Sole di mezzanotte

di maryana
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chi sei veramente. ***
Capitolo 2: *** Eccezione. ***
Capitolo 3: *** Inaspettato. ***
Capitolo 4: *** Arreso ***
Capitolo 5: *** L'odore del sangue ***
Capitolo 6: *** Caccia ***
Capitolo 7: *** Mi manchi ***
Capitolo 8: *** Ansia ***
Capitolo 9: *** Sincerità. ***
Capitolo 10: *** Chiarimenti ***
Capitolo 11: *** Essere in te ***
Capitolo 12: *** Emozione ***
Capitolo 13: *** Prima volta ***
Capitolo 14: *** Controllo ***
Capitolo 15: *** Nella tana dei vampiri. ***
Capitolo 16: *** Genesi ***
Capitolo 17: *** Visite. ***
Capitolo 18: *** Strategie ***
Capitolo 19: *** La partenza ***
Capitolo 20: *** Pedinamenti ***
Capitolo 21: *** Attesa ***
Capitolo 22: *** Il salvataggio ***
Capitolo 23: *** Sollievo ***
Capitolo 24: *** Testardaggine ***
Capitolo 25: *** Il ballo ***
Capitolo 26: *** Il ballo ***



Capitolo 1
*** Chi sei veramente. ***


Prologo.

Poche volte, durante la mia secolare vita avevo provato del puro terrore.

In passato anche quando ero allarmato da qualcosa, ero sempre stato lucido e razionale, trovando la soluzione per uscirne il più indenne possibile.

Ma quando a rischiare la vita è una persona senza la quale sai di non poter vivere, di tempo per pensare non ce n’è. Si può fare solo una cosa in tale circostanza: agire!

 

1

Chi sei veramente?

Lasciai scivolare delicatamente il libro che stavo leggendo sul divano, all’irruente entrata di mio fratello Emmett nella mia camera.

Lo guardai incuriosito, come a chiedergli in che modo potessi essergli utile; rispose alla mia espressione con un sorriso ironico.

<< Cosa stavi leggendo? >> s’informò senza troppo entusiasmo.

Non mi lasciò il tempo di rispondergli, anticipando la mia risposta prendendo il libro tra le mani e leggendo il titolo,stampato in caratteri dorati, sulla copertina:

<< Amleto..che allegria! >> disse marcando il sarcasmo nella sua affermazione.

Sorrisi a mezza bocca, scuotendo il capo.

<< La notte è lunga! >> Gli lascai intendere che in qualche maniera dovevo pur trascorrere il tempo.

Era un libro che avevo letto più di dieci volte nell’arco della mia vita, ma quando si è vivi da su per giù un secolo, sono rare le cose che non si ha avuto il tempo di fare.

Nel caso di Emmett, come di tutti gli altri componenti della mia famiglia, si poteva facilmente immaginare che avesse trascorso quelle lunghe ore notturne in compagnia della sua dolce metà: mia sorella Rosalie.

<< Le tenebre se ne stanno andando…è l’alba ormai! Vieni a fare una corsa con me e Jasper, prima di affrontare un’altra giornata scolastica? >>

Avevo, teoricamente parlando, diciassette anni, quindi per celare agli abitanti di Forks la nostra vera natura vampiresca, frequentavo insieme ai mie fratelli, il liceo...nonostante lo avessimo finito da un pezzo, e ripetuto un considerevole numero di volte.

<< Un po’ d’esercizio mattutino non fa mai male! >>

Gli passai accanto superandolo, sorrisi divertito quando captai i suoi pensieri, grazie al mio singolarissimo dono:

<< Davvero vuoi fare una gara?! Sai benissimo chi di noi tre è il più veloce… e senza offesa, non sei tu! >>

Non lo guardai in viso, continuavo a tenergli le spalle, eppure sapevo benissimo di averlo irritato.

Senza che il mio sorriso si oscurasse, presi velocità e mi catapultai fuori:

<< Se ti prendo!! >>

Lo sentii minacciarmi, mentre il vento mi sferzava il viso senza procurarmi alcun fastidio, sfrecciavo tra gli alberi della foresta che circondava casa nostra, nascondendola alla vista.

Alla fine, divenne una sfida tra me e mio fratello, Jasper rimase in disparte scuotendo il capo interdetto…sapevo cosa stava pensando: io ed Emmett eravamo sempre i soliti.

Nonostante fossimo lontani da nostro fratello, sentii Alice avvicinarsi a Jasper:

<< Non cambieranno mai, eh?! >>

Pochi istanti dopo, Alice mi rivolse un pensiero:

“Edward, smettetela di fare i ragazzini. Tra poco dobbiamo andare a scuola…e dovete ancora cambiarvi!”

Ammiccai scuotendo lievemente il capo, Alice ci costringeva a cambiarci ogni giorno d’abiti e una cosa non poteva essere indossata più di due, massimo tre, volte.

Di colpo cambiai rotta, dirigendomi verso casa:

<< Muoviti Emmett, se vuoi battermi devi arrivare prima di me a casa! >> gli urlai senza diminuire la velocità.

Come volevasi dimostrare, il vincitore ero io.

Lo aspettai davanti la sua camera, appoggiato a braccia conserte contro lo stipite della porta:

<< Ben arrivato! >> lo schernii al massimo del divertimento.

In tutta risposta, Emmett si lasciò sfuggire un suono gutturale, che accentuò la mia ilarità.

Mi cambiai al volo, soddisfacendo mia sorella ed in poco tempo mi ritrovai insieme a tutti gli altri in garage.

Presi posto alla guida, Emmett salì sul sedile accanto al mio, mentre gli altri presero posto su quello posteriore.

Durante il tragitto parlammo del più e del meno, senza provare nessuno di noi vero interesse a recarci a scuola: anni a ripetere il liceo, prima o poi diventa noioso!

Bastò varcare i cancelli della scuola, ancora nell’abitacolo della macchina, per sentire le voci degli studenti affollarsi nella mia testa; parcheggiai e come sempre varcai l’ingresso con la sola compagnia dei miei fratelli, e come sempre tutti finsero di non vederci…meglio stare lontano dalla stramba famiglia Cullen.

Fu sufficiente varcare le porte della scuola, fare giusto qualche passo lungo il corridoio per ritrovarmi davanti gli occhi un viso che non avevo mai visto: lunghi capelli castani, labbra carnose, una pelle chiara e due grandi occhi color cioccolato.

Un viso insignificante, come tanti altri, ma per me significava una sola cosa: una nuova mente che si aggiungeva alle altre, rendendo il chiacchiericcio provocato dall’afflusso di pensieri ancora più fastidioso.

Le menti dei ragazzi che mi circondavano, però in quel momento erano concordi:

“Niente male la nuova arrivata!”

E immancabilmente si stagliava davanti i miei occhi la sua figura, accompagnando quell’apprezzamento.

Più la vedevo e più mi convincevo che non c’era nulla di speciale in lei, a parte per il fatto che già per un paio di volte aveva rischiato di cadere…inciampando nei suoi stessi piedi!

<< Che c’è di tanto divertente? >>

La voce squillante di Alice mi riportò al presente, facendomi accorgere di star sorridendo.

<< Assolutamente nulla >>

La lasciai così, senza alcuna spiegazione in più, dirigendomi verso la mia lezione.

 

Non mi imbattei in lei fino all’ora di pranzo. Sedevo al tavolo con la sola compagnia dei miei familiari, nei nostri vassoi il cibo era intatto, non era quello ciò di cui avevamo bisogno per il nostro sostentamento.

Il momento del pranzo, era il più fastidioso: troppe “voci” che si sovrapponevano l’una con l’altra , procurandomi un leggera irritazione.

Guardavo la folla dei liceali senza vederli veramente, quando i nomi della mia famiglia- compreso il mio- catturarono la mia attenzione, volsi gli occhi nella direzione in cui la voce proveniva e la vidi.

Rimasi allibito, non per qualcosa che notai in lei, la sua fisionomia era molto rassomigliante a quella che avevo visto nelle menti degli altri, ma perché la sua conversazione con la sua amica era a senso unico.

Non arrivavo ai suoi pensieri, non sapevo cosa pensava, cosa stesse dicendo…era inquietante!

Incontrai i suoi occhi, distolsi subito i miei.

Mossi veloce le labbra a sussurrare a mia sorella Alice:

<< Non la sento!! >>

Alice non si mosse, continuava a tenere la mano di Jasper con un sorriso.

“Chi, la nuova arrivata?”

Annuii continuando a guardare davanti a me.

“Com’è possibile?!”

Nonostante continuasse ad esprimersi per pensieri, colsi la sua apprensione.

<< Sono il primo a chiedermelo! >> feci una pausa interdetto << Maledizione!! >> sibilai tra i denti.

Ero infastidito e sconcertato ma qualcosa che la sua amica- mi sembra che si chiamasse Jessica- disse provocò in me una risata.

<< Lo so è uno schianto. Ma pare che nessuna gli vada bene! >>

Mi dispiace Jessica, sono quel che sono!

Incontrai nuovamente gli occhi della ragazza misteriosa, e questa volta non distolsi lo sguardo ma anzi cercai d’indagare ancora più a fondo:

“Chi sei, Isabella Swan?”

Un gesto apparentemente impercettibile, di Alice mi riscosse facendomi capire di dovermi alzare.

Mentre camminavo sapevo che lei mi stava guardando, ma continuai a fissare un punto vuoto dinnanzi a me.

Purtroppo, Isabella, quel giorno voleva essere la mia condanna: durante l’ora di biologia la vidi varcare la porta.

L’unico posto libero era quello accanto al mio,perfetto!

Appena prese posto accanto a me, giunse alle mie narici il suo profumo…era diverso dagli altri, era…indescrivibile!

Ci mancava solo che l’assalissi, uccidendola lì davanti a tutti, e tanti saluti alla copertura.

Mi allontanai il più possibile da lei, volevo- dovevo- sfuggire dal suo profumo.

Non la guardavo, rimasi in tensione per tutta l’ora della lezione,speravo che scorressero in fretta quei minuti.

Al suono della campanella, con slancio mi alzai fiondandomi fuori dall’aula: aria!!

Dovevo fare qualcosa, qualunque cosa pur di non ucciderla, facendo vedere il mostro che ero.

L’unica cosa che riuscii ad escogitare fu quella di recarmi in segreteria quel pomeriggio, persuadere la segretaria a spostarmi l’ora di biologia.

<< La prego, sia gentile! >>

<< Spiacente Edward, dovrai restare a biologia >>

Ero consapevole del fascino che esercitavo su di lei, o almeno era quello che i suoi pensieri dicevano: si dispiaceva che ero troppo giovane per lei…ridicolo!Così senza perdermi d’animo, insistetti con la voce più suadente di cui ero capace, doveva cedere.

Ed improvvisamente, fui colto in pieno dallo stesso inebriante profumo…inspirai chiudendo gli occhi, cercando di non perdere il controllo: dovevo andare via da lì.

<< Non fa niente >> feci una pausa deglutendo << Mi rendo conto che è impossibile. Molte grazie lo stesso >> fui gentile, ma freddo.

Le passai accanto, provando una grande sete, la mia gola era in fiamme; incrociammo i nostri sguardi ed io la incenerii, non lo feci del tutto apposta, stavo solo soffrendo troppo.

No, così non andava! Dovevo trovare una soluzione.

 

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Capitolo 2
*** Eccezione. ***


2

Eccezione

 

Sbattei lo sportello della macchina con rabbia, impugnai il volante stringendolo in tensione, ero fuori di me!

Quando fui raggiunto dai miei fratelli, cercai di ritrovare la calma ma non credo di essere stato molto bravo a nascondere la mia irritazione.

Soprattutto con Jasper che possedeva un talento come me: era in grado di percepire gli stati d’animo di quelli che lo circondavano, influenzandoli.

Ero sicuro, che tutti si fossero accorti che qualcosa non andava, che non ero come al mio solito, eppure nessuno pose domande.

Premendo sull’acceleratore partii a tutta velocità verso casa, non vedevo del tutto la strada davanti a me…la mia mente era altrove: questa ultima giornata scolastica mi aveva riserbato due gran brutte sorprese…non riuscivo a leggere nella mente della nuova arrivata, e nonostante ciò mi infastidisse poteva passare come problema, ma che il suo odore mi facesse perdere la testa, senza riuscire ad impormi il mio solito contegno, era inammissibile!

Scossi il capo ripetutamente, per tutte quelle volte in cui la sua figura compariva prepotente davanti i miei occhi, ed il mio olfatto ricordava sensibilmente il suo odore…chi era, cosa aveva di speciale…perché lei?!

Nei pressi di casa, ero ormai prossimo a convincermi che poteva esserci una sola soluzione: andare via, per sempre!

Li lasciai tutti in garage, prima di rimettere in moto la macchina.

“Tu non vieni?”

Mi chiese telepaticamente Alice, guardandomi sorpresa: abbassai il finestrino.

<< Devo fare una commissione, arriverò prima che faccia buio >>

Mentii, certo se le avessi rivelato i miei piani di fuga non mi avrebbe mai lasciato andare.

Annuì con un sorriso e raggiunse gli altri in casa.

Fu così che tornai verso il centro di Forks, dovevo parlare con mio padre, il medico della città, così mi diressi all’ospedale.

Entrai senza indugio, anche se il mio cuore era in tempesta: mi ero visto costretto a lasciare la mia famiglia, ciò che in quel momento avevo di più caro.

Non vedevo realmente il lungo corridoio bianco, davanti a me c’era il viso dolce e gli occhi amorevoli di Esme, la mia madre adottiva, li immaginai rattristati dalla mia decisione.

Ero arrivato davanti la porta dello studio di Carlisle, ma rimasi con la mano sospesa in aria esitante: e se avessi lasciato perdere?!

Ma improvvisamente ripensai ad Isabella, e il risultato fu lo stesso, la gola bruciava e la bramosia del suo sangue era sempre più forte.

No, dovevo andarmene al più presto. E l’unico che potevo mettere al corrente della mia decisione era Carlisle. Esme ed Alice ero certo non avrebbero mai permesso la mia partenza.

<< Devo andare via! >>

Mio padre si alzò dalla sua scrivania, allibito:

<< Cosa è successo? >>

<< Se voglio evitare la morte di un’innocente, devo lasciare Forks >>

Carlisle era sempre più sconcertato.

<< Per favore, Edward, calmati e spiegami tutto più chiaramente >>

Mi lasciai cadere su una sedia, improvvisamente esausto:

<< La figlia dell’ispettore capo Swan… è diversa- a parte che non riesco  leggerle nella mente, cosa di per sé inspiegabile- il suo odore è diverso. Non riesco a starle vicino, ho avuto più d’una volta la tentazione di volerla uccidere bevendo il suo sangue >>

Parlavo veloce, senza controllo.

Carlisle annuì con il capo, prima di sedersi di fronte a me, al di là della scrivania.

<< Pensi proprio di non poter sopportare oltre? >>

Scossi il capo con le narici dilatate, scuro in volto.

<< Non posso trattenerti, se in gioco c’è la vita di una ragazza >>

<< Grazie, sapevo che avresti capito >>

Ci alzammo entrambi, mi abbracciò con fare paterno:

<< Dove andrai? >>

<< In Alaska, pensavo di recarmi un po’ ospite dal clan di Denali >>

<< Ottima idea, li avverto del tuo arrivo >> si avvicinò al telefono << Ma sono certo che ti accoglieranno senza problemi >>

Assentii con il capo un’ultima volta, prima di voltarmi pronto ad andarmene:

<< Edward >>

Mi rigirai nel sentire il mio nome, ma la mano stringeva già la maniglia.

<< Chiama quando arrivi >>

<< Certo >>

<< Buona fortuna, figliolo >>

<< Grazie… abbraccia Esme da parte mia… >> fui sopraffatto dal dispiacere nel pronunciare il suo nome.

Fuori dall’ospedale, presi la macchina di Carlisle, avevo bisogno di un pieno.

Avevo percorso pochi kilometri quando sentii una voce nella mia testa:

 “ Non farlo, Edward!”

Era mia sorella Alice, evidentemente ero ancora abbastanza vicino da poterla sentire. 

Una parte di me aveva sperato che mia sorella, dotata come me di un talento, non avesse una visione sulla scelta che avevo fatto…ma invece, lo sapeva eccome.

Non potevo rispondere alla sua supplica, ma lei continuò a scongiurare:

“Resisti ce la puoi fare”

Più i kilometri aumentavano, e più la sua voce andava sbiadendosi.

“Mi mancherai…”

Fu l’ultimo pensiero di Alice che riuscii a percepire.

Strinsi con forza il volante,sapevo che sarei mancato a tutti loro, e la cosa era reciproca ma nonostante il grande affetto che ci legava, non potevo fermarmi…potevo solo continuare il mio viaggio, con il cuore sempre più pesante.

Non guidai con troppa foga, non avevo fretta di raggiungere la mia meta, meno che mai di lasciare Forks.

Prima di imbarcarmi per il viaggio vero e proprio, avevo bisogno di fare una piccola deviazione…la struttura che mi era dinnanzi era silenziosa, l’ispettore capo non era ancora rientrato. Scesi dalla macchina, alzai gli occhi verso il piano superiore e la vidi: mi dava le spalle, potevo scorgere solo i suoi lunghi capelli; così era per lei che me ne stavo andando!

 

Per un uomo normale sarebbe stato un viaggio impossibile senza concedersi una sosta, ma al mio arrivo avvenuto durante le prime luci dell’alba, ero fresco e riposato come se mi fossi appena messo in viaggio.

Percorsi pochi e lenti passi, quando mia cugina Tanya spalancò la porta raggiante, venendomi incontro a braccia spalancate.

<< Edward, finalmente!! >>

Mi fermai, per ricambiare l’abbraccio.

<< Sono così contenta che tu sia qui! >> disse ancora stretta a me.

<< Fa piacere anche a me >> non era del tutto vero, ma lei non poteva saperlo.

Mi liberai della sua stretta, leggendo il suo pensiero:

“Forse…”

Non volevo sapere il resto, non credo mi interessasse saperlo.

Senza mostrare la delusione, che i suoi pensieri tradirono, mi sorrise.

<< Vieni, entriamo in casa >> mi invitò prendendomi sottobraccio.

Il resto della famiglia era composto dalle sue sorelle.

Carlisle aveva ragione, si mostrarono tutte molto liete di ospitarmi a tempo indeterminato.

Come promesso, dopo i convenevoli e l’avermi mostrato la stanza che avrei occupato, seduto sul bordo del letto recuperai il cellulare per comporre il numero di casa.

Fu sufficiente un primo squillo per sentire una voce dolce all’altro capo del telefono:

<< Esme…sono io >>

<< Edward… >> fu ciò che disse lei, dopo un secondo di silenzio. << Come stai? >>

Passammo il resto della conversazione a parlare del più e del meno: il mio viaggio, come avevo trovato i nostri parenti, dovevo ricordarmi di salutarglieli.

Finita quella breve telefonata, non trovai la voglia di scendere al piano sottostante e circondarmi dell’affetto delle vampire mie ospiti.

Mi avvicinai alla libreria ben rifornita di libri e ne scelsi uno a caso.

Lessi solo qualche capitolo, quando sentii picchiettare sulla porta:

<< Sì?! >> chiesi garbato.

A quel punto sbucò la testa bionda di Tanya.

<< Disturbo? >> mi chiese gentile, mostrandomi il suo solito solare sorriso.

<< No, figurati! >> avrei gradito la solitudine, ma essere scortese non era nei miei piani.

<< Che fai qui tutto solo? >>

Era una domanda retorica così mi limitai a sollevare il libro.

Tanya scosse il capo a braccia conserte. Mi osservò piegando il capo da un lato senza smettere di sorridere, prima di avvicinarsi a me e prendermi per mano.

<< Non puoi fare sul serio…Scendi giù con me, un po’ di compagnia è ciò di cui hai bisogno! >>

Mi lasciai condurre docile al piano di sotto, dove mi accolsero cinque visi ilari.

Mi sedetti accanto a Tanya su uno dei due divani, ascoltavo in silenzio i loro discorsi senza sentirli davvero, la mia mente non era lì con loro…

<< Edward? >>

La voce di mia cugina, mi riscosse:

<< Scusate, mi ero distratto un attimo >>

Le mie scuse suscitarono un risolino in tutte loro.

<< Perché non suoni per noi?! >>

Le guardai interrogativo:

<< La tua fama ti ha preceduto…Esme ci ha detto che sei un talento unico! >>

Non mi stupii più di tanto del complimento, però indugiai dall’alzarmi per sedermi al piano.

<< Su, non farti pregare! >> disse Tanya.

Mi girai ad incontrare i suoi occhi dolci, sorrisi a mezza bocca e mi alzai.

Le accontentai, se non altro avrei messo a tacere le loro incitazioni.

Durante il mio soggiorno trascorsi ben poco tempo da solo, forse premurosamente si preoccupavano di non farmi sentire troppo la mancanza della mia famiglia.

Era piacevole stare con loro, ma non era paragonabile a Forks…

Fu quello che pensai la seconda notte passata in casa loro, guardando fuori dalla finestra: e se stavo commettendo il più grosso sbaglio, forse allontanarmi da Forks non era stata una grande idea, cominciavo a nutrire l’idea di poter tornare e affrontare la situazione al meglio…magari con un po’ di buona volontà ci sarei riuscito. Dopotutto chi era Isabella Swan per impedirmi di vivere dove desideravo.

Ad interrompere la scia dei miei pensieri fu l’entrata di Tanya:

<< Posso entrare? >>

Le sorrisi in segno di assenso.

Si sedette sul divano dietro la finestra, vicino a me…i raggi lunari rischiaravano la nostra pelle, rendendola più pallida del naturale.

<< A cosa pensi? >> mi chiese dolcemente.

<< A casa… >> lasciai il discorso sospeso, non volevo parlarne.

<< Da quando sei qui, non ci hai detto perché te ne sei andato >>

Sospirai prima di risponderle con franchezza:

<< Preferirei non affrontare il discorso… >>

Distolsi lo sguardo da lei, che si avvicinò maggiormente a me.

Al tocco delle sue dita sulle mie, tornai a guardarla:

<< Ti puoi fidare di me… >> disse con voce flebile, le fronte corrugata dal dispiacere per il mio essere turbato.

<< Lo so…davvero, e ti ringrazio…ma… >>

<< Ma, non me lo dirai >> tagliò corto lei, ritirando la mano.

“Perché mi respingi?”

A testa china, i lunghi capelli biondi le nascondevano il volto, probabilmente sofferente.

Mi alzai, dandogli le spalle guardai fuori dalla finestra:

<< Credimi, non ne vale la pena! >>

Si alzò anche lei, potevo percepirla a pochi metri da me.

<< Sì, invece…>> fece una piccola pausa, la sentii deglutire << Sei tu che non darai mai il tuo cuore a nessuna…anche se il perché mi è difficile stabilirlo! >>

Continuavo a tenere gli occhi fissi sul panorama notturno, ascoltammo i nostri respiri asincroni senza fiatare.

Fui io a spezzare quella quiete:

<< Meglio se torno a Forks… >>

Tanya non si mosse, non pronunciò parola, la sentii solo sospirare. Mi girai a guardarla:

<< Grazie dell’ospitalità >> le dissi posandole una mano sulla spalla.

Lei continuò a restare in silenzio, si limitò ad annuire.

Fu così che dotato di una grande forza di determinazione mi rimisi in viaggio, verso casa e accada quel che accada…

Appena entrato nell’ingresso vidi Alice precipitarsi sulle scale, mi abbracciò di slancio:

<< Lo sapevo!! >> esclamò entusiasta.

Sorrisi scuotendo il capo.

C’era una sola cosa da fare prima del grande rientro: una grande caccia, arrivare a scuola il più sazio possibile.

Come le prima volta, non vidi Isabella fino all’ora di pranzo; avevo deciso che la cosa migliore era quella di mostrare indifferenza e mostrarmi il più naturale possibile, così come tutti gli altri, anche io ed i miei fratelli giocammo con la neve godendoci la giornata.

Non le mostrai la mia attenzione fino a che Jessica non le pose una domanda:

<< Bella, cosa stai guardando? >>

Me, guardava me, indagava sul mio volto…cercava di scorgere una differenza che non sarebbe stata in grado di individuare.

Distolse lo sguardo, probabilmente, imbarazzata. Chinò il capo lasciando che i capelli le coprissero il viso.

Continuai ad indagare sulla sua figura: dovevo capire chi era.

Le permisi di arrivare per prima all’ora di biologia, quando entrai in aula aveva già preso posto.

Scostai la sedia così da permettermi di sedermi, ma lei non scostò gli occhi dal quaderno.

<< Ciao >> la salutai tranquillo con un sorriso dipinto sulle labbra.

<< Mi chiamo Edward Cullen» continuai « La settimana scor­sa non ho avuto occasione di presentarmi. Tu devi essere Bella Swan >> usai prontamente il suo diminutivo, perché chiunque l’avesse chiamata con il suo nome di battesimo veniva prontamente da lei corretto.

Non rispose, sembrava stordita neanche le avessi dato una botta in testa, aspettai paziente che dicesse qualcosa:

<< Co…come fai a conoscere il mio nome? >> balbettò confusa.

Mi scappò una risata divertita:

<< Oh penso che tutti sappiano come ti chiami. La città intera ti stava aspettando. >>

<< Intendevo, come mai mi hai chiamato Bella >>

<< Preferisci che ti chiami Isabella? >> chiesi spacciandomi per confuso.

<< No, Bella mi piace >> risposi lei. << Ma Charlie - voglio dire, mio padre - quando parla di me credo mi chiami Isabella: a quanto pare qui tutti mi conoscono con quel nome >>.

<< Ah >> dissi, facendo cadere il discorso.

Il perché la chiamai prontamente Bella non potevo rivelarglielo.

In quel momento il professor Banner iniziò la lezione, spiegando l’elementare esercizio che avremmo dovuto svolgere a coppie.

<< Prima le donne, collega? >> le chiesi beffardamente, sorridendo.

Non ripose, smisi di sorridere proponendo di cominciare per primo, ma lei si riscosse prontamente dissente.

Analizzò il vetrino nel microscopio:

<< Profase >> fu il suo giudizio.

<< Permetti che io controlli? >> non che non mi fidassi, volevo stuzzicarla.

Le presi le mani per fermarla, evidentemente le mie erano troppo fredde perché allontanò subito la presa.

<< Scusa >> dissi ritirando la mano, mi piegai sul microscopio e analizzai il vetrino a mia volta.

Continuammo l’esercizio, che terminammo prima degli altri.

Nel momento morto in cui ci trovammo, Bella cercava di non guardami ma fallì, si girò ad incontrare i miei occhi già fissi su di lei.

<< Porti le lenti a contatto? >> chiese con naturalezza.

Ecco una domanda che preferivo non mi venisse posta…ed ora cosa m’inventavo?

<< No >>

<< Oh mi sembra di aver notato qualcosa di diverso nei tuoi occhi >>

Alzai le spalle guardando altrove: però la ragazza si dimostrava una brava osservatrice!

Il professor Banner si avvicinò al nostro tavolo:

<< Scusa, Edward, perché non hai lasciato usare il microsco­pio anche a Isabella? >>, chiese il professor Banner.

<< Bella >> lo corressi, automaticamente.<< A dire la verità, è stata lei a identificarne tre su cinque >>.

Il professore le chiese se aveva già fatto prima quell’esperimento, a quella domanda Bella rispose affermativamente.

Rimasti nuovamente soli, lei riprese a scarabocchiare sul quaderno.

Presi spunto da una conversazione che aveva avuto a pranzo con Jessica per riallacciare la conversazione.

<< Peccato per la neve, eh? >>

<< Non direi >> rispose con tutta sincerità.

Dedussi che il freddo non le piacesse e lei aggiunse che non amava particolarmente neanche l’umido.

La domanda mi sorse spontanea:

<< Allora perché, sei venuta qui? >>

<< E’ una storia…complicata >> si tenne sul vago.

<< Penso di poterla capire >> insistetti, volevo saperne di più…cominciavo ad essere interessato.

Fece una lunga pausa, mi guardò e con la sua solita naturalezza mi rispose:

<< Mia madre si è risposata >>

<< Non sembra così complicato >> addolcii il mio sguardo comprensivo << Quando è stato? >>

<< Settembre >> la sua voce si incrinò. Non potevo leggerle nella mente, ma era lampante che fosse triste.

<< E lui non ti piace >> conclusi io.

<< No, Phil va bene. Forse troppo giovane, ma un bel tipo >>.

<< Perché non sei rimasta con loro? >>

« Phil viaggia molto. Gioca a baseball. È un professionista » fece un mezzo sorriso.

« Lo conosco? », chiesi, sorridendo a mia volta.

« Probabilmente no. Non è un bravo professionista. Solo se­rie minori. Cambia squadra di continuo ».

« E tua madre ti ha spedita qui per poterlo seguire » conclusi semplicemente.

 « No, non è stata lei a spedirmi qui. Sono stata io » disse con un fremito visibile.

<< Non capisco >> aggrottai le sopracciglia…ma allora qui come c’era finita?!

« All'inizio è rimasta con me, ma lui le mancava. Era infeli­ce... perciò ho deciso che era il caso di passare un po' di tem­po in famiglia con Charlie » la sua tristezza divenne sempre più evidente.

« Ma ora sei infelice tu », suggerii contrariato.

« E...? », obiettò sfacciatamente, tirando fuori parzialmente il carattere.

« Non mi sembra giusto » osservai stringendomi nelle spalle, continuando a scrutarla.

 « Non te l'hanno ancora detto? La vita non è giusta » abbozzò un sorriso che rivelava tutto fuorché divertimento.

« Penso di averla già sentita », risposi laconico.

« E questo è tutto ».

Continuai la mia perlustrazione sul suo volto, analizzai le sue parole e le sue movenze, arrivando alla conclusione:

« Dai buo­na mostra di te », dissi lentamente. « Ma sono pronto a scom­mettere che soffri molto più di quanto dai a vedere ».

Storse la bocca contrariata e distolse lo sguardo.

« Mi sbaglio? » insistetti, indifferente dalla sua reazione.

Mi ignorò.

<< Io credo di no >> ribadii sfacciatamente, cominciavo a divertirmi.

<< Perché ti dovrebbe interessare? >> colsi la punta d’irritazione nella sua domanda.

<< Questa è una domanda molto sensata >> bofonchiai a mezza voce rivoltò più a me stesso.

Rimasi in silenzio: a dire il vero ero al primo a stupirsi dell’interessamento che le stavo riservando, come potevo risponderle.

Sospirò prima di guardare la lavagna.

<< Ti do fastidio? >>

<< Non esattamente. Sono io stessa a darmi fastidio. Il mio volto è così facile da leggere... mia madre dice sempre che sono un libro aperto >> disse aggrottando le sopracciglia.

Mi venne quasi da ridere istericamente, un libro aperto…lei?!

<< Al contrario, per me tu sei molto difficile da leggere >> dissi lasciando trapelare la mia sincerità.

<< Devi essere un bravo lettore, allora >> replicò.

<< Di solito, sì >> sorrisi a trentadue denti, conscio del mio talento unico.

Il professore prese la parola spiegando ciò che avevamo appena messo in pratica.

Si era aperta completamente con me, aveva risposto con sincerità e senza malizia, apprezzai il suo modo d’essere e di relazionarsi…ero soddisfatto di come la conversazione si era svolta…ma c’era qualcosa che ancora non andava.

Il suo profumo era ancora troppo appetibile per il mio palato, la gola mi bruciava costringendomi ad un grande sforzo di concentrazione e resistenza…la pelle del suo collo era così liscia…

Quando la campanella suonò mi alzai con un movimento fluido, contento in fondo di allontanarmi dal desiderio che sentivo per lei.

All’uscita, nel parcheggio la osservai appoggiato alla fiancata della mia Volvo a tre auto di distanza da lei.

Quando si accorse che il mio sguardo sfiorava la sua figura, distolse i suoi occhi ostentando indifferenza.

Ingranò con troppa fretta e per poco non urtò la Toyota che aveva dietro,fece in tempo ad inchiodare…non potei fare a meno di ridere.

Non avevo mai conosciuto in vita mia una persona come lei…era unica, proprio come il suo profumo.

 

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Capitolo 3
*** Inaspettato. ***


3

Inaspettato.

Il mattino seguente, nonostante parlare con lei lo avessi trovato piacevole, cercavo di ripetermi mentalmente che lei non era adatta a me…non era il tipo ragazza di cui mi sarei mai potuto innamorare.

Non mi potevo lasciar scuotere dai suoi gesti, dalle sue parole, dai suoi sorrisi incerti e timidi.

No, non mi piaceva…non in quel senso almeno.

Eppure l’idea di rivederla da lì a poche ore, e di affrontare probabilmente, una nuova conversazione con lei, mi faceva fremere dalla voglia di andare a scuola, ero incuriosito dalla sua personalità. Non potevo sapere nulla dei pensieri che la sua mente formulava, forse quello spiegava la mia impazienza di rivederla.

Dopo essermi vestito ed essermi attrezzato del materiale occorrente per le lezioni, misi una gran fretta agli altri, che salirono in macchina lamentandosi…d’altro canto se non l’avessero fatto, li minacciai di andarmene da solo…e sostituire la mia anonima Volvo con la cabriolet rosso fiammante di Rosalie non era una grande idea.

L’asfalto, quella gelida mattina, era ghiacciato ma non riscontrai alcuna difficoltà nel guidare ad una velocità abbastanza elevata.

La Volvo sfrecciava verso il centro della città senza il benché minimo sbandamento, come se fosse piena estate e nel cielo brillasse un caldo sole.

Arrivammo nel parcheggio scolastico che era ancora poco frequentato, la stessa Bella non era ancora arrivata.

Scendemmo tutti, ma i miei fratelli si diressero all’ingresso, mentre io mi appoggiai alla fiancata laterale della macchina e guardai in direzione dell’entrata: aspettavo davvero il suo arrivo?! Probabilmente ero impazzito del tutto, la mia razionalità s’era andata abbandonandomi alle più svariate emozioni, per altro sconosciute.

Il tempo passava, il parcheggio cominciò ad affollarsi, il chiacchiericcio nella mia testa diveniva sempre più forte e fastidioso.

Pensieri futili e superficiali colpirono le pareti del mio cervello…socchiusi gli occhi leggermente irritato.

Eppure il suo pick-up non si decideva a comparire all’orizzonte; improvvisamente, quando meno me lo aspettai e come uno sciocco coltivai l’idea che quella mattina potesse non presentarsi, fece il suo ingresso.

Avanzava spedita, apparentemente senza difficoltà, poi mi accorsi delle catene ancorate alle ruote e ne capii il motivo: se avesse sbandato sarebbe stato il colmo, solo lei ci sarebbe riuscita!

Parcheggiò a quattro auto dalla mia; una volta scesa anche lei, come me, si accorse delle catene: la vidi inchinarsi per analizzarle.

Proprio in quel momento qualcosa catturò la mia attenzione: un fischio anomalo.

Mi girai verso il rumore sospetto e vidi che il furgoncino blu di Tyler sembrava aver perso il controllo, sgranai gli occhi allibito…non poteva star succedendo veramente:

“La schiaccerà…Non lei!”

Fu l’unica cosa che riuscii a pensare, preso da un panico improvviso.

Mi girai nuovamente verso di lei, terrorizzato…sarebbe morta!

Dovevo fare qualcosa, dovevo intervenire, non potevo assistere alla scena come qualsiasi altra persona; non io che avevo la possibilità di cambiare le cose, potevo-dovevo- salvarla.

Scattai velocissimo da lei parandola dal veicolo, prima che il furgoncino le venisse addosso l’afferrai; purtroppo non potei impedire che battesse la testa sulla strada ghiacciata.

La tenni verso il basso, non era ancora finita, il furgoncino continuò imperterrito la sua traversata…strisciò contro il retro del pick-up, per come stava messa l’avrebbe investita di nuovo!

<< Maledizione! >> mi lasciai sfuggire un’imprecazione, tra i denti.

Con una lucidità che credevo di aver perso in quel momento di tensione e paura, fui lesto a farle scudo con le mie mani che affondarono nella carrozzeria dell’automezzo, provocando un’ammaccatura sulla fiancata.

Ma Bella non era ancora del tutto fuori pericolo: le gambe erano messe in una posizione critica.

Con altrettanta abilità sollevai il furgone, per poi riafferrare Bella e trascinarla girandole le gambe che sbatterono contro una ruota dell’autovettura blu.

Il furgoncino si spiantò sull’asfalto: per fortuna un attimo dopo aver messo in salvo lei.

Ci fu un minuto di silenzio assoluto, perfino la mia mente lo sentiva; il cervello degli altri sembrava essere andato in panne,incapace di poter pensare qualsiasi cosa.

Poi, infine, il rumore esplose tutto insieme, il nome di Bella riecheggiava da tutte le parti.

Abbassai gli occhi sul suo volto pallido, con voce bassa e affannata le chiesi:

<< Bella? Tutto a posto? >>

<< Sto bene >> disse cercando di muoversi, ma glielo impedii tenendola ben stretta al mio fianco; un grande sforzo di volontà, necessario in quel momento, dovevo starle vicino finché non avessi appurato che stesse bene come diceva.

<< Attenta >> l’avvertii, continuava a dimenarsi per sfuggire alla mia presa << Mi sa che hai preso una bella botta in testa >>

Si lamentò qualche secondo dopo, trattenni una risata.

<< Come pensavo >>

<< Come diavolo… >> si ritrasse da me, sembrava confusa, mi guardava strabuzzando gli occhi << Come hai fatto ad arrivare così in fretta? >>

Sul mio volto non comparve alcun segno di sorpresa, ma a malincuore dovetti riconoscerle la lucidità mentale, evidentemente aveva la testa più dura di quanto pensassi.

<< Ero qui accanto a te, Bella >> dissi serio, sperando che si bevesse la bugia, senza insistere oltre.

Lasciai che si mettesse seduta, mi allontanai il più possibile, permettendole di riprendersi.

Indagai sulla sua figura, non riuscivo a staccarle gli occhi da dosso…ero seriamente preoccupato per la sua salute.

Mi lanciò uno sguardo confuso di rimando, mostrandosi disorientata.

In quell’attimo, dilagò il caos: mille voci si sovrapponevano l’una con l’altra.

Fummo circondati da una folla di gente scossa dall’incidente.

Testarda come poche persone, Bella cercò nuovamente di mettersi in piedi, glielo impedii posandole una mano sulla spalla imponendole di restare dov’era.

<< Per adesso resta qui >>

<< Ma fa freddo >> si lagnò, facendomi sghignazzare. Aveva preso una botta in testa, si era presa un grosso spavento eppure trovava la forza di lamentarsi del freddo, era eccezionale!

<< Tu stavi laggiù >> la sua esclamazione risuonò improvvisa, di colpo smisi di ridere.  Disilludendomi che si sarebbe arresa così presto. << Eri accanto alla tua macchina >>

Indurii il volto, dovevo convincerla a smetterla di insistere.

<< Invece no >> la mia voce risultò dura perfino alle mie orecchie.

<< Ti ho visto >>

Perché non lasciava cadere il discorso, ed ostinata mi metteva in difficoltà come nessuno ero mai riuscito a fare?!

<< Bella, ero qui accanto a te e ti ho spinto via appena in tempo >> la guardai con intensità, una muta supplica a smetterla di parlare dell’accaduto.

<< Invece no >>

<< Per favore, Bella >> la pregai, cominciando a sentirmi disperato.

<< Perché? >>

<< Fidati >> le dissi, giocandomi l’ultima carta rimasta, addolcii la voce.

Il caos diventava sempre più presente intorno a noi, arrivarono alle nostre orecchie il suono delle sirene.

<< Prometti che poi mi spiegherai tutto? >>

<< Promesso >> la rassicurai esasperato, pur di metterla a tacere.

<< Promesso >> ribadì lei, offesa.

Far passare le barelle non fu facile: gli infermieri mi proposero di salirci sopra, li guardai scettico, mi rifiutai categoricamente e mi lasciarono in pace.

Bella cercò di imitarmi,però glielo impedii facendo la spia:

<< Ha battuto la testa, forse ha subito una commozione cerebrale >>

Arrossì violentemente quando le fecero indossare il collarino, vedendola avvampare fui costretto ad inspirare un paio di volte e mantenere i nervi saldi.

La vidi essere caricata sull’autombulanza, così mi mossi anche io mettendomi al posto del passeggero.

Non cercai lo sguardo della mia famiglia neanche una volta, di tempo per parlarne ce ne sarebbe stato in abbondanza.

Arrivati all’ospedale, mi dileguai con le mie gambe oltre l’entrata, mentre Bella la sentii digrignare i denti, arrabbiata di dover essere trasportata in barella…ma era giusto così!

Mi diressi a passo spedito lungo la corsia dell’ospedale in cerca di mio padre, Carlisle.

Lo trovai nel suo studio, senza bussare entrai all’interno:

<< Edward, ma cosa? >> mi guardò confuso.

<< Abbiamo un problema! >> esclamai calmo, cercando di non allarmarlo.

<< Che è successo? >>

Sospirando cominciai il resoconto di quant’era accaduto; lui mi osservava serio ed impassibile, ogni tanto assentiva impercettibilmente con il capo.

<< Capisci, non avevo altra scelta! >> dissi facendo trapelare la frustrazione che provavo in quel momento.

<< Tranquillo, saprai risolvere la cosa al meglio >> mi rassicurò lui, posandomi una mano su una spalla.

Incapace di parlare, mi limitai ad osservare il pavimento:

<< Và a vedere come sta >>

Lo guardai sorpreso, ma lui restando serio annuì.

La trovai stesa su un letto, affianco c’era Tyler il conducente del furgoncino, teneva gli occhi chiusi.

Chiesi ad un’infermiera se stesse dormendo, in quel momento Bella sollevò le palpebre rivelando le sue iridi cioccolato.

La guardai sorridendo, lei in risposta mi fulminò: va bene, me l’ero meritato.

<< Ehi Edward…mi dispiace tanto… >>

Non ero lì per ascoltare le scuse petulanti di Tyler, gli indicai di star zitto con un gesto.

<< Niente sangue, niente danno >> sentenziai sedendomi sul letto di Tyler rivolto con il busto verso Bella, sorridendo.

<< Allora, qual è il verdetto? >>

« Non mi sono fatta neanche un graffio, ma non vogliono la­sciarmi tornare a casa », rispose lei « Com'è che tu non sei lega­to a una barella come noi? ».

<< Tutto merito di chi sai tu >> risposi ammiccando << Ma non preoccuparti, sono venuto a liberarti >>

In quel momento arrivò Carlisle, chiedendo a Bella come si sentisse.

« Le radiografie sono buone », disse mio padre, dopo aver acceso il pannello luminoso . «Ti fa male la testa? Edward dice che hai preso un brutto colpo ».

« Sto bene », ribadì Bella con un sospiro, lanciando un'occhiatac­cia verso di me.

Carlisle le massaggiò il cranio, ad un certo punto lei sobbalzò:

<< Sensibile? >> le chiese.

<< No, davvero >>

Ridacchiai, rivelando un sorriso malizioso. Bella, per la seconda volta, mi fulminò.

Carlisle le diede il permesso di tornare a casa, ma non di poter venire a scuola:

<< Lui invece può andare? >> chiese, riferendosi al sottoscritto.

<< Qualcuno dovrà pur diffondere la notizia che siamo so­pravvissuti, no? », risposi compiaciuto. Era un dato di fatto, Bella mi divertiva.

Mio padre ci informò che mezza scuola si trovava in sala d’attesa, Bella si lamentò coprendosi il volto con le mani:

« Vuoi restare? » le chiese Carlisle, alzando le sopracciglia.

Bella dissentì convinta, prima di lasciarla andare del tutto le suggerì di prendersi un’aspirina per il dolore.

<< Non fa così male >>

<< A quanto pare sei stata davvero molto fortunata >> disse Carlisle firmando le carte di Bella.

<< Fortunata perché Edward si trovava lì accanto a me >> nel dirlo, lanciò un’occhiata fredda verso di me.

« Oh certo, sì » concordò mio padre,concentrato sui moduli che aveva davanti.

Quando Carlisle voltò le spalle, occupandosi di Tyler, Bella mi si accostò:

<< Hai un minuto? Ho bisogno di parlarti >>

Feci un passo indietro, diventando scuro in volto: era tornata alla carica, come promesso.

<< Tuo padre ti aspetta >> sibilai tra i denti, irritato.

Lanciò un’occhiata verso Tyler e Carlisle, poi tornò a guardare me:

<< Vorrei parlare con te, da soli, se non è un problema >>

Allargai le braccia sconfitto, prima di darle le spalle dirigendomi a grandi passi dall’altra parte dello stanzone.

Solo quando svoltammo l’angolo che dava su un piccolo corridoio, mi volsi verso di lei:

<< Cosa vuoi? >> non mi sforzai neanche di essere gentile, ero al limite della sopportazione.

<< Mi devi una spiegazione >>

<< Ti ho salvato la vita. Non ti devo niente >> tagliai corto con risentimento.

Intimidita dalla mia improvvisa freddezza , fece un passo indietro:

<< L’hai promesso >>

<< Bella, hai battuto la testa, non sai quel che dici >> ritentai a confonderle le idee.

<< La mia testa non ha un graffio >> quasi urlò, ero riuscito a farla arrabbiare. Mi guardò spavalda.

Ricambiai il suo sguardo.

<< Cosa vuoi da me, Bella? >>

<< Voglio la verità. Voglio sapere perché ti sto coprendo >>

<< Secondo te, cos’è successo? >> sbottai al limite della sopportazione.

<< Quello che so è che eri tutt'altro che vicino a me. Neanche Tyler ti ha visto, perciò non dirmi che ho battuto la testa. Quel furgoncino stava per schiacciarci entrambi, invece non l'ha fat­to, e con le mani hai lasciato un'ammaccatura sulla fiancata si­nistra - e hai lasciato un bozzo anche sull'altra auto, senza far­ti niente - e il furgone stava per spaccarmi le gambe, ma l'hai alzato e trattenuto... ».

La fissai rimanendo immobile, mostrandomi incredulo: era assurdo ciò che stava dicendo, se pur vero.

<< Pensi che abbia sollevato un furgoncino per salvarti? >> cercavo di farla passare par pazza.

Si limitò ad annuire, con i denti serrati.

<< Non ci crederà nessuno, lo sai >> la presi in giro.

<< Non lo dirò a nessuno >>

A questo punto ero del tutto e sinceramente, sorpreso:

<< E allora, cosa importa? >>

<< Importa a me >> insistette. << Non mi piace mentire; perciò se lo faccio ci deve essere un buon motivo >>

<< Non puoi limitarti a ringraziarmi e lasciar perdere? >> non ce la facevo davvero più, stavo per cedere.

<< Grazie >>

Sospirai spazientito, lei aspettava impaziente:

<< Immagino che tu non intenda lasciar perdere >>.

« No ».

« In tal caso...spero che tu sopporti di buon grado la delu­sione ».

Ci guardavamo con sfida, muti. Parlò per prima, provocandomi:

« Perché ti sei preso il disturbo di salvarmi? » chiese, con grande freddezza.

Esitai qualche minuto. Ero il primo a chiedermi perché lo avessi fatto, sapevo solo che dovevo farlo.

« Non lo so » dissi, a mezza voce.

Poi  le voltai le spalle e me ne andai.

Non ero più in grado di poter parlare con lei, il mio gesto avrebbe già comportato una lunga e sgradevole discussione con i miei fratelli, doverle spiegare anche il perché mi era impossibile.

Tornato a scuola mostrai a tutti il mio volto scuro, volevo che tutti mi stessero lontani: a loro rischio e pericolo, avvicinarsi e rivolgermi la parola!

I miei fratelli si accorsero del mio umore nero, ma Rosalie mi guardò con uno sguardo carico di sfida, ridusse gli occhi a due fessure:

“Non finisce qui” fu ciò che pensò.

Ricambiai il suo sguardo, senza scompormi.

Come immaginai, a casa ci radunammo tutti in salotto:

<< Come ti è saltato in testa, Edward?! >> mi chiese Rosalie.

<< Dimmelo tu, cosa avrei dovuto fare >> la sfidai.

<< Farti gli affari tuoi >> disse con freddezza.

<< Erano affari miei, davanti la vista del suo sangue non sarei stato in grado di trattenermi! >>

Ero certo di essere stato convincente, ma mia sorella non abboccò:

<< Non prendermi per scema, questo è solo un alibi! >> il suo sguardo si fece penetrante << Dimmi perché l’hai fatto, che motivo c’era? >>

Rimasto seduto sul divano fino a quel momento, scattai in piedi dalla rabbia:

<< Sarebbe morta!! >> digrignai i denti, serrando i pugni.

<< Ora siamo in pericolo tutti noi. Come puoi fidarti di lei? >>

La fulminai con gli occhi:

<< Lo faccio, e basta! >>

Rosalie sbuffò, incrociando le braccia sul petto.

La famiglia si era divisa in due: Jasper ed Emmett assecondavano Rosalie, ero stato un folle a salvarle la vita, mentre Carlisle ed Alice, certo più magnanimi per indole, appoggiarono me, non potevo chiudere gli occhi e far finta di nulla di fronte la morte di una vita umana.

Stanco di quella situazione, me ne andai: se i miei fratelli proprio non potevano capire, problemi loro.

Avevo bisogno di sfogarmi, una lunga corsa per conto mio nella foresta mi avrebbe fatto bene.

 

L’ultima volta ero un po’ di fretta e non ho potuto ringraziare:

Lory_lost_in_her_dreams e Rebecca73, per le loro recensioni  davvero ben gradite.

Free09 e Pan_Tere94: per aver aggiunto questa storia tra le loro preferite.

KiaMessina, Sole51, Ste_loveless, _martinella95_: per aver messo la mia fan fiction tra le seguite.

E un grazie anche a tutti coloro che hanno semplicemente letto.

Maryana.

 

 

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Capitolo 4
*** Arreso ***


4

Arreso.

Nonostante analizzando le menti di tutti quelli con cui aveva parlato, scoprii che non aveva rivelato a nessuno quanto era successo, rivelando che poteva essere una persona di cui potersi fidare, presi la mia decisione: dovevo starle lontano. Stabilendo di agire così risolvevo un grosso problema, non frequentandola mi sarei risparmiato la sua insistenza nell’onorare la mia promessa; cioè quella di spiegarle bene a cosa aveva assistito il giorno dell’incidente.

E così, stava per chiudersi il capitolo Isabella Swan. O almeno era quello in cui sperai.

Nelle settimane successive, nessuno si interessò a me, quasi neanche fossi stato io a evitare che la tragedia avesse luogo. L’attenzione era totalmente rivolta verso Bella, niente di meglio!

Come prima dell’arrivo di Bella, io ed i miei fratelli riprendemmo la nostra solita routine come se nulla fosse mai accaduto: sedevamo da soli al tavolo, prendevamo il cibo come alibi senza accennare a toccarlo e parlavamo solo tra noi.

Durante l’ora di biologia-il momento più difficile per i miei nervi e per la mia sete- come il primo giorno che la vidi, mi sedetti il più lontano da lei ignorandola completamente.

Ovviamente, Bella dotata di grande determinazione il giorno successivo all’incidente, provò a parlare con me comportandosi come nulla fosse. Ma qualcosa era cambiato: molto probabilmente la sua curiosità l’avrebbe uccisa.

Quando quel pomeriggio entrò, avevo già preso posto, continuai a tenere lo sguardo dritto davanti a me.

<< Ciao Edward >> mi salutò gentilmente, posando le armi.

In tutta risposta, le feci un minuscolo gesto senza incontrare i suoi occhi: prima capiva che doveva starmi lontana, e meglio era.

Nei giorni successivi, nonostante a lezione non mostrasse più interesse di me ad interagire, a pranzo e nel parcheggio- vale a dire quando ci trovavamo a distanza-sentivo il suo sguardo puntato su di me.

L’unico a godere della freddezza tra me e Bella, fu Mike Newton; lo vedevo ronzarle attorno più del solito, e con mia grande irritazione mi riscoprii infastidito da tutte quelle attenzioni.

Diventava sempre più sfacciato, fino ad appoggiarsi durante l’ora di biologia, al nostro banco e sporgersi verso Bella con fare seducente…era una visione sgradevole, così come i suoi pensieri. Se avessi potuto l’avrei sbattuto al muro molto volentieri.

Ma l’irritazione mi arrivò alle stelle, fin quasi a diventare palpabile, quando:

<< Jessi­ca mi ha invitato al ballo di primavera >> le disse con indifferenza.

Bella mostrò entusiasmo nel sentire la notizia, anche a lei non doveva essere sfuggita l’attrazione che Jessica provava per quel ragazzo.

Mike la informò che aveva rifilato un mezzo rifiuto a Jessica;sarei voluto scattare in piedi battendo i palmi sul banco quando quell’essere pensò di farsi invitare da lei. Ma rimasi in silenzio, in disparte fermo come il marmo, aspettando la risposta di Bella.

« Mi chiedevo se... be', non avessi intenzione di invitarmi tu ».

A quell’invito esplicito, voltai il capo verso Bella: incredibilmente rimasi con il fiato sospeso, sperando in un suo diniego.

<< Mike, credo che dovresti accettare l'invito di Jessica ».

Sospirai in silenzio: lo aveva rifiutato, però mi chiedevo se lo avesse fatto solo per tutelare l’amicizia con Jessica o se…c’era qualcun altro nei suoi pensieri.

<< L'hai già chiesto a qualcun altro? » gli chiese, guardando verso il sottoscritto e sbagliando persona, ne sapevo quanto lui.

<< No, figuriamoci. Non ci vengo, al ballo ».

<< Perché no?», chiese Mike.

« Quel sabato vado a Seattle >>

A seattle?! Era una scusa o ci sarebbe andata davvero, e poi cosa ci andava a fare?! Che nervi non poterlo sapere.

Bella consigliò a Mike di accettare la proposta di Jessica, cosa che Mike assentì di fare mogio, mogio.

Quando se ne fu- finalmente- andato, potei osservare la mia compagna di banco senza occhi indiscreti: chiuse gli occhi premendosi le tempie.

“Cosa c’è che non va, Bella?”

Lo pensai frustrato, ma non glielo chiesi, mi limitai solo a guardarla.

Quando il professor Banner iniziò la lezione, la sentii sospirare prima di riaprire gli occhi. Subito incontrò i miei, mi fissò di rimando sorpresa. Non abbassai lo sguardo, ma continuai a fissarla sempre più intensamente.

<< Cullen? >> mi chiamò il professore, per sapere la risposta alla domanda che aveva appena posto.

<< Il ciclo Krebs >> fui lesto a rispondere, senza esitazione, voltandomi controvoglia verso il professore.

In quel momento, liberandola dal mio sguardo opprimente, spostò i capelli sulla spalla destra a coprirsi il viso, tirandomi addosso tutto il suo profumo, la gola cominciò ad ardermi. Però, come sempre, sfuggii alla tentazione.

Quando la campanella suonò, mi diede le spalle nel raccogliere le sue cose, ma non m’intimidii il suo gesto:

<< Bella? >>

Si girò lentamente, rivelando un’espressione interdetta, non le rivelai la mia dispiaciuta. Aspettai che dicesse qualcosa:

<< Cosa? Hai deciso di rivolgermi la parola? >>

Trattenni una risata, irrigidendo le labbra:

<< No, non proprio >> ammisi sincero.

Chiuse gli occhi lasciandosi andare ad un sospiro. Attesi che si riprendesse:

<< E allora, Edward, che vuoi? >> mi chiese probabilmente irritata, dato che teneva gli occhi ancora chiusi.

<< Mi dispiace >> gli mostrai tutta la mia sincerità. << Sono molto maleducato, lo so. Ma è meglio così, davvero >>

A quel punto riaprì gli occhi, rivelando il suo sconcerto.

<< Non capisco che vuoi dire >>

<< E’ meglio se non diventiamo amici >> le spiegai << Fidati >>

<<  Peccato che tu non te ne sia reso conto prima » sibilò. « Non avresti avuto nulla di cui rimproverarti ».

« Recriminarmi? » non capivo cosa volesse dirmi. « Rimproverarmi di cosa? ».

« Di non avere lasciato semplicemente che quello stupido furgone mi spiaccicasse ».

Non potevo credere alla mie orecchie. Come poteva pensare che mi fossi pentito di averle salvato la vita?! No, si stava sbagliando di grosso.

<< Vuoi dire che pensi che mi sia pentito di averti salvato la vita? >>

<< Non lo penso. Lo so >>

Mi diede sui nervi la sua sicurezza, non aveva capito un bel nulla.

<< Tu non sai niente >>

Bella si girò dandomi le spalle, prese i libri e si alzò con svelta permettendo che la punta del suo stivale incappasse nello stipite del banco facendole cadere tutti i libri; scossi il capo leggermente divertito: non sarebbe mai cambiata.

Il tempo che emettesse un sospiro inginocchiandosi, già le ero al fianco impilandoli uno sull’altro.

Glieli porsi gentilmente, ma accigliato:

<< Grazie >> disse con freddezza.

<< Prego >> le risposi altrettanto gelido, riducendo gli occhi a due fessure.

Si rialzò di scatto, pochi secondi dopo sparì dalla mia vista.

Fortunatamente, prima di tornare a casa, avevo un’altra ora scolastica per sbollire la rabbia e ritrovare il buon umore.

L’occasione si presentò nel parcheggio, avevo appena assistito al secondo rifiuto di Bella, questa volta lo sfortunato era stato Eric, a cui rifilò la stessa versione di Mike: sarebbe andata a Seattle.

Passandole davanti, guardai dritto davanti a me, ma non potei fare a meno di trattenere una risata. Era esilarante; dovevo fare in modo che anche Tyler avesse la possibilità di invitarla,dovevo verificare se potesse essere lui il ragazzo scelto da Bella come cavaliere.

Quando Bella salì furiosamente sul suo pick-up, ero già in macchina a due piazzole di distanza, le passai davanti ostruendole il passaggio.

Fermai la Volvo aspettando l’arrivo dei miei fratelli, ed intanto mi preparavo ad assistere alla scena che si sarebbe verificata da lì a pochi minuti., sperando che si rivelasse divertente.

“Comincia lo spettacolo!”

Pensai quando vidi Tyler scendere dalla Sentra, avvicinarsi al finestrino del pick-up e bussarci sopra.

<< Mi inviteresti al ballo di primavera? ».

Bella avrebbe soddisfatto le speranze di Tyler?

<< Sarò fuori città, Tyler >>

La risposta è: no.

Ma la parte più divertente ci fu quando Tyler le confessò che aveva creduto che quella fosse una scusa per essere carina con Mike ed Eric. Se i sospetti di Tyler fossero stati fondati, Bella non aveva intenzione di andare con nessuno dei tre. Chissà perché tale notizia mi faceva sentire leggero…

La guardai dallo specchietto retrovisore, non mi presi neanche il disturbo di nascondere il mio divertimento. Sul suo volto passò uno sguardo irritato.

In quel momento i miei fratelli salirono sull’autovettura, e sfrecciai via, liberando gli altri dall’ingorgo.

Tornati a casa ognuno di noi prese strade diverse, salii un attimo in camera mia prima di scendere nuovamente al piano sottostante.

Entrai nel salotto vuoto, e mi sedetti al pianoforte. Le prime note che mi uscirono furono spensierate, ma poi lasciai divagare la mente ed il mio pensiero si fermò sull’immagine di Bella.

Più pensavo a lei, e più le note diventavano malinconiche.

Mi stavo costringendo di non frequentarla, anche se ciò mi dava dispiacere.

Chiusi gli occhi e continuai quella melodia ricca di sfumature dolci, capaci di trasportare.

Ero talmente immerso nella mia musica, da non essermi accorto dell’ingresso nel salone di Esme.

Mi girai a guardarla, teneva le mani incrociate e lo sguardo tenero velato da una sfumatura di commozione.

<< Oh scusami. Non volevo disturbarti >>

Smisi di suonare, scuotendo il capo.

<< Era bellissima, Edward! >>

<< Grazie >> dissi, inclinando la testa.

Cadde per qualche secondo il silenzio, rimasi con gli occhi fissi sul pavimento.

<< Che ti succede? >> mi chiese, in tono gentile, avvicinandosi a me.

<< Non lo so >> risposi sincero.

<< Ti va di parlarne? >> me lo chiese, mostrandomi il suo sorriso comprensivo.

<< A dir la  verità, non c’è molto da dire >> dissi, sospirando.

Cosa avrei mai potuto dirle?! Non ero certo neanche io di quello che stavo provando.

<< Sarò sincera con te >>

La sua affermazione mi colse alla sprovvista, la guardai sconcertato.

<< Mi è giunta qualche voce… >> si tenne vaga.

Sapevo benissimo a chi si stava riferendo:

<< Rosalie! >> sibilai tra i denti, irritato.

Esme sorrise, scuotendo il capo.

<< Chi è questa ragazza per te? >>

Tornai a tenere lo sguardo basso.

<< Temo che mi stia succedendo come ad Emmett…il suo profumo, mi da i capogiri! >>

Mia madre rimase muta per qualche istante, sembrava riflettere. Sapevo cosa stava per dirmi, potevo leggerlo nella sua mente, ma glielo lasciai pronunciare ad alta voce.

<< Non sarà la stessa cosa. Il caso di Emmett era diverso dal tuo: per lui era una perfetta sconosciuta >> fece una breve pausa. << Tu invece, hai dimostrato di tenere a lei, molto più di quanto tu stesso possa immaginare >>

Sapevo, anche senza dover ascoltare i suoi pensieri, a cosa alludesse: per Bella me ne ero andato, l’avevo salvata correndo il rischio di mettere in pericolo me stesso ed i miei familiari, ed ora anche se la cosa non mi piaceva, le stavo lontano.

<< Edward, ti do un consiglio solo. Me lo permetti? >> chiese sempre più dolcemente.

La mia solitudine, l’aveva sempre rattristata.

Assentii restando in silenzio.

<< Non punirti per qualcosa che non hai fatto, o per quello che- come me- sei. Donati una possibilità. >> me lo disse, appoggiandomi delicatamente una mano sulla spalla.

La guardai sorpreso: e se avesse ragione?!

<< Ti ringrazio >>

Assentì un’ultima volta prima di lasciarmi nuovamente solo.

Con tutto me stesso, nell’ultimo mese, mi ero costretto ad evitarla, anche se la cosa mi stava facendo star male.

La verità, è che mi piaceva la sua compagnia, ed ero stanco di privarmene.

Ed in più tutti i suoi rifiuti mi stavano facendo innervosire: non potevo far nulla per venire a capo del dilemma, i suoi pensieri erano protetti come da una barriera invalicabile.

Dovevo fare qualcosa, l’unica che potesse aiutarmi: andare da lei, nonostante fosse notte inoltrata.

La casa era avvolta nel silenzio, non c’era una luce accesa all’interno, senza difficoltà individuai la sua finestra ed entrai nella sua camera.

La vidi dormire, il petto si sollevava regolarmente, le labbra erano socchiuse.

Rimasi a fissarla ipnotizzato…perché non me ne andavo da lì?!

Ed improvvisamente, qualcosa che lei mugugnò nel sonno mi lasciò allibito: dischiusi la bocca per lo stupore, non potevo credere a ciò che avevo appena udito:

<< Edward… >> lo pronunciò con una tale nitidezza da farmi temere che si fosse svegliata.

Il mio nome. Dal momento che era profondamente addormentata, stava sognando me!!

La cosa era quasi preoccupante…mi avvicinai a lei, mi inginocchiai per essere alla sua altezza, alzai un dito e le sfiorai il profilo.

Si mosse, girandosi verso di me ancora avvolta nel sonno, il suo viso era pericolosamente vicino al mio: potevo sentire il suo squisito profumo solleticarmi la pelle. Sospirò prima di pronunciare nuovamente il mio nome.

Non riuscii ad allontanarmi da lei, piegai il capo continuando a scrutarla.

Perché era così coinvolta, tanto da sognarmi?! Permesso che fosse una persona incline agli incidenti, voler instaurare un rapporto con me era puro masochismo. Non potevo prevedere nemmeno io fino a quando sarei stato in grado di controllarmi.

Con lo stesso dito, le sfiorai la gola, potevo captare sotto il polpastrello il battito accelerato del suo cuore: chissà cosa stava succedendo nel suo sub inconscio.

Avrei potuto ucciderla anche in quell’istante, sarebbe stato facile, in  un battito di ciglia avrei messo fine alla sua vita.

Sicuramente sarebbe stato appagante, data la mia evidente bramosia di lei.

Bella, continuò a muoversi, mormorando qualcosa d’incomprensibile.

Sospettai che stesse per svegliarsi, il suo sonno era troppo agitato; così sgattaiolai fuori dalla finestra, rifugiatomi su un ramo di un albero abbastanza vicino da permettermi di continuare a vedere all’interno della camera.

Come previsto, Bella aprì gli occhi, sbatté le palpebre guardandosi intorno, si issò con il busto passandosi una mano tra i capelli, quasi fui in grado di catturare il suo profumo, per quanto oramai mi era noto.

Sbadigliò strofinandosi gli occhi, tenendosi la testa tra le mani scosse il capo: probabilmente stava cercando d’allontanare il sogno appena fatto.

Prima di sdraiarsi nuovamente, vidi il petto sollevarsi in un profondo respiro, chiuse gli occhi ma solo circa una mezz’ora dopo riuscì a riaddormentarsi.

Non trovai il coraggio di entrare nuovamente nella sua camera, per quella notte ne avevo abbastanza.

A quel punto, ero troppo coinvolto io stesso, non potevo solo far finta d’ignorare il problema, dovevo affrontarlo.

 Così, il mattino seguente, nel parcheggio della scuola, la vidi parcheggiare il più lontano da me; non potevo biasimarla del resto.

Scendendo dal pick-up, le sfuggì di mano la chiave che cadde in una pozzanghera. In un baleno, le fui accanto recuperandola, prima di lei.

La osservai rialzarsi, appoggiato tranquillamente al suo veicolo.

<< Ma come fai? >>

Non capii se era sorpresa o infastidita, forse un po’ tutte e due le cose.

<< Come faccio cosa? >> le chiesi, a mia volta, con innocenza mentre giocherellavo con la chiave.

Allungò una mano per riprendersela, gliela lasciai cadere sul palmo.

<< Ad apparire dal nulla >>

<< Bella, non è colpa mia se tu sei straordinariamente distratta >>.

Forse avrei dovuto dirle: non è colpa mia se sei una brava osservatrice, e quindi devo rifilarti tutte queste scuse.

<< Perché l’ingorgo ieri sera? >> mi chiese senza guardarmi. << Pen­savo avessi deciso di fingere che non esisto, non di irritarmi a morte ».

<< L’ho fatto per Tyler. Dovevo concedergli una possibilità ». Risi sotto i baffi.

<< Razza di... », rantolò. Sembrava cercare l’aggettivo giusto con cui offendermi, ma a quanto pare con poco successo. Più lei si innervosiva, e più ne traevo del divertimento.

« E non sto fingendo che tu non esista » continuai.

« Allora hai deciso di irritarmi a morte, visto che il furgonci­no di Tyler non è riuscito a farmi fuori? ».

La sua domanda retorica mi fece ribollire di rabbia. Le labbra mi si irrigidirono, il mio buon umore stava per andarsene.

« Bella, sei totalmente assurda » dissi, con voce bassa e fredda.

A quanto pare non ero il solo ad essersi innervosito. Bella si girò e fece per andarsene.

No, non avrei permesso che sarebbe finita così.

<< Aspetta >> le dissi, camminandole affianco. La scena di lei che sbatteva con rabbia i piedi nell’acqua delle pozzanghere era troppo buffa.

« Scusa se sono stato maleducato » dissi, senza smettere di camminare. Lei mi ignorava. «Non dico che non sia vero», con­tinuai,« ma è stato maleducato dirtelo, ecco ».

« Perché non mi lasci stare? » si lamentò lei.

Già perché continuavo a rincorrerla?!

« Volevo chiederti una cosa, ma mi hai fatto perdere il filo del discorso », sghignazzai.

« Soffri di disordini da personalità multipla? » mi chiese, rigida. Di certo le avevo confuso le idee, con il mio modo di fare.

« Non sviarmi un'altra volta ».

« Va bene. Cosa vuoi? » sbuffò lei.

« Mi chiedevo se, sabato prossimo... hai presente, il giorno del ballo di primavera... ».

« Mi stai prendendo in giro? >> mi interruppe, voltandosi di scatto. Mi guardava dritto in faccia mentre la pioggia la in­zuppava.

<< Per cortesia, posso finire di parlare? >> continuai io, sempre più divertito.

<< Ti ho sentita dire che quel giorno hai in programma di an­dare a Seattle e volevo chiederti se accetteresti un passaggio >>

Mi guardò allibita: che bravo, ero riuscito a coglierla alla sprovvista.

<< Cosa?».

« Vuoi un passaggio fino a Seattle? ».

« Da chi? » chiese disorientata.

« Da me, ovviamente ». Scandii la frase sillaba per sillaba, dal momento che non mi sembrava molto sveglia in quel momento.   « Perché? » mi chiese sempre più sbigottita.

« Be', avevo intenzione di fare un salto a Seattle nelle prossi­me settimane e, onestamente, non sono sicuro che il tuo pick-up possa farcela ».

« Il mio pick-up funziona più che bene, molte grazie per l'in­teressamento ».

Aveva ripreso a camminare.

« Il tuo pick-up ce la fa anche con un solo pieno di benzi­na? » le chiesi, anche se ero già a conoscenza della risposta. Non volevo demordere.

« Non credo siano affari tuoi » disse lei risentita.

« Lo spreco di riserve non rinnovabili è affare di tutta la co­munità » lo dissi, anche se ero consapevole che non se la sarebbe bevuta.

« Seriamente, Edward >> fece una pausa, sospirando. « Non riesco a seguirti. Pensavo che non volessi essermi amico ».

« Ho detto che sarebbe meglio se non diventassimo amici, non che non voglio » precisai, ed era la verità.

« Oh, grazie, adesso è tutto molto più chiaro » la sua risposta fu alquanto sarcastica.

Si fermò di nuovo, trovandoci al riparo della tettoia della mensa.

« Sarebbe più... prudente che tu non diventassi mia amica » le spiegai. « Ma sono stanco di costringermi a evitarti, Bella ».

Fui il più convincente possibile, lasciando trasparire le mie emozioni.

« Vieni con me a Seattle? », chiesi, con la stessa intensità usata poco prima.

Fece un cenno d’assenso con il capo.

Sorrisi per un istante, prima di tornare serio.

« Sarebbe meglio che mi stessi lontana, sul serio >> l’avvertii. « Ci vediamo a lezione ».

Mi voltai di scatto e me ne andai. Strano a dirsi ma, in quel momento mi sentii davvero meglio.

 

Vorrei ringraziare:

Aberlin: Non mi sazio mai neanche io di Bella ed Edward, grazie a te anche per aver aggiunto la mia storia tra le tue seguite.

E:

Deisy87 per aver messo questa storia tra le preferite.

Per il resto spero che questo capitolo vi sia piaciuto,

a presto

Maryana.

 

 

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Capitolo 5
*** L'odore del sangue ***


5

L’odore del sangue.

 

La mattinata passò tranquilla e nella norma. Andai a tutte le lezioni ed anche se avevo la mente da un’altra parte, se capitava che i professori mi ponessero qualche domanda, non riscontrai difficoltà nel dare la risposta esatta.

Nonostante provassi ancora un leggero timore, accompagnato da una punta di incertezza per la scelta che avevo appena fatto, non ne ero per nulla pentito.

Stanco di punirmi, di infliggermi punizioni, di avere l’eternità da vivere e non far nulla per viverla davvero.

Non sapevo come sarebbe andata,  ma ciò non mi avrebbe fermato dal provare a frequentare Bella.

Al primo ostacolo avrei battuto in ritirata, e mi sarei nuovamente allontanato da lei, anche se la sola prospettiva mi appariva difficile. Però meglio vivere una vita eterna nella tristezza, che nel tormento dilaniato dal senso di colpa: una vita che andava in frantumi, per mano mia…un pensiero inammissibile.

All’ora di pranzo, non occupai il solito tavolo circondato dalla mia famiglia.

Mi sedetti da solo, in attesa del suo arrivo: non staccavo gli occhi dall’ingresso della mensa, con animo abbastanza tranquillo.

Quando la scorsi insieme agli altri, mi parve assente.

Si mise in fila, lanciando uno sguardo verso il tavolo dove sedevano i miei fratelli, la cosa mi fece sorridere compiaciuto: mi cercava.

Non si prese nulla, eccetto una bottiglietta di limonata, la vidi sedersi insieme agli altri imbronciata, apparentemente lontana dall’allegria dei suoi amici.

<< Edward Cullen ti sta fissando di nuovo >> a quelle parole di Jessica, Bella sembrò riscuotersi anche se continuava a stare a capo chino. << Chissà come mai oggi se ne sta da solo >>

Qualche minuto e l’avrebbe scoperto il motivo.

Bella alzò di scatto la testa, mi cercò fino a che non intercettò il mio sguardo.

Le feci un cenno con il dito, a sottintendere che si avvicinasse a me, ma lei continuava a guardarmi sconcertata, titubante. Così le strizzai l’occhio.

“Non ci posso credere…Edward Cullen che mostra interesse per… lei?!”

Fu ciò che quella testa vuota di Jessica riuscì a pensare, la superbia è una brutta compagnia.

<< Ce l’ha con te?! >>

L’assurdo  era che non nascose il suo disprezzo neanche con Bella; e diamine, un po’ di delicatezza!

Non sentii cosa le rispose Bella, la vidi solo alzarsi e venirmi incontro. Rimase ferma vicino alla sedia vuota:

<< Perché non mi fai compagnia, oggi? >> le chiesi, con un sorriso.

Prese posto, immediatamente, mi guardava circospetta: era logico, non si fidava ancora di me.

Aspettai senza smettere di sorridere, aspettando che dicesse qualcosa.

