Taking care of you

di marea_lunare
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** John, non farlo! ***
Capitolo 2: *** Cammei vaticani ***



Capitolo 1
*** John, non farlo! ***


I - John, non farlo! 

“Sherlock. Mangia” ordinò l’ex soldato Watson all’uomo seduto al suo fianco.

Rosie ormai aveva sei anni, perciò mangiava tranquillamente da sola.

Ora però, John aveva un altro bambino un po' troppo cresciuto di cui occuparsi: il cocciuto detective che sedeva al suo fianco e con cui aveva una
relazione da quando era nata Rosie, dopo la morte della moglie.

“John, ti ho detto che non mi va” rispose Sherlock.

“Per l’amor di Dio, possibile che debba essere Rosie a dare l’esempio a te e non viceversa?” sbuffò il dottore, mangiando un altro boccone di purè “La signora Hudson si danna l’anima ogni volta per preparare qualcosa che possa piacere anche al tuo palato sopraffino, ma per dispetto continui a non mangiare. Sei proprio infantile. Ti rendi conto che se io non ti avessi promesso…” s’interruppe lanciando un’occhiata a Rosie che li guardava discutere “delle cose a questo punto saresti già riverso sul pavimento per mancanza di cibo?”

“Oh, taci John. Mangiare è noioso, lo sai”

“No che non lo è, Sherlock. È vitale. Quindi ora smetti di comportarti da bambino di due anni e mangia.il tuo.pranzo”

“NO” rispose Sherlock fissandolo impassibile.

“Rosie, vuoi dire qualcosa tu a tuo zio?” disse John con un sorriso irritato e guardando la figlia, omettendo volontariamente il “prima che lo strangoli
con le mie stesse mani” che gli stava per sfuggire dalla bocca.

“Scusa papà, ma non so cosa dirgli” rispose la bambina facendo sporgere il labbro inferiore in un’espressione di scuse “Non ascolta te, perché dovrebbe ascoltare me?”

“Tranquilla tesoro, hai perfettamente ragione. Non è colpa tua, ma dell’uomo cocciuto che mi sono scelto come marito”

Ebbene sì, Sherlock aveva acconsentito a sposarsi, ma questa è un’altra storia.

“Lo so papà, però se lo hai sposato vuol dire che un po' te la sei anche cercata, no?” disse candidamente la bambina.

“Questa è la mia Rosie” sorrise il detective volgendo un’espressione soddisfatta al dottore, che continuò a mangiare rabbioso.

Una volta che lui e Rosie ebbero finito, Watson guardò di nuovo il consulente, furente.

“Sherlock. Ti ho detto che devi mangiare, perché è da ieri mattina che non metti qualcosa sotto i denti”

“John. Ho detto di no” rispose l’altro ostinato come un mulo.

Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.

Per anni aveva dovuto sopportare i suoi capricci infantili e non ne poteva veramente più.



“Ora ne ho abbastanza” disse, togliendo il suo piatto e quello della figlia, attraversando il salotto a lunghe falcate e scendendo velocemente le scale, andando nell’appartamento della signora Hudson.

Ogni suo passo era talmente forte che la casa sembrò sul punto di crollare su se stessa.

“Zio, penso che stavolta papà abbia superato il limite” sussurrò Rosie avvicinandosi al detective che la fece salire sulle sue gambe “Perché non mangi mai, zio? Non senti lo stomaco brontolare?”

“Mangiare è noioso, Rosie”

“Allora perché quando io non mangio, tu mi sgridi sempre?”

“Io non ti sgrido, Rosie, voglio solo che tu mangi per il tuo bene”

“Zio Sherlock, ti stai contraddicendo da solo. Sai che mangiare fa bene e che un essere umano non può non ingerire nulla per interi giorni, però quando si tratta di te non ascolti i tuoi stessi ragionamenti. Perché?”

Il detective la guardò leggermente stupito.

“Sai, a volte mi chiedo se tu in realtà non sia mia figlia e che John ti abbia adottata a mia insaputa” le disse dopo qualche secondo, dandole un buffetto sulla guancia.

In quello stesso momento, John risalì le scale con la stessa rabbia e pesantezza di prima, impugnando un foglietto su cui si poteva ben leggere una sequenza di numeri scritti con la calligrafia di Martha Hudson e tirò fuori il suo telefono.

“Chi stai chiamando papà?”

