Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Poche volte, durante la mia secolare vita avevo
provato del puro terrore.
In passato anche quando ero allarmato da
qualcosa, ero sempre stato lucido e razionale, trovando la soluzione per
uscirne il più indenne possibile.
Ma quando a rischiare la vita è una persona
senza la quale sai di non poter vivere, di tempo per pensare non ce n’è. Si può
fare solo una cosa in tale circostanza: agire!
1
Chi sei veramente?
Lasciai scivolare delicatamente il libro che
stavo leggendo sul divano, all’irruente entrata di mio fratello Emmett nella mia camera.
Lo guardai incuriosito, come a chiedergli in
che modo potessi essergli utile; rispose alla mia espressione con un sorriso
ironico.
<< Cosa stavi leggendo? >>
s’informò senza troppo entusiasmo.
Non mi lasciò il tempo di rispondergli,
anticipando la mia risposta prendendo il libro tra le mani e leggendo il
titolo,stampato in caratteri dorati, sulla copertina:
<< Amleto..che allegria! >> disse
marcando il sarcasmo nella sua affermazione.
Sorrisi a mezza bocca, scuotendo il capo.
<< La notte è lunga! >> Gli lascai
intendere che in qualche maniera dovevo pur trascorrere il tempo.
Era un libro che avevo letto più di dieci volte
nell’arco della mia vita, ma quando si è vivi da su per giù un secolo, sono
rare le cose che non si ha avuto il tempo di fare.
Nel caso di Emmett,
come di tutti gli altri componenti della mia famiglia, si poteva facilmente
immaginare che avesse trascorso quelle lunghe ore notturne in compagnia della
sua dolce metà: mia sorella Rosalie.
<< Le tenebre se ne stanno andando…è l’alba ormai! Vieni a fare una corsa con me e
Jasper, prima di affrontare un’altra giornata scolastica? >>
Avevo, teoricamente parlando, diciassette anni,
quindi per celare agli abitanti di Forks la nostra
vera natura vampiresca, frequentavo insieme ai mie fratelli, il
liceo...nonostante lo avessimo finito da un pezzo, e ripetuto un considerevole
numero di volte.
<< Un po’ d’esercizio mattutino non fa
mai male! >>
Gli passai accanto superandolo, sorrisi
divertito quando captai i suoi pensieri, grazie al mio singolarissimo dono:
<< Davvero vuoi fare una gara?! Sai
benissimo chi di noi tre è il più veloce… e senza
offesa, non sei tu! >>
Non lo guardai in viso, continuavo a tenergli
le spalle, eppure sapevo benissimo di averlo irritato.
Senza che il mio sorriso si oscurasse, presi
velocità e mi catapultai fuori:
<< Se ti prendo!! >>
Lo sentii minacciarmi, mentre il vento mi
sferzava il viso senza procurarmi alcun fastidio, sfrecciavo tra gli alberi
della foresta che circondava casa nostra, nascondendola alla vista.
Alla fine, divenne una sfida tra me e mio
fratello, Jasper rimase in disparte scuotendo il capo interdetto…sapevo
cosa stava pensando: io ed Emmett eravamo sempre i
soliti.
Nonostante fossimo lontani da nostro fratello,
sentii Alice avvicinarsi a Jasper:
<< Non cambieranno mai, eh?! >>
Pochi istanti dopo, Alice mi rivolse un
pensiero:
“Edward, smettetela di fare i ragazzini. Tra
poco dobbiamo andare a scuola…e dovete ancora
cambiarvi!”
Ammiccai scuotendo lievemente il capo, Alice ci
costringeva a cambiarci ogni giorno d’abiti e una cosa non poteva essere
indossata più di due, massimo tre, volte.
Di colpo cambiai rotta, dirigendomi verso casa:
<< Muoviti Emmett,
se vuoi battermi devi arrivare prima di me a casa! >> gli urlai senza
diminuire la velocità.
Come volevasi dimostrare, il vincitore ero io.
Lo aspettai davanti la sua camera, appoggiato a
braccia conserte contro lo stipite della porta:
<< Ben arrivato! >> lo schernii al
massimo del divertimento.
In tutta risposta, Emmett
si lasciò sfuggire un suono gutturale, che accentuò la mia ilarità.
Mi cambiai al volo, soddisfacendo mia sorella
ed in poco tempo mi ritrovai insieme a tutti gli altri in garage.
Presi posto alla guida, Emmett
salì sul sedile accanto al mio, mentre gli altri presero posto su quello
posteriore.
Durante il tragitto parlammo del più e del
meno, senza provare nessuno di noi vero interesse a recarci a scuola: anni a
ripetere il liceo, prima o poi diventa noioso!
Bastò varcare i cancelli della scuola, ancora
nell’abitacolo della macchina, per sentire le voci degli studenti affollarsi
nella mia testa; parcheggiai e come sempre varcai l’ingresso con la sola
compagnia dei miei fratelli, e come sempre tutti finsero di non vederci…meglio stare lontano dalla stramba famiglia Cullen.
Fu sufficiente varcare le porte della scuola,
fare giusto qualche passo lungo il corridoio per ritrovarmi davanti gli occhi
un viso che non avevo mai visto: lunghi capelli castani, labbra carnose, una
pelle chiara e due grandi occhi color cioccolato.
Un viso insignificante, come tanti altri, ma
per me significava una sola cosa: una nuova mente che si aggiungeva alle altre,
rendendo il chiacchiericcio provocato dall’afflusso di pensieri ancora più
fastidioso.
Le menti dei ragazzi che mi circondavano, però
in quel momento erano concordi:
“Niente male la nuova arrivata!”
E immancabilmente si stagliava davanti i miei
occhi la sua figura, accompagnando quell’apprezzamento.
Più la vedevo e più mi convincevo che non c’era
nulla di speciale in lei, a parte per il fatto che già per un paio di volte
aveva rischiato di cadere…inciampando nei suoi stessi
piedi!
<< Che c’è di tanto divertente? >>
La voce squillante di Alice mi riportò al
presente, facendomi accorgere di star sorridendo.
<< Assolutamente nulla >>
La lasciai così, senza alcuna spiegazione in
più, dirigendomi verso la mia lezione.
Non mi imbattei in lei fino all’ora di pranzo.
Sedevo al tavolo con la sola compagnia dei miei familiari, nei nostri vassoi il
cibo era intatto, non era quello ciò di cui avevamo bisogno per il nostro sostentamento.
Il momento del pranzo, era il più fastidioso:
troppe “voci” che si sovrapponevano l’una con l’altra , procurandomi un leggera
irritazione.
Guardavo la folla dei liceali senza vederli
veramente, quando i nomi della mia famiglia- compreso il mio- catturarono la
mia attenzione, volsi gli occhi nella direzione in cui la voce proveniva e la
vidi.
Rimasi allibito, non per qualcosa che notai in
lei, la sua fisionomia era molto rassomigliante a quella che avevo visto nelle
menti degli altri, ma perché la sua conversazione con la sua amica era a senso
unico.
Non arrivavo ai suoi pensieri, non sapevo cosa
pensava, cosa stesse dicendo…era inquietante!
Incontrai i suoi occhi, distolsi subito i miei.
Mossi veloce le labbra a sussurrare a mia
sorella Alice:
<< Non la sento!! >>
Alice non si mosse, continuava a tenere la mano
di Jasper con un sorriso.
“Chi, la nuova arrivata?”
Annuii continuando a guardare davanti a me.
“Com’è possibile?!”
Nonostante continuasse ad esprimersi per
pensieri, colsi la sua apprensione.
<< Sono il primo a chiedermelo! >>
feci una pausa interdetto << Maledizione!! >> sibilai tra i denti.
Ero infastidito e sconcertato ma qualcosa che
la sua amica- mi sembra che si chiamasse Jessica-
disse provocò in me una risata.
<< Lo so è uno schianto. Ma pare che
nessuna gli vada bene! >>
Mi dispiace Jessica, sono quel che sono!
Incontrai nuovamente gli occhi della ragazza
misteriosa, e questa volta non distolsi lo sguardo ma anzi cercai d’indagare
ancora più a fondo:
“Chi sei, Isabella Swan?”
Un gesto apparentemente impercettibile, di
Alice mi riscosse facendomi capire di dovermi alzare.
Mentre camminavo sapevo che lei mi stava
guardando, ma continuai a fissare un punto vuoto dinnanzi a me.
Purtroppo, Isabella, quel giorno voleva essere
la mia condanna: durante l’ora di biologia la vidi varcare la porta.
L’unico posto libero era quello accanto al
mio,perfetto!
Appena prese posto accanto a me, giunse alle
mie narici il suo profumo…era diverso dagli altri, era…indescrivibile!
Ci mancava solo che l’assalissi, uccidendola lì
davanti a tutti, e tanti saluti alla copertura.
Mi allontanai il più possibile da lei, volevo-
dovevo- sfuggire dal suo profumo.
Non la guardavo, rimasi in tensione per tutta
l’ora della lezione,speravo che scorressero in fretta quei minuti.
Al suono della campanella, con slancio mi alzai
fiondandomi fuori dall’aula: aria!!
Dovevo fare qualcosa, qualunque cosa pur di non
ucciderla, facendo vedere il mostro che ero.
L’unica cosa che riuscii ad escogitare fu
quella di recarmi in segreteria quel pomeriggio, persuadere la segretaria a
spostarmi l’ora di biologia.
<< La prego, sia gentile! >>
<< Spiacente Edward, dovrai restare a
biologia >>
Ero consapevole del fascino che esercitavo su
di lei, o almeno era quello che i suoi pensieri dicevano: si dispiaceva che ero
troppo giovane per lei…ridicolo!Così senza perdermi
d’animo, insistetti con la voce più suadente di cui ero capace, doveva cedere.
Ed improvvisamente, fui colto in pieno dallo
stesso inebriante profumo…inspirai chiudendo gli
occhi, cercando di non perdere il controllo: dovevo andare via da lì.
<< Non fa niente >> feci una pausa
deglutendo << Mi rendo conto che è impossibile. Molte grazie lo stesso
>> fui gentile, ma freddo.
Le passai accanto, provando una grande sete, la
mia gola era in fiamme; incrociammo i nostri sguardi ed io la incenerii, non lo
feci del tutto apposta, stavo solo soffrendo troppo.
No, così non andava! Dovevo trovare una
soluzione.
Sbattei lo sportello della macchina con rabbia,
impugnai il volante stringendolo in tensione, ero fuori di me!
Quando fui raggiunto dai miei fratelli, cercai
di ritrovare la calma ma non credo di essere stato molto bravo a nascondere la
mia irritazione.
Soprattutto con Jasper che possedeva un talento
come me: era in grado di percepire gli stati d’animo di quelli che lo circondavano,
influenzandoli.
Ero sicuro, che tutti si fossero accorti che
qualcosa non andava, che non ero come al mio solito, eppure nessuno pose
domande.
Premendo sull’acceleratore partii a tutta
velocità verso casa, non vedevo del tutto la strada davanti a me…la mia mente
era altrove: questa ultima giornata scolastica mi aveva riserbato due gran
brutte sorprese…non riuscivo a leggere nella mente della nuova arrivata, e
nonostante ciò mi infastidisse poteva passare come problema, ma che il suo
odore mi facesse perdere la testa, senza riuscire ad impormi il mio solito
contegno, era inammissibile!
Scossi il capo ripetutamente, per tutte quelle
volte in cui la sua figura compariva prepotente davanti i miei occhi, ed il mio
olfatto ricordava sensibilmente il suo odore…chi era, cosa aveva di
speciale…perché lei?!
Nei pressi di casa, ero ormai prossimo a
convincermi che poteva esserci una sola soluzione: andare via, per sempre!
Li lasciai tutti in garage, prima di rimettere
in moto la macchina.
“Tu non vieni?”
Mi chiese telepaticamente Alice, guardandomi
sorpresa: abbassai il finestrino.
<< Devo fare una commissione, arriverò
prima che faccia buio >>
Mentii, certo se le avessi rivelato i miei
piani di fuga non mi avrebbe mai lasciato andare.
Annuì con un sorriso e raggiunse gli altri in
casa.
Fu così che tornai verso il centro di Forks,
dovevo parlare con mio padre, il medico della città, così mi diressi
all’ospedale.
Entrai senza indugio, anche se il mio cuore era
in tempesta: mi ero visto costretto a lasciare la mia famiglia, ciò che in quel
momento avevo di più caro.
Non vedevo realmente il lungo corridoio bianco,
davanti a me c’era il viso dolce e gli occhi amorevoli di Esme, la mia madre
adottiva, li immaginai rattristati dalla mia decisione.
Ero arrivato davanti la porta dello studio di
Carlisle, ma rimasi con la mano sospesa in aria esitante: e se avessi lasciato
perdere?!
Ma improvvisamente ripensai ad Isabella, e il
risultato fu lo stesso, la gola bruciava e la bramosia del suo sangue era
sempre più forte.
No, dovevo andarmene al più presto. E l’unico
che potevo mettere al corrente della mia decisione era Carlisle. Esme ed Alice
ero certo non avrebbero mai permesso la mia partenza.
<< Devo andare via! >>
Mio padre si alzò dalla sua scrivania,
allibito:
<< Cosa è successo? >>
<< Se voglio evitare la morte di
un’innocente, devo lasciare Forks >>
Carlisle era sempre più sconcertato.
<< Per favore, Edward, calmati e spiegami
tutto più chiaramente >>
Mi lasciai cadere su una sedia, improvvisamente
esausto:
<< La figlia dell’ispettore capo Swan… è
diversa- a parte che non riescoleggerle
nella mente, cosa di per sé inspiegabile- il suo odore è diverso. Non riesco a
starle vicino, ho avuto più d’una volta la tentazione di volerla uccidere
bevendo il suo sangue >>
Parlavo veloce, senza controllo.
Carlisle annuì con il capo, prima di sedersi di
fronte a me, al di là della scrivania.
<< Pensi proprio di non poter sopportare
oltre? >>
Scossi il capo con le narici dilatate, scuro in
volto.
<< Non posso trattenerti, se in gioco c’è
la vita di una ragazza >>
<< Grazie, sapevo che avresti capito
>>
Ci alzammo entrambi, mi abbracciò con fare
paterno:
<< Dove andrai? >>
<< In Alaska, pensavo di recarmi un po’
ospite dal clan di Denali >>
<< Ottima idea, li avverto del tuo arrivo
>> si avvicinò al telefono << Ma sono certo che ti accoglieranno
senza problemi >>
Assentii con il capo un’ultima volta, prima di
voltarmi pronto ad andarmene:
<< Edward >>
Mi rigirai nel sentire il mio nome, ma la mano
stringeva già la maniglia.
<< Chiama quando arrivi >>
<< Certo >>
<< Buona fortuna, figliolo >>
<< Grazie… abbraccia Esme da parte mia…
>> fui sopraffatto dal dispiacere nel pronunciare il suo nome.
Fuori dall’ospedale, presi la macchina di
Carlisle, avevo bisogno di un pieno.
Avevo percorso pochi kilometri quando sentii
una voce nella mia testa:
“ Non
farlo, Edward!”
Era mia sorella Alice, evidentemente ero ancora
abbastanza vicino da poterla sentire.
Una parte di me aveva sperato che mia sorella,
dotata come me di un talento, non avesse una visione sulla scelta che avevo
fatto…ma invece, lo sapeva eccome.
Non potevo rispondere alla sua supplica, ma lei
continuò a scongiurare:
“Resisti ce la puoi fare”
Più i kilometri aumentavano, e più la sua voce
andava sbiadendosi.
“Mi mancherai…”
Fu l’ultimo pensiero di Alice che riuscii a
percepire.
Strinsi con forza il volante,sapevo che sarei
mancato a tutti loro, e la cosa era reciproca ma nonostante il grande affetto
che ci legava, non potevo fermarmi…potevo solo continuare il mio viaggio, con
il cuore sempre più pesante.
Non guidai con troppa foga, non avevo fretta di
raggiungere la mia meta, meno che mai di lasciare Forks.
Prima di imbarcarmi per il viaggio vero e
proprio, avevo bisogno di fare una piccola deviazione…la struttura che mi era
dinnanzi era silenziosa, l’ispettore capo non era ancora rientrato. Scesi dalla
macchina, alzai gli occhi verso il piano superiore e la vidi: mi dava le
spalle, potevo scorgere solo i suoi lunghi capelli; così era per lei che me ne
stavo andando!
Per un uomo normale sarebbe stato un viaggio
impossibile senza concedersi una sosta, ma al mio arrivo avvenuto durante le
prime luci dell’alba, ero fresco e riposato come se mi fossi appena messo in
viaggio.
Percorsi pochi e lenti passi, quando mia cugina
Tanya spalancò la porta raggiante, venendomi incontro a braccia spalancate.
<< Edward, finalmente!! >>
Mi fermai, per ricambiare l’abbraccio.
<< Sono così contenta che tu sia qui!
>> disse ancora stretta a me.
<< Fa piacere anche a me >> non era
del tutto vero, ma lei non poteva saperlo.
Mi liberai della sua stretta, leggendo il suo
pensiero:
“Forse…”
Non volevo sapere il resto, non credo mi
interessasse saperlo.
Senza mostrare la delusione, che i suoi
pensieri tradirono, mi sorrise.
<< Vieni, entriamo in casa >> mi
invitò prendendomi sottobraccio.
Il resto della famiglia era composto dalle sue
sorelle.
Carlisle aveva ragione, si mostrarono tutte
molto liete di ospitarmi a tempo indeterminato.
Come promesso, dopo i convenevoli e l’avermi
mostrato la stanza che avrei occupato, seduto sul bordo del letto recuperai il
cellulare per comporre il numero di casa.
Fu sufficiente un primo squillo per sentire una
voce dolce all’altro capo del telefono:
<< Esme…sono io >>
<< Edward… >> fu ciò che disse lei,
dopo un secondo di silenzio. << Come stai? >>
Passammo il resto della conversazione a parlare
del più e del meno: il mio viaggio, come avevo trovato i nostri parenti, dovevo
ricordarmi di salutarglieli.
Finita quella breve telefonata, non trovai la
voglia di scendere al piano sottostante e circondarmi dell’affetto delle
vampire mie ospiti.
Mi avvicinai alla libreria ben rifornita di
libri e ne scelsi uno a caso.
Lessi solo qualche capitolo, quando sentii
picchiettare sulla porta:
<< Sì?! >> chiesi garbato.
A quel punto sbucò la testa bionda di Tanya.
<< Disturbo? >> mi chiese gentile,
mostrandomi il suo solito solare sorriso.
<< No, figurati! >> avrei gradito
la solitudine, ma essere scortese non era nei miei piani.
<< Che fai qui tutto solo? >>
Era una domanda retorica così mi limitai a
sollevare il libro.
Tanya scosse il capo a braccia conserte. Mi
osservò piegando il capo da un lato senza smettere di sorridere, prima di
avvicinarsi a me e prendermi per mano.
<< Non puoi fare sul serio…Scendi giù con
me, un po’ di compagnia è ciò di cui hai bisogno! >>
Mi lasciai condurre docile al piano di sotto,
dove mi accolsero cinque visi ilari.
Mi sedetti accanto a Tanya su uno dei due
divani, ascoltavo in silenzio i loro discorsi senza sentirli davvero, la mia
mente non era lì con loro…
<< Edward? >>
La voce di mia cugina, mi riscosse:
<< Scusate, mi ero distratto un attimo
>>
Le mie scuse suscitarono un risolino in tutte
loro.
<< Perché non suoni per noi?! >>
Le guardai interrogativo:
<< La tua fama ti ha preceduto…Esme ci ha
detto che sei un talento unico! >>
Non mi stupii più di tanto del complimento,
però indugiai dall’alzarmi per sedermi al piano.
<< Su, non farti pregare! >> disse
Tanya.
Mi girai ad incontrare i suoi occhi dolci,
sorrisi a mezza bocca e mi alzai.
Le accontentai, se non altro avrei messo a
tacere le loro incitazioni.
Durante il mio soggiorno trascorsi ben poco
tempo da solo, forse premurosamente si preoccupavano di non farmi sentire
troppo la mancanza della mia famiglia.
Era piacevole stare con loro, ma non era
paragonabile a Forks…
Fu quello che pensai la seconda notte passata
in casa loro, guardando fuori dalla finestra: e se stavo commettendo il più
grosso sbaglio, forse allontanarmi da Forks non era stata una grande idea,
cominciavo a nutrire l’idea di poter tornare e affrontare la situazione al
meglio…magari con un po’ di buona volontà ci sarei riuscito. Dopotutto chi era
Isabella Swan per impedirmi di vivere dove desideravo.
Ad interrompere la scia dei miei pensieri fu
l’entrata di Tanya:
<< Posso entrare? >>
Le sorrisi in segno di assenso.
Si sedette sul divano dietro la finestra,
vicino a me…i raggi lunari rischiaravano la nostra pelle, rendendola più
pallida del naturale.
<< A cosa pensi? >> mi chiese
dolcemente.
<< A casa… >> lasciai il discorso
sospeso, non volevo parlarne.
<< Da quando sei qui, non ci hai detto
perché te ne sei andato >>
Sospirai prima di risponderle con franchezza:
<< Preferirei non affrontare il discorso…
>>
Distolsi lo sguardo da lei, che si avvicinò
maggiormente a me.
Al tocco delle sue dita sulle mie, tornai a
guardarla:
<< Ti puoi fidare di me… >> disse
con voce flebile, le fronte corrugata dal dispiacere per il mio essere turbato.
<< Lo so…davvero, e ti ringrazio…ma…
>>
<< Ma, non me lo dirai >> tagliò
corto lei, ritirando la mano.
“Perché mi respingi?”
A testa china, i lunghi capelli biondi le
nascondevano il volto, probabilmente sofferente.
Mi alzai, dandogli le spalle guardai fuori
dalla finestra:
<< Credimi, non ne vale la pena! >>
Si alzò anche lei, potevo percepirla a pochi
metri da me.
<< Sì, invece…>> fece una piccola
pausa, la sentii deglutire << Sei tu che non darai mai il tuo cuore a
nessuna…anche se il perché mi è difficile stabilirlo! >>
Continuavo a tenere gli occhi fissi sul
panorama notturno, ascoltammo i nostri respiri asincroni senza fiatare.
Fui io a spezzare quella quiete:
<< Meglio se torno a Forks… >>
Tanya non si mosse, non pronunciò parola, la
sentii solo sospirare. Mi girai a guardarla:
<< Grazie dell’ospitalità >> le
dissi posandole una mano sulla spalla.
Lei continuò a restare in silenzio, si limitò
ad annuire.
Fu così che dotato di una grande forza di
determinazione mi rimisi in viaggio, verso casa e accada quel che accada…
Appena entrato nell’ingresso vidi Alice
precipitarsi sulle scale, mi abbracciò di slancio:
<< Lo sapevo!! >> esclamò
entusiasta.
Sorrisi scuotendo il capo.
C’era una sola cosa da fare prima del grande
rientro: una grande caccia, arrivare a scuola il più sazio possibile.
Come le prima volta, non vidi Isabella fino
all’ora di pranzo; avevo deciso che la cosa migliore era quella di mostrare
indifferenza e mostrarmi il più naturale possibile, così come tutti gli altri,
anche io ed i miei fratelli giocammo con la neve godendoci la giornata.
Non le mostrai la mia attenzione fino a che
Jessica non le pose una domanda:
<< Bella, cosa stai guardando? >>
Me, guardava me, indagava sul mio volto…cercava
di scorgere una differenza che non sarebbe stata in grado di individuare.
Distolse lo sguardo, probabilmente,
imbarazzata. Chinò il capo lasciando che i capelli le coprissero il viso.
Continuai ad indagare sulla sua figura: dovevo
capire chi era.
Le permisi di arrivare per prima all’ora di
biologia, quando entrai in aula aveva già preso posto.
Scostai la sedia così da permettermi di
sedermi, ma lei non scostò gli occhi dal quaderno.
<< Ciao >> la salutai tranquillo
con un sorriso dipinto sulle labbra.
<< Mi chiamo Edward Cullen» continuai « La settimana scorsa non ho
avuto occasione di presentarmi. Tu devi essere Bella Swan >> usai
prontamente il suo diminutivo, perché chiunque l’avesse chiamata con il suo
nome di battesimo veniva prontamente da lei corretto.
Non
rispose, sembrava stordita neanche le avessi dato una botta in testa, aspettai
paziente che dicesse qualcosa:
<<
Co…come fai a conoscere il mio nome? >> balbettò confusa.
Mi
scappò una risata divertita:
<<
Oh penso che tutti sappiano come ti chiami. La città intera ti stava
aspettando. >>
<<
Intendevo, come mai mi hai chiamato Bella >>
<<
Preferisci che ti chiami Isabella? >> chiesi spacciandomi per confuso.
<< No, Bella
mi piace >> risposi lei. << Ma Charlie - voglio dire, mio padre -
quando parla di me credo mi chiami Isabella: a quanto pare qui tutti mi
conoscono con quel nome >>.
<<
Ah >> dissi, facendo cadere il discorso.
Il
perché la chiamai prontamente Bella non potevo rivelarglielo.
In
quel momento il professor Banner iniziò la lezione, spiegando l’elementare
esercizio che avremmo dovuto svolgere a coppie.
<<
Prima le donne, collega? >> le chiesi beffardamente, sorridendo.
Non
ripose, smisi di sorridere proponendo di cominciare per primo, ma lei si
riscosse prontamente dissente.
Analizzò
il vetrino nel microscopio:
<<
Profase >> fu il suo giudizio.
<<
Permetti che io controlli? >> non che non mi fidassi, volevo stuzzicarla.
Le
presi le mani per fermarla, evidentemente le mie erano troppo fredde perché
allontanò subito la presa.
<<
Scusa >> dissi ritirando la mano, mi piegai sul microscopio e analizzai
il vetrino a mia volta.
Continuammo
l’esercizio, che terminammo prima degli altri.
Nel
momento morto in cui ci trovammo, Bella cercava di non guardami ma fallì, si
girò ad incontrare i miei occhi già fissi su di lei.
<<
Porti le lenti a contatto? >> chiese con naturalezza.
Ecco
una domanda che preferivo non mi venisse posta…ed ora cosa m’inventavo?
<<
No >>
<<
Oh mi sembra di aver notato qualcosa di diverso nei tuoi occhi >>
Alzai
le spalle guardando altrove: però la ragazza si dimostrava una brava
osservatrice!
Il
professor Banner si avvicinò al nostro tavolo:
<<
Scusa, Edward, perché non hai lasciato usare il microscopio anche a Isabella?
>>, chiese il professor Banner.
<<
Bella >> lo corressi, automaticamente.<< A dire la verità, è stata
lei a identificarne tre su cinque >>.
Il
professore le chiese se aveva già fatto prima quell’esperimento, a quella
domanda Bella rispose affermativamente.
Rimasti nuovamente
soli, lei riprese a scarabocchiare sul quaderno.
Presi
spunto da una conversazione che aveva avuto a pranzo con Jessica per
riallacciare la conversazione.
<<
Peccato per la neve, eh? >>
<<
Non direi >> rispose con tutta sincerità.
Dedussi che
il freddo non le piacesse e lei aggiunse che non amava particolarmente neanche
l’umido.
La domanda
mi sorse spontanea:
<<
Allora perché, sei venuta qui? >>
<< E’
una storia…complicata >> si tenne sul vago.
<<
Penso di poterla capire >> insistetti, volevo saperne di più…cominciavo
ad essere interessato.
Fece una
lunga pausa, mi guardò e con la sua solita naturalezza mi rispose:
<<
Mia madre si è risposata >>
<<
Non sembra così complicato >> addolcii il mio sguardo comprensivo
<< Quando è stato? >>
<<
Settembre >> la sua voce si incrinò. Non potevo leggerle nella mente, ma
era lampante che fosse triste.
<< E
lui non ti piace >> conclusi io.
<< No,
Phil va bene. Forse troppo giovane, ma un bel tipo >>.
<< Perché
non sei rimasta con loro? >>
« Phil
viaggia molto. Gioca a baseball. È un professionista » fece un mezzo sorriso.
« Lo
conosco? », chiesi, sorridendo a mia volta.
« Probabilmente no. Non è un bravo professionista.
Solo serie minori. Cambia squadra di continuo ».
« E tua madre ti ha spedita qui per poterlo
seguire » conclusi semplicemente.
« No, non è
stata lei a spedirmi qui. Sono stata io » disse con un fremito visibile.
<<
Non capisco >> aggrottai le sopracciglia…ma allora qui come c’era
finita?!
« All'inizio è rimasta con me, ma lui le mancava.
Era infelice... perciò ho deciso che era il caso di passare un po' di tempo
in famiglia con Charlie » la sua tristezza divenne sempre più evidente.
« Ma ora
sei infelice tu », suggerii contrariato.
« E...? »,
obiettò sfacciatamente, tirando fuori parzialmente il carattere.
« Non mi
sembra giusto » osservai stringendomi nelle spalle, continuando a scrutarla.
« Non te
l'hanno ancora detto? La vita non è giusta » abbozzò un sorriso che rivelava
tutto fuorché divertimento.
« Penso di
averla già sentita », risposi laconico.
« E questo
è tutto ».
Continuai
la mia perlustrazione sul suo volto, analizzai le sue parole e le sue movenze,
arrivando alla conclusione:
« Dai buona mostra di te », dissi lentamente. « Ma
sono pronto a scommettere che soffri molto più di quanto dai a vedere ».
Storse la
bocca contrariata e distolse lo sguardo.
« Mi sbaglio?
» insistetti, indifferente dalla sua reazione.
Mi ignorò.
<< Io
credo di no >> ribadii sfacciatamente, cominciavo a divertirmi.
<<
Perché ti dovrebbe interessare? >> colsi la punta d’irritazione nella sua
domanda.
<<
Questa è una domanda molto sensata >> bofonchiai a mezza voce rivoltò più
a me stesso.
Rimasi in
silenzio: a dire il vero ero al primo a stupirsi dell’interessamento che le
stavo riservando, come potevo risponderle.
Sospirò
prima di guardare la lavagna.
<< Ti
do fastidio? >>
<< Non
esattamente. Sono io stessa a darmi fastidio. Il mio volto è così facile da
leggere... mia madre dice sempre che sono un libro aperto >> disse
aggrottando le sopracciglia.
Mi venne
quasi da ridere istericamente, un libro aperto…lei?!
<< Al
contrario, per me tu sei molto difficile da leggere >> dissi lasciando
trapelare la mia sincerità.
<<
Devi essere un bravo lettore, allora >> replicò.
<< Di
solito, sì >> sorrisi a trentadue denti, conscio del mio talento unico.
Il
professore prese la parola spiegando ciò che avevamo appena messo in pratica.
Si era
aperta completamente con me, aveva risposto con sincerità e senza malizia,
apprezzai il suo modo d’essere e di relazionarsi…ero soddisfatto di come la
conversazione si era svolta…ma c’era qualcosa che ancora non andava.
Il suo
profumo era ancora troppo appetibile per il mio palato, la gola mi bruciava
costringendomi ad un grande sforzo di concentrazione e resistenza…la pelle del
suo collo era così liscia…
Quando la
campanella suonò mi alzai con un movimento fluido, contento in fondo di
allontanarmi dal desiderio che sentivo per lei.
All’uscita,
nel parcheggio la osservai appoggiato alla fiancata della mia Volvo a tre auto
di distanza da lei.
Quando si
accorse che il mio sguardo sfiorava la sua figura, distolse i suoi occhi
ostentando indifferenza.
Ingranò con
troppa fretta e per poco non urtò la Toyota che aveva dietro,fece in tempo ad
inchiodare…non potei fare a meno di ridere.
Non avevo mai
conosciuto in vita mia una persona come lei…era unica, proprio come il suo
profumo.
Il mattino seguente, nonostante parlare con lei
lo avessi trovato piacevole, cercavo di ripetermi mentalmente che lei non era
adatta a me…non era il tipo ragazza di cui mi sarei mai potuto innamorare.
Non mi potevo lasciar scuotere dai suoi gesti,
dalle sue parole, dai suoi sorrisi incerti e timidi.
No, non mi piaceva…non in quel senso almeno.
Eppure l’idea di rivederla da lì a poche ore, e
di affrontare probabilmente, una nuova conversazione con lei, mi faceva fremere
dalla voglia di andare a scuola, ero incuriosito dalla sua personalità. Non
potevo sapere nulla dei pensieri che la sua mente formulava, forse quello
spiegava la mia impazienza di rivederla.
Dopo essermi vestito ed essermi attrezzato del
materiale occorrente per le lezioni, misi una gran fretta agli altri, che
salirono in macchina lamentandosi…d’altro canto se non l’avessero fatto, li
minacciai di andarmene da solo…e sostituire la mia anonima Volvo con la
cabriolet rosso fiammante di Rosalie non era una grande idea.
L’asfalto, quella gelida mattina, era
ghiacciato ma non riscontrai alcuna difficoltà nel guidare ad una velocità
abbastanza elevata.
La Volvo sfrecciava verso il centro della città
senza il benché minimo sbandamento, come se fosse piena estate e nel cielo
brillasse un caldo sole.
Arrivammo nel parcheggio scolastico che era
ancora poco frequentato, la stessa Bella non era ancora arrivata.
Scendemmo tutti, ma i miei fratelli si
diressero all’ingresso, mentre io mi appoggiai alla fiancata laterale della
macchina e guardai in direzione dell’entrata: aspettavo davvero il suo arrivo?!
Probabilmente ero impazzito del tutto, la mia razionalità s’era andata
abbandonandomi alle più svariate emozioni, per altro sconosciute.
Il tempo passava, il parcheggio cominciò ad
affollarsi, il chiacchiericcio nella mia testa diveniva sempre più forte e
fastidioso.
Pensieri futili e superficiali colpirono le
pareti del mio cervello…socchiusi gli occhi leggermente irritato.
Eppure il suo pick-up non si decideva a
comparire all’orizzonte; improvvisamente, quando meno me lo aspettai e come uno
sciocco coltivai l’idea che quella mattina potesse non presentarsi, fece il suo
ingresso.
Avanzava spedita, apparentemente senza
difficoltà, poi mi accorsi delle catene ancorate alle ruote e ne capii il
motivo: se avesse sbandato sarebbe stato il colmo, solo lei ci sarebbe
riuscita!
Parcheggiò a quattro auto dalla mia; una volta
scesa anche lei, come me, si accorse delle catene: la vidi inchinarsi per
analizzarle.
Proprio in quel momento qualcosa catturò la mia
attenzione: un fischio anomalo.
Mi girai verso il rumore sospetto e vidi che il
furgoncino blu di Tyler sembrava aver perso il controllo, sgranai gli occhi
allibito…non poteva star succedendo veramente:
“La schiaccerà…Non lei!”
Fu l’unica cosa che riuscii a pensare, preso da
un panico improvviso.
Mi girai nuovamente verso di lei,
terrorizzato…sarebbe morta!
Dovevo fare qualcosa, dovevo intervenire, non
potevo assistere alla scena come qualsiasi altra persona; non io che avevo la
possibilità di cambiare le cose, potevo-dovevo- salvarla.
Scattai velocissimo da lei parandola dal
veicolo, prima che il furgoncino le venisse addosso l’afferrai; purtroppo non
potei impedire che battesse la testa sulla strada ghiacciata.
La tenni verso il basso, non era ancora finita,
il furgoncino continuò imperterrito la sua traversata…strisciò contro il retro
del pick-up, per come stava messa l’avrebbe investita di nuovo!
<< Maledizione! >> mi lasciai
sfuggire un’imprecazione, tra i denti.
Con una lucidità che credevo di aver perso in
quel momento di tensione e paura, fui lesto a farle scudo con le mie mani che
affondarono nella carrozzeria dell’automezzo, provocando un’ammaccatura sulla
fiancata.
Ma Bella non era ancora del tutto fuori
pericolo: le gambe erano messe in una posizione critica.
Con altrettanta abilità sollevai il furgone,
per poi riafferrare Bella e trascinarla girandole le gambe che sbatterono
contro una ruota dell’autovettura blu.
Il furgoncino si spiantò sull’asfalto: per
fortuna un attimo dopo aver messo in salvo lei.
Ci fu un minuto di silenzio assoluto, perfino
la mia mente lo sentiva; il cervello degli altri sembrava essere andato in
panne,incapace di poter pensare qualsiasi cosa.
Poi, infine, il rumore esplose tutto insieme,
il nome di Bella riecheggiava da tutte le parti.
Abbassai gli occhi sul suo volto pallido, con
voce bassa e affannata le chiesi:
<< Bella? Tutto a posto? >>
<< Sto bene >> disse cercando di
muoversi, ma glielo impedii tenendola ben stretta al mio fianco; un grande
sforzo di volontà, necessario in quel momento, dovevo starle vicino finché non
avessi appurato che stesse bene come diceva.
<< Attenta >> l’avvertii,
continuava a dimenarsi per sfuggire alla mia presa << Mi sa che hai preso
una bella botta in testa >>
Si lamentò qualche secondo dopo, trattenni una
risata.
<< Come pensavo >>
<< Come diavolo… >> si ritrasse da
me, sembrava confusa, mi guardava strabuzzando gli occhi << Come hai
fatto ad arrivare così in fretta? >>
Sul mio volto non comparve alcun segno di
sorpresa, ma a malincuore dovetti riconoscerle la lucidità mentale,
evidentemente aveva la testa più dura di quanto pensassi.
<< Ero qui accanto a te, Bella >>
dissi serio, sperando che si bevesse la bugia, senza insistere oltre.
Lasciai che si mettesse seduta, mi allontanai
il più possibile, permettendole di riprendersi.
Indagai sulla sua figura, non riuscivo a
staccarle gli occhi da dosso…ero seriamente preoccupato per la sua salute.
Mi lanciò uno sguardo confuso di rimando,
mostrandosi disorientata.
In quell’attimo, dilagò il caos: mille voci si
sovrapponevano l’una con l’altra.
Fummo circondati da una folla di gente scossa
dall’incidente.
Testarda come poche persone, Bella cercò
nuovamente di mettersi in piedi, glielo impedii posandole una mano sulla spalla
imponendole di restare dov’era.
<< Per adesso resta qui >>
<< Ma fa freddo >> si lagnò,
facendomi sghignazzare. Aveva preso una botta in testa, si era presa un grosso
spavento eppure trovava la forza di lamentarsi del freddo, era eccezionale!
<< Tu stavi laggiù >> la sua
esclamazione risuonò improvvisa, di colpo smisi di ridere.Disilludendomi che si sarebbe arresa così
presto. << Eri accanto alla tua macchina >>
Indurii il volto, dovevo convincerla a smetterla
di insistere.
<< Invece no >> la mia voce risultò
dura perfino alle mie orecchie.
<< Ti ho visto >>
Perché non lasciava cadere il discorso, ed
ostinata mi metteva in difficoltà come nessuno ero mai riuscito a fare?!
<< Bella, ero qui accanto a te e ti ho
spinto via appena in tempo >> la guardai con intensità, una muta supplica
a smetterla di parlare dell’accaduto.
<< Invece no >>
<< Per favore, Bella >> la pregai,
cominciando a sentirmi disperato.
<< Perché? >>
<< Fidati >> le dissi, giocandomi
l’ultima carta rimasta, addolcii la voce.
Il caos diventava sempre più presente intorno a
noi, arrivarono alle nostre orecchie il suono delle sirene.
<< Prometti che poi mi spiegherai tutto?
>>
<< Promesso >> la rassicurai
esasperato, pur di metterla a tacere.
<< Promesso >> ribadì lei, offesa.
Far passare le barelle non fu facile: gli
infermieri mi proposero di salirci sopra, li guardai scettico, mi rifiutai
categoricamente e mi lasciarono in pace.
Bella cercò di imitarmi,però glielo impedii
facendo la spia:
<< Ha battuto la testa, forse ha subito
una commozione cerebrale >>
Arrossì violentemente quando le fecero
indossare il collarino, vedendola avvampare fui costretto ad inspirare un paio
di volte e mantenere i nervi saldi.
La vidi essere caricata sull’autombulanza, così
mi mossi anche io mettendomi al posto del passeggero.
Non cercai lo sguardo della mia famiglia
neanche una volta, di tempo per parlarne ce ne sarebbe stato in abbondanza.
Arrivati all’ospedale, mi dileguai con le mie
gambe oltre l’entrata, mentre Bella la sentii digrignare i denti, arrabbiata di
dover essere trasportata in barella…ma era giusto così!
Mi diressi a passo spedito lungo la corsia
dell’ospedale in cerca di mio padre, Carlisle.
Lo trovai nel suo studio, senza bussare entrai
all’interno:
<< Edward, ma cosa? >> mi guardò
confuso.
<< Abbiamo un problema! >> esclamai
calmo, cercando di non allarmarlo.
<< Che è successo? >>
Sospirando cominciai il resoconto di quant’era
accaduto; lui mi osservava serio ed impassibile, ogni tanto assentiva
impercettibilmente con il capo.
<< Capisci, non avevo altra scelta!
>> dissi facendo trapelare la frustrazione che provavo in quel momento.
<< Tranquillo, saprai risolvere la cosa
al meglio >> mi rassicurò lui, posandomi una mano su una spalla.
Incapace di parlare, mi limitai ad osservare il
pavimento:
<< Và a vedere come sta >>
Lo guardai sorpreso, ma lui restando serio
annuì.
La trovai stesa su un letto, affianco c’era
Tyler il conducente del furgoncino, teneva gli occhi chiusi.
Chiesi ad un’infermiera se stesse dormendo, in
quel momento Bella sollevò le palpebre rivelando le sue iridi cioccolato.
La guardai sorridendo, lei in risposta mi
fulminò: va bene, me l’ero meritato.
<< Ehi Edward…mi dispiace tanto… >>
Non ero lì per ascoltare le scuse petulanti di
Tyler, gli indicai di star zitto con un gesto.
<< Niente sangue, niente danno >>
sentenziai sedendomi sul letto di Tyler rivolto con il busto verso Bella,
sorridendo.
<< Allora, qual è il verdetto? >>
« Non mi sono fatta neanche un graffio, ma non
vogliono lasciarmi tornare a casa », rispose lei « Com'è che tu non sei legato
a una barella come noi? ».
<< Tutto merito di chi sai tu >>
risposi ammiccando << Ma non preoccuparti, sono venuto a liberarti
>>
In quel momento arrivò Carlisle, chiedendo a Bella
come si sentisse.
« Le radiografie sono buone », disse mio padre,
dopo aver acceso il pannello luminoso . «Ti fa male la testa? Edward dice che
hai preso un brutto colpo ».
« Sto bene », ribadì Bella con un sospiro,
lanciando un'occhiataccia verso di me.
Carlisle le massaggiò il cranio, ad un certo punto
lei sobbalzò:
<< Sensibile? >> le chiese.
<< No, davvero >>
Ridacchiai, rivelando un sorriso malizioso. Bella,
per la seconda volta, mi fulminò.
Carlisle le diede il permesso di tornare a casa, ma
non di poter venire a scuola:
<< Lui invece può andare? >> chiese,
riferendosi al sottoscritto.
<<
Qualcuno dovrà pur diffondere la notizia che siamo sopravvissuti, no? »,
risposi compiaciuto. Era un dato di fatto, Bella mi divertiva.
Mio padre ci informò che mezza scuola si
trovava in sala d’attesa, Bella si lamentò coprendosi il volto con le mani:
«
Vuoi restare? » le chiese Carlisle, alzando le sopracciglia.
Bella
dissentì convinta, prima di lasciarla andare del tutto le suggerì di prendersi
un’aspirina per il dolore.
<<
Non fa così male >>
<<
A quanto pare sei stata davvero molto fortunata >> disse Carlisle
firmando le carte di Bella.
<< Fortunata perché Edward si trovava lì
accanto a me >>nel dirlo, lanciò un’occhiata fredda verso di me.
«
Oh certo, sì » concordò mio padre,concentrato sui moduli che aveva davanti.
Quando
Carlisle voltò le spalle, occupandosi di Tyler, Bella mi si accostò:
<<
Hai un minuto? Ho bisogno di parlarti >>
Feci
un passo indietro, diventando scuro in volto: era tornata alla carica, come
promesso.
<<
Tuo padre ti aspetta >> sibilai tra i denti, irritato.
Lanciò
un’occhiata verso Tyler e Carlisle, poi tornò a guardare me:
<<
Vorrei parlare con te, da soli, se non è un problema >>
Allargai
le braccia sconfitto, prima di darle le spalle dirigendomi a grandi passi
dall’altra parte dello stanzone.
Solo
quando svoltammo l’angolo che dava su un piccolo corridoio, mi volsi verso di
lei:
<<
Cosa vuoi? >> non mi sforzai neanche di essere gentile, ero al limite
della sopportazione.
<<
Mi devi una spiegazione >>
<<
Ti ho salvato la vita. Non ti devo niente >> tagliai corto con
risentimento.
Intimidita
dalla mia improvvisa freddezza , fece un passo indietro:
<<
L’hai promesso >>
<<
Bella, hai battuto la testa, non sai quel che dici >> ritentai a
confonderle le idee.
<<
La mia testa non ha un graffio >> quasi urlò, ero riuscito a farla
arrabbiare. Mi guardò spavalda.
Ricambiai
il suo sguardo.
<<
Cosa vuoi da me, Bella? >>
<<
Voglio la verità. Voglio sapere perché ti sto coprendo >>
<<
Secondo te, cos’è successo? >> sbottai al limite della sopportazione.
<<
Quello che so è che eri tutt'altro che vicino a me. Neanche Tyler ti ha visto,
perciò non dirmi che ho battuto la testa. Quel furgoncino stava per
schiacciarci entrambi, invece non l'ha fatto, e con le mani hai lasciato
un'ammaccatura sulla fiancata sinistra - e hai lasciato un bozzo anche
sull'altra auto, senza farti niente - e il furgone stava per spaccarmi le
gambe, ma l'hai alzato e trattenuto... ».
La
fissai rimanendo immobile, mostrandomi incredulo: era assurdo ciò che stava
dicendo, se pur vero.
<<
Pensi che abbia sollevato un furgoncino per salvarti? >> cercavo di farla
passare par pazza.
Si
limitò ad annuire, con i denti serrati.
<<
Non ci crederà nessuno, lo sai >> la presi in giro.
<<
Non lo dirò a nessuno >>
A
questo punto ero del tutto e sinceramente, sorpreso:
<<
E allora, cosa importa? >>
<<
Importa a me >> insistette. << Non mi piace mentire; perciò se lo
faccio ci deve essere un buon motivo >>
<<
Non puoi limitarti a ringraziarmi e lasciar perdere? >> non ce la facevo
davvero più, stavo per cedere.
<<
Grazie >>
Sospirai
spazientito, lei aspettava impaziente:
<< Immagino che tu non intenda lasciar
perdere >>.
« No ».
« In tal caso...spero che tu sopporti di buon grado
la delusione ».
Ci guardavamo con sfida, muti. Parlò per prima,
provocandomi:
« Perché ti sei preso il disturbo di salvarmi? »
chiese, con grande freddezza.
Esitai qualche minuto. Ero il primo a chiedermi
perché lo avessi fatto, sapevo solo che dovevo farlo.
« Non lo so » dissi, a mezza voce.
Poile
voltai le spalle e me ne andai.
Non ero più in grado di poter parlare con lei, il
mio gesto avrebbe già comportato una lunga e sgradevole discussione con i miei
fratelli, doverle spiegare anche il perché mi era impossibile.
Tornato a scuola mostrai a tutti il mio volto
scuro, volevo che tutti mi stessero lontani: a loro rischio e pericolo,
avvicinarsi e rivolgermi la parola!
I miei fratelli si accorsero del mio umore nero, ma
Rosalie mi guardò con uno sguardo carico di sfida, ridusse gli occhi a due
fessure:
“Non finisce qui” fu ciò che pensò.
Ricambiai il suo sguardo, senza scompormi.
Come immaginai, a casa ci radunammo tutti in
salotto:
<< Come ti è saltato in testa, Edward?!
>> mi chiese Rosalie.
<< Dimmelo tu, cosa avrei dovuto fare
>> la sfidai.
<< Farti gli affari tuoi >> disse con
freddezza.
<< Erano affari miei, davanti la vista del
suo sangue non sarei stato in grado di trattenermi! >>
Ero certo di essere stato convincente, ma mia
sorella non abboccò:
<< Non prendermi per scema, questo è solo un
alibi! >> il suo sguardo si fece penetrante << Dimmi perché l’hai
fatto, che motivo c’era? >>
Rimasto seduto sul divano fino a quel momento,
scattai in piedi dalla rabbia:
<< Sarebbe morta!! >> digrignai i
denti, serrando i pugni.
<< Ora siamo in pericolo tutti noi. Come puoi
fidarti di lei? >>
La fulminai con gli occhi:
<< Lo faccio, e basta! >>
Rosalie sbuffò, incrociando le braccia sul petto.
La famiglia si era divisa in due: Jasper ed Emmett
assecondavano Rosalie, ero stato un folle a salvarle la vita, mentre Carlisle
ed Alice, certo più magnanimi per indole, appoggiarono me, non potevo chiudere
gli occhi e far finta di nulla di fronte la morte di una vita umana.
Stanco di quella situazione, me ne andai: se i miei
fratelli proprio non potevano capire, problemi loro.
Avevo bisogno di sfogarmi, una lunga corsa per
conto mio nella foresta mi avrebbe fatto bene.
L’ultima volta ero un po’ di fretta e non ho potuto
ringraziare:
Lory_lost_in_her_dreams e Rebecca73, per le loro
recensioni davvero ben gradite.
Free09 e Pan_Tere94: per aver aggiunto questa
storia tra le loro preferite.
KiaMessina, Sole51, Ste_loveless, _martinella95_:
per aver messo la mia fan fiction tra le seguite.
E un grazie anche a tutti coloro che hanno
semplicemente letto.
Nonostante analizzando le menti di
tutti quelli con cui aveva parlato, scoprii che non aveva rivelato a nessuno
quanto era successo, rivelando che poteva essere una persona di cui potersi
fidare, presi la mia decisione: dovevo starle lontano. Stabilendo di agire così
risolvevo un grosso problema, non frequentandola mi sarei risparmiato la sua
insistenza nell’onorare la mia promessa; cioè quella di spiegarle bene a cosa
aveva assistito il giorno dell’incidente.
E così, stava per chiudersi il
capitolo Isabella Swan. O almeno era quello in cui sperai.
Nelle settimane successive, nessuno
si interessò a me, quasi neanche fossi stato io a evitare che la tragedia
avesse luogo. L’attenzione era totalmente rivolta verso Bella, niente di
meglio!
Come prima dell’arrivo di Bella, io
ed i miei fratelli riprendemmo la nostra solita routine come se nulla fosse mai
accaduto: sedevamo da soli al tavolo, prendevamo il cibo come alibi senza
accennare a toccarlo e parlavamo solo tra noi.
Durante l’ora di biologia-il
momento più difficile per i miei nervi e per la mia sete- come il primo giorno
che la vidi, mi sedetti il più lontano da lei ignorandola completamente.
Ovviamente, Bella dotata di grande
determinazione il giorno successivo all’incidente, provò a parlare con me
comportandosi come nulla fosse. Ma qualcosa era cambiato: molto probabilmente
la sua curiosità l’avrebbe uccisa.
Quando quel pomeriggio entrò, avevo
già preso posto, continuai a tenere lo sguardo dritto davanti a me.
<< Ciao Edward >> mi
salutò gentilmente, posando le armi.
In tutta risposta, le feci un
minuscolo gesto senza incontrare i suoi occhi: prima capiva che doveva starmi
lontana, e meglio era.
Nei giorni successivi, nonostante a
lezione non mostrasse più interesse di me ad interagire, a pranzo e nel
parcheggio- vale a dire quando ci trovavamo a distanza-sentivo il suo sguardo
puntato su di me.
L’unico a godere della freddezza
tra me e Bella, fu Mike Newton; lo vedevo ronzarle attorno più del solito, e
con mia grande irritazione mi riscoprii infastidito da tutte quelle attenzioni.
Diventava sempre più sfacciato,
fino ad appoggiarsi durante l’ora di biologia, al nostro banco e sporgersi
verso Bella con fare seducente…era una visione sgradevole, così come i suoi
pensieri. Se avessi potuto l’avrei sbattuto al muro molto volentieri.
Ma l’irritazione mi arrivò alle
stelle, fin quasi a diventare palpabile, quando:
<< Jessica mi ha invitato al
ballo di primavera >> le disse con indifferenza.
Bella mostrò entusiasmo nel sentire
la notizia, anche a lei non doveva essere sfuggita l’attrazione che Jessica
provava per quel ragazzo.
Mike la informò che aveva rifilato
un mezzo rifiuto a Jessica;sarei voluto scattare in piedi battendo i palmi sul
banco quando quell’essere pensò di farsi invitare da lei. Ma rimasi in silenzio,
in disparte fermo come il marmo, aspettando la risposta di Bella.
« Mi
chiedevo se... be', non avessi intenzione di invitarmi tu ».
A quell’invito
esplicito, voltai il capo verso Bella: incredibilmente rimasi con il fiato sospeso,
sperando in un suo diniego.
<< Mike, credo che dovresti
accettare l'invito di Jessica ».
Sospirai in silenzio: lo aveva
rifiutato, però mi chiedevo se lo avesse fatto solo per tutelare l’amicizia con
Jessica o se…c’era qualcun altro nei suoi pensieri.
<< L'hai già chiesto a
qualcun altro? » gli chiese, guardando verso il sottoscritto e sbagliando
persona, ne sapevo quanto lui.
<< No, figuriamoci. Non ci
vengo, al ballo ».
<< Perché no?», chiese Mike.
«
Quel sabato vado a Seattle >>
A
seattle?! Era una scusa o ci sarebbe andata davvero, e poi cosa ci andava a
fare?! Che nervi non poterlo sapere.
Bella
consigliò a Mike di accettare la proposta di Jessica, cosa che Mike assentì di
fare mogio, mogio.
Quando
se ne fu- finalmente- andato, potei osservare la mia compagna di banco senza
occhi indiscreti: chiuse gli occhi premendosi le tempie.
“Cosa
c’è che non va, Bella?”
Lo
pensai frustrato, ma non glielo chiesi, mi limitai solo a guardarla.
Quando
il professor Banner iniziò la lezione, la sentii sospirare prima di riaprire
gli occhi. Subito incontrò i miei, mi fissò di rimando sorpresa. Non abbassai
lo sguardo, ma continuai a fissarla sempre più intensamente.
<<
Cullen? >> mi chiamò il professore, per sapere la risposta alla domanda
che aveva appena posto.
<<
Il ciclo Krebs >> fui lesto a rispondere, senza esitazione, voltandomi
controvoglia verso il professore.
In
quel momento, liberandola dal mio sguardo opprimente, spostò i capelli sulla
spalla destra a coprirsi il viso, tirandomi addosso tutto il suo profumo, la
gola cominciò ad ardermi. Però, come sempre, sfuggii alla tentazione.
Quando
la campanella suonò, mi diede le spalle nel raccogliere le sue cose, ma non m’intimidii
il suo gesto:
<<
Bella? >>
Si
girò lentamente, rivelando un’espressione interdetta, non le rivelai la mia
dispiaciuta. Aspettai che dicesse qualcosa:
<<
Cosa? Hai deciso di rivolgermi la parola? >>
Trattenni
una risata, irrigidendo le labbra:
<<
No, non proprio >> ammisi sincero.
Chiuse
gli occhi lasciandosi andare ad un sospiro. Attesi che si riprendesse:
<<
E allora, Edward, che vuoi? >> mi chiese probabilmente irritata, dato che
teneva gli occhi ancora chiusi.
<<
Mi dispiace >> gli mostrai tutta la mia sincerità. << Sono molto
maleducato, lo so. Ma è meglio così, davvero >>
A
quel punto riaprì gli occhi, rivelando il suo sconcerto.
<<
Non capisco che vuoi dire >>
<<
E’ meglio se non diventiamo amici >> le spiegai << Fidati >>
<<
Peccato che
tu non te ne sia reso conto prima » sibilò. « Non avresti avuto nulla di cui
rimproverarti ».
« Recriminarmi?
» non capivo cosa volesse dirmi. « Rimproverarmi di cosa? ».
« Di non
avere lasciato semplicemente che quello stupido furgone mi spiaccicasse ».
Non potevo
credere alla mie orecchie. Come poteva pensare che mi fossi pentito di averle
salvato la vita?! No, si stava sbagliando di grosso.
<<
Vuoi dire che pensi che mi sia pentito di averti salvato la vita? >>
<<
Non lo penso. Lo so >>
Mi diede
sui nervi la sua sicurezza, non aveva capito un bel nulla.
<< Tu
non sai niente >>
Bella si
girò dandomi le spalle, prese i libri e si alzò con svelta permettendo che la
punta del suo stivale incappasse nello stipite del banco facendole cadere tutti
i libri; scossi il capo leggermente divertito: non sarebbe mai cambiata.
Il tempo
che emettesse un sospiro inginocchiandosi, già le ero al fianco impilandoli uno
sull’altro.
Glieli
porsi gentilmente, ma accigliato:
<<
Grazie >> disse con freddezza.
<<
Prego >> le risposi altrettanto gelido, riducendo gli occhi a due
fessure.
Si rialzò
di scatto, pochi secondi dopo sparì dalla mia vista.
Fortunatamente,
prima di tornare a casa, avevo un’altra ora scolastica per sbollire la rabbia e
ritrovare il buon umore.
L’occasione
si presentò nel parcheggio, avevo appena assistito al secondo rifiuto di Bella,
questa volta lo sfortunato era stato Eric, a cui rifilò la stessa versione di
Mike: sarebbe andata a Seattle.
Passandole
davanti, guardai dritto davanti a me, ma non potei fare a meno di trattenere
una risata. Era esilarante; dovevo fare in modo che anche Tyler avesse la
possibilità di invitarla,dovevo verificare se potesse essere lui il ragazzo
scelto da Bella come cavaliere.
Quando
Bella salì furiosamente sul suo pick-up, ero già in macchina a due piazzole di
distanza, le passai davanti ostruendole il passaggio.
Fermai la
Volvo aspettando l’arrivo dei miei fratelli, ed intanto mi preparavo ad
assistere alla scena che si sarebbe verificata da lì a pochi minuti., sperando
che si rivelasse divertente.
“Comincia
lo spettacolo!”
Pensai
quando vidi Tyler scendere dalla Sentra, avvicinarsi al finestrino del pick-up
e bussarci sopra.
<< Mi
inviteresti al ballo di primavera? ».
Bella
avrebbe soddisfatto le speranze di Tyler?
<< Sarò
fuori città, Tyler >>
La risposta
è: no.
Ma la parte
più divertente ci fu quando Tyler le confessò che aveva creduto che quella
fosse una scusa per essere carina con Mike ed Eric. Se i sospetti di Tyler
fossero stati fondati, Bella non aveva intenzione di andare con nessuno dei
tre. Chissà perché tale notizia mi faceva sentire leggero…
La guardai
dallo specchietto retrovisore, non mi presi neanche il disturbo di nascondere
il mio divertimento. Sul suo volto passò uno sguardo irritato.
In quel
momento i miei fratelli salirono sull’autovettura, e sfrecciai via, liberando
gli altri dall’ingorgo.
Tornati a
casa ognuno di noi prese strade diverse, salii un attimo in camera mia prima di
scendere nuovamente al piano sottostante.
Entrai nel
salotto vuoto, e mi sedetti al pianoforte. Le prime note che mi uscirono furono
spensierate, ma poi lasciai divagare la mente ed il mio pensiero si fermò
sull’immagine di Bella.
Più pensavo
a lei, e più le note diventavano malinconiche.
Mi stavo
costringendo di non frequentarla, anche se ciò mi dava dispiacere.
Chiusi gli
occhi e continuai quella melodia ricca di sfumature dolci, capaci di trasportare.
Ero
talmente immerso nella mia musica, da non essermi accorto dell’ingresso nel
salone di Esme.
Mi girai a
guardarla, teneva le mani incrociate e lo sguardo tenero velato da una
sfumatura di commozione.
<< Oh
scusami. Non volevo disturbarti >>
Smisi di
suonare, scuotendo il capo.
<<
Era bellissima, Edward! >>
<<
Grazie >> dissi, inclinando la testa.
Cadde per
qualche secondo il silenzio, rimasi con gli occhi fissi sul pavimento.
<<
Che ti succede? >> mi chiese, in tono gentile, avvicinandosi a me.
<<
Non lo so >> risposi sincero.
<< Ti
va di parlarne? >> me lo chiese, mostrandomi il suo sorriso comprensivo.
<< A
dir laverità, non c’è molto da dire
>> dissi, sospirando.
Cosa avrei
mai potuto dirle?! Non ero certo neanche io di quello che stavo provando.
<<
Sarò sincera con te >>
La sua
affermazione mi colse alla sprovvista, la guardai sconcertato.
<< Mi
è giunta qualche voce… >> si tenne vaga.
Sapevo
benissimo a chi si stava riferendo:
<<
Rosalie! >> sibilai tra i denti, irritato.
Esme
sorrise, scuotendo il capo.
<<
Chi è questa ragazza per te? >>
Tornai a
tenere lo sguardo basso.
<<
Temo che mi stia succedendo come ad Emmett…il suo profumo, mi da i capogiri!
>>
Mia madre rimase
muta per qualche istante, sembrava riflettere. Sapevo cosa stava per dirmi,
potevo leggerlo nella sua mente, ma glielo lasciai pronunciare ad alta voce.
<<
Non sarà la stessa cosa. Il caso di Emmett era diverso dal tuo: per lui era una
perfetta sconosciuta >> fece una breve pausa. << Tu invece, hai
dimostrato di tenere a lei, molto più di quanto tu stesso possa immaginare
>>
Sapevo,
anche senza dover ascoltare i suoi pensieri, a cosa alludesse: per Bella me ne
ero andato, l’avevo salvata correndo il rischio di mettere in pericolo me
stesso ed i miei familiari, ed ora anche se la cosa non mi piaceva, le stavo
lontano.
<<
Edward, ti do un consiglio solo. Me lo permetti? >> chiese sempre più
dolcemente.
La mia
solitudine, l’aveva sempre rattristata.
Assentii
restando in silenzio.
<<
Non punirti per qualcosa che non hai fatto, o per quello che- come me- sei.
Donati una possibilità. >> me lo disse, appoggiandomi delicatamente una
mano sulla spalla.
La guardai
sorpreso: e se avesse ragione?!
<< Ti
ringrazio >>
Assentì
un’ultima volta prima di lasciarmi nuovamente solo.
Con tutto
me stesso, nell’ultimo mese, mi ero costretto ad evitarla, anche se la cosa mi
stava facendo star male.
La verità,
è che mi piaceva la sua compagnia, ed ero stanco di privarmene.
Ed in più
tutti i suoi rifiuti mi stavano facendo innervosire: non potevo far nulla per
venire a capo del dilemma, i suoi pensieri erano protetti come da una barriera
invalicabile.
Dovevo fare
qualcosa, l’unica che potesse aiutarmi: andare da lei, nonostante fosse notte
inoltrata.
La casa era
avvolta nel silenzio, non c’era una luce accesa all’interno, senza difficoltà
individuai la sua finestra ed entrai nella sua camera.
La vidi
dormire, il petto si sollevava regolarmente, le labbra erano socchiuse.
Rimasi a
fissarla ipnotizzato…perché non me ne andavo da lì?!
Ed
improvvisamente, qualcosa che lei mugugnò nel sonno mi lasciò allibito:
dischiusi la bocca per lo stupore, non potevo credere a ciò che avevo appena
udito:
<<
Edward… >> lo pronunciò con una tale nitidezza da farmi temere che si
fosse svegliata.
Il mio nome. Dal momento che era
profondamente addormentata, stava sognando me!!
La cosa era quasi preoccupante…mi
avvicinai a lei, mi inginocchiai per essere alla sua altezza, alzai un dito e
le sfiorai il profilo.
Si mosse, girandosi verso di me
ancora avvolta nel sonno, il suo viso era pericolosamente vicino al mio: potevo
sentire il suo squisito profumo solleticarmi la pelle. Sospirò prima di
pronunciare nuovamente il mio nome.
Non riuscii ad allontanarmi da lei,
piegai il capo continuando a scrutarla.
Perché era così coinvolta, tanto da
sognarmi?! Permesso che fosse una persona incline agli incidenti, voler
instaurare un rapporto con me era puro masochismo. Non potevo prevedere nemmeno
io fino a quando sarei stato in grado di controllarmi.
Con lo stesso dito, le sfiorai la
gola, potevo captare sotto il polpastrello il battito accelerato del suo cuore:
chissà cosa stava succedendo nel suo sub inconscio.
Avrei potuto ucciderla anche in
quell’istante, sarebbe stato facile, inun battito di ciglia avrei messo fine alla sua vita.
Sicuramente sarebbe stato
appagante, data la mia evidente bramosia di lei.
Bella, continuò a muoversi,
mormorando qualcosa d’incomprensibile.
Sospettai che stesse per
svegliarsi, il suo sonno era troppo agitato; così sgattaiolai fuori dalla
finestra, rifugiatomi su un ramo di un albero abbastanza vicino da permettermi
di continuare a vedere all’interno della camera.
Come previsto, Bella aprì gli
occhi, sbatté le palpebre guardandosi intorno, si issò con il busto passandosi
una mano tra i capelli, quasi fui in grado di catturare il suo profumo, per
quanto oramai mi era noto.
Sbadigliò strofinandosi gli occhi,
tenendosi la testa tra le mani scosse il capo: probabilmente stava cercando
d’allontanare il sogno appena fatto.
Prima di sdraiarsi nuovamente, vidi
il petto sollevarsi in un profondo respiro, chiuse gli occhi ma solo circa una
mezz’ora dopo riuscì a riaddormentarsi.
Non trovai il coraggio di entrare
nuovamente nella sua camera, per quella notte ne avevo abbastanza.
A quel
punto, ero troppo coinvolto io stesso, non potevo solo far finta d’ignorare il
problema, dovevo affrontarlo.
Così, il mattino seguente, nel parcheggio
della scuola, la vidi parcheggiare il più lontano da me; non potevo biasimarla
del resto.
Scendendo
dal pick-up, le sfuggì di mano la chiave che cadde in una pozzanghera. In un
baleno, le fui accanto recuperandola, prima di lei.
La osservai
rialzarsi, appoggiato tranquillamente al suo veicolo.
<< Ma
come fai? >>
Non capii
se era sorpresa o infastidita, forse un po’ tutte e due le cose.
<<
Come faccio cosa? >> le chiesi, a mia volta, con innocenza mentre
giocherellavo con la chiave.
Allungò una
mano per riprendersela, gliela lasciai cadere sul palmo.
<< Ad
apparire dal nulla >>
<<
Bella, non è colpa mia se tu sei straordinariamente distratta >>.
Forse avrei
dovuto dirle: non è colpa mia se sei una brava osservatrice, e quindi devo
rifilarti tutte queste scuse.
<<
Perché l’ingorgo ieri sera? >> mi chiese senza guardarmi. << Pensavo
avessi deciso di fingere che non esisto, non di irritarmi a morte ».
<< L’ho
fatto per Tyler. Dovevo concedergli una possibilità ». Risi sotto i baffi.
<< Razza
di... », rantolò. Sembrava cercare l’aggettivo giusto con cui offendermi, ma a
quanto pare con poco successo. Più lei si innervosiva, e più ne traevo del
divertimento.
« E non sto
fingendo che tu non esista » continuai.
« Allora
hai deciso di irritarmi a morte, visto che il furgoncino di Tyler non è
riuscito a farmi fuori? ».
La sua
domanda retorica mi fece ribollire di rabbia. Le labbra mi si irrigidirono, il
mio buon umore stava per andarsene.
« Bella,
sei totalmente assurda » dissi, con voce bassa e fredda.
A quanto
pare non ero il solo ad essersi innervosito. Bella si girò e fece per
andarsene.
No, non
avrei permesso che sarebbe finita così.
<<
Aspetta >> le dissi, camminandole affianco. La scena di lei che sbatteva
con rabbia i piedi nell’acqua delle pozzanghere era troppo buffa.
« Scusa se
sono stato maleducato » dissi, senza smettere di camminare. Lei mi ignorava.
«Non dico che non sia vero», continuai,« ma è stato maleducato dirtelo, ecco ».
« Perché
non mi lasci stare? » si lamentò lei.
Già perché
continuavo a rincorrerla?!
« Volevo
chiederti una cosa, ma mi hai fatto perdere il filo del discorso », sghignazzai.
« Soffri di
disordini da personalità multipla? » mi chiese, rigida. Di certo le avevo
confuso le idee, con il mio modo di fare.
« Non
sviarmi un'altra volta ».
« Va bene.
Cosa vuoi? » sbuffò lei.
« Mi
chiedevo se, sabato prossimo... hai presente, il giorno del ballo di
primavera... ».
« Mi stai
prendendo in giro? >> mi interruppe, voltandosi di scatto. Mi guardava
dritto in faccia mentre la pioggia la inzuppava.
<<
Per cortesia, posso finire di parlare? >> continuai io, sempre più
divertito.
<< Ti
ho sentita dire che quel giorno hai in programma di andare a Seattle e volevo
chiederti se accetteresti un passaggio >>
Mi guardò allibita:
che bravo, ero riuscito a coglierla alla sprovvista.
<< Cosa?».
« Vuoi un
passaggio fino a Seattle? ».
« Da chi? »
chiese disorientata.
« Da me,
ovviamente ». Scandii la frase sillaba per sillaba, dal momento che non mi
sembrava molto sveglia in quel momento.« Perché? » mi chiese sempre più sbigottita.
« Be',
avevo intenzione di fare un salto a Seattle nelle prossime settimane e,
onestamente, non sono sicuro che il tuo pick-up possa farcela ».
« Il mio
pick-up funziona più che bene, molte grazie per l'interessamento ».
Aveva
ripreso a camminare.
« Il tuo
pick-up ce la fa anche con un solo pieno di benzina? » le chiesi, anche se ero
già a conoscenza della risposta. Non volevo demordere.
« Non credo
siano affari tuoi » disse lei risentita.
« Lo spreco
di riserve non rinnovabili è affare di tutta la comunità » lo dissi, anche se
ero consapevole che non se la sarebbe bevuta.
« Seriamente,
Edward >> fece una pausa, sospirando. « Non riesco a seguirti. Pensavo
che non volessi essermi amico ».
« Ho detto
che sarebbe meglio se non diventassimo amici, non che non voglio » precisai, ed
era la verità.
« Oh,
grazie,adesso è tutto molto più chiaro » la sua risposta fu
alquanto sarcastica.
Si fermò di
nuovo, trovandoci al riparo della tettoia della mensa.
« Sarebbe
più... prudente che tu non diventassi mia amica » le spiegai. « Ma sono
stanco di costringermi a evitarti, Bella ».
Fui il più
convincente possibile, lasciando trasparire le mie emozioni.
« Vieni con
me a Seattle? », chiesi, con la stessa intensità usata poco prima.
Fece un
cenno d’assenso con il capo.
Sorrisi per
un istante, prima di tornare serio.
« Sarebbe
meglio che mi stessi lontana, sul serio >> l’avvertii. « Ci vediamo a
lezione ».
Mi voltai
di scatto e me ne andai. Strano a dirsi ma, in quel momento mi sentii davvero
meglio.
Vorrei
ringraziare:
Aberlin:
Non mi sazio mai neanche io di Bella ed Edward, grazie a te anche per aver
aggiunto la mia storia tra le tue seguite.
E:
Deisy87 per
aver messo questa storia tra le preferite.
Per il
resto spero che questo capitolo vi sia piaciuto,
La mattinata passò tranquilla e nella norma. Andai a tutte le lezioni ed
anche se avevo la mente da un’altra parte, se capitava che i professori mi
ponessero qualche domanda, non riscontrai difficoltà nel dare la risposta
esatta.
Nonostante provassi ancora un leggero timore, accompagnato da una punta
di incertezza per la scelta che avevo appena fatto, non ne ero per nulla
pentito.
Stanco di punirmi, di infliggermi punizioni, di avere l’eternità da
vivere e non far nulla per viverla davvero.
Non sapevo come sarebbe andata,ma ciò non mi avrebbe fermato dal provare a frequentare Bella.
Al primo ostacolo avrei battuto in ritirata, e mi sarei nuovamente
allontanato da lei, anche se la sola prospettiva mi appariva difficile. Però
meglio vivere una vita eterna nella tristezza, che nel tormento dilaniato dal
senso di colpa: una vita che andava in frantumi, per mano mia…un pensiero
inammissibile.
All’ora di pranzo, non occupai il solito tavolo circondato dalla mia
famiglia.
Mi sedetti da solo, in attesa del suo arrivo: non staccavo gli occhi
dall’ingresso della mensa, con animo abbastanza tranquillo.
Quando la scorsi insieme agli altri, mi parve assente.
Si mise in fila, lanciando uno sguardo verso il tavolo dove sedevano i
miei fratelli, la cosa mi fece sorridere compiaciuto: mi cercava.
Non si prese nulla, eccetto una bottiglietta di limonata, la vidi
sedersi insieme agli altri imbronciata, apparentemente lontana dall’allegria
dei suoi amici.
<< Edward Cullen ti sta fissando di nuovo >> a quelle parole
di Jessica, Bella sembrò riscuotersi anche se continuava a stare a capo chino.
<< Chissà come mai oggi se ne sta da solo >>
Qualche minuto e l’avrebbe scoperto il motivo.
Bella alzò di scatto la testa, mi cercò fino a che non intercettò il mio
sguardo.
Le feci un cenno con il dito, a sottintendere che si avvicinasse a me,
ma lei continuava a guardarmi sconcertata, titubante. Così le strizzai
l’occhio.
“Non ci posso credere…Edward Cullen che mostra interesse per… lei?!”
Fu ciò che quella testa vuota di Jessica riuscì a pensare, la superbia è
una brutta compagnia.
<< Ce l’ha con te?! >>
L’assurdoera che non nascose il
suo disprezzo neanche con Bella; e diamine, un po’ di delicatezza!
Non sentii cosa le rispose Bella, la vidi solo alzarsi e venirmi
incontro. Rimase ferma vicino alla sedia vuota:
<< Perché non mi fai compagnia, oggi? >> le chiesi, con un
sorriso.
Prese posto, immediatamente, mi guardava circospetta: era logico, non si
fidava ancora di me.
Aspettai senza smettere di sorridere, aspettando che dicesse qualcosa.
<< Così è diverso >>
<< Bè… >> feci una breve pausa << Ho pensato che se
proprio devo andare all’inferno, tanto vale andarci in grande stile >>
Attese,palesemente confusa. Io scelsi il silenzio.
<< Sai bene che non ho la più pallida idea di cosa tu stia dicendo
>>
<< Certo che lo so >> dissi tornando a sorride. Parte del
divertimento stava in quello. << Credo che i tuoi amici siano arrabbiati
con me perché ti ho rapita >>
<< Sopravivranno >> disse con leggerezza.
<< Non è detto che ti restituisca, però >> ammisi, se
l’esperimento andava a buon fine, perché allontanarmi da lei?!
La sentii deglutire, che l’avessi messa in imbarazzo.
<< Sembri preoccupata >> risi.
<< No… >> obbiettò cauta << Più che altro, sorpresa… a
cosa devo tutto questo? >>
<< Te l’ho detto, sono stanco di starti lontano…perciò ci rinuncio
>> cercai di nascondere il mio tormento, con un sorriso.
