta la verità e il mio segreto morirà con voi»

Spalancò le braccia, come ad abbracciare la gelida bora che evocò. I suoi occhi erano opachi, rivoltati e impregnati di una mistica e portentosa forza che trascinò Maria e gli altri nel mondo dei sogni; un mondo fatto di immagini sfocate e risate che rimbombavano da ogni parte.

All'improvviso il corpo s'indeboliva, si muoveva con estrema lentezza ed era pesante.

In un sonno che per ognuno riportava a galla cose diverse, Musa vi trovò un suono; era un suono bellissimo e leggero, come un gioco di note ballerine che danzavano dai fori di un flauto.

Le risate agghiaccianti di Icy si erano trasformate in un unico, splendido, canto. Una preghiera su un giovane, su cinque qualità che erano nate con lui e sarebbero durate per sempre.

Il giovane assumeva ora l'aspetto di un ragazzo dal sorriso sincero e lo sguardo focoso; ora i tratti di un serpente dalle squame lunghe, dei colori del tramonto; oppure il volto di un bambino su cui bruciavano due rubini bagnati dal sole.

Parlava, il giovane; parlava del perdono e diceva cose che Musa non sentiva ma ascoltava, percependo la vita rifiorire in lei e bruciare, riscaldarla.

D'un tratto, un tepore simile a quello della stanza in cui riposava la madre delle Trix la investì: ed era qualcosa che solo l'affetto poteva dare. Qualcuno la chiamava, mentre qualcun altro diceva di tacere, di lasciare che dormisse; allora si ritrovava tra le braccia della prima persona, quella che la stringeva come se fosse la cosa più preziosa del mondo.

Poteva percepire il proprio capo adagiato sul petto ampio di quella persona, avvertirne il battito cardiaco totalmente diverso dal suo; più veloce, frenetico ed agitato.

Aprì gli occhi di scatto, risvegliandosi con quel ritmo che ancora le martellava in testa.

Era in grembo a Maria, che stava seduta contro la parete di quella che sembrava una cella di cristallo. La strega teneva gli occhi fissi in un punto lontano, con una strana espressione sul volto levigato. «Come ti senti?» chiese all'amica.

Musa si tirò su con la schiena, portandosi la mano alla testa. Come si sentiva?

«Non lo so» ammise. «Che cosa ci è successo?»

L'altra non rispose. Era come se avesse perso tutta la sua voglia di mettersi in gioco; e, in fondo, perché avrebbe dovuto? Icy aveva perfettamente ragione.

Non avrebbe fatto la differenza.

Sarebbe morta lì, per asfissia, senza aver fatto quasi nulla di concreto per dimostrare di essere diversa. Perché non aveva mai dato retta a quelli che le avevano sempre detto la verità? Lei era come qualsiasi altra strega, per quanto avesse cercato di convincersi del contrario.

Non erano forse le streghe, ad agire solo ed esclusivamente per un tornaconto personale? E non era forse per un tornaconto personale, che lei aveva deciso di prendere parte a quella vicenda?

Ma chi voleva ingannare? Tutto ciò a cui era riuscita a pensare non era stato il bene di Magix, di tutta la comunità; non subito, almeno. Aveva pensato solo al proprio orgoglio e al proprio onore, al suo sogno di dimostrare quanta bontà potesse esserci nelle arti che venivano ripudiate perché considerate malvagie.

Avrebbe fatto meglio a farsi i fatti propri, a dimenticare tutto e dissuadere quei ragazzi e ragazze che ora si davano da fare per tirarli fuori di lì. Ma era convinta che a nulla sarebbero valsi i tentativi di Tecna, Brandon e Riven di mettersi in contatto con chi aspettava loro notizie ad Alfea.

I tre stavano accucciati in un angolino dell'ampio spazio racchiuso dal solido ghiaccio in ogni suo lato.

La fata muoveva freneticamente le dita sull'unico dispositivo che si era portata dietro, sentendosi una completa idiota a non aver pensato alle possibili conseguenze. Se si fosse premurata di prendere con sé qualcosa di più di quello, forse sarebbero riusciti ad evadere.

Erano rinchiusi lì da ore e gli incantesimi suoi e di Maria non avevano neppure scalfito le pareti. Era già un miracolo che l'aria non si fosse esaurita.

«Perché diamine Timmy non risponde?» sbottò Brandon. «Che cos'avrà mai da fare, di tanto importante?»

«Non lo so... è come se ad Alfea non ci fosse» spiegò Tecna. «Il segnale indica che è in continuo movimento, ma è difficile stabilire una connessione»

Provò ancora un po', ragionando. Se si stava spostando significava che si era allontanato dalla scuola, e questo andava contro le indicazioni di Faragonda; ma Timmy non avrebbe mai fatto una cosa del genere.

«Un momento» esordì Riven, bruscamente. «Hai detto che ad Alfea non c'è e che si trova in continuo movimento?»

Lei annuì, aspettando che continuasse. «La velocità con cui si sposta suggerisce che si stia muovendo a bordo di...»

«...Di una navetta» concluse lui.

Una navetta? Per quale ragione? Di certo non poteva già sapere della loro prigionia, doveva esserci qualcos'altro sotto. «Se è come dici, forse posso collegarmi alla rete del velivolo e contattarlo direttamente da lì!» esclamò, speranzosa.

Si mise subito al lavoro, senza perdere un attimo. Smontò l'alambicco con cui stava trafficando, modificando con degli incantesimi alcuni dei circuiti.

Mentre Brandon la osservava, pensava che sarebbe stata un'ottima Specialista. Aveva sangue freddo ed intuito da vendere, si muoveva con sicurezza sebbene non conoscesse alla perfezione quel dispositivo ideato poco tempo prima proprio da Timmy.

Alla fine, funzionò. Dopo l'iniziale difficoltà nella sintonizzazione sulla frequenza, la cella udì la voce del ragazzo. Non era solo.

«Tecna?» era Bloom. Non doveva trovarsi al sicuro?

«Che cosa ci fai su una navetta, Bloom?» domandò Tecna, allibita.

Lei farfugliò qualcosa, imbarazzata. Diceva che si trattava di una lunga storia, ma avrebbero risolto tutto in un attimo. «Dove siete? Che è successo?» chiese Flora. «Noi siamo diretti sul pianeta Chameleon e...»

Chameleon?

Oh, al diavolo il senso di responsabilità. Non voglio morire qui dentro.

«Se state andando lì, vi spiacerebbe venirci a salvare?»

 

*

 

Bloom ricordava bene tutte quelle sciocche superstizioni a cui credeva da bambina. Sulla Terra esisteva un concetto di fortuna e sfortuna che spesso portava i suoi abitanti a comportarsi in funzione di queste due.

All'ingresso del suo liceo di Gardenia, ad esempio, erano stati posti due panettoni come a fare la guardia al cancello. Nessuno aveva mai il coraggio di passarvi in mezzo, perché le generazioni di studenti tramandavano storie spaventose di alunni perseguitati dalla sventura dopo aver commesso quell'impudenza.

Lei stessa si considerava di suo una ragazza piuttosto sfortunata; eppure, da un po' di tempo a quella parte, nella sua vita erano avvenuti così tanti bei cambianti che aveva dovuto ricredersi.

Dopo la conversazione avuta con Tecna e con gli altri prigionieri e dopo la confessione, da parte di tutti i suoi amici, dei piani segreti dei presidi, la fata non riusciva a non sentirsi serena.

Avrebbe voluto arrabbiarsi per essere stata tenuta all'oscuro di alcune decisioni e di essere stata ingannata da chi le era vicino, ma quel colpo di fortuna le impediva di mettere su il broncio.

Sì, perché di un colpo di fortuna si trattava.

Alla fine, quella che avevano considerato una follia si era rivelata fonte di salvezza e, forse, l'amnesia di Helia aveva avuto un tempismo perfetto. Se non fosse stato per lui, forse i loro compagni sarebbero marciti in una prigione di ghiaccio.

«Il tuo aguzzino non poteva scegliersi un posto migliore dove nascere, Helia?» fece Stella con disgusto, non appena le sue zeppe affondarono nella melma. Nel pantano si muoveva qualcosa di disgustoso e la principessa non era sicura di voler sapere di cosa si trattasse. «Spero che Brandon e gli altri non siano costretti in un postaccio simile... a proposito, dove dobbiamo andare?»

«Nella radura dove si trova la casa delle Trix. Io l'ho vista, dovrei riuscire a trovarla» rispose Flora, osservando attentamente gli arbusti e gli alberi che circondavano quello sprazzo di terreno. «Immagino che da qui in poi dovremo dividerci... ma non dovete venirci a cercare per nessuna ragione»

Helia annuì. «Fate attenzione. Noi vi aspetteremo» disse, guardando la fata della natura negli occhi. Era tutto ciò che poteva fare. «Andiamo?» aggiunse, rivolto alla sorella.

Vera, dal canto suo, pensava ancora si trattasse di una pessima idea; e, alla fine, era proprio colpa sua se il fratello l'aveva avuta.

Se lei non avesse mai accennato a quella matricola o avesse mentito dicendo che era morta allora, probabilmente, non sarebbero andati a cacciarsi in quel guaio. Certo, grazie a lei Musa, Maria e quelli con loro sarebbero stati salvati, ma...

«Stai ancora rimuginando su tutta la vicenda, Vera?» le domandò Helia, ad un certo punto. Si erano già incamminati verso il punto da cui provenivano schiamazzi di ogni tipo: il paese che sorgeva sulla palude. «Se è davvero un problema, per te, non venire. Me la caverò anche da solo»

«Tu non capisci, Helia» scosse la testa, continuando a camminare.

