How to deal with parents and zombies

di _Kurai_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Morti viventi, coming out e altre amenità ***
Capitolo 2: *** Pronti per l'apocalisse ***



Capitolo 1
*** Morti viventi, coming out e altre amenità ***


I

Morti viventi, coming out e altre amenità

 

Era quasi l'alba.

Keith guidava da ore, con gli occhi che bruciavano e una tensione fastidiosa alla base del collo, che però non era nemmeno paragonabile a quella psicologica se pensava alla sfida che avrebbe dovuto affrontare quel giorno.

Ormai era ufficiale, imminente e inevitabile: ancora poche ore e sarebbe stato presentato alla famiglia McClain come il fidanzato di Lance, e il pensiero continuava ad attorcigliargli le budella e a provocargli un vago desiderio di fuga.

Tuttavia non poteva: l'aveva promesso, ed era stato il primo a sostenere il suo ragazzo (ormai da più di un anno) nei suoi momenti di crisi, in cui temeva che la sua sessualità non sarebbe mai stata accettata dai suoi.

Probabilmente se avesse saputo che da lì a poche ore avrebbe dovuto affrontare una sfida molto più complicata e cruenta di un semplice outing di fronte alla famiglia del proprio ragazzo (ed era effettivamente una prospettiva spaventosa, visto che il clan McClain al completo avrebbe potuto fornire elementi e riserve per almeno due squadre di calcio), forse si sarebbe comportato diversamente.

Forse sarebbe stato ancora in tempo per fare inversione, lanciare uno sguardo a Lance addormentato sul sedile del passeggero, mettere a tacere il senso di colpa e tornare alla loro vita di tutti i giorni.

Quello che non poteva sapere era che non sarebbero mai tornati alla vita di tutti i giorni.

 

Lance si mosse sul sedile, emettendo un suono indistinto che Keith interpretò come "Che ore sono?" e gli rispose "Sono quasi le 5, hai dormito come un sasso per almeno quattro ore... per fortuna che ho preso un doppio caffè e non mi sono fidato quando hai detto che mi avresti aiutato a tenermi sveglio".

"Hai ragione, sono davvero una persona orribile" sbadigliò Lance, stropicciandosi gli occhi "se vuoi ti dò il cambio per qualche ora, immagino che sarai stanco di guidare" aggiunse, con un mezzo sorriso stiracchiato.

"Tu detesti guidare la mia macchina, Lance..." rispose Keith, incredulo.

La partenza era pianificata da settimane in coincidenza con la fine della sessione di esami e il mezzo prescelto era stato il pick-up di Lance, una sorta di cimelio di famiglia (ribattezzato Kaltenecker per motivi ignoti) che il ragazzo aveva ridipinto di blu fiammante , che però aveva deciso di lasciarli a terra proprio il giorno della partenza: questo li aveva spinti a scegliere la macchina di Keith, da Lance ribattezzata "il catorcio". L'auto era una Chrysler vecchia quanto loro, comprata di terza mano da Keith con gli stipendi di un anno del suo lavoretto part-time come pizza-express.

Il suo mezzo d'elezione era la moto e nemmeno lui amava guidare l'auto, ma alla fine si era rivelata un acquisto utile e Keith le si era perfino affezionato. La vernice rossa era un po' rovinata e il parafango arrugginito all'interno, ma era perfettamente in grado di attraversare mezzo continente.

"È vero che non amo guidarla, ma ora che sono sveglio mi conviene tenermi occupato per non pensare a quello che mi... che ci aspetta. E poi anche tu ti meriti qualche ora di sonno, stai facendo tutto questo per me..."

"Guarda che siamo ancora in tempo a tornare indietro se non sei pronto..."

"No, è una cosa che devo affrontare e basta, non posso fuggire adesso".

No, non poteva fuggire.

Aveva conosciuto Keith quasi due anni prima, quando entrambi avevano iniziato l'università. Si erano trovati ad essere coinquilini in un appartamento di studenti con altre tre persone (e un certo numero di gatti, che Katie – o come preferiva farsi chiamare, Pidge – continuava a salvare e ad adottare nonostante il parere contrario del padrone di casa) e poi anche a frequentare quasi gli stessi corsi, il che dopo un'iniziale rivalità li aveva portati a diventare inseparabili, nonostante i loro caratteri fossero diversi come il giorno e la notte.

Keith non aveva mai dovuto affrontare il momento dell'outing in famiglia, semplicemente perchè non aveva mai avuto una famiglia che si potesse definire tale. Il padre, rimasto solo poco dopo la sua nascita, l'aveva abbandonato da piccolissimo a una zia, che a sua volta non era stata in grado di mantenerlo e l'aveva mandato in una casa famiglia, dov'era rimasto fino alla maggiore età.

Anche per questo l'impatto con una famiglia così grande lo spaventava tanto, nonostante si stesse impegnando a non far trasparire la sua ansia per dare sostegno a Lance.

 

Keith accostò in una piazzola di sosta, ma prima di riprendere il viaggio propose di sgranchirsi le gambe e prendere qualcosa nel bar aperto tutta la notte che si trovava a pochi passi da lì, annunciato da un'insegna al neon tremolante.

Nella piazzola erano parcheggiate poche altre macchine e diversi autocarri, e all'interno del bar vi erano una mezza dozzina di persone assonnate quanto loro, costrette per vari motivi a viaggiare prima dell'alba.

