Will you still be there for me?

di usotsuki_pierrot
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. Kagami. ***
Capitolo 2: *** II. Akashi. ***
Capitolo 3: *** III. Winter Cup. ***



Capitolo 1
*** I. Kagami. ***


«Eccoci...». A quella semplice frase di Kagami, detta in un tono intriso di agitazione ed una punta di malinconia, ma soprattutto di determinazione, Yuki alzò gli occhi neri dal pavimento lucido dell'aeroporto. Il tabellone con affissi gli orari di partenza e arrivo spiccava appeso al soffitto dell'edificio.
Le pupille della ragazza studiarono con un minimo di riluttanza e rassegnazione ogni parola, ogni città, ogni numero esposto, fino a soffermarsi su una particolare destinazione, quella che avrebbe voluto evitare di vedere fino all'ultimo, quella verso la quale Kagami era diretto: Los Angeles.
Erano quasi le dieci ormai, e intorno a loro decine e decine di uomini e donne camminavano, alcuni addirittura correvano, con valige di ogni colore e dimensione al seguito, molti da soli o con amici, altri con la famiglia, compresi bambini grandi e piccini.
Tuttavia, nonostante la folla di persone che si accingevano ad imbarcarsi o ad aspettare pazientemente il proprio volo fosse a tratti insistente e soffocante, Yuki sembrava non porvi l'attenzione che normalmente avrebbe riservato ad un tale via vai di individui. Solitamente avrebbe osservato ciascuna figura intenta a passarle accanto o di fronte; avrebbe posato lo sguardo sul viso di ognuno, sarebbe rimasta alcuni secondi ad analizzarlo per poi posare ancora una volta gli occhi a terra, focalizzandosi sulle linee che delimitavano le grandi piastrelle chiare e facendo attenzione a calpestare per bene quelle che non aveva potuto evitare.
Non era la prima volta che vedeva Kagami partire, e forse era proprio quel dettaglio a distrarla e a sommergerle la mente di pensieri, parole, ricordi. L'America, che il ragazzo tanto amava, non era così vicino come aveva cercato invano negli anni di convincersi a credere. Dopotutto non appena fosse salito su quell'aereo e fosse arrivato in una delle più grandi città degli Stati Uniti, ben dieci ore di volo (o anche più) li avrebbero separati, e questo pensiero altro non faceva che rendere la corvina più nervosa del rosso stesso.
La prima volta avevano all'incirca otto o nove anni al massimo, e l'unica emozione che l'aveva totalmente sopraffatta nel fatidico momento della partenza era stata un'enorme tristezza. Quel giorno, la situazione era differente.
Era consapevole che il più alto sarebbe stato via solo qualche giorno e non interi anni com'era successo tempo prima, ma non riusciva a non immaginarsi cosa avrebbe fatto, lei, nel frattempo. Quando era con Kagami si sentiva quasi tranquilla, i suoi rituali sembravano assillarla ma non troppo, e quando parlavano o rimanevano semplicemente insieme la sua mente si calmava; tanto che da piccola, fino al primo viaggio di lui, era arrivata a credere che fosse una specie di mago capace di mettere a tacere i suoi pensieri e di scacciarli.
Come se non bastasse la Winter Cup era alle porte, e più pensava, più rifletteva sulle partite che avrebbero dovuto affrontare, più l'unica persona su cui riusciva a focalizzarsi era Akashi Seijuro.
Un paio di volte la corvina fu addirittura sul punto di dire a Kagami quanto avesse scelto il momento peggiore per andarsene, ma ogni volta si ritrovò a ripetersi quanto fosse egoista.
"Sta partendo per migliorarsi, per dare una mano alla squadra", era diventata la frase di rito. "Akashi e tutto il resto possono anche aspettare a darti problemi".
La voce femminile dell'altoparlante iniziò a parlare, avvisando Kagami e gli altri futuri passeggeri a recarsi al gate numero 5, e risvegliandola.
«È il mio...». Il rosso rimase qualche istante ad osservare il tabellone scuro e strinse il pugno intorno alla fascia del borsone che aveva a tracolla.
Yuki si voltò a guardarlo tenendo la testa un po' bassa: aveva la stessa espressione felice ed emozionata di quel bambino di otto anni che conosceva bene. Un piccolo sorriso le comparve sul viso, come se quello sguardo così determinato fosse sufficiente a tranquillizzarla, senza nemmeno saperlo.
«Dovresti cominciare ad andare..!». La corvina si morse il labbro. La voce le era uscita fin troppo tremolante per essere convincente.
«Sei sicura di non voler venire anche tu? Sono sicuro che Alex ti piacerebbe, e che tu piaceresti a lei!».
Un sorriso incerto donò all'espressione della ragazza un che di malinconico.
«Stai tranquillo, Kagami... Devo occuparmi della Seirin in tua assenza, e aiutare Riko-san a prepararli prima che torni in Giappone! Tra l'altro, non ti sembra un po' tardi per rimuginarci su? Non ho nemmeno preso il biglietto!».
Il rosso mise il broncio borbottando e distogliendo lo sguardo da quello della più bassa.
«Ti metterei in valigia, sono sicuro che ci staresti benissimo...».
La corvina scoppiò in una piccola risata, dopo qualche attimo di silenzio.
«Non era una battuta, è vero!», esclamò Kagami, senza trattenere un sorriso.
Gli altoparlanti trasmisero nuovamente la voce femminile, che ripeté per la seconda volta l'avviso di poco prima.
La ragazza abbassò lo sguardo con le labbra curvate lievemente all'insù ma gli occhi lucidi. Prese a torturarsi le dita, non sapendo bene cosa dire o fare. Non aveva il coraggio né la forza di guardarlo negli occhi, e al contempo era certa che se non l'avesse salutato nel modo migliore se ne sarebbe pentita amaramente i giorni successivi. Lo sguardo del giocatore si posò su di lei.
Ci furono secondi di silenzio, quel tipico silenzio che precede la tempesta.
Kagami lasciò andare la valigia, che fortunatamente rimase in piedi, e circondò le spalle della ragazza, che si ritrovò in pochi istanti con il viso nella sua maglia.
Non appena riuscì a realizzare quanto appena accaduto, e che quella semi-oscurità in cui era caduta era stata causata dall'abbraccio del più alto, la vista della corvina le si appannò sempre più, offuscata dalle lacrime che minacciavano di uscire da un momento all'altro. Portò le braccia intorno al corpo del ragazzo, strofinando il volto nel tessuto scuro, abbassando le palpebre nell'istante in cui sentì il peso della mano di lui sulla sua testa.
Le dita del rosso si infilarono tra i folti capelli neri, e presero ad accarezzare la chioma scura e mossa, mentre il braccio che ancora le cingeva le spalle la stringeva di più a lui.
«Tornerò presto, più forte di adesso... Te lo prometto», disse in un sussurro, quasi come se quello fosse stato un segreto tra loro due. Yuki annuì, e dopo qualche secondo si separò a malincuore dal corpo del più alto.
La ragazza tentò di offrire all'amico il sorriso più naturale possibile, mentre le pupille si fissavano nelle sue in un disperato tentativo di trasmettergli ciò che non era in grado di proferire a parole.
«Ti aspetto a casa, Taiga...».


"Ce la farò".
"Non sarà così difficile".
"Dopotutto è anche iniziato il campo di allenamento, siamo tutti insieme".
Si, queste erano le parole che Yuki si era detta fra sé e sé una volta di ritorno dall'aeroporto. Vedere Kagami allontanarsi con la valigia in una mano e il borsone in spalla era stato difficile, più di quanto si aspettasse, ma ancora più complicato era stato trattenere le lacrime. Gli occhi avevano iniziato a pizzicare già al richiamo della voce robotica dell'altoparlante, e il rosso non le aveva di certo facilitato l'impresa nel momento in cui aveva deciso di abbracciarla in quel modo. Non che le fosse dispiaciuto, anzi, ma la maglietta scura del giocatore aveva ad un certo punto rischiato davvero di fare una brutta fine per colpa del pianto in cui aveva minacciato di scoppiare.
Uscita dalla struttura imponente e dirigendosi verso il campo in cui avrebbero vissuto alcuni giorni per allenarsi, la corvina aveva alzato gli occhi al cielo, seguendo per qualche passo lo scorrere lento e dolce delle poche nuvole che macchiavano la distesa azzurra.
Aveva poi introdotto la mano nello zainetto per estrarvi il cellulare e le cuffiette. Aveva infilato queste ultime nelle orecchie e, cominciando a camminare sul marciapiede, scelse la canzone più adatta per quel momento.
Strinse il cellulare nel palmo della mano, sistemandole poi entrambe nelle tasche della felpa, e proseguì a passo svelto verso la sua destinazione.
Mai come in quell'istante aveva ringraziato se stessa per non aver accettato l'invito di Riko che, preoccupata, le aveva proposto di tornare a casa insieme a lei e al padre, in macchina, prima che si recasse all'aeroporto con Kagami. Era stato un gesto gentile, che Yuki non si sarebbe aspettata (tanto meno sarebbe riuscita a rimanere impassibile di fronte all'espressione allarmata del coach della Seirin), ma in cuor suo era consapevole della necessità di rimanere sola che avrebbe sentito dopo la partenza del migliore amico.
Stare con qualcuno l'avrebbe... messa a disagio. Costretta a dire qualcosa ogni munto per smorzare l'atmosfera e dimostrarsi allegra e tranquilla (più per non incombere in situazioni imbarazzanti che per altro), quando lei stessa sapeva di non essere né l'una né l'altra.


«Yuki, sei tornata!».
Fu proprio la voce di Riko ad accogliere la ragazza, sulla soglia della porta. La corvina annuì, sorridendo, ancora intenta a riporre le cuffie nello zainetto. Si era fatto buio senza che nemmeno se ne accorgesse, tuttavia era contenta di aver passato la giornata da sola. Nonostante infatti la sua prima destinazione fosse stata quella, durante il tragitto aveva rallentato il passo e deciso che, dopotutto, di fretta per quel giorno non ne aveva. Aveva pranzato, fatto un giro con la musica nelle orecchie, comprato qualcosa di veloce per cena e infine si era diretta verso la sua meta iniziale. Il tutto intervallato dai messaggi di Kagami, che di tanto in tanto si prendeva la briga di descriverle il viaggio.
«Scusate il ritardo!», rispose, guadagnandosi una brutta occhiata e un broncetto infastidito del coach.
«Non devi assolutamente scusarti! Vieni dentro piuttosto, sarai stanca!».
La castana si scostò dalla porta quel tanto che permise alla più piccola di entrare, mentre ancora armeggiava con lo zaino.
«Com'è andata con Kagami..?». Il tono di Riko si era fatto basso, quasi dolce e decisamente preoccupato.
Yuki rivolse un tenero sorriso alla maggiore, per rassicurarla.
«Tutto bene! Era tranquillo, credo sia stia anche divertend-».
«E tu come stai?». Quella domanda spiazzò la più giovane, che per un attimo si bloccò completamente, con lo zaino in mano.
«Voglio dire, è stato molto difficile o..?».
«Non ti devi preoccupare, senpai... Dopotutto Kagami era così contento di partire, che il resto non conta!».
La castana rimase zitta ad osservare la compagna di squadra, che era dal canto suo intenta a togliersi le scarpe.
«Posso andare a fare il bagno?».
L'interpellata scosse un poco la testa per risvegliarsi dai suoi pensieri, e con un piccolo sorriso annuì.
«Ti basta salire le scale e andare a destra! Sono quasi tutti pronti per andare a dormire, o almeno spero», proferì con una punta di rabbia nella voce nell'ultima parte della frase, che a quel punto sembrava più una minaccia. «Se trovi qualcuno fuori dalla sua stanza, digliene quattro da parte mia! Il riposo è fondamentale, soprattutto in vista di cosa li aspetta!».
Yuki si lasciò sfuggire una piccola risata divertita, prima di salutare la maggiore e iniziare a salire le scale.