<< Così è diverso >>

<< Bè… >> feci una breve pausa << Ho pensato che se proprio devo andare all’inferno, tanto vale andarci in grande stile >>

Attese,palesemente confusa. Io scelsi il silenzio.

<< Sai bene che non ho la più pallida idea di cosa tu stia dicendo >>

<< Certo che lo so >> dissi tornando a sorride. Parte del divertimento stava in quello. << Credo che i tuoi amici siano arrabbiati con me perché ti ho rapita >>

<< Sopravivranno >> disse con leggerezza.

<< Non è detto che ti restituisca, però >> ammisi, se l’esperimento andava a buon fine, perché allontanarmi da lei?!

La sentii deglutire, che l’avessi messa in imbarazzo.

<< Sembri preoccupata >> risi.

<< No… >> obbiettò cauta << Più che altro, sorpresa… a cosa devo tutto questo? >>

<< Te l’ho detto, sono stanco di starti lontano…perciò ci rinuncio >> cercai di nascondere il mio tormento, con un sorriso.

<< Rinunci? >> mi chiese, confusa.

<< Sì, rinuncio a fare il bravo. D’ora in poi farò solo ciò che mi va di fare e mi prenderò quel che viene >> non potei impedire che il mio sorriso svanisse, e nel mio tono si percepisse una nota di durezza.

<< Mi sono persa un’altra volta >>

La guardai, facendo un mezzo sorriso.

<< Quando parlo con te mi lascio scappare troppe cose. Questo è uno dei problemi >>

Un problema il mio essere me stesso con lei…nessuno mai era riuscito a farmi sentire così, ma quello era prima d’incontrarla.

<< Non preoccuparti, tanto non ne capisco una >> mi rassicurò ,lasciandosi sfuggire una smorfia.

<< Ci conto >>

<< La traduzione di tutto questo è che adesso siamo amici? >>

<< Amici… >> bofonchiai scettico.

Quello che Bella mi faceva provare, era normale dal momento che si poteva  considerare mia amica? Un sospetto mi suggeriva che la risposta dovesse essere negativa.

<< Oppure no >> borbottò lei.

<< Bé immagino che possiamo provarci. Ma ti avviso non sarò un buon amico, per te >> scherzai facendo un ghigno, ma lasciai intendere che l’avvertimento era serio.

<< Continui a ripeterlo >>

<< Sì, perché tu non mi dai ascolto. Sto ancora aspettando che tu ci creda. Se sai quello che fai, cercherai di evitarmi >>

<< A quanto pare ti sei fatto un’idea precisa della mia intelligenza >> mi guardò con sfida.

Offenderla non era nelle mie aspettative: sorrisi, per scusarmi.

<< Perciò, dato che per ora non so quello che faccio, possiamo provare ad essere amici? >>

<< Mi sembra una proposta sensata >>

Bella fissò le mani che tenevano stretta la bottiglia. Era assorta nei suoi pensieri, mi incuriosii:

<< A cosa stai pensando? >>

Non potevo saperlo da solo, ma mi era lecito chiederglielo.

<< Sto cercando di capire cosa sei >>

Sussultai, quello continuava ad essere un argomento delicato. Mi sforzai di sorridere.

<< E hai fatto passi avanti? >> chiesi  con disinvoltura.

<< Non molti >>

A quella risposta mi rilassai. Lei non poteva saperlo ma era meglio che restasse all’oscuro.

<< Hai una teoria? >> risi sotto i baffi, nel domandarglielo.

Ammutolendo, avvampò di vergogna… aveva cominciato ad intenerirmi il suo arrossire.

<< Non me lo vuoi dire? >> le chiesi, piegando il capo da un lato, sferrando il mio sorriso migliore.

<< Troppo imbarazzante >> disse, scuotendo il capo.

<< E’ una grossa frustrazione, lo sai >>

<< No >> ribatté lei, squadrandomi <<   Non riesco proprio a immaginare cosa ci sia di frustrante nel fatto che qualcuno si rifiuti di dirti cosa pensa e nel frattempo faccia anche piccole osservazioni criptiche proprio per toglierti il sonno quando ti sforzi di interpretarle... Cosa ci sarà mai di frustrante in tutto questo? ».

Feci una smorfia: certo che non poteva capire, non poteva leggere nella mente di nessuno.

<< Oppure >> continuò a sfogarsi << Ammettiamo che questo qualcuno abbia anche fatto una serie di gesti strani - dal salvarti la vita in circostanze incredibili un giorno al trattarti come un'emargina­ta il giorno dopo - senza mai spiegare il suo comportamento, mai, malgrado avesse promesso di farlo. Anche questo sarebbe estremamente non frustrante? ».

<< Sbaglio o sei un po’ in collera? >>

<< Non mi piace il "due pesi e due misure” >>

Sostenemmo i nostri sguardi a vicenda, senza accennare nessuno dei due ad un sorriso.

“Che idiota! La sta trattando male…forse dovrei andare a dirgliene quattro”

Quello sciocco pensiero di Mike, mi fece sorridere.

<< Che c’è? >>

<< Il tuo amichetto è convinto che io sia scortese con te: sta decidendo se venire o no  ad interrompere il litigio >> ridacchiai, Mike quando voleva era davvero uno stolto.

<< Non so di chi stai parlando » rispose, dura. « Ma sono sicu­ra che ti sbagli ».

« Invece no. Te l'ho detto, di solito sono bravo a leggere le persone ».

« A parte me, ovviamente >>.

<< Sì, a parte te >> mutai la mia espressione, fattasi pensierosa, << Chissà perché >>

La guardai intensamente, Bella distolse i suoi occhi dai miei. Svitò il tappo e cominciò a sorseggiare la limonata.

<< Non hai fame? >> le chiesi, per risollevare il punto morto in cui eravamo arrivati.

<< No >> fece una pausa << E tu? >> mi chiese lanciando un’occhiata al tavolo vuoto.

<< No, non ho fame >> mi lasciai sfuggire un sorriso ironico. Più che fame, avevo sete. Una sete che non avrei mai messo a tacere del tutto.

<< Mi faresti un favore? >>

La guardai sospettoso:

<< Dipende da cosa vuoi >>

<< Non è un granché >>

Rimasi in attesa di più dettagli.

<< Mi chiedevo... se ti andrebbe di farmelo sapere, la prossi­ma volta che decidi di ignorarmi per il mio bene. Così mi posso preparare ». Guardava la bottiglia di limonata, sfiorando con un dito il bordo del tappo.

« Mi sembra corretto >> assentii sorridendo.

<< Grazie >>

<< In cambio posso avere una risposta? >>

« Una sola » precisò lei, sottolineando che voleva tenere per sé il maggior numero di pensieri.

« Spiegami una teoria ».

« Quella no ».

« Non hai specificato, mi hai solo promesso una risposta », puntualizzai, non poteva negarmi la risposta.

« Tu sei ancora in debito di una promessa », ribatté.

Non se l’era dimenticata, a quanto pareva.

« Solo una teoria: giuro che non mi metto a ridere ».

« Oh sì, lo farai ».

Abbassai lo sguardo, per poi riguardarla d’improvviso.

<< Per favore » sussurrai avvicinandomi a lei.

« Ehm, cosa? ».

Rimasi stupito…aveva perso il filo del discorso?!

« Per favore, raccontami solo una teoria, una piccola » sottolineai il mio desiderio con gli occhi.

« Ehm, dunque, sei stato punto da un ragno radioattivo >>

« Poco originale >> la presi in giro.

Oh Bella, puoi fare di meglio!

« Scusa, ma di più non riesco a fare », rispose stizzita.

<< Non ci siamo proprio ».

« Niente ragni? ».

« Nah ».

« Niente radioattività? ».

« Niente »

« Acci... »

Era davvero sbalordita.

« E la criptonite non mi fa niente », ridacchiai, infrangendo la mia promessa.

« Alt, avevi detto che non avresti riso ».

Mi sforzai di tornare serio, ma con scarsi risultati.

« Prima o poi capirò »,mi avvertì, seria.

« Meglio che non ci provi » le dissi cancellando ogni traccia di divertimento dal viso.

«Perché?»

«E se non fossi il supereroe? Se fossi il cattivo?». Sorrisi, cercavo di scherzare, ma il mio sguardo si era fatto nuovamente impenetrabile. Lei non sapeva di cosa ero capace, chi fossi in realtà.

« Oh, capisco ».

« Davvero? »chiesi scettico.

« Sei pericoloso? »

Mi limitai a guardarla. Sì, lo ero, e purtroppo lei ancora non sapeva quanto. Provavo ancora il timore di poterle fare del male.

« Ma non cattivo », sussurrò, scuotendo il capo. « No, non posso credere che tu sia cattivo ».

« Ti sbagli » abbassai lo sguardo, rubai il tappo della bottiglietta e iniziai a giocherellarci. Se avessi voluto, sarei potuto essere cattivissimo.

Rimanemmo entrambi in silenzio, assorti nelle nostre riflessioni: io avevo paura di poterle rivelare il mostro che in realtà ero, mentre lei non sapevo minimamente cosa stesse provando in quel momento, di certo non paura; se fosse stato così, si sarebbe allontanata urlando a squarciagola.

<< Arriveremo in ritardo >> scattò in piedi, d’improvviso.

<< Oggi non vado a lezione >> dissi roteando il tappo.

<< Perché no? >>

« Saltare qualche lezione fa bene alla salute ». Sorridevo, ma ero ancora inquieto.

« Be', io ci vado », rispose.

« Allora ci vediamo più tardi » la salutai tornando a guardare il tavolo.

Esitò per un istante,ma allo squillo della campana corse via. Mi gettò un'ultima occhiata dalla porta: ero ancora al mio posto, immobile.

Non avrei potuto partecipare alla lezione di biologia: il professor Banner aveva in programma di analizzare il sangue dei suoi studenti, per metterli al corrente del loro gruppo sanguigno. Se mi fossi presentato, tutti avrebbero avuto una brutta sorpresa.

Senza fretta, e con noncuranza, uscii dalla mensa dirigendomi nel parcheggio.

Salii in macchina, avviai il cd nell’autoradio e mi distesi chiudendo gli occhi.

Ripensai alla conversazione, avuta poco prima con Bella: era ben lontana dal capire cos’ero, e la cosa non poteva che rendermi lieto.

Non sapendo a cosa andava in contro, sarebbe stata più al sicuro?

Mi augurai che la risposta fosse affermativa. Non riuscivo a trovare nessun’altra soluzione che l’avrebbe protetta pur continuando a frequentarmi.

Improvvisamente la “voce” di Mike mi distrasse, facendomi riaprire gli occhi:

“ Bella, non farmi preoccupare!”

Bella?! Era con Mike, e perché avrebbe dovuto farlo preoccupare?!

C’era solo un modo per scoprirlo: spensi l’autoradio, scesi dalla Volvo e seguii la scia dei pensieri del ragazzo.

Mossi qualche svelto passo, prima di vedere Bella stesa a terra, con la faccia a contatto con il marciapiede.

Sgranai gli occhi allarmato, cosa le era successo:

<< Bella? >> la chiamai avvicinandomi << Cos’è successo, si è fatta male? >> chiesi turbato a Mike.

<< Temo sia svenuta. Non so cos’è successo,non  si è nemmeno punta il dito >>

Tirai un sospiro di sollievo: Bella era solo molto sensibile alla vista del sangue.

<< Bella >> la chiamai di nuovo, facendomi sempre più vicino << Mi senti? >>

<< No >> bofonchiò << Vattene >>

Risi, tranquillo: Bella era sempre la stessa.

<< La stavo portando dall'infermiera », spiegò Mike, come a giustificarsi, « ma si è intestardita a rimanere qui ».

« La porto io » dissi « Tu torna pure in classe ».

« No », protestò Mike. « È compito mio ».

Non gli badai, e sollevai Bella, prendendola tra le braccia.

<< Rimettimi giù >> protestò Bella.

Non l’ascoltai, mettendomi in cammino.

<< Ehi >> esclamò Mike, troppo lontano per potermi raggiungere.

<< Sei conciata proprio male >> osservai, con ghigno.

<< Rimettimi, sul marciapiede >> protestò, lamentosa come una bambina.

<< Perciò la vista del sangue ti fa perdere i sensi? >> chiesi, divertito.

Non rispose, chiuse gli occhi.

<< E dire che non era nemmeno tuo >>.

Senza difficoltà aprii la porta della segreteria, pur continuando a tenere Bella tra le braccia.

<< Oh cielo >> esclamò la segretaria.

<< E’ svenuta durante l’ora di biologia >>

Mi diressi sicuro verso l’infermeria, l’infermiera sollevò gli occhi da un libro. Non le diedi attenzione, adagiai delicatamente Bella sul materassino di vinile marrone dell'unica branda.  Mi spostai, appoggiandomi al muro il più lontano possibile da lei. La guardai preoccupato: era più delicata di quanto avessi potuto immaginare.

<< Ha avuto un leggero mancamento >> spiegai all’infermiera interdetta << E’ reduce dai gruppi sanguigni di biologia >>

<< C’è sempre qualcuno che fa’ questa fine >>

Sghignazzai, in preda al divertimento.

<< Ti succede spesso? >> le chiese.

<< Ogni tanto >>

Tossii a nascondere un’altra risata.

<< Tu puoi tornare in classe >> mi disse l’infermiera.

Non ci pensavo minimamente a lasciare Bella da sola.

<< Devo restare con lei >> dissi sufficientemente perentorio da zittire la donna.

“ Ragazzino insolente…”

Ignorai il suo commento contrariato.

Si congedò, uscendo per andare a prendere del ghiaccio.

<< Avevi ragione >> farfugliò, con gli occhi ancora socchiusi.

« Certo, come al solito... ma a cosa ti riferisci adesso, di pre­ciso? »

« Saltare le lezioni fa davvero bene alla salute » disse  riprendendo a respirare regolarmente.

« Per qualche minuto mi hai messo davvero paura », ammisi dopo un breve silenzio. << Pensavo che Mike Newton stesse trafugando il tuo cadavere per seppellirlo nel bosco >>

<< Divertente >>

<< Seriamente… ho visto cadaveri con un colorito migliore. Ero preoccupato di dover vendicare il tuo omicidio >>

<< Povero Mike, gli saranno saltati i nervi >>

<< Mi detesta con tutte le sue forze >> dissi allegro.

<< Non puoi saperlo >>

Oh sì, che lo sapevo. Fin troppo bene…la sua voglia di farmi del male fisico era la stessa che provavo io. Peccato per lui, che contro di me aveva speranze di vittoria pari a zero.

<< La sua espressione era inconfondibile >>

<< Come hai fatto a vedermi? Pensavo avessi marinato la scuola >>

<< Ero in macchina, ascoltavo un cd >> dissi con  naturalezza, del resto era la verità.

A quel punto entrò l’infermiera con un impacco freddo.

<< Mi sembra vada meglio >> osservò la donna.

<< Penso di sì >> confermò Bella, alzandosi.

All’avviso della signorina Cope, di un altro malcapitato, Bella balzò giù dalla brandina e restituì il ghiaccio.

Ci accostammo al muro, per fargli spazio.

Vidi nella mente di Mike, Lee rimasto ferito:

<< Oh no >> borbottai << Esci, torna in segreteria, Bella >>

Mi guardò sorpresa.

<< Fidati: vai >>

Si precipitò fuori, la seguii.

<< Mi hai obbedito all’istante >> le feci osservare, meravigliato.

<< Ho sentito odore di sangue », disse, storcendo il naso.

« L'odore del sangue non si sente », la contraddissi.

« Be', io lo sento, ecco perché mi viene la nausea. Sa di rug­gine... e di sale ».

Mi lasciava interdetto il suo captare l’odore del sangue, così diverso dal mio: a lei la faceva svenire, a me aumentava la sete.

« Che c'è? », chiese.

« Niente » fui lesto a rispondere.

In quel momento uscii Mike, che squadrò prima Bella e poi lanciò un’occhiata velenosa contro di me: potevo comprendere a pieno il suo risentimento verso il sottoscritto?!No, non del tutto.

“Con me  qui non c’è voluta venire! Puff arriva Cullen…”

<< Sembra che tu stia meglio », l’accusò.

« Basta che tu tenga la mano in tasca », lo avvertì Bella.

« Non sanguina più », borbottò lui. « Rientri in classe? ».

« Scherzi? Dovrei fare dietrofront appena arrivata per tor­narmene qui ».

« Be', immagino... Allora vieni, questo fine settimana? Alla spiaggia? ».

Sperava in un weekend soleggiato, chissà perché avevo mie dubbi…

<< Certo, ho già detto che ci sarò >>

<< Appuntamento al negozio di mio padre alle dieci >> mi guardò, come a sottendere che l’invito era riservato.

Non sapeva che se avessi voluto, avrei scoperto tutti i particolari.

<< Ci sarò >> promise lei.

« D'accordo. Ci vediamo in palestra », disse, e si diresse con passo incerto verso la porta.

« Ci vediamo »

Guardammo andare via Mike, poi lei soggiunse:

<< No, ginnastica… >>

<< Me ne occupo io >> mi avvicinai a lei << Siediti ed impallidisci >> le sussurrai in un orecchio.

Mi avvicinai al bancone:

<< Signorina Cope? ».

« Sì? ».

« La prossima lezione di Bella è in palestra, e non credo si senta abbastanza bene. A dire la verità, credo sarebbe più op­portuno che l'accompagnassi a casa. Potrebbe preparare una giustificazione per lei? » Addolcii il più possibile la voce, e la guardai con occhi supplichevoli.

<< Anche tu hai bisogno di una giustificazione, Edward? », cinguettò la signorina Cope.

« No, io ho la professoressa Goff. Per lei non sarà un pro­blema ».

Tornai da lei, trionfante:

« Bene, è tutto sistemato. Ti senti meglio, Bella? ».

In risposta assentì debolmente con il capo.

« Riesci a camminare o vuoi che ti porti ancora in braccio? » lontano dallo sguardo della signorina Cope, mutai la mia espressione, diventando sarcastica.

<< Cammino >>

Le aprii la porta con un sorriso ed uno sguardo ironico.

<< Grazie >> mi disse << Pur di saltare ginnastica vale quasi la pena ammalarsi >>

<< Quando vuoi >> guardavo dritto davanti, strizzando gli occhi facendo finta che la pioggia mi desse fastidio. << Allora sei in partenza? Questo sabato intendo >>

Restava in silenzio.

<< Dove andate di preciso? >>

<< Giù a La Push a First Beach >>

La Push…la piccola riserva dei Quileute…ero bandito dai loro territori.

<< Non mi sembra di essere stato invitato >>

<< Ti sto invitando ora >> disse con un sospiro.

<< Per questa settimana è meglio che io e te non esageriamo, con il povero Mike. Non è il caso di fargli saltare i nervi » dovetti reclinare l’invito, nonostante mi divertisse particolarmente far innervosire Newton.

« Povero Mike >>

Nel parcheggio svoltò a sinistra, diretta al suo pick-up. La trattenni per il giubbotto:

<< Dove pensi di andare? >> le chiesi indignato.

<< Vado a casa >> disse disorientata.

<< Non hai sentito? Ho promesso di portarti a casa sana e sal­va. Pensi che ti lasci guidare in quelle condizioni?» mi sembrava di essere stato chiaro, no?!

« Quali condizioni? È il mio pick-up? » ribatté lei.

« Te lo faccio riportare da Alice dopo la scuola ». aumentai la stretta sul suo giubbotto e la tra­scinai verso la mia auto.

« Mollami! ».

Non le davo ascolto. Cercò di divincolarsi, ma la feci andare barcollando lungo il marciapiede e la la­sciai libera soltanto davanti alla Volvo. A quel punto inciampò, sbattendo contro la portiera del passeggero.

« Quanto sei prepotente! ».

«È aperta», fu la mia unica risposta. Mi sedetti al volante.

« Sono perfettamente in grado di guidare fino a casa! » non si decideva a salire, infastidita restava a braccia conserte vicino l’auto.

 «Sali, Bella» le ordina abbassando il finestrino.

Bella indugiò, guardandosi intorno circospetta.

<< Tanto ti riprendo >> minacciai io, quando intuii il suo piano di fuga.

<< Non ce n’è bisogno >>

Non risposi. Armeggiai con le manopole del cruscotto alzando il riscaldamento e abbassando il volume della radio.

<< Claire de lune?», chiese, sorpresa.

« Conosci Debussy? » domandai a mia volta stupito.

« Non bene », precisò. « Mia madre ascolta sempre un sacco di musica classica in casa, io riconosco solo i miei preferiti ».

« È anche uno dei miei preferiti ». Guardavo fuori, nella pioggia, perso nei miei pensieri, che in quel momento erano incentrati sulla persona che sedeva al mio fianco. Più la conoscevo, e più mi piaceva stare con lei.

Ero sempre più curioso di conoscerla di più, di sapere il più possibile:

<< Com’è tua madre? >>

Sollevò lo sguardo a guardarmi.

<< Mi somiglia molto, ma è più carina», rispose mentre la guardai, pieno d’attenzione. «Io ho troppo in comune con Charlie. Lei è più estroversa di me, e più coraggiosa. Ed è una persona irrespon­sabile e piuttosto eccentrica, nonché cuoca imprevedibile. È la mia migliore amica»

<< Quanti anni hai, Bella? >> ero sbalordito. Era troppo matura.

Eravamo giunti davanti casa sua. Spensi il motore della macchina.

<< Diciassette >> rispose, frastornata.

<< Non li dimostri >>

Sorrise, e non ne capii il motivo:

<< Che c’è? >>

<< Mia madre dice sempre che quando sono nata avevo già trentacinque anni e che ormai sono vicina alla mezza età ». Si lasciò andare a una risata, poi a un sospiro. « Be', qualcuno do­vrà pur fare la parte dell'adulto ».

«Neanche tu hai tanto l'aria di uno studente del terzo anno», notò lei, dopo un istante di silenzio.

Feci una smorfia. Certo che non dimostravo diciassette anni, ero vivo da un secolo.

<< Come mai tua madre ha sposato Phil? >>

<< Mia madre... si sente più giovane della sua età. Penso che Phil la faccia sentire ancora più giovane. E comunque, è pazza di lui » Scosse il capo.

« Approvi? », le chiesi.

« Importa qualcosa? Voglio che sia felice... e lui è ciò che desidera ».

« Mi sembra un atteggiamento come minimo... generoso » commentai.

« Cosa? ».

« Pensi che si comporterebbe allo stesso modo con te? Su chiunque cadesse la tua scelta? ». Il mio sguardo si accese e cercai il suo.

« P-penso di sì », balbettò. « Ma in fin dei conti, la mamma è lei. È un po' diverso ».

« Niente ragazzi spaventosi, quindi » volevo stuzzicarla, e preparare il terreno per una domanda successiva.

« Cosa intendi per "spaventosi"? Piercing facciali multipli e tatuaggi dappertutto? » ironizzò con un sorriso.

« Anche... Per esempio ».

« E cos'altro, secondo te? ».

« Pensi che io potrei essere spaventoso? » alzai un sopracciglio, accennando ad un sorriso.

 « Mmm... penso che potresti es­serlo, se volessi ».

« In questo momento hai paura di me? » le chiesi tornando serio. Da una parte speravo che rispondesse di sì.

« No »

La velocità con cui rispose, senza pensarci un attimo mi fece tornare il sorriso.

« Adesso mi racconti tu qualcosa della tua famiglia? », cercò di sviare il discorso. « Senz'altro è una storia molto più interes­sante della mia ».

 « Cosa vuoi sapere? » le chiesi circospetto.

« È vero che i Cullen ti hanno adottato? ».

« Sì ».

« Cos'è successo ai tuoi genitori? » domando, dopo un momento di esitazione, come a cercare il modo più giusto per poter pormi quella domanda.

« Sono morti parecchi anni fa » dissi in tono neutro. Non ricordavo quasi nulla su di loro.

« Mi dispiace », mormorò con un filo di voce.

« Non ricordo granché di loro. Carlisle ed Esme sono i miei genitori da parecchio tempo ».

« E gli vuoi bene »

« Sì ». Sorrisi. « Non potrei immaginare due persone migliori ».

« Sei molto fortunato ».

« Lo so ».

« E i tuoi fratelli? ».

Lanciai un'occhiata all'orologio del cruscotto.

« Mio fratello e mia sorella, oltre a Jasper e Rosalie, si inner­vosiranno parecchio se gli toccherà aspettarmi sotto la pioggia ».

<< Oh, scusa, immagino che tu sia in ritardo ».

« E immagino che tu rivoglia indietro il tuo pick-up prima che l'ispettore Swan torni a casa, così non dovrai dirgli dell'in­cidente di biologia » dissi facendole un gran sorriso.

« Di sicuro sa già tutto. A Forks non ci sono segreti ». disse sospirando. Sapevo che le mancava Phoenix, durante il sonno ne parlava molto spesso.

« Divertiti, alla spiaggia... c'è il tempo giusto per prendere il sole » ironizzai guardando fuori dal finestrino la pioggia cadere inesorabile.

« Domani non ci vediamo? ».

« No. Io ed Emmett anticipiamo il weekend ».

« Cosa fate? »

<< Andiamo a fare trekking nella riserva di Goat Rocks, a sud del monte Rainier >>

<< Oh be’, divertitevi >> disse in tono poco convincente. Gli angoli delle mie labbra si inarcarono in un sorriso.

<< Faresti una cosa per me, questo weekend? >> le chiesi guardandola in faccia.

Assentii con il capo.

<< Non offenderti, ma tu sembri il classico genere di persona che attrae gli incidenti come una calamita. Perciò... cerca di non cadere nell'oceano, di non farti investire, o chissà cos'al­tro, d'accordo? » le feci un mezzo sorriso.

Scherzai, ma l’idea di  non averla sotto controllo per più di due giorni, mi turbava.

<< Ci proverò >>

Risi al sentire la sua promessa.

Come scese dalla macchina ripartii verso scuola a tutta velocità, ma non potei evitare il ritardo: erano già tutti fuori scuola ad attendermi.

Incontrai gli occhi di Rosalie contrariati guardandola dallo specchietto retrovisore.

<< Dove sei stato? >> mi chiese, irritata.

La ignorai, rivolgendomi ad Alice.

<< Alice, dovresti farmi un favore >>

“ Cioè?”

<< Bella si è sentita male, durante l’ora di biologia. Così l’ho accompagnata a casa, potresti riportarle il pick-up? >>

Assentii con il capo, rivolgendomi un sorriso prima di scendere, accompagnata da Jasper; quei due erano inseparabili.

A quel punto mi scontrai con l’ira di Rosalie.

<< Che cosa hai fatto?? >>

<< Non credo siano affari tuoi! >>

<< Certo che sono affari miei…come di tutti noi del resto >> rispose lei, risentita.

<< No, Rosalie. La mia vita privata non ti deve riguardare >> dissi a denti stretti, arrabbiatissimo.

<< Passi troppo tempo con un’ umana…Così rischi di metterci in pericolo >>

Mi sfuggii un ringhio, indurii la mascella, e strinsi con troppa forza il volante.

Aumentai la velocità: non vedevo l’ora di arrivare a casa per non dovermi sorbire più le critiche di mia sorella.

Giunti davanti la porta d’ingresso:

<< Fermati, Edward! Voglio scendere qui >>

Inchiodai di proposito.

<< Eccoti servita! >>

Scese sbattendo lo sportello, con rabbia.

<< Ci parlo io >>

Mi girai verso Emmet, assentii in silenzio.

<< Anche se… >> non finì la frase.

<< Anche se, cosa? >> lo aggredii io.

<< Pensa a quello che ha detto. In fondo non ha tutti i torti. >>

Distolsi immediatamente gli occhi dal suo viso, facendogli intendere che per ma la conversazione finiva lì.

Rimasto solo, sfrecciai in garage: restai nell’abitacolo il tempo sufficiente per riacquistare- almeno parzialmente- la calma.

 

Nonostante i pochi commenti ricevuti, continuerò a postare per coloro che hanno aggiunto la mia storia tra la preferite e le seguite; a tal proposito un grazie a:

Fofficina, Saskia79, Theangelsee96, Underwolrd_max.

E a grazie anche a tutti coloro che hanno dato una letta.

Al prossimo capitolo,

Maryana.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Caccia ***


6

Caccia.

 

Emmett ed io, raggiungemmo la riserva di Goat Rocks servendoci della nostra forza vampiresca.

Come al nostro solito ci mettemmo alla prova, ma il risultato era sempre lo stesso: in testa c’ero io, per quanti sforzi potesse fare, non riusciva a battermi; modestia a parte, nella corsa ero imbattibile!

Arrivammo per nulla affaticati e sempre più assetati, ci guardammo intorno circospetti, ma le nostre previsioni si rivelarono esatte: la riserva era deserta, nessuno poteva sceglierla per farci trekking, e non era stagione di caccia, perciò avevamo la foresta a nostra completa disposizione.

Il silenzio regnava sovrano attorno a noi, il nostro arrivo doveva aver impaurito gli abitanti della foresta, o almeno quelli di modeste dimensioni come gli scoiattoli; fortunatamente per loro  piccoli roditori, non erano le nostre prede.

Ci muovevamo pianissimo, dilatando il più possibile i timpani, pronti nel sentire il più piccolo rumore di spostamento, più camminavamo e più, involontariamente, io ed Emmett prendevamo le distanze, del resto i nostri gusti erano diversi.

Improvvisamente sentii avanzare dei passi altrettanto morbidi, passi che potevano essere riconducibili solo ad un felino…e l’unica specie vivente in quella zona era il puma.

Saltai con agilità su un ramo di un albero, dall’alto mi sarebbe stato più facile vederlo arrivare e farlo cadere nelle mie grinfie, comparendogli davanti dal nulla.

Aspettai, pronto al salto, il suo arrivo maesto ed elegante, lo sentii ruggire ed il suono si era fatto più vicino. Solo qualche altro istante e avrei visto la sua comparsa.

Aguzzai la vista e scorsi il suo manto caramello, procedeva con grazia e senza paura, ogni tanto si leccava il muso, il gattino era a caccia proprio come il sottoscritto. Ma era capitato nel momento sbagliato, sarebbe finito all’altro mondo a stomaco vuoto.

Attesi solo qualche altro secondo prima di presentarmi davanti i suoi occhi gialli. Con un salto atterrai silenzioso sul terriccio, pronto a placare parzialmente la mia sete.

Il felino, trovandomi dinanzi senza che se lo aspettasse, mostrò gli artigli e cominciò a soffiare in segno di sfida, e forse paura.

Mi preparai a ricevere l’attacco, anche se le sue unghiate non mi avrebbero procurato alcuna ferita, la mia pelle era troppo dura perfino per i suoi acuminati.

Il puma mi scrutò ancora qualche secondo, la coda oscillava a destra e a sinistra con fare nervoso; mi ero appena messo in mezzo ai suoi piani di cattura.

Di colpo, si lanciò contro di me, senza timore né sforzo lo sollevai facendolo ricadere pesantemente a terra, il felino si dimenava lanciando fendenti nel vano tentativo di liberarsi dalla mia presa. Ma per lui ero troppo forte, era mio prigioniero, succube del mio volere. Ruggì più volte colto da una rabbia improvvisa.

Scoprii i denti pronto a morderlo nella gola, dove l’afflusso di sangue era maggiore. Con facilità affondai i canini nella sua carne, fino a squarciarla e a godere del liquido denso e caldo. Più la forza del puma andava ad affievolirsi, e più la mia si invigoriva, ma un solo “pasto” non sarebbe stato sufficiente. Una volta averlo dissanguato, lanciai il più lontano da me ciò che restava dello sfortunato animale. Uccidere, anche se si trattava di un animale, non era del tutto appagante: uccidevo per bisogno di sopravvivenza.

Tornai alla ricerca della mia prossima preda, a quel punto sarebbe andato bene anche un qualsiasi erbivoro, la sete maggiore l’avevo messa a tacere.

A metà pomeriggio, incrociai la strada di Emmett, mi sorrise beffardamente:

<<  Soddisfatto per oggi? >>

Assentii sorridendo a mia volta, il giorno seguente avremmo continuato dissetandoci a dovere.

Mi sedetti per terra, con la schiena appoggiata contro la corteccia di un albero, Emmett fece lo stesso affiancandomi.

Rimanemmo in silenzio, con la gola meno in fiamme era più semplice pensare a qualcos’altro. Alzai gli occhi verso il cielo, mancavano poche ore che si facesse buio, ed inevitabilmente il mio pensiero si spostò sulla Forks’s high school: la giornata scolastica era quasi giunta al termine.

Mi riscoprii a pensare a Bella, me la immaginai a mensa circondata dai suoi amici e durante l’ora di biologia seduta al banco da sola, data la mia assenza… mi fece tristezza quel pensiero.

Il timore che potesse accaderle qualcosa di male mi assalii come il giorno precedente: e se fosse inciampata ferendosi, e se fosse caduta dalle scale, e se qualcuno l’avesse investita, e se…

<< A che pensi? >>

La voce di Emmett mi riscosse, lo guardai con la fronte aggrottata:

<< Come mai quell’espressione? >> continuò lui, dato il mio silenzio.

Distolsi gli occhi da lui, rilassando il volto.

<< A Bella >> dissi sospirando.

Emmett emise un lamento infastidito:

“ Si è bevuto il cervello!”

<< Oh no. Ti sbagli, non sono mai stato tanto lucido >> risposi al suo pensiero.

<< Lucido?! Da quando voler frequentare un essere umano è un comportamento razionale?! >>

Sbuffai, non si poteva generalizzare ogni singolo evento: con Bella era successo qualcosa di nuovo e misterioso, qualcosa che nessuno tra i vampiri di mia conoscenza aveva mai provato.

<< Non è da te, Edward! >> mi rimproverò contrariato.

<< E se fosse cambiato qualcosa?! >> risposi adirato, tornando a guardarlo.

<< Cosa? >> chiese allarmato.

<< Lascia perdere, non puoi capire >> sentenziai con un sospiro.

Mi alzai, allontanandomi da lui. Non mi andava proprio di litigare.

Mi rimisi seduto e chiusi gli occhi, distanziandomi da mio fratello anche con la mente. Li riaprii qualche minuto dopo quando sentii qualcosa colpirmi la spalla. Aprii gli occhi stupito e vidi in piedi di fronte a me Emmett.

<< Ok, ammettiamo che io non capisca… perché non mi spieghi?! >>

Scossi il capo interdetto. Era difficile poterlo fare a parole.

<< Non so come… >> dissi con una desolazione sincera.

<< Nel modo più facile che riesci a trovare >>

Mentre cercavo le parole adatte-sempre che esistessero- lo sentii sedersi vicino a me.

Aspettava in silenzio la mia risposta, la sua mente era in subbuglio. Non riusciva davvero a capire cosa mi stesse succedendo.

<<  E’ qualcosa d’indescrivibile. E’ la voglia- se non il bisogno- di stare in sua compagnia. Sono nervoso quando non è nei paraggi, quando non posso controllarla. Ti sembrerò esagerato, ma non ho mai visto una persona tanto incline agli incidenti come lei >> sorrisi al suo ricordo << Ho preso l’abitudine d’andare da lei di notte, la osservo dormire lontano dai guai, sperando ogni volta che non cada dal letto >>

Emmett rise sommessamente a quelle parole:

<< Scusa >> disse trattenendosi.

Proseguii ignorandolo, come se non lo avessi sentito.

<< L’essere bloccato qui mi sta facendo impazzire… temo per la sua salute, se le accadesse qualcosa mentre sono qui, lontano da lei, nessuno potrebbe fare nulla per metterla in salvo. E se le capitasse qualcosa di fatale… >>

<< Oi oi… frena! >> mi interruppe Emmett.

Lo guardai in silenzio, nervoso.

<< Togliti quell’espressione preoccupata dal viso! >> mi rimproverò << Cosa vuoi che le accada…starà al sicuro >>

<< Domani andrà alla riserva di La Push >>

<< E allora? >> chiese lui sconcertato.

<< E se dovesse cadere nell’oceano e affogare?! >>

<< Ma come ti vengono certe idee?! >> esclamò Emmett allibito.

<< Te l’ho detto… è così… fragile! >>

Mi guardò contrariato, sulle labbra gli era fiorita una smorfia.

<< Che c’è? >> chiesi incuriosito. Cosa avevo mai detto di tanto strano.

<< Sei paranoico! >> disse sbuffando.

<< No, sono solo molto in pensiero >>

A quel punto mio fratello scattò in piedi irritato:

<< Oh Santo Cielo!! >> esclamò << Sembra che stai parlando di una bambina! E’ fragile, indifesa e molto umana… ma cavolo è adulta. Saprà badare a se stessa. >>

Ammutolii guardando il terreno, mossi un bastoncino tracciando linee indefinite. Emmett sospirò, prima di parlare di nuovo:

<< Edward, cerca di darti una calmata, altrimenti qui impazziamo in due! >>

Attese una mia risposta, che non gli fornii.

<< Vedrai che quando tornerai sarà tutto come l’hai lasciato, e a quel punto sarò costretto a dirti “te l’avevo detto” >>

Lo guardai restando in silenzio, i miei occhi ero sicuro fossero velati da un’ombra.

<< Ah ci rinuncio! Vado a farmi un giro…mi sta venendo voglia di farti del male fisico >>

Fece solo due passi quando lo richiamai:

<< Che vuoi ancora? >> chiese allargando le braccia.

<< Per te cosa mi è successo? >>

Scoppiò a ridere, scosse il capo: non pronunciò la sua teoria, la lessi nella sua mente.

“ Niente di più facile, fratello. Ti sei innamorato”

Rimasi a bocca aperta, osservandolo allontanarsi senza vederlo davvero.

Così era questo l’amore?! Ne avevo sentito parlare, l’avevo letto nei libri e visto o nei film o sulla pelle di qualcun altro.

Ma provarlo in prima persona era diverso, molto diverso…era qualcosa di sconvolgente!

 

Questo capitolo è un po’ corto, ma spero sia stato comunque di vostro gradimento.

Vorrei ringraziare:

Aberlin: Grazie a te, sono contenta che ti stia piacendo. La tua recensione l’ho apprezzata davvero!

Ed inoltre a:

Elivamp: per averla aggiunta tra i suoi preferiti.

Flazzy Cullen e Lorelaine86: per averla aggiunta tra le storie seguite.

A presto,

Maryana.

 

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Capitolo 7
*** Mi manchi ***


7

Mi manchi.

La parola innamorato mi ronzava nella testa, come un disco rotto, non riuscivo a capire nient’ altro.

Ne ero stupito, in tutta la mia vita mi ero convinto che l’amore non fosse per tutti. Non mi ero mai sentito a quel modo, e cominciai ad abituarmi al vuoto che sentivo dentro e alla solitudine che mi accompagnava, resa ancora più marcata dalle coppie che mi circondavano.

Mentre cacciavo, nonostante la sete e la gola in fiamme, la mia mente spaziosa riusciva a pensare a Bella; non vedevo quasi del tutto le bestie feroci che avevo davanti, le colpivo meccanicamente, senza difficoltà. Ciò che i miei occhi realmente vedevano era il viso di Bella.

L’ansia del giorno prima non mi aveva minimamente lasciato, anzi con il passare delle ore si era fatta ancora più intensa.

Cacciavo con foga, avevo fretta di dissetarmi, mi premeva il desiderio di tornare in città il prima possibile. Emmett notandolo mi rimproverò:

<< Datti una calmata! Sai bene quanto me che dobbiamo restare qui fino a domani >>

Lo guardai facendo mente locale: saremmo dovuti restare per l’intera durata del weekend. No, troppo tempo, decisi di trovare una via di mezzo.

<< Non so te, ma io domani mattina me ne torno a Forks >>

Emmett sospirò scuotendo il capo.

<< Come vuoi >>

Con uno scatto felino ripresi a correre, in cerca della nuova preda,volevo fare il pieno di puma, dato che avevo anticipato la partenza.

Passai l’intera notte a guardare il cielo sdraiato, non mi andava neanche di parlare con mio fratello. Ero capace solo di sperare che Bella non si fosse messa in qualche guaio, andando a La Push, volevo immaginarmela addormentata, al sicuro nel suo letto…che tristezza dovermi privare nuovamente di poterla vedere dormire.

Il mio silenzio, innervosiva maggiormente Emmett:

<< Ma insomma vuoi startene così tutta la notte?! >>

Lo guardai sconcertato, ci pensai qualche istante prima di riportare lo sguardo al cielo stellato: notte limpida, ma sicuramente fredda.

<< Andiamo Edward! >> mi incitò lui alzandosi << Sembri un vegetale! >>

Continuai ad ignorarlo,qualunque cosa mi avrebbe proposto sapevo già che non mi avrebbe entusiasmato, volevo solo esser lasciato in pace, crogiolarmi nella mancanza che sentivo di lei. Cercai di ricordarmi il suo profumo,ancora capace di darmi alla testa come l’alcool, ma così dolce da non poterne fare a meno. E del resto mi mancava proprio come qualsiasi altra cosa di lei.

<< Giuro che non ti riconosco! >>

Emmett continuava a sbraitare, ma non avrebbe potuto far nulla per attirare nuovamente la mia attenzione. Forse, però, non aveva tutti i torti nel dire che gli ero estraneo, ero cambiato. Era stato lui a definirmi innamorato, avrebbe dovuto sapere che questo nuovo stadio avrebbe comportato delle novità, no?!

Mai come in quel momento nutrii il desiderio di poter prendere sonno, lasciarmi andare in un altro mondo, chiudere gli occhi e riaprirli solo a mattino iniziato. I minuti scorrevano lenti e noiosi, sembravano eterni; la luna percorreva il suo percorso troppo lentamente.

 

Quando il cielo cominciò a schiarirsi diventando da un celeste pallido a un grigio opaco, il classico colore della città di Forks, mi alzai di scatto, mi preparai alla mia ultima  caccia per il weekend dissetandomi a dovere.

In ultimo cercai Emmett:

<< Torno a Forks >>

Emmett lasciò cadere la carcassa della sua ultima preda:

<< Vengo con te >>

Assentii con il capo in silenzio prima di sfrecciare attraverso la foresta.

<< Cavolo, aspettami! >>

Si lamentò Emmett, ma non diminuii la mia corsa libero e impaziente di tornare a Forks.

Finalmente giunsi a casa, ero già nell’ingresso quando anche Emmett arrivò, mi lanciò un’occhiata contrariata ma non vi badai; ero troppo di buon’umore in quel momento.

<< Fatta buona caccia? >> ci chiese Alice sbucando dal salotto.

<< Abbastanza >> risposi sorridendo.

Alice socchiuse le labbra, prima di stirarle in un sorriso compiaciuto.

<< Sei raggiante >> osservò con un’espressione furba << E credo di sapere il motivo >>

Emmett la guardò confuso, io sapevo a cosa si stesse riferendo ma stetti al gioco.

<< Cioè? >>

A quel punto mia sorella emise un risolino divertito, simile al suono di un campanellino.

<< Ma dai smettila di giocare! >> scosse il capo continuando a ridere << Sappiamo benissimo entrambi che ti è successo >>

Sorrisi trasportato dal suo divertimento:

<< Ma toglimi una curiosità…per sapere cosa mi è successo che cosa hai visto? >>

Alice stava per rispondermi, ma fu bloccata dall’arrivo di Rosalie:

<< Ma allora è vero?! >>

La sua voce era stata fredda e tagliente come la lama di un coltello. Mi girai a guardare la sua figura a braccia conserte sull’ultimo gradino delle scale.

<< Non ci posso credere >> scosse il capo interdetta, mordendosi nervosamente il labbro pieno inferiore << Ti sei innamorato di lei!! >>

Mi lasciai scappare un sospiro udibilissimo stringendo i pugni. Emmett le fu accanto in un attimo circondandole le spalle:

<< Su Rose, non poteva prevederlo nemmeno lui >> le disse gentile, cercando di placare la sua rabbia.

<< Però poteva cercare di evitarlo! Invece non l’ha fatto… >>

Mi ribollì il sangue nelle vene nell’udire quelle parole, dalla mia gola uscì un suono gutturale. Avanzai verso di lei infuriato, Alice cercò di trattenermi per un braccio invano.

<< Di cosa mi accusi Rosalie?! Di essere tornato a Forks, di averle salvato la vita o quant’altro?! >>

Rosalie sbuffò volgendo il capo dall’altra parte.

<< Non rispondi, eh?! >> la provocai ormai vittima dell’irritazione.

Non sopportavo che mi si giudicasse per le scelte che avevo fatto, ero il primo a rimproverarmi- di certo l’amarla la metteva maggiormente in pericolo- per quello che era successo. Ma non mi si erano presentate molte scelte.

Avevo lottato contro me stesso, avevo provato a starle lontano con l’unico risultato di far star male sia me che lei.

<< Edward… >>

Mi girai nel sentire il mio nome ed incontrai gli occhi comprensivi di Alice, che accennò ad un lieve sorriso.

Annuii alla sua preghiera di ritrovare la calma e smettere di discutere. Ormai era tardi per far uscire dalla mia vita Bella, anche perché era l’ultima cosa che avrei voluto: se mi avessero chiesto di considerare l’eventualità di smetterla di frequentare Bella per riappacificarmi con mia sorella Rosalie, avrei declinato l’offerta. Preferivo essere in ostilità aperta con Rosalie ed ignorare le sue punzecchiatine piuttosto che star lontano da lei.

Lasciai l’ingresso, urtai appositamente la spalla di Rosalie quando le passai accanto per salire le scale, Alice prontamente mi seguii, la guardai sconcertato con la coda dell’occhio.

“ Eh no! Non te la puoi cavare così. Devi soddisfare la mia curiosità”

Feci un mezzo sorriso senza rimproverarla. Dopotutto non mi infastidiva la sua compagnia né le sue conversazioni.

Entrammo in camera mia, scelsi un disco a caso mentre lei si accomodò sul divano con le gambe stese, un gomito sul bracciolo ed il mento appoggiato su una mano.

“Allora?!”

Le nostre chiacchierate erano sempre così: lei pensava ed io le rispondevo ad alta voce.

Mi girai a guardarla, la sua espressione era allegra, gli angoli delle labbra inarcati in un sorriso.

<< Cosa vuoi sapere? >>

“Come ti senti?”

<< Strano >> ammisi sospirando.

“Però, ammettilo…è bella come emozione”

Annuii sorridendo a mia volta:

“Qualcosa è cambiato in te…

<< Cioè? >> la scrutai pensieroso.

“Non so…c’è qualcosa di diverso nel tuo sguardo. Una luce che non avevo mai visto”

Probabilmente, se il sangue fosse scorso ancora nella mie vene, sarei arrossito. Non credevo che il mio stato d’animo fosse palese anche dall’aspetto esteriore.

<< Tu piuttosto. Prima non hai risposto alla mia domanda >> sviai il discorso.

“ Non ho visto niente che tu non abbia già vissuto”

<< Spiegati meglio”

Alice sospirò, scrollando le spalle.

“Venerdì che tu ed Emmett siete andati a Goat Rocks, ho visto la vostra conversazione di quella sera “

Assentii convinto, ma sperai in qualcos’altro.

<< Nient’altro?! >>

“Per capire che eri innamorato era sufficiente”

Bofonchiai qualcosa contrariato, mi stava letteralmente prendendo in giro. La mia reazione la fece riesplodere nella sua risata canterina.

“No, non ho visto nient’altro. Se tu sei il primo a non sapere bene come agire, non posso avere una visione nemmeno io”

<< Giusto >> le concessi.

“Comunque”

<< Comunque? >>

“Senti, quando sono venuta a conoscenza di questa notizia avevo deciso d’ignorarla. Ma credo che ora t’interesserà saperlo”

<< Di che notizia parli? >> aggrottai le sopracciglia interdetto.

“Tyler Crowley va dicendo che porterà Bella al ballo di fine anno”

Scoppiai in una fragorosa risata.

<< E lei lo sa?! >> chiesi ironico.

“Che vorresti dire?!”

<< Credo proprio che Tyler  Crowley stia facendo tutto da solo >>

Alice mi guardava sconcertata, non capiva come potessi esserne certo.

Mi avvicinai al divano, Alice raccolse le gambe al petto per farmi un po’ di spazio e permettermi di sederle accanto.

<< Questa non te l’aspetti di sicuro >>

“Mettimi alla prova”

<< Ho preso l’abitudine di andare a casa di Bella la notte. Mi piace guardarla dormire”

Alice dischiuse le labbra sbigottita:

“Hai vinto”

Risi divertito nell’ascoltare il suo pensiero.

<< Aspetta di sentire il resto >> ridacchiai compiaciuto al ricordo << Bella ha il vizio di parlare nel sonno. Così la prima volta che sono andato a farle visita, l’ho sentita pronunciare il mio nome >>

Mia sorella sorrise lieta.

“Eh sì. Questo cambia le cose” assentì con il capo. “Povero Tyler, credo avrà una brutta sorpresa”

<< Ben gli sta! Almeno la smette di mettere in giro false notizie >>

“Ci godi nel saperlo perdente!”

<< Non rimproverarmi! >> l’ammonii, non ero poi così sadico.

“Hai ragione, non ti posso biasimare”

<< Grazie >> risposi asciutto.

Alice rise divertita al mio tono sarcastico, poi si alzò e silenziosamente lasciò la mia stanza.

Spensi la radio e scesi in salotto, mi sedetti al piano e pensando a Bella tornò la melodia lenta, melanconica e dolce che solo lei era in grado di ispirare. Aspettai così l’imbrunire, attesi che il cielo si oscurasse del tutto e solo verso mezzanotte lasciai la mia casa per la sua.

Come supposi la struttura era avvolta dal buio e dal silenzio, mi arrampicai sull’albero vicino la sua finestra e da quella entrai nella sua camera. Da subito sentii il suo respiro diverso da quand’era sveglia.

Trepidante mi avvicinai a lei, dovevo verificare che fosse tutta intera.  Con il fiato sospeso esaminai il suo viso intatto e poi passai alla verifica dei polsi, e anche quelli fortunatamente erano privi di strani segni.

Si dibatteva nel sonno; era raro, a quanto pare, che facesse dei bei sogni.  La tentazione di accarezzarle i capelli e sussurrarle nell’orecchio di stare calma, era tanta; ma non mi era permesso toccarla, se si fosse svegliata trovandomi lì, come mi sarei potuto giustificare?!

Eppure la mia mano si alzò e rimase a mezz’aria quando per la prima volta la sentii parlare:

<< No!! >> cominciò a dimenarsi << Edward, non farlo… >>

A quanto pareva, avevo appena fatto la mia comparsa nel suo sub inconscio. La sua voce mi apparve carica d’apprensione…chissà cosa le stava accadendo. E soprattutto, possibile che avessi intuito bene, cioè che era preoccupata per me?!

Non ebbi modo di scoprirlo, continuò a parlare ma erano parole astratte, senza riuscita di attribuirgli un senso.

Rimasi con lei, seduto sul bordo del suo letto incapace di staccare gli occhi dal suo viso: solo in quel momento mi accorsi di quanto avevo sofferto la sua mancanza.

Decisi di andarmene alle prime luci dell’alba, contento che potessero mancare poche ore per poter parlare nuovamente con lei.

 

Correvo verso casa, il sole sorgeva alla mie spalle, presto mi avrebbe irradiato la pelle emettendo delle increspature brillanti, paragonabili a dei diamanti. Odiavo quell’effetto naturale, sottolineava il lato più brutto di ciò che ero, ricordandomi la natura intrinseca del mio essere.

Ovviamente quella singolare reazione solare, costringeva noi Cullen o a relegarci in casa, o a nasconderci da qualche parte-io personalmente, come posto preferito avevo un piccola radura in mezzo alla foresta.

Sbuffai guardando il cielo prendere un colorito azzurro, ciò significava una sola cosa: niente scuola.

Entrai in casa facendo sbattere la porta d’ingresso, il mio buonumore se n’era bello che andato. Avevo aspettato così tanto quel lunedì mattina, eppure venivo punito non potendo uscire nascondermi alla vista umana.

Rimasi per qualche istante fermo al centro dell’ingresso, stavo seriamente pensando d’infrangere le regole. Sole o meno non  sarei rimasto tra quei muri lasciandomi soffocare da essi.

Salii svelto in camera, scelsi dei vestiti a caso e mi precipitai in garage. Sulle scale incrociai Alice:

“Dove vai?” mi chiese telepaticamente, corrugando le sopracciglia.

<< A scuola >> risposi senza fermarmi.

“Edward, ma?!”

<< Tranquilla, starò attento a non farmi vedere. >> le dissi senza fermarmi.

Aprii la porta di casa, ascoltando il suo pensiero:

“Hai perso totalmente la ragione” la sentii ridacchiare.

Risi a mezza bocca conscio della sua osservazione: sì, molto probabilmente era come dicevano tutti…ero impazzito, stavo cominciando a fare delle cose inusuali per la mia indole, mai mi ero presentato nel centro di Forks in pieno sole.

Mentre guidavo mi cadde l’occhio sulle irradiazioni sulle mie mani, scossi il capo sorridendo, non riuscì a fermarmi neanche quella vista orripilante.

Parcheggiai lontano dalla Fork’s high school per procedere a piedi, era ancora troppo presto perché ci fosse qualche passante sulla mia strada. Giunto davanti l’entrata mi concentrai sul nascondiglio perfetto, e cominciai a temere di non riuscire a trovarlo, e a quel punto avrei dovuto farmi a gran velocità la strada che mi separava dalla mia automobile.

Cominciai a sudare freddo, quando mi venne un’idea- forse non del tutto geniale- di salire sull’albero più alto che circondava l’edificio scolastico, arrampicarmi fin su in cima e nascondermi tra i rami.

Era poco probabile che qualche vista umana, per quanto acuta, potesse intravedermi ad una simile altezza.

Osservai dal mio riparo l’arrivo di Bella inaspettato: era fortemente in anticipo, se fosse arrivata solo cinque minuti prima mi avrebbe scoperto.

Parcheggiò e si diresse sulle panchine all’aperto sul lato sud della mensa, si sedette sulla giacca a vento, cosa che mi fece intuire che il marmo doveva essere ancora umido. Tirò fuori dallo zaino un libro e l’astuccio, e da quel momento sembrò estraniarsi da ciò che la circondava. Non si accorse nemmeno dell’arrivo di Mike Newton:

<< Bella! >>

Solo al suono della voce dell’amico si guardò intorno disorientata.

<< Ehi Mike >> sembrava di buon umore, al mio contrario.

Mike le sedette al fianco, felice di rivederla.

“Finalmente, quanto tempo!”

E lo diceva lui che non la vedeva dal venerdì precedente?!Che voglia di scendere e strozzarlo!

Ma la rabbia suscitata dalla gelosia più nera, esplose quando le prese tra le dita una ciocca di capelli.

“Ok, ora scendo e lo uccido!” mi fu solo concesso pensarlo.

<< Non mi sono mai accorto…hai una sfumatura di rosso nei capelli >>

“Quanto sei bella!” quello il suo pensiero successivo. Che nervi!!

<< Solo quando c’è il sole >>

Le sistemò la ciocca dei capelli dietro l’orecchio. Divorato dalla gelosia, rimasi come un ebete a guardare quella scenetta.

Parlarono del più e del meno: della bella giornata, della consegna del compito d’inglese quando Newton le fece una proposta che mi spinse per poco a scendere davvero.

<< Stavo per chiederti se ti andava di uscire >>

Con il fiato mozzo aspettai solo il rifiuto di Bella.

<< Ah >> la sua unica risposta.

<< Be’ potremmo uscire a cena o qualcosa del genere…e il saggio lo preparo dopo >>

“Sempre se sopravvivi per la cena e non ti ammazzo prima” il mio pensiero.

“Ti prego fa che dica di sì” il suo.

Ed intanto entrambi pendevamo dalle labbra di Bella.

<< Mike… >> fece una pausa come a cercare le parole adatte << Non penso che sarebbe un’idea grandiosa >>

Le sue parole erano state musica per le mie orecchie, a quel punto sarei sceso dall’albero dalla gioia.

Mike spalancò la bocca, stupefatto:

<< Perché? >>

“Se c’entra Cullen, giuro che appena lo vedo lo sbatto al muro”

“Fatti sotto Newton, non aspetto altro!”

Bella diplomaticamente e senza esporsi in prima persona, lo mise al corrente dell’interesse di Jessica per lui.

Il ragazzo rimase di stucco, e Bella colse al volo quell’occasione per sgattaiolare via, ed insieme si diressero verso l’edificio 3.

Per mia fortuna dal punto in cui mi trovavo riuscivo a captare i pensieri dei suoi amici. Anche se concentrarmi, se pur distrattamente, sulla mente di Jessica non mi entusiasmasse, era l’unico modo per poter tenere sotto controllo Bella.

Le due amiche si incontrarono all’ora di trigonometria, Jessica aveva in testa un solo pensiero: il ballo di primavera.

Fu così che le propose di recarsi, insieme ad altre due ragazze, a Port Angeles quel pomeriggio sul tardi nella speranza di trovare l’abito perfetto: ovviamente sarei andato con loro seguendole a detta distanza.

Il resto della giornata, tenni a bada Bella ascoltando molto distaccatamente le menti degli altri: un po’ di privacy la meritava anche lei.

A quel punto scesi dall’albero e mi diressi a tutta velocità verso il riparo che la macchina avrebbe potuto offrirmi. Per i passanti che incontravo ero troppo veloce per poter vedere la mia pelle brillante.

Decisi di dirigermi verso casa di Jessica, e poi seguirla non appena fosse giunta l’ora di recarsi a Port Angeles. L’attesa fu lunga e noiosa, appena la ragazza rincasò si precipitò al telefono per chiamare Bella e avvertirla che la gita sarebbe slittata al giorno successivo. A quel punto potevo anche tornare a casa, sapendo Bella al sicuro nella sua, sarei andato da lei all’arrivo della notte.

A casa fui ben attento a non incrociare Rosalie, sicuramente mi avrebbe riservato la sua solita aria contrariata accompagnata da una lunga predica.

Come mi capitava spesso in quel periodo sedetti al pianoforte, volevo dare una composizione adeguata alla musica che Bella riusciva ad ispirare, ma fui interrotto in poco tempo da Jasper:

<< Per evitare un’inutile discussione, ti consiglio di alzarti e venire con me nella foresta >>

<< Rosalie! >> sibilai tra i denti.

Mia sorella stava diventando una persecuzione, proprio non capiva che era tutto inutile e soprattutto non era stanca lei in prima persona di affrontare sempre lo stesso argomento?!

In silenzio seguii Jasper scappando dalla grinfie di Rosalie, mi nascosi tra gli alberi quando si presentò:

<< Jasper >> la sentii chiamare.

<< Dimmi >> le rispose in tono gentile e distratto.

<< Hai visto Edward? >> non mi sfuggì il suo tono adirato.

<< Assolutamente, no >>

<< Accidenti! >> imprecò.

 “Ma dove diamine è finito?!” la sentii allontanarsi infuriata.

<< Ma toglimi una curiosità >>

Mi disse Jasper pensoso, quando uscii dal mio nascondiglio:

<< Cosa? >>

<< Perché ti sei fissato così con questa ragazza? >>

<< Non so…il suo profumo è qualcosa di sconvolgente e poi tutto ciò che fa mi lascia senza parole >> risposi sospirando.

<< Davvero non ti capisco. Per me sono tutti…uguali! >>

Jasper s’era unito alla mia famiglia da troppo poco tempo, non era ancora capace di regolare la sete, sensibile al sangue di qualsiasi umano.

<< Però… >> proseguì esitante, come a voler stare bene attento a cosa dire << Rosalie non ha tutti i torti: se finisce male ci andiamo di mezzo tutti >>

<< Ma tu non mi avevi cercato per distrarmi? >> chiesi ironico con un mezzo sorriso.

Jasper ricambiò il sorriso ed entrambi sfrecciammo nella foresta.

A giornata finita, come di consueto andai a far visita ad una Bella addormentata, che non deluse le mie aspettative:

<< Edward…dove sei? >> sussurrò nel sonno, flebilmente.

La prova schiacciante che come lei mancava a me, io ero mancato a lei. Sorrisi nascosto dal buio della stanza,mi avvicinai al letto con passo felpato:

<< Proprio qui accanto a te >> sussurrai in modo da non svegliarla.

Con mia grande irritazione il giorno dopo si ripresentò il sole. Tutto si svolse nelle stesse condizioni del giorno precedente, sapevo gli spostamenti di Bella a memoria, e cercavo di capire i suoi stati d’animo attraverso le menti di chi le stava intorno.

Quando le lezioni finirono seguii in macchina , la Mercury bianca di Jessica fino a casa di Bella, dove ella lasciò il pick-up, rientrò per dieci minuti in casa per poi salire in macchina con la sua amica. L’ultima tappa prima di lasciare Forks fu casa di Angela Weber, che in fretta salì in macchina, infine a loro insaputa le pedinai fino a Port Angels.

 

Un grande grazie a:

Aberlin e Lorelaine86: grazie ad entrambe per aver trovato il mio stile migliorato, sono contenta che l’abbiate apprezzato. Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto.

Inoltre:

Mezzanotte per aver aggiunto la mia fan fiction tra le storie seguite e Bellemorte86per averla aggiunte tra le sue preferite.

Un saluto,

Maryana.

 

 

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Capitolo 8
*** Ansia ***


8

Ansia

La guida di Jessica era molto più lenta della mia, era snervante andare così piano non c’era abituato, arrivai per la quattro: inammissibile.

Anche se in una macchina differente dalla loro sapevo qual’erano gli argomenti che stavano trattando: la cena di Jessica con Mike, la quale sperava che lui la baciasse al ballo, chi potesse essere il tipo ideale di Angela Weber dato che il suo cavaliere non le faceva un grande effetto, poi improvvisamente cominciarono a parlare di vestiti.

La macchina di Jessica non si fermò al molo al centro della baia, ma si diresse senza indugio verso l’unico grande magazzino della città.

Le vidi scendere dall’autovettura, Jessica e Angela elettrizzate, Bella procedeva qualche passo indietro guardandosi attorno poco attratta da ciò che la circondava.

Sapendola nel grande magazzino, cominciai a girare per la città a vuoto, ascoltando molto distrattamente i pensieri di Jessica: vestiti, scarpe, accessori…volevo impazzire, aveva limiti la sua frivolezza?!

Senza volerlo mi allontanai troppo dalla sua mente, tanto da essermi perso il fatto che lo shopping fosse giunto al termine e che Bella aveva proseguito da sola. Accidenti, adesso come l’avrei ritrovata?!

Accelerando ripresi il controllo sulla mente di Jessica, incentrata come suo solito su Mike ed il ballo, indagando  più a fondo vidi il ristorante italiano dove stava cenando con Angela, mi sforzai ulteriormente fino a riuscire ad intravedere la biblioteca in cui Bella aveva deciso di recarsi, ma quando vi arrivai non c’era neanche la sua ombra, scesi dall’auto e sentendo il suo odore intuii che si era diretta verso sud.

Cominciai a girare per Port Angels come un forsennato, in preda all’ansia: dov’era?!

Mi concentrai sui pensieri dei passanti, nella speranza che qualcuno di loro l’avesse incontrata, ma invece di Bella nessuna traccia, nessuno di loro aveva incrociato la sua strada; quando si dice la sfortuna!

L’agitazione cresceva a dismisura in  me, fortunatamente il sole stava tramontando permettendomi di parcheggiare e proseguire a piedi.

Nonostante fosse più agevole proseguire camminando, i risultati erano sempre deludenti. Se da un lato ero contento d’essere libero dal sole, dall’altro mi preoccupava che Bella fosse per strada al buio da sola.

Percorsi un altro paia di isolati a piedi, poi decisi di riprendere la macchina. Ad una velocità sostenuta optai per dirigermi nella parte più periferica della città.

Tenevo gli occhi fissi sulla strada e scorrevo le menti dei passanti, quando il suo volto mi colpì come un pugno in pieno viso. Mi girai verso l’individuo che l’aveva vista e mi scontrai con un gruppo di ragazzi.

“La ragazza non ha scampo, l’abbiamo messa in trappola!”

“Ci sarà da divertirsi…è un bel bottino”

Quelli erano i loro pensieri, sarei voluto scendere e massacrarli di botte. Ma non potevo, dovevo lasciarli illesi per farmi condurre da Bella, anche se questo mi costò un grande sforzo.

All’improvviso la vidi, era concentrata e la cosa che mi stupii: perché non optava per un piano di fuga?! Accelerai e per poco non investii uno di quei tipi costringendolo a salire sul marciapiede.

Bella vedendo la macchina si buttò in mezzo alla strada in palese segno d’aiuto, inchiodai immediatamente derapando e le aprii lo sportello del passeggero.

<< Sali >> ordinai in preda alla rabbia più feroce.

Bella non se lo fece ripetere due volte, in fretta salì sbattendo lo sportello, solo a quel punto partii sgommando verso sud, sbandando in mezzo ai teppisti, paralizzati dallo stupore. Dovevano solo ringraziare che non ero sceso ad ammazzarli.

<< Allacciati la cintura >> le ordinai perentorio.

Svoltai a sinistra, a gran velocità , superai numerosi STOP senza fermarmi mai, altrimenti sarebbe stata la fine per quei balordi.

<< Stai bene? >> mi chiese, dopo un esame veloce al  mio volto.

<< No >> risposi sinceramente furibondo.

Guidai per un paio di metri senza staccare gli occhi dalla strada, poi improvvisamente mi fermai, fuori dalla città. Dovevo ritrovare almeno un briciolo di calma.

<< Bella? >> misurai la voce il più possibile.

<< Sì? >> rispose con voce roca, si schiarì la gola.

« Tu stai bene? » le chiesi continuando a guardare altrove.

« Sì »mormorò.

« Per favore, fai qualcosa per distrarmi » ordinai, ma non ero convinto che avrebbe funzionato.

« Che cosa? »

« Chiacchiera di qualcosa di poco importante finché non mi calmo », chiarii chiudendo gli occhi e pizzicandomi alla base del naso con il pollice e l'indice.

« Uhm » ci pensò su qualche secondo « Forse domani prima che inizino le lezio­ni investirò Tyler Crowley ».

Nonostante non riuscii a riaprire gli occhi, le mie labbra si stesero in un sorriso.

« Perché? »

« Va dicendo a tutti che mi porterà al ballo di fine anno: o è impazzito, oppure sta ancora cercando di scusarsi per avermi quasi ammazzata... be', ti ricordi. E secondo lui quel ballo è chissà perché il modo migliore per farlo. Perciò, immagino che se metterò la sua vita a repentaglio saremo pari e non si sentirà più in dovere di risarcirmi. Non ci tengo ad avere nemiche, e probabilmente anche Lauren smetterebbe di tormentarmi se lui mi lasciasse perdere. Mi toccherà fare a pezzi la sua Sentra, credo. È un guaio, perché senza auto non potrà dare a nessuno un passaggio per il ballo di fine anno... ».

« M'era giunta voce » dissi leggermente più tranquillo. Alice aveva sentito bene a quanto pareva.

« Fino a te? », chiese incredula « Be', forse se resta paralizzato dal collo in giù non potrà nem­meno partecipare, al ballo », bofonchiò.

Tirai un sospiro e finalmente riuscii a riaprire gli occhi.

« Va meglio? »

« Non proprio »

Fissai il tettuccio dell’auto con la testa appoggiata al sedile, non mi ero ancora ripreso del tutto. Non riuscivo neanche a guardarla, se lo avessi fatto mi sarebbe tornati alla mente i teppisti di poco prima.

<< Cosa c’è che non va? >> sussurrò confusa.

<< Ogni tanto ho dei problemi d’impulsività, Bella >> parlai sottovoce, guardavo fuori dal finestrino con gli occhi ridotti a due fessure. << Ma non sarebbe affatto una buona cosa fare marcia indietro e assalire quei...». Non ter­minai la frase, guardai altrove, sforzandomi per un istante di te­nere a bada la rabbia. « Perlomeno », ripresi, « è ciò di cui sto tentando di convincermi »

<< Oh >> fu l’unica cosa che riuscì a dire.

Tra di noi ricadde il silenzio, fu lei a romperlo.

<< Jessica e Angela saranno preoccupate >> sussurrò << Mi stavano aspettando >>

Non aggiunsi nulla, feci una sola manovra e tornai verso il centro di Port Angeles, diretto al ristorante visto nella mente di Jessica, trovai un parcheggio angusto parallelo al marciapiede.

<< Come facevi a sapere dove… >> chiese allibita guardando fuori dal finestrino, scorgendo Angela e Jessica,poi scosse il capo.

Non le badai e scesi.

<< Cosa fai? >>

<< Ti porto fuori a cena >> cercai di sorridere lasciando andare la tensione, ma non ero sicuro d’esserci riuscito.

Scesi dall’automobile sbattendo la portiera, l’aspettai sul marciapiede, quando mi fu accanto:

<< Vai a fermare Jessica e Angela, non ho intenzione di rincorrere anche loro per Port Angeles. Non credo che riuscirei a trattenermi, se dovessi im­battermi di nuovo nei tuoi amichetti» le dissi minaccioso, prima che potesse aprire bocca.

Le chiamò sbracciandosi per farsi notare, infatti appena la videro le corsero incontro.

“Oh Bella, meno male!”

“Ma è  Edward Cullen quello vicino a lei?!”

<< Dove sei stata? >> chiese Jessica diffidente.

“Aveva appuntamento con lui e non ce l’ha detto?!”

<< Mi sono persa >> ammise << E poi ho incontrato Edward >> disse indicandomi.

<< Vi disturba se mi unisco a voi? >> chiesi con voce tranquilla.

Ma sapevo perfettamente che le due ragazze avevano appena finito di mangiare.

<< Ehm…certo che no >> sussurrò Jessica.

“Mangiare con Edward Cullen, che occasione unica”

« Uhm, in realtà, Bella, abbiamo già mangiato mentre ti aspettavamo... scusaci », confessò Angela, di certo più onesta di Jessica.

« Non c'è problema... non ho fame » disse, con noncuranza stringendosi nelle spalle.

Ma non mi convinse, così insistetti:

« Penso che invece dovresti mangiare qualcosa » dissi a voce bassa ma autoritaria.

Guardai Jessica, inchiodandola con uno sguardo e divenni più deciso.

<< Vi dispiace se accompagno io a casa Bella, stasera? Così non sarete costrette ad aspettarla men­tre mangia ».

« Uhm, non c'è problema, credo... », e si morse un labbro, cercando di indovinare dall’espressione di Bella se fosse d'accordo o meno.

<< D’accordo >> disse prontamente Angela << Ci vediamo domani, Bella…Edward >> prese Jessica per mano e velocemente si allontanarono.

Quando rimanemmo da soli si girò verso di me:

<< Sinceramente non ho fame >>

<< Fammi questo piacere >>

Mi avvicinai all’entrata del ristorante, e tenni aperta la porta con ostinazione, non lasciandole scelta. Sospirò e finalmente si decise ad entrare con me.

Appena entrati ci venne incontro la maitre, sorridendo ci chiese se volessimo un tavolo per due. Ci guidò ad un tavolo per quattro, al centro della zona più affollata del locale.

Bella stava per sedersi, ma non mi piaceva neanche un po’ la sua collocazione.

<< Non c’è qualcosa di più appartato? >> le chiesi impaziente ma con occhi supplichevoli, allungandole una mancia senza farmi vedere da Bella.

 « Certo », rispose lei. Fece strada attra­verso un divisorio, tra la sala e una fila di séparé - tutti vuoti. « Questo va bene? ».

« Perfetto ». Sfoderai il mio sorriso migliore.

A quel punto la mente della donna smise di formulare pensieri coerenti, udii il ritmo del suo cuore accelerare ma non ne afferrai il motivo.

« La cameriera arriva subi­to ». disse ritrovando un minimo di lucidità, sbatté le ciglia poi si allontanò a passo incerto.

« Non dovresti trattare così le persone, non è per niente cor­retto ».mi rimproverò Bella.

« Trattarle come? »chiesi confuso.

« Abbacinarle in quel modo per fare colpo. Probabilmente è corsa in cucina a cercare di riprendere fiato ».

Aggrottai le sopracciglia sconcertato. Di che stava parlando?!

« E dai, non dirmi che non ti rendi conto dell'effetto che fai ».

« Fac­cio colpo su tutti? ». Inclinai la testa di lato, guardandola con curiosità.

«Non te ne sei accorto? Pensi che chiunque sia capace di fare quel che desidera così facilmente? ».

Ignorai la sua domanda facendogliene un’altra:

« Abbaglio anche te? »

<< Spesso >>

Mi fece piacere la sua risposta, timida ma sincera.

Infine giunse la nostra cameriera, si sistemò una ciocca di capelli neri dietro l'orecchio e sorrise:

“Però che schianto questo ragazzo”

Ignorai del tutto il suo pensiero, mi premeva altro in quel momento.

<< Ciao, mi chiamo Amber, e stasera mi occuperò di voi. Cosa porto da bere?»

Guardai Bella:

« Per me una Coca ».

«Due», soggiunsi io.

« Ve le porto subito »

Non badai alla cameriera, la mia attenzione quella sera era solo ed unicamente per Bella.

« Cosa c'è? », chiese non appena si fu allontanata.

« Come ti senti? » domandai preoccupato.

« Bene », rispose sorpresa da cosa non riuscii a capirlo.

« Non ti senti scossa, con la nausea, infreddolita? ».

« Dovrei? ».

Soffocai una risata, di fronte alla sua incertezza.

« Be', in realtà sto aspettando che tu entri in uno stato di shock >> dissi sfoggiando un sorriso ammiccante.

« Non credo che succederà», disse sospirando. « Sono sempre stata brava a reprimere gli episodi spiacevoli ».

«Comunque sia, starò meglio quando avrai assunto un po' di cibo e zuccheri».

Con un tempismo perfetto, la cameriera apparve con le nostre bevande e un cestino di grissini.

« Siete pronti per ordinare? », mi chiese.

« Bella? », dissi io.

La cameriera, a quel punto fu costretta a girarsi verso Bella:

« Ehm... per me i ravioli ai funghi ».

« E per te? », si rivolse a me con un sorriso.

