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Lista capitoli: Capitolo 1: *** Capitolo I: Merlin's Gift *** Capitolo 2: *** Capitolo II: Merlin's Name *** Capitolo 3: *** Capitolo III: Merlin's Surprise ***
Quando ho finito di scrivere “MagicMelody”, due anni fa, avevo detto che c’erano delle
bozze per un possibile seguito, ma francamente non sapevo se lo avrei mai
scritto per davvero, fino a che una deliziosa fanciulla
non mi ha regalato un disegno bellissimo ispirato a questa storia e, beh… per
sdebitarmi ho deciso di sviluppare quelle vecchie bozze. Il risultato è questo.
La raccolta è composta di quattro capitoli, in tutto. Un missing moment (fra il cap. 4 e
l’epilogo) e tre pezzi post-epilogo.
Sarà un concentrato di fluff e umorismo, ma l’inizio è doverosamente dedicato
ai pensieri di Arthur, che non abbiamo mai letto, dopo che Merlin è scappato.
L’inizio è amaro, ma sappiamo già come finisce la storia, quindi è una angst stemperata. Il resto,
invece, sarà tutto in discesa. ^^
D’istinto, vorrei
dedicare questa storia a Filippo, sperando di essere una zia
un filino migliore di Arthur con Mordred.
E poi è dedicata a chi
mi segue con costanza e affetto.
A chi si entusiasma
per le mie bizzarre ispirazioni e mi sostiene con i suoi pareri.
Ma soprattutto la dedico a Maryluis,
perché senza di lei, probabilmente, questo seguito sarebbe rimasto per sempre
ad ammuffire.
Un abbraccio.
MagicMelody (Mordred’sLullaby) 2
- La Raccolta -
Capitolo I:Merlin'sGift
Arthur si trascinò a passo stanco verso l’entrata della casa
di Morgana. Aveva evitato un confronto con lei il più a lungo possibile,
rendendosi irreperibile a tempo indeterminato e in vari modi – al limite della maleducazione e oltre –, perché tanto sapeva
benissimo che quella strega non si sarebbe fermata davanti a niente, pur di
fargli confessare quale fosse la sua pena indicibile o, per dirla con parole
sue, quale cazzata madornale avesse fatto, per mandare a puttane l’unica cosa
bella della sua vita: Merlin.
Ma lui non era ancora pronto a parlarne. A
dirlo a voce alta. Perché avrebbe reso tutto definitivo. Avrebbe ucciso ogni
flebile speranza che aveva coltivato, segretamente, nel suo cuore fin da quando
aveva capito che qualcosa non andava.
Aveva sperato, forse
con ingenua semplicità, di poter aggiustare tutto, di chiarire, di ricucire
quell’involontario strappo tra lui e l’uomo che amava. Ma
tutto sembrava accanirsi contro di lui.
Arthur si passò lentamente una mano sul viso, cercando
invano di scacciar via l’aria sfatta, ma sapeva di apparire pietoso. Aveva
passato giorni e notti accampato davanti alla
residenza di Merlin, per ore ed ore, nella vana speranza di vederlo entrare o
uscire, dato che nessuno rispondeva al campanello. Gli sarebbe bastato un
minimo cenno di vita. Ma niente. Niente di niente. La casa
sembrava sprangata e disabitata. Lui non si era perso d’animo e aveva
perseverato ancora, rischiando di apparire come lo stalker
che in realtà era.
Qualcuno l’aveva persino scambiato per un barbone e gli
aveva fatto la carità, ma Arthur aveva perso l’orgoglio
per strada giorni addietro e quelle monetine fra i piedi non l’avevano
indignato, erano solo servite a intristirlo ancor di
più. Alla fine, se n’era dovuto andare quando qualcuno dei vicini aveva
chiamato un agente di pattuglia nel circondario, probabilmente temendo che quel
tizio strano dall’aria strafatta avesse in mente qualche proposito criminale. Figurarsi. Lui non avrebbe mai potuto fare
del male a Merlin…
E invece sì, l’aveva
fatto. Gli aveva fatto male nel modo peggiore, si disse, trattenendo un
singhiozzo mentre racimolava il coraggio e suonava il citofono di sua sorella.
Alla fine aveva ceduto e non aveva più potuto rimandare quel maledetto caffè
che lei insisteva di volergli offrire.
Morgana lo aveva tirato dentro casa con un abbraccio strano
e inaspettato, uno di quelli che sapeva di altri tempi, o forse se lo stava
solo immaginando, dato che il loro legame fraterno non
era mai stato particolarmente saldo.
Eppure Gana se l’era stretto
addosso, senza criticare – con il solito cipiglio arcigno – gli abiti
trasandati, la barba lunga, gli occhi infossati e le occhiaie che lo facevano
apparire quasi spiritato.
Arthur aveva ricambiato per inerzia, mentre si faceva
trascinare verso il salotto dove, con tutta probabilità, il piccolo mostro
dormiva beato… E fu allora che sentì.
Una scossa vibrò lungo
la sua spina dorsale, come se avesse inavvertitamente infilato le dita in una
presa elettrica, mentre le note che ormai conosceva a
memoria risuonavano ovattate, oltre la porta chiusa, palpitandogli dentro.
Merlin. Merlin. Merlin.
Arthur corse oltre la soglia del salone, col cuore in
tumulto e la speranza incastrata in gola, che gli impediva di respirare.