Il rumore dell'acqua corrente e il vapore che si era formato a causa del calore occupavano il bagno in cui Yuki si era appena spogliata. Fu felice nel constatare che la stanza era più grande del previsto e che, soprattutto, era da sola. Lo era stata per tutto il giorno, ma quel po' di relax prima di andare a dormire richiedeva silenzio e tranquillità.
Si legò i capelli come meglio poté in cima alla testa per impedire che si immergessero nell'acqua, e si infilò nella vasca.
Un profondo sospiro la accompagnò mentre si sedeva sul fondo con la schiena appoggiata al bordo, e chiuse per qualche istante gli occhi scuri.
"Vedi? Non è così male".
Sollevò leggermente le palpebre, prima di ritrovarsi immersa in mille pensieri.
Di colpo, la mente la riportò a Kagami, all'immagine di lui che si allontanava, e quella del suo viso felice e soddisfatto una volta giunto a Los Angeles. Questione di poche ore ormai, suppose.
Un sorriso le si dipinse sul viso più rilassato. Già pensava a quanto sarebbe stato emozionato quando sarebbe tornato e le avrebbe raccontato ogni particolare, ogni momento, ogni sensazione provata una volta atterrato.
La corvina chiuse gli occhi, lasciandosi andare all'idea di quel giorno che all'improvviso non pareva più cosi lontano.
Ma fu costretta a riaprirli quasi immediatamente. Gli occhi neri si fissarono sulla parete di fronte a lei, in segno di sgomento. Sentì le spalle irrigidirsi e il corpo immobilizzarsi nell'istante in cui si ritrovò davanti la figura di Akashi, quando ancora le palpebre erano completamente abbassate.
Il respiro le si fece corto, si sentì come se qualcosa, un peso, le si fosse prepotentemente posato sul petto, e le impedisse di accumulare ossigeno nei polmoni. Si tirò a sedere con la schiena ritta, distaccata dal bordo della vasca che d'un tratto le era sembrata troppo fredda al contatto con la pelle.
Si posò la mano sul petto, tentando in tutti i modi di pensare a qualcos'altro che non fosse lui. Man mano che la respirazione tornava regolare, tuttavia, si arrese all'evidenza: era impossibile, in quel momento soprattutto. In quel momento in cui la sua mente stava ripercorrendo le stesse fasi della prima partenza di Kagami, all'età di otto anni circa.
Yuki scosse la testa, chiudendo gli occhi neri, e si impresse con poca forza i palmi delle mani sulle guance con una piccola smorfia.
Dopo qualche minuto passato ancora a mollo, la corvina decise che stare lì non l'avrebbe certo aiutata a non pensare, e che stare troppo a lungo in una vasca piena d'acqua calda, circondata da vapore, non le avrebbe fatto così bene.
Si rialzò, uscendo con cautela da quel piccolo paradiso, afferrò l'asciugamano che si era portata nel bagno, e vi avvolse il corpo, legandolo sul petto.

La stanza che le era stata assegnata era tutt'altro che piccola, un po' spoglia forse, ma Yuki non fu affatto dispiaciuta quando vi entrò per la prima volta.
Non che si fosse concentrata così tanto sui particolari; era così stanca che l'unica cosa che avrebbe voluto fare era prendere il cellulare, posare lo zainetto e il borsone che conteneva tutto ciò che le sarebbe servito in quei giorni in un angolo e stendersi sul letto dopo essersi vestita comoda per la notte.
Chiuse la porta, ripose l'asciugamano, e una volta in intimo iniziò a cercare il pigiama che aveva portato con sé nel borsone. Dopo aver estratto alcune maglie che risultavano d'intralcio, si accorse che c'era un capo totalmente estraneo, in mezzo ai suoi così familiari.
Una felpa, rossa, decisamente più grande delle sue, spiccava tra tutti gli indumenti che aveva scelto per quei giorni, e qualche attimo di confusione più tardi Yuki si lasciò andare ad un enorme sorriso. La prese con delicatezza, senza stropicciarla, e la distese sul letto portandosi successivamente le mani sui fianchi, con le labbra ancora curvate all'insù.
“E questa, quando l'ha messa qui dentro?”.
Non appena i dettagli del capo d'abbigliamento vennero messi in evidenza dalla luce della stanza, la ragazza non tardò a riconoscerla: era a tutti gli effetti una delle felpe di Kagami. L'aveva visto indossarla innumerevoli volte, e pensava che l'avrebbe di sicuro portata con sé, in viaggio.
Si affettò ad indossare il primo pigiama che le capitò a tiro: si infilò i pantaloni, andò a lavarsi le mani, rientrò in stanza, fece lo stesso con la maglia, e dopo aver chiuso la porta della camera coprendosi rigorosamente il palmo con la manica, indossò la felpa.
Dopo aver chiuso completamente la cerniera, si guardò. Si posizionò di fronte allo specchio della stanza e osservò ancora la sua immagine riflessa.
La corvina scoppiò in una fragorosa risata nel constatare quanto effettivamente quel capo d'abbigliamento che aveva più volte visto addosso a Kagami fosse grande per lei. Le maniche erano così lunghe che pensò di aver perso le mani, riusciva a vedere chiaramente la maglia del pigiama al di sotto (dato che il collo era talmente ampio che la cerniera le arrivava a coprire a malapena il petto), e si allungava fino alle ginocchia. Alzò le braccia, guardandosi ancora, e si portò le mani al viso socchiudendo gli occhi. Poteva sentire distintamente il profumo del ragazzo, e bastarono pochi minuti affinché la riscaldasse. Forse perché nella stanza la temperatura era troppo alta, oppure perché la felpa era troppo pesante. Erano quelle ed altre le motivazioni irrilevanti a cui la corvina attribuiva la causa del rossore incombente sulle sue guance e del calore che percepiva in tutto il corpo e in special modo sul suo viso, senza nemmeno considerare l'eventualità che il vero motivo fosse il pensiero del giocatore in sé.
Si allontanò successivamente dallo specchio, per avvicinarsi al letto. Raccolse con cura tutti i vestiti che aveva sparso poco prima sulle coperte posizionandoli nell'armadio della stanza.
Prese il cellulare in mano, sedendosi e con grande felicità notò il messaggio di Kagami che la avvisava del suo arrivo nella città statunitense.
Yuki decise di chiamarlo, stanca di parlare solo attraverso uno schermo e una tastiera. Era stanca, ma avrebbe preferito sentire la sua voce un'ultima volta prima di mettersi definitivamente a dormire.
«Kagami?», chiese nell'istante in cui sentì rispondere dall'altro capo della chiamata.
«Mmh? Chi è?». Una voce femminile pose quella domanda (in inglese) che per un attimo preoccupò la ragazza.
«Mi chiamo Yuki...», rispose in tono incerto, nella lingua parlata dall'interlocutrice.
«Aaaah, Yuki!!», esclamò lei, quasi come se la conoscesse da una vita.
«Yuki?! Alex, dammi il telefono!». La voce di Kagami in lontananza tranquillizzò immediatamente la corvina, che solo in un secondo momento realizzò il nome pronunciato dal ragazzo.
«Piacere di conoscerti, Yuki!», riprese lei in giapponese, sorprendendo la più piccola.
«Taiga mi ha parlato molto di te, sai?».
«Alex, perché ti stai mettendo a parlare tu?!». Yuki rise di gusto a sentirlo mentre cercava, pelomeno così lo immaginava, di afferrare il cellulare dalle mani della donna.
«Piacere mio! Potrei parlare con Kagami?».
«Oh, ma certo, non mi ero proprio accorta che volesse parlare! Te lo passo!!».
L'ultima parte della frase pareva provenire da più lontano, segno che il dispositivo stava probabilmente tornando nelle mani del suo proprietario. In quel momento Yuki sentì un gran vociare in sottofondo, come se si trovassero in un luogo estremamente affollato.
«Yuki! Scusa, siamo ancora in aeroporto e avevo chiesto ad Alex di tenermi un attimo il telefon-».
«Ho fatto un ottimo lavoro, dovrai pur ammetterlo!», sentì, distante. Poi un sospiro da parte del ragazzo.
«Sembra simpatica!».
«Lo vedi, Taiga??», fece lei, come se stesse origliando la telefonata.
«Lascia parlare anche me!», irruppe Kagami infastidito. Yuki sapeva che si era imbronciato, lo poteva capire benissimo.
«Allora, tutto bene? Ti sei sistemata?».
«Davvero lo stai chiedendo a me?». Il tono sarcastico e sorpreso di Yuki fece borbottare Kagami.
«Com'è andato il volo, piuttosto?», chiese poi, curiosa.
«È stato fantastico, per fortuna! Mi ha ricordato la prima volta che sono venuto qui!».
«Eri così piccolo e carino allora!», di nuovo la voce della donna.
«Alex!!».
«Ha ragione, sai?», s'intromise la corvina, ridacchiando sotto i baffi.
«Sei tutto rosso, Taiga!! Che ti ha detto??». Alex era così emozionata che pareva fosse lei la turista, e non il rosso.
Kagami bofonchiò qualcosa, e Yuki si accorse di essere arrossita a sua volta.
«Taiga, per di qua!», disse ad un certo punto la più grande.
«Arrivo!», rispose lui.
«Kagami, se fai fatica possiamo parlare più tardi», intervenne Yuki.
«Mi piacerebbe dirti di no, ma c'è davvero troppa gente qui...».
«Allora ci risentiamo quando sarai più tranquillo!».
Ci fu una breve pausa.
«Che ore sono da voi?». Evidentemente si era fermato a guardare l'orologio.
«Saranno all'incirca le nove e mezza...».
«Mh...». Il rosso iniziò a pensare. «No, preferisco salutarti direttamente senza rischiare che si faccia troppo tardi per te».
«Ma lo sai che per me non è un problem-».
«Niente scuse, Yuki! Lo so che poi rimarresti alzata apposta, ti conosco! E guarda che l'ho sentito, quello sbadiglio». Effettivamente uno le era sfuggito, ma aveva fatto di tutto per non farglielo notare. E per quanto si fosse sforzata non avrebbe potuto far finta di non essere stanca dopo quella giornata così diversa dal solito. Non avrebbe voluto mentire a se stessa e soprattutto a lui.
Mise il broncio, stendendosi sul letto e posando una mano sul ventre, reggendo il cellulare con l'altra.
«D'accordo... Ma manda comunque un messaggio ogni tanto, capito? Non osare sparire nel nulla!».
Una lieve risata fece capolino attraverso lo schermo del telefono.
«Certo, mamma... Ti mando anche le foto per tranquillizzarti?», chiese con un tono sarcastico che però non irritò la corvina, anzi.
«Spiritoso! Ricordati che tra qualche giorno sarai di nuovo qui, e non avrai scampo!».
I due scoppiarono in una nuova risata, prima che il rosso ricominciasse a parlare.
«Devo andare adesso...». Una voce a metà tra l'emozionato e il malinconico, che per poco non fece scomparire il sorriso sul viso della ragazza.
«Buonanotte, Yuki», concluse poi, spazzando in parte la tristezza.
«Buonanotte, Kagami», ripeté lei, con le labbra ancora genuinamente curvate all'insù. Poco dopo, riportò il cellulare davanti al viso, terminando la chiamata a malincuore.
Allungandosi fu in grado di raggiungere con un braccio lo zainetto, frugandovi all'interno ed estraendovi poco dopo il caricatore del cellulare. Come aveva immaginato, la batteria era quasi morta; dopotutto l'aveva scarrozzato in giro per tutto il giorno dandogli tregua per un paio d'ore al massimo.
Lo inserì nella presa, attaccando lo spinotto nell'apposita fessura del dispositivo, e posò successivamente quest'ultimo sul comodino accanto al letto.
Portò le pupille a fissare per qualche minuto il soffitto chiaro della stanza, con un mezzo sorriso ancora stampato sul volto. Il polso destro si abbandonò sulla fronte della corvina, mentre la mano sinistra ancora poltriva sulla pancia.
Le palpebre si richiusero lentamente e il respiro si fece sempre più regolare e calmo, dettato dal sonno incombente e persuasivo e dal profumo della felpa.