« Per me niente »

« Se cambi idea, fammi sapere ».

La ignorai rivolgendomi nuovamente a Bella:

« Bevi », ordinai, indicando il bicchiere.

Assaggiò la bibita a piccoli sorsi, obbediente,ma poi cominciò a berla con gusto scolandosela tutta. Avevo previsto bene ordinando due bicchieri, prontamente gli avvicinai il mio.

« Grazie », mormorò, improvvisamente fu percossa da un brivido.

« Hai freddo? ».

« È la Coca », spiegò, presa da un altro fremito.

« Non hai un giubbotto? » le chiesi contrariato.

« Sì », si voltò verso la sedia al suo fianco, ma era vuota. « Oh... l'ho la­sciato sulla macchina di Jessica ».

 Mi sfilai il giaccone prontamente, di certo io non avrei sentito freddo, quando glielo offrii distolse lo sguardo.

« Grazie », rispose infilandoselo.

Osservai il modo in cui era vestita: il blu della sua camicia aveva un bell’effetto sulla sua carnagione.

« Quel blu dona molto alla tua carnagione », dissi, a quelle parole abbassò lo sguardo arrossendo.

Spinsi il cesto del pane verso di lei.

« Davvero, non sono in stato di shock », protestò.

« Dovresti: una persona normale reagirebbe così. Non sem­bri neanche scossa » dissi soddisfatto, ma a mio modo sorpreso.

Qualunque cosa succedesse, anche la più inaspettata, Bella reagiva in maniera diversa. Conoscevo le menti delle altre ragazze, ed ero quasi certo che avrebbero reagito con brividi di paura, lacrime ed occhi lucidi…ma Bella no, lei era composta, perfettamente a suo agio. 

 « Vicino a te mi sento così sicura », confessò.

Dovevo forse rimangiarmi quel che avevo appena osservato, se era così tranquilla era dovuto alla mia presenza?

Non potei apprezzare quelle parole. Aggrottai la fronte scuotendo il capo con cruccio.

« È più complicato di quanto avessi immaginato » dissi tra me,la palese serenità che mostrava in mia compagnia mi spiazzava.

Prese un grissino e iniziò a sgranocchiarlo, continuando a guardarmi.

« Di solito quando hai gli occhi così chiari sei di buonumo­re »

« Cosa? » la guardai sbalordito.

« Quando hai gli occhi neri sei sempre intrattabile, almeno così mi pare. Ho una teoria ».

Si decisamente credevo fosse più facile, mi aveva osservato bene.

« Un'altra? »socchiusi gli occhi.

« Già » sgranocchiò ancora un po' il grissino ostentando in­differenza.

« Spero che stavolta tu sia un po' più fantasiosa... o hai pre­so ancora ispirazione dai fumetti? » accennai un sorriso di scherno, ma non ero affatto più rilassato.

« Be' no, non ho copiato dai fumetti, ma non è neanche un'in­venzione mia ».

« E...? ».

Ma a quel punto, da dietro il divisorio, spuntò la cameriera con il suo piatto. Quando la ragazza si avvicinò mi accorsi che senza volerlo avevamo colmato la distanza che c’era tra noi, entrambi raddrizzammo le schiene con fare nervoso. Le sistemò i ravioli davanti prima di rivolgersi a me:

« Hai cambiato idea? C'è qualcosa che desideri? ».

« No, grazie, soltanto altri due bicchieri di Coca » , spiegai indicando con la mano quelli vuoti.

«Certo» disse portando via i bicchieri e si allontanò.

« Dicevi? », ripresi.

« Ti dirò tutto in macchina. Se... ».

« Ci sono delle condizioni? » alzai un sopracciglio, sospettoso. Le sue condizioni erano sempre disarmanti.

« Anch'io ho qualche domanda da farti, ovviamente ».

Non ne avevo dubbi:

« Ovviamente ».

La cameriera tornò con le bibite. Le servì senza dire parola e se ne andò.

Ne prese un sorso.

« Be', vai avanti », incalzai senza nascondere il nervosi­smo.

« Cosa sei venuto a fare a Port Angeles? ».

Fissai il tavolo, e giunsi le mani. La fulminai con un'occhiata da sotto le ciglia, l'ombra di un sorriso sul mio volto.

« La prossima ».

« Ma questa era la più facile ».

Facile?!Erano punti di vista.

« La prossima », ripetei.

Abbassò gli occhi sul tavolo, infilzò un raviolo che masticò assaggiandolo, bevve un sorso di coca ed infine ricominciò a parlare:

« D'accordo », mi inchiodò con uno sguardo e proseguì len­tamente. « Diciamo - per ipotesi, certo - che... qualcuno... sia capace di leggere la mente, i pensieri altrui, ecco... con qual­che eccezione ».

« Una sola eccezione », precisai, « Per pura ipotesi ».

« Va bene, con una sola eccezione » cercò di rimanere sul vago. « Come funziona? Che limiti ci sono? Come può quel... qualcuno... trovare una persona nel posto e nel momento giusto? Come fa ad accor­gersi che è in pericolo? ».

« Per ipotesi? », chiesi, stando al gioco.

« Certo ».

« Be', se... quel qualcuno... ».

« Chiamiamolo Joe », suggerì.

Accennai un sorriso.

«Vada per "Joe". Se Joe avesse fatto at­tenzione, non sarebbe stato necessario essere tanto tempesti­vi ». Scossi la testa e alzai gli occhi al cielo. « Solo tu sei capace di cacciarti nei guai in una città così piccola. Sai, eri sul punto di rovinare un decennio intero di statistiche locali sulla crimi­nalità ».

«Stavamo parlando di una situazione ipotetica», precisò ge­lida.

Risi mutando il mio sguardo.

« Sì, certo. La chiamiamo Jane? ».

« Come facevi a saperlo? », chiese, sporgendosi verso di me.

Mi aveva messo alle strette. Ero corroso all’interno di me dall’incertezza. Non sapevo più cosa fare, se fidarmi una volta per tutte.

« Di me ti puoi fidare, già lo sai », sussurrò. Si fece avanti per toccare le mie mani giunte, ma intuendo le sue intenzioni le spostai d’istinto, impercettibilmente indietro, e rinunciò.

« Non so se ormai mi resta altra scelta ». La mia voce era qua­si un sussurro. « Mi sbagliavo, sei molto più leale di quanto ti avessi giudicata ».

« Pensavo che avessi sempre ragione ».

« Una volta era così ». Scossi di nuovo la testa, era prima di conoscerla, un secolo fa a ripensarci in quel momento. « Mi sbagliavo anche a proposito di un'altra cosa. Non sei una calamita che attira incidenti, è una classificazione troppo limitata. Tu attiri disgrazie. Se c'è qualcosa di pericoloso nel raggio di dieci chi­lometri, puoi scommettere che ti troverà ».

« Tu rientri nella categoria? »

« Senza alcun dubbio » dissi in tono neutro.

Cercò di nuovo la mia mano  e ne toccò il dorso con la punta delle dita. Quel tocco delicato mi trapassò con un’emozione mai provata prima, sentii un brivido lungo la schiena…era strano sentirsi a quel modo, ma non spiacevole.

« Grazie », la sua voce tremò, « con questa sono due ».

« Facciamo in modo che non ci sia un tre, d'ac­cordo? » chiesi retoricamente, rilassandomi.

Lei annuì. Allontanai la mano per nasconderla sotto il tavolo assieme all'altra. Poi però mi avvicinai.

« Ti ho seguita fino a Port Angeles », confessai, parlando in fretta. « Non ho mai tentato di salvare la vita a una singola per­sona prima d'ora, ed è un'impresa molto più fastidiosa di quan­to credessi. Ma probabilmente dipende anche da te. Le persone normali riescono a tornare a casa ogni sera senza scatenare tan­te catastrofi »

« Hai mai pensato che forse la mia ora doveva suonare già la prima volta, con l'incidente del furgoncino, e che tu hai di fat­to interferito con il destino? ».

« Quella non era la prima volta », dissi in un sussurro con gli occhi bassi. « La tua ora è suonata quando ti ho conosciuta ».

Inorridii al ricordo del primo giorno che l’ebbi seduta vicino: la gola che ardeva e la voglia- troppa- di ucciderla, di affondare i canini nella sua carne liscia e dissetarmi con il suo sangue.

« Ti ricordi? », chiesi, con un velo di serietà sul volto.

« Sì » era palesemente calma.

« Eppure, eccoti seduta qui », dissi alzando un sopracciglio, lasciai trapelare nella voce una nota d’incredulità.

« Si, sono seduta qui... grazie a te ». Fece una pausa. « Perché in qualche modo sapevi dove trovarmi oggi? ».

Serrai le labbra fissandola accigliato, di nuovo in bilico tra la scelta di dirle tutta la verità o meno. Il mio sguardo si posò per un istante sul piatto pieno, poi su di lei. Non stava toccando cibo e ciò non mi piaceva.

« Tu mangi, io parlo », negoziai.

Infilzò subito un altro raviolo e lo inghiottì svelta.

« È più difficile di come dovrebbe essere... non perdere le tue tracce. Di solito sono in grado di individuare le persone con molta facilità, mi basta sentire la loro mente una volta sola ». La guardai impaziente, dato che si era immobilizzata. Ingoiò il boccone e infilzò un altro raviolo.

« Tenevo d'occhio Jessica distrattamente - come ti ho detto, solo tu riesci a metterti nei guai a Port Angeles - e all'inizio non mi sono accorto che avevi proseguito da sola. Poi, quando ho capito che non eri più con lei, sono venuto a cercarti nella libre­ria che ho visto nei suoi pensieri. Ho intuito che non c'eri en­trata, che ti eri diretta a sud... E sapevo che prima o poi avresti dovuto tornare indietro. Perciò ti stavo aspettando, cercandoti qui e là tra i pensieri dei passanti, nel caso che qualcuno ti aves­se incrociata. Non c'era motivo di preoccuparmi... ma sentivo una strana ansia... ». Ero perso nel mio racconto, fissavo il vuoto alle sue spalle: ricordai benissimo la sensazione provata quel pomeriggio.

« A quel punto ho iniziato a girare in tondo, restando... in ascolto. Fortunatamente il sole stava tramontando, così avrei potuto scendere dall'auto e seguirti a piedi. E poi...» mi arrestai, stringendo i denti diventando furioso. Mi sforzai di re­stare calmo.

« Poi cosa? », sussurrò. Continuavo a fissare il vuoto dietro la sua testa.

« Ho sentito cosa stavano pensando », ringhiai, arricciando il labbro superiore sopra i denti. « Ho visto il tuo volto nei loro pensieri ». Scattai in avanti, poggiai un gomito sul tavolo, la mano sugli occhi. Il movimento brusco la fece sobbalzare.

« È stato molto... difficile - tu non puoi immaginare quanto - limitarmi a portare via te e risparmiare loro... la vita ». La mia voce era smorzata dal braccio che avevo davanti. « Avrei potuto lasciarti rientrare assieme a Jessica e Angela, ma temevo che se fossi rimasto solo sarei tornato a cercarli », ammisi, sottovoce.

Restammo entrambi in silenzio, immobili.

Alla fine alzai lo sguardo, in cerca del suo, deciso a fare le mie domande.

« Sei pronta per tornare a casa? ».

« Sono pronta per andare via di qui », precisò.

La cameriera riapparve, ma del resto ci aveva tenuti d’occhio. Nonostante la fatica che provai nel confessare come avevo trascorso il pomeriggio a Port Angels, sentivo i suoi occhi su di noi.

« Come andiamo? », mi chiese.

« Siamo pronti per il conto, grazie ».dissi con stanchezza. La conversazione mi aveva messo in seria difficoltà procurandomi uno sforzo altrettanto estremo. Alzai gli occhi verso la cameriera in attesa.

« C-certo », balbettò lei, « ecco qui ». Estrasse una cartellina di cuoio dalla tasca anteriore del grembiule nero e me la porse. Avevo già preparato una banconota. La infilai nella cartellina e la restituii alla cameriera.

« Niente resto », le sorrisi. Poi mi alzai seguito da Bella.

« Buona serata a voi ».

La ringraziai senza staccare gli occhi di dosso da Bella.

Camminai al suo fianco fino alla porta, vicinissimo eppure attento a non toccarla. D’improvviso sospirò mi girai guardandola incuriosito. Abbassò gli occhi sul marciapiede.

Aprii la portiera e attesi che salisse in auto, dopodiché la ri­chiusi dolcemente.

Salito in auto, misi in moto e alzai il riscaldamento al massi­mo, preoccupato per lei: non volevo che prendesse freddo. La temperatura era scesa, probabilmente il maltempo sta­va tornando.

Mi inserii nel flusso del traffico, quasi senza guardar­mi attorno, scartando e svoltando bruscamente fino a imbocca­re l'autostrada.

« Adesso tocca a te »la spronai, un patto era un patto.

 

Un grazie enorme a:

Aberlin: Mentre scrivevo non ho notato il riferimento alla fiaba “Della bella addormentata nel bosco”, è puramente casuale!Ma sono contenta ti abbia fatto sorridere. Grazie per la recensione!!

Lorelaine86: Forse il miglioramento dello stile è dovuto al fatto che ho preso dimestichezza con il personaggio di Edward, all’inizio di questa storia ero titubante, avevo una paura folle di stravolgerlo(e ancora adesso un po’ lo temo), ma ti ringrazio molto per il complimento, mi ha reso molto contenta!

Lady Cat: Ti ringrazio molto per il paragone con la  Meyer, quando l’ho letto credo di aver fatto un sorriso a trentadue denti. Sì, entrare nella testa di Edward è divertente ma a volte anche molto complesso!Grazie anche per aver aggiunto la mia storia tra le preferite.

Inoltre ringrazio:

Giacale e Jexolina per aver aggiunto questa fan fiction tra le loro seguite.

Un caro saluto a tutti,

Maryana.

 

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Capitolo 9
*** Sincerità. ***


9

Sincerità

Correvo a tutta velocità lungo la strada silenziosa. Guardavo dritto davanti a me, anche se guidavo sovrappensiero: avrei dovuto pentirmi delle confessioni che avevo appena fatto a Bella?!

« Posso farti un'ultima domanda? », chiese, mentre continuavo a tenere lo sguardo rivolto dinanzi a me.

« Una sola », risposi, guardingo.

« Be'... hai detto di avere intuito che mi ero diretta a sud, anziché entrare in libreria. Mi chiedevo soltanto come avessi fatto ».

Guardai altrove, ponderando la risposta. Pensavo al modo più facile per essere sincero senza farla agitare.

« Pensavo che avessimo abolito gli atteggiamenti evasivi » disse senza scomporsi.

Accennai un sorriso.

« D'accordo. Ho seguito il tuo odore ».

Tacqui subito, fis­sando la strada. Sperai che la sua curiosità fosse stata soddisfatta abbastanza da non porre altre domande.

« Inoltre, non hai ancora rispo­sto a una delle mie prime domande... ».

Non capivo: mi ero sottoposto al suo interrogatorio senza discutere troppo, ed ero stato del tutto sincero.

« Quale? » le chiesi lanciandole uno sguardo di rimprovero.

« Come funziona la faccenda della lettura del pensiero? Riesci a leggere la mente di chiunque, ovunque? Come fai? Anche i tuoi fratelli...? ».

« Una domanda sola, hai detto », puntualizzai.

Ma lei  intrecciò le dita in attesa di una mia risposta continuando a guardarmi.

« No, è una dote soltanto mia. E non riesco a sentire tutti, ovunque. Devo essere piuttosto vicino alle persone che leggo. Ma più familiare è una "voce", maggiore è la distanza a cui la avverto. Mai più di qualche chilometro, comunque ». Per un istante tacqui, pensoso,cercando di spiegarle al meglio il mio talento. « È un po' come essere in una grande sala piena di persone che parlano contemporaneamente. Una specie di rumore di fondo, il ronzio confuso delle voci. Finché non mi concentro su una voce sola e la metto a fuoco: allora sento cosa sta pensando. Il più delle volte semplicemente igno­ro, escludo tutto: rischia di distrarmi troppo. Così poi è più fa­cile sembrare normale >> aggrottai le sopracciglia nel pronunciare quella parola, ci voleva del coraggio per poterla utilizzare, « ed evitare di rispondere per sbaglio ai pensieri delle persone, an­ziché alle loro parole ».

« Secondo te, perché non riesci a sentirmi? »

La fissai con uno sguardo enigmatico.

« Non lo so. Il mio sospetto è che la tua mente funzioni in modo diverso da tutte le altre. Come se i tuoi pensieri trasmet­tessero in AM e io ricevessi solo in FM » le sorrisi divertito dalla mia stessa metafora che avevo usato come esempio.

« La mia mente non funziona come dovrebbe? Sono una specie di mostro? ».

Se io dovevo aver coraggio nel pronunciare la parola normale, immagino lei che si definiva un mostro. Più le stavo a contatto e più mi stupiva. Non mi sarei  mai annoiato in sua compagnia, Bella era una persona del tutto da scoprire.

« Io sento voci nella mia testa, e tu temi di essere il mostro? », risi. « Stai tranquilla, è solo una teoria... ». divenni serio: « Il che ci riporta a te ».

Sospirò incerta.

« Abbiamo abolito le risposte evasive, no? » la provocai a mia volta. Come io ero stato sincero pretendevo nei miei riguardi lo stesso trattamento da lei.

Per la prima volta staccò lo sguardo dal mio viso,sembrava pensierosa in cerca delle parole adatte da utilizzare. L'occhio le cadde sul tachimetro.

« Santo cielo! Rallenta! ».

« Cosa c'è? » ero stupito, però non decelerai, non ce n’era bisogno.

« Stai andando a centosessanta! » non smetteva di gridare, seriamente allarmata.

Sedeva accanto ad un vampiro, per di più desideroso del suo sangue e lei si preoccupava della velocità.

« Rilassati, Bella » alzai gli occhi al cielo, senza decelerare.

« Stai cercando di ucciderci? ».

« Non usciremo di strada » la tranquillizzai. La velocità era una cosa che sapevo gestire al meglio.

 « Perché tutta questa fretta? » cercò di modulare la voce, ma mi parve di percepire in essa un’incrinatura. Che fosse preoccupata che non gradissi la sua compagnia?

« Guido sempre cosi » mi volsi verso di lei, con un sorriso ammiccante.

« Guarda davanti! » mi rimproverò agitata.

« Non ho mai fatto incidenti, Bella. Non ho mai preso nean­che una multa » sorrisi e mi picchiettai la fronte. « Segnalatore radar incorporato».

« Divertente », rispose, irritata. « Charlie è un poliziotto, ri­cordi? Da piccola mi è stato insegnato a rispettare il codice della strada. Inoltre, se ci trasformi in una ciambella di Volvo arrotolata a un albero, l'unico in grado di uscirne senza un graffio sei tu ».

« Probabile », concordai, con una risata secca e breve. « Tu in­vece no ».

Sospirai rassegnato e decelerai, fino a far spostare la lancetta verso i cento.

« Contenta? » chiesi sarcastico.

« Quasi ».

« Odio andare piano », bofonchiai scontento.

« Così è piano? ».

<< Fine dei commenti sulla mia guida. Sto ancora aspettando la tua ultima teoria» le rimbrottai, ma il mio sguardo si era fatto tenero.

La vidi mordersi un labbro.

« Non riderò, lo prometto»   la incitai a dirmi tutto, ero troppo curioso.

« In realtà temo piuttosto che ti arrabbierai con me ».

« È una teoria così brutta? ».

« Abbastanza, sì ».

Restai in attesa che mi mise al corrente di cosa le aveva suggerito la sua testa, fremente come ero stato poche volte.

« Prosegui » dissi palesando una calma, che in realtà non provavo.

« Non so da dove cominciare ».

« Perché non cominci dall'inizio... Hai detto che questa teo­ria non è tutta farina del tuo sacco ».

« No ».

« A cosa ti sei ispirata? Un libro? Un film? ».

« No... è stato sabato, alla spiaggia » spiegò guardandomi. Rimasi interdetto.

Cosa era successo a La Push?!

 « Ho incontrato per caso un vecchio amico di famiglia, Jacob Black. Suo padre e Charlie si frequentano da quando ero bambina ».

Non capivo dove voleva andare a parare. Jacob Black non sapeva nulla sui noi Cullen.

« Suo padre è un anziano dei Quileutes » mi osservò con at­tenzione, aspettando di vedere sul mio volto una qualche reazione. Ma non battei ciglio. « Abbiamo fatto una passeggia­ta... », fece una piccola pausa << …e lui mi ha raccontato vecchie leggende locali, probabilmente per spaven­tarmi. Me ne ha raccontata una... », si fermò, esitando.

« Continua » cominciai a carpire il significato di quel giro di parole.

«...che parla di vampiri », bisbigliò

A quelle parole, istintivamente, strinsi le nocche sul volante.

<< E hai pensato immediatamente a me? » cercai di mantenere la calma. Se mi fossi lasciato prendere da un moto di rabbia e preoccupazione l’avrei allarmata, allontanandola da me.

« No. Lui... ha citato la tua famiglia ».

Restai zitto, con gli occhi fissi sulla strada. Cosa mai ne poteva sapere quel ragazzino?!

« Secondo lui era solo una sciocca superstizione », aggiunse svelta. « Non pensava che ci avrei ricamato sopra ».

Sembrava cercare di proteggere Jacob Black dalla mia possibile ira.

« È stata colpa mia, l'ho costretto a raccontarmela ».

« Perché? » non capivo davvero cosa l’avesse spinta a farlo.

« Lauren ha fatto il tuo nome, così, per provocarmi. E un ra­gazzo più grande, della tribù, le ha risposto che la tua famiglia non entra nella riserva, ma il suo tono evidentemente nascon­deva qualcosa. Perciò sono rimasta sola con Jacob e gliel'ho estorto con l'inganno », ammise a capo chino.

Nonostante la rabbia che inarrestabile cresceva dentro me, cominciai a ridere: Bella che ingannava qualcuno?!Era un pensiero difficile da credere.

« Con l'inganno? E come? ».

« Ho fatto la smorfiosa con lui, e ha funzionato meglio di quanto io stessa pensassi ».

« Mi sarebbe piaciuto assistere ». Risi a mezza voce. « E poi mi accusi di fare colpo sulle persone... povero Jacob Black ».

Arrossì e guardò il panorama notturno fuori dal finestrino. Cominciavo ad amare quella reazione totalmente umana sul suo volto. Probabilmente giunto a quel punto, sarei potuto impazzire se non l’avessi più potuta vedere avvampare di vergogna.

« E allora cos'hai fatto? », chiesi io, mostrandomi noncurante.

« Una breve ricerca su Internet ».

« E hai trovato conferma ai tuoi dubbi? » cercai di mostrarmi lontano da ciò che mi stava confessando, ma non ero incapace di allentare la presa ferrea sul volante.

« No, non mi quadrava niente. Più che altro si trattava di stupidaggini. E poi... ».

« Poi cosa? ».

« Ho deciso che non m'importa », sussurrò.

« Non ti importa? ».

Ero incredulo, basito. Come poteva non importarle cos’ero, avrei potuto determinare le sorti del suo destino. Lo stupore sopraffaceva la mia rabbia.

« No », disse sottovoce. « Non m'importa cosa sei ».

« Non t'importa se sono un mostro? Se non sono umano? » indurii la voce quasi a volerla schernire.

« No ».

Tacqui, lo sguardo fisso sul parabrezza. Talmente catturato dall’incredulità delle sue parole, da non poter formulare un pensiero coerente. No, non poteva dire sul serio, doveva essere una sua personalissima reazione allo shock.

« Ti ho fatto arrabbiare », disse. « Non avrei dovuto aprire bocca ».

« No », risposi, ma la mia voce risultò dura come la mia espressione. « Preferisco sapere cosa pensi... anche se ciò che pensi è assurdo ».

« Quindi mi sto sbagliando di nuovo? »

Magari l’assurdo fosse la conclusione a cui era arrivata.

« Non intendevo questo. "Non m'importa!" », ripetei le sue parole digrignando i denti.

« È così allora? ».

« T'interessa? » l’aggredii.

Respirò a fondo.

« Non proprio », attese un istante, prima di continuare: « Ma sono curiosa » la sua voce continuava ad essere posata.

« Cosa vuoi sapere? » domandai rassegnato. Aveva fatto breccia in quella maschera che per un secolo ero stato bravo ad indossare, senza far arrivare nessun umano alla mia parte più nascosta.

« Quanti anni hai? ».

« Diciassette », risposi istantaneamente.

« E da quanto tempo hai diciassette anni? ».

Guardavo la strada, con le labbra contratte. Alla fine, mi ras­segnai a rispondere:

« Da un po' ».

« D'accordo ». Sorrise.

La scrutai preoccupato che le potesse venire un attacco di panico. In quel momento non ero sicuro che avrei saputo gestirlo. Ma lei continuava a guardarmi sorridente.

« Non ridere se te lo chiedo, ma... come fai a uscire di casa quando è giorno? ».

« Leggenda »risi

« Non ti sciogli al sole? ».

« Leggenda ».

« Dormi dentro una bara? ».

« Leggenda >> esitai per un istante , poi proseguii con un tono di voce diverso, più profondo: « Io non dormo ».

« Mai? ».

« Mai », confermai, con un filo di voce.

Mi voltai verso di lei, mesto. Sostenne il mio sguardo finché non lo volsi altrove.

« Non mi hai ancora fatto la domanda più importante » le feci notare tornando freddo,sulla difensiva.

 « Quale sa­rebbe? ».

« Non sei preoccupata della mia dieta? », chiesi sarcastico.

« Ah... quella ».

« Sì, quella. Non sei curiosa di sapere se mi nutro di sangue? ».

« Be', Jacob mi ha detto qualcosa ».

« Cosa ti ha detto? », chiesi, senza tradire nessuna emozione. Non volevo che sapesse la mia preoccupazione.

« Ha detto che voi non... andate a caccia di umani. Ha det­to che la tua famiglia non è considerata pericolosa, perché vi cibate solo di animali ».

« Ha detto che non siamo pericolosi? » chiesi retorico, mostrandomi scettico.

« Non esattamente. Ha detto che non vi ritengono pericolo­si. Ma che per non correre rischi, i Quileutes ancora oggi non vi vogliono nel loro territorio ».

Tenevo la sguardo fisso dritto davanti a me, ma non vedevo realmente la strada.

« Ha detto la verità? Riguardo a voi e agli umani, dico ».

« I Quileutes hanno una buona memoria », sussurrai.

Ricordavo molto bene il giorno in cui l’antenato di Jacob Black stipulò con noi un patto: niente ostilità a meno che non varcassimo i confini del loro territorio.

« Non fidarti troppo, però. Fanno bene a mantenere le di­stanze. Siamo ancora pericolosi » la misi in guardia. Non ero ancora pronto perché lei abbassasse le difese.

« Non capisco ».

« Ci proviamo », spiegai, lentamente. « Di solito riusciamo molto bene in ciò che facciamo. Ogni tanto compiamo qualche errore. Io, per esempio, non dovrei restare solo con te ».

« Questo è un errore? » domandò con voce che mi parve triste, ma non vi badai.

« Un errore molto pericoloso », mormorai. Ne ero più che convinto, per lei sarebbe stato molto più sicuro non avermi incontrato.

A quel punto tacemmo entrambi. Guardavo davanti, senza notare il paesaggio che mi sfrecciava accanto.

« Vai avanti », chiese, disperata.

Le lanciai un'occhiata, stupito dal tono mutato della sua voce. Ed ora cosa l’opprimeva?!

« Cos'altro vuoi sapere? ».

« Dimmi perché vai a caccia di animali, anziché di esseri umani », suggerì ancora con lo sconforto nella voce.

« Non voglio essere un mostro ». Parlai a voce bassissima. Non volevo eppure lo ero.

« Ma gli animali non ti bastano? ».

Feci una pausa, deglutendo.

« Non ho verificato, ovviamente, ma immagino che sia come una dieta a base solo di tofu e latte di soia. Per scherzare, ci definiamo "vegetariani". Gli animali non pla­cano del tutto la fame, o meglio, la sete. Ma riusciamo a man­tenerci in forze. Il più delle volte ». La mia voce tornò minac­ciosa: « Talvolta è davvero difficile ».

« Anche in questo momento? ».

Sospirai pensando a quanto era difficoltoso starle vicino.

« Sì ».

« Però adesso non hai fame »

« Cosa te lo fa pensare? ».

« I tuoi occhi. Ho una teoria, te l'ho detto. Ho notato che le persone - soprattutto gli uomini - diventano indisponenti, quando hanno fame ».

Sorrisi sommessamente: se mi ero innamorato di lei era anche per la sua acutezza.

« Sei una brava osserva­trice, eh? ».

Non rispose, e questo mi incuriosì parecchio anche per la sua espressione, così…. intensa, come se volesse rendere indelebile qualcosa.

« Lo scorso weekend sei andato a caccia con Emmett? », chiese, quando tornò il silenzio.

« Sì ». Per un secondo esitai indeciso se proseguire o meno. Ciò che stavo per rivelarle avrebbe comportato delle conseguenze. « Non avrei voluto andare via, ma ne avevo bisogno. È più facile star­ti vicino quando non ho sete ».

« Perché non volevi andarci? ».

« Starti lontano... mi rende... ansioso >> Cercai il suo sguardo, addolcendo il mio « Non scherzavo, quando ti ho chiesto di badare a non cadere nell'oceano o a non farti inve­stire, giovedì. Per tutto il fine settimana sono rimasto in pen­siero. E dopo stasera, mi sorprende che tu sia sopravvissuta al weekend senza farti un graffio ». Scossi il capo ricordandomi dei segni sui polsi che avevo notato al ristorante: « Be', non proprio ».

« Cosa? ».

« Le tue mani ».

Abbassò gli occhi per scrutarsi i polsi.

« Sono caduta », sospirò.

« Lo immaginavo ». Le labbra mi si incurvarono in un sorriso. « È anche vero che, per i tuoi standard, avrebbe potuto andare peggio, ed è proprio questo che mi ha tormentato, mentre ero lontano da te. Sono stati tre giorni molto lunghi. Ho rischiato di far saltare i nervi a Emmett ». Le rivolsi un sorriso dolente.

« Tre giorni? Non siete tornati oggi? » domandò stupita.

« No, siamo a casa da domenica ».

« Ma allora perché nessuno di voi è venuto a scuola? >>

« Be' mi hai chiesto se il sole mi fa male e ti ho risposto di no. Però non posso espormi alla sua luce... perlomeno, non in pubblico ».

« Perché? ».

« Un giorno ti farò vedere, te lo prometto ».

Restò un attimo in silenzio, incerta se parlare.

« Potevi chiamarmi ».

E perché avrei dovuto?! La guardai allibito e con candore le dissi:

 « Ma sapevo che eri sana e salva ».

«Io invece non sapevo dove fossi tu. Io...», non riuscì a continuare e chinò lo sguardo.

« Cosa? » che nervi non poterle leggere nella mente.

« Non mi ha fatto piacere non vederti. Anche a me viene l'ansia ». Pronunciare quella frase ad alta voce la fece arrossire.

Restai senza parole, la guardavo con uno sguardo addolorato. Non volevo che lei soffrisse nel non vedermi, non era una cosa giusta.

« Ah », esclamai tra me. « Così non va ».

 « Cos'ho detto? » chiese confusa.

« Non capisci, Bella? Che io renda infelice me stesso è una cosa, ma che tu sia coinvolta è un altro paio di maniche ». Ri­volsi lo sguardo preoccupato verso la strada, dall’agitazione parlai veloce « Non voglio più sentirti dire che provi cose del genere », dissi, con un tono basso ma deci­so. « È sbagliato. È rischioso. Bella, io sono pericoloso... ti prego, renditene conto ».

« No >>

Uffa, che testarda che era!

« Dico sul serio », ringhiai tra i denti.

« Anch'io. Te l'ho detto, non m'importa cosa sei. È troppo tardi ».

« Non dirlo mai » la rimproverai. Mi facevano imbestialire i suoi discorsi e la sua cocciutaggine. « A cosa pensi? », le chiesi, ancora nervoso, dato il suo mutismo.

Poi improvvisamente mi accorsi del luccichio che aveva negli occhi, e di lì a poco le guance le si rigarono di lacrime.

« Piangi? » chiesi stupito.

« No » cercò di parlare, ma non aveva voce.

Il suo tormento mi lacerò, mi sarebbe piaciuto accarezzarle una guancia e toglier via il sale dalla sua pelle. Mossi inconsciamente una mano verso il suo viso, ma poi m’accorsi del gesto che stavo per fare, e decisi che non era una buona idea, così la ritrassi.

« Scusa » le dissi lasciando trapelare il sincero dispiacere che provavo nell’averla ferita.

L'oscurità e il silenzio ci avvolsero.

« Dimmi una cosa », chiesi, dopo un altro minuto, sforzan­domi palesemente di assumere un tono più leggero.

« Parla ».

« Cosa stavi pensando stasera, poco prima che arrivassi io? Non riuscivo a leggere la tua espressione. Non sembravi im­paurita, pareva che ti sforzassi di concentrarti su qualcosa ».

« Cercavo di ricordare come si mette fuori combattimento un assalitore... insomma, l'autodifesa. Stavo per spappolargli il naso conficcandoglielo nel cervello ».

« Li avresti affrontati? »chiesi sbalordito. « Non pensavi di scappare? ».

« Quando corro inciampo a tutto spiano ».

« Chiedere aiuto con un urlo?»

« Ci stavo arrivando »

 « Hai ragione. Cercare di tenerti in vita vuole dire davvero lottare contro il destino » scossi il capo interdetto.

Sospirò. Intanto rallentai, stavamo entrando dentro Forks.

« Ci vediamo domani? », chiese.

« Sì... Anch'io devo consegnare un saggio ». Sorrisi. « Ti ten­go il posto, a pranzo »

Eravamo giunti di fronte a casa di Charlie, la finestra del salotto era illuminata, suo padre sdraiato sul divano guardava annoiato la tv.

« Prometti che domani ci sarai? ».

« Lo prometto ».

Ci pensò per qualche istante prima di annuire. Si levò il mio giaccone:

« Puoi tenerlo... o domani non avrai niente da mettere » le proposi gentile.

 « Non mi va di dare spiegazioni a Charlie » ribatté restituendomelo.

« D'accordo ». Ammiccai.

Rimase lì, la mano sulla portiera. Aspettai solo qualche altro istante prima di parlare di nuovo.

« Bella? », domandai con voce seria ma tentennante.

« Sì? ».

« Mi prometti una cosa? ».

« Sì »

« Non andare nel bosco da sola »

 « Perché? » mi fissò stupita.

Mi feci scuro in viso e rivolsi uno sguardo aguzzo dietro di lei, oltre il finestrino: dei licantropi non mi fidavo.

« Diciamo che non sono sempre io, la cosa più pericolosa in circolazione ».

« Come vuoi ».

« Ci vediamo domani », dissi, con un sospiro.

« A domani, allora ». Aprì la portiera.

Prima che scendesse la richiamai:

« Bella? »

Si girò di nuovo, incontrando il mio viso a pochi centimetri dal suo. Il suo profumo era così elettrizzante.

« Sogni d'oro >> mi allontanai, e lei rimase impala­ta e sbalordita, con gli occhi sbarrati.

Poi scese dall'auto goffamente, tanto che dovette reg­gersi alla carrozzeria per non cadere. Soffocai una risata.

Attesi finché non raggiunse l'entrata, dopodiché av­viai il motore e con velocità mi diressi verso casa.

Guidavo quasi stordito: tutti i muri che avevo eretto tra me e lei, nella speranza di proteggerla, erano crollati ed in quel momento ero sicuro che non sarei più riuscito a marcare i confini tra di noi. Forse aveva ragione lei nel dire che ormai era troppo tardi, per entrambi.

Parcheggiai la macchina in garage, ed entrai in casa che trovai stranamente silenziosa, neanche fosse disabitata.

A passo lento e felpato salii le scale diretto in camera, non ero umano eppure mi sentivo stanco e ubriaco d’emozioni.

Mi bastò varcare la soglia della stanza per trovarmi le braccia di mia sorella Alice al collo.

<< Mi sono perso qualcosa? >> chiesi interdetto.

Alice si allontanò da me, permettendomi di guardarla in viso: sorrideva con una strana luce negli occhi, ma continuava a non parlare, pensando a cose futili ostruendomi il passaggio sul motivo per cui si sentiva così.

<< Alice, hai visto qualcosa? >>

Annuì energicamente, ma si ostinava a restare i silenzio.

<< E… >> cercai di spronarla, ma invano.

<< E… Non farmi domande >> sorrise alle mie sopracciglia aggrottate << Vivi e lo scoprirai >>

Mi lasciò così, con questa frase enigmatica.

Aveva visto qualcosa che mi riguardava, qualcosa che la faceva contenta, avevo una mezza idea in testa ma l’abbandonai immediatamente. Mi metteva troppa agitazione come pensiero.

Scelsi di seguire il consiglio di Alice: non mi era dato chiedermi il perché, dovevo lasciarmi andare e basta.

 

Scusate la lunga attesa ma sono stata fuori casa e non ho potuto postare prima. Spero di essermi fatta perdonare con questo nuovo capitolo.

Passo ai ringraziamenti:

Lorealaine86: Mi fa piacere che la storia ti stia piacendo, spero altrettanto per questo capitolo!

Lady Cat: Sono contenta che il “mio” Edward sia di tuo gradimento e che, avendo letto il punto di vista originale di Edward, tu abbia appezzato il mio lavoro!

Aberlin: Scusa se hai dovuto aspettare così tanto…perdono, perdono, perdono!Grazie per la recensione.

Ed inoltre:

Axielle e Annaftl: per averla aggiunta tra le loro storie preferite.

Saturnol: per averla aggiunta tra le sue seguite.

Un grande saluto,

Maryana.

 

 

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Capitolo 10
*** Chiarimenti ***


10

Chiarimenti.

Chiusi la porta d’ingresso lasciandomi alle spalle le facce allibite dei miei parenti e gli sproloqui di mia sorella Rosalie.

Avevo preso la decisione di vivere libero dagli schemi mentali che ero solito pormi, ignorando le regole di comportamento alle quali ero stato abituato a sottostare.

Guidavo a gran velocità sentendomi libero anche se in un certo qual modo ancora inquieto: stavo facendo la cosa giusta?

Una vocina mi suggeriva di star tranquillo e di godermi al massimo questa nuova situazione, se ci fosse stato il minimo pericolo in vista causato dalle scelte che avevo intrapreso, Alice li avrebbe visti anticipatamente mettendomene al corrente: non potevo credere che avrebbe messo in pericolo la vita di un’innocente pur di vedermi sereno, mi voleva bene ma non era una persona egoista.

La giornata stava diventando sempre più grigia e nebbiosa, il tempo ideale per poter tornare a scuola.

L’edificio della mia meta era ancora visibile alla vista, ma come potei verificare di lì a breve, qualche minuto e fu completamente nascosto dalla nebbia.

Parcheggiai momentaneamente lontano dalla casa, aspettando che la macchina dell’ispettore capo mi passasse davanti, diretto al distretto, poi occupai il vialetto in attesa che Bella uscisse, scesi appoggiandomi alla fiancata dell’automobile.

Percorse alcuni metri sul vialetto ghiacciato prima d’accorgersi della mia presenza.

Le aprii lo sportello del passeggero, invitandola a salire: restava immobile, inebetita.

<< Hai bisogno di un passaggio? >> chiesi divertito, ancora una volta ero riuscita coglierla completamente alla sprovvista.

Ero stato gentile nel farle quella richiesta, ma non ero del tutto convinto nemmeno io di cosa stavo appena per scatenare arrivando a scuola. Una parte di me, quella ancora spaventata, desiderava che lei declinasse l’invito.

Ma invece:

<< Sì, grazie >>

Le chiusi delicatamente lo sportello prima di prendere posto alla guida, accanto a lei.

<< Ti ho portato questo. Non volevo che ti prendessi un raffreddore o qualcosa del genere >> le dissi stando sulla difensiva, alludendo alla giacca della sera prima, appesa al suo poggiatesta.

« Non sono così delicata », ribatté, ma accettò la giacca e la tenne in grembo, infilando le braccia nelle maniche troppo lun­ghe.

« Ah, no? » dissi a bassissima voce, non ero del tutto rivolto a lei.

Guidavo velocis­simo perché Bella quella mattina era stata tutto fuorché puntuale. Il silenzio si era fatto denso, nessuno dei due trovava niente da dire. Evidentemente la nostra nuova situazione metteva in imbarazzo anche lei. Cercai di spezzarlo:

 « Ehi, oggi niente questio­nario? » le chiesi volgendo lo sguardo verso di lei, con un sorrisetto.

« Le mie domande ti innervosiscono? », chiese sollevata.

« Non quanto le tue reazioni » mantenni un tono di voce allegro, ma non stavo del tutto giocando.

« Reagisco male? » domandò tornando seria.

« No, è proprio lì il problema. Sei sempre così tranquilla... È innaturale. Mi chiedo cosa ti passi per la testa »

Una persona comune mi sarebbe stata a detta distanza, una volta essere venuta a conoscenza del mio segreto, ma non lei.

« Ti dico sempre ciò che mi passa per la testa »

« Ma lo censuri »

« Non granché »

« Abbastanza da farmi impazzire »

« Sei tu che non vuoi sentirlo », borbottò, con un filo di voce.

Non risposi, quello restava un argomento spinoso, né io né lei eravamo del tutto pronti per poterlo affrontare serenamente, toccarlo ci portava sempre a discutere.

Solo nel parcheggio della scuola si accorse di un particolare:

« Ma i tuoi fratelli dove sono? ».

« Hanno preso la macchina di Rosalie » mi strinsi nelle spal­le, parcheggiando accanto alla sua cabriolet rossa con il tettuccio chiuso. « Appariscente, eh? »

« Uh, caspita », disse in un fiato. « Se lei ha quella, perché si fa scarrozzare da te? ».

« Come ho detto, è appariscente. Noi ci sforziamo di passa­re inosservati »

« Non ci riuscite >>  scese dall'auto ridendo e scuotendo la te­sta. << Ma allora, perché Rosalie oggi ha preso la sua macchina, se è così vistosa? ».

Perché avevo deciso di comportarmi da cattivo ragazzo:

« Non te ne sei accorta? Sto infrangendo tutte le regole ». le andai incontro e la accompagnai all'ingresso della scuola cam­minandole vicinissimo. Per il momento era l’unica cosa che riuscivo a fare, non me la sentivo di colmare quella piccola distanza.

« Ma perché comprate macchine del genere, se siete gelosi della vostra privacy? » .

« Un capriccio », ammisi, con un sorriso malizioso. « Ci pia­ce andare veloce ».

« Ovviamente », mormorò tra sé.

Al riparo del portico della mensa, Jessica la stava aspettan­do con gli occhi fuori dalle orbite. Tra le braccia, stringeva il  giubbotto di Bella.

“Ma quello è… quello è…Edward Cullen”

A quanto pareva vedermi accanto alla sua amica la stupiva proprio tanto.

« Ehi, Jessica », disse Bella, a pochi metri da lei. « Grazie per esser­tene ricordata » le allungò il giubbotto in silenzio.

« Buongiorno, Jessica », dissi io, educato.

“Si è rivolto a te…dì qualcosa, dannazione!”

Che pensieri infantili!

« Ehm... ciao » lei lanciò un'occhiata sbalordita a Bella, mentre cercava di riordinare le idee. « Be', ci vediamo a trigonometria ».

“Escono insieme di nascosto?E lei che cosa prova per lui? Devo assolutamente saperlo”

« D'accordo, ci vediamo dopo ».

Se ne andò, ma per due volte si fermò a sbirciare verso di noi.

« Cosa le racconterai? », mormorai.

« Ehi, ma allora mi leggi nel pensiero! ».

« No », risposi, sorpreso. Poi capii, e il mio sguardo si ac­cese. « Però riesco a leggere nel suo: ti prenderà d'assalto appe­na

entri in classe ».

Sbuffò levandosi il mio giaccone per indossare la sua giac­ca a vento. Me lo restituì e lo tenni piegato sottobraccio.

« Perciò, cosa le racconterai? ».

« Mi dai un aiutino? », supplicò. « Cosa vuole sapere? ».

« Non è corretto » scossi il capo, sorridendo beffardamente.

« No, non è corretto che tu non metta a disposizione certe informazioni ».

Meditai per qualche istante, finché non giungemmo alla por­ta della sua classe. Forse non aveva tutti i torti:

« Vuole sapere se usciamo assieme di nascosto. E vuole che tu le dica ciò che provi per me », dissi infine.

« Oddio. E io cosa dovrei rispondere? ».

« Mmm ». Mi fermai per catturare una ciocca ribelle che le sfiorava il mento e rimetterla al suo posto. Non era stato così difficile come gesto. « Penso che potresti rispondere di sì alla prima domanda... se non è un problema per te: è la spie­gazione più facile da dare ».

« Non è un problema », rispose, con un filo di voce.

E cosa provava per me ero il primo a chiedermelo, ogni volta che incontravo i suoi occhi.

<< Quanto all'altra... be', anch'io sarò curioso di sentire la ri­sposta » le dissi con un mezzo sorriso.

Non le diedi il tempo di ribattere, feci per andarmene.

« Ci vediamo a pranzo », dissi, voltandomi. Tre ragazzi inten­ti a entrare in aula si fermarono a osservarla.

“Cullen che mostra interesse verso qualcuno?”

Ignorai quel pensiero, concentrandomi su un’altra voce: quella di Newton.

“Meglio che mi rassegni. Io e Bella potremo essere solo amici…tanto vale parlare del più e del meno”

« Com'è andata a Port Angeles? ».

« È andata... » rispose Bella, poi fece una pausa. « Benone » un’altra pausa. « Jessica ha comprato un vesti­to davvero carino ».

« Ha detto qualcosa a proposito di lunedì sera? »,

A quel punto smisi di stare in ascolto: non ero minimamente interessato alla presunta relazione tra quei due. Anche perché sapevo che a quel ragazzo interessava molto di più Bella che Jessica.

Ascoltai distrattamente le menti dei compagni di corso di Bella delle sue materie successive, era tanto per vedere riflesso in loro il suo viso.

Mi concentrai del tutto solo quando apparve nella mente di Jessica:

“Finalmente!!”

« Dimmi! »,

« Cosa vuoi sapere? ».

« Cos'è successo ieri sera? ».

« Mi ha portata a cena, poi mi ha accompagnata a casa ».

“Tutto in così poco tempo…Quando l’ho chiamata era già a casa!”

« Come hai fat­to a tornare a casa così presto? ».

« Guida come un pazzo. Ero terrorizzata »

Che noia, ma possibile che la mia guida l’avesse così traumatizzata? Non ero affatto d’accordo con lei, la mia guida era impeccabile.

« È stato una specie di appuntamento? Eravate d'accordo? ».

« No: sono stata molto sorpresa di in­contrarlo ».

“Peccato”

« Ma oggi ti ha accompagnata a scuola, no? ».

« Sì... ma anche questa è stata una sorpresa. Ieri sera si è ac­corto che ero rimasta senza giacca » .

Sbadata come al solito…

« Perciò, uscirete ancora? ».

« Si è offerto di accompagnarmi a Seattle, sabato, perché è convinto che il mio pick-up non ce la farà. Vale come un ap­puntamento? ».

« Sì »,

« Be', allora sì ».

“Non ci posso credere: Bella ed Edward Cullen!”

« W-o-w… Edward Cullen ».

« Lo so ». "

« Ti ha baciata? ».

Cosa?! Baciarla, ma…

« No, non è come pensi ».

“Uffa…che aspetta!”

Aspettavo d’essere pronto: non potevo correre il rischio di ucciderla.

« Pensi che sabato... »

« Ne dubito fortemente».

“Voglio più dettagli!”

Certo che era davvero invadente come persona. Ero contento di non trovarmi al posto di Bella.

« Di cosa avete parlato? »,

« Non so, Jess, un sacco di cose…Abbia­mo parlato del saggio di inglese per un po' ».

“Ma mi farà morire di curiosità…”

« Ti prego, Bella…qualche particolare in più ».

« Be'... d'accordo, uno solo. Avresti dovuto vedere la came­riera: gli ha fatto una corte spietata. Ma lui non se l'è filata! >>

La cameriera, davvero? Non ci avevo fatto caso.

« Buon segno. Era carina? ».

« Molto. E avrà avuto diciannove o vent'anni ».

Non ricordavo neanche la sua fisionomia. Avevo in testa altro, come per esempio il volto della ragazza che mi sedeva di fronte.

« Meglio ancora. Vuol dire che gli piaci ».

Mah forse non era del tutto stupida, Jessica.

« Penso di sì, ma è difficile dirlo. È sempre così criptico »,

<< Non so dove trovi il coraggio di restare sola con lui »,

« Perché? »

« Mette così... in soggezione. Io non saprei cosa dirgli ».

Jessica ripensò al saluto di quella mattina, ero riuscito a metterla proprio K.O.

« A dire la verità, anch'io ho qualche problema di lucidità quando è nei paraggi ».

“Che importanza ha…è talmente bello che gli si può perdonare tutto”

« Oh, be'. È bello da non crederci, non c'è dubbio ».

« E poi, in lui, c'è molto altro ».

« Davvero? Per esempio? ».

“Non tradirmi, Bella!” lo pensai, ma ero certo che non lo avrebbe fatto.

« Non so come spiegarlo... Ma dietro la facciata è ancora più incredibile >>

« Davvero? »,

Bella non rispose, ma Jessica non demorse.

« Perciò ti piace? »

« Sì »

“Grazie, a chi non piace!”.

« Voglio dire, ti piace davvero? »

« Sì »

Che nervi, Jessica non era una grande osservatrice: chissà se Bella nell’ammetterlo fosse avvampata di vergogna?!

“Uffa, ma le costa tanto essere più precisa?”

« Quanto ti piace? ».

« Troppo » una pausa « Più di quanto io piaccia a lui. Ma cre­do proprio di non poterci fare niente ».

Dischiusi le labbra nell’ascoltare quella risposta: non poteva dire sul serio, non poteva esserne convinta.

E se davvero credeva che lei mi piacesse in misura minore di quanto io piacessi a lei, si sbagliava di grosso: la mia freddezza evidentemente l’aveva deviata, ma era proprio quella che sottolineava quanto in realtà ci tenessi.

Quella sua convinzione, mi irritò parecchio, non aveva fiducia in me…non mi credeva del tutto quando le dicevo d’essere ansioso per lei, quando temevo per la sua incolumità.

Per il resto della lezione Jessica non trovò più l’occasione di porle altre domande, e al suono della campanella Bella sviò furbamente il discorso su Newton. Costringendomi a smettere di ascoltare, erano una noia quei due!

“Che fretta, di andare a mensa”

Penso Jessica quando la loro lezione di spagnolo finì.

« Oggi non mangi assieme a noi, vero? » le chiese.

« Non penso ».

Malfidata, avrebbe dovuto rispondere con un no deciso. Infatti ad aspettarla fuori dalla porta della classe, appog­giato al muro, trovò me.

« A dopo, Bella » la salutò Jessica.

“Vorrò i particolari…”

Smisi di ascoltare Jessica, dando tutta la mia attenzione a Bella.

« Ciao » le mostrai sia il mio divertimento che la mia irritazione.

« Ciao ».

Per tutto il tragitto fino alla mensa non parlammo: lei probabilmente era in imbarazzo, io prendevo tempo soppesando le parole che avrei usato da lì a poco.

La precedetti nella coda, sempre zitto, ma senza smettere di lanciarle occhiate pensierose. Più le stavo vicino, e più l’irritazione per quell’assurdo pensiero cresceva in me.

Mi avvicinai al bancone, e riempii il vassoio di cibo.

« Cosa fai? Non starai prendendo tutta quella roba per me? ».

Scossi il capo e avanzai verso la cassa.

« Metà è per me, ovviamente »

Alzò un sopracciglio, poco convinta.

Mi seguì fino allo stesso tavolo a cui ci eravamo seduti la volta precedente. Non mi curai delle occhiate e dei pensieri stupiti dei ragazzi intorno a noi.

« Scegli pure », dissi, porgendole il vassoio.

« Sono curiosa... », disse, prendendo una mela e rigirando­sela tra le dita. « Come reagiresti se qualcuno ti sfidasse a mangiare del cibo? ».

« Curiosa come al solito » feci una smorfia e scossi il capo. La guardai di sottecchi, mentre prendevo un trancio di pizza dal vassoio e lo mordevo soddisfatto, masticandolo e ingoian­dolo in un baleno. Mi guardava incredula, non potendo sapere il sapore disgustoso che aveva per me.

« Se qualcuno ti sfidasse a mangiare spazzatura potresti far­lo, no? », chiesi, con un filo di arroganza.

« Una volta è successo... una scommessa. Non era così male » disse arricciando il naso.

 « La cosa non mi sorprende più di tanto » risi. Poi fui distratto da qualcosa alle sue spalle.

“Vediamo, Edward, come ti comporti…ne farò un resoconto a Bella”

« Jessica sta analizzando tutti i miei movimenti... più tardi ti farà un resoconto dettagliato » le offrii il resto della pizza. Leggere il pensiero di Jessica fece riaffiorare un pizzico di irritazione.

Posò la mela e addentò il trancio di pizza, guardando altro­ve.

« Perciò, la cameriera era carina? », chiesi, ingenuamente.

« Non te ne sei accorto? » chiese tornando a guardarmi.

« No, non ci ho fatto caso. Avevo altro per la testa ».

« Poveretta >>

Era arrivato il momento di andare al sodo della questione: spiegarle perché ero così irritato.

« Una delle cose che hai detto a Jessica... be', mi infastidisce un po' >> le dissi lanciandole una sguardo inquieto.

« Non mi sorprende che tu abbia sentito qualcosa di spiace­vole. Sai quel che si dice di chi origlia... ».

« Ti ho avvertita che sarei rimasto in ascolto ».

« E io ti ho avvertito che non avresti gradito conoscere tutti i miei pensieri ».

« In effetti, mi avevi avvertito » ammisi senza addolcire la voce. « Però, non credo tu abbia ragione fino in fondo. Voglio sapere sì ciò che pensi, e tutto. Soltanto, mi piacerebbe... che non pensassi certe cose ».

 « Bella differenza » disse sarcastica, mettendo il broncio.

« Ma non è questo il problema, al momento ».

« E quale sarebbe? ».

Ci stavamo entrambi sporgendo sul ta­volo, l'uno di fronte all'altra. Io tenevo le mani sotto il mento; lei si copriva il collo con la destra. Non m’importava nulla della folla che probabilmente guardava verso di noi, volevo mettere in chiaro le cose.

« Sei davvero convinta di piacermi meno di quanto io piac­cia a te? », mormorai facendomi più vicino e inchiodandola con occhi intensi.

Rimase in silenzio, immobile sembrava neanche respirare. D’improvviso volse lo sguardo altrove.

« Lo stai rifacendo », disse fra i denti.

Ma di cosa mi rimproverava ogni volta?!

 « Cosa? » sgranai gli occhi sorpreso.

« Stai cercando di incantarmi », ammise tornando a guardarmi.

Questa poi…non stavo cercando di fare proprio un bel niente!

« Ah », risposi, accigliato.

« Non è colpa tua », sospirò. « Non ci puoi fare niente ».

« Mi vuoi rispondere? »

« Sì » abbassò lo sguardo.

« Sì mi vuoi rispondere, o sì ne sei davvero convinta? » chiesi irritato fino alla punta dei capelli.

« Sì ne sono convinta » teneva il capo chino, gli occhi fissi sulla superficie del tavolo. Il silenzio iniziava a pesare. Bella sembrava essere lungi dal volerlo spezzarlo, così mi decisi a farlo io.

« Ti sbagli » sentenziai a voce bassa ma nuovamente gentile.

« Non puoi esserne sicuro », sussurrò scuotendo il capo.

« Cosa te lo fa pensare? » la squadrai ansioso, che avrei dato per prelevare la verità direttamente dalla sua mente.

Mi fissò a sua volta. Cominciavo ad essere sempre più impaziente ma lei continuava a restare in silenzio, la mia espressione si fece scura. Solo accorgendosene alzò il dito della mano destra.

« Ci devo riflettere », insistette.

 Soddisfatto dalla risposta pro­messa, mi rilassai. Posò la mano sul tavolo, la congiunse all'altra. Intrecciava e scioglieva le dita, nervosamente:

« Be', ovvietà a parte, a volte... non mi sento sicura - non sono capace di leggere nel pensiero, io - e ogni tanto ho la sen­sazione che mentre mi dici certe cose in realtà tu stia cercando di lasciarmi perdere ».

« Perspicace », sussurrai. Nel sentire quelle parole l’angoscia tornò a far visita al mio cuore. « Purtroppo, è proprio qui che ti sbagli », cercai di spiegarmi, ma all'improvviso strizzai le palpebre. « Cosa intendi per "ovvietà"? »

« Be', guardami », disse ma la stavo già guardando e non trovavo una spiegazione valida che giustificasse quella “ovvietà”. Lei proseguì. « Sono una ragazza assolutamente normale... Cer­to, a parte difetti come gli incidenti quasi mortali e una goffaggine degna di una disabile. E guarda te » mi indicò, ma non capii del tutto il paragone che aveva fatto.

Alzai un sopracciglio, irritato, ma mi rilassai all'istante e nei miei occhi, sono sicuro, apparve uno sguardo intelligente. « Credo che tu non abbia una buona percezione di te stessa. Devo ammettere che quanto ai difetti ci hai azzeccato », risi sarcastico, « ma tu non hai sentito cos'hanno pensato tutti gli studenti maschi di questa scuola quando ti hanno vista la prima volta ».

Sgranò gli occhi stupita:

 « Non ci credo... », disse, tra sé e sé.

« Per una volta fidati, se ti dico che sei l'esatto contrario del­la normalità » mormorai facendo trasparire dal mio sguardo la mia attrazione per lei.

« Ma io non sono intenzionata a lasciarti perdere », rimarcò.

« Non capisci? È la dimostrazione che ho ragione io. Ci ten­go più di te, perché se ci riuscissi », e scossi il capo, per cercare d’accettare l'idea controvoglia, « se andarmene fosse la scelta mi­gliore, sarei disposto a danneggiare me stesso, pur di non ferir­ti, pur di proteggerti ».

 « E non credi che sia lo stesso per me? » domandò facendosi torva.

« Non è a te che spetta questa scelta ».

Era lei che rischiava la vita anche se…sfoderai un sorriso beffardo soggiungendo:

« Certo, darti protezione sta diventando un lavoro a tempo pieno che richiede la mia presenza costante ».

« Oggi nessuno ha cercato di farmi fuori ».

« Non ancora », aggiunsi.

« Non ancora ».

« Ho un'altra domanda » sentenziai dignitosamente.

« Spara »

« Hai davvero bisogno di andare a Seattle, questo sabato, o era soltanto una scusa per evitare di dire no a tutti i tuoi ammi­ratori?»

« Guarda, non ti ho an­cora perdonato per la faccenda di Tyler. È colpa tua se conti­nua a illudersi di potermi invitare al ballo di fine anno » mi avvisò storcendo la bocca.

« Oh, avrebbe trovato l'occasione per chiedertelo anche se non ci fossi stato io: morivo soltanto dalla voglia di vedere la tua reazione », dissi, sghignazzando. « Se te l'avessi chiesto io, avresti scaricato anche me? », domandai, senza smet­tere di ridere.

« Probabilmente no », confessò. « Ma all'ultimo momento avrei cancellato l'invito... avrei finto una malattia o una cavi­glia slogata ».

« E perché mai? » chiesi confuso.

« Immagino che tu non mi abbia mai vi­sta in palestra, ma pensavo che avresti capito » scosse il capo mesta.

« Ti riferisci al fatto che non sei in grado di camminare su una superficie piana e solida senza inciampare? ».

« Ovviamente ».

« Non sarebbe un problema » spiegai sicuro di me. « Dipende tutto da chi guida ». Sapevo che stava per ribattere, così non  gliene lasciai il tempo. « Non mi hai ancora risposto: vuoi davvero andare a Seattle, o ti andrebbe se facessimo qualco­s'altro? ».

« Sono aperta a tutte le proposte, ma devo chiederti un solo favore ».

« Cosa? » le sue risposte vaghe mi allarmavano sempre.

« Posso guidare io? ».

 « Perché? » aggrottai le sopracciglia, confuso.

« Be', prima di tutto perché quando ho detto a Charlie che sarei andata a Seattle, lui mi ha chiesto se fossi da sola, e visto che così era l'ho rassicurato. Se me lo chiedesse di nuovo non potrei mentirgli, ma non credo che lo farà: lasciare il pick-up a casa, però, lo porterebbe a sollevare la questione. In secondo luogo, la tua guida mi terrorizza ».

Alzai gli occhi al cielo, esasperato: proprio non accettava il modo in cui guidavo!

« Con tutto ciò che in me potrebbe terrorizzarti, ti preoccupi di come guido » scossi il capo con una smorfia, poi tornai serio. « Non vuoi dire a tuo padre che pas­serai la giornata con me? » ero troppo spaventoso da presentare ad un padre?!

« Con Charlie, meno si dice, meglio è » disse perentoria. « E comunque, dove andremmo? ».

« Ci sarà bel tempo, perciò dovrò restare lontano da sguardi indiscreti... e se ti va, puoi venire con me » la lasciai completamente libera di scegliere.

« Mi mostrerai quel che dicevi a proposito della luce solare? », chiese, palesemente eccitata.

« Sì ». Sorrisi, e tacqui. « Ma anche se non vuoi restare... sola con me, preferirei che tu non te ne andassi a Seattle per conto

tuo. Tremo al solo pensiero dei guai in cui potresti cac­ciarti in una città così grande ».

« Phoenix è tre volte Seattle, e solo quanto a po­polazione. Le dimensioni... » disse stizzita.

« Ma a quanto pare », la interruppi, « a Phoenix non era an­cora giunta la tua ora. Perciò preferirei che mi stessi accanto ». Dissi lanciandole un’occhiata intensa.

« Si dà il caso che restare sola con te non mi dispiaccia affatto ».

Già, ormai lo avevo capito, e da una parte avevo sperato che lei mi rifiutasse.

« Lo so », sospirai, rassegnato. « Però dovresti dirlo a Charlie ».

« E perché mai dovrei? ».

« Così avrò un briciolo di moti­vazione in più per riportarti a casa » ammisi, guardandola con uno sguardo severo.

La mia affermazione la lasciò muta per qualche istante, poi rispose decisa:

 « Penso che correrò il rischio ».

Sbuffai e guardai altrove, nervoso.

« Parliamo d'altro », suggerì.

« Di cosa vuoi parlare? » chiesi irritato.

Diede un'occhiata attorno per controllare che nessuno ci potesse udire.

« Perché sei andato a Goat Rocks, lo scorso fine settimana, a caccia? Charlie dice che ci sono gli orsi, non è un gran posto per

fare trekking ».

La fissai facendole capire che stava scordando un particolare evidente.

« Orsi? » esitò , ed io feci un sorrisetto. « Be', non è la stagio­ne degli orsi », aggiunse, per nascondere il turbamento.

« Le leggi sulla caccia regolano solo quella con le armi, se vuoi controlla pure ».

La studiavo divertito.

« Orsi? », ripeté, con una certa difficoltà.

« Emmett va matto per il grizzly » non mi scomposi più di tanto. Ero vigile alle sue reazioni, non volevo farla allarmare in nessuna maniera.

« Mmm », disse, addentando un altro trancio di pizza distogliendo gli occhi da me. Masticò piano e prese un lungo sorso di Coca coprendosi il viso con il bicchiere.

« Allora », disse dopo un istante, incontrando finalmente il mio sguardo ansioso, « Il tuo preferito, qual è? ».

La guardai di sbieco, e sulle labbra m’apparve una smorfia di disapprovazione.

« Il puma ».

« Ah », rispose in tono educato e disinteressato, riafferrando la bibita: qualcosa l’aveva turbata.

« Ovviamente », continuai, con un tono di voce che scherniva il suo, « Dobbiamo stare attenti all'impatto ambienta­le e cacciare con un certo giudizio. Di solito ci concentriamo sulle aree sovrappopolate di predatori, a qualunque distanza si trovino. Da queste parti c'è abbondanza di alci e cervi, e tanto basta, ma dov'è il divertimento? ». Sorrisi, malizioso.

« Eh, già, dove?» , mormorò, dando un altro morso alla pizza.

« A Emmett piace andare a caccia di orsi all'inizio della pri­mavera: appena usciti dal letargo sono più irritabili ». Sorrisi ri­pensando a qualche nostra vecchia battuta: era comica la scena di Emmett che rincorreva un orso, entrambi molto irritati.

« Non c'è niente di più divertente di un grizzly irritato, in ef­fetti ».

 « Per favore, dimmi quel che pensi veramente » sorrisi e scossi il capo.

« Sto cercando di immaginare... ma non ci riesco. Come fate a cacciare gli orsi senza armi? ».

« Be', qualche arma l'abbiamo » con un sorriso fulmineo e minaccioso le mostrai i denti affilati. Si sforzò di reprimere un brivido. « Non il genere di strumenti che i legislatori prendono in considerazione quando stendono i regolamenti di caccia. Se hai visto un documentario su come at­taccano gli orsi, dovresti essere in grado di visualizzare Emmett ».

Non riuscì a trattenere un altro brivido lungo la schiena. Seguii il suo sguardo e soffocai una risata. Mi fis­sò, nervosa.

« Anche tu somigli a un orso? », chiese a bassa voce.

« Più a un leone, così dicono », risposi piano. « Forse i nostri gusti rispecchiano il modo in cui cacciamo ».

Cercò di sorridere.

 « Forse », mi fece eco. « Avrò mai il permesso di assistere? ».

« Assolutamente no! » sbiancai d’improvviso, poi il mio sguardo si fece furioso. Arretrò stupita, probabilmente spaventata dalla mia reazione, ma non vi badai ero troppo irritato.

« Troppo spaventoso per me? », chiese, quando fu di nuovo in grado di controllare la voce.

« Se fosse questo, ti porterei con me stanotte », dissi, con voce tagliente. « Quel che ti serve è una salutare dose di paura. Non vedo cosa potrebbe darti più beneficio ».

« Ma allora, perché? », insistette, senza badare alla mia espres­sione infuriata.

Per un minuto interminabile la guardai, torvo.

« Più tardi », risposi, infine, e con velocità mi alzai « Siamo in ritardo ».

Si guardò attorno, sorpresa, accorgendosi della mensa quasi deserta. Si alzò di scatto dalla sedia, afferrando lo zaino che penzolava dallo schienale.

« D'accordo, più tardi » sembrava una minaccia.

 

Ringraziamenti:

Lady Cat: Caspita che complimento, ma credo di avere ancora tanto da imparare dalla Meyer!!

Aberlin: No, no, tranquilla continuerò a postare i capitoli fino alla fine…non ti sbarazzerai tanto facilmente di me!

Lorelaine86: Grazie mi fa piacere che ti piaccia molto, spero di non averti fatto aspettare troppo!

Simo1726: Sono molto contenta di saperti compiaciuta per il mio lavoro.  Ho gradito molto la tua recensione e grazie anche per aver aggiunto la mia storia tra le preferite.

Vi saluto di cuore,

Maryana.

 

 

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Capitolo 11
*** Essere in te ***


11

Essere in te.

 

Entrammo insieme nel laboratorio di biologia, sotto gli sguardi di tutti. Ci accomodammo al tavolo degli esperimenti, ma non mi sedetti a distanza di sicurezza, anzi i nostri gomiti per poco non si sfioravano: mi ero abituato al suo profumo, non era più tanto difficile, forse era dovuto anche al fatto che l’amavo più del suo sangue.

Entrò il professor Banner trasportando un alto trespolo con tv e videoregistratore, entrambi piuttosto malandati.

Il professore infilò un nastro nel videoregistratore e andò a spegnere le luci.

Al buio l’intimità tra me e Bella esplose tutta insieme, avrei potuto sfiorarle una mano, nessuno ci avrebbe notato, e sarebbe stato un attimo solo nostro. Ma non lo feci, nonostante la forte tentazione.

I titoli di testa irradiavano leggermente la stanza. Mi voltai verso di lei, ed incontrai i suoi occhi, ricambiai il suo sorriso e notai che eravamo seduti nella stessa posizione: a braccia conserte, le mani bloccate sulle costole.

L'ora di lezione sembrò molto lunga. L’elettricità librata nell’aria non accennava a spegnersi, così come il desiderio di colmare quella poco distanza tra di noi, prendendole la mano. Guardai il filmato, ma non riuscii a restare con gli occhi fissi sullo schermo per più di cinque minuti, tanto più che sembrava di una noia mortale. No, molto più interessante osservare di sottecchi Bella, mi compiacque notare che anche lei era più attratta da me, ma tutta questa attrazione reciproca tra noi m’inquietava.

Quando il professor Banner riaccese le luci in fondo alla classe, Bella si lasciò scappare un sospiro di sollievo e stirò le brac­cia, muovendo di nuovo le dita come se fossero irrigidite. Ridacchiai, almeno io non avevo di quei problemi.

« Be', interessante ». Il mio tono di voce era cupo, lo sguardo pieno di cautela. Ovviamente non mi riferivo al filmato ma all’elettricità scatenatasi tra di noi.

« Mmm >>

« Andiamo? », chiesi alzandomi.

L’ accompagnai in palestra senza parlare, e appena mi fermai sulla soglia si voltò per salutarmi. Allontanarmi dall’aula di biologia non aveva spento il desiderio di sentire sotto la mia mano la sua pelle. Ero devastato dall’indecisione, volevo farlo ma al contempo ne avevo paura.

Sollevai la mano, indeciso, esitante, stavo letteralmente combattendo contro me stesso: ce l’avrei fatta?!

Alla fine la tentazione ebbe la meglio, accarezzai svelto il profilo della sua guancia, con la punta delle dita. Era stato così strano, la sua pelle era cosi morbida e calda. Restai sconcertato per qualche secondo.

Mi voltai incapace di parlare- se il cuore fosse stato capace di battere credo che sarebbe impazzito- e mi allontanai a grandi passi.

Non seguii neanche per un secondo la lezione della professoressa Goff: Bella mi aveva incuriosito durante il pranzo, non poteva essere così male come diceva. Mi misi in ascolto tramite la mente di Newton nonostante m’irritasse particolarmente come persona.

Il professor Clapp, mise in mano a Bella una racchetta da badminton. Mi venne da ridere all’istante, ma il sorriso svanii quando Newton le propose di fare coppia con lui: continuava a girarle intorno!

La partita iniziò e potei constatare la verità in ciò che Bella mi aveva raccontato durante il pranzo: in qualche modo riuscì a colpire la sua stessa testa e a centrare la spalla di Mike con un movimen­to solo, sorrisi sotto i baffi, il colpo a Newton fosse stato per me glielo avrei inflitto di proposito. Passò il resto dell'ora nell'angolo del campo più lonta­no dalla rete, con la racchetta nascosta dietro la schiena.

La partita fu vinta da loro, Newton le diede il cinque, anche se il merito lo si poteva attribuire solo a lui, beh un gesto apprezzabile, forse non era del tutto da buttare via come persona.

« E allora », disse, mentre si allontanavano dal campo.

« Allora cosa? ».

« Tu e Cullen, eh? »,

Le ultime parole famose:

“Che ci troverà in lui” pensò.

« Non è affar tuo, Mike ».

« Non mi piace », bofonchiò,

“Non fa per lei, ci vorrebbe qualcuno tipo…”

Lui?! Ah sì, certo il ragazzo perfetto per Bella.

« Non è che debba piacere a te ».

« Ti guarda come se fossi... qualcosa da mangiare », prose­guì.

Camminavo veloce lungo il corridoio, per poco dall’irritazione non sbattei contro il muro il primo malcapitato che mi passò accanto. Ma resistetti e continuai per la mia strada.

L’aspettai, appog­giato al muro della palestra, con aria disinvolta, senza l'ombra di un pensiero sul viso. Mi affiancò:

« Ciao », disse, con un sospiro e un sorriso luminoso.

« Ciao » ricambiai con un ampio sorriso. « Com'è andata in palestra? ».

 « Bene », mentì

« Davvero? »chiesi scettico sapendo la verità. Socchiusi gli occhi che misero a fuoco  Newton dietro le sue spalle.

« Che c'è? », chiese.

Tornai a fissarla, con lo stesso sguardo teso.

« Newton ini­zia a darmi sui nervi».

« Non dirmi che ti sei rimesso ad ascoltare » disse contrariata.

« Come va la testa? », chiesi innocentemente, ignorando la sua irritazione.

« Sei incredibile! » si voltò, accelerando il passo verso il parcheggio.

Le stavo accanto senza nessuna difficoltà.

« Sei stata tu a incuriosirmi: hai detto che non ti avevo mai vista in palestra » le ricordai, per nulla pentito di ciò che avevo fatto, anzi ne ero contento. Conoscevo un altro lato di lei.

Procedemmo in silenzio fino alla mia auto. Ma a pochi passi di distanza fummo costretti ad arrestarci: la macchina era at­torniata da una folla di ragazzi, tutti maschi. Non guardavano la Volvo ma la cabriolet rosso fiammante di Rosalie:

“Caspita che macchina!”

I pensieri erano piuttosto concordi.

Nessuno si accorse di me che mi facevo spazio per aprire la portiera. Una volta entrambi nell’abitacolo:

« Appariscente », bofonchiai. Era dire poco data la folla che s’era creata.

« Che macchina è? ».

« Una M3 ».

« Tradotto per i comuni mortali? ».

« Una BMW »  alzai gli occhi, senza guardarla, intento a fare retromarcia evitando di investire gli ammiratori.

Annuì in silenzio.

« Sei ancora arrabbiata? », chiesi, a manovra conclusa.

« Assolutamente sì ».

« Se chiedo scusa mi perdoni? » chiesi sospirando.

« Forse... se sei sincero. E in più se prometti che non lo rifarai ».

« E se sarò sincero e in più ti lascerò guidare, sabato? » rilancia, sicuro che avrebbe gradito l’offerta.