Ma Merlin non c’era.
Fu grato di essersi aggrappato alla maniglia, stritolandola
come un ossesso, altrimenti sarebbe caduto a terra come un sacco di patate, perché
le ginocchia tremanti stentavano a tenerlo in piedi.
Che sciocco ch’era stato. Morgana non aveva nessun pianoforte in
quella stanza e Merlin non avrebbe mai avuto motivo di essere lì. Non dopo esser fuggito a quel modo, facendo perdere completamente
le sue tracce. Non dopo essersi negato con definitiva risolutezza. Non
dopo che aveva persino cambiato numero di telefono, pur di tagliare ogni ponte
con lui.
Arthur inghiottì il cuore in gola, che sprofondò giù giù nello stomaco, respinse le
lacrime che sentiva pungere e strinse i pugni, impotente, davanti all’ennesima
illusione infranta, e intanto Mordred dormiva,
placido e beato, cullato dalle musiche che il pianista aveva composto per lui.
“Artie…” sussurrò Morgana, posandogli
le dita fresche di manicure sulla spalla, per una strizzatina di conforto.
“Come può…? Come fai a…?” farfugliò
lui, mentre la sorpresa, la delusione, la speranza e il dolore scalciavano litigando
fra loro.
“Arthur, siediti”, ingiunse lei, spingendolo con gentile
fermezza verso uno dei divani, il più lontano rispetto a dove Mordred riposava, ignaro del suo turbamento interiore.
Fece come gli veniva detto,
rilasciando un sospiro affranto mentre cadeva esausto sul costoso sofà.
Fu allora che la vide.
Dimenticata lì, quasi con noncuranza, come se fosse l’oggetto più
insignificante del Creato.
***
Arthur allungò una mano esitante, raccogliendo la custodia
del cd che l’impianto Home Theater stava
riproducendo.
Se la mise in grembo, accarezzando con tenera reverenza la plastica
trasparente su cui spiccava la scrittura elegante di Merlin. L’unica cosa che gli era rimasta di lui.
Si accorse troppo tardi della lacrima che si schiantò contro
la superficie liscia.
Dio, ma quando si era
trasformato in un’adolescente con la sindrome premestruale?
Come tutti gli scrittori, sapeva benissimo che la sua vena
melodrammatica non restava mai in secca, ma nessuno dei suoi personaggi si era
mai ridotto a piagnucolare come lui, con un cuore spezzato per un amore finito.
“Tieni”, offrì sua sorella,
spingendogli contro una scatola di kleenex. “Se Mordred ti vede così, penserà che siamo già ad Halloween. Sembri uno zombie!”
gli appuntò, zuccherando poi una tazzina di caffè per sé e per il suo ospite.
Arthur la guardò stralunato, incapace di capire da dove
fosse spuntato il servizio buono. Si soffiò rumorosamente il naso e cercò di
ricomporsi, accettando con un cenno del capo la tazza fumante.
“Prima che tu me lo chieda, ti dirò ciò che so”, anticipò
lei, assorbendo con calma il liquido caldo. “Ma dovrai
accontentarti e fartene una ragione”.
Lui si ritrovò ad annuire, perché qualsiasi cosa era meglio
del vuoto che gli rimbombava dentro.
“Merlin mi ha spedito una busta imbottita con dentro il cd
che stai stritolando”, gli disse, annuendo alla volta della stretta
inconsapevole delle sue dita.
Arthur chinò la testa, come se le mani non fossero neppure
sue, e allentò la presa.
“C’è un modo per…?”
“No”, lo smentì lei, sopprimendo ogni sua speranza. “Non c’era nessun indirizzo, nessun recapito sulla busta. Posso dirti che viene dal Giappone, questo sì”.
Arthur spalancò occhi e bocca, sconcertato dal fatto che no,
non gli era neppure passato per l’anticamera del
cervello di controllare i prossimi impegni del suo pianista. Eppure le date e i
luoghi erano di pubblico dominio nel blog che gestiva lo staff del suo agente.
Una parte di lui era sempre stata certa
che Merlin fosse ancora a Londra, magari a casa di un amico, a leccarsi le
ferite in cerca di conforto… ma Will non gli era stato di nessun aiuto, in quel
caso. Anzi.
“Giappone?” ripeté, mentre le idee cominciavano a frullare.
“Beh, potrei…”
“No, che non puoi”, negò Morgana, scuotendo la massa di
ricci neri. “Merlin mi ha telefonato, ieri. Non mi ha spiegato le sue ragioni,
anche se io ho cercato di perorare la tua causa. Voleva semplicemente salutare Mordred un’ultima volta e sincerarsi che il cd fosse
arrivato a destinazione. Mi ha detto che, se mai ce ne fosse stato bisogno, la
sua magica melodia è un metodo soporifero infallibile. Poi, beh, mi ha chiesto
di non dirti nulla. È stato perentorio a riguardo: non intende parlare con te. Non vuole avere più niente a che fare con te”.
Arthur si ritrovò a boccheggiare, a corto di ossigeno, e
Morgana si sporse stringendogli un ginocchio in segno di solidarietà.
