Splendido

di MyDifferentFantasy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Niente è mai davvero passato ***
Capitolo 2: *** Stavolta non lo affronterai da solo ***
Capitolo 3: *** Non mi fido più di te ***
Capitolo 4: *** Non credo esistano più il bene e il male ***
Capitolo 5: *** Ti sto chiedendo perdono ***
Capitolo 6: *** Serve una certa dose di fiducia ***
Capitolo 7: *** Non so cosa dovrei volere ***
Capitolo 8: *** Non possiamo andare avanti così ***



Capitolo 1
*** Niente è mai davvero passato ***


Niente è mai davvero passato

 

Quella giornata era cominciata bene. D’altronde ogni giornata sembrava cominciare nel verso giusto, a meno che non si avessero preoccupazioni e turbamenti dal giorno precedente, ma non era questo il caso: assolutamente niente ad assillarli, erano sicuri che sarebbe stato un giorno come un altro. Se qualcuno avesse detto loro cosa sarebbe successo più tardi, si sarebbero ben visti dal mostrarsi spensierati quella mattina, ma allora non lo sapevano. Non ciò che stava per capitare a ciascuno di loro, e soprattutto a Stiles.


Lydia aveva indossato con fierezza l’abito che la scorsa sera le era costato 25£ e non vedeva l’ora di mostrarlo a tutto; Malia aveva litigato con Peter per decidere a chi toccava il toast meno bruciato ed alla fine il lupo l’aveva avuta vinta; Scott aveva accompagnato Melissa all’ospedale ed era poi passato a comprare dei fiori per la sua ragazza; Kira, eccezionalmente in ritardo, aveva salutato i suoi genitori di fretta ed era corsa verso scuola; Stiles si era fermato a fare benzina in una stazione di servizio vicino casa per la sua bellissima bambina ed era poi scappato in fretta quando si era reso conto dell’orario; e Derek aveva passato le prime ore della mattina a leggere un libro, alternando pause ogni 15 minuti per riposare gli occhi.

Insomma, si preparavano ad affrontare la giornata con un’invidiabile tranquillità. Tutti vivevano la loro vita più serenamente ora che a Beacon Hills filava tutto liscio. Qualche giorno prima Derek e Scott si erano dovuto occupare di un gruppo di maghi che si aggirava nel paese da un po’ (se fosse dipeso da Scott avrebbe lasciato correre, però Derek aveva insistito per avvertirli), avevano parlato con loro ma questi avevano assicurato ai ragazzi – concedendogli un sospiro di sollievo per il mancato pericolo – che se ne sarebbero andati quella sera stessa.

E così non c’era più nessun problema: erano tornati alle loro vite. Ma non sarebbe durata a lungo.

 


“Ehi, ragazzi dove andate?”

Lydia, con il suo bellissimo abito rosa a fiori, aveva visto Stiles e Scott avviarsi verso l’uscita alla fine della giornata di scuola e li aveva raggiunti correndo.

“Ah, Lydia eccoti. Derek mi ha chiamato: dice che c’è un problema. Ha nominato anche Peter ad un certo punto, ma non sono riuscito a capire bene cosa volesse dire e stiamo andando da lui a controllare” spiegò Scott.

“Vieni?” aggiunse Stiles.

“Certo, ma non vi azzardate a farmi sporcare questo vestito o ve la vedrete con me” li minacciò la ragazza.

“Non credo che il problema sia così serio” la rassicurò il messicano.

“No, infatti” gli fece eco Stiles. “E comunque ti sta molto bene.”

“Grazie” replicò Lydia, sorridente. “Malia e Kira?”

“Kira è dovuta andare a casa prima oggi, ma mi ha detto che ci raggiungerà direttamente al loft più tardi. Malia, invece, non risponde al cellulare.”

“Tipico di Malia” affermò la rossa.

“Esatto” confermò Stiles.

 

Venti minuti dopo si trovavano al loft, così come Derek e Peter (che erano lì già da prima) e Kira e Malia (che nel frattempo si era fatta viva).

“Allora, Derek, che succede?” domandò Scott, impaziente.

“TI ricordi il gruppo di maghi da cui siamo andati? Ci avevano detto che se ne sarebbero andati il giorno dopo, ma oggi Peter ha detto di aver visto delle strane luci in un capanno che si trova proprio vicino al luogo in cui li abbiamo incontrati. Credo che siano ancora lì, e stanno architettando qualcosa.”

“Ma cos’erano quelle luci?” chiese Stiles, aggrottando la fronte.

“Non lo so, non le ho viste da vicino” si intromise Peter. “Ma c’erano anche rumori, come di qualcosa che stride, se può esservi d’aiuto. Non sembravano affatto rumori rassicuranti.”

“Sicuro di non essere stato tu a farti paura?” lo beccò Stiles.

“Non possiamo semplicemente andare, dire loro di smetterla con queste cazzate e tornare da dove sono venuti?” fece Malia, che cercava sempre la via più corta per una soluzione.

“Sono maghi, Malia” replicò Derek. “Ne ho contati almeno dieci ieri, e non sappiamo quanto sono forti. Potrebbero essere pericolosi.”

“Sì, ma non si può continuare così. È passato un mese da quando sono qui: io dico che è arrivato il momento di mostrare loro a chi appartiene Beacon Hills e che, se vogliono restare, devono informarci” disse Lydia, decisa.

“Qualcosa dobbiamo fare, nipote.”

“Sta’ zitto, tu non hai diritto di voto” fece Derek, guardandolo di traverso.

“Ehi, vi ho aiutato!”

“Sì, e ora sta’ zitto. Allora cosa facciamo?” disse Scott, mentre un Peter irritato mormorava in sottofondo qualcosa su ringraziamenti ed ingratitudine.

“Posso tornare a casa a cambiarmi tanto per cominciare?” domandò Lydia, facendosi piccola.

“Puoi tornare a casa e restarci: non voglio che tu e Stiles partecipiate” decretò Derek.

“Ehi!” fece Stiles, alzandosi in piedi. “Non puoi dirci cosa fare!”

“Ecco appunto. Capisco Stiles –che è piuttosto goffo ed incapace…” disse Lydia che, girandosi verso l’amico, mimò un bacio, “ti voglio bene Stiles, ma sai di esserlo– però io, Derek, so badare a me stessa e verrò!”

“Ok, vieni” fu costretto a cedere il lupo. “Ma tu no, Stiles.”

“Perché?! Ti fidi più di lei che di me?!” chiese il ragazzino, consapevole che tutti – ed anche il diretto interessato – avrebbero notato il tono deluso della sua voce.

“Stiles, non è una questione di fiducia.”

“Allora perché non vuoi che venga? Pensi che sia troppo stupido per farlo?”

“Penso che non saresti al sicuro” ammise Derek, stringendo le labbra. Cercava sempre di tenere Stiles fuori da missioni folli; all’inizio usava minacciarlo e sbraitargli contro, poi, quando aveva capito che ciò non faceva altro che aumentare l’eccitazione di Stiles, aveva provato ad adottare la tecnica del tentare di convincerlo a restare a casa per la sua incolumità. Ma ovviamente nemmeno questo funzionava.

“Non fa niente, voglio venire. E non usate la scusa del ‘non riusciremmo a combattere bene con te perché penseremmo tutto il tempo a proteggerti’ che tanto lo so che mi lascereste sanguinare in un angolo, sorridendo” e così detto fece ridere tutto il branco incluso Derek, che lo guardava con una certa ammirazione.

“Bene, allora andiamo” concluse Scott.

“Niente cambio di abito?” supplicò la rossa, in parte per alleggerire la tensione.

“LYDIA!” urlarono tutti.

 

Il capanno era proprio dove aveva indicato Peter. Era una sorta di grande edificio situato in uno spiazzo di bosco e circondato da alberi che probabilmente servivano a nasconderlo alla gente –nemmeno loro si erano mai accorti della sua esistenza.

“Le vedo, le luci!” sussurrò Kira, facendo segno in quella direzione.

Tutti si girarono a guardare e videro diverse luci di diversi colori – giallo, blu, verde – fuoriuscire dalle fessure nelle pareti; sentirono anche i rumori che aveva descritto Peter, solo più evidenti di quanto aveva detto. Forse le cose stavano peggiorando.

“Ok, dobbiamo entrare” decretò Derek. “È molto grande: dobbiamo dividerci, ma non restare soli… formate gruppi di due.”

Scott si avvicinò subito a Kira che lo ringraziò di quel gesto spontaneo con un sorriso luminoso; Peter, invece, si avviò verso Malia che vedendolo sbuffò con fare esasperato. Per fortuna anche Lydia si era avvicinata, protettiva, e stava guardando in cagnesco il lupo mannaro. Stiles aveva abbassato lo sguardo, girandosi verso Derek che si era di conseguenza accostato a lui.

“Scott e Kira, la vedete quella porta sul lato destro? Entrate da lì, mentre Lydia, Malia e seguito prendete quella a sinistra.”

“Mi chiamo Peter non seguito!” protestò il lupo.

“Io e Stiles prenderemo la porta sul retro. Bene, ora andiamo.”

Ci vollero almeno dieci minuti per raggiungere il capanno, dal quale continuavano a fuoriuscire luci e rumori strani. Almeno il branco aveva la consolazione di sapere che stava per finire tutto… se fosse andata bene.

Derek sentiva Stiles tremare dietro di sé, ma era troppo spaventato per dire qualcosa. Sarebbe stato pericoloso ammetterlo e forse sciocco, ma anche lui aveva paura: non sapeva cosa aspettarsi dato che non aveva mai avuto a che fare con dei veri e propri maghi. Aveva incontrato quei tizi qualche giorno prima e gli erano sembrati piuttosto tranquilli, ma aveva imparato a non fidarsi delle apparenze da quando aveva scoperto di Kate.

“Sei pronto?” chiese, girandosi verso l’umano quando ormai avevano raggiunto la porta.

“Sì” soffiò Stiles e insieme al lupo abbassò cautamente la maniglia.

Freddo. La stanza in cui si trovavano era fredda e le luci del capanno non erano presenti; inoltre, non era affatto il capanno che sembrava essere: quella stanza era moderna, piena di oggetti come computer e grossi… forni? Che ci facevano dei forni lì?

“Derek cos’è questo posto?” mormorò Stiles, con il cuore che batteva a mille.

“Non lo so, lo scopriremo. Tu resta qua, io vado a controllare.”

“No, Derek, non mi lasciare da solo” lo supplicò.

Il mannaro lo guardò, preoccupato. “Non è sicuro là per te, ti prometto che torno subito.” Poi aprì un’altra porta e sparì.

La stanza era illuminata da lampadine al neon, troppo deboli per mostrare davvero cosa c’era lì dentro. Così Stiles prese il telefono e lo usò per illuminare ciò che vedeva.  E notò le vasche. Grandi vasche riempite con acqua di uno strano colore, tra il viola e il nero. Forni e vasche, potenzialmente caldo e potenzialmente freddo, fuoco e acqua: cosa significavano?

Erano passati minuti e Derek non era ancora tornato, quindi quando sentì l’ennesimo fastidioso rumore Stiles decise di uscire anche lui da quella stanza. Proseguendo in un corridoio bianco e sporco, si rese conto che si stava dirigendo verso le luci e i rumori che si facevano sempre più evidenti.

Ora si trovava in una stanza, quasi del tutto spoglia, ed era certo che la porta successiva la collegava alla stanza principale, quella contenente le luce ed i rumori.

“Ragazzino ti sei perso?” sussurrò una voce alle sue spalle.

Stiles, per la paura, gettò a terra il cellulare e si mise a correre verso la porta, ma l’altro fu più veloce e gli si parò davanti, buttandolo a terra.

“Non cercare di scappare.”

“Chi sei?” chiese, cercando di parlare con voce ferma ma ciò che ottenne fu poco più che un bisbiglio tremolante.

“Non importa. Chi sei tu, piuttosto: questo sì che importa.”

“Non sono solo. Allontanati o giuro che urlo e ti faccio uccidere.”

“Sei consapevole del fatto che non appena urlerai, ti ficcherò questo coltello in gola, vero?” chiese con un sorriso meschino, mostrandogli il coltello che stringeva nella mano destra.

“Sì, ma se avessi ascoltato la seconda parte del mio piano, avresti capito che ci sarebbe anche la tua morte.”

“Non importerà” disse il tizio allontanandosi. “Facciamo così: io ti lascio andare se tu mi dai un bacio. Ti chiedo solo un bacio: per te non varrà niente, la tua vita non cambierà.”

“No” dichiarò deciso Stiles.

“Allora sarò costretto a prendermelo con la forza” e si mise a correre verso di lui. Anche Stiles cominciò a correre ma era troppo lento e con sé aveva soltanto un piccolo coltellino che a stento tagliava un foglio un carta, quindi l’altro lo raggiunse e lo buttò di nuovo a terra. Ma prima che lo baciasse, Stiles si coprì le labbra con il braccio. Non voleva essere toccato affatto, ma pensò che, non avendo alternativa, era sempre meglio che baciasse il suo braccio. L’uomo se ne accorse soltanto quando ormai si era alzato e per un attimo il suo volto fu oscurato dal panico, ma una volta che si riprese tornò a guardare il ragazzo seduto a terra; alzò il coltello e lo puntò verso di lui, per minacciarlo.

“Diamine, non pensavo sarebbe stato così difficile” disse, quasi in tono comico. Provò a baciarlo di nuovo, ma qualcuno si frappose tra loro e l’uomo non esitò ad usare il coltello.

Fu Derek a prendersi la coltellata. Stiles, dietro la sua schiena, poteva sentire la risata dell’uomo mentre il sangue scorreva sulla maglietta di Derek. Pensava che avrebbe cercato di baciarlo o ucciderlo di nuovo (o entrambi), ma la sua attenzione era stata totalmente catturata da Derek e fu lui da lui che il tizio si diresse, con il sangue negli occhi. Ma stavolta Derek fu salvato da Scott e tutti gli altri erano comparsi ed avevano fatto a pezzi l’uomo.

Derek, intanto, si era rialzato e si copriva la ferita sul petto con la giacca di pelle che aveva indosso per non mostrarla agli altri. Solo Stiles ne era a conoscenza.

“Tutto bene?” chiese Scott al migliore amico, che annuì in risposta.

Derek fece un cenno verso il centro del capanno e chiese se lì era tutto a posto.

“Sì, li abbiamo uccisi tutti. Abbiamo dovuto, hanno attaccato anche noi.”

“E cosa c’è al centro?” domandò Stiles.

“Strani aggeggi tecnologi che non capisco.”

“Avete trovate anche delle vasche e dei forni?” aggiunse.

“Sì, chissà a cosa servono” mormorò Kira sovrappensiero.

“Quanti ne avete uccisi?” chiese Derek.

“Quindici circa” disse Peter.

“Ottimo, non ce ne dovrebbero essere altri.” Poi guardando tutti, aggiunse “È finita.”

Esultarono, abbracciandosi e scambiandosi baci. Stiles guardò Derek che ricambiò lo sguardo per qualche secondo, poi si girò. Era chiaramente debole, ma nessuno ci aveva fatto caso, troppo contenti di poter tornare alla tranquillità di appena qualche ora prima.

“E non mi sono nemmeno sporcata l’abito” gridò Lydia, con fare teatrale ed entusiastico.

“LYDIA!” la ripresero gli altri, che però scoppiarono a ridere.

 

Quando tornarono al loft, erano più tranquilli che mai, sicuri che ormai era tutto passato. Se ne tornarono a casa felici, e fieri.

“Stiles, non vieni?” chiese Scott, quando anche lui era pronto per andare.

“No. Puoi dare tu un passaggio a Lydia? Io devo fare una cosa.”

L’amico, che aveva eccezionalmente intuito qualcosa, annuì e chiuse la porta dietro di sé. Derek, intanto, si era tolto la maglia e stava guardando la ferita.

“Non guarirà soltanto guardandola” fece l’umano.

“Stiles, sono un lupo mannaro: guarisco da solo.”

“È vero, ma potresti sempre aiutare la tua ferita a guarire, egoista. Non hai del disinfettante?”

“Stiles, non ce n’è bisogno…”

“Vuoi che ti lasci solo?” chiese diretto.

Derek lo guardò per qualche secondo, poi abbassando lo sguardo mormorò “Fai quello che devi.”

“Quindi, dov’è il necessario?” ripeté Stiles.

“In bagno.”

Stiles tornò con una valigetta piena di disinfettanti e pacchetti di ovatta, e si mise subito all’opera. Derek, che si era appoggiato al tavolo, lo guardava con attenzione, esaminando ogni sua mossa.

“Sei bravo.”

“Grazie” sorrise, così vicino al suo viso che anche Derek si trovò a sorridere di ricambio. “Sai, da piccolo andavo sempre all’ospedale con Scott; ci piaceva vedere come Melissa disinfettasse una ferita al ginocchio o mettesse delle bende a un braccio… le tipiche cose che si fanno in ospedale, in pratica.”

“Lasciatelo dire, Stiles: eri strano già da piccolo.”

Stiles rise alzando lo sguardo verso quello del lupo, ma dovette subito riabbassarlo per l’imbarazzo. Derek se ne era accorto, ma non aveva smesso di fissarlo.

Smise di farlo quando Stiles mise del disinfettante su un punto della ferita dolorante e gridò per la sofferenza. Di riflesso si aggrappò al braccio di Stiles, trasmettendogli un po’ del suo dolore; quando se ne accorse, lo lasciò subito andare ma il ragazzino non sembrava arrabbiato, solo affaticato, con delle sottili gocce di sudore sulla fronte.

“Mi dispiace” si scusò subito Derek.

“Non devi scusarti. Ti ricordi quando quel Wendigo mi fece una ferita al braccio e tu prendesti un po’ del mio dolore?”

“Credevo non lo ricordassi” sussurrò.

“Oh, invece lo ricordo bene. Tu pensavi che io dormissi, ma io ti spio sempre, sappilo.” Poi aggiunse, porgendogli il braccio: “Puoi rifarlo se vuoi.”

“No. Pensa solo alla ferita tu, ok?” scosse il capo.

“Agli ordini capitano!” esclamò. “Ma non devi muoverti, altrimenti sbaglio.”

“Non è colpa mia!” si difese il mannaro.

“Certo, ma ora ho bisogno di toccare qui” disse indicando un punto del suo petto, “e non devi muoverti!”
Stiles, poggiò una mano sul petto di Derek per tenerlo fermo e prese a disinfettare quel punto. Al contrario di quanto si era aspettato, Derek non si mosse ma anzi sentì il suo corpo calmarsi. Il ragazzino sentiva il suo sguardo su di sé ma se serviva a tenerlo fermo non si sarebbe nascosto.

“Non fare le fusa, Sourwolf” lo prese in giro.

“Zitto Stilinski, posso ancora cacciarti da casa mia” lo minacciò Derek.

“Credevo fossero passati quei tempi.”

“Niente è mai davvero passato.”

Si guardarono negli occhi per un secondo, poi Stiles abbassò lo sguardo sulle sue labbra.
Non poteva restare lì ancora a lungo: Derek gli faceva un brutto effetto.

“È meglio se vado ora, papà mi starà cercando” disse Stiles bruscamente, posando gli attrezzi nella valigetta e allontanandosi.

Derek, ripresosi dal momento, annuì. “Sì, infatti.”

“Ci vediamo, ok?” chiese Stiles, sorridendo. E Derek non poté fare altro che sorridergli a sua volta, davvero felice.

“Ok” rispose.

 

Non poteva credere a ciò che era accaduto quel giorno, troppo velocemente: il gruppo di maghi che era lì fino a poco tempo fa ed ora li avevano sterminati tutti, Derek che lo voleva tenere al sicuro, quel pazzo che gli aveva imposto un bacio, la sua paura nel pensare di non avere scampo, Derek che sanguinava, Derek che l’aveva protetto, Derek che si era lasciato curare da lui…

Stava per avere un infarto, Stiles. Non era così che succedeva tra loro. In genere si avvicinavano lentamente, a piccoli passi: un giorno terminavano di litigare prima, il giorno successivo Derek gli portava un bicchiere di soda senza dire niente, il giorno dopo ancora gli insegnava a tirare calci contro un eventuale nemico.

Invece quel pomeriggio era successo tutto di fretta. Non aveva fatto in tempo a pensare a cosa significasse che il lupo voleva proteggerlo, che Derek si era messo davanti a lui e gli aveva evitato un colpo che lo avrebbe di certo ucciso. Perché lo aveva fatto?

All’inizio aveva pensato che si era sentito in obbligo a farlo, dato che i lupi mannari incassano le ferite meglio degli umani, ma c’era qualcosa nel suo sguardo… qualcosa di fragile e devoto verso di lui, qualcosa che non riusciva a comprendere a pieno.
E allora forse l’aveva fatto perché si sentiva in colpa per averlo trascinato con sé in quel posto e per non essere tornato subito come gli aveva promesso, ma i sensi di colpa di Derek erano molto frequenti e, nonostante questo, non lo aveva mai visto compiere un gesto così avventato. Derek su comportava sempre in modo controllato e prudente: quel gesto non era da lui.

Doveva smettere di pensare al perché ed essergli semplicemente grato –dopotutto era solo grazie a lui se ora si trovava nel suo comodo letto e non in quello freddo e duro di un ospedale. O peggio in una barella dell’obitorio…

No, non doveva pensarci. Quell’uomo era morto e lui era salvo: ecco a cosa doveva pensare.

Quella notte si addormentò con il pensiero di Derek vicino a lui per calmarsi, così come Stiles che lo curava aveva calmato Derek prima. Andò bene all’inizio, ma poi tutto d’un tratto si ritrovò di nuovo nella stanza buia di quel pomeriggio, quella con le vasche ed i forni, e provò freddo lungo il proprio corpo … un incredibile vero freddo… come poteva essere solo un sogno se aveva davvero la pelle d’oca?

Si osservò intorno e notò che c’erano addirittura molte più cose di quante ricordava. Ma come faceva il suo cervello a ricreare persino i più piccoli dettagli se non ricordava nemmeno di averli visti? Lui non conosceva quei dettagli, ne era certo.

Stiles!

Sentiva la sua voce che lo chiamava, la voce dell’uomo che lo aveva aggredito, la voce che trasmetteva malignità ad ogni parola. Era nell’ombra, poteva sentire che era lì, ma non riusciva a vedere il suo viso. In effetti, nel sogno non riusciva nemmeno a ricordarlo; eppure era sicuro che nella realtà era ancora presente, che avrebbe ricordato per lungo tempo il viso dell’uomo che gli aveva fatto così paura quel pomeriggio.

Sono qui, Stiles. Ora ti possiedo.

Sussurro, brivido lungo la schiena. E poi si svegliò. Scattò a sedere sul letto ansimando, mentre sentiva gocce di sudore scendere lungo il suo viso e pensava a ciò che aveva appena vissuto. Era stato un sogno, solo uno stupidissimo inutile sogno. Nessuno lo possedeva, l’uomo era morto e lui riusciva finalmente a ricordare quel volto. Non significava niente. Niente.

 

 

NOTE DELL’AUTORE: Aiuto, non so che dire: sono secoli che non scrivo delle note!
Ecco una nuova long! All’inizio la mia idea era di scrivere una one-shot, poi mi sono resa conto che sono 32000 parole quindi niente, ho sballato di molto. Come avrete capito, l’ho già scritto tutta, quindi si tratta solo di pubblicare i capitoli; a proposito di capitoli: lunghi o corti? Questo primo capitolo è piuttosto corto – giusto per lasciarvi con il finale in sospeso – però gli altri ho intenzioni di farli più lunghi. Fatemi sapere come li preferite!
Vi ringrazio di cuore per aver letto questo capitolo e come sempre mi farebbe piacere sentire cosa ne pensate. Al prossimo capitolo!

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Capitolo 2
*** Stavolta non lo affronterai da solo ***


Stavolta non lo affronterai da solo

 

Era passata una settimana dall’evento e Stiles non aveva avuto altri incubi. Si addormentava ancora pensando a cosa era successo quel giorno, ma la mattina si risvegliava normalmente ed iniziava una nuova giornata come aveva sempre fatto.

Derek lo aveva chiamato due volte. La prima volta gli aveva chiesto come stava e, dopo aver detto di essere più tranquillo, gli aveva domandato della sua ferita ma Derek, che non era mai stato di molte parole, gli aveva risposto di non preoccuparsi per lui ed aveva attaccato; la seconda volta invece era stata più un semplice parlare tra due amici (non c’era niente di nuovo da sapere e niente di urgente da riferire, allora avevano cominciato a parlare di ciò che accadeva nel loro quotidiano) con uno Stiles che non la smetteva di blaterare ed entusiasmarsi per ogni cosa che diceva e un Derek che si limitava ad annuire ed ascoltare.
Quando la telefonata terminò, Stiles lesse sullo schermo del cellulare l’orario e si rese conto che Derek aveva parlato con lui per mezz’ora. Beh, aveva detto poco e niente, ma lo aveva ascoltato e… wow, Stiles stentava crederci.

Lo rivedeva ora dopo una settimana. In realtà era sempre lo stesso Derek – non cambiava mai e questo l’umano lo riteneva un sollievo – ma constatò con piacere che la ferita al petto era quasi del tutto guarita, tanto che il lupo riusciva a muoversi più liberamente, notò Stiles vedendolo imponente davanti a sé. Quando Derek si accorse dello sguardo di Stiles che esaminava il punto in cui c’era la ferita, sorrise tra sé e si mise a sedere con il resto del branco sulle poltrone nella stanza principale del loft.

Perché il branco si era riunito ancora una volta, nessuno lo sapeva veramente.
Era tutto partito da Scott che aveva chiamato Derek per dirgli che sarebbe stato carino organizzare un’altra riunione per discutere dei problemi finiti. All’inizio il lupo mannaro era scettico (non aveva voglia di trovarsi una massa di adolescenti urlanti in casa, tantomeno ora che si sarebbe potuto godere un po’ di pace) ma poi aveva accettato, soprattutto perché voleva vedere come stava Stiles.

E questo fu il motivo per cui si trovarono tutti insieme, in una scena che sembrava quasi comica per uno sguardo straniero. Soprattutto perché nessuno parlava, o meglio: nessuno sapeva di cosa parlare.

“Quindi, ecco… mi stavo chiedendo… cosa ci facciamo qui?” domandò Lydia.

“Sì, vorrei saperlo anche io” disse Malia che si girò verso Derek.

“Non guardare me, è stato lui” disse indicando Scott.

“Ehi, Hale, non dirlo con quell’aria infastidita! Mi mancavate e volevo vedermi e pensavo che se vi avessi detto di riunirci solo per stare insieme non sareste venuti.”

“Oh, Scott” fece Kira con sguardo tenero, “certo che saremmo venuti: non siamo mica un branco per sole guerre.”

“Beh, io non sarei venuta” scherzò Lydia, che si beccò un cuscino in faccia da Stiles.

“Allora, si festeggia?” chiese Stiles raggiante.

“Credo proprio di sì, amico” gli rispose Scott.

“Io ordino le pizze” disse Kira prendendo il cellulare e alzandosi.

“Io le sceglierò per tutti, a meno che non vogliate fare la stessa fine della scorsa volta” la seguì Lydia, dirigendosi verso il bagno.

“Io penso a che film guardare” aggiunse Malia che finalmente sorrideva.

“Io prendo la soda per tutti” disse Stiles che si diresse in cucina. Dopo sentì la voce di Derek dire vado ad aiutarlo e capì che si riferiva a lui, infatti lo vide entrare nella stanza.

“Ehi, Sourwolf, è la settimana delle opere di carità?” gli disse ridendo, mentre versava la soda nei bicchieri.