Ci pensò un attimo:

« Aggiudicato ».

« Bene, mi dispiace molto di averti fatta arrabbiare » gli occhi mi si fecero sinceri per qualche istante per poi tornare giocosi. « E sarò sulla so­glia di casa tua sabato mattina presto ».

« Uhm, una misteriosa Volvo sul vialetto non ci aiuterà di certo, con Charlie ».

 « Non ho detto che verrò in auto » sorrisi comprensivo.

« Ma come... ».

La interruppi:

 « Non preoccuparti. Ci sarò, senza macchina ».

« "Più tardi" è arrivato? », chiese, con un tono eloquente.

 « Pensavo fosse più tardi » dissi tornando serio.

Arrestai la macchina. Eravamo arrivati di fronte casa sua, parcheggiati dietro il pick-up.

« Vuoi ancora sapere perché non ti posso portare a caccia? » ero serio ma non nascosi un punta d’ironia.

« Be', più che altro mi chiedevo il perché della tua reazione ».

« Ti ho spaventata? ».

« No », mentì.

« Ti chiedo perdono per averti terrorizzata », insistetti, ab­bozzando un sorriso, ma subito dopo mi sbarazzai di ogni ac­cento ironico, « È stato soltanto il pensiero della tua presen­za... durante la caccia ».

Il pensiero di averla vicino durante la caccia, momento in cui mi lasciavo condurre esclusivamente dai sensi, mi fece irrigidire.

« Non sarebbe il caso? ».

 « Nemmeno per scherzo » dissi digrignando i denti.

« Perché? ».

Feci un respiro profondo e osservai, al di là del parabrezza, le nuvole dense e veloci che sembravano schiacciarci, quasi a portata di mano.

Cominciai a parlare lentamente e controvoglia: non mi piaceva molto spiegarle quel lato di me, il lato più brutto del mio essere.

« Quando caccia­mo, ci abbandoniamo ai sensi... e non è la mente a governarci. Seguiamo soprattutto l'olfatto. Se nel perdere il controllo sen­tissi che sei vicina... » scossi la testa, senza staccare lo sguardo assorto dalle nuvole dense.

La guardai in cerca di un segnale che mi rivelasse la sua reazione, ma la sua espressione era indecifrabile. Era sempre così calma.

Non staccai gli occhi dai suoi, e il silenzio si fa­ceva sempre più denso, e diverso. L'atmosfera si fece sovracca­rica: si accese una nuova ondata di elettricità. Quando ruppe il silenzio sospirando con un tremito, chiusi gli occhi.

« Bella, credo che a questo punto dovresti rientrare » la mia voce era bassa e roca, lo sguardo di nuovo tra le nuvole.

Aprì la portiera, poggiò il piede con attenzione e la richiuse senza guar­dare indietro. Il ronzio del finestrino elettrico la fece voltare.

« Ah, Bella? », la chiamai con voce più serena. Mi sporsi dal finestrino aperto con la traccia di un sorriso sulle labbra.

« Sì? ».

« Domani è il mio turno ».

« Per cosa? ».

 « Per le domande » dissi sfoderando un sorriso smagliante.

E poi me ne andai accelerando lungo la strada e dileguando­mi dietro l'angolo, prima ancora che lei si fosse mossa per rientrare in casa.

Quella sera, come al solito, andai a farle visita, ma il suo sonno era più agitato del solito, non faceva che rigirarsi finché non spalancò gli occhi: mi acquattai ai piedi del letto, sperando che non si sollevasse con il busto.

Rimasi in silenzio, sentivo il suo respiro farsi via, via più regolare. Poi sospirò e si girò sul lato sinistro. Mi alzai aderendo al muro della finestra, pronto ad uscire non appena si fosse riaddormentata. Aspettai paziente che il respiro mutasse, poi sgattaiolai sull’albero di fronte la sua camera. Ci rimasi fino a che il cielo lentamente cambiava colore. Scesi e velocemente corsi a casa per cambiarmi e prendere la macchina.

L’avevo quasi fatta franca quando alle mie spalle comparvero sia Emmett che Rosalie:

<< Continui ad infrangere le regole, eh?! >> disse lui.

Non avevo la minima voglia di voltarmi. Me li immaginavo vicini, Emmett che circondava le spalle di Rosalie con un

braccio,mentre lei restava severamente a braccia conserte.

<< Finirò comunque all’Inferno…tanto vale… >>

<< Non sei divertente, Edward! >> disse Rosalie con voce stridula.

<< Figurati, non ne avevo intenzione >>

<< Almeno potresti, girarti?>>

La guardai con la coda dell’occhio.

<< Lascia perdere, Rosalie. Me ne vado >>

Entrai in garage e presi la Volvo diretto a casa di Bella.

L’aspettai in macchina, rilassato e sorridente: era lontano il battibecco di poco prima.

« Buongiorno » la salutai quando prese posto accanto a me « Oggi come stai? » perlustrai il suo viso, sembrava stanca, e non me ne stupii dopo la notte che aveva passato.

« Bene, grazie »

« Sembri stanca » le feci notare, soffermandomi sulle sue occhiaie.

« Non riuscivo a dormire », confessò, passandosi automati­camente i capelli sulla spalla a mo' di protezione.

« Neanch’io », dissi ironico, mentre avviavo il motore.

« Non c'è dubbio. Diciamo che avrò dor­mito poco più di te » disse scoppiando a ridere.

« Ci scommetto ».

« E tu, cos'hai fatto ieri sera? ».

 « Alt. Oggi le domande spettano a me » le ricordai ridendo.

« Ah, d'accordo. Cosa vuoi sapere? »

« Qual è il tuo colore preferito? », chiesi compassato.

Le mie domande erano molto diverse dalle sue, ma non potendo leggere nella sua mente non mi restava altro modo che porle delle domande per scoprire qualcosa in più su di lei.

 « Cambia ogni giorno ».

« Oggi qual è? » volli sapere come se fosse un’informazione di fondamentale importanza.

« Probabilmente il marrone ».

Soffocai una risata nel sentire quella risposta:

« Marro­ne? », chiesi, scettico.

« Certo. Il marrone è caldo. Ho nostalgia del marrone. Tutto ciò che in teoria è marrone - tronchi d'albero, rocce, terra - da queste parti è coperto di roba verde e viscida ».

L’ascoltavo revocare colori del posto in cui era cresciuta. La scrutavo fissandola negli occhi,arrivando a darle ragione.

« Hai ragione », conclusi, tornato serio, « Il marrone è cal­do » approvai riferendomi al colore dei suoi occhi e capelli. Mi avvicinai, veloce ed esitante come il giorno prima, per risi­stemarle i capelli dietro le spalle. Non mi piaceva che li usasse come scudo, non me lo meritavo affatto.

Giunti a scuola, mi rigirai verso di lei nel fare manovra.

« Cosa c'è in questo momento nel tuo lettore CD? », chiesi con la stessa cadenza grave nella voce.

Quando mi disse il nome della band, sorrisi di sbieco con una curiosa espressione: era una band rock. Aprii uno scompartimento alloggiato sotto il lettore CD dell'autoradio, ne estrassi uno e glielo sventolai sotto il naso.

« Da Debussy a questo? » chiesi scettico, alzando un sopracciglio.

Non mi rispose, si limitò a guardare la copertina del Cd con gli occhi bassi.

Continuai così per tutto il giorno. Mentre  l’accompagnavo alla lezione di inglese, quando  la andai a prendere dopo spa­gnolo, durante tutta l'ora della pausa pranzo, continuai ad indagare sui dettagli della sua vita. Quali film le piacevano o non sopportava, i pochi posti  che aveva visitato e i tanti che avrebbe desiderato vedere, un’infinità sui libri dato che lei si rivelò un’assidua lettrice,  ed io possedevo un’infinita conoscenza sull’argomento: qualche autore m’era contemporaneo.

Ero per indole un buon ascoltatore, ma Bella era l’unica incapace d’annoiarmi,dalla sua bocca uscivano solo frasi ed osservazioni intelligenti, l’avrei ascoltata senza fine. Per questo ogni volta che faceva una pausa, ponevo altre domande obbligandola a rispondere e sentire nuovamente la sua voce. Le posi sempre domande semplici ed apparentemente prive d’importanza.  Solo alcune riuscirono a farla arrossire. Ma ogni suo minimo rossore stuzzicava maggiormente la mia curiosità e cominciavo una nuova raffica di quesiti.

Quando le chiesi quale fosse la sua pietra preferita, rispose prontamente che era il topazio, arrossendo senza alcuna spiegazione logica.

<< A dire il vero fino a poco fa era il granito >>

La scrutai incuriosito:

<< Come mai questo cambiamento >>

Bella volse lo sguardo altrove, come faceva ogni volta che voleva evitare una risposta.

Ma non mi arresi, e fui talmente insistente e perentorio da farle confessare il motivo.

« È il colore dei tuoi occhi, oggi », sospirò, senza distogliersi dalle mani che giocherellavano con una ciocca di capelli. « Do­vessi chiedermelo tra due settimane ti risponderei che è l'oni­ce ».

Rimasi in silenzio, allibito per qualche minuto, poi ricominciai il ciclo di domande.

« Quali sono i tuoi fiori preferiti? ».

Sospirò e si concesse nuovamente all’interrogatorio.

Durante l’ora di biologia con­tinuai il mio quiz finché il professor Banner non entrò in classe, portandosi dietro il solito trabiccolo per gli audiovisivi. Mentre l'insegnante si avvicinava all'interruttore per spegnere la luce, allontanai la sedia, sperando di evitare la scarica d’adrenalina verificatasi il giorno prima, ma non servì a nulla.  Incrociai le braccia sul petto, nella stessa maniera del giorno precedente. Bella si allungò sul banco, appoggiando il mento alle braccia. Non mi osservò, sembrava concentrata sul filmato, al mio contrario che non riuscivo ad allontanare il mio sguardo dalla sua figura. Che strazio quella voglia di passarle una mano tra i capelli. Solo quando il professor Banner riaccese le luci sospirando si girò verso di me incontrando i miei occhi.

Mi alzai in silenzio fermandomi ad aspettarla, immobile. La ac­compagnai in palestra senza dire una parola, come il giorno prima. E come il giorno prima, le accarezzai il viso, muto stravolto dalle emozioni, ma stavolta con il dorso della mano, dalla tempia al mento. Avevo fatto- se pur minimo- un progresso, era riuscito a toccarla con più lentezza, aumentando il contatto fisico tra la mia mano e la sua guancia. Infine in silenzio me ne andai, diretto alla mia prossima lezione.

Non mostrai particolare attenzione alla lezione, ma mi concentrai sulla mente di Newton appurando con piacere che lui e Bella non si scambiarono parola.

A fine ora, corsi davanti la palestra, aspettando l’arrivo di Bella che appena mi vide, mi dedicò un raggiante sorriso, ricambiai e subito dopo ricominciai il ciclo delle mie domande.

Volevo sapere cosa le mancasse di più di Phoenix, e insistevo nel farmi descrivere i particolari di ciò che non mi era familiare. Restammo di fronte a casa di Charlie per ore, mentre il cielo si oscurava e cominciò a piovere.

Descrisse l’odore del creosoto come amaro, leggermente resinoso, ma piacevole; il suono acu­to e lamentoso delle cicale in luglio; gli alberi spogli, leggeri come piume; l'ampiezza del cielo, che si stendeva bianco e blu da un capo all'altro dell'orizzonte, disturbato a malapena dalle basse montagne coperte di rocce vulcaniche violacee.

Non ero del tutto attratto dal paesaggio che mi stava descrivendo, ciò che lo rendeva speciale facendo nascere in me la voglia di vedere con i miei occhi un tale scenario, era perché era legata a quella terra; era parte di lei.

Le chiesi perché tutto ciò le mancasse e la colsi impreparata: non riusciva a giustifi­care una bellezza che non avevo mai visto, al quale non ero masi stato abituato. La vidi enfatizzare le descrizioni con grandi gesti. L’ascoltavo in silenzio, per nulla annoiato,contento di vederla parlare senza alcuna traccia d’imbarazzo. I suoi ricordi di Phoenix si conclusero con la descrizione della sua vecchia stanza disordinata. Rimasi in silenzio, anziché rispondere con un'altra domanda.

« Hai finito? », chiese, sollevata.

«Neanche per sogno... ma tra poco tornerà tuo padre ».

« Charlie! », esclamò in un fiato. Guardò il cielo scuro e gonfio di pioggia, sperando di  riuscire a leggerlo. « Quanto è tardi? », si chiese ad alta voce, controllando l'orologio.

« È il crepuscolo », mormorai, lo sguardo puntato a ovest, verso un orizzonte coperto di nubi. Ero perso nelle mie riflessioni; pensavo a quanto lo trovassi malinconico.

Poi tornai a guardare Bella.

« Per noi è il momento più sicuro della giornata », dissi, ri­spondendo alla domanda silenziosa letta nel suo sguardo. « L'ora più leggera, ma in un certo senso, anche la più triste... la fine di un altro giorno, il ritorno della notte. L'oscurità è troppo prevedibile, non credi? » sorrisi immalinconito.

« A me la notte piace. Se non ci fosse il buio non vedremmo le stelle. Be', non che qui si vedano granché ».

Risi, contento che fosse stata in grado di alleggerire l’aria.

« Charlie tornerà tra qualche minuto. Perciò, a meno che tu non voglia dirgli che sabato verrai con me... » la guardavo di sottecchi.

« Grazie, ma... no, grazie »raccolse i libri. « Quindi, domani tocca a me? ».

« Certo che no! » esclamai fingendo irritazione. « Ti ho detto che non ho ancora finito, no? ».

« E che altro manca? ».

« Lo scoprirai domani » mi allungai ad aprirle la portiera.

Restai immobile, nel percepire due menti in arrivo:

« Cattive notizie », bofonchiai.

« Che c'è? » chiese notando mia mascella contratta.

« Un'altra complicazione », dissi, cupo.

Aprii la portiera con una mossa veloce e in un istante mi spo­stai per evitare il contatto con lei.

La sua attenzione fu catturata da un paio di fari nella piog­gia e da un'auto scura che procedeva sull'asfalto verso di noi.

« Charlie è dietro l'angolo », l’ avvertii.

Scese dall'auto con un balzo, malgrado la confusione e la cu­riosità. Cercò di identificare le sagome sul sedile anteriore dell'altra auto, ma era troppo buio. Io invece ero riuscito a riconoscere le due figure sull’altra macchina: Billy Black e suo figlio Jacob.

L’uomo più anziano era preoccupato nel vedere Bella in mia compagnia, e se da una parte il suo pensiero era frustrante anche per me, dall’altra mi infastidiva; avrei tanto voluto dimostrargli quanto fosse inutile la sua apprensione.

Prima che si avvicinassero troppo a me misi in moto, e le gomme stridettero sull'asfalto fradi­cio. Sparii nel giro di pochi secondi. Tornato a casa c’era solo una cosa in grado di poter rilassare i miei nervi tesi dopo quell’incontro- anche se sarebbe stato più esatto definirlo scontro- sedermi al pianoforte e lasciarmi condurre dalle note nate dalle mie stesse mani: chiusi gli occhi e pensai a Bella. 

 

Ringraziamenti:

Lady Cat: Addirittura illegali?!Mi fa veramente molto piacere che ti sia piaciuto così tanto. Spero che anche questo soddisfi le tue aspettative.

Aberlin: E come promesso sono arrivata. Grazie per il complimento,mi rende molto contenta!

Ed inoltre:

Cesarina89 e Suxpicci89 per aver aggiunto la mia storia tra le loro preferite.

_Gioia_  per aver aggiunto la mia storia tra le sue seguite.

Un saluto grande, grande

Maryana.

 

 

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Capitolo 12
*** Emozione ***


12

Emozione

Corsi a gran velocità verso casa di Bella, era una notte tranquilla, nuvolosa ma senza troppo vento.

Entrai come di consueto nella sua camera dalla finestra, attento a far il meno rumore possibile.

Mi avvicinai al letto sedendole accanto, il suo respiro era lento e regolare, nonostante il buio pesto riuscii a scorgere i suoi lineamenti rilassati nel sonno.

Non si dimenava, né pronunciò parola,profondamente addormentata; sorrisi nel vederla così tranquilla.

Era da molto che non si lamentava dei colori troppo verdi di Forks, o di quanto le mancasse sua madre.

Restavo seduto su quel letto immobile, trattenendo il respiro, ipnotizzato da suo volto e dalla sua quiete.

Dato il suo sonno pesante, mi convinsi di avvicinare una mano al suo viso, con le dite fredde le sfiorai una guancia, accarezzandola delicatamente e in modo circolare.

Quando mosse leggermente il capo e dischiuse le labbra, allontanai istintivamente la mano da lei: non ero ancora pronto a farle sapere che le facevo compagnia mentre dormiva, svegliandola.

Sapevo che il pomeriggio che sarebbe sopraggiunto sarebbe stato decisivo. Avrei capito una volta per tutte se davvero avrei potuto starle accanto nel modo giusto:

“Non m’importa, cosa sei”

Le sue parole risuonavano nella mie orecchie, come poteva non provare mai paura nel starmi vicino. Una mossa sbagliata, un passo falso e sarebbe finita male. Sia per me che per lei.

Con quell’affermazione mi aveva fatto intendere che lei aveva preso la sua decisione, preferiva correre il rischio piuttosto che interrompere la nostra- come poterla definire- relazione?!

Ma io, cosa avrei dovuto fare? Ero al corrente, più di lei, del pericolo in cui la mia attrazione- ricambiata, per altro- l’aveva messa. Per questo la scelta se allontanarmi da lei per sempre, era solo mia:ero io che dovevo accettare i miei limiti.

La vedevo così rilassata davanti a me, a portata di mano,avrei trovato abbastanza forza da scappare ai miei istinti?!

Alice mi aveva consigliato di vivere, ma a quale costo?

Guardai un momento fuori dalla finestra accorgendomi che stava per spuntare il giorno.

<< A dopo >> sussurrai nell’orecchio di Bella.

Correre era sempre una grande libertà, districava i nodi che avevo nel cervello e rendeva il flusso dei pensieri più fluido.

Quella mattina ebbi più fortuna nel non inciampare nei miei fratelli: solo Alice mi sosteneva.

Guidai a gran velocità, arrivai nuovamente di fronte casa di Bella, che l’ispettore Swan non era ancora uscito di casa.

Lo vidi solo un quarto d’ora abbandonante dopo salire noncurante sulla sua macchina.

“Mi fa piacere vedere Bella tanto di buon umore”

E così mi aveva appena svelato l’umore con cui avrei trovato Bella tra pochi minuti.

Avviai il motore e parcheggiai dove pochi istanti prima c’era la macchina della polizia, dovetti attendere solo altri dieci minuti prima di vederla uscire di casa; era stata puntuale.

L’aspettai in macchina, con i finestrini abbassati e il motore spento.

Le rivolsi un mezzo sorriso in segno di saluto: le occhiaie erano sparite.

« Dormito bene? », chiesi, anche se ero a conoscenza della risposta.

« Sì. E la tua nottata, com'è stata? ».

« Piacevole » sorridevo, divertito, anche se lei non poteva sapere il perché.

Era divertente il fatto che mi chiedesse come trascorrevo le notti, se solo avesse saputo la verità…

« Posso chiederti cosa hai fatto? ».

« No » feci un sorriso. « Oggi è ancora mio ».

Quel giorno la mia curiosità si concentrò sulle persone che avevano popolato la sua vita fino a qualche mese prima: notizie su Renée, sui suoi hobby, su ciò che facevamo assieme nel tem­po libero. E poi l'unica nonna che aveva conosciuto, le sue po­che amicizie di scuola, e poi ci fu un momento di imbarazzo quando le chiesi dei ragazzi con cui era uscita. Ero curioso di chi le fosse piaciuto prima di incontrarmi. Ma quell’argomento ci portò via ben poco tempo. Mi rivelò di non avere vecchie fiamme nascoste a Phoenix, la cosa mi stupì:

 « Perciò non sei mai uscita con qualcuno che ti piaceva? », chiesi, serio.

Possibile?!La scrutavo e mi convincevo sempre di più che i ragazzi che aveva conosciuto in Arizona avessero qualche problema.

« Non a Phoenix ».

A quelle parole le labbra mi si stesero in un sorriso: dopotutto non mi dispiaceva aver avuto solo io quel privilegio.

A quel punto della conversazione eravamo già arrivati all'ora della mensa.

Solo in quel momento mi ricordai del favore che avevo chiesto ad Alice, la quale aveva accettato volentieri. La forza dell’abitudine me ne aveva fatto dimenticare.

« Forse oggi era meglio che tu venissi da sola », dissi, di pun­to in bianco, mentre masticava una ciambella.

« Perchè? ».

« Dopo pranzo vado via con Alice ».

« Oh » sembrava delusa « Non c'è problema, farò una passeggiata ».

« Non intendo farti tor­nare a casa a piedi. Andiamo a prendere il pick-up e lo portia­mo qui » le dissi con un’occhiata torva.

« Non ho le chiavi », sospirò. « Davvero, non è un proble­ma ».

Scossi la testa:

« Il tuo pick-up sarà qui e la chiave sarà nel quadro, a meno che tu non tema che qualcuno lo rubi ». Al pensiero di un tale furto, scoppiai a ridere.

« D'accordo », rispose, a denti stretti.

Presi la sua risposta come una sfida. E feci una smorfia, sicuro di me.

« Dove andate? », chiese.

« A caccia », risposi, scuro. « Se voglio restare solo con te do­mani, devo prendere tutte le precauzioni possibili » la mia espressione si fece imbronciata ed implorante. « Ricorda che puoi sempre annullare la nostra uscita ».

Abbassò lo sguardo prima di rispondere.

« No », sussurrò, guardandomi, « Non posso ».

« Forse hai ragione », mormorai tetro.  Una forza più grande della paura che avrebbe dovuto tenerla lontana da me, la costringeva a fare il contrario.

 « A che ora ci vediamo, domani? »

« Dipende. È sabato, non vuoi dormire un po' più a lungo? » chiesi premurosamente.

« No », rispose troppo in fretta tanto che non riuscii a trattenere un sorriso.

« Al solito orario, allora. Ci sarà Charlie? ».

« No, domani va a pesca ».

« E se non torni a casa, cosa pen­serà? » chiesi con voce nuovamente fredda.

« Non ho idea », rispose, senza scomporsi. « Di solito il saba­to faccio il bucato. Penserà che sono caduta nella lavatrice ».

Come poteva fare dell’ironia su una tale prospettiva?!

Le lanciai un'occhiataccia, che ricambiò.

« Di cosa vai a caccia, stanotte? », chiese d’improvviso, rilassando lo sguardo.

« Quello che troviamo nel bosco. Non ci allontaneremo ».

« Perché ti fai accompagnare da Alice? ».

« È l'unica che mi... incoraggia ». Ammisi rabbuiandomi.

« E gli altri? », chiese timidamente. « Cosa dicono? ».

 « Perlopiù sono increduli » dissi corrugando la fronte.

Lanciò un breve sguardo dietro di lei ai miei fratelli. Erano tutti seduti al solito posto, la guardavo inquieto.

« Non gli piaccio », commentò.

« Non è questo il problema» , risposi ingenuamente « Non capiscono perché mi intestardisca con te ».

« Nemmeno io, se è per questo » ribadì con una smorfia.

Scossi la testa lentamente, e alzai gli occhi al cielo, prima di incrociare i suoi:

« Te l'ho detto: tu hai un'idea com­pletamente sbagliata di te stessa. Sei diversa da chiunque altra abbia conosciuto. Mi affascini ».

Spalancò gli occhi allibita.

Si aveva capito proprio bene: ero affascinato da lei.

Sorrisi cercando di decifrare la sua espressione:

« Grazie a certe mie qualità », mormorai, toccandomi la fronte, « Ho una comprensione della natura umana superiore alla me­dia. Le persone sono prevedibili. Ma tu... tu non fai mai ciò che mi aspetto. Mi cogli sempre di sorpresa ».

Tornò a osservare i miei fratelli, imbarazzata.

 « E fin qui, spiegare è molto facile », proseguii.

Continuava a tenere lo sguardo fisso sui miei familiari, ma io non distolsi i miei da lei.

Volevo essere sincero, sentivo che era la cosa giusta da fare…ma come avrei potuto spiegarle cosa sentivo: ci provai.

« Ma c'è di più... e non è facile da dire a parole... ».

Fui interrotto nel captare il pensiero di Rosalie:

“ E’ tutta colpa tua. Piccola, insignificante, umana

Spostai lo sguardo verso mia sorella, emisi un ringhio cupo e minaccioso sapendo che sarebbe stata in grado di udirlo.

Poteva prendersela con me, poteva accusarmi di tutto, ma doveva lasciare fuori Bella. Non tolleravo che la trattasse male.

Cercai di spiegare, nervoso:

« Mi dispiace. È soltanto preoc­cupata... Non sarebbe pericoloso soltanto per me, se dopo aver passato così tanto tempo assieme sotto gli occhi di tut­ti... », abbassò lo sguardo.

« Se? ».

« Se dovesse finire... male ».

Mi presi la testa fra le mani: soffrivo combattuto. Non riuscivo a star lontano da Bella, e il mio bisogno egoistico colpiva tutte le persone che mi erano care, la mia famiglia e la stessa Bella.

Perché ero stato colto da una simile debolezza, avrei dovuto trovare la forza di urlare “no” quando ne ero ancora in tempo. Ma le sue parole, i suoi gesti, i suoi occhi…tutto di lei mi aveva inchiodato senza speranza di fuga.

Se solo fosse andata male, non me lo sarei mai potuto perdonare. Immaginai quale sarebbe potuta essere la mia scelta davanti una tale prospettiva ma la voce di Bella mi riscosse:

 « È ora di andare? ».

« Sì » mostrai il viso, prima serio, poi sorridente. « Probabilmente è meglio così. Ci restano ancora quindici minuti di quel maledetto filmato da vedere durante l'ora di biologia e non penso che li sopporterei ».

Accanto a me, a sorpresa, spuntò Alice.

La salutai senza staccare gli occhi da Bella:

 « Alice ».

« Edward », rispose lei, con la sua solita voce canterina.

« Alice, Bella... Bella, Alice » le presentai con un gesto di­sinvolto della mano e un sorriso obliquo.

« Ciao, Bella » la salutò con un sorriso amichevole. « Piacere di cono­scerti, finalmente ».

La fulminai con lo sguardo: odiavo quando cercava di mettermi in imbarazzo.

« Ciao, Alice », mormorò Bella, timida.

« Sei pronto? »,mi  chiese Alice.

« Quasi. Ci vediamo alla macchina » volevo restare un altro po’ in compagnia di Bella.

Mia sorella se ne andò senza aggiungere altro.

« Devo augurarvi "buon divertimento", o è l'emozione sba­gliata? », chiese.

« No, "divertitevi" può andar bene » sorrisi compiaciuto dalla partecipazione che Bella mostrava.

« Allora divertitevi ».

« Ci proverò. E tu, per favore, cerca di sopravvivere » non ero contento di dovermi allontanare da lei.

« Sopravvivere a Forks... che sfida ».

« Per te lo è » divenni serio « Promettilo ».

« Prometto che cercherò di sopravvivere. Stasera faccio il bucato, una missione piena di incognite ».

« Non cadere nella lavatrice ».

« Farò del mio meglio ».

Ci alzammo entrambi.

« Ci vediamo domani », sospirò.

« Per te è un'eternità, vero? » la rimproverai.

Annuì seria.

« A domattina », promisi, con un mezzo sorriso. Mi sporsi per accarezzarle ancora la guancia. Poi mi voltai e me ne andai.

Raggiunsi Alice nel parcheggio, la trovai appoggiata aggraziatamente alla fiancata della Volvo.

Le sorrisi scusandomi per l’attesa.

“Nessun problema”pensò sorridendo a sua volta.

Quando ci trovammo entrambi nell’abitacolo:

<< Ti dispiace se facciamo una piccola deviazione? >> le chiesi facendo manovra.

“Dove andiamo?”

<< A recuperare il pick-up di Bella e lo portiamo qui >>

“Ok”

Ecco perché consideravo Alice la mia sorella preferita: non si chiedeva il perché delle mie decisioni, se agivo in determinati modi le bastava sapere che lo facevo per validi motivi, e poi era piacevole la sua compagnia data la sua innata allegria.

Durante il viaggio fino a casa di Bella non mi pose domande, i suoi pensieri non mi riguardavano:

<< Come mai questa mancanza di curiosità nei miei confronti? >> le chiesi ironico.

Mi guardò inclinando il capo da un lato, il sorriso sempre protagonista sulle sue labbra:

“Non c’è molto da sapere!” strizzò un occhio e poi riprese “E non ti scordare che passerai molto tempo con me”

Giusto,mi lasciava ancora qualche istante di privacy.

Parcheggiai la Volvo nei pressi della casa di Bella, non potendo bloccare l’uscita al pick-up. Spensi il motore ma lasciai le chiavi nel quadro, poi sia io che Alice scendemmo dall’auto.

Mi chinai a raccogliere la chiave da sotto lo zerbino, come le avevo visto fare molte volte: notai che vicino la porta d’ingresso c’era un gancio, ma non trovai le chiavi come sperai.

Salii al piano di sopra, in camera sua mi guardai attorno, respirando il suo odore colpito dall’essenza di lei: la scrivania era leggermente in disordine, ma il letto era ben fatto. Pensai a dove avrei potuto trovare le chiavi del pick-up,ulteriore inconveniente venutosi a creare dall’impossibilità di poter leggerle nella mente.

Mi fermai al centro della stanza con le braccia incrociate facendo mente locale: quand’era l’ultima volta che Bella aveva preso il suo mezzo per muoversi? La data risaliva a parecchi giorni prima, perciò probabilmente le avrei trovate in qualche jeans smesso. Trovai la lavanderia al piano sottostante, piena di vestiti da lavare: scartai le magliette fino a risalire al jeans di cui avevo bisogno, svuotai le tasche e recuperai il bottino.

Risalii in camera di Bella, presi carta e penna e le scrissi:

 

Stai attenta.

Saltai giù dalla finestra, mi avvicinai allo sportello del pick-up, mentre Alice salì sulla Volvo e si avviò a scuola; di certo sarebbe arrivata prima di me.

Annuii salendo sul sedile, posai il foglio su quello del passeggero e partii verso scuola.

Ovviamente ci misi più del solito, il pick-up non poteva sopportare oltre un certo limite di velocità.

Recuperai il foglio che adagiai sul sedile del conducente, lo piegai e scesi lasciando come promesso la chiavi nel quadro.

Infine velocemente ripresi la guida della Volvo e sfrecciai in compagnia di Alice verso casa.

Avevamo l’intero pomeriggio e tutta la notte a nostra disposizione, accontentandoci di qualche cervo.

Anche il loro sangue, se bevuto in abbondanza, mi dava il giusto sostentamento e mi avrebbe aiutato a sentire meno la sete in gola il giorno successivo.

“Sei nervoso?”

Puntuale arrivò la domanda di Alice, nel momento di pausa.

<< Un po’ >> ammisi sorridendo, lievemente imbarazzato.

“Come hai deciso di comportarti?”

<< Dimmelo tu >> la sfidai.

Scosse il capo con un sorriso enigmatico:

“Non ti dico proprio un bel nulla”

<< Antipatica! >> voltai il capo altrove, fingendo risentimento.

Alice si avvicinò a me, mi diede uno spintone scoppiando a ridere.

“Ma se ti dico cosa ho visto, poi che gusto c’è?!”

Sospirai scuotendo il capo. Alice mi si accovacciò di fronte, cercando i miei occhi:

“Stai tranquillo. Andrà tutto bene”

Ero nervoso ed inquieto, ma il sorriso che mia sorella fece in quel momento mi contagiò.

<< Grazie >> le dissi, sentendomi in dovere.

“E di che?!”

Ma sapeva esattamente di cosa la ringraziavo: della pazienza, comprensione e fiducia che aveva riposto in me. Mi era stata molto d’aiuto con le sue parole rassicuranti, mi aveva fatto sentire meno solo. Era confortante sapere di avere almeno un alleato in una guerra dura da affrontare.

Infine restammo ognuno per conto proprio,persi nei nostri pensieri: per quanto mi riguardava cercavo di restare calmo al pensiero dell’indomani, ma non mi venne molto facile come cosa.

Se domani non sarebbe andato come speravo, se avessi commesso- anche il più piccolo degli sbagli- sapevo cosa avrei dovuto fare razionalmente. Ma quanto mi costava solo valutare l’ipotesi, figurarsi metterla in pratica.

Solo qualche ora dopo Alice, tornò a rivolgersi a me:

“Questa devo dirtela!”

Preso alla sprovvista com’ero, non mi accorsi della sua agitazione.

<< Credevo non volessi rivelarmi nulla! >> dissi ironico.

“Non scherzo, Edward!”

Mi sollevai con il busto mettendomi a sedere, volsi il capo nella sua direzione ed incontrai i suoi occhi. La guardai a mia volta, sconcertato.

<< Che succede?!Così mi allarmi >>

“Perdonami” fece una pausa guardandosi le mani, strano che fosse così in ansia, non era da lei. “Ma questa nuova visione devo proprio dirtela”

Mi avvicinai a lei, mi piegai sulle ginocchia e la presi per le spalle.

<< Sai che puoi dirmi tutto >> le dissi rassicurandola.

Alice annuì energicamente con il capo, prima di tornare a guardarmi negli occhi.

“Ho visto Bella…diversa…”

Non capii cosa intendesse, o forse non volevo capire. Scossi il capo confuso.

“Insomma, l’ho vista come noi!”

Mi sentii ghiacciare più del solito, lasciai ricadere le braccia lungo in fianchi e mi rialzai.

Tornai a sederle lontano, volevo restare solo.

“Edward…”

<< Non accetterò mai l’idea! >> esclamai con troppa durezza. La vidi dischiudere le labbra per la sorpresa. Feci un sospiro per recuperare la calma << Alice, sai meglio di me che il futuro non è certo. Tutto cambia! >> sottolineai l’ultima parola.

Alice non disse né pensò nulla al riguardo, intuendo che il discorso finiva lì.

Non avrei mai potuto permettere che Bella diventasse fredda come il marmo, dura come la roccia, che le guance smettessero di avvamparle di vergogna…non potevo sopportare l’idea che la vita smettesse di fluirle nelle vene, che il suo cuore smettesse di battere.

La visione di Alice non poteva avverarsi, tutto cambiava e si evolveva. Nulla era dato per certo, con questo pensiero riuscii a ritrovare parzialmente la calma, l’unica ansia che nutrivo era per il giorno seguente.

 

Puntuale all’ora stabilita, bussai leggermente alla porta di casa sua.

Ero giunto da lei scuro in volto, a causa della tanta tensione che mi trapassava in tutti i nervi. Ma poi sorrisi nel vedere come si era vestita: aveva scelto una felpa marrone chiaro, dalla quale sbucava il colletto di una camicia, con un jeans. Proprio l’abbigliamento che avevo scelto anche io.

« Buongiorno » risi sotto i baffi.

« Cosa c'è che non va? » mi chiese stupita.

« Stessa divisa » le feci  notare, continuando a ridere.

Chiuse la porta, mentre mi avvicinavo al pick-up. L’aspettai dalla portiera del passeggero, come un prigioniero condannato a morte.

« Gli accordi sono accordi », precisò, palesemente compiaciuta. Salì dalla parte del conducente, e si allungò per aprirmi la portiera.

« Dove andiamo? >> chiese.

« Allaccia la cintura: sono già nervoso » aveva già poca stabilità quando camminava, immaginavo la sua guida.

Obbedì lanciandomi un'occhiataccia.

« Dove? », ribadì sospirando.

« Prendi la centouno, verso nord ».

Mentre guidava non le staccai gli occhi da dosso, vigile.

« Pensi di farcela, a uscire da Forks prima di sera? » era irritante procedere così lentamente.

« Questo pick-up potrebbe essere il nonno della tua auto, abbi un po' di rispetto ».

Poco dopo raggiungemmo la periferia, malgrado il mio pessimismo. I prati e le case presto lasciarono il posto al

sottobosco e ai tronchi velati di verde.

«  Svolta a destra verso la centodieci », dissi, anticipando la sua domanda. Obbedì in silenzio.

« Adesso prosegui finché non trovi lo sterrato ».

Le dissi contento d’essere quasi arrivati incolumi.

« E quando arriva lo sterrato, cosa c'è? ».

« Un sentiero ».

« Trekking? »

« È un problema? » chiesi incerto. Non mi sembrava di aver calcolato male i piani.

 « No ».

« Non preoccuparti, sono solo sette o otto chilometri, e non abbiamo fretta ».

Cade il silenzio, era concentrata sulla guida.

« A cosa pensi? », chiesi impaziente. Temevo sempre per ciò che le passava per la testa.

 « A dove stiamo andando ».

« In un posto in cui mi piace stare quando c'è bel tempo » entrambi guardammo le nuvole sempre più sottili, fuori dai fi­nestrini.

« Charlie diceva che sarebbe stata una giornata calda ».

« E tu gli hai raccontato quali erano i tuoi piani? »

« No ».

« Ma Jessica crede che stiamo andando a Seattle assieme? » chiesi retorico, sollevato che almeno qualcuno sapesse che stava in mia compagnia.

« No, le ho detto che hai annullato la gita... il che è vero ».

« Nessuno sa che sei con me? » domandai inquietandomi. Ma cosa le era saltato in testa?!

« Dipende... immagino che tu l'abbia detto ad Alice ».

« Questo sì che mi è d'aiuto », dissi sarcastico. Il fatto che Alice non era egoista, non voleva dire che non mi avrebbe procurato un alibi se…se… Non riuscivo neanche a formulare quel pensiero.

« Forks ti deprime così tanto da farti contemplare il suici­dio? », chiesi, reclamando la mia attenzione.

« Sei stato tu a dire che per te poteva essere un problema... farci vedere troppo assieme ».

« Così saresti preoccupata dei guai che potrei passare io... se tu non torni a casa? » se aveva cercato di calmarmi dicendo quelle parole, aveva sbagliato i suoi calcoli, perché mi irritai ancora di più. Non poteva mettere i miei problemi dinanzi i suoi.

Annuì, senza staccare gli occhi dalla strada.

<< Pazza >> borbottai tanto velocemente da impedire di farmi capire.

Per il resto del viaggio in auto  regnò sovrano il silenzio. Ero in preda al furore, alle volte si comportava come una bambina immatura.

Infine, la strada terminò e si trasformò in un sentiero stretto, indicato soltanto da un piccolo ceppo. Parcheggiò nel poco spazio disponibile a lato della strada. La temperatura si era alzata,tanto che Bella levò la felpa e se la strinse in vita.

A quel punto scesi dal pick-up, sbattendo lo sportello. Mi ero tolto anche io la felpa, le davo le spalle, rivolto verso la foresta fitta e ombrosa al di là del veicolo.

« Da questa parte », dissi, con un'occhiata ancora nervosa. Feci strada, dentro la foresta fitta e ombrosa.

« E il sentiero? » girò attorno al pick-up di corsa con la voce piena di panico.

« Ho detto che alla fine della strada avremmo incontrato un sentiero, non che lo avremmo percorso ».

« Niente sentiero? », chiese, palesemente nel panico.

« Non ci perderemo, fidati >> le dissi, voltandomi verso di lei con un sorriso beffardo.

La guardai confuso: mi fissava di rimando, immobile con un’espressione- quasi- disperata.

« Vuoi tornare a casa? », dissi piano, con un velo di tormento nel vederla allarmata.

« No » si avvicinò accelerando il passo.

« Cosa c'è che non va? », chiesi, delicato.

« Il trekking non è il mio forte, purtroppo. Ti toccherà esse­re paziente ».

« So essere molto paziente... se mi sforzo » sorrisi, soste­nendo il suo sguardo e cercando di alleggerire quel suo im­provviso e inspiegabile avvilimento.

Cercò di rispondere al sorriso, ma senza convinzione. La studiai in volto, i suoi lineamenti non accennavano a stendersi.

« Ti porterò a casa » dissi rassegnato, data la sua evidente paura.

« Se vuoi che io riesca a percorrere otto chilometri nella giungla prima che il sole tramonti, è il caso che tu faccia strada da subito », disse acida. La guardai, serio, sforzandomi di leggere la sua espressione e il suo tono di voce, ma con scarsi risultati.

Toglievo di mezzo le felci umide e i grovigli di muschio, semplificandole la camminata. Quando ci imbattevamo, lungo il nostro percorso dritto, in alberi caduti o massi, l’aiutavo, sostenendola per il braccio e lasciandola andare appena superato l'ostacolo.

Ogni qualvolta che la mia pelle era a contatto con la sua, sentivo i battiti del suo cuore accelerare vertiginosamente, ed ogni volta ne rimanevo stupito.

Perlopiù, camminammo in silenzio. Di tanto in tanto buttavo lì una domanda dimenticata durante i due giorni di interrogato­rio. Le chiesi dei suoi compleanni, dei suoi professori, dei suoi animali domestici, svelando di averci rinun­ciato del tutto, dopo avere ucciso tre pesci rossi uno dopo l'al­tro. Ciò mi fece ridere a crepapelle.

La camminata occupò quasi tutta la mattina, ma non die­di alcun segno di impazienza. La foresta si spandeva in un labi­rinto sconfinato di alberi secolari, ma nonostante questo ero perfettamente a mio agio, nel verde della vegetazione, e non mostravo alcuna esi­tazione, neppure il minimo problema di orientamento, dato che non ne avevo.

Dopo molte ore, la luce che filtrava dal tetto di foglie cam­biò, da un tono oliva scuro a un giada luminoso. Era uscito il sole, come avevo previsto.

« Non siamo ancora arrivati? », mi stuzzicò, fingendo di la­mentarsi.

« Quasi » sorrisi notando che si era finalmente calmata. « Vedi che laggiù c'è più luce? »

« Ehm, dovrei? » chiese ironica.

« In effetti, forse è un po' presto, per i tuoi oc­chi » le concessi ridacchiando.

« Mi ci vuole una visita dall'oculista », mormorò. La mia risa­tina divenne un ghigno.

Accelerò quando riuscì a vedere il cambiamento di luce che le avevo indicato. Le permisi di precedermi.

Raggiunse i confini della chiazza di luce e, oltrepassate le ul­time felci, entrò nella radura, piccola, perfettamente circolare, piena di fiori di campo viola, gialli e bianchi. Si sentiva anche la musica scro­sciante di un ruscello, nei dintorni. Il sole era alto e riempiva lo spiazzo di luce. Camminava lentamente, a bocca aperta, tra l'erba soffice e i fiori che dondolavano, sfiorati dal­l'aria calda. Si voltò appena ma non ero più alle sue spalle. Si guardò attorno, allarmata, cercandomi. Infine mi no­tò, ai margini del prato, nascosto nel fitto della foresta; la guardavo circospetto. La bellezza del posto l’aveva decisamente distratta.

Fece un passo verso di me, con gli occhi accesi di curiosità. Ero incerto e riluttante: stavo per mostrare alla ragazza che amavo la parte più brutta di me, ma dove avrei trovato il coraggio?

Mi rivolse un sorriso di incoraggia­mento, facendomi segno di avanzare, e si avvicinò ancora. A un mio cenno, si arrestò dov'era,i piedi ben piantati per terra.

Feci un respiro profondo; arrivato a quel punto era tardi per tornare indietro. Avanzai di un passo, facendo in modo che la luce accesa di mezzogiorno mi travolgesse.

 

Ringraziamenti:

Aberlin: Aggiornare velocemente mi sembra il minimo, solo molto felice che ti piaccia la storia!

Lady Cat: Spero che il viaggio nella mente di Edward non ti abbia deluso in questo capitolo, grazie per i complimenti!

Ed inoltre:

Encora 72 per aver aggiunto la mia storia tra le seguite.

Un grossissimo saluto,

Maryana.

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Capitolo 13
*** Prima volta ***


 

13

Prima volta.

Ad occhi chiusi, sdraiato sulla schiena, con il sole in faccia sentivo gli occhi d Bella perennemente puntanti su di me.

Canticchiavo con voce talmente bassa da non essere udibile da lei, anche se non perse il movimento repentino delle mie labbra.

Si godeva il sole, come me ma rimase rannicchiata con il mento sulle ginocchia, senza togliermi gli occhi di dosso. Il vento era delicato, le spettinava  i capelli facendo arrivare il suo squisito profumo alle mie narici

Restando con le palpebre chiuse, sentii il suo dito accarezzarmi, esitante, la mia mano ricoperta dalle irradiazione solari.

Il tocco delicato mi fece aprire gli occhi, la vidi scrutarmi la pelle dura della mano. Alzò lo sguardo ad incontrare il mio,agli angoli della mia bocca spuntò un sorriso.

« Non ti faccio paura? », chiesi scherzoso, benché trapelò un filo di acuta curiosità.

« Non più del solito ».

Il sorriso mi si allargò.

Si avvicinò maggiormente e con la punta delle dita seguii il profilo del mio avambraccio. Le tremava la mano, tenero tratto umano che smascherava le sue emozioni.

Chiusi gli occhi,trasportato dalla leggerezza della sua carezza. Morbida pelle su una superficie di marmo.

« Ti dà fastidio? », chiese preoccupata.

« No », dissi, senza riaprirli. « Non hai idea di come mi senta ».

Era piacevole come contatto: i suoi movimenti erano calmi, misurati ma capaci di produrre forti sensazioni.

Con la mano, delicatamente, seguì il profilo del braccio, lungo la debole traccia bluastra delle vene, vicino alla piega del gomito. Con l'altra mano cercò la mia, l’anticipai offrendole il palmo, troppo repentinamente. Si spaventò, e per un istante le sue dita si arrestarono sul mio braccio.

« Scusa », mormorai. Alzò lo sguardo appena in tempo per osservarmi richiudere gli occhi. « È troppo facile essere me stes­so, assieme a te ».

Nessuno mai era riuscito a farmi sentire così rilassato. Con lei vicino non razionalizzavo, reazioni- prima di allora- che mi erano così familiari che mi venivano meccaniche, in quel momento sembravano essersi dissolte.

Mi accorsi che sollevò la mia mano stretta nella sua, immaginai che se la fosse avvicinata agli occhi per scrutarla meglio.

« Dimmi cosa pensi », dissi in un sussurro, riaprendo gli occhi. Intercettò il mio sguardo, concentrato su di lei. « Mi sembra ancora così strano, non riuscire a capirlo ».

« Noi comuni mortali ci sentiamo sempre così, sai? ».

« Che vita dura » dissi con una nota di malinconia. Bella era stata in grado di far nascere in me il desiderio di essere, nuovamente, umano. Allora sì, che tutto sarebbe stato più facile e…lecito. « Non hai risposto ».

« Mi chiedevo cosa stessi pensando tu... », poi esitò.

« E? » la incoraggiai.

« E desideravo poter credere che tu fossi vero. E mi augura­vo di non avere paura ».

« Non voglio che tu abbia paura » le rivelai in un sus­surro esile. Ma che lei l’avesse era comprensibile. Strano, come a volte, il volere sia così lontano dal potere.

« Be', non è esattamente quella la paura che intendevo, mal­grado sia un aspetto da non trascurare ».

Mi sollevai a sedere di scatto, facendo leva sul braccio destro con un movimento fulmineo,lasciando l'altra mano tra le sue. Il mio viso fu a pochi centimetri dal suo. La scrutai confuso:

« E allora, di cosa hai paura? », sussurrai, serio.

Restò in silenzio, il suo respiro mi sfiorava il viso, le labbra. Improvvisamente, si avvicinò nell’intento di annusare la mia pelle.

Mossa sbagliata, a quella vicinanza, il pulsare del suo cuore diventava più appetibile del solito.

Impercettibilmente, mi allontanai da lei, allontanandomi da una decina di metri, ai bordi del prato, sotto l’ombra lunga di un grosso abete. La fissavo, con gli occhi cupi nel buio, attento a non rivelare i miei pensieri. Facevo respiri profondi, nella speranza di ritrovare la lucidità necessaria per poter sopportare ancora la sua vicinanza.

Il suo sguardo si fece addolorato e sorpreso.

« Mi... dispiace... Edward », sussurrò a voce bassissima e desolata.

« Dammi solo un momento », dissi, con un tono appena suf­ficiente per le sue orecchie meno sensibili. Restò immobile.

Non ero in collera con  lei, e mi dispiaceva averla fatta sentire in colpa.

Dopo dieci secondi tornai indietro, più lentamente del mio solito. Mi fermai a pochi metri da lei, lasciandomi cadere sul prato a gambe incrocia­te. Non staccai gli occhi dai suoi neanche per un istante. Feci due respiri profondi e sorrisi nel tentativo di farmi perdonare.

« Mi dispiace tanto. Capiresti cosa intendo se ti dicessi che la carne è debole? ».

Annuì , ma senza sorridere alla battuta che avevo cercato di fare. Sentivo l’odore dell'adrenalina scorrerle dentro. La mia espressione divenne un sorriso sarcastico.

« Sono il miglior predatore del mondo, no? Tutto, di me, ti attrae: la voce, il viso, persino l'odore. Come se ce ne fosse bi­sogno! ». Scattai in piedi e schizzai via, scomparendo in un istante dalla sua visuale, per riapparire sotto lo stesso albero di poco prima, dopo aver percorso il perimetro della radura in mezzo secondo.

« Come se tu potessi fuggire », risi, maligno.

Afferrai un ramo dalla circonferenza di mezzo metro e lo divelsi senza sforzo dal tronco di un abete rosso. Lo tenni in mano, in equilibrio per un momento, e poi lo lanciai con velocità verso un altro albero, contro cui si sbriciolò, scuotendolo.

Poi, mi materializzai di fronte a lei, a pochi centimetri, immobile come la pietra.

« Come se potessi combattere ad armi pari », dissi, delicato.

Restò seduta senza muoversi, certamente paralizzata dalla paura. Il viso era cinereo e gli oc­chi sbarrati: la preda che guarda, senza alternativa di scelta, il suo cacciatore.

Piano,piano con il passare dei secondi, la mia espressione elettrizzata si spense. Tornando sul mio volto la maschera addolorata.

« Non avere paura », sussurrai cercando di rassicurarla. « Prometto... giuro che non ti farò del male » anche se stavo più che altro provando ad auto convincermi.

« Non avere paura », mormorai di nuovo, avvicinandomi a lei con grande lentezza. Mi sedetti con un movimento deliberatamente posato, fino ad avvicinare il mio viso al suo, a pochi centimetri di distanza.

« Per favore, perdonami », dissi formale. « Sono ca­pace di controllarmi. Mi hai preso in contropiede. Ma adesso sarò impeccabile ».

Attesi la sua risposta, ma continuò a restare impalata.

« Sul serio, oggi non ho così tanta sete » le strizzai l'occhio.

Non mi rifiutò una risata, anche se debole e forzata.

« Stai bene? », chiesi, con dolcezza, avvicinandomi per offrirle di nuovo la mano.

L’osservò, poi mi guardò negli occhi tornati dolci. Si concentrò nuovamente sulla mia mano, e riprese a seguirne i contorni con la punta delle dita. Alzò lo sguardo e azzardò un sorriso timido, che mi scaldò il cuore.

Ricambiai lieto.

« Cosa stavamo dicendo, prima che mi comportassi in ma­niera così sgarbata? », chiesi.

« Sinceramente non ricordo ».

Sorrisi, tentando di nascondere vanamente l’imbarazzo:

« Credo che stessimo parlando di ciò che ti mette paura, a parte le ra­gioni più ovvie ».

« Ah, sì ».

« Allora? ».

Tornò a osservare la mia mano, disegnando ghirigori imma­ginari sul palmo. I secondi passavano e lei continuava a restare in silenzio.

« Com'è facile vanificare i miei sforzi », sospirai.

Mi guardò negli occhi, in quell’istante capì che la situazione in cui ci tro­vavamo era nuova per me. Malgrado gli innu­merevoli anni di esperienza che avevo, ero in difficoltà.

« Avevo paura perché... per, ecco, ovvi motivi, non posso stare con te. Ma d'altro canto vorrei stare con te molto, molto più del lecito ». Non staccava gli occhi dalle mie mani.

« Sì » parlai lentamente « Non c'è dubbio, è una paura legitti­ma, voler stare con me. È tutto fuorché una scelta vantaggiosa ».

Mi guardò, accigliata.

« Avrei dovuto lasciarti perdere tempo fa », sospirai. « Dovrei lasciarti, adesso. Ma non so se ci riuscirei » .

«Non voglio che tu mi lasci », mormorò accorata, abbassan­do lo sguardo per l'ennesima volta.

« Il che è precisamente la migliore ragione per andarmene. Ma non preoccuparti, sono una creatura essenzialmente egoista. De­sidero troppo la tua compagnia per comportarmi come dovrei ».

« Ne sono lieta ».

« Non esserlo! » ritrassi la mano, più dolcemente di prima; il mio tono di voce era diventato più aspro del solito. « Non è solo la tua compagnia che amo! Non dimenticarlo mai. Non dimenticare mai che sono più pericoloso per te che per chiunque altro ». Osservavo un punto indefinito della foresta.

Per qualche istante scelse di non fiatare, pensierosa.

« Non credo di avere capito cosa intendi, specialmente l'ulti­ma frase », disse.

Tornai a fissarla e sorrisi.

« Come faccio a spiegartelo senza metterti di nuovo paura... vediamo » sovrappensiero le offrii di nuovo la mano. Le strin­se forte fra le sue, e il mio sguardo le contemplò, colto dall’ennesima novità:

« È straordinariamente piacevole il calore », sospirai.

Un momento dopo, riordinai le idee.

« Hai presente, i gusti delle persone? Ad alcune piace il gela­to al cioccolato, ad altre la fragola? ».

Annuì.

« Scusa l'analogia con il cibo, non trovo una metafora mi­gliore ».

Al suo sorriso seguì subito il mio, con un filo di imbarazzo.

« Vedi, ogni persona ha un suo odore, un'essenza particola­re. Se chiudessi un alcolizzato in una stanza piena di lattine di birra sgasata, le berrebbe senza badarci. Se invece fosse un al­colista pentito, se decidesse di non berle, potrebbe riuscirci fa­cilmente. Ora, se poniamo nella stanza un solo bicchiere di li­quore invecchiato cento anni, il cognac migliore, il più raro di tutti, che diffonde ovunque il suo profumo... come credi che si comporterebbe il nostro alcolizzato? ».

Restammo zitti, guardandoci negli occhi, cercando di leg­gerci nel pensiero a vicenda.

Fu io a riprendere il discorso.

« Forse non è la metafora migliore. Forse rifiutare il cognac sarebbe facile. Forse dovrei trasformare il nostro alcolista in un eroinomane ».

« Cioè, vorresti dirmi che sono la tua qualità preferita di eroina? », disse, nel tentativo di alleggerire l'atmosfera.

 « Ecco, tu sei esattamente la mia qualità preferita di eroina » sorrisi, apprezzando il suo sforzo di comprensione.

« Succede spesso? », chiese.

Alzai lo sguardo sopra le cime degli alberi, pensando a una risposta.

« Ne ho parlato con i miei fratelli » non avevo il coraggio di guardarla . « Secondo Jasper, siete tutti uguali. È stato l'ulti­mo a unirsi alla nostra famiglia e l'astinenza lo fa soffrire anco­ra molto. Non ha ancora imparato a distinguere tra i diversi odori e sapori ».

Le lanciai un'occhiata timida, conscio di essere stato indelicato.

« Scusa », dissi.

« Non importa. Ti prego, non preoccuparti di offendermi, di spaventarmi o di qualsiasi altra cosa. È il tuo modo di ragiona­re. Riesco a capire, o perlomeno posso provarci. Però, ti prego, spiegami tutto come puoi ».

Feci un respiro profondo e tornai a guardare il cielo.

« Perciò, Jasper non ha saputo dirmi con certezza se gli sia mai capitato di conoscere qualcuna che fosse... », esitai, in cer­ca della parola giusta, « Attraente come tu sei per me. Il che mi fa ritenere che non l'abbia mai conosciuta. Emmett è dei nostri da

più tempo, per così dire, e ha capito cosa intendevo. A lui è capitato due volte, una più forte dell'altra ».

« E a te? ».

« Mai >>

Per un istante rimase in silenzio, forse scossa da quelle parole.

« Come si è comportato Emmett? », chiese, per spezzare il si­lenzio.

Era meglio che non ponesse quella domanda. Il volto mi si scurì, la  mano mi si strinse in un pugno. Guardai altrove. Bella, restò in attesa di una risposta che non arrivò.

« Credo di aver capito », concluse.

Alzai gli occhi a rivelare la mia espressione implorante.

« Anche i più forti di noi possono smarrire la strada, no? ».

« Cosa stai chiedendo? Il mio permesso? ». Chiese pungente. Poi si interruppe per proseguire con maggiore gentilezza « Voglio dire, non c'è proprio speranza, allora? ».

« No, no! ». Mi pentii all’istante di ciò che avevo detto. « Certo che c'è speranza! Voglio dire, è ovvio, non... », ma non ter­minai la frase. « Per noi è diverso. Emmett... quelle erano sconosciute, incontrate per caso. È accaduto tanto tempo fa, e lui non era... allenato e at­tento come ora ».

Rimasi zitto a osservarla, aveva un’espressione concentrata.

« Perciò, se ci fossimo incrociati... in un vicolo buio, o qual­cosa del genere... » la voce le si affievolì.

« Mi c'è voluta tutta la forza che avevo per non assalirti du­rante la prima lezione, in mezzo agli altri ragazzi, e... », rimasi in silenzio, distogliendo lo sguardo. « Quando mi sei passata accanto, ho rischiato di rovinare in un istante tutto ciò che Carlisle ha costruito per noi. Se non avessi messo a tacere così a lungo la mia sete negli ultimi, be', troppi anni, non sarei riu­scito a trattenermi » rivolsi lo sguardo inquieto agli alberi.

Poi la guardai torvo, rievocando, come lei, la scena. « Avrai creduto che fossi posseduto dal demonio ».

« Non riuscivo a capire come potessi odiarmi così, e perché poi, dal primo istante... ».

« Ai miei occhi eri una specie di demone, sorto dal mio in­ferno privato per distruggermi. L'odore soave della tua pelle... Quel primo giorno ho temuto di perdere definitivamente la te­sta. In quella singola ora ho pensato a cento maniere diverse di portarti via dall'aula, di isolarti. E mi sono opposto a tutte, te­mendo le conseguenze che avrebbero colpito la mia famiglia. Dovevo scappare, andarmene prima di pronunciare le parole che ti avrebbero obbligata a seguirmi... ».

Alzai gli occhi sul suo viso sconcertato.

« Mi avresti seguita, te lo garantisco ».

« Senza dubbio » approvò ostentando tranquillità.

Tornai alle sue mani torvo.

« E poi, proprio mentre cercavo inutilmente di cam­biare l'orario settimanale per poterti evitare, rieccoti. In quella stanzetta calda il tuo profumo mi faceva impazzire, in quel mo­mento sono stato lì per prenderti. C'era soltanto quell'altra fragile umana, me ne sarei sbarazzato senza difficoltà ».

Malgrado il sole caldo, la vidi rabbrividire: evidentemente attraverso il mio resoconto dettagliato, aveva realizzato il pericolo che aveva corso. Un altro brivido la percosse.

« Ma ho resistito, non so come. Mi sono imposto di non aspettarti fuori da scuola, di non seguirti. All'esterno la tua scia era più debole, perciò sono riuscito a pensare lucidamente, a prendere la decisione giusta. Ho accompagnato gli altri a casa - mi vergognavo troppo di raccontare ciò che mi stava succe­dendo, avevano soltanto intuito che qualcosa non andava - e sono torso da Carlisle, all'ospedale, ad annunciargli che me ne sarei andato di casa ».

Rimase a guardarmi, sorpresa.

« Ho scambiato la mia auto con la sua: aveva appena fatto il pieno, e non volevo fermarmi. Non ho osato tornare a casa ad affrontare Esme. Lei non mi avrebbe lasciato andare, non sen­za prima farmi una scenata. Avrebbe cercato di convincermi che non ce n'era bisogno... »

« Il mattino dopo ero in Alaska » mi vergognavo a confessare la mia scelta codarda. « Ci sono rimasto per due giorni, da alcune vecchie conoscenze... ma avevo nostalgia di casa. Ero tormentato dal pensiero di avere sconvolto Esme e il resto della mia famiglia adottiva. In mezzo all'aria pura di montagna era difficile credere che tu fossi così irresistibile. Mi sono convinto che la fuga fosse una scelta da debole. Avevo già lottato contro la tentazione, in precedenza, ma anche se non era mai stata così grande, così violenta, sapevo di essere forte. Chi eri tu, piccola e insignificante ragazza», e feci un ghigno, «per scacciarmi dal posto in cui desideravo vivere? Perciò sono tornato... ». Il mio sguardo si perse all'orizzonte.

Era senza parole.

« Ho preso tutte le precauzioni possibili, sono andato a cac­cia, mi sono nutrito più del solito, prima di tornare a incon­trarti. Ero sicuro di essere tanto forte da poterti trattare come un qualsiasi essere umano. Sono stato molto arrogante.

Un'altra grossa complicazione, in tutto questo, è stata la mia incapacità di leggerti nel pensiero, il non poter conoscere le tue reazioni. Non ero abituato a dover ricorrere a certi sotterfugi, come leggere le tue parole nel pensiero di Jessica... non è una persona granché originale, e non sai che noia dovermici adat­tare. Per giunta, non capivo se le tue parole fossero sincere. Tutto ciò è stato tremendamente irritante » il ricordo mi fece diventare ancora più serio.

« Desideravo farti dimenticare il mio comportamento del primo giorno, se possibile, perciò ho tentato di parlare con te come facevo con chiunque altro. A dire la verità, morivo dalla voglia di decifrare qualche tuo pensiero. Ma eri troppo interes­sante, e mi sono perso nel tuo modo di fare... Poi di tanto in tanto facevi un gesto con la mano, o ti sistemavi i capelli, e l'o­dore tornava a colpirmi...

È stato a quel punto che hai rischiato di morire schiacciata nell'incidente, proprio sotto i miei occhi. Poco dopo, ho archi­tettato un alibi perfetto per giustificare a me stesso il mio com­portamento: se non ti avessi salvata, di fronte al tuo sangue non sarei riuscito a nascondere la mia vera natura. Ma questo l'ho pensato dopo. In quel momento, l'unica cosa che avevo in mente era: "Non lei"».

Chiusi gli occhi, perso nello sforzo della confessione. Non sapevo che effetti aveva prodotto la mia sincerità, ma non potevo continuare a celargliela. Non al punto in cui eravamo giunti. Dovevo renderla partecipe di ciò che mi succedeva.

 « E in ospedale? ».

L'inchiodai con lo sguardo.

« Ero scioccato. Non riuscivo a credere di avere corso quel rischio, di averlo fatto correre a tut­ti i miei, per proteggere proprio te. Come se ci fosse bisogno di un motivo in più per ucciderti » a quella parola scattammo entrambi. « Ma l'effetto è sta­to il contrario », aggiunsi immediatamente. « Ho litigato con Rosalie, Emmett e Jasper, che sostenevano fosse il momento giusto... il peggior litigio da quando viviamo assieme. Carlisle e Alice erano dalla mia parte » sorrisi, nominando mia sorella. « Secondo Esme dovevo fare tutto il possibile per rimanere » scossi il capo, benevolo.

« Il giorno dopo ho origliato le menti di tutte le persone con cui avevi parlato, stupito che avessi mantenuto la parola. Non ti avevo affatto capita. Ma sapevo che non potevo lasciarmi coin­volgere ulteriormente da te. Ho fatto del mio meglio per starti lontano. E ogni giorno il profumo della tua pelle, del tuo respi­ro, dei tuoi capelli... mi colpiva forte, come la prima volta ».

Incrociai il suo sguardo. Lasciai che l’emozione del momento mi soprafacesse,permettendo alle parole di uscire dalle mie labbra da sole.

« E la cosa più assurda è che mi sarei curato meno di rovi­narci tutti il primo giorno, piuttosto che farti del male qui, ora, senza testimoni, senza nessuno in grado di fermarmi ».

« Per­ché? ».

« Isabella » pronunciai il suo nome completo con attenzio­ne; poi, con la mano libera, giocai con i suoi capelli, scompi­gliandoglieli. « Bella, arriverei a odiare me stesso, se dovessi farti del male. Non hai idea di che tormento sia stato», abbassai gli oc­chi, intimorito, «il pensiero di te immobile, bianca, fredda... di non vederti più avvampare di rossore, di non poter più coglie­re la scintilla nel tuo sguardo quando capisci che ti sto pren­dendo in giro... non sarei in grado di sopportarlo» La fissai con gli occhi angosciati. « Ora sei la cosa più importante per me. La cosa più importante di tutta la mia vita ».

Aspettavo una risposta, senza staccarle gli occhi da dosso. Ma lei continuava a tenere lo sguardo chino sulle nostre mani intrecciate.

« Sai già cosa provo, ovviamente », rispose, infine. « Sono qui, il che, in due parole, significa che preferirei morire, piuttosto che rinunciare a te » abbassò lo sguardo. « Sono un'idiota ».

« Certo che lo sei », ribadii con una risata.

Mi fissò negli occhi, e anche lei iniziò a ridere. Lasciando andare tutta la tensione.

« Così, il leone si innamorò dell'agnello... », mormorai.

Guardò altrove nascondendomi i suoi occhi.

« Che agnello stupido », sospirò.

« Che leone pazzo e masochista >> per un istante interminabi­le scrutai le ombre della foresta: avevo appena dato l’avvio ad un processo irreversibile. Indietro non  si tornava.

« Perché...? >>

La guardai e sorrisi:

« Sì? ».

« Dimmi perché prima sei fuggito in un lampo da me ».

« Lo sai, il perché » il sorriso mi morì sulle labbra.

« No, voglio dire, cos'ho fatto di preciso? È meglio che stia in guardia, per imparare cosa non posso fare. Questo, per esem­pio », mi accarezzò il dorso della mano, « Non crea problemi ».

« Non hai fatto niente di male, Bella. È sta­ta colpa mia » sorrisi scuotendo il capo. Mi inteneriva la sua ingenuità.

« Ma se posso, voglio aiutarti, voglio renderti la vita meno difficile ».

« Be'... », meditai, per un istante. « È stata una questione di vicinanza. Gli esseri umani sono per la maggior parte natural­mente timidi con noi, la nostra alterità li allontana... Non mi aspettavo che ti avvicinassi così tanto. E poi il profumo del tuo collo » non aggiunse altro, cercando di capire se l’avessi tur­bata.

« D'accordo », rispose decisa. Alzò il colletto fino al mento. « Niente collo scoperto ».

 « No, davvero, più che altro è stata la sorpresa » risi divertito.

Alzai la mano libera e la posai dolcemente sul suo collo. Era immobile, sentivo il cuore pulsarle fuori controllo.

« Vedi? Nessun problema ».

« Resta ferma », sussurrai.

Lentamente, senza staccare gli occhi da lei, mi avvicinai. Poi, all'improvviso, ma con grande delicatezza, posai la guancia fredda nell'incavo del suo mento, sulla gola.

Con lentezza calcolata, feci scivolare le mani lungo il suo col­lo. Rabbrividì  mentre io trattenevo il respiro. Non mi arrestai scorrevo morbidamente sulle spalle, poi mi fermai.

Spostai il viso di lato, sfiorandole la clavicola con il naso. Infine, mi accucciai con il volto appoggiato dolcemente al suo petto.

Ascoltavo il suo cuore, sfuggendomi un sospiro.

Restammo in quella posizione per un tempo che mi parve interminabile. Alla fine, il rit­mo del suo cuore rallentò,probabilmente abituatosi alla mia vicinanza. Ma non pronunciai parola e conti­nuai a stringerla a me.

Il suo odore, ormai tanto familiare, cominciava a non essere più un problema. Riuscivo a sopportare tutto quel contatto fisico con lei.

Infine lasciai la presa.

Il mio sguardo era quieto.

« Non sarà più così difficile », dissi, soddisfatto.

« È stata dura? ».

« Non terribile come immaginavo. E per te? ».

« No, niente affatto terribile... per me ».

« Hai capito cosa intendo » sorrisi al suo tono.

Sorrise.

« Vieni qui ». le presi la mano e  la avvicinai alla guancia. « Senti? »

La mia pelle di certo, da ghiacciata si era fatta tiepida.

« Resta lì », sussurrò.

Chiusi gli occhi e rimasi fermo come il marmo.

Si muoveva ancora più lentamente di me, evitando gesti im­provvisi. Mi accarezzò la guancia, sfiorò delicatamente le palpe­bre. Seguì il profilo del naso, e poi, con la massima delicatezza, delle labbra.

Nel percepire il tocco delicato della sua mano, mi si dischiusero: restai impietrito, scosso.

Levò la mano e si scostò un poco, catturando l’odore anelato dalla mia bocca.

Aprii gli occhi,  con uno sguardo affamato: ero confuso, non capivo del tutto cosa mi stesse succedendo, cosa stessi provando. Desiderio, ovvio, ma uno diverso dal quale ero abituato.

« Vorrei... vorrei sentissi la complessità... la confusione... che provo. Vorrei che potessi comprendere » la mia voce era un sussurro.

Le sfiorai i capelli, strofinandoglieli sul viso, con delicatezza.

« Spiegamelo ».

« Non credo che ci riuscirei. Te l'ho detto, da una parte sento fame di te, anzi sete, da creatura deplorabile quale sono. E que­sto lo puoi capire, in un certo senso » abbozzai un sorriso. « An­che se, dal momento che non sei dipendente da nessuna sostanza illegale, probabilmente non te ne rendi conto fino in fondo ».

Le sfiorai le labbra.

« Ma... ci sono altri tipi di fame. E quelli non riesco a interpre­tarli, mi sono del tutto estranei ».

« Forse riesco a capire questo più di quanto ti aspetti ».

« Non sono abituato a sentirmi tanto umano. Funziona sem­pre così? ».

« Per me? No, mai. Mai prima di oggi ».

Presi le sue mani tra le mie; quant’era fragile!

« Non so come fare a starti accanto in questo modo », ammi­si. « Non sono sicuro di esserne capace ».

Si avvicinò molto lentamente, tranquillizzandomi con lo sguardo. Posò la guancia sul mio petto. Sobbalzai silenziosamente. Mi stordiva il profumo emanato dai suoi capelli.

« Così va bene », sospirò, chiudendo gli occhi.

Stupendomene io stesso d’essere capace, l’abbracciai e avvicinai il viso ai suoi capelli.

« Sei molto più bravo di quanto tu voglia credere ».

« Possiedo ancora istinti umani. Sono sepolti da qualche parte, ma ci sono ».

Restammo in quella posizione per un altro momento eterno; la quiete ci circondava, e mi accorsi che non era presente intorno a noi, ma dentro di noi. Era tutto così semplice, spontaneo!

Il cielo cominciò a cambiare colore. La sentii sospirare.

« Devi andare ».

« Pensavo non fossi capace di leggermi nel pensiero ».

« Comincio a vederci qualcosa » sorrisi.

Mi guardò in faccia, la tenevo per le spalle.

« Posso mostrarti una cosa? », chiesi, lo sguardo acceso dall’entusiasmo.

« Cosa? ».

« Il modo in cui io mi sposto nella foresta » notai immediatamente la sua espressione allibita. « Non preoccuparti, non c'è pericolo e torne­remo al pick-up molto più velocemente ». la rassicurai con un sorriso di sbieco.

« Ti trasformi in un pipistrello? », chiese, intimorita.

Risi, più forte che mai.

 « Come se non l'avessi già sentita! ».

« Già, immagino che te lo dicano tutti ».

« E dai, fifona, salta in spalla ».

Aspettò un istante, allibita Sorrisi della sua incertezza e aprii le braccia per incoraggiarla. La presi per mano e l’aiutai ad aggrapparsi a me.

« Sono un po' più pesante di un normale zaino ».

« Figuriamoci! », sbottai, alzando gli occhi al cielo.

Le presi la mano, la portai al naso e premendo forte l’annusai.

« Sempre più facile », mormorai, soddisfatto.

E poi iniziai a correre.

Schivavo gli alberi, che ci passavano accanto a pochissimi centimetri, senza alcuno sforzo nonostante Bella aggrappata saldamente alla mia schiena.

La mia mente non era concentrata nella corsa, non ce n’era bisogno.

Piuttosto, eccitato da tutte quelle novità provate nelle ultime ore ripensai alla domanda che una volta Jessica pose a Bella:

“Vi siete baciati?”

Allora ne ero basito, nel timore di poterle fare del male. Ma in quel momento, dopo essere abituato al suo odore, forse ne ero finalmente in grado.

Che fosse arrivata l’ora giusta?!E chissà cosa si provava….

Arrivati al pick-up:

« Elettrizzante, eh? » le chiesi, su di giri, anche per il nuovo desiderio che nutrivo.

Restai immobile, in attesa che scendesse. Ma lei non si mosse.

« Bella? », chiesi, in  ansia.

« Credo di dovermi sdraiare », disse ansimando.

« Oh, scusa » attesi inutilmente che si muovesse.

« Ho bisogno di aiuto, credo ».

Risi sotto i baffi, e con delicatezza sciolsi la sua presa. La presi facendola scivolare di lato, cullandola come una bambina. La trattenni per un istante, poi la posai dolce­mente sulle foglie.

« Come va? ».

« Credo di avere un po' di nausea ».

« Tieni la testa tra le ginocchia ».

Respirava lentamente, con la testa immobilizzata. Le sedetti accanto, dopo qualche minuto riuscì a sollevare il capo.

« Forse non è stata una grande idea ».

 « No, è stato parecchio interessante » cercò di non buttarmi giù, ma era perfino senza voce.

« Ma dai! Sei pallida come un fantasma... anzi, sei pallida come me! ».

« Forse avrei dovuto chiudere gli occhi ».

« La prossima volta ricordatelo ».