“Hai fatto un bel casino, fratellino. Che tu lo voglia o no,
devi lasciargli tempo e spazio… Ora come ora, non ti starebbe neppure a
sentire. È ferito e diffidente. Non ti crederà mai… ma non è
detto che, fra qualche tempo, tu non possa riprovare”, gli consigliò con
pratica razionalità. “So che la pazienza non è il tuo forte, Artie. Ma glielo devi. Se davvero
ci tieni a lui, lascialo in pace. Glielo devi”.
Arthur si limitò ad annuire piano, sganciandosi
deliberatamente dall’ultimo appiglio di speranza e scivolando nel vuoto.
“E poi… poi, fra qualche tempo”, concluse
sua sorella con tono deciso, “quando sarà il momento giusto, troverai il modo
di dirgli tutto. Di essere sincero fino in fondo. Perché gli
devi anche questo”.
“Hai ragione, Gana”, soffiò,
stropicciandosi stancamente le palpebre arrossate.
“Cielo! L’Apocalisse è vicina! Mio fratello mi dà ragione!” esclamò lei, fingendosi sconvolta.
“Che stronza…” biascicò Arthur, con in
bocca il primo mezzo sorriso da quelli che parevano secoli.
“Artie, cretino, vedi di mettere a posto le cose, perché questo tizio sta
simpatico al mio Puccino, quindi dev’essere
speciale, intesi?”
“Sì, Merlin è speciale davvero”, concordò nostalgico.
“E sicuramente non capisco cosa ci abbia visto, di buono, in
te”, rincarò lei, con la familiare acidità, prima di sorprenderlo con
l’ennesima parola di supporto. “Tuttavia, se i vostri sentimenti sono sinceri, neppure
il tempo e la distanza basteranno a cancellarli e le cose si aggiusteranno”.
“Grazie”, si ritrovò a dire. “Non pensavo che la maternità
ti rendesse così saggia”.
“È che sono stanca di sentirti piagnucolare depresso e non
voglio dover essere io a chiamare nostro padre con qualche notizia ingrata”,
filosofò lei, stringendosi nelle spalle esili.
“Ah, ecco. Ora
riconosco la vecchia strega!” ironizzò Arthur, risollevandosi dal divano, perché
era tempo di congedarsi da lì.
“Tieni…” offrì Morgana, porgendogli la custodia dopo aver
inserito il cd estratto dal lettore. “Potresti averne più bisogno di me. Ma consideralo
un prestito e non farti le seghe sopra, per favore”, puntualizzò, passandogli
il cofanetto con la punta delle dita, come se l’altro l’avesse
già insozzato. “E niente roba fetish. Ah, ho controllato: non puoi neppure tagliarti le vene con quello,
non è abbastanza affilato”.
“Grazie”, ripeté Arthur. “Cercherò di non sgualcirtelo…” la
canzonò, smentendo l’ironia posandosi la custodia sul cuore, come se stesse
stringendo Merlin a sé.
“Ho detto: niente feticismo, idiota!” ripeté Morgana, colpendolo
sulla spalla con un piccolo ceffone, che fece sorridere entrambi.
“Grazie, Gana”, si accomiatò
Arthur, andando verso l’uscita. “E dai un bacino al mo- a Mordred, da parte mia”.
“Sia mai, che poi mi esce sentimentale come te…” profetizzò
lei, accigliata. “Vai a scrivere il tuo mucchio di menate, Artie.
Magari il cuore di un pianista passa per un libro… e lo riconquisterai”.
“E poi il sentimentale sarei io?!” la
stuzzicò, arcuando le sopracciglia bionde.
“Sono questi dannati ormoni… Ma presto tornerò a prenderti a
calci nelle palle, non temere”.
“Già, non vedo l’ora… ma intanto, credo che seguirò il tuo
consiglio”.
Se Arthur De Bois aveva combinato quel disastro, Arthur De Bois avrebbe anche dovuto rimediare.
-
Fine -
Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in
questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi
diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma
di lucro, da parte mia.
Ringraziamenti:
Un abbraccio alla mia kohai, che subisce le mie
paranoie. X°D
Note: Stranamente
non ho molto da dire. Spero che vi sia piaciuto.
Il disegno di Maryluis è questo:
Non è bravissima? Fate un salto nel suo account di Deviantart o in quello di Tumblr,
perché il suo talento merita davvero di essere apprezzato!
Per eventuali domande, sono sempre a disposizione.
Intanto vi lascio con
un piccolo assaggio come anticipazione del prossimo capitolo:
Certo. Nessuno lo
avrebbe mai eletto Zio dell’Anno. Ma non lo aveva ancora avvelenato o ucciso. E questo doveva pur valere qualcosa, no?
Eppure… il mostriciattolo non spiccicava niente. Si ostinava
a non volerlo chiamare. A non nominarlo manco per sbaglio. Il suo nome sembrava
un tabù. “Aaaaa!” garriva oltraggiato, quando lo
vedeva, manco se fosse stato uno scarafaggio schifoso.
Ah, colgo l’occasione per
ringraziarvi del caloroso bentornato a Linette. Siete
riusciti a commuovermi. <3
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del tuo tempo alla causa pro recensioni.
Farai felici milioni di scrittori.
(Chiunque voglia
aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio
crede) Come sempre, sono graditi commenti,
consigli e critiche costruttive.
D’istinto, vorrei
dedicare questa storia a Filippo, sperando di essere una zia
un filino migliore di Arthur con Mordred.
