Ditching Cards

di herr
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - The Bare Bodkin ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - The Undiscover'd Country ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - By a Dead Man Interred ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Unbated and Evenomed ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - A Dream of Death ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - Be All My Sins Remember'd/A Dateless Bargain ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 - MY FIANCÉ DIED OF CANCER AND I DIDN’T KNOW ANYTHING ABOUT IT: STORYTIME [NO CLICKBAIT] ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 - As Watchman to My Heart ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 - The Rest Is Silence/With a Kiss I Die ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - The Bare Bodkin ***


DUE PAROLINE: Benvenuti a tutti, lettori e lettrici! È da molto tempo ormai che avevo in cantiere l'idea di scrivere un sequel a Cards, la mia precedente fanfiction (e più fortunata), ma non son mai riuscito a pensare a qualcosa che valesse la pena sviluppare, fino a quando un mese fa sono uscito con questa idea. Vorrei fare delle note per evitare che salgano dei dubbi durante la lettura: Hilda è il nome inglese di Touko/Anita, e Hilda Baskerville (cognome mio, arbitrario. Tra l'altro, è il nome del font che uso per il testo) è la protagonista di Cards (è anche la protagonista qua, in realtà, con un nome diverso: Erika Joy), Anville Town è il nome inglese di Roteolia (la città che raggiugnete tramite Metrò Lotta), Nimbasa City è Sciroccopoli, Castelia City è Austropoli e Mistralton City è Ponentopoli.
Piccola nota sul titolo: to ditch in inglese significa gettare via, ed ha un doppio significato: sia "gettare via delle carte", che si riferisce alle carte di Cards, sia "gettare via Cards", ovvero chiudere la saga dedicata ad Hilda Baskerville.
Ultima cosa: questo capitolo riprendere un personaggio focale apparso nel capitolo 15, Love is a Losing Game. Clicca qua se vuoi leggerlo, e rinfrescarti la memoria su chi sia Ethan Shepard.


CAPITOLO 1
The Bare Bodkin

 
Oh, the king
Gone mad within his suffering
Called out for relief
Someone cure him of his grief

His only son
Cut down, but the battle won
Oh, what is it worth
When all that's left is hurt?
(Florence + The Machine; Queen of Peace)

 
 
presente – Anville Town – 8/02/2013
Era inizio febbraio ad Unova ed un sottile strato di brina velava i bassi edifici che costellavano il centro della cittadina di Anville Town. Il sole opaco, nascosto dalle nuvole, irradiava blandamente le strade che, ciononostante, risplendevano del gelido pallore. L’aria, fredda, trascinava le poche foglie che non erano ancora state spazzate via sul terreno e svuotava il paese dei propri colori. Un paesaggio monocromatico, ciò che si presentava agli occhi di un passante. Nulla di più, nulla di meno.
Come sospinto dal vento, un uomo camminava per Conductor Street a passo sostenuto. I suoi piedi poggiavano a fatica sul selciato, a volte scivolando sulla sottile lama di ghiaccio che avvolgeva il manto stradale.
Una chioma castana cominciava dove finiva la spessa stratificazione di cappotto e felpa, la sua carnagione era olivastra e i suoi occhi castani, socchiusi, distoglievano lo sguardo dai penetranti raggi del sole.
Nelle sue mani, un biglietto era stretto con decisione.
« Buongiorno » esalò, rivolto ad una donna. Le sue parole si trasformarono in nebbia che di dissolve nell’etere. « Sa dove posso trovare il civico 15 di Ragant Street? ».
« Uhm. Ragant Street? ».
Lanciò un’occhiata al fazzoletto di carta nel suo palmo.
« Intende Regent? ».
« Sì, Regent Street. Sa dove posso trovarlo? ».
« È quel palazzo là, oltre l’incrocio » proseguì. Come fece ciò, indicò col braccio destro un tozzo edificio grigio che faceva da angolo, un centinaio di metri più in là. « È esattamente dopo l’incrocio tra le due strade ».
« Ottimo, grazie ».
L’uomo proseguì.
« Ah, e faccia attenzione! È molto pericoloso a volte ».
« Huh » accennò col capo, per poi tornare sui suoi passi.

Non fu molto che si trovò al cospetto del portone d’entrata, il suo dito premuto su un citofono il cui eco risuonava nell’aria, ad attendere. Erika Joy, recitava la targhetta.
Pochi minuti dopo sentì dei passi alle sue spalle. Un rumore di stridio metallico, delle chiavi che sbatacchiavano tra di loro, anticipò la persona.
« Sta cercando Erika? ».
Il suono che per mesi aveva cercato, la melodia che non era riuscito a trattenere a sé quando, mesi prima, la lasciò scappare, era lì: in parte a lui. 
Aprì la bocca, cercando di ribattere, ma nessun suono giungeva alle sue labbra. 
« La sta cercando? ».
« … » borbottò fra sé e sé, un suono inaudibile.
« Com’è che ha detto, scusi? ».
La donna fece un passo avanti, mostrandosi agli occhi dell’interlocutore. Era una visione che prendeva forma in piena luce. 
« Ni— niente. È lei— è lei, Erika Joy? » balbettò.
La donna fece cenno. « Sì, sono io. Vuole dirmi chi è lei? ».

Erika Joy appariva come una donna sulla ventina inoltrata. I suoi capelli castani scendevano sino alle scapole, azzardò Ethan, morbidi e folti, splendendo di rado di un pallido riflesso biondo. La sua pelle era chiara ed i suoi occhi, castani, vagavano per la stanza alla ricerca di qualcosa.
« Le posso promettere che casa mia non è così disordinata come sembra, signor… Shaperd? ».
Era magra, non che la ricordasse grassa, ma appariva come più bella di quanto non la ricordasse. Sia pur, molto diversa nelle movenze e nell’aspetto.
« Shepard. Ethan Shepard ».
« Sì, mi scusi ».
Non scusarti ripeté nella sua mente. Si limitò a fissarla, invece, senza proferire parola.
« Non—» pronunciò, a fatica « non è un problema. Suppongo ».
« Be’, speriamo che la sua supposizione sia vera » scherzò, rivolgendogli un caldo sorriso. « Ma mi dica, di cos’è che voleva parlarmi? ».
Sbatté due cuscini sul divano color porpora e vi si sedette, di fronte all’uomo.
« Ahem… ». 
L’uomo lanciò un’occhiata in giro.
« Non credo… non credo sia così facile da dire ».
« Sono pronta a tutto! » rise Erika « è difficile che qualcosa mi sorprenda, oramai ».
« Ok… dunque, da dove cominciare? » proseguì, il suo tono di voce era appena udibile. « Lei non mi riconosce? ».
« Come scusi? ». Il suo sguardo perso. « Riconoscerla? Dovrei conoscerla? ».
« No, no, suppongo di no—».
« Un’altra supposizione » commentò con ironia. Un sorriso illuminò il suo viso.
Ethan rise sommesso. « Già. Tornando a noi, tornando alle cose serie… proverò così. Le è mai sembrato di accorgersi di qualcosa di strano? ».
« Uh? Cosa intende? ».
« Come se… » chinò il capo. Nascose i suoi occhi nelle grandi mani, che coprivano la quasi totalità del suo viso, ed affondò nella sua stessa pelle. Era bagnata, umida.
« Che c’è? Non abbia paura di parlarmi! » lo esortò Erika « la cosa peggiore che le può capitare è che io la mandi fuori di casa. Cosa può esserci di male in tutto ciò? » concluse. Un sorriso distese le sue labbra perlacee.
A quel punto, era interessata a quella così misteriosa vicenda.
« Facciamo così » bofonchiò, cacciando la mano destra dentro una tasca. Ne estrasse una foto. « Cosa vede? ».
« Dove… dove sono? ».
« Sei a Nimbasa City ».
Ritraeva una donna distesa su di un letto, supina, della cui il viso era l’unica parte visibile. La restante era coperta da un piumone bianco, districato come una soffice nuvola dando vita ad un suggestivo contrasto di luci ed ombre. I suoi capelli, castani, risaltavano sulla candida superficie.
Nel momento in cui la mente di Erika elaborò l’immagine che aveva visto, un ingranaggio come si sbloccò in lei. Una landa infestata dall’oscurità sulla quale per la prima volta dopo tempo immemore, un tempo che le era sembrato infinito, un raggio di sole balenava. 
« E tu saresti? ».
« Ethan Shepard ».
« Oh. Mi hai rapito o qualcosa del genere? ».
« Sembro… io? ».
Un sorriso baluginò sul viso di Ethan. 
« È quello che le stavo cercando di dire ».
Un lampo le accecò gli occhi.

« Io… non capisco ». Un brivido le corse lungo la schiena, culminando sul collo. « Cosa significa tutto ciò? Perché me l’hai mostrato? » sbottò.
« Calma, calm—».
« Cos’è quella? Cosa ci fai con quella cazzo di foto? ».
Alzò le mani verso il soffitto, dimenandole nel vuoto. Come a liberarsi da una stretta che di fatto non v’era, ma che quel ragazzo, giunto così bruscamente nella sua vita, di fatto rappresentava: per quanto psicologica fosse, piuttosto che fisica. 
Spinse il divano indietro e si alzò, strappando la foto dalle mani del ragazzo. La impugnò saldamente e con un colpo secco la strappò esattamente lungo la sua metà, per poi farlo ancora. Lanciò i quattro pezzi rimanenti per terra, mentre Ethan la fissava basito.
« Calmati, Hild—».
« MI CHIAMO ERIKA! » sbraitò. La sua voce si ruppe, dovete aggrapparsi ad un comò per evitare di cadere a terra.
« No, non ti chiami Erika! Il tuo nome è Hil—».
« BASTA! ».
La sua voce vibrò nelle pareti.
« BASTA! SMETTILA! » proruppe nuovamente, scagliando una cornice che afferrò dal mobile verso il ragazzo « VATTENE! ».

 
𐌳
 
« No, no, ti ho trovato in autostrada. Eri persa, ho pensato avessi bisogno di aiuto. Possiamo dire che sia il tuo principe azzurro ».
Erika sedeva rannicchiata sul divano porpora. Di fronte a sé, il tavolino di cristallo era andato distrutto in tanti frammenti e schegge sul pavimento, che risplendevano della luce crepuscolare che filtrava attraverso le finestre. Tre cornici giacevano, distrutte, a terra, assieme ad una lampada e tre sedie. Gli oggetti di bigiotteria che facevano da soprammobili al comò erano sparsi per varie stanze della casa: nello specifico, una statua in bronzo della torre di Lumiose City galleggiava nell’acqua del lavello, in cucina, assieme ad un piatto sporco ed ad una tazza da tè.
« Vedi qualcun altro? ».
« Non vedo nulla al buio pesto, quindi no, direi di no. Nessun altro ».
Piangeva.
Non era riuscita a fare altro da un’ora a quella parte, il suo viso era un ruscello di lacrime che scorrevano lungo il suo viso e le bagnavano i vestiti. Tracce di mascara erano filtrate attraverso le gocce d’acqua salata e avevano trasportato il prodotto al di sotto, disegnando due spesse strisce nere sotto le sue palpebre.
« Vuoi fare la spiritosa o entrare? ».
« Ed essere stuprata o drogata dal primo che passa? No grazie, non sono una principessa da salvare ».
Singhiozzava, ogni tanto, e così facendo rompeva quell’innaturale silenzio creatosi nella stanza.

 
𐌳

Bussò alla sua stessa porta, dall’interno.
L’eco le restituì un cavo suono.
Bussò nuovamente.
« … ehi? » singhiozzò. Le sue intenzioni furono chiare quando rimase delusa dal silenzio che l’esterno le riservava come risposta. Trascinò nuovamente il suo pugno, chiuso, sopra la sua testa, per poi farlo schiantare con un movimento macchinoso e stremato sulla porta. Il suono, cavo, fu l’unica risposta.
Si lasciò scappare un altro singhiozzò e rannicchiò su sé stessa, la schiena poggiata contro il freddo legno.
« PERCHÉ? » urlò nel pianto, i pugni che sbattevano contro il pavimento. Oramai il dolore fisico non era più comparabile a quello che provava dentro di sé: tanto valeva morire dissanguata su quel pavimento.

Udì un bussare.
« Hilda? ».
La voce continuò. « Hilda? Hilda, eri te prima? ».
Le sue palpebre si aprirono a fatica. 
Strofinò il lembo strappato della sua camicetta per asciugarsi delle lacrime che le annebbiavano la vista e si alzò, aggrappandosi alla maniglia di ottone. Come avvicinò l’occhio destro allo spioncino, sentì il suo cuore alleggerirsi: di fronte a sé era Ethan. 
Prima che se ne rese conto, aveva già aperto la porta.
« Hilda, cos’è successo? Cosa hai fatto? ».
« Niente, niente, non devi… » si sentì mancare, per un attimo « non devi preoccupartene. Ora, se volessi… ».
Il fiato le venne a mancare. Sentì la sua gola, arida, bruciare, ed una scarica di dolore le pervase la bocca. La vista si annebbiò, i contorni si fecero meno nitidi e le sagome oscure. Come fece un passo avanti, perse il controllo delle gambe e cedettero al suolo. 
Sentì un braccio cingerla dall’alto e perse conoscenza.

 
𐌳
 
presente – Anville Town – 09/02/2013
« Lasciami indovinare, sei una di quelle che va in giro con la maglietta “This is what a feminist looks like” ».
Un effimero tepore le blandiva il viso, solleticava le sue palpebre e correva sino al collo, trasmettendole una sensazione di calore che pervadeva l’intero corpo. 
I suoi occhi si schiusero come un fiore alla luce del sole. L’intensità, tuttavia, era quasi accecante; fece fatica ad abituarsi a quella situazione.. 
In sottofondo lo scoppiettio di bolle ronzava nell’aria, accompagnato da un leggero rumore di passi. 
« Mh—» mugugnò, rigirandosi nella coperta. Come lo fece, si accorse di esser distesa sul divano: davanti a sé il salotto, che rassomigliava ad un campo di guerra.
« Buongiorno! » esordì Ethans, baluginando dalla porta della cucina con una padella in mano « dormito bene? ».
« Huh? Chi—».
« Ne parleremo più tardi, intanto fatti comoda: tra poco si fa colazione ».

Erika addentò una brioche, affondando i suoi denti nella soffice pasta. Un rivolo di crema al cioccolato fu subito spinto fuori in risposta, e cadde inerme sul tavolo.
« Hai, mnf—» Ethan prese un boccone « hai doiiito beee? ».
Non si lasciò scappare una risata.
« Scusa » ribatté subito dopo, un sorriso che correva lungo le sue labbra « dicevo, hai dormito bene? ».
Il viso di Erika parve illuminarsi. « Sì, grazie ».
« Oh… » bofonchiò « bene, allora. Bene ».
« Già ».
Ethans non rispose, alimentando l’imbarazzante silenzio che si era creato fra i due.
« Io—».
« Vado in bagno » lo interruppe « continua a mangiare ».
« Ma—».
Lasciò che la porta sbattesse dietro di sé, vibrando nelle pareti di un rumore sordo, Ethan lasciato a fissare il suo piatto, opulento in cibo.

A suo giudizio erano passati tre quarti d’ora quando udì dei passi avvicinarsi al salotto. 
Ciò che vide balenare per primo dal corridoio fu un accappatoio verde scuro, seguito dalla slanciata e pallida figura di Erika che si districava tra il disordine che aveva lasciato la sera prima sul pavimento. Come la vide, notò che un asciugamano bianco le fasciava la testa, coprendole il capo e la chioma castana.
« Cos’è successo? ».
« Oh, nulla di che » lo liquidò, senza prestargli attenzione, e proseguì attraverso la stanza. « Piuttosto, abbiamo qualcosa di cui parlare ».
La sua voce era alta, vivace, come il canto di un usignolo al mattino.
« Di che? ».
Estrasse da un cassetto un libro giallo, sulla quale copertina era disegnata una mappa di Unova. Dai lati pendevano dei bigliettini, diversi per colore, sui quali erano apportate delle lettere. Come glielo avvicinò, poté leggerne il contenuto: Keyr su quelli gialli, Lou su quelli blu.
« Uh? ».
Il tonfo del manuale sul tavolo della cucina anticipò la sorpresa di Ethan.
Il libro si aprì sul capitolo “Mistralton City e cosa mangiare”.
« Mostramelo » pronunciò sibillina Erika.
« Uh? Mistra—».
« Dove abitavo prima, mostramelo ».
Ethan guardò stordito quelle pagine.
« Non è un po’ presto? ».
« Mh ». Erika rise. « Può darsi. Mostramelo ».
Gli occhi del ragazzo osservarono la lucida carta, risplendente della luce mattutina, per poi soffermarsi sulla numerazione delle pagine. Recava 679. S’inumidì il dito ed alzò una manciata di pagine, alla ricerca di un indice informativo.
« Non hai proprio idea di dove abitavi? » commentò con una nota di curiosità mentre scorreva fra le pagine. « Cioè, nessun ricordo? ».
Erika asserì.
« E allora come fai a fidarti di me? ».
Gettò il libro, chiuso, sul tavolo. « Come fai a sapere che quello che dico non sono bugie? »
Lei lo fissò basita.
Cercò voce per parlare, ma nessun suono raggiunse le sue labbra. Una sensazione di aridità pervadeva la sua bocca. 
Tossì.
« Io—».
« Tranquilla, scherzo » la interruppe, un sorriso che illuminava il suo volto, « ma ora bando alla ciance ».
Portò le mani a metà libro, dove il bordo delle pagine era un segmento colorato di giallo, e lo aprì. Come le pagine si dipanarono, si rivelò essere l’inizio del capitolo “Nimbasa City: la città del divertimento”.
« Abitavamo a Nimbasa City, prima. Avevo un appartamento nella zona verde, vicino ai parchi » spiegò, quasi emozionato « vicino alla ruota panoramica ».
« Ottimo, allora! » proseguì melliflua « vado a cambiarmi, tu preparati: partiamo! »

Passò un’altra ora, che Ethan impiegò sistemando il suo salotto e mettendo in ordine il caos che la sera prima era stato generato. Una volta spolverato il pavimento dei vetri e cocci, andati ad intaccare il parquet, riposizionò quanto di più integro poté, mentre dovette buttare nella spazzatura tutti i rimanenti delle cornici e dei souvenir che Erika si era portata dietro dalle sue, a giudicare dal folto numero, numerose vacanze. Ciò che volle riservare a Erika furono le foto, spogliate del legno e del vetro: raffiguravano lei stessa assieme ad un altro ragazzo in varie situazioni e sfondi. I suoi capelli erano molto singolare, essendo di un verde acceso.
« Eccomi! » risuonò contenta la voce di Erika per il salotto.
Nonostante ciò, non poté dire nulla che lo potesse anticipare a cotanta sorpresa.
Erika apparve indossando un paio di jeans blu scuro, che scendevano assecondando la linea magra delle sue gambe, una maglietta bianca ed una giacca in pelle verde smeraldo. Ciò che lo lasciò senza parole, tuttavia, erano i capelli: il castano era sparito, lasciando spazio ad un rosso ramato, e la chioma folta era stata tagliata sino a raggiugnere a malapena le spalle.
Superato lo shock iniziale, concesse che fosse molto bella anche in quella veste.
« I tuoi capelli… ».
« Oh, nulla di che » continuò, avvicinandosi a lui « tu, piuttosto, sei pronto? Non voglio aspettare un minuto di più ».
Ethan la fissò allibito. 
« Certo, certo… lasciami solo mettere le scarpe e sono fuori ».
« Perfetto, allora »
Corse di nuovo in direzione del corridoio, svanendo dietro l’angolo. Ciò che Ethan poté udire fu un blando « Torno subito! ».
« Sì, tranquilla » mormorò, infilandosi le scarpe.
Erika ritornò da lui pochi secondi dopo, stringendo nella sua mano destra un blocco di fogli blu e nella destra una penna. Non riuscì a vedere cosa scrisse, ma a giudicare dai suoi movimenti secchi andava di fretta.
« Eccomi! Andiamo? »
Dopodiché i due uscirono, le finestre chiuse e le luci spente, gettando la stanza nell’oscurità e nel silenzio.

« Il verde non ti piace proprio, eh? » ironizzò Ethans alla vista della utilitaria verde smeraldo che Erika disse essere la sua macchina. « Giacca verde, macchina verde, accappatoio verde… ».
Erika rise. « Mh. Diciamo che ho un rapporto complicato col verde, ecco. Mi è sempre piaciuto come colore comunque, non so perché, anche prima di incontrarlo ».
« Uh? Incontrare chi? ».
« Niente » sorrise lei « fai finta che non abbia detto niente. Ad ogni modo, dove siamo diretti? ».
« Non hai portato la guida? ».
« Uhm, no, avrei dovuto? ».
Ethan fece un cenno negativo con la testa « Tranquilla, è a posto, useremo il navigatore satellitare. Fammi solo inserire la via… ».
« Oh, ottimo ».
Le porte del garage si schiusero, irradiando il grigio sotterraneo di una luce intensa; la strada si mostrava tranquilla e poco trafficata quella mattina.
« Non pensavo fossi così attrezzata » constatò Ethan come mise in moto la macchina.
« Mai sottovalutare Erika Joy! » scherzò « o forse dovrei dire Hilda… com’è che è il mio cognome? »
« Baskerville » commentò atono « Hilda Baskerville ».
« Mai sottovalutare Hilda Baskerville, allora! » concluse lei, mentre la macchina si apprestava ad entrare in strada.

« Ah, e un’ultima cosa ».
« Dimmi tutto ».
« Com’è che mi hai trovato? Non mi sembra… non mi sembra tu me l’abbia detto ».
« Oh, davvero? ». Ethan sorrise. « Prima o poi dovrò dirtelo » scherzò.
« Già » l’apostrofò lei.
Appoggiò il viso al finestrino, osservando le file di sempreverdi che si susseguivano una dietro l’altra lungo il panorama autunnale della periferia di Anville Town. Erano da poco entrati in autostrada ed il paesaggio assumeva toni sempre più distanti dal grigio cemento, che spaziavano dal verde ed il rosso degli alberi all’azzurro di un fiume che attraversarono durante la strada.
Come alzò lo sguardo, notò la sigla ANVILLE TOWN EXIT - SOUTH e, poco più sotto, MISTRALTON CITY - 0 MILES. Solo lo 0 era rimasto del numero di miglia apposte sull’insegna, le altre cifre erano state erose dal tempo.
CASTELIA CITY EXIT - NORTH
Un flash le accecò gli occhi.
NIMBASA CITY 100 MILES
Castelia?, pensò dubbiosa. 
Scacciò ogni pensiero dalle mente: con un po’ di fortuna tornata a casa a Nimbasa avrebbe potuto capirne di più.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - The Undiscover'd Country ***


DUE PAROLINE: Breve annuncio: questo capitolo è formato da due storyline che si intrecciano. Le storyline sono in due punti temporali diversi, non sono in contemporanea. I personaggi della prima, quella più "vecchia", sono Louis ed Erika. I personaggi della seconda Erika e Ethan. Buona lettura.

CAPITOLO 2
The Undiscover'd Country

The only thing that's certain
Is your indecision
I guess it must be working
Cause you hit me with such precision
Now the strings are breaking
Their fingers run with blood
But they keep on playing
The cycle never stops

Who's in control?
Who's playing who?

(Florence + The Machine; Conductor)


flashback – Anville Town – 26/08/12
Quel giorno il sole era una palla di fuoco che sovrastava la cittadina di Anville Town la irradiava del suo calore. Le temperature di agosto erano giunte con splendida puntualità, tanto che né Erika né Louis potevano dire di aver memoria delle rigide atmosfere invernali o del tiepido torpore primaverile.
« Key, ci sei? ».
Il cielo era una tela color ciano che si estendeva oltre l’orizzonte visibile, oltre le montagne a nord ed oltre l’infinita estensione di boschi a meridione.
« Key? ».
La sua voce si perse nel vuoto. 
Si guardò attorno, muovendosi in ciò che sembrava un antro fatato: le persiane erano state tirate giù e socchiuse, cosicché la luce potesse filtrare all’interno del salotto in rade e sottili lame che tagliavano l’aria. Il silenzio, eco di una città spogliatasi dai suoi abitanti, riempiva la stanza.
« Sto finendo la valigia! ».
« Ma se ho già portato giù il trolley! ».
Louis si spostò in corridoio: nessuna risposta.
« Key? ».
Quando balenò nella stanza trovò Erika intenta a sedersi su di un grande trolley color verde smeraldo.
« Che stai facendo? ».
« Sto, anf—» ansimò, come provava a far girare la zip attorno i lati del bagaglio « sto cercando di chiuderlo, anf—».
« A cosa ti serve un terzo bagaglio? ».
Erika lo guardò di sottecchi. « Vuoi stare là a parlare o aiutarmi? ». 
« Uh? Ok—».
« Alt! » lo interruppe. « Ho finito, ce l’ho fatta ». Un sorriso le illuminò il viso. 
« Be’? Non dici nulla? ».
Louis si limitò a guardarla, diffidente.
« Cosa dovrei dire? ».
« Brava Erika per il tuo splendido lavoro! ».
Rise. « Ok, Key, io me ne va—».
Erika lo assalì, avviluppando le sue braccia attorno al ragazzo. Staccò un rapido bacio dalle sue labbra, dalle quali rifuggì poco dopo.
« Ehi, ehi! Siamo in ritardo sulla tabella di marcia! » rise lui, felicemente sorpreso.
Ammiccò. « Allora sarà meglio che mi sbrighi ».
« Dove credi di andare? ».
Louis le afferrò il braccio e la tirò nuovamente a sé: la baciò.

 
𐌳 𐌳 𐌳
 

presente – Highway – 09/02/13
« Ci metti sempre così tanto per andare a Nimbasa City? ».
Erika era rannicchiata nel sedile anteriore, in parte al ragazzo, inclinato quanto più possibile per dare spazio alla giovane di dormire; ormai aveva smesso di contare le ore che aveva passato dentro la macchina.
« Ti rendi conto che Anville Town è all’estremo nord di Unova? Non è facile farsi metà regione in una giornata ».
« Mh » concesse lei. « Possiamo almeno fermarci a mangiare? ».
« Tra poco saremmo già arrivati, Hil— Erika ».
Un plaid in tartan era avvolto attorno a lei, seguiva le curve del suo corpo ed a più riprese era stato fatto avvolgere la sua vita e le sue cosce, dandole l’apparenza di un bozzolo celeste. 
« Chiamami pure—» la sua voce fu interrotta da uno sbadiglio « Erika… ».
Ethan sorrise. « Ricevuto. Dovrò abituarmici ».

Le luci rosse del tramonto cominciavano a far capolino sull’orizzonte, solleticando le palpebre di Erika, che di riflesso inarcò le labbra in un’espressione di fastidio. 
« Perché hai smesso di parlare? ».
« Io? ».
« Sì, tu ».
« Cosa dovrei dire? ».
« Non lo so. Cosa dovresti dire? ». Erika allungò il suo braccio ed accese la radio. « Ora va meglio ». 
Non trascorse molto tempo che la sera calò su Unova, dipingendo le nuvole di un colore purpureo e indaco. La ragazza era ancora assopita, avvolta dalla coperta di plaid che tanto le piaceva portarsi appresso.

 
𐌳

Dall’alto, immersi fra le nuvole di Unova, i due apparivano come uno sfavillante rombo che incedeva nell’oscurità. File ordinate di puntini gialli e rossi striavano l’autostrada, quella sera calma e pacifica come un mare dopo la tempesta. Un formicaio di luci che inseguivano la meta tanto ambita, lo sfavillante faro di Nimbasa City, cuore pulsante della vita di Unova. 
Ai loro occhi, ciò non era altro che una lunga strada in salita costeggiata da un interminabile, alla vista, bosco. La macchia boschiva si estendeva per chilometri e chilometri, per poi incontrare il mare interno della regione. 
Nell’oscurità della sera, procedevano.
« Hild… Erika? ».
« Erika? ».
Allungò un braccio verso la coperta e diede un colpetto.
« Mh ».
La macchina imboccò una curva a destra, proseguendo per altri cento metri all’interno di un parcheggio. Quando si arrestò, Ethan poteva leggere dall’interno della vettura la scritta “Ben’s Drive In” scintillare a led violacei.
« Dove siamo? » mugugnò Erika, alzando lo sguardo al locale.
« Una sosta prima di arrivare a Nimbasa ».
« Oh… ».
« Vuoi che andiamo direttamente a casa? ».
Casa. Cosa significava per lei quella parola?
« No, no. Va bene così ».
 
𐌳 𐌳 𐌳
 

flashback – Anville Town – 26/08/12
« Forza Key, siamo arrivati ».
« Fammi restare qua ancora un po’… » esclamò Erika, nascondendo il viso dentro al plaid azzurro.
« Dai, che c’è un sole bellissimo! ». 
Louis alzò lo sguardo al cielo, teatro delle esibizioni di uno stormo di Pidove. Un forte vento spazzava i campi della collina e smuoveva le corte ciocche verdi del ragazzo, danzanti in balia della brezza. 
L’orizzonte era squarciato a metà dalla Torre Cielo, una costruzione di marmo bianco che, dal cuore del bosco, s’innalzava per una settantina di metri verso il cielo, imponente rispetto alla modesta campagna che lo circondava. Come se la natura ed anche l’opera dell’uomo, lai città limitrofe, si inchinassero di fronte alla magnificenza di quel capolavoro di architettura medievale. 
Erika stessa, sconfitta la sua pigrizia e l’abbiocco provocato dal viaggio, alzò lo sguardo e si mise ad ammirare la bellezza del paesaggio. I colori pastello che animavano quella visione parevano usciti da un quadro impressionista e la torre, al centro, con la sua imponenza dava una sensazione di vertigine.
« Key, io vado anche senza di te ».
« Ehi! Sto arrivando! ».

 
𐌳

« … la Torre Cielo, con i suoi 69 metri di altezza, è la più grande opera destinata alla sepoltura dei Pokémon nella regione di Unova. Un cimitero monumentale che si estende verticalmente, verso il cielo, Arceus, come vuole la tradizione nazionale, è la più grande attrazione di cui Mistralton City può fare sfoggio… ». Erika si rigirò un depliant fra le mani: sulla prima di copertina recava “Torre Cielo, un monumento eterno”. « Sembra bello! ».
« Devi ammettere che ti porto in bei posti ».
« No » lo apostrofò, « mai. Ci muoviamo? ».
« Sissignora ».
Come si avvicinarono alla torre, la soggezione che il monumento metteva loro si fece più pesante. Anche fare un passo in più in direzione della torre suonava come una sfida e più la distanza si faceva esigua più il corpo di Erika tremava all’idea di varcare la soglia di quel colosso. 
Finalmente entrarono, titubanti su che strada proseguire. La sala d’ingresso era una grande piazzata chiusa, il cui pavimento era rivestito di mosaici che si estendevano fino alle pareti, coprendo ogni centimetro calpestatile di terreno. I muri erano consumati dall’umidità e delle macchie di muffa si alternavano ad aloni scuri, soprattutto sul soffitto. 
Due scale speculari si staccavano e correvano lungo le pareti circolari, incrociandosi ma sfiorandosi appena. Scelsero infine la scalinata destra, optando per una visuale panoramica ed una tratta che corresse esternamente alla torre.
« Quanto dovremo camminare? Sono già stanca ».
« Rilassati, siamo quasi arrivati Key ».
« Ah sì? Grazie al cielo » commentò, sogghignando fra sé e sé per l’ardito gioco di parole. Quando incrociò lo sguardo del suo compagno, tuttavia, notò con amarezza che non aveva sortito il medesimo effetto. « Quanti scalini ancora? ».
Louis lanciò un’occhiata al depliant. « Quanti ne abbiamo fatti? ».
« Non saprei, una trentina? ».
« Dovremo sbrigarci allora se vogliamo arrivare in cima prima che si faccia sera, ne mancano altri 357 ».
« COSA? ».
Il suo urlo squarciò la serafica calma mattutina.
« Mai e poi mai ».
« Oh, ok. Ci vediamo sotto, allora ».
Erika gli afferrò il braccio, come fece per continuare la scalata. « Dove credi di andare? ».
« In cima? ».
« Trecentocinquantasette scalini! ».
« Trecentocinquantasette scalini! » le fece eco Louis « che paura ».
« Hai seriamente voglia di farti tutte ste scale? ».
« Uhm. Sì? ».
« È un sacco di scale! »
« Nessuno ti obbliga a farle, Key! Aspettami giù, se vuoi ».
Erika si appoggiò alla parete esterna, osservando il paesaggio boschivo che la scalinata esterna offriva loro. Il suo sguardo superò il parapetto e giunse ad ammirare gli sterminati ettari di campi raramente interrotti da gruppi di casupole in mattoni che, a metà, staccavano e passavano il testimone al cielo. Era una vista talmente pacifica che riusciva a calmare, in lei, anche la più prepotente sensazione di vertigine.
« Ok, ok. Potrei anche decidere di accettare ».
Louis la fissò di sottecchi.
« Ma? ».
« Ma, sto fine settimana andiamo alle terme di Lentimas Town ».
Le porse il braccio. « Fatta ».

 
𐌳 𐌳 𐌳

presente – Highway – 09/02/13
« Io vorrei un Ice Café, se è possibile ».
La donna giunta a prendere le ordinazioni non staccò gli occhi dal foglio.
« …ce café. Ok. Lei, signorina? ».
« Uhm… ». Erika sfogliò il menù, o meglio, rigirò, dal momento che si trattava di un foglio A4 diviso in due e colorato di un vivace rosso vermiglio che, col tempo, era stato scolorito e macchiato ai bordi. « Dei waffle… à la mode? ». Si mostrò palesemente confusa agli occhi della cameriera.
« Significa che c’è anche il gelato ».
« Oh… ok, lo prendo ».
« Una fetta di red velvet, un Ice Café, dei waffle à la mode, altro? ».
Ethan lanciò un’occhiata a Erika, che non rispose.
« No, grazie ».
« Ottimo. Spero che passiate una felice serata al Ben’s Drive In » snocciolò, senza mutare d’espressione in viso o dare un tono alle sue parole. Se ne andò, dunque, a passi lenti e trascinati.
« Sai, à la mode significa “alla moda” ».
« Oh. Davvero? ».
Ethan fece cenno colla testa.
Erika si guardò attorno, in attesa che le pietanze arrivassero. 
Il locale era vuoto, fatta eccezione per una famiglia in fondo alla sala e due coppie alla loro destra. Tre camerieri trascinavano i loro corpi per il drive in con la vivacità di una carcassa d’animale, una musica strumentale giungeva cristallina alle orecchie della ragazza. Gradevole, pensò.
Il ristorante in cui erano finiti era quadrato, ampio, e si sviluppava ad U equilatera; lo spazio mancante era adibito alle cucine, i due ambienti divisi dal bancone. I colori del blu e del bianco si ripetevano nelle poltrone in finta pelle, nelle piastrelle quadrate del pavimento e nelle tute degli inservienti.
« Cos’hai intenzione di fare dopo? ».
« Uh? ».
Erika sospirò. « Dopo… hai capito ».
« Non ci avevo ancora pensato ».
« Come mai? » ribatté repentina.
« Come… come mai? ». Il viso di Ethan si inarcò in un’espressione imbarazzata. « Non lo so, non ci ho semplicemente pensato ».
« Ok. Cosa fai ora? »
« Studio ».
Erika rise.
« Non fai niente, quindi ».
« Ehi! Non è affatto vero ».
« Ah sì? Cosa studi? »
« Eco— economia » pronunciò, titubante.
« Seriamente? ». 
La sua risata, così cristallina ed aggraziata, pareva quasi un complimento a dispetto degli intenti meno lodevoli. 
« Cosa c’è? » commentò imbarazzato « è una facoltà di tutto rispetto! ».
« Non lo metto in dubbio ».
« Immagino ».
Erika gli sorrise. « Immagini bene ».
Ethan non rispose. Rimase fermo, sorridente, a fissare Erika. Vederla ridere, in quel momento, era la cosa più bella del mondo: il modo in cui le sue guance si contraevano, come scopriva il suo candido sorriso, come i suoi capelli ondeggiavano a ritmo con il suo capo. La sua risata, un suono così dolce e calmante.

 
𐌳

« … when you’re around me, I’m radioactive… ».
Erika si risvegliò dai suoi pensieri.
« L’ho già sentita questa canzone » commentò, ad alta voce suppose dato che Ethan stesso era tornato a guardarla. « È… molto bella ».
Le note di pianoforte si alternavano alla voce, acustica.
« …my heart is nuclear, love is all that I feel ».
« Non credo di averla mai sentita ».
« Oh. Be’, è bella ».
Ethan sorrise. « L’ho capito ».
« … my blood is radioactive… ».
« Era per dire » concluse lei. Un flebile sorriso aveva illuminato il suo viso.

« Ice Café? ».
« Per me, grazie ».
« Mh » grugnì. « Red Velvet? ».
« Sempre io ».
« Io ho i waffle à la mode » s’intromise Erika « grazie ».
« È stato un piacere servirvi » continuò cadaverica la cameriera, in procinto di tornare nelle cucine.
« Buon appetito » commentò Ethan.

 
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flashback – Anville Town – 26/08/12
Il paesaggio che offriva la cima della Torre Cielo era quanto di più gratificante ci fosse in quel momento per i due. La catena montuosa di Unova in tutta la sua magnificenza era srotolata ai loro occhi, le cime dipinte di bianco e i fianchi ricoperti da una macchia boschiva. Tramite delle strette angolazioni fra le montagne era possibile avere uno scorcio del mare e delle città dall’altra parte della regione, segnate per comodità su di una rosa dei venti sul palco panoramico.
Erika strattonò la polo di Louis a sé « Guarda, Lou! ». Col dito indico una scritta sulla plancia bronzea, Castelia City. « In quella direzione c’è Castelia City! ».
« Come mai sei ossessionata da Castelia City, Key? »
« Non sono ossessionata! Guarda qua, Nimbasa! ».
« Mh ». Louis la guardò soddisfatto. « Vedi che abbiamo fatto bene a salire? ».
« Sì, sì, va bene, guarda qua! Opelucid City, quanto vorrei andarci! ».
 
𐌳 𐌳 𐌳
 
presente – Nimbasa City – 10/02/13
Come giunse il mattino, Nimbasa City tornò a rivestirsi di quei colori vivaci e carnevaleschi che, col calare dell’oscurità, perdeva ogni sera in favore delle scintillanti luci del parco divertimenti. 
Dopo la sosta al Ben’s Drive In seguirono altre due ore di viaggio, che Erika passò a dormire. Attraversato il ponte di Driftveil City arrivarono finalmente nella città dei luci, la ragazza ancora assopita, e si ritirarono nell’appartamento di Ethan.
Un raggio di sole, insinuatosi tra gli scuri, aveva filtrato attraverso la finestra e solleticava le palpebre di Erika. La ragazza si ritrasse sotto il piumone, mugugnando qualcosa di inaudibile nel sonno. 
« Mh… ».
Rovesciò la coperta a sé, facendo calare nuovamente l’oscurità davanti a sé.
Solo allora, aprì gli occhi.
Dove sono? fu il suo primo pensiero. Non riconosceva le lenzuola. 
Emerse, guardandosi attorno. La scena che la attese la lasciò più confusa di quanto non fosse. Non era casa sua, concluse. Cercò risposta nelle finestre, che mostravano il panorama di una città ben differente dalla modesta Anville Town: cosa poteva essere, allora?
Nimbasa City.
Un flash le attraversò gli occhi.
Era Nimbasa.
Si lasciò cadere sul cuscino, un peso morto, e fissò il soffitto.
Cosa ci faccio qua?.

 
𐌳
 
« Buongiorno ».
Ethan era immerso nella lettura di un giornale, disteso sul divano. Una tazza di caffè era poggiata sul tavolino di vetro in parte a lui, non sembrava esserci altra bevanda all’interno.
Lanciò un’occhiata all’orologio: la lancetta più corta era puntata fra il numero 11 ed il numero 12.
« Oh, ciao. Ho pens—».
« Ho fame. C’è qualcosa da mangiare? ».
« Sì… » s’interruppe, facendo per avvicinarsi a lei « c’è qualc—»
« Ho solo fame ».
Erika si era trovata ad alzare il braccio, il palmo aperto contro di lui.
« Ok… » girò su sé stesso « cosa posso prepararti? ».
« Er… un caffè, magari. Cosa c’è da mangiare? ».
« Biscot—».
« Quelli ».
Erika trascinò i suoi passi al tavolo e prese uno sgabello dove sedersi.

« Va tutto bene? ».
Ethan addentò un biscotto. 
« Sì » rispose, atona. 
Osservò le briciole di pasta frolla scivolare lungo la canottiera del ragazzo.
« Mf—» continuò, deglutendo il boccone « hai avuto… altri ricordi? ».
« Forse ».
Erika alzò lo sguardo, gli occhi color miele dell’uomo la guardavano con un’espressione sorridente. Per un secondo, pur breve che fosse, in lui vide gli occhi smeraldo di Louis. I suoi capelli si tinsero di verde, la sua canottiera divenne una giacca jeans e, per quanto impercettibile, poté udire nella sua mente chiamarla. « Ehi, Key »
« Tutto ok? ».
Scosse la testa. « Sì, tutto ok. Potremmo uscire, dopo ».

 
𐌳 𐌳 𐌳

« Cosa sono quelle nuvole? ».
« Non lo so, Lou ».
Louis le diede un colpo sulla spalla. Tanto gentile era, si mosse appena.
« Cosa c’è, Lou? Sto leggendo la guid—».
« Guarda!, ci sono chiaramente delle nuvole ».
Erika lanciò un’occhiata al cielo terso, macchiato in lontananza da qualche nube grigiastra. Tutt’attorno era calmo e spirava il medesimo vento fresco di prima.
Ritornò a leggere la guida culinaria.
« Piuttosto, dove andiamo a mangiare? ».
« Non s—».
« C’è una taverna che fa cucina locale giù a Mistralton », i suoi occhi si illuminarono come guardò Louis per cercare approvazione « sembra buona! ».
Il ragazzo contorse il viso in un’espressione di disapprovazione. « Sul serio? ».
« Che c’è? Ho fame ».
« Ok, va bene. Scendiamo? ».
Lo sguardo di Erika si spostò sulle scale, che si trovavano nel punto diametralmente opposto alla loro posizione sul piano panoramico della torre. In quel momento la folla era scesa e non c’era più l’ingorgo di qualche ora prima.
« Uhm, sì. Meglio sbrigarci, potrebbe piovere » concluse, un sorriso sulle sue labbra.
Al sentire quelle parole Louis emise uno sbuffo.

 
𐌳 𐌳 𐌳

presente – Highway – 09/02/13
Erika e Ethan erano usciti, recuperati degli abiti di fortuna per la giovane nell’appartamento. Si era trovata indossare ad una felpa sulla quale lampava a caratteri cubitali la scritta “I LOVE MYSELF”. Ne era rimasta spiazzata ma aveva deciso di scendere in piazza nonostante le premesse e cercare di capirne qualcosa in più sulla faccenda.
In quel momento, dopo un’ora di passeggiata per le vie della città, si erano fermati a prendere qualcosa da bere in prossimità della ruota panoramica.
« Ti sta piacendo Nimbasa? ».
Erika tirò su un sorso di caffè freddo dalla cannuccia.
« Mh ».
« Mi vuoi degnare di qualcosa di più concreto di un monosillabo? ». 
Seguì una gomitata di Erika, alla quale Ethan prese a ridere (« Stavo scherzando! »).
« Dunque… dove vuoi andare, ora? ».
Erika si guardò in giro. 
Davanti a lei proseguiva una via che s’inoltrava nel cuore della città, in direzione del teatro, mentre alla sua destra era la soglia del parco divertimenti che, con quel sole mattutino ed il clima invernale, aveva assunto delle tonalità completamente diverse da quelle che ricordava lei. Le fontane avevano ghiacciato e gli alberi, spogliatisi delle foglie, non erano altro che secchi tronchi che si alternavano alle panchine erose dagli agenti atmosferici.
« La ruota panoramica è aperta? ».
« Uhm? ». Guardò nella stessa direzione della ragazza. « Non credo… è aperta solo la sera ».
« Significa che vedremo solo il parco, allora ». 
« Oh ». Ethan era spiazzato. « Se per te va bene, ok! ».

Varcarono così la soglia.

« Ci sono stata, qua, sai. L’anno scorso ».
« Oh, davvero? Non ti ha ricordato niente? ».
La tonalità di voce di Erika si abbassò. « No ».
« Fa niente. Questo, “viaggio”, » pronunciò quella parola con una strana intonazione « sta sortendo qualche effetto? ».
« … ».
Erika esitò.
Il suo sguardo era chino, sul pavimento, a seguire le brecce sul lastricato di sanpietrini su cui batteva piede. Evitare lo sguardo di Louis la faceva sentire, in qualche maniera, più sicura. Era come se fosse alla costante ricerca di qualcosa, aspettandosi qualcosa da parte sua che lei non riusciva a trovare in sé. Non sapeva rispondere, neppure in quel momento. Cos’era che le mancava? 
« Ho dei flash confusi » borbottò « credo ».
« Se vuoi posso aiutar—».
« No » lo liquidò.
Camminarono avanti, senza parlarsi.

 
𐌳

« Scusa per prima ».
Ethan sorrise. « No, tranquilla. Va bene ».
Erika avanzò dei lunghi passi, facendosi cadere su una panchina. Sapere di avere le spalle coperte, di non avere qualcosa dietro alla schiena che non fosse un muro, era una sensazione così rilassante che le fece dimenticare tutti i suoi problemi. Davanti a lei c’era solo il paesaggio del parco divertimenti di Nimbasa invernale, ed era quanto di più calmante potesse desiderare. Il ragazzo anch’esso si fece spazio sulla panchina, vagando con lo sguardo sul cielo brumoso.
Ora che non doveva sostenere nessun incrocio di sguardi con Ethan, le parole uscivano dalla sue labbra da sole. Poteva dare voce ai suoi pensieri senza che i suoi occhi dovessero vedere qualcosa di diverso dagli alberi spogli delle loro foglie, o del selciato di sampietrini.
« Ero felice, prima? ». 
« Quando vivevi qua? ».
Erika asserì col capo.
« Be’… sì, credo di sì ».
« Hai esitato ».
« Sì, eri felice ».
« Ed eravamo una bella coppia? ».
« Non saprei ». Ethan alzò lo sguardo. « Non sono la persona più obiettiva a cui chiedere ».
Un sorriso illuminò il viso della ragazza. « Già… ».
Erika appoggiò la schiena sulle assi di ferro battuto ed alzò lo sguardo al cielo. Poteva sentire un refolo di vento passare attraverso i suoi capelli e massaggiarle il capo. Chiuse gli occhi, e si lasciò andare a Morfeo.
 
𐌳 𐌳 𐌳
 

flashback – Anville Town – 26/08/12
Louis aveva avuto ragione.
La pioggia scese, come aveva previsto sulla cima della torre, e per quanto un evento del genere fosse stato spiacevole riuscì a trarne quanta più soddisfazione possibile dall’aver avuto ragione. Era semplicemente un suo tratto, quello di rimarcare in una situazione l’aver avuto ragione. Chi poteva biasimarlo?
Fortunatamente riuscirono a scendere dalla torre prima che la pioggia colpisse, ma non ebbero così tanta fortuna nello scoprire che avrebbero dovuto fare il tragitto Mistralton City-macchina in preda ad un acquazzone estivo. Il vento, combinato ai litri di acqua che scendeva al secondo, aveva creato una situazione molto spiacevole da attraversare.
« Come pensi che faremo ad arrivare alla macchina? » fece Erika, osservando dal ristorante “Da Boris - Specialità di Mistralton” la situazione meteorologica dell’esterno. 
Le sue mani erano contratte a formare uno scudo che coprisse i suoi occhi dal riflesso del vetro sulla sua stessa immagine. Tanto era vicina alla finestra che la sua bocca aveva ricoperto la superficie di un alone di bianca condensa.
« A piedi? ». Il suo tono era interrogatorio ma la domanda era molto lontana dall’esserlo.
« Sei inutile ».
Erika si guardò attorno, sbuffando.
« E se chiedessimo un passaggio ad un turista? ».
« Un passaggio in macchina fino alla macchina? ».
La ragazza asserì.
« Io ti riderei in faccia se me lo chiedessi ».
« Io no. Chiediamo a qualcuno? ».
« Fai come vuoi, io esco ora ».
Stette a guardare, seduta su una poltrona in prossimità dell’ingresso, mentre dopo aver pagato si dirigeva fuori dalla porta. Non poteva di certo fermarlo o impedirgli di uscire, ma cosa avrebbe fatto lei? 
« Lou! Aspetta, Lou! ».
Corse fuori, nel vano tentativo di recuperare il vantaggio che il ragazzo aveva su di lei.
« Key? Cosa ci fai qua? ».
« La stessa cosa che fai tu ».
La pioggia scendeva a dirotto, le gocce tamburellavano sul capo della ragazza ed il loro unico scopo pareva quello di rovinarle irrimediabilmente la capigliatura. Le ciocche castane si erano sparse tutt’intorno a lei, senza ordine, umide e rapprese, in così poco tempo dall’essere uscita.
« Forse è meglio se parliamo muovendoci, no? »
« Ottima idea ».
Proseguirono, quindi, coprendosi con rimedi di fortuna, abiti e giacche, sino a che non giunsero finalmente al parco dove avevano lasciato la vettura. La loro ultima fatica, risalire la collina nella quale avevano fatto sostare la macchina, impiegò loro una buona mezz’ora, dopo la quale si dissero pronti a tornare a casa. 
Louis tirò fuori le chiavi dallo zaino e sblocco le portiere, Erika lo seguì a ruota ed entrò in macchina, facendosi spazio. Inserì le chiavi nella toppa e, con sua grande sorpresa, la macchina non fece altro che un rumore sordo al momento della accensione. Nessuna luce si accese, nessun motore si mise in moto. 
I due rimasero a fissare il vuoto, con il terrore di dover tornare fuori a capire la natura del problema.
« Cosa c’è che non va? ».
« So quanto te, Key ».
« Hai intenzione di fare qualcosa? ».
Louis guardò fuori dalla finestra.
« Devo ».
« Ottimo. Vuoi farlo, o… ».
« O cosa? ».
Erika, per la prima volta quel giorno, si mostrò scocciata. « Avrei voglia di tornare a casa ».
« Ok, ok, ora vado a vedere cosa c’è che non va ».

 
𐌳 𐌳 𐌳

presente – Nimbasa City – 12/02/13
« Come ti è sembrato, oggi? ».
Erika e Ethan si erano trovati ad ordinare una pizza, senza la più pallida idea di come trovare qualcosa con cui cenare dopo aver passato la giornata fuori, come nei giorni passati. Nell’attesa avevano chiacchierato e, all’arrivo del cibo, si misero a consumarlo sul divano.
« È sempre la stessa storia, Ethan. Da tre giorni, non facciamo altro che fare passeggiate in giro ».
Avevano scelto di mettere su un film, ma nessuno dei due era realmente interessato a vederlo. Uno spettacolo migliore era dietro alla tv, sulla vetrata che si affacciava allo skyline di Nimbasa. I loro occhi erano rapiti dalla bellezza di quel paesaggio, immerso nell’oscurità già poco dopo le sette.
« Era... era la vita che avevamo prima. Eravamo felici ».
« Prima... forse è stato divertente, oggi ».
Lo sguardo di Erika si abbassò alla pietanza che stava mangiando. 

« Prima o poi dovremmo affrontare quell’argomento ».
Era giunto il momento di dormire, ed Erika era in procinto di ritirarsi nella sua camera che Ethan, dal nulla, ruppe il silenzio creatosi.
Era dall’altra parte della sala, in cucina, a sistemare i cartoni delle pizze.
« Hilda Baskerville » continuò, atono.
« Non sono Hilda Baskerville ».
« Lo eri ».
Erika lo guardò, per quanto fosse possibile nel buio ed ad una tale distanza. I suoi occhi, color ambra, scintillavano nel buio in qualche modo.
« Sono... sono solo stanca di tutto ciò. È da tre giorni che non faccio niente. E... e non sono sicura di voler affrontare quell'argomento » sospirò « l'argomento Hilda... ».
« Non sto dicendo che tu debba farlo. Non ora, se non lo credi ». Smise per un attimo di parlare, il suo sguardo vagò nell’oscurità. Per un momento la sensazione che la ragazza fosse scomparsa lo assalì, ma eccola: i suoi capelli rossi emettere un blando pallore nel buio. « Però dovrai ».
« Allora lo farò, quando sarà il momento. Buonanotte ».

 
𐌳 𐌳 𐌳

flashback – Anville Town – 26/08/12
« Spingi! ».
« Sto spingendo! ».
« Spingi più forte, cazzo! ».
I vestiti di Erika si erano infradiciati a furia di passare il suo tempo fuori, in balia dell’acquazzone. La stessa cosa si poteva dire di Louis, non che a lui importasse tuttavia. L’idea di una macchina rotta, così lontano da casa, era un più grande motivo di paura.
« Forse se a Mistralton avessimo chiamato un meccanico, anziché fiondarci direttamente in autostrada, ora non avremmo problemi! ».
La voce di Erika tremava di rabbia.
« Come potevo sapere che la macchina non avrebbe funzionato di nuovo? ».
« Non lo so! Dovevi saperlo! ».
« Be’ ora il danno è fatto! Non c’è motivo di star qua a lamentarmene ».
Erika batté i pugni contro la carrozzeria, il suono rimbombò nella vallata.
« E INVECE LO FACCIO! » proruppe, con tutta la voce che aveva in corpo.
Le lacrime presero a scendere dal suo viso, le sue braccia a tremare come in preda ad un attacco di panico. Le sue mani vagavano nel vuoto alla ricerca di qualcosa dove aggrapparsi, ma non v’era altro che Louis e la macchina in quella zona dimenticata dal mondo. Una lunga strada asfaltata della quale né l’inizio né la fine erano visibili sull’orizzonte.
« Sono rovinata, sono rovinata… » sussurrava, guardandosi attorno « questa è la mia rovina… ».
« Ehi, Key, tranquil—».
« SMETTILA! ». La sua voce vibrò nelle orecchie di Louis. « Non— non toccarmi, non voglio essere toccata ».
Tanta era la pioggia che l’acqua delle lacrime parve un soffio durante una tempesta. Era bagnata dal capo ai piedi ed il freddo vento che ululava si era insinuato nei suoi vestiti, attecchendo sulle ossa. Brividi le attraversavano la spina dorsale.
« Key… ».
Erika si coprì le orecchie.
Fece dei passi nell’oscurità, facendo presa sulla macchina per non scivolare sul terreno. Aprì con difficoltà la portiera posteriore e si gettò dentro, abbandonandosi a Morfeo di colpo.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - By a Dead Man Interred ***


BUON 488esimo ANNIVERSARIO DEL TRATTATO DI SARAGOZZA! Ho tolto la kitsch divisione in parti á la Black Mirror, ora c'è un 𐌳 che rappresenta un lieve cambio d'atmosfera (divisione in paragrafi) mentre tre 𐌳𐌳𐌳 che rappresentano un cambio di scena più forte (come la fine di una parte). Attenzione: in questo capitolo vi sono due storyline, un flashback ed una presente. Alla fine, tuttavia, si uniscono.

CAPITOLO 3
By a Dead Man Interred
 
Lost in the fog, these hollow hills
Blood running hot, night chills
Without your love I'll be
So long and lost, are you missing me?

Is it too late to come on home,
are all those bridges now old stone?
Is it too late to come on home,
can the city forgive I hear its sad song?
(Florence + The Machine; Long & Lost)
 

presente – Nimbasa City – 13/02/13
Il buio avvolgeva Erika.
Una corrente fredda soffiava sul suo collo e diffondeva scariche di brividi attraverso il suo corpo. Le sue mani tremavano, la sua mascella tremava, le sue gambe tremavano. 
Oltre i suoi occhi solo il nero, una macchia che perforava lo spazio. 
« Mi stai ascoltando, Hilda? ».
Un viso scavato e diafano apparve di fronte a lei. I suoi occhi, castani, erano così vicini da poter scorgervi all’interno il proprio riflesso; le sue labbra abbastanza lontane da rendere le parole che pronunciava impercettibili. Della sua voce, un eco.
I contorni della sua testa, come finiva la carne, si fondevano con il nero e quasi macchiavano l’aria, tale da emanare un alone roseo attorno a sé. 
« Non hai prestato attenzione ad una parola che ho detto ».
Erika ritrasse gli occhi. 
Una luce profusa e candida aveva aperto uno squarcio alle spalle dell’uomo, lasciando intravedere oltre a sé delle figure strette e squadrate slanciarsi verso l’alto. Mano a mano che la luce s’insediava nella stanza, tutt’attorno si fece più chiaro: apparve una scrivania color mogano, una moquette verdastra e delle pareti bianche a circondarla. 
Lentamente, schiuse le palpebre.
« Cosa ho detto? ».
Ora che osservava meglio, erano dei grattacieli le figure grigie che si stagliavano dalla finestra. Ogni occhiata che lanciava, tuttavia, richiedeva che entrasse in contatto prima con l’uomo che le sedeva davanti, e ciò cominciò a metterla a disagio. 
Era come se fosse intrappolata nel suo corpo, senza che potesse parlare o muoversi: le era concessa solo la vista.
« Come pensavo, e ti risparmio la fatica di chiedermelo — che evidentemente ti sei già presa. Sei licenziata ».
Prima che potesse accorgersene, era uscita dalla stanza. Guardò indietro a sé, alla porta dalla quale credeva di esser passata. Cos’è successo?
« Dove sono? » balbettò, come il suo sguardo perlustrava il corridoio davanti.
Fece un passo avanti.
« C’è qualcuno? ». La sua voce risuonò nella cavità. « C’è qualcuno? ».
A quel primo passo ne seguì un altro ed un altro ancora. Poteva percepire lo spazio dilatarsi e restringersi attorno a lei, le pareti del corridoio allontanarsi sempre di più per poi scattare indietro come una molla e soffocarla.
« Dove sono? » urlò, ma non ottene come risposta che il suo eco. « Dove sono? Aiutatemi! ».

« Dove sono? Aiutatemi! ».
Con la mano tirò su il lenzuolo a nascondere le labbra.
Mugugnò, come affondava il viso nel cuscino. Le estremità si piegavano come ripide montagne costrette sotto il peso del suo capo.

Un lamento anticipò il suo risveglio.

Aprì gli occhi nell’oscurità.
La sua fronte era imperlata di sudore e i suoi respiri si susseguivano brevi e veloci, uno dopo l’altro, come se si fosse fermata a recuperare il fiato dopo una lunga corsa. In verità, pensò, ciò non era troppo lontano dalla realtà.
All’inizio fece fatica a capire a cosa era dovuto, finché nella sua mente non prese di nuovo vita quella strana immagine di cui aveva avuto esperienza fino a prima. 
« Mi stai ascoltando, Hilda? ».
Quelle parole rimbombavano nel silenzio della notte. Nella sua testa non era capace di cancellare quella strana visione. Quei palazzi, quell’uomo, quella sensazione.
Si alzò dal letto, portando le mani in avanscoperta per eventuali oggetti affilati od ostacoli, ed in punta di piedi, nell’assoluta calma, raggiunse la finestra. Appese il suo braccio alla tenda e lo fece scivolare alla sua destra, rivelando dietro di esso lo skyline di Nimbasa City che illuminava la città a giorno; una cascata di luce si riversò silenziosamente nella stanza.
« Uh? ».
Nella sua mente fece combaciare i grattacieli del suo sogno al paesaggio cittadino che si presentava davanti a lei; sorrprendentemente, le due immagini differivano per non pochi particolari. Non era Nimbasa la città del suo sogno. Che posto era?. E chi era dunque, quell’uomo? Pareva ricordare le sue caratteristiche a memoria, l’immagine del suo viso era impressa nitidamente nei suoi ricordi, ma non riusciva a completare il quadro.

Al solo pensiero, un brivido corse lungo la sua schiena.

Hilda Baskerville: per la prima volta, in quei giorni, il pensiero che vi fosse un fondo di verità alle parole di Ethan le sfiorò la mente.

 
𐌳 𐌳 𐌳
 
flashback – Anville Town – 10/02/13
Un nuovo giorno era sorto ad Anville Town.
Le luci del mattino filtravano attraverso la finestra di Louis silenziose, arrampicandosi sulle pareti ed insinuandosi nelle fessure del suo appartamento. Non un passo poteva rompere il silenzio che aleggiava tra le stanze, degno di un processione religiosa. E forse c’era qualcosa di religioso, nel modo in cui aveva disposto le foto ed i ricordi legati ad Erika tutt’attorno la sua tavola. Al centro, un mazzo di calle bianche, le sue preferite, ed una busta sul quale era scritto il suo nome a caratteri cubitali. X ERIKA.
Una camicia bianca e dei pantaloni beige erano stati piegati accuratamente e poggiati a cavallo sullo schienale di una sedia, mentre un paio di scarpe bianche sfavillanti di lucido giacevano per terra.
Louis, invece, era ancora a dormire.
Dlin dlin.
10 Febbraio 2013
8:30
RICORDATI DI ANDARE DA ERIKA

Un bagliore luminoso zampillò sullo schermo del cellulare di Louis, sul suo comodino.
Il ragazzo lo ignorò, nascondendo il viso sotto le coperte, e grugnì.

Dlin din.
10 Febbraio 2013
8:40
RICORDATI DI ANDARE DA ERIKA!!

Dlin dlin.
10 Febbraio 2013
9:00
RICORDATI DI ANDARE DA ERIKA!!!!!!!!

Al terzo memo che spezzava la quiete mattutina si degnò di alzar la testa, osservando con rancore l’oggetto del suo disturbo. Non appena, oltre il corridoio, intravide i vestiti che aveva piegato la sera prima, una lampadina si accese dentro di lui. Erika.
 
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L’appartamento di Erika Joy si trovava nell’esatto posto in cui, giorni prima, Louis l’aveva lasciato. Alzò gli occhi: Kimberly, West, Pratt, Walsh, Joy… Joy! Erika Joy. Con grande e alquanto strana sorpresa, anche la targhetta del suo appartamento, il numero 11, si trovava dove l’aveva lasciato quel giorno.
Poteva ancora sentire le urla, i passi pesanti, ed il suo viso. Un’espressione di rabbia che piegava le labbra del suo volto, corrompeva ogni sua ruga d’espressione. 
Scacciò dalla testa quel pensiero e premtte il pulsante.
Un ronzio aleggiò nell’aria.
« Ehi, Key… ero venuto—».
Staccò il dito dal suo nome. Un’impronta di grasso e sudore luccicava sulla plastica.
Sbuffò.
Ripremette.
« Key, senti… dopo tutto quello che è successo… io… ». Guardò in basso, come ad evitare lo sguardo inquisitore della telecamera. « Io…—».
Lasciò nuovamente la presa.

Premette.
« Buongiorno » gracchiò una voce metallica.
« Buongiorno signora Pratt, potrebbe farmi entrare? Ho perso le chiavi di casa ».
« Louis? ».
« Sì, signora Pratt ».
« Oh, certamente! ».
La porta si aprì con un cingolio e Louis si fece avanti, il suo cuore che batteva a mille.

Ora si trovava di fronte alla sua porta. 
Nella mano destra, un mazzo di rose, sopra il quale culminava una busta bianca.
La mano sinistra, poggiata sulla scritta ERIKA JOY, mentre nell’aria risuonava un campanellino.