« Ma quale prossima volta?! ».

Risi, senza perdere il buonumore.

« Spaccone », bofonchiò.

« Apri gli occhi, Bella », dissi, sottovoce.

Si scontrò con il mio viso a pochi centimetri dal suo.

« Mentre correvo, pensavo... ».

« A non centrare gli alberi, spero ».

« Sciocca », sghignazzai. « Correre per me è un gesto automa­tico, non è qualcosa a cui devo stare attento ».

« Spaccone ».

Sorrisi.

« Dicevo... Pensavo a una cosa che vorrei provare » di nuo­vo presi il suo viso tra le mani.

Esitavo, nel mettermi alla prova. Se riuscivo a sopportare di scambiarmi un bacio con lei, voleva dire che il neonato desiderio era più forte di quello longevo.

Posai le labbra fredde sulle sue.

Percepii istantaneamente il calore delle sue labbra, era piacevole: mi sembrava d’essermi totalmente riscaldato. Una sensazione unica, mai provata prima, mi sembrava che il sangue fosse tornato a scorrermi nella vene, e il cuore avesse ripreso i suoi battiti regolari di chi è in vita, data la tanta euforia che mi stava travolgendo in quell’attimo.

Ma ciò che più mi rendeva felice era che il mio desiderio per lei  non era indirizzato verso il suo sangue.

Quindi è questo che si provava, nel sentire vicina la persona che si ama, una leggerezza da togliere il fiato!

Ciò che nessuno di noi prevedeva fu la sua reazione.

Il respi­ro le si trasformò in un affanno incontrollabile. Intrecciò le dita ai miei capelli, stringendomi a sé. Dischiuse le labbra .

Immediatamente mi irrigidii, l’altro tipo di fame stava urlando dentro me, non potevo permettere che prendesse vita. Con le mani, delicatamente ma senza che potesse opporsi, al­lontanai il suo viso dal mio. Aprì gli occhi e mi vide, guardingo.

« Ops ».

« "Ops" è troppo poco ».

Stringevo i denti sforzandomi di resi­stere all'istinto. Trattenevo il suo viso a pochi centimetri dal mio, inchiodando­la con lo sguardo.

« Devo...? », e cercò di liberarsi dalla presa per lasciarmi un po' di spazio.

Non le permisi di muoversi di un millimetro. Non volevo che si allontanasse da me.

« No, è sopportabile. Per favore, aspetta un attimo » dissi controllato.

L'eccitazione si attenuò.

Poi, sfoderai un sorriso malizioso.

« Ecco », dissi, palesemente soddisfatto di me stesso.

« Sopportabile? ».

« Sono più forte di quanto pen­sassi. È una bella notizia » annunciai con una risata fragorosa.

« Mi piacerebbe poter pensare altrettanto di me ».

« E dai, dopotutto sei soltanto un essere umano ».

« Tante grazie », rispose acida.

Scattai in piedi. Le tesi una mano. Afferrò il mio palmo,e barcollò rialzandosi. Non aveva ancora ritrovato l'equilibrio.

« Ti senti ancora indebolita dalla corsa? O è stato il mio ba­cio da maestro? » Scoppiai a ridere, spensierato.

« Non so, mi sento ancora imbambolata », riuscì a risponde­re. « L'uno e l'altro, penso ».

« Forse è meglio che guidi io ».

« Sei pazzo? ».

« Sono un pilota migliore di te nella tua forma più smaglian­te. Hai i riflessi molto più lenti dei miei ».

« Certo, ma non credo che i miei nervi o il mio pick-up pos­sano farcela a sostenerti ».

« E dai, Bella, un po' di fiducia ».

Stringeva forte la chiave del pick-up nella tasca dei pantalo­ni. Serrò le labbra e scosse la testa sorridendo.

« No. Nemmeno per sogno ».

La guardai incredulo: non poteva dire sul serio.

Allora si avvicinò al posto di guida, cercando di scansarmi. Bar­collò così le circondai la vita con le braccia.

 « Bella, fino a questo momento il mio sforzo personale nel tentativo di salvarti la vita è stato enorme. Non permetterò cer­to che tu ti metta al volante nel momento in cui non riesci nemmeno a camminare in linea retta. Oltretutto, gli amici non lasciano guidare chi ha bevuto, lo sai ». Sorrisi della mia battu­ta.

« Pensi che sia ubriaca? ».

« Sei intossicata dalla mia presenza » sghignazzai ma­lizioso.

« Non ti posso dare torto » lasciò oscillare la chiave e la mollò all'improvviso; la presi al volo, silenzioso e veloce come un lampo. « Vacci piano », mi avvertì, « Il pick-up è un pensionato ».

« Molto ragionevole », dissi con approvazione.

« E tu, non sei nemmeno scalfito dalla mia presenza? », chie­se maliziosa.

I miei tratti si fecero dolci, caldi. Anziché rispondere, avvicinai il viso al suo, inclinandolo leggermente, e presi a sfiorarlo lento con le labbra, dall'orecchio al mento, avanti e indietro. Tremava.

« E in ogni caso », mormorai, « I miei riflessi sono più pronti dei tuoi ».

 

Ho deciso di aggiornare più velocemente per due motivi:

1)     Credo che questo sia uno dei capitoli più belli di Twilight e quindi non volevo farvi aspettare troppo.

2)     Tra due giorni sarò fuori casa, quindi non potrò aggiornare prima di una settimana.

E ora passo ai ringraziamenti:

Lady_Cat: I tuoi paragoni con la Meyer mi rendono sempre molto felice, e mi fa sempre molto piacere che la storia sia di tuo gradimento.

Aberlin: La tua attesa è finita, goditi il capitolo. Spero che continui a soddisfare le tue aspettative!

Simo1726: Io ci provo a non deludervi, e spero di non averlo fatto neanche in questo caso. Grazie per la recensione!

Inoltre:

Alessandraxxx81: per aver aggiunto la mia storia tra le sue preferite.

Bell: per aver aggiunto questa storia tra le sue seguite.

Augurandovi una buona settimana, vi saluto

Maryana.

 

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Capitolo 14
*** Controllo ***


14

Controllo.

Guidavo sotto i limiti di velocità senza alcuno sforzo, nonostante non ci fossi abituato e non mi entusiasmasse.

Tenevo a malapena gli occhi sulla strada, ero più concentrato su ciò che mi attorniava: il sole calante all’orizzonte, il viso di Bella seduta sul sedile accanto a me, i suoi capelli al vento per via del finestrino aperto, le nostre mani intrecciate.

Cantavo una canzone degli anni cinquanta sintonizzata su una stazione radio di quegli anni: la conoscevo a memoria.

<< Ti piace la musica degli anni cinquanta? >> mi chiese.

« La musica degli anni Cinquanta era buona. Di gran lunga meglio che nei Sessanta o nei Settanta! Roba da brividi. Gli anni Ottanta erano sopportabili ».

 « Conoscerò mai la tua vera età? », azzardò , controllando la voce cercando di non guastare il mio buonumore. Ma niente, quel momento ci sarebbe riuscito, neppure la sua curiosità che avevo imparato ad amare.

 « Importa qualcosa? » la provocai continuando a sorridere.

 « No, ma me lo chiedo spesso... Sai, non c'è niente di me­glio che un bel mistero irrisolto per trascorrere una notte in­sonne ».

« Chissà se ne rimarresti sconvolta... », dissi tra me. Il mio sguardo si perse nel sole. I minuti passavano.

« Mettimi alla prova » mi sfidò.

Sospirai e la studiai negli occhi: dovevo accertarmi che fosse convinta di volerlo sapere, che non ci fosse il minimo barlume di incertezza nel suo sguardo. Ma le sue iridi grandi esprimevano serenità, per cui presi coraggio.

Ripresi ad osservare il sole, e cominciai la mia storia fin dalle origini:

« Sono nato a Chicago nel 1901 » in silenzio, la guardai con la coda dell'occhio, sembrava non esserne sorpresa, mi guardava silenziosa con attenzione.

Accennai un sorriso e proseguii:

 « Carlisle mi trovò in un ospedale nell'estate del 1918. Avevo diciassette anni e stavo morendo di spagnola ».

A quel punto ebbe un leggero sussulto. Tornai a guardarla negli occhi.

« Ho qualche ricordo vago... è stato tantissimo tempo fa, e la memoria umana tende a svanire » mi lasciai condurre dalle immagini sfuocate che avevo di quel lontanissimo giorno: la debolezza causata dalla malattia, la confusione attorno a me, e un sussurro sconosciuto che mi sfiorava l’orecchio, era la voce di Carlisle…e poi il ricordo del dolore atroce « Però ricordo bene quello che provai quando Carlisle mi salvò. Non è una cosa facile; è impossibile da dimenticare ».

« E i tuoi genitori? ».

« Erano già stati uccisi dal morbo. Ero rimasto solo. Perciò Carlisle scelse me. Nel caos dell'epidemia, nessuno si sarebbe accorto della mia scomparsa ».

« Come... ha fatto a salvarti? ».

Meditai qualche istante sulla scelta delle parole da poter utilizzare, non era semplice da spiegare.

« Fu difficile. Pochi di noi possiedono l'autocontrollo neces­sario a un atto del genere. Ma Carlisle è sempre stato il più umano, il più compassionevole di noi tutti... Non credo abbia eguali nella storia. Quanto a me... fu qualcosa di semplice­mente doloroso, molto doloroso ».

Le mie labbra assunsero una smorfia sofferente, non mi sarei dilungato su quel particolare, non volevo né ricordare né rendere Bella partecipe di quella sofferenza…il bruciore nelle vene!

Mi accorsi della sua aria assente, persa tra i suoi pensieri, ormai la conoscevo bene. Sapevo che stava riflettendo cercando di districare i nodi che aveva in testa. Continuai il resoconto cercando di scioglierne alcuni.

« Fu la solitudine a spingerlo. Dietro scelte del genere c'è sempre un mo­tivo simile. Fui il primo a entrare nella famiglia di Carlisle, an­che se poco dopo trovò Esme. Era caduta da uno scoglio. La portarono direttamente all'obitorio dell'ospedale, benché, chissà come, il suo cuore battesse ancora ».

« Perciò bisogna essere in punto di morte, per diventare... ».

« No, è una scelta di Carlisle. Lo fa solo con chi non ha più speranze, con chi non ha altre possibilità » dissi facendo trapelare il rispetto che nutrivo verso Carlisle. « Inoltre, secondo lui, quando il sangue è debole è più facile ».

 Guardai la strada ormai scura, sperando che l’argomento fosse giunto al termine.

« E Rosalie ed Emmett? ».

« Rosalie fu la terza a unirsi alla nostra famiglia. Carlisle spe­rava che sarebbe diventata per me ciò che Esme era per lui - ha sempre avuto un'attenzione particolare per me e chi avessi accanto, ma questo lo capii soltanto molto tempo dopo. Ma non è mai stata più che una sorella. Fu lei, due anni dopo, a trovare Emmett. Era a caccia - all'epoca vivevamo sugli Appalachi - e lo vide in balia di un orso, mezzo sbranato. Lo portò a Carlisle, a centinaia di chilometri di distanza, perché temeva di non essere capace di fare ciò che voleva da sola. Adesso co­mincio a immaginare quanto fu difficile quel viaggio ».

Lanciai un'occhiata ammiccante verso di lei, sollevai la mano ancora intrecciata alla sua e con il dorso le carezzai una guancia.

« Eppure, ci riuscì », suggerì, distogliendo lo sguardo dai miei occhi.

« Sì », mormorai, « qualcosa nel viso di Emmett le diede la for­za necessaria. Stanno assieme da quel giorno. Di tanto in tanto vivono isolati dal nostro gruppo, come una coppia di sposi. Ma più giovani fingiamo di essere, più a lungo riusciamo a stabilir­ci nello stesso luogo. Forks sembrava perfetta, perciò ci siamo iscritti tutti alla scuola superiore » risi « Credo che tra qualche anno dovremo presenziare al loro matrimonio, l'ennesimo ».

« Alice e Jasper? ».

« Alice e Jasper sono due creature molto rare. Hanno en­trambi sviluppato una "coscienza", come la chiamiamo noi, senza influenze esterne. Jasper faceva parte di un'altra... fami­glia, molto diversa dalla nostra. Cadde in depressione, se ne di­staccò e iniziò a vagare solitario. Fu scoperto da Alice. Come me, lei possiede alcune qualità fuori della norma anche per la nostra razza ».

« Davvero? » chiese affascinata « Hai detto però di essere l'unico capace di leggere nel pensiero ».

« È così. Lei è capace di altro: lei può vedere. Vede le possi­bilità e gli eventi del futuro prossimo. Ma è molto soggettivo. Il futuro non è inciso nella pietra. Tutto cambia ».

A quelle parole mi rabbuiai ripensando a ciò che Alice mi aveva rivelato durante la nostra ultima caccia: non potevo accettare neanche lontanamente quella visione, il mio sguardo saettò sul suo viso tanto bello perché umano.

« Che genere di cose vede? ».

« Vide Jasper, e sapeva che la stava cercando ancora prima che lui se ne rendesse conto. Vide Carlisle e la nostra famiglia, e ci raggiunse assieme a Jasper. È la più sensibile alla presenza di non-umani. Per esempio, percepisce l'arrivo di altri gruppi del­la nostra specie. E capisce se rappresentano un pericolo o no ».

« Sono in tanti, quelli... come voi? » era sbalordita.

« No, siamo in pochi. E per giunta, è difficile che viviamo a lungo nello stesso luogo. Solo quelli come noi, che hanno ri­nunciato a cacciare gli umani», e lanciò un'altra occhiata verso di me, «riescono a convivete con voi. L'unica famiglia simile alla nostra che conosciamo è Alaska. Per un certo periodo abbiamo vissuto assieme a loro, ma eravamo in troppi, davamo nell'occhio. Quelli di noi che vivono... diversamente tendono a stabilire un legame tra loro ».

« E gli altri? ».

« Perlopiù sono nomadi. Di tanto in tanto lo siamo stati an­che noi. Come tutte le cose, a un certo punto annoia. Ma a vol­te incrociamo qualche nostro simile, dato che la maggior parte di noi predilige il Nord ».

« E perché? ».

Eravamo appena giunti di fronte a casa sua e avevo spento il pick-up. Tutto era silenzioso e buio, la luna non c'era. La luce in veranda era spenta, Charlie non era ancora rientrato.

« Avevi gli occhi aperti, questo pomeriggio? », la provocai « Pensi che potrei passeggiare indisturbato nel sole pomeridia­no senza causare incidenti stradali? Ci siamo stabiliti nella Pe­nisola di Olympia perché è uno dei posti meno assolati del mondo. È bello poter uscire di giorno. Non puoi credere quanto diventi pesante vivere di notte per ottant'anni e più ».

« È da lì che nascono le leggende? ».

« Probabilmente ».

« Anche Alice veniva da un'altra famiglia, come Jasper? ».

« No, e questo è un mistero, anche per noi. Alice non ricor­da niente della sua vita da umana. Non sa chi l'abbia creata. Si è svegliata, ed era sola. Chiunque le abbia ridato vita è sparito, e nessuno di noi riesce a capire come e perché. Se non fosse stata provvista di quel senso in più, se non avesse visto Jasper e Carlisle e capito che sarebbe diventata una di noi, probabil­mente si sarebbe trasformata in una selvaggia fatta e finita ».

Rimase in silenzio, l’espressione ponderosa dipinta in volto. Il suo stomaco brontolò.

« Scusami, ti ho trattenuta; immagino che tu debba cenare ».

« No, non c'è problema, davvero ».

« Non ho mai passato molto tempo in compagnia di qualcu­no che si nutre di cibo. Me ne stavo dimenticando ».

« Voglio restare qui con te » nel dirlo, la voce le tremò.

« Posso entrare? » le domandai, desideroso quanto lei di restare in sua compagnia.

« Ti andrebbe? » sembrava stupita.

« Sì, se non è un problema » scesi ed in pochi passi raggiunsi la sua portiera per aprirgliela.

« Molto umano, direi >> si complimentò per il gesto.

« Sento che certe cose stanno tornando a galla ».

Camminavo al suo fianco nella notte, tanto silenzioso che sbirciava di continuo come per accertarsi che non fossi sparito.

La precedetti sulla porta e l'aprii, trovando la chiave sotto lo zerbino, come avevo visto farle tante volte.

« Era aperta? ».

« No, ho preso la chiave da sotto lo zerbino ».

Entrò, accese la luce della veranda e si voltò a guardarmi, incredula.

« Ero curioso... di te » le spiegai, lievemente impacciato.

« Mi hai spiata? ».

« Cos'altro c'è da fare, di notte? » chiesi retorico e tranquillo.

Lasciò correre ed entrò in cucina. La precedetti senza bi­sogno che mi facesse strada e mi sedetti al tavolo della cucina.

Bella si concentrò sulla cena: la scrutai prendere della lasagne dal frigo, tagliarne un quadrato che posò su un piatto e lo mise a scaldare nel microonde.

Quando riprese a parlare, non si voltò concentrandosi sul microonde:

« Quante volte? », chiese, disinvolta.

« Come? » domandai, frastornato. Ero stato catturato completamente dai suoi gesti, avrei potuto guardarla senza dire nulla per ore.

 « Quante volte sei venuto qui? » spiegò senza voltarsi.

« Vengo a trovarti quasi tutte le notti ».

« Perché? » si girò di scatto, stupita.

« Sei interessante quando dormi » dissi con naturalezza, che c’era di male in fondo.  « Parli nel sonno ».

« No! », sbottò, rossa di vergogna fino ai capelli. Si appog­giò al piano di cottura per sostenersi.

« Sei tanto arrab­biata con me? » chiesi veramente molto dispiaciuto. Non volevo urtarla.

« Dipende! » parlò come se qualcuno le avesse tolto l’aria.

Aspettai che chiarissi.

« Da... », la sollecitai dopo un po'.

« Da quel che hai sentito! », strillò.

All'istante, in silenzio, mi materializzai al suo fianco e le pre­si le mani con delicatezza.

« Non esserne così sconvolta! » mi chinai su di lei e da pochi centimetri di distanza la fissai negli occhi. Era imbarazzata, lo capii dal fatto che cercò di distogliere lo sguardo.

« Ti manca tua madre », sussurrai. « Sei preoccupata per lei. E il rumore della pioggia ti innervosisce. All'inizio parlavi molto di casa tua, ora lo fai più raramente. Una volta hai detto: "È troppo verde" » risi piano, nella speranza di non offenderla ulteriormente.

« E che altro? »

Sapevo dove voleva arrivare.

« Hai pronunciato il mio nome », ammisi.

 « Tante volte? » sospirò con rassegnazione.

« Quante sarebbero precisamente "tante"? » chiesi confuso.

« Oh, no! », chinò la testa.

Cercai di consolarla, stringendola al petto dolcemente, con naturalezza.

« Non prendertela con te stessa », le sussurrai in un orec­chio. « Se fossi capace di sognare, sognerei te. E non me ne ver­gogno » era la verità.

Poi sentimmo entrambi il rumore di pneumatici sui sassi del vialetto, e due fari illuminarono le finestre di fronte che dava­no sull'ingresso. La sentii irrigidirsi contro di me.

« È il caso che tuo padre sappia che sono qui? ».

« Non saprei... »

« La prossima volta, allora... ».

E la lasciai sola.

« Edward! » la sentii chiamarmi con un filo di voce, quasi un sussurro.

Emisi una risata leggera prima di infilare le scale per introdurmi in camera sua.

Mi sdraiai sul suo letto, le braccia dietro la testa ed i piedi penzoloni. Comodamente mi concentrai sulla sua conversazione con suo padre.

« Bella? ».

« Sono qua ».

« Me ne dai un po'? Sono a pezzi » chiese riferendosi alla lasagna.

Si levò gli stivali coi pie­di, sfilandoli dal tallone mentre si reggeva alla sedia da me poco prima occupata.

Bella si alzò, prese il piatto sul piano cottura, sparendo dalla visuale di Charlie. Poi tornò per posare  un bic­chiere di latte sul tavolo e mi accorsi che le tremava la mano.

Gli porse il piatto e la ringraziò.

« Com'è andata oggi? », gli chiese.

« Bene. Pesci a frotte... E tu? Hai fatto tutto quello che do­vevi? ».

« Non proprio, con questa bella giornata non avevo voglia di chiudermi in casa » addentò una forchettata di lasagne.

« Sì, è stata una bella giornata ».

Terminato l'ultimo boccone, svuotò in un sorso ciò che re­stava del suo bicchiere di latte.

“Che velocità” pensò Charlie.

« Di fretta? ».

« Sì, sono stanca. Vado a letto presto ».

“Non mi convince” padre apprensivo.

« Sembri piuttosto su di giri », commentò Charlie.

« Davvero? ». Rispose lei,lavando i  piatti alla svelta e li mise ad asciugare.

“Resterà a casa?”

« È sabato », osservò.

Bella rimase in silenzio.

« Non hai programmi per stasera? »,le  chiese.

« No, papà, voglio soltanto dormire un po' ».

« Non hai trovato il tuo tipo in questa città, eh? ».

Beh non abitavo proprio al centro di Forks, no?!

« No, non ho notato ancora nessun ragazzo interessante ».

« Pensavo che Mike Newton... me ne avevi parlato ».

Ancora Newton, ma era una persecuzione. Mi irritava particolarmente sentirlo solo nominare, pensare a lui mi procurava sempre un forte prurito alle mani: che voglia di schiaffeggiarlo!!

Mi stupii io stesso di tutto quel fastidio che mi invase, ogni particella nervosa del mio cervello rifiutava il nome ed il ricordo di Nweton…che nome attribuire alla sensazione che stavo provando? Gelosia, caspita quanto fosse più forte viverla in prima persona, e che cosa strana: così incontrollabile.

« Papà, è soltanto un amico ».

“Meglio così, allora”

« Be', tu sei di un altro livello. Aspetta l'università, prima di iniziare la ricerca ».

« Mi sembra una buona idea », concluse, dirigendosi verso le scale.

“Terrò le orecchie aperte”

« 'Notte, cara ».

« Ci vediamo domattina, papà ».

Sentii i passi falsamente trascinati di Bella,chiuse la porta della stanza con forza affin­ché Charlie la sentisse bene, e poi, in punta di piedi, corse alla finestra, non accorgendosi della mia presenza. L'aprì e si sporse, nell'oscurità della sera, rivolgendo gli occhi verso i rami degli alberi: era esilarante.

« Edward? », mi chiamò sottovoce.

« Sì? » chiesi, smorzando una risata.

Si voltò di scatto, coprendosi la bocca per la sorpresa.

Vacillò, e si lasciò cadere in ginocchio sul pa­vimento.

« Scusa » mi sforzai di non sbottarle a ridere davanti.

« Dammi solo un minuto per rimettere in moto il cuore ».

Allora mi tirai su a sedere, con lentezza, per non spaventarla. Poi mi avvicinai e la sollevai, afferran­dola appena sotto le spalle. La pog­giai sul letto accanto a me.

« Vieni a sederti qui », suggerii, sfiorandole la mano « Come va il cuore? ».

« Dimmelo tu. Di sicuro lo senti meglio di me ».

Risi sommessamente, non aveva tutti i torti. Lo sentivo chiaramente, batterle all’impazzata.

Restammo in silenzio, in attesa che le sue pulsazioni rallen­tassero.

« Posso essere umana per un minuto? ».

« Senz'altro ». Con un gesto le indicai che poteva procedere.

« Resta lì », disse, sforzandosi di suonare severa.

« Sissignora ». E finsi di diventare una statua, seduta sul bor­do del suo letto.

Si alzò, raccolse il pigiama dal pavimento e il beauty case dalla scrivania. Spense la luce e sgattaiolò via, chiudendo la porta.

Sentii la porta del bagno chiudersi in modo brusco.

Aspettai, senza muovermi di un millimetro il suo ritorno.

Ascoltavo il rumore del getto dell’acqua della doccia, il televisore al piano sottostante.

Infine la sentii scendere le scale di corsa:

« 'Notte, papà ».

« 'Notte, Bella ».

 Irruppe in camera chiudendo la porta con cura.

Ricambiai il suo sorriso, riprendendo vita.

La squadrai dalla testa ai piedi, per osservare i capelli umidi e la maglietta sbrindellata. Alzai un sopracciglio:

« Carina ».

Mi guardò scettica.

« No, sul serio, stai bene » l’avrei trovata sempre bellissima.

« Grazie », sussurrò. Si sistemò come prima, al mio fianco, sedendo sul letto a gambe incrociate.

« A che pro tutta questa preparazione e il resto? », chiesi, ve­dendola assorta sulle venature del pavimento.

« Charlie ha il sospetto che me ne possa sgattaiolare via di nascosto ».

« Ah... E perché? » chiesi retorico, nonostante lo sapessi di mio il motivo.

« A quanto pare, sono un po' troppo su di giri ».

La guardai bene in faccia, sollevandole il mento.

« Ti trovo accaldata, in effetti ».

Avvicinai lentamente il mio viso al suo, sfiorandola con la guancia gelata. Restò assolutamente immobile.

« Mmm... », gemetti con un respiro profondo.

Non si mosse, né disse nulla. Rimase immobile dov’era, con la mia guancia contro la sua.

« Mi sembra che ora starmi vicino sia... molto più facile, per te ».

« Ti sembra? », mormorai sfiorandole l'incavo del collo con la punta del naso. Le ravvivai all'indietro i capelli bagnati per sco­prire la pelle dietro l'orecchio, e vi posai le labbra.

« Molto, molto più facile », disse, senza che le uscisse il fiato.

« Mmm ».

« Perciò, mi chiedevo... », cercò di ricominciare, ma perse il filo del discorso quando percepì le mie dita sul profilo del suo collo, fino alle spalle.

« Sì? »,le alitai. Assuefatto dal suo profumo.

« Secondo te », la voce le  tremò « qual è il motivo? ».

Risi lievemente divertito.

« La ragione domina sugli istinti ».

Improvvisamente si allontanò ritraendosi;rimasi impietrito , incapace perfino di respirare.

Incrociammo i nostri sguardi attenti. Non scorgendovi paura o timore, la mia espressione si fece più rilassata, ma allo stesso tempo perplessa.

« Ho fatto qualcosa di male? ».

« No... al contrario. Mi stai facendo impazzire ».

Meditai qualche istante.

« Davvero? » chiesi visibilmente compiaciuto.

« Ti aspetti che parta un applauso? ».

Feci una risatina.

« È solo che sono rimasto positivamente sorpreso. Nell'ulti­mo... centinaio di anni non ho mai immaginato che potesse succedermi qualcosa del genere. Non credevo che avrei desi­derato stare con qualcuno... che non fosse come fratello o so­rella. E poi, scoprire che malgrado sia totalmente nuovo per me, sono bravo... a stare con te... » era la prima volta che trovavo difficoltà con le parole. Tutto ciò che mi stava travolgendo era nuovo, mai provato prima…era difficile da spiegare!

« Tu sei bravo in tutto ».

Feci spallucce indifferente ed entrambi ridem­mo sottovoce.

« Ma com'è possibile che adesso sia così facile? Oggi pome­riggio... ».

« Non è facile » , sospirai, « ma oggi pomeriggio, ero ancora... indeciso. Mi dispiace, è stato un comportamento imperdona­bile ».

« No, non imperdonabile ».

« Grazie ». sorrisi, poi abbassai lo sguardo. « Vedi, non ero sicuro di essere abbastanza forte... ».le presi la mano e me la premetti piano contro la guancia. « E finché sentivo come an­cora possibile che venissi... sopraffatto », respirai il profumo tra le sue dita, « ero... vulnerabile. Poi mi sono convinto che sono abbastanza forte, che non ci sarebbe stato nessun rischio di... di poter...» non potei finire la frase.

« Perciò, ora non corro più rischi? ».

« La ragione domina gli istinti », ripetei sfoderando il mio sorriso migliore.

« Be', è stato facile ».

Gettai indietro la testa e risi, sottovoce ma di gusto.

« Facile per te! » le sfiorai il naso con la punta del dito.

L'istante dopo tornai serio.

« Ci sto provando », sussurrai, un filo di dolore nella sua voce. « Se dovesse diventare... troppo, sono convinto che riu­scirei ad andarmene ».

Feci una pausa, soprafatto io stesso dalla tristezza che provavo nel pronunciare quelle parole.

« E domani sarà più difficile. Ora sono assuefatto alla presen­za costante del tuo odore. Se ti resto lontano troppo a lungo mi toccherà ricominciare da capo. Non proprio da zero, però ».

« Allora non andartene », rispose, mostrandomi il suo desiderio.

« Sono d'accordo », risposi, rivolgendole un sorriso gentile e sereno. « Pronto per le manette: sono tuo prigioniero » ma, mentre parlavo, furono le mie mani a stringere i suoi polsi. Ridevo sommessamente, di vero buon umore: incredibile, ero felice!

« Sembri più... ottimista del solito. Non ti ho mai visto così di buonumore ».

« Non dovrebbe essere così? >> sorrisi  « La gloria del primo amore, e tutto il resto. È incredibile quanta differenza passi tra apprendere le cose dai libri, dai film, e viverle in prima perso­na nella realtà, vero? ».

« Senza dubbio è tutto molto più intenso di quanto avessi immaginato ».

Poi ripresi di slancio, parlando molto velocemente, preso da un entusiasmo improvviso.

« Per esempio, il sentimento della gelosia. Ne avrò letto migliaia di volte, l'ho visto interpretare in mi­gliaia di drammi e film. Pensavo di comprenderlo perfetta­mente. Ma sono rimasto stupito... Ricordi quando Mike ti ha invitata al ballo? » la fissai negli occhi.

Annuì seria.

« È stato quando hai ricominciato a parlarmi ».

« Sono rimasto sorpreso dall'ondata di irritazione, quasi di furia, che ho sentito. Sulle prime non ho riconosciuto cosa fos­se. A innervosirmi più del lecito, poi, c'era che non riuscivo a leggerti nel pensiero, non riuscivo a capire perché rifiutassi l'in­vito. Soltanto per non dare un dispiacere alla tua amica? C'era qualcun altro? In ogni caso, sapevo che non erano fatti miei, non dovevo badarci. Ho cercato di non badarci. E poi la fila si è allungata ». Ridacchiai

Lei rimasi zitta e seria, nell'oscurità.

« Restai in ascolto, pieno di irrazionale nervosismo, ansioso di sentire che risposta avresti dato loro, di leggere le espressio­ni sul tuo viso. Non nascondo che nel vedere il fastidio che ti suscitavano provavo sollievo. Ma non mi sentivo rassicurato.

Così ho iniziato a venire qui, proprio quella sera. Ho passa­to tutta la notte combattuto, mentre ti guardavo dormire, divi­so tra ciò che ritenevo giusto, morale, etico, e ciò che desidera­vo. Sapevo che se avessi continuato a ignorarti, come avrei do­vuto, o se fossi sparito per qualche anno fino alla tua partenza da Forks, avresti finito per dire di sì a Mike o a uno come lui. Che rabbia.

E poi... nel sonno ti ho sentita pronunciare il mio nome. Tanto chiaramente da farmi pensare che ti fossi svegliata. Ti sei rigirata nel letto, hai mormorato di nuovo il mio nome e sospi­rato. Quel momento mi ha sbalordito, e segnato. Ho capito che non avrei più potuto ignorarti ».

Restai in silenzio per qual­che istante, in ascolto dei battiti aritmici del suo cuore: l’unico capace di rivelarmi, almeno parzialmente, cosa Bella provasse.

«La gelosia... che cosa strana. Molto più potente di quanto mi aspettassi. E irrazionale! Anche poco fa, quando Charlie ti ha chiesto di quel vile di Mike Newton... », scossi la testa, ar­rabbiato.

« Ecco, stavi ascoltando, avrei dovuto immaginarlo ».

« Certo che sì ».

« Ti ha fatto ingelosire, eh? ».

« Per me è una novità. Stai resuscitando l'essere umano che è in me, e tutto ciò che sento è più forte, perché nuovo ».

« Ma, sinceramente, come fai a preoccuparti tu, dopo esser­mi venuto a dire che Rosalie - Rosalie, l'incarnazione della pura bellezza! - doveva essere la tua compagna? Emmett o non Emmett, come faccio a competere? ».

« Non c'è confronto ».

Sorrisi sincero. Guidai le sue mani attorno alla mia schiena, stringendola a me. Restò completamente immobile, se avesse potuto avrebbe smesso di respirare.

« Lo so bene che non c'è confronto », sussurrò contro la mia pelle  « Questo è il problema ».

« Certo che Rosalie è bellissima, a suo modo, ma anche se non fosse come una sorella, anche se Emmett non ci vivesse insieme, lei non riuscirebbe a scatenare in me un decimo dell'attrazione che mi lega a te ». mi ero fatto serio e pensieroso. « Per quasi novant'anni ho vissuto tra quelli della mia specie, e della tua... sempre certo di bastare a me stesso, senza sapere ciò che stavo cercando. E senza trovare nulla, perché non eri ancora nata ».

« Non mi sembra affatto giusto », sussurrò, con la testa sul mio petto, ascoltando il ritmo del mio respiro. « Io non ho dovu­to aspettare nemmeno un secondo. Perché dovrebbe andarmi così liscia? ».

« Hai ragione », risposi, divertito. « Dovrei proprio renderte­la più difficile. Una volta per tutte » le strinsi i polsi, nella presa delicata di una sola mano. Accarezzai dolcemente i suoi capelli umidi, dalla testa alle spalle. « Dopotutto sei soltanto costretta a rischiare la vita ogni secondo che passi assieme a me, e non è granché. Ti tocca soltanto voltare le spalle alla na­tura, all'umanità... cosa vuoi che sia? ».

« Pochissimo. Non mi sembra di dover sopportare una gran rinuncia ».

« Non ancora ». Dissi con dolore.

Voler restare al mio fianco comportava delle rinunce da parte sua. Sembrava non importarle,ma sarebbe stato sempre così?! I suoi bisogni, le sue emozioni erano fragili, come la sua natura. Non ero del tutto convinto, che prima o poi sentisse il bisogno di comportarsi nella normalità, richiesta dal suo animo umano.

« Cosa... », cominciò a domandarmi.

Mi irrigidì nel sentire i passi sulle scale ed i pensieri più vicini di Charlie.

Restò impietrita, lasciai le sue mani all'improv­viso e sparii. Per poco non cadeva in avanti.

« Sdraiati! », sibilai.

Si avvolse nella coperta, rannicchiandosi sul fianco come dormiva di solito. Sentii la porta aprirsi, era Charlie che sbir­ciava in camera per controllare che Bella fosse nel suo letto.

Cercò, miseramente, di fingere l’andatura del respiro pesante che si ha quando si dorme.

Quando Charlie chiuse la porta mi sdraiai silenziosamente accanto a Bella, le passai un braccio attorno alla vita, sotto le coperte.

« Sei una pessima attrice... secondo me non farai mai car­riera » le sussurrai, sfiorandole l’orecchio con le labbra.

« Accidenti ».

 Presi a canticchiare la melodia che lei era stata capace d’ispirare.

« Devo cantarti qualcosa per farti addormentare? », chiesi interrompendomi.

« Ah, certo. Come se potessi dormire con te accanto al letto! ».

« Lo fai sempre ».

« Ma prima non sapevo che fossi qui », rispose seccamente.

« Be', se non vuoi dormire... », suggerii, ignorando il tono della sua voce. Sospese il respiro.

« Se non voglio dormire... ».

Feci una risatina.

 « Cosa preferisci fare? ».

Attesi qualche istante, che rispondesse.

« Non saprei », disse infine.

« Quando avrai deciso, dimmelo ».

Il mio fiato freddo era sul suo collo, il mio naso le sfiorava il mento e respiravo il suo profumo.

« Pensavo ti ci fossi abituato ».

« Il fatto che io resista al vino non significa che non ne possa apprezzare il bouquet », sussurrai. « Il tuo odore è molto florea­le, sai di lavanda... o di fresia. È dissetante ».

« Sì, è proprio una giornataccia, se nessuno mi dice quanto sono mangiabile ».

Ridacchiai e tirai un sospiro.

« Ho deciso », decretò, « voglio sapere qualcos'altro di te ».

« Chiedi pure ».

« Perché lo fai? Ancora non capisco perché ti sforzi così tanto di resistere a ciò che... sei. Ti prego, non fraintendermi, è ovvio che ne sono contenta. Ma non capisco quale sia la causa scatenante ».

Indugiai, prima di rispondere:

 « È una bella domanda, e non è la prima volta che la sento. Anche gli altri - la maggior parte dei nostri simili, quelli che non rinnegano la propria natura - si chiedono come facciamo a vivere così. Ma vedi, il fatto che ci sia... toccata in sorte una certa condizione... non significa che non possiamo scegliere di innalzarci, di superare i confini di un destino che non abbiamo scelto noi. Cercando di conservare il più possibile l'essenza di un'umanità ».

La sentivo impietrita, immobile, tra le mie braccia in un silenzio reverenziale.

« Ti sei addormentata? », bisbigliai, dopo qualche minuto.

« No ».

« È soltanto questo che volevi sapere? ».

« No davvero! ».

« Cos'altro? ».

« Perché sei capace di leggere nel pensiero? Perché soltanto tu? E Alice... com'è possibile che veda il futuro? ».

Mi strinsi nelle spalle.

« Neanche noi lo sappiamo con precisione. Carlisle ha una teoria... secondo lui ognuno di noi porta con sé, nella sua nuova vita, una parte amplificata delle proprie caratteristiche umane. Io, per esempio, probabil­mente ero una persona molto sensibile all'umore di chi mi sta­va attorno. E così Alice, ovunque fosse, forse aveva capacità precognitive ».

« Lui e gli altri cos'hanno portato di sé nella nuova vita? ».

« Carlisle la compassione. Esme la capacità di amare appas­sionatamente. Emmett la forza, Rosalie la... tenacia. Ma puoi chiamarla anche testardaggine », ridacchiai. « Jasper è molto in­teressante. Nella sua prima vita era molto carismatico, capace di convincere gli altri delle sue opinioni. Adesso riesce a mani­polare le emozioni di chi lo circonda: calmare una folla infero­cita, per esempio, o al contrario suscitare entusiasmo in un pubblico apatico. È un dono molto sottile ».

Immaginai che il suo mutismo, fosse dovuto al fatto che fosse persa in una delle sue riflessioni così attesi pazientemente.

« Ma dov'è iniziato tutto? Voglio dire, a cambiare te è stato Carlisle, ma qualcuno deve aver cambiato lui, e così via... ».

« Be', tu da dove vieni? Evoluzione? Creazione? Non po­tremmo esserci evoluti come le altre specie, predatori e prede? Oppure, se non credi che questo mondo sia nato da sé, cosa che io stesso fatico ad accettare, è così difficile pensare che la stessa forza che ha creato il pesce angelo e lo squalo, il cuccio­lo di foca e l'orca assassina, abbia creato la tua specie e la mia? ».

« Fammi capire bene: io sarei il cucciolo di foca, vero? ».

« Esatto », risi, e le sfiorai i capelli con le labbra.

Non rispose nulla, la stringevo a me, sentivo il suo respiro farsi sempre più lento e regolare.

« Sei pronta per addormentarti? », chiesi, spezzando quel breve silenzio. « O hai altre domande? ».

« Soltanto un milione o due ».

« Ci sono ancora domani, e dopodomani, e il giorno dopo... », le feci presente.

« Mi prometti che non svanirai con l'arrivo del giorno? » si accertò « Dopotutto, sei una creatura leggendaria ».

« Non ti lascerò ». Le promisi solennemente.

« Ancora una, allora, per stasera... » sentii la sua pelle diventare più calda. Sicuramente era arrossita.

«  Quale? ».

« No, lasciamo perdere. Ho cambiato idea ».

« Bella, puoi chiedermi qualsiasi cosa ».

Non rispose, ed io sbuffai:

 « Continuo a pensare che non po­terti leggere nel pensiero col tempo sarà meno frustrante. Inve­ce è sempre peggio ».

« Sono felice che tu non sia capace di leggermi nel pensiero. Già è grave che origli quando parlo nel sonno ».

« Per favore ». Pregai con voce suadente.

Scosse il capo.

« Se non me lo dici, darò per scontato che sia qualcosa di molto peggio di ciò che è », minacciai cupo. « Per favore »implorai.

« Be'... », azzardò senza finire la frase.

« Sì? ».

« Hai detto che Rosalie ed Emmett si sposeranno presto... Il loro matrimonio è uguale a... quelli umani? ».

Capii cosa intendeva e scoppiai a ridere:

 « È lì che vuoi arri­vare? ».

Cincischiava, incapace di rispondere.

« Sì, immagino che sia più o meno la stessa cosa », continuai. « Te l'ho detto, molti degli istinti umani sopravvivono, sono solo nascosti dietro altri e più potenti desideri ».

« Ah ».

« Che scopo aveva questa domanda? ».

« Be', mi chiedevo, in effetti, se... io e te... un giorno... ».

Diventai subito serio. Mi pietrificai, a quel pensiero. Bella, automaticamente, fece lo stesso.

« Non penso che... che... per noi sarebbe possibile ».

« Perché sarebbe troppo difficile per te, sentirmi così... vi­cina? ».

« Quello sarebbe senz'altro un problema. Ma ora pensavo ad altro. Il fatto è che sei così tenera, così fragile. Quando mi sei accanto devo badare a ogni mio gesto, per non farti del male. Potrei ucciderti senza sforzo, Bella, anche per sbaglio ». La voce mi divenne un debole sussurro. Avvicinai una mano e ne posai il palmo freddo sulla sua guancia. « Se avessi fretta... se per un secondo non facessi attenzione, potrei sfon­darti il cranio con una carezza. Non ti rendi conto di quanto tu sia friabile. Non posso mai, mai permettermi di perdere il con­trollo, se ci sei tu. In nessun senso, mai ».

Attesi una risposta, sempre più ansioso di fronte al suo si­lenzio. « Sei spaventata? ».

Aspettai un altro minuto, prima che lei rispondesse:

« No. Tutto bene ».

In quel momento però fui colpito da una curiosità.

« Adesso, però, sono curioso io », dissi, rasserenandomi. « Hai mai... ». La­sciai la domanda in sospeso.

« Certo che no » avvampò « Te l'ho già detto, nessuno mi ha mai fatto sentire così, nemmeno lontanamente ».

« Lo so. Però conosco i pensieri delle altre persone. E so che sentimento e sensualità non vanno sempre di pari passo ».

« Per me sì. Perlomeno adesso che li sento nascere », sospirò.

« Bene. Se non altro, una cosa in comune l'abbiamo » notai soddisfatto. Chissà perché mi facesse contento saperla ancora vergine.

« I tuoi istinti umani... », s’interruppe ed io attesi che com­pletasse la frase. « Be', mi trovi minimamente attraente anche in quel senso? ».

Risi e le arruffai i capelli quasi asciutti.

« Non sarò un essere umano, ma un uomo sì ».

Sbadigliò.

« Ho risposto alle tue domande, ora è meglio che tu dorma ».

« Non so se ci riuscirò ».

« Vuoi che me ne vada? ».

« No! », disse, a voce troppo alta.

Risi, e iniziai a sussurrare la stessa ninna nanna di poco prima.

In breve tempo la sentii rilassarsi e scivolare nel sonno tra le mie braccia.

<< Buonanotte >> le sussurrai nell’orecchio, poi posai le labbra delicatamente sulla sua guancia.

Rimasi immobile, seguii il ritmo del suo respiro: regolare e profondo.

Sorrisi nel buio, quando, disse ancora addormentata:

<< Edward…ti amo >>

Lo sapevo,ovviamente, ma fu bello sentirlo. Il sorriso si allargò sulle mie labbra:

<< Anche io >> le dissi, anche se sapevo che non mi avrebbe sentito.

 

Ogni promessa è debito, e appena mi è stato possibile ho aggiornato.

Voglio ringraziare:

Lady-cat: grazie sei sempre così piena di complimenti, mi farai arrossire!

Rebecca73: ti ringrazio per aver visto nel mio stile dei miglioramenti, e apprezzo il tuo consiglio: farò del mio meglio! Grazie anche per aver aggiunto la mia storia tra le seguite.

Aberlin: il capitolo precedente è stato per me il più difficile da scrivere, mi dispiace di non aver descritto sufficientemente i sentimenti di Edward, grazie per avermelo fatto notare. Spero di aver fatto meglio in questo capitolo!

Per qualsiasi difetto che possiate trovare o se avete delle richieste, non esitate a chiedere: cercherò di accontentarvi al meglio.

Un caro saluto,

Maryana.

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Capitolo 15
*** Nella tana dei vampiri. ***


15

Nella tana dei vampiri.

Rimasi immobile, steso accanto a lei, fino a quando mi accorsi che il suo sonno si era fatto più sodo. Non avrebbe più parlato.

Mi alzai senza fare alcun rumore e sgattaiolai fuori dalla finestra, indugiai un attimo prima di saltare, posai lo sguardo su Bella, non si era mossa, dormiva tranquilla anche senza le mie braccia intorno a lei.

Corsi veloce verso casa, dovevo cambiarmi non potendo uscire il giorno seguente con gli stessi abiti che indossavo in quel momento.

Con mia sorpresa li trovai tutti in salotto, la mia assenza di ventiquattrore li aveva allarmati?!

<< Ciao, a tutti >> dissi allegro, entrando.

Rosalie non si mosse, mi scrutò solo con sguardo contrariato, Emmett scosse il capo tra l’interdizione ed il divertimento, tutti gli altri mi mostrano un sorriso.

<< Siamo di buon umore! >> esclamò Esme, entusiasta.

Sorrisi a mia volta, assentendo con il capo.

<< Inutile chiederti dove sei stato!! >> sbottò Rosalie irritata.

<< Rose… >> sussurrò Emmett cercando di calmarla.

Tutti gli altri si girarono a guardarla scuotendo il capo.

Esme mi si avvicinò ma si rivolse a Rosalie.

<< Che importa dove è stato e soprattutto con chi >> fece una pausa tornando a guardarmi << Ciò che conta è l’umore con cui è rincasato >> la sua voce si era fatta ancora più dolce se era possibile.

Rosalie sbuffò, rivolgendo solo a me il suo pensiero.

“Siete tutti impazziti”

Poi la vidi avviarsi verso le scale a grandi passi.

<< Un attimo, Rosalie >> la richiamai.

Mia sorella si girò a mezzo busto, sempre con le braccia incrociate e l’espressione imbronciata:

<< Sì? >> chiese scettica, alzando un sopracciglio.

<< Vorrei che sentissi anche tu la proposta che sto per fare >>

Mi ritrovai sei paia di occhi puntati addosso, sconcertati.

<< Che ne dite se domani- o meglio tra qualche ora- portassi qui Bella? >> attesi con il fiato sospeso una loro risposta.

<< Ma come ti viene in mente?? >> Rosalie quasi urlò per lo stupore.

Il resto del gruppo la ignorò: Carlisle, Alice ed Esme avevano lo stesso sorriso compiaciuto sulle labbra, mentre Emmett e Jasper si guardarono divertiti.

<< Voglio proprio scommettere se arriverà qui sana e salva! >> scherzò Emmett.

<< Emmett…mi abbandoni pure tu?! >> lo aggredì Rosalie risentita, poi si rivolse al resto della famiglia << Bene, vedo che siete tutti d’accordo >>

Non aggiunse altro, ci diede le spalle e lasciò la stanza. Scossi il capo stanco e abbattuto: non mi faceva piacere l’ostilità di Rosalie, ma ormai non mi restava altro che non badarvi. Se proprio non  voleva partecipare alla mia felicità, non potevo certo costringerla. Ma ora che avevo trovato Bella, dopo decenni di solitudine e di inutile vagabondare, non ci avrei rinunciato per nulla al mondo.

<< Vuoi scommettere contro di me?! Ma non ha senso, lo sai >>

La voce allegra di Alice, e le risate che suscitò nei presenti la sua osservazione, mi riscossero dai miei pensieri.

<< Ha proprio ragione, Emmett >> dissi, sorridendo a mia volta.

Li lasciai “baccagliare” sulla puntata, dirigendomi in camera mia per cambiarmi, e aggiustarmi i capelli leggermente in disordine.

Quando riscesi scherzavano ancora allegramente:

<< Jasper mi permetti due parole? >>

Senza scomporsi si alzò dal divano e mi raggiunse davanti la porta d’ingresso, probabilmente si accorse del mio disagio perché mi rilassai immediatamente.

<< Non è per mancanza di fiducia nei tuoi confronti, ma…vedi, preferirei che tenessi le distanze da Bella >>

“Ok, non ti preoccupare”

<< E’ solo per precauzione, non vorrei… >>

“Correre dei rischi, ho capito è tutto a posto”

<< Ti ringrazio >>

Mi fece un sorriso e tornò dagli altri.

Stavo per riandarmene di nuovo, quando mi stupii un pensiero:

“Io proprio non la capisco!”

Mi girai e trovai il volto di Rosalie contratto, ma non dalla rabbia.

“Ha la possibilità di vivere una vita normale…ma invece si è intestardita con te”

In quel momento captai l’antico dolore di mia sorella: nonostante l’essere diventata vampira l’avesse condotta ad Emmett, rimpiangeva la sua vita umana. Lo sguardo mi cadde, involontariamente, sul suo grembo. Avrebbe mai accettato la sua impossibilità di diventare madre?!Tornai a scrutarla negli occhi, c’era un velo trasparente sulle sue iridi, e mi risposi che no, non sarebbe mai riuscita del tutto a farsene una ragione.

Annuii in silenzio;non potei dirle nulla, perché niente sarebbe stato appropriato. Quando il dolore è tanto forte da riuscire ad annientare, quando si è consapevoli di aver perso per sempre la cosa che più si desiderava, allora nulla può davvero consolare.

     

Ritrovai Bella ancora addormentata, ma si era spostata sull’altro fianco, sentivo il suo respiro pesante.

Mi sedetti sulla sedia a dondolo nell’angolo, non volevo rischiare di svegliarla, sdraiandomi nuovamente vicino a lei; non staccai gli occhi dai lei neanche per un secondo.

Alle prime ore del mattino, sentii Charlie trafficare con il pick-up. Mi affacciai alla finestra e lo vidi ricollegare la batteria al mezzo, lo guardai accigliato: sarebbe bastato a fermare Bella, se avesse voluto fuggire? Sinceramente avevo i miei dubbi.

Solo quando una tenue luce, illuminò la stanza, udii lo sbattere delle sue ciglia, il viso era coperto da un braccio.

Sbadigliò e si girò sul fianco, forse sperando di riaddormentarsi.

Improvvisamente, però, si alzò di slanciò:

« Ah! »

Notai i suoi capelli arruffati e sorrisi.

« Il tuoi capelli sembrano una balla di fieno... ma mi piac­ciono ».

« Edward! Sei rimasto qui! » esclamò sorpresa.

Con entusiasmo si lanciò in braccio a me. Sorrisi compiaciuto della sua reazione, anche se ne ero leggermente stupito. Le accarezzavo delicatamente la schiena.

« Certo ».

Bella posò le testa sulla mia spalla. Non mi sarei mai stancato del suo profumo.

« Ero convinta di averti sognato ».

« Non sei tanto creativa ».

« Charlie! », si ricordò all'improvviso, saltando su d'istinto e andando verso la porta.

« È uscito un'ora fa... dopo aver ricollegato la batteria del pick-up, se proprio vuoi saperlo. Devo ammettere che un po' mi ha deluso. Basterebbe così poco per bloccarti, se fossi deci­sa a fuggire? ».

Si fermò a riflettere, però senza spostarsi.

« Di solito, la mattina non sei così confusa », le feci notare. Aspettavo il suo ritorno a braccia aperte.

« Ho bisogno di un altro minuto umano ».

« Ti aspetto ».

La vidi uscire con troppa fretta dalla sua camera, la sentii chiudersi in bagno e poco dopo udii uscire l’acqua del lavabo.

L’attendevo impaziente di stringerla di nuovo a me. Strano come anche la più piccola distanza, quando si è innamorati, diventi insopportabile.

Quando la vidi tornare, le andai incontro a braccia spalancate:

« Bentornata », mormorai, abbracciandola.

Per un po' la cullai in silenzio, finché non si accorse che i miei vestiti erano diversi e i capelli più ordinati.

« Te ne sei andato? », mi accusò, indicando il colletto della mia camicia.

« Non potevo certo uscire di qui con gli stessi abiti che ave­vo quando sono entrato... Cosa avrebbero pensato i vicini? ».

Mi guardò, imbronciata.

« Stavi dormendo sodo; non mi sono perso niente ». Il mio sguardo al ricordo si accese. « I discorsi li avevi già fatti ».

« Cos'hai sentito? », le uscì con un tono lamentoso.

« Hai detto che mi amavi » le dissi, guardandola negli occhi con amore, non l’avrei mai dimenticato.

« Lo sapevi già », disse, chinando la testa.

« Però è stato bello sentirlo ».

Affondò la faccia nella mia spalla.

« Ti amo », sussurrò.

« Tu sei la mia vita, adesso ».

Qualsiasi altra parola sarebbe stata superflua, quasi banale. La cullai, avanti e indietro, fino a quando non fu mattino pieno.

« È ora di fare colazione », dissi infine,evitando di scordare come il giorno precedente i suoi bisogni umani.

Ma lei fece un movimento, che mi scioccò raggelandomi: si portò le mani al collo e spalancò gli occhi fissandomi terrorizzata.

« Scherzetto! », ridacchiò. « E poi dici che non sono capace di recitare! ».

« Non è stato diver­tente » la rimproverai, con una smorfia di disapprovazione.

« Invece sì, tanto, e lo sai anche tu » mi scrutò negli occhi, cercando di capire se me la fossi presa.

Ero tranquillo, anche se non avevo gradito la sua burlata.

« Posso riformulare la frase? », chiesi. « È ora di fare colazio­ne, per gli umani ».

« Ah, d'accordo ».

La presi in spalla, con gentilezza e velocità. Cercò inutilmente di protestare, mentre la portavo giù per le scale senza sforzo. Riuscii a lasciarla direttamente su una sedia.

« Cosa c'è per colazione? », chiese, con tono amabile.

La domanda mi lasciò interdetto qualche istante.

« Ehm, non saprei. Cosa ti piacerebbe mangiare? >> domandai con le sopracciglia corrugate.

Sorrise e si alzò di scatto.

« Benissimo, posso cavarmela da sola senza problemi. Osser­vami mentre caccio ».

Trovò una tazza e una scatola di cereali, versò il latte e afferrò un cucchiaio. Di­spose il cibo sul tavolo, in silenzio.

« Vuoi che procacci qualcosa anche per te? », chiese.

Alzai gli occhi al cielo, con fare rassegnato.

« Mangia e basta, Bella ».

Si accomodò al tavolo, masticando la prima cucchiaiata senza staccarmi gli occhi di dosso. Studiavo ogni suo movi­mento, ipnotizzato. Si schiarì la gola per parlare.

« Cos'abbiamo in programma oggi? ».

« Mmm... » la  osservai cercando la risposta. Le sarebbe piaciuta la mia idea?! « Che ne dici di venire a conoscere la mia famiglia ».

Restò senza parole.

« Hai paura, adesso? » domandai, quasi speranzoso che per una volta dicesse che lo era.

« In effetti, sì » glielo leggevo negli occhi.

« Non preoccuparti. Ti proteggerò io », la rassicurai con un sorrisetto.

« Non ho paura di loro. Temo che non... gli piacerò. Non credi che saranno sorpresi di vederti arrivare assieme a una... come me... a casa loro, per conoscerli? Sanno quel che so di loro? ».

« Sanno già tutto. Ieri hanno persino scommesso », accennai una risata, ma poco convinta, « su quante possibilità io abbia di portarti a casa sana e salva, benché mi sembri una stupidaggi­ne scommettere contro Alice. E in ogni caso, nella mia famiglia non ci sono segreti. Non sarebbe proprio concepibile, con me che leggo nel pensiero, Alice che vede il futuro e tutto il resto ».

« E Jasper che ti rende felice, contento ed entusiasta di rac­contargli i fatti tuoi, non dimentichiamolo ».

« Ah, vedo che quando parlo stai attenta ».

« Di tanto in tanto capita anche a me » fece una linguaccia. « Perciò, Alice mi ha già vista arrivare? ».

« Qualcosa del genere », dissi, sen­za troppo entusiasmo, voltandomi per non mostrarle il mio sguardo scuro. Alice aveva visto di peggio. Sentii il suo sguardo su di me.

« È buono quel che mangi? », domandai, tornando a osser­varla e adocchiando la sua colazione con sguardo malizioso. « Sinceramente, non mette tanto appetito ».

« Be', di certo non è un grizzly permaloso... », mormorò, ignorando la mia reazione seria.

Aspettai che finisse, stando in piedi al centro della cucina, intento a fissare fuori dalla finestra, senza però realmente vedere il paesaggio. Ripensavo alla visione di Alice, la mia Bella…trasformata?!

Tornai a guardarla, scacciando quel pensiero, con un sorriso.

« E immagino che poi toccherà a te, presentarmi a tuo padre ».

« Ti conosce già », rispose.

« In quanto tuo ragazzo, dico ».

 « Perché? » mi guardò sospettosa.

« Non si usa? », chiesi, innocente.

« Ti confesso che non lo so » ci pensò un attimo  « Non è necessario, ecco. Non mi aspetto che tu... Cioè, non sei co­stretto a fingere per me ».

« Non sto fingendo » sorrisi paziente.

Raccolse gli avanzi di cereali sul bordo della tazza.

« Dirai o no a Charlie che sono il tuo ragazzo? », insistetti.

« Lo sei? ».

« In effetti l'espressione "ragazzo" è qui intesa in senso lato ».

« Avevo l'impressione che fossi qualcosa di più, a dir la ve­rità », confessò, spostando lo sguardo sul tavolo.

« Be', non so se sia il caso di descrivergli anche i dettagli più sanguinolenti » mi avvicinai e, sfiorandole il mento con un dito, la costrinsi delicatamente ad alzare la testa. « Ma senz'altro dovremo giustificare in qualche modo il fatto che ti girerò at­torno tanto spesso. Non voglio che l'ispettore Swan ricorra a misure cautelari per vietarmi formalmente di vederti ».

« Ti vedrò spesso? », chiese, impaziente. « Starai qui spesso, davvero? ».

« Per tutto il tempo che vuoi » risposi serio.

« Attento, perché ti vorrò sempre. Per sempre ».

Girai lentamente attorno al tavolo e, vicino com'ero, allungai una mano per sfiorarle la guancia con le dita. Quando usava la parola “per sempre” mi immalinconivo. Possibile, allora, che Alice ci avesse visto giusto?!Che Bella avrebbe rinunciato a tutto, trasformandosi in un mostro, solo per starmi accanto?!Era assurdo.  

« Quest'idea ti mette tristezza? ».

Non risposi, continuando a fissarla negli occhi.

« Hai finito? », chiesi infine.

« Sì >> si alzò di slancio.

« Vestiti. Ti aspetto qui >>.

L’aspettai ai piedi degli scalini, paziente, perso nelle mie riflessioni: come si sarebbe svolta la giornata?!

La sua voce mi distrasse.

« Okay ». balzò giù dalle scale. « Sono presentabile ».

 Si scontrò in pieno con me. La fermai, e la tenni a distanza di sicurezza per qualche secondo per osservare come si era vestita: indossava la stessa camicia blu che avevo già apprezzato, una lunga gonna color kaki, i capelli raccolti in una coda di cavallo le lasciavano scoperto il viso. Non l’avevo mai trovata tanto bella. La strinsi a me.

« Sbagliato », sussurrai al suo orecchio. « Sei assolutamente impresentabile. Nessuno dovrebbe essere così attraente: è una tentazione, non è giusto ».

« Attraente come? », chiese. « Posso cambiarmi... ».

Feci un sospiro e scossi la testa:

« Sei davvero assurda >> le posai delicatamente, le labbra sulla fronte « Mi concedi di spiegarti come mi stai inducendo in tenta­zione? », domandai, retoricamente.

Le mie dita scorrevano lentamente sulla sua schiena e il mio respiro si avvicinò al suo viso. Teneva le mani sul mio petto. Piegai lentamente la testa e con le labbra fredde toccai le sue per la seconda volta, con attenzione le dischiusi appena. La sensazione, che provai fu ancora più forte e vivida della prima volta.

Ma a quel punto, le gambe di Bella cedettero.

« Bella? » l’afferrai e sol­levai, allarmato.

« Mi... hai... fatta... svenire ». Aveva perso le forze.

« Ma cosa devo fare con te?! », esclamai esasperato. «La pri­ma volta che ti bacio, mi assali! La seconda, mi svieni tra le braccia! ».

Si fece sfuggire una debole risata, avvolta nel mio abbraccio protettivo.

« E meno male che sono bravo in tutto », sospirai.

« Questo è il problema », disse « Sei troppo bravo. Troppo, troppo bravo ».

« Ti senti male? », chiesi. L’avevo già vista in quello stato, e non m’era piaciuto.

« No... non è stato affatto come l'altro svenimento. Non so cosa sia successo ». Cercava di scusarsi, scuotendo la testa. « Penso di aver dimenticato di respirare ».

« Non posso portarti da nessuna parte, in queste condizioni ».

« Guarda che sto bene. E poi, i tuoi penseranno comunque che sono pazza, perciò... che differenza fa? ».

Per un istante rimasi a studiarla.

« Ho un debole per come quel colore si sposa con la tua carnagione », commentai, cogliendola di sor­presa. Arrossì e guardò altrove.

« Ascolta, sto cercando con tutte le mie forze di non pensare a ciò che sto per fare, perciò possiamo andare? », implorò.

« E sei preoccupata, non perché stai per conoscere una fami­glia di vampiri, ma perché temi che questi vampiri non ti ap­proveranno, giusto? ».

« Giusto », rispose immediatamente.

« Sei incredibile» scossi il capo.

Mi lasciò guidare il suo pick-up, senza opporre resistenza.  Uscimmo dalla città di Forks,ol­trepassammo il ponte sul fiume Calawah e proseguimmo lungo le curve della strada che puntava verso nord. Su­perate le ultime abitazioni, ci ritrovammo in mezzo alla foresta. A quel punto deviai su una strada sterrata, non segnalata e appena visibile in mezzo ai cespugli. La strada era risucchiata dal verde della foresta, sembra avvolgerci nei suoi alti rami.

Lentamente il bosco si fece meno fitto, e arrivammo in un giardino.

L'oscurità della foresta, però era sempre molto forte, per­ché l'intrico dei rami di sei cedri faceva ombra su un acro intero. L'ombra protettiva degli alberi giungeva fino alle mura di casa mia: alta tre piani, rendeva superflua la veranda.

« Accidenti » sembrava sbalordita.

« Ti piace? ».

« Ha... un certo fascino ».

La tirai per la coda e feci un risolino.

« Pronta? », chiesi, aprendole la portiera.

« Nemmeno un po'. Andiamo » si sforzò di ridere, ma la voce le restò in gola. Si aggiustò i capelli, nervosa.

« Sei molto carina » le presi la mano con disinvoltura.

Attraversammo l'ombra scura fino alla veranda. Percepivo la sua tensione,disegnai con il pollice,cerchi sul dorso della sua mano, sperando di farla tranquillizzare.

Aprii la porta e la feci entrare.

La guardai con la coda dell’occhio, osservare ammaliata l’interno ampio e luminoso.

Ad accoglierci, alla nostra sinistra, in piedi sul rialzo oc­cupato dal mio pianoforte, trovammo i miei genitori.

Ci diedero il benve­nuto con un sorriso, ma non si avvicinarono per non spaventare Bella.

Spezzai il silenzio, facendo le dovute presentazioni.

« Carlisle, Esme, vi presento Bella ».

« Benvenuta, Bella ». Carlisle le venne incontro a passi misu­rati, attenti. Le offrì una mano, e Bella fece un passo avanti per strin­gerla.

« È un piacere rivederla, dottor Cullen ».

« Chiamami pure Carlisle ».

« Carlisle » gli sorrise. L’improvvisa tranquillità che si impossessò di lei, mi fece rilassare.

Esme sorrise e si avvicinò anche lei, offrendole la mano.

« È davvero un piacere fare la tua conoscenza », disse, sincera.

« Grazie. Anch'io ne sono lieta ».

« Dove sono Alice e Jasper? », chiesi  ma nessuno rispose, in quanto avevano appena fatto la loro comparsa, sulle scale.

« Ehi, Edward! », esclamò Alice, entusiasta. Scese le scale di corsa, arrestandosi di fronte a Bella.

Carlisle ed Esme le lanciarono occhiate di avvertimento, ma Bella non ne sembrava intimorita.

« Ciao, Bella! », disse, e si sporse per baciarla sulla guancia. A quel punto sia io che i miei genitori ci irrigidimmo, la spontaneità di Alice ci prese tutti in contropiede.

« Hai davvero un buon odore, non me ne ero mai accorta », commentò lei.

E quell’ultimo commento mise K.O. le mie ultime facoltà mentali ancora capaci di funzionare, non trovavo nulla da dire…la mia salvezza fu Jasper.

Adoperò il suo finissimo dono infondendoci una tranquillità esagerata, lo guardai sconcertato.

« Ciao Bella », disse Jasper. Restò a distanza e  non le offrì la mano come mi ero raccomandato, era ancora troppo sensibile al profumo del sangue umano.

« Ciao Jasper » accennò un sorriso timido, prima a lui e poi agli altri. « Sono felice di conoscervi... la vostra casa è bellissi­ma », aggiunse.

« Grazie », rispose Esme. « Siamo davvero contenti che tu sia venuta ».

“Complimenti Edward, è proprio coraggiosa per essere venuta qui…ne sono davvero molto felice”

Mi soffermai poco sul pensiero di mia madre, lo sguardo di Carlisle catturò il mio:

 “Sta’ attento nei prossimi giorni, Edward…Alice ha detto che abbiamo ospiti”

Anuii serio, sperando che a Bella fosse sfuggito quel particolare.

Lei guardò altrove, soffermandosi sul pianoforte a coda, accanto alla porta.

Esme notò il suo sguardo assorto, chissà a cosa stava pensando, quali ricordi o desideri aveva fatto riaffiorare lo strumento.

« Suoni? », chiese, inclinando la testa verso il piano.

 « No, per niente. Ma è bellissimo. È tuo? ».

 « No. Edward non ti ha detto che è un musicista? » mia madre, rise.

« No ». Sorpresa, si voltò a scrutarmi: la mia espressione si era fatta innocente. « Immagino che avrei do­vuto saperlo ».

 “Che intende?”si chiese Emse, con le sopracciglia alzate.

« Edward è capace di fare tutto, vero? », disse, Bella.

Jasper soffocò una risata, ed Esme mi lanciò un'oc­chiata di rimprovero.

« Spero che tu non ti sia vantato troppo, non è educato », disse lei.

« Soltanto un po' >> Bella mi seguii in una risata. Esme si tranquillizzò.

“Sei sempre il solito”

Ci scambiammo una risata, ma Esme era compiaciuta.

« Per la verità, è stato fin troppo modesto », precisò, Bella.

« Be', dai Edward, suona per lei », mi incoraggiò.

« Hai appena detto che è maleducazione », replicai.

« Ogni regola ha un'eccezione ».

« Mi piacerebbe sentirti suonare », propose Bella.

« Siamo d'accordo, allora », ed Esme mi spinse verso il piano. Trascinai con me Bella e la feci accomodare sul seggiolino, al mio fianco.

Prima di abbassare gli occhi sui tasti, le rivolsi uno sguardo esasperato.

Poi le mie dita iniziarono a correre veloci sui tasti, e il salone si riempì di una melodia rigogliosa e vivace. Bella restò a bocca aperta, sorpresa.

La guardai di sfuggita:

« Ti piace? ».

« L'hai scritta tu? ». Era senza fiato.

Annuii:

« È la preferita di Esme ».

Chiuse gli occhi e scosse il capo.

« Cosa c'è che non va? ».

« Mi sento estremamente insignificante ».

La musica rallentò, si trasformò nella ninna nanna che avevo composto esclusivamente per lei.

« Questa l'hai ispirata tu », dissi, a bassa voce.

Era senza parole.

« Piaci a tutti, lo sai? Soprattutto a Esme ». Le dissi quando mi accorsi di essere rimasti soli.

Guardò alle sue spalle, ma l'ampio salone era vuoto.

« Dove sono andati? ».

« Immagino che, con molto buon senso, ci abbiano concesso un po' di privacy ».

Sospirò.

<< A loro piaccio. Ma Rosalie ed Emmett... ». Non terminò la frase.

Aggrottai le sopracciglia.

« Non preoccuparti di Rosalie », dissi, tentando di convincerla. « Prima o poi si farà vedere ».

« Emmett? » domandò, guardandomi scettica.

« Be', secondo lui, in effetti, sono pazzo, ma non ce l'ha af­fatto con te. Sta cercando di far ragionare Rosalie ».

« Cos'è che la innervosisce? ».

Feci un respiro profondo.

 « Rosalie è quella più problemati­ca, non si dà pace rispetto a... ciò che siamo. Non è facile per lei pensare che qualcuno di esterno alla famiglia conosca la ve­rità. In più è un po' gelosa ».

« Rosalie è gelosa di me? », chiese, incredula.

« Sei umana » mi strinsi nelle spalle. « Vorrebbe esserlo an­che lei ».

« Ah », mormorò  « Anche Jasper, però... ».

« Quella è colpa mia, in realtà. Te l'ho detto, è stato l'ultimo a convertirsi al nostro stile di vita. L'ho avvertito di mantenere le distanze ».

« Esme e Carlisle? », chiese rapidamente, cercando di proce­dere con la conversazione perché non badassi alle sue reazioni. Ma mi accorsi di ogni suo piccolo sobbalzo.

« Sono felici che io sia felice. Anzi, credo che Esme ti ap­prezzerebbe anche se avessi tre occhi e i piedi palmati. In tutti questi anni si è preoccupata per me, ha sempre temuto che alla mia essenza originale mancasse qualcosa, che fossi troppo gio­vane quando Carlisle mi ha cambiato... È felicissima. Ogni volta che ti sfioro, gongola di soddisfazione ».

« Anche Alice sembra molto... entusiasta ».

« Alice ha un modo tutto suo di vedere le cose », dissi a lab­bra strette. Ovviamente, mia sorella, non vedeva l’ora di avere un’altra sorella. Che idea assurda.

« E tu non hai intenzione di parlarmene, vero? ».

Il silenzio con cui risposi era denso di sottintesi. Capii che sapeva che le nascondevo qualcosa. E d intuì che non ero disposto a rivelarglielo. Non in quel momento.

« E cosa ti stava dicendo Carlisle, prima? ».

Alzai gli occhi di scatto.

« Ah, te ne sei accorta? ».

« Certo » si strinse nelle spalle.

La osservai per qualche secondo, prima di rispondere:

« Aveva una notizia per me... e non sapeva se avrei gradito condividerla ».

« E? »

« Sono obbligato a condividerla, perché nei prossimi giorni - o settimane - sarò un po'... iperprotettivo nei tuoi confronti e non voglio che tu pensi a me come a un despota ».

« Qual è il problema? ».

« Nessun problema, per ora. Alice, però, ha visto che presto riceveremo ospiti. Sanno che siamo qui e sono curiosi ».

« Ospiti? ».

« Sì... be', ovviamente non sono come noi... quanto ad abi­tudini di caccia, intendo. Probabilmente non entreranno a Forks, ma non sono intenzionato a perderti di vista finché non se ne saranno andati ».

Rabbrividì.

« Finalmente una reazione normale! Iniziavo a temere che non fossi dotata di istinto di sopravvivenza ».

Lasciò correre, distogliendo lo sguardo e lasciandolo vaga­re per il vasto salone, dalle tinte tenui.

Seguii il percorso dei suoi occhi:

« Non ti aspettavi questo, eh? » chiesi compiaciuto.

« In effetti, no ».

« Niente bare, niente teschi ammucchiati negli angoli; credo che non ci siano nemmeno ragnatele... chissà che delusione, per te », proseguii, sarcastico.

Evitò di stare al gioco:

« È così luminosa... così ariosa ».

« È l'unico posto in cui non siamo costretti a nasconderci », risposi in tutta serietà.

La canzone che stavo ancora suonando, volò verso gli ultimi accordi, più malinconici. L'eco dell'ulti­ma nota fu enfatizzata dal silenzio della casa.

« Grazie », sussurrò. Aveva gli occhi lucidi. Li asciugò, im­barazzata.

Avvicinai la punta di un dito alla sua palpebra, catturando una lacrima che le era sfuggita. Osservai la goccia intrappola­ta sul polpastrello. Poi, con un gesto rapido,la as­saggiai: era salata, con un retrogusto dolce.

Mi fissava, perplessa, ed io le restituii lo sguardo, immobile per un lunghissimo istante, prima di sorridere.

« Vuoi vedere il resto della casa? ».

« Niente bare? » il leggero sarcasmo, non nascose l’ansia nella sua voce.

Risi, prendendola per mano e allontanandomi dal pianofor­te assieme a lei.

« Niente bare, te lo prometto ».

Salimmo le scale, sfiorava con le dita il corrimano.

« La stanza di Rosalie ed Emmett... lo studio di Carlisle... la stanza di Alice... », indicavo ogni porta con un gesto.

Avrei proseguito, ma lei si arrestò in fondo al corridoio, fissando incredula la decorazione appesa al muro sopra la sua testa.

Ridacchiai della sua espressione sbalordita.

« Puoi anche ridere », dissi. « È ironico, in un certo senso ».

Non ci riusciva. Alzò automaticamente una mano, tentando di sfiorare con un dito la grossa croce di legno, la cui tinta scu­ra contrastava con quella più chiara della parete. Non la toc­cò,benché la curiosità che traspariva dal suo sguardo.

« Dev'essere antichissima ».

 « Anni Trenta del diciassette­simo secolo, più o meno » precisai con una scrollata di spalle.

Distolse gli occhi dalla croce per guardarmi.

« Perché la conservate qui? ».

« Nostalgia. Apparteneva al padre di Carlisle ».