“Vedi tesoro” rispose John componendo il numero e appoggiando il cellulare all’orecchio “quando una persona è irritante e cocciuta, capisci di non poter far nulla per convincerla a fare qualcosa che non vuole. Perciò non rimane che chiamare un’entità superiore, quasi trascendentale, che ha il completo potere su quella persona”

“Stai chiamando Dio, papà?” gli chiese la figlia perplessa.

“Oh no, piccola mia. Molto peggio”

“John…” soffiò Sherlock mentre un’espressione di puro terrore si formava sul suo volto “Non…non osare fare ciò che io penso tu stia facendo”

“Zitti tutti, squilla” sussurrò il dottore.

“John, non hai la minima idea del guaio in cui ci stai cacciando! Che diavolo ti è saltato in mente?!” rispose Sherlock a voce alta, tentando di alzarsi senza far cadere la bambina.

“Rosie, bloccalo!” disse Watson con il suo tono da comandante che spesso usava con la figlia per scherzo, ma che allo stesso tempo la faceva saltare sull’attenti come se anche lei fosse un piccolo soldatino.

La bambina, all’ordine del padre, con una mossa repentina si aggrappò alle spalle del detective, mettendogli le mani sugli occhi per renderlo cieco.

“Andiamo, Rosie! Da che parte stai?” protestò il detective tentando di togliersela di dosso, ma la piccola era tenace proprio come suo padre.

“Dalla parte di chi capita!” rise gaiamente la bambina.

“Pronto? Sieger? Che piacere sentirla! Mi perdoni se la disturbo a quest’ora, ma avrei un urgente bisogno di parlare con sua moglie, riguarda Sherlock”

“John, fermati! Se la chiami sarà finita per noi!”

“John, caro, come stai?” cinguettò dall’altro capo del telefono la voce squillante di Violet Holmes.

Nell’arco di quei sei anni, in particolare dopo il loro matrimonio, i genitori di Sherlock avevano iniziato a vedere Rosie come una nipotina adottiva,
perciò capitava che li andassero a trovare a sorpresa, a volte interrompendo, ecco… dei momenti un po' intimi, causando l’ira più cupa di Sherlock e l’imbarazzo totale del povero dottore che, con il tempo, aveva smesso di sentirsi in soggezione con i suoceri.

“Signora Holmes, buon pomeriggio. Tutto bene, spero anche lei. Ascolti, devo parlarle di un problema urgente che riguarda suo figlio” iniziò il dottore.

Sherlock riuscì a liberarsi di Rosie, afferrandola in tempo ed evitandole un volo di un metro e settanta dalle sue spalle al pavimento.

“Papà, zio Sherlock si è liberato, scappa!” gridò la bambina ridendo ed aggrappandosi alla gamba del detective, un lembo della vestaglia azzurra dello zio le coprì la testa e le nascose i lunghi capelli biondi.

Holmes corse, o almeno ci provò, verso il marito che si trovava dall’altro capo del salotto.

“John, metti giù quel dannato telefono!” protestò ancora una volta l’uomo tentando di raggiungerlo, camminando come uno zoppo a causa dello scricciolo che aveva artigliato al polpaccio.

“Non si preoccupi, non si tratta di droga o casi di omicidio, ma…” continuò il dottore, guardando con un sorriso beffardo il consulente che tentava disperatamente di prendergli il telefono dalle mani.

“John, ti prego, così ci ammazzi tutti!”

“Oh zio, sei il solito esagerato!”

Rosie si stava divertendo come una matta, rideva di gusto e sapeva che lo zio, pur tentando di svinghiarsela di dosso, avrebbe sempre prestato la massima attenzione per non farle minimamente male.

“… si rifiuta di nuovo di mangiare”

“John, no!” sibilò Sherlock, compiendo l’ennesimo e minuscolo passo, mentre Watson se la rideva allegramente e si dirigeva verso la cucina.

“Tranquillo, caro, ci penso io. Posso parlare un attimo con la mia nipotina? Sono certa che lei mi saprà dire per bene cosa succede” rispose tranquillamente mamma Holmes.

“Certo, glie la passo subito. Tesoro lascia la gamba dello zio, la nonna ti vuole”

“Oh, nonna. Ancora mi commuovo a sentirmi chiamare così” disse Violet con voce rotta dall’emozione.

“NONNA!” gridò Rosie mollando di colpo la gamba di Sherlock che inciampò in avanti per l’improvvisa mancanza di peso.