«Aiutami a farlo, allora» quasi la implorò, in un sussurro. Aspettò che lei dicesse qualcosa ma, come si aspettava, non si spiegò oltre.

Vera non avrebbe saputo fornirgli alcun tipo d'informazione. Solo la matricola avrebbe potuto, e il caso volle che si trovasse proprio davanti ad una bancarella che vendeva rane.

La ragazza riconobbe subito il giovane; e così fece lui, balzando di sorpresa ed orrore quando vide spuntare dietro la Specialista quel fratello così simile a lei che aveva perseguitato quel poveretto nei sogni.

Li accolse in casa propria, come fossero dei vecchi amici che non vedeva da tanto.

Mon, questo il nome del ragazzo, era esattamente come la nipote di Saladin lo ricordava. Piccolo e asciutto, una lepre pronta a scappare dal suo predatore; nelle sue memorie era un sempliciotto, un po' goffo, uno che guardava con stupore qualsiasi cosa, perfino la più banale.

Non era molto sveglio, ma aveva la risata facile e la pessima o ottima abitudine di non prendere mai le cose troppo sul serio. Ciò che aveva combinato gli era servito di lezione; una dura batosta che si poteva benissimo leggere in quella sua aria colpevole che aveva assunto non appena li aveva visti.

Ad Helia, invece, quel volto non diceva quasi nulla. Sì, sapeva di averlo già visto e i racconti di lei suggerivano che in passato Mon dovesse essere stato abbastanza vicino a lui o a Levi da conoscere il loro segreto e tradirlo miseramente.

Ma, oltre a quello, forse era un bene che non avesse memoria di altro. Avrebbe corso il rischio di dare di matto, altrimenti.

«Allora... come... come state?» iniziò, non sapendo cosa dire. Porse loro un sospetto intruglio che assomigliava al tè. «Bevetelo, vi piacerà»

«Come sappiamo che non cercherai di avvelenarci, Mon?» rise Vera, sarcastica. L'altro abbassò il capo, ingoiando tutto ciò che forse avrebbe detto per smorzare la tensione.

Helia fulminò la sorella con lo sguardo. Non era certo in quel modo che avrebbe vuotato il sacco.

«Ti ringraziamo, ma non abbiamo molto tempo» fece, conciliante. «Puoi ben immaginare il motivo per cui siamo qui»

Mon annuì, lasciandosi pesantemente cadere su una sedia ingrigita.

Era arrivato il momento di chiedere perdono per essere stato uno sprovveduto, per aver venduto la fiducia di un amico ad uno sconosciuto che aveva un'aria affascinante e che gli aveva promesso le più grandi cose.

Si scusò più volte, raccontando di quel tipo un po' strano che aveva conosciuto tanto tempo prima, uno diverso, che aveva carisma e belle parole. Descrisse la modalità del tradimento all'incirca allo stesso modo con cui l'aveva descritta Vera, infarcendo però il tutto di “perdonami” e di singhiozzi.

Sembrava una persona buona, Mon, uno che, tutto sommato, sapeva mantenere i segreti. Ma si era lasciato abbagliare, aveva inseguito una chimera che aveva visto in lui la preda, l'infiltrato perfetto.

Alla fine, quella lepre non era stata in grado di scappare ed erano bastati l'alcool e le moine a farlo parlare e condannare così Levi. Ora Helia ricordava qualcosa di più.

Era stato proprio Levi, a presentarglielo, a presentargli quello svampitello dall'aria simpatica che chiacchierava fino allo sfinimento. Sì, le tessere del puzzle andavano ad incastrarsi, ma ne mancavano ancora alcune.

Alla fine, ebbe l'impressione di aver solo fatto un grosso buco nell'acqua. Quella conversazione era stata soltanto una perdita di tempo.

Aveva davvero sperato che parlando con un'altra persona sarebbe riuscito a sapere per quale ragione stentasse a ricordare Vera? Doveva essere proprio uno sciocco.

Sapeva perfettamente che solo guardando dentro se stesso avrebbe trovato una risposta; proprio come aveva fatto Bloom. Provò una rabbia matta nei propri confronti, chiedendosi perché fosse stato così stupido.

Quante volte glielo avevano ripetuto? Era impulsivo, e ora ne aveva la conferma.

Era prigioniero della propria mente e non riusciva a liberarsi; forse in fondo non lo voleva... era molto più comodo, così, no? Era più comodo crogiolarsi in quel brodo di autocommiserazione.

Ma, per quanto fosse piacevole e gratificante accusarsi, questo non avrebbe risolto il problema.


 


Noticine:

Le cose si mettono male, per i nostri eroi. Sta a Bloom e compagnia bella, tirarli fuori di lì e scoprire per quale malsana ragione una ragazza tenga in casa il cadavere della propria mammina. Sì, il rating giallo è dovuto principalmente a questo particolare, che potrebbe turbare chi legge così come suscitare indifferenza.

Helia invece non ha nessuno che possa salvarlo, nemmeno il povero Mon.

Che altro dire? Ringrazio tutti tuttissimi per il sostegno che mi concedete ogni volta; questa sera risponderò a ciascuna buon'anima!

Il prossimo appuntamento è sabato prossimo, ciao!

TheSeventhHeaven

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Capitolo 13
*** Terza parte - Verità? ***


 

Terza parte – Verità?

 

 

  Si chiedeva cosa ne fosse dei loro compagni d'avventura.

Erano trascorse delle ore, non si erano ancora fatti vivi e la cosa non faceva altro che aumentare l'angoscia che provava Helia. Già la consapevolezza di essersi catapultato lì inutilmente lo seccava; se poi aggiungeva l'idea di aver abbandonato coloro che lo avevano seguito nella sua stupida missione...

«Credi che dovremmo andare a controllare?» domandò alla sorella, alzandosi di scatto dal tronco falciato di un albero su cui si era seduto.

Vera scosse la testa. «Ricordi le parole di Flora? Non dobbiamo intervenire» fece presente, nonostante l'ansia logorasse anche lei. «Sono sicura che riusciranno a cavarsela. Sono tutte estremamente in gamba... anche Timmy»

Lui cercò di convincersi dello stesso. Non doveva pensarsi, non doveva.

«Che cosa pensi di Flora?» domandò allora, giusto per cambiare argomento.

La ragazza sbatté le palpebre, come a volersi accertare di aver sentito bene; poi rise. Poteva aver perso la memoria per un anno intero, ma era ovvio che il cuore di suo fratello ricordasse ancora molto bene ciò che gli aveva dato pensiero per tutta un'infanzia.

«Mi ha salvato la vita e tu sei innamorato di lei» disse, dopo un po'. «Questo mi basta»

Innamorato...

Era davvero così? Era davvero innamorato di lei?

Forse una volta, quando era piccolo. Ma non poteva definirlo amore, quanto più un'infatuazione; e adesso cosa provava? In che genere di rapporti erano, loro due?

Definire... è proprio necessario farlo?

Flora era la sua luce. Non avrebbe potuto considerarla in altro modo.

Perfino nel senso letterale dell'espressione, il bocciolo che brillava nella lanterna di vetro lo aveva incantato lei; era stata lei, sin dagli inizi, ad illuminare il suo sentiero. Era l'unica certezza in un mondo di dubbi.

Si volse a guardare Vera, che intanto aveva preso a trafficare con il mantello della sua tuta da Specialista. Non si era mai soffermato troppo ad osservarla ma tutto, in lei, diceva che erano fratelli. Perfino le loro movenze erano simili; eppure, quella che poteva essere facilmente scambiata per una gemella era la persona che gli diceva di meno.

Ormai si era rassegnato all'idea che non avrebbe mai saputo spiegarselo; e così aveva fatto anche lei. Helia avrebbe sempre conservato solo un vago ricordo di ciò che aveva condiviso con sua sorella, non lo avrebbe mai più riconosciuto come proprio.

Però...

«Ascolta, Helia»

Non importa se non saremo più come prima.

«Anche se non ti ricorderai mai di me del tutto, non fa nulla» iniziò. «Nemmeno io so spiegarmi il motivo, ma...»

Non importa se non ti ricorderai delle giornate nel grande bosco della città, a giocare con gli animali; o dei pomeriggi passati a fingere di essere tu uno Specialista ed io una fata in missione, i pomeriggi che finivano sempre con le nostre fantasticherie su come sarebbe stata la vita da studenti...

«...So che non m'importa. Vorrei soltanto poterti stare comunque vicino» ammise, sorridendo. «Vorrei che avessimo dei nuovi ricordi, insieme»

Alla fine contava quello, solo quello. Contava avere di nuovo qualcosa per cui valesse la pena di arrivare vecchi, un giorno, a parlare dei bei vecchi tempi e di tutte le sciocchezze che avevano combinato da giovani.

Tutto ciò che riuscì a fare in risposta fu ricambiare il sorriso, perché nella sua ricerca aveva perso di vista il suo vero obiettivo: quello di ricordare di aver avuto qualcuno che lo amasse, che non lo lasciasse solo.

Ma ne aveva la prova ora, no? Lui non era più solo.

 

*

 

Nel silenzio più nero, a tratti interrotto dai respiri addormentati dei suoi compagni, Tecna era sveglia e aspettava. Di lì a poco sarebbero arrivati gli altri; era solo questione di avere pazienza e fiducia in loro.