Lance ordinò un caffè americano e Keith un espresso, il che gli lasciò tutto il tempo di osservare l'espressione dell'altro: le sopracciglia leggermente aggrottate, gli occhi azzurri sfuggenti, una mano che giocherellava con il bicchiere e l'altra che cercava quella di Keith, come una richiesta silenziosa di attenzioni.

Una volta che Lance ebbe finito il suo caffè i due uscirono; l'alba aveva iniziato a fare capolino dietro le montagne, e il sole pallido e stanco si rifletteva in una pozzanghera scura appena fuori dal locale, piena di un liquido rosso e denso.

Keith sentì un brivido gelido lungo la schiena, ma lo imputò alla brezza del mattino.

 

Lance prese le chiavi dalla mano di Keith e fece per inserirle nell'accensione, ma la reazione dell'auto fu un lamento sdegnato. Lance sbuffò, contrariato: "Come al solito la tua macchina non mi vuole accettare come pilota"

"Probabilmente capisce che non sei bendisposto nei suoi confronti" convenne Keith, sfiorandogli la mano per poi provare a girare la chiave a sua volta. La macchina reagì con un rombo soddisfatto mettendosi in moto.

"Tu sei davvero una stronza" bofonchiò Lance rivolto all'auto, lanciando uno sguardo storto al cruscotto.

 

Mancavano ancora circa duecento chilometri alla meta, e non si sentiva affatto tranquillo. Ok, stava per ammettere davanti a tutta la sua famiglia che gli piacevano gli uomini e che non sarebbe mai stato il figlio modello che loro pensavano di avere. Cioè, tecnicamente gli piacevano anche le donne, ma era con Keith che aveva capito che si trattava davvero di una cosa seria, e che non aveva più intenzione di nascondersi. Tuttavia non era solo quello a non farlo sentire tranquillo. Era come un presentimento, una sensazione. Il sentore che qualcosa sarebbe andato storto.

Quello che non poteva immaginare era quanto le cose sarebbero andate storte, da lì a poche ore.

 

La sensazione iniziò ad acuirsi quando dopo un tempo che gli sembrò infinito uscì dall'autostrada, per imboccare la statale che attraversava il paese più vicino alla casa dei suoi genitori, che si trovava in una posizione piuttosto isolata ad ancora mezz'ora da lì: poco lontano dall'uscita vi era quello che sembrava un posto di blocco, con una macchina della polizia e un mezzo dell'Esercito.

Tuttavia entrambi i mezzi erano vuoti e con le portiere spalancate, come in seguito ad una fuga frettolosa. Lance sgranò gli occhi, perplesso.

Un altro campanello d'allarme iniziò a suonare nella sua testa nel momento in cui rallentò ad un attraversamento pedonale per lasciar passare quello che apparentemente sembrava un signore anziano dal volto rugoso e butterato, che arrancava lentamente sulle strisce.

In fondo Lance non aveva nessuna fretta di arrivare, avevano tutto il tempo del mondo.

Fu però quando il vecchio si girò nella sua direzione che capì che doveva decisamente esserci qualcosa di molto, molto sbagliato.

Keith si era addormentato, ma sobbalzò sul sedile quando sentì il verso strozzato e stupito emesso da Lance nel momento in cui l'uomo si voltò e iniziò a muoversi deliberatamente verso la loro auto.

La parte inferiore del viso dell'uomo, dal lato che gli era rimasto nascosto fino a quel momento, era completamente staccata, come se metà della mandibola gli fosse stata strappata via a morsi, e il sangue gli imbrattava tutto il lato destro dei vestiti.

 

"Cosa cazzo...?" esclamò Lance, stringendo il volante fino a farsi sbiancare le nocche. L'inquietante sconosciuto si avvicinó lentamente con gli occhi spenti e vuoti fissi su Lance, che non riusciva a muoversi. Keith aveva uno sguardo che in qualsiasi altra circostanza sarebbe stato comico, un misto di panico, perplessità e sonno arretrato.

Nessuno dei due aveva colto l'ironia dell'immagine dello zombie educato che attraversava sulle strisce pedonali, il che poteva solo significare che Lance era seriamente terrorizzato: infatti non riuscì a sbloccarsi dalla sua trance finché l'uomo sfigurato non si arrampicó letteralmente sul cofano, fino a spalmare la faccia insanguinata sul parabrezza, come se non concepisse l'esistenza del vetro.

"Rimetti. In. Moto." disse Keith, col tono monocorde che gli usciva ogni volta che stava per perdere la calma. Conoscendolo, Lance iniziò ad agitarsi ancora di più e dopo qualche istante di esitazione accelerò di colpo, tatuando rumorosamente i segni delle ruote sull'asfalto e ottenendo un discutibile risultato: il pazzo rimase arpionato ai tergicristalli, bloccando loro la visuale.

"Che cosa devo fare?" iniziò a strillare Lance, totalmente in preda al panico, accostando nuovamente per evitare di schiantarsi. Keith tirò la leva dei tergicristalli e ottenne due risultati: imbrattare il vetro di sangue scuro e grumoso e far scivolare giù l'intruso, che rotoló di lato sulla strada con un tonfo, restando immobile.

"Forse dovresti ridarmi il volante" disse Keith, preoccupato per il colorito verdognolo che Lance, apparentemente sul punto di vomitare, aveva assunto.