Corse dal papà, gli prese il telefono dalle mani e si nascose dietro il tavolo della cucina mentre lui, notando Sherlock che tentava di raggiungerla sapendo che sarebbe stata un avversario facile da battere, si parò davanti al marito e venne travolto, così entrambi ruzzolarono a terra con un grosso tonfo.

Rosie scoppiò a ridere mentre parlava felicemente con la nonna.

“Tesoro, mi spieghi cosa succede?”

“Oh, nonnina, che scena che ti stai perdendo! Lo zio vuole prendermi il telefono così non posso dirti che è da ieri mattina che non mangia!”

“Rosie, no! Non dirle nulla, sta’ zitta!” sbraitò il detective, tanto che anche sua madre lo sentì.

Tentò di rialzarsi, ma John fu più svelto e gli fu di nuovo addosso, stavolta placcandolo per la schiena e gettandoglisi sopra a corpo morto.

“John, brutto ciccione, toglimiti di dosso prima che ti getti dall’altra parte della stanza!”

“Sherlock, non sono io che peso, sei tu che sei spesso come un filo d’erba”

“Te lo faccio vedere io il filo d’erba!” rispose con rabbia il detective, facendo pressione sulle braccia e alzandosi di colpo, facendo cadere John col sedere per terra.

“Wow, signor Holmes, proprio non me l’aspettavo” sorrise malizioso John, saltandogli sulla schiena esattamente come aveva fatto la figlia. Una volta
assicuratosi che la bambina non li sentisse perché troppo concentrata a parlare, si avvicinò all’orecchio del marito sussurrando “Magari tutta questa forza la potrai usare anche stasera a letto”



Quel tono così basso e sensuale.

Immediatamente Sherlock si bloccò sul posto, la bocca semiaperta dallo stupore e dal lungo brivido di piacere che gli aveva attraversato la schiena.

Notando quella sua momentanea distrazione, Watson lasciò all'improvviso l’uomo e gli si gettò di nuovo addosso, stavolta assicurandosi di tenergli ferme le braccia che, evitando di fargli troppo male, piegò dietro la schiena.

“Fregato, amore mio” rise di cuore, mentre il detective si dimenava sotto di lui come un’anguilla.

“John, sei un bastardo” sibilò Sherlock con odio.

Nel mentre, Violet Holmes dall’altro capo del telefono tentò di dissimulare la crisi di nervi che aveva in corso, o almeno evitò di urlare direttamente nell’orecchio della sua adorata nipotina bionda.

“Piccolina mia, ti dispiacerebbe mettere il vivavoce? Dai rumori che ho sentito direi che tuo zio è momentaneamente occupato”

“Oh si, papà gli si è seduto sopra per non farlo muovere” rispose la piccola avvicinandosi al detective e attivando il vivavoce.

“Fatto, nonna”

“Grazie Rosie, ora potresti tapparti un momento le orecchie?”

“Sì, nonna” ubbidì pazientemente la piccola, mettendo le mani a coppa per ovattare ogni rumore.

“Ha le orecchie tappate, Violet. Può parlare tranquillamente”

“Grazie John. SHERLOCK HOLMES DA QUANT’E’ CHE NON MANGI?!” sbraitò la donna con furore.

“Mamma, per piacere. Evitaci una delle tue scenate isteriche” sbuffò il figlio minore, alzando gli occhi al cielo.

“Sherlock, hai una minima idea di che cosa sia l’autoconservazione?” gli chiese il dottore, le gambe incrociate sulla schiena del marito.

“Che cosa intendi?”

“Intende, mio caro figliolo, che APPENA TI VEDO TI UCCIDO CON LE MIE STESSE MANI!” disse mamma Holmes “John, caro, grazie per avermi avvertita. Sarò da voi in due minuti”

“Va bene Violet, l’aspettiamo con piacere” disse John chiudendo la chiamata.
 


“Rosie, puoi toglierti le mani dalle orecchie. La nonna ci viene a trovare!”

“Davvero? Che bello! Ha detto se aveva un regalo per me?” chiese la piccola sovraeccitata.

“Non lo so, tesoro, ma conoscendola te lo porterà di certo” sorrise il dottore, alzandosi e tendendo la mano al marito per farlo alzare.

Ovviamente, Sherlock non glie la prese.

Quando si rimise in piedi, però, John notò con quanta meticolosità controllasse la fede in oro bianco che si erano scambiati durante la cerimonia nuziale, come se avesse paura di averla graffiata in qualche modo.