Aspettava, mentendo a se stessa e cercando di convincersi di non essere nel panico. Perché lei non poteva, era nata e cresciuta con la convinzione che una mente fredda e calcolatrice potesse adattarsi a qualsiasi situazione e risolverla.

Si chiedeva, adesso, che fine avessero fatto quei principi che aveva rincorso per sedici anni di vita. Era stata stupida a lasciarsi andare all'emotività, in quei giorni, perché l'aveva terribilmente segnata.

Ammettere prima a se stessa e poi agli altri di nutrire qualcosa che andasse fuori dagli schemi l'aveva spossata, le aveva dato l'impressione che non fosse poi così male aprire il proprio cuore. Per quel che le importava, il proprio cuore avrebbe anche potuto marcire lì dov'era.

Le aveva solo causato problemi, portandola a commettere un errore dietro l'altro. In fondo, non era forse colpa della sua emotività, se Faragonda stessa aveva sbagliato e li aveva mandati a morire?

La strega aveva avuto ragione anche su di lei, su di loro, sul fatto che non fossero mai capaci di prendersi le proprie responsabilità e che si nascondessero ugualmente dietro a delle stupide scuse.

Ma ormai non aveva più importanza. Forse, i rinforzi non sarebbero mai arrivati o non sarebbero intervenuti in tempo. Tecna sarebbe morta lì, arrancando in assenza di ossigeno.

«Sei sveglia?»

Arrancando in presenza di Brandon.

Brandon era seduto accanto a lei. Fino a quel momento, aveva dormito così, con la testa che ciondolava da un lato e le spalle che sfioravano le sue, alla ricerca di calore.

Doveva essersi mossa troppo bruscamente ed averlo fatto rinsavire. «Dormi» bisbigliò lei.

Lui mugugnò. «Non se non lo fai anche tu»

Quanto sei sciocco...

«Qualcuno dovrà pur stare di guardia» fece, sbuffando appena. Ma l'altro non ne volle sapere; perché forse poteva mentire a se stessa, ma non a lui.

Stropicciò gli occhi, tirandosi qualche schiaffo per ridestarsi del tutto. Mise bene a fuoco l'immagine della fata al suo fianco. «C'è qualcosa... che ti frulla nella testa» sussurrò, cercando lo sguardo di lei che, ovviamente, tentò di sfuggirgli. «E non solo adesso. Già da un po', tu... sei diversa.»

Sgranò gli occhi, perché aveva maledettamente ragione: era diversa. Era cambiata, e questo per colpa sua e di Timmy. «Eviti la compagnia, le tue amiche e... so di non contare nulla, per te; ma eviti anche me» continuò.

Oh, Brandon... non è vero che non conti nulla...

«Non so se io abbia fatto qualcosa che può averti dato fastidio oppure... beh, urtata. Ma qualsiasi cosa sia-»

L'unica cosa che mi ha urtata è il fatto che tu ami Stella e che, in ogni caso, tu sia così facilmente apprezzabile; mentre io...

«Brandon»

«Qualsiasi cosa sia, vorrei che tu mi perdonassi. Non voglio che mi odi»

Non potrei farlo, anche se tu non proverai mai quello che io provo per te.

«Tu non hai fatto nulla di male. La colpa è solo mia» disse quindi, per farlo smettere di sparare parole che avrebbero sfondato le barriere che faticosamente cercava di erigere in difesa del suo cuore. «Ma mi passerà e col tempo... me ne farò una ragione»

Anche se sarà difficile e starò male ogni volta che scorgerò la felicità tra i tuoi occhi e quelli di Stella.

«Che cosa vuoi dire, Tecna?»

Si può provare qualcosa di così grande per qualcuno di totalmente diverso? Si può provare qualcosa di così grande per qualcuno che non lo prova per te? Perché non ti sei limitato ad essere mio amico, Brandon? Dovevi per forza portarti via un pezzo più grosso, di me?

«Il fatto è che-»

Un rumore sordo fece tremare violentemente le pareti di cristallo. Musa, Riven e Maria si svegliarono di soprassalto, spaventati.

L'eco si ripeté svariate volte, facendosi sempre più vicina. Rimbombava ora nel muro, ora nelle loro ossa, mandando all'istinto dei forti segnali che presagivano una grande minaccia o una grande fortuna.

Per una volta, la sorte sembrò sorridere ai cinque prigionieri.

Tre voci risuonarono all'unisono, costituendone una sola: un profondo boato e poi tanto calore, come se tutti fossero vicini ad un camino. Il ghiaccio che intrappolava i ragazzi si sciolse, esplose, andando in mille pezzi.

Svolazzò per tutto lo spazio come avrebbero fatto centinaia di candidi coriandoli, che facevano da sfondo al sorriso di Stella, Flora e Bloom. Ancora con le mani giunte, le tre fate erano quasi incredule di fronte al fatto di essere riuscite a combinare i propri poteri in quel modo.

«Sono arrivati i rinforzi!» trillò la bionda, volando dal suo amato. «E che rinforzi!»

Brandon sorrise, felice. Tutto sommato, la situazione era abbastanza comica e... beh, alla fine era la principessa, a salvare il suo eroe; che non era un principe, ma per Stella valeva allo stesso modo.

«State tutti bene?» domandò Bloom, preoccupata. Tutti loro... avevano corso dei rischi solo per lei.

E lei? Aveva mai fatto qualcosa di concreto, per i suoi amici?

Dove sarei, adesso, senza di loro?

Ricordò il giorno in cui Sky era morto, il giorno in cui aveva maturato la decisione di cavarsela da sola, senza mettere in pericolo più nessuno all'infuori di se stessa. Quanto era stata stupida?

All'improvviso, realizzò di non potercela fare, contando solo sulle proprie forze. Era stato sciocco credere il contrario e adesso, che rischiava di perdere quelle persone a cui si era tanto affezionata e che, a loro volta, si erano affezionate a lei... beh, adesso aveva compreso di aver bisogno di ciascuno.

Aveva bisogno delle sue amiche, anche dei litigi e dei disaccordi che ogni tanto sorgevano; aveva bisogno perfino di quei tre ragazzi a cui non era poi così legata e che, nonostante questo, avevano fatto molto, per lei.

E quella ragazza, Maria. Le doveva più di quanto sembrasse.

Eppure è diversa... sembra distrutta.

Che cosa era successo?

«Qual è il piano, adesso?» chiese Musa, affacciandosi sul corridoio da cui erano arrivate le sue amiche e Timmy. Dieci strade diverse si snodavano nel diamante, provocandole un senso di vertigine. «Come fuggiamo?»

«Non lo farete» forse, la sorte non era poi così favorevole.

Due delle Trix erano apparse dietro i nuovi venuti, sbarrando loro il passo. Stormy sfoggiava un ghigno di scherno, il ghigno della vittoria che avrebbe conseguito sventando quel tentativo di evasione; con lei c'era Darcy, ma non partecipava a quell'attacco di ilarità, tenendo il capo chino. Riven chiamò il suo nome, ma lei non lo degnò di uno sguardo.

«Darcy, devi aiutarci» esclamò Musa, pronunciando a fatica quelle parole. Stava davvero chiedendo l'aiuto della sua miglior nemica? «Sei tu che ci hai spinte fino a questo punto»

La minore le lanciò un'occhiata indagatrice. «Che significa?» tuonò, fulminando con lo sguardo dapprima la sudicia fatina che aveva osato fiatare, e poi la sorella. «Che cosa sta farneticando? Darcy?»

«Darcy, c'è una stanza segreta, qui» fece Tecna, senza prestare attenzione agli schiamazzi di Stormy. «Icy vi conserva il corpo di... di vostra madre. Ne sai niente?»

La strega parve sconvolta, mentre l'altra dava ancora in escandescenza. «Come osi insinuare una cosa del genere, sciocca ragazzina? Voglio sapere che cosa sta succedendo qui! Voglio delle spiegazioni!»

«Non è facile dartele, Stormy. Non capiresti, se ti spiegassi ciò che ho fatto» finalmente, la signora dell'oscurità si decise a parlare. La sorella non si accontentò di quella massima, ma lei cercò di ignorarla. C'erano cose più importanti di cui discutere. «Hai detto... tu hai parlato di mia madre»

La fata annuì. Insieme agli altri, spiegò ciò che avevano visto; anche se era difficile non badare a Stormy e alle sue continue domande accompagnate da improperi.

La sorella aveva avuto ragione: non sarebbe stata in grado di comprendere le ragioni che avevano spinto una di loro a svelare il segreto di Icy. Ma, dopo il racconto di quelli che avevano considerato nemici fino a poco prima, le due streghe iniziarono a nutrire dei dubbi, nei confronti di ciò che sapevano sulla loro leader.

Aveva costruito una stanza segreta in cui aveva lasciato riposare la loro povera madre per anni senza un apparente motivo; ma sapevano bene che lei non avrebbe mai fatto nulla, se non dietro ad un'attenta macchinazione. Qualcosa non quadrava, e dovevano vederci chiaro.

«Se quel che dite è vero, allora...» rifletté Darcy. «Forse ho capito cos'ha in mente. Icy non voleva, non ha mai voluto la Fiamma del Drago per la sua malattia...»

Che cosa intendeva dire?

«Andatevene di qui» fece loro, senza aggiungere nient'altro. Prima che potessero fermarle, le due sorelle erano già alla ricerca di quel luogo di cui non avevano mai saputo nulla.

«E adesso?» mormorò Flora, frastornata. «Non possiamo andarcene così...»