 
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presente – Nimbasa – 14/02/13

« Cosa significa che vuoi tornare a casa? ».
« Voglio semplicemente tornare ad Anville, Ethan ».
« Ma è questa casa tua! Non lo capisci? ».
Se non lo avesse conosciuto, avrebbe detto che quel comportamento le faceva paura. Il suo viso emanava tutto fuorché la minima sensazione di bontà e nella sua voce, roca, udiva un profondo rancore ribollire. Ma poteva dire di conoscerlo? Chi era veramente il ragazzo di fronte a lei? Ethan Shepard, un nome, un foglio bianco. Forse non lo conosceva affatto.
« No, non lo capisco » proruppe, la voce atona. « Non capisco niente! » urlò dunque. 
« Posso aiutar—».
« Non ho bisogno di aiuto. Non mi serve qualcuno che mi prenda per mano e mi dica cosa fare ». 
Erika abbassò lo sguardo. Per un attimo, seppur impercettibile, le parve di riconoscere il ragazzo: scacciò il pensiero dalla testa.
« Voglio… voglio tornare a casa » concluse « con, o senza di te ».
« Hil—».
« Erika » lo corresse « con o senza di te ».

 
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flashback – Anville Town – 10/02/13

« Key, sei dentro? ».
I colpi alla porta rimombavano sordi.
« Key? Non è divertente! ».

« Key?».

« Key! Rispondimi, cazzo! ».

Louis distese la sua schiena sulla porta e lentamente lasciò la presa sulle gambe, scivolando accovacciato sul suo zerbino. Recitava a scritta: “No place like home”. Le rose erano ammaccate ed avevano perso il loro volume, schiacciate sul terreno e sporche di fango. 
Il pensiero che Erika evitasse ogni suo contatto non era plausibile, non a quel punto per lo meno. Non era da lei.
Estrasse il telefono dalla tasca e fissò lo schermo: da spento, il suo riflesso vi baluginava in tuta la sua tristezza e pateticità. Patetico, era questo ciò che vedeva all’interno dell’apparecchio.
Lo accese, scorse la rubrica e cliccò su “Key”.



« Love is like starlight… »
Il silenzio venne interrotto da uno squillo.
« … even when a star dies, it continues to shine ».
« Key? ».
Poteva giurarlo, era la suoneria del cellulare di Erika.
Si girò e prese a bussare più forte sul legno, nella speranza che Erika rispondesse. 
Che il vuoto rispose.
« Key! Key! ».
Fece dei passi all’indietro, portò le braccia all’altezza del torace e si gettò a capofitto sulla porta, cui serratura non resistette l’impeto di 80 kili di peso in movimento contro di essa. Si spalancò ed urtò violentemente contro la parete, risultando in un sordo eco attraverso tutto l’appartamento. 
Lo spettacolo che si presentava ai suoi occhi era terrificante: la casa pareva esser stata sconquassata da un terremoto.
Sul comò, all’entrata, il telefono: perfettamente integro e squillante.

 
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presente – autostrada – 13/02/13

« Un’altra giornata persa in autostrada ».
« Non ti ho chiesto di venire, Ethan ».
« Ti aspettavi che rimanessi a Nimbasa? ».
« Sì ».
Ethan guardò fuori dal finestrino, sperando di uscire da quella discussione.
« Be’, ormai sono qu—»
« Allora stai zitto. Sarà un lungo viaggio ».
Erika aumentò la pressione sul pedale e la macchina impennò.

 
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flashback – Anville Town – 10/02/13

Le lacrime scorrevano sul viso di Louis.
Disteso sul divano di Erika, la porta ancora spalancata, il soqquadro tutt’attorno, il suo sguardo era fisso sulla parete. Seguiva con gli occhi le macchie di luce che le macchine proiettavano sulla parete, filtrate attraverso la finestra e deformate dalla tappezzeria. Striscie, corpi sferici, righe mistilinee che si susseguivano come danzatrici una dietro l’altra, e ne catturavano in pieno l’attenzione. Osservandole, nel silenzio, poteva udire la voce di Erika nei suoi occhi.
E ora lei era scomparsa, svanita nel vuoto, senza neanche un saluto.
Forse se lo meritava, pensò, mentre si apprestava a cadere nelle braccia di Morfeo.

 
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presente – Anville Town – 14/02/13
« I said maybe, you’re gonna be the one that saves me… »
Sulle note di Wonderwall, la macchina si apprestava a rientrare silenziosamente in città. Era l’una, pressapoco, quando Erika, uscendo dall’autostrada, aveva imboccato la statale in direzione dell’uscita sud di Anville Town. Avevano oltrepassato il ponte e le sue migliaia di luci colorate che pendevano da esso, riflettendosi nell’acqua in altrettanti scherzi luminosi, ed il solo pensiero le ricordava di Louis. 
Viaggiare in macchina le ricordava di Louis.
Che fine avevano fatto i suoi progetti?
« you’re my wonderwall… »
Che fine aveva fatto la sua vita?
Un sorriso inarcò le labbra di Erika. La sua vita. Che ridere.
Poteva dire di avere una vita?
Non sapeva più la risposta a quella domanda. Quella che credeva essere la sua vita non si era rivelata altro che una bugia, sotto il peso delle parole di uno sconosciuto. Non era sicura di crederci, no di certo, si rifiutava di credere a quella possibilità aggrappandosi alla speranza che lo fosse. Aveva bisogno di sapere che quel vuoto che sentiva dentro di sè, quella costante sensazione di inadeguatezza, di mancanza, era giustificata. 

La macchina imboccò la discesa per il garage e si immerse nel buio.
Come le porte automatiche si chiudevano, la luce veniva risucchiata dalla grande sala sotterannea e Erika, dall’interno della vettura, si stava lasciando per qualche secondo cullare dal calore dell’oscurità. Il getto di aria calda che partiva dal cruscotto irradiava la macchina e lambiva la sua pelle, trasmettendole una sensazione di casa che da tempo non provava su di lei. Ed ora, in quel momento, mentre i suoi occhi si erano persi in una macchia d’inchiostro ed il silenzio perforava le sue orecchie, poteva quasi sentirlo.
Louis.

 
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« Ti vedo scioccata. Ottimo ».
Sussultò sul sedile.
Come fece per muoversi, notò di trovarsi su una poltrona foderata in pelle color bordeaux. La moquette verde smeraldo tradiva la natura della sua posizione; e come muoveva lo sguardo plasmava lo spazio circostante, dando vita all’ufficio nel quale si trovava poco prima. Be’, relativamente. Tuttavia, in quel momento poteva dire di non aver mai lasciato il maledetto luogo.
Tutto sembrava così… reale
È quello che sono i sogni di solito, pensò. Ne era certa: stava sognando. In qualche modo, aveva ripreso coscienza del sogno della sera prima.
« Hai smesso di s—ere per il C— ».
« Dove sono? ».
L’uomo rimase impassibile di fronte alla sua richiesta. A giudicare dalla sua espressione, non pareva aver udito una parola. 
« Hilda, i tuoi ———— fanno schifo. Fa schifo ogni cosa che scrivi, non mi capacito di come ti ————— per più di un anno ».
« Hilda? Conosci Hilda? ». La sua voce era muta.
Tentò di alzarsi dalla sedia, ma ogni sforzo che compiva finiva per riportarla dov’era poco prima. Ogni movimento che avanzava era vano, rimaneva immobile, costretta di fronte a quell’uomo. Prigioniera di un’illusione.
Un rumore cavo rimbombò lungo le pareti.
« Scusate, ho interrotto qualcosa? ». Una terza voce s’insinuò nella testa di Erika. « Ho aspettato un po’ prima di entrare, ma è abbastanza urgente ».
Come Erika si girò vide un’altra donna, pressapoco qualche anno in più rispetto a lei, muoversi attraverso la stanza, oltrepassare il suo corpo paralizzato e giungere dall’altra parte, dal misterioso uomo.
« Non preoccuparti, Natalie » continuò il vecchio « io e la signorina Baskerville non abbiamo più nulla da dirci ».

« Erika? ».
Le loro bocche si mossero simultaneamente. Una voce roca usciva dalle loro labbra, diversa dalle precedenti.
« Erika, cosa stai facendo? ».

« Erika! ».
Erika aprì gli occhi. 
12 febbraio. Ore 01:34, l’insegna a neon che scintillava davanti a sé, poco sotto il volante.
La luce del cruscotto illuminava i sedili anteriori, rischiarando la via di fronte a sé, seppur di poco. Tanto era flebile da non riconoscere il colore della maglietta che indossava né da vedere, nitidamente, il contorno delle sue mani. Il parcheggio interno era celato nell’oscurità, irragiungibile dalla fioca luminosità.
« Dove siamo? ».
Una scarica di freddo partì dal collo, irradiando la colonna vertebrale e le braccia.
« Stavi dormendo? ».
Annuì.
Ethan allungò la mano per la radio « Dove siamo, allora? ».
« Ad Anville Town ».
« Di già? ». Non trovò il pulsante d’accensione. « Dove? ».
« A casa mia ».
Ethan non rispose.
« Nel parcheggio di casa mia ».
« Oh. Pensavi di uscire dalla macchina? ».
« Io… mi sono addormentata, scusa ».
« Tranqui—».
« Se non ti dispiace vorrei salire. Da sola ».
« Da sola? Perché—»
« Da sola » lo interruppe. « Troverai… troveremo una posto per la notte, per te, se vuoi puoi dormire in macchina ».
Il rumore delle molle della portiera che si contraevano risuonò nell’aria. Ethan poté solo sentirlo, non vederlo, tanto era debole la luce. 
« Tornerò presto ».
Ritrasse il collo dalla macchina e svanì nell’oscurità, accompagnata dal clangore della portiera che si richiudeva.

 
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flashback – Anville Town – 10/02/13

Il corpo di Louis giaceva, privo di coscienza, sul divano, le braccia che pendevano a filo di piombo verso il pavimento ed il viso catturato in una bonaria espressione di beautitudine. Era perso, perso fra le braccia di Morfeo, nell’oscurità dell’appartamento di Erika, senza che alcun rumore potesse disturbare il suo sonno.
Non era raro che delle fugaci ombre luminose, ombre, data la loro natura di macchie su uno sfondo oscuro, svettassero lungo le pareti bianche della stanza, anticipate e proseguite, una volta spentesi, dal rombo delle macchine che sfrecciavano davanti all’appartamento. 
Così Louis, cullato dai rumori del traffico, dormiva.

Nell’aria stridette un rumore metallico.

Le braccia di Louis si torsero. 
Il suo viso, disteso, si contrasse.
Era il rumore dell’ascensore.
Sbattè, le palpebre, guardandosi attorno: nulla era cambiato rispetto a quando, poche ore prima, si era assopito.
Guardò avanti, in direzione del corridoio del condominio: la porta, ancora spalancata, dava una visuale completa sul tunnel che, decine di metri e qualche appartamento più avanti, finiva con l’entrata dell’ascensore. In cima culminava il numero 2, scintillante. 
L’ascensore era diretto a quel piano.
Si rialzò, muovendo dei passi in direzione della soglia.
Come le porte dell’ascensore si aprivano, una silhouette femminile apparve, illuminata dalla cabina dello stesso. 
« Erika! Sono io, Louis! ».
Corse in avanti, uscì dall’appartamento e si gettò verso l’ascensore.

 
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presente – Anville Town – 14/02/13

In ascensore, Erika non faceva che pensare a Louis.
Ritornare al suo appartamento, più che prima, aveva riportato a lei memorie e ricordi dei quali aveva rimosso l’esistenza: come se ogni singolo attimo passato con lui fosse giunto a galla, con il solo obbiettivo di confonderle di più la mente. Sopra ciò, il sogno che dal giorno prima la perseguiva non pareva avere una soluzione. 
Quella spiacevole situazione aveva avuto un solo scopo in lei: quello di insinuare, definitivamente, il tarlo di Hilda Baskerville: era certa che vi fosse un fondo di verità alla faccenda.

Giunse al secondo piano, accese le luci e percorse il corridoio, come una qualsiasi altra giornata. La sua porta, il numero 11 in fondo al corridoio, appariva come l’aveva lasciato qualche giorno prima. Nulla che facesse pensare come la sua vita fosse stata ribaltata, almeno dentro la sua testa.

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flashback – Anville Town – 10/02/13

« Louis? Cosa ci fa qua, a quest’ora? ».
Le luci si accensero.
Davanti a lui si stagliava una figura ben diversa da quella di Erika: una signora di mezza età, dai capelli castano chiaro, che stringeva tra le mani una ventiquattr’ora ed una giacca beige. 
La voce di Louis si spezzò. « Signora… signora Pratt? ».
I suoi occhi, stremati, guardavano risucchiati della vita la donna, che gli restituì uno sguardo confuso. Le sue labbra tremavano, ancora umide di saliva, e la sua espressione facciale era courrugata nel disappunto. Quella che pensava essere Erika non si era rivelato che un miraggio: tempo e fatica persi.
« Sono io, Louis. Cos’è successo? ».
« Io… io… pensavo che fosse Erika… ».
« Erika? ».
La donna guardò oltre: la porta dell’appartamento di Erika era spalancata, e da quanto le luci del corridoio illuminavano all’interno, la situazione era nel chaos. 
Il che rifletteva l’atteggiamento di Louis: perso e caotico.
« Cos’è successo? ».

Megan, questo era il suo nome, versò del tè caldo nella tazza di Louis. Tè verde, come il colore dei suoi capelli.
« E ti sei addormentato? ».
Louis era ancora scosso.
« Sì… credo di sì ».
« Finché non sono arrivata io…? ».
Annuì. « Esatto ».
« Avevi intenzione di restare là fino a che non fosse tornata? ».
Louis deglutì un sorso di tè, rimanendo in silenzio. Era solo una scusa, tuttavia, una blanda scusante nella speranza di rimandare una risposta di cui si vergognava.
« Sì » mormorò, ritraendo la vista dagli occhi di Megan.
« Oh ».
La donna cercò il suo sguardo, cosa che abilmente evitava. 
« Se vuoi… se vuoi posso avvisarti, non appena la sento, della sua posizione ».
La voce di Louis si alzò di un’ottava. « Davvero? ».
« Sì » sorrise. « Finisco sempre lavoro tardi, se per caso un giorno dovessi vedere che è rientrata posso dirtelo. Sempre se— sempre se non si fa viva prima ».
« Sarebbe molto gentile, grazie. E posso chiederle un altro favore? ».

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presente – Anville Town – 14/02/13

Quando Erika portò la mano alla maniglia della porta e fece per aprirla, girate le chiavi, scivolò lungo il suo perno come una sfera sul pavimento. La presa era strana, stranamente labile, ma non vi fece troppo caso. L’idea che qualcuno avesse potuto scassinare il suo apparamento le sembrava ridicola.
Fino a quando non mise piede dentro.
Il disastro che aveva lasciato, pur se leggermente messo in ordine da Ethan, era completamente scomparso: non v’era un segno degli avvenimenti dei giorni prima.
Una sola era fuori posto; o meglio, apparsa dal nulla: uno strano foglio, piegato accuratamente in tre, giaceva sul tavolino in entrata.
Ciao Key, sono Lou.
Non so quando leggerai questo messaggio, forse mai.
Volevo chiamarti, ma poi ho pensato che fosse meglio lasciar passare un po’ di tempo prima di risentirci.
Oggi 10 febbraio (in reatà adesso sono le 2.00 del 11, ma mentalmente sono ancora nel 10) sono venuto a casa tua e non ti ho trovato. Ho dovuto forzare la porta, scusami (era rotta comunque).
Mi sono addormentato sul tuo divano e mi ha svegliato la signora Pratt (lo sapevi che si chiamava Megan?), che mi ha anche aiutato a sistemarti un po’ casa (pensavo ti avesse potuto far piacere — ho controllato che non fregasse niente).
Il tuo telefono è ancora qua e non so tu dove sia, però spero tu stia bene (anche se quando leggerai questa lettera sarai già a casa. Magari 

« la staremo leggendo assieme, chissà). Nel frattempo, spero tu stia bene. Ti amo, Louis ».
Le sue mani tremavano come impugnava il foglio in mano.
Una lacrima scese lungo la guancia, giungendo a toccare la superficie di cellulosa. La goccia si poi disperdse lungo le fibre, formando una forma rudimentale di infiorescenza lungo la carta.

Accese le luci.

Il suo appartamento, come aveva potuto notare prima, era più ordinato di quanto non lo fosse mai stato per tutto l’anno che aveva vissuto ad Anville Town.
Si gettò sul divano, appoggiando la lettera in parte a lei. 
Per un attimo, pur fosse breve, fece finta di esser tornata da una lunga giornata di lavoro.
Allargò le braccia lungo tutta l’estensione del sofà, si levò le scarpe a scalciate e accavallò le gambe sul tavolino. Portò la testa in alto, a guardare il soffitto. 
Era la pace dei sensi.

 
𐌳
 
 
« Cara Natalie, ho appena trovato un sostituto ! Natalie, questa è Hilda Baskerville, Hilda, questa è Natalie ———, sono sicuro farete ottima amicizia ».
Un brivido corse lungo la sua schiena.
Si guardò attorno con orrore, per scoprire che era ricaduta nello stesso sogno.
Lo stesso ufficio.
Le stesse persone.
La stessa… Hilda?
« Non capis—» » commentò la donna « oh ».
« Un po’ di entusiasmo! ».
Erika non si capacitava di cosa stessero parlando. 
Da quello che poteva osservare, tuttavia, la donna non doveva essere molto simpatica.
« Se è così è bene che tu ti faccia trovare nella mia postazione nel giro di un quarto d’ora, devo spiegarti mesi di arretrati ».
« Posizione? » bofonchiò Erika « quale posizione? Qual—».
Di punto in bianco, la scena era cambiata.
« … e quindi, da quando Grimsley ha preso il posto dell’altro Elite 4 tipo Buio… mi stai ascoltando, Hilda? ».
Ora si trovava in un ufficio, grande pressapoco come quello precedente, di fronte ad una parete finestrata che dava sui palazzi di una città. Come aveva ragionato il giorno prima, tuttavia, non era di Nimbasa che si trattava: e allora di che cosa? 
Di fronte a lei, la medesima donna di prima, e tutto ciò che sapeva di lei, un nome: Natalie.
« Hilda, mi ascolti? ».
Erika scosse la testa, ma ritrasse successivamente lo sguardo. Aveva smesso di interagire con un miraggio, frutto della sua immaginazione, il quale unico scopo era farla sentire inutile.
« Cazzo, Hilda, è importante! Non puoi non sapermele ste cose! ».
Qualcosa era cambiato.
« Come scusa? » prorubbe Erika « mi puoi sentire? ».
« C’è qualche problema? Certo che ti sento, cosa sta—».
Gli occhi di Erika si illuminarono. « Mi puoi sentire! ».
Natalie, d’altro canto, la fissava come un medico fissa un paziente affetto da pazzia.
« Dove siamo? ».
« Come dove siamo? Dovresti saperlo, Hilda ».
Erika si guardò attorno, euforica di potersi muovere all’interno di quel sogno. Osservò le pareti, cercò aiuto nei calendari e nelle foto, ma ogni straccio di fonte a cui poteva aggrapparsi finiva per risultare bianco o sbadito: come se la sua mente, volutamente, occultasse le informazioni utili e nascondesse ciò che le serviva sapere. O forse, al contrario, era occultato proprio perché non esisteva.
« Hilda, cosa stai facendo? ».
Natalie si alzò dalla sedia, muovendosi verso di lei.
Le sue mani erano alzate, come a voler difendersi o mostrare arrendevolezza.
« Dove siamo, Natalie? Che posto è questo? Dove mi trovo? ».
« Dovresti saperlo, Hilda » sorrise Natalie, come si muoveva verso di lei ed Erika retrocedeva. « Ora, se mi lasci aiutarti… ».
Natalie le prese le mani e, fissandola negli occhi, la spinse all’esterno, contro la parete. Il vetro non resse il peso dell’impatto e si frantumò in migliaia di scheggie, mentre lei precipitava in caduta libera per le strade di una città a lei sconosciuta.
La caduta, al contrario di quello che poteva immaginare, era molto più simile ad un volo che ad una vera e propria caduta, poiché sembra eterna e lasciava la possibilità ad Erika di osservarsi attorno con calma e addirittura cercare, con lo sguardo informazioni sul luogo. 
La caduta continuava, mentre l’aria fredda accarezzava la sua pelle, sino a che non avvenne l’impatto con il suolo, col cemento, a terminare l’agonia. 
Lo scontro fu indolore.
Si guardò attorno, come un bambino che cade sopra dei lego, e vide una piccola scritta scintillare sopra la sua testa, sopra l’edificio dal quale era caduta.

 
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« Castelia… City? ».

Il sogno svanì, nel fumo, ed ella fu prepotentemente riportata alla realtà.
Sbattè le palpebre, facendosi comoda nel divano, ed aprì gli occhi.
« Erika? ». Lousi si stagliava di fronte a lei, sul ciglio della porta, il telefono in mano. « La porta… era aperta ».



Angolo autore
Non ho molto da dire. Quasi niente, ok.
C'ho messo di più a venir fuori con questo capitolo, non c'è un motivo specifico, il poeta maledetto che si nutre di sofferenza in me era a secco. No, scherzo, non è mai a secco.
E niente, spero che festeggiate un buon Trattato di Saragozza! Tanti sinceri auguri dal vostro sincero herr.
Sinceramente, herr.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Unbated and Evenomed ***


BUONA BATTAGLIA DI TEWKESBURY! 

CAPITOLO 4
Unbated and Envenomed

 
And it's my whole heart
weighed and measured inside
And it's an old scar
trying to bleach it out
And it's my whole heart
deemed and delivered a crime
I'm on trial, waiting 'til the beat comes out
I'm on trial, waiting 'til the beat comes out

(Florence + The Machine; Which Witcht)
 
presente – Anville Town – 14/02/13 [2:21 AM]
« Lou? ».
 
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flashback – Anville Town –  15/12/12
« Sa perché è stata chiamata qua, signorina Joy? ».
Erika sorrise all’uomo di fronte a lei. 
Le sue mani correvano veloci lungo i lembi della sua gonna, verde smeraldo, stropicciandola e arrotolandola su sé stessa. Indossava una camicietta bianca, sbottonata verso la fine, ed un fermaglio verde teneva i suoi capelli a posto. Il suo viso, contratto in un’espressione di imbarazzo, tradiva la sua posizione composta e rilassata. Era incredibilmente sotto pressione.
Davanti a lei, sopra la scrivania che la separava dall’uomo, una risma di fogli era rilegata spartanamente con due fili di spago ed una stampa a caratteri cubitali su foglio bianco, “CARDS”. Più sotto, recitava “ERIKA JOY”.
« Sì » mormorò, il suo sguardo chino verso il pavimento.
« Ho visto del potenziale nel suo romanzo, Erika. Posso chiamarla Erika, vero? ».
L’uomo indossava un giacca grigia argento, che lo fasciava stretto e si mescolava ad i pantaloni, del medesimo colore, come un bozzolo su un bruco. Sul petto risaltava una cravatta nera, in parte alla quale scintillava la scritta “Henry Philips”. L’aspetto formale e, per certi versi, noioso era riflesso nel suo viso, coperto da una rada barba e rotondo, sopra il quale anche due occhi verde smeraldo come i suoi scomparivano, come sfocati. L’unica cosa che tratteneva Erika dal dormire, oltre all’euforia, era la sua voce calda e potente.
Tacque, in attesa di una risposta che tardò ad arrivare.
« Il motivo per cui l’ho chiamata ora è per discutere di alcuni dettagli tecnici riguardanti il romanzo, prima di procedere a qualcosa di più formale ».
« Un contratto? ».
Henry inarcò le labbra in quello che fallì a sembrare un sorriso. « È esatto ».
« Di cosa voleva parlarmi? ».
« Be’, vede… » prese a sfogliare il manoscritto « manca il finale a questa storia ».
« Il finale? ».
« La protagonista! Non si sa che fine faccia, dopo che decide di allearsi con il ragazzo. Porta avanti il piano o scappa? ».
« Non avevo— non avevo pensato ad un finale, in realtà ».
« E come farlo finire? ».
Erika rimase in silenzio.
« Chiederò a Mike di pensarci ».
« Mike? Chi è Mike? ».
« L’editor che si occupa del suo libro, Erika ».
« Ho un editor? ».
Questa volta, Henry allungò talmente le sue labbra in un innaturale espressione di condiscendenza che il suo sorriso arrivò a sembrare raccapricciante, addirittura.
« Certo, Erika. Ogni autore ce l’ha ».
Non seppe se sentirsi lusingata per come era stata apostrofata o per aver appena scoperto che qualcun altro avrebbe messo mano al suo lavoro.
« È necessario? ».
« È molto meno… tutto, ecco, di quanto pensa. Si limiterà solo a correggere eventuali errori. E, ovviamente, scrivere il finale ».
Erika sgranò gli occhi. « Come, scusi? Il finale? ».
« Certamente. Come facciamo a pubblicare un libro senza finale? ».
Non rispose.
« Posso organizzare un incontro tra lei e Mike, per discutere di questi dettagli, se la fa sentire meglio ».

𐌳 

« Vogliono riscrivere il mio libro, ti rendi conto? ».
« Sono sicuro che hai capito male, Key ».
« Non ho capito male! ». Erika sbattè la lattina di coca sul tavolo. « Ha detto chiaramente che hanno chiamato un editor a riscrivere il mio libro ».
« Beh, puoi biasimarli? ». Si spinse indietro con la sedia, dondolando sulle gambe posteriori. « Manc… il fi—mpf—finale! ». Mandò già un boccone di pizza.
Il manoscritto giaceva sul tavolo, sulla prima di copertina una macchia rossa che partiva dal titolo, stampato a 3/4 sulla pagina, e scendeva fino al lato opposto, gocciolando sulla tavola. Due cartoni di pizza, vuoti, giacevano anch’essi in parte, di fronte ai corrispettivi proprietari, Erika e Louis. 
Si trovavano a casa della prima, in salotto, le persiane semichiuse che permeavano l’atmosfera con una confortante penombra.
« È così è basta, Lou » si alzò, raccogliendo i cartoni « è una cosa privata, il mio romanzo ».
« Ancora con questa storia, Key? Della vita passata? ».
« Non è una storia! Ok? ». Gettò i cartoni nel cestino con disprezzo, come se stesse gettando il corpo del suo peggior nemico giù per un fosso. « È una sensazione che non mi scrollo di dosso ».
« Ok, ok » alzò le mani a segno di resa « va bene, ti credo. Erika Joy, avevi una vita passata da spia del governo, sei morta ed è per questo che ora sei così sfigata ». 
Erika non trattenne una risata. « Dai! Smettila! ».
« È così! » sorrise Louis « tutto torna, non vedi? Il karma colpisce ancora ».
Gneek. Gneek.
Era il rumore della sedia che, sotto il peso di Louis, lentamente cominciava a piegarsi.
« Perché mi fissi così? ».
« Mf » sogghignò Erika « sono indecisa se baciarti o farti cadere dalla sedia ».
« Sedia—» fece per dire lui, ma la ragazza gli si avventò sopra e gli strappò un bacio. Come fece ciò, afferrò il manoscritto del tavolo e ritornò al cestino.
« Cosa fai? ».
Lo gettò dentro.
« Ehi! Key, possiamo pensarci—».
« Tanto si era sporcato comunque ».
Allungò la mano alla scatola di fiammiferi, ne estrasse uno dalla custodia e lo strofinò sulla striscia nera, liberando una fiamma dalla punta. Al nascere della scintilla, una piacevole vampata di calore raggiunse il viso di Erika, alla quale sorrise.
Lasciò cadere il fiammifero acceso dentro il cestino, che prese ulterioremente fuoco in un’ulteriore vampata.
« Cosa cazzo—».
« Rilassati, Lou, sarà la decima copia che ho fatto ».
Un inquietante sorriso le illuminò il volto.

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presente – Anville Town – 14/02/13 [2:21 AM]

« Cosa ci fai qua? ».
« La—» balbettò. « Megan… mi ha chiamato ».
« Mi hai fatto spiare dalla signora Pratt? ».
« No » erano le parole che voleva dire, ma dalle sue labbra uscì un più sincero « Sì », quasi involontario, come un riflesso. « Era… era da giorni che non ti facevi sentire, Key. Non eri a casa, tutta la tua roba era qua… ho pensato—».
« Cos’avevi pensato? ».
« Sono solo contento di vederti, ecco. Tutto qui ».
Erika lo guardò, esitante di rispondere. Indossava i pantaloni del pigiama, a righe bianche e blu, ed una giacca di pelle sopra una maglietta sulla quale recitava la scritta “Dreams, sweet dreams”. Le sue scarpe non erano allacciate.
« Ti sei fiondato qua, vedo… ».
Un sorriso inarcò lievemente le labbra di Louis.
« Sì ».
« Io…—».
« Riguardo a quello che è successo, Key—».
« Non importa. Non mi interessa più, del libro ». Erika rimase in silenzio, in attesa che qualcosa succedesse e la rapisse da quell’imbarazzante momento. Louis si stagliava, immobile e muto, sulla soglia della porta, e sul pavimento gettava un’ombra della forma del suo corpo che raggiungeva i piedi della ragazza. « Sono successe delle cose, Lou. Non sono più quella di prima ».
« Quali— quali cose? ». La sua voce era più grave, seria.
« Non importa. Riguarda la mia vita ».
« E io non riguardo la tua vita? ».
Erika sogghignò. Era più un riflesso, uno sfogo nervoso, che un movimento dovuto ad una reale felicità o contentezza. Voleva potersi dire sì, lo sei o no, non lo sei, ma la verità è che non sapeva la risposta. Ogni punto della sua vita, ogni sua certezza era stata spazzata via, li era stata stampata un’etichetta, “Forse”, corrotta dal dubbio. Era nel buio, metaforicamente e materialmente.
« È diverso ».
« È sempre diverso con te, vero? Niente ha mai senso nella tua cazzo di vita, Erika ». 
« Basta, Lou… » sussurrò, quasi una supplica. « Non voglio litigare ».
« Io sì, invece! Scompari per giorni, lasci tutta la tua roba qua, e dopo riappari dal vuoto. Pensi sia normale? ».
« Lou… ».
« Niente “Lou”! Sono stuf—».
« BASTA! ». La sua voce tremò attraverso le pareti, un rumore sordo che colpì Louis come il boato di uno sparo diretto a lui stesso.
Delle lacrime scesero lungo la gota di Erika.
« Key… ».
Per la prima volta si mosse dalla posizione che aveva assunto, avvicinandosi al divano in parte ad Erika. La ragazza era sul procinto di un pianto, le mani raccolte sul viso ed il corpo piegato in avanti, sulle ginocchia. Le si sedette accanto, e portò le braccia attorno a lei.
« Shhh… shhh… andrà tutto bene, Key. Qualsiasi cosa sia, ce ne occuperemo ».
Rimaserò così, in silenzio, finché la luce del corridoio non si spense autonomamente facendo cadere il buio sopra di loro.

« Erika? Erika, che fine hai fatto? ».
La voce di Ethan rimbombò per il corridoio.
« Uh? ».
Entrambi alzarono la testa, il loro sguardo schizzato verso il corridoio. Qualcuno era appena uscito dall’ascensore, e la luce della cabina illuminava i suoi tratti appena. Era un uomo, a giudicare dall’altezza e dalla corporatura, e portava i capelli corti e castani. Ethan.
« Erika? È da un’ora che ti sto aspettando ».
« Chi è? » mormorò Louis.
Erika abbassò lo sguardo.
« Erik—».
Come fece scivolare il suo dito sull’interruttore della luce, illuminando il corridoio e rischiarando il salotto, la faccia di entrambi i ragazzi era scioccato.
« Chi cazzo sei tu? ». Ethan varcò lo soglia della casa. « Cosa sta succedendo? ».
« Chi sei tu, piuttosto. Cosa ci fai qua? ».
« Non hai ancora risposto alla mia domanda ».
« Il fidanzato di Erika ».
Ethan rise. « Oh, davvero? È per questo che non ti ha mai menzionato. O mi sbaglio, Erika? ».
Louis tentò di rispondere, ma fu colto di sorpresa dalla risposta di Erika.
« Ethan… ».
« “Ethan…”? Cosa significa “Ethan…”? ».
« Significa, caro Louis, che Eri—».
« BASTA! ENTRAMBI! ». Erika si era alzata, seznza che entrambi la vedessero, intenti com’erano a discutere e si trovava alle loro spalle. In quel momento, il suo cuore batteva a mille ed era quasi incapace di respirare, tanto quella situazione l’aveva messa in difficoltà. La sua vista era annebbiata, i suoi pensieri confusi. « State zitti, ora faremo come dico io. Vi voglio tutti e due in quella stanza » dicendo ciò indicò una porta dietro di sé, che conduceva alla camera da letto « ad aspettarmi, ok? ».
« Cosa stai facendo? ».
« Fai come ti dico, Lou. Anche tu, Ethan ».
Ethan alzò gli occhi al soffitto. « È uno scherzo? Non farò niente di tutto ci—».
« Non hai scelta, o sbaglio? ».
« Potrei andarmene ».
« Allora fallo » sorrise Erika.
L’espressione che aveva in volto cambiò radicalmente. « Ok, va bene. Quello che vuoi, mon amour ».
Sotto lo sguardo obnubilato di Erika, i due la superarono e andarono in camera da letto.
Funzionava
Si avventò sullo svuotatasche di feltro sul comò, dal quale prese un mazzo di chiavi, per poi raggiungere i due. La sua mano, con le chiavi strette nel palmo, tremava ancora. Alzò il braccio in direzione della porta e con un colpo secco la chiuse, a tal punto da far tremare gli infissi. Infilò le chiavi all’interno e le ruotò tre volte, sotto gli schiamazzi di Louis e Ethan.
« Erika, cosa cazzo stai facendo? ».
« Erika? ».
« Erika dove cazzo vai? ».
« Erika? Erika! Erika! ».
Con tutta la forza che aveva in corpo strinse tra le braccia il comò il tavolo e lo trascinò davanti alla porta, ostruendone così il passaggio. Louis e Ethan continuavano a chiamarla, ma le loro urla non raggiungevano le sue orecchie. La sua mente, in quel momento, era in preda ad una tempesta emotiva come pochi giorni prima. Tutto ciò che vedeva erano flash, confusi e brevi lampi che le sforavano il cervello.
Raccolse la giacca dal divano, mise le chiavi in tasca e raggiunse la soglia della porta. 
Non si guardò indietro, nel momento in cui corse in direzione dell’ascensore.

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flashback – Anville Town –  15/12/12

Mike Tinsdale, l’editor assegnato ad Erika dalla casa editrice, arrivò al luogo dell’appuntamento indossando degli occhiali da sole ed una giacca di pelle nera da guidatore di moto. Era alto, robusto, ed indossava una camicia hawaiiana azzurra abbinata a dei pantaloni beige.
I suoi occhi castani, come i suoi capelli, erano intenti ad osservare la bottiglia di vino che aveva appena ordinato e stringeva tra le mani.
« Vedi, Erika, il business dell’editoria è molto più complesso di quello che credi ». Lasciò la bottiglia ed estrasse un manoscritto dalla ventiquattrore « È per questo hanno chiamato uno come me, modestamente, il migliore a quello che faccio ».
Erika sorrise. Il migliore, pensò, e come mai ti hanno assegnato a me?
« Il signor Philips mi ha dato delle linee generali, sulle quali mi sono permesso di fare delle modifiche ». Come pronunciò quelle parole, uno strano sorriso corse sul suo viso: lo avrebbe apostrofato come inquietante.
Estrasse un foglio di carta dalla giacca e lo dispiegò davanti a lei, rivelando delle righe incise a penna sulla superficie.
« Punto uno » lesse « il titolo. Oh ». Sogghignò.
« Cosa c’è che non va col titolo? ».
« Non è abbastanza… impressionante. Non lascia un segno indelebile nella mente, ed è per questo che sono uscito con un nuovo, sfavillante, titolo: Casteliagate: the Affair behind the Scenes! ».
Erika corrugò la fronte in un’espressione di disgusto. « Cosa? ».
« Bello, vero? Non ringraziarmi, è il mio lavoro. Punto due—».
« Dobbiamo per forza cambiare titolo? Cards non va bene? ».
« Certo che no, tesoro. Il campo dell’editoria è più agguerrito che mai, e ti servirà un titolo vincente per diventare famosa. Ora, come dicevo, punto due: le vicende. Dobbiamo sistemare alcune cose ».
« Tipo? ».
« La scena dove il ragazzo e la protagonista si lasciano. È troppo irrealistica, non ha senso. Dovremmo aggiungerci un tocco di dramma, una sfumatura che dia vita alla storia! A questo proposito, avevo pensato di far venire una malattia mortale all’innamorato, cosicché la ragazza sia costretta a lasciarlo perché sa che lui non può vederla soffrire a causa sua, capisci? ».
Erika si trattenne dall’urlare. « Ma non ha senso! Non— il messaggio che voglio mandare è diverso! ».
« In che modo è diverso? Tesoro, se vuoi il mio aiuto su come scrivere un romanzo di success—».
« Non si tratta di questo! È molto più personale ». Abbassò lo sguardo, evitando gli occhi di Mike. « Il libro… è una cosa personale, mia. Non potrei mai… svenderlo così ».
Mike sorrise.
« Non posso aiutarti se non vuoi farti aiutare, Erika ».
Erika si alzò, raccogliendo le sue cose. « Non voglio farmi aiutare, infatti. Grazie del tuo tempo ». 
Se ne andò.

 
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presente – Anville Town – 14/02/13

Louis si lanciò contro la porta, ottenendo come risposta un rumore sordo che riecheggiò nella stanza. Ethan era nell’angolo della stanza, seduto sul letto, che osservava la scena con riguardo.
« Così la romperai ».
« È il mio obbiettivo, idiota ».
« Ok » commentò atono. « E pensi che il tuo piano funzioni? Cioè, non ha funzionato fino ad ora ».
« Perché startene là seduto risolverà qualcosa? ».
« Non mi fa sembrare un matto » lo apostrofò, con un ghigno.
« La mia ragazza mi ha appena rinchiuso in una stanza con uno sconosciuto dopo essere scappata per—».
« Ex ».
« Eh? ».
« Ex ragazza. Non state più assieme ».
Louis lo fissò, dall’altra parte della stanza, in piedi di fronte alla porta.
Avanzò dei passi ed accorciò la distanza fra i due a mezzo metro, osservandolo dritto negli occhi. 
« Mi chiedo cosa mi trattenga dal tirarti un pugno ».
Ethan sghignazzò. « Niente? ».
« Hai ragione » sorrise « niente ».
Alzò il braccio sinistro e tirò un gancio in direzione della sua testa, che venne scaravantata a terra. Un rivolo di sangue scorse sulla sua tempia destra.
« Cosa cazzo stai facendo? ».
« Niente? » lo scimmiottò Louis. 
« Coglione ». Ethan si passò la mano fra i capelli: sul suo palmo era disegnata orizzontalmnete una linea di sangue, dalla quale la gravità tracciava delle striscie verso il basso. Si ripulì sulla maglietta e rialzatosi superò Louis, immobile.
« Cosa fai? Te ne vai? ».
« Mi allontano da te ».
« In una stanza di 9 metri quadri. Geniale ».
Ethan scostò una pila di vestiti da una sedia e vi si sedette, dando le spalle a Louis. I suoi occhi erano fissi sulla porta, che non dava segni di movimento; a quest’ora, Erika doveva esser già bella che andata. Scomparsa, svanita in una nuvola di fumo.
In quel silenzio era a disagio.

Improvvisamente il buio.
Come fece per guardarsi attorno si ritrovò a terra, la testa spiaccicata al muro, la vista annebbiata. Appoggiò i palmi della mano contro il freddo legno e spinse all’esterno per rialzarsi, solo per trovarsi con una mano stretta sul suo collo che lo tirava in alto.
« Cazz—».
Louis lo scaraventò in piedi, di fronte a lui. Ethan dovette appoggiarsi al muro per trovare l’equilibrio e riprendere fiato. Si passò la mano sul viso e tastò il sangue scendere copioso.
« Razza di matto! Cosa pensavi di fare? ».
« Cosa pensavi di fare tu, con Erika? Cosa cazzo le hai fatto, eh? ».
Un sorriso corse sul viso di Ethan. « Oh, se sapessi ».
Non completò la frase, colpito dal braccio di Louis. Tanta era la forza esercitata da mantenere il castano a schiena contro il muro a qualche centimetro da terra, i piedi che si agitavano senza toccare il pavimento con successo. L’avambraccio di Louis era orizzontale sulla gola dell’altro e faceva forza con tutto il peso del torace. 
Ciò che usciva dalle labbra di Ethan, respiri mozzati.
« C— t—». 
I suoi occhi cominciarono a perdere precisione, le immagini si facevano sfocate. 
« Cosa sta succedendo, Ethan? ».
Erika apparse di fronte a lui, Louis era scomparso: il suo sorriso era così luminoso da riscaldare la sua pelle e trasmettergli una sensazione di calore. Era circondata da un alone di luce, un’immagine divina.
« Sono… sono morto? ». 
Erika non rispose, sorrise. 
« Erika… ».

Un rumore sordo scosse le pareti.
La porta cedette di fronte a loro, svelando dietro di sé due uomini in blu. Sulle loro magliette “ATPD”, nelle loro mani una pistola.

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presente – autostrada – 14/02/13

Come la macchina sfrecciava sull’asfalto della superstrada la sua mente viaggiava fra i ricordi, persa. Fissava il vuoto di fronte a sé, corrispondente a delle linee di cemento e inchiostro bianco che si susseguivano senza fine sulla strada; poteva tuttavia vedere, vivide e di fronte ai suoi occhi, le immagini di Louis e di Ethan. L’idea dei due, rinchiusi nella stanza, le martellava la testa: aveva fatto bene? Decise di sì, aveva fatto bene: non avrebbe avuto modo di scappare altrimenti.
Da sola, alla ricerca di se stessa.

Impiegò l’intera giornata per arrivare a Castelia City e, per l’ora in cui giunse, si era già fatta sera; le luci del crepuscolo illuminavano in lontananza il mare, sostituito dalle ben poco accoglienti coltri di nuvole che si erano accumulate sopra la città. Il colore del cielo rifletteva la monocromia del paesaggio cittaidno, occupato dal cemento, senza che qualche squarcio nel cielo bastasse a ravvivare una città che aveva già perso in partenza. Pareva come se a Castelia stessa non desse fastidio aver perso ogni colore: le macchine erano grigie, le strade erano grigie, i palazzi erano i grigi. Anche le persone lo sarebbero state, se il loro stato d’animo si fosse manifestato in un colore.
La macchina oltrepassò il lungo tunnel di accesso e sbucò sulla Back Street, il lungo ed affollato viale che, dopo kilometri, sbucava sulla Central Plaza. Si guardò attorno alla ricerca di qualche segno ma non ottene che sguardi frenetici ed occhiataccie dai passanti. Andò avanti ancora, imboccò una strada laterale e parcheggiò la macchina.
Nella ricerca di un posto dove stare s’imbatté in qualche ostello dall’aria non troppo invitante sino a che, mezz’ora che camminava, non vide un hotel dall’altra parte della strada che catturò la sua attenzione. Le due stelle che faceva capolino sopra la scritta “Smith Brothers” e la facciata pulita la convinsero che era il posto per lei: un, sperava, basso costo a fronte di un servizio decente. 

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flashback – Anville Town –  21/12/12
Louis era appena rientrato in casa di Erika, dove viveva, e stava sistemando la posta che aveva raccolto dalla cassetta la mattina stessa. Lei non si ricordava mai di controllarla e toccava sempre a lui, anche settimane dopo, aprirla, per scoprire come, busta dopo busta, puntualmente si raggiungeva la capacità massima.
Era solito rispondere alla posta di entrambi di mano sua, firmando e archiviando in uno spazio che si era ricavato lui stesso a casa della sua ragazza. Lo divertiva, quel lavoro maniacale.
Bollette, cartoline e buste indirizzate ad entrambi affollavano la tavola. In quel momento, si era ritrovato ad aprire una lettera di rifiuto per un lavoro a cui Erika si era proposta ancora un mese prima, quando la porta trillò.
Alzò il viso dalle scartoffie e andò verso la porta, premendo una chiave sopra il pannello di controllo. Non fu molto che la porta suonò di nuovo.
« Buongiorno, stavo cercando Erika Joy ».
L’uomo di fronte a lei era di altezza, avvoltò in un trench beige stretto sulla vita dalla cintura dell’abito. I pantaloni erano fradici, così come il cappotto, e stringeva un ombrello nella mano destra, che grondava acqua sullo zerbino.
« Harry Philips, piacere » scambiò goffamente l’ombrello sulla mano sinistra e allungò l’altra verso Louis « tempaccio, eh? ».
Louis lo guardò e sorrise, assecondandolo. « Già. Vuole entrare, o—».
« No no, sarà veloce. È da qualche tempo che abbiamo inviato le modifiche al libro per posta ma non abbiamo ricevuto risposta, sa quando potrei parlarle? ».
« Oh, è della casa editrice? ».
Harry asserì.
« Mmh, mi faccia controllare ».
Louis ritornò in salotto e cercò fra le carte una busta che, possibilmente, avesse l’effige della casa editrice stampatavi sopra. Trovata, la aprì in fretta e furia e corse subito alla fine: un lungo tratto sopra il quale era scritto firma. Afferrò una penna e vi tracciò la firma di Erika in men che non si dicesse.

« Eccomi! Sì, ho tutto qua ».
« Bene! Ne sono lieto ».
« Se posso chiedere, in cosa consistono i cambiamenti? ».
« Non ne avete discusso? ».
Louis scosse la testa.
« Il titolo, il finale, c’erano molte cose da cambiare ». Harry ripose i documenti in un plico che poi conservò in una busta di plastica impermeabile. « Fortunatamente Erika ha fatto la scelta migliore ».

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presente – Anville Town – 14/02/13

« Louis Clark Bloomfield » mormorò l’ufficiale di polizia come Louis entrava nella sala. « È un piacere conoscerti ».
Rispose con un grugno.
« Da quello che vedo » aprì un fascicolo sotto i suoi occhi « la tua fedina penale è pulita. Questo faciliterà le cose ».
« Cosa vuole da me? ». Il suo tono, inizialmente, acceso, calò mano a mano che la frase proseguiva resosi conto di chi stava di fronte a lui. Abbassò la testa per evitare il suo sguardo.
« Dobbiamo solo ricostruire alcune cose sulla rapina, e poi—».
« Uh? Rapina? ».
« Il signor Shepard ci ha informato sulle dinamiche della rapina, come dicevo, e speravo che lei potesse dirci qualcosa di più a riguardo? ».
« Non… non ricordo molto bene, a dire il vero ».
« Sappiamo che ha cercato di resistere, è vero? ».
« Uhm, sì, è così. Ma come le ho detto, non ricordo bene ».
Il detective lo guardò dall’alto al basso, alzando il sopracciglio. La situazione non lo convinceva ma aveva tutto in mente fuorché seguire una rissa fra due sconosciuti. Lo salutò e fece entrare un suo collega, ad escortare Louis fuori dalla stazione.

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presente – Castelia City – 14/02/13

Erika si rigirò nel letto.
Le coperte ed il cuscino si erano rivelate più morbide delle aspettative e trovava che la visuale sulla Castelia Street fosse niente male. Il traffico la cullava, come solo esso sapeva fare: col tempo, aveva imparato a recepire i rumori delle macchine che superavano casa sua e delle sirene come una ninna nanna, una musica di sottofondo ripetitiva a cui, infine, si sarebbe addormentata.
Guardò il soffito sopra di lei, fissava il vuoto, mentre la sua mente partiva per la tangente nelle più diverse situazioni possibili. Una redazione giornalistica, quante potevano essercene a Castelia?

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flashback – Anville Town –  22/12/12
« Louis! Louis! ».
Anche dall’altra parte della porta, la sua voce si udiva forte e chiara. Era contenta, a sentire.
Louis mormorò qualcosa mentre correva dall’altra parte della casa ad aprire la porta, per trovare una Erika raggiante dietro essa. In parte al suo viso scintillava una bottiglia di champagne ricoperta di brina, dalla quale evaporava una nebbiolina bianca.
« Pubblicheranno il mio libro! ».
« Oh—».
Erika lo assalì, costringendolo ad arretrare di qualche passo. Se la ritrovò, in poco tempo fra le braccia, la porta accompagna col piede.
« Non sei felicissimo? ».
« Uhm, sì » borbottò « che bello ».
« Inizialmente avevo paura che volessero modificarlo, ma evidentemente hanno capito il vero valore del mio libro! È fantastico, ti immagini? Andrò a fiere del libro, farò interviste, incontrerò i miei fan… ».
« Non pensi di andare un po’ troppo in là colla fantasia? ».
« Può darsi » ribatté « ma cosa importa? Festeggiamo! ».
Estrasse due calici lunghi e stretti dalla credenza e stappò la bottiglia, facendo gorgogliare dal collo una schiuma candia e voluminosa. Versò, quindi, lo spumante, che poi Louis prese per sé.
« A noi! ».
« A noi » commentò Louis, evitando lo sguardo di Erika.



Angolo esimio, egregio ed educato autore
Friendly reminder: Mike e Harry sono comparse. Come nei film. Non diverranno personaggi fissi. 
Onestamente speravo di far accadere più cose ma non volevo scrivere tanto più dell'altra volta. Sono abbastanza contento di come è uscito il capitolo.
Nel prossimo episodio ci saranno dei ritorni (tanto attesi – ahahahahahahahahahahahahahahahahah che comico che sono, ciao Ricky Gervais). 

it's murder on the dance floor, but you better not kill the groove
herr che ha un fascino retrò ma non tanto

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - A Dream of Death ***


BUON COMPLEANNO DONALD DUCK! Questo capitolo è diviso in 3 fasce temporali, anche se due si uniscono alla fine. Ad ogni modo, ogni fascia è aperta dalla dicitura (presente, un giorno prima, flashback). Edit: non c'è la dicitura, c'è l'indicatore temporale, che è anche più preciso. Esplicita la città, se parte del presente o del flashback e anche la data.

CAPITOLO 5
A Dream of Death
 
Stretching out my arms
I let it comfort me
Our bodies moving in the dark
It takes the pain from me
And then I am in love
With everyone I see
I keep on moving in the spaces where you used to be
(Florence + The Machine; Pure Feeling)
 

presente – Anville Town – 16/02/13
Un nuovo giorno era sorto ad Anville Town, ed il basso sole dell’alba faceva sembrare anche le più piccole e tozze case del paese come lunghi e sottili grattacieli, le cui ombre si allungavano sino a toccare i confini della città, verso l’area boschiva ed incontaminata. Il cielo era terso e l’aria sapeva d’umido, dopo una furiosa tempesta, che aveva lasciato traccia del suo passaggio anche sulla strada.
Al centro della cittadina, qualche isolato più in là dell’abitazione di Erika, anche l’ospedale era illuminato dai caldi raggi del sole che filtravano nella stanza di Ethan con tanta grazia quanto silenzio da rendere l’ambiente, un cubo asettico ammobiliata di bianco, uscito da un libro fatato. La luce, quei squarci che, attraversando le tende, trovavano passaggio nei punti più consumati, incontravano nell’etere i pulviscoli di polvere sospesi nell’aria e davano vita ad un suggestivo effetto Tyndall.
Il corpo di Ethan, ancora assopito, giaceva su di un lettino, coperto da un lenzuolo bianco, ed era collegato a diversi macchinari i cui rumori erano l’unico suono che rimombava fra le pareti.

Un rumore legnoso spezzò la calma eterea della stanza. Due colpi, secchi, che per l’intensità e la distanza davano l’impressione di una persona timida e impaurita dei suoi passi.
La porta si aprì, poco dopo, rivelando un viso femminile sconosciuto a Ethan.
« È permesso? » sussurrò, spostando il suo esile corpo sulla soglia.
Si guardò attorno, senza che ottenesse risposta, ed uscì. Col piede diede un leggero calcio alla porta e la accompagnò fino a spalancarla, gettando una raggiera di luce artificiale sul pavimento della stanza. Ritornò dentro con un carrello, sul quale culminavano scatole confezionate di cibo e buste plastificate.
« Buongiorno, signor Shepard ».
Ethan strizzò gli occhi, cercando un movimento che gli era impedito dalla quantità di tubi e fili che lo collegavano a macchine esterne. Schiuse le palpebre, disorientato, e ad aprì la bocca, ma come provò a parlare sentì una sensazione di bruciore lungo la sua gola.
« Va tutto bene, stia tranquillo. I suoi valori sono regolari ».
« Da— » tossì, facendo per coprirsi la bocca con la mano « da quanto sono qua? ». La sua voce era roca e stirata.
«  L’abbiamo tenuta in ospedale per qualche giorno per accertarci che stesse bene. Dovrebbe esser in grado di tornare a casa da questo pomeriggio ».
Ethan si guardò attorno.
« Avete— avete un telefono? ».
L’infermiera si mostrò sorpresa. « Come, scusi? ».
« Ho bisogno—  ho bisogno di un telefono ».
« Oh.. ». Lanciò un’occhiata dall’altra parte della stanza, in parte all’entrata del bagno, dove un telefono fisso baluginava sopra un comò color panna. « Là c’è un fisso per ogni evenienza ».

Uscita l’infermiera, Ethan si alzò dal lettino e trascinò sé stesso, con fatica, verso l’apparecchio. La sua veste azzurro turchese lo avvolgeva come un baco da seta e lasciava uno strascico sino al materasso.
Pigiò dei pulsanti sulla tastiera, nel tentativo di ricordarsi un numero, e attese sulla linea.
« Il numero da lei chiamato è inesistente ».
Abbassò la cornetta e la rialzò, invertendo l’ordine delle cifre. Attese, dunque.
« Il numero da lei chiamato è inesistente ».
Sbattè la cornetta sul comò mentre, dalle sue labbra, si trattenne dall’imprecare. Si passò una mano fra i capelli, come se da quel gesto dipendesse la sicurezza nazionale, e inserì nuovamente un numero. Attese.
« Pronto? ».
Gli occhi di Ethan si illuminarono.
« Looker! Sono io, Ethan ».

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flashback [un giorno prima] – Castelia City – 15/02/13
Erika si risvegliò nella camera d’albergo a Castelia come riportata in vita da un sogno. La sua testa pesava e le sue mani faticavano a sentire delle sensazioni come avanzava nell’oscurità. Le persiane, serrate, non lasciavano passare che pochi sottili spiragli di luce, non abbastanza da permetterle di vedere ciò che le stava di fronte.
Rinunciò a muoversi in avanscoperta e si gettò sul materasso, stanca per quanto appena sveglia, a fissare il vuoto sopra di sé. Aveva vaghi ricordi della giornata precedente, e di quei pochi che aveva non cercava memoria dentro di sé: tutto ciò a cui era interessata era scoprire chi fosse Hilda Baskerville, e se il sogno del giornalismo avesse qualche riscontro nella realtà.
Affondò il viso nel cuscino e chiuse nuovamente gli occhi, posticipando la sveglia a qualche ora.

Erano le 11:00 quando Erika mise piede fuori dall’albergo, nella mano stretto un foglio con una lista di tutte le testate giornalistiche più importanti di Castelia che si era fatta dare dai padroni. 
Guardò la strada davanti a sé, un sorriso radiante che illuminava il suo viso, e si gettò a capofitto nella frenetica vita cittadina.

« The Castelia Herald… » lesse, mentre davanti a sé si ergeva una palazzina di mattoni sulla quale era stata infissa una scintillante targhetta di metallo con il nome della testata. Non notò molto traffico per l’entrata e l’intero edificio, in generale, non le diede l’impressione di un luogo che lei avrebbe potuto frequentare. 
Si guardò attorno e, quando si accorse che l’esterno non coincideva con il suo sogno, tirò un sospiro di sollievo: depennò quel nome dalla lista ed era pronta a proseguire.



« L’Eco di Castelia… ».



« Il Corriere di Castelia… ».



« Castelia 24/7… ».



« Castle… ».

« Castle? ».
C, A, S, T, L, E: erano queste le lettere che scintillavano davanti a lei, poste a metà di un alto grattacielo vetrato che svettava verso l’alto, più di quanto riuscisse a vedere, a segnalare la presenza della redazione del Castle, quinto giornale della lista, penna nella mano sinistra pronta a depennare per l’ennesima volta l’ennesimo nome.
Quando gli occhi di Erika vi si poggiarono, tuttavia, qualcosa in lei cambiò. Rimase ferma, dall’altra parte della strada, fissando come a cercare qualcosa che non c’era in quel misterioso palazzo. All’entrata, tre grandi porte lasciavano che altrettante code di persone fluissero attraverso l’edificio, come tre paffuti lombrichi che forzavano la propria entrata nella cruna di un ago: la folla si stringeva verso l’entrata per poi allargarsi e scomporsi mano a mano che si allontanava da essa, come un imbuto.
Attraversò la strada e si gettò nella massa, aspettando che per inerzia anche lei venisse gettata dentro; quando entrò, si trovò se possibile ancora più disorientata. Erano dieci gli atri in cui si snodava la grande hall, ognuno dei quali aveva 4 ascensori che scomparivano dentro una parete color marmo. 
La monumentalità di quel luogo le tolse il fiato.

« È questa la redazione del Castle? ».
La ragazza dall’altra parte del bancne alzò gli occhi ad Erika, poggiando la limetta che stringeva in mano con forza per esprimere il suo disappunto.
« Che? ».
« La redazione del Castle ».
Suzie, questo il nome che scintillava sulla targhetta pinzata sulla sua camicietta color carta da zucchero, alzò l’indice sinistro verso il soffitto. « Sembra di sì ».
Erika sforzò un sorriso. « Ok, gr—».
« Non può entrare ».
« Cosa? ».
« Le sembra che ho scritto Biglietteria in fronte? Non è un parco giochi ».
« Oh… Dovrei solo—».
« Facciamo così » la ragazza allungò il braccio e staccò un quadrato di carta dal blocco di post it, sul quale scarabocchio delle cifre. « Questo è il nostro sito internet, troverà là tutto quello di cui ha bisogno ».
« Ma—».
« O vada sulla pagina Wikipedia. Grazie mille ».

Erika indietreggiò, sentendo una presenza dietro di lei. Un uomo vestito di grigio, stringente una ventiquattrore fra le mani, la sorpassò, attraversando i tornelli che delimitavano l’entrata agli ascensori. Rimase ferma, immobile, mentre osservava le persone passare, sperando che cadesse un aiuto dal cielo.

« Ha intenzione di rimanere là tutto il giorno? ».
« Io—».
« Se in un minuto non è fuori, chiamo la sicurezza ».
« Volevo sol—».
« Sessanta secondi, cinquantanove secondi » come scandiva accuratamente quei suoni, sul suo viso lampeggiava un cupo sorriso « cinquantotto secondi, cinquantasette, cinquant—».
« Cosa sta succedendo qui? ».
Una terza voce si era unita al countdown
« C’è qualche problema, Suzie? ».
« No, signor Wiseman, stavo giusto spieg—».
« Non serve, Suzie, me ne occupo io ». L’uomo non diede il tempo alla donna di ribattere che spostò lo sguardo su Erika, fino al quale momento era rimasta muta di fronte alla situazione « Francis Wiseman, lei è? ».
« Erika… Joy ».
Quando incrociarono lo sguardo, Francis sbiancò.

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flashback – Castelia City – 26/01/13
Ethan lanciò un’occhiata allo specchietto retrovisore, che apriva la visuale su di una deserta strada illuminata dal crepuscolo. La prospettiva si restringeva, dando origine ad un soggestivo quadro il cui soggetto, in fondo al tunnel virtuale, era il mare, incorniciato dagli alti palazzi di Castelia City.
Fece retromarcia esattamente all’interno di un settore quadrato grigio, sopra al quale scintillava l’insegna del carico e scarico, cercando il nome della via in qualche angolo della facciata che si ergeva in parte a lui. Quando la confrontò con il biglietto che aveva scarabocchiato sul cruscotto, fu sollevato: coincidevano.
L’edificio si sviluppava su diversi piano verso l’alto ed era rivolto, con la sua facciata color turchese, verso una banca dall’altra parte della strada. Alla sua destra, come si scendeva, si sarebbe trovato il mare; alla sinistra, l’uscita di Castelia. A Ethan non diede la migliore delle impressioni, ma si decise ad entrare.
Bzz.
Il suono del campanello sopraffece, per un momento, quello del traffico, che per la lontananza non sembrava che un miraggio.
« Chi è? » gracchiò una voce maschile.
« Shep— Ethan Shepard ».

Attese.

« È in ritardo ».
E la porta si aprì.

Gli interni del palazzo rispecchiavano lo spirito spartano dell’apparato esterno, apparendo come poco più che un corridoio spoglio e brullo che, attraverso una tromba di scale pressoché infinita, rendeva ogni appartamento accessibile dal piano terra. Dava più l’impressione di un bunker, a dire il vero; le pareti erano colorate di giallo sbiadito fino a metà, dopo la quale proseguiva verso il soffitto un bianco sporco, che ricopriva le pareti. Un mosaico di frammenti di ciò che una volta erano state delle mattonelle ricopriva, malamente, la terra dove Ethan poggiava i piedi. Dall’alto pendevano delle lampadine, senza che nessun involucro di vetro le proteggesse, tramite dei cavi ricoperti di nastro adesivo. Con sua grande sorpresa, non era stato colpito da bombardamenti quell’edificio.
Quando arrivò alla porta desginata, non si fece prendere da ulteriore esitazione e bussò. 
Ripeté il movimento una decina di volte, pur udendo i passi dell’uomo avvicinarsi.
Udì un « Arrivo » mugunato sottovoce dall’altra parte della porta, prima che il cigolio della stessa anticipò la sua apertura. Dietro, un uomo sulla quarantina in giacca da camera verde smeraldo.
« Ethan—».
« Looker ».
« Looker…? ».
« Looker e basta » concluse, come chiuse la porta dietro di sé. « Mi dica, signor Shepard, di cos’è che mi voleva parlare? ».
Ethan guardò attorno sé, alla mobilia del corridoio, che a giudicare dall’edificio si sarebbe aspettato essere decisamente peggio: un tappeto bordeaux ricopriva l’intera lunghezza del camminamento, ai lati erano appesi dei quadri con scene di città mai viste prima ed un comò in legno laccato sanciva la fine del corriodio stesso, dove l’ambiente diveniva una cucina, altrettanto ben decorata.
« Vuoi qualcosa da bere? ».
« N— no, grazie ».
Looker andò ai fornelli e tirò fuori il bollitore da un’antina, che posò poi sul fuoco.
« Dimmi, cos’è che ti porta qua? ».
« Sei un’investigatore privato, dimmelo tu ».
« Sono un investigatore privato, non dio » sorrise Looker, senza che Ethan lo vedesse. « Posto che esistea» mugugnò infine, mentre prendeva la bustina del caffè.
« È una richiesta abbastanza… strana ».
« È il mio lavoro ».
« Questo è diverso, glielo assicuro ». 
La sua inquietidune sprizzava da tutti i pori, e prima da tutto dal foglio di carta che si trovava a stropicciare ed in ultimo e strappare in frammenti sul tavolo. Evitava l’incrocio di sguardi con l’uomo, nella speranza che egli facesse lo stesso.
« Ecco— c’è questa persona che vorrei trovare, solo che è come se non esistesse… ».
« È morta? ».
Looker sollevò la caraffa bollente dal fornelletto e riversò l’acqua in un mug, recitante la scritta “I LOVE Castelia City”.
« No no— o almeno spero. Ha cambiato identità ».
Versò la polvere di caffè dentro, mescolandola con un cucchiaino.
« Uh. Interessante ».
« Può aiutarmi? ».
« Sono qua per questo ».
Un sorriso che squarciava il suo viso illuminò Ethan. « Davvero? ».
Looker si voltò finalmente a guardarlo, stringendo la calda tazza di caffè fumante in mano.  « Certo, dimmi il suo nome ».
« Credo si chiami Erika Joy ».
« Crede o ne è sicuro? ».
Ethan fissò le mani di Looker. « Sono sicuro ».
« Ottimo, allora! Ti chiamerò appena saprò qualcosa di più ».
« Come? Non— tutto qua? ».
« Cosa ti aspettavi? James Bond? Non ho i superpoteri ».
« Chiaro, scus—».
« Non scusarti, non serve. Ritorna in albergo, o da dovunque tu venga, rimarremo in contatto ».
Con un gesto della mano sinistra spinse l’aria davanti a sé via, facendo capire a Ethan che il suo tempo lì fosse scaduto. Si sedette, dunque, mentre sentiva i passi del ragazzo farsi sempre più lontani e sottili, fino a culminare nel cigolio della porta.
Venne cullato dal rimbombo delle scale mentre sorseggiava il caffè.