“Rosie, chiudi a chiave tutte le porte, ci penso io a quella dell’ingresso. Lo zio non deve fuggire”

“Si, papà” disse la bambina correndo fuori dal salotto.

Sherlock, sapendo che l’irreparabile era ormai accaduto, si accomodò sulla poltrona nera prendendosi il volto tra le mani, sentendo un’immensa disperazione crescere in lui come un’aura scura.

“John, hai una minima idea di che cosa diavolo hai combinato?” disse in tono seccato.

“Non me ne importa, Sherlock. Tu devi mangiare e affinché ciò accada posso affrontare tutte le Violet Holmes di questo mondo”

“Fortunatamente per te, ce n’è solo una”
 

“Porte chiuse, papà!” disse Rosie tornando in salotto, mettendosi sull’attenti e facendo il saluto come un vero militare, come John le aveva insegnato.

Lui rispose al saluto e, ridendo, disse “Soldati! Rompere le righe!” subito la piccola gli saltò in braccio, aprendo quell’enorme sorriso a cui mancava qualche dentino.

“Papà, posso chiederti una cosa?”

“Tutto quello che vuoi”

“Perché non hai usato il telefono dello zio Sherlock per chiamare la nonna? Avresti evitato di andare a chiedere il numero alla signora Hudson”

“Tesoro, lo zio ha una password per sbloccare il suo telefono e se non conosco quella password non posso usarlo”

“Tecnicamente sarebbe una sequenza di numeri, quindi un PIN. Quando parli di ‘password’ si intende una parola, ovvero una sequenza di lettere” chiarì Holmes, arrabbiato.

“Sempre il solito puntiglioso” sbuffò il marito.

“Papà guarda che ti sbagli, tu conosci il PIN!”

“No, tesoro, non lo conosco” le sorrise John.

“Invece ti dico di sì! Come potresti dimenticare la data del vostro matrimonio?”

“Shh, Rosie!” bisbigliò Sherlock, resosi conto troppo tardi di ciò che voleva dire la bambina.

Ci furono due secondi di silenzio, in cui John guardò esterrefatto prima la figlia, poi il consulente.

“Dici sul serio, Rosie?”

“Certo che dico sul serio! Provaci!” sorrise la piccola, dimenando le gambe per scendere.

John la mise a terra e la bambina raggiunse il tavolo della cucina, salì una sedia e afferrò il telefono di Sherlock, porgendolo al papà.

“Rosie…” provò il detective, ma seppe che non sarebbe servito.

Watson lo guardò esitante, abbassando lo sguardo sullo schermo dell’iPhone che chiedeva di inserire il PIN.

Rifletté qualche altro secondo, poi inserì la sequenza di quattro numeri.

1709.

17/09.

Il diciassette settembre.

Avevano deciso di sposarsi lo stesso giorno del loro primo incontro, quasi dieci anni prima.

Non appena anche il nove venne inserito nel tastierino, la schermata si sbloccò immediatamente.

“Sherlock…”

“John, io… Se vuoi posso cambiarlo…” iniziò il detective alzandosi in piedi per riprendere il telefono, ma venne interrotto dalle braccia di John che lo chiusero in un abbraccio.

Il detective sentì distintamente il battito cardiaco accelerato dell’ex soldato.

“E’ un gesto bellissimo, Sherlock. Grazie” sorrise Watson appoggiandogli una mano sulla testa riccia.

Il detective rispose al sorriso e Rosie si intrufolò tra di loro per farsi abbracciare anche lei.

“Ora vi date un bacino?” chiese la bambina.

“Se lo zio non si vergogna” rispose John sorridendo.

Sherlock volse un’occhiata allo sguardo implorante della figlia adottiva e cedette.

Non appena appoggiò una mano sul volto di John e gli si avvinò chiudendo gli occhi, il rumore assordante di un elicottero in atterraggio rimbombò per
tutta la via.

Rosie si guardò attorno spaventata e si aggrappò alla gamba di Sherlock, che le accarezzò la testa per tranquillizzarla.

“Che diavolo sta succedendo?” chiese Watson.