E poi è dedicata a chi
mi segue con costanza e affetto.
A chi si entusiasma
per le mie bizzarre ispirazioni e mi sostiene con i suoi pareri.
Ma soprattutto la dedico a Maryluis,
perché senza di lei, probabilmente, questo seguito sarebbe rimasto per sempre
ad ammuffire.
Un abbraccio.
MagicMelody (Mordred’sLullaby) 2
- La Raccolta -
Capitolo II:Merlin's Name
Perché restarne
sorpresi?
Arthur scosse il capo, grugnendo la propria incredulità.
Ormai aveva già collezionato ben più che una discreta esperienza sul livello di
bassezze a cui suo nipote sapeva arrivare, ma ogni
volta la cosa lo sconcertava sempre un po’ di più. E ora ne aveva la riprova.
***
Alla veneranda età di dieci mesi e qualche giorno, la
bestiaccia si dimostrava vispa e dispotica com’era stata sua madre, al tempo in
cui aveva torturato l’infanzia del fratello con strepiti e pretese, piagnistei
e ricatti, la piccola tiranna.
Mordred non era da meno, in quanto
a capricci e presuntuosità dittatoriali, anche se – glielo doveva concedere –
era stato l’unico a non lamentarsi dei suoi continui sproloqui su Merlin, in
quei lunghi mesi della loro separazione.
Arthur lo aveva cresciuto a pappette
e discorsi su Merlin, speranze su Merlin, esibizioni in stereofonia di Merlin…
almeno nei momenti in cui Morgana era stata costretta a lasciarglielo in
consegna, per qualche sessione forzata di babysitting
coatto, in barba all’odio vicendevole.
Certo. Nessuno lo
avrebbe mai eletto Zio dell’Anno. Ma non lo aveva ancora avvelenato o ucciso. E questo doveva pur valere qualcosa, no?
Eppure… il mostriciattolo non spiccicava niente. Si ostinava
a non volerlo chiamare. A non nominarlo manco per sbaglio. Il suo nome sembrava
un tabù. “Aaaaa!” garriva oltraggiato, quando lo
vedeva, manco se fosse stato uno scarafaggio schifoso.
E così Mordred passava le sue puzzolenti giornate tra pannolini e gorgheggi, con
dei “Mo-ma-ma” che avevano fatto inorgoglire Morgana
al pari di una regina, quasi che il prezioso unigenito si fosse già laureato, o
avesse vinto un Premio Oscar.
Era passato poi ad un: “Pa-pa-pa”, per i quali Leon aveva pianto come un vitellino,
benché Arthur fosse certo che il nipotastro volesse solo cibo e non suo padre.
Infine era capitato – in un’unica, sensazionale occasione –
che si ritrovassero tutti a pranzo insieme, compreso il patriarca dei Pendragon, con sommo scorno di Arthur, che era stato tenuto
all’oscuro del tranello.
Il vecchio Uther, osservando il
sangue del suo sangue e futuro erede universale chiuso nel suo pagliaccetto a
pois da 500 sterline, aveva allungato le dita grinzose per farselo consegnare
da Morgana e prenderlo in braccio, maMordred – fiutando il pericolo mortale – s’era attorcigliato
come un’anguilla contro la madre, mugolando un concitato “No-no-no!”
– segno universale di negazione – al quale il Vecchio Dragone s’era commosso
fino ai singhiozzi, perché era certo (e nessuno aveva osato contraddirlo), che
il pupillo l’avesse chiamato ‘Nonno’ per la prima volta, con un tenero
balbettio che gli avrebbe scaldato il cuore e la tomba negli anni a venire.
Anche se probabilmente non erano eventi attendibili, tutta
la cerchia ristretta della sua famiglia aveva avuto il suo momento di gloria. Tranne lui. Perché Mordred
era un inguaribile stronzetto. Punto.
Con l’andar delle settimane, il piccolo diavoletto aveva consolidato
la propria lallazione (Arthur era andato a leggersi su internet che cavolo
fosse, quando Morgana lo aveva pungolato sulla sua ovvia ignoranza, roteando gli
occhi perfettamente truccati), e ‘mamma’ e ‘papà’ avevano acquisito un suono
più accettabile e meno casuale. Ma erano le uniche due
parole che il divin pargolo si degnava di proferire e
non c’era verso di ampliare il suo vocabolario, giacché riusciva benissimo a
comandare tutti a bacchetta ugualmente.
***
Ma le sorprese, evidentemente, non erano
finite.
Quando Arthur aveva finalmente fatto pace con Merlin e
chiarito ogni cosa in sospeso fra loro, avevano ricominciato a frequentarsi,
per colmare il vuoto della loro separazione e, alla fine, il suo pianista
(anima dolce, sensibile e un tantino troppo ingenua)
aveva espresso il desiderio di rivedere il piccolo diav-angioletto, perché gli era rimasto
nel cuore e Arthur, bontà sua, non gli avrebbe più negato niente pur di
renderlo felice, persino se avesse dovuto subire l’ingrato nipote per una
visita di (finta) cortesia. Ma – accidenti a lui! – Mordred non gli avrebbe certo reso le cose più facili.