Mezz’ora dopo, il caffè era ormai finito, e Looker stava sfogliando maniacalmente un taccuino nero alla ricerca di qualcosa. In parte a lui aveva messo il telefono fisso, la cornetta sul tavolo rivolta verso l’alto, mentre le sue dita andavano da pagina a pagina nella speranza di ritrovare un numero scomparso dalla sua memoria.
Si fermò sulla R.
« Tre… quattro… nove… ». Lentamente, digitava le cifre sul telefono, sino a che non rimase in attesa di una risposta.
All’udire una voce, dall’altra parte della linea, Looker ebbe un guizzo.
« Pronto, sono Looker… sì, lo so che— ascoltami, ho visto il ragazzo ».
Fissò il vuoto davanti a sé per qualche secondo.
« Mark, Ethan, come si chiama. Sì lui… mi ha chiesto di Hilda… Erika Joy ». Tossì. « Cosa dovrei fare? Dirl—».
Continuava a guardare senza scopo le venature del legno, senza vederle veramente. Guardava oltre, perso nella chiamata.
« Gli ho detto che l’avrei richiamato quando ne avrei saput— ok, ok… aspetta che me lo segno ».
Aprì il taccuino sulla pagina di A e afferò una penna che vagava solitaria in un angolo della cucina, la cornetta incastrata tra l’orecchio e la spalla, alzata.
« Aspetta, aspetta… A… n… vil… n… Anville Town? ».

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flashback – Castelia City – 15/02/13

« Mi dica, signora Joy, cosa l’ha spinta a venire qua a Castelia City? ».
Erika osservò la sua immagine riflessa nella tazzina da caffè fumante, appena uscita dalla macchina automatica a cialde. Aveva un aspetto invitante, sicuramente più buono di quanto lei sarebbe riuscita a fare, ragionò. 
« Io… per curiosità, più che altro ».
« Cosa la incuriosisce, signorina Joy, di questa città? ».
« Be’, sa, non è tanto per la città— o meglio, la città è secondaria. Starei cercando una persona ».
Afferò il bracciò della tazza, rimanendo leggermente scottata dal calore della ceramica. Come portava la bevanda al viso, tuttavia, provò una piacevole sensazione di tepore dovuta al vapore ed all’invinitante odore del caffè.
« Oh, non le ho chiesto se vuole zucch—».
« È ottimo così » lo interruppe lei, prendendo il primo sorso.
Francis sorrise. « Dunque… Posso aiutarla nella sua ricerca? ».
« Credo— credo di sì. Penso lavorasse qua ».
« Mi dica il suo nome, allora! Sarei felice di aiutarla ».
« Hilda… Basketville » continuò Erika. « Anzi, Baskerville. Hilda Baskerville, con la r ».
« Mmh…. ». 
L’uomo aprì un cassetto in parte a lui e ne estrasse uno spesso faldone, straripante di fogli da ogni lato, sul quale capeggiava la scritta “Staff” a caratteri cubitali. Soffiò via la polvere dal tomo e prese a sfogliarlo, fermandosi in prossimità della B.
« Baylea… Balton… Basly… Batshit… » lesse, sotto gli occhi rapiti di Erika « no, mi dispiace, ma non c’è nessuna Hilda Baskerville che ha mai lavorato per noi ».
L’espressione sulla faccia di Erika cambiò radicalmente: se prima un lieve sorriso, anche dato dall’aver potuto gustare un caffè così buono, era comparso sul suo viso, ora pareva aver assistito all’esplosione di una bomba ad un concerto. La sua delusione era grande, così come lo erano le aspettative che si era fatta a seguito della sua esperienza onirica.
« Oh… fa niente, allora ».
« È dispiaciuta? È una sua parente? ».
« No, si figuri, va tutto bene. La ringrazio del tempo, è stato gent—».
« Insisto » la interruppe, afferrano un pezzo di carta ed una penna, recitante il nome Francis J Wiseman « scriva pure il suo nome ed il suo recapito qui, se dovessi avere qualche notizia non esiterò a chiamarla ».
« Oh… grazie mille, è veramente gentile ».
« Di niente » sorrise Francis.
Erika dunque si alzò e se ne andò, accompagnando con attenzione la porta. 

Erano passati pochi minuti che Francis si era fiondato al telefono, aspettando con impazienza una risposta da parte dell’interlocutore. Fra le sue grinfie stringeva la penna e la mordicchiava ritmicamente, accompagna dal tamburellio delle sue unghie sul legno della scrivania.
« Sì, Looker sono io… Hilda è arrivata, come mi avevi detto— sì, ora ti do il suo numero ».

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flashback – Castelia City – 07/02/13
« Pronto, Ethan? Posso chiamarti Ethan, vero? ».
« Sì, sì— pensavo non ti facessi più vivo! ».
« Non sono neanche passate due settimane! ».
« Vabbè, hai novità? ».
« Ti basta il suo indirizzo? ».
« Cosa? Sul serio? ».
« Mai stato più serio in vita mia ».
« Possiamo vederci? ».
« Certo, vieni da me non appena puoi ».

Ethan spinse la porta in avanti, trovandola con sua sorpresa aperta. Entrò da solo, richiudndo la porta dietro di sé mentre in sottofondo sentiva il borbottio della tv ed il gorgogliare dell’acqua, suoni che provenivano da ciò che ricordava essere la cucina.
« Vieni pure, Ethan! Sono in cucina ».
« Arrivo ».
Trovò Looker intento a bollire un altra caraffa d’acqua.
« Bevi sempre caffè quando vengo io? ».
« È la seconda volta che arrivi! Ed è tè verde, per la cronaca ».
« Oh, scusa. Delle novità di cui parlavi? ».
« È tutto sul tavolo ».
Ethan lanciò un’occhiata al tavolo, dove vide solo che un post-it scarabocchiato.
« È quel foglio? ».
Looker annuì.
« Ok » lo apostrofò « sei tu il capo ».
Prese il foglietto in mano come si sedette e cominciò a leggere il foglio, anche se incontrò molta fatica nel tentare di decifrare la scrittura dell’uomo. Dopo molti tentativi ed intuizioni sbagliate, giunse ad una conclusione. 
« 15 Regent Street, Amuilla Town ».
« Anville ».
« Oh, Anville. 15 Regent Street, Anville Town, quindi ».
« Esatto »
Ethan lo guardò confuso. « Dov’è sto posto? È qua vicino? ».
« Quasi » sorrise Looker « prendi la cartina dietro di te ».
Allungò il braccio senza girarsi ed afferò un rotolo di carta avvolto nella plastica, che poggiò sul tavolo. Lo srotoloraono assieme, usando dei piatti per mantenerne le estremità.
« Ecco » Looker indicò al centro della mappa, dove un lembo di terra circolare si tuffava nel mare « qua siamo noi, a Castelia City. Anville Town, invece, è qua ». Fece scivolare il suo dito verso destra, per poi salire nell’angolo a nordovest, sotto lo sguardo sbigotitto di Ethan.
« È lontanissima! ».
« Una giornata di viaggio al massimo » la dileguò lui « posso portartici, se vuoi. Ci son già stato in precedenza ».
« Sarebbe ottimo, grazie ».
« Allora partiamo! ».
Sbattè la tazzina di tè sul banco cucina e scomparve dentro il corridoio, chiamano a gran voce il castano. « Ethan, vieni! ».
« Ma— partiamo di già? ».
« E quando, se no? » continò ad urlare. « Dai, in caso ci fermiamo in un motel per la strada, offro io ».
Ethan si decise ad alzarsi e seguì la sua voce, che lo condusse alla porta dove video uno strano spettacolo: Looker si era cambiato in tempo lampo, indossando una camicia azzura ed una giacca blu sopra, a coprire il quale tutto v’era un trench beige. Quello che lo colpì fu la pistola che stringeva nella mano destra.
« È una pistola quella? » chiese, senza che si aspettasse una risposta.

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flashback – Castelia City – 15/02/13
Erika stava fissando il vuoto soffitto che stava sopra di lei, immersa nell’oscurità, mentre alla radio passavano inascoltate le canzoni. Il volume era tanto alto da soddisfare il suo bisogno di drammaticità da aggiungere alla sua meditazione e abbastanza basso da esser coperto dai suoi pensieri, per i quali non erano altro che un banale sottofondo. Fatiava a tenere gli occhi aperti ed anzi, si trovava sull’orlo della dormiveglia, quando udì il suo telefono squillare.
Era un numero sconosciuto, e la colse di sorpresa il fatto, dato che erano poche le persone a conoscenza del suo numero telefonico dopo averlo cambiato. Nonostante ciò, si alzò per raccoglierlo ed accolse la chiamata.
« Pronto? ».
« Buonasera, è lei la signorina Erika Joy? ».
« Come— come fa a sapere il mio nome? ».
« Non ha importanza. Mi chiamo Looker e la sto chiamando perché ho delle informazioni che possono tornarle utili nella sua ricerca. Se ha vogia di scoprire qualcosa di più, venga pure nel mio ufficio uno di questi giorni. Domani, anche. ».
« Lei… sa di Hilds Baskerville? ».
« Le ho detto, ho delle informazioni utili. Vuole il mio indirizzo? ».
Erika non esitò. « Sì ».

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presente – Castelia City – 16/02/13
L’indomani era giunto.
Quando Erika giunse all’edificio dell’indirizzo, fece fatica a credere di aver trovato la porta giusta incastonata in una facciata turchese, che avrebbe visto meglio in un panorama orientale e marittimo che al centro del cuore della vita economica di Unova. Scrollò le spalle e si fece strada all’interno, fremente d’impazienza per le cose che, sperabilmente, avrebbe scoperto.

La porta era già aperta quando i suoi occhi, ancora a metà della tromba delle scale, intravidero l’entrata all’appartamento. Non si sarebbe mai aspettata, quello certamente, di incontrare un bonario uomo sulla quarantina in una giacca da camera mentre sorseggiava una tazza di caffè.
« Buongiorno! Erika Joy, suppongo? ».
« S— sì, sono io ».
« Accomodati pure ».
La fece passare e chiuse la porta dietro di lei, accompagnandola poi verso il salotto.
« Immagino che tu abbia molte domande per me, non è così? ».
Erika annuì.
« Bene » sorrise Looker, come si sistemò sulla poltrona – affondò, per meglio dire, nel suo morbido tessuto « Prima di tutto, il mio nome è Looker. Sono un ex agente della polizia internazionale e abito a Castelia City da circa due anni, ovvero da quando ho cominciato la mia indagine a Unova. È stato durante questo periodo che ho incontrato Hilda Baskerville ».
« Hai conosciuto Hilda Baskerville? ».
« U-hu » mugugnò « neanche tu le sei proprio sconosciuta, non credi? ». Detto ciò indicò un raccoglitore di foto che giaceva sul tavolino di legno che li separava « Aprilo ».
Erika allungò le braccia davanti a sé e raccolse l’album, che conseguentemente sfogliò bramosa. Se inizialmente le foto raffiguravano solo soggetti di natura morta o paesaggi, col tempo la scena cambiò e cominciò a vedervi delle persone. In una foto, in particolare, erano presenti due persone sullo sfondo del porto di Castelia. La persona a destra era irriconoscibile, ma quella alla sinistra… era lei.
« Cos’è questa foto? ».
Il suo cuore aveva preso a battere a mille, poteva sentirlo spingere e premere per uscire fuori dalla cassa toracica, laceare la pelle e scappare. Una sensazione di affaticamento aveva pervaso le sue ossa, come una scarica, che si era trasformata in un ben più materiale sudore sulle sue braccia e la sua fronte. Improvvisamente, provò una forte vampata di umido calore al petto.
« Hilda Baskerville ».
« Sono… sono io ». Con le mani tremanti, lasciò cadere l’album per terra. 
« Hilda Baskerville » la corresse Looker « quella è Hilda Baskerville. Tu sei Erika Joy, non credi? ».
« Cosa significa questo? Cosa cazzo vuol dire? ».
« Eri—».
« SONO IO! » scattò, in piedi. I suoi occhi erano iniettati di rabbia. « SONO IO! In tutte quelle foto, sono io! Non mentirmi, ti prego ».
« Siediti » fece cenno « e possiamo parlarne. Vedi, Erika, le cose sono più complicate di quanto credi. Vorrei tanto poterti dire tutta la verità su di te, ma la verità è che non spetta a me questo ».
« Ed a chi spetta, allora? ».
« Ad Hilda ».
Si alzò, senza che la castana potesse prevederlo, e attraverso la stanza andando a ripescare, dalla libreria, uno spesso tomo di storia di Unova. Fra i suoi colleghi dello scaffale era il più pulito e meglio tenuto, tanto che non dovettte spogliarlo della polvere quando lo posò sul tavolo. Lo aprì, dunque, rivelandone un interno cavo, nelle quali pagine era stato intagliato un rettangolo. Dentro, due cd.
« Questi CD furono registrati da Hilda stessa in differenti momenti della sua vita e raccontano le vicende che l’hanno portata a dove è ora, oggi ». Lanciò un’occhiata, molto più loquace di quel che avrebbe voluto intendere, ad Erika. « Se li ascolterai, capirai ».
« Là dentro… là dentro c’è tutto? ».
« Tutte le risposte alle tue domande ».
Erika guardò quello spettacolo rapita delle parole. Più che incapace di parlare, non ne sentiva il bisogno: in quel momento, le sembrava di aver raggiunto la soddisfazione di una vita, di aver toccato la vetta della montagna più alta della regione e di ammirare con una calma ancora corrotta dall’eccitazione il paesaggio. Era così, e non seppe rispondere altro che: « Come hai avuto il mio numero? ».
« Ecco… è da un po’ di tempo che aspetto che tu venga qua, così ho fatto avviso alle persone che ho ipotizzato tu potessi contattare di notificarmi non appena… sì. non appena tu venissi da loro ».
« È stato quel Wineman a darti il mio numero? ».
« Wiseman » la corressse Looker.
« Wiseman, ok. È stato lui? ».
Looker annuì.
« All—».
Le parole di Erika furono interrotte dallo squillare del telefono. 
« Cos’è? ».
« Il telefono » la apostrofò Looker, ancor prima che potesse finire la domanda. « Scusami, torno subito ».
Uscì dalla stanza e seguì il suono dell’apparecchio fino alla cucina, dove chiuse la porta per evitare che le sue parole raggiungessero Erika. Erano poche le persone a conoscenza del suo numero, nessuna delle quali portava discorsi tali che lei potesse ascoltarli.
« Pronto? » gracchiò una voce, dall’altra parte della cornetta.
« Chi è? ».
« Looker! Sono io, Ethan ».
« Hai il coraggio di chiamarmi? Dopo quello che è successo? ».
« Ascolta, Look—».
« No, ascolta tu. Non ho intenzione di fidarmi di te, e questa è l’ultima volta che ti darò ascolto. Alla prossima, sei da sol—».
« Ok, ok, va bene. Senti, ho paura che Hilda sia scappata ».
« Cosa intendi per scappata? ».
« Qualche giorno fa sono tornato con lei ad Anville Town e quando ha trovato il suo ragazzo è impazzita. Devi aiutarmi a trovarla ».
« Come posso farlo? Non so dove sia ».
« Riesci almeno a dirmi se hai sue notizie, anche la più piccola cosa? ».
« Certo, certo » sorrise Looker. 
« Grazie, sapevo di poter—».
« Alt, cos’avevamo detto? Ciao, Ethan ». 
Gettò la cornetta sull’incavo e ritornò da Erika, che trovò sul ciglio della porta con Una storia di due re in mano.
« Ho pensato… ho pensato che avessimo finito. Non credo ci sia altro da dire, quindi… posso andare? ».
« C—».
« Con i CD, intendo. Andarmene con i CD ».
« Oh. Ok, va bene, non erano di mia proprietà comunque ».
« Molto bene, allora. Grazie, credo. Grazie di tutto ».

 
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flashback – Anville Town – 08/02/13
Looker e Ethan non erano ancora giunti ad Anville Town quando il ragazzo, con sua grande sorpresa, vide la macchina rallentare ed entrare in uno spazio accanto alla strada, proprio nel punto in cui l’area boschiva della città finiva ed incontrava i primi segni di civiltà. La strada, dissesstata e rocciosa, si faceva più gentile e diveniva asfaltata, circondata ai lati da basse villette abitate che si alternavano a negozi e ristoranti.
La stazione di gas dove Looker aveva deciso di fermarsi e scendere, giustificando il tutto con « Faccio un po’ di rifornimento e prendo delle patatine, vuoi qualcosa? » era deprimente a tal punto da far quasi addormentare Ethan, che dalla noia si mise a giocare con ogni cosa gli pervenisse in mano tra cruscotto, tasche laterali e sedili posteriori.
Ben presto anche quello lo annoiò, sino a che la vista delle chiavi non accese in lui un nuovo interesse. Staccò il mazzo dalla toppa e, uscito, andò sul retro ad aprire il bagagliao: era lì, la pistola che tanto lo incuriosiva, giacente in parte ad una scatola di ricariche. La prese in mano per pesarla e in breve si ritrovò a giocarci, senza che Looker fosse ancora tornato.
Fu in quel momento che un pensiero ben peggiore gli sforò la testa. Mise la pistola in tasca e ritornò davanti, dove pescò l’indirizzo di Erika Joy dal cruscotto. Lo rilesse: Regent Street 15. Si guardò attorno, nessuno alla vista, e prese a correre a perdifiato verso la città, lasciandosi Looker, la sua macchina e dei grossi problemi alle spalle.

Era circa mezz’ora che aveva perso a correre che si era ritrovato a Regent Street, nella disperata ricerca del civico 15. Incapace di capire in che modo fosse articolato l’apparato urbano cittadino, si sedette stremato su di una panchina, e fu allora che ricordò della pistola.
Oltre al problema della strada, se n’era posto anche un altro. 
Recuperato il fiato imboccò una via laterale a quella dove si trovava e riuscì a individuare, dopo qualche minuto di ricerca, un edificio abbandonato il cui cancello era stato sfasciato.
Usando un albero come segno di riferimento scavò una buca e vi nascose la pistola, coprendo il tutto e ritornando sulla strada principale, dove vide in una signora che passava il miglior modo di trovare l’indirizzo di Erika.
« Buongiorno. Sa dove posso trovare il civico 15 di Ragant Street? ».

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 - Be All My Sins Remember'd/A Dateless Bargain ***


OGNI VOLTA CHE APRO UN CAPITOLO DO UN AUGURIO PARTICOLARE IN RELAZIONE ALLA GIORNATA DI PUBBLICAZIONE DEL CAPITOLO. Questo capitolo è stato originariamente postato il 26 Giugno 2017, ovvero durante il ventesimo anniversario di Arrigo Vasaio, barbaramente noto come Harry Potter. (l'avete capita? k simpy k sn hihihihihihi). Il capitolo è stato cancellato a causa di un errore e ripubblicato in data 10 luglio. Buon 20esimo anniversario di Harry Potter e 126esimo anniversario dell'annessione del Wyoming agli USA! edit [01/09/17]: ho aggiunto il capitolo 0 - A Dateless Bargain (che è una specie di promo per la trilogia di capitoli finale) a fine di questo. Prima, per chi non ne fosse al corrente, era messo come capitolo a sé.

CAPITOLO 6
Be All My Sins Remember'd

I know that you're hiding
I know there's a part of you that I just cannot reach
You don't have to let me in
Just know that I'm still here
I'm ready for you whenever, whenever you need
Whenever you want to begin
(Florence + The Machine; Hiding)
 
flashback – Anville Town – 08/02/13
Looker uscì dalla stazione di gas stringendo in una mano un pacchetto di patatine alla paprika e nell’altra un Magnum confezionato, il cui involucro giaceva per terra presso lo zerbino. Come mise piede fuori dal negozio si guardò attorno, notando che la macchina fosse vuota, e girò una buona decina di minuti attorno al locale, che trovò deserto.
« Ethan? Dove sei, Ethan? ».
Aprì lo sportello della macchina e ci gettò le patatine, portando il magnum sotto i suoi denti. Chiuse lo sportello con una manata, tanto che dall’impetò vibrò la carrozzeria stessa della berlina, e andò sul portabagagli, un brivido che gli corse lungo la schiena.
La pistola era scomparsa.
« Merda! ».

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presente – Castelia City – 16/02/13
Erika uscì dall’edificio provando sulle sue braccia un peso più grave di quello che, a conti fatti, non fosse: la conoscenza che ascoltare quei cd le avrebbe portato, l’avere le risposte di una vita davanti a sé, così vicine, le sembrava di portarsi appresso un macigno. Lo stesso macigno che, a breve, si sarebbe tolta dal cuore.
Arrivata all’hotel, ebbe premura di chiedere alla reception uno stereo, col quale sarebbe riuscita a leggere i cd che Looker le aveva consegnato qualche ora prima. Trascinò quindi l’enorme peso con sé, sia l’apparecchiatura che la mole digitale, sino alla stanza, e si gettò a letto non appena chiuse la porta alle sue spalle. 
Se da una parte l’attesa di scoprire quali informazioni Looker celasse la logorava, dall’altra la paura che una reazione simile a quella avuta con Ethan l’avrebbe assalita controbilanciava perfettamente la sua fame intellettuale. Si era ritrovata ad un bivio le cui due strade, pur diverse, l’avrebbero condotta entrambe in luoghi sconosciuti: sapere o non sapere?
Si girò supina sul materasso, il sottile strato di polvere sulla coperta che le accarezzava il viso, e s’appisolò. I cd e lo stereo, silenziosi, giacevano sulla moquette accanto al letto.

Non seppe dire quanto tempo aveva dormito, anche se, al suo risvegliarsi, il sole era ancora alto in cielo. L’orologio segnava le 3:00 PM, quindi doveva aver dormito attraverso il pranzo. 
Si alzò dal letto disorientata, persa la concezione del tempo, ed i suoi occhi vagarono per la stanza alla ricerca di qualche punto di riferimento. Finalmente caddero sullo stereo, e le tornò a mente quale fosse, dall’inizio, la sua missione.
Tirò le tende al massimo e lasciò che la maggior quantità di luce possibile potesse zampillare attraverso le finestre, dando una palette di colori profondamente diversa dalla situazione di penombra nella quale era immersa la stanza prima. Issò lo stereo sulle spalle e lo poggiò su una sedia di legno che faceva ad angolo, per poi aprirlo: i cd, numerati, non furono difficili da distinguere. Inserì quello che recitava il numero 1 sul lato A.
« … ».
Un rumore disturbato riempì la stanza. Sin da subito, poteva udire che il suono non giungeva cristallino ai suoi occhi; doveva esser stato trasportato da un nastro, constatò.
« Puoi cominciare, Hilda » proruppe una voce maschile, che le ricordò molto quella di Looker, prima che la seconda voce in questione parlò. « Allora… Questa è la mia confessione, suppongo… Be’, direi di saltare i convenevoli di dove sono nata e tutto… ». 
La mascella di Erika si congelò. I suoi occhi erano persi nel vuoto, la sua mente in tilt. Tentò di muovere il braccio via dal pulsante PLAY ma non riuscì a compiere il movimento. Ogni cosa nel suo corpo, in quel momento, era scolpita nella pietra: quella voce, la voce che aveva sentito provenire dalla registrazione, era la sua
« …ciato quando ho incontrato un certo N, Natural Melodia Gropius credo si chiami… Harmonia, si chiama Harmonia… Oh, giusto, Harmonia, vabbè. Comunque, aveva il mio numero telefonico, anche se credo lo avesse frega— ahem, preso da qualcuno, e quel giorno mi chiama—, no, non era una chiamata, era un messaggio credo… sì, un messaggio… mi dice di incontrarlo il giorno dopo… E cos’hai risposto? Non— non ho risposto. Cioè ho lascia—».
Erika fermò il cd.
Il suo dito era poggiato sul pulsante blu, esitante. Era sicura di voler continuare?
Spostò il suo bacino in avanti ed il peso del suo corpo fece scoccare il tasto.
« …to stare, cioè non mi interessava…. Il giorno dopo, però, quando sono arrivata all’incontro, N mi ha chiamato, e con una scusa mi ha attirato fuori… senza niente da fare ho deciso di andare all’incontr— E così è cominciato tutto? Sì… là, mi ha proposto un “patto”, se vogliamo chiamarlo così, dove in cambio di informazioni io avrei dovuto pubblicare degli articoli… ».

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presente – Anville Town – 16/02/13
Ethan uscì dalla stanza d’ospedale stringendosi nella sua giacca di pelle, il quale odore di rosa giungeva sino alle sue radici. Come l’aroma del fiore raggiunse i suoi organi di senso, nella sua mente si figurò l’infermiera inserire i suoi vestiti nella lavatrice e lavarli. Per qualche motivo, l’immagine lo faceva ridere.
Imboccò il corridoio alla sua destra e proseguì sino a che non vide le persone affollare come andava avanti. Di fronte a lui, pochi metri dopo, si stagliava una donna ricurva intenta a raccogliere un pezzo di carta. Era avvolta da una mantella di pelle voluminosa e, quando alzò il viso, notò che non dovesse avere meno di settant’anni. Sulla sua tasca destra, un interessante rigonfiamento colpì Ethan.
« Mi permetta di aiutarla! » esclamò mellifluo mentre le si avvicinava.
La donna portò lo sguardo in direzione del ragazzo. « Oh, com’è gentile! Non dev—».
« Lo faccio con piacere ».
Avvolse il suo corpo col braccio sinistro e aiutò la signora a rialzarsi, mentre colla mano destra raccoglieva quanto era caduto. Mentre l’attenzione era catturata dal tanto gentile gesto, la mano lesta di Ethan era intenta a scivolare nell’ampia tasca foderata di pelle ed ad estrarne il contenuto: fu un attimo.
La donna non fece in tempo a salutarlo che aveva continauto diritto per la sua strada, pregustandosi il bottino.
« 5, 10, 20… » contò, mentre nascosto dietro ad una colonna apriva il portafoglio dell’anziana « non basta ».
Alzò lo sguardo al corridoio che si districava davanti a lui. Due borse erano state lasciate incustodite sulle sedie in plastica appese al muro, di fronte all’enrata di due grandi uffici.
Non esitò ulteriormente e corse verso le prede, dopodiché, ottenuto quanto voleva, scomparì dietro una rampa di scale.

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presente – Castelia City – 16/02/13
Erika aveva il capo posato sul tavolo, un peso morto, il suo mento accarezzava il freddo legno ed i suoi occhi osservavno il pavimento sotto di lei, mentre in sottofondo il rumore dello stereo rimombava fra le pareti dell’appartamento e nella sua testa. Se prima era stata portata a pensare che il contenuto del cd l’avesse sconvolta, come quel primo giorno fece Ethan, si trovò sorpresa con la facilità con cui aveva affrontato tutte quelle informazioni. Non era facile, no di certo, ma aveva deciso di assumere un approccio diverso: ascoltava, come rapita dalla narrazione di un libro, e provava a porsi in modo distaccato a quello che veniva detto.
Per quanto possibile.
« Così siamo andati al parco, sai, il parco di Nimbasa City… era carino, quel giorno… e c’era la ruota panoramica, che abbiamo voluto provare… Vi siete… baciati? Sì… alla ruota panoramica… E poi? Il giorno dopo? Tornata a casa, ho trovato Zinzolin… Era dentro casa o è arrivato in seguito? Era già dentro quando arrivai… Aveva quindi scassinato la porta, no? Non esattamente. Aveva comprato l’edificio… Comprato l’edificio? Cioè è il padrone del tuo appartamento? Sì, esatto… Com’è possibile che lo abbia comprato? Ha contattato ogni singolo condomino per comprare il loro appartamento? Lo trovo veramente strano… Suppongo di sì. Zinzolin è un uomo molto potente… Direi… Cosa voleva? Mi aveva contattato pe—».
Un rumore sordo graffiò le sue orecchie.
Alzò di scatto il capo, solo per rendersi conto che proveniva dall’apparecchio; nonostante ciò, costituiva comunque elemento di sorpresa.
« Ma che? Come vi permettete di interrogare un sospettato senza il suo avvocato? ».
Una quarta voce si era unita alla registrazione, diversa da quelle di Hilda e dei due agenti. Pareva che la confessione fosse finita, e che qualcosa di inaspettato fosse accaduto, tale da aver interrotto la loro discussione.
« Lei chi è? Chi l’ha fatta entrare? Sono l’avvocato di Hilda, ed esigo che la lasciate in pace Hilda ha già accettato a confessare Confessare cosa? Confessare un crimine che non ha neanche commesso solo per un gruppo di idioti ha trovato un video dove recapitava una bottiglia ad una drogata? Chiamo la sicur—Avete trovato prove che sulla bottiglia ci fosse della droga? In caso contrario, il filmato non dimostra niente ed esigo che rilasciate Hilda Cosa sta succedendo? Cosa sta dicendo? Cosa ti hanno detto, Hilda? Ti hanno detto che eri spacciata? Che ti aspettava la galera? Come pensavo, sono tutte invenzioni. Non hanno nulla contro di te se non poche prove e circostanziali. Puoi uscire ora, se vuoi Io… Non farlo, Hilda. Aiutaci… Aiutare delle persone che volevano metterti in galera per prendersi il merito di qualcosa che non hanno fatto? Merito per cosa, poi? Siete rimasti con un pugno di mosche… Io… non capisco cosa sta succedendo… Ti hanno ingannato, Hilda, e io sono qui per aiutarti. Vieni, ti accompagno a casa… Non farlo, Hilda. Puoi ancora fare la cosa giusta, pensa a Julie, pensa a— Sai cosa, Looker? Io penso a Julie. Io penso a Natalie, ci penso ogni minuto che passa. E avrei ricordato anche te se non mi avessi tentato di ingannare in modo così becero. Può darsi che abbi veramente una terza chance, ed è quella che scelgo. Mi sto prendendo le mie responsabilità, prenditi tu le tue ».
Un forte rumore metallico stridette nell’aria, dopodiché l’audio si mutò. Era giunto alla fine.

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presente – Anville Town – 16/02/13
Ethan osservava il 15 di Regent ergersi immobile, all centro dell’incrocio che in quel momento era vuoto e spogliato del traffico, e come lo guardava l’immagine di Hilda era scolpita nella sua mente. Qualcosa in lui era genuinamente attratto a lei, al ricordo che aveva di lei, e non sapeva dire se seguire quel sentimento o abbandonarsi al rancore per la situazione. Per N. Per Erika.
Camminò, passato il palazzo e l’intero isolato, sino a che non si trovò di fronte ad un edificio dismesso, il cui intonaco cadeva dalle pareti ed i cancelli, ricoperti di ruggine, giacevano a terra. Scavalcò la recinzione e camminò nella direzione di un grosso albero, del quale andò in ricerca delle radici. 
Si abbassò, affondò la mano nel terreno umido ed afferrò un oggetto metallico, alla quale azione sorrise.

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« Buongiorno, vorrei un biglietto per Castelia City ».
La commessa alzò lo sguardo al viso di Ethan.
« Mh ».
« Grazie… » borbottò, come allungava le banconote rubate poco prima dall’altra parte del vetro.
« Per andare nella piattaforma 5, deve attraversare il sottopassaggio » biascicò, un chewing-gum nella bocca « eccole il biglietto per il treno ».

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presente – Castelia City – 16/02/13
Erika era rimasta a fissare lo stereo girare a vuoto mentre rilasciava un ronzio metallico nell’aria; la sua mente era come trascesa dal corpo e persa fra le sensazioni che l’ascolto di quel cd aveva lasciato sulla sua pelle. Pensò ad Hilda, a sé stessa, ed a come doveva esser stato affrontare tutti quegli eventi in un colpo solo, non riuscendo a concepire come lei, Erika, sarebbe riuscita a comportarsi. Pensava ad N, che da come ne veniva narrato era sia l’amore della sua vita che il complice della sua miseria, se non la maggior causa. Zinzolin, Natalie, Julie, Looker, Francis, Bianca… quanti nomi, ognuno dei quali trovava, per quanto fosse strano, risonanza nella sua mente. Lentamente apparivano delle caratteristiche, dei visi, delle immagini, sfrecciavano davanti ai suoi occhi e le permettevano di rimettere assieme i pezzi di quella storia. Improvvisamente ricordava di aver percorso quelle strade, di aver visto quelle stelle prima, di aver detto quelle cose. Non tutte, molte parti erano ancora oscure, ma nella sua mente vi era traccia di quanto accaduto, e ciò bastava a darle la forza di proseguire. Improvvisamente, la sua vita riacquisiva senso, proprio lì dove l’aveva perso, con il suo libro senza uscita ad Anville, la sua vita senza uscita ad Anville, la sua relazione senza uscita ad Anville. Louis le pareva così inutile, in quel momento, e Ethan assumeva tutt’un’altra colorazione: era il suo unico collegamento al passato, e non era stato ancora menzionato nei cd. 
Perché le aveva mentito, però? Non c’era nessuna traccia di quanto dettole da lui, ma era stato giusto su altre. Sul nome, la foto… qualcosa, in lui, le diceva di dover scoprire di più. Di una cosa era certa: Louis non era che un errore di passaggio, e non era più intenzionata a continuare i legami con tutto ciò che era legato alla sua “nuova” vita: voleva vederci fino in fondo.
Scosse la testa.
Si alzò dalla sedia e raccolse un foglio di carta dal tavolo, sul quale cominciò a scrivere nomi e collegarli attraverso freccie. Vi erano ancora molti buchi nella ragnatela, per ognuno dei quali disegnò delle x e dei punti di domanda.
Si avviò verso la porta, dunque, ed uscì.

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« Buon pomeriggio… ».
Suzie alzò gli occhi a Erika, la limetta che proseguiva avanti ed indietro sulla punta dell’indice, per poi riportarli sulle sue dita.
« Ancora lei? ».
« Er… sì, suppongo. Volevo parlare con il signor Wiseman ».
« Il signor Wiseman? » biascicò lei. Poggiò la limetta in parte alla cornetta del telefono e poggiò la mano destra sulla tastiera. « Mi dispiace ma senza uno straccio di autorizzazione non posso farla salire ».
« Ma se sono salita ieri! ».
« Ah sì? ». Le lanciò un’occhiata fugace. « Vero. Ha un’autorizzazione? ».
« N— gliel’ho già detto! Non ce l’ho ».
« Allora se ne vada ».
« Può almeno chiamarlo? Dirle che sono passata ».
« Mh… chiamarlo dice? Non credo sia possibile ».
« Ma—».
« Arrivederci e grazie ».

Erika fece un passo indietro e diede uno sguardo all’entrata dell’anticamera della redazione del Castle. Il tornello non era sorvegliato e l’attenzione della ragazza all’entrata era concentrata sulle sue mani, il telefono lasciato a squillare senza cure.
Si abbassò, a gattoni, e coprì la distanza che la separava dalle braccia metalliche che delimitavano lo sbocco sull’entrata. Rimase chinata, si guardò attorno, e quando vide che gli occhi di nessuno erano puntati nella sua direzione, oltrepassò il tornello sgattaiolando all’interno della zona ascensori, dove finalmente riuscì ad entrare nella redazione.

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“FRANCIS J. WISEMAN” recitava la targhetta in bronzo che scintillava a capo della porta, dietro la quale si apriva l’ufficio dell’editor-in-chief del Castle. Diede un colpo. Poi un altro.
« Avanti ».
Non ebbe alcuna esitazione come apriva la porta ed il suo pallido viso baluginò da dietro il vetro smerigliato. « Posso entrare? ».
« H… signorina Joy, cosa ci fa qua? ». 
Poteva leggere nei suoi occhi lo stupore nel vederla, in quel momento, di fronte a lui nel suo ufficio. Aveva già incontrato Looker? pensò, mentre le fece cenno di sedersi. « È un piacere rivederla ».
Erika sorrise. « Anche da parte mia ».
« Di cosa voleva parlarmi? ».
« Ho— ho incontrato Looker, questa mattina ».
« Oh—».
« Ed ho sentito i cd ».
« Cd? Quali cd? ».
« Non— non sa dei cd? ».
Francis scosse la testa.
« In breve, ier—». Lo fissò. Non sembrava mentire. Nella sua mente cercò di pensare quale soluzione fosse migliore, ed optò per nascondere l’esistenza delle registrazioni. Non aveva bisogno di saperlo e, con un po’ di fortuna, non si sarebbero più incontrati. « Niente… Diciamo— diciamo che so di Hilda ».
Se possibile, lo scosse più di prima.
« Io—».
« Mi lasci finire. Oggi, dopo aver incontrato Looker, ho avuto modo di venire a conoscenza di alcuni particolari su Hilda, su di me. Ma penso che lei li sappia già ».
« Cosa le serve, quindi? Perché è venuta qua? ».
Erika lo fissò.
« Sa » pronunciò, scandendo lettera per lettera « inizialmente non capivo perché mi avesse nascosto la verità, ma poi ho pensato che, se avessi qualche speranza di ottenere qualcosa da lei, non avrei voluto bruciare la mia possibilità con una domanda come questa. A chi interessano i motivi? Voglio sapere qualcosa che solo lei può dirmi.
« Ero felice? ».
« Come scusa? ».
« Sembravo felice, al lavoro? Ascol— venendo a conoscenza della mia storia, è stato difficile capire quali fossero le mie sensazioni durante quei passaggi della mia vita. E dal momento che è stato lei quello a licenziarmi… ».
« Non ne ho idea. Passavo la maggior parte del tempo a lamentarti con te per i ritardi con le consegne, e quando non lo facevo, era perché non venivi al lavoro ». Dicendo quelle ultime parole, sorrise.
« Cosa c’è? Cosa le fa ridere? ».
« Paradossalmente… l’unico periodo nella quale ti ho visto contenta — più del solito, almeno — è stato durante le ultime settimane del tuo lavoro ».
« Intendi quando ho incontrato N? ».
« Non lo so. Può darsi — non ho mai incontrato N ».
« Be’, se questo è tutto… grazie mil—».
« Aspetta ».
Si alzò, sotto lo sguardo confuso di Erika, e si spostò a sinistra, dove il giorno prima aveva tirato fuori l’elenco dei dipendenti. Aprì un cassetto inferiore allo scaffale della libreria e, dopo aver smanettato per qualche minuto, vi estrasse fuori un sottile fascicolo beige sul quale faceva capolino il nome “Hilda Baskerville”.
« Non so quanto possa servirti, ma pensavo fosse meglio che lo avessi tu ».
Erika si alzò per prenderlo in mano. « Oh, è molto gen—».
« Looker pensava che fosse meglio far finta di niente e di indirizzarti a lui, prima di rivelarti la verità. Non so neanche se dovrei dartelo, ma a questo punto non m’interessa. Spero solo che tu possa trovare quello che cerchi, Hil— Erika ».
La ragazza sorrise. « Grazie, grazie veramente. Addio ».

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flashback – Castelia City – 08/02/13
Looker arrestò la macchina davanti all’entrata del suo palazzo. Guardò attraverso la finestra, alla macchina di Ethan che era parcheggiata nel suo posto auto, ed un sorriso corse attraverso il suo viso. Fece retromarcia di qualche metro e si inserì accanto al marciapiede esattamente dietro alla vettura del ragazzo, dove la lasciò parcheggiata per avvicinarsi ad una cabina telefonica. 
Inserì il gettone e digitò il numero di tre lettere della polizia.
« Pronto, buongiorno, vorrei segnalare la presenza di una macchina davanti al mio palazzo… sì, esatto, vorrei che venga rimossa. Grazie ».
Ripose la cornetta ed uscì dalla cabina, tirando fuori le chiavi della macchina dalla tasca, per poi strisciare la punta metallica sulla carrozzeria della vettura. Si divertì a lasciare cinque lunghe righe prima di udire il rumore del carroattrezzi arrivare e issare la macchina su di sé, per poi scomparire in seguito dietro una laterale della via dove abitava.

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« Com’è andata? È andata che quel bastardo mi ha rubato la pistola ed è scappato per Anvil—».
Looker stringeva la cornetta del telefono con le unghie saldamente ancorate al rivestimento di plastica verde. Di fronte a lui la rubrica telefonica con la quale si era servito per digitare il numero telefonico.
« La pistola non è un problema, ne ho altre. Ma lui? No, non voglio tornarci. So che tornerà comunque, la sua macchina è stata presa e portata via da un carroattrezzi. Mh, sì…
« Ok, aspetterò e basta. Ricevuto. Chiudo ».

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presente – Castelia City – 17/02/13
Una nuova giornata era sorta su Castelia.
Erika scese in strada con in mente una sola cosa: Looker. Aveva sgomberato l’appartamento dell’hotel e lasciato tutte le cose che si era portata da Anville, più i cd, all’interno del portabagagli della sua auto, ma era intenzionata a fare un’ultima cosa prima di andarsene.

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Un rumore metallico risuonò nell’aria.
« Chi è? ».
« Sono io ».
« Erika? ».
« Sì. Mi fai salire? ».
« Oh… ok, sali pure ».

Erika sedeva di fronte a Looker in una comfortevole poltrona rosso bordeaux in parte al camino, spento, e riceveva tutta la luce che filtrava attraverso le finestre del salotto. Davanti a lei, sul tavolino di vetro che la separava dal detective, erano due tazze ricolme di caffé fumante, che, pur avendo concordato a prendere, non aveva intenzione di bere.
« Di cosa volevi parlarmi, dunque? ».
« Ho… sentito i cd ».
« Tutti e due? ».
Erika fece cenno di sì con la testa.
« Hai trovato le risposte che cerchi? ».
« Sì… più o meno ».
« Ti ricordi qualcosa? ».
« Le cose—». Lanciò un’occhiata al riflesso di Looker nella tazza di caffé, dopodiché vide i suoi occhi restituirle lo sguardo, sempre sulla superficia del liquido. « Le cose sono ancora molto confuse. Ricordo qualche flash ».
« Mh ». Il detective contrasse le sue palpebre. « Hai già visto Natalie? ».
« No, non ancora ».
« Hai intenzione di parlarle? ».
« Sì… penso. Devo ancora vedere, ma s—».
Le sue parole furono interrotte dalle risa di Looker.
« Uh? ».
« Non hai sentito il secondo cd, vero? ».
« Come—».
« Cosa vuoi da me, Erika? ».
Silenzio.
Erika sollevò lo sguardo e così fece Looker, che riprese a guardarla dritto negli occhi. Le sue braccia erano distese ad assecondare la linea dei braccioli della poltrona e le sue mani tamburellavano nervosamente contro l’imbottitura.
« Risposte ».
« Quali risposte? Ti ho già dato tutto quello che avevo ».
« Ho solo una domanda ». Si alzò in piedi. « Cosa mi aspetti che faccia, eh? Cosa pensi che io debbba fare dopo che ho scoperto che la mia vita è una bugia? Che Erika Joy è una bugia? Tornare ad Anville Town e dire “Be’, è stata un’esperienza carina, ora posso tornare alla mia vita di merda”? ».
« Non mi aspetto che tu faccia niente. Non ti biasimerei, qualsiasi cosa tu decida di fare. È un duro colpo ».
« Duro colpo un cazzo. Voglio parlare coi responsabili. Voglio arrivare fino in fondo ».
« Ti ho detto, ti ho dato tutto quello che avevo ».
« Potresti dirmi chi ti ha dato quei cd ».
« Non cambierebbe niente. Dovresti pensare al futuro ».
« Cazzate. Che futuro ho? Elizabeth Misery? Un altro nome? Magari un’altra città? ».
« Io—».
« Rispondi alla mia domanda ».
Looker, che in quel momento aveva passato tutto il tempo a sorseggiare caffé dalla sua tazza, si alzò, andando ad aprire la porta. Il suo sguardo oscillava dal viso di Erika all’uscita dell’appartamento.
« Penso sia ora che tu vada ».
« RISPONDIMI! » urlò. « Me lo devi. Almeno questo! In quel cd— nel cd che mi hai dato, non faccio altro che parlare di come l’amore per N mi abbia fatto giungere a questo punto, ma non ricordo neanche che cazzo di faccia abbia N! Non ricordo la sua voce, com’era fatto, cosa abbiamo fatto… mancano i pezzi più importanti di me. Dammeli, me lo devi ».
Il detective abbassò lo sguardo. « Quello che ti dovevo te l’ho restituto. Non sei l’unica la cui vita è stata rovinata. Ora vai, Erika. È ora il tempo di andare ».
Erika strinse i pugni ed evitò il suo sguardo come si faceva strada fuori dell’edificio.

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Un altro rumore metallico risuonò nell’aria, qualche ora dopo.
« Chi è? ».
« Ethan ».
Dei rumori sconnessi vibrarono attraverso l’altoparlante.
« Looker, rispondimi, ho bisogno del tuo aiuto ».
« E come ti aspetti che io ti aiuti? ».
« Fammi salire, almeno. Hilda è scappata ».
Dopo una pausa di qualche minuto, la porta si aprì, accompagnata da un ronzio.

« Grazie Looker, non potrò mai—».
La porta non era neanche stata aperta Looker aveva preso in contropiede Ethan sulla soglia dell’appartamento.
« La pistola ».
« I—».
« Dammi la pistola e poi parliamo ».
Ethan estrasse la pistola dalla tasca e la allungò al detective.
« Ora possiamo parlare? ».
« Certo. Caffè? ».

La pistola era stata posata, come un qualunque soprammobile, sul caminetto di Looker, dove scintillava accanto ad una statuina in argento e vetro bianco rappresentante un Piplup. Una foto di una prateria, sul quale sfondo svettava una sottile torre bianca, concludeva il quadretto a destra. 
Ethan aveva avuto molto tempo di fissare questo spettacolo mentre, bramando di riprenderla in mano, aspettava che Looker arrivasse con i tramezzini che aveva promesso poco tempo prima. Come mai avesse lasciato la pistola incustodita con lui era motivo di interesse e confusione per Ethan, ma lasciò stare l’idea di afferrarla e scappare. Per quel momento, almeno.
« È pronto! » annunciò mellifluo come entrava nel salotto, preceduto da un vassoio argento di trameizzini « dov’eravamo rimasti? ».
« Er… ».
« A proposito ». Looker si fermò di colpo « Di cos’è che volevi parlarmi? ».
« Hilda— Hilda è scappata, e ora che non ho la minima idea di dove sia né come raggiungerla sono al punto di prima ».
« … e hai bisogno del mio aiuto » concluse Looker, procedendo a sedersi come distribuiva i tramezzini tra lui e Ethan. « Cosa mi ruberai stavolta? ».
« Scusa, per quello. È stato un gesto d’impulso ».
« Lo capisco, tranquillo. D’altronde, ora che mi hai ritornato la pistola, non c’è problema, no? ».
Lanciò un’insistente sorriso a Ethan, che, dopo un imbarazzante silenzio, ritornò.
« Quindi… mi aiuterai? ».
Looker rise.
Si alzò e recuperò da un cassetto un telefonino con uno schermo scintillante sopra e la lanciò al castano.
« Cos’è? ».
« Hilda ha su di sé un GPS che mi permette di tenere traccia dei suoi movimenti. Dovunque sia, la posso trovare ».
« Scherzi? Come sei riuscito a metterle un GPS addosso? ».
« Io—» il detective considerò di dirgli dei cd, ma in ultimo decise di mantenere segreta quella parte « ho i miei metodi. Ti interessa? ».
Ethan asserì.
« Bene. Ti serve altro? ».
« A dire il vero— mi stavo chiedendo dove fosse la mia macchina ».
« La macchina, dici? ». Looker rise. « L’ha portata via un carroattrezzi. Ho cercato di fermarli, ma non mi hanno ascoltato. Penso la ritroverai in centrale di polizia ».
« Oh, ok… grazie mille, suppongo ».
Ethan diede uno sguardo al vassoio davanti a sé, ed al riflesso che esso dava su tutta la stanza. In un angolo del piatto notò la pistola scintillare asssieme al pinguino, e vedendola ebbe un’idea.
Mangiò in un sol boccone i due tramezzini che erano rimasti sul piatto, svuotando interamente la porzione che Looker aveva portato dalla cucina.
« Hai una fame da lupo… ».
« Stanotte non ho dormito, ho passato tutta la sera in treno… Ne hai fatte altre? ».
« Certo! Adesso te le porto ».
Looker si alzò e scomparì dentro la cucina.
Gli occhi di Ethan sfrecciarono nell’angolo destro del suo campo visivo, diritti alla pistola poggiata sul caminetto. Scivolò quindi attraverso la parete per accertarsi che il detective non si trovasse ancora nei paraggi per vederlo. Ripose il tracker in tasca e corse per la pistola, che  incastrò all’interno dei jeans, dove l’aveva nascosta entrando a casa sua.
« Eccomi ».
Le ruote anteriori del carrello comparvero da dietro la porta. Un brivido corse lungo la schiena di Ethan.
Il suo corpo fu pervaso da una scarica di adrenalina.
Si guardò attorno alla ricerca di una via d’uscita ma non notò nulla che lo potesse aiutare, finché non vide una sedia di legno appoggiata alla parete. Allungò le braccia e la afferrò.
« Eth— COSA STAI FACENDO? ».
Accadde in quel momento.
Ethan rovesciò la sedia sulla testa di Looker e la spinse con forza su di lui, mentre con un calcio toglieva d’impiccio dalla strada il carrello. Udì delle urla provenire dal detective ma, colto nell’attimo, l’unico suono che poteva sentire era il sangue pompare nelle sue vene. Corse per la porta come se fosse l’ultima corsa della sua vita e si dileguò.

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presente – motel fuori Castelia City – 16/02/13

Erika aveva lasciato Castelia e si era immersa in autostrada, a guidare, mentre le sue parole registrate sul cd risuonavano nell’aria. Aveva deciso di inserire il cd all’interno del lettore della macchina e di ascoltarle mentre viaggiava, alla ricerca di qualcosa che non sapeva neanche lei. Tutto ciò che voleva era ricordare, ricordare cosa avesse fatto, quale fosse stata la sua fine, N. Avrebbe tanto voluto rivedere N, o almeno avere qualche ricordo di lui in lei, tale da portarla avanti in quella situazione, ma il buio albergava nella sua mente.
Non sapeva se odiarlo od amarlo, da quello che era detto nell’audio.

Era da un’ora che stava guidando quando, a destra della lunga corsia, vide la scintillante insegna a neon di un motel poco fuori Castelia. Stanca e provata, decise di ritirarsi in quel luogo, che sarebbe stato sicuramente più vicino della sua casa di Anville Town e le avrebbe permesso di risparmiarsi un faticoso viaggio. 
Parcheggiò la macchina all’esterno e trascinò ogni cosa sua dentro il locale, con l’aiuto di un borsone e due viaggi avanti e indietro, finché non si ritrovò distesa sul letto a pensare e ripensare, come il sole, alto nel cielo, filtrava attraverso le finestre e bagnava di luce la sua fronte, ai cd. Aveva finito di ascoltare per la terza volta la prima parte della storia e sentiva il bisogno di capire come andasse a finire: ora era pronta per saperne il finale.

Un campanello squillò e riempì l’aria di suono.
Erika lanciò un’occhiata allo stereo e poi la riportò sulla causa del rumore, la porta. Avrebbe dovuto rimandare l’ascolto.
Si alzò ed andò ad aprire, domandandosi come qualcuno potesse suonare nel bel mezzo del giorno ed alla sua porta.
Quando vide chi vi si celava, trasalì.
« Louis? ».

 
♦︎ ♦︎ ♦︎
 


[CAPITOLO 0
A DATELESS BARGAIN]

18/02/13 5:37 AM
 
Buongiorno a tutti, è Frank McPhilip qua, in onda per un'edizione straordinaria dello "Unova Daily"! È infatti notizia dell'ultima ora che Erika Joy, aspirante scrittrice della contea di Anville, è stata identificata come Hilda Baskerville, giornalista del Castle nota alle cronache di Unova per aver smascherato il complotto di Edward Whilelm Zinzolin, affiliato alla famosa organizzazione criminale Team Plasma, della quale era, poco prima della sua condanna, diventato capo. Le vittime di Erika Joy, o Hilda Baskerville, che dir si voglia, ammontano ad un ufficiale di polizia dell'autostrada Castelia City – Anville Town ed un ferito, il cui nome non è ancora stato rilasciato alla stampa. Le sue condizioni sono critiche e non sappiamo se sopravviverà. La Baskerville era stata coinvolta, prima della sua misteriosa scomparsa, nella quale, ricordiamo i gentili telespettatori, ha finto la sua morte, in delle poco chiare vicende con una giovane donna di nome Bianca Walters, la quale ha commesso suicidio poco tempo dopo l'archiviazione del caso. C'è ancora molto che la polizia deve ancora scoprire ed è probabile che, in seguito a queste nuove informazioni, molti lati del passato di Hilda vengano a galla. Al momento Hilda Baskerville è ricercata dalla polizia ed è stata vista l'ultima volta qualche ora fa lungo l'autostrada Castelia City – Anville Town all'entrata della città. Si pensa che sia assieme ad un uomo, più o meno della sua altezza, sul quale non si hanno altre notizie. Chiunque abbia informazioni utili su di lei è pregato di contattare la polizia. Con questo è tutto, alla prossima da Frank McPhilip e dallo Unova Daily!
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 - MY FIANCÉ DIED OF CANCER AND I DIDN’T KNOW ANYTHING ABOUT IT: STORYTIME [NO CLICKBAIT] ***


BUON MILLENOVECENTOCINQUANTATRÉESIMO ANNIVERSARIO DELL'INCENDIO DI ROMA! Come la leggenda narra, Nerone avrebbe assistito alla distruzione della sua città nelle fiamme suonando la sua fidata lira. Anche io avrei fatto così probabilmente. O forse ci avrei fatto una storia su snapchat.

[avviso: questo capitolo è estremamente lungo: per l'esattezza, sono 24 pagine di Pages in 13
Baskerville. Avevo in mente di dividerlo in due parti ma poi ho pensato di non farlo. Buona lettura!]


CAPITOLO 7
MY FIANCÉ DIED OF CANCER AND I DIDN'T KNOW ANYTHING ABOUT IT: STORYTIME [NO CLICKBAIT]
 
And oh my love remind me, what was it that I said?
I can't help but pull the earth around me, to make my bed
And oh my love remind me, what was it that I did?
Did I drink too much?
Am I losing touch?
Did I build this ship to wreck?

To wreck, to wreck, to wreck
(Florence + The Machine; Ship To Wreck)

presente – Castelia City –  17/02/13
« Buongiorno, mi chiamo Ethan Shepard ».
L’ufficiale di polizia alzò la testa dalle scartoffie nelle cui era immerso.
« 
Come la posso aiutare? ».
« La mia macchina… ahem… penso che sia stata prevelata, qualche giorno fa, dopo che l’ho parcheggiata ».
« Mi dica la targa ».
« Er… HI 138LD ».
« Ora vedo ».
Il suo sguardo attraversò le pagine e pagine di elenco, finché non si fermò verso metà del quarto foglio. « Uhm, sì… 8 febbraio 2013… ora vado a controllare ».
« Grazie mille ».

 
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flashback – Anville Town – 05/02/13
Un nuovo sole brillava su Anville Town quella fine di febbraio. I suoi calorosi raggi illuminavano dolcemente le casette e ne accarezzavano il risveglio, come i primi rumori si facevano udibili per le strade e le prime utilitarie animavano il quotidiano traffico del paese.
Era giornata di consegna, una giornata di cui Erika non si sarebbe scordata così presto.
Un camion grigio, che si mimetizzava perfettamente nella monocromia dell’asfalto cittadino, attraversava silenziosamente quei viali in direzione della Anville Edizioni, che aveva sede in un caratteristico edificio nel cuore della città. Al suo arrivo, fu accolto dal sorriso raggiante di Henry Philips, il proprietario di quell’impresa.
« Qua! Scarichi qua! ».
Il tir arrestò la corsa accanto all’imponente cancello della proprietà ed il conduttore scese per aprire il retro. Decine di pile di libri si ergevano nel container, copertine rosso cremisi che scintillavano nella luce del mattino. La scritta “Casteliagate: the Affair behind the Scenes” troneggiava al centro, di colore nero e trapuntata di fili argento. L’immagine di sfondo rappresentava una Castelia City durante una giornata di pioggia.
« Fantastico! Sono esattamente come le avevamo pensate! ».
« È tutto? ».
« Sì, è tutto, dobbiamo solo scaricarli e poi può andare ».
I due allungarono le mani verso le colonne di pagine che affollavano quel riquadro di spazio ed, una ad una, le scortarono fuori, di fronte all’entrata interna. Il camionista salutò con voce piatta e se ne uscì, lasciando Henry solo nel suo brodo di giuggiole.
Rimase qualche secondo ad ammirare ciò che pensava sarebbe diventato il nuovo caso letterario del decennio, dopodiché estrasse un telefonino e, scorrendo fra i contatti, cliccò Erika Joy.
Dall’altra parte, vi fu una tiepida risposta.

Drin drin.
« Lou! Il telefono sta squillando! ».
Lo sguardo di Louis corse velocemente dal giornale che aveva sottomano alla cornetta, qualche metro più in là sul como che faceva ad angolo nella cuina. La voce di Erika si poteva udire forte e chiara anche dal bagno, dove sarebbe da lì a poco entrata in doccia.
« Lo prendo io » borbottò Louis come si alzò e strisciò sul pavimento. « Arrivo, arrivo…».
Gettò la mano sulla cornetta senza la benchéminima convinzione ed alzò.
« Buongiorno, questo è il telefono di — yawn — Louis Bloomfield ed Erika Joy ».
« Louis! Dov’è Erika? ».
Louis fu scosso alla vita dalla squillante voce del direttore dela casa editrice.
« È… via, cosa posso dirle? ».
« Vorrei essere io a dir—».
« Me lo dica a me e basta ».
« Oh, ok… ». Louis trascinò la cornetta, stretta nel pugno della mano, fino alla porta, che chiuse con forza, per evitare che la sua voce uscisse fuori da quelle quattro mura. « È arrivato il libro! “Casteliagate: the Affair behind the Scenes”! Già lo adoro, così come faranno i lettori ».
« Il… libro? ».
« Sì! Non è fantastico? ».
« Supp—».
« Vedi di avvisare Erika il prima possibile, c’è una conferenza stampa da organizzare, e voglio farle fare un’apparizione nella tv di Anville Town! E poi chissà, a livello nazionale! ».
Louis deglutì. « Er… riferirò ».
« Ottimo! Mi aspetto di vederla entro sto pomeriggio qua alle Edizioni per gli ultimi dettagli di logistica ».
« Ok, ok… Posso farle una domanda? ».
« Dimmi pure! ».
« Alla fine… avete tenuto il finale che avevamo deciso? ».
« Certo! Che domande sono? ».
« Scusi, è ver—».
« Ora non ho tempo per parlare del più e meno. Devo andare: ciao Louis! ».
Louis sbattè la cornetta sul legno.

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presente – fuori Castelia City – 17/02/13
« Louis? Cosa ci fai qua? ».
Louis stringeva nelle sue mani due sacchetti ripieni di cibo preso al fast food di fronte al Motel. Un inquietante smile risaltava al centro della bianca plastica e recitava le parole “Mickey’s Kitchen”. L’odore di fritto e di ketchup permeava l’aria.
« Pensavo di portare un po’ di cibo mentre ne discutevamo ».
« Che— che ore sono? ». Lanciò un’occhiata all’orologio: erano le 8:30. « Oh… entra, entra… ».
« Grazie ».
Si tolse il giubbotto e lo lanciò a cavallo dello schienale della sedia, gettò il cibo sul letto e vi stese un fazzoletto sopra, da usare come tovaglia.
« Ho preso le patatine Mickey, le tue preferite ».
« Ahem… grazie ».
« Di niente ». Louis le sorrise. « Forza, vieni qua ».
« Come— come mi hai trovata? ».
« Quando mi hai lasciato con Ethan, abbiamo litigato. La polizia ha fatto irruzione e ci ha portato via… io sono andato in prigione, ma ne sono uscito subito dopo. Poi sono tornato a casa, e sono stato chiamato da questo strano tipo… Lacker, penso si chiami—».
« Looker? ».
« Sì!, scusa. Looker. Lo conosci? ».
Looker?, si chiese nella sua mente Erika.
« Dopo— dopo ti dico. Vai avanti ».
« Dicevo… Mi disse di venire a Castelia perché, a detta sua, era dove eri diretta tu. All’inizio ero un po’ titubante ma poi, sta mattina, ho deciso di andarci; non avevo notizie di te comunque. L’ho richiamato e mi ha dato delle coordinate, dov’era il tuo hotel. Da lì… ».
« E perché non mi hai contattato prima? ».
« Io— non ne ho idea ».
Erika lanciò un’occhiata alla scatola in cartone, tutta ricoperta di olio, dalla quale fuoriuscivano le dorate patatine fritte. Un delizoso olezzo si diffondeva da loro in tutta la stanza.
« Louis, ti ringrazio moltissimo per tutto questo, ma ho paura che dovrò passare ».
« Come? ».
« Ti ricordi quello che ti ho detto? Sul fatto che la mia vita fosse diversa. Poco prima… poco prima che tu mi urlassi contro ».
Louis asserì.
« A Castelia ho avuto modo di approfondire la questione. Non sono cose di cui posso parlarti, anche perché penseresti che me lo sia inventato, però sappi che quello che sto facendo ha un senso. Ed è per questo che non voglio rivederti mai più ».
« Cosa? ».
L’espressione del ragazzo dai capelli verdi parlava più di mille parole. I suoi occhi, verde smeraldo, erano puntati sul viso di Erika come ad assistere all’eruzione di un vulcano: il viso contratto, la pelle distesa e liscia, i muscoli tesi. Le sue mani tremavano come tentava di fare uscire qualche suono, indistinto, dalle sue labbra.
« Non forzarmi, Louis ».
« Key—».
« È questo il punto! Non capisci? » urlò « Io… io non sono Erika! Non sono Erika Joy, non lo sono mai stata… la mia vita è una bugia! Vorrei che ci fosse un modo attorno a questo, lo vorrei tanto— ma non è possibile ».
« Cosa— di che cazzo stai parlando? ».
« Hilda Baskerville » rispose sibillina. Il suo sguardo era fisso nel vuoto, oltre Louis, perso nello sfondo boschivo illuminato da qualche lampione che si apriva dietro le finestre.
« Cos’è? ».
« Il mio nome. Io sono Hilda Baskerville ».
« Non dire cazz—».
« Non sono cazzate. Il mio nome è Hilda Baskerville, io sono Hilda Baskerville ».
« Non è vero! Tu sei Erika Joy! Lo sei sempre stata! ».
« SMETTILA! ».
Le palpebre di Erika erano serrate. Come le riaprì, si ritrovò i palmi delle mani stretti contro i padiglioni auricolari, ogni rumore era ovattato e attuito, ed il suo capo chino verso il basso. Louis era fuori dal suo campo visivo.
« È per questo che ti ho detto che non voglio più rivederti » pianse, « capisci? ». Una lacrima corse sul suo viso. « Non è colpa tua, credimi, ma non voglio più avere nulla a che fare con la vita di Erika Joy. E tu, purtroppo, fai parte di lei… ».
« Come— come puoi gettare via tutto quello che è stato? No— noi... ».
« Come posso? ». Un lieve sorriso inarcò le sue labbra. « La nostra relazione non ha mai funzionato, Louis! Come fai a non vederlo? ».
« Potremmo— potremmo sistemarla... ».
« Erika potrebbe sistemarla. Non io ».
I loro occhi riflettevano l’uno nelle pupille dell’altro. La tensione degli sguardi era tesa come un sottile filo rosso che attraversava i due corpi senza fissarsi. 
« Non c’è nient’altro che io possa fare, suppongo ».
« So che quello che ti chiedo è molto, ma te ne sarei grata se lo facessi. Oltre a quello, no, nient’altro ».
« Allora addio, Erika Joy ».