<< Rinunci? >> mi chiese, confusa.
<< Sì, rinuncio a fare il bravo. D’ora in poi farò solo ciò che mi
va di fare e mi prenderò quel che viene >> non potei impedire che il mio
sorriso svanisse, e nel mio tono si percepisse una nota di durezza.
<< Mi sono persa un’altra volta >>
La guardai, facendo un mezzo sorriso.
<< Quando parlo con te mi lascio scappare troppe cose. Questo è
uno dei problemi >>
Un problema il mio essere me stesso con lei…nessuno mai era riuscito a
farmi sentire così, ma quello era prima d’incontrarla.
<< Non preoccuparti, tanto non ne capisco una >> mi
rassicurò ,lasciandosi sfuggire una smorfia.
<< Ci conto >>
<< La traduzione di tutto questo è che adesso siamo amici?
>>
<< Amici… >> bofonchiai scettico.
Quello che Bella mi faceva provare, era normale dal momento che si
potevaconsiderare mia amica? Un
sospetto mi suggeriva che la risposta dovesse essere negativa.
<< Oppure no >> borbottò lei.
<< Bé immagino che possiamo provarci. Ma ti avviso non sarò un
buon amico, per te >> scherzai facendo un ghigno, ma lasciai intendere
che l’avvertimento era serio.
<< Continui a ripeterlo >>
<< Sì, perché tu non mi dai ascolto. Sto ancora aspettando che tu
ci creda. Se sai quello che fai, cercherai di evitarmi >>
<< A quanto pare ti sei fatto un’idea precisa della mia
intelligenza >> mi guardò con sfida.
Offenderla non era nelle mie aspettative: sorrisi, per scusarmi.
<< Perciò, dato che per ora non so quello che faccio, possiamo
provare ad essere amici? >>
<< Mi sembra una proposta sensata >>
Bella fissò le mani che tenevano stretta la bottiglia. Era assorta nei
suoi pensieri, mi incuriosii:
<< A cosa stai pensando? >>
Non potevo saperlo da solo, ma mi era lecito chiederglielo.
<< Sto cercando di capire cosa sei >>
Sussultai, quello continuava ad essere un argomento delicato. Mi sforzai
di sorridere.
<< E hai fatto passi avanti? >> chiesicon disinvoltura.
<< Non molti >>
A quella risposta mi rilassai. Lei non poteva saperlo ma era meglio che
restasse all’oscuro.
<< Hai una teoria? >> risi sotto i baffi, nel
domandarglielo.
Ammutolendo, avvampò di vergogna… aveva cominciato ad intenerirmi il suo
arrossire.
<< Non me lo vuoi dire? >> le chiesi, piegando il capo da un
lato, sferrando il mio sorriso migliore.
<< Troppo imbarazzante >> disse, scuotendo il capo.
<< E’ una grossa frustrazione, lo sai >>
<< No >> ribatté lei, squadrandomi <<Non riesco proprio a immaginare cosa ci sia
di frustrante nel fatto che qualcuno si rifiuti di dirti cosa pensa e nel
frattempo faccia anche piccole osservazioni criptiche proprio per toglierti il
sonno quando ti sforzi di interpretarle... Cosa ci sarà mai di frustrante in
tutto questo? ».
Feci una smorfia: certo che non poteva capire, non poteva leggere nella
mente di nessuno.
<< Oppure >> continuò a sfogarsi << Ammettiamo che
questo qualcuno abbia anche fatto una serie di gesti strani - dal salvarti la
vita in circostanze incredibili un giorno al trattarti come un'emarginata il
giorno dopo - senza mai spiegare il suo comportamento, mai, malgrado avesse
promesso di farlo. Anche questo sarebbe estremamente non frustrante? ».
<< Sbaglio o sei un po’ in collera? >>
<< Non mi piace il "due pesi e due misure” >>
Sostenemmo
i nostri sguardi a vicenda, senza accennare nessuno dei due ad un sorriso.
“Che
idiota! La sta trattando male…forse dovrei andare a dirgliene quattro”
Quello
sciocco pensiero di Mike, mi fece sorridere.
<< Che c’è? >>
<< Il tuo amichetto è convinto che io sia scortese con te: sta
decidendo se venire o noad interrompere
il litigio >> ridacchiai, Mike quando voleva era davvero uno stolto.
<< Non so di chi stai parlando » rispose, dura. « Ma sono sicura
che ti sbagli ».
« Invece no. Te l'ho detto, di solito sono bravo a
leggere le persone ».
« A parte me, ovviamente >>.
<< Sì, a parte te >> mutai la mia espressione, fattasi
pensierosa, << Chissà perché >>
La guardai intensamente, Bella distolse i suoi occhi dai miei. Svitò il
tappo e cominciò a sorseggiare la limonata.
<< Non hai fame? >> le chiesi, per risollevare il punto
morto in cui eravamo arrivati.
<< No >> fece una pausa << E tu? >> mi chiese
lanciando un’occhiata al tavolo vuoto.
<< No, non ho fame >> mi lasciai sfuggire un sorriso
ironico. Più che fame, avevo sete. Una sete che non avrei mai messo a tacere
del tutto.
<< Mi faresti un favore? >>
La guardai sospettoso:
<< Dipende da cosa vuoi >>
<< Non è un granché >>
Rimasi in attesa di più dettagli.
<< Mi chiedevo... se ti andrebbe di farmelo
sapere, la prossima volta che decidi di ignorarmi per il mio bene. Così mi
posso preparare ». Guardava la bottiglia di limonata, sfiorando con un dito il
bordo del tappo.
« Mi sembra corretto >> assentii sorridendo.
<< Grazie >>
<< In cambio posso avere una risposta? >>
« Una sola » precisò lei, sottolineando che voleva
tenere per sé il maggior numero di pensieri.
« Spiegami una teoria ».
« Quella no ».
« Non hai specificato, mi hai solo promesso una
risposta », puntualizzai, non poteva negarmi la risposta.
« Tu sei ancora in debito di una promessa »,
ribatté.
Non se l’era dimenticata, a quanto pareva.
« Solo una teoria: giuro che non mi metto a ridere
».
« Oh sì, lo farai ».
Abbassai lo sguardo, per poi riguardarla d’improvviso.
<< Per favore » sussurrai avvicinandomi a
lei.
« Ehm, cosa? ».
Rimasi stupito…aveva perso il filo del discorso?!
« Per favore, raccontami solo una teoria, una
piccola » sottolineai il mio desiderio con gli occhi.
« Ehm, dunque, sei stato punto da un ragno
radioattivo >>
« Poco originale >> la presi in giro.
Oh Bella, puoi fare di meglio!
« Scusa, ma di più non riesco a fare », rispose
stizzita.
<< Non ci siamo proprio ».
« Niente ragni? ».
« Nah ».
« Niente radioattività? ».
« Niente »
« Acci... »
Era davvero sbalordita.
« E la criptonite non mi fa niente », ridacchiai,
infrangendo la mia promessa.
« Alt, avevi detto che non avresti riso ».
Mi sforzai di tornare serio, ma con scarsi
risultati.
« Prima o poi capirò »,mi avvertì, seria.
« Meglio che non ci provi » le dissi cancellando
ogni traccia di divertimento dal viso.
«Perché?»
«E se non fossi il supereroe? Se fossi il
cattivo?». Sorrisi, cercavo di scherzare, ma il mio sguardo si era fatto
nuovamente impenetrabile. Lei non sapeva di cosa ero capace, chi fossi in
realtà.
« Oh, capisco ».
« Davvero? »chiesi scettico.
« Sei pericoloso? »
Mi limitai a guardarla. Sì, lo ero, e purtroppo lei
ancora non sapeva quanto. Provavo ancora il timore di poterle fare del male.
« Ma non cattivo », sussurrò, scuotendo il capo. «
No, non posso credere che tu sia cattivo ».
« Ti sbagli » abbassai lo sguardo, rubai il tappo della bottiglietta e
iniziai a giocherellarci. Se avessi voluto, sarei potuto essere cattivissimo.
Rimanemmo entrambi in silenzio, assorti nelle nostre riflessioni: io
avevo paura di poterle rivelare il mostro che in realtà ero, mentre lei non
sapevo minimamente cosa stesse provando in quel momento, di certo non paura; se
fosse stato così, si sarebbe allontanata urlando a squarciagola.
<< Arriveremo in ritardo >> scattò in piedi, d’improvviso.
<< Oggi non vado a lezione >> dissi roteando il tappo.
<< Perché no? >>
« Saltare qualche lezione fa bene alla salute ». Sorridevo, ma ero
ancora inquieto.
« Be', io ci vado », rispose.
« Allora ci vediamo più tardi » la salutai tornando
a guardare il tavolo.
Esitò
per un istante,ma allo squillo della campana corse via. Mi gettò un'ultima
occhiata dalla porta: ero ancora al mio posto, immobile.
Non
avrei potuto partecipare alla lezione di biologia: il professor Banner aveva in
programma di analizzare il sangue dei suoi studenti, per metterli al corrente
del loro gruppo sanguigno. Se mi fossi presentato, tutti avrebbero avuto una
brutta sorpresa.
Senza
fretta, e con noncuranza, uscii dalla mensa dirigendomi nel parcheggio.
Salii
in macchina, avviai il cd nell’autoradio e mi distesi chiudendo gli occhi.
Ripensai alla conversazione, avuta poco prima
con Bella: era ben lontana dal capire cos’ero, e la cosa non poteva che
rendermi lieto.
Non sapendo a cosa andava in contro, sarebbe
stata più al sicuro?
Mi augurai che la risposta fosse affermativa.
Non riuscivo a trovare nessun’altra soluzione che l’avrebbe protetta pur
continuando a frequentarmi.
Improvvisamente la “voce” di Mike mi distrasse,
facendomi riaprire gli occhi:
“ Bella, non farmi preoccupare!”
Bella?! Era con Mike, e perché avrebbe dovuto
farlo preoccupare?!
C’era solo un modo per scoprirlo: spensi
l’autoradio, scesi dalla Volvo e seguii la scia dei pensieri del ragazzo.
Mossi qualche svelto passo, prima di vedere
Bella stesa a terra, con la faccia a contatto con il marciapiede.
Sgranai gli occhi allarmato, cosa le era
successo:
<< Bella? >> la chiamai
avvicinandomi << Cos’è successo, si è fatta male? >> chiesi turbato
a Mike.
<< Temo sia svenuta. Non so cos’è
successo,nonsi è nemmeno punta il dito
>>
Tirai un sospiro di sollievo: Bella era solo
molto sensibile alla vista del sangue.
<< Bella >> la chiamai di nuovo,
facendomi sempre più vicino << Mi senti? >>
<< No >> bofonchiò << Vattene
>>
Risi, tranquillo: Bella era sempre la stessa.
<< La stavo
portando dall'infermiera », spiegò Mike, come a giustificarsi, « ma si è
intestardita a rimanere qui ».
« La porto io » dissi « Tu torna pure in classe ».
« No », protestò Mike. « È compito mio ».
Non gli badai, e sollevai Bella, prendendola tra le
braccia.
<< Rimettimi giù >> protestò Bella.
Non l’ascoltai, mettendomi in cammino.
<< Ehi >> esclamò Mike, troppo lontano
per potermi raggiungere.
<< Sei conciata proprio male >>
osservai, con ghigno.
<< Rimettimi, sul marciapiede >>
protestò, lamentosa come una bambina.
<< Perciò la vista del sangue ti fa perdere i
sensi? >> chiesi, divertito.
Non rispose, chiuse gli occhi.
<< E dire che non era nemmeno tuo >>.
Senza difficoltà aprii la porta della segreteria, pur
continuando a tenere Bella tra le braccia.
<< Oh cielo >> esclamò la segretaria.
<< E’ svenuta durante l’ora di biologia
>>
Mi diressi sicuro verso l’infermeria, l’infermiera
sollevò gli occhi da un libro. Non le diedi attenzione, adagiai delicatamente
Bella sul materassino di vinile marrone dell'unica branda.Mi spostai, appoggiandomi al muro il più
lontano possibile da lei. La guardai preoccupato: era più delicata di quanto
avessi potuto immaginare.
<< Ha avuto un leggero mancamento >>
spiegai all’infermiera interdetta << E’ reduce dai gruppi sanguigni di
biologia >>
<< C’è sempre qualcuno che fa’ questa fine
>>
Sghignazzai, in preda al divertimento.
<< Ti succede spesso? >> le chiese.
<< Ogni tanto >>
Tossii a nascondere un’altra risata.
<< Tu puoi tornare in classe >> mi
disse l’infermiera.
Non ci pensavo minimamente a lasciare Bella da
sola.
<< Devo restare con lei >> dissi
sufficientemente perentorio da zittire la donna.
“ Ragazzino insolente…”
Ignorai il suo commento contrariato.
Si congedò, uscendo per andare a prendere del
ghiaccio.
<< Avevi ragione >> farfugliò, con gli
occhi ancora socchiusi.
« Certo, come al solito... ma a cosa ti riferisci
adesso, di preciso? »
« Saltare le lezioni fa davvero bene alla
salute » disseriprendendo a respirare
regolarmente.
«
Per qualche minuto mi hai messo davvero paura », ammisi dopo un breve silenzio.
<< Pensavo che Mike Newton stesse trafugando il tuo cadavere per
seppellirlo nel bosco >>
<<
Divertente >>
<<
Seriamente… ho visto cadaveri con un colorito migliore. Ero preoccupato di
dover vendicare il tuo omicidio >>
<<
Povero Mike, gli saranno saltati i nervi >>
<<
Mi detesta con tutte le sue forze >> dissi allegro.
<<
Non puoi saperlo >>
Oh
sì, che lo sapevo. Fin troppo bene…la sua voglia di farmi del male fisico era
la stessa che provavo io. Peccato per lui, che contro di me aveva speranze di
vittoria pari a zero.
<<
La sua espressione era inconfondibile >>
<<
Come hai fatto a vedermi? Pensavo avessi marinato la scuola >>
<<
Ero in macchina, ascoltavo un cd >> dissi connaturalezza, del resto era la verità.
A
quel punto entrò l’infermiera con un impacco freddo.
<<
Mi sembra vada meglio >> osservò la donna.
<<
Penso di sì >> confermò Bella, alzandosi.
All’avviso
della signorina Cope, di un altro malcapitato, Bella balzò giù dalla brandina e
restituì il ghiaccio.
Ci
accostammo al muro, per fargli spazio.
Vidi
nella mente di Mike, Lee rimasto ferito:
<<
Oh no >> borbottai << Esci, torna in segreteria, Bella >>
Mi
guardò sorpresa.
<<
Fidati: vai >>
Si
precipitò fuori, la seguii.
<<
Mi hai obbedito all’istante >> le feci osservare, meravigliato.
<< Ho sentito odore di sangue », disse,
storcendo il naso.
« L'odore del sangue non si sente », la
contraddissi.
« Be', io lo sento, ecco perché mi viene la nausea.
Sa di ruggine... e di sale ».
Mi lasciava interdetto il suo captare l’odore del
sangue, così diverso dal mio: a lei la faceva svenire, a me aumentava la sete.
« Che c'è? », chiese.
« Niente » fui lesto a rispondere.
In quel momento uscii Mike, che squadrò prima Bella
e poi lanciò un’occhiata velenosa contro di me: potevo comprendere a pieno il
suo risentimento verso il sottoscritto?!No, non del tutto.
“Con mequi
non c’è voluta venire! Puff arriva Cullen…”
<< Sembra che tu stia meglio »,
l’accusò.
« Basta che tu tenga la mano in tasca », lo avvertì
Bella.
« Non sanguina più », borbottò lui. « Rientri in
classe? ».
« Scherzi? Dovrei fare dietrofront appena arrivata
per tornarmene qui ».
« Be', immagino... Allora vieni, questo fine
settimana? Alla spiaggia? ».
Sperava
in un weekend soleggiato, chissà perché avevo mie dubbi…
<<
Certo, ho già detto che ci sarò >>
<<
Appuntamento al negozio di mio padre alle dieci >> mi guardò, come a
sottendere che l’invito era riservato.
Non
sapeva che se avessi voluto, avrei scoperto tutti i particolari.
<<
Ci sarò >> promise lei.
« D'accordo. Ci vediamo in palestra », disse, e si
diresse con passo incerto verso la porta.
«
Ci vediamo »
Guardammo
andare via Mike, poi lei soggiunse:
<<
No, ginnastica… >>
<<
Me ne occupo io >> mi avvicinai a lei << Siediti ed impallidisci
>> le sussurrai in un orecchio.
Mi
avvicinai al bancone:
<<
Signorina Cope? ».
«
Sì? ».
«
La prossima lezione di Bella è in palestra, e non credo si senta abbastanza
bene. A dire la verità, credo sarebbe più opportuno che l'accompagnassi a
casa. Potrebbe preparare una giustificazione per lei? » Addolcii il più
possibile la voce, e la guardai con occhi supplichevoli.
<< Anche tu hai bisogno di una
giustificazione, Edward? », cinguettò la signorina Cope.
« No, io ho la professoressa Goff. Per lei non sarà
un problema ».
Tornai da lei, trionfante:
« Bene, è tutto sistemato. Ti senti meglio, Bella?
».
In risposta assentì debolmente con il capo.
« Riesci a camminare o vuoi che ti porti ancora in
braccio? » lontano dallo sguardo della signorina Cope, mutai la mia
espressione, diventando sarcastica.
<< Cammino >>
Le aprii la porta con un sorriso ed uno sguardo
ironico.
<< Grazie >> mi disse << Pur di
saltare ginnastica vale quasi la pena ammalarsi >>
<< Quando vuoi >> guardavo dritto
davanti, strizzando gli occhi facendo finta che la pioggia mi desse fastidio.
<< Allora sei in partenza? Questo sabato intendo >>
Restava in silenzio.
<< Dove andate di preciso? >>
<< Giù a La Push a First Beach >>
La Push…la piccola riserva dei Quileute…ero bandito
dai loro territori.
<< Non mi sembra di essere stato invitato
>>
<< Ti sto invitando ora >> disse con un
sospiro.
<< Per questa settimana è meglio che io e te
non esageriamo, con il povero Mike. Non è il caso di fargli saltare i nervi »
dovetti reclinare l’invito, nonostante mi divertisse particolarmente far
innervosire Newton.
« Povero Mike >>
Nel parcheggio svoltò a sinistra, diretta al suo
pick-up. La trattenni per il giubbotto:
<< Dove pensi di andare? >> le chiesi
indignato.
<< Vado a casa >> disse disorientata.
<< Non hai sentito? Ho promesso di portarti a
casa sana e salva. Pensi che ti lasci guidare in quelle condizioni?» mi
sembrava di essere stato chiaro, no?!
« Quali condizioni? È il mio pick-up? » ribatté
lei.
« Te lo faccio riportare da Alice dopo la scuola ».
aumentai la stretta sul suo giubbotto e la trascinai verso la mia auto.
« Mollami! ».
Non le davo ascolto. Cercò di divincolarsi, ma la
feci andare barcollando lungo il marciapiede e la lasciai libera soltanto
davanti alla Volvo. A quel punto inciampò, sbattendo contro la portiera del
passeggero.
« Quanto sei prepotente! ».
«È aperta», fu la mia unica risposta. Mi sedetti al
volante.
« Sono perfettamente in grado di guidare fino a
casa! » non si decideva a salire, infastidita restava a braccia conserte vicino
l’auto.
«Sali,
Bella» le ordina abbassando il finestrino.
Bella indugiò, guardandosi intorno circospetta.
<< Tanto ti riprendo >> minacciai io,
quando intuii il suo piano di fuga.
<< Non ce n’è bisogno >>
Non risposi. Armeggiai con le manopole del
cruscotto alzando il riscaldamento e abbassando il volume della radio.
<< Claire de lune?»,chiese,
sorpresa.
« Conosci Debussy? » domandai a mia volta stupito.
« Non bene », precisò. « Mia madre ascolta sempre
un sacco di musica classica in casa, io riconosco solo i miei preferiti ».
« È anche uno dei miei preferiti ». Guardavo fuori,
nella pioggia, perso nei miei pensieri, che in quel momento erano incentrati
sulla persona che sedeva al mio fianco. Più la conoscevo, e più mi piaceva
stare con lei.
Ero sempre più curioso di conoscerla di più, di
sapere il più possibile:
<< Com’è tua madre? >>
Sollevò lo sguardo a guardarmi.
<< Mi somiglia molto, ma è più carina»,
rispose mentre la guardai, pieno d’attenzione. «Io ho troppo in comune con
Charlie. Lei è più estroversa di me, e più coraggiosa. Ed è una persona
irresponsabile e piuttosto eccentrica, nonché cuoca imprevedibile. È la mia
migliore amica»
<< Quanti anni hai, Bella? >> ero sbalordito.
Era troppo matura.
Eravamo giunti davanti casa sua. Spensi il motore
della macchina.
<< Diciassette >> rispose, frastornata.
<< Non li dimostri >>
Sorrise, e non ne capii il motivo:
<< Che c’è? >>
<< Mia madre dice sempre che quando sono nata
avevo già trentacinque anni e che ormai sono vicina alla mezza età ». Si lasciò
andare a una risata, poi a un sospiro. « Be', qualcuno dovrà pur fare la parte
dell'adulto ».
«Neanche tu hai tanto l'aria di uno studente del
terzo anno», notò lei, dopo un istante di silenzio.
Feci una smorfia. Certo che non dimostravo
diciassette anni, ero vivo da un secolo.
<< Come mai tua madre ha sposato Phil?
>>
<< Mia madre... si sente più giovane della
sua età. Penso che Phil la faccia sentire ancora più giovane. E comunque, è
pazza di lui » Scosse il capo.
« Approvi? », le chiesi.
« Importa qualcosa? Voglio che sia felice... e lui
è ciò che desidera ».
« Mi sembra un atteggiamento come minimo...
generoso » commentai.
« Cosa? ».
« Pensi che si comporterebbe allo stesso modo con
te? Su chiunque cadesse la tua scelta? ». Il mio sguardo si accese e cercai il
suo.
« P-penso di sì », balbettò. « Ma in fin dei conti,
la mamma è lei. È un po' diverso ».
« Niente ragazzi spaventosi, quindi » volevo
stuzzicarla, e preparare il terreno per una domanda successiva.
« Cosa intendi per "spaventosi"? Piercing
facciali multipli e tatuaggi dappertutto? » ironizzò con un sorriso.
« Anche... Per esempio ».
« E cos'altro, secondo te? ».
« Pensi che io potrei essere spaventoso? »
alzai un sopracciglio, accennando ad un sorriso.
« Mmm...
penso che potresti esserlo, se volessi ».
« In questo momento hai paura di me? » le chiesi
tornando serio. Da una parte speravo che rispondesse di sì.
« No »
La velocità con cui rispose, senza pensarci un
attimo mi fece tornare il sorriso.
« Adesso mi racconti tu qualcosa della tua
famiglia? », cercò di sviare il discorso. « Senz'altro è una storia molto più
interessante della mia ».
« Cosa vuoi
sapere? » le chiesi circospetto.
« È vero che i Cullen ti hanno adottato? ».
« Sì ».
« Cos'è successo ai tuoi genitori? » domando, dopo
un momento di esitazione, come a cercare il modo più giusto per poter pormi
quella domanda.
« Sono morti parecchi anni fa » dissi in tono
neutro. Non ricordavo quasi nulla su di loro.
« Mi dispiace », mormorò con un filo di voce.
« Non ricordo granché di loro. Carlisle ed Esme
sono i miei genitori da parecchio tempo ».
« E gli vuoi bene »
« Sì ». Sorrisi. « Non potrei immaginare due
persone migliori ».
« Sei molto fortunato ».
« Lo so ».
« E i tuoi fratelli? ».
Lanciai un'occhiata all'orologio del cruscotto.
« Mio fratello e mia sorella, oltre a Jasper e
Rosalie, si innervosiranno parecchio se gli toccherà aspettarmi sotto la
pioggia ».
<< Oh, scusa, immagino che tu sia in ritardo
».
« E immagino che tu rivoglia indietro il tuo
pick-up prima che l'ispettore Swan torni a casa, così non dovrai dirgli dell'incidente
di biologia » dissi facendole un gran sorriso.
« Di sicuro sa già tutto. A Forks non ci sono
segreti ». disse sospirando. Sapevo che le mancava Phoenix, durante il sonno ne
parlava molto spesso.
« Divertiti, alla spiaggia... c'è il tempo giusto
per prendere il sole » ironizzai guardando fuori dal finestrino la pioggia
cadere inesorabile.
« Domani non ci vediamo? ».
« No. Io ed Emmett anticipiamo il weekend ».
« Cosa fate? »
<< Andiamo a fare trekking nella riserva di
Goat Rocks, a sud del monte Rainier >>
<< Oh be’, divertitevi >> disse in tono
poco convincente. Gli angoli delle mie labbra si inarcarono in un sorriso.
<< Faresti una cosa per me, questo weekend?
>> le chiesi guardandola in faccia.
Assentii con il capo.
<< Non offenderti, ma tu sembri il classico
genere di persona che attrae gli incidenti come una calamita. Perciò... cerca
di non cadere nell'oceano, di non farti investire, o chissà cos'altro,
d'accordo? » le feci un mezzo sorriso.
Scherzai, ma l’idea dinon averla sotto controllo per più di due
giorni, mi turbava.
<< Ci proverò >>
Risi al sentire la sua promessa.
Come scese dalla macchina ripartii verso scuola a
tutta velocità, ma non potei evitare il ritardo: erano già tutti fuori scuola
ad attendermi.
Incontrai gli occhi di Rosalie contrariati
guardandola dallo specchietto retrovisore.
<< Dove sei stato? >> mi chiese,
irritata.
La ignorai, rivolgendomi ad Alice.
<< Alice, dovresti farmi un favore >>
“ Cioè?”
<< Bella si è sentita male, durante l’ora di
biologia. Così l’ho accompagnata a casa, potresti riportarle il pick-up?
>>
Assentii con il capo, rivolgendomi un sorriso prima
di scendere, accompagnata da Jasper; quei due erano inseparabili.
A quel punto mi scontrai con l’ira di Rosalie.
<< Che cosa hai fatto?? >>
<< Non credo siano affari tuoi! >>
<< Certo che sono affari miei…come di tutti
noi del resto >> rispose lei, risentita.
<< No, Rosalie. La mia vita privata non ti
deve riguardare >> dissi a denti stretti, arrabbiatissimo.
<< Passi troppo tempo con un’ umana…Così
rischi di metterci in pericolo >>
Mi sfuggii un ringhio, indurii la mascella, e
strinsi con troppa forza il volante.
Aumentai la velocità: non vedevo l’ora di arrivare
a casa per non dovermi sorbire più le critiche di mia sorella.
Giunti davanti la porta d’ingresso:
<< Fermati, Edward! Voglio scendere qui
>>
Inchiodai di proposito.
<< Eccoti servita! >>
Scese sbattendo lo sportello, con rabbia.
<< Ci parlo io >>
Mi girai verso Emmet, assentii in silenzio.
<< Anche se… >> non finì la frase.
<< Anche se, cosa? >> lo aggredii io.
<< Pensa a quello che ha detto. In fondo non
ha tutti i torti. >>
Distolsi immediatamente gli occhi dal suo viso,
facendogli intendere che per ma la conversazione finiva lì.
Rimasto solo, sfrecciai in garage: restai
nell’abitacolo il tempo sufficiente per riacquistare- almeno parzialmente- la
calma.
Nonostante i pochi commenti ricevuti, continuerò a
postare per coloro che hanno aggiunto la mia storia tra la preferite e le
seguite; a tal proposito un grazie a:
Emmett ed io,
raggiungemmo la riserva di GoatRocks
servendoci della nostra forza vampiresca.
Come al nostro solito ci mettemmo
alla prova, ma il risultato era sempre lo stesso: in testa c’ero io, per quanti
sforzi potesse fare, non riusciva a battermi; modestia a parte, nella corsa ero
imbattibile!
Arrivammo per nulla affaticati e
sempre più assetati, ci guardammo intorno circospetti, ma le nostre previsioni si
rivelarono esatte: la riserva era deserta, nessuno poteva sceglierla per farci
trekking, e non era stagione di caccia, perciò avevamo la foresta a nostra
completa disposizione.
Il silenzio regnava sovrano attorno
a noi, il nostro arrivo doveva aver impaurito gli abitanti della foresta, o
almeno quelli di modeste dimensioni come gli scoiattoli; fortunatamente per
loro piccoli roditori, non erano le
nostre prede.
Ci muovevamo pianissimo, dilatando
il più possibile i timpani, pronti nel sentire il più piccolo rumore di
spostamento, più camminavamo e più, involontariamente, io ed Emmett prendevamo le distanze, del resto i nostri gusti
erano diversi.
Improvvisamente sentii avanzare dei
passi altrettanto morbidi, passi che potevano essere riconducibili solo ad un felino…e l’unica specie vivente in quella zona era il puma.
Saltai con agilità su un ramo di un
albero, dall’alto mi sarebbe stato più facile vederlo arrivare e farlo cadere
nelle mie grinfie, comparendogli davanti dal nulla.
Aspettai, pronto al salto, il suo
arrivo maesto ed elegante, lo sentii ruggire ed il
suono si era fatto più vicino. Solo qualche altro istante e avrei visto la sua
comparsa.
Aguzzai la vista e scorsi il suo
manto caramello, procedeva con grazia e senza paura, ogni tanto si leccava il
muso, il gattino era a caccia proprio come il sottoscritto. Ma era capitato nel
momento sbagliato, sarebbe finito all’altro mondo a stomaco vuoto.
Attesi solo qualche altro secondo
prima di presentarmi davanti i suoi occhi gialli. Con un salto atterrai
silenzioso sul terriccio, pronto a placare parzialmente la mia sete.
Il felino, trovandomi dinanzi senza
che se lo aspettasse, mostrò gli artigli e cominciò a soffiare in segno di
sfida, e forse paura.
Mi preparai a ricevere l’attacco,
anche se le sue unghiate non mi avrebbero procurato alcuna ferita, la mia pelle
era troppo dura perfino per i suoi acuminati.
Il puma mi scrutò ancora qualche
secondo, la coda oscillava a destra e a sinistra con fare nervoso; mi ero
appena messo in mezzo ai suoi piani di cattura.
Di colpo, si lanciò contro di me,
senza timore né sforzo lo sollevai facendolo ricadere pesantemente a terra, il
felino si dimenava lanciando fendenti nel vano tentativo di liberarsi dalla mia
presa. Ma per lui ero troppo forte, era mio prigioniero, succube del mio
volere. Ruggì più volte colto da una rabbia improvvisa.
Scoprii i denti pronto a morderlo
nella gola, dove l’afflusso di sangue era maggiore. Con facilità affondai i
canini nella sua carne, fino a squarciarla e a godere del liquido denso e caldo.
Più la forza del puma andava ad affievolirsi, e più la mia si invigoriva, ma un
solo “pasto” non sarebbe stato sufficiente. Una volta averlo dissanguato,
lanciai il più lontano da me ciò che restava dello sfortunato animale.
Uccidere, anche se si trattava di un animale, non era del tutto appagante:
uccidevo per bisogno di sopravvivenza.
Tornai alla ricerca della mia
prossima preda, a quel punto sarebbe andato bene anche un qualsiasi erbivoro,
la sete maggiore l’avevo messa a tacere.
A metà pomeriggio, incrociai la
strada di Emmett, mi sorrise beffardamente:
<<Soddisfatto per oggi? >>
Assentii sorridendo a mia volta, il
giorno seguente avremmo continuato dissetandoci a dovere.
Mi sedetti per terra, con la
schiena appoggiata contro la corteccia di un albero, Emmett
fece lo stesso affiancandomi.
Rimanemmo in silenzio, con la gola
meno in fiamme era più semplice pensare a qualcos’altro. Alzai gli occhi verso
il cielo, mancavano poche ore che si facesse buio, ed inevitabilmente il mio
pensiero si spostò sulla Forks’s high school: la giornata scolastica era quasi giunta al termine.
Mi riscoprii a pensare a Bella, me
la immaginai a mensa circondata dai suoi amici e durante l’ora di biologia
seduta al banco da sola, data la mia assenza… mi fece
tristezza quel pensiero.
Il timore che potesse accaderle
qualcosa di male mi assalii come il giorno precedente: e se fosse inciampata
ferendosi, e se fosse caduta dalle scale, e se qualcuno l’avesse investita, e se…
<< A che pensi? >>
La voce di Emmett
mi riscosse, lo guardai con la fronte aggrottata:
<< Come mai
quell’espressione? >> continuò lui, dato il mio silenzio.
Distolsi gli occhi da lui,
rilassando il volto.
<< A Bella >> dissi
sospirando.
Emmett emise un
lamento infastidito:
“ Si è bevuto il cervello!”
<< Oh no. Ti sbagli, non sono
mai stato tanto lucido >> risposi al suo pensiero.
<< Lucido?! Da quando voler
frequentare un essere umano è un comportamento razionale?! >>
Sbuffai, non si poteva
generalizzare ogni singolo evento: con Bella era successo qualcosa di nuovo e
misterioso, qualcosa che nessuno tra i vampiri di mia conoscenza aveva mai
provato.
<< Non è da te, Edward!
>> mi rimproverò contrariato.
<< E se fosse cambiato
qualcosa?! >> risposi adirato, tornando a guardarlo.
<< Cosa? >> chiese
allarmato.
<< Lascia perdere, non puoi
capire >> sentenziai con un sospiro.
Mi alzai, allontanandomi da lui.
Non mi andava proprio di litigare.
Mi rimisi seduto e chiusi gli
occhi, distanziandomi da mio fratello anche con la mente. Li riaprii qualche
minuto dopo quando sentii qualcosa colpirmi la spalla. Aprii gli occhi stupito
e vidi in piedi di fronte a me Emmett.
<< Ok, ammettiamo che io non capisca… perché non mi spieghi?! >>
Scossi il capo interdetto. Era
difficile poterlo fare a parole.
<< Non so come…
>> dissi con una desolazione sincera.
<< Nel modo più facile che
riesci a trovare >>
Mentre cercavo le parole
adatte-sempre che esistessero- lo sentii sedersi vicino a me.
Aspettava in silenzio la mia
risposta, la sua mente era in subbuglio. Non riusciva davvero a capire cosa mi
stesse succedendo.
<<E’ qualcosa d’indescrivibile. E’ la voglia-
se non il bisogno- di stare in sua compagnia. Sono nervoso quando non è nei
paraggi, quando non posso controllarla. Ti sembrerò esagerato, ma non ho mai
visto una persona tanto incline agli incidenti come lei >> sorrisi al suo
ricordo << Ho preso l’abitudine d’andare da lei di notte, la osservo
dormire lontano dai guai, sperando ogni volta che non cada dal letto >>
Emmett rise
sommessamente a quelle parole:
<< Scusa >> disse
trattenendosi.
Proseguii ignorandolo, come se non
lo avessi sentito.
<< L’essere bloccato qui mi
sta facendo impazzire… temo per la sua salute, se le
accadesse qualcosa mentre sono qui, lontano da lei, nessuno potrebbe fare nulla
per metterla in salvo. E se le capitasse qualcosa di fatale…
>>
<< Oioi… frena! >> mi interruppe Emmett.
Lo guardai in silenzio, nervoso.
<< Togliti quell’espressione
preoccupata dal viso! >> mi rimproverò << Cosa vuoi che le accada…starà al sicuro >>
<< Domani andrà alla riserva
di La Push >>
<< E allora? >> chiese
lui sconcertato.
<< E se dovesse cadere
nell’oceano e affogare?! >>
<< Ma come ti vengono certe idee?!
>> esclamò Emmett allibito.
<< Te l’ho detto… è così… fragile! >>
Mi guardò contrariato, sulle labbra
gli era fiorita una smorfia.
<< Che c’è? >> chiesi
incuriosito. Cosa avevo mai detto di tanto strano.
<< Sei paranoico! >>
disse sbuffando.
<< No, sono solo molto in
pensiero >>
A quel punto mio fratello scattò in
piedi irritato:
<< Oh Santo Cielo!! >>
esclamò << Sembra che stai parlando di una bambina! E’ fragile, indifesa
e molto umana… ma cavolo è adulta. Saprà badare a se
stessa. >>
Ammutolii guardando il terreno,
mossi un bastoncino tracciando linee indefinite. Emmett
sospirò, prima di parlare di nuovo:
<< Edward, cerca di darti una
calmata, altrimenti qui impazziamo in due! >>
Attese una mia risposta, che non
gli fornii.
<< Vedrai che quando tornerai
sarà tutto come l’hai lasciato, e a quel punto sarò costretto a dirti “te
l’avevo detto” >>
Lo guardai restando in silenzio, i
miei occhi ero sicuro fossero velati da un’ombra.
<< Ah ci rinuncio! Vado a
farmi un giro…mi sta venendo voglia di farti del male
fisico >>
Fece solo due passi quando lo
richiamai:
<< Che vuoi ancora? >>
chiese allargando le braccia.
<< Per te cosa mi è successo?
>>
Scoppiò a ridere, scosse il capo:
non pronunciò la sua teoria, la lessi nella sua mente.
“ Niente di più facile, fratello.
Ti sei innamorato”
Rimasi a bocca aperta, osservandolo
allontanarsi senza vederlo davvero.
Così era questo l’amore?! Ne avevo
sentito parlare, l’avevo letto nei libri e visto o nei film o sulla pelle di
qualcun altro.
Ma provarlo in prima persona era
diverso, molto diverso…era qualcosa di sconvolgente!
Questo capitolo è un po’ corto, ma
spero sia stato comunque di vostro gradimento.
Vorrei ringraziare:
Aberlin: Grazie a
te, sono contenta che ti stia piacendo. La tua recensione l’ho apprezzata
davvero!
Ed inoltre a:
Elivamp: per
averla aggiunta tra i suoi preferiti.
FlazzyCullen e Lorelaine86: per averla aggiunta tra le storie
seguite.
La parola innamorato mi ronzava
nella testa, come un disco rotto, non riuscivo a capire nient’ altro.
Ne ero stupito, in tutta la mia
vita mi ero convinto che l’amore non fosse per tutti. Non mi ero mai sentito a
quel modo, e cominciai ad abituarmi al vuoto che sentivo dentro e alla
solitudine che mi accompagnava, resa ancora più marcata dalle coppie che mi
circondavano.
Mentre cacciavo, nonostante la sete
e la gola in fiamme, la mia mente spaziosa riusciva a pensare a Bella; non
vedevo quasi del tutto le bestie feroci che avevo davanti, le colpivo
meccanicamente, senza difficoltà. Ciò che i miei occhi realmente vedevano era
il viso di Bella.
L’ansia del giorno prima non mi
aveva minimamente lasciato, anzi con il passare delle ore si era fatta ancora
più intensa.
Cacciavo con foga, avevo fretta di
dissetarmi, mi premeva il desiderio di tornare in città il prima possibile. Emmett notandolo mi rimproverò:
<< Datti una calmata! Sai
bene quanto me che dobbiamo restare qui fino a domani >>
Lo guardai facendo mente locale:
saremmo dovuti restare per l’intera durata del weekend. No, troppo tempo,
decisi di trovare una via di mezzo.
<< Non so te, ma io domani
mattina me ne torno a Forks >>
Emmett sospirò
scuotendo il capo.
<< Come vuoi >>
Con uno scatto felino ripresi a
correre, in cerca della nuova preda,volevo fare il pieno di puma, dato che
avevo anticipato la partenza.
Passai l’intera notte a guardare il
cielo sdraiato, non mi andava neanche di parlare con mio fratello. Ero capace
solo di sperare che Bella non si fosse messa in qualche guaio, andando a La Push, volevo immaginarmela addormentata, al sicuro nel suo letto…che tristezza dovermi privare nuovamente di poterla
vedere dormire.
Il mio silenzio, innervosiva
maggiormente Emmett:
<< Ma insomma vuoi startene
così tutta la notte?! >>
Lo guardai sconcertato, ci pensai
qualche istante prima di riportare lo sguardo al cielo stellato: notte limpida,
ma sicuramente fredda.
<< Andiamo Edward! >>
mi incitò lui alzandosi << Sembri un vegetale! >>
Continuai ad ignorarlo,qualunque
cosa mi avrebbe proposto sapevo già che non mi avrebbe entusiasmato, volevo
solo esser lasciato in pace, crogiolarmi nella mancanza che sentivo di lei.
Cercai di ricordarmi il suo profumo,ancora capace di darmi alla testa come
l’alcool, ma così dolce da non poterne fare a meno. E del resto mi mancava
proprio come qualsiasi altra cosa di lei.
<< Giuro che non ti
riconosco! >>
Emmett continuava
a sbraitare, ma non avrebbe potuto far nulla per attirare nuovamente la mia
attenzione. Forse, però, non aveva tutti i torti nel dire che gli ero estraneo,
ero cambiato. Era stato lui a definirmi innamorato, avrebbe dovuto sapere che
questo nuovo stadio avrebbe comportato delle novità, no?!
Mai come in quel momento nutrii il
desiderio di poter prendere sonno, lasciarmi andare in un altro mondo, chiudere
gli occhi e riaprirli solo a mattino iniziato. I minuti scorrevano lenti e
noiosi, sembravano eterni; la luna percorreva il suo percorso troppo
lentamente.
Quando il cielo cominciò a
schiarirsi diventando da un celeste pallido a un grigio opaco, il classico
colore della città di Forks, mi alzai di scatto, mi
preparai alla mia ultimacaccia per il
weekend dissetandomi a dovere.
In ultimo cercai Emmett:
<< Torno a Forks >>
Emmett lasciò
cadere la carcassa della sua ultima preda:
<< Vengo con te >>
Assentii con il capo in silenzio
prima di sfrecciare attraverso la foresta.
<< Cavolo, aspettami!
>>
Si lamentò Emmett,
ma non diminuii la mia corsa libero e impaziente di tornare a Forks.
Finalmente giunsi a casa, ero già
nell’ingresso quando anche Emmett arrivò, mi lanciò
un’occhiata contrariata ma non vi badai; ero troppo di buon’umore in quel
momento.
<< Fatta buona caccia?
>> ci chiese Alice sbucando dal salotto.
<< Abbastanza >>
risposi sorridendo.
Alice socchiuse le labbra, prima di
stirarle in un sorriso compiaciuto.
<< Sei raggiante >>
osservò con un’espressione furba << E credo di sapere il motivo >>
Emmett la guardò
confuso, io sapevo a cosa si stesse riferendo ma stetti al gioco.
<< Cioè? >>
A quel punto mia sorella emise un
risolino divertito, simile al suono di un campanellino.
<< Ma dai smettila di
giocare! >> scosse il capo continuando a ridere << Sappiamo
benissimo entrambi che ti è successo >>
Sorrisi trasportato dal suo
divertimento:
<< Ma toglimi una curiosità…per sapere cosa mi è successo che cosa hai visto?
>>
Alice stava per rispondermi, ma fu
bloccata dall’arrivo di Rosalie:
<< Ma allora è vero?!
>>
La sua voce era stata fredda e
tagliente come la lama di un coltello. Mi girai a guardare la sua figura a
braccia conserte sull’ultimo gradino delle scale.
<< Non ci posso credere
>> scosse il capo interdetta, mordendosi nervosamente il labbro pieno
inferiore << Ti sei innamorato di lei!! >>
Mi lasciai scappare un sospiro
udibilissimo stringendo i pugni. Emmett le fu accanto
in un attimo circondandole le spalle:
<< Su Rose, non poteva
prevederlo nemmeno lui >> le disse gentile, cercando di placare la sua
rabbia.
<< Però poteva cercare di
evitarlo! Invece non l’ha fatto… >>
Mi ribollì il sangue nelle vene
nell’udire quelle parole, dalla mia gola uscì un suono gutturale. Avanzai verso
di lei infuriato, Alice cercò di trattenermi per un braccio invano.
<< Di cosa mi accusi
Rosalie?! Di essere tornato a Forks, di averle
salvato la vita o quant’altro?! >>
Rosalie sbuffò volgendo il capo
dall’altra parte.
<< Non rispondi, eh?!
>> la provocai ormai vittima dell’irritazione.
Non sopportavo che mi si giudicasse
per le scelte che avevo fatto, ero il primo a rimproverarmi- di certo l’amarla
la metteva maggiormente in pericolo- per quello che era successo. Ma non mi si
erano presentate molte scelte.
Avevo lottato contro me stesso,
avevo provato a starle lontano con l’unico risultato di far star male sia me
che lei.
<< Edward…
>>
Mi girai nel sentire il mio nome ed
incontrai gli occhi comprensivi di Alice, che accennò ad un lieve sorriso.
Annuii alla sua preghiera di
ritrovare la calma e smettere di discutere. Ormai era tardi per far uscire
dalla mia vita Bella, anche perché era l’ultima cosa che avrei voluto: se mi
avessero chiesto di considerare l’eventualità di smetterla di frequentare Bella
per riappacificarmi con mia sorella Rosalie, avrei declinato l’offerta.
Preferivo essere in ostilità aperta con Rosalie ed ignorare le sue
punzecchiatine piuttosto che star lontano da lei.
Lasciai l’ingresso, urtai
appositamente la spalla di Rosalie quando le passai accanto per salire le
scale, Alice prontamente mi seguii, la guardai sconcertato con la coda
dell’occhio.
“ Eh no! Non te la puoi cavare
così. Devi soddisfare la mia curiosità”
Feci un mezzo sorriso senza
rimproverarla. Dopotutto non mi infastidiva la sua compagnia né le sue
conversazioni.
Entrammo in camera mia, scelsi un
disco a caso mentre lei si accomodò sul divano con le gambe stese, un gomito
sul bracciolo ed il mento appoggiato su una mano.
“Allora?!”
Le nostre chiacchierate erano
sempre così: lei pensava ed io le rispondevo ad alta voce.
Mi girai a guardarla, la sua
espressione era allegra, gli angoli delle labbra inarcati in un sorriso.
<< Cosa vuoi sapere? >>
“Come ti senti?”
<< Strano >> ammisi
sospirando.
“Però, ammettilo…è
bella come emozione”
Annuii sorridendo a mia volta:
“Qualcosa è cambiato in te…”
<< Cioè? >> la scrutai
pensieroso.
“Non so…c’è
qualcosa di diverso nel tuo sguardo. Una luce che non avevo mai visto”
Probabilmente, se il sangue fosse
scorso ancora nella mie vene, sarei arrossito. Non credevo che il mio stato
d’animo fosse palese anche dall’aspetto esteriore.
<< Tu piuttosto. Prima non
hai risposto alla mia domanda >> sviai il discorso.
“ Non ho visto niente che tu non
abbia già vissuto”
<< Spiegati meglio”
Alice sospirò, scrollando le
spalle.
“Venerdì che tu ed Emmett siete andati a GoatRocks, ho visto la vostra conversazione di quella sera “
Assentii convinto, ma sperai in
qualcos’altro.
<< Nient’altro?! >>
“Per capire che eri innamorato era
sufficiente”
Bofonchiai qualcosa contrariato, mi
stava letteralmente prendendo in giro. La mia reazione la fece riesplodere
nella sua risata canterina.
“No, non ho visto nient’altro. Se
tu sei il primo a non sapere bene come agire, non posso avere una visione
nemmeno io”
<< Giusto >> le
concessi.
“Comunque”
<< Comunque? >>
“Senti, quando sono venuta a
conoscenza di questa notizia avevo deciso d’ignorarla. Ma credo che ora
t’interesserà saperlo”
<< Di che notizia parli?
>> aggrottai le sopracciglia interdetto.
“Tyler Crowley
va dicendo che porterà Bella al ballo di fine anno”
Scoppiai in una fragorosa risata.
<< E lei lo sa?! >>
chiesi ironico.
“Che vorresti dire?!”
<< Credo proprio che Tyler Crowley stia facendo
tutto da solo >>
Alice mi guardava sconcertata, non
capiva come potessi esserne certo.
Mi avvicinai al divano, Alice
raccolse le gambe al petto per farmi un po’ di spazio e permettermi di sederle
accanto.
<< Questa non te l’aspetti di
sicuro >>
“Mettimi alla prova”
<< Ho preso l’abitudine di
andare a casa di Bella la notte. Mi piace guardarla dormire”
Alice dischiuse le labbra sbigottita:
“Hai vinto”
Risi divertito nell’ascoltare il
suo pensiero.
<< Aspetta di sentire il
resto >> ridacchiai compiaciuto al ricordo << Bella ha il vizio di
parlare nel sonno. Così la prima volta che sono andato a farle visita, l’ho
sentita pronunciare il mio nome >>
Mia sorella sorrise lieta.
“Eh sì. Questo cambia le cose”
assentì con il capo. “Povero Tyler, credo avrà una brutta sorpresa”
<< Ben gli sta! Almeno la
smette di mettere in giro false notizie >>
“Ci godi nel saperlo perdente!”
<< Non rimproverarmi!
>> l’ammonii, non ero poi così sadico.
“Hai ragione, non ti posso
biasimare”
<< Grazie >> risposi
asciutto.
Alice rise divertita al mio tono
sarcastico, poi si alzò e silenziosamente lasciò la mia stanza.
Spensi la radio e scesi in salotto,
mi sedetti al piano e pensando a Bella tornò la melodia lenta, melanconica e
dolce che solo lei era in grado di ispirare. Aspettai così l’imbrunire, attesi
che il cielo si oscurasse del tutto e solo verso mezzanotte lasciai la mia casa
per la sua.
Come supposi la struttura era
avvolta dal buio e dal silenzio, mi arrampicai sull’albero vicino la sua
finestra e da quella entrai nella sua camera. Da subito sentii il suo respiro
diverso da quand’era sveglia.
Trepidante mi avvicinai a lei,
dovevo verificare che fosse tutta intera.Con il fiato sospeso esaminai il suo viso intatto e poi passai alla
verifica dei polsi, e anche quelli fortunatamente erano privi di strani segni.
Si dibatteva nel sonno; era raro, a
quanto pare, che facesse dei bei sogni.La tentazione di accarezzarle i capelli e sussurrarle nell’orecchio di
stare calma, era tanta; ma non mi era permesso toccarla, se si fosse svegliata
trovandomi lì, come mi sarei potuto giustificare?!
Eppure la mia mano si alzò e rimase
a mezz’aria quando per la prima volta la sentii parlare:
<< No!! >> cominciò a
dimenarsi << Edward, non farlo… >>
A quanto pareva, avevo appena fatto
la mia comparsa nel suo sub inconscio. La sua voce mi apparve carica d’apprensione…chissà cosa le stava accadendo. E soprattutto,
possibile che avessi intuito bene, cioè che era preoccupata per me?!
Non ebbi modo di scoprirlo,
continuò a parlare ma erano parole astratte, senza riuscita di attribuirgli un
senso.
Rimasi con lei, seduto sul bordo
del suo letto incapace di staccare gli occhi dal suo viso: solo in quel momento
mi accorsi di quanto avevo sofferto la sua mancanza.
Decisi di andarmene alle prime luci
dell’alba, contento che potessero mancare poche ore per poter parlare
nuovamente con lei.
Correvo verso casa, il sole sorgeva
alla mie spalle, presto mi avrebbe irradiato la pelle emettendo delle
increspature brillanti, paragonabili a dei diamanti. Odiavo quell’effetto
naturale, sottolineava il lato più brutto di ciò che ero, ricordandomi la
natura intrinseca del mio essere.
Ovviamente quella singolare
reazione solare, costringeva noi Cullen o a relegarci
in casa, o a nasconderci da qualche parte-io personalmente, come posto
preferito avevo un piccola radura in mezzo alla foresta.
Sbuffai guardando il cielo prendere
un colorito azzurro, ciò significava una sola cosa: niente scuola.
Entrai in casa facendo sbattere la
porta d’ingresso, il mio buonumore se n’era bello che andato. Avevo aspettato
così tanto quel lunedì mattina, eppure venivo punito non potendo uscire
nascondermi alla vista umana.
Rimasi per qualche istante fermo al
centro dell’ingresso, stavo seriamente pensando d’infrangere le regole. Sole o
meno nonsarei rimasto tra quei muri
lasciandomi soffocare da essi.
Salii svelto in camera, scelsi dei
vestiti a caso e mi precipitai in garage. Sulle scale incrociai Alice:
“Dove vai?” mi chiese
telepaticamente, corrugando le sopracciglia.
<< A scuola >> risposi
senza fermarmi.
“Edward, ma?!”
<< Tranquilla, starò attento
a non farmi vedere. >> le dissi senza fermarmi.
Aprii la porta di casa, ascoltando
il suo pensiero:
“Hai perso totalmente la ragione”
la sentii ridacchiare.
Risi a mezza bocca conscio della
sua osservazione: sì, molto probabilmente era come dicevano tutti…ero
impazzito, stavo cominciando a fare delle cose inusuali per la mia indole, mai
mi ero presentato nel centro di Forks in pieno sole.
Mentre guidavo mi cadde l’occhio
sulle irradiazioni sulle mie mani, scossi il capo sorridendo, non riuscì a
fermarmi neanche quella vista orripilante.
Parcheggiai lontano dalla Fork’s high school per procedere
a piedi, era ancora troppo presto perché ci fosse qualche passante sulla mia
strada. Giunto davanti l’entrata mi concentrai sul nascondiglio perfetto, e
cominciai a temere di non riuscire a trovarlo, e a quel punto avrei dovuto
farmi a gran velocità la strada che mi separava dalla mia automobile.
Cominciai a sudare freddo, quando
mi venne un’idea- forse non del tutto geniale- di salire sull’albero più alto
che circondava l’edificio scolastico, arrampicarmi fin su in cima e nascondermi
tra i rami.
Era poco probabile che qualche
vista umana, per quanto acuta, potesse intravedermi ad una simile altezza.
Osservai dal mio riparo l’arrivo di
Bella inaspettato: era fortemente in anticipo, se fosse arrivata solo cinque
minuti prima mi avrebbe scoperto.
Parcheggiò e si diresse sulle
panchine all’aperto sul lato sud della mensa, si sedette sulla giacca a vento,
cosa che mi fece intuire che il marmo doveva essere ancora umido. Tirò fuori
dallo zaino un libro e l’astuccio, e da quel momento sembrò estraniarsi da ciò
che la circondava. Non si accorse nemmeno dell’arrivo di Mike Newton:
<< Bella! >>
Solo al suono della voce dell’amico
si guardò intorno disorientata.
<< Ehi Mike >> sembrava
di buon umore, al mio contrario.
Mike le sedette al fianco, felice
di rivederla.
“Finalmente, quanto tempo!”
E lo diceva lui che non la vedeva
dal venerdì precedente?!Che voglia di scendere e strozzarlo!
Ma la rabbia suscitata dalla
gelosia più nera, esplose quando le prese tra le dita una ciocca di capelli.
“Ok, ora scendo e lo uccido!” mi fu
solo concesso pensarlo.
<< Non mi sono mai accorto…hai una sfumatura di rosso nei capelli >>
“Quanto sei bella!” quello il suo
pensiero successivo. Che nervi!!
<< Solo quando c’è il sole
>>
Le sistemò la ciocca dei capelli
dietro l’orecchio. Divorato dalla gelosia, rimasi come un ebete a guardare
quella scenetta.
Parlarono del più e del meno: della
bella giornata, della consegna del compito d’inglese quando Newton le fece una
proposta che mi spinse per poco a scendere davvero.
<< Stavo per chiederti se ti
andava di uscire >>
Con il fiato mozzo aspettai solo il
rifiuto di Bella.
<< Ah >> la sua unica
risposta.
<< Be’ potremmo uscire a cena
o qualcosa del genere…e il saggio lo preparo dopo
>>
“Sempre se sopravvivi per la cena e
non ti ammazzo prima” il mio pensiero.
“Ti prego fa che dica di sì” il
suo.
Ed intanto entrambi pendevamo dalle
labbra di Bella.
<< Mike…
>> fece una pausa come a cercare le parole adatte << Non penso che
sarebbe un’idea grandiosa >>
Le sue parole erano state musica
per le mie orecchie, a quel punto sarei sceso dall’albero dalla gioia.
Mike spalancò la bocca, stupefatto:
<< Perché? >>
“Se c’entra Cullen,
giuro che appena lo vedo lo sbatto al muro”
“Fatti sotto Newton, non aspetto
altro!”
Bella diplomaticamente e senza
esporsi in prima persona, lo mise al corrente dell’interesse di Jessica per
lui.
Il ragazzo rimase di stucco, e
Bella colse al volo quell’occasione per sgattaiolare via, ed insieme si
diressero verso l’edificio 3.
Per mia fortuna dal punto in cui mi
trovavo riuscivo a captare i pensieri dei suoi amici. Anche se concentrarmi, se
pur distrattamente, sulla mente di Jessica non mi entusiasmasse, era l’unico
modo per poter tenere sotto controllo Bella.
Le due amiche si incontrarono
all’ora di trigonometria, Jessica aveva in testa un solo pensiero: il ballo di
primavera.
Fu così che le propose di recarsi,
insieme ad altre due ragazze, a Port Angeles quel
pomeriggio sul tardi nella speranza di trovare l’abito perfetto: ovviamente
sarei andato con loro seguendole a detta distanza.
Il resto della giornata, tenni a
bada Bella ascoltando molto distaccatamente le menti degli altri: un po’ di
privacy la meritava anche lei.
A quel punto scesi dall’albero e mi
diressi a tutta velocità verso il riparo che la macchina avrebbe potuto
offrirmi. Per i passanti che incontravo ero troppo veloce per poter vedere la
mia pelle brillante.
Decisi di dirigermi verso casa di
Jessica, e poi seguirla non appena fosse giunta l’ora di recarsi a Port Angeles. L’attesa fu lunga e noiosa, appena la ragazza
rincasò si precipitò al telefono per chiamare Bella e avvertirla che la gita
sarebbe slittata al giorno successivo. A quel punto potevo anche tornare a
casa, sapendo Bella al sicuro nella sua, sarei andato da lei all’arrivo della
notte.
A casa fui ben attento a non
incrociare Rosalie, sicuramente mi avrebbe riservato la sua solita aria
contrariata accompagnata da una lunga predica.
Come mi capitava spesso in quel
periodo sedetti al pianoforte, volevo dare una composizione adeguata alla
musica che Bella riusciva ad ispirare, ma fui interrotto in poco tempo da
Jasper:
<< Per evitare un’inutile
discussione, ti consiglio di alzarti e venire con me nella foresta >>
<< Rosalie! >> sibilai
tra i denti.
Mia sorella stava diventando una
persecuzione, proprio non capiva che era tutto inutile e soprattutto non era
stanca lei in prima persona di affrontare sempre lo stesso argomento?!
In silenzio seguii Jasper scappando
dalla grinfie di Rosalie, mi nascosi tra gli alberi quando si presentò:
<< Jasper >> la sentii
chiamare.
<< Dimmi >> le rispose
in tono gentile e distratto.
<< Hai visto Edward? >>
non mi sfuggì il suo tono adirato.
<< Assolutamente, no >>
<< Accidenti! >>
imprecò.
“Ma dove diamine è finito?!” la sentii
allontanarsi infuriata.
<< Ma toglimi una curiosità
>>
Mi disse Jasper pensoso, quando
uscii dal mio nascondiglio:
<< Cosa? >>
<< Perché ti sei fissato così
con questa ragazza? >>
<< Non so…il
suo profumo è qualcosa di sconvolgente e poi tutto ciò che fa mi lascia senza
parole >> risposi sospirando.
<< Davvero non ti capisco.
Per me sono tutti…uguali! >>
Jasper s’era unito alla mia
famiglia da troppo poco tempo, non era ancora capace di regolare la sete, sensibile
al sangue di qualsiasi umano.
<< Però…
>> proseguì esitante, come a voler stare bene attento a cosa dire
<< Rosalie non ha tutti i torti: se finisce male ci andiamo di mezzo
tutti >>
<< Ma tu non mi avevi cercato
per distrarmi? >> chiesi ironico con un mezzo sorriso.
Jasper ricambiò il sorriso ed
entrambi sfrecciammo nella foresta.
A giornata finita, come di consueto
andai a far visita ad una Bella addormentata, che non deluse le mie
aspettative:
<< Edward…dove
sei? >> sussurrò nel sonno, flebilmente.
La prova schiacciante che come lei
mancava a me, io ero mancato a lei. Sorrisi nascosto dal buio della stanza,mi
avvicinai al letto con passo felpato:
<< Proprio qui accanto a te
>> sussurrai in modo da non svegliarla.
Con mia grande irritazione il
giorno dopo si ripresentò il sole. Tutto si svolse nelle stesse condizioni del
giorno precedente, sapevo gli spostamenti di Bella a memoria, e cercavo di
capire i suoi stati d’animo attraverso le menti di chi le stava intorno.
Quando le lezioni finirono seguii
in macchina , la Mercury bianca di Jessica fino a
casa di Bella, dove ella lasciò il pick-up, rientrò per dieci minuti in casa
per poi salire in macchina con la sua amica. L’ultima tappa prima di lasciare Forks fu casa di Angela Weber, che in fretta salì in
macchina, infine a loro insaputa le pedinai fino a PortAngels.
Un grande grazie a:
Aberlin e
Lorelaine86: grazie ad entrambe per aver trovato il mio stile migliorato, sono
contenta che l’abbiate apprezzato. Spero che anche questo capitolo vi sia
piaciuto.
Inoltre:
Mezzanotte per aver aggiunto la mia
fan fiction tra le storie seguite e Bellemorte86per averla aggiunte tra le sue
preferite.
La guida di Jessica era molto più
lenta della mia, era snervante andare così piano non c’era abituato, arrivai
per la quattro: inammissibile.
Anche se in una macchina differente
dalla loro sapevo qual’erano gli argomenti che stavano trattando: la cena di
Jessica con Mike, la quale sperava che lui la baciasse al ballo, chi potesse
essere il tipo ideale di Angela Weber dato che il suo cavaliere non le faceva
un grande effetto, poi improvvisamente cominciarono a parlare di vestiti.
La macchina di Jessica non si fermò
al molo al centro della baia, ma si diresse senza indugio verso l’unico grande
magazzino della città.
Le vidi scendere dall’autovettura,
Jessica e Angela elettrizzate, Bella procedeva qualche passo indietro
guardandosi attorno poco attratta da ciò che la circondava.
Sapendola nel grande magazzino,
cominciai a girare per la città a vuoto, ascoltando molto distrattamente i
pensieri di Jessica: vestiti, scarpe, accessori…volevo
impazzire, aveva limiti la sua frivolezza?!
Senza volerlo mi allontanai troppo
dalla sua mente, tanto da essermi perso il fatto che lo shopping fosse giunto
al termine e che Bella aveva proseguito da sola. Accidenti, adesso come l’avrei
ritrovata?!
Accelerando ripresi il controllo
sulla mente di Jessica, incentrata come suo solito su Mike ed il ballo,
indagando più a fondo vidi il ristorante
italiano dove stava cenando con Angela, mi sforzai ulteriormente fino a
riuscire ad intravedere la biblioteca in cui Bella aveva deciso di recarsi, ma
quando vi arrivai non c’era neanche la sua ombra, scesi dall’auto e sentendo il
suo odore intuii che si era diretta verso sud.
Cominciai a girare per PortAngels come un forsennato,
in preda all’ansia: dov’era?!
Mi concentrai sui pensieri dei
passanti, nella speranza che qualcuno di loro l’avesse incontrata, ma invece di
Bella nessuna traccia, nessuno di loro aveva incrociato la sua strada; quando
si dice la sfortuna!
L’agitazione cresceva a dismisura
inme, fortunatamente il sole stava tramontando
permettendomi di parcheggiare e proseguire a piedi.
Nonostante fosse più agevole
proseguire camminando, i risultati erano sempre deludenti. Se da un lato ero
contento d’essere libero dal sole, dall’altro mi preoccupava che Bella fosse
per strada al buio da sola.
Percorsi un altro paia di isolati a
piedi, poi decisi di riprendere la macchina. Ad una velocità sostenuta optai
per dirigermi nella parte più periferica della città.
Tenevo gli occhi fissi sulla strada
e scorrevo le menti dei passanti, quando il suo volto mi colpì come un pugno in
pieno viso. Mi girai verso l’individuo che l’aveva vista e mi scontrai con un
gruppo di ragazzi.
“La ragazza non ha scampo,
l’abbiamo messa in trappola!”
“Ci sarà da divertirsi…è
un bel bottino”
Quelli erano i loro pensieri, sarei
voluto scendere e massacrarli di botte. Ma non potevo, dovevo lasciarli illesi
per farmi condurre da Bella, anche se questo mi costò un grande sforzo.
All’improvviso la vidi, era concentrata
e la cosa che mi stupii: perché non optava per un piano di fuga?! Accelerai e
per poco non investii uno di quei tipi costringendolo a salire sul marciapiede.
Bella vedendo la macchina si buttò
in mezzo alla strada in palese segno d’aiuto, inchiodai immediatamente
derapando e le aprii lo sportello del passeggero.
<< Sali >> ordinai in
preda alla rabbia più feroce.
Bella non se lo fece ripetere due
volte, in fretta salì sbattendo lo sportello, solo a quel punto partii
sgommando verso sud, sbandando in mezzo ai teppisti, paralizzati dallo stupore.
Dovevano solo ringraziare che non ero sceso ad ammazzarli.
<< Allacciati la cintura
>> le ordinai perentorio.
Svoltai a sinistra, a gran velocità
, superai numerosi STOP senza fermarmi mai, altrimenti sarebbe stata la fine
per quei balordi.
<< Stai bene? >> mi
chiese, dopo un esame veloce almio
volto.
<< No >> risposi
sinceramente furibondo.
Guidai per un paio di metri senza
staccare gli occhi dalla strada, poi improvvisamente mi fermai, fuori dalla
città. Dovevo ritrovare almeno un briciolo di calma.
<< Bella? >> misurai la
voce il più possibile.
<< Sì? >> rispose con
voce roca, si schiarì la gola.
« Tu stai bene? » le chiesi
continuando a guardare altrove.
« Sì »mormorò.
« Per favore,
fai qualcosa per distrarmi » ordinai, ma non ero convinto che avrebbe funzionato.
« Che cosa?
»
« Chiacchiera
di qualcosa di poco importante finché non mi calmo », chiarii chiudendo gli
occhi e pizzicandomi alla base del naso con il pollice e l'indice.
« Uhm » ci
pensò su qualche secondo « Forse domani prima che inizino le lezioni investirò
Tyler Crowley ».
Nonostante
non riuscii a riaprire gli occhi, le mie labbra si stesero in un sorriso.
« Perché? »
« Va
dicendo a tutti che mi porterà al ballo di fine anno: o è impazzito, oppure sta
ancora cercando di scusarsi per avermi quasi ammazzata... be',
ti ricordi. E secondo lui quel ballo è chissà perché il modo migliore
per farlo. Perciò, immagino che se metterò la sua vita a repentaglio saremo
pari e non si sentirà più in dovere di risarcirmi. Non ci tengo ad avere
nemiche, e probabilmente anche Lauren smetterebbe di
tormentarmi se lui mi lasciasse perdere. Mi toccherà fare a pezzi la sua Sentra, credo. È un guaio, perché senza auto non potrà dare
a nessuno un passaggio per il ballo di fine anno... ».
« M'era
giunta voce » dissi leggermente più tranquillo. Alice aveva sentito bene a
quanto pareva.
« Fino a te?
», chiese incredula « Be', forse se resta paralizzato dal collo in giù non
potrà nemmeno partecipare, al ballo », bofonchiò.
Tirai un
sospiro e finalmente riuscii a riaprire gli occhi.
« Va
meglio? »
« Non
proprio »
Fissai il
tettuccio dell’auto con la testa appoggiata al sedile, non mi ero ancora
ripreso del tutto. Non riuscivo neanche a guardarla, se lo avessi fatto mi
sarebbe tornati alla mente i teppisti di poco prima.
<< Cosa
c’è che non va? >> sussurrò confusa.
<<
Ogni tanto ho dei problemi d’impulsività, Bella >> parlai sottovoce,
guardavo fuori dal finestrino con gli occhi ridotti a due fessure. << Ma
non sarebbe affatto una buona cosa fare marcia indietro e assalire quei...».
Non terminai la frase, guardai altrove, sforzandomi per un istante di tenere
a bada la rabbia. « Perlomeno », ripresi, « è ciò di cui sto tentando di
convincermi »
<< Oh
>> fu l’unica cosa che riuscì a dire.
Tra di noi
ricadde il silenzio, fu lei a romperlo.
<<
Jessica e Angela saranno preoccupate >> sussurrò << Mi stavano
aspettando >>
Non
aggiunsi nulla, feci una sola manovra e tornai verso il centro di Port Angeles, diretto al ristorante visto nella mente di
Jessica, trovai un parcheggio angusto parallelo al marciapiede.
<<
Come facevi a sapere dove… >> chiese allibita
guardando fuori dal finestrino, scorgendo Angela e Jessica,poi scosse il capo.
Non le
badai e scesi.
<<
Cosa fai? >>
<< Ti
porto fuori a cena >> cercai di sorridere lasciando andare la tensione,
ma non ero sicuro d’esserci riuscito.
Scesi
dall’automobile sbattendo la portiera, l’aspettai sul marciapiede, quando mi fu
accanto:
<<
Vai a fermare Jessica e Angela, non ho intenzione di rincorrere anche loro per Port Angeles. Non credo che riuscirei a trattenermi, se
dovessi imbattermi di nuovo nei tuoi amichetti» le dissi minaccioso, prima che
potesse aprire bocca.
Le chiamò
sbracciandosi per farsi notare, infatti appena la videro le corsero incontro.
“Oh Bella,
meno male!”
“Ma èEdward Cullen
quello vicino a lei?!”
<<
Dove sei stata? >> chiese Jessica diffidente.
“Aveva
appuntamento con lui e non ce l’ha detto?!”
<< Mi
sono persa >> ammise << E poi ho incontrato Edward >> disse
indicandomi.
<< Vi
disturba se mi unisco a voi? >> chiesi con voce tranquilla.
Ma sapevo
perfettamente che le due ragazze avevano appena finito di mangiare.
<< Ehm…certo che no >> sussurrò Jessica.
“Mangiare
con Edward Cullen, che occasione unica”
« Uhm, in
realtà, Bella, abbiamo già mangiato mentre ti aspettavamo... scusaci »,
confessò Angela, di certo più onesta di Jessica.
« Non c'è
problema... non ho fame » disse, con noncuranza stringendosi nelle spalle.
Ma non mi
convinse, così insistetti:
« Penso che
invece dovresti mangiare qualcosa » dissi a voce bassa ma autoritaria.
Guardai
Jessica, inchiodandola con uno sguardo e divenni più deciso.
<< Vi
dispiace se accompagno io a casa Bella, stasera? Così non sarete costrette ad
aspettarla mentre mangia ».
« Uhm, non
c'è problema, credo... », e si morse un labbro, cercando di indovinare dall’espressione
di Bella se fosse d'accordo o meno.
<<
D’accordo >> disse prontamente Angela << Ci vediamo domani, Bella…Edward >> prese Jessica per mano e velocemente
si allontanarono.
Quando
rimanemmo da soli si girò verso di me:
<<
Sinceramente non ho fame >>
<<
Fammi questo piacere >>
Mi
avvicinai all’entrata del ristorante, e tenni aperta la porta con ostinazione,
non lasciandole scelta. Sospirò e finalmente si decise ad entrare con me.
Appena entrati
ci venne incontro la maitre, sorridendo ci chiese se volessimo un tavolo per
due. Ci guidò ad un tavolo per quattro, al centro della zona più affollata del
locale.
Bella stava
per sedersi, ma non mi piaceva neanche un po’ la sua collocazione.
<<
Non c’è qualcosa di più appartato? >> le chiesi impaziente ma con occhi
supplichevoli, allungandole una mancia senza farmi vedere da Bella.
« Certo », rispose lei. Fece strada attraverso
un divisorio, tra la sala e una fila di séparé - tutti vuoti. « Questo va bene?
».
« Perfetto ».
Sfoderai il mio sorriso migliore.
A quel
punto la mente della donna smise di formulare pensieri coerenti, udii il ritmo
del suo cuore accelerare ma non ne afferrai il motivo.
« La
cameriera arriva subito ». disse ritrovando un minimo di lucidità, sbatté le
ciglia poi si allontanò a passo incerto.
« Non
dovresti trattare così le persone, non è per niente corretto ».mi rimproverò
Bella.
« Trattarle
come? »chiesi confuso.
« Abbacinarle
in quel modo per fare colpo. Probabilmente è corsa in cucina a cercare di
riprendere fiato ».
Aggrottai
le sopracciglia sconcertato. Di che stava parlando?!
« E dai,
non dirmi che non ti rendi conto dell'effetto che fai ».
« Faccio
colpo su tutti? ». Inclinai la testa di lato, guardandola con curiosità.
«Non te ne
sei accorto? Pensi che chiunque sia capace di fare quel che desidera così
facilmente? ».
Ignorai la
sua domanda facendogliene un’altra:
« Abbaglio
anche te? »
<<
Spesso >>
Mi fece
piacere la sua risposta, timida ma sincera.
Infine
giunse la nostra cameriera, si sistemò una ciocca di capelli neri dietro
l'orecchio e sorrise:
“Però che
schianto questo ragazzo”
Ignorai del
tutto il suo pensiero, mi premeva altro in quel momento.
<< Ciao,
mi chiamo Amber, e stasera mi occuperò di voi. Cosa porto da bere?»
Guardai
Bella:
« Per me
una Coca ».
«Due»,
soggiunsi io.
« Ve le
porto subito »
Non badai
alla cameriera, la mia attenzione quella sera era solo ed unicamente per Bella.
« Cosa c'è?
», chiese non appena si fu allontanata.
« Come ti
senti? » domandai preoccupato.
« Bene »,
rispose sorpresa da cosa non riuscii a capirlo.
« Non ti
senti scossa, con la nausea, infreddolita? ».
« Dovrei? ».
Soffocai
una risata, di fronte alla sua incertezza.
« Be', in
realtà sto aspettando che tu entri in uno stato di shock >> dissi
sfoggiando un sorriso ammiccante.
« Non credo
che succederà», disse sospirando. « Sono sempre stata brava a reprimere gli
episodi spiacevoli ».
«Comunque
sia, starò meglio quando avrai assunto un po' di cibo e zuccheri».
Con un tempismo
perfetto, la cameriera apparve con le nostre bevande e un cestino di grissini.
« Siete
pronti per ordinare? », mi chiese.
« Bella? »,
dissi io.
La
cameriera, a quel punto fu costretta a girarsi verso Bella:
« Ehm...
per me i ravioli ai funghi ».
« E per te?
», si rivolse a me con un sorriso.
« Per me
niente »
« Se cambi
idea, fammi sapere ».
La ignorai
rivolgendomi nuovamente a Bella:
« Bevi »,
ordinai, indicando il bicchiere.
Assaggiò la
bibita a piccoli sorsi, obbediente,ma poi cominciò a berla con gusto scolandosela
tutta. Avevo previsto bene ordinando due bicchieri, prontamente gli avvicinai
il mio.
« Grazie »,
mormorò, improvvisamente fu percossa da un brivido.
« Hai
freddo? ».
« È la Coca
», spiegò, presa da un altro fremito.
« Non hai
un giubbotto? » le chiesi contrariato.
« Sì », si
voltò verso la sedia al suo fianco, ma era vuota. « Oh... l'ho lasciato sulla
macchina di Jessica ».