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Capitolo 2
*** II. Akashi. ***


I passi della piccola Yuki risuonavano senza sosta, mentre, con le mani strette alle bretelle dello zaino e lo sguardo puntato verso il basso, gli occhi neri studiavano la cadenza con la quale le suole delle scarpe battevano sul marciapiede. Una riga si, una riga no, quella era la sequenza che la bambina seguiva nel calpestare le minuscole fessure che si presentavano a terra; e ogni qualvolta qualcosa andava per il verso sbagliato, le esili dita si stringevano sempre di più all'appiglio a cui abitualmente si trovavano aggrappate.
Era un'abitudine a cui era costretta da qualche anno a quella parte, durante il tragitto che separava casa sua dalla scuola, all'andata e al ritorno. Più volte aveva rischiato di arrivare tardi pur avendo impostato la sveglia prima del solito, e spesso aveva varcato la soglia di casa ad un orario improponibile rispetto agli altri bambini (come avrebbe sicuramente fatto quel giorno, ad esempio), con conseguente interrogatorio da parte soprattutto della madre preoccupata.
"Perché arrivi così tardi?".
"Ti è successo qualcosa?".
Queste ed altre erano le frasi che la corvina era ormai abituata a sentire. Fortunatamente Naoki non appena vedeva la sorella maggiore rientrare a casa non faceva altro che abbracciarla e raccontarle, all'inizio con difficoltà, tutte le attività che avevano riempito la sua giornata e tutti i giochi che aveva provato, salvandola dalle domande insistenti della donna.
Tutt'a un tratto, però, una musica giunse alle orecchie della bambina. Una musica che non aveva mai sentito prima, ma così bella e rilassante che si chiese se la stesse solo immaginando. Rimase qualche istante ferma, con la suola di una scarpa perfettamente disposta su una crepa, lo sguardo ancora rivolto verso il basso. Non era più concentrata sul marciapiede, voleva capire da dove provenisse quella melodia, scoprirne l'origine. Proseguì per alcuni passi ad una velocità più elevata rispetto all'andatura che solitamente manteneva, anzi, si mise quasi a correre; finché, all'improvviso, non giunse davanti al cancello di una villa che di ordinario pareva non avere nulla, nella prospettiva di una bambina di nove anni. La struttura, illuminata dalla calda luce del tramonto, era imponente, preceduta da un grande giardino curato nei minimi dettagli, e un piccolo sentiero in pietra partiva dal punto in cui Yuki si trovava e proseguiva fino al portone d'ingresso, quasi come se avesse voluto accompagnare il visitatore o gli stessi proprietari.
Gli occhi neri della bambina si illuminarono. Non aveva mai visto nulla di simile, e si chiese come avesse fatto a non notarla prima, dato che non aveva mai percorso altre se non quella strada. Probabilmente, si disse, la causa era riconducibile al suo mantenere sempre gli occhi fissi a terra, tranne alcune rare volte in cui Kagami riusciva a distrarla dalla cura scrupolosa e ossessiva che riponeva in ogni singolo movimento.
Intanto la musica continuava imperterrita a riempire l'aria di note eseguite quasi alla perfezione da un violino, che Yuki imparò a riconoscere solo in futuro.
Rimase lì, in piedi davanti al cancello, senza toccare nulla che non fossero le bretelle dello zainetto, con gli occhi scuri posati sull'abitazione ma senza che la corvina vi prestasse davvero attenzione. Il tempo passò così rapidamente che la corvina non si accorse dell'oscurità della sera che man mano prendeva piede tutt'intorno a lei. Fu nell'istante in cui la melodia terminò, che si scosse dall'immobilità in cui era caduta inconsapevolmente.
"È finita...", pensò, con un pesante senso di tristezza sul petto. Si disse che molto probabilmente chiunque stesse suonando fino a poco prima si fosse stancato, e con un piccolo sospiro strinse nuovamente le dita intorno alle bretelle e riprese a camminare.


«Mh?».
«Cosa succede, mamma? Cos'hai visto?». La voce del bambino si librò nella stanza, prendendo il posto del suono del violino. Gli occhi si posarono sul viso della donna che, seduta accanto a lui, aveva appena voltato lo sguardo, dirigendolo al di fuori della finestra.
«Oh, non ti preoccupare, Seijuro!».
Ma il rosso non sembrò per nulla soddisfatto dalla risposta, tanto che si fermò ad osservare ancora a lungo quel volto elegante e tranquillo.
«Sai, penso di aver visto una bambina...».
«Una bambina? Dove, mamma?».
«Appena fuori dal cancello...». La donna sorrise teneramente e rivolse lo sguardo verso il figlio, che con un'espressione confusa passò dall'osservare gli spartiti avanti a sé a puntare gli occhi nella stessa direzione della madre. «Sembrava apprezzare la tua musica!».
«Ma io non la vedo...», fece lui con un piccolo broncio deluso.
«Se ne sarà andata, Seijuro... Dopotutto si è fatto tardi!».
Il bambino dai corti capelli rossi annuì, soffermandosi ancora un poco sul cancello dell'abitazione, per poi iniziare a sistemare gli spartiti e l'amato violino nella custodia.
«Scommetto che la vedremo anche domani!», esclamò poi lei, in direzione del bimbo.
«Dici davvero..?», rispose lui, guardandola con occhi speranzosi.
«Ma certo! Facciamo così», continuò, «se domani faremo in tempo a vederla, la inviteremo ad entrare, sei d'accordo?».
L'espressione del rosso si illuminò, le labbra si schiusero per la sorpresa e dopo qualche secondo iniziò ad annuire, in risposta alla proposta della madre. Quest'ultima si lasciò sfuggire una piccola risata divertita, portandosi con eleganza la mano di fronte alle labbra e abbassando le palpebre.


Il giorno dopo Yuki seguì lo stesso percorso intrapreso il pomeriggio prima, all'incirca alla medesima ora, tentando di ricordare ogni incertezza sulla via che potesse farla giungere nel momento giusto di fronte a quella casa. Il passo risultò molto più rapido del previsto, le mani erano libere dalla presa alle bretelle dello zaino e seguivano con determinazione l'andatura curiosa e decisa della bambina. Gli occhi scuri rimasero sul marciapiede, fissi e imperturbabili per tutto il tragitto, finché non giunsero davanti al cancello dell'abitazione. Le pupille tornarono ad analizzare la struttura, il verde che la circondava donandole pace e tranquillità, quasi fosse stato un castello o un portale per un'altra dimensione, il piccolo sentiero in pietra e le finestre più o meno illuminate dalle luci accese all'interno.
Nessuna melodia. Niente musica. Yuki rimase qualche minuto davanti alle sbarre di ferro scure, con un'espressione che da speranzosa diveniva man mano sempre più delusa e triste.
Si era presa anche la briga di avvisare la madre che sarebbe probabilmente tornata tardi rispetto all'orario solito a causa della scuola, inventandosi la scusa (banale, ma la prima che le venne in mente), che le lezioni si sarebbero protratte a lungo. La donna le aveva rivolto uno sguardo incuriosito e confuso, e la corvina ebbe paura che da un momento all'altro l'avrebbe sommersa di domande per avere dettagli e informazioni aggiuntive. Invece, al contrario di quanto aveva temuto, non le chiese nulla, anzi, si limitò ad annuire, ad accarezzarle un poco i capelli e a riprendere a cucinare per la cena che sarebbe stata pronta di lì a qualche minuto.
«Nee-san, farai tardi?», le aveva chiesto Naoki, guardandola con un paio di occhi dolci che costrinsero la maggiore ad abbracciarlo d'istinto.
«Ti prometto che sarò a casa il prima possibile, Naoki-chan!», aveva risposto lei, scompigliandogli i corti capelli castani.
La bambina iniziò a pensare, con un sospiro, che il coraggio che aveva accumulato per avvisare la madre e la preoccupazione che aveva fatto nascere sul viso del fratello fossero stati inutili, considerando che il sole stava ormai calando e nessuna nota era ancora uscita da quella casa.
D'un tratto, un rumore non troppo forte, proveniente dal cancello, la destò dai suoi pensieri, spaventandola. Posò la mano su una delle sbarre rigide, spinse un poco e notò che era aperto. O meglio, qualcuno l'aveva aperto. Probabilmente l'avevano vista.
In una frazione di secondo, la mera curiosità che l'aveva avvolta si trasformò in vera e propria agitazione, un misto di paura e desiderio di scappare. Arrivò persino a chiedersi se quella della musica non fosse altro che una trappola per riuscire a catturarla.
Tentò di muoversi, per poter correre via, lontano da quel posto davanti al quale non sarebbe più passata.
Il portone d'ingresso si aprì, rivelando una figura femminile, vestita elegantemente e di bianco, con lunghi capelli castani e un viso quasi angelico. Gli occhi neri della bambina si posarono su di lei, attirati, seguendo i suoi passi con le pupille. I pensieri e le paure che l'avevano attanagliata in poco tempo e che avevano minacciato di farle esplodere il cuore da un momento all'altro sparirono, fluendo lentamente dal suo corpo, e la causa sembrò proprio essere l'espressione dolce della nuova arrivata. Quest'ultima la guardava, con un lieve sorriso rassicurante e gli occhi che parevano colmi di dolcezza.
La donna si fermò davanti al cancello, aprendolo e provocando nella bambina un brivido di spavento che se non fosse stata immobilizzata dalla paura l'avrebbe sicuramente costretta ad allontanarsi in fretta e furia. La castana si inginocchiò di fronte a lei, incrociando le braccia e posandole sulle gambe piegate. Il sorriso si fece anche più grande e intenerito nell'istante in cui la piccola deglutì rumorosamente e fissò le pupille nelle sue.
«Ciao!», iniziò, con un tono sufficientemente basso dal rilassare in parte la corvina.
«Come ti chiami?», continuò.
Nessuna risposta.
«Non volevo spaventarti...». Ancora silenzio.
«Ho visto che ti sei fermata qui anche ieri e...».
«M-Mi dispiace..!!», esclamò Yuki, con un piccolo inchino e gli occhi serrati.
La donna si lasciò andare ad una piccola risata che costrinse la bambina a risollevare di poco le palpebre e ad alzare la testa per poterla guardare. L'espressione così calma e rilassata della castana la fece sorridere e la tranquillizzò quasi immediatamente.
«Non devi scusarti!», riprese la più grande. «Mi stavo chiedendo se per caso volessi ascoltarla dentro, la musica!».
La bambina fece un passo indietro istintivamente.
«Mh..? Oh, non ti devi preoccupare! Non ti farò del male, puoi fidarti di me!».
L'immagine della madre che le ripeteva insistentemente di non dar retta agli sconosciuti fece capolino nella mente della corvina, che tuttavia quella fiducia di cui la donna parlava, già la sentiva. Non poteva essere un caso, aveva percepito chiaramente la sensazione di quiete e sicurezza quando l'aveva vista la prima volta. Perciò, non appena la donna le porse gentilmente la mano per accoglierla nell'abitazione, Yuki deglutì nuovamente, per poi accettare l'offerta.
La villa in cui era appena entrata pareva anche più immensa, vista dall'interno. I passi della corvina e dell'adulta risuonavano pacati e ripetitivi nel grande corridoio che stavano percorrendo, rimbalzando senza sosta da una parete all'altra, come gli occhi scuri della bambina. Le pupille non si davano un secondo di pace, intenti com'erano a studiare ogni minimo particolare che la struttura aveva da offrirle. Dai quadri appesi ai lati, sui muri colorati, al tappeto elegante che correva liscio e curato sul pavimento, alla piacevole sensazione di fresco che aleggiava intorno a loro. Si sentì una specie di regina nel suo regno, e si era immersa tanto in quella fantasia scoccata dal nulla che ad un certo punto si aspettò di dover entrare nella "stanza del trono".
E in effetti, come se avesse letto nella sua mente, la donna si fermò qualche istante più tardi davanti ad una porta.
«Siamo arrivate!», riprese a parlare, rivolgendole un altro sorriso che la più piccola ricambiò con un'espressione curiosa.
Dopodiché posò le dita sulla maniglia e la aprì.
Yuki buttò immediatamente l'occhio all'interno della stanza, in cui poté subito vedere alcuni strumenti musicali, fogli sparsi qua e là (spartiti, pensò), e poco più. Fu solo quando la donna aprì completamente la porta, e la condusse nella camera, che notò un altro bambino, seduto in un angolo con il violino in mano.
Aveva corti capelli rossi, occhi dello stesso colore, un'espressione genuinamente confusa e lo sguardo curioso puntato su di lei. Lo vide mentre faceva dondolare lentamente le gambe, prima che smettesse, cominciando a guardarla.
«Seijuro, ti presento...». La più grande si bloccò a metà della frase, portandosi poi una mano sul mento e riportando gli occhi sulla figura della bambina.
«Scusami, credo di non sapere ancora il tuo nome...».
«Mi chiamo Yuki..! Sasaki Yuki...».
«Yuki-chan!», esclamò lei, contenta. «Direi che ti si addice proprio, come nome!».
La bambina distolse lo sguardo, sorridendo lievemente, con un evidente imbarazzo dipinto sul volto. Sapeva bene a cosa si stesse riferendo: la sua pelle. Dopotutto, spesso e volentieri lei stessa si era chiesta se i suoi genitori avessero deciso quel nome, Yuki, "neve", dopo aver visto quella carnagione così chiara.
«Seijuro, presentati anche tu!», disse con tono gentile rivolto a colui che era presumibilmente il figlio. Quest'ultimo si alzò dalla sedia, posando con cura il violino nella custodia, e si avvicinò alla corvina con un piccolo sorriso.
«Mi chiamo Akashi Seijuro! Piacere di conoscerti Sasaki-san!».
Sentirsi chiamare in quel modo rischiò di far storcere il naso alla corvina. Non lo amava particolarmente, al contrario del suo nome.
Il rosso le porse la mano. Yuki arrossì, tentando in tutti i modi di non incrociare il suo sguardo, e gliela strinse sussurrando un flebile «va bene Yuki..!».