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presente – fuori Castelia City – 17/02/13
Era sera inoltrata al Blacksmith Inn e le luci al neon del motel illuminavano blandamente la strada che s’addentrava nella tenuta dell’edificio. Una macchina blu elettrico, che dall’aspetto pareva aver avuto una trentina d’anni, scassata e rigata, si fece strada all’interno del parcheggio, arrestando la sua corsa in un punto isolato, lontano fra tutte le macchine.
La luce era così fioca che l’ombra che ne uscì fu capace di sgattaiolare nell’ombra fino all’entrata del motel, per poi girare attorno al perimetro fino al retro, dove si apriva la schiera di porte esterne. Si sedette per terra, su degli scalini che davano di fronte alla facciata, ed aspettò.

«—dio, Erika Joy » udì, mentre la porta si apriva. La luce proveniente dall’interno lo acccecò, tanto che dovette portare le mano davanti al suo viso per nascondersi.
Arretrò e, nell’ombra, si nascose dietro un cespuglio.
Affondò la sua mano destra nella tasca ed estrasse la pistola, che, stretta nel palmo, avvicinò al petto. Quando vide la figura di Louis allontanarsi dal caseggiato e la porta richiudersi, capì che era il momento giusto.
« Che cazzo ci fai qua? ».
« Mark? ».
« Ethan ».
Louis stropicciò le palpebre, poiché attraverso quello spesso strato di buio gli era difficile anche solo inviduare una silhouette.
« Cos’hai in mano? ».
« Niente ».
« Non mi sembra niente ».
Come Louis allungò la testa per vederci chiaro, Ethan indietreggiò e nascose la pistola sotto la giacca di pelle. 
« Dimmelo. Cosa ci facevi da Erika, eh? ».
« Come– come fai a sapere che ero con Erika? ».
« E tu come hai fatto a trovarla? ».
« Senti » Louis alzò le mani « non ho voglia di litigare, voglio—».
« COME HAI FATTO A TROVARLA? ».
Fu un flash.
Ethan si era ritrovato con la pistola stretta fra le due mani, la canna puntata verso Louis, a pochi metri dal so corpo. Non appena il ragazzo dai capelli verdi capì quello che stava succedendo, sussultò. 
« Che cazzo fai? ».
« Non— non ho paura di usarla— Louis… ».
« Calmo… calmo… ».
« ZITTO! ».
Un rumore sordo saturò l’aria.
Louis rimase fermo, stordito dal boato della pistola, mentre Ethan provava a capire se, attraverso quell’oscurità, il colpo poteva esser riuscito a ferire l’altro. Quando i due ritornarono ai loro sensi, si accorsero che lo sparo non aveva toccato nessuno dei due.
Il proiettile era stato proiettato poco più in alto della spalla del castano ed era stato inghiottito dalla folta chioma smeraldo che circondava il motel, stretto da un lato dalla crescente foresta e dall’altro dall’autostrada. Il rumore che avevano percepito, tuttavia, era bastato a farli tentennare per qualche secondo.
« CHE CAZZO FAI? ».
« BASTA! ALLONTANATI DA HILDA! O— O—».
« Hilda? Non crederai alle sue put—».
« BAST—».
Un raggio di luce scintillò nel buio. Quel raggio si fece fascio, ed il fascio cono luminoso, che dalla loro destra era capace di rendere visibili anche i loro più piccoli particolari ed imperfezioni. Sia Ethan che Louis dovettero schermarsi inizialmente da quell’attacco ai loro occhi, ma quando abbassarono le braccia ed il loro sguardo corse per la fonte di quel fasstidio videro l’imponente figura di Erika, sottolineata dallo zampillo di luce che proveniva da dietro, porsi davanti a loro come una figura angelica davanti al sole. Come un’apparizione, l’apparizione che fa alzare le persone dalle carrozzine e sanguinare le statue, per non parlare dei gadget venduti.
« Erika? ».
« Erik—».
« SMETTETELA! ». La sua voce, acuta, rimbombò nel parcheggio. Allungò qualche passo e scese le scale che la separavano da loro, sotto gli sguardi increduli dei due. « Cosa pensavate di fare, eh? ».
Il castano pareva scosso. « Allontanati, Hilda… è una cosa fra noi du—».
« Hilda? Erika, cosa sta dicend—».
« Louis—».
« No, niente Louis. Cosa sta dicendo? Hilda? Come fa a sap—».
« Cosa importa? » s'introdusse Ethan. « Vattene ».
« Stronzate. Non me ne vado finché Er—».
« È così ».
La voce di Louis ammutolì fino a scomparire.
Erika si era avvicinata a Ethan ed ora stava alla sua sinistra, lievemente nascosta dalla sua schiena. Il suo sguardo era chino verso il basso e le lacrime avevano indondato il viso.
« Cosa significa tutto ciò? ». Il viso di Louis era contratto dall'incredulità, che piano piano stava cedendo il posto alla tristezza. « E— Erika? ».
« È meglio che tu—».
Un altro colpo saturò l’aria.
Erika non riuscì a vedere nulla prima che un colpo non la centrasse in pieno viso. Venne spinta dietro, perdette l’equilibro e cadette sul terreno, le mani davanti a sé. Come primo istinto ebbe quello di alzare il viso e capire l’origine della spinta, quando vide Ethan tremante colla pistola in mano e l’ombra di Louis allontanarsi alla sua vista.
« Cos’è successo? » urlò « cos’hai fatto, Ethan? ».
« Non— non—». Ethan si guardò le mani, sporche di polvere di sparo e sudore, che mescolati avevano creato un pastoso liquido nero sopra tutta la pelle. Si sentiva soffocare. « Non— non ci darà più fa— fa— fastidio… ora rientriamo ».

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flashback – Anville Town – 05/02/13
« Tancredi, non lasciarmi, ti prego! ».
« Lo sai che non posso, Genevieve! Ormai è tardi… mi devo sposare con stardust94! ».
« ੨( ·᷄ ︵·᷅ )シ ».
Il trillo di un telefono interruppe la tensione che aleggiava nell’aria.
« Vai tu, Key? ».
« Non— mpf… non ho vowwa » mugolò, portando alla bocca una manciata di popcorn che avrebbe poi inghiottito in un sol boccone. « Non puoi andare tu? ».
« Ai suoi ordini! ».
« Bwawo » continuo « mpf— ora wewmo il wilm ». Alzò il telecomando in direzione dello schermo e congelò l’immagine in un’istante, nel momento in cui Genevieve e Tancredi avrebbero dovuto darsi il loro ultimo bacio. 
Louis si trascinò al telefono ed alzò stancamente la cornetta.
« Pronto? ».
« Signor Bloomfield! Ha già comunicato a Erika la buona notizia? ».
« Uh? ».
« Il libro, signor Bloomfield! ».
« Oh… non— non la sento bene ».
« Come? ».
« Pronto? Pronto? Non sento niente, alzi la voce! ».
Louis agitò la cornetta attorno a sé.
« Signor Bloomfield, lei—».
« Non sento niente! » urlò, per poi schiaffare la cornetta giù.
« Mpf— chi era? ».
Louis osservò Erika distesa sul divano, in mano un contenitore rotondo grande quanto la sua testa ripieno di popcorn, e per un attimo si dimenticò del libro. Quell’attimo, purtroppo, era destinato a finire.
« Uh? Oh, nessuno. Non sentivo niente ».

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flashback – Anville Town – 06/02/13
Erika affondò le fauci in una dorata brioche fumante, e dal retro colò un rivolo di liquido arancione sul piatto. Alzò il mento per evitare che la fuoriuscita pregiudicasse la quantità di marmellata all’interno, ma ottene solo che essa cadesse sul suo mento e, conseguentemente, sul suo pigiama. Indossava una maglietta verde smeraldo, sulla quale capeggiava la scritta “THINK GREEN, LIVE GREEN”. I pantaloncini, analogamente, mantenevano gli stessi toni ed erano puntellati da piccoli alberelli.
« Qualcuno… mpf… bussa alla porta ».
« Ah sì? ».
Erika asserì. « U-uh. Chi va? ».
« Sono sicuro che non sia importante. Chi vuoi che sia a quest’ora del mattino? ».
« Effettivamente… ». Erika lasciò la presa sulla brioche, che cadde a filo di piombo sul piatto, e scese dalla sedia « arrivo! ». 
« Tranquilla Key—».
« Torno subito » cantilenò. Aprì la porta.
« Erika! ».
« Signor Philips? Come mai questa visita? ».
La testa dell’uomo baluginò dallo stipite della porta, dentro l’appartamento, e si guardò attorno come una vispa marmotta alla ricerca di cibo: Louis. Come il ragazzo incontrò il suo sguardo, nascose gli occhi nella tazza di caffé che stava bevendo, la quale gli restituì un’immagine intimorita di egli stesso.
« Louis! Non gliel’hai detto? ».
« Uh? ».
« Cosa— cosa non mi avrebbe detto? ».
Erika ed il signor Philips si scambiarono due sguardi confusi. « Come cosa? Il libro! ».
« Libro? Louis, cosa—».
« Sono arrivate le copie del libro, Key » la interruppe gelido « Henry— il signor Philips mi ha chiamato ieri per dirtelo ».
« E come mai non me l’hai dett—».
« Cosa importa! » esclamò l’uomo « non è entusiasta di andare a vedere le prime copie del suo nuovo libro? ».
« Io— certo, ma—».
« Allora bando alle ciance! Forza, vi aspetto entro pranzo da me in ufficio! Abbiamo grandi piani per te, Erika! ».
L’eco della porta riempì l’imbarazzante silenzio che andò a crearsi come Henry lasciò la stanza. I loro sguardi fluttuavano nell’aria cercando un punto incontro, ma con loro sfortuna come uno dei due cercava l’attenzione dell’altro, ecco che l’altro scivolava via.

« Perché non mi hai detto niente del libro? ».
Erika si passò una sciarpa attorno il collo. 
« L’ho saputo nemmeno 24 ore fa, Key… me ne sono solo dimenticato ».
« Ok ma come può esserti passato di testa? Cioè non potevi dir—».
« Facciamo che basta, ok? Ora stiamo uscendo, tra poco ritroverai i tuoi fantastici libri e saremo tutti contenti ».
« Lou—».
« Basta, Key ».
Louis superò Erika, sotto il suo sguardo stupefatto, e, uscito dalla porta, scomparì dentro la tromba delle scale, mentre Erika era intenta ad inserire le chiavi nella toppa della porta.

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presente – fuori Castelia City – 17/02/13
Nella mente di Erika frullavano migliaia di domande come collo sguardo seguiva i pesanti movimenti di Ethan, che si trascinava per la stanza di motel. La sua pistola era stretta nella mano destra e, usando la sinistra, si sistemava i capelli castani, impregnati di sudore e sporco. Non ricordava l’ultima volta che lui avesse fatto una doccia. 
Si sedette su una sedia che recuperò dalla mini-scrivania nell’angolo della camera e rimase a fissarlo, in attesa del dafarsi. Era rimasta molto scossa da quanto appena accaduto e ciò l’aveva portata a ripensare a tutto quello che aveva intenzione di fare appena entrata in contatto con Ethan. Poteva fidarsi di lui? Non ne era certa. Ciò che gli aveva detto non corrispondeva a quanto appreso dalla registrazione, ma gliene mancava ancora un’altra. Quale scelta aveva, se non assecondare i suoi movimenti? 
In quel momento, in quel breve e coinciso istante, provò per la prima volta nella sua, breve, vita di Erika Joy, paura. Paura per la sua vita. Paura, rappresentata dall’uomo che si ergeva davanti a lei: Ethan Shepard.
« Vuoi… vuoi farti un bagno? Il motel mi ha dato tutte queste cose per… il bagno, ma non mi servono. Ho già fatto una doccia ».
« Va— va bene ». La sua voce tremava.
« Ok… allora vieni, ti accompagno… devi essere molto scosso ».
Ethan asserì.
Erika si alzò dalla sedia ed andò da lui, avvolgendo le sue braccia intorno alla vita dell’uomo. Lo alzò, aiutata anche dai suoi movimenti, ed assieme si avviarono al bagno.
Ethan sedette su di uno sgabello presso la vasca mentre la ragazza ruotava la manovella che apriva il rubinetto dell’acqua calda.
« Una bel bagno caldo fa passare tutto » commentò atona Erika, cercando nel più profondo di sé un calore che avrebbe permesso alla voce di suonare, anche se per poco, dolce o confortante. Non lo trovò.
« Gra— grazie… ».
Gli sorrise. « Di niente. Ora io torno di là, mi distendo un attimo sul letto… tu fai con calma ».
Ethan asserì.
« Bene. Buon bagno ».
Sorrise.

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Erika uscì dalla stanza come lo scrosciare dell’acqua inondava l’etere della sua melodia. Il flusso era costante e poteva sentire i pesanti movimenti di Ethan immergersi goffamente nella vasca: per un attimo, un breve attimo, pensò a come dovesse esser stato in quella stanza. Cacciò quel pensiero dalla testa e guardò avanti a sé. I suoi passi si susseguivano leggeri, il suo sguardo vagava per le pareti dell’appartamento alla ricerca del tomo datole da Looker.: finalmente lo vide, poggiato sul letto, aperto, il cd in procinto di esser ascoltato. Giusto. Aveva provato a sentirlo dopo che Louis era uscito.
Si sedette sul letto e rigirò il cd fra le mani, rapita dal suo contenuto, attirata da ciò che si nascondeva dietro quella superficie così brillante: cos’altro l’avrebbe aspettata? Un misto di paura ed eccitazione pervadeva la sua mente mentre stringeva fra le mani quel gioiello di tecnologia. 
Un lampò la accecò.
Come avrebbe sentito quel cd?
Si guardò attorno, ma nulla che assomigliasse ad uno stereo od un lettore digitale si palesava alla sua vista. Repentina com’era stata, lanciò un’occhiata alla porta del bagno: nulla pareva muoversi.
Afferrò il cd con la mano destra, si mise la giacca addosso ed uscì.

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« Uno stereo, ha detto? ».
Erika asserì. « Qualsiasi cosa in grado di leggere un cd, in realtà ».
« Ora controllo ».
La ragazza si poggiò sul bancone di legno mentre con i suoi vispi occhietti seguiva la donna della reception scomparire dietro una porta grigia, recante la scritta “AUTHORIZED PERSONNEL ONLY”.
Ritornò sui propri piedi e si diede un’occhiata attorno, alla hall di cui quel piccolo motel disponeva. La sala era circolare ed il bancone si trovava nel punto diametralmente opposto alla porta, ai lati della quale si trovavano due caminetti che vedevano adunati a loro due divani ed altrettante poltrone attorno ad un tavolino di vetro. Solo un uomo sedeva in quella grande sala, ad osservare cupo il fuoco che crepitava e brontolava.
Per qualche momento, le sembrò che la stesse osservando. 
Scosse la testa.
I suoi occhi andarono oltre le ampie finestrate che circondavano il salone, proiettata nel buio pesto della notte e nella folta boscaglia che si estendeva di fronte a lei. Con sua grande sorpresa, c’era ancora una macchina girare per i dintonri a quella ora.
Senza accorgersene, la donna era arrivata.
« Eccole! » esclamò, mentre issava sul bancone un piccolo stereo rosa a forma di Chansey « Non è molto, ma spero che le possa essere utile ».
« Grazie mille! Le saprò dire. Uh, e posso delle cuffiette? ».


TRACK HILDA recitava la traccia sul display del lettore cd.
Premette play.
« Possiamo cominciare, ora. Perché stai registrando? Oh, per questioni… non preoccuparti. Andiamo avanti. In questa sessione, come ti ho già spiegato, andrò a fare una mappatura dei tuoi ricordi affinché possiamo individuare ogni tuo tipo di ricordo legato ad N, al giornale Castle ed alla tua vita come Hilda Claude Baskerville, isolarlo e cancellarlo dalla tua memoria. Come abbiamo discusso nel precedente incontro, procederemo prima a ricapitolare ogni tuo ricordo ed evento nella tua vita legato ad esso, per poi, come essi appaiono nella tua mappatura cerebrale, andarli ad isolare. Ora procederò a, per così dire, raccontare la tua vita e i fatti salienti; se sono corretti fai un cenno del capo, in caso contrario fermami e correggimi. Iniziamo… Hilda Claude Baskerville, sei nata il 26 Maggio 1990… ».
Deglutì.

 
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Erika uscì dall’edificio stringendo con forza il cd nelle sue mani. Una lacrima scese lungo il suo volto, lacrima che subito asciugò con un drappo della sua maglietta dal suo viso.
Fissò il suo riflesso sulla superficie del disco mentre camminava rasente alla parete, illuminata dalla luce che l’enorme quantità di fari e torce appese ed incastrate nello stabile. Il suo viso, ieratico, si dipanava lungo tutta la sezione circolare, qualche volta rigato da un segmento radiale arcobaleno. 
Sovrappensiero, non rese conto di aver camminato così tanto da essersi trovata di fronte ad un cestino.
Alzò la mano sinistra e prese con essa il lato scoperto del cd. I suoi polpastrelli premevano con forza dal basso verso l’alto mentre incurvava leggermente i polsi. Inizialmente dovette metterci un po’ d’impegno, ma, poco dopo, riuscì a sbloccarsi. Le sue dita corsero veloci mentre una crepa si disegnava a metà del dispositivo: la crepa correva da un lato all’altro, separando a metà le due parti del cd. Prima che se ne accorgesse, sul fondo del cestino era caduto quanto restava del secondo disco.

« Key? ».
« Lou? ».

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flashback – Anville Town – 06/02/13
« Mi vuoi dire cos’hai? ».
« Cos’è che ho? ».
« Dimmelo tu! È da stamattina che mi tieni il broncio ».
« Va tutto bene ».
« Sicuro? ».
Louis asserì. « Sì ».

Parcheggiarono la macchina accanto al cancello dell’editoria.
Erika e Louis non si scambiarono uno sguardo mentre uscivano dalla macchina e, a ritmi e velocità diverse, attraversavano lo spazio che li separava dall’entrata dell’edificio. Potevano vedere la silhouette di Henry attraverso la porta finestra agitarsi animatamente attorno pile di quelli che sembravano libri. Più si avvicinavano all’obbiettivo, più ne erano certi: erano i loro libri.
Un brivido corse lungo la schiena di Louis come osservava Erika avvicinarsi alla porta, alla verità. Camminava a testa alta, i suoi occhi brillavano di gioia al pensiero di ciò che l’aspettava e le sue mani tremavano dall’emozione incontenibile. 
La spia a capo delle porte vetrate s’illuminò di verde e le porte cominciarono, lentamente, a scivolare ai lati, scomparendo dentro le mura del palazzo, e subito una folata di aria calda investì la castana. Proseguì di qualche passo e vide, di fronte a sé, Henry Philips, il direttore della casa editrice, che sorrideva accanto ad una sagoma di cartone.
Molto diversa dalla sagoma che si aspettava.
Raffigurava una ragazza dai capelli biondi e gli occhi azzurri in un abito da sera molto corto ed attillato, che rivelava le sinuosità della donna. In prossimità del seno, molto generoso, era un ciondolo di smeraldo a forma di cuore. Stringeva una pistola nella mano destra. Le gambe, i cui piedi erano tagliati dalla sagoma, erano oscurate dalla scritta a caratteri cubitali CASTELIAGATE: THE AFFAIR BEHIND THE SCENES in un font fatto di fiamme e carte da gioco.
« Erika! Finalmente ti vedo! Non è fantastico? Sono arrivati i libri! ».
Tentò di aprire bocca ma il fiato era corto e non raggiungeva la sua lingua.
Poteva sentire il suo cuore accelerare nel suo petto: i respiri si fecero corti ed interrotti.
« Cosa… » sussurrò, guardandosi attorno « cosa… cosa… ».
« Cos’è successo? ». Sul volto di Henry era dipinta un’espressione confusa, riflesso di ciò che vedeva negli occhi di Erika. « Va tutto bene? Troppa emozione, eh? ».
« Che cazzo significa questo? ».
« Cosa? ».
« Ho detto » continuò, il suo tono più forte e cupo « cosa. Cazzo. Significa. ». 
« I libri—».
« Stronzate! ». Le sue mani corsero sul colletto della camicia che aveva indossato per l’occasione, una camicietta bianca con sbuffo sulle maniche, e ne tirarono i lembi. Li forzarono, fino a ché non udì dei rumori di strappi provenire da essi. « Non… non… ».
« Erika, va tutto bene? ».
« Io… ».
« Key » s'intromesse Louis. « Key, devo—».
« Zitto ».
« Va tutto bene? Se vuo—».
« Se voglio? Che cazzo dovrei volere di più? Questo… tutto questo… non era niente di quello che avevo pensato! Cosa avete fatto… avete rovinato la mia storia! ».
Erika si avventò sulla pila di copie che si ergeva in parte alla sagoma e ne tolse uno, spazzando via con un calcio la restante parte della composizione. Aprì le pagine, dopo esser rimasta inorridita dalla copertina affibiatagli, e corse per le pagine. Corse, corse, attraverso tutto il libro, ed ecco che lì era: l’ultimo capitolo, il capitolo 19, che aveva deciso di non aggiungere. Che non aveva proprio scritto.
Sentiva una parte di sé violata.
« Cosa avete fatto… » pianse, sottovoce, mentre le sue mani correvano veloci fra le pagine. L’eco della cellulosa che veniva lacerata riempì l’aria: ben presto, pagine e pagine volavano nella stanza. 
« Stai bene? Vuoi che chiamo un’ambulanza? ».
« BASTA! » urlò « basta! Non pensi di aver fatto abbastanza? ».
Lasciò cadere il libro ai suoi piedi.
« Non capisco… non era questo che volevi? ».
« QUESTO? ». La sua voce era rotta e flebile. Indicò la sagoma di cartone che si ergeva di fronte a lei. « Questo? Come puoi pensare che sia quello che volevo? Io… non si avvicina lontanamente a quello che avevo detto! ».
« Quello che avevi edetto? È… è questo, Erika. L’hai firmato proprio tu ».
« Cosa? ».
« L’hai firmato tu, qualche mese fa. Non ti ricordi? ».
« Buongiorno, stavo cercando Erika Joy ».
« Harry Philips, piacere. Tempaccio, eh? ».
« Già. Vuole entrare, o—».
« No no, sarà veloce. È da qualche tempo che abbiamo inviato le modifiche al libro per posta ma non abbiamo ricevuto risposta, sa quando potrei parlarle? ».

Improvvisamente, Erika si ricordò della presenza di Louis nella stanza.
Il suo sguardo attraversò le pareti ed atterrò sul viso del ragazzo, il quale in ogni modo aveva tentato di esimersi dalla conversazione.
« L— L— Lou—». Ogni respiro che compieva per prendere parola era come fuoco lungo la sua gola. Parlare bruciava di più ogni altra cosa. Di ogni altra bugia. « Ne— ne sai— qual— qualcosa? ». Le lacrime continuavano a scendere.
« Key—».
« No… dimmi— dimmi la verità ».
Louis asserì.
Erika strofinò il lembo della sua camicietta sulle sue labbra ed asciugò le lacrime che avevano bagnato la pelle. Passò la stoffa su tutto il viso e, qualche secondo dopo, riuscì a veder il suo amato Louis chiaramente: i suoi occhi puntavano verso il basso ed il suo sguardo era vuoto, perso nei pensieri.
« Come… come hai potuto! ». 
« Key—».
« SMETTILA! ». Si avventò sulla pila di libri e ne afferrò uno a caso, per poi scaraventarlo contro la figura di Louis. Fece lo stesso con i seguenti 3 libri, dopodiché la pila giunse al termine. « BASTA, BASTA! ».
« Volevo… volevo che tu fossi felice ».

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presente – fuori Castelia City – 17/02/13
« Pensavo… pensavo fossi andato via ».
La figura di Louis si muoveva esile nel pesto buio che era calato, assieme alla sera ed al gelo invernale, su Unova. Anche se non riusceva a vederlo, riconosceva nell’uomo che si presentava di fronte a lei il ragazzo che, un tempo, aveva amato.
« Come avrei potuto? Non potevo lasciarti nelle mani di quel pazzo! ».
« Dob—».
« Ascoltami Key, devi chiamare la polizia! È un pericolo pubblico! ».
« Non ora, Lou! È troppo presto ora ».
« Cosa significa “è troppo presto”? Non ti rendi conto di quello che può fare? ».
« Sì, sì— ma non capisci! Ethan—».
« Niente Ethan, Erika! Lo fermerò, che tu lo vogl—».
« Vediamoci. Fra un’ora, stesso luogo, arriverò con Ethan. Chiameremo la polizia e lo terremo qua finché non arriva, ok? ».
Louis asserì.
« Ottimo, ora dev—».
Erika provò una leggera stretta al suo braccio destro. Girò la testa in direzione del ragazzo e vide che la sua mano la tratteneva, la collegava idealmente a lui.
« Quello… quello che hai detto prima. Lo credi veramente? Non— non c’è più posto per me nella tua vita? ».
« Lou—».
« Ho bisogno di una risposta, Key ».
« E io… ho bisogno di andare, scusa. A fra poco ».
Erika si divincolò dalla stretta di Louis e scomparì nell’oscurità, inghiottita dalle ombre della regione di Unova.

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La porta cigolò come Erika timidamente cercò di aprirla.
« Erika? ».
« Ethan… io—».
« Dov’eri finita? Perché non c’eri quando sono entrato nella stanza? ».
Ethan era seduto sul letto, vestito, l’asciugamano bagnato gocciolava a cavallo della sedia. Stringeva nella mano sinistra la pistola e con la destra la stava accarazzendo, come a smussare una qualche inesistente imperfezione. Dalla posizione qual era, non gli sarebbe stato difficile alzarsi e prima che Erika se ne potesse accorgere, colpirla fatalmente. 
Erika chiuse la porta ed avanzò verso di lui.
« Scus— scusa. Volevo… fare una passeggiata ».
« Erika… posso fidarmi di te? ».
« Cosa? Ce— certo che puoi, Ethan ».
« Non credo. Dov’eri? ».
Raccolse dentro di sé quanta più sicurezza poteva ed esibì il sorriso più caldo che era mai riuscita a fingere in quanto si ricordava di vita. Allungò la mano verso di lui, aperta, sperando di essere ricambiata dalla stretta del ragazzo.
« Ti ho detto, a fare una passeggiata… volevo schiarirmi le idee ».
« Su cosa? ».
« Su… noi ».
« Noi? ».
Erika asserì.
« Erika… io mi sto impegnando, ho cercato di fare quanto potevo per aiutarti, ma sto trovando un muro davanti a me. E prima o poi, potrei finire, involontariamente, per buttarlo giù ».
Involontariamente.
Il gelo che plasmava le sue parole era fonte di paura nella ragazza. Era serio, ma la sua serietà non era corrotta dal minimo istinto bonario: tutt’altro, nella sua fermezza lasciava trasparire una sensazione di freddezza.
« Non accadrà più ».
« Come faccio a saperlo? Erika? Come? ».
« Te lo pr—».
Il respiro le mancò in gola. Udì una scarica di dolore partire dal suo braccio destro, e quando ritornò ai suoi sensi, una frazione di secondi dopo, vide la mano di Ethan che imponeva una morsa sul suo arto.
« Mi— mi stai facendo male ».
In quel momento, i loro due sguardi si incrociarono. Poteva sentire sulla sua pelle la spietata aria di sfida con la quale gli occhi di Ethan osservavano Erika: in quel momento, pari ad un animale ferito, accasciato al suolo, che tentava di ribellarsi al suo padrone.
« Devi promettermi, Erika, che non mi deluderai più. Che non— che potrò fidarmi di te ».
« Sì, Ethan, te lo promet—».
« Non dirmi sì! Devi esserne convinta ».
Erika abbassò lo sguardo. « Ne sono convinta ».
« Bene. Ora usciamo, non sopporto più questo posto ».

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La macchina di Ethan si aggirava furtiva nell’oscurità.
Erika giaceva a peso morto sul sedile anteriore, in parte al ragazzo, in uno stato di passiva quiescenza.
Immersi in un paesaggio fatato, in un’atmosfera fatta di buio pesto e luccicanti luci al neon, che disegnavano suggestive ombre sui vetri della vettura, i due si apprestavano a lasciare quel luogo dietro. Nella sua mente, la ragazza pensava al cd, a Louis, ad N. Quanto sarebbe riuscita a trattenere la verità? Per quanto ancora avrebbe sopportato il peso di quanto Hilda Baskerville aveva lasciato su di lei? E, poi, sentiva veramente di essere Hilda? Avrebbe avuto il coraggio di reclamare quel nome? Di ritornare Hilda?
Erika sentì una forza estranea spingerla verso il cruscotto. Quando aprì gli occhi, la macchina aveva inchiodato in mezzo alla strada, e due fari illuminavano il suo viso a giorno. Non riusciva a vedere chi fosse dall’altra parte.
« Che cazzo? ».
« Cos’è stato? » mormorò Erika. Poi si ricordò.
« È… Louis? Cosa ci fa ancora qua? ».
Ethan scese dalla macchina ed alzò il suo braccio destro a coprire gli occhi dall’insistente fascio di luce che veniva diretto contro di lui.
« Ancora qua? Non ti era bastato il primo round? ».
« La tua corsa finisce ora, Ethan. Lascia stare Erika, non ti ha fatto niente ».
Un sorriso corse sulle labbra di Ethan.
« Sei ancora arrabbiato perché lei ha scelto me? » rise « sei patetico. Levati ».
Come non avesse ascoltato le sue parole, Louis cercò il viso di Erika nel sedile anteriore. Vide una macchia di colore blu, nella quale poteva scorgere il candido viso della castana rintanato e nascosto. 
« ERIKA! MI SENTI? » urlò.
« Non vuole avere niente a che fare con te, Louis. Vattene ».
« Non è vero… non— non è vero… ».
Erika osservava lo spettacolo inerme. Quello che riusciva a fare era muovere il capo a segno di negazione verso Louis, nella speranza che lo vedesse. Non voleva parlargli, non voleva combatterlo. Non in quel momento. Che fine aveva fatto la promessa?
« Erika… ».
Poteva sentire la sua voce rompersi, nell’oscurità e nel coro di rumori che rimombavano nella sua mente.
Lo sguardo di Louis era deluso.
« Dovevo… dovevo saperlo. Non fa niente ».
« A Erika non frega un cazzo di te. Contento? Ora puoi andare. Abbiamo altro da fare ».
« No. Sapevo… sapevo che Erika mi avrebbe deluso di nuovo. Ho già chiamato la polizia, arriverà qui a momenti. La vostra corsa è finita, in ogni modo ».
« Figlio di puttana » bofonchiò Ethan « e pensi di bastare a—».
« BASTA ».
Una voce femminile irruppe nel silenzio.
« Basta, tutti e due ». 
Erika scese dalla macchina e vi si mise in parte, dal lato opposto a quello del ragazzo. Louis era davanti a lei, a qualche metro di distanza. Poteva sentire i suoi respiri, nel buio.
« Louis, devi andartene. Non c’è più spazio per te ».
« Key… ».
« Niente Key. Non sto scherzando ».
Il gelò calò nella strada.
Erika rivelò dalla sua mantella blu la pistola di Ethan, che lui aveva lasciato sul sedile di guida dopo essersi alzato, pronto ad usarla. Se Louis poteva dirsi sorpreso, nel castano lo chock era decisamente maggiore: non avrebbe mai detto che quella ragazza, così gracile all’apparenza, sarebbe stata capace di tanto ardore. I due rimasero senza parole a fissarla, mentre alzava la canna della pistola contro la tempia di Louis.
Le sue mani tremavano come le braccia si issavano su, nell’aria, lentamente, a causa del pesto stesso dell’arma.
« Cosa ti è succeso, Key? Mi… mi amavi. Ci amavamo ».
« Ti— ti sbagli. Erika Joy amava Louis Bloomfield. Ma io non sono Erika Joy: io sono Hilda Baskerville. Lo sono sempre stata, ed Hilda Baskerville ha sempre amato una ed una sola persona… ma quella persona è morta ».
« Ancora con questa storia? ».
« SMETTILA! ». Per un attimo le braccia non ressero la tensione e caddero senza vita lungo il suo corpo. Cercò la forza di alzarla nuovamente nella sua rabbia, nell’ira che in quel momento si era accesa, come un fuoco, dentro di sé. « Mi dispiace, Louis… mi dispiace vermente. Ma non c’è più niente che possiamo fare. Ora ho capito qual è il mio scopo, cos’è che devo fare, ed è più di quanto Erika Joy abbia mai provato in vita sua. L’unica volta in cui ho provato un’emozione vera, qualcosa che andasse oltre la mia indolenza e passività, è stato quando hanno rovinato il mio libro. Quando tu hai rovinato il mio libro. Ma va bene, non ce l’ho con te. Devo ringraziarti, anzi… ho capito che non c’era posto per me. E non c’è neanche posto per te, Louis. Sei già morto, noi siamo già morti. Rendiamolo ufficiale ».
Le volle uno sforzo più grande di quanto immaginava a premere il grilletto contro il corpo della pistola. Il contraccolpò che le diede la spinse a terra, tanto che dovette allungare il suo braccio sinistro allo specchietto della macchina per reggersi in piedi. Udì un rumore sordo infuocare le sue orecchie, e poi Hilda svenne.

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flashback – Anville Town – 06/02/13
Erika si chinò ed sollevò un libro da terra, uno dei tanti appartenenti alla pila che aveva fatto cadere, e si alzò con gli occhi incollati alle pagine. Con le dita sfogliò tra i capitoli sino a che non giunse all’ultima pagina, accanto della quale stava la terza di pagina.
« Una nuova luna calava su Unova. Erano passati tre giorni da quando Brancaleone, a causa della malattia, era morto. Poco tempo prima, l’ultima cosa che era riuscito a fare, aveva ferito i sentimenti di Vassillissa, che a causa sua l’aveva lasciato: Brancaleone sapeva che, anche a costo di rovinare la loro relazione, Vassillissa stessa non sarebbe mai riuscita a sopportare il dolore che vedere la morte del suo amato avrebbe causato ».

Un libro sfiorò il capo di Louis.
« PENSI CHE QUESTA SIA LA FELCIITÀ, EH? ». Erika prese tempo per respirare, dopodiché afferrò un altro volume in mano e lo scaraventò contro la finestra. « Questo… tutto questo… non è la felicità. Quel libro era una parte di me, la parte più intima di me… e l’avete rovinato. Tu, Henry, quando hai deciso di renderlo accattivante al pubblico, e tu, Lou, quando hai accettato quella proposta ».
« Non pensavo che potesse farti così tanto male… purtroppo non c’è niente che possa fare io adesso ».
« Va— va bene. Non c’è più nulla che io voglia in ogni caso ».
Henry si chinò e raccolse qualche volume di quelli che Erika, nella sua rabbia, aveva lanciato per terra, e li impilò nuovamente uno sopra l’altro. 
« Mi dispiace dirtelo, Erika, ma ho paura che dovremmo proseguire con questo libro. Siamo una piccola casa editrice di Anville Town, non possiamo permetterci di andare in rosso ».
« E io cosa dovrei fare? ».
« Dopodomani ci sarà la presentazione del libro. Presenzia a quella, e cercheremo di vendere quanto stampato. Dopodiché, potrai andartene senza problemi ».
Erika fissava il basso, il vuoto, nella speranza che qualcosa accadesse e stravolgesse gli eventi. Che si svegliasse da quell’incubo, se poteva. Ma anche quando si guardava attorno, tutto urlava reatà.
« Ok ».
« Bene. Ora andate, rimarrò io a sistemare ».

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flashback – Anville Town – 07/02/13
« Henry? ».
« Erika! Volevo solo comunicarti la posizione della presentazione ».
« Oh. Ora prendo un foglio ».
« Ok, dimmi quando hai fatto »

« Dimmi ».
« Gazi Kodzo Square, alle 9 ».
« Ok. Cercherò— di esserci ».

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flashback – Anville Town – 08/02/13
La Gazi Kodzo Square era una piazza che nasceva, nel cuore di Anville Town, dall’inconrocio di quattro strade, parallele a due a due, che al centro davano vita ad uno spiazzo di modeste dimensioni, sul quale era sorto un parco ed, al centro di esso, il Centro Conferenze Kat Blaque. L’edificio era di forma cubica, con quattro rampe di scale che davano ciascuna su un lato; dei quattro, tuttavia, solo uno era usato come entrata, mentre i restanti tre erano stati chiusi con delle sbarre di metallo. Una grossa cupola faceva dal soffitto, facendo entrare la luce dall’occhiello posto sulla sommità di essa.
Erika attraversò la strada e subito la sua attenzione fu catturata dal largo cartellone pubblicitario di fronte a lei, che rappresentava cinque giovani ragazze in una passerella, sulla quale era stata stampata a caratteri cubitali la scritta “Yearly Sommer Gals”, l’annuale sfilata di moda della nota stilista Sommer Claude. Scosse la testa e proseguì: otto file per otto colonne di sedie foderate in pelle rossa che davano ad un palco di compensato davanti a loro.
La prima cosa che notò entrando fu la scarsità delle persone che in quel momento si trovavano nel luogo, tanto che se si fossero unite anziché rimanere sparpagliate per la sala avrebbero sì e no riempito una fila.
« Erika! Accomodati pure là, le persone arriveranno ».
Erika evitò il suo sguardo e continuò a camminare.
« Ok » mormorò, ma Henry era già intento ad accogliere le poche persone che si apprestavano ad entrare.

Erika sedeva in una posizione che le permetteva di vedere l’intera platea, che in quel momento poteva dire di raggiungere quasi metà della sua capienza. Decine di macchine fotografiche che puntavano verso di lei, ed altrettante persone che stringevano fra le proprie mani dei taccuini o dei dispositivi elettronici per tenere traccia del discorso. 
Le porte lentamente cominciarono a chiudersi e la folla si fece silenziosa, mentre Henry, attraversata la sala, si apprestava a raggiungerla nel palco. Salì la breve rampa di scale e arrivò dietro di lei, superandola e prendendo possesso del microfono. 
In quel momento, Erika sentì un nodo alla gola. L’aria si faceva più rara, ed il cuore accelerava i battiti.
« Benvenuti a tutti, signori e signore! Siamo riuniti qui oggi, domenica 8 febbraio, per la presentazione del nuovo, scoppiettante, audace, disturbante, avanguardistico romanzo di Erika Joy: Casteliagate: The Affair behind the Scenes! ».
La ragazza osservò il pubblico mentre uno scroscio di applausi si diramava come un’onda concentrica sulle loro mani.
« Ora lascio la parola all’autrice ».
Henry si fece indietro e lasciò la presa del microfono, che ritornò sulla struttura di metallo che lo reggeva, in cima del poggio.
Erika si guardò attorno, dopodiché si schiarì la gola, suono che rimombò lungo tutta la sala attraverso l’amplificazione del dispositivo.
« Buon— buongiorno a tutti… sono Erika Joy ». Portò la mano destra sul collo e si massaggiò l’ugola. « Direi… di cominciare con le domande ».
Un leggero brusio si levò fra il pubblico.
Una mano si alzò.
Erika acconsentì con un cenno del capo.
« Buongiorno » esordì l’uomo. Era un giornalista di mezza età, da quanto poteva vedere, ed indossava un completo grigio come il cielo quel giorno. Fra le mani stringeva una fragile penna stilografica che, ad occhio e croce, era costata più del vestito. « Mi chiamo Christian Black e sono un famoso giornalista di Anville Town, e scrivo per La Gazzetta di Domani, un giornale molto famoso. Dato che mi sembra che tu— lei è una persona che gli piace molto scrivere, qual è stata la cosa più difficile da scrivere? ».
Erika alzò il sopraccigliò.
« Ahem… la ringrazio molto per la domanda, signor Black… be’ la parte più difficile da scrivere… penso sia stato l’inizio. Quando ho delineat—».
« Grazie mille ».
La ragazza lo fissò buttare giù la frase che aveva appena detto sul taccuino, gli occhi sgranati.
Scosse la testa e proesguì con la donna che stava nella prima fila, davanti a lei. Indossava un tauiller rosso Valentino e stringeva una macchina fotografica tra le mani.
« Buongiorno, sono Becky White e scrivo per un settimanale online, Bravery. Sarei molto interessata riguardo ciò che pensa del finale, e la sua opinione sul ruolo della donna nella società moderna ».
« Ottima— ottima domanda. Il finale… è certamente un finale, ecco…. ». Si schiarì la gola. « Credo che la scelta fatta dalla protagonista, Vassillissa, sia stata la scelta giusta. Per rispondere alla sua seconda domanda, credo che sia una questione troppo grande da affrontare in uno spazio relativamente piccolo come questo… sarei felice di discuterne in altri luoghi, però ».
« In che modo è stata giusta la scelta di Vassillissa, però? ».
« Be’… direi che facciamo prima a leggerlo… » si guardò attorno, sperando che il pubblico raccogliesse la sua offerta « … no? ».
Prima che potesse girarsi, Henry aveva le mani allungate verso di lei, nelle sue mani una copia del libro.
« Ahem… Una nuova luna calava su Unova. Erano passati tre giorni da quando Brancaleone, a causa della malattia, era morto. Poco tempo prima, l’ultima cosa che era riuscito a fare, aveva ferito i sentimenti di Vassillissa, che a causa sua l’aveva lasciato: Brancaleone sapeva che, anche a costo di rovinare la loro relazione, Vassillissa stessa non sarebbe mai riuscita a sopportare il dolore che vedere la morte del suo amato avrebbe causato. In quel momento, la giovane ragazza sedeva davanti alla sua valigia, a casa sua, sperando in una risposta dal suo amato Brancaleone: la giovane era infatti inconsapevole della malattia di Brancaleone. Sedeva tranquilla, quieta e rilassata, mentre con la sua mente scrutava il telefonino nella speranza che uno zampillo di luce zampillase lucentemente dallo schermo. Decise di farsi coraggio ed afferrò in modo dinoccolato il telefono, per poi fare il numero del suo amato Brancaleone. Attese. « Pronto? ». Nessuna voce rispondeva. « Pronto? Sono Vassillissa ». ».
Angela fissava Erika con lo sguardo con cui un Dedenne fissa una Baccamela.
« « Sì, sono la ragazza di Brancaleone… cioè ero, ci siamo lasciati… ha notizie di lui? Perché non ha rispsoto lui? ». Lo sguardo di Vassillissa si faceva sempre più triste come la conversazione andava avanti. Sentiva che qualcosa non andava, che il suo amore, in qualche modo, era più lontano del solito. Attese, nella speranza che la sorella, Mariaddolorata, rispondesse positivamente. « Cosa? ». Una lacrima rigò le sue gote rosee. « Cosa ha detto? Branca— Brancaleone è… morto? ». Vassillissa chiuse il telefono senza neanche aspettare la risposta. Lo strinse forte tra le mani con forza, si alzò e lo lanciò verso il muro. La scocca uscì dal corpo del dispositivo e tutti i circuiti si riversarono per terra. Vassillissa corse in camera sua, mentre le lacrime scendevano dal viso, e cercò disperataente qualcosa che la salvasse. Aprì con forza l’armadio ed afferrò la camicia a quadri che Brancaleone usava indossare durante le loro uscite, ed affondò il suo viso nella stoffa. L’acre profumo del loro amore si sollevò da quel tessuto di flanella. « Brancaleone, io… ». Stringendolo nella mano, si diresse nel letto, afferrò la telecamera e la posò sul treppiede. Diede un’occhiata al suo rfilesso nel vetro della macchiana e tirò un sospiro di sollievo nel vedere che la sua pelle era perfetta ed il correttore era rimasto anche dopo le lacrime. Prese il mascara che aveva poggiato sulla scrivania e si sistemò le ciglia, dopodiché con le punta inumidite delle dita trascinò il prodotto lungo le guancie, tale da creare una striscia nera che pendeva dagli occhi. Allungò la mano verso la telecamera e schiacciò PLAY. « Salve a tutti, ragazzi, e benvenuti nel mio canale! Nello storytime di oggi, come avrete capito dal titolo, parlerò di una cosa molto importante… la morte del mio amato Brancaleone » ».
Uno scroscio di applausi investì Erika come un treno. Era rimasta stordita, al leggere quelle parole, quasi uscite da un mondo estraneo al suo.
« Io… scusate ».

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presente – fuori Castelia City – 18/02/13
« Remember when we fell for the first time… ».
Dei semplici riff di chitarra riempivano la macchina, accompagnati da una melodiosa voce femmnile.
« … you said to me, you'd pay me back in time… ».
Hilda fissava l’oscurità di fronte a sé, un telo di velluto nero raramente illuminato da fugaci punti luminosi. Fari di auto, catarinfrangenti lungo i bordi della strada, semafori dismessi, un arcobaleno di luci che aiutava, seppur il suo sforzo non sfociasse in un vero e proprio aiuto, nel gettare luce sul paesaggio boschivo che si distendeva davanti a loro; più proseguivano nel viaggio, più s’immergevano nella foresta.
Ethan non le aveva rivolto parola dopo l’incidente. La ragazza si era svegliata da sola, in macchina, e le volle qualche tempo per ricordare i dettagli di quanto accaduto prima dello svenimento. Doveva averla raccolta e messa nel sedile accanto al suo ed essere scappato. Non ne era sicura, ma poteva dire di scorgere l’abbozzare di un sorriso sulle labbra del castano.
« … I can't take this, now we're caught in the middle… ».
Hilda si strinse fra le braccia e sprofondò nel sedile, il suo sguardo che saliva, come lei scendeva, verso il cielo, verso le stelle. Era così pacifico, avrebbe potuto congelarsi in quel momento e smettere di vivere.
« …. cause I can't take this, break my heart just a little… ».
Non aveva coraggio di parlare, di dire una parola. Cosa sarebbe successo? Come avrebbe reagito? 
Era più sicuro aspettare una risposta dal ragazzo. Solo così avrebbe potuto prepare la sua risposta, se solo ne fosse stata capace.
« … I remember kissing and crashing and I remember crying from laughing… ».
« Riguardo… a prima ».
La voce di Ethan spezzò l’imbarazzante silenzio.
« … look at what we've become, how did we go so numb? ».
« Hai… hai fatto la scelta giusta, Erika. Ora è meglio trovare un posto dove andare a dormire ».
Hilda asserì.
« … help me break this, make it hurt just a little… ».
« Puoi anche parlare, Erika ».
« S— sì. Per me va— va bene ».
« … I wanna fight to keep us together, cause I can't take this… ».
« Ottimo. Vedo una stazione qua vicino, dovrebbe esserci delle stanze ».
« O— ok ».
« … beak my heart just a little ».

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Hilda seguiva i movimenti di Ethan con lo sguardo di un Miltank pronto al macello. Ogni azione che compieva, passo che faceva e respiro che giungeva alle sue orecchie, la ragazza sussultava. Il suo collo era teso e gli occhi iniettati di sangue, le mani correvano lungo la sua maglietta a scatti, gesti febbrili che, in qualche modo, sperava scaricassero il nervovismo che aveva accumulato in corpo. Allo stesso modo, qualunque volta lui si girasse, era pronta a sfoderare il migliore dei suoi sorrisi, cosicché Ethan non notasse lo stato in cui versava. Cosicché lui potesse fidarsi di lei.
« Sono rimasto… colpito, diciamo, da quello che hai fatto prima, Erika. Non mi aspettavo che lo facessi ».
Hilda sorrise. « Ah… sì? ».
« Sì. È stato… bello. Non pensavo fossi capace di tanto per me ».
« Be’… l’hai detto tu, no? Eravamo fida—fidanzati ».
Un ghigno attraversò il viso di Ethan all’udire quelle parole.
« Sì, hai ragione. È difficile ritornare a com’eravamo prima, ma spero sia possibile ».
« Siamo già ritornati, no? Io ti a—amo ».
« Anch’io, Erika. Ora forza, vai a letto ».
Vide Ethan appoggiare la giacca a cavalcioni sulla spalliera del letto, e subito notò un peso tentare di trascinar l’indumento verso terra. Il ragazzo si allontanò da essa ed andò verso di lei.
« Dai, andiamo a letto ».
« Aspe—aspetta. Puoi portarmi un fa—fazzoletto dal bagno? ».
« Certo, Erika. Vai a letto, intanto ».
Hilda asserì.
Ethan lasciò la presa della sua mano e si diresse verso il bagno, senza chiudere la porta. Era una questione di secondi prima che sarebbe tornato.
Lo sguardo di Hilda corse verso la giacca: era ancora là, dove l’aveva lasciata. Ora, o mai più.
Fece un salto verso il letto ed afferrò la giacca con entrambe le mani. Le sue dita corsero lungo la stoffa alla ricerca dell’apertura della tasca, guidate dal rigonfiamento che potevano tastare anche attraverso la pelle, ed estrassero la pistola. Era pesante come la ricordava, e tiepida.
« Eccomi, Eri—».
Ethan balenò dalla porta e, come vide Hilda, lasciò la presa del pacchetto di fazzoletti, che cadde a terra senza far rumore. Il suo sguardo era quanto di più lontano dall’espressione facciale che aveva un secondo prima, e ciò, in fondo alla ragazza, era motivo di soddisfazione. I suoi occhi castani erano persi nell’osservare come la docile ragazza che pensava di aver avuto sotto il suo pugno poteva ribellarsi contro di lui.
« Posa quella pistola, Erika ».
« Non— non muoverti, Ethan ».
Il ragazzo alzò le mani davanti a sé a segno di resa e fece un passo in avanti. « Erika, calmat—».
« NON MUOVERTI! Non— non muoverti o spa—sparo ».
« Er—».
« E sai che ne sono ca—capace ».
Hilda stringeva la pistola fra le due mani, le braccia dritte a sostenerne il peso, puntata contro il suo torace. Come il ragazzo procedeva avanti, lei spostava il suo corpo indietro.
« Come— come hai fatto a trovarmi? ».
« Cosa? ».
« Hai ca—capito. Come mi hai trovato? ».
« Che ne so, Erika! Non ricordo ».
« BUGIARDO! So—so di Looker ».
Ethan rise. 
« E così… è sempre stato questo il tuo obbiettivo, eh? ».
« Rispondi ».
« Da quanto sai di Looker? ».
« Non è impo—portante. Dimmi come mi hai trovato ».
« Lo sai, no? Looker. Ora metti giù la pisto—».
« SMETTILA! Prima di Lo— di Looker, devi esser entrato in possesso del mio nome. Chi te l’ha detto? Come hai fa—fatto a scoprirlo? ».
« Pensi veramente che te lo dica? Se te lo dicessi, non avresti più ragioni per tenermi in vita. Non che io sia sicuro del fatto che tu voglia uccidermi ».
« Pensi— pensi che io non sia capace di ucciderti? ».
« Ne sono sic—».
Un rumore sordo bruciò nelle orecchie di Ethan. Fu un attimo, ed il ragazzo cadde a terra, una macchia di sangue che si espandeva dalla sua spalla. Come i secondi scorrevano, sentiva l’intensità di mille aghi colpirlo ripetutamente, infilarsi nella pelle ed uscire, per poi ritornarvi dentro. E più la vista del sangue si faceva grande, più gli aghi aumentavano di forza.
« Che cazzo pensavi di fare? » lamentò, un urlo misto a dolore.
« Ti ho co—colpito ».
« Sei uscita di testa, Erika? ».
« BASTA! Te l’ho de—detto, non sono Erika. Sono Hilda ».
« Che stai dicendo? ».
« So tutto, Ethan. So di Nimbasa, so del Team Plasma, so di te. E ora, o mi dici come cazzo mi hai trovato o queste saranno le ultime parole che dirai ».
Ethan rise. « Sei solo una bimba del cazzo ».
« Una bimba del ca—cazzo con una pistola ».
« Sparami ».
« Che?—».
Hilda rimase interdetta da quando aveva appena sentito, e per pochi secondi abbassò la pistola. Fu questo il momento che Ethan stava aspettando per approffittarsi del suo calo di attenzione e non appena vide la ragazza prendere una pausa la assalì. In risposta, la castana fece fuoco, speranzo di arrestare la rincorsa del ragazzo, ma il proiettile vagò a vuoto. Alzò la mano destra verso di lei e le afferrò il braccio sinistro, con l’altra mano bloccò il braccio destro mentre cercava di gettare il suo corpo a terra. La stretta che poneva sul suo polso era insostentibile e Hilda, poco dopo, cedette, lasciando la presa della pistola. Nel fare ciò, tuttavia, sparò un colpo, il cui contraccolpo separò definitivamente i due. Hilda fu gettata a terra e Ethan ritornò in possesso della pistola, in piedi. 
La ragazza si trovò senza appigli. Ricercò nella fioca luce della stanza un sostegno, che trovò nell’abajour del comodino in parte al letto. Fece pressione su di essa per tentare di alzarsi, ma come distendeva le gambe sentiva delle scariche di dolore partire dalle ginocchia e diffondersi su tutto il corpo.
Gli occhi di Ethan erano iniettati di sangue.
« Hai finito di vivere, Hilda… » borbottò, un cupo sorriso ad illuminare il suo volto come pronunciava quelle parole « Avresti dovuto accettare la mia proposta. Sarebbe stata una bella vita… almeno, più bella di quella che avevi. Più bella di quella che avresti mai avuto ».
« Zitto… ».
« E pensare che hai ucciso Louis solo per questo! Solo per tentare di avere delle informazioni da me… quanto puoi essere egoista? La soddisfazione di sapere valeva tanto una vita umana? ».
« Stai zitt—».
« E invece parlo, Hilda! La tua vita è una collezione di fallimenti, uno dietro l’altro. Prima N, poi Natalie, poi Louis… pensi che io non lo sappia? So tutto di te, Hilda. Ma purtroppo dovrò lasciarti andare col dubbio. Addio, Hilda ».

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flashback – Anville Town – 08/02/13
Erika lasciò la presa del libro, che cadde a terra, e si fece strada oltre la scalinata che la separava dal pubblico sotto le occhiate confuse degli spettattori. A quella vista, Henry si alzò e la seguì, avendo cura di lanciare rassicuranti sorrisi alla folla che lo seguiva con lo sguardo ricercando una risposta. 
Un leggero brusio si alzò nella sala.
« Erika! Erika! Dove stai andando? ».
« Non… non ce la faccio, Henry ».
Erika attraversò la sala ed in poco tempo si ritrovò sulla soglia dell’uscita, una quarantina di volti rivolti verso di lei. 
« Scusate… scusatemi voi tutti, che siete venuti fin qua. Ma non è un posto per me ». La sua voce rimbombò per tutta la stanza. Era rotta e consumata dalla penuria di aria che giungeva alla bocca, tanto che ogni respiro era come fuoco riversato nella gola. « Scusate ancora ».
« Erika! Non puoi andartene così! ».
« Posso, Henry, ed è quello che sto facendo ».
Percorse le scale sotto le urla di Henry, che non esitò a seguire la sua scrittrice fino a raggiungere le striscie pedonali. 
« Erika! Aspetta! ERIKA! ».
« Basta, Henry! Non hai capito che ne ho avuto abbastanza? Non ti è bastato quello che hai fatto? ».
« Eri—».
« È finita, Henry. Tutto questo, è finito. Nel giro di poche ore, ho perso due delle cose più importanti nella mia vita, e sopportare anche questo è troppo. Prima Lou, poi il libro… lasciami in pace. Hai avuto quello che volevi, ora avrai anche la notizia! “Giovane scrittrice di Anville scoppia a piangere e scappa dalla conferenza stampa”, non resterà più una copia in magazzino. Ma ora basta, ho finito di assecondare questa pagliacciata. Addio ».

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La camminata a casa fu per Erika un ottimo modo per metabolizzare quanto accaduto e ragionare sulla sua effettiva voglia di rimanere ad Anville. Cosa la tratteneva ancora là? Non aveva più motivo di restare, dopo che ogni cosa in cui credeva era stata distrutta, in un modo o nell’altro. 
Era stufa.
Stufa di tutto quello che aveva subito, di ciò che aveva dovuto affrontare durante la pubblicazione del libro, stufa della sua vita. L’obbiettivo che si era posta all’inizio le sembrava così stupido, in quel momento: ad essere onesta, non ricordava di aver avuto un obbiettivo per molto tempo. Ogni ricordo precedente della sua vita le sembrava sfocato, come se non fosse mai esistita. Era anche da quel senso di insoddisfazione che aveva cominciato la creazione del suo libro. Prima che arrivasse la prima casa editrice di turno e glielo rovinasse.
Scosse la testa. 
Prima di rendersene conto, era già arrivata a casa.
Il suo appartamento, un grigio palazzo all’incrocio fra due scarsamente trafficate vie, si ergeva di fronte a lei. Entrando, non poté che non notare uno strano ragazzo schiacciare uno dei nomi sulla lista. Avvicinatasi, notò che era il suo, Erika Joy.
« Sta cercando Erika? ». Il ragazzo non rispose. « La sta cercando? ».
« … ».
« Com’è che ha detto, scusi? ».
« Ni— niente. È lei— è lei, Erika Joy? ».
Erika asserì. « Sì, sono io. Vuole dirmi chi è lei? ».

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presente – fuori Castelia City – 17/02/13
Ethan premette il grilletto. 
Il silenzio giaceva nella stanza.
Quando Hilda riaprì gli occhi, vide Ethan davanti a sé, stringere la pistola nella mano, senza che essa abbia avuto nessuno effetto. L’assenza del minimo rumore fra i due, troppo occupati a rendersi conto di quanto accaduto, generava una singolare atmosfera nella camera di hotel.
La pistola era a corto di proiettili.
« Merda » sussurrò..
Hilda si gettò sull’abajour che stava sul comodino e, impugnandola con tutta la sua forza, la fracassò contro il cranio del ragazzo, colto di sorpresa dalla rapida azione della giovane. Non fece in tempoo a liberarsi le mani dall’arma che Hilda era sopra di lui, ciò che rimaneva della lampada nelle sue mani ed un nutrito rivolo di sangue che sgorgava dal mento di Ethan.
I frammenti della ceramica erano andati ad incastrarsi su tutto il suo volto, occhi, guance e collo, aumentando considerevolmente il numero di orfizi da cui il liquido cremisi poteva uscire. 
Alzo nuovamente quanto le restava in mano dell’abajour e la infilzò nel collo, venendo conseguentemnte investita da un getto di sangue improvviso che le bagnò tutti i suoi vestiti.
Ethan era morto.

𐌳

Aveva dato una lavata ai suoi vestiti, che erano comunque rimasti sporchi di quanto sangue aveva fatto in tempo a seccarsi sui suoi abiti, ed aveva gettato il corpo di Ethan giù per la finestra, sui cespugli che circondavano la piccola stazione, per poi scendere a recuperare il cadavere. Era bastato trascinare le sue gambe e sollevarle sino al balcone affinché, con una forte spinta, il resto scendesse trascinato dal peso.
Hilda si era messa in macchina, intenzionata a ritornare da Looker per avere le risposte che andava cercando, e, paradossalmente, la morte del ragazzo aveva acceso in lei il fuoco che da molto tempo si era spento nel suo cuore. L’adrenalina correva nel suo corpo, i suoi occhi, altrimenti stanchi, erano vispi e vigilanti. La sua sete di vendetta era forse più forte di qualsiasi altro sentimento avesse mai provato.
Fatta eccezione per l’amore che provava verso N. 
A quel pensiero, si sentì quasi mancare. Non aveva tempo per pensare a Natural, per pensare a Louis. La scelta che aveva fatto era stata dura, ma quale altra opzione aveva? N era morto molto tempo prima.

La sua corsa fu arrestata da una macchina della polizia posta in parte al casello dell’entrata di Castelia.
Rallentò la macchina in prossimità della sbarra ma, con suo disappunto, la sbarra non si alzò. Il poliziotto poggiato sul cofano della sua macchina accese una torcia e la puntò contro Hilda, facendo cenno di abbassare il finestrino.
« Buongiorno signora, può scendere dalla macchina? ».
« Come scusi? Perché? ».
« È avvenuto un incidente in un motel lungo l’autostrada Anville Town–Castelia City e stiamo fermando ogni persona nelle uscite. Scenda dalla macchina, per favore ».
« Er… ho un impegno urgente ».
Il poliziotto sorrise.
« Ho paura che dovrà aspettare ».
« Oh… ok, ora scendo ».
Hilda allungò la mano verso la pistola, che giaceva nel sedile accanto al suo, e la nascose sotto la giacca. Sperava che chiudere il finestrino le desse un po’ di tempo per pensare a che mossa fare, ma ben presto si rese conto che non sarebbe riuscita a pensare ad una strategia in tempo.
Uscì dalla macchina, lasciando scivolare la pistola nel sedile vicino a lei.
L’ufficiale passò una mano lungo la sua giacca, e poi lungo i suoi vestiti, mentre l’altra reggeva la torcia.
« Bene, apra il cofano ».
Hilda andò nel panico.
« Ahem… aspetti che prendo le chiavi ».
Entrò con la testa dentro la macchina ed afferrò con la mano sinistra la pistola, per poi appenderla dentro l’elastico dei pantaloni. Con la destra sfilò le chiavi dalla toppa e raggiunse il poliziotto dietro la macchina.
« Forza, apra il cofano ».
« Er… ».
Infilò le chiavi nella toppa del cofano.
« Non… non si apre ».
« Come non si apre? ».
« È dura, non ho forza per aprirla ».
« Lasci, faccio io ».
Hilda si scansò e lascio passare l’uomo, che subito si chinò per tentare di aprire la serratura. Come lo fece, la ragazza estrasse la pistola dai pantaloni e, impugnando la canna, diede il calcio contro il suo cervelletto, casuandogli uno svenimento. Il corpo del poliziotto si accasciò sotto di lei, dopodiché continuo a colpirlo, a colpirlo ed a colpirlo, sino a che la vita spirò dal suo corpo.

 
Did I build this ship to wreck?
 
