In the land of Gods and Monsters, I was ...

di Gwenhwyvar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Una notte da lupi ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2- Come lupi ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3- Sempre a testa alta ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4- Welcome to Camp Jupiter ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5- Dulce bellum inexpertis, expertus metuit ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6- Life's a game made for everyone and love is a prize ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7- Looking for you ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Una notte da lupi ***


Buon ciao a tutti voi che passerete da qui!  
Questa è la prima long che pubblico  e sono molto nervosa al riguardo.
La storia è nata dalla domanda 'Ma questi romani cosa fanno?'. Tutti ci siamo fatti questa domanda, ammettetelo. In HoH si possono carpire alcune cose però a me le informazioni mi lasciano piuttosto insoddisfatta.  Spero di saperne di più in BoO ma intanto  la mia mente ha cercato di sviluppare qualcosina e spero che quel qualcosina sia di vostro gradimento ^^
Ringrazio la mia amica di cuore che finalmente è riuscita a convincermi a pubblicare
 

CAPITOLO 1- Una notte da lupi

 
Quella in cui Emma conobbe Lupa, fu una vera notte da lupi. Forse perché in quella campagna non regnava il rumore che vi era in città e cui lei era abituata o forse perché c'era un che di mistero, qualcosa di magico che si librava nell'aria, invisibile ma tangibile nel cuore e nel sangue. Emma era stata pervasa da questa sensazione di magia prima che gli animali facessero la loro comparsa. La ragazza era uscita dalla casa in campagna che i suoi avevano affittato per le vacanze in una rustica cittadina della California. C'era stato un caldo tremendo quel giorno e lei era andata avanti grazie alle bibite ghiacciate. Ora che il sole e il caldo asfissiante avevano lasciato spazio all’ombra e freschezza, Emma ne aveva approfittato per ristorarsi prima di andare a dormire. I suoi stavano guardando un programma in televisione, il che era strano dato che la tv si accendeva solo per i film di Harry Potter o per un notiziario particolarmente importante e occasionale, altrimenti i suoi compravano il giornale.
Emma si sedette sull'altalena, una di quelle con enormi cuscinoni a righe blue e bianche, e fissò i puntini di luce che ornavano il cielo come se fossero lustrini che decoravano un vestito nero.
C'era una gran tranquillità e la magia nell'aria cominciava a farsi sentire, una magia che faceva risuonare qualcosa che attirava qualcosa dall'interno di Emma. Sentiva il suo sangue come se cantasse, come se attirasse qualcosa verso di lei. Poi la piacevole atmosfera creata dalla magia, così tranquilla e rilassante, fu spezzata dalla non altrettanto piacevole, sensazione di essere osservata. Scattò a sedere e scrutò gli alberi attentamente ma nulla apparve nel suo campo visivo. Restò a guardare per diversi momenti, perché ormai la sensazione era diventata un martello che picchiettava nel suo cervello e la sua iperattività, che sembrava essersi assopita un pochino poco prima, divenne più … iper.
Non è niente” pensò per rassicurarsi, “Stenditi per un altro pochino e poi rientra”. E così fece.
In verità avrebbe dovuto prendere ad esempio tutti i film horror, che quel pazzo di suo cugino, le aveva fatto vedere, e rientrare in casa immediatamente. E dire che si lamentava spesso con i protagonisti perché non ascoltavano i suoi suggerimenti. Sembrava che ora fossero tutti nella sua testa a guardarla con espressione di chi la sapeva lunga e che la incitassero a rientrare a casa. Se Emma avesse ascoltato il protagonista dell’ultimo film horror che aveva visto, pieno di cliché ma abbastanza simpatico, probabilmente avrebbe continuato a fare una vita tranquilla, si sarebbe diplomata con i suoi normalissimi amici, sarebbe andata in un normalissimo college e avrebbe finito per trascorrere i suoi giorni in una normalissima casa di riposo per gli anziani.
Invece, Emma era un po’ come quegli scapestrati dei protagonisti dei film horror e quindi per lei era naturale andare a cacciarsi nei guai. Non trovò madri fantasma che cercavano i figli o vampiri che volevano succhiarle il sangue. Né ragazzine che, possedute dal demonio, cercavano di convertirla al satanismo. 'E che cavolo, io sono atea' borbottò mentalmente, mentre nella sua testa predominava l'immagine della bambina de l'Esorcista.
Il film della sua nuova vita cominciò con un lupo. Un lupo grigio e dagli occhi color ambra, da come poteva vedere dalla luce dei lampioni, e molto alto. Non aveva mai avuto occasione di vederne uno da vicino, prima di allora, ma era piuttosto sicura che quei canidi avessero dimensioni più contenute rispetto a quello che si trovava davanti. Dietro di lui apparvero altri, che avevano delle dimensioni 'normali'. Emma si sentì sbiancare. Tra le possibili morti che aveva valutato, ’sbranata dai lupi' non rientrava nella top five. Emma non aveva molta simpatia per i cani normali e la cosa era reciproca. Trovarsi un branco di lupi, la stava mandando nel panico. Il cervello le diceva di scappare, le gambe erano diventate di marmo. L'urlo che avrebbe voluto fare, le morì in gola.
Il lupo grande avanzò leggermente, piano piano, come a voler testare quanta tensione riuscisse a sopportare. In situazioni assurde come quella, di solito la gente non pensa che, dopo aver fatto un compito di matematica, senza aver studiato, ed essere sopravvissuti con la sufficienza, si è pronti a qualsiasi cosa. Però nella realtà, o meglio, nella realtà cui Emma era abituata non accadevano quelle cose. Cominciò a percepire una sorta di sconforto. << Emma >> salutò l'animale. Non aveva mosso muscolo per parlare. Eppure lo aveva sentito con le orecchie e ne aveva avvertita la presenza della mente, che andava svanendo man mano. Il suo sguardo fu catturato da quello ambrato e duro del lupo grande. La stava canzonando con lo sguardo ed Emma ricordò tutte le pseudo vip antipatiche e spocchiose che ingrossavano i corridoi dei licei. Si sentiva provocata. Il sangue, che fino a poco fa l'aveva abbandonata, ritornò a farsi sentire, abbondante come un'inondazione. << Lupa >> rispose Emma dopo un paio di attimi. Restò di stucco. Era sicura che l'animale si chiamasse così però non sapeva come facesse a conoscerlo. Era sbucato nella sua testa così, come se lo avesse sempre saputo. Stava sicuramente delirando.
<< Quindi sai parlare … perfetto … >> disse Lupa per poi avanzare piano piano verso di lei. Le girò intorno, la annusò. Emma era percorsa da brividi lungo la spina dorsale ogni volta che la coda di Lupa la sfiorava, e tutte le volte sperava che non se ne accorgesse. Un'altra cosa riguardo l'animale, come il suo nome, fece capolino nei pensieri della ragazza. Non apprezzava chi si dimostrava debole. Emma non si reputava una persona debole. La vita da adolescente americana non prometteva grandi dimostrazioni di coraggio e di forza però Emma si dava da fare contro i piccoli inconvenienti quotidiani. Con i bulli a scuola, sanciva tregue in cui entrambi s’ignoravano. Se c'era da passare alle mani, Emma non aveva problemi. Di solito non attaccava mai, si limitava alla difesa personale. Tranne una volta, in cui un sua coetanea l’aveva presa in giro davanti a tutti, scherzando su una questione familiare di cui non sapeva come ne fosse venuta a conoscenza. Non ricordava molto dell’accaduto, solo la rabbia e il rosso. Le raccontarono poi dell’aggressione alla smorfiosa e il fatto che le avesse rotto un piede. Il preside aveva convocato in suoi dicendo che doveva cambiare scuola. In ospedale aveva dovuto chiedere scusa davanti ai genitori della ragazza che come lei, ricambiò le scuse di malavoglia. Come poteva pensare ai suoi trascorsi spiacevoli proprio in quel momento, non ne aveva idea.
<< Interessante… >> commentò Lupa, come se sapesse cosa stesse pensando in quel momento. Il cerchio di lupi si aprì e Lupa scattò verso il bosco, seguita da alcuni membri del suo branco.
Emma rimase ferma al suo posto, stralunata e incapace di dare un filo logico a quello che stava succedendo. Il latrato di uno dei lupi rimasti ad aspettarla, la riscosse dalla sua trance. Due di loro erano rimasti ai margini del bosco, con aria di attesa. Volevano che li seguisse. Le sue gambe, tanto immobili prima, sembravano incapaci di sostenerla, perché tremavano molto.
I primi passi furono piuttosto difficili. E poi perché stava rincorrendo un lupo enorme parlante? Sua madre gli aveva detto di non bere lo spumante al matrimonio di zio George, un fratello del marito di sua madre.
La sua parte razionale le stava dicendo che era idiota, incosciente e incoerente. La prossima volta che avrebbe visto un horror, avrebbe fatto bene a tacere.  Anche se le sue avventure preferiva che iniziassero con una lettera verso una scuola di maghi in Inghilterra o un vecchio stregone che le chiedeva di nascondere un anello maligno. Di certo non con degli enormi lupi parlanti.
Un altro ululato la fece sussultare. Se la sua parte razionale continuava a urlarle che è un idiota, una parte più istintiva aveva preso il sopravvento e la fece correre. Correre le diede un certo senso di libertà, il vento che le arrivava in faccia e le scompigliava in capelli (di sicuro non come Pocahontas, di questo era certa), sembrava scacciare la parte razionale della sua testa, che era diventata un po’ fastidiosa, lasciando solo la voglia di correre. Molti ululati squarciarono l'aria ma Emma non sentiva paura. Lupa non le avrebbe fatto del male. Non ora, almeno. Lo sentiva. E continuò a correre.
 
Azalea Hernandèz, 37enne, sposata con Amadeus Robinson, stava guardando un film con il proprio marito e ricordando il loro primo appuntamento, avvenuto appunto al cinema. Suo marito era una normale persona al contrario suo che per un certo periodo della sua vita aveva vissuto in campo estivo per semidei. Era nata e aveva passato un’infanzia nel quartiere più malfamato di Nuova Roma, in cui spesso era costretta a rubare per vivere. Sin da piccola era stata attirata dalle piante e alcuni poveri contadini la conoscevano e le avevano insegnato qualcosa. Un giorno la videro far crescere un seme appena piantato nel giro di pochi minuti. E l’avevano segnalata al campo. Lì era stato diverso. Aveva partecipato a imprese, combattuto con i mostri e alcuni li aveva uccisi. Si era sempre trovata a disagio all’idea di uccidere qualsiasi forma di vita, anche se malefica come quella di chi proveniva dal Tartaro. Per questo motivo visse i suoi dieci anni di servizio angosciosamente. Le uniche cose che la aiutavano a sopportare la sua permanenza erano la sua migliore amica, una discendente di Mercurio di nome Ignatia, e un figlio di Marte per cui si era presa una bella cotta, il cui nome era August.
Ignatia era un tipo solare, una brava ladra e, come lei, un tipo più da formica che da cicala. Ignatia comprendeva il perché dei suoi passati furti mentre lei capiva la sua ossessione per il risparmio, anche se a volte era seriamente ossessiva.
August era un guerrafondaio, da bravo figlio del dio della guerra. Amava discutere e litigare, sempre nei limiti di un romano, invece lei faceva discussioni solo sull’alimentazione. Erano molto diversi, anche nell’aspetto fisico. Lei aveva la pelle chiara, i capelli biondi come le spighe mature a giugno, gli occhi azzurri come il cielo di quel mese. Non era molto alta e neanche molto robusta, anche se gli allenamenti al Campo Giove e i tre pasti assicurati ogni giorno le avevano fatto da toccasana per il suo fisico rachitico. Anche se come tutte le figlie della dea delle messi avevano le forme al punto giusto, anzi alcune sue sorelle erano anche più formose. August invece era alto e robusto, gli occhi e i capelli erano castani, la pelle rossastra. Un giorno, sulle rive del Grande Lago, i due si misero insieme. I primi tempi furono belli. Era premuroso, un po’ possessivo nei suoi confronti. Fu la sua prima storia e la più deludente. Il figlio di Marte aveva altre due ragazze con cui se la spassava quando non era con lei e la scoperta la fece sentire umiliata, ingenua e stupida. In seguito, la sua migliore amica morì durante un’impresa. Azalea si sentì più sola. Ignatia sapeva tutto di lei, il suo passato, le sue paure. La figlia di Cerere decise di abbandonare quel posto così impregnato di dolore. Nonostante non si trovasse molto bene al Campo, alla fine vi era un po’ affezionata, ma non bastò per impedire alla ragazza di andarsene. Aveva compiuto ventuno anni.
Il mondo esterno lo aveva solo assaggiato, ne aveva visto solo il trailer. Era più disordinato, frettoloso. Da un lato, Nuova Roma era preferibile, era più sicura, c’erano meno ubriachi e molestatori, dall’altro, nessuno pretendeva da lei degli alti meriti in campo militare. In più, niente le ricordava le vicende dolorose che aveva vissuto.
Per finanziarsi gli studi andò a lavorare come badante per anziani in una cittadina di campagna californiana, non molto lontana dalla città di Santa Rosa, un’anziana coppia che la trattava come una figlia oltre che come una dipendente.
Azalea aprì una sua erboristeria, proprio nella città di Santa Rosa. L’impiego e il fatto che dovesse spostarsi, la tenne lontana dagli Harmon, rendendo sua vita divenne più solitaria.
Decise che non poteva restare sola tutta la vita e cerco di rimediare. Non scelse una compagnia maschile, ancora troppo spaventata dall’ultima esperienza per riprovare. Decise di optare per l’adozione.
In una cittadina accanto a quella degli Harmon, più grande rispetto a quella in cui vivevano i due anziani, vi era un orfanotrofio gestite da suore.
Quel posto era un miscuglio di allegria e malinconia. I bambini giocavano e ridevano, contagiandoti, eppure si poteva vedere in loro un briciolo di tristezza.
Aveva notato Emma Rosalie quasi subito. Se ne stava all’angolo con uno sguardo pensieroso e un broncio. Notò delle piccole lentiggini sulle gote e sul naso. Gli occhioni castani fissavano un punto senza vederlo realmente. I capelli allora ondulati, divenuti più lisci col passare degli anni, svolazzavano al vento, anche se la bambina era seduta sotto la tettoia che portava in giardino, in punizione. Numerosi bambini le facevano i dispetti e lei rispondeva con la linguaccia.
Una delle suore le aveva raccontato che una ragazzina, in una classe mista tra gli orfani e alcuni ragazzi più fortunati del catechismo che svolgevano con il prete la domenica, l’aveva presa in giro perché non aveva i genitori, quando egli non era presente. Emma aveva reagito male e le aveva tirato i capelli per poi prendere una forbice e tagliarli. La ragazzina era scoppiata in lacrime ed Emma aveva fatto i capricci perché non voleva chiedere scusa. ‘L’intervento del pastore e di Dio c’è voluto per convincerla’ le aveva detto suor Mary. La piccola ricordava ad Azalea se stessa quando aveva la sua età, nonostante la piccola che si trovava davanti aveva più temperamento rispetto a lei. Entrambe non avevano avuto nessuna figura di riferimento, niente dimostrazioni di affetto materno né paterno. Suor Mary le aveva anche detto che nessuno voleva prenderla perché era una ragazzina problematica oltre ad avere
disturbi da deficit di attenzione e iperattività, accompagnati da dislessia. Azalea, a quelle parole, avrebbe voluto adottare immediatamente la ragazzina, consapevole che se fosse stata una semidea, nessuno l’avrebbe compresa meglio di un suo simile. Era una figlia di Cerere e spesso era ignorata dai mostri, però aveva pur sempre un’aura da semidio.
Eppure, decise di farsi conoscere dalla bambina.
Lei e la piccola Emma legarono quasi subito. Come tutti i bambini adorava a giocare con la terra ed Azalea era contenta di insegnarle nuovi giochi. Notò che apprendeva in fretta e che non era per nulla aggressiva come tutti l’avevano dipinta. Reagiva solo se provocata.
Molto dopo, decise di firmare le pratiche anche perché aveva trovato la soluzione al suo problema. L’avrebbero aiutata le piante. Avrebbe coperto l’odore di semidio con il profumo dei fiori. C’era la possibilità che la ragazzina non fosse una semidea e se anche lo fosse, finché restava ignara dell’esistenza di quel mondo, i fiori sarebbero bastati.
Lei e sua figlia vissero bene. Fece frequentare a Emma una scuola pubblica, in modo da avere migliori rapporti con l’esterno.
Era una vita semplice come quella di tanti americani.
I problemi vennero quando Azalea conobbe un suo coetaneo. Probabilmente era stupido, eppure quando Amadeus Robinson le chiese di uscire, accettò senza pensarci troppo. Il più grande ostacolo fu la piccola Emma che nel suo piccolo mondo, vedeva rubate dal primo che passava, le attenzioni e l’amore che aveva sempre voluto. Si rifiutò di parlare tranne quando Amedeus era in casa. In quelle occasioni, diventava veramente rumorosa per impedire ogni sorta di dialogo tra loro due.
Amedeus lavorava come insegnante di sostegno in una scuola media e aveva preso varie certificazioni per l’educazione di ragazzi con deficit e problemi vari.
Ci sapeva fare anche con i bambini. Non seppe che cosa disse mai a Emma ma riuscì a farsi sopportare da lei e poi a farsi voler bene. Infine Azalea sposò Amadeus ma Emma non lo chiamò mai 'papà' Durante la sua relazione, Azalea cercò di non concentrarsi solo sulla sua vita sentimentale in modo che Emma riuscisse a sopportare un’altra persona con cui dividere l’affetto.
E fino a quella sera tutto era andato bene.
Azalea percepì che qualcosa non andava in giardino, dove si trovava sua figlia, forse per istinto materno, forse per i sensi sviluppati nel periodo al Campo Giove.
Non si sentì più niente per un po’ di tempo e la donna decise di rilassarsi, senza successo. Il silenzio era troppo, troppo intenso. Sua figlia aveva la tendenza a distruggere tutto quello che la circondava, anche se non lo faceva apposta. Come un uragano.
<< Azalea, c’è troppo silenzio lì fuori, non credi? >> le domandò il marito, accortosi anche lui della stranezza. A Nuova Roma si vociferava sempre sulla stupidità dei mortali ed era vero quanto non lo era.
<< Si >> rispose flebilmente.
<< Forse avevi ragione su quella cosa che mi hai raccontato … >>con un tono di chi si rendeva conto
Amedeus sapeva degli dei e di tutto da poco più di un mese, quando Azalea ebbe cominciato a sospettare degli strani comportamenti di sua figlia come quando le raccontava di vedere cose strane nelle piante. Le analisi del sangue le diedero la conferma che non aveva assunto alcool o droghe. Amadeus non era andato in escandescenze quando le aveva raccontato tutto che se aveva avuto inizialmente difficoltà a crederle. Ed era amareggiato perché non gli aveva mai parlato di questo, vero o falso che fosse. Suo marito non possedeva il dono di vedere attraverso la Foschia, di conseguenza, non aveva potuto fornirgli alcune prove materiali.
Venere doveva essere stata in suo favore perché ci avevano messo una pietra sopra e continuato la loro vita come sempre.
Azalea si alzò dal divano e corse verso la foresta, in cerca di qualcosa che poteva confermare i suoi dubbi, e in parte, le sue paure. A Nuova Roma, tutti i genitori erano fieri di far entrare i propri figli in Legione tuttavia persisteva la paura costante che non sarebbero più ritornati. Il ricordo di Ignatia, la sua migliore amica si rifece vivido nella sua mente, dopo anni in cui era stato custodito gelosamente ma mai dimenticato. Aveva piantato dei girasoli nel suo giardino, i suoi fiori preferiti, per commemorarla. Le lacrime sfuggirono dai suoi occhi, annebbiandole la vista. Non avrebbe visto tracce di sua figlia neanche se avesse avuto la vista notturna di un gatto.
La consapevolezza che sua figlia stava per andare incontro a un pericoloso destino si fece strada dentro di lei e scoppiò in un pianto disperato.
Amedeus l’aveva intanto raggiunta e aveva compreso che ormai Lupa si era portata via la loro piccola.
 
Emma non sapeva per quanto tempo avevano corso ma ci volle meno del previsto per arrivare alla destinazione. Durante il tragitto si erano dovuti fermare più volte perché, non essendo molto abituata al buio, inciampava spesso. E ogni volta i lupi sembravano guardarla con aria famelica, che la metteva non poco a disagio.
<< Inciampa di nuovo, e mi sa che non arrivi alla destinazione >> l'aveva minacciata Lupa e, si era impegnata seriamente, spinta dall'istinto di conservazione e dalla pura voglia di farsi valere. Non si poteva aspettare che un rinforzo negativo la abbattesse, anzi.
Passate alcune ore, arrivarono alla destinazione. Emma non vedeva l’ora perché era molto stanca.
La destinazione la conosceva bene, in verità.
Una volta, le avevano dato da leggere per le vacanze invernali un libro di Jack London in vista di una gita scolastica su di lui, anche se lei, infine non ci era andata. Sua madre l’aveva obbligata a visitare la signora Harmon, donna per cui sua madre aveva lavorato in passato. Avevano avuto alcune discussioni ed Emma notò solo adesso quanto fosse preoccupato lo sguardo di sua madre. Capì che sua madre non voleva che andasse in quel posto. ‘Allora lei lo sapeva …’ pensò Emma e quella consapevolezza le provocò una fitta al petto, dentro la gabbia toracica. Non era un vero e proprio dolore. Delusione. Ecco cosa provava.
Scacciò quel sentimento via.
Ora, si ritrovava lì, nell'ampio spazio erboso che circondava la casa.  Un venticello fece smuovere le foglie in modo e produssero un fruscio un po tetro. Sentiva quella magia che aveva percepito nella casetta affittata, solo più forte, e mista a qualcosa di primitivo.
<< Benvenuta alla Casa del Lupo >> esordì Lupa senza alcuna inflessione particolare,<< la risposta alla minaccia di prima è molto … gradita. Non abbattersi è sintomo di forza, e ciò è molto … romano >> finì con un tono di approvazione.
Emma era contenta che non sarebbe stata usata per cenare, però la sua mente era in preda alle domande. Che cosa aveva fatto? Perché era andata lì? Che cosa ci faceva alla casa di Jack London? Che intendeva con la parola ‘romano’?
Romano. La sua mente si concentrava su quel lemma, come se fosse una parola “chiave” utile per memorizzare pagine di libri di testo che non ha voglia di studiare.
<< Le spiegazioni arriveranno a tempo debito. Ora dormi >> ordinò Lupa, con un tono che fece morire ogni forma di protesta di Emma. Se prima Emma aspettava solo il momento di dormire, ora non ne voleva proprio sapere. E poi non voleva dormire insieme a quegli animali, anche se fu costretta perché non voleva far arrabbiare Lupa proprio ora che aveva smesso di considerarla come un probabile pasto.
Si sdraiò e Lupa accanto a lei. Emma finse di dormire però era sicura che Lupa sapesse che non stava dormendo. Non riusciva ad assopirsi, troppo caos c'era nella sua testa. Razionalmente, andarsene in giro con dei lupi di notte, parlanti o meno, non era una cosa esattamente raccomandabile. Eppure le sembrava giusto essere là. Non sapeva perché, non sapeva nulla.
Quando si addormentò, fece un sogno strano.                         
Si trovava in una città in fiamme. Tra le macerie, corpi carbonizzati e sanguinanti erano riversi a terra. Emma sembrava l'unica sopravvissuta a quella devastazione. Girò per le strade in cerca di qualcuno, chiunque fosse, di vivo. In effetti, persone ancora in vita c’erano, ma da come si accasciavano agonizzanti, capiva che non lo sarebbero stati per molto. Non aveva guardato la morte prima d’ora e anche se quello era un sogno, turbò la ragazza lo stesso. Sembrava così reale che Emma si accorse che fosse una visione onirica solo perché lei era vestita in abiti moderni, mentre i corpi di alcune donne dalle chiome ricce vestivano di abiti antichi, di epoca greco-romana. Non avrebbe saputo dire a quale civiltà apparteneva esattamente.
Più in là, un ragazzino scappava da un guerriero. Emma corse ad aiutarlo ma, quando stava per prendergli la mano, trapassò il ragazzo. Si fermò stranita. Doveva assistere a quel tripudio di morte senza poter fare niente. Il bambino fu presto raggiunto e catturato dal guerriero. Fissò la direzione in cui sparirono.
Sperava solamente di svegliarsi, ma qualcosa glielo impediva. Cadde sulle sue ginocchia, talmente stranita che le sue gambe non la ressero più. Un movimento catturò la sua attenzione. Si avvicinò di soppiatto verso la direzione da cui proveniva.
Erano un gruppo di persone, una di loro anziana, e si dirigevano verso il mare.
Emma si ritrovò subito nella spiaggia, come spesse volte nei sogni capita che le lunghezze si accorcino o si allunghino. La spiaggia doveva essere stata bellissima ma ora era devastata. Legna, corpi e sangue erano ovunque. Il gruppo si diresse verso una nave e poi salpò. Emma rimase sulla spiaggia mentre osservava le persone salpare e solcare il mare leggermente mosso, grazie alla luce pallida della luna e alle fiamme che ancora divampavano nella città. Dalla sua posizione vide uno strano edificio scuro. Stuzzicò la sua curiosità, perché qualsiasi esso fosse, non serviva da abitazione. Aveva la sensazione di aver già sentito parlare di qualcosa del genere. Tutte e due le emozioni trovarono appagamento. Lo strano edificio scuro che aveva visto era un cavallo di legno. E non stava sognando, ma rivivendo la caduta di Troia.
 
