Frammenti di anime spezzate

di marea_lunare
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***



Capitolo 1
*** I ***



Capitolo I 


“Dai Sherlock, che cosa ti costa?!”

Quella mattina non era iniziata nel migliore dei modi.

John aveva letto online di una mostra di un fotografo famoso in tutto il mondo che si sarebbe tenuta a Londra in quei giorni, della durata di una settimana.

“Ho detto di no, John! Non ho la minima voglia di sprecare ore della mia vita girovagando senza far nulla in delle stupidissime sale guardando degli stupidissimi ritratti! La mia mente deve essere tenuta sempre attiva e in esercizio, altrimenti farebbe la muffa!” protestò serio il detective.

“Beh allora dovremo chiedere alla signora Hudson di staccarti la testa e dare una pulita a quel tuo cervello, perché mi sembra che la muffa abbia già raggiunto i più reconditi e minuscoli nascondigli del tuo magazzino mentale!” sbraitò John di rimando.

Lo mandava su tutte le furie il fatto che Sherlock considerasse stupida ed inutile qualsiasi altra attività che non fosse risolvere casi o suonare il violino.

“Questa mostra non è stupida, come non è stupido il fotografo! Ha una fama mondiale e accorreranno persone persino da fuori Londra pur di vederla!”

“Allora perché non ne approfitti per fare nuove amicizie? Vai alla mostra per conto tuo e trova qualcuno che ti ascolti, perché per oggi mi hai già annoiato abbastanza. E un’altra cosa: si chiama mind place, non magazzino mentale!” rispose acido il detective.

“Oh al diavolo, io che perdo tempo e spreco fiato a parlarti! Ci vado per conto mio, caro consulente investigativo dei miei stivali! E ti assicuro che se oggi vedrò ancora una volta quella baruffa di ricci neri che tu chiami capelli, ti giuro che te li staccherò uno per uno!” gridò John puntando il dito sul petto di Sherlock, guardandolo negli occhi con aria di sfida.

Per tutta risposta, il consulente investigativo sbuffò e lo guardò come farebbe una divinità con un povero plebeo: “Non ti conviene mettermi alla prova, John Watson”.

John sentiva il formicolio sul braccio preannunciare un colpo in procinto di arrivare sul viso di Sherlock, ma strinse il pugno e si trattenne.

Gli girò le spalle e se ne uscì sbattendo la porta, non calcolando Sherlock che gli intimava di tornarsene sui suoi passi, altrimenti non avrebbe più potuto rimettere piede in quella casa.

Ignorandolo del tutto, il dottore si infilò in tasca il cellulare e scese in strada a grandi falcate, chiudendo con forza il portone del 221B.

Raggiunse la sala privata nella quale la mostra era stata allestita, a circa 10 minuti a piedi dal suo appartamento.

All’entrata, il nome del fotografo spiccava su un cartello, sopra la foto che aveva scattato ad una giovane ragazza afghana, Sharbat Gula, la quale aveva fatto il giro del globo: Steve McCurry.

La maggior parte delle mie foto è radicata nella gente. Cerco il momento in cui si affaccia l’anima più genuina, in cui l’esperienza si imprime sul volto di una persona. Cerco di trasmettere ciò che può essere una persona colta in un contesto più ampio, che potremmo chiamare la condizione umana. Voglio trasmettere il senso viscerale della bellezza e della meraviglia che ho trovato di fronte a me durante i miei viaggi, quando la sorpresa dell’essere estraneo si mescola alla gioia della familiarità”. (*)

John lesse la citazione del fotografo provando un senso di pace interiore.

Era bello sapere che al mondo esistono persone con una sensibilità tanto grande e capaci di esprimerla tutta in semplici scatti, poesie o musiche che siano. John stesso era convinto del fatto che finché fossero esistite persone con un’anima così pura, persone che fossero riuscite a capire la realtà delle cose e a mostrarla agli altri senza avere paura di andare contro la convenzionalità, allora per il mondo ci sarebbe stata ancora speranza.