Angoloso angolo dell'autorevole ed autoritario autore
Prima cosa, volevo dire a tutti gli heaters che angoloso esiste, ok?
Seconda cosa, eccoci tornati con un altro capitolo!, che è quattro capitoli di DC... ma non importa. È per dare un'illusione che questa storia abbia effettivamente un climax: resta di stucco, è un barbatrucco! È una barbapalette di Jefree Star. Comunque, si va avanti. Hilda forse un po' meno, ma noi sì. Avrei piacere che Germana e l'altra persona che leggono la mia storia (e se stai passando di qua, anche tu) ascoltiate questa canzone, che, in breve, è la canzone che appare durante la scena dell'auto. Una delle 20.000. Parlando di cose più serie, sono contento di come è uscito questo capitolo, anche se ho ancora molte riserve su tutto ciò che ci ho inserito dentro. Ma, come si dice, sbaglando s'inpara.

il vostro herr che tra parentesi per la prima volta nella sua vita ha sentito dire herr ad alta voce (ma non era riferito a lui)

[I totally just thought it meant like friend or, like, homie]
 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 - As Watchman to My Heart ***


BUON SETTANTACINQUESIMO ANNIVERSARIO DELLA PRIMA DI BAMBI!
[ATTENZIONE!]
Questo capitolo vede presenti 3 storyline (e qualche scena extra), per cui metterò un piccolo glossario informativo con tutte le informazioni che possono servire.
Colress = Acromio (+ cognome arbitrario mio).
Nacrene City = Zeffiropoli
13/10/11 = prima degli eventi di Cards (che cominciano il 15/10/11)
13/11/11 = giorno dell'ultimo capitolo di Cards (quando Hilda ed N mangiano le bacche sul molo)
03/11/11 = giorno del capitolo XIV di Cards (e l'inizio del capitolo XV)
Per qualsiasi cosa che vi serva, ad ogni modo, lascio la storyline di Cards qua: 
http://i.imgur.com/ErI8OSk.jpg
 
flashback – Castelia City – 13/10/11
I primi segni dell’inverno si manifestavano già dalle prime settimane di ottobre nella città di Castelia, dove il sole si alzava in tarda mattinata a poco servivano i suoi raggi luminosi per riscaldare i freddi edifici di cemento che ne costituivano il cuore pulsante. La brina che durante la sera cristallizzava lungo le superfici dei palazzi non faceva in tempo a fondersi, durante il giorno, in acqua, che era già calata la sera, permettendo al liquido di congelarsi nuovamente.
N si trascinava per la Central Plaza sospinto dalla brezza che spirava dal mare verso il cuore della metropoli, i suoi passi si muovevano pesanti e svogliati sul marciapiede cittadino. Pareva una meteora che errava in cerca di meta, spinta dalla sola energia propria; ma una meta ce l’aveva eccome. L’incedere con cui proseguiva rispecchiava il suo vuoto interiore, la sensazione di lacuna che lo aveva pervaso da mesi a quella parte. Dalla morte di Hilbert.
Si fermò davanti ad un edificio molto alto, la cui facciata spiccava sul resto dei palazzi per esser stata composta da mattoncini rossi ed aver mantenuto l’aspetto originario. L’interno, al contrario di quanto l’esterno poteva dare a pensare, era molto più in linea con le classiche hall che si trovavano nella città.
Entrò, e come fece ciò venne investito da un’ondata di calore.
Stordito, si guardò attorno, e proesguì verso la reception.
« Buongiorno, come posso aiutarla? » sorrise la ragazza dietro il bancone.
« Starei cercando un certo Andy Sachs ».
« Mh, ha un appuntamento col dottor Sachs? ».
Il ragazzo asserì.« Sì ».
« Mi dia il foglietto, prego ».
N estrasse dalla tasca un ritaglio di carta arancione, scritto su un lato, e lo porse alla donna, che lo rigirò fra le mani per qualche secondo.
« Molto bene, ventiquattresimo piano ».

Bussò due volte.
Il suono dei rintocchi sul segno rimbombò nella stanza.
« Avanti ».
Il capo di N baluginò dalla porta, come lentamente la apriva, e da parte sua scopriva lentamente la ricca stanza dalla quale proveniva il vociare indistinto di due uomini. Spalancato, notò come quei due uomini fossero Zinzolin, una vista ben nota a lui, ed un ragazzo di pressapoco la sua età.
« N, sei tu! Che piacere vederti qua ».
« Sono stato chiamato ».
« Lo so, lo so. Siediti pure qua, in parte a me ». Lanciò uno sguardo alla recluta, che, come N si avvicinava, essa stessa stava allontanandosi « rimani qua, tu. Devo affidarti un compito molto importante ».
N prese posto nella sedia accanto a Zinzolin, mentre la recluta del Team Plasma rimaneva in piedi a qualche passo da entrmbi. La sua attenzione fu catturata da un documento che giaceva sul tavolo, sotto gli occhi del Saggio, recante sulla copertina un nome scritto a caratteri cubitali.
« È per te, N ».
« Uh? ».
« Questo file. Prendilo pure ».
« Oh… o—ok ».
Prese in mano il documento e ne lesse il titolo: HILDA C. BASKERVILLE.
« Hilda Baskerville? ».
« Aprilo ».
Prese con i polpastrelli l’estremità della copertina e la sfilò, rivelando un plico di fogli con annesse foto raffiguranti una ragazza. Hilda? si chiese fra sé e sé. Aveva i capelli castano chiaro che scendevano mossi sino alle spalle e gli occhi castani, che risaltavano sul suo incarnato roseo.
« Assomiglia ad Hilbert, non è vero? » lo incalzò Zinzolin, osservandolo perso ad ammirare quella diapositiva.
« Cosa significa? ».
« La signorina Hilda Baskerville è una giornalista per l’editoriale Castle, che caso vuole essere uno dei più letti della regione ».
« E? ».
« Useremo lei per il nostro piccolo… piano, ecco ».
« Non… non vedo come ».
« Ora mi stai solo facendo perdere tempo » sorrise Zinzolin « troverai tutte le informazioni di cui hai bisogno nel file, incluso il suo numero di telefono ed il suo recapito. Segui le istruzioni e tutto filerà liscio ».
N richiuse il documento. « È tutto? ».
« Non ancora ».
La recluta si fece avanti e consegnò al ragazzo una scatola di piccole dimensioni, nera, dal peso considerevole. Come N la prese in mano sul suo volto si dipinse un’espressione di confusione.
« È un cellulare, ti servirà per entrare in contatto con la signorina Baskerville. Non servirà usare il numero privato, perché non appena qualcuno cercherà di chiamarlo anziché mandare un messaggio verrà messo in contatto con la EKI ». Un sorriso comparse sul suo volto. « È per sicurezza ».
« Oh… ora posso andare? ».
Zinzolin asserì.
 
CAPITOLO 8
As Watchman to My Heart
 
And meanwhile a man was falling from space
As he hit the earth I left this place
Let the atmosphere surround me
satellite beside me

What are we gonna do?
We've opened the door, now it's all coming through
Tell me you see it too
We've opened our eyes and 
its changing the view
What are we gonna do?
We've opened the door, now it's all coming through
(Florence + The Machine; How Big, How Blue, How Beautiful)

flashback – Castelia City – 03/11/11
« Hilda B—ville, lei è in arr—to per il tent—cidio di Bian—alters ».
Uno schermo bianco e nero rappresentava l’immagine di un Hilda sconvolta come veniva scortata da due agenti di polizia fuori dalla porta del suo appartamento. La sua voce giungeva graffiata e disturbata attraverso gli speaker ma era comunque possibile capire il contesto della scena: la ragazza era stata portata via dalla polizia, per un qualche motivo indefinibile a causa della scarsa qualità dell’audio.
Nel giro di pochi secondi, sia lei che i due ufficiali scomparvero dal display.

Due rintocchi sulla porta risuonarono nell’aria.
Zinzolin era intento a scrutare lo skyline di Castelia City illuminato dal sole mattutino, i cui raggi obliqui s’infrangevano sui grattacieli della metropoli come lame affilate su protuberanze di ghiaccio; ciò che ne rimaneva, l’accecante riflesso, scintillava sulle pareti vetrate degli edifici stessi.
Castelia City, il gioiello di Unova che splendeva di luce riflessa.
« Avanti ».
La porta scivolò lungo i suoi cardini e rivelò, dietro di essa, la figura di un alto ragazzo, dai lineamenti giovani, in completo nero.
« Parla pure ».
« Hilda Baskerville è stata arrestata, signore ».
Durante il tempo in cui il ragazzo era entrato, Zinzolin non aveva distolto lo sguardo, neanche per pochi secondi, dalla visione quasi celestiale che si presentava davanti a lui. Trovava la contemplazione del sole un rito giornaliero, come se riuscisse a trarre da quella stella l’energia di cui aveva bisogno per proseguire la giornata. 
« È un peccato. Chiama l’avvocato fra qualche ora e digli di recarsi da lei ».
« È tutto? ».
« Sì ».
Il ragazzo indietreggio, pronto a scomparire nell’oscurità del corridoio, quando fu richiamato all’attenzione dal Saggio.
« Anzi no, non è tutto. Chiama mio nipote sulla linea ».
« Quale, signore? ».
« Quello che vive a Nimbasa City, come si chiama… Jeoffrey? ».
« Ethan, signore. Ethan Shepard ».
« Lui. Chiamalo come prima cosa, e passalo sul telefono qua ».
« Sarà fatto, signore. C’è altro? ».
« No, vai pure ».

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flashback – Castelia City – 13/11/11 [9:11 PM]
« Avevo predisposto assieme a Ryoku che, questa sera, dei suoi sottoposti venissero a prendermi al porto dopo aver… preso queste ».
« Ryoku? Il saggio? ».
« Sì. Reputano che sia il modo migliore per nascondere la memoria del Team Plasma a Unova e sono disposti ad aiutarmi. Prenderò una nuova identità ed i loro scienziati si occuperanno dei miei ricordi ».
« Ottimo, voglio farlo anch’io. Quando prendiamo queste bacche? »
« Anche… anche subito, se vuoi ».
« Sei sicura di volerlo fare? Dopo di questo… dopo tutto ciò non sarai più Hilda Baskerville, sarà come se non fosse mai esistita ».
« Neanche Natural Harmonia-Gropius ».
« Allora facciamolo ».
Una leggera brezza scompigliò la castana chioma di Hilda. Si ripassò i capelli dietro l’orecchio e fissò l’amato negli occhi, stringendo colla mano sinistra le bacche avvelenate. Poteva sentire il respiro di N accelerare, e con esso il ritmo del suo cuore. L’aria era fredda, pungente, ed il paesaggio attorno a lei avvolto nell’ombra. Come ad un passo dall’addormentarsi, dall’entrare in un sogno, sentiva la sua mente lentamente abbandonare il suo corpo.
« Baciami, N. Lascia che Hilda e Natural muoiano con questo ».
Il braccio di Hilda cinse la vita di N, e di conseguenza si comportò l’altro. I loro corpi erano vicini, stretti, avvinghiati fra loro. Le loro labbra si toccarono, mentre come un grattacielo crollavano su se stessi, incapaci di fermare l’esito del veleno. Cadderò così a terra, silenziosamente, mentre le luci della S.S. Diane illuminavano l’orizzonte dell’acqua.

Due fari illuminarono a giorno il porto di Castelia quella sera.
« Sono morti? ».
« Non lo so! Il capo ha detto che il veleno li avrebbe stesi e basta ».
« Oh… e cosa dovremmo farne? ».
« Portarli da Ryoku… mi hanno detto solo questo ».
Un pick-up color nero pece si era piazzato di fronte ad i due amanti, e da esso erano scese due reclute del Team Plasma, in ghingheri, nell’ultima delle loro avventure in quelle vesti.
Una delle reclute issò le braccia di N sul proprio torace e trascinò il suo corpo, come fosse una carriola, fino alla vettura, dove, con l’aiuto dell’altro, lo mise sù. Quando fu la volta di Hilda, il ragazzo prese la giovane in braccio, di peso decisamente minore, e la maneggiò con l’attenzione che si riserva ai bicchieri di cristallo sino alla macchina. 
« Tutto qua? ».
« Già. Ora andiamo, che Riyoku ci aspetta ».

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flashback – Nimbasa City – 03/11/11
« Buongiorno signorina Tancredi! ».
« Buongiorno anche a lei, Genevieve. Cosa la porta qua? ».
« Sa, lavor—».
Lo schermo del computer si oscurò e l’immagine di Genevieve e Tancredi intenti a scambiarsi un saluto si congelò. Un numero apparse in sovraimpressione, dietro al quale scintillava l’icona di un telefono verde e bianco.
Chi mi chiama a quest’ora? pensò Ethan, irritato che la chiamata avesse interrotto la visione della replica della serata scorsa di Faster than the Speed of Love. Quando si guardò attorno non trovò il telefono nei paraggi, così decise di rispondere direttamente dal portatile.
Premtte la barra spaziatrice.
« Pronto? ».
« Pronto, Ethan? ».
Un brivido corse lungo la sua schiena.
« Z— zio Ed? ».
« È un piacere sentirti, Ethan ».
« Aanche per—».
« Saltiamo i convenevoli, devo chiederti un favore ».
« Di— di che si tratta? ».
« Preferirei non dirtelo a telefono, riusciresti a raggiungermi qua a Castelia? ».
« Castelia? Ahem… entro quando? ».
« Per stasera ».
Zinzolin riattaccò.

𐌳
 
« Pronto, zio, sono Ethan. Sono arrivato a Castelia, dov’è che dovremmo incontrarci? ».
 
« Dirigiti a Central Plaza ed imbocca Mode Street. Dovresti trovare, sulla sinistra, un edificio in mattoni ».
« Oh, ok… a che piano? ».
 
Zinzolin aveva interrotto la chiamata.

𐌳 𐌳 𐌳
 
flashback – 11/11/11 – Castelia City
Il sole stava tramontando sulla metropoli di Unova ed il freddo calava sulle trafficate strade cittadine, spazzando via ciò che rimaneva della giornata precedente. La brezza marina spirante dalle acque del porto mitigava per quanto poteva il clima cittadino, soffiando attraverso i lunghi viali della città sino a raggiungere le porte del deserto dove, incapace di proseguire, cedeva il passo al gelo. 
« È stato rilasciato Edward Zinzolin, il ricco uomo d’affari coinvolto nello scandalo dell’Elite-Fourgate, sulle quali tracce si era anche messo un noto detective della polizia internazionale, Looker Barkins. Di seguito riportiamo un’intervi—».
Looker pigiò il tasto off e lanciò il telecomando sul divano. 
Davanti a sé erano sparse per terra valigie e bagagli di diverse dimensioni, mentre attorno a lui la casa si era svuotata. Quelle mura che poche settimane prima l’avevano accolto e gli avevano fatto sperare di poter fare una differenza, di poter aiutare Shauntal, non erano altro che cemento che lo intrappolava in una realtà estranea a lui. Era impotente, di fronte a quello spettacolo: non poteva fare altro che accettare la sconfitta ed andare avanti.
Raccolse i bagagli e li chiuse per l’ultima volta, assicurandosi di aver raccolto tutto quanto si era portato da Sinnoh. Non mancava niente.
Un trillo interruppe la contemplazione delle pareti.
Si girò in direzione della porta ma, prima che potesse realizzare l’eventuale pericolo di un improvviso sconosciuto in casa, una figura balenò dal corridoio.
« N? ».
« Looker! Da quanto tempo, amico mio! ».
« Cosa
 cosa ci fai qua? ».
« È questo  il modo di salutare un amico? ».
« N
— non siamo amici, N ».
« È triste che tu pe—».
« Taglia corto. Cosa vuoi? ».
N prese un attimo di tempo per osservare lo spettacolo che si presentava ad i suoi occhi. « Te ne vai? ».
« Non c’è più nulla che mi trattenga qua ».
Gli occhi di Looker non lasciavano che disprezzo nel modo in cui fissava il ragazzo di fronte a sé. Poteva sentirlo sulla propria pelle, N, una sensazione di disagio che lo pervadeva dal capo alla punta dei piedi, un’inadeguatezza che lo sguardo paternalistico del detective sapeva ben trasmettere.
« Devo… confessarti una cosa ».
« Sono sicuro che troverai qualcuno più interessato di me a cui raccontarla ».
« Riguarda Hilda ».
Looker tentennò.
« Il dress code del funerale? Credo che per quel moment—».
« Hilda è viva ».
Il discorso di Looker si fermò a scoppio ritardato, qualche secondo dopo la frase di N, il tempo di processare nella sua mente l’informazione che aveva ricevuto. Sgranò gli occhi.
« Cosa? ».
« Non sono autorizzato a dirti altro ».
« Cosa? ».
« Loo—».
« ZITTO! Prima mi fai passare quattro giorni di merda pensando che la mia vita sia un fallimento e ora mi vieni a dire che è viva? Cosa aspettavi? Cosa—».
« Ogni cosa ha un prezzo, Looker. Se vuoi sapere di più, dovrai venire con me ».
« Questo sarebbe il prezzo? ».
« No. Il prezzo sarebbe sacrificare la tua vita ».

𐌳
 
N guidò Looker attraverso il traffico di Castelia City fino ad un edificio nel cuore di Mode Street, mentre il detective osservava ogni sua mossa con riserva e confusione. In qualche modo, non appena credeva di aver capito il suo gioco, riusciva sempre a stupirlo con l’ennesimo asso nella manica. Solo, si chiedeva, quando fossero finiti, cosa avrebbe fatto.
La macchina si arrestò davanti ad una facciata in mattoni rossa.
« Siamo arrivati ».
Looker scese dalla macchian seguendo l’ombra del ragazzo di fronte a sé.
« Cos’è che dovrei fare? ».
« Abbi un attimo di pazienza. Siamo quasi arrivati ».
Varcarono la soglia e attraversarono direttamente la hall, dritti verso l’ascensore. Quei pochi secondi che passarono là dentro, a fissarsi, sembrarono durare un’eternità.
« Sei nervoso? » sorrise N.
« Io? Uh, no ».
Lanciò uno sguardo alle sue mani, che correvano lungo il tessuto della sua giacca, e le cacciò dentro le tasche dei pantaloni.
« Perché dovrei? ».
« Non dovresti » concluse. « Oh, siamo arrivati ».

Quando scesero dall’ascensore gli occhi di Looker andarono a nascondersi sulla schiena di N, attraverso la quale era capace di essere guidato in quel luogo a lui sconosciuto. Oltrepassarono molte porte in quello che sembrva un corridoio infinito, e, come il battito del detective accelerava, si trovò tutto d’un tratto a fine corsa: di fronte a lui si stagliava una porta, in parte alla quale v’era N che tentava di aprirla.
N bussò.
Seguì un « Avanti » filtrato dallo spesso legno della porta.
« Vedo che sei riuscito con successo a raggiungere il signor Looker, N ».
« Ogni dovere è una promessa » commentò il ragazzo mentre il detective attraversava la soglia « Looker, questo è Ryoku ».
« Mi scusi per la mia maleducazione, sono Ryoku, molto piacere ».
Prima che potesse pensare ad una risposta si trovò davanti un anziano signore, il cui viso era scavato dalle rughe e l’iride degli occhi era scolorita ad un pallido azzuro ghiaccio, che risaltava sulle caratteristiche del viso anonime.
« Oh— Looker, il paicere è mio ».
« Accomodatevi pure, non staremo molto ».
Looker prese posto in parte ed N ed osservò con titubanza la silhouette del Saggio, vestita di un abito riccamente decorato, fino alla scrivania di fronte a sé.
« Di cosa— di cosa volevate parlarmi? ».
« Be, prima di tutto le buone notizie! Gliel’hai già detto, N? ».
N asserì.
« Ottimo. Come saprà, la signorina Baskerville è viva e veget—».
« È vero? Hilda è viva? ».
« Certo » Ryoku sorrise, nascondendo l’irritazione dell’esser stato interrotto « Me ne sono occupato personalmente. Ed è proprio di questo che volevo parlarle… vede, ho bisogno dei suoi servigi ».
« In che senso? ».
« Progettiamo, dopo aver fatto identificare il suo corpo e celebrato il funerale, di mandare la signorina Baskerville fuori dalla regione, sotto falso nome, e di farle continuare la vita al di fuori di Unova. Per fare questo, però, serve qualcuno che si assicuri del suo beneestare ».
« Vuole che io faccia la sua guardia? ».
« È esatto ».
« È— è assurdo! Non potrei mai farlo! ».
« Ho paura che lei non abbia scelta ».
« Non potete chiedermi di devolvere la mia vita a lei! Ho— ho anch’io una vita! ».
« Non glielo stiamo chiedendo, signor Looker, è un ordine. Ma non ho tempo di discutere ora, devo controllare le condizioni della signorina Baskerville. Arrivederci ».
« Cos—».
N gli afferrò il braccio. « Andiamo, Looker ».
 
𐌳
 
La macchina seguiva il medesimo tragitto che aveva percorso all’andata, questa volta da Mode Street di ritorno alla casa di Looker.
I due erano rimasti nel silenzio, assorbiti dai loro pensieri, sino a che il detective non prese parola, mentre N rimaneva a fissare la strada ieratico.
« Sapevi tutto ciò? ».
N asserì.
« E come potevi solo pensare che io avessi accettato? ».
Il ragazzo dai capelli verdi rimase in silenzio. Sentiva i battiti di Looker accelerare in parte a lui ed i suoi respiri farsi più pesanti, riempire l’aria della macchina e confondersi coi rumori di sottofondo.
« Non lo sapevo. Ti avevo avvertito che avresti dovuto sacrificare la tua vita ».
« Pensavo che fosse una cazzata! Quando mai sei serio? ».
« Prima lo ero ».
« E ti aspetti che lo faccia? Che faccia la guardia a Hilda? ».
« Te l’ha detto Ryoku, devi farlo ».
« Pensi sul serio che lo faccia? Che—».
« Zitto. Quello che ti chiediamo di fare è solo di assicurarti che il suo viaggio sia sicuro e di aiutarla con la legge una volta arrivata a Sinnoh ».
« E per quale strano motivo credi che una volta arrivato a Sinnoh non dirò tutto quello che ha fatto? ».
« Non vuoi che ti risponda ».
« Io—».
« Siamo arrivati. Scendi ».

𐌳 𐌳 𐌳

flashback – Castelia City – 15/10/11
Un nuovo sole sorgeva su Castelia City, e la città lentamente si svegliava, come la brezza marina che spirava dal golfo inondava le strade del suo torpore e le strade si ripopolavano del traffico e dei rumori del mattino. Odore di pane appena sfornato e di smog era ciò che udiva Jessica Thompkins mentre usciva dal Conostropoli con un panino fumante in mano.
Scese per Castelia Street osservandosi attorno, alle macchine che sfrecciavano avanti ed indietro sull’asfalto bollente, alla folla di persone che, come piccole formiche, indondavano  i marciapiedi come corsi d’acqua nei letti del fiume.
Aveva attraversato circa metà del tragitto quando sentì la borsa tremare.
8:12 AM
Natalie Inkgard
Jessica dove sei? 
 
La giovane si fermò ed affondò i denti nella sua colazione, mentre cogli occhi ispezionava l’interno della borsa alla ricerca del telefono. 
« Mi scusi ».
Una voce maschile la chiamò da dietro.
Si voltò.
« Uh? ».
« Jessica! Che piacere! ».
L’uomo mise il braccio attorno al suo busto e, siringa nella mano, iniettò un sonnifero nel suo apparato circolatorio. Lei, dal canto suo, non fece in tempo a opporre resistenza che sentì la vita spirare dalle sue gambe e tutto d’un tratto cadde sulle sue ginocchia, sorretta dalle braccia dell’aguzzino. L’uomo si guardò attorno e nel caos dell’ora di punta la trascinò all’interno di un vicolo, dove la posò spalle al muro dietro un cassonetto della spazzatura.
8:14 AM
client — Natalie Inkgard
Oggi non ci sarò

 
L’uomo ripose il cellulare nella tasca della donna ed estrasse un altro telefono dalla sua stessa tasca.
« Pronto? ».
Stette qualche minuto in silenzio, ad osservare la donna che giaceva inerme di fronte a lui.
« Mh, sì, sono io. Ho la ragazza. Cosa me ne faccio del corpo? ».
8:14 AM
Natalie Inkgard
COSA??

« Io— eh? ». Lanciò un’occhiata alla tasca della giacca di Jessica, illuminatasi di uno zampillo di luce. « Ah, niente, deve aver ricevuto un messaggio. Comunque ok, lo farò ».
8:15 AM
Natalie Inkgard
Spero sia uno scherzo!!! >:(

𐌳 𐌳  𐌳

flashback – Castelia City – 16/10/11
L’aria di quel giorno era frizzante e vivace: N poteva sentirlo nelle ossa, come attraversava le strade di una Castelia immersa nella luce pomeridiana. Camminava a passo sostenuto, lanciando occhiate euforiche ai passanti che, di ritorno, lo guardavano di sottecchi; nella sua mano destra, un plico di fogli rilegato da una copettina beige, sul quale era stata stampata la scritta “CLASSIFIED”.
Camminò avanti, dopodiché, fermatosi ad un incrocio, controllò l’ora. Erano le 16:58. Ancora due minuti.
Sporse la sua testa dalle pareti di un edificio dietro il quale si nascondeva ed il suo sguardo corse subito in direzione di un bistrò che si trovava poche decine di metri avanti a lui. All’entrata era una ragazza, all’incirca della sua età, che si guardava attorno nervosamente.
Controllo il telefono: erano le 17:00.
Si fece coraggio ed uscì dall’ombra del palazzo, immerso nella strada cittadina, in piena luce, sino al bar Grandangolo.
« Posso favorire? » esclamò « immagino tu sia Hilda Baskerville ».

𐌳 𐌳 𐌳

flashback – Castelia City – 03/11/11
Il ragazzo entrò nell’edificio con seri dubbi riguardo le motivazioni per cui suo zio, che non sentiva da una decina d’anni, l’avesse chiamato, nel mezzo della giornata, a Castelia City. Osservava la donna che sedeva nel bancone della hall aspettandosi, da un momento all’altro, di essere richiamato all’attenzione o, perlomeno, che riconoscessse la sua presenza.
Non sapeva né cosa dire né che mossa fare.
Dopo esser rimasto cinque minuti seduto nel divano di fronte all’entrata, che dava sulla vetrata di Mode Street, decise di alzarsi e recarsi alla reception.
« Buongiorno, sono Ethan Shepard. Mio zi—».
« Prego, entri pure » sorrise la donna « il signor Sachs la sta aspettando sopra ».

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Ethan aprì la porta che stava di fronte a lui e rivelò, davanti a sé, un uomo anziano vestito di un abito riccamente decorato sul tono del viola. Sedeva a capo di una lunga tavola rettangolare che si estendeva per tutta la lunghezza della sala, ed accanto stava in piedi un ragazzo, decisamente più giovane, in tuta nera.
« Ethan… vedo con piacere che sei arrivato ».
« Io… chi è Andy Sachs? ».
« È questo il modo di salutare tuo zio? ». Zinzolin abbassò la voce e sussurrò, tale che solo un orecchio vicino al suo potesse udire « Mentre parlo con lui vai a contattare l’avvocato e istruiscilo sul da farsi ».
La recluta raccolse un biglietto dalle mani del Saggio, asserì ed uscì, accennando ad un « Arrivederci, signor Zinzolin ».
« Vieni pure, Ethan, siediti qua vicino ».
« O—ok ».
A passo titubante si avvicinò all’uomo e prese posto di fronte a lui, trovando con sua sorpresa estremamente comode le sedie imbottite sul quale giaceva. Erano definitivamente kitsch, constatò, ma a loro modo comode.
« Ahem… Z—Zinzolin? ».
Il saggio sorrise. « Sei abituato a conoscermi come lo zio Edward Shepard, no? È da un po’ di tempo che ho cambiato nome. Edward Whilelm Zinzolin, per la precisione ».
« O—ok ». Ethan glissò su un dettaglio così eccentrico riguardo il parente, e proseguì, alimentato da dubbi di diversa natura « Di cos’è che volevi parlarmi? ».
« Dimmi un po’, Ethan. Sai cos’è il Team Plasma? ».
« Ahem…. l’ho sentito nominare ».
« Hai visto l’intervista al loro esponente della UBC? ».
« Non… non credo. Ho sentito qualcosa, ma non leggo molto i giornali a dire il vero ».
Un sorriso corse sulle labbra di Zinzolin.
« Ebbene, sono io l’esponente del Team Plasma che è stato intervistato in diretta nazionale. Invero, ti trovi nella sede non ufficiale del Team Plasma ».
L’espressione di Ethan cambiò radicalmente, nella frazie di un secondo, come il cielo estivo durante un fugace acquazzone. I suoi occhi sgranarono e la pelle del suo viso si stirò dai lati delle labbra agli zigomi.
« Cosa? ».
« Sorpreso? ».
« Io… ».
Zinzolin rise. « Mi aspettavo una reazione del genere. Ad ogni modo, non importa: quello che importa è che tu sei qui. In quanto mio ultimo erede, infatti, voglio che tu abbia questo ».
Estrasse dalla sua giacca un voluminoso raccoglitore, dal quale debordavano documenti a non finire. Lo gettò sul tavolo con un certo tonfo, e tirò un sospiro di sollievo al venir meno del peso che si era trovato a sollevare. Lo dunque aprì e sfogliò le prime pagine, rivelando un congegno meccanico simile ad un telefono cellulare.
« Cos’è? ».
« Qualche mese fa, in vista di questi avvenimenti, ho fatto inserire nel mio cuore un pacemeaker… ».
« Mi spia—».
« Non ho nessun problema al cuore, Ethan. Questo particolare pacemaker, anziché essere d’aiuto al battito del mio cuore, registrerà le pulsazioni di esso e, qualora esso dovesse smettere di registrare battiti, lancerà un segnale a quello » indicò il cellulare che Ethan si rigirava tra le mani « notificandoti dell’accaduto ».
« Cioè… in caso di morte? ».
Zinzolin asserì.
« Mo—morirai? ».
« Non lo so, Ethan. Ma è un rischio che correrò, e voglio che tu sia avvertito in caso succeda ».
« Io— non so che dire… ».
« Andiamo avanti » sorrise « ora, per quanto riguarda il resto, qua troverai tutto ciò di cui mi sono occupato e che ha riguardato me ed il Team Plasm negli ultimi anni. Voglio che tu lo abbia, in caso ti dovessero servivere o succedesse qualcosa ».
« Su—succedere qualcosa? ».
« Siamo tutti a rischio, Ethan. Se ti può rassicurare, questa nostra conversazione è oscurata, solo tu, io e Zachary—».
Ethan lo interruppe. « Zachary? ».
« La recluta che hai visto prima ».
« Oh ».
I due rimasero in silenzio, ad osservare il plico di documenti che il ragazzo stava spargendo attorno a sé.
« È… è tutto questo che mi ha pagato l’università? ».
« E l’appartamento dove vivi ».
Ethan non poteva che pensare a come la sua infanzia improvvisamente prendesse senso, a tutti quegli episodi che, in una frazione di secondo, trovavano spiegazione. Ogni dubbio e domanda che si era mai posto, eccola risolta, datale una risposta, davanti a sé. 
Deglutì.
« C’è— c’è altro? ».
« Sì » Zinzolin allungò le mani verso i fogli e li prese di mano dal nipote. Irritato dal disordine nel quale erano stati posti li sistemò con dei fermi colpi sul tavolo e li ripose all’interno del fascicolo. Fatto ciò lo riaprì nuovamente ed estrasse una busta di plastica contenente, in prima di copertina, la scritta a caratteri cubitali HILDA BASKERVILLE. « C’è una ragazza, Hilda Baskerville, che voglio tu conosca. È molto carina ».
« Lavora per te? ».
Il Saggio rise.
« Potresti vederla in quell’ottica ».
« Qualcosa di divertente? ».
« No, no, continuiamo. Dicevo, ho bisogno che tu incontri questa ragazza, tenendola all’oscuto di questo nostro incontro e della nostra relazione ».
« Bisogno… per cosa? ».
« Questa signorina, la signorina Baskerville, è molto… come dire, problematica. Se riuscissi a tenerla lontana da Castelia City, sarebbe ottimo ».
« Vuoi che la rapisca? La droghi? ».
« Rapire? ». Una frizzante risata vibrò nella gola dell’uomo « No, certo che no. Conosci una cosa chiamata amore? ».
« Non— non ti seguo. Anche se la facessi innamorare di me, poi? ».
« Tutte queste domande, tante domande e poche certezze. Al da farsi ci penseremo dopo, per adesso ho bisogno di questo. Se hai intenzione di accettare, devi dirmelo subito ».
« Io—».
La risposta di Ethan fu interrotta sul nascere da un fragoroso rintocco che era stato scoccato sulla porta. L’attenzione di entrambi fu distolta e si spostò al centro di quel rumore.
« Avanti » proruppe Zinzolin « Cosa c’è? ».
« Signore, abbiamo perso il segnale dalla macchina dell’avvocato ».
« Cosa? ».
« Abbiamo cercato di contattarlo ma non risponde ».
« Quando l’avete perso? ».
« A dieci minuti dall’uscita di Castelia City, verso Nimbasa ».
Il mondo circostante si congelò nel tempo, attorno a Zinzolin. Immaginò la figura di Hilda davanti a sé, ed ogni scenario possibile gli saltò a mente: era morta?, l’avvocato aveva deciso di liberarla?, era scappata? Il silenzio era sceso nella stanza mentre, nella sua mente, il Saggioc contemplava l’asindeto di domande retoriche.
« Posso andare a cercarla ».
Zinzolin rimase in silenzio, assorto nei pensieri.
« Z—zio, posso andare a cercarla ».
« Uh? ». Il saggio si era svegliato. « Come hai detto? ».
« Ho detto che potrei andare a cercarla. Non è molto lontano che il segnale si è perso, potrei tornare a Nimbasa e controllare che in strada ci sia qualcuno. E se la trovo, la porto a casa come stabilito ».
Lo sguardo dell’uomo scivolò sulla recluta.
« Quali altre opzioni abbiamo? ».
« Non molte. Potremmo andare a cer—».
« Vai, Ethan. Se la trovi, chiamami appena torni a casa ed avvisami ».
Ethan asserì.

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flashback – Autostrada – 03/11/11
L’autostrada quel giorno densamente trafficata, e le macchine sfrecciavano nel buio come addobbi all’albero di natale che splendevano nella notte di luci rosse, gialle e bianche.
Ethan aveva messo piede nella macchina senza poter distogliere la mente da quanto saputo prima. Era scosso ed una parte di lui arrivava addirittura ad essere incredula rispetto a quello che suo zio gli aveva detto prima. Partendo dal nome ed arrivando al Team Plasma, tutto ciò che lo circondava aveva dell’assurdo solo al pensarci. Non riusciva a scuotere da sé la sensazione che qualcosa, in tutto ciò, fosse sbagliato, ed illegale a voler esagerare.
Si mise in moto ed uscì da Castelia, l’immagine di Hilda che fluttuava nella sua mente. L’avrebbe trovata? E se trovandola non l’avesse riconosciuta? Suo zio avrebbe perso tanto tempo per niente.
L’autostrada si era rilevata più trafficata di quanto si era aspettato. 
Proseguì dritto, senza musica nella vettura, accompagnato dal suo stesso silenzio, ed il suo sguardo oscillava come l’estremità di un pendolo da un punto all’altro dell’autostrada alla ricerca di una ragazza che rassomigliasse a quella descritta nelle foto del file.
Dopo un buon quarto d’ora di buchi nell’acqua, incontrò per strada una strana visione: una macchina aveva disarcionato per un breve segmento di strada il railguard ed era finita fuoristrada contro un albero. Alcuni luci erano ancora funzionanti e furono quelle a permettergli di individuare la macchina. Notata, non poté fare a meno di pensare che fosse una traccia di Hilda: non poteva esser andata lontano. Ritornò nella sua vettura e proseguì, più lento che potesse, sino a che sull’orrizzonte i suoi fari non individuarono una figura femminile aggirarsi lungo il bordo dell’autostrada.
« Ehi, vuoi salire? » esclamò, ma Hilda inizialmente non si voltò « Ehi, sto parlando con te! ».

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flashback – Castelia City – 14/11/11
Il sole filtrava dalle finestre in sottili e caldi raggi che, in una cascata di luce, si riversavano sulle bianche lenzuola che coprivano il corpo di Hilda. Un rumore soffuso di clacson e macchine che sfrecciavano sull’asfalto faceva da sottofondo al dolce riposo della castana, ancora stretta fra le braccia di Morfeo, un lieve sorriso disegnato sulle sue labbra rosacee.
La sua pelle era così perfetta che, baciata dal sole, riluceva come pregiata porcellana, ed era altrettanto fragile. Respirava lentamente e senza far rumore, senza rovinare quell’etereo silenzio che si era creato nella stanza, senza che qualcuno potesse accorgersi che stesse giacendo su quel lettino. Pareva quasi morta, tanto era pacifica, quella ragazza che dormiva così beatamente tra le candide coperte che brillavano di luce riflessa.
Il rumore di un cigolio di porta s’insinuò nell’aria come acqua che scorreva dentro ad un calice. Era un suono moderato, al quale si aggiunse il fragore di passi umani che, uno dopo l’altro, riempivano la stanza sino a sfiorare la soglia di sopportazione che la ragazza aveva immersa nel sonno. 
Uno dei due uomini si avvicinò ad Hilda e gentilmente le diede un buffetto sulla spalla.
Un sommesso « Mh » provenì dalle labbra della ragazza, che si rigirò dall’altra parte.
« Hilda? ».
« Mh… c—che? ».
I suoi occhi si aprirono sulla cascata di luce che si rifletteva nei bianchi camici dei due uomini, ed inizialmente stropicciò le palpebre per abituarsi a quel fracasso luminoso. Raccolse le gambe su di sé e issò la sua schiena sulla ringhiera del letto, come ad allontanarsi dall’uomo sconosciuto.
« Non avere paura Hilda, siamo qua per aiutarti ».
« Voi… chi siete? Dove sono? ».
« Tranquilla » sorrise l’uomo « prenditi tutto il tempo di cui hai bisogno. Ho preparato un vassoio con tutto ciò che ho pensato potesse servirti per la prima colazione, e ci sono dei vestiti nel ripiano inferiore. Quando sarai pronta, raggiungimi nel mio studio. È la porta di fronte a questa in fondo al corridoio ».
« Io… ».
« Shh, non dire niente. Fai con calma ».

Hilda si infilò la maglietta bianca che aveva trovato riposta nello scompartimento inferiore del carrello e, come alzò le braccia al soffitto per farla scendere, dolcemente, lungo il suo busto, sentì le sue ossa scricchiolare e la vitalità riprendere possesso del suo corpo. Fu investita da un marcato profumo di Baccamela che pervadeva le sue vesti, candide come le lenzuola ed anonime per quanto riguardava la presenza di disegni o fantasie. 
Aprì la porta, si guardò attorno e proesguì davanti a sé; notò con sorpresa che la porta della sua stanza era stata rinominata “BODY 1”, come leggeva sulla targhetta di bronzo infissa sopra. Mentre avanzava i passi verso la porta, sul quale vetro smerigliato era stata apposta la targhetta “Dr Sachs”, cercò di recuperare nella sua mente i ricordi della giornata passata.
Ricordava N, ricordava un porto. Ricordava di essere morta
Poi i suoi occhi s’illuminarono.
La sforacchiò come una pallottola.
Le bacche. Aveva deciso di farsi cancellare la memoria.
« Avanti » udì provenire da dietro la porta, che, immersa nei suoi pensieri, non si era accorta di aver raggiunto. « Prego, entri pure ».
Pur con titubanza afferrò la maniglia della porta e si fece strada all’interno dello studio, dove la aspettava l’uomo che aveva visto poco prima, appena svegliata, nelle medesime vesti di prima. Le sembrava fosse passato un anno da quel momento.
« Permetta di presentarmi: sono Colress Jackson ».
Hilda allungò la mano « Piacere. Hil—Hilda Baskerville ».
L’uomo sorrise « Solo? ».
« Ahem… Hilda Claude Baskerville, ma non lo uso mai. Non mi piace granché ».
« Non si preoccupi, si sieda pure ».
Hilda prese posto di fronte a lui, che sedeva dall’altra parte di una trafficata scrivania in mogano scuro, e subitò provò una sensazione di sollievo ad affondare nella soffice pelle del divano.
« Comoda? ».
La ragazza asserì. « Sì, grazie ».
Osservò di fronte a lei, all’uomo, il quale manteneva un sorriso stampato sulle sue labbra. Ai suoi lati, sulla superficie della scrittoio, v’erano due pile di scartoffie disordinate, dalle quale debordavano fogli e cartacce, più avanti v’era un portapenne di vetro riempito di una sola penna stilografica, cosa che trovò buffa. Ai suoi lati il resto della stanza era piuttosto vuoto, riempito da alcuni armadi di acciaio che non sembravano esser stati usati da molto, sopra ai quali, nella parte alta delle pareti, catturavano l’attenzione degli scorci della città di Castelia City, alcuni raffiguranti lo skyline della città, altri scene di vita quotidiana. L’impressione che le fece, quello studio era stato creato apposta per lei.
Mentre era persa nell’osservarsi attorno, l’uomo aveva raccolto dalla pila alla sua destra un documento beige, che recava le lettere P, R ed M sulla prima di pagina.
« Sono contento. Per partire, lei sa perché è qua? ».
« Credo… credo di sì. Dovrete cancellarmi la memoria? ».
« È esatto. Il signor Harmonia-Gropius ti ha accennato alla procedura PRM? ».
All’udire quelle parole, sul viso di Hilda si dipinse un’espressione confusa.
« Il signor Harmonia-Gropius, Natural ».
« Oh, N » commentò atona « n—no, non mi ha detto niente ».
« Cercherò di essere quanto più chiaro possibile. La procedura PRM, Processo di Reset Mnemonico, è una procedura in via di sviluppo ideata e sperimentata dalla Professoressa Fennel Flannagan, nel Laboratorio di Striaton City, che riguarda, come da nome, il reset della memoria, parziale o totale, di una persona od un Pokémon. Durante la prossima seduta cominceremo a fare una mappatura dei tuoi ricordi legati ad N ed a qualsiasi cosa collegata: il Team Plasma, il giornalismo, la storia, eccetera. Tramite un dispositivo non invasivo cercheremo di isolare quei ricordi rispetto ai ricordi normali, quelli essenziali per la tua vita: come mangiare, come parlare, cos’è la Lega, cos’è un Pokémon, tutto ciò che una persona comune deve sapere ».
« È… è sicuro? ».
Una risata cristallina giunse alle orecchie di Hilda. « Certamente. Mi lasci proseguire, spero che le sarà chiaro alla fine. Ogni ricordo collegato a questa sua vita che la rende Hilda Claude Baskerville verrà rimosso, come se togliessimo i colori ad un quadro, che magari è stato rovinato dal tempo, per poterne fare un altro, più bello, più—».
« Rovinato dal tempo? ». La sua voce si ruppe nel borbottare quelle parole.
« È—è una metafora. Cercherò di tenermi ai fatti, la poetica non mi riesce » rise. « Dunque, dicevamo, questo processo la riporterà circa a prima del primo incontro con il signor Harm—Natural, » si corresse, notando già lo sguardo confuso della ragazza « con Natural. In aggiunta a ciò, tuttavia, verrà rimosso anche ogni ricordo che la mantiene stretta al suo nome, Hilda Claude Bakserville, per evitare che venga riconosciuta o che insorgano eventi spiacevoli durante la sua nuova vita. Per fare ciò, dunque, finito il processo verrà immersa in un ambiente favorevole alla creazione del nuovo nome e della nuova identità che il corpo, fresco di PRM, raccoglierà ed assorbirà ».
« Quindi… diventerò una nuova persona? ».
« Tecnicamente no. Tu, Hilda Claude Baskerville, non esisterai più. Esisterà un’altra persona con un nome diverso nel tuo corpo, se ha senso ».
« Non—non capisco ».
« È molto complesso da spiegare ma, in pratica, Hilda Claude Baskerville, tu, sei così grazie principalmente ai tuoi ricordi. Senza di quelli, saresti una persona diversa ».
« È come se… morissi? ».
« È come se perdessi la memoria. Sbattessi la testa su uno scalino, e ti dimenticassi qualcosa. Non importa quanto o poco, ogni leggero cambio farebbe di te un’altra te ».
Gli occhi castani di Hilda non potevano staccarsi dalle labbra del professore, mentre parlava, nonostante quelle parole, nella sua mente, facessero fatica a diventare concetti che lei potesse capire. Se inizialmente fece finta di seguire il suo discorso, più si entrava nel profondo della questione più sul suo viso cominciavano a nascere rughe d’espressione e mimiche che trasmettevano le sue sensazioni interiori in modo palese.
« Non capisci, vero? » rise « È un concetto abbastanza complicato, per una persona che sente per la prima volta queste cose ».
« Già… » sorrise, per la prima volta durante quella seduta « posso farle una domanda? ».
« Prego, faccia pure ».
« Questo per quanto riguarda la prima seduta. Significa che ci saranno altre sedute… » non completò la frase.
« È esatto. Ci saranno in totale tre sedute, nela terza delle quali avverrà il PRM. Porteremo un Musharna direttamente dal Laboratorio di Striaton City che, mentre dormi, procederà ad isolare e cancellare i ricordi. Quanto ti sari svegliata, sarai una nuova persona ».

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« E lei… ha accettato? ».
Poco dopo l’incontro iniziale avuto da Hilda ed il Professor Jackson, la giovane era stata rispedita nella sua camera a ragionare su quello che sarebbe stato il suo futuro, mentre l’uomo aveva preso una strada nettamente diversa recandosi in direzione della sala principale, dove si era incontrato con N e Ryoku.
« Non credo pensasse di avere una scelta ».
« Non ce l’aveva » s’intromise Ryoku « ora possiamo tornare a noi? ». Distribuì dei documenti ad N ed all’uomo che subito s’immersero nella lettura. « Questi sono i dettagli dell’”Operazione Eden” ».
N rise sommessamente. « Abbiamo dato un nome a questa cosa? », ma venne subito raggelato dal malosguardo che il Saggio aveva prontamente scoccato.
« Dicevo, nei fogli che vi ho distribuito troverete tutti i dettagi. Dopo il PRM, sia tu che la signorina Baskerville verrete portati, durante il sonno, nelle vostre nuove locazioni, nelle quali verrete svegliati da un assistente del Professor Jackson e della professoressa Cohen, che completeranno il processo di acquisizione della nuova identità. Altre domande? ».
« Io ne avevo una, sinceramente ».
« Cosa c’è, N? ».
« Potrei… parlare con Hilda? ».
Ryoku rise. « Ne ho già parlato con il quipresente Professor Colress, ed abbiamo concluso che è meglio di no. Non possiamo permettere che l’operazione venna compromessa, e un incontro con la signorina Baskerville rappresenta un possibile rischio ».
« Quindi—».
« È per la vostra sicurezza, Natural. Vogliamo solo portare a termine questa… cosa nel migliore dei modi ».
« O—ok ». Se Ryoku non lo conoscesse da tempo, avrebbe quasi pensato che, in quel momento, la sua voce si fosse rotta. « Va bene. Ora? ».
« Ora devo andare, ma lascio voi due a chiacchierare in caso vogliate discutere sui particolari » commentò il Saggio allontanandosi dai due, ed anticipò la sua uscita di scena con ciò che alle orecchie di N e del professore sembrò un « Arrivederci » strascicato.
I due rimasero in silenzio per qualche minuto, riempirono la stanza del rumore dei loro respiri e dello sfogliamento di pagine.
“Ricollocamento: possibili opzioni” lesse il giovane dai capelli verdi, completamente distaccato dalla soporifera lettura che si era ritrovato a fare.
« Ahem » tossì.
« Uh? ». Il professore alzò la testa dal foglio « C’è qualcosa? ».
« No, nulla. Io… credo che andrò ».
« Oh, certamente. Io rima—».
« Posso chiederle un favore? ».
Quest’uscita colpì l’uomo come un treno corsa.
« Cer—certamente, chiedimi pure, vedrò cosa posso fare » commentò spaesato.
« So quello che ha detto Ryoku, ma avrei veramente bisogno di dire una cosa ad Hilda ».
« Er… dovrei vedere con lui—».
« Non è nulla di che, mi creda, ma è molto importante per me ».
Lo sguardo del professore oscillò dagli smeraldini occhi imploranti del ragazzo al documento che giaceva sotto al suo naso, e così per più di una volta, mentre cercava di elaborare nella sua mente una soluzione che potesse combaciare entrambi i voleri di Ryoku e del ragazzo.
Con un movimento fulmineo affondò la mano nella tasca del suo camice e ci estrasse un blocco di post-it, che lanciò in mano ad N, e prese la penna che pendeva dal suo taschino e la fece scivolare lungo il tavolo, sotto l’espressione confusa dell’altro.
« Scrivi il messaggio che vuoi mandare alla signorina Baskerville e, se lo riterrò opportuno, farò in modo che lo riceva ».
N non si perse d’animo e strappò un pezzo di carta dal blocco, dove in velocità scarabocchiò una frase, per poi consegnarla all’uomo assieme al resto.
« Amore, eh? » constatò piacevolmente sorpreso il professore « la peggiore delle malattie. Ad ogni modo, ritenga questo messaggio consegnato ».
« Ah, come farò a sapere che l’ha ricevuto? ».
Colress sorrise. « Non lo saprai ».

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flashback – Castelia City – 15/11/11
Quel giorno Hilda fu svegliata dal sole che baciava le sue palpebre. I suoi capelli castani erano disposti a raggiera sul suo candido cuscino e le lenzuola del letto erano piegate ed ingarbugliate per tutto il materasso. La posizione in cui si era coricata e con la quale era troavatasi a svegliarsi era molto diversa dall’immagine quasi eterea che il suo corpo, al tempo molto più simile ad un cadavere trasmetteva.
Aprì gli occhi e fu illuminata da una cascata di luce. 
Si alzò, spaesata, e cercò sul comodino la sveglia verde smeraldo che N le aveva regalato, ma notò con sconforto che non era là. Vero, pensò. Non era a casa. Era chissà dove, Castelia City a giudicare dal rumore del traffico, ma la città in cui aveva vissuto per così tanto tempo le sembrava così lontana. 
Mentre stava alzandosi il professore bussò alla porta.
« Avanti ».
« Sei sveglia! Non credevo di trovarti sveglia » esclamò compiaciuto Colress.
« Neanche— neanche io ». Le sue labbra si spiegarono in un timido sorriso. « È la colazione? ».
« Sì » sorrise a sua volta « quando finisi, vieni pure da me e cominceremo la prima sessione ».
Dettò ciò scomparì dietro la porta, lasciando Hilda davanti ad un carrello sul quale piano superiore troneggiavano dolci d’ogni tipo. Torte, pasticcini, gelato e brioche, in parte alle quali leccornie v’era un boiler pieno di caffè.
Versò il caffè in una tazza, sulla quale era rapresentata una sirena stilizzata color verde smeraldo, e lanciò un’occhiata ai piatti da mangiare. Decise di afferrare una brioche e consumò la colazione in un quarto d’ora, per poi vestirsi con gli abiti che aveva preparato Ryoku per lei.
Quel giorno profumavano di Baccaliegia.
Mentre era intenta a indossare i suoi pantaloni, bianchi come bianca era la maglietta, udì un fruscio provenire da essi. Quando si alzò, per portare i calzoni alla vita, notò per terra uno strano oggetto bianco ed accartocciato.
« Uh? » fece, mentre si chinava a raccoglierlo: era un biglietto di carta scarabocchiato.
Lo aprì.
Ciao Hilda,
Scusa per il valzer.
Ti amo…

 
« … ed amerò per sempre. xx N » lesse.
Una lacrima corse lungo la sua guancia.

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flashback – Castelia City – 19/11/11
Quel giorno pioveva.
Non aveva dormito, la sera, se non per brevi pisolini che aveva schiacciato durante la notte. Era rimasta a fissare il soffitto sopra di lei, ascoltando il rumore della pioggia che batteva sulla finestra e del traffico che, nonostante l’acquazzone, animava comunque la città di Castelia City. Non riusciva a dormir quella sera: come poteva? Sentiva di aver passato una settimana chiusa a non fare niente, a prepararsi per andare a morire, come un prigioniero nel braccio della morte in attesa dell’esecuzione.
Scrutava il soffitto e pensava a tutta la sua vita. Ad N, a Looker, a Zinzolin; a tutte le persone con cui aveva avuto uno scambio, tutte le persone che aveva incontrato durante la sua vita. Le persone a cui l’aveva cambiata, la vita, e quelle per le quali non era altro che un soffio d’aria. Pensò a Natalie: chissà che fine aveva fatto? Pensò a Bianca, a Julie, alle persone che erano morte. Quella settimana passata reclusa in quella candida camera l’aveva aiutata a guardare, se non altro, tutta la sua vita in un’ottica diversa. Ciò che l’aveva resa Hilda Baskerville sarebbe svanito, ciò che la rendeva lei sarebbe svanito, bruciato nel fuoco della sua memoria e soffiato via come cenere al vento. Significava che quelle morti erano state invano?
Si chiese se non potesse dormire per scelta spontanea o perché impossibilitata dal suo passato. Onestamente, non le interessava. Il giorno dopo, il giorno successivo, sarebbe stato un nuovo giorno, e la vecchia Hilda Baskerville sarebbe morta con il sorgere di esso: era tutto ciò che le bastava. Che, addormentandosi, avrebbe messo a dormire quei ricordi, le testimonianze di quelle persone, e chiuso il capitolo di un libro che avrebbe, sperabilmente, smesso di infestarle i sogni. Che il sole sorgesse, allora.

Quando il professor Jackson aprì la porta trovò Hilda svegliata, seduta sul lato destro del letto, che osservava impaziente la porta.
« Vedo che ti sei abituata a questi ritmi ».
« Meglio tardi che mai, no? » scherzò la ragazza.
« Suppongo »  sorrise « Oggi, a differenza degli altri giorni, non servirà che vieni da me. Mangia e vestiti, dopodiché arriverò io, fra mezz’ora, per l’ultima sessione ».
« Per cancellarmi la memoria » lo incalzò lei.
Colress non rispose.
Hilda, nella sua testa, pensò quasi che si vergognasse del suo lavoro. Doveva essere così.

Aveva finito di mangiare e si era già vestita quando si mise a sedere, lo sguardo che andava oltre il vetro smerigiato della finestra, dal quale poteva vedere ben poco se non qualche luce confusa. Stringeva fra le mani il biglietto che aveva trovato, giorni prima, nei suoi vestiti. 
Già, il valzer.
« Attenderò con ansia il giorno in cui potremmo ballare insieme, Hilda. Non ora, non domani, forse mai. Sino ad allora, non passerà un giorno in cui non vorrò danzare ancora con te ».
Che stupida che era stata, pensò.
« Posso entrare? » udì provenire dall’altra parte della porta.
« Prego » rispose.
« Ehi, ciao Hilda, sono io. Ho pensato di fare un salto da te prima degli altri, per… quello che volevi, veramente. Anche solo chiacchierare ».
« Sto bene così. Grazie Colress ».
« Di nien—».
« Dico davvero. Sei stato molto gentile, questi giorni, mi hai trattato quasi da umana. Hai sempre avuto una parola gentile, mi hai dato questo… » alzò il bigliettino, in modo tale che potesse vederlo « grazie, grazie veramente. L’ho apprezzato ».
« Che cos’è? Cre—credo che tu non abbia ca—».
« Ho capito » sorrise Hilda. « Grazie per quello che hai fatto ».
Il Professore, Colress, stette sulla soglia della porta ad osservarla, mentre i suoi occhi castani lo guardavano indietro. Ora che lo guardava, per la prima volta in vita sua, poteva riconoscerne ed apprezzarne i lineamenti. Aveva una pelle diafana, seppur di una tonalità tendente al rosa, sulla quale risaltavano due occhi del colore del ghiaccio. Portava i capelli, biondi, di un taglio corto con un accenno di ciuffo al centro e, per quanto fosse alto come la ragazza, presentava una corporatura più robusta e muscolosa.
« Sei gay? ».
Il professore sgranò gli occhi.
« Come scusa? ».
« Ti ho chiesto se sei gay ».
Un ghignò comparse sul suo volto. « Non… non credo sia una domanda appropriata ».
« Hai paura che lo dica a qualcuno? Prometto di portarmi il segreto oltre la tomba ». 
Entrambi risero.
« Anche se rispondessi alla tua domanda, cosa cambierebbe? ». Cercava di mantenere un tono serio, ma non poteva fare a meno di corrompere le sue parole con una risata sommessa.
Hilda si alzò in punta di piedi e si avvicinò a lui, che la fissò divertito muoversi con quel suo fare così leggiadro.
« Sei gay, quindi » scherzò.
Gli sfilò la penna dal taschino sul suo petto e scarabocchiò qualcosa che Colress non poté vedere al suo interno. Stropicciò il foglio e prese gentilmente la mano dell’uomo.
Portò le sue labbra all’orecchio destro dell’uomo, che la fissava spaesato ma, al contempo, incuriosito da quella ragazza. « Non me ne faccio di questo foglio, da morta. Fa’ ciò che ritieni più opportuno » e quando si allontanò scoccò un bacio sulla guancia destra. Colress per allora aveva già aperto la mano e non fece altro che posare il pezzo di carta nelle mani dell’uomo, che la richiusa e la ripose in tasca. Al contatto con le sue labbra, notò che la pelle era appuntita.
Con un salto si gettò a letto e ritornò a guardare al soffitto, eludendo lo sguardo del professore che, al contrario, continuava a scrutarla.
« Devi tagliarti la barba ».
« Voglio lasciarla crescere » sorrise lui. Riprese a parlare, dopo un poco. « Sai, avrei voluto conoscerti. Hilda Claude Baskerville ».
« Già ».

Quando Hilda si girò per guardarlo, era già ritornato nel corridoio, la sua mano che accarezzava il punto dove lei aveva lasciato il tenero bacio.

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flashback – Castelia City – 19/11/11
« Avanti ».
La voce di N risuonò nella stanza. 
Era bianca, speculare a quella di Hilda, e bianco era ogni mobile con la quale era stata spartanamente riempita.
Udì dall’altro lato della porta una voce maschile rispondere.
La porta si aprì.
« Come facevi a sapere che mi trovavo dietro alla porta? » esordì il Professor Jackson, il capo balenando dalla porta.
Si fermò sulla soglia ed appoggiò la schiena sul lato sinistro del battente, incrociando la gambra sinistra sul
« Ho sentito dei passi avvicinarsi e poi fermarsi ».
« Davvero? ». Un sorriso nervoso corse lungo le labbra dell’uomo. « Sai che giorno è oggi? ».
N asserì. « Hilda… lei com’è? ».
« Sta bene. Son venuto qua apposta per dirtelo ».
« Dirmi cosa? ».
« In questo esatto momento, la professoressa Fennel Flannagan sta cominciando il PRM ».
« Mentre parliamo? ».
« Mentre parliamo ».
N guardò attorno a sé, eludendo lo sguardo del professore che lo scrutava ridendo sommessamente. 
« Cosa… cosa ti ha convinto ad aiutarci? ».
« Uh? ».
« Devi pur avuto un motivo per venire qua, no? Qualcosa… che ti convincesse che tutto ciò è giusto ».
« Che tutto ciò è giusto? Non credi che sia giusto? ».
« Sei tu il prof, no? » sorrise N « dimmelo tu ».
Colress affondò la mano nella tasca del camice bianco e cercò per il pezzo di carta a cui Hilda aveva risposto. Finalmente lo trovò, e le sue dita presero a tastare la ruvida superficie della cellulosa. Mentre fissava N, i cui occhi smeraldini vagavano per la stanza, si chiese se fosse giusto darglielo.
Le parole di Ryoku gli balzarono in mente.
« Ha ricevuto il biglietto? ». Lo sguardo del ragazzo planò sugli occhi azzurri del professore. « Hilda, intendo ».
« Ti ho già risposto giorni fa ».
N sorrise. « C’è… » pronunciò, ma i suoi respiri non arrivavano alle sue labbra. La voce si era spezzata. « C’è… c’è qualcosa che posso avere prima di morire? ».
« Il grande Natural Harmonia-Gropius spaventato dalla morte? ». La risata cristallina di Colress riempì l’aria « Ti pensavo più temerario ».
« Non è della mia morte di cui ho paura ».
« Anche perché non morira—».
« Sai cosa intendo ».
Quella frase suscitò una sensazione di compiacenza nell’uomo. « Sì, suppongo di sì ». Il suo sguardo scese sull’orologio sul suo polso. « Dopo quest’operazione tornerò a Striaton City, a continuare a sviluppare questa tecnologia. Io e Fennel abbiamo trovato che, in base al cibo ingerito da Musharna, le prestazioni cambiano notevolmente ».
« Interessant—».
« Stiamo cercando di individuare la causa, affinché l’operazione di PRM fili liscia come l’olio. Affinché Musharna dia il suo completo potenziale ».
« E mi stai dicendo questo… perché? ».
Il professore sorrise. « Ci vediamo dopo. Non morire, Natural ».
Colress chiuse la porta ed N udì un rumore di passi allontanarsi.

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flashback – Castelia City, Processo di Reset Mnemonico – 19/11/11 
« Le lettere dell’alfabeto sono, in totale, 26, e così deve essere anche il nostro intervallo. Su cinquantadue carte, ventisei ne andrebbero escluse così, ma non è da intendersi che perderebbero il loro scopo. Affatto. Le carte sarebbero comunque utili come spazio fra una parola e l’altra, certamente ».
La voce di N risuonava nell’aria.
Quando Hilda aprì gli occhi stava fissando il mare. Una leggera brezza soffiava sul suo collo, come se le pareti della casa non esistessero e la ragazza fosse in pieno getto del caldo scirocco che dal mare spirava verso di lei.
« Volendo potremmo scegliere di usare, diversamente, altre chiavi di lettura, come ad esempio i numeri pari o dispari, con le proprie eccezioni, o i multipli di un dato numero ».
La sua bocca si mosse da sola.
« Perché c’è qualcosa che hai intenzione di dirmi? ».
« In real—».
« tà sì, molto ».
« Come… come facevi a sapere quello che stavo per dire? ».
Hilda si alzò e si voltò verso di lui, avvicinandosi a dove era seduto. « Non capisci? Tutto questo, è già successo. Non… non è la realtà! ».
Prese una sedia, la alzò in aria e la lanciò verso il muro, fracassandola in una manciata di pezzi di legno. Afferrò il tavolo dal basso e lo rovesciò in aria, andando a scontrarsi con la libreria dietro che cadde sopra di esso, e con lei tutti i libri sopra. Rideva, compiendo quelle azioni: era come un sogno lucido, senza nessuna ripercussione sulla realtà.
N guardava lo spettacolo scioccato.
Quando Hilda alzò gli occhi per guardarsi attorno, il paesaggio attorno stava scomparendo e venendo rimpiazzato da un intimidatorio bianco.
« Cosa sta succedendo, Hilda? ».
« Niente, N… sto dimenticando ».
Una lacrima corse lungo la guancia del ragazzo.
« Non voglio… non voglio dimenticarti ».
Hilda fece un passo verso di lui e gli afferrò la mano. « Tranquillo, andrà tutto bene ».
« Come… come fai a saperlo? Non te ne ricorderai ».
« Può— può anche darsi » disse, le lacrime che le impedivano di produrre un discorso continuo « scu—scusami, N… Io—».
N si spinse su di lei ed avvolse le sue braccia attorno al suo esile corpo, le loro labbra toccarono unendosi in un lungo ed appassionato bacio. Tutt’attorno a loro, il paesaggio non faceva che cambiare: si passava dai grattacieli di Castelia City durante una giornata di sole al porto durante quella fatidica sera di Novembre, dallo sfondo domestico del suo appartamento al bacio sulla ruota panoramica di Nimbasa City.
Un lampo di luce accecò gli occhi di Hilda.

La castanna schiuse gli occhi, lungo le sue braccia poteva sentire una forte morsa stringere.
« Hilda? Hilda? Sono Ethan! Ethan Shepard! ».