All'improvviso aprì gli occhi, facendo lunghi respiri. Il cuore pareva essere diventato un macigno pesante e persisteva ancora il turbamento che aveva provato in sogno. Di fianco a lei c'era Lupa, sveglia e operativa. La fissava con il suo sguardo ambrato e aveva tutta l'aria di sapere cosa fosse successo. Emma abbassò lo sguardo per terra, fissando un piccolo sassolino, cercando di scacciare le immagini dell'antica città anatolica dalla mente.
<< Gli uomini dicono spesso che non tutti i mali vengono per nuocere. Se quella città non fosse caduta, se tutte quelle persone non fossero morte, tu ed io non saremmo qui a parlarne.  Probabilmente, la terra che conosci non sarebbe così. Oppure tu non esisteresti >> continuò Lupa.
Emma era anche più basita di prima. Non era possibile che una città tanto vecchia avesse a che fare con lei. Oltre la sorpresa si aggiunse il senso di colpa. Era felice di essere viva ma sembrava una beffa per quei morti. La voglia di sapere di Emma crebbe.
Quando lasciò casa sua con Lupa, capì che poteva capitarle di tutto. E aspettava solo di sapere che cosa. E sapeva che c'entrava con la parola 'romano'. Le uniche cose cui riusciva a collegare alla parola erano l'Italia e un mucchio di imperatori. Si pentì aveva sottovalutato il suo insegnate delle medie, il signor Wilson, e la sua materia, Storia Europea, avrebbe saputo cosa avessero combinato. Al tempo pensava che fosse una tortura in più studiare la storia che non era neppure del suo paese e lo aveva fatto presente all'insegnante che l'aveva guardata con aria di chi la sapeva lunga, come se avesse previsto che Lupa sarebbe venuta a prenderla. Aveva odiato quel nano zoppicante.
E odiava ancora di più il fatto che avesse ragione.
Emma strinse gli occhi forte perché le visioni raggelanti erano ricominciate. Le immagini continuavano a scorrere e non uscivano dalla mente. Emma provò a fare il contrario: invece di scappare dai ricordi, ne andò a cercare qualcuno di meno raccapricciante. Il mare nero illuminato dalla luna e i sopravvissuti che scappavano. Sapeva che era importante dove andassero quei tipi e non ricordando il luogo, cercò di arrivarci in un'altra maniera.
<< Troia era in Turchia. E questi naufraghi sono andati per mare. Di fronte abbiamo la Grecia, >> borbottò mentre con le mani strappava dell'erbetta per segnare i punti che le interessavano, << Vicino la Grecia c'è l'Italia. Ma certo! Italia!>> esclamò la ragazza dai capelli neri, << Sono andati in Italia! >> esclamò più forte e un lupo lì vicino aprì un occhio per vedere chi lo disturbava.
 
Lupa aveva osservato quella ragazzina che risolveva il suo problema ed era compiaciuta del fatto che non avesse preso a lagnarsi. Decise di dirle alcune informazioni su cui tenere la mente occupata, prima di rodersela completamente quando le avrebbe detto ciò che la riguardava più da vicino. << Chi è andato in Italia? >> domandò come se non sapesse già la risposta.
<< Delle persone provenienti da Troia >> le rispose entusiasta, il tono di voce era alto. Gli occhi brillavano, ma più che per la scoperta in sé, era per il fatto che avesse scoperto qualcosa, un qualsiasi lume che potesse guidarla per la strada buia e cupa che la ragazza aveva imboccato.
<< Sono molto importanti per te, quelle persone. >> le disse Lupa, la voce puntellata di un tono materno, come un retrogusto.
 
Emma era ancora allibita riguardo alle capacità comunicative di Lupa che avevano un non so che di affascinante. Voleva parlare ancora con quel lupo, sentire la voce priva di emozioni ma puntellata di maternità, come le gocce di cioccolato su quelle brioches tonde che vendono nei panifici. Voleva sentire impresso nella mente ciò che diceva e sentirlo svanire, come quando soffi su un vetro e si crea l'alone che man mano, cominciando dai bordi, inizia a svanire. Sembrava stupido ma dava assuefazione. Era il modo di Lupa per avere la tua completa attenzione.
<< Che relazione posso avere con persone vissute non so quanti anni fa? >>incalzò Emma, impaziente di sentire Lupa parlare e di sapere la risposta. Era questione di sapere, quella, però sembrava ovvio che Lupa non volesse snocciolarle le informazioni tutte insieme e sicuramente non quando avrebbe schioccato le dita. Ora sembrava avere intenzione di dirle qualcosa ed Emma voleva sapere quel qualsiasi cosa. Aveva studiato di Troiani che andavano in Italia, però ricordava poco di tutta la storia e qualsiasi dettaglio poteva essere importante.
<< Te l'ho già detto prima. Probabilmente non esisteresti >> rispose. Emma ignorò il fiotto di delusione. Sperava in qualcosa di più, anche un piccolo indizio su cui arrovellare il cervello.
<< Il più importante tra il gruppo che hai sognato è Enea >>continuò Lupa, il tono tranquillo. Emma era così concentrata a cercare informazioni da non rendersi conto di una cosa ovvia. Troia era esistita e ora Lupa le parlava di Enea. Erano solo miti, ma un lupo parlante stava rivangando la storia … l'Eneide, così come l'Odissea e l'Iliade, era reale. Se erano reali queste storie, le conseguenze erano talmente tante che la mente di Emma non volle registrarle perché stravolgevano tutto quello in cui aveva sempre creduto. Uno spiraglio di Emma la vecchia ragazza liceale e spensierata, forse un po’ superficiale, ma abbastanza razionale, le impedì di diventare completamente pazza. Aveva sempre creduto a quello che aveva visto e dimostrato. Lo avrebbe fatto anche allora. Era disposta a dare un alto tasso di veridicità a quello che Lupa le avrebbe detto.




 
Allora? Che ne pensate? Mandate qualche recensioncina, intanto tengo le dita incrociate e cerco di non mangiare le unghia per l’ansia.
Se qualcosa non va, siete pregati si farmelo notare ;)
Au revoir :*

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Capitolo 2
*** Capitolo 2- Come lupi ***


 

CAPITOLO 2 - Come lupi

 
Era un anno importante quello.  In una dolce valle, si estendeva una foresta di latifoglie dalle fronde cariche di foglie e che, con la loro ombra, offrivano a chi passava sollievo alla calura di che in quel periodo imperversava in quella fertile landa e di cui i contadini gioivano perché a giugno avrebbero avuto abbastanza merce da vendere e da conservare per l’inverno. Quell’anno era cominciato bene giacché il clima e gli dei sembravano a loro favore. 
Non potevano dire lo stesso gli abitanti di Alba Longa.
Il loro attuale “sovrano”, così erano obbligati a considerarlo sempre che non si volesse fare una visita nel regno di Plutone ancor prima che fosse arrivato il momento, com’era successo ai figli di Numitore, il legittimo re nonché fratello di Amulio, l’usurpatore. Aveva persino obbligato l’unica figlia di Numitore, Rea Silvia a diventare sacerdotessa della dea del focolare, una Vestale, in modo che il sangue potente di Numitore non passasse in un’altra generazione, qualche tempo prima. Dopo i trent’anni d’obbligo di castità assoluta, la giovane donna sarebbe diventata troppo anziana per concepire un figlio. Una garanzia, per Amulio.
I venerabili olimpi, per quanto fautori di grandi gesta e creazioni, per i mortali si rivelano spesso delle disgrazie, in grado di rovinare loro la vita.
 
Spesso capitava che essi si invaghissero dei mortali e uno di loro, il dio Marte, si invaghì di Rea Silvia.  Per il dio era un sincero dispiacere vedere quella bella donna costretta una sacerdotessa della dea Vesta.  Biondi capelli ondulati, formosa e lineamenti angelici, come si poteva non resisterle?
Tuttavia un vantaggio c’era: Rea Silvia non poteva stare con quel tale che amava.
La dea del focolare domestico si accorse di come il dio della guerra gettasse occhiate lussuriose alla sua sacerdotessa e gli intimò di stare lontano dalla ragazza.
Non era molto nella natura del dio contenersi. Più controllato della forma greca, Ares, sicuramente ma per certi bisogni una valvola di sfogo doveva trovarla.
 
Rea Silvia si trovava nei pressi del bosco vicino al tempio di Vesta a fare una passeggiata mentre si dirigeva nel bosco sacro a prendere dell’acqua, nel frattempo. Quei momenti di solitudine erano rigeneratori in quanto riusciva ad alleviare, in parte, il dolore  causato dalle ingiustizie che le erano capitate. E pensare che avrebbe potuto … Scacciò dalla testa il volto di un suo pretendente, colui che avrebbe potuto sposarla. Non pensare a quanto bella poteva essere la sua vita la aiutava in minima parte a sopportare tutto. A volte riusciva convincersi che quella era la via migliore e che, essendo una donna non avrebbe avuto la stessa importanza che avrebbero avuto i suoi fratelli. 
 
Marte si trovava al confine del bosco di latifoglie, vicino al tempio dove Rea Silvia rendeva servizio. Riusciva a vederla mentre passeggiava con aria persi in bei pensieri. Una smorfia di disgusto apparve sul volto del dio della guerra in quanto sapeva che la donna pensava a quel tizio. Il disgusto venne sostituito da una rabbia feroce e dalla consapevolezza che non avrebbe mai amato nessun’altro né che avrebbe preferito un dio, come Venere gli aveva fatto notare.
Un ghigno gli si dipinse sul viso ed un piano aveva preso vita nella su mente
 
Rea Silvia sapeva di essere nei guai. Aveva cercato di nascondere il fatto che nel bosco si era unita con un dio, piangendo solamente durante le ore d sonno.  Si aspettava di essere scoperta da un momento all’altro o che la dea Vesta le avrebbe fatto visita prima o poi, per punire la sua trasgressione. Fin’ora era andato tutto bene ma le altre Vestali si erano accorte che aveva messo su peso. In effetti, il suo appetito era aumentato. Nella mente della donna si era formata un’ipotesi e aveva deciso di verificare, sperando in un responso negativo. 
Era andata da una nutrice in un paesino vicino, dove non potevano conoscerla. Quella donna ne aveva viste tante di gravidanze, anche di sacerdotesse come lei. La nutrice parlò di come queste poverette spesse volte venivano punite per essere state violate. Durante il racconto, aveva stretto la mano della sua serva, una donna più grande di lei che l’aveva sempre trattata con amore.
Rea Silvia aveva sperato il contrario ma la nutrice le comunicò che i suoi timori erano fondati. Scoppiò a piangere ed entrambe le donne compresero che c’erano casi in cui il diventare madre non portava gioia
 
La principessa di Alba Longa era furiosa. Invidiava la sua amica di infanzia Rea Silvia. Tutte a le fortune e non sapeva goderne!  Prima si era innamorata dell’uomo che però aveva messo gli occhi su di lei. Lei però faceva gli occhi dolci ad un altro ancora, che ricambiava. Aveva festeggiato quando suo padre l’aveva obbligata a diventare una Vestale così nessuno poteva più farle la corte. E le era anche andata bene perché avrebbe potuto fare la fine dei suoi fratelli. E si lamentava anche di quello.
 Successivamente aveva avuto un rapporto con un dio. Un dio! La sua unica relazione era nata solo per un accordo con il padre di lui mentre quella era l’oggetto dell’interesse di un dio e ne era disperata! 
Per calmarsi aveva pensato che era una Vestale, pertanto ciò era una disgrazia ma niente. L’invidia le accecava la ragione.
Infine, Rea Silvia era incinta. Lei aveva provato ad avere una gravidanza più di una volta ma non aveva ottenuto alcun risultato. Gli dei mandavano il pane a chi non aveva i denti.
‘Non è giusto’ pensava la figlia di Amulio con odio. E con quell’odio, Rea Silvia divenne vittima un’altra volta.
Rea Silvia era stata fortunata in quanto era riuscita a nascondere la sua gravidanza fino al nono mese. Le aveva escogitate tutte e aveva chiesto aiuto alla figlia di Amulio, con la quale era cresciuta insieme. 
La sua fortuna era terminata. 
Era stata scoperta anche dal re che le aveva concesso il tempo per partorire per poi condannarla a morte, come prevedevano le leggi delle Vestali. Non sapeva della sorte che avrebbero avuto i suoi gemelli, preferiva non saperlo perché avrebbe affrontato meglio la morte. Inoltre era restia a sapere qualcosa di loro, le ricordavano Marte, la causa di quella gravidanza indesiderata. 
Per la sua morte avevano pensato di annegarla. Durante la strada, un soldato la forzava a camminare, come se lei si stesse opponendo. Non aveva più la forza per provarci. Se non sarebbe morta ora, l’avrebbe attesa una morte peggiore sicuramente. 
Si girò attorno, studiando le espressioni dei presenti. In molti c’era disgusto, in altri compassione, perlopiù nei volti delle donne. Vide un viso familiare, che sapeva di aver visto moltissime volte però adesso notava qualcosa di sbagliato. La figlia di Amulio, sua amica d’infanzia, sembrava felice. 
‘Perché?’ , si era chiesta all’inizio per poi rispondersi da sola. Fu un colpo al cuore. Sentì una morsa stringergli il petto.
Il luogo in cui sarebbe morta era davvero bello. Il fiume scorreva ed era limpidissimo. Sopra gli alberi che costeggiavano le sponde, sembravano abbracciarsi  attraverso i rami, come se non sopportassero che la terra venisse separata da quel corso d’acqua e volessero mantenere un contatto. Tempo prima avrebbe pensato che quegli alberi somigliassero a due innamorati ma aveva ormai perso fiducia in quel sentimento. Ormai pensava che Venere regalava l’amore solo a chi voleva e non a tutti, com’era solita pensare quando era abbastanza grande da non essere più chiamata ragazzina. Ormai era tutto pronto, dovevano aspettare solo il consenso di Amulio.
Si udiva qualcuno singhiozzare, quella falsa della sua ‘amica’ probabilmente però l’udito di Rea Silvia si concentrò su alcuni vagiti. Girò di scatto la testa e vide i due gemelli. I capelli color oro, la pelle delicata. I due ora piangevano disperatamente e due donne si avvicinarono, forse pensavano che il pianto era causato dalla fame. Rea Silvia sapeva che non era così. A quel punto si ribellò. Voleva raggiungere i suoi due figli. Erano figli suoi, nonostante tutto.
Un altro soldato la trattenne e il secondo dopo si ritrovò circondata da acqua fresca. L’istinto faceva sì che lei si sbracciasse con tutta la sua forza per respirare di nuovo ma un qualcosa di pesante glielo impediva, la portava sempre più giù.
L’acqua le inondò i polmoni. La vista si faceva sempre più scura. Nella mente aveva i suoi gemelli, Romolo e Remo, che piangevano poco fa. Avrebbe voluto averli guardato quando erano nati, un ricordo sicuramente più dolce.
L’ultima cosa che vide fu uno scherzo di pessimo gusto da parte del fato.
Nell’acqua, intravide una sagoma umana che nuotava verso di lei, respirando normalmente. Una divinità, categoria che le aveva causato disgrazie.
Poi tutto si fece buio.
 
Come la madre, i gemelli vennero affidati al fiume. Il dondolio ella cesta che navigava aveva fatto appisolare i due neonati. Probabilmente , la morte li avrebbe colti nel sonno.  Eppure sembrò che la morte avesse avuto pietà di quei neonati perché la cesta nella quale i gemelli erano stati adagiati si arenò d'acqua sulla riva. 
 
Il bosco di quella terra doveva essere magico perché vi successero tanti avvenimenti che segnarono l’inizio di Roma.
Scendeva dai monti un’animale poco desiderato dall’uomo, spesso associato ad aggettivi negativi. La storia dei due gemelli si incrocia ad un lupo. Anzi una lupa.
Questa lupa costeggiava il fiume per soddisfare la sete. Mentre beveva l’acqua pulita del fiume sentì delle vocine che attirarono la sua attenzione.
L’animale si muoveva attentamente, sentendo l’odore degli umani, creature cui più volte era riuscita a sfuggire.
La sua vista vide una cosa strana, da lì provenivano i suoni. Man mano che si era avvicinata avevano notato qualcosa muoversi all’interno.
Si trattava di due piccoli cuccioli d’uomo che tenevano quelle loro strane zampe tutte unite ed emettevano versi strani, versi da cucciolo d’uomo.
La lupa, come tutti i carnivori, avrebbe pensato a come mangiarli ma c’era qualcosa di strano in loro.
Pur essendo un’animale come tutti gli altri, l’atto che compì, quello di decidere di allattare i due piccoli, le fece sviluppare una coscienza, come un umano. La lupa fin’ora aveva agito per istinti, per soddisfare i bisogni.  Ora aveva anche una morale. Quei bambini tenevano i pugni chiusi, un modo che la lupa interpretò come segno di forza. La sua specie era forte. Le piaceva la forza. Capì che i cuccioli d’uomo non potevano restare lì, sarebbero morti.
Prenderli con le fauci, come avrebbe fatto con un proprio cucciolo era fuori discussione: la pelle era troppo delicata.
Spinse allora la cesta verso il suo rifugio.
La lupa non poté tenere a lungo i gemelli con sé perché furono trovai da una coppia di pastori proprio mentre li allattava. Ricordava l’espressione dei due, completamente incredula, senza attaccarla.
La lupa e quegli umani scoprirono alcune cose su l’uno e sull’altro, o meglio riscoprirono. Erano più simili di quello che pensassero.
 
 
 
Lupa aveva cercato qualcosa che facesse cedere alla debolezza quella ragazza dal momento in cui si era svegliata la mattina alla Casa del Lupo, ed era felice di non esserci riuscita. Ogni volta che trovava dei buoni membri per la Legione si sentiva soddisfatta.
Non aveva trovato la debolezza spirituale di Emma che per ora si era rivelata essere debole solo fisicamente. Le mancava la forza bruta ma sapeva già sfruttare cosa la situazione le offriva. Il che era ammirevole.
Aveva deciso di puntare su una debolezza che caratterizzava tutti i semidei perciò le aveva raccontato di Romolo e Remo. Era sicura che avesse tirato già le somme da quel racconto ma non si era ancora espressa. Lo sguardo era cupo, duro simile alla propria espressione. Gli occhi sembravano due pietre e  guardavano un punto preciso, come i lupi. Quelli della specie di Lupa ti incollavano gli occhi addosso, in modo fisso senza staccare lo sguardo.
L’insegnamento che aveva ricevuto con i gemelli figli di Marte le ritornò in mente.  Alla fine non erano poi così diversi.
<< Quindi sei tu la lupa del racconto. E io sarei la ‘Romolo e Remo di turno’ >> proferì la mezzosangue, atona.  << Non mi sconvolge più di tanto l’esistenza degli dei, la prima sera che sono stata qui avevo intuito qualcosa anche se non volevo crederci >> prese una pausa << sono come Romolo e Remo io, no? Una semidea? >>
<< O una discendente >> suggerì Lupa << hai legami di sangue con loro ma non direttamente. Potrebbe  essere tramandata da generazioni. >>
Lupa di solito notava dei cambiamenti a questa definizione  ma la ragazza di fronte a lei le parve impassibile, come se il fatto che fosse nata da due umani, perché alla fine semidei e discendenti erano umani, o da un umano e un dio, non facesse differenza per la sua rabbia. Erano simili, capiva che era arrabbiata.
<< Credo che sarai un buon romano … ma devi migliorare il fisico. Corri nel bosco con me >> le ordinò.
La ragazza si teneva ancora quella rabbia antica, una rabbia che aveva sempre avuto, aveva intuito Lupa, però la seguì senza discutere, ricordandole quasi un soldato.
 
 
Emma correva con Lupa nei boschi al fine di migliorare il suo fisico. Gli dei esistevano. Ne aveva intuito l’esistenza ma aveva minimizzato ciò come mere fantasticherie. Le coincidenze erano troppe, questo era vero, ma lei era atea e aveva fatto il passaggio da nessuna divinità a tante divinità in un pochissimo tempo. Divinità che a quanto pare non avevano un carattere buono come quello cristiano, dato che facevano figli e li abbandonavano qua e là come spazzatura. Beh, effettivamente si sentiva così. Spazzatura. Si era sentita così da quando era diventata abbastanza grande da comprendere la sua condizione, cosa la rendeva diversa dagli altri bambini. Ricordava che si era arrabbiata tantissimo e aveva fatto disperare suor Mary per mangiare. Aumentò il ritmo della corsa, cercando di seguire il passo di Lupa che andava trattenendosi per adeguarsi ai ritmi umani.
Non che i genitori umani a quel punto fossero migliori. Forse si salvavano i semidei o i discendenti ma sapeva da come sua madre si era sempre comportata con lei ( da ciò aveva dedotto che lei doveva essere una semidea o almeno una discendente), che neanche loro effettivamente erano dei santarellini. Non le aveva mai detto bugie e fino ad allora aveva pensato che la storia fosse reciproca.
Sua madre non aveva fatto niente di male, voleva proteggerla da qualcosa che avrebbe capito in futuro però si sentiva tradita.
Corsero per un’ altro po’ e ritornarono alla Casa del Lupo, dove Emma poté sedersi e riprendere fiato.
 
 
 
 
 
Settimane dopo
 
Emma non sapeva quanto tempo avesse trascorso alla Casa del Lupo. Sentiva che il suo tempo lì era agli sgoccioli e che Lupa le avrebbe finalmente spiattellato il vero motivo per cui era lì. Era logico pensare che non fosse per scoprire chi fosse il suo genitore divino ma non aveva riflettuto tanto sul quale poteva essere la ragione. Aveva voluto staccare la spina all’ammasso di pensieri. A  tal proposito, aveva visitato la villa di London, o almeno la parte più sicura della casa di London ma non aveva trovato altro che vecchi oggetti e mobili, tutti rovinati.
I lupi gironzolavano qua e là di fronte a lei che se ne stava ferma ad osservare; stranamente Lupa non era lì con loro. Era una delle poche volte che capitava lì alla Casa del Lupo, solitamente Lupa le dava il tempo per riprendere fiato. In compenso il so fisico era migliorato molto anche grazie ad alcune battute di caccia che era stata obbligata a fare. Le prime volte, le faceva schifo catturarsi il cibo da sola mentre prima era abituata a trovarselo già pronto in macelleria. Man mano si era abituata tanto da non avvertire più alcun conato.
Ringraziò sua madre mentalmente per averle insegnato alcune cose sulle piante commestibili che poteva trovare in giro. Decise che dovevano parlare, la prossima volta che l’avrebbe vista, se l’avrebbe vista. Non era più molto certa di niente.
Il sole non lo vedeva poiché era sparito tra gli alberi mail cielo era tinteggiato dal tenue arancione misto a giallo oro che caratterizzava i tramonti. Non ne vedeva uno bene da tempo, causa la foresta che circondava la Casa del Lupo e che ormai conosceva abbastanza bene da non dover più cercare né creare punti di riferimento sui tronchi gli alberi per ritornare. Era stata una delle prove di Lupa, quella dell’orientamento. Si era persa per qualche ora anche se alla fine aveva ritrovato la strada. Una situazione molto angosciosa. Menomale che non si era fatta prendere troppo dal panico.
Si  sdraiò sull’erba, continuando a fissare i lupi. Ricordava quando era arrivata lì e aveva avuto molta diffidenza di quegli animali. Ora li vedeva come protettori, una sicurezza. Non l’avrebbero sicuramente attaccata.
Le palpebre si fecero pesanti e la ragazza cadde fra le braccia di Morfeo.
 
 
 
Claudio Stella era stava in testa alla fila di carovane che da tempo avevano percorso il Nuovo Mondo in cerca di una buona terra dove i discendenti di Roma potessero prosperare. Era stato difficile convincere l’intero campo a lasciare la vecchia sede, in quanto ancora l’Inghilterra deteneva ancora il potere. Claudio sapeva che il Nuovo Mondo sarebbe stato il nuovo centro di potere, se lo sentiva. Inoltre era stato lo stesso Giove ad ordinagli di trasferire il campo in America, il che era parecchio ironico. Come Enea, anche lui era figlio di Venere, colui che guidò i sopravvissuti alla guerra di Troia in una nuova terra. Anche il loro percorso era stato parecchio simile. Aveva incontrato una specie di Didone che si era innamorata di lui. A differenza di Enea però, una moglie ce l’aveva ancora e nonostante le richieste esplicite di quella strana donna, non aveva voluto cedere. In effetti era stato lì per lì per accontentare la donna e le proprie voglie. Chu’si era indubbiamente una donna dai dolci lineamenti e dai movimenti sensuali, e lui era un uomo con i propri punti deboli. Quando stava per cedere, le era bastato pensare a Abigail, colei che lo aveva sempre amato e che era stata sempre al suo fianco. Una bella voce le era risuonata in mente, quella di Venere. 
Vuoi rinunciare alla felicità per una bella donna incontrata per caso, che renderà vana la fatica di essere venuti qui?
A questo punto aveva allontanato Chu’si in malo modo e aveva fatto ripartire il più in fretta possibile. 
Durante il cammino, spesso si erano dovuti  fermare per fare scorta di provviste o per difendersi da animali e genti, non nativi americani ma gente il cui colore della pelle era simile al proprio.
Era giunti infine in una baia. La vista era magnifica quanto opprimente perché ricordava ai romani i lunghi giorni passati per nave, non esattamente i migliori. Era bello perché non vi era solamente terra, come quella che avevano visto per giorni e giorni. Il  territorio americano li aveva sfiancati però non era stato tutto vano. 
Quella baia era tutta golfi e paludi, pieni di acqua salmastra. Due grossi fiumi, che li avevano accompagnato da quando avevano sceso i monti, rilucevano il giorno.  Avevano attraversato un altro po’ il mare, per andare ad occidente poiché l’oriente era portatore di sventure. 
Ora si trovavano più lontani dal mare
<< Claudio! Claudio! >>
Abigail gli correva incontro, aggraziata nel suo vestito tutto beige tranne il grembiule turchese, le maniche e il colletto bianchi e i fiocchetti neri sul corpetto. Sui capelli portava una cuffietta nera bordata di bianco che le teneva fermi i riccioli scuri. Era vestita come una normale popolana ma ai suoi occhi riusciva a scorgervi una bellezza degna di una dama. 
<< Claudio, guarda lì! >>
Le indicò un punto in cui era spuntato un corso d’acqua che prima non c’era. Piccolino, rispetto a quelli che avevano visto nel Nuovo Mondo, ma molto familiare e più fulgido di potere. 
Abbracciò  Abigail e la fece roteare per poi baciarla. Le labbra morbide e rosse di lei accolsero le sue. Si staccarono quando erano a corto di ossigeno ormai e le gote di Abigail erano ormai tutte imporporate come succedeva sempre quando baciava la moglie. Senza emettere alcun suono, si erano detti tutto quello che volevano esprimere. Amore, sempre amore c’era quando si guardavano, la gioia di aver la possibilità di costruire finalmente la loro famiglia.
<< Nostro figlio avrà un padre importante >> gli soffiò Abigail all’orecchio, quando si abbracciarono nuovamente
<< E un’eccellente madre.  Avanti, dobbiamo indire una riunione. Ci accamperemo qui per ora. Domani verrai con me a studiare il territorio, per segnare il pomerium. Potremmo contare su Terminus, per la nostra sicurezza come sempre ha fatto.>> ordinò, sciogliendosi dall’abbraccio ma tenendo comunque per mano la donna. << Abigail darà pure una mano >> aggiunse.
Abigail era una figlia di Plutone. Aveva talento nel sapere precisamente le distanze sottoterra ma neanche in superficie se la cavava male.
<< Mi piace che tu mi renda partecipe delle vostre riunioni, gli altri non lo fanno mai >> gli disse. Pur essendo figlia del dio degli Inferi doveva sottostare alle convenzioni sociali non tanto favorevoli per le donne. Claudio riteneva inutile sprecare il talento di Abigail che inoltre avrebbe potuto constatare l solidità del terreno. 
Claudio guardò ancora Abigail e si chiese come avesse potuto cedere alle provocazioni di Chu’si. Si sentiva rincuorato, ora che aveva trovato il posto giusto. Ora poteva essere felice.
 