"Sì, è meglio che guidi tu..." rispose con un filo di voce, prima di aprire la portiera e svuotare lo scarso contenuto del suo stomaco. Una volta ripresosi, Lance alzò lo sguardo.

Si guardò intorno, e si rese conto di trovarsi in una città fantasma. Richiuse la portiera tremando.

"Keith?"

Keith stava cercando di ripulire il vetro dal sangue, ma il catorcio non voleva decidersi ad attivare il getto d'acqua saponata e i tergicristalli non facevano che spargerlo ulteriormente.

"...Keith, forse dovremmo ripartire subito..." disse Lance, mentre il suo ragazzo continuava ad accanirsi senza risultati. Fu allora che Keith alzò gli occhi: non solo l'uomo di prima si era rialzato, ma la macchina era ormai quasi circondata da persone con lo stesso sguardo assente, i corpi insanguinati e parti del corpo mancanti.

"Keith, amore, dimmi che stiamo dormendo e che questo è solo la punizione del mio subconscio per averti costretto a vedere tutti quegli stupidi film di zombie"

"Mi piacerebbe che fosse così e potrei anche prenderti a pizzicotti per verificare che non sia un sogno, ma al momento credo che sia più urgente andarcene il più lontano possibile" Keith ripartì con una sgommata, falciando un paio di zombie che gli ammaccarono il cofano ma si rialzarono subito, continuando a barcollare in mezzo alla strada.

Era tutto così assurdo che i due non riuscivano ad articolare pensieri di senso compiuto, continuando a rievocare la visione orrenda a cui avevano appena assistito.

Keith guidava troppo veloce nonostante la visibilità minima, le mani sudate sul volante e lo sguardo che talvolta saettava verso Lance, con la testa tra le mani. Stava sicuramente pensando alla sua famiglia, sperando che stessero tutti bene. Fortunatamente non stava guardando la strada, perchè man mano che la macchina macinava chilometri verso casa McClain il paesaggio che li circondava diventava sempre più una terra di nessuno, con auto aperte e abbandonate, cadaveri sul selciato immobili ed altri che invece si aggiravano circospetti alla ricerca di cibo, che nello specifico sarebbero stati proprio loro due, apparentemente gli unici vivi nel raggio di chilometri.

Lance prese il cellulare, con l'intenzione di telefonare a casa per sondare la situazione: c'era campo, ma non riusciva a prendere la linea. Chiuse la chiamata in preda alla frustrazione, per poi digitare su Google il nome della cittadina, sperando di riuscire a capirci qualcosa.

"Misteriosa aggressione a morsi al supermercato" ed "Epidemia sospetta: isolato un paese di duemila abitanti" erano i primi due titoli offerti dalla ricerca. Gli articoli risalivano solo ai due giorni precedenti e a prima vista non sembravano nemmeno correlati, ma Lance aveva visto troppi film horror discutibili per sottovalutare quei segnali.

Inoltre, per quanto sulla carta il paese fosse definito "isolato", loro erano riusciti ad entrare senza problemi, totalmente ignari del pericolo. L'unico posto di blocco era deserto, il che poteva significare solo due cose: o la presunta epidemia in meno di un giorno aveva preso completamente il controllo o la zona era già stata abbandonata da chiunque fosse ancora senziente e non affamato di cervelli altrui.

 

Seguendo le indicazioni di un Lance ancora scosso, Keith raggiunse finalmente casa McClain, inerpicata in cima a una collina. Apparentemente, tutto sembrava normale.

La madre di Lance giunse ad aprire la porta, con un sorriso che andava da un orecchio all'altro.

Il figlio non tornava a casa dalle vacanze di Natale dell'anno precedente, e si era comunque trattato di una toccata e fuga, quindi la donna era impaziente di vederlo: inoltre, Lance l'aveva avvisata che le avrebbe presentato una persona, quindi la signora McClain stava già immaginando anelli e fiori d'arancio e non aspettava altro da giorni.

Quando vide Keith, la donna dissimulò: "Hai portato un amico?" chiese, vagamente perplessa.

"No mamma, Keith è..."

"Lance! LANCE! Fratellone!" un uragano travolse il ragazzo ancora sulla porta, e due bambini che non dovevano avere più di sei o sette anni gli si arrampicarono letteralmente addosso, parlando contemporaneamente.

"Alicia, Julio, lasciatelo almeno entrare in casa, avrete tutto il tempo di tormentarlo più tardi!" una ragazza alta quasi quanto lui, dai capelli mossi e scuri come la madre, apparve dietro la donna.

"Keith, ti presento mia madre, i miei fratelli minori Alicia e Julio e mia sorella Talia, che ha un anno più di me" Lance cercò di sbloccare la strana situazione che si era creata.

Vederli vivi - e apparentemente inconsapevoli della situazione che imperversava a pochi chilometri da lì - gli aveva fatto quasi dimenticare degli zombie, ma allo stesso tempo l'ansia del coming out era tornata tutta insieme.

"Com'è andato il viaggio?" chiese la signora McClain mentre entravano in casa, diretti verso il grande salone dove si erano già radunati il resto dei parenti.

"Non avete visto la televisione o i giornali?" chiese Lance, mentre con la coda dell'occhio guardava Keith che aveva l'espressione di una persona che avrebbe volentieri assunto lo stesso colore delle pareti.