La stanza era di media grandezza, collegata ad altre sale da cui scendevano delle tende, le immagini appese con dei cavi di acciaio. Pareti enormi sulle quali si affacciavano ritratti e paesaggi come se fossero quadri i cui colori si mescolavano con quelli delle mura dalle cromature sgargianti, quasi a stuccare l’occhio dello spettatore.

Pagò il biglietto d’ingresso e prese l’audioguida, necessaria per capire fino in fondo il perché Steve avesse scattato quelle foto e quale fosse il messaggio che voleva trasmettere.

C’era un preciso ordine nelle tracce dell’audioguida, ma John decise di lasciare i ritratti per ultimi e dedicarsi ai paesaggi in primis.

Erano principalmente panorami asiatici e africani, dove i colori la facevano da padrone.

Era incredibile ammirare quei luoghi così lontani e sconosciuti, quasi spaventosi agli occhi dei più paurosi.

La prima immagine a presentarsi davanti agli occhi del dottore fu quella di un uomo su una pagaia, diversi cesti di fiori dietro di lui. L’immagine era in prospettiva, il fotografo si trovava nella parte posteriore dell’imbarcazione e aveva immortalato l’uomo di spalle mentre pagaiava con forza nell’acqua limpida e liscia come uno specchio. I fiori rossi, gialli e arancioni spiccavano in mezzo a quel grigio-azzurro del lago, illuminato dalla luce del sole riflessa dalla superficie liquida.

“Una buona foto si fa con costanza, così sono andato diverse volte sulle barche di questi uomini” spiegava la voce di McCurry dall’audioguida “Il Lago Dal si trova in India, più precisamente nella zona dello Srinagar, Kashmir. Ho scattato questa foto nel 1996. Ogni giorno su questo lago si tiene un mercato ortofrutticolo dove i mercanti vendono frutta, verdura e fiori agli abitanti delle case galleggianti o ai turisti. Un giorno arrivammo in questa laguna così bella e tranquilla, allora decisi che quello sarebbe stato lo scatto perfetto. Ho fatto circa otto o dieci foto e questo è stato il risultato”. (1)

Il tutto era a dir poco affascinante.

John Watson sentiva la serenità prendere possesso del suo corpo e persino l’arrabbiatura verso Sherlock sembrò ridursi drasticamente, come se la sua ira avesse seguito il piatto percorso del lago, scomparendo in mezzo ai colori accesi dei fiori e si fosse adagiata su quell’imbarcazione così piccola ma allo stesso tempo accogliente.

“È incredibile quale effetto emotivo possano avere gli impulsi visivi sulla mente umana” pensò dentro di sé.

Dio, da quanto aveva iniziato a fare queste osservazioni alla Sherlock Holmes?

Mentre tentava di cacciare via il ricordo del coinquilino e di quel suo tono supponente, il povero ex soldato sentì una voce fin troppo familiare venire dall’atrio. Si affacciò alla porta comunicante tra la mostra e l’entrata e, con sconcerto, scorse la figura longilinea e la pelle candida del suo tanto amato-odiato coinquilino, nonché migliore amico.

Il profilo di Sherlock Holmes avvolto nel suo fidato Belstaff stava ritto in piedi di fronte alla receptionist con fare da generale militare, guardando quasi con disgusto quella disgraziata donna che tentava di convincerlo a pagare il biglietto, ovviamente senza successo.

“Signore, lo capisce che non può entrare senza pagare? Non è una mostra ad ingresso gratuito!”

“Direi che dovrebbe esserlo, data la scarsa affluenza. Magari avrebbe attirato più persone” rispose il detective con sufficienza.

La donna era disperata e un lampo di irritazione fece capolino dai suoi occhi scuri.

“Questo non la deve riguardare, perciò se vuole vedere la mostra deve pagare, altrimenti sarò costretta a farla scortare fuori”.

“Posso andarci anche con le mie gambe fuori di qui, ma lo farò solo quando lo vorrò io”.

La receptionist perse la pazienza e chiamò la sicurezza.