 
 
Emma sentì un qualcosa di umido strofinarle la faccia che la fece balzare su.
Un cucciolo di lupo era di fianco a lei, la lingua di fuori, la coda scodinzolava qua e là, come se la invitasse a giocare. Dietro al cucciolo, si avvicinò una sagoma che apparteneva a Lupa.
Emma continuava a stupirsi della bellezza di quell’animale e della sua stazza. Il pelo color del cioccolato, ora era molto più scuro e quasi opaco perché il sole era ormai tramontato. Sembrava così soffice da invitare tutti a carezzarlo, desiderio cui Emma avrebbe tanto voluto cedere.  Inoltre restava sempre pulito anche se la dea lupa si fosse rotolata per ore nel fango.
Lupa si avvicinò e senza che espresse alcuna parola, Emma capì che doveva svolgere ancora il suo ruolo con lei, malgrado un qualcosa le suggeriva che l’esperienza alla Casa del Lupo era quasi al termine. Un po’ come quando fai la conta, ad esempio da uno a dieci. Fra il nove e il dieci c’era sempre una ‘e’ espressa con un tono particolare. Anche se non sapevi i numeri, bastava solo quel tono a fartelo capire. Emma si sentiva come quella ‘e’, tutto le suonava come un epilogo.
Si inoltrarono nel bosco e anche se stava facendo buio e presto lei non avrebbe visto bene come quando era giorno, si sentiva tranquilla insieme a Lupa e non più diffidente. Camminarono a lungo ma Emma tenne per se la sua curiosità, avendo capito che l’insistere faceva innervosire la dea.
Si fermarono che ormai era buio, in un radura non troppo grande, talmente curata che sembrava frutto del lavoro di un giardiniere. In mezzo non c’erano cespugli o erba alta, solo piccoli steli di fiori che ormai avevano chiuso le loro corolle.
L’aveva già vista in una delle sue esplorazioni che Lupa le faceva compiere per trovare la strada verso sud. Cosa c’era a sud non glielo aveva detto.
L’assenza di alberi  facevano si che Emma potesse vedere il cielo, più luminoso grazie alla minore presenza di inquinamento luminoso e cercò di immaginare come potessero essere luminose le sere in sua completa assenza.  Doveva essere il cielo che gli uomini avevano visto per tantissimo tempo. Un movimento di Lupa le fece pensare ai gemelli Romolo e Remo e se anche loro avevano osservato insieme alla dea lupa il cielo notturno. Doveva essere una esperienza suggestiva e meravigliosa. Notò a quel punto la luna, al confine con la radura.
Lupa ululò, un suono che squarciò il silenzio magico che si era creato intorno a loro. Emma non si tappò le orecchie come avrebbe fatto per un suono così improvviso e con un tono così alto. Il suo canto però era piacevole come tutte le volte che lo aveva sentito. Fu seguito da gli ululati del branco che suonavano ben chiari seppur lontani. Emma aveva anche capito che il branco sarebbe arrivato lì da loro e guardò la dea , confusa, che intanto aveva smesso di ululare.
Lupa arricciò gli angoli della bocca come se volesse sorridere e mormorò qualcosa il tono allegro come non lo aveva sentito << Si dice: un nome, una garanzia >>
Emma non capiva a cosa si riferiva però non voleva perdere questo nuovo aspetto del suo personal trainer animalesco. Aveva senso dell’umorismo ma evidentemente l’ironia l’aveva colta solo lei.
<< Devo fare un’ultima cosa >>  disse questa volta era sparita ogni traccia di ironia.
Emma si concentrò su di essa ma non proferì parola. Sentì un brivido percorrerle la schiena e una sensazione spiacevole. Sapeva tanto di esami, quella situazione, anche peggio perché potevi immaginare quali argomenti ci fossero stati ad un esame. Lì si aspettava di tutto.
Avvertì il branco ancor prima che essi si incamminassero per sistemarsi dietro Lupa, come quando li aveva visti la prima volta.
<< Raccogli una pietra >> le ordinò la dea- lupa ed Emma eseguì.
 Trovò una pietra abbastanza grande da avere difficoltà a tenerla nel palmo. Si riposizionò com’era era prima e attese.
 Dal fondo della fila avanzò un lupo che si affiancò a Lupa per poi andarsi a posizionare di fronte a lei, a non molti metri di distanza.
Lupa invece si affiancò a lei. Quando parlò la sua voce era perentoria e potente, un potere che voleva sopprimere la sua volontà. << Scaglia quella pietra e uccidi. Romolo uccise Remo così facilmente! Sarà ancor più facile per te uccidere qualcuno che non ti somiglia nemmeno lentamente. Su! Che cosa aspetti? I bravi romani obbediscono senza fiatare >>.
Ancora quella parola, ‘romano’. Un significato che andava ben oltre a quello dell’appartenere ad una città.
Che doveva fare Emma? Non ce la faceva ad uccidere senza alcuna ragione ma a dirla tutta non esiste alcun motivo per uccidere. Doveva farlo, altrimenti Lupa si sarebbe accorta della sua debolezza e sarebbe morta lei. I sensi le si erano dilatati per la paura e ora avvertiva i respiri degli altri lupi, il buio si era fatto più ricco di dettagli.
Trascorsero altri attimi di tensione che fece scaturire una fitta di dolore allo stomaco di Emma. Doveva seguire la morale o l’istinto di sopravvivenza?
Nella sua mente avvenne l’equivalente di una secchiata di acqua gelida in faccia. Era già stata la stessa Lupa a dirle cosa doveva fare. Era diversa perché aveva scelto di accudire due umani invece di cibarsene.
E inoltre aveva capito il suo giochetto.
<< I capi romani dovrebbero seguire un’ideale di giustizia, di interesse verso la comunità e per il suo bene. Ma se uccido questo lupo io eseguo l’ordine di un’immorale che non è degno di stare a capo di un popolo. Un capo è il primo servitore del suo popolo, non un padrone. E i romani sono come i lupi, non sono delle pecore.  Ci somigliamo >> scagliò la pietra lontano << e so che era questo che ti aspettavi da me >> concluse con un tono deciso e leggermente puntellato di presunzione.
Lupa fissò la ragazza davanti a sé e rifece il suo sorriso lupesco, che aveva un che di inquietante, illuminato solo dalla luna. << Hai capito la risposta alla domanda che ti sei fatta per tutto il tuo soggiorno qui. >>
<< E che tu hai sempre voluto che capissi da sola >> aggiunse Emma
<< Hai capito alcune cose importanti dell’essere romano, ma non tutto. Alla tua meta capirai altro. I romani seguono il proprio leader, gli sono fedeli ma non sono pecore. Pensano, come i lupi. Se tutti fossero sottomessi a me, non ci sarebbero branchi sparsi ovunque >>  confermò Lupa . << E’ il momento di andare questo. La tua meta è a sud, capirai tu stessa quale è il luogo preciso, lo sentirai nel sangue come hai sentito di dover seguire me. Proteggi quello che troverai e porta avanti le sue tradizioni. >>
Lupa la guardò un’ultima volta negli occhi prima di voltarsi. Non era la prima volta che Emma vedeva quella scena. Il branco si apriva in due e Lupa vi passava per andare a posizionarsi davanti al branco che intanto si richiudeva dopo il suo passaggio.  Infine corsero ed Emma riuscì a seguirli fino a quando non scomparvero nella foresta, lasciandola da sola.
Si alzò un leggero venticello estivo che mise i brividi alla ragazza che era immobile sul posto, lo sguardo puntato nella direzione dove i lupi erano rimasti.
Si riscosse da quella specie di ipnosi e si girò intorno, cercando la direzione dove andare. Si accorse di saperla già, come le aveva detto Lupa. Sentiva qualcosa che l’attirava verso il sud, come una calamita e iniziò a correre anche se non c’era un reale motivo.
Il cuore di Emma sussultò quando degli ululati squarciarono nuovamente la notte. Uno di essi si distinse dagli altri, colmandole il cuore di serenità.




Salve a tutti!
Come vi sembra?Fare questo capitolo è stato un parto, onestamente, però alla fine è riuscito meglio di quello che speravo. Sono successe cose che serviranno molto per l'avanzamento della storia ma ne riparleremo molto più tardi ed è anche per questo che ho parlato meno di Claudio Stella.
Spero di non avervi annoiato con il mito di Romolo e Remo però mi serviva e in più ho provato ad impersonarmi in quello che i personaggi devono aver sentito. Qualcosa non sarà simile a quello che sapete sul mito però potrete controllare su Wikipedia, dove mi sono documentata. Io stessa non sapevo che una versione diceva che la figlia di Amulio denunciava Rea Silvia!
Se qualcosa non coincide con un non so che descritto in Blood of Olympus, chiedo venia, non l'ho ancora letto. Sono l'unica sfigata del fandom per quel che ne so che non ha letto nemmeno una pagina. Vi chiedo anche di non fare spoiler, per cortesia ^^
Aspetto, incrociando le dita, le vostre opinioni.
Au revoir,
Gwenhwyvar

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Capitolo 3
*** Capitolo 3- Sempre a testa alta ***


Capitolo 3 – Sempre a testa alta

 
Emma corse per quelli che le sembravano chilometri. Era terrorizzata, e la paura le permetteva di non cedere alla stanchezza. Non sapeva se fosse per l’addestramento di Lupa o per l’adrenalina, ma percepiva meno dolore di quello che avrebbe sentito normalmente.
Non correva neanche per strade di città, si trovava su un’autostrada, correndo il rischio di essere investita da un momento all’altro oppure di essere portata in una caserma. Nelle strade cittadine e nei mezzi poteva nascondersi facilmente ma ora era totalmente allo scoperto. L’omaccione “mono- occhiuto” la stava ancora inseguendo, abbastanza distante da sembrare un puntino bianco che schivava le macchine sfreccianti e guadagnava terreno. Un rivolo di sudore le colò dai capelli e guardò in avanti come se, non vedendo, sembrava più lontana la prospettiva del ciclope che stesse per raggiungerla. Davanti si stagliava il Caldecott tunnel, un arco oscuro che le pareva minaccioso per via della sua situazione e mancavano moltissimi metri. Il suo GPS interiore sembrava il clacson di una macchina con il quale si divertiva da bambina, segno che la sua meta era ormai vicinissima. Un sorriso le spuntò sulle labbra e accelerò. Guardò indietro e il sorriso vittorioso scemò perché il ciclope era più vicino di prima. Le gambe parvero congelarsi sul posto. L’ultimo neurone rimasto lucido riuscì a comandare alla sua mano di prendere il pugnale. Poteva farcela, in fondo lo aveva pugnalato nel suo unico occhio, a El Cerrito, doveva avvantaggiarla almeno un po’.
Il vantaggio però era pochissimo perché quando le fu abbastanza vicino, riuscì comunque a intercettarla. Stupido fiuto!  Emma sentiva i sensi dilatati e l’adrenalina inondava il suo corpo come una diga distrutta inondava la valle, riuscendo a schivare tutti i colpi del mostro.  Poteva fare solo quello e avvicinarsi nella speranza che a “casa” qualcuno notasse che un coso mo nocchiuto tentava di ucciderla.
<<  Mi hai fatto ammazzare il mio ariete! >> le ululò facendo perdere anni di vita a Emma, anche per via del fetore del suo alito, aglio e sangue congiunti in un mix letale. Si chiese se l’ariete se lo fosse mangiato. Si rispose che la domanda non era opportuna.
Schivò un gancio destro andando a sinistra ma poi il ciclope con l’altra mano, l’afferrò per il braccio e la buttò a terra con una forza talmente grande che Emma si chiese come mai il braccio era ancora attaccato al corpo.
Il gigante la sovrastò, oscurando il sole e il cielo azzurro quasi del tutto privo di nuvole con la sua brutta faccia, coperta in parte da una benda, il suo ghigno ripugnante e la pelle sporca, come se non si fosse mai lavato in tutta la sua vita. Esercitò forza sul braccio della ragazza, provocandole un dolore che aumentava sempre di più. L’osso cedette con un crack che fece urlare la ragazza.
<< Ti romperò le ossa, una a una, tutte quante, poi ti taglierò qualche vena, e ti lascerò qui, semidea. Nessuna onorificenza. E dopo passerò ai tuoi simili. Finalmente ho trovato questo campo di semidei. Mi divertirò un sacco. >>
Emma aveva gli occhi dilatati dalla paura. Avrebbe tanto voluto dire che fosse perché avrebbe attaccato molte persone e le avrebbe uccise, però ebbe l'egoistico pensiero di pensare di più alla sua pelle. Si trovava di fronte alla morte, quando aveva sempre pensato a essa come un evento lontano.
Il mostro cominciò a esercitare forza sul femore sinistro. Non avrebbe potuto più avere chance di scappare, con la gamba rotta. L’istinto di sopravvivenza le diede la forza di dimenarsi ma quella forza sparì subito così come era arrivata. Era troppo forte per lei.
Stava quasi per abbandonarsi al destino, quando una lancia colpì il gigante sulla sua spalla. Ululò di dolore.
Una comparve nel campo visivo di Emma, troppo sfocata perché ne possa distinguere il minimo dettaglio, tranne che per una cosa: portava una maglietta viola sotto qualcosa che luccicava al sole. La figura le portò conforto facendole abbandonare la sensazione di morte imminente.
<< Muoviti ancora un po’ e le sfracello la testa sull’asfalto >> minacciò il gigante e per dimostrare che faceva sul serio, la sollevò per una spalla dall’asfalto, concentratissimo a osservare il suo avversario.
La ragazza cercò di muoversi pian piano, il pugnale stretto nella mano buona. Un colpo veloce e secco. Sollevò il pugnale e colpì la grande mano del ciclope, recidendogli una parte dell’osso del metacarpo in mezzo. Il mostro sollevò la mano dal dolore, facendola cadere a terra ed Emma sbatté la testa. La vista, già sfocata, peggiorò ulteriormente, come se si fossero tolti un mucchio gradi in quell’attimo. Vide la figura caricare contro il mostro, mentre un’altra si era avvicinata a lei. Una mano calda si poggiò sulla carotide, pochi secondi dopo la trascinava al riparo. Doveva essere troppo pesante per lui. Emma chiuse gli occhi.
 
 
 
Non molti giorni prima
Emma riposava seduta su una spiagga libera di Richmond, racchiusa da due lidi che, a quell'ora cominciavano a chiudere.  Lei si godeva la brezza marina che le scompigliava i capelli e le carezzava la faccia e le braccia nude in un tocco leggero. Il sole tramontava, lasciando il posto alla luna e alle stelle, scomparendo dietro i grattacieli della città, della costa opposta, San Francisco.
Il suo 'radar cerca casa' (così lo aveva soprannominato lei, pensando a Dragon Ball, il cartone che suo cugino la obbligava a vedere e cui non aveva mai dato la soddisfazione di ammettere che almeno un po’ le era piaciuto) era impazzito quando era giunta a Richmond, segno che la meta sconosciuta non era molto lontana. La incitava a smuoversi ma i suoi piedi chiedevano pietà. Anche dopo che il sole terminò colorare di rosso, arancione e giallo chiaro il cielo, Emma restò lì. Si sentiva tranquilla e calma. La pace regnava e il suono dell'acqua sembrava un'ipnosi, un qualcosa che le prometteva la sparizione di tutti i suoi problemi, anche se non riusciva a cancellare il problema della fame che si ripresentava ogni volta che andava in una nuova città. Non era mai abbondante quello che trovava ma Emma si riteneva fortunata per averlo trovato. Conosceva poco le zone dove si trovava, sapeva al massimo i punti in cui si trovavano certe città. Non le conosceva all'interno e spesso doveva chiedere indicazioni, sfoderando tutta la sua immaginazione per trovare scuse plausibili senza che gli altri capissero che era da sola.
Inspirò nuovamente l'aria, satura dell'odore del mare, e si alzò. Non poteva rimanere lì, doveva mangiare, trovare un posto dove dormire, ripartire. La meta non era molto lontana, se lo sentiva.
Si diresse verso il marciapiede senza scarpe e, quando arrivò, ne svuotò il contenuto, cioè pietroline e finissima sabbia bianca, e se le rimise. Poi cominciò a camminare, senza sapere dove andare, ma poco le interessava. L’importante era trovare del cibo. Lo stomaco espresse il suo assenso con un brontolio. Erano alcuni giorni che non mangiava e il poco nutrimento la rallentava. Aveva bisogno di più pause e lo stomaco non le dava pace. A un certo punto aveva dovuto stringere la cinghia letteralmente, anzi un foulard, per provare a tenere a freno la fame, con risultati non troppo soddisfacenti. Quella notte aveva sognato un buffet di Capodanno. Sua madre la rimproverava spesso per il poco appetito ma Emma voleva solo quel ben di dio (voleva dire dei, pensò), ora come ora.
Camminava a testa bassa, guardandosi i piedi e stringendo lo stomaco con una mano. Lo scenario cambiò subito. Non vedeva più le sue scarpe da ginnastica nere tutte rovinate, né il marciapiede con qualche cicca qua e là e gomma da masticare sputate. Vedeva serie di edifici schierarsi davanti a lei sullo sfondo, un volto rugoso, la pelle scura, così come i capelli, come la propria, in primo piano dai vivaci occhi neri. Il volto era un’ ovale grinzoso e leggero che terminava con mento leggermente più spigoloso. Le labbra appena appena piene che un tempo dovevano essere rosee mostravano un sorriso tagliente come una spada che accentuava una sorta di malizia negli occhi. Una mano rugosa teneva il mento di Emma, tenendole la testa alta.
<< Mai camminare a testa bassa >> mormorò la donna. Il suo tono era simile a quello che aveva Emma, però più profondo e antico. Nascondeva anche un che di minaccia mista a protezione.
Lo sguardo dell’anziana si spostò sul braccio di Emma ancora stretto allo stomaco. << Entra nel mio negozio, ho qualcosa da mangiare >> la invitò.
Emma si sentì intimidita quanto incuriosita da quella figura.  La signora pareva studiare ogni sua mossa. Sorrise. << E’ sempre un bene non fidarsi troppo però se non entri quel ciclope ti troverà. E sei totalmente disarmata mentre quello possiede un animale che vuole mangiarti. >>
Emma strabuzzò gli occhi. Come faceva a saperlo? La paura di quel mostro però la spinse a entrare nel negozio della donna che vendeva cose sicuramente più vecchie di lei. Osservandole meglio, Emma notò che erano di origine romana. Le aveva riconosciute grazie ad un libro che aveva letto durante quel viaggio. Non lo aveva comprato perché era senza soldi e, se ne avesse avuti, li avrebbe spesi per mangiare, nonostante i libri le piacessero un mondo. Aveva letto bene il mito di Romolo e Remo e un breve riassunto dell’Eneide e della storia di Roma in un internet café. Voleva completare la ricerca con una sola mitologia ma aveva visto dalla vetrina un signore trasformarsi in un mostro enorme con un solo occhio e il suo animale era diventato un ariete bianco dall’aria affamata. Riuscì a scampare il pericolo ma esso si ripresentò ogni giorno. La trovava sempre.
La signora si trovava sullo stipite della porta, aspettandola. Quando vide che Emma la stava raggiungendo si voltò e sparì nell’altra stanza. Non era molto grande, serviva solo a tenere oggetti utili all’attività come carta per impacchettare, nastro adesivo e altro su un tavolo di legno da ufficio. Una scala portava verso il piano superiore. Per il resto era completamente spoglia. 
La signora salì le scale e la portò in un appartamento non troppo grande che odorava di vecchio. Come si notava anche da fuori, l’edificio non era dei più nuovi, però sicuramente la signora ne aveva molta cura.
<< Di là c’è un bagno. Puoi tranquillamente farti una doccia. >> indicò la direzione.
<< Signora, la ringrazio ma non ho ricambi >> fece notare Emma. Normalmente si sarebbe sentita imbarazzata, però la signora le trasmetteva una sensazione di accettazione, di casa. In un certo senso le ricordava la signora Harmon, un’anziana cui sua madre faceva spesso visita. Ricordava che le preparava degli squisiti biscotti al cioccolato.
<< Quello non è un problema. >>
Emma pensò che le avrebbe fatto indossare dei vestiti vecchi e la cosa la fece rabbrividire ma la signora parlò di nuovo  << Vado a comprare qualcosa per te.>>
Emma fu presa da un senso di disagio quando non sentì più l’anziana. Il senso di casa che le aveva trasmesso era sparito facendole prendere coscienza che era in casa di una sconosciuta. Una sconosciuta che la invitava a usare il proprio bagno, che le comprava i vestiti, inoltre, sembrava avere tutta l’aria di sapere che cosa stava facendo. Forse era stata una semidea anche lei? Poteva chiederle informazioni.
Quando la signora rientrò Emma era ancora sotto la doccia. Quando uscì, trovò dei vestiti (anche dei ricambi!), biancheria nuova e alcuni asciugamani. La cosa sorprendente era che la signora non aveva scelto un solo capo che Emma non avrebbe indossato. La cosa la turbò un po’.
Finito di cambiarsi, uscì dal bagno con la busta in mano. La donna la guardò da capo a piedi. << Puoi poggiare la busta vicino al divano.>>
Emma seguì l’indicazione.
Il divano era aveva i braccioli di legno marroncino e la fodera era color panna con rose ricamate. Riprendeva i colori dell’appartamento. I muri erano color panna, interrotto qua e là da quadri, i mobili dello stesso legno del divano su cui spiccavano i disegni di rose rosse, rosa e gialle.
La signora sparì in un’altra stanza e dopo aver trafficato, portò nella sala più grande, dove si trovava Emma in quel momento e dove confluivano tutte le stanze, un piatto di carne e dell’insalata. Emma lo divorò come mai aveva divorato qualcosa nella sua vita.
La signora ora aveva un sorriso che le increspava le labbra. << Hai fatto un lungo viaggio vero? Che ne dici di fermarti e dammi una mano in negozio oggi? >>
Emma acconsentì perché quella donna era stata gentilissima con lei e quindi le doveva un favore. Fu divertente trattare con la gente e convincerla a comprare. Non mancavano momenti imbarazzanti, quanto tutti la scambiavano per la nipote della signora. Lei sorrideva ma era un sorriso contratto che non coinvolgeva gli occhi, tralasciando solo tristezza.
‘Forse la nipote o il nipote della signora era un semidio e ha fatto una brutta fine’ aveva pensato Emma, incupendosi  per poi scuotere la testa.
Era tardo pomeriggio e il negozio era ancora aperto ma non c’era nessuno così Emma poté osservare gli oggetti antichi con più attenzione. C’era di tutto: tessuti, quadri, riproduzioni di statue famose che riconosceva anche lei dell’arte classica, anche alle armi. Ispezionò con più attenzione quest’ultima categoria. Non erano armi grandi, solo alcuni pugnali, delle spade dalla lama non troppo lunghe. Erano tutte d’oro ma era un oro particolare. Le sembrava più luminoso di quello che doveva sembrare.
Sulle impugnature delle spade erano incise frasi in latino che sorprendentemente riusciva a tradurre.
Ciò la fece avvicinare ancora di più a quegli oggetti e toccò con una mano la superficie fredda di un pugnale. Sull’elsa della spada c’era scritto ‘Frangar, not flectar’ che stava per’ Mi spezzerò ma non mi piegherò’.
<< Una lama sorprendente questa >> commentò la signora con un luccichio negli occhi che Emma, era sicura, aveva nello sguardo. << Ha visto eventi importanti questa. >>
<< Perché non l’ha venduta in un’asta? >> domandò Emma. Lei lo avrebbe fatto, con tutti quei fanatici di anticaglie lì fuori.
La signora fece una smorfia, quasi delusa dal fatto che le avesse fatto una domanda simile. – Il mondo non è cambiato poi tanto. Tutte le società ruotano a torno a questo, il denaro …
Il tono era talmente malinconico che Emma aveva l’impressione che si riferisse a epoche lontanissime e non magari a tragici eventi più prossimi. Decise di non indagare.
La donna prese il pugnale che Emma aveva avvistato e glielo mise nelle mani. << Sta arrivando il tuo inseguitore. Tieni l’arma e scappa. Ho preparato uno zaino per te. >>
Emma s’irrigidì Non sapeva come la donna facesse a capirlo però era sicura che non la stesse ingannando.
Quando tutto fu pronto, Emma notò che lo sguardo della donna si era fatto più triste << E’ stato bello avere la compagnia, tutto qui, le aveva detto. >>
La sera, il ciclope aveva trovato il negozio. Era pieno dell’odore della semidea, più qualcosa di più potente.
Due donne pulivano il negozio di antiquariato, una più anziana dell’altra. Quando videro un omaccione entrare, si apprestarono a servirlo, da brave commercianti.  Non seppero dare quello che l’uomo chiedeva. I semidei non esistevano, d’altronde. Il negozio fu vittima della furia del ciclope.
Emma trovò un quotidiano per terra, il giorno dopo. Parlava di un atto di vandalismo nel negozio di un commerciante d’antiquariato, quello in cui aveva trovato riparo lei, a Richmond, di cui erano state perse le tracce del fautore. Le proprietarie del negozio erano due, i volti in foto erano censurati ma Emma capì che nessuna delle due donne era quella che cercava lei. L’anziana che conosceva aveva i capelli neri mentre quella nella foto aveva i capelli più chiari, s’intuiva anche dal bianco e nero dei giornali. Un sospiro di sollievo si fece strada in lei. Si rese conto della realtà. Quel ciclope ce l’aveva a morte con lei e aveva l’ intenzione di distruggere tutto pur di catturarla. Ciò faceva di lei, un pericolo pubblico. E con questa consapevolezza, si mise le gambe in spalla e partì, cercando di avvicinarsi il più velocemente possibile alla meta.
 