"Tuo padre è sul tetto a sistemare l'antenna, da ieri non si vede niente, perché?"

"Giù in città c'è... una brutta situazione" rispose Lance, che era ancora indeciso su quale notizia affrontare per prima.

"Secondo me non mangi abbastanza, sei pallido" una donna anziana, con occhiali spessi come fondi di bottiglia e gli occhi blu come quelli di Lance, arrivò zoppicando.

"Nonna, stavo cercando di dire che..." ritentò Lance, ma iniziava a pensare che sarebbe stato inglobato in un gorgo di conversazioni futili che avrebbe segnato la sua e la loro rovina, impedendogli di dire alcunchè.

"E questo tuo amico chi è?" aggiunse la nonna, avvicinandosi circospetta a Keith.

"Beh, ecco, lui è Keith e..."

"Lance! Sei arrivato allora! Ecco di chi era quella macchina tutta sporca che ho visto nel vialetto! Che fine ha fatto il vecchio Kaltenecker? E dove sei andato a impantanarti per--"

"Papà, frena i cavalli, una domanda per volta..." Lance era sul punto di arrendersi, tornare fuori con Keith, riprendere la macchina e tornare tra gli zombie, che almeno lo avrebbero lasciato parlare.

"Lance, cosa stavi dicendo?" venne in suo soccorso Talia, ma anche il suo tentativo di riportare la conversazione su un binario lineare finì con un buco nell'acqua, con il ritorno all'attacco di Julio, che si fiondò nel salone urlando e ridendo seguito dal cane di famiglia, un enorme Labrador estremamente esuberante e – a giudicare dalle urla della signora McClain – dalle zampe estremamente infangate.

"Io ci rinuncio" sussurrò Lance a Keith, con un sospirone.

"Ah Lance, senti, tua sorella l'altroieri si è dimenticata di comprare il burro, più tardi potresti scendere in città a prenderne un po' insieme al tuo amico?" riprese la madre, mentre cercava di togliere le macchie di fango dal pavimento.

"Prima di tutto, non scenderò in città perché è pieno di stramaledettissimi morti viventi e siamo arrivati vivi qui per miracolo... e poi, giusto per puntualizzare, Keith è il mio fidanzato."

 

L'affermazione di Lance, che era diventato più o meno del colore della macchina di Keith per la frustrazione e per l'imbarazzo, venne accolta da un enigmatico silenzio.

 


Quindi ecco un'altra botta di disagio della sottoscritta XD Mi raccomando bambini, non guardate tre film trash di zombie in tre giorni perché poi succede questo.
Spero di avervi incuriosito con questo primo capitolo e che continuerete a seguire i prossimi (lasciando magari qualche piccola recensione visto che sono sempre curiosissima di sentire pareri e critiche per migliorare).

Hasta la later
~

_Kurai_

 

 

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Capitolo 2
*** Pronti per l'apocalisse ***


II

Pronti per l'apocalisse

 

Esistono due tipi di persone:

"Ma quindi intendi dire che ti piacciono gli uomini e non avrò mai dei nipotini?"

"Lancey, cosa intendi esattamente per 'morti viventi'? E comunque congratulazioni, fratellino. E piacere di conoscerti, Keith".

In fondo affrontare i problemi è tutta una questione di priorità.

La prima domanda era stata posta dalla signora McClain, che era rimasta inchiodata sul posto e continuava da almeno cinque minuti a ripassare con lo straccio su un punto che ormai era perfettamente pulito. Il padre sembrava ancora in fase di elaborazione dell'informazione, e probabilmente avrebbe reagito un paio d'ore dopo, mentre la nonna si stava facendo aria con un ventaglio apparso dal nulla e mormorava a bassa voce in spagnolo, tanto che Keith si chiese se non gli stesse mandando una maledizione o qualcosa del genere.

Lance decise di rispondere alla domanda di Talia, che evidentemente era l'unica dotata di buon senso in quella casa.

"Non so cosa sia successo, ma giù in città si sono tutti trasformati in zombie... ci siamo imbattuti in un posto di blocco abbandonato e poi siamo stati attaccati da un gruppo fuori controllo, se non fosse stato per Keith probabilmente ci avremmo lasciato la pelle" disse, con un brivido lungo la schiena e lo stomaco ancora attorcigliato.

 

"Ecco perché l'altroieri davanti allo spaccio c'era la stampa e tutte quelle auto della polizia... in paese dicevano che il signor Lewis è impazzito e ha aggredito un tizio a morsi, ma nessuno ci ha dato un gran peso visto che è sempre stato un tipo aggressivo... quindi era una specie di contagio?"

"Non ne ho idea, Talia... quando siamo arrivati qui temevo che avessero raggiunto anche questo posto, ma probabilmente abbiamo ancora un po' di vantaggio..." rispose Lance, pensieroso.

"In ogni caso penso che dovremmo prepararci" disse Keith, prendendo la parola per la prima volta da quando aveva varcato la porta di casa McClain.

Il padre di Lance riprese l'uso della parola: "Ma quindi intendi proprio degli zombie? Come quelli dei film di Romero?"

"Ehm... sì, direi qualcosa del genere..." rispose Lance, un po' confuso.

"Sicuro che non stessero girando un film? Magari avendo viaggiato tutta la notte eravate stanchi e avete frainteso..." continuò a ipotizzare il signor McClain, che evidentemente non riusciva a concepire l'idea.