«Non lo faremo. Sentite...» iniziò Tecna, alzandosi. «Siamo ancora in tempo per fare qualcosa. Potremmo tornare all'ingresso e ripercorrere lo stesso tratto che ci ha condotti in quella stanza»

«Dimentichi che ci è stata accessibile solo per volere di Icy» replicò Maria, senza interesse. Ormai...

L'altra sorrise, scuotendo la testa. Illustrò la sua idea.

Scansionando l'area sarebbero stati in grado di individuare la stanza e di accedervi grazie ai loro poteri uniti alla Fiamma del Drago, che pareva l'unica energia efficace su quel cristallo impregnato di magia. Era arrivato il momento della verità, e non se la sarebbero persa.

Come sospettavano, Icy era là. Stava in piedi, di fronte al giaciglio della madre.

Ai piedi della bara di cristallo, due corpi parevano privi di vita. Che sciocche, le sue sorelline.

La loro devozione era sempre stata encomiabile; tuttavia, non avrebbero capito e adesso ne aveva la prova. Non erano state capaci di rendersi conto di come stessero realmente le cose, e ora si ritrovava davanti il patetico tentativo di Darcy di impedirle di portare a termine i suoi piani.

La piccola Bloom e i suoi fedeli seguaci l'avevano trovata, alla fine. Poco male; avrebbe posto fine a quella storia più velocemente di quanto pensasse.

«Perché lo hai fatto, Icy?» chiese uno di quei moscerini insignificanti.

«Oh, ti riferisci alle mie care sorelle?» rise. «Se lo meritavano. Sapete, se c'è una cosa che non mi è mai piaciuta di loro, come chiunque sia venuto a conoscenza di qualcosa che mi riguarda, è che non sono riuscite ad andare oltre l'apparenza»

Si voltò, flemmatica, concedendo ai suoi nemici la possibilità di rimirare lo specchio che teneva tra le mani. Finalmente, avrebbe avuto ciò a cui mirava. Ma quei piccoli insetti non meritavano di vedere sua madre, non da viva.

Richiamò a sé tutta la potenza della Fiamma del Drago che, contrariamente a quanto si potesse credere, ben si sposava con il ghiaccio: lo tramutava in un cristallo duro e puro, eterno; il diamante.

Migliaia di schegge stavano sospese a mezz'aria, aspettando solo che la loro padrona desse il comando di colpire; uno scudo, fatto di fiamme roventi, si levò in difesa degli obiettivi. Una lotta tra freddo e caldo, blu e rosso, morte e vita; ma da sola, Bloom non poteva farcela.

Prima Tecna, poi Stella, Musa e Flora; erano con lei, le davano man forte nel tentativo di resistere. Alla fine, il diamante ebbe la meglio e, seppur indebolito, volò verso di loro. Tra graffi e tagli, Icy rideva.

«Non ho mai avuto alcuna malattia, non fisica» rivelò, dicendosi che, dopotutto, li avrebbe spediti all'altro mondo dando loro le risposte che volevano. «L'unico rimedio che avevo per guarire era il tempo; era questo che intendeva la Griffin, quando disse che la stregoneria rende possibile qualsiasi cosa. Sarebbe stata una distrazione e mi avrebbe dato tempo. Solo con il tempo, avrei maturato la consapevolezza che mia madre non potesse tornare indietro»

Ecco in cosa consisteva la malattia di Icy decantata nei ricordi fasulli di Vera. Si trattava di un'ossessione, del desiderio morboso di riportare in vita qualcuno che aveva amato e di cui si era ritrovata a fare le veci.

«All'inizio avevo capito diversamente. Ero convinta che la stregoneria conoscesse il modo per riportarla qui; ma mi sbagliavo. L'unica soluzione era quel potere che tanto tempo prima mi aveva offerto un bambino, lo stesso per cui la nostra famiglia era andata sull'orlo della pazzia; lo stesso per cui mia madre ci aveva allontanate in tutta fretta dal nostro pianeta natio» raccontò, con un tono che non aveva mai usato.

«La Fiamma del Drago» riprese. «L'energia più potente dell'universo che ne ha permesso la creazione. In essa tutto nasce e tutto muore; per questo possiede dei poteri curativi inauditi. Alla fine, era la sola via per raggiungere i miei scopi, ma non bastava»

Ora era tutto chiaro.

Il talismano avrebbe amplificato il potere del fuoco affinché rimarginasse un corpo deceduto a tal punto da riportarlo alla vita. Non c'era mai stata alcuna brama di potere, non subito.

All'inizio si era trattato solo di quello, solo del desiderio di vedere e sentire di nuovo qualcuno che non c'era più. Era un desiderio umano, qualcosa che tutti loro avevano provato, almeno una volta.

La cosa era poi sfuggita di mano, ad Icy, finendo per portare alla distruzione di una dimensione; eppure, in parte, ciò che aveva fatto aveva qualcosa di incredibilmente buono.

«Darcy ha pensato che, mostrandovi ciò che sapeva, sareste riusciti a dissuadermi, che mi avreste aiutata voi stessi... quante idiozie»

Prima che potesse muoversi, Bloom fu irradiata dalle scintille che ciascuna delle cinque superfici riflettenti emise; caldi raggi che fecero bruciare il suo potere ancora di più. «Era proprio questo, che volevo!» esclamò la strega, sollevando in aria il talismano, che ancora vibrava per la forte energia che aveva appena ricevuto.

La vera Fiamma del Drago rispondeva all'elaborata tecnologia zenithiana.

La stanza risplendeva, animata da una luce immensa e spettacolare, che ognuno dei presenti sentì per un attimo parte di sé. I loro cuori risuonavano, si rianimavano a contatto con un pezzo di anima che avevano tutti in comune; e così faceva anche il corpo assiderato di quella splendida donna che dormiva di un sonno forse non più eterno.

Lo stato di ibernazione in cui Icy l'aveva confinata svanì rapidamente, e altrettanto rapidamente lasciò spazio ad un tepore che diede sempre più candore alla pelle della madre.

I suoi tratti si ravvivavano, le articolazioni si snodavano e gli occhi si riaprivano. Il ghiaccio e l'ambra vi si fondevano, creando un colore che racchiudeva quelli delle tre figlie.

Riprese a respirare, ma ebbe giusto il tempo di mettersi a sedere; perché qualcosa di orribile mise fine per sempre all'utopia di colei che l'aveva concepita.

La donna s'irrigidì di nuovo, di colpo; spalancò la bocca, ma non provenne alcun lamento da quelle labbra che avevano rivisto la morbidezza per poco.

La figura di quella strega ormai morente si contraeva in mille forme, ingrigendo sempre più, come un vecchio legno o del pane stantio. In un battito di ciglia, di lei rimase solo polvere bianca come la neve.

I vetri dello specchio andarono in mille pezzi ed un urlo straziato squarciò i ragazzi ancor di più, se possibile. Icy non ce l'aveva fatta.

Avrebbero tutti dovuto esultare, festeggiare e fare i salti di gioia. Ma l'unica cosa che riuscivano a provare era un gran vuoto nel cuore; perché quel gesto folle, quell'atto di amore incondizionato, aveva ricordato loro per l'ultima volta che coloro che li avevano lasciati non sarebbero più tornati.

«Icy...» sussurrò Bloom, andando ad inginocchiarsi accanto a lei. Sapeva di star correndo un grosso rischio, perché non sapeva come avrebbe potuto reagire; ma non aveva alcuna importanza. «Icy, so quel che provi»

«Non lo sai» replicò subito, dura.

La fata sorrise, amaramente. «Nemmeno io ho potuto avere con me alcune delle persone che amavo, o che avrei potuto amare» disse. «Ed è orribile, è ingiusto. Riesci a capire quanto qualcuno fosse effettivamente importante per te solo quando lo perdi»

«Ma» riprese dopo un po', intuendo di essere sulla strada giusta. «Allo stesso tempo, devi ricordarti di chi è ancora con te. Perché è vero, i morti non possono tornare, non appartengono più a questo mondo; però...» si voltò, a guardare prima le sorelle della strega e poi i suoi amici.

I suoi amici, che sarebbero sempre stati con lei.

«...Tu non sei sola, Icy. Ricordalo sempre»

 

 


Noticine:

Lo so, in questa storia Icy, come il resto della famiglia, è molto più sentimentale di come appare nel cartone.

O meglio, in apparenza non lo è; ma sotto sotto soffre per la perdita di sua madre più di quanto facciano le sorelle perché, comunque, lei era la maggiore, ricordava più cose e si è ritrovata all'improvviso a doverne fare le veci. Non so... spero non sia sembrato troppo OOC ma, in tal caso, ditelo e provvederò ad inserire l'avvertimento.

Comunque, ho dovuto pubblicare già anche gli ultimi due capitoli per il semplice fatto che, purtroppo, da domani il computer sarà inagibile e l'unico mezzo per accedere ad EFP sarà il cellulare. Insomma, diciamo che la storia si è conclusa prima del previsto, ma è stato comunque divertente.

Appuntamento a... tra poco, in effetti!

TheSeventhHeaven

 

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Capitolo 14
*** Terza parte - I volti del fuoco ***


Noticine:

Ancora una volta ci troviamo qui.

Non c'è un motivo particolare; mi andava di appuntare le note all'inizio e non alla fine. Il capitolo tira un po' le somme della situazione di ognuna delle nostre protagoniste: saranno riuscite a ritrovare ciò che avevano perso?