Prima che John potesse anche solo tentare di avvicinarsi a Sherlock, un uomo basso e panciuto uscì da una porta retrostante al bancone d’entrata.

“Che sta succedendo qui?” chiese con voce roca e tutt’altro che rassicurante.

Sherlock lo superava di quasi una spanna, ma il nuovo arrivato non sembrava farsi intimorire né dall’altezza né dagli occhi di ghiaccio di Holmes, il quale gli stava rivolgendo uno sguardo per nulla amichevole.

“Sono qui perché devo vedere un mio amico, non la vostra mostra di cui tanto cantate le lodi”.

“Gli amichetti si vedono all’asilo. Paga il biglietto o non entra, scelga”.

“Dal suo basso quoziente intellettivo e la sua inesistente cortesia, direi che le devo spiegare per filo e per segno come stanno le cose. Se una persona viene qui non per vedere la mostra ma per occuparsi di questioni personali, che motivo avrebbe di pagare il biglietto?” chiarì il detective lentamente e scandendo ogni parola con un gesto delle mani, come se dovesse spiegare un concetto di fisica quantistica ad un perfetto imbecille.

L’uomo corpulento si stava visibilmente innervosendo, cosa che accadeva a chiunque venisse trattato così da Sherlock Holmes e dal suo ego leggermente più alto della norma.

Così lo per un braccio e tentò di trascinarlo all’uscita, ma John arrivò in tempo per strappargli la mano dal braccio del suo amico.

“E adesso che vuole questo?” chiese la guardia guardando la donna ormai arresa alla situazione surreale, che gli rispose con una semplice alzata di spalle.

“Io sono il suo ‘amichetto’ “ rispose John duramente “ e lei non ha il minimo diritto di toccarlo”.

“Oh, è arrivato l’eroe della situazione. Senta amico, già ho abbastanza da discutere con questo psicopatico, non ho bisogno di un altro impiastro fra i piedi”.

“Sbaglio o sei sceso dal lato sbagliato del letto, amico?

La guardia prese Watson per il colletto del maglione. John sgranò leggermente gli occhi per la sorpresa, sentendo l’adrenalina che iniziava a pompargli nelle vene, pronta a far scattare qualsiasi arto del suo corpo.

In quello stesso momento, il braccio destro della guardia venne piegato violentemente dietro la schiena, facendolo gemere dal dolore e dalla sorpresa.

“Si azzardi di nuovo a mettergli le mani addosso e non solo mi incaricherò personalmente di riferire a sua moglie i continui tradimenti e la sua omosessualità molto malcelata dietro il fare rude, ma mi curerò anche di farla presentare in giudizio per aggressione in luogo pubblico. E le assicuro che in questo non avrò alcun tipo di problema, dato che mio fratello è uno stretto amico della Regina”.

La voce baritonale di Sherlock giunse alle orecchie dell’uomo come una delle minacce più spaventose che avesse mai ricevuto, detta sottovoce e con i denti digrignati.

Un secondo dopo il guardiano lasciò andare John, che fece un passo indietro.

“Ma lei chi diavolo è?” chiese l’uomo con voce tremante, ancora sotto la presa marmorea di Sherlock.

Per tutta risposta, il detective lo mollò e si diresse verso John. Con noncuranza gli sistemò il maglione sgualcito dalla violenta presa della guardia, preoccupandosi di farlo aderire nuovamente al fisico asciutto del dottore.

“Il mio nome è Sherlock Holmes, sono un consulente investigativo, una professione che ho inventato io stesso. E tanto per la cronaca, non sono uno psicopatico ma un sociopatico iperattivo, si informi” disse infine mentre continuava a lisciare l’indumento di John, guardandolo con gli occhi che brillavano divertiti.

Conclusa la sua mansione, intrecciò le mani dietro la schiena e si diresse verso le sale della mostra, lasciando dietro di sé due interdetti responsabili e un soddisfatto John Watson, orgoglioso di sentirsi considerato da Sherlock tanto importante da richiedere l’intervento della Regina solo perché un idiota gli aveva sciupato il pullover.