“Sta zitto” fece in risposta il lupo, il cui sorriso era però evidente. “Come stai?”

“Io sto bene, perché non dovrei? Tu piuttosto: fammi vedere la ferita.”

“Non ce n’è bisogno.”

“Non mi fido, Derek” dichiarò e con un gesto gli alzò la maglietta ed esaminò il punto in cui una settimana fa c’era un lungo squarcio e del sangue che scendeva da esso. Non c’era più niente –Derek aveva ragione–, solo una sottile linea che si stava rimarginando e Stiles la percorse tutta con l’indice, in attesa che il corpo del lupo reagisse per il dolore o per il piacere.

“Stiles, ho trovato un film che…” irruppe Malia entrando nella stanza, ma si bloccò non appena vide cosa stavano facendo. Derek aveva messo giù la maglia velocemente e Stiles si era allontanato, ma la scena non era di certo sfuggita agli occhi della coyote.

“Io non ho visto niente” mormorò imbambolata, uscendo in fretta.

Stiles e Derek scoppiarono a ridere un secondo dopo, rompendo la bolla di imbarazzo che si era creata con la presenza della ragazza.

“Chissà cosa avrà pensato!” disse Derek, continuando a ridere.

“Sì, chissà cosa” ripeté Stiles ritornando a mettere la bibita nei bicchieri.

All’improvviso si fermò, posando bruscamente la bottiglia di vetro sul ripiano della cucina. Si appoggiò con le mani al marmo freddo ed abbassò lo sguardo.

“Stiles, tutto bene?”

“Sì, è solo… ah!” urlò prendendosi la testa fra le mani. Derek gli mise una mano sulla spalla, obbligandolo a girarsi verso di lui.

“Che succede?”

“Mal di testa” borbottò l’umano che aveva preso a massaggiarsi le tempie.

“Non sei sorpreso.” Non era una domanda.

“Mi era già successo in questi giorni, ma non era così forte. Me ne ero persino dimenticato” ammise con tono colpevole.

“Va bene, va’ a metterti seduto, finisco io qui” gli disse Derek aiutandolo ad andare verso la porta.

“Sei sicuro?”

“Sì, arrivo subito” disse per rassicurarlo.

 

Era rimasta solo una fetta di pizza.
Persone ingenue (come Kira e Lydia) stavano aspettando che qualcuno dicesse di non preoccuparsi per loro e di mangiarla, persone furbe (come Malia) la presero e la addentarono senza nessuna preoccupazione. La ragazza non si preoccupò nemmeno all’occhiata assassina che le rivolse la rossa.

Stiles sorrise alla scena e si girò verso Derek per controllare che avesse visto anche lui. Ma il lupo stava guardando solo lui e questo lo faceva sentire a disagio perché erano vicini, molto vicini, e provava vergogna ad essere guardato da lui in quel modo, come se non esistesse altra preoccupazione.

Erano capitati vicini per caso. Scott e Kira avevano subito occupato la parte sinistra del divano, Lydia aveva deciso di sedersi al centro per avere una visuale migliore della tv, Malia si era seduta sull’unica poltrona presente nella stanza che si trovava sul lato destro, e Stiles e Derek erano stati costretti a sedersi vicini sul lato destro del divano (dopo aver passato un’ora a decidere chi doveva sedersi vicino al bracciolo ed ovviamente aveva vinto Derek).

Stiles continuava ad avere leggeri capogiri durante la visione del film, e quando succedeva si toccava la testa e stringeva le labbra per trattenere il dolore. Derek se ne accorgeva subito e gli toccava piano la tempia destra per assorbire le fitte che sentiva, anche se ciò non risolveva il problema.
Fortunatamente il volume della tv era alto e le luci erano spente, così nessuno sentiva i lamenti di Stiles e le mani di Derek che lo toccavano continuamente –tranne Malia che sghignazzava ogni volta che li guardava.

Ma il film finì e tutti si alzarono per prepararsi ad andarsene.
Anche Stiles si era alzato ed era andato fino all’altro capo della stanza per recuperare il suo giubbotto e tornare presto a casa e infilarsi nel letto e dormire finché quell’insopportabile mal di testa che stava diventando sempre più forte non sarebbe sparito.

Ma si fermò in mezzo alla stanza mentre il suo corpo oscillava lentamente. Derek, che lo stava già tenendo d’occhio, se ne accorse in tempo per correre verso di lui e prenderlo un attimo prima che finisse a terra.
Era svenuto, e tutti adesso si stavano riunendo intorno a lui per capire cosa era successo.

 


Deaton arrivò dopo mezz’ora.
Derek lo aveva chiamato appena era riuscito a sistemare Stiles nel suo letto; all’inizio il veterinario aveva finto di arrabbiarsi perché lo avevano disturbato a quell’ora della notte, poi quando aveva sentito di Stiles si era subito messo in macchina per venire al loft.

Il suo responso era che Stiles aveva avuto uno svenimento, ma che si sarebbe ripreso tra un po’. Riguardo il mal di testa non sapeva niente, non aveva affatto idea di cosa lo avesse causato né se fosse immischiato qualcosa di soprannaturale in ciò.

Derek pensò che in ogni caso la situazione era preoccupante e qualcuno doveva prendersi cura di lui fino al suo risveglio. Quindi prese il cellulare di Stiles dalla tasca del giubbotto e lo diede a Scott.

“Chiama John e digli che stanotte Stiles dormirà da te.”

Così fece, dicendo allo sceriffo che avevano fatto tardi con la loro solita maratona di Star Trek e che non se la sentiva di far guidare l’amico con il buio che c’era. John aveva capito ed era stato d’accordo; la conversazione di era chiusa là.

“E ora?” chiese il messicano.

“Ora Stiles resta qui” decretò deciso Derek.

“Perché?” ribatté Scott.

“Perché è meglio che stia con me che con un gruppo di ragazzini incompetenti!”

Scott boccheggiò, sorpreso per la risposta così sgarbata – troppo anche per lui, e si preparò a rispondere a tono.

“Derek!” lo riprese Deaton, intromettendosi per calmare la situazione. “Siamo tutti preoccupati per Stiles, non c’è bisogno di parlare in questo modo.”

“Sì, scusa Scott” disse, il suo volto sfiancato. “Gli devo un favore.”

Il lupo annuì, abbozzando un sorriso di perdono.

Uno ad uno salutarono Stiles e se ne andarono attenti a non fare troppo rumore, fino a quando anche Deaton tornò a casa e rimase solo. Derek andò vicino a Stiles e si sdraiò accanto a lui, dall’altra parte del letto. Era sudato e continuava a sudare, le gocce erano ben visibili sui lati del viso e Derek prese un lembo del lenzuolo e gliele asciugò piano; anche la maglietta che indossava ormai era del tutto bagnata e Derek doveva cambiargliela, così la sfilò con delicatezza e gli mise una sua maglia di quando era più giovane e più snello. Doveva ammettere che Stiles stava davvero bene con la sua maglia. Gli ricordava sé stesso da piccolo, la stessa ingenuità, lo stesso candore. Vederlo ora così fragile gli fece un cert’effetto. Tanto che dovette chiudere gli occhi e stendersi per bene. Non che avesse intenzione di dormire (non sarebbe riuscito a farlo, preoccupato com’era).

Per tutta la notte infatti restò a monitorare il battito del cuore, le emozioni che rilasciava il suo corpo, i lamenti, i gemiti e persino i più piccoli spostamenti delle braccia e della testa. È l’unica cosa che posso fare per lui al momento, pensò sentendosi in colpa.
Ma la colpa non era sua e nemmeno di Stiles. La colpa era di un altro - o almeno era ciò che pensava.


Stiles non ricordava come era finito lì. In realtà non sapeva nemmeno dove si trovava.
C’era solo buio, la sfumatura di nero più scura che avesse mai percepito, e freddo. Queste condizioni, anche se dentro di lui erano sensazioni, gli ricordavano qualcosa, ma non riusciva a capire cosa. Sentiva la nebbia nera tutta intorno che entrava dentro di sé e non gli faceva pensare a niente.

L’unica cosa che riusciva a ricordare era che non si trovava in quel qualcosa da molto tempo, come se avesse dormito anni e si fosse improvvisamente svegliato nella vita. C’era qualcosa di cupo e sbagliato in ciò che provava e non poteva fare niente. Si muoveva, stava camminando, ma non sembrava esserci un posto in cui andare. Poi vide una porta, una piccola porta in lontananza e si mise a correre verso di essa cercando di scostare la nebbia senza riuscirci. L’avvertiva sempre di più dentro di sé, per un momento pensò che sarebbe morto prima di riuscire a superare la porta. Ma ci riuscì, e si ritrovò nella stanza del capanno.

E si ricordò tutto.

Ricordò l’uomo, gli strani sogni che gli stavano capitando su di lui, e Derek, Derek che era seduto vicino a lui mentre guardavano il film. Ricordò che non era passato molto da quando era avvenuto, che anzi quello era il presente; e si sentì felice perché sarebbe potuto tornare dal lupo e sentire le sue dita sulle tempie – che era tutto ciò che riusciva a desiderare al momento.

Stiles, vedo che sei sveglio. Ti ricordi di me? chiese la voce.

"Sì", mormorò Stiles, spaventato, stringendosi nelle spalle. "Ricordo la tua voce, ma non so chi sei."

Certo che lo sai. Forse vedermi ti rinfrescherà la memoria, disse ed il secondo dopo, il viso del tizio che non smetteva di tormentarlo si materializzò proprio davanti al suo e Stiles urlò. Svanì subito dopo.

Ora ricordi? domandò ancora, ma il ragazzino era diventato immobile e non riuscì a dire niente. Sono morto. I tuoi amici mi hanno ucciso poco prima che io facessi lo stesso con il tuo bel lupacchiotto.

"Derek? Cosa c’entra Derek?"

Lui c’entra sempre, Stiles: Derek è sempre la causa di qualcosa. Perché gli esperimenti? Derek, almeno in parte. Perché questi sogni? Derek, del tutto, ribatté l’uomo che cominciava ad infastidirsi per l’ingenuità dell’umano.

"Ed io che c’entro?"

Ecco, tu ad esempio non c’entri proprio niente. Ma sei un buon tramite, rivelò, soddisfatto.

"Tramite?" chiese Stiles, la confusione era evidente.

Perché non poteva capitarmi qualcuno di intelligente? si lamentò l’uomo. Stiles, ti tormenterò per tutta la vita se non mi darai ciò che voglio. Sarà un bel conflitto, sai? Insomma, non è mica semplice scegliere tra la propria salvezza e l’amore per qualcuno. Perché io lo so Stiles, lo so cosa provi per Derek, lo sento. E credimi, sei esattamente ciò che mi serviva, terminò ridendo.

"È… solo un sogno, solo… un sogno. Non è… vero, Stiles" si ripeteva il ragazzino a bassa voce.

Ma l’uomo lo sentì. E invece è la realtà. Un aspetto sublime dell’essere un mago è che puoi cambiare le regole della vita quando vuoi, ed e quello che abbiamo fatto noi: questo è reale perché io ho deciso così. E lo scoprirai molto presto, Stiles Stilinski.

Ma Stiles non prestava più attenzione alle sue parole perché, improvvisamente, percepì la nebbia che si liberava di lui e tornava intorno, nell’aria, dappertutto. Era libero, per quanto potesse esserlo.

Sono qui, echeggiò nella sua mente, un attimo prima di svegliarsi.

 

Il battito del cuore di Stiles aveva accelerato parecchio negli ultimi minuti e Derek aveva provato a muoverlo, a svegliarlo anche, ma il ragazzino sembrava completamente immerso in un altro mondo.
Poi all’improvviso aprì gli occhi e si mise a sedere, sussultando. Il suo respiro era affannoso ed il sudore aveva cominciato ad intensificarsi, sebbene ora avesse una maglietta nuova.

Neanche si era accorto di lui all’inizio. Continuava a guardare la stanza e a scrutare ogni suo angolo, come a voler controllare che fosse tutto al loro posto. Quindi Derek gli si avvicinò silenziosamente e gli poggiò una mano sulla spalla, proprio mentre pronunciava “Stiles, sono qui” con tono dolce. E Stiles sobbalzò, sentendo quelle parole, ma si girò immediatamente verso di lui e gli si lanciò contro legandogli le braccia intorno al collo. Derek ricambiò subito l’abbraccio, passandogli le mani sulla schiena nel tentativo di riscaldarlo, dato che la sua temperatura corporea era diminuita di molto.

Stiles sembrò apprezzare il gesto e si strinse ancora più voracemente contro il lupo che, incoraggiato, si portò la testa di Stiles sulla spalla sinistra e con una mano gli accarezzò la nuca, sudata e fredda.
Il ragazzino tremava e Derek poteva sentire che era spaventato e destabilizzato, ma anche confortato in qualche modo da quell’abbraccio e non sapeva cosa fare.

Non aveva mai saputo cosa fare con lui. Da quando si erano conosciuti non aveva mai capito in che modo comportarsi, cosa fare, cosa dire, e questo lo aveva fatto uscire di testa; allora aveva cominciato a trattarlo male ed, in questo modo, le cose sembravano funzionare fra di loro. Quindi aveva continuato a farlo ogni giorno a farlo, non perché voleva davvero, ma perché non sapeva in che altro modo approcciarsi a lui, fino a quando non si era arreso.

Non era mai stato gentile: esserlo sarebbe stata solo l’ennesima recita di un personaggio così sfaccettato come Derek Hale. Non era mai stato bravo nemmeno a fingere (non voleva farlo) così si limitava ad ignorare Stiles quando poteva e a sgridarlo quando non sapeva che altro fare. Però capitava che alcune volte, pochissime, si stancava ed allora gli prendeva un bicchiere di soda e glielo offriva perché sapeva che era la sua bevanda preferita e voleva farglielo sapere.

“Stiles, cosa succede?” chiese Derek, cercando di non turbarlo più di quanto già era ed invitandolo a guardarlo negli occhi.

“Derek, scusa, è tutta colpa mia! Mi dispiace tanto!” replicò allora il ragazzino in tono di supplica, non accennando a spostarsi dalla spalla su cui era appoggiato.

“Perché dici questo?”

“Per l’uomo, io… Derek, io…” cominciò, ma il lupo mannaro non gli avrebbe permesso di stare in quello stato. Lo prese delicatamente per le spalle e lo allontanò da sé, quel tanto che serviva per guardarlo negli occhi e cercare di calmarlo. Ma Stiles non aveva il coraggio di guardarlo, quindi puntò il suo sguardo in basso, sulle sue gambe sopra quelle di Derek. Non si era mai trovato così vicino a lui – se non quando avevano guardato il film sul divano quella sera – e per la seconda volta, pensò che si trovava bene stretto a lui.

Derek gli prese il mento con una mano e pose il viso all’altezza del suo; Stiles fu costretto a spostare gli occhi da quel punto e a guardarlo: non era arrabbiato, non era irritato e non era confuso. Lo guardava in modo chiaro, spingendolo a parlare e a fidarsi.

“Stiles, calmati. Ci sono io adesso, nessuno può farti del male” lo rassicurò.

“Assomigli a mio padre che quando ero bambino mi assicurava che le verdure NON stavano cercando di attaccarmi” ribatté lui, abbozzando un sorriso leggero. Anche Derek sorrise.

“Hai fame? Vuoi mangiare qualcosa?” domandò il lupo, premuroso.

“Prima devo dirti qualcosa…” confessò.

“Sì, va bene. Ma non voglio che ti sforzi, intesi?” ma Stiles era già ritornato con la mente al suo sogno e al pensiero che fosse molto più di un sogno.

“Faccio dei sogni, ultimamente. Beh, in realtà da quando è successo… quello che è successo. C’è un uomo, l’uomo che ti ha ferito, e quest’uomo dice di possedermi e di essere continuamente nella mia testa. Io non lo so cosa vuole” disse con le lacrime agli occhi, “ma ha detto che mi torturerà per sempre se non gli darò ciò che vuole.”

“Cosa vuole?”

“Non lo so” mentì Stiles. Prima voleva far chiarezza sulla validità di quelle parole e poi lo avrebbe detto a Derek; di certo non se la sentiva di metterlo in mezzo ora che non era ancora sicuro.

“Stiles, non voglio offenderti ma… è un sogno, no?”

“No, Derek, devi credermi!” protestò il ragazzino, aggrappandosi alle spalle dell’altro per sorreggersi. “Io lo sento che è vero: la stanza è troppo precisa ed io non la ricordavo così ricca di cose e l’uomo ha la sua voce. Precisa. Non è un sogno, ne sono sicuro. Lo saprei se così fosse.”

“Quante volte ti è capitato?”

“Due, quella notte ed ora.”

“Perché non lo hai detto prima?” fece Derek, curioso.

“Non mi avreste creduto, mi sbaglio?”

“Mi dispiace, Stiles” mormorò il mannaro.

“Ma tu mi credi, vero? Non pensi che mi stia inventando tutto…”

“No, certo che no. Ti credo e mi dispiace… non so cosa fare” ammise, passandosi una mano fra i capelli scomposti. Stavolta fu il turno di Stiles di rassicurarlo.

“Sono sicuro che troveremo una soluzione.”

“Certo. Dobbiamo andremo da Deaton e scopriremo cosa sa. Adesso sdraiati, io ti porto da mangiare.”

Stiles aveva davvero fame. Aveva mangiato la pizza quella sera, ma gli sembrava di non farlo da tanto tempo e fu per questo che mangiò con grande appetito, sotto gli occhi luminosi di Derek che non smettevano di guardarlo nemmeno per un attimo. Derek si comportò in modo davvero carino con lui, gli disse anche di restare nel suo letto almeno per questa notte e poi avrebbero deciso cosa fare, insieme.

“Derek tu resti, vero? Non voglio stare da solo quando verrà…”

“Sì, resto” dichiarò mordendosi il labbro inferiore, ed andò a stendersi accanto al ragazzino ma abbastanza distante da non toccarlo.

 

Però quella notte Stiles non ebbe altri incubi e la mattina dopo si svegliò rilassato. Della notte precedente ricordava solo Derek che più volte lo aveva coperto con il lenzuolo perché era così maldestro che lo buttava sempre sul pavimento, gli aveva asciugato il sudore quando, per paura di fare altri incubi, era diventato ansioso ed era stato ad ascoltare il suo corpo tutto il tempo. Derek credeva che Stiles non se ne fosse accorto, ma al ragazzino non sfuggiva niente.

Derek non c’era più accanto a lui. In effetti l’aveva sentito alzarsi ma, stanco com’era, non ci aveva fatto caso. Lo chiamò urlando, pensando che fosse uscito, ma l’altra si presentò subito davanti alla porta, correndo e senza fiato.

“Scusa, non volevo disturbarti” disse Stiles sbuffando una risata.

“Ah ti diverti?” lo accusò il più grande.

“DEREK HALE E’ DIVENTATO IL MIO FIDATO COGNOLINO, COME POTREI NON DIVERTIRMI!”

“Beh, non c’è niente da ridere: credevo stessi male.”

“Sto male” affermò Stiles, con ovvietà.

“Sì, infatti, scusa” abbassò la testa. “Ieri sera non hai mangiato più, vuoi farlo ora?”

“E Deaton?”

“L’ho chiamato mentre dormivi e mi ha detto che stamattina aveva un cliente importante, quindi andremo oggi pomeriggio alla clinica.”

“Non ho voglia di muovermi! Mi prendi in braccio, Sourwolf?” chiese Stiles con voce dolce ed allungò le braccia per fargli vedere di essere pronto.

Ma il lupo si limitò ad inarcare entrambe le sopracciglia (evento unico!) e ad andarsene trattenendo un sorriso.

 

“Quindi lupo, che si fa nel frattempo?”

“Io devo finire a leggere questo” disse Derek mostrandogli il libro che aveva tra le mani, “mentre tu puoi fare tutto ciò che vuoi che non includa me.”

“Quanta gentilezza!” arricciò il naso Stiles. “Che cosa leggi?”

Uomini e topi di Steinbeck.”

“Ah” fece Stiles, al settimo cielo per aver riconosciuto il titolo. “La professoressa ne ha accennato a scuola una volta.”

“Allora qualcosa la sai: non sei così ignorante come credevo” disse Derek, in un tono scherzoso che non gli donava affatto.

“Divertente, Hale” lo guardò ostentando fastidio Stiles. “Perché non lo leggi ad alta voce?” chiese poi, appoggiando la testa sulla spalla del mannaro che sì irrigidì.

“Non sono sicuro che ti piacerebbe” tentò di dissuaderlo.

“Beh, leggi.”

Così Derek cominciò a leggere e stavolta fu davvero sorpreso dell’attenzione che il ragazzino donava alla lettura. Ogni tanto doveva fermarsi perché Stiles gli chiedeva il significato di qualche scena che non riusciva a comprendere fino in fondo; ma stette sempre ad ascoltare e talvolta, quando qualche frase lo catturava particolarmente, la ripeteva ad alta voce ed insisteva per commentarla con Derek.

All’inizio Derek gli disse di no – anche se in realtà lo interessavano molto le opinioni di Stiles. Il ragazzo però non smetteva mai di chiederlo così lo accontentò, e le volte successive non provò nemmeno a negargli di parlare tanto era affascinato da ciò che diceva.

Stavano terminando la lettura di un appunto, quando notò il corpo di Stiles –che ormai si era appoggiato totalmente a lui– diventare rigido all’improvviso. Posò bruscamente il libro e in un attimo si girò verso di lui, che stava già tremando.

“Stiles…” pronunciò mentre cercava di guardarlo negli occhi, ma l’altro non voleva saperne di fare lo stesso.

Stiles non riusciva a parlare, non riusciva a fare niente se non stringersi le dita intorno alle tempie per cercare di fermare il dolore. Stava per svenire, lo sentiva, come la scorsa volta. Anche Derek doveva aver pensato la stessa cosa perché prese subito il volto di Stiles con una mano e cominciò ad eliminare un po’ di quel dolore assurdo. Assurdo: un semplice mal di testa non poteva essere così forte.
 
Stava meglio. Sentiva il corpo di Stiles tornare a respirare più velocemente ed il ragazzo smettere di tremare. Abbassò la testa per guardarlo e lo vide, sembrava così giovane lì nascosto accanto a lui, ricambiare lo sguardo con gratitudine.

“Cosa è successo, Stiles?”

L’umano scosse la testa.

“Vado a chiamare Deaton” disse ma il ragazzino protestò, prendendolo per il polso e costringendolo a restare.

“Niente di quello che ti dirà potrà fare qualcosa ora. Resta qui” gli chiese, quasi pregandolo. E Derek tornò a sedersi sul divano e con un gesto lo portò accanto a sé e gli strinse un braccio. Il corpo di Stiles gliene fu grato e lo stesso Stiles si sentiva meglio e gli chiese di continuare con la lettura.

 

Stiles aveva paura di andare alla clinica. Sapeva che ciò che sarebbe avvenuto sarebbe stato il momento. C’erano tanti momenti, sempre, in ogni giornata, ma ce n’erano alcuni più importanti di altri. E c’erano momenti buoni e momenti non buoni.
I suoi momenti buoni erano molti, in effetti più di quelli non buoni: la prima volta che aveva incontrato Scott, il bacio che Lydia gli aveva dato tanto tempo fa, Derek che si aggrappava a lui nella piscina, la sua mano che andava su e giù lungo la sua schiena per calmarlo.
Ma ciò non annullava i momenti non buoni, come l’attimo in cui seppe della malattia della madre, o la morte di Allison, o il periodo in cui era stato posseduto dal Nogitsune.

Aveva paura perché sapeva perfettamente che quello era un momento e, di conseguenza, sarebbe entrato in una delle due categorie, ma non sapeva quale. Era quasi del tutto certo che fosse la seconda perché ormai aveva perso la speranza nelle soluzioni facili, ma una parte di lui voleva ancora credere che tutto si sarebbe risolto subito, in quello stesso giorno magari.

Lo avrebbe scoperto solo andando alla clinica perciò aveva paura di farlo.

“Stiles, sei pronto?” gli chiese Derek, che stava già prendendo le chiavi della Camaro per uscire.

Stiles non disse niente, ma si limitò ad alzarsi dal divano e a seguirlo.
Non parlò nemmeno lungo il tragitto, nonostante Derek avesse provato più volte ad iniziare una conversazione – cosa di cui avrebbe dovuto approfittare, ma non ci riuscì. Chiese soltanto se il padre lo sapesse, e Derek rispose che aveva detto a Scott di non dirglielo per ora e di mentire dicendo che Stiles avrebbe passato il pomeriggio con lui. Stiles annuì e tornò a pensare.

Quando si ritrovarono davanti alla clinica, il ragazzino scese in fretta e cominciò a camminare velocemente verso l’entrata, consapevole che non avrebbe sopportato anche l’ansia di Derek oltre alla sua. Ma il lupo lo raggiunse e lo fermò bloccandolo per un braccio.

“Stiles, cosa c’è che non va?” gli chiese supplicante.

“Oh niente, c’è solo un mostro sconosciuto nella mia testa che, per quanto ne sappiamo o dovrei dire non ne sappiamo, potrebbe essere molto peggio del Nogitsune. Ma tanto è sempre Stiles quello a cui capita tutto! Ecco cosa c’è che non va, Derek!” Non voleva essere così cattivo (dopotutto Derek si stava prendendo cura di lui e lo stava aiutando, come aveva sempre fatto da quando si erano avvicinati) ma era così nervoso che non si rese conto di averlo offeso se non dopo averlo detto.

“Derek, io…”

“No, hai ragione” disse lasciandogli il braccio. “Io lo meritavo molto più di te, mi dispiace.”

“Oddio no, non pensarlo” protestò, scuotendo la testa. “Dimentica quello che ho detto: sono un idiota e non volevo dirlo. Non ho il diritto di dirlo. Tu hai perso i tuoi genitori e tua sorella ed è già tanto per una sola persona, non provare mai più a dire di meritare altro! Ed io… cazzo, io dovrei essere solo grato per non essere morto fino ad adesso come… Allison.” Sentiva lo sguardo del mannaro su di sé e parlò ancora.
“Scusa, forse non dovevo dire nemmeno questo. È che sono così nervoso, Derek, e ho così tanta paura di starmi ricacciando nello stesso incubo ancora una volta…”

“Ti capisco Stiles, davvero. Hai paura ed è normale averne perché ciò che sta succedendo è incerto e pericoloso. Però stavolta non lo affronterai da solo, stavolta avrai Scott, Lydia, Malia e me. Ti prometto che stavolta ti aiuterò.”

“No, non ci siamo Sourwolf: troppo sentimentale! Dai riprova” fece Stiles, per cercare di calmarsi dall’assurdità dei fatti.

“Smettila idiota.”

“Mi mancava sentirtelo dire” sospirò il ragazzino.

Derek non era così male a parlare quando si impegnava, Stiles era sicuro che se fosse stato di animo più aperto sarebbe stato il tipo che fa discorsi di incoraggiamento alle gare o alle partite. Di fatto Stiles si sentiva già meglio sentendosi supportato da qualcuno, ma ciò non eliminava la paura della scoperta. Doveva farlo.

“Ok entriamo” disse risoluto, non valeva la pena aspettare ancora torturandosi.

Derek avvicinò la sua mano a quell’altro, attento però a non toccarla mai completamente perché sarebbe stato imbarazzante; ed anche quando Stiles lo guardò confuso per capire qual era il suo intento, continuò a camminare, non sapendo come spiegarlo. Voleva solo fargli sapere che lui c’era, ma forse Stiles lo aveva capito.

 

“Allora, puoi spiegarmi che succede?”