Quando arrivarono a casa del Pidocchio per il tè delle
cinque, quel sabato pomeriggio (che avrebbero potuto trascorrere in modo più
piacevole, per esempio rotolandosi arrapati fra le lenzuola), Leon aprì loro la porta con un sorriso di benvenuto, mentre Morgana
compariva con in braccio la bomba chimica sbavante. (“È colpa dei dentini,
idiota!” l’aveva redarguito, stizzita, l’ultima volta che aveva osato sollevare
l’argomento bavoso).
Arthur si fece coraggio, varcò l’antro della strega e appoggiò
con gentilezza la mano sulla schiena del compagno, per trovare la forza e non
fuggire da lì.
Dopo uno scambio di doverose e virili strette di mano col
padrone di casa, l’attenzione gravitò sulla star del momento e Mordred si mise a sgambettare tutto eccitato dall’arrivo
degli ospiti (Arthur avrebbe scommesso il suo testicolo destro che era tutta
una messinscena e che, per lui solamente, il demonietto
non si sarebbe mai scomodato). Ma Merlin, anima candida, c’era cascato con
tutte le scarpe e, sfoderando il più bello e irresistibile dei suoi sorrisi, s’era chinato per omaggiare il Piccolo Principe col dovuto
ossequio.
“Ma come sei cresciuto, Cucciolino!
Sei diventato un ometto!” tubò, incantato dal sortilegio del subdolo
mostriciattolo.
Mordred lo ricambiò con un sorriso
sdentato e un po’ di bava colante.
“Hai visto, Puccino? Chi abbiamo
qui? Lo zio Arthur ti ha riportato Merlin! Ti ricordi di
Merlin?” domandò Morgana, retorica, col tono zuccheroso delle madri ebeti,
prima di afferrargli una manina da sventolare a mezz’aria, incitandolo: “Dai,
saluta Merlin!”
“Mellin!” esclamò Mordred, tutto
festoso, mentre Arthur barcollava come colpito da un proiettile.
“Lecchino! Traditore! Ruffiano!” sibilò, oltraggiato da un tale voltafaccia, facendo ridere
Morgana e Leon, mentre Merlin gli lanciava uno sguardo ignaro.
“Mordred si rifiuta di pronunciare
il nome di mio fratello”, spiegò la strega, trattenendo a stento il sorriso. “E
il nostro suscettibile bambinone si è offeso…”
“Oh, ma dai, Arthur!” lo sgridò allora, prendendo le parti
del marmocchio. “Non puoi avercela con questo
angioletto! Sei senza cuore!” lo rimproverò, fingendosi
deluso, mentre si allontanava da lui per prendere in braccio il poppante, che
gli aveva già afferrato una mano con i suoi piccoli artigli affilati.
***
Arthur barcollò nuovamente, perché questo faceva decisamente più male del tradimento di prima. Che Mordred fosse
un disertore, si sapeva. Ma l’opinione che Merlin
aveva di lui contava!
“MaMerls,
amore… non è vero!” tentò di difendersi, mentre la piccola peste gli lanciava
occhiatacce di biasimo dalla posizione che gli aveva usurpato.
“Mordred, cucciolino”, amoreggiò
il pianista, spupazzandosi il bimbo che si beava un mondo per quelle
attenzioni, i bacetti e le facce buffe che l’altro gli faceva. “Facciamo vedere al tuo ingrato zio che sei un bimbetto adorabile,
vuoi? E lui è il tuo zietto
preferito, sì?” lo vezzeggiò, e Mordred gorgogliò il
suo apprezzamento, sotto lo sguardo felice dei suoi genitori e quello (molto
meno felice) dello zio.
“Allora, dai. Proviamoci!” lo incitò,
strofinandogli il naso contro una guanciotta paffuta.
“Ar-thur. Arthur…” scandì con
lentezza. “ Non è tanto difficile e tu sei bravissimo, lo so…” lo
incoraggiò, bisbigliandogli dolcezze all’orecchio. “Ar-thur…”
“Ptuh!” sputò Mordred,
soddisfatto – perché sì, forse Arthur non
conosceva la lallazione, ma come scrittore sapeva a menadito ogni onomatopea
del mondo e quello era uno sputo bello e buono!
La sua legittima indignazione fu soffocata dal boato di
grida di gioia e applausi di festeggiamento dai restanti adulti presenti, come
se la peste avesse stabilito un nuovo record del mondo. Dritto dritto nel Guinness dei Primati. Per uno sputo.
Un coro di “Hai sentito? Lo hai
sentito?!Ma che bravo! Che intelligente!” piovvero da tutte le parti, mentre il
mostriciattolo si godeva il momento di gloria sbavando a profusione sugli elogi
e sul maglione del suo pianista.
“Dimostrati un po’ riconoscente!” lo sollecitò Merlin,
intenerito dal risultato ottenuto.
Arthur strinse i denti. Ingoiò la bile e riconobbe la sconfitta. Con un sorriso
falso come una banconota da tre sterline, rese omaggio al traditore che aveva
sputato sul suo nome.
Perché restarne
sorpresi?
Zio preferito, un
cazzo.
-
Fine -
Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in
questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi
diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma
di lucro, da parte mia.
Neppure l’immagine mi appartiene.
Ringraziamenti:
Un abbraccio alla mia kohai, che subisce le mie
paranoie. X°D
Note: La
‘lallazione’ è una fase pre-linguistica che ogni
bambino raggiunge (mediamente dal settimo mese di vita in poi) e consiste nella
ripetizione di sillabe e vocali.