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flashback – Pinwheel Forest – 18/11/11 
Le nuvole oscuravano il cielo quel giorno ed il colore tetro che portavano appresso non presagiva altro che un forte temporale in arrivo. Il vento spazzava le praterie ed i boschi della Pinwheel Forest, la macchia verde che separava la città industrializzata di Castelia City dal sobborgo di Nacrene City.
Una macchina nera, vetri scuri, si era immersa nell’area boschiva limitrofa allo Skyarrow Bridge per poi accostarsi vicino ad un dirupo.
« Avanti, Colress, aiutami a prenderlo ».
Dalla porta del guidatore uscì Ryoku, nelle sue abitudinali vesti cerimoniali, mentre dall’altra fu lo scienzato, vestito di un camice bianco.
I due si ritrovarono nel retro della vettura e ne alzarono il cofano, rivelando un corpo legato come una cuccagna e adagiato come un bagaglio qualunque nel portabagagli della macchina.
« Mpf! » mugugnava il corpo, ma Ryoku rispose con una risata.
« Forza, slegalo, ma lascia le manette alle mani ed alle caviglie » ordinò il Saggio, ed indicò la bocca di Zinzolin « Colress, sciogli il bavaglio ».
Misero Zinzolin sull’orlo del dirupo ed il Saggio estrasse la pistola dalla tasca.
« Non sono mai stato così soddisfatto di fare qualsiasi cosa nella mia vita ».
« Mpf… mf—tenuto quello che volevi, Ryoku? ». La voce di Zinzolin tuonò nelle loro orecchie come l’ulutato di un Absol nella notte. « Liberarmi dalla polizia per poi uccidermi? Pensi di essere meglio di me? ».
« Colress, dammi la pistola. Non lo sopporto ».
« Posso—posso ancora essere utile! Poss—».
« ZITTO! O ti farò più male di quanto necessario sia per vivere ».
Afferrò la pistola fra le sue mani e ne accarezzò la canna. « Non è bellissima, Zinzolin? Soprattutto se usata per una buona causa » sorrise.
Puntò l’arma verso il piede destro di Zinzolin e sparò un colpo, che si riflesse nel vecchio con un urlo di dolore. Portava solo gioia e soddisfazione a Ryoku.
« Bastardo, ti—».
Fece fuoco un’altra volta al polpaccio, ed il vecchio saggio quasi cadde sulle proprie ginocchia.
« Pronto a dire addio, Zinzolin?—».
« Signore? ».
La voce melliflua di Colress, fino ad allora silente, s’insinuò nelle loro orecchie.
« Cosa… cosa c’è? ».
« Posso… fare l’ultimo colpo? ».
« Cosa? Come mai questa richiesta, Colress? ».
« Io… vede, una delle persone morte per mano di Zinzolin, Ju—Julie Jackson, era mia cugina ».
« Oh, capisco… be’, se hai proprio tanto piacere… » accettò, allungando la pistola verso l’uomo « dopotutto, sei stato tu a consigliarmi questo posto l’esecuzione, darò a te l’onore ».
Colress alzò lo sguardo « Grazie mille, signore ».
Impugnò la pistola con ambedue le mani ed i suoi occhi azzurri scivolarono prima sulla canna della pistola, fumante, per poi atterrare sul cuore di Zinzolin. Il suo sguardo medico, preciso, gli permetteva di vedere attraverso la carne del Saggio ed individuare ogni osso del suo corpo, ogni singolo centimetro della sua pelle. Ogni segreto del corpo era conosciuto, a lui.
« Addio, Zinzolin ».
 
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flashback – Nimbasa City – 18/11/11
« Genevieve, ti amo! ».
« Come, Tancredi? Eppure ti ho visto andare a prendere il gelato con Ermenegilda! ».
« Cosa? Ma io amo solo te, Gene—».
Un fragore vibrò per le mura della casa.
Ethan alzò il capo dalla tazza di the verde che stava bevendo e si guardò furtivamente attorno, scosso profondamente dal suono che aveva appena udito. Altazosi, andò in cerca per la casa della fonte del suono quando vide, lampeggiante, il dispositivo di controllo che suo zio gli aveva consegnato qualche settimana prima. Segnava “DEAD”.

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flashback – Castelia City – 19/11/11
Ethan aveva guidato per quattro ore attraverso l’autostrada che collegava Nimbasa City e Castelia City alla ricerca di risposte. Era ancora demoralizzato e impaurito dalla notizia che aveva ricevuto, seppur indirettamente, attraverso il congengo di Zinzolin: ciò poteva significare solo una cosa. Sapeva che non fosse un brav’uomo, suo zio, ma sopra la ragione e la logica non potevano che vincere i ricordi e le emozioni. E lui si ricordava di Zio Ed.
Fermò la macchina dove aveva parcheggiato due settimane prima, per poi entrare nell’edificio.
« Buongiorno » esordì al bancone « vorrei… parlare con qualcuno ».
« Ma certo, mi dica pure. Ha appuntamento con qualcuno? ».
« Non… non credo. Dica che sono lo zio di Zinzolin, quello del Team Plasma.
La donna dietro il bancone s’irrigidì. I suoi occhi sgranarono ed abbassò lo sguardo: poteva sentire che ci fosse uno stigma che quelle parole portassero, e non sapeva se esserne triste o felice. Certamente sentiva che ciò gli portava potere.
« Salga pure, all’ultimo piano ».

Il luogo dell’incontro era il medesimo dell’incontro con lo zio. Solo, non ci sarebbe stato lui.
« Avanti » udì, dopo aver bussato ripetutamente.
« Buongiorno, sono—».
« So chi sei ». Di fronte a lui, dove una volta sedeva Zinzolin, sedeva un altro saggio, nei quali abiti, se non per il diverso colore della fantasia, avrebbe potuto benissimo confondere suo zio. Era della sua altezza e, sorprendentemente, condividevano alcune caratteristicihe del viso.
« Sei il nipote di Zinzolin, no? ».
« Lei è un… collega? ».
Il saggio sorrise. « Esatto. Sono Ryoku, e tuo zio lavorava con me nel Team Plasma ».
« Non… non ho mai sentito di te ».
« Tuo zio è sempre stato quello che è sempre voluto stare sotto le luci dell’attenzione. Suppongo che questo metodo non gli sia andato a gioco, dopotutto ».
« Credo… di s—».
« Accomodati pure qua, con me. Dimmi, perché sei venuto? ».
Ethan avanzò dei passi verso il Saggio e rapidamente prese posto ad una sedia di distanza, intimidito da quella figura che così stranamente rassimiliava suo zio.
« Avevo vi—avevo visto che mio zio era stato preso dentro dalla po—polizia—».
« Come mai non ci sono anch’io? Non ci è questo posto? ».
Ethan asserì.
« Vedi, il Team Plasma non ha niente da nascondere. È un’associazione dedita alla salvaguardia dei Pokémon ed all’avanzamento scientifico nell’ambito dello studio dei Pokémon. Tuo zio è stato coinvolto in quello che si può dire, quasi, uno scandalo, ma ora è tutto a posto ».
« Apposto? ».
Ryoku asserì. « Certo. L’inchiesta, guidata da un agente della polizia internazionale, un certo Looker, si è rivelata un buco nell’acqua per Zinzolin ed è uscito qualche giorno fa. Credo ieri, addirittura! ».
« E s—sa che fine ha fatto? ».
« Vuoi dirmi che non è venuto da te? ».
« N—no ». È morto avrebbe voluto urlare, ma sapeva come stavano le cose. Era stato mentito, anche in quell’esatto momento.
« Oh, allora non so come aiutarti. C’è altro che posso fare? ».
« Non—non credo. Io—».
« Allora abbiamo finito, no? La porto fuori ».
« Non serve. Me ne vado ».
Un sorriso incurvò le labbra di Ryoku mentre osservava quel povero ragazzo uscire con la coda fra le gambe. 

Era a metà del corridoio, pronto ad entrare nell’ascensore, quando vide un uomo vestito di bianco passargli davanti e dirigersi verso la stanza di Ryoku. Quando lo guardò negli occhi, gli sembrò quasi che lui, per un breve momento, l’avesse degnato di un breve sguardo anch’esso.
Ethan bofonchiò un indistinto « Buongiorno » ma l’uomo in camice non rispose. Vide superarlo e perdersi dietro la curva del corridoio, i suoi capelli biondi che lo seguivano. 
Incuriosito dal suo comportamento, e senza preoccuparsi che Ryoku, un uomo che già allora aveva bollato come bugiardo e suo nemico, s’arrabbiasse, decise di vedere da dove proveniva quest’uomo. 
V’erano due porte, distanti tra loro, che lo colpirono, per la pulizia di esse. La prima recitava BODY 2 mentre la seconda, che dava direttamente su un lungo tratto di corridoio, BODY 1.
« Niente, N… sto dimenticando » udì provenire da una porta.
« Eh? ».
Quella voce.
Si avvicinò alla porta della stanza BODY 1 ed appoggiò l’orecchio sulla porta. Era lei: era la voce di Hilda.
« Hilda! Hilda! » esclamò, battendo i pugni contro il legno della porta, che non sembrava voler aprirsi « Hilda! Sono Ethan! ».
Abbassò le braccia: non avrebbe mai risposto così. Probabilmente, neanche lo sentiva. 
Estrasse la sua Pokéball ma, all’interno di quel luogo, non fu in grado di aprirla. La rimise dentro la tasca e si gettò con tutta la forza con cui poteva contro ciò che la separava dalla ragazza dai capelli castani e la porta capitolò ai suoi piedi.
Hilda era ditesa su di un letto e dal suo capo provenivano decine di elettrodi che erano collegati ad una macchina circolare, bianca, con uno sportello di vetro sul davanti, poco vicino al letto. All’interno v’era Musharna che si agitava e muoveva la bocca, come a segno di fagocitare qualcosa. 
Si gettò sul corpo della giovane, le tolse gli elettrodi uno per uno e la scosse per le braccia finché non aprì le palpebre.
« Hilda? Hilda? Sono Ethan! Ethan Shepard! ».
Anche se in preda all’emozione, poteva percepire che lei non rispondeva come avrebbe dovuto. Era confusa e non sembrava riconoscerlo.
« Hilda! Hild—».
« Che cos’è tutto questo? Chi è lei? ».
Degli uomini in camice bianco comparvero alla porta. Entrarono in flotta nella stanza e lo trascinarono fuori, mentre si dimenava e cercava di ritornare alla sua amata. Colress, incuriosito dalla confusione, aveva raggiunto la stanza e osservava la scena con sospetto.

♦︎ ♦︎ ♦︎
 
flashback – Anville Town – 04/03/12
« And if a ten ton truck, kills the both of us! »
« To die by your side, well the pleasure, the privilege is mine! ».
Dopo essersi incontrati nella stazione di Castelia City ed aver affrontato assieme il viaggio in treno dalla metropoli alla città di Anville Town, Louis aveva deciso di portare Erika nel suo bar preferito, un karaoke-bar incastrato fra le viuzze della piccolo centro cittadino che serpeggiano fra i monumenti storici di Anville.
La Sgabello Rotto, questo il nome del locale dove erano finiti a cenare, era animato quella sera da una gara di karaoke a cui poteva prendere parte chiunque. Bevuti numerosi boccali di birra e consumato il miglior panino che Erika aveva mai mangiato nella sua vita, pensò in quel momento, Louis credette bene che fosse il momento, anche per loro, di tirarsi in ballo.
« Ed ora, signori e signore, un grande applauso per la prossima performance, Louis Bloomfield ed Erika Joy! ».
« Cosa? » esclamò Erika, gettando il boccale di vetro sul tavolo « mi hai iscritto! ».
« Ho iscritto entrambi! » sorrise Louis « dai, forza, sarà divertente! ». Louis le afferrò il braccio e la ragazza non sembrò opporre resistente, brilla per l’alcol, quando la trascinò fuori dalla sedia « Dai! Solo una canzone! ».
« Va bene, va bene! ».
« Così si fa! ».
Louis corse su per il palco e strattonò Erika con sé, che lo raggiunse subito dopo e si posizionò accanto a lui, davanti ai due microfoni.
« Canteranno, per noi, Don’t You Remember, di Adele! ».
« Chi l’ha scelta? » incalzò Erika il presentatore.
Louis sorrise « Io, c’è qualche problema? Non—non la conosci? ».
« No, no, va bene. Mi piace molto ».
Si guardarono, e per un attimo Erika provò quella forte sensazione che l’aveva assalita scesa dal treno, osservando negli occhi il ragazzo dai capelli verdi. Scosse la testa e si riportò davanti al microfono, mentre le luci si facevano soffuse e i riff della chitarra cominciavano a risuonare nell’aria.
« When will I see you again? You left with no goodbye, not a single word was said » esordì la 
giovane. Quelle note, così calde e confortantil’avviluppavano come in un abbraccio. « No final kiss to seal any sins, I had no idea of the state we were in… ».
Louis fece un passo avanti, dalla penombra nella quale era calato, e rispose.
« I know I have a fickle heart, and a bitterness, and a wandering eye, and a heaviness in my head… ». 
Prese quel momento per respirare, dopodiché sentì un vento caldo pervaderlo ed esplose con l’acuto. « But don't you remember? » cantò, e diede il lato destro del suo viso per voltarsi e guardare in faccia Erika « Don’t you remember the reason you loved me before? ». Poteva quasi sentire la ragazza risponderei suoi occhi brillavano e tremava« Baby, please remember me once more ».
La chitarra continuò, mentre i due si guardavano, persi nello sguardo l’uno dell’altro.
Erika ricominciò.
« When was the last time you thought of me? ». 
Louis 
riprese con lei, cantando il resto della strofa assieme. « Or have you completely erased me from your memory? I often think about where I went wrong: the more I do, the less I know… ».
Louis abbassò la voce e ritornò silenzioso, mentre osservava Erika proseguire a cantare.
« But don't you remember? Don’t you remember the reason you loved me before? Baby, please remember me once more ».
Cantò il more finale esibendosi in un prodigioso acuto mentre Louis restava fermoinermead osservare una creatura così bella cantare.
Erika continuò. « Gave you 
the space so you could breathe, I kept my distance so you would be free » fece, ed una lacrima scese lungo la sua guanciaseguita da un’altra ed un’altra ancora. Louis alzò la mano sinistra, libera, al suo viso e le asciugò le lacrime via.
Riprese la canzone il ragazzo: « I hoped that you'd find the missing piece!, to bring you back to me! » cantò, e più cantava e più le lacrime scendevano lungo il docile viso della ragazza.
Erika, improvvisamente, alzò il microfono verso le labbra di Louis e di conseguenza fece lui, portando il suo microfono alle bocca della ragazza. N’era risultato che i due si fossero avvicinati inesorabilmente e le loro braccia, incrociate, toccavano l’un l’altra.
« Why don't you remember? Don’t you remember the reason you loved me before? » 
fecero a squarciagola entrambi, il pubblico in silenzio che osservava la performance « Baby, please remember me once more! ».
Erika scoppiò a piangere. Le lacrime continuarono a scendere lungo il suo viso, i singhiozzi si fecero più rapidi e il suo sguardo si appannò. Abbassò il microfono per avvicinarsi al petto di Louis, dove, pur stando in piedi, si rannicchiò. Appoggiò il suo orecchio destro sulla sua cassa toracica, mentre il ragazzo pronunciava le parole finali.
« When will I see you again? ».

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 - The Rest Is Silence/With a Kiss I Die ***


QUESTO CAPITOLO SAREBBE DOVUTO USCIRE IL VENTISEI AGOSTO, PRIMO GIORNO DI PUBBLICAZIONE DI CARDS, E AVREI POTUTO QUINDI AUGURARE I DUE ANNI DI CARDS A TUTTI. DATO CHE PERÒ OGGI È IL NOVE SETTEMBRE, VI AUGURO SIA BUONI DUE ANNI E QUALCHE GIORNO DI CARDS CHE QUELLO CHE VOLETE PRESO DA QUESTA PAGINA, CHE È LA PAGINA CHE UTILIZZAVO PER TROVARE LE DATE. FESTEGGIATE!
 
[avvertenze: ce ne sono tante sto giro. 1, il nome di Matthew Shepard è stato cambiato in Ethan Shepard (su ogni capitolo nel quale compariva, anche nel XV di Cards) poiché la figura di Matthew Shepard è esistita veramente ed è morta più o meno come è morto il personaggio. Ai tempi in cui lo chiamai così non ne ero al corrente, però ora che l'ho scoperto (il nome era nato dall'unione di Matthew, nome dell'attore che interpretava Jack Shepard, ed il cognome del personaggio che interpretava) ho deciso di cambiarlo, non mi sembrava carino; 2, in questo capitolo sono presenti delle citazioni ad ogni capitolo di Cards, nell'ordine in cui sono usciti (cioè, la citazione del capitolo IV è dopo la citazione del capitolo III e prima di quella del capitolo V; 3, non spaventatevi per la lunghezza del capitolo. Sì, è estremamente lungo, ma non ci sono filler. È tutta trama sooccosa. Anche questa è una citazione; 4, qua c'è la timeline completa di Cards & Ditching Cards! Casomai vi servisse per qualsiasi cosa: https://i.imgur.com/vqjsqAXr.jpg buona lettura!]

diary – Akala Island; Kantai – 21/08/15
Caro diario,
Hilda non sembra migliorare. Oggi siamo andati in spiaggia, abbiamo fatto un pic-nic all’ombra di una palma, e siamo tornati a casa. Al pomeriggio abbiamo fatto shopping per la città, e lei ha comprato un abito rosso rubino.
Ha smesso di vestire verde. Dice d’essersi stufata.
Io non posso farcela così, ancora per molto. Ho paura. Ho paura di non poter pià riparlare ad Hilda, di rivederla quando la guardo, di sentire la ua voce. Ho paura… che Hilda sia morta.
È per questo che domani ho intenzione di provare l’ultima spiaggia. In caso non funzionasse…
Non so cosa farò.
Che il domani mi porti fortuna.

N

CAPITOLO 9
The Rest Is Silence/With a Kiss I Die

PARTE I 
The Rest Is Silence”

 
O, I die, Horatio.
The potent poison quite o'ercrows my spirit.
I cannot live to hear the news from England.
But I do prophesy the election lights
On Fortinbras. He has my dying voice.
So tell him, with 
th' occurrents, more and less,
Which have 
solicited. The rest is silence
(William Shakespeare; Hamlet)

flashback – Nacrene City –20/11/11
« Buongiorno a tutti i nostri ascoltatori da CNT 105.2  e benvenuti a “Chi C’è C’è, Chi Non C’è Non C’è” dalla vostra carissima Paulina Simpson, che manda in onda giornalmente le hit più famose del momento mentre discutiamo di temi filosofici! Per il tema di oggi abbiamo con il professor Someal Oak della regione di Kenta per discutere di un tema molto importante, che scoprirete dopo! Ora: musica! ».
Aprì gli occhi. 
Le assi di legno si susseguivano una dopo l’altra sul candido soffitto della camera, per finire là dove lo sguardo non riusciva ad arrivare. La stanza era immersa nel silenzio, fatta eccezione per una leggera melodia che, piano piano, s’insediava nella sua mente: non risusciva a riconoscerne lo strumento. Alzò il suo braccio per far leva sul suo corpo e cercò di issare la schiena sul cuscino, per avere una visuale del luogo dove si trovava. Quando guardò le sue braccia, notò che il suo colore rassomigliasse particolarmente a quello delle lenzuola.
Si portò una mano tra i capelli  e spostò una ciocca castana dietro l’orecchio. La testa le faceva male.
« He said I'm gonna buy this place and burn it down » udì. La 
musica stava prendendo sempre più piede nell’etere. « I’m gonna put it six feet underground ».
Poggiò i piedi per terra, e subito provò un brivido diffondersi dalla sua spina dorsale. Il legno era freddo.
« He said I'm gonna buy this place and watch it fall, stand here beside me baby in the crumbling walls ».
Uscita dalla camera da letto notò come, davanti a sé, si estendesse una parete vetrata che copriva l’intero perimetro della sala da pranzo. Un grande tavolo troneggiava al centro, mentre dalla parte opposta delle finestrate v’erano gli elettrodomestici ed il piano cucina.
« 
Oh I'm gonna buy this place and start a fire, stand here until I fill all your heart's desires ».
Si avvicinò alla finestra ed il suo sguardo si perse nel modesto paesaggio che offriva la piccola città di Nacrene, sobborgo commerciale della città di Castelia City trasformato in vivace città universitaria. Piccole casette dai colori bizzarri costituivano al centro, nel cuore del quale spiccava, su di una collina, il museo e Palestra della città. Dall’altra aprte della strada, di fronte a lei, notò un cartellone pubblicitario, recante la scritta: “Vacanze ad Alola! Un paradiso da sogno!”.
La strada era talmente lontana che, nel suonare della musica, non era capace di distinguere il rumore del traffico.
« He said I'm gonna buy a gun and start a war ».
« Uh? ».
Sul tavolo, spoglio da ogni cosa, giaceva un piccolo foglio ripiegato più volte. Lo afferrò.
« Ciao Erika, sono Joe. Quando ieri ti ho portato a casa non mi sembrata in perfetta forma quindi aspettati oggi di non sentirti bene. Ho lasciato delle medicine per il mal di testa in parte al frigo, chiamami se vuoi ».
« Oh and I'm gonna buy this place, is what I say, blame it upon a rush of blood to the head! ».
Il suo sguardo vagò per la stanza: dov’era il telefono? 
Attraversò la cucina per dirigersi in quello che aveva l’aria di sembrare un salotto, e vide uno schermo scintillare in parte alla finestra.
« So meet me by the bridge, meet me by the lake ».
« Ahem… chiama Joe ».
« Chiamo Joe😍🌹❤️🔝» rispose una voce robotica.
Lei raccolse il telefono dal mobile.
« Meet me where I said, blame it all upon a rush of blood to the head ».
« Pronto, Joe? Sì, sono io, Erika… senti, avrei bisogno di una roba… sì, ecco, potresti venire qua? Quando… quando vuoi. Grazie mille ».
« E questa era A Rush of Blood to the Head. Ora, per il programma “Chi C’è C’è, Chi Non C’è Non C’è” abbiamo qua il famosissimo Somal Oak… Samuel, volevo dire Samuel, per discutere di un importante questione che è stata alzata ultimamente da molti giornali e scholars della regione ». Alla sua voce si unì una voce maschile. « Certo, Paulina, grazie di avermi qui con te! Come dicevi, oggi discuteremo di una questione di importanza veramente nazionale, no? Ci puoi giurarlo! » le voci del professore e della speaker si alternavano indistntamente « Infatti, come ha premuto sottolineare il professore, oggi tratteremo della nuova colorazione di smalto gialla… Matte, giallo matte, voglio ricordare. Oh, sì, scusa, giallo matte, di smalto, che ha indossato la capopalestra Elesa per buttare giù la spazzatura… ».
Erika era in cucina. Il suo sguardo fissava la scatola di pillole che Joe aveva preparato per lei il giorno prima. 
Afferrò con la mano sinistra le medicine e con la destra trascinò la sedia dal tavolo a sé, facendosi spazio per sedersi. Riempì un bicchiere d’acqua, cacciò l’oggetto cilindro in bocca e deglutì.
« Ho trovato molto interessante, cara Paulina, l’utilizzo da parte di Elesa di questa colorazione, una chiara citazione alla concezione fugace dell’essere di Parmenide, non credi? Quei colori così gialli, così vividi, trasmettevano una chiara sensazione pantagruelica… così, platonica, in un certo senso? Concordo, Samuel! E voi spettatori cosa ne pensate? Mandateci la vostra opinione per SMS o chiamateci! ».

« Ehi, sono venuto appena possibile » esordì  Joe, come chiudeva la porta dietro di sé « tutto bene? ».
« Sì, cioè no, cioè… non capisco, veramente… ».
« Ieri hai fatto una brutta caduta, dev’esser stato per questo ».
« Oh… ». Erika sorrise al ragazzo. « Ti ringrazio mo—».
« Shh, shh, non dire nulla. Piuttosto, ti senti meglio ora? ».
« Un po’… ho preso le medicine che mi hai dato ».
« Bene! Cerca di prenderle una volta al giorno, ti aiuteranno a pensare ».
« Gra… grazie ».
Lo sguardo di Joe scivolò dai suoi occhi alla vetrata dietro di essi. « Guarda che bella giornata! Non vuoi uscire? ».
« Non… non sono neanche sicura cosa faccio esattamente… ».
« Erika Joy! Ti sembra questo il modo di comportarsi? Fuori è una giornata bellissima, ed ora tu ed io usciremo a fare una passeggiata! Vestiti che ti aspetto giù! » e, veloce com’era arrivato, se ne uscì.
« Credo che il motivo per cui Elesa abbia scelto il colore giallo affondi le sue radici nell’eterna lotta di classe. È infatti risaputo che, prima di diventare una modella, abbia attraversato un periodo buio nella sua vita, anche a causa degli abusi subiti dal padre ».
Solo ora che era ritornata nel silenzio, si ricordò della presenza della radio.
« Hai ragione Samuel, unna chiara critica al mondo dell’editoria ed al maltrattamento dei Bidoof nell’industria cosmeti—» la radio cadde per terra. 
Erika fissò il suo riflesso nei pezzi di vetro che erano sparsi sopra il parquet. Chi era la persona che la fissava indietro?

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flashback – Accumula Town –20/11/11
« Louis! Louis, svegliati! ».
Louis aprì gli occhi.
Un mosaico di rughe e peli bianchi oscurava la visione, la sua immagine illuminata dalla prepotente luce che entrava prepotentemente nella stanza. Due occhi freddi come il ghiaccio lo scrutavano dall’alto.
« Chi… chi sei? ».
« Tuo nonno, Louis! Che domande sono? ».
L’uomo si spostò dalla visuale e continuò a camminare nella luce, scomparendo dietro ad una parete. 
Louis si alzò e lo seguì.

L’uomo girava per la cucina sistemando e mettendo mano a tutto ciò che stava attorno.
« Ho preparato già la colazione per te, ma ora devo proprio scappare. Ci sentiamo sto pomeriggio, ok? ».
« Ok… ».
« Ah, e Louis, ricordati della posta ».
Detto ciò scomparì dietro la porta, e vide la sua sagoma attraverso la finestra scendere per una collina per poi ritrovarsi in città.
Louis si guardò attorno, spaesato. Cos’era quel posto? 
Uscì in pantofole e pigiama, colorati di un motivo blu e giallo che si alternava in una lunga scacchiera, e, messi i primi passi sul ciottolato che portava alla cassetta, cominciò la perlustrazione di quel luogo. Il suo sguardo andò avanti, oltre la cassetta di ferro che sanciva l’entrata della sua casa, e si avventurò nella piazza della cittadina che stava sotto di lui, sotto la collinetta dove si trovava in quel momento. Era di modeste dimensioni, e, da quell’altezza, poteva osservare le case farsi sempre più rade in lontananza per dare spazio al bosco.
Una scritta a fiori gialli su erba recava il nome “ACCUMULA TOWN” in un parco là vicino, sebbene alcune lettere fossero difficili da distinguere.
“EKI S.p.A.” recitava la prima busta.
“I MANAGER DI TUTTO IL MONDO INVIDIANO QUESTE DUE MILIONARIE DI BASSANO DEL GRAPPA: NON CREDERAI MAI AL LORO SEGRETO”.
Buttò il resto della pubblicità nel cestino senza neanche guardarlo e rientrò stringendo la posta della EKI.

Caro Louis,
In seguito all’incidente che hai avuto il consiglio amministrativo ha pensato che, 
per te, fosse meglio cambiare aria. È da molto che stiamo pensando di cominciare una divisione a Sinnoh 
e preferiremmo che sia tu, se scegli di accettare a capo della divisione Sinnehnse. EKI SINNOH© partirà per la primavera del 2012, e ci piacerebbe molto che sia tu coordinare il progetto.
In atte

« …sa di sentirti, il Consiglio di Amministrazione della EKI S.p.A » finì di leggere, mentre metteva piede in casa. « EKI? ».
Lanciò la lettera sul tavolo e lasciò cadere l’involucro che conteneva la busta per terra.

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flashback – Nacrene City – 23/01/12
« Ahem… senti, Lydia, credi che posso staccare oggi? ».
Erika raccolse la sua borsa dalla scrivania dove era stata chinata per tutta la giornata, e nel coglierla essa cozzò contro la lampada verde che illuminava la superficie del legno. La rimise a posto, dopodiché si voltò in direzione della collega, che stava armeggiando con dei libri.
« Adesso? ». Lo sguardo di Lydia corse all’orologio « Ok, va bene, però sistema i libri che hanno riportato dai prestiti. Sono in quella scatola rossa ».
« Ricevuto ».

« Mmh… The Man In The High Castle, P. K. Dick… oh, ecco! ». Raccolse un libro dallo scatolone e lo infilò in uno scaffale riempito di libri, che continuava ai lati ed in più file a creare un dedalo di ripiani. Dall’alto, più che ad una biblioteca comunale, assomigliava ad un labirinto. La città era stata costruita, dopo l’abbandono degli immobili da parte delle aziende che avevano sfruttato il terreno in primo luogo, attorno al centro culturale, di cui la biblioteca costituiva il cuore. Da ciò, era nata una cittadina vivace e proiettata nel futuro.
« The Call of Cthulhu, H. P. Lovecraft… ». 
« Shampoo Planet, D. Coupland… ».
Ripose gli ultimi libri al suo posto e riportò lo scatolone da Lydia, dove fu accolta dall’irritato silenzio della ragazza. La superò ed uscì dal luogo, trovandosi sulle scalinate della biblioteca di Nacrene. 
« Hilda? ».
Scese. 
« Hilda, sei tu? ».
Sentì una fitta alla spalla destra.
« Hilda! Aspetta, sono io! ».
« Uh? ». Si voltò, e davanti a lei era comparso un ragazzo dai capellli corvini, esaltato in qualche specie di sorpresa alla vista della ragazza. « Credo che lei si sia—».
« Hilda! Perché non rispondevi? ».
« Credo che lei si stia confondnedo » sorrise Erika « non sono Hilda, né conosco questa Hilda di cui parla »
Cheren scoppiò in una risata.  « Certo, certo, cosa ci fai qua? ». Le afferrò la mano, avvicinandola a lui « se me l’avessi de—».
« MI MOLLI! » esplose la castana, strappandosi con ferocia dalla stretta dell’uomo « la smetta! Non so di che cosa stia parlando ».
L’espressione di Cheren cambiò drasticamente. Se prima era congelata in un sorriso, per quanto confuso, in seguito divenne completo choc. La persona di fronte a lui, persona che credeva di conoscera, si era rivelata una perfetta sconosciuta.
« Non—non stai veramente scherzando? ».
« No! Certo che no! Non so di cosa stia parlando! ».
Aumentò il passo e prima che Cheren se ne accorgesse scomparì dentro il parco di fronte alla scalinata marmorea della biblioteca, il ragazzo lasciato senza parole.

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flashback – fuori Castelia City –13/11/11
Quel giorno l’aeroporto era spazzato da un forte vento.
Looker sedeva su una scatola di legno dalla quale fuorisciva della paglia, recante la scritta “FRAGILE” in vernice scura. Di fronte a lui era un aereo di piccole dimensioni, sul quale era stata impressa l’effige del Team Plasma, che, a giudicare dalle quattro file di finestrini su ogni lato, poteva contenere ben poche persone. La luna era alta in cielo ed un vento freddo correva dai meandri del Desert Resort sino alle porte della città di Castelia, dove trovava morte nel labirinto di grattacieli che ostruivano il passaggio della corrente. Non v’era una nuvola e la volta celeste pareva una tela di velluto sulla quale erano stati appesi, come a Natale, addobbi d’ogni tipo.
Looker sospirò, mentre seguiva le linee di vernice tracciate sull’asfalto.
All’ululare del vento si unì un rumori, che, col tempo, cresceva d’intensità.
Il detective cacciò la mano nella tasca e cercò per la pistola: afferrò l’impugnatura.
« Quanti secondi di vantaggio vuoi che ti dia prima che ti spari? » esordì, la figura misteriosa che lo aveva raggiunto da dietro. Non vedeva l’uomo, ma ne individuava la lunga ombra sull’asfalto. « O preferisci dirmi il tuo nome? ».
« Non voglio vant—».
Looker si alzò in una frazione di secondo in piedi, e come si alzava volta la schiena; portò la pistola davanti a sé assieme alla mano sinistra e finalmente poté vedere l’uomo che stava davanti a lui.
« Impressionante ».
« Chi sei? ».
« Colress ».
« Colress cosa? Ci conosciamo? Dov’è Hil—».
« Una domanda alla volta ».
Looker sospirò. « Dov’è Hilda? ».
« Cè stato un cambio di programma. La signorina Baskerville non partirà più per Sinnoh ».
« COSA? Sono stato praticamente obbligato a essere il suo ca— cazzo di cane da guardia! ».
« Stia cal—».
Un rumore metallico provenì dalla pistola dell’uomo. Aveva levato la sicura.
« O mi rispondi o sparo ».
« Ok. ok » Colress alzò le mani « va bene. Hil… la signorina Baskerville ha deciso, anziché partire per Sinnoh, di sottoporsi ad un processo di cancellamento mnemonico, anche chiamato PRM ».
« Perderà la memoria? ».
Lo scienziato sorrise. « In poche parole ».
« E io cosa dovrei fare? EH? ». Agitò la pistola e Colress, di conseguenza, fece un passo indietro.
« I suoi servizi non hanno cessato di essere richiesti. Ryoku vuole avere un colloquio con lei, domani, nella sede del Team Plasma ».
« E se scappassi ora, eh? ». Una scarica di adrenalina era partita dal suo cervello e si era diffusa in tutto il corpo, accelerando il battito cardiaco ed il ritmo dei suoi respiri. Compieva movimenti febbrili e la mano aveva preso a tremare, mentre minacciava di morte l’uomo che stava di fronte a lui. « Se salissi sull’aereo per Sinnoh e me ne andassi? Sareb—sarebbe la fi—fine dei giochi ».
« Credi davvero che l’aereo portasse a Sinnoh? E magari anche che i Rapidash volano e che il cielo è rosso ».
« Non… non capisco ».
Colress infilò la mano nella tasca del suo camice e premette un pulsante.
Una forte esplosione si disinnescò dall’aereo ed il boato scaraventò i due a terra. Le fiamme fiorirono e prosperarono dove una volta era l’intelaiatura di metallo, sia su ciò che era rimasto attaccato al velivolo che su ciò che si era staccato dal corpo ed era stato gettato a terra. 
Una colonna di fumo si alzò dalle macerie.
 
FINE PARTE I

PARTE II 
“With a Kiss I Die”

 
Eyes, look your last.
Arms, take your last embrace. And, lips, O you
The doors of breath, seal with a righteous kiss
A dateless bargain to engrossing death.
Come, bitter conduct, come, unsavoury guide.
Thou desperate pilot, now at once run on
The dashing rocks thy 
seasick, weary bark.
Here’s to my love! O true apothecary,
Thy drugs are quick. Thus with a 
kiss I die
(William Shakespeare; Romeo and Juliet)

Errore 404
« Mi stai ascoltando, Hilda? ».
« Uh? ».
« Non hai prestato attenzione ad una parola che ho detto ».
« Non è ver—».
« Cosa 
ho detto? ».
Hilda 
non rispose.
« Come pensavo » la incalzò, esibendo un freddo sorriso « e ti risparmio la fatica di chiedermelo — che evidentemente ti sei già presa. Sei licenziata ».
Una frazione di secondo perché le sue labbra pronunciassero la parola, un’interminabile minuto per collegare il significato all’immagine del licenziamento. Un’ipotesi da lei scioccamente mai presa in considerazione, ma che avrebbe rappresentato una significativa minaccia per la sua condizione.
Licenziata.
Licenziata.
Le dure parole dell’uomo colpirono come un treno in corsa la giovane ragazza, lasciandola senza parole. Tentò più volte di aprir bocca ma ogni pensiero volesse cominciare le moriva in gola.
« … ».
« Ti vedo scioccata. Ottimo ».
« Non capisco… ».
« Hai smesso di scrivere per il Castle ».
« Quello l’avevo capito, il motiv—».
« Hilda, i tuoi articoli fanno schifo. Fa schifo ogni cosa che scrivi, non mi capacito di come ti abbia tenuta in redazione per più di un anno ».
« Posso migliorare! Ti prego, lasciami scrivere un ultimo articolo! ».
« Potrei »  sarcastico « mettere in fila parole come all’asilo è sempre stata la tua specialità ».
Una lacrima rigò il volto della giovane.
« Questo lavoro è tutto ciò che ho » continuò, in procinto di un pianto « non posso perderlo ».
« Mi fa piacere che dopo la tua permanenza qua tu abbia scoperto un vago interesse nel giornalismo » fece, permeando le sue parole di un pungente sarcasmo « ma hai appena attraversato la linea di demarcazione tra giornalista incompetente e disoccupata incompetente ».
Aprì un cassetto, dal quale tirò fuori un plico di fogli, e lo pose sulla scrivania, dopodiché porse una penna alla giovane, mantenendo sul suo viso un’espressione di ruffiano dispiacere.
« Ora dobbiamo discutere del licenziamento ».
Cercò lo sguardo della giovane, corrotto da scintillanti gocce d’acqua, trattenendosi dal continuare. Nonostante lei cercasse di nasconderlo, era chiaramente scossa dalla notizia, ma la sua condizione pareva a Francis, se guardando a lungo nel profondo del suo intimo avesse trovato compassione, oltremodo spinta. 
Palesò il suo stato emanando un pesante sospiro.
« Parlando seriamente, Hilda » attaccò, e come prese a parlare fece scomparire dentro ai cassetti ogni scartoffia presente sul tavolo, lasciando spazio alla visione della ragazza « non puoi continuare così. Non puoi. 
« Da quando ti ho assunta non hai fatto altro che fregartene di questo giornale, come se tutto ti fosse dovuto. E cosa dovrei dirti? Povera, povera, povera Hilda? Svegliati, ragazza ».
« Mi impegnerò di più » fu ciò che riuscì a pronunciare, la mente annebbiata « io—».
Due rintocchi della porta interruppero il loro discorso.
« Posso entrare? » si udì, filtrato dallo spesso legno che separava la voce dalle loro quattro orecchie.
« Avanti ».
Dalla porta baluginò la testa di una giovane ragazza dai capelli castano chiaro. Una coppola viola copriva la patte superiore del capo, e fu l’unico indumento che Hilda riuscì a notare dallo squarcio che si era creato.
« Oh, Jessica, hai già parlato con Natalie? ».
« Sì, sì, volevo solo dirti che è tutto ok per la presentazione della Lega ».
Gli occhi della castana seguivano con sufficienza questo discorso, ancora immersi nella discussione di poco prima. Stava per venire licenziata, ed il suo capo parlava come se non fosse niente con la prima che passava.
Sbuffò.
« Ok, ok, ci sentiamo dopo ».
« Sì, scusa ancora, cia—» e la porta si richiuse davanti a lei.
« Dicevamo, Hilda, non mi lasci altra scelta ».
« Io—».
« Non rendere questo più difficile di quanto non lo sia già. Prendi le tue cose, e vai ».

♦︎ ♦︎ ♦︎

presente – Autostrada – 18/02/13 [3:32 AM]
Un rivolo di sangue scorreva dalla nuca dell’agente di polizia sino al mento, ramificandosi come un delta in sottili correnti di minore portata che, sottili e paralleli come i fili di un telaio, si gettavano sulle sue vesti. I suoi occhi erano fuori dalle orbite e parevano osservare un punto indeterminato, infinito, oltre il campo visivo della ragazza. Che vedessero la luce?
Quando Hilda spostò lo sguardo su di sé, notò che la pistola che stringeva in mano era intrisa del liquido ematico, parte del quale aveva fatto in tempo a seccarsi sui suoi vestiti e la sua mano, mentre la restante era gocciolata a terra.
Un silenzio innaturale pervadeva quel luogo.

Hilda trascinò il corpo dell’uomo sino ad un cespuglio poco vicino, ritornò alla sua vettura e proseguì, dritta, impassibile. Apatica. 

𐌳

Il cadavere di Ethan si rivelò da trasportare più difficile del previsto.
Aveva parcheggiato la macchina in parte ad un guard rail, in prossimità del quale v’era un grosso squarcio nel metallo che proseguiva per una decina di metri: quanto bastava per attraversarlo. Il terreno, oltre l’autostrada, proseguiva per una decina di metri in discesa sino a che non era interrotto da un fiume di ampia portata che scorreva verso il mare. La ragazza lanciò una fugace occhiata al percorso che avrebbe dovuto fare per scendere e mettere il corpo, dopodiché si decise a prevelarlo dal portabagagli e trascinarlo, con tutta la forza che aveva in corpo, sino alla riva. La parte più macchinosa fu tirarlo fuori dal dove l’aveva messo a giacere, e dopo molti tentativi giunse all’idea che avrebbe dovuto issarlo sulle sue spalle e fare da leva. Prese Ethan per i piedi, caricò le sue gambe sulle spallle e tirò il peso verso il basso, accovacciandosi, ottenendo che il resto del corpo roteasse verso l’alto e cadesse di faccia per terra. 
Udì nel fare ciò dei rumori di ossa fratturarsi.
Chiuse il portabagagli e calciò il corpo fino alla discesa, dove non ci fu più bisogno di spostarlo che il peso stesso del ragazzo fece il resto. Rotolò come un sacco di Pokéball giù, giù ed ancora più giù, sino a fermarsi a pressapoco un metro dalla riva.
Hilda lo seguì, avendo cura di non inciampare e fare la stessa fine di Ethan. Giunta al termine del percorso diede un ultimo calcio alla sua carcassa, ormai ridotta in stato pietoso e cadde in acqua come un sasso in un bicchiere. Il sangue cominciò a diffondersi attraverso il liquido, molto meno di quanto aveva immaginato giacché era morto da più di un’ora, ed il resto fecero le correnti, trascinandolo via. Lentamente, con fatica, il suo corpo si allontanò dalla ragazza e con esso sentì un peso liberarsi dal suo cuore.
Si levò la maglietta, reggiseno e pantaloni, e li sciacquò sotto l’acqua corrente, lavando buona parte del sangue che si era incrostato su di essi. 
Quella situazione le pareva così catartica.
Come il sangue di Ethan si allontanava da lei, spinto dalla corrente, ed il freddo della notte accarazzeva la sua pelle, si sentì pulita. Vedeva l’acqua scorrere, e poteva immaginarsi là, dentro, a scorrere.
Chiuse gli occhi.

« E così… è finita ».
Riaprì gli occhi.
Ethan era di fronte a lei, nel fiume, in piedi come uno scoglio che non cede all’impeto dell’acqua. Indossava i vestiti che l’aveva visto indossare prima, lavato del sangue vermiglio che lo aveva sporcato. La sua faccia era ordinata.
« Ethan? ».
« Erika? » la canzonò lui.
« Eri… ».
« Morto? ».
Erika spiegò le sue labbra in un blando sorriso. « Sì ».
« Hai mai provato a morire? ».
« Co— come scusa? ».
« Ti ho fatto una domanda » sorrise Ethan. Il suo volto candido era illuminato dalla luce lunare ed i suoi occhi brillavano sotto quel fascio. Pareva al centro di un proiettore, padrone di un palco, come un attore che doveva dare il proprio monologo. « Hai mai provato a morire? ».
« Non— non credo ».
« Quindi non sai cosa si prova ».
Erika scosse la testa.
« Mi dimenticherai, vero? ». Cercò lo sguardo della sua interlocutrice, confusa da quella dichiarazione « così come hai dimenticato Bianca, Natalie, Julie… ».
« Non—non li ho dimenticati ».
« Eppure l’hai fatto ». Le labbra di Ethan erano corrugate in un sorriso, ma l’unica sensazione che trasmettevano ad Hilda era di amarezza e sconforto. « Non che sia stato di proposito… prima o poi accadrà. Alla fine è una questione di sopravvivenza ».
« Io… io ci tenevo a Bianca ».
« Tutta colpa del vino, no? ».
« Non avevo altra scelta ».
Il suo ghigno aveva qualcosa di spettrale. Non poteva guardarlo in faccia senza vedere il suo viso coperto di sangue, la sua pelle un mosaio di vetri e detriti ed il suo corpo un ammasso di ossa in putrefazione.
« Sono sicuro che sia quello che ti ripeti. Non hai scelta ».
« Tu non capiresti comunque—».
« Perché, perché sono morto? ».
« Non… non lo so. Sono stanca ».
« Hai ragione, è stato stancante per tutto oggi » rise « io… credo… credo che andrò a dormire. Ci vediamo domani, ok? ».
« Non pensavo che avessi bisogno di dorm— Ethan? Ethan? » esclamò, interrotta la frase « Dove sei! Ethan? ».
Ethan era scomparso.
Il ragazzo era svanito, come una visione, così com’era apparito. La sua presenza venuta a mancare, Hilda non sapeva cosa pensare dello scambio appena ricevuto.
Si guardò attorno ed, appurato di trovarsi da sola, ritornò sui suoi passi.
Raccolse i vestiti e li indossò, anche se erano ancora bagnati: si sarebbe asciugata, sperando, una volta in macchina.
Risalì la collinetta con non poca fatica e si ritrovò davanti alla macchina. 
Infilò le chiavi nella tasca dei pantaloni e fece per prendere le chiavi.
Un brivido corse lungo la sua schiena.
Erano vuote.
L’acqua.
Doveva averle perse quando aveva immerso i jeans nell’acqua. 
« Merda! » urlò, e diede un calcio alla carrozzeria della macchina. « Uh? ».
Il rumore di un motore riempì il silenzio, soffocando il flebile scorrere del fiume là sotto.
Un cono di luce la illuminò progressivamente, come si avvicinava, e dietro di quello video una macchina nera avvicinarsi.
La portiera sinistra della vettura si aprì, fermatasi, ed Hilda in quel momento capì.
Alzò le mani in aria.
Almeno in prigione sarebbe stata al caldo.

♦︎ ♦︎ ♦︎
 
Errore 404
« Ti rendi conto, Cheren? Mi hanno licenziato! Io sono— mpf— scioccata! ».
Hilda azzannò la ciambella che stringeva nella mano destra. La rispettiva spalla era piegata in posizione innaturale per reggere il telefono col quale stava parlando in quel momento, mentre la mano sinistra viaggiava per la tastiera del computer.
« Cioè come è possibile? Lavor— mpf— due anni a loro! Come se era niente! Cioè roba che se non mi facevo— mpf— rispettare dall’inizio, mi licenziavano subito! A gratis! Cioè io non ho parole Cheren, cioè, tipo, capisci? ».
« Ora sto— mpf— ndo nel sito degli annunci, magari trovo qualcosa… sì, esatto, anche solo per rimettermi in pari, esatto… cioè io lavoro duro e tutto, però così non si fa eh! ».
« Ti dico! Cioè, sta mattina mi hanno licenziato, cioè, roba che non mi facevano neanche prendere la mia roba! Roba da pazzi! Mpf… fatto! Esatto! Ora vediamo… forse ho trovato qualcofa… mpf—».

𐌳

« Buongiorno! ».
« Buongiorno a lei! » sorrise Hilda « sono… sono qua per l’annuncio che ho trovato online ».
« Certamente. Si mettà là, davanti al logo, e sorrida. Tre, due, uno… ».
La ragazza si allontanò dall’uomo di fronte a lei, posizionandosi a circa due metri di distanza. Alzò la testa, portò un cartellone con scritto #126 all’altezza del ventre e sorrise dentro la telecamera.
« Come ti chiami? ».
« Hilda Baskerville ».
« Da dove vieni? ».
« Lavo… sto a Castelia City, faccio qualche lavoro, il solito ».
Dietro a lei era appeso un poster blu sul quale risaltava la scritta a caratteri cubitali “Il Grande Fratello 12”.
« Partiamo con delle domande per conoscerci, ok? Domande semplici semplici ».
Hilda esibì il migliore dei suoi sorrisi, mentre con la mano sinistra si spostava una ciocca di capelli da una parte all’altra del viso. Ciondolò col peso del corpo da destra a sinistra per più volte, lo sguardo che vagava tra l’obbiettivo della macchina da ripresa e gli occhi dell’intervistatore.
« Qual è l’attuale Campione della Lega? ».
« Questa la so… è facile… sì, cioè, Drayden ».
« A…? ».
« A che? ».
« Non è Drayden, ma comincia con la a. A…? ».
« Comincia A lottare? ».
L’intervistatore trattenne una risata.
« Non ho capito la domanda, può rifarla? ».
« Alder, era Alder ».
« Ah, Alder! Be’ Alder, Drayden, so’ simili no? ».
« In quale tipo è specializzata la Palestra di Elesa? ».
« Facile! La so, seguo il suo reality show ogni giorno… Tipo Luce? ».
« Ha dei Pokémon, signorina Baskerville? Vuole presentarceli? ».
« Oh, certo! Ho il mio Brownie! ». Detto ciò tirò fuori dalla tasca una scintillante Pokéball, dalla quale uscì in un lampo rosso un Jigglypuff rosa. 
« Ci sa dire in cosa si evolve? ».
« Certo, ovviamente… Paglotaff? ».

𐌳

« Davvero? Ti sei iscritta al Grande Fratello 12? ».
Un ragazzo dai capelli corvini copriva l’intera visuale dello schermo del computer.
La sua voce giungeva distorta e gracchiante alle orecchie di Hilda, e così credeva che Cheren ricevesse la sua. L’immagine, al contrario, pareva esser in buone condizioni: riusciva a vedere lui e ciò che stava dietro, una porta finestra che dava su un balcone.
« Sì, anche se dubito che mi prendano ».
« Come mai? ».
« Boh, cioè, l’intervista era strana… tipo mi hanno fatto domande sceme ».
« Ah… mi disp—».
« Figurati!  Non è niente, dopotutto ».
« Suppongo di sì… ».
« Ma tu, Cheren? Come va, sei ad Aspertia, no? ».
« Esatto! Vado avanti e indietro con Nacrene, in realtà… stiamo costruendo la nuova Palestra ».
« Ci sono possibilità per te? ».
« Speriamo! Siamo in cinque ad aver mandato la richiesta, alla fine deciderà il consiglio assieme a Lenora ».
« Oh, fra quanto lo saprete? ».
« Non ne ho idea… dobbiamo ancora sistemare un sacco di cose, chiamare gli Allenatori, trasferire la Palestra, un casino ».
« Immagino… boh io ora devo andare, è stato bello sentirti! In caso— ti dico come va a finire, ok? ».
« Va bene, ott—» l’immagine si annerì.

♦︎ ♦︎ ♦︎
 
presente – Autostrada – 18/02/13
« Hilda Baskerville? ».
« Po—posso spiegare ». 
La figura si mosse dal fascio di luce.
« Cosa c’è da spiegare, Hilda? ».
« Co—cosa? ».
Una figura bassa e tozza venne investita dal cono luminoso. Era un anziano, vestito di abiti che alla giovane sembrarono più tappeti che toghe cerimoniali, sui quali erano ricamati diversi motivi e fantasie. Da parte sua, Hilda abbassò le mani, confusa dalla situazione.
« Non… non sei un poliziotto? ».
« Perché dovrei esserlo? ».
« Non—» Hilda si guardò attorno. « Non so. Non ne ho idea ».
« Bene, dunque ». Sul viso dell’uomo comparve un sinistro sorriso. « Cosa ci fa una così bella e giovane ragazza qua, nel bel mezzo della notte? ».
« Io…».
« Dov’è che stavi andando? ».
« A Castelia City, ma, veramente, non serv—».
« Mi sembra di capire che la sua macchina abbia dei problemi, non è così? ».
« Più… più o meno ».

« Baby, can't you see, I’m calling…».
Attraversarono l’insegna “ENTRATA OVEST - CASTELIA CITY”.
« La ringrazio ancora per… quello che sta facendo ».
Nella penombra in cui era relegata la macchina, un sorriso nacque sulle labbra di Hilda.
« Non serve ringraziarmi, Hilda ».
« …it’s dangerous, I’m falling… ».
« Ok… ». Di fronte a loro gli scintillanti grattacieli di Castelia City formavano una cresta frastagliata di luci e colori che si dipingeva sul cielo notturno, una tela di blu velluto.  Una melodia suonava in sottofondo, assieme al leggero rumore delle ruote che scorrevano sull’asfalto. « Come ti chiami? ».
Una risata saturò l’aria. « Oh, il mio nome non è importante »
« Oook… ». Hilda alzò gli occhi al tettuccio della macchina. « E come fai a sapere il mio? ».
« Hai tante domande, eh? ».
« … I need a hit, baby, give me it… ».
« Non è una risposta ».
« Pensavi veramente di riceverla? ».
« … too high, can’t come down… ».
« Non—non lo so. Credo di no ».
L’uomo sorrise. « Altre domande? ».
« … with a taste of your lips I’m on a ride, you’re toxic I'm slipping u—» Hilda premette il pulsante della frequenza e la musica s’interruppe, prendendo piede una trasmissione completamente diversa. «—verato all’Ospedale Centrale di Castelia City, dove è stato portato d’urgenza in seguito ad un colpo di pistola sparato ad altezza del ventre, che non ha compromesso le sue funzioni vitali. Il ragazzo è ancora in prognosi riservata, ma a quanto riportato non è in pericolo di vita. Dall’Ospedale Centrale di Castelia City, è tutto ».
Hilda sgranò lo sguardo.
« Sembra che il tuo amico ce l’abbia fatta, dopotutto ».
« Come—».
« Appoggiati sul sedile e rilassati, fra qualche ora saremo di ritorno in città ».
L’uomo diede un colpo alla radio e cambiò nuovamente il segnale.
« … I’m addicted to you, don’t you know that you're toxic? ».
 
𐌳

presente – Castelia City – 18/02/13 [6:45 AM]
Un nuovo sole sorgeva su Castelia City, esattamente a 104° gradi sull’orizzontale del mare della città.
Hilda lo osserviva salire attraverso il finestrino della macchina, mentre un uomo sconosciuto la guidava attraverso il traffico mattutino che così bene conosceva, e brillare sulle acque del golfo di Castelia, irradiando la città di colori purpurei. Una leggera brezza s’insinuava nello spazio che separava il vetro con la carrozziera ed accarezzava la pelle della giovane.
Sebbene la sua mente fosse proiettata nel futuro, in ciò che avrebbe dovuto fare da lì a breve, e ciò era per lei fonte di angoscia, cercò di trarre da quei pochi secondi di pace un po’ di calma. Un po’ di sicurezza, che ciò che la avrebbe aspettata non sarebbe stato dopotutto così grave: ma, forse, era chiedere troppo, pensò.
« Dove mi stai portando? ».
« Hai per caso qualcosa da fare? ».
« Mi piacerebbe che mi rispondessi con una risposta ».
L’uomo sorrise. « Stiamo andando da N ».
« In ospedale? ».

La macchina scese nel parcheggio dell’edificio.
« Quindi mi lasci qua e basta? ».
« Vuoi che rimanga ad aspettarti? ».
« Non—non lo so. Fai come vuoi ».
Hilda premette il suo corpo contro la maniglia dello sportello e aperto spostò il peso al di fuori della vettura, rimanendo con un piede ancorato all’interno.
« Stanza 345, quinto padiglione ».
La ragazza asseri, dopodiché scomparse scomparse dentro le scale del sotterraneo.
L’uomo si reclinò sulla sedia, alzò gli occhi al cielo e sospirò.
Il suo braccio, allungato alla radio.
«—ntinua la ricerca a Hilda Baskerville, l’efferata criminale che si nascondeva dietro il nome di Erika Joy, dopo il suo ultimo avvistamento al casello dell’uscita occidentale di Castelia City… ».
Un sorriso inarcò le sue labbra.
Cacciò la mano dentro le tasche della sua tunica e cercò per un oggetto indefinito, che quando tirò fuori si rivelò essere un dispositivo cellulare. Lo aprì e digitò un numero.
« Buongiorno, avrei delle informazioni sulla posizione di Hilda Baskerville ».

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Stanza 345. Il numero che si trovava di fronte a lei.
Afferrò la maniglia con esitazione e, il suo corpo che faceva leva sulla porta, entrò nella stanza. 
Trasecolò: la stanza era vuota.
V’era solo un lettino, disfatto, mentre il resto della camera pareva non esser stato usato da qualche giorno. L’aveva giocata
Fece per rimettere piedi fuori dalla stanza, quando vide degli uomni vestiti in divise blu scuro andare nella sua direzione. Inizialmente non ci fece caso, ma poi si rese conto, con orrore, che era proprio lei il loro obbiettivo.
Le sue gambe partirono da sole.

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Error 404
« Those fingers in my hair ».
Delle dolci note jazz riempirono l’aria.
« That sly come-hither stare ».
Erika entrò nella cucina avvolta da un accappatoio verde smeraldo, i capelli raccolti in una molletta che li faceva cadere dolcemente verso il basso. Canticchiò il motivo della sua soneria, per poi avvicinarsi e rispondere.
« That strips my conscience bare, it’s witch—».
« Pronto? ».
Stette in silenzio, ad ascoltare, per qualche secondo.
« Sì, sono io Hilda Baskerville, cosa c’è? ».
« Davvero? Un lavoro a Nacrene City? È fantastico! Sì, sì, sarò da voi per il colloquio al prima possibile! ».

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« Hilda… Claude… Baskerville… è questo il suo nome? ».
Hilda asserì.
« Molto bene, vuole parlarmi delle sue esperienze passate? ».
« Certo! Cioè, sì, in breve… a 17 anni ho partecipato alla Lega di Unova, ho sconfitto le prime sette pal—».
« Ti avevo detto di non farti più vedere »
Lui le rivolse uno sguardo divertito, accennando ad una risata con la bocca.
« Suppongo tu abbia chiesto troppo »
« Non ti basta quello che hai ottenuto? Hai vinto tu, riconoscilo, accettalo, festeggia, esulta di gioia, non lo so, semplicemente non tornar più da me, non lo sopporterei »
« Mi arrendo » 
Detto ciò portò un passo indietro, girandosi in direzione della strada.
« Ecco, bravo, vai, e non tornare di grazia »
Hilda s’interruppe.
« Va tutto bene? ».
« Credo… credo di sì ».
« Vuole bere un po’ d’acqua? ».
« Non… non serve, grazie. Credo di aver avuto un giramento di testa, ma ora va bene. Dicevo… ho partecipato alla Lega, ma all’ottava palestra ho deciso di interrompere e di tornare a casa, dove ho frequentato la scuola di studi superiori per diventare una giornalista di Striaton City, e da là sono andata a Castelia ».
« Allora? » urlò lei, a qualche metro di distanza dal ragazzo « è aperto? »
« L’ultimo giro, pensi di farcela? »
Inarcò le labbra in un sorriso eccitato « Non vedo l’ora! »
« Siamo riusciti a prendere la cabina a cuore! »
N sorrise « Non è stato molto difficile, è la prima che passa. Dopo sarebbero rimaste le picche, i quadri ed infine i fiori, decisamente meglio i cuori »
« Dove è stata assunta al Castle, no? ».
Seguitò una breve pausa, mentre deliziati dal panorama che quella ruota offriva i due, accoccolati, non avevano proferito parola. Ancora i piedi, la castana avvicinò il capo al vetro, ammirando estasiata il gioco di luci e colori che offriva Nimbasa la sera, ed afferrò la mano al giovane.
Si voltò verso di lui, ed avvicinò le sue labbra a quelle del ragazzo, portando il suo braccio destro attorno il collo del giovane. N, di suo, si spinse verso l’amata, chiudendo quella meravigliosa con un lungo e dolce bacio.
« Signorina? ».
« Uh? ». Hilda asserì.
« Molto bene, firmi il documento e potrà lavorare con noi ».
Hilda guardò in basso: un plico di fogli giaceva sul tavolo, sotto il suo naso. Corrugò la fronte a quella vista.
« Sono sempre stati qua i fogli? ».
« Come scusi? ».
« Niente » scosse la testa « adesso li firmo ».

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presente –Castelia City – 18/02/13 [10:23 AM]
« Buongiorno a tutti, sono io, Frank McPhilip, e in questo momento mi trovo davanti all’entrata dell’Ospedale Centrale di Castelia City dove una fonte anonima ha segnalato la presenza di Hilda Baskerville—».
Looker allungò la mano verso la radio e con un colpo secco la spense.
« Cosa pensavi di fare là dentro, eh? ».
« Non ti riguarda ».
« Ah sì? ». Il detective batté la nocca della mano contro il finestrino, indicando la folla di giornalisti e passanti che si era raggruppata presso l’entrata dell’ospedale, attratti dalla caccia alla fuggitiva. « Ti ho appena salvato dall’intero corpo di polizia di Castelia e dalla stampa e non vuoi ancora dirmi cosa stavi facendo? ».
« Possiamo… possiamo parlarne da qualche altra parte? ».