Stiles stava diventando sempre più impaziente. Aveva passato l’ultima mezz’ora a cercare di spiegare il più chiaramente possibile a Deaton cosa era successo da quella sera (omettendo il momento in cui l’uomo aveva nominato Derek e gli aveva detto di sapere cosa provava per lui).

“Statemi ad ascoltare attentamente, ok?” e vedendoli annuire, Deaton cominciò. “Avevo già sentito parlare di un gruppo di maghi che si muoveva ad Est di Beacon Hills, ma non li avevo mai ritenuti un problema per noi. Quindi non sono ben informato, non ho fatto ricerche e non so chi siano. Ma un mio amico di lì mi ha raccontato qualcosa… si dice che facciano esperimenti.”

“Esperimenti?” mormorò stupito il lupo, dando voce anche alla sorpresa dell’umano.

“Sì. Questo spiegherebbe le vasche e i forni che mi avete detto di aver visto.”

“Che genere di esperimenti?”

“Esperimenti sull’anima e sul corpo. Non so di preciso in cosa consistano, ma fanno sì che un’anima passi da un corpo ad un altro.”

“È impossibile!” protestò Stiles.

“A quanto pare no: ecco perché ti ha chiesto di baciarlo, credo sia così che funzioni.”

“Con un bacio? Ma io non l’ho baciato. Stava per farlo, ma mi sono coperto il viso con il braccio e mi ha baciato qui” disse, mostrandogli il punto sull’avambraccio.

“Forse è per questo che possiede solo la tua mente e non il tuo corpo.”

“Lui non possiede proprio un bel niente!” urlò, alzandosi ed inveendo contro Deaton. Derek lo fermò in tempo e cercò di calmarlo.

“Stiles, sta’ calmo. So che non possiede te, ma devi cercare di capire che occupa la tua mente e non so per quanto ancora potrai resistere prima che prenda il controllo di te.”

“Come il Nogitsune” bisbigliò Stiles, quasi al punto di piangere. Derek cercò di poggiargli una mano sulla spalla in segno di conforto, ma il più piccolo la scansò. “Cosa posso fare per togliermelo dalla testa?”

“Non lo so, mi dispiace. Proverò a parlare con il mio amico del posto, gli chiederò se conosce una soluzione; tu, intanto, dimmi tutto ciò che ti dice quell’uomo. Tutto.” Stiles annuì a testa bassa, pensando a Derek e a cosa gli aveva tenuto nascosto.

I due uscirono dalla clinica senza spiccicare una parola fino a quando non si trovarono vicino a casa Stilinski. Derek stava per girare verso la strada per il loft, ma Stiles lo fermò.

“Portami a casa.”

“Sei sicuro? Puoi…”

“Sono sicuro, ne ho bisogno.”

Derek non era ancora convinto quando fermò la Camaro davanti la casa ed aspettò che l’altro dicesse qualcosa. “Se sei arrabbiato con me ti capi…”

“No, Derek non sono arrabbiato con te” lo rassicurò Stiles con fare sorprendentemente calmo, sorridendogli leggermente. “Ho solo bisogno di stare da solo, ti chiamerò quando avrò realizzato la cosa, ok?”
Derek lo vide avviarsi verso casa, sentendo che si stava perdendo di nuovo e lui non stava facendo nulla.

 

 

 

 






NOTE DELL’AUTORE: eccomi qui con il secondo capitolo! Mi dispiace, vi avevo promesso che lo avrei pubblicato dopo poco ed invece sono passati un bel po’ di giorni; vi chiedo ancora scusa, è che mi sono sentita demoralizzata per il poco interesse verso la storia. In ogni caso, mi sono messa sotto ed eccolo qui! La situazione sta cominciando a svilupparsi e presto scoprirete anche di più. Grazie mille per aver letto anche questo capitolo e se vi va potete lasciarmi una recensione, che mi farebbe molto piacere. Al prossimo capitolo!

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Capitolo 3
*** Non mi fido più di te ***


Non mi fido più di te



Stiles non lo chiamò i giorni successivi e così per una settimana e poi due. Derek voleva lasciargli il suo spazio, quindi neanche lui aveva provato a chiamarlo, ma ciò non gli aveva impedito di contattare chiunque conoscesse il mondo soprannaturale meglio di lui e potesse aiutarlo. Dopo sei giorni passati a parlare con più di cinquanta persone, non era arrivato a niente: alcuni non ne avevano mai sentito parlare e i pochi che conoscevano quei maghi non sapevano la soluzione.

Aveva voglia di vedere Stiles, di sapere come stava, di parlargli e di rimuovergli il dolore che quella specie di cosa gli stava dando. Ma non poteva dirglielo, ovviamente. Gli aveva già detto che per lui c’era, non voleva fargli pressioni né spingerlo a fare qualcosa che lo avrebbe fatto stare male.

Aveva provato a chiamare Scott un paio di volte, ma anche lui si trovava nella stessa situazione, con Stiles che si era chiuso in camera ed aveva chiesto di stare solo. Aveva anche pensato di chiamare lo sceriffo, ma non aveva trovato il coraggio. Comunque era ancora convinto che Stiles lo avrebbe chiamato quando ne avrebbe avuto bisogno.

 

L’ultima persona con cui Stiles volesse parlare era Derek Hale.

Ultimamente l’uomo nella sua testa non faceva altro che tormentarlo nominandolo ogni volta che ne aveva l’occasione. Da quando poi aveva acquisito più potere ed era riuscito a disturbarlo qualche volta – sempre più spesso – anche mentre era sveglio, era diventato più insopportabile che mai.

Non sapeva come era riuscito a farlo, ad espandere il suo potere anche alla veglia, ma era piuttosto certo che non poteva prendere il controllo del corpo da solo, altrimenti non glielo chiederebbe senza sosta.

Stiles si vergognava tanto di quel suo pensiero, ma era arrivato a credere che l’uomo non fosse una brutta persona di per sé. Lo faceva ridere qualche volta, la mattina appena sveglio con una battuta sul suo orribile alito o quando inciampava nei suoi stessi piedi e gli diceva quanto fosse incapace. E, quando si annoiava nella sua stanza, gli faceva compagnia chiedendogli della sua vita, anche se poi Stiles non gli rivelava niente. Niente che non sapesse già. Avevano parlato anche del Nogitsune un giorno e l’uomo aveva insistito per non essere paragonato al mostro; Stiles gli aveva fatto notare che le differenze erano ben poche e quello aveva ribadito come non volesse fargli del male o rovinargli la vita. Per quanto continuasse ad aver paura di lui, questo aveva rilassato Stiles che aveva cominciato a vederlo quantomeno come un umano.

Non che fossero amici ora, e probabilmente non lo sarebbe mai stati date le circostanze, ma non lo trovava così fastidioso come all’inizio.

Ovviamente aveva provato anche a chiedergli della sua di vita, ma l’altro non aveva fatto altro che balbettare qualcosa di incomprensibile su Derek e su un tradimento; certe volte sembrava volersi confidare e Stiles lo incoraggiava a farlo perché cercava di capire come potesse centrare qualcosa il mannaro, però l’uomo faceva sempre un passo indietro e tornava al silenzio.

Perciò fu sorpreso dalle parole che gli rivelò nel sonno.

Stiles si trovava in uno spazio nero, completamente nero, come accadeva ogni volta che il sogno era posseduto dall’uomo. Ma ormai non ne aveva più paura, anzi la vedeva come una possibilità di scoprire (la curiosità sarebbe stata la sua rovina, suo padre glielo aveva sempre detto). Accadeva sempre nello stesso modo: lui cominciava a camminare nel buio fino a quando non si stancava di cercare qualcosa di inesistente ed aspettava che la voce parlasse.

Stiles, ciao.

“Perché mi hai convocato?”

Non è così che funziona, idiota.

 Il cuore di Stiles sussultò sentendosi chiamare così da qualcuno che non era Derek. “So perfettamente che funziona così, quindi non mentirmi. So che ci sono momenti in cui decidi di prendere il controllo e parlarmi e momenti in cui mi ascolti soltanto.”

Forse non sei così idiota come credo, allora.

“Forse no” replicò sorridendo. “Quindi, perché mi hai convocato?”

Non c’è un motivo preciso…

“Ti senti solo?” azzardò Stiles, non lasciandogli terminare la frase. Si morse un labbro per il nervosismo, chiedendosi se non avesse esagerato.

Io non mi sento… solo, io non provo niente.

Beh, questo perché non puoi provare niente. Il tuo corpo, la tua anima sono andati, vero? La tua mente è l’unica cosa che ti è rimasta e non ti fa provare niente. Forse, se il tuo corpo fosse ancora vivo piangeresti per la solitudine, e se avessi ancora la tua anima ti sentiresti triste.”

Non sono mai stato un tipo sentimentale quindi non penso proprio che accadrebbe. Poi aggiunse: Senti, non lo so perché ti ho chiamato, pensavo di doverlo fare.

Pensavi… capisco.”

Lo pensavo, ma vedo che non mi servi a niente quindi addio, ed il suo tono era simile ad una minaccia, forse perché sapeva che Stiles voleva restare.

“No, aspetta. Non volevo offenderti: scusa” lo interruppe Stiles.

Non dovresti chiedere scusa ad una persona che vuole ucciderti.

“Oh andiamo, sei tu quello che dice continuamente di non volermi fare del male! Non vuoi uccidermi, lo so, dici che ti servo da tramite per… Derek” pronunciò insicuro e timoroso.

Derek… il tuo corpo ha tremato al suo nome. Ancora innamorato di lui, ragazzino?

“Tu cosa sai di lui?”

So molto più di te, eppure io non ho mai commesso l’errore di innamorarmi di lui.

“Perché dici che è un errore?”

Ascoltami bene, Stiles. Non penso che tu sia una cattiva persona, anzi ne sono sicuro, e non capisco che ci faccia un ragazzo come te con uno come Derek…

“Tu conosci il Derek del passato, non puoi sapere com’è ora.”

Credimi se ti dico che il passato è sempre più vero del presente.

“Non so che cosa ti abbia fatto per aver scatenato in questo modo la tua rabbia però…” provò a difenderlo l’umano, ma l’altro alzò la voce.

Per quanto mi riguarda, Derek sa fare solo due cose: odiare e tradire. E con me ha fatto entrambe.


L’uomo non si fece vivo per una settimana intera e Stiles ne approfittò per andare da Derek ora che non lo aveva sempre in mente. Il lupo sembrava contento di vederlo ed anche preoccupato, e Stiles si sentì in colpa per non averlo fatto prima ma sapeva che non sarebbe riuscito nemmeno a parlare se lo avesse fatto con l’uomo nella sua mente.

Il loft era sempre lo stesso.

Stiles adorava i luoghi. Le persone cambiano continuamente, anche senza volerlo, ma i luoghi, i luoghi curati e amati, non cambiavano mai. Il vaso che Cora aveva regalato a Derek qualche mese prima si trovava accanto al computer, il telecomando al lato della tv, il cuscino poggiato sulla poltrona a destra del divano, il libro che Derek leggeva – non importava quale fosse – era lì.

“Non mi aspettavo di vederti” disse Derek.

“Sì, mi dispiace se sono venuto dopo tre settimane…”

“Non fa niente, ti avevo detto di prenderti il tuo tempo” recitò con sguardo che però era palesemente dispiaciuto. Ora Stiles si sentiva anche più in colpa. “Ci sono novità?”

“No.”

No? Quindi ho passato le ultime settimane a perdere tempo, con te, esattamente?

“Stiles tutto bene? Sei sbiancato” chiese il mannaro, portandogli una mano alla fronte e controllando che non stesse per svenire come l’altra volta.

“Sì, certo” rispose Stiles, irrigidendo il viso, mentre Derek continuava a parlare.

Oh andiamo, non dovresti eccitarti per un semplice tocco! E quando con le sue belle mani ti prenderà…

“Sta’ zitto!” urlò il ragazzino, con gli occhi che gli uscivano dalle orbite resosi conto di ciò che aveva appena detto.

Derek lo guardava confuso e di scatto si allontanò da lui, credendosi colpevole.

“Derek scusa, non parlavo co… non intendevo questo.”

“Oggi sei strano” dichiarò aggrottando la fronte.

Quando non lo sei?
                                                    dichiararono insieme, scoppiando a ridere subito dopo.
“Quando non lo sono?”

“Perché ridi adesso?” chiese confuso.

“Niente, solo che… mi conosco davvero bene” sorrise Stiles, guardando verso l’alto –anche se sapeva di non poter vedere da nessuna parte la voce nella sua testa.

Derek si sentiva di troppo, come se fosse il terzo incomodo di un appuntamento con una coppietta. In Stiles aveva sempre visto un ragazzino piccolo e chiacchierone che aveva bisogno di parlare sempre con tutti, non importava di cosa ma doveva dire sempre, sempre, sempre ciò che pensava. Vederlo così lo faceva agitare. Non sapeva spiegarsi in cosa era cambiato perché fisicamente era sempre lo stesso ed anche il suo comportamento non era mutato, ma c’era qualcosa in lui che gridava ‘sono diverso’. Lo vedeva… più completo, in un modo che nemmeno riusciva a capire.

“Vuoi da bere?” chiese, ancora sovrappensiero.

“Certo. Sai cosa, vero?”

“Soda” proclamò sicuro, e vedendolo annuire andò subito a provvedere.

Che carino! Vedi come anche il tuo servetto ti conosce bene!

Stiles, all’ennesima intrusione non richiesta dell’uomo, sbuffò e roteò gli occhi.

“Si può sapere che vuoi? Non potrò mai più avere una normale conversazione senza che tu mi disturbi?”

Io non ti dico cosa dire.

“No, ma non riesco a pensare bene con te che mi giri in testa!”

Prima ti sei divertito però.

Per la prima volta da quando lo aveva sentito parlare, Stiles notò una nota di dispiacere nella sua voce; il tono arrogante e superficiale era stato abbandonato per un momento e quelle parole erano piene di speranza, la speranza di non essere del tutto sgradito.

Non lo era, sgradito.

“Sì, è vero” ammise Stiles, sorridendo. “Sei simpatico, uomo. Se non avessi in mente un piano malvagio per fare del male a me e alle persone che amo, saremmo ottimi amici.”

Sai che non voglio far del male a te.

“Ma alle persone che amo, ed è più o meno lo stesso per me.”

Stettero in silenzio per qualche secondo: Stiles non sapeva come continuare la conversazione senza offendere l’altro, l’uomo invece stava pensando al ragazzino e a come era coraggioso.

E non chiamarmi uomo!

“Tu non vuoi dirmi il tuo nome, come dovrei chiamarti?!” si giustificò l’umano.

Lo diresti a Derek.

“Oh andiamo, non ho raccontato di te a Derek, non lo farei.”

“Cos’è che non mi hai raccontato?” chiese Derek, con sguardo ferito, apparendogli alle spalle.

Probabilmente era lì da molto tempo ed aveva ascoltato tutta ciò che aveva detto; ritornò subito a pochi minuti fa e, riflettendo su cosa aveva rivelato senza volerlo, si maledisse per aver parlato ad alta voce (sarebbe bastato pensare, ma non si era ancora abituato a quel mezzo di comunicazione).

“Derek…”

“Stai parlando con lui?” lo interruppe il lupo.

“Sì” confessò.

“Non è la prima volta” decretò Derek, arrabbiato. “Cosa vi dite?”

Non devi dirglielo!, disse l’uomo con risolutezza e stavolta la fermezza nella sua voce era molto più presente di quanto avesse mai sentito Stiles.

“Non lo farò, stai tranquillo” disse, di nuovo a voce alta.

“Stiles io sono qui!” sbottò il mannaro, che non riusciva a credere all’assurdità di quella situazione. “Non devi parlare con lui!”

“E chi lo dice?”

“Ti vuole uccidere o fare del male, è un nemico. Chiunque sia non puoi fidarti.”

Ma Stiles sentiva soltanto l’uomo disperarsi e bruciare di rabbia dentro la sua testa negli stessi attimi, ed era una rabbia che sentiva anche lui, se pur non di proposito.

“Ok, ora basta: devo andare” e così detto, si diresse verso la porta ma Derek lo prese per un braccio costringendolo a guardarlo, a guardare un altro volto disperato per causa sua. Il mannaro sussurrò il suo nome, sconfortato, e Stiles avrebbe voluto soltanto abbracciarlo e tornare a quando le cose tra loro andavano bene – magari non benissimo, ma ci avrebbero lavorato su –.

Non poteva.

“Derek, mi dispiace… ma non so più di chi fidarmi.”

 

Erano le 12 del mattino quando si svegliò. Nel guardare l’orario scattò in piedi, convinto di essersi perso un giorno di scuola, e ritornò a sdraiarsi solo quando si ricordò che quel giorno non c’era scuola. E quando la testa gli cominciò a sbattere.

Aveva un vago ricordo della sera precedente: ricordava di essere tornato dal loft con un fortissimo mal di testa e di essersi addormentato subito per smettere di soffrire. Non aveva funzionato del tutto, ma si sentiva già più rilassato.

L’ieri era stato difficile, ed era ancora difficile. Pensava a ciò che aveva svelato a Derek inconsciamente, al suo sguardo ferito quando non aveva voluto rivelargli niente dell’uomo, e a ciò che gli aveva detto un attimo prima di andarsene.

Non so più di chi fidarmi.

Stiles non sapeva nemmeno se fosse vero. Si fidava di Derek, ma si fidava anche dell’uomo nella sua testa, e non sapeva chi intendesse la verità con le sue parole. Forse il suo problema era fidarsi troppo, forse avrebbe addirittura dovuto lasciar perdere entrambi dall’inizio.

Ma non poteva più farlo. No, perché lui non voleva essere in quella situazione per sempre. Non lo sarebbe stato… e alla fine di tutto, sarebbe rimasto Derek con lui… se ancora voleva aiutarlo.

Può non essere così. Posso restare io con te.

“Cosa intendi? chiese Stiles, sempre più confuso.

Intendo che non sei obbligato a stare con lui… puoi scegliere me.

“Ok. Allora, te lo dirò una volta sola quindi non dimenticarlo mai più: io amo Derek. So perfettamente cosa ho detto ieri, di non fidarmi di lui, ma lascia che ti spieghi… dici che Derek ti ha tradito e posso anche crederci, perché prima di venire qui Derek ha fatto molte cose che io non conosco. E nonostante non sappia tutto del suo passato, io amo chi è Derek. Vedi, so abbastanza di lui: so che prima ha fatto degli errori, errori a cui ha dovuto rimediare facendo cose sbagliate, e so che ora cerca di proteggermi quando non so farlo da solo. Per me è abbastanza. È abbastanza per fidarmi di lui, per essere la persona che amo. Ciò di cui io non mi fido è ciò che lui pensa di aver fatto. Ha fatto delle cose sbagliate sì, non dirmi di non aver mai sbagliato! Ma Derek, da quel momento, si incolpa anche per eventi e… morti che non avrebbe mai potuto evitare. Non gli ho detto di… te perché non è pronto a scoprire di aver fatto un’altra cosa sbagliata. Io non me la sento di caricarlo di un altro peso a causa mia e della mia stupidità. Derek è così: farebbe finta di essere arrabbiato con me o con te per ciò che sta succedendo, ma in realtà vorrebbe soltanto pugnalarsi per essere ancora lui il motivo. So per certo che reagirebbe esattamente così perché non trova mai pace per ciò che è successo in tutta la sua vita. E io non posso vederlo soffrire ancora perché lo amo. Lo amo tanto.”

Lui non ti ama.

“Non mi importa” disse sorridendo. “Io mi prendo cura di lui e lui si prende cura di me, mi basta. Mi basta per fidarmi di lui, sempre, e per non smettere di amarlo.”

Vorrei tanto vederti il cuore spezzato da quel mostro, almeno mi capiresti.

Il cuore di Stiles si fermò davvero per un attimo, sentendo la crudeltà con cui l’altro aveva parlato; ormai si era affezionato a quest’uomo, al modo in cui era antipatico – un po’ come Derek – e al modo in cui gli teneva compagnia quando si sentiva solo. Ma doveva sapere che non poteva voltare le spalle a Derek, perché lo amava troppo. Ancora non sapeva cosa era davvero successo tra i due per fargli provare un odio così profondo verso Derek, ma voleva scoprirlo.

“Io ti capisco. Derek mi ha spezzato il cuore tante volte… sai, parole offensive, minacce di morte, uscite poco carine, ma mi ha sempre chiesto scusa, facendomi capire cosa volesse davvero farmi capire, ed io l’ho sempre capito. So che è una relazione del tutto stramba e senza senso ma abbiamo imparato a capirci dopo un po’ e a conoscerci. Non tutto ciò che sembra cattivo lo è davvero… mi dispiace che non lo abbia capito anche tu.”

Derek non mi ha mai chiesto scusa.

“Scoprirò il perché…”

No. Non voglio che tu faccia più niente, non per me almeno. Non voglio nemmeno più parlarti.

“Ti prego, io…” ma Stiles sentiva che stavano per arrivare le ultime parole, quelle definitive. Non avrebbe potuto controbattere a quelle.

Arrivarono.

Adesso sono io che non mi fido più di te.




 


NOTE DELL’AUTORE: come promesso, ecco il terzo il capitolo prima del previsto – ah, mi sono appena accorta che sono passati otto giorni e poche ore quindi no, sono in ritardo, tutto nella norma.
Scherzi a parte, in questo capitolo cominciamo a scoprire qualcosa in più sul misterioso uomo nella mente di Stiles (ed io sono contentissima perchè ho adorato da morire scriverlo!). Il capitolo è più corto rispetto al precedente perché mi piaceva troppo questo finale e sentivo la necessità di terminarlo così, però il prossimo si rifarà.
Spero che vi piaccia comunque e, se vi va, lasciate una recensione. Alla prossima!

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Capitolo 4
*** Non credo esistano più il bene e il male ***


Non credo esistano più il bene e il male



Stiles aveva passato l’ultima settimana a scuola e a casa.

La giornata era monotona. Si alzava dal letto (la maggior parte delle volta con la voglia di buttarsi giù dalla finestra), andava a scuola dove incontrava tutti i suoi amici e puntualmente Scott che gli chiedeva come stava (aveva un certo sospetto che lo riferisse a un mannaro che entrambi conoscevano bene); lui rispondeva di sentirsi meglio e che i mal di testa erano diminuiti, il che era vero dal momento che l’uomo non gli aveva rivolto la parola dalla loro ultima conversazione – così come aveva fatto Derek –. Tornava a casa, preparava il pranzo per lo sceriffo, lo salutava prima di vederlo andare alla centrale, faceva finta di studiare qualche ora e poi stava tutto il pomeriggio ad ascoltare musica triste.

Quel pomeriggio, mentre stava ascoltando per la milionesima volta The Queen is Dead*, sentì qualcuno bussare alla porta.

Lo sceriffo, anche se molto restio a lasciarlo da solo a casa accorgendosi della sua folle depressione, era andato alla centrale per un nuovo caso che gli era stato affidato; Scott, invece, quel pomeriggio – almeno questo era ciò che aveva detto a Stiles – aveva in programma di andare a casa di Kira per fare sesso, approfittando della partenza dei genitori di lei.

Quindi doveva essere qualcun altro. Affacciandosi alla finestra, vide Derek e Deaton che aspettavano davanti la porta e gli venne un tuffo al cuore per la vista del lupo.
Non lo vedeva da una settimana, non gli parlava da una settimana e di certo non si aspettava di vederlo bussare a casa sua con il veterinario accanto. Probabilmente gli aveva detto dell’uomo… beh, non poteva dargli torto: se fosse servito a proteggerlo, anche lui l’avrebbe fatto.

“Ehi, Deaton… Derek” aggiunse, lanciandogli un’occhiata veloce e tornando a guardare l’altro, “che ci fate qui?”

“Derek mi ha raccontato di ciò che è accaduto qualche giorno fa, Stiles.”

“Certo” fece abbassando lo sguardo e facendoli entrare. In un momento di coraggio e di speranza, cercò lo sguardo di Derek, ma l’altro proseguì dritto, a testa alta, visibilmente ancora ferito.

Vederli seduti lì, entrambi, ai lati del tavolo, gli fece venire in mente quegli stressanti interrogatori che piacevano tanto agli sceneggiatori delle serie tv poliziesche, e, pensando di essere in una di quelle, si passò una mano nei capelli e si sedette, colpevole, e pronto ad essere accusato.

“Stiles, perché non ci hai detto prima che parlavi con questo mostro nella tua testa?” chiese Deaton.

“È un uomo, e credo abbia la stessa età di Derek.”

“Rispondi alla domanda, Stiles” sibilò Derek che ancora non lo guardava.

“Perché non avreste capito” mormorò il ragazzino, pauroso.

“E tu invece lo capisci?!” sbottò il lupo.

“Derek, questo atteggiamento non porterà proprio a niente: controllati oppure te ne vai, decidi” dichiarò Deaton che, vedendolo abbassare lo sguardo verso il pavimento, continuò con le domande. “Sai come si chiama?”

“No, quello no.”

“Come mai? Non avete forse parlato per molti giorni?”

“Sì, ma il suo nome non ha voluto dirmelo… aveva paura lo dicessi a Derek” aggiunse, riluttante.

Derek alzò lo sguardo di scatto, sentendo il suo nome mentre Stiles lo stava guardando come per chiedergli scusa.

“Derek… perché lui?” osservò il veterinario, curioso.

“Non lo so” mentì l’umano.

“Sta mentendo” affermò Derek.

“Stiles, non c’è bisogno che menti a noi. Dì ciò che vi siete detti tu e l’uomo nella tua testa.”

“No” proclamò Stiles con convinzione.

Deaton, snervato, si passò una mano fra i capelli. Dopo riprese a guardarlo.

“Lo sai, Stiles, che è per il tuo bene, vero?” gli disse con il tono di un fratello maggiore.

“Certo che lo so!” proruppe, infastidito.

“Allora perché non vuoi dirmelo?”

“Non capireste” replicò. Derek, furioso e forse anche deluso dal suo comportamento, si alzò e andò ad affacciarsi alla finestra della cucina per cercare di calmarsi. Stiles lo capiva: tutta questa storia sembrava ridicola, ma ormai non era più una semplice storia da voler archiviare.

“Forse possiamo cercare di capire se ce lo spieghi!” tentò di convincerlo Derek, guardandolo sfinito, quasi sull’orlo di una crisi di nervi.

Forse ha ragione, pensò Stiles. Forse io sono più importante…

Guardò Derek, implorando ancora perdono con i suoi occhi, e annuì.

“Che volete sapere?”

“Cosa ti ha detto in questi giorni?” chiese Deaton dolcemente.

Stiles, consapevole che l’uomo lo stava ascoltando, cominciò a parlare. “In realtà non molto. Si rifiutava spesso di raccontarmi della sua vita quando parlavamo; e nemmeno io gli ho detto molto della mia, ma deve averlo capito da ciò che faccio durante la giornata – che poi non varia, la mia vita è monotona…”

“Ed io? Perché ha nominato me?” chiese il mannaro, ansioso.

“Beh, conosce Scott e gli altri ma soltanto perché li incontro ogni giorno a scuola. Di te… parliamo spesso” ammise Stiles, arrossendo.

“Perché parlate di lui?” si intromise Deaton.

Stiles pensò alla riposta da dare. Doveva davvero dire loro che quell’uomo aveva a che fare con il passato di Derek? Sarebbe stato un dolore troppo intenso per Derek e un’offesa troppo grande per l’uomo: avrebbe soltanto fatto soffrire entrambi, risolvendo un bel niente. Ma, nello stesso momento, se aveva anche una sola possibilità di tornare a quando era tutto normale, o quasi tutto, era dicendo la verità.

