Ciò che conta davvero

di Diana cavalca
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sarada e Fata ***
Capitolo 2: *** Blu come... ***
Capitolo 3: *** Tentennamenti, possibilità, colpi d'occhio ***
Capitolo 4: *** L'Utile e il Dilettevole ***
Capitolo 5: *** Adatta? ***



Capitolo 1
*** Sarada e Fata ***


''Sono impressionato, le sue referenze sono davvero ottime!''

''Sì, mi trovavo davvero a mio agio in quello studio, l'avvocato Makeda era molto gentile e io ero entusiasta di fare bene il mio lavoro.''

''Non ne dubito, il signor Makeda si prodiga in elogi nei suoi confronti da quel che leggo.''

Ci siamo Sakura. Lo hai praticamente conquistato! Il posto di lavoro è tuo, hai fatto un'ottima figura! Shannaro!

''L'avvocato è stato molto buono con me. Lavorare per lui è stato un onore, mi è rincresciuto parecchio dovere lasciare quello studio a causa del suo pensionamento. Anche se ero soltanto una segretaria, cercavo in tutti i modi di alleggerire il carico del suo lavoro, di organizzare al meglio la sua agenda e di essere sempre in grado di colmare i vuoti della sua memoria, ricordandogli più volte i suoi impegni. Era molto anziano ed incline alle dimenticanze. Inoltre era uno stacanovista. Spesso per devozione nei suoi confronti, mi curavo che non saltasse i pasti quando non poteva staccare dal lavoro. Le mie premure sono sempre state apprezzate da lui.''

''Vedo, vedo...sono davvero colpito dai complimenti che le riserva. Il signor Makeda è un uomo molto stimato nel suo ambiente e non è una persona proclive alle lodi gratuite. Per cui, di certo, il suo giudizio ha un certo peso. Di lei scrive addirittura – La migliore segretaria avuta in quarant'anni di carriera: puntuale, efficiente, dedita al suo lavoro. Eccezionale.''

Ah signor Makeda grazie, grazie, grazie per le sue parole, mi commuovo al solo sentirle! Non ero io ad essere straordinaria, era lei che aveva un cuore grande...e adesso in virtù della sua santa intercessione otterrò un nuovo posto di lavoro. La ricorderò sempre come il nonno che avrei voluto avere per me ed il bisnonno che avrei desiderato per i miei figli!

''Oltretutto parla l'inglese e il francese piuttosto fluentemente, un vantaggio non di poco per noi che abbiamo a che fare con clientela internazionale.''

énchanté! che persona a modo che è questo avvocato...un vero signore!

''Come vede questo è uno studio di un certo livello. Necessitiamo di una valida segretaria, c'è una selezione piuttosto dura.''

...certo che questa sala è davvero elegante. Quei mobili in mogano scuro e quelle poltrone in velluto verde sono così austeri e solenni. Per non parlare dei quadri appesi alle pareti: sono antichi, saranno stati acquistati ad un'asta. Ah che meraviglia, qui tutto odora di soldi, che buon odore che hanno le cose costose! La parcella mensile deve essere alta!

''Tuttavia mi chiedo come possa una studentessa universitaria essere totalmente dedita al suo lavoro, quando ha degli esami impegnativi da sostenere...''

Devo essere all'altezza di questo contesto. Dal signor Makeda potevo recarmi in jeans e maglietta, ma qui la faccenda è diversa. Lunedì mi presenterò in tailleur e tacco undici! O anche otto...va bene otto!

''Qui si lavora a tempo pieno, non è una occupazione part-time...''

E quindi questo fine settimana shopping sfrenato! Devo andare all'outlet consigliatomi da Ino, pare che la merce sia venduta ad un prezzo stracciato!

''La ringrazio per la sua candidatura e per il tempo che mi ha concesso. Lei è una ragazza molto talentuosa e dotata. Le faremo sapere.''

Sempre dopo aver finito di studiare il capitolo del libro di Patologia generale. Ah per fortuna il pensiero dello shopping e delle scarpe tacco otto – cinque, meglio cinque! - che acquisterò renderà più leggero lo sforzo.

 

Aspetta un attimo.

 

Che ha detto?

 

Riavvolgi il nastro e ripeti mentalmente la frase Sakura:

 

''Lei è una ragazza molto talentuosa e dotata – ok questo va bene! - LE FAREMO SAPERE.''

 

No. No. No. Come sarebbe a dire ''le faremo sapere?''. Quello è il modo in codice per dire chiaramente ''non sei stata assunta'' mantenendo il velo elegante dell'ipocrisia. Un modo che ti costringe a salutare col sorriso e a mantenere gentili modi pur sapendo di essere stata impietosamente scartata!

 

''Porga i miei saluti all'avvocato Makeda e gli riferisca che è stata una gioia conoscere la sua segretaria.''

Brutto adulatore, sapevo che non dovevo farmi incantare dai tuoi modi ruffiani! Ce l'hai scritto in faccia che sei un cortigiano! I tuoi saluti non arriveranno di certo alle orecchie del signor Makeda e non solo perché è quasi totalmente sordo!

''Il piacere è stato mio avvocato.''

Basta devo uscire da questo ufficio, c'è puzza di cose costose!

 

Dopo aver dato una troppo vigorosa stretta di mano al mio non-futuro datore di lavoro, esco a passo deciso da quell'ufficio e mi ritrovo sulla prestigiosa strada di uno dei quartieri più ricchi di Tokyo. Il grigio asettico regna sovrano e mi dà quasi la nausea. Cerco il cellulare nella tasca del mio cappotto – in cento per cento acrilico, forse avrei dovuto optare per un altro indumento e darmi un'aria più raffinata.

 

''Dannazione, dove l'ho messo?''

Apro la borsetta – in cento per cento ecopelle, firmata Dolce&Gabbiana, che sia stata lei la responsabile del mio fallimento?- e lo individuo.

Mi ritrovo col mio Nokya 3310 nell'era degli android e con una borsa da bancarella nel quartiere della pelletteria Dolce&Gabbana (quella vera!). Devo essere sembrata una pezzente disperata in cerca di un lavoro per mantenermi agli studi.

Cioè devo essere apparsa quella che esattamente sono.

Digito convulsamente un numero di cellulare che conosco a memoria. Non fa nemmeno in tempo ad emettere uno squillo che veloce arriva la voce dall'altro capo del telefono.

''Allora fronte spaziosa, come è andata?''

''Le faremo sapere'', rispondo io con la voce strozzata.

''Oh. Non ti preoccupare ci saranno altre occasioni! Nel negozio vicino casa mia cercano una commessa carina ed in gamba, è proprio il lavoro per te!''

''Davvero? Perché non me ne hai parlato prima?'', rispondo con gli occhi che non hanno fatto in tempo ad inumidirsi per la recente delusione che già brillano per una nuova, inaspettata speranza - ok, non sarebbe stato remunerativo come lavorare in quello studio di avvocati, ma almeno la retta universitaria avrei, forse, potuto permettermela. E poi avrei potuto risparmiare sul riso, sicuramente.

''Che genere di negozio è Ino?'' - chiedo io pronta ad adeguarmi al contesto che potrei trovare. Se per caso si tratta di una boutique di lusso, non mi presentero' con la borsa Dolce&Gabbiana. Assolutamente no!

''Emm ecco, Sakura è...come dire, un negozio un po' eccentrico.''

''Eccentrico in che senso Ino?'' mi allarmo, sta per uscirsene con una idea folle delle sue ne sono certa.

''Non è che sia poi così eccentrico...diciamo che può esserlo solo per le menti di striminzite vedute. In fondo riguarda la natura delle cose...solo che ecco, mira a rendere ciò che è routinario un pelo più divertente.''

''E' il sexy shop che c'è sotto casa tua, vero?''. Rispondo io secca, appigliandomi ancora alla flebile speranza di sentire dall'altra parte una risposta negativa.

''Non è un sexy shop, stupida!''

Oh dei grazie, non potevate essere così crudeli da darmi nello stesso giorno due speranze di salvezza e da togliermele via proprio quando sentivo di poter tirare un sospiro di sollievo.

''...è un negozio di ''oggettistica erotica''! Quel nome volgare usato da te è sinonimo di una cervello chiuso e bigotto.''

''Eh?''. Faccio io incredula. Forse gli dei non hanno ancora avvertito la mia profonda riconoscenza.

''...come se utilizzare utensili del genere sia una cosa da maniaci! É bello dare sfogo a tutte le proprie fantasie, dovresti usare anche tu roba del genere per essere più rilassata...quella fronte spaziosa ha orizzonti così angusti! Devi solo presentarti a lavoro con un po' di scollatur...

''INO MAIALA!'' Urlo io in preda ad un attacco isterico e riaggancio il telefono.

Quella sciocca, quella pazza di una Yamanaka! Quando avrò tra le mani quei capelli di quella stupida chioma bionda glieli taglierò fino a che la sua testa non rifletterà la mia faccia compiaciuta. Li intreccerò per bene e mi ci farò un frustino per del buon sadomaso. Così le farò vedere quanto ''ristrette'' siano le vedute di questa fronte spaziosa!

 

Comincio a camminare senza una meta in preda alla rabbia che un passo dopo l'altro diventa nero sconforto. Dovrò trovare subito un lavoro, altrimenti mi giochero' la possibilità di mantenermi agli studi. Diventare medico è da sempre stato il mio sogno e non voglio rinunciarci a causa del fatto che posso permettermi al massimo una borsa Dolce&Gabbiana.

Mantenersi all'università più prestigiosa del Giappone con le mie risorse è sfiancante, ma non mi sono mai abbattuta dinanzi agli ostacoli. Ho sempre pensato che, anche se la vita fa di te una poveraccia, non ci si debba precludere la possibilità di inseguire i propri sogni. Piuttosto, ho cercato di rimboccarmi le maniche, senza troppo crucciarmi della fortuna altrui e delle sfortuna toccatami in sorte. Mi sono sempre detta che il fatto che l'esistenza per alcuni sia più facile, non debba giustificare in alcun modo una coscienza molle e pigra, che si lagna e si adagia sulle proprie disgrazie. Anzi, la mia è stata temprata proprio dalla necessità di arrivare a fine mese e se sono quella che sono in fondo lo devo proprio alle difficoltà che ho affrontato e che continuo a sostenere.

Con la coda dell'occhio intercetto qualcosa che rompe la monotonia del susseguirsi di edifici neutri. Mi volto di lato e mi beo della vista di una magnifica area verde. Un enorme, meraviglioso parco. Un ristoro per gli occhi assuefatti al grigiore della città, ai suoi maxi-schermi pubblicitari dai toni e dalle tinte artificiose. Posso scorgere delicati oleandri e querce dalle fronde ondeggianti. Odo il suono del vento che si insinua tra i rami, coinvolgendoli in una danza che, suadente, ammalia lo spettatore. Sembra invitarmi a banchettare col dio Pan. Una placida distesa d'acqua la cui superficie riflette i colori di quella isola surrealmente incastrata dentro Tokyo sostiene delle serafiche tartarughine, estranee a tutto quello che affligge il mondo al di là di quella terra aliena. Un posto i cui suoni si disperdono in una eco antica; un luogo a cui far ritorno quando la nostalgia di ciò che l'umanità ha perduto si fa troppo forte. Sento già che quello zampillio di acqua sta riscattandomi dai rumori del traffico.
Mi inoltro in quel luogo di sospensione dei ritmi frenetici della città e mi distendo su di una panchina di pietra , resa fresca dalla caritatevole ombra di un olmo. Respiro a pieni polmoni l'aria pregna dell'odore di erba, terra, corteccia, acqua: niente a che vedere con la puzza delle cose costose!
Presa da un impeto di pensieri da Sturm und Drang rifletto, senza far troppo sul serio, sull'evoluzione della civiltà; sull'iper-progresso tecnologico; sul nuovo volto metallico e sfrecciante del mondo. Immagini di una grande macchina sociale, frenetica e in continuo movimento, di cui mi sento un misero ingranaggio un po' arrugginito, che a volte si inceppa e che non riesce a sostenere il ritmo. Sempre più bisogni, scadenze e ansie per la paura di non riuscire a tenere il passo. Perché ci siamo separati dagli oleandri, dalle querce e dai ruscelli di acqua zampillante? Anche il mio vecchio Nokia 3310 è il frutto (ormai un po' andato a male) di un mondo in cui l'uomo si è totalmente separato dalla natura, diventata un fatto eccezionale, una parentesi verde nel grigiore di una metropoli che mai conosce posa.

Stare in quella posizione, all'ombra del buon albero è così rilassante che - mi viene da pensare - nessuna corsa per ottenere qualsiasi bene materiale vale quanto il soggiornare in quel mondo privi di qualunque peso da portare, in armonia col tutto, inebriandosi di odori che sanno di origine, di giusto, di madre.

 

Sbam

 

O forse non è poi così rilassante.

Qualcosa di tondo e rimbalzante mi sopraggiunge in testa, disturbando il mio idillio col dio Pan e l'orgia a cui mi aveva appena invitata. Apro gli occhi esasperata e mi alzo di scatto.
Ed ecco che mi si offre alla vista. Piccola, rubiconda, trotterellante. I bambini hanno quello strano modo di correre che fa percepire a chi li guarda tutta la fatica che fanno per alzare una gambetta ed alternarla con l'altra: un saltellino dopo l'altro per rincorrere una palla troppo veloce. Pare di assistere ad una buffa corsa ad ostacoli in cui la grande fonte di disequilibrio è data dal peso della grande testolina.

 

Patapum

 

Proprio quella grande testolina che è appena atterrata sull'erba, a causa di un sassolino che ha intralciato la barcollante galoppata verso l'agognata meta.

Mi slancio sulla piccola che ancora sta inginocchiata sulla terra, col sedere all'aria e la testa conficcata a mo' di struzzo sotto la sabbia. La sollevo e colgo la sua espressione in preda allo stupore per quell'evento imprevisto, mentre i suoi neri occhioni si riempiono di lacrime.

 

''È tutto apposto, non è successo nulla.''

 

Ovviamente lei non mi ascolta nemmeno e sbotta a piangere sonoramente. Non è stata una brutta caduta, è solo spaventata ed arrabbiata con quell'inopportuno sassolino, che l'ha colta di sorpresa e umiliata, facendole percepire di avere subito un torto, un tradimento improvviso dal suolo a cui si era ingenuamente affidata. Mi avvicino ad una fontanella che elargisce acqua potabile e comincio a lavarle il viso da tutto lo sporco, continuando a calmarla.

Prendo un fazzolettino dalla tasca e tento di asciugarle il viso dal bagnato delle lacrime e dell'acqua, poi lo passo con delicatezza sulle mani e sulle ginocchia umide di terra.

 

''Hai visto? Sei bella come prima!''

Lei smette di piangere e mi guarda per qualche secondo. Spalanca gli occhi.

''Non ti sei fatta alcun male, sei inciampata perché è passato un coniglietto dispettoso mentre correvi verso la palla.''

Le dico io, rispolverando alla meglio le argomentazioni di mia nonna quando episodi simili capitavano a me. L'idea dei coniglietti dispettosi mi piaceva, lo stesso non potevo dire dell'ironia discutibile di mia madre, per la quale ogni volta che cadevo, c'era speranza di ''trovare il petrolio'' data la mole – non proprio ridotta – che avevo da bambina.

La bimba dai capelli corvini continua a fissarmi meravigliata, senza emettere un fiato. Che le è accaduto? Che quella testata sul suolo non sia stata poi così lieve? Comincio a preoccuparmi...

 

''Be..i, be...i! Capei osa!''

 

E così dicendo tocca incredula i miei lunghi capelli rosa. Eh la bimba sì che ha gusto!

Ero sempre andata fiera della mia chioma. Era una rarità avere un colore del genere e non sapevo nemmeno da che geni di quale avo lo avessi ereditato, data l'ordinarietà delle capigliature dei miei genitori.

 

''Fata! Tu fata!''

 

Sorride beata e pone le mie ciocche sulla sua testa, a mo' di parrucca. La guardo con tenerezza.

A quale bambina non piace il rosa? Eterno connubio!

La poggio a terra e finisco di pulire i suoi vestitini: una gonnellina rossa ed una camicetta con un fiocco. Un look un po' troppo austero per una bimba così piccola. Prendo il mio fermaglio – rosa! - e glielo metto tra i capelli, per bloccare un lungo ciuffo che non vuole proprio saperne di stare dietro alle orecchie e che le limita la visione. Tiro fuori il mio specchietto da borsa e le mostro il risultato.

 

''Hai visto, anche tu hai il rosa in testa!'' Le dico simulando enorme entusiasmo.

 

Lei tocca il fermaglio e sorride ampiamente. Poi prende la gonna ai lati e comincia a girare su se stessa con fare civettuolo: forse non è abituata a genitori che gratificano la sua femminilità.

La prendo per mano e mi avvicino con lei verso la palla. Gliela lancio piano.

 

''Hoplà!'' Esclamo.

 

Lei la afferra e continua a guardarmi ammirata. Devo proprio sembrarle una fata.

 

 

''Sarada, Sarada dove sei?''

 

La piccola si gira improvvisamente e corre verso la voce maschile che la chiama. Non si premura di salutarmi. Si sa, i bambini non fanno molto caso alle buone norme di educazione. Hanno la fortuna di non averle ancora interiorizzate e di potersi prendere il lusso di agire con spontaneità e trasparenza senza far ingiustizia a nessuno.

Ma sono certa che, durante quel po' di tempo che io e ...Sarada? - che nome buffo!- abbiamo passato insieme, sono stata ai suoi occhi una vera fata.

 

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Capitolo 2
*** Blu come... ***


CAPITOLO 2

BLU COME...

 

Mi duole l'osso sacro. È ormai da un paio d'ore che sono posizionata sul piatto della mia doccia, accovacciata su di una sedia opportunamente inseritavi dentro e col portatile sulle ginocchia. Il luogo che in teoria dovrebbe essere destinato esclusivamente all'igiene corporale è diventato il mio domestico centro per l'impiego. Questo è quello che io chiamo il mio ''punto di ricezione'', ovvero l'unico sito dell'appartamento in cui rilevo un piccolo segnale dell'altrui connessione internet.
So che non è una bella cosa, che non dovrei usurpare i beni altrui, ma al fondo della mia disonestà c'è solo un unico movente: l'insufficienza di denaro.
Chi se lo può permettere un vero e proprio abbonamento? 
Inoltre, a mia discolpa, bisogna dire che si tratta di una improbità a cui sono stata indotta; una tentazione sventolatami sulla faccia dalla stessa vittima: mi sono solo limitata ad usufruire di ciò che lei ha incautamente messo a disposizione del pubblico, che non avrebbe di certo approfittato della sua ingenuità e della sua mal riposta fede negli umani se avesse protetto il suo bene attraverso una sacrosanta password.
Immagino i diversi condomini di questo palazzo situarsi nei posti più impensabili dei loro appartamenti pur di beneficiare di un servizio non pagato.

La parola più bella per l'umanità non è ''Libertà'', non è ''Uguaglianza''. È ''Gratis''. Anche ''A scrocco'' è una espressione inebriante.