 
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presente – Castelia City [casa di Looker] – 18/02/13 [11:12 PM]
Hilda stringeva fra le sue mani una tazza di tè bollente. Premeva le sue mani, fredde, contro la superficie bollente della ceramica per trovare un po’ di conforto e intiepidire la bevanda che si sarebbe trovata a bere, da lì a poco. Indossava una felpa blu, sulla quale risaltavano le lettere cubitali JCPD, mentre alle gambe il paio di jeans che aveva prima, dopo che essi fossero stati adeguatamente puliti.
« Possiamo farci qualcosa per la maglietta? ».
« Il sangue non è andato perfettamente via, credo che dovrò lavarla un’altra volta. Forse due ».
« Ok… volevo—volevo solo ringraziarti per tutto questo. Ero veramente morta dopo la serata di ieri ».
Looker sorrise. « Non sei la sola ».
« Uh? ». Ero veramente morta. « Oh… io—».
« Tranquilla ». L’uomo prese posto al tavolo, impugnando fra le mani una pistola che recava macchie di sangue su tutta la sua superficie. L’attenzione della ragazza fu catturata dall’altra pistola che, al contrario, giaceva sul tavolo. « Ti ringrazio per avermela riportata, ci tenevo molto. Ma a proposito, cosa c’hai fatto? Una partita di boxe? ».
« Quasi ».
« Ad ogni modo, dovrei riuscire a lucidarla come nuova. Per quanto riguarda l’odore, invece, non son molto sicuro ».
« Scusa ancora ».
« Figurati, non serve scusarsi. Piuttosto, cosa diamine hai fatto in queste ultime ore? Il telegiornale le ha dette tutte: sparatorie, omicidi, fughe in ospedale… ».
« È una storia lunga… credi di avere tutto questo tempo? ».
« Abbiamo tutto il tempo del mondo, Hilda » sorrise. 
« Allora… ». Hilda lanciò uno sguardo al riflesso che la tazza le restuitiva. Poteva fidarsi dell’uomo che sedeva di fronte a lei? Era spuntato dal nulla per salvarla dalla polizia, pur essendo un agente della polizia internazionale, e l’aveva accolta a casa sua come se si conoscessero. O meglio, lo conosceva, ma ogni sua memoria legata agli eventi passati era brumosa. E dopo quello che era succeso, doveva essere estremamente cauta. « Dopo—dopo che sono andata da te, quando ti ho parlato dei cd, sono uscita dalla città. Avevo ancora pochi soldi così sono andata in questo motel, il primo che ho trovato, per prendere un attimo di fiato. Non me la sentivo di tornare ad Anville, e pensavo che rimanere nei paraggi fosse la scelta migliore. 
« Comunque, poco dopo è arrivato Louis… N… » un brivido corse lungo la sua schiena « comunque, l’ho incontrato ».
« Sai come ti può aver trovato? ».
Le parole di N tornarono a galla. Quando mi hai lasciato con Ethan, abbiamo litigato. La polizia ha fatto irruzione e ci ha portato via… io sono andato in prigione, ma ne sono uscito subito dopo. Poi sono tornato a casa, e sono stato chiamato da questo strano tipo… Lacker, penso si chiami—
« No ». 
Lanciò uno sguardo a Looker, intento a lucidare la pistola, e cercò per la sua attenzione, in quegli occhi castani, che in quel momento erano completamente assorti dall’arma a fuoco. 
« Poi? ».
« Uh, sì… poi se n’è andato, ed è arrivato Ethan. Aveva una pistola… quella pistola. Penso abbia fatto fuoco, ma senza ferire nessuno. N è andato via, io ed Ethan abbiamo parlato per un po’, finché non abbiamo deciso di andarcene. È stato lì quando—quando ho sparato ad N ».
« È ancora vivo, lo sapevi? ».
Alzò di scatto la testa. « Sì, l’ho sentito ». Una scintilla aveva acceso i suoi occhi.
« Uh-uh » mugugnò « è stato un colpo piuttosto brutto. Nel senso, non potevi mancarlo più di così ».
« Era la mia prima volta alla pistola ».
Looker sorrise. « Hai avuto modo di imparare in fretta ».
« Ad ogni modo ». Hilda scosse la testa, senza che il suo cervello comprendesse il sarcasmo di quanto appena detto da lui. « Ethan mi ha portato in qualche altro posto, un altro motel, non so… stavolta ha usato la sua carta di credito, credo. E io… ».
« L’hai ucciso » completò la frase. « Dev’esser stato un motel proprio brutto ».
« Non era bellissimo » lo incalzò. 
« Quindi, se credo di aver capito bene, scappando con Ethan nella tua macchina hai incontrato l’agente di polizia, hai ucciso pure lui e… non so, hai buttato il corpo da qualche parte? ».
« In un fiume vicino all’autostrada ».
« E poi sei tornata a Castelia, come se niente fosse? ».
Hilda sospirò. 
Meditava se raccontare la verità, tutta la verità, ma ne valeva veramente la pena? 
« Sì ».
« Ok… cos’hai intenzione di fare ora? ».
« Non ne ho idea ».
« Qualcosa dovrai pur fare, no? ».
« Suppongo… di sì ».
Looker si alzò. « Vado a controllare se i biscotti son pronti » e scomparì dietro le porte della cucina, mugugnando qualche frase che Hilda non riuscì a capire.
Avvicinò la tazza alle labbra e diede un sorso, per poi ritrarsi allo scoprire come il liquido non fosse ancora raffredatosi propriamente.
« Fai la bella vita, eh? ».
Alzò lo sguardo disorientata: Ethan era davanti a lei, dove prima sedeva Looker, un arcigno sorriso disegnato sulle sue labbra.
« Ethan? ».
« Come mai sei sempre così sorpresa di vedermi? ».
« Non sei reale » scosse la testa, e ritornò a guardare il suo riflesso nella superficie dell’acqua.
« Ah no? Lo ero certamente quando hai tentato di spararmi, o forse mi confondo con quando mi hai fracassato il cranio con un abat-jour? ». Una risata saturò l’aria. « Alcune volte non ricordo proprio dove ho la testa… ah, già! L’hai buttata in un fiume dopo averla usata come carriola per una ventina di metri! Grazie Hild—».
« BASTA! » urlò, il ragazzo che rimaneva impassibile all’escandescenza di Hilda « smettila di parlare, smettila—».
« Ok, ok! Va bene, so che questi temi sono particolarmente delicati. Parlando d’altro » allungò la mano verso una pistola e la prese in mano, rigirandosela davanti ai suoi « non è invitante questa pistola? A me sicuramente ».
« Sei solo nella mia testa » lo respinse.
« Forza, prendila, cosa ti cambia? Spara a Looker e vai a fare quello che sei venuta a Castelia per fare ».
« E sarebbe? ».
« Vendetta ».
Quella parola strappò un sorriso, per quanto amaro, alla ragazza.
« Non posso fare più niente ».
« Puoi cominciare rubandogli questa pistola. Non è difficile, promessa, l’ho fatto! Provare per credere ».
« Anche ammesso che lo facessi, dove andrei? ».
« C’è Looker per questo, no? ».
« Hilda? ».
La voce del detective riportò la sua attenzione su di lui.
« Eh? ».
« Sono… sono pronti i biscotti ».
Hilda fece scivolare lo sguardo sulla sedia di Ethan, per controllare che ci fosse ancora, ma notò che fosse scomparso. Ritornò a guardare il castano e sorrise.
« Non credo—credo di averne bisogno ». Lasciò andare la presa della tazza e si alzò. « Looker, sai per caso di una sede del Team Plasma? Cioè, qualche edificio di rappresentanza, cose del genere… ».
« Perché questa domanda? ».
« Rispo—rispondimi e basta ».
« No… non sono mai stato in un luogo del genere ».
Lo sguardo di Hilda scese sul tavolo: una delle due pistole era incredibilmente vicina a lei. Con un po’ di fortuna, sarebbe riuscita ad avere la meglio.
Avanzò un passo verso essa. « Ok… posso chiederti come sei entrato in possesso dei cd? ».
« Siediti Hilda, e ne parl—».
« Rispondi alla mia domanda… non accetterò altro come risposta ».
« Vuoi veramente saperlo? ».
Hilda si avventò sulla pistola e la puntò dritta verso di lui. « Sì ».
« Metti giù quella pistola ».
« Rispondi ».
« Ok, ok, va bene, quello che vuoi… Colress. Ora che lo sai, sei contenta? La tua vita è migliorata? ».
« Chi—chi è? ».
« Il professore incaricato del tuo PRM. C’ho parlato qualche volta, e devo dire… non è molto affabile ».
« Come lo conosci? Cosa c’ent—».
« Ho risposto ad una tua domanda, ora tu posi la mia p—».
« ZITTO! » infuriò. Le sue braccia tremavano al peso, anche metaforico, della pistola che reggeva fra le mani. « Non—non è finita ».
« Ah sì? » Looker si avvicinò al tavolo ed afferrò, con decisamente più calma e risolutezza, l’altra pistola, per poi puntarla con il solo braccio destro contro di lei. « Giochiamo alla roulette russa. Vediamo chi ha la pistola carica ».
« Non vuoi fare questo gioco » sorrise Hilda.
Looker abbassò la pistola al carpet e fece fuoco.
Un rombo saturò l’aria.
Un disegno spettrale apparse sul volto della precedentemente calma ragazza.
« Pensavi seriamente che io non sapessi riconoscere le mie pistole? L’odore del sangue si sentiva lontano miglia ».
« Io—».
« Sei disperata, Hilda. Ti vedi? Scappi da una persona all’altra, e se non riesci ad uscire usi la violenza. Ti disprezzo ».
« Non ti permett—».
« Cosa pensavi di fare? Pensavi di andare da Ryoku o chi per lui e chiedergli gentilmente—».
La voce del detective passò in secondo piano, in quel momento. Rivide Looker, in altre situazioni, nei loro incontri passati, ed i suoi pensieri riornarono a galla. Quello che ti dovevo te l’ho restituto. Non sei l’unica la cui vita è stata rovinata. Ora vai, Erika. È ora il tempo di andare. Qualcosa non andava. Qualcosa, in quella discussione, era profondamente sbagliato.
Improvvisamente, le parole del detective presero ad attraversare i suoi occhi, come brevi flash.
« Non farlo, Hilda. Aiutaci ».
« Aiutare delle persone che volevano metterti in galera per prendersi il merito di qualcosa che non hanno fatto? Merito per cosa, poi? Siete rimasti con un pugno di mosche ».
« Io… non capisco cosa sta succedendo ».
« Ti hanno ingannato, Hilda, e io sono qui per aiutarti ».
« Vieni, ti accompagno a casa ».
« Non farlo, Hilda. Puoi ancora fare la cosa giusta, pensa a Julie, pensa a—»
« Sai cosa, Looker? Io penso a Julie. Io penso a Natalie, ci penso ogni minuto che passa. E avrei ricordato anche te se non mi avessi tentato di ingannare in modo così becero. Può darsi che abbi veramente una terza chance, ed è quella che scelgo. Mi sto prendendo le mie responsabilità, prenditi tu le tue ».
« Perché mi hai dato il primo cd? » lo interruppe.
« Cosa? » continuò Looker, stordito.
« Perché mi hai dato il primo cd? Il secondo, posso capire, racconta la mia storia. Ma il primo? Quale senso aveva? ».
« Non lo so, l’ho messo…».
« Non fai le cose a caso, lo sappiamo entrambi ».
« Ora, cosa significa questa discussione? Mi hai ascolta—».
« Sparami ».
Looker sgranò gli occhi.
« Che? ».
« Sparami » sorrise « giochiamo alla roulette russa ».
« Non sai di costa stai parlando—».
« Non riesci a spararmi, vero? Non credo che tu non ne abbia il coraggio, ma più che tu non possa farlo. Non mi hai salvato per niente, non mi hai consegnato il primo cd per niente, non hai mandato N da me per niente… ed è quello che scoprirò ».
Lasciò cadere la pistola, per poi afferrare la tazza di the. Portò il liquido alla sua bocca e con un singolo shot si sgolò la bevanda, ormai raffredatasi, dopodiché scaraventò la ceramica sullo spigolo del tavolo. Attaccato al manico, che stringeva con decisione nelle sue dita, era una considerevola semicupola, con punte aguzze ed affilate.
Lo avvicinò alla gola e puntò uno degli spigoli verso la sua trachea, impremendo una lieve pressione su di essa cosicché la pelle, in quell’esatto punto, facesse una rientranza.
« Abbassa… qualsiasi cosa tu abbia in mano ». Era tanto perplesso quanto spaventato dalle azioni di Hilda.
« Dammi la pistola carica e dimmi dove si trova la sede del Team Plasma ».
« Hil—».
Hilda premette il manico contro la gola.
« Ok, ok, ok, calma… » Looker allungò la mano verso il tavolo e fece scivolare la pistola dall’altra parte « Verso la metà di Mode Street, un palazzo in mattoni ».
Un sorriso apparse sulle labbra della ragazza come raccoglieva l’arma.
« Serviva così tanto? ».
Mise la pistola in tasca e girò i tacchi.

« Non so cosa tu di pensi di me, ma non sono un tuo nemico. Non lo sono mai stato » mormorò Looker, il viso di Hilda che scompariva dietro la porta. « È—è per questo che ti ho lasciato il secondo. Spero—spero che tu possa tenerlo a mente. Buona fortuna ».
Come la castana imboccò le scale, sorrise.

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presente – Castelia City [sede del Team Plasma] – 18/02/13 [12:48 AM]
Ryoku era intento a giocare ad un solitario di carte.
Il silenzio cedette il passo a due rintocchi sulla porta, che trovarono come cassa di risonanza lo spazioso ambiente dove il Saggio era solito passare la maggior parte del tempo.
« Avanti ».
La faccia di Colress fece capolino dalla porta.
« C’è Hilda al piano terra ».
« Davvero? Looker si è fatto sentire? ».
Lo scienzato scosse la testa.
« Ok… falla passare, e mandamela qua ».

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« Buongiorno, Hilda ».
Hilda mosse i primi passi all’interno della sala, osservando con sguardo sorpreso tutto ciò che la circondava, dalle vetrate colorate rappresentanti scene storiche delle regione di Unova agli arazzi che erano stati posti fra una delle sopracitate finestre e l’altra. Il tavolo era imponente, in confronto alla giovane, ed intarsiato di quella che sembrava un’incoronazione. Due grandi Pokémon, che lei individuò essere Reshiram e Zekrom, sedevano ai lati, mentre sotto i quali erano due scritte a caratteri a lei sconosciuti. Ai lati scene di vita quotidiana, come un ragazzo intento a giocareo con un Minccino od un Archeops che sorvolava un’isola facevano da cornice.
« Ti piace? Zinzolin aveva certamente gusto ».
« Zinzolin? ». La sua voce si alzò di un’ottava.
« Hai avuto un passato con lui, eh? ».
« S—sì. Credo, almeno. Non riesco a ricordare il suo viso, ancora ».
« Io sono Ryoku, molto piacere. Siediti pure dove vuoi, e poggia la pistola sul tavolo ».
« Come—».
« Credevi che non si notasse? Siediti, e parliamo ».
Hilda estrasse la sua pistola dalle tasche e la poggiò sul tavolo, per poi sedersi sulla prima sedia che le capitò a tiro.
« Anche Ethan sedeva lì, l’ultima volta che l’ho visto. Non certamente l’ultima volta che, tu, l’hai visto ». Un sorriso inarcò le labbra del Saggio.
« Ethan… è stato qua? ».
« Così come N e Zinzolin, e molti altri dopo di loro. Sono sicuro che avrai molte domande, Hilda. Questo luogo ti ricorda qualcosa? ».
« Non credo. Dovrebbe? ».
« Ne parleremo dopo, tranquilla. Hai domande, a proposito? ».
« In realtà sì, molte ».
« Sono qua per questo ».
« Dopo… dopo il ballo, la festa a casa di Zinzolin, cos’è successo? ».
« Sei stata portata qua, dove sei stata curata ed il veleno di Zinzolin tolto dal tuo apparato circolatorio. Ti abbiamo tenuto qua dentro per una settimana, mentre all’esterno confermavano la morte di Hilda Baskerville e il funerale ».
« Ho—ho avuto un funerale? ».
Ryoku sorrise. « Sì. Dopodiché saresti dovuta partire per Sinnoh, ma alla fine hai deciso di rimanere qua, con N, e procedere al PRM ».
« Oh, sì… credo di ricordare qualcosa… al Porto di Castelia, la S.S. Diane… ».
« Esatto. Dopo averti riportata di nuovo qua dentro, hai cominciato la procedura per il reset mnemonico, che è durata una settimana, sotto la supervisione del professor Colress e della professoressa Flennel. E infine, be’… sai già ».
« C’è stato un motivo per cui mi avete portato a Nacrene City? ».
« No, nulla di particolare. Colress si è occupato di questo lato, e si è anche occupato di N ».
« Zinzolin? ».
« È morto. Me ne sono occupato personalmente, e qualche mese dopo abbiamo fatto avere il corpo alla stampa. Non volevamo—non volevamo che morisse subito dopo lo scandalo. Troppa attenzione sul Team Plasma ».
« Oh, ok… ora cosa succederà? ».
« Ora siamo daccapo, nell’occhio del ciclone. E dobbiamo prepararci prima che l’alluvione ci colpisca ». Ryoku si alzò in direzione della porta « Vieni, devo mostrarti una cosa ».

« BODY 1… ».
« Era la tua stanza, Hilda. La stanza dove hai vissuto prima del PRM ».
Hilda avanzò con non poco esitazione la mano verso la maniglia, e finalmente la strinse. Per un breve attimo, un flash le attraverso gli occhi: un’immagine, fugace, di quella porta. Una memoria passata.
Premette verso il basso e spinse il peso del suo corpo in avanti.
Quando la porta, si aprì, una stanza bianca venne rivelata dietro di lei.
« Quanto sono rimasta qua? ».
« Una settimana, circa. Giorno più, giorno meno ».
« Ed N? ».
« Lui era nella stanza accanto » sorrise Ryoku. « Dimmi, qualche ricordo sta venendo a galla? ».
Hilda continuò a muoversi all’interno di quella stanza, ignorando le parole del Saggio. Il suo sguardo scivolò sulle pareti, bianche, per poi finire su ogni più piccolo dettaglio che la mobilia presentasse: il comodino in parte al letto era leggermente scheggiato, e gli angoli presentevano un principio di muffa. 
Avanzò ancora e si sedette sul bordo del letto, rivolgendo lo sguardo a Ryoku.
Un altro flash attraversò i suoi occhi.
« Avanti ».
« Sei sveglia! Non credevo di trovarti sveglia ».
« Neanche— neanche io. È la colazione? ».
« Sì, quando finisci, vieni pure da me e cominceremo la prima sessione ».
« Come… come hai detto che si chiamava il professore? Caless? ».
« Colress ».
« Oh… ».
« Credi di esserti ricordata qualcosa? ».
« Qualcosina, diciamo ». Si guardò attorno. « In realtà… ho un dubbio ».
« Dimmi pure ».
« Se sono stata sottoposta al PRM, perché sono qua? Cioè, perché mi ricordo? Non—non capisco ».
« Ethan è venuto qua, mentre eri sotto i ferri. Non c’entrava con te, ma l’ho lasciato girare un po’ per l’edifico prima di uscire ed in qualche modo deve averti trovato. Forse ha sentito la tua voce, o ha tirato a indovinare. Quando… quando ha interrotto il tuo processo, la tua mente ha sì cancellato ogni memoria di Hilda, ma anziché accartocciarle e buttarle via le ha, in qualche modo, immagazzinate nel tuo inconscio ».
« E quando Ethan mi ha trovato, ha innescato la reazione ».
« Credo di sì. Dovresti chiedere a Colress. Ora però ho paura che dobbiamo ritornare in sala, non credi? Continuiamo a parlare là ».

« Come mai, se posso, Ethan era venuto qua? » fece Hilda, chiudendo la porta dietro di sé.
« Era il nipote di Zinzolin ».
Hilda trasecolò.
« Non lo sapevi? Lo aveva inviato da te per tenerti lontana da N mentre lui giocava a Monopoli con Castelia e la Lega ».
« Non—non ne avevo idea ».
« Ora lo sai » sorrise Ryoku. « Vuoi scusarmi un attimo? Torno subito ».
La castana osservò il Saggio attraversare la sala senza degnarla del minimo sguardo per poi uscire. Lei, al contrario, prese posto in una sedia ed appoggiò la schiena sul morbido schienale, di pelle imbottita.
« Chi l’avrebbe mai detto, eh? Era tutto un complotto per plagiarti » esordì Ethan nel silenzio.
« Uh? Ethan? ».
Ethan era apparso davanti a lei, dall’altra parte del tavolo. Scomparì subito dopo.
« Ora mi vedi! » udì nell’aria, senza però associare la sua voce ad una persona, « ora no! ».
Ethan riapparse a capotavola, dove sedeva Ryoku poco prima. « Che buffo che sono, eh? Ancora più divertente che giocare a whack-a-Diglett con me! ».
« Whack? ».
« Hai presente, no? » Ethan diede un colpo al tavolo con il pugno chiuso « quando devi colpire il Diglett con l’abat-jour? Oh, scusa, lapsus! Intendevo con un martello. Ma forse hanno la stessa efficacia? ».
« Sei solo nella mia testa ».
« Continui a dirmelo! Mandami via, allora ».
Hilda strinse i denti, palesando un lieve sorriso. 
« Non te ne se ancora accorta, vero? ».
« Di cosa stai parlando? ».
« Della tua pistola » sorrrise Ethan.
Gli occhi della castana attraversarono il tavolo.
« Cosa? Dov’è la pistola? ».
« Bingo! ».
« Stai zitto! Che—che fine ha fatto? ».
« Sembra che qualcuno abbia perso il suo giochino » la canzonò lui. « Prova a chiedere al tuo amico ».
I piedi di Hilda scattarono verso la porta e si avventò sulla maniglia, facendo per aprirla. 
Quello che ricevette non fu che un clangore meccanico.
« Che? ».
« Sembra che qualcuno ci abbia chiusi dentro ».
« No… non è possibile! Aiuto! ». Prese a battere i pugni sulla superficie del legno, mentre dalla sua gola un lamento straziato saturava l’aria. « Aiuto! AIUTO! ».
« Prova a tirare una sedia. Dicono che funzioni ».
Hilda arretrò ed afferrò una sedia per lo schienale. L’idea di ascoltare una voce nella sua mente era quanto di più lontano poteva concepire, ma in quel momento tanto valeva provare, ragionò. Nessuno avrebbe lamentato di una sedia rotta.
Alzò la sedia con entrambe le mani ed a fatica la scaraventò davanti a sé.
L’oggetto cadde a peso morto per terra senza che né esso né la porta subissero alcun contraccolpo.
« Che idea idiota » commentò.
« Forse funziona solo con le persone ».
Riprese la sedia in mano e la trascinò lontano la porta, dove lei ritornò a cercare di aprirla.
« Non ti rendi conto che non funzionerà? Siediti, giochiamo a briscola ».
« Stai zitto ».
« Ok! Me ne vado. Però non mi avrai così facilmente ».
La stanza ritornò nel silenzio.

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Error 404
« Buongiorno ».
« Buongiorno! Biblioteca di Nacrene City, di cosa ha bisogno? ».
Un ragazzo dai capelli verdi, che arrivavano sino al bacino, era comparso davanti al bancone di Hilda. Indossava una maglietta bianca, dei jeans ed una giaccia di pelle marrone che lo copriva. Sorrideva.
« Starei cercando un libro, ma non ho ben presente quale ».
« Mi dica pure! Farò quanto possibile per trovarlo ».
Hilda accese il computer e fece partire il programma dell’inventario, mentre l’uomo davanti a sé estreava un pezzo di carta dalla tasca.
« Hilda, eh? » commentò « che bel nome che ha ».
La castana rimase interdetta da quella frase, ma capì poi che si stesse riferendo al badge che portava sulla camicetta verde smeraldo e sorrise. « Oh, grazie ».
« Non mi sono ancora presentato, che scortese. Sono Natural ».
« Anche il suo nome è carino! Mi dica, dunque, che libro voleva? ».
« È un thriller, credo… ha un nome strano, e non credo neanche di ricordare bene il nome dell’autore. Penso sia Emmerich qualcosa ».
« Non c’è problema! Ora vediamo ».
Hilda si alzò e proseguì all’interno, districandosi fra le diverse curve che prendevano i settori della biblioteca. 
« Ora andiamo nella sezione thriller e proviamo a cercare per nome, ok? Magari vedendo il libro se ne ricorda ».
« Ok… ».
« Si ricorda il cognome? O l’iniziale ».
« Penso fosse G? Gio… qualcosa ».
« Ok, ok! Controlliamo… E. G. … ».
Si abbassò e guardò fra i libri sistemati sotto la lettera capitale G. « Si ricorda di cosa parlasse? ».
« Oh, è ambientato a Castelia City ».
« Ottimo! Allora cerchiamo così… Castelia City… ».
Estrasse una decina di libri e li passò uno ad uno a Natural, mentre lui li sfogliava e puntualmente consegnava indietro a lei.
« Nessuno di questi? ».
« Non credo ».
« Forse… forse non è la G? O non c’è Castelia? ».
« No, sono sicuro… è abbastanza nuovo ».
« Oh, non saprei aiutarla, mi dispiace ».
« Niente, si figuri ».
Hilda rimise i libri al loro posto ed accompagnò il ragazzo all’esterno, questa volta però facendo un giro diverso da quello precedente. Attraversarono la sezione delle novità e la vetrina degli ultimi arrivi, dove grandi cartelloni e scaffali di copie degli stessi libri infestavano.
Natural si fermò a metà.
« C’è qualcosa? ».
« Credo… credo che sia questo ».
Il suo dito indicava un cartellone di Castelia City al tramonto, con lo skyline della città illuminato dei colori porpora ed arancio. Sul porto due ragazzi erano avvolti in un abbraccio. La scritta CARDS figurava a caratteri cubitali in basso.
« Questo… ».
« Oh! Erika Joy? ».
« Sì, lei! Mi ero confuso » rise Natural.
« Non c’è problema! Questi libri in realtà sono disponibili anche per la vendita, ad un prezzo ridotto. Dobbiamo tenerne due-tre per l’inventario, però per il resto, se vuole… ».
« Con piacere, grazie! ».

« Ok… allora, sono esattamente 9,90 Yen! ».
Natural sorrise. « Eccoli ».
Mentre Hilda era intenta a svolgere le operazioni burocratiche, il ragazzo passò il tempo ad osservarla.
« Sa di essere molto bella? ».
« Non—non credo » rise lei. « Mi ritengo normale. Comunque, la bellezza sta nell’occhio di chi guarda ».
« Solo un occhio cieco potrebbe osar dire il contrario ».
« Suppongo » commentò Hilda atona « grazie mille, comunque, del complimento ».
« Di niente—».
« Posso farle una domanda? ».
Natural asserì.
« Ci siamo… ci siamo per caso già visti da qualche altra parte? ».
« Ahem, non credo » rise « Si fidi, non credo che dimenticherei una faccia così facilmente ».
Il ragazzo si allontnanò dal bancone stringendo Cards in mano ed uscì.

Hilda sistemò le sue cose sul bancone e spense il computer. Aveva ripreso la lettura del libro, che aveva interrotto coll’arrivo di Natural, da qualce minuto, quando un pensiero la colpì come un treno in corsa. 
Abbassò il romanzo di getto ed alzò il suo sguardo.
« Natural? ».
Una lacrima corse lungo la sua guancia. 
Lanciò la sedia indietro per l’impeto con cui si alzò e corse verso l’uscita, il ritmo del suo cuore che aumentava di secondo in secondo. 
L’immagine di Natural era stampata nella sua mente.
Attraversò l’intera biblioteca ed uscì dall’entrata principale, spalancando le porte che davano sull’ampia scalinata in marmo: era là sotto, che lo vide, che percorreva la strada di giuntura dei primi scalini. 
« Natural! » le lacrime che scorrevano sul suo viso « Natural! Aspetta! ».
Corse verso di lui, mentre si volgeva a guardare l’ascesa della castana.
« Hilda? Cosa c’è? ».
« Mi sono ricordata! ». Percorse gli ultimi scalini e scese all’altezza del ragazzo, avvicinandosi al suo visto, mentre i suoi occhi erano impregnati da goccioloni di lacrime che scendevano, bagnando tutto il suo viso. « Mi—mi ricordo. Di te, di noi ».
N sorrise. « Oh, Hilda, avevi dimenticato? ». Accarezzò la sua guancia, scostando le lacrime. « Non importa. Ora sei qua, al sicuro, e niente ti farà più del male ».
« Non—non capisco. Dove sono? Cosa è successo? Ryoku, Colress, Looker… ».
« Non ti ricordi? Hilda, sei morta ».

♦︎ ♦︎ ♦︎
 
presente – Castelia City [sede del Team Plasma] – 18/02/13
Un boato saturò l’aria.
A quel suono, si aggiunse una sirena.
Hilda balzò indietro dalla porta, mentre essa veniva scaraventata a terra: un polverone di detriti e polvere si sollevò in aria.
« Che—coff—cazzo? ».
Una voce maschile la chiamò. « Hilda? ».
Lentamente, un leggero vento spazzò via la coltre di fumo e palesò le figure d’ombra che era riuscita a scorgere dall’altra parte: era Looker, ed accanto a lui stava un Crobat.
« Looker? Cosa ci fai qua? ».
La castana gli si avvicinò, come il detective allungava la mano verso di lei. La fece uscire dalla stanza e si gettò su di lui, le sue mano che stringevano contro le spalle dell’uomo.
« Non c’è tempo, devi andarten—».
« Aspetta! Devo—devo dirti di Ryoku! Pensavamo fosse buono—».
Looker sorrise. « Lo so, lo so, ma ora devi andare ».
« Cosa? Lo sai? ».
« Ne parleremo dopo » continuò « ora tieni questa, e scappa ».
« La—la tua pistola? Tu come farai? ».
« Ho Albert con me, ma tu devi andare ».
« Io—».
« Non dire niente, vai! ».

Hilda attraversò il corridoio che aveva percorso prima con Ryoku, la pistola stretta nella sua mano destra, alla ricerca di una via d’uscita. Quando arrivò in concomitanza dell’entrata dell’ascensore, notò con suo orrore come non fosse possibile chiamarlo più da quel piano.
« Cazzo! » esclamò, e diede un colpo col calcio della pistola alla latta che rivestiva l’uscita « cazzo! ».

𐌳

« È tutto pronto, Colress? ».
Colress fece cadere la provetta che stava maneggiando, ed essa si fratturò al pavimento in migliaia di frammenti.
« Che c’è? Tutto bene? ».
Un uomo era apparso sulla soglia dell’entrata del laboratorio di Colress, mentre una sirena rimbomava nelle loro orecchie. 
« Come hai fatto ad entrare? ».
« Ho seguito Hilda ».
« È troppo pericoloso qua—».
« Shh, calmo. Devo solo parlare con Ryoku ».
Colress scosse la testa. « È meglio—è meglio di no. Credimi, io—».
« Stai zitto, Colress. Prendi le tue cose e raggiungimi dove abbiamo concordato ».

Ryoku, nel frattempo, era intento a raccogliere tutti i suoi documenti e scartoffie presenti nel suo ufficio, mentre di tanto in tanto lanciava uno sguardo per assicurarsi che la pistola sottratta alla castana fosse ancora là dove l’aveva messa. In breve tempo, la scrivania fu svuotata di ogni materiale rigurdante il Team Plasma e medesima sorte toccò a tutto ciò che riempiva la biblioteca. 
Ripose tutti i reperti in una valigia, che cominciò a richiudere con tanta frenta quanta sbadataggine, allertato dai suoini che provenivano dall’esterno: il rombo di una sirena, cominciato a rimbombare qualche minuto prima, non accennava a smettere, e poteva udire le pareti tremare. 
Un ticchettio lentamente si aggiunse a quel coro di frastuoni.
Vide balenare un bastone dalla porta, dopodiché una voce, che non si sarebbe mai sognato di sentire ancora, raggiunse le sue orecchie: « Buongiorno, Ryoku. Mi fa piacere rivederti ».
« Cosa? T—tu? ».
« È da un po’ che non ci vediamo, eh? Oh, sto interrompendo qualcosa? Devi andare in vacanza? ».
« Non—non è possibile, dovevi—».
« Smettila di parlare. Piuttosto, stavo discutendo prima su Colress, quale morte è più indolore? Morte per arma da fuoco o per arma bianca? ».
Gli occhi di Ryoku sfrecciarono alla pistola. Era posata sulla scrivania, a pochi metri da lui. Lentamente avanzò un passo in avanti.
« Però poi ho avuto un’idea geniale ». Estrasse dalla tunica una piccola pistola e la puntò contro Ryoku. « La riconosci? Io sì ».
« Non—».
« Non parlare, è il mio momento. Dicevo, la riconosci? ».
« N—no ».
L’uomo fece fuoco ad un piede di Ryoku, ed il Saggio si chinò in posizione fetale, accompagnando il movimento da urla di dolore.
« Ti ho fatto male? Dimmi adesso come ti senti » e sparò ancora, sta volta all’altezza del braccio destro. A questo punto, Ryoku s’era gettato per terra, come solo supporto la scrivania sulla quale aveva poggiato il suo busto e le sue braccia. Poteva vederla, a pochi centimetri dalla sua mano: la pistola. « Sai, Ryoku, ho sempre desiderato ucciderti. Pensavo di torturarti in qualche modo, ma onestamente è troppa fatica. Credevi veramente di liberarti di me, prendere le redini del Team Plasma e scappare? ». Rise. « Addio, Ryoku ». 
Sparò un terzo colpo, che andò a colpire il busto, poco sotto il cuore. Un rivolo di sangue spruzzò perpendicolarmente alla ferita d’entrata per poi assumere una traiettoria parabolica, come una fontana di acqua vermiglia.
Il corpo ormai senza vita del Saggio si accasciò a terra, adagiato sopra uno specchio di sangue in continua espansione.
L’uomo entrò, scavalcò il corpo e trascinò il bagaglio di documenti fuori dalla stanza, lasciando una traccia di sangue che lo seguiva per tutto il corridoio.

𐌳

Era il terzo od il quarto piano che Hilda aveva percorso, correndo a perdifiato, quando il suo occhio venne catturato una serie di irregolari strisce rosse che percorrevano il pavimento. La strada, in quel punto, prendeva un bivio, e scelse di seguire la direzione che puntava verso il basso: verso, sperava, l’uscita. 
Scese delle rampe di scale, e poi ancora, sino a che non le parse di essere finita in un labirinto dal quale uscire era impossibile. Fu solo quando udì un rumore di trascinamento, seppur sopraffato dal continuo rombare delle sirene, che nel suo cuore provò una sensazione di liberazione. Qualcuno, qualcuno che stesse cercando l’uscita come lei.
« C’è qualcuno? Qualcuno? » esordì. « Sto cercando di uscire da un’ora, ma tutte le uscite sono bloccate.
« Hilda? ».
Una voce maschile rispose.
La castana girò una curva, per ritrovarsi un uomo che stringeva nella mano destra un bastone da passeggio e nell’altra un bagaglio pregno di sangue.
« Tu? ».
« Che piacere rivederti, Hilda! Hai trovato N all’ospedale? ».
« Era—era una trappola! C’era la polizia! ».
« Davvero? A me non sembra che ti abbiano preso ».
« Cosa ci fai qua? ».
L’uomo sorrise. « Non ti ricordi, eh? ».
« Cosa stai dicendo? » scosse la testa Hilda « non so chi tu sia—».
« Va bene così. Ti sarà tutto chiaro, a dovere ». Lanciò una carta ai piedi della ragazza. « Credo sia di Ryoku. È sporca di sangue, ma dubito che Ryoku verrà mai a lamentarsene. Usala, forse aprirai qualche ascensore. O forse no. Spero di rivederti, Hilda » e l’uomo scomparse dietro un altro corridoio.
Hilda si chinò, raccolse la tessera e la rigirò fra le sue mani.
Ritornò all’entrata dell’ascensore che aveva visto poco prima, e la passò attraverso la fessura di identificazione: una luce verde si accese in alto.
Lentamente, le porte si aprirono.
« Grazie, suppongo? » mormorò, mentre si faceva strada al suo interno. Cliccò il bottone G, ultimo in ordine dopo il numero 1, e si appoggiò a peso morto contro la parete.
Sospirò.

5.
4.
3.
2.
1.
Le porte si spalancarono.
« Distretto di Polizia di Castelia City!  » urlarono in coro. Un uomo si pose davanti a lei, in giubbotto antiproiettile e puntando una pistola davanti a lei, mentre tutt’attorno uno squadrone bloccava ogni uscita. « Hilda Baskeville, lei è in arresto per duplice omicidio, furto d’identit—».
Le sue orecchie smisero di sentire.
La sua vista si annerì e svenne.

𐌳

« …Who had love that's now departed? I know I've got to find… ».
Hilda schiuse gli occhi. 
Una macchia grigia era in movimento davanti ai suoi occhi, mentre poteva udire dei rumori strani in lontananza.
« Shh, non muoverti ». Ethan era apparso davanti a lei.
Alzò il capo, di poco, per avere una panoramica più ampia della sua sitazione, e si accorse di esser distesa sui sedili posteriori di una macchina. 
Ethan sedeva dall’altra parte del sedile, facendole segno di non parlare.
Indicò il guidatore, nascosto alla vista della ragazza.
« Ch—».
Scomparve.
« Hilda? ». La voce di Looker rimbombò nella sua testa. « Ti sei svegliata? ».
Hilda cercò di alzarsi, spostando il suo corpo dall’altra parte: ora poteva vedere il detective, nel suo classico trench beige, alla guida della vettura. « Dove—dove sono? Dov’è la polizia? ».
« Sono io la polizia » sorrise.
« Intendo—intendo la polizia di prima. L’ascensore… che cosa è successo? ».
« Ryoku e Colress sono scappati, facendo saltare in aria il palazzo dopo la loro fuga. Quando il primo piano è esploso, ti stavano escortando fuori ».
« Non—non capisco ».
« Nella confusione dello scoppio ti ho preso ».
« Non è… illegale? Mi stai—stai sottraendo alla polizia ».
« Se desideri così tanto andarci, posso p—».
 « No, no, ok. Dove stiamo andando? ».
« Noi da nessuna parte. Tu hai una destinazione ».
« E? ».
Looker arrestò improvvisamente la macchina, e la castana sobbalzò dal suo sedile.. Si aggrappò al sedile anteriore, pur stordita. 
« Che ca— ».
« Ora, ascoltami bene » si voltò verso di lei « ho programmato nel navigatore satellitare una destinazione. Io non posso proseguire più, da qua in poi ».
« Non capisco, dove devi andare? ».
« Non ti intere—».
« Sì che mi interessa! Non fai altro che dirm—».
« STAI ZITTA! » urlò. Abbassò la testa, moderando i toni. « Senti, puoi decidere di fare stronzate e venire catturata dalla polizia nel frattempo, o fare come dico ».
« Come faccio a sapere che non è una trappola? ».
« Lo è » la incalzò lui « ed è l’unico modo per avvicinarsi a loro. Confido in te, Hilda. So—so che hai giudizio, e che farai la scelta giusta. Addio ».
Looker aprì la portiera e corse via, scomparendo dietro un incrocio della strada.

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presente – fuori Castelia City – 19/02/13 [16:23]
DESTINAZIONE RAGGIUNTA” lampeggiava il navigatore satellitare, mentre Hilda si apprestava a fare una manovra in un grande slargo cementato. Davanti a lei, un’insegna di metallo sanciva l’entrata ad un sedicente “Hangar 36”, che si estendeva per quelli che a lei sembravano chilometri. 
Fermò la macchina, il ronzio della radio che continuava in sottofondo. « …la ricerca di Hilda Baskerville continua, ed il dipartimento di polizia di Castelia City ha aperto un’inchiesta sui possibili collegamenti che la donna abbia avuto col Team Plasma, un’associazione criminale attiva negli anni passati, della quale la ragazza si era direttamente interessata durante la sua breve carriera da giornal—».
Il rumore s’interruppe come lei estraeva le chiavi dalla toppa.
Uscì poco dopo.

« È possibile che fosse entrata nell’organizzazione già allora, e che il caso mediatico scoppiato tra lei ed l’ormai-ex capo del Team Plasma, Edward Whilelm Zinzolin, fosse una farsa per attirare l’attenzione del pubblico. Ora mandiamo in onda la conferenza stampa presenziata da Looker Barkins, l’agente della polizia internazionale a capo dell’inchiesta… Buonasera a tutti, sono Looker Barkins. Abbiamo individuato la posizione… ».

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flashback – Dipartimento di Polizia di Castelia City – 19/02/13 [14:58]
« … di Hilda Baskerville, e stiamo attualmente facendo tutto il possibile per catturarla. Stiamo inoltre cercando di capire i collegamenti che la ragazza aveva con il Team Plasma, e questo ci ha permesso di allargare il campo di indagine e poter ricollegare la signorina Baskerville a molti dei crimini commessi nella città di Castelia City negli anni passati. Abbiamo ragione di credere che, in seguito alla chiusura dell’inchiesta su Edward Whilelm Zinzolin ed il Team Plasma, la Baskerville abbia finto la propria morte e si sia nascosta ad Anville Town sotto falsa identità per continuare la sua attività criminale. Temiamo soffra di una qualche forma di disturbo dissociativo dell’identità o schizofrenia, ed è per questo che sentiamo il bisogno di informare il pubblico sulla sua personalità. Hilda Baskerville è una mina vagante ed ora, più che mai, c’è il bisogno che venga interrotta ».
 
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presente – fuori Castelia City – 19/02/13 [16:26]
Il primo capannone nel quale era entrata si era rivelato un buco nell’acqua.
Era un labirinto di cemento e capannoni di metallo, per lo più abbandonati alle intemperie del vento e della pioggia, ed immerso nel silenzio più totale, fatta eccezione per i suoi passi che rimbomavano all’interno delle rimesse. Perché Looker l’aveva portata lì?
Lentamente, le sue orecchie presero sopravvento sul suo senso della vista.
« Sucking too hard on your lollipop, or love’s gonna get you down… ».
Si voltò.
Una musica, simile ad una filastrocca dal ritmo allegro e vivace, ronzava nell’aria.
« … sucking too hard on your lollipop, or love’s gonna get you down… ».
« Eh? Chi è? » chiamò. 
Non ottenne risposta.
Avanzò un passo in direzione della canzone, e, quando sentì le parole farsi più chiare, continuò nella direzione. Mano a mano che si avvicinava alla fonte sonora, la situazione perdeva sempre più senso.
« … 
say love, say love, or love's gonna get you down… ».
« … say love, say love, or love’s gonna get you down… ».
Entrò in un altro capannone, vuoto anch’esso.
« … I went walking in with my mama one day… ».
Si avvicinò e proseguì lungo il suo lato destro, la musica che si intensificava.
« … when she warned me what people say… ».
Eccolo: era di fronte a lei, su uno sgabello di plastica, un carillon a forma di scrigno, all’interno del quale una bambina roteava su sé stessa.
« … live your life until love is found… ».
Raccolse il carillon fra le sue mani e lo rigirò. Uno scotch di carta era stato appiccicato sul retro, e la scritta “CIAO HILDA” scritta sopra a caratteri cubitali.
« Fai come se fossi a casa tua ».
Hilda si voltò. 
Innavertitamente richiuse le mani fra loro, coprendo il carillon ed interrompendo la melodia.
« J—Joe? ».
Colress rise.
« È così che mi ricordi? ».
Esitò, per qualche secondo, confusa dalla domanda. Dal modo in cui si poneva, il suo intercedere e le sue vesti, dedusse che non fosse quella la sua vera identità. « Non è il tuo vero nome, mi sbaglio? ».
« Colress Jackson, piacere » asserì, avvicinandosi alla ragazza.
« Permetta di presentarmi: sono Colress Jackson ».
« Piacere. Hil—Hilda Baskerville ».
« Mi… mi ricordo di te ». Un sorriso, per quanto infelice la situazione fosse, riscaldò il volto di Hilda.
« Associare dei visi nuovi ai tuoi ricordi è l’ultimo passo verso il recupero della memoria » commentò, quasi soddisfatto delle sue parole « presumo che ora tu ti riconosca in Hilda Claude Baskerville ».
« Io—io sono Hilda Baskerville. Claude… non lo uso mai ».
« Me l’hai già detto ».
« Credo—credo di sì ». Hilda si guardò attorno. « Perché sono qua? Cosa ci fai tu, qua? ».
« Potrei sbagliarmi, ma sono abbastanza sicuro che tu abbia guidato di tua spontanea volonta sino a qua » la incalzò, ed al vedere un cenno di assenso nei suoi occhi proseguì risoluto « quindi perché non rispondi tu alla prima domanda? Ed io risponderò alla tua ».
« È stato Looker— un ex detective di Castelia City, credo. Non ne ho idea in realtà ».
« È stato lui a farti guidare da sola fino a qua? ».
Hilda scosse la testa. « No, no, mi ha detto di venire qua. Mi ha dato le coordinate… e tutto il resto ».
« Oh. E sai come mai? ».
« Non so— non so se tu abbia presente la mia si—».
Colress sorrise. « So tutto, Hilda ».
« Oh. Ok, ora tocca a te ».
Il professore si allontanò da lei, in direzione di un tavolo lungo il lato sinistro del capannone, e si mise a maneggiare delle Pokéball che giacevano su di esso. 
« Vedi, Hilda, oggi parto. Devo finire i preparativi, quindi sono venuto qua ».
« Non—non è una risposta ».
« Ah no? ». Un ghigno comparve sulle labbra, impossibile da parte di Hilda vederlo poiché girato di schiena. « E cosa sarebbe? ».
« È un motivo. Non mi dice niente di utile a riguardo ».
« È pur sempre una—».
« È una risposta, ok » lo interruppe, la sua voce alzatasi di tono « ora dimmi cosa ci faccio io qua. O perché siamo qua assieme, quello che vuoi. Dammi—dammi una risposta. Dammi un motivo per restare ».
Colress non rispose.
Seguì un breve silenzio, interrotto da casuali rumori metallici che l’armeggiare dello scienziato causava e la risposta di Hilda fu quella di girare i tacchi. Era rivolta alla porta d’uscita, in procinto di muoversi, quando udì un’altra voce unirsi al silenzio.
« Buonasera, Hilda ».
Sussultò.
Dietro di lei, era apparso un altro uomo. 
« Le nostre strade si incrociano di nuovo, eh? ».
Voltatasi, per associare la voce familiare ad un volto, riconobbe in lui il misterioso uomo che aveva incontrato più volte quel giorno.
« Questi incontri… c’è qualcosa di poetico nel nostro incrociare di strade, non credi? Anche se, a dire la verità, c’è molta poca casualità in tutto ciò ».
« Tu—».
« Zinzolin! Credevo non arrivassi più ».
Zinzolin.
« Ho dovuto sistemare una cosa » sorrise il Saggio. « Perché non hai fatto accomodare la nostra ospite? ».
Zinzolin.
« Zi—Zin—».
« Avevo paura che il mio ricordo fosse stato sepolto! » commentò allegro « Sono felice di essermi sba—».
« Che cazzo ci fai qua? ». Hilda mise un passo indietro. « Tu— eri morto! ».
Una risata cristallina si sollevò nell’aria.
« Anche tu, l’ultima volta che ti ho visto, stavi morendo ».
« Non—non ha senso, tu—».
« L’hai già detto ».
« Eri morto… Ryoku—».
« Ryoku è morto, Hilda ».
« Non arrabbiatevi, voi due » commentò atono l’uomo « Piuttosto, Hilda, cos’hai intenzione di fare? Vuoi rimanere qua? Aiutarci con le valigie? ».
I suoi occhi oscillavano come un pendolo tra i due uomini. Prima osservava Zinzolin, un ghigno malefico dipinto sul suo volto, dopodiché Colress, che, pur mantenendo il suo aplomb, le trasmetteva una strana sensazione. Era quasi a disagio, più con lui che con il Saggio.
« Voglio— voglio risposte. Cosa sta succedendo? ».
« Succede!, » la incalzò, in un impeto di vivacità « che io ed il qui presente Zinzolin questa sera voleremo via da Unova e tu, Hilda Claude Baskerville, verrai rinchiusa in prigione per il resto della tua vita ». Il suo tono si era fatto normale.
Hilda scosse la testa. « Sei matto da legare ».
« L’unica che legheranno, qua, sei tu ».
« Spiegherò—spiegherò tutto ».
« Oh, certo. Non hai ucciso tu Ethan? ».
« No— cioè, sì, io—».
« Vedi? ». Colress rise. « Non hai scelta ».
« Colress? ».
Un’ombra apparse all’entrata del capannone. 
« Erika? Cosa ci fai qua? ».
Un brivido corse lungo la schiena di Hilda.
« Oh, Louis! Vieni qua. Stavo giusto spiegando ad Hilda, o Erika, il nostro piano ».
Louis sorrise. « Ciao! Non pensavo di vederti qua ».
Il viso della ragazza era dipinto di terrore.
« È uno scherzo, vero? ».
« Erika, mi dispiace molto per quello che è successo » continuò sorridente « sono sicuro che troverai qualcosa da fare in prigione ».
« Siete matti… voglio andarm—».
« E lasciarci? Non ho neanche spiegato la parte migliore! ». Estrasse una Pokéball dalla sua tasca, dalla quale uscì un Gothithelle, alla quale era stato posto un ingegno tecnologico in testa. « Gothithelle, bloccala ».
Delle catene purpuree di pura energia, dall’apparenza immateriale, proruppero dal terreno e si avvinghiarono sui polsi di Hilda, costringendola al terreno, come lei faceva per scappare.
« Non avere paura » la rincuorò Louis « andrà tutto bene. Non vogliamo farti male ».
« Non sai chi sono, vero? » ringhiò.
« Certo che lo so! Sei Hilda Baskerville, quella che ha cercato di uccidermi. Chi saresti, sennò? ».
« COS—».
« Louis, segui Zinzolin fuori. Dovete sistemare una faccenda ».
Louis asserì, e seguì il Saggio all’esterno del capannone.
« Cosa stava dicendo? ».
« Louis, intendi? ». Colress sorrise. « L’ho ammetto, ho dato il meglio di me. È un perfetto braccio destro »
« Cosa vuoi fare di me? » gridò Hilda « non—non puoi rinchiudermi qua per sempre ».
« Hai ragione, e non lo farò. Lascia che ti spieghi quello che succederà: Looker, assieme all’intero squadrone d’assalto della CCPD farà breccia in questo hangar, ti arresterà e, mentre io sarò in volo per Sinnoh tu starai venendo trasferita in una prigione ». Quella situazione aveva tutta l’aria del suo ultimo incontro con Zinzolin. « Tornando a noi… dov’ero finito? Ah, sì! Come siamo arrivati qua. Sapevi che abbiamo un’amica in comune? Julie Jackson ».
A quelle parole sussultò.
« È stato grazie alla sua morte che ho conosciuto Zinzolin, e sono entrato in contatto con lui ». Si voltò e ricominciò ad armeggiare con degli strumenti sul piano di lavoro. « Devi sapere, Hilda, che la vita per gli scienziati non è affatto facile. Mancano i fondi, mancano le strumentature e le strutture adatte. Ed è qua che io e Zinzolin abbiamo trovato un punto d’accordo! In cambio del mio savoir-fare, ho ricevuto soldi per continuare i miei progetti ». Si voltò, esibendo un coltello dalla lama larga e sottile che indicava in direzione di Gothithelle « Lei è uno degli esempi. Grazie all’amplificatore di frequenze, i suoi poteri sono immensamente maggiori ».
« Ed hai ucciso Ryoku per questo? Un cappello di metallo? ».
« È stato Zinzolin a farlo. Io avrei preferito lasciarlo morire nell’incendio del palazzo, ma suppongo che volesse la sua vendetta… è sempre stato un tipo impulsivo. Anche l’ospedale, è stato veramente un brutto tiro, è per questo che ho chiamato Looker e gli ho chiesto di portartici fuori. Perché sprecare quest’occasione? Alcune volte, Zinzolin si fa accecare dalla vendetta ».
Hilda rise.
« E questa cos’è? ».
« Oh, ma io non ho niente contro di te. Sei solo capitata nel posto sbagliato al momento sbagliato ». Si avvicinò a lei, il coltello in mano; « Non mentivo quel giorno, anni fa. Io vorrei aver conosciuto Hilda Claude Baskerville. Purtroppo mi sei più utile dietro le sbarre che dietro ad un cocktail ».
Hilda prese la rincorsa e si gettò contro di lui, ma le catene la fecero rimbalzare in dietro.
Strinse i denti. « Ethan cosa c’entrava in tutto ciò? »
« Ethan era uno scemo. Gli ho dato il tuo nome, mi faceva pena… Sapevo che, una volta risvegliata Hilda, ti saresti liberata di lui. Un omicidio in più, in caso fosse difficile collegarti a Bianca, o quella giornalista idiota che hai fatto ricoverare… Veronica? ».
La ragazza si dimenò dalle catene, pur rimanendo ancorata al suolo. Tentava di avvicinarvisi, ma ogni tentativo finiva per rivelarsi un buco nell’acqua.
« Appena lo saprà Looker… ».    
« Looker fa parte del piano, Hilda. N gli aveva promesso il caso del decennio: un solo agente della polizia internazionale, che con le sue sole forze sgominava un’intera associazione criminale… Purtroppo, quando si è scontrato con la realtà non è stato affatto divertente ». Poggiò il coltello. « Ryoku non ha mai avuto intenzione di salvarti. Né te, né N. L’aereo per la salvezza, quel tredici novembre, era pieno di dinamite. Ed è quello che ha continuto a fare: pianificare la sua fuga, ha semplicemente cambiato capro espiatorio ».
Colress, per un momento, rimase in silenzio.
« Hai presente quella poesia? Chi è amato non conosce morte, perché l’amore è immmortalità… c’era anche una seconda parte, credo. Ad ogni modo, trovo che calzi a pennello per questa situazione… potrai non essere morta, non ancora, ma nessuno porta la tua memoria. In un certo senso, sei morta ». La ragazza non rispose. « Non vuoi parlare, eh? Va bene, va bene. Torno a finire le mie cose ».
Ritornò ad armeggiare al tavolo, Hilda che fissava il retro della sua camicia, inerme. La stanza era piombata nuovamente nel silenzio; tuttavia, questa volta si era trovata in trappola: senza nulla che potesse fare, il mondo si era rivelato per essere contro di lei. Ogni persona che conosceva, che si era mai disposta di aiutarla, aveva mostrato il suo vero volto: N non ricordava nulla di lei, Looker l’aveva barattata per il successo, e lui, la persona a cui aveva affidato la sua vita qualche anno prima, si era ritorto contro di lei.
Si sentiva schiacciata, oppressa dal peso di un futuro che, paradossalmente, non aveva futuro. Qualsiasi mossa avrebbe fatto, non sarebbe stata che la fuggitiva mancata alla giustizia. Le catene di Gothithelle erano una perfetta metafora delle catene che sentiva dentro di sé: la sua identità, Hilda Baskerville, era incatenata sull’immagine di una criminale, di una persona che non avrebbe meritato più niente, nel futuro prossimo.
« Looker… è diverso. Lo so… ».
« Pensavi veramente che lo fosse? Che ti tenesse in vita perché ti voleva proteggere? Una volta, può darsi. Ora, sei solo il suo biglietto verso un grado più alto di carriera ».
I suoi respiri divennero affanni, e quegli stessi affanni mutarono in gemiti di pianto. Le lacrime, con sua grande sorpresa, cominciarono a scendere.
« Non… » singhiozzò « non… non me lo merito ».
« Punti di vista ».
« Non—non ho mai voluto uccidere nessuno! » urlò. Il suo viso era bagnato dalle lacrime e la sua voce incrinata. « Non ho mai voluto niente di tutto ciò! Bianca, Ethan, Natalie… è—è tutta colpa di Zinzolin. Io—».
« Non avevi scelta, lo so » la interruppe Colress « hai mai pensato di risolvere i tuoi problemi? ». Si voltò. « Oh, stai piangendo? Non piangere ».
« Almeno… almeno lasciami li—libera ».
Fece un passo verso di lei. « Oh, Hilda, non ce l’ho con te. Te l’ho detto, posto sbagliato al momento sbagliato. Come Julie in strada ».
« Lo sai che l’ha uccisa Zinzolin, vero? » ringhiò « È tutta colp—».
« Lo so, Hilda. Ora scusami, ma ho finito, ho un aereo da prendere. Addio, Hilda Claude Baskerville ».

§

Era passato un buon quarto d’ora quando vide Louis entrare.
« Louis? ».
« Puoi chiamarmi anche N » sorrise « non serve più fare finta ».
Camminò diretto verso il tavolo, ignorando la ragazza incatenata al suolo.
Quando lo osservò, e vide i suoi vestiti, qualcosa di particolare la colpì. Portava dei jeans beige molto attillati, una maglietta bianca ed un capellino nero a coprire la sua chioma.
« Perché ti sei vestito così? ».
« Come, scusa? ».
« Guardami, quando ti parlo ».
Louis rise.
« Senti, magari siamo stati amici, ok, però non credo tu sia nella posizione di darmi ordini ».
« Sto per andare in galera per il resto della mia vita ».
« Lo dici come se non fosse colpa tua ».
Hilda strinse i denti.
« Va bene, va bene. Puoi per piacere avvicinarti? ».
Il ragazzo afferrò una valigietta dal tavolo e si voltò. « Così va meglio. Cos’è che volevi, ancora? ».
« I vestiti. Perché sei vestito così? ».
« Cosa significa? ». Un sorriso riscaldò il freddo volto dell’uomo, come si avvicinava a lei. « Perché mi girava ».
« Eri… eri vestito così anche il primo giorno che ci siamo incontrati ».
« Davvero? Il destino » commentò sarcastico.
« Era il sedici ottobre ».
« Impressionante. Te lo sei riletto prima di venire qua? ».
Hilda scosse la testa.
« Me lo ricordo, N ».
« Mi fai quasi tristezza, sai? Se non avessi cercato di ucciderm—».
« Non ho cercato di ucciderti ».
« Ah no? ». Ora esibiva un sorriso a trentadue denti sul suo viso. « Buono a sapersi! Questo mi ha sicuramente salva—».
« Stavo cercando di proteggerti da Ethan. Lui—lui ti avrebbe uccis—».
« E così hai avuto la geniale idea di farlo—».
« ASCOLTAMI! » urlò. Louis, all’udire quell’acuto, si ritirò di qualche passo. « Volevo—volevo proteggerti. Sapevo che Ethan voleva ucciderti, e così ti ho colpito per potermi occupare di lui. Il colpo che ti ho fatto non era mortale… non lo è mai stato. Volevo proteggerti »..
« Può darsi » sospirò « questo non rende la situazione meno patetica. Ora scusami, ma devo andare. Buona galera, suppongo ».
Fece per voltarsi, quando Hilda ritotrnò a parlare: « Ti amo! ».
Ciò che ottenne in risposta non fu che una risata. 
« Sei proprio disperata, eh? ».
Louis se ne stava andando, e con lui ogni speranza di rivdere N in vita. Ogni speranza di vivere.
Doveva pensare a qualcosa.
« Aspetta! ».
Il ragazzo interruppe la sua uscita.
« Cosa c’è, ancora? ».
« S—sei scusato ».
Louis era ancora di schiena. « Come, scusa? ».
« Sei scusato, N. Non importa ».
« Per cosa? » rise, voltatosi « cosa st—».
« Scusato per il valzer ».
Louis sosse la testa. Un movimento impercettebile, in sincronia con i suoi occhi che, per un attimo, uscirono dalle orbite. « Che stai dic—».
« Mi avevi chiesto scusa per il valzer, e l’ho accettata ».
« Scusa? ». Le labbra del ragazzo non sapevano se dispiegarsi in un sorriso o corrugarsi in un’espressione confusa. « Sei delirante ».
« Ciao Hilda. Scusa per il valze » recitò. « Ti amo ed amerò per sempre. X, x, N ».
« Sei mat—».
« È il messaggio che mi hai mandato, poco prima dell’operazione. Mettesti anche due baci, come quel giorno del vocabolario. Ti ricordi, la parola vuoto? ».
« Senti, sei matta… Ciao ».

Louis era sulla soglia dell’uscita.
« Come hai fatto a dimenticarti? » pianse Hilda. « Come… come hai fatto a perdere ogni memoria di noi? La ruota panoramica, il valzer… come hai fatto a dimenticarmi? ».
Non rispondeva.
« Hai… ». Hilda s’inginocchiò a terra. Le lacrime scorrevano, copiose, e bagnavano il cemento sul quale aveva messo piede. « Hai lasciato che Natural ed Hilda morissero. Come… come ti chiesi quel giorno. Spe—speravo in un futuro migliore. Ma forse è meglio così. Non hai più memoria di N, e potrai vivere. Forse ora, troverai pace con te stesso ».
La figura di Louis non avanzava passi.
« Non dirò addio ad N, perché a questo punto dubito che sia rimasto N in te, ma non dirò addio neanche a Louis. Sei… sei uno sconosciuto, per me. Spero tua sia felice ».
Si accasciò a terra e chiuse gli occhi, mentre in sottofondo il rumore dei suoi passi la cullava.

Una scarica solleticò il suo braccio destro.
Uno stridio bruciò nelle sue orecchie.
« Uh? ».
Aprì gli occhi.
Louis era davanti a lei, in ginocchio, e stava colpendo le sue catene con una pietra violacea. La prima era stata spezzata, e si era dematerializzata nell’aria con un lampo. Ora, Louis era all’opera nell’altra.
« Cosa—cosa sta succedendo? Louis… ».
Un sorriso comparve sul suo volto. « Ancora col gioco dei nomi? ».
La secona catena si spezzò, e con un lampo di luce scomparve.
« Co—cosa? Gioco dei nomi? ».
« Forza, alzati » sorrise. I suoi occhi verde smeraldo incrociarono l’opaco castano di Hilda, e fu in quel momento che vide lo scintillio che, tempo fa, l’aveva catturata. Quella speranza che le riscaldava il cuore. N. « Dobbiamo correre ».
« N? ».
« Non mi vedi? » rise.
« Non—non capisco. Louis—».
« Forza! ».
Afferrò la sua mano e corse verso l’uscita.

Mentre correvano, l’unico pensiero di Hilda era N.
Vederlo assiema a lei, al suo fianco, che correva verso la libertà, era la cosa più bella che avesse visto in quegli ultimi giorni. Sapere che il suo N fosse al suo fianco alleggeriva il suo cuore più di qualsiasi altra cosa in quel momento; stava scappando da ciò che le sembrava una condanna a vita ed il suo volto era su ogni telegiornale di Unova, ma nel momento in cui veniva ricambiata uno sguardo da lui, tutto il mondo si fermava. Se solo fosse stato così, pensò. 
Il cielo era di un buio pesto e districarsi nel labirinto di capannoni non fu facile: a guidarli fu una strana luce che proveniva dall’uscita. Una colonna di fumo si ergeva, come la Stella Polare, nel cielo di quella serata. Uscirono dall’hangar e presero a farsi strada nei campi, fra l’erba alta, il vento che accarezzava i loro capelli e l’aria pungente della sera che solleticava la sua pelle. Le stelle erano alte nel cielo, e tutto ciò aveva un che di romantico nella sua mente. 
Certo, non era la sua idea di appuntamento, ma d’altronde era di N che si stava parlando.
La macchina era in fiamme.
Era quella la fonte del fumo.
A quella vista, Hilda cacciò un urlo, mentre N si limitò ad un più calmo « No », ripetuto fino allo sfumare nel vento invernale.
« Come facciamo? » pianse « come… come facciamo? Non abbiamo via d’uscita ».
« Tro—troveremo qualcosa… io e t—».
« NON TI RENDI CONTO! » gridò « Siamo spacciati! ».
Nel giro di pochi secondi, si erano trovati avviluppati l’uno nell’altro. Hilda stringeva fra le sue mani le braccia di Hilda e lui, inerme, la fissava, come ad attendere una risposta dalla ragazza. 
« Non… non so come fare… » commentò Louis, i loro sguardi incrociati « mi dispiace ».
Hilda lo spinse via.
« Non sei N ».
« Cosa—cosa stai dicendo? ».
« Ti ho visto… ho visto i tuoi occhi ». Scuoteva la testa e si rannicchiava su sé stessa, come a trovare riparo dal freddo. « C’è qualcosa… qualcosa di N, in te. Ma non sei N ».
« Sono—sono N! ».
« Sì? Ah sì? » lo incalzò Hilda « allora… allora… dimmi le carte. Cosa dicevano le carte? ».
« Carte? Ti sembra il m—».
« DIMMELO E BASTA » strillò. 
N alzò le mani verso di lei. « Hilda… calma, sistemerò tu—».
« Non ti ricordi, vero? ».
Il suo respiro era affannato ed lentamente la temperatura bassa stava attraversando la sua pelle. Poteva sentire il freddo pungere le sue ossa, come sottili lame che s’infiltravano e la pugnalavano mortalmente. Strinse le braccia su di sé e si allontanò ancora di più dal ragazzo.
« Quando… quando mi hai detto del biglietto, ho ricordato qualcosa. È—è molto confuso, ma ti ho ricordato. C’è ancora moltiss—».
« Qui—quindi non sai chi sono? ».
« So che sei Hilda Baskerville, e che ti amavo… credo ».
Le lacrime continuavano a scendere.
« Non—non mi ami? ». Il suo tono ed il verso che emise pronunciando quelle parole erano molto più vicini ad una risata che ad un pianto, ma, a quel punto, ogni sua emozione era confusa.
« Devo ricord—».
« Basta! Ba—basta. Do—dobbiamo solo tro—trovar—» cadde a terra.
« HILDA! ».
N si gettò su di lei e la raccolse con tutte le sue forze, issando il suo corpo sulle sue spalle. Si avvicinarono al fuoco della macchina, dove avrebbero potuto trovare un po’ di sollievo.

« E così » proruppe una voce maschile « il lupo perde il pelo ma non il vizio ».
Colress e Zinzolin erano apparsi poco lontano da loro. Le loro figure proiettavano lunghe ombre sul cemento, silhouette che, all’apparenza, erano molto più spaventose e possenti delle persone stesse. I due, vicini, sia per abbigliamento che per portamento, potevano essere scambiati per un duo comico.
« Non—non avvici—».
« Smettila, N. Quante volte te lo devo ripetere? ».
« Non serve, Zinzolin. Ora sistemiamo tutto ».
Estrasse dalla tasca una Pokéball ed, in un lampo rosso, fece uscire Gothtithelle.
« No… non lo farò ancora ».
« Sono sicuro che sarà meglio sta volta, N. Dai, forza, lascia Hilda, il suo posto è in prigione ».
« NO! » gridò « non—non la lascerò. Non tornerò mai con voi ».
Zinzolin estrasse una pistola dalla tasca.
« Allora faremo fuori Hilda, così non avrai più ragione di restare ».
« No, no, aspett—».
Uno sparò bruciò nell’aria.
Un foro perfettamente circolare scintillava di rosso vermiglio sul torace di Hilda. In poco tempo uno zampillo di sangue prese a gorgogliare dalla ferita, e le mani di N, che la stringevano fra loro, bagnate di quel denso liquido.
« Gothithelle, Distortozona ».