Mi sfilai il giaccone prontamente, di certo io
non avrei sentito freddo, quando glielo offrii distolse lo sguardo.
« Grazie »,
rispose infilandoselo.
Osservai il
modo in cui era vestita: il blu della sua camicia aveva un bell’effetto sulla
sua carnagione.
« Quel blu
dona molto alla tua carnagione », dissi, a quelle parole abbassò lo sguardo
arrossendo.
Spinsi il
cesto del pane verso di lei.
« Davvero,
non sono in stato di shock », protestò.
« Dovresti:
una persona normale reagirebbe così. Non sembri neanche scossa » dissi
soddisfatto, ma a mio modo sorpreso.
Qualunque
cosa succedesse, anche la più inaspettata, Bella reagiva in maniera diversa.
Conoscevo le menti delle altre ragazze, ed ero quasi certo che avrebbero
reagito con brividi di paura, lacrime ed occhi lucidi…ma
Bella no, lei era composta, perfettamente a suo agio.
« Vicino a te mi sento così sicura », confessò.
Dovevo forse
rimangiarmi quel che avevo appena osservato, se era così tranquilla era dovuto
alla mia presenza?
Non potei
apprezzare quelle parole. Aggrottai la fronte scuotendo il capo con cruccio.
« È più
complicato di quanto avessi immaginato » dissi tra me,la palese serenità che
mostrava in mia compagnia mi spiazzava.
Prese un
grissino e iniziò a sgranocchiarlo, continuando a guardarmi.
« Di solito
quando hai gli occhi così chiari sei di buonumore »
« Cosa? »
la guardai sbalordito.
« Quando
hai gli occhi neri sei sempre intrattabile, almeno così mi pare. Ho una teoria ».
Si
decisamente credevo fosse più facile, mi aveva osservato bene.
« Un'altra?
»socchiusi gli occhi.
« Già » sgranocchiò
ancora un po' il grissino ostentando indifferenza.
« Spero che
stavolta tu sia un po' più fantasiosa... o hai preso ancora ispirazione dai
fumetti? » accennai un sorriso di scherno, ma non ero affatto più rilassato.
« Be' no,
non ho copiato dai fumetti, ma non è neanche un'invenzione mia ».
« E...? ».
Ma a quel
punto, da dietro il divisorio, spuntò la cameriera con il suo piatto. Quando la
ragazza si avvicinò mi accorsi che senza volerlo avevamo colmato la distanza
che c’era tra noi, entrambi raddrizzammo le schiene con fare nervoso. Le
sistemò i ravioli davanti prima di rivolgersi a me:
« Hai
cambiato idea? C'è qualcosa che desideri? ».
« No,
grazie, soltanto altri due bicchieri di Coca » , spiegai indicando con la mano
quelli vuoti.
«Certo»
disse portando via i bicchieri e si allontanò.
« Dicevi? »,
ripresi.
« Ti dirò
tutto in macchina. Se... ».
« Ci sono
delle condizioni? » alzai un sopracciglio, sospettoso. Le sue condizioni erano
sempre disarmanti.
« Anch'io
ho qualche domanda da farti, ovviamente ».
Non ne
avevo dubbi:
« Ovviamente
».
La
cameriera tornò con le bibite. Le servì senza dire parola e se ne andò.
Ne prese un
sorso.
« Be', vai
avanti », incalzai senza nascondere il nervosismo.
« Cosa sei
venuto a fare a Port Angeles? ».
Fissai il
tavolo, e giunsi le mani. La fulminai con un'occhiata da sotto le ciglia, l'ombra
di un sorriso sul mio volto.
« La
prossima ».
« Ma questa
era la più facile ».
Facile?!Erano
punti di vista.
« La
prossima », ripetei.
Abbassò gli
occhi sul tavolo, infilzò un raviolo che masticò assaggiandolo, bevve un sorso
di coca ed infine ricominciò a parlare:
« D'accordo
», mi inchiodò con uno sguardo e proseguì lentamente. « Diciamo - per ipotesi,
certo - che... qualcuno... sia capace di leggere la mente, i pensieri altrui,
ecco... con qualche eccezione ».
« Una
sola eccezione », precisai, « Per pura ipotesi ».
« Va bene,
con una sola eccezione » cercò di rimanere sul vago. « Come funziona? Che
limiti ci sono? Come può quel... qualcuno... trovare una persona nel posto e
nel momento giusto? Come fa ad accorgersi che è in pericolo? ».
« Per
ipotesi? », chiesi, stando al gioco.
« Certo ».
« Be',
se... quel qualcuno... ».
« Chiamiamolo
Joe », suggerì.
Accennai un
sorriso.
«Vada per
"Joe". Se Joe avesse fatto attenzione, non sarebbe stato necessario
essere tanto tempestivi ». Scossi la testa e alzai gli occhi al cielo. « Solo tu
sei capace di cacciarti nei guai in una città così piccola. Sai, eri sul
punto di rovinare un decennio intero di statistiche locali sulla criminalità ».
«Stavamo
parlando di una situazione ipotetica», precisò gelida.
Risi
mutando il mio sguardo.
« Sì,
certo. La chiamiamo Jane? ».
« Come
facevi a saperlo? », chiese, sporgendosi verso di me.
Mi aveva
messo alle strette. Ero corroso all’interno di me dall’incertezza. Non sapevo
più cosa fare, se fidarmi una volta per tutte.
« Di me ti
puoi fidare, già lo sai », sussurrò. Si fece avanti per toccare le mie mani
giunte, ma intuendo le sue intenzioni le spostai d’istinto, impercettibilmente
indietro, e rinunciò.
« Non so se
ormai mi resta altra scelta ». La mia voce era quasi un sussurro. « Mi
sbagliavo, sei molto più leale di quanto ti avessi giudicata ».
« Pensavo
che avessi sempre ragione ».
« Una volta
era così ». Scossi di nuovo la testa, era prima di conoscerla, un secolo fa a
ripensarci in quel momento. « Mi sbagliavo anche a proposito di un'altra cosa.
Non sei una calamita che attira incidenti, è una classificazione troppo
limitata. Tu attiri disgrazie. Se c'è qualcosa di pericoloso nel raggio
di dieci chilometri, puoi scommettere che ti troverà ».
« Tu
rientri nella categoria? »
« Senza
alcun dubbio » dissi in tono neutro.
Cercò di
nuovo la mia manoe ne toccò il dorso
con la punta delle dita. Quel tocco delicato mi trapassò con un’emozione mai
provata prima, sentii un brivido lungo la schiena…era
strano sentirsi a quel modo, ma non spiacevole.
« Grazie »,
la sua voce tremò, « con questa sono due ».
« Facciamo
in modo che non ci sia un tre, d'accordo? » chiesi retoricamente,
rilassandomi.
Lei annuì. Allontanai
la mano per nasconderla sotto il tavolo assieme all'altra. Poi però mi
avvicinai.
« Ti ho
seguita fino a Port Angeles », confessai, parlando in
fretta. « Non ho mai tentato di salvare la vita a una singola persona prima
d'ora, ed è un'impresa molto più fastidiosa di quanto credessi. Ma
probabilmente dipende anche da te. Le persone normali riescono a tornare a casa
ogni sera senza scatenare tante catastrofi »
« Hai mai
pensato che forse la mia ora doveva suonare già la prima volta, con l'incidente
del furgoncino, e che tu hai di fatto interferito con il destino? ».
« Quella
non era la prima volta », dissi in un sussurro con gli occhi bassi. « La tua
ora è suonata quando ti ho conosciuta ».
Inorridii
al ricordo del primo giorno che l’ebbi seduta vicino: la gola che ardeva e la
voglia- troppa- di ucciderla, di affondare i canini nella sua carne liscia e
dissetarmi con il suo sangue.
« Ti
ricordi? », chiesi, con un velo di serietà sul volto.
« Sì » era
palesemente calma.
« Eppure,
eccoti seduta qui », dissi alzando un sopracciglio, lasciai trapelare nella
voce una nota d’incredulità.
« Si, sono
seduta qui... grazie a te ». Fece una pausa. « Perché in qualche modo sapevi
dove trovarmi oggi? ».
Serrai le
labbra fissandola accigliato, di nuovo in bilico tra la scelta di dirle tutta
la verità o meno. Il mio sguardo si posò per un istante sul piatto pieno, poi
su di lei. Non stava toccando cibo e ciò non mi piaceva.
« Tu mangi,
io parlo », negoziai.
Infilzò
subito un altro raviolo e lo inghiottì svelta.
« È più
difficile di come dovrebbe essere... non perdere le tue tracce. Di solito sono
in grado di individuare le persone con molta facilità, mi basta sentire la loro
mente una volta sola ». La guardai impaziente, dato che si era immobilizzata.
Ingoiò il boccone e infilzò un altro raviolo.
« Tenevo
d'occhio Jessica distrattamente - come ti ho detto, solo tu riesci a metterti
nei guai a Port Angeles - e all'inizio non mi sono
accorto che avevi proseguito da sola. Poi, quando ho capito che non eri più con
lei, sono venuto a cercarti nella libreria che ho visto nei suoi pensieri. Ho
intuito che non c'eri entrata, che ti eri diretta a sud... E sapevo che prima
o poi avresti dovuto tornare indietro. Perciò ti stavo aspettando, cercandoti
qui e là tra i pensieri dei passanti, nel caso che qualcuno ti avesse
incrociata. Non c'era motivo di preoccuparmi... ma sentivo una strana ansia... ».
Ero perso nel mio racconto, fissavo il vuoto alle sue spalle: ricordai
benissimo la sensazione provata quel pomeriggio.
« A quel
punto ho iniziato a girare in tondo, restando... in ascolto. Fortunatamente il
sole stava tramontando, così avrei potuto scendere dall'auto e seguirti a piedi.
E poi...» mi arrestai, stringendo i denti diventando furioso. Mi sforzai di restare
calmo.
« Poi cosa?
», sussurrò. Continuavo a fissare il vuoto dietro la sua testa.
« Ho
sentito cosa stavano pensando », ringhiai, arricciando il labbro superiore
sopra i denti. « Ho visto il tuo volto nei loro pensieri ». Scattai in avanti,
poggiai un gomito sul tavolo, la mano sugli occhi. Il movimento brusco la fece
sobbalzare.
« È stato
molto... difficile - tu non puoi immaginare quanto - limitarmi a portare via te
e risparmiare loro... la vita ». La mia voce era smorzata dal braccio che avevo
davanti. « Avrei potuto lasciarti rientrare assieme a Jessica e Angela, ma
temevo che se fossi rimasto solo sarei tornato a cercarli », ammisi, sottovoce.
Restammo
entrambi in silenzio, immobili.
Alla fine
alzai lo sguardo, in cerca del suo, deciso a fare le mie domande.
« Sei
pronta per tornare a casa? ».
« Sono
pronta per andare via di qui », precisò.
La
cameriera riapparve, ma del resto ci aveva tenuti d’occhio. Nonostante la
fatica che provai nel confessare come avevo trascorso il pomeriggio a PortAngels, sentivo i suoi occhi
su di noi.
« Come
andiamo? », mi chiese.
« Siamo
pronti per il conto, grazie ».dissi con stanchezza. La conversazione mi aveva
messo in seria difficoltà procurandomi uno sforzo altrettanto estremo. Alzai
gli occhi verso la cameriera in attesa.
« C-certo », balbettò lei, « ecco qui ». Estrasse una
cartellina di cuoio dalla tasca anteriore del grembiule nero e me la porse. Avevo
già preparato una banconota. La infilai nella cartellina e la restituii alla
cameriera.
« Niente
resto », le sorrisi. Poi mi alzai seguito da Bella.
« Buona
serata a voi ».
La
ringraziai senza staccare gli occhi di dosso da Bella.
Camminai al
suo fianco fino alla porta, vicinissimo eppure attento a non toccarla. D’improvviso
sospirò mi girai guardandola incuriosito. Abbassò gli occhi sul marciapiede.
Aprii la
portiera e attesi che salisse in auto, dopodiché la richiusi dolcemente.
Salito in
auto, misi in moto e alzai il riscaldamento al massimo, preoccupato per lei:
non volevo che prendesse freddo. La temperatura era scesa, probabilmente il
maltempo stava tornando.
Mi inserii nel
flusso del traffico, quasi senza guardarmi attorno, scartando e svoltando
bruscamente fino a imboccare l'autostrada.
« Adesso
tocca a te »la spronai, un patto era un patto.
Un grazie
enorme a:
Aberlin: Mentre
scrivevo non ho notato il riferimento alla fiaba “Della bella addormentata nel
bosco”, è puramente casuale!Ma sono contenta ti abbia fatto sorridere. Grazie
per la recensione!!
Lorelaine86:
Forse il miglioramento dello stile è dovuto al fatto che ho preso dimestichezza
con il personaggio di Edward, all’inizio di questa storia ero titubante, avevo
una paura folle di stravolgerlo(e ancora adesso un po’ lo temo), ma ti ringrazio
molto per il complimento, mi ha reso molto contenta!
Lady Cat: Ti ringrazio molto per il paragone con laMeyer, quando l’ho
letto credo di aver fatto un sorriso a trentadue denti. Sì, entrare nella testa
di Edward è divertente ma a volte anche molto complesso!Grazie anche per aver
aggiunto la mia storia tra le preferite.
Inoltre
ringrazio:
Giacale e Jexolina per aver aggiunto questa fan fiction tra le loro
seguite.
Correvo a
tutta velocità lungo la strada silenziosa. Guardavo dritto davanti a me, anche
se guidavo sovrappensiero: avrei dovuto pentirmi delle confessioni che avevo
appena fatto a Bella?!
« Posso farti
un'ultima domanda? », chiese, mentre continuavo a tenere lo sguardo rivolto
dinanzi a me.
« Una sola
», risposi, guardingo.
« Be'...
hai detto di avere intuito che mi ero diretta a sud, anziché entrare in
libreria. Mi chiedevo soltanto come avessi fatto ».
Guardai altrove,
ponderando la risposta. Pensavo al modo più facile per essere sincero senza
farla agitare.
« Pensavo
che avessimo abolito gli atteggiamenti evasivi » disse senza scomporsi.
Accennai un
sorriso.
« D'accordo.
Ho seguito il tuo odore ».
Tacqui
subito, fissando la strada. Sperai che la sua curiosità fosse stata
soddisfatta abbastanza da non porre altre domande.
« Inoltre,
non hai ancora risposto a una delle mie prime domande... ».
Non capivo:
mi ero sottoposto al suo interrogatorio senza discutere troppo, ed ero stato
del tutto sincero.
« Quale? »
le chiesi lanciandole uno sguardo di rimprovero.
« Come
funziona la faccenda della lettura del pensiero? Riesci a leggere la mente di
chiunque, ovunque? Come fai? Anche i tuoi fratelli...? ».
« Una
domanda sola, hai detto », puntualizzai.
Ma leiintrecciò le dita in attesa di una mia
risposta continuando a guardarmi.
« No, è una
dote soltanto mia. E non riesco a sentire tutti, ovunque. Devo essere piuttosto
vicino alle persone che leggo. Ma più familiare è una "voce",
maggiore è la distanza a cui la avverto. Mai più di qualche chilometro, comunque
». Per un istante tacqui, pensoso,cercando di spiegarle al meglio il mio
talento. « È un po' come essere in una grande sala piena di persone che parlano
contemporaneamente. Una specie di rumore di fondo, il ronzio confuso delle
voci. Finché non mi concentro su una voce sola e la metto a fuoco: allora sento
cosa sta pensando. Il più delle volte semplicemente ignoro, escludo tutto:
rischia di distrarmi troppo. Così poi è più facile sembrare normale >>
aggrottai le sopracciglia nel pronunciare quella parola, ci voleva del coraggio
per poterla utilizzare, « ed evitare di rispondere per sbaglio ai pensieri
delle persone, anziché alle loro parole ».
« Secondo
te, perché non riesci a sentirmi? »
La fissai
con uno sguardo enigmatico.
« Non lo
so. Il mio sospetto è che la tua mente funzioni in modo diverso da tutte le
altre. Come se i tuoi pensieri trasmettessero in AM e io ricevessi solo in FM »
le sorrisi divertito dalla mia stessa metafora che avevo usato come esempio.
« La mia
mente non funziona come dovrebbe? Sono una specie di mostro? ».
Se io
dovevo aver coraggio nel pronunciare la parola normale, immagino lei che si
definiva un mostro. Più le stavo a contatto e più mi stupiva. Non mi sareimai annoiato in sua compagnia, Bella era una
persona del tutto da scoprire.
« Io sento
voci nella mia testa, e tu temi di essere il mostro? », risi. « Stai
tranquilla, è solo una teoria... ». divenni serio: « Il che ci riporta a te ».
Sospirò
incerta.
« Abbiamo
abolito le risposte evasive, no? » la provocai a mia volta. Come io ero stato
sincero pretendevo nei miei riguardi lo stesso trattamento da lei.
Per la
prima volta staccò lo sguardo dal mio viso,sembrava pensierosa in cerca delle
parole adatte da utilizzare. L'occhio le cadde sul tachimetro.
« Santo
cielo! Rallenta! ».
« Cosa c'è?
» ero stupito, però non decelerai, non ce n’era bisogno.
« Stai
andando a centosessanta! » non smetteva di gridare, seriamente allarmata.
Sedeva
accanto ad un vampiro, per di più desideroso del suo sangue e lei si
preoccupava della velocità.
« Rilassati,
Bella » alzai gli occhi al cielo, senza decelerare.
« Stai
cercando di ucciderci? ».
« Non
usciremo di strada » la tranquillizzai. La velocità era una cosa che sapevo
gestire al meglio.
« Perché tutta questa fretta? » cercò di
modulare la voce, ma mi parve di percepire in essa un’incrinatura. Che fosse
preoccupata che non gradissi la sua compagnia?
« Guido
sempre cosi » mi volsi verso di lei, con un sorriso ammiccante.
« Guarda
davanti! » mi rimproverò agitata.
« Non ho
mai fatto incidenti, Bella. Non ho mai preso neanche una multa » sorrisi e mi
picchiettai la fronte. « Segnalatore radar incorporato».
«
Divertente », rispose, irritata. « Charlie è un poliziotto, ricordi? Da
piccola mi è stato insegnato a rispettare il codice della strada. Inoltre, se
ci trasformi in una ciambella di Volvo arrotolata a un albero, l'unico in grado
di uscirne senza un graffio sei tu ».
« Probabile
», concordai, con una risata secca e breve. « Tu invece no ».
Sospirai
rassegnato e decelerai, fino a far spostare la lancetta verso i cento.
« Contenta?
» chiesi sarcastico.
« Quasi ».
« Odio
andare piano », bofonchiai scontento.
« Così è
piano? ».
<< Fine
dei commenti sulla mia guida. Sto ancora aspettando la tua ultima teoria» le
rimbrottai, ma il mio sguardo si era fatto tenero.
La vidi
mordersi un labbro.
« Non
riderò, lo prometto»la incitai a dirmi
tutto, ero troppo curioso.
« In realtà
temo piuttosto che ti arrabbierai con me ».
« È una
teoria così brutta? ».
« Abbastanza,
sì ».
Restai in
attesa che mi mise al corrente di cosa le aveva suggerito la sua testa,
fremente come ero stato poche volte.
« Prosegui
» dissi palesando una calma, che in realtà non provavo.
« Non so da
dove cominciare ».
« Perché
non cominci dall'inizio... Hai detto che questa teoria non è tutta farina del
tuo sacco ».
« No ».
« A cosa ti
sei ispirata? Un libro? Un film? ».
« No... è
stato sabato, alla spiaggia » spiegò guardandomi. Rimasi interdetto.
Cosa era
successo a La Push?!
« Ho incontrato per caso un vecchio amico di
famiglia, Jacob Black. Suo padre e Charlie si frequentano da quando ero bambina
».
Non capivo
dove voleva andare a parare. Jacob Black non sapeva nulla sui noi Cullen.
« Suo padre
è un anziano dei Quileutes » mi osservò con attenzione, aspettando di vedere
sul mio volto una qualche reazione. Ma non battei ciglio. « Abbiamo fatto una
passeggiata... », fece una piccola pausa << …e lui mi ha raccontato
vecchie leggende locali, probabilmente per spaventarmi. Me ne ha raccontata
una... », si fermò, esitando.
« Continua
» cominciai a carpire il significato di quel giro di parole.
«...che
parla di vampiri », bisbigliò
A quelle
parole, istintivamente, strinsi le nocche sul volante.
<< E
hai pensato immediatamente a me? » cercai di mantenere la calma. Se mi fossi
lasciato prendere da un moto di rabbia e preoccupazione l’avrei allarmata,
allontanandola da me.
« No.
Lui... ha citato la tua famiglia ».
Restai
zitto, con gli occhi fissi sulla strada. Cosa mai ne poteva sapere quel
ragazzino?!
« Secondo
lui era solo una sciocca superstizione », aggiunse svelta. « Non pensava che ci
avrei ricamato sopra ».
Sembrava
cercare di proteggere Jacob Black dalla mia possibile ira.
« È stata
colpa mia, l'ho costretto a raccontarmela ».
« Perché? »
non capivo davvero cosa l’avesse spinta a farlo.
« Lauren ha
fatto il tuo nome, così, per provocarmi. E un ragazzo più grande, della tribù,
le ha risposto che la tua famiglia non entra nella riserva, ma il suo tono
evidentemente nascondeva qualcosa. Perciò sono rimasta sola con Jacob e
gliel'ho estorto con l'inganno », ammise a capo chino.
Nonostante
la rabbia che inarrestabile cresceva dentro me, cominciai a ridere: Bella che
ingannava qualcuno?!Era un pensiero difficile da credere.
« Con
l'inganno? E come? ».
« Ho fatto
la smorfiosa con lui, e ha funzionato meglio di quanto io stessa pensassi ».
« Mi sarebbe
piaciuto assistere ». Risi a mezza voce. « E poi mi accusi di fare colpo sulle
persone... povero Jacob Black ».
Arrossì e
guardò il panorama notturno fuori dal finestrino. Cominciavo ad amare quella
reazione totalmente umana sul suo volto. Probabilmente giunto a quel punto,
sarei potuto impazzire se non l’avessi più potuta vedere avvampare di vergogna.
« E allora
cos'hai fatto? », chiesi io, mostrandomi noncurante.
« Una breve
ricerca su Internet ».
« E hai
trovato conferma ai tuoi dubbi? » cercai di mostrarmi lontano da ciò che mi
stava confessando, ma non ero incapace di allentare la presa ferrea sul
volante.
« No, non
mi quadrava niente. Più che altro si trattava di stupidaggini. E poi... ».
« Poi cosa?
».
« Ho deciso
che non m'importa », sussurrò.
« Non ti
importa? ».
Ero
incredulo, basito. Come poteva non importarle cos’ero, avrei potuto determinare
le sorti del suo destino. Lo stupore sopraffaceva la mia rabbia.
« No »,
disse sottovoce. « Non m'importa cosa sei ».
« Non
t'importa se sono un mostro? Se non sono umano? » indurii la voce quasi
a volerla schernire.
« No ».
Tacqui, lo
sguardo fisso sul parabrezza. Talmente catturato dall’incredulità delle sue
parole, da non poter formulare un pensiero coerente. No, non poteva dire sul
serio, doveva essere una sua personalissima reazione allo shock.
« Ti ho
fatto arrabbiare », disse. « Non avrei dovuto aprire bocca ».
« No »,
risposi, ma la mia voce risultò dura come la mia espressione. « Preferisco
sapere cosa pensi... anche se ciò che pensi è assurdo ».
« Quindi mi
sto sbagliando di nuovo? »
Magari
l’assurdo fosse la conclusione a cui era arrivata.
« Non
intendevo questo. "Non m'importa!" », ripetei le sue parole
digrignando i denti.
« È così
allora? ».
«
T'interessa? » l’aggredii.
Respirò a
fondo.
« Non
proprio », attese un istante, prima di continuare: « Ma sono curiosa » la sua
voce continuava ad essere posata.
« Cosa vuoi
sapere? » domandai rassegnato. Aveva fatto breccia in quella maschera che per
un secolo ero stato bravo ad indossare, senza far arrivare nessun umano alla
mia parte più nascosta.
« Quanti
anni hai? ».
«
Diciassette », risposi istantaneamente.
« E da
quanto tempo hai diciassette anni? ».
Guardavo la
strada, con le labbra contratte. Alla fine, mi rassegnai a rispondere:
« Da un po'
».
« D'accordo
». Sorrise.
La scrutai
preoccupato che le potesse venire un attacco di panico. In quel momento non ero
sicuro che avrei saputo gestirlo. Ma lei continuava a guardarmi sorridente.
« Non
ridere se te lo chiedo, ma... come fai a uscire di casa quando è giorno? ».
« Leggenda
»risi
« Non ti
sciogli al sole? ».
« Leggenda ».
« Dormi
dentro una bara? ».
« Leggenda
>> esitai per un istante , poi proseguii con un tono di voce diverso, più
profondo: « Io non dormo ».
« Mai? ».
« Mai »,
confermai, con un filo di voce.
Mi voltai
verso di lei, mesto. Sostenne il mio sguardo finché non lo volsi altrove.
« Non mi hai
ancora fatto la domanda più importante » le feci notare tornando freddo,sulla
difensiva.
« Quale sarebbe? ».
« Non sei
preoccupata della mia dieta? », chiesi sarcastico.
« Ah...
quella ».
« Sì,
quella. Non sei curiosa di sapere se mi nutro di sangue? ».
« Be',
Jacob mi ha detto qualcosa ».
« Cosa ti
ha detto? », chiesi, senza tradire nessuna emozione. Non volevo che sapesse la
mia preoccupazione.
« Ha detto
che voi non... andate a caccia di umani. Ha detto che la tua famiglia non è
considerata pericolosa, perché vi cibate solo di animali ».
« Ha detto
che non siamo pericolosi? » chiesi retorico, mostrandomi scettico.
« Non
esattamente. Ha detto che non vi ritengono pericolosi. Ma che per non correre
rischi, i Quileutes ancora oggi non vi vogliono nel loro territorio ».
Tenevo la
sguardo fisso dritto davanti a me, ma non vedevo realmente la strada.
« Ha detto
la verità? Riguardo a voi e agli umani, dico ».
« I
Quileutes hanno una buona memoria », sussurrai.
Ricordavo
molto bene il giorno in cui l’antenato di Jacob Black stipulò con noi un patto:
niente ostilità a meno che non varcassimo i confini del loro territorio.
« Non
fidarti troppo, però. Fanno bene a mantenere le distanze. Siamo ancora
pericolosi » la misi in guardia. Non ero ancora pronto perché lei abbassasse le
difese.
« Non
capisco ».
« Ci
proviamo », spiegai, lentamente. « Di solito riusciamo molto bene in ciò che
facciamo. Ogni tanto compiamo qualche errore. Io, per esempio, non dovrei
restare solo con te ».
« Questo è
un errore? » domandò con voce che mi parve triste, ma non vi badai.
« Un errore
molto pericoloso », mormorai. Ne ero più che convinto, per lei sarebbe stato
molto più sicuro non avermi incontrato.
A quel
punto tacemmo entrambi. Guardavo davanti, senza notare il paesaggio che mi
sfrecciava accanto.
« Vai
avanti », chiese, disperata.
Le lanciai
un'occhiata, stupito dal tono mutato della sua voce. Ed ora cosa l’opprimeva?!
« Cos'altro
vuoi sapere? ».
« Dimmi
perché vai a caccia di animali, anziché di esseri umani », suggerì ancora con
lo sconforto nella voce.
« Non
voglio essere un mostro ». Parlai a voce bassissima. Non volevo eppure lo ero.
« Ma gli
animali non ti bastano? ».
Feci una
pausa, deglutendo.
« Non ho
verificato, ovviamente, ma immagino che sia come una dieta a base solo di tofu
e latte di soia. Per scherzare, ci definiamo "vegetariani". Gli
animali non placano del tutto la fame, o meglio, la sete. Ma riusciamo a mantenerci
in forze. Il più delle volte ». La mia voce tornò minacciosa: « Talvolta è
davvero difficile ».
« Anche in
questo momento? ».
Sospirai
pensando a quanto era difficoltoso starle vicino.
« Sì ».
« Però
adesso non hai fame »
« Cosa te
lo fa pensare? ».
« I tuoi
occhi. Ho una teoria, te l'ho detto. Ho notato che le persone - soprattutto gli
uomini - diventano indisponenti, quando hanno fame ».
Sorrisi
sommessamente: se mi ero innamorato di lei era anche per la sua acutezza.
« Sei una
brava osservatrice, eh? ».
Non
rispose, e questo mi incuriosì parecchio anche per la sua espressione, così…. intensa,
come se volesse rendere indelebile qualcosa.
« Lo scorso
weekend sei andato a caccia con Emmett? », chiese, quando tornò il silenzio.
« Sì ». Per
un secondo esitai indeciso se proseguire o meno. Ciò che stavo per rivelarle
avrebbe comportato delle conseguenze. « Non avrei voluto andare via, ma ne
avevo bisogno. È più facile starti vicino quando non ho sete ».
« Perché
non volevi andarci? ».
« Starti
lontano... mi rende... ansioso >> Cercai il suo sguardo, addolcendo il
mio « Non scherzavo, quando ti ho chiesto di badare a non cadere nell'oceano o
a non farti investire, giovedì. Per tutto il fine settimana sono rimasto in
pensiero. E dopo stasera, mi sorprende che tu sia sopravvissuta al weekend
senza farti un graffio ». Scossi il capo ricordandomi dei segni sui polsi che
avevo notato al ristorante: « Be', non proprio ».
« Cosa? ».
« Le tue
mani ».
Abbassò gli
occhi per scrutarsi i polsi.
« Sono
caduta », sospirò.
« Lo
immaginavo ». Le labbra mi si incurvarono in un sorriso. « È anche vero che, per
i tuoi standard, avrebbe potuto andare peggio, ed è proprio questo che mi ha
tormentato, mentre ero lontano da te. Sono stati tre giorni molto lunghi. Ho
rischiato di far saltare i nervi a Emmett ». Le rivolsi un sorriso dolente.
« Tre giorni?
Non siete tornati oggi? » domandò stupita.
« No, siamo
a casa da domenica ».
« Ma allora
perché nessuno di voi è venuto a scuola? >>
« Be' mi
hai chiesto se il sole mi fa male e ti ho risposto di no. Però non posso
espormi alla sua luce... perlomeno, non in pubblico ».
« Perché? ».
« Un giorno
ti farò vedere, te lo prometto ».
Restò un
attimo in silenzio, incerta se parlare.
« Potevi
chiamarmi ».
E perché
avrei dovuto?! La guardai allibito e con candore le dissi:
« Ma sapevo che eri sana e salva ».
«Io invece non sapevo dove fossi tu. Io...», non riuscì a
continuare e chinò lo sguardo.
« Cosa? »
che nervi non poterle leggere nella mente.
« Non mi ha
fatto piacere non vederti. Anche a me viene l'ansia ». Pronunciare quella frase
ad alta voce la fece arrossire.
Restai
senza parole, la guardavo con uno sguardo addolorato. Non volevo che lei
soffrisse nel non vedermi, non era una cosa giusta.
« Ah »,
esclamai tra me. « Così non va ».
« Cos'ho detto? » chiese confusa.
« Non
capisci, Bella? Che io renda infelice me stesso è una cosa, ma che tu sia
coinvolta è un altro paio di maniche ». Rivolsi lo sguardo preoccupato verso
la strada, dall’agitazione parlai veloce « Non voglio più sentirti dire che
provi cose del genere », dissi, con un tono basso ma deciso. « È sbagliato. È
rischioso. Bella, io sono pericoloso... ti prego, renditene conto ».
« No
>>
Uffa, che
testarda che era!
« Dico sul
serio », ringhiai tra i denti.
« Anch'io.
Te l'ho detto, non m'importa cosa sei. È troppo tardi ».
« Non dirlo
mai » la rimproverai. Mi facevano imbestialire i suoi discorsi e la sua
cocciutaggine. « A cosa pensi? », le chiesi, ancora nervoso, dato il suo
mutismo.
Poi
improvvisamente mi accorsi del luccichio che aveva negli occhi, e di lì a poco
le guance le si rigarono di lacrime.
« Piangi? »
chiesi stupito.
« No »
cercò di parlare, ma non aveva voce.
Il suo
tormento mi lacerò, mi sarebbe piaciuto accarezzarle una guancia e toglier via
il sale dalla sua pelle. Mossi inconsciamente una mano verso il suo viso, ma
poi m’accorsi del gesto che stavo per fare, e decisi che non era una buona
idea, così la ritrassi.
« Scusa »
le dissi lasciando trapelare il sincero dispiacere che provavo nell’averla
ferita.
L'oscurità
e il silenzio ci avvolsero.
« Dimmi una
cosa », chiesi, dopo un altro minuto, sforzandomi palesemente di assumere un
tono più leggero.
« Parla ».
« Cosa
stavi pensando stasera, poco prima che arrivassi io? Non riuscivo a leggere la
tua espressione. Non sembravi impaurita, pareva che ti sforzassi di
concentrarti su qualcosa ».
« Cercavo
di ricordare come si mette fuori combattimento un assalitore... insomma,
l'autodifesa. Stavo per spappolargli il naso conficcandoglielo nel cervello ».
« Li
avresti affrontati? »chiesi sbalordito. « Non pensavi di scappare? ».
« Quando
corro inciampo a tutto spiano ».
« Chiedere
aiuto con un urlo?»
« Ci stavo
arrivando »
« Hai ragione. Cercare di tenerti in vita
vuole dire davvero lottare contro il destino » scossi il capo interdetto.
Sospirò. Intanto
rallentai, stavamo entrando dentro Forks.
« Ci
vediamo domani? », chiese.
« Sì...
Anch'io devo consegnare un saggio ». Sorrisi. « Ti tengo il posto, a pranzo »
Eravamo
giunti di fronte a casa di Charlie, la finestra del salotto era illuminata, suo
padre sdraiato sul divano guardava annoiato la tv.
« Promettiche domani ci sarai? ».
« Lo
prometto ».
Ci pensò
per qualche istante prima di annuire. Si levò il mio giaccone:
« Puoi
tenerlo... o domani non avrai niente da mettere » le proposi gentile.
« Non mi va di dare spiegazioni a Charlie »
ribatté restituendomelo.
« D'accordo
». Ammiccai.
Rimase lì,
la mano sulla portiera. Aspettai solo qualche altro istante prima di parlare di
nuovo.
« Bella? »,
domandai con voce seria ma tentennante.
« Sì? ».
« Mi
prometti una cosa? ».
« Sì »
« Non
andare nel bosco da sola »
« Perché? » mi fissò stupita.
Mi feci
scuro in viso e rivolsi uno sguardo aguzzo dietro di lei, oltre il finestrino:
dei licantropi non mi fidavo.
« Diciamo
che non sono sempre io, la cosa più pericolosa in circolazione ».
« Come vuoi
».
« Ci
vediamo domani », dissi, con un sospiro.
« A domani,
allora ». Aprì la portiera.
Prima che
scendesse la richiamai:
« Bella? »
Si girò di
nuovo, incontrando il mio viso a pochi centimetri dal suo. Il suo profumo era
così elettrizzante.
« Sogni
d'oro >> mi allontanai, e lei rimase impalata e sbalordita, con gli
occhi sbarrati.
Poi scese dall'auto
goffamente, tanto che dovette reggersi alla carrozzeria per non cadere. Soffocai
una risata.
Attesi finché non raggiunse
l'entrata, dopodiché avviai il motore e con velocità mi diressi verso casa.
Guidavo quasi stordito: tutti i
muri che avevo eretto tra me e lei, nella speranza di proteggerla, erano
crollati ed in quel momento ero sicuro che non sarei più riuscito a marcare i
confini tra di noi. Forse aveva ragione lei nel dire che ormai era troppo
tardi, per entrambi.
Parcheggiai la macchina in garage,
ed entrai in casa che trovai stranamente silenziosa, neanche fosse disabitata.
A passo lento e felpato salii le
scale diretto in camera, non ero umano eppure mi sentivo stanco e ubriaco
d’emozioni.
Mi bastò varcare la soglia della
stanza per trovarmi le braccia di mia sorella Alice al collo.
<< Mi sono perso qualcosa?
>> chiesi interdetto.
Alice si allontanò da me,
permettendomi di guardarla in viso: sorrideva con una strana luce negli occhi,
ma continuava a non parlare, pensando a cose futili ostruendomi il passaggio
sul motivo per cui si sentiva così.
<< Alice, hai visto qualcosa?
>>
Annuì energicamente, ma si ostinava
a restare i silenzio.
<< E… >> cercai di spronarla,
ma invano.
<< E… Non farmi domande
>> sorrise alle mie sopracciglia aggrottate << Vivi e lo scoprirai
>>
Mi lasciò così, con questa frase
enigmatica.
Aveva visto qualcosa che mi
riguardava, qualcosa che la faceva contenta, avevo una mezza idea in testa ma
l’abbandonai immediatamente. Mi metteva troppa agitazione come pensiero.
Scelsi di seguire il consiglio di
Alice: non mi era dato chiedermi il perché, dovevo lasciarmi andare e basta.
Scusate la lunga attesa ma sono
stata fuori casa e non ho potuto postare prima. Spero di essermi fatta
perdonare con questo nuovo capitolo.
Passo ai ringraziamenti:
Lorealaine86: Mi fa piacere che la
storia ti stia piacendo, spero altrettanto per questo capitolo!
Lady Cat: Sono contenta che il
“mio” Edward sia di tuo gradimento e che, avendo letto il punto di vista
originale di Edward, tu abbia appezzato il mio lavoro!
Aberlin: Scusa se hai dovuto
aspettare così tanto…perdono, perdono, perdono!Grazie per la recensione.
Ed inoltre:
Axielle e Annaftl: per averla
aggiunta tra le loro storie preferite.
Chiusi la porta d’ingresso
lasciandomi alle spalle le facce allibite dei miei parenti e gli sproloqui di
mia sorella Rosalie.
Avevo preso la decisione di vivere
libero dagli schemi mentali che ero solito pormi, ignorando le regole di
comportamento alle quali ero stato abituato a sottostare.
Guidavo a gran velocità sentendomi
libero anche se in un certo qual modo ancora inquieto: stavo facendo la cosa
giusta?
Una vocina mi suggeriva di star
tranquillo e di godermi al massimo questa nuova situazione, se ci fosse stato
il minimo pericolo in vista causato dalle scelte che avevo intrapreso, Alice li
avrebbe visti anticipatamente mettendomene al corrente: non potevo credere che
avrebbe messo in pericolo la vita di un’innocente pur di vedermi sereno, mi
voleva bene ma non era una persona egoista.
La giornata stava diventando sempre
più grigia e nebbiosa, il tempo ideale per poter tornare a scuola.
L’edificio della mia meta era
ancora visibile alla vista, ma come potei verificare di lì a breve, qualche
minuto e fu completamente nascosto dalla nebbia.
Parcheggiai momentaneamente lontano
dalla casa, aspettando che la macchina dell’ispettore capo mi passasse davanti,
diretto al distretto, poi occupai il vialetto in attesa che Bella uscisse,
scesi appoggiandomi alla fiancata dell’automobile.
Percorse alcuni metri sul vialetto
ghiacciato prima d’accorgersi della mia presenza.
Le aprii lo sportello del
passeggero, invitandola a salire: restava immobile, inebetita.
<< Hai bisogno di un
passaggio? >> chiesi divertito, ancora una volta ero riuscita coglierla
completamente alla sprovvista.
Ero stato gentile nel farle quella
richiesta, ma non ero del tutto convinto nemmeno io di cosa stavo appena per
scatenare arrivando a scuola. Una parte di me, quella ancora spaventata,
desiderava che lei declinasse l’invito.
Ma invece:
<< Sì, grazie >>
Le chiusi delicatamente lo
sportello prima di prendere posto alla guida, accanto a lei.
<< Ti ho portato questo. Non
volevo che ti prendessi un raffreddore o qualcosa del genere >> le dissi
stando sulla difensiva, alludendo alla giacca della sera prima, appesa al suo
poggiatesta.
« Non sono
così delicata », ribatté, ma accettò la giacca e la tenne in grembo, infilando
le braccia nelle maniche troppo lunghe.
« Ah, no? »
dissi a bassissima voce, non ero del tutto rivolto a lei.
Guidavo velocissimo
perché Bella quella mattina era stata tutto fuorché puntuale. Il silenzio si
era fatto denso, nessuno dei due trovava niente da dire. Evidentemente la
nostra nuova situazione metteva in imbarazzo anche lei. Cercai di spezzarlo:
« Ehi, oggi niente questionario? » le chiesi
volgendo lo sguardo verso di lei, con un sorrisetto.
« Le mie
domande ti innervosiscono? », chiese sollevata.
« Non
quanto le tue reazioni » mantenni un tono di voce allegro, ma non stavo del
tutto giocando.
« Reagisco
male? » domandò tornando seria.
« No, è
proprio lì il problema. Sei sempre così tranquilla... È innaturale. Mi chiedo
cosa ti passi per la testa »
Una persona
comune mi sarebbe stata a detta distanza, una volta essere venuta a conoscenza
del mio segreto, ma non lei.
« Ti dico
sempre ciò che mi passa per la testa »
« Ma lo
censuri »
« Non
granché »
« Abbastanza
da farmi impazzire »
« Sei tu
che non vuoi sentirlo », borbottò, con un filo di voce.
Non
risposi, quello restava un argomento spinoso, né io né lei eravamo del tutto
pronti per poterlo affrontare serenamente, toccarlo ci portava sempre a
discutere.
Solo nel
parcheggio della scuola si accorse di un particolare:
« Ma i tuoi
fratelli dove sono? ».
« Hanno
preso la macchina di Rosalie » mi strinsi nelle spalle, parcheggiando accanto
alla sua cabriolet rossa con il tettuccio chiuso. « Appariscente, eh? »
« Uh,
caspita », disse in un fiato. « Se lei ha quella,perché si fa
scarrozzare da te? ».
« Come ho
detto, è appariscente. Noi ci sforziamo di passare inosservati »
« Non ci
riuscite >> scese dall'auto
ridendo e scuotendo la testa. << Ma allora, perché Rosalie oggi ha preso
la sua macchina, se è così vistosa? ».
Perché
avevo deciso di comportarmi da cattivo ragazzo:
« Non te ne
sei accorta? Sto infrangendo tutte le regole ». le andai incontro e la
accompagnai all'ingresso della scuola camminandole vicinissimo. Per il momento
era l’unica cosa che riuscivo a fare, non me la sentivo di colmare quella
piccola distanza.
« Ma perché
comprate macchine del genere, se siete gelosi della vostra privacy? » .
« Un
capriccio », ammisi, con un sorriso malizioso. « Ci piace andare veloce ».
« Ovviamente
», mormorò tra sé.
Al riparo
del portico della mensa, Jessica la stava aspettando con gli occhi fuori dalle
orbite. Tra le braccia, stringeva ilgiubbotto di Bella.
“Ma quello
è… quello è…Edward Cullen”
A quanto
pareva vedermi accanto alla sua amica la stupiva proprio tanto.
« Ehi,
Jessica », disse Bella, a pochi metri da lei. « Grazie per essertene ricordata
» le allungò il giubbotto in silenzio.
« Buongiorno,
Jessica », dissi io, educato.
“Si è
rivolto a te…dì qualcosa, dannazione!”
Che
pensieri infantili!
« Ehm...
ciao » lei lanciò un'occhiata sbalordita a Bella, mentre cercava di riordinare
le idee. « Be', ci vediamo a trigonometria ».
“Escono
insieme di nascosto?E lei che cosa prova per lui? Devo assolutamente saperlo”
« D'accordo,
ci vediamo dopo ».
Se ne andò,
ma per due volte si fermò a sbirciare verso di noi.
« Cosa le
racconterai? », mormorai.
« Ehi, ma allora
mi leggi nel pensiero! ».
« No »,
risposi, sorpreso. Poi capii, e il mio sguardo si accese. « Però riesco a
leggere nel suo: ti prenderà d'assalto appena
entri in
classe ».
Sbuffò
levandosi il mio giaccone per indossare la sua giacca a vento. Me lo restituì
e lo tenni piegato sottobraccio.
« Perciò,
cosa le racconterai? ».
« Mi dai un
aiutino? », supplicò. « Cosa vuole sapere? ».
« Non è
corretto » scossi il capo, sorridendo beffardamente.
« No, non è
corretto che tu non metta a disposizione certe informazioni ».
Meditai per
qualche istante, finché non giungemmo alla porta della sua classe. Forse non
aveva tutti i torti:
« Vuole
sapere se usciamo assieme di nascosto. E vuole che tu le dica ciò che provi per
me », dissi infine.
« Oddio. E
io cosa dovrei rispondere? ».
« Mmm ». Mi
fermai per catturare una ciocca ribelle che le sfiorava il mento e rimetterla
al suo posto. Non era stato così difficile come gesto. « Penso che potresti
rispondere di sì alla prima domanda... se non è un problema per te: è la spiegazione
più facile da dare ».
« Non è un
problema », rispose, con un filo di voce.
E cosa
provava per me ero il primo a chiedermelo, ogni volta che incontravo i suoi
occhi.
<< Quanto
all'altra... be', anch'io sarò curioso di sentire la risposta » le dissi con
un mezzo sorriso.
Non le
diedi il tempo di ribattere, feci per andarmene.
« Ci
vediamo a pranzo », dissi, voltandomi. Tre ragazzi intenti a entrare in aula
si fermarono a osservarla.
“Cullen che
mostra interesse verso qualcuno?”
Ignorai quel
pensiero, concentrandomi su un’altra voce: quella di Newton.
“Meglio che
mi rassegni. Io e Bella potremo essere solo amici…tanto vale parlare del più e
del meno”
« Com'è
andata a Port Angeles? ».
« È
andata... » rispose Bella, poi fece una pausa. « Benone » un’altra pausa. « Jessica
ha comprato un vestito davvero carino ».
« Ha detto
qualcosa a proposito di lunedì sera? »,
A quel
punto smisi di stare in ascolto: non ero minimamente interessato alla presunta
relazione tra quei due. Anche perché sapevo che a quel ragazzo interessava
molto di più Bella che Jessica.
Ascoltai
distrattamente le menti dei compagni di corso di Bella delle sue materie
successive, era tanto per vedere riflesso in loro il suo viso.
Mi
concentrai del tutto solo quando apparve nella mente di Jessica:
“Finalmente!!”
« Dimmi! »,
« Cosa vuoi
sapere? ».
« Cos'è
successo ieri sera? ».
« Mi ha
portata a cena, poi mi ha accompagnata a casa ».
“Tutto in
così poco tempo…Quando l’ho chiamata era già a casa!”
« Come hai
fatto a tornare a casa così presto? ».
« Guida
come un pazzo. Ero terrorizzata »
Che noia,
ma possibile che la mia guida l’avesse così traumatizzata? Non ero affatto
d’accordo con lei, la mia guida era impeccabile.
« È stato
una specie di appuntamento? Eravate d'accordo? ».
« No: sono
stata molto sorpresa di incontrarlo ».
“Peccato”
« Ma oggi
ti ha accompagnata a scuola, no? ».
« Sì... ma
anche questa è stata una sorpresa. Ieri sera si è accorto che ero rimasta
senza giacca » .
Sbadata
come al solito…
« Perciò,
uscirete ancora? ».
« Si è
offerto di accompagnarmi a Seattle, sabato, perché è convinto che il mio
pick-up non ce la farà. Vale come un appuntamento? ».
« Sì »,
« Be',
allora sì ».
“Non ci
posso credere: Bella ed Edward Cullen!”
« W-o-w… Edward Cullen ».
« Lo so ».
"
« Ti ha
baciata? ».
Cosa?!
Baciarla, ma…
« No, non è
come pensi ».
“Uffa…che
aspetta!”
Aspettavo
d’essere pronto: non potevo correre il rischio di ucciderla.
« Pensi che
sabato... »
« Ne dubito
fortemente».
“Voglio più
dettagli!”
Certo che
era davvero invadente come persona. Ero contento di non trovarmi al posto di
Bella.
« Di cosa
avete parlato? »,
« Non so,
Jess, un sacco di cose…Abbiamo parlato del saggio di inglese per un po' ».
“Ma mi farà
morire di curiosità…”
« Ti prego,
Bella…qualche particolare in più ».
« Be'...
d'accordo, uno solo. Avresti dovuto vedere la cameriera: gli ha fatto una
corte spietata. Ma lui non se l'è filata! >>
La
cameriera, davvero? Non ci avevo fatto caso.
« Buon
segno. Era carina? ».
« Molto. E
avrà avuto diciannove o vent'anni ».
Non
ricordavo neanche la sua fisionomia. Avevo in testa altro, come per esempio il
volto della ragazza che mi sedeva di fronte.
« Meglio
ancora. Vuol dire che gli piaci ».
Mah forse
non era del tutto stupida, Jessica.
« Penso di
sì, ma è difficile dirlo. È sempre così criptico »,
<< Non
so dove trovi il coraggio di restare sola con lui »,
« Perché? »
« Mette
così... in soggezione. Io non saprei cosa dirgli ».
Jessica
ripensò al saluto di quella mattina, ero riuscito a metterla proprio K.O.
« A dire la
verità, anch'io ho qualche problema di lucidità quando è nei paraggi ».
“Che
importanza ha…è talmente bello che gli si può perdonare tutto”
« Oh, be'.
È bello da non crederci, non c'è dubbio ».
« E poi, in
lui, c'è molto altro ».
« Davvero?
Per esempio? ».
“Non
tradirmi, Bella!” lo pensai, ma ero certo che non lo avrebbe fatto.
« Non so
come spiegarlo... Ma dietro la facciata è ancora più incredibile >>
« Davvero? »,
Bella non
rispose, ma Jessica non demorse.
« Perciò ti
piace? »
« Sì »
“Grazie, a
chi non piace!”.
« Voglio
dire, ti piace davvero? »
« Sì »
Che nervi,
Jessica non era una grande osservatrice: chissà se Bella nell’ammetterlo fosse
avvampata di vergogna?!
“Uffa, ma
le costa tanto essere più precisa?”
« Quanto
ti piace? ».
« Troppo » una
pausa « Più di quanto io piaccia a lui. Ma credo proprio di non poterci fare
niente ».
Dischiusi
le labbra nell’ascoltare quella risposta: non poteva dire sul serio, non poteva
esserne convinta.
E se
davvero credeva che lei mi piacesse in misura minore di quanto io piacessi a
lei, si sbagliava di grosso: la mia freddezza evidentemente l’aveva deviata, ma
era proprio quella che sottolineava quanto in realtà ci tenessi.
Quella sua
convinzione, mi irritò parecchio, non aveva fiducia in me…non mi credeva del
tutto quando le dicevo d’essere ansioso per lei, quando temevo per la sua
incolumità.
Per il
resto della lezione Jessica non trovò più l’occasione di porle altre domande, e
al suono della campanella Bella sviò furbamente il discorso su Newton.
Costringendomi a smettere di ascoltare, erano una noia quei due!
“Che
fretta, di andare a mensa”
Penso
Jessica quando la loro lezione di spagnolo finì.
« Oggi non
mangi assieme a noi, vero? » le chiese.
« Non penso
».
Malfidata,
avrebbe dovuto rispondere con un no deciso. Infatti ad aspettarla fuori dalla
porta della classe, appoggiato al muro, trovò me.
« A dopo,
Bella » la salutò Jessica.
“Vorrò i
particolari…”
Smisi di
ascoltare Jessica, dando tutta la mia attenzione a Bella.
« Ciao » le
mostrai sia il mio divertimento che la mia irritazione.
« Ciao ».
Per tutto
il tragitto fino alla mensa non parlammo: lei probabilmente era in imbarazzo,
io prendevo tempo soppesando le parole che avrei usato da lì a poco.
La precedetti
nella coda, sempre zitto, ma senza smettere di lanciarle occhiate pensierose.
Più le stavo vicino, e più l’irritazione per quell’assurdo pensiero cresceva in
me.
Mi
avvicinai al bancone, e riempii il vassoio di cibo.
« Cosa fai?
Non starai prendendo tutta quella roba per me? ».
Scossi il
capo e avanzai verso la cassa.
« Metà è
per me, ovviamente »
Alzò un
sopracciglio, poco convinta.
Mi seguì
fino allo stesso tavolo a cui ci eravamo seduti la volta precedente. Non mi
curai delle occhiate e dei pensieri stupiti dei ragazzi intorno a noi.
« Scegli
pure », dissi, porgendole il vassoio.
« Sono
curiosa... », disse, prendendo una mela e rigirandosela tra le dita. « Come
reagiresti se qualcuno ti sfidasse a mangiare del cibo? ».
« Curiosa
come al solito » feci una smorfia e scossi il capo. La guardai di sottecchi,
mentre prendevo un trancio di pizza dal vassoio e lo mordevo soddisfatto,
masticandolo e ingoiandolo in un baleno. Mi guardava incredula, non potendo
sapere il sapore disgustoso che aveva per me.
« Se
qualcuno ti sfidasse a mangiare spazzatura potresti farlo, no? », chiesi, con
un filo di arroganza.
« Una volta
è successo... una scommessa. Non era così male » disse arricciando il naso.
« La cosa non mi sorprende più di tanto »
risi. Poi fui distratto da qualcosa alle sue spalle.
“Vediamo,
Edward, come ti comporti…ne farò un resoconto a Bella”
« Jessica
sta analizzando tutti i miei movimenti... più tardi ti farà un resoconto
dettagliato » le offrii il resto della pizza. Leggere il pensiero di Jessica
fece riaffiorare un pizzico di irritazione.
Posò la
mela e addentò il trancio di pizza, guardando altrove.
« Perciò, la
cameriera era carina? », chiesi, ingenuamente.
« Non te ne
sei accorto? » chiese tornando a guardarmi.
« No, non
ci ho fatto caso. Avevo altro per la testa ».
« Poveretta
>>
Era
arrivato il momento di andare al sodo della questione: spiegarle perché ero
così irritato.
« Una delle
cose che hai detto a Jessica... be', mi infastidisce un po' >> le dissi
lanciandole una sguardo inquieto.
« Non mi
sorprende che tu abbia sentito qualcosa di spiacevole. Sai quel che si dice di
chi origlia... ».
« Ti ho
avvertita che sarei rimasto in ascolto ».
« E io ti
ho avvertito che non avresti gradito conoscere tutti i miei pensieri ».
« In effetti,
mi avevi avvertito » ammisi senza addolcire la voce. « Però, non credo tu abbia
ragione fino in fondo. Voglio sapere sì ciò che pensi, e tutto. Soltanto, mi
piacerebbe... che non pensassi certe cose ».
« Bella differenza » disse sarcastica,
mettendo il broncio.
« Ma non è
questo il problema, al momento ».
« E quale
sarebbe? ».
Ci stavamo
entrambi sporgendo sul tavolo, l'uno di fronte all'altra. Io tenevo le mani sotto
il mento; lei si copriva il collo con la destra. Non m’importava nulla della
folla che probabilmente guardava verso di noi, volevo mettere in chiaro le
cose.
« Sei
davvero convinta di piacermi meno di quanto io piaccia a te? », mormorai
facendomi più vicino e inchiodandola con occhi intensi.
Rimase in
silenzio, immobile sembrava neanche respirare. D’improvviso volse lo sguardo
altrove.
« Lo stai rifacendo
», disse fra i denti.
Ma di cosa
mi rimproverava ogni volta?!
« Cosa? » sgranai gli occhi sorpreso.
« Stai cercando
di incantarmi », ammise tornando a guardarmi.
Questa
poi…non stavo cercando di fare proprio un bel niente!
« Ah »,
risposi, accigliato.
« Non è
colpa tua », sospirò. « Non ci puoi fare niente ».
« Mi vuoi
rispondere? »
« Sì »
abbassò lo sguardo.
« Sì mi
vuoi rispondere, o sì ne sei davvero convinta? » chiesi irritato fino alla
punta dei capelli.
« Sì ne
sono convinta » teneva il capo chino, gli occhi fissi sulla superficie del
tavolo. Il silenzio iniziava a pesare. Bella sembrava essere lungi dal volerlo
spezzarlo, così mi decisi a farlo io.
« Ti sbagli
» sentenziai a voce bassa ma nuovamente gentile.
« Non puoi
esserne sicuro », sussurrò scuotendo il capo.
« Cosa te
lo fa pensare? » la squadrai ansioso, che avrei dato per prelevare la verità
direttamente dalla sua mente.
Mi fissò a
sua volta. Cominciavo ad essere sempre più impaziente ma lei continuava a
restare in silenzio, la mia espressione si fece scura. Solo accorgendosene alzò
il dito della mano destra.
« Ci devo
riflettere », insistette.
Soddisfatto dalla risposta promessa, mi rilassai.
Posò la mano sul tavolo, la congiunse all'altra. Intrecciava e scioglieva le
dita, nervosamente:
« Be',
ovvietà a parte, a volte... non mi sento sicura - non sono capace di leggere
nel pensiero, io - e ogni tanto ho la sensazione che mentre mi dici certe cose
in realtà tu stia cercando di lasciarmi perdere ».
« Perspicace
», sussurrai. Nel sentire quelle parole l’angoscia tornò a far visita al mio
cuore. « Purtroppo, è proprio qui che ti sbagli », cercai di spiegarmi, ma
all'improvviso strizzai le palpebre. « Cosa intendi per "ovvietà"? »
« Be',
guardami », disse ma la stavo già guardando e non trovavo una spiegazione
valida che giustificasse quella “ovvietà”. Lei proseguì. « Sono una ragazza
assolutamente normale... Certo, a parte difetti come gli incidenti quasi
mortali e una goffaggine degna di una disabile. E guarda te » mi indicò, ma non
capii del tutto il paragone che aveva fatto.
Alzai un
sopracciglio, irritato, ma mi rilassai all'istante e nei miei occhi, sono
sicuro, apparve uno sguardo intelligente. « Credo che tu non abbia una buona
percezione di te stessa. Devo ammettere che quanto ai difetti ci hai azzeccato »,
risi sarcastico, « ma tu non hai sentito cos'hanno pensato tutti gli studenti
maschi di questa scuola quando ti hanno vista la prima volta ».
Sgranò gli
occhi stupita:
« Non ci credo... », disse, tra sé e sé.
« Per una
volta fidati, se ti dico che sei l'esatto contrario della normalità » mormorai
facendo trasparire dal mio sguardo la mia attrazione per lei.
« Ma io non
sono intenzionata a lasciarti perdere », rimarcò.
« Non
capisci? È la dimostrazione che ho ragione io. Ci tengo più di te, perché se
ci riuscissi », e scossi il capo, per cercare d’accettare l'idea controvoglia,
« se andarmene fosse la scelta migliore, sarei disposto a danneggiare me
stesso, pur di non ferirti, pur di proteggerti ».
« E non credi che sia lo stesso per me? »
domandò facendosi torva.
« Non è a
te che spetta questa scelta ».
Era lei che
rischiava la vita anche se…sfoderai un sorriso beffardo soggiungendo:
« Certo,
darti protezione sta diventando un lavoro a tempo pieno che richiede la mia
presenza costante ».
« Oggi
nessuno ha cercato di farmi fuori ».
« Non
ancora », aggiunsi.
« Non
ancora ».
« Ho
un'altra domanda » sentenziai dignitosamente.
« Spara »
« Hai
davvero bisogno di andare a Seattle, questo sabato, o era soltanto una scusa
per evitare di dire no a tutti i tuoi ammiratori?»
« Guarda,
non ti ho ancora perdonato per la faccenda di Tyler. È colpa tua se continua
a illudersi di potermi invitare al ballo di fine anno » mi avvisò storcendo la
bocca.
« Oh,
avrebbe trovato l'occasione per chiedertelo anche se non ci fossi stato io:
morivo soltanto dalla voglia di vedere la tua reazione », dissi, sghignazzando.
« Se te l'avessi chiesto io, avresti scaricato anche me? », domandai, senza
smettere di ridere.
« Probabilmente
no », confessò. « Ma all'ultimo momento avrei cancellato l'invito... avrei
finto una malattia o una caviglia slogata ».
« E perché
mai? » chiesi confuso.
« Immagino
che tu non mi abbia mai vista in palestra, ma pensavo che avresti capito »
scosse il capo mesta.
« Ti
riferisci al fatto che non sei in grado di camminare su una superficie piana e
solida senza inciampare? ».
« Ovviamente
».
« Non
sarebbe un problema » spiegai sicuro di me. « Dipende tutto da chi guida ».
Sapevo che stava per ribattere, così nongliene lasciai il tempo. « Non mi hai ancora risposto: vuoi davvero
andare a Seattle, o ti andrebbe se facessimo qualcos'altro? ».
« Sono
aperta a tutte le proposte, ma devo chiederti un solo favore ».
« Cosa? »
le sue risposte vaghe mi allarmavano sempre.
« Posso
guidare io? ».
« Perché? » aggrottai le sopracciglia,
confuso.
« Be',
prima di tutto perché quando ho detto a Charlie che sarei andata a Seattle, lui
mi ha chiesto se fossi da sola, e visto che così era l'ho rassicurato. Se me lo
chiedesse di nuovo non potrei mentirgli, ma non credo che lo farà: lasciare il
pick-up a casa, però, lo porterebbe a sollevare la questione. In secondo luogo,
la tua guida mi terrorizza ».
Alzai gli
occhi al cielo, esasperato: proprio non accettava il modo in cui guidavo!
« Con tutto
ciò che in me potrebbe terrorizzarti, ti preoccupi di come guido » scossi il
capo con una smorfia, poi tornai serio. « Non vuoi dire a tuo padre che passerai
la giornata con me? » ero troppo spaventoso da presentare ad un padre?!
« Con Charlie,
meno si dice, meglio è » disse perentoria. « E comunque, dove andremmo? ».
« Ci sarà
bel tempo, perciò dovrò restare lontano da sguardi indiscreti... e se ti va, puoi
venire con me » la lasciai completamente libera di scegliere.
« Mi
mostrerai quel che dicevi a proposito della luce solare? », chiese, palesemente
eccitata.
« Sì ».
Sorrisi, e tacqui. « Ma anche se non vuoi restare... sola con me, preferirei
che tu non te ne andassi a Seattle per conto
tuo. Tremo
al solo pensiero dei guai in cui potresti cacciarti in una città così grande ».
« Phoenix è
tre volte Seattle, e solo quanto a popolazione. Le dimensioni... » disse
stizzita.
« Ma a
quanto pare », la interruppi, « a Phoenix non era ancora giunta la tua ora.
Perciò preferirei che mi stessi accanto ». Dissi lanciandole un’occhiata
intensa.
« Si dà il
caso che restare sola con te non mi dispiaccia affatto ».
Già, ormai
lo avevo capito, e da una parte avevo sperato che lei mi rifiutasse.
« Lo so »,
sospirai, rassegnato. « Però dovresti dirlo a Charlie ».
« E perché
mai dovrei? ».
« Così avrò
un briciolo di motivazione in più per riportarti a casa » ammisi, guardandola
con uno sguardo severo.
La mia
affermazione la lasciò muta per qualche istante, poi rispose decisa:
« Penso che correrò il rischio ».
Sbuffai e
guardai altrove, nervoso.
« Parliamo
d'altro », suggerì.
« Di cosa
vuoi parlare? » chiesi irritato.
Diede
un'occhiata attorno per controllare che nessuno ci potesse udire.
« Perché
sei andato a Goat Rocks, lo scorso fine settimana, a caccia? Charlie dice che
ci sono gli orsi, non è un gran posto per
fare
trekking ».
La fissai facendole
capire che stava scordando un particolare evidente.
« Orsi? »
esitò , ed io feci un sorrisetto. « Be', non è la stagione degli orsi »,
aggiunse, per nascondere il turbamento.
« Le leggi
sulla caccia regolano solo quella con le armi, se vuoi controlla pure ».
La studiavo
divertito.
« Orsi? »,
ripeté, con una certa difficoltà.
« Emmett va
matto per il grizzly » non mi scomposi più di tanto. Ero vigile alle sue
reazioni, non volevo farla allarmare in nessuna maniera.
« Mmm »,
disse, addentando un altro trancio di pizza distogliendo gli occhi da me.
Masticò piano e prese un lungo sorso di Coca coprendosi il viso con il
bicchiere.
« Allora »,
disse dopo un istante, incontrando finalmente il mio sguardo ansioso, « Il tuo
preferito, qual è? ».
La guardai
di sbieco, e sulle labbra m’apparve una smorfia di disapprovazione.
« Il puma ».
« Ah », rispose
in tono educato e disinteressato, riafferrando la bibita: qualcosa l’aveva
turbata.
« Ovviamente
», continuai, con un tono di voce che scherniva il suo, « Dobbiamo stare
attenti all'impatto ambientale e cacciare con un certo giudizio. Di solito ci
concentriamo sulle aree sovrappopolate di predatori, a qualunque distanza si
trovino. Da queste parti c'è abbondanza di alci e cervi, e tanto basta, ma dov'è
il divertimento? ». Sorrisi, malizioso.
« Eh, già,
dove?» , mormorò, dando un altro morso alla pizza.
« A Emmett
piace andare a caccia di orsi all'inizio della primavera: appena usciti dal
letargo sono più irritabili ». Sorrisi ripensando a qualche nostra vecchia
battuta: era comica la scena di Emmett che rincorreva un orso, entrambi molto
irritati.
« Non c'è
niente di più divertente di un grizzly irritato, in effetti ».
« Per favore, dimmi quel che pensi veramente »
sorrisi e scossi il capo.
« Sto
cercando di immaginare... ma non ci riesco. Come fate a cacciare gli orsi senza
armi? ».
« Be',
qualche arma l'abbiamo » con un sorriso fulmineo e minaccioso le mostrai i
denti affilati. Si sforzò di reprimere un brivido. « Non il genere di strumenti
che i legislatori prendono in considerazione quando stendono i regolamenti di
caccia. Se hai visto un documentario su come attaccano gli orsi, dovresti
essere in grado di visualizzare Emmett ».
Non riuscì
a trattenere un altro brivido lungo la schiena. Seguii il suo sguardo e
soffocai una risata. Mi fissò, nervosa.
« Anche tu
somigli a un orso? », chiese a bassa voce.
« Più a un
leone, così dicono », risposi piano. « Forse i nostri gusti rispecchiano il
modo in cui cacciamo ».
Cercò di
sorridere.
« Forse », mi fece eco. « Avrò mai il permesso
di assistere? ».
« Assolutamente
no! » sbiancai d’improvviso, poi il mio sguardo si fece furioso. Arretrò stupita,
probabilmente spaventata dalla mia reazione, ma non vi badai ero troppo
irritato.
« Troppo
spaventoso per me? », chiese, quando fu di nuovo in grado di controllare la voce.
« Se fosse
questo, ti porterei con me stanotte », dissi, con voce tagliente. « Quel che ti
serve è una salutare dose di paura. Non vedo cosa potrebbe darti più beneficio ».
« Ma
allora, perché? », insistette, senza badare alla mia espressione infuriata.
Per un
minuto interminabile la guardai, torvo.
« Più tardi
», risposi, infine, e con velocità mi alzai « Siamo in ritardo ».
Si guardò
attorno, sorpresa, accorgendosi della mensa quasi deserta. Si alzò di scatto
dalla sedia, afferrando lo zaino che penzolava dallo schienale.
« D'accordo, più tardi » sembrava
una minaccia.
Ringraziamenti:
Lady Cat: Caspita che complimento,
ma credo di avere ancora tanto da imparare dalla Meyer!!
Aberlin: No, no, tranquilla
continuerò a postare i capitoli fino alla fine…non ti sbarazzerai tanto
facilmente di me!
Lorelaine86: Grazie mi fa piacere
che ti piaccia molto, spero di non averti fatto aspettare troppo!
Simo1726: Sono molto contenta di
saperti compiaciuta per il mio lavoro.Ho gradito molto la tua recensione e grazie anche per aver aggiunto la
mia storia tra le preferite.
Entrammo
insieme nel laboratorio di biologia, sotto gli sguardi di tutti. Ci accomodammo
al tavolo degli esperimenti, ma non mi sedetti a distanza di sicurezza, anzi i
nostri gomiti per poco non si sfioravano: mi ero abituato al suo profumo, non
era più tanto difficile, forse era dovuto anche al fatto che l’amavo più del
suo sangue.
Entrò il
professor Banner trasportando un alto trespolo con tv e videoregistratore,
entrambi piuttosto malandati.
Il
professore infilò un nastro nel videoregistratore e andò a spegnere le luci.
Al buio
l’intimità tra me e Bella esplose tutta insieme, avrei potuto sfiorarle una
mano, nessuno ci avrebbe notato, e sarebbe stato un attimo solo nostro. Ma non
lo feci, nonostante la forte tentazione.
I titoli di
testa irradiavano leggermente la stanza. Mi voltai verso di lei, ed incontrai i
suoi occhi, ricambiai il suo sorriso e notai che eravamo seduti nella stessa
posizione: a braccia conserte, le mani bloccate sulle costole.
L'ora di
lezione sembrò molto lunga. L’elettricità librata nell’aria non accennava a
spegnersi, così come il desiderio di colmare quella poco distanza tra di noi,
prendendole la mano. Guardai il filmato, ma non riuscii a restare con gli occhi
fissi sullo schermo per più di cinque minuti, tanto più che sembrava di una
noia mortale. No, molto più interessante osservare di sottecchi Bella, mi
compiacque notare che anche lei era più attratta da me, ma tutta questa
attrazione reciproca tra noi m’inquietava.
Quando il
professor Banner riaccese le luci in fondo alla classe, Bella si lasciò
scappare un sospiro di sollievo e stirò le braccia, muovendo di nuovo le dita come
se fossero irrigidite. Ridacchiai, almeno io non avevo di quei problemi.
« Be',
interessante ». Il mio tono di voce era cupo, lo sguardo pieno di cautela.
Ovviamente non mi riferivo al filmato ma all’elettricità scatenatasi tra di
noi.
« Mmm
>>
« Andiamo? »,
chiesi alzandomi.
L’
accompagnai in palestra senza parlare, e appena mi fermai sulla soglia si voltò
per salutarmi. Allontanarmi dall’aula di biologia non aveva spento il desiderio
di sentire sotto la mia mano la sua pelle. Ero devastato dall’indecisione,
volevo farlo ma al contempo ne avevo paura.
Sollevai la
mano, indeciso, esitante, stavo letteralmente combattendo contro me stesso: ce
l’avrei fatta?!
Alla fine
la tentazione ebbe la meglio, accarezzai svelto il profilo della sua guancia,
con la punta delle dita. Era stato così strano, la sua pelle era cosi morbida e
calda. Restai sconcertato per qualche secondo.
Mi voltai
incapace di parlare- se il cuore fosse stato capace di battere credo che
sarebbe impazzito- e mi allontanai a grandi passi.
Non seguii
neanche per un secondo la lezione della professoressa Goff: Bella mi aveva
incuriosito durante il pranzo, non poteva essere così male come diceva. Mi misi
in ascolto tramite la mente di Newton nonostante m’irritasse particolarmente
come persona.
Il professor
Clapp, mise in mano a Bella una racchetta da badminton. Mi venne da ridere
all’istante, ma il sorriso svanii quando Newton le propose di fare coppia con
lui: continuava a girarle intorno!
La partita
iniziò e potei constatare la verità in ciò che Bella mi aveva raccontato
durante il pranzo: in qualche modo riuscì a colpire la sua stessa testa e a
centrare la spalla di Mike con un movimento solo, sorrisi sotto i baffi, il
colpo a Newton fosse stato per me glielo avrei inflitto di proposito. Passò il
resto dell'ora nell'angolo del campo più lontano dalla rete, con la racchetta
nascosta dietro la schiena.
La partita
fu vinta da loro, Newton le diede il cinque, anche se il merito lo si poteva
attribuire solo a lui, beh un gesto apprezzabile, forse non era del tutto da
buttare via come persona.
« E allora »,
disse, mentre si allontanavano dal campo.
« Allora
cosa? ».
« Tu e
Cullen, eh? »,
Le ultime
parole famose:
“Che ci
troverà in lui” pensò.
« Non è
affar tuo, Mike ».
« Non mi
piace », bofonchiò,
“Non fa per
lei, ci vorrebbe qualcuno tipo…”
Lui?! Ah
sì, certo il ragazzo perfetto per Bella.
« Non è che
debba piacere a te ».
« Ti guarda
come se fossi... qualcosa da mangiare », proseguì.
Camminavo
veloce lungo il corridoio, per poco dall’irritazione non sbattei contro il muro
il primo malcapitato che mi passò accanto. Ma resistetti e continuai per la mia
strada.
L’aspettai,
appoggiato al muro della palestra, con aria disinvolta, senza l'ombra di un
pensiero sul viso. Mi affiancò:
« Ciao »,
disse, con un sospiro e un sorriso luminoso.
« Ciao »
ricambiai con un ampio sorriso. « Com'è andata in palestra? ».
« Bene », mentì
« Davvero? »chiesi
scettico sapendo la verità. Socchiusi gli occhi che misero a fuocoNewton dietro le sue spalle.
« Che c'è? »,
chiese.
Tornai a
fissarla, con lo stesso sguardo teso.
« Newton
inizia a darmi sui nervi».
« Non dirmi
che ti sei rimesso ad ascoltare » disse contrariata.
« Come va
la testa? », chiesi innocentemente, ignorando la sua irritazione.
« Sei
incredibile! » si voltò, accelerando ilpasso verso il parcheggio.
Le stavo
accanto senza nessuna difficoltà.
« Sei stata
tu a incuriosirmi: hai detto che non ti avevo mai vista in palestra » le ricordai,
per nulla pentito di ciò che avevo fatto, anzi ne ero contento. Conoscevo un
altro lato di lei.
Procedemmo
in silenzio fino alla mia auto. Ma a pochi passi di distanza fummo costretti ad
arrestarci: la macchina era attorniata da una folla di ragazzi, tutti maschi.
Non guardavano la Volvo ma la cabriolet rosso fiammante di Rosalie:
“Caspita
che macchina!”
I pensieri
erano piuttosto concordi.
Nessuno si
accorse di me che mi facevo spazio per aprire la portiera. Una volta entrambi
nell’abitacolo:
« Appariscente
», bofonchiai. Era dire poco data la folla che s’era creata.
« Che
macchina è? ».
« Una M3 ».
« Tradotto
per i comuni mortali? ».
« Una BMW »alzai gli occhi, senza guardarla, intento a
fare retromarcia evitando di investire gli ammiratori.
Annuì in
silenzio.
« Sei
ancora arrabbiata? », chiesi, a manovra conclusa.
« Assolutamente
sì ».
« Se chiedo
scusa mi perdoni? » chiesi sospirando.
« Forse...
se sei sincero. E in più se prometti che non lo rifarai ».
« E se sarò
sincero e in più ti lascerò guidare, sabato? » rilancia, sicuro che
avrebbe gradito l’offerta.
Ci pensò un
attimo:
« Aggiudicato
».
« Bene, mi
dispiace molto di averti fatta arrabbiare » gli occhi mi si fecero sinceri per
qualche istante per poi tornare giocosi. « E sarò sulla soglia di casa tua
sabato mattina presto ».
« Uhm, una
misteriosa Volvo sul vialetto non ci aiuterà di certo, con Charlie ».
« Non ho detto che verrò in auto » sorrisi
comprensivo.
« Ma
come... ».
La
interruppi:
« Non preoccuparti. Ci sarò, senza macchina ».