« Era un collezionista? ».

« No. L'ha costruita lui. Stava sopra il pulpito della chiesa di cui era pastore ».

Tornò a fissare la croce, in silenzio…un silenzio che si prolungò oltre le mie attese.

« Tutto bene? »  chiesi preoccupato.

« Quanti anni ha Carlisle? », chiese piano, ignorando la mia domanda, i suoi occhi ancora fissi sulla croce.

« Ha appena festeggiato il suo trecentosessantaduesimo compleanno », risposi. Si voltò, sapevo che la sua mente era sovraccarica di domande.

Parlai senza staccarle gli occhi di dosso.

« Carlisle è quasi certo di essere nato a Londra, negli anni Quaranta del diciassettesimo secolo. All'epoca le date non erano registrate con cura, non per la gente comune. Fu poco pri­ma dell'avvento di Cromwell ».

Sembrava mantenere un’espressione composta, priva di sbalordimento.

« Era l'unico figlio di un pastore anglicano. Sua madre morì di parto. Suo padre era un uomo intollerante. Quando i prote­stanti presero il potere, fu molto attivo nella persecuzione dei cattolici e dei seguaci di altre religioni. Credeva anche molto nell'esistenza delle incarnazioni del male. Guidava le cacce alle streghe, ai licantropi... e ai vampiri » mi accorsi che la parola la lasci impietrita, ma proseguii.

« Furono bruciate parecchie persone innocenti: di sicuro le vere creature di cui andavano a caccia non erano così facili da stanare.

Diventato anziano, il pastore cedette il ruolo di guida dei cacciatori al figlio devoto. Sulle prime, Carlisle fu una delusio­ne: non era abbastanza pronto nel condannare, nel vedere de­moni dove non ce n'erano. Ma era testardo, e più intelligente del padre. Scoprì un rifugio di veri vampiri, che abitavano le fogne della città e uscivano solo di notte per cacciare. Molti vi­vevano così, in un'epoca in cui i mostri non erano ritenuti sol­tanto mito e leggenda.

La folla raccolse le forche e le torce, ovviamente », la mia ri­sata si fece breve e cupa, « e attese, nel punto in cui Carlisle aveva visto che i mostri uscivano. Finché uno di loro non emerse dal sottosuolo ».

Parlavo a voce molto bassa.

« Probabilmente era una creatura antica e sfiancata dalla fame. Carlisle lo sentì chiamare gli altri in latino, quando si ac­corse dell'odore della folla. Iniziò a correre per le strade, e Car­lisle - che a ventitré anni era molto veloce - guidava l'insegui­mento. La creatura avrebbe potuto agevolmente seminarli, ma era troppo affamata, perciò si voltò e li attaccò. Si avventò su Carlisle, ma dovette difendersi dal resto della folla. Uccise due uomini, scappò con un terzo e lasciò Carlisle a terra, sangui­nante ».

Feci una pausa, nascondendole il dettaglio più macabro della storaia: la trasformazione di Carlisle.

« Carlisle sapeva quale destino gli avrebbe riservato il padre. Avrebbe fatto bruciare i corpi: tutto ciò che il mostro aveva in­fettato sarebbe stato distrutto. Perciò agì d'istinto, per salvarsi la vita. Strisciò via dal vicolo mentre la folla inseguiva il mostro e la sua vittima. Si nascose in una cantina e restò sepolto per tre giorni sotto dei sacchi di patate andate a male. Fu un mira­colo se riuscì a rimanere in silenzio, a non farsi scoprire.

A quel punto era finita, e lui si rese conto di ciò che era di­ventato ».

Mi arrestai di colpo, di fronte la sua perplessità.

« Come va? », chiesi.

« Bene » rispose,  malgrado si fosse morsa un labbro tradendo un'e­sitazione, la sua curiosità mi risultò più che evidente.

Sorrisi:

« Immagino che tu abbia qualche altra domanda in serbo ».

« Qualcuna ».

Sfoderai un sorriso ampio.

« Vieni, allora. Ti faccio vedere ». Le feci strada lungo il corri­doio, prendendola per mano.

 

Con questo capitolo vi auguro delle buone vacanze, da domani non sarò più a casa mia e quindi non mi sarà possibile aggiornare.

Prometto di tornare a settembre e completare questa storia, sperando di ritrovarvi!

Passo ai consueti ringraziamenti:

Ladycat: come sempre troppo gentile, le tue recensioni sempre così entusiaste mi rendono davvero contenta!

Aberlin: sono felicissima che il capitolo precedente ti sia piaciuto, perciò grazie a te!

Ed inoltre:

_Titta_ per aver aggiunto la mia storia tra le sue preferite.

Mirna: per aver aggiunto la mia storia tra le sue seguite.

Un grandissimo saluto, dandovi appuntamento a settembre,

Maryana.

 

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Capitolo 16
*** Genesi ***


16

Genesi.

La guidai verso la stanza che le avevo indicato come lo studio di Carlisle. Mi fermai brevemente sulla soglia.

« Entrate » ci invitò mio padre.

Aprii e la introdussi nella stanza dal soffitto alto e le finestre rivolte ad occidente. Notai che l’attenzione di Bella si concentrò sulle pareti, occupate da pannelli di legno ricolme da un’infinità di libri.

Carlisle sedeva sulla poltrona di pelle, dietro la massic­cia scrivania di mogano. Si alzò, sistemando un segnalibro tra le pagine di un grosso tomo.

«Posso esservi utile? », chiese gentile, alzandosi dalla sedia.

«Volevo mostrare a Bella un po' della nostra storia », risposi « Be', della tua, a dir la verità ».

« Non vorrei disturbare », si scusò, Bella.

« Non preoccuparti. Da dove vuoi iniziare? ».

« Dalla costellazione dell'Auriga », risposi, posando con delicatezza una mano sulla spalla  di Bella per farla voltare e ammirare la parete alle nostre spalle, quella da cui eravamo en­trati. Percepii il suo imbarazzo, anche se in quel momento non mi era del tutto chiaro.

La parete che osservammo era diversa dalle altre. Non era coperta da scaffali, ma da quadri tutti diversi tra loro per dimensioni, temi e colori.

La feci spostare sul lato sinistro, di fronte a un piccolo di­pinto a olio quadrato, con una semplice cornice di legno. Non spiccava, a fianco degli esemplari più grossi e luminosi; le sue to­nalità scure mostravano una città in miniatura, piena di tetti ri­pidi e guglie strette sulla cima di poche torri sparse qui e là. Sullo sfondo scorreva un grande fiume, attraversato da un ponte su cui spiccavano edifici che somigliavano a piccole cattedrali.

« Londra nel 1650 » le spiegai.

« La Londra della mia giovinezza », aggiunse Carlisle, avvici­natosi a noi. Bella sussultò: evidentemente, non l'aveva sentito muoversi.

« Hai voglia di raccontare tu la storia? », gli chiesi. Bella, si voltò a osservare la reazione di Carlisle.

Incontrò il suo sguardo e sorrise:

«Mi piacerebbe, ma pur­troppo sono in ritardo. Hanno chiamato dall'ospedale, stamat­tina - il dottor Snow è rimasto a casa, in malattia. E poi, tu co­nosci la storia bene quanto me », aggiunse rivolto a me.

Parlò ad alta voce, per la presenza di Bella.

Carlisle le fece un altro sorriso luminoso e se ne andò.

Per lunghi istanti rimase a osservare il quadretto della città natale di Carlisle. La fissai in silenzio, chiedendomi dentro di me cosa stesse pensando, se ne fosse in qualche modo rimasta stupita…

« E in seguito, quando si accorse di ciò che gli era successo, cosa accadde? », mi chiese distogliendomi dalle mie riflessioni.

Tornai ai quadri, concentrandomi su un quadro raffigurante  un panorama più grande, nei colori più smorti dell'autunno, un prato deserto, ombroso, in mezzo a una foresta dominata da una cima aguzza all'oriz­zonte.

« Quando scoprì cos'era diventato », ripresi a bassa voce, « si ribellò. Cercò di autodistruggersi. Ma non è impresa facile ».

« Come? » chiese alzando la voce di due tonalità, per lo sbalordimento.

«Si gettò da cime altissime», dissi impassi­bile. Anche se temevo la sua reazione.« Tentò di annegarsi nell'oceano... ma era all'inizio della sua nuova vita, era giovane e molto forte. La cosa incredibile è che sia riuscito a evitare di... nutrirsi. Nei primi tempi l'istinto è più potente, più forte di ogni altra cosa. Ma era talmente di­sgustato da se stesso che trovò la forza per decidere di morire di fame ».

« È possibile? », chiese, con un filo di voce.

« No, ci sono pochissimi modi per ucciderci ».

Aprì la bocca per fare una domanda, ma l’anticipai, intuendo quale potesse essere la sua domanda.

« Perciò divenne molto affamato, e infine si indebolì. Si al­lontanò il più possibile dagli umani, rendendosi conto che an­che la sua forza di volontà si infiacchiva. Per mesi interi vagò di notte, alla ricerca dei luoghi più solitari, pieno di repulsione per se stesso.

Una notte, presso il rifugio dove si nascondeva passò un branco di cervi. Era talmente sconvolto dalla sete che li attaccò senza neppure pensarci. Si rimise in forze e comprese che esi­steva un'alternativa: che poteva non essere quel mostro abomi­nevole che temeva. Non si era forse già cibato di selvaggina, quando era umano? In pochi mesi, aveva fatto sua quella nuo­va filosofia di vita. Poteva continuare a vivere, senza essere un demonio. Ritrovò se stesso.

Iniziò a impiegare il proprio tempo in maniera più proficua. Era sempre stato intelligente e curioso di imparare. Ormai ave­va di fronte tutto il tempo che voleva. Studiava di notte, e di giorno preparava i suoi piani. Nuotò fino in Francia, e... ».

« Arrivò in Francia a nuoto? ».

« C'è un sacco di gente che attraversa la Manica a nuoto, Bella », precisai, paziente.

« Immagino che tu abbia ragione. In questo contesto, però, sembrava buffo ».

« Siamo nuotatori provetti... ».

« Voi siete provetti in tutto».

Restai in silenzio, divertito: era troppa la sua curiosità, non riusciva a far a meno di interrompermi.

« Giuro che non t'interrompo più ».

Soffocai una risata e terminai la frase:

« Perché, tecnicamente, possiamo fare a meno di respirare ».

« Voi... ».

« No, no, hai giurato », risi, chiudendole le labbra con il dito. « Vuoi sentire la storia o no? ».

« Non puoi buttare lì una notizia del genere e aspettarti che io non apra bocca », bofonchiò contro il mio dito.

Sollevai l'altra mano e la posai piano sul suo collo. Il suo cuore reagì accelerando,era sempre un piacere captare quei battiti impazziti.

« Non dovete respirare? ».

«No, non siamo obbligati. È soltanto un'abitudine » mi strinsi nelle spalle.

« Ma quanto tempo puoi restare... senza respirare? ».

« Anche per sempre, immagino... non so. È leggermente fa­stidioso... non si sentono gli odori ».

«Leggermente fastidioso », mi fece eco.

Mi incupii nel sentire la sua affermazione, tra il sarcasmo e lo sbalordito. Quanto sarebbe passato prima che scappasse da me, urlando a squarciagola in preda all’orrore. Riportai la mano al fianco e restai così, fermo, con lo sguardo fisso su di lei.

Quanta forza aveva per poter sopportare tutti i lati della mia natura. Temevo che tutto l’amore che diceva di provare nei miei confronti, non potesse essere sufficiente a farla restare vicino a me. E la cosa più triste, era che da una parte quasi lo speravo: io continuavo ad essere pericoloso per lei.

Per un po' nessuno ruppe il silenzio.

«Cosa c'è? », sussurrò, sfiorandomi il viso come congelato.

A contatto con le sue dita mi rilassai e sospirai:

« Continuo a temere che prima o poi accada ».

« Accada cosa? ».

« So che prima o poi qualcosa di ciò che ti dirò, o che vedrai, sarà troppo. E in quel momento fuggirai via da me strillando ». Abbozzai un mezzo sorriso, ma lo sguardo era serio. « Non ti fermerò. Voglio che accada, perché solo così saresti finalmente al sicuro. Io voglio che tu sia al sicuro. Eppure, voglio anche stare con te. Conciliare i due desideri è impossibile... »

Lasciai  il discorso in sospeso, fissandola. E aspettando.

« Non ho intenzione di scappare, te lo prometto ».

« Vedremo », risposi, tornando a sorridere.

 « Continua. Carlisle arriva a nuoto in Francia » m’incitò, guardandomi.

Rimasi un attimo come sospeso, prima di tornare al raccon­to. Automaticamente, il mio sguardo finì su un altro quadro, il più colorato di tutti, il più elaborato e con la cornice più ricca, e il più grande: era due volte più ampio della porta accanto a cui era appeso. La tela brulicava di figure luminose, avvolte in tuniche svolazzanti, che si muovevano tra alte colonne e balco­nate di marmo.

« Carlisle nuotò fino in Francia e frequentò le università eu­ropee. Di notte studiava musica, scienza, medicina: trovò così la sua vocazione, la sua penitenza, proprio nel salvare vite uma­ne» ero incapace di non portare riverenza verso Carlisle, era un vampiro ma riusciva a stare a contatto con il sangue umano quotidianamente senza problemi. « Non potrei descrivere la sua lotta interiore... gli ci vollero quasi due secoli per affinare l'autocontrollo. Ora è completa­mente immune all'odore del sangue umano e può svolgere il lavoro che ama senza tormento. L'ospedale è per lui una pre­ziosa fonte di pace ».

Fissai il vuoto, immaginandomelo a lavoro, perso in quella fantasticheria: ero come un bambino affascinato dal lavoro del padre, e che sogna di poter svolgere da grande.

D'un tratto mi scossi, ritrovando il filo del discorso. Pic­chiettai con un dito contro il grande dipinto di fronte a noi.

« Studiava in Italia, quando scoprì gli altri. Erano molto più civili e colti di quella specie di spettri che vivevano nelle fogne di Londra ».

Sfiorai un quartetto di figure piuttosto composte, sistemato sulla balconata più alta, che osservava calmo il viavai sottostan­te. Esaminò attenta i lineamenti degli uomini raffigurati e le sfuggì un risolino di sorpresa quando riconobbe quello dai ca­pelli biondo oro.

« Francesco Solimena fu molto ispirato dagli amici di Carli­sle. Li raffigurava spesso come dèi ». Ridacchiai. « Aro, Mar­cus, Caius », dissi, indicando gli altri tre, due dai capelli neri, l'altro bianchi come la neve. « Protettori notturni delle arti ».

« Che fine hanno fatto? », chiese, puntando il dito a un centi­metro dalle figure sulla tela.

« Sono ancora lì » mi strinsi nelle spalle. « Come da chissà quanti millenni. Carlisle restò con loro per poco tempo, non più di qualche decennio. Ammirava molto la loro civiltà, i loro modi raffinati, ma insistevano nel voler curare la sua avversio­ne alla "fonte naturale di nutrimento", come la chiamavano. Cercarono di persuaderlo, come lui cercò di persuadere loro, senza risultato. A quel punto, decise di provare con il Nuovo Mondo. Sognava di incontrare qualcuno come lui. Come puoi immaginare, si sentiva molto solo.

Per molto tempo non trovò nessuno. Però, mano a mano che i mostri perdevano verosimiglianza e diventavano solo per­sonaggi delle favole, scoprì di poter interagire con gli esseri umani come fosse uno di loro. Iniziò a operare come medico. Ma il genere di compagnia che cercava era irraggiungibile: non poteva permettersi troppa intimità.

Quando si diffuse l'epidemia di spagnola, Carlisle faceva i turni di notte in un ospedale di Chicago. Da parecchi anni si trastullava con un'idea che non era ancora riuscito a sperimen­tare, e in quel momento decise di agire: dal momento che non riusciva a trovare un compagno, ne avrebbe creato uno. Non era del tutto sicuro di come fosse avvenuta la sua trasformazio­ne, qualche dubbio gli era rimasto. Ed era riluttante all'idea di rubare la vita a qualcun altro, come era stata rubata a lui. A quel punto scoprì me. Ero senza speranza: mi avevano lasciato nella corsia dei moribondi. Decise di provare... ».

La mia voce, quasi un sussurro, si spense. Mi persi nei ricordi di quel lontano dolore. Rividi me stesso steso su un letto d’ospedale moribondo, quasi privo di coscienza, e Carlisle dilaniato dall’indecisione.

Quando tornai a parlarle, sulle mie labbra nacque un sorriso.

« Così, il cerchio si chiude ».

« Hai sempre vissuto con lui? ».

« Quasi » posai una mano, dolcemente, sul suo fianco e la guidai fuori dallo studio, stringendola a me. Diede un ultimo sguardo alla parete con i quadri.

Non aggiunsi altro, mentre percorrevamo il corri­doio, perciò fui lei ad insistere:

« Quasi? ».

Feci un sospiro,per nulla invogliato a raccontare quel tratto di storia:

 « Be', ho passato anch'io il mio periodo di ribellione adolescen­ziale, più o meno dieci anni dopo la... nascita... o creazione, chiamala come vuoi. La sua vita di astinenza non mi convince­va, ce l'avevo con lui perché non faceva che soffocare il mio appetito. Perciò, per qualche tempo, me ne andai per i fatti miei ».

« Davvero? » era affascinata, più che impaurita come avrebbe dovuto essere.

Sta­vamo per salire l'altra rampa di scale.

« Non ne sei disgustata? ».

« No ».

« Perché no? ».

« Perché... sembra una scelta ragionevole ».

Liberai una risata, molto più fragorosa della precedente. Eravamo in cima alle scale, di fronte a un altro corridoio.

« Dal giorno della mia rinascita », mormorai, « ho avuto il vantaggio di poter leggere nel pensiero di chiunque mi si tro­vasse vicino, umano e non umano. Perciò mi occorsero dieci anni per sfidare Carlisle: vedevo la sua sincerità immacolata e capivo perfettamente cosa lo spingesse a vivere così.

Mi ci volle solo qualche anno per tornare da Carlisle e rico­noscere che aveva ragione. Pensavo che sarei rimasto immune dalla... depressione... che la coscienza porta con sé. Dal mo­mento che leggevo nel pensiero delle mie prede, potevo rispar­miare gli innocenti e assalire soltanto i malvagi. Se seguivo un assassino dentro un vicolo buio dove aveva intrappolato una ragazza... se salvavo lei, allora certo non avevo motivo di sen­tirmi così tremendo ».

La sentii rabbrividire, sperai che non riuscisse a prefigurarsi quell’immagine troppo nitidamente nella sua mente.

« Ma con il passare del tempo, iniziai a vedere la mostruosità nei miei occhi. Non riuscivo a sfuggire al peso di tutte quelle vite umane strappate, che lo meritassero o no. Così tornai da Carlisle ed Esme. Mi accolsero come il figliol prodigo. Non meritavo così tanto ».

Ci eravamo fermati di fronte all'ultima porta del corridoio.

« La mia stanza », la informai, aprendo la porta e invitando­la a entrare.

Rimasi alle sua spalle, la vidi avanzare all’interno guardandosi intorno: scorse le anse del Sol Duc e la foresta pluviale alla base dei Monti Olimpici, sembrava affascinata dal panorama vegetale. Poi rivolse la sua attenzione a ciò che occupava la stanza: gli scaffali completamente occupati dai Cd e lo stereo. Ed infine si accorse della mancanza del letto, sostituito dal divano di pelle nera: sapeva già che non avevo bisogno di dormire, perciò evitò di fare domande.

« Migliora l'acustica? », chiese, riferendosi ai drappi che penzolavano dalla pareti.

Sorrisi e annuii.

Afferrai un telecomando e accesi lo stereo. Il volume era basso, ma la musica giungeva dalle case nitida, passò in rassegna i Cd.

« In che ordine li hai sistemati?», chiese, curiosa.

Mi sentivo stranamente leggero, privo di preoccupazioni. Era bello poter contare su di lei, poterle dire tutto e vedere che non sembrava mai terrorizzata. Ed era quasi irreale la sua figura che si aggirava tra gli scaffali nella mia camera. L’avevo immaginata tante volte proprio nel punto esatto dove si trovava, ma non avrei mai creduto che un giorno sarebbe successo e che sarebbe stato così incredibilmente bello.

« Uhm... sono divisi per anno, e poi per preferenze persona­li », risposi, distratto.

Si voltò,incontrando i miei occhi.

« Cosa c'è? ».

« Immaginavo che mi sarei sentito... sollevato. Farti sapere tutto, non avere più bisogno di segreti. Ma non pensavo che sarebbe andata ancora meglio. Mi piace. Mi fa sentire... feli­ce ». mi strinsi nelle spalle e mi illuminai.

« Sono contenta », disse, ricambiando il sorriso.

Ma a un tratto, mentre studiavo la sua espressione, il mio sorriso svanì, e corrugai la fronte.

« Sei sempre in attesa degli strilli e della fuga a gambe levate, vero? », domandò.

Accennai un lieve sorriso, annuendo.

« Scusa se ti smonto così, ma non sei terribile come pensi. Anzi, a dirla tutta non ti trovo affatto spaventoso » disse ostentando disinvoltura.

Restai di sasso, e alzai le sopracciglia per mostrarle la mia incredulità. Poi sfoderai un sorriso ampio, quasi un ghigno.

« Questo non dovevi dirlo ».

Iniziai a ringhiare, emettendo un suono cupo dal profondo della gola; arricciai il labbro scoprendo i denti affilati. Scattai all'improvviso in un'altra posizione, mezzo acquattato, coi mu­scoli tesi, come un leone pronto a balzare sulla preda.

Fece un passo indietro, gli occhi sbarrati.

« Non provarci ».

Le saltai addosso, troppo velocemente perché lei potesse vedermi e reagire. Atterrammo, dopo essere stati un istante a mezz’aria, sul divano facendolo sbattere contro il muro.

L’avvolsi con le braccia in una gabbia protettiva, a malapena riusciva a muoversi. Non le permisi, di tirarsi su a sedere. La costrinsi ad appallottolarsi contro il mio petto, stringendola come una catena d'acciaio. Mi guardò, allarmata, ma ero perfettamente padrone della situazione e sfoggiavo un sorriso rilassato, lo sguardo ac­ceso soltanto dal divertimento. Lei mi faceva sentire… diverso, quasi umano.

« Dicevi? », ringhiai, per scherzo.

« Che sei un mostro molto, molto terrificante » cercò di es­sere sarcastica, ma aveva perso la voce.

« Così va molto meglio ».

« Uhm » tentò di divincolarsi. «Adesso posso alzarmi? ».

Risi, ma non la lasciai; non volevo allontanarmi da lei, stringerla era così piacevole…appagante!

« Possiamo entrare? », la voce di Alice risuonò dal corri­doio.

Bella provò a liberarsi, ma mi limitai a farla accomodare in braccio a me. Sulla porta comparve Alice e alle sue spalle Jasper. Era rossa di vergogna, ma io ero a mio agio.

« Avanti », dissi, ancora ridendo.

Alice non era affatto disturbata dal nostro abbraccio, anzi ne rimase entusiasta glielo leggevo chiaramente negli occhi e nella mente. Avanzò fino al centro della stanza, e si sedette elegantemente sul pavi­mento. Jasper, invece, si fermò sulla soglia, leggermente sor­preso. Guardava me negli occhi, saggian­do l'atmosfera con la sua sensibilità particolare.

« Abbiamo sentito strani rumori... se stavi per mangiare Bel­la per pranzo, sappi che ne vogliamo un po' anche noi », di­chiarò Alice.

Per un istante Bella si irrigidì, poi si accorse che sog­ghignavo, sia per il commento di Alice che per la sua reazione, come se avessi potuto permettere una cosa del genere.

« Scusate, ma non credo di potervene offrire », risposi, avvi­cinandola ancora di più al mio petto.

“Sto bene, sto bene…è sopportabile l’odore!”

« A dir la verità », disse Jasper, sorridendo suo malgrado mentre avanzava verso di noi, « Alice dice che stasera ci sarà un temporale con i fiocchi ed Emmett vuole organizzare una par­tita. Sei dei nostri? ».

Lo sguardo si mi si accese, giocare era fortemente liberatorio, poi però esitai per via di Bella.

« Ovviamente porta anche Bella », cinguettò Alice. Jasper lanciò un’occhiata verso Alice.

Ma…” pensò Jasper.

“Andrà tutto bene” lo tranquillizzò Alice.

« Vuoi venire? », chiesi a Bella entusiasta, su di giri.

« Certo » poi ci pensò un attimo. « Ehm, dove? ».

« Per giocare dobbiamo aspettare i tuoni... il perché lo ca­pirai ».

« Servirà l'ombrello? ».

Risedemmo tutti e tre a gran voce.

« Tu che dici? », chiese Jasper ad Alice.

« No ». Era molto convinta. « Il temporale colpirà la città. Nello spiazzo staremo all'asciutto ».

« Bene ».

L’entusiasmo di Jasper si diffuse per tutta la stanza.

« Chiediamo a Carlisle se viene anche lui » disse Alice, uscendo con grazia.

« Come se tu già non lo sapessi », la provocò Jasper, e in un istante erano sgattaiolati fuori. Jasper, senza dare nell'occhio, si richiuse la porta alle spalle.

« A cosa giochiamo? », chiese Bella.

« Tu resti a guardare. Noi giochiamo a baseball ».

Alzò gli occhi, stupita:

« I vampiri giocano a baseball?».

«È il passatempo americano per eccellenza», risposi solen­ne, e ironico.

 

Scusate la lunghissima attesa, non mi ero scordata di questa storia ma ho avuto qualche piccolo problema e solo oggi ho potuto finalmente postare il nuovo capitolo.

Spero, come sempre, che possa essere di vostro gradimento.

Un grazie sincero a:

Lady cat: Ti ringrazio per i tuoi complimenti, sempre così belli!

Aberlin: Grazie per il tuo augurio: ho passato una bella estate, spero che anche le tue vacanze siano andate bene!

 

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Capitolo 17
*** Visite. ***


 

17

Visite

 

Aveva appena cominciato a scendere una pioggerella invisi­bile, quando imboccai la strada di casa di Bella.

Già nei pressi dell’abitazione mi accorsi  che Bella aveva visite.

Vidi la Ford nera, parcheggiata, e borbottai in tono cupo ed irritato:

<< Questo, no! >>

A ripararsi dalla pioggia sotto la bassa veranda c'erano Ja­cob Black e, di fronte a lui, suo padre, sulla sedia a rotelle. Bil­ly era

impassibile, immobile, e non riusciva a staccare gli occhi da me che stavo parcheggiando sul ciglio della strada. Ja­cob guardava in basso, vergongnandosi.

“Male, molto male!”

Brutto vecchio…lupo, cosa ne poteva sapere lui. Ero furioso:

« Stavolta hanno passato il segno ».

« È venuto a mettere in guardia Charlie? », chiese, più in an­sia che arrabbiata.

Risposi soltanto con un cenno di assenso verso di lei, e uno sguardo torvo verso Billy, nascosto dalla nuvola di pioggia.

« Lascia fare a me », suggerì.

La guardai con uno sguardo nero, ma appoggiai il suo consiglio.

 « Probabilmente è la scelta migliore. Però fai attenzione. Il bambino non sa nulla ».

Rimase perplessa di fronte alla parola "bambino".

« Jacob non è tanto più piccolo di me », gli feci presente.

La guardai, e la mia rabbia svanì all'istante.

« Sì, lo so », le as­sicurai con un sogghigno.

Prima di scendere, mi guardò sospirando.

« Falli entrare, così potrò andarmene. Tornerò al tramonto ».

« Vuoi che ti lasci il pick-up? », mi propose.

« Ricorda che io a piedi sono molto più veloce del tuo pick-up ».

« Non sei obbligato ad andartene », disse mestamente.

Sorrisi della sua espressione malinconica:

«Invece sì. Dopo che ti sarai liberata di loro », e lanciai un'occhiata truce verso i Black, « ti toccherà preparare Charlie a conoscere il tuo nuovo ragazzo » sfoderai un sorriso a trentadue denti.

« Tante grazie, che bella notizia ».

Sorrisi a mezza bocca:

« Tor­nerò presto, lo prometto » lanciai un'altra occhiata alla veranda a mo’ di sfida, ascoltai i pensieri di Billy nell’avvicinarmi a Bella per baciarla:

“Non si azzarderà a tanto!”

Lo ignorai e posai le labbra appena sotto il mento di Bella.

Sentii il suo cuore rimbalzare, e volse gli occhi alla veranda, imbarazzata. Notai il  mutamento di Billy,stringersi forte alla sedia a rotelle.

« Presto », ripeté con forza. Poi scese dal pick-up, sotto la pioggia.

Non la persi di vista mentre, correva verso la veranda.

« Ehi, Billy. Ciao, Jacob » non sembrava molto entusiasta << Charlie è fuori fino a stasera... Spero che non abbiate aspettato troppo ».

« Non tanto », disse Billy, a mezza voce, inchiodandola con i suoi occhi neri. « Volevo solo portare questo ». Indicò il sac­chetto di carta che teneva in grembo.

« Grazie », rispose, Bella « Perché non entrate un minuto ad asciugarvi? ».

Ignorò il suo sguardo indagatore, aprendo la porta e li invitò in casa.

« Faccio io », disse voltandosi per aprire le ante della porta. Si concesse un ultimo sguardo verso di me. Aspettavo, perfetta­mente immobile.

Prima entravano e prima sarei potuto andarmene, sopportavo a malapena i commenti di entrambi i Black: il padre era eccessivamente preoccupato, il figlio era attratto da Bella…bè almeno al ragazzino non potevo dare torto.

Corsi veloce verso casa, riuscendo a sentire ciò che stava succedendo all’interno della casa.

« Devi metterlo in frigo », suggerì Billy mentre le passava il sacchetto. « È un po' di frittura casereccia e tutto l'accompa­gnamento, l'ha preparato Harry Clearwater. È la preferita di Charlie ». Si strinse nelle spalle. « Al freddo resta asciutta ».

Bella ringraziò di nuovo, un po' più spontanea di prima:

« Ero a corto di idee per cucinare il pesce, e probabilmente stasera ne porterà a casa altro ».

« Va ancora a pesca? », chiese Billy, e il suo sguardo si accese appena. «Giù al solito posto? Magari faccio un salto a trovarlo ».

« No. Ha detto che avrebbe provato un posto nuovo... ma non ho idea di dove sia andato » disse cambiando espressione.

Billy accorgendosene si rivolse al figlio.

« Jake », disse senza smettere di osservarla, « perché non vai a prendere quella foto nuova di Rebecca, in macchina? Voglio lasciarla a Charlie ».

« Dov'è? », chiese Jacob, senza troppo entusiasmo. Bella, gli lan­ciò un'occhiata, ma lui, accigliato, fissava il pavimento.

« Mi sembra di averla vista sul cruscotto », disse Billy. « Co­munque se cerchi bene la trovi ».

Con passo pigro Jacob si diresse di nuovo sotto la pioggia.

Mi fermai aspettando, Billy era intenzionato a mettere in stato d’allerta Bella e avevo tutte le ragioni del mondo per origliare ciò che aveva da dire.

Billy e Bella restarono uno di fronte all'altra, in silenzio. I se­condi scorrevano e quel silenzio cominciava a farsi pesante,Bella si diresse in cucina, seguita da Billy: avanti, che dicesse il motivo per cui era venuto!

Bella infilò il sacchetto nell'affollato scomparto superiore del fri­go e si voltò ad affrontare Billy.

« Charlie tornerà molto tardi » il suo tono di voce sfiorava la maleducazione, un implicito invito ad andarsene.

Lui annuì senza aggiungere nulla.

“Bella, perché non cogli il pericolo?”

Ad essere sincero, quella domanda ero stato il primo che se l’era posta.

« Grazie ancora per la frittura ».

Billy continuava ad annuire. Bella, fece un sospiro e incrociò le braccia.

« Bella »,la chiamò, e tacque, in cerca delle parole migliori.

Lei restò in attesa.

« Bella », riprese, « Charlie è uno dei miei migliori amici ».

« Sì ».

Billy pronunciava con cura ogni singola parola, con la sua voce grossa.

« Vedo che passi parecchio tempo in compagnia di uno dei Cullen ».

« Si ».

« Forse non sono affari miei, ma non penso sia una buona idea »nel dirlo socchiuse gli occhi.

« Sì, hai ragione. Non sono affari tuoi ».

Aggrottò le sopracciglia grigie, meravigliato:

 « Probabilmen­te non lo sai, ma la famiglia Cullen gode di cattiva reputazione nella riserva ».

« A dire la verità, lo so eccome ». La durezza della sua voce sorprese sia me che Billy. « Ma non se la sono affatto meritata, no? Dal mo­mento che, a quanto mi risulta, i Cullen non mettono mai pie­de nella riserva, o sbaglio? ». Il suo accenno poco velato al pat­to che impegnava e proteggeva la sua tribù lo zittì all'istante. Nel sentire quelle parole, la tenacia che mostrava nel prendere nostri difese mi allargò il cuore: ero orgoglioso di lei!

« È vero », ammise guardingo. « Sembri... ben informata, a proposito dei Cullen. Più di quanto mi aspettassi >>

Lo fissò, sprezzante:

« Forse anche meglio informata di te ».

Billy ci pensò sopra, serio e perplesso.

« Può darsi ».le  lanciò un'occhiata pungente. « Anche Charlie ne è informato? ».

« A Charlie i Cullen piacciono molto ». Billy capì subito che cer­cava di restare sul vago. Non ne gioiva ma non ne era sorpreso.

« Non sono affari miei », disse. «Ma forse di Charlie sì ».

« E penso che sia affar mio, decidere se sono suoi, o sbaglio? ».

Billy,  ci pensò su mentre la pioggia iniziava a picchietta­re contro il tetto, unico suono a riempire il silenzio.

Alla fine si arrese.

« Sì. Immagino che anche questo sia affar tuo » ammise, arrendendosi.

« Grazie, Billy » disse Bella, sospirando.

« Però stai attenta a quello che fai, Bella ».

« Certo ».

La fissò torvo:

« Quel che voglio dirti è: non fare ciò che stai facendo ».

Lo guardò negli occhi: erano pieni di preoccupazione per lei, ma ciò non placò la mia irritazione. Come se non tenessi al bene di Bella!

In quel momento qualcuno bussò forte alla porta, facendo­ sobbalzare Bella. Sorrisi.

« Non c'è nessuna foto in macchina ». Era la voce arrabbiata di Jacob, che lo precedeva; qualche istante dopo, comparve con le spalle zuppe di pioggia e i capelli fradici.

A quel punto potevo riprendere la mia corsa verso casa. La conversazione che mi serviva ascoltare era giunta al termine.

Ero sollevato dalle risposte vaghe ma decise di Bella, non potevo sperare che si comportasse meglio. Però,al contempo, ero irritato dall’invadenza di Billy Black, e non lo giustificava l’essere il miglior amico di Charlie.

Non aveva il diritto di presentarsi a casa Swan, con l’intento di allarmare Charlie. Perché, se lo avesse trovato, il suo obiettivo era quello di dirgli che sua figlia si era messa in una posizione rischiosa, frequentando me.

E la conseguenza sarebbe stata che sarei stato sicuramente allontanato da lei. Ero cosciente di essere pericoloso per Bella, ma non potevo tollerare che qualcuno mi imponesse di starle lontano. Ero padrone di me, conoscevo i miei limiti e sapevo come comportarmi.

Ringraziai il fato che aveva fatto in modo che l’ispettore non si trovasse in casa quel pomeriggio.

Mi diressi direttamente in camera per cambiarmi. Scesi le scale di corsa imbattendomi in Jasper:

“Vai a prendere Bella?”

<< Sì, ci vediamo dopo >>

Nei pressi di casa di Bella sentii che stavano già parlando della mia famiglia, spensi la macchina:

<< Sei andata a casa del dottor Cullen? >> la voce di Charlie risuonava sbalordita.

Mi concentrai sulla sua mente, e vidi il volto di Bella rilassato:

 « Sì ».

« E cosa ci sei andata a fare? ».chiese, lasciando la forchetta sul tavolo, ma in realtà gli era caduta per la sorpresa.

« Be', avevo una specie di appuntamento con Edward Cul­len, stasera, e lui ha insistito per presentarmi ai suoi genitori... Papà? ».

Il colorito normale dell’ispettore mutò, diventando rosso di rabbia. Quasi smise di respirare. Sperai che la prendesse un pochino meglio.

« Papà, stai bene? ».

« Esci con Edward Cullen? », chiese, minaccioso.

<< Pensavo che i Cullen ti piacessero ».

« È troppo vecchio per te ».

« Siamo entrambi al terzo anno ».

“Terzo anno?!”

« Aspetta... Qual è Edwin? ».

Sghignazzai nel sentire il mio nome storpiato.

« Edward è il più giovane, quello con i capelli castano rama­ti ».

Vidi nella mente di Charlie, l’immagine di mio fratello Emmett, mi aveva scambiato per lui eppure non ci somigliavamo granché.

« Oh, be', così va... meglio, direi. Quello grosso non mi piace granché. Non ho dubbi che sia un bravo ragazzo e tutto il resto, ma sembra troppo... maturo per te. Questo Edwin è il tuo ragazzo? ».

Però il mio nome, proprio non gli andava a genio.

« Si chiama Edward, papà ».

« Allora? ».

« Più o meno sì ».

« Ieri sera hai detto che in città non c'erano ragazzi interes­santi ». ma a quel punto riprese la forchetta, e riprese a mangiare: il peggio era passato, glielo leggevo chiaramente nella mente.

« Be', Edward non vive in città ».

A bocca piena, le lanciò un'occhiata sprezzante.

« E in ogni caso », riprese, «siamo ancora alle prime fasi. Non mettermi in imbarazzo con discorsi da fidanzati, okay? ».

« Quando arriva? ».

« Tra qualche minuto dovrebbe essere qui ».

« Dove ti porta? ».

« Spero che abbandonerai presto il tuo metodo da Tribunale dell'Inquisizione. Andiamo a giocare a baseball con la sua famiglia ». Disse Bella, quasi spazientita.

Le rispose sarcastico:

« Tu giochi a baseball? ».

« Be', probabilmente resterò a guardare ».

« Deve piacerti davvero, eh? », commentò, malizioso.

Bella si limitò a sospirare, alzando gli occhi al cielo.

A quel punto potevo fare la mia comparsa e avviai il motore della macchina; Bella saltò in piedi e iniziò a lavare i piatti.

« Lascia stare, li faccio domattina. Tu mi coccoli troppo ».

Suonai il campanello e Charlie si affrettò ad aprire. Bella era a mezzo passo dietro di lui.

« Entra, Edward » mi invitò gentilmente l’ispettore capo.

« Grazie, ispettore », risposi, rispettoso.

« Chiamami tranquillamente Charlie. Dammi il giaccone ».

« Grazie, signore ».

« Siediti pure, Edward ».

Bella, fece una smorfia.

Mi accomodai sull'unica sedia, costringen­dola a sedersi sul sofà accanto all'ispettore Swan. Mi lanciò un'occhiataccia. Le risposi con un occhiolino, alle spalle di Charlie.

« E allora, ho sentito che porti mia figlia a vedere una partita di baseball ».

« Sì, signore, quello è il programma ».

« Be', in bocca al lupo, allora ».

Charlie rise, ed io mi unii a lui.

« D'accordo » disse Bella, alzandosi. « Smettetela di prendermi in giro. Andiamo » recuperò la giacca a vento in anticamera. La seguimmo.

« Non fare tardi, Bell ».

« Non si preoccupi, Charlie. La porto a casa presto », di­chiarai sincero.

« Tratta bene mia figlia, d'accordo? ».

Bella sbuffò, esasperata, ma la ignorammo entrambi.

« Le prometto che con me starà al sicuro, signore ».

“Meglio per te che sia così!”

Bella sgattaiolò fuori insofferente. Ridemmo entrambi, poi la  seguii.

Uscita in veranda, restò di stucco. Accanto al suo pick-up c'era la jeep di Emmett, le ruote le arrivavano alla vita, per quanto era grossa: ma conoscevo la strada e per Bella sarebbe stata più sicura.

Charlie commentò con un fischio.

« Allacciate le cinture », disse, ridendo sotto i baffi.

La seguii e aprii la portiera. Calcolò l'altezza del se­dile e si preparò al salto. Sbuffai e la sollevai con una mano sola, stando ben attento che Charlie non mi vedesse. Mentre io mi  dirigevo, a passo umano, lento, dalla parte del guidatore, cercò di allacciare la cintura. Ma c'erano troppe fibbie.

« E questa cos'è? ».

« Un'imbracatura da fuoristrada ».

« Mamma mia».

Tentò di trovare il giusto alloggiamento per tutte le fibbie, ma era lenta e impacciata. Spazientito, mi sporsi su di lei per aiutarla.

Dal momento che Charlie era invisibile, sotto la veranda e dietro la pioggia fitta, indugiai con le mani sul suo colle e le sfiorai le spalle. Rinunciò ad aiutarmi cominciando a emettere respiri profondi.

Girai la chiave e il motore prese vita. Ci lasciammo la casa alle spalle.

« Questa jeep è davvero... grossa, non c'è che dire ».

« È di Emmett. Immaginavo che non ti andasse di fartela tutta di corsa ».

« Dove tenete questo coso? ».

« Abbiamo trasformato in garage uno degli edifici accanto alla casa ».

« Non ti allacci la cintura? ».

La guardai come se stesse scherzando.

Poi d’improvviso si soffermò sulle mie parole.

« Tutta di corsa? Nel senso che dovremo anche cammina­re? ». La sua voce salì di alcune ottave.

Risi sotto i baffi:

« Tu non correrai ».

« Io starò di nuovo male ».

« Se chiudi gli occhi andrà tutto bene ».

Strinse i denti, per combattere il panico.

Mi avvicinai a baciarle la fronte, e poi feci una smorfia. Mi guardò perplessa.

« Il tuo odore con la pioggia è buonissimo ».

« In senso buono o cattivo? ».

 « In entrambi i sensi, come sempre » ammisi sospirando.

Nonostante il buio e sotto quell'ac­quazzone riuscii ad orientarmi benissimo, svoltai in una strada secondaria che era molto montagnosa. Parlare per lei si era fatto impossibile, perché rimbalzava su e giù come un martello pneu­matico. Io invece mi godevo il viaggio e sorrisi per tutto il tragitto.

Infine giungemmo al termine della strada: tre pareti di alberi verdi circondavano la jeep. Il temporale era diventato una piog­gerella, sempre più debole, e dietro le nubi il cielo si schiariva.

« Scusa, Bella, ma ora ci tocca procedere a piedi ».

« Sai una cosa? Ti aspetto qui ».

« Dov'è finito il tuo coraggio? Stamattina sei stata straordi­naria ».

« Non ho ancora dimenticato l'ultima volta ».

Le fui accanto in un lampo. Iniziai a slacciarle l’imbracatura.

« Ci penso io, tu vai avanti », protestò.

« Mmm... ». In un secondo avevo già terminato. « A quanto pare mi toccherà metter mano alla tua memoria ».

Sicuro del fascino che esercitavo su di lei, ero deciso a metterlo in pratica.

Prima che potesse reagire, la sollevai dal sedile e la costrin­si a scendere. Era rimasto solo un filo di nebbia: le previsioni di Alice si stavano avverando.

« Mettere mano alla mia memoria? », chiese nervosamente.

« Qualcosa del genere » la guardavo intensamente, con at­tenzione, ma con un velo d'ironia. A quel punto era costretta tra la portiera della jeep, alle sue spal­le, e me di fronte a lei, che le chiudevo ogni via d'usci­ta appoggiandomi al finestrino con entrambe le mani. Mi feci ancora più vicino, il mio viso era a pochi centimetri dal suo.

« Dimmi di cos'hai paura », alitai.

« Be', ecco, di sbattere contro un albero... e di morire. E poi, di avere la nausea ».

Soffocai una risata. Poi piegai la testa e avvicinai delicatamen­te le labbra fredde all'incavo del suo collo.

« Adesso hai ancora paura? », sussurrai, sfiorandole la pelle.

« Si » biascicò « Di sbattere contro gli alberi e di avere la nausea ».

Con la punta del naso disegnai una linea, dal collo al mento.

« E adesso? », sussurrai, con le labbra vicinissime alle sue.

 « Alberi... Nausea da movimento >> balbettò, in un soffio.

Mi avvicinai a baciarla sulle palpebre.

« Bella, non dirmi che credi davvero che potrei sbattere contro un albero ».

« Tu no, ma io sì » non c'era un filo di convinzione nella sua voce. Pregustavo una vittoria certa.

Le baciai dolcemente la guancia, a un centimetro dalle labbra.

« Pensi che permetterei a un albero di farti del male? » la mia bocca sfiorò leggerissima la sua.

« No », disse senza voce.

« Vedi », dissi, senza allontanare le labbra di un millimetro. « Non c'è niente di cui avere paura, no? ».

« No », sospirò, rassegnata.

Poi, con foga, presi la sua testa fra le mani e le diedi un vero bacio, muovendo le mie labbra con decisione sopra le sue.

 Ma anziché restare tranquilla e immobile come le avevo pregato di fare dopo la prima volta, si allacciò stretta alle mie spalle e si ritrovò avvin­ghiata al mio petto. Con un gemito dischiuse le labbra.

Sentii il suo sapore sulla lingua che mi stuzzicò il palato,la gola arse secca; avevo sete, tanta sete…no!

Mi allontanai di scatto, liberandomi senza difficoltà dalla sua presa.

« Accidenti, Bella! », sbottai ansimante. « Tu mi vuoi morto, altroché! ».

Si piegò in avanti, appoggiandosi alle ginocchia per non perdere l'equilibrio.

« Tu sei indistruttibile », sussurrò, senza fiato.

« Lo credevo anch'io, prima di conoscerti. Adesso andiamo­cene da qui, prima che io combini qualche grossa stupidaggi­ne », ringhiai.

La presi in spalla con uno strattone, nonostante mi stessi sforzando di non essere troppo irruento. Strin­se le gambe attorno ai miei fianchi e le braccia attorno alle spal­le.

« Ricorda di non guardare », dissi severo, ancora incapace di mostrarmi calmo.

E partii a razzo, cercando di tranquillizzarmi. E poi mi irritavo se qualcuno si raccomandava con Bella di stare attenta, poco e l’avrei morsa. Che stupido, e che rabbia.

Mi fermai, ma Bella non mollò la presa. Le feci un buffetto sulla testa.

« Ci siamo, Bella ».

 Allentò la presa con cautela e si lasciò scivolare giù, atterrando di sedere.

« Ohi! », esclamò, rovinando gambe all'aria sulla terra umida.

La fissai incredulo, incerto se restare arrab­biato o prenderla in giro. Ma di fronte alla sua espressione sbalordita mi lasciai andare a una risata fragorosa.

Si alzò senza badarmi, togliendosi di dosso il fango e le felci. E io risi ancora più forte. Seccata, iniziò a camminare a grandi passi verso la foresta.

Le cinsi i fianchi con le braccia:

« Dove vai, Bella? ».

« A vedere una partita di baseball. Non mi sembra che tu abbia più tanta voglia di giocare, ma sono certa che gli altri si divertiranno anche senza di te ».

« Stai andando dalla parte sbagliata ».

Si voltò senza degnarmi di uno sguardo e scattò nella dire­zione opposta. La riafferrai.

« Non arrabbiarti, è stato più forte di me. Avresti dovuto ve­derti in faccia » mi lasciai scappare una risatina.

« Ah, l'unico a cui è permesso di arrabbiarsi sei tu? ».

« Non ero arrabbiato con te ».

« "Bella, tu mi vuoi morto"?! », mi citò acida.

« Quello è un semplice dato di fatto ».

Cercò nuovamente di scappare, ma la tenni stretta.

« Eri arrabbiato ».

« Sì ».

« Ma se hai appena detto... ».

« Non ero arrabbiato con te. Non capisci, Bella? » mi rabbuiai, sul mio viso non c'era più traccia di divertimento. « Non capisci?».

« Che cosa? » era confusa.

« Non sono mai arrabbiato con te. Come potrei esserlo? Sei sempre così coraggiosa, fiduciosa... calorosa ».

« E allora, perché? », sussurrò,

Le accarezzai le guance con delicatezza.

« Ciò che mi fa infu­riare », dissi gentile, « è l'impossibilità di proteggerti dai rischi. La mia stessa esistenza è un rischio, per te. A volte mi odio dal profondo. Dovrei essere più forte, capace di... » mi chiuse la bocca con le dita.

« No ».

Presi la mano con cui mi aveva zittito e me la posai sulla guancia.

« Ti amo », dissi. « È una giustificazione banale per quanto faccio, ma sincera ».

Rimase in silenzio, pensosa.

« Adesso, per favore, cerca di comportarti bene », aggiunsi, e mi avvicinai per baciarla con delicatezza.

Restò immobile, come doveva. Poi fece un sospiro.

« Hai promesso all'ispettore Swan che mi avresti portata a casa presto, ricordi? È meglio che ci muoviamo ».

« Sissignora ».

Sorrisi malizioso e la liberai dalla presa. Tenendola per mano, la guidai per qualche metro attraverso le felci alte e umide e il muschio spesso, poi attorno a un massiccio abete ca­nadese, per sbucare infine al bordo di un enorme campo aper­to, ai piedi dei Monti Olimpici. Era due volte più grande di uno stadio di baseball.

Gli altri erano già lì: Esme, Emmett e Rosalie, seduti su una roccia che spuntava dal terreno, a un centinaio di metri da noi. A quasi mezzo chilometro di distanza, Jasper e Alice erano im­pegnati a lanciare qualcosa avanti e indietro la palla molto velocemente, tanto che Bella sono sicuro non sarebbe riuscita a vederla. Carlisle era intento a marcare le basi.

Quando ci videro, i tre che erano seduti si alzarono. Esme si avvicinò a noi. Emmett la seguì dopo aver indugiato con lo sguardo verso Rosalie, che dandoci le spalle si era diretta al prato senza degnarci di un'occhiata.

« Veniva da te il rumore che abbiamo sentito, Edward? », chiese Esme.

« Sembrava un orso che tossiva », precisò Emmett.

 « Era lui » disse Bella accennando ad un sorriso.

« Senza volerlo, Bella mi ha fatto ridere », spiegai, per chiudere il discorso alla svelta.

Alice aveva lasciato la sua posizione e veniva di corsa,verso di noi. Con una frenata fluida si ar­restò ai nostri piedi. « È il momento », annunciò.

Non appena aprì bocca, un tuono cupo e profondo prove­niente da ovest, dalla città, fece tremare la foresta alle nostre spalle.

« Inquietante, eh? », la stuzzicò Emmett e, prendendosi fin troppa confidenza, le fece l'occhiolino.

« Andiamo ». Alice afferrò la mano di Emmett, e insieme sfrecciarono attraverso il campo sovradimensionato.

«Sei pronta per una bella partita? », chiesi, con uno sguardo raggiante e impaziente.

Cercò di rispondere con il dovuto entusiasmo:

« Forza ra­gazzi! ».

Risi sotto i baffi e, dopo averle scompigliato i capelli, corsi verso gli altri due. Nonostante partii dopo Alice ed Emmett li raggiunsi e con altrettanta facilità li superai. Sentivo lo sguardo di Bella posato su di me.

« Scendiamo anche noi? », le chiese Esme, mentre continuava a guardarmi . Si ricomposi alla svelta e annuì. Esme si manteneva di fianco a lei, ma a distanza di qualche metro. Adattò il suo passo al suo, senza dare se­gni di impazienza.

« Non giochi con loro? », le chiese, timida.

« No, preferisco fare da arbitro: voglio che rispettino le re­gole ».

« Perché, di solito barano? ».

« Oh sì, e dovresti sentire che litigate! Anzi, meglio di no, penseresti che sono stati allevati da un branco di lupi! ».

« Mi sembra di sentire mia madre », rise, sorpresa.

Anche Esme rise.

« Per me sono come figli veri. Non potrei mai vincere il mio istinto materno... Edward ti ha detto che ho perso un bambino? ».

« No ».

« Sì, il mio primo e unico figlio. Morì pochi giorni dopo il parto, povero piccolo ». Fece un sospiro. « Mi si spezzò il cuo­re... Fu per questo motivo che mi lanciai dallo scoglio », ag­giunse, come niente fosse.

« Edward mi ha detto che eri... caduta ».

Mi sembrava indelicato rivelare che Esme aveva cercato di suicidarsi.

« Il solito gentiluomo », rise. « Edward è stato il primo dei miei nuovi figli. L'ho sempre considerato tale, benché per un verso sia più vecchio di me ». Le rivolse un sorriso caloroso. « Ecco perché sono così contenta che ti abbia trovata, cara ». Tutto quell'affetto non stonava sulle sue labbra. « Ha vissuto in solitudine troppo a lungo; vederlo così isolato mi ha sempre fatto soffrire ».

M’inteneriva la preoccupazione materna di Esme nei miei confronti!

« Perciò non è un problema che io sia... così... sbagliata? », chiese, esitante.

« No». Era pensierosa. « Tu sei ciò che vuole. In un modo o nell'altro, funzionerà », disse corrugando la fronte.

“O almeno è ciò che spero!”

Giunse il rombo di un altro tuono.

Esme le fece segno di fermarsi: eravamo giunte a bordo campo. Eravamo divisi in due squadre. Io ero il più distante da loro , nella metà sinistra del campo, Carlisle stava tra la prima e la seconda base e Alice teneva la palla, in piedi sopra quello che evidentemente era il monte di lancio.

Emmett faceva roteare una mazza di alluminio. Jasper, catcher della squadra avversaria, era parecchi metri più dietro, alle sue spalle. Ovviamente, nessuno indossava guanti.

« D'accordo », disse Esme con voce squillante. « Prima battuta ».

Alice restava ferma, immobile, per non avvantaggiare il batti­tore. Sembrava pronta a un lancio diretto, anziché a un colpo ef­fettato. Teneva la palla stretta in grembo, e poi, come un cobra, la sua mano destra scattò e la palla finì dritta tra le mani di Jasper.

« Era uno strike?», bisbigliò a Esme.

« Se il battitore non la colpisce, è strike ».

Jasper restituì la palla ad Alice. Lei si concesse un mezzo sorriso e lanciò di nuovo.

Stavolta, la mazza riuscì colpire la palla. Il fragore dell'impatto fu esplosivo, rintronante; echeggiò tra le montagne: ecco perché i tuoni erano indispensabili. La palla schizzò come una meteora sopra il campo e si infilò nella foresta.

« Fuori campo », mormorò, Bella.

« Aspetta », rispose Esme, in ascolto con una mano alzata. Emmett era un fulmine sulle basi, Carlisle la sua ombra.

Corsi come un fulmine verso nella direzione della palla.

« Out! », strillò Esme.

A quel punto uscii dal limite degli alberi, mostrando la palla ed un gran sorriso trionfante.

« Emmett è il battitore più forte », spiegò Esme, « ma Edward è il corridore più veloce » .

L’inning proseguì, sapevo che Bella si stava perdendo gran parte delle azioni migliori, la sua vista non glielo permetteva.

Un altro motivo per cui avevamo aspettato il tempo­rale venne a mostrarsi lampante agli occhi e alle orecchie di Bella, quando Jasper, nel tentativo di evitare le mie prese infallibili, lanciò una palla bassa verso Carlisle. Corsi verso la palla e inseguii Jasper verso la prima base. Ci scontrammo, e il suono dell'impatto somigliava allo schianto di due grandi roc­ce. Bella, balzò in piedi, preoccupatissima, ma nessuno di noi due si era fatto un graffio.

« Salvo », disse Esme, calma.

Con la squadra di Emmett in vantaggio di un punto - Rosa­lie era riuscita a fare un giro completo delle basi sfruttando una delle lunghissime ribattute di Emmett -, venne il mio turno di battuta di. Corsi al suo fianco, lo sguardo sfavillante di entusiasmo.

« Che te ne pare? ».

« Di sicuro non riuscirò più a sopportare la vecchia e noiosa Major League ».

« Sembra quasi che tu ne fossi fanatica, prima », risposi ri­dendo.

« Sono un po' delusa », disse, provocandomi.

« Perché? ».

« Be', sarebbe carino se mi mostrassi almeno una cosa che non sei capace di fare meglio di chiunque altro al mondo ».

Le rivolsi il mio solito sorriso a mezza bocca.

« Eccomi », dissi, preparandomi a battere.

Giocai con intelligenza, tenendo la palla bassa, fuori dalla portata di Rosalie che giocava da esterna, e guadagnai fulmineo due basi prima che Emmett rimettesse la palla in gioco. Dopo di me, Carlisle ne ribatté una tanto lontano da riuscire a chiudere il punto assieme a me. Alice, soddisfatta, batteva il cinque a entrambi.

Mano a mano che la partita procedeva, il punteggio conti­nuava a cambiare, e ogni volta che una delle due squadre an­dava in vantaggio iniziavano gli sfottò, come in una qualsiasi partita tra amici, per strada. Di tanto in tanto Esme ci richia­mava all'ordine. Tornarono i tuoni, ma non ci bagnammo, come Alice aveva previsto.

Carlisle stava per battere, ed io mi preparavo a ricevere, quando Alice ebbe un sussulto. Volsi repentino la testa verso di lei. I nostri sguardi si incrociarono.

“Sono qui”

Capii benissimo a chi alludesse, prima ancora che gli altri riuscissero a parlare con Alice, affiancai Bella.

« Alice? », chiese Esme, nervosa.

« Non ho visto... non sono riuscita a distinguere », sussurrò mia sorella.

A quel punto, tutti si erano raccolti attorno a lei.

« Cos'è, Alice? », chiese Carlisle, con la voce calma dell'autorità.

« Si spostano molto più velocemente di quanto pensassi. Ho capito soltanto ora di avere sbagliato prospettiva », mormorò.

Jasper si avvicinò a lei, protettivo:

« Cos'è cambiato? ».

« Ci hanno sentiti giocare e hanno fatto una deviazione », disse lei mortificata, sentendosi responsabile di quella sorpresa indesiderata.

Volgemmo tutti lo sguardo su Bella, allarmati.

« Tra quanto? », disse Carlisle, voltandosi verso di me.

Sul mio viso apparve uno sguardo intenso e concentrato.

« Meno di cinque minuti. Stanno correndo... vogliono gio­care » mi rabbuiai.

« Puoi farcela? », mi chiese Carlisle rivolgendole un rapido sguardo.

« No, non portandola... », tagliai corto. « Inoltre, la cosa peg­giore che ci possa capitare è che sentano la scia e inizino a cac­ciare ».

« Quanti? », chiese Emmett ad Alice.

« Tre ».

« Tre! Allora lascia che arrivino » disse Emmett mostrando i muscoli.

In pochi ma interminabili istanti, Carlisle decise il da farsi. Solo Emmett restava imperturbabile; gli altri osservavano an­siosi Carlisle.

« Continuiamo a giocare », decise infine. Era tranquillo, pa­cato. « Alice ha detto che sono soltanto curiosi ».

<< Sono affamati? >> mi chiese mia madre, muovendo veloce la labbra.

Scossi il capo, leggermente sollevato. Forse non era ancora detta l’ultima parola.

« Ricevi tu, Esme », dissi. « Io mi fermo qui ». E ri­masi impalato di fronte a Bella.

Gli altri tornarono al campo, scrutando la foresta con la loro vista straordinariamente acuta. Alice ed Esme restavano volta­te verso me e Bella.

« Sciogliti i capelli », dissi, lentamente e sottovoce.

Obbedì, sciolsi l'elastico e agitò la testa. Accidenti, il profumo era irresistibile!

Fece l'osservazione più ovvia:

« Gli altri stanno per arrivare ».

« Sì, rimani immobile, stai zitta e non allontanarti da me, per favore » nascondevo la tensione, ma non fui certo di averla celata a Bella. Le coprii il viso con i capelli.

« Non servirà », disse Alice a mezza voce. « Il suo odore si sente fin dall'altro lato del campo ».

« Lo so ». La mia voce era velata di frustrazione.

Carlisle prese posizione, e il resto dei giocatori lo seguì sen­za entusiasmo.

« Cosa ti ha chiesto Esme? », sussurrò.

Risposi soltanto dopo qualche secondo.

« Se sono assetati », bisbigliai controvoglia, a labbra strette.

I secondi passavano; la partita continuava, apatica. Mante­nevano per prudenza le ribattute smorzate; Emmett, Rosalie e Jasper non si allontanavano dall'interno del campo.

Non prestavo alcuna attenzione alla partita, scruta­vo la foresta con gli occhi e con la mente: solo altri tre minuti.

« Mi dispiace, Bella », mormorai, furioso. « È stato stupi­do, irresponsabile esporti a questo rischio. Mi dispiace tanto ».

Il mio respiro si arrestò e con gli occhi fissai un punto alla mia destra. Feci mezzo passo, frapponendomi tra lei e ciò che stava arrivando.

Carlisle, Emmett e gli altri si voltarono nella stessa direzio­ne, attirati: eccoli!

 

Se questo capitolo vi è potuto sembrare troppo simile a quello originale di “Twilight”, mi scuso ma di baseball non ci capisco nulla, quindi per quanto mi è stato possibile ho spostato la prospettiva da Bella ad Edward.

Come sempre, ringrazio:

Simo1726: Ci tengo subito a tranquillizzarti: questa storia non resterà incompiuta e sono felice che ti stia piacendo…perciò, grazie a te.

Inoltre: Alessandraxxx81, per averla messa tra i suoi preferiti. E’ la prima volta che ti cito, vero?!

Air_Chaos: per averla aggiunta tra le seguite.

Dandovi appuntamento al prossimo capitolo- sperando di non essere troppo lenta nell’aggiornare- vi saluto calorosamente,

Maryana.

 

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Capitolo 18
*** Strategie ***


18

Strategie

Sbucarono dal confine della foresta, schierandosi a una doz­zina di metri l'uno dall'altro. Il primo maschio entrò nello spiazzo, si fermò, e lasciò che il suo compagno, alto e con i ca­pelli scuri, lo precedesse dimostrando chi fosse il  capobranco. La terza era una donna, dai capelli rossi. Tutti e tre avevano le iridi rosse.

Prima di avvicinarsi con cautela alla nostra famiglia, i tre serrarono i ranghi, a dimostrazione di non essere belligeranti.

Erano diversi da noi, più selvaggi. La loro andatura era acquattata, felina. Sembravano degli escursionisti, vestiti di jeans e camicie sportive pesanti, resistenti alle intemperie. Gli indumenti, però, erano consuma­ti, e i tre avanzavano a piedi nudi. I due uomini avevano i ca­pelli cortissimi, mentre la chioma arancione e luminosa della donna era zeppa di foglie.

I loro sguardi acuti valutarono con attenzione l'atteggiamen­to civilizzato di Carlisle, che gli si faceva incontro guardingo af­fiancato da Emmett e Jasper. Senza parlare, assumemmo tutti una posizione apparentemente disinvolta, eretta ma comunque rigida.

L'uomo che guidava il gruppo aveva la carnagione che mostrava tirate olivastre sotto il tipico pallore, e i capel­li erano neri.Di corporatura media, era sì musco­loso, ma niente a che vedere con Emmett. Sfoderò un sorriso spontaneo.

La donna aveva l'aria più selvatica, i suoi occhi non smette­vano di oscillare tra i suoi due compagni e noi; i capelli le si arruffavano nella brezza leggera, e la po­stura era chiaramente felina. Il secondo maschio ronzava silen­zioso alle spalle degli altri, più magro, anonimo, sia nel colore castano dei capelli sia nei lineamenti regolari. Il suo sguardo, per quanto immobile, era il più vigile. Ero attento ad ogni loro mossa, lessi nella mente di tutti e tre,ma per il momento nessuno si era accorto che Bella era umana.

L'uomo con i capelli scuri si avvicinò a Carlisle sorridendo.

« Ci sembrava di aver sentito giocare », disse pacato, con un leggero accento francese. « Mi chiamo Laurent, questi sono Victoria e James ». Indicò i vampiri accanto a lui.

« Io mi chiamo Carlisle. Questa è la mia famiglia: Emmett e Jasper, Rosalie, Esme e Alice, Edward e Bella ». Ci indicò a gruppi, per non solleticare troppo l'attenzione del trio. Quan­do fece il nome di Bella, lei ebbe un sussulto. Avrei voluta stringerla ed infonderle tranquillità, ma avrei dato nell’occhio.

« C'è posto per qualche altro giocatore? », chiese educato Laurent.

Carlisle rispose in tono amichevole:

« A dir la verità, stavamo proprio finendo. Ma la prossima volta potremmo averne biso­gno. Avete in programma di trattenervi molto da queste parti? ».

« Siamo diretti a nord, ma eravamo curiosi di visitare il vici­nato. È da molto che non incontriamo nessuno ».

« Questa regione di solito è disabitata, a parte noi e qualche visitatore occasionale, come voi ».

La tensione si era lentamente sciolta in una conversazione spontanea. Non me ne stupii con Jasper nei paraggi a controllare la situazio­ne, grazie al suo dono speciale.

« Qual è il vostro territorio di caccia? », chiese Laurent.

Carlisle ignorò le implicazioni della domanda.

« La catena dei Monti Olimpici, qui vicino, o la costa, di tanto in tanto. Abbiamo una residenza fissa nei dintorni. E c'è un altro inse­diamento permanente come il nostro, nei pressi di Denali ».

Laurent arretrò impercettibilmente, sui talloni.

« Permanente? E come fate?». Sembrava sinceramente cu­rioso.

« Perché non venite a casa nostra e ne parliamo con calma? È una storia piuttosto lunga ».

James e Victoria si scambiarono uno sguardo sorpreso alla parola "casa". Laurent, invece, mantenne il controllo.

« Invito molto interessante, e ben accetto ». Sorrise affabile. « Siamo partiti per la caccia dall'Ontario e non ci diamo una ri­pulita da un bel po' ». I suoi occhi scrutavano con ammirazione l'aspetto raffinato di Carlisle.

« Vi prego di non offendervi, ma siamo costretti a chiedervi di astenervi dalla caccia, negli immediati dintorni. Capirete bene che è meglio che nessuno si accorga di noi », spiegò Carlisle.

«Certo», annuì Laurent. «Non invaderemo il vostro territo­rio, siatene certi. E comunque, abbiamo mangiato poco dopo aver lasciato Seattle». Rise. Bella, al mio fianco rabbrividì. Ero impaziente che quei convenevoli giungessero al termine, volevo portare Bella lontano da loro.

«Se volete seguirci, vi facciamo strada. Emmett e Alice, ac­compagnate Edward e Bella fino alla jeep ».

Mentre Carlisle parlava, successe ciò che temevo: si alzò una leggera brezza sufficiente a smuovere i capelli di Bella, il suo odore si espanse a macchia d’olio…fresco, e dannatamente invitante!

Non ero il solo ad essere assuefatto dal suo profumo così pregiato,James dilatò le narici voltandosi verso di Bella.

Tutti rimanemmo impietriti, tranne James che si accucciò facendo un passo in avanti. Mostrai i denti, in posizione di difesa, e cacciai un ringhio bestiale. Niente a che vedere con quello giocoso che avevo emesso quel pomeriggio a casa: era molto, molto più minaccioso.

« E questa cos'è? », esclamò Laurent, palesemente sorpreso. Né io né James non abbandonammo le nostre pose aggressive. James fece una finta a cui risposi immediatamente.

« È con noi ». Il fermo rimprovero nella voce di Carlisle era diretto a James. Laurent sembrava meno sensibile al suo odo­re, ma anche lui, a quel punto, iniziava a capire.

« Vi siete portati uno spuntino? », chiese incredulo, avanzan­do involontariamente di un passo.

Il mio ringhio divenne ancora più duro e feroce, le mie labbra erano tese e scoprivano i denti: nessuno doveva avvicinarsi a lei, sarei stato capace di ucciderlo a sangue freddo, non m’importava di scatenare uno scronto!

Laurent arretrò, sconcertato: non era la presenza di Bella a sconcertarlo, era come sembrava essere una di noi.

« Ho detto che è con noi », ribadì Carlisle, duro.

« Ma è umana », protestò Laurent. Era sorpreso, più che aggressivo, ma non abbassai la guardia.

« Sì ». Emmett si era messo al fianco di Carlisle, lo sguardo puntato su James. Questi si rilassò lentamente, ma senza per­derla di vista, con le narici sempre dilatate. Di fronte a lei,  ero teso come un leone pronto a spiccare un balzo.

Laurent cercò di abbassare i toni e spegnere l'improvvisa ostilità:

« A quanto pare, dobbiamo imparare a conoscerci me­glio ».

« Esattamente ». La voce di Carlisle era ancora fredda.

« Eppure, gradiremmo accettare il vostro invito ». lanciò un'occhiata a Bella e si rivolse di nuovo a Carlisle. « Naturalmente, non faremo del male all'umana. Come ho detto, non intendia­mo cacciare nel vostro territorio ».

James rivolse a Laurent uno sguardo incredulo e irritato, e scambiò un'occhiata con Victoria, che ancora scrutava uno a uno i volti dei presenti, nervosamente. E quel punto fui percosso dalla rabbia più nera.

Lessi nella mente di James, e diedi il giusto significato a quell’occhiata scambiata con la donna, per di più sua compagna.

James, era un segugio, la caccia era la sua ossessione. La mia reazione di difesa, l’aveva eccitato: la mia reazione istintiva lo aveva esaltato, gli avevo appena offerto la migliori tra le cacce.

Sapeva che non avrei mai permesso che torcesse un capello a Bella.

Carlisle studiò l'espressione sincera di Laurent, prima di parlare.

« Vi facciamo strada. Jasper, Rosalie, Esme? ». I ragazzi si radunarono attorno a Bella per nasconderla. Alice fu al suo fianco in meno di un istante, ed Emmett si spostò lentamente dietro di lei, senza staccare gli occhi da James.

« Andiamo, Bella ». La mia voce era bassa e cupa.

Fino a quel momento era rimasta impietrita, immobilizzata dal terrore. Fui costretto a darle uno strattone per far­la riavere dalla trance. Era nascosta tra Alice ed Emmett. Si trascinava al mio fianco, sopraffatta dalla paura. Ero impaziente di allontanarmi da loro, l’accompagnai a passo umano verso il confine della foresta.

Una volta che fummo tra gli alberi, la presi in spalla senza perdere il passo. Si strinse quanto poteva, ed io iniziai a correre, seguito dagli altri. L'eccitazione che di solito nasceva in me con la corsa era del tutto assente, sostituita da una furia che mi con­sumava e mi faceva avanzare ancora più veloce del solito. Mal­grado portassi lei in spalla, precedevo i miei fratelli.

Ero arrabbiato, ma caso in solito per me, anche allarmato. James voleva Bella, niente e nessuno l’avrebbe persuaso dalla sua smania. Potevo fare solo una cosa: ucciderlo, nonostante la cosa non mi allettasse.

Raggiungemmo la jeep in un batter d'occhio, e rallentai soltanto per depositarla sul sedile posteriore.

« Allacciale le cinture », ordinai a Emmett, che s'infilò in auto al suo fianco.

Alice si era già sistemata sul sedile del passeggero, avviai il motore. Con un rombo e una veloce inversione ripren­demmo la strada tortuosa.

Ringhiai a denti stretti, soggiogato dalla frustrazione e dalla rabbia: ero stato uno stupido incosciente a portarla con me, l’avevo posta a rischio senza motivo.

<< Idiota!! >> imprecai.

“Calmati, ci servi lucido!”

Ignorai l’ammonimento, silenzioso di mia sorella.

Emmett e Alice guarda­vano fuori dai finestrini.

Raggiungemmo la strada principale, eravamo diretti a sud, lontano da Forks.

« Dove andiamo? ».

Nessuno le rispose. Nessuno la degnò di uno sguardo.

« Accidenti, Edward! Dove diavolo mi stai portando? ».

« Dobbiamo portarti lontano da qui - molto lontano - e su­bito! ». Non mi voltai, fissavo la strada. Il tachimetro segnava i centosettanta.

« Torna indietro! Devi riportarmi a casa! », urlò. Se la prese con l’imbracatura, cercando di strapparla.

« Emmett >> ordinai, torvo.

Ed Emmett bloccò le sue mani nella sua presa d'acciaio.

« No! Edward! No, non puoi farlo ».

« Sono costretto, Bella. E adesso, per favore, stai calma ».

« No! Devi riportarmi a casa. Charlie chiamerà l'FBI! Scove­ranno la tua famiglia. Carlisle ed Esme dovranno fuggire, na­scondersi per sempre! »

Era vero, ma non me ne curai.

« Calma, Bella ». La mia voce era fredda. « Ci siamo già passati ».

« Non per me, no! Non puoi rovinare tutto per salvare me! ». La sentivo dibattersi con violenza, inutilmente.

Alice parlò, per la prima volta:

« Edward, accosta ».

La incenerii con uno sguardo e accelerai.

« Edward, ti prego, parliamone ».

« Tu non capisci », ruggii, per la frustrazione. Il tachimetro aveva superato i centottanta. « È un se­gugio, Alice, non te ne sei accorta? È un segugio! ».

Emmett, al suo fianco, si irrigidì.

“Merda” pensò mio fratello.

« Accosta, Edward ». Alice voleva ragionare,nella sua voce c’era una nota autoritaria.

Il tachimetro superò i centonovanta.

« Avanti, accosta ».

« Ascolta, Alice. Ho letto nella sua mente. Seguire una scia è la sua passione, la sua ossessione. E vuole lei, Alice... lei, e nes­sun altro. Intende iniziare la caccia stanotte ».

« Ma lui non sa dove... ».

« Quanto pensi che ci vorrà prima che incroci la sua scia in città? Aveva un piano pronto già prima che Laurent aprisse bocca ».

« Oh, no! Charlie! Non puoi lasciarlo solo! Non puoi! ». Si dimenava nell'imbracatura.

« Ha ragione », disse Alice.

Rallentai impercettibilmente.

« Consideriamo le alternative per un attimo », sintetizzò lei.