“È la fine, John” rispose Sherlock senza nascondere il panico nei suoi occhi “È arrivata mia madre”  







Note dell'autrice: Buonsalve a tutti! Come state? Eccomi di nuovo qui. So che vi sto tartassando con le pubblicazioni, ma che ci volete fare, adoro scrivere! *^* In particolare, stavolta sono tornata con una mini long in due parti, COMICA! Yaaaaay, finalmente! Dato che la long è diventata particolarmente angst, anche io avevo bisogno di svagarmi un attimo, perciò mi sono divertita come una pazza a scrivere questa fic, nata da una precedente idea che poi ho rielaborato e... questo è il risultato! La seconda parte ancora deve essere scritta e sinceramente non so quando riuscirò a pubblicarla, ma prometto di non farvi aspettare troppo, giuro. Intanto volevo strapparvi un sorriso in questa ennesima giornata di caldo asfissiante e spero che mi facciate sapere cosa ne pensate della storia, altrimenti, grazie anche solo per averla letta! Un abbraccio e ci vediamo lunedì ( o prima :P) <3 
PS: ZAN ZAAAAAAAAAAN, Violet Holmes alla riscossa! 

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Capitolo 2
*** Cammei vaticani ***


Note dell'autrice:​ CHIEDO VENIA. CHIEDO UMILMENTE SCUSA. Perdonatemi, sul serio, mi rendo conto di quanto dannato tempo io ci abbia messo per far uscire la seconda parte, ma ormai penso mi conosciate e più di una volta l'ho affermato: quando non mi sento di scrivere, non mi esce nulla di buono. E' stato da un lato un periodo morto per mancanza d'ispirazione e nel tentare di concludere la long, ma poi ieri notte, dopo aver concluso un altro pezzo che probabilmente oggi pubblicherò, ho avuto un barlume di illuminazione divina e tra le 1 e le 1:30 sono riuscita a concludere anche questa mini-long. Perdonatemi davvero, però vi prometto che ne è valsa la pena. Ho cercato di mantenere quella comicità che avete trovato anche nel primo capitolo, insieme a quel pizzico di fluff e clima familiare che non guastano mai, senza però scendere troppo nello sdolcinato. 
Enjoy e scusatemi ancora una volta. Grazie a chi ha avuto la pazienza di aspettare e buona lettura! <3 


II- Cammei vaticani

“Questa è la prima volta che arriva in elicottero” gracchiò John ridendo. 

“Direi che non devi stupirti più di niente, John. Mia madre e il mettersi in mostra sono come il diavolo e l’Inferno, vanno a braccetto” gli rispose Sherlock alzando gli occhi al cielo. 

“Una primadonna a tutti gli effetti esattamente come suo figlio” sorrise malizioso Watson, beccandosi un’occhiata fulminante dal marito. 

“L’elicottero atterrerà sul tetto, papà?” chiese Rosie, tirando un lembo della maglia del padre. 

“Credo di sì, non possono di certo atterrare in mezzo alla strada” 

“Mia madre sarebbe capace di farlo, ma mi appello a quel poco di buon senso che le è rimasto” rispose sconsolato il consulente, coprendosi il viso con i palmi delle mani. 

Fortunatamente per i coinquilini, mamma Holmes aveva deciso di non creare ulteriore trambusto facendo arrivare l’elicottero sul tetto di Baker Street. 

John si affacciò alla finestra e notò numerosi nasi curiosi volti all’insù, intenti a guardare quella che probabilmente sembrava una scena da film americano, alquanto inusuale in una città relativamente tranquilla come Londra. 

“Ma come hanno intenzione di scendere?” chiese il dottore, voltandosi a guardare il detective che si stava mangiando le mani esasperato e che concluse con un secco “Non lo so, John e sono certo di non volerlo nemmeno sapere” 

“Oh cielo, cari, mi sapete dire cosa sta succedendo? Cos’è tutto questo rumore?” chiese la signora Hudson salendo le scale con aria preoccupata. 

“Stia tranquilla signora Hudson, è solo mia suocera” le sorrise rassicurante Watson. 

“Violet? Sono felice di rivederla di nuovo” 

“Anche noi, signora Hudson, non può immaginare quanto” rispose Sherlock sarcastico. 

“Suvvia Sherlock, è pur sempre tua madre, la donna che ti ha portato in grembo e cresciuto. Dovresti essere solamente grato per tutto quello che fatto per te!” 

“Signora Hudson la prego, in questo momento una paternale è l’ultima cosa di cui ho bisogno” 

Martha Hudson fu sul punto di rispondere quando venne interrotta da un gridolino eccitato della bambina. 