« "Più
tardi" è arrivato? », chiese, con un tono eloquente.
« Pensavo fosse più tardi » dissi tornando
serio.
Arrestai la
macchina. Eravamo arrivati di fronte casa sua, parcheggiati dietro il pick-up.
« Vuoi
ancora sapere perché non ti posso portare a caccia? » ero serio ma non nascosi
un punta d’ironia.
« Be', più
che altro mi chiedevo il perché della tua reazione ».
« Ti ho
spaventata? ».
« No »,
mentì.
« Ti chiedo
perdono per averti terrorizzata », insistetti, abbozzando un sorriso, ma
subito dopo mi sbarazzai di ogni accento ironico, « È stato soltanto il
pensiero della tua presenza... durante la caccia ».
Il pensiero
di averla vicino durante la caccia, momento in cui mi lasciavo condurre
esclusivamente dai sensi, mi fece irrigidire.
« Non
sarebbe il caso? ».
« Nemmeno per scherzo » dissi digrignando i
denti.
« Perché? ».
Feci un
respiro profondo e osservai, al di là del parabrezza, le nuvole dense e veloci
che sembravano schiacciarci, quasi a portata di mano.
Cominciai a
parlare lentamente e controvoglia: non mi piaceva molto spiegarle quel lato di
me, il lato più brutto del mio essere.
« Quando
cacciamo, ci abbandoniamo ai sensi... e non è la mente a governarci. Seguiamo
soprattutto l'olfatto. Se nel perdere il controllo sentissi che sei vicina... »
scossi la testa, senza staccare lo sguardo assorto dalle nuvole dense.
La guardai
in cerca di un segnale che mi rivelasse la sua reazione, ma la sua espressione
era indecifrabile. Era sempre così calma.
Non staccai
gli occhi dai suoi, e il silenzio si faceva sempre più denso, e diverso.
L'atmosfera si fece sovraccarica: si accese una nuova ondata di elettricità.
Quando ruppe il silenzio sospirando con un tremito, chiusi gli occhi.
« Bella,
credo che a questo punto dovresti rientrare » la mia voce era bassa e roca, lo
sguardo di nuovo tra le nuvole.
Aprì la
portiera, poggiò il piede con attenzione e la richiuse senza guardare
indietro. Il ronzio del finestrino elettrico la fece voltare.
« Ah,
Bella? », la chiamai con voce più serena. Mi sporsi dal finestrino aperto con
la traccia di un sorriso sulle labbra.
« Sì? ».
« Domani è
il mio turno ».
« Per cosa?
».
« Per le domande » dissi sfoderando un sorriso
smagliante.
E poi me ne
andai accelerando lungo la strada e dileguandomi dietro l'angolo, prima ancora
che lei si fosse mossa per rientrare in casa.
Quella
sera, come al solito, andai a farle visita, ma il suo sonno era più agitato del
solito, non faceva che rigirarsi finché non spalancò gli occhi: mi acquattai ai
piedi del letto, sperando che non si sollevasse con il busto.
Rimasi in
silenzio, sentivo il suo respiro farsi via, via più regolare. Poi sospirò e si
girò sul lato sinistro. Mi alzai aderendo al muro della finestra, pronto ad
uscire non appena si fosse riaddormentata. Aspettai paziente che il respiro
mutasse, poi sgattaiolai sull’albero di fronte la sua camera. Ci rimasi fino a
che il cielo lentamente cambiava colore. Scesi e velocemente corsi a casa per
cambiarmi e prendere la macchina.
L’avevo
quasi fatta franca quando alle mie spalle comparvero sia Emmett che Rosalie:
<<
Continui ad infrangere le regole, eh?! >> disse lui.
Non avevo
la minima voglia di voltarmi. Me li immaginavo vicini, Emmett che circondava le
spalle di Rosalie con un
braccio,mentre
lei restava severamente a braccia conserte.
<<
Finirò comunque all’Inferno…tanto vale… >>
<<
Non sei divertente, Edward! >> disse Rosalie con voce stridula.
<<
Figurati, non ne avevo intenzione >>
<<
Almeno potresti, girarti?>>
La guardai
con la coda dell’occhio.
<<
Lascia perdere, Rosalie. Me ne vado >>
Entrai in
garage e presi la Volvo diretto a casa di Bella.
L’aspettai in
macchina, rilassato e sorridente: era lontano il battibecco di poco prima.
« Buongiorno
» la salutai quando prese posto accanto a me « Oggi come stai? » perlustrai il
suo viso, sembrava stanca, e non me ne stupii dopo la notte che aveva passato.
« Bene,
grazie »
« Sembri
stanca » le feci notare, soffermandomi sulle sue occhiaie.
« Non
riuscivo a dormire », confessò, passandosi automaticamente i capelli sulla
spalla a mo' di protezione.
« Neanch’io
», dissi ironico, mentre avviavo il motore.
« Non c'è
dubbio. Diciamo che avrò dormito poco più di te » disse scoppiando a ridere.
« Ci
scommetto ».
« E tu,
cos'hai fatto ieri sera? ».
« Alt. Oggi le domande spettano a me » le
ricordai ridendo.
« Ah,
d'accordo. Cosa vuoi sapere? »
« Qual è il
tuo colore preferito? », chiesi compassato.
Le mie
domande erano molto diverse dalle sue, ma non potendo leggere nella sua mente
non mi restava altro modo che porle delle domande per scoprire qualcosa in più
su di lei.
« Cambia ogni giorno ».
« Oggi qual
è? » volli sapere come se fosse un’informazione di fondamentale importanza.
« Probabilmente
il marrone ».
Soffocai
una risata nel sentire quella risposta:
« Marrone?
», chiesi, scettico.
« Certo. Il
marrone è caldo. Ho nostalgia del marrone. Tutto ciò che in teoria è marrone -
tronchi d'albero, rocce, terra - da queste parti è coperto di roba verde e
viscida ».
L’ascoltavo
revocare colori del posto in cui era cresciuta. La scrutavo fissandola negli
occhi,arrivando a darle ragione.
« Hai
ragione », conclusi, tornato serio, « Il marrone è caldo » approvai
riferendomi al colore dei suoi occhi e capelli. Mi avvicinai, veloce ed esitante
come il giorno prima, per risistemarle i capelli dietro le spalle. Non mi
piaceva che li usasse come scudo, non me lo meritavo affatto.
Giunti a
scuola, mi rigirai verso di lei nel fare manovra.
« Cosa c'è
in questo momento nel tuo lettore CD? », chiesi con la stessa cadenza grave
nella voce.
Quando mi
disse il nome della band, sorrisi di sbieco con una curiosa espressione: era
una band rock. Aprii uno scompartimento alloggiato sotto il lettore CD
dell'autoradio, ne estrassi uno e glielo sventolai sotto il naso.
« Da
Debussy a questo? » chiesi scettico, alzando un sopracciglio.
Non mi
rispose, si limitò a guardare la copertina del Cd con gli occhi bassi.
Continuai
così per tutto il giorno. Mentre l’accompagnavo
alla lezione di inglese, quando la andai
a prendere dopo spagnolo, durante tutta l'ora della pausa pranzo, continuai ad
indagare sui dettagli della sua vita. Quali film le piacevano o non sopportava,
i pochi postiche aveva visitato e i
tanti che avrebbe desiderato vedere, un’infinità sui libri dato che lei si
rivelò un’assidua lettrice, ed io
possedevo un’infinita conoscenza sull’argomento: qualche autore m’era contemporaneo.
Ero per
indole un buon ascoltatore, ma Bella era l’unica incapace d’annoiarmi,dalla sua
bocca uscivano solo frasi ed osservazioni intelligenti, l’avrei ascoltata senza
fine. Per questo ogni volta che faceva una pausa, ponevo altre domande obbligandola
a rispondere e sentire nuovamente la sua voce. Le posi sempre domande semplici
ed apparentemente prive d’importanza. Solo alcune riuscirono a farla arrossire. Ma
ogni suo minimo rossore stuzzicava maggiormente la mia curiosità e cominciavo
una nuova raffica di quesiti.
Quando le
chiesi quale fosse la sua pietra preferita, rispose prontamente che era il
topazio, arrossendo senza alcuna spiegazione logica.
<< A
dire il vero fino a poco fa era il granito >>
La scrutai
incuriosito:
<<
Come mai questo cambiamento >>
Bella volse
lo sguardo altrove, come faceva ogni volta che voleva evitare una risposta.
Ma non mi
arresi, e fui talmente insistente e perentorio da farle confessare il motivo.
« È il
colore dei tuoi occhi, oggi », sospirò, senza distogliersi dalle mani che
giocherellavano con una ciocca di capelli. « Dovessi chiedermelo tra due
settimane ti risponderei che è l'onice ».
Rimasi in
silenzio, allibito per qualche minuto, poi ricominciai il ciclo di domande.
« Quali
sono i tuoi fiori preferiti? ».
Sospirò e
si concesse nuovamente all’interrogatorio.
Durante
l’ora di biologia continuai il mio quiz finché il professor Banner non entrò
in classe, portandosi dietro il solito trabiccolo per gli audiovisivi. Mentre
l'insegnante si avvicinava all'interruttore per spegnere la luce, allontanai la
sedia, sperando di evitare la scarica d’adrenalina verificatasi il giorno
prima, ma non servì a nulla.Incrociai
le braccia sul petto, nella stessa maniera del giorno precedente. Bella si
allungò sul banco, appoggiando il mento alle braccia. Non mi osservò, sembrava
concentrata sul filmato, al mio contrario che non riuscivo ad allontanare il
mio sguardo dalla sua figura. Che strazio quella voglia di passarle una mano
tra i capelli. Solo quando il professor Banner riaccese le luci sospirando si
girò verso di me incontrando i miei occhi.
Mi alzai in
silenzio fermandomi ad aspettarla, immobile. La accompagnai in palestra senza
dire una parola, come il giorno prima. E come il giorno prima, le accarezzai il
viso, muto stravolto dalle emozioni, ma stavolta con il dorso della mano, dalla
tempia al mento. Avevo fatto- se pur minimo- un progresso, era riuscito a
toccarla con più lentezza, aumentando il contatto fisico tra la mia mano e la
sua guancia. Infine in silenzio me ne andai, diretto alla mia prossima lezione.
Non mostrai
particolare attenzione alla lezione, ma mi concentrai sulla mente di Newton
appurando con piacere che lui e Bella non si scambiarono parola.
A fine ora,
corsi davanti la palestra, aspettando l’arrivo di Bella che appena mi vide, mi
dedicò un raggiante sorriso, ricambiai e subito dopo ricominciai il ciclo delle
mie domande.
Volevo
sapere cosa le mancasse di più di Phoenix, e insistevo nel farmi descrivere i
particolari di ciò che non mi era familiare. Restammo di fronte a casa di
Charlie per ore, mentre il cielo si oscurava e cominciò a piovere.
Descrisse
l’odore del creosoto come amaro, leggermente resinoso, ma piacevole; il suono
acuto e lamentoso delle cicale in luglio; gli alberi spogli, leggeri come
piume; l'ampiezza del cielo, che si stendeva bianco e blu da un capo all'altro
dell'orizzonte, disturbato a malapena dalle basse montagne coperte di rocce
vulcaniche violacee.
Non ero del
tutto attratto dal paesaggio che mi stava descrivendo, ciò che lo rendeva
speciale facendo nascere in me la voglia di vedere con i miei occhi un tale
scenario, era perché era legata a quella terra; era parte di lei.
Le chiesi
perché tutto ciò le mancasse e la colsi impreparata: non riusciva a giustificare
una bellezza che non avevo mai visto, al quale non ero masi stato abituato. La
vidi enfatizzare le descrizioni con grandi gesti. L’ascoltavo in silenzio, per
nulla annoiato,contento di vederla parlare senza alcuna traccia d’imbarazzo. I
suoi ricordi di Phoenix si conclusero con la descrizione della sua vecchia
stanza disordinata. Rimasi in silenzio, anziché rispondere con un'altra
domanda.
« Hai finito?
», chiese, sollevata.
«Neanche
per sogno... ma tra poco tornerà tuo padre ».
« Charlie! »,
esclamò in un fiato. Guardò il cielo scuro e gonfio di pioggia, sperando di riuscire a leggerlo. « Quanto è tardi? », si
chiese ad alta voce, controllando l'orologio.
« È il
crepuscolo », mormorai, lo sguardo puntato a ovest, verso un orizzonte coperto
di nubi. Ero perso nelle mie riflessioni; pensavo a quanto lo trovassi malinconico.
Poi tornai
a guardare Bella.
« Per noi è
il momento più sicuro della giornata », dissi, rispondendo alla domanda
silenziosa letta nel suo sguardo. « L'ora più leggera, ma in un certo senso,
anche la più triste... la fine di un altro giorno, il ritorno della notte.
L'oscurità è troppo prevedibile, non credi? » sorrisi immalinconito.
« A me la
notte piace. Se non ci fosse il buio non vedremmo le stelle. Be', non che qui
si vedano granché ».
Risi, contento
che fosse stata in grado di alleggerire l’aria.
« Charlie
tornerà tra qualche minuto. Perciò, a meno che tu non voglia dirgli che sabato
verrai con me... » la guardavo di sottecchi.
« Grazie,
ma... no, grazie »raccolse i libri. « Quindi, domani tocca a me? ».
« Certo che
no! » esclamai fingendo irritazione. « Ti ho detto che non ho ancora finito,
no? ».
« E che
altro manca? ».
« Lo
scoprirai domani » mi allungai ad aprirle la portiera.
Restai
immobile, nel percepire due menti in arrivo:
« Cattive
notizie », bofonchiai.
« Che c'è? »
chiese notando mia mascella contratta.
« Un'altra
complicazione », dissi, cupo.
Aprii la
portiera con una mossa veloce e in un istante mi spostai per evitare il
contatto con lei.
La sua
attenzione fu catturata da un paio di fari nella pioggia e da un'auto scura
che procedeva sull'asfalto verso di noi.
« Charlie è
dietro l'angolo », l’ avvertii.
Scese
dall'auto con un balzo, malgrado la confusione e la curiosità. Cercò di
identificare le sagome sul sedile anteriore dell'altra auto, ma era troppo
buio. Io invece ero riuscito a riconoscere le due figure sull’altra macchina:
Billy Black e suo figlio Jacob.
L’uomo più
anziano era preoccupato nel vedere Bella in mia compagnia, e se da una parte il
suo pensiero era frustrante anche per me, dall’altra mi infastidiva; avrei
tanto voluto dimostrargli quanto fosse inutile la sua apprensione.
Prima che
si avvicinassero troppo a me misi in moto, e le gomme stridettero sull'asfalto fradicio.
Sparii nel giro di pochi secondi. Tornato a casa c’era solo una cosa in grado
di poter rilassare i miei nervi tesi dopo quell’incontro- anche se sarebbe
stato più esatto definirlo scontro- sedermi al pianoforte e lasciarmi condurre
dalle note nate dalle mie stesse mani: chiusi gli occhi e pensai a Bella.
Ringraziamenti:
Lady Cat:
Addirittura illegali?!Mi fa veramente molto piacere che ti sia piaciuto così
tanto. Spero che anche questo soddisfi le tue aspettative.
Aberlin: E
come promesso sono arrivata. Grazie per il complimento,mi rende molto contenta!
Ed inoltre:
Cesarina89
e Suxpicci89 per aver aggiunto la mia storia tra le loro preferite.
_Gioia_per aver aggiunto la mia storia tra le sue
seguite.
Corsi a
gran velocità verso casa di Bella, era una notte tranquilla, nuvolosa ma senza
troppo vento.
Entrai come
di consueto nella sua camera dalla finestra, attento a far il meno rumore
possibile.
Mi
avvicinai al letto sedendole accanto, il suo respiro era lento e regolare,
nonostante il buio pesto riuscii a scorgere i suoi lineamenti rilassati nel
sonno.
Non si
dimenava, né pronunciò parola,profondamente addormentata; sorrisi nel vederla
così tranquilla.
Era da
molto che non si lamentava dei colori troppo verdi di Forks, o di quanto le
mancasse sua madre.
Restavo
seduto su quel letto immobile, trattenendo il respiro, ipnotizzato da suo volto
e dalla sua quiete.
Dato il suo
sonno pesante, mi convinsi di avvicinare una mano al suo viso, con le dite
fredde le sfiorai una guancia, accarezzandola delicatamente e in modo
circolare.
Quando
mosse leggermente il capo e dischiuse le labbra, allontanai istintivamente la
mano da lei: non ero ancora pronto a farle sapere che le facevo compagnia
mentre dormiva, svegliandola.
Sapevo che
il pomeriggio che sarebbe sopraggiunto sarebbe stato decisivo. Avrei capito una
volta per tutte se davvero avrei potuto starle accanto nel modo giusto:
“Non
m’importa, cosa sei”
Le sue
parole risuonavano nella mie orecchie, come poteva non provare mai paura nel
starmi vicino. Una mossa sbagliata, un passo falso e sarebbe finita male. Sia
per me che per lei.
Con
quell’affermazione mi aveva fatto intendere che lei aveva preso la sua
decisione, preferiva correre il rischio piuttosto che interrompere la nostra-
come poterla definire- relazione?!
Ma io, cosa
avrei dovuto fare? Ero al corrente, più di lei, del pericolo in cui la mia attrazione-
ricambiata, per altro- l’aveva messa. Per questo la scelta se allontanarmi da
lei per sempre, era solo mia:ero io che dovevo accettare i miei limiti.
La vedevo
così rilassata davanti a me, a portata di mano,avrei trovato abbastanza forza
da scappare ai miei istinti?!
Alice mi
aveva consigliato di vivere, ma a quale costo?
Guardai un
momento fuori dalla finestra accorgendomi che stava per spuntare il giorno.
<< A
dopo >> sussurrai nell’orecchio di Bella.
Correre era
sempre una grande libertà, districava i nodi che avevo nel cervello e rendeva
il flusso dei pensieri più fluido.
Quella
mattina ebbi più fortuna nel non inciampare nei miei fratelli: solo Alice mi
sosteneva.
Guidai a
gran velocità, arrivai nuovamente di fronte casa di Bella, che l’ispettore Swan
non era ancora uscito di casa.
Lo vidi
solo un quarto d’ora abbandonante dopo salire noncurante sulla sua macchina.
“Mi fa
piacere vedere Bella tanto di buon umore”
E così mi
aveva appena svelato l’umore con cui avrei trovato Bella tra pochi minuti.
Avviai il
motore e parcheggiai dove pochi istanti prima c’era la macchina della polizia,
dovetti attendere solo altri dieci minuti prima di vederla uscire di casa; era
stata puntuale.
L’aspettai
in macchina, con i finestrini abbassati e il motore spento.
Le rivolsi
un mezzo sorriso in segno di saluto: le occhiaie erano sparite.
« Dormito
bene? », chiesi, anche se ero a conoscenza della risposta.
« Sì. E la
tua nottata, com'è stata? ».
« Piacevole
» sorridevo, divertito, anche se lei non poteva sapere il perché.
Era
divertente il fatto che mi chiedesse come trascorrevo le notti, se solo avesse
saputo la verità…
« Posso
chiederti cosa hai fatto? ».
« No » feci
un sorriso. « Oggi è ancora mio ».
Quel giorno
la mia curiosità si concentrò sulle persone che avevano popolato la sua vita
fino a qualche mese prima: notizie su Renée, sui suoi hobby, su ciò che
facevamo assieme nel tempo libero. E poi l'unica nonna che aveva conosciuto,
le sue poche amicizie di scuola, e poi ci fu un momento di imbarazzo quando le
chiesi dei ragazzi con cui era uscita. Ero curioso di chi le fosse piaciuto
prima di incontrarmi. Ma quell’argomento ci portò via ben poco tempo. Mi rivelò
di non avere vecchie fiamme nascoste a Phoenix, la cosa mi stupì:
« Perciò non sei mai uscita con qualcuno che
ti piaceva? », chiesi, serio.
Possibile?!La
scrutavo e mi convincevo sempre di più che i ragazzi che aveva conosciuto in
Arizona avessero qualche problema.
« Non a
Phoenix ».
A quelle
parole le labbra mi si stesero in un sorriso: dopotutto non mi dispiaceva aver
avuto solo io quel privilegio.
A quel
punto della conversazione eravamo già arrivati all'ora della mensa.
Solo in
quel momento mi ricordai del favore che avevo chiesto ad Alice, la quale aveva
accettato volentieri. La forza dell’abitudine me ne aveva fatto dimenticare.
« Forse
oggi era meglio che tu venissi da sola », dissi, di punto in bianco, mentre
masticava una ciambella.
« Perchè? ».
« Dopo
pranzo vado via con Alice ».
« Oh »
sembrava delusa « Non c'è problema, farò una passeggiata ».
« Non
intendo farti tornare a casa a piedi. Andiamo a prendere il pick-up e lo
portiamo qui » le dissi con un’occhiata torva.
« Non ho le
chiavi », sospirò. « Davvero, non è un problema ».
Scossi la
testa:
« Il tuo
pick-up sarà qui e la chiave sarà nel quadro, a meno che tu non tema che
qualcuno lo rubi ». Al pensiero di un tale furto, scoppiai a ridere.
« D'accordo
», rispose, a denti stretti.
Presi la sua
risposta come una sfida. E feci una smorfia, sicuro di me.
« Dove
andate? », chiese.
« A caccia »,
risposi, scuro. « Se voglio restare solo con te domani, devo prendere tutte le
precauzioni possibili » la mia espressione si fece imbronciata ed implorante. «
Ricorda che puoi sempre annullare la nostra uscita ».
Abbassò lo
sguardo prima di rispondere.
« No »,
sussurrò, guardandomi, « Non posso ».
« Forse hai
ragione », mormorai tetro. Una forza più
grande della paura che avrebbe dovuto tenerla lontana da me, la costringeva a
fare il contrario.
« A che ora ci vediamo, domani? »
« Dipende.
È sabato, non vuoi dormire un po' più a lungo? » chiesi premurosamente.
« No »,
rispose troppo in fretta tanto che non riuscii a trattenere un sorriso.
« Al solito
orario, allora. Ci sarà Charlie? ».
« No,
domani va a pesca ».
« E se non
torni a casa, cosa penserà? » chiesi con voce nuovamente fredda.
« Non ho
idea », rispose, senza scomporsi. « Di solito il sabato faccio il bucato.
Penserà che sono caduta nella lavatrice ».
Come poteva
fare dell’ironia su una tale prospettiva?!
Le lanciai
un'occhiataccia, che ricambiò.
« Di cosa vai
a caccia, stanotte? », chiese d’improvviso, rilassando lo sguardo.
« Quello
che troviamo nel bosco. Non ci allontaneremo ».
« Perché ti
fai accompagnare da Alice? ».
« È l'unica
che mi... incoraggia ». Ammisi rabbuiandomi.
« E gli altri?
», chiese timidamente. « Cosa dicono? ».
« Perlopiù sono increduli » dissi corrugando
la fronte.
Lanciò un
breve sguardo dietro di lei ai miei fratelli. Erano tutti seduti al solito
posto, la guardavo inquieto.
« Non gli
piaccio », commentò.
« Non è
questo il problema» , risposi ingenuamente « Non capiscono perché mi
intestardisca con te ».
« Nemmeno
io, se è per questo » ribadì con una smorfia.
Scossi la
testa lentamente, e alzai gli occhi al cielo, prima di incrociare i suoi:
« Te l'ho
detto: tu hai un'idea completamente sbagliata di te stessa. Sei diversa da
chiunque altra abbia conosciuto. Mi affascini ».
Spalancò
gli occhi allibita.
Si aveva
capito proprio bene: ero affascinato da lei.
Sorrisi
cercando di decifrare la sua espressione:
« Grazie a
certe mie qualità », mormorai, toccandomi la fronte, « Ho una comprensione
della natura umana superiore alla media. Le persone sono prevedibili. Ma tu...
tu non fai mai ciò che mi aspetto. Mi cogli sempre di sorpresa ».
Tornò a
osservare i miei fratelli, imbarazzata.
« E fin qui, spiegare è molto facile »,
proseguii.
Continuava
a tenere lo sguardo fisso sui miei familiari, ma io non distolsi i miei da lei.
Volevo
essere sincero, sentivo che era la cosa giusta da fare…ma come avrei potuto
spiegarle cosa sentivo: ci provai.
« Ma c'è di
più... e non è facile da dire a parole... ».
Fui
interrotto nel captare il pensiero di Rosalie:
“ E’ tutta
colpa tua. Piccola, insignificante, umana”
Spostai lo
sguardo verso mia sorella, emisi un ringhio cupo e minaccioso sapendo che sarebbe
stata in grado di udirlo.
Poteva
prendersela con me, poteva accusarmi di tutto, ma doveva lasciare fuori Bella.
Non tolleravo che la trattasse male.
Cercai di
spiegare, nervoso:
« Mi
dispiace. È soltanto preoccupata... Non sarebbe pericoloso soltanto per me, se
dopo aver passato così tanto tempo assieme sotto gli occhi di tutti... »,
abbassò lo sguardo.
« Se? ».
« Se
dovesse finire... male ».
Mi presi la
testa fra le mani: soffrivo combattuto. Non riuscivo a star lontano da Bella, e
il mio bisogno egoistico colpiva tutte le persone che mi erano care, la mia
famiglia e la stessa Bella.
Perché ero
stato colto da una simile debolezza, avrei dovuto trovare la forza di urlare
“no” quando ne ero ancora in tempo. Ma le sue parole, i suoi gesti, i suoi
occhi…tutto di lei mi aveva inchiodato senza speranza di fuga.
Se solo
fosse andata male, non me lo sarei mai potuto perdonare. Immaginai quale
sarebbe potuta essere la mia scelta davanti una tale prospettiva ma la voce di
Bella mi riscosse:
« È ora di andare? ».
« Sì »
mostrai il viso, prima serio, poi sorridente. « Probabilmente è meglio così. Ci
restano ancora quindici minuti di quel maledetto filmato da vedere durante
l'ora di biologia e non penso che li sopporterei ».
Accanto a
me, a sorpresa, spuntò Alice.
La salutai
senza staccare gli occhi da Bella:
« Alice ».
« Edward »,
rispose lei, con la sua solita voce canterina.
« Alice,
Bella... Bella, Alice » le presentai con un gesto disinvolto della mano e un
sorriso obliquo.
« Ciao,
Bella » la salutò con un sorriso amichevole. « Piacere di conoscerti,
finalmente ».
La fulminai
con lo sguardo: odiavo quando cercava di mettermi in imbarazzo.
« Ciao,
Alice », mormorò Bella, timida.
« Sei
pronto? »,michiese Alice.
« Quasi. Ci
vediamo alla macchina » volevo restare un altro po’ in compagnia di Bella.
Mia sorella
se ne andò senza aggiungere altro.
« Devo
augurarvi "buon divertimento", o è l'emozione sbagliata? », chiese.
« No,
"divertitevi" può andar bene » sorrisi compiaciuto dalla
partecipazione che Bella mostrava.
« Allora divertitevi
».
« Ci
proverò. E tu, per favore, cerca di sopravvivere » non ero contento di dovermi
allontanare da lei.
« Sopravvivere
a Forks... che sfida ».
« Per te lo
è » divenni serio « Promettilo ».
« Prometto
che cercherò di sopravvivere. Stasera faccio il bucato, una missione piena di
incognite ».
« Non
cadere nella lavatrice ».
« Farò del
mio meglio ».
Ci alzammo
entrambi.
« Ci
vediamo domani », sospirò.
« Per te è
un'eternità, vero? » la rimproverai.
Annuì
seria.
« A
domattina », promisi, con un mezzo sorriso. Mi sporsi per accarezzarle ancora
la guancia. Poi mi voltai e me ne andai.
Raggiunsi
Alice nel parcheggio, la trovai appoggiata aggraziatamente alla fiancata della
Volvo.
Le sorrisi
scusandomi per l’attesa.
“Nessun
problema”pensò sorridendo a sua volta.
Quando ci
trovammo entrambi nell’abitacolo:
<< Ti
dispiace se facciamo una piccola deviazione? >> le chiesi facendo
manovra.
“Dove
andiamo?”
<< A
recuperare il pick-up di Bella e lo portiamo qui >>
“Ok”
Ecco perché
consideravo Alice la mia sorella preferita: non si chiedeva il perché delle mie
decisioni, se agivo in determinati modi le bastava sapere che lo facevo per
validi motivi, e poi era piacevole la sua compagnia data la sua innata
allegria.
Durante il
viaggio fino a casa di Bella non mi pose domande, i suoi pensieri non mi
riguardavano:
<<
Come mai questa mancanza di curiosità nei miei confronti? >> le chiesi
ironico.
Mi guardò
inclinando il capo da un lato, il sorriso sempre protagonista sulle sue labbra:
“Non c’è
molto da sapere!” strizzò un occhio e poi riprese “E non ti scordare che
passerai molto tempo con me”
Giusto,mi
lasciava ancora qualche istante di privacy.
Parcheggiai
la Volvo nei pressi della casa di Bella, non potendo bloccare l’uscita al
pick-up. Spensi il motore ma lasciai le chiavi nel quadro, poi sia io che Alice
scendemmo dall’auto.
Mi chinai a
raccogliere la chiave da sotto lo zerbino, come le avevo visto fare molte
volte: notai che vicino la porta d’ingresso c’era un gancio, ma non trovai le
chiavi come sperai.
Salii al
piano di sopra, in camera sua mi guardai attorno, respirando il suo odore
colpito dall’essenza di lei: la scrivania era leggermente in disordine, ma il
letto era ben fatto. Pensai a dove avrei potuto trovare le chiavi del pick-up,ulteriore
inconveniente venutosi a creare dall’impossibilità di poter leggerle nella mente.
Mi fermai
al centro della stanza con le braccia incrociate facendo mente locale:
quand’era l’ultima volta che Bella aveva preso il suo mezzo per muoversi? La
data risaliva a parecchi giorni prima, perciò probabilmente le avrei trovate in
qualche jeans smesso. Trovai la lavanderia al piano sottostante, piena di
vestiti da lavare: scartai le magliette fino a risalire al jeans di cui avevo
bisogno, svuotai le tasche e recuperai il bottino.
Risalii in
camera di Bella, presi carta e penna e le scrissi:
Stai attenta.
Saltai giù
dalla finestra, mi avvicinai allo sportello del pick-up, mentre Alice salì
sulla Volvo e si avviò a scuola; di certo sarebbe arrivata prima di me.
Annuii
salendo sul sedile, posai il foglio su quello del passeggero e partii verso
scuola.
Ovviamente
ci misi più del solito, il pick-up non poteva sopportare oltre un certo limite
di velocità.
Recuperai
il foglio che adagiai sul sedile del conducente, lo piegai e scesi lasciando
come promesso la chiavi nel quadro.
Infine
velocemente ripresi la guida della Volvo e sfrecciai in compagnia di Alice
verso casa.
Avevamo
l’intero pomeriggio e tutta la notte a nostra disposizione, accontentandoci di
qualche cervo.
Anche il
loro sangue, se bevuto in abbondanza, mi dava il giusto sostentamento e mi avrebbe
aiutato a sentire meno la sete in gola il giorno successivo.
“Sei
nervoso?”
Puntuale
arrivò la domanda di Alice, nel momento di pausa.
<< Un
po’ >> ammisi sorridendo, lievemente imbarazzato.
“Come hai
deciso di comportarti?”
<<
Dimmelo tu >> la sfidai.
Scosse il
capo con un sorriso enigmatico:
“Non ti
dico proprio un bel nulla”
<<
Antipatica! >> voltai il capo altrove, fingendo risentimento.
Alice si
avvicinò a me, mi diede uno spintone scoppiando a ridere.
“Ma se ti
dico cosa ho visto, poi che gusto c’è?!”
Sospirai
scuotendo il capo. Alice mi si accovacciò di fronte, cercando i miei occhi:
“Stai
tranquillo. Andrà tutto bene”
Ero nervoso
ed inquieto, ma il sorriso che mia sorella fece in quel momento mi contagiò.
<<
Grazie >> le dissi, sentendomi in dovere.
“E di
che?!”
Ma sapeva
esattamente di cosa la ringraziavo: della pazienza, comprensione e fiducia che
aveva riposto in me. Mi era stata molto d’aiuto con le sue parole rassicuranti,
mi aveva fatto sentire meno solo. Era confortante sapere di avere almeno un
alleato in una guerra dura da affrontare.
Infine
restammo ognuno per conto proprio,persi nei nostri pensieri: per quanto mi
riguardava cercavo di restare calmo al pensiero dell’indomani, ma non mi venne
molto facile come cosa.
Se domani
non sarebbe andato come speravo, se avessi commesso- anche il più piccolo degli
sbagli- sapevo cosa avrei dovuto fare razionalmente. Ma quanto mi costava solo
valutare l’ipotesi, figurarsi metterla in pratica.
Solo
qualche ora dopo Alice, tornò a rivolgersi a me:
“Questa
devo dirtela!”
Preso alla
sprovvista com’ero, non mi accorsi della sua agitazione.
<<
Credevo non volessi rivelarmi nulla! >> dissi ironico.
“Non
scherzo, Edward!”
Mi sollevai
con il busto mettendomi a sedere, volsi il capo nella sua direzione ed incontrai
i suoi occhi. La guardai a mia volta, sconcertato.
<<
Che succede?!Così mi allarmi >>
“Perdonami”
fece una pausa guardandosi le mani, strano che fosse così in ansia, non era da
lei. “Ma questa nuova visione devo proprio dirtela”
Mi
avvicinai a lei, mi piegai sulle ginocchia e la presi per le spalle.
<<
Sai che puoi dirmi tutto >> le dissi rassicurandola.
Alice annuì
energicamente con il capo, prima di tornare a guardarmi negli occhi.
“Ho visto
Bella…diversa…”
Non capii
cosa intendesse, o forse non volevo capire. Scossi il capo confuso.
“Insomma,
l’ho vista come noi!”
Mi sentii
ghiacciare più del solito, lasciai ricadere le braccia lungo in fianchi e mi
rialzai.
Tornai a
sederle lontano, volevo restare solo.
“Edward…”
<<
Non accetterò mai l’idea! >> esclamai con troppa durezza. La vidi
dischiudere le labbra per la sorpresa. Feci un sospiro per recuperare la calma
<< Alice, sai meglio di me che il futuro non è certo. Tutto cambia! >> sottolineai l’ultima
parola.
Alice non
disse né pensò nulla al riguardo, intuendo che il discorso finiva lì.
Non avrei
mai potuto permettere che Bella diventasse fredda come il marmo, dura come la
roccia, che le guance smettessero di avvamparle di vergogna…non potevo
sopportare l’idea che la vita smettesse di fluirle nelle vene, che il suo cuore
smettesse di battere.
La visione
di Alice non poteva avverarsi, tutto cambiava e si evolveva. Nulla era dato per
certo, con questo pensiero riuscii a ritrovare parzialmente la calma, l’unica
ansia che nutrivo era per il giorno seguente.
Puntuale
all’ora stabilita, bussai leggermente alla porta di casa sua.
Ero giunto
da lei scuro in volto, a causa della tanta tensione che mi trapassava in tutti
i nervi. Ma poi sorrisi nel vedere come si era vestita: aveva scelto una felpa
marrone chiaro, dalla quale sbucava il colletto di una camicia, con un jeans.
Proprio l’abbigliamento che avevo scelto anche io.
« Buongiorno
» risi sotto i baffi.
« Cosa c'è
che non va? » mi chiese stupita.
« Stessa
divisa » le fecinotare, continuando a
ridere.
Chiuse la
porta, mentre mi avvicinavo al pick-up. L’aspettai dalla portiera del
passeggero, come un prigioniero condannato a morte.
« Gli
accordi sono accordi », precisò, palesemente compiaciuta. Salì dalla parte del
conducente, e si allungò per aprirmi la portiera.
« Dove
andiamo? >> chiese.
« Allaccia
la cintura: sono già nervoso » aveva già poca stabilità quando camminava,
immaginavo la sua guida.
Obbedì
lanciandomi un'occhiataccia.
« Dove? »,
ribadì sospirando.
« Prendi la
centouno, verso nord ».
Mentre
guidava non le staccai gli occhi da dosso, vigile.
« Pensi di
farcela, a uscire da Forks prima di sera? » era irritante procedere così
lentamente.
« Questo
pick-up potrebbe essere il nonno della tua auto, abbi un po' di rispetto ».
Poco dopo
raggiungemmo la periferia, malgrado il mio pessimismo. I prati e le case presto
lasciarono il posto al
sottobosco
e ai tronchi velati di verde.
«Svolta a destra verso la centodieci », dissi,
anticipando la sua domanda. Obbedì in silenzio.
« Adesso
prosegui finché non trovi lo sterrato ».
Le dissi
contento d’essere quasi arrivati incolumi.
« E quando
arriva lo sterrato, cosa c'è? ».
« Un
sentiero ».
« Trekking?
»
« È un
problema? » chiesi incerto. Non mi sembrava di aver calcolato male i piani.
« No ».
« Non
preoccuparti, sono solo sette o otto chilometri, e non abbiamo fretta ».
Cade il
silenzio, era concentrata sulla guida.
« A cosa
pensi? », chiesi impaziente. Temevo sempre per ciò che le passava per la testa.
« A dove stiamo andando ».
« In un
posto in cui mi piace stare quando c'è bel tempo » entrambi guardammo le nuvole
sempre più sottili, fuori dai finestrini.
« Charlie
diceva che sarebbe stata una giornata calda ».
« E tu gli
hai raccontato quali erano i tuoi piani? »
« No ».
« Ma
Jessica crede che stiamo andando a Seattle assieme? » chiesi retorico, sollevato
che almeno qualcuno sapesse che stava in mia compagnia.
« No, le ho
detto che hai annullato la gita... il che è vero ».
« Nessuno
sa che sei con me? » domandai inquietandomi. Ma cosa le era saltato in testa?!
« Dipende...
immagino che tu l'abbia detto ad Alice ».
« Questo sì
che mi è d'aiuto », dissi sarcastico. Il fatto che Alice non era egoista, non
voleva dire che non mi avrebbe procurato un alibi se…se… Non riuscivo neanche a
formulare quel pensiero.
« Forks ti
deprime così tanto da farti contemplare il suicidio? », chiesi, reclamando la
mia attenzione.
« Sei stato
tu a dire che per te poteva essere un problema... farci vedere troppo assieme ».
« Così
saresti preoccupata dei guai che potrei passare io... se tu non
torni a casa? » se aveva cercato di calmarmi dicendo quelle parole, aveva
sbagliato i suoi calcoli, perché mi irritai ancora di più. Non poteva mettere i
miei problemi dinanzi i suoi.
Annuì,
senza staccare gli occhi dalla strada.
<<
Pazza >> borbottai tanto velocemente da impedire di farmi capire.
Per il
resto del viaggio in autoregnò sovrano
il silenzio. Ero in preda al furore, alle volte si comportava come una bambina
immatura.
Infine, la
strada terminò e si trasformò in un sentiero stretto, indicato soltanto da un
piccolo ceppo. Parcheggiò nel poco spazio disponibile a lato della strada. La
temperatura si era alzata,tanto che Bella levò la felpa e se la strinse in vita.
A quel
punto scesi dal pick-up, sbattendo lo sportello. Mi ero tolto anche io la
felpa, le davo le spalle, rivolto verso la foresta fitta e ombrosa al di là del
veicolo.
« Da questa
parte », dissi, con un'occhiata ancora nervosa. Feci strada, dentro la foresta
fitta e ombrosa.
« E il
sentiero? » girò attorno al pick-up di corsa con la voce piena di panico.
« Ho detto
che alla fine della strada avremmo incontrato un sentiero, non che lo avremmo
percorso ».
« Niente
sentiero? », chiese, palesemente nel panico.
« Non ci
perderemo, fidati >> le dissi, voltandomi verso di lei con un sorriso
beffardo.
La guardai
confuso: mi fissava di rimando, immobile con un’espressione- quasi- disperata.
« Vuoi tornare
a casa? », dissi piano, con un velo di tormento nel vederla allarmata.
« No » si
avvicinò accelerando il passo.
« Cosa c'è
che non va? », chiesi, delicato.
« Il
trekking non è il mio forte, purtroppo. Ti toccherà essere paziente ».
« So essere
molto paziente... se mi sforzo » sorrisi, sostenendo il suo sguardo e cercando
di alleggerire quel suo improvviso e inspiegabile avvilimento.
Cercò di
rispondere al sorriso, ma senza convinzione. La studiai in volto, i suoi
lineamenti non accennavano a stendersi.
« Ti
porterò a casa » dissi rassegnato, data la sua evidente paura.
« Se vuoi
che io riesca a percorrere otto chilometri nella giungla prima che il sole
tramonti, è il caso che tu faccia strada da subito », disse acida. La guardai,
serio, sforzandomi di leggere la sua espressione e il suo tono di voce, ma con
scarsi risultati.
Toglievo di
mezzo le felci umide e i grovigli di muschio, semplificandole la camminata.
Quando ci imbattevamo, lungo il nostro percorso dritto, in alberi caduti o
massi, l’aiutavo, sostenendola per il braccio e lasciandola andare appena
superato l'ostacolo.
Ogni
qualvolta che la mia pelle era a contatto con la sua, sentivo i battiti del suo
cuore accelerare vertiginosamente, ed ogni volta ne rimanevo stupito.
Perlopiù,
camminammo in silenzio. Di tanto in tanto buttavo lì una domanda dimenticata
durante i due giorni di interrogatorio. Le chiesi dei suoi compleanni, dei
suoi professori, dei suoi animali domestici, svelando di averci rinunciato del
tutto, dopo avere ucciso tre pesci rossi uno dopo l'altro. Ciò mi fece ridere
a crepapelle.
La
camminata occupò quasi tutta la mattina, ma non diedi alcun segno di
impazienza. La foresta si spandeva in un labirinto sconfinato di alberi
secolari, ma nonostante questo ero perfettamente a mio agio, nel verde della
vegetazione, e non mostravo alcuna esitazione, neppure il minimo problema di
orientamento, dato che non ne avevo.
Dopo molte
ore, la luce che filtrava dal tetto di foglie cambiò, da un tono oliva scuro a
un giada luminoso. Era uscito il sole, come avevo previsto.
« Non siamo
ancora arrivati? », mi stuzzicò, fingendo di lamentarsi.
« Quasi » sorrisi
notando che si era finalmente calmata. « Vedi che laggiù c'è più luce? »
« Ehm,
dovrei? » chiese ironica.
« In
effetti, forse è un po' presto, per i tuoi occhi » le concessi
ridacchiando.
« Mi ci
vuole una visita dall'oculista », mormorò. La mia risatina divenne un ghigno.
Accelerò
quando riuscì a vedere il cambiamento di luce che le avevo indicato. Le permisi
di precedermi.
Raggiunse i
confini della chiazza di luce e, oltrepassate le ultime felci, entrò nella radura,
piccola, perfettamente circolare, piena di fiori di campo viola, gialli e
bianchi. Si sentiva anche la musica scrosciante di un ruscello, nei dintorni.
Il sole era alto e riempiva lo spiazzo di luce. Camminava lentamente, a bocca
aperta, tra l'erba soffice e i fiori che dondolavano, sfiorati dall'aria calda.
Si voltò appena ma non ero più alle sue spalle. Si guardò attorno, allarmata,
cercandomi. Infine mi notò, ai margini del prato, nascosto nel fitto della
foresta; la guardavo circospetto. La bellezza del posto l’aveva decisamente
distratta.
Fece un
passo verso di me, con gli occhi accesi di curiosità. Ero incerto e riluttante:
stavo per mostrare alla ragazza che amavo la parte più brutta di me, ma dove
avrei trovato il coraggio?
Mi rivolse
un sorriso di incoraggiamento, facendomi segno di avanzare, e si avvicinò
ancora. A un mio cenno, si arrestò dov'era,i piedi ben piantati per terra.
Feci un
respiro profondo; arrivato a quel punto era tardi per tornare indietro. Avanzai
di un passo, facendo in modo che la luce accesa di mezzogiorno mi travolgesse.
Ringraziamenti:
Aberlin:
Aggiornare velocemente mi sembra il minimo, solo molto felice che ti piaccia la
storia!
Lady Cat: Spero
che il viaggio nella mente di Edward non ti abbia deluso in questo capitolo,
grazie per i complimenti!
Ed inoltre:
Encora 72
per aver aggiunto la mia storia tra le seguite.
Ad occhi
chiusi, sdraiato sulla schiena, con il sole in faccia sentivo gli occhi d Bella
perennemente puntanti su di me.
Canticchiavo
con voce talmente bassa da non essere udibile da lei, anche se non perse il
movimento repentino delle mie labbra.
Si godeva
il sole, come me ma rimase rannicchiata con il mento sulle ginocchia, senza
togliermi gli occhi di dosso. Il vento era delicato, le spettinava i capelli facendo arrivare il suo squisito
profumo alle mie narici
Restando
con le palpebre chiuse, sentii il suo dito accarezzarmi, esitante, la mia mano
ricoperta dalle irradiazione solari.
Il tocco
delicato mi fece aprire gli occhi, la vidi scrutarmi la pelle dura della mano.
Alzò lo sguardo ad incontrare il mio,agli angoli della mia bocca spuntò un
sorriso.
« Non ti
faccio paura? », chiesi scherzoso, benché trapelò un filo di acuta curiosità.
« Non più
del solito ».
Il sorriso mi
si allargò.
Si avvicinò
maggiormente e con la punta delle dita seguii il profilo del mio avambraccio. Le
tremava la mano, tenero tratto umano che smascherava le sue emozioni.
Chiusi gli
occhi,trasportato dalla leggerezza della sua carezza. Morbida pelle su una
superficie di marmo.
« Ti dà
fastidio? », chiese preoccupata.
« No »,
dissi, senza riaprirli. « Non hai idea di come mi senta ».
Era
piacevole come contatto: i suoi movimenti erano calmi, misurati ma capaci di
produrre forti sensazioni.
Con la
mano, delicatamente, seguì il profilo del braccio, lungo la debole traccia
bluastra delle vene, vicino alla piega del gomito. Con l'altra mano cercò la mia,
l’anticipai offrendole il palmo, troppo repentinamente. Si spaventò, e per un
istante le sue dita si arrestarono sul mio braccio.
« Scusa »,
mormorai. Alzò lo sguardo appena in tempo per osservarmi richiudere gli occhi.
« È troppo facile essere me stesso, assieme a te ».
Nessuno mai
era riuscito a farmi sentire così rilassato. Con lei vicino non razionalizzavo,
reazioni- prima di allora- che mi erano così familiari che mi venivano
meccaniche, in quel momento sembravano essersi dissolte.
Mi accorsi
che sollevò la mia mano stretta nella sua, immaginai che se la fosse avvicinata
agli occhi per scrutarla meglio.
« Dimmi
cosa pensi », dissi in un sussurro, riaprendo gli occhi. Intercettò il mio sguardo,
concentrato su di lei. « Mi sembra ancora così strano, non riuscire a capirlo ».
« Noi
comuni mortali ci sentiamo sempre così, sai? ».
« Che vita
dura » dissi con una nota di malinconia. Bella era stata in grado di far
nascere in me il desiderio di essere, nuovamente, umano. Allora sì, che tutto
sarebbe stato più facile e…lecito. « Non hai risposto
».
« Mi
chiedevo cosa stessi pensando tu... », poi esitò.
« E? » la
incoraggiai.
« E
desideravo poter credere che tu fossi vero. E mi auguravo di non avere paura ».
« Non voglio
che tu abbia paura » le rivelai in un sussurro esile. Ma che lei l’avesse era
comprensibile. Strano, come a volte, il volere sia così lontano dal potere.
« Be', non
è esattamente quella la paura che intendevo, malgrado sia un aspetto da non
trascurare ».
Mi sollevai
a sedere di scatto, facendo leva sul braccio destro con un movimento fulmineo,lasciando
l'altra mano tra le sue. Il mio viso fu a pochi centimetri dal suo. La scrutai
confuso:
« E allora,
di cosa hai paura? », sussurrai, serio.
Restò in
silenzio, il suo respiro mi sfiorava il viso, le labbra. Improvvisamente, si
avvicinò nell’intento di annusare la mia pelle.
Mossa
sbagliata, a quella vicinanza, il pulsare del suo cuore diventava più
appetibile del solito.
Impercettibilmente,
mi allontanai da lei, allontanandomi da una decina di metri, ai bordi del
prato, sotto l’ombra lunga di un grosso abete. La fissavo, con gli occhi cupi
nel buio, attento a non rivelare i miei pensieri. Facevo respiri profondi,
nella speranza di ritrovare la lucidità necessaria per poter sopportare ancora
la sua vicinanza.
Il suo sguardo
si fece addolorato e sorpreso.
« Mi...
dispiace... Edward », sussurrò a voce bassissima e desolata.
« Dammi
solo un momento », dissi, con un tono appena sufficiente per le sue orecchie
meno sensibili. Restò immobile.
Non ero in
collera conlei, e mi dispiaceva averla
fatta sentire in colpa.
Dopo dieci
secondi tornai indietro, più lentamente del mio solito. Mi fermai a pochi metri
da lei, lasciandomi cadere sul prato a gambe incrociate. Non staccai gli occhi
dai suoi neanche per un istante. Feci due respiri profondi e sorrisi nel
tentativo di farmi perdonare.
« Mi
dispiace tanto. Capiresti cosa intendo se ti dicessi che la carne è debole? ».
Annuì , ma
senza sorridere alla battuta che avevo cercato di fare. Sentivo l’odore dell'adrenalina
scorrerle dentro. La mia espressione divenne un sorriso sarcastico.
« Sono il
miglior predatore del mondo, no? Tutto, di me, ti attrae: la voce, il viso,
persino l'odore. Come se ce ne fosse bisogno! ». Scattai in piedi e schizzai
via, scomparendo in un istante dalla sua visuale, per riapparire sotto lo
stesso albero di poco prima, dopo aver percorso il perimetro della radura in
mezzo secondo.
« Come se
tu potessi fuggire », risi, maligno.
Afferrai un
ramo dalla circonferenza di mezzo metro e lo divelsi senza sforzo dal tronco di
un abete rosso. Lo tenni in mano, in equilibrio per un momento, e poi lo
lanciai con velocità verso un altro albero, contro cui si sbriciolò,
scuotendolo.
Poi, mi
materializzai di fronte a lei, a pochi centimetri, immobile come la pietra.
« Come se
potessi combattere ad armi pari », dissi, delicato.
Restò seduta
senza muoversi, certamente paralizzata dalla paura. Il viso era cinereo e gli
occhi sbarrati: la preda che guarda, senza alternativa di scelta, il suo
cacciatore.
Piano,piano
con il passare dei secondi, la mia espressione elettrizzata si spense. Tornando
sul mio volto la maschera addolorata.
« Non avere
paura », sussurrai cercando di rassicurarla. « Prometto... giuro che non
ti farò del male » anche se stavo più che altro provando ad auto convincermi.
« Non avere
paura », mormorai di nuovo, avvicinandomi a lei con grande lentezza. Mi sedetti
con un movimento deliberatamente posato, fino ad avvicinare il mio viso al suo,
a pochi centimetri di distanza.
« Per
favore, perdonami », dissi formale. « Sono capace di controllarmi. Mi
hai preso in contropiede. Ma adesso sarò impeccabile ».
Attesi la
sua risposta, ma continuò a restare impalata.
« Sul
serio, oggi non ho così tanta sete » le strizzai l'occhio.
Non mi
rifiutò una risata, anche se debole e forzata.
« Stai
bene? », chiesi, con dolcezza, avvicinandomi per offrirle di nuovo la mano.
L’osservò, poi
mi guardò negli occhi tornati dolci. Si concentrò nuovamente sulla mia mano, e
riprese a seguirne i contorni con la punta delle dita. Alzò lo sguardo e
azzardò un sorriso timido, che mi scaldò il cuore.
Ricambiai
lieto.
« Cosa
stavamo dicendo, prima che mi comportassi in maniera così sgarbata? », chiesi.
« Sinceramente
non ricordo ».
Sorrisi,
tentando di nascondere vanamente l’imbarazzo:
« Credo che
stessimo parlando di ciò che ti mette paura, a parte le ragioni più ovvie ».
« Ah, sì ».
« Allora? ».
Tornò a
osservare la mia mano, disegnando ghirigori immaginari sul palmo. I secondi
passavano e lei continuava a restare in silenzio.
« Com'è
facile vanificare i miei sforzi », sospirai.
Mi guardò negli
occhi, in quell’istante capì che la situazione in cui ci trovavamo era nuova
per me. Malgrado gli innumerevoli anni di esperienza che avevo, ero in
difficoltà.
« Avevo
paura perché... per, ecco, ovvi motivi, non posso stare con te. Ma
d'altro canto vorrei stare con te molto, molto più del lecito ». Non staccava
gli occhi dalle mie mani.
« Sì »
parlai lentamente « Non c'è dubbio, è una paura legittima, voler stare con me.
È tutto fuorché una scelta vantaggiosa ».
Mi guardò,
accigliata.
« Avrei dovuto
lasciarti perdere tempo fa », sospirai. « Dovrei lasciarti, adesso. Ma non so
se ci riuscirei » .
«Non voglio
che tu mi lasci », mormorò accorata, abbassando lo sguardo per l'ennesima
volta.
« Il che è
precisamente la migliore ragione per andarmene. Ma non preoccuparti, sono una
creatura essenzialmente egoista. Desidero troppo la tua compagnia per
comportarmi come dovrei ».
« Ne sono
lieta ».
« Non
esserlo! » ritrassi la mano, più dolcemente di prima; il mio tono di voce era diventato
più aspro del solito. « Non è solo la tua compagnia che amo! Non dimenticarlo mai.
Non dimenticare mai che sono più pericoloso per te che per chiunque altro ».
Osservavo un punto indefinito della foresta.
Per qualche
istante scelse di non fiatare, pensierosa.
« Non credo
di avere capito cosa intendi, specialmente l'ultima frase », disse.
Tornai a
fissarla e sorrisi.
« Come
faccio a spiegartelo senza metterti di nuovo paura... vediamo » sovrappensiero
le offrii di nuovo la mano. Le strinse forte fra le sue, e il mio sguardo le
contemplò, colto dall’ennesima novità:
« È
straordinariamente piacevole il calore », sospirai.
Un momento
dopo, riordinai le idee.
« Hai
presente, i gusti delle persone? Ad alcune piace il gelato al cioccolato, ad
altre la fragola? ».
Annuì.
« Scusa
l'analogia con il cibo, non trovo una metafora migliore ».
Al suo
sorriso seguì subito il mio, con un filo di imbarazzo.
« Vedi,
ogni persona ha un suo odore, un'essenza particolare. Se chiudessi un
alcolizzato in una stanza piena di lattine di birra sgasata, le berrebbe senza
badarci. Se invece fosse un alcolista pentito, se decidesse di non berle,
potrebbe riuscirci facilmente. Ora, se poniamo nella stanza un solo bicchiere
di liquore invecchiato cento anni, il cognac migliore, il più raro di tutti,
che diffonde ovunque il suo profumo... come credi che si comporterebbe il
nostro alcolizzato? ».
Restammo
zitti, guardandoci negli occhi, cercando di leggerci nel pensiero a vicenda.
Fu io a
riprendere il discorso.
« Forse non
è la metafora migliore. Forse rifiutare il cognac sarebbe facile. Forse dovrei
trasformare il nostro alcolista in un eroinomane ».
« Cioè,
vorresti dirmi che sono la tua qualità preferita di eroina? », disse, nel
tentativo di alleggerire l'atmosfera.
« Ecco, tu sei esattamente la mia qualità
preferita di eroina » sorrisi, apprezzando il suo sforzo di comprensione.
« Succede
spesso? », chiese.
Alzai lo
sguardo sopra le cime degli alberi, pensando a una risposta.
« Ne ho parlato
con i miei fratelli » non avevo il coraggio di guardarla . « Secondo Jasper,
siete tutti uguali. È stato l'ultimo a unirsi alla nostra famiglia e
l'astinenza lo fa soffrire ancora molto. Non ha ancora imparato a distinguere
tra i diversi odori e sapori ».
Le lanciai
un'occhiata timida, conscio di essere stato indelicato.
« Scusa »,
dissi.
« Non
importa. Ti prego, non preoccuparti di offendermi, di spaventarmi o di
qualsiasi altra cosa. È il tuo modo di ragionare. Riesco a capire, o perlomeno
posso provarci. Però, ti prego, spiegami tutto come puoi ».
Feci un
respiro profondo e tornai a guardare il cielo.
« Perciò,
Jasper non ha saputo dirmi con certezza se gli sia mai capitato di conoscere
qualcuna che fosse... », esitai, in cerca della parola giusta, « Attraente come
tu sei per me. Il che mi fa ritenere che non l'abbia mai conosciuta. Emmett è dei nostri da
più tempo,
per così dire, e ha capito cosa intendevo. A lui è capitato due volte, una più
forte dell'altra ».
« E a te? ».
« Mai
>>
Per un
istante rimase in silenzio, forse scossa da quelle parole.
« Come si è
comportato Emmett? », chiese, per spezzare il silenzio.
Era meglio
che non ponesse quella domanda. Il volto mi si scurì, lamano mi si strinse in un pugno. Guardai
altrove. Bella, restò in attesa di una risposta che non arrivò.
« Credo di
aver capito », concluse.
Alzai gli
occhi a rivelare la mia espressione implorante.
« Anche i
più forti di noi possono smarrire la strada, no? ».
« Cosa stai
chiedendo? Il mio permesso? ». Chiese pungente. Poi si interruppe per proseguire
con maggiore gentilezza « Voglio dire, non c'è proprio speranza, allora? ».
« No, no! ».
Mi pentii all’istante di ciò che avevo detto. « Certo che c'è speranza! Voglio
dire, è ovvio, non... », ma non terminai la frase. « Per noi è diverso. Emmett... quelle erano sconosciute, incontrate per caso. È
accaduto tanto tempo fa, e lui non era... allenato e attento come ora ».
Rimasi
zitto a osservarla, aveva un’espressione concentrata.
« Perciò,
se ci fossimo incrociati... in un vicolo buio, o qualcosa del genere... » la voce
le si affievolì.
« Mi c'è
voluta tutta la forza che avevo per non assalirti durante la prima lezione, in
mezzo agli altri ragazzi, e... », rimasi in silenzio, distogliendo lo sguardo.
« Quando mi sei passata accanto, ho rischiato di rovinare in un istante tutto
ciò che Carlisle ha costruito per noi. Se non avessi
messo a tacere così a lungo la mia sete negli ultimi, be',
troppi anni, non sarei riuscito a trattenermi » rivolsi lo sguardo inquieto
agli alberi.
Poi la
guardai torvo, rievocando, come lei, la scena. « Avrai creduto che fossi
posseduto dal demonio ».
« Non
riuscivo a capire come potessi odiarmi così, e perché poi, dal primo istante...
».
« Ai miei
occhi eri una specie di demone, sorto dal mio inferno privato per
distruggermi. L'odore soave della tua pelle... Quel primo giorno ho temuto di
perdere definitivamente la testa. In quella singola ora ho pensato a cento
maniere diverse di portarti via dall'aula, di isolarti. E mi sono opposto a
tutte, temendo le conseguenze che avrebbero colpito la mia famiglia. Dovevo
scappare, andarmene prima di pronunciare le parole che ti avrebbero obbligata a
seguirmi... ».
Alzai gli
occhi sul suo viso sconcertato.
« Mi
avresti seguita, te lo garantisco ».
« Senza
dubbio » approvò ostentando tranquillità.
Tornai alle
sue mani torvo.
« E poi,
proprio mentre cercavo inutilmente di cambiare l'orario settimanale per
poterti evitare, rieccoti. In quella stanzetta calda
il tuo profumo mi faceva impazzire, in quel momento sono stato lì lì per prenderti. C'era soltanto quell'altra fragile umana,
me ne sarei sbarazzato senza difficoltà ».
Malgrado il
sole caldo, la vidi rabbrividire: evidentemente attraverso il mio resoconto
dettagliato, aveva realizzato il pericolo che aveva corso. Un altro brivido la
percosse.
« Ma ho
resistito, non so come. Mi sono imposto di non aspettarti fuori da
scuola, di non seguirti. All'esterno la tua scia era più debole, perciò
sono riuscito a pensare lucidamente, a prendere la decisione giusta. Ho
accompagnato gli altri a casa - mi vergognavo troppo di raccontare ciòche
mi stava succedendo, avevano soltanto intuito che qualcosa non andava - e sono
torso da Carlisle, all'ospedale, ad annunciargli che
me ne sarei andato di casa ».
Rimase a
guardarmi, sorpresa.
« Ho
scambiato la mia auto con la sua: aveva appena fatto il pieno, e non volevo
fermarmi. Non ho osato tornare a casa ad affrontare Esme.
Lei non mi avrebbe lasciato andare, non senza prima farmi una scenata. Avrebbe
cercato di convincermi che non ce n'era bisogno... »
« Il
mattino dopo ero in Alaska » mi vergognavo a confessare la mia scelta codarda.
« Ci sono rimasto per due giorni, da alcune vecchie conoscenze... ma avevo
nostalgia di casa. Ero tormentato dal pensiero di avere sconvolto Esme e il resto della mia famiglia adottiva. In mezzo
all'aria pura di montagna era difficile credere che tu fossi così
irresistibile. Mi sono convinto che la fuga fosse una scelta da debole. Avevo
già lottato contro la tentazione, in precedenza, ma anche se non era mai stata
così grande, così violenta, sapevo di essere forte. Chi eri tu, piccola e insignificante
ragazza», e feci un ghigno, «per scacciarmi dal posto in cui desideravo vivere?
Perciò sono tornato... ». Il mio sguardo si perse all'orizzonte.
Era senza
parole.
« Ho preso
tutte le precauzioni possibili, sono andato a caccia, mi sono nutrito più del
solito, prima di tornare a incontrarti. Ero sicuro di essere tanto forte da
poterti trattare come un qualsiasi essere umano. Sono stato molto arrogante.
Un'altra
grossa complicazione, in tutto questo, è stata la mia incapacità di leggerti
nel pensiero, il non poter conoscere le tue reazioni. Non ero abituato a dover
ricorrere a certi sotterfugi, come leggere le tue parole nel pensiero di
Jessica... non è una persona granché originale, e non sai che noia dovermici adattare. Per giunta, non capivo se le tue
parole fossero sincere. Tutto ciò è stato tremendamente irritante » il ricordo
mi fece diventare ancora più serio.
« Desideravo
farti dimenticare il mio comportamento del primo giorno, se possibile, perciò
ho tentato di parlare con te come facevo con chiunque altro. A dire la verità,
morivo dalla voglia di decifrare qualche tuo pensiero. Ma eri troppo interessante,
e mi sono perso nel tuo modo di fare... Poi di tanto in tanto facevi un gesto
con la mano, o ti sistemavi i capelli, e l'odore tornava a colpirmi...
È stato a
quel punto che hai rischiato di morire schiacciata nell'incidente, proprio
sotto i miei occhi. Poco dopo, ho architettato un alibi perfetto per
giustificare a me stesso il mio comportamento: se non ti avessi salvata, di
fronte al tuo sangue non sarei riuscito a nascondere la mia vera natura. Ma
questo l'ho pensato dopo. In quel momento, l'unica cosa che avevo in mente era:
"Non lei"».
Chiusi gli
occhi, perso nello sforzo della confessione. Non sapevo che effetti aveva
prodotto la mia sincerità, ma non potevo continuare a celargliela. Non al punto
in cui eravamo giunti. Dovevo renderla partecipe di ciò che mi succedeva.
« E in ospedale? ».
L'inchiodai
con lo sguardo.
« Ero
scioccato. Non riuscivo a credere di avere corso quel rischio, di averlo fatto
correre a tutti i miei, per proteggere proprio te. Come se ci fosse bisogno di
un motivo in più per ucciderti » a quella parola scattammo entrambi. « Ma
l'effetto è stato il contrario », aggiunsi immediatamente. « Ho litigato con
Rosalie, Emmett e Jasper, che sostenevano fosse il
momento giusto... il peggior litigio da quando viviamo assieme. Carlisle e Alice erano dalla mia parte » sorrisi, nominando
mia sorella. « Secondo Esme dovevo fare tutto il
possibile per rimanere » scossi il capo, benevolo.
« Il giorno
dopo ho origliato le menti di tutte le persone con cui avevi parlato, stupito
che avessi mantenuto la parola. Non ti avevo affatto capita. Ma sapevo che non
potevo lasciarmi coinvolgere ulteriormente da te. Ho fatto del mio meglio per
starti lontano. E ogni giorno il profumo della tua pelle, del tuo respiro, dei
tuoi capelli... mi colpiva forte, come la prima volta ».
Incrociai
il suo sguardo. Lasciai che l’emozione del momento mi soprafacesse,permettendo
alle parole di uscire dalle mie labbra da sole.
« E la cosa
più assurda è che mi sarei curato meno di rovinarci tutti il primo giorno,
piuttosto che farti del male qui, ora, senza testimoni, senza nessuno in grado
di fermarmi ».
« Perché? ».
« Isabella »
pronunciai il suo nome completo con attenzione; poi, con la mano libera,
giocai con i suoi capelli, scompigliandoglieli. « Bella, arriverei a odiare me
stesso, se dovessi farti del male. Non hai idea di che tormento sia stato»,
abbassai gli occhi, intimorito, «il pensiero di te immobile, bianca, fredda...
di non vederti più avvampare di rossore, di non poter più cogliere la scintilla
nel tuo sguardo quando capisci che ti sto prendendo in giro... non sarei in
grado di sopportarlo» La fissai con gli occhi angosciati. « Ora sei la cosa più
importante per me. La cosa più importante di tutta la mia vita ».
Aspettavo
una risposta, senza staccarle gli occhi da dosso. Ma lei continuava a tenere lo
sguardo chino sulle nostre mani intrecciate.
« Sai già cosa
provo, ovviamente », rispose, infine. « Sono qui, il che, in due parole,
significa che preferirei morire, piuttosto che rinunciare a te » abbassò lo
sguardo. « Sono un'idiota ».
« Certo che
lo sei », ribadii con una risata.
Mi fissò
negli occhi, e anche lei iniziò a ridere. Lasciando andare tutta la tensione.
« Così, il
leone si innamorò dell'agnello... », mormorai.
Guardò
altrove nascondendomi i suoi occhi.
« Che
agnello stupido », sospirò.
« Che leone
pazzo e masochista >> per un istante interminabile scrutai le ombre
della foresta: avevo appena dato l’avvio ad un processo irreversibile. Indietro
nonsi tornava.
« Perché...?
>>
La guardai
e sorrisi:
« Sì? ».
« Dimmi
perché prima sei fuggito in un lampo da me ».
« Lo sai,
il perché » il sorriso mi morì sulle labbra.
« No,
voglio dire, cos'ho fatto di preciso? È meglio che stia in guardia, per
imparare cosa non posso fare. Questo, per esempio », mi accarezzò il dorso
della mano, « Non crea problemi ».
« Non hai
fatto niente di male, Bella. È stata colpa mia » sorrisi scuotendo il capo. Mi
inteneriva la sua ingenuità.
« Ma se
posso, voglio aiutarti, voglio renderti la vita meno difficile ».
« Be'... »,
meditai, per un istante. « È stata una questione di vicinanza. Gli esseri umani
sono per la maggior parte naturalmente timidi con noi, la nostra alterità li
allontana... Non mi aspettavo che ti avvicinassi così tanto. E poi il profumo
del tuo collo »non aggiunse altro, cercando di capire se
l’avessi turbata.
« D'accordo
», rispose decisa. Alzò il colletto fino al mento. « Niente collo scoperto ».
« No, davvero, più che altro è stata la
sorpresa » risi divertito.
Alzai la
mano libera e la posai dolcemente sul suo collo. Era immobile, sentivo il cuore
pulsarle fuori controllo.
« Vedi?
Nessun problema ».
« Resta
ferma », sussurrai.
Lentamente,
senza staccare gli occhi da lei, mi avvicinai. Poi, all'improvviso, ma con grande
delicatezza, posai la guancia fredda nell'incavo del suo mento, sulla gola.
Con
lentezza calcolata, feci scivolare le mani lungo il suo collo. Rabbrividìmentre io trattenevo il respiro. Non mi
arrestai scorrevo morbidamente sulle spalle, poi mi fermai.
Spostai il
viso di lato, sfiorandole la clavicola con il naso. Infine, mi accucciai con il
volto appoggiato dolcemente al suo petto.
Ascoltavo
il suo cuore, sfuggendomi un sospiro.
Restammo in
quella posizione per un tempo che mi parve interminabile. Alla fine, il ritmo
del suo cuore rallentò,probabilmente abituatosi alla mia vicinanza. Ma non
pronunciai parola e continuai a stringerla a me.
Il suo
odore, ormai tanto familiare, cominciava a non essere più un problema. Riuscivo
a sopportare tutto quel contatto fisico con lei.
Infine
lasciai la presa.
Il mio
sguardo era quieto.
« Non sarà
più così difficile », dissi, soddisfatto.
« È stata
dura? ».
« Non
terribile come immaginavo. E per te? ».
« No,
niente affatto terribile... per me ».
« Hai capito
cosa intendo » sorrisi al suo tono.
Sorrise.
« Vieni qui
». le presi la mano ela avvicinai alla
guancia. « Senti? »
La mia
pelle di certo, da ghiacciata si era fatta tiepida.
« Resta lì »,
sussurrò.
Chiusi gli
occhi e rimasi fermo come il marmo.
Si muoveva
ancora più lentamente di me, evitando gesti improvvisi. Mi accarezzò la
guancia, sfiorò delicatamente le palpebre. Seguì il profilo del naso, e poi,
con la massima delicatezza, delle labbra.
Nel
percepire il tocco delicato della sua mano, mi si dischiusero: restai
impietrito, scosso.
Levò la
mano e si scostò un poco, catturando l’odore anelato dalla mia bocca.
Aprii gli
occhi,con uno sguardo affamato: ero
confuso, non capivo del tutto cosa mi stesse succedendo, cosa stessi provando.
Desiderio, ovvio, ma uno diverso dal quale ero abituato.
« Vorrei...
vorrei sentissi la complessità... la confusione... che provo. Vorrei che
potessi comprendere » la mia voce era un sussurro.
Le sfiorai
i capelli, strofinandoglieli sul viso, con delicatezza.
« Spiegamelo
».
« Non credo
che ci riuscirei. Te l'ho detto, da una parte sento fame di te, anzi sete, da
creatura deplorabile quale sono. E questo lo puoi capire, in un certo senso »
abbozzai un sorriso. « Anche se, dal momento che non sei dipendente da nessuna
sostanza illegale, probabilmente non te ne rendi conto fino in fondo ».
Le sfiorai
le labbra.
« Ma... ci
sono altri tipi di fame. E quelli non riesco a interpretarli, mi sono del
tutto estranei ».
« Forse
riesco a capire questo più di quanto ti aspetti ».
« Non sono
abituato a sentirmi tanto umano. Funziona sempre così? ».
« Per me?
No, mai. Mai prima di oggi ».
Presi le
sue mani tra le mie; quant’era fragile!
« Non so
come fare a starti accanto in questo modo », ammisi. « Non sono sicuro di
esserne capace ».
Si avvicinò
molto lentamente, tranquillizzandomi con lo sguardo. Posò la guancia sul mio
petto. Sobbalzai silenziosamente. Mi stordiva il profumo emanato dai suoi
capelli.
« Così va
bene », sospirò, chiudendo gli occhi.
Stupendomene
io stesso d’essere capace, l’abbracciai e avvicinai il viso ai suoi capelli.
« Sei molto
più bravo di quanto tu voglia credere ».
« Possiedo
ancora istinti umani. Sono sepolti da qualche parte, ma ci sono ».
Restammo in
quella posizione per un altro momento eterno; la quiete ci circondava, e mi
accorsi che non era presente intorno a noi, ma dentro di noi. Era tutto così
semplice, spontaneo!
Il cielo
cominciò a cambiare colore. La sentii sospirare.
« Devi
andare ».
« Pensavo
non fossi capace di leggermi nel pensiero ».
« Comincio
a vederci qualcosa » sorrisi.
Mi guardò
in faccia, la tenevo per le spalle.
« Posso
mostrarti una cosa? », chiesi, lo sguardo acceso dall’entusiasmo.
« Cosa? ».
« Il modo
in cui io mi sposto nella foresta » notai immediatamente la sua
espressione allibita. « Non preoccuparti, non c'è pericolo e torneremo al
pick-up molto più velocemente ». la rassicurai con un sorriso di sbieco.
« Ti
trasformi in un pipistrello? », chiese, intimorita.
Risi, più
forte che mai.
« Come se non l'avessi già sentita! ».
« Già,
immagino che te lo dicano tutti ».
« E dai,
fifona, salta in spalla ».
Aspettò un
istante, allibita Sorrisi della sua incertezza e aprii le braccia per
incoraggiarla. La presi per mano e l’aiutai ad aggrapparsi a me.
« Sono un
po' più pesante di un normale zaino ».
« Figuriamoci!
», sbottai, alzando gli occhi al cielo.
Le presi la
mano, la portai al naso e premendo forte l’annusai.
« Sempre
più facile », mormorai, soddisfatto.
E poi
iniziai a correre.
Schivavo
gli alberi, che ci passavano accanto a pochissimi centimetri, senza alcuno
sforzo nonostante Bella aggrappata saldamente alla mia schiena.
La mia
mente non era concentrata nella corsa, non ce n’era bisogno.
Piuttosto,
eccitato da tutte quelle novità provate nelle ultime ore ripensai alla domanda
che una volta Jessica pose a Bella:
“Vi siete
baciati?”
Allora ne
ero basito, nel timore di poterle fare del male. Ma in quel momento, dopo
essere abituato al suo odore, forse ne ero finalmente in grado.
Che fosse
arrivata l’ora giusta?!E chissà cosa si provava….
Arrivati al
pick-up:
« Elettrizzante,
eh? » le chiesi, su di giri, anche per il nuovo desiderio che nutrivo.
Restai immobile,
in attesa che scendesse. Ma lei non si mosse.
« Bella? »,
chiesi, inansia.
« Credo di
dovermi sdraiare », disse ansimando.
« Oh, scusa
» attesi inutilmente che si muovesse.
« Ho
bisogno di aiuto, credo ».
Risi sotto
i baffi, e con delicatezza sciolsi la sua presa. La presi facendola scivolare
di lato, cullandola come una bambina. La trattenni per un istante, poi la posai
dolcemente sulle foglie.
« Come va? ».
« Credo di
avere un po' di nausea ».
« Tieni la
testa tra le ginocchia ».
Respirava lentamente,
con la testa immobilizzata. Le sedetti accanto, dopo qualche minuto riuscì a
sollevare il capo.
« Forse non
è stata una grande idea ».
« No, è stato parecchio interessante » cercò
di non buttarmi giù, ma era perfino senza voce.
« Ma dai!
Sei pallida come un fantasma... anzi, sei pallida come me! ».
« Forse
avrei dovuto chiudere gli occhi ».
« La
prossima volta ricordatelo ».
« Ma quale
prossima volta?! ».
Risi, senza
perdere il buonumore.
« Spaccone »,
bofonchiò.
« Apri gli
occhi, Bella », dissi, sottovoce.
Si scontrò
con il mio viso a pochi centimetri dal suo.
« Mentre
correvo, pensavo... ».
« A non
centrare gli alberi, spero ».