Deve essere a causa della somma delle singole scorrettezze di tutti i condomini che si collocano nei rispettivi ''punti di ricezione'' e che godono al solo pensiero di ''scroccare'' qualcosa a qualcuno, che la velocità di navigazione è pari a quella di un bradipo al replay.
La mia coscienza mette a tacere definitivamente il prurito che avverte al pensiero di essere coscienza di una stolta, ripetendosi che se la stolta in questione è qui a macchiarsi di questa trascurabilissima colpa è solo per la necessità di trovare un lavoro e non di certo per dell'immorale e vacuo streaming (che poi caricare un video in queste condizioni spazientirebbe anche Giobbe – sì, ok ci ho già provato e con pessimi risultati!).
Dopo due ore il mio (rubato) bradipo al replay, tra preghiere ed imprecazioni per la sua indolenza, è riuscito a cogliere dei frutti dall'albero. Passo in rassegna gli esiti della mia ricerca.

 

OPZIONE NUMERO 1. Studente liceale cerca laureato in lingue straniere per lezioni di pronuncia inglese. No perditempo.
Questo è il lavoro che fa per me. Conosco benissimo l'inglese (ed anche il francese ed una spruzzatina di arabo) e non solo perché l'ho studiato a scuola. E di sicuro non è perché ho preso un attestato.
Chi l'ha detto che solo i soldi possono aprirti molteplici prospettive? Anzi, se sei povero sei più fantasioso e creativo; devi esserlo a causa dell'indigenza; hai bisogno di far proliferare il poco di cui disponi, un po' come quella specie di divinità occidentale fece di pochi pani e risicati pesci un pasto per una moltitudine di gente. Nel mio caso, è stata proprio la miseria a spalancarmi le porte di un sapere. Come? Beh la nostra parabola puntava su satelliti altri, sicché non guardavamo i canali nazionali, ma solo quelli inglesi e francesi. Io e nonna seguivamo anche una coinvolgente soap-opera turca.
Inutile dirlo, non avevamo i soldi per chiamare un antennista.
La cosa tragicomica di questa vicenda è che ho incontrato gli anime giapponesi nella forma mistificata, censurata e tradita delle loro versioni internazionali. L'unico rapporto intimo che legava Giorgie ed Abel per me, era quello della pura fratellanza, almeno fino a quando non ho colto la mela della conoscenza. E che Sailor Uranus e Nettuno erano ''compagne'' non solo in senso lato, è una perla che la cozza della mia passata ignoranza ha dischiuso solo in tempi relativamente recenti.
Comunque, quello che adesso importa di questa storia è questo: l'avermi resa un asso nelle lingue straniere.
Il problema che si pone ora è: può la mia solidissima conoscenza dell'inglese bastare ad un noioso studente che richiede anche un riconoscimento su di un pezzo di carta? Posso far fruttare i miei saperi accidentalmente contratti? I limitati pani e pesci della mia infanzia possono diventare un cibo sufficiente per soddisfare la mia fame (e quando sei una poveraccia che frequenta l'università più prestigiosa del Giappone la fame di denaro che avverti è tanta)?

Prendo il cellulare e digito il numero indicato. Dopo un paio di squilli una voce maschile, roca di quel roco adolescenziale che indica che il pomo d'Adamo non è ancora del tutto fatto e finito, risponde. Mi dico di puntare sulla simpatia e sulla calorosità...è un adolescente in fondo: espugnare la sua fortezza di infelicità ed incomprensioni altrui non è facile, ma se ci riesco ogni porta mi sarà da lui aperta:

''Salve! Sono Sakura Haruno, ho appena letto il tuo annuncio sul sito e credo di essere la persona giusta per te! Mi piacerebbe sapere come ti chiami''

''Ce l'hai la laurea in lingue straniere?'' - Fa lui, con la sua voce da gallo strozzato.

''Emm...in realtà no, ma ti assicuro che la mia conoscenza dell'inglese eguaglia quella di un laureat...

''Nell'annuncio c'è scritto no perditempo.''

E così riaggancia il telefono rinchiudendosi per sempre nella sua rocca, senza che nemmeno avessi cominciato a picconare quel muro non scalabile.
Trattata male da un non-ancora-uomo. Se dovessi misurare la stima che ho di me stessa sulla base dei fallimenti di questa giornata, credo che mi rifarei ai numeri negativi.
Grazie anche per quest'altro momento edificante della giornata, divinità!


OPZIONE NUMERO 2. Cercasi commessa attraente, disinvolta e spigliata.
Beh, senza volere peccare di presunzione attraente lo sono indubbiamente. Disinvolta e spigliata anche. Mi piace l'idea di lavorare in un negozio, penso di essere abbastanza affabile da potere avere a che fare coi clienti. Forse è il lavoro che fa al caso mio. Vale sicuramente la pena recarsi nella zona in cui si trova il negozio e presentarsi ...ah, ma che coincidenza è la via in cui abita Ino!


La via in cui abita Ino.

No.

Non ci credo.

Vi odio, vi maledico dei celesti! Dalla lecchina devozione verso di voi sono passata alla blasfemia in un giorno solo!

È il sexy-shop!

Prima di riaccomodarmi sotto la doccia a riprendere scettro e corona sul mio trono di sfiga, vado a farmi una tisana alla valeriana potenziata con gocce di valeriana.

 

OPZIONE NUMERO 3. Cercasi baby-sitter qualificata per bambina di quasi tre anni. Esperienza richiesta. +50. Inviare il proprio curriculum all'indirizzo indicato.
C'è questo strano aspetto del mio carattere, per il quale, quando le cose si mettono male, io spingo l'ottimismo fino a sfiorare punte di irrazionalismo. Che è come dire: se la luna si rivela irraggiungibile, io punto sconsideratamente al sole!

Abbandonando ogni briciola di buonsenso e col cervello ottuso dall'insano pensiero positivo comincio a valutare una possibilità che non dovrei nemmeno tenere in considerazione, data la totale non corrispondenza tra la domanda (l'annuncio) e l'offerta (le mie abilità in materia). Accecata dall'iper-ottimismo arrivo a trasformare le mie deficienze in competenze. Così, nel mio bicchiere mezzo pieno, ci annego:

Cercasi baby-sitter qualificata per bambina di quasi tre anni. - Mi piacciono i bambini e soprattutto le bambine. Quelle di tre anni poi, sono dolcissime. Quindi sì...credo di essere qualificata!

Esperienza richiesta. - Ho fatto molta pratica soprattutto coi casi-limite. Quando ero un'adolescente la zia approfittava di me e della mia bontà, lasciandomi pomeriggi interi con quelli che ritenevo sarebbero divenuti rispettivamente: 1) uno yakuza; 2) uno scippatore professionista; 3) una spogliarellista in un night club. Ah, ricordo ancora come fosse ieri il caro ed intimidatorio Kakeru; le mani magiche di Nobita sul mio portamonete; la dolce e truccata Moegi, che a soli nove anni indossava blush e rossetto!

+50. Che significa? Circa cinquanta ore di lavoro mensili? Sarebbe l'ideale per poter coniugare studio ed impiego!

Inviare il proprio curriculum all'indirizzo indicato. Perché limitarsi a spedire il curriculum, quando l'indirizzo è riportato a chiare lettere e si ha la possibilità di colmare attraverso i propri modi e il proprio calore umano, le piccole lacune circa tutti gli altri requisiti richiesti e non propriamente posseduti?
La mia personalità indurrà a chiudere un occhio, anzi due, sugli aspetti mancanti.

Sì, se mi impegno posso ottenere quel lavoro! Sicuramente!
Il mio volere è il mio potere!

Sentendo le palpebre divenire pesanti, mi decido ad abbandonare il ''punto di ricezione'' per recarmi in quello ove solitamente vedo le giornate cominciare e concludersi da una medesima prospettiva visiva. Buonanotte mondo, a domani!


 

Il soffitto della mia stanza. Il lampadario dell'Ikea. La luce che gioca con l'ombra, proiettando i contorni delle tapparelle sul muro sopra di me. Ecco, è questa la prospettiva visiva con cui afferro un nuovo giorno, dopo avere lasciato quello vecchio. È mattina. Riprende la lotta che la parentesi del sonno notturno ha momentaneamente sospeso.
L'eroina si prepara ad affrontare la battaglia tirando fuori la sua armatura, compagna fedele di svariati colloqui. Ai miei occhi è il capo di abbigliamento magico; quello che mi ha fatto ottenere il posto di segretaria nello studio del signor Makeda. Ed è anche il tessuto a cui devo la mia stessa esistenza.
Già, perché questo tailleur blu – di un blu bellissimo, che io definisco blu di ''mare in un giorno di sole'' – che rimiro speranzosa e che tolgo con cura dalla gruccia, è lo stesso completo che mamma indossò al primo appuntamento con mio padre. Quello che fece scoccare la scintilla, per intenderci. Mamma mi diceva sempre che con quella giacca e quella gonna addosso, mio padre non riusciva a distogliere gli occhi dalla sua figura. Quello fu l'incontro che avrebbe portato alla mia nascita. Per questo è un tailleur per me fortunato: è quello da cui è scaturita Sakura Haruno, concreta realtà che ha sconfitto tutte le infinite possibilità che avrebbero potuto soppiantarla.
Se omettiamo il fatto che è anche un capo di abbigliamento con cui cominciò una storia che si sarebbe conclusa con un divorzio che avrebbe fatto di mia madre un'ex moglie e di me un'ex figlia.
Ma questa è la parte della trama che rende il bicchiere mezzo vacante, e a me piace soffermarmi su quella che me lo mostra per metà colmo. Grazie a questo tailleur sono nata e posso paragonare questo blu al colore del mare in un giorno di sole. Ed è solo perché sono viva che posso dire quant'è bello il mare in quei giorni!
Comincio ad indossare il mio amuleto portafortuna che mi va a pennello. Io e mamma ci somigliamo: siamo entrambe longilinee e scarsamente seno-munite. I capelli rosa però, non sono un suo marchio genetico. Sono una improbabilità tutta mia.

Piena di fiducia prendo la borsa – quella borsa – ed esco di casa.
Salgo sul mitico maggiolone giallo – vecchia proprietà di un nonno che non ho mai conosciuto e regalo della mia nonnina. Incrocio le dita. Giro le chiavi e...la macchina si mette in moto!
Wow il maggiolone è partito e al primo colpo! Oggi è una giornata benedetta dagli dei (sì scusatemi per l'insolenza di ieri, oh sommi e degni d'ogni gloria!).

Camminare per le vie della città è particolarmente piacevole, non c'è il solito traffico. È davvero un giorno favorevole! Mentre attendo lo scattare del verde ad un semaforo suona il telefono: è Ino.

''Ho un colloquio di lavoro. Cercano una baby-sitter. Ho premura!'' - le rispondo frettolosamente

''Eh? Di domenica mattina?''
Cosa?! Com'è possibile che sia già arrivata la domenica successiva a quella precedente?


''Eheheheh sì, beh sai...è un colloquio piuttosto informale'' – come posso dirle di non essermene accorta e di stare andando alla ricerca di un lavoro nel giorno in cui ci si astiene dalle attività produttive?

''Non te ne sei resa conto, vero?''
Perché deve conoscermi così stramaledettamente bene?

''No.'' – non cerco ulteriormente di coprire le mie vergogne. In fondo è Ino, mi conosce da quando seguivo le soap-opere turche.

''E ora che fai, ritorni a casa?'' - logica domanda.

''No, vado comunque.'' – illogica risposta.

''E' domenica...indisporrai la gente!'' – Osservazione piena di buonsenso.

''No, se riesco ad impressionarla con i miei modi e la mia presenza!'' - Osservazione da strascichi di iper-ottimismo.

''Orsù dimmi, com'è che intenderesti impressionare la gente? Cosa ti sei messa?'' - Dice la persona attenta alle mode.

''Il tailleur blu mare!''- Risponde la tipa da indumenti del cuore.

''Cosa? Il tailleur con le grandi spalline anni ottanta che ti fa sembrare un trapezio al rovescio? E poi, hai l'aria di una venditrice porta a porta di contratti elettrici con quella roba addosso''

''Quel tailleur porta buona sorte. Mia madre ci ha conquistato mio padre!'' - Afferma la ragazza dal bicchiere mezzo pieno.

''...e poi è stata lasciata'' – risponde quella dal cinico realismo.

''Il signor Makeda mi ha dato il lavoro!'' - bicchiere mezzo pieno.

''...solo perché ha giudicato che ne avessi un disperato bisogno, dal modo in cui ti sei presentata'' - cinico realismo.

''Senti devo lasciarti sono arrivata in zona, Ino maiala'' – la saluto con l'appellativo con cui solo io al mondo la chiamo. Lei è la mia migliore amica.

''Va bene, dammi notizie appena puoi, fronte spaziosa'' – si congeda con quel nomignolo con cui solo lei mi appella. Io sono la sua migliore amica.

 

Scendo dal maggiolone e con le mani stiro le pieghe della gonna che si è leggermente stropicciata durante il tragitto. Sono nella zona dell'alta-borghesia cittadina. Mi ritrovo dinanzi all'edificio del mio colloquio di lavoro ''informale'', come l'ho da poco ribattezzato. Mentre cerco ''Uchiha'' sul citofono, il portone principale dell'elegante stabile si apre ed esce un uomo di mezza età.

''Mi scusi per caso sa a che piano abita la famiglia Uchiha?'' - gli chiedo, cercando di trovare il sistema per saltare la fase ''citofono'' ed il possibile fallimento con cui potrebbe concludersi, per catapultarmi direttamente a quella ''campanello dell'appartamento''.

''All'ultimo piano signorina'' – mi risponde, tenendo gentilmente la porta aperta per me.

''La ringrazio!'' - perfetto, ho ottenuto sia l'informazione che il gesto che desideravo!

 

Raggiungo la residenza degli Uchiha. Inspiro profondamente e schiarisco la voce. Che gli dei siano dalla mia parte!

Ding dong

Nessuna risposta.

Ding dong

Pigio solo un'altra volta il tasto del campanello. Non voglio risultare insistente.

Sento dei passi strascicarsi oltre la soglia. Qualcuno sbuca fuori e mi guarda irritato.

''Il nostro contratto elettrico va benissimo. Ma non ci date pace nemmeno di domenica?''
Bello. Bellissimo. La P-E-R-F-E-Z-I-O-N-E.

''Buongiorno, mi chiamo Sakur...''

Sbam

Rimango così, con una metafisica bava alla bocca, fulminata sul ciglio della porta da quella che doveva essere l'incarnazione di una divinità venuta a punirmi per la mia condotta di ieri.
Non sarai tu, oh essere dalla sovrumana bellezza, a fermare il mio impeto!

Ding dong

Mentre pigio il pulsante, realizzo una cosa: mi ha dato della venditrice di contratti elettrici!

Il mio adorato tailleur blu ''mare in un giorno di sole'', quello a cui devo la mia unica ed irripetibile esistenza, trattato così...come se fosse un pezzo di stoffa qualunque di un completo prodotto in serie!
Perché Ino deve sempre avere ragione quando vorrei che abbia torto?

In preda alla stizza, la pressione su quel tasto sotto al dito si fa più forte ed ossessiva.

Ding dong. Ding dong. Ding dong.

''Ei! Sei impazzita per caso? Vuoi che chiami la polizia?''

Ecco che riappare. A me pare uguale agli dei.

''S-scusa. È che si è creato un equivoco. Io sono venuta qui per l'impiego di baby-sitter''

L'umano (?) più figo del pianeta fa scorrere le sue pupille inquisitrici su di me, con una lentezza che mi mette a disagio. Sento che sta leggendomi dentro e trovandoci: nessuna qualificazione; nessuna esperienza. I miei occhi sono così chiari e trasparenti, mentre i suoi non lasciano trapelare nemmeno il confine tra l'iride e la pupilla. Che ingiustizia.

''Non sei idonea'' – sentenzia.

Mentre fa per ritrarsi dall'uscio, mi getto per evitare che la porta sia definitivamente chiusa sulle mie speranze. Che almeno mi faccia parlare; che mi dia la possibilità di farmi conoscere. Mi ha giudicata solo in base all'apparenza, ai vestiti e...

...alla mia borsa?!

Quello che inizialmente aveva l'aria di un gesto di supplica disperata si tramuta in qualcos'altro...in rabbia. Se riesco ad acciuffare quel viso in cui riluce la perfezione dell'Oriente io...io...Cosa posso fargli?

''E' per la borsa Dolce&Gabbiana, vero?!'' - nell'incertezza del dopo, mi concentro sulla certezza dell'ora. E ''ora'' sono parecchio infuriata.

''Che?'' - Fa lui con aria da finto tonto, trattenendo la porta contro di me.

Io la spingo dall'esterno contro la sua pressione interna: che almeno il signor Uchiha confessi la sua superficialità; che ammetta senza ipocrisia che il suo giudizio sulla mia presunta non idoneità si basa solo su ciò che di me non si confà al suo entourage. La mia borsa portatrice di iettatura, dal potere talmente forte ed oscuro da surclassare quello positivo del mio ricettacolo di fortuna blu mare! (Come ho potuto portarmela dietro?)

 

Odo il pianto di una bambina. Dall'altra parte della porta, il mio avversario abbandona la lotta e lo sento correre via. L'uscio resta semi-aperto ed io rimango senza sapere cosa fare.
Fino a pochi secondi prima avrei dato non so cosa per sfondare quella resistenza di legno. Ora che la parte nemica ha mollato lo scontro, avverto il peso di tutta la mia indiscrezione piombarmi addosso.
Sono stata tremendamente fuori luogo.
Abbandonata dall'ira ed ostaggio della vergogna, mi sento una donna misera. Misera dentro e non in virtù della mia borsa.

Perché mi sono comportata in quel modo? È da tempo che cerco di lavorare sui complessi di inferiorità. A otto anni fui vittima di episodi di bullismo per via della mia ampia fronte e dei chili di troppo. Mamma ridicolizzava la mia rotondità, nonna invece capiva che mi immergevo nella dolcezza dei dango per superare l'amarezza che l'abbandono di mio padre mi aveva creato. Soffrivo molto e nemmeno lo comprendevo con chiarezza. Sentivo solo che avevo un vuoto dentro e che i dango mi davano un effimero senso di pienezza. I miei coetanei prendevano le mie caratteristiche fisiche come il pretesto per sfogarsi sulla bimba diversa, l'unica della classe a non vedere i programmi giapponesi e a non possedere un tamagotchi.
Le cose. Le puoi avere o no. E a tutti capita di essere valutati in base a questo. Per me era un parametro di giudizio persecutorio. Nonna mi diceva sempre che non dovevo crucciarmi per la mancanza delle cose; che chi stima gli altri in base alla categoria dell'avere e non dell'essere, è il tipico proprietario che crede di possedere una cosa, non accorgendosi che invece è la cosa a possedere lui. Parole che da piccola non intendevo bene e che solo con l'età adulta mi sono divenute limpide. Quante persone dipendenti dalle cose! Schiavi degli smartphone, delle belle macchine, degli abiti firmati, degli oggetti esclusivi. Schiavi del sesso. Sì, anche una relazione umana può diventare una cosa.

Tuttavia nella situazione in cui adesso mi trovo, ho torto. Sono una donna, non più una bambina vittima dei bulli. Constatare di essere tuttora sottoposta all'odioso parametro di giudizio che mi si è applicato sin dalla tenera età, non è una attenuante al mio immaturo comportamento. È una sconfitta morale per me; non posso lasciarmi sommergere dalle emozioni e far scoppiare la furia che serbo dentro, solo perché non so fronteggiare con raziocinio qualcuno che mi dà un'etichetta senza conoscermi realmente.
Nonna ha sempre cercato di smussare questo lato irascibile di me; questa Sakura che esplode e che non conosce misura.