Se c'è una cosa che Yuki imparò di Akashi nei giorni successivi, quando tornò a casa sua, questa fu sicuramente la sua passione per il basket, oltre che per la musica. La corvina pensò che quello doveva essere uno sport popolare, considerato il fatto che anche Kagami stava iniziando ad avvicinarvisi, in America. Trascorreva minuti se non ore, durante le loro telefonate, a parlare di quanto si stesse allenando insieme a tale Himuro Tatsuya, e a quanto fosse contento di aver iniziato a giocarci. E nonostante uno strano sentimento di gelosia avesse già cominciato ad annidarsi nell'animo della bambina, era entusiasta quasi quanto l'amico della sua decisione e non faceva che supportarlo.
Perciò quando Akashi, un giorno, si presentò nel giardino della villa con un pallone arancione tra le mani, gli occhi della corvina si illuminarono.
«Yuki-chan, giochi per caso a basket?», chiese lui, inclinando la testa da un lato, alla vista della sua espressione fin troppo contenta.
«Io no, ma ne ho sentito tanto parlare!».
«Che ne dici di provare insieme??». La felicità di Yuki minacciò di scomparire.
«Non... so se sono capace...», disse in un fil di voce, abbassando lo sguardo.
Akashi sorrise e alzò il pallone nella sua direzione.
«Ti insegnerò io!».
Gli occhi della corvina si sollevarono lentamente da terra, riprendendo a brillare.
«Davvero lo faresti..?».
«Certo!! A me ha spiegato tutto la mamma!».
La bambina sorrise e annuì, lasciando che l'amico le illustrasse tutte le regole dello sport.


Le giornate trascorrevano così veloci che Yuki neanche si accorgeva di passare ore a casa del rosso. Sempre spensierate, senza intoppi, tra partitelle di basket, le merende preparate dalla madre di lui, risate in compagnia e di nuovo partite. Yuki sentiva finalmente di migliorare, di prestare l'attenzione necessaria sull'ambiente che la circondava, sui movimenti di Akashi e non solo. Si era accorta che non era un problema per lei fermarsi al momento giusto, nel punto più adatto per tirare a canestro, nonostante ancora la maggior parte dei tiri non andasse a segno. Tanto che la donna si congratulava specialmente con lei, lodandola ogni volta per la sua cura dei dettagli  e per la sua abilità di capire come muoversi. Complimenti che in fondo la corvina non sentiva di meritare: era vero, che i miglioramenti erano più che evidenti, ma in fin dei conti stava semplicemente giocando secondo il suo stile. Non avrebbe saputo NON prestare attenzione a ciò che trovava attorno a lei.
Capì che non era una capacità di cui tutti avrebbero potuto vantarsi il giorno in cui, giocando - come ogni pomeriggio -, aveva potuto vedere nella sua mente l'immagine di Akashi che cadeva malamente a terra, e un momento dopo era riuscita ad afferrare il braccio dell'amico, che era in procinto di scivolare.
La madre era accorsa a controllare che stessero entrambi bene, e quando chiese alla bambina come avesse fatto a muoversi così in fretta, Yuki rispose semplicemente che l'aveva visto. O meglio, sapeva che sarebbe successo.
Akashi l'aveva guardata con un'espressione sorpresa e incredula, che la costrinse finalmente a realizzare che, quella, era decisamente una cosa fuori dal comune.


I giochi continuarono, ma non per molto. Anzi, finirono così presto che lo scorrere degli eventi sembrò trascinare la corvina ma soprattutto il rosso in un vortice senza fine che non dava loro un secondo di tregua. La madre di Akashi era ormai morta da giorni, eppure nessuno dei due aveva voluto riprendere le loro piccole partite di basket. Rimanevano semplicemente insieme, nel giardino o davanti all'altarino eretto in suo onore, specialmente nei giorni di pioggia, seduti l'uno accanto all'altra. Spesso senza dire una parola per minuti, per ore. Le poche volte in cui qualche frase osava rompere il silenzio in cui si trovavano da giorni, queste erano proferite da Yuki, che tuttavia non aveva ancora il coraggio di guardarlo, chiuso com'era, con le gambe piegate al petto e lo sguardo fisso a terra.
Gli unici momenti in cui i suoi occhi sembravano illuminarsi almeno in parte erano quelli in cui la corvina si presentava davanti al cancello, finita la scuola. Era probabilmente quello, il motivo che la spingeva a continuare ad andare a casa sua, senza saltare nemmeno un giorno. Si era ripromessa che non l'avrebbe mai lasciato solo in balìa dei suoi pensieri. Il timore costante che se solo l'avesse lasciato un attimo sarebbe crollato definitivamente l'assaliva. Avrebbe fatto di tutto pur di aiutarlo, in qualche modo.


«Yuki...», le chiese un giorno, quasi dal nulla.
«Vieni alla Teiko, con me». La corvina rimase immobile per qualche istante, come se quella proposta l'avesse colpita fisicamente. Rivolse lo sguardo verso di lui, con un'espressione confusa e sorpresa.
«Alla Teiko?».
«Esatto», rispose lui, semplicemente. «Andremmo a scuola insieme, avremmo l'opportunità di unirci ai club di basket... Ho sentito che le squadre della Teiko sono molto forti».
«Akashi...».
«Sono sicuro che ci potremmo allenare come si deve, finalmente, e poi-».
«Akashi!».
La voce della ragazza lo costrinse ad interrompere la frase a metà, e a voltare lo sguardo verso di lei, incrociando gli occhi ai suoi.
«Vuoi davvero continuare a giocare a basket..?». Il tono dell'amica divenne così pacato e basso che sembrò fatto apposta per non turbarlo.
Il rosso rimase a guardarla per qualche istante, dopodiché fissò nuovamente le pupille sul terreno.
Ci furono attimi di silenzio in cui nulla parve più muoversi. La corvina rimase a guardare la figura dell'amico, che dal canto suo non sembrava intenzionato ad alzare il capo. Fu solo dopo qualche minuto che il ragazzo ricominciò a parlare, e Yuki ebbe l'impressione che fosse passata un'eternità.
«Il basket è ciò che mi resta di mia madre... Non posso rinunciare ad una delle cose più importanti che mi abbia trasmesso».
Un lieve sorriso comparve sul volto più rilassato della corvina, che posò la mano sulla gamba destra - la più vicina - dell'amico. Gli occhi rossi di lui si posarono lentamente sulle dita sottili che in quel momento riposavano sul tessuto scuro dei pantaloni.
«D'accordo... Verrò alla Teiko». Lo sguardo del rosso si alzò quasi subito sul suo viso.
«Davvero..? Hai appena accettato?».
La ragazza si lasciò sfuggire una piccola risata divertita prima di annuire.
«Così mi aiuterai anche a studiare, genietto!».
Lentamente, Akashi portò la mano al di sotto di quella della corvina, creando una sorta di barriera tra quest'ultima e i pantaloni. Le dita si intrecciarono, in modo dolce ma deciso, e i palmi premettero l'uno contro l'altro, formando un contatto che a Yuki non dispiacque. Tuttavia, non appena posò gli occhi prima su quell'unione così spontanea e naturale, e successivamente sul viso di lui, sentì le guance andare a fuoco e non fu in grado di sostenere lo sguardo quasi divertito del rosso.
«Almeno io studio, sai?».
La corvina mise un evidente broncio imbarazzato di fronte a quell'affermazione, che risultò in un borbottio sommesso più che in una valida argomentazione per controbattere all'accusa del più alto. Quest'ultimo non poté trattenere una breve risata ad occhi chiusi quasi nascosta.
La ragazza si rilassò in parte, guardandolo di sottecchi, e sorrise intenerita stringendogli la mano ancora connessa alla sua.


La Teiko non si rilevò una scuola come tutte le altre. Difficile, rigida, stressante, ecco come l'aveva percepita Yuki; al contrario di Akashi, che aveva iniziato a dare il massimo come suo solito dal primo giorno. L'unica consolazione della corvina fu, per qualche tempo, il famoso club di basket, a cui aspirava ad entrare sin dal suo ingresso in quella scuola così prestigiosa. Gli allenamenti erano infiniti e soprattutto impegnativi, tanto che più volte la giocatrice si era considerata troppo pigra, poco motivata e priva di bravura per poter far veramente parte di una squadra a quei livelli.
Lizzy, nome per esteso Elizabeth, bassa di statura, capelli castani, occhi azzurri, pelle lievemente scura e lentiggini che le donavano un aspetto molto più giovane del dovuto, iscritta anch'essa al club di basket, aveva notato da subito l'abilità ancora allo stato grezzo di Yuki, e proprio per questo motivo le due non avevano avuto difficoltà ad avvicinarsi e ad instaurare un legame molto forte. Del resto, se la castana era stata attirata dal misterioso tratto di Yuki, quest'ultima era affascinata dal suo innato talento.
Inizialmente si era chiesta come avesse fatto una ragazza così bassina e, soprattutto, del primo anno, ad aver acquisito una tale popolarità all'interno dell'istituto (non che lei fosse alta, e a maggior ragione faticava a comprendere).
Fu quando la vide giocare per la prima volta in una partita di allenamento che ogni suo dubbio venne spazzato via. Lo stile di gioco di Lizzy era fluido, rapido, senza intoppi o ostacoli, come se gli avversari che man mano si posizionavano davanti a lei per bloccarla non esistessero e, anzi, le facilitassero il tutto. La castana sfruttava la sua statura per migliorare non tanto la potenza, quanto più la velocità nei movimenti, che le consentivano di giungere senza difficoltà poco lontano dal canestro. Era proprio a quel punto, poi, che la seconda grande abilità della ragazza si manifestava: il salto. Se nella rapidità il compito maggiore era svolto dalla sua statura, la capacità di saltare con tanta facilità e ad una tale altezza fino a canestro faceva sicuramente parte di lei. Non era un qualcosa che aveva creato, quanto piuttosto una caratteristica che aveva coltivato e migliorato nel tempo.
La corvina ricordò di essere rimasta minuti interi a guardarla, a bocca aperta, a seguirla con lo sguardo, finché non si risvegliò dai suoi pensieri.
Fu quello il giorno in cui Yuki decise che nessuna scusa le avrebbe dovuto impedire di allenarsi abbastanza duramente da migliorare. Si sarebbe data da fare per poter sviluppare per quanto possibile le abilità in suo possesso, per poter giocare al fianco di Elizabeth senza sentirsi inferiore o di peso, e per Akashi, che tanto l'aveva spinta ad appassionarsi al basket.