 
 
Due giorni dopo
Infermeria, Campo Giove
 
Lucas aveva finito di allenarsi quel giorno ed era andato a far visita alla nuova arrivata, la ragazza che avevano salvato oggi lui e Michael, o meglio solo Michael, perché Lucas si era solamente limitato a trascinare via il corpo dalla portata del combattimento e ad avvisare il campo del ferito perché l’altro aveva già ucciso il ciclope. Certo, la sua parte l’aveva fatta ma c’era da dire che il grosso lo aveva fatto quel figlio di Venere, che si era lanciato subito nel combattimento mentre lui era rimasto impietrito alla vista del ciclope. Nonostante tutto, si erano congratulati con lui lo stesso. Lucas si sentiva proprio in dovere di fare compagnia alla ragazza, ogni volta che aveva cinque minuti liberi, in quella giornata, aveva fatto capolino in infermeria solo per vedere come stava.
E come tutte le altre volte, l’aveva trovata incosciente anche in quel momento. I capelli scurissimi, sembravano inchiostro rovesciato su un foglio bianco. Tutta la sua figura risaltava sul candore delle lenzuola. La pelle era bruna ma il colorito non era uniforme a causa di una spruzzata di lentiggini di un colore più scuro della sua pelle e di un certo pallore.
Erano in una zona dell’infermeria che somiglia più a un reparto ospedaliero, provvisto anche di macchine elettroniche, ad esempio una ne misurava il battito cardiaco. Era regolare, forte, e Lucas pareva che le parlasse di tratti della sua personalità. Quando avevano dovuto dare la testimonianza dell’accaduto, sia Lucas sia Michael avevano raccontato dell’assoluta decisione con cui aveva colpito la mano del ciclope per dare l’opportunità a Michael di attaccare. Lucas l’aveva trovato un gesto ammirevole.
Lucas le sfiorò la guancia, non potendole toccare la mano, una perché rotta, l’altra aveva l’indice racchiuso in un aggeggio collegato a una macchina, il saturi metro, che ne contava i battiti e la frequenza dell’ossigeno, oltre ad essere collegata ad una flebo. Lucas preferiva non rischiare.
Spostò lo sguardo dal marchingegno alla ragazza e trovò due occhi neri che lo fissavano, cercando di capire. La mano di Lucas schizzò via dalla sua pelle.
<< Ti faccio schifo? >> commentò acida e provando ad alzarsi, per poi rendersi conto che aveva una gamba rotta, ora ingessata e sollevata, e pure il braccio. Una smorfia di dolore le percorse il viso.
<< Ehm … vado a chiamare l’infermiera io >> balbettò Lucas e scappò via, come se in qualche modo quella ragazza potesse diventare pericolosa.
Nella stanza principale dove molti dottori continuavano a curare i feriti del giorno.
<< Cam! La ragazza si è svegliata >> annunciò Lucas a Cameron, un figlio di Apollo che lasciò la fasciatura di un semidio a un’assistente.
<< Si è svegliata? >> domandò Michael. Lucas gli annuì e corse ad avvisare i pretori.
 
Emma era abituata ai dottori, nonostante li detestasse così come gli ospedali e le infermerie. Quell’odore, quel bianco onnipresente …
Il ragazzo che aveva trovato al suo capezzale evitava di incrociare il suo sguardo, mentre un altro parlava con altri due, un ragazzone asiatico e un’ispanica.
Un certo Cameron, un ragazzo mulatto la sottoponeva a vari controlli, le faceva domande e le diceva di assumere sostanze. Una di queste, che aveva la forma di barretta a cioccolato, aveva il sapore dei biscotti che sua madre preparava per le cene di famiglia. Quelli non mancavano mai.
Era stata restia a farsi visitare da un ragazzo così giovane ma Michael, quello che aveva associato alla macchia indistinta che stava combattendo il ciclope, le aveva assicurato che era affidabile. In effetti, Cameron era più bravo di molti dottori con cui aveva avuto a che fare, con una certa empatia misurata verso i pazienti.
Quando Cameron terminò, il ragazzo asiatico si avvicinò per chiedere le conclusioni. << Tutto apposto. Domani gli effetti dell’ambrosia e del nettare dovrebbero terminare, ti consiglio di camminare con una stampella. Fattela recapitare da qualche mio fratello >>, consigliò il figlio di Apollo, << Se dovesse farti male la testa o se ti gira improvvisamente, vieni subito in infermeria. Credo che per chiedere i responsi da Ottaviano o per essere interrogata, possa girare per il campo senza problemi. >>
<<  Perfetto. Michael, domani sarai il suo tutore provvisorio. Se sei obbligato a saltare degli impegni, sei giustificato. >> ordinò la ragazza con la treccia. Emma di solito avrebbe litigato con una ragazza così ma qualcosa la bloccò. Aveva una sensazione che non riusciva a decifrare.
La osservò cercando di cogliere qualcosa che le permettesse di capire. Tutto in lei esprimeva comando e potere, dal vestiario all’aspetto fisico. Gli occhi erano color ossidiana, come i propri con la differenza che i suoi erano risoluti e duri. I lineamenti avevano un che di rigido, forse perché era infastidita o corrucciata per qualche ragione, però sembravano nascondere anche un po’ di dolcezza. Come i propri. La carnagione era scura, tipica degli ispanici.
Teneva un braccio lungo il fianco mentre con l’altro avvolgeva il busto, per dimostrare un distacco, che rilevava il grado gerarchico tra cui si trovavano lei e gli altri presenti in sala eccetto l’asiatico (Emma aveva capito che erano quelli che comandavano) ma anche la disponibilità. La ragazza si accorse che la fissava e le lanciò uno sguardo truce che le fece venir voglia di abbassare la testa.
Sempre a testa alta’, le aveva detto l’anziana signora di Richmond e questo consiglio le diede la forza di tenere la testa alta e fissandola negli occhi prima di spostare lo sguardo altrove che cadde su Lucas. Sembrava l’unico punto fermo della stanza, mentre tutti si muovevano o parlavano della situazione. Rimase anche dopo che gli altri l’avevano salutata.
<< Mi sa che non ti sei conquistata le simpatie di Reyna. Fissare negli occhi uno, gerarchicamente parlando, sopra di te e segno di sfida >> le disse Lucas.
<< Non è la prima ‘autorità’ con cui vado in contrasto >> mormorò Emma.
<< Qui sono delle vere autorità, quei due con il mantello, meglio non inimicarsele >> consigliò il biondo.
<< Grazie. >>
<< Per? >> domandò Lucas. Emma lo osservò. Era un tipo asciutto, dai grandi occhi azzurri come il mare d’estate. I capelli sembravano fili d’oro, cos’ come le ciglia e le sopracciglia. Sembrava a disagio
<< Per ieri, contro quel ciclope. E per il consiglio suppongo >> gli fece un sorriso per metterlo a suo agio. L’effetto fu che diventò tutto rosso e si notava subito perché la pelle era chiara.
<<  Ho … ehm ... ho fatto il ... Michael … >> farfugliò per poi perdersi dopo quel nome. L’espressione era talmente buffa che ad Emma venne da ridere. Le sopracciglia erano sollevate e lui guardava a destra a manca senza fermare lo sguardo per neanche un secondo. Lui la guardò sorpreso, come se pensasse che fosse una tipa scontrosa e che non rideva mai (in effetti gli aveva dato quell’impressione) e abbozzò un sorriso. << E’ stato Michael a combattere per salvarti la vita. Ti ho solo messo fuori dalla portata del combattimento, potevi farti anche più male. >>
<< E’ stato un bel gesto >>, lo rassicurò Emma << Posso chiederti un favore? >>
Lucas assunse un’espressione assorta, << Dimmi. >>
<< Potresti farmi compagnia più tardi. E anche domani. Mi sento a casa, il luogo che Lupa mi diceva di andare, ma è come quando un francese non capisce molto il francese in Canada … insomma capisci? >> cercò di spiegare Emma.
<< Ci siamo passati tutti, alla fine non è male. Forse quando sei un legionario a tutti gli effetti … >> mormorò Lucas per poi perdersi in elucubrazioni.
<< Un che? Senti spiegami un po’ di cose. Comincia da quello che devo fare con Michael. >>
Lucas prese una posizione comoda e iniziò a parlare <<  Allora, i pretori, Reyna e l’altro ragazzo, si chiama Frank, t’interrogheranno, un po’ per capire cosa ti è successo e avere chiarimenti. E ... >>.


Buongiorno/buonasera/buonqualsiasimomentodellagionataincuistateleggendociò! ^^
Finalmente al Campo! Non vedevo l'ora che arrivasse qui! Mi divertirò tantissimo da qui in poi *ridacchia*
Non ho molto altro da dire, perciò ribadisco che le vostre opinioni sono molto importanti per me. Anche se negative. Purchè non ci siano insulti senza alcun motivo, solo l'amico immaginario si può offendere ma la sua opinione conta poco. 
Au revoir,
Gwenhwyvar

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Capitolo 4
*** Capitolo 4- Welcome to Camp Jupiter ***


Capitolo 4- Welcome to Camp Jupiter

Aveva appena finito il colloquio con Frank Zhang, uno dei pretori, che l’aveva messa a suo agio durante quello che le era sembrato un interrogatorio. Aveva voluto risentire di nuovo la storia del suo viaggio fino a lì ed Emma glielo raccontò di nuovo, aggiungendo cose che aveva dimenticato precedentemente. In seguito le aveva chiesto cose come la sua età, il corso di studi. In seguito era arrivata Reyna, con due cani, uno oro e l’altro d’argento, che le aveva fatto domande riguardanti perlopiù la condotta che aveva avuto. I suoi cani intimidivano Emma e quando la avvisò sulla loro capacità, la ragazza disse semplicemente che aveva cambiato alcune scuole, dopo provvedimenti disciplinari. “Mi difendevo semplicemente dai bulli” , aveva detto, “non ho mai avuto intenzione di cominciare risse”.  I cani non avevano abbaiato perciò tutto filava liscio.
La successiva serie di domande riguardavano la sua famiglia ed Emma ci metteva parecchio tempo prima rispondere. Le domande erano molto specifiche, con poco tatto, in modo che non potesse omettere niente.
Su sua richiesta, Frank le mostrò un fascicolo su Azalea Hernandéz, sua madre, e il pretore le fece vedere un documento. A quanto pare sua madre era di lì ed era figlia di Cerere, dea delle messi. Sentì un fiotto di amarezza e, percependo addosso lo sguardo dell’altro pretore addosso, come se cercasse di costruire la sua personalità solo guardando gli atteggiamenti, mantenne una faccia neutrale. Entrambi però avevano uno sguardo strano.
In mancanza di un augure, una figura che doveva giudicare se fosse una buona recluta o se dovesse essere uccisa (dopo Lupa e il viaggio, rincorsi da un coso enorme umanoide con un solo occhio, non era proprio quello che voleva sentire), era stata messa in un periodo di prova, in modo che i due pretori potessero farsi un’idea delle sue intenzioni. Emma era sicurissima che l’interrogatorio di prima era stato fatto anche per quel motivo. ‘
Come nei gialli, se io non ho fatto niente non ho bisogno né di alibi né di fingere. Sarà semplicissimo”, provò a tranquillizzarsi. Mostrarsi agitata non avrebbe fatto altro che ingigantire i sospetti dei pretori.
Quando uscì dal Principia, l’edificio di marmo in cui aveva tenuto quel colloquio, aspettò di essere abbastanza lontana per fare un sospiro di sollievo. Non aveva motivo per essere nervosa però i due pretori non avevano provato a tranquillizzare l’atmosfera. Forse volevano vedere se la tensione l’avrebbe fatta crollare. Forse non avrebbero provato neanche a tenerla d’occhio seguendo quel ragionamento. Era tutto troppo nuovo per Emma, troppe emozioni, troppe domande.
Michael era entrato in Principia, mentre faceva questi ragionamenti ed era appena uscito. Stava cominciando a sospettare che i pretori gli avessero detto di tenerla d’occhio prima di scuotere la testa per scacciare il pensiero. “Non importa cosa gli hanno o non hanno detto. Probabilmente non stavano parlando di te. Adesso Hernandéz, zitta e interagisci!  Anche se ‘zitta e interagisci’ non si può proprio sentire … bah, ignora il fatto e interagisci!”
Il figlio di Venere la portò in un  bar di Via Praetoria, una strada spaziosa, incorniciata da botteghe e negozi di tutti i tipi. Prese un succo di frutta Ace su insistenza di Michael che voleva che restasse in forze.  Emma pensò che forse questa sua preoccupazione non era sincera però non trovava buoni motivi  che giustificassero questa ipotesi.
Michael le spiegava un po’ di cose. Era difficile staccare lo sguardo da lui per vedere cosa indicasse, soprattutto se parlava di cose come architettura, di cui Emma comprendeva solo i capitelli delle colonne. Michael era il perfetto stereotipo del ragazzo bellissimo che nei film sono oggetto di attenzione da parte delle più emarginate della scuola e che generalmente stanno con le più popolari. I capelli erano color cioccolato, mossi e lunghi, rispetto ad altri che li avevano corti, in stile militare. Le aveva detto che era perché poteva vedere qualcosa di diverso in lui rispetto agli altri ragazzi che avevano incontrato. Il volto era ovale, la pelle, abbronzata al punto giusto, era liscia e perfetta. Gli occhi  erano azzurri come l’oceano con una chiazza smeraldina intorno alla pupilla.  Faceva dimenticare il fatto che probabilmente la teneva sott’osservazione.
Michael aggrottò lo sguardo, accorgendosi che lo stava guardando trasognata e poi sospirò. << Senti, so che sono figlio della dea della bellezza, quindi non posso pretendere che la gente  smetta di fissarmi. >>
<< Anche se è fastidioso? >> domandò Emma, cercando un modo per nascondere l’imbarazzo. Una parte di lei tirava un sospiro di sollievo. Michael  non sembrava sospettoso nei suoi confronti.
Michael sospirò. << E’ fastidioso, però ammetto di essere un’esibizionista a volte. Ma ecco io ... >>.
Emma continuò per lui. – Sei impegnato
<< No. Il punto è che io … >>
<< Ho capito, non è un problema >> lo rassicurò Emma, bloccandolo a metà frase. << Però, i problemi di oggi: Trovi un bel ragazzo e lui è dell’altra sponda. >>
Michael rise ed era un suono gradevolissimo alle orecchie di Emma.  << Complicarvi la vita è sempre un piacere. Però guarda che noi omosessuali ci siamo da sempre! >>
Emma sollevò un sopracciglio. << Davvero? >>
<< Mi sa che c’era un imperatore era gay però non ricordo chi. E c’era pure una poetessa … >>
<< Adriano e Saffo? >>
<< Non puoi pretendere che mi ricordi i nomi! Non li ho studiati bene! >> fece Michael.
<< Va bene ho capito, vuoi fare protesta per i diritti degli omosessuali nel mondo >>
<< Con tanto di striscioni arcobaleno! >>
<< E gli unicorni? >> scherzò Emma
<< Credo che quelli veri, non li noterebbe nessuno con la Foschia, ma si, c’è posto anche per gli unicorni. >> continuò Michael , ridendo. << Ah, importante! Non è che le ragazze mi spiacciano ma preferisco la popolazione maschile.
<< Buono a sapersi >> disse Emma.
 
 
Lucas si allenava al tiro con l’arco mentre Allison cantava. Aveva una voce melodiosa, qualcosa che lo portava a pensare alle cose più belle e pure. Intonava Don’t Stop Me Nowdei Queen, una canzone molto energica. Allison non la stava cantando perché le andava ma perché era la canzone giusta per il momento. E ci azzeccava sempre.
Prese di nuovo una freccia e si concentrò. La mira questa volta era esatta, persino Allison aveva smesso di cantare. Stava quasi per scoccare quando una voce lo chiamò.
<< Lucaaaas! >> urlò Michael. Era sicuro che quella fosse la sua voce. La riconosceva sempre Lucas arrossì per colpa del suo cuore che stava ballando il tip tap e anche di rabbia. La freccia non aveva neanche sfiorato il bersaglio e stava per colpire un ragazzo. “Maledizione a quel figlio di Venerehttp://cdncache-a.akamaihd.net/items/it/img/arrow-10x10.png e al suo essere così se-“ interruppe il suo pensiero perché ammettere quell’aggettivo gli avrebbe fatto alzare la pressione e la sua pelle chiara lo avrebbe tradito. Se ciò fosse successo, Allison lo avrebbe preso in giro a vita, cantando canzoncine romantiche continuamente.
Si girò per vedere cosa voleva e lo vide salutare insieme ad Emma che, rispetto a quando si era svegliata in infermeria, brillava di salute. Non poté trattenere la sua invidia. Michael le stava facendo il tour del campo e Lucas voleva essere a posto della ragazza. Alzò le mani per salutare insieme ad Allison. Quando se ne andarono, comprese che lo aveva interrotto solo per quello. Gettò l’arco a terra in un moto di rabbia, frustato a causa del potere che Michael esercitava su di lui. E non ne era consapevole.
Allison lo abbracciò e iniziò a canticchiare qualcosa di rilassante e di gioioso che lo fece rasserenare. La figlia di Apollo aveva una capacità grandiosa, quanto pericolosa: poteva far provare quello che voleva cantando. In giro la chiamavano ‘Sirena’ appunto per questo.
Gli accarezzò la schiena e canticchio ancora per un po’. Aveva fatto così anche mesi prima, quando aveva messo piede per la prima volta al Campo Giove, aiutandolo ad ambientarsi.
Quando si staccò, aveva ancora il sorriso sulle labbra ma lo sguardo carico di curiosità e di qualcos’altro … gelosia?
<< Allora spara tutto. Quella è la ragazza dell’infermeria, quella del ciclope >>, affermò Allison, lo sguardo ora puntato sulle scarpe. << Non è detto che finisca nella nostra Coorte, lo sai. >>
<< Ma se tutti gli ultimi arrivati sono finiti sempre e solo da noi! >> esclamò Lucas. Non capiva che le prendeva ora.
<< Non se qualcuno non la prende sotto custodia >> ribatté Allison.
<< Ho chiesto a Candace. >>
<< Candace non ha mai preso nessuno sotto custodia, cosa ti fa pensare che ci provi ora? >> domandò Allison alzando la voce. I capelli lisci e biondi, lunghi fino alle spalle, incorniciavano un volto fanciullesco e frustrato, come lo era prima lui. Gli occhi celesti erano spalancati, le labbra un po’ sottili e rosee, socchiuse.
“Certo, Allison ha paura di essere messa da parte” pensò Lucas, dandosi una pacca mentale. Doveva rassicurarla, tutto qui.
<<  Ally, guarda che è solo una ragazza che ho soccorso. E’ normale che si venga a creare un legame. E sì, voglio farci amicizia, non puoi monopolizzarmi! >> sbottò alla fine Lucas. Pessima mossa.
Allison, dal canto suo, letteralmente, replicò <<Never mind, I’ll find someone like you! >>
<< Dai, non fare la melodrammatica, per la barba di Merlino! >>
Allison continuò << I wish nothing but the best for you, too! >>
Lucas era esasperato. Allison continuava a cantare e gli faceva percepire il suo stato d’animo. E mentre la figlia di Apollo continuava ad intonare con la sua voce melodiosa, il probatio capì che per farsi ascoltare doveva passare alle maniere forti, ovvero chiudere la bocca ad Allison mentre cantava. Diventava aggressiva quando qualcuno le impediva di cantare e perciò pensò bene a come doveva fare prima di agire.
La agguantò per il polso mentre lei gli gridava/cantava ‘I was your woman!’, facendolo spazientire ancora di più. Era un colpo basso ma le fece lo sgambetto. Cadde, trascinandosi anche il povero Lucas. Si sbrigò a tapparle la bocca. La figlia di Apollo sembrava sputare odio dagli occhi. Alla faccia di chi dice che sono allegri e pacifici.
<< Ora mi ascolti! Stavo dicendo che voglio farmi una nuova amica. Non puoi monopolizzarmi! Il tuo comportamento non è giustificato, neanche fosse Michael! >> la rimproverò, addolcendo però le parole. Il suo sguardo ora era colpevole ma pur sempre corrucciato. Decise di continuare a battere il ferro finché fosse ancora caldo. << Magari sta simpatica anche a te! >> ora sembrava che Ally stesse considerando l’idea. Lucas continuò: << E poi sarai sempre la mia ragazza preferita. >>
Le liberò la bocca e l’aiutò ad alzarsi. Allison era minuta, non che lui fosse tanto più altro e robusto, eppure riusciva a dare abbracci che ti facevano mancare il fiato, come quello che diede ora. Ricambiò l’abbraccio.
<< Okay, mi sento in colpa per aver minato la tua gaytudine >>
<< Ora non sfottere, però! >>
 
 
 
Michael aveva accompagnato Emma a vedere gli allenamenti degli altri semidei. Avevano visto anche Lucas, probatio della Quarta Coorte, più piccolo di Michael di alcuni mesi, e cui spesso il figlio di Venere pensava da quando aveva salvato anche le sue semidivine chiappe, e che ora si allenava con una biondina al tiro con l’arco. Non era eccezionale ma andava meglio rispetto alle altre armi. Michael lo osservava di tanto in tanto. Urlò il nome del ragazzo per salutarlo, ricambiato poi da lui e dalla ragazza bionda vicino a lui.
Vedendo tutti quei semidei che si allenavano, anche Emma aveva voluto provare subito, dicendo che almeno avrebbe avuto delle basi, anche minime. Da un lato aveva ragione, dall’altro Michael non aveva idea se le avesse fatto bene. Emma quando era arrivata non era proprio in forze. Michael se lo ricordava ed era strano. L'aveva vista in stato d’incoscienza, immobile, ora non poteva fare a meno di muoversi. I pretori avevano detto di vedere se fosse il caso di tenerla ma Michael non aveva dubbi. Teneva d’occhio al momento solo la sua salute. Decise infatti che se avesse notato qualcosa di strano, l’avrebbe riportata da dove si era alzata, in infermeria. Era responsabile per lei quel giorno.
Quando aveva proposto di andare a brandire la sua arma nello zaino in infermeria, Michael aveva trovato strano il fatto che ne avesse una. L’ultimo che era venuto con un’arma era stato quel figlio di Nettuno, Percy Jackson, e le cose si erano messe parecchio male, anche se non era colpa sua. In più, Emma aveva la sua stessa età, quasi sedici, ma comunque vicina all’età in cui Jackson era venuto al Campo Giove. Preoccupante. L’unica differenza era che l’arma della ragazza era romana.
Aveva convinto Emma che era meglio cominciare con le spade di legno. I primi allenamenti erano sempre così e, come ogni semidio che arrivava, Emma aveva i muscoli sufficienti per brandire in mano una spada di legno, più pesante dell’oro imperiale. I primi movimenti furono complicati. Le diede la propria arma, più leggera, in modo da farglieli memorizzare, prima lentamente e velocizzando in seguito. In seguito gli ripassò il gladio di legno e le fece ripetere gli stessi movimenti. Nonostante la difficoltà del peso, Michael pensò che con più allenamento, Emma sarebbe potuta diventare una promettente spadaccina. Ciò lo fece rabbuiare di più perché significava che sarebbe successo qualcosa e semplicemente Michael era stufo.
 