L’onomatopea è una parola scritta che riproduce un suono o
un rumore. Le più comuni solo quelle che ricalcano versi di animali, come il ‘MuuMuu’
delle mucche.
Nei fumetti, ‘Ptuh’
è l’onomatopea dello sputo.
Dubito che qualcuno se ne sia accorto, ma l’ultima frase è
la stessa chiusura del primo capitolo della fic. Mi piaceva l’idea di
riprenderla.
Ah, colgo l’occasione
per ringraziarvi del caloroso bentornato a Linette. Siete
riusciti a commuovermi. E presto posterò il nuovo capitolo!
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del tuo tempo alla causa pro recensioni.
Farai felici milioni di scrittori.
(Chiunque voglia
aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio
crede) Come sempre, sono graditi commenti,
consigli e critiche costruttive.
D’istinto, vorrei
dedicare questa storia a Filippo, sperando di essere una zia
un filino migliore di Arthur con Mordred.
E poi è dedicata a chi
mi segue con costanza e affetto.
A chi si entusiasma
per le mie bizzarre ispirazioni e mi sostiene con i suoi pareri.
Ma soprattutto la dedico a Maryluis,
perché senza di lei, probabilmente, questo seguito sarebbe rimasto per sempre
ad ammuffire.
Un abbraccio.
MagicMelody (Mordred’sLullaby) 2
- La Raccolta -
Capitolo III:Merlin'sSurprise
Arthur si lasciò inebriare dal rumore della folla.
Quel costante brusio lo metteva di buonumore e, malgrado
avesse i crampi alle dita per il troppo scrivere, sorrise fra sé e strinse
l’ennesima mano, prima di rispondere educatamente ai ringraziamenti del fan di turno, entusiasta per l’occasione offertagli col suo
autore preferito.
Anche Arthur era infervorato, perché quei momenti non gli bastavano mai.
Da quando era uscito allo scoperto, dopo la pubblicazione di
MagicMelody – il
libro che concludeva la sua saga più famosa –, partecipare
a tutti gli eventi di presentazione non era più un tormento, passato nascosto
in un cubicolo, per non rischiare di farsi accidentalmente riconoscere.
Ora poteva sedere in bella mostra, col suo banchetto e la
seggiola e le infinite copie dei libri da autografare, con qualche dedica
speciale, o qualche selfie da scattare. A volte c’erano
piccoli aneddoti da condividere, o una curiosità da saziare di qualche lettore.
Altre volte si godeva semplicemente l’ammirazione dei suoi sostenitori – parole
d’elogio che lo coccolavano immensamente e rinfocolavano la sua ispirazione,
con la voglia di scrivere ancora, e sempre meglio, per ripagarli della loro
devozione.
Arthur non si lasciava certo intimidire dalle file
chilometriche, perché i suoi fans erano sempre
pazienti e beneducati; era bello vederli avvicinarsi, emozionati e felici, e
sapere che tutto questo dipendeva da lui.
Era una gratificazione immensa, che ripagava il rammarico per
gli anni sprecati dietro a polverosi paraventi.
Quando il suo vero nome era stato reso pubblico, per Arthur
era stata una soddisfazione anche vedere come Cenred
e Morgausenon avessero avuto
affatto ragione, anzi. Il suo successo non era stato per niente
danneggiato da quella decisione. Tutt’altro.
All’inizio della sua carriera, l’elemento ‘mistero’ era
servito allo scopo, questo doveva riconoscerlo; ma la sua bravura era di per sé
una garanzia e la sua storia con Merlin – divenuta ormai di pubblico dominio – aveva
acceso nuovi riflettori su di lui, allargando lo zoccolo duro dei fans con nuovi sostenitori. Certo, il rovescio della
medaglia c’era stato, e consisteva in molta meno privacy, perché erano entrambi
personaggi noti e apprezzati dello star system, benché
appartenenti a due rami diversi, e quando i loro mondi collidevano in qualche
evento importante, dovevano prestare particolare attenzione. Ma
Merlin non si era mai dimostrato infastidito dagli effetti collaterali di
quella rivelazione e, anzi, godeva a piene mani la possibilità di amarsi liberamente,
alla luce del sole. Avendo più esperienza di lui col pubblico, gli aveva
insegnato come scansare eventi spiacevoli, tipo certi fans
troppo esuberanti, o giornalisti a caccia di scoop di dubbia moralità.
Arthur condivideva con lui i suoi momenti importanti e il
suo pianista faceva altrettanto, trascinandolo ad avvenimenti di gala, a
raccolte di fondi per associazioni benefiche e ai suoi bellissimi concerti, a cui finiva regolarmente per commuoversi, quando l’altro
suonava ‘la loro canzone’.
Da quel primo incontro di tre anni addietro, Arthur lo amava
sempre un po’ di più e non smetteva mai di ringraziare per la seconda
possibilità che il Fato gli aveva concesso.
Non importava se, per gli impegni dell’uno o dell’altro,
dovevano passare anche delle lunghe settimane separati,
perché sapevano di appartenersi e, benché la distanza pesasse, Arthur sentiva
Merlin sempre accanto a sé, in tante piccole cose quotidiane che glielo
ricordavano, nel suo cibo preferito, nelle lenzuola che conservavano il suo odore,
nella sua musica che risuonava per casa mentre Arthur scriveva nuovi capitoli,
nelle lunghe telefonate nel cuore della notte – ‘fanculo
ai fusi orari: l’amore era amore – e
negli immancabili messaggi del buongiorno e della buonanotte.