«Yuki?».
Si stava ormai facendo buio, e Akashi si era avvicinato all'entrata della palestra femminile, con il borsone in spalla; le pupille esploravano ogni angolo alla ricerca dell'amica che, stranamente, non aveva ancora finito l'allenamento.
«Yuki, sei qui?». L'espressione sul volto del rosso si fece preoccupata nell'istante in cui realizzò che le luci della struttura erano completamente spente, segno che con ogni probabilità non vi era più anima viva all'interno. Il ragazzo fece un passo sul pavimento lucido della palestra, continuando a tenere sotto controllo l'ambiente circostante.
All'improvviso, la vide. La corvina era seduta con la schiena appoggiata alla parete, la bottiglietta d'acqua in una mano e l'altra avvinghiata insieme al braccio intorno alle gambe piegate. Akashi tirò un piccolo sospiro, abbassando le palpebre per poi riaprirle subito dopo e posare lo sguardo sulla figura dell'amica.
Si avvicinò, lasciando che il borsone si accasciasse a terra accanto a lui, e si inginocchiò di fronte a lei.
«Akashi...», sussurrò, senza però guardarlo.
«Giornata no?», chiese il rosso. L'amica affondò parte del viso sulle ginocchia, tenendo lo sguardo fisso a terra.
«Stanno migliorando tutte, perché io no?», riprese in un filo di voce. «Mi sto impegnando seriamente, eppure mi sento ancora inutile alla squadra...».
Dopo alcuni attimi di silenzio, la giocatrice sospirò chiudendo gli occhi scuri.
«Cosa dovrei fare, Akashi..?».
Il rosso la guardò per qualche secondo, prima di lasciare definitivamente che il borsone sul pavimento e di porgerle una mano. La corvina vi posò gli occhi, senza capire all'istante cosa volesse fare, ma la afferrò comunque. Akashi si alzò, costringendo anche l'amica ad abbandonare il posto in cui si era seduta, e la bottiglietta a terra.
Yuki si chiese cosa avesse intenzione di fare, e ancor di più quando lo vide allontanarsi per raggiungere inizialmente l'interruttore della luce, che accese, e poi il cesto con i palloni che lei stessa stava utilizzando fino a poco prima. Il rosso allungò un poco le braccia e ne afferrò uno, voltandosi verso il canestro. Posò lo sguardo su di lei, invitandola ad avvicinarsi, cosa che la ragazza fece senza attendere nemmeno un secondo.
«Dimmi dove devo tirare», disse, continuando a guardarla. La più bassa spalancò gli occhi in segno di sorpresa.
«Akashi, è tardi, dovremmo andare!».
Il rosso le rivolse un lieve sorriso, senza allentare la presa al pallone che teneva in mano.
«È tanto che non ci alleniamo insieme, no?».
«Questo è vero, ma...».
«Solo un paio di tiri, e poi torniamo a casa», riprese lui, interrompendola. «Voglio dimostrarti che la tua abilità non è inutile come credi».
Lo sguardo del ragazzo era così serio, puntato su quello più incerto della corvina, che la giocatrice non poté che sospirare e puntare gli occhi scuri sul canestro.
«D'accordo, allora...», cominciò, avvicinandosi a lui. «Alza un po' più il braccio».
Il più alto puntò le pupille sul tabellone bianco, per poi obbedire al comando dell'amica.
«Fermo così», continuò. «Ora, vai».
Akashi fece per tirare il pallone, ma prima di farlo abbassò di poco il braccio. La palla entrò nel canestro, ma quel gesto non passò inosservato da Yuki, che poco dopo il lancio mise il broncio portandosi le mani sui fianchi.
«Akashi!».
«Mh? Che succede?», chiese lui ingenuamente, fingendo di non sapere cosa avesse fatto scattare in quel modo l'amica.
«Non provare a muoverti di nascosto per farmi credere che sia andata a canestro grazie a me! Ti ho visto, sai?».
Il giocatore sorrise lievemente, allontanandosi da lei per recuperare il pallone che aveva appena cessato di rotolare sul pavimento. Si chinò ad afferrarlo, e nel frattempo iniziò a parlare, con un tono che rassicurò all'istante la corvina.
«Vedi? Te ne sei accorta...».
«Eeh..? Che intendi? Il braccio? Chiunque se ne sarebbe accort-».
«No, non chiunque», si intromise lui. «L'ho spostato così poco che per un attimo ho pensato che nemmeno tu l'avresti visto».
Dopo aver proferito quella semplice quanto accurata frase, Akashi ritornò a posizionarsi di fronte alla giocatrice, che dal canto suo aveva lasciato che un'espressione stupita e quasi incredula prendesse rapidamente il posto di quella imbronciata che aveva regnato sul suo volto fino a poco prima.
«Lo capisci adesso?», riprese a parlare lui, guardandola dritto negli occhi scuri.
«Se riuscirai a perfezionarla, sarà molto più che utile, sul campo».
Yuki abbassò lievemente lo sguardo, che venne pian piano illuminato da un piccolo sorriso a metà tra l'imbarazzato e il sollevato. Annuì, senza dire nulla, sotto lo sguardo compiaciuto del rosso.
«Avanti, proviamo di nuovo», disse dopo qualche istante.
«Ti assicuro che non farò più di testa mia», aggiunse, scatenando una leggera risata da parte dell'interlocutrice.
«Proverò a crederti, per questa volta!».


«Ragazzi, vi presento Sasaki Yuki».
Gli sguardi dei giocatori della Teiko maschile si posarono tutti e quasi in contemporanea sul futuro capitano e sulla figura che vi si era affiancata. Era da giorni, anzi, settimane, che Yuki chiedeva insistentemente ad Akashi di farle incontrare i suoi compagni di squadra, che non solo la incuriosivano, ma avevano attirato completamente la sua attenzione a causa delle loro straordinarie capacità in gioco. Era contenta di essere finalmente riuscita a convincere l'amico, che aveva tuttavia accettato solo dopo qualche tempo. Dopotutto non aveva fatto altro che pregarlo e sommergerlo di domande, e alla fine il rosso era stato costretto ad accontentare la richiesta della più bassa.
«Eeeeeh?? Quindi è questa la famosa Yuki?». A proferire la prima frase era stato il ragazzo dai capelli blu e dalla pelle scura, che le si era subito avvicinato.
«Perlomeno presentati, prima di darle confidenza, Aomine...», s'intromise Akashi, con un'espressione a dir poco sconsolata.
«Oh, giusto!», disse lui, portandosi la mano dietro il capo. «Piacere, Aomine Daiki!».
Gli occhi scuri della ragazza iniziarono ad osservarlo insistentemente, studiandolo senza tralasciare nessun dettaglio.
«Akashi, sicuro che si senta bene?», aveva chiesto un secondo giocatore, parecchio più alto del rosso e dai capelli verdi. Si sistemò gli occhiali con le dita, pronunciando quelle parole alle quali Akashi stava per rispondere.
«Non ho mai visto un ragazzo veloce quanto te, sai?», esclamò lei tutt'a un tratto. Dopodiché prese ad analizzare di volta in volta ognuno di loro.
«Hai un'ottima mira, complimenti!», disse rivolgendosi proprio al verde.
«Oh, sei quello bravissimo in difesa, giusto? Un po' pigro, forse», continuò direzionando lo sguardo al viola, il più alto.
«Ti ho visto giocare a calcio! Certo che impari proprio in fretta, eh!», terminò posando le pupille sul biondo, quello dall'espressione più confusa tra tutti.
«Akashi, sbaglio o ne manca uno?», chiese infine al rosso, che spalancò un poco gli occhi.
«Kuroko?», domandò lui, sorpreso.
«Sono qui», s'intromise l'ultimo, l'azzurrino, alzando lievemente il braccio, non molto lontano da lei.
Yuki rischiò di cacciare un urlo ma si portò istantaneamente la mano a coprire la bocca, voltandosi di scatto verso il più basso. Quest'ultimo continuò a guardarla, inclinando la testa. La corvina riuscì a calmarsi in fretta, e sospirò quasi come per liberarsi di un peso, portandosi le dita sul petto.
«Scusa, non ti avevo visto..!».
Ci furono attimi interminabili di silenzio, in cui i membri della Teiko non fecero che osservare increduli e a bocca aperta la nuova arrivata. Fu solo quando Kise iniziò a parlare, che la quiete in cui erano caduti crollò inesorabilmente.
«Akashicchi, ci ha studiati?!», esclamò.
Il rosso tirò un lieve sospiro ad occhi chiusi, per poi risollevare le palpebre.
«Ha questa abitudine, si...».
Dopo aver quasi sussurrato quella frase, che non migliorò la situazione né fu in grado di calmare lo stupore generale (in special modo quello che regnava sui volti di Aomine e Kise), il futuro capitano riprese a parlare.
«Yuki, loro sono Aomine Daiki, Kise Ryouta, Murasakibara Atsushi, Midorima Shintarou e Kuroko Tetsuya».
«Ehi, questo non risponde per niente alla mia domanda!!», esclamò nuovamente il biondo.
«Piacere di conoscervi!», lo interruppe lei, in un piccolo inchino.
Kise mise il broncio, borbottando e incrociando le braccia in segno di disappunto.
«Sono ancora confuso, ma-».
«Finalmente Akashi si è deciso a portarti qui!». Fu Aomine ad interromperlo la seconda volta, avvicinandosi maggiormente alla corvina e circondandole le spalle con un braccio. «Era da tempo che volevamo conoscere la famosa Yuki che torna a casa tutti i giorni insieme a lui!».
La ragazza rise, chiudendo gli occhi scuri senza opporre resistenza al gesto così inaspettato del blu.
«Credo di averlo portato all'esaurimento da quante volte gli ho chiesto di farmi conoscere la famigerata squadra dei primini!».
«Ehi, saremo anche primini, ma sono sicuro che riusciremo a superare i senpai in men che non si dica!».
Le risate della più bassa continuarono imperterrite a risuonare tra le mura della palestra, sotto lo sguardo contento del rosso.


«Sai, Yuki».
La voce di Akashi ruppe il calmo silenzio che regnava intorno a loro. Le luci dei lampioni entravano in contrasto con quella arancione del tramonto, e illuminava i loro visi. Si erano appena seduti su una panchina, con il borsone e la cartella posati a terra, lei con i capelli neri legati e già concentrata sulla splendida sensazione donata del freddo del gelato che entrambi avevano comprato pochi minuti prima.
«Mh?», disse lei, voltandosi a guardare il volto del ragazzo accanto a lei.
«Ti vedo più rilassata da quando hai conosciuto gli altri», continuò il rosso, guardandola. L'amica sorrise, un sorriso genuino che sorprese persino lui.
«Sono bravi ragazzi...».
«Ti trovi bene con Aomine, giusto?».
La giocatrice scoppiò in una piccola risata.
«Non posso dire di no!». Lo sguardo della corvina si posò sul volto incuriosito di lui. «Come mai me lo chiedi? Non sarai mica geloso, Akashi!».
Le guance dell'interpellato iniziarono a colorarsi seppur lievemente dello stesso colore dei capelli, e si mischiava in modo quasi perfetto con la luce di quel sole che stava pian piano lasciando il posto alla sera.
«No, non è così..!».
La più bassa sorrise ancora, con il volto diretto verso il suo.
«È vero, mi sono avvicinata subito ad Aomine perché abbiamo molto in comune... Ma con te è... diverso».
Improvvisamente, le pupille della corvina si abbassarono sul terreno, e l'espressione serena si trasformò pian piano in una più tesa, che non sfuggì all'occhio attento del rosso.
«Akashi...», riprese a parlare, stringendo il cono tra le dita.
«Ho bisogno di chiederti una cosa», continuò, seria. L'amico non disse nulla, facendole intendere che era all'ascolto.
«Mi sento come se le cose dovessero peggiorare da un momento all'altro... So che sono paranoica e molto spesso mi invento problemi che non esistono, ma questa volta non riesco a convincermi che sia tutto nella mia testa».
«Cosa intendi?», domandò lui, aggrottando un poco la fronte.
«Non lo so nemmeno io... Tuo padre non fa altro che pressarti, ho paura che ti allontanerai sempre di più, e...». Si prese una pausa, per tirare un lungo sospiro. Riaprì gli occhi, posando lo sguardo sul viso dell'amico.
«Mi prometti che non cambierai, Akashi? Qualsiasi cosa accada».
«Yuki...».
«Non voglio perderti, chiunque altro ma non te». La sua espressione si fece man mano più decisa. «Me lo prometti?».
Il rosso rimase qualche istante ad osservare gli occhi scuri della ragazza, e avrebbe giurato di averli visti inumidirsi nell'attesa, in quel momento. Annuì, senza distogliere lo sguardo dal suo, finché la giocatrice non terminò quel discorso con un lieve sorriso e un'esclamazione che lo fece quasi ridere.
«In cambio la prossima volta ti offrirò il gelato!».
«Scambio equo, mi pare...».
«Ehi, ti comprerò addirittura il più grande!», rispose lei, che aveva percepito il tono sarcastico del ragazzo.