Lanciò un’ultima occhiata vanitosa a quei due e si diresse al seguito dell’amico, sentendo la rabbia di poco prima svaporare completamente nei suoi battiti cardiaci accelerati.


 
















(*) Citazione presa dalla pagina Wikipedia italiana dedicata a Steve McCurry





(1) 58 Best Kashmir Nature images | Kashmir india, Nature, India travel





 


 

Note: Buon pomeriggio a tutti! Come state? Oggi sono qui con un piccolo esperimento. Il 9 aprile sono andata a vedere una delle mostre di Steve McCurry. Appena arrivata sono stata subito assalita da un’incredibile carica emotiva che mi ha afferrata e spinta a trasformare tutto quello che sentivo in fanfiction. E' una mini long che ho diviso in tre capitoli e che pubblicherò ogni lunedì, con i link delle immagini a cui farò riferimento in ogni capitolo.
Più avanti poi capirete anche il perché di questo titolo, ma per adesso vi lascio sulle spine :3 

Per chi sta seguendo la storia "Another story: the daughter", devo scusarmi terribilmente, ma al momento devo lasciarla in sospeso. Ho bisogno di riscrivere alcuni capitoli, fare delle modifiche importanti. Essendo alla fine di maggio ed essendo io al quarto anno di liceo, tutti voi capirete in che razza di periodo del c**** sono e quanto la mancanza di tempo mi attanagli alla gola :'3
Siccome però non volevo smettere di pubblicare del tutto, ho pensato a questa mini long e a qualcos'altro che potrà occupare i miei lunedì di pubblicazione. Questa fic e le altre che pubblicherò più avanti erano già stata revisionate e trascritte al computer, perciò fanno proprio al caso mio. 
So già che chi segue la storia mi perdonerà e stasera, per ringraziarvi, vi darò un'altra fanfiction extra che ho scritto oggi in un boom di ispirazione.
Preparatevi all'ANGST più puro :3  
Concludo qui e spero che l'idea per questa mini vi sia piaciuta, buona lettura!
Un abbraccio <3 

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Capitolo 2
*** II ***


Capitolo II


“E così Sherlock Holmes ha deciso di scendere dal piedistallo e mescolarsi con noi comuni mortali?” gli disse John con un sorriso sincero.

“Non ti entusiasmare, John. Ho fatto le mie ricerche su internet e mi auguro per te che tutta questa pagliacciata sia interessante quanto dici tu, altrimenti ti tormenterò con i miei lamenti per il resto dei tuoi giorni. E non penso ti farebbe piacere” rispose il detective guardandolo sottecchi, lasciandosi sfuggire una piccola risata dal petto.

Continuarono il loro giro, soffermandosi ognuno su ciò che più lo attirava.

John osservò una foto scattata a due ragazze africane. L’altro lo guardò incuriosito da poco lontano, mentre gli occhi dell’ex soldato si assottigliavano, studiando attentamente il viso della donna in primo piano, un seno scoperto e lo sguardo rivolto altrove rispetto all’obbiettivo. (2)

Holmes gli si avvicinò furtivo, concentrandosi sullo sguardo dell’amico.

“Guarda i colori”.

“Mh?” mugugnò Sherlock, svegliandosi dal suo torpore nell’osservare la bellezza del dottore.

“I colori, Sherlock. Le collane che quella donna porta al collo. Hanno tutti i colori del mondo e risaltano in maniera così perfetta sulla sua carnagione scura. Gli occhi sono concentrati su qualcosa che non è il fotografo, brillano di una luce vera, viva, non come se si fosse messa in posa. La cultura di queste persone mi ha sempre affascinato, la loro capacità di rendere così piena e felice la loro vita pur non avendo nulla se non le loro tradizioni, i loro usi e costumi”.

Sherlock rimase interdetto di fronte a quella così esplicita dimostrazione di vena poetica. Di solito il blog di John parlava dei loro casi, ma questo… Era tutta farina del suo sacco, tutto espresso in un momento di ispirazione, dove John Watson aveva messo a nudo la sua anima, parlando a Sherlock Holmes come se parlasse a qualcuno che conosceva da tutta la vita.