Purtroppo, non mi sono soffermata molto su Stella. Ciò che sapremo sul suo conto lo vedremo attraverso gli occhi di Brandon; mi spiace, non me la cavo molto bene, con lei. In ogni caso, questo è il momento che più mi è piaciuto descrivere; forse anche per merito di Nina Simone e della sua splendida “Feeling good”, che ha accompagnato l'intera stesura del penultimo pezzetto di storia.

Come sempre, ringrazio tutti quanti dell'attenzione e vi lascio alla lettura.

A dopo con l'epilogo!

TheSeventhHeaven


 

 

 

 

Terza parte – I volti del fuoco

 

 

  L'afa era aumentata a dismisura, in quei giorni, e Brandon si ritrovava a vagare per Alfea con dei semplici bermuda ed una canottiera indosso.

Beh, in realtà non stava vagando. Si stava dirigendo in un punto ben preciso, con la chiara intenzione di andare fino in fondo e riprendere un discorso che non aveva avuto modo di concludere.

Come sospettava, Tecna era sola nell'appartamento che divideva con le altre. Era l'unica a non essersi trattenuta all'ora di cena e quando entrò nella stanza di lei, accusò un duro colpo.

Sul letto della fata era spalancata una grossa valigia e accanto ad essa erano disposti molti degli strani macchinari tecnologici per cui la ragazza andava matta. Nella sua parte della camera regnava un caos che non avrebbe mai ritenuto possibile.

«Parti?» chiese, fermo sullo stipite della porta. Lei si voltò, aprendosi in un sorriso.

«Oh, sì. Mi piacerebbe restare per... domani» spiegò, mentre piegava accuratamente una felpa. «Ma le condizioni di Blade si sono aggravate e così partirò stanotte»

«Accidenti... mi dispiace davvero» e così, quelli erano i suoi ultimi minuti con Tecna.

Era buffo come fossero stati sufficienti pochi giorni in sua compagnia per permettergli di affezionarsi così. Perché, come negare di provare per lei un sentimento particolare? Si chiedeva come avrebbero potuto andare le cose, tra loro, se sin da subito avessero provato ad avvicinarsi.

Se Brandon non fosse sempre stato interessato solo a ciò che riguardava Stella, in che rapporti sarebbe stato, adesso, con quella fata che gli aveva svelato un mondo?

Le si avvicinò. «Posso aiutarti in qualcosa?»

Lei parve riflettere per qualche istante. Si guardò intorno. «Mi passeresti quello?»

«Cos'è?» chiese, studiando l'oggetto. «Una pistola a raggi laser? Una macchina che spara fulmini?»

Scosse la testa. «No. Si tratta di un banale fono per capelli e da qualche parte dovrebbe esserci anche un pettine... sempre che la tua fidanzata si sia degnata di restituirlo»

Il ragazzo sospirò.

La mia fidanzata...

Erano cambiate tante cose in così poco tempo...

È davvero questo, che vuoi?

«A proposito di questo, noi due... tu ed io...» e se avesse cambiato idea?

Se avesse deciso di cambiare le cose, di compiere quella follia che gli batteva forte nel petto quando pensava a Tecna, ai suoi occhi e al modo in cui lo completava. Se avesse deciso di provarci comunque e di seguirla; di amare lei?

Iniziò a rigirarsi il fono tra le dita, senza accorgersi di star gravitando sempre più vicino alla fata che, intanto, ripercorreva mentalmente tutto ciò che si era premurata di dirgli mentre credevano di essere ad un passo dalla fine. Erano state parole dettate dalla paura e dal momento; ma che fine aveva fatto, tutto quel coraggio?

«...Non abbiamo concluso quel discorso e...» non sapeva come continuare.

Erano lì, vicini. Sarebbero bastati pochi centimetri e si sarebbero trovati.

Qualcosa, nel cervello di Brandon, lo incoraggiava a compiere quel passo, a ripetere lo stesso gesto che nei film appare così naturale e che nella realtà provoca un'alchimia di emozioni incontrollabili.

Pochi centimetri e l'avrebbe incontrata, la sua voce della ragione, il suo grillo parlante; la figura che vedeva nei sogni, senza saperlo. Avrebbe incontrato quelle labbra sottili che non ne avevano mai assaporate altre, si sarebbe portato via l'ennesimo pezzo di lei.

Ma non poteva farlo, non poteva; non a Tecna. Perché le voleva bene, gli piaceva molto; ma non l'amava.

Quando pensava all'amore, pensava ad una risata gallinacea, sgraziata e forte, pensava a dei lunghi fili d'oro che oscillavano il vento illuminando la giornata ed impreziosendola con il loro dolce profumo; un profumo invadente e piacevole al tempo stesso, un profumo che non chiedeva ma otteneva ciò che voleva, senza prendersi ciò che non si era disposti a concedere.

Quando pensava all'amore, pensava a Stella, e solo a lei, al calore che si scambiavano e che presto sarebbe tornato ad illuminare le belle gote di lei; non pensava a Tecna. E non avrebbe potuto né voluto illuderla in quel modo. Era certo che anche lei, nel profondo, sapesse già a chi appartenevano i suoi pensieri.

Fu per questa ragione che l'abbracciò soltanto.

La strinse a sé come a volte aveva pensato di fare; ed era piacevole. Lei si adattava perfettamente a lui, e tra le sue braccia aveva quasi timore di romperla, per quanto era sottile.

La fata, dal canto suo, non riusciva a metabolizzare quello che stava accadendo.

Sentiva gli occhi sgranarsi ed il respiro mozzarlesi, come se fosse stata sul punto di morire. E non era forse così? Perché non poteva semplicemente affogare in quell'abbraccio che la proteggeva, anche se lei aveva sempre pensato di non averne bisogno?

Era così bello, anche se strano, anche se avvertiva un fono per capelli premerle sulla schiena... ma tutto ciò non le apparteneva, non nel modo che chiunque, vedendoli così, avrebbe potuto pensare.

Quello era un abbraccio fraterno, che infondeva sicurezza e, allo stesso tempo, la cercava in qualcuno che, forse proprio a causa della loro diversità, avrebbe potuto capirlo. Adesso comprendeva le parole di Bloom, e sapeva che aveva avuto ragione nel suggerirle che potesse trattarsi di un'amicizia un po' più profonda, di un sentimento coinvolgente che lei aveva erroneamente scambiato per altro.

Fu in quel momento, quando Brandon le lasciò un bacio in fronte, che realizzò di aver soppresso troppo a lungo quel che accadeva nel suo cuore. Era cresciuta così e non aveva mai considerato la possibilità di cambiare; ma le persone che aveva incontrato quell'anno le avevano mostrato quanto fosse umana, senza rendersene conto.

Si allontanò da lei con lentezza, godendosi il momento e schiacciando quella sciocca vocina che suggeriva di non lasciarla. Entrambi celavano lo sguardo tenendo le palpebre chiuse per assaporare il loro addio; e Tecna percepì il proprio cuore.

Mantenne gli occhi chiusi ancora un po', fino a che non sentì i passi di lui allontanarsi. Quando li riaprì, Brandon stava lasciando la stanza. Aveva posato il fono sulla scrivania ormai vuota.

«Brandon» sbuffò, rompendo la magia. Il tono scocciato non prometteva nulla di buono.

«Sì?»

«Mi pareva di averti chiesto di passarmi quel fono!»

 

*

 

La brezza le scompigliava leggermente i capelli, ma non rinfrescava l'aria.

Maria sedeva su un balcone con le gambe a penzoloni, abbandonandosi ad una dolce nostalgia di quei tempi in cui lei ed i suoi compagni di orfanotrofio condividevano i loro segreti.

«Non hai fame?» Vera la raggiunse.

Non avevano avuto molte occasioni di parlare, ma la Specialista le doveva la vita e non aveva potuto non notare l'inquietudine che la perseguitava da quando li avevano liberati.

La strega scosse flebilmente la testa, abbassando lo sguardo quando l'altra si sedette accanto a lei. Anche per la nipote di Saladin quel gesto aveva un significato particolare; quante volte si era trovata così, in compagnia del ragazzo che aveva amato e che si era sacrificato per suo fratello.

Ma andava bene anche così.

«Non ti si rovinerà la linea» rise, cercando di fare un po' di spirito. La guardò, ammettendo, con una punta d'invidia, di non aver mai visto una ragazza più bella.

Perfino con quel sorriso mesto e quell'espressione rassegnata la sua bellezza non diminuiva. «Maria-»

«Ti prego, non dire nulla» la zittì.

Perché? Perché non si era mai accorta di quanto fosse sciocco il suo desiderio?

Era quasi un controsenso che una come lei, che dell'ordine aveva fatto il suo potere, aver avuto quella visione della vita; ma era sempre stato così: credeva che nella sua esistenza le cose sarebbero andate diversamente, avrebbero sconvolto e sfatato il luogo comune per cui una strega sarebbe stata capace solo di causare guai.

Eppure, non aveva fatto nulla di concreto. Aveva semplicemente rischiato la vita come una streghetta alle prime armi, senza neppure elaborare un piano e condannando i suoi compagni; e se erano usciti vivi da quella situazione lo dovevano solo alla prontezza di spirito di Tecna.

«Posso almeno avvertirti che qualcuno ti sta osservando, da laggiù?» fece Vera, indicando un punto sotto di loro. C'era Jared. «Sembra che quel ragazzo abbia urgenza di parlarti»

Maria si strinse nelle spalle, mantenendo lo sguardo fisso nel vuoto. Non le interessava, non più; o, almeno, cercava di convincersi di non volerne più sapere nulla, di lui.