«Ci vediamo domani, allora».
«Ti vengo a prendere, come al solito!».
«Yuki, non è necessario che sia tu a venire sempre fin qui...».
«Stai scherzando? Mi piace vedere casa tua! Mi ricorda la prima volta che mi sono fermata qui davanti!».
Akashi sorrise lievemente, sorriso che venne accolto da uno anche più ampio da parte della corvina.
All'improvviso, la più bassa allungò un braccio, raggiungendo con le dita quelle di lui. Quest'ultimo non esitò un solo istante, e le prese mano. La ragazza deglutì silenziosamente, distogliendo lo sguardo da quello dell'amico, che dal canto suo non sembrava intenzionato a lasciarla andare tanto facilmente.
Qualche attimo dopo, Yuki si decise. Sentiva che era il momento giusto. Fece un passo in avanti, avvicinando velocemente il viso al suo, serrando gli occhi e posando con una delicatezza che riteneva necessaria le labbra sulle sue. Sentì le guance andarle a fuoco, una tensione crescente in tutto il corpo, e un calore che si espandeva ogni secondo di più sul viso e sulle mani, specialmente nell'istante in cui percepì il rosso farsi più vicino. Il terrore che potesse respingerla venne spazzato via quando la mano venne stretta ancor di più in quella del giocatore, che aveva socchiuso gli occhi a sua volta.
Passarono secondi che parvero un'eternità ad entrambi, ma che sembrò al contrario insufficiente nel momento in cui la corvina si separò da quel contatto breve ma intenso, fissando le pupille nelle sue, con il viso dello stesso colore dei capelli di lui.
«D-Devo andare..!!», balbettò lei, spezzando l'unione delle dita e stringendole attorno al manico della cartella.
Si allontanò così, spedita, con il viso rivolto verso il basso, gli occhi spalancati e un'espressione imbarazzata, tanto presa dall'emozione del momento che nemmeno fece caso alle crepe sul marciapiede che non pestava e a quelle che toccava con meno cura del solito.
Akashi sorrise lievemente e la guardò allontanarsi con uno sguardo compiaciuto, prima di entrare nel cancello e lasciarsi quell'istante alle spalle, con un lieve rossore che faceva capolino sulle sue guance.

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Capitolo 3
*** III. Winter Cup. ***


Hitomi: oc di Heartspowl (Heartspowl's Art su fb);
Elizabeth / Lizzy: oc di una mia cara amica.



Yuki non riusciva a sentirsi tranquilla, non quel giorno. La Winter Cup era iniziata, e la Seirin si trovava lì, sugli spalti dell'enorme stadio in cui il campionato si sarebbe tenuto, ad attendere ed osservare i dintorni. Cosa che avrebbe sicuramente fatto anche la corvina, se non fosse già stata sommersa dai pensieri.
Primo, non riusciva a calmarsi in quella situazione così nuova e grande per lei, si sentiva immensamente piccola passando tra le poltroncine messe a disposizione per gli innumerevoli futuri spettatori e i corridoi intrisi di silenziose sfide tra i giocatori, di spirito di squadra, di determinazione. Ma anche di tensione, paura, delusione, rimpianti.
Secondo, sentiva l'agitazione crescere sempre più, ogni minuto che passava, al pensiero che Kagami sarebbe tornato dall'America. Non che fosse trascorsa un'eternità da quando aveva lasciato il Giappone qualche giorno prima, ma non riusciva a contenere l'emozione al sapere che avrebbe finalmente potuto rivedere il rosso.
Terzo ed ultimo (ma non meno importante, anzi), l'immagine di Akashi e la consapevolezza che presto o tardi l'avrebbe incontrato la preoccupava ed elettrizzava allo stesso tempo. Erano passati all'incirca due anni dall'ultima volta in cui si erano visti, in ospedale, ed era genuinamente curiosa di sapere che strada avesse intrapreso, quanto fosse cresciuto, e, chissà, scambiare quattro chiacchiere. Dopotutto le mancavano la voce di Akashi e le discussioni che intavolavano quando non sentivano il bisogno di lasciar spazio al silenzio che, tra loro, non era mai completamente vuoto.
Camminava accanto a Riko e Hyuuga, che si guardavano intorno come il resto della squadra, parlottando per decidere il da farsi. Yuki si fermò qualche istante ad osservare il campo che si trovava poco al di sotto di loro, al centro della struttura, e sorrise lievemente al pensiero che presto si sarebbero trovati proprio lì, a giocare in mezzo alla folla accanita che avrebbe finalmente potuto assistere alle vere capacità della Seirin. Non sarebbero stati sconfitti, non di nuovo.
Gli occhi scuri della corvina vagarono per lo stadio, quasi avesse dovuto memorizzare ogni centimetro, ed era talmente concentrata che non appena una mano si posò sulla sua spalla ci mancò poco che tirasse un urlo o saltasse fino al soffitto.
Si voltò di scatto, per sapere di chi si trattasse, pensando che, forse, era stata opera di Koganei o di qualche altro membro della squadra. E invece, la figura che si presentò davanti a lei le fece brillare gli occhi e illuminare in poco tempo il viso.
«Lizzy!!», esclamò, noncurante degli sguardi dei presenti. La castana ridacchiò, togliendo la mano dalla sua spalla.
«Yuki-chan! Ti ho trovata, finalmente!».
«È da un sacco che non ci vediamo!!». Il sorriso raggiante che si era dipinto sul viso della ragazza lasciò il posto ad un'espressione decisamente amareggiata e triste nel momento in cui soffermò lo sguardo un poco più in basso.
Elizabeth si reggeva sulle stampelle, le uniche che le permettevano di camminare, e che le avevano concesso una vita quasi normale (sempre meglio che essere confinata a letto), dopo numerose operazioni. Il volto della più bassa si rabbuiò all'istante, e non ebbe più il coraggio di guardare l'ex compagna di squadra negli occhi.
«Mh?». Lizzy inclinò lievemente la testa, sbattendo un paio di volte le palpebre, genuinamente confusa. «Yuki-chan?».
La corvina scosse la testa per riprendersi e scacciare i ricordi più brutti che avevano caratterizzato il periodo delle scuole medie, e cercò di mantenere un sorriso che tuttavia di reale non aveva nulla. L'amica se ne rese conto immediatamente, e portò una mano sulla sua spalla, caricando il peso sulla stampella sinistra e lasciando che la destra si appoggiasse al suo corpo per non cadere.
«È bello vederti! E soprattutto sono felice che tu stia bene, adesso...».
«Al contrario tuo...». Il tono della più bassa era divenuto un sussurro che la castana comprese a fatica, e dopo aver abbassato lo sguardo con un sorriso triste, gli occhi azzurri si rialzarono per posarsi sulla Seirin, che si stava lentamente allontanando.
«Come ti trovi, con loro?».
«Non è importante adesso, ciò che conta è che tu-».
«Ooh, giusto! Ne manca uno, vero? Manca il famoso Kagami!», la interruppe lei, con una punta di malizia nella voce. Le guance della corvina si dipinsero di un rosso acceso, gonfiandosi mentre distoglieva lo sguardo, imbarazzata.
«T-Torna oggi...». Yuki si era arresa. Era impossibile far parlare Elizabeth di argomenti che la ponevano al centro dell'attenzione, o che la facevano soffrire particolarmente, senza che cambiasse discorso. Ciò però non l'aiutava a migliorare la situazione, anzi, non faceva che appesantire il senso di colpa che provava. Dopotutto non aveva ancora avuto il coraggio di dirglielo, ma sapeva benissimo che la colpa di quell'incidente che aveva condannato a morte la carriera a cui teneva tanto era anche sua. Al punto che quando lei, in ospedale, le aveva confidato i suoi sospetti su Akashi, Yuki non solo non l'aveva creduto possibile, ma aveva addirittura preso le parole dell'amica come una maschera. Una copertura. Un modo, per Elizabeth, di spostare la responsabilità da lei al rosso, per non essere costretta ad accanirsi contro una sua compagna di squadra. La corvina tirò un sospiro, sotto lo sguardo preoccupato dell'ex giocatrice.
«Yuki-chan, adesso devo andare... Ma vorrei davvero fare un giro con te, quando la Winter Cup sarà finita... Come alle medie! Ci stai?».
La più bassa sentì un peso liberarle il petto. Non conosceva nemmeno lei esattamente il motivo per il quale quella domanda l'aveva fatta sentire meglio. Probabilmente, si disse, era contenta che nonostante tutto Lizzy avesse voluto ancora uscire insieme a lei, vivere una vita... normale.
Perciò annuì, offrendole un sorriso molto più genuino, mentre la ragazza si avvicinava nuovamente alla sua squadra dopo averla salutata.
Accelerando il passo, fu in grado di raggiungere anch'essa la Seirin, al fianco di Koganei che stava iniziando ad allarmarsi per l'improvviso allontanamento della più piccola.
«Tetsu!!», un'allegra voce femminile sovrastò in un attimo tutte quelle della squadra, i cui giocatori si voltarono all'istante, alcuni persino spaventati, a ricercarne l'origine.
«Hitomi-chan!», Kuroko rispose al richiamo, e venne investito dall'abbraccio della violetta.
«Ti stavo cercando dappertutto!», fece lei, gonfiando un poco le guance in segno di disappunto.
«Sono contento di vederti!», disse lui donandole un leggero sorriso che le fece andare il viso in fiamme man mano che i secondi passavano.
Hyuuga tossì sommessamente, costringendo i due a voltarsi verso di lui, Hitomi quasi a disagio, Kuroko ingenuamente confuso, come al solito. Fu quando Kiyoshi cominciò a ridere di fronte alla reazione della ragazza, che quest'ultima si separò immediatamente dall'abbraccio, diventando paonazza in volto. Si avvicinò in un baleno al gigante castano, dandogli piccoli pugni sul petto, con gli occhi ghiaccio serrati e il viso completamente rosso.
«Teppei-san, non ridere!!», esclamò, con la voce rotta dall'imbarazzo.
«No, no, non rido!», fece lui, con tono ironico, sorridendo e posandole una mano sui capelli viola.
Il capitano sospirò, tentando di riportare l'attenzione dei compagni su di lui. Non fece in tempo a parlare, che l'azzurrino si portò la mano in tasca estraendovi il cellulare.
"Un messaggio?", pensò, facendo scorrere gli occhi chiari sullo schermo illuminato.
«Scusate, posso assentarmi un attimo?», chiese, alzando lo sguardo e posandolo su quello di Hyuuga e di Riko, che si portò le mani sui fianchi con un leggero broncio dipinto sul viso.
«D'accordo, ma non fare tardi! Abbiamo una partita, nel pomeriggio!».
Il giocatore annuì, incrociò per qualche istante le pupille fisse su di lui di Hitomi, e le rivolse un leggero cenno del capo, come a tranquillizzarla e a riferirle silenziosamente che sarebbe tornato presto.
Yuki aggrottò di poco la fronte, non appena Riko ebbe mandato Furihata a seguirlo, osservando la figura di Kuroko allontanarsi. Posò una mano sulla spalla della violetta, che stava per fare lo stesso con un'espressione preoccupata.
«Yuki-san..?», fece lei, non sapendo bene quali fossero le intenzioni dell'amica.
«Hitomi-san, vuoi scoprire dove stia andando Kuroko, non è così?». L'interpellata mise un piccolo broncio, abbassando il capo.
«Beh, sì... Non è che non mi fidi, è solo che-».
«Sei preoccupata, giusto?». La violetta alzò di colpo di occhi fissando il viso voltato della corvina, con uno sguardo colmo di sorpresa.
«Esatto..! Come hai fatto a-».
«Intuizione. Andiamo, seguimi». Yuki non diede alla studentessa della Shutoku nemmeno il tempo di aprire bocca; le prese il polso, allontanandosi in fretta prima che che i compagni di squadra (soprattutto Kiyoshi) notassero la loro fuga, e seguì con gli occhi la figura dell'azzurrino cercando un modo per non percorrere il suo stesso tragitto.
Presto si ritrovarono al di fuori della struttura, ad una distanza più ravvicinata da lui ma che permettesse loro di non essere viste. Quando il ragazzo iniziò a rallentare il passo, Yuki si fermò, tenendo ancora stretto nella mano il suo polso, si voltò verso di lei facendole segno di non aprire bocca posandosi un dito sulle labbra, e poco dopo si accucciarono dietro ad alcuni cespugli. Fu in quel momento che la corvina poté notare ciò che mai si sarebbe aspettata di trovare. Sulle scale si erano riuniti nientepopodimeno che tutti i membri della Teiko.
Kuroko si era fermato poco lontano dai gradini, Midorima, Kise e Murasakibara erano in piedi, l'ultimo con una busta di patatine in mano e il primo con un paio di forbici (l'oggetto fortunato del giorno, pensò lei), Aomine era seduto quasi in cima.
"Cosa ci fanno tutti qui..?", si chiese.
«Sembra stiano aspettando qualcuno», sussurrò Hitomi, che aveva posato gli occhi ghiaccio su di loro.
"Si, ma chi?", si domandò la corvina. "Che sia stato Akashi ad averli fatti venire tutti qui? A quale scopo?".
Mille pensieri attraversarono la sua mente. Se davvero la sua ipotesi fosse stata corretta, Furihata non avrebbe dovuto trovarsi lì. Le pupille si posarono sulla figura di quest'ultimo, che aveva appena fatto un passo indietro alla vista dei giganti della Generazione dei Miracoli.
D'un tratto, proprio i diretti interessati iniziarono a parlare fra loro, includendo anche Kuroko in una discussione di cui Yuki fece fatica a distinguere le parole, ma che aveva tutto l'aspetto di una normale chiacchierata, un po' fredda, distaccata forse. Non di certo ciò che si sarebbe aspettata. Finché dalla cima delle scale non apparve una figura a lei ben nota.
Corti capelli rossi, ciuffi che ricadevano davanti agli occhi, non molto alta di statura. Akashi era finalmente arrivato.
Yuki deglutì rumorosamente, irrigidendosi alla vista non tanto della divisa così diversa da quella a cui era abituata, quanto più a quella delle pupille del ragazzo. L'occhio sinistro dell'amico d'infanzia era infatti... giallo.
«Cosa..?», sussurrò, con i suoi completamente spalancati e le labbra schiuse a causa dell'orribile sensazione che cominciò ad albergare il suo petto.
«Yuki? Yuki, stai bene?», chiese a bassa voce, con un tono intriso di preoccupazione, la violetta, che le posò la mano sul braccio.
«Mi dispiace avervi fatto aspettare», pronunciò solenne Akashi. «Daiki, Ryouta, Shintarou, Atsushi, Tetsuya. È bello rivedervi».
Il corpo della corvina venne percosso da brividi, alle parole del rosso. "No, non è lui...", si disse, tentando di convincersi che stesse solo sognando.
«Tuttavia, c'è un intruso», continuò lui, con lo sguardo puntato quasi senza emozione davanti a lui, in direzione di Furihata. «Scusa, vorrei parlare con i miei ex compagni di squadra. Potresti andartene?».
Il tono di voce di Akashi era così vuoto, che a malapena Yuki avrebbe saputo distinguere quella richiesta da un vero e proprio ordine. I suoi occhi si posarono sul castano, e strinse i pugni constatando che quest'ultimo non aveva ancora mosso un muscolo semplicemente a causa della paura che gli aveva bloccato gli arti e che lo stava facendo addirittura tremare.
Ma proprio nel momento in cui fece per rialzarsi e andare ad aiutare il compagno di squadra, le pupille entrarono in contatto con un'ulteriore figura, appena arrivata, che aveva portato la mano sulla spalla del più basso.
«Kagami..!», sussurrò Yuki, coprendosi subito dopo la bocca con la mano. Fortunatamente, nessuno si era accorto della loro presenza, il che fece sospirare la violetta, sollevata.
«Sono tornato», fece lui con un sorriso che la ragazza poté vedere solo di sfuggita. «Possiamo parlare più tardi», continuò poi, rimettendo la mano in tasca e facendo qualche passo in avanti, con lo sguardo puntato su Akashi.
«Tu sei Akashi, giusto? Felice di conoscerti».
Fu in quell'istante, che Yuki avvertì un orribile presentimento, che peggiorò quando si accorse che l'espressione impassibile del rosso non era cambiata di una virgola.
«Shintarou», riprese a parlare, ignorando le parole di Kagami. «Puoi prestarmi le tue forbici?».
«Mh? A cosa ti servono?».
«I capelli mi danno fastidio. È un po' che vorrei tagliarli».
Il più basso scese le scale lentamente, sotto lo sguardo indisturbato degli altri membri della Generazione dei Miracoli, e non appena si fu avvicinato a Midorima, quest'ultimo gli porse l'oggetto fortunato del giorno.
«Ma prima...». Akashi fece ancora qualche passo in direzione del nuovo arrivato, che lo guardò con un'espressione via via sempre più attenta e preoccupata.
«Tu sei Kagami, non è così?».