I loro sguardi si incrociarono per un breve momento e l’espressione del detective tornò ad essere la stessa di sempre, corrugando leggermente la fronte mentre la sua perplessità batteva in ritirata.

“Dai, continuiamo” lo esortò, in piedi di fronte al soldato.

“Aspetta…” disse John.

L’altro lo osservò con un’occhiata interrogativa, poi si accorse che il dottore non stava guardando lui, ma un punto sopra la sua spalla.

Guardò dietro di sé e capì cosa aveva attirato l’attenzione di John.

Il paesaggio che si presentava ai loro occhi era quello di una città distrutta.

“Herat, Afghanistan. 1992”

Una città di terracotta, completamente distrutta. Nessuna casa aveva più un tetto. Non c’era più nulla, solo una sconfinata desolazione. (3)

“Bombardata per 12 anni consecutivi dall’aeronautica afgana e sovietica” spiegò Sherlock, non riuscendo a trattenersi.

John strinse i pugni e attivò la traccia dell’audioguida, avvicinandola anche all’orecchio del consulente, più per farlo stare zitto che fargli ascoltare la voce del fotografo.

Da un orizzonte all’altro tutto era ridotto in macerie. Non era rimasto nulla. Quest’immagine mi ha subito colpito al cuore e ho deciso di scattare più foto in diversi momenti del giorno, per trovare il momento in cui la bellezza di tanta desolazione venisse risaltata al meglio. L’impatto di questa scena è devastante, tornai ogni giorno che potei. Una sera notai questa piccola luce in mezzo all’oscurità e vidi una famiglia che aveva appena acceso un fuoco, tentando di sistemare quelle poche cose che erano sopravvissute all’esplosione della loro casa. Decisi che questo sarebbe stato lo scatto giusto, il simbolo della rinascita delle vite distrutte”.


 

Rinascita.


 

I due uomini si guardarono di nuovo negli occhi quando la voce si spense.

Non c’era malizia nei loro sguardi, solo puro e semplice affetto. Non sorrisero, non parlarono. Si guardarono e basta, perché loro sapevano. Sapevano di essere l’uno la causa della rinascita dell’altro. Si erano salvati la vita a vicenda, ma non se lo erano mai detti. Se lo confessarono a vicenda in quel momento, mentre la foto di un distrutto paesaggio afgano li guardava ammirarsi l’un l’altro come fossero stati lo spettacolo più bello del mondo.

In silenzio, continuarono a camminare contemplando quelle immagini come volessero entrarvi dentro.

Andarono avanti così per un bel po', senza dirsi niente, senza nemmeno guardarsi, ognuno perso nel proprio mondo, ma sempre attenti ad avvertire la presenza dell’altro.

“Allora, Sherlock, che ne dici? Questa ‘pagliacciata’ si sta rivelando interessante come te l’avevo descritta?” chiese il dottore ridendo, sapendo già la risposta dato il silenzio del detective in quelle ultime due ore.

Non ricevendo alcuna replica, iniziò a cercare Sherlock dietro le varie tende su cui erano appese le immagini.

“Sherlock?” lo chiamò.

Di nuovo nessuna risposta.

Lo trovò pochi secondi dopo, in piedi, intendo ad osservare un’immagine che John non riusciva a vedere perché coperta dalle spalle del detective.

“Hey, ti ho cercato per tutt..” si interruppe bruscamente, raggiungendolo.

Il consulente investigativo aveva gli occhi fissi sulla foto di uno specchio rotto, un’ombra che si rifletteva su quella superficie spezzata. (4)

“Giappone, 11 marzo 2011, costa della regione di Tohoku” disse Sherlock “Dopo che uno dei più devastanti terremoti e maremoti mai registrati nella storia si abbatté sul Giappone, magnitudo 9.1 sulla scala Richter. Moltissimi piccoli villaggi vennero completamente rase al suolo, città distrutte, per un totale di 15.703 morti accertati, 5.314 feriti e 4.647 dispersi”. (**)

“Frammenti di vite spezzate” sussurrò John.