 
 
Emma non era mai stata a disagio al centro dall’attenzione ma i dubbi di quella giornata le fecero comprendere che c’erano centinaia di tizi che la fissavano, manco fosse un oggetto all’asta. Cercò di apparire come i professori di Hogwarts allo smistamento degli alunni del primo anno. Imperturbabili e sicuri. Provò a non assumere posizioni rigide e di sorridere spesso, in modo da apparire spigliata. Cercò Michael tra le fila e lo trovò, anche se guardava i pretori. Emma non aveva idea di quello che avevano detto.
I ragazzi davanti a lei urlarono un "Ave!" ed Emma rivolse loro un piccolo sorriso mentre prendeva una ciocca di capelli e ci giocherellava con le dita. Ave che?
Frank si avvicinò a Reyna e parlarono sottovoce per un po’. Emma sentiva sprazzi di conversazione. Parlavano di sua madre, piano per non far sentire a terze persone informazioni private.
A parlare questa volta fu Frank. << Quarta Coorte? Si propone qualcuno? >>
Molti ragazzi della Quarta Coorte iniziarono a parlottare come per giudicare se fosse il caso di prenderla o meno. Sembrava che non la volessero. Lucas le alzò il pollice e le fece un sorrisetto. Sembrava ottimista. Emma ricambiò anche se non lo era altrettanto.
<< Ragazzi, sapete benissimo che dall’ultima guerra siete stati decimati >> li ammonì Frank
<< Li scusi, pretore. Dopo farò in modo che questo non accada più >> mormorò il ragazzo, girandosi verso gli altri e lanciando degli sguardi duri. Era a capofila con una ragazza. Il ragazzo era alto e un po’ robusto. Della ragazza capiva solo che era snella e bionda perché le armature non permettevano di capire bene le loro fisionomie.
<< Ottimo, che non si ripeta >> rinforzò Reyna, il tono più autoritario. << Chi si propone allora? >>
Miguel osservò una ragazza dai capelli color rosso acceso. La ragazza guardò in basso, indecisa. “Sempre a testa alta”, le aveva detto l’anziana signora di Richmond.
Reyna sembrò essere stufa dell’attesa. Lanciò un’occhiata dura alla ragazza ed Emma immaginò che fosse diventata di mille colori.- Che dobbiamo fare?
 << Mi stavo per proporre >> rispose infine la rossa.
“Però la voce è ferma, Ammirevole” pensò la ragazza.
<< Voi della Quarta siete d’accordo? >> chiese Frank.
O perché avevano compreso la loro situazione o per l’occhiata che Miguel lanciò, ma tutti i ragazzi assentirono.
<< Accettano >> confermò Candace.
<< Congratulazioni Emma! Ora fai parte della Dodicesima Legione Fulminata ma per entrare in piena regola devi compiere un’azione valorosa o aspettare un anno. Per ora sei in probatio, la tua Coorte ti darà una piastrina che t’identificherà come tale. >> spiegò Frank.
<< Servi Roma, agisci e difendi il Campo con onore e obbedisci alle regole- continuò Reyna. A Emma sembrò che Frank avesse lasciato quelle parole da dire alla collega apposta. >>
Tutti esultarono in un "Senatus Popolusque Romanus", abbastanza festoso che risollevò l’umore di Emma.
Candace la tirò per un braccio. << Senti, parliamo chiaro qui fai come dico io. Mi sono beccata un rimprovero davanti a tutti! Vedi di non infastidirmi. >>
Emma ascoltò quelle parole con noia, le aveva già sentite un sacco di volte. Beh, quella era la sua mentore, giusto? Preferiva Haymitch, senza dubbio. << Se ti ubbidirò è solo per il tuo grado di … comandante o quello che è. E non puoi scaricarmi la colpa per il rimprovero! >>
Candace aveva riaperto bocca ma Miguel la bloccò. << Candace, non cominciamo così. Ha ragione sul fatto del rimprovero, non è colpa sua. >>
Emma ringraziò mentalmente Miguel mentre l’altra le lanciava un’occhiata velenosa, di sicuro non aveva apprezzato. Quando i due si avviarono, Michael le diede una pacca sulle spalle e le fece l’occhiolino. Anche il pretore Frank, impercettibilmente, riuscì a stringerle il polso, rassicurandola, per poi camminare tranquillamente verso la mensa, dove andavano tutti.
Durante il tragitto, Emma pensò agli dei. Uno di loro era suo genitore. Era una madre o un padre?
Raggiunse gli altri ragazzi. Per capire dove si trovasse la sua Coorte le bastò cercare la chioma rosso vivo della sua mentore. Doveva necessariamente farsi spiegare da qualcuno quali fossero i doveri di Candace verso di lei e viceversa.
Emma vedeva che del vento portava il cibo, poi si materializzava in ragazze e lo poggiavano sui tavoli. Restò a bocca aperta.
Lucas le faceva segno con la mano. Era insieme alla biondina con cui lo aveva visto insieme a Michael, e un paio di ragazzi. Uno di loro, alto e capelli castani, si abbuffava. Si sedette vicino al suo divanetto, anche perché era l’unico che riusciva a vedere.
<< Ciao! >> la salutò la biondina << mi chiamo Allison, figlia di Apollo. >> Lucas osservò la ragazza, Allison, per poi distogliere lo sguardo.
<< La cantante della coorte >> bofonchiò il ragazzo di fianco a lei.
Lo ignorò. << Piacere, Emma, figlia di non so chi >>
<< Guarda che già lo sapevamo! >> obiettò divertito di nuovo il ragazzo. Emma cominciava ad essere infastidita da lui. << Siccome se non parli, muori, ti va di presentarti? >>
Il ragazzo prese fiato e si mise con la schiena dritta, anche se era ancora semi sdraiato. << Io sono Sir Alexander, milady. Figlio di Vulcano, rimedierò tutti i vostri problemi meccanici. Se intende avere una relazione con me, le posso rassicurare che sono assolutamente disponibile. >>
Emma alzò un sopracciglio. Uno strano piano si formò nella sua mente. Il secondo dopo che era stato creato e approvato in pieno nella sua testa, lo mise in atto. << Allora si avvicini, sir Alexander. >>
Era evidente che il ragazzo non se lo aspettava, cosa che fece ghignare Emma. Era rimasto pietrificato e allora si avvicinò a lui.
Lucas, Allison e qualcun altro guardavano la scena. 
I loro visi erano anche fin troppo vicini, il gioco si stava rivelando controproducente. Percepiva il calore del figlio di Vulcano, confortevole come una coperta in inverno. “Al diavolo”, pensò, “ora che ho cominciato, devo finire”.
Alexander era palesemente confuso da quella situazione. Forse nessuna ragazza aveva reagito così con lui. Emma era lieta di essere la prima.
Ci fu uno scoppio di risate generale dopo che Emma diede uno schiaffo ad Alexander. Lei ritornò al suo posto contorcendosi dalle risate mentre il figlio di Vulcano cominciò a sentirsi a disagio.
<< In effetti, hai un approccio pessimo, Alex >> commentò una ragazza. Senza elmo la poteva vedere bene. Era la stessa che era insieme a Miguel a capofila della Quarta Coorte. Le sembrava di vedere sua madre da giovane, solo con i capelli più scuri e gli occhi castani. Emma si rabbuiò all’improvviso.
<< Ops! Non mi sono presentata, che maleducata! Dovrei dare l’esempio io. Mi chiamo Leila, figlia di Cerere e sono centurione d questa coorte. Nella scaletta sono come un caposala. >>
E parlava come sua madre. Maniaca dell’educazione, dell’etica e del galateo. Quindi questa ragazza era sua zia adottiva?
<< Pi...piacere >> balbettò Emma.
Alexander aspettava solo di riscattarsi. << Che? Il centurione ti ha mangiato la lingua? >> la schernì
Emma, che adorava avere sempre l’ultima parola, gli mostrò la lingua. << E’ ancora qua. >>
<< E poi secondo te, solo perché sono sempre molto calma e carina con tutti, non riesco a mettere in riga i miei ragazzi? >> replicò Leila. Emma dovette riconoscere che non sembrava chissà quale minaccia, ma quando si innervosiva, proprio come sua madre, sapeva come incutere timore.
Allison scoppiò a ridere di nuovo mentre Lucas intervenne. << Non sei aggressiva, però ci sai mettere in riga. Come quando parliamo mentre mangiamo. >>
<< Il galateo e la buona educazione servono ad un romano. >> obiettò Leila, tranquilla
<< E noi ti apprezziamo per questo. Sono d’accordo con te, poi >> continuò Lucas.
<< Uno che capisce, almeno. Comunque, Alexander devi seriamente cambiare i tuoi metodi di approccio. >>
<< Dovrete perdonare un sempre single come me! >> esclamò il figlio di Vulcano.
<< Ci credo >>, commentò Emma << che sei single, dico. >>
Alexander socchiuse gli occhi, come se stesse cercando di capire se Emma gli stesse lanciando una sfida. << Diventerò un Don Giovanni, te lo assicuro. >>
<< Io non vedo molte speranze >> sospirò Leila.
<< Se diventi un Don Giovanni, Allison smetterà di cantare >> continuò Lucas
Allison fece un’espressione terrorizzata, doveva essere il suo incubo, quello. << EHI! Non ne ho intenzione! E non centro niente io! >>
<< Vedi? Allison mi sostiene! >> disse Alexander, contento
<< Veramente il sostegno lo vedi solo tu! >> obiettò la figlia di Apollo, acida.
<< Grazie, Ally, sei una vera amica. >>
Non si era mai sentita così a suo agio con degli sconosciuti. Né tanto pacifica, amichevole e scherzosa. Prometteva bene. La loro compagnia, anche quella di Alexander (era comunque fastidioso), le fece dimenticare per quella sera dei pretori e della prova.
Era bello essere in compagnia di nuovo, dopo tutte quelle giornate passate da sola.
 Quella che aveva davanti, era una classica scena che avrebbe potuto vedere nella sua città, nel suo liceo, nei centri dove i ragazzi si riunivano a Santa Rosa.
Il ricordare la sua città la fece rabbuiare. Era indecisa su come contattare sua madre e su come prendere quel discorso. Quella menzogna le separava più di quando avesse fatto la lontananza geografica. Annebbiò la tristezza e la delusione con quella nuova compagnia.  In fondo, si dice che gli amici non sono quelli che asciugano le lacrime ma quelli che non te le fanno versare.
 

 
 
 
Buonsalve gente!
Come va? Estate, pagelle, esami … come sono andati?
In questo capitolo cominciamo a conoscere alcuni personaggi importanti. E se ve lo state chiedendo, no, il Michael di cui ho parlato non è Kahale. Il fatto è che alla storia avevo pensato mesi prima a questa storia e ancora il Sangue dell’Olimpo non era uscito. Il personaggio mi è uscito di nome Michael e figlio di Venere. Quando ho scoperto di Kahale sono rimasta di stucco. Ma ho sistemato comunque la cosa senza cambiare nome al personaggio perché è come se gli togliessi un pezzo di identità.
C’è sempre un piano B    :D
Leila si ribella alla nomina "sono dolce, carina e del tutto inoffensiva" e secondo me Alexander dovrebbe prenderle per bene ma forse una buona dose di Allison tutto il giorno gli farà passare i bollenti spiriti (xD). Probabilmente i centurioni la usano come minaccia per i trasgressori. In effetti può essere esasperante avere qualcuno che ti canta all’orecchio tutto il giorno anche se ha una voce melodiosa.
Che dire? I Michas *-*  WAA! Ho fangirlato per loro sin dalla prima volta che li ho pensati!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Au revoir et gloire aux licornes :*

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Capitolo 5
*** Capitolo 5- Dulce bellum inexpertis, expertus metuit ***


A Lucas non piacevano i ludi di guerra. Non era in grado di "giocarci", rischiando sempre di farsi ammazzare. 
All'inizio, gli avevano detto, i ludi non sono un'esperienza piacevole per un probatio ma era passato quasi un anno da quando era al Campo Giove e ancora i ludi erano una grossa spina nel fianco.
Quella volta aveva pensato che si sarebbe sentito compreso. Emma, che era nuova, si guardava intorno con lo sguardo poco convinto e non entusiasta ma Lucas avrebbe scommesso denari su di lei. Credeva che con il tempo sarebbe diventata bravissima. 
Per la sua gioia, in questi ludi dovevano simulare una battaglia campale, non che fosse meno impegnativa ma avevano già provato quel tipo di battaglia, e per questo si sentiva più sicuro. La sua sicurezza vacillò quando le linee si ruppero a vantaggio dell'avversario. 
E Lucas piombò nel caos più totale, i suoni della battaglia si trasformarono in un lieve ronzio e le scene di lotta gli passavano davanti come se fosse uno spettatore. 
Era diventato talmente intorpidito e passivo da non accorgersi che si stava muovendo.
Un membro della sua coorte lo portava via e quella figura rasentava la via di fuga che nel suo stato di terrore stava cercando.
Non c'erano molti nascondigli, a parte una serie di grandi massi dietro la quale si nascosero loro.
La figura gli tolse l'elmo e lo schiaffeggiò.
<< Okay, okay sono sveglio! >> urlò lui, che già si era ripreso abbastanza da reagire.
<< Parla a bassa voce! Siamo in missione speciale. >> disse una voce di ragazza. Lucas si sorprese. Era Emma. E aveva una missione speciale.
Gaius gli doveva un mucchio di soldi.
<< Senti, non sono sicuro che ...>>
<< Hanno intenzione di farti sbloccare in qualche modo e dubito che sarà una cosa piacevole. - lo interruppe Emma che, dopo aver tolto l'elmo, lo guardava con i suoi intenso occhi scuri. La luce del pomeriggio faceva distinguere a malapena la pupilla.
Non aveva molta scelta. << Che si fa? >>.
<< Hai mai fatto caso che con le armature non ci si riconosce? >> gli chiese e Lucas capì dove voleva andare a parare.
<< Prenderemo comunque quelle avversarie, per eliminare tutti i sospetti. >> continuò la ragazza.
<< Un bel cavallo di Troia, lo ammetto, ma fa acqua in alcuni punti >>  commentò Candace, la voce intensa e musicale.
<< Beh dato che sei qui da più tempo potresti aiutarci >> propose Emma a denti stretti.
Lucas ringraziò gli dei per essere gay. Non credeva che avrebbe avuto vita facile uscendo con una ragazza.
E poi era per Candace o Emma odiava essere contraddetta e basta?
Candace guardò l'altra con superiorità. << Ti sconsiglio di fare la schizzinosa. So dove tengono le insegne. >>
Lucas sapeva che non stava bluffando. Non ne aveva motivo.
Eppure, anche se aveva meno esperienza, l'onere di decidere tutto sembrava spettare a Emma. Persino, Candace si era messa a cercare qualcuno che guidasse la missione speciale quando avrebbe potuto prendere due semidei a caso e guidarla lei.
<< Va bene, andiamo >> incitò la ragazza.
Trovare elmi e armature non fu difficile come Lucas aveva pensato. Dovevano stare attenti. Se si metteva a zoppicare nessuno faceva caso a lui.
Le coorti avversarie (Seconda, Terza e Quinta) gridavano euforici mentre i loro compagni li trattenevano a malapena. Persino la Prima Coorte, che erano l'orgoglio del Campo Giove prima di perdere credibilità dopo la guerra, aveva difficoltà.
Candace ed Emma fissavano di tanto in tanto la situazione trattenendo i loro commenti e concentrate sul loro compito.
La figlia di Venere venne da lui con un elmo della sua misura e glielo porse.
<< Stai andando decisamente bene rispetto all'ultima volta. Quando faremo il verbale sulla nostra missione, alla fine dei ludi , avrai dei riconoscimenti. >> gli disse.
<< Sempre se vinciamo >>.
Candace spostò lo sguardo direzione di Emma poi di nuovo su di lui. << Vinceremo >> e fece un sorriso accattivante che ricambió.
L'altra ragazza si avvicinò, armatura al completo e un giavellotto "preso in prestito".
<< Di che confabulate? >> domandò, sospetta.
Notarlo non fece piacere a Lucas.
<< Incoraggiavo, tutto qui >> le rispose Candace impassibile. << Frederick mi ha detto che le insegne sono nel capanno dei feriti. >>.
Non poteva essere il Frederick della Quinta Coorte. Era un pezzo di pane. Riusciva a immaginarlo che tradiva la sua coorte come riusciva a immaginarsi presidente degli Stati Uniti. Semplicemente non faceva per lui.
<< Non quel Frederick, uno della Seconda Coorte. Diciamo che ha la lingua lunga e un debole per me. >> spiegò Candace.
Emma si mise a ridere sprezzante.
Lucas non capiva perché dovesse comportarsi in un modo così odioso quel giorno.
Candace rimase impassibile alle offese dell'altra, come se fosse abituata.
Lucas non riuscì a frenare la lingua.- Emma penso che dovresti ringraziare e scusarti con Candace.
Lei lo fissò cercando tentennamenti nel suo volto. 
E potevi essere anche la persona più decisa del mondo ma quegli occhi erano un attentato alla sicurezza di chiunque.
Ma resistette.
Poi Emma spostò lo sguardo altrove.
Candace gli poggiò una mano sulla spalla e gli sussurrò "Grazie all'orecchio".
<< Ho pensato che le insegne vanno difese e che di conseguenza non ci sono feriti nell'infermeria >> notò Emma.
Lucas sperava ancora che Emma mettesse da parte l'orgoglio. In fin dei conti era una brava ragazza.
<< Quindi dobbiamo convincerli. Sai che non ho la lingua ammaliatrice, vero?>> le chiese Candace.
<< Ce la caveremo. >>.
Prima litigavano e poi collaboravano. 
Decisamente le ragazze non facevano per lui.
Candace fece strada verso la loro meta. Lucas si affiancò alla rossa, lasciando Emma ai suoi pensieri.
<< Ehi, tutto apposto >> domandò alla figlia di Venere che rispose con un mugugno.
Risparmiavano le parole per la grande dimostrazione di oratoria di dopo? 
<< Mi spiace che non abbia funzionato. >>
La figlia di Venere sorrise. << Non ancora. >>.
La sua espressione confusa doveva aver detto tutto.
<< Ci sta pensando. È una ragazza orgogliosa, le devi dare tempo. Almeno lei ci sta pensando, molti neanche questo facevano. Ed è anche colpa mia, in fondo.
<< Sei più umile di quello che sembri >>.
<< Sembrare è il verbo preferito dei figli di Venere ... E anche delle persone in generale >> commentò Candace. << Come va con Michael? >>.
Lucas stava quasi per inciampare. Non comprendeva la connessione fra i due discorsi.
<< Ehm ... Va? >> fece lui poco convinto.
Candace roteò gli occhi. << Prima dovreste finirla di annusarvi come bestie. Dei, e dire che è un Don Giovanni, quello lì. >> e si diede una pacca in fronte.
Si, sapeva che era un Don Giovanni di prima categoria.
<< Voglio dire, lui non si sta sbloccando perciò devi piacergli per forza. Per una volta è preda e non predatore >> fece Candace.
<< E il predatore sarei io? Sul serio? >> domandò sarcastico.
<< Hai bisogno di una buona dose di autostima >> commentò << Emma! Siamo quasi arrivati. >>
L'infermeria provvisoria si trovava sopra un lieve pendio.
Era una tenda bianca, a forma di pentagono e aveva disegnato sopra l'entrata un caduceo verde, il simbolo della medicina.
<< Non vedo delle guardie ... notò Lucas >>.
<< Perché non c'è niente in un'infermeria da difendere a parte delle insegne. >> continuò Candace.
<< E loro non vogliono farsi notare >> finì Emma. 
Lucas pensò che alla fine erano un bel trio.
<< Il piano? >> domandò lui e si girò verso Emma come anche la figlia della dea dell'amore.
<< Ci fingiamo messaggeri e parliamo fin quando non cedono >> spiegò facendo spallucce.
E lui che sperava in un piano brillante con tanto di piani di riserva fino alla Z. No, la ragazza si dava all'improvvisazione.
<< I messaggeri hanno un modo per farsi riconoscere >> le fece notare Candace. << Aspetta, hai intenzione di dire che non trovavamo i messaggeri o qualcosa del genere e ... Ti seguo solo perché non abbiamo alternative migliori. >>
<<  Grazie mille. Lucas? >>
<< Facciamola finita e basta. >>.
Prima di entrare in territorio nemico, Emma prese Candace da parte.
Lucas sentì le paroline "vorrei scusarmi" ma ricordandosi del discorso sull'orgoglio di Candace, non glielo fece notare. Piuttosto sorrise e si diresse da solo in avanscoperta.
Sentiva odore di pomodoro, probabilmente avevano usata la salsa per fare del sangue finto.
Quando entrarono Candace iniziò a parlare ed Emma le reggeva la recita. Lui faceva la comparsa. Si sentiva abbastanza inutile.
Non aveva molto seguito il discorso ma qualsiasi cosa le due ragazze avessero detto non sembrava che avesse funzionato.
Era nervoso per la paura di essere scoperto e non ce la faceva più a stare lì dentro. E così iniziò a parlare anche lui.
<< Non possiamo fare la figura degli stupidi! Un gruppetto avversario sta arrivando qui dopo una soffiata! Non possiamo perdere, siamo persino in maggioranza numerica! >> sbraitó e dovette essere proprio convincente perché consegnarono loro le insegne. 
Pochi minuti dopo si dirigevano verso la loro metà di campo e qui iniziarono i problemi. 
Era difficile non notare tre semidei con tre insegne che si dirigevano in campo avversario e questa era la più grande pecca del piano, veramente poco organizzato di Emma. 
La ragazza aveva ribadito che non aveva avuto poi molto tempo per pensarci ma Lucas voleva darle un pugno lo stesso. 
Gruppi decisamente sostanziosi per loro tre, provenienti dalle cinque coorti venivano verso di loro e solo uno li avrebbe difesi (la Prima non poteva lasciare tutta la gloria all'alleata, no?).
Lucas era quasi arrivato e passò l'insegna a Miguel, il loro centurione, e andò ad aiutare Emma e Candace che erano nei guai.
La figlia di Venere diede il suo carico all'altra, poi sguainò il suo gladius e difese la probatio fino all'arrivo degli amici.
Miguel lo richiamò. Stava quasi per rientrare nelle fila però lui si riferiva ad altro.
Guardò dove indicava e vide Candace accasciata a terra.
Uno sei loro avversari, la stava trascinando. 
I movimenti fluidi ed eleganti appartenevano a qualcuno che conosceva bene. Michael.
Lo chiamò. << Lasciala stare ferma! Potresti far spostare i frammenti ossei! >> gli ordinò e corse verso di loro. Aveva capito che una costola incrinata doveva aver urtato un polmone.
<< Oh cavolo Lucas, che si fa ora? >> domandò Michael agitato. 
<< Niente, togliamole l'armatura e speriamo che venga qualcuno.>> disse ma alla fine fece tutto da solo imitando i modi di fare di sua madre.
Michael provò a rendere l'attesa meno dura.  << Sempre a salvare donzelle, eh? Gli altri ci invidieranno! >>.
<< Soprattutto perché nessuno dei due sa apprezzare appieno il genere femminile. >> tossicchiò Candace guardando Michael. Lui faceva finta di niente.
Era ovvio che c'era qualcosa che Lucas non sapeva e che doveva sapere ma lo ignorò. 
Al momento aveva altro di che occuparsi.
<< Non parlare e concentrati sul respiro. Michael facciamole aria. >> disse in un tono perentorio che non aveva mai usato.
Il cielo, a ponente, era scarlatto come i capelli di Candace.
Il sole era scomparso dietro le colline ma la sua luce sfiorava ancora quella terra come se fosse restio ad abbandonarla.
Da ovest veniva un'uomo, dall'andatura veloce, vestito da paramedico.
Era bellissimo. I lineamenti del viso erano delicati, come quelli di Allison. Gli occhi azzurri erano un cielo estivo e i capelli come oro puro.
Apollo.
Lucas dovette reprimere tutto quello che stava provando. Candace era scossa da colpi di tosse e sputava parecchio sangue.
Michael si era tolto armatura e maglietta per asciugare il sangue dalla bocca.
E se avrebbe sbavato al solo pensiero di lui, sudato e a torso nudo (ci aveva fantasticato qualche volta), ora che se lo ritrovava davanti non ci riusciva.
Apollo si avvicinò alla figlia di Venere, ignorando bellamente lui e Michael.
Come del resto il quartetto veniva ignorato dalla legione.
Incredibile, i soccorsi sarebbero già dovuti arrivare da un pezzo! A meno che non fosse opera della Foschia.
Apollo tastava la zona violacea, dove si intravedevano altre costole, causata dalla rottura di vasi sanguigni.
Candace aveva un'espressione irrigidita in volto per via del dolore che mano a mano si rilassava. Non si era lamentata neanche un po.
Non rispondeva alle domande di Apollo con quel timore reverenziale con cui si tratta un dio. Era completamente a suo agio.
Quando Apollo finì, aiuto la rossa ad alzarsi, da perfetto gentiluomo e lì si accorsero che il resto della legione li stava raggiungendo. << Figli miei, avete un nuovo fratello cui insegnerete tutto sulle mie arti con particolare riguardo per la medicina >> il dio del sole guardò il suo pubblico con un sorriso appena accennato e un luccichii negli occhi. << Vi auguro un’ ottima salute! >>  fece infine con fare leggermente teatrale.
Cominciò a diventare luminoso e Lucas chiuse gli occhi.
Guardare un dio che diventava pura energia era pericoloso ma era sicuro che era come se il sole fosse ritornata sulla terra per un breve tempo.
In effetti era stato proprio così.
Da figlio di Apollo, percepì la luce andare via e non si spaventò di aprire gli occhi per vedere. Apollo se ne era andato, così la sua luce.
Tutti erano inchinati e ripetevano la solita formula di rito. 
Il suo centurione, Miguel, lo guardava e sorrideva.
Lucas capì perché era stato messo a capo della coorte.
Tutti i legionari dovevano fare turni in luoghi come l'infermeria, per essere educati al servizio.
Lui ci andava più spesso degli altri, su ordine di Miguel. 
Aveva un sesto senso per le capacità.
Il secondo sguardo che incontrò fu quello del suo figlio di Venere preferito.
Vi scorse una certa dolcezza e tenerezza e s'immerse in quel verde meraviglioso. 
Non sapeva da quanto i loro sguardi fossero incarenati, per lui poteva passare l'eternità, però dovette separarlo quando sisentì investire da qualcuno e una matassa di profumatissimi capelli biondi riempì la sua visuale.
Allison. Sua sorella.
Avrebbe potuto essere un bellissimo momento se non fosse che lei cominciò a strozzarlo tanto lo stringeva forte.
<< Okay, niente morti! >> intervenne Frank. Aveva un sorriso enorme. << Sei stato parecchio in gamba. Davvero. Oh, grazie! >>
Un semidio gli aveva passato due pezzi di ferro, uno con la stampa della lira, simbolo di Apollo, l'altro era una semplice linea.
Lucas deglutì e si staccò da Allison.
<< Una volta avevamo l'augure per questo ma dobbiamo accontentarsi di questi metodi >> e il pretore sollevò gli attrezzi e lo guardò dispiaciuto.
Lucas sospirò.<< Datemi un qualcosa per non urlare. >>
Gli passarono la stoffa e Lucas non guardò di che tipo fosse, da dove provenisse. Si sarebbe lavato la bocca per sempre.
Sentire la sua pelle bruciare fu un dolore indescrivibile e la puzza di bruciato gli faceva salire le lacrime agli occhi.
Eppure sapeva che quel momento Lucas non lo avrebbe mai ricordato per quello.
Era felice.
Non ci credeva.
Le insegne erano arrivate nella loro parte di campo!
Okay, una ce l'aveva portata la Prima Coorte ma avevano vinto loro!
Sentì un fischio. Reyna aveva dichiarato così che i giochi erano terminati. E avevano vinto!
La sua coorte, anche se non aveva vinto completamente, festeggiava come se avessero vinto la Coppa del Mondo.
Certo, era un coorte ambiziosa come tutte le altre tra l'altro eppure per ogni passo avanti, festeggiava come se fosse la meta.
Il clima di leggerezza e allegria era alimentato dai loro centurioni però pretendevano serietà e impegno quando serviva.
<< Congratulazioni! >> disse Reyna mentre l'altro pretore, Frank, parlava con quelli della Prima. 
<< Anche se non sono sicura che sia molto romano il tuo piano Emma >> finì poi.
Emma stava sorridendo ancora ma si guardava intorno in cerca di qualcuno che ... Non sapeva perché, veramente.
In effetti, il suo desiderio si avverò però non avrebbe potuto immaginare cosa sarebbe accaduto né l'impatto emotivo che avrebbe comportato.
Una donna si avvicinava.
Tutto in lei era attraente e accattivante ma pericoloso. I vestiti erano quelli da generale romano.
Guardando Reyna, che era diventata pallida, Emma comprese l'identità di quella donna dai capelli neri e i lineamenti regali. E cosa ciò significasse.
Il suo colorito non doveva essere più tale, esattamente come quello del pretore.
La donna catturó gli occhi di Emma, uguali ai propri.
Li aveva già visti.
L'anziana signora di Richmond.
<< Le era stato richiesto di agire come riteneva più opportuno. E poi, in guerra tutto è concesso, non è vero, figlie mie? >>