Sei una donna dai forti sentimenti Sakura. Ami molto e ti arrabbi con altrettanto trasporto. Le tue passioni rischiano di travolgerti se non riesci a controllarle.

Mi spiace nonnina, l'ho fatto di nuovo.
Devo scusarmi, assolutamente. Il mio stupido orgoglio si merita una strigliata. Deve rimpicciolire, esiliarsi in un minuscolo, recondito angolo di me, fino a pensarci due volte prima di presentarsi di nuovo.

Apro un po' di più la porta ed intercetto il proprietario di casa, curvo su di una bambina che si stropiccia gli occhi assonnati ed umidi di pianto. Deve avere fatto un brutto sogno.
Comincio a protendermi in un inchino di costernazione.

''E' permesso? Signor Uchiha volevo tanto scusarmi per il mio comportam...''

''FATA!''

Conosco quella voce!

Alzo la testa e dalla direzione del pavimento la punto verso colei che è di fronte a me.

''SARADA!'' - mi illumino d'improvviso. Quella è la bambina che ho incontrato in quel posto surreale, il mio ospitale rifugio dalla città! E io per lei sono stata una vera...

''FATA!'' - ripete lei sorridendo e sgattaiolando fuori dalle braccia che la stanno cingendo per venire verso di me.

Ci abbracciamo. Solo noi sappiamo quanto magico è stato il nostro incontro in quel mondo sospeso. Lei non è ancora in grado di tradurre le sue impressioni in pensieri chiari, come me, ma il nostro sentire è comune, ne sono certa. 

C'è un universo in cui il piano di un adulto diventa lo stesso di quello di un bambino? In cui il primo riesce a distaccarsi dal suo mondo di fatti concreti, razionali, temporali, per ridivenire infante e lasciarsi risucchiare dalla potenza immaginativa?
Pare di sì. È il mondo del dio Pan e delle fate. Il mondo in cui una donna ha trovato una mistica tregua dalle scadenze e dai ritmi asfissianti della quotidianità ed una bambina ha incontrato un essere fiabesco dai capelli rosa. È la dimensione che io e Sarada, per una manciata di minuti, abbiamo creato e condiviso.

Un momento.

Che ci fa qui?

Sposto lo sguardo dalla bimba e trovo il signor Uchiha che ci fissa con un'aria stupita. Sento di dovergli dare delle spiegazioni.

''Eheheh scusi per i miei modi da intrusa. Io e sua figlia ci siamo conosc...''

''Quindi sei tu che hai dato il fermaglio rosa a mia nipote?''
Nipote?

''Pensavo si trattasse di un pedofilo. Mi sbagliavo. Era una psicopatica''
Psicopatica? Ma come si permette?

''Lascia il tuo curriculum sul tavolo dell'ingresso. Ci vediamo questo pomeriggio. Ti contattero' per dirti dove e quando''
Eh? Ho ottenuto un colloquio di lavoro? Ma se fino a pochi secondi fa tutto stava volgendo dal male al peggio? Chi è lo psicopatico tra noi due?

''La ringrazio. Attendo la sua chiamata allora''

Ritengo opportuno non protrarre oltre quello strano e inspiegabilmente proficuo incontro e cerco di defilarmi da quella casa con la grazia che di certo mi è mancata nel farvi ingresso. Poso il foglio di carta da lui richiesto sul mobile dell'atrio e giro i tacchi verso la porta.
Ma prima sorrido rapidamente a Sarada, a mo' di saluto. Il suo volto gioioso, dimentico delle lacrime che ancora impregnano i suoi occhi, è quello del brio commosso che solo chi riesce a farsi semplice come un bambino può intendere. Il brio commosso che provo quando sento confusamente di essere piena di bellezza e gratitudine verso la vita che ha scelto me, tra le tante possibilità; che mi ha dato i capelli rosa, contro ogni probabilità.

Il brio commosso che avverto quando rimiro il blu del mare in un giorno di sole.
Blu come il colore che ho addosso. Blu come un miracolo.

 

Angolo autrice: Carissimi, vorrei ringraziare tutti coloro che hanno messo questa storia tra le seguite, le ricordate e le preferite! Mi piacerebbe sentire le vostre opinioni attraverso una recensione, in modo tale da avere un confronto diretto con chi legge e da farmi un'idea sull'indice di apprezzamento della fanfiction. In fondo si scrive su efp principalmente per godere del piacere di chi legge una propria storia! :)
Inoltre, da autrice alle prime armi, ho non poche insicurezze su questa trama, quindi sarebbe cosa bella avere un riscontro da parte vostra, positivo o negativo che sia, giusto per schiarirsi le idee!
Cercherò di postare il nuovo capitolo la settimana prossima. Vi saluto affettuosamente, un bacio da Hanasaku!

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Capitolo 3
*** Tentennamenti, possibilità, colpi d'occhio ***


Capitolo 3

 

Tentennamenti, possibilità, colpi d'occhio

 

Sin dalla tenera età Marie Curie si distinse per le notevoli capacità mnemoniche e per le eccellenti doti di apprensione . Soleva studiare nella biblioteca del collegio coi pollici dentro alle orecchie per non lasciare che i rumori disturbassero la sua concentrazione. E ci riusciva perfettamente. Gli altri bambini erano divertiti da cotanta severità e serietà. Un giorno, mentre era immersa nella lettura di un libro con un dito conficcato per orecchio, i monelli cominciarono a cospirare alle sue spalle. Costruirono una instabile piramide di sedie che, al primo spostamento di aria, sarebbe crollata. La ragazzina tutto ardore per il sapere, non si accorse di nulla. Al primo movimento del braccio, urtò il complesso traballante che aveva dietro, il quale cadde rovinosamente per terra, producendo un gran tonfo. Nemmeno i pollici incastonati nei canali uditivi della Curie riuscirono ad evitarle di avvertire il fracasso. Distolta dai suoi interessi e rendendosi conto di essere stata vittima di una burla, si alzò con gran dignità dal suo posto, prese il libro con sé e lasciò la sala, limitandosi ad esclamare un sufficiente ''Che idiozia!''. Si sistemò in una stanza più consona ai suoi bisogni e ricominciò a studiare.

Fu così che radio e polonio poterono essere scoperti: col lavoro sodo di una donna che, giorno dopo giorno, si dedicò alla scienza, non tanto per ansia di auto-affermazione, quanto per puro amore di conoscenza. Ciò che muoveva Marie Curie non era la sete di fama, ma solo la passione, l'assoluta dedizione ai suoi studi. Al cospetto dei suoi obiettivi, tutto per lei era una mera ''idiozia''.

Di certo io non intendo entrare in lizza per vincere un premio Nobel, ma ogni volta che la montagna da scalare diventa più ripida ed il sentiero più irto di insidie, penso alla determinazione di Marie Curie. Mi dico che se continuo a muovere i piedi, questi mi porteranno fino alla cima. Non importa quanti ostacoli debba affrontare: ciò che conta è continuare a camminare. Raggiungere il fine per me, è un imperativo categorico e ogni avversità non deve essere che un'accidentalità, una pura ''idiozia'', qualcosa che non deve farmi spostare lo sguardo dalla vetta a cui miro. È così che si realizza un sogno: non tanto per buona sorte, quanto per ferrea volontà.

Allora perché adesso mi manca il coraggio e non riesco a considerare il mio pseudo-colloquio di lavoro come ad un semplice impedimento del cammino? Perché non ce la faccio a qualificarlo come una ''idiozia''? Come mai al solo pensiero di rivedere il signor Uchiha sento tutta la mia fermezza venire meno e la voglia di fuggire e tentare di imboccare un percorso diverso si fa prepotente?

Forse è perché stamattina mi sono sentita stupida. Probabilmente è perché mi vergogno talmente tanto di quella parte di me che è venuta fuori qualche ora fa, da non volermene rammentare rivedendo la persona a cui incautamente l'ho mostrata.

Allo specchio ci si vuole rimirare quando si è magnifici, non quando si è orrendi.

Eppure devo farmi forza, decidere di andare incontro a quello che deve essere e che mi appella attraverso il mio Nokia 3310. Sul piccolo schermo posso leggere queste parole:

Ore 18.15, Tokyo Tower. S.U.

Solo un tipo che si firma S.U. sarebbe capace di scrivere un messaggio così ''essenziale'', che nemmeno la CIA quando dà disposizioni alle sue spie.
Vorrei tanto cedere all'impulso di darmela a gambe. Perché non posso, per una volta, essere vigliacca ed evitare di guardare la cima oltre la salita? È una tale seccatura che debba venirmi in mente Marie Curie attorniata dalle dannatissime sedie!

Inoltre mi chiedo: come è possibile che abbia ottenuto questo colloquio?

Già, perché se la baby-sitter fosse la tesi, io ne costituirei l'antitesi. Per quello che ho dimostrato stamattina, potrei essere definita la contro-tata. Se rimugino sulla bambinaia ideale, penso ad una donna di grande pazienza, stabilità emotiva, maturità.
Rispetto alle virtù sopra elencate, io mi sono presentata come detentrice dei corrispettivi vizi.
Ho manifestato nell'ordine: im-pazienza (ho suonato ossessivamente il campanello); in-stabilità emotiva (sono passata rapidamente dalla rabbia cieca e dalla violenza sulle cose, agli slanci di affetto apparentemente gratuiti verso una bambina); im-maturità (ho sbraitato davanti ad una persona, urlando di volere sapere il suo pensiero a proposito di una borsa contraffatta).

Perché un individuo che non ha esitato a definirmi una ''psicopatica'' vorrebbe darmi una chance per potenzialmente affidarmi la sua (forse non così) preziosissima nipote?

Ino direbbe che vuole portarmi a letto. E forse non avrebbe torto, dati i presupposti.
Se sapesse quali sono le fattezze del signor Uchiha, mi comanderebbe di buttarmi immediatamente tra le sue lenzuola, fingendo di ignorare che la sua amica è Sakura Haruno, quella da lei stessa definita la fan di ''sesso più cuore, sempre e solo fare l'amore''.
Lui sarà anche bello (...bellissimo, perfetto), ma io non sono incline ad alzare le mie sottane per così poco.

E poi tutto di lui mi mette a disagio. La bellezza palese, unita ad una triade di scortesia-scontrosità-sconvenienza. I suoi modi fanno di lui l'anti-amabilità per eccellenza; mentre il suo viso rapisce gli occhi di chi lo guarda in un'estasi di adorazione. L'elegante taglio dei suoi occhi, neri come pietra lavica al cui fondo si ha come la sensazione di potere scorgere il crepitio del fuoco; la delicatezza dei suoi lineamenti, di una finezza che madre natura - incline alle brutture e alle storture - concede solo a pochi eletti. E poi la sua voce. Così ferma, profonda e imperturbabile, sebbene la situazione avesse potuto facilmente indurla a tonalità più accese. Tutto di quell'uomo è eccezionale: dal suo aspetto di angelo scuro ai suoi atteggiamenti che di angelico hanno ben poco.
Avere a che fare con una persona del genere metterebbe in soggezione chiunque.

Va bene, a più tardi. Sakura.

È fatta ormai. Messaggio inviato. Il tempo dei tentennamenti è finito. Mille sedie possono cadere al suolo e, per un attimo, farmi sussultare. Io mi alzerò e con piglio risoluto esclamerò ''Che idiozia!''.

Velocemente metto un paio di jeans ed una maglietta bianca a righe blu. Prendo lo zainetto.
A quest'ora la borsa Dolce&Gabbiana starà bruciando in qualche inceneritore, sprigionando tutta la sua aura negativa (sì, me ne sono liberata finalmente!).

Salgo sul maggiolone giallo e durante il tragitto comincio a ripassare mentalmente le risposte che ho pensato di dare per fare colpo.

Amo moltissimo i bambini. I bambini sono il nostro futuro. Per un futuro migliore, voglio prendermene cura.

Che epiche scemenze.

Quelle che inizialmente mi sembravano buone argomentazioni, cominciano ad apparirmi gelatinose e traballanti una volta che le associo al viso dell'interlocutore a cui dovrebbero essere proferite. Il signor S.U. non apprezzerebbe queste sviolinate, farebbe un'espressione che manifesterebbe d'un sol colpo il suo prurito verso gli umani.
Devo rispondere in un altro modo. Sicuramente. Improvviserò e - forse - uscirà qualcosa di credibile. Di certo è opportuno evitare di confessare la vera ed unica motivazione che mi spinge a volere questo lavoro: un bisogno disperato di denaro.

Già dimenticavo, tra le qualità ideali della tata ci sarebbe anche il fatto che:

È motivata solo dall'amore per i fanciulli ed è convinta che quell'amore non abbia prezzo.

Perché ho ottenuto questo colloquio?

Arrivo al punto convenuto con una ventina di minuti di ritardo.
EGLI è già lì ad attendermi; ad abbagliare i comuni mortali con la sua epifania.

Uh magari vuole davvero portarmi sul suo materasso! - Io in preda ad una improvvisa tempesta di estrogeni.

Riabbassa le sottane che hai già mentalmente cominciato ad alzare, malafemmina! - Sempre io, in versione fan di ''sesso più cuore, sempre e solo fare l'amore''.

Intenta a scacciar via i miei carnali desideri, noto che il signor S.U. non è solo: c'è il suo tenero nero pulcino con lui. Non appena mi vede, Sarada comincia a saltellare entusiasta. Sono ancora troppo lontana per sentirla, ma dal labiale posso intuire quello che sta esclamando:

''F-A-T-A!''

Insieme formano il quadro più improbabile che si possa concepire. Un duo di esseri corvini agli antipodi del genere umano: lui, uomo dalla straordinaria bellezza torbida e dagli straordinari modi burberi; lei, pura, ingenua, eccitata per un nonnulla come qualsiasi bambino della sua età. L'eccezionalità e la semplicità che si tengono per mano e che reciprocamente rinviano l'una all'altra, nel gioco dell'esistenza che armonizza le contraddizioni.

Forse è per via del fatto che piaccio a sua nipote che sua eminenza mi ha concesso una udienza. Chissà perché ha la responsabilità della piccola...

 

Sarada comincia a correre verso di me e si avvinghia alla mia gamba. Io le pongo paternalisticamente una mano sul capo. Lei non immagina nemmeno che un'adulta come me, un essere magico ai suoi occhi, sia così lusingata di ricevere le sue attenzioni. Nessun bambino sospetta invero quanto piacere possa dare ad un ''grande'' l'essere visto sotto la luce incantata di chi guarda il mondo con occhi sognanti.

''Spero di non avervi fatto aspettare troppo''- Pronuncio la tipica formula di scuse che si dice in casi simili e che dà per scontata la comprensione e la cortesia altrui.

''Effettivamente sì.''
Quasi-scontata comprensione e cortesia altrui.

''M-mi dispiace, ho avuto qualche problema con la macchina'' – Mento. Il maggiolone si è comportato egregiamente, ero io che non riuscivo a decidermi sul da farsi.

''Muoviamoci da qui'' – Fa lui, col suo modo di fare naturalmente sgarbato.

Cominciamo a camminare. Sarada mette la sua mano dentro alla mia, felice di aver trovato una ragazza dai capelli rosa tutta per sé. Per fortuna è venuta anche lei. Nonostante la sua padronanza della lingua sia ancora piuttosto precaria – non ha nemmeno tre anni! – sono convinta che sia una compagna di dialogo più loquace del suo zio-misantropo.

In effetti il signor Uchiha non proferisce parola. Io e Sarada parliamo invece dei nostri amici. Io ho una migliore amica bionda e lei ha un migliore amico biondo. Io non esito a definire la mia ''folle'', lei non ha remore ad etichettare il suo come uno ''scemo''.

''Entriamo qui'' – Sua taciturnità indica un locale chic dedicato alle famiglie.

È un posto accogliente e gradevole. I genitori possono sedere in poltroncine di velluto a chiacchierare oppure recarsi nella zona drink per farsi un goccetto; i figli possono spassarsela con giochi di ogni sorta. Nella sala adiacente a quella in cui ci troviamo, ve n'è un'altra, separata dalla nostra da una parete di vetro, oltre cui posso scorgere un grande schermo che manda in onda anime per bambini.
Gli schiamazzi dei piccoli si uniscono al cicaleggio degli adulti. C'è confusione ed il mio accompagnatore non riesce a celare il suo fastidio per quell'ambiente caotico. Credo stia sacrificandosi per la gioia della nipote. Nipote che è prontamente partita verso il paese del divertimento. Vorrei avere venti anni in meno per potere scappare insieme a lei, che bellamente sta andandosene lungo la via che conduce agli scivoli, lasciandomi ostaggio dell'uomo nero.

Ci sediamo.

Adesso che siamo soli credo che inizierà la parte ''impegnativa'' dell'incontro. Mi decido a rompere il ghiaccio.

''Mi dispiace per il mio comportamento di stamattina signor Uchiha''

''In effetti non ho compreso il motivo della tua rabbia. Sapevi sin dall'inizio che non potevi essere idonea al lavoro, dato che evidentemente non hai più di cinquant'anni.''

''Cosa? Nell'annuncio non era specificato che bisognasse avere più di cinquant...''- Mi blocco.

Quella che nel momento del suo affacciarsi alla mia mente si era manifestata come pura ipotesi, diventa subitanea certezza. Adesso tutto mi è disgraziatamente chiaro. Quel +50 dell'annuncio non riguardava le ore mensili di lavoro. Era riferito all'età minima che bisognava possedere per presentare la propria candidatura.

Quindi non è stato per la borsa Dolce&Gabbiana che sono stata immediatamente scartata?

Sento che quello che era imbarazzo per la mia condotta mattutina si approfondisce sempre di più, arrivando ai suoi estremi esiti. Diventa vergogna, profondissima vergogna.
Se in questo momento potessi vedermi in uno specchio, credo che lo infrangerei in mille pezzi, perché non vorrei mai e poi mai rimirare il riflesso della mia faccia, che adesso mi apparirebbe orrida, inguardabile, insostenibile agli occhi.

Come faccio a continuare a reggere la conversazione con l'uomo che ha chiaramente scorto la mia bruttura?

Volgo lo sguardo verso di lui intenzionata a rinnovare le mie scuse.

Se gli occhi fossero lo specchio dell'anima, la sua sarebbe indecifrabile. In compenso le sue pupille sono lo specchio del mio viso. Io, che non volevo guardarmi in alcuna superficie riflettente, mi ritrovo dentro al suo nerume. Quasi mi sembra di essere inghiottita da quei buchi neri. Vorrei tanto che mi risucchiassero e che mi spedissero in un'altra dimensione, giusto per potere scomparire istantaneamente dalla sua vista.

Non faccio in tempo ad emettere un suono di costernazione che lui si alza di scatto. Lo vedo dirigersi verso l'area dei giochi. Sposto il mio sguardo verso Sarada. La colgo in una posizione che mi è familiare: faccia spiaccicata a terra, sedere all'aria, ginocchia sul pavimento. Quella bambina ha un talento naturale per i capitomboli! Ovviamente piange, ma solo per la paura: non si è fatta nulla, per fortuna. Stavolta la sua rabbia si dirige verso il pezzo di lego di cui lei non si è accorta e che avrebbe dovuto stare nella cesta dei giochi, non lì sul pavimento a tenderle un agguato. Vorrei alzarmi e dare il mio contributo, ma mi sento inchiodata e paralizzata sulla poltrona che mi ospita. Dopo aver realizzato fino a che punto stamattina sia apparsa sciocca, sento tutto il peso della mia stupidità schiacciarmi contro la seduta. E io non intendo sfidarla quella pressione, mi sembra più forte della stessa forza di gravità.