Fu questione di pochi secondi. Il rosso aveva allungato con una rapidità sconcertante il braccio verso il viso del più alto, ma era stato bloccato prima che potesse raggiungerlo.
«Yuki-san! Hitomi-chan!».
La corvina era riuscita in poco tempo ad abbandonare il nascondiglio e a piazzarsi il più velocemente possibile tra Akashi e Kagami, afferrando con una mano il polso sinistro dell'ex capitano della Teiko; le dita vi erano strette tutt'intorno, lo sguardo era basso e gli occhi oscurati. La violetta era dal canto suo corsa in direzione dell'azzurrino, fermandosi avanti a lui con il braccio destro alzato in modo da proteggerlo.
«Yuki!!», esclamò Kagami dopo qualche istante di silenzio. L'espressione del rosso, quasi terrorizzata dall'accaduto, si fece preoccupata nel momento in cui realizzò la presenza della ragazza di fronte a lui. Sentì un lieve bruciore attraversargli la guancia, ma non ci fece caso.
La corvina alzò di poco lo sguardo ad incrociare quello scosso da una punta di sorpresa e stupore dell'amico.
«Non mi aspettavo tutti questi visitatori», fece poi. Yuki allentò la presa al suo polso, allontanandolo da Kagami, scoccandogli un'occhiata infastidita.
«Sono sorpreso, Yuki. Non mi aspettavo saresti comparsa dal nulla. L'avrei dovuto immaginare». Akashi riprese a parlare, portandosi lentamente la mano che reggeva la forbice alla fronte. «Ma la prossima volta non accetterò una situazione simile. Quando vi dico di andarvene, dovete farlo».
Il rosso prese a tagliarsi piccole ciocche di capelli che gli ricadevano sugli occhi.
«In questo mondo, vincere è tutto. I perdenti vengono tagliati fuori. Io non ho mai perso in nulla, e mai lo farò. Vinco sempre, e perciò ho sempre ragione. E non proverò pietà nei confronti di chi si oppone a me. Nemmeno se si trattasse dei miei genitori».
Il giocatore finì il discorso, per poi posare la forbice nelle mani del suo proprietario.
«Beh, è ora di andare. Volevo solo passare a farvi un saluto».
«Aspetta, Akashi. Vuoi dire che ci hai riuniti solo per questo?», chiese con voce infastidita Aomine.
«A dire la verità, volevo anche assicurarmi di una cosa», rispose lui. «Ma dagli sguardi che ho visto, non sembra io debba ripetermi. Pare che vi ricordiate tutti della nostra promessa». Akashi rivolse un ultimo sguardo dietro di sé, prima di risalire le scale. «Bene allora. La prossima volta ci rincontreremo in campo».
«Proprio tu parli di promesse..?!», scattò improvvisamente Yuki, alzando gli occhi neri e fissando con espressione corrucciata la figura dell'amico, che tuttavia si limitò a fermarsi, senza voltarsi.
«Che vi succede..? Ma non vedete che non è Akashi, quello?!», continuò lei, guardando uno ad uno tutti gli altri membri della Generazione dei Miracoli. Le pupille le si posarono in fretta su quelle di Aomine, che fece per distogliere lo sguardo.
«Nemmeno tu dici niente, Aomine..?».
Nessuna risposta. Si voltò a guardare Kuroko, che scosse lievemente la testa sotto lo sguardo preoccupato di Hitomi.
«Yuki, calma...». Il tono di Kagami si fece basso, mentre posava la mano sulla spalla della ragazza.
«Yuki-san...», prese a parlare poi la violetta, rivolgendo gli occhi ghiaccio all'amica. «Dovremmo andare...», disse, con voce a metà tra il preoccupato e il premuroso.
La corvina abbassò il capo, stringendo i pugni e mordendosi il labbro. Dopodiché si voltò, posando una mano sul braccio e una sul petto del rosso, per incitarlo ad allontanarsi. Il più alto lanciò un'ultima occhiata al giocatore che aveva minacciato di ferirlo, e seguì il silenzioso invito dell'amica, iniziando a camminare dalla parte opposta, seguito dalla stessa Yuki, da Kuroko e da Hitomi.


«Non era certo questo, il bentornato che speravo di darti...».
La voce della ragazza risuonò nella piccola stanza che fungeva da infermeria mentre, con una mano, ripuliva la guancia del rosso con un fazzoletto intriso con del disinfettante. Quest'ultimo era seduto sul lettino messo a disposizione, e nonostante avesse continuato a ripetere alla corvina che si trattava di un semplice taglio e che tutta quella procedura non era necessaria, nulla avrebbe potuto far cambiare idea alla più bassa.
L'infermiere era appena uscito, assicurando i due che sarebbe tornato poco dopo, e Yuki ne aveva approfittato per cominciare quel discorso al quale stava pensando da minuti interi ormai. Kagami riaprì l'occhio sinistro, fino a qualche istante prima chiuso per permetterle di passare il fazzoletto senza problemi, e posò lo sguardo sul viso dispiaciuto della ragazza.
«Cosa stai dicendo, Yuki?», chiese. «Non è certo colpa tua...».
«Lo so ma ci tenevo tanto!», rispose lei, imbronciandosi, senza tuttavia incrociare il suo sguardo. «Non vedevo l'ora che tornassi...».
La mano di Kagami si posò sul polso dell'amica.
«Hai impedito ad Akashi di fare chissà cosa con quelle forbici...».
«Probabilmente avresti schivato il colpo anche se non ci fossi stata io...».
«Però eri lì, e sei intervenuta». Le dita del rosso si strinsero lievemente intorno al polso della corvina, che arrossì un poco non appena incontrò lo sguardo serio si lui. «A proposito, come hai fatto a-».
«Intuito...». Era così che Yuki rispondeva alle domande di chi, incuriosito, si chiedeva come per lei fosse possibile.
«L'avevi visto, non è così?». La corvina sospirò.
"Ma cos'è? Legge nel pensiero?", pensò tra sé e sé. Ma non avrebbe dovuto sorprendersi così tanto; dopotutto Kagami era l'unico che la conosceva in modo quasi perfetto.
«Si, l'avevo visto...».
Il più alto le prese la mano, costringendola ad alzare gli occhi neri sui suoi, che la guardavano ancora senza distogliervi nemmeno un secondo l'attenzione.
Rimasero praticamente immobili, in quello stato, con le dita che si toccavano, le pupille puntate le une in quelle dell'altro. Il silenzio regnava sovrano nella stanza, nessun passo batteva sul pavimento del corridoio fuori dalla porta.
Il viso di Kagami si fece sempre più vicino a quello dell'amica, che, accortasi della situazione, aveva iniziato ad arrossire, senza tuttavia allontanarsi. Serrò gli occhi nel momento in cui percepì il respiro del ragazzo sulle sue labbra e gli strinse la mano mentre le guance si tingevano dello stesso colore dei capelli del giocatore. Il cuore le batteva all'impazzata, tanto che ebbe il timore che scoppiasse da un momento all'altro. Credette di andare letteralmente a fuoco, a causa del calore che aveva investito il suo corpo pochi istanti prima, e che non solo non accennava a scemare, ma pareva al contrario che stesse aumentando a dismisura.
«Kagami!!». Una voce maschile proruppe all'interno della stanza, immobilizzando entrambi e costringendo Yuki a riaprire all'istante gli occhi, che incrociarono quelli del più alto. La corvina, che era convinta di non poter arrossire più di così, si sentì avvampare ulteriormente alla vista del viso del ragazzo, tinto anch'esso di rosso acceso. Quest'ultimo rimase a fissare, quasi incredulo, le pupille della più piccola, finché non realizzò appieno l'accaduto. Distolse in fretta e furia lo sguardo, con un'espressione decisamente imbarazzata e imbronciata sul viso.
La manager della Seirin deglutì, raccogliendo tutto il coraggio necessario per voltarsi e scoprire chi fosse entrato e avesse esclamato il nome del giocatore a quel modo.
«K-Koga-senpai..!».
Il castano era ancora in piedi sulla soglia della porta, lievemente proteso in avanti a causa della corsa che aveva fatto per arrivare fin lì, gli occhi da gatto erano puntati sui due. D'improvviso, uno sguardo carico di malizia contrassegnò il suo viso, raddrizzò la schiena e si avvicinò al lettino.
«Ho interrotto qualcosa??», chiese, con il tono sbarazzino di chi vuole far intendere a cosa stia pensando.
«A-Assolutamente no..!!», esclamò lei, scuotendo rapidamente il capo.
«Senpai, c-cosa succede?», chiese Kagami, tentando di acquisire nuovamente il controllo della situazione, anche per liberarsi del rossore che aveva tinto in modo aggressivo le sue guance.
«Mmh? Oh, giusto! Kagami, stiamo aspettando tutti te!!», fece il più grande, la cui espressione (fortunatamente per i due) era tornata quella di sempre, forse solo un poco allarmata.
«Arrivo subito!». Il giocatore si alzò, rivolgendo lo sguardo alla più bassa. «Yuki, tu non vieni?», domandò, con un tono apprensivo.
«Vi raggiungo subito!», rispose. In verità, in altre circostanze, li avrebbe seguiti senza problemi. Ma in quel momento sentiva il bisogno di rimanere da sola, convinta che Kagami avrebbe capito. E così fu; il rosso le lanciò una rapida e seria occhiata, quasi come se stesse cercando di analizzarla, e dopo qualche istante di esitazione si lasciò andare ad un sospiro. Si portò la mano dietro la testa, chiudendo gli occhi e mormorando un «non metterci tanto, okay?».
La corvina annuì lievemente, concedendo un ultimo piccolo sorriso all'amico e salutando entrambi una volta che furono definitivamente fuori dalla stanza; stanza che sembrò opprimerla e soffocarla nell'istante in cui sentì i passi dei due compagni di squadra allontanarsi sempre più, accompagnati dalla voce allegra del castano e dal rumore sordo che rimbalzava sulle pareti vuote.
Percepì il respiro appesantirsi, come se d'un tratto i polmoni avessero iniziato ad immagazzinare troppa aria tutta insieme e al contempo non abbastanza da permetterle di accumulare ossigeno. Era il motivo per cui odiava quelle situazioni, non riusciva a sopportare il silenzio causato dalla solitudine e l'ansia ingiustificata che sembrava prendere possesso all'improvviso del suo corpo.
La ragazza si decise a lasciare quelle quattro mura ricolme di oggetti e odori che le riportavano alla mente gli spiacevoli ricordi e le altrettanto amare sensazioni del periodo passato in ospedale. Non osò nemmeno soffermarsi ad osservare i flaconi, le medicine e le siringhe ancora private del loro ago e perfettamente conservate. Si limitò a sistemare ciò che avevano utilizzato, gettando via il fazzoletto.
«Mh? Oh, l'altro ragazzo se n'è andato?». La voce dell'infermiere quasi la spaventò, talmente era concentrata sul reprimere quelle emozioni sgradevoli. Si voltò verso di lui, e con le labbra lievemente curvate all'insù rispose all'uomo che era ormai entrato e stava accuratamente ponendo al loro posto una serie di documenti dall'aspetto importante e noioso.
«Sì, si sentiva meglio...».
«Per fortuna!», esclamò lui, rivolgendole un grande sorriso. «Voi siete della Seirin, non è così? Ho già visto giocare il tuo amico...». Era evidente che stesse cercando di tranquillizzarla, probabilmente a causa dell'espressione turbata che aveva preso possesso del suo viso da quando aveva messo piede in quella stanza.
Yuki abbassò di poco lo sguardo, annuendo.
«Sai, credo che voi possiate vincere quest'anno!», continuò poi lui, osservando con minuziosa attenzione ogni foglio di carta. «Dopotutto se ricordo bene quel...», si interruppe. Guardò avanti a sé, poi la corvina. «Kagami, giusto?».
La ragazza fu sorpresa nel constatare che aveva memorizzato così in fretta il suo nome, ma tentò di focalizzarsi sul discorso, con un secondo cenno affermativo del capo. L'infermiere sorrise, riprendendo a studiare con precisione ogni riga dei numerosi documenti che teneva in mano.
«Dicevo... Quel Kagami ha talento... Mi raccomando, digli di non mettersi di nuovo nei guai!». Il suo tono era così tranquillo e rassicurante che rilassò quasi immediatamente la giovane; dopo un lieve inchino e un «grazie» che tentò di rendere il più gentile possibile uscì dall'infermeria.