Emma era davanti a lui, in uno stato di agitazione evidente anche senza manifestazioni, come il preludio di un temporale.
Stava puntando per una direzione diversa rispetto a quella della loro coorte, forse per stare da sola, incurante del fatto che Alexander la seguisse.
Il figlio di Vulcano accorciò le distanze fra loro e stava quasi per afferrarle il polso e portarla via, ritrovandosi peró il suo volto.Doveva averlo sentito.
<< Che cosa vuoi? >> chiese sgarbata, anche se con lui lo era sempre. Alexander ci rideva su, dato che era divertente infastidirla. 
<< Dove cavolo stai andando? >>
<< Ho fatto la domanda io per prima ... E voglio stare da sola, grazie. >>
<< Verrai a cena? >>
<< Ma certo. >> rispose lei. Non ci voleva un genio per capire che stava mentendo. La guardò negli occhi e lei sbuffo. << Okay, non voglio andarci. Avrò tutti gli occhi puntati su di me e non sono dell' umore adatto. >>
<< Otterrai l'effetto contrario, per un po di tempo sarai la star del campo. Vieni con me, nelle fucine. Avrai un po di privacy, lì. >>


Frank si sentiva sollevato.
Quella sera avevano avuto ben due riconoscimenti, nella stessa coorte, e una era la sorellina della sua collega. Nessuna delle due era esattamente di buon umore.
Perciò era sollevato dal fatto che Percy e Annabeth avessero deciso di cenare con loro, quella sera.
Del tempo con i loro amici avrebbe fatto bene sia a lui che a Reyna. Pure Hazel sarebbe stata al loro tavolo, dato che passava molto tempo con la sua coorte in quanto centurione e ciò lo rendeva più felice.
Mancavano solo Jason e Piper e sarebbe stato perfetto ma non si poteva avere tutto dalla vita.
Gli mancava anche Valdez. Il cuore di Frank si strinse un po' al pensiero del figlio di Efesto.
Finì di cambiarsi e si guardò intorno.
L'alloggio dei pretori aveva un'atmosfera particolare.
Come anche nelle baracche delle coorti, si sentiva spesso, come dire, la presenza di chi vi aveva abitato precedentemente, però forse per l'importanza della carica o per il fatto che si è da soli, le presenze degli ex alloggiatori erano molto più intense.
La libreria che aveva in camera era riempita da tomi vecchissimi, alcuni risalenti a tantissimi secoli fa. Tra i più vecchi, ve ne era uno, molto spesso. 
Aveva la copertina color porpora, rovinata ma anche dall'aria pregiata ed era, come del resto si aspettava, molto pesante.
Le pagine del libro erano vuote ma Frank sapeva perché. L'ultima cosa che era stata scritta era la propria firma.
Quel libro conteneva le scritte di tutti i pretori mai avuti al Campo Giove, un riassunto della storia di quel luogo. Infatti prima di quella di Frank, c'era la firma di Jason Grace.
Frank sfogliò quel libro ancora una volta. Dava un senso di sicurezza perché tutti i pretori avevano affrontato enormi pericoli e come lui avevano pensato di non farcela. E invece ci erano riusciti.
Frank aveva affrontato Gea e i Giganti eppure sentiva che nell'aria qualcosa covava nell'ombra. Ne aveva parlato con Reyna e anche lei aveva ammesso di essere turbata.
Da Nuova Roma non arrivavano certo ottime notizie.
Il malcontento della popolazione era aumentata scatenando qualche atto di violenza, seppur isolato.
Tutto ciò era dovuto al rialzo generale di tasse e imposte e di alcuni settori economici finalizzati a rifornire l'erarium dopo i dissipamenti fatti da Ottaviano. In un busto fatto in sua memoria e posto vicino a una delle terme pubbliche più importanti, avevano appeso uno striscione non molto decoroso, come in tutta la città.
Come era già accaduto in passato, il popolo romano si stava dividendo.




Prima di allora, Emma non avrebbe potuto immaginare che le fucine fossero sistemate come delle case. Insomma, immaginava che ci fossero i bagni e roba così ma i figli di Vulcano avevano sistemato tutto per renderlo ultra efficiente e anche ecosostenibile. Le docce, ad esempio, avevano talmente tanti pulsanti e manopole che Emma non riuscì a trovare quella per attivarla. Il risultato era che aveva fatto perdere di pazienza pure Alexander che da dietro la porta del bagno della sua camera ( avevano pure le camere) le indicava cosa fare. Alla fine il getto d'acqua era arrivato dall'altro lato della stanza. 
"I ludi di guerra sono più semplici", pensò. 
Riportare la mente a quello che era successo la fece rabbuiare di più.
Cosa doveva fare ora? Alexander le aveva fatto capire che ogni cosa che avrebbe fatto sarebbe stata accuratamente messa sotto giudizio che influenzerà sia lei che Reyna. Neanche i ragazzi del Campo Mezzosangue, due graecus di cui una era figlia di Atena e che avrebbe dovuto essere una specie di extraterrestre per i romani, gli avrebbe tolto i riflettori di dosso. 
Il suo malumore fu interrotto da un rumore. Qualcuno era entrato e lei era nella doccia. E non faceva il bagno in costume come in The Sims.
<< SCUSASCUSASCUSA! GIURO DI AVERE GLI OCCHI CHIUSI! Ahiò! Per le mutande di Bacco! >> urlò Alexander. 
Emma restò immobile, con una smorfia divertita in volto, mentre una serie di suoni, tipici di quanto sbatti una parte del corpo, si susseguivano fino alla porta. Uno soltanto fu parecchio strano perché a sbattere fu un qualcosa di metallico.
<< Cos'era?>> domandò Emma.
<< Niente, il mio cacciavite >> rispose lui frettolosamente e chiuse la porta molto forte. Strano.
La sensazione che Alexander non le stesse dicendo qualcosa la lasciò quando il getto d'acqua calda la invase di nuovo, liberandola da tutti i cattivi pensieri.
Quando uscì dal bagno era rilassata. Talmente tanto si mise a scherzare con Alexander.<< Ehi Seduttore, entrare nei bagni non è un buon modo per approcciarsi, specie se le ragazze sono nude, é da maniaci! >>
Alexander si distolse da qualsiasi cosa stesse facendo con la sua mano destra. << State diventando odiosa con questa storia, milady. Sono pure andato nella coorte di corsa a prenderti dei vestiti puliti. Ho pure asciugato una maglietta della tua coorte umida ma mi sa che si è ristretta >> le mostrò l'oggetto in questione. In questo modo Emma poté vedere il punto che nascondeva prima. Una spessa cicatrice gli circondava il polso. Alexander stava blaterando sul perché alla fine le aveva dato una sua maglietta e sui difetti che aveva l'asciugatrice che lui e un ragazzo, con cui condivideva quello spazio, avevano provato a perfezionare, quando si accorse che lei era concentrata su altro. Fece una smorfia di dolore, di rabbia. << È una mano bionica. L'anno scorso Ottaviano, l'augure del campo, aveva preso il comando e mosse guerra al Campo Mezzosangue. >> raccontò lui anche se non aveva voglia di raccontarglielo. Emma sentì dell'astio verso quei semidei greci che avevano fatto ciò. Non c'era un motivo vero e proprio. O forse non lo voleva ammettere
<>, deglutì, << Il capo di tutto era un mio fratello della Quinta Coorte di nome Oratius. Io, lui e altri due ragazzi ci organizzando per disattivare gli onagri, macchine da guerra talmente potenti che potevano spazzare il Campo Mezzosangue in pochissimo tempo. Uno dei due ragazzi, veniva dalla nostra coorte, ci tradì. Oratius perse la vita, a me fu tagliata la mano davanti agli altri per ammonirli. La sinistra me la salvò l'altro dei nostri complici. Usò le sue capacità da figlio di Venere per distrarre tutti e ci rifugiammo al Campo Mezzosangue. Quelli volevano decapitarci in quel periodo, >> rise amaramente, << Ottaviano cominciò a dubitare della Seconda Coorte, era convinto che fosse dalla sua. >>
Emma non sapeva che dire ed era una cosa davvero rara. Continuava a fissargli il polso. Se non fosse stata per quella cicatrice non avrebbe mai pensato che avesse un arto bionico. 
La mano era proporzionatssima, sembrava vera. Persino il colore della sua pelle era quello, addirittura aveva i segni dell'abbronzatura. Per nascondere la cicatrice Alexander indossava un braccialetto di cuoio scuro.
<< Posso? >>chiese Emma.
Il figlio di Vulcano la guardò confuso. Non aveva capito che cosa intendesse.
<< Intendo la mano. Posso toccarla? >>
Alexander gliela porse. << Milady, è usanza che gli uomini chiedano la mano alle donne. >>
<< Sessista! >> rise Emma.
Proprio come aveva sospettato, la mano di Alexander aveva la stessa consistenza di una mano vera. Era stata costruita in modo accuratissimo, un lavoro minuziosissimo. Alexander aveva sicuramente voluto nascondere il più possibile quella tragedia. Occhio non vede, cuore non duole.
<< Ora che conosci questa storia, puoi fare anche tu quelle battute della serie "Vuoi una mano?". 
Sul serio sembra strano che te lo abbiano raccontato. E sei coinquilina di Allison e Candace >> commentò pensoso.
<< Le uniche conversazioni che faccio con Candace sono sempre frecciatine. Allison si innervosisce e sai come diventa odiosa >> replicò la probatio.
Alexander fece una faccia esageratamente esasperata e buffissima. Guardarlo la metteva di buonumore. La consapevolezza di ciò le fece cambiare espressione.
<< Che è successo? >> domandò il figlio di Vulcano.
<< Niente. Che ora è? >>
<<  Tardi. Sta per iniziare la cena. >>
Emma lo osservò. Alexander non era un brutto ragazzo. I suoi lineamenti non erano delicati come quelli di Lucas, anzi in confronto era più spigoloso, ma non era brutto. C'era una certa coerenza in lui. Il colore nocciola dei suoi occhi era identico a quello dei capelli ricci e scomposti che coprivano parte della visuale. La sua pelle era tra il dorato e il bruno ma a causa dell'abbronzatura.
Si tenevano ancora per mano, la sua era fredda in confronto alla propria. 
Avrebbe voluto restare lì per sempre, in quella bolla di serenità. Non pensava che si potesse stare così bene con una persona, soprattutto con Alexander. La loro relazione era nata sulla capacità di lui di innervosire. Ora Emma stava scoprendo che, per quanto la riguardava, aveva su di lei un pacifico effetto.
<< Emma, si sta facendo davvero molto, molto tardi ... >> le ricordò il figlio di Vulcano.
Lei si alzò e lo spinse ad alzarsi e iniziò a correre, trascinandoselo, direzione cena.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6- Life's a game made for everyone and love is a prize ***


Buon salve a tutti!
Sono contenta di aver rispettato la scadenza che mi ero autoimposta ed ecco finalmente questo capitol.
Non mi dilungherò molto ho solo poche cosette da dirvi.
  1. In questo capitolo sto usando le virgolette dette caporali(avevo dimenticato che si chiamavano così) al posto dei soliti trattini. Me la sono vista brutta con EFP, per poi scoprire che effettivamente c’era scritto cosa fare quando vuoi mettere le virgolette…  me molto baka
  2. Nel prossimo capitolo, sempre se non cambio idea (sono come il vento io o come le fasi lunari per dirla alla Shakespeare) ma comunque entro i prossimi due capitoli, darò una smossa alla trama.
Ed è già estate! Come la passerete? Io ho serie tv da recuperare, altre da vedere e un sacco di libri da leggere. Il periodo che devo sfruttare al massimo per queste robe. Voi come siete combinati? Spero non studiando per recuperare qualche materia.
 
Au revoir,
Gwenhwyar

 

 

Capitolo 6- Life ‘s a game made for everyone and love is a price

 
 
<< E’sabato, possiamo finalmente fare i quasi mortali e tu ti volevi vestirti comunque come se stessi per andare a spaccare manichini? >>, constatò Candace.
Emma era stufa di quella discussione mai conclusa e senza neanche un armistizio con la figlia di Venere. Riteneva di essersi vestita in modo carino ma Candace continuava a ribadire che avrebbe dovuto indossare dei tacchi più alti. Era nata un accesa discussione che aveva fatto scappare Allison in bagno e ora la si sentiva cantare.
- Dovresti sistemare quei capelli poi! Niente coda di cavallo!
<< Posso lasciarli sciolti? >>, chiese esausta la più giovane.
Candace la guardò sconvolta, spalancando la bocca.
Emma aveva già iniziato ad inserirsi in quel contesto sociale però ancora incontrava delle difficoltà: non conosceva ancora del tutto gli usi e i costumi di quella società e non poteva affidarsi solo a fonti storiche romane perché attraverso i secoli usanze di tutti i tipi  s’inserivano in quel mosaico di culture che costituiva Nuova Roma.
<< Emma, i capelli sciolti vanno a indicare che sei una ragazza disinibita. I ragazzi di Nuova Roma capirebbero che vuoi portarli a letto. >>,  le spiegò Candace. << In legione non ci si fa molto caso ma in città è importantissimo sapere come ti vesti. Non indossare mai il giallo (*). Usanza medievale, sta a indicare che sei una prostituta o che sei una traditrice.  In più attira gli insetti. >>.
Candace portò una mano sul mento e iniziò a guardarla intensamente. Emma capì che stava progettando un’acconciatura adatta al suo abito, che fra poco avrebbe sofferto tantissimo e tutto ciò non l’avrebbe resa comunque bella come lei.
Candace indossava un abito dalle sfumature blu e violetto che facevano risaltare vividissimi i suoi occhi.
La tunica era di quel blu che si vede in cielo quando il sole era già tramontato e, sebbene ci fosse ancora un po’ di luce degli ultimi raggi che baciano la terra, essa l’abbandonava  per inseguire il carro di Apollo; l’unica decorazione dell’abito era un motivo dorato che contornava i bordi delle maniche e della scollatura, come per richiamare gli ultimi raggi. La toga era di un blu cobalto e aveva una sola spallina, in modo che l’ornamento della tunica fosse ben visibile.
L’outfit semplice permetteva di indossare gioielli più vistosi. Candace aveva ornato i propri capelli con una sorta di cerchietto-ghirlanda di fiori viola che riprendevano il colore del mantello da passeggio mentre invece i suoi polsi erano ornati da bracciali di metallo laccati d’oro.
Si diresse verso di lei con movimenti resi sempre più aggraziati dall’abito e cominciò ad armeggiare con i suoi capelli in un modo che le ricordava le mani di Alexander viaggiare tra chiodi e aggeggi metallici che non sapeva identificare.
Si sforzò di non scuotere la testa per scacciare l’immagine di Alexander e quindi di non far infuriare Candace né farla insospettire o quantomeno, dato che poteva già aver intuito i suoi problemi di cuore, evitare domande scomode.
<< Che farai per Natale? >>, chiese di punto in bianco la figlia di Venere.
Lì, il Natale non era festeggiato per la nascita del Cristo, ed Emma non l’aveva mai festeggiato per questo motivo. Era un momento di riunione familiare e di riconciliazione, come anche voleva la tradizione cristiana, e inoltre era una festività che seguiva e accomunava i Saturnalia.
<< Credo che resterò a Nuova Roma. >>, disse Emma, circospetta.
<< Penso che tu sia una persona che probabilmente apprezza poco le persone tuttologhe che danno consigli ma penso anche che tu mi ascolterai. Infine sono del parere che tu ci rifletterai su questo mio consiglio. Mi sbaglio? >>.
<< In base a che consiglio è >>,  replicò lei e si guardarono negli occhi, attraverso i loro riflessi sullo specchio.
<< Mi sento di dirti di andare a casa tua, va a trovare tua madre. So che comprendi il suo operato, perché causare altri dolori?>>,  disse e non appena Emma provò a replicare, continuò: << non trincerarti ancora dietro a delle scuse. Se perdi la famiglia, cos’altro ti resta? >>.
Tra di loro calò un silenzio interrotto solo dal lieve solfeggio di Allison.
<< Credo che tu sia brava a leggere le persone>>, proferì infine Emma e di nuovo, il silenzio riempì lo spazio tra loro.
<< Voilà! >>, esclamò Candace estremamente soddisfatta (pure del suo accento super francese), poggiandole una treccia a lisca di pesce sulla spalla.
La treccia partiva dal lato destro del capo e poggiava sulla spalla sinistra, decorata da un nastro nero con un fiore rosso che riprendeva le pietre cremisi del proprio abito. Riconobbe quel fiore. Cresceva al Campo Giove e veniva chiamato  “lance di Roma” oppure “sangue di Roma” . I petali avevano la forma delle punte di lancia ed erano di un bianco grigiastro che sfociava in un rosso vivido sulla punta.
In base all’ambiente in cui crescevano, avevano diversa grandezza fino a sembrare delle quasi delle stelle di Natale. Era la pianta rappresentativa della città e si trovava spesso ad adornare i balconi e le case di Nuova Roma.
Emma si osservò allo specchio. Non si era mai ritenuta una brutta ragazza, troppo falso da parte sua credere che lo fosse, però non poté fare a meno di notare che ultimamente era particolarmente graziosa. Il suo corpo era più atletico e più femminile come se fosse nata per indossare quegli abiti. In un certo senso era così.
Il suo viso era ancora asciutto ma non scavato e con le ossa di fuori e lo sguardo brillava sempre di una luce altezzosa quasi prepotente, dietro le ciglia rese ancora più lunghe dal mascara.
Da come Candace osservava i suoi atteggiamenti intuì che capisse cosa stava pensando. La bellezza era il suo campo e sapeva sicuramente come ci si potesse sentire potenti. Era solo un’ arma. Se non avesse il carattere ferreo e ribelle, prevaricatore certe volte, se dietro ai suoi occhi color carbone non si celasse un’ acuta intelligenza e un sottile intuito, non sapeva che farsene della bellezza. Il suo sentirsi potente non derivava affatto solo dalla propria esteriorità.
Allison uscì fuori dal bagno canticchiando una canzone famosa che riguardava gli arcobaleni e che Emma aveva già sentito prima ancora di venire al Campo Giove.
Indossava un semplice completo color verde acqua ornato da motivi neri ai bordi. Non aveva nulla di accattivante poiché la faceva sembrare dolce e delicata come una bambola di porcellana. Chi la conosceva bene sapeva che non era così.
L’abito le rendeva l’andatura leggera e volatile come se potesse camminare sull’acqua. Gli abiti dell’Antica Roma sembravano sortire quell’effetto su chiunque e facevano emergere specifiche sfaccettature di una persona.
Quando uscirono dall’edificio della Quarta Coorte, Emma non poté fare a meno di stringersi nel suo mantello e di sollevarsi il cappuccio per coprirsi. Esattamente come non poté fare a meno di notare che Alexander non molto lontano da loro, tra gli edifici della Quarta e Quinta Coorte, conversava con Frank, e i quattro ragazzi del Campo Mezzosangue che erano venuti in occasione dei Saturnalia.  Date le espressioni, non dovevano discutere di cose come politica (argomento che tra i ragazzi di lì si diffondeva precocemente rispetto a quando si facesse fra i giovani mortali) perché Percy Jackson e la sua ragazza ne erano troppo presi così come Levesque.
Sia Percy Jackson che la ragazza bionda distolsero lo sguardo dagli amici per fissare lei, uno sguardo di curiosità e di pietà che spesso si era sentita rivolgere e che spesso proprio loro due le avevano rivolto; la ragazza bionda aveva qualcosa in più: cercava carpire qualcosa di lei solo guardandola esattamente come Emma stava facendo con lei. Uno scontro che poteva essere ad armi pari se non fosse che Annabeth Chase fosse decisamente più esperta di lei e che inoltre era figlia di Minerva, o meglio di Atena. Non per svalutarsi ma doveva pur comportare qualcosa.
Fu quasi grata che la melodiosa voce di Allison che, prepotente, doveva essere ascoltata per forza si interpose tra le due figlie della guerra. Chiedeva di Lucas.
<< E’ già al teatro con Michael. >>,  rispose il figlio di Vulcano e poi guardò lei.
Se con la figlia di Atena  era stato una specie di duello, con lui si sentiva una falena, un animale notturno attirato dalla luce dei suoi occhi chiari.
Emma aveva provato a negarlo più e più volte eppure ogni giorno era sempre più evidente. Il problema è che non sapeva cosa farsene di una relazione con lui, non aveva uno scopo, esisteva solo il desiderio di essere al suo fianco.
Non sapeva cosa provava lui e non aveva cercato di capirlo, forse perché spaventata da ciò che poteva scoprire. Certo, Alexander si fidava abbastanza di lei da non aver paura di confessarle qualcosa il che dovrebbe essere un ottima cosa. Allo stesso tempo Emma percepiva che lui era in imbarazzo con lei. In quel momento le dita bioniche di lui erano sui capelli ondulati, torturandosi le ciocche, come quando si sentiva a disagio o nervoso, oppure quando stava nascondendo qualcosa.
<< Dovresti esserci pure tu, no? Non sei tipo il tecnico di qualsiasi cosa? >>,  domandò il figlio di Nettuno, l’espressione sembrava da tonto ma Emma aveva sentito dire che sapeva essere furbo.
<< Ehm, no ho dovuto lasciare il posto ai miei fratellastri minori. Anche loro devono farsi avanti. >> gli rispose timidamente Alexander.
La verità aleggiava fra coloro che ne sapevano di più. Anche se al Campo Mezzosangue si erano diffuse gli aneddoti sulle cattiverie di Ottaviano, Alexander si trovava molto a disagio a parlarne con chiunque. Ultimamente il semidio aveva combattuto un’infezione a causa del suo braccio bionico.
Emma spesso era andata trovarlo e lo aveva visto senza una mano, seppur in fasce. Era stato inutile provare ad ignorarlo perché era la prima volta che aveva visto una persona mutilata, inoltre quella persona mutilata aveva un profondo significato per lei.  Allora si era ammutolita e internamente ribolliva di rabbia ed Alexander le aveva accarezzato debolmente la testa, disordinandole i capelli. La sensazione era stata di una scarica elettrica lungo tutto il corpo.
<< Più che altro dovrei andarci io, >>  prese parola Emma. <>.
<< Come fa? >>,  domandò Percy Jackson.
<< Troppo lungo da spiegare. Quel tizio è matto. >>,  la spalleggiò Candace. Allison annuì. Era stata vittima di un brutto scherzo da parte del fratellastro di Candace ed Emma sospettava che ne fosse ancora risentita.
Alexander ridacchiò. Emma poté giurare di sentire la pelle d’oca persino sotto il pesante mantello, neanche stesse ascoltando i Linkin Park.
<< Suppongo che dovrete raggiungerli, meglio non avere un dottore fuori di testa. >>, asserì il figlio di Vulcano.
 
 
 
 
 
 
Teoricamente, doveva aiutare Michael a vestirsi per il suo esordio da attore che lo avrebbe portato ad Hollywood. In verità non lo aveva mai detto però Lucas lo prendeva in giro così.
Praticamente, non aveva potuto fare a meno di ammirare il perfetto corpo del figlio di Venere che gli ricordava tantissimo le statue greche del periodo classico che aspiravano alla perfezione. Lucas aveva studiato e ripetuto la lezione sulla statua del Doriforo pensando al ragazzo che gli stava davanti, rischiando una colossale brutta figura.
Michael era concentrato nel ripassare le sue parti e Lucas sperava che non si accorgesse del fatto che Nuova Roma rischiasse seriamente di fare la fine di Copenaghen o di Venezia. Il che, pensandoci ,non sarebbe stato così brutto. Poteva passeggiare per i canali con l’acqua e le luci riflesse nei suoi occhi verdi, in un’atmosfera che non sarebbe stata diabeticamente romantica.
Michael si girò di scatto, impedendo al figlio di Apollo, di sistemargli la giacca da gentiluomo inglese dell’Ottocento che cadde dalle spalle, rimanendo appesa ad un solo braccio.
Michael lo fissava intensamente. Sembrava lui e non lo sembrava, talmente immerso nella parte che probabilmente avesse dimenticato che la sua identità non era quella del Darcy di Orgoglio e Pregiudizio. Era troppo vicino perché Lucas riuscisse a pensare.
<< Ho lottato invano ma non c’è rimedio … Questi mesi trascorsi sono stati un tormento, sono venuto al Rosing con lo scopo di vedervi, dovevo vedervi, ho lottato contro la mia volontà, le aspettative della mia famiglia, l’inferiorità delle vostre origini, il mio rango e patrimonio, tutte cose che voglio dimenticare e chiedervi di mettere fine alla mia agonia. >>, recitò il ragazzo dagli occhi blu- verdi.
Il cuore di Lucas sembrava l’unica cosa che si sentiva, insieme al respiro leggermente ansimante di Michael. In fondo si trattava di una recita. Lo aveva visto provare e simulare di essere veramente innamorato della protagonista femminile, meglio non farsi strane idee.
Poteva restarci secco, in fondo erano tante le ragazze e i ragazzi che Michael si era lasciato alle spalle, il suon passato da Casanova era ben conosciuto.
Il ragazzo lo guardò ancora un po’ e si allontanò di scatto, sistemandosi la giacca con un agile gesto. Si diresse verso la sua bottiglia d’acqua e ne sorseggiò un po’mentre alcune gocce gli scivolavano dagli angoli della bocca.
Lucas si avvicinò e gliele asciugò, proprio come avrebbe fatto con un malato costretto a letto.
Michael non tardò a farglielo notare. << Stai diventando un infermierina. >>.
Lucas rimase colpito. Il suo tono era più acido e pareva che si fosse rinchiuso in se stesso come una tartaruga.
Non ebbe il tempo di pensarci su che chiamarono gli attori sul palco.
Probabilmente era la giornata mondiale del “sconvolgiamo Lucas e non facciamolo riflettere e non era stato avvisato”.
Non restava altro da fare che dirigersi verso la platea.
 