Dopo avere tranquillizzato la piccola, il signor Uchiha ritorna a sedersi accanto a me.

''Non posso toglierle gli occhi di dosso per un attimo. È un pericolo per se stessa, cade per terra in continuazione.''

''È normale per una bambina della sua età.''- Dico io meccanicamente. È la risposta più ovvia della terra. Lui è magnificente e io in questo momento sono più stupida della norma.

''No, è atipico. Anche io cascavo da bambino, ma non con la sua frequenza. Sarada è eccezionalmente distratta.''

''Cadere serve per imparare a rialzarsi''- Dico io, scimmiottando i motti della saggezza popolare. Ci manca solo che me ne esca con commenti su quanto sia bella la giornata di oggi per raggiungere la sommità della banalità.

''Sempre che non ti rompi l'osso del collo.''-Fa lui, deciso più che mai a non seguirmi lungo il cammino delle stupidaggini che mi escono dal cavo orale.

''Eheheheh, non succederà, stia tranquillo...''

 

Silenzio. Silenzio imbarazzante.

 

''Oggi è una bella giornata, vero signor Uchiha?''- Ecco, l'ho detto.

''Dammi del tu e chiamami per nome''- Ordina perentorio, mentre non distoglie gli occhi dalla sua nipotina.

''D-d'accordo''- Rispondo io, odiandomi per quella voce da timida scolaretta che mi è appena uscita.

La concessione del signor Uchiha non suona alle mie orecchie come la voglia da parte sua di abbattere il muro di estraneità che ci divide. Non mi sembra per nulla intenzionato a mettermi a mio agio, credo che mi abbia invitata ad essere meno formale solo per una questione di correttezza. In fondo lui, per una sorta di innato cipiglio superbo, mi ha dato sin dall'inizio del tu; mentre io, per una specie di inconscio timore reverenziale, gli ho dato subito del lei.
È stato naturale per me porsi ad una certa distanza, linguisticamente parlando. Se l'ho fatto non è stato di certo per via dell'età, dato che mostra di essere poco più grande di me.

''Se devo essere sincero, nelle ore che hanno seguito il nostro incontro, ero sempre più scettico riguardo alla tua persona. Non hai alcuna esperienza coi bambini. Mi sono informato. Posso dire di sapere praticamente tutto di te.''

''T-tutto in che senso?'' - Come può dirmi con così tanta spudoratezza di avere ficcanasato nella mia vita? Sono qui per un lavoro da baby-sitter, non mi sembra il caso di chiamare i servizi segreti e di redigere un fascicolo sul mio conto!

''Sakura Haruno. Ventiquattro anni. Nessun precedente penale. Sei nata a Takayama. Sei stata cresciuta da tua madre, parrucchiera di professione, e da tua nonna, un'ex istruttrice di karate. Quando avevi sette anni, tua madre ha venduto la casa in cui abitavate e vi siete trasferite nell'area rurale circostante. Hai frequentato le scuole con eccellenti risultati e hai poi deciso di venire a Tokyo per studiare. Ti sei iscritta alla facoltà di medicina e ti sei dimostrata l'allieva più promettente del tuo anno. La dottoressa Tsunade ti ha posto sotto la sua ala protettrice. Le tue finanze non bastavano a coprire le spese che dovevi sostenere, così hai cominciato a lavorare. Sei stata impiegata per tre anni presso lo studio dell'avvocato Makeda. Dato il suo pensionamento adesso hai la necessità di trovare un'altra occupazione ed è questo che ti ha portata da me.''

Resto senza parole. Come ha fatto nel giro di così poco tempo ad avere tutte queste informazioni su di me? Credo che nel momento in cui ritroverò la lucidità, sentirò il bisogno di fare nero anche l'esterno dei suoi occhi, ma adesso ho il cervello completamente ovattato.

Mi allarmo. Lui non avrebbe dovuto sapere il motivo per il quale ho l'impellenza di ottenere questo lavoro.
Sento risuonare in testa una delle imprescindibili caratteristiche della tata-ideale:

È motivata solo dall'amore per i fanciulli ed è convinta che quell'amore non abbia prezzo.

Non avrò mai questo impiego!

Tentando disperatamente di inerpicarmi su di una parete che è sempre più liscia, cerco un modo per rilanciare la mia immagine. Devo assolutamente far vedere di essere tagliata per questo lavoro, che non è solo il denaro l'unico mio movente. Col cervello in stato semi-comatoso, comincio a farfugliare qualcosa:

''A-amo moltissimo i bambini. I-i b-bambini sono il nostro futuro. P-per un futuro migliore voglio prendermene cura...''

Ecco, l'ho detto, Atto Secondo.

La faccia di chi mi sta di fronte ha dipinto un non esplicitamente proferito, ma chiaramente inteso ''Che epiche scemenze''. Mi guarda impassibile con aria di superiorità. Alza il sopracciglio.
Io ridacchio nervosamente.

Vorrei essere seppellita qui e ora da quella valanga di sedie che, cadendo, non erano riuscite a togliere la dignità a Marie Curie.

 

''C'è qualcosa che della tua storia mi ha lasciato perplesso...''- continua lui -''...hai rinunciato al denaro che tuo padre ti ha offerto come risarcimento per la sua dipartita. Considerata la tua situazione economica ed il fatto che quei soldi ti fossero dovuti, non riesco a spiegarmi il perché del tuo diniego.''

''Non capisco la correlazione tra questo personale episodio della mia vita e il lavoro per cui mi sta valutando.''-Rispondo io secca. Sarò ormai una stupida ai suoi occhi, ma che non creda di avere dinanzi una stupida senza orgoglio. Chi si crede di essere per pormi domande sulla mia vita privata così sfacciatamente?

''Non è per pura indiscrezione che te lo sto chiedendo. Riguarda la possibilità di essere assunta, per cui ti prego di rispondere con sincerità.''

''Continuo a non scorgere il nesso e a non vedere la necessità di mettermi a nudo più di quanto lei abbia già fatto.''

''Se rispondi ti sarà chiarita ogni cosa.'' - Nel dirmi ciò porta la sua mano dietro al collo. Sospira, abbassa il capo e chiude gli occhi. Sembra davvero nella posizione di chi sta chiedendo qualcosa suo malgrado.

Non ho idea di dove voglia andare a parare, ma decido di andare incontro alla sua richiesta. Con ritrosia, inizio a raccontargli, nel modo più distaccato di cui riesco ad essere capace, quella che per lui è la storia di qualcuno e che per me è la mia storia. Una storia che mi è costata lacrime, molte.

''Mio padre ha divorziato da mia madre quando avevo sei anni. Mi ha lasciata senza più farsi vivo. Ma questo lei lo sa di già. A diciannove anni, dopo avere fatto delle ricerche, sono andata a trovarlo nella sua casa di Osaka. Ad aprirmi la porta fu suo figlio. Non appena pronunciai il mio nome sua madre, ovvero la nuova moglie di mio padre, lo raggiunse sull'uscio e gli ordinò di andare in camera sua. Poi mi pregò non troppo gentilmente di non farmi vedere mai più. Una settimana dopo, ricevetti una busta. Era da parte di mio padre. Credevo contenesse delle spiegazioni, ma all'interno non vi era che del denaro. Sarebbe stato più che bastante a coprire le spese dei miei studi. L'unica cosa che mio padre si premurò di scrivere sul foglio contenuto in quell'involucro di carta fu: per il tuo futuro, sii felice...''

Giunta a questa parte del racconto, la mia voce, fino a quel punto calma e decisa, ha un fremito. Cerco di riprendermi dalla commozione e di non darla a vedere.

''...non me la sentii di accettare quei soldi. È vero, ne avevo una gran necessità per l'università e nessuno poteva dire che non mi spettassero. Ma non era quello che avrei voluto da mio padre. Così rispedii la busta al mittente.''

Nel retro del foglio ove era stato apposto l'augurio di un genitore che avrebbe dovuto essere anche un padre, scrissi ''Io sarò felice''. Ma questo dettaglio non è cosa che deve importare al mio uditore.

''Adesso che ha avuto l'informazione che mi ha richiesto, posso sapere perché sono stata indotta a dargliela, signor Uchiha?''

Risulto sorprendentemente pacata, nonostante per tutto il tempo del racconto ho avuto la paura di essere tradita dall'emozione aggrovigliatasi in gola e pronta a risalire su, fino a sciogliersi negli occhi. Ma sono riuscita a non apparire patetica e, paga del mio self-control, ho ritrovato una nuova solidità di spirito. L'essere stata messa così a dura prova da me stessa, mi ha dato fiducia nella mia possibilità di mantenere nervi di acciaio e di potere sostenere una conversazione con un tipo così fuori norma.
Finalmente si è fatta viva la Sakura determinata, quella che si guarda allo specchio compiaciuta di se stessa! Avverto di avere dismesso i panni della impacciata scolaretta e di avere rivestito gli abiti della eroina. Sento di essermi trasformata in Ygritte di Game of Thrones, la vichinga del fantasy. Lei sì che è una tosta!

''Ti avevo detto di darmi del tu e di chiamarmi col mio nome.''

''Lo avrei fatto, se tu mi avessi detto come ti chiami.''

''Come, non lo sai?!'' - Esclama lui, apparentemente sorpreso da quel fatto.

''Nel campanello c'era scritto solo Uchiha e nel messaggio ti sei a malapena firmato con le tue iniziali.''- Non capisco perché sia così stupito da questa mia ignoranza.

''Aspetta un attimo. Tu non sai chi sono io? Come fai a non conoscere un membro della famiglia Uchiha?''
Un membro della famiglia Uchiha. L'unico membro che riesco a riconoscere è il fallo gigante che sostituisce la tua testa!
Ma quanta boria può concentrarsi in un sol uomo?

''Non so nemmeno che famiglia sia quella degli Uchiha.''- Commento io con aria menefreghista.

 

''È incredibile che tu non sappia chi sia io, né da quale famiglia provenga. Non guardi la televisione?''
Quella giapponese no; quella turca, sì.

''Non molto, in effetti.''

''Sasuke. Sasuke Uchiha'' – afferma lui, schiarendosi la voce nel pronunciare quello che, a quanto pare, non è abituato a dire. Il suo nome.

''Ti ho chiesto di raccontarmi quell'episodio della tua vita perché mi interessava sapere quanto avida fossi di denaro. Per quel che riguarda la tua personale esperienza, pare che tu non sia una cacciatrice di polli da spennare. E questo, unito alla tua inaspettata ignoranza sul mio conto, mi fa ritenere che, di certo, non hai mai visto in me un pollo da spennare.''

L'unica cosa che di te vorrei spennare è quella specie di capigliatura a culo d'anatra che ti ritrovi in testa!

''Ma cosa stai dicendo? Io voglio lavorare onestamente, di sicuro non ho pensato di essere assunta per estorcerti del denaro! E poi com'è che avrei potuto riuscirci?''

''Chi ti ha preceduta ha cercato di farlo''- sogghigna lui - ''Si presentavano sempre giovani ed avvenenti candidate che cercavano di strumentalizzare Sarada per arrivare a me e coinvolgermi in una fruttuosa tresca amorosa. È stato per questo che sono stato costretto ad alzare il target di età. Le cinquantenni non hanno quel tipo di mire.''

Oh deve essere stato terribile essere stato assediato da giovani ed avvenenti candidate pronte ad aprire le gambe...

''Beh, io non sono quel tipo di donna. Mi piace ottenere le cose da me.''

''Mh. Vedremo. Voglio darti una possibilità.''

''Una possibilità?''- Apro gli occhi al limite della loro possibile dilatazione. Ha detto proprio P-O-S-S-I-B-I-L-I-T-A'?

''Da domani sarai in prova.''

La mia faccia deve essersi illuminata improvvisamente, dato che il mio interlocutore interviene immediatamente per placare il mio entusiasmo. Ma io sono investita da una nuova, potente ondata di iper-ottimismo e nulla in questo momento potrebbe demoralizzarmi.

''Non hai nessuna qualificazione e nessuna esperienza. Non dare per scontata la tua assunzione.''

''Io sarò all'altezza del compito, le sfide non mi fanno paura!''- Sì sono la guerriera Ygritte, pronta a far scoccare la freccia e a centrare il bersaglio!

''Il fatto di sapere chi sia tu mi tranquillizza. Ma conoscere tutto della tua vita, non è una condizione sufficiente per ottenere la mia fiducia.''

A questo punto sento prepotentemente il desiderio di affermare qualcosa che potrebbe andare a mio sfavore, ma che non riesco proprio a non dire:

''Tu hai avuto solo delle informazioni sul mio conto, ma quelle corrispondono al più a ciò che ho fatto e agli eventi che mi sono capitati. Non dicono nulla di chi sia io.''
Tu non sai niente, Jon Snow.

''...e – continuo - qualora sapessi che ruolo abbia la tua famiglia e quello che tu hai fatto in quanto Uchiha, nemmeno io saprei chi tu sia realmente. Noi non siamo quello che facciamo. Almeno non siamo solo quello. C'è molto di più in noi delle opere che possono figurare su di una lista di cose fatte.''- Concludo spavaldamente.

Lui si gira e mi guarda perplesso. Ma per me non è un semplice discorso ad effetto. L'ho detto con trasporto e con convinzione. Può sapere quali sono gli accadimenti della mia vita, ma fintanto che non conosce la vera Sakura e il suo modo di pensare, agire ed amare, non saprà nulla di lei.

''Come mai ho ottenuto questo colloquio? ''- La domanda che mi ha perseguitata per tutta la giornata, vuole a questo punto ottenere soddisfazione -''È stato per la faccia di gioia che Sarada ha fatto nel vedermi, vero?''

''No.''- Risponde lui secco - ''È stata per la faccia di gioia che tu hai fatto nel vedere lei.''

Colpita. Questa replica proprio non me ne l'aspettavo. Ogni tanto anche Ygritte può essere ammutolita da Jon Snow.

Sasuke comincia a guardarsi intorno in cerca della bambina. Non è più nella stanza in cui siamo noi, dunque deve trovarsi in quella accanto, quella in cui proiettano i cartoni animati. La sorprendiamo col viso incollato allo schermo. ''Incollato'' nel senso letterale del termine. Ha la faccia spalmata sul monitor del televisore, mentre dietro di lei, una platea di bambini protesta perché un testone nero impedisce una chiara visione al pubblico. Sasuke si affretta ad allontanarla da lì, sollevandola con le forti braccia.
''Quante volte ti ho detto di non metterti così vicino a quell'apparecchio? Hai una predisposizione straordinaria a fare cose che ti nuocciono!''

Marie Curie deve avere avuto diversi colpi di genio nella sua vita. Si sa, la carriera di una scienziata è scandita da intuizioni luminose, piccole o grandi che siano. Sono quelle che guidano alle grandi scoperte. Sono miracolosi ''colpi d'occhio'' che consentono di legare in un istante – un istante qualitativamente diverso dagli altri, perché rivelatorio – gli eventi apparentemente slegati che lo hanno preceduto. È l'attimo della chiarezza, quello che unisce nel disegno i pezzi del puzzle. È il momento dell'ipotesi, della creatività, del di più che solo l'intelletto dell'uomo è in grado di addizionare a fatti che di per sé sono spogli e senza logos. Il momento umano, profondamente umano, dell'attribuzione di senso.
Non credo che avrò mai le geniali intuizioni di Marie Curie, ma quello che mi sta visitando adesso mi sembra decisamente essere un ''colpo d'occhio''. Penso di potere aggiungere il mio di più al nudo fatto di una bambina che non si accorge dei sassolini, dei lego e che appiccica il suo viso sul monitor della tv.

''Saské-kun'' – Il -kun esce spontaneamente, pare che sia per tendenza naturale che voglia ergere delle barriere di sillabe che mi proteggano dalla vicinanza di quest'uomo.

''Che c'è?''

''Credo che Sarada abbia bisogno di un paio di occhiali.''

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** L'Utile e il Dilettevole ***


 CAPITOLO 4

 

L'Utile e il Dilettevole

Dialogo nel buio

 

 

 

“Deve essere per i geni di Izumi. Incredibile”

“Sicuro. Noi abbiamo sempre vantato dieci decimi”

“Itachi poi, è sempre stato lodato per i suoi occhi formidabili”

“Tuo fratello ha superato l'esame ottico per la patente di guida con lo stupore dell'oculista che lo ha visitato”

“Degno del mio nisan”

“Ricordo che una volta Izumi ha scambiato un geco per una lucertola”

“E' ovvio che è accaduto per problemi di vista”

 

Questo sconvolgente dialogo che sta giungendo in questo momento alle mie orecchie vede come protagonisti due individui affetti da autostima ipertrofica. Uno è il mio forse-datore di lavoro; l'altro, il suo ragguardevole genitore.

Tale padre, tale figlio.

La mela non cade mai lontano dall'albero.

Mai queste pillole di saggezza popolare mi sono apparse più veritiere.
Se si incontra Sasuke Uchiha e suo padre, si può avere modo di constatare che i dieci decimi non sono la sola caratteristica ereditaria degli Uchiha. Anche la superbia lo è. E anche il nero assoluto di tutti i loro peli corporei.
Pare che stiano cercando di trovare una ragione a ciò che a loro pare sorprendente: una Uchiha con gli occhiali. Il difetto genetico è stato prontamente attribuito ad un membro della famiglia acquisito, solo così si potrebbe – a loro dire – spiegare la stortura .
A me sta venendo il dubbio che fino ad ora gli Uchiha abbiano mantenuto pura la loro progenie unendosi solo tra fratelli e sorelle, un po' come facevano i Targaryen. Perché, a meno che non sia stato così, credo che quelle volte in cui veniva alla luce un Uchiha imperfetto (vuoi con un deficit di vista, vuoi con i piedi piatti, vuoi con un orecchio più a sventola dell'altro), per loro doveva costituire la spia di una triste e sensazionale verità: i geni del vile volgo potevano prevaricare sui loro, nonostante la suprema perfezione di cui erano portatori.

“Cosa c'è di cui stupirsi?” - Intervengo io innocentemente - “Nessuno dei miei diretti parenti aveva i capelli rosa, eppure io son venuta fuori con questa chioma!”

I due Uchiha interrompono momentaneamente la loro conversazione e mi guardano con un misto di irritazione e di stupore per via di una affermazione che ha osato insinuare che le leggi di Mendel valevoli per noi comuni mortali, possano applicarsi con la stessa leggerezza anche alla loro stirpe.

Cosa pretendono? Di avere geni non solo dominanti, ma anche dominatori? Che le scoperte di quel monaco agostiniano che armeggiava coi suoi piselli odorosi siano roba che solo raramente possa riguardare la loro nobile casata?

Sono le quindici e trenta e io risento ancora delle conseguenze di un pasto ingurgitato in fretta e che, per il nervosismo del momento, sta ancora riproponendosi ad intervalli regolari. Mi dico di restare calma, ma il mio apparato digerente non vuole saperne nulla delle argomentazioni razionali. Pascal molto finemente diceva che il Cuore ha le sue ragioni che la Ragione non conosce.
Io, che sono dotata di meno esprit de finesse, ritengo che, in questo frangente, sia il mio Stomaco a voler fare valere le proprie ''ragioni'' ad una Ragione - la mia - che invano tenta di aprire un dialogo con i piani inferiori. Pare proprio che non riesca a frenare lo straripante senso di nausea da prestazione che mi pervade.