 
 
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Error 404
« Morta? ».
N si allontanò da lei. 
« Non ti ricordi? ».
Il paesaggio cambiò radicalmente. Ora, si trovava nel parcheggio dell’hangar, Colress e Zinzolin che si avvicinavano a loro due ed N, l’N della visione, che sorreggeva una Hilda altrettanto fantomatica sul terreno.
« Ti ricordi, ora? ».
N, un altro N, stava in parte a lei, ed i suoi respiri erano come sbuffi di aria gelida sul suo collo.
« Non—non è possibile. Non è successo, que—questo, tutto questo, è un so—sogno… ».
Zinzolin fece fuoco alla ragazza, ed Hilda vide il suo stesso corpo ricoprirsi di sangue. 
Il paesaggio cambiò nuovamente.
Si trovavano di nuovo di fronte all’entrata della biblioteca di Nacrene City.
Questa volta, però, N era scomparso: al suo posto era apparsa una Gothithelle.
« Dov’è N? ».
« Ero io, N. Questa è la mia vera forma ».
« Cosa… cosa sta succedendo? ».
« Zinzolin ti ha appena sparato, e sei entrata nel fascio della Distortozona che ha colpito N ».
« Non—non capisco. Sono morta o no? ».
Il tono di Gothithelle non era né felice né triste: aveva tutta l’aria d’essere un robot.
« Non sei morta. Non ancora. In questo momento ci troviamo nella tua mente, dove la Distortozona ti ha intrappolata ».
« Co—come faccio ad uscire? ».
« Non puoi uscire. Sei intrappolata nella tua mente ».
Hilda scosse la testa. « Continuo a non capire. Perché sei qua? Perché sono intrappolata nella mia mente? ».
« È la funzione della Distortozona, amplificato dalla scienza di Colress. Una normale Distortozona modifica le condizioni della battaglia, questo raggiunge la tue mente. Lo scopo era di reprimere N nella mente di Louis, ma nel momento in cui anche tu sei entrata nel raggio di azione ha anche avuto effetto su di te ».
« Questo… questo sarebbe reprimere Hilda Baskerville? ».
« È esatto ».
« E che fine faccio? ».
« In questo momento stai morendo all’esterno dell’Hangar 36 ».
« Che fine ha fatto N? ».
« Non posso rivelarti questo tipo di informazioni ».
« Significa… che ci sono cose che puoi dirmi? ».
« Sono una proiezione di Gothithelle nella tua mente. Puoi chiedermi ciò che vuoi, e se è nelle mie capacità risponderò ».
« Ok ».
Hilda si sedette su una panchina.
« Prima di tutto, posso scegliere io la location no? Tanto è nella mia mente ».
« Puoi dare vita a qualsiasi cosa che la tua immaginazione riesca a creare ».
Gli alberi lungo l’orizzonte si trasformarono in una dolce marea, e la campagna di Nacrene divenne anch’essa nient’altro che acqua di mare. Il cielo si tinse di azzurro chiaro e la torre delle telecomunicazioni colorò di toni bianco panna, sino a trasformarsi in un un faro. 
Davanti a lei comparve un tavolino di legno e la strada che si snodava di fronte ai suoi occhi fu ricoperta di verde.
Una lieve brezza prese a spirare dal mare.
« Ora va meglio. Quand’è che posso svegliarmi? ».
« Non è previsto alcun risveglio per Hilda Claude Baskerville ».
Hilda sgranò gli occhi. « Cosa? ».
« Non è previsto alcun—».
« L’ho capito quello. Cosa dovrei fare, restare qua finché non muoio? ».
« Hilda Claude Baskerville rimarrà repressa nell’incoscio fino alla morte del corpo ».
« Ma non ha senso! ».
Stette lì, con le mani in aria ed uno sguardo che trasudava indignazione dipinto in viso aspettandosi una risposta da Gothithelle.
« Perché non rispondi? ».
« Rispondo a domanda posta ».
Hilda si coprì la faccia con le mani. « Ok, allora. Come faccio ad uscire? ».
« Hilda Claude Baskerville rimarrà repressa nell’incoscio fino a volere contrario ».
« Da parte di chi? ».
« Da parte di chiunque mi comandi il contrario ».
« Chiunque? ».
« Solo a Colress è permesso a comandarmi azioni, in quanto creatore dell’amplificatore ».
« Hai volontà? ».
« Non ho una mia volontà che scavalchi quella di Colress ».
« Ok, ma io, se voglio, posso uscire? ».
« Hilda Claude Bask—».
« Basta con ste cazzate! Posso o no uscire? Ok, anzi, aspetta, aspetta… può Hilda Claude Baskerville uscire? ».
« Hilda Claude Baskerville rimarrà repressa nell’incoscio fino a volere contrario ».
« E se Hilda Claude Baskerville volesse uscire di sua spontanea volontà? ».
« Non è possibile farlo ».
Hilda sospirò.
« Quanto mi manca di vita? ».
« Non è un’informazione che posso rivelare ».
« Quindi lo sai? ».
« Io vedo il futuro. La mia proiezione nella realtà, in verità. So quello che succederà, ma non mi è permesso rivelarlo ».
« Cosa? Sul serio? Sai il futuro? ».
« È esatto ».
« E io… uscirò? ».
« Non è un’informazione che posso rivelare ».
« Ok, ok, va bene. Da te non otterrò niente. Posso parlare con qualcuno? ».
« Puoi creare nella tua mente qualsiasi tipo di persona ».
« Ok, e se voles—».
« Ciao, Hilda ».
Ethan era apparso davanti a lei.

 
 
♦︎ ♦︎ ♦︎

presente – fuori Castelia City – 19/02/13 [19:31]
Un lampo di luce purpurea proruppe dagli occhi di Gothithelle ed investì i due ragazzi, inermi.
Quando la forte luminosità scomparve, Louis emerse dalla posizione fetale in cui si era trovato poco prima per aiutare la ragazza, i suoi occhi che vagavano attorno alla ricerca di qualcosa.
« Louis? ».
Colress fece un passo avanti ed allungò le sue mani verso di lui.
« Forza, vieni con noi. Andrà tutto bene ».
Le mani e le braccia di Louis erano ricoperte di sangue e così i suoi vestiti, dove aveva già seccato sottoforma di crosta. Il corpo di Hilda giaceva, privo di vita e di movimenti, sopra uno specchio di liquido cremisi. Colta in un sonno dal quale non sapeva quando si sarebbe risvegliata, era ammirata dai tre come un sacerdote contemplava una statua votiva nel suo tempio.
« Cosa.. è successo? » mormorò Louis sbigottito.
Colress lo strattonò a sé e gli fece segno di andare da Zinzolin.
« Niente. Dobbiamo andare, è tardi ».
Louis, Colress e Zinzolin, seguiti dal Gothithelle, si allontanarono dalla scena, lasciando la ragazza nel silenzio più totale.

𐌳

Louis osservava il suo riflesso nel bicchiere di thé che Zinzolin aveva preparato poco prima per lui nell’aereo privato. Il suo sguardo oscillava, come un pendolo, da ciò che vedeva nell’acqua sporca e fumante di quel cono ai due uomini, che in quel momento si trovavano ad armeggiare con delle importanti valigie su e giù per lo sportello del velivolo. C’era un tavolino per ognuno di loro, una tv appesa al soffitto ed un minibar dove aveva recuperato un panino.
Teneva ancora la maglietta sporca di sangue, ma ciò che era rimasto sulla sua pelle era riuscito a lavarlo via con l’acqua. Ora si trovava infreddolito seduto su un divanetto a tentare di ricordare il suo passato.
Qualche volta, brevi flash attraversavano i suoi occhi, scene di vita che non ricordava di aver vissuto. Grattacieli, rose, fari… che cosa c’entravano con lui? 
« C’è tutto? » udì provenire dalle labbra di Colress.
« Credo di sì. Tutto quello che avevamo portato con noi è stato trasferito qua… ».
« Dove sono le mie apparecchiature? ».
Zinzolin lanciò un’occhiata alla pila di valigie. « Quali apparecchiature? ».
« Quelle… che N doveva portare ». Rivolse il suo sguardo alla scala che conduceva all’esterno. « Quelle che avevo mandato N a prendere… torno subito, tu intanto sistemati ».
« Non manca un pilota? ».
« Il pilota sono io, caro mio! » esclamò Colress ormai scendendo le scale.

« Quindi » pronunciò Zinzolin « siamo solo io e te. Ti trovi bene qua? ».
Louis asserì.
« Ottimo. Colress è andato a prendere una cosa, appena torna partiamo ».
Si sedette nel tavolino accanto a lui, dalla parte opposta del corridoio, che comunque si trattava solo di qualche metro di distanza, essendo il jet in sé di dimensioni ridotte.
« Mi hai chiamato, Zinzolin? ».
« Sì, N, avevo intenzione di dirti una cosa ».
« Cos’è che non potevi dirmi a telefono? ».
« Ho bisogno che tu interrompa la corrispondenza telefonica con Hilda ».
« Stai bene, Louis? Ti vedo pensieroso ».
Louis portò una mano alla testa.
« Solo… solo un po’ di mal di testa ».
« Là… i tuoi amici… voi avete nascosto tutto! ».
« Voi? Miei amici? A chi ti riferisci? Zinzolin? ».
« Sì… ».
« Potevi dirlo prima! Io e Zinzolin non siamo amici, siamo più… colleghi?, sì, dai, colleghi. Ultimamente le cose non vanno molto bene ma conto di sistemarle al più presto ».
« E cosa… cosa vuoi da me? ».
« Cosa voglio da te? Che domande! Offrirti un accordo! ».
« Ti vedo male, bevi pure il tuo tè, sono sicuro che ti troverai meglio ».
Louis serrò gli occhi. Delle fitte attraversavano la sua testa, e gli era difficile anche solo tenere aperte le palpebre.
« Non è niente male come ultimo ballo, è un peccato che debba finire ».
« Di’ una parola e continuerò a ballare sino a che il mio corpo me lo permetterà ».
« Mi piace pensare che possa essere così. Danzare su questo parquet in eterno, solo noi due, al suono del violino ».
« È questo il tuo più grande desiderio, Hilda Baskerville? ».
« Sai qual è il mio più grande desiderio, N ».

« Io… Ti— ti amo ».
« Ti amo, N. Come puoi essere indifferente a questo? ».
« Va’ da Looker, Hilda… E, Hilda,… ».
« Sì, N? ».
« Non ho mai considerato la nostra relazione un gioco ».

« Digli la verità, N! Digli qual è la verità che tanto agogna il tuo amato ».
« Hilbert—».
« La verità è che non è capace di amare! ».
« N non sarà mai capace di amare, né te né nessun altra persona su questo mondo! ».
« Non è vero, non ascoltarlo Hil—».
« Perché non dovrebbe ascoltarmi, N? Sappiamo entrambi che è così ».

« Non… non ti lascerò andare ».
« Dovrai farlo. Sorridi per me. Forza, Natural Harmonia-Gropius. Un… Un… ultima… volta… ».

« Sei sicura di volerlo fare? Dopo di questo… dopo tutto ciò non sarai più Hilda Baskerville, sarà come se non fosse mai esistita ».
« Neanche Natural Harmonia-Gropius ».
« Allora facciamolo ».
« Baciami, N. Lascia che Hilda e Natural muoiano con questo ».

N si alzò dalla sedia, i suoi occhi illuminati da una luce che non aveva mai conosciuto prima Quando, per spostare il suo corpo in alto, fece forza sul tavolino, il bicchiere di tè sobbalzò e cadde a terra, rovesciando con fragore il liquido bollente sul pavimento.
« Louis? Cos’è successo? ».
« Niente » bofonchiò, e scavalcò la sedia, in direzione dell’uscita.
« Stai cercando qualcosa? ».
« Solo una roba ».
Il suo sguardo corse in direzione dei bagagli che i due avevano portato il momento prima nell’aereo. Era là: la pistola che cercava, l’arma con cui avevano colpito Hilda. Giaceva sulla poltrona, nascosta dal tavolino che la copriva da sopra. 
Si fiondò a raccoglierla.
« Louis, cosa fai? ».
Non rispose.
« Louis? Tutto bene? LOUIS! ».
« Non chiamarmi così, Zinzolin » mormorò infine « non sono Louis ». 
Quando si rialzò, stringeva la pistola in mano.
« Louis, sei impazzito? Metti gi—».
« Sai bene qual è il mio nome. Natural Harmonia-Gropius, ma mi hai sempre chiamato N ».
Il viso di Zinzolin si dipinse di terrore.
« Non—».
« Stai zitto. È da molto, troppo tempo che questa cosa viene rimandata, ed è ora di finirla una volta per tutte ». I due erano in piedi, uno di fronte all’altro, ad un paio di metri di distanza attraverso il corridoio. Zinzolin tentava di indietreggiare, ma lo spazio di manovra era troppo poco anche solo per fuggire. N alzò la pistola. « Anni fa mi facesti scegliere tra Hilbert ed il Team Plasma, e scelsi il Team Plasma. Ora ho cambiato idea ».
Rimosse la sicura.
« N—».
« Addio, Zinzolin ».
Uno sparo bruciò nelle loro orecchie.
Zinzolin fece per allontanarsi, ma non riusci a superare la velocità del proiettile, che lo colpì dritto nel mento, attraversò il suo cervello e fini nel muro dietro di lui. Vide i suoi occhi diventare vitrei e la vita spirare dal suo corpo come cadeva, con il tonfo col quale Hilbert cadde, anni or furono, ed una pozza di sangue si estese attorno a lui.
L’ultimo baluardo del Team Plasma.
Mise la pistola in tasca e scese dall’aereo.

 
 
♦︎ ♦︎ ♦︎

Error 404
« Ethan? ».
« In persona! L’Isola Vittoria, eh? » notò, indicando con lo sguardo il maestoso faro che aveva creato nella sua mente la ragazza. « Dicono che se esprimi un desiderio al faro, Victini lo realizzerà. O forse era in un altro posto? Non ne ho idea, non te lo ricordi mai ».
« Come—come hai fatto? ».
« Sono nella tua mente, Hilda. Nel momento stesso in cui hai pensato di chiamarmi, sono arrivato ».
Ethan era in piedi, davanti a lei, il suo ciuffo castano mosso dalla brezza che spirava. Era vestito come il giorno prima, che il tempo bagnasse i suoi vestiti di sangue e tumefacesse il suo viso.
« Devi—devi aiutarmi ».
« A fare cosa? ».
« Non lo capisci? Sono intrappolata qua! Ne—nella mia testa! ».
Il ragazzo si avvicinò, e nelle sue mani comparse improvvisamente un mazzo di rose. « Non serve. Rimani qua, con me. Saremo felici ».
« Non lo saremo » scosse la testa lei « noi— tu non esisti. Sei solo una proiezione della mia testa. Ethan… è morto ».
Prima che se ne accorgesse, il suo braccio destro era stretto nella morsa della mano del castano. « Eppure sono vivo! ».
« È—è una proiezione. Non sei reale ».
« Finché rimani qua, lo sono. E lo sarò per sempre ».
« Se morirò, non ci sarà nessun per sempre ».
Il volto di Ethan si rabbuiò.
« Non c’è proprio niente che possa fare, eh? ».
« Puoi aiutarmi a fuggire da qua ».
Sospirò. « Sei sicura di volerlo fare? ».
Hilda asserì.
« Se è quello che Hilda vuole, va bene ». Volse il suo sguardo a Gothithelle, che era rimasta per tutto il tempo nella stanza. « C’è un modo per uscire, Gothithelle? ».
« Hilda Claude—».
« Non Hilda. Qualcuno, qualsiasi persona… come si fa ad uscire? ».
« Il mio compito è quello di reprimere Hilda Claude Baskerville in questo corpo. Chiunque, che non sia Hilda Claude Baskerville, può uscire ».
« Gliel’avevo già chiesto » lo incalzò Hilda « è come un disco rotto ».
Ethan si avvicinò a Gothithelle. « Gothithelle, come può, questa persona, uscire? ».
« Se viene riconosciuta come non Hilda Claude Baskerville, sarà fatta uscire ».
« Qui—».
« Aspetta, Hilda » la interruppe lui. « Gothithelle, posso uscire io? ».
« Tu sei Hilda Claude Baskerville. Sei una proiezione della sua mente ».
« Eth—».
« Aspetta, ancora una cosa. In base a cosa vedi se una persona è Hilda Claude Baskerville o no? ».
« Il mio compito è di reprimere i ricordi di Hilda Claude Baskerville. Se i ricordi di una persona corrispondono ai ricordi di Hilda Claude Baskerville, quella persona viene repressa ».
« Quindi se trovi qualcuno che non ha i suoi ricordi, che non è lei, la fai uscire? ».
« È esatto ».
Lo sguardo di Ethan corse verso Hilda. « Hai sentito? ».
« Sì, cioè » Hilda scosse la testa « non ho capito. Come facc—».
« Erika Joy! Fai uscire lei! ».
« Che? ».
« Crea, ora, una copia di Erika Joy. La stessa persona che eri tu, Erika, prima che io venissi da te. Prima di quel fatidico incontro ».
« Non ha sen—».
« Provaci! Provare—provare non costa nulla ».
Hilda abbassò lo sguardo. E se Ethan avesse avuto ragione? Onestamente, non sapeva cosa avrebbe fatto. Ma non fare niente, ragionò, era altrettanto inutile. Al solo pensiero, di fronte a lei apparse Erika Joy.
« Gothithelle » esordì Ethan « lei va bene? ».
« Dove sono? » mormorò la giovane. « Cosa ci faccio qua? ».
« Lei non è Hilda Claude Baskerville. I suoi ricordi non corrispondono ai ricordi di Hilda Claude Baskerville ».
« Erika, ascoltami, ho bisogno che tu faccia una cosa ».
« Tu chi sei? E per—».
« Non c’è tempo! Ascoltami » Hilda afferrò le sue spalle e la scosse. « Ascoltami molto bene. N— Louis, è in pericolo. Devi andare a salvarlo. Dirigiti verso il capannone dove ero prima… gira a sinistra uscita dal primo capannone, vai avanti, ed entra nel quarto a destra. Se non sono là… non so dove siano. Ricord—».
Lo sguardo di Gothithelle si illuminò. 
Un lampo spazzò via sia Ethan ched il Pokémon ed Hilda, per un attimo, perse i sensi.

 
 
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presente – fuori Castelia City –18/02/13 [20:02]
Erika aprì gli occhi.
Un telo blu scuro si estendeva oltre le possibilità visive dell’occhio, e, così come un manto di velluto, era trapuntato di stelle: migliaia di puntini luminosi che scintillavano nel buio della notte. Un leggero vento accarezzava la sua pelle, e delle scariche di acuto dolore si diffondevano nel suo corpo dal ventre.
Quando fece per portare la mano alla pancia, notò la ferita da fuoco ed il sangue che n’era uscito.  
Gridò.
Era confusa, sia sul luogo in cui si trovava che su ciò che era successo: per qualche strano motivo, non riusciva a ricordare niente.
Poggiò le mani a terra e spinse contro il cemento per alzarsi sulle ginocchia, e da lì a fatica si mise in piedi. 
Avanzò un passo. 
Ogni movimento bruciava nelle sue ossa e provocava in lei fitte di dolore inimmaginabili.
« Ascoltami molto bene. N— Louis, è in pericolo. Devi andare a salvarlo ».
« Eh? » mormorò. « Cos’è che era? ».
« Dirigiti verso il capannone dove ero prima… gira a sinistra uscita dal primo capannone, vai avanti, ed entra nel quarto a destra ».
« Qua—quarto a destra? ».

𐌳

Se i suoi calcoli erano esatti, il luogo che ricordava nella sua mente era quello dove lei, Erika, aveva appena messo piede. Il capannone era vuoto, fatta eccezione per dei tavoli da lavoro lungo i lati destro e sinistro, ricoperti di attrezzi. Una valigietta di medie dimensioni scintillava alla luce della luna poco avanti a lei. 
Fece qualche passo e si avvicinò al lato sinistro, sorretta anche dal tavolo, quando sentì un rumore di passi avvicinarsi. 
Si chinò e nascose sotto il piano di legno.
Non riusciva a vedere chi fosse entrato.
Poco dopo, un altro rumore si unì a quello.
Sporse il suo viso per vedere cosa stesse succedendo; mentre l’uomo di prima era impegnato davanti al tavolo, all’entrata era baluginato un ragazzo che lei riconosceva. 
Quando lo vide meglio, sussultò: era Louis.
« Zinzolin, che c’è? » borbottò Colress.
Louis non rispose.
« Zin… » fece, come si voltò « …zo— Louis? ».
« Zinzolin mi ha chiesto di prendere una cosa ».
« Mi sembra strano, ho già tutto io ».
N si guardò attorno.
« Uhm, voleva chiamarti in realtà ».
« Sei sicuro? E perché ha mandato te? ».
« Io… doveva finire qualcosa ».
« Ah sì? ». Sul volto di Colress comparve un sorriso. « Molto bene. Vieni qua, c’è una cosa che devo dirti ».
N, lentamente avanzò dei passi verso di lui. 
« Cosa c’è? ».
« Vedi questa cosa Louis? Qua ». 
Colress indicò uno spazio vuoto sul tavolo.
« Ahem… credo—».
Louis fu scaraventato a terra. 
Prima che potesse accorgersene, lo scienziato aveva impugnato la valigietta ed usata come sfollagente per mandare al tappeto il ragazzo, che come cadde rivelò la pistola nella sua cinta. 
Colress posò la valigietta a terra.
Il suo sguardo corse nuovamente sul piano di lavoro, e si fermò su un scintillante segmento acciaio. La sua mano si affrettò a raggiungere l’impugnatura ed il momento dopo era là a dondolare il coltello in aria.
« Cosa pensavi di fare, Louis? ».
« N—niente ».
Lo scienziato alzò il piede destro e spinse il ventre giù.
N cacciò un urlo di dolore.
« Cos’è questa? ». Abbassatosi per raccogliere la pistola la gettò dietro di sé « Non ci servirà più ».
Erika, da quell’angolazione riusciva a vedere tutto ora che i due si erano spostati ed il ragazzo finito a terra.
Vedere un uomo sconosciuto agitare un coltello contro Louis aveva fatto partire il suo cuore  a mille. Il dolore che provava, le fitte che infestavano il suo ventre, erano impercettibili in quell’istante. Tutto ciò a cui pensava era come mettersi in salvo. Sarebbe riuscita a salvare Louis?
Lentamente si mise con tutti e quattro gli arti per terra e gattonò fuori dal tavolo, in direzione dell’arma che giaceva ad un metro di lei. 
« Ah, l’amore… un gioco a cui hai già perso, N. Deduco a questo punto di star parlando con N, no? Cosa posso— uh? ».
Portò indietro la spalla sinistra e la schiena ruotò sull’asse delle sue gambe. La mano destra continuava a puntare il coltello verso N, ma i movimenti che compiva il suo busto erano sempre più rivolti verso ciò che accadeva dietro di sé. Quando finalmente, voltò anche il viso, Hilda capì che era il momento per entrare in azione: si fiondò con tutte le sue forze sulla pistola, e la impugnò salda fra le mani.
« Hild—».
Alzò la canna verso di lui.
Colress non fece in tempo a girarsi completamente che colpì la sua spalla destra, portando il suo corpo a cedere per un attimo, e, mentre ancora si reggeva in piedi, sparò un altro colpo al petto. Lo fissò dritto negli occhi, nei quali riconobbe la persona di Joe, come il suo cadavere privo di vita si accasciava al suolo ed i suoi occhi si spegnevano.
« HILDA! » chiamò N « cosa ci fai qua? ».
« Lou? Io—io—» tentò di alzarsi « io… ».
Fece per cadere, ma i ragazzo corse a raccoglierla. La pistola cadde dalle sue mani e scivolò a terra.
« Va tutto bene, Hilda. Mi ricordo ».
« Di co—cosa parli? Ricordi? Dove mi trovo, Lou? ».
« Non… non ricordi? ».
Erika scosse la testa.
« Cosa dovrei ricordare? Perché sono qua? ».
Gothithelle.
« Cerca di ricordare! Non—non puoi dimenticare, Hilda! Il valzer, ti ricordi il valzer? ».
« Valzer? Di cosa parl—».
La ragazza cedette al suolo.
La ferita che aveva sul ventre si era riaperta, ed il sangue aveva ripreso a scorrere.
« HILDA! ».
Fu solo in quel momento che si rese conto di ciò che stava accadendo tutt’attorno: un assordante sirena squillava nell’aria ed un plotone di uomini armati aveva fatto breccia nell’hangar.
N stava rialzandosi quando fu accerchiato da guardie, e davanti ai due amanti apparse la faccia di Looker.
« Distretto di Polizia di Castelia City! ».

 
FINE PARTE II

PARTE III

[“And Let Me Die”]
 
O happy dagger,
this is thy sheath.

There rust: and let me die
(William Shakespeare; Romeo and Juliet)

presente – Castelia City – 27/02/13
10:21 AM
Sconosciuto
Incontrami all’incrocio fra la ventiduesima e Mode Street per le 5. So del Team Plasma.

Looker sedeva in un tavolino ed osservava il traffico davanti a sé.
Le sue mani tamburellavano sui suoi vestiti ed i suoi occhi correvano alla ricerca di ogni fonte sonora non appena il minimo rumore fosse stato captato dalle sue orecchie. Aveva scelto una posizione per cui, casomai qualcuno arrivasse, non sarebbe stato colto di sorpresa.
Con la mano sinistra, stringeva da sopra la giacca la pistola che aveva incastrato nella cinta.
Erano appena le 4:58 quando vide un ragazzo avvicinarsi, stringendo una strana valigietta in mano.
« N? ».
Il ragazzo levò i suoi voluminosi occhiali da sole dagli occhi e li inforcò nei suoi capelli verdi. « Looker! Che piacere vederti ».
« Pensavo non avessi più il coraggio di farti vedere qua, a Castelia ».
N sorrise.
« Alcune persone sono senza vergogna. Posso? ».
Senza ottenere una risposta, si sedette.
« Sai, pensavo che fossi stati tu a mandarmi quel messaggio ».
« Il tuo sesto senso, uh? Deformazione professionale, suppongo… ». Afferò la lista delle bevande e la sfogliò « Già ordinato? ».
Looker strinse i denti. « Non so che idea tu ti sia fatto, ma non ho tempo da perdere. Ho un processo da portare avanti ».
« Capisco, capisco. Sai come si chiama questo bar? ».
« Non ne ho la più pallida idea » recitò, con fare quasi orgoglioso.
« Si chiama Bar Grandangolo. E sai cos’è successo? ».
« Felicemente all’ocuro ».
N sorrise. « Mi sa che hai ragione. Non è successo nulla di importante. Questa… questa situazione, mi ricorda molto il nostro primo incontro. Quando ti offrii quell’accordo, no? Per molti versi è simile ».
Issò la valigietta dal terreno, e dal modo in cui lo fece Looker poté vedere che fosse piuttosto pesante, e la gettò sul tavolo con un tonfo sordo. Inserì qualche numero all’interno del lucchetto, per poi vederla aprire con un clangore meccanico davanti ai suoi occhi.
« Ma ora, penso che tu voglia parlare d’affari. Ho delle cose che ti possono interessare » sorrise « questo, questo e quest’altro ».
Sul tavolo erano allineati tre oggetti molto differenti tra loro: una scatola nera, un plico di fogli ed un telefono.
« E come mai? ».
« Vedi » fece, indicando la scatola nera « in questo hard-drive ci sono tutte le registrazioni e le foto prese dalle telecamere di sorveglianza dell’edificio del Team Plasma nel quale hai incontrato Ryoku e Colress ».
Looker rise.
« Non so di cosa tu stia parlando. Ed anche se fosse, dubito che tu abbia qualcosa ».
« Come preferisci » continuò, esibendo il suo solito sorriso « in quest’altro, invece, ho stampato per te ogni documento che Ryoku, Colress e Zinzolin hanno manipolato per incastrare Hilda e che tu hai, molto felicemente, accettato come prova per supportare il tuo caso ».
« Cosa caz—».
« Aspetta! Qua viene il bello! In questo piccolo telefono, invece, c’è la tua confessione! ».
« Sei delirante ».
« Io credo che l’opinione pubblica abbia un’idea diversa ».
« Non mi credi? Se vuoi portarteli a casa! Ho fatto delle cop—».
« Ok, addio ».
Looker spinse il tavolino e si alzò, facendo per andare.
« Ho già mandato tutto alla stampa » commentò N « pensavo ti facesse piacere saperlo, quando tutta la stampa di Castelia City sarà da te a chiederti cosa ci fa il più—».
A quelle parole, il detective si gettò su di lui e lo spinse a terra.
« Non—non serve che mi ringrazi ».
« Sei solo un bastardo. Non ho mai voluto tutto ciò. Non ho mai chiesto di cominciare una stupida indagine per la morte di Shauntal, non ho mai cercato di andare dietro l’uomo più potente di Castelia, e questo è il risultato! Hilda è colpevole » pronuncio l’è con particolare accento « se non altro di avermi rovinato la vita, e io me la sto riprendendo. E se a te dà fastidio, tanto meglio. Non fosse stato per te, non sarei mai finito qua ».
N si aggrappò alla sedia e si alzò. Ritornò al tavolo e raccolse il telefono da là, per poi mettersi a scriverci qualcosa sopra.
« Cosa stai facendo? ».
« Sai cos’è successo in questo bar? Nel Bar Grandangolo, alle cinque del pomeriggio del sedici ottobre 2011, Hilda Baskerville ha accettato il mio patto, e con esso la sua vita è stata rovinata per sempre. Ora, oggi ventisette febbraio 2013 alle cinque in punto, sto mandando tutto ciò che mi hai appena detto alla stazione di polizia di Castelia City. C’è qualcosa di poetico in tutto ciò, no? ».
« Razza di cogl—».
« Alt! Alt » sorrise N, il braccio sinistro che teneva Looker lontano da lui ed il destro che digitava sul cellulare « guardati attorno: siamo circondati da giornalisti, che aspettano solo una mossa falsa. Hai finito di vivere. Anche se questo può non bastare per scagionare Hilda, le prove che hai uno scopo personale nell’incarcerarla metteranno in dubbio l’intero processo agli occhi della regione, e con queste altre prove,  tutto ciò che hai costruito finirà. Addio, Looker ».
Mise il telefono in tasca, inforcò gli occhiali da sole sul naso ed uscì di scena, mentre il detective fissava l’orda di giornalisti che, in quell’esatto momento erano appparsi tutt’attorno.

𐌳 𐌳 𐌳

diary – Castelia City – 23/10/13 
Ho deciso che scriverò un diario.
Oggi Hilda è tornata finalmente a casa, ed hanno chiuso una volta per tutte il processo a suo carico.
L’avvocato diceva che, finché non avessero messo la parola fine a questa faccenda, era meglio che non ci vedevamo… ero così contento di vederla. Purtroppo, non ricorda ancora niente.
Credo che siano ancora gli effetti di Gothithelle.
Quado finiranno?
Alcuni momenti ho paura di non rivederla mai più. È per questo che devo restare con lei.

Ed è per questo che ho cominciato un diario.
Voglio monitorare i suoi progessi.
Alla prossima pagina, quindi.

N

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presente – Castelia City – 14/12/13
« E così sei stata trovata innocente, vero? ».
Erika fissò intensamente Judith, una lacrima che scese lungo la sua guancia.
« Esatto ».
La donna allungò la mano verso la sua mano e la strinse forte. « Sei una donna molto forte, Erika, un esempio per tutte noi. Nessuno… nessuno può immaginare quello che hai passato ».
« Grazie, Judith, ma devo dire che se non fosse stato per il mio Lou non credo che ce l’avrei fatta ».
« Grazie anche a te, allora, Louis! Per averci riportato sana e salva la nostra Erika a casa ».
La telecamera inquadrò un imbarazzato N, e la sua risposta fu quella di esibire un imbarazzato sorriso al cameraman.
« Cosa ne dite, ragazze? Non trovate che la loro storia sia bellisima? ».
Il pubblico esultò in grida di gioia.
« Come? Non ho capito bene! Fatevi sentire, pubblico del Judith Shallow Show! ».
Questa volta la furia fu maggiore e diede quasi fastidio alla ragazza sentire quelle persone urlare il suo nome dall’altra parte del palco. Sorrise comunque, confidando nella fine di quel tour de force.
« Erika, dimmi, ora che farai? Ti sei già ripresa dal processo? ».
« A essere onesta, dopo che fu scoperta la conspirazione di Looker Barkins è stata praticamente un strada in discesa. Ho apprezzato molto che tu abbia sempre tifato per me anche qua, sul programma ».
« Non c’è di che, Erika! Pubblico fatevi sentire! ».
Le persone sugli spalti tornarono a gridare.
« Dicevamo, comunque, hai qualche posto di particolare dove andare? ».
« In realtà sì » sorrise Erika. Allungò la mano destra a Louis, e la strinse. « Io e Lou abbiamo deciso di trasferirci ad Alola, vogliamo cambiare aria ».
« ALOLA? » starnazzò Judith « questo è FANTASTICO! Vero, pubblico? ».
Il pubblico esultò.
« Possiamo sapere qualche dettaglio in anticipo? ».
« In realtà non sappiamo bene neanche noi. È da un po’ di tempo che volevo cambiare aria e sai, tra una cosa e l’altra, ho pensato che Alola fosse la regione ideale. Non abbiamo idea dove ci fermeremo, gireremo un po’ finché non troveremo il nostro piccolo angolo di paradiso… vero Lou? ».
« Verissimo » sorrise N.

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diary – Mele Mele Island; Hau’Oli – 12/01/14
Caro diario, 
siamo ufficialmente ad Alola. Ci siamo sistemati in un piccolo hotel che dà sul mare ed ora Hilda sta facendo il bagno al tramonto. Credo che mi unirò, fra poco. È bello poter andare in giro per una città senza che le persone ci fermino perché ci hanno visto sui giornali. Qualcuno la riconosce, o la fissa, ma va bene.
Mi accontento.
Credo che Hilda abbia avuto dei flash della sua vita, oggi. Stavamo leggendo un giornale.
Speriamo che si insefichino.
Per ora mi sto divertendo.

N

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presente – Akala Island; Kantai – 13/07/15
Erika uscì dal camerino sfoggiando un abito rosso fuoco. Era sorretto tramite due sottili spalline ricoperte di fiori e si snodava dal seno alle ginocchia con motivi floreali su di esso. Fece una ruota su sé stessa come arrivò davanti ad N, emozionata per la conquista in fatto di moda.
« Ti piace, Lou? ».
« È… carino ».
« Come carino? ».
« È molto bello, ok ».
Erika sbuffò.
« Sei sempre il solito ».
Ritornò in camerin col broncio dipinto sul viso.
« Ehi! Erika, aspetta! ».
La sua testa sbucò fuori dalla tendina. « Che c’è? ».
« Senti, scusa,  è che sti giorni… non lo so ».
« Ti stai stufando di Alola? ».
« Non è questo! È che… stiamo facendo tutti i giorni la stessa cosa. Spiaggia, shopping, spiaggia, shopping, spiaggia, shopping… ».
« Non è quello per cui siamo venuti ad Alola? »
« No! Io… ».
« Cosa, Lou? Alcune volte mi sembra che tu non voglia neanche me! Non sei mai felice, e quando lo sei non dura niente! È come se non volessi stare con me! » e richiuse la tendina davanti a sé.

« Forza, Lou! Quelle valigie non pesano neanche tanto! ».
N uscì dalla boutique stringendo due pesanti sacchetti di cartone fra le mani. Vestiti e cappelli d’ogni tipo straripavano da quei contenitori, tanto che doveva fare i salti mortali per riuscire a portarli integri sino alla macchina.
« Erika! Erika! ».
« Che c’è? Devi lamentarti ancora? »
« Erika—» pronunciò ansimante « devo— anf, dirti una— anf, cosa ».
Poggiò i sacchetti a terra.
« Cosa c’è? ».
« Devo… dirti una cosa ».
N s’inchinò.
« Erika Joy, vuoi sposarmi? ».

 
𐌳 𐌳 𐌳

diary – Akala Island; Kantai – 02/07/15
Caro diario,
oggi ho scoperto che nell’hotel dove stiamo celebrano matrimoni.
Non so cosa fare con Hilda… passano i giorni e lei non si ricorda niente, ed anzi, mi sembra che peggiori quasi. Della ragzza che conoscevo non rimane più l’ombra. Non so se ce la farò per molto così, ancora.
Penso… penso che ci sposeremo. Ho in mente di fare qualcosa di speciale, per farle ricordare.
Spero che funzioni.

N
 
𐌳 𐌳 𐌳

presente – Akala Island; Kantai – 22/08/15
« Erika Joy, vuoi accogliere Louis Bloomfield come tuo sposo, promettendo di essergli fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarlo e onorarlo tutti i giorni della tua vita, finché morte non vi separi? ».
Le lacrime coprivano tutto il viso di Erika.
« Lo voglio » affermò. 
Il funzioniario della celebrazioni chiuse il tomo che reggeva nelle mani e lo posò sul leggio di plastica davanti a lui. Porse una penna ed un foglio da far firmare ad N, il quale, scritto ciò che doveva scrivere, lo passo ad Erika. L’uomo, nell’attesa che i da-poco-sposi finissero, aveva tirato fuori il telefono e stava digitando qualcosa su di esso.
« Abbiamo… finito ».
« Uh? ». Alzò lo sguardo dal cellulare. « Ok, poggiala là. Vi nomino marito e moglie. Può baciare la sposa ».
Erika saltò di gioia nelle braccia di N, lanciando il bouquet di fiori tropicali in aria. Esso volteggiò su sé stesso un paio di volte, per poi cadere ad una decina di metri dall’altare, e per l’impatto il nastro si sciolse, liberando l’intera composizione floreale sulla sabbia.
Le due persone che osservavano la celebrazione, dalla penultima fila delle panchine, applausero per qualche secondo.
Un rumore di campane provenì dalle casse stereo che erano poste ai lati della navata.
« Bene, pausa di venti minuti al buffet » gracchiò la voce del funzionario dagli speaker « i prossimi sono Mark Dempsey e Jenny Prat ».
L’uomo quindi si allontanò dal microfono in direzione del buffet in riva al mare.
« Siamo sposati! Non è fantastico? » annunciò N.
« Sì… credo. Non è un po’ brutto sposarsi qua? ».
« Scherzi? Ci siamo sposati in riva al mare, abbiamo anche un pantragruelico buffet che ci aspetta, musica… ».
« Lo so, Lou, ma mi aspettavo che qualcosa di più! Non c’era nessun al nostro matrimonio, ed è stato celebrato dal facchino dell’hotel! ».
« E con ciò? Siamo comunque marito e moglie! ».
Erika guardò in basso. « Suppongo di sì. Buffet? ».
« Certo! Sto morendo di fame ».

« Louis Bloomfield » sorrise N al funzionario.
Si erano trovati solo loro a tre a mangiare al buffet, nonostante qualche saltuario cliente dell’hotel passasse ogni tanto a rubare qualche pezzo di torta o frutto nello scaffale dei dolci. I tavolini erano stati posti a mezzaluna ad affacciarsi su una piccola spiaggia privata, nella quale una scala conduceva al piccolo altare ed alle file di sedie di plastica che componevano lo spazio per celebrare i matrimoni.
L’uomo stringeva nelle mani una fetta di torta nuziale. 
« Mpf? » rispose confuso. 
« Sono quello che ha appena sposato.
« Ah! Mpf—ok. Ogni tanto viene qualche ospite dell’hotel e devo mandarli via ».
N sorrise. « Volevo solo ringraziarla per quello che ha fatto ».
« Oh—mpf, non è—mpf, nien—mpf niente ». Mise un altro boccone nelle proprie fauci. « Mpf— mmm, mpf—voi? ».
« Cosa? ». Il ragazzo era confuso.
« Mpf… mmm… il cibo, lo pagate voi, no? ».
N asserì.
« Ok, ottimo. Ci vediamo! ».
Gettò il piatto di plastica nel cestino, afferrò una bottiglia di vino dal frigobar e risalì le scale dell’altare, tornando dentro l’hotel. N fissò i suoi movimenti con uno sguardo indispettito, ma non poté metabolizzare le sue emozioni che vide Erika apparire nel suo campo visivo.
« Erika? ».
« Lou! Cosa facciamo, ora? Ho—mpf—ito l’insalata di riso ».
« Che? ».
Erika deglutì. « Dicevo, ho fnito l’insalata di riso ».
« Oh! Vuoi ballare? ».
« Ballare? Certo! » si guardò attorno. « Dov’è la musica? ».
« Vado… vado io ». Estrasse il suo telefono ed andò in direzione del mixer, dietro l’altare delle celebrazioni.
Poco dopo, una dolce melodia si diffuse nell’aria, come N riscendeva le scale che portavano alla spiaggia.
« Che canzone è? Mi sembra… mi sembra di averla già sentita ».
N sorrise. « Si chiama Suite per Orchestra Jazz no. 2 ».
« Oh… ». Erika aveva uno sguardo confuso. « penso di essermi confusa ».
Il ragazzo infilò le sue braccia sotto quelle della giovane e le alzò, in posizione di ballo.
« Chi lo sa? Magari, in un’altra vita ».
« Certo » rise lei « comunque, cosa dovrei fare? Non so ballare ».
« Sai, prima di conoscerti, conoscevo questa ragazza. Era molto tempo fa… » Avanzò un passo in avanti, ed Erika assecondò i suoi movimenti. « Neanche lei sapeva ballare ».
« E? ».
Senza preavviso N portò due passi indietro, e la ragazza, colta di sorpresa, fece fatica a seguire. Incespiscò sui suoi piedi.
« Seguì i miei passi ».
« È—è quello che sto facendo, ma vai troppo veloce ».
« È il ritmo del valzer ».
« Hai mai ballato il valzer? ».
« No, non credo di averlo mai fatto » ribatté imbarazzata « nei miei sogni, magari ».
« Credi di esser capace di assecondare i miei movimenti? ».
« Se tu sarai capace di farmeli assecondare ».
Erika si perse a guardare il vuoto.
« Erika? Erika? ».
« Uh? Oh, scusa ».
« Cos’è successo? ».
« Niente » scosse la testa « andiamo avanti ».
N la fissò dritto negli occhi. « Dimmi, qualsiasi cosa fosse ».
« Ti giuro, non è nient—».
« Non te la cavi male ».
« Ho un ottimo maestro ».
« Allora promettimi di dargli un bacio non appena lo vedrai ».
« Sarà fatto ».
Erika si fermò, di punto in bianco.
« Erika? ».
Scosse la testa. « Cosa c’è? ».
« Ti sei fermata ».
« Scusa… ricominciamo ». Alzò le braccia in direzione di N e le richiuse nella morsa. « Dai, continuiamo ».
N proseguì in avanti. « Cos’è successo? ».
« Niente ».
« Non è nient—».
« Basta, ok? ».
« Erika, dimmelo! Non ti sto chiedendo nient—».
« BASTA! ».
Erika spinse N via da lei. « Che problemi hai? ».
« Non… non dire cos—».
« Se non voglio dirtelo non voglio dirtelo, ok? Smettila di chiedermelo ».
Rivolse la schiena al ragazzo e si allontanò, in direzione delle scale.
« Aspetta! As—aspetta… Hilda ».
Erika si fermò.
« Cosa? ».
« Asp—».
« Ho sentito. Come mi hai chiamato? ».
« Hil—Hilda ». Un sorriso riscaldò il viso di N. Qualcosa si era sbloccato.
« Perché mi chiami così? » fece. Si voltò. « Eh? Che cazzo di nome è? ».
« Attenderò con ansia il giorno in cui potremmo ballare insieme, Hilda. Non ora, non domani, forse mai. Sino ad allora, non passerà un giorno in cui non vorrò danzare ancora con te » recitò.
Lo sguardo di Erika si perse nel vuoto.
« Hilda… ». Avanzò un passo in direzione della ragazza, che in quel momento aveva abbassato il capo. Sembrava fosse vittima di una sincope. « Senti… ».
Hilda alzò lo sguardo. 
« N? ».
Una lacrima corse lungo la guancia di N. « Sì, Hilda. N ».
I due corsero fra le braccia l’uno dell’altro, ed una volta abbracciati cercarono per le rispettive labbra. Si unirono in un lungo bacio, i loro volti colmi di lacrime.
« N… ».
« Hilda! Non—non sai da quanto tempo ho sognato questo momento ».
Hilda si staccò per un attimo. « Cosa— cosa è successo? Dove siamo? ».
« Ad Alola. Ci siamo appena sposati! ».
Il suo sguardo scese in basso, ai loro vestiti. N indossava un completo bianco, il medesimo completo che aveva indossato la notte della cerimonia alla festa di Zinzolin, mentre la ragazza era avvolta in un corpetto bianco che scendeva in svariate balze fino al terreno. Quando guardò in alto, invece, notò il mare davanti a sé che si estendeva oltre lo sguardo.
« Sembra… sembra un sogno ».
« Non è un sogno! È la realtà, Hilda! Tutto questo… è la realtà ».
Hilda inarcò le labbra in un sottile sorriso, mentre si scostava le lacrime con la mano.
« Non pensavo che saremmo mai riusciti a farlo ».
« Fare cosa? ».
« Essere… felici ».
Saltò in punta di piedi e raggiunse le sue labbra, dove nuovamente scoccò un altro bacio.
« Ora cosa facciamo? ».
« Quello che vogliamo! Sei libera, Hilda, e nessuno ti insegue più. Abbiamo il mondo nelle nostre mani ». Cercò lo sguardo castano dei suoi occhi, ma la sua attenzione era catturata da qualcosa di non ben precisato. Afferrò le sue spalle e la scosse, senza però avere effetto. Hilda non compieva movimenti. « Hilda? Hilda? Rispondimi! ».
Scosse ancora, più volte, e diede un ultimo bacio, nella speranza di una risposta, ma tutto ciò che ottenne fu una fredda indifferenza.
« HILDA! HILDA! ».
« Cosa… cosa c’è? ». Erika alzò lo sguardo. « Cosa c’è che gridi, Lou? ».
Sul viso di N era dipinta la faccia del terrore.
« È… è successo qualcosa? ».
« Erika? ».
« Certo che sono io! Chi ti aspettavi? ». Passò la mano sul viso, e con sua grande sorpresa la vide umida. « Perché stavo piangendo? ». 
Rise.
« Lacrime… di gioia, suppongo » commentò atono N.
« Già, già. Ora possiamo tornare in camera? Perderemo Life of Elesa! ».
N la fissò allontanarsi dalla spiaggia mentre lei urlava il suo nome, Louis.
Si asciugò la faccia dalle lacrime e risalì anche lui la scala.

 
𐌳 𐌳 𐌳

diary – Akala Island; Kantai – 22/08/15
Caro diario,
è finita. Oggi… oggi ho finalmente potuto parlare con Hilda, per l’ultima volta.
Abbiamo ballato il valzer, il valzer che le avevo promesso quattro anni fa, nella spiaggia dell’hotel. Certo, non è il palazzo di Zinzolin, però è stata una bella esperienza.
Non credo che riuscirò più a risvegliare Hilda, ormai ho provato con tutto. Qualsiasi microscopica possibilità che avevo, con lei, è finita. È bruciata.
Non so co

« … sa fare più, ormai. Restar— no, restare no, rimanere con Erika non vale più— no, no… non ha più senso. È come rimanere con uno Sigilyph— ma che cazzo dico? No… è come rimanere con un fantasma— no, neanche così! ».
N afferrò la pagina dal diario e la strappò in un colpo solo, dopodiché la appallottolo e la gettò nel cestino della camera.
Gettò la sua schiena sullo schienale imbottito.
Che ci faccio qua? pensava, in continuazione ed in continuazione. Più spendeva del tempo con Erika e più l’idea di star buttando anni della sua vita al vento prendeva piede in lui. Sapeva che la sua Hilda era ancora là dentro, in fondo, da qualche parte, ma bastava? L’amava così tanto da rimanere a sorvegliare la sua carcassa? Il suo involucro? È quello che aveva fatto per i passati quattro anni. Star dietro ad Hilda, star dietro ad Erika, poi, per un breve momento, di nuovo dietro ad Hilda, per poi riprecipitare nel baratro che era Erika.
Si alzò.
A passo felpato attraverso la stanza, il diario stretto fra le mani, ed innescò l’accendino. Una blanda fiamma illuminava la camera quella sera, mentre Erika dormiva sonni tranquilli nel letto matrimoniale accanto. Uscì nella terrazza, avvicinò le pagine del libro alla fiamma e lasciò che essa prendesse fuoco. Mollò la presa di essa sopra il portaombrelli che stava la fuori e rientrò. 
Aprì la sua valigia: la sacca contenente i soldi era ancora nascosta nel doppiofondo. La tirò fuori, estrasse qualche mazzetta da essa e la poggiò sul comodino di Erika.
Raccolse dei vestiti che aveva pulito quella mattina e li buttò dentro la valigia, la richiuse ed uscì.

 
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presente – Akala Island; Kantai – 23/08/15 [8:47]
Erika aprì gli occhi.
Mormorò qualcosa di indistinto dalle sue labbra, dopodichè trascinò il suo corpo dall’altra parte del letto, alla ricerca di Louis. Quando allungò il braccio verso suo marito, tuttavia, non trovò che il vuoto.
Isssò su la schiena e guardò nuovamente il letto, constatando come fosse effettivamente vuoto di Louis. 
« Lou? » chiamò.
Il suo sguardo corse all’orologio.
8.47.
« Lou? Dove sei? ».
Gettò il suo corpo di nuovo a letto per un attimo, fino a che la sua mente non metabolizzò un pensiero che la fece tremare da testa a piedi.
Si rialzò, veloce come si era lasciata cadere, e si alzò dal materasso. 
Corse alla porta finestra e la spalancò, dritta nella terraza, ma Louis non era nemmeno là. Al contrario, un pungente odore di bruciato pervadeva l’aria.
Girò sui tacchi ed andò a controllare nella sala da cucina, vuota anch’essa, e in un impeto corse verso il bagno: era vuoto.
« LOU? » gridò. « LOU, DOVE SEI? ».
Spalancò la porta della camera dentro il corridoio comune dell’hotel, e con suo grande disappunto l’intero edificio stava ancora dormendo. 
Ritornò dentro trafelata.
La sua valigia mancava.
« LOU? » urlò, ma sapeva che non avrebbe ricevuto risposta. 
Louis era scomparso.
Tirò fuori ogni cassetto dal comò e dai comodini, ma nulla era fuori posto: mancavano solo dei vestiti, vestiti che appartenevano a Louis.
Quando si era trovata ad ispezionare il suo, notò tre mazzette di banconote legate da una fascetta azzurra che giacevano sul suo comodino. Le afferrò, incuriosita dalla scoperta, ma trovatasi insoddisfatta per le informazioni che ciò poteva darle sulla posizione di Louis le gettò via, dietro di sé; finirono sul letto.
Si abbassò per raccogliere il cestino e lo rivolse al contrario, scuotendolo affinché ogni cosa dentro cadesse.
C’erano solo un pezzo di carta appallottolato su sé stesso.
La signora delle pulizie passava ogni giorno, ragionò, quindi dovevano essere nuovi.
Li raccolse e li stirò sulle sue ginocchia.
La scrittura era di Louis.
I suoi occhi si illuminarono.
« Caro diario, Hilda non sembra migliorare. Oggi siamo andati in spiaggia, abbiamo fatto un pic-nic all’ombra di una palma, e siamo tornati a casa… ». Sul suo viso era dipinta un’espressione che tutto trasmetteva fuorché certezza. I suoi occhi castani erano sgranati fino al limite, tanto che sembrava avesse appena visto un cadavere. « Eh? Caro diario, è finita. Oggi… oggi ho finalmente potuto parlare con Hilda, per l’ultima volta… chi cazzo è Hilda? ».
Lo girò.
« Caro diario, domani andremo a fare shopping a Kantai. Non ho intenzione di restare un minuto di più con Erika. Eh? ».
Lasciò cadere il pezzo di carta e si mosse in girò.
« Hilda, eh? Bastardo » mormorò, in punto di lacrime.
Uscì di nuovo in terrazza, sperando che l’aria fresca del mattino le facesse cambiare idea, ma niente serviva a placare le sensazioni che provava dentro di sé. Rabbia mista a confusione era ciò che sentiva, in quel momento, per una persona che non aveva la minima idea esser mai esistita. 
« E che cazzo di nome è Enne? » gridò, sperando che qualcuno la sentisse, in riferimento al nome con cui si era fermato ogni volta. « Ma cosa hanno fatto? Bruciato un cadavere? ».
Voltò il capo in direzione dell’acuto odore di cenere che sentiva e con suo orrore vide che il portaombrelli era completamente annerito al suo interno, ed un mattoncino nero all’interno del quale intravedeva qualche sfumatura verde giaceva sotto. 
Allungò il suo braccio all’interno del contenitore e lo raccolse.
« Che cazzo— ».
Lo aprì: una ventata di cenere investì il suo viso.
Le pagine all’interno erano ancora intatte, l’umidità del portaombrelli aveva circoscritto le fiamme al solo esterno, dopodiché si erano estinte a causa dell’ambiente sfavorevole.
Lo aprì verso il centro, dove vide fiumi di parole ricoprire le pagine. Corse con le dita sino alla prima.
« Ho deciso che scriverò un diario. Oggi Hilda è tornata finalmente a casa, ed hanno chiuso una volta per tutte il processo a suo carico… » smise di pornunciare che leggeva, sino alal fine della prima pagina, dove erano psoti i saluti. « Voglio monitorare i suoi progessi. Alla prossima pagina, quindi… Enne? ».
« Non è un sogno! È la realtà, Hilda! Tutto questo… è la realtà ».
« Non pensavo che saremmo mai riusciti a farlo ».
« Fare cosa? ».
« Essere… felici ».
Sentì una stretta allo stomaco e delle scariche di dolore diffondersi attraverso tutto il suo corpo. Le sue mani, nel momento stesso in cui reggevano quel diario, tremavano alla sola idea di farlo. Alla sola idea di N.
Una lacrima rigò il suo volto.
« Enne? » ripeté « Enne… ».
Lasciò cadere il diario.

 
𐌳 𐌳 𐌳
 
presente – Akala Island; Kantai – 23/08/15  [10:39]
« Mi scusi, signore, vuole qualcosa? ».
N alzò la testa dal suo libro.
Una ragazza dalla pelle ambrata, vestita in un bikini floreale, stava sorreggendo un vassoio colmo di cocktail colorati.
« No, grazie mille. Sto bene così ».
Richiuse il libro e lo poggiò sul tavolino, distendendo il suo corpo sullo schienale della sedia.
Di fronte a sé si estendeva la visione più bella della sua vita, l’isola di Akala, in tutti i suoi colori, sfumature e curve naturali, che davano vita a quella che, a ben vedere, era chiamata la Perla di Alola. 
Chiuse gli occhi.
In quel momento, aveva trovato la pace.

FINE PARTE III

EPILOGO

« Signore, la disturbo? ».
N tenne gli occhi chiusi. « In realtà, sì ».
« Posso favorire? » fece, ed udì il rumore di una sedia trascinarsi sul ponte del traghetto. « Oh, anche lei ha letto Casteliagate: the Affair behind the Scenes? Dicono che il finale sia orrendo! ».
Il ragazzo strabuzzò gli occhi, per poi aprirli. 
« Mi scusi, cos'è che vuole? ».
La sua interlocutrice alzò il capo, svelando il suo viso dietro il grande cappello che stava indossando.
« Cosa intende? » sorrise la ragazza. « Ma non mi sono ancora presentata! Hilda Harmonia-G
ropius-Baskerville. È un nome lungo, lo so: mio marito ha radici nobiliari ».
N sgranò gli occhi.
« Davvero? De—dev’essere fortunata, allora ».
« Lo sono... non per quello, ma lo sono. Ci sto parlando in questo momento, dopo molto, troppo tempo ».

 
FINE.
 
Ed è finita anche questa. Per sempre, sta volta.
Cosa dire? Tante cose. 

Prima di tutto vorrei fare una piccola riflessione, un piccolo trivia che poi metterete nella pagina Wikipedia di Cards: il file di Ditchign Cards (poi vi spiego perché) ha esattamente 71.338 parole, mentre il file di Cards 79.791. Esatto, nonostante Cards abbia diciotto capitoli e Ditching Cards solo nove, in quanto a lunghezza totale non sono poi così lontane.
Per quanto riguarda l'errore di battitura, invece, non è un errore. O meglio, lo è, ma non è voluto. Il nome infatti "Ditching Cards" deriva dal fatto che il file di Cards fosse stato chiamato così, proprio perché, ai tempi, dovevo "buttare Cards", nel senso di liberarmi di essa (riscrivendola). Il file di Cards originale è rimasto dunque intatto; quando però mi sono trovato a dover scrivere Ditching Cards, ho pensato di tenere il nome e fare questo errore "carino" di battitura quasi impercettebile: Ditchign Cards. 

Ora delle considerazioni della trama: come avrete notato, o forse no, in questo capitolo non viene svelato tutto ciò che è successo. O meglio, viene spiegato, ma alcuni dettagli non sono stati chiariti. Il motivo di questa scelta è semplice: non mi sono ritrovato senza sapere come spiegare le cose (coff coff J J Abrams coff coff), bensì ho pensato che, essendo questo capitolo dialogue-driven, fosse innaturale che i personaggi rivelassero tutto come se stessero spiegando quelllo che è successo. Dicono ciò che è successo dal loro (spero) punto di vista, e quindi molte informazioni che sono già note fra i due personaggi o cose che il personaggio anche non considera importanti, non vengono dette. Esempio: Colress non menziona che Julie Jackson sia sua cugina ad Hilda, nonostante lei lo sia. Hilda purtroppo morirà senza sapere questo dettaglio importantissimo!!! Scherzi a parte, volevo solo chiarire che non è che mi è partito l'embolo e sono impazzito, ma ho voluto rendere le cose più realistiche.
Ad ogni modo, per qualsiasi dubbio su qualsiasi cosa, chiedetemi. Ogni legame è (più o meno) chiaro nella mia testa, e cercherò di spiegarvelo come meglio posso.

Per quanto riguarda la trama del capitolo in sé, sento di dover dare delle spiegazioni circa una cosa. Nonostante ciò, se questo non chiarisce i vostri dubbi, non abbiate problemi a chiedere. Ad ogni modo, dicevo, volevo spendere due parole su Gothithelle e su quello che è successo, dato che è la prima volta che scrivo qualcosa di vagamente syfy. L'obbiettivo di Colress (nel gioco) era quello di portare i Pokémon oltre i loro limiti naturali ed disinnescare il loro potere "completo". Il "cappello" di metallo menzionato da Hilda, ovvero lo strumento usato da Colress per amplificare i poteri psichici di Gothithelle, è servito per rendere la Distortozona più potente: grazie a ciò, ora Gotithelle poteva entrare nelle loro menti. A cosa serviva, però? Lo scopo di Colress era quello di "sopprimere" tutti i ricordi legati ad N che ci fossero N, in modo che potesse emergere Louis Bloomfield (= tipo cancellare la memoria e riportare N allo stato di Louis) poiché pensava che N si fosse ricordato di Hilda. 
In realtà, come Hilda capisce, N non si era ricordato di sé stesso (N) ma era ancora Louis: così facendo, quando Gothithelle lo colpisce e lo sopprime, anziché sopprimere i ricordi legati ad N e riportarlo allo stato di Louis, riporta Louis allo stato di N. Il contrario avviene però per Hilda: Hilda, che si ricorda tutto, entrando nel fascio di Gothithelle vede sé stessa intrappolata dentro la sua testa, e capisce che l'unico modo per uscirne è far uscire Erika, anche se saprà che non potrà mai tornare con N. Povera :( 
Dicevamo, quando Erika si sveglia cerca di andare da Louis e poi fa la badass come sappiamo tutti.
Non sto a spiegare ogni cosa (se avete dei dubbi, ripeto, non abbiate paura a chiederli), anche perché sto capitolo è lungo 57 pagine e ci sarebbero troppi dettagli. Ho cercato di renderlo il più intrattenente possibile, mischiando azione a introspezione e #revelesciòs.

Volevo anche addressare (perdonate l'inglesismo) una questione che due dei miei lettori hanno portato alla luce: la tua storia non c'entra niente coi Pokémon.
E hanno ragione! In realtà la risposta è: non è vero. Ora lo spiego.
Che il fattore Pokémon sia scarso è vero, molto vero, soprattuto in Ditching Cards; questo, tuttavia, è un effetto del mio voler portare le storie Pokémon ad un livello più "maturo" (non mi piace questa parola in termini di storie, la trovo abbastanza arrogante. Sarò io. Ad ogni modo, è l'unica cosa che mi viene in mente). Avendo scritto questa storia basandosi sui TV sciò che guardo (non guardo trashate, lo giuro. Solo PLL ma lo guarda mezzo mondo e poi è molto bello), è stato per me abbastanza difficile incastrare i Pokémon nella trama. L'ho fatto dove potevo, posso dire a mia discolpa. Certo, Noah Hawley è riuscito a scrivere una storia coi fiocchi & controfiocchi sui supereroi, ma io non sono Noah Hawley e devo tenermi su un certo livello di mediocrità. Guardate Legion. Non è facoltativo. Oltretutto, in una storia del genere, usare i Pokémon sarebbe come sparare alle gomme nei film d'azione: finiscono dopo dieci minuti. Ma noi vogliamo che durino, perciò spariamo alla carrozzeria che col cazzo che ci rimane per due pistole semi-automatiche di due scemi che rincorrono una macchina sperando di raggiungerla. Ogni film d'azione. Fine.

Ora i ringraziamenti!
Grazie a chi ha recensito Ditching Cards:
a Momo Entertainment.
Grazie a chi ha messo tra le seguite Ditching Cards 
(l'unico motivo per cui rimanda al profilo è perché ho copiato dalla pagina dei seguiti. Non sono stato a metterli, lo giuro):

Minerva6
NekoYasha99
Grazie a chi ha messo tra le ricordate Ditching Cards:
Minerva6
Grazie a chi ha messo tra le preferite Ditching Cards:

Momo Entertainment
NekoYasha99
Touko Tenshi
Volevo anche fare una menzione speciale ad una serie di persone:
a Momo Entertainment, per aver sempre seguito Ditching Cards con fervore ed affabilità (non ho mai capito cosa volesse dire questa parola ma è positiva) ed essere la fan #1 di Cards,
a Minerva6 e Touko Tenshi per aver risposto ai miei MP ed avermi detto i loro pareri sulla loro storia. È stato veramente importante per me (non lo dico tanto per dire) e mi ha fatto piacere,
a Marina Swift, Karillian ed af_Eleven_ per aver aggiunto Cards tra le seguite nel frattempo (a meno che non abbiate cambiato nickname, in qual caso chiedo scusa),
ad Aki_Saiko ed xMrsHalex che onestamente penso sia un bot perché non ha né propic né storie ricordate/seguite/ecc né Bio né reccies per aver aggiunto Cards tra le ricordate nel frattempo,
ad Andy Black ed O n i c e per aver aggiunto Cards tra le preferite nel frattempo.

 
Cosa farò dopo?
Non lo so. Ho perso un libro a casa di mia sorella e devo farmelo rispedire. Ah, e per chi fosse interessato a come fosse finita la mia breve storia con Tre metri sopra il cielo: na merda. Il libro si è rivelato brutto, ma onestamente non mi dà fastidio la cosa, sapevo che fosse brutto e volevo toccare con mano lo scempio; quello che mi fa arrabbiare è il fatto che ho scoperto di aver avuto a casa già una copia di quel libro, e ciò significa che ho speso 9 € per niente. Ho anche scoperto di avere Scusa ma ti chiamo amore ed Ho voglia di te, ma glisso.
Dopo aver letto quello (il libro perso: Generation X. La copertina è bella), ho in mente di fare cose, vedere persone, il solito. Scriverò altro? Non lo so. Indubbiamente, Cards è finita, e posso dormire pace sapendo che Hilda Harmonia-Gropius-Baskerville e Natural Harmonia-Gropius-Baskerville stiano facendo la bella vita in qualche paradiso nel mondo dei Pokémon. Scriverò altro? Sicuramente, ma è un commento tautologico più che altro (vedete che paroloni? Sono studiato). Ho in mente 2-3 idee, nulla che farò in tempi prossimi, però chissà. 
Per me è finita un'era. Grazie a tutti quelli che hanno partecipato, a chi ha semplicemente aperto Cards&Ditching Cards, a chi ha recensito, seguito, ricordato, preferito, a tutti. Grazie.
Ora torno a vedere You're The Worst.

Yeah, you know that it's true: I've been saving all my summers for you [like fro-oo-ot!]
 
I'll always remember when the Doctor was me 
[anche sta volta dovevo dirlo]

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