“Lui…” cominciò, ma all’improvviso la testa prese a battergli fortissimo, mentre notava che i suoi occhi si stavano chiudendo sempre più; non poteva vedere ciò che aveva davanti, la sua voce non riusciva ad uscire, bloccata in gola, credeva di stare per morire. Poi sentì delle braccia forti, robuste. Braccia che lo avevano già sorretto una volta. E si sentì sicuro, così sicuro da lasciarsi andare e finalmente svenire.

 

Sì svegliò ore dopo. Qualcuno lo aveva appoggiato sul letto mentre era svenuto e lo aveva anche coperto con il lenzuolo, qualcuno che lui conosceva e qualcuno che era ancora lì, sul letto con lui.

“Derek” borbottò, assonnato.

Nel sentirlo, il maggiore si girò subito verso di lui e gli accarezzò la fronte per vedere come stava.

“Come ti senti?” gli chiese con dolcezza.

“Sono svenuto?”

“Sì.”

“Allora mi sento come uno che è svenuto” rispose sorridendo, e facendo ridere anche Derek – la stupidità del minore certe volte lo lasciava a bocca aperta.

“È stato… lui, vero?” e nella sua voce c’era una nota di disprezzo, ma questo Stiles lo capì, dopotutto non era carino ciò che gli aveva fatto l’uomo. Giustificato ma non carino.

“Sì, credo proprio di sì.”

“Lo ha fatto per farti del male?”

“No, certo che no” lo rassicurò Stiles, riconoscendo l’assurdità di quella domanda.

“Perché ne sei così sicuro, che non voglia farti male?”

“Perché non penso che sia un uomo cattivo, Derek. Credimi” lo implorò. “È un uomo buono che è dovuto ricorrere a metodi cattivi per ottenere ciò che voleva.”

“E tu questo lo consideri buono?”

“Ormai ho visto talmente tante cose in tutto il mondo che non credo esistano più il bene e il male.”

Il mannaro lo guardò, fiero di lui. Non era la prima volta che si trovava a provare ammirazione nei confronti del ragazzino; gli succedeva ogni volta che salvava coraggiosamente l’intero branco grazie ai suoi piani geniali e talvolta alle sue parole, oppure quando insisteva per accompagnarli nelle missioni, ammettendo il pericolo e la sua paura in questione, ma facendo prevalere il suo voler proteggere anche chi sapeva difendersi meglio di lui (cioè tutti).

“Allora perché lo ha fatto?”

“Perché non voleva che dicessi la verità… su di voi.”

“E qual è la verità?”

Stiles attese qualche attimo, credendo di poter svenire da un momento all’alto per volere dell’uomo, ma si sentiva attivo e riposato, nessun segno di un mancamento. “Tu lo conosci, o almeno lo conoscevi nel passato. Non so come, non so perché e non so chi sia lui, ma ti conosce… e tu conosci lui.”

“Ma… non è possibile! Io l’ho guardato quando eravamo in quel capanno e l’uomo che mi ha pugnalato sono sicuro di non conoscerlo.”

“Beh, potrebbe aver cambiato aspetto già una volta. In fondo, Deaton ci ha detto di quei folli esperimenti” pensò Stiles.

“Sì, è vero” ammise Derek. “Non potresti, non so… parlare con lui?”

“No, mi dispiace” disse Stiles, ridendo. “Abbiamo litigato e ha smesso di parlarmi.”

“Oh, perché avete litigato?”

“Diciamo che non eravamo d’accordo su una cosa.”

“Su di me?” chiese Derek, che aveva già capito.

“Sì. Ti odia e per qualche motivo ti vuole morto, ma che ci vuoi fare? Gli ho detto di mettersi in fila!”

“Divertente Stilinski!” fece con finto fastidio, e così detto prese ad accarezzargli i capelli, forse non accorgendosi nemmeno di ciò che stava facendo.

“Senti Stiles… mi dispiace per ciò che è successo l’altra volta: non volevo urlare…” cominciò Derek, ma Stiles lo interruppe.

“Derek, sono io a doverti dire una cosa. Mi fido di te.”

“Stiles, no…” provò a bloccarlo Derek.

“Lasciami parlare.”

“Davvero, non devi dirlo soltanto perché ti senti in colpa…”

“Derek, ti prego, lasciami spiegare” sussurrò, accarezzandogli una guancia con la mano destra, in un gesto forse troppo intimo per due come loro ma a Stiles, in quel momento, importava solo far capire a Derek quanto fosse importante per lui.

“Derek, io mi fido. Mi sono sempre fidato di te e mi fiderò sempre, perché ti voglio bene, e ti ringrazio per ciò che stai facendo per aiutarmi. Non vorrei stare con nessun altro in questo momento.” Non dire troppo, non dire troppo, non dire troppo. “Ma la vediamo diversamente su molte cose: tu con sguardo pessimista, io ottimista.”

Ci pensò attentamente prima di nominarla, non voleva far soffrire il mannaro inutilmente ma aveva bisogno che sapesse cosa sentiva davvero per lui. “So che ti incolpi ancora per la morta di Laura, e di tutta la tua famiglia… io ho sempre pensato che non fosse colpa tua.”

Sentì il volto dell’altro irrigidirsi a quel nome, e lo guardò chiedendogli di nuovo scusa, stringendo la presa sul lato del viso.

“Quest’uomo dice che hai fatto qualcosa nel passato, qualcosa di sbagliato ed adesso vuole vendicarsi.”

“Ti avevo detto che quell’uomo era cattivo, ma forse lo sono io” mormorò cercando di allontanarsi da lui, con un senso di mortificazione. Per aver trattato così Stiles e per non essere degno di sentire su di sé quella mano morbida.

Stiles di conseguenza aumentò la presa, stringendogli il viso con entrambe le mani, e lo costrinse a guardarlo.

“Non ho finito, Hale” proclamò solenne, sorridendo appena. “Voglio dirti che credo che tu possa aver fatto qualcosa di sbagliato, cattivo, sì. Ma ciò non cambierà il mio giudizio su di te.”

“E qual è il tuo giudizio?” chiese, titubante, pauroso.

“Non sei una cattiva persona. So che ci vuole tempo per accettarlo, ma ti prego cerca di farlo. Perché io credo in te, credo che abbia fatto delle cose che non avrebbero dovuto essere fatte ma ti prego, tu credi in me quando ti dico che non è dalle azioni che si giudica una persona.”

“Ho ucciso delle persone…” boccheggiò Derek, quasi piangendo.

“Ed hai dovuto farlo. Tutti coloro che hai ucciso… hai avuto un motivo per farlo.”

“Questo non giustifica che li abbia uccisi.”

“Questo giustifica tutto” dichiarò sinceramente. “Vedi, da piccolo mi piaceva uccidere le formiche. So che stai per dire che le due situazioni non si possono paragonare, ma tu hai dovuto uccidere perché non c’era altra soluzione mentre io godevo ad ucciderle e a vederle contorcersi dal dolore.”

“Dio, Stiles, non credevo fossi un bambino così crudele!” scherzò Derek ridendo.

Anche Stiles rise; sentiva di essersi liberato di un peso dicendogli ciò che pensava di lui ma in realtà non era affatto finita: avrebbe voluto dirgli quanto lo amava e quanto avrebbe vissuto per sempre con lui e baciato lui e solo lui, ma non poteva dirlo perché né lui né Derek erano pronti a sentire qualcosa di così ampio. Così decise di non dire niente e sorrise, sciogliendo la presa dal viso del lupo.

“Sì, beh, ho un passato da vero criminale.”

“Dovevo essere io a consolare te, non il contrario” osservò Derek, attento a non guardarlo ancora. Era il momento imbarazzante post-sguardo con tensione sessuale inclusa gratuitamente, non sarebbe riuscito a guardarlo.

“Puoi restare, se vuoi” si lasciò sfuggire Stiles. Non farlo, non farlo, non farlo. “Sai, io non so come si comporterà l’uomo, e papà non tornerà prima di domani mattina per la sua nuova indagine, quindi puoi… restare. Se vuoi, ovvio.”

“Va bene, così ti tengo d’occhio” replicò Derek, a cui in realtà mancava stare un po’ da solo con il ragazzino.

 


Alla fine Derek restò. Ordinarono la pizza – che arrivò quaranta minuti dopo, con tanto di sfuriata da parte di Stiles e relativa pazienza di Derek –, e la mangiarono guardando due episodi della serie classica di Star Trek. Stiles passò tutto il tempo a parlare di Spock e Kirk (che ripeteva con entusiasmo essere una vera e propria coppia che si ama, il sopracciglio di Derek immancabilmente alzato), di Uhura forte ed indipendente e del resto dell’equipaggio che faceva di tutto per salvare ciò che era l’Enterprise, dei pericoli che vivevano tutti insieme come facevano loro con il branco.

“Sai Derek, è questo che mi piace del nostro branco.”

“Cosa?” domandò il maggiore, sempre curioso delle sue parole.

“Di giorno combattiamo nogitsuni, kanima e fidanzate assassine; di sera ci riuniamo a guardare i vecchi film di Star Trek alla tv e a mangiare pizza. È la normalità a piacermi: esserci per tutto, per salvarsi a vicenda la vita durante un combattimento mortale, ma anche per prendere un bicchiere di soda ad un amico.”

“È la prima volta che qualcuno mi dice che sono normale.”

“Ti ci abituerai, e poi lo sentirai” disse Stiles facendogli l’occhiolino, si alzò e cominciò a buttare tutto ciò che avevano consumato ed a sistemare la cucina. Derek lo aiutò, incerto su come muoversi ma l’umano lo guidò ed alla fine si ricordava perfettamente dove trovare la spazzatura e dove riporre i bicchiere.

 


“Derek?”

“Hm?”

“Mi dispiace di non avertelo detto prima.”

“So che volevi proteggerlo, e che lo vuoi ancora.”

“Voglio anche smettere di vivere così, però.”

“Credevo ti piacesse avere compagnia.”

“Non in questo modo. A nessuno dovrebbe essere concesso di sapere tutto di una persona.”

“Sì, hai ragione. Ti prometto che stavolta riuscirò a risolvere la situazione con… lui, ok?”

“Mi fido di te.”

“Grazie.”

“Derek?”

“Sì?”

“Ti voglio bene.”

 


“Anche io.”

 



La mattina dopo Derek era ancora lì. Non erano mai stati vicini per così tanto tempo, eccetto quando Stiles era svenuto la prima volta ma in quel caso non aveva potuto godere della fantastica compagnia del lupo. Ok, forse non fantastica ma buona. Ok, forse era… abbastanza. In fondo Derek era sempre lo stesso (per fortuna, diceva Stiles): parlava poco e rispondeva ancor meno. Ma era rassicurante averlo lì, non soltanto perché senza lo sceriffo si sentiva solo, ma anche perché, da quando aveva litigato con l’uomo, non faceva altro che pensare a quando gli avrebbe parlato di nuovo e a cosa avrebbe dovuto rispondere lui. Con Derek sentiva di potercela fare, a superare tutto, a riuscirci persino.

Lo sceriffo lo aveva chiamato per scusarsi di non poter tornare quella mattina, ma di dover restare e attendere le analisi di un campione di sangue. Stiles, che adorava il lavoro del padre, rispose entusiasta di non preoccuparsi, di continuare a lavorare e che tanto lui stava con una persona. Noah non insistette nel sapere chi fosse questa misteriosa persona, ma gli ricordò della sua recente e preoccupante depressione, quella che lo aveva portato a non essere più il fastidioso ed irritante ragazzo di prima. Stiles rassicurò il padre – era tornato quello di prima –, avrebbe goduto della sua insopportabilità ben presto.

Derek aveva preparato la colazione: Stiles non poté credere ai suoi occhi guardando sparsi sul tavolo fette di pane con marmellata e burro, yogurt gusto fragola e una grande tazza con un litro di caffè – per la gioia di Stiles che infatti si fiondò subito su quella. Derek lo guardò ridendo e pensò che magari avrebbe dovuto prepararne di meno o l’altro sarebbe stato fin troppo attivo quel giorno. Ma il ragazzino ricambiò il suo sguardo con un sorriso sporco di caffè e soddisfazione, nemmeno si accorgeva dello stato pietoso in cui si trovava.

“Stiles, forse dovresti renderti un po’ più presentabile” fece Derek, indicandogli il labbro superiore.

Stiles capì subito a cosa si stava riferendo e, imbarazzatissimo, cercò di pulirsi il più possibile. A Derek era sempre piaciuto mettere a disagio le persone, ma con l’umano era diverso: poteva sentire l’odore del suo imbarazzo fortissimo invadergli tutto il corpo ed eccitarlo come non mai.

“Ok, io vado un attimo in bagno” mormorò scappando dalla stanza e dall’odore di Stiles che non riusciva a controllare. Non aveva affatto intenzione di masturbarsi nel bagno di casa Stilinski (non sarebbe arrivato ad un tale punto di squallore) ma aveva bisogno di isolarsi per calmare il proprio corpo.

Quando tornò in cucina, Stiles era ancora lì ed aveva finito quasi tutto quello che aveva preparato. Due ore per cucinarlo, dieci minuti per mangiarlo.

“Pensavo non mangiassi affatto, ragazzino” affermò Derek, con sorriso curioso. “Dove lo metti il cibo, pelle e ossa?”

“Sarà che faccio sempre movimento: c’è sempre un motivo per correre qui a Beacon Hills, non credi?”

“Sì, certo.”

“È questo il segreto della mia forma fisica perfetta” dichiarò il minore, fingendo di vantarsi.

“Perfetta? Forse vuoi dire orribile.”

“Oh andiamo, non sono mica così male!” esclamò Stiles stavolta con reale tristezza, e Derek rimediò subito nel suo errore.

“No che non sei male, solo non… come me” disse ridendo.

“E mi dica, signor Perfezione, come faccio a diventare come lei? Mi alleno tutti i giorni nei boschi dando a pugni a un albero? Vado in giro a far eccitare povere ragazze incomprese dai loro fidanzati?” scherzò.

“Tu non devi diventare come me” replicò Derek, guardandolo serio.

“Tranquillo, non ho intenzione di farlo.”

E non vado in giro a far eccitare povere ragazze incomprese dai loro fidanzati!” protestò il lupo.

“Oh, sì che lo fai! Sei molto conosciuto qui a Beacon Hills, soprattutto dalle ragazze popolari.”

“Immagino per la mia storia” ribatté Derek.

“Beh, inizialmente per questo, ma dopo il tuo nome ha cominciato ad essere accompagnato solo da frasi come Ma non hai visto che begli occhi quel Derek Hale? Mi farei scopare da lui mentre mi guarda con quegli occhi selvaggi, che poi è anche il più sconcio che abbia mai sentito. Credo di esserci rimasto traumatizzato: quando lo sentii ero più piccolo e Kimberly Marling era la ragazza più bella di tutta la scuola, ma da quel giorno cominciò a farmi paura.”

Derek nel frattempo era piegato in due dalle risate; il pensiero che delle ragazzine – e Stiles – avessero immaginato di lui in quel modo era imbarazzante e nello stesso momento troppo divertente per non ridere. Inoltre, Stiles sembrava davvero divertirsi nel raccontarlo: non gli avrebbe tolto una gioia così grande, e imbarazzante, solo per il suo pudore.

“Ma non è l’unico commento che ho sentito, eh! Io e Scott sentimmo Scarlett Stewart, di quarta, dire Che bei muscoli Derek Hale, quanto vorrei spalmare la panna sul suo corpo e leccarlo tutto.”

“LA PANNA?” urlò Derek, con le lacrime agli occhi per il tanto ridere.

“Giuro. Rimasi scioccato anche da questo.”

“Mi dispiace di averti rovinato la crescita” disse Derek, tenendosi lo stomaco per evitare di ridere ancora.

“L’hai rovinato alle ragazzine in piena crisi di ormoni a Beacon Hills per cui avere pettorali scolpiti e occhi verdi è ciò che ogni uomo deve avere (ecco perché io sono sfigato con le donne), ed anche alcuni ragazzi erano innamorati persi di te. Danny, ad esempio, passava le giornate a raccontarmi di quanto fosse sodo il tuo sedere e a quanto avrebbe voluto sentire… beh, hai capito.”

“Wow, non credevo di avere tutto questo successo” dichiarò Derek, leccandosi le labbra.

“Credo sia il fascino dell’uomo misterioso” lo giustificò Stiles, anche se non condivideva l’idea: a lui erano sempre piaciute le persone chiare, oneste. E allora perché si era innamorato proprio di lui?

Si erano seduti sul divano ed erano così vicino che Stiles era sicuro Derek stesse sentendo le sue emozioni. Agitazione, imbarazzo, paura. Non sapeva come fermarle.

“L’uomo misterioso non dovrebbe allontanare le persone? Sai, il non sapere se è un assassino o un agente della Cia, o entrambe…”

“Ecco, appunto” scattò Stiles con tono ovvio. “Il mistero dovrebbe far paura, non eccitarti.”

“Tu e Scott che pensavate, quel giorno in cui avete fatto irruzione da me?”

“La prima volta, intendi?” fece Stiles, nostalgico di quei tempi in cui tutto era più… banale. “Eravamo spaventati sì, ma anche emozionati da quella avventura.”

“Sentii le vostre emozioni, ricordo. Scott era quasi del tutto calmo e curioso, tu avevi il cuore a mille” e una volta detto, gli mise una mano sul cuore – cosa che provocò una grande eccitazione in Stiles, ma anche paura di essere scoperto –, “ed eri così agitato.”

“Avevo paura ci uccidessi.”

“Non lo avrei fatto” affermò Derek, sperando che Stiles gli credesse. Ma Stiles non ne aveva mai dubitato.

“Lo so.” Non sapeva se Derek riuscisse a percepire la sua agitazione o peggio quanto fosse forte ciò che gli provocava il tocco della sua mano, ma se se n’era accorto non lo dava a vedere. Quindi Stiles decise di giocare sporco e con un gesto si alzò, poggiandosi sulle ginocchia, e posò la proprio mano sul cuore dell’altro.

Il cuore Di Derek cominciò a battere forte, lo sentì, e Stiles sorrise al pensiero di non essere l’unico agitato.

“Tu, invece, che provasti quel giorno?”

“Fastidio.”

Stiles rise. “Non eri un po’ curioso?”

“Vi avevo già visto a Beacon Hills” ammise, “ma non pensavo sareste stati un pericolo per me.”

“Se non mi sbaglio, il pericolo eri tu.”

“Sì, infatti” mormorò Derek stringendosi nelle spalle, aveva smesso di guardarlo.

Ma Stiles non mollò, non ora che era così vicino a lui; gli prese il mento e lo costrinse a guardarlo di nuovo, poi sorridendo lo lasciò andare, non prima di essere sicuro di avere la sua attenzione.

“E invece riguardo le ragazze? Non ce n’è nessuna che ti piace? Voglio dire dopo Kate e Jennifer… qualcuna a posto.”

“Se mi stai chiedendo se sono fidanzato, no.”

“Anche solo una persona che ti piace” disse, accennando ad un sorriso con un minimo di speranza.

“Forse? Non lo so, in realtà. Ho paura di innamorarmi, di dare tutto me stesso ad una persona. Sai, tutto me stesso include anche tutte le mie colpe e gli omicidi di…”

“Se fosse una persona che ama non soltanto i tuoi occhi verdi ma anche le tue colpe? Se fosse una persona che ti… capisce?” ed a quel punto era così ansioso della risposta che probabilmente Derek se ne accorse e probabilmente capì cosa provava per lui ma a lui non importava più. Non in quel momento.

“Se lo facesse sarebbe pazza.”

“Pazza ma innamorata” rispose Stiles, in perfetto stile da soap opera.

Derek rise e si sciolse da quella posizione, alzandosi. “Forse un giorno sarà possibile.”

Stiles non ebbe nemmeno il coraggio di rispondere e, dopo aver passato circa mezz’ora sul divano parlando del più e del meno, tornò in camera sua senza dire niente. Si fece una doccia e quando scese di nuovo Derek non c’era più, al suo posto il rumore dell’auto della polizia annunciava il ritorno dello sceriffo. Quando entrò, Stiles corse ad abbracciarlo e il padre capì che non era affatto cambiato.

 

 

 


*The Queen is Dead è un album dei The Smiths e, dato che le loro canzoni sono bellissime ma non propriamente allegre, ho pensato che sarebbe stato adatto a descrivere l’umore di Stiles.

 


NOTE DELL’AUTORE: 6 g-i-o-r-n-i! Non ve lo aspettavate, vero? In ogni caso, ecco il quarto capitolo.
Diciamo che questo capitolo serve più che altro a fare chiarezza sul rapporto fra Stiles e Derek e su cosa provano l’uno per l’altro, mentre nel prossimo scoprirete *rullo di tamburi* il nome dell’uomo e la sua storia!
Grazie mille per aver letto anche questo capitolo e, se volete, potete lasciarmi una recensione. Nel frattempo stay tuned per saperne di più. Alla prossima!

 

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Capitolo 5
*** Ti sto chiedendo perdono ***


Ti sto chiedendo perdono



Passarono tre settimane prima che Deaton si facesse vivo.

In quei giorni le cose continuarono a svolgere il loro corso più o meno come prima. La scuola (che ultimamente prendeva la maggior parte del suo tempo a causa di interrogazioni e voti da assegnare per fine trimestre) lo occupava la mattina e buona parte del pomeriggio; mentre il resto della giornata Stiles cercava di rilassarsi ascoltando musica o guardando film.

Alcune sere Scott lo convinceva ad uscire ed allora passava intere sere con degli amici del messicano che non conosceva e che non era nemmeno interessato a conoscere – per quanto alcuni fossero simpatici: aveva incontrato una ragazza, capelli scuri e carattere molto simile al suo, con cui gli piaceva parlare ma che non era interessato a frequentare assiduamente.

Ma in realtà la maggior parte delle volte stava con Derek.

Non gli aveva mai chiesto di vedersi da quel giorno, non dopo l’imbarazzo che Stiles aveva faticato a mandare via per ben tre giorni e, se ci ripensava ora, voleva ancora sprofondare sottoterra.
Era Derek ad andare da lui: un pomeriggio venne a controllare come stava, lo aiutò anche a fare i compiti di algebra, ma alla fine Stiles lo cacciò via, spazientito dalla sua bravura e dalla propria ignoranza; una sera si presentò a casa Stilinski con la scusa di dover riferire allo sceriffo alcuni rumori di natura spiacevole vicino il loft, ma Noah, non volendo farlo guidare in un così tardo orario, lo invitò a cena e Derek rimase lì fino a tardi – con il risultato che dovette comunque guidare al buio –; un’altra sera ancora, invece, lo sceriffo non era a casa ed il lupo non lo andò a trovare ma Stiles poteva chiaramente percepirlo nei dintorni nella casa, a proteggerlo (l’umano aveva anche pensato di fingere di masturbarsi solo per dargli fastidio, perché non voleva essere spiato ma non lo fece, non aveva bisogno di ridicolizzarsi più di quanto non fosse già).

La volta più divertente – Stiles non riusciva a smettere di ridere – fu quando bussò alla porta con una busta piena di popcorn e un film preso al noleggio. Stiles lo fece entrare subito, curioso di quella visita. E del film.

“La commessa mi ha detto che è simile ai film che piacciono a te” aveva detto un Derek altamente imbarazzato.

Stiles scoppiò a ridere. “Forse era troppo incantata dalla tua vista perché sai… Pretty Woman non è proprio il mio genere di film.”

Alla fine lo guardarono lo stesso, Derek furioso con sé stesso per non essersene accorto prima e Stiles che, nonostante preferisse la fantascienza al romance, lo guardò con attenzione. Non lo aveva mai visto, lo stesso il lupo, ed alla fine ne furono entrambi catturati.

 

Erano passate tre settimane. Beh, in effetti, diciannove giorni dall’ultima volta in cui aveva parlato con il veterinario. Si chiedeva come mai non si era ancora fatto vivo, ma in realtà non era così ansioso di sapere la risposta, con tutta la paura che aveva. Derek dovette percepire quella paura, una notte in cui era rimasto a controllare i movimenti vicino alla casa, perché bussò alla sua porta senza un valido motivo.

“Derek, che ci fai qui?”

“Volevo controllare che stessi bene.”

“Ah… hai sentito che ho paura, vero?” fece Stiles con tono ovvio, passandosi una mano fra i capelli arruffati.

“Sì” confessò il mannaro.

“Derek non c’è bisogno che stai qui fuori, ok?” sorrise.

“Potrebbe farsi vivo un mago di quel gruppo, non sappiamo se li abbiamo uccisi tutti.”

“Non è successo fino ad ora, non credo che succederà.”

“Anch’io.”

“Allora perché ti ostini a controllarmi?” ribadì Stiles, mettendola sul ridere.

“Non voglio lasciarti solo.”

“Per la mia paura?”

“Hm” mormorò Derek.

“Sai che non è possibile cancellarla, la paura” disse Stiles, stringendosi nelle spalle. “Non ho paura che da un momento all’altro compaia un qualche stupido mago a volermi uccidere, no. Ho paura di Deaton e di quello che dirà prima o poi, o che non dirà.”

Nel frattempo erano arrivati nella sua stanza e Stiles si sedette sul letto, stringendosi le ginocchia con le braccia e appoggiando il mento su di esse. Era scosso, non sapeva cosa aspettarsi: anche una minima parola avrebbe potuto farlo sprofondare.

“Posso restare?” chiese Derek.

Una parola poteva anche tirarlo su, però. Guardò il lupo inarcando le sopracciglia, poi annuì.

“Non si è più fatto vivo l’uomo?”

“No,” ammise Stiles affranto, “ma spero che un giorno mi dica la soluzione a tutto questo e la finisca di stare nella mia mente e non parlarmi nemmeno.”

“Ti manca?”

“Era un buon amico” e di questo ne era sicuro. Avrebbe fatto volentieri a meno di avere una persona nella sua mente, ma doveva ammettere che i giorni con lui non erano stati una tortura come aveva immaginato. Anzi gradevoli, alcune volte era riuscito persino a migliorargli l’umore. Quindi sì, gli mancava.

“Perché il giorno in cui ha smesso di parlarti litigaste per me?” domandò Derek, curioso.

“Te l’ho detto, ti odia.”

“Sì, lo so. Non ricordo tu cosa gli dicesti.”

“Non te l’ho mai detto” affermò Stiles, pensando velocemente a cosa dire.

“Giusto” fece il lupo, incrociando le braccia, poi lo guardò con sincera curiosità. “E cosa gli dicesti?”

“Solo che sei una buona persona” borbottò Stiles, con sguardo basso.

Passarono alcuni secondi in cui Derek era in ascolto. “Stai mentendo” dichiarò alla fine.

“Vaffanculo Derek, ho già una persona nella mente che… che… che mi ruba la verità, non me ne serve un’altra!” sbottò Stiles, alzandosi e stringendo i pugni.

“Scusa” sibilò Derek, mortificato; l’unico motivo per cui si trovava lì era tranquillizzarlo, di certo non volevo farlo arrabbiare o rattristire.

“Vaffanculo” disse Stiles, sottovoce.

“Non ho mai saputo come trattarti, vero?”

Stiles, ora più calmo, si girò e lo guardò sorridendo. “È colpa mia, non ho un carattere facile.”

“Nemmeno io.”

“Spero anch’io un giorno di incontrare una persona che mi ami e mi capisca, Derek.”

“Non c’è nessuno che ti piace?” provò il lupo, cercando di alleggerire la situazione.