Sasuke mi ha dato appuntamento a casa sua. Ed è qui che ho trovato il rispettabile patriarca Uchiha, il quale mi ha salutata con espressione assente e voce atona. Di sicuro la sociopatia del figlio non è stata elemento di stupore all'interno della famiglia, dato che è un chiaro retaggio paterno.

I due riprendono la conversazione, decidendo di ignorare la mia audace dichiarazione. Prego, fate pure come se non ci fossi.

“Come sta okaasan?”

“Come sempre. Trascorre i suoi pomeriggi andando a trovare Itachi ed Izumi. Non riesce ancora a farsene una ragione”

“Verrò con Sarada questa settimana”

“Mh”

Pronunciando quel mugolio che, per quello che ho avuto modo di recepire, nel linguaggio-muto di un Uchiha può significare un segno di assenso, così come di dissenso (sono le espressioni e le movenze corporee che danno modo di intenderlo), l'illustre genitore decide di porre fine alla sua visita e si dirige verso la porta.
Il fatto che la madre di Sasuke vada a visitare quotidianamente i genitori di Sarada, mi fa ritenere che si trovano a Tokyo. Allora perché non si occupano della loro bambina?

“Buonasera signor Uchiha, è stato un piacere fare la sua conoscenza”- Considerata la magnificenza di colui che ho dinanzi, per salutarlo, chino il capo e il busto formando un angolo di trenta gradi.

“Mh”- Fa lui, rispondendo a quella quasi-genuflessione che si è meritato, con un leggero cenno della testa.

Io deduco che nel sistema linguistico di un Uchiha, quel verso può essere impiegato anche in segno di saluto. È davvero un suono gutturale versatile!

Io e Sasuke restiamo da soli. Per l'apprensione, Ragione e Stomaco continuano a discutere ancora più animatamente e ognuno dei due cerca di fare valere le proprie ''ragioni''. Il Cuore detiene un monopolio ingiusto, anche lo Stomaco sa il fatto suo quando si tratta di emotività. E il reflusso gastroesofageo dovrebbe rivendicare la stessa dignità poetica della tachicardia.

“Sarada frequenta la scuola materna fino alle sedici e trenta. Hai l'incarico di andarla a prendere e di portarla a casa. Non ci sarò per tutto il pomeriggio. Rientro in casa stasera. Fino ad allora dovrai occuparti tu di lei”

“Puoi contare su di me!”- Affermo io con tono deciso, cercando di celare il nervosismo.

“Queste sono le chiavi dell'appartamento. Te le sto consegnando, ricordandoti che sei in prova e che al mio rientro sarà meglio che ogni cosa sia esattamente laddove l'ho lasciata”

“Non serve che me lo rammenti”- Rispondo io, irritata per quell'affermazione che allude alla possibilità che io sia una curiosona che fruga tra la roba altrui o - peggio - una ladra.

“Bene. Per qualsiasi esigenza sai già come e dove reperirmi. Ti ho indicato il numero di cellulare e l'indirizzo in cui mi trovo”

“E io non ho mancato di memorizzarli!”

Sasuke indossa il cappotto. Un indumento nero che gli si addice tanto quanto il mantello al conte Dracula. Adesso sembra un eburneo essere della notte.
Più si veste e più risulta sexy (non che senza abiti non debba esserlo); e la sua ombra è quasi abbagliante (quando si tratta di lui gli ossimori si sprecano).
Volendo svecchiare (e ridicolizzare) l'immagine dei vampiri, potrebbe essere perfetto nei panni di uno
dei due fratelli Salvatore - e non di certo nelle vesti di quello buono, comprensivo e magnanimo.

Sta per andare via.

“Della cena di Sarada me ne occuperò io” - Dico con tono professionale.

“Mh!” - Va bene.

“Vuoi che prepari qualcosa anche per te?”

“Mmmh” – Non disturbarti.

“D'accordo, buon lavoro dunque. A stasera.”

“Mh...” - A stasera.

Così, la versione borbottante di Damon Salvatore se ne va. Resto sola. Mi guardo intorno interessata. Le case sanno raccontare molto dei loro proprietari.
Definirei questo appartamento ''essenziale''. Che è l'aggettivo con cui l'architettura contemporanea traduce il profano ''spoglio'' ed il popolano ''vuoto''.
Ad una rapida occhiata non mi sembra di vedere elementi che possano manifestare l'animo di Sasuke Uchiha, che evidentemente non vuole trapelare né dai suoi occhi, né dal suo habitat domestico.
Mi trovo nell'ampia zona giorno. Un open space in cui l'area pranzo e quella relax sono contigue. Un trionfo di non-colori: questo è il reame del bianco e del nero. È tutto di gran classe e gusto e già mi pare di percepire l'inconfondibile odore delle cose-costose.
Lo stile dell'arredamento è occidentale, ma l'estremo rigore delle linee e la pienezza dei toni privi di qualsiasi sfumatura, riflette il senso estetico giapponese. Da uno sfondo bianco assoluto emerge, in forte contrasto, il mobilio nero. Non ho idea della tipologia di materiale che costituisce questi mobili, ma poiché sono una intenditrice di cose-costose, giudico che di certo si tratta di legno-fantastico.
L'ampio divano angolare posto al centro della sala e disposto davanti al grande televisore, è di una consistenza morbidissima. Ad una celere sniffata mi sembra fatto di pelle-fantastica, senza dubbio.
Il pavimento è così latteo e lucido che se mi scorgo, trovo il riflesso della mia faccia. Sembra di stare su di una lastra di ghiaccio su cui fare del pattinaggio artistico (lo spazio per piroette e avvitamenti non mancherebbe di certo!). Non ho mai visto un marmo così trasparente e rilucente. Marmo-fantastico.
Le pareti sono completamente libere da ogni ingombro, fatta eccezione per un grande orologio digitale. Nonostante non emetta alcun ticchettio, la sua presenza è incombente.

Ogni cosa è disposta in maniera così razionale che non si ha l'impressione che questo sia il teatro in cui scorrono delle comuni vite cariche di imprevisti e sorprese. Non sembra di stare in una casa vissuta, avente un Cuore pulsante oltre che ad una fredda Ragione che organizza lo spazio in maniera ottimale e rammenta il tempo che passa. Nessuna traccia che testimoni un qualche accadimento avvenuto tra queste mura (neppure una piccola ammaccatura su di un mobile o un graffio sul divano).
Pochi soprammobili posati sulle superfici e tutti aventi uno scopo ben preciso. Nulla che possa essere valevole per se stesso, a finalità puramente estetica o affettiva. Portaceneri, portacarte, portapenne, portaombrelli, portalumi...cose che servono ad uno scopo, che devono ''portare'' qualcosa. Non noto nemmeno una foto esposta, né un oggetto che possa aprire uno squarcio sull'intimità dell'uomo che qui dimora. Credo che ciò che vedo possa essere in linea con l'indole del mio datore di lavoro. Mi è parso un tipo dal temperamento flemmatico; un calcolatore. Una persona che include nel suo spazio vitale tutto ciò che può avere una qualche efficacia e che non si lascia convincere dalle pascaliane ragioni del Cuore.

E pensare che invece io sono una persona così diversa! Amo il colore; riempire della mia storia il luogo che mi accoglie; dare un'anima agli oggetti con cui condivido l'esistenza. Una borsa può essere un male di cui disfarsi; un tailleur un bene da custodire per sempre. Ecco come sono fatta io!

Se Sasuke Uchiha fosse l'Utile, Sakura Haruno sarebbe il Dilettevole.

Io penso che l'umano non possa trovare piena realizzazione nella pura logica; nella azione in vista di un tornaconto.
A volte mi chiedo se il
senso sia solo in ciò che è profondamente sensato. Credo di no. Io scopro il mio essere – il senso di me - nella pura dilapidazione; nelle dissipazione delle energie senza un perché; nella posizione di qualcosa che non mi arreca alcun vantaggio, ma che mi dà gioia disinteressata; soddisfazione dovuta al puro godimento provato.
In fondo l'umanità ha sempre dimostrato di non essere solo un tedioso ''animale razionale''. Ogni manifestazione artistica; ogni sentimento scaturito dalla vertigine del sacro; ogni stato di ebbrezza per i carnevali delle diverse epoche; ogni palpito provato per la bellezza di una poesia o di una composizione musicale, ha pienamente provato quanto l'essenza dell'uomo alberghi nel Dilettevole.
Anche il mio progetto di vita è scaturito dal sentimento. Se ho deciso di intraprendere la carriera medica non è stato per le ragioni della Ragione, ma per quelle del Cuore...

Salgo la scala di marmo-fantastico e mi ritrovo nella zona notte. Voglio dare una sbirciatina alle camere. Sì ok, sono proprio la ragazza che poco fa si è indispettita per l'allusione di Sasuke alla sua possibile ed inopportuna curiosità, ma chiunque in questa situazione si darebbe all'esplorazione. Apro una delle porte e mi ritrovo dentro ad una spartana stanza da letto singola. Pareti bianche, mobili neri. Portacarte, portapenne, portaombrelli. Che fantasia!

Nell'angolo individuo una grande cesta con giochi di strategia, puzzle, costruzioni, lego. È la cameretta di Sarada! Come si può riservare una stanza così anonima ad una bambina? Ma soprattutto, dove sono le bambole, gli orsacchiotti e i giochi che non servono a nulla, se non a divertirsi? Questi saranno stimolanti ed istruttivi - senza dubbio - ma quale bambina potrebbe deliziarsi costruendo un - vediamo che c'è scritto in questa scatola - cantiere in miniatura?!
E che spasso deve essere unire i pezzi di questo puzzle per ricavarne una
fedele immagine della Tour Effeil!

Immagino che suo zio stia lavorando alla creazione di una brillante carriera da ingegnere per lei. Potrebbe essere da lui cominciare a porvi le basi sin da ora.
Non credo che un tipo che si circonda solo di porta-qualcosa sia in grado di comprendere dell'inutile ed improducente Dilettevole. E credo altresì che sia molto lontano dall'intendere un concetto come quello di ''gratificazione della femminilità'' di una bambina. Capisco adesso perché Sarada si sia rivelata così bisognosa di rosa e di fate!

Do una occhiata all'orologio: è tardi, devo scappare. Salgo dentro al maggiolone e mi avvio verso la scuola materna. Mi posiziono davanti all'ingresso principale. Sono già presenti diversi genitori in attesa dei loro pargoli. Suona la campanella. Due maestre accompagnano un gruppo di bambini. Cerco di individuare una chiazza nera in mezzo alla mandria di piccoli scalmanati. Non faccio troppa fatica a scovare quel faccino dagli occhietti vispi su cui adesso troneggia un paio di sfavillanti occhiali rossi. Sarada è più allegra e dinamica del solito: grazie a quelle lenti, la nebbia che si frapponeva tra lei e il mondo si è finalmente dissipata. Vedendomi palesa il suo grande entusiasmo. Io la attendo oltre la soglia, desiderosa di donarle il rosa e le fate.
La saluto con un caloroso abbraccio che lei non manca di ricambiare. La prendo per mano e ci avviamo verso il maggiolone giallo. Lei guarda stupita quel catorcio dal colore vistoso.

“Questa è Maggie!”

“Maggie?”

“Sì! È la mia compagna di avventure! Mi ha portata in posti incredibili!”

“E dove ci potta oggi?”

“Vediamo. Io mi limiterò a tenere le mani sul volante. Il resto lo deciderà lei!”

!”- Sorride eccitata per il brivido di qualcosa che pensa possa sfuggire al mio e al suo controllo. Non vede l'ora di lasciare che un oggetto dotato di un'anima - quell'anima che suo zio non è avvezzo a conferire alle cose - la trascini in una avventura che possa nutrire di immagini e sensazioni la sua avida fantasia.

In realtà Sasuke aveva detto che saremmo dovute ritornare a casa. Ma non mi pare che mi abbia esplicitamente vietato di uscire con la piccola, quindi credo di potere agire di mia iniziativa.
Mentre io stessa quasi mi convinco che sia la macchina a decidere per noi la destinazione, Sarada mi racconta, nel suo modo incerto di padroneggiare le parole, delle peripezie di una bambina che frequenta la scuola materna. Deve essere sfiancante avere a che fare con coetanei che pretendono tutto per se stessi e che al più piccolo diniego, ti stampano una cinquina in faccia. Del resto i bambini assecondano gli impulsi: possono essere adorabili, così come violenti. E una scuola materna può trasformarsi in un quartiere di Sin City.
Pare che Maggie ci abbia portato nel luogo in cui io e Sarada ci siamo reciprocamente viste per la prima volta. Il luogo del caos panico; il regno del
Dilettevole, dove ogni cosa si sottrae al comandamento del ''lavora e produci''. Il posto in cui il Tempo non è tempo-per-porre-in-essere-qualcosa, ma è pura armonia con gli elementi. Il Tempo del Ritorno alle Origini.
Ci inoltriamo nella nostra magica dimensione antica. Mi siedo sull'erba. Il cielo, visto da quaggiù non potrebbe essere più buono, né la terra su cui sono adagiata, più confortevole.
Sarada poi, sta divertendosi un mondo con gli altri bambini.
Sono così affiatati, così contenti di avere ancora accesso a quel tipo di godimento che non si riesce a provare più quando si diventa adulti. Ricordo ancora l'adrenalina che mi inondava quando giocavo a nascondino e l'eccitazione mista alla paura di essere scoperta.
La piccola Uchiha è la degna ospite del dio Pan. Si sta scatenando. Corre, si nasconde, ansima per la fatica e l'entusiasmo. Ha le gote rosse ed è così piccola da potere sparire dietro al tronco di un albero. Un tenero bambino si avvicina a lei, per condividere il nascondiglio. Sono così briosi, sembrano due angioletti in un quadro idilliaco.

Adesso uno dei due adorabili puttini sta...

...prendendo a legnate Sarada?

Apro di più gli occhi per accertarmi che la violenza a cui sto credendo di assistere, si stia davvero consumando.

Sì: il ''tenero'' bambino sta pestando di brutto Sarada.

Mi alzo e comincio a correre per fermare quella zuffa che sta trasformando il nostro pacifico mondo in una strada di Sin City. Ci manca solo che la bambina che mi è stata affidata arrivi a casa con gli occhi neri nel mio primo giorno da baby-sitter!
Allontano il teppistello dalla malcapitata vittima che, a parte il pianto disperato, sembra essersela cavata senza nemmeno un graffio. Dopo una bella ramanzina, consegno alla madre il bambino e ritorno da Sarada che nel frattempo ha smesso di piangere. È seduta sull'erba, con gli occhiali storti sul volto, i capelli scompigliati, gli occhi ancora imperlati di lacrime e il moccio che le cola dal naso.
Prendo il fazzoletto dalla tasca e comincio ad asciugarle la faccia. Il suo visino è così spaurito ed è così ingiusto che qualcuno debba metterle le mani addosso. Che rabbia. Devo consigliarle di evitare i litigi e di scappare quando c'è il rischio di prendere mazzate. Soprattutto perché lei è più debole della media dei bimbi della sua età e non può che avere la peggio.

“Non devi piangere. Devi essere forte e difenderti dai prepotenti!”
Non era esattamente questo, ciò che avevo intenzione di dirle...

Lei mi guarda stupita per quell'inatteso incitamento alla violenza. Cioè, non alla violenza...alla difesa legittima a suon di pugni, più che altro.
Non paga di quel discorso che nessun adulto di buonsenso avrebbe proferito, rincaro la dose:

“Le donne devono essere forti se vogliono sopravvivere! Shannaro!”
Ti insegnerò la via del karate bambina e avrai il P|O|T|E|R|E (di garantire la tua incolumità, sia chiaro!).

Anche io sono stata più volte malmenata da bambina, non me la sento di dirle che deve subire; che deve accettare la legge del più forte e chinare il capo. E nemmeno che deve scappare come un coniglio. Giammai! Se qualcuno osa pensare di poterle mettere i piedi in testa, deve fargli capire che ha sbagliato bersaglio. Le donerò le conoscenze che ho ricevuto a mia volta dalla temibile maestra di karate di Takayama. Nonna Chiyo!

Dopo la piccola parentesi di sangue, il pomeriggio continua a scorrere tranquillo. Prima di rincasare, ''Maggie'' decide di fare una piccola deviazione. Ci fermiamo di fronte ad un negozio che prepara squisiti melonpan e ne compro qualcuno. I dolci sono la mia passione e Sarada mostra di pensarla esattamente come me. Non mi aspettavo che un pancino così piccolo potesse contenere un intero panino dolce! Credo che i bei propositi di nutrirla con una sana cena siano per oggi sfumati...
Finita la breve sosta, saliamo nuovamente in macchina, pronte a far ritorno a casa. È ormai sera e tra un po' Sasuke arriverà. Sistemo la piccola sul sedile posteriore e mi rimetto al volante. Dallo specchietto retrovisore posso vedere i suoi occhietti diventare pesanti. È stanca e sazia, si sta per addormentare. Giro le chiavi per mettere in moto e...

Il maggiolone non parte.

“No, no, no...ti prego, non farmi questo, non oggi!”

Dopo vari tentativi e colpi sullo sterzo (a volte penso che ''Maggie'' non abbia solo uno spirito, ma che sia anche un essere senziente); molte preghiere agli dei, investiti poi da altrettanti vituperi, decido di prendere la metropolitana.
Sarada è ormai in piena fase rem. La accolgo tra le mie braccia e comincio a camminare.
Andrà tutto bene...è solo un piccolo imprevisto. Sasuke non saprà mai che la baby-sitter che forse assumerà, gira con la sua nipotina, di sera e a piedi, per le vie della città.
Ma non faccio in tempo a rinfrancare il mio spirito di rosee prospettive, che queste si eclissano e si fanno nere. Nerissime.
Un pensiero terrificante mi assale: non ho i soldi per fare i biglietti! Quei pezzi di carta salvifici li ho scambiati per dei melonpan che adesso si trovano nel mio zainetto e che non sembrano più essere così succulenti!
Cosa devo fare? Chiedere un passaggio a qualcuno è fuori discussione e nemmeno tentare di fare l'intero percorso a piedi...casa Uchiha è troppo distante, più che una ''passeggiata'' sarebbe un cammino di Santiago!

Il luogo in cui lavora Sasuke è a due passi da qui. Potrei raggiungerlo.

No, ci deve essere un'altra alternativa.

Non c'è.

Rischio di perdere il lavoro, ma in ballo c'è la sicurezza della bambina e non posso fare pazzie. Spiegherò la situazione allo zio e vedrò di fargli chiudere un occhio sulla storia della tata-che-porta-a-spasso-sua-nipote-quando-le-era-stato-detto-di-rimanere-in-casa-e-che-gira-per-la-città-spendendo-i-suoi-pochi-denari-e-restando-con-le-tasche-vuote.

Esposta così la mia situazione non suona come il male. Suona come il peggissimo.
Inventerò qualcosa, ma intanto è bene muoversi.
Arrivo nel punto indicatomi da Sasuke. Un enorme grattacielo mi si presenta davanti. C'è un grande cartello con un simbolo che mi sembra familiare. Dov'è che ho già visto quel ventaglio rosso e bianco? Ah già! Quello è il rinomato logo di una delle più importanti multinazionali del Giappone che produce oggetti utili per la casa. La ''Uchiha Corporation''!