“Cosa?” chiese Sherlock, scuotendo la testa come se si fosse appena svegliato da uno stato di dormiveglia.

“Frammenti di vite spezzate. Lo specchio è ridotto in mille pezzi, perciò ho pensato ai frammenti. L’ombra nello specchio assomiglia incredibilmente al tuo profilo e pensando a tutto ciò che hai dovuto sopportare durante la tua vita a causa della pochezza mentale delle persone, essere considerato diverso, quasi un mostro… Ho pensato ad una vita spezzata dal corso degli eventi”.

John aveva detto tutto senza timore, senza la minima esitazione nella voce. Aveva semplicemente letto Sherlock come lui faceva con tutti, attraverso l’immagine di un uomo che non avevano mai incontrato nella loro vita. Ognuno vedeva quelle fotografie con occhi diversi, con diverse interpretazioni e magari trovando anche un altro messaggio in quegli scatti. Ma John aveva semplicemente visto Sherlock in quello specchio rotto. Un’anima distrutta dalla perfidia della gente, una maschera da indossare ogni giorno e un luogo costruito apposta nella sua mente per nascondere qualsiasi accenno di sentimento umano. Abituato a comportarsi così, molti vedevano il detective come un essere senza cuore, che si emozionava per la morte di una persona o per un caso da risolvere.

Nonostante questo però, l’ex soldato lo aveva sempre difeso a spada tratta davanti a tutti, spaventato dall’idea che qualcuno potesse farlo crollare del tutto, nonostante Sherlock continuasse a nascondersi dietro una spietata indifferenza.

“Apprezzo notevolmente il tuo pensiero, John. È davvero molto profondo” gli sorrise.

Per un’altra buona mezz’ora continuarono a girare in quel labirinto di volti e bellezze da tutto il mondo che li circondavano come se fossero in un vortice, dove nessuno dei due sapeva mai dove guardare, per paura di perdersi anche solo una minima parte di quella meraviglia a cui era stato permesso loro di partecipare.

Giappone, Cina, India, Cambogia, Italia, Thailandia. Tutti i paesi del mondo sembravano incontrarsi entro quelle quattro mura in una stupenda riunione di splendore globale.


 


(2)Steve McCurry - Viaggio intorno all'uomo






(3) 
Steve McCurry, Herat, Afghanistan, 1992 © Steve McCurry | Scuderie ...

(4)

tagajo, japan, 2011 - Reporter in Viaggio


(**) Informazioni prese da Wikipedia 




 

Note dell'autrice: Buonasera a tutti! Pubblico con un giorno di anticipo perché purtroppo domani e dopodomani avrò la giornata completamente piena e mi sarebbe impossibile pubblicare :'(.
In ogni caso, ora finalmente sapete perché ho scelto questo titolo. Io personalmente mi sono accorta di quanto la figura nello specchio rotto assomigliasse a Sherlock, così ho avuto un flash ed ho trovato il modo di esprimerlo attraverso John. 
Piccolo appunto: per quanto riguarda ciò che viene detto nelle tracce dell'audioguida che John ha, ho cercato di rimanere il più fedele possibile a quelle che ho ascoltato io, scrivendo tutto ciò che potevo sul telefono anche se, ovviamente, non ricordavo tutto e ho dovuto metterci anche molte parole mie. Beh.. E' tutto qua. 
Spero che questo capitolo un pochino più corto vi piaccia e vi aspetto lunedì con l'ultima parte! 
Commenti e/o critiche sono sempre ben accetti. 
Un abbraccio e alla prossima! <3 

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Capitolo 3
*** III ***


Capitolo III

La mostra era quasi giunta al termine. Avevano trascorso lì dentro più di tre ore senza nemmeno accorgersene e stava arrivando l’orario di chiusura.

“Dovrebbe essere rimasta solo questa parete” affermò John.