“No” pronunciò Stiles deciso e stavolta Derek non ascoltò il battito del suo cuore perché non voleva sapere se stesse dicendo la verità o una bugia. Non era in grado di volerlo sapere.

“Puoi restare, Derek. Mi farebbe piacere.”

 

Fu il giorno dopo che Deaton venne. Derek aveva dormito là, su una sedia abbandonata al centro della stanza e ricoperta da magliette. Stiles aveva insistito per farlo sdraiare accanto a lui nel letto, ma il lupo rifiutò e un po’ il ragazzino ne fu felice, scoprendosi incapace di intrattenere un altro dialogo imbarazzante con l’altro.

Quando si svegliò, Derek dormiva profondamente. A pensarci, non lo aveva mai visto dormire in modo così intenso e Stiles diede la colpa alle frequenti notti passate sotto la sua casa a controllare la zona. Così lo lasciò dormire ed andò a farsi una doccia.

Aveva davvero bisogno di schiarirsi le idee. Ricordò il modo in cui aveva trattato il mannaro la sera prima e se ne pentì; Derek era sempre stato gentile con lui da quando era successo il cambiamento la sera del capanno, e lo era stato anche quella sera ma per qualche motivo Stiles era stanco di dover continuamente cercare di nascondere sé stesso e i propri pensieri agli altri e non aveva retto. Lo sceriffo sembrava leggergli dentro soltanto guardandolo, mentre Scott era sempre attento al suo umore; l’uomo sentiva ancora ciò che pensava, ne era certo, anche se aveva deciso di tacere, e Derek era sempre lì a controllarlo.

Non lo aveva sopportato, tutto qui. Non avrebbe dovuto farlo, certo, ma alla fine non fu colpa sua né di nessun altro se non della situazione. Per questo quando Deaton si presentò davanti alla porta un po’ la paura era svanita, rimpiazzata da una buona dose di speranza.

“Ciao Deaton… novità, vero?”

“Sì” decretò Deaton, con sguardo vuoto, ed allora la speranza se ne andò e tornò la paura. E la consapevolezza.

“Un attimo, vado a chiamare Derek che sta dormendo…”

“Sono qui” lo interruppe il lupo, ben sveglio.

“Non ci vorrà molto, mi dispiace” ammise, triste. “Vi ricordate del mio amico? Vive proprio nel luogo in cui questi maghi sono partiti con i loro esperimenti… non sei il primo, Stiles.”

“Cosa?” fece il ragazzo, sbattendo le palpebre frastornato.

“Ci hanno provato molte volte prima di te, ma tu sei uno dei pochi esperimenti riusciti.”

“Gli altri?” chiese Derek, spaventato.

“Quelli non riusciti? Sono morti.”

“E quelli riusciti?” gli fece eco Stiles, con la stessa ansia.

“Sono nella tua situazione. Non sanno come liberarsi… non c’è modo.”

Per un attimo si paralizzò, cercando di recepire fino in fondo la notizia che gli era stata data. Era confuso, esperimenti, triste, nessuna soluzione, arrabbiato, il ronzio nella testa che sentiva era sicuramente ad opera dell’uomo a cui, a quanto pare, non bastava rovinare per sempre la vita di Stiles. Davanti a Deaton e Derek invece era perfettamente calmo, non si era azzardato a versare una singola lacrima. Imperturbabile.

“Stiles, vuoi…” provò Derek, ma l’umano lo fermò con un gesto della mano.

“Grazie. A tutti e due. Ma ora voglio restare solo.”

“Sei sicuro?” fece Derek, cercando di afferrarlo per un braccio ma Stiles si era già voltato e stava tornando nella sua stanza. Quindi non poté fare altro che andarsene, inconsapevole di quando lo avrebbe rivisto.

 


Ed infatti Stiles non si fece vedere per un bel po’ di tempo. Continuava con la sua routine quotidiana, ma non riusciva a concentrarsi su niente. Fallì gli ultimi compiti, ma i professori che vedevano quanto fosse strano (in silenzio! Quando mai Stiles Stilinski faceva silenzio!) nell’ultimo periodo non gliene fecero una colpa, promettendogli invece di non penalizzarlo – Harris rinunciò addirittura più volte a metterlo in punizione perché provava pena per lui.

Lo sceriffo era preoccupato (aveva provato più volte a chiedergli il motivo della sua indifferenza verso tutto ormai, anche verso ciò che prima lo emozionava più di tutto; era uscito al cinema il nuovo film della Marvel, quello di cui aveva parlato ansiosamente per mesi, ma quando il padre glielo aveva riferito Stiles si era limitato a guardarlo ed abbracciarlo per trovare consolazione), così come i suoi amici. E Derek.

Derek non smetteva mai di tenerlo d’occhio: lo seguiva a scuola ed era fuori casa per tutto il tempo in cui l’umano era all’interno. Voleva fare di più, ma Stiles aveva chiesto di stare da solo e lui sapeva che era davvero ciò di cui aveva bisogno. Alcune persone dicono di voler restare sole quando ciò che più desiderano è solo un po’ di piacevole e rasserenante compagnia, ma ciò non valeva per lui. Quando Stiles diceva qualcosa, era ciò che intendeva: era davvero attento, per un ragazzo della sua età, e saggio. Straordinariamente saggio.

Nonostante questo, però il mannaro non poteva fare a meno di sentirsi in colpa. Non soltanto perché chiunque fosse il pazzo nella testa di Stiles era qualcosa di suo, un problema che sarebbe dovuto essere solo suo, ma perché si era così legato a Stiles da sentirsi in dovere di difenderlo. Voleva farlo, Dio se voleva, ma non sapeva come.

 

Dopo alcune settimane Stiles era ancora nello stesso stato di apatia. Non si poteva definire triste, non c’erano i presupposti per angosciarsi no, ma non riusciva a guardare la vita nel modo in cui la guardava prima. Nel senso: la sua vita non era cambiata, affatto, ma sentiva esserci qualcosa di diverso ora che non sapeva se tollerare o meno. Era quest’indecisione che lo tormentava. Il non capire cosa ci fosse di terribile in tutto ciò. Come affrontare.

Un pomeriggio tornò da scuola talmente stanco che l’unica cosa che fece fu quella di gettarsi sul letto e coprirsi con il lenzuolo. Ma questo stato di pace non sarebbe durato.

Stiles…

Era una voce sottile, paurosa, ma Stiles la riconobbe subito.  E, nonostante tutto, si alzò di scatto e sorrise.

“Ehi!” si illuminò. “Credevo non avrei più sentito la tua voce!”

Scusa. Per tutto.

Stiles riuscì a rispondere soltanto dopo un minuto, e soltanto in questo modo. “Mi sei mancato.”

Anche tu.

“Questo vuol dire che ricomincerai a parlarmi? Sai, è già strano avere un uomo nella mia mente, ma un uomo nella mia mente che non mi parla… beh, amico, è troppo!”

Questo vuol dire che mi dispiace. Vedo come ti comporti e cosa senti negli ultimi tempi, e so di essere la causa.

“In effetti sì, è colpa tua” ammise Stiles, che non sapeva se essere sollevato da quelle parole o arrabbiato. “Sai quello che mi dà più fastidio?” e dopo non aver sentito risposta, continuò. “Che non è tanto male! Che questa situazione, per quanto sbagliata e strana sia, non è tanto male.”

Quindi non mi odi?

“No, dovrei ma non ci riesco. Non ti facevi sentire da mesi ed io stavo vivendo una vita normale, come se nemmeno esistessi nella mia mente, come se non sapessi i miei pensieri, i miei segreti.”

Ora ti ho parlato.

“Sì, ma anche quando mi parli… non è tanto male. Anzi, mi va bene. Quando Deaton mi ha detto che non c’è un modo, sai ho pensato ad una cosa, una cosa che mi vergogno di ammettere: ho pensato ‘beh, me ne farò una ragione’. Non è tanto male. Non mi fa paura pensarti lì dentro per tutta la vita, non come dovrebbe almeno.”

Ma speri comunque in una soluzione, no?

“Sì. Ciò che ti ho appena detto non vuol dire che è una situazione ideale. Ed ho paura, molta.” Stettero in silenzio per qualche momento, poi lui riprese a parlare. “Ma hai sentito quello che ha detto Deaton… non c’è un modo, giusto?”

Stiles lo sai, lo hai sempre saputo.

“Ti servo da tramite per arrivare a Derek.”

Sì.

“Non lo farò.”

Perché no?

“Perché lo amo. Andiamo, credevo di aver già affrontato questo argomento con te.”

Derek lo merita molto più di te.

“Può darsi, ma non è un buon motivo per fare del male alle persone. Non so cosa pensi tu, ma non soltanto perché una persona merita una cosa è giusto che accada. Le persone vanno capite; le persone vanno perdonate; le persone vanno protette.”

Non Derek.

“Oh, per me soprattutto Derek. Se ami qualcuno lo proteggi: lo proteggi da questo e da tutto.* Ed io lo proteggerò da te.”

Stiles, pensaci. Non voglio farti del male, mi serve soltanto che mi porti da Derek.

“Portarti da Derek… ma ti senti? Sei nella mia testa, come diavolo vorresti arrivare a lui?” strillò Stiles.

C’è un modo, è lo stesso che ho usato per arrivare a te.

“Dovrei baciare Derek!” urlò ad alta voce, noncurante di chi avrebbe potuto sentirlo – tanto metà degli abitanti di Beacon Hills lo credevano pazzo, non gli sembrava il momento ora di cercare di aggiustare la sua reputazione.

In realtà mi serve di più: sai, ho bisogno di impossessarmi anche del suo corpo e non solo della sua mente. Dovresti…

Fare sesso con lui!” affermò su tutte le furie. “Hai la minima idea di quello che mi stai chiedendo? Sarebbe come… come… una specie di stupro!”

Oh andiamo, tu vuoi fare sesso con Derek!

“Non in quella circostanza, no. Non se Derek non vuole, non se io sono costretto a farlo.” Come poteva anche solo averlo pensato, Stiles ne era disgustato. “Non lo farei mai.”

Stiles, ti prego. Neanche a me piace l’idea di te che fai sesso con Derek e non ti costringerei mai a fare una cosa del genere ma ne ho davvero bisogno. Pensaci: tu ti libereresti di questo peso ed io avrei ciò che voglio.

“E cosa vuoi? Uccidere Derek e vivere al suo posto?”

Voglio la mia vendetta.

“Puoi dirmi una volta per tutta cosa ti ha fatto Derek per meritare tutto quest’odio?”

Sei sicuro di volerlo sapere?

“Sai che, qualsiasi cosa mi dirai, non cambierò idea su di lui” replicò Stiles, sicuro di sé.

Ok, proviamo, disse l’uomo e cominciò a raccontare la storia, la storia di come lui e Derek si fossero conosciuti e di come fosse arrivato ad odiarlo. Mi chiamo Allen.

“Era una vita che stavo aspettando di sentirtelo dire! Allen… è davvero un nome carino.”

Grazie; ma non ha importanza. Parliamo di Derek.

“Agli ordini, capitano.”

La prima volta che vidi Derek fu per mezzo di Talia. Sai, era ancora viva quando conobbi la famiglia Hale: era la donna più bella che avessi mai visto. Era dolce e gentile e simpatica, a tratti un po’ dura con Derek e Cora – ma combinavano una marea di guai da piccoli, era comprensibile. Non so perché mi piacesse così tanto, Talia, quando ero bambino; nel corso degli anni ho avuto modo di riflettere e sono arrivato alla conclusione che incarnava l’ideale di mamma che avrei voluto. Mia madre non si è mai presa cura di me, quando tornavo a casa era sempre lì sbronza e fumava tanto, certe volte non potevo nemmeno respirare (alcuni dicono che crescere in ambienti e con persone del genere porta a diventare fumatori o peggio criminali, ma curiosamente non ho mai fumato ed ero uno scienziato, prima). Comunque, stavo dicendo: odiavo mia madre. A Talia e agli altri raccontavo che lavorava molto spesso e non aveva tempo per me perché mi vergognavo di dire la verità, e ne approfittavo per passare la maggior parte del mio tempo a casa Hale.

“Derek non mi ha mai parlato di te, non ha mai solo pensato ad un vecchio amico” proferì Stiles, riflettendo su tutto ciò che gli avesse mai detto il lupo sul suo passato. Sapeva che c’erano cose che non gli aveva detto e cose che aveva detto esclusivamente a lui, ma l’uomo non compariva in queste ultime.

In realtà non lo biasimo per non ricordarsi di me, credo che nemmeno Cora mi ricordi. Dopo l’incendio, Peter assunse il controllo della famiglia e fece loro un lavaggio del cervello: dimenticarono molto della loro vita prima della morte di Talia, me compreso.

“Sì, capisco… continua, stavi parlando del tempo che passavi a casa Hale.”

Ah sì. Naturalmente fu in quel periodo che conobbi Derek: era un bambino abbastanza vivace – non si direbbe per il Derek attuale, no? – ma tranquillo, perennemente in cerca di attenzioni da parte di Laura e disponibile ad essere attento per Cora. Era molto empatico: sapeva che ciò di cui aveva bisogno lui era ciò di cui avevano bisogno gli altri, e sapeva dunque comportarsi nel giusto modo.
C’è da dire che nonostante conoscessi Derek ed anche le sue due sorelle, il componente della famiglia Hale al quale ero più legato restava Talia. Non dimenticherò mai cosa mi disse Derek, un giorno in cui litigammo: “Ti piace tanto Talia perché vuoi scopartela, non è vero?”

“Era così?” chiese Stiles, incerto, attento a non sembrare giudicante.

Oh no! Vedi, Cora e Derek, e Laura, avevano una mamma che era sempre lì per loro a preparare lo zaino per la scuola e fare crostate con la marmellata di Domenica: nemmeno si rendevano conto di averla, una mamma. Io sì e ne aveva bisogno, così tanto che fingevo fosse lei mia madre. Con il senno di poi, mi rendo conto che terribile errore commisi.

L’uomo sentì Stiles nostalgico per un attimo e realizzò i suoi pensieri.  Mi dispiace, non avevo pensato a tua madre.

“Oh no, mi piace ricordarla” affermò l’umano.

Sapevo che i membri della famiglia Hale erano licantropi; non so se fosse in programma di farmelo sapere, ma un giorno trovai uno strano libro che parlava appunto di lupi mannari e Talia mi racconto la verità, un po’ perché ero un ragazzino sveglio ed avevo già sospettato qualcosa, e un po’ perché mi considerava essere uno di famiglia – affermazione che mi scaldò il cuore. Qualche tempo più tardi, Derek ebbe la sua prima trasformazione. Era tutti molto entusiasti per l’evento, persino Cora che era ancora lontana al grande passo era in estasi per il fratello. Organizzarono un enorme festa alla villa, invitando ogni genere di creature sovrannaturale (ampliai le mie conoscenze quel giorno parlando con una famiglia di kitsune che mi raccontarono diverse loro caratteristiche). Credo fossi l’unico umano, tu sai come ci si sente, no?

“Anche troppo spesso” mormorò Stiles.

Fu una delle giornate peggiori della mia vita: me ne stavo in un angolo a bere una schifezza che non ricordo, geloso delle attenzioni che dedicavano a Derek. E questo è stato il secondo errore che commisi: diventai geloso di lui, sempre, anche quando lui non poteva farci nulla.
Fu per questo motivo che decisi di diventare un mago. Con Cora che si trasformò anche lei, mi sentivo del tutto inutile, troppo diverso da stare lì in mezzo a loro. E quando arrivò a Beacon Hills un gruppo di maghi, ne colsi l’occasione per imparare da loro: sgattaiolavo di nascosto da casa per unirmi a loro ed osservarli compiere le loro magie. Ero sempre più assente anche da casa Hale; Talia mi chiedeva spesso il perché ma non ho mai rivelato nulla, mantenendomi vago – se aveva capito, non lo diede a vedere, comunque.

“Quindi divenisti un mago?”

Non ancora. All’inizio ero molto inesperto, motivo per cui non lo dissi a nessuno: mi esercitavo nel buio della mia camera, attento a non far rumore e a non rompere niente (beh, una volta ruppi una lampada. Ero nel bel mezzo di una prova di magia quando qualcosa andò storto, forse una parola o un gesto, e la lampada si frantumò in mille pezzi. Mia madre era furiosa, ricordo che mi picchiò perché l’avevo interrotta nel bel mezzo di una PCP, una droga potente, e l’avevo risvegliata dal suo sogno).
Però diventai davvero bravo ed ero così elettrizzato quando provai la stessa magia dieci volte di seguito e tutte le volte riuscì perfettamente, che avevo intenzione di dirlo a Talia. Ma era troppo tardi, lei morì qualche giorno dopo.

“Non glielo hai mai detto?” chiese Stiles.

No, ma ne parliamo dopo della morte di Talia. Prima Paige.

“Giusto, Paige” fece con fare triste. Se ne era quasi dimenticato, ma era sicuro che fosse stato un periodo importante nella vita del mannaro, quello con lei.

Sai di lei, vero? La dolce e gentile Paige… era davvero così. Derek la portava spesso a casa, era talmente innamorato che la presentò persino a me con cui non parlava spesso: mi trattò con bonarietà e cortesia. Mi era davvero simpatica, non capivo perché stesse con Derek per quanto all’epoca fosse ancora un ragazzo buono.
Comunque, grazie a lei Derek passava la maggior parte delle giornate fuori casa, ed io ero felice avendo la possibilità di prendere il suo posto in casa. Non che Talia avesse cominciato a volermi bene più di suo figlio (anzi, non si può negare che per tutti gli anni in cui sono stato con gli Hale, lei abbia mai trattato tutti i suoi figli, compreso me, nello stesso modo e con lo stesso affetto) ma, avendomi sempre in giro per casa, poteva dedicarmi più attenzioni.

“Poi Paige è morta.”

Sì e mi dispiace dirlo ma credo sia questo il vero punto di rottura tra ma e Derek. Cambiò. Non trattava le sorelle – e la stessa madre – con il rispetto e l’amore di prima, ma anzi cominciò ad arrabbiarsi per tutto. Con me non aveva mai avuto un splendido rapporto (parlavamo sì, facevamo i compiti insieme e talvolta mi raccontava dei piccoli segreti che solo ad un maschio della sua età poteva raccontare. Come la prima volta che si masturbò, mi viene da ridere solo a pensarci); dopo la morte di Paige, in ogni caso, peggiorò. Mi trattava sempre male, mi obbligava spesso ad andarmene perché diceva che non facevo parte della famiglia, mi prendeva in giro davanti ad altri ragazzi della sua scuola.

“Derek… davvero?” sussurrò Stiles, sconvolto. Non aveva mai pensato a lui come ad un bullo ed il sapere che lo fosse stato gli fece venire un nodo allo stomaco, pensando a tutte le volte in cui lui era stato bullizzato e quindi sapeva come ci si sentiva.

Stai cominciando a cambiare idea, ragazzino?

“Sta’ tranquillo, lo amo ancora” disse, sicuro.

Va bene, ascolta. C’era questa ragazza a Beacon Hills, bellissima, più grande di noi. Vedi, ogni singolo liceale della città era pazzo di lei e mi sentivo naturalmente in dovere di esserlo anche io. Era ciò a cui tutti i ragazzi puntavano, ed io come uno sciocco facevo lo stesso.

“Lasciami indovinare: Kate Argent?” affermò, con un piccolo sorriso di certezza.

Sì, ero molto stupido all’epoca. Non so se tu sia mai stato così stupido per amore: mentre tutti i ragazzi dicevano di volersela scopare, io mi illudevo di essere l’unico ad amarla davvero e quindi l’unico degno di stare con lei. Dio, che idiozia! Ovviamente, non la conoscevo. Non le avevo mai nemmeno parlato e tutto ciò che sapevo di lei risiedeva negli sguardi che le offrivo per strada. Come credevo di amarla non lo so, ma ne ero fermamente convinto.
Un giorno in cui mi fermai a pranzare alla villa, Derek raccontò di come quella mattina Kate lo aveva fermato da qualche parte e gli aveva chiesto di uscire. Quando sentii quelle parole, diventai subito rosso di rabbia e se ne accorsero tutti. All’epoca era a Cora che raccontavo tutti i miei segreti: non so il perché ma mentre Derek sentiva di potersi confidare verso una figura maschile, io sentivo di poterlo fare verso una femminile, ed in particolare alla calma e paziente Cora. Fu quindi lei a dire a tutti, quel giorno, della mia grandissima cotta per Kate, rivelandolo quindi anche a Derek.

“Perciò si mise con lei?” chiese interessato Stiles, che nel frattempo si era messo comodo nel suo letto ad ascoltare, con occhi chiusi, la storia sussurrata nella sua mente.

Ripensandoci ora non lo so. Di sicuro una parte di lui ha cominciato ad uscire con lei per fare un dispetto a me, il ragazzo sfigato e diverso, ma forse fu anche perché aveva bisogno di qualcosa per distrarsi. Era cambiato ma non aveva mai dimenticato il dolore, e credo fosse ancora molto presente in lui.
In ogni caso, con Kate non era una relazione seria: uscivano spesso e si facevano vedere in giro insieme, ma nessuno dei due amava davvero l’altro. Erano fidanzati perché non avevano nient’altro da fare, per così dire. E questa era la cosa che mi dava più fastidio: Derek era fidanzato con una donna spettacolare quale era Kate, e nemmeno ne era innamorato. Avrebbe dovuto lasciare il posto a chi l’amava davvero, come me.

“Avrei qualcosa da ridire sullo spettacolare, ma continua pure” disse Stiles, ridacchiando.

Te l’avevo detto che ero un vero stupido.

“Lo sei ancora.”

Sta’ zitto, sbottò ridendo l’uomo. Ero così innamorato di Kate che all’inizio non credetti a ciò che aveva fatto. Non ero in casa quel giorno, ma vidi diverse macchine dei vigili del fuoco che andavano in quella direzione e mi misi a correre io stesso. Ricordo ancora l’orrore quando vidi villa Hale incendiata, un mucchio di ceneri inutili ormai; il corpo bruciato di Talia fu l’unico ad emergere, portato fuori poco dopo, giaceva a terra. Piansi forte, quando Derek mi notò e cominciò a prendermi a pugni: ripeteva che era tutta colpa mia se Kate aveva fatto ciò, che io avrei dovuto avvisarlo. Ma io che ne potevo sapere?! Era lui che usciva con lei.

“Cosa hai fatto dopo?”

Cosa potevo fare? Peter – che non mi aveva mai tollerato, con la sua idea di diverso; mi chiedo se non sia stato da lui che Derek abbia preso certe idee – mi disse che dovevo andarmene, che non avevo motivo di restare lì. Ed era vero: Talia era morta, e con lei Cora e Laura (così credevamo almeno), Peter non mi avrebbe mai accettato nella famiglia e Derek mi odiava. Oh, ma non quanto io odiavo lui! E lo odio ancora, dopo tutti questi anni, lo odio ancora per tutto ciò che mi ha fatto! Perché, nonostante mia madre a cui non importava nulla di me e nonostante non avessi amici e nonostante non c’era nessuno a prendersi cura di me, avevo trovato una vita bellissima con Talia e Derek me l’aveva distrutta mano a mano. Non sapevo perché restare a Beacon Hills, quindi a 18 anni seguii quel gruppo di maghi, giurando che mi sarei vendicato.

Finito il racconto, Stiles stette a riflettere un po’, pensieri sparsi che l’uomo non riusciva a cogliere.

“È per questo che odi Derek?” disse alla fine, in modo semplicistico.

Lo dici come se non fosse importante! Ora che hai sentito tutto ciò che ho dovuto subire per i suoi capricci credi ancora che sia buono?

“Certo, e se vuoi saperlo, lo amo ancora. Ammetto che abbia fatto molte azioni sbagliate, più di quanto credevo, ma è cambiato. Perché non hai provato ad incontrarlo di nuovo, quando sei tornato a Beacon Hills con quei maghi?”

Stiles, io voglio ucciderlo. Non voglio incontrarlo e tantomeno parlargli, solo ucciderlo.

“Lo dice anche il Dottore: è quello che avresti – avreste, tutti e due – dovuto fare: sedersi e parlare!**”

Chi è il Dottore?

“Non importa. Dico solo che… dovresti perdonarlo: andare da lui e lasciare che ti spiegasse. O almeno avresti dovuto farlo. Capisco tutto ciò che ti è successo e mi dispiace che non ti abbia mai chiesto scusa (è davvero testardo, te lo concedo), ma ora ci sono io qui e ti sto chiedendo perdono per ciò che ha fatto. Perdonalo.”

Non posso farlo.

“Cerca di pensare anche a tutto ciò che è successo a lui. Non avete avuto una vita facile, nessuno dei due, ed ogni azione che avete fatto è stata sulla base di qualcosa che era accaduto prima. Non avresti mai avuto una vita così allegra con Talia e la famiglia Hale, se tua madre non fosse stata così noncurante nei tuoi confronti; e lui non si sarebbe mai avvicinato tanto a Kate, se qualcosa di così terribile come la morte di Paige non lo avesse sconvolto. Quindi lascia che lui ti perdoni, e tu perdona lui.”

Non posso perdonarlo dopo 10 anni in cui non ho voluto altro che la sua morte.

“Non è troppo tardi, tu…”

È tardi invece! Non capisci che sarò rinchiuso nella tua testa per tutta la vita se non ucciderò Derek? È l’unico modo per liberarti, Stiles, fallo.

“Non ho cambiato idea su Derek, hai fallito. Tutto ciò a cui questa storia è servita è stato capirti finalmente – e ti capisco – e capire meglio Derek. E lo amo, quindi non lo farò.”

Sai che potrei renderti la vita insopportabile.

“Sì, ed ho paura che tu lo faccia, ma questo non mi farà smettere di amare Derek. E non acconsentirò mai alla tua richiesta, è l’ultima cosa che ho da dirti.”

Vedremo.

 

 

*La frase è una citazione del film Perfetti Sconosciuti che ho visto a Gennaio e che mi è piaciuto tantissimo.


*Il secondo riferimento invece riguarda Doctor Who ed in particolare l’ottavo episodio della nona stagione, The Zygon Inversion, ed il bellissimo discorso del Dottore sulla guerra.

 

 


NOTE DELL’AUTORE: vi ricordate che per lo scorso capitolo avevo impiegato solo 6 giorni? Beh, diciamo che li ho sottratti lì per aggiungerli qui e pubblicare quest’altro capitolo dopo ben 2 settimane.
Sono imperdonabile, lo so, ma spero che leggerete comunque questo capitolo e che vi piacerà, perché ci ho messo del tempo a scriverlo però scopriamo finalmente la storia di *rullo di tamburi* Allen.
Il nome l’ho scelto perché in quel periodo stavo leggendo Urlo di Allen Ginsberg e l’associazione è giunta spontanea; la storia invece non so come mi è venuta in mente e non so com’è il risultato finale, quindi sarei contentissima di sapere cosa ne pensate voi.
Detto ciò, grazie mille per aver letto e ci si sente al prossimo capitolo – si spera!


Piccolissimo spoiler dal prossimo capitolo: Di colpo Derek si sporse verso di lui. L'avrebbe baciato se Stiles non si fosse gettato all'indietro, cadendo dal divano.

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Capitolo 6
*** Serve una certa dose di fiducia ***


Serve una certa dose di fiducia



Negli ultimi due giorni, dopo la discussione con l’uomo, aveva passato tutto il tempo a pensare sperando che l’altro potesse ascoltare. E forse l’aveva fatto, ma non aveva cambiato idea perché non si era ancora fatto sentire. Da un lato era sollevato (aveva davvero paura del potere che aveva sulla sua vita), dall’altro sapeva che il silenzio avrebbe soltanto rallentato la cadenza dei giorni.