La macchina rallentò ancora, in maniera più brusca, fino a fermarsi, sgommando sulla banchina dell'autostrada.

« Non ci sono alternative », sibilai furioso.

« Non lascerò Charlie da solo! », strillò, Bella.

La ignorai.

« Dobbiamo riportarla a casa », disse Emmett, infine.

« No ».Non tolleravo obiezioni.

« Tra noi e lui non c'è confronto, Edward. Non riuscirà a torcerle un capello ».

« Aspetterà ».

Emmett sorrise:

« Anch'io so aspettare ».

« Non ti rendi conto... non capisci. Se uno come lui decide di impegnarsi in una caccia, niente può fargli cambiare idea. Saremo costretti a ucciderlo ».

L'idea non sconvolse granché Emmett:

« È una possibilità ».

« La femmina sta con lui. E se scoppia una guerra, anche il capo sarà dalla loro parte ».

« Siamo comunque in vantaggio »

« C'è un'alternativa », disse piano Alice.

Mi voltai verso di lei, furioso, con un ringhio violen­to:

« Non-Ci-Sono-Alternative! ».

Bella ed Emmett mi fissarono scioccati, ma Alice non batté ciglio. Per un minuto interminabile mi fissò negli occhi, muta.

“Trasformala”

Non ci pensavo neanche. Preferivo lottare fino allo spasimo, ma mai e poi mai avrei permesso la sua trasformazione. Significava lasciarla morire. Non sarei stato io a permettere che il suo cuore smettesse di battere.

Fu Bella a spezzare il silenzio:

« A nessuno interessa il mio pia­no? ».

« No », ruggii, sotto lo sguardo fermo di Alice.

« Ascolta »,  m’implorò. « Tu mi riporti a casa ».

« No ».

Mi guardò torva e proseguì:

« Tu mi riporti a casa. Io dico a papà che voglio tornare a Phoenix. Faccio le valigie. Aspettia­mo che questo segugio si sia appostato in ascolto, poi scappia­mo. Così seguirà noi e lascerà stare Charlie, che non chiamerà l'FBI né i tuoi genitori. E poi potrete portarmi dove diavolo vi pare ».

La guardammo, sbalorditi.

« In effetti non è una cattiva idea » disse Emmett sorpreso.

« Potrebbe funzionare... Non possiamo lasciare suo padre senza protezione, lo sapete », disse Alice.

Tutti mi guardarono.

« È troppo pericoloso: non lo voglio nemmeno a cento chi­lometri da lei ».

« Edward, con noi non ha scampo ». Emmett era sicurissimo di sé.

Alice ci pensò su:

<< Non lo vedo attaccare. Aspetterà che la lasciamo sola ».

« Capirà al volo che non lo faremo ».

« Pretendo che tu mi porti a casa ». Bella fu perentoria.

Chiusi gli occhi, mi premevo le tempie con le dita: ero esausto e abbattuto.

« Per favore », chiese, a voce più bassa.

Non alzai lo sguardo. Risposi facendo trapelare la mia stanchezza.

« Te ne andrai stasera, che il segugio ti veda o no. Vai a casa e dici a Charlie che non intendi restare a Forks un minuto di più. Raccontagli la scusa che preferisci. Poi prepari una valigia con le prime cose che ti capitano e sali sul pick-up. Non m'in­teressa come reagisce tuo padre. Hai quindici minuti. Capito? Quindici minuti da quando varchi la soglia di casa ».

La jeep riprese vita con un rombo, ed invertii la marcia sgommando. La lancetta del tachimetro ricominciò a muoversi.

« Emmett? ». Lanciò un'occhiata verso le sue mani.

« Ah, scusa ». E la liberò dalla stretta.

Trascorremmo qualche minuto in silenzio, in ascolto del rombo del motore. Poi parlai:

« Le cose andranno così. Arrivati a casa, se il segugio non c'è, l'accompagno alla porta. Da quel momento ha quindici minuti ». La lanciai un'occhiata dal retrovisore. « Emmett, tu tieni d'occhio la casa dall'esterno. Alice, tu ti occupi del pick-up. Io resto in casa con lei. Dopo che è uscita, portate la jeep a casa e riferite tutto a Carlisle ».

« Neanche per idea », lo interruppe Emmett. « Io resto con te ».

« Pensaci bene, Emmett. Non so neanch'io quando potrei tornare ».

« Finché non sappiamo come finirà questa faccenda, io resto con te ».

 « Se il segugio è a casa di Charlie, invece, non ci fermiamo >> dissi con un sospiro.

« Ci arriveremo prima di lui », disse Alice, fiduciosa.

Nonostante la sua proposta mi avesse fatto arrivare il sangue al cervello, mi fidavo di lei.

« Cosa facciamo con la jeep? », chiese lei.

« La riporti a casa » risposi secco.

« Invece no », ribatté Alice, imperturbabile.

<< Dannazione!!! >>

Quella fu la prima, di una lunga serie di nuove imprecazioni che pronunciai.

« Non ci staremo tutti e quattro sul pick-up », mormorò.

Non ascoltavo minimamente Bella, aveva già detto la sua.

« Secondo me è meglio che mi lasciate andare da sola », disse, a voce ancora più bassa.

Me ne accorsi.

« Bella, per favore, fai come dico io, almeno questa volta », dissi a denti stretti.

« Stammi a sentire, Charlie non è uno stupido. Se domani neanche tu sarai in città, si insospettirà ».

« Non m'interessa. Faremo in modo di proteggerlo, e questo è ciò che importa ».

« E il segugio? Si è accorto di come hai reagito, stasera. Pen­serà che sei con me, ovunque ti trovi ».

Emmett le lanciò uno sguardo sorpreso.

« Edward, ascoltala. Secondo me ha ragione ».

« Certo che sì », ribadì Alice.

« Non posso farlo ». La mia voce  era fredda come il ghiaccio. Non potevo starle lontano.

« È meglio che nemmeno Emmett mi segua », aggiunse. « Ha osservato bene anche lui ».

« Cosa? », esclamò Emmett, voltandosi verso di lei.

« Se resti a casa avrai qualche possibilità di rifarti con lui », confermò Alice.

La guardai incredulo:

« Pensi che dovrei lasciarla scappare da sola? ».

« Certo che no », rispose lei, « la accompagneremo io e Jasper ».

« Non posso », ribadii, con una nota di ras­segnazione nella voce. Era giusto ciò che stavano dicendo, ma dentro urlavo. Avrei dovuto far vincere la razionalità, piuttosto che il sentimento.

Bella cercò di persuadermi:

« Resta da queste parti per una settimana », notò la mia espressione  contrariata nello specchietto e si corresse, « anzi, solo qualche giorno. Così Charlie avrà la certezza che non mi hai rapita e questo James girerà a vuoto per un po'. As­sicurati che perda completamente le mie tracce. Poi raggiungi­mi. Ovviamente, sarà meglio prenderla un po' alla larga. A quel punto, Jasper e Alice potranno tornare a casa ».

Non era male come idea.

« Dove ti raggiungerei? ».

« A Phoenix ».

« No. Se dici a Charlie che torni a Phoenix, lo sentirà anche il segugio », ribattei impaziente.

« E tu gli farai credere che è un imbroglio, ovviamente. Lui sa che noi sappiamo di essere spiati. Non crederà mai che io stia

andando davvero dove dico di andare ».

« È diabolica », commentò Emmett con una risatina.

« E se non funziona? ».

« Phoenix ha milioni di abitanti ».

« Non è difficile trovare una guida del telefono ».

« Non tornerò a casa di mia madre ».

« Eh? » esclamai allarmato.

« Sono abbastanza grande per vivere da sola ».

« Edward, ci saremo noi con lei », mi rammentò Alice.

« E voi cosa farete in giro per Phoenix? », chiesi, mordace: una delle città più assolate degli Stati Uniti d’America, perfetto per due vampiri!

« Resteremo chiusi in casa ».

« Il piano mi piace » approvò Emmett. Lui e la sua assurda mania di mettersi alla prova!

« Chiudi il becco », lo apostrofai.

« Ascolta, se cerchiamo di incastrarlo mentre lei è qui attor­no, c'è un rischio molto più alto che qualcuno si faccia del male, lei o te che cerchi di proteggerla. Invece, se riuscissimo a isolarlo... ». Emmett tacque, accennando un sorriso.

Giunta alla periferia di Forks, la jeep iniziò a rallentare.

« Bella ». pronunciai il suo nome con dolcezza. Alice ed Emmett guardavano fuori dai finestrini. « Se lasci che ti ac­cada qualcosa - qualsiasi cosa - ti riterrò direttamente respon­sabile. Lo capisci? ».

« Sì », rispose senza fiato.

Mi rivolsi ad Alice.

« Jasper è in grado di gestire la situazione? ».

« Fidati, Edward. Tutto sommato, finora si è comportato molto, molto bene ».

« E tu, pensi di poterla gestire? ».

Al che Alice mostrò i denti con una smorfia orrenda e si lasciò andare a un ringhio gutturale.

“Iperprotettivo come sempre!”

Le sorrisi.

« Ma le tue idee, tienitele per te », bofon­chiai, non riuscivo a restare arrabbiato con lei per più di due minuti. >>

 

Scusate la lunghissima attesa, ma il periodo degli esami è sempre molto stressante e mi porta via la maggior parte dell’energie!!

Ringrazio di cuore:

Giorgina_Cullen, Kamura86 e Patrizia70 per aver aggiunto questa storia tra le preferite!

Fancef80 e Dafne007 per averla aggiunta tra le loro seguite!

Spero di non aver dimenticato nessuno, ma se per errore lo avessi fatto mi scuso e ringrazio!

Un salutone,

Maryana.

 

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Capitolo 19
*** La partenza ***


19

La partenza.

Charlie era rimasto sveglio ad aspettare la figlia, i suoi pensieri erano inquieti, non si sarebbe calmato finché Bella  non avesse varcato la porta di casa, povero ignaro della sorpresa che lei  aveva in serbo per lui. Le luci dell’abitazione erano tutte accese.

Accostai lentamente, attento a non sbarrare la strada al pick-up. Sia io che i miei fratelli eravamo rigidi sui sedili, intenti ad ascoltare ogni minimo rumore del bosco, a osservare ogni ombra, a sentire ogni odore, controllando che niente fosse fuori posto.

« Non è qui », sentenziai nervoso. «Andiamo».

Emmett le si avvicinò per aiutarla a uscire dall'imbracatura. « Non preoccuparti, Bella », le parlò piano, fiducioso, « ce ne sbarazzeremo in fretta ».

<< Alice, Emmett » ordinai, secco.

I due sparirono all'istante, assorbiti nell'oscurità. Aprii la portiera e la presi per mano, proteggendola nel mio abbraccio. L’accompagnai svelto di fronte a casa, con lo sguardo vi­gile nel buio della notte.

« Quindici minuti », ribadii, con un filo di voce.

« Ce la posso fare », disse tra i singhiozzi.

Non m’importava neanche quale scusa avrebbe raccontato a Charlie, mi premeva solo che fosse realista tanto da convincerlo a lasciarla andare.

Si fermò sulla soglia della veranda e mi prese il viso tra le mani. Mi guardò con una strana luce negli occhi. Era decisa.

« Ti amo », disse, e la sua voce  assunse una  nota profonda  « Ti amerò sempre, succeda quel che succeda ».

« Non ti succederà niente, Bella », dissi  con altrettanta convinzione.

« L'importante è che tu segua il piano. Proteggi Charlie, per favore. Dopo stasera ce l'avrà sicuramente con me, e voglio avere la possibilità di scusarmi, quando tutto sarà finito ».

« Entra, Bella. Dobbiamo sbrigarci », dissi, impaziente.

« Una cosa ancora », m’implorò sottovoce. « Non ascoltare una sola parola di ciò che sto per dire! ». Mi avvicinai a lei, che alzatasi sulla punta dei piedi mi baciò le lab­bra con forza; ne rimasi sorpreso.  Poi si voltò e con un calcio aprì la porta.

« Vattene, Edward! », urlò, correndo in casa e sbattendomi la porta in faccia, aumentando il mio stupore: che aveva in mente?

Mi arrampicai sull’albero ed entrai in camera sua dalla finestra, ascoltando le voci al piano sottostante:

« Bella? ». Charlie, rimasto ad aspettarla in salotto, era scat­tato subito in piedi dal divano.

« Lasciami stare! », gridò lei, in lacrime. Chiuse a chiave la porta della sua stanza, sbattendola. Raggiun­se il letto e si gettò a terra, in cerca della sacca da viaggio. Poi frugò tra il materasso e la rete, estraendone una calza, probabilmente conteneva i suoi risparmi. Non si accorse di me, rimasi nell’ombra.

Charlie bussava forte alla porta.

« Bella, stai bene? Che succede? » non capiva cosa stesse succedendo, era seriamente preoccupato da quella inattesa sfuriata.

« Me ne torno a casa », urlò, con voce rotta dal pianto.

« Ti ha trattata male? ». Dalla paura, stava passando alla rabbia.

« No! », il suo strillo salì di parecchie ottave. Si voltò verso l'armadio, accorgendosi di me, in silenzio presi  bracciate di vestiti a caso, per lanciargliele.

« Ti ha lasciata? », Charlie era perplesso, non trovava una spiegazione logica: se io non l’avevo sfiorata con un dito né l’avevo lasciata, perché Bella era in quello stato?Se fossi stato meno teso, probabilmente sarei stato curioso di cosa la sua mente geniale aveva pensato.

« No! », urlò, con un po' meno fiato, mentre affannata infi­lava tutto nella sacca. Le lanciai il contenuto di un al­tro cassetto. La borsa era già piena.

« Cos'è successo, Bella? », gridò Charlie da dietro la porta, senza smettere di bussare.

« Io ho lasciato lui », rispose, mentre si accaniva sulla zip della sacca. Le spinsi via le mani con le mie che  la chiusero senza difficoltà. Gliela sistemai per bene in spalla.

« Ti aspetto sul pick-up... Vai! », sussurrai, e la spinsi verso la porta. Svanii, uscendo dalla finestra.

Balzai dall’albero, e salii sul pick-up dalla parte del passeggero, restando in ascolto.

Bella aprì la porta, scansò bruscamente Charlie e scese le scale di slancio.

« Ma cos'è successo? », urlò lui. Le era alle spalle. « Mi sem­brava che ti piacesse ».

In cucina la raggiunse e la trattenne per una spalla. Con uno strattone la costrinse a voltarsi: non voleva lasciarla andare.

Chiusi le mani a pugno, in tensione, augurandomi che Bella riuscisse a liberarsi del padre in fretta, il tempo scorreva troppo velocemente! Il segugio era arrivato alla sua meta.

Lo fissò con lo sguardo pieno di lacrime appena spuntate.

« Il problema è proprio che mi piace. Non ce la faccio più. Non posso mettere radici qui. Non voglio finire intrappolata in questa noiosa stupida cittadina, come la mamma! Non intendo ripetere il suo stesso errore idiota. Odio Forks... non voglio sprecarci più neanche un minuto del mio tempo! ».

Le lasciò la spalla sopraffatto da quelle parole, ferito nel profondo. Voltò le spalle a Charlie e puntò dritta verso la porta.

« Bells, non puoi andartene ora. È notte », sussurrò alle sue spalle.

Bella, non si voltò:

 « Se mi stanco dormirò nel pick-up ».

« Aspetta almeno una settimana », la implorò, ancora inton­tito dalla sorpresa. «Lascia almeno che Renée torni a casa».

« Cosa? ».

Rincuorato dalla sua incertezza, continuò balbettando:

« Ha chiamato mentre eri fuori. Le cose non stanno andando granché bene in Florida, e se Phil non trova un contratto entro la fine della settimana torneranno in Arizona. Il vice allenatore dei Sidewinders dice che forse hanno bisogno di un altro interbase ».

Bella, scosse il capo, sembrava interdetta nella mente di Charlie: che aspettava, maledizione?!

« Ho la chiave », mormorò, girando la maniglia.

“Bella…no….” Non avevo mai visto il capo ispettore così demoralizzato e abbattuto.

« Lasciami andare, Charlie, per favore ». Le pronunciò con una rabbia che non le apparteneva. Ed io che avevo insinuato che non sapeva recitare. Spalancò la porta. « Non ha funzionato, punto e basta. Odio Forks, la odio! »

Le sue parole fecero effetto: Charlie rimase sulla porta, impietrito e frastornato, mentre lei fuggiva nella notte; era fatta! Corse a per­difiato verso il pick-up.Lanciò la borsa sul pianale e spalancò la portiera. La chiave l’avevo già infilata  nel quadro.

« Ti chiamo domani! », gli urlò. Accese il motore e partì a mille.

Le presi una mano.

« Accosta », dissi, non appena la casa e Charlie sparirono dalla nostra visuale.

« So guidare », disse con il viso coperto di lacrime.

Le strinsi i fianchi e con un piede le tolsi il controllo dell'acceleratore. La sollevai, spo­standola dal posto di guida, e in un secondo fui al volante. Il pick-up non deviò di un centimetro.

« Non saresti capace di ritrovare la casa », mi giustificai. In realtà la vedevo troppo provata per guidare.

All'improvviso un paio di fari si accesero alle nostre spalle. Si sporse dal finestrino, terrorizzata.

« Non preoccuparti, è Alice ». Le presi di nuovo la mano.

 « E il segugio? ».

« Ha assistito all'ultima parte della tua esibizione », dissi torvo.

« E Charlie? », chiese, angosciata.

« Il segugio ha seguito noi. È alle nostre spalle in questo mo­mento ».

« Possiamo seminarlo? ».

« No ». Eppure accelerai. Il motore del pick-up lan­ciò un gemito di protesta.

Fissava i fari di Alice dietro di noi, quando il pick-up scartò e fuori dal finestrino apparve un'ombra scura.

Il suo urlo durò una frazione di secondo, pri­ma che le tappassi la bocca.

« È Emmett! ».

Lasciai la presa e la strinsi con un braccio.

« Va tutto bene, Bella. Ti portiamo al sicuro ».

Sfrecciavamo per la città addormentata, verso l'autostrada diretta a nord.

« Non immaginavo che fossi così annoiata dalla vita di pro­vincia », attaccai, sperando di distrarla dal terrore che stava vivendo. « Mi sembrava che ti ci stessi abituando molto bene... - soprattutto negli ultimi tempi. Ma forse mi sono solo illuso di averti reso la vita un po' più interessante ».

« Non sono stata carina», confessò, abbassando gli occhi e ignorando il tentativo di cambiare discorso. « Ho ripetuto le stesse parole che disse mia madre quando se ne andò. È stato un colpo davvero basso ».

« Non preoccuparti. Saprà perdonare ». Accennai un sorriso, ma non la convinsi.

Mi fissò con il panico negli occhi: come potevo biasimarla.

« Bella, andrà tutto bene ».

« Non quando sarai lontano », sussurrò.

« Ci rivedremo tra qualche giorno  », risposi, stringendo la presa attorno ai suoi fianchi. « Non dimenticare che l'idea è stata tua » .

« Era l'idea migliore... per forza è stata mia ».

Il sorriso che le rivolsi era vuoto e scomparve immediata­mente: non ero minimamente pronto a salutarla da lì a pochi minuti, non so come avrei potuto sopportare la lontananza.

« Perché è successo tutto questo? », chiese, senza voce. « Per­ché io? ».

Fissavo la strada inespressivo e cupo.

« È colpa mia. È stato stupido esporti in quella maniera ».

« Non è ciò che intendevo. Ero li, certo. Ma non ho infasti­dito gli altri due. Perché questo James avrebbe deciso di ucci­dere me? Con tutta la gente che c'è, perché proprio io? ».

Prima di rispondere attesi qualche istante, esistevano parole che avrebbero ammortizzato il colpo di ciò che stavo per rivelarle?

« Stasera ho analizzato bene la sua mente », dissi a voce bassa. « Temo che in ogni caso non sarei riuscito a impe­dire tutto questo. In un certo senso, è anche colpa tua ». Ero beffardo. « Se il tuo odore non fosse così straordinariamente delizioso, forse non ne sarebbe stato toccato. Ma quando ti ho difesa... be', ho peggiorato le cose, e di molto. Non è abituato a essere ostacolato, e non importa quanto insignificante sia la preda. Non si ritiene altro che un cacciatore. La sua esistenza è fatta soltanto di pedinamenti, è sempre alla ricerca di nuove sfide. All'improvviso, gliene abbiamo fornita una su un piatto d'argento: un folto clan di forti guerrieri che proteggono l'uni­co elemento vulnerabile del gruppo. Non puoi immaginare quanto lui sia euforico in questo momento. È il suo gioco pre­ferito, e lo abbiamo appena invitato a una partita più eccitante del solito ». Non mi curai neanche di nascondere il mio disgusto.

Feci una pausa.

« D'altro canto, se fossi rimasto impassibile ti avrebbe uccisa seduta stante » Ero abbattuto, disperato.

« Pensavo... che sugli altri il mio profumo non avesse lo stesso... effetto che ha su di te », balbettò.

« Infatti non ce l'ha. Ma ciò non significa che tu non sia co­munque una tentazione. Se il segugio - o uno degli altri due - si fosse sentito attratto da te come lo sono io, sarebbe stato ine­vitabile battersi immediatamente ».

Fu scossa da un tremito.

« A questo punto credo di non avere altra scelta. Sarò co­stretto a ucciderlo », mormorai, « e a Carlisle non piacerà ».

« Come si uccide un vampiro? ».

Le lanciai un'occhiata indecifrabile e la mia voce si fece subi­to nervosa.

« L'unica maniera possibile è farlo a pezzi e bruciar­ne i resti ».

Sarebbe stato uno strazio, anche se si trattava di un essere ripugnante come James.

« Gli altri due combatteranno con lui? ».

« La donna sì. Non sono sicuro di Laurent. Il loro legame non è così forte... si è unito a loro soltanto per convenienza. L'atteggiamento di James, nel prato, lo metteva in imbarazzo ».

« Ma James e la donna... cercheranno di ucciderti? », chiese, rauca.

« Bella, non osare perdere tempo a preoccuparti per me. Ora devi soltanto badare a proteggerti e - per favore, per favore - tenta di non essere troppo temeraria ».

« Ci segue ancora? ».

« Sì. Però non attaccherà in casa. Non stanotte » .

Svoltai nel sentiero invisibile, seguito a ruota da Alice.

Giungemmo a casa mia . Le luci erano tutte accese, ma non riuscivano a contrastare l'oscurità della foresta che cir­condava l'edificio. Emmett aprì la sua portiera prima ancora che il pick-up si arrestasse; la estrasse dal sedile, la strinse al petto come una palla da football e la portò dentro di corsa.

Facemmo irruzione nel grande salone bianco. Erano tutti lì, e sentendoci arrivare, si erano alzati. In mezzo a loro c'era anche Laurent. Emmett la depose accanto a me, con un ringhio cupo.

« È sulle nostre tracce », annunciai e inchiodai Lau­rent con uno sguardo.

Laurent non se ne mostrò affatto felice:

« Era ciò che temevo ».

Alice raggiunse Jasper e gli disse qualcosa al­l'orecchio; le sue labbra vibravano veloci e silenziose: ma sapevo che voleva metterlo al corrente del nostro piano, sentendo anche il suo parere dopo tutto lo riguardava. Salirono spediti le scale, assieme. Rosalie li guardò e si portò svelta a fianco di Emmett. I suoi occhi lanciarono uno sguardo intenso e poi - quando sfiorarono casualmente il viso di Bella - furioso.

“Se accadrà qualcosa alla mia famiglia per colpa sua, giuro…”

Ignorai il pensiero fuori luogo di Rosalie, mai che avesse un po’ di tatto.

« Cosa farà? », chiese Carlisle a Laurent, cupo.

« Mi dispiace», rispose. « Temevo proprio che tuo figlio, di­fendendo la ragazza, l'avrebbe scatenato ».

« Lo puoi fermare? ».

 «Quando James si mette all'opera, niente può fermarlo » disse scuotendo il capo, a suo modo rassegnato.

« Lo fermeremo noi », promise Emmett.

« Non ci riuscirete. In trecento anni non ho mai visto nessu­no come lui. È assolutamente letale. Per questo mi sono unito alla sua cricca ».

Ora era tutto chiaro. Quella a cui avevamo assistito nel prato era stata soltanto una sceneggiata: il capo era James. Splendido, davvero splendido!

Laurent scuoteva il capo. Guardò perplesso Bella.

“Tutto questo per una semplice umana…davvero non capisco”

Poi si rivolse nuovamente a Carlisle:

<< Sei sicuro che ne valga la pena? >>

Il mio ruggito infuriato riempì la stanza, Bella non era una semplice umana, era molto di più. Laurent fece un passo indietro.

Carlisle guardò Laurent, severo.

« Temo che sia il momento di fare una scelta ».

Laurent capì all’istante. Rimase per qualche attimo a pensare. Scrutò i nostri volti e poi il salone luminoso.

«Sono affascinato dallo stile di vita che conducete qui. Ma non mi ci voglio immischiare. Non vi sono ostile, ma non vo­glio mettermi contro James. Penso che mi dirigerò a nord, ver­so il clan di Denali». S'interruppe qualche istante, poi riprese a parlare: « Non sottovalutate James. È dotato di un cervello bril­lante e sensi impareggiabili. Sa muoversi bene quanto voi nel mondo degli umani, e non vi attaccherà mai a testa bassa... Mi dispiace per ciò che abbiamo scatenato. Mi dispiace davvero ». Chinò il capo, ma lanciò di un'altra occhiata di sconcerto verso Bella.

« Vai in pace », fu la risposta formale di Carlisle.

Laurent si guardò un'ultima volta attorno e raggiunse svelto la porta.

Il silenzio durò meno di un secondo.

« Quanto è vicino? ». Carlisle mi  guardava.

Esme era già all'opera: con la mano sfiorò i tasti di un pan­nello segreto sul muro, e con uno stridio un'enorme paratia d'acciaio iniziò a sigillare la vetrata sul retro della casa.

« Circa cinque chilometri al di là del fiume. Ci sta girando attorno per incontrare la femmina ».

« Qual è il piano? ».

« Noi lo porteremo fuori strada, Jasper e Alice accompagne­ranno Bella a sud ».

« E poi? ».

« Non appena Bella sarà al sicuro, gli daremo la caccia » dissi con odio.

« Immagino che non ci sia altra scelta », rispose Carlisle, cupo.

Mi rivolsi a Rosalie.

« Portala di sopra e scambiatevi i vestiti », le dissi in tono pe­rentorio. Lei mi fissò irritata e incredula.

« Perché dovrei? », sibilò. « Cos'è lei per me? Nient'altro che una minaccia... un pericolo a cui tu hai deciso di esporre tutti noi >>.

« Rose... », mormorò Emmett, posandole la mano su una spalla. Lei se la scrollò via.

Ero troppo frustrato per raccogliere la sua provocazione. Non ne avevo alcuna voglia.

 Distolsi lo sguardo come se Rosalie non avesse nemmeno aperto bocca, come se non esistesse.

« Esme? », chiesi senza scompormi.

« Certo », rispose lei in un sussurro.

In un batter d'occhio Esme fu al suo fianco, la prese con facilità tra le braccia e la portò su per le scale prima ancora che potesse aprir bocca.

Non mi misi a spiare mia madre e Bella, allontanai il pensiero da loro il più possibile concentrandomi sui preparativi della partenza. Appena vidi Alice le andai vicino, facendole le dovute raccomandazioni.

<< Alice? >>

Mi guardò interrogativa.

<< Tieni Bella lontana da qualsiasi situazione pericolosa >>

“Tranquillo, è in buone mani” pensò posandomi una mano sulla spalla.

<< Ricorda che è umana… Deve cibarsi più frequentemente di noi >>

Alice annuì seria.

<< E... E non rivelarle mai…per nessun motivo, come si diventa vampiri! >>

“Ma…?”

<< Promettimelo, Alice…Ora! >>

La mia voce risuonò severa, tanto che Alice assentì con il capo, acconsentendo alla mia richiesta suo malgrado:

“Promesso”

Quando le due donne, ci raggiunsero io ed Emmett eravamo già pronti a partire. Carlisle stava porgendo un piccolo oggetto a Esme. Si voltò e ne passò uno identico ad Alice: era un microscopico telefono cellulare argentato.

«Esme e Rosalie prenderanno il tuo pick-up, Bella», disse ri­volto a lei. Annuì, scrutando Rosalie con la coda dell'occhio che fissava Carlisle, risentita.

« Alice, Jasper: prendete la Mercedes. A sud i finestrini scu­ri vi saranno necessari ».

Anche loro annuirono.

« Noi prendiamo la jeep ».

Noi eravamo la squadra dei cacciatori.

« Alice », domandò Carlisle, « abboccheranno? ».

Tutti ci voltammo verso la ragazza, che chiuse gli occhi e re­stò immobile, pietrificata.

Infine li riaprì. « Il segugio pedinerà voi tre. La donna se­guirà il pick-up. A quel punto noi dovremmo avere via libera ». Ne era convinta.

« Andiamo ». Carlisle si diresse verso la cucina.

Mi materializzai al fianco di Bella. La strinsi a me. Incurante della presenza dei miei familiari, la alzai da terra e avvicinai le labbra alle sue. Chissà quando l’avrei rivista. Poi la posai a terra accarezzandole il viso, gli occhi ardenti d’inquietudine nei suoi.

Quando mi voltai, il mio sguardo perse vita. Tutto si spense in me, tranne il desiderio di fare a pezzi James.

Non mi premette neanche il desiderio di mettermi al volante della jeep, avrei preferito anche la solitudine, ma l’emergenza non me lo permise. Vedevo il viso di Bella riflesso nelle menti di Jasper e Alice: a capo chino i capelli le coprivano il viso, quasi sentii il suo profumo di cui già soffrivo la mancanza, eppure mi accorsi di come era una maschera di acqua e sale…la mia Bella era stravolta dalle lacrime. Avrei voluto colpire il finestrino con violenza, odiavo vederla soffrire!

Guardai fuori dal finestrino cercando di calmarmi, non vedevo realmente il paesaggio che mi sfrecciava davanti. Mi concentrai sulla mente di James e di Victoria, allontanando il viso che tanto amavo: attentissimo aspettavo di appurare che cadessero nella nostra trappola. Secondo i piani, lui avrebbe seguito noi, mentre la sua compagna Rosalie ed Esme. Speravo con tutto me stesso che le cose si sarebbero svolte così. Mi premeva solo che Bella si potesse salvare, era l’unica cosa che contava!

 

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Capitolo 20
*** Pedinamenti ***


20

Pedinamenti.

Erano passate soltanto dodici ore, da quando avevo dovuto salutare Bella a malincuore, ma mi sembravano passati giorni dall’ultima volta che avevo guardato nei suoi occhi, apprezzato il suo profumo, accarezzato la sua pelle…

<< Sono ore che giriamo, senza trovare nulla…comincio a spazientirmi >>

La voce di Emmett, proveniente dal sedile posteriore, mi riscosse dalle mie riflessioni.

<< Pazienta, James non è uno stupido >> Carlisle lo rimproverò gentilmente << Dobbiamo fare la massima attenzione >>

<< Ma non stiamo ottenendo nulla! >> sbraitò Emmett << Edward, proprio non riesci a capire dove si trovi? >>

Ero, per indole, calmo e difficilmente perdevo le staffe, ma mio fratello con quella sottospecie di incoraggiamento a leggere meglio la mente di James, per poco non mi tentò a girarmi di scatto verso di lui, e colpirlo in pieno viso.

Se lui non vedeva l’ora di scovare il nostro nemico, figuriamoci come dovevo sentirmi io: ero il primo a sperare di chiudere al più presto quella squallida situazione, solo così mi sarei potuto ricongiungere con Bella.

Inizialmente il trucco aveva funzionato, James ci aveva seguito guardingo, aspettando il momento migliore per attaccare, era pienamente convinto che la jeep fosse guidata da me e il sedile del passeggero fosse occupato da Bella, mentre Victoria convinta della stessa cosa del compagno aveva pedinato il pick-up. Solo che più il tempo scorreva e più i due si insospettivano fino a capire l’imbroglio di cui erano stati vittima.

Inferocito per la soffiata, James si era intestardito ancor di più nel voler trovare la mia amata e ucciderla. Si era fatto più vigile, come riuscivo a sentire i suoi pensieri, insinuarmi senza invito nella sua testa, che già lo perdevo di vista.

Sì, Laurent non aveva esagerato nelle sue descrizioni: James non era un principiante, sapeva muoversi nel buio della notte, come nella nebbia mattutina. I suoi sensi erano davvero raffinati, e Victoria era dotata di una grande determinazione, anche ad occhi bendati avrebbe seguito e assecondato il compagno. 

<< Per favore, Emmett…sto facendo tutto il possibile! >> digrignai i denti, dalla rabbia << James è astuto, semina bene le sue tracce >>

Carlisle annuii tenendo gli occhi sulla strada, Emmett sospirando si lasciò scivolare sul sedile posteriore. Tornammo ognuno nel proprio silenzio, nell’abitacolo non v’era alcun suono, nemmeno quello dei nostri respiri…io personalmente, in ansia com’ero, mi accorsi solo in quel momento di non star respirando.

Setacciavamo ogni angolo di Forks, ma il selvaggio vampiro sembrava essersi dissolto: non poteva essere lontano, non avrebbe ancora potuto far niente per lasciare la città, me ne sarei accorto. No, dovevamo cercare meglio.

Passare davanti casa di Bella, fu un duro colpo, troppo triste era il pensiero di quelle mura senza di lei. Il letto rifatto, l’armadio vuoto, i libri sulla scrivania…l’unica cosa che potesse far sembrare ancora lì la sua figura, era il suo odore: irresistibile, indelebile e ancora fresco come se avesse lasciato la sua stanza solo da poche ore.

Notai il pick-up parcheggiato al suo solito posto, e quasi potei udirne il rumore rombante del motore, in quel momento mi mancava perfino assistere alla guida di Bella ad una lentezza ridicola…ero ridotto davvero male.

Tutte e tre ci accorgemmo di Rosalie ed Esme, acquattate sull’albero. L’espressioni erano attente e concentrate, anche se quella di Rosalie rivelava irritazione. 

“Ti troverò”

Quella voce mi fece trasalire, minacciosa e sicura, poteva appartenere ad una sola persona nel raggio di dieci kilometri: Victoria.

<< Carlisle, fermati e nasconditi >>

Mi guardò confuso, Emmett si sporse nuovamente verso di me, fiducioso:

<< E’ lui? >>

Scossi il capo, stringendo i pugni.

<< No, è Victoria >> sibilai a denti stretti.

Carlisle percorse alcuni metri, sparendo dalla visuale di casa Swan, quel tanto che poteva consentirmi di tenere sotto controllo i pensieri della vampira.

La vidi arrivare davanti l’abitazione, guardarsi attorno con circospezione, inclinò il capo da una parte vedendo che mancava l’auto della polizia. Charlie era già andato a lavoro.

“Pazienza, non è lui ad interessarmi”

<< Cosa sta facendo? >> mi chiese mio padre, leggermente in ansia.

<< Si guarda attorno…annusa l’aria…sta cercando la scia >> feci una pausa << La sua scia…quella giusta che potrebbe condurla da lei >>

<< Non troverà nulla! >> affermò Emmett,sprezzante.

Sapevo che aveva ragione, Bella doveva già essere arrivata a Phoenix da parecchio ormai, eppure trasalii e mi irrigidii sul sedile quando la vidi entrare in casa: si aggirava per il salotto soffermandosi su alcune foto che ritraevano Bella da piccola, scosse il capo disgustata da quell’usanza tipicamente umana di immortalare un momento in una fotografia. Entrò in cucina, picchiettò le dita sul tavolo con fare nervoso.

“Qui perdo solo tempo”

Salii le scale agile come un ghepardo affamato, irruppe nella sua camera e dilatò le narici: sapevo che era solo il ricordo vivido, ma anche io come lei potei sentire quella straordinaria fragranza.

<< Edward? >> mi chiamò Carlisle.

<< E’ in camera di Bella, si è seduta sul suo letto…ha preso il suo cuscino, portandoselo al naso >>

<< Povera illusa, è tutto inutile >> Emmett scosse il capo << Sta sprecando tempo >>

Le mani mi si strinsero nuovamente a pugno, mi tremarono dalla furia: non potevo sopportare Victoria, seduta sul letto di Bella.

Nella mente mi scorsero le immagini di lei stesa al mio fianco, tra le mie braccia, cullata dalla sua ninna nanna scivolare nel sonno. Non so che avrei dato per aver potuto trascorrere quell’ultima notte in quel modo, anche la mia anima se fossi stato certo di possederne ancora una.

Finalmente, abbandonò quella casa, uscendo nuovamente in strada.

<< Chiama Rosalie, dille di seguirla! >> il mio tono era severo, rivolgendomi a Carlisle << Non voglio che la perda di vista neanche un secondo >>

Mio padre annuii, estraendo dalla tasta della giacca il piccolo cellulare argentato, sempre in silenzio compose il numero.

<< Rosalie, siamo qui vicino. Scendi dalla tua postazione, e segui Victoria >>

<< Che seccatura! >> sentii la sua risposta nitida, nonostante Carlisle non avesse inserito il vivavoce.

<< Ti ho sentito >> ribadii  a mio volta, avvicinandomi al telefonino << Se preferisci resta sull’albero a sorvegliare la casa >>

La sentii borbottare qualcosa contrariata, eppure scrutando nella sua mente la vidi riferire la telefonata a mia madre e poi scendere dall’albero prima di partire spedita dietro a Victoria.

Con mia sorella alle sue calcagna ero più tranquillo, qualsiasi suo spostamento poteva essermi riferito mentre io potevo continuare la mia ricerca senza troppe distrazioni.

Continuammo ad aggirarci in tondo per Forks, ma di James non c’era ombra. Fu così che all’unanimità decidemmo di recarci appena fuori i confini nazionali.

Eravamo nei pressi di Vancouver, quando squillò il cellulare:

<< E’ Rosalie >> ci informò prima di rispondere.

La conversazione durò pochi minuti, giusto il tempo di metterci al corrente in tempo reale degli spostamenti di Victoria.

<< Dunque >> iniziò Carlisle << Rosalie l’ha seguita in aeroporto lungo le strade della periferia…ora è tornata a Forks, nella vostra scuola >>

<< Quindi, James ha preso un aereo… >> dedussi ad alta voce.

Carlisle estrasse nuovamente il cellulare, ma questa volta il numero che compose fu un altro: quello di Alice.

Ci servivano le sue doti extrasensoriali….se quel sadico aveva cambiato i suoi piani, mia sorella di certo non se l’era fatto sfuggire. Non per niente le avevo affidato la persona che mi era più cara.

Ascoltai la conversazione di mio padre con Alice, attraverso la sua mente: mi apparve la strana stanza di specchi, che Alice aveva visto in una recentissima visione, il motivo che lo aveva convinto a salire su un aereo, lo avrebbero condotto a quelle stanze. Il problema era capire dove si trovassero.

<< Carlisle…voglio parlare con Bella >> gli dissi tranquillo, anche se non lo ero per niente.

<< Alice, Bella può parlare? >>

Alice assentii, e Carlisle mi passò il telefono.

<< Pronto? >>

Fu un tuffo al cuore sentire la sua voce, se pur tramite un apparecchio elettronico.

<< Bella >>

<< Oh, Edward. Ero preoccupatissima! >>

E meno male che prima che lei partisse, mi ero raccomandato.

<< Bella », sospirai, frustrato, « ti ho detto di preoccuparti solo di te stessa ».

« Dove sei? ».

« Appena fuori Vancouver. Bella, mi dispiace: l'abbiamo perso. Si muove con prudenza, riesce sempre a starci lontano quel tanto che basta perché mi sia impossibile sentire ciò che pensa. Ma adesso è sparito... sembra che abbia preso un ae­reo. Probabilmente tornerà a Forks per ricominciare la caccia da capo ».

« Lo so. Alice l'ha visto altrove ».

« Tu però non devi preoccuparti. Non troverà niente che lo porti a te. Devi soltanto restare lì e aspettare che lo ritroviamo ».

« D'accordo. Esme è da Charlie? ».

« Sì. La femmina è tornata in città. È passata da casa tua, ma Charlie era al lavoro. Non gli si è avvicinata, perciò non preoc­cuparti. È al sicuro, guardato a vista da Esme e Rosalie ».

« E lei cosa fa? ».

« Probabilmente sta cercando la scia giusta. Stanotte ha bat­tuto la città intera. Rosalie l'ha seguita in aeroporto, lungo le strade della periferia, a scuola... Sta scavando, Bella, ma non troverà niente ».

« E tu sei certo che Charlie sia al sicuro? ».

« Sì, Esme non lo perde di vista. E presto la raggiungeremo anche noi. Se il segugio si avvicina a Forks, lo prenderemo ».

« Mi manchi », sussurrò, d’improvviso.

Che pena sentire quelle parole, mi ricordavano il senso di vuoto che mi aleggiava intorno.

« Lo so, Bella. Credimi, lo so. È come se ti fossi portata via metà di me stesso ».

« E allora vieni a riprendertela ».

Era un invito allettante, e che desiderio irrefrenabile di mollare tutto e correre da lei. Ma non potevo farlo!

« Presto, il più presto possibile. Prima ti salverò ».

« Ti amo ».

Fu strano sentirle pronunciare quelle due semplici paroline: la gioia sembrò riscaldarmi fin dentro le ossa, ma era oscurata da un barlume di tristezza, dovuta a quella lontananza forzata.

« Ci credi se ti dico che, malgrado tutto quello che ti sto fa­cendo subire, ti amo anch'io? ».

« Sì, certo che sì ».

« Verrò a prenderti presto ».

« Ti aspetto ».

Riattaccai e ripassai il telefono a Carlisle, evitai di incontrare i suoi occhi. Mi conosceva troppo bene ormai, dopo quasi un secolo di convivenza, sapevo che vi avrebbe letto la pena che stavo provando. Il mio cambiamento, negli ultimi mesi, non era stato ignorato da nessuno. Non volevo che si accorgesse di quanto soffrivo in quel momento, di quanto la tensione e la mancanza di Bella, mi stessero trascinando con prepotenza in quell’abisso che avevo abitato per troppo a lungo.

<< Dunque? >> chiese Emmett, sempre più scalpitante d’impazienza.

Carlisle mi guardò, chiusi gli occhi cercando di allontanare il velo di tormento che mi adombrava le iridi.

Risollevai le palpebre, dopo qualche decimo di secondo, certo che l’unica cosa che si potesse evincere dalla mia espressione era la fierezza.

<< Torniamo a Forks! >> annunciai, deciso.

 

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Capitolo 21
*** Attesa ***


21

Attesa.

Avevo deciso di tornare a Forks e continuare a pattugliare la città: ogni angolo, ogni insignificante via, ogni edificio doveva essere sotto il mio controllo. Quando James sarebbe tornato dovevo saperlo, mi era sfuggito già una volta non avrei permesso che riaccadesse.

Erano passati due giorni dalla partenza di Bella e la vita scorreva tranquilla in città: le strade erano affollate, la quotidianità non era stata allontanata dalla vita della maggior parte dei cittadini di Forks. Si continuava ad andare a lavorare, casalinghe facevano la spesa, i passanti si sorridevano quando tra loro si riconoscevano…e alla Fork’s high school si tenevano le lezioni come sempre.

Passandoci davanti, catturai senza farlo apposta, i pensieri di quelli che erano i miei compagni di scuola, tra cui quel  fastidiosissimo di Newton, che non aveva perso occasione di domandarsi perché Bella non fosse andata a scuola negli ultimi due giorni.

Mancavano poche ore che l’alba di un nuovo mattino sopraggiungesse; ancora sulla jeep, ancora in cerca di qualcuno che non si faceva trovare, ancora determinati a porre fine a quella storia, continuavamo la nostra perlustrazione.

Il vuoto e l’angoscia continuavano a danzare intorno in me, osservavo con occhi assenti il vento muovere le foglie sui rami degli alberi, scoprendomi estremamente malinconico.

Il vento cominciò a fischiare ed io sentii una voce chiamarmi per nome, era la sua voce. Sul finestrino comparvero le prime gocce di pioggia, che pian piano si intensificarono disegnando linee astratte sul vetro, e mi apparvero le lacrime che segnavano il viso sbagliato, quello di Bella.

Non avevo mai sentito così intensamente la mancanza di nessuno, tanto da sentire e vedere il suo volto in ogni dove: e che tormento dover ammettere che era impossibile. Bella era dall’altra parte del continente.

Mi guardai le mani, e le trovai così vuote ed inutili: dovevo proteggerla, assicurarmi che non corresse alcun rischio…e non ne ero stato capace.

Gli occhi mi caddero sull’orologio digitale sul cruscotto: erano le due e un quarto; il tempo non era mai scorso così lentamente.

Tornai a posare lo sguardo fuori dal finestrino quando il telefono di Carlisle suonò. Mi girai verso di lui ed incontrai i suoi occhi sorpresi quanto i miei.

“Cosa sarà successo?”

Sia io che i miei familiari temevamo che fosse accaduto qualcosa di grave, ci preoccupammo indistintamente da chi ci avesse chiamati: se Esme o Alice, in entrambi i casi vi era qualcosa di nuovo che avrebbe messo ancor di più Bella in pericolo.

<< Alice? >> disse mio padre al telefono.

Eppure dentro me avevo covato la speranza che l’emittente fosse mia madre, strinsi i pugni in preda al panico. Chiusi gli occhi e ascoltai la loro conversazione:

“James si è recato a casa di Bella a Phoenix”

<< Ne sei sicura? >> chiese Carlisle.

Emmett intanto attendeva stranamente paziente che la telefonata volgesse al termine.

“Sì, è stata Bella stessa a riconoscere il salotto”

Non  poteva restare in Arizona, James le era troppo vicino…bastava la minima fatalità e avrebbe scoperto in che albergo alloggiasse.

<< Passami il telefono! >> dissi rivolto a Carlisle.

Di solito non mi rivolgevo in modo così autoritario con lui, ma in quel momento ero incapace di trattenermi.

Carlisle me lo diede in silenzio, nei suoi occhi non v’era alcuna traccia di rimprovero.

<< Alice? >> la chiamai.

<< Dimmi tutto! >>

Era pronta ad assecondare qualsiasi mia richiesta: ero io a prendere le decisioni.

<< Dì a Bella di fare i bagagli, prendo il primo aereo per Phoenix >>

“James è Phoenix?” si chiese Emmett, ma io lo ignorai.

<< D’accordo >>

<< Io, Carlisle  ed Emmett la porteremo lontano da lui…tu e Jasper… >>

<< Resteremo e sorveglieremo la casa>> mi anticipò lei, intuitiva come sempre.

<< Ti chiameremo appena sappiamo che aereo prendere, ci troveremo all’aeroporto >> attaccai senza aver bisogno di salutare.

Senza dover parlare, Carlisle imboccò la strada per Seattle, io composi un altro numero: fu sufficiente un solo squillo per sentire la voce di Rosalie all’altro capo del filo.

<< Rosalie, noi stiamo andando a Phoenix perché è lì che James è andato >>

Attesi che Rosalie dicesse qualcosa, ma restò in silenzio così proseguii.

<< Tu ed Esme, continuate a sorvegliare Charlie…Victoria credo resterà qui >>

<< Va bene >> colsi il suo tono tra il rassegnato ed il contrariato.

Attaccai e restituii il cellulare a mio padre, che lo rimise in tasca senza fiatare.

<< E cosa facciamo appena arriviamo a Phoenix? >> chiese Emmett trepidante.

<< Prendiamo Bella e la portiamo al sicuro >> dissi lesto, perentorio.

<< Senza combattere? Quand’è che daremo a James ciò che si merita? >>

<< Prima devo portare Bella lontano da lui… al resto penseremo dopo >>

“Peccato, avevo proprio voglia di fare un po’ di movimento” si lamentò Emmett.

Non risposi a quel pensiero, avevo in testa solo una cosa: poche ore e avrei potuto riabbracciare Bella.

Lasciammo la jeep nel parcheggio dell’aeroporto di Seattle, entrammo e ci dirigemmo allo sportello delle informazioni.

L’hostess di terra ci guardò allibita, sgranò gli occhi più volte prima di balbettare:

<< Come posso aiutarvi? >>

“Non ho mai visto nessuno tanto bello, come loro”

Sorvolai quel pensiero e in un fiato dissi:

<< Quando c’è il primo volo per Phoenix? >>

La ragazza indugiò qualche secondo sul mio viso, prima di scuotere il capo arrossendo.

“E’ incredibile tanta perfezione”

Portò lo sguardo al computer, batté le dita sulla tastiera ma sbagliò più di una volta, la sua mano tremava; cominciavo a spazientirmi, quanto ci voleva per scrivere un nome?

<< Alle cinque e quarantacinque… sarete a Phoenix per le nove e quarantacinque >>

<< Prendiamo tre biglietti, grazie  >> disse mio padre, anticipandomi, certamente più tranquillo di me.

Passarono altri cinque minuti buoni, prima che l’inserviente riuscisse a stamparli. Incredibile come la nostra vista l’avesse stravolta!

Mancavano ancora due ore buone all’imbarco, senza fretta ci dirigemmo al check-in quasi vuoto, c’erano pochi altri passeggeri per quel volo. Dopotutto stavamo partendo ad un orario assurdo.

Passammo i metal detector senza problemi, e ci sedemmo in sala d’attesa nell’attesa d’imbarcarci.

Tutto era così lento e soporifero, la quiete che ci circondava contrastava con la nostra ansia. Riuscii a restare seduto solo per un quarto d’ora, dopodiché cominciai a camminare avanti ed indietro, soffermandomi ogni tanto sull’orologio del monitor che segnalava la destinazione ed il numero del nostro volo.

Alle cinque e un quarto, chiamarono il nostro volo e vidi Carlisle prendere il telefono: stava avvertendo Alice che stavamo per imbarcarci.

Solo quattro ore e finalmente avrei rivisto Bella: per tutta la durata del volo tenni gli occhi chiusi, abbandonandomi e lasciandomi trasportare dai ricordi che presto avrebbero ripreso vita in una nuova concretezza.

 

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Capitolo 22
*** Il salvataggio ***


22

Il salvataggio.

Atterrammo a Phoenix con quindici minuti d’anticipo, non avendo bagaglio a mano ci dirigemmo direttamente all’uscita a passo veloce. Che voglia irrefrenabile di mettermi a correre, pochi passi e avrei potuto- finalmente- accarezzare il viso di Bella.

Percorremmo un ultimo corridoio, prima di sbucare al terminal quattro: caotico come poche cose, nemmeno la mensa scolastica l’avevo mai trovata tanto rumorosa.

Ascoltavo a malapena tutte quelle menti: speranze di fare un buon viaggio, domande su cosa si troverà a destinazione, e poi tanta gioia di rivedere qualcuno. In quella potevo facilmente identificarmi.

Cercai di spingere via, lontano da me, quei pensieri futili e che mi erano estranei, cercando di scovare quelli dei miei fratelli,ma quando ci riuscii, notando l’agitazione che provavano, ero davanti a loro…ed erano soli.

Non capii, se fossi stato umano probabilmente sarei crollato svenuto, sentii mancarmi sotto i piedi il pavimento.

Mi avvicinai a grandi passi, evitando la gente che avevo davanti, e presa Alice per le spalle la strattonai.

<< Dov’è? Dov’è? >> ero fuori di me.

Alice mi guardò, un’ombra di desolazione sulle iridi, scosse il capo senza poter dire nulla. Lasciai ricadere le braccia lungo i fianchi…sconfitto, amareggiato, deluso ma sopratutto preoccupato.

<< Com’è potuto succedere? >> chiesi, lasciandomi scivolare su una sedia vicino, la testa tra le mani.

Mi attorniarono tutti, ma nessuno aveva il coraggio di parlare: erano scossi quanto me, sprovvisti delle parole adatte alla situazione. Ma non potevano essercene, non in quel momento.

Analizzai la mente di Alice, scavai nei suoi ricordi ma quelli che condivideva con Bella si interrompevano nel punto esatto in cui ero seduto, così mi accinsi ad entrare nella testa di Jasper e trovai la risposta alle mie domande: la vidi chiedere di essere accompagnata da Jasper a fare colazione,  scartò i primi bar, infine fece intendere a mio fratello di dover andare al bagno…il tempo passava ma Bella non usciva, quando io e gli altri atterrammo, lui aveva appena raggiunto Alice al terminal.

<< Maledizione >> imprecai, alzandomi di slancio.

Correndo ripercorsi l’itinerario che avevo appena visto, mi fiondai nel bagno in cui era entrata non molto prima Bella, e mi accorsi che aveva due uscite, infilai la seconda e mi ritrovai fuori dall’aeroporto. Il suo odore era così fresco da far male non solo alla gola, qualcosa sembrò serrarmi il cuore spento in una morsa di ferro.  Feci solo qualche passo, alla fine del marciapiede era scomparso…rimaneva solo quello più sgradevole dello smog.

Tornai dai miei familiari, desolato a testa china, non riuscii a guadare nessuno di loro. Non era stata colpa di Alice o Jasper…la colpa era mia, totalmente mia.

“Ora capisco…

Portai lo sguardo su mia sorella Alice, confuso. La vidi cercare qualcosa nella borsa, dalla quale estrasse una busta.

“Questa credo sia per te” pensò porgendomela.

La presi sempre più sconcertato, l’aprii e con la fronte aggrottata cominciai a leggere:

 Edward,

  ti amo. Mi dispiace tanto. Ha preso mia madre, devo provarci. So che potrebbe non funzionare. Mi dispiace, mi dispiace tanto.

  Non prendertela con Alice e Jasper. Se riuscirò a scappa­re da loro sarà un miracolo. Per favore, ringraziali da parte mia.      Soprattutto Alice.

 E per favore, per favore, non venire a cercarlo. Credo sia proprio ciò che vuole. Non posso sopportare che qualcun altro   si faccia del male per colpa mia, soprattutto se quel qualcuno sei tu. Ti prego, questa è l'unica cosa che ti chie­do. Falla per me.

Ti amo. Perdonami.

Bella.

<< E’ andata da James!! >> quasi urlai.

“Non ci posso credere…di sua spontanea volontà!”pensò Alice.

Tutti mi guardavano incerti, confusi. Li misi al corrente di cosa diceva la lettera:

<< Dice che ha preso sua madre…dobbiamo muoverci, prima che sia troppo tardi >>

In preda al terrore, mi diressi insieme alla mia famiglia, al di fuori dell’aeroporto: non avevamo scelta, dovevamo rubare un’auto.

Presi posto al volante, ed in un secondo sfrecciai verso il centro di Phoenix.

<< Alice, sei in grado di guidarmi? >> le chiesi senza distogliere gli occhi dalla strada.

“Certo”

E cominciò ad indicarmi che strada prendere senza aver bisogno di parlare. Guidavo con foga, non staccavo il piede dall’acceleratore, ignorai tutti i semafori rossi: dopotutto ero al volante di un’auto rubata, poco importava del resto.

Sentivo sempre di più crescere dentro me l’ansia: se solo mi avesse aspettato, maledizione!

Non avrei potuto tollerare di dover assistere alla sua…sua…non riuscivo neanche a pensare quella parola. Ma se così fosse successo, se era davvero troppo tardi…che senso avrebbe avuto per me questo mondo?

Senza di lei, tutto si sarebbe spento, avrebbe perso colore, senza Bella che lo abitava non aveva senso continuare a viverci.

C’era un solo modo per uccidere un vampiro, che escludeva la possibilità di compiere un suicidio…avrei potuto recarmi in Italia, e affidare questo compito ai Volturi- la famiglia reale, custode del nostro segreto- avrei dovuto solo scatenare in loro la rabbia più nera, ma quello non sarebbe stato un problema.

Sperai con tutto me stesso di non dover mettere davvero in pratica quell’eventualità, Bella non poteva essere veramente andata incontro alla morte.

Inchiodai davanti l’edificio che Alice mi indicò come la scuola di danza: ecco da dove proveniva la visione della stanza degli specchi…una scuola da ballo.

Mi catapultai fuori dalla macchina e irruppi all’interno, seguito dalla mia famiglia. Già all’interno dell’atrio silenzioso riuscii a sentire il suo profumo, ancora più intenso del solito. Lo seguii con le narici dilatate e capii il motivo di quell’intensità: Bella giaceva stesa a terra, il sangue aveva impregnato il pavimento, riverso su lei c’era James.

Serrai la mascella, ed emisi il ringhio più terrificante di cui fui capace. Con un slancio felino mi fiondai su di lui, lo afferrai per la spalle scaraventa dolo il più lontano da lei.

Lo vidi sbattere contro uno specchio che andò in frantumi, acquattandomi in posizione di difesa davanti il corpo inerte di Bella, incontrai i suoi occhi carichi di sfida.

<< Sapevo che saresti venuto >> sghignazzò lui.

Ringhiai ancora più ferocemente di prima, che voglia di farlo a pezzi: mi preparai all’attacco ma qualcuno mi sfiorò una spalla. Mi girai contrariato e vidi mio padre chinato su Bella.

<< No…devi pensare a Bella >>

Posai un attimo lo sguardo su di lei, poi tornai ad osservare James ma Emmett, già alle sue spalle, lo aveva bloccato in una presa d’acciaio. Jasper partì all’attacco: desideravo combattere con James, era compito mio,ma dovevo fare qualcosa di più urgente ed importante.

Voltai le spalle al combattimento, e affiancai Carlisle: Bella era priva di sensi, aveva perso parecchio sangue, le sfiorai la fronte con un dito freddo, ma lei non reagì. Non sentivo battere il suo cuore.      

 

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Capitolo 23
*** Sollievo ***


23

Sollievo.

 

Seduto di fronte a Bella, sentivo il rumore del combattimento che si stava svolgendo alle mie spalle: i ringhi feroci dei miei fratelli e di James. Nella mente di quel sanguinario, nonostante si trovasse di fronte la sconfitta, regnava ancora la fierezza, non c’era traccia di paura, era riuscito a farci cadere nella sua imboscata, aveva ridotto male Bella e scatenato la mia furia.

Non gli importava l’esito dello scontro conclusivo, ma il fatto che aveva partecipato alla caccia più eccitante di tutta la sua vita…se ne andava felice ed appagato!

La sua arroganza mi nauseava, quasi mi alzai in piedi e dargli io stesso il colpo di grazia: ma Jasper fu più veloce e in attimo gli staccò la testa: James, qualunque sorte gli fosse toccata, aveva abbandonato per sempre lo scenario di questo mondo.

Sentii il corpo del vampiro andare in frantumi, subito dopo Emmett e Jasper prepararono un falò per bruciarne i resti. Le fiamme consumavano ciò che restava di James, ma non potei tirare un sospiro di sollievo: Bella non accennava ad aprire gli occhi, non reagiva alla mia voce, ai ringhi soffocati che la rabbia mi costringeva ad emettere.

“Andiamocene, abbiamo fatto il nostro dovere”

Il pensiero di Emmett mi fece rialzare lo sguardo verso di loro, li vidi uscire di tutta corsa. Restammo solo io, Carlisle ed Alice. 

Mia sorella mi affiancò, nella disperazione in cui annegavo in quel momento, non potei dire con esattezza se mi sfiorò con mano tremante la spalla.

“Edward…”

Mi chiamò senza parlare ad alta voce, non le badai, continuai ad accarezzare il viso di Bella con le mani fredde,capace solo di poter scongiurare di non abbandonarmi.

“Edward” riprese Alice “Non so come diterlo…l’ho vista…fredda ed immobile!”

Quelle parole ebbero lo stesso effetto efficace dell’elettroshock…mi riscossi e riuscii a parlare.

«Oh no, Bella, no!» gridai in preda al panico.

No, non poteva essere vero. Non poteva finire così, non poteva essere morta.

Non smisi di chiamarla, di pregare, non mi sarei mai arreso a quella possibilità:

«Bella, ti prego! Bella, ascoltami, ti prego. Ti prego, Bella, ti prego!».

Senza staccare gli occhi da lei, chiamai mio padre:

«Carlisle!» la mia voce era incrinata dalla disperazione . «Bella, Bella, no! Oh ti prego, no, no!».

Per quanti sforzi potessi fare, Bella non tornava da me…cominciai a gemere, soprafatto dal dolore, ma incapace di piangere.

Carlisle le tamponò la ferita alla testa, da dove usciva il flusso maggiore di sangue, ed improvvisamente Bella gridò di dolore. Ma quel grido disperato fu musica per le mie orecchie.

«Bella!»,esclamai, mentre una nuova speranza si faceva largo nel mio cuore.

«Ha perso sangue, ma la ferita alla testa non è profonda» spiegò mio padre. «Attento alla gamba, è rotta».

Urlai di rabbia nel sentirlo: a James non era bastato farle perdere molto sangue, pure le ossa si era divertito a romperle!

Carlisle le tastò delicatamente l’addome:

«Anche qualche costola, credo», appurò, senza scomporsi.

E fu in quel preciso momento, che Bella biascicò qualcosa che assomigliava al mio nome.

«Bella, andrà tutto bene. Mi senti, Bella? Ti amo» cercai di rassicurarla, sperando che potesse sentirmi.

«Edward» disse di nuovo, con voce più chiara.

<< Sì, sono qui».

«Fa male».

Che rabbia sentirle pronunciare quelle parole: dolore, l’unica cosa che mi ero ripromesso di non farle sentire mai.

«Lo so, Bella, lo so». poi mi rivolsi a Carlisle, allontanandomi leggermente da lei  «Non puoi farci niente?».

«La valigetta, per favore... Trattieni il respiro, Alice, sarà meglio», le consigliò Carlisle.

«Alice?>> la chiamò Bella, confusa.

«È qui, sapeva dove ti avremmo trovata».

«Mi fa male la mano», si lamentò flebilmente.

«Lo so, Bella. Carlisle ti darà qualcosa per calmare il dolo­re», cercai di calmarla.

«La mano sta andando a fuoco!», urlò, sbattendo gli occhi finalmente, che le si riempirono di lacrime.

«Bella?» la chiamai allarmato. Perché piangeva?!

«Il fuoco! Qualcuno spenga il fuoco!», gridava in preda al dolore.

Solo a quel punto mi resi conto della ferita sulla sua mano.

«Carlisle! La mano!» urlai divorato dalla paura.

«L'ha morsa» osservò Carlisle, allibito.

Vinto dal terrore, smisi perfino di respirare: non potevo accelerare la sua trasformazione.

«Edward, devi farlo».mi disse Alice, vicino la testa di Bella.

«No!» risposi deciso.

«Alice» la chiamò flebilmente Bella.

«Potrebbe esserci ancora una possibilità», disse Carlisle.

«Quale?» lo implorai. Avrei fatto qualunque cosa.

«Prova a succhiarle il veleno. Il taglio è piuttosto pulito».

«Funzionerà?», chiese Alice nervosamente.

«Non lo so», disse Carlisle. «Ma dobbiamo sbrigarci».

Succhiarle via il veleno, bere il suo sangue…e se l’avessi uccisa?

«Carlisle, io... non so se ce la faccio» la mia voce rotta dall’angoscia.

«La decisione spetta a te. Non posso aiutarti. Se tu succhierai il sangue dalla mano, io dovrò fare in modo che smetta di sanguinare qui, dalla testa».

Bella si dimenava per il dolore, avrei potuto davvero alleviare le sua pene?!

«Edward!», gridò, con gli occhi nuovamente chiusi.

Ma riuscii a riaprili, ed finalmente potei guardare nei suoi senza veli: ero terrorizzato ma anche addolorato, disponevo della forza necessaria per poter fare ciò che Carlisle mi aveva suggerito? L’alternativa sarebbe stata quella di lasciare che il veleno si diffondesse nelle sue vene. Sapevo cosa volevo, ma non come riuscire a metterlo in pratica.

«Alice, portami qualcosa per tenerle la gamba ferma!».ordinò Carlisle, piegato sulla sua testa . «Edward, devi farlo subito, o sarà troppo tardi».

Dovevo farlo, per quanto duro potesse essere dovevo riuscire a salvarla: volevo rivedere il suo sangue scorrerle nelle guancie, sentire il suo cuore battere forte, perdermi nelle sue iridi color cioccolato.

Strinsi i denti e le immobilizzai la mano con le dita. Mi chinai, e avvicinai le labbra alla sua carne, infine affondai i canini.

Mai in tutta la mia esistenza, avevo assaggiato niente di più buono. L’odore non rendeva giustizia al sapore, staccare le labbra, privarsi di quella prelibatezza sarebbe stato un dolore fisico.

Mi accorsi a  malapena dei movimenti bruschi di Bella nel vano tentativo di liberare la mano, la voce di Alice che le parlava –nonostante il finissimo udito di cui ero dotato- mi giunse alle orecchie sottile.

Ero stordito, inebriato nel profondo da tanta bontà, ma poi la ragione prevalse sugli istinti… la paura di poterle infliggere io la morte cominciò ad affiorare.

Il suo sangue era qualcosa di eccezionale, ma Bella in sé lo era di più…una volta dissanguata quell’eccitazione sarebbe finita e mi sarebbe rimasto solo il dolore: acuto, indissolubile!

 Mi accorsi della morfina e capii che il veleno era completamente svanito, non ve n’era più traccia. Allentai la presa, lasciandole libera la mano.

«Edward» mi chiamò.

«È qui, Bella» rispose Carlisle per me. Dovevo ancora riprendermi del tutto.

«Resta, Edward, resta con me...».

«Sì, resto» ero esausto, ma felice: l’avevo salvata! L’amavo più del suo sangue e niente avrebbe potuto farmi sentire meglio.

«È uscito tutto?», mi chiese Carlisle,

«Il sangue mi sembra pulito», risposi convinto «Sentivo il sapore della morfina».

«Bella?», disse Carlisle.

«Mmm» mugugnò Bella.

«Il fuoco è spento?».

«Sì», sussurrò. «Grazie, Edward».

«Ti amo» ed era vero.

«Lo so», disse afona.

Mi lasciai andare ad una leggera risata: stanco ma sollevato.

«Bella?», chiamò di nuovo Carlisle.

«Cosa c'è?» era esausta.

«Dov'è tua madre?».

«In Florida», mormorò senza voce. «Mi ha imbrogliata, Edward. Ha guardato le nostre cassette».

Non mi concentrai molto su ciò che stava dicendo: era fuori pericolo, non importava nient’altro.

«Alice», disse  cercando di riaprire gli occhi, «Alice, il video... Ti co­nosceva, Alice, sapeva da dove vieni» la sua voce era sempre più debole. «Sento puzza di benzina», aggiunse, sembrandomi stupita.

«Possiamo portarla via», disse Carlisle.

«No, voglio dormire»,si lamentò.

«Puoi dormire, cara, ti porto io», dissi  tranquillizzandola.

La presi tra le braccia, facendole posare il capo sul petto, e cominciai a camminare.

«Adesso dormi, Bella», le sussurrai in  orecchio.

Stavo per uscire da quel luogo maledetto, quando Alice catturò la mia attenzione:

<< E questa? >> chiese guardando me e Carlisle stupita, tra le mani aveva una telecamera.

L’aprii e vi trovò un nastro: restammo sempre più sorpresi.

<< Prendila, più tardi scopriremo cos’è >>

La prima cosa di cui ci occupammo fu bruciare l’edificio ed eliminare le nostre tracce, poi ci recammo in ospedale dove ricoverarono Bella e chiamammo i suoi genitori.

La versione migliore che riuscimmo a trovare fu quella che io, accompagnato da mio padre e mia sorella, mi ero recato a Phoenix sperando di convincere Bella a tornare a Forks, accettato il mio invito all’albergo dove alloggiavo, nel salire le scale per arrivare nella mia stanza, mise un piede in fallo e volò da una finestra…l’effetto fu quello sperato. Sia Charlie che Renée credettero alla nostra versione. Sua madre si mise immediatamente in viaggio.

In ultimo ci recammo in albergo per procurarci le prove, forse esagerammo un pochino, ma tutto fu molto realistico.

Prendemmo una stanza e avviammo il nastro che la telecamera conteneva: riuscire a tenere gli occhi sullo schermo fu una vera impresa, strinsi i pugni nel vedere Bella divorata dal panico, ma fu ancora più difficile ascoltare la loro conversazione:

«...gradirei solo dilungarmi un momento per ficcarti bene una cosa in testa. La soluzione per voi era a portata di mano, e temevo proprio che Edward la intuisse e mi rovinasse il diver­timento. È successo una volta sola... una vita fa. L'unica occa­sione in cui una preda mi sia sfuggita.

Vedi, il vampiro che si era stupidamente preso una cotta per la mia piccola vittima prese la decisione che il tuo Edward non ha avuto il coraggio di prendere. Quando il vecchio capi che stavo importunando la sua amichetta, la rapì dal manicomio dove lui lavorava - non capirò mai l'ossessione di certi vampiri per voialtri umani - e subito dopo la salvò. La poveretta non diede mostra di sentire nemmeno il dolore. Era rimasta troppo a lungo chiusa in quel buco nero di cella. Cento anni prima l'a­vrebbero bruciata su un rogo, per colpa delle sue visioni. Inve­ce erano gli anni Venti del ventesimo secolo, perciò le toccaro­no il manicomio e l'elettroshock. Quando riaprì gli occhi, for­te della gioventù riconquistata, era come se non avesse mai vi­sto il sole prima di allora. Il vampiro anziano l'aveva trasfor­mata in una giovane e valente vampira, e a quel punto non ave­vo più motivo di importunarla». Fece un sospiro. «Per vendi­carmi, distrussi il vecchio».

<< Alice», disse Bella stupita, con un filo di voce.

«Sì, la tua amica. È stata una bella sorpresa ritrovarla nel campo dove ci siamo incontrati. Così ho pensato che la sua congrega avrebbe potuto imparare qualcosa da tutto questo. Io prendo te, loro si tengono lei. L'unica vittima che mi sia mai sfuggita, un bell'onore. E il suo odore era così delizioso. Rimpiango ancora di non averla assaggiata... Il suo profumo era anche meglio del tuo. Scusa, senza offesa. Tu sai di buono. Di fiori, direi...»

James si avvicinò a Bella, le prese una ciocca di capelli e se la portò al naso, a quel punto decisi di interrompere la registrazione.

Guardai mia sorella seduta sul divano, gli occhi persi nel vuoto, Carlisle sedutole vicino le prese una mano ma lei non reagì.

Era una storia assurda, Alice era venuta a conoscenza del suo passato nel modo più orribile possibile.

Senza dire nulla, né pensare qualcosa di coerente si alzò, liberandosi dalla stretta di Carlisle e si rifugiò nell’altra stanza.

Io e mio padre ci guardammo preoccupati:

<< Riuscirà a superarla? >> mi chiese ad alta voce.

<< Credo di sì…è abbastanza tenace da superare qualsiasi ostacolo. >> risposi dopo averci pensato un attimo.

Mio padre non aggiunse nulla, così mi avvicinai alla porta.

<< Vai da Bella? >>

<< Sì, l’ho lasciata già troppo tempo da sola…non voglio allontanarmi da lei >>

<< Ti accompagno,mi sembra carino conoscere la madre di Bella >>

Quando arrivammo in ospedale, e bussammo alla porta della stanza di Bella, Renée era già arrivata, nel vederci si alzò venendoci incontro.

Facemmo le dovute presentazioni, ma il mio sguardo insistente su Bella, le fece intendere che non ero molto aperto al dialogo in quel momento.

Così, leggendo nei suoi pensieri che avremmo avuto modo di parlare più tardi o magari il giorno seguente, propose un caffè a Carlisle e mi lasciarono da solo con lei.

Mi avvicinai al letto, le sfiorai una mano con un dito e chinandomi su di lei le dissi in un sussurro:

<< Mi dispiace >>

 

 

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Capitolo 24
*** Testardaggine ***


24

Testardaggine.

A causa della notevole quantità di sangue persa, fecero delle trasfusioni a Bella, me ne accorsi dal suo piacevolissimo profumo momentaneamente alterato; storsi la bocca contrariato.

Mi rifiutavo categoricamente di muovermi da quella stanza d’ospedale,nonostante gli innumerevoli incoraggiamenti di Reneè e Carlisle.

Reneè mi guardava di sottecchi incuriosita, scrutava il mio volto apparentemente indifferente ma la sua mente rivelava il suo sbalordimento riguardo le mie fattezze fisiche: dovevo rassegnarmi al fatto che il sesso opposto mi trovasse attraente.

Sospirando girò il capo verso di me, accennò un sorriso.

<< Sono giorni che resti qui, seduto su quella poltrona che è tutto fuorché comoda >> fece una pausa deglutendo << Perché non torni in albergo a riposarti un poco, ci sono io qui con Bella >>

Incontrai i suoi occhi e per la prima volta notai una leggera somiglianza con la figlia, ma non  ero d’accordo con quello che mi aveva detto tempo addietro Bella: Reneè non era assolutamente più carina di lei.

<< Se non le dispiace vorrei restare qui >>

<< Ma certo… >> disse assentendo con il capo.

“Però che resistenza fisica”

I pensieri di Reneè erano in subbuglio, voleva farmi molte domande ma non sembrava trovare il modo adatto per pormele.

<< La turba qualcosa? >> azzardai, fingendo di aver letto la sua indecisione sul volto.

<< Niente in particolare, ora che so che Bella è fuori pericolo e per questo vi sono molto riconoscente >>

<< Dovere >> risposi, asciutto e sincero.

Si mordicchiò il labbro inferiore, incerta se formulare ad alta voce la domanda predominante nei suoi pensieri.

Alla fine la sua curiosità ebbe la meglio:

<< Tieni molto a mia figlia, vero?! >>

Sospirai spostando lo sguardo su Bella, ancora profondamente addormentata.

<< Molto >>

<< Si vede…anche dal fatto che non ti allontani mai >> c’era una velata nota di preoccupazione nella sua voce.

“Credo proprio che sia innamorato di lei”

Trattenni la voglia di lasciar fiorire sulle mie labbra un sorriso nell’ascoltare quel pensiero. Reneè ci aveva visto giusto, il che la rendeva una persona piuttosto sensibile.