Quando il suo amico d'infanzia chiamò il suo nome, avrebbe voluto sotterrarsi, volare lontano. Non era riuscita a dimostrare quanto valesse a se stessa, figuriamoci a lui.

«Maria» e adesso che cosa voleva, Vera? Per quale ragione l'aveva seguita e ora non le permetteva di crogiolarsi nella sua desolazione?

Perché è così che fanno gli amici. Lei non è mia amica, ma lo fa ugualmente; tiene a me?

«Maria, tu mi hai salvata. Se non fosse stato per te, Musa e Flora forse non avrebbero mai concluso nulla e questo non si può dimenticare» disse l'altra. «Hai agito per il bene di qualcun altro»

«Ti sbagli» affermò, con decisione. «L'ho fatto solo per realizzare il mio desiderio, per dimostrare che non tutte le streghe sono destinate a seguire la via del male e muoversi solo in funzione di ciò che fa comodo loro ma, così, non mi sono distinta in alcun modo» rifletté. «Non ti ho aiutata per una questione di altruismo; quello è subentrato dopo»

«Sei tu che ti sbagli. Il tuo desiderio ha già in sé l'altruismo, Maria» fece notare, lasciando l'altra di stucco.

Era davvero così?

«Hai messo le cose apposto, Maria. Tu ti occupi di questo, no? Ora, non so se sia successo qualcosa tra te e quel poveretto qui sotto ma...» rise. «...di qualsiasi cosa si tratti, sei ancora in tempo per sistemarla»

Si zittì, chiudendo gli occhi e cercando con i sensi l'arietta che iniziava a muoversi e che le solleticava il collo. In quel momento, udì il fruscio dell'abito leggero di Maria, e i piccoli passi di lei correre con leggiadria. «Grazie, Vera»

Sono io che ringrazio te. Per quello che mi hai mostrato e per quello che mi hai restituito, insieme alle altre.

Ora cominciava a spirare un po' di vento, e alcuni ciuffi più corti sfuggirono dalla coda di cavallo.

Per i ricordi che mi hai ridato.

Levi, il nonno, Miele ed Helia.

E per quelli che ancora devono venire.

Musa, Tecna, Stella, Bloom e Flora. Ed Helia.

Helia ci sarebbe sempre stato, per lei; ma adesso era il caso che ci fosse anche per qualcun altro, qualcuno a cui non aveva mai avuto il coraggio di avvicinarsi per troppo tempo.

Vera riaprì gli occhi e lo vide molto più in là, ad osservare le aiuole insieme alla fata della natura.

Lei gli mostrava i vari fiori, lo aiutava a ricordare il nome di ciascuno di essi. Di tanto in tanto, ne faceva sbocciare qualcuno di soppiatto.

Poteva leggere l'emozione negli occhi del ragazzo, che si animavano di sorpresa ad ogni incantesimo; proprio come avrebbe fatto un bambino. Per un anno intero aveva girato una dimensione senza mai soffermarsi sugli splendidi dettagli che lo circondavano; eppure, diverse volte si era ritrovato in mezzo a piante ed arbusti colorati.

Ma Flora aveva questo potere: gli mostrava il quotidiano e lo faceva brillare di novità.

«Mi piacerebbe riuscire a fare quello che fai tu» ammise lui, mentre la guardava accarezzare il petalo di un tulipano appena sbocciato.

«Chiudi gli occhi, allora» sussurrò, fronteggiandolo.

Helia la guardò, scettico. «Flora, io non so fare le magie»

Ne hai fatta una nel momento in cui sei arrivato in questa scuola...

«Ti fidi di me?» gli chiese allora, stringendogli una mano tra le sue.

Lui annuì, facendo come gli era stato detto. Percepì la ragazza avvicinare le loro dita unite al gambo di un fiore; lo sfiorarono e al tatto sembrava appassito. «Cosa vuoi fare, Flora?»

«Ti fidi di me?» ripeté.

Si fidava di lei?

«Concentrati» bisbigliò.

Sì, si fidava di lei. Era la sua memoria, la sua luce.

All'improvviso, il contatto tra le loro mani si fece più profondo ed Helia avvertì un formicolio inebriargli la mente di una fresca e piacevole sensazione. Riaprì gli occhi, e scoprì che il fiore era rinato.

«Hai visto? Puoi fare qualsiasi cosa» rise la fata, allontanandosi appena.

Posso iniziare ad amarti davvero, d'ora in poi?

«Davvero? Qualsiasi?» domandò lui. Flora annuì, non capendo esattamente dove volesse andare a parare. «Chiudi gli occhi, allora» dov'è che aveva già sentito quella frase?

Lo guardò, perplessa.

«Ti fidi di me?» era in vena di imitarla, per caso?

Lei rise piano, ripensando a tutto ciò che aveva maturato in quei mesi e, in particolare, in quei giorni. Si fidava di lui?

Sì.

Chiuse gli occhi ed Helia le si avvicinò.

 

*

 

«Quindi, secondo te dovrei parlarle?»

«Secondo me dovresti»

«Ne sei sicura?»

«Ne sono sicura»

«E se poi-»

Oh, santo cielo!

«Non puoi saperlo se non ci provi, Jared!» esclamò Musa, un po' esasperata.

Era già un'ora buona che andavano avanti così. Lei tentava di infondergli coraggio e lui accampava le sue migliori scuse per rifiutarlo.

Poteva capirlo. Lei stessa non era esattamente una maga della conversazione, specie se si trattava di chiudere questioni in sospeso; però non avrebbe fatto tutte quelle storie. O forse sì?

«Guarda!» gli indicò la porta-finestra di un balcone che si stava spalancando. In lontananza, la fata vide uscirne la bella Maria. «Va' a parlarle»

«Non... non posso. Lei... mi manderà al diavolo, e ne ha tutte le ragioni» rispose Jared, sconsolato.

«Non lo farà» assicurò, spingendolo in avanti. «Sbrigati!»

Lo vide allontanarsi con aria afflitta e le venne da sorridere. Si era creato così tanti scrupoli da non considerare l'ipotesi che la sua amica d'infanzia non provasse davvero rancore, nei suoi confronti.

«Non è ancora troppo tardi» sussurrò al vento.

Si scostò una ciocca che era sfuggita ad uno dei codini e nel mentre udì dei passi familiari avanzare nell'ombra. Più che passi, sembravano una pesante zavorra che veniva trascinata in avanti, come un peso indistruttibile.

«Ci stavi spiando?» domandò, senza voltarsi. L'idea la lusingava e la infastidiva insieme.

Riven grugnì di dissenso. «Certo che no. Perché avrei dovuto farlo?»

Non lo so. Sei più strano del solito, ultimamente.

Si strinse nelle spalle. «Meglio così» disse, allacciandosi le braccia dietro la nuca.

Era stanca, e l'avventura su Chameleon l'aveva provata come nessun'altra missione. Aveva visto se stessa in Icy, nel suo gesto d'affetto profondo e deleterio; e il fallimento della strega le aveva ricordato, ancora una volta, che nemmeno sua madre sarebbe tornata in vita.

Il bambino che la sua nemica aveva incontrato era lo stesso che aveva aiutato Bloom e che si era rivelato essere il Grande Dragone; ma come Griffin, il suo aiuto sarebbe consistito in qualcosa di puramente mentale, proprio come aveva fatto per la custode della Fiamma del Drago e per Helia.

Niente avrebbe potuto riportare indietro qualcuno che aveva già finito i suoi giorni in quel mondo.

«Aspetta» si sentì chiamare, in un modo che esprimeva imbarazzo, incertezza e la tacita preghiera di andare in contro a quel burbero ragazzo che pareva perennemente in conflitto con il mondo.

Chissà se anche Riven aveva perso qualcuno. Come doveva essersi sentito, nel momento in cui la realtà dei fatti era stata ribadita?

Si voltò, rendendosi conto di quante cose fossero cambiate. Non si sentiva quasi più in preda al panico, quando si trattava di parlare con lui; no, aveva sostituito l'ansia con un'emozione viva e accesa, benché si fosse imposta di smettere di considerarsi la sua salvatrice.

«Che cosa c'è?» gli chiese.

Lo Specialista abbassò lo sguardo, come un cucciolo bastonato. I suoi occhi saettarono da lei alla figura di Jared che, proprio in quel momento, stringeva a sé Maria.

Sembravano tutti felici, quella sera. Tutti in vena di festeggiamenti, perché il peggio era passato.

Ma Riven non sapeva come rendere se stesso e Musa partecipi di quella felicità, e andava sempre più convincendosi che lei l'avrebbe trovata proprio con quel ragazzo che in quegli istanti si stava riconciliando con sua sorella, la sua amica, la sua fidanzata o qualsiasi cosa fosse.

«Tu e lui...» borbottò, calciando un sassolino. «Voi... avete una certa intesa. Lui...»

«...Mi piace?» concluse al posto suo. «Non lo so, forse. È un problema?»

Continuò a camminare, sapendo di avere gli occhi di lui fissi sulla schiena. Non si aspettava che rispondesse; era già tanto che fossero riusciti a scambiarsi più di dieci parole.

Rimase sorpresa, quando articolò la voce.

«Sì» disse all'improvviso, facendola raggelare sul posto. «Sì, è un problema»

Non lo ha detto per davvero.

Per quanto le piacesse considerarsi estremamente diversa dalle altre ragazze, c'era qualcosa che Musa non riusciva proprio a trascurare e che la rendeva, purtroppo per il suo io, uguale a tutte le coetanee: i film mentali.