Aveva tentato di farlo ragionare. Pensava continuamente a tutto, e soprattutto a ciò che l’uomo voleva da lui: non si rendeva conto che fosse una pazzia? Non capiva quanto fosse terribile vedere una persona che ami, una madre, un’amica morire? Lui aveva perso Talia, ed in un certo senso anche l’ideale di Kate, quindi perché non capiva che Stiles non poteva?

In realtà, Stiles non avrebbe ucciso proprio nessuno: il valore di una persona morta e di un uomo da sopportare nella sua mente non era affatto lo stesso. Dopotutto gli sembrava un buon compromesso per vivere.

Perché Stiles voleva vivere; così tanto che non poteva smettere di far vivere qualcun altro, specialmente se quel qualcuno era una delle cose più belle della sua vita. Perché – diciamo la verità – Derek era freddo e scorbutico e talvolta il ragazzino aveva paura di essere trattato male, però il lupo gli voleva bene. Stiles era convinto che fosse lontano dall’amarlo, ma era stato sempre lì per lui perché voleva prendersi cura di lui ed, in qualche strano modo, gli era simpatico e lo riteneva una bella persona e gli voleva bene. E l’umano faceva altrettanto, e l’avrebbe protetto.

Nonostante pensasse sempre a Derek con gli occhi a cuoricini e non avesse mancato di masturbarsi qualche volta (che con la tragicità della situazione, era così irreale da farlo vergognare più di quanto avrebbe dovuto), l’uomo non aveva mostrato segni di cambiamento. Quindi Stiles pensò di dover cominciare ad accettarlo, quando quella sera tardi Derek si presentò alla porta.

“Derek… stai ancora cercando di difendermi?” chiese, accennando un sorriso.

“Certo” rispose il mannaro, sorridendo a sua volta.

Tutte le volte in cui Derek era in casa Stilinski, a Stiles sembrava di mettere replay alla videocassetta; come sempre si spostava sulla sinistra per farlo entrare, come sempre Derek percorreva il corridoio per dirigersi verso il divano, e come sempre Stiles lo seguiva sedendosi anch’egli.

“Novità? Ti ho disturbato?” domandò Derek, visibilmente agitato.

“No” rispose Stiles in direzione dell’altro, il pugno a mantenere la tempia ed il gomito sulla spalliera.

“Alla prima o alla seconda?”

“Ad entrambe” pensò, ridendo.

“Hai parlato con l’uomo?”

“Sì, ma non è stato niente di importante.” Non sapeva perché non avesse raccontato di Allen e tutto ciò che gli aveva detto; forse avrebbe dovuto farlo, forse non era suo compito.

“Nessuna soluzione, no?”

“No.”

Di colpo Derek si girò pienamente verso di lui, cambiando atteggiamento – passò da preoccupato a disinvolto – ed il cambiamento fu così sconvolgente da essere evidente anche a Stiles che non aveva mai avuto poteri lupeschi.

“Ti ricordi dell’altra volta, quando abbiamo parlato di amore?” chiese, leccandosi le labbra.

“Forse?” sussurrò Stiles, o meglio il suo imbarazzo.

“Mi hai detto che esiste qualcuno che mi ama, nonostante la persona che sono.”

“Ah sì, lo ricordo.”

“Sono convinto che hai ragione” e così detto, si avvicinò molto al suo viso per poi sfiorargli la gamba con la sua. Lo guardò per alcuni secondi, inchiodando il viso di Stiles con i suoi occhi verdi, dopo si ritrasse.

“Ti va di vedere un film?”

“Un film…” fece Stiles, sconvolto.

“Sì, qualsiasi vuoi. Prometto di non oppormi stavolta.”

Alla fine Stiles ne prese uno a caso dalla sua collezione, ancora troppo scioccato per essere in grado di sceglierlo, e lo fece partire sulla tv. Nessuno dei due lo guardò. Stiles, che aveva sempre voluto la compagnia del lupo, sia perché lo rassicurava sia perché provava un senso di completezza quando era con lui, si sentiva ora enormemente a disagio e voleva soltanto andare a letto e dormire e pensare a quanto strana era quella situazione. Derek, invece, era impegnato a cercare di capire cosa provasse l’altro, cosa potesse aver capito dal suo gesto di prima e cosa volesse che accadeva.

Quando il film terminò, non avevano il coraggio di alzarsi o guardarsi negli occhi – motivo per il quale trascorsero più di quelli che si definiscono ‘pochi minuti’ prima che Stiles andasse a spegnere la tv e a riporre il dvd nel cofanetto. Poi, non sapendo se tornare a sedersi fosse una buona idea, rimase in piedi a pensarci ma alla fine optò per questa alternativa, non vedendone altre.

“Derek, c’è qualcosa che vuoi dirmi?” chiese infine, impaziente. Vide la sicurezza tornare a farsi strada nel volto del mannaro, una sicurezza perversa di cui non sapeva la ragione.

“Stiles… sai che ultimamente ci siamo avvicinati molto, no?”

“Sì.”

“E che ho fatto molto per te in questo ultimo periodo: ho fatto ricerche, sono stato intere sere qui sotto a controllarti, ho assillato Deaton per avere informazioni…”

Stiles lo guardò scettico. “Non capisco, vuoi che ti paghi?”

“Oddio no” fece Derek, scoppiando improvvisamente a ridere, ma era una risata prettamente isterica. “Come ti viene in mente?”

“Non so, mi sembri strano” rispose, facendo spallucce.

“Volevo soltanto dirti perché l’ho fatto.”

“Perché Scott ti avrebbe ucciso se non lo avessi fatto?” provò ad indovinare Stiles.

“Scott non lo sa nemmeno.”

“Prima o poi lo saprà, non è vero?”

“Sì, ma non è per quello che l’ho fatto.”

“Perché sei un cerca-guai ed hai capito che sono la fonte principale?”

“Questo l’ho capito da un bel po’, Stiles” disse Derek, sbuffando una risata.

“Ok, mi arrendo.”

“Sicuro?”

“Sì” decretò l’umano, avendo già capito le strane intenzioni del lupo: stava davvero per fare ciò che pensava stesse per fare?

“Stavo pensando all’amore… hai detto che c’è una persona per me, giusto?”

“Ci sono miliardi di persone in tutto il mondo che potrebbero stare con te ed amarti, sai in Cina oppure in Australia o anche in Russia…” incominciò a straparlare.

“Non ho bisogno di andare fino a lì, ho già una persona qui” lo interruppe, cercando lo sguardo del più piccolo.

“Dove vuoi arrivare, Derek?” chiese Stiles, stanco anche di non guardarlo.

Di colpo Derek si sporse verso di lui. L’avrebbe baciato se Stiles non si fosse gettato all’indietro, cadendo dal divano. Non era stata una caduta dolorosa, ma aveva sbattuto il gomito ed ora gli faceva male il braccio.

“Scusa…” provò a pronunciare Derek, con voce roca.

“Ma sei pazzo? Perché diavolo volevi baciarmi?” urlò un po’ troppo forte, massaggiandosi il gomito.

“Credo avessi capito cosa intendevo” protestò il mannaro, e Stiles giurò di non averlo mai visto così imbarazzato, ed umiliato anche.

“Andiamo Derek, non sei innamorato di me!”

“Tu come lo sai?”

“È qualcosa di… ovvio. Voglio dire… non siamo nemmeno amici.”

“Quindi è questo che pensi, che non siamo amici?” disse Derek, con uno sguardo che sembrava deluso.

“Non volevo dire che…” ma il mannaro gli impedì di spiegarsi.

“Quindi, secondo te, qual è la vera ragione per cui ti ho aiutato?”

Stiles ci pensò, non voleva rischiare di ferirlo ulteriormente; d’altra parte Derek ad un millimetro dalle sue labbra lo aveva allarmato, non doveva e non poteva accadere. Non sarebbe mai più potuto accadere.

“Perché ti senti in colpa per essere tu, la causa di questo” disse, indicando la sua testa.

Poi realizzò.

“Aspetta… volevi baciarmi per…”

“Stiles, ascolta: c’è un modo per risolvere la situazione. È un po’ scomodo ma non so cos’altro fare” lo stava supplicando Derek, disperato, avvicinandosi a lui di nuovo.

“Non posso crederci, stavi per farlo senza il mio consenso!”

“Non voglio farti del male, solo…”

“Credi che non sappia quello che volevi fare? Baciarmi e far sì che lui passi a te?”

“Come…” boccheggiò il mannaro, sbattendo le palpebre.

“Oh, credi che non lo sapessi? Beh, Allen me l’ha detto: ecco come lo so. E non posso credere che stavi per farlo. Se solo io non mi fossi tirato indietro in tempo… se tu avessi… oddio!”

Derek, ancora confuso da quel nome – gli ricordava qualcosa, di ciò ne era certo, ma cosa? Il vecchio tavolo di legno su cui faceva i compiti da ragazzo, il profilo di Talia che sorrideva a qualcuno, il braccio di Kate avvinghiato al suo – decise di ignorarlo e continuò a pregare Stiles affinché lo lasciasse avvicinare.

“Stiles, so che tutta questa situazione è assurda ma prova a pensare: è un solo un bacio. Ti prometto che dopo non ti toccherò mai più.”

“Non è che non voglia baciarti, Derek” fece Stiles, il cui sguardo si era addolcito. In fondo era giusto che Derek volesse prendersi le sue responsabilità, solo che non poteva lasciarglielo fare.

“Allora perché ti allontani?” lo supplicò il lupo, aveva notato come l’umano mantenesse sempre una certa distanza da lui.

“Perché non posso lasciartelo fare” disse e con una mano gli accarezzò la guancia.

“Perché?”

Perché ti amo, avrebbe voluto dire. Insomma, Derek stava soffrendo cercando in tutti i modi di trovare una soluzione e una persona sarebbe rimasta nella sua testa per sempre rovinandogli la vita: cosa poteva succedere? Di cosa aveva paura?

Aveva paura di essere respinto. Lui e Derek erano amici, ci avevano messo così tanto tempo a capirlo ma adesso il loro rapporto era perfetto: sapeva di non poter tornare a tutti gli sforzi di prima – come in un videogioco in cui si è arrivati all’ultimo livello e lo si perde. L’idea di dover rifare di nuovo i livelli iniziali per arrivare sin là era inaccettabile.

“Perché non lo meriti, sei mio amico, e non ti lascerò morire.” Non disse una bugia, lo pensava davvero. “Sai che vuole ucciderti, vero?”

“Non che abbia tutti i torti, scommetto” affermò Derek, stringendosi nelle spalle mentre cominciava a respirare pesantemente. Stiles gli prese anche l’altro lato del volto tra le mani e lo obbligò a guardarlo; il suo sguardo era perso, come colpevole di tutte le colpe del mondo. L’umano non poteva sopportarlo.

“Derek, ascoltami: devi smettere di accusarti di tutto e smettere di credere di essere una brutta persona e smettere di lasciarti andare così. Ma soprattutto smettila anche solo di pensare alla tua morte. Sai che non è la cosa giusta. Sai che noi, il branco, ti vogliamo bene e abbiamo già perso troppo… Derek non potrei sopportarlo.”

Derek lo guardò, riprendendosi. Si sarebbero baciati se non fosse stato un pericolo mortale, e strano a dirsi ma non sarebbe stato nemmeno assurdo. Entrambi lo volevano ed entrambi sapevano che l’altro lo voleva, perciò l’unica cosa a fermarli fu la circostanza.

Però si abbracciarono. Derek fece scivolare il suo volto sulla spalla dell’umano, curvando la schiena per abbassarsi alla sua altezza, mentre Stiles gli accarezzò i capelli sopra la nuca e lo strinse, spingendolo verso di sé con le braccia attorno alle spalle. Restarono così per molto tempo, e ci sarebbero rimasti per altre ore se a Derek non avesse cominciato a far male la schiena e a Stiles le braccia.

“Mi dispiace non avertelo chiesto, prima” disse il mannaro, passandosi una mano sulla fronte.

“Volevi fare la cosa giusta. Soltanto… non provarci più. Anche perché, sai, non sarebbe bastato un bacio.”

“Cosa?”

“Avevi detto che non mi avresti toccato, ma affinché passi a te serve un rapporto completo” concluse, molto imbarazzato.

Derek ci pensò un po’ su, poi comprese. “Sesso?!” urlò.

“Sesso” confermò Stiles, che aveva cercato disperatamente di evitare l’argomento.

“Mi dispiace, io non lo sapevo. Non ti avrei mai costretto ad una cosa del genere!”

“Oh lo so, tranquillo. Io ti avrei ucciso direttamente con le mie mani.”

Scoppiarono a ridere contemporaneamente. Di che diavolo stavano parlando?

“Posso restare?” chiese infine, quando smisero di ridere.

“Promettimi che non proverai a baciarmi mentre dormo” gli fece Stiles, assolutamente serio.

“Lo prometto.”

“Come faccio a sapere che non menti?”

“Andiamo Stiles, sai che potrei comunque aprire la finestra stanotte e baciarti!”

“Non ci avevo pensato” ammise Stiles, arricciando il naso. “Beh, dato che non mi va di incatenarti alla scrivania non c’è alternativa, giusto? Quindi resta.”

“Noah?” chiese Derek. Non ci aveva proprio pensato.

“È in centrale tutta la notte. Dio, se sapesse cosa sta succedendo non mi lascerebbe mai solo a casa.”

“Allora immagino siamo fortunati che non lo sappia” sghignazzò, facendo l’occhiolino al minore.

“Idiota.”

 

“Possiamo stare vicini, vero?” chiese Derek.

Stiles non riusciva a vederlo; erano andati nella sua camera e lui si era sdraiato sul letto, chiudendo la luce, invece il mannaro era rimasto in piedi, si notavano soltanto i suoi occhi.

“Sì, stupido.”

“Guarda che me ne vado.”

“Che grande perdita!” scherzò Stiles, facendogli posto sul letto; Derek era grosso e occupò due terzi del letto, lasciando il povero Stiles con la schiena contro il muro. Però poi cambiò posizione, poggiandosi di pancia sul materasso, e con buona parte del corpo su quello di Stiles. I capelli sul suo collo, il viso sul suo petto e proprio all’altezza del cuore, la gamba a coprire la sua. Era imbarazzante, eccitante e spaventoso, ma era comodo e Stiles non disse niente. Gli accarezzò i capelli con la mano vicina al corpo dell’altro.

“Chi è Ellen?” chiese d’improvviso, ed il cuore del ragazzino ebbe un sussulto che il lupo notò sicuramente.

“Prossima domanda?” scherzò, pieno di tensione. Non era pronto a parlarne con lui o con qualsiasi persona vivente. “Scusa, sono davvero troppo stanco per intraprendere questo discorso ora.”

Per un po’ stettero in silenzio, mentre Stiles continuava ad accarezzargli i capelli.

“Ok allora un’altra domanda, posso?” chiese infine il mannaro.

“Certo, di’ pure.”

“Pensi davvero che abbia cercato di farlo solo perché mi sento in colpa?”

Come Derek poteva sentire il cuore di Stiles, anche il ragazzino poteva sentire quello del lupo ed in quel momento batteva fortissimo.

“Vuoi la verità? Non lo so. Ogni volta che penso di conoscerti salta fuori che fai qualcosa che non posso comprendere” sospirò. “Che io tengo alla tua vita lo sai, no? Però tu… non so cosa pensi, cosa provi.”

“Non voglio che pensi che io non tenga alla mia, di vita, ok? Mi importa sempre, ed ho paura sempre. Ma credo – e forse dovresti farlo anche tu – che la vita degli innocenti è più importante della mia.”

“Ed io sono l’innocente. Perciò questo è il motivo…”

“No” lo interruppe Derek. “Con te è diverso.”

“Perché?” scattò Stiles, con il cuore a mille. Derek, di rimando, gli accarezzò un fianco cercando di calmarlo.

“Perché tu sei più che un innocente. Stiles… non segnarti ciò che dico, ti prego… ma tu sei così splendido. Voglio dire: non come persona, ma come Stiles. Dio, sei così Stiles e sei splendido. Splendido. Non riesco a descrivere cosa sento, mi dispiace. Sappi che la maggior parte delle volte non lo capisco.”

“Va bene così, Derek. Ho capito.”

“Davvero?” chiese il mannaro, incredulo.

“Sì” dichiarò Stiles, sorridendo e piangendo.

Forse, aveva capito l’umano, non era così impossibile che Derek fosse innamorato di lui. Forse, se le cose con Allen fossero andate diversamente, avrebbero potuto stare insieme. Ormai non era così, ma si sentiva talmente in pace ed entusiasta per questa piccola dichiarazione del lupo che sperò di far sentire anche all’uomo nella sua testa come era felice in quel momento. Si augurò di averlo fatto.

 

Il giorno dopo ed i giorni a seguire, le cose andarono infinitamente meglio delle settimane precedenti; il merito era dell’essersi sbarazzato dal vivere la situazione in cui si trovava in modo stressante ed angoscioso, e che non si faceva sentire con la stessa pesantezza di prima. Stiles sentiva di essersi tolto un peso ed ora, liberato dall’idea di dover essere disperato, poteva riprendere a godere della vita.

Era così palese, la sua felicità, che la notarono tutti. Lydia e Scott lo videro avvicinarsi ai loro armadietti sorridendo e salutando affettuosamente entrambi, quindi furono sollevati da questo nuovo Stiles – che in realtà non era nuovo, ma semplicemente era tornato quello di prima. Lo stesso professore Harris lo vide di buon umore e chiacchierone come al solito, di conseguenza decise che era il momento per una bella punizione. Ma a Stiles non dispiaceva, anzi lo ringraziò.

Lo sceriffo, adesso, era più tranquillo: Stiles era ricomparso ad abbracciarlo quando rientrava a casa dopo una pesante giornata di lavoro, o ad urlargli di mangiare meno schifezze altrimenti si sarebbe sentito male, oppure a chiedergli emozionato di guardare l’ultimo film Dc. Noah ovviamente non sapeva da cosa dipendesse questo ulteriore cambiamento del figlio, ma preferiva non fare domande, avendo paura che ritornasse a chiudersi in sé.

Però qualcosa la notò. Un giorno, mentre stavano cenando, gli chiese di invitare di nuovo Derek a cena qualche volta, dato che non lo vedeva dalla sera in cui restò fino a tardi con loro; Stiles diventò prima rosso accesso, poi balbettando accettò – senza prima aver rischiato di soffocarsi con la bistecca.

Non ne avevano mai parlato esplicitamente, ma lo sceriffo sapeva che suo figlio provava una certa simpatia per Derek (aveva provato a chiedergli, molto tempo fa, se ne fosse innamorato ma aveva ricevuto come risposta un volto rossissimo e una porta sbattuta contro). Era convinto avesse una cotta per lui, chissà quanto profonda e quanto vera, ma Stiles non gli diceva niente.

Non avevano mai parlato nemmeno della sessualità di Stiles, sebbene il padre avesse notato come alcune volte si incantava davanti a dei ragazzi belli o boccheggiava, non sapendo cosa dire (il che accadeva soprattutto con Derek). Forse Stiles sapeva di sapere che lui sapesse, ma non era mai stato pronto ad aprire il discorso e a Noah andava bene così. Ne avrebbero parlato al momento adatto, anche se lo sceriffo era molto spesso tentato di dirgli che non c’era niente da temere.

Se in quel cambiamento Derek c’entrava, lui non lo sapeva. Ma provò a capirci qualcosa.

“Derek ha una fidanzata?” chiese a Stiles.

“Per il momento no.”

“È gay?” tentò, rischiando di far soffocare il figlio per la seconda volta.

“Papà!” urlò il ragazzo.

“Cosa?”

“Perché lo pensi?”

“Oh, non so… è un’idea” affermò con noncuranza.

“Beh, non lo so. Contento?”

Quindi no, non riuscì a scoprire niente. Stiles era sempre agitato ed imbarazzato quando si parlava di Derek, ma non capì se il cambiamento del figlio era merito suo. In ogni caso, voleva ringraziarlo.

 

Allen non si era ancora fatto sentire dalla volta in cui gli aveva raccontato tutto. Stiles odiava quando si comportava così: insomma, sarebbero dovuti stare insieme per sempre, perché fingeva di non esserci? Si sentiva ingannato.

Quella notte lo sceriffo era andato alla centrale e sarebbe rientrato il pomeriggio del giorno dopo; Stiles, dopo aver sperato per un po’ di tempo nell’arrivo di Derek, si era rassegnato ed aveva cominciato a leggere un libro, seduto sul letto. Ma il silenzio era troppo calmo ed i suoi pensieri troppo veloci.

“C’è una cosa che non mi spiego, mi illumineresti?” disse, sperando che Allen lo sentisse.

Sembra proprio una proposta sconcia, facciamolo!

“Idiota” borbottò, ma sorridendo. “Stavo pensando: se per impossessarti della mia anima ti sarebbe servito un semplice bacio sulle labbra, perché con Derek dovrei fare sesso?”

Perché l’anima di Derek è più complicata della tua. Tu sei altruista, faresti tutto per aiutare il prossimo, e ti fidi con più facilità. Derek invece si fida soltanto raramente e soltanto di qualcuno che gli è molto vicino, potrebbe essere baciato da molti, persino da te, e non provare comunque niente. Serve una certa dose di fiducia.

“Io non mi fidavo di te quel giorno. Ti avrei ucciso se ne avessi avuta l’opportunità.”

Lo so, ma vedi, tu credi nella fiducia sempre, anche quando non la vedi, mentre Derek soltanto quando è tangibile. Tu sei più vulnerabile.

“Farò finta che sia un complimento” mormorò pensieroso. Dopo alcuni minuti di silenzio, aggiunse: “Sei bello, sai?”

E questo che diavolo c’entra? Comunque grazie. Questo non vuol mica dire che hai intenzione di masturbarti pensando a me? Lo dico perché se vuoi farlo dovrei ricordarmi ancora le misure del mio pene così posso mostrartelo.

Stiles, contento che l’altro avesse deciso di non ignorarlo, scoppiò a ridere. “Non azzardarti!”

Scusa, mi ero dimenticato ti eccitassi solo con un certo lupo.

“Smettila!” gli ordinò, continuando a ridere. “Non ti farò mai più un complimento.”

Ok, scusa. Grazie comunque.

“Io come sono?” gli chiese Stiles, sinceramente curioso.

Hm, passabile…

“Infame.”

Stavo scherzando. Anche tu sei bello, Stiles.

“È la prima volta che qualcuno mi fa un complimento, sono lusingato.”

Derek non te ne ha mai fatto, eh?

“Ma perché ogni volta che parliamo, il discorso deve sempre andare a finire su di lui?”

Hai ragione, scusa di nuovo. Sto solo cercando di convincerti ad ucciderlo.

“Quando ti arrenderai?” chiese Stiles, che non aveva perso il tono scherzoso della voce.

Che libro stai leggendo?

“Dio di illusioni, Donna Tartt.”

Di che parla?

“Di come nel momento in cui uccidono un amico, cinque ragazzi si ritrovano a doversi confrontare con le loro orribili vite. Sai cosa? Mi sa che seguirò l’esempio di Donna, non uccidendo Derek.”

Opportunista.

“Me lo hai chiesto tu” disse, facendo spallucce. “Mi sarebbe piaciuto conoscerti in un altro contesto" aggiunse poi.

Sarebbe piaciuto anche a me, Stiles.

Il campanello suonò, facendo cadere la conversazione.

È Derek, e dicendo ciò sentì il cuore di Stiles iniziare a battere forte, come accadeva sempre.

“Mi prometti che non farai guai mentre è qui?” lo pregò il ragazzo.

E che cazzo, Stiles! Sai che non ho intenzione di rovinare la tua serata con lui.

“Derek ti rende troppo nervoso” affermò, andando verso la porta. Gli sembrava di dover fare da intermediario tra due bambini.

Forse. Ciao.

“Ehi, aspetta” lo bloccò Stiles. “Non devi per forza scomparire, puoi parlare con noi se vuoi…”

Con Derek? Scordatelo.

“Va bene” fece, esasperato. “Ma non sparire per sempre.”

Sai che non posso farlo.

“Ciao Derek” esclamò, sorridendo ed arrossendo nello stesso momento.

“Ciao Stiles.” Anche lui sorrideva.

Si sedettero sul divano, ovviamente. Era diventato il loro luogo, un po’ come il famoso balcone per Romeo e Giulietta.

“Ho interrotto qualcosa?” chiese il lupo.

“Oh no, stavo solo parlando con lui” disse, indicandosi la testa.

Solo? Chi è l'infame ora, Stiles?

“Allen, giusto? Me ne vuoi parlare?”

No, non ora. In fondo avete tutta la vita per farlo, no?

Derek, vedendo che l’umano non rispondeva, gli strinse una spalla e lo riscosse. “Tutto bene?”

“Sì, scusa. Allen non vuole parlarne ora, facciamo un’altra volta.”

“Certo” disse Derek, leccandosi le labbra leggermente infastidito. “È strano sapere che non siamo solo noi, che ciò che diciamo lo può sentire anche lui.”

“Non me ne parlare” ribatté Stiles. “Io dovrò abituarmici, d’altronde anche lui deve sopportare tutto ciò che faccio o dico io.”

“Già”, poi ci pensò e comprese la terribile immensità della cosa. “Quindi anche quanto tu… lui sente?”

“Io cosa?” chiese Stiles, ingenuamente.

“Quando ti tocchi, ecco” ammise Derek, in imbarazzo.

“O mio Dio, Derek! Non lo so, è da tanto che non lo faccio… ma che diavolo vai a pensare!”

“Scusa, mi è sorto spontaneo” sghignazzò. 

“Beh, preferirei non affrontare questo argomento. Grazie.”

Passarono alcuni minuti, durante i quali nessuno parlò – nemmeno l’uomo.

“Scusa” disse infine Derek, stringendosi nelle spalle. “Non so che dire.”

“Calmati, se ne è andato.”

“Che vuol dire, come fa ad andare?”

“Non ci ascolta mica tutto il tempo: passo tre quarti della mia vita a parlare, credo sia normale scocciarsi. Oppure qualche volta può semplicemente decidere di non ascoltare, per evitare di mettermi in imbarazzo. In realtà non so come fa, solo… se ne va. Come se stesse dormendo.” Aveva provato a spiegarlo nel modo più facile possibile, ma vedendo il volto di Derek smarrito e le famose sopracciglia alzate, capì di aver fallito.

“Cosa ha pensato di quello che ho detto?”

“Oh tranquillo, non devi vergognarti: qualsiasi cosa dici, lui pensa solo a volerti uccidere.”

“E come fai a non pensarlo anche tu? Voglio dire: è nella tua mente, non potrebbe impiantarti lì questa idea?”

“Lo sai che non riuscirei mai a volerti uccidere”, imbarazzato aggiunse “e poi non ha il controllo su di me.”

Altri minuti di silenzio.

“Dov’è lo sceriffo?” chiese Derek.

“In centrale, non tornerà prima di domani pomeriggio. A proposito ti ha invitato a cena nella nostra modesta dimora, una sera di queste.”

“Quindi non mi odia?”

“Non so perché lo pensi ancora. Crede che tu mi faccia bene, invece.”

“Ed è così?” chiese Derek, malizioso.

“Quando ti prendi tutto il letto no” scherzò.

“Come punizione resto a dormire.”

Stiles si girò verso di lui, fintamente indignato. “Adesso non si chiede più il permesso al padrone di casa?”

“Allora me ne vado” lo minacciò il mannaro.

“Per me è lo stesso” dichiarò l’umano con nonchalance.