Lanciai un’occhiata all’orologio affisso alla parete, che segnalava le due passate.

<< Perché non va a mangiare qualcosa? >> la invitai gentile.

<< Tanto resti tu qui, no?! >> disse anticipandomi, sorrise comprensiva.

Assentii facendo un mezzo sorriso a mia volta.

<< D’accordo…non ci metterò molto >>

Si chinò a sfiorare la fronte della figlia con le labbra, prima di uscire.

Rimasto nuovamente solo con lei, mi sedetti sulla sedia di plastica accanto al letto, appoggiando il mento sul cuscino: ispirai dal naso il suo profumo nuovamente squisito.

Erano quattro giorni che Bella dormiva, la causa sicuramente erano i sedativi che le avevano somministrato.

Passarono solo pochi minuti prima che Bella riuscisse, finalmente, a riaprire gli occhi. Sbatté più volte le palpebre cercando di adattare gli occhi alla luce abbagliante del neon.

Poi si accorse del tubicino che aveva ben ancorato al naso e cercò di strapparselo. 

« Ferma lì » le ordinai, bloccandole la mano.

« Edward? » mi chiamò confusa. Si voltò leggermente verso di me e potei incontrare i suoi occhi. «Oh, Edward, mi dispiace tanto!».

«  Sssh... adesso è tutto a posto »

« Cos'è successo? »

Fu dura ripercorrere con la mente gli ultimi istanti di lucidità di Bella:

« Era quasi troppo tardi. Stavo per arrivare troppo tardi » sussurrai, stravolto. Pronunciare quelle parole ad alta voce fu un’impresa.

« Sono stata una stupida, Edward. Pensavo avesse preso mia madre ».

« Ci ha imbrogliati tutti ».

« Devo chiamare Charlie e la mamma »

« Li ha chiamati Alice. Renée è qui... be', è in ospedale. È andata proprio ora a mangiare qualcosa ».

« Qui? ».

Tentò di sedersi, ma glielo impedii, la presi per le spalle e delicatamente la feci scivolare sul cuscino.

« Tornerà presto, stai tranquilla. Non muoverti ».

« Ma cosa le avete detto? », chiese, nel panico. « Che cosa le avete raccontato? ».

« Che sei caduta da due rampe di scale e hai sfondato una fi­nestra. Devi ammettere che ne saresti capace ».

Fece un sospiro, e poi si accorse del gesso alla gamba.

« Quanto male mi sono fatta? ».

« Hai una gamba rotta, quattro costole incrinate, un trauma cranico, ferite superficiali e contusioni dappertutto, e hai perso molto sangue. Ti hanno fatto qualche trasfusione. Non ho gra­dito, per un po' hanno alterato il tuo odore ».

« Dev'essere stato un bel fuori programma, per te ».

« No, il tuo odore mi piace ».

« Come hai fatto? », chiese a mezza voce.

Sapevo a cosa si riferiva: quale forza era stata in grado di atterrarmi ed impedirmi di compire il più insano tra i gesti?

« Non lo so nemmeno io ».

Distolsi lo sguardo, presi la sua mano fasciata dal letto e la strinsi con dolcezza attento a non stacca­re uno dei fili che la collegavano ai monitor.

Attese con pazienza la spiegazione.

Sospirai, senza tornare ai suoi occhi.

« Era impossibile... trat­tenersi », mormorai frustrato. «Impossibile. Ma ce l'ho fatta».

Alzai lo sguardo, accennando un sorriso:

« È evidente che ti amo ».

« Il sapore non è buono come il profumo?  », rispose, sorri­dendo.

« È anche meglio, meglio di quanto immaginassi ».

« Scusa »

Alzai gli occhi al soffitto:

«  Come se di questo dovessi scusarti ».

« E per cosa dovrei scusarmi? ».

« Per avere rischiato di sparire dalla mia vita per sempre » le risposi con rimprovero.

« Scusa », ripeté.

« So perché l'hai fatto » addolcii la voce, tentando di consolarla.« È stata co­munque una decisione irrazionale, va da sé. Avresti dovuto aspettarmi, avresti dovuto dirmelo ».

Ricordai lo sconforto in cui piombai atterrato a Phoenix, non vedendola con Jasper ed Alice.

« Non mi avresti lasciata andare ».

« In effetti no », mi rabbuiai,non sarebbe successo.« non ti avrei lasciata ».

 Tre­mò, poi ebbe un sussulto.

 « C'è qualcosa che non va? » le chiesi immediatamente, preoccupato.

« Che fine ha fatto James? ».

« Dopo che te l'ho tolto di dosso, se ne sono occupati Emmett e Jasper» la informai, rimpiangendo di non aver avuto io l’onore.

« Ma non ho visto né Emmett né Jasper, lì ».

« Sono stati costretti a uscire dalla stanza... troppo sangue ».

« Ma tu sei rimasto ».

« Sì ».

«  E Alice, e Carlisle... », aggiunse, meravigliata.

« Ricorda che anche loro ti vogliono bene ».

Uno strano lampo le accese lo sguardo, come se si fosse appena ricordata qualcosa di vitale importanza.

 « Alice ha visto il nastro? », chiese, agitata.

« Sì » non potei trattenermi dal rispondere cupo.

«  Era rimasta confinata sempre al buio, perciò non ricorda nulla ».

« Lo so. Ora ha capito » cercavo di rimanere composto, modulando la voce; ma sentivo i muscoli del viso contratti.

Mosse una mano verso di me, ma la flebo a cui era legata glielo impedì.

« Ugh... ».

« Cosa c'è? », chiesi, di nuovo in apprensione.

« Aghi », rispose, con una smorfia.

« Ha paura di un ago », mormorai fra me, scuotendo il capo. C’era della comicità in ciò che aveva detto. « Finché si tratta di un vampiro sadico intenzionato a torturarla, nessun problema, scappa a conoscerlo. Una flebo, invece...  ».

Alzò gli occhi al cielo.

« E tu, cosa ci faresti, qui? ».

La fissai confuso, poi mi sentii imbarazzato. Era normale che potesse essere in collera con me, se era costretta a letto era colpa mia. Aggrottai le sopracciglia.

« Vuoi che me ne vada? ».

« No! », protestò, alzando di un’ottava la voce « No... vole­vo dire, come hai giustificato a mia madre la tua presenza? Devo preparare un alibi prima che torni ».

«Ah», tirai un sospiro e rilassai la fronte, non volevo andarmene lontano da lei «Sono venuto a Phoenix per farti ragionare e convincerti a tornare a Forks» addolcii gli occhi nello stesso modo in cui fui costretto a raccontare quella stramba versione a sua madre.« Tu hai accettato di incontrarmi, sei uscita per raggiungere l'al­bergo in cui alloggiavo assieme a Carlisle e Alice, ovviamente sono venuto qui con il permesso e la guida dei miei genito­ri... », dissi sottolineando la mia natura da bravo ragazzo « Ma sa­lendo le scale per raggiungere la mia camera hai messo un pie­de in fallo, e... be', il resto lo sai. Non c'è bisogno che ricordi altri dettagli: hai un'ottima scusa per essere un po' confusa sui particolari ».

Soppesò le mie parole con una strana espressione pensierosa.

« Ma c'è qualcosa che non tor­na. Per esempio, nessuna finestra rotta ».

« Non proprio », risposi. « Alice si è lasciata un po' prendere la mano, mentre fabbricava le prove. Ci siamo occupati di tut­to con molto scrupolo; se volessi, potresti addirittura denun­ciare l'albergo. Non devi preoccuparti di nulla» le sfiorai la guancia il più delicatamente possibile. «Devi badare soltanto a guarire, ora ».

A contatto della mia pelle contro la sua, i bip del monitor aumentarono di velocità.

« Sarà davvero imbarazzante », mormorò tra sé e sé.

Soffocai una risata e la guardai pensieroso

« Mmm, chissà se... ».

Mi chinai lentamente;  in quell’infrangente i  bip divennero più veloci. Ma quando le mie labbra trovarono le sue, il pib si arrestò del tutto. Mi allontanai di scatto, e mi rilassai solo quan­do il monitor accertò che il suo cuore aveva ripreso a battere.

« A quanto pare dovrò prestare molta più attenzione del so­lito  », mi lamentai.

« Io non avevo finito di baciarti », protestò. «Non costrin­germi ad alzarmi».

Sorrisi, e mi chinai di nuovo leggero sulle sue labbra. Il mo­nitor impazzì.

In quel momento sentii sua madre; irrigidendomi mi staccai da lei.

« Credo di aver sentito tua madre », dissi, con un nuovo sor­riso.

«  Non andartene », strillò.

Mi occorsero ben pochi secondi per scorgere il terrore nei suoi occhi.

«Non me ne andrò», promisi, serio, poi ammiccai « Farò un sonnellino ».

Dalla seggiola di plastica, mi spostai sul­la poltroncina reclinabile che stava ai suoi piedi, abbassai lo schienale e chiusi gli occhi.

« Non dimenticarti di respirare », bisbigliò, sarcastica.

Feci un respiro profondo, a occhi chiusi.

La porta si aprì appena e lei sbirciò nella stanza.

« Mamma! », sussurrò Bella,

Reneè vide la mia sagoma immobile sulla poltrona e si avvi­cinò al suo letto in punta di piedi.

« Non se ne va mai, eh? », mormorò tra sé.

« Mamma, che bello vederti! ».

La sentii avvicinarsi al letto di Bella.

« Bella, ero cosi agitata! ».

« Mi dispiace, mamma. Adesso è tutto a posto, tutto okay ».

« Sono contenta di vedere che apri gli occhi, finalmente ».

 « Quan­to a lungo sono rimasti chiusi? ».

« È venerdì, cara, non sei stata in te per un bel po' ».

« Venerdì? ».

« Hanno dovuto riempirti di sedativi, piccola... eri piena di ferite ».

« Lo so ».

« Per fortuna il dottor Cullen era lì. È davvero un brav'uomo... anche se è molto giovane, certo. E somiglia più a un mo­dello che a un medico... ».

« Hai conosciuto Carlisle? ».

« E Alice, la sorella di Edward. Che cara ragazza ».

« Lo è davvero », rispose, con tutta sincerità.

Reneè mi lanciò un'occhiata, immobile nel mio sonno simulato. « Non mi avevi detto di avere ami­ci così cari, a Forks ».

Sentii Bella muoversi, e gemere dolorosamente.

« Cosa ti fa male? », chiese Reneè ansiosa, voltandosi di nuovo verso di lei. A quel punto aprii gli occhi, posandoli sul viso di Bella.

« Tutto bene. Devo solo ricordarmi di restare immobile ».

Rincuorato da quelle parole, tornai al mi finto sonno.

« Dov'è Phil? ».

« In Florida. Ah, Bella, non indovinerai mai! Proprio quan­do stavamo per andarcene è arrivata la buona notizia! ».

« Ha firmato un contratto? ».

« Sì, come hai fatto a indovinare? Con i Suns, ci credi? ».

« Grande »

E fu a quel punto che nella mente di Reneè passarono immagini allegre e spensierate di un futuro prossimo:

« E vedrai che Jacksonville ti piacerà », aggiunse, compiaciuta « Mi ero preoccupata un po', quando Phil aveva iniziato a parlare di Akron, con la neve e tutto il resto, perché sai quanto odio il freddo... ma Jackson­ville! C'è sempre il sole, e l'umidità, in fondo, non è così tre­menda. Abbiamo trovato una casetta bellissima, gialla con le fi­niture bianche, una veranda come quelle dei vecchi film, una quercia enorme, e poi è a pochissimi minuti dal mare, e in più avrai un bagno tutto per te... ».

Mi irrigidii a quella parole: Jacksonville, lontano da me…lontano dal pericolo. Forse non sarebbe stata cattiva come idea.

« Aspetta, mamma! » la interruppe Bella  « Cosa stai dicendo? Non verrò in Florida. Io vivo a Fork».

Ma come? Credevo che quello fosse tutto ciò che desiderasse.

« Ma non c'è più motivo, sciocca », disse ridendo. « Phil sarà molto più presente, d'ora in poi. Ne abbiamo parlato molto e abbiamo deciso che nelle trasferte faremo un compromesso: passerò metà del tempo con te e metà con lui ».

« Mamma » la voce di Bella vacillò « Io voglio vivere a Forks. A scuola mi sono ambientata, ho un paio di amiche... », la parola "amiche" la fece immediatamente voltare verso di me, perciò cambiò direzione, « ...e Charlie ha bisogno di me. È tutto solo, lassù, e non sa neanche cucinare ».

« Vuoi restare a Forks? », chiese, sbigottita. L'idea, per lei, era inconcepibile. Poi i sentii  di nuovo il suo sguardo su di me: « Perché? ».

“Ha scelto lui al sole…a me…”

« Te l'ho detto... la scuola, Charlie. Ahi! ».

« Bella, piccola mia, tu odi Forks », provò a rammentarle.

« Non è così male ».

«  È per lui? », sussurrò, alludendo al sottoscritto.

« C'entra anche lui » ammise « Sei riusci­ta a parlarci un po'? ».

« Sì » non distolse gli occhi da me, lo sapevo « E vorrei discuterne con te ».

« Di cosa? ».

« Penso che quel ragazzo sia innamorato di te », dichiarò, ba­dando a tenere la voce bassa.

« Lo penso anch'io ».

« E tu, cosa provi per lui? ».

Bella sospirò.

« Direi che sono pazza di lui ».

Lontano momentaneamente dallo sguardo indagatore di Reneè, sorrisi sentendo quelle parole.

« Be', sembra un bravo ragazzo, e santo cielo, è incredibil­mente bello. Ma sei così giovane, Bella... ».

« Lo so, mamma. Non preoccuparti. È soltanto una cotta »

« Va bene ».

Poi sospirò:

“Accidenti quanto si è fatto tardi”

« Devi andare? ».

« Phil dovrebbe chiamare tra poco... Non sapevo che ti sa­resti svegliata:.. ».

« Non c'è problema, mamma » la voce di Bella si fece rassicurante «Non sarò sola».

« Torno presto. Ho dormito qui, sai », annunciò.

« Oh, mamma, lascia perdere! Puoi dormire a casa, non me ne accorgerei neppure ».

« Ero troppo nervosa» fece una pausa « Sono successe brutte cose nel quartiere e non sto tranquilla a casa da sola ».

« Brutte cose? ».

« Qualcuno ha fatto irruzione nella scuola di danza dietro casa nostra e l'ha incendiata: non è rimasto niente! E di fronte hanno lasciato un'auto rubata. Ti ricordi quando andavi a le­zione lì, tesoro? ».

« Ricordo ».

« Se c'è bisogno di me, posso restare ».

« No, mamma. Andrà tutto bene. Edward starà qui con me ».

“Appunto”

 « Torno stasera », scandì lanciando l'ennesima occhiata verso di me.

« Ti voglio bene, mamma ».

« Anch'io, Bella. Cerca però di stare più attenta a dove met­ti i piedi, non voglio perderti ».

Continuai a tenere gli occhi chiusi ma sorrisi: su questo ero d’accordo con sua madre.

Mi accorsi dell’entrata di un’infermiera percependo i suoi pensieri: analizzò il tabulato del cardiogramma.

« Sei un po' agitata, piccola? Qui vedo un bell'aumento di intensità ».

« No, tutto bene ».

« Dirò alla caporeparto che ti sei svegliata. Tra un minuto verrà a controllarti ».

Non aveva neanche chiuso la porta che ero già al suo fianco.

« Hai rubato un'auto? », alzò un sopracciglio.

Sghignazzai, sfacciato.

« Era una bella macchina, molto veloce »

« Dormicchiato bene? ».

« Sì. È stato interessante » strinsi gli occhi: aveva rifiutato la proposta di sua madre.

« Che cosa?».

Abbassai lo sguardo.  

« Sono sorpreso. Pensavo che la Flori­da... e tua madre... be', pensavo fosse ciò che volevi  ».

« Ma a te toccherebbe restare chiu­so in casa tutto il giorno. Potresti uscire soltanto di notte, come un vero vampiro ».

Quasi sorrisi, ma mi trattenni. Poi mi feci serio:

« Sarei rima­sto a Forks, Bella. O in un posto del genere. Ovunque, pur di non farti più soffrire ».

Mi fissava senza dire nulla, sembrava sotto shock…il monitor impazzì nuovamente e non la sentii più respirare.

Rimasi in silenzio a mia volta, scrutando la sua reazione.

Poi arrivò spedita un'altra infermiera. Mi pietrificai,mentre lei si accinse a controllare il monitor « Prendiamo un po' di tranquillanti, piccola? », chiese genti­le, picchiettando sul flacone della flebo.

« No, no », mormorò, la voce le si era incrinata «  Sto bene così ».

« Non è il caso di essere coraggiosi, cara. È meglio che non ti stressi troppo: hai bisogno di riposo ».

Ma Bella scosse il capo decisa.

« D'accordo », sospirò. « Suona il campanello quando ti senti pronta ».

“Fosse lui la causa di tanta agitazione?!”

Mi lanciò un'occhiataccia ed osservò per un'ultima volta i monitor con un filo d'apprensione, prima di andarsene.

Posai le mani fredde sul viso di Bella che mi guardava palesemente divorata dall’agiatazione.

« Sssh, Bella... calmati ».

« Non lasciarmi », mi pregò, senza voce.

« No, te lo prometto. Adesso rilassati, così chiamo l'infer­miera con i tranquillanti ».

Ma il suo cuore non rallentava.

« Bella », le accarezzai le guance, nervoso, « non andrò da nessuna parte. Sarò al tuo fianco ogni volta che avrai bisogno di me ».

« Giura che non mi lascerai », bisbigliò.

Avvicinai il suo viso al mio, tenendolo tra le mani.

 « Lo giuro » dissi solenne.

Sostenni il suo sguardo fino a quando non appurai che il suo corpo si rilassò, len­tamente, e il ritmo del cuore tornò normale.

« Va meglio? », chiesi.

« Credo di sì ».

<< Reazione esagerata >> disse tra me, scuotendo il capo.

«Perché hai detto una cosa del genere, prima?», sussurrò,la voce le tremava. «Sei stanco di dovermi salvare in continuazione? Vuoi davvero che me ne vada?».

« No, non voglio stare senza te, Bella, certo che no. Sii raziona­le. Neanche doverti salvare è un problema. Ma il fatto è che sono io stesso a metterti in pericolo... in fondo è colpa mia se sei qui ».

« Sì, se non fosse stato per te non sarei qui... viva ».

« A malapena » dissi con un filo di voce « Coperta di bende e cerotti, nemmeno in grado di muoverti ».

« Non parlo dell'ultima volta in cui ho rischiato di morire», esclamò irritata. « Ce ne sono altre, scegline una. Se non ci fossi stato tu, sarei finita a marcire nel cimitero di Forks ».

Sussultai rivivendo nitidamente l’incidente del furgoncino di Tyler, che sbandò sull’asfalto bagnato in direzione di Bella.

« Non è questa la parte peggiore, comunque », proseguii. Non è stato averti vista là, sul pa­vimento... sottomessa e picchiata » . La mia voce era soffocata. «Non è stato temere che fossi arrivato davvero troppo tardi. Nemmeno sentirti urlare di dolore... o tutti quei ricordi insop­portabili che porterò con me per l'eternità. No, la parte peggiore è stata sentire... sapere che non sarei riuscito a fermarmi. Essere convinto che sarei stato io a ucciderti ».

« Ma non l'hai fatto ».

« Avrei potuto. Senza sforzo ».

« Prometti », mormorò.

«Cosa?>> chiesi, confuso.

« Lo sai, cosa ».

La guardai torvo, nel sentire il suo tono di voce cambiare così repentinamente.

« A quanto pare non sono abbastanza forte da poterti stare lonta­no, perciò immagino che alla fine farai a modo tuo... anche a costo di farti uccidere » dissi pungente.

« Bene » assentì decisa, prima di ricominciare a parlare «Hai detto che ti sei fermato... adesso voglio sapere perché».

« Perché? »

Era forse impazzita?!Che razza di domanda era quella.

« Perché l'hai fatto. Perché non hai lasciato che il veleno en­trasse in circolo? A quest'ora sarei uguale a te ».

Mi rabbuiai immediatamente. Come faceva a sapere che eravamo provvisti di veleno? Che fosse quello l’ingrediente principale per diventare creature della notte? Alice, ovvio!

Non la degnai di una risposta.

« Sono la prima ad ammettere di non essere esperta di rela­zioni», dissi lei, «ma mi sembra quantomeno logico... tra un uomo e una donna deve esserci una certa parità... per esem­pio, non può toccare sempre a uno solo dei due salvare l'altro. Devono potersi salvare a vicenda».

Seduto sul bordo del letto, incrociai le braccia e ci affondai il mento. Trattenni la furia, non era con lei che dovevo prendermela.

«  Ma tu mi hai salvato  » , dissi piano.

« Non posso essere sempre Lois Lane. Voglio essere anche Superman ».

« Non sai cosa mi stai chiedendo » la mia voce era morbida, fissavo nel panico la federa.

« Invece credo di sì ».

« Bella, non te ne rendi conto. Ci penso da quasi novant'an­ni e non mi sono ancora fatto un'idea ».

« Vorresti che Carlisle non ti avesse salvato? ».

« No, non è così» mi concessi una pausa. «Ma la mia vita era giunta al termine. Non stavo rinunciando a niente ».

« La mia vita sei tu. Soffrirei davvero soltanto se perdessi te ».

Non mi scomposi. Su quel punto ero irremovibile.

« Non posso farlo, Bella, e non lo farò ».

« Perché no? » la sua voce era roca «E non dirmi che è troppo difficile! Dopo oggi, o qualche giorno fa, quando è stato... be', dopo tutto questo, dovrebbe essere una passeggiata!».

La squadrai, non poteva già aver dimenticato il bruciore nelle vene.

« E il dolore? », chiesi.

Sbiancò.

« È un problema mio. Posso cavarmela ».

« A volte capita di trascinare il coraggio fino al punto in cui diventa pazzia ».

« Poco importa. Tre giorni. Cosa vuoi che siano ».

Feci una smorfia accertando che ne sapesse più del dovuto. Repressi la rabbia, ma sapevo che non appena avessi rivisto Alice sarebbe riesplosa tutta insieme.

« E Charlie? », chiesi all'improvviso. «Renée?».

Restò in silenzio, presa in contro piede. Aprì la bocca, senza emettere suono. La ri­chiuse. Aspettavo, pregustandomi una vittoria certa!

« Senti, nemmeno quello è un problema », bofonchiò infine; avevo imparato a smascherare le sue bugie « Renée ha sempre scelto ciò che le sembrava più giu­sto; non si opporrebbe se mi comportassi nello stesso modo. E Charlie si riprenderebbe, è flessibile, e si era abituato a stare da solo. Non posso badare a loro per sempre. Io voglio vivere la mia vita ».

« Appunto. E non sarò io a farla terminare ».

« Se aspettavi che fossi sul letto di morte, sappi che ci sono stata eccome! ».

« Sì, però ti rimetterai ».

Respirò a fondo come a voler ritrovare la calma. Mi fissò, ed io le restituii lo sguardo.

« Invece no », rispose, piano.

Aggrottai le sopracciglia.

« Certo che sì. Al massimo ti reste­ranno un paio di cicatrici... ».

« Ti sbagli. Morirò ».

« Sul serio, Bella » cominciavo a spazientirmi. « Tra qualche giorno ti dimetteranno. Due settimane al massimo ».

Mi inchiodò con uno sguardo:

« Forse non morirò subito... ma prima o poi succederà. Ogni giorno, ogni minuto, quel mo­mento si avvicina. E diventerò vecchia ».

Mi scurii in volto quando afferrai cosa volesse sottintendere. Chiusi gli occhi massaggiandomi le tempie.

« È così che succederà. Come dovrebbe succedere. Come sarebbe successo se io non fossi esistito... e io non sarei dovuto esistere ».

Sbuffò ed  aprii gli occhi, sorpreso.

« Che stupidaggine. Mi sembra di sentire il vincitore di una lotteria che, dopo avere riscosso il premio, dice: "Ehi, tornia­mo indietro alla normalità, è meglio così". Non me la dai a bere, sai ».

« Sono tutt'altro che il premio di una lotteria ».

« È vero. Sei molto meglio ».

Alzai gli occhi e strinsi le labbra.

« Bella, non voglio più par­larne. Mi rifiuto di condannarti a un'eternità di notti e buio, punto e basta ».

« Se pensi che possa finire qui, vuol dire che non mi conosci bene. Non sei l'unico vampiro che conosco ».

« Alice non oserebbe » dissi con rabbia. Non si sarebbe mai messa contro di me, era già fin troppo nei guai.

« Alice ha già visto tutto, vero? Per questo ce l'hai con lei. Sa che un giorno... diventerò come te ».

« Si sbaglia. Se è per questo, ti ha anche vista morta, ma non è accaduto ».

« Per quel che mi riguarda, non scommetterò mai contro di lei ».

Ci squadrammo a lungo. Il silenzio era rotto soltanto dal ronzio delle macchine, dai bip, dal gocciolare della flebo e dai rintocchi dell'orologio a muro. Infine mi rilassai, stanco di quella assurda discussione.

« Dunque la conclusione è...? », domandò.

« Mi sembra che si chiami impasse » sorrisi amaro.

Fece un sospiro ed emise un gemito di dolore.

« Come ti senti? », chiesi, lanciando un'occhiata verso l'interfono.

« Bene ».

« Non ti credo », risposi, delicato.

« Non ho intenzione di rimettermi a dormire ».

« Hai bisogno di riposo. Tutto questo discutere non ti fa bene ».

« Allora arrenditi ».

« Bel colpo ». Schiacciai l'interruttore.

« No! ».

La ignorai. Stava facendo i capricci come una bambina.

« Sì? », gracchiò l'altoparlante dal muro.

« Credo che siamo pronti per un'altra dose di tranquillanti »dissi tranquillo, non badando alla sua espressione infuriata.

« Mando un'infermiera ».

« Non li prendo ».

Guardai il sacchetto di liquido della flebo.

« Non credo che ti chiederanno di ingoiare nulla ».

Il suo cuore iniziò ad accelerare. Vidi la paura nei suoi oc­chi e sbuffai, ai limiti della sopportazione.

« Bella, tu stai male. Hai bisogno di rilassarti per guarire. Perché sei così ostinata? Non serviranno altri aghi né cose del genere ».

« Non ho paura degli aghi », mormorò, « ho paura di chiude­re gli occhi ».

 Le regalai il mio sorriso migliore e le presi la testa tra le mani.

« Ti ho detto che non andrò da nessuna parte. Non avere paura. Fino a quando lo vorrai, io starò qui ».

« Stai parlando del­l'eternità, lo sai » osservò, sorridendo.

« Oh, te la farai passare... è soltanto una cotta ».

« Quando Renée se l'è bevuta ci sono rimasta quasi male. Sai bene che non è così » disse scuotendo la testa.

« È il bello di essere umani », risposi. « Le cose cambiano ».

Socchiuse gli occhi:

 « Non trattenere il respiro, mentre aspet­ti che accada ».

Quando entrò l'infermiera, con la siringa in mano, risi.

« Mi scusi », mi disse brusca.

Mi alzai, attraversai la stanza e mi appoggiai al muro. Incro­ciai le braccia in attesa. Non mi staccava gli occhi di dosso, an­cora in apprensione. Ricambiavo sereno.

« Ecco fatto, cara », disse l'infermiera sorridente, mentre iniettava il medicinale nel tubo. « Adesso starai meglio ».

« Grazie », bofonchiò senza entusiasmo.

« Così dovrebbe andare », mormorò l'infermiera.

Bella chiuse gli occhi, i tranquillanti stavano già facendo effetto.

Quando ci lasciò da soli, le sfiorai con le labbra le guancie.

« Resta », biascicò.

« Si, te lo prometto » risposi dolcemente « Come ho detto, finché lo desideri... finché è la cosa migliore per te ».

« ... 'n è la stessa cosa », farfugliò.

« Non preoccuparti di questo adesso, Bella. Possia­mo ricominciare a discutere quando ti svegli » risi.

« ...'a bene >> un leggero sorriso, le si dipinse sulle labbra.

« Ti amo », le sussurrai, sfiorandole con le labbra l’orecchio.

« Anch'io ».

« Lo so », risi sottovoce.

Voltò la testa lentamente...sapevo cosa cercava, cosa voleva. Avvicinai le mie labbra alle sue fino a toccarle,delicatamente.

« Grazie », mormorò.

« Di niente ».

« Edward? ».

« Sì? ».

« Io scommetto su Alice ».

Fu l’ultima cosa che riuscii a dire prima che il sonno avesse la meglio.

Come le avevo promosso, le restai accanto: seduto sul letto, tenendole una mano non staccavo gli occhi da lei.

“Dorme?”

Mi voltai scuro in volto nel vedere Alice, ritta ai piedi del letto. Ignorava il mio furore.

Mi alzai, lasciando delicatamente la mano di Bella.

<< Grazie per aver mantenuto la promessa, Alice >> le dissi, acido e avvicinandomi a lei.

“Era giusto che lei sapesse”

<< Giusto? >> chiesi sarcastico << Secondo quale punto di vista?! >>

“Edward…capisco la tua collera ma…”lasciò il pensiero a metà, indugiando su Bella.

<< Ma? >> la incoraggiai, con rabbia.

“Non puoi decidere per lei…è quello che vuole! E prima o poi accadrà”

<< Le cose cambiano >> dissi a denti stretti.

Alice colmò la distanza tra noi muovendo due passi, prese il mio viso tra le mani e mi guardò negli occhi, noncurante della mia rabbia.

“Non puoi opporti per sempre. Lei vuole te come tu vuoi lei…a volte il destino è più forte di noi”

Non fui sicuro che l’ultima parte della frase fosse rivolta a me…Alice come tutti noi, non aveva scelto cosa diventare, non aveva scelto il suo destino. Eppure ciò che era diventata l’aveva condotta a Jasper e a noi.

Aveva vissuto la sua vita umana al buio, al contrario di Rosalie, probabilmente aveva visto la luce per la prima volta  solo dopo essere stata trasformata.

La vidi accarezzare i capelli di Bella, dolcemente, un lieve sorriso rilassato le illuminava il viso: dal suo punto di vista era facile intuire perché volesse aiutare Bella…lei al suo contrario, poteva dettare le sorti del suo destino.

Non sapevo come sarebbe andata, ma non volevo arrendermi: Bella avrebbe continuato a vivere!

 

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Capitolo 25
*** Il ballo ***


Epilogo.

Il ballo.

Aiutai Bella a salire sulla mia Volvo, facendo attenzione a non rovinare gli svolazzi di seta e chiffon del vestito che Alice le aveva costretto ad indossare, i fiori che le aveva appena appuntato sui riccioli e l’ingombrante gesso alla gamba.

Sul suo viso dipinta una maschera di disappunto, facile intuire il perché: il suo abbigliamento la metteva a disagio.

Accomodata Bella sul sedile, presi posto alla guida e feci retromarcia sul vialetto.

« Posso sapere quando ti prenderai la briga di rivelarmi cosa sta succedendo? », chiese, scontrosa.

Non le piacevano le sorprese, eppure non le avevo ancora rivelato la nostra meta…eppure non era difficile, dato che anche io ero elegante, indossando uno smoking.

« È assurdo che tu non abbia ancora capito >> le feci notare, sorridendo.

« Ti ho informato del fatto che sei molto carino, vero? ».

« Sì » sorrisi di nuovo, nel sentire il suo apprezzamento.

« Non verrò mai più da nessuna parte con te, se mi toccherà di nuovo farmi trattare da Alice come Barbie-cavia-da-laboratorio », brontolò.

Beh come darle torto, era stata sequestrata da mia sorella, costretta nel suo enorme bagno, completamente vittima della sua mercé; dall’altra parte io personalmente avevo apprezzato il risultato finale. Amavo Bella per quel che era, anche con i suoi soliti jeans, però fasciata in quel vestito blu scuro, senza spalline, e con i tacchi alti la trovai magnifica.

Stavo per ribadire la sua affermazione, facendole i dovuti complimenti, quando squillò il telefono.

Estrassi dalla tasca interna della giacca il telefono, e guardando il display aggrottai le sopracciglia.

« Pronto, Charlie » risposi, sospettoso. Perché aveva chiamato?

« Charlie? ».

Negli ultimi tempi, da quando avevamo fatto ritorno a Forks potando Bella nelle sue condizioni- viva per miracolo- suo padre era diventato molto apprensivo e nonostante la profonda gratitudine che aveva riversato su mio padre, non poteva dirsi lo stesso nei miei confronti. Mi riteneva responsabile per quanto successo a sua figlia…e in tutta sincerità, non mi ero trovato in disaccordo con lui.

<< Qui a casa è venuto Tyler Crowel dicendo che aveva già appuntamento con Bella >> nel sentire quelle parole, strabuzzai gli occhi. Che storia era mai questa?

« Sta scherzando! »

« Che c'è? », chiese Bella.

Non le badai, e presi le rendini della situazione.

 « Posso parlargli io? » suggerii, avevo proprio voglia di dirgliele quattro.

Attesi solo qualche secondo:

« Ciao Tyler, sono Edward Cullen » sfoggiai una calma apparente.

Sentivo gli occhi di Bella puntati addosso.

« Mi dispiace che ci sia stato un fraintendimento, ma Bella è occupata, stasera » poi divenni volutamente minaccioso. «Anzi, per la verità è occupata tutte le sere, per chiunque, escluso il sottoscritto. Senza offesa. Spiacente se la tua serata non andrà come speravi ». Chiusi la conversazione, ridendo soddisfatto.

Guardai Bella, che era avvampata di rabbia, le mostrai una sguardo sorpreso.

« Credi che abbia esagerato un po'? Non volevo essere offensivo riguardo a te ».

Mi ignorò, accusandomi di altro.

« Mi stai portando al ballo di fine anno! », strillò.

Avevo messo in conto che non avrebbe gradito, ma mai mi sarei aspettato una reazione tanto esagerata.

La guardai tornando serio, e dissi tra i denti:

« Non fare la difficile, Bella ».

Spostò lo sguardo fuori dal finestrino.

« Perché mi stai facendo questo? », chiese, nel panico..

 « Sinceramente, Bella, dove cre­devi che ti volessi portare? » le chiesi indicando il mio smoking.

Non rispose, chinò il capo guardandosi il vestito, poi notai le lacrime rigarle le guancie.

« È ridicolo. Perché piangi? », chiesi irritato.

« Perché mi hai fatta arrabbiare! >> esclamò, tornando a guardarmi.

« Bella » la rimproverai, inchiodandola con uno sguardo.

« Cosa? », mormorò, turbata.

« Assecondami. Per piacere» .

« Bene », mormorò « Te la do vinta. Ma vedrai. È un bel po' che non m'imbatto in una vera disgrazia. Come minimo mi romperò l'altra gamba. Guarda la scarpa! È una trappola mortale! » mi mostrò la gamba buona.

« Mmm » la fissai più del necessario, non capendo perché nascondesse sempre delle gambe così belle « Stasera voglio ringraziare Alice, ricordamelo ».

« Ci sarà anche lei? ».

« Assieme a Jasper, Emmett... e Rosalie ».

Indagai sul suo viso: nonostante tutti si fossero abituati a lei, Rosalie continuava a fare la difficile. Bella non mostrò segni di inquietudine, chiese invece:

« Charlie è al corrente di questo? »

« Certo » poi soffocai una risata: « A quanto pare, solo Tyler non sapeva nulla ».

Ma se era uno stolto non era colpa mia: l’unica cosa che mi teneva lontano da Bella erano le rare giornate di sole, per il resto del tempo a scuola eravamo inseparabili.

Arrivati a scuola,parcheggiai affianco la cabriolet rosso fuoco di Rosalie.

Scesi dall'auto e andai ad aprirle la portiera. Le offrii la mano.

Rimase incaponita seduta al mio posto, a braccia conserte. Il parcheggio era affollato di persone in abito da sera: tutti testimoni. Non avrei potuto estrarla dall'auto con la forza, come non avrei esitato a fare se fossimo stati soli.

Sospirai:

« Di fronte a un assassino sei coraggiosa come un leone, ma basta che qualcuno parli di ballare... » scossi il capo, interdetto.

Rabbrividì sentendo quella parola.

« Bella, ti terrò lontana da tutti i pericoli, compresa te stessa. Non ti mollerò un attimo, lo prometto ».

Davanti la mia promessa, che trapelava di sincerità, il suo viso si rilassò.

« Forza, adesso », dissi gentile. « Non sarà così male » mi chinai e con un braccio le cinsi la vita. Afferrò l'altra mano, e si lasciò sollevare per uscire dall'auto.

L’aiutai a zoppicare fino all'ingresso della scuola, tenendo­la ben stretta a me.

Quando entrammo nella palestra, le scappò un risolino. C'era­no veri arcobaleni di palloncini e ghirlande attorcigliate di car­ta crespa sulle pareti.

« Sembra l'inizio di un film dell'orrore », disse, ridendo sotto i baffi.

« Be '», mormorai mentre ci avvicinavamo a fatica al tavolo che fungeva da biglietteria - reggevo quasi tutto il mio peso, ma era comunque costretta a dondolare il piede per trascinarsi in avanti -, «in effetti i vampiri non mancano».

Guardò la pista da ballo, al centro si era formato uno spazio vuoto in cui Rosalie ed Emmett roteavano divinamente. Gli altri bal­lerini restavano ai margini della sala, per fare spazio: tutti te­mevano il confronto.

Tutti i presenti erano in soggezione da Emmett e Jasper, mentre Rosalie con il vestito mozzafiato che aveva scelto era riuscita a far sentire mortificata ogni ragazza.

« Vuoi che blocchi le uscite, così potete massacrare gli ignari cittadini? », sussurrò Bella, con fare cospiratorio.

« E tu da che parte stai? ».

« Con i vampiri, ovvio ».

« Qualsiasi cosa, pur di non ballare » notai, incapace di trattenere un sorriso.

« Qualsiasi cosa ».

Comprai i biglietti, poi la feci voltare in direzione della pista da ballo. Stava abbarbicata al mio braccio e trascinava i piedi, opponendo resistenza.

« Ho tutta la serata », le feci notare, di tempo non me ne mancava.

Alla fine riuscii a trascinarla nel punto in cui i miei fratelli piroettavano. Bella si arrestò a guardarli spaventata.

« Edward » la sua voce si era fatta rauca.«Sinceramente, non so ballare! »

« Sciocca, non preoccuparti », risposi. « Io sì » guidai le sue mani a cingermi il collo, la sollevai appena e feci scivolare i piedi sotto i suoi.

E anche noi ci ritrovammo a roteare.

« Mi sembra di avere cinque anni », disse ridendo, dopo qual­che minuto di quel valzer in cui era trasportata senza sforzo.

« Non li dimostri » , mormorai stringendola di più a me, e per un istante volò qualche centimetro dal suolo.

“Coraggio Bella, lasciati andare”

Sentendo quel pensiero, capii che Bella spostando momentaneamente lo sguardo, aveva incontrato quello di mia sorella.

« Okay, non è così male, lo ammetto ».

Non le badai, fissai lo sguardo irritato.

« Che c'è? », chiese ad alta voce.

Dato il mio silenzio, seguì il mio sguardo e vide anche lei Jacob farsi largo tra la folla per venire verso di noi.

Ringhiai sottovoce, leggendo nella sua mente.

« Controllati! », sibilò.

« Vuole fare due chiac­chiere con te » l’avvertii furioso.

A quel punto Jacob ci raggiunse: il ragazzo era in imbarazzo glielo si poteva leggere in faccia, ma non m’impietosì.

« Ehi, Bella, speravo proprio di trovarti ».

Fu quello che disse, ma non quello che pensò: aveva sperato nell’esatto opposto.

« Ciao, Jacob », rispose Bella, ricambiando il suo sorriso. « Tutto bene? ».

« Mi concedi un ballo? », azzardò, lanciandomi un'occhiata.

Non mi fece piacere la sua proposta, ma conoscevo abbastanza bene Bella ormai e sapevo che lei non glielo avrebbe negato,così senza dire una parola la feci scendere dai miei piedi e  mossi un passo indietro.

« Grazie », disse Jacob, cortese.

Annuii e le rivolse uno sguardo deciso, prima di al­lontanarmi, andandomi ad appoggiare al muro: non avevo intenzione di perderli di vista.

Jacob le si avvicinò e presero posizione nella danza.

« Accidenti, Jake, quanto sei alto adesso? ».

« Più di un metro e ottanta », rispose fiero.

In realtà non ballavano,  si limitavano a dondolare goffi sul posto. Jacob, al mio contrario, non era un ballerino provetto.

« Come sei finito qui, stasera? », gli chiese Bella.

« Ci credi se ti dico che mio padre mi ha dato venti verdoni per venire al tuo ballo di fine anno? », confessò lui.

 « Sì, ci credo »rispose Bella. « Be', se non altro spero che tu ti stia divertendo. Hai visto qualcuna che ti piace? ». Indicò un gruppo di ragazze, allineate lungo.

« Sì », sospirò, « una, ma è occupata ».

Ovvio che anche lui fosse uno spasimante di Bella, non potevo far altro che sopportarlo da bravo fidanzato.

Jacob abbassò gli occhi e incontrò i suoi per un istante. Poi en­trambi distolsero lo sguardo, imbarazzati.

« A proposito, sei molto carina stasera », aggiunse timido.

Carina era un’offesa, per quanto era stupenda quella sera.

« Ehm, grazie. Ma perché Billy ti avrebbe pagato per venire qui? »

 « Secondo lui era un posto "sicuro" per parlare con te. Mi sa tanto che il vecchio ha perso qualche rotella » disse Jacob, guardando altrove dal viso di Bella.

Entrambi risero, senza convincimento.

« E comunque, mi ha detto che se ti riferisco un certo mes­saggio, mi procurerà il cilindro freni che cerco » proseguì Jacob.

« Allora parla. Ci tengo a vedere la tua macchina finita »,

Stava per rivelarle il motivo per cui era venuto, scrutai l’espressione di Bella.

« Non arrabbiarti, okay? ».

«  Non sono capace di arrabbiarmi con te, Jacob. E non mi arrabbierò con Billy. Dimmi pure ».

« Be'... scusa, Bella, mi sembra talmente stupido... vuole che lasci il tuo ragazzo. Mi ha pregato di chiedertelo "per favo­re" ».

Se non altro il disgusto che Jacob ostentò, era sincero.

« È ancora superstizioso, eh? ».

« Sì. Ha... perso la bussola, quando ti sei fatta male a Phoe­nix. Non ha creduto che... ».

 « Sono caduta » specificò Bella, severa.

« Lo so ».

« Pensa che Edward abbia a che fare con ciò che mi è suc­cesso ».

Jacob non osava guardarla negli occhi. Non si preoccupa­vano nemmeno più di dondolare a ritmo, benché le sue mani fossero rimaste sui fianchi di Bella  che aveva le sue allacciate al collo di Jacob.

« Senti, Jacob, so che Billy stenterà a crederci, ma te lo dico lo stesso ». A quel punto tornò a fissarla, rincuorato dal tono sincero delle parole di Bella. « Edward mi ha davvero salvato la vita. Se non fosse stato per lui e suo padre, a quest'ora sarei morta ».

« Lo so », rispose.

« Senti, mi dispiace che tu sia venuto fin qui solo per questo, Jacob. Se non altro, vedi di rimediare il tuo pezzo mancante, eh? ».

« Sì », bisbigliò, ma era ancora teso visto che doveva riferirle un altro messaggio.

« C'è dell'altro? », gli chiese

« Lascia perdere. Mi troverò un lavoro e metterò da parte qualche soldo ».

« Sputa il rospo, Jacob ».

« Non ce la faccio ».

« Non m'importa. Parla ».

« Va bene... però, uffa, non è una bella cosa ». Scosse il capo. « Ha detto di dirti, no, di avvertirti - guarda che il plurale è suo, non mio - che... », staccò le mani da lei e mimò le virgo­lette,  « "ti terremo d'occhio" ». Attese la sua reazione, ansioso.

Sembrava la battuta di un film sulla mafia. Non riuscii a trattenere una risata ad alta voce.

« Mi dispiace che ti sia toccato farlo, Jake ».

« A me non dispiace granché » sorrise ammirandola, almeno aveva avuto occasione di vederla. « Quindi devo dirgli di farsi gli affaracci suoi? », chiese speranzoso.

« No », sospirò Bella. «Ringrazialo. So che lo fa per il mio bene».

La canzone finì, e lei sciolse l'abbraccio.

Lui esitò e guardò la sua gamba malconcia:

« Vuoi ballare ancora? O vuoi che ti aiuti a spostarti? ».

Ma a quel punto il mio livello di sopportazione era giunto al termine e reclamai Bella:

« Tutto a posto. La riprendo io ».

“Non l’ho sentito neanche avvicinarsi, ma come ha fatto?”

« Ehi, non ti avevo visto », mormorò Jacob. « Allora ci vediamo, Bella ». Fece un passo indietro e un cenno di saluto.

« Sì, ci rivediamo presto » lo saluto, sorridendo.

« E scusami », ripeté ancora e si diresse verso la porta.

Appena attaccò la canzone successiva, la strinsi. Era un ritmo un po' troppo sostenuto per balla­re un lento, ma non vi badai volevo stringerla me. Poggiò la testa sul mio petto.

« Ora va meglio? », mi chiese.

« Non proprio ».

« Non prendertela con Billy », sospirò. « È preoccupato per me perché Charlie è suo amico. Niente di personale ».

«Non ce l'ho con Billy », precisai brusco. « È suo figlio a irritarmi ».

Indietreggiò per guardarmi meglio, e si accorse della serietà sul mio viso.

« Perché? ».

« Prima di tutto, mi ha costretto a violare la mia promessa ».

Mi fissò sconcertata.

« Avevo promesso che stasera non ti avrei mollata neanche per un secondo» dissi accennando un sorriso.

« Ah. Be', sei perdonato ».

« Grazie. Ma c'è dell'altro » dissi aggrottando le sopracciglia.

Aspettò che specificai.

« Ha detto che sei carina », aggiunsi, infine, scuro in volto. « Il che è praticamente un insulto, stasera. Sei molto più che bellissima ».

« Forse il tuo è un giudizio di parte », disse ridendo.

« Non credo. Inoltre, la mia vista è perfetta ».

Avevamo ricominciato a roteare vicini, i miei piedi sotto i suoi.

« Mi spieghi il perché di tutto questo? », domandò.

La guardai, confuso, e lei accennò ai festoni di carta crespa.

Restai a pensare per un momento, e poi cambiai direzione, volteggiando assieme a lei attraverso la folla, verso l'uscita po­steriore della palestra. Incontrammo tutto il gruppo di amicizie di Bella, senza fermarci. Rimasti soli all’aperto la sollevai tra le braccia e la portai fino alla panchina ai piedi dei corbezzoli. Mi sedetti e presi a cullarla stringendola contro il petto.

« Allora? », chiese  sottovoce.

Non l’ascoltavo, guardavo la luna già sorto:inquieto.

« Di nuovo il crepuscolo », mormorai. « Un'altra fine. Ogni giorno deve finire, anche il più perfetto ».

« Non è detto che tutto abbia una fine », mormorò tra sé.

Mi lasciai sfuggire un sospiro, capendo a cosa alludesse.

« Ti ho porta­ta al ballo perché desidero che tu non ti perda niente. Non vo­glio che la mia presenza ti privi di nulla, finché mi è possibile. Voglio che tu sia umana. Voglio che la tua vita prosegua come se fossi morto nel 1918, come era mio destino ».

« In quale strana dimensione parallela pensi che sarei venuta al ballo di mia spontanea volontà? Se tu non fossi mille volte più forte di me, non ti avrei mai lasciato fare » tremò e scosse il capo.

In un primo momento sorrisi, ma tornai subito serio:

« Non è andata così male, l'hai ammesso anche tu ».

« Perché ero con te ».

Per un po' restammo in silenzio: io guardavo la luna, mentre sentivo i suoi occhi su di me.

« Mi dici una cosa?  », chiesi, sbirciandola sorridendo a mezza bocca.

« Non ti dico sempre tutto? ».

« Promettilo », insistetti.

« D'accordo ».

« Mi sei sembrata sinceramente sorpresa quando hai capito che ti stavo portando qui... ».

« Sì, lo ero »,mi interruppe.

« Appunto... ma certo sospettavi qualcos'altro... Sono curio­so: per quale occasione pensavi che ti avessi fatto vestire così? ».     << Non te lo dico».

« Hai promesso ».

« Lo so ».

« Che problema c'è? ».

Non capivo il suo imbarazzo.

« Non vorrei farti arrabbiare... o intristire ».

Aggrottai le sopracciglia pensieroso:

 « Non m'importa. Per favore, dimmelo ».

Fece un sospiro.

« Be'... davo per scontato che fosse un'occasione... speciale. Ma non immaginavo che fosse una mediocre faccenda uma­na... Il ballo di fine anno! », disse sprezzante.

« Umana? », chiesi, senza fare una piega. Avevo intuito che la parola chiave fosse “umana”

Si guardò il vestito, giocherellando con un lembo dello chiffon. Restando in silenzio, attesi.

« Va bene ».assentì. « Ecco, speravo che aves­si cambiato idea... e che ti fossi deciso a cambiare me, dopo­tutto ».

A quelle parole reagii prima con rabbia, poi tormento…infine riuscii ad emettere una risata.

« E secondo te quella sarebbe stata un'occasione da vestito da sera, eh? », dissi, provocandola, e aggiustai il risvolto della giacca da smoking.

Abbassò gli occhi per nascondere l'imbarazzo.

« Non so come funzionano queste cose. A me, però, sembra più logico che per un ballo di fine anno ». Non riuscivo a smettere di sogghignare. «Non c'è niente da ridere», tagliò corto.

« No, hai ragione, certo che no », e il mio sorriso sparì. « Però preferisco prenderla a ridere, piuttosto che credere che tu pos­sa dire sul serio ».

« Ma io dico sul serio ».

« Lo so. E ci terresti davvero? » le chiesi, sospirando tormentato.

Incontrò i miei occhi, e mordendosi il labbro inferiore annuì.

« E allora preparati alla fine », mormorai, quasi tra me. « Pre­parati al crepuscolo della tua vita appena iniziata. Preparati a rinunciare a tutto ».

« Non è la fine, è l'inizio. È la luce dell'alba », mi corresse, sot­tovoce.

« Non ne sono degno », risposi, triste.

« Ricordi quando mi hai detto che non avevo una percezione chiara di me stessa? », chiese, alzando le sopracciglia. «Eviden­temente tu sei cieco allo stesso modo ».

« Io so ciò che sono ».

Sospirò.

Mi concentrai su di lei. Strinsi le labbra e la scrutai da vicino. Esaminai il suo viso, nella sua bellezza umana.

« Perciò, ti senti pronta? ».

« Ehm » , deglutì. « Sì ».

Sorrisi e inclinai la testa fino a sfiorarle con le labbra fredde l'incavo sotto il mento.

« Adesso? », dissi in un soffio. Rabbrividì al mio respiro sul collo.

« Sì », sussurrò.

Risi cupo e mi allontanai: che delusione, aveva poca stima di me.

« Secondo te cederei così facilmente? », chiesi sarcastico, con una nota di amarezza.

« Sognare non costa niente ».

 « Questo sarebbe il tuo sogno? Diventare un mostro? » sgranai gli occhi allibito.

« Non proprio », rispose. « Più che altro, sogno di restare con te per sempre ».

Nel sentire la sua sofferenza, addolcii l’espressione dei miei occhi.

« Bella » le sfiorai il contorno delle labbra con un dito. « Sta­rò sempre con te. Non ti basta? ».

« Mi basta, per ora » sentii le sue labbra stirarsi in un sorriso, sotto le dita.

La sua testardaggine mi fece perdere la pazienza. Era decisa quanto a me a non volersi arrendere. Ruggii lievemente.

« Stammi a sentire. Ti amo più di qualsiasi altra cosa al mondo, senza eccezioni. Non ti basta? » mi chiese, sfiorandomi il viso.

 «Sì, mi basta », risposi, sorridendo. «Mi basta, per sempre».

E le sfiorai di nuovo il collo con le labbra.

 

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Capitolo 26
*** Il ballo ***


Epilogo.

Il ballo.

Aiutai Bella a salire sulla mia Volvo, facendo attenzione a non rovinare gli svolazzi di seta e chiffon del vestito che Alice le aveva costretto ad indossare, i fiori che le aveva appena appuntato sui riccioli e l’ingombrante gesso alla gamba.

Sul suo viso dipinta una maschera di disappunto, facile intuire il perché: il suo abbigliamento la metteva a disagio.

Accomodata Bella sul sedile, presi posto alla guida e feci retromarcia sul vialetto.

« Posso sapere quando ti prenderai la briga di rivelarmi cosa sta succedendo? », chiese, scontrosa.

Non le piacevano le sorprese, eppure non le avevo ancora rivelato la nostra meta…eppure non era difficile, dato che anche io ero elegante, indossando uno smoking.

« È assurdo che tu non abbia ancora capito >> le feci notare, sorridendo.

« Ti ho informato del fatto che sei molto carino, vero? ».

« Sì » sorrisi di nuovo, nel sentire il suo apprezzamento.

« Non verrò mai più da nessuna parte con te, se mi toccherà di nuovo farmi trattare da Alice come Barbie-cavia-da-laboratorio », brontolò.

Beh come darle torto, era stata sequestrata da mia sorella, costretta nel suo enorme bagno, completamente vittima della sua mercé; dall’altra parte io personalmente avevo apprezzato il risultato finale. Amavo Bella per quel che era, anche con i suoi soliti jeans, però fasciata in quel vestito blu scuro, senza spalline, e con i tacchi alti la trovai magnifica.

Stavo per ribadire la sua affermazione, facendole i dovuti complimenti, quando squillò il telefono.

Estrassi dalla tasca interna della giacca il telefono, e guardando il display aggrottai le sopracciglia.

« Pronto, Charlie » risposi, sospettoso. Perché aveva chiamato?

« Charlie? ».

Negli ultimi tempi, da quando avevamo fatto ritorno a Forks potando Bella nelle sue condizioni- viva per miracolo- suo padre era diventato molto apprensivo e nonostante la profonda gratitudine che aveva riversato su mio padre, non poteva dirsi lo stesso nei miei confronti. Mi riteneva responsabile per quanto successo a sua figlia…e in tutta sincerità, non mi ero trovato in disaccordo con lui.

<< Qui a casa è venuto Tyler Crowel dicendo che aveva già appuntamento con Bella >> nel sentire quelle parole, strabuzzai gli occhi. Che storia era mai questa?

« Sta scherzando! »

« Che c'è? », chiese Bella.

Non le badai, e presi le rendini della situazione.

 « Posso parlargli io? » suggerii, avevo proprio voglia di dirgliele quattro.

Attesi solo qualche secondo:

« Ciao Tyler, sono Edward Cullen » sfoggiai una calma apparente.

Sentivo gli occhi di Bella puntati addosso.

« Mi dispiace che ci sia stato un fraintendimento, ma Bella è occupata, stasera » poi divenni volutamente minaccioso. «Anzi, per la verità è occupata tutte le sere, per chiunque, escluso il sottoscritto. Senza offesa. Spiacente se la tua serata non andrà come speravi ». Chiusi la conversazione, ridendo soddisfatto.

Guardai Bella, che era avvampata di rabbia, le mostrai una sguardo sorpreso.

« Credi che abbia esagerato un po'? Non volevo essere offensivo riguardo a te ».

Mi ignorò, accusandomi di altro.

« Mi stai portando al ballo di fine anno! », strillò.

Avevo messo in conto che non avrebbe gradito, ma mai mi sarei aspettato una reazione tanto esagerata.

La guardai tornando serio, e dissi tra i denti:

« Non fare la difficile, Bella ».

Spostò lo sguardo fuori dal finestrino.

« Perché mi stai facendo questo? », chiese, nel panico..

 « Sinceramente, Bella, dove cre­devi che ti volessi portare? » le chiesi indicando il mio smoking.

Non rispose, chinò il capo guardandosi il vestito, poi notai le lacrime rigarle le guancie.

« È ridicolo. Perché piangi? », chiesi irritato.

« Perché mi hai fatta arrabbiare! >> esclamò, tornando a guardarmi.

« Bella » la rimproverai, inchiodandola con uno sguardo.

« Cosa? », mormorò, turbata.

« Assecondami. Per piacere» .

« Bene », mormorò « Te la do vinta. Ma vedrai. È un bel po' che non m'imbatto in una vera disgrazia. Come minimo mi romperò l'altra gamba. Guarda la scarpa! È una trappola mortale! » mi mostrò la gamba buona.

« Mmm » la fissai più del necessario, non capendo perché nascondesse sempre delle gambe così belle « Stasera voglio ringraziare Alice, ricordamelo ».

« Ci sarà anche lei? ».

« Assieme a Jasper, Emmett... e Rosalie ».

Indagai sul suo viso: nonostante tutti si fossero abituati a lei, Rosalie continuava a fare la difficile. Bella non mostrò segni di inquietudine, chiese invece:

« Charlie è al corrente di questo? »

« Certo » poi soffocai una risata: « A quanto pare, solo Tyler non sapeva nulla ».

Ma se era uno stolto non era colpa mia: l’unica cosa che mi teneva lontano da Bella erano le rare giornate di sole, per il resto del tempo a scuola eravamo inseparabili.

Arrivati a scuola,parcheggiai affianco la cabriolet rosso fuoco di Rosalie.

Scesi dall'auto e andai ad aprirle la portiera. Le offrii la mano.

Rimase incaponita seduta al mio posto, a braccia conserte. Il parcheggio era affollato di persone in abito da sera: tutti testimoni. Non avrei potuto estrarla dall'auto con la forza, come non avrei esitato a fare se fossimo stati soli.

Sospirai:

« Di fronte a un assassino sei coraggiosa come un leone, ma basta che qualcuno parli di ballare... » scossi il capo, interdetto.

Rabbrividì sentendo quella parola.

« Bella, ti terrò lontana da tutti i pericoli, compresa te stessa. Non ti mollerò un attimo, lo prometto ».

Davanti la mia promessa, che trapelava di sincerità, il suo viso si rilassò.

« Forza, adesso », dissi gentile. « Non sarà così male » mi chinai e con un braccio le cinsi la vita. Afferrò l'altra mano, e si lasciò sollevare per uscire dall'auto.

L’aiutai a zoppicare fino all'ingresso della scuola, tenendo­la ben stretta a me.

Quando entrammo nella palestra, le scappò un risolino. C'era­no veri arcobaleni di palloncini e ghirlande attorcigliate di car­ta crespa sulle pareti.

« Sembra l'inizio di un film dell'orrore », disse, ridendo sotto i baffi.

« Be '», mormorai mentre ci avvicinavamo a fatica al tavolo che fungeva da biglietteria - reggevo quasi tutto il mio peso, ma era comunque costretta a dondolare il piede per trascinarsi in avanti -, «in effetti i vampiri non mancano».

Guardò la pista da ballo, al centro si era formato uno spazio vuoto in cui Rosalie ed Emmett roteavano divinamente. Gli altri bal­lerini restavano ai margini della sala, per fare spazio: tutti te­mevano il confronto.

Tutti i presenti erano in soggezione da Emmett e Jasper, mentre Rosalie con il vestito mozzafiato che aveva scelto era riuscita a far sentire mortificata ogni ragazza.

« Vuoi che blocchi le uscite, così potete massacrare gli ignari cittadini? », sussurrò Bella, con fare cospiratorio.

« E tu da che parte stai? ».

« Con i vampiri, ovvio ».

« Qualsiasi cosa, pur di non ballare » notai, incapace di trattenere un sorriso.

« Qualsiasi cosa ».

Comprai i biglietti, poi la feci voltare in direzione della pista da ballo. Stava abbarbicata al mio braccio e trascinava i piedi, opponendo resistenza.

« Ho tutta la serata », le feci notare, di tempo non me ne mancava.

Alla fine riuscii a trascinarla nel punto in cui i miei fratelli piroettavano. Bella si arrestò a guardarli spaventata.

« Edward » la sua voce si era fatta rauca.«Sinceramente, non so ballare! »

« Sciocca, non preoccuparti », risposi. « Io sì » guidai le sue mani a cingermi il collo, la sollevai appena e feci scivolare i piedi sotto i suoi.

E anche noi ci ritrovammo a roteare.

« Mi sembra di avere cinque anni », disse ridendo, dopo qual­che minuto di quel valzer in cui era trasportata senza sforzo.

« Non li dimostri » , mormorai stringendola di più a me, e per un istante volò qualche centimetro dal suolo.

“Coraggio Bella, lasciati andare”

Sentendo quel pensiero, capii che Bella spostando momentaneamente lo sguardo, aveva incontrato quello di mia sorella.

« Okay, non è così male, lo ammetto ».

Non le badai, fissai lo sguardo irritato.

« Che c'è? », chiese ad alta voce.

Dato il mio silenzio, seguì il mio sguardo e vide anche lei Jacob farsi largo tra la folla per venire verso di noi.

Ringhiai sottovoce, leggendo nella sua mente.

« Controllati! », sibilò.

« Vuole fare due chiac­chiere con te » l’avvertii furioso.

A quel punto Jacob ci raggiunse: il ragazzo era in imbarazzo glielo si poteva leggere in faccia, ma non m’impietosì.

« Ehi, Bella, speravo proprio di trovarti ».

Fu quello che disse, ma non quello che pensò: aveva sperato nell’esatto opposto.

« Ciao, Jacob », rispose Bella, ricambiando il suo sorriso. « Tutto bene? ».

« Mi concedi un ballo? », azzardò, lanciandomi un'occhiata.

Non mi fece piacere la sua proposta, ma conoscevo abbastanza bene Bella ormai e sapevo che lei non glielo avrebbe negato,così senza dire una parola la feci scendere dai miei piedi e  mossi un passo indietro.

« Grazie », disse Jacob, cortese.

Annuii e le rivolse uno sguardo deciso, prima di al­lontanarmi, andandomi ad appoggiare al muro: non avevo intenzione di perderli di vista.

Jacob le si avvicinò e presero posizione nella danza.

« Accidenti, Jake, quanto sei alto adesso? ».

« Più di un metro e ottanta », rispose fiero.

In realtà non ballavano,  si limitavano a dondolare goffi sul posto. Jacob, al mio contrario, non era un ballerino provetto.

« Come sei finito qui, stasera? », gli chiese Bella.

« Ci credi se ti dico che mio padre mi ha dato venti verdoni per venire al tuo ballo di fine anno? », confessò lui.

 « Sì, ci credo »rispose Bella. « Be', se non altro spero che tu ti stia divertendo. Hai visto qualcuna che ti piace? ». Indicò un gruppo di ragazze, allineate lungo.

« Sì », sospirò, « una, ma è occupata ».

Ovvio che anche lui fosse uno spasimante di Bella, non potevo far altro che sopportarlo da bravo fidanzato.

Jacob abbassò gli occhi e incontrò i suoi per un istante. Poi en­trambi distolsero lo sguardo, imbarazzati.

« A proposito, sei molto carina stasera », aggiunse timido.

Carina era un’offesa, per quanto era stupenda quella sera.

« Ehm, grazie. Ma perché Billy ti avrebbe pagato per venire qui? »

 « Secondo lui era un posto "sicuro" per parlare con te. Mi sa tanto che il vecchio ha perso qualche rotella » disse Jacob, guardando altrove dal viso di Bella.

Entrambi risero, senza convincimento.

« E comunque, mi ha detto che se ti riferisco un certo mes­saggio, mi procurerà il cilindro freni che cerco » proseguì Jacob.

« Allora parla. Ci tengo a vedere la tua macchina finita »,

Stava per rivelarle il motivo per cui era venuto, scrutai l’espressione di Bella.

« Non arrabbiarti, okay? ».

«  Non sono capace di arrabbiarmi con te, Jacob. E non mi arrabbierò con Billy. Dimmi pure ».

« Be'... scusa, Bella, mi sembra talmente stupido... vuole che lasci il tuo ragazzo. Mi ha pregato di chiedertelo "per favo­re" ».

Se non altro il disgusto che Jacob ostentò, era sincero.

« È ancora superstizioso, eh? ».

« Sì. Ha... perso la bussola, quando ti sei fatta male a Phoe­nix. Non ha creduto che... ».

 « Sono caduta » specificò Bella, severa.

« Lo so ».

« Pensa che Edward abbia a che fare con ciò che mi è suc­cesso ».

Jacob non osava guardarla negli occhi. Non si preoccupa­vano nemmeno più di dondolare a ritmo, benché le sue mani fossero rimaste sui fianchi di Bella  che aveva le sue allacciate al collo di Jacob.

« Senti, Jacob, so che Billy stenterà a crederci, ma te lo dico lo stesso ». A quel punto tornò a fissarla, rincuorato dal tono sincero delle parole di Bella. « Edward mi ha davvero salvato la vita. Se non fosse stato per lui e suo padre, a quest'ora sarei morta ».

« Lo so », rispose.

« Senti, mi dispiace che tu sia venuto fin qui solo per questo, Jacob. Se non altro, vedi di rimediare il tuo pezzo mancante, eh? ».

« Sì », bisbigliò, ma era ancora teso visto che doveva riferirle un altro messaggio.

« C'è dell'altro? », gli chiese

« Lascia perdere. Mi troverò un lavoro e metterò da parte qualche soldo ».

« Sputa il rospo, Jacob ».

« Non ce la faccio ».

« Non m'importa. Parla ».

« Va bene... però, uffa, non è una bella cosa ». Scosse il capo. « Ha detto di dirti, no, di avvertirti - guarda che il plurale è suo, non mio - che... », staccò le mani da lei e mimò le virgo­lette,  « "ti terremo d'occhio" ». Attese la sua reazione, ansioso.

Sembrava la battuta di un film sulla mafia. Non riuscii a trattenere una risata ad alta voce.

« Mi dispiace che ti sia toccato farlo, Jake ».

« A me non dispiace granché » sorrise ammirandola, almeno aveva avuto occasione di vederla. « Quindi devo dirgli di farsi gli affaracci suoi? », chiese speranzoso.

« No », sospirò Bella. «Ringrazialo. So che lo fa per il mio bene».

La canzone finì, e lei sciolse l'abbraccio.

Lui esitò e guardò la sua gamba malconcia:

« Vuoi ballare ancora? O vuoi che ti aiuti a spostarti? ».

Ma a quel punto il mio livello di sopportazione era giunto al termine e reclamai Bella:

« Tutto a posto. La riprendo io ».

“Non l’ho sentito neanche avvicinarsi, ma come ha fatto?”

« Ehi, non ti avevo visto », mormorò Jacob. « Allora ci vediamo, Bella ». Fece un passo indietro e un cenno di saluto.

« Sì, ci rivediamo presto » lo saluto, sorridendo.

« E scusami », ripeté ancora e si diresse verso la porta.

Appena attaccò la canzone successiva, la strinsi. Era un ritmo un po' troppo sostenuto per balla­re un lento, ma non vi badai volevo stringerla me. Poggiò la testa sul mio petto.

« Ora va meglio? », mi chiese.

« Non proprio ».

« Non prendertela con Billy », sospirò. « È preoccupato per me perché Charlie è suo amico. Niente di personale ».

«Non ce l'ho con Billy », precisai brusco. « È suo figlio a irritarmi ».

Indietreggiò per guardarmi meglio, e si accorse della serietà sul mio viso.

« Perché? ».

« Prima di tutto, mi ha costretto a violare la mia promessa ».

Mi fissò sconcertata.

« Avevo promesso che stasera non ti avrei mollata neanche per un secondo» dissi accennando un sorriso.

« Ah. Be', sei perdonato ».

« Grazie. Ma c'è dell'altro » dissi aggrottando le sopracciglia.

Aspettò che specificai.

« Ha detto che sei carina », aggiunsi, infine, scuro in volto. « Il che è praticamente un insulto, stasera. Sei molto più che bellissima ».

« Forse il tuo è un giudizio di parte », disse ridendo.

« Non credo. Inoltre, la mia vista è perfetta ».

Avevamo ricominciato a roteare vicini, i miei piedi sotto i suoi.

« Mi spieghi il perché di tutto questo? », domandò.

La guardai, confuso, e lei accennò ai festoni di carta crespa.

Restai a pensare per un momento, e poi cambiai direzione, volteggiando assieme a lei attraverso la folla, verso l'uscita po­steriore della palestra. Incontrammo tutto il gruppo di amicizie di Bella, senza fermarci. Rimasti soli all’aperto la sollevai tra le braccia e la portai fino alla panchina ai piedi dei corbezzoli. Mi sedetti e presi a cullarla stringendola contro il petto.

« Allora? », chiese  sottovoce.

Non l’ascoltavo, guardavo la luna già sorto:inquieto.

« Di nuovo il crepuscolo », mormorai. « Un'altra fine. Ogni giorno deve finire, anche il più perfetto ».

« Non è detto che tutto abbia una fine », mormorò tra sé.

Mi lasciai sfuggire un sospiro, capendo a cosa alludesse.

« Ti ho porta­ta al ballo perché desidero che tu non ti perda niente. Non vo­glio che la mia presenza ti privi di nulla, finché mi è possibile. Voglio che tu sia umana. Voglio che la tua vita prosegua come se fossi morto nel 1918, come era mio destino ».

« In quale strana dimensione parallela pensi che sarei venuta al ballo di mia spontanea volontà? Se tu non fossi mille volte più forte di me, non ti avrei mai lasciato fare » tremò e scosse il capo.

In un primo momento sorrisi, ma tornai subito serio:

« Non è andata così male, l'hai ammesso anche tu ».

« Perché ero con te ».

Per un po' restammo in silenzio: io guardavo la luna, mentre sentivo i suoi occhi su di me.

« Mi dici una cosa?  », chiesi, sbirciandola sorridendo a mezza bocca.

« Non ti dico sempre tutto? ».

« Promettilo », insistetti.

« D'accordo ».

« Mi sei sembrata sinceramente sorpresa quando hai capito che ti stavo portando qui... ».

« Sì, lo ero »,mi interruppe.

« Appunto... ma certo sospettavi qualcos'altro... Sono curio­so: per quale occasione pensavi che ti avessi fatto vestire così? ».     << Non te lo dico».

« Hai promesso ».

« Lo so ».

« Che problema c'è? ».

Non capivo il suo imbarazzo.

« Non vorrei farti arrabbiare... o intristire ».

Aggrottai le sopracciglia pensieroso:

 « Non m'importa. Per favore, dimmelo ».

Fece un sospiro.

« Be'... davo per scontato che fosse un'occasione... speciale. Ma non immaginavo che fosse una mediocre faccenda uma­na... Il ballo di fine anno! », disse sprezzante.

« Umana? », chiesi, senza fare una piega. Avevo intuito che la parola chiave fosse “umana”

Si guardò il vestito, giocherellando con un lembo dello chiffon. Restando in silenzio, attesi.

« Va bene ».assentì. « Ecco, speravo che aves­si cambiato idea... e che ti fossi deciso a cambiare me, dopo­tutto ».

A quelle parole reagii prima con rabbia, poi tormento…infine riuscii ad emettere una risata.

« E secondo te quella sarebbe stata un'occasione da vestito da sera, eh? », dissi, provocandola, e aggiustai il risvolto della giacca da smoking.

Abbassò gli occhi per nascondere l'imbarazzo.

« Non so come funzionano queste cose. A me, però, sembra più logico che per un ballo di fine anno ». Non riuscivo a smettere di sogghignare. «Non c'è niente da ridere», tagliò corto.

« No, hai ragione, certo che no », e il mio sorriso sparì. « Però preferisco prenderla a ridere, piuttosto che credere che tu pos­sa dire sul serio ».

« Ma io dico sul serio ».

« Lo so. E ci terresti davvero? » le chiesi, sospirando tormentato.

Incontrò i miei occhi, e mordendosi il labbro inferiore annuì.

« E allora preparati alla fine », mormorai, quasi tra me. « Pre­parati al crepuscolo della tua vita appena iniziata. Preparati a rinunciare a tutto ».

« Non è la fine, è l'inizio. È la luce dell'alba », mi corresse, sot­tovoce.

« Non ne sono degno », risposi, triste.

« Ricordi quando mi hai detto che non avevo una percezione chiara di me stessa? », chiese, alzando le sopracciglia. «Eviden­temente tu sei cieco allo stesso modo ».

« Io so ciò che sono ».

Sospirò.

Mi concentrai su di lei. Strinsi le labbra e la scrutai da vicino. Esaminai il suo viso, nella sua bellezza umana.

« Perciò, ti senti pronta? ».

« Ehm » , deglutì. « Sì ».

Sorrisi e inclinai la testa fino a sfiorarle con le labbra fredde l'incavo sotto il mento.

« Adesso? », dissi in un soffio. Rabbrividì al mio respiro sul collo.

« Sì », sussurrò.

Risi cupo e mi allontanai: che delusione, aveva poca stima di me.

« Secondo te cederei così facilmente? », chiesi sarcastico, con una nota di amarezza.

« Sognare non costa niente ».

 « Questo sarebbe il tuo sogno? Diventare un mostro? » sgranai gli occhi allibito.

« Non proprio », rispose. « Più che altro, sogno di restare con te per sempre ».

Nel sentire la sua sofferenza, addolcii l’espressione dei miei occhi.

« Bella » le sfiorai il contorno delle labbra con un dito. « Sta­rò sempre con te. Non ti basta? ».

« Mi basta, per ora » sentii le sue labbra stirarsi in un sorriso, sotto le dita.

La sua testardaggine mi fece perdere la pazienza. Era decisa quanto a me a non volersi arrendere. Ruggii lievemente.

« Stammi a sentire. Ti amo più di qualsiasi altra cosa al mondo, senza eccezioni. Non ti basta? » mi chiese, sfiorandomi il viso.

 « Sì, mi basta », risposi, sorridendo. « Mi basta, per sempre ».

E le sfiorai di nuovo il collo con le labbra.

 

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