« Sciocca »,
sghignazzai. « Correre per me è un gesto automatico, non è qualcosa a cui devo
stare attento ».
« Spaccone ».
Sorrisi.
« Dicevo...
Pensavo a una cosa che vorrei provare » di nuovo presi il suo viso tra le
mani.
Esitavo,
nel mettermi alla prova. Se riuscivo a sopportare di scambiarmi un bacio con
lei, voleva dire che il neonato desiderio era più forte di quello longevo.
Posai le
labbra fredde sulle sue.
Percepii
istantaneamente il calore delle sue labbra, era piacevole: mi sembrava d’essermi
totalmente riscaldato. Una sensazione unica, mai provata prima, mi sembrava che
il sangue fosse tornato a scorrermi nella vene, e il cuore avesse ripreso i
suoi battiti regolari di chi è in vita, data la tanta euforia che mi stava
travolgendo in quell’attimo.
Ma ciò che
più mi rendeva felice era che il mio desiderio per leinon era indirizzato verso il suo sangue.
Quindi è
questo che si provava, nel sentire vicina la persona che si ama, una leggerezza
da togliere il fiato!
Ciò che nessuno
di noi prevedeva fu la sua reazione.
Il respiro
le si trasformò in un affanno incontrollabile. Intrecciò le dita ai miei
capelli, stringendomi a sé. Dischiuse le labbra .
Immediatamente
mi irrigidii, l’altro tipo di fame stava urlando dentro me, non potevo permettere
che prendesse vita. Con le mani, delicatamente ma senza che potesse opporsi, allontanai
il suo viso dal mio. Aprì gli occhi e mi vide, guardingo.
« Ops ».
« "Ops" è troppo poco ».
Stringevo i
denti sforzandomi di resistere all'istinto. Trattenevo il suo viso a pochi
centimetri dal mio, inchiodandola con lo sguardo.
« Devo...? »,
e cercò di liberarsi dalla presa per lasciarmi un po' di spazio.
Non le
permisi di muoversi di un millimetro. Non volevo che si allontanasse da me.
« No, è
sopportabile. Per favore, aspetta un attimo » dissi controllato.
L'eccitazione
si attenuò.
Poi,
sfoderai un sorriso malizioso.
« Ecco »,
dissi, palesemente soddisfatto di me stesso.
« Sopportabile?
».
« Sono più
forte di quanto pensassi. È una bella notizia » annunciai con una risata
fragorosa.
« Mi
piacerebbe poter pensare altrettanto di me ».
« E dai,
dopotutto sei soltanto un essere umano ».
« Tante
grazie », rispose acida.
Scattai in
piedi. Le tesi una mano. Afferrò il mio palmo,e barcollò rialzandosi. Non aveva
ancora ritrovato l'equilibrio.
« Ti senti
ancora indebolita dalla corsa? O è stato il mio bacio da maestro? » Scoppiai a
ridere, spensierato.
« Non so,
mi sento ancora imbambolata », riuscì a rispondere. « L'uno e l'altro, penso ».
« Forse è
meglio che guidi io ».
« Sei
pazzo? ».
« Sono un
pilota migliore di te nella tua forma più smagliante. Hai i riflessi molto più
lenti dei miei ».
« Certo, ma
non credo che i miei nervi o il mio pick-up possano farcela a sostenerti ».
« E dai,
Bella, un po' di fiducia ».
Stringeva
forte la chiave del pick-up nella tasca dei pantaloni. Serrò le labbra e
scosse la testa sorridendo.
« No.
Nemmeno per sogno ».
La guardai
incredulo: non poteva dire sul serio.
Allora si
avvicinò al posto di guida, cercando di scansarmi. Barcollò così le circondai
la vita con le braccia.
« Bella, fino a questo momento il mio sforzo
personale nel tentativo di salvarti la vita è stato enorme. Non permetterò certo
che tu ti metta al volante nel momento in cui non riesci nemmeno a camminare in
linea retta. Oltretutto, gli amici non lasciano guidare chi ha bevuto, lo sai ».
Sorrisi della mia battuta.
« Pensi che
sia ubriaca? ».
« Sei
intossicata dalla mia presenza » sghignazzai malizioso.
« Non ti
posso dare torto » lasciò oscillare la chiave e la mollò all'improvviso; la
presi al volo, silenzioso e veloce come un lampo. « Vacci piano », mi avvertì,
« Il pick-up è un pensionato ».
« Molto
ragionevole », dissi con approvazione.
« E tu, non
sei nemmeno scalfito dalla mia presenza? », chiese maliziosa.
I miei
tratti si fecero dolci, caldi. Anziché rispondere, avvicinai il viso al suo, inclinandolo
leggermente, e presi a sfiorarlo lento con le labbra, dall'orecchio al mento,
avanti e indietro. Tremava.
« E in ogni
caso », mormorai, « I miei riflessi sono più pronti dei tuoi ».
Ho deciso
di aggiornare più velocemente per due motivi:
1)Credo
che questo sia uno dei capitoli più belli di Twilight
e quindi non volevo farvi aspettare troppo.
2)Tra
due giorni sarò fuori casa, quindi non potrò aggiornare prima di una settimana.
E
ora passo ai ringraziamenti:
Lady_Cat: I tuoi paragoni con la Meyer mi rendono sempre molto felice, e mi fa sempre molto
piacere che la storia sia di tuo gradimento.
Aberlin: La tua attesa è finita,
goditi il capitolo. Spero che continui a soddisfare le tue aspettative!
Simo1726:
Io ci provo a non deludervi, e spero di non averlo fatto neanche in questo caso.
Grazie per la recensione!
Inoltre:
Alessandraxxx81:
per aver aggiunto la mia storia tra le sue preferite.
Bell:
per aver aggiunto questa storia tra le sue seguite.
Guidavo sotto i limiti di velocità
senza alcuno sforzo, nonostante non ci fossi abituato e non mi entusiasmasse.
Tenevo a malapena gli occhi sulla
strada, ero più concentrato su ciò che mi attorniava: il sole calante all’orizzonte,
il viso di Bella seduta sul sedile accanto a me, i suoi capelli al vento per
via del finestrino aperto, le nostre mani intrecciate.
Cantavo una canzone degli anni cinquanta
sintonizzata su una stazione radio di quegli anni: la conoscevo a memoria.
<< Ti piace la musica degli
anni cinquanta? >> mi chiese.
« La musica degli anni Cinquanta
era buona. Di gran lunga meglio che nei Sessanta o nei Settanta! Roba da
brividi. Gli anni Ottanta erano sopportabili ».
« Conoscerò mai la tua vera età? », azzardò ,
controllando la voce cercando di non guastare il mio buonumore. Ma niente, quel
momento ci sarebbe riuscito, neppure la sua curiosità che avevo imparato ad
amare.
« Importa qualcosa? » la provocai continuando
a sorridere.
« No, ma me lo chiedo spesso... Sai, non c'è
niente di meglio che un bel mistero irrisolto per trascorrere una notte insonne
».
« Chissà se
ne rimarresti sconvolta... », dissi tra me. Il mio sguardo si perse nel sole. I
minuti passavano.
« Mettimi
alla prova » mi sfidò.
Sospirai e
la studiai negli occhi: dovevo accertarmi che fosse convinta di volerlo sapere,
che non ci fosse il minimo barlume di incertezza nel suo sguardo. Ma le sue
iridi grandi esprimevano serenità, per cui presi coraggio.
Ripresi ad
osservare il sole, e cominciai la mia storia fin dalle origini:
« Sono nato
a Chicago nel 1901 » in silenzio, la guardai con la coda dell'occhio, sembrava
non esserne sorpresa, mi guardava silenziosa con attenzione.
Accennai un
sorriso e proseguii:
« Carlisle mi trovò in un ospedale nell'estate
del 1918. Avevo diciassette anni e stavo morendo di spagnola ».
A quel
punto ebbe un leggero sussulto. Tornai a guardarla negli occhi.
« Ho
qualche ricordo vago... è stato tantissimo tempo fa, e la memoria umana tende a
svanire » mi lasciai condurre dalle immagini sfuocate che avevo di quel
lontanissimo giorno: la debolezza causata dalla malattia, la confusione attorno
a me, e un sussurro sconosciuto che mi sfiorava l’orecchio, era la voce di
Carlisle…e poi il ricordo del dolore atroce « Però ricordo bene quello che
provai quando Carlisle mi salvò. Non è una cosa facile; è impossibile da
dimenticare ».
« E i tuoi
genitori? ».
« Erano già
stati uccisi dal morbo. Ero rimasto solo. Perciò Carlisle scelse me. Nel caos
dell'epidemia, nessuno si sarebbe accorto della mia scomparsa ».
« Come...
ha fatto a salvarti? ».
Meditai
qualche istante sulla scelta delle parole da poter utilizzare, non era semplice
da spiegare.
« Fu difficile.
Pochi di noi possiedono l'autocontrollo necessario a un atto del genere. Ma
Carlisle è sempre stato il più umano, il più compassionevole di noi tutti...
Non credo abbia eguali nella storia. Quanto a me... fu qualcosa di semplicemente
doloroso, molto doloroso ».
Le mie
labbra assunsero una smorfia sofferente, non mi sarei dilungato su quel
particolare, non volevo né ricordare né rendere Bella partecipe di quella
sofferenza…il bruciore nelle vene!
Mi accorsi
della sua aria assente, persa tra i suoi pensieri, ormai la conoscevo bene.
Sapevo che stava riflettendo cercando di districare i nodi che aveva in testa.
Continuai il resoconto cercando di scioglierne alcuni.
« Fu la
solitudine a spingerlo. Dietro scelte del genere c'è sempre un motivo simile.
Fui il primo a entrare nella famiglia di Carlisle, anche se poco dopo trovò
Esme. Era caduta da uno scoglio. La portarono direttamente all'obitorio
dell'ospedale, benché, chissà come, il suo cuore battesse ancora ».
« Perciò
bisogna essere in punto di morte, per diventare... ».
« No, è una
scelta di Carlisle. Lo fa solo con chi non ha più speranze, con chi non ha
altre possibilità » dissi facendo trapelare il rispetto che nutrivo verso
Carlisle. « Inoltre, secondo lui, quando il sangue è debole è più facile ».
Guardai la strada ormai scura, sperando che
l’argomento fosse giunto al termine.
« E Rosalie
ed Emmett? ».
« Rosalie
fu la terza a unirsi alla nostra famiglia. Carlisle sperava che sarebbe
diventata per me ciò che Esme era per lui - ha sempre avuto un'attenzione
particolare per me e chi avessi accanto, ma questo lo capii soltanto molto
tempo dopo. Ma non è mai stata più che una sorella. Fu lei, due anni dopo, a
trovare Emmett. Era a caccia - all'epoca vivevamo sugli Appalachi - e lo vide
in balia di un orso, mezzo sbranato. Lo portò a Carlisle, a centinaia di
chilometri di distanza, perché temeva di non essere capace di fare ciò che
voleva da sola. Adesso comincio a immaginare quanto fu difficile quel viaggio ».
Lanciai un'occhiata
ammiccante verso di lei, sollevai la mano ancora intrecciata alla sua e con il
dorso le carezzai una guancia.
« Eppure,
ci riuscì », suggerì, distogliendo lo sguardo dai miei occhi.
« Sì »,
mormorai, « qualcosa nel viso di Emmett le diede la forza necessaria. Stanno
assieme da quel giorno. Di tanto in tanto vivono isolati dal nostro gruppo,
come una coppia di sposi. Ma più giovani fingiamo di essere, più a lungo
riusciamo a stabilirci nello stesso luogo. Forks sembrava perfetta, perciò ci
siamo iscritti tutti alla scuola superiore » risi « Credo che tra qualche anno
dovremo presenziare al loro matrimonio, l'ennesimo ».
« Alice e
Jasper? ».
« Alice e
Jasper sono due creature molto rare. Hanno entrambi sviluppato una
"coscienza", come la chiamiamo noi, senza influenze esterne. Jasper
faceva parte di un'altra... famiglia, molto diversa dalla nostra. Cadde
in depressione, se ne distaccò e iniziò a vagare solitario. Fu scoperto da
Alice. Come me, lei possiede alcune qualità fuori della norma anche per la
nostra razza ».
« Davvero? »
chiese affascinata « Hai detto però di essere l'unico capace di leggere nel
pensiero ».
« È così.
Lei è capace di altro: lei può vedere. Vede le possibilità e gli eventi
del futuro prossimo. Ma è molto soggettivo. Il futuro non è inciso nella pietra.
Tutto cambia ».
A quelle
parole mi rabbuiai ripensando a ciò che Alice mi aveva rivelato durante la
nostra ultima caccia: non potevo accettare neanche lontanamente quella visione,
il mio sguardo saettò sul suo viso tanto bello perché umano.
« Che genere
di cose vede? ».
« Vide
Jasper, e sapeva che la stava cercando ancora prima che lui se ne rendesse
conto. Vide Carlisle e la nostra famiglia, e ci raggiunse assieme a Jasper. È
la più sensibile alla presenza di non-umani. Per esempio, percepisce l'arrivo
di altri gruppi della nostra specie. E capisce se rappresentano un pericolo o
no ».
« Sono in
tanti, quelli... come voi? » era sbalordita.
« No, siamo
in pochi. E per giunta, è difficile che viviamo a lungo nello stesso luogo.
Solo quelli come noi, che hanno rinunciato a cacciare gli umani», e lanciò
un'altra occhiata verso di me, «riescono a convivete con voi. L'unica famiglia
simile alla nostra che conosciamo è Alaska. Per un certo periodo abbiamo
vissuto assieme a loro, ma eravamo in troppi, davamo nell'occhio. Quelli di noi
che vivono... diversamente tendono a stabilire un legame tra loro ».
« E gli
altri? ».
« Perlopiù
sono nomadi. Di tanto in tanto lo siamo stati anche noi. Come tutte le cose, a
un certo punto annoia. Ma a volte incrociamo qualche nostro simile, dato che
la maggior parte di noi predilige il Nord ».
« E perché?
».
Eravamo appena
giunti di fronte a casa sua e avevo spento il pick-up. Tutto era silenzioso e
buio, la luna non c'era. La luce in veranda era spenta, Charlie non era ancora
rientrato.
« Avevi gli
occhi aperti, questo pomeriggio? », la provocai « Pensi che potrei passeggiare
indisturbato nel sole pomeridiano senza causare incidenti stradali? Ci siamo
stabiliti nella Penisola di Olympia perché è uno dei posti meno assolati del
mondo. È bello poter uscire di giorno. Non puoi credere quanto diventi pesante
vivere di notte per ottant'anni e più ».
« È da lì
che nascono le leggende? ».
« Probabilmente
».
« Anche
Alice veniva da un'altra famiglia, come Jasper? ».
« No, e
questo è un mistero, anche per noi. Alice non ricorda niente della sua vita da
umana. Non sa chi l'abbia creata. Si è svegliata, ed era sola. Chiunque le
abbia ridato vita è sparito, e nessuno di noi riesce a capire come e perché. Se
non fosse stata provvista di quel senso in più, se non avesse visto Jasper e
Carlisle e capito che sarebbe diventata una di noi, probabilmente si sarebbe
trasformata in una selvaggia fatta e finita ».
Rimase in silenzio,
l’espressione ponderosa dipinta in volto. Il suo stomaco brontolò.
« Scusami,
ti ho trattenuta; immagino che tu debba cenare ».
« No, non
c'è problema, davvero ».
« Non ho
mai passato molto tempo in compagnia di qualcuno che si nutre di cibo. Me ne
stavo dimenticando ».
« Voglio
restare qui con te » nel dirlo, la voce le tremò.
« Posso
entrare? » le domandai, desideroso quanto lei di restare in sua compagnia.
« Ti
andrebbe? » sembrava stupita.
« Sì, se
non è un problema » scesi ed in pochi passi raggiunsi la sua portiera per
aprirgliela.
« Molto
umano, direi >> si complimentò per il gesto.
« Sento che
certe cose stanno tornando a galla ».
Camminavo
al suo fianco nella notte, tanto silenzioso che sbirciava di continuo come per
accertarsi che non fossi sparito.
La
precedetti sulla porta e l'aprii, trovando la chiave sotto lo zerbino, come
avevo visto farle tante volte.
« Era
aperta? ».
« No, ho
preso la chiave da sotto lo zerbino ».
Entrò,
accese la luce della veranda e si voltò a guardarmi, incredula.
« Ero
curioso... di te » le spiegai, lievemente impacciato.
« Mi hai
spiata? ».
« Cos'altro
c'è da fare, di notte? » chiesi retorico e tranquillo.
Lasciò
correre ed entrò in cucina. La precedetti senza bisogno che mi facesse strada
e mi sedetti al tavolo della cucina.
Bella si
concentrò sulla cena: la scrutai prendere della lasagne dal frigo, tagliarne un
quadrato che posò su un piatto e lo mise a scaldare nel microonde.
Quando
riprese a parlare, non si voltò concentrandosi sul microonde:
« Quante
volte? », chiese, disinvolta.
« Come? »
domandai, frastornato. Ero stato catturato completamente dai suoi gesti, avrei
potuto guardarla senza dire nulla per ore.
« Quante volte sei venuto qui? » spiegò senza
voltarsi.
« Vengo a
trovarti quasi tutte le notti ».
« Perché? »
si girò di scatto, stupita.
« Sei
interessante quando dormi » dissi con naturalezza, che c’era di male in fondo.« Parli nel sonno ».
« No! »,
sbottò, rossa di vergogna fino ai capelli. Si appoggiò al piano di cottura per
sostenersi.
« Sei tanto
arrabbiata con me? » chiesi veramente molto dispiaciuto. Non volevo urtarla.
« Dipende! »
parlò come se qualcuno le avesse tolto l’aria.
Aspettai che
chiarissi.
« Da... »,
la sollecitai dopo un po'.
« Da quel
che hai sentito! », strillò.
All'istante,
in silenzio, mi materializzai al suo fianco e le presi le mani con
delicatezza.
« Non
esserne così sconvolta! » mi chinai su di lei e da pochi centimetri di distanza
la fissai negli occhi. Era imbarazzata, lo capii dal fatto che cercò di
distogliere lo sguardo.
« Ti manca
tua madre », sussurrai. « Sei preoccupata per lei. E il rumore della pioggia ti
innervosisce. All'inizio parlavi molto di casa tua, ora lo fai più raramente.
Una volta hai detto: "È troppo verde" » risi piano, nella speranza di
non offenderla ulteriormente.
Cercai di
consolarla, stringendola al petto dolcemente, con naturalezza.
« Non prendertela
con te stessa », le sussurrai in un orecchio. « Se fossi capace di sognare,
sognerei te. E non me ne vergogno » era la verità.
Poi
sentimmo entrambi il rumore di pneumatici sui sassi del vialetto, e due fari
illuminarono le finestre di fronte che davano sull'ingresso. La sentii
irrigidirsi contro di me.
« È il caso
che tuo padre sappia che sono qui? ».
« Non
saprei... »
« La
prossima volta, allora... ».
E la
lasciai sola.
« Edward! »
la sentii chiamarmi con un filo di voce, quasi un sussurro.
Emisi una
risata leggera prima di infilare le scale per introdurmi in camera sua.
Mi sdraiai
sul suo letto, le braccia dietro la testa ed i piedi penzoloni. Comodamente mi
concentrai sulla sua conversazione con suo padre.
« Bella? ».
« Sono qua ».
« Me ne dai
un po'? Sono a pezzi » chiese riferendosi alla lasagna.
Si levò gli
stivali coi piedi, sfilandoli dal tallone mentre si reggeva alla sedia da me
poco prima occupata.
Bella si
alzò, prese il piatto sul piano cottura, sparendo dalla visuale di Charlie. Poi
tornò per posareun bicchiere di latte sul
tavolo e mi accorsi che le tremava la mano.
Gli porse
il piatto e la ringraziò.
« Com'è
andata oggi? », gli chiese.
« Bene.
Pesci a frotte... E tu? Hai fatto tutto quello che dovevi? ».
« Non
proprio, con questa bella giornata non avevo voglia di chiudermi in casa »
addentò una forchettata di lasagne.
« Sì, è
stata una bella giornata ».
Terminato
l'ultimo boccone, svuotò in un sorso ciò che restava del suo bicchiere di
latte.
“Che
velocità” pensò Charlie.
« Di
fretta? ».
« Sì, sono
stanca. Vado a letto presto ».
“Non mi
convince” padre apprensivo.
« Sembri
piuttosto su di giri », commentò Charlie.
« Davvero? ».
Rispose lei,lavando i piatti alla svelta
e li mise ad asciugare.
“Resterà a
casa?”
« È sabato »,
osservò.
Bella
rimase in silenzio.
« Non hai
programmi per stasera? »,le chiese.
« No, papà,
voglio soltanto dormire un po' ».
« Non hai
trovato il tuo tipo in questa città, eh? ».
Beh non
abitavo proprio al centro di Forks, no?!
« No, non
ho notato ancora nessun ragazzo interessante ».
« Pensavo
che Mike Newton... me ne avevi parlato ».
Ancora Newton,
ma era una persecuzione. Mi irritava particolarmente sentirlo solo nominare,
pensare a lui mi procurava sempre un forte prurito alle mani: che voglia di
schiaffeggiarlo!!
Mi stupii
io stesso di tutto quel fastidio che mi invase, ogni particella nervosa del mio
cervello rifiutava il nome ed il ricordo di Nweton…che nome attribuire alla
sensazione che stavo provando? Gelosia, caspita quanto fosse più forte viverla
in prima persona, e che cosa strana: così incontrollabile.
« Papà, è
soltanto un amico ».
“Meglio
così, allora”
« Be', tu
sei di un altro livello. Aspetta l'università, prima di iniziare la ricerca ».
« Mi sembra
una buona idea », concluse, dirigendosi verso le scale.
“Terrò le
orecchie aperte”
« 'Notte,
cara ».
« Ci
vediamo domattina, papà ».
Sentii i
passi falsamente trascinati di Bella,chiuse la porta della stanza con forza
affinché Charlie la sentisse bene, e poi, in punta di piedi, corse alla
finestra, non accorgendosi della mia presenza. L'aprì e si sporse,
nell'oscurità della sera, rivolgendo gli occhi verso i rami degli alberi: era
esilarante.
« Edward? »,
mi chiamò sottovoce.
« Sì? »
chiesi, smorzando una risata.
Si voltò di
scatto, coprendosi la bocca per la sorpresa.
Vacillò, e
si lasciò cadere in ginocchio sul pavimento.
« Scusa »
mi sforzai di non sbottarle a ridere davanti.
« Dammi
solo un minuto per rimettere in moto il cuore ».
Allora mi
tirai su a sedere, con lentezza, per non spaventarla. Poi mi avvicinai e la
sollevai, afferrandola appena sotto le spalle. La poggiai sul letto accanto a
me.
« Vieni a
sederti qui », suggerii, sfiorandole la mano « Come va il cuore? ».
« Dimmelo
tu. Di sicuro lo senti meglio di me ».
Risi sommessamente,
non aveva tutti i torti. Lo sentivo chiaramente, batterle all’impazzata.
Restammo in
silenzio, in attesa che le sue pulsazioni rallentassero.
« Posso
essere umana per un minuto? ».
« Senz'altro
». Con un gesto le indicai che poteva procedere.
« Resta lì »,
disse, sforzandosi di suonare severa.
« Sissignora
». E finsi di diventare una statua, seduta sul bordo del suo letto.
Si alzò,
raccolse il pigiama dal pavimento e il beauty case dalla scrivania. Spense la
luce e sgattaiolò via, chiudendo la porta.
Sentii la
porta del bagno chiudersi in modo brusco.
Aspettai,
senza muovermi di un millimetro il suo ritorno.
Ascoltavo
il rumore del getto dell’acqua della doccia, il televisore al piano
sottostante.
Infine la
sentii scendere le scale di corsa:
« 'Notte,
papà ».
« 'Notte,
Bella ».
Irruppe in camera chiudendo la porta con cura.
Ricambiai
il suo sorriso, riprendendo vita.
La squadrai
dalla testa ai piedi, per osservare i capelli umidi e la maglietta
sbrindellata. Alzai un sopracciglio:
« Carina ».
Mi guardò
scettica.
« No, sul
serio, stai bene » l’avrei trovata sempre bellissima.
« Grazie »,
sussurrò. Si sistemò come prima, al mio fianco, sedendo sul letto a gambe
incrociate.
« A che pro
tutta questa preparazione e il resto? », chiesi, vedendola assorta sulle
venature del pavimento.
« Charlie
ha il sospetto che me ne possa sgattaiolare via di nascosto ».
« Ah... E
perché? » chiesi retorico, nonostante lo sapessi di mio il motivo.
« A quanto
pare, sono un po' troppo su di giri ».
La guardai
bene in faccia, sollevandole il mento.
« Ti trovo
accaldata, in effetti ».
Avvicinai
lentamente il mio viso al suo, sfiorandola con la guancia gelata. Restò
assolutamente immobile.
« Mmm... »,
gemetti con un respiro profondo.
Non si
mosse, né disse nulla. Rimase immobile dov’era, con la mia guancia contro la
sua.
« Mi sembra
che ora starmi vicino sia... molto più facile, per te ».
« Ti
sembra? », mormorai sfiorandole l'incavo del collo con la punta del naso. Le
ravvivai all'indietro i capelli bagnati per scoprire la pelle dietro
l'orecchio, e vi posai le labbra.
« Molto,
molto più facile », disse, senza che le uscisse il fiato.
« Mmm ».
« Perciò,
mi chiedevo... »,cercò di ricominciare, ma perse il filo del discorso
quando percepì le mie dita sul profilo del suo collo, fino alle spalle.
« Sì? »,le
alitai. Assuefatto dal suo profumo.
« Secondo
te », la voce letremò « qual è il
motivo? ».
Risi
lievemente divertito.
« La
ragione domina sugli istinti ».
Improvvisamente
si allontanò ritraendosi;rimasi impietrito , incapace perfino di respirare.
Incrociammo
i nostri sguardi attenti. Non scorgendovi paura o timore, la mia espressione si
fece più rilassata, ma allo stesso tempo perplessa.
« Ho fatto
qualcosa di male? ».
« No... al
contrario. Mi stai facendo impazzire ».
Meditai
qualche istante.
« Davvero? »
chiesi visibilmente compiaciuto.
« Ti
aspetti che parta un applauso? ».
Feci una
risatina.
« È solo
che sono rimasto positivamente sorpreso. Nell'ultimo... centinaio di anni non
ho mai immaginato che potesse succedermi qualcosa del genere. Non credevo che
avrei desiderato stare con qualcuno... che non fosse come fratello o sorella.
E poi, scoprire che malgrado sia totalmente nuovo per me, sono bravo... a stare
con te... » era la prima volta che trovavo difficoltà con le parole. Tutto ciò
che mi stava travolgendo era nuovo, mai provato prima…era difficile da
spiegare!
« Tu sei
bravo in tutto ».
Feci
spallucce indifferente ed entrambi ridemmo sottovoce.
« Ma com'è
possibile che adesso sia così facile? Oggi pomeriggio... ».
« Non è
facile » ,sospirai, « ma oggi pomeriggio, ero ancora... indeciso.
Mi dispiace, è stato un comportamento imperdonabile ».
« No, non
imperdonabile ».
« Grazie ».
sorrisi, poi abbassai lo sguardo. « Vedi, non ero sicuro di essere abbastanza
forte... ».le presi la mano e me la premetti piano contro la guancia. « E
finché sentivo come ancora possibile che venissi... sopraffatto », respirai il
profumo tra le sue dita, « ero... vulnerabile. Poi mi sono convinto che sono
abbastanza forte, che non ci sarebbe stato nessun rischio di... di
poter...» non potei finire la frase.
« Perciò,
ora non corro più rischi? ».
« La ragione
domina gli istinti », ripetei sfoderando il mio sorriso migliore.
« Be', è
stato facile ».
Gettai
indietro la testa e risi, sottovoce ma di gusto.
« Facile
per te! » le sfiorai il naso con la punta del dito.
L'istante
dopo tornai serio.
« Ci sto
provando », sussurrai, un filo di dolore nella sua voce. « Se dovesse
diventare... troppo, sono convinto che riuscirei ad andarmene ».
Feci una
pausa, soprafatto io stesso dalla tristezza che provavo nel pronunciare quelle
parole.
« E domani
sarà più difficile. Ora sono assuefatto alla presenza costante del tuo odore.
Se ti resto lontano troppo a lungo mi toccherà ricominciare da capo. Non
proprio da zero, però ».
« Allora
non andartene », rispose, mostrandomi il suo desiderio.
« Sono
d'accordo », risposi, rivolgendole un sorriso gentile e sereno. « Pronto per le
manette: sono tuo prigioniero » ma, mentre parlavo, furono le mie mani a
stringere i suoi polsi. Ridevo sommessamente, di vero buon umore: incredibile,
ero felice!
« Sembri
più... ottimista del solito. Non ti ho mai visto così di buonumore ».
« Non
dovrebbe essere così? >> sorrisi «
La gloria del primo amore, e tutto il resto. È incredibile quanta differenza
passi tra apprendere le cose dai libri, dai film, e viverle in prima persona
nella realtà, vero? ».
« Senza
dubbio è tutto molto più intenso di quanto avessi immaginato ».
Poi ripresi
di slancio, parlando molto velocemente, preso da un entusiasmo improvviso.
« Per
esempio, il sentimento della gelosia. Ne avrò letto migliaia di volte, l'ho
visto interpretare in migliaia di drammi e film. Pensavo di comprenderlo
perfettamente. Ma sono rimasto stupito... Ricordi quando Mike ti ha invitata
al ballo? » la fissai negli occhi.
Annuì
seria.
« È stato
quando hai ricominciato a parlarmi ».
« Sono
rimasto sorpreso dall'ondata di irritazione, quasi di furia, che ho sentito.
Sulle prime non ho riconosciuto cosa fosse. A innervosirmi più del lecito,
poi, c'era che non riuscivo a leggerti nel pensiero, non riuscivo a capire
perché rifiutassi l'invito. Soltanto per non dare un dispiacere alla tua amica?
C'era qualcun altro? In ogni caso, sapevo che non erano fatti miei, non dovevo
badarci. Ho cercato di non badarci. E poi la fila si è allungata ».
Ridacchiai
Lei rimasi
zitta e seria, nell'oscurità.
« Restai in
ascolto, pieno di irrazionale nervosismo, ansioso di sentire che risposta
avresti dato loro, di leggere le espressioni sul tuo viso. Non nascondo che
nel vedere il fastidio che ti suscitavano provavo sollievo. Ma non mi sentivo
rassicurato.
Così ho
iniziato a venire qui, proprio quella sera. Ho passato tutta la notte
combattuto, mentre ti guardavo dormire, diviso tra ciò che ritenevo giusto,
morale, etico, e ciò che desideravo. Sapevo che se avessi continuato a
ignorarti, come avrei dovuto, o se fossi sparito per qualche anno fino alla
tua partenza da Forks, avresti finito per dire di sì a Mike o a uno come lui.
Che rabbia.
E poi...
nel sonno ti ho sentita pronunciare il mio nome. Tanto chiaramente da farmi
pensare che ti fossi svegliata. Ti sei rigirata nel letto, hai mormorato di
nuovo il mio nome e sospirato. Quel momento mi ha sbalordito, e segnato. Ho
capito che non avrei più potuto ignorarti ».
Restai in
silenzio per qualche istante, in ascolto dei battiti aritmici del suo cuore:
l’unico capace di rivelarmi, almeno parzialmente, cosa Bella provasse.
«La
gelosia... che cosa strana. Molto più potente di quanto mi aspettassi. E
irrazionale! Anche poco fa, quando Charlie ti ha chiesto di quel vile di Mike
Newton... », scossi la testa, arrabbiato.
« Per me è
una novità. Stai resuscitando l'essere umano che è in me, e tutto ciò che sento
è più forte, perché nuovo ».
« Ma,
sinceramente, come fai a preoccuparti tu, dopo essermi venuto a dire che
Rosalie - Rosalie, l'incarnazione della pura bellezza! - doveva essere la tua
compagna? Emmett o non Emmett, come faccio a competere? ».
« Non c'è
confronto ».
Sorrisi
sincero. Guidai le sue mani attorno alla mia schiena, stringendola a me. Restò
completamente immobile, se avesse potuto avrebbe smesso di respirare.
« Lo so
bene che non c'è confronto », sussurrò contro la mia pelle « Questo è il problema ».
« Certo che
Rosalie è bellissima, a suo modo, ma anche se non fosse come una sorella, anche
se Emmett non ci vivesse insieme, lei non riuscirebbe a scatenare in me un
decimo dell'attrazione che mi lega a te ». mi ero fatto serio e pensieroso. « Per
quasi novant'anni ho vissuto tra quelli della mia specie, e della tua... sempre
certo di bastare a me stesso, senza sapere ciò che stavo cercando. E senza
trovare nulla, perché non eri ancora nata ».
« Non mi sembra
affatto giusto », sussurrò, con la testa sul mio petto, ascoltando il ritmo del
mio respiro. « Io non ho dovuto aspettare nemmeno un secondo. Perché dovrebbe
andarmi così liscia? ».
« Hai
ragione », risposi, divertito. « Dovrei proprio rendertela più difficile. Una
volta per tutte » le strinsi i polsi, nella presa delicata di una sola mano.
Accarezzai dolcemente i suoi capelli umidi, dalla testa alle spalle. « Dopotutto
sei soltanto costretta a rischiare la vita ogni secondo che passi assieme a me,
e non è granché. Ti tocca soltanto voltare le spalle alla natura,
all'umanità... cosa vuoi che sia? ».
« Pochissimo.
Non mi sembra di dover sopportare una gran rinuncia ».
« Non ancora
». Dissi con dolore.
Voler
restare al mio fianco comportava delle rinunce da parte sua. Sembrava non
importarle,ma sarebbe stato sempre così?! I suoi bisogni, le sue emozioni erano
fragili, come la sua natura. Non ero del tutto convinto, che prima o poi sentisse
il bisogno di comportarsi nella normalità, richiesta dal suo animo umano.
« Cosa...
», cominciò a domandarmi.
Mi irrigidì
nel sentire i passi sulle scale ed i pensieri più vicini di Charlie.
Restò
impietrita, lasciai le sue mani all'improvviso e sparii. Per poco non cadeva
in avanti.
« Sdraiati!
», sibilai.
Si avvolse
nella coperta, rannicchiandosi sul fianco come dormiva di solito. Sentii la
porta aprirsi, era Charlie che sbirciava in camera per controllare che Bella
fosse nel suo letto.
Cercò,
miseramente, di fingere l’andatura del respiro pesante che si ha quando si
dorme.
Quando
Charlie chiuse la porta mi sdraiai silenziosamente accanto a Bella, le passai
un braccio attorno alla vita, sotto le coperte.
« Sei una
pessima attrice... secondo me non farai mai carriera » le sussurrai,
sfiorandole l’orecchio con le labbra.
« Accidenti
».
Presi a canticchiare la melodia che lei era
stata capace d’ispirare.
« Devo
cantarti qualcosa per farti addormentare? », chiesi interrompendomi.
« Ah,
certo. Come se potessi dormire con te accanto al letto! ».
« Lo fai
sempre ».
« Ma prima
non sapevo che fossi qui », rispose seccamente.
« Be', se
non vuoi dormire... », suggerii, ignorando il tono della sua voce. Sospese il
respiro.
« Se non
voglio dormire... ».
Feci una
risatina.
« Cosa preferisci fare? ».
Attesi
qualche istante, che rispondesse.
« Non
saprei », disse infine.
« Quando
avrai deciso, dimmelo ».
Il mio
fiato freddo era sul suo collo, il mio naso le sfiorava il mento e respiravo il
suo profumo.
« Pensavo
ti ci fossi abituato ».
« Il fatto
che io resista al vino non significa che non ne possa apprezzare il bouquet »,
sussurrai. « Il tuo odore è molto floreale, sai di lavanda... o di fresia. È
dissetante ».
« Sì, è
proprio una giornataccia, se nessuno mi dice quanto sono mangiabile ».
Ridacchiai
e tirai un sospiro.
« Ho deciso
», decretò, « voglio sapere qualcos'altro di te ».
« Chiedi
pure ».
« Perché lo
fai? Ancora non capisco perché ti sforzi così tanto di resistere a ciò che...
sei. Ti prego, non fraintendermi, è ovvio che ne sono contenta. Ma non capisco
quale sia la causa scatenante ».
Indugiai,
prima di rispondere:
« È una bella domanda, e non è la prima volta
che la sento. Anche gli altri - la maggior parte dei nostri simili, quelli che
non rinnegano la propria natura - si chiedono come facciamo a vivere così. Ma
vedi, il fatto che ci sia... toccata in sorte una certa condizione... non
significa che non possiamo scegliere di innalzarci, di superare i confini di un
destino che non abbiamo scelto noi. Cercando di conservare il più possibile
l'essenza di un'umanità ».
La sentivo impietrita,
immobile, tra le mie braccia in un silenzio reverenziale.
« Ti sei
addormentata? », bisbigliai, dopo qualche minuto.
« No ».
« È
soltanto questo che volevi sapere? ».
« No
davvero! ».
« Cos'altro?
».
« Perché
sei capace di leggere nel pensiero? Perché soltanto tu? E Alice... com'è
possibile che veda il futuro? ».
Mi strinsi
nelle spalle.
« Neanche
noi lo sappiamo con precisione. Carlisle ha una teoria... secondo lui ognuno di
noi porta con sé, nella sua nuova vita, una parte amplificata delle proprie
caratteristiche umane. Io, per esempio, probabilmente ero una persona molto
sensibile all'umore di chi mi stava attorno. E così Alice, ovunque fosse,
forse aveva capacità precognitive ».
« Lui e gli
altri cos'hanno portato di sé nella nuova vita? ».
« Carlisle
la compassione. Esme la capacità di amare appassionatamente. Emmett la forza,
Rosalie la... tenacia. Ma puoi chiamarla anche testardaggine », ridacchiai. « Jasper
è molto interessante. Nella sua prima vita era molto carismatico, capace di
convincere gli altri delle sue opinioni. Adesso riesce a manipolare le
emozioni di chi lo circonda: calmare una folla inferocita, per esempio, o al
contrario suscitare entusiasmo in un pubblico apatico. È un dono molto sottile ».
Immaginai
che il suo mutismo, fosse dovuto al fatto che fosse persa in una delle sue
riflessioni così attesi pazientemente.
« Ma dov'è
iniziato tutto? Voglio dire, a cambiare te è stato Carlisle, ma qualcuno deve
aver cambiato lui, e così via... ».
« Be', tu
da dove vieni? Evoluzione? Creazione? Non potremmo esserci evoluti come le
altre specie, predatori e prede? Oppure, se non credi che questo mondo sia nato
da sé, cosa che io stesso fatico ad accettare, è così difficile pensare che la
stessa forza che ha creato il pesce angelo e lo squalo, il cucciolo di foca e
l'orca assassina, abbia creato la tua specie e la mia? ».
« Fammi
capire bene: io sarei il cucciolo di foca, vero? ».
« Esatto »,
risi, e le sfiorai i capelli con le labbra.
Non rispose
nulla, la stringevo a me, sentivo il suo respiro farsi sempre più lento e
regolare.
« Sei pronta
per addormentarti? », chiesi, spezzando quel breve silenzio. « O hai altre
domande? ».
« Soltanto
un milione o due ».
« Ci sono
ancora domani, e dopodomani, e il giorno dopo... », le feci presente.
« Mi
prometti che non svanirai con l'arrivo del giorno? » si accertò « Dopotutto,
sei una creatura leggendaria ».
« Non ti
lascerò ». Le promisi solennemente.
« Ancora
una, allora, per stasera... » sentii la sua pelle diventare più calda.
Sicuramente era arrossita.
«Quale? ».
« No,
lasciamo perdere. Ho cambiato idea ».
« Bella,
puoi chiedermi qualsiasi cosa ».
Non
rispose, ed io sbuffai:
« Continuo a pensare che non poterti leggere
nel pensiero col tempo sarà meno frustrante. Invece è sempre peggio ».
« Sono
felice che tu non sia capace di leggermi nel pensiero. Già è grave che origli
quando parlo nel sonno ».
« Per
favore ». Pregai con voce suadente.
Scosse il
capo.
« Se non me
lo dici, darò per scontato che sia qualcosa di molto peggio di ciò che è »,
minacciai cupo. « Per favore »implorai.
« Be'... »,
azzardò senza finire la frase.
« Sì? ».
« Hai detto
che Rosalie ed Emmett si sposeranno presto... Il loro matrimonio è uguale a...
quelli umani? ».
Capii cosa
intendeva e scoppiai a ridere:
« È lì che vuoi arrivare? ».
Cincischiava,
incapace di rispondere.
« Sì,
immagino che sia più o meno la stessa cosa », continuai. « Te l'ho detto, molti
degli istinti umani sopravvivono, sono solo nascosti dietro altri e più potenti
desideri ».
« Ah ».
« Che scopo
aveva questa domanda? ».
« Be', mi
chiedevo, in effetti, se... io e te... un giorno... ».
Diventai
subito serio. Mi pietrificai, a quel pensiero. Bella, automaticamente, fece lo
stesso.
« Non penso
che... che... per noi sarebbe possibile ».
« Perché
sarebbe troppo difficile per te, sentirmi così... vicina? ».
« Quello
sarebbe senz'altro un problema. Ma ora pensavo ad altro. Il fatto è che sei
così tenera, così fragile. Quando mi sei accanto devo badare a ogni mio gesto,
per non farti del male. Potrei ucciderti senza sforzo, Bella, anche per sbaglio
». La voce mi divenne un debole sussurro. Avvicinai una mano e ne posai il
palmo freddo sulla sua guancia. « Se avessi fretta... se per un secondo non
facessi attenzione, potrei sfondarti il cranio con una carezza. Non ti rendi
conto di quanto tu sia friabile. Non posso mai, mai permettermi di
perdere il controllo, se ci sei tu. In nessun senso, mai ».
Attesi una
risposta, sempre più ansioso di fronte al suo silenzio. « Sei spaventata? ».
Aspettai un
altro minuto, prima che lei rispondesse:
« No. Tutto
bene ».
In quel
momento però fui colpito da una curiosità.
« Adesso,
però, sono curioso io », dissi, rasserenandomi. « Hai mai... ». Lasciai la
domanda in sospeso.
« Certo che
no » avvampò « Te l'ho già detto, nessuno mi ha mai fatto sentire così, nemmeno
lontanamente ».
« Lo so.
Però conosco i pensieri delle altre persone. E so che sentimento e sensualità non
vanno sempre di pari passo ».
« Per me
sì. Perlomeno adesso che li sento nascere », sospirò.
« Bene. Se
non altro, una cosa in comune l'abbiamo » notai soddisfatto. Chissà perché mi
facesse contento saperla ancora vergine.
« I tuoi istinti
umani... », s’interruppe ed io attesi che completasse la frase. « Be', mi
trovi minimamente attraente anche in quel senso? ».
Risi e le
arruffai i capelli quasi asciutti.
« Non sarò
un essere umano, ma un uomo sì ».
Sbadigliò.
« Ho
risposto alle tue domande, ora è meglio che tu dorma ».
« Non so se
ci riuscirò ».
« Vuoi che
me ne vada? ».
« No! », disse,
a voce troppo alta.
Risi, e
iniziai a sussurrare la stessa ninna nanna di poco prima.
In breve tempo la sentii rilassarsi
e scivolare nel sonno tra le mie braccia.
<< Buonanotte >> le sussurrai
nell’orecchio, poi posai le labbra delicatamente sulla sua guancia.
Rimasi immobile, seguii il ritmo
del suo respiro: regolare e profondo.
Sorrisi nel buio, quando, disse
ancora addormentata:
<< Edward…ti amo >>
Lo sapevo,ovviamente, ma fu bello sentirlo.
Il sorriso si allargò sulle mie labbra:
<< Anche io >> le
dissi, anche se sapevo che non mi avrebbe sentito.
Ogni promessa è debito, e appena mi
è stato possibile ho aggiornato.
Voglio ringraziare:
Lady-cat: grazie sei sempre così
piena di complimenti, mi farai arrossire!
Rebecca73: ti ringrazio per aver
visto nel mio stile dei miglioramenti, e apprezzo il tuo consiglio: farò del
mio meglio! Grazie anche per aver aggiunto la mia storia tra le seguite.
Aberlin: il capitolo precedente è
stato per me il più difficile da scrivere, mi dispiace di non aver descritto
sufficientemente i sentimenti di Edward, grazie per avermelo fatto notare.
Spero di aver fatto meglio in questo capitolo!
Per qualsiasi difetto che possiate
trovare o se avete delle richieste, non esitate a chiedere: cercherò di
accontentarvi al meglio.
Rimasi
immobile, steso accanto a lei, fino a quando mi accorsi che il suo sonno si era
fatto più sodo. Non avrebbe più parlato.
Mi alzai
senza fare alcun rumore e sgattaiolai fuori dalla finestra, indugiai un attimo
prima di saltare, posai lo sguardo su Bella, non si era mossa, dormiva
tranquilla anche senza le mie braccia intorno a lei.
Corsi
veloce verso casa, dovevo cambiarmi non potendo uscire il giorno seguente con
gli stessi abiti che indossavo in quel momento.
Con mia
sorpresa li trovai tutti in salotto, la mia assenza di ventiquattrore li aveva
allarmati?!
<<
Ciao, a tutti >> dissi allegro, entrando.
Rosalie non
si mosse, mi scrutò solo con sguardo contrariato, Emmett
scosse il capo tra l’interdizione ed il divertimento, tutti gli altri mi
mostrano un sorriso.
<<
Siamo di buon umore! >> esclamò Esme,
entusiasta.
Sorrisi a
mia volta, assentendo con il capo.
<<
Inutile chiederti dove sei stato!! >> sbottò Rosalie irritata.
<< Rose… >> sussurrò Emmett
cercando di calmarla.
Tutti gli
altri si girarono a guardarla scuotendo il capo.
Esme mi si
avvicinò ma si rivolse a Rosalie.
<<
Che importa dove è stato e soprattutto con chi >> fece una pausa tornando
a guardarmi << Ciò che conta è l’umore con cui è rincasato >> la
sua voce si era fatta ancora più dolce se era possibile.
Rosalie
sbuffò, rivolgendo solo a me il suo pensiero.
“Siete
tutti impazziti”
Poi la vidi
avviarsi verso le scale a grandi passi.
<< Un
attimo, Rosalie >> la richiamai.
Mia sorella
si girò a mezzo busto, sempre con le braccia incrociate e l’espressione
imbronciata:
<<
Sì? >> chiese scettica, alzando un sopracciglio.
<<
Vorrei che sentissi anche tu la proposta che sto per fare >>
Mi ritrovai
sei paia di occhi puntati addosso, sconcertati.
<<
Che ne dite se domani- o meglio tra qualche ora- portassi qui Bella? >>
attesi con il fiato sospeso una loro risposta.
<< Ma
come ti viene in mente?? >> Rosalie quasi urlò per lo stupore.
Il resto
del gruppo la ignorò: Carlisle, Alice ed Esme avevano lo stesso sorriso compiaciuto sulle labbra,
mentre Emmett e Jasper si guardarono divertiti.
<<
Voglio proprio scommettere se arriverà qui sana e salva! >> scherzò Emmett.
<< Emmett…mi abbandoni pure tu?! >> lo aggredì Rosalie
risentita, poi si rivolse al resto della famiglia << Bene, vedo che siete
tutti d’accordo >>
Non
aggiunse altro, ci diede le spalle e lasciò la stanza. Scossi il capo stanco e
abbattuto: non mi faceva piacere l’ostilità di Rosalie, ma ormai non mi restava
altro che non badarvi. Se proprio nonvoleva partecipare alla mia felicità, non potevo certo costringerla. Ma
ora che avevo trovato Bella, dopo decenni di solitudine e di inutile
vagabondare, non ci avrei rinunciato per nulla al mondo.
<<
Vuoi scommettere contro di me?! Ma non ha senso, lo sai >>
La voce
allegra di Alice, e le risate che suscitò nei presenti la sua osservazione, mi
riscossero dai miei pensieri.
<< Ha
proprio ragione, Emmett >> dissi, sorridendo a
mia volta.
Li lasciai
“baccagliare” sulla puntata, dirigendomi in camera mia per cambiarmi, e
aggiustarmi i capelli leggermente in disordine.
Quando
riscesi scherzavano ancora allegramente:
<<
Jasper mi permetti due parole? >>
Senza
scomporsi si alzò dal divano e mi raggiunse davanti la porta d’ingresso, probabilmente
si accorse del mio disagio perché mi rilassai immediatamente.
<<
Non è per mancanza di fiducia nei tuoi confronti, ma…vedi,
preferirei che tenessi le distanze da Bella >>
“Ok, non ti
preoccupare”
<< E’
solo per precauzione, non vorrei… >>
“Correre
dei rischi, ho capito è tutto a posto”
<< Ti
ringrazio >>
Mi fece un
sorriso e tornò dagli altri.
Stavo per
riandarmene di nuovo, quando mi stupii un pensiero:
“Io proprio
non la capisco!”
Mi girai e
trovai il volto di Rosalie contratto, ma non dalla rabbia.
“Ha la
possibilità di vivere una vita normale…ma invece si è
intestardita con te”
In quel
momento captai l’antico dolore di mia sorella: nonostante l’essere diventata
vampira l’avesse condotta ad Emmett, rimpiangeva la
sua vita umana. Lo sguardo mi cadde, involontariamente, sul suo grembo. Avrebbe
mai accettato la sua impossibilità di diventare madre?!Tornai a scrutarla negli
occhi, c’era un velo trasparente sulle sue iridi, e mi risposi che no, non
sarebbe mai riuscita del tutto a farsene una ragione.
Annuii in
silenzio;non potei dirle nulla, perché niente sarebbe stato appropriato. Quando
il dolore è tanto forte da riuscire ad annientare, quando si è consapevoli di
aver perso per sempre la cosa che più si desiderava, allora nulla può davvero
consolare.
Ritrovai
Bella ancora addormentata, ma si era spostata sull’altro fianco, sentivo il suo
respiro pesante.
Mi sedetti
sulla sedia a dondolo nell’angolo, non volevo rischiare di svegliarla,
sdraiandomi nuovamente vicino a lei; non staccai gli occhi dai lei neanche per
un secondo.
Alle prime
ore del mattino, sentii Charlie trafficare con il pick-up. Mi affacciai alla
finestra e lo vidi ricollegare la batteria al mezzo, lo guardai accigliato:
sarebbe bastato a fermare Bella, se avesse voluto fuggire? Sinceramente avevo i
miei dubbi.
Solo quando
una tenue luce, illuminò la stanza, udii lo sbattere delle sue ciglia, il viso
era coperto da un braccio.
Sbadigliò e
si girò sul fianco, forse sperando di riaddormentarsi.
Improvvisamente,
però, si alzò di slanciò:
« Ah! »
Notai i
suoi capelli arruffati e sorrisi.
« Il tuoi
capelli sembrano una balla di fieno... ma mi piacciono ».
« Edward!
Sei rimasto qui! » esclamò sorpresa.
Con
entusiasmo si lanciò in braccio a me. Sorrisi compiaciuto della sua reazione,
anche se ne ero leggermente stupito. Le accarezzavo delicatamente la schiena.
« Certo ».
Bella posò
le testa sulla mia spalla. Non mi sarei mai stancato del suo profumo.
« Ero
convinta di averti sognato ».
« Non sei
tanto creativa ».
« Charlie! »,
si ricordò all'improvviso, saltando su d'istinto e andando verso la porta.
« È uscito
un'ora fa... dopo aver ricollegato la batteria del pick-up, se proprio vuoi
saperlo. Devo ammettere che un po' mi ha deluso. Basterebbe così poco per
bloccarti, se fossi decisa a fuggire? ».
Si fermò a riflettere,
però senza spostarsi.
« Di
solito, la mattina non sei così confusa », le feci notare. Aspettavo il suo
ritorno a braccia aperte.
« Ho
bisogno di un altro minuto umano ».
« Ti
aspetto ».
La vidi
uscire con troppa fretta dalla sua camera, la sentii chiudersi in bagno e poco
dopo udii uscire l’acqua del lavabo.
L’attendevo
impaziente di stringerla di nuovo a me. Strano come anche la più piccola
distanza, quando si è innamorati, diventi insopportabile.
Quando la
vidi tornare, le andai incontro a braccia spalancate:
« Bentornata
», mormorai, abbracciandola.
Per un po'
la cullai in silenzio, finché non si accorse che i miei vestiti erano diversi e
i capelli più ordinati.
« Te ne sei
andato? », mi accusò, indicando il colletto della mia camicia.
« Non
potevo certo uscire di qui con gli stessi abiti che avevo quando sono
entrato... Cosa avrebbero pensato i vicini? ».
Mi guardò,
imbronciata.
« Stavi
dormendo sodo; non mi sono perso niente ». Il mio sguardo al ricordo si accese.
« I discorsi li avevi già fatti ».
« Cos'hai
sentito? », le uscì con un tono lamentoso.
« Hai detto
che mi amavi » le dissi, guardandola negli occhi con amore, non l’avrei mai
dimenticato.
« Lo sapevi
già », disse, chinando la testa.
« Però è
stato bello sentirlo ».
Affondò la
faccia nella mia spalla.
« Ti amo »,
sussurrò.
« Tu sei la
mia vita, adesso ».
Qualsiasi
altra parola sarebbe stata superflua, quasi banale. La cullai, avanti e
indietro, fino a quando non fu mattino pieno.
« È ora di
fare colazione », dissi infine,evitando di scordare come il giorno precedente i
suoi bisogni umani.
Ma lei fece
un movimento, che mi scioccò raggelandomi: si portò le mani al collo e spalancò
gli occhi fissandomi terrorizzata.
« Scherzetto!
», ridacchiò. « E poi dici che non sono capace di recitare! ».
« Non è
stato divertente » la rimproverai, con una smorfia di disapprovazione.
« Invece
sì, tanto, e lo sai anche tu » mi scrutò negli occhi, cercando di capire se me
la fossi presa.
Ero
tranquillo, anche se non avevo gradito la sua burlata.
« Posso
riformulare la frase? », chiesi. « È ora di fare colazione, per gli umani ».
« Ah, d'accordo
».
La presi in
spalla, con gentilezza e velocità. Cercò inutilmente di protestare, mentre la
portavo giù per le scale senza sforzo. Riuscii a lasciarla direttamente su una
sedia.
« Cosa c'è
per colazione? », chiese, con tono amabile.
La domanda
mi lasciò interdetto qualche istante.
« Ehm, non
saprei. Cosa ti piacerebbe mangiare? >> domandai con le sopracciglia
corrugate.
Sorrise e
si alzò di scatto.
« Benissimo,
posso cavarmela da sola senza problemi. Osservami mentre caccio ».
Trovò una
tazza e una scatola di cereali, versò il latte e afferrò un cucchiaio. Dispose
il cibo sul tavolo, in silenzio.
« Vuoi che
procacci qualcosa anche per te? », chiese.
Alzai gli
occhi al cielo, con fare rassegnato.
« Mangia e
basta, Bella ».
Si accomodò
al tavolo, masticando la prima cucchiaiata senza staccarmi gli occhi di dosso.
Studiavo ogni suo movimento, ipnotizzato. Si schiarì la gola per parlare.
« Cos'abbiamo
in programma oggi? ».
« Mmm... » laosservai
cercando la risposta. Le sarebbe piaciuta la mia idea?! « Che ne dici di venire
a conoscere la mia famiglia ».
Restò senza
parole.
« Hai
paura, adesso? » domandai, quasi speranzoso che per una volta dicesse che lo
era.
« In
effetti, sì » glielo leggevo negli occhi.
« Non preoccuparti.
Ti proteggerò io », la rassicurai con un sorrisetto.
« Non ho
paura di loro. Temo che non... gli piacerò. Non credi che saranno
sorpresi di vederti arrivare assieme a una... come me... a casa loro, per conoscerli?
Sanno quel che so di loro? ».
« Sanno già
tutto. Ieri hanno persino scommesso », accennai una risata, ma poco convinta, «
su quante possibilità io abbia di portarti a casa sana e salva, benché mi
sembri una stupidaggine scommettere contro Alice. E in ogni caso, nella mia
famiglia non ci sono segreti. Non sarebbe proprio concepibile, con me che leggo
nel pensiero, Alice che vede il futuro e tutto il resto ».
« E Jasper
che ti rende felice, contento ed entusiasta di raccontargli i fatti tuoi, non
dimentichiamolo ».
« Ah, vedo
che quando parlo stai attenta ».
« Di tanto
in tanto capita anche a me » fece una linguaccia. « Perciò, Alice mi ha già
vista arrivare? ».
« Qualcosa
del genere », dissi, senza troppo entusiasmo, voltandomi per non mostrarle il
mio sguardo scuro. Alice aveva visto di peggio. Sentii il suo sguardo su di me.
« È buono
quel che mangi? », domandai, tornando a osservarla e adocchiando la sua
colazione con sguardo malizioso. « Sinceramente, non mette tanto appetito ».
« Be', di
certo non è un grizzly permaloso... », mormorò, ignorando la mia reazione
seria.
Aspettai
che finisse, stando in piedi al centro della cucina, intento a fissare fuori
dalla finestra, senza però realmente vedere il paesaggio. Ripensavo alla
visione di Alice, la mia Bella…trasformata?!
Tornai a
guardarla, scacciando quel pensiero, con un sorriso.
« E
immagino che poi toccherà a te, presentarmi a tuo padre ».
« Ti
conosce già », rispose.
« In quanto
tuo ragazzo, dico ».
« Perché? » mi guardò sospettosa.
« Non si
usa? », chiesi, innocente.
« Ti confesso
che non lo so » ci pensò un attimo « Non
è necessario, ecco. Non mi aspetto che tu... Cioè, non sei costretto a fingere
per me ».
« Non sto
fingendo » sorrisi paziente.
Raccolse gli
avanzi di cereali sul bordo della tazza.
« Dirai o
no a Charlie che sono il tuo ragazzo? », insistetti.
« Lo sei? ».
« In
effetti l'espressione "ragazzo" è qui intesa in senso lato ».
« Avevo
l'impressione che fossi qualcosa di più, a dir la verità », confessò,
spostando lo sguardo sul tavolo.
« Be', non
so se sia il caso di descrivergli anche i dettagli più sanguinolenti » mi
avvicinai e, sfiorandole il mento con un dito, la costrinsi delicatamente ad
alzare la testa. « Ma senz'altro dovremo giustificare in qualche modo il fatto
che ti girerò attorno tanto spesso. Non voglio che l'ispettore Swan ricorra a misure cautelari per vietarmi formalmente di
vederti ».
« Ti vedrò
spesso? », chiese, impaziente. « Starai qui spesso, davvero? ».
« Per tutto
il tempo che vuoi » risposi serio.
« Attento,
perché ti vorrò sempre. Per sempre ».
Girai lentamente
attorno al tavolo e, vicino com'ero, allungai una mano per sfiorarle la guancia
con le dita. Quando usava la parola “per sempre” mi immalinconivo. Possibile,
allora, che Alice ci avesse visto giusto?!Che Bella avrebbe rinunciato a tutto,
trasformandosi in un mostro, solo per starmi accanto?!Era assurdo.
« Quest'idea
ti mette tristezza? ».
Non
risposi, continuando a fissarla negli occhi.
« Hai
finito? », chiesi infine.
« Sì
>> si alzò di slancio.
« Vestiti.
Ti aspetto qui >>.
L’aspettai
ai piedi degli scalini, paziente, perso nelle mie riflessioni: come si sarebbe
svolta la giornata?!
La sua voce
mi distrasse.
« Okay ».
balzò giù dalle scale. « Sono presentabile ».
Si scontrò in pieno con me. La fermai, e la
tenni a distanza di sicurezza per qualche secondo per osservare come si era
vestita: indossava la stessa camicia blu che avevo già apprezzato, una lunga
gonna color kaki, i capelli raccolti in una coda di cavallo le lasciavano
scoperto il viso. Non l’avevo mai trovata tanto bella. La strinsi a me.
« Sbagliato
», sussurrai al suo orecchio. « Sei assolutamente impresentabile. Nessuno
dovrebbe essere così attraente: è una tentazione, non è giusto ».
« Sei
davvero assurda >> le posai delicatamente, le labbra sulla fronte « Mi
concedi di spiegarti come mi stai inducendo in tentazione? », domandai,
retoricamente.
Le mie dita
scorrevano lentamente sulla sua schiena e il mio respiro si avvicinò al suo
viso. Teneva le mani sul mio petto. Piegai lentamente la testa e con le labbra
fredde toccai le sue per la seconda volta, con attenzione le dischiusi appena.
La sensazione, che provai fu ancora più forte e vivida della prima volta.
Ma a quel
punto, le gambe di Bella cedettero.
« Bella? »
l’afferrai e sollevai, allarmato.
« Mi...
hai... fatta... svenire ». Aveva perso le forze.
« Ma cosa
devo fare con te?! », esclamai esasperato. «La prima volta che ti bacio, mi
assali! La seconda, mi svieni tra le braccia! ».
Si fece
sfuggire una debole risata, avvolta nel mio abbraccio protettivo.
« E meno
male che sono bravo in tutto », sospirai.
« Questo è
il problema », disse « Sei troppo bravo. Troppo, troppo bravo ».
« Ti senti
male? », chiesi. L’avevo già vista in quello stato, e non m’era piaciuto.
« No... non
è stato affatto come l'altro svenimento. Non so cosa sia successo ». Cercava di
scusarsi, scuotendo la testa. « Penso di aver dimenticato di respirare ».
« Non posso
portarti da nessuna parte, in queste condizioni ».
« Guarda
che sto bene. E poi, i tuoi penseranno comunque che sono pazza, perciò... che
differenza fa? ».
Per un
istante rimasi a studiarla.
« Ho un
debole per come quel colore si sposa con la tua carnagione », commentai, cogliendola
di sorpresa. Arrossì e guardò altrove.
« Ascolta,
sto cercando con tutte le mie forze di non pensare a ciò che sto per fare, perciò
possiamo andare? », implorò.
« E sei
preoccupata, non perché stai per conoscere una famiglia di vampiri, ma perché
temi che questi vampiri non ti approveranno, giusto? ».
« Giusto »,
rispose immediatamente.
« Sei
incredibile» scossi il capo.
Mi lasciò
guidare il suo pick-up, senza opporre resistenza.Uscimmo dalla città di Forks,oltrepassammo
il ponte sul fiume Calawah e proseguimmo lungo le
curve della strada che puntava verso nord. Superate le ultime abitazioni, ci
ritrovammo in mezzo alla foresta. A quel punto deviai su una strada sterrata,
non segnalata e appena visibile in mezzo ai cespugli. La strada era risucchiata
dal verde della foresta, sembra avvolgerci nei suoi alti rami.
Lentamente
il bosco si fece meno fitto, e arrivammo in un giardino.
L'oscurità
della foresta, però era sempre molto forte, perché l'intrico dei rami di sei cedri
faceva ombra su un acro intero. L'ombra protettiva degli alberi giungeva fino
alle mura di casa mia: alta tre piani, rendeva superflua la veranda.
« Accidenti
» sembrava sbalordita.
« Ti piace?
».
« Ha... un
certo fascino ».
La tirai
per la coda e feci un risolino.
« Pronta? »,
chiesi, aprendole la portiera.
« Nemmeno
un po'. Andiamo » si sforzò di ridere, ma la voce le restò in gola. Si aggiustò
i capelli, nervosa.
« Sei molto
carina » le presi la mano con disinvoltura.
Attraversammo
l'ombra scura fino alla veranda. Percepivo la sua tensione,disegnai con il
pollice,cerchi sul dorso della sua mano, sperando di farla tranquillizzare.
Aprii la
porta e la feci entrare.
La guardai
con la coda dell’occhio, osservare ammaliata l’interno ampio e luminoso.
Ad
accoglierci, alla nostra sinistra, in piedi sul rialzo occupato dal mio pianoforte,
trovammo i miei genitori.
Ci diedero
il benvenuto con un sorriso, ma non si avvicinarono per non spaventare Bella.
Spezzai il
silenzio, facendo le dovute presentazioni.
« Carlisle, Esme, vi presento Bella
».
« Benvenuta,
Bella ». Carlisle le venne incontro a passi misurati,
attenti. Le offrì una mano, e Bella fece un passo avanti per stringerla.
« È un
piacere rivederla, dottor Cullen ».
« Chiamami
pure Carlisle ».
« Carlisle » gli sorrise. L’improvvisa tranquillità che si
impossessò di lei, mi fece rilassare.
Esme sorrise e
si avvicinò anche lei, offrendole la mano.
« È davvero
un piacere fare la tua conoscenza », disse, sincera.
« Grazie.
Anch'io ne sono lieta ».
« Dove sono
Alice e Jasper? », chiesima nessuno
rispose, in quanto avevano appena fatto la loro comparsa, sulle scale.
« Ehi,
Edward! », esclamò Alice, entusiasta. Scese le scale di corsa, arrestandosi di
fronte a Bella.
Carlisle ed Esme le lanciarono occhiate di avvertimento, ma Bella non
ne sembrava intimorita.
« Ciao,
Bella! », disse, e si sporse per baciarla sulla guancia. A quel punto sia io
che i miei genitori ci irrigidimmo, la spontaneità di Alice ci prese tutti in
contropiede.
« Hai
davvero un buon odore, non me ne ero mai accorta », commentò lei.
E quell’ultimo
commento mise K.O. le mie ultime facoltà mentali ancora capaci di funzionare,
non trovavo nulla da dire…la mia salvezza fu Jasper.
Adoperò il
suo finissimo dono infondendoci una tranquillità esagerata, lo guardai
sconcertato.
« Ciao
Bella », disse Jasper. Restò a distanza enon le offrì la mano come mi ero raccomandato, era ancora troppo
sensibile al profumo del sangue umano.
« Ciao
Jasper » accennò un sorriso timido, prima a lui e poi agli altri. « Sono felice
di conoscervi... la vostra casa è bellissima », aggiunse.
« Grazie »,
rispose Esme. « Siamo davvero contenti che tu sia
venuta ».
“Complimenti
Edward, è proprio coraggiosa per essere venuta qui…ne
sono davvero molto felice”
Mi
soffermai poco sul pensiero di mia madre, lo sguardo di Carlisle
catturò il mio:
“Sta’ attento nei prossimi giorni, Edward…Alice ha detto che abbiamo ospiti”
Anuii serio,
sperando che a Bella fosse sfuggito quel particolare.
Lei guardò
altrove, soffermandosi sul pianoforte a coda, accanto alla porta.
Esme notò il suo
sguardo assorto, chissà a cosa stava pensando, quali ricordi o desideri aveva
fatto riaffiorare lo strumento.
« Suoni? »,
chiese, inclinando la testa verso il piano.
« No, per niente. Ma è bellissimo. È tuo? ».
« No. Edward non ti ha detto che è un
musicista? » mia madre, rise.
« No ».
Sorpresa, si voltò a scrutarmi: la mia espressione si era fatta innocente. « Immagino
che avrei dovuto saperlo ».
“Che intende?”si chiese Emse,
con le sopracciglia alzate.
« Edward è
capace di fare tutto, vero? », disse, Bella.
Jasper
soffocò una risata, ed Esme mi lanciò un'occhiata di
rimprovero.
« Spero che
tu non ti sia vantato troppo, non è educato », disse lei.
« Soltanto
un po' >> Bella mi seguii in una risata. Esme
si tranquillizzò.
“Sei sempre
il solito”
Ci
scambiammo una risata, ma Esme era compiaciuta.
« Per la
verità, è stato fin troppo modesto », precisò, Bella.
« Be', dai
Edward, suona per lei », mi incoraggiò.
« Hai
appena detto che è maleducazione », replicai.
« Ogni
regola ha un'eccezione ».
« Mi piacerebbe
sentirti suonare », propose Bella.
« Siamo
d'accordo, allora », ed Esme mi spinse verso il
piano. Trascinai con me Bella e la feci accomodare sul seggiolino, al mio
fianco.
Prima di abbassare
gli occhi sui tasti, le rivolsi uno sguardo esasperato.
Poi le mie
dita iniziarono a correre veloci sui tasti, e il salone si riempì di una melodia
rigogliosa e vivace. Bella restò a bocca aperta, sorpresa.
La guardai di
sfuggita:
« Ti piace?
».
« L'hai
scritta tu? ». Era senza fiato.
Annuii:
« È la
preferita di Esme ».
Chiuse gli
occhi e scosse il capo.
« Cosa c'è
che non va? ».
« Mi sento
estremamente insignificante ».
La musica
rallentò, si trasformò nella ninna nanna che avevo composto esclusivamente per
lei.
« Questa
l'hai ispirata tu », dissi, a bassa voce.
Era senza
parole.
« Piaci a tutti,
lo sai? Soprattutto a Esme ». Le dissi quando mi
accorsi di essere rimasti soli.
Guardò alle
sue spalle, ma l'ampio salone era vuoto.
« Dove sono
andati? ».
« Immagino
che, con molto buon senso, ci abbiano concesso un po' di privacy ».
Sospirò.
<< A loro
piaccio. Ma Rosalie ed Emmett... ». Non terminò
la frase.
Aggrottai
le sopracciglia.
« Non
preoccuparti di Rosalie », dissi, tentando di convincerla. « Prima o poi si
farà vedere ».
« Emmett? » domandò, guardandomi scettica.
« Be',
secondo lui, in effetti, sono pazzo, ma non ce l'ha affatto con te. Sta
cercando di far ragionare Rosalie ».
« Cos'è che
la innervosisce? ».
Feci un
respiro profondo.
« Rosalie è quella più problematica, non si
dà pace rispetto a... ciò che siamo. Non è facile per lei pensare che qualcuno
di esterno alla famiglia conosca la verità. In più è un po' gelosa ».
« Rosalie
è gelosa di me? », chiese, incredula.
« Sei umana
» mi strinsi nelle spalle. « Vorrebbe esserlo anche lei ».
« Ah »,
mormorò « Anche Jasper, però... ».
« Quella è
colpa mia, in realtà. Te l'ho detto, è stato l'ultimo a convertirsi al nostro
stile di vita. L'ho avvertito di mantenere le distanze ».
« Esme e Carlisle? », chiese
rapidamente, cercando di procedere con la conversazione perché non badassi
alle sue reazioni. Ma mi accorsi di ogni suo piccolo sobbalzo.
« Sono
felici che io sia felice. Anzi, credo che Esme ti apprezzerebbe
anche se avessi tre occhi e i piedi palmati. In tutti questi anni si è
preoccupata per me, ha sempre temuto che alla mia essenza originale mancasse
qualcosa, che fossi troppo giovane quando Carlisle
mi ha cambiato... È felicissima. Ogni volta che ti sfioro, gongola di
soddisfazione ».
« Anche
Alice sembra molto... entusiasta ».
« Alice ha
un modo tutto suo di vedere le cose », dissi a labbra strette. Ovviamente, mia
sorella, non vedeva l’ora di avere un’altra sorella. Che idea assurda.
« E tu non
hai intenzione di parlarmene, vero? ».
Il silenzio
con cui risposi era denso di sottintesi. Capii che sapeva che le nascondevo
qualcosa. E d intuì che non ero disposto a rivelarglielo. Non in quel momento.
« E cosa ti
stava dicendo Carlisle, prima? ».
Alzai gli
occhi di scatto.
« Ah, te ne
sei accorta? ».
« Certo »
si strinse nelle spalle.
La osservai
per qualche secondo, prima di rispondere:
« Aveva una
notizia per me... e non sapeva se avrei gradito condividerla ».
« E? »
« Sono
obbligato a condividerla, perché nei prossimi giorni - o settimane - sarò un
po'... iperprotettivo nei tuoi confronti e non voglio che tu pensi a me come a
un despota ».
« Qual è il
problema? ».
« Nessun
problema, per ora. Alice, però, ha visto che presto riceveremo ospiti. Sanno
che siamo qui e sono curiosi ».
« Ospiti? ».
« Sì... be', ovviamente non sono come noi... quanto ad abitudini
di caccia, intendo. Probabilmente non entreranno a Forks,
ma non sono intenzionato a perderti di vista finché non se ne saranno andati ».
Rabbrividì.
« Finalmente
una reazione normale! Iniziavo a temere che non fossi dotata di istinto di
sopravvivenza ».
Lasciò
correre, distogliendo lo sguardo e lasciandolo vagare per il vasto salone,
dalle tinte tenui.
Seguii il
percorso dei suoi occhi:
« Non ti
aspettavi questo, eh? » chiesi compiaciuto.
« In
effetti, no ».
« Niente
bare, niente teschi ammucchiati negli angoli; credo che non ci siano nemmeno
ragnatele... chissà che delusione, per te », proseguii, sarcastico.
Evitò di
stare al gioco:
« È così
luminosa... così ariosa ».
« È l'unico
posto in cui non siamo costretti a nasconderci », risposi in tutta serietà.
La canzone
che stavo ancora suonando, volò verso gli ultimi accordi, più malinconici.
L'eco dell'ultima nota fu enfatizzata dal silenzio della casa.
« Grazie »,
sussurrò. Aveva gli occhi lucidi. Li asciugò, imbarazzata.
Avvicinai
la punta di un dito alla sua palpebra, catturando una lacrima che le era
sfuggita. Osservai la goccia intrappolata sul polpastrello. Poi, con un gesto
rapido,la assaggiai: era salata, con un retrogusto dolce.
Mi fissava,
perplessa, ed io le restituii lo sguardo, immobile per un lunghissimo istante,
prima di sorridere.
« Vuoi
vedere il resto della casa? ».
« Niente
bare? » il leggero sarcasmo, non nascose l’ansia nella sua voce.
Risi,
prendendola per mano e allontanandomi dal pianoforte assieme a lei.
« Niente
bare, te lo prometto ».
Salimmo le
scale, sfiorava con le dita il corrimano.
« La stanza
di Rosalie ed Emmett... lo studio di Carlisle... la stanza di Alice... », indicavo ogni porta
con un gesto.
Avrei
proseguito, ma lei si arrestò in fondo al corridoio, fissando incredula la
decorazione appesa al muro sopra la sua testa.
Ridacchiai
della sua espressione sbalordita.
« Puoi
anche ridere », dissi. « È ironico, in un certo senso ».
Non ci riusciva.
Alzò automaticamente una mano, tentando di sfiorare con un dito la grossa croce
di legno, la cui tinta scura contrastava con quella più chiara della parete.
Non la toccò,benché la curiosità che traspariva dal suo sguardo.
« Dev'essere antichissima ».
« Anni Trenta del diciassettesimo secolo, più
o meno » precisai con una scrollata di spalle.
Distolse
gli occhi dalla croce per guardarmi.
« Perché la
conservate qui? ».
« Nostalgia.
Apparteneva al padre di Carlisle ».
« Era un
collezionista? ».
« No. L'ha
costruita lui. Stava sopra il pulpito della chiesa di cui era pastore ».
Tornò a
fissare la croce, in silenzio…un silenzio che si
prolungò oltre le mie attese.
« Tutto
bene? »chiesi preoccupato.
« Quanti
anni ha Carlisle? », chiese piano, ignorando la mia
domanda, i suoi occhi ancora fissi sulla croce.
« Ha appena
festeggiato il suo trecentosessantaduesimo compleanno
», risposi. Si voltò, sapevo che la sua mente era sovraccarica di domande.