"Papà, quella roba sull'auto è sangue. Sangue vero, di uno di quei dannati cosi che si è spalmato sul parabrezza mentre guidavo e per poco non ci ha fatto schiantare contro un palo. Quindi no, mi rendo conto che per te sia tanto difficile da accettare quanto che tuo figlio sia bisessuale, ma siamo veramente nel bel mezzo dell'apocalisse zombie".

 

"Ma ti sembra il tono con cui parlare a tuo padre?" protestó la madre di Lance, indignata.

La risposta di Lance fu completamente coperta da una canzone country a volume altissimo, proveniente dal vialetto.

"Che diavolo succede adesso?" sospirò, soprattutto per la scelta musicale infelice.

"Penso che sia arrivato Pete", rispose Talia, correndo fuori.

"Chi sarebbe questo Pete?" chiese Lance, perplesso.

"È il fidanzato di tua sorella, il figlio del signor Stevenson" rispose la madre non senza una nota di muto rimprovero, riferendosi al proprietario del ranch a un paio di chilometri da lì, ancora più isolato di casa McClain.

"Spero che non funzioni come nei film e quegli stronzi non siano attirati dal rumore, perché detesterei morire per colpa di una brutta canzone country" commentò Lance, strappando a Keith un mezzo sorriso.

Un ragazzo alto e allampanato e vestito interamente di jeans, coi capelli castano chiaro e gli occhi chiari e acquosi da pesce lesso, entrò in casa tenendo per mano Talia.

"Avete sentito cosa sta succedendo in città?" chiese Pete, stranamente allegro, dopo aver concluso le presentazioni.

"Sì, ma non capisco cosa ci sia di divertente" rispose Lance, a cui il ragazzo stava già antipatico a pelle.

"Mio padre dice che è arrivata l'apocalisse, per questo sono venuto qui ad avvisarvi" continuò, senza perdere l'aria gioviale.

"Continuo a non capire cosa ci sia da ridere" commentò Lance sottovoce a Keith. "Magari ha una paresi" rispose Keith, scuotendo la testa.

La nonna di Lance ricominció a mormorare in spagnolo.

"In ogni caso sono venuto qui per invitarvi da noi, credo che in questi momenti ci sia bisogno di stare uniti. Abbiamo un posto sicuro e molte scorte" riprese Pete, guardando Talia.

"Non credo che sia necessario, comunque grazie Pete" rispose il signor McClain, ancora poco convinto "e comunque se volessimo andarcene dobbiamo aspettare mio fratello, che è ancora nel campo di girasoli" aggiunse, pensieroso.

Keith digitó un paio di parole chiave sul sul cellulare, senza dire nulla, poi mostró lo schermo a Lance: "Io credo che la situazione sia già fuori controllo, e non ci siamo imbattuti prima negli zombie solo per caso...". Sullo schermo c'era un video risalente al giorno precedente, che mostrava delle scene avvenute in un aeroporto poco lontano, filmate dalle telecamere di sicurezza e messe online sul sito della CNN. Era il caos, tra urla e scene di panico fuori controllo, e poi il video si interrompeva sul fermo immagine di una donna con mezza faccia imbrattata di sangue, che stava letteralmente mangiando la faccia di un uomo a terra.

Il padre accese la televisione. Si vedeva un solo canale, che per una bizzarra combinazione stava mostrando lo stesso filmato, con un messaggio registrato continuo che recitava "Restate nelle vostre case, l'epidemia si sta diffondendo in tutta la East Coast e l'esercito ha già dato il via all'evacuazione delle grandi città, attendiamo ulteriori aggiornamenti".

 

"Visto? Evacueranno solo le grandi città, quindi dovremo cavarcela da soli" insistette Pete.

Lance ne capiva l'insistenza, anche se continuava a pensare che quel Pete fosse un idiota, però un po' invidiava il fatto che fosse riuscito a catturare l'attenzione di suo padre, che alla fine era stato costretto dall'evidenza e dalla CNN a credere all'esistenza degli zombie.

Fu in quel momento che qualcuno iniziò a bussare con insistenza alla porta sul retro, più vicina ai campi ma chiusa a chiave dall'interno, urlando frasi sconnesse.

"Dobbiamo... andarcene!" fu la prima cosa che disse l'uomo che si catapultò dentro. Aveva il fiatone e si stava reggendo un braccio.

"Che ti è successo, Juan?" accorse il signor McClain, mentre nell'altra stanza la tv continuava a ripetere il suo messaggio registrato.

"Erano una dozzina... giù al campo" rispose, sempre ansimando.

Doveva aver corso fin lì a perdifiato, anche se era strano vedere un omone grande e grosso come lui in quelle condizioni. Lance e Keith si affacciarono a una delle finestre sul retro, ed eccoli: erano ben più di una dozzina, e avanzavano lentamente verso la casa.

"Ok, adesso siamo nella merda" commentò Lance, lanciando a Keith uno sguardo terrorizzato.

Ma Keith non lo stava più guardando: tutta la sua attenzione era concentrata sul braccio sinistro dello zio di Lance, quello che si stava reggendo con la mano destra. Un rivoletto di sangue sfuggiva tra le sue dita, indisturbato.

"Dovremmo bloccare le porte... e cercare delle armi... e--" iniziò Lance, mentre Talia andava a prendere un bicchiere d'acqua per lo zio e Pete aveva ricominciato con la sua manfrina.