“Papà guarda!” disse Rosie battendo i piedi ed indicando al padre la finestra. 

John fu certo che non sarebbe sopravvissuto a quella giornata, soprattutto per l’attacco di cuore che gli venne non appena si girò.

Trasalì violentemente e fu quasi sul punto di urlare, perché tutto si aspettava tranne di vedere i suoceri fuori dalla finestra, vestiti di tutto punto e appesi ad un pesante cavo di acciaio, che li salutavano con un sorriso cordiale. 

“Ma che diavolo?!” esclamò perplesso, mentre Rosie rideva beatamente e Sherlock andava a sbattere la testa sul muro. 

“Sapete almeno cos’è l’ospitalità? Aprite quella finestra, per l’amor del Cielo!” li rimbeccò indispettita la padrona di casa, affrettandosi lungo il salotto e permettendo agli ospiti di entrare. 

“Martha, mia cara!” 

La voce squillante di mamma Holmes proruppe nell’appartamento, mentre il marito si assicurava che non scivolasse. 

“Violet! Quanto tempo!” rispose la signora Hudson abbracciandola con trasporto e lasciandosi baciare su entrambe le guance. 

“Le serve una mano, Sieger?” chiese cordialmente John, ripresosi dallo spavento, dirigendosi anche lui alla finestra e tendendo la mano al signor Holmes. 

“Ti ringrazio John” rispose il suocero che glie la prese e, una volta toccato il pavimento, lo abbracciò come un vecchio amico. 

Watson sorrise felice. Non si sarebbe mai aspettato che i genitori di Sherlock fossero così normali e affettuosi, praticamente l’opposto della loro progenie, e in tutto quel tempo avevano iniziato a trattarlo come un secondo figlio per somma gioia non solo sua, ma anche di Sherlock, nonostante il detective non lo avesse mai espresso apertamente. 

“Nonna!” gridò Rosie correndo incontro a Violet, che si era inginocchiata per permettere alla piccola di saltarle addosso. 

“Rosie, tesoro mio, mi sei mancata tanto” disse dolcemente la donna, accarezzando i capelli biondi e morbidi della nipotina acquisita. 

“Ciao nonno!” sorrise la bambina, correndo ad abbracciare anche il signor Holmes che la prese in braccio. 

“Ciao piccolina, come stai?” 

“Benissimo, ora che ci siete anche voi!” 

“Sherlock, caro, non vieni a salutarmi?” esclamò Violet. 

“Oh, per l’amor di Dio… Ciao mamma” disse il detective con un sorriso talmente tirato che il suo viso sembrava sul punto di spaccarsi come fosse coccio. 

“Siete arrivati giusto in tempo per l’ora di pranzo, che ne dite di mangiare tutti insieme?” propose la signora Hudson intrecciando le mani. 

Sherlock non seppe come, ma resistette all’impulso di saltare all’istante dalla finestra ancora aperta. 

Probabilmente fu il sorriso rassicurante, amorevole e in parte anche comprensivo del marito che, insieme ai suoi occhi così belli e penetranti, lo stregava ogni volta come fosse la prima. 

“Certo, Martha, rimarremo molto volentieri” disse mamma Holmes lanciando un’occhiata d’intesa al marito, il che preoccupò non poco John. Il consulente aveva ragione: non aveva la minima idea del guaio in cui li aveva cacciati, ma sapeva di aver agito per il meglio, dato che in fondo lo aveva fatto solo per il bene di Sherlock. 



Circa dieci minuti dopo la tavola era apparecchiata e a Baker Street si erano diffusi una tale confusione e trambusto di pentole e piatti che cozzavano l’uno contro l’altro da far sembrare che un vero e proprio ciclone avesse messo piede in quella cucina. 

John e Rosie avevano già mangiato, ma ciò non impedì alla piccola Watson di mangiarsi un’altra bella porzione di purè e carne preparati personalmente dalla padrona di casa. 

Il dottore beveva tranquillamente un caffè discutendo animatamente con il suocero, mentre Violet e la signora Hudson civettavano saltando da un argomento all’altro. 

Sherlock sembrava un bambino imbronciato, le braccia conserte e lo sguardo intento a fissare il vuoto, ignorando volutamente il piatto pieno e fumante appoggiato di fronte a lui.

“Sherlock, prima mangerai e prima questo supplizio finirà” disse John guardandolo. 

“Se non ho fame cosa posso farci?” protestò il detective. 