Parlai
senza staccarle gli occhi di dosso.
« Carlisle è quasi certo di essere nato a Londra, negli anni
Quaranta del diciassettesimo secolo. All'epoca le date non erano registrate con
cura, non per la gente comune. Fu poco prima dell'avvento di Cromwell ».
Sembrava
mantenere un’espressione composta, priva di sbalordimento.
« Era
l'unico figlio di un pastore anglicano. Sua madre morì di parto. Suo padre era
un uomo intollerante. Quando i protestanti presero il potere, fu molto attivo
nella persecuzione dei cattolici e dei seguaci di altre religioni. Credeva
anche molto nell'esistenza delle incarnazioni del male. Guidava le cacce alle
streghe, ai licantropi... e ai vampiri » mi accorsi che la parola la lasci
impietrita, ma proseguii.
« Furono
bruciate parecchie persone innocenti: di sicuro le vere creature di cui
andavano a caccia non erano così facili da stanare.
Diventato
anziano, il pastore cedette il ruolo di guida dei cacciatori al figlio devoto.
Sulle prime, Carlisle fu una delusione: non era
abbastanza pronto nel condannare, nel vedere demoni dove non ce n'erano. Ma
era testardo, e più intelligente del padre. Scoprì un rifugio di veri vampiri,
che abitavano le fogne della città e uscivano solo di notte per cacciare. Molti
vivevano così, in un'epoca in cui i mostri non erano ritenuti soltanto mito e
leggenda.
La folla
raccolse le forche e le torce, ovviamente », la mia risata si fece breve e
cupa, « e attese, nel punto in cui Carlisle aveva
visto che i mostri uscivano. Finché uno di loro non emerse dal sottosuolo ».
Parlavo a
voce molto bassa.
« Probabilmente
era una creatura antica e sfiancata dalla fame. Carlisle
lo sentì chiamare gli altri in latino, quando si accorse dell'odore della
folla. Iniziò a correre per le strade, e Carlisle -
che a ventitré anni era molto veloce - guidava l'inseguimento. La creatura
avrebbe potuto agevolmente seminarli, ma era troppo affamata, perciò si voltò e
li attaccò. Si avventò su Carlisle, ma dovette
difendersi dal resto della folla. Uccise due uomini, scappò con un terzo e
lasciò Carlisle a terra, sanguinante ».
Feci una
pausa, nascondendole il dettaglio più macabro della storaia:
la trasformazione di Carlisle.
« Carlisle sapeva quale destino gli avrebbe riservato il
padre. Avrebbe fatto bruciare i corpi: tutto ciò che il mostro aveva infettato
sarebbe stato distrutto. Perciò agì d'istinto, per salvarsi la vita. Strisciò
via dal vicolo mentre la folla inseguiva il mostro e la sua vittima. Si nascose
in una cantina e restò sepolto per tre giorni sotto dei sacchi di patate andate
a male. Fu un miracolo se riuscì a rimanere in silenzio, a non farsi scoprire.
A quel
punto era finita, e lui si rese conto di ciò che era diventato ».
Mi arrestai
di colpo, di fronte la sua perplessità.
« Come va? »,
chiesi.
« Bene »
rispose,malgrado si fosse morsa un
labbro tradendo un'esitazione, la sua curiosità mi risultò più che evidente.
Sorrisi:
« Immagino
che tu abbia qualche altra domanda in serbo ».
« Qualcuna ».
Sfoderai un
sorriso ampio.
« Vieni,
allora. Ti faccio vedere ». Le feci strada lungo il corridoio, prendendola per
mano.
Con questo
capitolo vi auguro delle buone vacanze, da domani non sarò più a casa mia e
quindi non mi sarà possibile aggiornare.
Prometto di
tornare a settembre e completare questa storia, sperando di ritrovarvi!
Passo ai consueti
ringraziamenti:
Ladycat: come
sempre troppo gentile, le tue recensioni sempre così entusiaste mi rendono
davvero contenta!
Aberlin: sono
felicissima che il capitolo precedente ti sia piaciuto, perciò grazie a te!
Ed inoltre:
_Titta_ per aver
aggiunto la mia storia tra le sue preferite.
Mirna: per aver
aggiunto la mia storia tra le sue seguite.
Un
grandissimo saluto, dandovi appuntamento a settembre,
La guidai
verso la stanza che le avevo indicato come lo studio di Carlisle.
Mi fermai brevemente sulla soglia.
« Entrate »
ci invitò mio padre.
Aprii e la
introdussi nella stanza dal soffitto alto e le finestre rivolte ad occidente.
Notai che l’attenzione di Bella si concentrò sulle pareti, occupate da pannelli
di legno ricolme da un’infinità di libri.
Carlisle sedeva
sulla poltrona di pelle, dietro la massiccia scrivania di mogano. Si alzò,
sistemando un segnalibro tra le pagine di un grosso tomo.
«Posso
esservi utile? », chiese gentile, alzandosi dalla sedia.
«Volevo
mostrare a Bella un po' della nostra storia », risposi « Be', della tua, a dir
la verità ».
« Non
vorrei disturbare », si scusò, Bella.
« Non preoccuparti.
Da dove vuoi iniziare? ».
« Dalla
costellazione dell'Auriga », risposi, posando con delicatezza una mano sulla spalla
di Bella per farla voltare e ammirare la
parete alle nostre spalle, quella da cui eravamo entrati. Percepii il suo
imbarazzo, anche se in quel momento non mi era del tutto chiaro.
La parete
che osservammo era diversa dalle altre. Non era coperta da scaffali, ma da
quadri tutti diversi tra loro per dimensioni, temi e colori.
La feci
spostare sul lato sinistro, di fronte a un piccolo dipinto a olio quadrato,
con una semplice cornice di legno. Non spiccava, a fianco degli esemplari più
grossi e luminosi; le sue tonalità scure mostravano una città in miniatura,
piena di tetti ripidi e guglie strette sulla cima di poche torri sparse qui e
là. Sullo sfondo scorreva un grande fiume, attraversato da un ponte su cui
spiccavano edifici che somigliavano a piccole cattedrali.
« Londra
nel 1650 » le spiegai.
« La Londra
della mia giovinezza », aggiunse Carlisle, avvicinatosi
a noi. Bella sussultò: evidentemente, non l'aveva sentito muoversi.
« Hai
voglia di raccontare tu la storia? », gli chiesi. Bella, si voltò a osservare
la reazione di Carlisle.
Incontrò il
suo sguardo e sorrise:
«Mi
piacerebbe, ma purtroppo sono in ritardo. Hanno chiamato dall'ospedale, stamattina
- il dottor Snow è rimasto a casa, in malattia. E
poi, tu conosci la storia bene quanto me », aggiunse rivolto a me.
Parlò ad
alta voce, per la presenza di Bella.
Carlisle le fece un
altro sorriso luminoso e se ne andò.
Per lunghi
istanti rimase a osservare il quadretto della città natale di Carlisle. La fissai in silenzio, chiedendomi dentro di me
cosa stesse pensando, se ne fosse in qualche modo rimasta stupita…
« E in
seguito, quando si accorse di ciò che gli era successo, cosa accadde? », mi
chiese distogliendomi dalle mie riflessioni.
Tornai ai
quadri, concentrandomi su un quadro raffiguranteun panorama più grande, nei colori più smorti
dell'autunno, un prato deserto, ombroso, in mezzo a una foresta dominata da una
cima aguzza all'orizzonte.
« Quando scoprì
cos'era diventato », ripresi a bassa voce, « si ribellò. Cercò di
autodistruggersi. Ma non è impresa facile ».
« Come? »
chiese alzando la voce di due tonalità, per lo sbalordimento.
«Si gettò
da cime altissime», dissi impassibile. Anche se temevo la sua reazione.« Tentò
di annegarsi nell'oceano... ma era all'inizio della sua nuova vita, era giovane
e molto forte. La cosa incredibile è che sia riuscito a evitare di... nutrirsi.
Nei primi tempi l'istinto è più potente, più forte di ogni altra cosa. Ma era
talmente disgustato da se stesso che trovò la forza per decidere di morire di
fame ».
« È
possibile? », chiese, con un filo di voce.
« No, ci
sono pochissimi modi per ucciderci ».
Aprì la bocca
per fare una domanda, ma l’anticipai, intuendo quale potesse essere la sua
domanda.
« Perciò
divenne molto affamato, e infine si indebolì. Si allontanò il più possibile
dagli umani, rendendosi conto che anche la sua forza di volontà si
infiacchiva. Per mesi interi vagò di notte, alla ricerca dei luoghi più
solitari, pieno di repulsione per se stesso.
Una notte,
presso il rifugio dove si nascondeva passò un branco di cervi. Era talmente
sconvolto dalla sete che li attaccò senza neppure pensarci. Si rimise in forze
e comprese che esisteva un'alternativa: che poteva non essere quel mostro
abominevole che temeva. Non si era forse già cibato di selvaggina, quando era
umano? In pochi mesi, aveva fatto sua quella nuova filosofia di vita. Poteva
continuare a vivere, senza essere un demonio. Ritrovò se stesso.
Iniziò a
impiegare il proprio tempo in maniera più proficua. Era sempre stato
intelligente e curioso di imparare. Ormai aveva di fronte tutto il tempo che
voleva. Studiava di notte, e di giorno preparava i suoi piani. Nuotò fino in
Francia, e... ».
« Arrivò in
Francia a nuoto? ».
« C'è un
sacco di gente che attraversa la Manica a nuoto, Bella », precisai, paziente.
« Immagino
che tu abbia ragione. In questo contesto, però, sembrava buffo ».
« Siamo
nuotatori provetti... ».
« Voi siete
provetti in tutto».
Restai in
silenzio, divertito: era troppa la sua curiosità, non riusciva a far a meno di
interrompermi.
« Giuro che
non t'interrompo più ».
Soffocai
una risata e terminai la frase:
« Perché,
tecnicamente, possiamo fare a meno di respirare ».
« Voi... ».
« No, no,
hai giurato », risi, chiudendole le labbra con il dito. « Vuoi sentire la
storia o no? ».
« Non puoi
buttare lì una notizia del genere e aspettarti che io non apra bocca »,
bofonchiò contro il mio dito.
Sollevai
l'altra mano e la posai piano sul suo collo. Il suo cuore reagì accelerando,era
sempre un piacere captare quei battiti impazziti.
« Non
dovete respirare? ».
«No, non
siamo obbligati. È soltanto un'abitudine » mi strinsi nelle spalle.
« Ma quanto
tempo puoi restare... senza respirare? ».
« Anche per
sempre, immagino... non so. È leggermente fastidioso... non si sentono gli
odori ».
«Leggermente
fastidioso », mi fece eco.
Mi incupii
nel sentire la sua affermazione, tra il sarcasmo e lo sbalordito. Quanto
sarebbe passato prima che scappasse da me, urlando a squarciagola in preda
all’orrore. Riportai la mano al fianco e restai così, fermo, con lo sguardo
fisso su di lei.
Quanta
forza aveva per poter sopportare tutti i lati della mia natura. Temevo che
tutto l’amore che diceva di provare nei miei confronti, non potesse essere
sufficiente a farla restare vicino a me. E la cosa più triste, era che da una
parte quasi lo speravo: io continuavo ad essere pericoloso per lei.
Per un po'
nessuno ruppe il silenzio.
«Cosa c'è? »,
sussurrò, sfiorandomi il viso come congelato.
A contatto
con le sue dita mi rilassai e sospirai:
« Continuo a
temere che prima o poi accada ».
« Accada
cosa? ».
« So che
prima o poi qualcosa di ciò che ti dirò, o che vedrai, sarà troppo. E in quel
momento fuggirai via da me strillando ». Abbozzai un mezzo sorriso, ma lo
sguardo era serio. « Non ti fermerò. Voglio che accada, perché solo così
saresti finalmente al sicuro. Io voglio che tu sia al sicuro. Eppure, voglio
anche stare con te. Conciliare i due desideri è impossibile... »
Lasciaiil discorso in sospeso, fissandola. E
aspettando.
« Non ho
intenzione di scappare, te lo prometto ».
« Vedremo »,
risposi, tornando a sorridere.
« Continua. Carlisle
arriva a nuoto in Francia » m’incitò, guardandomi.
Rimasi un
attimo come sospeso, prima di tornare al racconto. Automaticamente, il mio
sguardo finì su un altro quadro, il più colorato di tutti, il più elaborato e
con la cornice più ricca, e il più grande: era due volte più ampio della porta
accanto a cui era appeso. La tela brulicava di figure luminose, avvolte in
tuniche svolazzanti, che si muovevano tra alte colonne e balconate di marmo.
« Carlisle nuotò fino in Francia e frequentò le università europee.
Di notte studiava musica, scienza, medicina: trovò così la sua vocazione, la
sua penitenza, proprio nel salvare vite umane» ero incapace di non portare
riverenza verso Carlisle, era un vampiro ma riusciva
a stare a contatto con il sangue umano quotidianamente senza problemi. « Non
potrei descrivere la sua lotta interiore... gli ci vollero quasi due secoli per
affinare l'autocontrollo. Ora è completamente immune all'odore del sangue
umano e può svolgere il lavoro che ama senza tormento. L'ospedale è per lui una
preziosa fonte di pace ».
Fissai il
vuoto, immaginandomelo a lavoro, perso in quella fantasticheria: ero come un
bambino affascinato dal lavoro del padre, e che sogna di poter svolgere da
grande.
D'un tratto
mi scossi, ritrovando il filo del discorso. Picchiettai con un dito contro il
grande dipinto di fronte a noi.
« Studiava
in Italia, quando scoprì gli altri. Erano molto più civili e colti di quella
specie di spettri che vivevano nelle fogne di Londra ».
Sfiorai un
quartetto di figure piuttosto composte, sistemato sulla balconata più alta, che
osservava calmo il viavai sottostante. Esaminò attenta i lineamenti degli
uomini raffigurati e le sfuggì un risolino di sorpresa quando riconobbe quello
dai capelli biondo oro.
« Francesco
Solimena fu molto ispirato dagli amici di Carlisle. Li raffigurava spesso come dèi ». Ridacchiai. « Aro,
Marcus, Caius », dissi, indicando gli altri tre, due
dai capelli neri, l'altro bianchi come la neve. « Protettori notturni delle
arti ».
« Che fine
hanno fatto? », chiese, puntando il dito a un centimetro dalle figure sulla
tela.
« Sono
ancora lì » mi strinsi nelle spalle. « Come da chissà quanti millenni. Carlisle restò con loro per poco tempo, non più di qualche
decennio. Ammirava molto la loro civiltà, i loro modi raffinati, ma insistevano
nel voler curare la sua avversione alla "fonte naturale di
nutrimento", come la chiamavano. Cercarono di persuaderlo, come lui cercò
di persuadere loro, senza risultato. A quel punto, decise di provare con il
Nuovo Mondo. Sognava di incontrare qualcuno come lui. Come puoi immaginare, si
sentiva molto solo.
Per molto
tempo non trovò nessuno. Però, mano a mano che i mostri perdevano
verosimiglianza e diventavano solo personaggi delle favole, scoprì di poter
interagire con gli esseri umani come fosse uno di loro. Iniziò a operare come
medico. Ma il genere di compagnia che cercava era irraggiungibile: non poteva
permettersi troppa intimità.
Quando si
diffuse l'epidemia di spagnola, Carlisle faceva i
turni di notte in un ospedale di Chicago. Da parecchi anni si trastullava con
un'idea che non era ancora riuscito a sperimentare, e in quel momento decise
di agire: dal momento che non riusciva a trovare un compagno, ne avrebbe creato
uno. Non era del tutto sicuro di come fosse avvenuta la sua trasformazione,
qualche dubbio gli era rimasto. Ed era riluttante all'idea di rubare la vita a
qualcun altro, come era stata rubata a lui. A quel punto scoprì me. Ero senza
speranza: mi avevano lasciato nella corsia dei moribondi. Decise di provare... ».
La mia
voce, quasi un sussurro, si spense. Mi persi nei ricordi di quel lontano
dolore. Rividi me stesso steso su un letto d’ospedale moribondo, quasi privo di
coscienza, e Carlisle dilaniato dall’indecisione.
Quando
tornai a parlarle, sulle mie labbra nacque un sorriso.
« Così, il
cerchio si chiude ».
« Hai
sempre vissuto con lui? ».
« Quasi »
posai una mano, dolcemente, sul suo fianco e la guidai fuori dallo studio,
stringendola a me. Diede un ultimo sguardo alla parete con i quadri.
Non
aggiunsi altro, mentre percorrevamo il corridoio, perciò fui lei ad insistere:
« Quasi? ».
Feci un
sospiro,per nulla invogliato a raccontare quel tratto di storia:
« Be', ho passato anch'io il mio periodo di
ribellione adolescenziale, più o meno dieci anni dopo la... nascita... o
creazione, chiamala come vuoi. La sua vita di astinenza non mi convinceva, ce
l'avevo con lui perché non faceva che soffocare il mio appetito. Perciò, per
qualche tempo, me ne andai per i fatti miei ».
« Davvero? »
era affascinata, più che impaurita come avrebbe dovuto essere.
Stavamo
per salire l'altra rampa di scale.
« Non ne
sei disgustata? ».
« No ».
« Perché
no? ».
« Perché...
sembra una scelta ragionevole ».
Liberai una
risata, molto più fragorosa della precedente. Eravamo in cima alle scale, di
fronte a un altro corridoio.
« Dal giorno
della mia rinascita », mormorai, « ho avuto il vantaggio di poter leggere nel
pensiero di chiunque mi si trovasse vicino, umano e non umano. Perciò mi occorsero
dieci anni per sfidare Carlisle: vedevo la sua
sincerità immacolata e capivo perfettamente cosa lo spingesse a vivere così.
Mi ci volle
solo qualche anno per tornare da Carlisle e riconoscere
che aveva ragione. Pensavo che sarei rimasto immune dalla... depressione... che
la coscienza porta con sé. Dal momento che leggevo nel pensiero delle mie
prede, potevo risparmiare gli innocenti e assalire soltanto i malvagi. Se
seguivo un assassino dentro un vicolo buio dove aveva intrappolato una ragazza...
se salvavo lei, allora certo non avevo motivo di sentirmi così tremendo ».
La sentii
rabbrividire, sperai che non riuscisse a prefigurarsi quell’immagine troppo
nitidamente nella sua mente.
« Ma con il
passare del tempo, iniziai a vedere la mostruosità nei miei occhi. Non riuscivo
a sfuggire al peso di tutte quelle vite umane strappate, che lo meritassero o
no. Così tornai da Carlisle ed Esme.
Mi accolsero come il figliol prodigo. Non meritavo così tanto ».
Ci eravamo
fermati di fronte all'ultima porta del corridoio.
« La mia
stanza », la informai, aprendo la porta e invitandola a entrare.
Rimasi alle
sua spalle, la vidi avanzare all’interno guardandosi intorno: scorse le anse
del Sol Duc e la foresta pluviale alla base dei Monti
Olimpici, sembrava affascinata dal panorama vegetale. Poi rivolse la sua
attenzione a ciò che occupava la stanza: gli scaffali completamente occupati
dai Cd e lo stereo. Ed infine si accorse della mancanza del letto, sostituito
dal divano di pelle nera: sapeva già che non avevo bisogno di dormire, perciò
evitò di fare domande.
« Migliora
l'acustica? », chiese, riferendosi ai drappi che penzolavano dalla pareti.
Sorrisi e
annuii.
Afferrai un
telecomando e accesi lo stereo. Il volume era basso, ma la musica giungeva
dalle case nitida, passò in rassegna i Cd.
« In che ordine
li hai sistemati?», chiese, curiosa.
Mi sentivo
stranamente leggero, privo di preoccupazioni. Era bello poter contare su di
lei, poterle dire tutto e vedere che non sembrava mai terrorizzata. Ed era
quasi irreale la sua figura che si aggirava tra gli scaffali nella mia camera.
L’avevo immaginata tante volte proprio nel punto esatto dove si trovava, ma non
avrei mai creduto che un giorno sarebbe successo e che sarebbe stato così
incredibilmente bello.
« Uhm...
sono divisi per anno, e poi per preferenze personali », risposi, distratto.
Si voltò,incontrando
i miei occhi.
« Cosa c'è?
».
« Immaginavo
che mi sarei sentito... sollevato. Farti sapere tutto, non avere più bisogno di
segreti. Ma non pensavo che sarebbe andata ancora meglio. Mi piace. Mi
fa sentire... felice ». mi strinsi nelle spalle e mi illuminai.
« Sono
contenta », disse, ricambiando il sorriso.
Ma a un
tratto, mentre studiavo la sua espressione, il mio sorriso svanì, e corrugai la
fronte.
« Sei sempre
in attesa degli strilli e della fuga a gambe levate, vero? », domandò.
Accennai un
lieve sorriso, annuendo.
« Scusa se
ti smonto così, ma non sei terribile come pensi. Anzi, a dirla tutta non ti
trovo affatto spaventoso » disse ostentando disinvoltura.
Restai di
sasso, e alzai le sopracciglia per mostrarle la mia incredulità. Poi sfoderai
un sorriso ampio, quasi un ghigno.
« Questo
non dovevi dirlo ».
Iniziai a
ringhiare, emettendo un suono cupo dal profondo della gola; arricciai il labbro
scoprendo i denti affilati. Scattai all'improvviso in un'altra posizione, mezzo
acquattato, coi muscoli tesi, come un leone pronto a balzare sulla preda.
Fece un
passo indietro, gli occhi sbarrati.
« Non
provarci ».
Le saltai
addosso, troppo velocemente perché lei potesse vedermi e reagire. Atterrammo,
dopo essere stati un istante a mezz’aria, sul divano facendolo sbattere contro
il muro.
L’avvolsi
con le braccia in una gabbia protettiva, a malapena riusciva a muoversi. Non le
permisi, di tirarsi su a sedere. La costrinsi ad appallottolarsi contro il mio
petto, stringendola come una catena d'acciaio. Mi guardò, allarmata, ma ero
perfettamente padrone della situazione e sfoggiavo un sorriso rilassato, lo
sguardo acceso soltanto dal divertimento. Lei mi faceva sentire…
diverso, quasi umano.
« Dicevi? »,
ringhiai, per scherzo.
« Che sei
un mostro molto, molto terrificante » cercò di essere sarcastica, ma aveva
perso la voce.
« Così va
molto meglio ».
« Uhm »
tentò di divincolarsi. «Adesso posso alzarmi? ».
Risi, ma
non la lasciai; non volevo allontanarmi da lei, stringerla era così piacevole…appagante!
« Possiamo
entrare? », la voce di Alice risuonò dal corridoio.
Bella provò
a liberarsi, ma mi limitai a farla accomodare in braccio a me. Sulla porta
comparve Alice e alle sue spalle Jasper. Era rossa di vergogna, ma io ero a mio
agio.
« Avanti »,
dissi, ancora ridendo.
Alice non
era affatto disturbata dal nostro abbraccio, anzi ne rimase entusiasta glielo
leggevo chiaramente negli occhi e nella mente. Avanzò fino al centro della
stanza, e si sedette elegantemente sul pavimento. Jasper, invece, si fermò
sulla soglia, leggermente sorpreso. Guardava me negli occhi, saggiando
l'atmosfera con la sua sensibilità particolare.
« Abbiamo
sentito strani rumori... se stavi per mangiare Bella per pranzo, sappi che ne
vogliamo un po' anche noi », dichiarò Alice.
Per un
istante Bella si irrigidì, poi si accorse che sogghignavo, sia per il commento
di Alice che per la sua reazione, come se avessi potuto permettere una cosa del
genere.
« Scusate,
ma non credo di potervene offrire », risposi, avvicinandola ancora di più al
mio petto.
“Sto bene,
sto bene…è sopportabile l’odore!”
« A dir la
verità », disse Jasper, sorridendo suo malgrado mentre avanzava verso di noi, «
Alice dice che stasera ci sarà un temporale con i fiocchi ed Emmett vuole organizzare una partita. Sei dei nostri? ».
Lo sguardo si
mi si accese, giocare era fortemente liberatorio, poi però esitai per via di
Bella.
« Ovviamente
porta anche Bella », cinguettò Alice. Jasper lanciò un’occhiata verso Alice.
“Ma…” pensò Jasper.
“Andrà
tutto bene” lo tranquillizzò Alice.
« Vuoi
venire? », chiesi a Bella entusiasta, su di giri.
« Certo »
poi ci pensò un attimo. « Ehm, dove? ».
« Per
giocare dobbiamo aspettare i tuoni... il perché lo capirai ».
« Servirà
l'ombrello? ».
Risedemmo
tutti e tre a gran voce.
« Tu che
dici? », chiese Jasper ad Alice.
« No ». Era
molto convinta. « Il temporale colpirà la città. Nello spiazzo staremo
all'asciutto ».
« Bene ».
L’entusiasmo
di Jasper si diffuse per tutta la stanza.
« Chiediamo
a Carlisle se viene anche lui » disse Alice, uscendo
con grazia.
« Come se
tu già non lo sapessi », la provocò Jasper, e in un istante erano sgattaiolati
fuori. Jasper, senza dare nell'occhio, si richiuse la porta alle spalle.
« A cosa
giochiamo? », chiese Bella.
« Tu resti
a guardare. Noi giochiamo a baseball ».
Alzò gli
occhi, stupita:
« I vampiri
giocano a baseball?».
«È il
passatempo americano per eccellenza», risposi solenne, e ironico.
Scusate
la lunghissima attesa, non mi ero scordata di questa storia ma ho avuto qualche
piccolo problema e solo oggi ho potuto finalmente postare il nuovo capitolo.
Spero,
come sempre, che possa essere di vostro gradimento.
Un
grazie sincero a:
Lady
cat: Ti ringrazio per i tuoi complimenti, sempre così
belli!
Aberlin: Grazie per il tuo augurio:
ho passato una bella estate, spero che anche le tue vacanze siano andate bene!
Aveva
appena cominciato a scendere una pioggerella invisibile, quando imboccai la
strada di casa di Bella.
Già nei
pressi dell’abitazione mi accorsiche
Bella aveva visite.
Vidi la
Ford nera, parcheggiata, e borbottai in tono cupo ed irritato:
<<
Questo, no! >>
A ripararsi
dalla pioggia sotto la bassa veranda c'erano Jacob Black
e, di fronte a lui, suo padre, sulla sedia a rotelle. Billy era
impassibile,
immobile, e non riusciva a staccare gli occhi da me che stavo parcheggiando sul
ciglio della strada. Jacob guardava in basso, vergongnandosi.
“Male,
molto male!”
Brutto vecchio…lupo, cosa ne poteva sapere lui. Ero furioso:
« Stavolta
hanno passato il segno ».
« È venuto
a mettere in guardia Charlie? », chiese, più in ansia che arrabbiata.
Risposi
soltanto con un cenno di assenso verso di lei, e uno sguardo torvo verso Billy,
nascosto dalla nuvola di pioggia.
« Lascia
fare a me », suggerì.
La guardai
con uno sguardo nero, ma appoggiai il suo consiglio.
« Probabilmente è la scelta migliore. Però fai
attenzione. Il bambino non sa nulla ».
Rimase
perplessa di fronte alla parola "bambino".
« Jacob non
è tanto più piccolo di me », gli feci presente.
La guardai,
e la mia rabbia svanì all'istante.
« Sì, lo so
», le assicurai con un sogghigno.
Prima di
scendere, mi guardò sospirando.
« Falli
entrare, così potrò andarmene. Tornerò al tramonto ».
« Vuoi che
ti lasci il pick-up? », mi propose.
« Ricorda
che io a piedi sono molto più veloce del tuo pick-up ».
« Non sei
obbligato ad andartene », disse mestamente.
Sorrisi
della sua espressione malinconica:
«Invece sì.
Dopo che ti sarai liberata di loro », e lanciai un'occhiata truce verso i Black, « ti toccherà preparare Charlie a conoscere il tuo
nuovo ragazzo » sfoderai un sorriso a trentadue denti.
« Tante
grazie, che bella notizia ».
Sorrisi a
mezza bocca:
« Tornerò
presto, lo prometto » lanciai un'altra occhiata alla veranda a mo’ di sfida,
ascoltai i pensieri di Billy nell’avvicinarmi a Bella per baciarla:
“Non si
azzarderà a tanto!”
Lo ignorai
e posai le labbra appena sotto il mento di Bella.
Sentii il
suo cuore rimbalzare, e volse gli occhi alla veranda, imbarazzata. Notai
ilmutamento di Billy,stringersi forte
alla sedia a rotelle.
« Presto
»,ripeté con forza. Poi scese dal pick-up, sotto la pioggia.
Non la
persi di vista mentre, correva verso la veranda.
« Ehi,
Billy. Ciao, Jacob » non sembrava molto entusiasta << Charlie è fuori
fino a stasera... Spero che non abbiate aspettato troppo ».
« Non tanto
», disse Billy, a mezza voce, inchiodandola con i suoi occhi neri. « Volevo
solo portare questo ». Indicò il sacchetto di carta che teneva in grembo.
« Grazie »,
rispose, Bella « Perché non entrate un minuto ad asciugarvi? ».
Ignorò il
suo sguardo indagatore, aprendo la porta e li invitò in casa.
« Faccio io
», disse voltandosi per aprire le ante della porta. Si concesse un ultimo
sguardo verso di me. Aspettavo, perfettamente immobile.
Prima
entravano e prima sarei potuto andarmene, sopportavo a malapena i commenti di
entrambi i Black: il padre era eccessivamente
preoccupato, il figlio era attratto da Bella…bè
almeno al ragazzino non potevo dare torto.
Corsi veloce
verso casa, riuscendo a sentire ciò che stava succedendo all’interno della
casa.
« Devi
metterlo in frigo », suggerì Billy mentre le passava il sacchetto. « È un po'
di frittura casereccia e tutto l'accompagnamento, l'ha preparato Harry
Clearwater. È la preferita di Charlie ». Si strinse nelle spalle. « Al freddo
resta asciutta ».
Bella
ringraziò di nuovo, un po' più spontanea di prima:
« Ero a
corto di idee per cucinare il pesce, e probabilmente stasera ne porterà a casa
altro ».
« Va ancora
a pesca? », chiese Billy, e il suo sguardo si accese appena. «Giù al solito
posto? Magari faccio un salto a trovarlo ».
« No. Ha
detto che avrebbe provato un posto nuovo... ma non ho idea di dove sia andato »
disse cambiando espressione.
Billy
accorgendosene si rivolse al figlio.
« Jake », disse senza smettere di osservarla, « perché non
vai a prendere quella foto nuova di Rebecca, in macchina? Voglio lasciarla a
Charlie ».
« Dov'è? »,
chiese Jacob, senza troppo entusiasmo. Bella, gli lanciò un'occhiata, ma lui,
accigliato, fissava il pavimento.
« Mi sembra
di averla vista sul cruscotto », disse Billy. « Comunque se cerchi bene la
trovi ».
Con passo
pigro Jacob si diresse di nuovo sotto la pioggia.
Mi fermai
aspettando, Billy era intenzionato a mettere in stato d’allerta Bella e avevo
tutte le ragioni del mondo per origliare ciò che aveva da dire.
Billy e
Bella restarono uno di fronte all'altra, in silenzio. I secondi scorrevano e
quel silenzio cominciava a farsi pesante,Bella si diresse in cucina, seguita da
Billy: avanti, che dicesse il motivo per cui era venuto!
Bella infilò
il sacchetto nell'affollato scomparto superiore del frigo e si voltò ad
affrontare Billy.
« Charlie
tornerà molto tardi » il suo tono di voce sfiorava la maleducazione, un
implicito invito ad andarsene.
Lui annuì
senza aggiungere nulla.
“Bella,
perché non cogli il pericolo?”
Ad essere
sincero, quella domanda ero stato il primo che se l’era posta.
« Grazie
ancora per la frittura ».
Billy
continuava ad annuire. Bella, fece un sospiro e incrociò le braccia.
« Bella »,la
chiamò, e tacque, in cerca delle parole migliori.
Lei restò
in attesa.
« Bella »,
riprese, « Charlie è uno dei miei migliori amici ».
« Sì ».
Billy pronunciava
con cura ogni singola parola, con la sua voce grossa.
« Vedo che
passi parecchio tempo in compagnia di uno dei Cullen ».
« Si ».
« Forse non
sono affari miei, ma non penso sia una buona idea »nel dirlo socchiuse gli
occhi.
« Sì, hai
ragione. Non sono affari tuoi ».
Aggrottò le
sopracciglia grigie, meravigliato:
« Probabilmente non lo sai, ma la famiglia Cullen gode di cattiva reputazione nella riserva ».
« A dire la
verità, lo so eccome ». La durezza della sua voce sorprese sia me che Billy. « Ma
non se la sono affatto meritata, no? Dal momento che, a quanto mi risulta, i Cullen non mettono mai piede nella riserva, o sbaglio? ».
Il suo accenno poco velato al patto che impegnava e proteggeva la sua tribù lo
zittì all'istante. Nel sentire quelle parole, la tenacia che mostrava nel
prendere nostri difese mi allargò il cuore: ero orgoglioso di lei!
« È vero »,
ammise guardingo. « Sembri... ben informata, a proposito dei Cullen. Più di quanto mi aspettassi >>
Lo fissò,
sprezzante:
« Forse
anche meglio informata di te ».
Billy ci
pensò sopra, serio e perplesso.
« Può darsi
».le lanciò un'occhiata pungente. « Anche
Charlie ne è informato? ».
« A Charlie
i Cullen piacciono molto ». Billy capì subito che cercava
di restare sul vago. Non ne gioiva ma non ne era sorpreso.
« Non sono
affari miei », disse. «Ma forse di Charlie sì ».
« E penso
che sia affar mio, decidere se sono suoi, o sbaglio? ».
Billy,ci pensò su mentre la pioggia iniziava a
picchiettare contro il tetto, unico suono a riempire il silenzio.
Alla fine
si arrese.
« Sì.
Immagino che anche questo sia affar tuo » ammise, arrendendosi.
« Grazie,
Billy » disse Bella, sospirando.
« Però stai
attenta a quello che fai, Bella ».
« Certo ».
La fissò
torvo:
« Quel che
voglio dirti è: non fare ciò che stai facendo ».
Lo guardò
negli occhi: erano pieni di preoccupazione per lei, ma ciò non placò la mia
irritazione. Come se non tenessi al bene di Bella!
In quel
momento qualcuno bussò forte alla porta, facendo sobbalzare Bella. Sorrisi.
« Non c'è
nessuna foto in macchina ». Era la voce arrabbiata di Jacob, che lo precedeva;
qualche istante dopo, comparve con le spalle zuppe di pioggia e i capelli
fradici.
A quel
punto potevo riprendere la mia corsa verso casa. La conversazione che mi
serviva ascoltare era giunta al termine.
Ero
sollevato dalle risposte vaghe ma decise di Bella, non potevo sperare che si
comportasse meglio. Però,al contempo, ero irritato dall’invadenza di Billy Black, e non lo giustificava l’essere il miglior amico di
Charlie.
Non aveva
il diritto di presentarsi a casa Swan, con l’intento
di allarmare Charlie. Perché, se lo avesse trovato, il suo obiettivo era quello
di dirgli che sua figlia si era messa in una posizione rischiosa, frequentando
me.
E la
conseguenza sarebbe stata che sarei stato sicuramente allontanato da lei. Ero
cosciente di essere pericoloso per Bella, ma non potevo tollerare che qualcuno
mi imponesse di starle lontano. Ero padrone di me, conoscevo i miei limiti e
sapevo come comportarmi.
Ringraziai
il fato che aveva fatto in modo che l’ispettore non si trovasse in casa quel
pomeriggio.
Mi diressi
direttamente in camera per cambiarmi. Scesi le scale di corsa imbattendomi in
Jasper:
“Vai a
prendere Bella?”
<<
Sì, ci vediamo dopo >>
Nei pressi
di casa di Bella sentii che stavano già parlando della mia famiglia, spensi la
macchina:
<<
Sei andata a casa del dottor Cullen? >> la voce
di Charlie risuonava sbalordita.
Mi
concentrai sulla sua mente, e vidi il volto di Bella rilassato:
« Sì ».
« E cosa ci
sei andata a fare? ».chiese, lasciando la forchetta sul tavolo, ma in realtà
gli era caduta per la sorpresa.
« Be',
avevo una specie di appuntamento con Edward Cullen,
stasera, e lui ha insistito per presentarmi ai suoi genitori... Papà? ».
Il colorito
normale dell’ispettore mutò, diventando rosso di rabbia. Quasi smise di
respirare. Sperai che la prendesse un pochino meglio.
« Papà,
stai bene? ».
« Esci con
Edward Cullen? », chiese, minaccioso.
<< Pensavo
che i Cullen ti piacessero ».
« È troppo
vecchio per te ».
« Siamo
entrambi al terzo anno ».
“Terzo
anno?!”
« Aspetta...
Qual è Edwin? ».
Sghignazzai
nel sentire il mio nome storpiato.
« Edward
è il più giovane, quello con i capelli castano ramati ».
Vidi nella
mente di Charlie, l’immagine di mio fratello Emmett,
mi aveva scambiato per lui eppure non ci somigliavamo granché.
« Oh, be', così va... meglio, direi. Quello grosso non mi piace
granché. Non ho dubbi che sia un bravo ragazzo e tutto il resto, ma sembra
troppo... maturo per te. Questo Edwin è il tuo ragazzo? ».
Però il mio
nome, proprio non gli andava a genio.
« Si chiama
Edward, papà ».
« Allora? ».
« Più o
meno sì ».
« Ieri sera
hai detto che in città non c'erano ragazzi interessanti ». ma a quel punto
riprese la forchetta, e riprese a mangiare: il peggio era passato, glielo
leggevo chiaramente nella mente.
« Be',
Edward non vive in città ».
A bocca
piena, le lanciò un'occhiata sprezzante.
« E in ogni
caso », riprese, «siamo ancora alle prime fasi. Non mettermi in imbarazzo con
discorsi da fidanzati, okay? ».
« Quando
arriva? ».
« Tra
qualche minuto dovrebbe essere qui ».
« Dove ti
porta? ».
« Spero che
abbandonerai presto il tuo metodo da Tribunale dell'Inquisizione. Andiamo a giocare
a baseball con la sua famiglia ». Disse Bella, quasi spazientita.
Le rispose
sarcastico:
« Tu giochi
a baseball? ».
« Be',
probabilmente resterò a guardare ».
« Deve
piacerti davvero, eh? », commentò, malizioso.
Bella si
limitò a sospirare, alzando gli occhi al cielo.
A quel
punto potevo fare la mia comparsa e avviai il motore della macchina; Bella
saltò in piedi e iniziò a lavare i piatti.
« Lascia
stare, li faccio domattina. Tu mi coccoli troppo ».
Suonai il
campanello e Charlie si affrettò ad aprire. Bella era a mezzo passo dietro di
lui.
« Entra,
Edward » mi invitò gentilmente l’ispettore capo.
« Grazie,
ispettore », risposi, rispettoso.
« Chiamami
tranquillamente Charlie. Dammi il giaccone ».
« Grazie,
signore ».
« Siediti
pure, Edward ».
Bella, fece
una smorfia.
Mi
accomodai sull'unica sedia, costringendola a sedersi sul sofà accanto
all'ispettore Swan. Mi lanciò un'occhiataccia. Le
risposi con un occhiolino, alle spalle di Charlie.
« E allora,
ho sentito che porti mia figlia a vedere una partita di baseball ».
« Sì,
signore, quello è il programma ».
« Be', in
bocca al lupo, allora ».
Charlie
rise, ed io mi unii a lui.
« D'accordo
» disse Bella, alzandosi. « Smettetela di prendermi in giro. Andiamo » recuperò
la giacca a vento in anticamera. La seguimmo.
« Non fare
tardi, Bell ».
« Non si
preoccupi, Charlie. La porto a casa presto », dichiarai sincero.
« Tratta
bene mia figlia, d'accordo? ».
Bella
sbuffò, esasperata, ma la ignorammo entrambi.
« Le
prometto che con me starà al sicuro, signore ».
“Meglio per
te che sia così!”
Bella
sgattaiolò fuori insofferente. Ridemmo entrambi, poi laseguii.
Uscita in
veranda, restò di stucco. Accanto al suo pick-up c'era la jeep di Emmett, le ruote le arrivavano alla vita, per quanto era
grossa: ma conoscevo la strada e per Bella sarebbe stata più sicura.
Charlie
commentò con un fischio.
« Allacciate
le cinture », disse, ridendo sotto i baffi.
La seguii e
aprii la portiera. Calcolò l'altezza del sedile e si preparò al salto. Sbuffai
e la sollevai con una mano sola, stando ben attento che Charlie non mi vedesse.
Mentre io midirigevo, a passo umano,
lento, dalla parte del guidatore, cercò di allacciare la cintura. Ma c'erano
troppe fibbie.
« E questa
cos'è? ».
« Un'imbracatura
da fuoristrada ».
« Mamma
mia».
Tentò di
trovare il giusto alloggiamento per tutte le fibbie, ma era lenta e impacciata.
Spazientito, mi sporsi su di lei per aiutarla.
Dal momento
che Charlie era invisibile, sotto la veranda e dietro la pioggia fitta,
indugiai con le mani sul suo colle e le sfiorai le spalle. Rinunciò ad aiutarmi
cominciando a emettere respiri profondi.
Girai la
chiave e il motore prese vita. Ci lasciammo la casa alle spalle.
« Questa
jeep è davvero... grossa,non c'è che dire ».
« È di Emmett. Immaginavo che non ti andasse di fartela tutta di
corsa ».
« Dove
tenete questo coso? ».
« Abbiamo
trasformato in garage uno degli edifici accanto alla casa ».
« Non ti
allacci la cintura? ».
La guardai
come se stesse scherzando.
Poi
d’improvviso si soffermò sulle mie parole.
« Tutta di
corsa? Nel senso che dovremo anche camminare? ». La sua voce salì di alcune
ottave.
Risi sotto
i baffi:
« Tu non
correrai ».
« Io starò
di nuovo male ».
« Se chiudi
gli occhi andrà tutto bene ».
Strinse i
denti, per combattere il panico.
Mi avvicinai
a baciarle la fronte, e poi feci una smorfia. Mi guardò perplessa.
« Il tuo
odore con la pioggia è buonissimo ».
« In senso
buono o cattivo? ».
« In entrambi i sensi, come sempre » ammisi
sospirando.
Nonostante
il buio e sotto quell'acquazzone riuscii ad orientarmi benissimo, svoltai in
una strada secondaria che era molto montagnosa. Parlare per lei si era fatto
impossibile, perché rimbalzava su e giù come un martello pneumatico. Io invece
mi godevo il viaggio e sorrisi per tutto il tragitto.
Infine
giungemmo al termine della strada: tre pareti di alberi verdi circondavano la
jeep. Il temporale era diventato una pioggerella, sempre più debole, e dietro
le nubi il cielo si schiariva.
« Scusa,
Bella, ma ora ci tocca procedere a piedi ».
« Sai una
cosa? Ti aspetto qui ».
« Dov'è
finito il tuo coraggio? Stamattina sei stata straordinaria ».
« Non ho
ancora dimenticato l'ultima volta ».
Le fui
accanto in un lampo. Iniziai a slacciarle l’imbracatura.
« Ci penso
io, tu vai avanti », protestò.
« Mmm... ». In un secondo avevo già terminato. « A quanto
pare mi toccherà metter mano alla tua memoria ».
Sicuro del
fascino che esercitavo su di lei, ero deciso a metterlo in pratica.
Prima che
potesse reagire, la sollevai dal sedile e la costrinsi a scendere. Era rimasto
solo un filo di nebbia: le previsioni di Alice si stavano avverando.
« Mettere
mano alla mia memoria? », chiese nervosamente.
« Qualcosa
del genere » la guardavo intensamente, con attenzione, ma con un velo
d'ironia. A quel punto era costretta tra la portiera della jeep, alle sue spalle,
e me di fronte a lei, che le chiudevo ogni via d'uscita appoggiandomi al
finestrino con entrambe le mani. Mi feci ancora più vicino, il mio viso era a
pochi centimetri dal suo.
« Dimmi di
cos'hai paura », alitai.
« Be',
ecco, di sbattere contro un albero... e di morire. E poi, di avere la nausea ».
Soffocai
una risata. Poi piegai la testa e avvicinai delicatamente le labbra fredde
all'incavo del suo collo.
« Adesso
hai ancora paura? », sussurrai, sfiorandole la pelle.
« Si »
biascicò « Di sbattere contro gli alberi e di avere la nausea ».
Con la
punta del naso disegnai una linea, dal collo al mento.
« E adesso?
», sussurrai, con le labbra vicinissime alle sue.
« Alberi... Nausea da movimento >>
balbettò, in un soffio.
Mi
avvicinai a baciarla sulle palpebre.
« Bella,
non dirmi che credi davvero che potrei sbattere contro un albero ».
« Tu no, ma
io sì » non c'era un filo di convinzione nella sua voce. Pregustavo una
vittoria certa.
Le baciai
dolcemente la guancia, a un centimetro dalle labbra.
« Pensi che
permetterei a un albero di farti del male? » la mia bocca sfiorò leggerissima
la sua.
« No »,
disse senza voce.
« Vedi »,
dissi, senza allontanare le labbra di un millimetro. « Non c'è niente di cui
avere paura, no? ».
« No », sospirò,
rassegnata.
Poi, con
foga, presi la sua testa fra le mani e le diedi un vero bacio, muovendo le mie
labbra con decisione sopra le sue.
Ma anziché restare tranquilla e immobile come
le avevo pregato di fare dopo la prima volta, si allacciò stretta alle mie
spalle e si ritrovò avvinghiata al mio petto. Con un gemito dischiuse le
labbra.
Sentii il
suo sapore sulla lingua che mi stuzzicò il palato,la gola arse secca; avevo
sete, tanta sete…no!
Mi
allontanai di scatto, liberandomi senza difficoltà dalla sua presa.
« Accidenti,
Bella! », sbottai ansimante. « Tu mi vuoi morto, altroché! ».
Si piegò in
avanti, appoggiandosi alle ginocchia per non perdere l'equilibrio.
« Tu sei
indistruttibile », sussurrò, senza fiato.
« Lo
credevo anch'io, prima di conoscerti. Adesso andiamocene da qui, prima che io
combini qualche grossa stupidaggine », ringhiai.
La presi in
spalla con uno strattone, nonostante mi stessi sforzando di non essere troppo
irruento. Strinse le gambe attorno ai miei fianchi e le braccia attorno alle spalle.
« Ricorda
di non guardare », dissi severo, ancora incapace di mostrarmi calmo.
E partii a
razzo, cercando di tranquillizzarmi. E poi mi irritavo se qualcuno si
raccomandava con Bella di stare attenta, poco e l’avrei morsa. Che stupido, e
che rabbia.
Mi fermai,
ma Bella non mollò la presa. Le feci un buffetto sulla testa.
« Ci siamo,
Bella ».
Allentò la presa con cautela e si lasciò
scivolare giù, atterrando di sedere.
« Ohi! »,
esclamò, rovinando gambe all'aria sulla terra umida.
La fissai
incredulo, incerto se restare arrabbiato o prenderla in giro. Ma di fronte
alla sua espressione sbalordita mi lasciai andare a una risata fragorosa.
Si alzò
senza badarmi, togliendosi di dosso il fango e le felci. E io risi ancora più
forte. Seccata, iniziò a camminare a grandi passi verso la foresta.
Le cinsi i
fianchi con le braccia:
« Dove vai,
Bella? ».
« A vedere
una partita di baseball. Non mi sembra che tu abbia più tanta voglia di
giocare, ma sono certa che gli altri si divertiranno anche senza di te ».
« Stai
andando dalla parte sbagliata ».
Si voltò senza
degnarmi di uno sguardo e scattò nella direzione opposta. La riafferrai.
« Non
arrabbiarti, è stato più forte di me. Avresti dovuto vederti in faccia » mi
lasciai scappare una risatina.
« Ah,
l'unico a cui è permesso di arrabbiarsi sei tu? ».
« Non ero arrabbiato
con te ».
« "Bella,
tu mi vuoi morto"?! », mi citò acida.
« Quello è
un semplice dato di fatto ».
Cercò
nuovamente di scappare, ma la tenni stretta.
« Eri
arrabbiato ».
« Sì ».
« Ma se hai
appena detto... ».
« Non ero
arrabbiato con te. Non capisci, Bella? » mi rabbuiai, sul mio viso non
c'era più traccia di divertimento. « Non capisci?».
« Che cosa?
» era confusa.
« Non sono
mai arrabbiato con te. Come potrei esserlo? Sei sempre così coraggiosa,
fiduciosa... calorosa ».
« E allora,
perché? », sussurrò,
Le accarezzai
le guance con delicatezza.
« Ciò che
mi fa infuriare », dissi gentile, « è l'impossibilità di proteggerti dai
rischi. La mia stessa esistenza è un rischio, per te. A volte mi odio dal
profondo. Dovrei essere più forte, capace di... » mi chiuse la bocca con le
dita.
« No ».
Presi la
mano con cui mi aveva zittito e me la posai sulla guancia.
« Ti amo »,
dissi. « È una giustificazione banale per quanto faccio, ma sincera ».
Rimase in
silenzio, pensosa.
« Adesso,
per favore, cerca di comportarti bene », aggiunsi, e mi avvicinai per baciarla
con delicatezza.
Restò
immobile, come doveva. Poi fece un sospiro.
« Hai
promesso all'ispettore Swan che mi avresti portata a
casa presto, ricordi? È meglio che ci muoviamo ».
« Sissignora
».
Sorrisi
malizioso e la liberai dalla presa. Tenendola per mano, la guidai per qualche
metro attraverso le felci alte e umide e il muschio spesso, poi attorno a un
massiccio abete canadese, per sbucare infine al bordo di un enorme campo aperto,
ai piedi dei Monti Olimpici. Era due volte più grande di uno stadio di
baseball.
Gli altri
erano già lì: Esme, Emmett
e Rosalie, seduti su una roccia che spuntava dal terreno, a un centinaio di
metri da noi. A quasi mezzo chilometro di distanza, Jasper e Alice erano impegnati
a lanciare qualcosa avanti e indietro la palla molto velocemente, tanto che
Bella sono sicuro non sarebbe riuscita a vederla. Carlisle
era intento a marcare le basi.
Quando ci
videro, i tre che erano seduti si alzarono. Esme si
avvicinò a noi. Emmett la seguì dopo aver indugiato
con lo sguardo verso Rosalie, che dandoci le spalle si era diretta al prato
senza degnarci di un'occhiata.
« Veniva da
te il rumore che abbiamo sentito, Edward? », chiese Esme.
« Sembrava
un orso che tossiva », precisò Emmett.
« Era lui » disse Bella accennando ad un
sorriso.
« Senza
volerlo, Bella mi ha fatto ridere », spiegai, per chiudere il discorso alla
svelta.
Alice aveva
lasciato la sua posizione e veniva di corsa,verso di noi. Con una frenata
fluida si arrestò ai nostri piedi. « È il momento », annunciò.
Non appena
aprì bocca, un tuono cupo e profondo proveniente da ovest, dalla città, fece
tremare la foresta alle nostre spalle.
« Inquietante,
eh? », la stuzzicò Emmett e, prendendosi fin troppa
confidenza, le fece l'occhiolino.
« Andiamo ».
Alice afferrò la mano di Emmett, e insieme
sfrecciarono attraverso il campo sovradimensionato.
«Sei pronta
per una bella partita? », chiesi, con uno sguardo raggiante e impaziente.
Cercò di
rispondere con il dovuto entusiasmo:
« Forza ragazzi!
».
Risi sotto
i baffi e, dopo averle scompigliato i capelli, corsi verso gli altri due. Nonostante
partii dopo Alice ed Emmett li raggiunsi e con
altrettanta facilità li superai. Sentivo lo sguardo di Bella posato su di me.
« Scendiamo
anche noi? », le chiese Esme, mentre continuava a
guardarmi . Si ricomposi alla svelta e annuì. Esme si
manteneva di fianco a lei, ma a distanza di qualche metro. Adattò il suo passo
al suo, senza dare segni di impazienza.
« Non
giochi con loro? », le chiese, timida.
« No,
preferisco fare da arbitro: voglio che rispettino le regole ».
« Perché,
di solito barano? ».
« Oh sì, e
dovresti sentire che litigate! Anzi, meglio di no, penseresti che sono stati
allevati da un branco di lupi! ».
« Mi sembra
di sentire mia madre », rise, sorpresa.
Anche Esme rise.
« Per me sono
come figli veri. Non potrei mai vincere il mio istinto materno... Edward ti ha
detto che ho perso un bambino? ».
« No ».
« Sì, il
mio primo e unico figlio. Morì pochi giorni dopo il parto, povero piccolo ».
Fece un sospiro. « Mi si spezzò il cuore... Fu per questo motivo che mi
lanciai dallo scoglio », aggiunse, come niente fosse.
« Edward mi
ha detto che eri... caduta ».
Mi sembrava
indelicato rivelare che Esme aveva cercato di
suicidarsi.
« Il solito
gentiluomo », rise. « Edward è stato il primo dei miei nuovi figli. L'ho sempre
considerato tale, benché per un verso sia più vecchio di me ». Le rivolse un
sorriso caloroso. « Ecco perché sono così contenta che ti abbia trovata, cara ».
Tutto quell'affetto non stonava sulle sue labbra. « Ha vissuto in solitudine
troppo a lungo; vederlo così isolato mi ha sempre fatto soffrire ».
M’inteneriva
la preoccupazione materna di Esme nei miei confronti!
« Perciò
non è un problema che io sia... così... sbagliata? », chiese, esitante.
« No». Era
pensierosa. « Tu sei ciò che vuole. In un modo o nell'altro, funzionerà »,
disse corrugando la fronte.
“O almeno è
ciò che spero!”
Giunse il
rombo di un altro tuono.
Esme le fece
segno di fermarsi: eravamo giunte a bordo campo. Eravamo divisi in due squadre.
Io ero il più distante da loro , nella metà sinistra del campo, Carlisle stava tra la prima e la seconda base e Alice
teneva la palla, in piedi sopra quello che evidentemente era il monte di
lancio.
Emmett faceva
roteare una mazza di alluminio. Jasper, catcher della squadra avversaria, era
parecchi metri più dietro, alle sue spalle. Ovviamente, nessuno indossava
guanti.
« D'accordo
», disse Esme con voce squillante. « Prima battuta ».
Alice
restava ferma, immobile, per non avvantaggiare il battitore. Sembrava pronta a
un lancio diretto, anziché a un colpo effettato. Teneva la palla stretta in
grembo, e poi, come un cobra, la sua mano destra scattò e la palla finì dritta
tra le mani di Jasper.
« Era uno
strike?», bisbigliò a Esme.
« Se il
battitore non la colpisce, è strike ».
Jasper
restituì la palla ad Alice. Lei si concesse un mezzo sorriso e lanciò di nuovo.
Stavolta,
la mazza riuscì colpire la palla. Il fragore dell'impatto fu esplosivo,
rintronante; echeggiò tra le montagne: ecco perché i tuoni erano
indispensabili. La palla schizzò come una meteora sopra il campo e si infilò
nella foresta.
« Fuori
campo », mormorò, Bella.
« Aspetta »,
rispose Esme, in ascolto con una mano alzata. Emmett era un fulmine sulle basi, Carlisle
la sua ombra.
Corsi come
un fulmine verso nella direzione della palla.
« Out! »,
strillò Esme.
A quel
punto uscii dal limite degli alberi, mostrando la palla ed un gran sorriso
trionfante.
« Emmett è il battitore più forte », spiegò Esme, « ma Edward è il corridore più veloce » .
L’inning
proseguì, sapevo che Bella si stava perdendo gran parte delle azioni migliori,
la sua vista non glielo permetteva.
Un altro
motivo per cui avevamo aspettato il temporale venne a mostrarsi lampante agli
occhi e alle orecchie di Bella, quando Jasper, nel tentativo di evitare le mie
prese infallibili, lanciò una palla bassa verso Carlisle.
Corsi verso la palla e inseguii Jasper verso la prima base. Ci scontrammo, e il
suono dell'impatto somigliava allo schianto di due grandi rocce. Bella, balzò
in piedi, preoccupatissima, ma nessuno di noi due si era fatto un graffio.
« Salvo »,
disse Esme, calma.
Con la
squadra di Emmett in vantaggio di un punto - Rosalie
era riuscita a fare un giro completo delle basi sfruttando una delle
lunghissime ribattute di Emmett -, venne il mio turno
di battuta di. Corsi al suo fianco, lo sguardo sfavillante di entusiasmo.
« Che te ne
pare? ».
« Di sicuro
non riuscirò più a sopportare la vecchia e noiosa Major League ».
« Sembra
quasi che tu ne fossi fanatica, prima », risposi ridendo.
« Sono un
po' delusa », disse, provocandomi.
« Perché? ».
« Be',
sarebbe carino se mi mostrassi almeno una cosa che non sei capace di fare
meglio di chiunque altro al mondo ».
Le rivolsi
il mio solito sorriso a mezza bocca.
« Eccomi »,
dissi, preparandomi a battere.
Giocai con
intelligenza, tenendo la palla bassa, fuori dalla portata di Rosalie che
giocava da esterna, e guadagnai fulmineo due basi prima che Emmett
rimettesse la palla in gioco. Dopo di me, Carlisle ne
ribatté una tanto lontano da riuscire a chiudere il punto assieme a me. Alice,
soddisfatta, batteva il cinque a entrambi.
Mano a mano
che la partita procedeva, il punteggio continuava a cambiare, e ogni volta che
una delle due squadre andava in vantaggio iniziavano gli sfottò, come in una
qualsiasi partita tra amici, per strada. Di tanto in tanto Esme
ci richiamava all'ordine. Tornarono i tuoni, ma non ci bagnammo, come Alice
aveva previsto.
Carlisle stava per
battere, ed io mi preparavo a ricevere, quando Alice ebbe un sussulto. Volsi
repentino la testa verso di lei. I nostri sguardi si incrociarono.
“Sono qui”
Capii
benissimo a chi alludesse, prima ancora che gli altri riuscissero a parlare con
Alice, affiancai Bella.
« Alice? »,
chiese Esme, nervosa.
« Non ho
visto... non sono riuscita a distinguere », sussurrò mia sorella.
A quel
punto, tutti si erano raccolti attorno a lei.
« Cos'è,
Alice? », chiese Carlisle, con la voce calma
dell'autorità.
« Si
spostano molto più velocemente di quanto pensassi. Ho capito soltanto ora di
avere sbagliato prospettiva », mormorò.
Jasper si
avvicinò a lei, protettivo:
« Cos'è
cambiato? ».
« Ci hanno
sentiti giocare e hanno fatto una deviazione », disse lei mortificata, sentendosi
responsabile di quella sorpresa indesiderata.
Volgemmo
tutti lo sguardo su Bella, allarmati.
« Tra quanto?
», disse Carlisle, voltandosi verso di me.
Sul mio
viso apparve uno sguardo intenso e concentrato.
« Meno di
cinque minuti. Stanno correndo... vogliono giocare » mi rabbuiai.
« Puoi
farcela? », mi chiese Carlisle rivolgendole un rapido
sguardo.
« No, non
portandola... », tagliai corto. « Inoltre, la cosa peggiore che ci possa
capitare è che sentano la scia e inizino a cacciare ».
« Quanti? »,
chiese Emmett ad Alice.
« Tre ».
« Tre!
Allora lascia che arrivino » disse Emmett mostrando i
muscoli.
In pochi ma
interminabili istanti, Carlisle decise il da farsi.
Solo Emmett restava imperturbabile; gli altri
osservavano ansiosi Carlisle.
« Continuiamo
a giocare », decise infine. Era tranquillo, pacato. « Alice ha detto che sono
soltanto curiosi ».
<<
Sono affamati? >> mi chiese mia madre, muovendo veloce la labbra.
Scossi il
capo, leggermente sollevato. Forse non era ancora detta l’ultima parola.
« Ricevi
tu, Esme », dissi. « Io mi fermo qui ». E rimasi
impalato di fronte a Bella.
Gli altri
tornarono al campo, scrutando la foresta con la loro vista straordinariamente
acuta. Alice ed Esme restavano voltate verso me e
Bella.
« Sciogliti
i capelli », dissi, lentamente e sottovoce.
Obbedì,
sciolsi l'elastico e agitò la testa. Accidenti, il profumo era irresistibile!
Fece l'osservazione
più ovvia:
« Gli altri
stanno per arrivare ».
« Sì,
rimani immobile, stai zitta e non allontanarti da me, per favore » nascondevo
la tensione, ma non fui certo di averla celata a Bella. Le coprii il viso con i
capelli.
« Non
servirà », disse Alice a mezza voce. « Il suo odore si sente fin dall'altro
lato del campo ».
« Lo so ».
La mia voce era velata di frustrazione.
Carlisle prese
posizione, e il resto dei giocatori lo seguì senza entusiasmo.
« Cosa ti
ha chiesto Esme? », sussurrò.
Risposi
soltanto dopo qualche secondo.
« Se sono
assetati », bisbigliai controvoglia, a labbra strette.
I secondi
passavano; la partita continuava, apatica. Mantenevano per prudenza le
ribattute smorzate; Emmett, Rosalie e Jasper non si
allontanavano dall'interno del campo.
Non
prestavo alcuna attenzione alla partita, scrutavo la foresta con gli occhi e
con la mente: solo altri tre minuti.
« Mi dispiace,
Bella », mormorai, furioso. « È stato stupido, irresponsabile esporti a questo
rischio. Mi dispiace tanto ».
Il mio
respiro si arrestò e con gli occhi fissai un punto alla mia destra. Feci mezzo
passo, frapponendomi tra lei e ciò che stava arrivando.
Carlisle, Emmett e gli altri si voltarono nella stessa direzione,
attirati: eccoli!
Se questo
capitolo vi è potuto sembrare troppo simile a quello originale di “Twilight”, mi scuso ma di baseball non ci capisco nulla,
quindi per quanto mi è stato possibile ho spostato la prospettiva da Bella ad Edward.
Come
sempre, ringrazio:
Simo1726:
Ci tengo subito a tranquillizzarti: questa storia non resterà incompiuta e sono
felice che ti stia piacendo…perciò, grazie a te.
Inoltre:
Alessandraxxx81, per averla messa tra i suoi preferiti. E’ la prima volta che
ti cito, vero?!
Air_Chaos: per
averla aggiunta tra le seguite.
Dandovi appuntamento
al prossimo capitolo- sperando di non essere troppo lenta nell’aggiornare- vi
saluto calorosamente,
Sbucarono
dal confine della foresta, schierandosi a una dozzina di metri l'uno
dall'altro. Il primo maschio entrò nello spiazzo, si fermò, e lasciò che il suo
compagno, alto e con i capelli scuri, lo precedesse dimostrando chi fosse il capobranco. La terza era una donna, dai
capelli rossi. Tutti e tre avevano le iridi rosse.
Prima di
avvicinarsi con cautela alla nostra famiglia, i tre serrarono i ranghi, a
dimostrazione di non essere belligeranti.
Erano
diversi da noi, più selvaggi. La loro andatura era acquattata, felina.
Sembravano degli escursionisti, vestiti di jeans e camicie sportive pesanti,
resistenti alle intemperie. Gli indumenti, però, erano consumati, e i tre
avanzavano a piedi nudi. I due uomini avevano i capelli cortissimi, mentre la
chioma arancione e luminosa della donna era zeppa di foglie.
I loro
sguardi acuti valutarono con attenzione l'atteggiamento civilizzato di Carlisle, che gli si faceva incontro guardingo affiancato
da Emmett e Jasper. Senza parlare, assumemmo tutti
una posizione apparentemente disinvolta, eretta ma comunque rigida.
L'uomo che
guidava il gruppo aveva la carnagione che mostrava tirate olivastre sotto il
tipico pallore, e i capelli erano neri.Di
corporatura media, era sì muscoloso, ma niente a che vedere con Emmett. Sfoderò un sorriso spontaneo.
La donna
aveva l'aria più selvatica, i suoi occhi non smettevano di oscillare tra i suoi
due compagni e noi; i capelli le si arruffavano nella brezza leggera, e la postura
era chiaramente felina. Il secondo maschio ronzava silenzioso alle spalle
degli altri, più magro, anonimo, sia nel colore castano dei capelli sia nei
lineamenti regolari. Il suo sguardo, per quanto immobile, era il più vigile.
Ero attento ad ogni loro mossa, lessi nella mente di tutti e tre,ma per il
momento nessuno si era accorto che Bella era umana.
L'uomo con
i capelli scuri si avvicinò a Carlisle sorridendo.
« Ci
sembrava di aver sentito giocare », disse pacato, con un leggero accento
francese. « Mi chiamo Laurent, questi sono Victoria e
James ». Indicò i vampiri accanto a lui.
« Io mi
chiamo Carlisle. Questa è la mia famiglia: Emmett e Jasper, Rosalie, Esme e
Alice, Edward e Bella ». Ci indicò a gruppi, per non solleticare troppo l'attenzione
del trio. Quando fece il nome di Bella, lei ebbe un sussulto. Avrei voluta
stringerla ed infonderle tranquillità, ma avrei dato nell’occhio.
« C'è posto
per qualche altro giocatore? », chiese educato Laurent.
Carlisle rispose in
tono amichevole:
« A dir la
verità, stavamo proprio finendo. Ma la prossima volta potremmo averne bisogno.
Avete in programma di trattenervi molto da queste parti? ».
« Siamo
diretti a nord, ma eravamo curiosi di visitare il vicinato. È da molto che non
incontriamo nessuno ».
« Questa
regione di solito è disabitata, a parte noi e qualche visitatore occasionale,
come voi ».
La tensione
si era lentamente sciolta in una conversazione spontanea. Non me ne stupii con Jasper
nei paraggi a controllare la situazione, grazie al suo dono speciale.
« Qual è il
vostro territorio di caccia? », chiese Laurent.
Carlisle ignorò le
implicazioni della domanda.
« La catena
dei Monti Olimpici, qui vicino, o la costa, di tanto in tanto. Abbiamo una
residenza fissa nei dintorni. E c'è un altro insediamento permanente come il
nostro, nei pressi di Denali ».
Laurent arretrò
impercettibilmente, sui talloni.
« Permanente?
E come fate?». Sembrava sinceramente curioso.
« Perché
non venite a casa nostra e ne parliamo con calma? È una storia piuttosto lunga ».
James e
Victoria si scambiarono uno sguardo sorpreso alla parola "casa". Laurent, invece, mantenne il controllo.
« Invito
molto interessante, e ben accetto ». Sorrise affabile. « Siamo partiti per la
caccia dall'Ontario e non ci diamo una ripulita da un bel po' ». I suoi occhi
scrutavano con ammirazione l'aspetto raffinato di Carlisle.
« Vi prego
di non offendervi, ma siamo costretti a chiedervi di astenervi dalla caccia,
negli immediati dintorni. Capirete bene che è meglio che nessuno si accorga di
noi », spiegò Carlisle.
«Certo»,
annuì Laurent. «Non invaderemo il vostro territorio,
siatene certi. E comunque, abbiamo mangiato poco dopo aver lasciato Seattle».
Rise. Bella, al mio fianco rabbrividì. Ero impaziente che quei convenevoli
giungessero al termine, volevo portare Bella lontano da loro.
«Se volete
seguirci, vi facciamo strada. Emmett e Alice, accompagnate
Edward e Bella fino alla jeep ».
Mentre Carlisle parlava, successe ciò che temevo: si alzò una
leggera brezza sufficiente a smuovere i capelli di Bella, il suo odore si
espanse a macchia d’olio…fresco, e dannatamente
invitante!
Non ero il
solo ad essere assuefatto dal suo profumo così pregiato,James dilatò le narici
voltandosi verso di Bella.
Tutti
rimanemmo impietriti, tranne James che si accucciò facendo un passo in avanti.
Mostrai i denti, in posizione di difesa, e cacciai un ringhio bestiale. Niente
a che vedere con quello giocoso che avevo emesso quel pomeriggio a casa: era molto,
molto più minaccioso.
« E questa
cos'è? », esclamò Laurent, palesemente sorpreso. Né
io né James non abbandonammo le nostre pose aggressive. James fece una finta a
cui risposi immediatamente.
« È con noi
». Il fermo rimprovero nella voce di Carlisle era
diretto a James. Laurent sembrava meno sensibile al
suo odore, ma anche lui, a quel punto, iniziava a capire.
« Vi siete
portati uno spuntino? », chiese incredulo, avanzando involontariamente di un
passo.
Il mio
ringhio divenne ancora più duro e feroce, le mie labbra erano tese e scoprivano
i denti: nessuno doveva avvicinarsi a lei, sarei stato capace di ucciderlo a
sangue freddo, non m’importava di scatenare uno scronto!
Laurent arretrò,
sconcertato: non era la presenza di Bella a sconcertarlo, era come sembrava
essere una di noi.
« Ho detto
che è con noi », ribadì Carlisle, duro.
« Ma è umana
»,protestò Laurent. Era sorpreso, più che
aggressivo, ma non abbassai la guardia.
« Sì ». Emmett si era messo al fianco di Carlisle,
lo sguardo puntato su James. Questi si rilassò lentamente, ma senza perderla
di vista, con le narici sempre dilatate. Di fronte a lei,ero teso come un leone pronto a spiccare un
balzo.
Laurent cercò di
abbassare i toni e spegnere l'improvvisa ostilità:
« A quanto
pare, dobbiamo imparare a conoscerci meglio ».
« Esattamente
». La voce di Carlisle era ancora fredda.
« Eppure,
gradiremmo accettare il vostro invito ». lanciò un'occhiata a Bella e si
rivolse di nuovo a Carlisle. « Naturalmente, non
faremo del male all'umana. Come ho detto, non intendiamo cacciare nel vostro
territorio ».
James
rivolse a Laurent uno sguardo incredulo e irritato, e
scambiò un'occhiata con Victoria, che ancora scrutava uno a uno i volti dei
presenti, nervosamente. E quel punto fui percosso dalla rabbia più nera.
Lessi nella
mente di James, e diedi il giusto significato a quell’occhiata scambiata con la
donna, per di più sua compagna.
James, era
un segugio, la caccia era la sua ossessione. La mia reazione di difesa, l’aveva
eccitato: la mia reazione istintiva lo aveva esaltato, gli avevo appena offerto
la migliori tra le cacce.
Sapeva che
non avrei mai permesso che torcesse un capello a Bella.
Carlisle studiò
l'espressione sincera di Laurent, prima di parlare.
« Vi
facciamo strada. Jasper, Rosalie, Esme? ». I ragazzi
si radunarono attorno a Bella per nasconderla. Alice fu al suo fianco in meno
di un istante, ed Emmett si spostò lentamente dietro
di lei, senza staccare gli occhi da James.
« Andiamo,
Bella ». La mia voce era bassa e cupa.
Fino a quel
momento era rimasta impietrita, immobilizzata dal terrore. Fui costretto a
darle uno strattone per farla riavere dalla trance. Era nascosta tra Alice ed Emmett. Si trascinava al mio fianco, sopraffatta dalla
paura. Ero impaziente di allontanarmi da loro, l’accompagnai a passo umano
verso il confine della foresta.
Una volta
che fummo tra gli alberi, la presi in spalla senza perdere il passo. Si strinse
quanto poteva, ed io iniziai a correre, seguito dagli altri. L'eccitazione che
di solito nasceva in me con la corsa era del tutto assente, sostituita da una
furia che mi consumava e mi faceva avanzare ancora più veloce del solito. Malgrado
portassi lei in spalla, precedevo i miei fratelli.
Ero
arrabbiato, ma caso in solito per me, anche allarmato. James voleva Bella,
niente e nessuno l’avrebbe persuaso dalla sua smania. Potevo fare solo una
cosa: ucciderlo, nonostante la cosa non mi allettasse.
Raggiungemmo
la jeep in un batter d'occhio, e rallentai soltanto per depositarla sul sedile
posteriore.
« Allacciale
le cinture », ordinai a Emmett, che s'infilò in auto
al suo fianco.
Alice si
era già sistemata sul sedile del passeggero, avviai il motore. Con un rombo e
una veloce inversione riprendemmo la strada tortuosa.
Ringhiai a
denti stretti, soggiogato dalla frustrazione e dalla rabbia: ero stato uno
stupido incosciente a portarla con me, l’avevo posta a rischio senza motivo.
<<
Idiota!! >> imprecai.
“Calmati,
ci servi lucido!”
Ignorai
l’ammonimento, silenzioso di mia sorella.
Emmett e Alice
guardavano fuori dai finestrini.
Raggiungemmo
la strada principale, eravamo diretti a sud, lontano da Forks.
« Dove
andiamo? ».
Nessuno le
rispose. Nessuno la degnò di uno sguardo.
« Accidenti,
Edward! Dove diavolo mi stai portando? ».
« Dobbiamo
portarti lontano da qui - molto lontano - e subito! ». Non mi voltai, fissavo
la strada. Il tachimetro segnava i centosettanta.
« Torna
indietro! Devi riportarmi a casa! », urlò. Se la prese con l’imbracatura,
cercando di strapparla.
« Emmett >> ordinai, torvo.
Ed Emmett bloccò le sue mani nella sua presa d'acciaio.
« No!
Edward! No, non puoi farlo ».
« Sono
costretto, Bella. E adesso, per favore, stai calma ».
« No! Devi
riportarmi a casa. Charlie chiamerà l'FBI! Scoveranno la tua famiglia. Carlisle ed Esme dovranno fuggire,
nascondersi per sempre! »
Era vero,
ma non me ne curai.
« Calma,
Bella ». La mia voce era fredda. « Ci siamo già passati ».
« Non per
me, no! Non puoi rovinare tutto per salvare me! ». La sentivo dibattersi con
violenza, inutilmente.
Alice
parlò, per la prima volta:
« Edward,
accosta ».
La
incenerii con uno sguardo e accelerai.
« Edward,
ti prego, parliamone ».
« Tu non
capisci », ruggii, per la frustrazione. Il tachimetro aveva superato i
centottanta. « È un segugio, Alice, non te ne sei accorta? È un segugio! ».
Emmett, al suo
fianco, si irrigidì.
“Merda” pensò
mio fratello.
« Accosta,
Edward ». Alice voleva ragionare,nella sua voce c’era una nota autoritaria.
Il
tachimetro superò i centonovanta.
« Avanti,
accosta ».
« Ascolta,
Alice. Ho letto nella sua mente. Seguire una scia è la sua passione, la sua
ossessione. E vuole lei, Alice... lei,e nessun altro. Intende
iniziare la caccia stanotte ».
« Ma lui
non sa dove... ».
« Quanto
pensi che ci vorrà prima che incroci la sua scia in città? Aveva un piano
pronto già prima che Laurent aprisse bocca ».
« Oh, no!
Charlie! Non puoi lasciarlo solo! Non puoi! ». Si dimenava nell'imbracatura.
« Ha
ragione », disse Alice.
Rallentai
impercettibilmente.
« Consideriamo
le alternative per un attimo », sintetizzò lei.
La macchina
rallentò ancora, in maniera più brusca, fino a fermarsi, sgommando sulla
banchina dell'autostrada.
« Non ci
sono alternative », sibilai furioso.
« Non lascerò
Charlie da solo! », strillò, Bella.
La ignorai.
« Dobbiamo
riportarla a casa », disse Emmett, infine.
« No ».Non
tolleravo obiezioni.