Sherlock era rimasto indietro ad osservare il ritratto di un anziano uomo indiano con il volto colorato da polveri dai toni sgargianti e due orecchini dorati a forma di quadrifoglio che risaltavano ancora di più grazie alla carnagione mulatta. (5)

Sempre con le mani dietro la schiena e nella sua tipica posa regale, si avvicinò di qualche passo al dottore, il quale si stava accostando all’ultima parte dell’esposizione fotografica.

Improvvisamente, John inspirò e si lasciò sfuggire un “Ti prego no…” che allarmò all’istante Sherlock.

Quando l’ebbe raggiunto, sciolse le mani dietro la schiena e le lasciò cadere lungo i fianchi, sentendo John gemere.

Davanti a loro c’era il volto di una bambina afgana, dotata di una grazia mai vista prima. (6)

Indossava un vestito rosso a fiori, in netto contrasto con i capelli neri come la pece, lisci e raccolti in due treccine che le ricadevano dietro le piccole spalle. Poi gli occhi. Due enormi iridi color nocciola che guardavano fisso l’obbiettivo e incatenavano lo spettatore come fossero due magneti, rispecchiavano la luce del sole e splendevano di giovinezza, stanchezza e paura. Il volto paffuto e le labbra leggermente dischiuse davano l’impressione che fosse sul punto di parlare, un’espressione di leggero stupore che le aleggiava sul volto.

Una bellezza che brillava della semplicità di una bambina e che gridava alla vita. Quegli occhi sembravano dire “Anche se sono stanca, io voglio vivere”.

Poi Sherlock fece scorrere lo sguardo verso l’altro ritratto, quello che aveva così colpito John, e un respiro gli sfuggì dal petto.

Un bambino afgano li guardava con un’espressione di tristezza e rabbia dipinta sul volto. (7)

Indossava quella che all’inizio poteva sembrare un piccolo turbante, ma che alla fine si rivelò essere una benda che gli copriva quasi tutta la testa, un enorme cerotto gli copriva la piccola guancia insanguinata, l’occhio sinistro completamente chiuso forse da un’infezione o un ematoma e la casacca bianca quasi totalmente rossa di sangue.

“Oh John…”.

L’ex soldato si girò verso di lui, guardandolo con gli occhi semichiusi dalle lacrime e un sorriso mesto.

“Ne ho visti tanti di questi bambini. Potrei essere io uno dei colpevoli, capisci? Il sangue che quel bambino ha sulla maglietta. Potrebbe essere il suo oppure di suo padre o qualcuno a lui caro, a cui io ho sparato. Io potrei aver distrutto la sua vita, Sherlock, la vita di quel bambino”.

Quelle parole arrivarono al detective come una montagna di schiaffi, perché solo in quel momento si rese conto di quanto gli incubi di John venissero fomentati da quell’enorme senso di colpa che si portava dietro da anni, sapendo di essere uno dei complici della distruzione diffusasi in Afghanistan, nonostante lui pensasse di essere dalla parte della ragione.

Una lacrima fece capolino dall’occhio di Watson, che la lasciò cadere tranquilla sulla sua guancia, per poi raggiungere la punta del mento e cadere sul pavimento.

Automaticamente, Sherlock gli mise una mano sulla spalla, l’unico contatto che si sentiva di rivolgere al dottore senza sembrare ambiguo, nonostante lo avesse già preso per mano una volta, mentre scappavano dalla polizia.

“Non sei tu il responsabile John. Ne sei convinto da quando sei tornato dal servizio militare, ma ti posso assicurare che non è come dici tu. Tu sei stato costretto a combattere e ti avevano fatto credere di essere dalla parte del giusto, ma nella guerra non c’è chi ha ragione o chi ha torto. Ci sono solo i morti e la distruzione. Come mi hai detto tu una volta, la guerra la giocano i potenti, che usano le persone come se fossero pedine solo per acquistare più potere di quanto già non ne abbiano, per soddisfare la loro avidità. Però ciò non significa che tu sia come loro. Tu non sarai mai come questi uomini, tu resterai sempre l’uomo migliore che io abbia mai conosciuto e il mio unico amico. Sei stato un militare e un medico e tutt’ora salvi le persone per cercare di alleviare quel malessere che ti grava sul petto da anni. Ma lascia che ti dica questo, John: tu non hai niente da farti perdonare. Hai servito il tuo paese con fedeltà e ne sei uscito distrutto, trovando però la forza di fare da punto di riferimento ai tuoi commilitoni che ormai avevano perso la speranza. E per me questa è una cosa degna non solo di ammirazione, ma anche di rispetto”.