“Oh smettila, non mangi nulla da ieri mattina e hai il coraggio di dirmi che non hai fame? Non sono un completo idiota”

“Cosa te lo fa credere così fermamente?” sogghignò Sherlock. 

“Caro, ti dispiacerebbe aiutarmi con i piatti?” chiese Violet in direzione del marito. 

“Certo tesoro” rispose il signor Holmes alzandosi immediatamente e raggiungendo la moglie al lavandino della cucina. 

“Vorrei evitare di metterti le mani addosso davanti a mia figlia, perciò mangia e non comportarti in modo così infantile” concluse l’ex soldato contro Sherlock. 

“Ti ricordo che poco fa sono riuscito a buttarti a terra nonostante mi fossi seduto sopra, perciò non penso saresti capace di sorprendermi di nuovo” lo rimbeccò l’altro. 

“Suvvia, Sherlock, non parlargli così” rise Sieger appoggiando le mani sulle spalle del figlio “Lo fa solo per il tuo bene” 

“Lo so anche io cos’è nel mio bene, non ho bisogno di una balia che mi getta a terra e mi si siede sopra solamente perché per qualche giorno non assumo le calorie necessarie” borbottò il detective, non nascondendo la sua evidente irritazione. 

Solo in quel momento John focalizzò cosa effettivamente la suocera stesse facendo alle spalle del figlio. 




Il dottore la vide prendere una corda tirata fuori da Dio solo sa quale cassetto della loro cucina e afferrarne un lembo con entrambe le mani, l’una leggermente distanziata dall’altra. 

“Non è possibile” pensò John “Vuole veramente…?”

Violet Holmes sorrise malandrina e gli fece l’occhiolino, contando evidentemente sul suo momentaneo silenzio, ma John non volle privarsi di quella soddisfazione. 

“Sherlock?” lo chiamò con un gran sorriso.

“Mh?” 

“Cammei vaticani”

Immediatamente l’altro si voltò, ma fu comunque troppo lento. 

“Oh no mio caro!” esclamò mamma Holmes avvolgendo la corda attorno al corpo del figlio mentre il padre gli teneva ferme le braccia. 

Una, due, tre, quattro volte la corda fece il giro completo ed attaccò totalmente la schiena di Sherlock contro la sedia, per poi chiudersi con un nodo alla marinaresca, bello stretto e certamente difficile da sciogliere con le braccia attaccate al corpo. 

“Ma che diavolo?!” esclamò il detective “Starete scherzando spero! Mi avete legato ad una sedia?” 

“A mali estremi, estremi rimedi, tesoro” ghignò mamma Holmes. 

“Scioglimi immediatamente” le disse severamente il figlio. 

“Sherlock, ti ricordi che cosa ti ha detto John questa stessa mattina?”

“A cosa ti stai riferendo?”  

“Penso stia parlando del tuo non sapere cosa sia l’autoconservazione” sorrise John incrociando le braccia sul petto “Ovvero, se non taci e cerchi di mangiare prevedo seri guai per te”

“Sì, certo” sbuffò l’altro. 

“Oh, ma taci” brontolò Violet prima di chiudere la bocca di Sherlock con uno straccio. 

Rosie scoppiò a ridere e John si coprì la bocca con una mano chiudendo gli occhi, mentre il petto cominciò a sussultare violentemente dalle risa trattenute malamente. 

“Pldhfladljsk!” gorgogliò Sherlock. 

“Oh poverino” bisbigliò la signora Hudson, sorridendo però a sua volta. 

“Come? Scusa, non credo di aver capito” disse John sporgendosi verso il marito. 

“Plahdoyehshdlahsòksdhdsak!” gridò il detective nello straccio. 

John si piegò dietro il tavolino ridendo come un pazzo, tenendosi solo con il braccio appoggiato sul legno scuro. 

Sieger sorrise compassionevole mentre Violet lo guardava soddisfatta, sicura di aver fatto prevalere per l’ennesima volta il suo potere di sola ed unica femmina alpha della famiglia. 

“Oddio, oddio…” continuò a ridere John asciugandosi le lacrime con il dorso della mano “Violet, lei è la suocera che avrei sempre voluto avere”

“Grazie John, caro” 

“GRRRRRRRRRRRRRR” 

Questo è tutto ciò che Sherlock avrebbe potuto dire per dimostrare ogni singolo briciolo della sua collera, ma a causa di quel pezzo di stoffa che gli occludeva la bocca, ciò che uscì fu una sorta di erre moscia: “GVVVVVVVVVVVVVV”, scatenando così non poche altre risate da parte di tutti i presenti in cucina. 