Aveva poco da fare l'eroe, lui, dopo aver attirato tutti i dannati zombie con la sua pessima musica.

 

"Lascia che ti disinfetti, Juan" insistette la signora McClain, tirando fuori dal nulla il kit della madre premurosa (composto da acqua ossigenata, garza e cerotti, indispesabili con due bambini vivacissimi che correvano costantemente in cortile) e facendo per spostargli la mano.

Fu allora che tutti lo videro, inconfondibile.

Il segno che aveva sul braccio era indubbiamente un morso.

 

"Non... è grave... brucia solo un po'..." disse Juan McClain, che però iniziava a sudare freddo e barcollava leggermente.

"Io penso di non voler sapere come andrà a finire questa storia. Vorrei davvero che non mi avessi fatto vedere tutti quei brutti film" sussurrò Keith, mentre Lance iniziava ad agitarsi in preda alla smania di fare qualcosa.

Perchè nella sua vita non poteva mai esserci qualcosa di semplice? Per poter andare a studiare così lontano da casa aveva litigato con i suoi per anni (che poi si erano trasferiti da Cuba al continente pur di continuare a pesare sulle sue scelte e obbligarlo ad andarli a trovare almeno due volte l'anno), aveva sempre dovuto scontrarsi con loro per tutte le sue decisioni e aveva affrontato il viaggio fin lì per lottare di nuovo pur di far loro accettare la sua bisessualità ma... non era pronto a combattere anche con parenti trasformati in zombie, proprio no.

Perchè, al contrario dei genitori che continuavano ad agire in modo irrazionale come due polli senza testa, lui aveva già capito cosa stava per succedere.

Il ringhio sommesso e il battere ritmico dei denti di zio Juan lo riscosse dai suoi pensieri.

"Mamma... allontanati da lui" disse Lance con il tono più calmo che riusciva a tirar fuori dal fascio di nervi che era ormai diventato: la madre gli aveva messo addosso una coperta, pensando che avesse freddo per la perdita di sangue o qualcosa del genere, e che per quel motivo avesse dei lievi spasmi che gli facevano battere i denti. Tutte uguali le madri: se hai la pancia piena e non prendi freddo tutto il resto non ha importanza, e la signora McClain incarnava così tanto lo stereotipo da proiettare il suo istinto materno anche sui parenti acquisiti.

 

Juan si alzò con uno scatto, allungando il braccio ferito davanti a sè, poi rimase immobile, continuando a tremare. La pelle intorno alla fasciatura improvvisata stava assumendo un colore violaceo, come un bizzarro ematoma. Dal retro iniziavano a sentirsi più vicini i versi gutturali degli zombie, che ormai erano a un centinaio di metri dalla casa. Juan ricadde all'indietro sul divano, chiudendo gli occhi e respirando rumorosamente.

Talia era affacciata alla finestra, con Pete che le avvolgeva le spalle con un braccio fasciato nel jeans, ed era quasi più pallida del muro bianco del salotto.

"Mamma... dobbiamo andarcene adesso" disse, guardando Lance e ritrovando in lui la stessa risoluzione, anche se significava seguire quel tubero che si era trovata come fidanzato.

"Mma cosa facciamo con Juan?" intervenne il signor McClain.

Proprio in quel momento, una vocina congelò tutti sul posto.

"Tío...tío... non stai bene?" Julio, non visto, mentre Lance discuteva coi genitori si era avvicinato allo zio, suo abituale compagno di giochi, ancora immobile in piedi in mezzo al salotto, e aveva iniziato a tirare l'orlo della sua camicia.

Fu un attimo.

La mano grande e callosa di zio Juan si serrò attorno al braccino di Julio, che per un attimo rimase interdetto.

"Tío... mi fai male, stringi troppo forte..." disse, ma lo sguardo spento e vuoto di Juan lo spaventò ancora di più, facendolo iniziare a piangere.

Lance fu il più veloce, e nel muto terrore generale colpì il braccio dello zio, forzandolo a liberare il piccolo Julio, che corse piangendo dalla madre.

"Ora siete convinti? Andiamocene da qui e basta!" urlò Lance con il tono alto un ottava più del normale.

Zio Juan per un attimo si riprese, lo sguardo perso e appannato ma di nuovo presente: "Scusami... Julio... Io- io non riesco a controllarlo, lasciatemi qui... Andate via..." rantolò stancamente, per poi lasciarsi cadere di nuovo sul divano, stringendo i denti e affondandosi le unghie nei palmi, come a cercare di ritardare la trasformazione forzandosi di restare lucido, con scarsi risultati.

 

Pochi istanti prima che gli zombie iniziassero ad ammassarsi sul retro della casa, i McClain, Keith e Pete si lanciarono nel vialetto, diretti alle auto.

Dovettero trascinarsi dietro nonna Dolores, praticamente contro la sua volontà: l'anziana continuava a insultare in spagnolo il padre di Lance, colpevole di aver abbandonato il fratello, e puntava i piedi con ostinazione.

Lance sospirò, sull'orlo di un esaurimento nervoso. Solo la mano di Keith che stringeva la sua lo teneva ancora ancorato alla realtà, e fu Keith a sedersi al posto di guida quando si misero tutti in moto, formando una piccola carovana di auto dietro il pick up sbiadito di Pete.