“Se non ricordo male, eri tu quello che nel sonno continuava a dire Derek, quanto sei caldo! Derek, spiccicati forte a me!

“Stavo dormendo! Non puoi prendere in giro una persona incosciente.”

“Scusa” disse, ma ridendo. “Posso restare però?”

“Sì.”

 

“A cosa pensi?”

Erano sdraiati sul letto di Stiles, vicini per la mancanza di spazio; stavolta era il ragazzino a trovarsi con una parte del corpo sul più grande, il quale gli stava accarezzando la schiena.

“A niente” rispose Stiles.

“Sai che noi mannari non abbiamo la lettura nel pensiero, vero?”

“Sai che noi umani non abbiamo sempre voglia di dire cosa ci passa per la testa, vero?” replicò.

“Scusa. Ho sbagliato di nuovo.”

“In realtà sei stato gentile a chiederlo” lo interruppe Stiles, “mi è sempre piaciuto dire alla gente ciò che penso. E poi non è mai uno sbaglio provare ad essere gentili.”

“Non darmi lezioni di vita, piccolo” e, sentendo la risata di Stiles sul proprio petto, ricordò di aver pensato che era la sensazione più confortevole che avesse mai provato.

“Pensavo che questa situazione fa schifo. Prima il nogitsune ed adesso Allen… è fastidioso sapere di non avere il pieno controllo di me” ammise, tirandosi sui gomiti. “Però alla fine sai cosa? Se è servito ad essere io la persona che sono e tu la persona che sei, allora non fa così tanto schifo.”

“La vedi in modo ottimistico, mi fa piacere. Ma ora dormi che stai crollando” sussurrò il mannaro, coprendo entrambi.

“Derek, sarai qui quando mi sveglierò?”

“Se lo vuoi.”

“Voglio che tu faccia ciò che pensi ti si adegui.”

“Ci sarò Stiles, ora dormi.”

 

Alla fine la cena con lo sceriffo ci fu. Derek, agitato, si era presentato vestito in modo molto più elegante del solito ed aveva fatto sentire Stiles, con indosso una semplice camicia a quadretti rossi, uno straccione. Lo sceriffo invece era sempre perfetto con la sua divisa del lavoro, e non aveva fatto altro che ridere e scherzare l’intera serata – e cercare di scoprire qualcosa.

“Derek, hai una fidanzata?”

“Papà!” cercò di fermarlo Stiles, che al contrario del padre aveva passato tutto il tempo in completo imbarazzo.

“No, signore” disse Derek che non si era fatto problemi a rispondere.

“Un ragazzo, allora?” chiese maliziosamente, con una sorriso sfrontato.

“No, nemmeno. Non ci so fare con le relazioni.”

“Beh, quando sarà il momento, pensa a trovare qualcuno anche per Stiles.”

“Non ho bisogno di un agente, papà” disse Stiles, offeso.

“Stiles è un po’… complicato” dichiarò Derek, ridendo.

“Oh non dirlo a me!” si aggiunse il padre, ridendo a sua volta.

“Sapete cosa?” urlò Stiles. “Pulirete voi stasera.”

In camera, più tardi, Stiles tentò di scusarsi con il mannaro per l’atteggiamento provocatorio ed imbarazzante del padre, ma Derek si era solo divertito con quelle domande e non si era affatto offeso. Pensandoci poi, Stiles cambiò idea e fu triste di comprendere che una risposta di Derek lo avrebbe aiutato a capire. Non che pensasse a lui come ad un possibile fidanzato dopo ciò che era successo. Sì, in realtà ci pensava e non avrebbe dovuto, ma qualche volta valeva la pena di sperare in un futuro migliore.

“Tuo padre è stato davvero carino con me, credo abbia addirittura dimenticato di avermi arrestato una volta” confessò Derek, che stava gironzolando nella stanza del più piccolo e guardava fotografie, libri, vestiti. Non si era mai interessato a cosa era compreso nella vita di Stiles, ma ora cominciava a volerlo sapere. Qual era la sua materia preferita? Il lavoro dei suoi sogni? Voleva andare via da Beacon Hills o non ci aveva mai pensato? Perché aveva quell’iris viola sulla scrivania dalla prima volta in cui era stato lì, anni prima?

“È stato un po’ meno carino quando ti ha detto di trovarmi una fidanzata!”

“O un fidanzato” scherzò, ma vedendo l’agitazione dell’altro decise di non dire altro. “Si preoccupa per te, ha visto che ultimamente sei strano.”

“Perderebbe la testa se gli dicessi il perché.”

“Di solito vi raccontate tutto?” chiese il mannaro, che aveva finalmente finito il giro della stanza ed era andato a sedersi vicino a lui.

“Non tutto: io ho i miei pensieri e lui ha i suoi, però possiamo sempre contare l’uno sull’altro” spiegò Stiles.

“Io il ‘contare l’uno sull’altro’ non l’ho mai capito.”

“Questo perché” osservò il ragazzo, “non ti sei mai potuto fidare di nessuno, prima del branco almeno. Vedi: papà ha Melissa con cui si confida, io ho Scott e Lydia, Scott ha me e Kira, Kira ha i suoi genitori e Scott…”

“E io…”

“E tu hai il branco e me.”

“Tu fai parte del branco, idiota!”

“Sì, ma sono a parte. Non ti sei mai fidato completamente di chi hai intorno, questo lo so, ma credo che dopo ciò che stiamo – sto – passando hai capito che non ti venderei a nessuno.”

Derek lo guardò a lungo, poi si girò verso la finestra aperta dalla quale entrava la luce della luna. Con impercettibile lentezza spostò la mano dal suo ginocchio a quello di Stiles, facendolo sussultare; sentiva di aver fatto battere velocemente il cuore dell’umano per l’ennesima volta e si vantò di essere l’unico a poterlo fare.

Non dissero niente, e quando Derek se ne andò (non prima di sentirsi dire dallo sceriffo di tornare di nuovo) non si toccarono, ma erano entrambi soddisfatti.

 




 

 

 

 

 

NOTE DELL’AUTORE: eccomi di nuovo dopo soli (o ben, dipende dai punti di vista) nove giorni. Sono riuscita finalmente a pubblicare il sesto capitolo, che come promesso si concentra molto sul rapporto tra Stiles e Derek – con alcune comparsate di Allen che non guastano mai!
Inoltre ecco il perché del titolo della storia, Splendido, che è anche il modo in cui Derek vede Stiles. I loro pensieri sono confusi, come lo sono quelli di tutti, ma si amano, in un modo che probabilmente è comprensibile solo a loro.
Devo decidere se pubblicare un ultimo capitolo la prossima volta, o spezzarlo in due (come avevo originariamente programmato): fatemi sapere voi cosa vorreste. Ed intanto, se vi è piaciuto il capitolo, sapete che mi farebbe molto piacere una vostra recensione.
Grazie per aver letto anche questo capitolo ed alla prossima con l’ultimo o il penultimo capitolo!

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Capitolo 7
*** Non so cosa dovrei volere ***


Non so cosa dovrei volere


La vita di Stiles andò avanti così per un po’; la mattina andava a scuola ed incontrava tutti i suoi amici, il pomeriggio studiava o giocava alla playstation con Scott oppure il branco doveva riunirsi per chissà cosa, la sera si ritrovava Derek a casa e capitava che dormissero insieme. In tutto ciò c’era Allen, presente – forse più di chiunque altro – in ogni momento della giornata, con cui parlava e si divertiva.

In fondo era una vita bella. Non poteva dire di non essere felice, Stiles, ma sentiva che c’era qualcosa che non andava: giorno dopo giorno, per quanto bello fosse stato, cresceva dentro di lui la sensazione che non tutto era al suo posto, che c’era un tassello al posto sbagliato. La sensazione di dover giungere a qualcosa in un futuro lontano per essere del tutto in pace.

Cercava di nascondere questa strana emozione, capace di non farlo addirittura dormire la notte, ma più passava il tempo più si chiedeva in quale futuro le cose sarebbero state come dovevano.

Anche Allen sentiva ciò che provava, Stiles ne era sicuro; era costretto ogni giorno ad ascoltare i suoi pensieri, anche i più stupidi, e certamente aveva ascoltato questo assillante ed indelebile. Non sapeva cosa ne pensasse e forse non gli importava neanche – nessuno poteva cambiare i suoi pensieri.

C’era anche un altro pensiero che lo tormentava: l’idea di non poter stare con Derek. Era stupida, lo sapeva: non sarebbe potuto stare con lui anche senza Allen, e perché Derek non era innamorato come lo era lui. Ma il pensiero che lo assillava era che gli era stata sottratta anche solo la possibilità di stare con lui, che fosse possibile o no. E questo Stiles non poteva accettarlo.

Vedere quasi ogni sera Derek, poi, non gli faceva affatto bene. Gli ricordava che era più innamorato di prima.

Era sorprendente come fosse cambiato il loro rapporto. Prima tra loro c’era una completa divisione: il loro contatto fisico si limitava alle volte in cui Derek, irritato dal minore, lo sbatteva contro il muro per minacciarlo, e le parola venivano usate soltanto per insulti ed offese vari.

Adesso, era cambiato tutto. Erano uniti, il legame tra loro era più forte che mai. Passavano ore e ore soltanto a parlare – Stiles, che aveva sempre avuto la predisposizione a farlo tanto, non si era mai raccontato così tanto a qualcuno – e quando, terminati gli argomenti, nessuno dei due sapeva cosa dire allora stavano in silenzio, stretti sul letto di casa Stilinski con gambe e braccia intrecciate.

Aveva smesso di essere imbarazzante dopo una decina di volte. C’era sempre la paura ad esagerare in qualche gesto o in qualche parola, ma bastava una rassicurazione dall’altro a rilassarli.

“Non so quanto ci faccia bene vederci così spesso” disse una volta Derek, mentre, disteso sul letto, accarezzava il braccio del più piccolo. “E non so per quanto possiamo continuare ma ora come ora non riesco a smettere.”

“Nemmeno io” ammise Stiles, turbato dalle parole così aperte del lupo.

Poi Derek rise. “In realtà non so quanto ci faccia bene avere un uomo nella tua testa.”

“Me lo domando spesso anch’io” replicò Stiles.

“Non ho smesso di cercare una soluzione, lo sai?”

“Grazie.”

“E Stiles… se per caso cambi idea e vuoi darlo a me… ecco, sai che puoi chiedermelo.”

Ma Stiles si girò a guardarlo sorridendo, e con il pollice gli accarezzò la guancia. “Non cambierò mai idea.”

Ed anche se non lo diede a vedere – non avrebbe mai ammesso qualcosa di così vergognoso con Stiles –, il mannaro tirò un sospiro di sollievo all’idea di non dover morire. Per il momento.

 

Vorresti che Derek fosse innamorato di te?

Non era raro che parlasse con Allen, quando aveva finito di studiare e si abbandonava al riposo sul suo letto. La maggior parte delle volte era lo stesso uomo che cominciava la conversazione ed allora restavano a parlare anche per ore, sicuri che nessuno li avrebbe disturbati.

Però non parlavano di Derek; dalla volta in cui Stiles gli aveva rimproverato di far finire il discorso sempre sul lupo, Allen non ne aveva più parlato (soprattutto perché avrebbe speso esclusivamente parole cattive per lui, mentre con Stiles voleva essere felice).

“Perché me lo chiedi?” domandò Stiles, sorpreso di sentire questo nome proprio da Allen.

Perché tu lo sei di lui.

“Oh… beh, se intendi attraverso una pozione magica o un esperimento d’amore allora no, ma vorrei – o meglio mi piacerebbe – che si innamorasse davvero di me. Questo sì.”

Come sai che non è già innamorato?

“Derek? Non lo so. Passiamo molto tempo insieme e ci tocchiamo in un modo diverso dal quale si toccano due amici, è vero, ma non so se per lui significa amore. Per me sì: voglio dire, vorrei che mi toccasse anche di più di quanto lo fa” ammise, arrossendo “ma non credo sia lo stesso per lui.”

Riesco a sentire persino io che gli batte forte il cuore quando lo accarezzi o gli sorridi.

Questa dichiarazione fece arrossire ancora di più il ragazzino che si era accorto di queste attenzione da parte del lupo, ma aveva paura nel definirle concretamente e nel risultare ingenuo.

“Ok, ammettiamo anche che Derek sia innamorato di me – cosa che continuo a ritenere impossibile – cosa dovrebbe succedere?”

Cosa dovrebbe succedere?

“Niente, ecco cosa dovrebbe succedere. Non può succedere niente. Tu, lui, la tua voglia di ucciderlo… ti ricorda qualcosa?”

Ma se io non ci fossi e lui fosse innamorato di te…

“Cose che non sono vere” si intromise Stiles, gesticolando con ovvietà.

Sì, ma se fosse questa la realtà tu staresti con lui?

“Perché me lo chiedi? Ti piace farmi sentire uno schifo?” chiese improvvisamente triste. Già gli era difficile stare accanto all’uomo che amava ogni giorno e non poterlo baciare, ma pensare ad una vita con lui, ad un futuro con lui, gli risultava opprimente.

Stiles, ti prego, rispondi.

“Sì” dichiarò Stiles, con voce ferma. “Starei con lui ogni giorno della mia vita e ci sarebbero giorni in cui non vorrei e giorni in cui lui non vorrebbe, ma so che lo amerei sempre.”

Perché ne sei così sicuro?

“Perché il futuro che mi hai mostrato tu oggi è quello che immagino ogni giorno quando sento le sue dita toccarmi ed i suoi occhi guardarmi e le sue labbra parlarmi e vorrei solo baciarlo e stringerlo e pensare che sarà sempre tutto caldo come in quel momento.”

Quell’immagine gli sembrava così vicina da poterla sfiorare, ma sapeva che non sarebbe mai successo ed il suo futuro sarebbe stato complicato proprio come ora. Piangeva perché si vergognava di sé stesso ad illudersi in questo modo e voleva semplicemente smettere di pensare in positivo e cominciare a sentirsi male.

Allen non rispondeva e lui era stanco, così disse di non volerle continuare ancora con queste stronzate e si mise a dormire.

 

“Pensi che mi racconterai mai del tuo uomo?” chiese Derek, indicando con la mano il suo cervello e guardandolo a metà tra l’infastidito ed il curioso.

Stiles, che stava studiando per un importante test del giorno dopo, ruotò sulla sua sedia girevole e lo fissò con lo sguardo di chi aveva già ribadito il perché più di una volta. “Sai che non vuole che te ne parli.”

“Non capisco perché” insistette Derek, alzandosi dal letto del più piccolo. Era seduto lì già dalle prime ore del pomeriggio, quando aveva deciso di fare visita al più piccolo – stranamente durante il giorno – sentendosi dire che lì qualcuno doveva studiare e allora si era sistemato sul letto a leggere un libro che aveva trovato al momento. “Mi sta già negando la possibilità di trovare una soluzione a questo, non può nemmeno dirmi la causa? Insomma merito di saperlo.”

La causa è lui e la soluzione la sa, ma è troppo codardo per attuarla.

“Allen non voglio cominciare di nuovo questa discussione: sai molto bene che Derek è disposto a farlo, ma io no” sbottò Stiles, stringendo le labbra in un moto di ira.

“Cosa ti ha detto?”

“La causa sei tu e la soluzione la sai” ripeté Stiles.

“Non ha tutti i torti.”

“Scherzi?” urlò il ragazzino, che adesso era anche più arrabbiato di prima. “Non voglio riparlarne nemmeno con te, ho preso la mia decisione e la conoscete quindi basta.”

Sia il lupo che Allen si ritrovarono a scusarsi con il pensiero, ma nessuno dei due ebbe il coraggio di proferire parola – lo sapevano di non dover pressare Stiles che sentiva già i suoi pensieri ridotti dalla presenza di uomo nella mente e voleva almeno scegliere da sé.

Sentirono bussare dei colpi alla porta della camera, ma Derek non fece in tempo a scappare dalla finestra perché quelli era soltanto colpi di rispetto, lo sceriffo sarebbe entrato comunque.

“Stiles, vuoi… Derek ciao, non ti ho visto entrare” disse Noah, con il tono di chi vuole una risposta. Ma Derek era totalmente paralizzato, colto dalla sorpresa ed inchiodato al letto ed al libro che continuava a stringere nella mano, quindi fu Stiles a rispondere per lui.

“Mi sta aiutando con matematica per domani, papà.”

“Derek, eh?” ammiccò, sorridendo.

“Lo sai che sa più cose perché è più grande ed ha finito gli studi” tentò di giustificarsi Stiles, stando sulla difensiva ed evidenziando involontariamente al padre che c’era qualcosa da nascondere.

“Beh, quando voi due finite di studiare” pronunciò, con maggiore enfasi sull’ultima parola, “venite a cenare.”

“Grazie signore, ma non mi ha invitato a venire qui e non mi sembra giusto approfittarne” osservò Derek che si era ripreso dallo stato di trance ed aveva sentito il bisogno di difendersi in qualche modo.

“Ti sto invitando ora” affermò lo sceriffo, sempre sorridente, “sai che mi fa piacere se resti.”

“Va bene, signore.”

“Noah, Derek. Noah” gli fece lo sceriffo che non smetteva mai di stupirsi per i modi rigidi del ragazzo. Sperava che con Stiles non fosse così – e no, non era affatto così con Stiles.

“Sì, Noah, grazie.”

Quando uscì, Stiles tirò un sospiro di sollievo anche se continuava ad avvertire un senso di vergogna e disagio per ciò che era successo e di certo Derek sentiva lo stesso. Si alzò dalla sedia girevole ed andò a sedersi accanto al lupo, sul suo letto.

“Pensa che stiamo insieme” sospirò infine, sentendo la necessità di dirlo ad alta voce.

“Sì, infatti” concordò l’altro. “Dovremmo dirgli che non è così?”

Stiles sentì un’improvvisa tristezza immotivata per quelle parole: Derek aveva soltanto detto la verità, eppure l’idea che qualcuno potesse ancora fantasticare su una loro possibile relazione lo tranquillizzava. Lui non poteva più permettersi di farlo, ma non poteva sopportare che loro non stessero insieme per nessuno.

Derek, che si era accorto del cambiamento d’umore del ragazzino, gli strinse un avambraccio con una mano in modo da rassicurarlo, ma Stiles si limitò a staccarsi da quella presa e a sorridergli.

“Lasciamogli questo divertimento ancora un po’.”

Il mannaro aveva capito che qualcosa era cambiato, dopo quelle parole ma sapeva di non poter fare niente per cambiare la verità. Così non disse niente quando cenarono, quando lo sceriffo gli chiese delle sue abitudini, quando lavò i piatti con Stiles; non disse niente per cambiare l’umore di Stiles che infatti restò immutato, non triste né felice, solo nostalgico.

Nostalgico non di ciò che era stato un tempo – perché fra loro non c’era mai stato niente – ma di ciò che sarebbe potuto essere e di cui ora il ragazzino si dava la colpa. Derek, dal canto suo, provava nostalgia per ciò che sarebbero potuti essere prima: se avesse smesso prima di trattarlo male, se ci avesse messo meno ad accorgersi della sua intelligenza e simpatia e a voler stare ogni giorno con lui… se fosse successo, avrebbero potuto avere più tempo. Forse addirittura non sarebbe successo niente.

Ma Stiles non avrebbe più potuto vivere i suoi desideri e lui non poteva sistemare i suoi errori. Fu con questo senso di colpa che poi tentò di cambiare l’umore di Stiles, quando dopo si sdraiarono sul suo letto. Stiles sul lato destro, ancora preso dai suoi pensieri, e Derek sul sinistro, che non osava avvicinarsi sebbene volesse. Ci misero un po’ ad iniziare una conversazione e fu il mannaro a dover cominciare.

“Non hai mangiato molto a cena.”

“Hm, vero” ammise l’umano, riprendendosi dall’essere distratto. “È che sono preoccupato e nervoso per il test di domani e per un milione di altre cose nella mia testa.”

“Vuoi dirmene qualcuna, in modo da alleggerirti?” chiese, girando la testa verso di lui per mostrargli completo sostegno. Si aspettava che Stiles cominciasse a parlare con quel suo flusso ininterrotto per minuti, invece si girò, con la testa sul suo petto e il corpo sovrapposto al suo. Di riflesso allungò un braccio e gli cinse una spalla per avvicinarlo di più a sé.

“È tutto così complicato, Der. Sono così confuso. Non so cosa dovrei volere, cosa non dovrei ed il pensiero di fare, o anche solo di pensare, qualcosa di sbagliato mi fa sentire male.”

“Stiles, sono pensieri tuoi. Puoi farci ciò che vuoi.”

“Non sono più solo miei, no?” gli ricordò con una nota di disprezzo.

“Cos’è che pensi, che non va?” gli chiese il mannaro, sapendo esattamente che sognava di lui e dello stare insieme a lui; e lui sognava lo stesso, ma nessuno dei due poteva ammetterlo.

“Cose impossibili, lo sai” mormorò, rivelandoglielo implicitamente.

“Anche io penso cose impossibili, ogni giorno, ma non mi vergognerò mai per i miei desideri e non dovresti farlo neppure tu.”

“Come faccio, Der?” protestò Stiles, poggiandosi sul gomito e guardandolo. “Con questa nuova vita non posso permettermi di farlo.”

“Stiles, ho paura di quello che potrebbe accaderci quando ti abituerai all’averlo sempre lì” confessò Derek, con lo sguardo rivolto al soffitto. Stiles si era di nuovo sdraiato, ma aveva girato la testa per guardarlo intensamente, sentendo ciò. “Voglio dirti una cosa: i tuoi pensieri, i tuoi desideri, sono tutto ciò che ti rimarrà un giorno. Ti prego non rinunciarci, non… dimenticare di avermi voluto.”

“Tu mi vuoi, Derek?”

“Sì. Ti voglio, Stiles.”

Non si guardarono negli occhi quella sera, ma si strinsero forte come non era mai accaduto fra di loro. C’era una nuova consapevolezza nell’aria – era sempre stata lì, certo, ma implicita – e nessuno dei due poteva evitarla: la consapevolezza di potersi abbracciare un po’ di più, sicuri che all’altro non avrebbe dato fastidio. Si abbracciarono a lungo, Stiles con un braccio a cingere la nuca del lupo e Derek che gli premeva forte il bacino contro il suo.

Stiles sentì un nuovo tipo di eccitazione, diversa da tutte le volte in cui si era masturbato guardando un porno o aveva stretto una ragazza a sé. Era un’eccitazione reale, concreta, in pochi secondi sentì il pene indurirsi ed il cavallo dei pantaloni restringersi. Era sicuro che Derek sentì la sua erezione come lui sentì quella del mannaro formarsi subito dopo.

Derek continuava a premerlo su di sé e Stiles gemeva perché gli faceva male e l’unica cosa di cui aveva bisogno era baciare quelle labbra e toccarle, toccare tutto il suo corpo. Gli ci volle una grande forza per staccarsi da lui, ma alla fine la parte razionale prevalse in entrambi.

“Devi andare” affermò, mordendosi un labbro tremante.

Ed il mannaro, così come era arrivato, se ne andò. Invece, Stiles restò a tremare di piacere nel suo letto, colmo dell’odore dell’altro; si sentiva molto peggio ora che era rimasto di nuovo solo, ma si congratulò con se stesso per essersi fermato in tempo. In fondo era un ragazzo intelligente.

Merda, stavate per far eccitare anche me!

“All, scusa. Mi ero completamente dimenticato di te” rispose imbarazzato il ragazzino, che in quei brevi momenti con il lupo riusciva davvero ad essere così spensierato.

Ho visto, avevi un bel po’ a cui pensare.

“Oddio, Allen, cosa devo fare? Io lo amo così tanto ed avevi ragione: lui ama me, almeno nel modo in cui Derek Hale è capace di amare e mi sta più che bene. Ma cosa ne devo fare?”

Lo chiedi a me? Sono io che vi impedisco di fare queste cosacce.

Stiles sospirò forte, consapevole di quanto fossero vere le parole dell’uomo e, nonostante ciò, non arrabbiato. Averlo costantemente nella sua testa, così vicino, gli impediva di vederlo come un nemico e di conseguenza odiarlo.

Mi dispiace, disse e Stiles sapeva era l’unica cosa che potesse dire.

“Dispiace anche a me, sai, che tu odi Derek, che lui ha ferito te, che non vi siete mai chiariti ed ora siamo tutti e tre in questa situazione ed io non c’entro nemmeno niente!”

Stiles, vorrei che capissi quanto sono dispiaciuto per ciò che sta succedendo. Solo ora capisco che non avrei mai dovuto provare a baciare te, quel giorno… magari avrei potuto trovare un altro modo, un altro sistema. Vorrei non essere mai entrato nella tua vita.

“Non dirlo” protestò Stiles, sconvolto da quelle parole. “Ci sei ormai, nella mia vita, e se ti ho fatto capire che voglio non averti mai conosciuto non era mia intenzione. Sono contento che siamo amici, ma non doveva capitare così.”

Sei troppo buono.

“È proprio la gentilezza la caratteristica di noi semplici umani, se no a cosa servirei? E poi guarda il lato positivo: senza di te non avrei mai conosciuto questa storia, Derek non me l’avrebbe mai raccontata” ammise ridendo e facendo ridere anche Allen.

Derek è… giusto per te. Vi capite in un modo che non riuscirò mai a comprendere.

“Si chiama amore, Allen. Un giorno lo proverai e spero sia molto diverso da ciò che sentivi per Kate.”

Non me lo ricordare, amico. Quello non era nemmeno amore.

“Vero” ribatté Stiles, arricciando il naso. “Parleremo di amore domani, ora devo dormire. A proposito, puoi raccontarmi la storia della principessa, quella che mi hai raccontato l’altra volta per farmi addormentare?”

Stiles, io non sono una babysitter e tu non sei un bambino!

“Ti prego, All. Lo sai che sono nervoso per Derek e il test e la mia vita e papà che ha capito che sono gay non so come e…”

D’accordo, ma non accadrà mai più. Allora: c’era una volta una fanciulla in una capanna…

E Stiles si addormentò, con la voce nella sua testa ed il ricordo del corpo di Derek premuto a sé.

 

 

 

 

 

NOTE DELL’AUTORE: dopo 8 giorni (li conto ogni volta così la vergogna aumenta) ecco il penultimo capitolo – eh sì, perché alla fine ho deciso di dividerlo in due parti, dato che la seconda è già lunga di suo e dolorosa, molto dolorosa.
Diciamo che questo capitolo è un intermezzo tra ciò che è successo e ciò che succederà, prosegue ed anticipa nello stesso tempo. Mostra il legame che Stiles ha sia con Derek che con Allen, e come vuole bene ad entrambi – il che riconferma la sofferenza del finale.
Detto ciò, spero che il capitolo, per quanto corto, vi sia piaciuto e volendo, potete lasciarmi una recensione che mi fa sempre molto piacere. Intanto io vi do appuntamento alla prossima volta con l’ultimissimo capitolo! Ciao!

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Capitolo 8
*** Non possiamo andare avanti così ***


Non possiamo andare avanti così

 

Nei giorni successivi Allen era sempre più inquieto. Ovviamente cercava di nasconderlo quando si ritrovava a parlare con Stiles o quando stavano entrambi ad ascoltare i relativi respiri senza spiccicare parola, ma come lui poteva percepire cosa provasse Stiles, Stiles poteva fare il contrario.

All’inizio il ragazzo non ci diede peso perché anche a lui capitavano giorni in cui aveva voglia di stare per le sue, ma era una persona troppo rispettosa per farlo notare agli altri. Però poi constatò che Allen continuava a non tornare come prima. Scherzava, rideva, si mostrava euforico, ma mai davvero contento.