“Zio, per favore, mangia, altrimenti morirò dal mal di pancia!” disse la piccola Rosie, prendendo dalla signora Hudson un fazzoletto di stoffa con cui asciugarsi gli occhi. 

“Mphomgf” 

“Sherlock, per l’ultima volta, mangia o sarò costretta a fare di peggio” lo minacciò la signora Holmes.

“Mh?” domandò lui voltandosi verso di lei. 

Mamma Violet fece scattare istintivamente il pollice e l’indice verso il braccio del figlio, afferrando un piccolo pezzo di carne e girandolo in senso orario. 

Sherlock sobbalzò e soffocò un grido nello straccio, guardando la madre come se fosse la più orrenda carnefice che avesse mai incontrato in tutta la sua carriera. 

“Ora ti toglierò questo affare dalla bocca ma, se non mangerai niente, sappi che questo non sarà stato l’ultimo pizzicotto della giornata” affermò la donna liberando il figlio da quell’impiccio. 

“Finalmente. Sei una madre degenere” sibilò il detective una volta libero, ma l’altra non prestò attenzione alle sue parole e gli mise un pezzo di carne di fronte alle labbra. 

“Scegli, tesoro, la carne o pizzicotti” mormorò spalancando gli occhi ed assottigliando le labbra in una linea retta. 




Quello sguardo intimidatorio era l’unica cosa che spingesse il detective a mangiare quando era bambino, e sua madre lo sapeva. Sfortunatamente per lui e fortunatamente per John, quell’espressione lo terrorizzava tutt’ora, tanto che aprì la bocca ed ingoiò. 

“Grazie al cielo. Ci è voluto così tanto per un singolo boccone? Quando avrai finito tutto credo che Rosie avrà già preso la sua laurea in criminologia” disse Watson ridendo con rassegnazione. 

“Davvero, Rosie? Vuoi diventare una criminologa?” chiese sorpreso Sieger Holmes guardando in direzione della nipotina. 

“Sì nonno! Voglio seguire le orme di zio Sherlock e di zia Molly! Papà mi ha già promesso che mi aiuterà con gli studi!” rispose la bambina battendo le mani. 

“Che cosa?” chiese Sherlock stupito “Le hai promesso di aiutarla con gli studi?” 

“Certo che l’aiuterò, perché non dovrei farlo?” 

“Pensavo non fossi d’accordo... Inorridivi quando mi vedevi mostrare alla bambina le foto dei miei casi”

“Certo, perché aveva due anni e scoppiava a piangere ogni singola volta. Ma ormai ha sei anni e si è abituata ad avere pezzi di cadavere umano in frigo, ad assistere ai tuoi assurdi esperimenti ed è capitato addirittura che la portassimo su alcune scene del crimine perché non avevamo nessuno che potesse farle da baby-sitter. È entrata a far parte di questa nostra parte di mondo e sarebbe da perfetti idioti impedirle di proseguire per quella che pensa possa essere la sua strada, che sia studiare criminologia o imparare ad acconciare i capelli” concluse Watson. 

“Ora capisco perché ti ho sposato” sorrise inconsciamente Holmes, non riuscendo a nascondere la gioia della possibilità che la figlia adottiva seguisse le sue orme.  

“Forza zio Sherlock, mangia, così puoi aiutarmi a capire cosa devo studiare per diventare la più brava criminologa del mondo!” 

“Penso che già basti la tua intelligenza” le sorrise il consulente. 

Violet Holmes sciolse il nodo e finalmente Sherlock ebbe le braccia libere. 

Fece accomodare meglio Rosie sulle sue gambe, prese la forchetta ed iniziò a mangiare, ascoltando la piccola spiegargli tutto ciò che avrebbe voluto fare nel suo lavoro da adulta, elargendole poi consigli su ogni possibile indirizzo di studi. 

Senza nemmeno rendersene conto, il consulente ripulì il piatto dal cibo che c’era sopra e continuò a dedicare tutta la sua attenzione alla bambina bionda che lo osservava incantato. 

John sorrise complice ai suoceri, sapendo che da quel giorno Sherlock avrebbe sempre mangiato se Rosie fosse stata al suo fianco. 




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