"Almeno quell'idiota non ha riacceso la musica... non sarebbe stato divertente trascinarci dietro tutti gli zombie" commentò Lance, mentre Keith era concentrato a restare nei solchi della strada sterrata per non rischiare di impantanarsi.

Guidarono per pochi minuti, ma la strada dissestata e il tempo dilatato dalla paura li fecero sembrare molti di più.

"Come pensi che sia la situazione a casa?" chiese Keith, pensando ai loro coinquilini che ormai erano praticamente la loro vera famiglia.

"...Non voglio pensarci" rispose Lance "ma se sei d'accordo appena i miei saranno al sicuro torneremo indietro da Shiro, Hunk e Pidge"

"Non hai nemmeno bisogno di chiedermi se sono d'accordo" affermò Keith, deciso.

 

Il ranch del padre di Pete era enorme, anche se un po' decadente.

All'arrivo vennero accolti da alcuni cartelli piuttosto minacciosi, tra cui "Terreno minato" e "Attenti al cane e al fucile del padrone" erano i più cordiali; Keith per un attimo si chiese se il padrone di casa non fosse più temibile degli zombie, ma nessuno uscì ad accoglierli.

Pete fece strada all'interno: i muri erano decorati da vari trofei di caccia, e una grossa cornice sopra il caminetto conteneva un gran numero di medaglie al valore militare fin dai tempi del Vietnam.

Il padre di Pete doveva indubbiamente essere un personaggio da non inimicarsi.

"Pà, abbiamo ospiti!" chiamò il ragazzo, e srotolò il tappeto (in pelle di tigre, manco a dirlo) che si trovava in mezzo al salotto, scoprendo una botola che dopo qualche istante si aprì dall'interno.

Ne uscì un uomo dai capelli a spazzola brizzolati e un'aria poco amichevole: "Mio figlio ha insistito per ospitarvi nel nostro bunker, ma dovrete dimostrare di essere in grado di sopravvivere" disse soltanto, per poi scendere nuovamente nel sotterraneo.

 

Il bunker era enorme, grande il doppio del salotto al piano superiore; grandi scaffali contenevano lattine di fagioli tutte uguali (in piena apocalisse l'alimentazione bilanciata non sarebbe stata la priorità, ma Lance considerò con orrore quanto avrebbe potuto diventare insalubre l'aria in quel buco dopo una settimana di soli fagioli) e taniche d'acqua, e sulla parete opposta era appeso probabilmente un quarto dell'intero arsenale dell'Esercito americano.

"Non si può dire che non fosse preparato, eh..." sussurrò Keith, combattuto tra il terrore e l'ammirazione.

"A Pidge questo posto piacerebbe un sacco" disse Lance, indicando la parete davanti alla quale era seduto il signor Stevenson, piena di schermi collegati a numerose telecamente posizionate all'esterno (un paio anche giù in città, a giudicare dalle inquadrature dei negozi distrutti e degli zombie vaganti per la statale).

 

"Potete chiamarmi Steven" disse l'uomo in tono burbero, stringendo la mano al signor McClain.

"Ho servito l'Esercito per trent'anni e mio padre prima di me, e la vita mi ha insegnato che bisogna sempre essere preparati a qualsiasi eventualità catastrofica" disse, con tono impostato come se stesse facendo un discorso alle sue truppe.

Lance non riusciva a valutare esattamente quale fosse il confine in quell'uomo tra l'essere previdente e la paranoia pura e semplice, ma concluse che in quel luogo poteva considerare la sua famiglia in una botte di ferro: lui e Keith dovevano partire il giorno dopo, alle prime luci dell'alba, prima che gli zombie circondassero anche quella fortezza inespugnabile.

Passarono il resto della giornata a confabulare tra loro nel bunker, guardando le riprese dell'esterno e tenendo occupati a turno i bambini, anche se lo sguardo minaccioso del signor Stevenson bastava già da solo a calmarli, e perfino a far stare bravo Ben, il cagnone iperattivo di Julio, che non aveva ancora abbaiato da quando era salito sul fuoristrada del signor McClain. Anche il cane sembrava aver capito che il rumore attirava i morti viventi, il che lo rendeva indubbiamente più furbo di Pete (che in quel momento stava ridendo in modo sguaiato per una battuta che aveva fatto lui stesso, mentre il padre lucidava distrattamente un AK47).

 

L'ultimo messaggio che Lance e Keith avevano visualizzato sulla chat comune con Hunk, Shiro e Pidge era un inquietante "Veniamo a prenderti, non muoverti da lì" scritto da Shiro e rivolto probabilmente a Pidge, che aveva il brutto vizio di trattenersi in università a studiare fino a tardi.

 

Lance aveva pensato per tutto il giorno a come fare per lasciare quel posto prima dell'arrivo degli zombie, ma col calare della sera i sensi di colpa iniziarono a prendere il sopravvento: aveva cercato di obbligarsi a pensare che i suoi non erano in pericolo lì, e che in fondo anche se all'inizio non gli avevano creduto aveva fatto il suo dovere di bravo figlio. Perché anche se con la sua famiglia negli ultimi anni non aveva avuto un rapporto idilliaco, comunque voleva loro un gran bene e sapeva che loro gliene volevano altrettanto, nonostante tutto. Se non gli fosse importato di loro non avrebbe fatto tutti quei chilometri solo per cercare di ottenere la loro approvazione, in fondo.