 
Alexander pensò che le ragazze avessero un innato sensore che captava il cuore impegnato di un ragazzo. Perché non riusciva proprio a spiegarsi perché quella tipa fosse così appiccicata a lui. Erano appena usciti dal teatro, lei odorava di alcool e non capiva come mai quella ragazza fosse lì, con una bottiglia in mano e già a quell’ora fosse ubriaca.
<< Non è un po’ presto per  ubriacarsi? >>, le domandò non riuscendo a trattenere la curiosità.
Per tutta risposta quella lo afferrò con un braccio e gli si strinse languidamente addosso, abbracciandolo. Il pugno sinistro era dietro la sua schiena e sentiva premersi addosso pure una bottiglia.
Fece sedere la ragazza dai capelli castani liscissimi sulla panchina e delicatamente prese la bottiglia mezza vuota con la mano bionica e la poggiò lontano da lei.
Quello che accadde fu strano. Probabilmente perché mai nessuna era stata così intima con lui.
La testa di lei era poggiata sulla sua spalla quando lei la sollevò per baciarlo tra il collo e il viso, cosa che gli ricordava troppo i vampiri. Probabilmente era l’unico ragazzo che pensava a quella roba quando una ragazza gli faceva quella roba.
Cara Venere, se per favore tieni Emma a distanza di sicurezza te ne sarei enormemente grato. Enormemente”.
Anche se preferiva che il divinissimo Giove lo fulminasse piuttosto che essere visto da Emma, la situazione si era fatta alquanto intrigante.
La ragazza gli aveva preso il volto e lo stava guardando dritto negli occhi. Alexander poté notare che il suo viso era familiare e bellissimo. I capelli scuri contornavano un viso regale e affilato, dalla carnagione bruna e due nerissimi occhi.
Le labbra leggermente piene premettero con le sue e Alexander pensò a quando aveva sognato di aver già baciato Emma. Come quella volta, chiuse gli occhi.
Le mani di lei gli sostenevano il viso e lo portavano sempre più verso di lei, sempre più vicino fino a quando non sentì più niente e il calore, la dolcezza e la magia erano svaniti. Spalancò gli occhi, rabbrividendo di freddo.
Davanti a lui non c’era nessuno.
Si portò una mano tra i capelli e li strinse quando realizzò quale inganno la sua mente aveva creato. Aveva baciato una ragazza probabilmente bellissima pensando ad Emma.
Avrebbe dovuto ascoltare Michael. Lo incitava a provarci con la figlia di Bellona e a invitarla ad uscire ma lui non voleva organizzare niente di banale. E aveva paura di non essere abbastanza.
“Non era disgustata quando ha visto la tua mutilazione, non ha fatto la finta perbenista”, sussurrava una voce dentro di lui.
Provò a cancellare quella voce senza suono dentro la sua testa.
Incrociò Candace che veniva trascinata da una Allison/belva e la rossa gli fece un occhiolino. Probabilmente la ragazza che aveva baciato era pure carina e lui non sarebbe riuscito ad apprezzarla neanche se avesse prestato attenzione al suo viso. Doveva urgentemente parlarne con Michael.
D’un tratto fu come se fosse in un cartone animato dove quando ai protagonisti vengono idee geniali si illumina la lampadina.
Allison voleva sicuramente andare in un locale dove c’era il karaoke. Dove anche si ballava.
Non se ne accorse neanche che il suo corpo era scattato in una direzione precisa.
Lei era il suo nord e lui l’ago della bussola.
 
 
 
Emma fu investita da una folata di vento reso ancor più gelido dallo sbalzo di temperatura tra il teatro e l’esterno.
Allison e Candace sarebbero andate in un locale perché la figlia di Apollo voleva cantare mentre per lei non c’era altro da fare che tornarsene nella sua camera e fare le tipiche cose da nerd. Non sapeva in quale posto sarebbero andate e comunque sia aveva troppo freddo per voler stare ancora fuori.
 Si sentì tirare per il mantello e finì per essere accerchiata da delle persone.
<< E lei sarebbe l’ultima ragazza prodigio! >>.
A presentarla fu Frank Zhang da ciò dedusse che era stato argomento della discussione.
Ora, lei sapeva che quella lì era gente importante che aveva salvato il mondo, due di loro erano di grado superiore a lei e uno era persino il suo capo, però in certe situazioni fare la figura dell’idiota ti viene naturalissimo. ­­<< Cosa? >>
E dire che prima con la figlia di Minerva poteva essere passata per una ragazza sveglia.
<< Somigli un po’ a Reyna >>, commentò il tipo biondo con gli occhiali e la cicatrice sul labbro.
Emma era abbastanza sicura di avere assunto un espressione che diceva “Non tocchiamo l’argomento”.
Quello doveva essere il tanto cantato Jason Grace. Benché venisse trattato come un eroe, la figlia di Bellona non riusciva a prenderlo in simpatia nonostante molte delle scelte che aveva dovuto fare le avrebbe fatte anche lei.
<< Invece tu gli somigli molto. >>, fece lei allora.
<< A Reyna?>>, e si risistemò gli occhiali.
<< Alla statua femminile di Giove, al tempio. >>.
La ragazza vicino a lei, di una bellezza tale che Emma pensò fosse della stessa progenie di Candace, si soffocò per trattenere le risate. Percy Jackson aveva le lacrime.
Un fortissimo colpo di vento colpì i ragazzi ed Emma si faceva sempre più piccola. Era una californiana, lei, ed era abituata a temperature più calde.
<< Mi dispiace che non siate isolati come al Campo Mezzosangue dal cattivo tempo >>, mugugnò infreddolita la figlia di Ven- no! Afrodite.
<< Siamo troppo patriottici e quindi dobbiamo sopportare il clima che in questo esatto momento sta facendo a Roma >>, commentò Hazel Levesque
<< La vera Roma? >>, esclamò l’altra ragazza.
<< Quella Roma, Piper >>, confermò Jason Grace, attirando a sé quella che evidentemente era la sua ragazza.
<< Brò, ho fame. Tu che sei del posto, dove andiamo? >>, brontolò  Percy.
<< Anche Frank e Hazel sono del posto! Però brò ho in mente un posticino niente male >>, rispose Jason
Emma stava avendo un principio di gastrite. Evidentemente quella situazione stressava sia Annabeth che Piper. Quest’ultima le lanciò un occhiata esasperata.
La figlia di Bellona non si trattenne dal chiedergli se non comunicassero senza un “brò” nella frase. Piper scosse la testa rassegnata. Annabeth stava per tirare un pugno al suo ragazzo. E forse anche a Jason. Dal suo punto di vista sarebbe stato uno spettacolo divertente.
Si sentì chiamare mentre ancora Percy e Jason erano immersi in una  “brò -conversazione”.
Emma percepì una specie di brivido percorrerle la spina dorsale. Si voltò e dovette fare uno sforzo sovrumano per mantenere un contegno e non lasciar trasparire nulla. Alexander invece sembrava agitato. Per causa sua? Per causa degli altri?
Annabeth Chase sembrò illuminarsi come anche il suo fidanzato. Non avvertiva quella morsa gelida che serrava lo stomaco e si propagava in tutto il suo essere guardandoli abbracciarsi e scambiarsi i baci sulle guance per salutare, mentre si sfioravano come se l’uno potesse contaminare l’altro? Davvero l’esperienza nel Tartaro li aveva resi così sicuri e fiduciosi della loro relazione?
Era talmente immersa in se stessa a combattere quel gelo che l’avrebbe portata ad aggredire qualcuno che non si accorse della voce di Piper, ammiccante e deliziosa, che le parlava.
<< Di cosa stavate parlando? >>, chiese Emma mandando probabilmente a quel paese l’impressione che fosse una ragazza sveglia.
<< Ti vuole portare a ballare! >>, le ripeté la figlia di Afrodite, lanciando un occhiata complice ad Hazel.
“A ballare?”
<< Sai di solito ci si muove a ritmo di musica. >>,commentò Percy Jackson
<< So cos’è il ballo >>, replicò lei in un modo troppo secco e duro.
<< Sempre se vuoi >>, disse flebilmente Alexander.
<< Perché no? >>, disse lei, sorridendo. Dovette ammettere a sé stessa che non se lo aspettava.
Alexander fece un enorme sorriso, non senza un sospiro di sollievo, lievissimo, che Emma non poté non notare. << Allora, andiamo! >>.
Ebbe a malapena il tempo di salutare gli altri perché Alexander la trascinava quasi, impaziente di andarsene da lì.
 
 
 
Michael dopo il teatro non aveva altro da fare se non tornarsene buono buono al Campo per crogiolarsi nel suo malumore oppure farsi restituire un favore da Jordan, un ragazzo abbastanza grande da potergli dare una bottiglia di qualsiasi sostanza alcolica di cui aveva bisogno.
E come quando la sabato mattina decideva di dormire fino a tardi e recuperare le ore perse di sonno, il sole faceva capolino dalla finestra della sua camera a Los Angeles,e distruggeva tutti i tuoi piani per una rilassante mattinata.
A Michael andava bene restare in quella specie di limbo fumoso che l’alcool creava, tuttavia ignorare il sole è difficile. I giochi di luce si riflettevano sui capelli oro imbrunito di Lucas e lui non poteva fare a meno di osservarli.
Lucas si voltò e lo guardò con i suoi occhi del colore del mare di notte e i lampioni si riflettevano in quegli occhi come se fossero luci che delimitavano la costa.
Si alzò dalle scale del teatro, stretto nel mantello, e gli si mise di fronte.
<< Bell’interpretazione! >>, si complimentò lui. Un chiaro modo di rompere il ghiaccio. Le guance erano rosse e Michael non avrebbe saputo dire se fosse per il freddo o per altro.
<< Grazie >>, rispose lui, cercando di essere il più possibile distaccato e impassibile.
Gli rivolse un timido sorriso.
Deglutì. << Ti andrebbe di andare a mangiare fuori? >>.
Approccio visto e rivisto, talmente tante volte da essere diventato un cliché eppure Lucas non sembrava il tipo da prendere l’iniziativa.
Era un chiaro segnale che fosse interessato a lui. Come non esserlo d’altronde?
Un ragazzo affascinante, simpatico, sexy come lui non è che lo trovavi in ogni angolo!
L’amore ti toglie via tutte le certezze.
<< Perché no? >>,  accettò lui, facendo un sorriso sghembo che aveva fatto impazzire ragazze e ragazzi del Campo Giove (anche al Campo Mezzosangue, a dirla tutta).
Il figlio di Apollo si raddrizzò e fece e le sue labbra si incurvarono per la felicità, accendendo gli occhi che ora brillavano più dell’illuminazione cittadina, due stelle incastonate in una persona.
<< Basta che non mi fai ubriacare, domani ho turno in infermeria >>,  lo avvisò.
<< Non ho l’età per procurarci gli alcolici, >>,  Michael alzò un sopracciglio. << Vuoi dire che quando saremo grandi abbastanza e tu non farai l’infermiera, posso farti ubriacare? >>.
<< So che riusciresti a trovare il modo, sempre che tu non lo abbia già trovato, di procurarteli.>>,  precisò il biondo, alzando gli occhi al cielo per la presa in giro per poi guardarlo negli occhi come se si conoscessero da una vita. Per quanto ne potessero sapere, potrebbe essere così in effetti.
<< Vuoi scoprire le mie carte, non è così? >>.
Lucas fece un sorriso, guardando davanti a sé. << Sarà divertente, Michael Knight. >>.
 
 
 
Candace a volte dimenticava quanta forza possedesse quella piccoletta di Allison, esattamente come tutti gli altri. Sembrava un folletto, una creaturina da proteggere però era stata lei ad aiutare Candace a superare la morte di Kenna, la sorella maggiore di sangue della figlia di Apollo e la sua mentore. Il loro legame era stato forgiato dall’amicizia e rinvigorito nel dolore.
Eppure sapeva che Allison cercava un fratello o una sorella con cui andasse d’accordo (molti figli di Apollo trovavano insopportabile il fatto che lei cantasse di continuo e secondo Candace molti erano anche invidiosi), qualcuno con cui condividesse una goccia di sangue ed era per questo che, quando Lucas si era presentato lo scorso anno alle porte del Campo, appena tornati dalla guerra contro Gea aveva stravisto per lui, in particolare quando aveva visto che era in difficoltà.
All’inizio Candace si sentì egoisticamente rammaricata perché Allison non sembrava trovarla abbastanza, infine comprese. Allison cercava di sanare i dolori e le difficoltà altrui per sanare le sue.
La figlia di Apollo la trascinava con una funesta leggerezza e sembrava così allegra che Candace si chiese se stesse recitando e le stesse nascondendo qualcosa.
S’inoltrarono in un locale, dove quasi ogni sera si praticava karaoke e dove Allison la obbligava ad andare quasi ogni sabato sera. Era un locale ampio, ora oscurato ma di giorno le pareti erano colorati con tutte le sfumature di azzurro che via via si faceva sempre più scuro man mano che lo sguardo andava verso il tetto che era di un blu quasi nero con delle sagome pallide e luminose delle stelle e della luna. Questo particolare aveva dato il nome al locale cioè “Noche Estrellada”.
Le uniche luci erano quelle del palcoscenico, alcune colorate illuminavano soffusamente la pista da ballo ai suoi piedi, e infine dove venivano serviti bevande e cibo.
Quello era il momento della serata in cui c’erano anziani e si ballavano i lenti.
Era sola, in mezzo alla pista, una cosa che di per sé attirava l’attenzione delle coppiette, non troppo concentrate sulla propria danza. Candace poteva notare alcune coppiette di anziani che si muovevano a ritmo e tenevano le fronti congiunte, uno spettacolo che le intenerì il cuore.
Sul palco era salita una minuscola sagoma color verde acqua, dalla voce dolce e penetrante che cantava una canzone lenta e romantica.
Non si capiva bene se quella di Allison fosse un abilità propria o se fosse eredità di Apollo, tuttavia la sua voce riusciva a trasmettere emozioni, sia quelle proprie della canzone, suggerite dalle note e dal testo, ma anche della stessa cantante.
Ed Allison era serena, completamente serena perché solo la musica riusciva a darle e a dare quest’effetto.
Anche alcune coppie di ragazzi più o meno della sua età si erano unite al giro e sembravano così innamorate da dare a Candace la speranza che la sua generazione non pensasse solo all’aspetto sessuale in una relazione.
Il suo sguardo sembrò essere catturato da un ragazzo altissimo e dai capelli ricci e chiari e più in basso una ragazza dai capelli scuri intrecciati che sembrava bassa in confronto a lui.
Candace li riconobbe, lei stessa aveva intrecciato i capelli di lei e sempre lei aveva visto lui “accostare le labbra” con quelle di un'altra.
Mentre elaborava come dirlo ad Emma e prevedere le sue possibili reazioni notò i loro sguardi. Non c’era abbastanza luce da vedere il colore delle iridi però vedeva quanto erano allacciati,  come entrambi si fossero persi l’uno nell’altro, e bruciavano come un falò a mezzanotte durante il Ferragosto, illuminando di una loro luce la sala. Soltanto chi aveva la mente e il cuore aperti poteva vederlo.
<< Secondo te, gli altri ci vedevano così? >>,  le domandò una voce familiare, dolorosamente familiare. Come aveva potuto riconoscere e udire bene quella voce con la musica così alta, quando la voce di Allison invadeva docilmente i timpani e inebriava la mente?
Candace sentì il suo corpo e la sua mente paralizzarsi. Non voleva guardare, non voleva, non voleva.
Eppure lo conosceva, sapeva che otteneva sempre quello che voleva.
Sentì il suo tocco sotto il suo mento e le fece voltare la testa costringendola a guardare i suoi occhi, uno castano e uno color del miele.
Non sorrideva, né sembrava provare la valanga di emozioni e sensazioni che stava travolgendo lei. Tuttavia Candace ne era consapevole: quelle onde anomale si abbattevano su di lui esattamente come ne era colpita lei stessa.
D’un tratto il suo corpo reagì, e un sonoro schiaffo colpì la mano di lui. << Ti stai prendendo libertà che non hai più. >>.
Provò ad essere fredda, doveva difendersi in qualche modo.
<< Libertà che tu mi hai negato. >>, la corresse, il tono di voce era duro e forte come tutta la sua figura. << Non ho ancora sentito parlare di tue eventuali dimissioni. >>.
Candace deglutì: << Sono entrati in gioco altri interessi. >>.
Era dura non far tremolare la voce, era dura per chiunque stare sotto il suo sguardo inquisitore e restare perfettamente calmo. Quando si erano messi insieme, si era sentita la ragazza più al sicuro del mondo e ricordava di aver pensato che non avrebbe dovuto sottostare a quegli occhi che sembravano pietre, fredde e senza più quel calore il quale, ne era consapevole, era stato riservato solo a lei.
Ed ecco l’altra faccia dell’amore, quella cruda e gelida.
Parve allora che tutti i colori che caratterizzavano il suo corpo, robusto e dalle spalle larghe i cui abbracci infondeva più sicurezza di scudo e armatura, e del suo io fossero stati risucchiati.
<< Capisco. Sei davvero affascinante. >>, sussurrò. La sua voce non era nemmeno fredda come il lago vicino a Nuova Roma in questo periodo dell’anno.
Le lasciò una carezza sulla guancia che ebbe un effetto elettrizzante sul suo corpo, poi Miguel si voltò, e andò via con ampie falcate e una velocità quasi di marcia, com’era al suo solito.
 
 
 
Michael si destreggiava elegantemente tra i tavoli cercando di non far cadere la loro cena che consisteva in due pizze e due bicchieroni dal diverso contenuto.
Il figlio di Venere posò tutto sul tavolo che Lucas aveva occupato tutto quel tempo, con molta impazienza.
<< Ti ho preso un bicchiere di aranciata perché è inverno e la vitamina C previene l’influenza >>, disse lui mentre distribuiva il cibo.
<< Tutto molto bello >>, approvò Lucas e Michael si portò alla bocca un trancio di pizza,  compiaciuto. << Ciò nonostante, ci tenevo a farti notare che l’arancia provoca acidità. >>, aggiunse, solo per infastidire il ragazzo di fronte a lui.
Come da programma, Michael assunse un espressione torva, la fetta di pizza intatta tra le mani davanti la sua bocca.
Lucas rise. << Non ti preoccupare, lo apprezzo. Anche se non so che risvolti avrà sullo stomaco >>.
<< Sei tu il medico. >>, asserì l’altro, facendo spallucce e addentando la pizza.
<< Non dirmi che te la sei presa?>>, domandò allora, anche se sapeva già la risposta e per questo rideva già
<< Me la sono presa tantissimo >>, confermò lui, e i lineamenti non erano piegati in nessuna emozione.
A Lucas venne il dubbio che Michael stesse dicendo sul serio e il suo divertimento si smorzò.
A quel punto Michael lo indicò scoppiando a ridere.
Lo aveva preso in giro con le sue capacità di attore. Fu il turno di Lucas quello di assumere una faccia torva.
<< Dovresti vederti >>, disse Michael tra le risate che avevano il fragore fresco di una cascata.
<< Certo che non perdoni >>, fece il figlio di Apollo e scosse la testa cercando di non farsi vedere che un sorriso spuntava sul suo volto.
Michael alzò il sopracciglio dando l’impressione di essere un saputello. -Smettila, lo so che stai ridendo anche tu.
Ed entrambi misero da parte, seppur finto, l’orgoglio.
 
 
 
Alexander aveva sempre pensato che l’espressione “ l’amore è nell’aria ” non aveva mai avuto tanto senso oltre a essere anche troppo sdolcinata persino per i suoi gusti. Non poteva però non descrivere altrimenti la situazione. Quell’energia, amplificata dalla voce potente di Allison, era quasi palpabile.
E lei era tra le sue braccia e la teneva stretta come per impedirle di scappare e di strappare da lui quel momento. Aveva i tacchi e la testa poteva appoggiarla sulla sua spalla dove nessuna ragazza di sua conoscenza riusciva ad arrivare.
La testa di Emma era rivolta verso l’esterno e con un dito gli arrotolava un ricciolo castano chiaro oscurato dall’ambiente del locale. Anche lei si stringeva contro di lui arricchendo le speranze del figlio di Vulcano. Il solo pensiero di quello che poteva succedere riempiva il cuore di Alexander mentre la sua mente veniva dominata da un confuso groviglio di pensieri che lo portarono ad inciampare e spingere Emma fino a urtare un’altra coppia che, infastidita, si allontanò mentre la figlia di Bellona cercava di sorreggere il peso di Alexander come meglio poteva.
Si raddrizzò  con lo sguardo rivolto sempre verso il viso di lei per vedere se era tutto apposto ma quella era una ragazza tosta e non sembrava  affaticata o in difficoltà per via delle scarpe. L’addestramento da legionario aveva trasformato il suo corpo. Quando l’aveva vista per la prima volta sembrava che la maggior parte del suo peso fosse determinato dalla sua altezza. Ora aveva muscoli più tonici, anche se non troppo evidenti e le curve erano più accentuate, dandole un aria pericolosa e al contempo sensuale. Michael gli aveva detto che stava scalando le classifiche delle ragazze più belle del campo, fondate su interveste e grafici di cui si occupava lo stesso figlio di Venere. Alexander non se n’era reso conto ma aveva stretto i pugni ed era diventato rigido mettendo in allarme la ragazza di fronte a lui.
Il viso di lei, non scarno come un tempo ma che aveva comunque mantenuto i dolci angoli di sempre, si era alzato verso il suo. Le sue iridi erano particolarmente scure, complice la semiombrosità del locale, ed Alexander riusciva a vederci interi universi.
<< Tutto bene >>, chiese lei, lo sguardo leggermente preoccupato.
Portò la mano meccanica al suo viso e le carezzo una guancia accennando un sorriso. Sentiva perfettamente la consistenza della pelle di lei, elastica e morbida. Una mano calda coprì la sua e le labbra di Emma erano socchiuse ed erano particolarmente invitanti. Persino la canzone che Allison intonava voleva incitare a lasciarsi andare ai desideri. E Alexander aveva desideri piuttosto chiari in quel momento.
Con la mano buona cinse i fianchi di lei e la strinse contro il suo petto. Lei era perfettamente immobile tuttavia non era rigida e si adattò perfettamente al corpo di lui come prima quando si muovevano seguendo la musica.
La guardò negli occhi e vide luce, più di una luce: la sua e quella propria, riflessa negli occhi di lei. Anche se non era successo niente era persino meglio della sua allucinazione di prima, seppur quasi doloroso.
Stava quasi per chinarsi quando la canzone terminò ed Emma abbassò il braccio, insieme a quello proprio, ed Alexander si sentì come se si fosse risvegliato appena in tempo da un sogno che stava per diventare un incubo.
L’imbarazzo che si stava instaurando tra loro era direttamente proporzionale alla situazione idilliaca che avevano vissuto quando Allison salvò tutti.
<< Spero che tutto ciò vi sia piaciuto perché è tardi e chi deve tornare al Campo Giove sta per fare uno strepitoso ritardo. Baci, e buonanotte! >>.
 
 
 
*Il giallo nel medioevo era il colore dei traditori intesi come Ebrei e Musulmani mentre le prostitute indossavano i fiocchi gialli per farsi riconoscere. Quest’ultima informazione l’ho presa da un film sul questo periodo storico di cui non ricordo il titolo, se qualcuno pensa sia una cavolata me lo faccia sapere. E se mi cita le fonti, mi fa un piacere triplo.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7- Looking for you ***


HELLO EVERYBODY!
Sono sparita per un po’ di tempo ma a mia difesa posso dire che era per una buona causa perché  facevo qualcosa di socialmente utile  e non stavo facendo cose tipo recuperare mille serie televisive con cui non sono al pari perché sono uscite pure delle nuove stagioni (ma poi quando mai una fan girl riesce ad essere al pari con le serie tv?), inoltre ne ho cominciate altre ed eccomi qui con tutta la mia sanità mentale.
In verità potevo pubblicare giorni fa ma a quanto pare EFP ha avuto problemi e ho dovuto sistemare. Ma eccomi qui.
Questo capitolo avrà una nuova atmosfera, non piacevole per i nostri eroi ma dovevo pur dare una smossa alla trama. Avevamo lasciato che partivano tutti per tornare a casa dalle famiglie perle feste natalizie.
Ho letto molte fanfictions dove i semidei festeggiano il Natale ma mi sono fatta i complessi lo stesso da brava ragazza, quindi vi romperò le scatole.
Quindi, avevo già scritto nel capitolo precedente che il Campo Giove porta con sé tracce di altre culture e altre epoche oltre quella greco-romana. Dovendosi sempre spostare nel corso dei secoli in contesti sociali dove la religione principale era il cristianesimo, ha assorbito alcuni dei valori Natalizi, considerato che la maggior parte dei ragazzi che frequentano il Campo Giove sono nati a Nuova Roma.  Magari non Babbo Natale ma il valore della famiglia, quello si.
E poi dai, fanno i militari per gran parte dell’anno (non penso proprio che il Campo duri per i più solo d’estate come il Campo Mezzosangue, dato che il loro addestramento è proprio quello di un esercito. O così mi ha fatto capire Rick.)
 
Ora che ho finito di esporre i miei pensieri, vi chiederete “Ma cosa me ne frega, a me?”.
Avete ragione, tutto ciò era per dirvi che quel periodo che manca lo scriverò per Natale, sperando che mi ispiri. Ma lo scriverò (sento in agguato gli eventuali sensi di colpa, okay).
Dovevo fare l’annuncio e mi sento troppo la BBC, ye.
 
Detto questo non devo rompere più le scatole, e ora godetevi la lettura, o almeno spero lo facciate.
Au revoir,
Gwenhwyvar.