Tutti la consideravano una fata dallo stretto senso pratico e, in parte, era così; ma quando si trattava di amori e ragazzi tendeva a costruirsi castelli per aria, per poi risvegliarsi bruscamente e rendersi conto di essersi saziata di un'illusione. Ebbene, nei suoi sogni aveva spesso immaginato una scena del genere e più volte si era data della stupida.

Certe cose accadevano solo nei racconti, o alle ragazze veramente belle come Stella; di certo non a lei. Ma forse Riven scherzava, si stava prendendo gioco di lei un'altra volta.

D'un tratto, ricordava quell'emozione vagamente rassomigliante alla rabbia che si era fatta vivo nel momento in cui aveva saputo, aveva visto e sentito i suoi sentimenti calpestati; la stessa rabbia che ora diventava frustrazione. Alla fine, l'unica persona con cui avrebbe potuto prendersela era se stessa, per non essere in grado di perdonare la propria stupidaggine, i propri errori e Riven.

Perdono... si torna sempre lì...

«Per me non lo è affatto» ribatté, poco convinta.

«Io dico che lo è, invece» insisté lui, accelerando il passo per starle dietro, dato che lei aveva invano cercato di seminarlo nel cortile. In lontananza scorsero Flora ed Helia, cui la serata sembrava senz'altro filare meglio.

Quei due erano come legati da un sottilissimo filo, che aveva voluto farli incontrare e poi separare, con lo scopo finale di permettere ad entrambi di maturare qualcosa che giaceva già dentro di loro. Lui aveva qualcosa di Riven, ora che Musa ci rifletteva.

Era misterioso, piuttosto riservato e tormentato; eppure, non aveva perduto la sua luce nemmeno un istante, neanche quando i ricordi erano venuti meno. Helia si era perdonato.

E lei? Sarebbe mai riuscita a perdonarsi?

«E io dico di no!» sbottò, tentando di allontanare quei pensieri. In un guizzo, lo Specialista l'aveva raggiunta ed afferrata per un polso. «Che cosa vuoi, Riven?» chiese, provando a divincolarsi.

Riven non potrà mai perdonarsi.

«Voglio... vorrei...» disse, rinsaldando la presa. «Che tu mi perdonassi»

Ma forse... forse posso farlo io per lui.

Alcune persone vedono negli altri il loro specchio, il riflesso della serenità; per questa ragione stanno bene insieme. Altre, invece, hanno bisogno di qualcuno che sia diverso, qualcuno che le aiuti a rimettersi in piedi dopo una grave caduta.

Così aveva sempre creduto Musa; perciò, aveva abbandonato da un po' l'idea di poter essere per Riven ciò che Flora era per Helia, di poter avere con lui quel che avevano Stella e Brandon.

Ma adesso aveva capito. Non voleva essere come loro.

«Non so di cosa parli» rispose in un sorriso, liberando il braccio dalla mano di lui. Conosceva già quel tocco, l'aveva salvata dal gelo. «Non c'è proprio niente, da perdonare»

Riprese a camminare, ridendo tra sé e sé, mentre lui la chiamava a gran voce.

Possiamo cadere e rialzarci insieme, no? Sì, mi piace. Io ti sosterrò e tu mi sosterrai. E ci perdoneremo l'un l'altro, insieme.

 

*

 

  Tra tutti i colori, il nero era quello che le era sempre piaciuto di meno.

Dalle sue lezioni di arte passate ricordava che non si trattava neppure di un colore, esprimeva assenza di luce; perfino Stella aveva ammesso di non amarlo particolarmente.

Il nero esprimeva tutto ciò che Bloom aveva creduto di poter dimenticare, quel che non aveva potuto salvare. Perché, alla fine, in parte era colpa sua se quel giorno tutti erano vestiti di nero.

«È permesso?» la voce calma di Helia, accompagnata dalle sue nocche, ruppe il silenzio colmo di tutte le parole che vorticavano nella mente di lei.

Entrò, trovandola di fronte ad un grande specchio che doveva aver evocato per rimirare l'immagine della sconfitta. Avevano vinto, ma a che prezzo? «Quel colore ti sta proprio male» le disse, con un sorriso.

Con i capelli corti, un'espressione di dura maturità ed un'insolita tristezza nello sguardo, la trovò molto cambiata da quella ragazza che aveva incontrato in una grotta. Eppure, nell'acqua dei suoi occhi poteva ancora leggere la stessa sincerità ed innocenza di prima, anche se lei forse non sarebbe più stata capace di accorgersene.

«Speravo proprio che tu me lo dicessi» ribatté, voltandosi verso di lui. Lo specchio scomparve e Bloom gli si avvicinò, sospirando. «Se aspetti Flora, è già scesa»

«Lo so» disse. «È stata proprio lei a chiedermi di accompagnarti giù»

Le sorrise di nuovo, come aveva fatto la prima volta che si erano visti. Lei ricambiò il gesto, decidendosi a scendere le scale e percorrere quel breve tratto che la separava dal ragazzo per cui aveva provato emozioni forti come mai prima.

Diversamente da quel che ci si sarebbe aspettati, i funerali del principe Sky non si sarebbero tenuti su Eraklyon, ma nell'accademia per fate che portava il nome di Alfea, dal momento che Fonterossa era inagibile. Era stata presa tale decisione in virtù del fatto che egli non era il solo ad aver perduto la vita in un brutto incubo ormai passato.

Cortigiani, funzionari, servi ed alleati del grande regno che il giovane avrebbe dovuto ereditare erano tutti riuniti nell'ampio cortile della scuola che, per l'occasione, pareva ancor più grande del solito.

Uno stuolo di figure in nero entrava dai cancelli che si chinavano al passaggio di coloro che andavano a rendere omaggio a quei ragazzi e quelle ragazze caduti in battaglia e dormienti in giacigli cosparsi di petali che avevano con sé il profumo della vita.

Non vi fu un vero e proprio discorso commemorativo, un'omelia per piangere i morti; perché avrebbe conferito all'evento un'aria farsesca, un po' come in quei telefilm a cui Bloom era abituata in cui le vecchie e ricche signore di buona famiglia piangevano lacrime da coccodrillo, benché spesso non sapessero nulla del defunto.

No, nell'aria regnava un'atmosfera di profondo rispetto e di solidarietà, di vicinanza perfino tra sconosciuti. La custode della Fiamma del Drago stava in disparte, dietro ad una colonna del porticato.

Osservava le lunghe processioni sfoltirsi man mano che si avvicinavano a chi volevano salutare; ma una in particolare, tra quelle bare, richiamava la sua attenzione. Sky veniva salutato dalla più vasta gamma di persone, amici e parenti che lei non aveva mai visto e delle cui storie si interrogava.

Chi era quel bambino paffutello che ora poneva un fiore sul petto del bel biondo? Chi era quell'anziana che gli carezzava la fronte? I suoi cari sfilavano e piangevano; ma c'era una ragazza che fece qualcosa di inaudito. Anche da lì, Bloom riuscì a vederla sorridere.

Non in modo sarcastico o perfido, ma colmo di tenerezza e di bontà. Risaltava come una margherita in un campo di rose, perché quella luce nel suo sguardo e quei colori chiari che indossava, diversamente da chiunque altro, illuminavano la giornata. Quando si voltò, rivolse a lei lo stesso sorriso, avvicinandolesi.

Dovevano avere più o meno la stessa età, anche se quella che si rivelò una principessa pareva molto più matura. Era veramente alta e, dal modo in cui il suo abito ne modellava la figura, s'intuiva un corpo tonico ed esplosivo.

Incastonati tra dei duri lineamenti color dell'ebano ed incorniciati da una cascata di ricci scuri, brillavano due occhi di un blu in cui sembrava di ritrovare il mare, di vederlo crescere ed infrangersi a riva.

Era davvero bellissima.

«Ciao» esordì, tendendole una mano. Bloom si sentiva un moscerino, al confronto. «Mi chiamo Aisha»

Cortese, cordiale e dal tono deciso; così doveva essere una vera principessa.

Aisha... sembra il suono delle onde...

«Io... sono Bloom e...» strinse la mano, abbozzando poi un inchino.

L'altra rise di cuore, rassicurandola. «Non c'è bisogno di queste rimostranze, Bloom! Sono una ragazza proprio come te» fece, sincera.

La fulva annuì, sentendosi in imbarazzo. Perché quella splendida principessa le rivolgeva la parola? Faceva davvero così pena, vista da fuori?

«Conoscevi il principe Sky?» le domandò la nuova venuta.

Annuì. «Io ero...»

Che cos'era? Un'amica? Una fidanzata?

Forse non ero proprio nulla; è per questo che adesso c'è Diaspro, a piangerlo...

«...Ero una sua amica. Ci siamo conosciuti quest'anno per... delle amicizie in comune» spiegò. Amicizie in comune... quante volte ne aveva sentito parlare? La loro storia sembrava quasi quella di sedicenni qualunque che, proprio come succedeva a Gardenia, si sorridevano e poi si parlavano, si invitavano al ballo di fine anno ma poi non si mettevano insieme.

«E tu? Sei una sua parente?» le chiese, intenzionata ad evitare accuratamente la parentesi in cui avrebbe dovuto confessare che, se quel bel giovane giaceva in un letto di fiori, era a causa sua.