« Tra noi e
lui non c'è confronto, Edward. Non riuscirà a torcerle un capello ».
« Aspetterà
».
Emmett sorrise:
« Anch'io
so aspettare ».
« Non ti
rendi conto... non capisci. Se uno come lui decide di impegnarsi in una caccia,
niente può fargli cambiare idea. Saremo costretti a ucciderlo ».
L'idea non
sconvolse granché Emmett:
« È una
possibilità ».
« La
femmina sta con lui. E se scoppia una guerra, anche il capo sarà dalla loro
parte ».
« Siamo
comunque in vantaggio »
« C'è
un'alternativa », disse piano Alice.
Mi voltai verso
di lei, furioso, con un ringhio violento:
« Non-Ci-Sono-Alternative! ».
Bella ed Emmett mi fissarono scioccati, ma Alice non batté ciglio.
Per un minuto interminabile mi fissò negli occhi, muta.
“Trasformala”
Non ci
pensavo neanche. Preferivo lottare fino allo spasimo, ma mai e poi mai avrei
permesso la sua trasformazione. Significava lasciarla morire. Non sarei stato
io a permettere che il suo cuore smettesse di battere.
Fu Bella a
spezzare il silenzio:
« A nessuno
interessa il mio piano? ».
« No »,
ruggii, sotto lo sguardo fermo di Alice.
« Ascolta »,
m’implorò. « Tu mi riporti a casa ».
« No ».
Mi guardò torva
e proseguì:
« Tu mi
riporti a casa. Io dico a papà che voglio tornare a Phoenix. Faccio le valigie.
Aspettiamo che questo segugio si sia appostato in ascolto, poi scappiamo. Così seguirà noi e lascerà stare Charlie, che
non chiamerà l'FBI né i tuoi genitori. E poi potrete portarmi dove diavolo vi
pare ».
La
guardammo, sbalorditi.
« In effetti
non è una cattiva idea » disse Emmett sorpreso.
« Potrebbe
funzionare... Non possiamo lasciare suo padre senza protezione, lo sapete »,
disse Alice.
Tutti mi
guardarono.
« È troppo
pericoloso: non lo voglio nemmeno a cento chilometri da lei ».
« Edward,
con noi non ha scampo ». Emmett era sicurissimo di
sé.
Alice ci
pensò su:
<< Non
lo vedo attaccare. Aspetterà che la lasciamo sola ».
« Capirà al
volo che non lo faremo ».
« Pretendo
che tu mi porti a casa ». Bella fu perentoria.
Chiusi gli
occhi, mi premevo le tempie con le dita: ero esausto e abbattuto.
« Per
favore », chiese, a voce più bassa.
Non alzai
lo sguardo. Risposi facendo trapelare la mia stanchezza.
« Te ne
andrai stasera, che il segugio ti veda o no. Vai a casa e dici a Charlie che
non intendi restare a Forks un minuto di più. Raccontagli
la scusa che preferisci. Poi prepari una valigia con le prime cose che ti
capitano e sali sul pick-up. Non m'interessa come reagisce tuo padre. Hai
quindici minuti. Capito? Quindici minuti da quando varchi la soglia di casa ».
La jeep riprese
vita con un rombo, ed invertii la marcia sgommando. La lancetta del tachimetro
ricominciò a muoversi.
« Emmett? ». Lanciò un'occhiata verso le sue mani.
« Ah, scusa
». E la liberò dalla stretta.
Trascorremmo
qualche minuto in silenzio, in ascolto del rombo del motore. Poi parlai:
« Le cose
andranno così. Arrivati a casa, se il segugio non c'è, l'accompagno alla porta.
Da quel momento ha quindici minuti ». La lanciai un'occhiata dal retrovisore. «
Emmett, tu tieni d'occhio la casa dall'esterno.
Alice, tu ti occupi del pick-up. Io resto in casa con lei. Dopo che è uscita,
portate la jeep a casa e riferite tutto a Carlisle ».
« Neanche
per idea », lo interruppe Emmett. « Io resto con te ».
« Pensaci
bene, Emmett. Non so neanch'io
quando potrei tornare ».
« Finché
non sappiamo come finirà questa faccenda, io resto con te ».
« Se il segugio è a casa di Charlie, invece,
non ci fermiamo >> dissi con un sospiro.
« Ci
arriveremo prima di lui », disse Alice, fiduciosa.
Nonostante
la sua proposta mi avesse fatto arrivare il sangue al cervello, mi fidavo di
lei.
« Cosa
facciamo con la jeep? », chiese lei.
« La riporti
a casa » risposi secco.
« Invece no
», ribatté Alice, imperturbabile.
<<
Dannazione!!! >>
Quella fu
la prima, di una lunga serie di nuove imprecazioni che pronunciai.
« Non ci
staremo tutti e quattro sul pick-up », mormorò.
Non
ascoltavo minimamente Bella, aveva già detto la sua.
« Secondo
me è meglio che mi lasciate andare da sola », disse, a voce ancora più bassa.
Me ne
accorsi.
« Bella,
per favore, fai come dico io, almeno questa volta », dissi a denti stretti.
« Stammi a
sentire, Charlie non è uno stupido. Se domani neanche tu sarai in città, si
insospettirà ».
« Non
m'interessa. Faremo in modo di proteggerlo, e questo è ciò che importa ».
« E il
segugio? Si è accorto di come hai reagito, stasera. Penserà che sei con me,
ovunque ti trovi ».
Emmett le lanciò uno
sguardo sorpreso.
« Edward,
ascoltala. Secondo me ha ragione ».
« Certo che
sì », ribadì Alice.
« Non posso
farlo ». La mia voce era fredda come il
ghiaccio. Non potevo starle lontano.
« È meglio
che nemmeno Emmett mi segua », aggiunse. « Ha
osservato bene anche lui ».
« Cosa? »,
esclamò Emmett, voltandosi verso di lei.
« Se resti
a casa avrai qualche possibilità di rifarti con lui », confermò Alice.
La guardai
incredulo:
« Pensi che
dovrei lasciarla scappare da sola? ».
« Certo che
no », rispose lei, « la accompagneremo io e Jasper ».
« Non posso
», ribadii, con una nota di rassegnazione nella voce. Era giusto ciò che
stavano dicendo, ma dentro urlavo. Avrei dovuto far vincere la razionalità,
piuttosto che il sentimento.
Bella cercò
di persuadermi:
« Resta da
queste parti per una settimana », notò la mia espressione contrariata nello specchietto e si corresse, «
anzi, solo qualche giorno. Così Charlie avrà la certezza che non mi hai rapita
e questo James girerà a vuoto per un po'. Assicurati che perda completamente
le mie tracce. Poi raggiungimi. Ovviamente, sarà
meglio prenderla un po' alla larga. A quel punto, Jasper e Alice potranno
tornare a casa ».
Non era
male come idea.
« Dove ti
raggiungerei? ».
« A Phoenix
».
« No. Se
dici a Charlie che torni a Phoenix, lo sentirà anche il segugio », ribattei
impaziente.
« E tu gli
farai credere che è un imbroglio, ovviamente. Lui sa che noi sappiamo di essere
spiati. Non crederà mai che io stia
andando
davvero dove dico di andare ».
« È
diabolica », commentò Emmett con una risatina.
« E se non
funziona? ».
« Phoenix
ha milioni di abitanti ».
« Non è
difficile trovare una guida del telefono ».
« Non
tornerò a casa di mia madre ».
« Eh? »
esclamai allarmato.
« Sono
abbastanza grande per vivere da sola ».
« Edward,
ci saremo noi con lei », mi rammentò Alice.
« E voi cosa
farete in giro per Phoenix? », chiesi, mordace: una delle città più
assolate degli Stati Uniti d’America, perfetto per due vampiri!
« Resteremo
chiusi in casa ».
« Il piano
mi piace » approvò Emmett. Lui e la sua assurda mania
di mettersi alla prova!
« Chiudi il
becco », lo apostrofai.
« Ascolta,
se cerchiamo di incastrarlo mentre lei è qui attorno, c'è un rischio molto più
alto che qualcuno si faccia del male, lei o te che cerchi di proteggerla.
Invece, se riuscissimo a isolarlo... ». Emmett
tacque, accennando un sorriso.
Giunta alla
periferia di Forks, la jeep iniziò a rallentare.
« Bella ».
pronunciai il suo nome con dolcezza. Alice ed Emmett
guardavano fuori dai finestrini. « Se lasci che ti accada qualcosa - qualsiasi
cosa - ti riterrò direttamente responsabile. Lo capisci? ».
« Sì »,
rispose senza fiato.
Mi rivolsi
ad Alice.
« Jasper è
in grado di gestire la situazione? ».
« Fidati,
Edward. Tutto sommato, finora si è comportato molto, molto bene ».
« E tu,
pensi di poterla gestire? ».
Al che
Alice mostrò i denti con una smorfia orrenda e si lasciò andare a un ringhio
gutturale.
“Iperprotettivo
come sempre!”
Le sorrisi.
« Ma le tue
idee, tienitele per te », bofonchiai, non riuscivo a restare arrabbiato con
lei per più di due minuti. >>
Scusate la
lunghissima attesa, ma il periodo degli esami è sempre molto stressante e mi
porta via la maggior parte dell’energie!!
Ringrazio
di cuore:
Giorgina_Cullen, Kamura86
e Patrizia70 per aver aggiunto questa storia tra le preferite!
Fancef80 e
Dafne007 per averla aggiunta tra le loro seguite!
Spero di
non aver dimenticato nessuno, ma se per errore lo avessi fatto mi scuso e
ringrazio!
Charlie era
rimasto sveglio ad aspettare la figlia, i suoi pensieri erano inquieti, non si
sarebbe calmato finché Bella non avesse
varcato la porta di casa, povero ignaro della sorpresa che lei aveva in serbo per lui. Le luci
dell’abitazione erano tutte accese.
Accostai
lentamente, attento a non sbarrare la strada al pick-up. Sia io che i miei
fratelli eravamo rigidi sui sedili, intenti ad ascoltare ogni minimo rumore del
bosco, a osservare ogni ombra, a sentire ogni odore, controllando che niente
fosse fuori posto.
« Non è qui
», sentenziai nervoso. «Andiamo».
Emmett le si
avvicinò per aiutarla a uscire dall'imbracatura. « Non preoccuparti, Bella »,
le parlò piano, fiducioso, « ce ne sbarazzeremo in fretta ».
<<
Alice, Emmett » ordinai, secco.
I due
sparirono all'istante, assorbiti nell'oscurità. Aprii la portiera e la presi
per mano, proteggendola nel mio abbraccio. L’accompagnai svelto di fronte a
casa, con lo sguardo vigile nel buio della notte.
« Quindici
minuti », ribadii, con un filo di voce.
« Ce la
posso fare », disse tra i singhiozzi.
Non
m’importava neanche quale scusa avrebbe raccontato a Charlie, mi premeva solo
che fosse realista tanto da convincerlo a lasciarla andare.
Si fermò sulla
soglia della veranda e mi prese il viso tra le mani. Mi guardò con una strana
luce negli occhi. Era decisa.
« Ti amo »,
disse, e la sua voce assunse una nota profonda « Ti amerò sempre, succeda quel che succeda ».
« Non ti succederà
niente, Bella », dissicon altrettanta
convinzione.
« L'importante
è che tu segua il piano. Proteggi Charlie, per favore. Dopo stasera ce l'avrà
sicuramente con me, e voglio avere la possibilità di scusarmi, quando tutto
sarà finito ».
« Una cosa
ancora », m’implorò sottovoce. « Non ascoltare una sola parola di ciò che sto
per dire! ». Mi avvicinai a lei, che alzatasi sulla punta dei piedi mi baciò le
labbra con forza; ne rimasi sorpreso.Poi si voltò e con un calcio aprì la porta.
« Vattene,
Edward! », urlò, correndo in casa e sbattendomi la porta in faccia, aumentando
il mio stupore: che aveva in mente?
Mi
arrampicai sull’albero ed entrai in camera sua dalla finestra, ascoltando le
voci al piano sottostante:
« Bella? ».
Charlie, rimasto ad aspettarla in salotto, era scattato subito in piedi dal
divano.
« Lasciami
stare! », gridò lei, in lacrime. Chiuse a chiave la porta della sua stanza,
sbattendola. Raggiunse il letto e si gettò a terra, in cerca della sacca da
viaggio. Poi frugò tra il materasso e la rete, estraendone una calza,
probabilmente conteneva i suoi risparmi. Non si accorse di me, rimasi
nell’ombra.
Charlie
bussava forte alla porta.
« Bella,
stai bene? Che succede? » non capiva cosa stesse succedendo, era seriamente
preoccupato da quella inattesa sfuriata.
« Me ne
torno a casa »,urlò, con voce rotta dal pianto.
« Ti ha
trattata male? ». Dalla paura, stava passando alla rabbia.
« No! », il
suo strillo salì di parecchie ottave. Si voltò verso l'armadio, accorgendosi di
me, in silenzio presi bracciate di
vestiti a caso, per lanciargliele.
« Ti ha
lasciata? », Charlie era perplesso, non trovava una spiegazione logica: se io
non l’avevo sfiorata con un dito né l’avevo lasciata, perché Bella era in
quello stato?Se fossi stato meno teso, probabilmente sarei stato curioso di
cosa la sua mente geniale aveva pensato.
« No! »,
urlò, con un po' meno fiato, mentre affannata infilava tutto nella sacca. Le
lanciai il contenuto di un altro cassetto. La borsa era già piena.
« Cos'è
successo, Bella? », gridò Charlie da dietro la porta, senza smettere di
bussare.
« Io ho
lasciato lui »,rispose, mentre si accaniva sulla zip della sacca.
Le spinsi via le mani con le mie che la
chiusero senza difficoltà. Gliela sistemai per bene in spalla.
« Ti
aspetto sul pick-up... Vai! », sussurrai, e la spinsi verso la porta. Svanii,
uscendo dalla finestra.
Balzai
dall’albero, e salii sul pick-up dalla parte del passeggero, restando in
ascolto.
Bella aprì
la porta, scansò bruscamente Charlie e scese le scale di slancio.
« Ma cos'è
successo? », urlò lui. Le era alle spalle. « Mi sembrava che ti piacesse ».
In cucina
la raggiunse e la trattenne per una spalla. Con uno strattone la costrinse a
voltarsi: non voleva lasciarla andare.
Chiusi le
mani a pugno, in tensione, augurandomi che Bella riuscisse a liberarsi del
padre in fretta, il tempo scorreva troppo velocemente! Il segugio era arrivato
alla sua meta.
Lo fissò con
lo sguardo pieno di lacrime appena spuntate.
« Il
problema è proprio che mi piace. Non ce la faccio più. Non posso mettere radici
qui. Non voglio finire intrappolata in questa noiosa stupida cittadina, come la
mamma! Non intendo ripetere il suo stesso errore idiota. Odio Forks... non
voglio sprecarci più neanche un minuto del mio tempo! ».
Le lasciò
la spalla sopraffatto da quelle parole, ferito nel profondo. Voltò le spalle a
Charlie e puntò dritta verso la porta.
« Bells,
non puoi andartene ora. È notte », sussurrò alle sue spalle.
Bella, non
si voltò:
« Se mi stanco dormirò nel pick-up ».
« Aspetta
almeno una settimana », la implorò, ancora intontito dalla sorpresa. «Lascia
almeno che Renée torni a casa».
« Cosa? ».
Rincuorato
dalla sua incertezza, continuò balbettando:
« Ha
chiamato mentre eri fuori. Le cose non stanno andando granché bene in Florida,
e se Phil non trova un contratto entro la fine della settimana torneranno in
Arizona. Il vice allenatore dei Sidewinders dice che forse hanno bisogno di un
altro interbase ».
Bella,
scosse il capo, sembrava interdetta nella mente di Charlie: che aspettava,
maledizione?!
« Ho la
chiave », mormorò, girando la maniglia.
“Bella…no….”
Non avevo mai visto il capo ispettore così demoralizzato e abbattuto.
« Lasciami
andare, Charlie, per favore ». Le pronunciò con una rabbia che non le
apparteneva. Ed io che avevo insinuato che non sapeva recitare. Spalancò la
porta. « Non ha funzionato, punto e basta. Odio Forks, la odio! »
Le sue
parole fecero effetto: Charlie rimase sulla porta, impietrito e frastornato,
mentre lei fuggiva nella notte; era fatta! Corse a perdifiato verso il
pick-up.Lanciò la borsa sul pianale e spalancò la portiera. La chiave l’avevo
già infilata nel quadro.
« Ti chiamo
domani! », gli urlò. Accese il motore e partì a mille.
Le presi
una mano.
« Accosta »,
dissi, non appena la casa e Charlie sparirono dalla nostra visuale.
« So
guidare », disse con il viso coperto di lacrime.
Le strinsi
i fianchi e con un piede le tolsi il controllo dell'acceleratore. La sollevai,
spostandola dal posto di guida, e in un secondo fui al volante. Il pick-up non
deviò di un centimetro.
« Non
saresti capace di ritrovare la casa », mi giustificai. In realtà la vedevo
troppo provata per guidare.
All'improvviso
un paio di fari si accesero alle nostre spalle. Si sporse dal finestrino,
terrorizzata.
« Non
preoccuparti, è Alice ». Le presi di nuovo la mano.
« E il segugio? ».
« Ha
assistito all'ultima parte della tua esibizione », dissi torvo.
« E
Charlie? », chiese, angosciata.
« Il
segugio ha seguito noi. È alle nostre spalle in questo momento ».
« Possiamo
seminarlo? ».
« No ».
Eppure accelerai. Il motore del pick-up lanciò un gemito di protesta.
Fissava i
fari di Alice dietro di noi, quando il pick-up scartò e fuori dal finestrino
apparve un'ombra scura.
Il suo urlo
durò una frazione di secondo, prima che le tappassi la bocca.
« È Emmett!
».
Lasciai la
presa e la strinsi con un braccio.
« Va tutto
bene, Bella. Ti portiamo al sicuro ».
Sfrecciavamo
per la città addormentata, verso l'autostrada diretta a nord.
« Non
immaginavo che fossi così annoiata dalla vita di provincia », attaccai, sperando
di distrarla dal terrore che stava vivendo. « Mi sembrava che ti ci stessi
abituando molto bene... - soprattutto negli ultimi tempi. Ma forse mi sono solo
illuso di averti reso la vita un po' più interessante ».
« Non sono
stata carina», confessò, abbassando gli occhi e ignorando il tentativo di
cambiare discorso. « Ho ripetuto le stesse parole che disse mia madre quando se
ne andò. È stato un colpo davvero basso ».
« Non
preoccuparti. Saprà perdonare ». Accennai un sorriso, ma non la convinsi.
Mi fissò
con il panico negli occhi: come potevo biasimarla.
« Bella,
andrà tutto bene ».
« Non quando
sarai lontano », sussurrò.
« Ci rivedremo
tra qualche giorno», risposi, stringendo
la presa attorno ai suoi fianchi. « Non dimenticare che l'idea è stata tua » .
« Era
l'idea migliore... per forza è stata mia ».
Il sorriso che
le rivolsi era vuoto e scomparve immediatamente: non ero minimamente pronto a
salutarla da lì a pochi minuti, non so come avrei potuto sopportare la
lontananza.
« Perché è
successo tutto questo? », chiese, senza voce. « Perché io? ».
Fissavo la
strada inespressivo e cupo.
« È colpa
mia. È stato stupido esporti in quella maniera ».
« Non è ciò
che intendevo. Ero li, certo. Ma non ho infastidito gli altri due. Perché
questo James avrebbe deciso di uccidere me? Con tutta la gente che c'è,
perché proprio io? ».
Prima di
rispondere attesi qualche istante, esistevano parole che avrebbero ammortizzato
il colpo di ciò che stavo per rivelarle?
« Stasera
ho analizzato bene la sua mente », dissi a voce bassa. « Temo che in ogni caso
non sarei riuscito a impedire tutto questo. In un certo senso, è anche colpa tua
». Ero beffardo. « Se il tuo odore non fosse così straordinariamente
delizioso, forse non ne sarebbe stato toccato. Ma quando ti ho difesa... be',
ho peggiorato le cose, e di molto. Non è abituato a essere ostacolato, e non
importa quanto insignificante sia la preda. Non si ritiene altro che un
cacciatore. La sua esistenza è fatta soltanto di pedinamenti, è sempre alla
ricerca di nuove sfide. All'improvviso, gliene abbiamo fornita una su un piatto
d'argento: un folto clan di forti guerrieri che proteggono l'unico elemento
vulnerabile del gruppo. Non puoi immaginare quanto lui sia euforico in questo
momento. È il suo gioco preferito, e lo abbiamo appena invitato a una partita
più eccitante del solito ». Non mi curai neanche di nascondere il mio disgusto.
Feci una
pausa.
« D'altro
canto, se fossi rimasto impassibile ti avrebbe uccisa seduta stante » Ero
abbattuto, disperato.
« Pensavo...
che sugli altri il mio profumo non avesse lo stesso... effetto che ha su di te »,
balbettò.
« Infatti
non ce l'ha. Ma ciò non significa che tu non sia comunque una tentazione. Se
il segugio - o uno degli altri due - si fosse sentito attratto da te come lo
sono io, sarebbe stato inevitabile battersi immediatamente ».
Fu scossa
da un tremito.
« A questo
punto credo di non avere altra scelta. Sarò costretto a ucciderlo », mormorai,
« e a Carlisle non piacerà ».
« Come si
uccide un vampiro? ».
Le lanciai
un'occhiata indecifrabile e la mia voce si fece subito nervosa.
« L'unica
maniera possibile è farlo a pezzi e bruciarne i resti ».
Sarebbe
stato uno strazio, anche se si trattava di un essere ripugnante come James.
« Gli altri
due combatteranno con lui? ».
« La donna
sì. Non sono sicuro di Laurent. Il loro legame non è così forte... si è unito a
loro soltanto per convenienza. L'atteggiamento di James, nel prato, lo metteva
in imbarazzo ».
« Ma James
e la donna... cercheranno di ucciderti? », chiese, rauca.
« Bella, non
osare perdere tempo a preoccuparti per me. Ora devi soltanto badare a
proteggerti e - per favore, per favore - tenta di non essere troppo
temeraria ».
« Ci segue
ancora? ».
« Sì. Però
non attaccherà in casa. Non stanotte » .
Svoltai nel
sentiero invisibile, seguito a ruota da Alice.
Giungemmo a
casa mia . Le luci erano tutte accese, ma non riuscivano a contrastare
l'oscurità della foresta che circondava l'edificio. Emmett aprì la sua
portiera prima ancora che il pick-up si arrestasse; la estrasse dal sedile, la
strinse al petto come una palla da football e la portò dentro di corsa.
Facemmo
irruzione nel grande salone bianco. Erano tutti lì, e sentendoci arrivare, si
erano alzati. In mezzo a loro c'era anche Laurent. Emmett la depose accanto a
me, con un ringhio cupo.
« È sulle
nostre tracce », annunciai e inchiodai Laurent con uno sguardo.
Laurent non
se ne mostrò affatto felice:
« Era ciò
che temevo ».
Alice
raggiunse Jasper e gli disse qualcosa all'orecchio; le sue labbra vibravano
veloci e silenziose: ma sapevo che voleva metterlo al corrente del nostro piano,
sentendo anche il suo parere dopo tutto lo riguardava. Salirono spediti le
scale, assieme. Rosalie li guardò e si portò svelta a fianco di Emmett. I suoi
occhi lanciarono uno sguardo intenso e poi - quando sfiorarono casualmente il viso
di Bella - furioso.
“Se accadrà
qualcosa alla mia famiglia per colpa sua, giuro…”
Ignorai il
pensiero fuori luogo di Rosalie, mai che avesse un po’ di tatto.
« Cosa farà?
», chiese Carlisle a Laurent, cupo.
« Mi
dispiace», rispose. « Temevo proprio che tuo figlio, difendendo la ragazza,
l'avrebbe scatenato ».
« Lo puoi
fermare? ».
«Quando James si mette all'opera, niente può
fermarlo » disse scuotendo il capo, a suo modo rassegnato.
« Lo
fermeremo noi », promise Emmett.
« Non ci
riuscirete. In trecento anni non ho mai visto nessuno come lui. È
assolutamente letale. Per questo mi sono unito alla sua cricca ».
Ora era
tutto chiaro. Quella a cui avevamo assistito nel prato era stata soltanto una
sceneggiata: il capo era James. Splendido, davvero splendido!
Laurent scuoteva
il capo. Guardò perplesso Bella.
“Tutto
questo per una semplice umana…davvero non capisco”
Poi si
rivolse nuovamente a Carlisle:
<<
Sei sicuro che ne valga la pena? >>
Il mio
ruggito infuriato riempì la stanza, Bella non era una semplice umana, era molto
di più. Laurent fece un passo indietro.
Carlisle
guardò Laurent, severo.
« Temo che
sia il momento di fare una scelta ».
Laurent
capì all’istante. Rimase per qualche attimo a pensare. Scrutò i nostri volti e
poi il salone luminoso.
«Sono
affascinato dallo stile di vita che conducete qui. Ma non mi ci voglio
immischiare. Non vi sono ostile, ma non voglio mettermi contro James. Penso
che mi dirigerò a nord, verso il clan di Denali». S'interruppe qualche
istante, poi riprese a parlare: « Non sottovalutate James. È dotato di un
cervello brillante e sensi impareggiabili. Sa muoversi bene quanto voi nel
mondo degli umani, e non vi attaccherà mai a testa bassa... Mi dispiace per ciò
che abbiamo scatenato. Mi dispiace davvero ». Chinò il capo, ma lanciò di un'altra
occhiata di sconcerto verso Bella.
« Vai in
pace », fu la risposta formale di Carlisle.
Laurent si
guardò un'ultima volta attorno e raggiunse svelto la porta.
Il silenzio
durò meno di un secondo.
« Quanto è
vicino? ». Carlisle miguardava.
Esme era
già all'opera: con la mano sfiorò i tasti di un pannello segreto sul muro, e
con uno stridio un'enorme paratia d'acciaio iniziò a sigillare la vetrata sul
retro della casa.
« Circa
cinque chilometri al di là del fiume. Ci sta girando attorno per incontrare la
femmina ».
« Qual è il
piano? ».
« Noi lo
porteremo fuori strada, Jasper e Alice accompagneranno Bella a sud ».
« E poi? ».
« Non
appena Bella sarà al sicuro, gli daremo la caccia » dissi con odio.
« Immagino
che non ci sia altra scelta », rispose Carlisle, cupo.
Mi rivolsi
a Rosalie.
« Portala
di sopra e scambiatevi i vestiti », le dissi in tono perentorio. Lei mi fissò
irritata e incredula.
« Perché
dovrei? », sibilò. « Cos'è lei per me? Nient'altro che una minaccia... un
pericolo a cui tu hai deciso di esporre tutti noi >>.
« Rose... »,
mormorò Emmett, posandole la mano su una spalla. Lei se la scrollò via.
Ero troppo
frustrato per raccogliere la sua provocazione. Non ne avevo alcuna voglia.
Distolsi lo sguardo come se Rosalie non avesse
nemmeno aperto bocca, come se non esistesse.
« Esme? »,
chiesi senza scompormi.
« Certo »,
rispose lei in un sussurro.
In un
batter d'occhio Esme fu al suo fianco, la prese con facilità tra le braccia e
la portò su per le scale prima ancora che potesse aprir bocca.
Non mi misi
a spiare mia madre e Bella, allontanai il pensiero da loro il più possibile
concentrandomi sui preparativi della partenza. Appena vidi Alice le andai
vicino, facendole le dovute raccomandazioni.
<<
Alice? >>
Mi guardò
interrogativa.
<<
Tieni Bella lontana da qualsiasi situazione pericolosa >>
“Tranquillo,
è in buone mani” pensò posandomi una mano sulla spalla.
<<
Ricorda che è umana… Deve cibarsi più frequentemente di noi >>
Alice annuì
seria.
<<
E... E non rivelarle mai…per nessun motivo, come si diventa vampiri! >>
“Ma…?”
<<
Promettimelo, Alice…Ora! >>
La mia voce
risuonò severa, tanto che Alice assentì con il capo, acconsentendo alla mia
richiesta suo malgrado:
“Promesso”
Quando le
due donne, ci raggiunsero io ed Emmett eravamo già pronti a partire. Carlisle
stava porgendo un piccolo oggetto a Esme. Si voltò e ne passò uno identico ad
Alice: era un microscopico telefono cellulare argentato.
«Esme e
Rosalie prenderanno il tuo pick-up, Bella», disse rivolto a lei. Annuì,
scrutando Rosalie con la coda dell'occhio che fissava Carlisle, risentita.
« Alice,
Jasper: prendete la Mercedes. A sud i finestrini scuri vi saranno necessari ».
Anche loro
annuirono.
« Noi
prendiamo la jeep ».
Noi eravamo
la squadra dei cacciatori.
« Alice »,
domandò Carlisle, « abboccheranno? ».
Tutti ci
voltammo verso la ragazza, che chiuse gli occhi e restò immobile,
pietrificata.
Infine li
riaprì. « Il segugio pedinerà voi tre. La donna seguirà il pick-up. A quel
punto noi dovremmo avere via libera ». Ne era convinta.
« Andiamo ».
Carlisle si diresse verso la cucina.
Mi
materializzai al fianco di Bella. La strinsi a me. Incurante della presenza dei
miei familiari, la alzai da terra e avvicinai le labbra alle sue. Chissà quando
l’avrei rivista. Poi la posai a terra accarezzandole il viso, gli occhi ardenti
d’inquietudine nei suoi.
Quando mi
voltai, il mio sguardo perse vita. Tutto si spense in me, tranne il desiderio
di fare a pezzi James.
Non mi premette neanche il
desiderio di mettermi al volante della jeep, avrei preferito anche la
solitudine, ma l’emergenza non me lo permise. Vedevo il viso di Bella riflesso
nelle menti di Jasper e Alice: a capo chino i capelli le coprivano il viso,
quasi sentii il suo profumo di cui già soffrivo la mancanza, eppure mi accorsi
di come era una maschera di acqua e sale…la mia Bella era stravolta dalle
lacrime. Avrei voluto colpire il finestrino con violenza, odiavo vederla
soffrire!
Guardai fuori dal finestrino
cercando di calmarmi, non vedevo realmente il paesaggio che mi sfrecciava
davanti. Mi concentrai sulla mente di James e di Victoria, allontanando il viso
che tanto amavo: attentissimo aspettavo di appurare che cadessero nella nostra
trappola. Secondo i piani, lui avrebbe seguito noi, mentre la sua compagna
Rosalie ed Esme. Speravo con tutto me stesso che le cose si sarebbero svolte
così. Mi premeva solo che Bella si potesse salvare, era l’unica cosa che contava!
Erano passate soltanto dodici ore, da
quando avevo dovuto salutare Bella a malincuore, ma mi sembravano passati
giorni dall’ultima volta che avevo guardato nei suoi occhi, apprezzato il suo
profumo, accarezzato la sua pelle…
<< Sono ore che giriamo,
senza trovare nulla…comincio a spazientirmi >>
La voce di Emmett,
proveniente dal sedile posteriore, mi riscosse dalle mie riflessioni.
<< Pazienta, James non è uno
stupido >> Carlisle lo rimproverò gentilmente
<< Dobbiamo fare la massima attenzione >>
<< Ma non stiamo ottenendo
nulla! >> sbraitò Emmett << Edward,
proprio non riesci a capire dove si trovi? >>
Ero, per indole, calmo e difficilmente
perdevo le staffe, ma mio fratello con quella sottospecie di incoraggiamento a
leggere meglio la mente di James, per poco non mi tentò a girarmi di scatto
verso di lui, e colpirlo in pieno viso.
Se lui non vedeva l’ora di scovare
il nostro nemico, figuriamoci come dovevo sentirmi io: ero il primo a sperare
di chiudere al più presto quella squallida situazione, solo così mi sarei
potuto ricongiungere con Bella.
Inizialmente il trucco aveva
funzionato, James ci aveva seguito guardingo, aspettando il momento migliore
per attaccare, era pienamente convinto che la jeep fosse guidata da me e il
sedile del passeggero fosse occupato da Bella, mentre Victoria convinta della
stessa cosa del compagno aveva pedinato il pick-up. Solo che più il tempo
scorreva e più i due si insospettivano fino a capire l’imbroglio di cui erano
stati vittima.
Inferocito per la soffiata, James
si era intestardito ancor di più nel voler trovare la mia amata e ucciderla. Si
era fatto più vigile, come riuscivo a sentire i suoi pensieri, insinuarmi senza
invito nella sua testa, che già lo perdevo di vista.
Sì, Laurent
non aveva esagerato nelle sue descrizioni: James non era un principiante,
sapeva muoversi nel buio della notte, come nella nebbia mattutina. I suoi sensi
erano davvero raffinati, e Victoria era dotata di una grande determinazione,
anche ad occhi bendati avrebbe seguito e assecondato il compagno.
<< Per favore, Emmett…sto facendo tutto il possibile! >> digrignai i
denti, dalla rabbia << James è astuto, semina bene le sue tracce >>
Carlisle annuii
tenendo gli occhi sulla strada, Emmett sospirando si lasciò
scivolare sul sedile posteriore. Tornammo ognuno nel proprio silenzio, nell’abitacolo
non v’era alcun suono, nemmeno quello dei nostri respiri…io
personalmente, in ansia com’ero, mi accorsi solo in quel momento di non star
respirando.
Setacciavamo ogni angolo di Forks, ma il selvaggio vampiro sembrava essersi dissolto:
non poteva essere lontano, non avrebbe ancora potuto far niente per lasciare la
città, me ne sarei accorto. No, dovevamo cercare meglio.
Passare davanti casa di Bella, fu
un duro colpo, troppo triste era il pensiero di quelle mura senza di lei. Il
letto rifatto, l’armadio vuoto, i libri sulla scrivania…l’unica
cosa che potesse far sembrare ancora lì la sua figura, era il suo odore:
irresistibile, indelebile e ancora fresco come se avesse lasciato la sua stanza
solo da poche ore.
Notai il pick-up parcheggiato al
suo solito posto, e quasi potei udirne il rumore rombante del motore, in quel
momento mi mancava perfino assistere alla guida di Bella ad una lentezza ridicola…ero ridotto davvero male.
Tutte e tre ci accorgemmo di
Rosalie ed Esme, acquattate sull’albero.
L’espressioni erano attente e concentrate, anche se quella di Rosalie rivelava
irritazione.
“Ti troverò”
Quella voce mi fece trasalire,
minacciosa e sicura, poteva appartenere ad una sola persona nel raggio di dieci
kilometri: Victoria.
<< Carlisle,
fermati e nasconditi >>
Mi guardò confuso, Emmett si sporse nuovamente verso di me, fiducioso:
<< E’ lui? >>
Scossi il capo, stringendo i pugni.
<< No, è Victoria >>
sibilai a denti stretti.
Carlisle percorse
alcuni metri, sparendo dalla visuale di casa Swan,
quel tanto che poteva consentirmi di tenere sotto controllo i pensieri della
vampira.
La vidi arrivare davanti
l’abitazione, guardarsi attorno con circospezione, inclinò il capo da una parte
vedendo che mancava l’auto della polizia. Charlie era già andato a lavoro.
“Pazienza, non è lui ad
interessarmi”
<< Cosa sta facendo? >>
mi chiese mio padre, leggermente in ansia.
<< Si guarda attorno…annusa l’aria…sta
cercando la scia >> feci una pausa << La sua scia…quella
giusta che potrebbe condurla da lei >>
<< Non troverà nulla!
>> affermò Emmett,sprezzante.
Sapevo che aveva ragione, Bella
doveva già essere arrivata a Phoenix da parecchio ormai, eppure trasalii e mi
irrigidii sul sedile quando la vidi entrare in casa: si aggirava per il salotto
soffermandosi su alcune foto che ritraevano Bella da piccola, scosse il capo
disgustata da quell’usanza tipicamente umana di immortalare un momento in una
fotografia. Entrò in cucina, picchiettò le dita sul tavolo con fare nervoso.
“Qui perdo solo tempo”
Salii le scale agile come un
ghepardo affamato, irruppe nella sua camera e dilatò le narici: sapevo che era
solo il ricordo vivido, ma anche io come lei potei sentire quella straordinaria
fragranza.
<< Edward? >> mi chiamò
Carlisle.
<< E’ in camera di Bella, si
è seduta sul suo letto…ha preso il suo cuscino,
portandoselo al naso >>
<< Povera illusa, è tutto
inutile >> Emmett scosse il capo << Sta sprecando
tempo >>
Le mani mi si strinsero nuovamente
a pugno, mi tremarono dalla furia: non potevo sopportare Victoria, seduta sul
letto di Bella.
Nella mente mi scorsero le immagini
di lei stesa al mio fianco, tra le mie braccia, cullata dalla sua ninna nanna
scivolare nel sonno. Non so che avrei dato per aver potuto trascorrere
quell’ultima notte in quel modo, anche la mia anima se fossi stato certo di
possederne ancora una.
Finalmente, abbandonò quella casa,
uscendo nuovamente in strada.
<< Chiama Rosalie, dille di
seguirla! >> il mio tono era severo, rivolgendomi a Carlisle
<< Non voglio che la perda di vista neanche un secondo >>
Mio padre annuii, estraendo dalla
tasta della giacca il piccolo cellulare argentato, sempre in silenzio compose
il numero.
<< Rosalie, siamo qui vicino.
Scendi dalla tua postazione, e segui Victoria >>
<< Che seccatura! >>
sentii la sua risposta nitida, nonostante Carlisle
non avesse inserito il vivavoce.
<< Ti ho sentito >>
ribadiia mio volta, avvicinandomi al
telefonino << Se preferisci resta sull’albero a sorvegliare la casa >>
La sentii borbottare qualcosa
contrariata, eppure scrutando nella sua mente la vidi riferire la telefonata a
mia madre e poi scendere dall’albero prima di partire spedita dietro a
Victoria.
Con mia sorella alle sue calcagna
ero più tranquillo, qualsiasi suo spostamento poteva essermi riferito mentre io
potevo continuare la mia ricerca senza troppe distrazioni.
Continuammo ad aggirarci in tondo
per Forks, ma di James non c’era ombra. Fu così che
all’unanimità decidemmo di recarci appena fuori i confini nazionali.
Eravamo nei pressi di Vancouver,
quando squillò il cellulare:
<< E’ Rosalie >> ci
informò prima di rispondere.
La conversazione durò pochi minuti,
giusto il tempo di metterci al corrente in tempo reale degli spostamenti di
Victoria.
<< Dunque >> iniziò Carlisle << Rosalie l’ha seguita in aeroporto lungo
le strade della periferia…ora è tornata a Forks, nella vostra scuola >>
<< Quindi, James ha preso un aereo… >> dedussi ad alta voce.
Carlisle estrasse
nuovamente il cellulare, ma questa volta il numero che compose fu un altro:
quello di Alice.
Ci servivano le sue doti extrasensoriali….se quel sadico aveva cambiato i suoi
piani, mia sorella di certo non se l’era fatto sfuggire. Non per niente le
avevo affidato la persona che mi era più cara.
Ascoltai la conversazione di mio
padre con Alice, attraverso la sua mente: mi apparve la strana stanza di
specchi, che Alice aveva visto in una recentissima visione, il motivo che lo
aveva convinto a salire su un aereo, lo avrebbero condotto a quelle stanze. Il
problema era capire dove si trovassero.
<< Carlisle…voglio
parlare con Bella >> gli dissi tranquillo, anche se non lo ero per
niente.
<< Alice, Bella può parlare?
>>
Alice assentii, e Carlisle mi passò il telefono.
<< Pronto? >>
Fu un tuffo al cuore sentire la sua
voce, se pur tramite un apparecchio elettronico.
<< Bella >>
<< Oh, Edward. Ero
preoccupatissima! >>
E meno male che prima che lei
partisse, mi ero raccomandato.
<< Bella
», sospirai, frustrato, « ti ho detto di preoccuparti solo di te stessa ».
« Dove sei?
».
« Appena
fuori Vancouver. Bella, mi dispiace: l'abbiamo perso. Si muove con prudenza,
riesce sempre a starci lontano quel tanto che basta perché mi sia impossibile
sentire ciò che pensa. Ma adesso è sparito... sembra che abbia preso un aereo.
Probabilmente tornerà a Forks per ricominciare la
caccia da capo ».
« Lo so.
Alice l'ha visto altrove ».
« Tu però
non devi preoccuparti. Non troverà niente che lo porti a te. Devi soltanto
restare lì e aspettare che lo ritroviamo ».
« D'accordo.
Esme è da Charlie? ».
« Sì. La femmina
è tornata in città. È passata da casa tua, ma Charlie era al lavoro. Non gli si
è avvicinata, perciò non preoccuparti. È al sicuro, guardato a vista da Esme e Rosalie ».
« E lei
cosa fa? ».
« Probabilmente
sta cercando la scia giusta. Stanotte ha battuto la città intera. Rosalie l'ha
seguita in aeroporto, lungo le strade della periferia, a scuola... Sta
scavando, Bella, ma non troverà niente ».
« E tu sei
certo che Charlie sia al sicuro? ».
« Sì, Esme non lo perde di vista. E presto la raggiungeremo anche
noi. Se il segugio si avvicina a Forks, lo prenderemo
».
« Mi manchi
», sussurrò, d’improvviso.
Che pena
sentire quelle parole, mi ricordavano il senso di vuoto che mi aleggiava
intorno.
« Lo so,
Bella. Credimi, lo so. È come se ti fossi portata via metà di me stesso ».
« E allora
vieni a riprendertela ».
Era un
invito allettante, e che desiderio irrefrenabile di mollare tutto e correre da
lei. Ma non potevo farlo!
« Presto,
il più presto possibile. Prima ti salverò ».
« Ti amo ».
Fu strano
sentirle pronunciare quelle due semplici paroline: la gioia sembrò riscaldarmi
fin dentro le ossa, ma era oscurata da un barlume di tristezza, dovuta a quella
lontananza forzata.
« Ci credi
se ti dico che, malgrado tutto quello che ti sto facendo subire, ti amo
anch'io? ».
« Sì, certo
che sì ».
« Verrò a
prenderti presto ».
« Ti
aspetto ».
Riattaccai
e ripassai il telefono a Carlisle, evitai di
incontrare i suoi occhi. Mi conosceva troppo bene ormai, dopo quasi un secolo
di convivenza, sapevo che vi avrebbe letto la pena che stavo provando. Il mio
cambiamento, negli ultimi mesi, non era stato ignorato da nessuno. Non volevo
che si accorgesse di quanto soffrivo in quel momento, di quanto la tensione e
la mancanza di Bella, mi stessero trascinando con prepotenza in quell’abisso
che avevo abitato per troppo a lungo.
<<
Dunque? >> chiese Emmett, sempre più
scalpitante d’impazienza.
Carlisle mi guardò,
chiusi gli occhi cercando di allontanare il velo di tormento che mi adombrava
le iridi.
Risollevai
le palpebre, dopo qualche decimo di secondo, certo che l’unica cosa che si
potesse evincere dalla mia espressione era la fierezza.
Avevo deciso di tornare a Forks e continuare a pattugliare la città: ogni angolo,
ogni insignificante via, ogni edificio doveva essere sotto il mio controllo.
Quando James sarebbe tornato dovevo saperlo, mi era sfuggito già una volta non
avrei permesso che riaccadesse.
Erano passati due giorni dalla
partenza di Bella e la vita scorreva tranquilla in città: le strade erano
affollate, la quotidianità non era stata allontanata dalla vita della maggior
parte dei cittadini di Forks. Si continuava ad andare
a lavorare, casalinghe facevano la spesa, i passanti si sorridevano quando tra
loro si riconoscevano…e alla Fork’s
high school si tenevano le lezioni come sempre.
Passandoci davanti, catturai senza
farlo apposta, i pensieri di quelli che erano i miei compagni di scuola, tra
cui quelfastidiosissimo di Newton, che
non aveva perso occasione di domandarsi perché Bella non fosse andata a scuola
negli ultimi due giorni.
Mancavano poche ore che l’alba di
un nuovo mattino sopraggiungesse; ancora sulla jeep, ancora in cerca di
qualcuno che non si faceva trovare, ancora determinati a porre fine a quella
storia, continuavamo la nostra perlustrazione.
Il vuoto e l’angoscia continuavano
a danzare intorno in me, osservavo con occhi assenti il vento muovere le foglie
sui rami degli alberi, scoprendomi estremamente malinconico.
Il vento cominciò a fischiare ed io
sentii una voce chiamarmi per nome, era la sua voce. Sul finestrino comparvero
le prime gocce di pioggia, che pian piano si intensificarono disegnando linee
astratte sul vetro, e mi apparvero le lacrime che segnavano il viso sbagliato,
quello di Bella.
Non avevo mai sentito così
intensamente la mancanza di nessuno, tanto da sentire e vedere il suo volto in
ogni dove: e che tormento dover ammettere che era impossibile. Bella era
dall’altra parte del continente.
Mi guardai le mani, e le trovai
così vuote ed inutili: dovevo proteggerla, assicurarmi che non corresse alcun rischio…e non ne ero stato capace.
Gli occhi mi caddero sull’orologio
digitale sul cruscotto: erano le due e un quarto; il tempo non era mai scorso
così lentamente.
Tornai a posare lo sguardo fuori
dal finestrino quando il telefono di Carlisle suonò.
Mi girai verso di lui ed incontrai i suoi occhi sorpresi quanto i miei.
“Cosa sarà successo?”
Sia io che i miei familiari
temevamo che fosse accaduto qualcosa di grave, ci preoccupammo indistintamente
da chi ci avesse chiamati: se Esme o Alice, in
entrambi i casi vi era qualcosa di nuovo che avrebbe messo ancor di più Bella
in pericolo.
<< Alice? >> disse mio
padre al telefono.
Eppure dentro me avevo covato la
speranza che l’emittente fosse mia madre, strinsi i pugni in preda al panico.
Chiusi gli occhi e ascoltai la loro conversazione:
“James si è recato a casa di Bella
a Phoenix”
<< Ne sei sicura? >>
chiese Carlisle.
Emmett intanto
attendeva stranamente paziente che la telefonata volgesse al termine.
“Sì, è stata Bella stessa a
riconoscere il salotto”
Nonpoteva restare in Arizona, James le era troppo vicino…bastava
la minima fatalità e avrebbe scoperto in che albergo alloggiasse.
<< Passami il telefono!
>> dissi rivolto a Carlisle.
Di solito non mi rivolgevo in modo
così autoritario con lui, ma in quel momento ero incapace di trattenermi.
Carlisle me lo
diede in silenzio, nei suoi occhi non v’era alcuna traccia di rimprovero.
<< Alice? >> la
chiamai.
<< Dimmi tutto! >>
Era pronta ad assecondare qualsiasi
mia richiesta: ero io a prendere le decisioni.
<< Dì a Bella di fare i
bagagli, prendo il primo aereo per Phoenix >>
“James è Phoenix?” si chiese Emmett, ma io lo ignorai.
<< D’accordo >>
<< Io, Carlisleed Emmett la porteremo
lontano da lui…tu e Jasper…
>>
<< Resteremo e sorveglieremo
la casa>> mi anticipò lei, intuitiva come sempre.
<< Ti chiameremo appena
sappiamo che aereo prendere, ci troveremo all’aeroporto >> attaccai senza
aver bisogno di salutare.
Senza dover parlare, Carlisle imboccò la strada per Seattle, io composi un altro
numero: fu sufficiente un solo squillo per sentire la voce di Rosalie all’altro
capo del filo.
<< Rosalie, noi stiamo
andando a Phoenix perché è lì che James è andato >>
Attesi che Rosalie dicesse
qualcosa, ma restò in silenzio così proseguii.
<< Tu ed Esme,
continuate a sorvegliare Charlie…Victoria credo
resterà qui >>
<< Va bene >> colsi il
suo tono tra il rassegnato ed il contrariato.
Attaccai e restituii il cellulare a
mio padre, che lo rimise in tasca senza fiatare.
<< E cosa facciamo appena
arriviamo a Phoenix? >> chiese Emmett
trepidante.
<< Prendiamo Bella e la
portiamo al sicuro >> dissi lesto, perentorio.
<< Senza combattere? Quand’è
che daremo a James ciò che si merita? >>
<< Prima devo portare Bella
lontano da lui… al resto penseremo dopo >>
“Peccato, avevo proprio voglia di
fare un po’ di movimento” si lamentò Emmett.
Non risposi a quel pensiero, avevo
in testa solo una cosa: poche ore e avrei potuto riabbracciare Bella.
Lasciammo la jeep nel parcheggio
dell’aeroporto di Seattle, entrammo e ci dirigemmo allo sportello delle
informazioni.
L’hostess di terra ci guardò
allibita, sgranò gli occhi più volte prima di balbettare:
<< Come posso aiutarvi?
>>
“Non ho mai visto nessuno tanto bello,
come loro”
Sorvolai quel pensiero e in un
fiato dissi:
<< Quando c’è il primo volo
per Phoenix? >>
La ragazza indugiò qualche secondo
sul mio viso, prima di scuotere il capo arrossendo.
“E’ incredibile tanta perfezione”
Portò lo sguardo al computer, batté
le dita sulla tastiera ma sbagliò più di una volta, la sua mano tremava;
cominciavo a spazientirmi, quanto ci voleva per scrivere un nome?
<< Alle cinque e quarantacinque… sarete a Phoenix per le nove e
quarantacinque >>
<< Prendiamo tre biglietti,
grazie>> disse mio padre,
anticipandomi, certamente più tranquillo di me.
Passarono altri cinque minuti
buoni, prima che l’inserviente riuscisse a stamparli. Incredibile come la
nostra vista l’avesse stravolta!
Mancavano ancora due ore buone
all’imbarco, senza fretta ci dirigemmo al check-in quasi vuoto, c’erano pochi
altri passeggeri per quel volo. Dopotutto stavamo partendo ad un orario
assurdo.
Passammo i metal detector senza
problemi, e ci sedemmo in sala d’attesa nell’attesa d’imbarcarci.
Tutto era così lento e soporifero,
la quiete che ci circondava contrastava con la nostra ansia. Riuscii a restare
seduto solo per un quarto d’ora, dopodiché cominciai a camminare avanti ed
indietro, soffermandomi ogni tanto sull’orologio del monitor che segnalava la destinazione
ed il numero del nostro volo.
Alle cinque e un quarto, chiamarono
il nostro volo e vidi Carlisle prendere il telefono:
stava avvertendo Alice che stavamo per imbarcarci.
Solo quattro ore e finalmente avrei
rivisto Bella: per tutta la durata del volo tenni gli occhi chiusi,
abbandonandomi e lasciandomi trasportare dai ricordi che presto avrebbero
ripreso vita in una nuova concretezza.
Atterrammo a Phoenix con quindici
minuti d’anticipo, non avendo bagaglio a mano ci dirigemmo direttamente
all’uscita a passo veloce. Che voglia irrefrenabile di mettermi a correre,
pochi passi e avrei potuto- finalmente- accarezzare il viso di Bella.
Percorremmo un ultimo corridoio,
prima di sbucare al terminal quattro: caotico come poche cose, nemmeno la mensa
scolastica l’avevo mai trovata tanto rumorosa.
Ascoltavo a malapena tutte quelle
menti: speranze di fare un buon viaggio, domande su cosa si troverà a
destinazione, e poi tanta gioia di rivedere qualcuno. In quella potevo facilmente
identificarmi.
Cercai di spingere via, lontano da
me, quei pensieri futili e che mi erano estranei, cercando di scovare quelli
dei miei fratelli,ma quando ci riuscii, notando l’agitazione che provavano, ero
davanti a loro…ed erano soli.
Non capii, se fossi stato umano
probabilmente sarei crollato svenuto, sentii mancarmi sotto i piedi il
pavimento.
Mi avvicinai a grandi passi,
evitando la gente che avevo davanti, e presa Alice per le spalle la strattonai.
<< Dov’è? Dov’è? >> ero
fuori di me.
Alice mi guardò, un’ombra di
desolazione sulle iridi, scosse il capo senza poter dire nulla. Lasciai
ricadere le braccia lungo i fianchi…sconfitto,
amareggiato, deluso ma sopratutto preoccupato.
<< Com’è potuto succedere?
>> chiesi, lasciandomi scivolare su una sedia vicino, la testa tra le
mani.
Mi attorniarono tutti, ma nessuno
aveva il coraggio di parlare: erano scossi quanto me, sprovvisti delle parole
adatte alla situazione. Ma non potevano essercene, non in quel momento.
Analizzai la mente di Alice, scavai
nei suoi ricordi ma quelli che condivideva con Bella si interrompevano nel
punto esatto in cui ero seduto, così mi accinsi ad entrare nella testa di
Jasper e trovai la risposta alle mie domande: la vidi chiedere di essere
accompagnata da Jasper a fare colazione, scartò i primi bar, infine fece intendere a
mio fratello di dover andare al bagno…il tempo
passava ma Bella non usciva, quando io e gli altri atterrammo, lui aveva appena
raggiunto Alice al terminal.
<< Maledizione >>
imprecai, alzandomi di slancio.
Correndo ripercorsi l’itinerario
che avevo appena visto, mi fiondai nel bagno in cui era entrata non molto prima
Bella, e mi accorsi che aveva due uscite, infilai la seconda e mi ritrovai
fuori dall’aeroporto. Il suo odore era così fresco da far male non solo alla
gola, qualcosa sembrò serrarmi il cuore spento in una morsa di ferro.Feci solo qualche passo, alla fine del
marciapiede era scomparso…rimaneva solo quello più
sgradevole dello smog.
Tornai dai miei familiari, desolato
a testa china, non riuscii a guadare nessuno di loro. Non era stata colpa di
Alice o Jasper…la colpa era mia, totalmente mia.
“Ora capisco…”
Portai lo sguardo su mia sorella
Alice, confuso. La vidi cercare qualcosa nella borsa, dalla quale estrasse una
busta.
“Questa credo sia per te” pensò
porgendomela.
La presi sempre più sconcertato,
l’aprii e con la fronte aggrottata cominciai a leggere:
Edward,
ti amo. Mi dispiace tanto. Ha preso mia madre, devo provarci. So che
potrebbe non funzionare. Mi dispiace, mi dispiace tanto.
Non prendertela con Alice e Jasper. Se
riuscirò a scappare da loro sarà un miracolo. Per favore, ringraziali da parte
mia. Soprattutto Alice.
E per favore, per favore, non venire a
cercarlo. Credo sia proprio ciò che vuole. Non posso sopportare che qualcun
altro si faccia del male per colpa mia,
soprattutto se quel qualcuno sei tu. Ti prego, questa è l'unica cosa che ti
chiedo. Falla per me.
Ti
amo. Perdonami.
Bella.
<< E’ andata da James!! >> quasi urlai.
“Non ci posso credere…di sua spontanea
volontà!”pensò Alice.
Tutti mi guardavano incerti, confusi. Li misi al corrente di cosa
diceva la lettera:
<< Dice che ha preso sua madre…dobbiamo
muoverci, prima che sia troppo tardi >>
In preda al terrore, mi diressi insieme alla mia famiglia, al di fuori
dell’aeroporto: non avevamo scelta, dovevamo rubare un’auto.
Presi posto al volante, ed in un secondo sfrecciai verso il centro di
Phoenix.
<< Alice, sei in grado di guidarmi? >> le chiesi senza
distogliere gli occhi dalla strada.
“Certo”
E cominciò ad indicarmi che strada prendere senza aver bisogno di
parlare. Guidavo con foga, non staccavo il piede dall’acceleratore, ignorai
tutti i semafori rossi: dopotutto ero al volante di un’auto rubata, poco
importava del resto.
Sentivo sempre di più crescere dentro me l’ansia: se solo mi avesse
aspettato, maledizione!
Non avrei potuto tollerare di dover assistere alla sua…sua…non
riuscivo neanche a pensare quella parola. Ma se così fosse successo, se era
davvero troppo tardi…che senso avrebbe avuto per me
questo mondo?
Senza di lei, tutto si sarebbe spento, avrebbe perso colore, senza
Bella che lo abitava non aveva senso continuare a viverci.
C’era un solo modo per uccidere un vampiro, che escludeva la
possibilità di compiere un suicidio…avrei potuto
recarmi in Italia, e affidare questo compito ai Volturi- la famiglia reale,
custode del nostro segreto- avrei dovuto solo scatenare in loro la rabbia più
nera, ma quello non sarebbe stato un problema.
Sperai con tutto me stesso di non dover mettere davvero in pratica
quell’eventualità, Bella non poteva essere veramente andata incontro alla
morte.
Inchiodai davanti l’edificio che Alice mi indicò come la scuola di
danza: ecco da dove proveniva la visione della stanza degli specchi…una
scuola da ballo.
Mi catapultai fuori dalla macchina e irruppi all’interno, seguito dalla
mia famiglia. Già all’interno dell’atrio silenzioso riuscii a sentire il suo
profumo, ancora più intenso del solito. Lo seguii con le narici dilatate e
capii il motivo di quell’intensità: Bella giaceva stesa a terra, il sangue
aveva impregnato il pavimento, riverso su lei c’era James.
Serrai la mascella, ed emisi il ringhio più terrificante di cui fui
capace. Con un slancio felino mi fiondai su di lui, lo afferrai per la spalle
scaraventa dolo il più lontano da lei.
Lo vidi sbattere contro uno specchio che andò in frantumi, acquattandomi
in posizione di difesa davanti il corpo inerte di Bella, incontrai i suoi occhi
carichi di sfida.
<< Sapevo che saresti venuto >> sghignazzò lui.
Ringhiai ancora più ferocemente di prima, che voglia di farlo a pezzi:
mi preparai all’attacco ma qualcuno mi sfiorò una spalla. Mi girai contrariato
e vidi mio padre chinato su Bella.
<< No…devi pensare a Bella >>
Posai un attimo lo sguardo su di lei, poi tornai ad osservare James ma Emmett, già alle sue spalle, lo aveva bloccato in una presa
d’acciaio. Jasper partì all’attacco: desideravo combattere con James, era
compito mio,ma dovevo fare qualcosa di più urgente ed importante.
Voltai le spalle al combattimento, e affiancai Carlisle:
Bella era priva di sensi, aveva perso parecchio sangue, le sfiorai la fronte
con un dito freddo, ma lei non reagì. Non sentivo battere il suo cuore.
Seduto di
fronte a Bella, sentivo il rumore del combattimento che si stava svolgendo alle
mie spalle: i ringhi feroci dei miei fratelli e di James. Nella mente di quel
sanguinario, nonostante si trovasse di fronte la sconfitta, regnava ancora la
fierezza, non c’era traccia di paura, era riuscito a farci cadere nella sua
imboscata, aveva ridotto male Bella e scatenato la mia furia.
Non gli
importava l’esito dello scontro conclusivo, ma il fatto che aveva partecipato
alla caccia più eccitante di tutta la sua vita…se ne andava felice ed appagato!
La sua
arroganza mi nauseava, quasi mi alzai in piedi e dargli io stesso il colpo di
grazia: ma Jasper fu più veloce e in attimo gli staccò la testa: James,
qualunque sorte gli fosse toccata, aveva abbandonato per sempre lo scenario di
questo mondo.
Sentii il
corpo del vampiro andare in frantumi, subito dopo Emmett e Jasper prepararono
un falò per bruciarne i resti. Le fiamme consumavano ciò che restava di James,
ma non potei tirare un sospiro di sollievo: Bella non accennava ad aprire gli
occhi, non reagiva alla mia voce, ai ringhi soffocati che la rabbia mi
costringeva ad emettere.
“Andiamocene,
abbiamo fatto il nostro dovere”
Il pensiero
di Emmett mi fece rialzare lo sguardo verso di loro, li vidi uscire di tutta
corsa. Restammo solo io, Carlisle ed Alice.
Mia sorella
mi affiancò, nella disperazione in cui annegavo in quel momento, non potei dire
con esattezza se mi sfiorò con mano tremante la spalla.
“Edward…”
Mi chiamò
senza parlare ad alta voce, non le badai, continuai ad accarezzare il viso di
Bella con le mani fredde,capace solo di poter scongiurare di non abbandonarmi.
“Edward”
riprese Alice “Non so come diterlo…l’ho vista…fredda ed immobile!”
Quelle
parole ebbero lo stesso effetto efficace dell’elettroshock…mi riscossi e
riuscii a parlare.
«Oh no,
Bella, no!» gridai in preda al panico.
No, non
poteva essere vero. Non poteva finire così, non poteva essere morta.
Non smisi
di chiamarla, di pregare, non mi sarei mai arreso a quella possibilità:
«Bella, ti
prego! Bella, ascoltami, ti prego. Ti prego, Bella, ti prego!».
Senza
staccare gli occhi da lei, chiamai mio padre:
«Carlisle!»
la mia voce era incrinata dalla disperazione . «Bella, Bella, no! Oh ti prego,
no, no!».
Per quanti
sforzi potessi fare, Bella non tornava da me…cominciai a gemere, soprafatto dal
dolore, ma incapace di piangere.
Carlisle le
tamponò la ferita alla testa, da dove usciva il flusso maggiore di sangue, ed
improvvisamente Bella gridò di dolore. Ma quel grido disperato fu musica per le
mie orecchie.
«Bella!»,esclamai,
mentre una nuova speranza si faceva largo nel mio cuore.
«Ha perso
sangue, ma la ferita alla testa non è profonda» spiegò mio padre. «Attento alla
gamba, è rotta».
Urlai di
rabbia nel sentirlo: a James non era bastato farle perdere molto sangue, pure
le ossa si era divertito a romperle!
Carlisle le
tastò delicatamente l’addome:
«Anche
qualche costola, credo», appurò, senza scomporsi.
E fu in
quel preciso momento, che Bella biascicò qualcosa che assomigliava al mio nome.
«Bella,
andrà tutto bene. Mi senti, Bella? Ti amo» cercai di rassicurarla, sperando che
potesse sentirmi.
«Edward»
disse di nuovo, con voce più chiara.
<< Sì,
sono qui».
«Fa male».
Che rabbia
sentirle pronunciare quelle parole: dolore, l’unica cosa che mi ero ripromesso
di non farle sentire mai.
«Lo so,
Bella, lo so». poi mi rivolsi a Carlisle, allontanandomi leggermente da
lei«Non puoi farci niente?».
«La
valigetta, per favore... Trattieni il respiro, Alice, sarà meglio», le
consigliò Carlisle.
«Alice?>>
la chiamò Bella, confusa.
«È qui,
sapeva dove ti avremmo trovata».
«Mi fa male
la mano», si lamentò flebilmente.
«Lo so,
Bella. Carlisle ti darà qualcosa per calmare il dolore», cercai di calmarla.
«La mano sta
andando a fuoco!», urlò, sbattendo gli occhi finalmente, che le si riempirono
di lacrime.
«Bella?» la
chiamai allarmato. Perché piangeva?!
«Il fuoco!
Qualcuno spenga il fuoco!», gridava in preda al dolore.
Solo a quel
punto mi resi conto della ferita sulla sua mano.
«Carlisle!
La mano!» urlai divorato dalla paura.
«L'ha
morsa» osservò Carlisle, allibito.
Vinto dal
terrore, smisi perfino di respirare: non potevo accelerare la sua
trasformazione.
«Edward,
devi farlo».mi disse Alice, vicino la testa di Bella.
«No!»
risposi deciso.
«Alice» la
chiamò flebilmente Bella.
«Potrebbe
esserci ancora una possibilità», disse Carlisle.
«Quale?» lo
implorai. Avrei fatto qualunque cosa.
«Prova a
succhiarle il veleno. Il taglio è piuttosto pulito».
«Funzionerà?»,
chiese Alice nervosamente.
«Non lo
so», disse Carlisle. «Ma dobbiamo sbrigarci».
Succhiarle
via il veleno, bere il suo sangue…e se l’avessi uccisa?
«Carlisle,
io... non so se ce la faccio» la mia voce rotta dall’angoscia.
«La
decisione spetta a te. Non posso aiutarti. Se tu succhierai il sangue dalla
mano, io dovrò fare in modo che smetta di sanguinare qui, dalla testa».
Bella si
dimenava per il dolore, avrei potuto davvero alleviare le sua pene?!
«Edward!»,
gridò, con gli occhi nuovamente chiusi.
Ma riuscii
a riaprili, ed finalmente potei guardare nei suoi senza veli: ero terrorizzato
ma anche addolorato, disponevo della forza necessaria per poter fare ciò che
Carlisle mi aveva suggerito? L’alternativa sarebbe stata quella di lasciare che
il veleno si diffondesse nelle sue vene. Sapevo cosa volevo, ma non come
riuscire a metterlo in pratica.
«Alice,
portami qualcosa per tenerle la gamba ferma!».ordinò Carlisle, piegato sulla
sua testa . «Edward, devi farlo subito, o sarà troppo tardi».
Dovevo
farlo, per quanto duro potesse essere dovevo riuscire a salvarla: volevo
rivedere il suo sangue scorrerle nelle guancie, sentire il suo cuore battere
forte, perdermi nelle sue iridi color cioccolato.
Strinsi i
denti e le immobilizzai la mano con le dita. Mi chinai, e avvicinai le labbra
alla sua carne, infine affondai i canini.
Mai in
tutta la mia esistenza, avevo assaggiato niente di più buono. L’odore non
rendeva giustizia al sapore, staccare le labbra, privarsi di quella
prelibatezza sarebbe stato un dolore fisico.
Mi accorsi
amalapena dei movimenti bruschi di
Bella nel vano tentativo di liberare la mano, la voce di Alice che le parlava
–nonostante il finissimo udito di cui ero dotato- mi giunse alle orecchie
sottile.
Ero
stordito, inebriato nel profondo da tanta bontà, ma poi la ragione prevalse
sugli istinti… la paura di poterle infliggere io la morte cominciò ad affiorare.
Il suo
sangue era qualcosa di eccezionale, ma Bella in sé lo era di più…una volta
dissanguata quell’eccitazione sarebbe finita e mi sarebbe rimasto solo il
dolore: acuto, indissolubile!
Mi accorsi della morfina e capii che il veleno
era completamente svanito, non ve n’era più traccia. Allentai la presa,
lasciandole libera la mano.
«Edward» mi
chiamò.
«È qui,
Bella» rispose Carlisle per me. Dovevo ancora riprendermi del tutto.
«Resta,
Edward, resta con me...».
«Sì, resto»
ero esausto, ma felice: l’avevo salvata! L’amavo più del suo sangue e niente
avrebbe potuto farmi sentire meglio.
«È uscito
tutto?», mi chiese Carlisle,
«Il sangue
mi sembra pulito», risposi convinto «Sentivo il sapore della morfina».
«Bella?»,
disse Carlisle.
«Mmm»
mugugnò Bella.
«Il fuoco è
spento?».
«Sì»,
sussurrò. «Grazie, Edward».
«Ti amo» ed
era vero.
«Lo so»,
disse afona.
Mi lasciai
andare ad una leggera risata: stanco ma sollevato.
«Bella?»,
chiamò di nuovo Carlisle.
«Cosa c'è?»
era esausta.
«Dov'è tua
madre?».
«In Florida»,
mormorò senza voce. «Mi ha imbrogliata, Edward. Ha guardato le nostre
cassette».
Non mi
concentrai molto su ciò che stava dicendo: era fuori pericolo, non importava
nient’altro.
«Alice», disse
cercando di riaprire gli occhi, «Alice,
il video... Ti conosceva, Alice, sapeva da dove vieni» la sua voce era sempre
più debole. «Sento puzza di benzina», aggiunse, sembrandomi stupita.
«Possiamo
portarla via», disse Carlisle.
«No, voglio
dormire»,si lamentò.
«Puoi
dormire, cara, ti porto io», dissitranquillizzandola.
La presi
tra le braccia, facendole posare il capo sul petto, e cominciai a camminare.
«Adesso
dormi, Bella», le sussurrai inorecchio.
Stavo per
uscire da quel luogo maledetto, quando Alice catturò la mia attenzione:
<< E
questa? >> chiese guardando me e Carlisle stupita, tra le mani aveva una
telecamera.
L’aprii e
vi trovò un nastro: restammo sempre più sorpresi.
<<
Prendila, più tardi scopriremo cos’è >>
La prima
cosa di cui ci occupammo fu bruciare l’edificio ed eliminare le nostre tracce,
poi ci recammo in ospedale dove ricoverarono Bella e chiamammo i suoi genitori.
La versione
migliore che riuscimmo a trovare fu quella che io, accompagnato da mio padre e
mia sorella, mi ero recato a Phoenix sperando di convincere Bella a tornare a
Forks, accettato il mio invito all’albergo dove alloggiavo, nel salire le scale
per arrivare nella mia stanza, mise un piede in fallo e volò da una
finestra…l’effetto fu quello sperato. Sia Charlie che Renée credettero alla
nostra versione. Sua madre si mise immediatamente in viaggio.
In ultimo
ci recammo in albergo per procurarci le prove, forse esagerammo un pochino, ma
tutto fu molto realistico.
Prendemmo
una stanza e avviammo il nastro che la telecamera conteneva: riuscire a tenere
gli occhi sullo schermo fu una vera impresa, strinsi i pugni nel vedere Bella divorata
dal panico, ma fu ancora più difficile ascoltare la loro conversazione:
«...gradirei
solo dilungarmi un momento per ficcarti bene una cosa in testa. La soluzione
per voi era a portata di mano, e temevo proprio che Edward la intuisse e mi
rovinasse il divertimento. È successo una volta sola... una vita fa. L'unica
occasione in cui una preda mi sia sfuggita.
Vedi, il
vampiro che si era stupidamente preso una cotta per la mia piccola vittima
prese la decisione che il tuo Edward non ha avuto il coraggio di prendere.
Quando il vecchio capi che stavo importunando la sua amichetta, la rapì dal
manicomio dove lui lavorava - non capirò mai l'ossessione di certi
vampiri per voialtri umani - e subito dopo la salvò. La poveretta non diede
mostra di sentire nemmeno il dolore. Era rimasta troppo a lungo chiusa in quel
buco nero di cella. Cento anni prima l'avrebbero bruciata su un rogo, per
colpa delle sue visioni. Invece erano gli anni Venti del ventesimo secolo,
perciò le toccarono il manicomio e l'elettroshock. Quando riaprì gli occhi,
forte della gioventù riconquistata, era come se non avesse mai visto il sole
prima di allora. Il vampiro anziano l'aveva trasformata in una giovane e
valente vampira, e a quel punto non avevo più motivo di importunarla». Fece un
sospiro. «Per vendicarmi, distrussi il vecchio».
<<
Alice», disse Bella stupita, con un filo di voce.
«Sì, la tua
amica. È stata una bella sorpresa ritrovarla nel campo dove ci siamo incontrati.
Così ho pensato che la sua congrega avrebbe potuto imparare qualcosa da tutto
questo. Io prendo te, loro si tengono lei. L'unica vittima che mi sia mai
sfuggita, un bell'onore. E il suo odore era così delizioso. Rimpiango ancora di
non averla assaggiata... Il suo profumo era anche meglio del tuo. Scusa, senza
offesa. Tu sai di buono. Di fiori, direi...»
James si
avvicinò a Bella, le prese una ciocca di capelli e se la portò al naso, a quel
punto decisi di interrompere la registrazione.
Guardai mia
sorella seduta sul divano, gli occhi persi nel vuoto, Carlisle sedutole vicino
le prese una mano ma lei non reagì.
Era una
storia assurda, Alice era venuta a conoscenza del suo passato nel modo più
orribile possibile.
Senza dire
nulla, né pensare qualcosa di coerente si alzò, liberandosi dalla stretta di
Carlisle e si rifugiò nell’altra stanza.
Io e mio
padre ci guardammo preoccupati:
<<
Riuscirà a superarla? >> mi chiese ad alta voce.
<<
Credo di sì…è abbastanza tenace da superare qualsiasi ostacolo. >> risposi
dopo averci pensato un attimo.
Mio padre
non aggiunse nulla, così mi avvicinai alla porta.
<<
Vai da Bella? >>
<<
Sì, l’ho lasciata già troppo tempo da sola…non voglio allontanarmi da lei
>>
<< Ti
accompagno,mi sembra carino conoscere la madre di Bella >>
Quando
arrivammo in ospedale, e bussammo alla porta della stanza di Bella, Renée era
già arrivata, nel vederci si alzò venendoci incontro.
Facemmo le
dovute presentazioni, ma il mio sguardo insistente su Bella, le fece intendere
che non ero molto aperto al dialogo in quel momento.
Così,
leggendo nei suoi pensieri che avremmo avuto modo di parlare più tardi o magari
il giorno seguente, propose un caffè a Carlisle e mi lasciarono da solo con
lei.
Mi
avvicinai al letto, le sfiorai una mano con un dito e chinandomi su di lei le
dissi in un sussurro:
A causa
della notevole quantità di sangue persa, fecero delle trasfusioni a Bella, me
ne accorsi dal suo piacevolissimo profumo momentaneamente alterato; storsi la
bocca contrariato.
Mi
rifiutavo categoricamente di muovermi da quella stanza d’ospedale,nonostante
gli innumerevoli incoraggiamenti di Reneè e Carlisle.
Reneè mi
guardava di sottecchi incuriosita, scrutava il mio volto apparentemente
indifferente ma la sua mente rivelava il suo sbalordimento riguardo le mie
fattezze fisiche: dovevo rassegnarmi al fatto che il sesso opposto mi trovasse
attraente.
Sospirando
girò il capo verso di me, accennò un sorriso.
<<
Sono giorni che resti qui, seduto su quella poltrona che è tutto fuorché comoda
>> fece una pausa deglutendo << Perché non torni in albergo a
riposarti un poco, ci sono io qui con Bella >>
Incontrai i
suoi occhi e per la prima volta notai una leggera somiglianza con la figlia, ma
nonero d’accordo con quello che mi
aveva detto tempo addietro Bella: Reneè non era assolutamente più carina di
lei.
<< Se
non le dispiace vorrei restare qui >>
<< Ma
certo… >> disse assentendo con il capo.
“Però che
resistenza fisica”
I pensieri
di Reneè erano in subbuglio, voleva farmi molte domande ma non sembrava trovare
il modo adatto per pormele.
<< La
turba qualcosa? >> azzardai, fingendo di aver letto la sua indecisione
sul volto.
<<
Niente in particolare, ora che so che Bella è fuori pericolo e per questo vi
sono molto riconoscente >>
<<
Dovere >> risposi, asciutto e sincero.
Si
mordicchiò il labbro inferiore, incerta se formulare ad alta voce la domanda
predominante nei suoi pensieri.
Alla fine
la sua curiosità ebbe la meglio:
<<
Tieni molto a mia figlia, vero?! >>
Sospirai
spostando lo sguardo su Bella, ancora profondamente addormentata.
<<
Molto >>
<< Si
vede…anche dal fatto che non ti allontani mai >> c’era una velata nota di
preoccupazione nella sua voce.
“Credo
proprio che sia innamorato di lei”
Trattenni
la voglia di lasciar fiorire sulle mie labbra un sorriso nell’ascoltare quel
pensiero. Reneè ci aveva visto giusto, il che la rendeva una persona piuttosto
sensibile.
Lanciai
un’occhiata all’orologio affisso alla parete, che segnalava le due passate.
<<
Perché non va a mangiare qualcosa? >> la invitai gentile.
<<
Tanto resti tu qui, no?! >> disse anticipandomi, sorrise comprensiva.
Assentii
facendo un mezzo sorriso a mia volta.