 

                        ...

 

       Uchiha Corporation
     
    Uchiha  
Corporation

 

  Uchiha Corporation

 

Avevo pensato a diverse possibilità. Che Sasuke Uchiha fosse un attore figlio d'arte oppure che la sua famiglia fosse composta da politici di un certo livello. Poi, vedendo il borioso atteggiamento dei membri della luminosa casata, avevo addirittura fantasticato sul fatto che la vecchia famiglia imperiale giapponese fosse stata sostituita da quella dei divi dai capelli neri. Nessuna di queste opzioni si è rivelata corretta.
Gli Uchiha sono quelli della
Uchiha Corporation! Quelli che producono lussuosi porta-qualcosa a livello globale! L'orgoglio del capitalismo giapponese; l'emblema contemporaneo dell'Utile!
In pratica il padre di Sasuke è il re di Cose-Landia!

Entro all'interno dello stabile e mi accorgo che è quasi deserto. Forse Sasuke è già sulla via di casa. Sarebbe un disastro se fosse così!
Nell'ampia sala di ingresso, intercetto il receptionist che sta indossando il suo impermeabile, pronto ad andare via.

“Mi scusi, cerco Sasuke Uchiha”

“È molto tardi. Ha un appuntamento per caso?”

“No, sono la baby-sitter di sua nipote...è una emergenza”

L'uomo guarda Sarada e sembra riconoscere in lei una degli Uchiha - avrà anche gli occhiali, ma i peli neri sono l'inconfondibile esito della dittatura dei loro geni.

“Ho visto il signor Uchiha scendere nel piano sotterraneo. Probabilmente deve consultare qualche documento ed è andato nella stanza degli archivi. Si trova infondo al corridoio”

“La ringrazio, le auguro una buona serata.”

A passo sostenuto mi dirigo verso il luogo indicatomi.

Stomaco e Cuore sono in tumulto. Ognuno ''batte'' il suo ritmo biologico esprimendo bene quello che è il mio stato emotivo. La povera Ragione si trova emarginata in un angolino. È impossibile per lei vincere una lotta impari contro gli organi che più di tutti si fanno sentire quando si è agitati.
Inoltre, sento le braccia divenire pesanti. Sarada può sembrare piccola e minuta, ma dopo una buona camminata, sto rivalutando le sue proporzioni. Ha fatto dell'incavo presente tra collo e spalla, una comoda sede per la sua testolina. Anzi, per il suo testone. Sento le mie ossa diventare cartongesso sotto al peso di quella che mi pare essere una boccia di piombo.
Si è totalmente abbandonata al suo giaciglio, incurante del fatto che è fatto di carne e muscoli doloranti. La sento respirare regolarmente, immersa in beati sogni. Con la coda dell'occhio guardo il suo viso. Sembra così indifeso. È commovente constatare quanto si sia rimessa a me senza riserve, nonostante le condizioni avverse al suo sonno. Percepisco che non è solo per la stanchezza che riesce a dormire con una tale profondità. Avverto di avere la sua piena fiducia. Sapere che lei conta su di me talmente tanto da lasciarsi andare all'inconscio, aumenta il mio senso di responsabilità. Di dolce responsabilità.

In fondo le mie braccia non fanno poi così male e la mia spalla è forte abbastanza da reggere la sua testa capelluta...

Percorro il buio corridoio al termine di cui intravedo una luce provenire da una stanza frontale.
Cosa posso dire a Sasuke?

...

Ci sono! Riferirò che Sarada aveva voglia di fargli una sorpresa! La piccola dorme, quindi non c'è pericolo di venire impietosamente contraddetta.

Busso sull'uscio socchiuso, ma non ottengo risposta. Timidamente entro all'interno della sala. Diversi scaffali e librerie pieni zeppi di scartoffie. Non vedo nessuno. Sto per fare dietrofront, quando percepisco un suono: il fruscio di pagine che vengono sfogliate. Aguzzo la vista.
Dietro ad una libreria posta trasversalmente per dividere in maniera ideale la stanza in due zone, lo vedo. Assorbito nella lettura, con quel suo cappotto scuro e con l'incarnato ancora più pallido di quando l'ho lasciato.
È stanco ed è bellissimo.

In preda allo scompiglio interno, combino due sillabe in un significato:

“Eilà!”
Ho proprio detto ''ei-là''?

Lui alza la testa di scatto e sgrana gli occhi. È evidentemente sconcertato di vedermi in quel posto.

Forza, rifilagli la storiella di Sarada che voleva fargli una sorpresa! - La Ragione

Sei spacciata!! - Il Cuore

Sei spacciata. E stai per vomitare il melonpan. - Lo Stomaco

Sasuke Uchiha si alza e si approssima a me. È sempre più vicino. Incatena i suoi mefistofelici occhi ai miei. Pericolo, pericolo!

“Che ci fai qui con mia nipote?”

È di nuovo Damon Salvatore ed io sono una delle sue povere vittime sotto compulsione mentale. Mentire sembra una impossibilità.
Ti dirò tutto quello che vuoi sapere e dopo mordimi anche.

“La macchina si è fermata e sono rimasta a piedi per strada. Non avevo soldi per acquistare i biglietti della metropolitana perché li ho spesi per comprare dei melopan a Sarada, al posto di prepararle una sana cena.”

Stupida! - La Ragione

Stupida!! - Il Cuore

Stupida. E stai per vomitare il melonpan. – Lo Stomaco

Almeno ho raggiunto la concordia interiore.

La faccia del mio interlocutore si incupisce considerevolmente.

“Non mi sembra di averti detto che saresti potuta andare a zonzo con mia nipote”

“No-non credevo che non avrei potuto farlo...Sa-Sarada si è divertita moltiss...

Buio improvviso.

“Cos'è successo? Un black-out?”- Affermo allarmata

Sento correre Sasuke da qualche parte. Il rumore di una maniglia bloccata giunge alle mie orecchie.

Sbam, sbam, sbam

“Aprite! Ci sono ancora persone qua dentro!”

Silenzio assoluto.

“Maledizione! Sono tutti andati via ed hanno staccato la corrente”

Io sono sempre più agitata, ma tento di essere razionale.

“Non c'è nessun problema, no? Possiamo chiamare qualcuno col cellulare e chiedere di venire in nostro soccorso”

“Qui dentro non c'è campo.”

“Co-come? Non mi dire che dobbiamo passare la notte in questa buia stanza!”

“Non abbiamo alternative”

Le mie gambe si afflosciano e sento mancarmi l'aria nei polmoni.
Una notte qua dentro? Al buio? Con l'uomo più misantropo del globo che è pure adirato con me? Non vivrò abbastanza da raccontarlo ai miei figli. Perché non vivrò abbastanza per avere dei figli! Morirò inghiottita dall'ansia, stanotte.
Il mio respiro si fa sempre più difficile.

“Adesso cerca di non agitarti.”

Sento delle mani posarsi con delicatezza sul mio braccio. Come ha fatto a raggiungermi nelle tenebre? Cos'ha gli infrarossi negli occhi?

“Rilassati.”

La sua voce ha una tonalità diversa. È sempre ferma e decisa, ma colgo al suo fondo una inaspettata morbidezza. Credo che Sasuke abbia percepito in me una crisi di panico pronta a scatenarsi.
Lentamente mi guida nell'oscurità. Si ferma d'improvviso e tocca le mie spalle, inducendomi ad abbassarmi. Io non capisco, ma nello stato di confusione in cui verso assecondo il suo volere senza emettere un fiato.

Mi siedo su qualcosa di soffice che ha anche una spalliera. Una poltrona?

“Ci toccherà aspettare qui fino a domattina, per cui tanto vale mettersi comodi”

Si è appena seduto al mio fianco. Deglutisco. Non era una seduta singola, accidenti...

Qualcosa viene posto sulle mie ginocchia.

“Dammi Sarada, la tengo io”

“N-no, potrebbe svegliarsi. S-se si accorgesse di questa situazione, avrebbe paura. ”

“Mh. Cerca di coprirla col cappotto allora”

Deduco che quello che è stato poc'anzi adagiato sulle mie gambe è l'indumento che Sasuke si è sfilato per tenerci al caldo. Ma ciò che più ci avvolge è la fitta oscurità. La stanza è sotto il piano terra. Sembra di fluttuare nello spazio siderale.

“Tsk. È incredibile che non si siano accorti di noi”

“Prima anche io ho fatto fatica a scorgerti. E poi è troppo tardi per pensare che qualcuno lavori ancora...” - Spero che domani abbia pietà di colui che ha avuto l'ardire di chiuderlo qua dentro e che di sicuro passerà un brutto quarto d'ora.

“Non saresti dovuta uscire con Sarada”
Male. Credevo che la situazione di emergenza avesse posto in secondo piano il mio reato.

“N-non pensavo che le cose sarebbero andate in questo modo. E poi ha passato un bel pomeriggio...”

“Non si addormenta mai con nessuno. La sera aspetta me per prendere sonno. È sorprendente che si sia assopita con te”
Davvero? Che stia per essere assolta?!

“È incredibile che abbia scelto una persona così irresponsabile di cui fidarsi”
E ti pareva! Sta per giungere la sentenza di morte...

“Mi licenzierai, vero?”
Vai boia, scaglia un colpo secco e non sbagliare il punto!

“Non posso...”
Grazia in extremis! Ma il personaggio mi sembra un pelo OOC...

“...perché non ti ho ancora assunta. Sei solo in prova.”
Adesso c'è l'IC! Non poteva che essere un boia sadico!

Cerco di abbandonarmi al divano, ma avverto qualcosa che si frappone tra me e lo schienale. È lo zainetto con dentro i melopan. Potrei rigurgitare al solo pensiero di addentarne uno, ma forse Sasuke non è dello stesso avviso, dato che deve essere a stomaco vuoto.

“H-ho dei panini dolci con me...ne vuoi uno?”

“Non amo lo zucchero.”

“Ma qualcosa devi pur mangiare...resteremo qui fino a domattina...”

“Mh.”

È un sì o è un no?
È buio pesto e non vedo le sue espressioni facciali, come posso capire se quel mugolio sta per assenso o dissenso?
Aiutandomi con una mano, mi libero del mio zainetto frugandovi dentro. Porgo audacemente una pagnotta a Sasuke e...quel ''Mh'' stava per un ''sì''!

“Non ti facevo un tipo che spende i suoi averi per dei dolci, restando a corto di denaro per i biglietti della metropolitana”

“Eheeheh non rivanghiamo più l'accaduto! Piuttosto pensa che grazie a me non stai passando la notte da solo e a stomaco vuoto...”

“Voglio dire: leggendo la tua biografia ho immaginato che fossi una persona che considera sempre le possibili conseguenze di un atto illogico”

“Cuore e Stomaco desideravano un dolce per festeggiare il mio primo giorno di prova e ho deciso di soddisfare il loro desiderio! Per me e Sarada è stato un bel pomeriggio”

“Ma non ne è valsa la pena”

“Certo che sì! Col senno di poi, mi sono accorta di avere fatto una idiozia, certo, ma mentre io e lei assaporavamo insieme il melonpan, abbiamo provato attimi di semplice contentezza”

“Tsk...Come se fosse una cosa importante”

“Lo è stata!”

“Ma converrai sul fatto che assecondare le voglie del momento sia da stupidi, dato che può creare risvolti problematici”

“Ne convengo. Però credo che a volte valga la pena rischiare di essere sciocchi. Se si è troppo proiettati sul futuro, ci si perde il presente. Ed in fondo il presente è tutto ciò che abbiamo. Sempre.”

“Beh, non mi sembri una che vive solo di attimi presenti. Mi è parso di capire che la tua vita ruota intorno ad un progetto molto nitido”

“Sì voglio a tutti i costi diventare una ginecologa. Ma il domani che sogno, non mi impedirà di godermi l'oggi. Cerco di non confondere il ritmo della lancetta che segna i secondi, con quello che scandisce i battiti del mio cuore”

“Che vuoi dire?”

“Che il tempo che mi è stato donato dalla vita intendo viverlo bene. Non voglio spenderlo, come se fosse una moneta con cui comprarmici il sogno del domani. Voglio che sia un bene in se stesso”

“Io la penso in modo diverso”

“Lo so!”

“Come fai a saperlo?”

“Dall'arredamento del tuo appartamento. E dal grande orologio che c'è nel salone”

“Cosa avresti dedotto da così pochi elementi?”

“Che tu sei l'Utile ed io il Dilettevole!”

“Non mi sembra che tu sia una incline al diletto, dato che hai scelto di frequentare un corso di medicina all'università più prestigiosa del Giappone. Sei una calcolatrice tanto quanto me”

“Sicuro...è inevitabile fare dei conti. Ma se penso all'organo che più ha determinato il corso del mio destino, non penso alla Ragione calcolante, ma al Cuore. Non voglio diventare ginecologa per manie di affermazione, né perché credo possa arrecarmi dei vantaggi; bensì perché avverto che in questo modo posso rispondere ad una specie di chiamata. Sono stata tirata su dalle donne e come missione di vita, ho deciso che voglio assisterle in un evento che per me ha del miracoloso. È questo piacevole pensiero che dà senso alla mia scelta e che rende felice il cammino”

...

“L'altra volta hai detto che non so chi tu sia”

“L'ho detto”

“Potresti cominciare a dirmelo.”

L'oscurità ha smesso di opprimermi. Sento addirittura che, al posto di costringermi, sia pronta a darmi una inaspettata chance. Percepisco Sasuke vicino e non solo perché è seduto accanto a me. È come se il buio stesse sciogliendo le forme con cui ci siamo mostrati l'uno all'altra alla luce; come se stesse eliminando le barriere del visibile, ponendoci a diretto contatto.
Ho sempre pensato che la notte fosse perfetta per rivelare le essenze. Forse la vera conoscenza si dà nell'ombra, al riparo dallo sguardo presuntuoso che tutto crede di potere cogliere e intrappolare. Ciò che v'è di più autentico probabilmente si offre all'udito e non alla vista. Mi chiedo se l'ascolto della parola di chi ci sta di fronte ci avvicini di più di quanto sappiano fare gli occhi. Due sguardi che si incatenano possono di certo creare una forte intimità. Ma non possono farlo anche due voci che si intrecciano nel buio?

“C'è un motivo per il quale mi chiamo Sakura.”

“Immagino che sia per i fiori di ciliegio. Ricordano il colore dei tuoi capelli.”

“Ti sbagli. Sono nata prima del compimento dei canonici nove mesi. Ero molto debole e rischiavo di non farcela. Mamma mi paragonava agli effimeri fiori degli alberi di ciliegio; bellissimi, ma pronti a volare via al più flebile alito di vento. Nonna però la pensava diversamente. Mi ha sempre raccontato di come, guardandomi all'interno dell'incubatrice mentre lottavo per vivere, avesse avuto il sentore della mia forza. I miei polmoni tentavano di aspirare tutto l'ossigeno che riuscivano a prendere, mentre il mio petto si alzava ed abbassava smaniosamente, avido di vita. Nonna disse che ero una guerriera; che avrei combattuto e che, se mi fossi staccata dall'albero, lo avrei fatto non con la vanità di ciò che è caduco e transeunte, ma con l'onore di un samurai. Il nome che mi è stato dato, è stato scelto perché i fiori di ciliegio sono quelli che si associano ai gloriosi guerrieri del Giappone. Le loro esistenze erano precarie, è vero; ma la loro forza interiore e il loro coraggio sono giunti sino ai giorni nostri. Sono eterni quanto il rinnovarsi della primavera. Da questa prospettiva, i fiori di ciliegio non mi sembrano poi così fragili. Io una combattente lo sono stata sin da quando sono nata. E nonna Chiyo mi ha forgiata insegnandomi la sublime arte del karate, eheheh”

La notte sta definitivamente sfaldando l'involucro che di giorno si offre agli occhi degli altri. Sento come si mi stessi togliendo i vestiti. Non provo nessuna vergogna perché questa nudità che gratuitamente si sta offrendo alle orecchie di Sasuke Uchiha non ha nulla di osceno. Non è impudica. È un dono; il dono che di me sto facendo ad uno sconosciuto. Non c'è ragione alcuna per la quale sto decidendo di raccontarmi: è puro, magnifico Dilettevole. Dilapidazione senza un perché. Comunicazione che è pura apertura all'altro, senza riserve e gelosie del proprio Ego. Parola che viene alla luce e che manifesta quanto di più vero c'è in quel che di norma custodisco nell'intimo. È dolce vulnerabilità figlia di una scelta compiuta senza calcolare danni e benefici. È solo per l'ebbrezza di confessarmi alla notte e all'ospite che vi soggiorna dentro, seduto al mio fianco. Non ho timore di favorire il mio interlocutore, perché non è l'avversario. È l'uditore, colui che sta ricevendo qualcosa da me, che non pretendo niente in cambio. Lui non si sta avvantaggiando ed io non mi sto indebolendo. Entrambi ci stiamo arricchendo. Quello che gli sto dando, è mio per sempre.

“Sono stata una bambina che ha sofferto molto per l'abbandono di suo padre. Ho desiderato tanto essere abbracciata da lui, almeno quanto poterlo avere di fronte per prenderlo a schiaffi. In quei momenti l'insegnamento di mia nonna mi è stato di grande aiuto”

“...il karate?”

“La Comprensione. Hai creduto davvero che potessi prendere a sberle mio padre?”

“Per un attimo ho temuto il peggio.”

“Beh, non che non avessi desiderato sfogare la rabbia con la violenza, ma la pratica del karate presuppone una certa filosofia e un forte rigore etico. Non serve per ottenere una vendetta egoista. E poi non è così che sono diventata la persona che sono oggi. Nonna ha placato il mio rancore parlandomi dei miei genitori. Grazie a lei, ho capito che mio padre mi ha lasciata non perché non tenesse a me, bensì perché era un uomo molto fragile che non riusciva a gestire gli alti e bassi di mia madre. In casa l'atmosfera era sempre assai tesa e i miei genitori litigavano spesso. Mio padre si sentiva un inetto, col lavoro aveva collezionato un fallimento dietro l'altro. Se penso ai suoi occhi, rivedo quelle pupille tristi e cariche di vergogna per la persona che era divenuto. Un uomo la cui debolezza era un fardello troppo grande da portare. E infatti è stato schiacciato da quel peso. Abbandonandomi ha arrecato tanto dolore a me almeno quanto ne ha provocato a se stesso. Non ha giustificazioni agli occhi degli altri, ma io l'ho perdonato. Provo tenerezza e dispiacere per lui. In fondo quello che ha ottenuto costruendo una nuova famiglia non è un vero riscatto da una vita di miserie. È solo una fuga e lui deve avvertirlo distintamente. Credo che non farà mai nulla per emendare la sua colpa. E anche se cercasse di redimersi, rimarrà sempre un padre che ha lasciato la figlia. Il suo gesto lo ha condannato per sempre. Io ho superato il lutto della perdita e ho perdonato i suoi errori. Sono una persona risolta, mentre lui non potrà mai esserlo...”

Sasuke ascolta pazientemente. Le sue orecchie non sono curiose. Sono spalancate come mani che non si ritraggono perché sanno di stare ricevendo un regalo che gioiosamente si porge loro.