I corridoi erano vuoti, decisamente troppo, ma la corvina pensò che fosse normale. Dopotutto, suppose, lo stadio doveva essere ormai pieno di gente già seduta sulla propria poltroncina ad aspettare (alcuni pazientemente, altri meno) che le partite entrassero nel vivo.
Lei, dal canto suo, non si sentiva ancora completamente pronta per unirsi all'entusiasmo generale che sapeva avrebbe percepito nell'aria, pesante come una coperta invernale.
Iniziò a camminare, con lo sguardo basso, senza prestare troppa attenzione all'ambiente circostante, quanto più al pavimento lucido che stava attraversando; quando all'improvviso sentì il rumore sordo di un passo davanti a lei. Alzò gli occhi, riconoscendo all'istante i pantaloni bianchi e azzurri e la felpa degli stessi colori. Esitò nel momento in cui le pupille giunsero al colletto: sapeva chi si sarebbe trovata di fronte, e la figura del ragazzo già le comparve nella mente. Dopo qualche istante sollevò gli occhi fino ad incrociare quelli del nuovo arrivato.
«Akashi...», disse quasi in un sussurro.
«Yuki», rispose lui, in tono freddo. Un tono che non aveva mai sentito usare dall'amico. «Ti stavo cercando».
«Mi stavi... cosa? E la tua squadra? Non dovresti essere con i tuoi comp-».
«Vedo che ti ricordi di me, adesso». Lo sguardo del rosso era puntato, gelido, sugli occhi scuri della ragazza, che per un attimo ebbe paura, non avrebbe saputo bene dire di cosa. Strinse i pugni, corrucciando la fronte.
«No, io non ricordo di te. Io mi ricordo di Akashi Seijuro, quello che ho conosciuto da piccola». "Quello di cui ero innamorata", pensò tra sé e sé, mordendosi il labbro per non rischiare di urlargli una pseudo dichiarazione in faccia, proprio in quel momento.
«Yuki, ma cosa dici?», disse lui, con un tono fin troppo tranquillo e un sorriso che la corvina avrebbe di sicuro definito inquietante. «Io sono Akashi Seijuro».

 

«Mi prometti che non cambierai, Akashi? Qualsiasi cosa accada».
«Yuki...».
«Non voglio perderti, chiunque altro ma non te».


«Tu l'hai dimenticata, non è così?», chiese lei, abbassando di poco gli occhi. «La nostra promessa...».
«Mh? Certo che no...». La sua voce le fece quasi venire i brividi. Ma non quanto le parole che gli sentì pronunciare poco dopo. «Non mi perderai, se lascerai la Seirin...».
La ragazza sgranò gli occhi, guardandolo con un'espressione confusa e spaventata.
«Cosa stai...».
Akashi allungò una mano verso di lei, continuando a sorridere, con quello sguardo che dell'amico d'infanzia che lei conosceva non aveva niente.
«Vieni alla Rakuzan... con me».

 

«Yuki... Vieni alla Teiko, con me».


La corvina si immobilizzò, con gli occhi spalancati, i muscoli bloccati e le labbra schiuse per la sorpresa, che però non fu di certo piacevole quanto quella provata il giorno in cui il rosso le aveva proposto praticamente la stessa cosa. Quella volta, era tutto diverso. Lo sguardo di Akashi era terribile, si avvicinava al minaccioso, niente a che vedere con l'espressione seria e speranzosa di anni prima, quella che tanto le piaceva e di cui si era innamorata.
L'occhio sinistro, quello giallo, peggiorava la situazione, rendendo il tutto ancora più surreale. La mano protesa verso di lei non sembrava volerla aiutare, ma piuttosto *afferrare*, per trascinarla chissà dove. Non come quando, nella palestra della Teiko, nel buio della sera, le aveva offerto quella stessa mano per riuscire a rimetterla in piedi, a risollevarla fisicamente e mentalmente. Quello che si era dipinto sul suo viso non era altro che un ghigno, nemmeno lontanamente paragonabile al lieve sorriso che le aveva da sempre riservato e che bastava per farla arrossire ogni volta.

«Sei-chan..?». La voce di Reo Mibuchi, il giocatore della Rakuzan, compagno di Akashi, pronunciò quasi in un sussurro il nome del rosso, che però non poté sentirla; fu infatti sovrastata dal rumore del potente schiaffo che la sua mano tesa subì da parte della stessa Yuki. Fu costretto ad allontanarla dalla figura di lei, che d'un tratto gli scoccò un'occhiata intrisa d'odio e di determinazione. Ritirò il braccio, guardandola con un'espressione stupita ma non troppo.
Il corvino, che si era tenuto a distanza per osservare il compagno e quella misteriosa ragazza, esclamò ancora una volta il suo nome, avvicinandosi di scatto.
«Come ti permetti?!», disse, rivolto alla più bassa. Ma Akashi lo bloccò, allungando il braccio destro, che si parò di fronte a Reo. Quest'ultimo lo fissò con uno sguardo confuso e sconcertato.
«Sei-chan, che ti prende?», domandò. Ma l'interpellato non rispose, mantenendo gli occhi puntati sulla figura della corvina.
«Vedo che hai fatto la tua scelta», riprese, solenne.
«Non accetterò mai di seguirti, non di nuovo!», tuonò lei. «Anzi, farò tutto ciò che posso per impedirti di vincere contro di noi», continuò.
«Ti dimostrerò che la Seirin non è il posto per te».
«No, niente affatto! Finalmente mi sento a casa, con Kagami, Kuroko e tutti gli altri. Non ti permetterò di rovinare tutto di nuovo!».
«Se ci arriverete, in finale», disse con tono ironico il più alto tra i tre.
«Akashi!», lo interruppe lei. «Quando arriverà il momento, io rimarrò in panchina. Dall'inizio alla fine (*), per aiutare la mia squadra. Dopo quello che ho visto là fuori, ho preso la mia decisione. Non mi tirerò indietro, solo perché si tratta di te», proferì, con voce carica di sfida.
«Saranno i tuoi occhi, contro i miei».
«Cos-».
Fu in quel momento, che Yuki sentì le gambe cedere. Tentò di mantenere il controllo del proprio corpo, spaventata e inconsapevole di ciò che stesse accadendo. Le pupille erano fisse in quelle di Akashi, in quegli occhi che presero a brillare, in special modo quello più chiaro. Lo sguardo del rosso era serio, fin troppo persino per lui. Capì che il problema non era legato al suo corpo quando tentò di distogliere l'attenzione dal suo viso, senza riuscirci. Non la stava semplicemente guardando, la stava quasi ipnotizzando.
Tanto che finì per cadere di fronte a lui, inginocchiata, con i muscoli che tremavano dalla paura o semplicemente dallo sforzo che avevano fatto per rimanere rigidi, per non crollare. La testa della corvina fece lo stesso, e gli occhi ripresero a fissare sconcertati il pavimento lucido, sbarrati e colmi di uno stupore totalmente negativo. Poté sentire i passi dei due ragazzi che si allontanavano, e le loro voci sconnesse.
«Sei-chan, hai fatto bene ad usare l'Occhio dell'Imperatore su quella tizia!».
“L'Occhio dell'Imperatore..?”, si chiese, mentre si rialzava. “Ecco cos'era...”.
Aveva capito. Finalmente aveva scoperto il motivo per il quale guardare negli occhi Akashi era diventato così difficile, tanto che più volte aveva sentito il corpo tremare di fronte a quello sguardo così freddo.

«No».
«Eeeh? Come no?».
«Non avrei dovuto. Non su di lei. La Seirin sarà più tosta di quanto pensiamo, soprattutto adesso».
«Sei-chan sei proprio strano oggi, lo sai? Non riesco proprio a capirti».

“Grazie, Akashi. O chiunque tu sia”. La corvina si portò la mano davanti agli occhi, stringendola a pugno con un'espressione decisa. Lanciò un'occhiata dietro alle sue spalle, una volta alzata, osservando la schiena del capitano della Rakuzan, che continuava imperterrito a camminare.
“Adesso so come funziona...”.



(*): Yuki, come manager della Seirin, aiuta la squadra rimanendo sugli spalti durante la prima metà della partita, e sedendosi in panchina poi. Questo per permetterle di osservare da lontano i movimenti e le azioni degli avversari e dare consigli ai compagni successivamente.

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