Aisha scosse la testa. «No, anzi... quasi non lo conoscevo. Avevo giocato con lui e un altro un paio di volte, quando eravamo piccoli. I nostri genitori dovevano discutere questioni che rientravano nell'interesse di entrambi i regni, e così finii per trascorrere un pomeriggio in compagnia del principe Sky e del suo fratello adottivo» raccontò. «Erano anni che non lo vedevo. Mi è dispiaciuto molto venire a sapere di questo»

Bloom lo immaginava, ma preferì non dire nulla. Quella ragazza sembrava forte e, in quel momento, tutto ciò che desiderava era un po' della sua forza.

Perché, come lei, non si era vestita di colori? Perché, come lei, non cercava di comunicare che la vita sarebbe andata avanti e che proprio quei colori lo confermavano?

«Ti va di mostrarmi la scuola?» domandò la principessa, ad un tratto. «Non ne ho mai avuto l'occasione, ma so che Alfea gode di un'ottima reputazione!»

Le venne da sorridere. Quell'emozione, di fronte all'ingresso di una scuola per fate, la rimandava a pochi mesi prima, a Varanda di Callisto e alla pizza; a Tecna, che la prendeva in giro per il suo stupido telefonino terrestre, e all'anello di Stella; alle Trix, ad Icy e alla pace che sperava potesse trovare ora.

Ma adesso Tecna era partita, Stella era costretta tra le file di Solaria e le altre sembravano scomparse in quel manto nero. Era rimasta sola?

Guidò Aisha per i corridoi alti, per le aule spaziose; le mostrò la biblioteca e le cucine. Arrivò poi ai dormitori, e l'altra era quasi incredula all'idea che gli studenti potessero riposare direttamente nell'istituto.

Le piaceva, il loro appartamento. Come vi mise piede, Kiko zampettò verso di lei, curioso; la principessa rise e ammise di sentirsi strana, di provare un senso di accoglienza... come si sentisse a casa sua.

Bloom le propose d'impulso di iscriversi lì, l'anno successivo. Subito dopo, pensò di aver avuto un'idea sciocca: perché mai una come lei avrebbe avuto bisogno di frequentare una scuola, quando poteva ricevere un'istruzione privata? Era così ingenua, a volte...

«Potrei farlo» valutò l'altra, sorprendendola. «Anche in un giorno triste come questo, Alfea sembra gioiosa»

Chissà; come avrebbe reagito, Aisha, sapendo la verità? Provò a confessargliela diverse volte.

Mentre camminavano, la fulva fu più volte sul punto di parlare, di ammettere che Sky era morto aspettando lei; ma era difficile, perché sembrava che la principessa già sapesse e che cercasse di distrarla dai sensi di colpa. Pareva capirla bene; quasi come facevano le sue amiche.

Eppure, le sue amiche proprio non si trovavano. Bloom aveva detto ad Icy che non era sola, che non lo sarebbe mai stata; lo aveva detto pensando alla propria esperienza, a ciò che aveva capito nel suo vagabondare.

Nessuno avrebbe potuto vivere da solo; e ora, nel momento in cui aveva più bisogno di loro, come la brava egoista che sapeva di essere, le sue amiche non c'erano.

Forse era giusto così, le sue amiche dovevano allontanarsi da lei. Sì, Stella poteva passare più tempo con il suo fidanzato e Flora sembrava aver trovato qualcosa di altrettanto bello e fresco.

Musa rifletteva e stava bene anche così, nonostante le occhiate che si scambiava con qualcuno; e Tecna non c'era e, dopo quel momento di condivisione, non aveva più menzionato l'argomento. Le altre due ragazze, Vera e Maria, non le erano così vicine ma, nonostante questo, anche la loro lontananza la turbava.

Bloom non voleva restare sola, ne aveva paura. Stando sola, avrebbe pensato e non doveva, non doveva affatto. Era egoista, ne era consapevole; ma come si poteva non cercare di distrarsi, quando si aveva su di sé il peso di svariate morti?

«Hey, Bloom» la voce di Aisha, l'ennesima persona che forse si sarebbe avvicinata un po' a lei e che poi l'avrebbe abbandonata. «Penso che quella ragazza stia cercando di venirti in contro»

Davvero?

Stella stava lottando con un gruppo di persone radunatesi intorno a suo padre, e guardava nella direzione delle ragazze.

Lei non mi abbandonerà, vero?

«Oh, Bloom» Musa e Flora la raggiunsero da un corridoio sotto il porticato. «Dov'eri finita? Ti stavamo cercando... ha telefonato Tecna. Sembra strano, detto da lei, ma si annoia senza di noi. Ti saluta»

Loro sono con me?

«Ah, ecco Vera... c'è anche Maria! Pensavo fosse tornata dai suoi genitori» fece la fata della musica, mettendosi in punta di piedi e sbracciandosi per salutare le due giovani. «Ma lei chi è?»

«Piacere di conoscervi. Mi chiamo Aisha» sorrise a ciascuna di loro. «Sono un'amica di Bloom»

Sul serio?

No, Bloom non era sola; non più.

Fino ad allora era riuscita a sopravvivere; ma adesso, adesso poteva iniziare a vivere.

 

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Capitolo 15
*** Epilogo ***


Epilogo

 

  Scivolava sul ghiaccio con maestria, come se stesse volando; e per lei, che non aveva mai provato una simile libertà nell'animo, quel gesto corrispondeva alla prova che, prima o poi, tutti trovano la pace.

Aveva creduto di poterla ottenere riportando alla vita colei che gliel'aveva dapprima concessa, ma si era sbagliata. La pace era laddove uno riusciva a cercarla e a vederla; e anche così, vivendo nel mondo come una ragazza normale, come una donna, le pareva di star bene.

Ovviamente, ogni tanto tornavano i sensi di colpa. Perfino per lei, ripensare a ciò che aveva fatto la faceva arrossire di vergogna, seppure si ostinasse ad apparire indifferente: non importava che gli altri sapessero, contava solo che lei ne fosse consapevole; e avrebbe cercato di riparare ai suoi errori fino alla morte, fino a che la dimensione magica non fosse tornata a ridere e splendere.

Sì, lo avrebbe fatto; ma ora aveva la possibilità di danzare un'ultima volta sul ghiaccio, di sentirsi ancora per poco una strega. Era strano, un controsenso: trovava la libertà proprio quando le circostanze avrebbero suggerito si trattasse di una prigionia atta a farle pagare i suoi peccati.

Eppure, su quella palude che ora scintillava di freddo e che aveva imparato a conoscere in tutta un'infanzia, sapeva di star per vivere davvero.

Le sue sorelle la chiamarono da lontano: era ora di andare.

Diede un ultimo sguardo a quel posto che, non lo avrebbe mai ritenuto possibile, sapeva avrebbe rimpianto spesso. Avrebbe rimpianto i suoi giorni lì, perché ora tutto stava per cambiare in meglio ed era stato nel peggio, che aveva imparato a conoscersi.

Però, avrebbe avuto con sé qualcosa che c'era sempre stato, per lei; qualcuno che non le aveva voltato le spalle nemmeno dopo aver scoperto la verità. Darcy e Stormy l'aspettavano, l'avrebbero sempre aspettata.

E, mentre abbandonava per un tempo imprecisato quel pianeta, fece ai suoi abitanti il primo ed ultimo regalo: piccoli fiocchi candidi presero a cadere dal cielo, accolti con sorpresa da chi viveva nella povertà e non aveva mai assistito a niente di tanto prezioso e fugace.

Chissà, forse sarebbe tornata lì, un giorno. Aveva solo una vaga idea di ciò che il futuro le avrebbe riservato, ma un cosa era chiara: la piccola Bloom aveva avuto ragione.

Non era sola.

 

 


Noticine:

Sì, come il prologo, anche l'epilogo è breve e le note saranno più lunghe.

Magari qualcuno si sarà chiesto che ne è stato delle Trix. In teoria, ora dovrebbero “lavarsi l'anima” a Magix per quello che hanno fatto, ma vi lascio libera interpretazione, come per la storia di Helia e Vera. Icy la prende con filosofia, come un'importante lezione; mettiamola così.

Che cosa posso dire?

È anche grazie a questa storia, grazie a tutti voi che ho trascorso una piacevolissima estate. Ora le vacanze volgono al termine, inizierà settembre e con lui la scuola; ma questo non è un addio, perché ho un altro progetto che riguarda proprio le Winx (e no, non è nemmeno una minaccia!).

Per intanto, passo ai ringraziamenti.

A Tressa, che è sempre in prima fila per leggere questa sciocchezza e che con le sue recensioni fa riflettere, svela alcuni lati ed interpreta alcuni passaggi di questa fanfiction che nemmeno io avevo notato; riesce a farmi ridere con le sue considerazioni sulle nuove Winx.

A MartiAntares, alle sue zuccherosità che ho sempre l'impressione di non meritare e che, invece, non perde l'occasione per rinnovare. Al suo umorismo e alla sua delicatezza, condita con tanto amore per quei due tati che sono Helia e Flora.

A Great_Gospel che, non si sa per quale grazia divina, mi sostiene sempre, arrivando a seguire perfino storie che scrivo e che sono senza senso.

Scusatemi, in questi giorni non ho proprio avuto la possibilità di rispondervi, ma provvederò quanto prima.

Un grazie va anche a chi ha seguito questa storia, a chi l'ha letta o è semplicemente passato di qui per sbaglio. Grazie davvero!

Insomma, qui si chiude “I volti del fuoco”. Spero di essere riuscita nel mio intento, di aver mantenuto i vecchi personaggi e, con loro, di aver spinto alla riflessione.

E, soprattutto, spero davvero di tornare con una nuova storia!

Alla prossima!

TheSeventhHeaven

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