Forse la sua vita lo annoiava, pensò Stiles, o forse stava cominciando lui stesso a domandarsi quanto ancora sarebbero dovuti restare in quella situazione. In ogni caso, Stiles era certo che si desse anche la colpa dell’impossibilità della relazione tra lui e Derek – non che fosse sbagliato farlo, ma di certo non avrebbe aiutato a migliorare la situazione –.

Ti sto rovinando la vita, se ne uscì un giorno con tono neutro.

“Perché?” ribatté Stiles, che non era affatto sorpreso da quell’affermazione.

Perché Derek è la cosa più bella della tua vita e vuoi stare con lui per sempre e bla bla bla.

Per un momento restò in silenzio, pensando a come spiegarli cosa provava per il mannaro senza farlo uscire di testa. “Allen, ascolta: è vero, amo Derek e vorrei tanto stare con lui, ma non è affatto la cosa più bella della mia vita. Mi credi così superficiale da non avere una vita senza l’amore?”

Lo ami.

“E con ciò? Probabilmente un giorno smetterò di farlo, o almeno cercherò di illudermi che possa stare senza di lui. Avrò la mia vita; un lavoro che mi piace, una casa accogliente, un hobby per quando sarò vecchio.”

 Ed io sarò sempre nella tua mente a spiare i tuoi pensieri e a tormentarti.

“Non so cosa pensi tu riguardo al passare la tua vita con me, ma io credo proprio che mi ci abituerò. Vivrò una vita diversa – la mia unica vita sarà obbligatoriamente diversa – e mi spaventa a morte, ma sarà. Fin quando ho anche la speranza di un futuro, mi basta.”

Ma non è il futuro che volevi.

“Non è mai successo ciò che volevo, non mi meraviglio non succeda ora.”

Però te lo saresti meritato un bel futuro, Stiles.

“Grazie” rispose l’umano, accennando un sorriso.

E sai cosa? Me lo sarei meritato anche io.

“Lo so, All.”

 

Non possiamo andare avanti così.

Era passato un mese da quella conversazione e, sebbene l’aria tra loro si fosse mitigata, Allen non aveva smesso di essere agitato. Stiles aveva provato più volte a tirar fuori l’argomento, e non certo perché gli piacesse parlarne, ma l’uomo non aveva più pronunciato quelle dure parole. Lo stava per fare quella sera, una sera che Stiles non avrebbe mai dimenticato.

“Cosa vuoi dire?” si allarmò Stiles, scattando a sedere sul letto. Stava leggendo, anche se in realtà erano minuti che non riusciva a concentrarsi, lasciando vagare la sua mente. Si chiese se Allen non avesse detto ciò a causa di qualcosa che aveva pensato, ma aveva passato tutto il tempo a pensare a quanto fossero soffocanti le lettiere – che, per quanto argomento spinoso sia, non sembrava un buon motivo scatenante –. Forse qualcosa riposto nel profondo della sua mente.

Non posso vivere per sempre nella tua testa, hai idea di cosa significhi?

Il suo tono di voce era arrabbiato, non verso qualcuno in particolare, ma anche fermo, e l’unica cosa che poté fare in quel momento Stiles fu preoccuparsi della piega che stava prendendo la situazione.

“Certo che lo so, sono io la testa.”

Mi dispiace così tanto non averlo capito prima. Scusa, Stiles. Non dovrei nemmeno chiederti scusa perché per te sarà soltanto una benedizione; dovrei dirlo a me, scusarmi di essere stato così ingenuo da non rendermi conto che c’è altro oltre la rabbia o almeno ci sarebbe stato. Non dovevo essere così superficiale da credere di non avere una vita senza la mia vendetta. Quindi scusa Allen, scusa.

“Puoi averla una vita senza la vendetta. Abbandona il tuo progetto, perdona Derek e avrai finalmente una vita libera.”

Non posso perdonarlo, Stiles. Ciò che ha fatto è estremamente significativo per me e sono certo che anche Derek non riuscirà mai a perdonare se stesso. So che stai pensando ‘ti ha soltanto rubato il palcoscenico ed il sogno di una vita felice’, non sono ragioni sufficienti per odiarlo così tanto; però Stiles erano molto più che sufficienti per il me diciottenne, erano terribili e non riesco a vederla in un altro modo dopo averla vista in questo.

“Se mi lasciassi raccontare a Derek chi sei e cosa ti ha spinto ad odiarlo così tanto, sai che capirebbe e non farebbe altro che darti ragione e chiederti scusa. Scusa, Allen. Lui ti chiederebbe scusa!”

È questo il punto, Stiles: è troppo tardi per le scuse perché ormai sono qui, dentro la tua testa, e non c’è modo di uscirne. Non sto dando la colpa a Derek, è stata una mia decisione, dico solo che se avesse capito prima quali sono i danni che provocano le parole e le azioni… forse sarei ancora vivo e tu staresti con lui.

“Possiamo trovare un altro modo, un altro corpo” lo supplicò Stiles, comprendendo cosa avesse intenzione di fare l’uomo.

Un’altra persona? Viva? Innocente? So che è sbagliato dirlo ora, da carnefice, ma anch’io un tempo ero innocente e so come ci si sente. Ho già rovinato la tua vita, non farò di nuovo quest’errore.

“Ti prego, Allen” ansimò Stiles, la cui voce non riusciva ad uscire a causa delle troppo lacrime che gli rigavano il volto. Non lo avrebbe accettato in silenzio, voleva parlare, spiegare, pregare, cercare di fargli cambiare idea. “Non mi stai rovinando la vita, ti prego, mi piace averti con me. So che ti ho detto di avere paura ma la supererò, ti prego, non farlo.”

Stiles, non lo sto facendo solo per te. È anche per me che devo farlo. Non posso vivere un’intera vita senza camminare con le mie gambe, vedere con i miei occhi, toccare con le mie mani. Non posso vivere un’intera vita chiuso in un corpo che non è il mio, senza essere nemmeno un uomo.
Non so se te l’ho mai detto, ma amavo il mio corpo. Avevo i capelli ricci e gli occhi azzurri, e passavo ore a guardarmi allo specchio e a ringraziare di essere così fortunato per la mia bellezza; ora quel ragazzo non esiste più ed è colpa di due stupidi bambini: uno che non si è mai reso conto di non essere l’unico a soffrire e uno che ha confuso dolore e crudeltà.

“Non puoi lasciarmi solo, All. Lo sai che ho bisogno di te.”

Ehi, sorridi. Guarda il lato positivo: puoi stare con Derek ora, fino a che vorrai.

“Non mi importa. Ti prometto che imparerò a smettere di amarlo, ma tu resta con me.”

Sai che non dipende da te, e nemmeno da me. Va bene così, Stiles, non devi cambiare niente di te. Vorrei poterti dire che è stato un errore quel giorno al capanno averti visto, essere venuto da te, aver cercato di baciarti, ma non lo è stato. So quanto dolore ti ha causato e non lo hai mai meritato, ma mi ha portato a te, a conoscerti e lo rifarei altre mille volte perché Stiles, tu e Talia siete state le persone più belle della mia vita. Siete state le uniche persone che abbia mai amato.
 
“Anche io sono felice di averti conosciuto e ti voglio bene, Allen, non puoi immaginare quanto. E voglio che tu sappia che non mi dimenticherò mai di te, mai. Sono morte così tante persone intorno a me e sono disposto a rinunciare ad ogni singola speranza abbia mai avuto per far vivere te, ma capisco che tu lo voglia fare. Voglio solo che tu sappia che ti voglio bene e non mi dimenticherò mai di te.”

Nemmeno io, rispose ridendo. È stato bello vivere con te per un po’, Stiles Stilinski. Se ci sarà un’altra vita dopo questa, mi ricorderò delle nostre conversazioni e della tua gentilezza. Ti voglio bene Stiles, addio.

Morì. L’attimo prima si teneva stretta la voce di Allen nella sua mente, l’attimo dopo fu prosciugato del proprio ossigeno e poi più niente. Credeva che la morte sarebbe stata gentile dopo tutto quel tempo, che gli avrebbe lasciato il tempo di abituarsi a lei, ma Stiles non la sentì mai davvero arrivare.

Sentì solo che Allen non c’era più. La testa era più leggera ed il lieve mal di testa che lo aveva accompagnato per tutti questi mesi era sparito, ma per il resto c’era solo un enorme vuoto all’altezza del petto, che non gli permetteva di respirare. Si sentiva svuotato, come se dopo aver finalmente trovato sé stesso gli avessero strappato una parte di sé.

Qualche mese fa sarebbe stato contento che quest’incubo fosse finalmente finito, che avrebbe potuto avere una vita normale o almeno provarci, amare ed essere amato. Invece Allen non c’era più, era morto e Stiles non riusciva a pensare a niente di più terribile del non sentirlo sbuffare o ridere nella sua mente.

Come si era abituato alla presenza di Allen all’inizio, doveva ora abituarsi alla sua mancanza – d’altronde è ciò che si fa quando qualcuno muore. Ma come ci si abitua? Come si smette di piangere? Non aveva ancora superato la morte di Allison, sempre causata da lui, come poteva superare quella di Allen, ormai costante nella sua vita?

Non sapeva che fare, seduto sul suo letto, stringendo le lenzuola per non gridare. Voleva parlare con Scott, il suo migliore amico che c’era sempre stato e non sarebbe scomparso mai, ma non conosceva tutta la storia (sebbene lo avesse visto comportarsi in modo strano, parlare da solo anche) e non avrebbe capito il legame che li univa o l’importanza della morte di All.

Voleva parlare con suo padre, suo padre che lo aveva visto strano, depresso, euforico, imbarazzato ed aveva sempre cercato di capire come mai suo figlio cambiasse così nell’ultimo periodo. Stiles glielo avrebbe semplicemente voluto dire, ma non poteva raccontargli di un uomo nella sua mente come se fosse una normale notizia: lo avrebbe sconvolto, e l’unica cosa che Stiles non voleva era addolorarlo – e poi non avrebbe capito il perché di tale tristezza per una notizia apparentemente buona.

In effetti, nessuno avrebbe mai capito la gravità della situazione (nemmeno lui aveva mai davvero capito fino in fondo come potesse essersi affezionato in tal modo al carnefice della sua maledizione). Sarebbe dovuto essere contento che quell’incubo fosse finito, invece Stiles voleva soltanto aver trovato un'altra soluzione, un’altra vita per Allen. Una qualche pace.

L’unico che era a conoscenza del forte legame tra Stiles e Allen era Derek, ed era proprio da Derek che l’umano sentì il bisogno di andare. Tutto sommato, era con lui che Stiles aveva superato ed accettato quella situazione, con lui che aveva cercato di capire come comportarsi e cosa pensare di tutto ciò. Ed era con lui che voleva piangere la morte del loro misterioso uomo – non che Derek sapesse chi fosse questo misterioso uomo, ma sapeva quanto era diventato importante per Stiles e quanto il ragazzino si sarebbe sentito smarrito per un suo ipotetico addio.

Stiles corse verso la jeep, ringraziando che lo sceriffo non fosse lì per fermarlo, e guidò fino al loft di Derek con le lacrime agli occhi e singhiozzando. Il lupo doveva averlo sentito arrivare, lui e la sua raffica di sentimenti, perché era sulla soglia della porta ad aspettarlo; confuso, lo guardò per un attimo e, notando subito gli occhi rossi e gonfi dell’altro, capì che era successo qualcosa di serio.

“Cosa è successo?” gli chiese dolcemente.

“Allen è morto.” Quando si rese conto di come suonasse assurdo, provò a ridirlo. “So che era già morto e non si muore due volte, ma… se ne è andato. Ha deciso di farlo. Si è ucciso. È morto.”

Stiles tremava. Adesso Derek capiva perché fosse così triste dentro di sé. Quando lo vide avvicinarsi a sé non esitò a stringerlo tra le sue braccia, accarezzandogli la schiena per calmarlo. Lo tenne stretto a lungo, mentre il ragazzino continuava a singhiozzare, poi lo alzò di peso e lo fece stendere sul letto. Ci mise molto ad addormentarsi, e Derek non osò dormire finché non lo avesse fatto l’altro, lisciandogli con la mano i capelli ininterrottamente.

 

Il giorno dopo Stiles gli raccontò di Allen, chi fosse e cosa avesse fatto Derek per spingerlo a fare ciò che aveva fatto; non voleva essere l’unico a sentirsi in colpa per la sua morte e, sapendo che se lo avesse detto a Derek anche lui si sarebbe condannato, svelò tutto. La verità uscì allo scoperto per un motivo egoista, ma Stiles non riusciva più a ragionare lucidamente. Pensò di doverlo fare, comunque.

Derek ci mise del tempo per ricordare chi fosse Allen, non avendone mai sentito parlare né da Peter né da Cora. Alla fine però rammentò del posto a tavola in più per lui, di averlo visto sbavare per Kate dall’aula di disegno una volta, di avergli gridato che era tutta colpa sua l’incendio e la morte di Talia.

Trovò Stiles in cucina a girare una tazza di latte e cereali senza averla ancora bevuta, e lo guardò sperduto.

“È stato colpa mia” mormorò, facendo voltare il ragazzino verso di sé. “L’ho sempre trattato male.”

“Sì, Derek, è stata colpa tua. E sua, e mia.”

“Riuscirai mai a perdonarmi per quello che ho fatto?” gli chiese Derek, spaventato.

Per tutta risposta Stiles si alzò e gli prese il viso tra le mani, chiudendo gli occhi per un attimo. “Non sono mai stato arrabbiato con te, nemmeno quando Allen mi ha raccontato cosa hai fatto. E ciò che provo per te non è mai cambiato. Devi solo darmi del tempo per pensarci, e abituarmici. Ok?”

“Certo” annuì Derek, accarezzandogli il dorso della mano.

“Sai se hanno trovato il suo corpo e quello degli altri maghi al capanno?”

“Non credo, non ne hanno minimamente parlato in città.”

“Bene, voglio seppellirlo. Il suo corpo è andato molto tempo fa, ma credo che lui sia morto ora, nel momento in cui ha deciso di far andar via la sua mente.”

“Qualcun altro lo conosceva?”

“Il padre è morto quando lui aveva 5 anni, un cancro ai polmoni, non so se ne eri a conoscenza; la madre, invece, poco dopo che lui se n’è andato da Beacon Hills. Credo che se fosse ancora viva, anche lei si sentirebbe in colpa per la morte del figlio e forse la colpa è un po’ anche sua. Talia è morta poi… gli eravamo rimasti solo noi.”

“Tu” lo corresse Derek, consapevole dell’odio profondo che Allen provava per lui.

“Forse hai ragione, ma voglio che venga anche tu al suo funerale. Non sarà un vero e proprio funerale in realtà – non era nemmeno credente –, solo un luogo in cui poterlo seppellire.”

“Ce l’ho.”

“Perfetto, sarà oggi pomeriggio.”

 

Quella pomeriggio erano tornati nel capanno e lo avevano esaminato per capire se i corpi fossero ancora là, e c’erano. Il corpo di Allen era steso a terra, esattamente nel punto in cui il branco lo aveva fatto a pezzi e Derek gli si era parato davanti per difenderlo, prendendosi la coltellata che spettava a lui.

Anche lo sfondo non era cambiato. Buio, freddo, le vasche scure che si intravedevano nella successiva stanza, i grossi forni coperti di polvere, le lampadine al neon ormai spente dal tempo passato. L’odore ricordava quello di corpi in putrefazione e probabilmente lo era, causato dalla decina di corpi stesi a terra, compreso quello di Allen.

“Non è il ragazzo che ricordo” mormorò Derek, guardando il viso di quel giovane – occhi verdi e capelli castani – e non riconoscendolo.

“Non è il suo vero corpo, deve averlo cambiato. In ogni caso è il corpo con cui è morto, almeno una morte fisica.”

“Credi che Allen lo abbia ucciso, per prendere il suo corpo?”

Stiles guardò il cadavere, con pietà ma anche fermezza. “Non importa. Il fatto che non sia stato una bella persona da vivo non ne cambia la morte. Voglio onorare il meglio che c’era, in lui.”

“Lo so, non stavo giudicando” si difese Derek.

Passarono in rassegna tutti gli altri corpi presenti, tutti giovani, tutti morti. Non conoscevano nessuno di quei maghi, non sapevano nemmeno se fossero di Beacon Hills o stranieri in cerca di avventura, quindi si limitarono a passare oltre e trasportare il corpo di Allen fuori dall’edificio.

Lo caricano nel bagagliaio della Camaro, come se fossero stati loro ad ucciderlo ed a dover nascondere le tracce – Stiles si sentì sporco nel trattare in questo modo il corpo di una persona, forse di due, che una volta era vivo e camminava e mangiava e sorrideva, ma non c’era altro modo per portarlo nel luogo in cui Derek aveva pensato di seppellirlo.

Derek guidò la Camaro nel bosco, per vie che Stiles non aveva nemmeno mai percorso, ed era quasi alla fine del tratto quando si fermò, facendo intendere di essere arrivati. Era un pezzo di foresta come un altro, differenziato soltanto dalla presenza di più alberi e minore visibilità.

“Non è lontano da villa Hale” confessò il maggiore.

Stiles ricordava vagamente il tragitto che aveva compiuto con Scott per andare a villa Hale anni fa, la prima volta che aveva incontrato Derek, e non riusciva a capire quanto vicino potesse essere ma annuì. Poi entrambi tirarono fuori dall’auto Allen, lo poggiarono sul terreno fangoso ed umido e presero due pale dal sedile posteriore per scavare una fossa.

Scavarono a lungo in silenzio, fin quando non si accorsero che la cavità era abbastanza grande per il corpo di Allen. Lo presero, lo posizionarono all’interno e Stiles poggiò all’altezza del petto un portachiavi rosa a forma di unicorno, in ricordo della prima volta che lo aveva fatto ridere.

Nessuno dei due parlò, limitandosi a guardare la buca e pensando all’assurdità della situazione: avevano seppellito un cadavere di un uomo sconosciuto ucciso dalla persona che per mesi aveva torturato le vite di Stiles e Derek. E loro adesso stavano onorando e piangendo quella persona.

Quando Stiles, gli zigomi coperti di lacrime, decise che poteva bastare, cominciarono a coprire il corpo con la terra e Allen sparì sempre più, fino a non esserci più. Lo lasciarono solo e se ne andarono, sicuri che nessuno sarebbe venuto a fargli visita se non loro stessi.

“Derek, non voglio tornare a casa stanotte.”

“Vuoi restare da me?”

“Sì. Puoi avvisare tu mio padre?”

“Certo.”

“Penso sarà contento di sapere che passo la notte con te” fece Stiles, concedendosi una risata.

“Di sicuro lo sarà” concordò Derek. Si girò a guardarlo ed il suo sorriso lo inspirò talmente di speranza che pensò di poter superare tutto, il dolore e il senso di colpa, se dopo ci sarebbe stato quel sorriso ad aspettarlo. Stiles aveva bisogno del suo tempo ma anche lui era consapevole del dono che Allen aveva offerto loro.

 

Nelle settimane successive Stiles non smise un attimo di pensare a questo dono, volontario e nello stesso momento involontario, e a come Allen gli aveva augurato una vita con Derek pur odiandolo. Stiles amava davvero Derek e per ciò si sentiva continuamente in colpa nel ringraziare che adesso fosse finalmente libero di amarlo anche fisicamente e baciarlo e fare l’amore con lui.

Ci aveva rinunciato per tutte queste settimane, credendo che Allen si sarebbe sentito tradito da quell’immediato gettarsi tra le braccia del mannaro, bramato da una vita ma inopportuno in quel periodo di vita. Poi, però, cominciò a riflettere sul significato della morte di Allen e pensò che l’uomo sarebbe stato felice nel saperlo felice, anche se in un modo che non condivideva. In più non ne poteva di vedere Derek quasi ogni giorno e provare vergogna ma anche eccitazione nel desiderare il suo corpo.

Un pomeriggio Derek andò a casa Stilinski per vedere se Stiles avesse bisogno di un aiuto, poiché era venuto a conoscenza del test di storia del giorno successivo da Scott. Lo trovò con i gomiti appoggiati alla scrivania e la testa tra le mani, stanco ed irritato.

“Ti serve una mano?” aveva detto, scavalcando la finestra.

Stiles tirò un sospiro di sollievo nel vederlo, portandosi una mano al cuore e simulando di togliersi delle gocce di sudore dalla fronte. “Sei arrivato proprio nel momento adatto, sig. laureato in storia.”

“Cosa c’è che non va?” chiese Derek, ridendo.

“La guerra, ecco cosa. In particolare la prima guerra mondiale.”

“È facile, stupido” lo prese in giro, scrollando le spalle. In risposta Stiles lo guardò offeso e si girò dall’altro lato, ma il lupo si sedette per terra accanto a lui e cominciò a spiegargli le dinamiche di quella guerra.

Fu quando si sdraiarono a letto, sfiniti di leggere e di parlare, che accade. Sapevano entrambi che uno di questi giorni, guardandosi negli occhi, non avrebbero resistito e sarebbe accaduto – approfittarono solo di quel giorno in cui lo sceriffo avrebbe passato la notte in centrale.

Erano faccia a faccia, divisi soltanto da qualche centimetro, e per la prima volta Stiles ringraziò il padre di avergli comprato proprio questo letto che aveva sempre trovato scomodo ma che ora gli sembrava perfetto per contenere loro due.

Non sapevano che sarebbe accaduto fin quando non accade, e fu veloce. Stiles gli poggiò una mano sul profilo sinistro, accarezzandogli lo zigomo e percorrendo la curva della guancia per arrivare ad arrestarla sulla nuca che strinse con dolcezza. A Derek sembrò il pretesto per cominciare: si protese verso il volto dell’altro famelicamente e baciò le sue labbra. Stiles ricambiò e pensò di avvicinarsi a lui per congiungere i loro corpi, ansioso di risentire l’erezione di Derek toccare la sua, ma il lupo lo precedette e gli si mise sopra.

Ora entrambe le mani di Stiles era dietro la nuca di Derek e lo attiravano a sé per approfondire il bacio, sentiva la lingua di Derek scambiarsi con la sua e cercarlo sempre più in profondità. Gli avrebbe anche donato baci più attenti se non fosse stato distratto dal calore che il corpo del mannaro emanava su di sé.

In un attimo si sentì come bruciato da un fuoco, sudato e con un inarrestabile bisogno di restare nudo a godere fino in fondo di quel caldo. Derek lo capì, guardandolo con negli occhi lo stesso desiderio, e passò la baciargli la mascella e dopo il collo e dopo infilò le mani sotto la maglietta di Stiles per togliergliela definitivamente.

Allora il ragazzino si convinse che stava davvero accadendo e non era solo uno dei suoi sogni in cui immaginava di fare sesso con Derek. Ora poteva davvero farlo, poteva volerlo fare. Libero dalla vergogna che aveva impregnato i suoi pensieri nel tempo passato con Allen, si fece coraggio e sfilò la maglia di Derek, lasciandolo a petto nudo.

Strinse quel petto a sé, accarezzandogli la schiena nuda dell’altro e trovandola piacevolmente liscia, si sentì al sicuro in quella bolla di calore. Fecero l’amore quella notte e fu triste ma liberatorio. Stiles aveva aspettato così tanto quel momento, provandolo mille e mille volte nella sua mente, che gli sembrò di terminare un atto già iniziato, reclamante attenzione da tempo. Fu bellissimo e, dallo scintillio negli occhi di Derek, capì che lo stesso fu per lui.

 

“Papà sarà qua a momenti” protestò Stiles, che tentava di convincere in tutti i modi l’altro a lasciare il letto caldo ed accogliente – anche se lui non stesso non si decideva a slacciare le braccia dal suo collo.

“Non sei per niente convincente, Stiles.”

“Mi mancherai non appena scivolerai via da quella finestra” affermò il ragazzino, indicando con un gesto stanco la finestra della camera, dalla quale si poteva sentire il vento entrare e soffiare sulle loro schiene nude.

“Tornerò la prossima sera e l’altra ancora, e il prossimo pomeriggio e quello dopo ancora. Ti abituerai alla mia presenza, prima o poi.”

“Non so se lo farò mai. Insomma: non so se potrei considerare questo” e volse il dito verso la propria espressione di appagamento, “come mi sento ora, normalità. Il tempo con te… non ho mai provato niente di più bello. Li ho sognati così a lungo: sei stato la mia pazza per molto tempo, non posso credere di poter finalmente pensare a te concretamente, delinearti nella mia quotidianità. Però non so se tu vuoi delinearmi nella tua.”

“Ho scelto di farlo nell’istante in cui ho accettato venissi, la sera del capanno. Stiles, io muoio dalla voglia che tu sia la mia normalità” ammise il lupo, prendendogli il mento con due dita e baciandolo con foga. “E tuo padre sarebbe contento di vederci insieme.”

“Non nudi, dopo aver fatto sesso!” strillò l’umano.

“Ho capito: me ne vado. Non c’è bisogno di urlare.”

“Potresti restare per colazione. Vestirti e restare per colazione” mormorò Stiles con tono incerto, titubante della risposta del maggiore, che invece si girò a guardare sorridendo e lo baciò di nuovo.

“Tuo padre capirà comunque che abbiamo fatto sesso, ma almeno non ci vedrà nudi.”

“Gli risparmieremo lo shock.” Si misero a ridere apertamente, un po’ per il pensiero della faccia dello sceriffo ad una possibile vista di loro nudi e abbracciati, e un po’ per il sollievo della conversazione andata bene.

“Derek,” lo chiamò Stiles, accucciandosi sulla sua spalla, “ti va se oggi pomeriggio passiamo a trovare la tomba di Allen? Vorrei portargli dei fiori.”

“Sì, certo” lo guardò dolcemente.

“Che c’è?” Stiles tentò di coprirsi il volto, imbarazzato dall’attenzione che le persone ponevano continuamente su di essi.

“Ti ricordi quando ti ho detto che sei splendido?”

“Non credo che potrei mai dimenticarlo.”

“Ecco, credo che da quel momento ho cominciato ad amarti davvero: non so ancora come spiegarlo, ma avevo compreso la persona che sei. Sei così grande che non t’importa se io sono così piccolo. Sento di poter essere tanto di me, con te.”

“Ti amo, Derek” pronunciò Stiles, piangendo. Una reazione stupida, piangere, ma nessuno lo aveva mai elogiato in tutto ciò che era e, sentire che a farlo era Derek, gli riempì il cuore di gioia.

“Ti amo, Stiles.”

 

 


NOTE DELL’AUTORE: non mi aspettavo di piangere rileggendolo ed invece ho appena scoperto che non ho mai superato la morte di Allen, e non credo lo farò mai. Non so come ci siete rimasti voi, ma io non la accetto. E non accetto di aver terminato questa storia che ho tanto amato scrivere, mi piange il cuore al solo pensiero. Boicottiamo l’autrice per farle cambiare il finale, lol. In ogni caso, vi è piaciuto il finale? E la morte di Allen? E la fanfiction? Fatemi sapere cosa ne pensate, così mi confronto con qualcuno sulla mia pazzia mentale.

Comunque volevo dirvi grazie. Grazie a tutti, a chi ha letto la storia, a chi l’ha inserita tra quelle preferite, seguite o da ricordare. E grazie in particolare a TINAX86 e Larksunset che hanno recensito tutti i capitoli e mi hanno supportata durante tutto il percorso. Grazie mille perché per me è stato davvero importante.
Ci vedremo in un’altra storia, non ho una fanfiction già pronta, proprio no, ma fino a quel momento vi auguro le migliori giornate della vostra vita, ciao! ♡♡♡

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