“A scuola fui vittima di episodi di bullismo. Ero troppo povera per essere percepita dagli altri bambini come una loro pari. E allora l'insegnamento di mia nonna mi fu di nuovo molto utile”

“La comprensione?”

“Il Karate! Sono una guerriera, non una santa!”

“...”

“Guarda che anche se non ti vedo percepisco il tuo disappunto. Il karate serve per la difesa personale, mi è parso più che giusto rispondere ai pugni improvvisati con pugni bene insegnati. Nessuno ha più osato sfiorarmi con un dito”

“Avevo intuito che dovevi essere una persona molto forte”

“Sul serio?! ♥ E come hai fatto?”

“Da come hai spinto la porta dall'esterno durante il nostro primo incontro.”

“...”

“Che c'è?”

“Nu-nulla, quella è una storia che preferisco dimenticare...”

Parlare di me senza alcuna inibizione è una esperienza liberatoria. C'è un volto davanti a me. Un volto che si presenta mentre si assenta. Non lo vedo, ma ho la certezza che mi sta fissando con occhi che sebbene siano ciechi alla mia figura, non lo sono al mio spirito. Non gli chiederò di parlarmi di lui a sua volta. Non voglio un contraccambio per quello che gli ho offerto.
Ma c'è una cosa che mi preme sapere.

“Saské-kun”

“Mh?”

“Perché i genitori di Sarada non si prendono cura di lei?”

“Sono morti.”

 

“Mo-morti?! Ma ho sentito che tua madre va sempre a trovarli!”

“Va a visitare le loro tombe.”

Resto impietrita all'ascolto di quella verità raggelante. Gli occhi mi si riempiono di lacrime. Non faccio nulla per frenarle, dato che posso beneficiare dell'oscurità per nasconderle.

Sarada.

Così piccola che può sparire dietro al tronco di un albero; che è felice perché indossa finalmente gli occhiali; che mangia un melonpan insieme a me; che si fida della sua tata tanto da addormentarsi in braccio a lei.
Sarada non ha più una madre ed un padre.
La stringo più forte e cerco di coprirla meglio col cappotto, nella illusione di poterle infondere un po' del tepore che le serve per attutire il freddo che deve sentire dentro. Come può un essere così piccolo contenere un vuoto così grande?

“Devi cercare di darle una vita felice.”

“Mh.”

Stavolta non ho alcun dubbio: è un ''sì''.

Il sonno comincia a premere sui miei occhi. Le palpebre si abbassano per la pesantezza che avvertono. Pian piano scivolo nell'incoscienza. Anche io, come Sarada, trovo un posticino a cui abbandonarmi, certa che nessun male potrà cogliermi fintanto che soggiorno nell'angolo a cui sto affidandomi. Non è soffice come un cuscino, ma è solido e rassicurante. Non è come il letto della mia casa, ma è accogliente ed ha un buon odore.
Mi serve per avere un luogo ove rifugiarmi. E mi piace sentire che sta sostenendomi. È ciò che mi necessita ed anche ciò che desidero.
È Utile ed è anche Dilettevole.

 

EXTRA
“Oi, oi!”

“ L'ecogvafia shignora...”

“Sakura svegliati è mattina! Hanno aperto la porta!”

“Femmina...lo sciapevo...Congvatulascioni”

“SAKURA!”

...

“...Saské-kun?!!”

“Smettila di biascicare idiozie e, soprattutto, di sbavare sulla mia spalla!”

“Eh?! Sc-scusa, mi sono appoggiata!”

“Non ti sei solo appoggiata. Mi hai scambiato per il tuo letto?”

“So-sono mortificata.”

“Fata!”

“Sa-Sarada! Buongiorno!”

“Ei voi là fuori! Chiamate il dipendente che ci ha chiusi qua dentro, voglio subito parlargli...è inaccettabile quello che è successo!”

“Saské-kun non essere troppo duro con lui...”

“Certo che lo sarò! Non ha assolto bene il suo compito!”

“A qu-questo proposito, vorrei chiederti...sì insomma...”

“Cosa?”

“...do-dopo quello che ho combinato ieri...de-devo ancora fare da baby-sitter a Sarada?”



“MH.”

 

 

Le chiacchiere dell'autrice. Cari lettori, mi è mancato non avere il pretesto per interagire con voi! Questo capitolo ha richiesto un bel po' di tempo per essere scritto, non solo perché è molto lungo, ma anche perché ho cercato di dare profondità al ''dialogo nel buio'' tra Sasuke e Sakura. Ce l'ho messa tutta, spero che ne abbiate goduto!
Per quanto riguarda le mie personali miserie devo dire che - mentre l'uomo più potente del mondo diveniva un tizio che, tra le tante improbabilità dette, affermava altresì che “non è vero che c'è il riscaldamento globale perché a New York si muore di freddo”- io spendevo il mio tempo tra la derelizione per la pesantezza dello studio ed occupazioni più piacevoli. Oltre a stare scrivendo questa storiella, ho acquistato il Gaiden di Kishimoto e devo dire che, con una buona traduzione, non è poi così male a livello di dinamiche familiari (quanto a trama invece resta qualcosa di tanto brutto). Da quelle pagine traspare tutta la dolcezza che lega Sasuke a Sakura (ed ovviamente anche a Sarada, ma di questo mi importa un pelo di meno eheheheheh).
Con la speranza di avere allietato una manciata di minuti del vostro tempo libero, vi saluto e vi do appuntamento al prossimo aggiornamento. :-*

 

 

 

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Capitolo 5
*** Adatta? ***


CAPITOLO 5

 

Adatta?

 

Mi chiamo Sasuke Uchiha. E non è vero che odio tutto e che non c'è nulla che ami o che mi piaccia. Le insinuazioni dei rotocalchi rosa, volte a circondare di fascino maledetto la mia persona, le lascio alla gente che non ha nulla di meglio da fare che credervi ciecamente.

A dispetto di quello che di me si pensa, ci sono alcune cose che amo. E ce ne sono diverse che mi piacciono.

Per esempio mi piace il mio lavoro. Ho sempre saputo che sarebbe stato il mio destino. Non perché avessi col tempo maturato la convinzione di volerlo svolgere, ma perché già dalla tenera età i miei genitori hanno plasmato la mia mente per renderla adatta al compito che l'avrebbe attesa una volta raggiunta la maturità. Sin da bambino, sono stato assuefatto all'idea di questo lavoro. Mentre tutti i miei coetanei si divertivano ad immaginarsi pompieri, astronauti, inventori, io non dovevo troppo sforzare la mia immaginazione, perché sapevo senza incertezze cosa avrei fatto ''da grande''.

Mio padre ha creato dal nulla la sua incredibile attività, che si è potenziata velocemente nel corso degli anni e attraverso il contributo mio e di mio fratello.
Nel mondo del capitalismo occupiamo un posto di tutto rispetto.
Fugaku Uchiha ha iscritto il suo nome alla upper class, dopo esser divenuto uno dei nobili dei tempi odierni. Uno di quei membri della aristocrazia contemporanea, la quale – a differenza della vecchia - preferisce lavorare sodo e guadagnarsi i lussi di cui gode. Noi, come appartenenti dell'alta-borghesocrazia abbiamo fondato la nostra fortuna, investendo nel migliore dei modi il nostro tempo ed ingegno.

La storia di mio padre ha senz'altro dello straordinario, ma non del miracoloso. Il suo enorme successo non si fonda sullo inspiegabile, né sul taumaturgico, bensì sul suo eccezionale talento per gli affari. È quest'ultimo ad essere fuori dal comune e la sua fortuna non è certo l'esito dell'opera dei numi.
A diciotto anni aveva aperto una piccola attività che produceva oggetti artigianali frutto del suo genio. A vent'anni aveva già posto in essere una grande invenzione: lo scolapiatti arrotolabile.
Fu un successo enorme. La richiesta fu impressionante e l'attività di mio padre conobbe il suo decollo. A venticinque anni ebbe poi un'altra luminosa idea: il secchio pieghevole. Subito divenne un must have per quelle donne stufe di riempire i loro sgabuzzini di secchi ingombranti. Questa brillante intuizione consacrò l'azienda di mio padre come leader nella messa a punto di beni sinonimo di utilità e razionalità.
Oggi la Uchiha Corporation detiene il monopolio della produzione di oggettistica efficiente, la quale si staglia discretamente sullo sfondo delle quotidianità delle persone, rendendo loro più agevole l'esistenza.

Circa cinque anni fa, dopo aver conseguito la laurea in economia, anche io entrai attivamente a far parte degli affari di famiglia. Presto rivelai il mio potenziale, proponendo idee intelligenti ed acute.
Il progetto di cui vado più fiero è l'insalatiera con le posate incorporate.
Rivoluzionaria.
Ero stufo di addizionare cucchiaio e forchetta per mescolare ingredienti e condimenti di quella che è una costante dei miei pasti della giornata: l'insalata di pomodori. È accaduto così che il fulmine dell'intuizione mi ha visitato in un giorno qualunque, mentre stavo preparando una ordinaria insalata di pomodori. L'idea mi colse e immediatamente divenne certezza della sua validità: nessun tentennamento, fui subito sicuro che si sarebbe trattato di un sicuro successo firmato Uchiha Corporation. E infatti così è stato.
Provo ancora orgoglio quando consumo la mia quotidiana insalata, contenuta in quella ciotola con posate integrate ed estraibili, col simbolo del ventaglio rosso e bianco che è la gloria di quell'oggetto.

“La riunione coi clienti è stata rimandata a domani mattina signor Uchiha”

La segretaria personale da poco assunta, solerte più che nel suo lavoro, nell'esporre seni e cosce (che odioso cliché!), sta informandomi che l'incontro per cui mi sto preparando da tempo è stato spostato di un giorno. Avverto fastidio per quell'imprevisto che non ho calcolato e che mi costringerà a rivedere i miei programmi.

“Mh. Puoi andare”

La operosa segretaria lascia il mio ufficio a passi più che piccoli, dato che si ritrova insaccata in una gonna che la fascia come un salame in un budello. Inoltre, mi chiedo come faccia a respirare dentro a quel corpetto.
Secondo una delle dicerie sul mio conto, io sarei incline ad odiare le donne. Fandonie. Le donne che non sopporto sono quelle sciocche e venali, le baby-sitter o le segretarie pronte ad allungare le loro mani sul mio cognome e sul mio portafoglio. Quelle che usano il loro corpo come fosse un oggetto per indurre un uomo a ragionare col pene anziché col cervello. Una degna rappresentante di questa categoria sta giusto sculettandomi dinanzi, nella beata contentezza di chi non sa ancora che presto perderà il posto di lavoro.

Mentre lei si ritira dalla scena, un altro personaggio fa la sua entrata.

“Buongiorno Maki-chan, è sempre un'estasi per gli occhi vederti”

L'estasi a cui mira non è di certo solo quella dei suoi occhi, che senza vergogna si sono appena posati sul fondoschiena spremuto nella gonna indossata da colei che ancora sta ondeggiando di fronte a me.
RivoltanteL'esempio concreto di quanto, per un po' di sesso, un uomo possa diventare un lascivo adulatore. Non che a Maki-chan quelle lusinghe diano fastidio, a giudicare dalla sua risatina fintamente pudica.

“Saské sono venuto a portarti i documenti che hai richiesto”

“Mh”

L'ho detestato dal principio. Se quest'uomo è qui è solo per volere di Itachi, che l'ha sempre giudicato incredibilmente bravo nel suo campo (e su questo non potevo dargli torto). È uno di quei tipi impomatati che le donne trovano attraenti. Credo che sia riuscito a portare tra le sue lenzuola buona parte del personale femminile. Quello stesso personale che, come prima scelta, avrebbe di sicuro preferito me come partner intimo e che in seguito, realizzando l'insuccesso a cui sarebbe andato incontro, ha ripiegato su Akasuna no Sasori, amministratore delegato della Uchiha Corporation, nonché dispensatore di sorrisetti lecchini e conquistatore seriale di rappresentanti del gentil sesso. Me lo immagino davanti allo specchio mentre, compiaciuto di quel che vede, elargisce complimenti al suo riflesso e intrattiene una conversazione con l'unica persona che ama davvero: se stesso.
Nel suo caso, le insinuazioni dei rotocalchi rosa, miranti a circondare anche lui di fascino maledetto, sono per la maggior parte vere. Lui ''maledetto'' lo è sul serio.
Un maledetto narcisista.

“È insolito vederti lasciare il lavoro così presto Saskè”

“La riunione è stata rimandata a domani mattina, non ho altri impegni per oggi”

A casa ho qualcuno che mi aspetta. C'è lei e lei viene prima di ogni cosa.
Se penso a quanto siano cambiate le nostre vite da circa due anni a questa parte, un brivido mi percorre lungo la schiena. Credo sia stato ingiusto e terribilmente egoista da parte mia l'essermi appoggiato così tanto a una bambina piccola per sostenere un dolore che non riuscivo a contenere. Sapere che anche per lei, anche se in modo confuso e poco consapevole, fosse così, mi ha spinto a vederla come qualcuno con cui condividere una mancanza. Mentre lasciavo che abitasse insieme a me, mi dicevo che era per il suo bene; per evitarle di vivere con una nonna che era troppo presa dalla sua sofferenza per poterle dare la serenità di cui necessitava.

La verità è che l'ho fatto per me. Perché i suoi occhi erano tali e quali a quelli di Itachi; perché lei era ciò di più importante e bello che mio fratello aveva lasciato su questa terra.

Sarebbe dovuta stare da me solo per qualche tempo – quello che serviva a mia madre per mettersi relativamente in sesto – ma quando i miei genitori dissero che avrei potuto portarla da loro, non sono riuscito a lasciarla andare. Ormai eravamo diventati una famiglia; due compagni che, superando qualsiasi barriera generazionale, si erano supportati a vicenda. Ho calmato le sue lacrime mentre, con sua grande sorpresa, la visitavano d'improvviso nel bel mezzo della notte. Era straziante vedere quanto soffrisse anche se non riusciva a comprendere il perché dei suoi imprevisti pianti; il motivo di quelle lacrime che pretendevano di manifestare in modo tangibile quell'inspiegabile peso che doveva avvertire sul suo cuoricino. E mentre cercavo di placare quel minuscolo corpo scosso dagli spasmi, avvertivo il dolore mischiarsi alla rabbia. Le giuravo mentalmente che avrei trovato quell'uomo che le aveva distrutto la vita; quello sporco individuo che ci aveva portato via le persone che amavamo di più. Mi ripetevo che lo avrei scovato e fatto a pezzi.

Sono passati due anni e ancora di lui non c'è traccia. Sto spendendo tutte le mie energie e risorse per individuarlo, però il bastardo s'è nascosto per bene. Ma per quanto tempo possa passare, io non dimenticherò mai il viso della mia bambina che piange durante la notte e non avrò pace finché non saprò che quell'ignobile essere che ha posto fine alla vita di mio fratello si troverà a marcire nel posto in cui si merita di stare.
In questi due lunghi anni Sarada è divenuta per me molto di più della preziosa figlia di Itachi. Lo stesso sentire e la condivisione di un grande lutto ci hanno legati molto di più di quanto quella del sangue avesse potuto fare.
Non dovrei essere stato io il primo a vedere spuntare i suoi dentini; non dovrei essere stato io la persona che l'ha aiutata a muovere i suoi primi passi. La prima parola di questa bambina non sarebbe dovuta essere occhan.

Sono quasi giunto davanti al mio appartamento. Mi decido a scacciare via i neri pensieri.
Io e Sarada abbiamo sviluppato una empatia per la quale ognuno dei due capisce lo stato d'animo dell'altro, soprattutto quando questo è tetro. Non voglio che la mia tristezza diventi la sua.
Apro la porta cercando di dispormi nel migliore umore possibile.

Sbam, sbam, sbam

“Alla conquista di Cose-landia, mia prode!”

tignor capitano!”

Ecco, sto vedendo una di quelle scene che mettono a dura prova la mia già scarsa benevolenza verso gli umani.

Sarada ha per spada un mestolo che sbatte rumorosamente sul mobile in noce, mentre l'altro adulto (?) essere umano – giusto quello che in questo momento sta facendo vacillare la mia benevolenza – ha fatto del secchio pieghevole targato Uchiha Corporation il proprio scudo.

Entrambe poi – ed è questa la cosa che più di tutte mi indispone – hanno reso la mia insalatiera con posate integrate il loro elmo.

Una cosa così genialmente utile ridotta a vile mezzo del loro divertimento!
Chiudo sonoramente la porta, per far notare alle due improbabili valchirie la mia presenza. Sarada si volta e si eccita ancora di più. Mi viene incontro correndo e mi afferra le gambe in un abbraccio.

“Okaeri occhan!”

L'altra donna-soldato se ne sta invece immobile ed impietrita. Di certo sta sentendosi scoperta in quella che sarebbe dovuta rimanere una illecita attività segreta.

“O-okaeri Saské-kun! No-non ti aspettavamo co-così presto...”

“I giochi sono nella cesta della stanza di Sarada, al piano superiore” - Le dico io, casomai abbia voglia di impiegare un oggetto per quel che è stato concepito ed evitare di interpretare a proprio piacimento gli scopi per cui una cosa è stata progettata.

“Emm...lo so...è che è un po' noioso giocare coi lego...e anche coi cantieri in miniatura...”

“Non c'è nulla di meglio per sviluppare l'ingegno!” - Cosa mi tocca sentire. Secondo lei come sarei divenuto l'uomo di successo che sono oggi? È una storia che è cominciata con costruzioni, miniature di cantieri e che si è ulteriormente sviluppata a furia di scacchi, meccano e – soprattutto – Monopoly (il gioco dei giochi!).

“Ma immaginare di essere delle eroine è più divertente...”

Questa strana ragazza. Questa insolita persona a cui piace rischiare quotidianamente il licenziamento da un posto di lavoro che non ha nemmeno ottenuto ancora. Spesso credo che ne abbia fatto una specie di sport estremo che pratica con euforia. A volte penso che lo faccia di proposito a compiere le cose più sbagliate; che provi quasi un insano piacere a rischiare di essere cacciata via dalla mia vista. La quantità di gaffe che ha assommato da quando le ho affidato mia nipote non è indifferente. Eppure io continuo a volerle dare una possibilità. E questo proprio non riesco a spiegarmelo.

Durante il nostro primo incontro, inizialmente ho pensato che fosse una venditrice di contratti elettrici. Una venditrice di contratti elettrici con un tailleur orrendo. Dopo gli opportuni chiarimenti, ho dedotto che si trattasse di una ragazza pronta ad approfittare di Sarada per arrivare a me e ai miei soldi. Ritenni che per quanto belli potessero essere i suoi capelli ed il suo viso, di certo quel tailleur orrendo non era per nulla adatto al fine di conquistarmi.
In ultimo, a seguito di scoppi di ira immediatamente seguiti da improvvise manifestazioni di affetto per mia nipote, ho sospettato che fosse una tipa matta da legare. Una tipa che però, sorrideva ed abbracciava Sarada con affetto sincero. Il suo tailleur restava comunque orrendo.
Al colloquio di lavoro che le ho concesso, si è presentata con quella vecchia vettura - una Volkswagen Typ 1 di un colore a dir poco imbarazzante – e con ben venti minuti di ritardo. Quando l'ho vista apparire col sorriso imbalsamato sulla faccia, ho intuito tutta la sua agitazione. Ho pensato che fosse del tutto naturale: in fondo stava per avere a che fare con un membro dell'importante famiglia Uchiha. Quanto mi sbagliavo! Con mia immensa sorpresa scoprii che c'era ancora qualcuno in Giappone che non sapeva chi fossero gli Uchiha.
Una simile cosa era impensabile e ne dedussi che quella donna doveva proprio vivere fuori dal pianeta. Eppure quella inconcepibile ignoranza mi diede speranza: quella di trovare una tata di buon cuore per Sarada.
Da quel po' che ho avuto a che fare con lei, mi è sembrata una persona per nulla venale e affettuosa abbastanza da potere passare dell'ottimo tempo con mia nipote. Così ho scelto di darle una possibilità.