 

Capitolo 7- Looking for you



Emma scese dal suo mezzo di trasporto, ovvero una bicicletta mezza arrugginita che una persona molto gentile le aveva prestato. Si, insomma si è messo a urlarle contro improperi di ogni genere e inseguirla per strada ma la gentilezza era sempre qualcosa che le scaldava il cuore. Come la prima volta che aveva percorso tutta quella strada, era inseguita da un mostro e purtroppo per loro ormai sapeva come rimandarli da dove erano venuti.
Si sistemò la sciarpa intorno al collo poiché si era impigliata con la catena e pose le mani sul manubrio, spingendo verso l’entrata del Campo Giove. Al solito, vi erano due guardie che stazionavano l’ingresso.
Quando arrivò una delle due le chiese di identificarsi. Emma mostrò la targhetta del probatio (non era un membro ufficiale della Legione ancora). I due si scambiarono un’occhiata ed Emma percepì tutta la sua iperattività inondare ogni singola cellula del suo corpo mentre un allarme risuonava nella sua testa.
<< C’è qualcosa che non va?>> trovò il coraggio di chiedere quando una delle due guardie nascose la mano dietro di sé come se volesse prendere qualcosa nella tasca posteriore dei suoi jeans.
Tutto nella figlia di Bellona la allarmava del pericolo ed Emma indietreggiò verso la bici dove teneva il suo pugnale. L’altra guardia si gettò su di lei, bloccandola per terra e cercò di chiuderle la bocca e il naso ricevendo solo un morso. Urlò di dolore e reagì  molto violentemente, facendole sbattere la testa contro il terreno e poi chiudendole di nuovo bocca e naso con una sola mano, nel tentativo di farle perdere i sensi, aiutandosi con l’altro braccio, premuto contro il collo.
La realtà si mise a vorticare, il ragazzo corpulento che l’aveva aggredita, il minuscolo pezzo di cielo che riusciva a scorgere, e l’altro ragazzo che spargeva su di lei una polvere. Si sentiva dissolvere, come si dissolvevano l’istinto di urlare (a chi poi?) e il bruciore dei suoi polmoni non più a corto d’aria.
 
 
 
Non molti giorni dopo
 
Il Campo Giove aveva ripreso le tipiche attività dopo la pausa invernale che aveva portato molti semidei dalle loro famiglie mortali. Semidei che erano ritornati disciplinatamente al giorno prefisso mentre altri non si erano fatti sentire.
Reyna aveva pensato a dei ritardi, specialmente per chi doveva prendere l’aereo eppure si erano passati troppi giorni e di questi semidei non si sentiva alcuna traccia.
L’atmosfera nel Campo era grave, perciò, e i segni di irrequietezza erano sempre più visibili. I romani saranno pure disciplinati però quando tiri troppo la corda rischi una rivolta. C’erano capitoli e capitoli di storia dell’ Antica Roma, nonché di Nuova Roma, che rendevano chiaro tutto ciò.
Stavano aspettando troppo.
 
 
 
Quella mattina era particolarmente silenziosa. Persino la Quinta Coorte che insieme alla Terza erano quelle che si erano più fatte sentire era molto calma.
La Quarta Coorte aveva avanzato le proteste tramite i suoi centurioni e sempre per loro volere aveva mantenuto un comportamento ‘decoroso’. Alexander voleva urlare.
Tra le persone che non si erano più viste né fatte sentire vi era Emma e pensare a lei e al modo in cui si erano salutati lo stavano facendo impazzire.
Emma aveva scoperto della ragazza ubriaca che lo aveva baciato, o meglio la stessa ragazza gli era saltata addosso davanti a lei. Quando si era staccata da lui, la figlia di Bellona aveva uno sguardo piatto e aveva commentato che non gli conveniva fare il playboy con due ragazze e che questo genere di cose finiva sempre male. Alexander aveva pensato che un bagno nel ghiaccio sarebe stato talmente caldo in confronto da farlo sudare.
Poi lei se n’era andata a Santa Rosa con chissà quali pensieri in testa, mentre lui era ritornato da sua sorella a Nuova Roma.
Ora gli veniva imposto di mantenere la calma. E lui rimaneva calmo quando dentro di sé gridava quasi come se, in virtù di chissà quale legame speciale, potesse farsi sentire da lei. E lei non poteva. Nessun’ altro poteva.
Avevano appena finito la colazione quando Reyna, ora all’impiedi sulla sua sedia, richiamò l’attenzione come solo un leader sapeva fare.
<< Oggi le vostre attività si concluderanno alle cinque e mezza. Dalle sei in poi, farete una riunione di Coorte che vi riferiranno ciò di cui discuteremo in Senato. L’assemblea inizierà fra un’ora e mezza. Dopo la colazione, le Coorti che ne sono privi di uno o più rappresentanti in Senato, sono chiamati a sostituirli in questo lasso di tempo. Buona giornata.>> disse, il tono formale e duro come non lo era da tempo. O perlomeno era stato comunque formale e duro, il modo in cui Reyna si atteggiava quando lavorava, però sembrava meno umano rispetto a quell’ultimo e sereno periodo di tempo che il Campo Giove aveva avuto. Ricordava a lui, e a tutti probabilmente, il difficile periodo in cui Reyna era l’unico pretore.
Dopo che Reyna voltò le spalle a tutti e si avviò fuori dalla mensa, Alexander fece la stessa cosa, dirigendosi verso le fucine.
Il cielo era coperto di nuvole troppo addensate, plumbee, promettevano pioggia.
Il figlio di Vulcano volse lo sguardo verso i prati che si estendevano aldilà del ciglio del suo sentiero, composti da erba congelata dal freddo e che conferiva un verde smorto che aumentava la sensazione che quell’oggi tutto agli occhi di Alexander fosse sbiadito.
Quando si chiuse dietro di sé la porta del suo studio, sentì qualcosa pungergli gli occhi. Quel posto gli ricordava lei, quell’intimità che era nata tra loro e che lui aveva rovinato. Non era esattamente pratico per quanto riguarda il settore della socializzazione però non bisognava essere laureati per capire che Emma aveva non pochi problemi di fiducia. Quanto si sentiva idiota!
Prese una chiave inglese, ancora convinto di poter lavorare, per poi lanciarla contro il muro improvvisamente, incosciamente. Si ritrovò a terra a fissare la chiave inglese come se l’oggetto stesse esercitando un sortilegio ipnotico.
Nella sua mente un solo pensiero, come una nave in mezzo alla tempesta.
 
 
 
Quel giorno, Lucas aveva finito prima, e si stava esercitando con il tiro con l’arco quando decise che non ne poteva più. Non riusciva ad esercitarsi, non ne aveva la concentrazione, tanto valeva che la smettesse di fare l’ipocrita.
Si era messo a passeggiare sperando di passare per una persona cerca qualcosa da fare. Quando voleva avere turno in infermeria quella mattina! In quei giorni, chi controllava che i nullafacenti fossero occupati erano più fastidiosi e petulanti del solito. Ordini dall’alto: tenere tutti occupati e impedire di ficcanasare. E la voglia di ficcanasare era alle stelle.
<<  Per questo pomeriggio abbiamo un posto vacante in infermeria, sei disponibile per dopo pranzo?>> domandò lo spirito viola di un infermiere di campo dell’ epoca della guerra d’indipendenza americana.
<< Sicuramente>> rispose mantenendo il contegno che i centurioni gli imponevano. Andava mantenuto soprattutto con i Lari, quelli che nel campo avevano occhi e orecchie ovunque.
Quando egli sparì Lucas dovette reprimere la gioia. Comportarsi in quel modo diventava sempre più complicato.
Passò l’area in cui Michael si allenava solitamente a quell’ora, prima della pausa pranzo. Perse tempo ad ammirarlo, a guardare i suoi fluidi movimenti mentre si accaniva contro un manichino nonostante uno dei Lari, uno di quelli con cui Michael faceva sempre amicizia, lo spostasse. In quell’accanimento vide la frustrazione e la tristezza che pervadeva il Campo in quelle grigie giornate invernali. Frustrazione per quel limbo che stavano vivendo notizie senza sapere niente sulle condizioni dei loro compagni. Come lui, gli altri delle altre Coorti si sfogavano sugli allenamenti ma anche in tanti altri modi come scrivere, disegnare o comporre. Lucas li invidiava.
I loro centurioni avevano vietato ogni forma di protesta, loro stessi sono stati calmi e pacati come delle statue. Persino Leila che si preoccupava per tutti si era comportata in un modo impassibile.
Quando il figlio di Apollo incrociò gli occhi dell’altro, il cui colore rispecchiava l’atmosfera grigia di quella giornata invece del consueto color acquamarina, non pensava di poter vedere un tale sollievo in una persona. I suoi occhi, chiari se si sapeva leggerli altrimenti indecifrabili, potevano quasi esprimere quel concetto in un modo diverso dalle parole. Lucas si sentiva investito e avvolto dal sollievo che il figlio di Venere stava provando.
<< Oggi hai turno?>> chiese Michael velocemente, sembrava di fretta.
<< Si.>>  rispose.
<< Ore?>> domandò nuovamente l’altro ragazzo.
<< Perché?>>
<> disse semplicemente con  un’ aria di segretezza. Lucas alzò un sopracciglio come dire “Sul serio?”
<< Il turno è dopo pranzo>>.
<< Perfetto, potrei non stare troppo bene verso quattro e mezza. Ci si vede!>> e si allontanò.
Lucas lo guardò allontanarsi. Era da quando tutto era cominciato che non avevano una bella e lunga chiacchierata dove loro potevano sedersi agli occhi di tutti e parlare. Da quando tutto ciò è cominciato, le coorti non facevano che incolparsi a vicenda. Si era persino arrivati a episodi di violenza. E il Campo si era frammentato, come del resto spesso nella storia romana accadeva.
 
Di Michael nessuna traccia, si erano fatte le cinque in punto e il sole stava tramontando. Non che facesse un gioco di luci particolare, c’erano stato nuvoloni per tutta la giornata, aveva piovuto, aveva anche nevicato ma la neve si scioglieva subito appena toccava il terreno. Soltanto alcuni figli degli dei del vento se ne erano accorti o semidei molto attenti, agli altri sembrava tutta pioggia.
Pensò che Emma sarebbe stata abbastanza attenta da accorgersene. Il pensiero lo rese malinconico.
Si affacciò e vide, dietro a delle nuvole un po’ più chiare delle altre, raggi gialli che illuminavano la terra. Non la riscaldavano e risultavano pallidi.
A Lucas piaceva pensare che Apollo volesse cercare di regalare un attimo di gioia in quelle giornate tetre. Sempre alle cinque, sempre al tramonto. Era un appuntamento regolare per lui che da quando era stato riconosciuto aveva potenziato un calendario interno regolato dal movimento degli astri. Di notte non era molto preciso e non aveva modo di affinare questa capacità però sapeva sempre che ora era.
Arrivano tre ragazzi, due di loro aiutavano il terzo, in un secondo momento si rese conto che si trattava di Michael, ad arrivare in infermeria. Corse dentro a preparare il posto per l’infortunato.
<< Potete andare, ci penso io>> disse Lucas agli altri due e cominciò a preparare l’occorrente. Gli altri due si rivolsero agli altri ragazzi dell’infermeria. Poi sparirono tutti e quattro. Apparvero nuovamente per un breve momento e di corsa uscirono fuori con una barella. Aveva capito che avrebbe fatto in modo di star male per arrivare lì ma non che avrebbe fatto una rissa!
<> lo stuzzicò il figlio di Venere quando i suoi compagni si furono allontanati. Era tutto malconcio, sudato e sporco di terra nonostante tutto aveva un luminoso sorriso stampato in volto. Ma certo che lo aveva aspettato.
<< Parla ancora e ti faccio guarire come un mortale>> borbottò invece cominciando a pulire le ferite.
<< Ti vedrei più spesso >>
Lucas sentì le sue ginocchia tremolare ma decise di rimanere calmo e cauto.
Passarono due infermieri con una barella e un ragazzo più malmenato di Michael. Li guardò per poi ritornare al suo lavoro.<> lo minacciò.
Il sorriso impertinente, quel meraviglioso sorriso, si spense e diventò pallido. << Abbi misericordia di me>>.
Stacey era una ragazza della Seconda Coorte che aveva un cotta per Michael. Era stata depressa per un periodo, gli aveva detto Michael, perché gli aveva detto che era gay e per un po’ la ragazza lo aveva lasciato in pace. Una volta incontrò una delle ex ragazze del figlio di Venere e aveva scoperto che effettivamente Michael aveva delle ex ragazze e dunque non disdegnava affatto il genere femminile.
Lucas si era messo a ridere di questa storia però poi aveva scoperto perché il ragazzo dai capelli castani la trovava inquietante. Quando capitava che si trovasse nei paraggi di Stacey lei gli lanciava uno sguardo omicida. In infermeria, aveva il terrore che lo uccidesse con un bisturi o con una siringa.
Pensò con terrore che oggi era lei che stava sostituendo e che appena avesse saputo che aveva mancato l’occasione di curare Michael, avrebbe dovuto andare dai pretori e ottenere un’ordinanza restrittiva. O chiuderla in manicomio, una come quella si fa le beffe dell’ordinanza restrittiva.
<< Ora capisci anche tu il mio problema >> e Michael lo guardò con il terrore negli occhi.
<< Mi chiedo perché non l’hai ancora denunciata per atti persecutori>>
<< Potrebbe eludere qualsiasi cosa. L’altro giorno ho perso un paio di boxer. Uno dei Lari ha detto che la sera prima quando ancora non ero entrato nella coorte, lei si aggirava nei dintorni della mia stanza. E in effetti quella volta usciva dal dormitorio maschile! Ma passando a cose più importanti: come stai?>> chiese Michael come se non fosse lui quello malmenato.
<< Secondo te come dovrei stare?>> gli disse Lucas, il tono piatto.
<< Sembrate tutti così calmi alla Quarta Coorte, non capisco come fate. Io ho dovuto fare a botte con un tizio.>> asserì il ragazzo dagli occhi verdi e in quegli occhi vi lesse un po’ di ribrezzo ma anche invidia.
<< Sembriamo.>> ripeté il figlio di Apollo, la voce sempre più piatta, grigia. Come poteva una voce essere grigia? Tutto era grigio quell’oggi, lo era anche ieri e tutto ciò agli occhi suoi pareva durare per sempre.
<< Vi tengono al guinzaglio. La vostra è l’unica coorte a non aver causato problemi. Se prima gli insensibili erano quelli della Prima adesso siete voi. Tutti hanno gli occhi e non tutti sanno usarli.>> affermò e Lucas lo guardò negli occhi.
Gli occhi di Michael erano un riparo sicuro, Lucas poteva dire tutto quello che gli pareva e loro l’avrebbero custodito.
<< Dimmelo, fammi curare il tuo cuore.>> e Michael confermò quello che il figlio di Apollo aveva pensato poc’anzi.
<< Ho … paura. Sono terrorizzato. Passò giorno e notte a tormentarmi. E se succedesse ad Allison? Oppure a te?>> sentiva il battito del suo cuore rimbombare nelle orecchie. Il respiro era affannoso. Il figlio di Venere aspettava con i suoi occhi limpidi, le guance rosse per un po’ di ambrosia in eccesso
<< Mi manca anche Emma. Chissà cosa sta passando. Era meglio che non prendessero lei. Avrebbe capito chissà quante cose. Perché non possiamo sfogare i nostri sentimenti? Lei avrebbe osservato i comportamenti dei centurioni, dei pretori e degli altri e si sarebbe fatta un’idea. E’ sempre meglio di questo limbo, un’idea anche sbagliata. Sarebbe stato meno spaventoso.>> si sfogò e  strinse il lenzuolo del letto dove era sdraiato Michael, senza guardarlo. Sentì la sua coprire la propria e accarezzarla.
Rimasero fermi per un po’.
A Lucas venne in mente una domanda. Guardò il suo interlocutore per un po’ prima di pronunciarla. I capelli erano scompigliati e sporchi di terra ma per il resto era abbastanza pulito. La carnagione un po’ più scura della propria era priva della maggior parte di lividi che aveva all’inizio. Aveva ancora molti lividi in faccia, eppure rimaneva la persona più bella, esteriormente quanto interiormente, avesse mai incontrato. << Ne è valsa la pena? Farsi picchiare per parlare con me>> gli domandò.
<< Non l’ho fatto solo per te. Ho preso due piccioni con una fava. Ne vale la pena, si, lotterei di nuovo. Forse meglio evitarlo ma tutto ciò non è niente in confronto alla prospettiva di …>> e gli si bloccò la voce in gola.
Suonarono le campane per l’adunata.
<< Andiamo. Ti aiuto io, puoi dormire nella tua camera alla fine. Ci è stato detto di tenere meno persone in infermeria per non indebolire la guardia.>>
Il tragitto fu silenzioso. Quando arrivarono davanti alla Seconda Coorte, prima che Lucas affidasse l’altro ragazzo ad un suo compagno, gli disse: << Sei una persona buona, altruista, riesci a curare chiunque in tutti i modi. Ho bisogno che tu stia vicino ad Alexander per me. Nonostante tutto a lui Emma piaceva davvero.>>
Lucas ridacchiò. Michael fece un’ espressione confusa. << Cosa?>> chiese.
<< Sei anche tu una persona altruista. Cerchi anche tu sempre di aiutare gli altri però non cerchi mai aiuto per te stesso.>> affermò il figlio di Apollo.
Lo guardò negli occhi ma non ne vedeva il colore. Erano come il mare che specchiava il cielo sopra di sé. Però erano un mare che non poteva essere esplorato.
<< Ci si vede, Lucas>> lo salutò Michael e poi gli voltò le spalle e si avviò nella sua coorte.
Lucas si voltò quasi subito. Voleva subito tornare nella sua coorte, nella sua stanza, far preparare tutti gli altri per la notte prima di lui per restare solo in bagno.
Quando entrò nella sala comune della sua coorte, trovò Miguel e Leila che discutevano fra di loro.
<< Non puoi andare in camera tua>> sentì Allison informarlo. Allison cantava come sempre, non poteva smettere, ma lo faceva sottovoce come se pregasse e fosse in costante connessione con una divinità. Ultimamente lei e Candace si recavano sempre sulla collina dei templi, sempre in due (uscire da soli era proibito oltre il coprifuoco, lui stesso  avrebbe potuto correre dei rischi se non ci fossero state sentinelle a guardia al Campo) e nessuno sapeva cosa ci andavano a fare. Candace restava ammutolita, la testa altrove e lei la testa altrove non ce l’aveva mai. Ora era poco distante da loro e guardava i centurioni.
<< Perché non posso?>> chiese Lucas.
<< Riunione della coorte.>> solo questo disse e poi ammutolì.
La riunione iniziò quando tutti furono rientrati. Uno degli ultimi fu Alexander dall’aspetto più trasandato che mai. Si guardava intorno come se faticasse a riconoscere il luogo. Era preoccupante il suo modo. Anche Candace lo guardava con uno sguardo pensieroso.
Forte di quello che Michael gli aveva chiesto, andò a sedersi vicino a lui mentre Allison rimase vicino Candace quindi non si trovavano troppo lontani.
Leila richiamò l’attenzione. Aveva l’aria stanca come anche Miguel ma con la differenza che lei per un periodo era stata abituata a tutto ciò. Miguel era subentrato  dopo la guerra di Gea e la sua carica l’aveva vissuta in un periodo di pace. Il suo sguardo era assorto e fisso in un punto della stanza. Coincideva con capelli rossi, pelle bianchissima e occhi cerulei- violacei. La guardava come per dire “Per lei posso ancora resistere”.
<< Oggi abbiamo avuto, come ben sapete questa riunione. La maggior parte di voi sanno cosa vogliono dire. L’anno scorso è stato difficile, un nemico che avanzava e una serpe in seno che aveva preso il comando. E’ stato chiaro fin da subito che loro ci conoscono. E sappiamo tutti che se conosci il tuo nemico, sai come distruggerlo. Per questo vi è stato chiesto di stringere i pugni. Non è stata tutta fatica vana. Miguel vi spiegherà perché.>> dichiarò Leila.
A Lucas venne d’istinto di voltarsi verso Alexander in cerca di una qualche reazione. Lui di tutto quello che stava succedendo ne soffriva come pochi. La ragazza di cui era innamorato era dispersa e non si erano salutati nel migliore dei modi. Doveva essersi incolpato prima e ora, lo capiva, si stava condannando. Ecco perché Michael gli aveva chiesto di prendersi cura.
Miguel prese la parola. << So che vi abbiamo chiesto, che vi ho chiesto, qualcosa di difficile. Abbiamo tutti perso qualcuno. Ci tengo a precisare che Leila non era d’accordo con questo mio piano e si è vista costretta ad attuarlo in quanto non avevamo alternative. Ed ora rispondetemi, cosa abbiamo mostrato?>>
Qualcuno mormorò qualcosa. Così altri ragazzi.
<< Abbiamo mostrato affidabilità e la fredda disciplina che per codice di comportamento ogni romano dovrebbe avere. Infine la rabbia, quella silenziosa di chi ha perso qualcosa e non aspetta altro che agire.>> affermò Alexander, sempre composto e sempre impassibile. Lucas non si aspettava un ’intervento da parte sua come nessun’altro che lo conoscesse d’altronde.
<< Giusto Alexander, infatti i pretori si sono fidati abbastanza da farci prendere le redini della situazione che gestiremo come meglio possiamo. Era questa la mia intenzione iniziale e se il mio piano dovesse rivelarsi pessimo sapete chi incolpare.>> dichiarò il figlio di Mercurio.
<< C’è qualcosa che non va o che non ci dicono >> osservò Candace che si era avvicinata a loro.
<< Cosa pensi che sia?>> le domandò Lucas.
<< Chiedilo a tua sorella, lei me lo ha detto. Per quanto mi riguarda sono d’accordo.>> disse Candace facendo spallucce.
<< Allison?>> allora fece il ragazzo biondo.
<< Non lo so, di solito non ci penso troppo a queste cose lo sai. Forse ho  Emma ha influito sul mio pensiero.>> borbottò la ragazza, le spalle ricurve, i capelli davanti, evitando di mettersi in mostra. Non era cosa da sua sorella, quella.
L’attenzione di tutti si spostò ad Alexander che ascoltava tacitamente la discussione. Candace sembrava decisa a rompere quel suo silenzio. << Interessante intervento. E neanche tu sei uno che si interessa più del necessario. Ancor meno uno stratega>>.
<< Ho partecipato alla resistenza quando Ottaviano era al comando, direi che mi sono interessato abbastanza in passato.>> rispose brusco Alexander, accarezzandosi la sua mano bionica.
<< Mi viene da pensare ad una sola persona, oltre Miguel, che avrebbe pensato ad una cosa del genere.>> continuò Candace.
<< Anche io. Ho provato a pensare come questa persona.>> e poi lanciò una breve occhiata agli occhi di Candace. Poi chinò ancora di più la testa (era un ragazzo molto alto ed erano pochi a guardarlo negli occhi) e si guardò la mano metallica.
Lucas decise di intervenire: << Smettiamola. Siamo tutti spossati e giù di morale. Adesso andiamo tutti a dormire, ordini del dottore!>>.
Doveva aver fatto una voce molto autorevole perché tutti si avviarono verso le proprie camere. E prima che fosse fuori dalla sua portata sentì sua sorella borbottare sommessamente: << E’ difficile dormire quando senti un qualcuno urlare>>.
 
 
 
 
Michael, a mente lucida, pensò che quella di scatenare una rissa per sfogarsi e per poter parlare con Lucas non era stata l’idea più brillante che poteva venirgli in mente. Come al solito le grandi idee non vengono mai quando sono richieste, quindi sdraiato sul letto si stava dando mentalmente dell’idiota. Si era fatto mettere in punizione e anche se i centurioni non avevano detto niente di che, era sicuro che l’azione stava per arrivare. E lui non avrebbe potuto parteciparvi perché la punizione di quella volta era stata molto severa.
Si rigirò sul letto, schiacciando la faccia contro il cuscino, per poi rivoltarsi nuovamente perché non riusciva  a respirare. E di nuovo si dava dell’idiota.
E a ricordargli quanto era stupido ci pensarono i muscoli che gli facevano ancora male nonostante le cure di Lucas. E probabilmente fu quello il pensiero che lo fece addormentare.
Quando si svegliò una figura era seduta sul letto. Era ancora buio eppure quella donna era troppo bella da sembrare quasi luminosa. Non ci voleva un genio a capire che davanti aveva sua madre, la dea Venere. Di lei vedeva solo la pelle esposta, il resto era coperto da quello che pensava fosse un mantello scuro.
Venere quando appariva cambiava sempre forma diventando sempre più bella. In quell’apparizione invece aveva solo una faccia, una che somigliava alla sua, con gli occhi color acqua marina incastonati su una pelle lattea del viso a forma di cuore. Ciocche castane fuoriuscivano dal cappuccio del mantello.
<< Madre.>> sussurrò con la voce ancora impastata di sonno.
Venere sembrava intenerita. C’era anche ferocia nel suo sguardo, una ferocia che aveva ragione di credere che possedessero tutte le madri.
<< Sai, ti sto avvertendo perché non ho potuto avvertire un'altra persona. Sai già quanto l’amore porti dolore, tu lo hai anche inflitto, e adesso lo subirai, mio caro ragazzo.>> disse con una voce dolce e calda. Materna.
E materna era pure la mano che adesso gli scompigliava i capelli e gli accarezzava la guancia. Michael socchiuse gli occhi a quel tocco. Si sentiva come appagato da un bisogno e circondato da un amore che gli mancava da una vita.
<< Sei qui perché ti faccio pena >> mormorò il ragazzo, la voce ancora aveva il suono di quella di chi si era svegliato da poco e aveva tutte l’intenzione di riaddormentarsi.
<< Soffrirai però ritroverai qualcuno disposto a curarti. Gli ho già parlato, sai? Sarà lì per te e tu lo rifuterai. Non disegnarti un destino infelice. E’ questo che tua madre ti voleva dire.>> e lo spinse dolcemente verso il cuscino. La visione si faceva sempre più fumosa. << Adesso chiudi gli occhi, e ritorna a sognare.>> bisbigliò e Michael ritornò nella terra di Somnus.

 

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