 

Da quando erano arrivati si sentiva come in una bolla: erano riusciti chissà come a evitare il pericolo, a uscire indenni senza quasi assistere all'inferno che sembrava circondarli. Sapeva che una volta usciti da quel luogo sicuro, una volta tornati in strada, avrebbero dovuto affrontare rischi che nemmeno riusciva a immaginare.

Cercava di non pensarci, ma se davvero voleva tornare indietro con Keith forse non li avrebbe mai più rivisti. Cos'avrebbero pensato di lui? Il figliol prodigo che ritorna solo per dare notizie spiacevoli e poi riparte, lasciando la famiglia - seppur al sicuro - in preda alla preoccupazione per la sua sorte?

Una parte di lui avrebbe davvero voluto essere insensibile, focalizzarsi solo sull'irritazione che aveva provato vedendo i suoi che ignoravano apertamente Keith, incapaci di accettarlo quasi quanto non riuscivano a concepire l'arrivo dell'epidemia zombie in città. In realtà sapeva che non erano così. Sapeva che gli sarebbe servito solo un po' di tempo, che in circostanze normali dopo lo spiazzamento iniziale lo avrebbero accolto quasi come un membro della famiglia, così come avrebbero digerito – forse a fatica, ma l'avrebbero fatto – la sua bisessualità. Lo sapeva benissimo, e si sentiva come se una corda gli si stesse avvolgendo stretta intorno a una caviglia, per impedirgli di andar via.

Ma a quasi un giorno di guida da lì c'era un'altra forza che lo attirava come una calamita: gli amici, la famiglia che si era scelto (cioè, in realtà non li aveva esattamente scelti, ma questa è un'altra storia), le persone che negli ultimi due anni erano state i suoi affetti più cari. Shiro era stato il fratello maggiore che non aveva mai avuto, nonchè una costante fonte d'ispirazione. Shiro era il figlio che qualsiasi madre avrebbe voluto avere: laureato con il massimo dei voti, appena uscito dall'università era stato assunto per un tirocinio alla NASA (il che era anche il sogno di Lance, e per questo lo ammirava incondizionatamente), aveva una fidanzata bellissima (e non è un modo di dire, Allura era davvero bellissima, di quelle ragazze che ti fanno voltare per strada e schiantare contro un palo, e Lance lo sapeva bene perché l'aveva provato sulla sua pelle... o per meglio dire, sulla sua fronte) ed era adorato da tutti per il suo carattere gentile ma deciso.

Shiro l'aveva perfino aiutato quando si era reso conto di provare qualcosa per Keith (in realtà aveva fatto lo stesso con Keith, ma lui l'aveva scoperto solo dopo), e si era messo in combutta con Hunk e Pidge pur di far uscire allo scoperto quei due idioti che continuavano a insistere a negare i loro sentimenti l'uno per l'altro.

Hunk era il suo migliore amico da anni, nonché colui che due anni prima aveva trovato l'appartamento che condividevano: era la sua ancora da sempre, il suo confidente e colui che gli aveva impedito di morire di fame da quando si era iscritto al college, nonché la sua salvezza negli esami di matematica. Lui, Lance, Keith e Pidge frequentavano la stessa facoltà, anche se Pidge era una specie di studente prodigio: non era nemmeno maggiorenne e primeggiava in tutti i corsi del secondo anno.

Quando Lance e Hunk erano arrivati, nell'appartamento vivevano solo Shiro e Keith, che si era trasferito lì appena maggiorenne. Pidge non viveva ancora lì: l'ultim* arrivat* li aveva raggiunti pochi giorni dopo l'inizio del primo semestre, presentandosi imprevedibilmente sul pianerottolo in una serata piovosa, con solo una sacca di libri come bagaglio.

Nessuno di loro sapeva molto sul suo passato, a parte che non voleva essere chiamat* Katie e che parlava spesso di un fratello che non vedeva da anni, che solo Shiro sembrava conoscere.

Lance non li vedeva da poco più di due giorni e l'ansia lo stava uccidendo, tanto più che i cellulari di tutti e tre squillavano a vuoto.

Ma lui e Keith non potevano semplicemente andarsene da lì, non in quel momento.

 

Non poteva farlo, o l'ultima immagine che gli sarebbe rimasta di loro sarebbe stata quella del padre che ogni tanto si asciugava una lacrima con la manica della camicia scozzese, e dei due bambini addormentati vicini su un materasso sul pavimento, con Julio che dormiva abbracciato a Ben e si agitava nel sonno, sussurrando il nome dello zio. Non poteva, perché tutto sommato loro erano la sua famiglia.

Ma l'avrebbe fatto comunque. Dovevano solo aspettare il momento giusto.

 


E un altro capitolo è andato, finally~
Spero che l'attesa non vi abbia fatto passare la voglia di seguire questa storia, e prometto che sarò più rapida ad aggiornare (o almeno ci proverò XD)
Vi lascio un'anticipazione: il prossimo capitolo sarà scritto interamente dal punto di vista di Shiro (sento già l'ansia da prestazione che incombe, omg)

Grazie millissime a Teenager_Imagination per la recensione, spero che apprezzerai l'evoluzione degli eventi!
Che dire... ci si vede al prossimo capitolo, hasta la later
~

_Kurai_

 

 

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