Gli pesava non avere il suo compagno sempre sottomano? Sì,
ma conducevano una vita che amavano e avevano un lavoro che realizzavano con
passione, quindi era un sacrificio che si faceva volentieri… E quand’era
possibile, si ritagliavano uno spazio tutto per loro, con una piccola fuga
romantica, un viaggio lungo o un weekend, in cui coccolarsi, curiosare in
luoghi mai visti, imparare cose nuove o rotolarsi tra le lenzuola, a recuperare
il tempo perduto.
Arthur sorrise alla copertina del suo libro, dove un
gigantesco Claddagh
Ring campeggiava maestoso.
Se Merlin, l’anno
precedente, non l’avesse trascinato a conoscere i suoi genitori e tutto il
parentado, lui non si sarebbe mai innamorato della magica Irlanda, delle sue
tradizioni, dei suoi misteri, delle leggende e dei miti, dei paesaggi da favola
e di mille altre cose che lo avevano stregato a tal punto da ispirargli una
nuova saga. Merlin era stato il suo paziente e inestimabile consulente e la
loro collaborazione si era dimostrata decisamente
proficua, perché gli indici di vendita del libro erano schizzati alle stelle,
elevandolo nella top ten dei successi editoriali.
Peccato solo che il suo uomo non fosse lì a raccogliere con
lui i frutti del suo lavoro, perché ilMago del pianoforte – il titolo con
cui era universalmente riconosciuto per il suo talento – in quel momento era
nel bel mezzo del suo tour europeo. Arthur cercò distrattamente di fare mente
locale su a che punto stesse la trasferta quel giorno, ma non riusciva mai a
stare al passo e il suo ragazzo, che girava come una trottola, ogni dì lo
informava di essersi spostato di qua e di là, causandogli un’emicrania per
simpatia. Anche lui aveva rivoltato la Gran
Bretagna in lungo e in largo, per promuovere i suoi libri, e
aveva persino fatto delle capatine all’estero, a qualche Convention a cui era stato invitato, ma niente in confronto al vagabondare
del suo partner.
Oh, come gli mancava!, considerò,
mentre firmava distrattamente l’ennesimo volume e quello dopo. E quello dopo
ancora. E chissà quando avrebbe potuto
riabbracciarlo e smetterla con tutto quel sesso telefonico che lo lasciava
sempre mezzo insoddisfatto. Lui rivoleva Merlin. In carne e ossa (più ossa che carne, visto quant’era esile), e un letto (o un
divano, un tavolo, o – dannazione! – persino il pavimento, perché non era mica schizzinoso,
lui!), gli bastava che ci fosse il suo Merlin…
“Arthur?”
Arthur sollevò lo sguardo dalla pagina che si accingeva ad
autografare, per chiedere a chi fare la dedica, quando le sue idee visionarie
avevano preso forma.
“M-Merlin?” balbettò, alzandosi di
scatto in piedi, sbattendo le palpebre per capire se quello fosse un miraggio o
no, perché forse aveva firmato troppa roba, aveva bevuto troppo caffè e gli
zuccheri e l’euforia gli avevano fottuto il cervello. O forse era collassato… oppure stava
dormendo…
“Ehi…” gli sorrise l’altro, facendo
spuntare la fossetta sulla guancia che lo mandava sempre in visibilio.
Il giovane Pendragon girò attorno
al banchetto e corse ad abbracciarlo, ancora incapace di realizzare se fosse tutto
vero. “Che ci fai qui?” domandò, fra un bacio e l’altro. “Cioè… Amore, sono
felicissimo che tu sia qui, ma non dovevi essere… ehm… dovunque sia?”
Merlin ridacchiò della sua incapacità nel seguire il suo
percorso: per quanto ci provasse, era negato.
“Piccolo slittamento sul programma. Da Madrid abbiamo fatto
una breve deviazione a Londra, e sarò a Parigi entro notte, ma non potevo più
aspettare di vederti”, ammise bisbigliando. “Sono passate settimane
dall’ultima volta che ti ho sfiorato e-”
“E sembrano anni”, concluse Arthur
per lui.
“Già, anni”.
Arthur lo trascinò in disparte, per avere una parvenza di
privacy, scusandosi con i fans in attesa che erano
rimasti meravigliati quanto lui.
“Potrei chiedere di sospendere la sessione di autografi, posso andarmene e… ma
quanto tempo hai?” s’informò, per capire, per ragionare sulle loro possibilità.
La smorfia che ricevette gelò in fretta tutte le sue speranze.
“Pochi minuti, in realtà… ma non potevo perdermi questa
ricorrenza…”
Quale ricorrenza?,farfugliò
mentalmente Arthur e sentì i brividi freddi lungo la schiena. Che accidenti aveva dimenticato?
“L’uscita del tuo nuovo libro, amore. La
prima sessione di autografi della storia che abbiamo prodotto insieme…” lo
tranquillizzò il pianista, leggendogli nella mente. E proprio quando lo
scrittore strava per rilassarsi, continuò: “E l’anniversario del nostro primo
incontro, che cade domani, mentre sarò in Francia…”
L’anniversario!