Ma già al suo primo giorno di prova si è macchiata dell'imperdonabile: contro ogni mia disposizione e volontà, ha portato la piccola in giro per Tokyo, restando a piedi per le strade della città. Quando mi si è presentata davanti, nella sede dellaUchiha Corporation, sono rimasto di sasso. Mi sono infuriato nell'apprendere quello che era riuscita a combinare in appena una manciata di ore. Era assurdo: l'avrei di certo allontanata da Sarada.

O almeno era quello che mi ero riproposto di fare.

Nello spazio di nemmeno una notte, lei è riuscita – non accorgendosene nemmeno – a mutare di nuovo le mie decisioni sul suo conto. Mi ha parlato nel cuore del buio di sé, di ciò che più le era caro ed intimo.

Ed io...io ho pensato che fosse ad...

Adatta. Adatta – forse – ad essere la tata di Sarada. Probabilmente una ragazza così genuina sarebbe potuta essere una buona baby-sitter per lei.

Ma adesso che la vedo con quella ciotola in testa e col secchio pieghevole tra le mani – due oggetti che non servono di certo al suo diletto – la voglia di mandarla via a calci da casa mia si fa di nuovo prepotente.
Però devo ammettere che mia nipote sembra divertirsi un mondo con lei. È allegra come mai l'ho vista prima di ora. E il merito è di questa donna sui generis.

Come fa ad essere a tratti così insopportabile e a tratti così ad...

Adatta? Adatta al posto di lavoro.

Mi distendo sul divano del salone e chiudo gli occhi.

Sento dei piccoli passi alle mie spalle. Credo che qualcuno stia preparando una imboscata ai miei danni...

Sarada mi salta addosso e acciuffa i fili dei miei capelli tirandoli, per smuovermi dal torpore. Io resisto stoicamente e lascio che maltratti la mia testa senza dischiudere le palpebre.

Occhanocchan!”-pigola arrabbiata lei

Io continuo a fingere di dormire. Sarada molla la presa, rassegnata al destino di indifferenza che pare esserle riservato. Dopo aver lasciato la sua preda – i miei capelli - si muove goffamente sull'ampio divano, gattonandovi.

Sicuro che ormai ha abbassato la guardia la afferro per i fianchi e la sollevo, mentre lei emette un gridolino emozionato: sa già che adesso arriva il divertimento a cui anelava. Mi distendo sul bianco tappeto davanti al divano e comincio a farla roteare sopra di me, tenendola per il busto, e simulando il rumore di un aeroplano.

Dopo un po' quel gioco conosce la sua fine: il piccolo velivolo umano atterra e io mi riposiziono sul divano. Sarada è contrariata: dal tappeto su cui è adagiata, tira il mio pantalone, invitandomi ad intraprendere un nuovo decollo.

Sorrido e mi avvicino lentamente a lei, sfiorandole la fronte con due dita:

“Sarà per la prossima volta, Sarada!”

Un giorno le dirò cosa vuol dire per me quel gesto. Le racconterò di quando suo padre poggiava le sue dita sul mio viso. Ai tempi non capivo il motivo per cui quel suo modo gentile di declinare le mie richieste mi facesse arrossire così tanto. Ora comprendo bene che era perché intuivo confusamente tutta la tenerezza che lo invadeva per il suo fratellino, quando reclamava per sé la sua presenza e le sue attenzioni.

Quella stessa tenerezza che riempie me quando incontro gli occhietti di Sarada, intenti a chiedermi di stare insieme a lei.

 

Sbam

 

Mi volto di scatto a causa di quell'improvviso rumore. Colgo Sakura che sta fissandoci in catalessi, con aria apparentemente meravigliata, mentre l'insalatiera Uchiha Corporation che le è appena sfuggita dalle mani, ruota su se stessa ai suoi piedi, sul pavimento di marmo bianco di Carrara.

“Scu-scusatemi...”

Io sbuffo contrariato. Che donna insopportabile.

“Domani non occorre che tu venga. Ho preso un pomeriggio libero per il compleanno di Sarada.”

Buone notizie per te ragazza: domani non devi lavorare!

“Domani è il compleanno di Sarada?!”- aggiunge lei sgranando gli occhi.

 occhan!”- cinguetta la diretta interessata al colmo dell'eccitazione, mentre mi abbraccia con tutte le forze di cui dispone. È felice di sapere che domani le mie energie saranno dedicate solo a lei.

“Ma voglio esserci anche io!”- esclama Sakura spontaneamente - “Cio-cioè...sempre che non vi sia di intralcio...credo che Sarada ne sarebbe felice...e anche a me farebbe piacere venire...”

 fata, fata, fata!”- la piccola corre verso la sua tata e le dà lo stesso ''forzuto'' abbraccio che ha appena dato a me.

Sakura sorride di cuore e la stringe a sé.

Questa donna.
Questa donna così insopportabile e al contempo così ad...

Adatta. Molto adatta – forse – al lavoro che – forse – le darò.

 

Credo che sia il caso di congedarla adesso e di passare un po' di tempo con Sarada, prima che si faccia tardi.
Domani mi aspetta una riunione per la quale devo essere al meglio delle mie possibilità.


***

 

Boom

 

“Buon compleanno!”

 

I coriandoli variopinti fatti scoppiare da quell'aggeggio si posano vistosamente sul bianco pavimento. Sakura ha trasformato questo appartamento in un giorno di carnevale a Rio.
Ha riempito la casa di palloncini colorati, striscioni colorati ed ha cosparso la torta – una raffinatissima Charlotte che davvero non aveva bisogna di nient'altro – di panna e sinistri zuccherini. Zuccherini colorati. Lei e Sarada hanno indossato dei cerchietti con orecchie di gatto e suonano a pieni polmoni in dei fischietti, giusto perché si era detto che non bisognava disturbare i vicini. Ovviamente ha provato a coinvolgere anche me nella sua ordinaria follia e logicamente io me ne sono tirato fuori.

“Forza Sarada, andiamo di sopra a dare un'occhiata al regalo!”
Giusto, anche io sono curioso – e preoccupato - di vedere questo regalo...


Sakura mi guarda con aria complice. È entusiasta.
Mi sento in colpa per averla maltrattata stamattina al cellulare, mentre mi coglieva in un attimo più che inopportuno. Sul momento mi ha irritato parecchio, dato che ha saputo abilmente far leva sulla mia debolezza – la felicità di Sarada – per ottenere il permesso di fare quello che le pareva.

Ancora ho tra le orecchie quella sua vocina squillante ed insistente che sentivo provenire dall'altro capo del telefono:

Saskè-kun, non riattaccare ti prego! È importante! Devo chiederti qualcosa riguardo al compleanno di Sarada!”

...

Vorrei solo avere il permesso per fare dei lavori nella sua camera da letto”

...

E dai, non dire di no, per favore! Si tratta solo di dipingere un muro...lei ne sarebbe felicissima! E poi sai che può sempre ritornare al suo vecchio colore! Anzi, se vuoi venire per dare un tuo parere sulla tinta che ho scelto sarebbe magnific...”

...

Quindi è un sì? ♥ Non serve che chiami un imbianchino, io sono davvero brava! L'ho già fatto più volte e ho tutto ciò che serve per colorare di rosa un muro!”

...

Sì, vedrai piacerà molto anche a te! Il mio senso del bello è indiscutibile!”

...

Tranquillo! Non disturberò i vicini, promesso!Devo solo tinteggiare una parete, mica buttarla giù! E per quanto riguarda il dolce vorrei farne uno a due piani! O a tre, che dici?”

...

Ah, quindi l'hai già ordinato tu? Hai fatto scrivere qualcosa sopra? È importante! Altrimenti porto la panna per aggiungere un augurio carino!”

...

E poi Saskè-kun...”

 

A quel punto, esasperato, ho riagganciato, senza nemmeno darle modo di finire quello che intendeva dire. Penso di essere stato sgarbato ed ingiusto con lei.

In effetti è stato un bene che sia venuta. Sarada oggi è felice come da solo non sarei mai riuscito a renderla. È incredibile come questa ragazza riesca a trasformare in straordinarie le cose semplici. Ha la capacità di far sorridere Sarada ed è la cosa più importante di tutto.

Ho sbagliato ad inalberarmi con lei stamani e ad aver diffidato del suo buonsenso. È una brava ragazza ed è, a modo suo, molto assennata.

Tadan!

Sakura spalanca la porta della cameretta di Sarada.

 


“Wow! Fata, fata, fata!”

 

“Allora Sarada, ti piace?”

 

!”

 

“E tu che ne dici Saskè-kun, non è incantevole?”

 

“...”

 

“Saskè-kun?”

 

“...”

 

Una parete di rara bruttezza di un colore turpe. Una tonalità di orrido, insostenibile-allo-sguardo, rosa.
I bordi sono stati rifiniti malissimo. Posso vedere il confine tremolante ed incerto in cui il rosa si congeda in malo modo per fare spazio al bianco delle restanti tre pareti, che per fortuna non sono state coinvolte nei colpi di testa di questa donna. Schizzi di colore puntellano qua e là il pavimento marmoreo. Ognuno di essi è uno schiaffo morale alla cura con cui fino ad ora l'ho preservato.
E poi peluche e bambole, ovunque. Una infinità di quei giocattoli inutili che hanno soppiantato quelli istruttivi e stimolanti (che fine ha fatto quel meraviglioso cantiere in miniatura?).

“Emm Saskè-kun...fo-forse non è di tuo gusto...ma-ma se vuoi posso ridipingerla di un colore che piace anche a te...”

“Non è necessario!”

Mi affretto a riprendermi dallo shock e a risponderle prima che lei sostituisca il rosa col lilla, o con qualche altro colore improponibile.

“Que-questi sono i giochi con cui mi divertivo io da bambina. Nonna me li ha spediti su mia richiesta. Non devi preoccuparti di nulla...guarda come sono venuta su bene io!”
Ah perfetto, una garanzia allora...
 

“E poi dai un'occhiata a Sarada. Guarda come è contenta ad avere una cameretta così personale e femminile.”

 

No. Non è solo contenta. La bicicletta che le ho regalato io l'ha resa contenta, ma questa orrenda cameretta tinta di rosa l'ha fatta molto più che contenta. È felice. Felice come io non sarei riuscito a renderla in questo giorno.

In fondo devo attendere solo una decina di anni affinché Sarada diventi matura abbastanza da supplicarmi di rimuovere quel colore dalla sua stanza. Aspettare così tanto vale sicuramente la pena di vederle quel sorriso stampato in faccia oggi...

“Sakura...grz

“Eh?”

“Sakura, grazie.”

“Oh! Fi-figurati...”

 

Scendiamo le scale pronti a consumare la torta.
Mentre io taglio le porzioni e Sakura dispone forchettine e piattini, Sarada si allontana verso la zona del televisore.

“Sarada vieni a mangiare la tort...”

 

Mi paralizzo.

E sudo freddo.

Sarada sta guardando alla tv – no sta proprio fissando stupita ed incredula – una scena assolutamente non adatta ad una bambina della sua età. Due attori stanno inscenando un bacio per nulla “cinematografico”. Quel groviglio di lingue è assolutamente reale e a dir poco osceno. Spegnere il monitor è senza dubbio obbligatorio, dato che simili impudicizie possono creare confusione in mia nipote e guastarle la crescita.
E poi, onestamente, mi sono sempre detto che non avrei mai affrontato l'argomento ''sesso'' con lei. Né quando sarà diventata una adolescente curiosa, né a maggior ragione ora. Certe cose sono dei tabù, come i silenzi di Fugaku Uchiha in merito hanno sempre lasciato intendere.
Sakura mi guarda con la faccia di una che ha capito. Ha inteso perfettamente cosa deve essere fatto e si affretta a raggiungere la bambina: per fortuna mostra la mia stessa volontà di agire per interrompere quella scena così imbarazzante e fuori luogo. Adesso spegnerà la tv e...

...ma che diamine sta facendo?!

Si è seduta sul divano e ha poggiato mia nipote sulle sue ginocchia?! Vuole guardare quel bacio con una bambina di tre anni?! È completamente matta! Trasformerà Sarada in una donna senza vergogna!

Cot'è quetto?”- la piccola indica con l'indice la tv, ovvero l'apparecchio diabolico che sta mostrandole l'oggetto del suo sbigottimento.

“Questo è un bacio tra fidanzati. È una cosa bellissima e pura. È un modo per esprimere amore. ”

Pura? Quell'attorcigliarsi frenetico di lingue di puro e casto ha davvero ben poco...

 

Amole?”

 

“Sì...nella vita riceverai tante forme di amore e dunque di baci”

 

“E un fidanzato dove mi bacia?”

Fi-fidanzato?! Oi, oi...hai appena compiuto tre anni!

 

“Te l'ho detto, un fidanzato ti dirà che ti ama, baciandoti qui”

 

Sakura indica le labbra di Sarada, che arrossisce meravigliata.
Questa donna. Questa donna così insopportabile!

“E fata? Fata dove mi bacia?”

Sakura ride.

“La tua fata ti ama qui!”

E schiocca un sonoro bacio sulla fronte di Sarada.

Sarada diventa ancora più rossa. Sakura le strizza un occhio. Sulla sua bocca si fa strada un ampio, bellissimo, sorriso.

Questa donna. Questa donna così ad...

...

Adatta? Sì adatta al lavoro di baby-sitter.

 

 

“E occhanOcchan dove mi bacia?”

 

Sakura si fa pensierosa.
So ciò su cui sta rimuginando. Immagino che abbia già capito che non sono uno che dispensa tanti baci.

 

“Lui...”

 

Sakura poggia delicatamente due dita sulla fronte della piccola.

 

“Questo è il suo specialissimo bacio ed è solo per te!”

 

Sarada avvampa emozionata e volta il suo viso verso di me, allargandosi in un sorriso luminoso.

Sakura mi scruta con aria complice.

 

Ed io...io...

 

...io mi chiamo Sasuke Uchiha. E non è per niente vero che odio tutto e che non c'è nulla in particolare che ami o che mi piaccia.

Per esempio amo Sarada.
Questa piccola creatura che è diventata la parte più importante di me e che adesso sta fissandomi con occhi che hanno capito quanto suo zio possa volerle bene.

E per fare un altro esempio, posso parlare di questa ragazza dai lunghi capelli rosa.
Questa persona che mi sta osservando col suo viso così ingenuo, mentre un ciuffo di quella magnifica chioma, sfugge dalla presa delle sue dita, ricadendo nel suo campo visivo.

Sì, mi piace questa donna. Questa donna così ad...

Adorabile.

 

 

 

 

Extra: “L'altro capo del telefono”

Questa riunione è di vitale importanza per i miei affari. Devo solo compiere quello in cui sono molto bravo: ammaliare gli uditori.
Riesco sempre a fare centro con le mie doti dialettiche, la mia presenza e il modo attraverso cui comunico la mia serietà, la mia affidabilità ed il mio essere integerrimo...

 

Drin, drin

 

Accidenti, ho dimenticato di inserire il profilo aereo nel cellulare.

 

“Qui è Sasuke Uchiha. Mi ricontatti tra un paio di or...”

...

“Tu? Adesso non è il caso di parlare di questo tipo di faccende private!”

...

“Una cosa del genere in camera da letto? È assolutamente fuori discussione!”

“Mh. Adesso non ho il tempo per i tuoi giochi imbarazzanti. Ti chiamo un professionista, così potrai dargli le disposizioni per farlo come più ti aggrada.”

...

 

“Eh? E hai intenzione di farlo in un modo così strano?! ”

...

“Va bene, ma non bisogna disturbare i vicini con rumori inopportuni...”

...

“Non star lì a pensare anche alle dimensioni. Il mio è molto grande. Non darti altri pensieri”

...

“Mh, porta la panna se ti piace così...”

...

“Basta adesso! Più tardi vedrò se sei davvero così brava come dici di essere! Spero per te di essere soddisfatto!”

 

Riaggancio in preda all'affanno. È riuscita a farmi perdere la pazienza! Che genere di richiesta che ha avuto il coraggio di farmi...dipingere casa mia di...RO-ROSA?!
Tsk, ed io le ho pure dato il permesso di farlo!

Devo ricompormi, non posso soffermarmi sulle follie di quella ragazza. Questa è una riunione di una certa serietà.

Sollevo lo sguardo verso i miei stimabili clienti e...

le loro facce sono...

...piene di vergogna?

 

Ripercorro mentalmente solo la parte di conversazione che loro hanno udito.

 

porta la panna se ti piace così...

 

porta la panna se ti piace così...

 

porta la panna se ti piace così...

 

 

Co-cosa hanno capito?! Grr

Quella donna.

Quella donna è INSOPPORTABILE!

 

 

 

 

 

 

Le ciarle di Hanasaku. Cari lettori silenziosi, anche se da voi provengono ben pochi suoni, so che ci siete, perché i numerini che riguardano gli apprezzamenti su questa storia, continuano timidamente a salire.
Questo capitoletto lo trovo un po' più sottotono rispetto agli altri, devo ammettere che non mi appaga pienamente. Credo di aver raggiunto il picco di scemenza con certe battute finali e ho sempre paura di esagerare con l'idiozia e di rendere il comico, comico-stupido. Ammonitemi se ciò accade!
Sappiate che tutti gli oggetti della Uchiha Corporation sono frutto di idee rubate agli altri dopo una veloce ricerca sul web. Sono invenzioni che esistono, eh!
Avevo progettato di svelare il punto di vista di Sasuke solo alla fine, dopo aver districato la matassa. Ma ho scelto di giocarmi quella carta a partire da adesso, più che altro per rendermi più piacevole la stesura della trama: scrivere con gli occhi di Sakura in genere è per me abbastanza semplice, perché riesco a immedesimarmi bene nel personaggio. In questa occasione però, ho sentito di dovere rompere il senso di noia che a volte può cogliere uno scrittore, dandomi una novità in più che mantenesse alto il mio entusiasmo. Ed ecco che ho pensato di calarmi nelle vesti di Sasuke! È a causa sua che il capitolo è particolarmente ombroso, prendetevela con lui se non è allegro e spensierato come Sakura. :)
Per il prossimo capitolo ho in mente delle scene parecchio rocambolesche. Ci saranno anche Naruto ed una Hinata parecchio inguaiata. :)
Nel caso vogliate rendermi felice, sappiate che un vostro commento sarebbe più che gradito. Mi fa sempre sorridere vedere crescere i numerini di cui vi parlavo sopra, ma vorrei poter interagire con voi e sapere cosa pensate, nel bene e nel male, di quello che scrivo. :)
Vi do appuntamento al prossimo capitolo. So bene che sono piuttosto lenta ad aggiornare, ma tra impegni ed ispirazione ballerina, non riesco a fare meglio di così!
Un bacio ed un virtuale poke sulla fronte a tutti! ^-^

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