John rimase sbigottito dalle capacità dialettiche di Sherlock e dalla semplicità con cui riusciva a far uscire tante cose belle da quelle labbra a cuore che il 98,2% del tempo sproliloquiavano sugli argomenti più consoni ai casi di cui si occupavano.

Si asciugò la guancia con il dorso della mano, cercando di riprendere il controllo di se stesso.

“Hai ragione, John. Entrambi siamo anime spezzate dal corso degli eventi, ma possiamo solamente raccogliere i nostri frammenti e andare avanti” concluse il detective sorridendogli con sincerità.

John si rese conto che il suo battito cardiaco era ormai diventato irregolare e uno strano calore gli stava inondando il petto. In quel momento di accorse della forza che Sherlock era capace di dargli anche solo con la sua presenza.

“Grazie” gli sussurrò.

Sherlock tolse la mano dalla spalla di John e, di nuovo in silenzio, si diressero verso l’uscita.

Scesero le scale e giunsero in strada, incamminandosi verso il loro appartamento.

Le loro mani si muovevano a ritmo della loro andatura, sfiorandosi più volte per poi ritrarsi come spaventate da quel contatto.

Il dottore rimuginava su ciò che Sherlock gli aveva detto, riuscendo finalmente a capire fino in fondo l’umanità che quell’uomo aveva sempre dimostrato nei suoi confronti. Nonostante spesso bisticciassero, nonostante Sherlock gli rispondesse quasi sempre con un tono acido e da schiaffi in faccia, il detective in qualche modo si era sempre preso cura di lui, tramite tante piccole azioni della loro quotidianità a cui lui non faceva più caso. Anche il semplice fatto che trascorressero tutto il giorno insieme, sapeva che non era dovuto alla semplice convivenza.

Ormai il loro ‘Noi due, insieme contro il mondo’ era diventato la parte più importante delle loro esistenze.

“Allora, caro Sherlock, è stato così male?” sorrise John con tono canzonatorio.

In attesa della risposta del detective, Watson si avvicinò di qualche millimetro a Sherlock, prendendogli la mano. Sapeva quanto quei contatti fossero una novità per il consulente, perciò non glie la strinse, ma semplicemente intrecciò la punta delle loro dita, così che potessero rimanere unite anche senza premere.

Sherlock sussultò, ma continuò a camminare indifferente.

Nessuno li guardava storto, nessuno faceva commenti, nessuno sapeva chi fossero. Nessuno vedeva Sherlock come un mostro, quando John Watson era al suo fianco.

A quel pensiero, Holmes sorrise e strinse debolmente le dita calde e forti del soldato nelle sue, fredde, lunghe e affusolate.

“No, John. Non è stato affatto male”.







(5) Hindu Legends That Inspired the Colorful Holi Festival | Rubin ...


 


(6) Portraits by Steve McCurry | Steve mccurry, Beautiful eyes, Portrait


(7) Purtroppo non sono riuscita più a trovare questa foto, è scomparsa da internet e non riesco a capire per quale motivo. 


 


 

Note dell'autrice: Ciao a tutti! Eccoci qui con l'ultima parte di questa mini long. Spero vivamente che vi sia piaciuta e che sia stato bello tanto per voi quanto per me attraversare questo mondo fatto di immagini e fotografie che rispecchiano l'anima dei nostri due protagonisti, svelando le più intime debolezze che spesso tentano di nascondere anche a se stessi.
Commenti o critiche di qualsiasi genere sono sempre ben accette e, come sempre, ringrazio chi ha letto fino a qui seguendomi in questo piccolo viaggio e chi ha lasciato una recensione ai capitoli precedenti. 
Ci vediamo presto <3 

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