L’anniversario! Lo sapeva, eh! Lo sapeva. Già una settimana prima aveva tappezzato
casa di post-it e promemoria nel telefono, per ricordarsi di ritirare il regalo
che aveva fatto preparare per il suo amato e per tenersi libero, a sua completa
disposizione, quell’intera giornata per una lunga videochat
a rating rosso.
“Sai che non possiamo passarla insieme e che non tornerò
prima della metà del mese prossimo, quindi… beh…” temporeggiò Merlin.
Fu a quel punto che Arthur si sentì tirare la stoffa dei
pantaloni all’altezza del ginocchio e abbassò lo sguardo per vedere chi lo stesse disturbando in quel momento così importante e
trasalì.
Il piccolo mostro (suo nipote, per i profani) se ne stava
lì, con la manina sudicia, aggrappato ai suoi calzoni, mentre – sotto lo
sguardo materno della strega – gli offriva un pacchetto dall’aria pericolosa.
Ovvio che Merlin
avesse avuto dei complici, realizzò di colpo, perché non poteva essere capitato
lì magicamente.
“Toh!” sbottò il nipotastro,
impaziente di fronte alla sua indecisione.
Poteva essere una
bomba. O uno di quegli orridi pupazzi a molla che saltavano fuori per
spaventare la gente. Oppure conteneva qualche sostanza viscida e puzzolente.
Qualcosa di disgustoso, insomma.
“Idiota, prendilo!” gli sibilò l’amata sorella, ponendo fine
al suo tentennare, e a lui non rimase che accettare il pacchetto e ringraziare,
mentre dava l’estremo saluto al suo innamorato.
Quello che non si aspettava era il sorriso incoraggiante di
Merlin, che lo sollecitava a scartare il dono.
“Ti assicuro che il mio regalo non morde”, lo confortò. “Ma mi serviva un posto sicuro e qualcuno che lo conservasse
per me, lontano da un certo curiosone,
così tua sorella si è gentilmente offerta di aiutarmi”.
Arthur annuì meccanicamente, e intanto prese a scartare
l’involto. Arrivato al dunque, con occhi sgranati e bocca spalancata – sì, le
foto scattate a tradimento testimoniavano un’espressione da pesce lesso –
arrischiò uno sguardo sul compagno, trovandolo improvvisamente in ginocchio di
fronte a sé.
Merlin ricambiò con un sorriso timido e l’aria speranzosa. “So
che non sei irlandese e questo non è il luogo migliore né il momento più adatto, ma… Arthur Pendragon, vorresti
concedermi l’onore di sposarmi?”
Arthur si lasciò scappare uno squittio nient’affatto virile,
ma il suo personale asse terrestre era
appena cambiato e poteva permetterselo, no?
“Ehm… Allora?” insistette Merlin, ancora in ginocchio, un
filino più nervoso in quel silenzio irreale.
“Sì, accidenti, sì! Mille volte sì!” si riprese Arthur, saltandogli al collo e
tempestandolo di baci.
“Ricordi come si indossa, vero?”
gli bisbigliò Merlin, all’orecchio, facendolo rabbrividire per altri motivi.
“Certo che lo so!” replicò impettito, per nascondere la
commozione che rischiava di tracimare.
La prima volta che aveva visto un Claddagh
Ring, aveva pensato che fosse un vezzo adatto solo alle ragazze, ma poi si era
ricreduto, quando i genitori di Merlin gli avevano mostrato i loro anelli, che
portavano orgogliosamente da oltre trent’anni.
“La posizione del cuore cambia il suo significato”, recitò,
rammentando gli studi fatti per la stesura del suo libro. “Se
si cerca un legame sentimentale, va indossato sulla mano destra, con la punta
del cuore rivolta verso la punta delle dita. Se si ha già un legame
sentimentale, va sempre nella mano destra, ma con la punta del cuore puntata
verso il polso.
Se sei sposato, invece, va posto
sulla mano sinistra, con la punta del cuore puntata verso il polso. Ma per un fidanzamento ufficiale”, spiegò, prendendo il più sottile
dei due Claddagh, prima di baciarlo e afferrare le
dita di Merlin, “mano sinistra, con la punta del cuore verso la punta delle
dita”, chiarì, infilando con solennità il cerchietto dorato all’anulare del
compagno, fissandolo intensamente. “A te, dono il mio amore, la mia
fedeltà, la mia amicizia”.
Merlin annuì commosso, poi ricambiò il gesto.
“Gra, DilseachtagusCairdeas”, recitò in gaelico, suggellando le loro
promesse.
***
-
Fine -
Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in
questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi
diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma
di lucro, da parte mia.
Neppure l’immagine mi appartiene.
Ringraziamenti:
Un abbraccio alla mia kohai, che subisce le mie
paranoie. X°D
Note: Il Claddagh Ring (dall’inglese: Anello di Claddagh,
in lingua gaelica irlandese: fáinneChladaigh) è un anello di fidanzamento irlandese, composto da due mani che tengono un cuore sormontato da una corona.
Le mani simboleggiano l’amicizia, la corona è simbolo di lealtà e il cuore
dell’amore. Il modo in cui si indossa ne cambia il significato
e la spiegazione ce l’ha già fornita Arthur nel capitolo. Ovviamente, Merlin
ripete la medesima formula.