<<
D’accordo…non ci metterò molto >>
Si chinò a
sfiorare la fronte della figlia con le labbra, prima di uscire.
Rimasto
nuovamente solo con lei, mi sedetti sulla sedia di plastica accanto al letto, appoggiando
il mento sul cuscino: ispirai dal naso il suo profumo nuovamente squisito.
Erano
quattro giorni che Bella dormiva, la causa sicuramente erano i sedativi che le
avevano somministrato.
Passarono
solo pochi minuti prima che Bella riuscisse, finalmente, a riaprire gli occhi.
Sbatté più volte le palpebre cercando di adattare gli occhi alla luce
abbagliante del neon.
Poi si
accorse del tubicino che aveva ben ancorato al naso e cercò di strapparselo.
« Ferma lì »
le ordinai, bloccandole la mano.
« Edward? »
mi chiamò confusa. Si voltò leggermente verso di me e potei incontrare i suoi
occhi. «Oh, Edward, mi dispiace tanto!».
«Sssh... adesso è tutto a posto »
« Cos'è
successo? »
Fu dura
ripercorrere con la mente gli ultimi istanti di lucidità di Bella:
« Era quasi
troppo tardi. Stavo per arrivare troppo tardi » sussurrai, stravolto.
Pronunciare quelle parole ad alta voce fu un’impresa.
« Sono
stata una stupida, Edward. Pensavo avesse preso mia madre ».
« Ci ha
imbrogliati tutti ».
« Devo
chiamare Charlie e la mamma »
« Li ha
chiamati Alice. Renée è qui... be', è in ospedale. È andata proprio ora a
mangiare qualcosa ».
« Qui? ».
Tentò di
sedersi, ma glielo impedii, la presi per le spalle e delicatamente la feci
scivolare sul cuscino.
« Tornerà
presto, stai tranquilla. Non muoverti ».
« Ma cosa
le avete detto? », chiese, nel panico. « Che cosa le avete raccontato? ».
« Che sei
caduta da due rampe di scale e hai sfondato una finestra. Devi ammettere che
ne saresti capace ».
Fece un
sospiro, e poi si accorse del gesso alla gamba.
« Quanto
male mi sono fatta? ».
« Hai una
gamba rotta, quattro costole incrinate, un trauma cranico, ferite superficiali
e contusioni dappertutto, e hai perso molto sangue. Ti hanno fatto qualche
trasfusione. Non ho gradito, per un po' hanno alterato il tuo odore ».
« Dev'essere
stato un bel fuori programma, per te ».
« No, il tuo
odore mi piace ».
« Come hai
fatto? », chiese a mezza voce.
Sapevo a
cosa si riferiva: quale forza era stata in grado di atterrarmi ed impedirmi di
compire il più insano tra i gesti?
« Non lo so
nemmeno io ».
Distolsi lo
sguardo, presi la sua mano fasciata dal letto e la strinsi con dolcezza attento
a non staccare uno dei fili che la collegavano ai monitor.
Attese con
pazienza la spiegazione.
Sospirai,
senza tornare ai suoi occhi.
« Era impossibile...
trattenersi », mormorai frustrato. «Impossibile. Ma ce l'ho fatta».
Alzai lo
sguardo, accennando un sorriso:
« È evidente
che ti amo ».
« Il sapore
non è buono come il profumo?», rispose,
sorridendo.
« È anche
meglio, meglio di quanto immaginassi ».
« Scusa »
Alzai gli
occhi al soffitto:
«Come se di questo dovessi scusarti ».
« E per
cosa dovrei scusarmi? ».
« Per avere
rischiato di sparire dalla mia vita per sempre » le risposi con rimprovero.
« Scusa »,
ripeté.
« So perché
l'hai fatto » addolcii la voce, tentando di consolarla.« È stata comunque una
decisione irrazionale, va da sé. Avresti dovuto aspettarmi, avresti dovuto
dirmelo ».
Ricordai lo
sconforto in cui piombai atterrato a Phoenix, non vedendola con Jasper ed
Alice.
« Non mi
avresti lasciata andare ».
« In
effetti no », mi rabbuiai,non sarebbe successo.« non ti avrei lasciata ».
Tremò, poi ebbe un sussulto.
« C'è qualcosa che non va? » le chiesi
immediatamente, preoccupato.
« Che fine
ha fatto James? ».
« Dopo che
te l'ho tolto di dosso, se ne sono occupati Emmett e Jasper» la informai,
rimpiangendo di non aver avuto io l’onore.
« Ma non ho
visto né Emmett né Jasper, lì ».
« Sono
stati costretti a uscire dalla stanza... troppo sangue ».
« Ma tu sei
rimasto ».
« Sì ».
«E Alice, e Carlisle... », aggiunse,
meravigliata.
« Ricorda
che anche loro ti vogliono bene ».
Uno strano
lampo le accese lo sguardo, come se si fosse appena ricordata qualcosa di
vitale importanza.
« Alice ha visto il nastro? », chiese,
agitata.
« Sì » non
potei trattenermi dal rispondere cupo.
«Era rimasta confinata sempre al buio, perciò
non ricorda nulla ».
« Lo so.
Ora ha capito » cercavo di rimanere composto, modulando la voce; ma sentivo i
muscoli del viso contratti.
Mosse una
mano verso di me, ma la flebo a cui era legata glielo impedì.
« Ugh... ».
« Cosa c'è?
», chiesi, di nuovo in apprensione.
« Aghi »,
rispose, con una smorfia.
« Ha paura
di un ago », mormorai fra me, scuotendo il capo. C’era della comicità in ciò
che aveva detto. « Finché si tratta di un vampiro sadico intenzionato a
torturarla, nessun problema, scappa a conoscerlo. Una flebo, invece...».
Alzò gli
occhi al cielo.
« E tu,cosa ci faresti, qui? ».
La fissai
confuso, poi mi sentii imbarazzato. Era normale che potesse essere in collera
con me, se era costretta a letto era colpa mia. Aggrottai le sopracciglia.
« Vuoi che
me ne vada? ».
« No! »,
protestò, alzando di un’ottava la voce « No... volevo dire, come hai
giustificato a mia madre la tua presenza? Devo preparare un alibi prima che
torni ».
«Ah», tirai
un sospiro e rilassai la fronte, non volevo andarmene lontano da lei «Sono
venuto a Phoenix per farti ragionare e convincerti a tornare a Forks» addolcii
gli occhi nello stesso modo in cui fui costretto a raccontare quella stramba
versione a sua madre.« Tu hai accettato di incontrarmi, sei uscita per
raggiungere l'albergo in cui alloggiavo assieme a Carlisle e Alice, ovviamente
sono venuto qui con il permesso e la guida dei miei genitori... », dissi
sottolineando la mia natura da bravo ragazzo « Ma salendo le scale per
raggiungere la mia camera hai messo un piede in fallo, e... be', il resto lo
sai. Non c'è bisogno che ricordi altri dettagli: hai un'ottima scusa per essere
un po' confusa sui particolari ».
Soppesò le
mie parole con una strana espressione pensierosa.
« Ma c'è
qualcosa che non torna. Per esempio, nessuna finestra rotta ».
« Non
proprio », risposi. « Alice si è lasciata un po' prendere la mano, mentre
fabbricava le prove. Ci siamo occupati di tutto con molto scrupolo; se volessi,
potresti addirittura denunciare l'albergo. Non devi preoccuparti di nulla» le
sfiorai la guancia il più delicatamente possibile. «Devi badare soltanto a
guarire, ora ».
A contatto
della mia pelle contro la sua, i bip del monitor aumentarono di velocità.
« Sarà
davvero imbarazzante », mormorò tra sé e sé.
Soffocai
una risata e la guardai pensieroso
« Mmm,
chissà se... ».
Mi chinai
lentamente; in quell’infrangente i bip divennero più veloci. Ma quando le mie
labbra trovarono le sue, il pib si arrestò del tutto. Mi allontanai di scatto,
e mi rilassai solo quando il monitor accertò che il suo cuore aveva ripreso a
battere.
« A quanto
pare dovrò prestare molta più attenzione del solito», mi lamentai.
« Io non
avevo finito di baciarti », protestò. «Non costringermi ad alzarmi».
Sorrisi, e
mi chinai di nuovo leggero sulle sue labbra. Il monitor impazzì.
In quel
momento sentii sua madre; irrigidendomi mi staccai da lei.
« Credo di
aver sentito tua madre », dissi, con un nuovo sorriso.
«Non andartene », strillò.
Mi
occorsero ben pochi secondi per scorgere il terrore nei suoi occhi.
«Non me ne
andrò», promisi, serio, poi ammiccai « Farò un sonnellino ».
Dalla
seggiola di plastica, mi spostai sulla poltroncina reclinabile che stava ai
suoi piedi, abbassai lo schienale e chiusi gli occhi.
« Non dimenticarti
di respirare », bisbigliò, sarcastica.
Feci un
respiro profondo, a occhi chiusi.
La porta si
aprì appena e lei sbirciò nella stanza.
« Mamma! »,
sussurrò Bella,
Reneè vide
la mia sagoma immobile sulla poltrona e si avvicinò al suo letto in punta di
piedi.
« Non se ne
va mai, eh? », mormorò tra sé.
« Mamma,
che bello vederti! ».
La sentii
avvicinarsi al letto di Bella.
« Bella,
ero cosi agitata! ».
« Mi
dispiace, mamma. Adesso è tutto a posto, tutto okay ».
« Sono
contenta di vedere che apri gli occhi, finalmente ».
« Quanto a lungo sono rimasti chiusi? ».
« È
venerdì, cara, non sei stata in te per un bel po' ».
« Venerdì? ».
« Hanno
dovuto riempirti di sedativi, piccola... eri piena di ferite ».
« Lo so ».
« Per
fortuna il dottor Cullen era lì. È davvero un brav'uomo... anche se è molto
giovane, certo. E somiglia più a un modello che a un medico... ».
« Hai
conosciuto Carlisle? ».
« E Alice,
la sorella di Edward. Che cara ragazza ».
« Lo è davvero
», rispose, con tutta sincerità.
Reneè mi
lanciò un'occhiata, immobile nel mio sonno simulato. « Non mi avevi detto di
avere amici così cari, a Forks ».
Sentii
Bella muoversi, e gemere dolorosamente.
« Cosa ti
fa male? », chiese Reneè ansiosa, voltandosi di nuovo verso di lei. A quel
punto aprii gli occhi, posandoli sul viso di Bella.
« Tutto
bene. Devo solo ricordarmi di restare immobile ».
Rincuorato
da quelle parole, tornai al mi finto sonno.
« Dov'è
Phil? ».
« In
Florida. Ah, Bella, non indovinerai mai! Proprio quando stavamo per andarcene
è arrivata la buona notizia! ».
« Ha
firmato un contratto? ».
« Sì, come
hai fatto a indovinare? Con i Suns, ci credi? ».
« Grande »
E fu a quel
punto che nella mente di Reneè passarono immagini allegre e spensierate di un
futuro prossimo:
« E vedrai
che Jacksonville ti piacerà », aggiunse, compiaciuta « Mi ero preoccupata un
po', quando Phil aveva iniziato a parlare di Akron, con la neve e tutto il
resto, perché sai quanto odio il freddo... ma Jacksonville! C'è sempre il
sole, e l'umidità, in fondo, non è così tremenda. Abbiamo trovato una casetta
bellissima, gialla con le finiture bianche, una veranda come quelle dei vecchi
film, una quercia enorme, e poi è a pochissimi minuti dal mare, e in più avrai
un bagno tutto per te... ».
Mi
irrigidii a quella parole: Jacksonville, lontano da me…lontano dal pericolo. Forse
non sarebbe stata cattiva come idea.
« Aspetta,
mamma! » la interruppe Bella « Cosa stai
dicendo? Non verrò in Florida. Io vivo a Fork».
Ma come?
Credevo che quello fosse tutto ciò che desiderasse.
« Ma non
c'è più motivo, sciocca », disse ridendo. « Phil sarà molto più presente, d'ora
in poi. Ne abbiamo parlato molto e abbiamo deciso che nelle trasferte faremo un
compromesso: passerò metà del tempo con te e metà con lui ».
« Mamma »
la voce di Bella vacillò « Io voglio vivere a Forks. A scuola mi sono
ambientata, ho un paio di amiche... », la parola "amiche" la fece immediatamente
voltare verso di me, perciò cambiò direzione, « ...e Charlie ha bisogno di me.
È tutto solo, lassù, e non sa neanche cucinare ».
« Vuoi
restare a Forks? », chiese, sbigottita. L'idea, per lei, era inconcepibile. Poi
i sentiidi nuovo il suo sguardo su di
me: « Perché? ».
“Ha scelto
lui al sole…a me…”
« Te l'ho
detto... la scuola, Charlie. Ahi! ».
« Bella,
piccola mia, tu odi Forks », provò a rammentarle.
« Non è
così male ».
«È per lui? », sussurrò, alludendo al
sottoscritto.
« C'entra
anche lui » ammise « Sei riuscita a parlarci un po'? ».
« Sì » non
distolse gli occhi da me, lo sapevo « E vorrei discuterne con te ».
« Di cosa? ».
« Penso che
quel ragazzo sia innamorato di te », dichiarò, badando a tenere la voce bassa.
« Lo penso
anch'io ».
« E tu,
cosa provi per lui? ».
Bella
sospirò.
« Direi che
sono pazza di lui ».
Lontano
momentaneamente dallo sguardo indagatore di Reneè, sorrisi sentendo quelle
parole.
« Be', sembra
un bravo ragazzo, e santo cielo, è incredibilmente bello. Ma sei così
giovane, Bella... ».
« Lo so,
mamma. Non preoccuparti. È soltanto una cotta »
« Va bene ».
Poi sospirò:
“Accidenti
quanto si è fatto tardi”
« Devi
andare? ».
« Phil
dovrebbe chiamare tra poco... Non sapevo che ti saresti svegliata:.. ».
« Non c'è
problema, mamma » la voce di Bella si fece rassicurante «Non sarò sola».
« Torno
presto. Ho dormito qui, sai », annunciò.
« Oh,
mamma, lascia perdere! Puoi dormire a casa, non me ne accorgerei neppure ».
« Ero
troppo nervosa» fece una pausa « Sono successe brutte cose nel quartiere e non
sto tranquilla a casa da sola ».
« Brutte
cose? ».
« Qualcuno
ha fatto irruzione nella scuola di danza dietro casa nostra e l'ha incendiata:
non è rimasto niente! E di fronte hanno lasciato un'auto rubata. Ti ricordi
quando andavi a lezione lì, tesoro? ».
« Ricordo ».
« Se c'è
bisogno di me, posso restare ».
« No,
mamma. Andrà tutto bene. Edward starà qui con me ».
“Appunto”
« Torno stasera », scandì lanciando l'ennesima
occhiata verso di me.
« Ti voglio
bene, mamma ».
« Anch'io,
Bella. Cerca però di stare più attenta a dove metti i piedi, non voglio
perderti ».
Continuai a
tenere gli occhi chiusi ma sorrisi: su questo ero d’accordo con sua madre.
Mi accorsi
dell’entrata di un’infermiera percependo i suoi pensieri: analizzò il tabulato
del cardiogramma.
« Sei un
po' agitata, piccola? Qui vedo un bell'aumento di intensità ».
« No, tutto
bene ».
« Dirò alla
caporeparto che ti sei svegliata. Tra un minuto verrà a controllarti ».
Non aveva
neanche chiuso la porta che ero già al suo fianco.
« Hai rubato
un'auto? », alzò un sopracciglio.
Sghignazzai,
sfacciato.
« Era una
bella macchina, molto veloce »
« Dormicchiato
bene? ».
« Sì. È
stato interessante » strinsi gli occhi: aveva rifiutato la proposta di sua
madre.
« Che
cosa?».
Abbassai lo
sguardo.
« Sono
sorpreso. Pensavo che la Florida... e tua madre... be', pensavo fosse ciò che
volevi».
« Ma a te
toccherebbe restare chiuso in casa tutto il giorno. Potresti uscire soltanto
di notte, come un vero vampiro ».
Quasi
sorrisi, ma mi trattenni. Poi mi feci serio:
« Sarei
rimasto a Forks, Bella. O in un posto del genere. Ovunque, pur di non farti
più soffrire ».
Mi fissava
senza dire nulla, sembrava sotto shock…il monitor impazzì nuovamente e non la
sentii più respirare.
Rimasi in
silenzio a mia volta, scrutando la sua reazione.
Poi arrivò
spedita un'altra infermiera. Mi pietrificai,mentre lei si accinse a controllare
il monitor « Prendiamo un po' di tranquillanti, piccola? », chiese gentile,
picchiettando sul flacone della flebo.
« No, no »,
mormorò, la voce le si era incrinata «Sto
bene così ».
« Non è il
caso di essere coraggiosi, cara. È meglio che non ti stressi troppo: hai
bisogno di riposo ».
Ma Bella
scosse il capo decisa.
« D'accordo
», sospirò. « Suona il campanello quando ti senti pronta ».
“Fosse lui
la causa di tanta agitazione?!”
Mi lanciò
un'occhiataccia ed osservò per un'ultima volta i monitor con un filo
d'apprensione, prima di andarsene.
Posai le mani
fredde sul viso di Bella che mi guardava palesemente divorata dall’agiatazione.
« Sssh,
Bella... calmati ».
« Non
lasciarmi », mi pregò, senza voce.
« No, te lo
prometto. Adesso rilassati, così chiamo l'infermiera con i tranquillanti ».
Ma il suo cuore
non rallentava.
« Bella »,
le accarezzai le guance, nervoso, « non andrò da nessuna parte. Sarò al tuo
fianco ogni volta che avrai bisogno di me ».
« Giura che
non mi lascerai », bisbigliò.
Avvicinai
il suo viso al mio, tenendolo tra le mani.
« Lo giuro » dissi solenne.
Sostenni il
suo sguardo fino a quando non appurai che il suo corpo si rilassò, lentamente,
e il ritmo del cuore tornò normale.
« Va
meglio? », chiesi.
« Credo di
sì ».
<<
Reazione esagerata >> disse tra me, scuotendo il capo.
«Perché hai
detto una cosa del genere, prima?», sussurrò,la voce le tremava. «Sei stanco di
dovermi salvare in continuazione? Vuoi davvero che me ne vada?».
« No, non
voglio stare senza te, Bella, certo che no. Sii razionale. Neanche doverti
salvare è un problema. Ma il fatto è che sono io stesso a metterti in
pericolo... in fondo è colpa mia se sei qui ».
« Sì, se
non fosse stato per te non sarei qui... viva ».
« A
malapena » dissi con un filo di voce « Coperta di bende e cerotti, nemmeno in
grado di muoverti ».
« Non parlo
dell'ultima volta in cui ho rischiato di morire», esclamò irritata. « Ce ne
sono altre, scegline una. Se non ci fossi stato tu, sarei finita a marcire nel
cimitero di Forks ».
Sussultai
rivivendo nitidamente l’incidente del furgoncino di Tyler, che sbandò
sull’asfalto bagnato in direzione di Bella.
« Non è
questa la parte peggiore, comunque », proseguii. Non è stato averti vista là,
sul pavimento... sottomessa e picchiata » . La mia voce era soffocata. «Non è
stato temere che fossi arrivato davvero troppo tardi. Nemmeno sentirti urlare
di dolore... o tutti quei ricordi insopportabili che porterò con me per l'eternità.
No, la parte peggiore è stata sentire... sapere che non sarei riuscito a
fermarmi. Essere convinto che sarei stato io a ucciderti ».
« Ma non
l'hai fatto ».
« Avrei
potuto. Senza sforzo ».
« Prometti »,
mormorò.
«Cosa?>>
chiesi, confuso.
« Lo sai,
cosa ».
La guardai
torvo, nel sentire il suo tono di voce cambiare così repentinamente.
« A quanto
pare non sono abbastanza forte da poterti stare lontano, perciò immagino che
alla fine farai a modo tuo... anche a costo di farti uccidere » dissi pungente.
« Bene »
assentì decisa, prima di ricominciare a parlare «Hai detto che ti sei
fermato... adesso voglio sapere perché».
« Perché? »
Era forse
impazzita?!Che razza di domanda era quella.
« Perché
l'hai fatto. Perché non hai lasciato che il veleno entrasse in circolo? A
quest'ora sarei uguale a te ».
Mi rabbuiai
immediatamente. Come faceva a sapere che eravamo provvisti di veleno? Che fosse
quello l’ingrediente principale per diventare creature della notte? Alice,
ovvio!
Non la
degnai di una risposta.
« Sono la
prima ad ammettere di non essere esperta di relazioni», dissi lei, «ma mi
sembra quantomeno logico... tra un uomo e una donna deve esserci una certa
parità... per esempio, non può toccare sempre a uno solo dei due salvare
l'altro. Devono potersi salvare a vicenda».
Seduto sul
bordo del letto, incrociai le braccia e ci affondai il mento. Trattenni la
furia, non era con lei che dovevo prendermela.
«Ma tu mi hai salvato » , dissi piano.
« Non posso
essere sempre Lois Lane. Voglio essere anche Superman ».
« Non sai
cosa mi stai chiedendo » la mia voce era morbida, fissavo nel panico la federa.
« Invece
credo di sì ».
« Bella,
non te ne rendi conto. Ci penso da quasi novant'anni e non mi sono ancora
fatto un'idea ».
« Vorresti
che Carlisle non ti avesse salvato? ».
« No, non è
così» mi concessi una pausa. «Ma la mia vita era giunta al termine. Non stavo
rinunciando a niente ».
« La mia
vita sei tu. Soffrirei davvero soltanto se perdessi te ».
Non mi
scomposi. Su quel punto ero irremovibile.
« Non posso
farlo, Bella, e non lo farò ».
« Perché
no? » la sua voce era roca «E non dirmi che è troppo difficile! Dopo oggi, o
qualche giorno fa, quando è stato... be', dopo tutto questo, dovrebbe essere
una passeggiata!».
La
squadrai, non poteva già aver dimenticato il bruciore nelle vene.
« E il
dolore? », chiesi.
Sbiancò.
« È un
problema mio. Posso cavarmela ».
« A volte
capita di trascinare il coraggio fino al punto in cui diventa pazzia ».
« Poco
importa. Tre giorni. Cosa vuoi che siano ».
Feci una
smorfia accertando che ne sapesse più del dovuto. Repressi la rabbia, ma sapevo
che non appena avessi rivisto Alice sarebbe riesplosa tutta insieme.
« E
Charlie? », chiesi all'improvviso. «Renée?».
Restò in
silenzio, presa in contro piede. Aprì la bocca, senza emettere suono. La richiuse.
Aspettavo, pregustandomi una vittoria certa!
« Senti,
nemmeno quello è un problema », bofonchiò infine; avevo imparato a smascherare
le sue bugie « Renée ha sempre scelto ciò che le sembrava più giusto; non si
opporrebbe se mi comportassi nello stesso modo. E Charlie si riprenderebbe, è
flessibile, e si era abituato a stare da solo. Non posso badare a loro per
sempre. Io voglio vivere la mia vita ».
« Appunto.
E non sarò io a farla terminare ».
« Se
aspettavi che fossi sul letto di morte, sappi che ci sono stata eccome! ».
« Sì, però
ti rimetterai ».
Respirò a
fondo come a voler ritrovare la calma. Mi fissò, ed io le restituii lo sguardo.
« Invece no
», rispose, piano.
Aggrottai
le sopracciglia.
« Certo che
sì. Al massimo ti resteranno un paio di cicatrici... ».
« Ti
sbagli. Morirò ».
« Sul serio,
Bella » cominciavo a spazientirmi. « Tra qualche giorno ti dimetteranno. Due
settimane al massimo ».
Mi inchiodò
con uno sguardo:
« Forse non
morirò subito... ma prima o poi succederà. Ogni giorno, ogni minuto, quel momento
si avvicina. E diventerò vecchia ».
Mi scurii
in volto quando afferrai cosa volesse sottintendere. Chiusi gli occhi
massaggiandomi le tempie.
« È così
che succederà. Come dovrebbe succedere. Come sarebbe successo se io non fossi
esistito... e io non sarei dovuto esistere ».
Sbuffò
edaprii gli occhi, sorpreso.
« Che
stupidaggine. Mi sembra di sentire il vincitore di una lotteria che, dopo avere
riscosso il premio, dice: "Ehi, torniamo indietro alla normalità, è
meglio così". Non me la dai a bere, sai ».
« Sono
tutt'altro che il premio di una lotteria ».
« È vero.
Sei molto meglio ».
Alzai gli
occhi e strinsi le labbra.
« Bella,
non voglio più parlarne. Mi rifiuto di condannarti a un'eternità di notti e
buio, punto e basta ».
« Se pensi
che possa finire qui, vuol dire che non mi conosci bene. Non sei l'unico
vampiro che conosco ».
« Alice non
oserebbe » dissi con rabbia. Non si sarebbe mai messa contro di me, era già fin
troppo nei guai.
« Alice ha
già visto tutto, vero? Per questo ce l'hai con lei. Sa che un giorno...
diventerò come te ».
« Si
sbaglia. Se è per questo, ti ha anche vista morta, ma non è accaduto ».
« Per quel
che mi riguarda, non scommetterò mai contro di lei ».
Ci
squadrammo a lungo. Il silenzio era rotto soltanto dal ronzio delle macchine,
dai bip,dal gocciolare della flebo e dai rintocchi dell'orologio
a muro. Infine mi rilassai, stanco di quella assurda discussione.
« Dunque la
conclusione è...? », domandò.
« Mi sembra
che si chiami impasse » sorrisi amaro.
Fece un
sospiro ed emise un gemito di dolore.
« Come ti
senti? », chiesi, lanciando un'occhiata verso l'interfono.
« Bene ».
« Non ti
credo », risposi, delicato.
« Non ho
intenzione di rimettermi a dormire ».
« Hai
bisogno di riposo. Tutto questo discutere non ti fa bene ».
« Allora
arrenditi ».
« Bel colpo
». Schiacciai l'interruttore.
« No! ».
La ignorai.
Stava facendo i capricci come una bambina.
« Sì? »,
gracchiò l'altoparlante dal muro.
« Credo che
siamo pronti per un'altra dose di tranquillanti »dissi tranquillo, non badando
alla sua espressione infuriata.
« Mando
un'infermiera ».
« Non li
prendo ».
Guardai il
sacchetto di liquido della flebo.
« Non credo
che ti chiederanno di ingoiare nulla ».
Il suo cuore
iniziò ad accelerare. Vidi la paura nei suoi occhi e sbuffai, ai limiti della sopportazione.
« Bella, tu
stai male. Hai bisogno di rilassarti per guarire. Perché sei così ostinata? Non
serviranno altri aghi né cose del genere ».
« Non ho
paura degli aghi », mormorò, « ho paura di chiudere gli occhi ».
Le regalai il mio sorriso migliore e le presi
la testa tra le mani.
« Ti ho
detto che non andrò da nessuna parte. Non avere paura. Fino a quando lo vorrai,
io starò qui ».
« Stai parlando
dell'eternità, lo sai » osservò, sorridendo.
« Oh, te la
farai passare... è soltanto una cotta ».
« Quando Renée
se l'è bevuta ci sono rimasta quasi male. Sai bene che non è così » disse
scuotendo la testa.
« È il
bello di essere umani », risposi. « Le cose cambiano ».
Socchiuse
gli occhi:
« Non trattenere il respiro, mentre aspetti
che accada ».
Quando
entrò l'infermiera, con la siringa in mano, risi.
« Mi scusi »,
mi disse brusca.
Mi alzai,
attraversai la stanza e mi appoggiai al muro. Incrociai le braccia in attesa.
Non mi staccava gli occhi di dosso, ancora in apprensione. Ricambiavo sereno.
« Ecco
fatto, cara », disse l'infermiera sorridente, mentre iniettava il medicinale
nel tubo. « Adesso starai meglio ».
« Grazie »,
bofonchiò senza entusiasmo.
« Così
dovrebbe andare », mormorò l'infermiera.
Bella
chiuse gli occhi, i tranquillanti stavano già facendo effetto.
Quando ci
lasciò da soli, le sfiorai con le labbra le guancie.
« Resta »,
biascicò.
« Si, te lo
prometto » risposi dolcemente « Come ho detto, finché lo desideri... finché è
la cosa migliore per te ».
« ... 'n è
la stessa cosa », farfugliò.
« Non
preoccuparti di questo adesso, Bella. Possiamo ricominciare a discutere quando
ti svegli » risi.
« ...'a
bene >> un leggero sorriso, le si dipinse sulle labbra.
« Ti amo »,
le sussurrai, sfiorandole con le labbra l’orecchio.
« Anch'io ».
« Lo so », risi
sottovoce.
Voltò la
testa lentamente...sapevo cosa cercava, cosa voleva. Avvicinai le mie labbra
alle sue fino a toccarle,delicatamente.
« Grazie »,
mormorò.
« Di niente
».
« Edward? ».
« Sì? ».
« Io
scommetto su Alice ».
Fu l’ultima
cosa che riuscii a dire prima che il sonno avesse la meglio.
Come le
avevo promosso, le restai accanto: seduto sul letto, tenendole una mano non
staccavo gli occhi da lei.
“Dorme?”
Mi voltai
scuro in volto nel vedere Alice, ritta ai piedi del letto. Ignorava il mio
furore.
Mi alzai,
lasciando delicatamente la mano di Bella.
<<
Grazie per aver mantenuto la promessa, Alice >> le dissi, acido e
avvicinandomi a lei.
“Era giusto
che lei sapesse”
<<
Giusto? >> chiesi sarcastico << Secondo quale punto di vista?! >>
“Edward…capisco
la tua collera ma…”lasciò il pensiero a metà, indugiando su Bella.
<<
Ma? >> la incoraggiai, con rabbia.
“Non puoi
decidere per lei…è quello che vuole! E prima o poi accadrà”
<< Le
cose cambiano >> dissi a denti stretti.
Alice colmò
la distanza tra noi muovendo due passi, prese il mio viso tra le mani e mi
guardò negli occhi, noncurante della mia rabbia.
“Non puoi
opporti per sempre. Lei vuole te come tu vuoi lei…a volte il destino è più
forte di noi”
Non fui
sicuro che l’ultima parte della frase fosse rivolta a me…Alice come tutti noi,
non aveva scelto cosa diventare, non aveva scelto il suo destino. Eppure ciò
che era diventata l’aveva condotta a Jasper e a noi.
Aveva
vissuto la sua vita umana al buio, al contrario di Rosalie, probabilmente aveva
visto la luce per la prima voltasolo
dopo essere stata trasformata.
La vidi
accarezzare i capelli di Bella, dolcemente, un lieve sorriso rilassato le
illuminava il viso: dal suo punto di vista era facile intuire perché volesse
aiutare Bella…lei al suo contrario, poteva dettare le sorti del suo destino.
Non sapevo
come sarebbe andata, ma non volevo arrendermi: Bella avrebbe continuato a
vivere!
Aiutai
Bella a salire sulla mia Volvo, facendo attenzione a non rovinare gli svolazzi
di seta e chiffon del vestito che Alice le aveva costretto ad indossare, i
fiori che le aveva appena appuntato sui riccioli e l’ingombrante gesso alla
gamba.
Sul suo
viso dipinta una maschera di disappunto, facile intuire il perché: il suo
abbigliamento la metteva a disagio.
Accomodata
Bella sul sedile, presi posto alla guida e feci retromarcia sul vialetto.
« Posso
sapere quando ti prenderai la briga di rivelarmi cosa sta succedendo? », chiese,
scontrosa.
Non le
piacevano le sorprese, eppure non le avevo ancora rivelato la nostra
meta…eppure non era difficile, dato che anche io ero elegante, indossando uno
smoking.
« È assurdo
che tu non abbia ancora capito >> le feci notare, sorridendo.
« Ti ho
informato del fatto che sei molto carino, vero? ».
« Sì »
sorrisi di nuovo, nel sentire il suo apprezzamento.
« Non verrò
mai più da nessuna parte con te, se mi toccherà di nuovo farmi trattare da
Alice come Barbie-cavia-da-laboratorio », brontolò.
Beh come
darle torto, era stata sequestrata da mia sorella, costretta nel suo enorme
bagno, completamente vittima della sua mercé; dall’altra parte io personalmente
avevo apprezzato il risultato finale. Amavo Bella per quel che era, anche con i
suoi soliti jeans, però fasciata in quel vestito blu scuro, senza spalline, e
con i tacchi alti la trovai magnifica.
Stavo per
ribadire la sua affermazione, facendole i dovuti complimenti, quando squillò il
telefono.
Estrassi
dalla tasca interna della giacca il telefono, e guardando il display aggrottai
le sopracciglia.
« Pronto,
Charlie » risposi, sospettoso. Perché aveva chiamato?
« Charlie? ».
Negli
ultimi tempi, da quando avevamo fatto ritorno a Forks potando Bella nelle sue
condizioni- viva per miracolo- suo padre era diventato molto apprensivo e
nonostante la profonda gratitudine che aveva riversato su mio padre, non poteva
dirsi lo stesso nei miei confronti. Mi riteneva responsabile per quanto
successo a sua figlia…e in tutta sincerità, non mi ero trovato in disaccordo
con lui.
<<
Qui a casa è venuto Tyler Crowel dicendo che aveva già appuntamento con Bella
>> nel sentire quelle parole, strabuzzai gli occhi. Che storia era mai
questa?
« Sta
scherzando! »
« Che c'è? »,
chiese Bella.
Non le
badai, e presi le rendini della situazione.
« Posso parlargli io? » suggerii, avevo
proprio voglia di dirgliele quattro.
Attesi solo
qualche secondo:
« Ciao
Tyler, sono Edward Cullen » sfoggiai una calma apparente.
Sentivo gli
occhi di Bella puntati addosso.
« Mi
dispiace che ci sia stato un fraintendimento, ma Bella è occupata, stasera »
poi divenni volutamente minaccioso. «Anzi, per la verità è occupata tutte le
sere, per chiunque, escluso il sottoscritto. Senza offesa. Spiacente se la tua
serata non andrà come speravi ». Chiusi la conversazione, ridendo soddisfatto.
Guardai
Bella, che era avvampata di rabbia, le mostrai una sguardo sorpreso.
« Credi che
abbia esagerato un po'? Non volevo essere offensivo riguardo a te ».
Mi ignorò,
accusandomi di altro.
« Mi stai
portando al ballo di fine anno! », strillò.
Avevo messo
in conto che non avrebbe gradito, ma mai mi sarei aspettato una reazione tanto
esagerata.
La guardai
tornando serio, e dissi tra i denti:
« Non fare
la difficile, Bella ».
Spostò lo
sguardo fuori dal finestrino.
« Perché mi
stai facendo questo? », chiese, nel panico..
« Sinceramente, Bella, dove credevi che ti
volessi portare? » le chiesi indicando il mio smoking.
Non
rispose, chinò il capo guardandosi il vestito, poi notai le lacrime rigarle le
guancie.
« È ridicolo.
Perché piangi? », chiesi irritato.
« Perché mi
hai fatta arrabbiare! >> esclamò, tornando a guardarmi.
« Bella »
la rimproverai, inchiodandola con uno sguardo.
« Cosa? »,
mormorò, turbata.
« Assecondami.
Per piacere» .
« Bene »,
mormorò « Te la do vinta. Ma vedrai. È un bel po' che non m'imbatto in una vera
disgrazia. Come minimo mi romperò l'altra gamba. Guarda la scarpa! È una
trappola mortale! » mi mostrò la gamba buona.
« Mmm » la
fissai più del necessario, non capendo perché nascondesse sempre delle gambe
così belle « Stasera voglio ringraziare Alice, ricordamelo ».
« Ci sarà
anche lei? ».
« Assieme a
Jasper, Emmett... e Rosalie ».
Indagai sul
suo viso: nonostante tutti si fossero abituati a lei, Rosalie continuava a fare
la difficile. Bella non mostrò segni di inquietudine, chiese invece:
« Charlie è
al corrente di questo? »
« Certo »
poi soffocai una risata: « A quanto pare, solo Tyler non sapeva nulla ».
Ma se era
uno stolto non era colpa mia: l’unica cosa che mi teneva lontano da Bella erano
le rare giornate di sole, per il resto del tempo a scuola eravamo inseparabili.
Arrivati a
scuola,parcheggiai affianco la cabriolet rosso fuoco di Rosalie.
Scesi
dall'auto e andai ad aprirle la portiera. Le offrii la mano.
Rimase
incaponita seduta al mio posto, a braccia conserte. Il parcheggio era affollato
di persone in abito da sera: tutti testimoni. Non avrei potuto estrarla
dall'auto con la forza, come non avrei esitato a fare se fossimo stati soli.
Sospirai:
« Di fronte
a un assassino sei coraggiosa come un leone, ma basta che qualcuno parli di
ballare... » scossi il capo, interdetto.
Rabbrividì
sentendo quella parola.
« Bella, ti
terrò lontana da tutti i pericoli, compresa te stessa. Non ti mollerò un
attimo, lo prometto ».
Davanti la
mia promessa, che trapelava di sincerità, il suo viso si rilassò.
« Forza,
adesso », dissi gentile. « Non sarà così male » mi chinai e con un braccio le
cinsi la vita. Afferrò l'altra mano, e si lasciò sollevare per uscire
dall'auto.
L’aiutai a
zoppicare fino all'ingresso della scuola, tenendola ben stretta a me.
Quando
entrammo nella palestra, le scappò un risolino. C'erano veri arcobaleni di
palloncini e ghirlande attorcigliate di carta crespa sulle pareti.
« Sembra
l'inizio di un film dell'orrore », disse, ridendo sotto i baffi.
« Be '»,
mormorai mentre ci avvicinavamo a fatica al tavolo che fungeva da biglietteria
- reggevo quasi tutto il mio peso, ma era comunque costretta a dondolare il
piede per trascinarsi in avanti -, «in effetti i vampiri non mancano».
Guardò la
pista da ballo, al centro si era formato uno spazio vuoto in cui Rosalie ed
Emmett roteavano divinamente. Gli altri ballerini restavano ai margini della
sala, per fare spazio: tutti temevano il confronto.
Tutti i
presenti erano in soggezione da Emmett e Jasper, mentre Rosalie con il vestito
mozzafiato che aveva scelto era riuscita a far sentire mortificata ogni
ragazza.
« Vuoi che
blocchi le uscite, così potete massacrare gli ignari cittadini? », sussurrò
Bella, con fare cospiratorio.
« E tu da
che parte stai? ».
« Con i
vampiri, ovvio ».
« Qualsiasi
cosa, pur di non ballare » notai, incapace di trattenere un sorriso.
« Qualsiasi
cosa ».
Comprai i
biglietti, poi la feci voltare in direzione della pista da ballo. Stava abbarbicata
al mio braccio e trascinava i piedi, opponendo resistenza.
« Ho tutta
la serata », le feci notare, di tempo non me ne mancava.
Alla fine
riuscii a trascinarla nel punto in cui i miei fratelli piroettavano. Bella si
arrestò a guardarli spaventata.
« Edward »
la sua voce si era fatta rauca.«Sinceramente, non so ballare! »
« Sciocca,
non preoccuparti », risposi. « Io sì » guidai le sue mani a cingermi il collo,
la sollevai appena e feci scivolare i piedi sotto i suoi.
E anche noi
ci ritrovammo a roteare.
« Mi sembra
di avere cinque anni », disse ridendo, dopo qualche minuto di quel valzer in
cui era trasportata senza sforzo.
« Non li
dimostri » , mormorai stringendola di più a me, e per un istante volò qualche
centimetro dal suolo.
“Coraggio
Bella, lasciati andare”
Sentendo
quel pensiero, capii che Bella spostando momentaneamente lo sguardo, aveva
incontrato quello di mia sorella.
« Okay, non
è così male, lo ammetto ».
Non le
badai, fissai lo sguardo irritato.
« Che c'è? »,
chiese ad alta voce.
Dato il mio
silenzio, seguì il mio sguardo e vide anche lei Jacob farsi largo tra la folla
per venire verso di noi.
Ringhiai
sottovoce, leggendo nella sua mente.
« Controllati!
», sibilò.
« Vuole
fare due chiacchiere con te » l’avvertii furioso.
A quel
punto Jacob ci raggiunse: il ragazzo era in imbarazzo glielo si poteva leggere
in faccia, ma non m’impietosì.
« Ehi,
Bella, speravo proprio di trovarti ».
Fu quello
che disse, ma non quello che pensò: aveva sperato nell’esatto opposto.
« Ciao,
Jacob », rispose Bella, ricambiando il suo sorriso. « Tutto bene? ».
« Mi
concedi un ballo? », azzardò, lanciandomi un'occhiata.
Non mi fece
piacere la sua proposta, ma conoscevo abbastanza bene Bella ormai e sapevo che
lei non glielo avrebbe negato,così senza dire una parola la feci scendere dai
miei piedi e mossi un passo indietro.
« Grazie »,
disse Jacob, cortese.
Annuii e le
rivolse uno sguardo deciso, prima di allontanarmi, andandomi ad appoggiare al
muro: non avevo intenzione di perderli di vista.
Jacob le si
avvicinò e presero posizione nella danza.
« Accidenti,
Jake, quanto sei alto adesso? ».
« Più di un
metro e ottanta », rispose fiero.
In realtà
non ballavano,si limitavano a dondolare
goffi sul posto. Jacob, al mio contrario, non era un ballerino provetto.
« Come sei
finito qui, stasera? », gli chiese Bella.
« Ci credi
se ti dico che mio padre mi ha dato venti verdoni per venire al tuo ballo di
fine anno? », confessò lui.
« Sì, ci credo »rispose Bella. « Be', se non
altro spero che tu ti stia divertendo. Hai visto qualcuna che ti piace? ».
Indicò un gruppo di ragazze, allineate lungo.
« Sì »,
sospirò, « una, ma è occupata ».
Ovvio che
anche lui fosse uno spasimante di Bella, non potevo far altro che sopportarlo
da bravo fidanzato.
Jacob abbassò
gli occhi e incontrò i suoi per un istante. Poi entrambi distolsero lo
sguardo, imbarazzati.
« A
proposito, sei molto carina stasera », aggiunse timido.
Carina era
un’offesa, per quanto era stupenda quella sera.
« Ehm,
grazie. Ma perché Billy ti avrebbe pagato per venire qui? »
« Secondo lui era un posto "sicuro"
per parlare con te. Mi sa tanto che il vecchio ha perso qualche rotella » disse
Jacob, guardando altrove dal viso di Bella.
Entrambi
risero, senza convincimento.
« E
comunque, mi ha detto che se ti riferisco un certo messaggio, mi procurerà il
cilindro freni che cerco » proseguì Jacob.
« Allora
parla. Ci tengo a vedere la tua macchina finita »,
Stava per
rivelarle il motivo per cui era venuto, scrutai l’espressione di Bella.
« Non
arrabbiarti, okay? ».
«Non sono capace di arrabbiarmi con te, Jacob.
E non mi arrabbierò con Billy. Dimmi pure ».
« Be'...
scusa, Bella, mi sembra talmente stupido... vuole che lasci il tuo ragazzo. Mi
ha pregato di chiedertelo "per favore" ».
Se non
altro il disgusto che Jacob ostentò, era sincero.
« È ancora
superstizioso, eh? ».
« Sì. Ha...
perso la bussola, quando ti sei fatta male a Phoenix. Non ha creduto che... ».
« Sono caduta » specificò Bella, severa.
« Lo so ».
« Pensa che
Edward abbia a che fare con ciò che mi è successo ».
Jacob non
osava guardarla negli occhi. Non si preoccupavano nemmeno più di dondolare a
ritmo, benché le sue mani fossero rimaste sui fianchi di Bellache aveva le sue allacciate al collo di Jacob.
« Senti,
Jacob, so che Billy stenterà a crederci, ma te lo dico lo stesso ». A quel
punto tornò a fissarla, rincuorato dal tono sincero delle parole di Bella. « Edward
mi ha davvero salvato la vita. Se non fosse stato per lui e suo padre, a
quest'ora sarei morta ».
« Lo so »,
rispose.
« Senti, mi
dispiace che tu sia venuto fin qui solo per questo, Jacob. Se non altro, vedi
di rimediare il tuo pezzo mancante, eh? ».
« Sì »,
bisbigliò, ma era ancora teso visto che doveva riferirle un altro messaggio.
« C'è
dell'altro? », gli chiese
« Lascia
perdere. Mi troverò un lavoro e metterò da parte qualche soldo ».
« Sputa il
rospo, Jacob ».
« Non ce la
faccio ».
« Non
m'importa. Parla ».
« Va
bene... però, uffa, non è una bella cosa ». Scosse il capo. « Ha detto di
dirti, no, di avvertirti - guarda che il plurale è suo, non mio - che...
», staccò le mani da lei e mimò le virgolette, « "ti terremo d'occhio" ». Attese la
sua reazione, ansioso.
Sembrava la
battuta di un film sulla mafia. Non riuscii a trattenere una risata ad alta
voce.
« Mi
dispiace che ti sia toccato farlo, Jake ».
« A me non
dispiace granché » sorrise ammirandola, almeno aveva avuto occasione di vederla.
« Quindi devo dirgli di farsi gli affaracci suoi? », chiese speranzoso.
« No »,
sospirò Bella. «Ringrazialo. So che lo fa per il mio bene».
La canzone
finì, e lei sciolse l'abbraccio.
Lui esitò e
guardò la sua gamba malconcia:
« Vuoi
ballare ancora? O vuoi che ti aiuti a spostarti? ».
Ma a quel
punto il mio livello di sopportazione era giunto al termine e reclamai Bella:
« Tutto a
posto. La riprendo io ».
“Non l’ho
sentito neanche avvicinarsi, ma come ha fatto?”
« Ehi, non
ti avevo visto », mormorò Jacob. « Allora ci vediamo, Bella ». Fece un passo
indietro e un cenno di saluto.
« Sì, ci
rivediamo presto » lo saluto, sorridendo.
« E scusami
», ripeté ancora e si diresse verso la porta.
Appena
attaccò la canzone successiva, la strinsi. Era un ritmo un po' troppo sostenuto
per ballare un lento, ma non vi badai volevo stringerla me. Poggiò la testa
sul mio petto.
« Ora va
meglio? », mi chiese.
« Non
proprio ».
« Non
prendertela con Billy », sospirò. « È preoccupato per me perché Charlie è suo
amico. Niente di personale ».
«Non ce
l'ho con Billy », precisai brusco. « È suo figlio a irritarmi ».
Indietreggiò
per guardarmi meglio, e si accorse della serietà sul mio viso.
« Perché? ».
« Prima di
tutto, mi ha costretto a violare la mia promessa ».
Mi fissò
sconcertata.
« Avevo
promesso che stasera non ti avrei mollata neanche per un secondo» dissi
accennando un sorriso.
« Ah. Be',
sei perdonato ».
« Grazie.
Ma c'è dell'altro » dissi aggrottando le sopracciglia.
Aspettò che
specificai.
« Ha detto
che sei carina »,aggiunsi, infine, scuro in volto. « Il che è
praticamente un insulto, stasera. Sei molto più che bellissima ».
« Forse il
tuo è un giudizio di parte », disse ridendo.
« Non
credo. Inoltre, la mia vista è perfetta ».
Avevamo
ricominciato a roteare vicini, i miei piedi sotto i suoi.
« Mi
spieghi il perché di tutto questo? », domandò.
La guardai,
confuso, e lei accennò ai festoni di carta crespa.
Restai a
pensare per un momento, e poi cambiai direzione, volteggiando assieme a lei
attraverso la folla, verso l'uscita posteriore della palestra. Incontrammo
tutto il gruppo di amicizie di Bella, senza fermarci. Rimasti soli all’aperto
la sollevai tra le braccia e la portai fino alla panchina ai piedi dei corbezzoli.
Mi sedetti e presi a cullarla stringendola contro il petto.
« Allora? »,
chiese sottovoce.
Non
l’ascoltavo, guardavo la luna già sorto:inquieto.
« Di nuovo
il crepuscolo », mormorai. « Un'altra fine. Ogni giorno deve finire, anche il
più perfetto ».
« Non è
detto che tutto abbia una fine », mormorò tra sé.
Mi lasciai
sfuggire un sospiro, capendo a cosa alludesse.
« Ti ho
portata al ballo perché desidero che tu non ti perda niente. Non voglio che
la mia presenza ti privi di nulla, finché mi è possibile. Voglio che tu sia umana.
Voglio che la tua vita prosegua come se fossi morto nel 1918, come era mio
destino ».
« In quale
strana dimensione parallela pensi che sarei venuta al ballo di mia spontanea
volontà? Se tu non fossi mille volte più forte di me, non ti avrei mai lasciato
fare » tremò e scosse il capo.
In un primo
momento sorrisi, ma tornai subito serio:
« Non è
andata così male, l'hai ammesso anche tu ».
« Perché
ero con te ».
Per un po'
restammo in silenzio: io guardavo la luna, mentre sentivo i suoi occhi su di me.
« Mi dici
una cosa?», chiesi, sbirciandola sorridendo
a mezza bocca.
« Non ti
dico sempre tutto? ».
« Promettilo
», insistetti.
« D'accordo
».
« Mi sei
sembrata sinceramente sorpresa quando hai capito che ti stavo portando qui... ».
« Sì, lo
ero »,mi interruppe.
« Appunto...
ma certo sospettavi qualcos'altro... Sono curioso: per quale occasione pensavi
che ti avessi fatto vestire così? ». << Non te lo dico».
« Hai
promesso ».
« Lo so ».
« Che
problema c'è? ».
Non capivo
il suo imbarazzo.
« Non
vorrei farti arrabbiare... o intristire ».
Aggrottai
le sopracciglia pensieroso:
« Non m'importa. Per favore, dimmelo ».
Fece un
sospiro.
« Be'...
davo per scontato che fosse un'occasione... speciale. Ma non immaginavo che
fosse una mediocre faccenda umana... Il ballo di fine anno! », disse
sprezzante.
« Umana? »,
chiesi, senza fare una piega. Avevo intuito che la parola chiave fosse “umana”
Si guardò il
vestito, giocherellando con un lembo dello chiffon. Restando in silenzio,
attesi.
« Va bene ».assentì.
« Ecco, speravo che avessi cambiato idea... e che ti fossi deciso a cambiare me,dopotutto ».
A quelle
parole reagii prima con rabbia, poi tormento…infine riuscii ad emettere una
risata.
« E secondo
te quella sarebbe stata un'occasione da vestito da sera, eh? », dissi,
provocandola, e aggiustai il risvolto della giacca da smoking.
Abbassò gli
occhi per nascondere l'imbarazzo.
« Non so
come funzionano queste cose. A me, però, sembra più logico che per un ballo di
fine anno ». Non riuscivo a smettere di sogghignare. «Non c'è niente da ridere»,
tagliò corto.
« No, hai
ragione, certo che no », e il mio sorriso sparì. « Però preferisco prenderla a
ridere, piuttosto che credere che tu possa dire sul serio ».
« Ma io
dico sul serio ».
« Lo so. E
ci terresti davvero? » le chiesi, sospirando tormentato.
Incontrò i
miei occhi, e mordendosi il labbro inferiore annuì.
« E allora
preparati alla fine », mormorai, quasi tra me. « Preparati al crepuscolo della
tua vita appena iniziata. Preparati a rinunciare a tutto ».
« Non è la
fine, è l'inizio. È la luce dell'alba », mi corresse, sottovoce.
« Non ne
sono degno », risposi, triste.
« Ricordi
quando mi hai detto che non avevo una percezione chiara di me stessa? », chiese,
alzando le sopracciglia. «Evidentemente tu sei cieco allo stesso modo ».
« Io so ciò
che sono ».
Sospirò.
Mi
concentrai su di lei. Strinsi le labbra e la scrutai da vicino. Esaminai il suo
viso, nella sua bellezza umana.
« Perciò,
ti senti pronta? ».
« Ehm » ,
deglutì. « Sì ».
Sorrisi e
inclinai la testa fino a sfiorarle con le labbra fredde l'incavo sotto il mento.
« Adesso? »,
dissi in un soffio. Rabbrividì al mio respiro sul collo.
« Sì »,
sussurrò.
Risi cupo e
mi allontanai: che delusione, aveva poca stima di me.
« Secondo
te cederei così facilmente? », chiesi sarcastico, con una nota di amarezza.
« Sognare
non costa niente ».
« Questo sarebbe il tuo sogno? Diventare un
mostro? » sgranai gli occhi allibito.
« Non
proprio », rispose. « Più che altro, sogno di restare con te per sempre ».
Nel sentire
la sua sofferenza, addolcii l’espressione dei miei occhi.
« Bella »
le sfiorai il contorno delle labbra con un dito. « Starò sempre con te. Non ti
basta? ».
« Mi basta,
per ora » sentii le sue labbra stirarsi in un sorriso, sotto le dita.
La sua
testardaggine mi fece perdere la pazienza. Era decisa quanto a me a non volersi
arrendere. Ruggii lievemente.
« Stammi a
sentire. Ti amo più di qualsiasi altra cosa al mondo, senza eccezioni. Non ti
basta? » mi chiese, sfiorandomi il viso.
«Sì, mi basta », risposi, sorridendo. «Mi
basta, per sempre».
Aiutai
Bella a salire sulla mia Volvo, facendo attenzione a non rovinare gli svolazzi
di seta e chiffon del vestito che Alice le aveva costretto ad indossare, i
fiori che le aveva appena appuntato sui riccioli e l’ingombrante gesso alla
gamba.
Sul suo
viso dipinta una maschera di disappunto, facile intuire il perché: il suo
abbigliamento la metteva a disagio.
Accomodata
Bella sul sedile, presi posto alla guida e feci retromarcia sul vialetto.
« Posso
sapere quando ti prenderai la briga di rivelarmi cosa sta succedendo? », chiese,
scontrosa.
Non le
piacevano le sorprese, eppure non le avevo ancora rivelato la nostra
meta…eppure non era difficile, dato che anche io ero elegante, indossando uno
smoking.
« È assurdo
che tu non abbia ancora capito >> le feci notare, sorridendo.
« Ti ho
informato del fatto che sei molto carino, vero? ».
« Sì »
sorrisi di nuovo, nel sentire il suo apprezzamento.
« Non verrò
mai più da nessuna parte con te, se mi toccherà di nuovo farmi trattare da
Alice come Barbie-cavia-da-laboratorio », brontolò.
Beh come
darle torto, era stata sequestrata da mia sorella, costretta nel suo enorme
bagno, completamente vittima della sua mercé; dall’altra parte io personalmente
avevo apprezzato il risultato finale. Amavo Bella per quel che era, anche con i
suoi soliti jeans, però fasciata in quel vestito blu scuro, senza spalline, e
con i tacchi alti la trovai magnifica.
Stavo per
ribadire la sua affermazione, facendole i dovuti complimenti, quando squillò il
telefono.
Estrassi
dalla tasca interna della giacca il telefono, e guardando il display aggrottai
le sopracciglia.
« Pronto,
Charlie » risposi, sospettoso. Perché aveva chiamato?
« Charlie? ».
Negli ultimi
tempi, da quando avevamo fatto ritorno a Forks potando Bella nelle sue
condizioni- viva per miracolo- suo padre era diventato molto apprensivo e
nonostante la profonda gratitudine che aveva riversato su mio padre, non poteva
dirsi lo stesso nei miei confronti. Mi riteneva responsabile per quanto
successo a sua figlia…e in tutta sincerità, non mi ero trovato in disaccordo
con lui.
<<
Qui a casa è venuto Tyler Crowel dicendo che aveva già appuntamento con Bella
>> nel sentire quelle parole, strabuzzai gli occhi. Che storia era mai
questa?
« Sta
scherzando! »
« Che c'è? »,
chiese Bella.
Non le
badai, e presi le rendini della situazione.
« Posso parlargli io? » suggerii, avevo
proprio voglia di dirgliele quattro.
Attesi solo
qualche secondo:
« Ciao Tyler,
sono Edward Cullen » sfoggiai una calma apparente.
Sentivo gli
occhi di Bella puntati addosso.
« Mi
dispiace che ci sia stato un fraintendimento, ma Bella è occupata, stasera »
poi divenni volutamente minaccioso. «Anzi, per la verità è occupata tutte le
sere, per chiunque, escluso il sottoscritto. Senza offesa. Spiacente se la tua
serata non andrà come speravi ». Chiusi la conversazione, ridendo soddisfatto.
Guardai
Bella, che era avvampata di rabbia, le mostrai una sguardo sorpreso.
« Credi che
abbia esagerato un po'? Non volevo essere offensivo riguardo a te ».
Mi ignorò,
accusandomi di altro.
« Mi stai
portando al ballo di fine anno! », strillò.
Avevo messo
in conto che non avrebbe gradito, ma mai mi sarei aspettato una reazione tanto
esagerata.
La guardai
tornando serio, e dissi tra i denti:
« Non fare
la difficile, Bella ».
Spostò lo
sguardo fuori dal finestrino.
« Perché mi
stai facendo questo? », chiese, nel panico..
« Sinceramente, Bella, dove credevi che ti
volessi portare? » le chiesi indicando il mio smoking.
Non
rispose, chinò il capo guardandosi il vestito, poi notai le lacrime rigarle le
guancie.
« È ridicolo.
Perché piangi? », chiesi irritato.
« Perché mi
hai fatta arrabbiare! >> esclamò, tornando a guardarmi.
« Bella »
la rimproverai, inchiodandola con uno sguardo.
« Cosa? »,
mormorò, turbata.
« Assecondami.
Per piacere» .
« Bene »,
mormorò « Te la do vinta. Ma vedrai. È un bel po' che non m'imbatto in una vera
disgrazia. Come minimo mi romperò l'altra gamba. Guarda la scarpa! È una
trappola mortale! » mi mostrò la gamba buona.
« Mmm » la
fissai più del necessario, non capendo perché nascondesse sempre delle gambe
così belle « Stasera voglio ringraziare Alice, ricordamelo ».
« Ci sarà
anche lei? ».
« Assieme a
Jasper, Emmett... e Rosalie ».
Indagai sul
suo viso: nonostante tutti si fossero abituati a lei, Rosalie continuava a fare
la difficile. Bella non mostrò segni di inquietudine, chiese invece:
« Charlie è
al corrente di questo? »
« Certo »
poi soffocai una risata: « A quanto pare, solo Tyler non sapeva nulla ».
Ma se era
uno stolto non era colpa mia: l’unica cosa che mi teneva lontano da Bella erano
le rare giornate di sole, per il resto del tempo a scuola eravamo inseparabili.
Arrivati a
scuola,parcheggiai affianco la cabriolet rosso fuoco di Rosalie.
Scesi
dall'auto e andai ad aprirle la portiera. Le offrii la mano.
Rimase
incaponita seduta al mio posto, a braccia conserte. Il parcheggio era affollato
di persone in abito da sera: tutti testimoni. Non avrei potuto estrarla
dall'auto con la forza, come non avrei esitato a fare se fossimo stati soli.
Sospirai:
« Di fronte
a un assassino sei coraggiosa come un leone, ma basta che qualcuno parli di
ballare... » scossi il capo, interdetto.
Rabbrividì
sentendo quella parola.
« Bella, ti
terrò lontana da tutti i pericoli, compresa te stessa. Non ti mollerò un
attimo, lo prometto ».
Davanti la
mia promessa, che trapelava di sincerità, il suo viso si rilassò.
« Forza,
adesso », dissi gentile. « Non sarà così male » mi chinai e con un braccio le
cinsi la vita. Afferrò l'altra mano, e si lasciò sollevare per uscire
dall'auto.
L’aiutai a
zoppicare fino all'ingresso della scuola, tenendola ben stretta a me.
Quando
entrammo nella palestra, le scappò un risolino. C'erano veri arcobaleni di
palloncini e ghirlande attorcigliate di carta crespa sulle pareti.
« Sembra
l'inizio di un film dell'orrore », disse, ridendo sotto i baffi.
« Be '»,
mormorai mentre ci avvicinavamo a fatica al tavolo che fungeva da biglietteria
- reggevo quasi tutto il mio peso, ma era comunque costretta a dondolare il
piede per trascinarsi in avanti -, «in effetti i vampiri non mancano».
Guardò la
pista da ballo, al centro si era formato uno spazio vuoto in cui Rosalie ed
Emmett roteavano divinamente. Gli altri ballerini restavano ai margini della
sala, per fare spazio: tutti temevano il confronto.
Tutti i
presenti erano in soggezione da Emmett e Jasper, mentre Rosalie con il vestito
mozzafiato che aveva scelto era riuscita a far sentire mortificata ogni
ragazza.
« Vuoi che
blocchi le uscite, così potete massacrare gli ignari cittadini? », sussurrò
Bella, con fare cospiratorio.
« E tu da
che parte stai? ».
« Con i
vampiri, ovvio ».
« Qualsiasi
cosa, pur di non ballare » notai, incapace di trattenere un sorriso.
« Qualsiasi
cosa ».
Comprai i
biglietti, poi la feci voltare in direzione della pista da ballo. Stava
abbarbicata al mio braccio e trascinava i piedi, opponendo resistenza.
« Ho tutta
la serata », le feci notare, di tempo non me ne mancava.
Alla fine
riuscii a trascinarla nel punto in cui i miei fratelli piroettavano. Bella si
arrestò a guardarli spaventata.
« Edward »
la sua voce si era fatta rauca.«Sinceramente, non so ballare! »
« Sciocca,
non preoccuparti », risposi. « Io sì » guidai le sue mani a cingermi il collo,
la sollevai appena e feci scivolare i piedi sotto i suoi.
E anche noi
ci ritrovammo a roteare.
« Mi sembra
di avere cinque anni », disse ridendo, dopo qualche minuto di quel valzer in
cui era trasportata senza sforzo.
« Non li
dimostri » , mormorai stringendola di più a me, e per un istante volò qualche
centimetro dal suolo.
“Coraggio
Bella, lasciati andare”
Sentendo
quel pensiero, capii che Bella spostando momentaneamente lo sguardo, aveva incontrato
quello di mia sorella.
« Okay, non
è così male, lo ammetto ».
Non le
badai, fissai lo sguardo irritato.
« Che c'è? »,
chiese ad alta voce.
Dato il mio
silenzio, seguì il mio sguardo e vide anche lei Jacob farsi largo tra la folla
per venire verso di noi.
Ringhiai
sottovoce, leggendo nella sua mente.
« Controllati!
», sibilò.
« Vuole
fare due chiacchiere con te » l’avvertii furioso.
A quel
punto Jacob ci raggiunse: il ragazzo era in imbarazzo glielo si poteva leggere
in faccia, ma non m’impietosì.
« Ehi,
Bella, speravo proprio di trovarti ».
Fu quello
che disse, ma non quello che pensò: aveva sperato nell’esatto opposto.
« Ciao,
Jacob », rispose Bella, ricambiando il suo sorriso. « Tutto bene? ».
« Mi
concedi un ballo? », azzardò, lanciandomi un'occhiata.
Non mi fece
piacere la sua proposta, ma conoscevo abbastanza bene Bella ormai e sapevo che
lei non glielo avrebbe negato,così senza dire una parola la feci scendere dai
miei piedi e mossi un passo indietro.
« Grazie »,
disse Jacob, cortese.
Annuii e le
rivolse uno sguardo deciso, prima di allontanarmi, andandomi ad appoggiare al
muro: non avevo intenzione di perderli di vista.
Jacob le si
avvicinò e presero posizione nella danza.
« Accidenti,
Jake, quanto sei alto adesso? ».
« Più di un
metro e ottanta », rispose fiero.
In realtà
non ballavano,si limitavano a dondolare
goffi sul posto. Jacob, al mio contrario, non era un ballerino provetto.
« Come sei
finito qui, stasera? », gli chiese Bella.
« Ci credi
se ti dico che mio padre mi ha dato venti verdoni per venire al tuo ballo di
fine anno? », confessò lui.
« Sì, ci credo »rispose Bella. « Be', se non
altro spero che tu ti stia divertendo. Hai visto qualcuna che ti piace? ».
Indicò un gruppo di ragazze, allineate lungo.
« Sì »,
sospirò, « una, ma è occupata ».
Ovvio che
anche lui fosse uno spasimante di Bella, non potevo far altro che sopportarlo
da bravo fidanzato.
Jacob abbassò
gli occhi e incontrò i suoi per un istante. Poi entrambi distolsero lo
sguardo, imbarazzati.
« A
proposito, sei molto carina stasera », aggiunse timido.
Carina era
un’offesa, per quanto era stupenda quella sera.
« Ehm,
grazie. Ma perché Billy ti avrebbe pagato per venire qui? »
« Secondo lui era un posto "sicuro"
per parlare con te. Mi sa tanto che il vecchio ha perso qualche rotella » disse
Jacob, guardando altrove dal viso di Bella.
Entrambi
risero, senza convincimento.
« E
comunque, mi ha detto che se ti riferisco un certo messaggio, mi procurerà il
cilindro freni che cerco » proseguì Jacob.
« Allora
parla. Ci tengo a vedere la tua macchina finita »,
Stava per
rivelarle il motivo per cui era venuto, scrutai l’espressione di Bella.
« Non
arrabbiarti, okay? ».
«Non sono capace di arrabbiarmi con te, Jacob.
E non mi arrabbierò con Billy. Dimmi pure ».
« Be'...
scusa, Bella, mi sembra talmente stupido... vuole che lasci il tuo ragazzo. Mi
ha pregato di chiedertelo "per favore" ».
Se non
altro il disgusto che Jacob ostentò, era sincero.
« È ancora
superstizioso, eh? ».
« Sì. Ha...
perso la bussola, quando ti sei fatta male a Phoenix. Non ha creduto che... ».
« Sono caduta » specificò Bella, severa.
« Lo so ».
« Pensa che
Edward abbia a che fare con ciò che mi è successo ».
Jacob non
osava guardarla negli occhi. Non si preoccupavano nemmeno più di dondolare a
ritmo, benché le sue mani fossero rimaste sui fianchi di Bellache aveva le sue allacciate al collo di Jacob.
« Senti,
Jacob, so che Billy stenterà a crederci, ma te lo dico lo stesso ». A quel
punto tornò a fissarla, rincuorato dal tono sincero delle parole di Bella. « Edward
mi ha davvero salvato la vita. Se non fosse stato per lui e suo padre, a
quest'ora sarei morta ».
« Lo so »,
rispose.
« Senti, mi
dispiace che tu sia venuto fin qui solo per questo, Jacob. Se non altro, vedi
di rimediare il tuo pezzo mancante, eh? ».
« Sì »,
bisbigliò, ma era ancora teso visto che doveva riferirle un altro messaggio.
« C'è
dell'altro? », gli chiese
« Lascia
perdere. Mi troverò un lavoro e metterò da parte qualche soldo ».
« Sputa il
rospo, Jacob ».
« Non ce la
faccio ».
« Non
m'importa. Parla ».
« Va
bene... però, uffa, non è una bella cosa ». Scosse il capo. « Ha detto di
dirti, no, di avvertirti - guarda che il plurale è suo, non mio - che...
», staccò le mani da lei e mimò le virgolette, « "ti terremo d'occhio" ». Attese la
sua reazione, ansioso.
Sembrava la
battuta di un film sulla mafia. Non riuscii a trattenere una risata ad alta
voce.
« Mi
dispiace che ti sia toccato farlo, Jake ».
« A me non
dispiace granché » sorrise ammirandola, almeno aveva avuto occasione di vederla.
« Quindi devo dirgli di farsi gli affaracci suoi? », chiese speranzoso.
« No »,
sospirò Bella. «Ringrazialo. So che lo fa per il mio bene».
La canzone
finì, e lei sciolse l'abbraccio.
Lui esitò e
guardò la sua gamba malconcia:
« Vuoi
ballare ancora? O vuoi che ti aiuti a spostarti? ».
Ma a quel
punto il mio livello di sopportazione era giunto al termine e reclamai Bella:
« Tutto a
posto. La riprendo io ».
“Non l’ho
sentito neanche avvicinarsi, ma come ha fatto?”
« Ehi, non
ti avevo visto », mormorò Jacob. « Allora ci vediamo, Bella ». Fece un passo
indietro e un cenno di saluto.
« Sì, ci
rivediamo presto » lo saluto, sorridendo.
« E scusami
», ripeté ancora e si diresse verso la porta.
Appena
attaccò la canzone successiva, la strinsi. Era un ritmo un po' troppo sostenuto
per ballare un lento, ma non vi badai volevo stringerla me. Poggiò la testa
sul mio petto.
« Ora va
meglio? », mi chiese.
« Non
proprio ».
« Non
prendertela con Billy », sospirò. « È preoccupato per me perché Charlie è suo
amico. Niente di personale ».
«Non ce
l'ho con Billy », precisai brusco. « È suo figlio a irritarmi ».
Indietreggiò
per guardarmi meglio, e si accorse della serietà sul mio viso.
« Perché? ».
« Prima di
tutto, mi ha costretto a violare la mia promessa ».
Mi fissò
sconcertata.
« Avevo
promesso che stasera non ti avrei mollata neanche per un secondo» dissi
accennando un sorriso.
« Ah. Be',
sei perdonato ».
« Grazie.
Ma c'è dell'altro » dissi aggrottando le sopracciglia.
Aspettò che
specificai.
« Ha detto
che sei carina »,aggiunsi, infine, scuro in volto. « Il che è
praticamente un insulto, stasera. Sei molto più che bellissima ».
« Forse il
tuo è un giudizio di parte », disse ridendo.
« Non
credo. Inoltre, la mia vista è perfetta ».
Avevamo
ricominciato a roteare vicini, i miei piedi sotto i suoi.
« Mi
spieghi il perché di tutto questo? », domandò.
La guardai,
confuso, e lei accennò ai festoni di carta crespa.
Restai a
pensare per un momento, e poi cambiai direzione, volteggiando assieme a lei
attraverso la folla, verso l'uscita posteriore della palestra. Incontrammo
tutto il gruppo di amicizie di Bella, senza fermarci. Rimasti soli all’aperto
la sollevai tra le braccia e la portai fino alla panchina ai piedi dei corbezzoli.
Mi sedetti e presi a cullarla stringendola contro il petto.
« Allora? »,
chiese sottovoce.
Non
l’ascoltavo, guardavo la luna già sorto:inquieto.
« Di nuovo
il crepuscolo », mormorai. « Un'altra fine. Ogni giorno deve finire, anche il
più perfetto ».
« Non è
detto che tutto abbia una fine », mormorò tra sé.
Mi lasciai
sfuggire un sospiro, capendo a cosa alludesse.
« Ti ho
portata al ballo perché desidero che tu non ti perda niente. Non voglio che
la mia presenza ti privi di nulla, finché mi è possibile. Voglio che tu sia umana.
Voglio che la tua vita prosegua come se fossi morto nel 1918, come era mio
destino ».
« In quale
strana dimensione parallela pensi che sarei venuta al ballo di mia spontanea
volontà? Se tu non fossi mille volte più forte di me, non ti avrei mai lasciato
fare » tremò e scosse il capo.
In un primo
momento sorrisi, ma tornai subito serio:
« Non è
andata così male, l'hai ammesso anche tu ».
« Perché
ero con te ».
Per un po'
restammo in silenzio: io guardavo la luna, mentre sentivo i suoi occhi su di me.
« Mi dici
una cosa?», chiesi, sbirciandola sorridendo
a mezza bocca.
« Non ti
dico sempre tutto? ».
« Promettilo
», insistetti.
« D'accordo
».
« Mi sei
sembrata sinceramente sorpresa quando hai capito che ti stavo portando qui... ».
« Sì, lo
ero »,mi interruppe.
« Appunto...
ma certo sospettavi qualcos'altro... Sono curioso: per quale occasione pensavi
che ti avessi fatto vestire così? ». << Non te lo dico».
« Hai
promesso ».
« Lo so ».
« Che
problema c'è? ».
Non capivo
il suo imbarazzo.
« Non
vorrei farti arrabbiare... o intristire ».
Aggrottai
le sopracciglia pensieroso:
« Non m'importa. Per favore, dimmelo ».
Fece un
sospiro.
« Be'...
davo per scontato che fosse un'occasione... speciale. Ma non immaginavo che fosse
una mediocre faccenda umana... Il ballo di fine anno! », disse sprezzante.
« Umana? »,
chiesi, senza fare una piega. Avevo intuito che la parola chiave fosse “umana”
Si guardò il
vestito, giocherellando con un lembo dello chiffon. Restando in silenzio,
attesi.
« Va bene ».assentì.
« Ecco, speravo che avessi cambiato idea... e che ti fossi deciso a cambiare me,dopotutto ».
A quelle
parole reagii prima con rabbia, poi tormento…infine riuscii ad emettere una
risata.
« E secondo
te quella sarebbe stata un'occasione da vestito da sera, eh? », dissi,
provocandola, e aggiustai il risvolto della giacca da smoking.
Abbassò gli
occhi per nascondere l'imbarazzo.
« Non so
come funzionano queste cose. A me, però, sembra più logico che per un ballo di
fine anno ». Non riuscivo a smettere di sogghignare. «Non c'è niente da
ridere», tagliò corto.
« No, hai
ragione, certo che no », e il mio sorriso sparì. « Però preferisco prenderla a
ridere, piuttosto che credere che tu possa dire sul serio ».
« Ma io
dico sul serio ».
« Lo so. E
ci terresti davvero? » le chiesi, sospirando tormentato.
Incontrò i
miei occhi, e mordendosi il labbro inferiore annuì.
« E allora
preparati alla fine », mormorai, quasi tra me. « Preparati al crepuscolo della
tua vita appena iniziata. Preparati a rinunciare a tutto ».
« Non è la
fine, è l'inizio. È la luce dell'alba », mi corresse, sottovoce.
« Non ne
sono degno », risposi, triste.
« Ricordi
quando mi hai detto che non avevo una percezione chiara di me stessa? », chiese,
alzando le sopracciglia. «Evidentemente tu sei cieco allo stesso modo ».
« Io so ciò
che sono ».
Sospirò.
Mi
concentrai su di lei. Strinsi le labbra e la scrutai da vicino. Esaminai il suo
viso, nella sua bellezza umana.
« Perciò,
ti senti pronta? ».
« Ehm » , deglutì.
« Sì ».
Sorrisi e
inclinai la testa fino a sfiorarle con le labbra fredde l'incavo sotto il
mento.
« Adesso? »,
dissi in un soffio. Rabbrividì al mio respiro sul collo.
« Sì »,
sussurrò.
Risi cupo e
mi allontanai: che delusione, aveva poca stima di me.
« Secondo
te cederei così facilmente? », chiesi sarcastico, con una nota di amarezza.
« Sognare
non costa niente ».
« Questo sarebbe il tuo sogno? Diventare un
mostro? » sgranai gli occhi allibito.
« Non
proprio », rispose. « Più che altro, sogno di restare con te per sempre ».
Nel sentire
la sua sofferenza, addolcii l’espressione dei miei occhi.
« Bella »
le sfiorai il contorno delle labbra con un dito. « Starò sempre con te. Non ti
basta? ».
« Mi basta,
per ora » sentii le sue labbra stirarsi in un sorriso, sotto le dita.
La sua
testardaggine mi fece perdere la pazienza. Era decisa quanto a me a non volersi
arrendere. Ruggii lievemente.
« Stammi a
sentire. Ti amo più di qualsiasi altra cosa al mondo, senza eccezioni. Non ti
basta? » mi chiese, sfiorandomi il viso.
« Sì, mi basta », risposi, sorridendo. « Mi
basta, per sempre ».